f -#• w GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ^V. 383, 2,84, Q.S5. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 ì^.liqi^ GIORrVALE O I TOMO XCV. APRILE, MAGGIO E GIUGNO ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 Continuazione e fine della seconda memoria suU V applicazione del calcolo ec, inserita nelV an- tecedente volume XCIV. Trasformaziontj e riduzioni di certi integrali definiti. •i^.^m^ìvevse forinole, fra le quali una data da Pois- son in una Memoria del 19 luglio 1819, ed un'al- tra trovala da Fourier nella sua teoria matematica del calore, sono slate applicate dai moderni geome- tri per la risoluzione di differenti problemi , ed in particolare per l'integrazione dell'equazioni lineari a derivate parziali , che si presentano nelle questioni della fisica matematica. Queste formole dipendono da alcune trasformazioni e riduzioni di certi integrali de- finiti multipli, che verremo brevemente ad indicare. Se fra le quantità variabili, p^ ^, - e che nello stesso tempo (AB — F^) /^ 4- 2 (AD — EF) j2 -i- (AC _ ¥.')z^ ^ ^ f AD_EF \- A(ABC— AD'— BE^— CF^-h 2DEF) AB — F^ è chiaro che il valore di p* si ridurrà ad (20) p2 __ X2 -h Y2 -1- Zi quando per brevità si ponga G, H, I, essendo AB — F^* G = A, H= " A _ ABC — AD^ _ BE^' — CF3 + 2DEF 1= AB — F^ ' Applicazione del calcolo ec. () Questa sostituzione delle x , y , z , per mezzo delle formole (21) suppone che il polinomio p^ resti positivo per tutti i valori reali di x , ^, 5 , ed in quest'ipotesi G> o , H > 0 , I >o ovvero A > o , AB — F^ > o ABC — AD^ — m^ — CF^ -H DEF > o le nuove variabili x , y , z , sono reali come le XfjiZ^e potremo ricavare reciprocamente dalle me- desime (21) X Y (AD — EF) z 2 = . y = '^ P H3 AB — i^^ 12 (23] _ X _ F Y FD — BE z Qa A Jjà AB — F^ li Si chiami adesso Q^ ciò che diviene il polinomio 02 per la sostituzione delle coordinate polari (24) Il = cospy V = senp cosq^ w = senp senq invece delle x, ^, 2, si avrà (25) Q=(A?«2 -J, Bi^a -f- Cw^"4- 2Dt'H'4- 2Emw -f- 2Fw(' quindi se questa medesima sostituzione si faccia nei secondi membri di x , y , z , e si chiamino 10 Scienze 11 » >7i » Ci » ciò che divergono queste variabili , si otterrà dalle (21) (26) ^Ar AD-EF > 4 Le nuove variabili |, , >j^ , ^, , verificano la condi- zione di (27) Q^ = |Ì4->2?4.^! Se dunque da un sistema di coordinale polari u, (^, w si voglia passare ad un altro della medesima specie, e della forma (28) I = cos$ , V7 = sen9 cosca , ^ = fen$ sena basterà prendere evidentemente (29) ^i = ?Q, V7. =>3Q, ?.=?Q ovvero 0" (3o) < H^ / AD _ EF A P V^-AB:rF^^J'^=-Q'" Appucaiione del calcolo EG. Il Ognun vede che i seconrli membri verificano la con- dizione ?* -f- >j* 4- ?' == » In queste formole poi come dalle (21) deduciamo re- ciprocamente (3i) \ G5 A H^ AB - F. léJ Sieno ora a, ^, e tre costanti reali, e positive, e si formi il trinomio (3a) F = au -^ bv m^- cw è evidente che dalla sostituzione dei valori delle w, ^', w, otterremo con facilità P « = «(i? -4- ^i>J -i- Ci? = ^x ove per ai , ftj , e, abbiamo " u ' /a ^ ^ ai = — a, Pi= — IO — ^a 1 (33) ^ ^ " .. - i^l"" AB-F> ^AB-F* ) 12 Scienze con le quali supposto (34) • {al^bì^c])^ =^K ricaviamo (35) (A.a^'-f- B.b^-i- C,c^^ 2D,òc-f.2E^acH-2F,a^)^ = K Le quantità Aj , B, , C^ , ... sono espresse in fun- zione di A, B, C, .... come già si è trovato al pa- ragrafo 6." cioè supposto (36) V = (ABC — AD^ — BE^— CF^ + aDEF)^ si ha (37) BC-D^ CA— E^. AB-F» A,= r^: , Bi = ~ , C,=. EF— AD DF— BE _DE-CF i6.° Dopo tutte queste diverse trasformazioni , con le costanti Ui , b^ ^ Ci , é con le coordinate po- lari ? , vj, ^ si componga la formola di Poisson; si avrà per le (33) e (34) (38) X'VoV (PO '^""^ d^ f^" = ^rcJoA^oosB) senOdO quindi si trasformino nel primo membro le coordi- nate^, >7Ì '?, nelle coordinate M, p, w. Su quest'og- getto riprese le forinole (3o), e sostituiti i valori di Applicazione del calcolo ec. i^^ ?, vj, ?, e delle costanti G, H, I, ed avvertendo al valore di V dato dalla (36), avremo coso = ^^-^F. + Ew (39) senO senO A^ Q cos<. = (AB-F3).H^(AD-EF) A^(AB— r^)'Q V w w serica ~= (AB— F^)2 Q nelle quali ponendo i valori di u, i>, w come dal- le (24), e posto per brevità (4o A'=B cos^q -+- C semq -i- 2D senq cosq A ' = E senq »j- F cosa troveremo non solo (40 Q = ( A cos^p + P^sen^p ^ K"sen2p f ma ben anche dal dividere la terza delie (89) per la seconda coso = A cosp -f- A" senp (4a) tang"'^-«^-/(x).) -F /3 (/^/^) -H 7 (z — V) e tutte le integrazioni saranno entro i limiti H- co , 05 . Uno dei vantaggi di questa formola è che tutte le operazioni da eseguirsi sopra una qualsiasi Applicazione del caìcolo ec. id funzione si ridurranno a quelle degli esponenziali o delle lince trigonometriche seno^ o coseno], cosi chiamando con il simbolo F una funzione qualun- que delle caratteristiche Dx , D,, , D, si dedurrà dal- la (57) (59) F (D. , D, , a ...)/(^, J, z ...) = Un gran numero di risultati potrebbero ottenersi da diverse considerazioni della formola (57) ; ma per non allungare di troppo la presente Memoria termi- neremo questo paragrafo col riportare qualche altra formola, la quale si desume dagli integrali Euleriani di seconda specie . Così, per esempio, avendosi per valori qualunque della a (60) f^ e'''"dx = 'n:^ si ricaverà egualmente per la sostituzione dì oi -+• x invece della oc (61) n^ = r e-(*+-^)^a=e-' ^ e'-' e'^'^ dz -«> ^ .00 d'onde (62) e'^' c= fi )2 f^ e-*^' e-2«^ d ^ = Z,Jo X '"^ ''"P * ''^ Moltiplicando adesso il primo e secondo membro per aih^ ed eseguendo una derivazione riguardo a t^ de- duciamo ancora (8) €«'^4- e-«'^' = — D, y^J' f^ «e^'O ^ew/? dp dq 24 Scienze Queste due ultime formole simboliche potranno ser- vire per trasformare la funzione principale « in un integrale definito doppio; infatti facendo questa so- stituzione nel valore di w, sarà (9) w = -7- D, r'' f" te«'° f„ (x,/, 2) senp tip dq -{---— I ^ j ^ (te ««3 f, (j:,/, z) senp dp d(jf la caratteristica n ^'unzione lineare delle Caratteri- stiche D:r , Dy , D. , darà definitivamente per il teo- rema di Taylor (io) à= y-Bt f^^^f^ fo ( A, fi, V ) < senp dp dq -t- — - /" " /'' i"i ( A, u, V ) i senp dp dq ove si ha ( X = x^atcospy p. = j -\^ ed se?ip cosq (11) J f V = z -ì-at senp senq ':■■] ./:■ : -, ..', ■ L'integrale (io) dell'equazione (1) è stato dato per, la prima volta da Poisson nella Memoria più volte ci- tata del ig luglio 1819. Supposto ancora (13) /i=(aD^&D;4.cD:+2rfD,D.-h2eD,D,4-2/D.D, )^ Appucazioite del calcolo EC. 25 sìa l'equazione caratteristica (i3) Dfd)=/i2^ nella quale, assoggettando la funzione principale alle condizioni (2), abbiamo (,4) ù^i — - — ux,f,zyhl — — — yd^^r^z) Il secondo membro di quest'equazione si trasformerà in un integrale definito doppio, quando ripresa la for- raola (45) o (5i) del parag. iG.'', la quale potrà es- sere sì sostituisca in essa invece delle quantità x,j', s, R e 5 le cinque caratteristiche Dx , Dy , D^ , /i e q ; cosicché prendendo f{oc) = e"' si ricaverà facilmente (16) e'^'— e-^'^ 0 j-iit CTI ^^ senp dp dq h Qj^ J O J O Q3 (^ui pure eseguendo una derivazione riguardo a t , 26 Scienze dedurremo l'altra formola i (17) e^h^ e-ih _ ^ D, r"" T" «e^ senpdpdq Q3 Sostituendo queste ultime due nel secondo membro della (25) verrà t (18) ^^^D, r-r te^ f. r X, r. z f'^P ^P ^f 0 /-2ff ra- , ^ ^a l^TtJo Jo \ ^ y ^^ ed ultimando le operazioni indicale dalla caratteri- stica □ , come già si è fatto nella formola (10) , avremo (19) ó,= ® rY'^»(^'^"M^^^-^^ 4;r ' Jo Jo °^ ' ^ > Q3 In quest'espressione t cosp t senp cosa (20) \ t senp senq Applica2ione del càlcolo ec. 27 Le qnanlità 0 , Q hanno il significato di già sta- bilito nelle formolo (/^H) del parag. (i6v L'integra- le (19) dell'equazione (i3) è stalo dato fio dal i83o dal sig. Cauchy in una Memoria che trovasi nel Bol- lettino delle scienze del sig. Ferrussac; ed in seguito riprodotto dal medesimo sig. Cauchy sia nel 20 fase. del giornale della scuola politecnica, sia nel primo volume di Esercizi di analisi e di fisica matematica. 19.° Le variabili principali ^, vj, ^, che rappre- sentano le vibrazioni di un sistema omogeneo di mo- lecole, sì trasformeranno con la slessa facilità per mezzo delle formole precedenti in integrali definiti doppi. Riprese infatti le formole (4 1) del parag. i3.°, la prima delle quali si potrà scrivere ? = l l9o('^'7' ^) (21) avremo dalle formole (3) ed (io) (22) I _ -_y^ Jo^ 9'^ ( X, jU, V ) i senp dp dq ^ rk C^^ Pi: 7^^' Io lo 9° ( X» /J^' V ) '^ ^^^P ^P ^^9 ■+■ ^^« 8 , verrà determinato dalla (44) del parag. i3.°che 23 Scienze si potrà rappresentare sotto la forma Questi quattro termini di D^a si trasformeranno in integrali definiti doppi per mezzo delle formole (7) e (8) e di qualcun'altra che si ricava dalle medesi- me. Riprese pertanto la formola (8) si ha (24) . — JT = -~ D, r^' f" te"^0 senp do da 2 /^t: J o J o III ed eseguendo due integrazioni riguardo a t , ossìa prendendo una derivata dell'ordine — 2, si ricaverà (25) ^-31 ^ — Dr f I '"^««'C senp dp da Se ora si riprenda la (7), vale a dire (26) = f ^ f^te^^Q senp dp da e si cangi a , in tì , avremo quattro espressioni, con le quali si trasformerà il secondo membro di D^a , Applicazione del calcolo ec. 29 in integrali definiti doppi. Ritenendo adunque 'iriB'>l) a ^ = X Hr at cosp , ^- =j* ■+• at senp cosq i V = z -]r at senp senq ed insieme Xi = x 4- a't cosp , 11.1 =y ^at senp cosq Vi =z -\- a't senp senq otterremo (27) D,s= ;- f'^'^ /""[«'^^oCX,, ju., V,)— a2$o(X,/x,v) ] Uenpdpdq ATT»' O •/ o -H -7-^ r^" f^ «'^^.(Xi, W.I, Vi)— «==$i(X,f^,y,) ] tsenpdpdq La quantità 5, come si scorge dalle formole (21), ha la proprietà di svanire per i = o, e per conseguenza (28) H==^l^ J"^ f\ci'^^o%,l^i,V,)—a^<^ll,lJ.,\>)-y tsenpdpdq or •+■ -r- f^"" f^ « ^$i(>.i, [J-i, Vi)— a^$,(X, p,v)J tsenpdpdq Quest'espressione coincide perfettamente con la for- mola (io) che il sig. Cauchy riporta alla pag. 1^02 di Compie s Rendus 1° semestre 1842. Al medesimo valore di D^a si giunge , trasformando in integrale So Scienze defìnifo doppio la forinola (12) del parag. i3.^ Ese- guendo infine delle derivazioni riguardo alle varia- bili X , y , 2 , e sostituendo i rispettivi valori di D.vS , DyS , D.8 nei secondi membri delle formole (22) si otterranno le variabili principali ?, >?, ^ espresse in integi'ali definiti doppi. La forraola di Poisson porge anche un metodo diretto per espi'imere con un integrale definito dop- pio il valore della funzione principale, che verifica qualunque sia t, un'equazione caratteristica omoge- nea, e per i = o le condizioni « = o , D^w = o , Dfw = o , ... Dr'= n(r) /•, essendo e n(/') una funzione pari della r. Ritenendo infalli {29) h = (D^ + D^ + Dn ^ noi abbiamo dalla forraola (8) del parag. i.° guth nrr) (3o) w = £.- — ^. Per una funzione pari n(r) della r, se si faccia (30 /(;.)==;.n(r) avremo dalla formolti (18) del parag. i^.° Applicazione del calcolo ec. 3i (32) U(r) = —f^'fjf (?) senp dp dq g essendo la solita funzione lineare delle a:, j", 2, co- me al principio del parag. i8.°; quindi (33) d) == — 5\ L_ Se si considera <ù funzione della ?, allora, come già si è trovato al parag., potremo prendere /i = D , e per conseguenza (3 /s ^ \^ pTT riT f{g'^^t)senpdp dq '^ D^ (t ( M, i^, PV, d) ) ) La caratteristica D;" nel denominatore indicherà n — I integrazioni relative a £ ; e perciò eseguendo n — I derivazioni riguardo alla stessa t, si abbasse- rà di un' unità, per ciascuna derivazione l'ordine di Dj , e quindi (35) D^' •&,= r / / Zjp^ r senp dp dq Osservando poi dalla formola (3r) che «/' (s + ^t) = Uifig -t- Qt) == D^ (s -i- at) n(g -H wi) Sa S e I E N Z K si ricaverà (36) ^r^=~r: /: t"-j^-^^~~ senpdpd^ d'onde Nel caso particolare che F(«, i», w, w) sia una fun- zione omogenea di oj , e di u^ ^^;^ ^^2= i, al- lora le diverse radici « essendo indipendenti da u, s>^ w, la formola (35) darà (38) Dr'ó= 1^ -^^^1-^ r^ rf {z^^^t)senpdpda Ora per la forraola di Poisson si ha Jo Jo-^ (^H-^^) senp dp dq=2n f"^ f'{rcosp-^ijìt) senpdp ed integrando il secondo membro, e supposto n(r) = n( — ps^^ si troverà senza difficoltà (r -+• 'M)Jl{r -^ at) H- (r — wf) n(r — «0 r Applicazione del calcolo ec. 33 Con questo valore la (38) diviene (89) D;* «=£,.-pT -rr ' — Questa formola è stata già da noi dimostrata per con- siderazioni del tutto elementari alla fine del parag. 4-° Se la derivata iniziale , 0""*^ sia data da IT (R) ; R essendo una funzione omogenea delle tre variabili or, r , z ; allora si potrà con formole analoghe alle (35), (Sy) e (39) rappresentare la funzione princi- pale; e su questo soggetto si consulterà una Memo- ria del sig. Cauchy inserita nei Comptes rendus secondo semestre 1841 p- 109, e dalla quale abbiamo estratto in parte le ultime ritrovate formole. 20.° Consideriamo ora gl'integrali di diverse altre equazioni caratteristiche, e sia (4o) D^w = «"D^w nella quale supposto che per f=o si verifichi (y=f(jc) avremo per la formola (So) del paragrafo 10° della precedente Memoria (40 à) = e«^'D' f(a:) Per trasformare in un integrale definito il secondo membro dell'equazione si riprenda la prima delle for- mole (67) del parag. 17.", vale a dire G.A.T.XCV. 3 34 Scienze ove mutando x In D,, , ed a in u^ si avrà (42) fT^'^'l =. {l. y f^ e-«» e-.aV-t D. du e perciò la (4i) diverrà (43) ò = ^^ Yf^^ .-- f (^ ^_ ,^,j^,) de, Tal'è la funzione principale che verifica qualunque sia t , l'equazione (4o), e per t = o all' enunciala condizione; quest'integrale è stato dato da Laplace. Ponendo poi (44) X •+■ 2ua[^t = X ed insieme du = , P = i e 4«'< la w si trasformerà in (45) «__Ì_r"py(X)rfA o*' .00 Data inoltre l'equazione (46) ^« = a(D^^_D;^-D,= )« ovvero Applicazione del calcolo ec. 3S (47) BiW = ah'à si avrà per la funzione principale che verifica qua- lunque sia t quest'equazione , e per i = o la con- dizione (à =: f (X, Jy Z) (48) ù^ e" 'f (x, j, z) Il secondo membro si trasformerà in un integrale defini- to triplo, per mezzo della formola (70) del parag. 17.° nella quale cangiando x, jr, z nelle caratteristiche Dx , D , D^ , e ponendo per brevità (4g) p=» = a» 4- ^> 4- 7> , □ = «D^ -h /3D3, H- yD, ri ricaverà (5o) e = k^ U / / / e^ e dadBdy \n J -' -00 ♦' -00 '' -00 d'onde se si faccia ( X H- 2oc[/'at =« X , / -}- 2^j/-«« = [X. la dò diverrà i3 (52) ó = f -^ V /* r r e'' f (X, ^, v) cf« c/^ ^v \^7r y «^ .00*' -oo''-'» Questo valore soddisfa alla (46) , ed alla enunciata 36 S e T E N Z E ciTfl^izione per t ^= o. Dalle formole (Si) si deduce ^ — -^ fi _ l^~^ ^ ^ — ^ rfa= — -— , dp = , riy 2[/at ^\/'at 21/^at Di qui se si faccia (54) P=< " e~^ ^^^ ^ si ottiene per la « (55) à) = — L_ r r p Vi(k,ii,v)d\d^dv , , - «/ -00 «^ -00 «^ -00 Quest'espressione coincide con la formola (Sy) del- la pag. 5Go del ig." fase, del giornale della Scuola politecnica, ove si trova una Memoria del sig. Caucby sull'integrazione dell'equazioni a derivate parziali. Se più generalmente data l'equazione (56) D,« = ah^à> h^ essendo un polinomio omogeneo di secondo gra- do delle tre caratteristiche Dx , Dy , Ds , vale a dire (57) ;i=(AD^+BD^4-CD.!-f-2D D,D,+2ED,D,-i-2FD.vD,)^l Applicazione del calcolo ec. 3? avremo per l'integrale simbolico della (56) (58) c5= e^'^'^f {x,j, s) f (Xjj', s) rappresenta il valore iniziale di 55. Il se- condo membro della cj si trasformerà in un integrale definito triplo facendo uso della medesima formola (70) del parag. 17.°. Infatti chiamando p ciò che diviene h per la sostituzione di x , j" , z in luogo delle D^ , Dy , Us , si avrà (Sg) |32= Ax2-}- B/^-h Csa ■+■ aDjz -f- aExz -4- tìFxf Se i coefficienti A, B, C ... soddisfano a certe con- dizioni, noi abbiamo veduto al parag, i5.° che per una trasformazione di variabili si potrà ridurre sem- plicemente ad (60) f^ = x^-h Y^H- z^ d'onde chiamando ^i » /3i > Vi tre quantità variabili; e facendo inoltre 1. 2 \ 2 avremo dalla citata formola (70) del parag. 17.° Il secondo membro si potrà trasformare in altro, che 38 S G I E N z e contenga solamente le x , ^ , s , ed altre variabili « » /3 , y. Sostituendo adunque nel valore di g le X, Y , z come si ha dalle formole (21) del para- grafo i5.°, e supposto ^^^^ ^ ,1 ^ (AD — EF) E y = y.l -4. /3. ~ j -f- OC, (AB _F^)2 A2 A^ otterremo per la seconda delle formole (61) (64) 5 = «^ H- ^j 4- yS Di più dai valori di a, /3, 7, si ha reciprocamente, come dalle formole (33) del n." iS.", (65) AD-EF FD~BE /5 AB—F^' '^ AB-F^ d'onde la prima delle (61) diviene (66) Aia'-H B;/32-f- C.y^-f- aD./Sy .{- aE.ay -j- sF^a^Sj^ =K Al, B,, Cj, ... hanno l'identico significato delle (35) e (37) del citato parag. iS."; dalla differenziazione poi di «, /3, Y, si deduce Applicazione del calcolo kg. 3 9 da d3 dy , , , (67) d,)- =(_,)f==IZ±2=! troveremo 0) c= j / f^ |A) (co^ «2 -I- sen a}) dot. (^^)^ -* (8,J - — — j f, (X) {co5' a» 4- ^e« «=*) f/a xal'è l'integrale dell'equazione (78), clie soddisfa in- sieme alle note condizioni per t = 0. Osservando poi che sen at? 4- cos «» = sen («^ -j ^ ), e che dal va- 4 lore di X si ha A — X . d\ ex, = , dCK = avremo anche (82) w == / f, (X seni ——L 4.^ \dX H 7 / fi (X) seni — ,— — -H - k/A Il ritrovato valore di w serve a determinare le vi- Applicazione del calcolo ec. 4^ brazioni delle lame elastiche. Più generalmente data requazione fra le tre variabili indipendenti (83) D,=à 4- a- (Di-H 2DI DJ + D^. ) d, = o fu trovato per 1' integrale dalla formola (87) della pag. 29 della precedente Memoria w = — i,(x,jr) Drf' :tf jf.(x,j) Il secondo membro si trasformerà in integrali defi- niti, coU'estendere a più variabili le formole (yS) , e dalle me lesime si ricaverà con facilità , come già si è fatto il Ila fine del parag. 17.° af(Dl-+-D^)l/"-i / 1 \e (85)^ -aflD'-HD')!/'-! /i ^1 y- |«e-''%'-°<"'l^-'^" f/«r//3 nelle quali p' = «2 -f. /32 , □ =^ o^D^ -H /3Dy Facendo la somma dei due esponenziali simbolici 44 S e I E H Z E e sostituiti nel valore di w, e ponendo per brevità avremo senza difficoltà (87) di = -/"/* e-'^ [ f, (e, ey+.f^ (£„ e.) : f/« f//3 "*" ~Ì~J^f" ^''" t fi (=-. 5) 4- fx (e. , eO ] dot J^ Qui pure per togliere i simboli d'immaginarietà baste- rà sostituire nei due prodotti e'^X (£, B) da d^ , e-^X (s , B) da r//3 « /3 invece di «, jS, e negli altri due e~''X (£1 , 50 da J/3 . e'^'f. (s, , B,) du d^ sostituire , — invece di «,j3, quindi esprimendo gli esponenziali immaginari con le solite funzioni trigonometriche; e posto per brevità (88) X 4- 2K \/'at == >^ , 7-1-2/3 ^at = [x Applicazione del calcolo ec. 4^ il valore della m si ridurrà ad (89) « = 1 r f^ sen («3 H- ^3) f^ ^x, {^) doc d^ — /* r* ^e» («=* -*- /S») f, (X^ u.) doL d^ Infine dai valori di X, jt,, si trova a , /3 = (90) ; 21/' at. '^ 2pAat per cui facendo (qi) P = — — seni =— - la « diviene (Q2) à = r"^ r'^p f;(X, p,)fi?X «^ (X, /, z) l'integrale simbolico, come si deduce dalla formola (46) parag, ii.° della citata Memoria, sarà — ^. — J *(-./.-) h, essendo sempre (Di -f- D^. H- D? ) ^ , la funzio- Applicazionb del calcolo EC. l^'i ne principale « verifica per i = o le condizioni (gS) Q = fo(j:,7,z), D,w =f, (j:, j, 2) La trasformazione in integrale definito doppio dei primi due termini l'abbiamo di già nella formola (io) del parag. 18.° Riguardo all'ultimo si osservi, che il coefficiente di si annulla , allora si ha semplice- mente (100) ù — ^ f / "^ f, (A, |x, v) i ^e^i/j cip dq "*" ^^foTo^'Io '^ ^^' ^' ^> *^"^ ^Z' ^-7 ^J' Questo integrale è slato dato da Poisson alla pagi- na 56 1 del voi. IO. ° dell'accademia delle scienze, in una Memoria sulla propagazione dei movimenti nei mezzi elastici, ed in una nota sull'integrazione del- l'equazioni a derivate parziali, inserita nel tomo 3." Applicazione del calcolo ec. 49 del giornale tli matematica del sig. Lionville per il mese di dicembre i838. Non sarà inutile qui di ac- cennare brevemente una regola, per mezzo della qua- le l'integrale dell'equazione (gS) si possa far dipen- dere dall'integrale di un'equazione simile , la qua- le sia indipendente dalla funzione (/> ( a:,^, 2 ). In- fatti ritenute le condizioni (gS), pongasi li si avrà dalla (98) D,u = Df(ù = «2 (D^ 4- D^ 4- D' ) « -f. tt» ,i> (x, /, z) ove proseguendo la derivazione riguardo a i, si rica- verà l'equazione del second'ordine (loi ) \)\iL = a* (D^ 4- D^ -♦- D.! ) M Qui per t=o, si verifica u = D = f^ {x, x,z..) ... DT « = f(„_o (a:,/, s ..) si avrà per il valore di ò , come i;ià abbiamo ri- chiamato al principio del parag. i." nella quale olire di essere (4) F(D;c, D,, D, ...5) = ^(5) si dovrà ancora dopo Io sviluppo sostituire gl'indici agli esponenti di f (j?, j, z ... ) Ora il teorema di Fourier per valori qualunque Applicazione del calcolo eg. 53 di m variabili x, /, z ... porge (5) i{x,jr,z..)^ JfJ ... e f (X, [x^V") d\ dv d^j. dv dv dw ... (2?:)' A essendo determinato dalla formola (6) A==Cu (x — X)_Hv (j — /x)-^w(3 — v)] p^— I e le integrazioni essendo eseguite fra i limiti co , -Hco per ciascuna delle 2in variabili ausiliari X, fi, v ... u, V, w ... Sostituendo pertanto il valore di f(x,^, s..) nel secondo membro della w , ed ultimando tutte le operazioni indicate dalle caratteristiche Dx, Dy, Ds .., e facendo (7) Il = u^ — I , ^ = V [/" — I , tv = w [/■ — I si troverà dalla (3) (8) d) = (271)» ^"^-^ (5-f(X,^,V..))(5^(i')) ^ ove si ritiene F ( u, V, w ... s) = ^ {s) L'estrazione del residuo si riferirà a tutte le radici s dell'equazione F ( M, t;, TV ... s) = 0 54 Scienze e secondo il consueto si sostituiranno grindlci agli esponenti di f ( X, [i, y •• )• H secondo membro dell' | equazione (8) soddisfa evidentemente alla (i) ed alle condizioni (2). L'utilità, die si ritrae dal teorema di Fourier per l' integrazione dell' equazioni a derivate parziali, consiste nel trasformare nei diversi casi par- ticolari l'integrale multiplo dell'ordine 2m in un al- tro integrale multiplo di ordine inferiore a am. Cosi se le variabili indipendenti x, j", z ... t si riducono a quattro, come accade nelle questioni di fisica ma- tematica , e che saranno tre coordinate ortogonali X, j* , z ed il tempo t , allora il secondo membro della (8) sarà un integrale definito sestuplo, che in alcune circostanze particolari si ridurrà ad un inte- grale definito quadruplo , ed anche ad un integrale definito doppio. Supponendo pertanto che per t=o si verifichi (9) w.^0, D,w==o, D'w=o, .... Drw= n(x,j, c)i la formola (8) diverrà no) ^ = J—lJJJJJJ^-^^^ e'^-^'^dl du d,jjh d, Jw, quindi se m sia un numero intero qualunque si avrà dalla derivazione relativa a t (, I) D;» à)=-^^3 ^//////, J^^ e^"^^V/X./u dp,hd,d^,\ Ora la funzione principale w , e la derivata D, co dell'ordine m , determinale dalle precedenti formo- Applicazione del calcolo ec. 55 le (io) ed (ii) può subire alcune traslbvmazioni, e riduzioni, che noi verremo brevemente ad esporre. 24.° Considerando le variabili ausiliari u, v, W come tre coordinate ortogonali, si potrà fare (12) u = ^ cosp^ \ = k senp cosq^ w = A: senp senq e lo slesso per le tre variabili ausiliari )., ^jr, v, o per le differenze \ — x, ^jt, — 7, v — s, avremo ( X — X = |9 cosB , /JL — J = p •'>'""^ (^osr (^3) ] ( V — :; = p scìiQ scnx quindi se s sia l'angolo compreso fra i raggi vetto- ri k^ p, sarà u ( X — X ^-^ V (. [x — y)^\v {v — z) cost = — ; — • kp ovvero (14) coSi = cosp cosQ -4- seiip senQ cos (f — q) Con queste sostituzioni la forinola (6) diviene A = — pk cosc [Z' — I d'onde osservando che ai prodotti dv d\ dw , di d[x d^j si dovrà sostituire respettivamcnte A:* senp dp dq , f seriQ dQ dz 56 Scienze e supposto (i5) B = 5* — kpcoss[/' — I la funzione à delerrainata dall'equazione (io) sì tra- sformerà in (i6) w = ■^UfflJf -J^^^ ^' P senpsenOdpdqdkdQ dr d^ le integrazioni essendo eseguite per rapporto a A', e p fra i limiti — co , -f_ od per rapporto a o , e 5 fra i limiti o, e n, e per rapporto a ^, e t fra li- miti o, 271. Nello stesso modo la formola (ii) si can- gerà in (17) D,r^, /^., v) co- me una funzione di p, si ha dal teorema di Fourier dopo la sostituzione del valore di B (24) r rp^na,;;.v)/^-^^ ^ dkd^ = 2;t n (X, a, V C052£ purché i valori di X , /x , v sieno determinali dalle nuove equazioni X = X -h — C055 , coss. a = y -^ senO co ^ coss. ut senO seiir coss. Applicazione del calcolo ec. 5q J'ontle facilmente la espressione (23) si ridurrà ad (26) Drw = _ I ^ . fiJ""* t^ senp senO n(k, (j., v) dp dq d9dz %^^ {Vicospi senpcosq^ senpseTip,oì)') cos-s\/'cos'^ dalla quale (27) ^ = — ),-(«-3) ca«-« t^ senp senO n(X, /Ji, v) J/? a'*/ <-/(? d- •^kn'^OJ -^ ^{cosp^senpcosq^senpsenq.co}] cos'^^^\/^cos-^ Tal'è l'integrale definito quadruplo, al quale si riiUi- ce la funzione principale, che verifica un' equazione caratteristica fra quattro variabili indipendenti x^f^z^t. La caratteristica Dr'""^^ indicherà n — 3 integrazioni relative a £ , e si ridurranno queste ad una, o due derivazioni , se il numero n sia o 2, od i. Quan- do il valore iniziale di Dj'"'cò dipenda da una fun- zione omogenea di secondo grado delle tre variabili .r, j-, z ; allora, per la formola di Poisson ed altre del medesimo genere , l'integrale definito quadruplo si ridurrà ad un integrale definito doppio, e si tro- verebbe precisamente la formola (38) del parag. 19.°, alle quali slam giunti direttamente ; e per questa nuova riduzione si potrà consuilare una Memoria del sig. Cauchj presentata nella seduta del 19 lu- glio 1841. 25." Per mostrare come si eseguiscano i pas- saggi dalla formola di Fourier ad un (gualche inte- 6o Scienze graie Jl già trovato antecedentemente , riprendiamo l'equa;iione caratteristica del second'ordine (28) D?cò = /i^à ove sia (29) h={aBl-i-hì)jH' cDl-\-2dT>yD,-\-2eI)J), -+- 2/DxD^)^ E facile di vedere clie chiamando «,, ciò che diviene la caratteristica h, perla sostituzione di cosp,senp cosq^ seno senq, invece delle caratteristiche D^ , Dy , D. ; le radici w dell'equazione (21) saranno Còl 6) = ed osservando inoltre dalla formola (27) che l'Inte- grale definito doppio riguardo a p , q non cangerà di valore, quando si sostituisca — cosp^ — senp cosq^ — senp sena invece delle medesime quantità positive si ricaverà dalla medesima formola (27) dopo l'estra- zione del residuo - D^ dpdqdOdz (3o) ci = I l'I Jt^ senp senQ RU, u.,v) Tal'è nel secondo membro 1' integrale definito qua- druplo che verifica qualunque sia t l'equazione ca- ratteristica (an), e per i == o le condizioni &) = o , D^w^nU,/, s) ed i valori di X, /ji,v essendo qui determinati dalle Applicazione del calcolo kg. &i formole (25) col sostituire w, invece di (y. Ora qua- lunque sia il valore iniziale di D^cò , l'integrale de- finito quadruplo si potrà trasformare per mezzo della forinola di Poisson, ed altre del medesimo genere in un integrale definito doppio, ed allora saremo ripor- tati precisamente alla prima parte della formola (19) di già ottenuta direttamente al parag. 18.". Ma per questa nuova riduzione si consulti il primo volume degli esercizi di Analisi del sig. Cauchy, d'onde ab- biamo estratto quanto si è riportato in questi due ultimi parag. Dall' esposto esempio si scorge, che al- cune volte il teorema di Fourier conduce per vie la- boriose agli integrali dell'equazioni a derivale parzia- li, richiedendosi la riduzione d'integrali multipli in altri integrali di ordine inferiore : lo stesso s'incon- trerebbe per tutte le altre equazioni che abbiamo in- tegrato nei parag. (19-21). Come per il teorema di Fourier abbiamo espresso in integrali definiti multi- pli la funzion principale che verifica un'equazion ca- ratteristica dell'ordine /i, così per il teorema mede- simo si trasformeranno in integrali definiti multipli [ gì' integrali simbolici dei sistemi di equazioni a de- rivate parziali, che già abbiamo ottenuti nei para- grafi 8." , 9.° e io.°, e che per brevità tralascere- i rao di sviluppare; e mostreremo nei nuovi ed ulti- i mi paragrafi di questa Memoria come in alcune cir< costanze particolari gl'integrali definiti , che rappre- sentano le funzioni principali dell'equazioni a deri- vate parziali, si ridurranno a quantità finite. In que- sto modo scorgeremo l'accordo perfetto che sussiste fra i nuovi risultali, e quelli ai quali siam giunti di- rettamente nei parag. 5." e 6." ii{j-" Così riprendendo 1' integrale (10) del 62 Scienze parag. iB.° della equazione del seoond'ordine (3 1) D'w = a^ (DI 4. D^ + D' ) w e supponendo che i valori iniziali di w, D,co si ridu- cano a funzioni del radicale r == [/'x^ -H/* -+- s^ avremo (32) pi essendo J3 = (X^ -{- f/.» -I- y2)2 ed X = :r -h (r — af) (4o) w = 2r /(r -+• at) fx (r -j- at) -t- (r — af) fi (r—at) dt ir Queste formole coincidono con quelle che abbiamo direttamente dimostrate verso la fine del parag. 5.° Più generalmente riprendiamo l'equazione (28), della quale l'integrale, come si ha dalla formola (icj) del parag. i8.°, sarà . Q ri'^ nn ' ,, , tsenp dp dq (40 . = ^J^ f f, (X, ^, V) — qT^^ 0 ^ P2ff nir , ,. . tsenp dpdq -^ 4;^'fo fo f°^^'^>^) — Q^ Applicazione del calcolo ec. 65 e supporremo che i valori iniziali di co , D^à si ri- ducano a funzioni date del polinomio (42) p=:{aiX'^-ì- bij- H- c^z^ -H ndijz -+■ acixz -j- zf^xj)^ ed ove i coefficienti Uj , bi , Ci .... a, b, e, .... e le 0, Q, sieno espresse per le formole (48) , (49) e (5o) del parag. 17.° Se faremo per brevità (43) |9i= (tìtiX^ ■+■ biiL^ ■+• CiV""-^ 2^,p + aciXv + ^fi\[x ) la formola (4i) diviene rf/\ r~. -2- n^ r"ff r ^ ^^^p dp dq ^^^^ "^ = 4^/0 .lo ^^^^Z'') Q^— ^ nella quale dobbiamo rammentarci che t cosp t senp cosa t senp sena '-'■^ Q Sostituendo questi valori nel secondo membro del- la p,, e fatto per brevità aiJC •+-fif 4- e,s == X , fiX -i- &,j ^ diz =!=Y CiX «4- c?ij -H Ci2 = Z G.A.T.XCV. 5 66 Scienze si avrà facilmente ^ (45) p, ^ U + t^-^2t ^ j t Le ?£, v^ w sono i coefficienti di ^ nel!' espressio- ni di X, M, V. Richiamando ora un' osservazione di già fatta nel parag. 6.°, che il pohnomio o'^ non can- gia di valore al cangiar dei coefficienti «, , Z>, , Ci ... in a, bf e, ... e delle x, y, z, in X, Y, Z, .... e riflettendo anche alla doppia espressione di 0 in fun- zione dei coefficienti «, b, e, ... o di cii , bi , e, ... avremo generalmente dalla formola (45) del pai^ag. i6.° Quindi il secondo membro della formola (44) si ri- durrà ad j, ^ fi ( ( p' H- ^"^ -^ 2^/3 CO^/J ) 2 ) .ye«yO cl)? I IT ± -^è^tJo ^ f'> ( ( 12' H- ^' -i- 2fp COSp ) 2 ) 5^/2/^ dp Quest' equazione essendo del tutto simile alla (34) sarà suscettiva delle medesime trasformazioni , per cui in fine (47) w == -* 20 (p 4- f) f, (p -I- 0 -h (P — 0 A (p — 0 , Quest'espressione è d' accordo con l' ultima formola del parag. 6.° , ed alla quale si giunse direttamente senza trasformazioni, o riduzioni d'integrali definiti. I 67 jippendice alV articolo sulV eziologia delV inter- mittente endemica alle campagne romane, pub- blicato nel tomo LXXXf^III del giornale ar- cadico da Michele Santarelli, già, presidente del collegio medico-chirurgico della pontifi- cia università maceratese , e professore eme- rito di medicina teorico-pratica. D i.iFopo che io ebbi pubblicate alcune mie consi- derazioni sulle cause occasionali producenti le feb- bri intermittenti perniciose in Roma e nella sua cam- pagna, cioè verso la metà deiranno 1841 pe' torchi della tipografia delle belle arti , ed inserite in que- sto stesso giornale arcadico, sono state opposte alle medesime alcune obiezioni dall'estensore degli annali medico-chirurgici, che si pubblicano in questa stessa capilale dalla stamperia Mugnoz. Io mi credo in ob- bligo di doverle esaminare partitamente quali esse sono riferite nel voi. 6, num. 2, anno 3. NelTese- guir ciò, io trascriverò le stesse parole dell'autore del- le medesime, 2. La prima difficoltà è la seguente ; Le alter- native di temperatura non possono essere a nostro avviso cagione delle intermittenti. Risposta. Che le alternative di temperatura, espresse con vocaboli si generali, possano produrre malattie di- verse, niuno potrà mai negarlo. Ma nel nostro caso si tratta del passaggio da forte e prolungato calore di mol- li giorni, a freddo notturno associato ad intensa umi- 68 Scienze ^ dita. La questione dovea essere ristretta a questi ter- mini. E parlando del transito dal caldo al freddo nelle stagioni autunnali, Ippocrate, Sydenhaiu, Grant, Prin- gle, Lieutaud, Stork, Collins, Slol ec. , lo incolpa- no delle generazioni delle febbi periodiche. E ciò non, solo per alcuni paesi, ma anche per regioni intere: come atferma Hotfmann, parlando di costituzione di febbri intermittenti che regnarono in quasi tutta la Germania, e che egli ripeteva dalle vicissitudini delFat- mosfera, la quale mox calidissimam , mox sursus frigidam observaretar. E quel che è piti, ed al no- stro caso molto appropriato, non solo si videro feb- bri intermittenti semplici, ma ancora gravissime, che egli non dubitò chiamare maligne : sed simol mali- GNAE. Vedi, Consultazioni e risposte mediche. 3. La seconda obiezione è stata così enunciata: Le seguenti riflessioni avvalorano V antica teorica^ esser cioè le febbri periodiche , ed intermittenti idiopatiche pure , come anche il tifo e la peste bubonica, prodotta dal miasma palustre. Kisposta. Questa teorica non è antica, ma del tutto nuova, Jl tifo non è prodotto dalle paludi, ma si genera nelle carceri, negli spedali ; si genera in qualsivoglia stagione invernale, in primavera , in e-? state ec. Il tifo è contagioso , ma non è contagiosa la febbre perniciosa intermittente. Il trattamento di questa è ben diverso dal metodo con cui si combat- te la prima. La corteccia pi-ruviana, die tanto giova nell'intermittente, è inutile ed anche dannosa nel tifo, come già fece osservare il dolt. Cera, Altrettanto di^ casi della bubonica. 4. La terza difficoltà è la seguente : Converreb^ he che gli avversari al miasma palustre provas- Intermittente endemica 6g scrOy che lo intermittenti non regnano endemiche se non in proporzione delle loro pretese cagioni^ cioè della differenza di temperatura fra il gior- no e la notte, e che tal dijferenza non ha luogo se non nelle stagioni estiva ed autunnale. Risposta. Questo è quello che io provai nelle mie ricerche, pubblicate in Osimo per il Quercelti. E non solo provai , che ove non si realizzano tali condizioni dall'umidità accompagnale, la febbre non comparisce epidemica; anzi che dominando essa, se per sopravvenienza di nuove contrarie vicissitudini atmosferiche un tal passaggio venga estinto, spegnesi immediatamente l'epidemica febbre. E di fatto chi vi- de mai dominare in Roma epidemica la febbre per- niciosa nell'inverno, nella primavera ? o in altre sta- gioni, eccetto l'autunno? Invertendo il discorso io do- manderò agli avversari , che pongano in campo un epidemia di febbri intermittenti perniciose , che sia stata descritta da alcun dotto pratico , la quale ab- bia regnato in dette stagioni. Non per questo si de- ve credere, che una qualsivoglia affezione periodica , la quale minaccia anche la vita di un singolare in- fermo, non possa effettuarsi in qualsivoglia giorno e stagione dell'anno. Molte sono le cause che possono imprimere un tal tipo alle diverse forme delle ma- lattie, a cui l'uomo va sottoposto, senza che da noi se ne conosca l'intima cagione. Qui trattasi di feb- bre epidemica, alla quale vanno soggetti molti e mol- ti individui nello stesso tempo e nello stesso luogo, e che attesa una tale universalità devesi ripetere da cagione estesa e generale, per cui viene designata col vocabolo epidemica. >^ó Scienze 5. Tien dietro all'antecedente obiezione quella che sipgue , la quale è la quarta : Gli esperimenti fatti nelVagro romano in estate, e forse anche al- trove, se vogliasi, sono pochi, non concordi, ese- guiti fuggendo , e nulla concludono a pi'o degli oppositori. Risposta. Gli esperimenti citati nella mia memoria eziologica, riferita in questo reputato giornale, non so- no né pochi, né eseguili alla sfuggita. Sono essi quel- li del naturalista Brocclii, i quali incominciarono ai / settembre, e durarono fino a tutto lo stesso mese. Assisterono tutte le operazioni istiluite in sì nume- rosi giorni due uomini dottissimi e peritissimi, il si- gnor dott. Morichini, professore di chimica nel gin- nasio romano , medico sperimentafissimo , ed il sig. Barlocci, professore chiarissimo di fisica nello stesso stabilimento, e noto per molte sue produzioni chi- mico-fisiche. Gli sperimenti poi del sig. Brocchi so- no del tutto concordi con quelli del chimico Carra- dori, riferiti nel giornale del Brugnatelli: e tanto da- gli uni, quanto dagli altri si esclude l'esistenza dei miasmi putridi ne'luoghi e ne'tempi, ne'quali domi- na la perniciosa. Il sig. Moscati rinvenne sostanze putrescenti nell'aria sopra incombenti alle risaie; e quindi le osservazioni di lui non coincidono con quel- le dei testé nominati scrittori. Ma è da riflettersi che nelle risaie di Lombardia esistono molti animali , o inorti o putrescenti , come ranocchie , ramarri ec. , insetti variatissimi. Su queste arie il sig. Moscati ese- guì i suoi lavori. Ma non così si praticò dal Broc- chi e dal Carradori. Essi con metodo di eliminazione divisero le due cagioni putrescenza ed umidità. Ne'lo- loro esperimenti non si polea framischiare la putre- Intermittente endemica iani, a sostegno del miasma palustre, quelli del doti. Pellizzari, del Puccinotti ec, e gli esperi- menti del dott. Renzi, per tacere di altri molti di- stintissimi pratici. Risposta. Ma quali sono i nuovi fatti de'soprac- cennati scrittori, che non sieno stati da me consi- derati nella memoria sull'eziologia delle febbri per- niciose ? E non feci riflettere che gli esperimenti dal sig. De-Renzi istituiti sopra il lago d' Aquano, non potevano distruggere i risultati delle osservazioni e de- gli esperimenti dal naturalista Brocchi eseguiti sul suolo non ingombro da paludi ? E non feci io riflet- tere, che una osservazione passaggera come quella del prof. Ottaviani, instretta ad uno o poco più giorni, eseguita nella cima degli apennini, per la sua bre- vità e per la deficienza dell'umidità non poteva ve- nire a paralello colle moUiplici indagini per tanti anni da me istituite in luoghi vari, alcuni feraci di perniciose , altri da esse immuni ? E 1' autorità del sig. prof. Puccinotti, i cui obietti furono da me re- spinti coll'opera che dall'estensore degli annali me- dico-chirurgici oggi viene censurata, una tale auto- rità, dissi , può essere contrapposta alla mia dottri- na ? E non è questa quella tallacia che i logici dì- cono idem per idem ? Ma quali sono que' distin- tissimi pratici , la cui testimonianza sì tanto pesa nella mente del mio avversario ? In Roma il profes- £ore Morichini ed il dott. Bomba vennero nella mia sentenza. E fra i presenti sono del mio avviso il si- Intermittente endemica 83 gnor Jott. De-Crollis ed il prof. Folcili, i più doUi medici pratici della capitale e degli stali romani. Que- sti due non solo distinti, ma celebratissimi uomini, aggiunsero nelle loro opere nuovi latti, e nuove ri- flessioni a quelle da me raccolte. Si oserà contrappor- re a tali autori 1' asserto di patologi poco esercitati nella pratica medica ? E non videi-o quelli maggior numero d'infermi di perniciose in una sola stagione, che questi in tutto il corso della lor vita ? Io pre- go il lettore d'avermi per iscusato se troppo a lungo lo trattenni in questo noioso esame. Ma era mestie- ri che gli stranieri ed i medici lontani venissero in- formati della erroneità d'uno articolo, ohe pubblicalo in Roma ritrova nel suolo romano la sua disfatta, e ne'suoi pili illustri esercenti il più forte rifiuto. i6. E poiché mi sono impegnato di risolvere tutte le difficoltà, che sembrar possano di qualche ef- ficacia contro la mia dottrina, non voglio dar fine a questa mia memoria senza aver prima parlato di ciò che scrissero tre dotti stranieri in questi ultimi an- ni intorno al miasma inducente le febbri perniciose. I primi di essi sono i sigg. Roche e Sanson medici e chirurgi peritissimi. Il secondo è il sig. Boussin- gault illustre cbimico francese. In quanto a primi nella loro patologia medico- chirurgica pubblicata l'anno i833 pag. 38 scrivono quanto segue : « Il sig. doti. Boisseau ne racconta, come un far- » maoista militare di sua conoscenza potesse per al- » cuni giorni di seguito, nelle ore più calde, scon- » volgere la belletta di esse paludi a restare esposto » all'atmosfera dei miasmi che in gran copia esala- » vano. Questi fatti basterebbero di per se a prò- 84 Scienze » vare che l'azione dei miasmi è di nessuna o po- )) cliissima forza durante una parte del giorno, men- )j tre acquista tutto il suo valore in altre ore deter- » minate, die sono presso che sempre le stesse; ed » in altre parole, che l'azione loro è intermittente. » Ma siccome non sono mai troppe le prove, di cui » voglionsi rafforzare le opinioni nuove, noi vogliamo » metterci ad una attenta analisi dei fatti medesimi. I) Prodotti come sono i miasmi dalla putrefa-- )) zione di rimasugli di animali e di vegetabili esi- » stenti nelle paludi, si svolgono principalmente, e « nella massima quantità, nelle ore più fervide della » giornata. Per un lato il calorico ne sollecita lo » sviluppo, e per un altro vi contribuisce mediante » l'evaporazione dell'acqua che n' è il veicolo , sic- )) come dimostrano le concludenti sperienze del sig. » Rigaud deU'Isle. Ciò è incontrastabile. Qra questi )) agenti deleteri sono dunque trasportati dall'acqua u che evapora, e commisti ad essa nello strato U'a- )) l'ia , il più vicino al fomite paludoso. Se avviene )) che lo strato d'aria concepisca calore rarefacendosi i> si fa più leggiero , che noi sieno quelli che gli )) giacciono sopra: e per conseguenza si solleva per )) dar luogo ad un secondo strato , che come essi » saturandosi di vapori infetti, e poscia espauso, si )) solleva venendo rimpiazzato da un terzo : e cosi » va discorrendo per* tutto quel tempo che il so-r » le comunica alla terra più calorico di quello che » essa non perde per lo irradiamento verso l'atmo, » sfera. Ma non sì tosto che il sole è nascosto sotto )) V orizzonte , la terra irradiando verso uno spazilo )) che non rimanda calorico di sorta, quando il cic- )) lo è sgombro di nvibi viepe a raffreddare poco alla Intermittente endemica 85 » volta , e ribassa per conseguenza la temperatura » degli strati aerei che le si trovano più da vicino. » Ne risulla il condensare che fanno i detti strali: » e saturi come sono del vapore che contiene i mla- » smi in dissoluzione, per esser già stati o per tro- )) varsi di presente in contatto della superficie uml- » da delle paludi, ne depositano immediatamente una » quantità proporzionale al diminuito volume. Più » cresce il raffreddamento terrestre, più raffredda Ta- » ria e menoma di volume, e maggior copia ad un » tempo di vapore condensato è posto in libertà, e )) maggior quantità di miasmi si depongono sopra » una dala superficie in un dato spazio di tempo ec. » (Roche e Sansou, Patol. med. chlr.Fix'. an. i833 p. 38). 17. Io ho riportato tutto intero questo fram- mento , affinchè i miei lettori vengano nel possesso di quanto ultimamente si è scritto intorno al nostro argomento. Premetto che gli sperimenti del farmacista furono eseguili nelle paludi pontine. Egli pertanto sconvolgeva la belletta, esistente nel fondo della pa- lude, e rimaneva esposto a' vapori che in gran co- pia ne esalavano. Se cosi andò la bisogna , cioè se esalavano i vapori in gran copia , convlen dire cho egli 11 vedesse : giacché in opposto caso non avreb- be potuto testificare la gran copia del loro solleva- mento. Ma se il miasma delle paludi è incoercibile ed invisibile, come i nostri avversari hanno sempre affermato, non si deve piuttosto pensare che tali sup- posti miasmi fossero gaz, come l'idrogeno, il carboni- co ec? Bella occasione era questa di fare di essi acqui- sto, soprappone.tdo loro una boccia piena di acqua e ricevendoli in essa. Un chimico lo avrebbe fatto per non perdere una sì bella opportunità. I miei rilievi 86 Scienze però debbono esser diretti ai cimenti già eseguiti. Asserisce il farmacista di essere ivi rimasto per molte ore calde del giorno, e per pii^i giorni, esposto sen- za riportar alcun nocumento da delti vapori : e di ciò la ragione si è, perchè essi si sollevavano, e ra- refatti salivano alle parti superiori dell'atmosfera. Io avrei attribuita l'innocenza di tal posizione all'azio- ne del calorico , ed alla mancanza del passaggio da esso al freddo umido notturno da me giti nelle mie memorie accusato. Vogliono i suddetti scrittori che questi miasmi condotti nelle parti superiori dell'at- mosfera e raffreddati allorché il sole discende sotto l'orizzonte, uniti alle particelle acquose fredde anche esse divenute più dense, tanto i primi, quanto le ul- time ricadano poi uella notte sopra il luogo donde partirono. Ma qui ha luogo la presente questione. Perchè i vapori ascendenti sono innocui, e recano poi morte quelli che discendono? Si risponderà, per- chè quelli sono più rari, questi più fitti. E ciò poi vero? I vapori che salgono partono da una superfi- cie meno eslesa di quella ove vanno poi a cadere i discendenti. Di ciò è prova il venir colli dalla feb- bre anche quegli uomini che abitano ad una cer- ta distanza dalla palude. La maggiore estensione adunque del campo , ove vanno a cadere i miasmi, contraddice la loro densità maggiore. Forse perchè le loro molecole salgono a poco a poco in un tempo più lungo , e discendono poi rapidamente in più breve tempo, e quindi con maggior affollamento? Ma tale spiegazione merita prove: ed anche ammessa, non di- struggerebbe la nostra obiezione. In tanto dicesi dai partigiani del miasma, che esso avviluppato alle par- ticelle acquose e obligalo dalle medesime a discen- Intermittente endemica 87 dere. Sia pur ciò accordato per un istante. Tali par- ticelle acquose non dovrebbero diminuire la loro vi- rulenza. Questa loro proprietà non solo dalla ra- gione viene riconosciuta, ma l'osservazione quotidia- na ha mostrato a'raedici esercenti, che lavando le lo- ro mani dopo aver avvicinali ed esplorati i polsi e l'addome degli infermi per qual si voglia miasma, il tisico, il vaioloso ec, più difficilmente comunicano il contagio ad altri infermi e ad uomini sani. Questi rilievi furono da me fatti conoscere allorché , nella memoria eziologica publicata in questo stesso gior- nale, combattevo l'ipotesi de'miasmi adottata dal slg. Puccinotti, il quale tenne lo stesso discorso molti an- ni in appresso alla pubblicazione del trattato medi- co-chirurgico dei sigg. Roche e Sanson. 18. Quanto al sig. Boussingault , non profes- sando egli medicina, ammise 1' esistenza del miasma paludoso, seguendo la comune volgare opinione. Egli però si protesta di non accordare agli sperimenti da esso fatti se non probabili conseguenze. Confessione che lo annuncia già dotto e sincero filosofo. La di lui memoria rinviensl per intero negli annali di chi- mica e fisica , che si pubblicano in Parigi , anno 1834, fascicolo di ottobre. Ed io qui riferisco i pas- si relativi al nostro argomento. « Nell'i 81 9, epoca nella quale io percorreva il )) dipartimento dell'Aln { V. Ann. de chym. et de » phys. ann. 1884, tom. 67, pag. 56 e seq. ) aven- » do per iscopo delle ricerche geologiche osservai , )) che dell'acido solforico, che io avea esposto in vi- » cinanza di una palude , nella quale si facea ma- » cerare la canape, diveniva nero in pochissimo tem- ;) pò. xlU'opposlo, lontano dal centro di putrefazio- 88 Scienze » ne 1' aciJo non si anneriva che lenlissimamenle. » Tulli conoscono il cattivo odore che si solleva dal- » l'acque, ove si eseguisce la macerazione della ca- » nape: e mentre io passava per questo dipartimento, » le fehbri regnavano in quasi tutte le campagne. Egli )) è più che probabile, che il color nero acquistato )) dall'acido solforico fosse cagionato dalla carboniz- » zazione di una materia organica, la quale si tro- » vasse in sospensione nell'aria. A tal riguardo feci » un buon numero di osservazioni, le quali disgra- » ziatamente sono tra quelle che io ho perduto. » Sul punto di lasciare l'Europa per andare a » visitare 1' America meridionale, partecipai al prof. » De-Humboldt i risultaraenti da me avuti nelle ca- » napaie dell' Ain. Questo illustre dotto approvò mol- » tissìmo 1' idea che io avea concepito di eseguire » delle nuove esperienze intorno al medesimo og- » getto nei climi mal sani, nei quali era per recar- i) mi. Appena giunto in America, mi detti premura » insieme col sig. De-Rivero di cominciare sì fatte » ricerche. Le circostanze erano pur troppo favore- » voli. Noi ci trovavamo allora a Maracais sulle ri- » ve del lago di Taricagna. Era il tempo della sta- » gione secca , le acque si ritiravano , ed i terreni » pocanzi inondati rasserabravano ad un fetido vaso, » che versa nell'aria il principio deleterio. Le feb- » bri si rinvenivano in tutte le abitazioni. All'ovest » di Valencia, nelle linee militari di Puerto-Cabello, » esisteva egualmente una causa efficacissima d'insa- » lubrità, che andava ogni giorno diradando le fila » dell'esercito repubblicano, il quale in quell'epoca )) faceva l'assedio di questa piazza. Noi eravamo prov- » veduti di acido solforico di una grande purezza , Intermittente endemica 89 » e vedemmo quest'acido esposto a Maracais a con- » tatto dell'aria prendere in 12 ore una tinta nera » molto carica. Altrettanto avvenne a Valencia. Ma )) ben presto conobbi, che non si dovrà avere alcuna » fiducia in questa maniera d'esperimentare: perchè » mi avvidi che i numerosi insetti , che riempiono i> l'aria dei tropici, potevano contribuire più di qiia- » lunque altra causa ad annerire l'acido solforico ve- )) nendo a carbonizzarsi in esso. Abbandonai perciò » interamente un sì fatto processo. » Non fu che nel 1824 che vennero da me » istituite delle nuove indagini intorno ai miasmi. In » tal epoca io mi trovava a Carlago. La vallata del » Canea, all'estremità settentrionale della quale questa » città è situata, presenta un gran fiume, il Cauca, )) il quale durante un corso di più di 60 leghe ha » un' altezza assoluta di 800 a 900 metri. La sua » corrente è per tutto questo tratto poco rapida, e » nel tempo delle fiumane i teireni vengono inon- I) dati, specialmente ne'dintorni di Cali e di Buga , » e formansi dei paduli che rendono il paese assai » malsano. Cartago non si trova in circostanze cosi » svantaggiose come Cali e Buga. Ma quando sof- )) fia il vento di sud, questa città risente l'influenza » dell'aria che ha spazzato tutte le paludi della val- •)) lata; allora a Cartago le malattie si rendono mol- » to comuni. Tali erano le condizioni, nelle quali ;» io cominciava le mie sperienze. » Poco dopo il tramontar del sole io poneva » due vetri da orologio sopra una tavola nel mezzo » di un prato paludoso. In uno dei vetri versava :» dell'acqua distillata calda per bagnarne la super- •> ficic, e comunicargli nel tempo stesso una tempe- go Scienze » ratura superiore a quella dell'aria. Il vetro fiedtlo, » abbassandosi la sua temperatura per effetto del rag- )) giamento notturno, non tardava di ricoprirsi di una » abbondante rugiada. Il vetro caldo non poteva , » siccome è chiaro, condensare della rugiada. Ag- j) giungendo una goccia di acido solforico distillato » in ciascun vetro, ed evaporando a siccità col ca- » lore di una lampada a spirito di vino, si vedeva » costantemente una traccia di materia carbonosa ade- » rente alla superficie di quel vetro, in cui erasi de- » posta la rugiada; laddove il vetro, su cui questa )) non si era formata, rimaneva perfettamente netto » dopo l'evaporazione dell'acido. Questa maniera di » sperimentare offriva il vantaggio di non richie- » dere che un tempo limitatissimo: e se per avven- » tura un moscberino veniva a cadere nell'acqua de' » vetri, era facile il toglierlo prima di fare agire l'a- » cido solforico. Vennero da me adoperati due vasi » a diversa temperatura, per rispondere all'obiezione » che si sono potute fare all'esperienze del Moscati, )) in quanto che potevano essersi deposte, ed avere )) aderito alla superficie umida dei matracci da lui )) adoperati, le particelle di materie organiche esistenti » in sospensione nell' aria. Ne' miei esperimenti le » particelle organiche, qualora si fossero trovate nel- » l'aria, avrebbero dovuto aderire anche alla super- » ficie dell'acqua calda: ed in questo caso I' acido » solforico avrebbe dovuto egualmente lasciare un ve- » stigio di materia carbonosa. Io continuai tali espe- » rienze parecchie sere ; ma ben presto ebbi a ri- » sentire su me stesso l'effetto de'miasmi, di cui pro- » curava mettere in chiaro l'esistenza : io fui assa- » lito da una febbre, che mi costrinse ad inlerrora- » pere le mie ricerche. Intermittente endemica gì » Alla Vega de Zupia ripresi le mie esperien- n ze. Zupia occupa il fondo d' una stretta vallala » solcata da un torrente che spesso l'inonda. Que- )) sto villaggio è caldo , umidissimo. Le febbri in )) quell'epoca vi erano numerosissime. » I risullamenti ottenuti da Moscati e Rigaud, » quelli che avea ottenuti io slesso a Cartago, pro- » vavano ad evidenza che nei luoghi paludosi du- )) rante il cadere della rugiada v'ha una materia or- n ganica che si depone insieme con essa: ma non era )) possibile, per dir vero, formarsi alcuna idea di quan- » tità, al seguito di un tal genere di esperienze. » IO. Mi sia ora permesso analizzare i pi'esenti rilievi sulle prime osservazioni fatte nel dipartimento dell' Ain. Ognuno sa che nell'atmosfera di qualsivo- glia regione nuotano sempre materie sottilissime sol- levate dal suolo, e specialmente nelle calde stagioni, atteso il calorico che le inalzò. Ed è pur noto che queste sostanze ritornano a discendere nelle ore vesper- tine. Sanno pure tutti i chimici, che l'acido vitrio- lico concentratissimo annerisce ogni qual volta so- stanze organiche di qual si voglia natura vengano a .depositarsi sulla sua superficie. Per una tale ragio- ne il suddetto acido perde la propria limpidezza dia- fanica, rimanendo esposto allo scoperto in qualsivo- glia luogo, ed anche in qualsivoglia laboratorio. AI raffreddamento dell'atmosfera devesi una tale preci- pitazione. E non è quindi maraviglia che, avendo con acqua calda distillata riscaldato il vetro, il calorico del medesimo abbia tenuto lontano, o almeno abbia diminuito la deposizione delle sostanze organiche na- tanti nell'aria ad esso sopra incombente. Per lo con- trario il vetro freddo lasciava cadere gli atomi, di cui Q2 Scienze l'aria era pregna: e tanto più facilmente, perchè nin- no ignora che la temperatura dell'aria sovrastante al- l'acque, Siene queste somministrate o da paludi o da prati paludosi, è molto più bassa di quella degli strati superiori ; giacche il calore dell' acqua è sempre di due gradi inferiore a quello dell'aria che sopra di es- sa s' inalza. Io nelle mie ricerche ricordai di aver disteso dall'aggressione della febbre i coloni che di- scendono ne'gorghi de' canapai, facendo ad essi bere qualche picclola porzione di alcool. Ed un tal fatto merita che non sia dimenticato. Feci anche osservare che in alcuni anni, mentre dai gorghi de'canapai esa- lava il consueto loro disgustoso odore, pure la per- niciosa non si riscontrava. Ed ora ricorderò che nel- le campagne romane non esistono né canapai , né risaie. 20, Quanto agli esperimenti eseguiti in Carta- go , soggiacciono all'istesse difficoltà. Si può poi alle medesime aggiungere un nuovo riflesso. TSon affer- mano i nostri avversari, che il miasma delle paludi si solleva ne' più alti strati dell' atmosfera , e che per il raffreddamento de' medesimi vengono poi giù strascinati dall'umidità, anche essa resa densa per l'oc- cultazione del sole sotto l'orizzonte e per il succes- sivo abbassamento della temperatura ? Se pertanto sull'imbrunìr del giorno l'acido solforico anneriva, è mestieri tal fenomeno attribuire a qualche altra so- stanza che già si trovasse molto vicina ai vasi, nei quali si eseguiva 1' esperimento , e di natura molto più gravitante. 21. Mentre io leggeva la memoria del sig. Bous- singault, fra i molti pensieri, dai quali la mia mente si trovava occupata , eravi quello di ripetere i sud- Intermittente endemica g3 tlelti sperimenti in tempi in cui la perniciosa non si faceva vedere, ed in luoghi da essa immuni. Co- municai questi miei sospetti al chiarissimo sig. Lauro Lauri chimico e professore di fisica in questa ponti- tìcia università; ed egli si compiacque comunicarmi, con lettera dei 2 ottobre 1842,1 seguenti rilievi. 23. « Mi sono dato cura di ripetere, siccome » ella mi avea dimostrato aver desiderio , desiderio » che per me valeva gradito e venerato comando , » l'esperienze colle quali il sig. Boussingault ha cre- » duto poter dimostrare 1' esistenza di un partlco- » lare miasma in quei luoghi, nei quali regnano le )) febbri periodiche. Egli instituì quest'esperienze nel » 1829 a Cartago ed alla Vega di Zupia: e di esse j) si tlen proposito in una memoria da lui inserita » negli annali de chymie et de phjsigue, anno i834 » fascicolo d'ottobre, che ella perfettamente conosce. » Le mie esperienze sono state eseguite in diversi » tempi; nella prima metà di luglio, nella seconda » metà di agosto , e negli ultimi giorni di settera- » bre in quest'anno. Cominciai dal servirmi, sicco- » me faceva il sig. Boussingault, di piccole capsule )) di vetro : ma subito dovetti abbandonarle per la )) difficoltà di averle nette in modo da escludere il » sospetto, ohe la piccola quantità di materia orga- » nica restasse loro aderente. Imperciocché mi do- » vetti persuadere col fatto, che un tal grado di net- » tezza si poteva raggiungere soltanto con lavare di- )) ligentemente e ripelutamenle le capsule, ed asciu- 1) garle poi col riscaldarle tanto, da distruggere col » calore qualunque piccola porzione di materia or- » ganlca avesse potuto aderirvi; operazione, nella qua- )) le le capsule colla massima facilità venivano a rora- 94 Scienze )) persi. Però in luogo delle capsule di vetro ho ado- » perato delle piccole capsule di plalino. Il sig. Bous- » singault raccoglieva nelle sue capsule la rugiada » che spontaneamente si deponeva sul far della se- » ra: io, non bastantemente favorito dalle metereolo- » giche condizioni , ho dovuto determinarne artifi- » cialmente la deposizione, facendo riposare le pic- )) cole capsule su dei pezzi di ghiaccio. Pel rima- » nente le mie esperienze sono state condotte in una » maniera del tutto simile a quella tenuta dal prelo- » dato chimico francese. Non avendo su questa no- » stra collina di Macerata luoghi distinti per aria » malsana produttrici delle febbri di periodo , le » medesime ricerche sono slate fatte in un orto con- » tigno ad una scuderia, nell'interno della scuderia » stessa e di una abitazione , per vedere se , anche » ove non si abbia aria malsana , pure per la pre- » senza dei corpi organizzati e di materie in con- )) linua decomposizione si ottenessero quelle mate- » rie carbonose, di cui fa tanto caso il sig. Boussiu- » gault. I risultamenti, ai quali sono giunto nelle » mie ricerche, sono i seguenti. I. « Se i vasi sieno portati al conveniente gra- » do di nettezza, come di sopra ho avvertito, e si » ponga in essi un poco di acqua distillata , e si )) aggiunga in essi una goccia di acido solforico di- » stillato , e con sollecitudine si evapori sopra la )) lampada a spirito di vino, il liquido non si an- » nerisce, e non si ottiene residuo carbonoso. Ma )) questo si ottiene se la capsula sia slata toccata » con materie organiche, come colla mano, con pau- » nilini ec. » 2. Se le capsule, in cui si pone dell'acqua Intermittente endemica g5 » distillata, si lasciano per qualche tempo in contatto » dell'aria atmosferica, per l'aggiunta dell'acido sol- » forico e coli' evaporazione si ha annerimento del n liquido, e risiduali vestigie carbonose. » 3. Nelle capsule, nelle quali si è fatta depor- » re la rugiada, e le quali però sono state in con- » tatto coll'aria atmosferica per un certo tempo ba- » gnate di liquido acquoso, si ottiene, al seguito del- » l'aggiunta dell'acido solforico e dell'evaporazione, » annerimento, ed in fine un resto carbonoso. In ge- » nerale il resto carbonoso mi è sembrato essere più » o meno abbondante, prescindendo dalle altre cir- )) costanze, e supposte le capsule ben nette, secon- » do il tempo più o men lungo, pel quale sono sta- )) te esposte al contatto dell'aria. » 4- iNelle esperienze eseguite nell'orto sopra in- )) dlcato , il cui suolo era asciutto , oltre al resto » carbonoso, si avea ancora un sensibile resto ter- » roso: ciò che fa vedere, che in sospensione nell'a- » ria si possono trovare ancora delle particelle ter- » rose. » 5. Le vestigie carbonose si avevano , in gene- » rale, più abbondanti nell'esperienze eseguite nell' » interno della scuderia. » 6. Non mi è avvenuto di osservare diversità » significanti in dipendenza dell'epoca diversa, in cui » queste esperienze sono state eseguite. » Questi risultamenti non concordano sicura- » mente con quelli del sig. Boussingault. Egli ha ot- » tenuto il residuo carbonoso nella capsula, in cui » si deponeva la rugiada, non nell'altra contenente » dell'acqua calda distillata. Io sono tentato a sup- » porre, che tal divario dipendesse dall' avere asciu- q6 Scienze » gato le prime capsule con materie organiche , e I) dall' essersi contentalo di lavare la seconda senza » toccarla con sì fatte materie, dovendovi porre del- » l'acqua: e forse ancora dal movimento dell'aria in- » torno alle capsule stesse in senso opposto, secon- ì) do che la temperatura di esse era più alla o più » bassa di quella dell'aria: per cui più difficilmente, ì) o più facilmente, le particelle organiche sospese nel- » l'aria potessero venire in contatto col liquido delle » capsule. Ma qualunque sia la causa di tale discre- » pauza, mi sembra che una tal maniera di ricercare )) l'esistenza del preteso miasma sia troppo imperfet- )) to: ed a chi voglia porvi la debita attenzione non » saria difficile il persuadersi, le cause di errore do- » vervi avere tale influenza da non potersi sperare » di ottenere risultamenti meritevoli di qualche fidu- » eia. L'esistenza specialmeate in un'aria umida di )) animalculi che sfuggono per la loro esilità alla » nostra vista, la diversità di acido solforico impie- » gato relativamente alla materia organica depostasi )) nelle capsule, debbono per cagion d'esempio farci )) ottenere delle vestigie or più, or meno manifeste » di materia carbonosa. Ma io non ho bisogno di » estendermi con lei intorno a sì fatta particolarità, » e molto meno poi a me si appartiene il toccare la )) questione sotto l'aspetto medico. Ella è in ciò trop- )) pò gran maestro, ed io mi riconosco affatto slra- » niero. Ma non tralascerò terminando di rilevare n una contraddizione, nella quale, se io mal non mi » avviso, cade il signor Boussingault. Alla pag. i58 » dell'indicato fascicolo degli Annales de chymie et » de phjsiqiie egli dice: « Io ho adoperato due vasi » a diversa temperatura per rispondere alle obiezioni Intermittente endemica gy » che sì sono potute fare contro l'esperienze del Mo- I) scafi in questo senso, che le materie organiche, le » polveri che si trovano in sospensione nell' aria a- u vrebbero potuto aderire, e fissarsi sulla superficie » umida dei di lui matracci. Or nelle mie esperien- » ze ( prosiegue il sig. Boussingault ) la polvere or- )) ganica, se pur ve n'esiste, avrebbe dovuto attac- » carsi alla superficie dell'acqua calda distillata: ed n in questo caso 1' acido solforico avrebbe dovuto » egualmente lasciare un vestigio carbonoso. Ciò che )) non ebbe luogo. » E poco più innanzi, cioè a pa- )) gina i6i, dopo aver fatto cenno di alcune sperien- » ze, per le quali è condotto ad ammettere, che la » pretesa materia miasmatica contenga, come le altre u materie organiche, dell'idrogeno nel numero de'suoi )) componenti, afferma, senza cbe manifesta se ne ve- s da la ragione, esser probabilissimo che i miasmi, » i quali si producono nei paesi paludosi, censi sta- » no in una materia fioccosa. » Si può ancora ( cou- » tinua di dire il prelodato chimico ) concepire l'ef- I) Acacia di certe precauzioni, che sono stale sugge- I) rite per preservarsi dalla loro azione. Si è detto, n per es., esser sufficiente cuopiirsi il viso con velo. j) Io ho veduto in fatti più volte sui paduli del Con- » ca, le persone obbligate a percorrerli, cuoprirsi il » viso con un fazzoletto, in maniera da non respi- )) rare che a traverso del tessuto. In questo luogo » adunque della sua memoria il signor Boussingault » ammette chiaramente il miasma non esister già w allo stato aeriforme, ma qual materia assai divisa » esistente in sospensione nell'aria. Che le particelle, » in cui tal materia è divisa, sien di forma fioccosa, )) o di altra qualunque, ciò poco importa. ]Sel fare G.A.T.XCV. 7 n8 Scienze I) queste osservazioni sembra che il sig. Boussingault n non ricordasse, o non desse più alcuna importan- » za, alla conclusione che egli traeva dalle sue espe- u rienze comparative, colle quali intendeva distrug- » gere l'obiezione incontrata dall'esperienze del Mo- » scati, rigettando l' idea che le vestigie di materia » carbonosa ottenute potessero provenire dalle par- )) ticelle di materie organiche sospese nell'aria. » 28. Cosi a me nel perduto anno scriveva l'egre- gio professore maceratese. Ma la questione, di cui ci occupiamo , deve rinvenire l'opportuno scioglimento dai soli processi chimici ? Rimarranno o inutili o in- osservati tanti altri fisici fenomeni, che tutto giorno si fanno incontro a medici osservatori ! Nulla diran- no le intermittenti perniciose sorte su terreni , ove non si trovano paludi, o acque stagnanti gravide di j sostanze putrefacienlisi ? E le spiagge marittime in alcune stagioni popolate anch'esse da tali febbri, ab- benchè gli arenosi e fossosi loro lidi non produca- no alcun vegetabile, saranno mute per noi ? E le ma- ligne intermittenti , che non di rado si riscontrano negli abitatori delle valli solcate da profondi fiumi, che non debordarono, saranno forse da noi ascritte a qualche non ancor determinata nuova classe di feb- bri ? E le perniciose che in certi singolari anni osa- no comparire in regioni salubri, d'onde sembravano esiliate dalla presenza de'colli, dalla mancanza de'fiu- mi e degli stagnamenti di acque, cosliluiranuo un inu- tile fatto nei trattati di eziologia ? E non ho io rac- colte molte e molte osservazioni, le quali addebita- no a tali condizioni terrestri la generazione delle sumnienlovale malattie ? Ah sì dopo la pubblicazio- ne delle mie memorie i medici del Piceno uè scor- Im'ERMittente endemica gcv gono la genesi, ne veggono i sintomi, e ad essa con maggior fermezza adattano il necessario trattamento! Cresce lutto di il numero di tali diligenti osserva- tori. Non istarò io qui a nominarli, ed a raccontare quanto essi mi dissero e mi scrissero. Prima però di dar fine alla presente memoria voglio qui breve- mente ripetere ciò che da vecchio medico mi fu fat- to conoscere sul finire dell'anno iH/j-i. 24. Sul finire dell'agosto , e nel principio del settembre del suddetto anno, il comune di Monsan- pietrangeli fu aggredito da febbre epidemica gravis- sima e mortale. Riputata tifica, come tale fu medi- cata. Grandissima era la costernazione di quel popo- lo; ed il magistrato, per pi-ovvedere a tanta calamità, invitò il dottor Antonio Fioretti a prestargli la di lui opera, di cui in altri tempi avea sperimentata l'u- tilità. E il dottor Fioretti vecchio medico quasi set- tuagenario, il quale ha trascorso molti anni del vi- ver suo in Stroncone, Terni, Collescipoli, in Fara nella bassa Sabina, in Corese ed altri luoghi infami per la febbre perniciosa. Giunto egli in Monsanpie- trangeli,il quale è edificato sulla vetta di ameno col- le, circondato da altri minori che lo tengono lonta- no per molte miglia dai piedi dell'apennino e dalle sponde dell'adriatico, diede ogni sua ricerca a disco- prire la causa di detta malattia , la quale non nel solo Monsanpietrangeli, ma anche negli altri vicini comuni portava la sua micidiale influenza. Non tar- dò molto ad accorgersi, che essendo caldissime le ore del giorno , fredda poi ed umida una parte della notte, a tal cagione cotanto universale doveasi attri- buire sì esteso malore. E confermavasi in questo di- visamente, perchè tutti gl'infermi da esso visitati, e 100 Scienze quelli (li cui per altrui mezzo avea presa cognizio- ne, erano rimasti esposti intere notti al freddo del- l'atmosfera o mal difesi da vestimenfa ad oggetto di tutelare il prossimo raccolto del mais dai frequenti furti. Nel giorno cli'ei vi giunse venti infermi già era- no rimasti spenti fra gli abitanti di quella terra. L'esame istorico de'malati fece ad esso conoscere, che la febbre presentavasi col tipo di terzana doppia, ag- grediva con freddo, a cui succedeva calore, sudore, e dopo alcuni accessi stupore e coma. Molti infer- mi non domandavano l'aiuto de' medicanti , se non dopo che la febbre, divenuta quasi continua, o non intermitteva, o mostrava men chiara rimessione. L'a- spetto degli infermi era generalmente pallido e come cereo, « le carni per la maggior parte delle ore qua- si fredde. ]Non esitò quindi un momento a dichiarare essere una perniciosa il morbo dominante. Conse- guentemente a tale giudizio istituì il trattamento, che nei menzionati luoghi avea sperimentato profittevole. E le felici guarigioni, avvenute da quel tempo in poi, confermarono la rettitudine del suo divisamento. A tutti , dopo rimosse le accidentali condizioni che potevano associarsi alla febbre , si diede la china o i suoi preparati. Tutti furono riscaldati con calde fomenta , e coperti con forti e gravi coltri. Nel di lui scritto, che mi fu da esso stesso comunicato, si narra di alcuni individui, ne'quali gli fu mestieri co- prir l'addome con pannilini immersi prima all'alcool. In quasi tutti poi si trovò molto efficace la propina- ?:ione di qualche cucchiaio di vino. Mi fa avvertire il dottor Fioretti, che non fiumi, non pantani esisteva- no in quel paese: e che due piccioli torrenti, che lo intercidono , erano privi di acqua. I venti adunque Intermittente endemica loi australi ed alcune brevi piogge vi aveano arrecalo l'umidità, e raffreddale le notti. Partì egli Ja Monsan- pietrangeli nel primo giorno d' ottobre , e dopo che alcune dirotte piogge, sussidiate dai più brevi giorni autunnali, aveano spento i calori diurni, e ricondotta a moderazione la temperatura atmosferica. Di questi fatti, di questi risultamenti , egli ne lasciò descrizione alla magistratura , dalla quale fu quindi d'ufficio rimessa copia alla delegazione. Lezioni elementari di chirurgia veterinaria del cavaliere Niccola De-Angelis^ pubblico profes- sore di veterinaria nelV archiginnasio romano .^ direttore sanitario in attività nei pubblici sta- bilimenti di mattazione in Roma., e capo dell' officio sanitario nei medesimi, perito veterina- rio in capo delle scuderie pontificie e del cor- po delle guardie nobili, esaminatore per Valta matricola veterinaria nel collegio medico chi- rurgico, capitano della truppa di riserva, e so- cio di varie accademie ec. Un volume in 8, di pag. 5Bc). Roma tipografia delle belle arti i843. ^i^ueste lezioni elementari di chirurgia veterinaria, destinate ad uso del giovani studenti nella romana università, sono compilate in 21 capitoli, ed innu- merevoli articoli. Una breve e ragionata prefazione ricorda dapprima i grandi benefizi recali dalla vete- rinaria alia pubblica e privata economia, alla pubbli- 102 Scienze ca incolumità, alla storia naturale e soprattutto alla medicina umana. Fassi poscia a dimostrare , che se l'uomo più dei Lruti va soggetto ad interne malat- tie, gli animali domestici Io superano per la molti- plicilà e frequenza de'morhi esterni: quindi chiarisce l'autore l'Importanza massima della veterinaria chi- rurgia. Ricorda l'epoca ( il32C) ) in cui occupò una cattedra di veterinaria, e gli obblighi che corrono ad ogni professore di pubblicare le proprie lezioni per provvedimento decretalo dall' immortale Leone XII ( come d' ogni studio , così della veterinaria bene- meritissimo). Narra i suoi viaggi, non meno in Ita- lia che ollre-monti , pel veterinario apprendimento. Crede che la specie equina sia la più soggetta a mali chirurgici: perciò a lungo vi si trattiene compilan- done cinque capitoli. Il primo di essi aggirasi sull'a- natomia e fisiologia dell'esterne parti del cavallo, por- gendone un dettaglio minutissimo. Per il quale ri- sultano le belle qualità che distinguono questo ge- neroso animale: ne tace i difetti che, malgrado dello stato dì salute, possono accompagnarlo, onde servire non meno agli opportuni us* dell'uomo che ad una razionai terapia nello stato morboso; ed in fine per somministrar lumi nelle frequenti controversie di ve- terinaria forense. Il II capitolo diviso in 21 articoli tratta dei vizi di conformazione del piede, e della conseguente ne- cessità della ferratura distinta col giusto epiteto di patologica, ove si ravvisa quanto si addentri l'auto- re nell' arte veterinaria. Le differenti morbosità del cavallo si descrivono con patologica esattezza nel III capitolo comprendente 11 articoli : ivi premeltonsi savie considerazioni generali per le cagioni che pos- Chirukgia veterinaria io3 sono produrle, ed i modi pratici per distinguere l'una dall'altra le nocive cagioni, ripetendole sovente dalle ferrature. Per lo che di proposito vi si trattiene nel IV capitolo diviso in 7 articoli. Nel V capitolo si par- la diffusamente delle malattie della corona e della pastoia, come parli indispensabili ai movimenti, e più soggette alle suddette, non meno pe'travagli che per le frequenti occasioni di sopprimersi la traspirazione ed assorbire l'umidità nel passaggio de'fmmi ec. Cin- que sono gli articoli di questo capitolo, in fine del quale si legge una nota in cui esprimesi , che se l'autore a lungo si diffuse intorno alla specie equi- na , non fece che imitare i più classici veterinari , rammentando che lo stesso creatore della sana me- dicina razionale Ippocrate tramandò alla posterità un apposito libro di veterinaria tradotto dal greco in la- tina ed italiana favella con note del eh. professore Luigi Valentlnl. Ne manca il De Angelis di dare in fine dell'o- pera due interessanti prospetti: l'uno relativo all'età del cavallo, l'altro alla durata della vita degli ani- mali domestici. Entra l'autore nel VI capitolo a par- lare delle operazioni di bassa chirurgia. Egli ha ere* duto per maggior intelligenza degli allievi ritenere i nomi dibassa e di alta chirurgia, quantunque l'ester- ne affezioni sleno variamente e simultaneamente spes- so congiunte : dimodoché fa duopo sovente di pra- ticare medesimamente i metodi spettanti non meno alla bassa che all'alta chirurgia propriamente dette. Così del pari ha veduto ovvio, che talune operazioni di alta chirurgia si riportassero in altri capitoli, sic- come a modo d'esemplo sarebbero gli aneurismi, le ernie ec. racchiuse nel capitolo dei tumori. I capi- io4 Scienze toli sesto , settimo ed ottavo aggiransi qulncli sulle operazioni di bassa chirurgia. L^ autore divide il se- sto in 9 articoli, ne'quali trattasi delle diverse eva- cuazioni sanguigne. Dice non convenir sempre il no- me di flebotomia, come comunemente si chiama, ma quello di sanguigna evacuazione , mentre questa in veterinaria s'istituisce spesso dalle arterie e vene. Non omette però di chiamarsi flebotomia ed artenotomia, quando esclusivamente si trae sangue dalle vene o dalle arterie. Ne lascia di descrivere con diligenza e perizia i molti vasi delle esterne parli dell' animale nel praticare il salasso , additando in fine i sinistri risultamenti che provengono talfiata per questa ope- razione cotanto facile volgarmente creduta. I grossi vasi arteriosi, la trachea , i nervi e le ossa possono pel medesimo essere talmente offesi, da minacciare an- che istantaneamente la vita dell'animale. Ne porge quindi i modi per ripararvi prontamente. Ne trala- scia di dimostrare , che da una mal diretta sangui- gna può derivarne un seno fistoloso, ricordando in fine la legatura opportuna nelle sanguigne del collo, on- de non andare incontro ad un'appoplesia secondarla. Il settimo capitolo diviso in tre articoli discorre della cauterizzazione potenziale ed attuale, di poi delle cau- terizzazioni distinte col nome di trascorrente , ine- rente e penetrante. Per le quali in fine dell'opera si vede un quadro di disegni litografici per gli appositi istromenti di cauterizzare col fuoco. Infiniti mostransi i vantaggi che l'autore riporta per l'applicazione del cauterizzamento nelle diverse morbosità : in alcuna delle quali, mentre sembrava spenta la vitalità, vide- si ridestare portentosamente per siffatti potentissimi mezzi. Nel capitolo ottavo ed ultimo delle operazio- Chirurgia veterinaria io5 r\\ ^i bassa clilrurgia parlasi Je'setoni e vescicaini , e l'utilità del pari grande die se ne ritrae nel loro uso, quando sieno opportunamente praticati : intor- no a che l'autore ne porge il tempo ed il luogo. INove sono i capitoli compresi nelle operazioni di alta chirurgia veterinaria. Noi ci dilungheremmo al di là del nostro istituto, se di tatti si dovesse dar distinto ragguaglio: noteremo però l'estesa peri- zia ed accuratezza con cui veggonsi trattati. Accen- neremo solamente le operazioni racchiuse nel cin- que articoli del capitolo nono: e sono le operazio- ni della setola in punta, del tallone e del quartiere, del chiovardo detto cartilaginoso , dell' esportazione della cartilagine laterale del piede, della dissolatura, e dell'estrazione della cartilagine del corpo piramidale. Il capitolo X diviso in io articoli parla della castrazione. L'autore, dopo aver narrato la sua origi- ne che rimonta ad oscuri secoli, avverte che quan- tunque inumana e crudele, è tuttavia giustamente in- dispensabile negli animali domestici, ad eccezione del cavallo. Imperocché dice, che questo animale a per- ))^de tutto il suo brio e quell' alterezza che sì ma- » gnificamente ebbe in dono dalla natura ». Dopo aver accennate le regole opportune per praticar la medesima , conchiude che nel cavallo debba usarsi per qualche caso eccezionale. Utilissima d'altronde l'autore dimostra la castrazione negli altri animali do- mestici, soprattutto nel bue; mentre esso mercè di questa operazione diviene docile, e prestasi a tutti i più laboriosi travagli, cui l'uomo lo sottomette: abbondevoli inoltre, delicate e molto nutritive fan- nosi le sue carni. Questi pregi non si rinvengono nel toro, del quale debbe solo serbarsi il numero ne- ?o6 Scienze cessarlo alla riproduzione di questa specie cotanta vantaggiosa alla società. A lungo poi discorre l'au- tore de'modi, co'quali si pratica la castrazione nelle diverse specie di animali, dimostrando da ultimo i cattivi effetti che derivar possono dalla medesima. Le violenti flogosi, l'emorragie, il tetano, il meteo- rismo, e l'amaurosi ne sono spesso i risultali mor- bosi, a' quali addita i mezzi d'apporre sollecito ri- paro. Il capitolo XI versa sull' operazione della co- da. L'autore chiama la prima harbara e dolorosissi- ma, e praticata soltanto per satisfare alla moda ed al capriccio: asseverando che per lo più è seguita da sinistri risultamenli, in ispecie sotto il bel cielo d'Italia. Insegna quindi come debba praticarsi, e dà gli opportuni presidii per riparare , quanto fia pos- sibile, agl'innormali sconcerti che provengono dalla medesima. Anche l'amputazione della coda vien so- vente messa in uso per moda, non solo nel caval- lo, ma più frequentemente nel cane e nel gatto. Quest' operazione però può rendersi tal fiata ine- vitabile per mali che abbiano invaso la maggior par- te dell'estremità inferiore della coda. Passa poi a de- scrivere la maniera diversa di praticarla, non meno nello stato normale che nel patologico. Tratta il XII capitolo della fistola all'ano e sua operazione. L'ori- gine di questa malattia deriva comunemente da flo- gosi, dai tumori, ed anche dalla suddetta operazione detta della coda all'inglese. La medesima dlstinguesi in fistola completa quando ha due aperture , 1' una neir intestino , l'altra nella pelle : in fistola incom- pleta, allorché ha una sola apertura comunicante in ascesso: questa seconda si divide in esterna quando è visibile l'orificio, ed interna quando è neU'inlesti- Chirurgia veterinaria 107 no retto. Nulla diremo Jella sintomatologia che ac- compagna questa morbosità, e dei modi di operarla, che veggonsi dall'autore con molta arte accuratamen- te pralicati.il capitolo XIII parla de'morbi delle vie orinarie divisi in due articoli, discorrendo primamen- te della punzione della vescica orinarla. Avverte che debba ricorrersi alla medesima nei casi estremi, do- po aver premessi tutti gli opportuni presidii esterni ed interni: avverte inoltre di non potersi confidare nel cateterismo nelle specie equina e bovina per l'or- ganica loro conformazione, essendo seguita quasi sem- pre da risultali sinistri. Che d'altronde praticandosi la punzione della vescica per il retto per mezzo di un tre-quarli curvo , dovrebbesi chiamare punzione vescico-rettale, o retto-vescicale: e ferrassi nelTopera- zlone l'animale in piedi colle pastoie alle gambe po- steriori, ed il torcinaso. Passa poi l'autore colla so- lila diligenza al processo operatorio. Indi parla della cistotomia, e dice che sembrava di aver oggidì la chi- rurgia umana raggiunto la più gloriosa meta collo stra- niero ritrovato della litotripsia , rivendicato poscia all'Italia; ma aggiunge che dopo ponderate discussioni ed opportuni confronti è stata rinvenuta piij perico- losa della cislotomia , per cui da un supremo con- sesso riguardossi come un'operazione eccezionale. Ne dee sorprendere i lettori, se niun autore di veteri- naria discorre di questo ritrovato: polche impossibile a conseguirsi sarebbe negli animali domestici non meno per l'organizzazione uretrale, che per la loro brutale insofferenza. Dà poscia gli insegnamenti op- portuni per la cistotomia , descrivendo le variazioni che ha subite : prescegliendo in fine il metodo de- scritto da Girard, che l'autore riporta con molta pre.- io8 Scienze cislone. Il capitolo XIV parla delle operazioni negli organi della deglutizione e delle vie aeree divise in tre articoli, e sono l'esofagotomia, la tracheotomia, e la lijoveitebrotomia. Noi benché difficili reputiamo specialmente le seconde, dobbiamo dar lode all'au- tore che ne descrive i processi operatorii con fon- data perizia dell'arte che professa, chiudendo egli que- sto capitolo colle seguenti parole: « Rare volte l'hyo- » vertebrotoraia si pratica senza disgrazia: ed allor- » quando riesce , dà con ragione un' alta idea del » veterinario, non meno per la sua perizia che per la » conoscenza esatta e profonda cbe esso ha dell'or- » ganizzazione anatomica delle parli. » INel capito- lo XV si discorre della trapanazione, e se ne tratta colla consueta accuratezza , accennandosi in ultimo la trapanazione per morbosità delle corna nella spe- cie bovina, chiamala da' veterinari! terebrazione. Il capitolo XVI tratta del male del garrese detto vol- garmente capocerro , che ordinariamente si osserva con contusione o soluzione di continuo, con do- lore nella sommità del guidalesco, e quasi sempre ha origine da traumatica cagione. L'autore, dopo di aver descritto il metodo più esatto di cura, non tace che pel proprio organismo del garrese, anche il più leg- giero capocerro diventi morbo gravissimo, e assai lun- go richieggasi il tempo della cura : non ostante la quale può accadere tal fiata che le materie per di- fetto di scolo s'insinuino fra il garrese e la spalla , e producano la carie : nel qual caso la malattia di- viene incurabile. Il capitolo XVII comprende Vago- puntura^ e la sezione dei ietiàmijiessoì'i del piede. Dice, che sebbene classici veterinari abbian tribuito maravigliosi effelti all'agopuntura nelle invecchiate af- Chirurgia veterinaria 109 fezloni reumatiche e nelle ostinate zoppie , tuttavia non solo per la propria, ma ancora pe'tentalivi pra- ticati sotto i suoi occhi negli stabilimenti veterinari di Alfort e di Milano ( 1826 ), non vide alcun gio- vevole risultato dall'agopuntura. I tendini flessori del piede, benché resistenti, destinati a movere il basso degli arti, vanno tuttavia soggetti a lesioni per trau- matiche cagioni. Dopo aver l'autore minutamente de- scritto il processo dell'operazione e la medicatura da praticarsi, avverte che il piede, ove operossi la sezio- ne, dovrà ferrarsi con un ferro privo di rampi ed a punta prolungata. Passa poi al trattato delle ferite nel capitolo XVIII diviso nei seguenti articoli : delle ferite, cioè in generale, delle ferite suppuranti, d'ar- mi da punta, e penetranti colle stesse armi, delle fe- rite dell'addome, di armi da fuoco, ed inlerne con queste armi , delle ferite de' corpi contundenti , di quelle per morso di animali velenosi, del morso del- la vipera, del cane rabbioso ed in fine della mosca- ruola. Questo capitolo vedesi trattato con molta mae- stria, che dinota la profonda pratica dell' autore , il quale non manca pel morso della vipera ricordare i travagli dell'ili. Mangili , e per quello della rabbia i replicati lavori del nostro eh. collega dott. Cap- pello , sanzionati poi dal eh. Toffoli di Bassano. Il XIX capitolo tratta dei tumori diversi in 20 articoli, e con ordine e precisione descrive i tumori caldi e freddi, indi cistici : passa poi ai tumori sinoviali, so- lidi-molli, al sarcoma, al lipoma ed al polipo. A lun- go si trattiene sui tumori ghiandolari, prima per in- gorgamenti di umori depravali , e per ingorgamenti salivari, indi dello scirro e del cancro, profillando non poco degli aurei insegnamenti del celebre Scarpa. J3i- no Scienze scorre appresso de' tumori soliJo-Juri, dell'esostosi cioè, dell'iperostosi, in fine dei tumori de' vasi sanguigni ( aneurisma e varice ) e delle ernie: e sempre chiare veggonsi le morbose descrizioni col relativo ed all' opportunità variato metodo curativo. Il capitolo XX tratta le malattie degli occhi diviso in 28 articoli , che noi non faremo che accennare commendando la diligenza dell'autore. Sono gli articoli: malattie degli occhi, dei margini liberi delle palpebre morbosamente congiunti, tumori cistici delle palpebre, blefaroptosi, trichiasi, cispa, ungliiella, morbi delle vie lacrimali, fistola lacrimale, operazione della medesima, malat- tie del globo dell'occhio, ottalmia, ottalmia periodi- ca, pterigio, ascesi della cornea , albugine e leuco- ma nello stafdoma, procidenza dcll'n-ide, ipopio, ca- taratta, glaucoma, idropisia dell'occhio , uscita dell' occhio dalla sua cavità, carcinoma dell'occhio, atro- fia del medesimo, meopìa, presbitia, finalmente della emeralogia e dell' amaurosi. L' ultimo capitolo XXI discorre delle fratture diviso in i5 articoli, de'quali del pari non daremo che il semplice cenno: e sono, delle fratture in genere, di quelle delle ossa del ca- po, delle ossa nasali, dell'osso mascellare e dei denti, delle ossa della pelvi, delle coste, della scapola, del- l'olecrano, del cubito, dello stinco, dell'osso del pa- sturale e del coronario, dell'osso del piede, della lus- sazione coxofemorale e della frattura del femore, del- la lussazione della rotula ed in fine della frattura del- la tibia. Aggiugne poscia l'autore un'appendice con una sua memoria già edita sulla bolsaggine, in cui ci sembrano contenersi novelli schiarimenti mai piìi da altri non somministratici, e che servono ancora di molto lume nella veterinaria forense. Da ultimo si riporta- Chirurgia veterinaria i i i no ì documenti officiali sul ciamorro del i832. Nei quali vedesi la somma perizia dell'autore nella cono- scenza de'conlagiosi morbi, e di questa terribile ma- lattia. Intorno a che il maggior elogio dell'autore si appalesa per la recente innovazione del male fin da quell'epoca annunziala , e per le sagge provvidenze prese dal supremo sanitario dicastero. TONELLI. Memoria sul Iago di Quarto nella legazione di Forlì, letta nelV adunanza delV accademia tibe- rina degli 1 1 di noK'embre 1889 dal socio corri- spondente dottor Giovanni Bertoni ingegnere pontificio. elle cause, se più nettunìne o vulcaniche, che originaroiìo le montuose irregolarità della terra lun- gamente dispularono i geologi. Perocché due tesi si agitarono clamorose: e due fazioni scientifiche, in che si divisero i natui'alisti, tennei'o il campo con dotta fortuna. Ma la Vittoria, non decretò mai gli allori del sapere; essa, onorando il nome dei combattenti, ne lasciò la gloria indivisa, senza il rossore di una scon- fitta o la celebrità di un trionfo. E l' onda ed il fuoco ebbero forza motrice : e l'impronte solenni, che a confermare l'azione dei due elementi ci rimangono sulle allure terrestri , sono 112 Scienze auguste reliquie dei secoli. Per opposte vie si eser- citarono adunque late e misteriose potenze, le qua- li in qualche contrada sembrano avere furiosamente lottato prima dell' acquetarsi delle materie , e pri- ma di avere stabilito lo stupendo equilibrio di quel- le leggi, di cui lo spettacolo avvisa un ordine lutto sublime e divino. A queste più remote cagioni delle disordinate prominenze della terra, altre si aggiunsero nel pro- gresso dei tempi per avvallamenti montuosi di gran- de latitudine, sia per sobbalzo di terremoti, sia pei* acque occulte che ne commossero la struttura , e tutte dall'interno ne mandarono sovvolte le basi. Per tante violentissime forze della natura, talo- ra inabissarono monti, e laghi apparvero; ove rove- ' sciati ciglioni nascosero la sede prima dei fiumi , e questi per altre vie ricomparvero. Mirabili eventi ! Tal'altra volta ogni corso preclusero quelle rovine, dirompendo le acque in allagamenti sfrenati; e chi sa quanti casi lacrimabili di perduti viventi nascon- dono le stesse balze e i gioghi alpestri che noi ve- diamo ! Il severo Alighieri , sulla cui fronte brillò un raggio dell'empireo , ricorda nell'altissimo carme lo scioglimento della roccia di monte Barco ( o, come altri vollero negli annali fuldensi , monte Marco ) villaggio diruto presso Lizzana, fra Trento e Trevi- gi, che trasse l'Adige fuori del proprio letto, nell'an- no ottocento ottantatrè : n Era lo loco, ove a scender la riva » Venimmo, alpestre: e, per quel ch'iv'era anco, )) Tal che ogni vista ne sarebbe schiva. Lago di Quarto ii3 » Qual è quella ruina che nel fianco » Di qua da Trento l'Adige percosse » O per treinuoto, o per sostegno manco : » Che da cima del monte, onde si mosse, I) Al piano è sì la roccia discoscesa, » Che alcuna via darebbe a chi su fosse. Nella Borgogna imperiale l'anno i25i due monti discorsero dalle basi per cinque mila passi con or- rendo strepilo nella valle. La popolazione lutta o fu assorta nella immensa rupina^ o dalle masse di- velle e dai sassi in quell'orribile frastuono abbattuta ed uccisa. Non ricorderò fra le agitazioni politiche del me- dio evo, in quell'eia di rabbie municipali, come, as- sediata la rocca di Milano dai galli, il fiume Eren- nio confluente al Tesino inondasse per quaranta sta- di ; indi sceso al lago di Belinzona, e rotta la ru- pe onde il lago era chiuso , irrompesse per 1' aper- to adito atterrando nella pianura inferiore il ponte marmoreo del Ticino e i forti e le circonvallazioni di Lodovico Sforza, grandiose opere militari. Ne qui il furibondo invadere delle acque potè sostare; che quasi precipiti calarono sul lago Verbano, alle cui sponde la coorte elvetica , campeggiando per guerresche fa- zioni , si era attendala. Il furore delle onde vorti- cose tutte quelle genti infaustamente sommerse. La storia degli scoscendimenti, che travolsero in altre forme le superficie montane, nella fisica terrestre può dirsi la storia dei secoli. Qual dire crescerebbe a tal copia da rispondere alla vastità del soggetto ? Io non assumerò così vasto tema a materia dell' o- dierno discorso, il quale piacemi con volontà meno G.A.T.XCV. 8 11^ Scienze ardii •! rIvolg.?re più degnamente ad unn di qn^-^te vi- cissiludial, che in quella provincia del u>jbiro stato, che bagna il Montone ed il Savio, lasciò lalale ricor- do di corse sventure e di pianto. Parlo del lago di Quarto. Non precorso, che io mi sappia, da altri, vengo per primo a tesserne al- cun cenno storico, affinchè l'origine sua non corra a perdersi nell'oblìo che tutte cose nasconde. Il ra- gionamento nudo quale si è, disadorno, ma vero, offro con animo grato e riverente a cotesta insi- gne accademia , che fra i diserlatori dell' anno me volle comprendere, e benignamente onorare. Nel qua- le officio, quantunque non senza tema di mal ri- spondere alla fiducia, pure io mi tengo fortunatissi- mo per la speranza , o signori , che le scritte pa- role di un vostro socio lontano nella generosità de- gli animi vostri troveranno liete accoglienze. Alla descrizione topografica del lago di Quarto farò precedere in primo luogo il racconto dei fe- nomeni che precorsero ed accompagnarono il suo sorgimento. Su per la gola dei fiume Savio , quel desso che nella pianura inferiore lambisce le muri di Cesena , s'incontra montando alle vette degli a- pennini la città di Sarsina, della quale suona famo- so il grido nei fatti antichi della romana grandezza. Potente un giorno, seguiva coU'armi le gloriose for- tune della repubblica: ma come poi vollero i suoi de- stini cadde al cadtire di quella, e non serbò illeso che la memoria del passato, e lo sterile vanto di un nome antico. Tale è la natura del tempo distruggitore di ogni celebrità ! Trascorsa quell'altura, inoltra un cammi- no toriaubo e vagante per il letto del fiume fra prospet- Lago di Quarto 1 1 5 tìche scene dì erti ciglioni, le cui spalle eminenti di vivo sasso, irte, grottesche, sovrastano a tale e si fui la altezza, che in tanta profondità di luogo ti seinl>ra venir meno la luce del giorno. In quella chiusa so- liliidine non altro odi, che il battere furioso dulia corrente, che rompe fra i massi con suono immen- samente cupo e fragoroso. Per ben due leghe così procede il sentiero sempre mutabile, sempre incerto; finche salendo a mezza costa, ti colpisce dalla sini- stra un rombo lontano di acque cadenti, che l'eco solitario ripete e moltiplica in mille guise. E l'ul- tima cateratta del lago, di cui biancheggiano in alto gli sprazzi senza interamente discoprirla per la lonta- nanza , e per le rocce che la rinserrano. In tal punto , quasi senza avvederti , percorri una esten- sione disordinata di suolo a più ricolmi , accaval- lati l'uno sull'altro, per una latitudine trasversa di metri duemila , oltre un miglio ; pe' quali ricolmi si tragitta per altrettanta via. Suolo senza piante, tut- to cinereo, che appare al colore, alle forme qua- si un terreno vulcanico. Esso non è che una gen- ga scheggiosa, friabile, di fosca tinta: non è che l'am- masso enorme della frana, onde il monte altissimo denominato Montalto si avvallò tutto intero dal ver- tice al piede. Superata la landa ineguale, che ovun- que porta le impronte della sua commozione , ecco aprirsi gradatamente la veduta del lago di Quarto. Altissime rupi chiudono intorno intorno un ara pio bacino di sospese acque, cui navigano per ogni banda piccole barche pescherecce, largo ottocento me- tri, lungo oltre mille quattrocento. Dur^ grandi influenti superiori vi scendono precipitosi, e corrono a perdersi ii6 Scienze nelle sue acque; il Savio superiore e la Parrà. Il Sa- vio nella direzione da ostro a settentrione vi ha sboc- co di cento quaranta metri in larghezza; là dove ap- punto due sporgenti abituri, Pian d'Angelo e Casal- bingo , ti sembrano po.^ii a destra ed a sinistra co- me a guardia della gran foce. Per questa entrando, è navigabile il Savio per due miglia e più superior- mente, colla profondità dagli otto agli undici metri, e per la lunghezza ragguagliata di ottanta metri. Con foce pressoché uguale la Parrà entra nel lago nella direzione di sud ovest ; ed essa pure con un fondo eguale, e quasi eguale larghezza, può navigarsi supe- riormente per un miglio ed un terzo , circa metri duemila. Per queste due alte gole del Savio e della Par- rà puoi dell'uno e dell'altro corso salire alle prime sorgenti. Prendi la foce del Savio? Dopo la indicata navigazione ritorna il letto sassoso , e più solinga inoltra la via fra seni ed ispide balze. Ma il diffi- cile sentiero sempre montando si apre in fine in bel- la e rìdente vallea coronata di vigneti e di olivi; e là sorge la terra toscana di san Piero in Bogno , cui le vicine acque termali di santa Agnese per soccorso all'infermità della vita rendono più rinomala e fa- mosa. Per ultimo dalla catena del Gomero, a quindi- ci miglia di distanza, movono le prime sorgenti del Savio; la quale catena sta in quel crine dell' apen- nino, che giustamente i geografi hanno chiamato spi- na d'Italia. Che se percorri l'altra foce della Parrà, che en- tra nel lago, puoi navlgare~per quella , e più oltre salire, col viaggio di un sol giorno, alle balze, il cui ciglione eminente si perde fra annose foreste, che ri- Lago di Quarto 117 spettarono 1 secoli , e forse quelle della Cale;lon!a potrebbero per vetustà e per grandezza emulare. Di lassù il gran culmine scende in due clune rivolte ai mari d'Italia, l'una cioè inclinata alla regione del- l'adriatico, e l'altra a quella del mediterraneo; e dal- l'enorme sasso, cbe tutto il monte sembra comporre, sgorgano tre fonti impetuosissime fra loro divise. Le due verso il nord generano la Parrà influente del lago di Quarto, e l'ampio torrente Marecchia , cbe fugge nella direzione di ponente, e bagna le mura di Rimino. Dalla terza sorgente dell'opposto declive del monte sgorgano, come è tradizione dei luogbi, le pri- me scaturigini di questo medesimo Tevere cbe i poeti del Lazio celebraronu tanto, quanto di lui la moderna Roma si abbellisce ed onora. Tale è la condizione fisica , tali i rapporti di questo lago, cbe due fiumi, il Savio e la Parrà, ali- mentano di acque perenni ; le quali, miti di rado, spesso copiose , talora ingolfano da banda a banda delle due gole; e rotte e spumanti fra gli scogli pre- cipitano da quei declivi in alle e fragorose fiumane. I violentissimi corsi sembrano allora tutto condurre in rovina; ma ridotti in onde tranquille, si spianano sopra il lago fatto ricco e superbo di tanti tributi. Ed ob ! quante volte la natura nella sublime vi- talità de' suoi fenomeni grandeggia maestosamente ; poi, quasi di se dimentica, si ammanta di esili for- me e delicate sembianze ! Né altrimenti adoperò col- l'ingemmare di delicati fiori le nude rocce , e mo- vendo da balze selvose liete sorgenti d' acque pla- cide e ciliare. Nella dura prospettiva degli avvalla- menti, che circondano il lago di Quarto, qual via , o signori , credete voi destinala alla copia di tante ii8 Scienze acque ? Il piano di una gola di monte non più lar- go di metri v^nii, lungo cinquecento sessanta, serve alla ioro caduta. E questo l'unico efflusso, d'onde le acque precipitano da tre balze ad alimentare il Sa- vio inferiore per tre cascate di 4? Ji 12, di 3o me- iri: l'uhima delle quali appunto io vi accennai nella veduta esterna del lago. I fianchi di questa sortita si Vedono di un sasso arenaceo calcare, le cui sfalda- ture variano ora minutamente schislose, ora di gen- ga friabile, bene anche di lastre sottili atte a copri- re i tetti in luogo di embrici; ma i piani continuati delle cascale appaiono di un sasso enormemente gros- so e durissimo. Dalla quale idraulica costituzione si agevola 1' intendimento , che dai rifiuti del lago di Quarto sono generale le intumescenze del Savio in- feriore, quelle stesse che scendono con rapidissima ca- duta a Cesena, e di là all'adriatico per la pineta ra- vennate: viaggio di cento e più miglia. Per tali cau- se questo elevato cratere, dispensatore di acque per la pianura, acquista un carattere di novità, che di- versifica il Savio da tutti i fiumi della provincia for- livese, e ben anche da quelli della più parte d'Italia. La posizione geografica del lago e le odierne sue condizioni movono interesse anche maggiore, se vo- gliano raffrontarsi coU'anlico suo stato. Ne sotto que- sto rapporto è qui da richiamare la storica celebrità del luogo, sia per il passaggio di Annibcde con re- cente erudizione determinalo in questa parie dell'a- pennino, sia per la sua dipendenza daila famosa Sar- sina, patria di Plauto; o come la tribù sapinia, tolto il nome dall'antico Sapis, ora Savio, questa terra pu- re abitasse. Per antico stato vuoisi intendere la na- tura del luogo anteriore al memorabile avvenimento Lago di Quarto irg del lago, che tutte sconvolse le condizioni geologiche e le idrauliche leggi del sito. A tutto l'anno i8it il lago di Quarto non era, ma il piano di Quarto. Entro una vallata sparsa di radi pascoli, di seminati e di easy contadinesche, cor* reva il Savio in piìi rami, l'uno dei quali a dar mo- to ad un opificio da grano, l'altro quasi a lambire il palazzo Marini. Il suo letto , dopo avere accolte le acque confluenti della Parrà, usciva dall'interno re- cinto per la gola naturale ed ampia del fiume: on- de poi la valle, coronata di mouti e sparsa d'abita- tori, si offriva allo sguardo con aspetto leggiadro. Ma un'impensata catastrofe quella fiorente industria e tan- ta tranquillila di stato travolse di subito in una sce- na di funeste morti e d: lutto. Nell'anno 1812, alle ore otto anzi il mezzodì del 21 di marzo, il culmine di Montalto, elevatissimo e dominatore di ogni altura circostante, si aprì dalla cima per mezzo in larga e profonda rapina. L'enor- me scoscendimento si vide fra dense nubi di polvere calare tutto insieme colle capanne ed i pastori , e giù giìi essere attratto dalla voragine ; poi come di un balzo tutto sparire capovolto e chiuso nelle sue viscere. Ed ahi ! la pietà rifugge alla memoria, che sedici sventurati trovarono là dentro il sepolcro ! Un questuante settuagenario nella parte estrema era trat- to a salvezza con violenta mano dalla sua guida; ma il misero vecchio, vacillando e a slento mutando i passi, fu abbandonato, e in quella coverto dalle ma- terie. La guida, fuggendo a gran lena, era ferita e fiac- cata dai lanciati sassi; si rialzava, quando nuove mi- ne a guisa di corrente lava la sopraggiunsero , e I20 Scienze mezzo sepolta del corpo emergea fuori colla testa , e colle braccia sporgenti invocava la misericordia dei generosi, che a gran pena la poterono salvare. Quel- la scossa potentissima, che gli abitanti lontani opi- narono di terremoto, scommesse fuori delle imposte le travi della chiesa parrocchiale di Quarto, trasse a ruina tutto il sacro edificio e la intiera casa presbi- terale, sagrificando la madre di quel pastore. Di di- ciassette vittime quest'una estinta si ricuperò. Altri molti corsero pericolo , e cinque coloni al margine di quella invasione, ancora vivi, si poterono disol- terrare. Non così delle bestie bovine e lanute, che tutte, al numero circa di duecento, scomparvero dal- l'avvallata rupe inghiottite. Lo scoscendimento, che ruinò selve estesissime e molta parte di seminato, si eslese per una linea di metri mille in senso paralello alla corrente del Savio, e corse di fronte, masse e masse accavallando , per metri due mila , oltre un miglio , fino a cozzare e stringersi col monti opposti. Le acque allora serrate e crescenti nella vallata superiore alzandosi a dismi- sura , vedevasi a poco a poco sott' esse sparire ogni piano, ogni fabbrica. Le piene sempre nuove ed in- calzanti della Parrà e del Savio conversero infine quel bacino in lago profondo metri 120 : altezza uguale a ben cinque volte quella di un alto palagio. In Ia- go pure mutossl 11 letto dei due fiumi influenti: on- de ciascuno indi a poi si navigò per due miglia. La spaventevole inondazione, così vagando per ogni banda, trovò per solo ritegno il montuoso re- cinto : ma non bastò a superare la grande barriera della rupina. Le acque imprigionale , correndo a qualche uscita, uè j)olcndo Tanlico letto ricuperare, Lago di Quarto 12 r solcarono in fine la spalla del monte opposto a Mon- talto in sulla destra del Savio : ed il corso dell'ac- que, esiguo da prima quale di rivo fra i sassi , indi attratto da enorme caduta, ingrandi, tagliando la go- la, di che fu detto, sino a scoprire il macigno a tre piani o cascate. Dall' ultima di queste si dischiude una scena incanlalrice, soprastando al ciglio destro un mulino in rustica foggia : onde poi fra il grotte- sco di bianchi massi ombrati da radi cespugli, e nel fragore di quelle acque per un grand' arco cadenti, tutto si pare il trionfo di una natura aspra e selvaggia. Molti naturalisti italiani , dalla maraviglia del fatto mossi a curiosità , vennero visitando il luogo e più cagioni additarono; né il volgo si rattenne dal- le immaginazioni fantastiche , come suole accadere ad ogni pubblica sventura. Ma per indagini esattesi discopriva, come le correnti interne avessero valicato per grandi meati le viscere del monte, onde poi tut- to dalla sua base fu rovinato. TSotavasi ancora, tre fenomeni avere precorso , e tacitamente annunziato l'avvenimento: cioè alcuni pozzi naturali , comparsi da gran tempo sulla vetta di Montallo, nei quali se si lanciavano sassi , udivasi rombìo lungo , profon- do, e come d'eco lontano, senza distinguere dei pro- iettili alcun riposo; la sospensione per otto giorni, e 1' inaridimento di tutte le fonti; infine, per due giorni anteriori , la veduta elevazione , per l'altezza di una persona, del basso fondo del Savio , su cui scendeva a perdersi la china della montagna. Con questi segni la provvida natura additava l'avvicinarsi dell' infortunio, e rendevasi eloquente nel suo silen- zio; ma per la cieca abitudine che è negli umani di consegnarsi agli eventi, ogni annunzio dell'ignaro voi- 122 Scienze go fu trascurato. E valga almeno l'esemplo, se questi precursori indizi avessero a presentarsi in altre meno sfortunate regioni. Molli eruditi pertanto posero studio intorno ai modi di essiccare il lago, perdendo la pescagione di cui è capace, e ridonando ai privati ed all'erario le terre perdute, come gli edifìci sommersi in quelle se- di profonde; e più artificii insegnarono: perocché l'ar- te inventrice, che conforta Fumano coraggio, non la- scia mai intentato il conflitto dei grandi ostacoli. Ma più di leggieri avverrà che quest'ampio seno, racco- gliendo le pesanti torbide degli inlluenti, impieghi a chiudersi di deposizioni una serie d' anni non con- cessa alla presente generazione. Colai fine del lago di Quarto potranno forse aspettare e veder gli avve- nire. Le condizioni topografiche prima e dopo l'avve- nimento, gl'indizi che lo precorsero, le vicende che lo accompagnarono, la fine da presagirne , formano tutte insieme le particolarità che erano da discorrere intorno al lago di Quarto. Cotanta miseria di quelle contrade ninno avrebbe mai opinato che fosse per con- vertirsi in istrumento di pubblica utilità, come suc- cesse alla provvida cura del personaggio insigne, che nell'anno 1828 teneva fortunato governo della pro- vincia di Forlì , sua eccellenza reverendissima mon- signore Antonio Benvenuti , poi cardinale di santa chiesa. La siccità ostinata di quella state di già af- faticava 1' agricoltura e le genti. Inarriditi i fiumi , asciutte le sorgenti, ogni scolo perduto, fendevasi in larghe bocche la terra, ma coperta da biade infrut- tuose e da una morta verdura. La inclemenza del cie- lo, versando in altre contrade piogge a lorrenti, ne- Lago di Quarto laS gara la usata fecondità alle ubertose pianure della Bomagna, e tutto periva miseramente. Però in tanta penuria di acque si fece quindi sentire un alto bi- sogno di nutrimento. Gli emporii già riboccavano di granaglie, clie non era dato convertire in farina ed in pane. Quand' ecco le città ed i paesi della pro- vincia travagliarsi per fame ! Quale allora non fu lo studio paterno dell'insigne preside? Quali non fu- rono e quante le sollecitudini amorose del munici- pio? Si rammaricava infrattanto la plebe idiota, che ad ogni calamità impaura e mormora follemente; ne mai vede la mano benefattrice che la soccorre. Fa- tale condizione è questa di ogni pubblico reggimen'- to! Ma che non può la sapienza di un governante, che innanzi a quello di principe ambisca il nome di padre? Laddove crebi)ero le difficoltà, nei territorii di Rimini e di Forlì, là appunto si vide dispensiera di provvedimenti suntuari e di calma la sua mano pietosa. Unica restava senza soccorso la città di Cese, na, e quanto paese sotto lei si governa; perocché il lago di Quarto, soverchiamente abbassato, non più «alimentava co'suoi straripamenti il Savio inferiore. Ed ecco nel preside, cui seguivano i voti come l'amore dei buoni, sorgere pensamento, che si potesse ten- tare un'artificiale depressione nel piano alto di quel- la prima cascata; e senza più vi ordinava esperimenti, onde ottenere, se pure era dato, una uscita alle acque rincliiuse. I ritrosi di novità venivano predicando l'inefficacia del trovato per la forma intrattabile del sasso; altri garrivano senza scopo, come per maravi- |;lia, o per quelle facili verbosità, che alla moltitu- dine inspira lo spirito ingenito di resistere a tutto, 124 Scienze perfino alle opere di proprio bene. Ed in fatti in tanta brevità di tempo, in tanta angustia di genti af- famate, e nel tumulto di tante pubbliche inchieste, come sperare ciò che parea lunga stagione richiede- re, ed opera dispendiosa ed incerta ? Si venne alla prova. Al piano della prima cascata un sasso appa- riva non discontinuo, ma intero e compatto. Ebbesi tosto ricorso alle mine, e lo scoppio violento di quel- le discopriva avventurosamente il macigno sotto di- viso in più parli, e trovarsi congiunto a grandi fal- de obblique, altissime; ma le une alle altre in siffatta guisa paralelle e sopposte , da potersi con regolari esplosioni scatenare e sommuovere. Incoraggiti dai primo successo, si tentò allora un canale per tutto il piano della prima cascata : e di già si apriva con molta declività. Non appena ridotto a bastevole ca- pacità , che squarciata con altra esplosione la diga superiore, onde le acque del lago erano rinserrate, la fiumana vi balzò dentro , e fuggendo per le grandi cascate serpeggiò d'improvviso e con rara velocità nel- l' aridissimo Savio inferiore. Così fu rotto pur una volta il silenzio di quelle solitudini dal fragore di acque correnti. Le speranze allora rinacquero: dall'uno all' altro tutti gli opifici da grano di già entravano in movimento; di già si sovvenivano le popolazioni inferiori; e il cuore di tutti si apriva alla gioia. Ma era duraturo il soccorso? Le acque avrebbero deflui- to dal lago non piìi in là di un'altezza eguale alla profondità dell' emissario escavato. Di più mancava ogni sopravvenienza di acque dai fiumi superiori: e quest' ostacolo si presentiva maggiore per la conti- nua serenità del cielo su tutto il giogo dell' apen- nino. Quindi il successo, in sulle prime favorevole, Lago di Quarto laS era per isvolgersi a mala ventura, e cadere in sini- stro. Ma di subito si ebbe ricorso ad altro più va- lido esperimento: all'apertura cioè di un secondo ca- nale, quantunque lungo e difficile , ma paralello al primo, e più profondo. Le forze allora si raddoppia- rono, si triplicò il numero dei minatori, a maggior vita si mosse 1' attività generale. L' ardita volontà , non sempre fortunata, riuscì in fine vittoriosa, e fu superato ogni impedimento. Senza più le acque si versarono nel secondo emissario, nell'atto stesso che il primo, appena lìbero, si affondava novellamente; e così alternando in entrambi il potente artificio delle mine, divenne il corso or dtdTuno or dell'altro quasi perenne con generale esultanza ed applauso. Il sovvenimento di acque nella dejìlorabile sic- cità di quasi quaranta giorni fu considerevole: e la- sciati due quinti alllassorbimento dell'ampio alveo , e alla dispersione delle cliiuse, tre quinti con impen- sata energia passarono per gli opifici, faustamente ri- condotti ad una vita novella. E la riconoscenza e le benedizioni, di cui le autorità municipali ed il po- polo retiibuirono l'illustre prelato, renderon merito e lode al suo pensamento felice, E qui rammentando le virtù delle insigne pre- side die tanti soccorsi operò in quella provincia, e tanti abliellimenti in quella città di Forlì, per tutto ove i tempi , il luogo , e la fortuna il concessero , piacemi ricordare , per l' esempio , quanta pubblica gratitudine rimuneri i governanti del bene operato, e quanto la memoria delle onorevoli imprese avvalori il detto: Essere un giusto ed umano principe dono santissimo della provvidenza. «»s»»^-* isG Praelectiones theologicae, quas in collegio roma" no soc. lesit habebat Ioannes Perrone in eodem coli, theol. projess, P^oL Q, pars I. Continet tra- ctatus de locis thcologìcis parteni prinunn. Ro" mae typis collegii urbani l'òl^i (Art. Vili). xm.lla parte sagramentale fa seguito il Trattato de luoghi teologici , il quale nella nuova edizione arricchita di aggiunte, e pubblicala dalla stessa tipo- grafia di Propaganda, si è voluto con buone ragioni collocare dopo il primo volume , cioè dopo il trat- tato De vera religionr: essendo, come tulli gli stu- diosi ben sanno, quello de'sovra&cennati luoglii il fon- damento di tutta la teologia. E siccome il Perrone il divide in tre parti, così ancor noi, seguendo l'usa- to metodo, con due o al più Ire separati articoli ne daremo ragione, limitandoci solo alle principali co- se, per cui questo lavoro differisce dal comune dei trattatisti, E pria d'ogni altro vogliam notare, che quan- tunque l'autore abbia abbraccialo in questi luoghi teo- logici molte quistioni, le quali hanno una slrettissi- ma connessione coll'altro trattato De religione, non- dimeno ivi con una serie di proposizioni l'una dal- l'altra dipendenti dimoslrò la necessità e l'esistenza della divina rivelazione : e supponendo che 1' uomo non sapesse di per sé slesso abbastanza in qual so- cietà l'avesse a trovai e, tracciò come in un quadro l'immagine e i liucainenli della chiesa. Qui però, do- Teologia del Perrone 127 vendo la clilesa stessa costituire la regola prossima della nostra fede, imprende a ragionarne a lungo, ser- vendogli, come di fondamento, quanto ha nell'ante- cedente volume stabilito. La quale cosa assai meglio si parrà dall'esame, che ci proponiamo di farne. Ed affinchè il lellore abbiasi a prima vista il prospetto dell'intero trattato , diremo che nella pri- ma parte, divisa in due sezioni, parla Drlla chiesa di Gesù Cristo e Del romano pontefice: nella se- conda, divisa ugualmente in due sezioni, Della pa- rola di Dio scritta e Della tradizione : e nella ter- za, anch'essa di due sezioni, àaW Analogia della ra- gione e della fode riguardata in se, e della Me- todologia, ossia dell'oHìcio del teologo, del metodo e de'mezzi di cui si deve servire. Imprendendo ora Tarialisi della sola prima parte non farà al certo maraviglia ad alcuno, se il padre Perrone abbia incominciato i suoi luoghi teologici dal- la chiesa. Chiunque è mediocremente versato negli studi teologici conosce il classico libro di Melchior Cano, ed il metodo da lui introdotto è slato poi piìi o meno anco dagli altri seguito. Se il N. A. se n'è alquanto discostato, è stalo principalmente per segui- re l'ordine naturale e genetico delle cose, e per più gagliardamente stringere il sistema de'protestanti, de' biblici, de'razionalisli, de'mitici, ed andar con essi a pie pari , seguendo la via del progresso fatto dalle scienze, e procedendo sempre con "islreltissimo ordine logico. Ed invero, per accennare un solo argomento, come parlare della ispirazione delle sacre scritture , della loro canonicità, se pria non si stabilisca bene la chiesa, per la cui autorità veniamo noi ad esser- ne certi ? A ragione adunque egli ha dato principio i28 Scienze ai suoi luoghi teologici della chiesa; imperocché, co. me dice lo stesso Cano, essendo essi la sede e il do- micilio degli argomenti, di cui lutti i teologi si ser- vono o per confermare la verità, o per distruggere le obbiezioni degli avversari, è chiaro che la naiura di questa scienza si appoggia tutta all'autorità divina , dovendosi gli avversari richiamare alla parola di Dio o per iscritto o per tradizione: il che costituisce quel- la eh' è detta regola remota della nostra fede. Ora non potendoci con certezza constare del genui- no e germano senso della parola di Dio, ossia del- l'oggetto della rivelazione, se non per un mezzo in- fallibile e sicuro qual è la chiesa, che torma la re- gola prossima della fede, è chiaro che debbasi pria di essa e poscia favellare della parola di Dio. Ciò premesso, vediamo com'egli discorra della chiesa. Nel primo capo ce ne fa vedere la istituzione e l'origine, addimostrando senza il sussidio delle divi- ne scritture, ad evitare il tanto decantato circolo vi- zioso, che Cristo la istituì e la fondò, aftinché in es- sa i fedeli avessero acconci mezzi per acquistare la eterna salute; e però parla in questa proposizione di un fatto congiunto col diritto, vale a dire che Cri- sto istituisse la chiesa, e che si proponesse per fine il dare agli uomini mezzi acconci a conseguire la eterna salute. Or questo fatto, ossia istituzione, ci è nota in tre modi: i. Dalla stessa società , che tut- tora persevera, fiorisce, ed ha nome da Cristo: essen- do ogni società una persona morale , che mai non manca e muore, e i cui membri sono tutti gl'indi- vidui. 2. Dai motivi di credibilità , già dall' autore esposti nell'antecedente trattato De vera religione^ imperocché tali molivi, mostrando divina la religione Teologia del Perrone lag stabilita da Cristo, provano eziandio la istituzione ed origine della chiesa, che coU'istessa religione s'iden- tifica, prendendo la cosa, non già astrattamente^ ma in concreto. 3. Finalmente dalle testimonianze della scrittura riferite come documenti di scrittori coevi , i quali ci dichiarano l'economia tenuta dal Redento- re nella fondazione della sua chiesa. Nella seconda proposizione passa a dimostrarne l'anteriorità a qualsiasi scrittura del nuovo testamen- to , facendo vedere che Gesù Cristo predicò la sua dottrina colla sola voce , come portavano i costumi di que' tempi , e che per più anni si mantenne la chiesa, venendo dai pastori soltanto istruiti i fedeli. Che se in appresso gli apostoli o i discepoli di Gesù Cristo ce ne riferirono la vita e la dottrina, noi fe- cero già per comandamento o insinuazione da lui a- vuta; ma hensì o per opporsi alle private dottrine , che assai per tempo shucciarono , o per ismenti- re alcuni fatti della vita del Redentore, che si an- davano falsamente propagando, e non mai con ani- mo di darci un intero ed esatto ragguaglio della sua evangelica missione. Né al certo qui può tacersi con quanta solidità di dottrina il N. A. combatta ed at- terri l'empio sistema di Strauss e degli altri mitici e razionalisti , che non ebhero rossore di asserire , non altro essere stato Cristo, quale ci viene dai sa- cri evangeli descritto, se non un concetto ideale a simbolico delVumanità portata al sommo grado di perfezione: che il concepimento di questo tipo, nato dalla unione della dottrina o piuttosto delle idee giu- daiche con quelle orientali, è stato dagli uomini in tali dottrine iniziati immaginato nella personificazio- ne di Ciisto, la quale tramandata di bocca in boc- G.A.T.XGV. 9 i3o Scienze ca, , e come avviene accresciuta, diede in pria origi- ne "airevangelio aramen, e quindi agii altri, secondo le tradizioni derivate dalla mitologia : accomodando poi ciascuno al suo sistema l'inlerprelazione degli an- tichi profeti. Dai quali empi principii fu ben facile il far passaggio ad una chiesa istituita da Cristo a somiglianza dell'antica sinagoga, anzi migliorata , ed in cui fossero i germi della sua futura dominazione e grandezza, non solo spirituale, ma anche temporale. Il capo II si aggira sullo stabilimento della chie- sa fatto da Gesù Cristo: e divisolo in tre articoli, parla nel primo della sua anima, cioè di quella par- te ch'è invisibile e interna, ammessa anche dai pro- testanti, addimostrando che tutti e i soli giusti ne fanno parte attualmente, e non già i soli eletti; av- vegnaché possano ben esservi alcuni, i quali attual- mente non le appartengano, o perchè non sono ve- nuti alla grazia, o perchè non l'hanno ancora ricu- perata. Discorre nella seconda del suo colepo, cioè della sua parte esterna ed organica: provandola nella prima proposizione composta sì di giusti, sì di pec- catori, e facendo nella seconda proposizione vedere,, essere il corpo della chiesa formato da una gerarchia istituita per divina ordinazione, e dai laici assoluta- mente distinta: ossia che la potestà delle cliiavi non fu data da Cristo a tutto il corpo de'fedeli solidale mente, ma sì ad alcuni in particolare, e ai loro suc- cessori nel ministero. Abbatte in tal modo il sistema di Richerio sul capo ministeriale, e di quegli al- tri, che chiamando la chiesa collegio, e non già sta- to, regno, monarchia, le vogliono attribuito il mi- nistero di direzione, e non già di giurisdizione. Finalmente nel terzo articolo ^ parlando del mu- Teologia del Perrone i3i tuo commercio tra 1' anima e il corpo della chiesa (giacché non è essa, a somiglianza di cadavere, senza vita e senza moto, ma viva ed operante), sostiene es- sere slato da Cristo sfahilito questo commercio, per cui apparisce che ella vive in comune, ed agisce cer- lissimamenle per maniera soprannaturale, cioè non con una vita qualunque, ma con quella che nasce dall' inlima sua congiunzione con Gesù Cristo. Siccome poi questa chiesa vive per virtù del com- mercio tra la sua anima ed il suo corpo : e deve da tutti essere conosciuta per segni facili, e soltanto suoi propri; così passa il N. A. a discorrer le note, os- sieno le sue caratterisliche, le quali sono, come tutti ben sanno, l'unità, la santità, la cattolicità e l'aposto- licità. AtJiJimostratele con evidenti argomenti, sostie- ne nella seconda proposizione, che tutte queste ca- ratteristiche competono e dehbono competere alla chie- sa romana ; e che però da esse ben si ravvisa , es- ser lei sola la vera chiesa di Cristo. La quale pro- posizione due parti in se accoglie: l'una cioè positiva, con cui alla chiesa romana si dimostrano appartenere le suddette caratteristiche : 1' altra negativa , colla quale si manifesta esserne mancante quelle chiese, le quali sono dalla romana separate e divise. Fa poi os- servare, che col nome di chiesa romana non inten- desi già una particolare chiesa immediatamente dal ro- mano pontefice retta o amministrata, ma tutte le chie- se, che colla romana comunicano; che VA., la chiamò romana, e non già cattolica, sì per non sembrare di ammettere per certo ciò ch'è in qulstione, sì per non lasciare scampo agli avversari, i quali sebbene abbor- riscano dalla chiesa catlolica, anzi la combattano, af- fettano nondimeno di nominare cattoliche le loro adu- i32 Scienze nanze : si finalmente per escludere la nozione della, chiesa cattolica, che da alcuni, non ha molto, fu in- trodotta, quasi che giusta il sistema de'professori di Oxford, e specialmente di Palmer, fosse una riunio- ne di più sette, che fra loro si oppongono, bastando però solo che conservino il reggimento gerarchico. Dal- lo sviluppo delle quali cose, fatto colla più sottile cri- tica, e comprovato con irrefragabili documenti, con- clude : che la sola chiesa romana è la vera chiesa di Cristo, è l'unico suo corpo mistico , individuo , di continuo vivente; che, proveniente da lui e dagli apo- stoli, sempre ed in ogni luogo persevera e rimane, uni- ca sua sposa e diletta, unica sua colomba, santa ed immacolata : e che per contrario tutte le altre so- cietà da essa divise, o per la loro caparbietà espulse, sono altrettante sette anticristiane, odiate da Dio, e già condannate da Gesìi Cristo e dagli apostoli nei loro antesignani. Segue in appresso il quarto capo sulle princi- pali doli della chiesa romana, le quali sono l'indi- fettibilità nell'esistenza, l'infallibilità nell'insegnamen- to, l'autorità nel governo. Dev'ella perseverare fino alla fine de'secoli per la sua costituzione o natura, e per le sue proprietà sì interne e sì esterne, con cui cominciò ad esistere, E però fin dal suo primo mo- mento, essendo stata composta di anima e di corpo, dipendendo la sua vita dal mutuo commercio ed unione de'medesimi, e perseverando ella sempre individua , santa, cattolica ed apostolica, è necessario che per que- sti segni sempre ed in qualsivoglia tempo si possa da tutti conoscere. Dalla quale nozione d'indefettibilità si argomenta, che debbano in essa essere la visibilità, la infallibilità e la perpetuità. Imperocché la visibilità Teologia del Perrone i33 riguarda la sua parte esterna, 1' infallibilità l' officio d'insegnare, la perpetuità la sua durazione in qual- sivoglia modo o stato. La indefettibilità dunque con- siste nella perpetua permanenza nella sua natura: e però indarno dagli acattolici vuoisi essa indifettibilità confondere colla visibilità, o per lo meno in ciò ri- porsi, che ne mancheranno giammai alcuni prò fessa- tori della vera fede, ne giammai patirà difetto delle cose essenziali alla fede, né che tutte queste cose saranno giammai insieme mescolate e confuse. Fatte tali premesse, dimostra nella prima proposizione, che la chiesa è infallibile in quelle cose tutte , che ri- guardano la fede e i costumi : dandosi specialmente carico di ribattere, che questa infallibilità non favorisce ne il fanatismo, ne l'intolleranza, come vorrebbero gli avversari, rispondendo ai naturalisti, ai mitici;, e in particolar modo allo Strauss, i quali tutti oggi gior- no vorrebbero ben distinguere e separare nella re- ligione cristiana la sua forma fondamentale da quella mitica e simbolica. Sottilissimo ripiego, per cui pri- ma dal supernalismo caddero nel naturalismo, quin- di nel simbolismo, finalmente nel miticismo, il qua- le divisero in istorico e poetico, e secondo cui la scrit- tura non sarebbe divenuta se non un grande poema. Sistema che dipende dalla natura stessa del prote- stantismo, ch'è tutta subiettiva^ e per cui nella Ger- mania distinguesi il cattolicismo dal protestantismo, chiamandosi quello oggettivo^ questo subiettivo. Ed in ultimo, colla slessa autorità di Moehler, ribatte la sentenza de'protestanti, i quali dicono che colla infallibilità si sostituisca l'umana alla autorità divina: che la regola della nostra fede non sarebbe più la scrittura, ma sì l'autorità della chiesa, ossia di nomi- i34 Scienze ni dotati del privilegio, ch'essi soli si arrogano, cioè d'una ispirazione divina perennemente restante con essi : imperocché altro è essenza , altro espressio- ne di dottrina. ì^eì capo secondo sostiene L' infallibilità della chiesa nefatti dominatici, e sopra tutto assai hene l'A. si adopera per determinare il soggetto di que- sta infallibilità. Dichiara adunque per fallo domma- tico doversi intendere un fallo connesso col diritto, determinante il senso di qualclie scritto in ordine alla sua ortodossia o eterodossia inteso dall'autore , e però tutto fondato in qualche dottrina , siccome vien essa dall'autore o nel lesto, o in una proposi- zione, o sentenza enunciata e stabilita : e per dir tut- to in breve, un fatto da cui determinasi il diritto, e più semplicemente ancora, un diritto fondato nel fatto. Imperocché potendosi la dottrina di un auto- re considerare sotto due aspetti, cioè o in se mede- sima, o in tutto il nesso del discorso e nel suo sco- po, il fatto dommatico riguarda la dottrina in tutto il suo complesso, da cui viene determinato il senso non meno che la mente dell'autore. Laonde l'ogget- to della definizione, ed in conseguenza della infal- libilità della chiesa, almeno direttamente, è il diritto^ ossia l'ortodossia o eterodossia di qualche dottrina , che si contiene nel testo, ovvero in alcuna proposi- zione di un libro, siccome si rileva dal suo scopo e contesto. Dalla quale nozione ricavasi : i , che un fatto dommatico non può essere costituito dal testo o pro- posizione in se presa, senz'aversi riguardo al senso e alla niente dell' autore; 2, che questo senso e que- sta mente dell' autore non dev' essere su^gettiya e Teologia del Perrone i35 personale^ ma obbiettiva, proveniente cioè da tutte quelle cose , die ne determinano il senso esterno ; 3 finalmente , che 1' oggetto della definizione, e ia conseguenza della infallibilità della chiesa, non è un 6olo fatto distinto dal diritto, ne un solo diritto, ma un diritto inseparabilmente congiunto col fatto. Per- tanto la definizione infallibile della chiesa cade di- rettamente nel diritto ch'è fondato nel fatto. Non po- tendo poi tale dottrina con infalllbil giudizio asse- rirsi per cattolica o per eretica, se non per la rela- zione alla mente obbiettiva dell'autore, ne viene che la chiesa non possa in C07zc/'eto infallibilmente e di- rettamente decretare il diritto , senza che indiretta- mente pure non ne decreti il fatto, ch'è base, fonda- mento e radice, da cui in concreto emerge il diritto, ossia la verità o falsità, l'ortodossia o eterodossia di una qualche proposizione. Questo diritto e questo fatto distinsero, com'è noto, i giansenisti: e d'allora in poi cominciò a trat- tarsi una tal controversia , la quale è dal Perrone assai bene sviluppata, esaminando gli offici che Gesìi Cristo impose alla sua chiesa , il fine ch'ebbe nelP istruirla, e l'ordine da lei costantemente conservato nel giudicare de'falti dommatici. 11 terzo articolo si aggira sull'autorità della chie- sa, ossia sulla doppia sua potestà legislativa e coat- tiva, dimostrando in una sola proposizione: i, che la chiesa ricevette da Dio la potestà di far le leggi per la esterna disciplina: 2, che questa potestà è in se stessa indipendente e suprema: 3, ch'è coattiva , ossia che ha per sua natura la forza di obbligare alla obbedienza e di punirne i trasgressori. Né omette di far vedere che la contraria opinione da altro non eb- i36 Scienze he origine, se non dal sistema de'protestanli dell*/- dentità cioè dello stato e della chiesa , per cui quegli che regola le cose civili debba pur essere il moderatore delle cose ecclesiastiche, vale a dire som- mo pontefice ed imperatore insieme. Questo princi- pio, che rese servi e territoriali i ceti protestanti, co- minciò in Germania, propagossi in Inghilterra ed in Russia, e ad esso in gran parte attinsero le loro idee tutti coloro, che vorrebbero sottoposta alla civil po- testà la libertà della chiesa ; cose tutte che tende- rebbero, se fosse possibile, alla sua distruzione , es- sendo questa la principale lor mira. In fatti tolta al- la chiesa la libertà, ne i vescovi, ne lo stesso pon-^ tefice avrebbero autorità alcuna di correggere abusi, di richiamare alla sana dottrina, di voler l'osservan- za de'canoni ec; siccome avviene pur troppo in quei luoghi, ove una siffatta libertà vuoisi ingiustamente impedita ! Provato essere stata la chiesa da Gesù Grislo stabilita a somiglianza d' individuo vivente , ed in conseguenza composta di capo e di membra, impren- de nella seconda sezione a ragionare del suo capo, come di cosa, dalla quale assolutamente dipende la sua esistenza e salute. Viene adunque fin dal principio a parlare del primato di san Pietro, addimostrando colla scrittura e colla tradizione, che Cristo gli conferì un prima- Io di onore e di giurisdizione su tutta la chiesa , della quale lo costituì capo : e che questo primato lo ebbe immediatamente da Cristo, e non già dalla chiesa, come vogliono Richerio, Febronio ed il sinodo pistoiese. Imperocché avendo Richerio insegnato per primo, che il corpo dei fedeli fosse quel soggetto ^ Teologia del Perrone 187 in cui per istituzione di Cristo risiedesse tutta l'au- torità e giurisdizione del reggimento ecclesiastico, ne dedusse poi che il romano pontefice, i vescovi e tutti gli altri pastori non erano se non ministri dell'inte- ro corpo de'fedeli: i quali ministri a nome di esso corpo esercitavano la pastoi'ale autorità in quel mo- do stesso, che nelle democratiche repubbliche la eser- citano i magistrali: e però, secondo quest'empio si- stema , tutta la università de'fedeli avrebbe princi- palmente e radicalmente avute le chiavi da darsi a Pietro e ai suoi successori. ]Nè vuoisi tacere co- me il nostro A., confutando questo sistema, faccia os- servare quanto sia lungi dal vero, che Cristo abbia dato a Pietro il primato mediante la chiesa, ma che anzi egli stabilì, che la chiesa mediante Pietro, os- sia pel primato concessogli, godesse di tutte le sue doti e prerogative. Ed in vero Cesia Cristo operò qual saggio architettore, che pria di fabbricare l'edificio ne gitta le basi ; e però il primato di san Pietro deve riguardarsi come radice di unità, come radice e prin- cipio di autorità; finalmente come principio e radi- ce, da cui derivano tutte le altre doti della chiesa. Che se anche gli altri apostoli ricevettero da Cristo immediatamente le chiavi, fu per la straordinaria podestà^ che avevano di fondare le chiese, e di prov- vedere al loro bene : potestà peraltro che dovea coU la lor morte cessare. Tratta nel secondo capo della perpetuità dì uà tal primato, addimostrando che dopo la morte di Pie- tro doveva trasmettersi ai suoi successori fino alla consumazione de'secoli : e che questi successori altro non sono che i romani pontefici, non già per dirit- to umano, ma per divino. E siccome una tal succes- t38 Scienze sione tutta dipende dallo stabilir bene la venula di s. Pietro in Roma , e di averne ritenuta la cbiesa fino alla morte; così nella seconda proposizione col- la più fina critica esamina una qiiislione , la quale nel compiersi del secolo scorso era quasi sopita : ma ehe ora si rimise in campo dai biblici , pretenden- dosi che la Babilonia , da cui scrisse san Pietro la j prima lettera, debba intendersi della metropoli della Caldea: e però non solo non esser mai egli venuto in Roma , ma molto meno esserne stato il vescovo. Pertanto coirautorità di tutti gli autori coevi , coi calalogi de'romani pontefici, con tutti gli antichi mo- numenti, che in Roma si trovano , col consenso di tutti i fedeli, i quali ab antico hanno peregrinato ai llmini apostolici, sostiene, o non darsi verità isteri- ca in alcun fatto, o esser fuor d'ogni dubbio , che san Pietro sia venuto in Roma, abbia fondata la chie- sa romana , ed in questa città abbia sparso il suo sangue. Che poi i romani pontefici, successori nel ve- scovato di Pietro, si abbiano un tale primato per di- ritto divino, e non già per umana, o ecclesiastica, o politica disposizione, ben lo determina nella terza pro- posizione: avvertendo, doversi distinguere dalla suc- cessione de' romani pontefici nell' episcopato roma- no , ossia nella cattedra e sede di s. Pietro^ dalla successione nel suo primato. Imperocché la succes- sione nel vescovato di Pietro è di diritto ecclesiasti- co, la successione nel suo primato è di diritto divi- no. La successione alla sede di Pietro è la condi- zione sine qua non per succedere al suo primato , il quale per istituzione di Cristo essendo perpetuo, e legalo alla persona di Pietro, ne viene, che quegli Teologia, del Perrone iSg il quale gli succede nel vescovato, per disposizione il di Cristo, debba anche nel primato succedergli. Gol- la quale distinzione sono assai bene tolte via mol- i tissime difficoltà, le quali potrebbero nascere dal con- j fondersi insieme Tepiscopalo col primato. Cristo a- i dunque dette a Pietro il primato di giurisdizione su li tutta la chiesa per mantenere l'unità, la perpetuità: ' e dovette questo primato per volontà di Cristo me- desimo discendere ne' suoi successori. Pietro però , fche per la ragione dell'apostolato avrebbe potuto non eleggersi certa sede, affinchè dopo la sua morte non rimanesse incerta la successione del primato , dopo avere per alcuni anni retto la chiesa di Antiochia , j venne in Roma, vi stabilì l'episcopato, e lo ritenne fino alla morte. Finché Pietro tenue il vescovato ro- mano, tenne anche il primato divinamente conferito- gli in tutta la chiesa , e qual vescovo romano per- sonificava, per così dire, Vanità della chiesa , es- sendo la stessa cosa vescovo romano, primate e cen- tro di unità di tutta la chiesa. Quelli che successe- ro all'episcopato di Pietro ebbero per naturale dirit- I te di successione l'uno e l'altro officio di episcopa- to , cioè e di primato innestato , per così dire , da Pietro alla chiesa romana. Alla morte di esso rima- sero inseparabili l'una e l'altra dignità per modo, che più non potessero dividersi: altrimenti ogni chiesa po- trebbe attribuirsi questo primato o indipendenza , e sarebbe finita quella istituzione di primato voluta da Gesìi Cristo per la unità della chiesa. Nacque cosi quella giustamente chiamata dal conte De Malstre Reale presenza di primato esercitato dai romani pontefici fin dall'infanzia della chiesa, per cui o con- ^idannarono eresie, o sanzionarono discipline univer- i^-O Scienze sali, o deposero vescovi , o fecero altre siffatte cose a noi tramandate dalla storia de'tre primi secoli. La quistione era molto sottile , e però ci siamo alcun poco in essa diffusi. La natura e i diritti di questo primato sono esa- minati nel capo terzo in cinque distinte proposizio- ni. Dimostrasi nella i, che l'autorità, di cui per dì- vino diritto è rivestito il romano pontefice, è auto- rità episcopale , la quale non solo abbraccia tutti i cristiani , ma eziandio tutti i vescovi. Nella 2, che in virtù di questo primato ha una suprema autorità sopra i vescovi anche nel concilio generale; purché si tratti di pontefice certo, legittimo e vivente ; ne parlisi di concilio ecumenico, cui il papa o di per se stesso , o per mezzo de' suoi legati presieda : ne manca in questa proposizione di esaminar la senten- za gallicana sulla superiorità del concilio al papa : facendo ben notare, che il primato del romano pon- tefice per sua natura altro non è, che l'autorità epi- scopale sopra tutta la chiesa, e che però il suo pri- mato per la somma sua autorità avanza tutti i ve- scovi cattolici della chiesa adunati al concilio, ossia ch'esso ha questa suprema autorità per divina istitu- zione anche sopra il concilio generale, prout distin- ctim a romano ponti/ice spectatur. Ed in vero se nel sinodo diocesano è il vescovo ad esso superiore solo perchè è vescovo , dovrà altresì il romano pon- tefice esser superiore al concilio generale, perchè egli è il vescovo de' vescovi, il vescovo universale. Inol- tre Cristo ( Matth. XVI ) stabilì Pietro , e in con- seguenza i suoi successori, fondamento di tutta la sua chiesa ; dunque anziché dire che i vescovi uniti nel concilio divengano fondamento di Pietro, e capo di Teologia d«l Perrone i4i lui, deve confessarsi che anche nel concilio genera- le Pietro e i suoi successori sieno il fondamento e il capo dello stesso concilio, ossia che il romano pon- tefice abbia una suprema potestà anche sopra i vescovi insieme adunati al concilio. La qual cosa meglio il N. A. appalesa col senso di tutta l'antichità, cui fu ignota la pretesa distinzione di vescovi distributiva-' mente e collettivamente presi. Dalla naiura di que- sto stesso primato fa nascere la 3 proposizione , in cui dimostra spettare al solo pontefice di adunare i concili universali, di presiedervi, di sanzionarli col- la sua autorità, checche ne dicano gli aulici scrit- tori, che attribuiscono un tal diritto alla potestà po- litica, o per lo meno vogliono non competere al par pa, se non per tacito consentimento de'principi: quan- do la cosa è opposta del tutto, come dalla storia ec- clesiastica evidentemente ricavasi. Nella 4 proposi- zione sostiene, che i decreti dommatici di un ecu- menico concilio confermati dal romano pontefice so- no irreformablli di sua natura, ossia prima ancora del consenso e deiraccettazione della chiesa, la quale i giansenisti richiedono per togliere le dubbiezze sulla legittimità de'concili ecumenici, e prendendo per chiesa non solo i vescovi, ma anche i cherici inferiori e per fino i laici. Le quali cose confondendo il Palmer, so- stiene che la legittimità del concilio ecumenico le- gittimamente celebrato e confermato è una cosa di mera opinione nelle chiese romane, quasi che esse più fossero e non una soltanto, e che il concilio non abbia autorità irrefragabile senza il consenso della chiesa universale. Ed in vero che altro mai sono i concili ecumenici, se non la chiesa stessa congregata, 0, se più piaccia l'espressione, la chiesa rappresenta- 1^2 Scienze tiva ? Non sono forse essi come le pubbllclie adunan- ze politiche ? Ma la chiesa ha un'autorità infallibi- le: dunque anche di essa deve, secondo le divine pro- messe, godere il concilio universale. In fatti il pri- mo de'concili, cioè il gerosolimitano, norma ed esem- plare di tutti gli altri, per ciò che riguarda la fede e i costumi, giustamente adottò la formola visum est Spiritui Sancto et nobis. Ora non potendo lo Spi- rilo Santo soggiacere ad errore, ne viene per legit- tima conseguenza , che nemeno possa esserlo il si- nodo, il quale si aduna sotto la particolare assisten- za e presidio di esso Spirito Santo. Yerllà, che il Perrone dimostra col senso di tutta l'antichità, la qua- le subito tenne per eretici coloro, che non obbedi- vano ai decreti dommatici pubblicati dal concilio : dalla scomunica da essi concili inflitta a quelli che dicevano o sentivano in contrario alle cose definite: dal criterio che gli antichi dettero per conoscere la legittimità di un concilio, il quale è la confermazione del pontefice: e daU'essersi tenuti sempre e solo per legittimi concili gli approvali dal pontefice , chia* mandosi spuri, o latrocini gli altri lutti, come a mo- do di esemplo l'efesino li e l'ariminense ec. Finalmen- te nella 5 proposizione dice, essere vana e contraria alla natura del primato la distinzione del Febronio tra i diritti essenziali e accidentali di esso prima- to. Finta e distruggitrice del romano primato, per- chè fondata sopra falso principio distruggente la na- tura stessa del primato , e ignota a tutta l'antichi- tà ! Arbitraria poi; i, perchè non v'è alcuna ragio- ne per cui la desumino piti tosto da primi sei o sette secoli, e non pure dai tre seguenti, o più to- sto non la restringano ai soli tre primi come fecero Teologia del Perrone i43 iloro antesignani e maestri; 2, perchè non vi è ra- gione per cui gli essenziali dirltli abbiano questo ne- cessario nesso, quando altrettanto dovrebbe dirsi de- gli accidentali , se riguardino il bene della chiesa ; 3, perchè i soli avversari si fanno giudici nello sta- bilire questa dislinzlone di diritti; 4? perchè è desti- tuta d' ogn'istorico fondamento. Falso finalmente il principio, che il diritto antico della chiesa sia immu- tabile, essendo stato libero mai sempre al pontefice, in virtù del suo primato, il cambiare e il conservare le antiche cose della disciplina, come la ragione de' tempi e il bene della stessa chiesa esigevano. L' autore nel quarto capo passa finalmente ad osservare le doti di questo primato, le quali, come si è detto, sono V infallibilità , V autorità e Vindifetti- bilità. Rilevandosi quest'ultima dalla cronologica se- rie de'papi, ed avendo dell'altra bastantemente detto in addietro, restringesi l'autore solo a discorrere della infallibilità. E a far bene conoscere lo sialo della qulslione premette: i, che per nome di dommalica definizione s'inlende un decreto del pontefice, in cui sotto pena di censura o scomunica propone alla chie- sa alcun che, come appartenente, o contrarlo alla fe- de, e però né i fatli personali, ne i precetti , né i rescritti, né le opinioni spesso dai pontefici esterna- te, né i decreti disciplinari , né altre siffatte cose, benché per altro esser debbano di peso per la gran- de autorità di colui che le promulga, appartengono a tali decreti : 2, che suole controvertersi, se tali de- creti abbian forza per astringere tutti e singoli a pre- starvi l'interiore assenso deirintelletto e della volon- tà prima della tacila od espressa accettazione della chiesa, come giudizi irreformabili, o no : cosa negata i44 Scienze solo da coloro che mettono in dubbio la infallibilità del pontefice : 3, che quelli , i quali sostengono la infallibili là del pontefice, anche prima dell'accettazion della chiesa , non dividono il pontefice dalla slessa chiesa, quasi che considerino separatamente prima il capo e poi le membra, ossia il corpo; imperocché ciò sarebbe lo stesso che da lui toglier la dignità di ca- po; essendo appunto il romano pontefice capo della chiesa, perchè coslituisce con essa un corpo com- posto di capo e di membra. E però allor quando ex officio fa egli una dommatica definizione, e la propone a tutta la chiesa , spiega come centro il ministero dell' autorità a lui da Gesìi Cristo com- messa : 4> che quando il romano pontefice emet- te le sue definizioni di fede non manda fuori le proprie, ma bensì quelle, le quali sono nel deposito della rivelazione , e trovansi già o nella scrittura o nella tradizione. Ora se nel deposito della rivelazio- ne stassi la verità della fede, che dal romano pon- tefice si slabiiiàce, non può affatto avvenire, che tut- te le altre chiese professino una fede diversa da quel- la, ch'egli definisce, e che necessariamente è pur con- tenuta nella tradizione della chiesa romana, la qua- le , in quanto ha il romano pontefice per vesco- vo , è parte essenziale di tutta la chiesa. Anzi in 5 ed ultimo luogo aggiunge, che questa quistione , come dicono, in concreto e in pratica è presso che inutile. Imperocché quando qualche errore o eresia sorge in taluna parte, i vescovi di quel luogo il più delle volte sono i primi che prendono le armi con- tro quella novità, ne avvertono il pontefice, e ne ri- chiedono da lui il giudizio e la definizione. Esami- na egli allora la dottrina con matura e lunga rifles- Teologia del Perrone i^5 Mone, si mettono in luce dall'uno e dall'altro lato le ragioni, tengonsi, se fia d'uopo, i concili nazio- nali e provinciali, e passan piìi anni pria che la con- troversia si risolva; il perchè quando la santa sede emette il suo ultimo giudizio, fu già ben maturala e svolta la quistione. Laonde non mai accade, o clie la chiesa insorga contro un doramatico giudizio emes- so dal pontefice, o che riformare lo possa ; né mai avviene che il pontefice sia stato solo ad emanare dommaliche defniizioni. Che se i vescovi si dividano, ed altri sliancol pontefice, altri contro di lui, a niuu cattolico è ignota la regola data da sant'Ambrogio: Ove è Pietro, wi è la chiesa. Dopo le quali giu- stissime premesse stabilisce essere infallibile il roma- no pontefice nelle cose di fede e di domma, e che i suoi decreti sono irreformabili anche pria che vi si unisca il consenso della chiesa. Ciò che in separate proposizioni dimostra ricavandolo: i , dalla sacra scrit- tura: 2, dalla tradizione: in ultimo dal fatto stesso de'romani pontefici, ninno de'quali errò giammai ne' decreti dommalici : restringendo il vasto numero dei pontefici prodotlo dagli avversari a due o al più tre, vale a dire a Pietro che negò Gesù Cristo, a Libe- rio e ad Onorio : e ad evidenza provando che nep- pur uno di questi tre errò in fatto dommatico. Im- perocché nella caduta di Pietro non si dette alcuna definizione di fede ■ giacché ne la chiesa era allora solennemente stabilita, né il primato in atto confe- rito, ma solo promesso, in grazia del quale egli ed i successori furono della prerogativa d'infallibilità for- niti. In Liberio non tratterebhesi già di una defini- zione di fede data a tutta la chiesa, ma al più di una formola fattagli con frode sottoscrivere, e che appa- G.A.T.XCV. 10 i46 Scienze lesava un senso cattolico : la quale sottoscrizione è pur molto dai buoni critici inessa in dubbio. Final- mente Onorio ne fu allucinato dall'astuzia de' mo- noteliti, né definì una cosa dominatica, come costa dall'esame di questa controversia fatto senza passio- ne e con sana critica. Così compiesi la prima parte di questo trattato, di cui, dal poco cbe ne abbiamo detto, può bene rav- visarsi il pregio. Bella lode siane dunque data al Per- rone per avere il primo immaginala una tal macchi- na, ed averla disposta per modo, die si renda ammi- rabile per l'orditura , chiara pel nesso e per la di- pendenza, sicché tutte le cattoliche verità l'une col- le altre s'incatenino per modo, che non solo ne ri- sulti il bello di queir edifizlo dal divino Redentore istituito, ma possa l'A. con una logica sempre pili fina e calzante ridurre gli avvei'sari alle ultime strette. F. FabI MoiVTANI. — «G^g&0«»— i47 DfgVistituti di pubblica carità ed istruzione pri- maria^ e delle prigioni in Roma , libri tre di D. Carlo Luigi Morichini prelato romano. Nuo- va edizione. ì^lj turni due in 8. Roma tipograjia Marini e compagni iZ^2. xmllorcliè , sono adesso sette anni , il chiarissimo autore donò al pubblico la prima stampa del suo uti- lissimo libro , noi fummo infra i primi a recare al medesimo le congratulazioni nostre ed i nostri ap- plausi, vedendo lui esser volto a porre in evidenza le grandi e molte opere della carità romana, con istu- dio tanto degno di qualunque onora in essa non so- lamente uno de'piìi be'fregi della patria nostra , ma della santa morale delTevangelio che vi ha la sua cat- tedra e la sua sede. Ed ora che l'egregio prelato man- da di nuovo nelle mani del pubblico l'opera sua, ac- cresciuta d'un modo che esso solo poteva farlo, ci è grato di ritornare a tener proposito di questa utile 6ua fatica. Tiene in essa il primo luogo una prefazione, nella quale con molta dovizia di erudite ricerche si pone in piena evidenza: che la religione di G. C, collo sta- bilire il gran comandamento della carità^ miglio- rò di molto Vinfelice condizione delVuomo. E di vero le religioni state infra popoli del mondo anti- co falliron tutte a quel gran segno dello annodare e stringere d'un tal nesso le separate, e pur troppo di- verse condizioni dell'umana famiglia. Ve n'ebbe an- i/S Scienze zi, che tulio all'una parte consentenclo, e lutto ali* altra negando, colla dottrina degli auspicii tolse a gran parte del popolo non solo il partecipare all'autorità sua, ma perfino il comunicare nelle cose che di religio- ne fossero (i). Una morale così fatta inspirar non po- teva all'uomo sensi di gentilezza e di affetti frater- ni. E ne conseguiva che i costumi de' popoli più a severità inchinassero che a benevolenza, ne fosse prov- veduto per legge, ne invalso per costume, il sovveni- re a coloro, i quali caduti fossero nella indigenza. E, per farsi dal principio di questa istoria non lieta, ri- corda l'A. eh. universale essere stato non meno che an- tico il costume crudele di esporre i bambini dall'alvo materno alla ventura o alla morte; ne questo parendo pur molto, fu per legge di Solone esteso ancora all'uc- ciderli; e, per legge di Licurgo, comandato in quanto risguardava i nati storpi o di non robusta fazione di membra. Poi parlando degli scarsi aiuti offerti al po- vero ed all'infermo, dimostra quali fossero gli asclepii, aperti piuttosto dall'interesse che dalla compassione dei sacerdoti, di che Luciano chiamava il tempio di Escuìapio in Pergamo la bottega di qneWiddìo. Vero è però che in alcune contrade incontrano ordinamen- ti più al povero soccorrevoli; ed è da osservare che sorsero di mezzo al fiorire della maggior civiltà; co- sì Atene ebbe in cura che gli esposti bambini si al- levassero: che i cittadini fatti inabili a procacciarsi il vivere fossero soccorsi dal pubblico; e vide formar- si private società di uomini facoltosi, i quali, posti (i) Lascio della schiavitù che l'uu uomo poneva in forza del- l'altro, nou più come uomo, ma come dell'inaaimato gregge dei bruti. Instituti di carità' EC. 1^9 in comune danari, ne porgevano aiuto a chi ne fosse vissuto in bisogno. Molto pure si provvide da Roma alla buona e generosa istituzione de'fanciulli: vero e potente mez- zo a far migliore la condizione del popolo, e a svel- lere dalla radice la mala pianta della povertà- I mo- numenti della lapidaria e della numismatica, amplian- do il detto degli scrittori, ne han fatto conoscere, che fanciulli e fanciulle si alimentavano de' redditi dei municipiì, 0 delle colonie, o di privata larghezza del principe; e forse si potrebbe dimostrare, non essere una tale beneficenza cessata cosi prestamente come comunemente si afferma. Ma nessuno altro popolo offrì mai tante leg- gi utili a prevenire la povertà od a soccorrerla, quan- te il popolo ebreo. L'aiuto del bisognoso era vene- rato come un divino precetto; e l'autore eh. ne fa pienamente conoscere le benefiche conseguenze. Era però serbato a quella religione, che restituì intera agli uomini la primigenia loro dignllà, di consacrare la beneficenza, chiamando i ricchi al soccorso de'poverl, ed obbligandoli ad esso non punto meno che l' un fratello all'aiuto dell'altro. Il quale spirito di carità attestanrlolo Dionigi, il santo vescovo di Corinto, se- gnalò fino da'prlmi secoli dell'orbe redento la chiesa di Roma. E ben l'autore riflette che: I romani pon- tefici, come si conveniva agli augusti capi della, religione inspiratrice della carità^ ne diedero mai sempre i primi e pia generosi esempi. E ricorda il santo Fabiano, che sedeva nell'anno 284, aver di- viso la cura de' poveri a sette diaconi , assegnate a ciascuno due regioni della città, siccome a sette no- tari era dato ufficio di scrivere le geste de' martiri. i5o Scienze Ricorda statuito da s. Silvestro nel concilio di Ro- ma, eh' ei presedeva presenti Costantino ed Elena , che il quarto de'redditi della chiesa fosse a benefi- cio degli infermi e de'poveri. Poi dice di Fabiola, ro- mana illustre, com'ella correndo l'anno ^oi aprisse un ospedale a'malati. In quel torno Gallicano, uomo consolare noverato poscia fra' santi, e Pamachio, ne fondavano altro alla foce del Tevere pei pellegrini ed infermi. Laonde opportunamente conchiude : ricche matrone, patrizi e cousolari uomini, romani ponte- fici soprattutto, avere apprestato esempi di carità: e Roma, accrescendo sempre lo splendido retaggio tra- smessole , esser divenuta così ricca d' istituzioni di beneficenza, da portare il vanto sopra la città tutte* Queste sue glorie però non così essendo comune- mente alla universale notizia come le aitile , mos- sero 1' egregio prelato a tessere il lavoro che com- mendiamo. E fu ragione: perchè quantunque sia vera indole della cristiana carità operare tacendo, oggi che per ogni dove di carità si parla e si scrive, non più era dicevole che si rimanesse nella oscurila e nel silenzio l'operalo di Roma, che di queste sante azio- ni fu in ogni tempo maestra. Ne si è l'A. punto in- gannato avvisando, che il suo scritto tornerebbe a be- ne. E noi siara fermi nel credere, non vi essere al- cun altro spettacolo tanto nobile e tanto profittevo- le , quanto il vedersi schierate dinanzi agli occhi le istituzioni di oltre sei secoli, ne'quali si è fatica- to a fondare, aggrandire, ristaurare i ricetti d'ogni ma- niera per la sofferente umanità : vedere l' influenza che s'ebbero sul costume del popolo : vendicare alla carità religiosa tante istituzioni di vera civiltà : con- segnare alle lettere i nomi degl'illustri quanto modesti Instituti di carità' ec. i5i Benefattori degli uomini, che senza questo giacerebbe- ro in un' ingiusta obblivione : illuminare e dirigere coloro cbe vogliono o delibono <:onsacrare la loro so- stanza a vantaggio degli infelici. Ed è pur giusto quel- lo che l'autore eli. siegue dicendo: avere la carità di Roma a nominarsi carità cattolica, cioè a dire uni- versale. Perciocché ( lo dico colle sue stesse parole ) quasi tutte le nazioni amichevolmente cospirarono a fondarvi utili e begli istituti, tanto che trovi ancor vivere in Roma, o in un ospizio, o in" una chiesa , e talvolta ancora in una contrada, la rappresentanza di alcune nazioni che sparirono dalla faccia di'^Eu- ropa. Non v'ha straniero che in Roma non trovi soc- corso, non solo se sia pellegrino, ma se infermo al- tresì o abbandonato. I forestieri non sogliono essere accolti dagli instituti de'popoli europei ancor più col- ti : in Roma non vi è spedale, ospizio, casa di ri- covero, che non riceva anche lo straniero. Se scor- ri i fondatori ed i restauratori de'luoghi pii, scorge- rai che tutti gli ordini di persone vi cooperarono generosamente , e vi leggi insieme nomi di sommi pontefici, cardinali, prelati, principi, dame, ed anche uomini privati ed oscuri ; sicché vedi che la carità vi ha ravvicinato non solo le nazioni, ma tutti I gra- di eziandio e le condizioni degli uomini ( car. 28 ). Premesse queste cose, e toccalo delle cure poste nel visitar di persona, e vedere co' propri occhi quanti luoghi sono in Roma destinati ad uso di beneficen- za, e avendo enumerato i lavori di coloro che trat- tandone lo precedettero, si fa l'A. eh. più presso al suo argomento; e veduto co'filosofi quali sleno i bi- sogni, che r uomo intende a soddisfare colla civile raunanza della città: e questi in somma ridursi: alla i52 Scienze sussistenza: alla educazione: alla tutela; ordina l'ope* ra in tre divisioni sotto tali tre titoli. 11 primo dei quali comprende le inslituzioni che sovvengono al povero ne'suoi materiali bisogni: dove de' sussidi di ogni maniera largiti in Roma agli infermi, ai demen- ti, ai frescamente riavuti dal male negli spedali, nel- le case, ne'ricoveri notturni, ne'ricetti della vedovan- za; e similmente de'soccorsi a domicilio, pubblici la- vori, doli e monte de'prestiti. Nel secondo della i- struzione ed educazione, difesa del povero , istituti di provvidenza; dove degli ospizi, conservatori!, scuo- le ài qualsiasi genere, società di soccorso scambievo- le. Nel terzo della educazione correttiva: dove delle diverse prigioni , delle opere a prò dei prigionieri « della famosa riforma penitenziaria. Le diverse notizie con molta industria raccolte ed or- dinate sotto questi capi, vengono a libro a libro presen- tate sotto d'uno special punto nelle tavole sinuttiche, che servono di corredo all'opera. Alla quale si apro monsig. Morichini l'adito, trattando nel primo capitolo della popolazione di Roma: della carità in generale:del- la agricoltura, industria e commercio: de'salari : del modo di vivere dell'operaio: della difficoltà di formare un'esatta statistica de'poverl, e propone nuovo metodo per riuscirvi. Vede ognuno di quanta gravità riuscir debbano ricerche così fatte: e noi senza seguire ad ogni passo l'autore chiarissimo ( e il faremmo pur vo- lentieri , ove di troppo non ne fossimo tratti fuori de'limiti assegnati al nostro lavoro) rimandiamo vo- lentieri, chi vago ne fosse, alla fonte medesima del suo libro. Vogliamo però non tacere quel nuovo modo, ch'egli reca innanzi, onde potere facilmente conosce- re il numero de' poveri che sono in ciascuna città. Instituti di carità' eg. i53 Tutti , COSI egli ragiona , quei die muoiono e non hanno i funerali , o sono sepolti , come dicono fra noi, per carità, sono certamente poveri. Imperocché e l'amor de'conglunti, che ci porta ad onorare me- glio che si può i propri trapassali , e le leggi e ì diritti del clero, non permetterebbero quel modo di sepoltura a chi non fosse di quella classe. Or dun- que parrebbemi doversi tenere esatto novero di quelli sepolti per carila, e vedere in qual proporzione essi stanno colla popolazione, e far quindi i paragoni fra luogo e luogo. A cagion d'esempio, una cillà è abi- tata da centomila anime, e vi muoiono annualmente quattro mila individui. Di questi una quarta parte è sepolta senza funerali: dunque ha venticinque mila poveri. E quando dico funerali, non intendo già quel- le preci, e quel divoto e, semplice accompagno del sacerdote al sepolcro, che la religione comparte an- che ai più mendici ; ma bensì quella pompa più o meno solenne che suole usarsi in tai casi. INè la maggior mortalità, che si osserva nella classe indigen- te, altera il calcolo : perocché ciò ha luogo in ogni paese. E qui è a notarsi che i matrimoni de'poveri sogliono essere più prolifici: dal che si ristabilisce l'e- quilibrio ( pag. 34 )• I capitoli seguenti, dal secondo al duodecimo, Iratlano degli ospedali di Roma, loro fondatori, restauratori, edifizi, numero, destinazione e capacità delle sale, ricevimento degli infermi, or- dinamento interno, nettezza , cimitero : loro ammi- nistrazione, assistenza spirituale, pie società in ser- vigio degli infermi, reggimento sanitario, famiglia, bi- blioteche, scuole ( se ve ne siano ), rendile e spese, tavole stalistiche per dieci anni ec. A chi scorra que- ste carte del dotto prelato sarà presente una gran- i54 Scienze de testimonianza di quanto abbia in ogni tempo o- perato in Roma una cavità efficace a prò di tutte le soffcrenze e di tutte le classi. Noi sciegliam volen- tieri come un saggio di quanto abbiamo affermato (che è pure dimostrazione della cattolica civiltà, per la quale nessuna parte del mondo è in Roma stra- niera) il capitolo nono, dove degli ospedali partico- lari e dei nazionali. Quegli che percorre le vie di Roma ( così l'autore ) s'imbatte alle volte a leggere nomi de'popoli, come de' borgognoni, de' lorenpsi, àe" polacchi e di altrettanti nazionalità, la rappre- sentanza delle quali or piìi non vive che in Roma negli ospizi, negli spedali, nelle chiese, le quali die- dero nome a quelle contrade. Medesimamente altre vie ancor nomansi degli artigiani od esercitanti i me- stieri che r abitavano , o da qualche istituto di re- ligione o di carità , che loro per origine e per go- verno appartenne. Ciò mostra come tutte le nazio- ni cattoliche avessero in Roma stanza e ricetto , sia che loro il desse Roma medesima a significazio- ne di animo materno, sia che esse stesse sei procac- ciassero per desiderio di essere più strettamente le- gate colla superna sede della fede. L'altro fatto in- dica che anche in Roma, come altrove, v'ebbero per lungo tempo le famose università delle arti e dei me- stieri, che fra noi formatesi per l'interesse economi- co, vi ebbero aggiunto, a più saldo vincolo, il prin- cipio religioso e caritatevole; e tutte aveano chiese, oratorii, congregazioni, compagnie, spedali, limosino (pag. Ili ). E lasciando degli ospedali che sorsero dalle mae- stranze delle arti, per non toccare della estinzione di esse, da molti giudicata utile, e che noi teniamo Instituti di carità' eg. i55 invece essere riuscita in danno delle arti e delle in- dustrie, anzi degli artefici medesimi, e che cosiffatte comunanze fossero da cnreggere meglio che da estin- guere; passeremo a ricordare di volo gli ospedali che lianno ed ebbero in Roma le diverse nazioni. E, ìnco- niinciando dalla italiana, sedendo Sisto IV, stabiliro- no alcuni lombardi pe'nazionali loro un ospedale, che si disse de'ss. Ambrogio e Carlo. Sono in esso, secondo il numero medio fatto conoscere all' A., accolli an- nualmente intorno a quarantacinque malati. Nel 1606 i fiorentini eressero l'ospedale di s. Gio- vanni a via giulia, fatto un cumulo di limosine. Qua- rantatre anni dopo Giovanni Gualtierotlo, sacerdote lucchese, fondò l'ospedale pe'suoi connazionali presso alla chiesa di s. Croce e Bonaventura a pie del Quiri- nale. L'arciconfraternila de'bergamaschi che già eb- bero ospedale in Roma, chiuso questo per le passate vicende, continua a sussidiare, 0 al domicilio, o nell'o- spedale di s.Gio. di Dio, i poveri infermi della nazione. Antichissimo è l'ospedale degli spagnuoli, arago- nesi, raaiorichini, catalani, valenziani e sardi , fon- dato per gl'infermi sudditi del re d'Aragona dalle pie donne Giacoma Fernandez e Margherita di Maiorl- ca fin dal i35o. Al quale è stato unito l'altro sta- bilito nelTaniio del giubileo i45o, sotto l'invocazio- ne di s. Giacomo, da Alfonso de Paradinas vescovo di Rodrigo pei pellegrini infermi, e feriti della na- zione di Spagna. In s. Antonio de'portoghesi si aprì uno spedale A ricovero de'malati della nazione nel i43o. I fiammin- ghi ebbero in s. Giuliano ospizio e spedale, che Ro- berto conte di Fiandra ristaurò nel ioq4. Ora non comportando lo scarso numero de' pellegrini e degli inferrai il tener aperto tale ricovero , data ai primi t56 Scienze limosina affinchè si proveggano, si mandano gli altri all'ospedale di s. Giovanni di Dio, Que' della nazio- ne teutonica ebbero pel sesso migliore ospedale in s. Maria dell' Anima, fondato da Pietro Fiammingo nel i5oo. Il quale ne stabilì un altro per le donne della nazione medesima in s. Maria in Camposanto. Adesso il secondo è andato distrutto, e il primo ri- ceve piuttosto i pellegrini che gl'infermi. Stanislao Osio, cardinale della S. R. C. e ve- scovo varmiense, deliberò d'erigere un ricovero pe'po- veri pellegrini della Polonia: al quale effetto Grego- rio XllI gli concesse la chiesa di s. Salvatore, che è quella medesima oggi dedicata a santo Stanislao. Mancato il cardinale, provvide alla pia opera con l'ul- tima sua volontà, ordinando nel suo testamento, che de'suoi averi fosse fondata. E lo fu infatto nel i58o. In questo ospedale si deve ai pellegrini polacchi l'alog- giare e il vitto per più giorni, e dove cadano inferrai, fino a che ricuperata abbiano la sanità. Olire a questi ben molti altri erano i nazionali ospedali che un tempo in Roma fiorivano, monumento di religione e di ca- rità di tanti popoli cattolici. L'autore ricorda quello de' goti eretto in piazza Farnese da s. Brigida nel XIV secolo : quello degli inglesi fondato nel 1848 , che Gregorio XIII convertì nell'attuale collegio inglese, unitovi un altro minore ospedale, fondato pe' mari- nari d'Inghilterra da un mercatante di quella nazio- ne dietro al chiostro di s. Grisogono. Ricorda quello degli scozzesi presso la chiesa di s. Andrea vicino a piazza Barberina. Similmente quello che i francesi ebbero in s. Luigi, fondato nel i474 ? ^ bretoni in s. Ivo, stabilito nel principio del secolo XVI e unito poi a quel di Francia; i borgognoni in s. Claudio, che dotavano dal 1662. Poi rammenta l'ospedale de'boe- Instituti di cArita' ec. iSy mi, stabilito fino dal secolo X rimpetto s. Lucia del gonfalone, e ristaurato da Carlo IV imperatore e re di Boemia nel iSSy. Ricorda come nel secolo X, ve- nuto in Roma s. Stefano re d'Ungheria alla visita de' luoghi santi, vi erigesse un ospedale pe'propri sudditi. Medesimamente fa menzione di quello che gli armeni ebhero nel i552 in una casa presso s. Lorenzuolo de' Caballuzzi al ponte B'abricio; e gli altri degli abis- sini, alla chiesa di s. Stefano dietro la basilica va- ticana; degli schiavoni, in s. Girolamo a Ripetta; de' genovesi in s. Giambattista in trastevere; de'siciliani in s. Maria d'Itri, o di Costantinopoli. Tanto era sti- molo alle nazioni l'esempio della carità di Roma, e tanta parte di esse vi accorreva alla venerazione de' santi suoi luoghi ! Segue nel capitolo XIII l'autore eh, a trattare de'poveri, non raccolti in pubblici e caritativi stabi- limenti, ma chiedenti mercè alle porte de' santuari. Tratta de'raendieanti alle quarant'ore, e dell'origi- ne di questo costume; della compagnia, ora estinta, di s. Elisabetta; della istruzione che può darsi a'cìe- chi, e degli istituti aperii a questo fine, fra i quali nella nostra Italia la città di Napoli ha il vanto del migliore e maggiore che forse esista nell' istituto di san Giuseppe e di santa Lucia, promosso dalle cure del cavaliere Sancio e dipendente dal reale alber- go de'poveri. I ciechi nati, o divenuti, vi hanno scuo- la di leggere, scrivere, aritmetica, geografia, sfera ar- millare, geometria piana e solida, di storie, di lin- gue; e perfino di filosofia, di poesia, di musica. L'au- tore, che lo visitava nel i836, vi trovò 2^3 ciechi; e fu con sorpresa e commozione, che ad alcuni di essi intese eseguire due pezzi di musica, vide un al- lieva comporre Ire o (juattro righe di scrillura a stana. i53 Scienze pa, elle da un suo compagno furono impresse col tor- chio: dimostrarsi da altri sopra figure rilevate alcuni problemi di matematiche, o rispondere alla richiesta di date, e a domande intorno alla geografia d'Europa. Il capitolo XIV dice dei soccorsi dati aU'infer- mi a domicilio, che sono: dell'elemosineria apostolica, delle suore della carità, della confraternita della per- severanza, della arciconfraternìta della morte e del- Forazione. Tratta nel capitolo seguente degli ospizi e case di ricovero, incominciando da quello di santa Galla di Marcantonio Odescalchi, fondato e mantenuto dalla sua principesca famiglia, dove gli uomini hanno ricovero nella notte. Poi di quello aperto dal padre Galluzzi sotto rinvocazione di s. Luigi Gonzaga, nel quale sono d'ugual modo accolte le donne : finalmeur te delle molte case, nelle quali sono le vedove alber- gale nella città. Il sacro monte di pietà, sua fondazione per ope- ra del p. Calvo, direzione, fabbrica, valore della pre- stanza, regolamenti, frutti del danaro prestato, e nu- mero de'pegni, custodia, beni, rendite e crediti oc- cupano il capitolo XVI. Si tratta nel seguente del sussidio de'pubbhci lavori: nella quale occasione pro- pone l'autore vari lavori che sarebbero utili a farsi per l'abbellimento dt-lla città, e perchè i poveri della beneficenza prestassero una opera piìi assidua e più utile che forse non fanno. La limosineria apostolica e la commissione dei sussidi occupano con la loro istoria, e quella delle pie opere che ne emergono,! due seguenti capitoli. Nel vjgeslmo sono compresi gl'istituti caritatevoli, che sov- vengono a que'poverl, i quali vissuti già in agiata con- dizione vergognano di stender la mano ad implora- re l'altrui soccorso : dove dell'arciconfraternita de'ss. Instituti di carità' ec. iSq dodici apostoli, della congregazione urbana degli au- lici a san Lorenzo in fonte , della congregazione della divina pietà al ponte Cestio. Della eguale, che col mezzo di deputati usa di dlstriliulre i soccorsi, può dirsi con ragione che tiene il miglior modo e il piti utile in sovvenire alla vera indigenza. Laonde può Roma vantarsi di avere posto in uso, sono ora cencinquanta anni, quelle massime di pub])lica e pri- vata carità, che il barone de Cerando ha proposto come migliori nel suo Visitatore del povero. Perchè da questo pio sodalizio non si può dare limosina, senza che prima un visitatore non ne abbia co'propri occhi veri- ficato il bisogno. I soccorsi si danno piuttosto in genere che in danaro, piuttosto mollo ad una sola famiglia, che ne rimanga sollevala, che poco a molle. Le vesti, la pigione di casa, la redenzione de'pegnl, le sommi- nistrazioni del pane, sono i soccorsi più usltatl. Tratta il capitolo vlgeslrao primo di altri isti- tuti limosinieri. Ciò sono : il sussidio eceleslastlco pe' poveri chierici romani , le confraternite , 1' arci- confraternita del sacro cuor di Gesù detta de'sacco- ni, i legati pii Carmignano, Cavalieri, Chiesa, Orto- lani. Le fondazioni, perchè sia distribuito pane agli operai e alle povere famiglie nelle piogge dirotte e continue, nelle nevi e nelle inondazioni del Tevere. Le dotazioni che distribuisce l'arclconfraternlta della ss. Annunziata formano il soggetto del capitolo XXll: che trova il suo comphnento nel capllolo se- guente, nel quale sono compresi i sussidi dotali, che in tanto numero si distribuiscono in Roma. Finalmente nel capitolo XXIV si offre la istoria degl'istituti di carità per la difesa del povero. Alle quali cose tutte, diffusamente e con somma accuratezza trattate dal- l'autore eh., che spesso vi frappone delle osservazioni i6o Scienze sue proprie, volte per lo più a migliorare, o la condi- zione de'poveri, o quella degli istituti che li soccor-, rono, reca utile compimento il cap. XXV, che è la conclusione e il riassunto del liliro primo. Vorremmo poter riferire per intiero quanto in questo capitolo si espone dall'autore: tanio riesce in ornamento ed in lode della nostra città, del pontificio governo, o della industria che egli ha adoperato in porre in pie- na evidenza, l'argomento che ha impreso a trattare. Siccome però ciò ne condurrebbe troppo oltre, ci ba- sterà il porre innanzi le parole, colle quali il eh. autore conchiude il capitolo stesso: e noi chiuderemo il pre- sente articolo , riserbandoci di consacrarne uno se- condo all'ulteriore notizia di opera tanfo pregevole. Dalla camera apostolica, che in Roma ha anche le rendile municipali, si danno a quelle istituzioni, di che ho discorso nel presente libro, nulla meno che 364i 284 scudi: cioè agli speduli in tutto 116, 620; per llraosine a domicilio, i8f), 364; P^"^ pubblici la- vori, 12,000; per doti, 63oo. Aggiungi 43? 900, che si distribuiscono annualmente dalla dateria, da'brevi e dalla limosineria: ed avrai 4^5, 184 scudi. Hanno poi gli spedali una rendita de'loro beni di ii5,490 scudi; gl'istituti limosinieri, de'quali ho potuto co- noscere le forze economiche, 16, 242; gl'istituti do- tati, 39, 700. I ricoveri spendono ogni anno non me- no di scudi 3iio. Se aggiungi a queste somme la rendita del monte di pietà, che è l^o, 000 scudi, e 5ooo per cifre approssimative de'luoghi pii , le cui entrate mi sono sconosciute, avrai un insieme di scu- di 2i3, 842. Unite le due cifre, si ha un tutto di annui scudi 621, 724, che sono le forze economiche de'sessantadue istituti di che ho parlato ( a e. i256 ). Cav. P. e. Visconti i6] Sopra lo stato ^ in che al presente si trovano in Roma le matematiche. Lettera del professore don Salvatore Proia al nobil uomo sig. Giu- seppe Devincenzi da Teramo. ILLUSTRE AMICO m. antengo la promessa : prendo a narrarvi, come per me si può il meglio, lo stato, in che le scienze propriamente delle al presente si trovano in questa metropoli, maestra di verità e d'ogni maniera di buo- ni studi. E poiché di tutte non posso tenervi di- scorso ne' ristretti limiti di una lettera, vi parlerò ora delle matematiche, di cui fu detto assai bene, essere le scienze per antonomasia e la base e il fondamen- to della naturale filosofia (i). Muovo da alquanti anni addietro, dal tempo in cui il prmcipe della moderna analisi Giuseppe Luigi Lagrange creò la teoria delle funzioni analitiche; per- fezionò la dottrina delle equazioni; estese il dominio del calcolo sulla scienza dell'equilibrio e del moto; segnò in somma un'era novella alle matematiche di- scipline. Pochi ingegni, forse troppo deboli per co- noscere a fondo i nuovi metodi del grande anatisista italiano, ricusarono di adottarli, e parteggiarono per gli antichi. Tale non fu la robusta mente di Gioacchino Pessuti, che rinforzala ancor più nella conversazione (i) Obbes, Logica cap. 5. G.A.T.XCV. II i62 Scienze dei grande Eulero, seppe conoscerli ed apprezzarli; e quando reduce di già dai gliiacci della Russia ai sette colli prediletti dal sole della terra natia, fu scel- to professore di matematiche applicate nell'archigin- nasio romano, se ne giovò mirabilmente , e ne di- vulgò la squisita fdosolia. Di che fanno testimonian- za i lavori matematici, che quind' innanzi pubblicò per le stampe, ed i molti allri rimasi inediti: parte de'qnali acquistò, non ha guari, alTincanto la cele- hralissima biblioteca del vaticano. I quali lavori quan- do fossero letli e meglio conosciuti dagli stranieri, anziché insultare alla nostra supposta povertà in fat- to di cose matemaliche, troverebbono di che invidia- re alle nostre ricchezze. J3i fermo, gli opuscoli d'ir drodinamica, la teoria dell'azione capillare del La- place ridotta alla più semplice ed elementare geo-r ipelpia, la dottrina delle lenii acromatiche ec, sono tesori di scienza, che non ricuserebbero fra le loro gioie i compilatori dei Rendiconti e delie Memorie del famigerato istituto. Contemporaneo ed amico del Pessutì fu il ca- nonico don Giuseppe Calandrelli, salutato, da quan- ti il conobbero fra noi e fuori, col titolo di ristora- tore della romana astronomia. E tale certamente il dirà pure la posterità in leggendo la vita, che di lui gerisse la dotta penna di S. E. il principe don Pie- tro Odescalchi, ed i molti volumi che col modesto titolo di Opuscoli astronomici per più anni conse- cutivi andò pubblicando. Ma il CalandrelU vedeva ancora assai addentro nelle matematiche pure: suc-s cessore al p. lacquier, le insegnò e promosse per otto e più lustri nello stesso collegio, in cui erigeva uné^ specola a Dio creatore per l'avanzamento della scien- Stato delle matematiche ì63 ea. In quelle che dicono miste ebbe esteso dominio: ecrisse sul principio delle velocità virtuali, sul cen- tro di oscillazione de'pendoli composti, sul molo dei gravi: e risolse su questa materia un ingegnoso pro- blema propostogli da Giordano Riccali, non per ta~ stargli il polso, siccome disse voler fare e fece Leib- nizio agi' inglesi , ma si bene per la stima che nò avea concepita di grande e profondo geometra. Alle faliche e alla gloria del Pessuti e del Ga- landrelli presto presero parte l'Oddi, il Seltele, il Conti, il Ricchebacb, valorosi astronomi e matema- tici, taluno de'quali io m'ebbi a maestro , tal altro ad amico, tutti conobbi e riverii di persona. L'Od- di e il Settele furono autori di opere parecchie, nel- le quali se tu non vedi il genio, che crea ed aggran- disce la scienza, ben ravvisi l'indefesso studio, per cui s'innalzarono al di sopra de'loro coetanei. Tanto è vero, che le matematiche non rifiatano alcuno^ ma richiedono uno studio continuo, come sovente ripeteva a'suoi allievi l'insigne Poisson. Maggiore ele- vatezza d'ingegno dimostrarono 1' ab. Andrea Gonti e il canonico Giacomo Ricchebach , così nel lungo esercizio della cattedra, come negli opuscoli astrono- mici teste ricordati, quorum pars magna fuerunt', e pili ne manifestò il Ricchebach in quell'elaborato ed egregio lavoro messo a stampa nel i83o, Sulla correzione da farsi agli elementi ellittici delVor- bita solare determinati dal sig. Delambre : e in quell'altro tuttora inedito, che porta per titolo: Esa^ me imparziale della triangolazione boschovichiana. in quella parte nella quale può assoggettarvisi, Andrea Gonti fu uno dei quaranta delV accademia italiana: ma si desidera ancora nei volumi della dotta f:6"/^ Scienze «ocietà la vita Ji lui. Quella che abbiamo in que- sto giornale è frutto dell'amore che porta alle scien- ze raatemalicbe, e a chi le professa, il giovane princi- pe don BalJassai^e Buoncompagni Ludovisi , in cui la bontà del cuore va di conserva coli' abbandanza delle dovizie, e l'altezza dell'intellelto colla nobiltà de'natali. Carità di fratello pensò ad onorare la me- moria del canonico Rlcchebach, e prescelse Filippo Gerardi, scrittore di bella fama, al pietoso ufficio di narrarne le virtù e le dotte faiiche. A questa eletta di valorosi un altro ne debbo aggiungere, Alessandro Pieri, valorosissimo nella dif- ficile arte dell'Insegnamento, che esercitò prima in Pe- rugia e poi in Roma, allorché nel 1822 il cardinal Consalvi, profondo indagatore degli uomini non me- no che delle cose, il richiamò a sostenere nell'archi- ginnasio della sapienza la nuova cattedra di algebra e di geometria sublimiore, che ad esempio del gran- de Eulero i moderni chiamano Litvoditzione al cal- colo. Duolci che de'suoi scritti ninno egli ne facesse di pubblico diritto; il che debbe attribuirsi a quella rara modestia, onde sentiva si bassamente di se, ed all'esserci mancato innanzi tempo, contando appena due anni sopra gli undici lustri, quando avea rivoU lo tutte le sue meditazioni ed i suoi studi più ma- turi ad una grande opera, che richiedeva la vita di un uomo, e più lunga che non è stala la sua, co- nje teslimoniò il suo distinto allievo e confidente Fi- lippo Maria des lardins (i). Tale fu la scuola matematica, che fioriva in Ro- ma non ha molti anni ; scuola di grandi maestri , (j) Diario di Roma, uuni. 96, anno iSSj. Stato delle matematiche i65 nella quale per mia ventura apparai gli elementi del- la scienza, che debolmente professo. Essa però non è più. Dopo la morte del Pieri in men di tre anni si riunirono all'eterno geometra e il Conli, e l'Od- di, e il Settele , e da ultimo il Ricchebach. Ma la natura, sempre feconda nelle sue produzioni, come dà via via fiori e frutte nelle stagioni che si succe- dono, così nuovi ingegni e nuovi trovati nelle suci cessive generazioni. La scuola attuale, se non è su- periore, non ha di che invidiare a quella che 1' ha preceduta. Due sono in questa città le masse o fuo- chi centrali, dirò così, da cui si scaldano gli animi giovanili alla virtù, e si diffonde la luce del sapere: e di amendue già mi occorse farvi menzione. L'uni- versità romana della sapienza e l'università gregoria- na, detta altrimenti il collegio romano dei padri del- la compagnia di Gesù. Nella prima la facoltà ma- tematica vi è rappresentata da quattro valenti pro- fessori ; don Tommaso Mazzani , fervido ingegno , che spazia libero negl'immensi campi della scienza, e ne penetra i più intricati recessi ; don Barnaba Tortolini , uno dei pochi che seguono passo passo l'analisi ne'suoi progressi, e colla possa del loro in- telletto rischiarano ed estendono le astruse dottrine del Cauchy ; don Ignazio (ìalandrelli , su cui tan- ta gloria riverbera la fama dello zio; e il Pieri giu- niore, in cui par proprio rivivere la persona del pa- dre. Le cattedre, che rispettivamente sostengono, so- no quelle di meccanica e idraulica , di ottica e di astronomia, di calcolo infinitesimale, di algebra e geo- metria sublimiore; alle quali quando l'altra venisse riunita di algebra e geometria elementare, si avreb- be nell'università romana della sapienza un corso com- l66 S e I E 17 Z K pleto di mal ematica allo a mettere gli allievi a lì-* vello del secolo in così nobile studio. Furono riunite nel 182^ in questa università anche le scuole di geometria descrilliva e idrometria, di architettura statica e idraulica. Comechè queste scuole più alla parte tecnica e artistica, dirò cosi , della scienza, che alla speculativa si appartengano, pure i chiari ingegneri Carlo Sereni e Niccola Ca- Talieri, a cui furono affidate, sono matematici di al- tissima sfera; e quei, che da cinque e più lustri vi soprantende, è il cel. Giuseppe Venluroli professore di fama europea, autore di quel pregevolissimo trat- tato di meccanica e idraulica, che moltiplicò tante Tolte l'immagine sua nei torchi di Bologna, Milano, Roma e Napoli, e che da estere nazioni fu voltato nel loro idioma. Quanto al collegio romano, tutta è personificata nel p. Andrea Caraffa la sublime scienza eh' eì vi professa, e sono contenute nelle sue opere le dottri- ne che vi a' insegnano. E poiché le opere messe a stampa sono il vero rappresentativo dello stato , in cui s-i trovano le scienze presso una nazione, vi di- rò alquante parole su quelle del Caraffa, le princi- pali che in questi ultimi anni sieno stale qui pub- blicate. Ija prima porta per titolo : Elementi di mate- matica: non altrimenti che il Paoli chiamò Elementi di algebra quel suo stupendo corso di algebra fini- ta e infinitesimale. E sì che gli elementi del p. Ca- raffa sono un corso completo di matematiche pure, il quale nulla lascia a desiderare né in fatto di or- dine e di connessione, né in fatto di generalità e di rigore, primo e principale requisito delle matemali- Stato delle matematiche 167 che islituzionl. Ed io credo non esservi maggiore ine- sattezza di quella clie si commette da taluni scrittori di scienze esatte, i quali da un caso particolare trag- gono fuori generali principii, e danno alle forinole, comunque in qualche senso generali, maggiore esten- sione e generalità di quella che loro convenga : co- me si fece della più patte delle formole risguardanti le serie, delle celebri formole di Taylor e di Mac- laurin , e persino di quella del famoso binomio di Newton. Ma lode alla verità ! Altra è la scienza, al- tri sono gli scieniiiati: ne l'inesattezza di questi ar- guisce inesattezza anche in quella: che gli eclissi de- gli astri minori non avvengono già per difetto di lu- ce nel maggior luminare. Questo corso è diviso in tre distinte parti , e ciascuna è contenuta in un volume. La prima par- te abbraccia l'aritmetica e l'algebra : nell' aritmetica sono non volgari principii , e le comuni regole vi si dimostrano con un rigore, die indarno si cerca in libri consimili. Nell'algebra procede il eh. A. dalle nozioni più semplici e più elementari alle più ripo- ste e difficili teoriche, tra le quali giganteggiano quel- le delle equazioni e delle serie. Pareva che il Lagran- ge toccato avesse il limite dello scibile intorno alla dottrina dell' equazioni in quel suo aureo trattato delle Equazioni numeriche-^ ma chi può assegnare i confini dell'umana intelligenza ? « Qual forza mai, qual limite il suo poter misura? » (i) Nuove ri- cerche furono fatte e nuove investigazioni, né senza prò, nel breve intervallo che separa l'età nostra da quella del sommo analisista: e di tutte fece tesoro nel- (i) Monti, Ode il globo aereostatico. i68 Scienze la sua algebra il prof. Caraffa. Senonchè , ezIandicJ dopo la pubblicazione del suo libro, i matematici con- tinuarono a meditare sul grave argomento, e l'arric- chirono di nuovi trovati; e perciò lo studiante, vo- glioso di conoscere le più recenti novità della scien- za, dee altrove cercare il teorema di Sturm intorno al numero delle radici reali di un' equazione qua- lunque, e al modo di determinare le coppie dei nu- meri interi, che differendo di una unità comprendo- no una o più di siffatte radici ; la nota
  • a delle componenti dell'una moltiplicale ri«petlivameak« i84 Scienze per la prolezione che ricevono dall'altra. Da questo teorema, il quale nella teorica delle forze divenendo il principio delle velocità virtuali tutta in se rac- chiude la meccanica, si deriva un nuovo metodo som- mamente semplice, elegante e spedito, di trattare la geometria a due e tre coordinale, finita ed infinite- simale, del quale darò un saggio in seguito. » Con slmile proprietà di linguaggio e nitidezza di concetT ti, particolare dislintlvo della mente geometrica del- l'autore, è scritta tutta questa operetta. Senonchè mal si apporrebbe colui, che su queste semplici date pren- desse a giudicare dell'intrinseco merito della mede- sima, c^me credo facesse il sig. A. G. che nella Bi^ blioteca di Milano ne disse a suo modo, Bisogna leggerla per intero e considerarla, siccome fece il si- gnor Poinsot, per giudicare altresì con questo gran malemalico , che in essa nulla vi ha : Qui ne soit olair, exact, et .f alt dans un tres bori esprit (i), A questo saggio va unita la teorica delle quan- tità proporzionali: vero anello, come osserva l'auto- re, che unisce all'algebra tutte le diverse parti delle matematiche, lo non so che cosa abbiano potuto dire di meglio il sig, Marohan e il sig. Carlo Rocco, es- sendoché i loro lavori su questa materia (2) appena gli ho veduti annunciati in qualche giornale; so be- ne che il Chelini gli ha preceduti, e la sua teorica soddisfa pienamente al bisogno che ne avea la gcor (j) Cosi nella lettera del sig. Poinsot all'autore del saggio. (2) Nuova teorica sulle proporzioni e progressioni presen- tata all'istituto di Francia dal sig. Marchan il io ottobre 1842. Teorica delle proporzioni delle figure di Carlo Rocco. Vedi Ca- fechis/no delle matematiche. JNapoli 1843. Stato dkllk matematiche i85 metria, da che i progressi di questa scienza caccia- rono dalie scuole sette libri di Euclide. Vengo ora alle opere minori dette altrimenti Me-- morie o notazioni. E a fine di non essere per av- ventura troppo lungo, e però increscevole, indicherò soltanto quelle inserite nel giornale arcadico dal pro- fessore Tortolini, e l'altra di don Baldassarre Boncom- pagni, pubblicata a Berlino nel giornale del sig. Creile. Le prime si aggirano in gian parte sul calcolo dei resi- dui, massime sull'applicazione del medesimo all'inte- grazione di un sistema q ualunque di equazioni lineari a coefficienli costanti, sia a dilterenze Unite, sia a dif- ferenze infinitesime: e pare che esauriscano complelat- mente questa importantissima branca del calcolo inte- grale. Nuovo affatto, facile, diretto è il modo, onda il Tortolini procede in queste applicazioni : ed i geo- metri, che vi faranno attenzione, troveranno per fer- mo di che jodarnelo, La seconda appartiene alla dot- trina degl'integrali definiti, ed ha per oggetto di de- durre da un principio unico molti risuUamenti tro- vati da altri geometri. E qui nuovo campo si aprirebbe al mìo dire , se prendessi a narrarvi l'alacrità, con cui si coltiva- no in Roma questi begli studi da altri giovani, quanto docili d'indole, lauto acri d'ingegno, e qual luce essi già tramandino in sul loro albeggiare. Potrei comin- ciare dal fiore della nobiltà romana, che calca animosa le vesligie del eh. astronomo e matematico don Mario Massimo duca di Hjgnano, sino al figlio del modesto artigiano, che milita sotto le pontificie bandiere nel corpo del genio e dell'artiglieria. Ma ciò sarebbe un presagire la floridezza, in che per opera loro giun- geranno ir) questa città le matematiche discipline ue^ iRf) S e I E K Z E gli anni avvenire , anziché descrivere quello in nii ora si trovano: ciò che parmi aver già fatto abbastan- za nella precedente narrazione. Chiudo dunque que- sta mia lettera col richiamare la vostra aUenzione su la qualità dei soggetti, che nel decorso di essa ebbi occasione di lodarvi. Sono nella più parte persone di chiesa addette al difficile incarico della istruzione. Po- co monta che i pusilli ne prendano scandolo, non sapendo la sentenza del filosofo Alcinoo, che la con- sidrrazione delle proprietà matematiche è come un preludio ed un preparamento alla contemplazione del- le divine. Giova che i tristi ne sentano vergogna ; quegli occulti nemici del cattolicismo , i quali per discreditarlo ad ogni parola ti mettono innanzi la ignoranza del clero in fatto di matematica e di na- turale filosofìa. State sano ec 187 Cassa di risparmio in Ascoli. ra le caritative instituzioni e gli utili e benefici stabilimenti , che protetti ed animati dalla sapienza del regnante sommo pontefice Gregorio XVI, tendo- no al pubblico miglioramento ed alla sempre mag- giore prosperità dei popoli, che vivono sotto la pon- tificale dominazione, debbonsi certamente annoverare le così dette casse di risparmio; idea felicemente con- cepita e meditata dagl'italiani economisti: e trovato bellissimo della carità, indirizzato a far sì che il po- polo con vantaggiosa economia tenga conto de'gua- dagni e ne tragga profitto, né malamente e senza ve- runa previdenza li profonda. Imperciocché queste casse di risparmio offrono il modo all'operaio, all'ar- tigiano, alTagricoltore, al domestico , al giornaliero di porre in serbo una parte di quel danaro , che i suoi sudori e le sue fatiche gli procacciarono negli anni della giovinezza e della robusta virilità, per va- lersene allorché sopravvengano i tristi giorni della malattia o della impotente vecchiezza , ovvero man- chino lavori in cui travagliarsi, o corrano stagioni di carestia, di penuria e di sventura. Per tal guisa la benefica instifuzione, di cbe parliamo, tende a pre- venire ed allontanare il disastro della misei'ia , che colpisce infelicemente tanti individui della società: e piultostoché apprestare rimedi e farmachi al già cre- sciuto male, ama in vece di spegnerlo nel suo pri- mo nascere. Questo caritatevole stabilimento riceve i88 Scienze gratuitamente in deposito gli avanzi anche piià tenui e più meschini, che gli uomini industriosi e pensanti alle incertezze ed a'pericoli dell'avvenire vanno fa- cendo sui guadagni delle proprie braccia, e li con- serva e gli accresce, retribuendone eziandio un qual- che frutto; ed ognuno che vivendo stentatamente di mercedi , allo scadere della settimana , al finire del mese, abbia potuto fare qualche risparmio, ha la co- modità di porlo in questa cassa, nella quale gli ri- marrà conservalo con piena sicurezza; e coU'andare del tempo potrà così formarsi un capitale da servire per se stesso e per la famiglia ne'casi d' infortunio e di urgente bisogno: e mancando a'vivi, avrà il con- forto di poter lasciare una sorte meno infelice e me- no trista a'suoi figliuoli. E la cassa di risparmi non solamente contribuisce a'vantaggi economici, ma può eziandio { ciò che vale anche meglio ) divenire salu- tevole sorgente di utilità morale, producendo il mi- glioramento de'pubblici costumi. Il padre di famiglia, ove di essa profitti, dovrà alla sua prole l'utile esera- pio di bene impiegare il frutto de'travagli, senza di- «perdei'lo stoltamente in giuochi e brutti vizi e dan- nose intemperanze ; ed il popolo , traendosi a men dissipato e più composto e più retto vivere, si terrà lontano dalle taverne, da'ridotti, da' bagordi e dagli altri siffatti luoghi sempre pericolosi e da sfuggirsi. Si prenderà amore alla economia nel cibarsi e nel ve- stire, osservando una laudevole temperanza e sobrie- tà, evitando la vanità degli ornamenti ed i pernicio- si effetti del dissipamento e dello stravizzo, e ne'ri- ereamenti ed onesti piaceri della vita non uscendo mai da' limiti di una commendabile moderazione e continenza. E quando i sudati frutti delle industrio^ Cassa di risparmio in Ascoli 189 se fatlclie dalla più meschina e bisognosa classe della popolazione non si disperdano con cieca impreviden- za e con insana profusione, ma si conservino prov« vitlamente e con opportuna avvedutezza ed ahbiansi presti ad ogni uopo della vita, evvi buon fondamento a sperare che veggasi scemato il numero dei delitti e diminuiti singolarmente i furti , i quali vengono per lo più consigliati dal bisogno, che a turpi e pra- ve cose spesso costringe e slimola gli uomini: ed hav- vi non minor fondamento a sperare altresì, che ve- stendo il popolo abitudini di sobrietà e di costuma- tezza, mirabilmente se ne giovi l'ordine pubblico, ne provenga incremento di civili virtù e ne sorga e fio- risca la sociale prosperità. Questi vantaggi delle cas- se di risparmio, non solamente lodati in teorica, ma già comprovati colla esperienza in molte nobilissime città che da qualche tempo posseggono questo bene- fico stabilimento, fecero avventurosamente nascere il desiderio di tosto fondarlo n^dla città di Ascoli , la quale volle essere tra le prime a procacciare questo vantaggio alla più meschina ed abbietta classe del po- polo, e quindi più bisognosa di cure e di soccorso , offrendole campo ad allontanare il pericolo di cadere nella indigenza e nel disonore. Un considerevole nu- mero di cittadini , veraci amatori della patria e del pubblico bene, si unì in società anonima, e con de- liberazione di encomio degnissima pose la sua opera ed i suoi capitali gratuitamente per istabiiire una cas- sa di risparmio. Compilarono questi benemeriti un re- golamento diviso in 32 articoli pel buon governo ed andamento della medesima cassa, che dalla benigni- tà del regnante sommo pontefice Gregorio X\I ri- portò la più graziosa approvazione nella udienza del ir)ò Scienze dì 25 aprile 1842; approvazione gentilmente parte- cipata dall'eminentisslmo sig. cardinale Mario Mattei, segretario di stato per gli affari interni, con dispac- cio di quel medesimo giorno num. 291 19. Ed anzi il sapientissimo lodato pontefice degnossi di mani- festare il sovrano suo desiderio, che la ripetuta cassa di risparmio venisse posla in esecuzione , ed aperta con tutta la sollecitudine a profitto e vantaggio dì una fedele e devota porzione de'suoi sudditi. Tosta- mente perciò si mise con alacrità mano all'opera, e si dispose quanto occorreva per la fondazione del pio stabilimento. Sua eccellenza reverendissima monsignor don Gregorio Zelli lacobuzzi esimio e zelantissimo vescovo di Ascoli, sua eccellenza reverendissima mon- signor Andrea Pila delegato apostolico ( il quale non risparmiò cure, stiraoli ed eccita menti a promuovere la stessa fondazione , e con ogni studio e premura adoperovvlsi ), e tutti i più rispettabili ecclesiastici, lutti i principali magistrati ed i più nobili e distinti cittadini, animati da sentimenti di patria carità, vol- lero essere nel numero degli azionisti della cassa di risparmio; la quale con lieti auspici! e coll'applauso di tutti gli ordini della città venne aperta nel dì pri- mo di luglio 1842, e va di giorno in giorno sempre più prosperando, e facendo introiti da rimanerne sod- disfatti ; perguisacliè si può fondatamente credere e sperare, che frulli ognor più abbondevoll se ne rac- coglieranno, e elle notabilmente potrà giovarsene la pubblica e privata prosperità. Tutti coloro che la buo- na e santa opera promossero e con generosa e no- bile gara vi presero parte, acquistandosi merito pres- so Iddio ed appo gii uomini, abbiansl tributo di giu- sta e debilissima lode da chiunque il bene sociale Biografia del Clementi ini ama e clesldera, abblansi in queste poche e disador- ne parole un omaggio , una espressione qualunque siasi della puìiblica riconoscenza. Giacinto Cantalamessa Carboni. Cenni biogivifici del cav. Silvio Clementi professore di ostetricia. c. lompie ora un decennio, né fin qui il nome del Clementi fu ricordato alla poslerilà: il solito premio clie si concede alla virtù fugace, ed a tutti gii uo- mini che professano le lettere e le scienze. Il racco- gliere le notizie degli uomini distinti in qualsivoglia scienza o arte, olire che rende gixisiizia a chi colle opere o collo studio si rese bemerito dell'umani.tà , recandone utilità e sollievo, servo anche d'esempio e di slimolo ai posteri desiderosi di gloria per battere con coraggio le stesse vie, sulla sperienza che ancor di essi abbia a farsi un giorno gloriosa ricordan- za. Plinio il giovane diceva : Niente occupa di pia il mio spirito t che il sommo desiderio d^ immorta- lare il mio nome. Ma quegli uomini che impiega- rono la loro vita in fatiche letterarie e in pericoli per istudiare lutti i mezzi onde prolungare l'esisten- za alla loro specie, e sollevare l'umanità dalle mor- bose afflizioni , o renderla meno penosa , debbono questi uomini esser tenuti i più meritevoli e degni di una lode superiore a tulli gli altri. Tal fu 11 profes- ina Scienze sore di ostetricia Silvio cavalier Clementi, che dopo compiuta la carriera degli studi filosofici nel liceo ro- mano sotto la disciplina di quei distinti maestri, ri- volse le sue mire agli studi di chirurgia e medicina nell'arcispedale di santo Spirito. Ivi apparve la pri- ma scintilla dell'alto suo genio. Giovane dotato di rohuslo intelletto, non che di perspicace ingegno, si distinse nei pubblici concorsi di anatomia e chirur- gia, con riportare il premio delle medaglie; sostenne quindi pubbliche dissertazioni anatomiche nel museo anatomico dell'ospedale, dando sempre prove di di- stinguersi nell'anatomia e chirurgia. Aperto il pub- blico concorso di chirurgo sostituto nell'ospedale di £. Giovanni in Laterano, lu in questo esperimento ana- tomico eletto a pieni voti sostituto del detto stabi- limento: e già in Roma i più dotti professori lo saluta- vano con ammirazione. Le dissezioni anatomiche, e- sercitate sui cadaveri muliebri, formavano airillustre professore 1' esame patologico su' visceri della don- na. Conosceva il Clementi che i morbi dell'organi- smo muliebre gli offrivano un vasto campo per for- mate l'analisi induttiva sulla dottrina patologica : e nella stagione iemale adunava gli alunni dell'ospeda- le e gli stranieri, dimostrando loro sul cadavere tutto quello che vi era di più utile e ricercato, per inve- stigare gli arcani della natura, in ispecie delle gravi- de, e di quelle rimaste vittime d'una preternaturale conformazione degli organi muliebri per la genera^- zìone. Avendo 1' illustre scienziato un singolare tra- sporto per rostelricia, ed esercitandola con indicibile riputazione nella capitale, dopo compiuto il corso di sostituto inventò una sicura e comoda sedia per le BlOGRAFTA DEL ClEMENTI 1q3 ^>artorifinti dandogli il nome di letto-ostHrico (*). Questa invenzione, creata da un genio sublime, fu ben tosto esaltata a cielo dai più ragguardevoli personag- gi di Roma e dai più distinti professori dell'arte sa- lutare; ma in {special modo protetta da quelli che go- vernavano l'imperio nel 1811. Grande ne fu l'entusia- smo non solo in questa capitale, ma al di là anco- ra delle alpi: e furono veduti i giornali di Parigi tes- sere lodi infmiJe all'ostetricante romano. L' enciclo- pedia francese, all' articolo Sic gè , riportò un sun- to della memoria stampata dal Clementi, con 1' ap- provazione di ventiquattro professori di alta rinoman- za di Roma: vi aggiunse un elogio onorevole: e nel- l'assemblea tenuta nel i8i3 l'accademia reale delle scienze lo nominò socio della medesima, distinguen- dolo nel diploma col nome di grand-accoitcheur . La regina di Lucca lo prescelse a suo chirialro^oste- trico, comandando che nell'ospedale di Lucca si co- struisse a di lei spese il letto-osleirico del Clemen- ti, e se ne facesse uso per vantaggio della classe in- digente. Nel 1812, quando Roma venne usurpata dalle armi francesi, il Clementi da quei primi reggenti fu destinato all'incarico di chirurgi della coscrizione mi- litare, e nel medesimo anno fu creato direttore e pro- fessore al deposito di mendicità alle terme di Diocle- ziano. Nel 18 18 annunziò con memoria a stampa un istromento ostetrico, cui die il nome di Chrnocpfa- lo. Nel 1819 venne decorato dal governo di Fran- cia col titolo di cavaliere del giglio: ed il segretario {*) La duchessa di Beny ha partorito sul letto ostetrico del Clementi. (lournal des Debats.) G.A.T.XCV. i3 194 Letteratura di stato in Napoli, Circello, nel medesimo anno lo prescelse chirurgo della real casa di Napoli in Ro- ma; fu infine posto nel novero degli ostetrici regio- nari. Volendo quindi il filantropo professore dar nuo- vo ìiMietnento e decoro all'ostetricia, sotto gli auspi- ci di monsignor Cristaldi , rettore dell'università e tesoriere, creò un'accademia ostetrica co'membri che la formavano di dotti chirurgi e medici ; venendo quindi il Cletnenti ad esser fregiato della dignitosa carica di direttore della medesima. Nel 1820 il co- mando generale della guardia civica die la qualifica di chirurgo maggiore in capo al professore. Nel 1821 circolò il programma stampato del Clementi, annun- ziando l'opera sua ostetrica in quattro volumi, fruito d'immense fatiche, della dottrina dei parti, di osserva-' zioni patologiche, delle malattie delle gravide e dei ì bambini, in fine delle tavole con invenzioni e corre- zioni di strumenti. Questo tesoro di profondi esami è rimasto inedito per l'immatura morte del professore. Aveva però l'autore divisato di corredarla di annota- zioni e di più brillanti scoperte. Nel 1825 fu nomi- nato professore sanitario dei lavoranti di beneficenza. Gioverà far menzione, che il nostro professore fu chi- rurgo d'illustri personaggi, e della primaria nobiltà ro- mana , di augusti principi e principesse. Fra questi debbono annoverarsi i cardinali Albani, Odescalchi, Brignole, Cristaldi, Macchi, e sua eccellenza reveren- dissima monsig. Zacchia : l'ambasciatore di Austria, i ministri di Napoli Fuscaldo, del Brasile e di Sarde- gna: e chi non interpellava il parere e le cognizioni ostetriche del Clementi ? Era in questo ramo impor- tantissimo, la sua mano per le partorienti il sacro palladio, l'Ililia così pel volgo, cou^e per le donne di Biografia dei. Clementi igS elevata condizione. Per decreto sovrano di Leone XII fu dichiarato il Clementi lettore pubblico di ostetri- cia nell'arcliiginiiasio romano, e ripristinato chirurgo primario dell'ospedale ad sancta sanctorum. La fama distinta del cav. Clementi sarà sempre un monumento di celebrità, sì pel suo nome come per l' incremento tlella scienza ostetrica. La scuola del Clementi nell' archiginnasio romano era frequentata da un infinito numero di allievi; le sue lezioni aveva- no molta robustezza di stile, spiegando con eloquenza tutto quello che dalla natura sì compartì a questo benefattore dell'umanità. I suoi scritti erano concisi, puri precelti; ed è un dono de'più felici, che il cie- lo possa fare ad un uomo destinato ad istruire gli al- tri; e certi ingegni predominanti, che aspirano all'im- pero sopra degli altri, se eccitano l'ammirazione, ri- svegliano sicuramente gli attacchi dell'invidia. Giunto all'apice della sua gloria, sempre benemerito del sol- lievo del simile, oppresso da mortale angoscia è quasi per restarne vittima: risorge però l'anima virtuosa, ma per pochi giorni, e l'astro benefico torna a na- scondersi per non apparir mai piia. Il cavalier Silvio Clementi è passato. Ponete meco un lauro sulla fronte onorata di quel grande ; e salve, ombra magnanima ed amica ! Salve, 0 illustre scienziato, decoro di Roma, ornn- ." mento dell'università, tutela delle partorienti, gioia della famiglia e degli amici ! Io venererò mal sempre la tua memoria, e sempre ripeterò al cospetto di tut- ti : Hic cine re s^ ubiqae nomen. Era il cavalier Clementi uomo di alta statura, adusto: in quella faccia scorgevasi l'uomo nato a co- se grandi. Uomo d'integra probità, di dolci maniere, ig6 Letteratura proato a beneficare chicchessia, nemico del fasto e di quella cupa invidia che fa avvelenare l'uomo. Que- sto amorevole professore s'insinuava colle piìi dolci maniere nel segreto delle passioni e degli errori degli uomini, tutti consolava assicurandoli tanto della sua opera, quanto del suo favore. Quest'esempio di sociali virtù, questo modello di gentilezza più che affettuosa, fu da lui esercitata in tutta la carriera di sua vita. Esemplo ben raro di filantropia a'giorni nostri. Tutti i tribunali civili e criminali lo interpellavano nelle ma- terie di chirurgia e di ostetricia forense, ed era il pro- fessore destro nell'operare, felice nei giudizi, più fe- lice nei risultati. La mattina del i3 luglio i83o morì stando ia Palestrina a respirar aria piìi salubre. Nacque nel 1786 del medico Giuseppe Cleraen' ti, uomo di riputazione. Il professore Asdrubali nelle sue opere classiche di ostetricia ricolma di elogi il Clementi, in ispecie per l'iavenzione del letto-ostetrico. Fra gli allievi del Clementi si è distinto il si- gnor dott, Santandrea romano, ostetrico regionario, Chimenz. Il '97 Memorie istorichc di AccumoU. Continuazione. CAPITOLO VII. Il governo di Carlo III continuato con lode del- la reggenza nella minorità di Ferdinando IV. Avvallamento in Abruzzo citra : riflessioni sul medesimo, ^origine dei vicari generali nel re- gno, ove hanno giurisdizione i vescovi dello stato romano, ha la sorgente in AccumoU nel 1766. Ivi dopo formale processo si fissa per decreto reale la residenza di quello del vescovo di Asco- li. Il re, uscito di minorità, prosegue il migliora- mento incessante del governo senza aggravio dei popoli. Suo elogio pei tesori profusi neWorribì- le terremoto delle Calabrie nel lySS. Le muta- zioni e modificazioni, che volgono sempre al me- glio per cura de^ sovrani delle due Sicilie, sono paralizzate dalla rivoluzione di Francia del lyHg e seguenti'^ essendone sconvolte poscia anche le contrade italiane. I napolitani, che si distinguo- no con valore fuori della loro patria, sono total- mente disfatti nella guerra del novembre 1798. AccumoU nel settembre precedente dà tale prova di coraggio e di fede al re, per la quale si chia- risce un documento interessante d''istoria nazio- nale. I partigiani della repubblica, che con quella disfatta speravano V avvilimento t/e' popoli e la fondazione di nuovo governo, rimangono delusi per risultati diametralmente opposti. In Accu- moU non metton piede ne francesi, ne repubbli- cani, quantunque minacciato, aggredito e circon- ig8 Letteratura dato da ropubhlicani dipartimenti. Se il f^g^Jii fatale ai francesi^ negli anni seguenti tornano vincitori. Buonaparte^ divenuto imperatore e re, agogna alVimpero universale: ed i sovrani d'Ita- lia specialmente ne sono chiariti , quando egli ponesi la corona di ferro sul capo nel i8o4 a Milano. Le nuove guerre e la vittoria di Auster- litz gli danno campo di occupare il regno di Napoli., ove sono calpestati i diritti delle gentil Accumoli cade in misera condizione. N el rinunziare Carlo III la corona delle Sicilie a Ferdinando suo figliuolo (i) e successori suoi , impugnò la spada, la mise nelle sue mani, proferen- do le memorande parole di serbarla in difesa della religione e de^suoi sudditi (2), Quindi per l'età di anni 8 del novello re, che prese il titolo di Ferdi- nando IV di Napoli e III di Sicilia etc, istituì una reggenza di personaggi; ma il marchese Tanucci ne resse il timone senza dipartirsi dai consigli dell'au- gusto genitore di Ferdinando. -L'anno vegnente (1760) popolossi l'isola di Usti- ca., siccome dipoi (1771) fecesi nell'isola di /^erztoi- tene, che erano nido di pirati. Maggior grido ebbe poscia la colonia di s. Lpucìo presso Napoli, dive- nuta floridissima per le vigili cure del re che ne fu il fondatoi'e (1776). Rinnovatasi la guerra (1761) fra l'Inghilterra ed (i) Era il terzo genito, perchè il pi-inio figlio Filippo fu ina- Bilìlato a regnare per comprovata impotenza fisica e morale; ed il secondo genito Carlo fu dichiarato principe delle Asturie, indi Carlo IV re delle Spagne ec. [•x] Becat. id, Coppi id. pag 47- Memorie istoriche m AcctiMou 199 i Borboni, la nupoliiaiia reggenza maneggiossi accor- tamente per la neutralità delle Sicilie, che venne ri- spellata. Infausto avvallamento accadde nellMLiUZz-a citeriore ai 24 giugno lyGS alle falde della il/rt/e/Za nella terra di Roccamontc piano colla morte di 600 persone (i). Il qual infortunio da sicure indagini per noi prese avvenne dopo tre giorni di continuala piog- gia; il monte videsi in più ore camminare, ed eb- ber salva la vita solo gli abitanti che fuggirono (cir- ca 700), tale essendo l'avvallamento che ora non si tro- va più traccia dove fosse il paese. Noi fino dal prin- cipio di queste memorie abbiamo narrati simili disa- stri avvenuti eziandio nel territorio accumolese (2); e più volte siamo tornati con maggior proposito sullo stesso argomento (3): e non ha guari lo abbiamo per officio energicamente discusso e commendato. Impe- rocché i disastri in discorso sì ripeteranno ovunque, finché non saranno giudiziosamente rimboscati gli a- pennini e subapennini monti. Né solo a vedersi è l'accennato sinistro, ma più di sovente pe'funesti di- boscamenti succedono alluvioni con incalcolabili dan- ni di pubblica e privata economia e di morbi non pochi, senz' enumerare le febbri di accesso che più intense insorgono in que'luoghi di mal'aria per l'in- diretto influsso de'venti australi, non più riparali per (I) Coppi id. pag. 77. (2) Parte prima, pag. 2o-3o , e Giorn. arcadico voi di d'i' cenibre iS-jS- Parte seconda pag 66. (5) Opuscoli scelti scientifici di Agostino Cappello pag. •264- 78 ( i85o ', Giorn. arcadico tom. 78, p:ig. igo-S. Discorso sopra uu parziale avvallameuto ec. avvenuto nel di 2 marzo i838. 200 Letteratura le iliboscate selve e per gli svariali eccessi di calore e di umidità per l'atlerraineaLo di esse. Riepilogava io quindi, per le incessanti dirnau- de di diboscare e devastare le selve, in piena ragu- nanza ( i4 settembre 1842 ) al supremo magistrato di sanità: Sono le ben conservate foreste cbe assorbono 1' umidità e le irrespirabili gazose esalazioni, ridan- do coli' azione della luce solare aere salubre. Sono esse che per l'uniforme loro temperatura non produ- cono ne' circonvicini luoghi quegli svariati, e spesso eccessivi termometrici cambiamenti, pe'quaìi insoigo- no diversi morbi. Sono le foreste che rintuzzano i venti australi e gì' impetuosi del nord, gli uni e gli altri potenti ausiliarie cagioni di differenti morbosità. Sono le selve che nei continuati diluvi, o nelle esti- ve tempeste, non solo assorbono copiosa acqua utile alla prospera vegetazione, ma soprattutto impediscono i sinistri avvallamenti, e le alluvioni divenute oggidì cotanto disastrose. Sono le foreste che raffrenano il corso de'torrenti, che le intersecano: e diboscate che sieno, innalzasi il loro alveo, e straripando accresco- no i funesti avvallamenti, e danno luogo a sinnuosità palustri ed a nocivi effluvi, specialmente nell'estate ed autunno. Sono le foreste che pel periodico sfollamento necessario alla loro buona conservazione somministra- no il combustibile, ed i legnami per costruzioni e per altri usi sociali. Sono esse che colle deperite piante danno a'poverelli legna da ardere, la cui mancanza vedesi in taluni luoghi cagione di mortali malattie. Sono le foreste che , in ispecie nell' inverno , col- la macerazione delle foglie sotto la neve formano quel terriccio vegetabile , che sciogliendosi per 1' acquosa fluida azione filtra sotterra , e feconda nou meno il Memorie istoriche di Accumoli 201 J)08C0 che le terre sottostanti. Le erbe del terreno ove sono le selve, e le loro foglie, alimentano opportuna- mente diverse specie di animali domestici. Le selve finalmente, scaricando lentampnte l'elettrico dalle ad- densate nubi temporalesche, allontanano sovente no- cevoli meteore. Qualche odierno autore accenna la curia vesco- vile di Ascoli nel Piceno in regno, residente in Ac- cumoli, ma nessuno ne dà l'istorica origine. Essa è recentissima ( 1766 ) per favore di alcuni accumo- lesi ad un tal parroco di villaggio, che traslocato di- poi dal vescovo in altro villaggio fuori del comune, fece tristissimo fine. Ora per intrigo il governatore di Accuinoli avanzò studiata relazione al napolitano mi- nistero, dal cui dispaccio comprenderassi il significato. (( Da tutto quello che V. S. ave rappresentalo )» in data dei ii dello scorso intorno alla maniera, » con cui intende la curia vescovile di Ascoli pro- » cedere nella causa del supposto naturale di co- » desto stato, è venuta S. M. in considerare , che » ciò non possa avere altro oggetto che di vessare i » suoi sudditi con strapazzi e spese, quandocchè sen- » za chiamarli in residenza potrebbe e dovrebbe eser- » citare sopra i medesimi la competente giurisdizio- » ne per via di vicari sul luogo stesso. In questa in- » telligenza vuole la M. S,, coerentemente al parere )> di V. S., che da lei s'insinui in real nome al ve- » scovo di Ascoli la proposta destinazione del vica- )> rio in Accumoli per le cause de'regnicoli , anche » perchè si tratta di due stati l' uno di Accumoli , » l'altro di Amatrice: con fargli pure comprendere )) che in questa maniera non verrebbe pregiudicata j» la di lui curia nelle sue giurisdizioni e prerogative 202 Letteratura )) legittime, né tampoco ne'propri dritti : anzi pitit- » tosto si renderebbe piij rispettabile l'autorità della j) curia, giaccliè in caso di bisogno verrebbe assistita » dal braccio regio. Portici ii ottobre 1766. Bcr- » nardo Tanucci. Signor governatore di Accumoll. >/ Comunicatosi il real dispaccio al vescovo, rispo- se die l'inattesa pretensione era novità inammissibile. Gli accumolesi tuttavia seguono a riclamare in ISa- poli, d'onde cominciano diplomatiche note colla s. Se- de, non solo per la diocesi di Ascoli, ma per altre eziandio dello slato pontificio aventi giurisdizione nel regno (i). l dissapori in questi dì fra le corti borbo- nicbe e la s. Sede , per la bolla di Clemente XIII risguardanie il ducato di Parma e 1' indeijita ed o- 8tile occupazione di Benevento e Ponte Corvo (1768), ritardarono lo sviluppo di questa pendenza. Tornata indi l'armonia, Clemente XIV con breve del dì il giugno 1771 concede a P'erdinando IV che vi sia nei luoghi di regno un solo vicario generale di sua fidu- cia per ogni diocesi dello stato romano che vi ha giu- risdizione (2). Conosciutosi appena il breve pontificio , il co- mune di Amalrice segretamente riclama , che debba ivi fissarsi la residenza del vicario generale di Ascoli in regno. Per l'accorta relazione di quel governatore, e per caldi offici praticati in Napoli, si ottiene il se- guente dispaccio (3): (i) Rieti, Spoleto, Montaho, Ripatransone ec. (2) Bullarium romanum, continuatio. Romae i84i> tom. IV/ pag. 343. ^3j Processo cil. pag. 66. Memorie istoriche di AcctJMou ùù3 » Reputando il re conveniente, che il vescovo » di Ascoli faccia risiedere il vicario generale per la )) sua diocesi in regno in cotesta città , non già in ì) Accumoli, ha risoluto e ordinato che ciò s'insinui )) al suddetto prelato: e gli s'insinui al tempo stesso )) di tenere una volta l'anno l'ordinazione generale, » e di permettere agli ordinandi di far gli esercizi j) spirituali in cotesta città o in Accumoli, secondo » le rispettive loro patrie (i). Nel real nome lo si- j) gnifico a V. S. acciocché faccia le menzionate in- » sinuazioni, e mi avvisi l'esito. TNapoli 20 settem- » bre 1771. Bernardo Tanucci. Signor governatore p di Amatrice ». I cittadini di Accumoli, sicuri della detta resi- denza nella loro patria pel dispaccio del 17G6, atto- niti rimangono quando non prima dei i5 novembre ( 1771 ) vien loro di Ascoli con fondamento sup- posta la destinazione del vicario generale in Amatri- ce. Perciocché adunasi general parlamento (consiglio) nel dì 17 novembre, la cui risoluzione in data dei 23 di detto mese si umilia al trono dal governatore di Accumoli, accennandosi da ultimo per folle la pre- tensione di Amatrice (2). La M. S., perchè del tutto venga chiarita la quistione , incarica il delegato dei RK. stati allodiali consigliere don Salvatore Caru- (1) Non meno da questo dispaccio, che da quello del 1766 sopra riportato, il niinislro ignorava che la giurisdizione di A- scoli in regno steudevasi non solo in Accumoli e sue ville, ed m Amatrice e nella metà delle sue ville (provincia di Aquila), ma ancora nella Valle Castellana comprendente 12 parrocchie (in provincia di Teralllo^ i'i) Processo cit. pug. 2-4- 2o4 Letteratura so, il quale ordina che ne sia compilalo i! formale pro- cesso per noi pivi volte citato in queste memorie, e tuttora esistente nelle nostre mani. Il regio delegato rimette a tal uopo l'accumolese istanza al governa- tore di Amatrice, come dal seguente dispaccio : « Signor mio e signor ossmo, u Dal signor D. Raffaele De Rogatis, regio go- » vernatore di Accumoli, essendosi fatta in seguito » della inchiesta istanza di quel pubblico l'annessa » rappresentanza al re N. S. , mi si è ordinato in » real nome d' informare sopra di essa col mio pa- » rere. Ond'è, che io la rimetto originalmente a V. » S., perchè dopo aver sentiti i priori di Accumoli » affine di giustificare le prerogative che crede di ave- » re quel luogo sopra l'altro di Amatrice, senta an- » Cora le preminenze, che l'Amai rice stima di ave- » re sopra Accumoli. Attenderò poi che col ritorno » della rappresentanza mi si riferisca da V. S. con n chiarezza e con imparzialità quanto occorre sulla » circostanza de'predetti due luoghi, qualità de'loro » concittadini e numero di anime, monisteri e con- n venti che vi sono, ecclesiastici qualificati, e di tut- » to altro che possa fare conoscere chi de'medesimi » due luoghi possa meritare la preferenza : e resto » in confermarmi » Di V. S. sig. D. Pietro Celentani regio gover- » natore di Amatrice. Napoli 28 gennaio 1772. Af- » fezionatissimo servitore obbligatissimo Salvatore Ca- » ruso. » Il Celentani scrive al governatore di Accumoli ( 4 febbraio 1772 ) perchè avverta officialmente la Memorie istoriche di Agcumoli 2o5 magistratura di portarsi in Amatrice, a tenore degli ordini del regio delegato degli slati allodiali. Il go- vernatore di Accumoli risponde, che pel cattivo tem- po il magistrato ri larderà qualche giorno per portarsi colà. Agli TI di detto mese il magistrato medesimo scrive rispettosamente a quel governatore, che la sua gita sarebbe inutile, finché di Napoli non tornassero gli originali documenti inviati per l'obbietto all'av- vocato del comune (i). Ma questa si fu una vera scusa: giacche in Napoli un solo cenno degli accu- molesi privilegi si diede nella suddetta istanza, e nien- te ( all'infuori di una supplica ") era stato rimesso al- l'avvocato. Ma il vero scopo di questa scusa era la detta supplica fatta avanzare al prefato consigliere ^ perchè si degnasse deviare l'incarto dal governatore di Amatrice, siccome rilevasi dal dispaccio diretto al giudice di Montereale. » Signor mio e signore ossrào, » Dopo aver lo data al governatore dell' Araa- » trice, signor Celentani, la comtnessione di un in- » formo stragiudiziale sul punto delle preminenze , » che la città di Accumoli pretende avere sopra l'A- » matrice medesima, metto a V. S. come viciniore » questa stragiudiziale informazione, al qual effetto w ingiungo coll'ordinario corrente allo stesso signor » Celentani di passare in mano di lei le carte spet- » tanti all'assunto, di cui si tratta. Faccia ella ve- » dere in quest'affare la sua imparzialità per l'una ì) e per l'altra delle parti, e me ne dia a suo tem- (i) 1(1. pag. 6-8. 2o6 Letteratura » pò il conveniente ragguaglio ; e resto in confer- » marmi » Di V. S. sig. D. Francesco [annetti regio giu- » dice di Montereale, Napoli 29 febbraio 1772. A.f- » fezionatissimo servitore obbligatissimo Salvatore Ca- I) ruso. » Il governatore di Amafrice rimise subito (9 mar- zo ) l'incominciata compilazione al lannetti. Questi in data de' 12 marzo scrive ad ambi i governatori di Accumoli e di Amatrice, perchè d'officio si com- piacciano intimare ai rispettivi magistrati di portarsi entro tre dì alla sua residenza pel proseguimento della suddetta informazione a tenore delle sovrane determi- nazioni. Il magistrato di Amalrlce in data dei ly mar- zo chiede in grazia una dilazione per rinvenire i ne- cessari documenti, ed è accordata per f5 tlì, più per altri i5 giorni e piìi ancora. Finalmente ai 17 mag- gio ( ryya ) presenta al lannetti la sua istanza coi documenti (i). Il magistrato di Accumoli fino dai 24 marzo aveva presentata la sua con originali ed au- tentici documenti, aggiugnendo con opportuni alle- gati la perdita degli altri privilegi (42) superiormente discorsi (2). Di Montereale 9 giugno 1772 dà il regio com- missario lannetti una diffusissima relazione, rinvian- do con essa l'originai processo co'documenti di am- be le parti in Napoli al consiglier Caruso (3). Per- venuto in Napoli questo processo , non prima dell* anno vegnente ( 29 aprile 1773 ) si determina con (1) Id. pag. 57-84. (2) Id. pag. 17-56. (3) Id. pag, 85-92. Memorie istoriche di Accumoli 20 7 sovrana deliberazione la residenza del vicario in Ac- cumoli (i). Diversi rispettabili ecclesiastici avevano citato a questo posto, come rilevasi dal seguente di- spaccio. » Illustrissimo signore signore padrone colmo, » Il re N. S. con real dispaccio de'aq del pas- » sato, a me diretto per mezzo della prima reale se- » grelaria, ha comandato, che il vicario generale del » vescovo di Ascoli per la diocesi in regno sia con » effetto V. S. Illma, e che la di lei residenza debba ») fissarsi in Accumoli. La prevengo di tutto ciò con » mio piacere, affinchè in esecuzione degl' ordini di » S. M. si serva di passare al suo deslino, avendo- n ne io di tutto prevenuto lo stesso vescovo. E colla )) brama de'suoi comandi mi raffermo. » Di V. S, Illma. sig. D. Pasquale de Sanctis ») canonico della cattedrale di Teramo. Napoli 8 mag- » gio 1773. Devotissimo ed obbligatissimo servitore » Salvatore Caruso. » Trovasi conìemporan^^amente notizia officiale di questa sovrana delerminazione al magistrato di Ac- cumoli, a cui si rimetteva il suddetto originale pro- cesso, perchè fosse gelosamente conservato nell'archi- vio comunale. Al non lieve benefizio della residen- za del vicario , la maestà di Ferdinando IV ordinò (ij Per le altre diocesi noa vi era stato contrasto di sorta; poiché per la diocesi ili liieli si (Issò la residenza del vicario a Monlereale; per Spoleto a Jjionessa; per Montalto presso Civi- tella del Tronto ec. La giurisdizione del vicario generale di A- scoli in regno, residente in Accumoli, comprende Accumoli colle sue ville, l'Aniatrice colla maggior parte delle sue ville (provin- cia di Acjuiia), e li parrocchie della Valle Castellarla in pro- vincia di Teramo 2o8 Letteratura nell'istesso anno, che col suo allodiale peculio si rad- doppiasse l'emolumento , ohe Accumoli aveva asse- gnato da moUi lustri al maestro di grammatica su- periore e di umanità, coll'obbligo d'insegnare gratui- tamente anche agl'individui de'villaggi di quell'uni- versità che si portassero alle pubbliche scuole : di che diremo meglio negli articoli sugli usi e costumi. Il re, uscito di minoi'ità fino dal 1767, erasi spo- sato l'anno appresso ( aprile ) coll'arciduchessa d'Au- stria Maria Carolina sorella di Giuseppe e di Leo- poldo. Se dappertutto festeggi aronsi le reali nozze, lo furono sopraramodo nella capitale. Fra i molti provvedimenti, che vedevansi in quest'epoca emanati in Napoli, ci sembrano ricordevoli la nullità de'con- tratti de' figli di famiglia e delle donne ( 24 aprile 1766 ) , e il divieto a quelli di contrarre matrimo- nio senza il paterno consenso sotto pena di essere diseredali da'genitori ( aprile e luglio 1771 ) (i)- En- comiata fu ancora la legge ( 1774 ) » che d' ora in avanti l'autorità de'dottori interpreti e commentatori fosse abolita dal foro : che i giudici dovessero de- cidere le cause ^ citando il testo della legge sopra di cui appoggiavano il loro giudizio : e che le sentenze dovessero essere ragionate ^ contenendo i punti di fatto e di diritto, pei quali erano ema- nate. Né minor plauso ebbe pochi anni dopo la leg- ge risguardante l'ipotecario regime senza quelle gra- vezze importate poscia dallo straniero. Cadeva in que- (i) II lettore, che desiderasse conoscere minutamente quanto fu in questi tempi pubblicato intorno alle leggi, può consultare il Gatti, Raccolta de' di spacci e delle prammatiche. Memorie tstoriche d[ Aggumoli aoq sto tempo la potenza del Tanucci, e come mitilstro gli subentrava ( 1774) il marchese Della Sambuca. La regina Maria Carolina, dotata d'intelligen- Zi. e di attività non comuni, nulla tralasciava per- chè il real consorte emulasse i sovrani di Austria e di Toscana suoi fratelli, intesi a migliorare le leggi, ed a fare nuove istituzioni che si reputavano utili. Ma le proprie pel suo reame promulgavansi da Fer- dinando IV; ne minore di quella del padre spiegava la protezione agli studi ed a' suoi cultori. Ebbe a cuore inoltre la fondazione de'collegi militari, e per real comando fu di poi ( 1786 ) compiuto ed ordi- nato il regio archivio; e indi a poco fu aperta al pub- blico la biblioteca reale, che in questi dì era stata arricchita delle opere più pregevoli che si contas- sero in Europa. Nel precedente capitolo accennossi l'infelice suc- cesso della spedizione di Spagna contro Algeri (1775) per la discordia dei supremi comandanti di quella nazione. Maggiore sarebbe stata la sciagura senza la marina italiana, inclusive la napoletana, che contri- bui alla salvezza di molte migliaia di soldati. Per va- lore ed esimia perizia si distinse soprattutto il co- mandante della squadra toscana, V inglese Giovanni Acton (i). Universale ammirazione riscosse quest'am- miraglio : e fu tale nei sovrani delle Sicilie, ch'essi lo dimandarono in grazia al G. D. Leopoldo pel mi- glioramento della loro marina (2). Il moltissimo favore acquistatosi dall' Acton appo i medesimi , non solo (1) Gaetani^ Op. cit. pag. ii3'4, Becaltiai, id. (2) Gaetani, Id. G.A.T.XCV. 14 2 IO Letteratura "^^ crebbe, raa seppe ancora conservarsi fino all' inoltra- ta vecchiezza. Se giuste iodi tribuironsì a Carlo III per l'in- cremento delTagricollura e del catasto (174^)5 na^g- giori a nostro giudizio si debbono a Ferdinando IV ptjr le seguenti istruzioni dirette a tutti i comuni del regno nel lyBS. Per essere le medesime poco noie al pubblico , noi crediamo riportarle onde mostrare quanta sapienza ed economico provvedimento, nell'e- poca di cui si discorre, in esse si racchiudano (i), » Istruzioni per ciascuna università del re- » gno. Le produzioni della terra, che formano il be- )) ne reale dell'umanità ed il più solido fondamento n dello stato, han reso l'oggetto più degno delle po- )) litiche speculazioni tutto ciò che conduce al miglio- » ramento dell'agricoltura. Per ottenersi un tal fine » conviene che si abbia un'esatta cognizione de'ter- » reni, che voglioijsi migliorare o porre in valore. )) Quindi il re N. S., le cui provvide e paterne cu- » re sono dirette a far sì che i suoi popoli, mercè » l'agricoltura, siano condotti a quel grado di opt^- » lenza, alla quale vengono invitati dai naturali vaq- » taggi della loro situazione locale, vuole e coman-. » da per il maggior bene de'suoi amatissimi sudditi; » I. Che i governatori locali di cjascuu paese, » tanto demaniale, quanto baronale, in unione degli )) amministratori e del cancelliere dell'università, e » di sei dei migliori più anziani ed esperti clttadi- )) ni scelti dal pubblico parlamento, nel termine di (i) Queste istruzioni sono prese dall'originale copia rimes- sa al comune di Accumoli, ove entro ì tre iqesi {'14 lorod^ta à.\\\- geate esecuzione ( Meni, cil- }. MeMOUIE ISTORIGHE DI AcCUMOLt 211 I) due mesi formino e rimettano al supremo consi- » glio delle finanze un piano, ossia mappa, in cui » descrivano primieramente la situazione del paese, )) se sia montuosa o piana, se abbia acque sorgive o » correnti, ovvero se faccia uso di piovana, e qual I) sia la sua disianza dal mare. » II. Che descrivano il totale dell'estensione dei }) territorio che appartiene alla popolazione , com- » putanJoio per moggia, o siano tumolate; e quindi » appresso distinguano quale quantità sia addetta ad I) uso di semina, quella che venga occupata da vi- » gne, quella che sia destinata ad oliveti o ad alberi » fruttiferi o giardini. Che dinotino quanta sia la I) porzione che rimanga per pascoli , distinguendo i n piani dai montuosi. Qual parte sia boschiva, e se » questa sia piana o montuosa : la quantità de'ter- H reni paludosi o sommersi dall'acque; e quelli che » sono tutti affatto inutili all'agricoltura e alla pa- » stura. E conchiudano finalmente tale descrizione, » con dare la quantità de'terreni fruttiferi, e di quel- » li che sono infruttiferi: soggiungendo quelle rifles- » sioni che crederanno proprie di umiliare al real » trono, conducenti al miglioramento locale della lo- » ro agricoltura. » III. Notate le rapportate diverse qualità del » territorio, passino a prescrivere la quantità di cia- » scuna qualità di terreno che si possegga dai laici, » senza però entrare nel dettaglio de'norai partico- » lari de'proprietari , ma in grosso, e senza entrare » nella natura di tali terreni , se siano allodiali o » feudali. Appresso si descriva la quantità posseduta » da'corpi di ecclesiastici secolari , da vescovi e da » badie, e da'beuetìcii ecclesiastici j indi si noti la quan- 212 Letteratura » dtà che ne hanno gli ordini regolari di religiosi » e di religiose; ed in fine ciò che si possiede dai » monti e dai luoghi pii laicali di qualunque sorte, » Fatta questa dettagliata descrizione, si passi a de- » signare l'estensione del dominio feudale, se ve ne » sia, con gli diritti di pascolo o di semina, che i )) naturali del paese vi abbiano : ed ancoi'a si desi- » gni la quantità del demanio dell'università , e se )) questo si tenga per uso de' cittadini, o se sia dato » a fitto, onde il prodotto s'impiega nella soddisfa- » zione dei pesi fiscali. » IV. E volontà della M. S. che tale economi- » ca descrizione si faccia senza misura, e senza ob- )> bligare alcuno a far le rivele, acciò si eviti ogni )) dispendio ; dovendosi tutto con diligenza e con » esattezza verificare colle notizie individuali da ri- » trarsi dalle persone pratiche, e da coloro che me- » nano industria, » V, Badino perciò i governatori locali, gli am- » ministratori delle università, a non cagionare spesa )) veruna o vessazione uè al pubblico, né a'privati, » e si astengano dall'esazione di diritti sotto qualun- » que pretesto, per non essere dalla M. S. severa- » mente puniti; ma solo adoperino tutta la maggior » loro intelligenza ed avvedutezza per corrispondere » alle benefiche intenzioni della M. S. Ed accioc» n che questa sovrana deliberazione venga a notizia di » tutti, e possa essere esattamente eseguita, vuole la )) M. S. che il commissario di campagna e i presidi )) provinciali ne distribuiscano una copia stampata a » tutte le corti locali, e che invigilino all'eseguimen» )) to della medesima, » Con siffatta legge il governo conseguiva un ob- Memòrie istoutche m Accumoli arS- biette d'importanza massima senza alcun aggravio. Per contrario nei casi, ove nessuna economia doveva at- tendersi, Ferdinando IV profuse tesori. I soccorsi di ogni sorta generosissimi prodigati all'infelice Calabria pel tremuolo durato y mesi, e pel consecutivo epide- mico morbo ( contagio tifoide ), passeranno con som- ma lode alla più tarda posterità ( 1783-4). Ne un' altra calamità che affliggeva il regno ( baroni ) per- devasi di vista, giacché sulle tracce di Carlo III mi- lavasi di apporvi gradatamente riparo. Decretava il re l'abolizione de'pedaggi, sopprimeva la qualità feudale nella vendita de'beni devoluti al fisco, e ordinava la divisione de'fondi confusamente soggetti a servitù di uso (i). »W ' I II. " ' ' ' li ■ " . . f (i) Coppi, id. tom. 3, pag. a64. Quest'istorico scrive, che in alcuni feudi i vassalli erano soggelli a capricciose tasse, e talvol- ta obbligati a lavorare per un determinato numero di giorni gra- tuitamente pel bafone ; mentre in altri luoghi diverse servitù personali erano state cangiate in prestazioni pecuniarie. I baro- ni poi avevano generalmente il diritto di percepire 'sui terreni de'loro feudi una porzione del prodotto, che talvolta era la de- cima parte, ed alcune volte si estendeva sino alla quinta. Essi godevano inoltre il diritto del pascolo : he il contadino poteva seminare il terreno, che in un determinalo giro di due, di tre, e talvolta anche di sei anni. Le acque correnti appartenevano e- sclusivamente ai baroni, ed essi soli potevano avere mulini, co- me pure forni ed alberghi. Di più in molti luoghi avevano im- posto pedaggi pel transito che si faceva alle barriere de' feudi. Eranvi pertutto latifondi , nei quali avevano diritti misti di pa- scere, di seminare e di legnare tanto 1 baroni, quante gli abitanti de'feudi. La giustizia criminale, e parte della civile, era esercita- ta in nome de' baroni: ed erano appunto baronali la maggior parte delle terre e delle cittìi del regno. Questo sistema feudale rendeva i baroni comunemente ricchi ( pag. 263-4 )• -^'^^ notate coserelle il lettore comprenderà ancora tutte le altre che anda- van congiunte a seconda della malvagità de' tempi e delle per- sone. 2i4 Letteratu r*a Le modificazioni e mutazioni, che pacificamente volgevano ogni dì al meglio nel regno, sono paraliz- zate da violenta catastrofe universale, siccome fu la rivoluzione di Francia del 17B9 e seguenti. Essen- do essa troppo nota , crediamo superfluo parlarne : avendo materia bastevole per dire, come testimonio oculare, quanto ci somministrano le memorie della pic- cola nostra terra natia , che se non prendiamo ab- baglio chiariscono alcuni punti sconosciuti dell'isto- ria del regno. Per altro, prima di entrare nel muni- cipale nostro racconto, ci sarà concesso di premetleJ re poche nosti^e deboli e brevissime riflessioni. Alcu^ ni moderni istorici con classico sermone hanno leva- to grido di se: ma chiunque farassi imparzialmente a considerarli, scorgerà non solo lo spirito di parte da cui sono dominati, ma il sommo studio ancora, perchè nel lettore s'ingeneri avversione a chi con pa- terno amore, come abbiam sopra chiaramente vedu- to, governava i popoli delle Sicilie. Parrebbe a buo- ni conti, che si avesse dovuto spiegare indifferenza per quei segreti ed esecrandi orrori rivoluzionari , che rifugge l'animo a descrivere; poiché di tiranni- de vuol macchiarsi un governo, che coglie di fatto colpevoli distinti individui suoi sudditi, i quali, o- bliando le leggi e le passate istorie, nulla poi pon- deravano quanto avveniva di presente nell' istessa Francia. Imperocché ivi, nel cadere sotta la mannaia alla loro volta pressoché tutti i principali novatori medesimi , mira vasi apertamente a sciorre i vincoli della sociale catena in ogni angolo della terra. Ar- gini fortissimi faceva duopo ad ogni saggio governo di opporre per riparare l'infuriata procella, la quale straripando, sconvolse ancora le italiane contrade. Pur Memorie tsToRicttE di Accumoli 2i5 troppo acerbissimi vi furono in esse casi non pochi,?non solo per la caldezza d'inferocite menti volgari , ma eziandio'^per ispirilo di parte strabocchevolmente sol- levate in ognuna delle fazioni anche le più incivili- te: dimodoché taluni ministri trascesero appo noi di là dai prescritti limiti di religione e di umanità. Il che conferma, che le violenti politiche passioni indu- cono quell'encefalico esaltamenlr» , che sapientissimi medici hanno chiamato politica manomania. Ma per venire al proposito, quegli orrori di Fran- cia passati di bocca in bocca imprimevano costerna- zione profonda in ogni animo religioso , ordinato e civile. Fra di noi soprattutto ricordavansi con calo- re dagli altari, dai pergami, e ne'municipali aduna- menti; laonde incredibilmente esaltavansi le napole- tane menti contro i francesi e loro partigiani. Io ri- cordo benissimo che nella mia patria, oltre le pro- cessioni di penitenza ai vicini santuari, in ogni fe- sta, ora il sacerdote celebrante, più spesso il vicario generale, mai sempre il governatore e giudice, nell' ultima messa alla chiosa matrice 1' un dopo 1' altro pingevano con colori assai vivi l'enormità de'galli e de'loro fautori sovversive della religione, del trono e dell'onor delle donne ; e rappresentavansi predatori cupidissimi delle italiche robe. Con zelo apostolico ed affabile sermone era anche il primo a rammentare quel- 1' enormità il vescovo ( eminentissimo cardinale Ar- chetti ) quando incontrossi in visita per la diocesi. Appresso le perorava caldamente il marchese De Torr res, commissario del re negli stati allodiali per la le- va de'soldati volontari. Fu in detta epoca, che quell' eminentissimo porporato onorò i municipali comizi, e contribuì colla sua presenza che in numero gli accu- 2i6 Letteratura molesi giovani si arrolassero sotto le reali bandiere. Tornava quel porporato in Accumoli durante la bat- taglia di Faenza, e ripartiva per Ascoli dopo la pa- ce conchiijsa fra la s. Sede ed il general Buonaparte ( 19 febbraio 1797 )- Vari distinti marchigiani in que- sti tempi stavansi rifugiati nella nostra patria, fra'qua- li due giovani Parisani allora precisamente che nella loro casa a Tolentino seguiva la detta pace. Era ge- neral maraviglia che quell'inverno ( 1797 ) paresse una primavera nel centro stesso de'nosiri apennini: talché divertivasi la popolazione pel transito di varie centinaia di soldati pontificii reduci di Faenza, che passavano nell'accumolese territorio, essendo più che! amichevolmente accolti, sebbene fino dal precedente! anno (ottobre 1796) la pace fosse stabilita fra Na-» poli e Francia. La pace di questa con Roma turbavasi per l'uc- cisione del general Duphot ( 28 dicembre 1797 ) , il quale scagliando replicate ingiurie contro soldati armati in pattuglia, fece ad essi pei'dere la pazienza, ed esplodere i loro moschetti. Alla qwal reazione erano nello stesso tempo incitati dalle rabbiose minacce di pochi novatori romani. La morte di Duphot per fortui- ta incidenza avvenuta, senz'alcun pensiero del gover- no, servì di pretesto per dar fine a quanto erasi in Ancona dato principio nel novembre precedente, col- l'invadere tutto lo stato pontificio, e ridurlo in re- pubblica al modo di Francia: colla soggezione peral- tro al supremo duce francese stante in Roma, senza il cui arbitrio nessun atto avesse forza di legge. Le quali cose ebbero effetto nel febbraio 1798. Perse- cuzioni, tasse moltiplicate, concussioni e carestia e- slrema ne furono i tristi risultamenti: oltre l' esilio Memorie isxoRrcHE di Accumou 21^ tli utl papa, che mentre con cristiana rassegnazione soffrì infinite tribolazioni, malattie e morte, con eroi- ca e santa fermezza , malgrado della decrepita età , fu saldissimo a quanto incombeva al vicario di Cri- sto. A nulla era valuta l'interposizione di Spagna e di Napoli in pace con Francia, perchè si rispettasse il trattato di Tolentino. L' erainentissimo Archetti nostro vescovo, neiravvicinarsi la francese invasione, tornossene in Accumoli, ove attese indarno altri tre porporati, ai quali aveva fatto preparare convenevole alloggiamento. Dopo un mese circa se ne parli la- sciando al nostro vicario generale tutte le facoltà per le 87 parrocchie nel regno di sua giurisdizione. Di- fatti da esso vicario furono spedite molte dimissorie anche per sacerdoti che furono ordinati da monsignor Graziosi vescovo in partihus , che per la francese invasione di Roma erasi risfituito a Berbona sua pa- tria. Il regno, circondato ora da paesi costituiti in re- pubblica, mise in grave pensiero i sovrani delle Si- cilie, che dopo aver guarnita la frontiera di truppa ili linea, invigilavano alle rivoluzionarie mire, volte ancora contro il loro reame. Molte migliaia di sol- dati di leva volontaria eran periti di tifo : onde fu duopo alla rea! corte di fare grossa leva, attivata nel seguente modo. Dispacci sigillati furono nell' agosto 1798 diretti a tutti i comuni del regno, perchè nel- la domenica due di settembre fossero aperti dalle au- torità, e manifestati avanti i maschi dall'età dei 16 ai 60 anni. Il mio paese natale, circondato dai no- velli dipartimenti repubblicani Clitunno e Tronto ( Umbria e Piceno ), riposava sopra la conchiusa pa- ce. Ma circa i 20 di agosto spandesi in Accumoli una sorda voce, che pur partigiano di repubblica sia 3i8 Letteratura il governatore Francesco Pisani calabrese: che tenga segreta corrispontlenza co'capi di que' dipartimenti : che i confini di questi coll'accumolese si rafforzino con molta truppa straniera , la quale in quel dì 2
  • i Interpretazione del verso di Dante : « Ebber la fama ch'io volentier mirro. » Farad, e. 6, v. 48. -Àe opinioni dei dotti e dei cementatori intorno al mirro del verso qui sopra allegato sono varie, di- vergenti, e tutte, per quel ch'io ne veda, o più oscu- re del vocabolo postillato e comentato, 0 affatto con- trarie al testo ed alla buona regola dei traslati. Alcuni dicono coWottimo commuto : « Quella fama, la quale volentieri corono e onoro con mirra, la quale dà ottimo odore : » altri col Monti (Prop. voi. 3, p. i. f. i32) fan codazzo al Vellutello che spone in cotesto luogo mirrare, dalla mirra, quasi volesse dire imbal- simare e conservare. Sono finalmente altri, e tra essi il Lombarili, i quali chiosano col Buti : « Volentier mirro ; cioè miro , cioè lodo io lustiniano ; ma è scritto per due rr, per la consonanzia della rima. » Ma quel primo corono ed onoro con mirra è un parlare oscuro, se non è improprio; che, in ve- rità, se la mirra è gomma o resina, come possiamo incoronarne alcuno, siccome sogliam fare dei fiori e delle fronde ? Se poi la mirra di che qui si parla è in ramoscelli fioriti e frondosi, chi udì mai che gli antichi onorassero altrui, coronandolo di frondosa mir- ra ? I poeti anzi, sì latini e si italiani, ben lungi dal coronare di mirra gli encomiati personaggi, di lei fa- cevano roghi funerei ai loro cadaveri, come Dante, aS2 Letteratura imitatore giudizioso de'famosl poeti, ne compone II ro- go su cui la fenice muore incendiata per tosto ri- nascere : « E nardo e mirra son 1' ultime fasce » ( Inf. 0. 24, V. 120 ). E la sposa dei sagri cantici aromatizzava bensì il proprio seno con dei mazzoli- nl di fiori di mirra, ma non mai ne incoronava la testa : « Fasciculus myrrhae ... inter ubera mea com- morabitur. » ( Cant. 1, v. 12.) (i). Quell'altro mirro per miro, ammiro, oltre che si appoggia tutto al comodo ed arbitrario supposto, che ivi l'autore usasse di licenza poetica, fu dal Mon- ti fortemente riprovato: avvertendo a buon diritto, che la fama dei grandi personaggi si ammira alta- mente ^ e non mai volentieri, o quasi per gentilez- za ( Prop. ivi med. ). Da ultimo quel mirrare la fama, quasi imhal- simare, conservare, che dopo il Vellutello ammira cotanto Vincenzo Monti, è tale un tropo, che non sa- prei se verrebbe tollerato nello stesso Preti o nell'A- chilli ni. Ma fa poi sorpresa il vedere quel grand'uo- mo, che fu il Monti, trascurate le forti ragioni per cui il Lombardi esclude il mirro per imhalsimo, met- tersi tutto al provare che mirro è figlio legittimo di mirrare ; e quindi addurre che, come da balsamo (i) Nell'esposizione del sacro testo si è voluto favorire i vec- clii coraentatori, supponendo che le giovani ebree portassero in seno dei niazzolini di frondi e fiori di mirra, colli forse nel rea- le giardino degli aromi: ma veramente la comune dei sacri in- terpreti non vi ravvisa mazzolini di fiori , ma gotte o lacrime. di mirra racchiuse in un saccollno.e però traducono il testo non ■per fasciculus myrrhae, ma per alligamentum siactes, sive gutlae tnyrrhae ; colligatio guttae myrrhae ; crumena vel bursa myr- rhae, e simili. Vedi a Lapide, luogo citato. Verso di Dante a53 imbalsamare, da incenso incensare eè., così da mir^ TPa si è fatto giuslameate mirrare, condire di mir- ra; e finalmente confortare l'asserto coli' aceto e il vino mirrato di frate lacopone da Todi, e coi mir- rati sospiri tolti dalla Meditazione sopra Valhero della croce. Che certo la difficoltà maggiore non istà Bell'ammettere, che da mirra possa venire mirrare, e mirro per condire corj mirra, dare il sapore di mir- ra o l'amarezza della mirra, come negli esempi ad- dotti; né quel discretissimo espositore che fu il Lom- bardi, il quale senz'altro esempio ammise di buona voglia immii,intuassi (Par. 9, 81 ),inlei (Par. 22, 127 )t imparadisa { Parad. 28, 3 ), quali figli legitti- mi di immiare, inleiare, intuare, imparadisare, por- cile chiari e distinti nel significato, sarebbesi rifiuta- to dall'ammettere su questo solo esempio il mirro da mirrare, quando non fessegli sembrato indegno del poeta e dell'imperatore Giustiniano il significato ap- postogli comunemente. Onde è che piuttosto era da vedere se questo imhalsimare , significato attribuito al mirro, potesse convenire acconciamente e nobil- inente alla frase (Ji. cui fa parte. Ove ciò fosse, niu- no avrebbe voluto escludere mirro dai figli legittimi di mirrare : ma se la ragione ed il concetto si uni- scono ad escludere il significato dell' imbalsimare , con esso verrà pure escluso da questo verso il mir- rare e mirro in quella significazione, Veramente era cosa molto ovvia l'intendere que-r sto mirro per imbalsamo, condisco con mirra', si- gnificalo che prontamente si presenta al pensiero del lettore che per poco abbia inteso parlare dell'uso piìi comune, che gli antichi facevano degli unguenti di mirra. Però niurja maraviglia che gU assai commen- 254 Letteratura tatori al leggere mirro la fama corressero tosto sen- za altra ponderazione al comunissimo e comodo si- gnificato à' imbalsamare la fama con mirra. Ciò a prima giunta è naturale : ma chi meglio considererà l'azione indicata àdXVimbalsimarey il suggetto che do- veva praticarla, e l'oggetto a cui tale azione doveva- si applicare, non saprà acconciarsi a credere che uvk poeta, così discreto e conseguente nei suoi traslati, potesse intendere ne all'imbalsimamento della fama, uè ad assegnare tale farmaceutica operazione ad un inclito imperatore. Imperciocché, dato per un islanle solo che sia un bel traslalo V imbalsamare con mir- ra la fama, per farla immolatale colla mirra, poe- tica consej'i'ulrice di tutti i nomi dei valorosi^ s.di-' rebbe sempre offizio estraneo al nobile interlocutore, il quale non era un poeta ma un glorioso imperato- re, che con alto concetto ritraeva a Dante le glorie dell'impero , senza pure sognarsi né di fare poemi , ne di usare questa mirra , poetica conservatrice dei nomi. Arroge, che la fama, di cui qui si parla , se era tale che per conservarsi abbisognava dell'unguen- to di mirra, non potea esser di quella specie , ch^ dura e durerà quanto il mondo lontana (Inf. e. 2, 60 ) senza altri condimenti poetici ; e quindi Vir- gilio avrebbe potuto vantarsi di miglior fama e dì maggior gloria, che non i duci ed i baiuli del sali- to segno, che fé i romani al mondo reverendi, lì perchè più cementatori, sospettandovi ed intravvedea- dovi un significato così nobile quanto nobile era la fama di quegli eroi, rinunziato al comune e funereo, si appigliarono ad altro senso più acconcio ed onorifico. Quindi r Ottimo non ci volle vedere un imbalsi- mare, ma un coronare ed onorare con mirra : Verso di Dante aSS ed il chiarissimo abate Manuzzi nel suo F'ocabola- rio della lingua italiana, tenutosi stretto al parere di questo, non ce lo volle vedere nemmeno , e di- cliiarò il mirrare figuratamente per onorare con mir^ ra. Altri poi anche in questo pellegrino parlare pre- sentendo tuttavia quei funebri misteri che si fanno ai dejvnti , e non sapendo staccare il mirro dalla bassa idea di cosa unguentaria, si lasciarono al co- modo supposto di licenza poetica, stimandolo un am^ miro la fama ec. Di questi furono il Lombardi, il Bia- gioli ed altri. E comecché questi secondi interpreti non men dei primi dieno nel falso, pure ci offrono prova che loro non piacesse il balsamo unito alla fama. Per me non so di vero chi, ai giorni che ci corrono, ingemmerebbe i suoi parti poetici con una metafora di simile tempera; e sfiderei quasi a trovar- mi in tutto il poema sacro un solo esempio, che a questo preteso tanto quanto si somigli. Pertanto , scostandomi all'atto dagli imbalsimatori della fama e dagli ammiratori di quella per gentilezza, direi a chi volesse riuscire al vero concetto del poeta, co- me dissi a me medesimo : (( A te è da tenere altro viaggio, che questo dell'unguento conservatore e del- la gentile ammirazione. » E da tenersi fermo al mir- ro, figlio di mirrare, derivato da mirra ; ma è da vedere a quanti usi giovasse questa presso gli anti- chi, senza ristringersi, come altri fece, all'unguento. E se ci avverrà di scoprirne alcuno che sia nobile è degno del poeta « Che sopra gli altri, com'aquila , vula » e di un'imperatore che decanta le glorie del popolo romano : quello sarà il vero significato annes- sogli dall'autore; quello il genuino pensiero di Dante. Ora diversi erano così l'uso come il fine per cui a56 Letteratura gli antichi adoperavano la mirra. Omettendo qui di parlare di ciò che ne facevano i fisici nelle malattie, ed i confetturieri nel medicare i liquori particolar- mente ed il vino , diremo solo di ciò che spetta ai mirratari e pigmentari ; argomento ch'è più affine a quello di cui trattiamo. In primo luogo usavasl la mirra (la meno pre- giala ) a comporne unguento odoroso, sia per imbal- samare i cadaveri affine di preservarli dalla corruzio- ne, sia per versarlo o bruciarlo ad onore dei defon- ti. Usavasi poi comporne unguenti preziosi ad un- gere la persona onde spirasse attorno gradevole odo- re, a giovare la sanità, a serbar lucidi e neri i pro- pri capelli. Questa costumanza era comunissiraa nella Giudea, come si legge nelle sagre pagine, là ove del- la sposa dei cantici è narrato frequentemente, come il suo diletto ed essa spargessero l'odore di mirra eletta non solo attorno di sé, ma com'ella stillasse dalle loro mani. E nell'Esodo, al capo trentesimo, prescrivesi da Dio stesso la qualità e quantità degli aromi che dove- vano immischiarsi alla mirra più scelta per comporne l'unguento santo da ungerne l'altare e la persona dei sacerdoti. Ma n'era poi l'uso portato all'eccesso in Ro- ma, sia per bruciarsi nei roghi ad onore dei trapassati, sia per aromattizzarne i propri corpi, comune usan-» za del bellimbusti della città. Onde Giovenale molto acremente scherzava il suo Crispino nella satira quar-f ta in tal modo : Et matutino sudans Crispinus amomo, Quantum vix rodolent duo funera .... Quale satirica esagerazione cresce all'infinito, se vi si Verso di Damtk 237 veggia un'allusione al funerale che Nerone fece alla sua Poppea; di cui Plinio, parlando della mirra pro- dotta dalle terre dell'Arabia Felice, cosi scrive: « Pe- riti rerum asseverant, non ferre tantum annuo foetu, quantum Nero prlnceps novissimo Poppeae suae die concremaverìt. » (PUn. Histor. lib. 12, e. iB.) An- che Festo scrive essere stata questa usanza praticata nel sagrifizi con che onoravansi i defonti; giacche par- la di una lampada accesa in onore dei medesimi, ove alimentavasi la fiamma con diversi odori, come di cas- sia, d'incenso e di mirra. Egli è verp che la mirra non era al tutto esclu- sivo sagrifizio a venerazione dei trapassati od a di- letto della gioventù, ma era pure largamente impie- gata alla profumazione degli appartamenti signorili principeschi e reali, ora bruciata come unguento, ed ora ridotta in minutissima polvere; e annoverata però era tra le più ricercate offerte, con che si onoravano i re ed i grandi personaggi. Così leggiamo in Plinio, che gli arabi non facevano a Dio obblazione di mir- ra perchè troppo comune , ma ne offrivano sì bene la quarta parte al re dei gebaniti ( lib. 12, e. i5.) E nel vangelo ci si narra dei tre magi che adoraro- no il neonato Uomo-Dio , offrendo oro , incenso e mirra : e ciò dal prete Giovencio, al dire di s. Gi- rolamo, venne racchiuso e spiegato in un solo verso così : Thus, aurum, myrram, regique, hominique, Deoque Dona ferunt Jn queste parole vedesi aperto il mistico significato di quei tre doni ( secondo che lo avvisarono mol- G.A.T.XCV. 17 \ 258 Letteratura ti sagri inlerpreli ) ; giacche coll'iiiceiiso i mngi ve- nerarono Gesù come Dio, coll'oro come re, e colla mirra come uomo. Testimonianze, ancor più solen- ni, dell'uso della mirra e degli aromi nelle reggie e nei palazzi, trovansi frequentemente nella sacra Can- tica, ove la sposa mostra tutta la sua più ricercata sollecitudine ad aromatizzare di mirra eletta gli ap- partamenti dello sposo; e trovansi neW Ecclesiastico, ove la Sapienza vantasi di aver profumato di mirra eletta la propria abitazione ( cap. 24, v. ai ). Che se gli uomini tanto usavano o, dirò meglio, abusavano della mirra, vorrem noi credere ohe non fosse altamente pregiata dal sesso gentile ? Anzi è a dire, e le testimonianze di scrittori veridici lo affer- mano, che fosse dalle vezzose donzelle ricercatissima; poiché si legge, die portavano pendenti dal collo in sul seno borsetlirju ripiene di mirra eletta, polveriz- zata od in grani, affine di aromatizzare più gradevol- mente le persone e l'aria ambiente ; e che anzi ne l'avevano in tanto pregio, che la sposa dei sacri can- tici, per indicare alle amiche quanto a lei foss;.- di- letto lo sposo, non trovava più alto, più nobile e piìi espressivo confronto della mirra che portava in seno ( Cant. cap. 5 , 12 ) : e tale similitudine era molto gradila allo sposo, il quale, corrispondendo nell'af- fetto e superando nell'espressione la gentilezza dell' amica, la immaginava nei suoi trasporti amorosi qua- si una colonna di fumo aromatizzato di mirra com- mista ai più preziosi timiami (Cant. cap. 3, v. 6) (i). (1) " Quae est ista , quae ascendit per deserluin, sicut vir-, „ gula fumi ex aromalibus mynhae, et thuris , et uaiversi pul- ,, veris pigmentarii? „ Verso di Dante aSq Ma sebbene l'uso della mirra fosse più partico- lare degli eroi, re, regine e donzelle, sia viventi sia dopo murte , pure non era esclusa dai sagriSzi alla divinità; come ne fa testimonio Plinio allor che la- menta, che gli aromatici prodotti dell'Arabia fossero più profusi ad onore degli uomini che a quello degli dei ( Histor. nat. lib. 12, cap. 18) ; e come leggesl nell'Esodo ( cap. 3o), dove per ordine divino la ve- diamo immischiata all'incenso che spolverizzato bru- ciavasi a Dio. E Fazio degli Uberti, contemporaneo e religioso imitatore di Danto, non manca di offrire a Dio e mirra ed incenso ; laddove nel suo Ditta- mondo così parla di Numa Pompilio intento ad istil- lare nel crescente popolo romano la venerazione alla divinità : A far nobili tempi ei pose il senso, Acciocché quivi fosser venerati Tutti i lor dii con mirra e con incenso. A questo proposito viene opportuno l'avvertire, che nei sagrifici bruciavansi gli aromi o soli e puri, o mi- sti tra loro di varie qualità ; il che, come gli arabi ed i romani, costumavano assai gli abitatori della Giu- dea; e già si è toccalo di sopra. Ora essendo provato indubilabilmente dall'espo- ste cose, che se la mirra faceva parte tra i princi- pali timiami nei sagrifizi offerti alla divinità, era più particolarmente impiegata, o pura, 0 mista di altri 0- dori, alla venerazione degli eroi ; io crederei da ciò potersi dedurre un fortissimo argomento per venire ad una più nobile interpretazione del mirro dante- sco. E pertanto, tenendomi fermo ed al mirrare da ii6o Letteratura mirrtit ed airaddotto terzello di messev Fazio, direi: Gli dei si veneravano con mirra e con incenso , o bruciandoli, separatamente, in loro sagrifizio, od uni' tamenle immischiati a fare più aggradevole il nuovo odore. L'uso poi di questa venerazione non era tan- to esclusivo della divinità , che più frequentemente non fosse pure rivolto ai grandi uomini che ci vis- sero sulla terra : e siccome il bruciare incenso a ve- nerazione degli dei fu detto incensare gli dei; così il bruciare sola mirra in loro venerazione potrassi dire mirrare gli dei. E sebbene l'incenso, come il più nobile e il più frequente nei sagrifizi divini, ab- bia usurpato il nome di tutti gli aromi, sicché (o sia egli bruciato da solo o misto alla mirra, allo storace, al gàlbano ) sempre dicasi generalmente incensare ; pure tale privilegio dell'incenso non impedisce al poe- ta di potersi giovare opportunamente di altra deno- minazione, che denoti la specie dell'aroma che vie- ne abbruciato: onde non sarà da appuntare se alcuno, offrendo in venerazione sola m/rra, vorrà usare il vo- cabolo proprio mirrare- La ragione lo mostra e l'uso dei latini; nei quali, se non troviamo il verbo nifr~^ rhare ( che forse andò in disuso ), non mancano il mjrrhatus e il murrhatus, parlicipii che da quello derivano ; come gl'italiani ebbero poi i mirrati so- spiri ed il vino mirrato , di cui al principio si è detto. In conclusione adunque dirò : « Se bruciando incenso alla divinità, io dico che incenso quella; bru- ciando sola mirra in sua venerazione, posso dire che io mirro quella. Or bene, trasportando l'azione dal- la divinità alla fama degli eroi, Dante cantò: Ebber la fama, ch'io volentrer mirro. Verso di Dante 261 E noi dichiarando questo verso colle parole di Fazio degli liberti, diremo : Ebber la fama chHo volen- tieri venero con mirra, o bruciando mirra in sua venerazione, quasi a cosa divina ». E però, per ta- le interpretazione, il mirrare diviene sinonimo d'in- censare, come questo lo è di venerare. Tale nobile e bellissimo senso del mirro dan- tesco, per cui si venera con mirra la fama dei ro- mani eroi quasi di altrettante divinità di secondo or- dine, non è ne esagerato, ne contrario ai sentimenti da esso lui espressi nelle lettere ai fiorentini ed ai re (V Italia intorno alla fama di que'magnanimi: ma più belliuaente che altrove fu dichiarato nella Monarchia ( lib. 2, e. 8 e seg. ), e nel Convito (tratt. 4? e. 5) dove, posta la proposizione che Roma non solamene te speziale nascimento ma speziale processo ebbe da Dio, e discorsi individualmente con alta eloquen- za tutti gli eroi che da Romolo a Catone la illustra- rono e la difesero, i quali dice non umani ma di- vini cittadini, tutti adoperanti per divina istiga- zione, colVaiutorio divino, colla divina ispirazio-^ ne ec: finalmente chiude quel capo della gloria ro- mana esclamando : E certo sono di ferma opinio- ne, che le pietre, che nelle mura sue stanno, sie^ no degne di riverenza: e'I suolo, dove ella siede, sia degno oltre quello che per gli uomini è predio cato e provato ! INon è egli questo un venerare la memoria di quei gloriosi strumenti della divinità , quasi stati fossero altrettanti semidei ? E tanta vene- razione alle gloriose loro imprese non è ( come dir si suole ) di una buccia e di uìi sapore con quest' altra che loro è dimostrata dal poeta nel famoso ver- so del Paradiso ; a6a Letteratura « Ebber la fama ch'io volentier mirro ? » Ora s'io volessi avanzarmi di più, credo che an- cora ne troverei una spaziosa via; e quasi vorrei as- serire che nel njedesimo significato interpretava il mir- ro lo stesso autore àeW Ottimo , sebbene meno chiara- mente, quando disse: onoro con mirra. Che di vero egli usava forse l' onoro nel significato di K>enero , come in quello del Paradiso (e. 8, v, y ) : Ma Dione onoravano e Cupido. Difatti egli aggiunse, non già che la mirra conserva i corpi, ma che dà ottimo odore ; espressione più corrispondente al bruciare mirra in venerazione al- trui- che a\V imbalsamare la fama degli eroi. Nò debole è a dirsi l'argomento clie si aggiunge al va- lore di una nuova interpretazione, quando ci è le- cito confortarla un poco dell' autorità di uno degli espositori più antichi e più venerati. E per fine mi sia lecito lo spm'are, che il chia- rissimo abate Giuseppe Manuzzi , tanfo benemerito della nostra lingua e dell'Italia, vorrà, neW'^ggiun- te di correzioni al classico suo P^ocabolario, dare luogo ad una giunta, che, secondo le cose dichiara- te in questo ragionamento, rettifichi e rischiari l'arti- colo mirrare. Marco Giovanni Ponta C. B. Somasco. ^ k ^=^ rrj Sì ^ •^»' ?'/3 r. lè. Si o re :? 0 u 2 l^_^ £ ? K tt ci t. o o '^ l \t '^' o >o -^ -<:» 0; -^ 0 3 se 3 o ^ * W ■- i^; U Ci L, ^ ^ ai Q O Ci e- P- q^ h u; !: i ? 2 .^ ? - 5^ U ^ <3 ? 2 ^ 3^ 0 ^ r fu " — *■ ^:^ ^ G ^ h e, O O- ■^ - ~^ ,'5' l'i , t .»> *, «- k «5 fi ',^. ■^ e^ ± T d6a Sopra una pergamena antica latina contenente i canoni apostolici^ e un frammento inedito del venerabile Seda. Dissertazione del padre mae- stro Giacinto de^ Ferrari de^ predicatori, prefet- to della biblioteca casanatense ec; recitata nel- V accademia romana di archeologia del q di febbraio i843. 1 monumento , eminentisslmi princìpi , onorandi colleglli, il monumento, su di cui ho l'onore d^n- terestiarc la cori use allenzion vostra, è una pergame- na non già per ampia voluminosa mole, ma per in- signe amichila ^^regevole. Simili membrane quantun- que polverose e viete somministrano al vigile archeo- logo nobile ed imporiante occupazione, ritrovandosi in esse il ricco deposito della dottrina de'padri, e i| fondam'iilo originaK; di ogni sapere. Benché il por- tentoso ritrovato del Guttemberg nel decimoquinto secolo atuiir facesse i pubblici calligrafi, non per que- sto abbandonar si doveano i manoscritti ad eterno oblio , mentre da essi la medesima tipografia derivò i suoi tipi e le sue forme. E quale altro miglior cri- terio adoprar possiamo per porre a disamina i libri stampali, die il confronto de'codici ? Questi segnano punii lummusi nella storia, questi sono i più auten- tici testimoni delle scienze, questi i non perituri ar- gomenti delle età trascorse. Neppure obbliar dee il genere umano gl'incalcolabili benefizi, di che va de- bitore a que'vencrandi monaci, che ne' sacri silenzi de'claustrali recinti all'esercizio delle evangeliche tir- 264 Letteratura tu unirono il laborioso impegno di trascrivere e con- servare i codici. Ogni monistero avea il suo scripto- rium colla biblioleca a tale fine. Nel quinto secolo il taumaturgo s. Martino in quesl' arte impiegava i suoi giovani alunni, come riferisce Sulpizio Severo : Monasterium sibi statuit', discipuli octoginta erant, qui ad exemplum beati magistri instituebantur ; ars ibi, exceptis scriptoribus^ nulla habebatar (i). Cassiodoro nel 55o , abbandonato il mondo infido , vesti l'abito monastico, e particolarmente lodò la fa- tica de'copiatori, ch'ei cbiama antiquari^ col qual no- me li significa anche s. Gregorio Magno, ove dice di Giuliano, che nel monastero di s, Equizio Antiqua^ rios scribentes reperii (2). Cosi di Leobardo il Recluso leggiamo : j4d cellulam maiorem monaste- rio propinquam accessit, ibique suis propriis ma- nibiis membranas faciens , ad scribenduni apta-^ vit (3), Con tali mezzi santo Sturmio fondò la sì celebrata biblioteca di Fulda, che al dir di Brouwe- ro nelle sue antichità fuldensi contenea tutti gli an- tichi autori, che sono venuti sino a noi. Adeo ut , scrive il Mabillonio con giusto vani amento, adeo ut quidquid apud antiquos eruditum ac scitu dignum, quidquid apud patres pium ac sapientiae plenum, quidquid in concìliis sanctum , quidquid in U- bris sacris divinum est, totuni id ( procul iactan^ tia dictum velim ) per monachorum nostrorum ma' nus ad haec usque tempora pervenerit (4). Di tali (i) In vita cap. 17. (2) Dial. lib. 1, e. 4. (3) Greg. Tur., De vitis PP. e. II. Vid. Fasti della Chiesa svila vita di s. Sturmio nelle note. (4) Saec. Bened. 1. N. 114. Pergamena artica 265 inemorie adorna presentasi la pergamena, che io tol- go a soggetto (li breve ragionamento, il quale per ra- gione di ordine e chiareziia in due parti è diviso, se- condo i due generi di paleografia più e meno anti- ca, di che è improntata; e ricaveremo ancora dalle osservazioni archeologiche non ispregevoli positive con- seguenze. E primieramente ognun rammenta, che Dionisio il piccolo ( così appellato o per umil sentimento, o per picciolezza di statura) monaco originario di Sci- zia , venuto a Roma sul principio del sesto secolo conseguì alla rinomanza per le sue opere di teolo- gia e di ecclesiastica disciplina, siccome attesta Cas- siodoro , che tali cenni scrisse nel libro De dwi- nis lectionìbuSt da se composto poco dopo la mor- te del lodato Dionisio, tra le cui più famose produ- zioni dislinguesi la traduzione de' canoni apostolici dal greco in latino ad istanza di Stefano vescovo di Salona. Preesisteva di que'canoni un'antica versione, ma troppo oscura e confusa: per cui conveniva me- glio schiarire quegli apostolici insegnamenti, i quali però nello sviluppo de'secoli furono soggetti a varie fortune e ad acerbe questioni teologiche , sia circa il numero, sia riguardo alla dottrina in essi conte- nuta. Ma noi passando sotto silenzio lutto ciò, che è notissimo presso i teologi, ci limiteremo a rilevare l'antica paleografìa della casanatense pergamena, che non ritrovo citata da alcuno , e che presenta delle considerevoli varianti. E questa adunque una membrana piuttosto com- patta, in otto mediocri fogli distinta, ben conservata, e quasi tutta occupala dai cinquanta canoni aposto- lici. Di tali membrane servivansi in quella rimota an- aG6 Letteratuiia tichilà, giacche l'uso della carta di bambagio vuoisi che non oUrepassi il novecento, e quella formata di cenci di lino s'introdusse nel milleduecento. Ma a determinare 1' età del nostro codice non è sì facile imprendimento, che non ci obblighi di porre a cri- bro le varie opinioni, che possono a talento produr- si. Nella libertà di pensamento, prevalendoci del no- stro diritto, e rispettando l'altrui, non dubitiamo di asserire, che ivi scorgonsi i lineamenti paleografici del settimo secolo. Infatti le lettere sono distribuite in guisa, che non frappongono maggiore spazio , allor- ché la parola termina, e ne incomincia un'altra; ma vedonsi scorrere, come se tutta la riga fosse una so- la parola espressa con caratteri raaiiiscolelti. Ora la disliuzione Ira parola e parola venne introdotta sot- to Carlo Magno nell' ottavo secolo, secondo la più comune opinione. Dunque tale scrittura rimonta ad un'epoca anteriore a si inclito l'estauratore della cal- ligrafia. Chi atleutainente considera il fac-simile vi rav- viserà l'antichissimo costume del carattere onciale, di cui favella anche san Girolamo nella sua prefazione al libro di Giobbe dicendo : Haheant qui voliint ve- teres libros^ vcl in menihrauis purpureis auro ar- gentoque descripius, vel iincialibus, ut vulgo aiunty literls unpra inagts exharata quani codice s\ dum- modo mìht meisque pei'inittunt puaperes habere schednlas , et non tam pulchros codices , quam emendatos. Queste schedule erano nude lettere mi- nori, ma simili alle onciali romane, come sono ap- punto quelle del nostro codice, eccettuato il titolo: Incipiunt regnine etc, e Vexplicit finale, che so- no propriamente forme onciali. Ma sappiamo, che que- Pergamena antica 267 sto incomodo genere di scrivere cessò nel secolo ot- tavo, in cui comunemente si adott;irono le scritture caroline, merovingie, tcuìoniclie ed altre affini, che rinnovarono le vetuste lettere chiamate da Plauto, da Cicerone , da Seneca minutissima r , e dal Palladio celeres mentre scrive di Evagrio, che eloganter scri- bebat celevem charactevcm. Dunque il nostro co- dice è anteriore alle scritture teutoniche, ed a quel- le itsuurate dall'illustre Alcuino, quand'era prefello delle scuole palatine nel secolo ottavo. A rinfrancare questi nostri giudizi torna in ac- concio il cojilrontarlo colle forme , che del settimo secnlo ci danno i lahoriosissirai e autorevoli paleo- grafi Mabillonio e Trombelli : questo si consulti nel- la illustrazione del Lattanzio della libreria di s. Sal- vatore ; quello nello schema del Bellovacense scrit- to sotto il regno di Clotario III nel 670; si rileve- rà con quest'ultimo particolarmente tale una corri- spondenza, da definirlo sincrono o coevo. Giova inoltre riflettere , che antichissimamente nessuna lettera usciva di linea , se prestiam fede a dottissimi antiquari citati dal Trombelli; poiché tut- te erano di eguale altezza, siccome vedesi nelle la- pidi degli imperatori romani; onde le alterazioni so- no opera de'tempi posteriori. Tacito ci assicura, che Claudio introdusse nuova forma di lei i ere: Novas li- terarum formas addidit. All'età de' goli cumincia- rano a prolungarsi oltre la linea le stanghette del b, del p, del q, del f, ed altri simili cangiamen- ti debbonsi a gotica penna, i quali usservansi nel Vir- gilio della laurenziana , nel Salterio salabergense , Delle regole colbertine , nel salterio di s. Germano, ael Terenzio vaticano, nell'Orosio mediceo, nell'Ila- a68 Lktteratu ra rio, giudicati dal Montfaucon di quell'epoca, a cui riportiamo il codice casanatense , ove miransi quelle lettere alterate in modo conveniente al settimo se- colo, cioè non tanto prolungate come ne' secoli po- steriori. In esso r i è mancante del consueto punti- no, che si segnò nel decimoterzo secolo. In esso pa- rimenti manca quella precisione diacritica nelle let- tere e nelle parole, che Warnofrido ed Alenino con tanto vantaggio introdussero ne'pubblici notari: in es- so poche sono le sigle e le abbreviature, che rendo- no sì tenebrose ed enimraatiche le scritture del medio evo. Per interpunzione poi inconlransi uno , due e talvolta tre punti : e sonovi tracce di qiiell' errore , De can. script. aya L S t t k ft A tu r a fuit. a Clemente^ usque ad Silvcstrum. Tale fu il sentiinenlo di Zefirino (i) e di Leone IX (2). Da que- sti e da altri autorevoli documenti Graziano slabi- lisce, che tali canoni debbano riceversi: Apostolo^ rum canones sunt rccipiendi (3). E meglio anche, particolarizzando ciò che dicesi generalmente, affer- ma: Exceptls quinquaginta capitulis, canones apo~ stolorum inter apocrfpha deputantur (4). Il che favorisce ampiamente la collezione di Dionisio esì- guo contenuta appunto nel nostro codice. Sicché omesso quanto si disputa circa i greci, mi ristringo a cinquanta canoni latini, i quali furono sul prin- cipio del sesto secolo riportati nel codice della chie- sa latina: e quantunque subito non ottenessero una universale autorità in tutte le chiese, pure la conse- guirono nell'occidente , come attesta lo stesso Dio- nisio , scrivendo a Stefano vescovo salonitano , che di tal versione lo avea pregalo: In principio^ dice egli, in principio canones qui dicuntur apostolo- rum de graeco trans tulimus., quibus quia plurimi consensum non praebaerunt facilem, hoc ipsam vestram noluimus ignorare sanctitatem, quamvis postea constituta pontificum ex ipsis canonibus assumpta esse videantur (5). Ma che poi ottenes- sero autorità, apparisce dalle parole di Urbano II , che dice: Sciendum quod canones apostolorum au- (1) Epist. I ad epis. Sicil. (2) Contra episl. Nicetae abbatis. Quae tamen non Leonis, ut putat Gratianus, sed Humberli cardiaalis Silvae Candidae epi- scopi verba sunt. Nal. Alex. toc. cit. (3) Dist. i6 e. 2. (4) Loc. cit. e. 3. (5) Vid. Nal. Alex, tom.Ssec. i diss, 18 propos. 2pag. 181. Pergamena antica a^3 ctorilate orirntalis, et ex parte romana^ utitur ec- clesia (i). Ciò significa secondo Natale Alessandro, che i greci ammettevano gli ottanlacinque, ed i soli cinquanta i latini (2). Per la qual cosa Isidoro, ce- lebre raccoglitors di apocrife scritture, non ardì ri- portarne nella sua collezione più di cinquanta: Pro- pter eoruni aiictoritatem ceteris conciliis praepo- siiimiis canones, qui dicuntur apostolorum (3). Dal- le quali cose concliiude Natale Alessandro , che i cinquanta canoni de'latini ottenessero dopo Dionisio autorità: Sensim tamen obtiniiisse quinqiiaginta priores auctoritatem (4)- Ciò basta perchè c'impe- gniamo a dilucidare questa dionisiana collezione, tan- to rispettabile ed autorevole: lasciando però quello, che è già noto, e toccandone le più importanti va- rianti, che presenta il codice casanatense. Con tale pergamena adunque meglio si può chia- rire il canone 28, che così leggesi presso il Labbè, in Graziano ed altri: Episcopuni aut pr-esbjtefum percutientem ficleles delinqucntes, aut infideles ini- que agenteSf et per huiusmodi vohtilem timeri , deiici ab ojficio suo praecipimus etc. Nel codice nostro invece di quel et per huiusmodi volentem timeri, leggesi: et per huiusmodi violentiam temere agentes\ le quali parole dilucidano il pensiero, dichia- rando col nome di violenza e di azioni temerarie si- mili percosse, non convenienti perciò alle persone ec- clesiastiche inviate da Gesù Cristo come agnelli in (1) Apud Gratian. disi. 3a cap. praeter- (2) Loc. cit. (3) Apud Barou. ad an. 10?. (4) Loc. cit. G.A.T.XCV. Il Sy/l Letteratura mezzo ai lupi. Quantunque il volentem timerì, il voler esser temuto, non sia un giusto motivo per coonestar quell'azione, pure lascia luogo ad una tacita obiezio- ne: cioè, se almeno ciò possano fare per altro fine. Co- si nel decreto di Graziano, alla distinzione 45, ripor- tandosi lo stesso canone come è presso il Labbé, si pro- pongono gravi questioni intorno al medesimo, perchè sembrerebbe togliere a'sacri pastori la facoltà di ca- stigare i delinquenti con pene corporali, siccome si sforzano di provare anche gli eretici. Or noi sappia- mo che Salomone ci avvisa di percuotere il figlio che pecca: Perente filium tiuun iùrga, et liberabis ani- mam eius a morte (i). Gesù Cristo medesimo flagellò i profanatori del tempio; l'apostolo condannò Tince- siuoso ad essere corporalmente tormentato dal de- monio, e colla cecità punì il mago, che si opponeva alla predicazione del vangelo. Siricio papa coman- da (2) che si castighino i fanciulli e le vergini de- linquenti. S. Gregorio Magno narra, come colle per- cosse s. Benedetto ridusse a buon partito un mo- naco traviato. A^rroge la pratica e le leggi penali del- la chiesa, per cui quel canone appena potrebbe so- stenersi. Alle quali difficoltà rispondono i glossatori nel citato decreto con tale distinzione: che possono bensì percuotere non ut timeantitr, sed causa cor- rectionis; distinzione, che nasce certamente dalle pa- role suddette : Per huiusmodi volentem timeri. Ma in un punto di tanta importanza, dovendo disputare particolarmente co'nemici della chiesa, non può dis- simularsi la debolezza di quella sfuggita scolastica. Im- (i) Prov. 23. (a) Epist. I, e Q- Pergamena antica 2-r5 perciocché il voler esser temuto riguardo alle perso- ne ecclesiasliclie constituite in autorità, non è certo affatto vituperevole. S. Agostino nella regoia vuole , che il prelato metuendus imponat: unendo però !a principal mira di farsi amare. In ogni ben ordinata repubblica il tmiore e il rispetto nc'sudditi è prodot- to dall'autorità e dal vigore della legge, senza di olle si rovescia ogni società. Or che alla chiesa abbia il Salvatore conceduto la giurisdizione interna ed ester- na è il principio del diritto canonico, difeso già va-, lorosamente contro Puffendorfio e Febronio ed altri da Mamacchi nel quarto libro dell'antichità cristia- ne, e nelle epistole al suddetto Febronio, ove lo sta- bilisce con ogni genere di sacra erudizione, da cui il celebre Devoti derivò gli argomenti del quarto li- bro delle sue instituzioni canoniche. Adunque l'esi- ger timore non può notarsi quasi colpevole motivo, ma conseguenza dell'ecclesiaslico ben istituito regime. Pertanto ogni difficoltà svanisce colla variante della nostra pergamena, in cui si proibisce al vesco- vo, a'preti e a' diaconi di percuotere i fedeli delin- quenti, non già per voler esser temuti, ma per hu- iusmodi violentiani temere agentes : colle quali pa- role il canone, che sembrava offensivo, diventa difen- sivo della giurisdizione ecclesiastica. Poiché vuoisi im- pedire nell'uso delle pene disciplinari la violenza e la temerità ; per violentiam temere agentes: Chi. mai dirà giusto un procedere violento e temerario ? Tanto più ciò si verifica in materia odiosa di giusti- zia punitiva, in cui s'inculca al giudice un modera- to rigore : ludices semper sequenLur mediocrita- tem (i). Questo è il natio senso dell'apostolico de- t (i) Ijoc- cit- in nota marginali pag. ago. 276 Letteratura creto tracollo da Dionisio, il quale in ciò ha voluto emendare il testo greco ( seppur tale era di que'tem- pi , quale leggesi presso il Labbé ): Koù §£«2: zotouzov f5/3é7y BcXovra : Et per haec vnlt perterrefacere ? Come leggesi nel canone XXVI corrispondente al la- tino XXVIII. Infatti analizzando il canone medesimo lo tro- viamo fondato sulle parole di s. Paolo, il quale, tra le altre qualità che ornar debbono il vescovo, richie- d:! che non sia percuotilore: Non percussorem (i). Su di che il Cai mei dice: Nihil indignius esse epi- scopo ìis irae tumultibus , qui in caedes et vul- nera inipellunt. Quamobrem s. Chrjsostomus , Theodoretus^ Theophilactus, s. Hieronjmus quo- que.^ Estius, ciUique nonnulli expticant de obiur- oationibus praeter nudani acri'nis freqaentibus- ' qjie , et de iis qui fratrum conscientiam impor- tune pei'turbant (2). Da qui si fece noto, che lo spi- rilo della chiesa ereditato da Gesù Cristo, nel men- tre che vuole lontano ogni ingiurioso eccesso dalla episcopale digniià, non perciò lascia ch'ei dorma pi- gro e inoperoso il sacro pastore ; ma sì veramente , come insegna Graziano : DiscipUnu non est seri>an^ da sine misericordia, nec misericordia sine disci- plina (3). Imperciocché la severità e la misericordia sono necessari al corpo mistico, come il vino e l'olio alle ferite del semivivo del vangelo: Ut per vinum mor- deantur vulnera, per, oleum J'oveantur ; onde poi dimostra nel capo seguente , che la giustizia si os- (1) I. Timot. 33. (2) Calmet iti hunc locuin. (3j Distinct 45» t 9 Pergamena antica 277 serva colla mlsencordia : luste iudlcans miserlcor- diain ciim iustitia servai. Adunque il canone ia questione, quale vien ri- ferito dalla casanaleuse membrana, ci esprime mira- bilmente il vero tenore della ecclesiastica disciplina € severità, reprimendone gli abusi, die sono la vio- lenza e la temerità; la violenza si oppone alla man- suetudine, e al pasloral carattere tutto carità; la te- merità distrugge il retto procedere ne'giudizi, ne'qua- li richiede la giustizia legale somma equità e pru- denza. Contro cotali abusi cadde in acconcio l'apo- stolico insegnamento di punirli, confermando ad un tempo implicitamente l'equa e retta maniera di pu- nire i delinquenti. E confermasi esser tale il genui- no significato di qviel canone dalla storia ecclesiasti- ca, da cui appariamo quanto fosse precipitoso il pro- cedere di alcuni vescovi delle Gallie, della Germania e di altre contrade: Episcopi in Gallia, Germania, statini cum perpendebant clericos suos delinque- re, eos iiidicabant, et eiiciehant ab ecclesia : de cjuo papa eos reprehendit (i). Da tutto ciò consegue , che se i nemici della chiesa volessero obiettare, contro il di lei santo e mo- derato rigore nel castigare e correggere con pene an- che corporali i pubblici e ostinali violatori delle sue leggi, questo canone tal quale fu letto generalmente finora, abbiamo anzi di che ferirli colle loro armi ; servendosi di sì antico e autorevole monumento. Né con ciò intendesi condannare i canonisti, perchè mal si apponessero, adoperando la distinzione già detta , la quale in mancanza di migliori esemplari, nascea (i) Dislinc. 45, e. 3 in nota marginali. a^8 Letteratura spontanearneiile dal canone medesimo, che vietava al vescovo (li punire per incutere timore: J^olentem ti- meri. Ma si prova, che questa clausola viene indici- bilmente meglio chiarita col confronto del nostro co- dice, ove leggesi : Per huiusmodi violentiam teme- re agentes. Parole, che escludono per se sole ogni obbiezione, e che confermano la veneranda dottrina apostolica in materia di disciplina: da cui eliminato ogni violento e temerario rigore, si stabilisce il sacro principio canonico, che Disciplina non est serran- da sine misericordia, nec misericordia sine disci- plina ( I ) . Inoltre nel canone XXX avvi altra non dispre- gevole variante. Ivi contro i simoniani si fulmina il tremendo anatema : « Si quis episcopuSy aut pre- sbyter, aut diaconus, per pecunias hanc optinue- rit (2) dignitdtem, deiiciatur et ipse et ordinator eius, et a communione modis omnibus ahsidatur (3) sicut Simon Magus a ME Petro. » Il canone è identico con tutti gli altri esemplari, eccettuato l'ul- timo pronome Me, che manca in tutti, i quali ter- minano sicut Simon magus a Petro. Il nostro ag- giungendo a me Petro dà più energia ed autorità all'ordinamento, facendolo pronunciare dal principe stesso degli apostoli. E siccome anche nel greco ri- trovasi ag Iiixcov e iJ.uyog ce no (4) ^[J-ov IXstjOju, ut Si- (1) Decrel. Gratìani, Dist. 45, e. 9. (2) Oblinuerit. Nell'antiche scritture è frequentissima la mu- tazione del b in p. (3) jidsindatur. Apud Labbé. Ma nell'esemplare vaticano av- vi absidatur. (4) Alibi oV «'^òw. Vide apud Labbé tom. conc. i, pag. 3o, Venetiis 1728. Pergamena antica 2JC) ìnoii magiis a me Pctro'^ così vien confermato ohe il casanatense esemplare è uno de'più anlichi, giac- ché quella ommlssione non può essere avvenuta, che dalla negligenza degli amanuensi; e colali inavverten- ze una volta commesse nelle prime copie, è presso- ché impossibile emendarle nelle susseguenti, quando non si ricorra alle primitive. Pertanto è questo un argomento dell'antichissi- ma venerazione, che i padri, i concili e la chiesa tut- ta professarono sempre al romano pontefice , in cui vivente riconoscevano s. Pietro, come si esprime san Pier Crisologo (i) : In omnibus hortamiir te ^fra- ter honorabilis, ut his , quae a beatissimo papa romanae cìvitatis scripta sunt , obedienter atten- dasi quoniam B. Petrus^ qui in propria sede et KHvit et praesidet, praestat quaerentibus fidem ve- ritatem. Celebre è l'applauso, che fecero i padri del concilio calcedonico, mentre appena lette le epistole di s. Leone romano pontefice, esclamarono : Petrus per Leonem locutus est (2). Infinite ritrovansi sen- tenze de'padri e de'concili, che nulla ammettono di autorevole, ove manchi l'autorità di s. Pietro sempre viva ne'suoi successori. Ma noi, limitandoci a cote- sla antica membrana, facciamo rilevare, che in tutte le opinioni, che furono mosse intorno a'canoni apo- stolici, è un'invincibile dimostrazione del primato di onore e di giurisdizione del romano pontefice. Infatti se tali canoni sono degli apostoli , come difendono molti, perchè il solo Pietro s'introduce a parlare con (i) Epist. ad Eutychetem quae refertur i, p. concil. calce- don, n. i5. (2) Annatus Apparai, ad iheolog. lib. VI, pag. 'jS;. Venetiis «Bo Letteratura tale defìniììva aulorità ? Certamente perehè fu fenu- to per principe dell'apostolico collegio: onde nel pri- nio concilio degli apostoli, radunato l'anno 34 p^ la elezione di Mattia, egli solo prese la parola, e do- po eloquentissirno discorso propose le sorti, e tutti unanimemente ai suoi detti si composero: In illis diehus exurgens Petrus in medio fratrum dixit eie. (i). Et dederunt sortes. Simile autorevol espres- sione adoperò nell'altro concilio ove : Cum magna conquisitio jìeret , surgens Petrus dixit ad eos : Viri fratres, vos scitis quoniain ah antiquis die-- bus Deus in nobis elegit per os meum audire gen- tes verbum evangelii et credere etc. (2). Lo stesso piova nella sentenza di quelli, che credettero questi canoni compilati nel secondo 0 terzo secolo: poiché dimostra che que'primi padri considerarono necessaria 1' autorità del romano pontefice in ogni canonica sanzione. Quindi nella lettera sinodica, che i padri del concilio di Sardica inviarono a Giulio, leggesi: Hoc optimum et valde congruentissimum esse vide- batur^ si ad caputa idest ad Petri apostoli se- dem, de singulis quihusvis provinciis referant Do- mini sacerdotes (3). E san Girolamo scrivendo a Damaso : Cum successore piscaforis, et discipu- lo crucis loquor. Ego nullum primum, nisi Chri- stum sequens, beatitudini tuae , idest cathedrae Petri etc. (4). Molto più poi sarebbe forte l'argo- mento nell'opinione di quelli , che vollero tali ca- noni interpolati dagli eretici. Che direbbero i mo- (i) Act. I, V, i5 a seg. (2) Act. i5, V. 6, 7. (3) ApuH Natal Alex, saec i, tom. 3, pag- 73. (4) Epist 5^ quae est ad Oamasam. Pergamena antica 281 demi impugnatori della suprema giurisdizione pon- tificia, se gli antichi eretici Vlianno rispettata a tal punto, da introdur lo stesso Pietro a sanzionare tali regole? S. Agostino a tal proposito c'insegna a guer- reggiare, servendoci dell' armi de' nostri nemici : Sì qua forte vera dixerunt, non solum formidanda non sunt, verum etìam ab eis tamquam ab iniustis possessoribiLS in nostrum usum vindicanda (i). Questa pergamena (come tante altre) esisteva molli secoli prima , che Lutero movesse guerra al santo successore di Pietro. Tanto è miserabile la condi- zione dell' eresia , che trova già la sua condanna e morte prima di nascere! Eppure Ringam, Tengelio, Richerio, Stracchio , Neumanno , Kingio, Pearson , Uilzio, Kieslingio, e tanti altri protestanti studiosi dell'antichità, doveano spesso nelle loro indagini ar- cheologiche incontrare di simili antichissimi docu- menti di tanta verilà, che andiamo difendendo. Ma a tutti non è dato di veder ciò, che vedono, ne d'in- tender ciò che ascoltano, giusta la terribile profezia d'Isaia. Talché vi fu perfino tra costoro, chi avendo ritrovato negli antichi esemplari latini e greci de'van- geli costantemente dato il primo luogo a s. Pietro, anzi che venerare un vero, che quasi sole nel pie- no meriggio sfavillava al suo sguardo , amò meglio delirare, chiuder gli occhi e dire, che ciò fu opera di qualche fautore del romano pontificato. Quanto è disperato il partito degli eretici! Fanno essi conosce- re che per rinunciare alla fede, conviene anche ri- nunciare alla ragione, e che mentiscono a se stessi: Mentita est iniquitas siti. Adunque in tutti i modi j> ' ^ — • (i) L. 2, l^e doclr. Christ. e. 4o. 282 Letteratura quel pronome sostantivo a me Petro^ riportato sol- tanto dairesemplare casanatense, è una prova irre- fragabile della suprema universale autorità del ro- mano pontefice in tutti i tempi conosciuta e con- fessata. Mei canone trentotto così leggesi: Bis in anno episcoporum concilia celebrentur, ut inter se in- vicem dogmata pietatis explerent, et emergentes ecclesiasticas contentiones amoveant; semel qui- dem quarta septimana pentecostes; secunda vero duodecima die mensis hyperheretaei. Qui termina tale canone nelle pergamene citate presso gl'illustri collettori de' concili ; la nostra aggiunge la spiega- zione di quell'ultima voce greca hjrperberetaei: idest^ iuxta romanos , quarta idus octohris ; la quale dichiarazione si era ottenuta medianti i commenti degl'interpreti. Con tal nome indicavasi uno de'mesi dell'anno siro-macedonico corrispondente all'ottobre di Giuliano, chiamato Tisrin Cadmia nell'arabica pa- rafrasi; mentre è noto che i siri cominciavano l'an- no dal primo Tisrin insieme cogli alessandrini, sic- come può vedersi nella tavola del Cotelerio , ne- gli annali di Eulichio, nell'anno solare macedonico dell' Usserio , e nelle epoche siro -macedoniche del Noris. Pertanto quella duplice conciliare adunanza an- nuale derivò da ordinamento apostolico, come ne fa fede il concilio antiocheno nel canone vigesimo, in cui stabilisce: Recte habet quod in singulis provin- eiis bis quolibet anno concilia habeantur. Lo con- fermano nella sua prima epistola Anacleto, e il con- cilio primo niceno : e Tertulliano, ad esso anteriore. Peogamena antica 283 ncorda quel santo costume de'vescovi: Jguutur, . . certis in locis concilia, ex universis ecclesiis (i). Inoltre sono rimarchevoli nella nostra perga- mena i canoni quarantesimo sesto e quarantesimo settimo , i quali molti scrittori, anche cattolici, cre- dettero che putissero di ereticale sentenza favore- vole all'errore de' rebatlizzanti: per cui alcuni agi- tarono dubbi intorno alla intera collezione. Ma se attentamente si considerino come qui stanno espres- si, si rileverà che quell'eresia vi è letteralmente con- dannata. Ecco qua' famosi statuti : Episcopum aut praesbiterum haereticorum suscipientes baptisma damnari praecipimus. A prima vista sembra favoreggiare i ribattez- zanti; ma si congiunga il seguente, e se ne scorgerà il genuino e ortodosso senso: Episcopits aut prae- sbiter^ si eum qui secundum veritatem habuerit baptisma denuo baptizaverit, aut si polhitum ab impiis non baptizaverit^deponatur. Negli altri esem- plari manca la particola disgiuntiva e condizionale aut si nel secondo membro del canone, onde resta- va alquanto oscurata la sintassi grammaticale: e per- ciò hanno supplito gli scolastici con teologiche ra- gioni per eliminarne ogni equivoco. Ma con quella semplice particella si ottiene uua decisiva vittoria , riducendo al puro significato grammaticale e logico i termini. Infatti, secondo i logici, gli avverbi con- dizionali e disgiuntivi importano una opposizione : e in questi due canoni distinguono due generi di battesimo l'uno chiamato secundum veritatem, l'al- tro poilutum, i quali debbono essere in opposizio- (i) Apud Labbé in notis. 284 Letteratura ne assoluta in virtù della disgiuntiva : e in conse- guenza l'uno escluder l'altro, come il vero esclude il felso, il giusto l'ingiusto, il valido l'invalido, il le- cito l'illecito, non potendosi mai verificare le con- traddittorie. Dunque in que'canoni il battesimo se- cundum veritatem esclude ìì pollatuin, e reciproca- mente, siccome la verità esclude la falsità. Vogliono perciò che sia deposto colui, che rinnovellasse il bat- tesimo conferito dagli eretici secundum veritatem^ cioè il vero e valido sacramento: laddove la medesima pena infliggono a chi non lo conferisce a coloro, che lo ricevettero da perfida mano, pollufum, cioè nullo ed invalido. Il che avveniva di que'tempi: perchè gli eretici corrompevano la forma essenziale della chiesa, come de' gnostici racconta s. Ireneo: e per la stessa ragione il concilio niceno nel canone decimonono co- mandò, che ritornando al vero ovile di Cristo colo- ro, che erano stati battezzati dai paulianisti, riceves- sero il vero sacramento di rigenerazione. E Niceforo racconta, che mentre un vescovo ariano stava per pro- ferire la corrotta ereticai formola, sparve prodigiosa- mente l'acqua, che già già versava sacrilegamente nel conferire il battesimo. Impropriamente esponevano al- cuni quel pollutum in senso d'illecito: perchè non potrebbe allora fare reale opposizione al primo mem- bro secundum veritatem\ e perchè la verità si riferi- sce non al modo, ma alla essenza della cosa, la qua- le o esiste o non esiste assolutamente. Adunque i predetti canoni, anche presi secondo la lettera, colla variante del nostro codice contengono evidentemente un senso cattolico e dommatico. E ciò basti riguar- do a'canoni. Relativamente poi alla seconda parte di questo Pergamena antica 285 mio ragionamento, poche cose mi rimangono a dire intorno al frammento inedito, che nell'ultima pagi- na di tal codice molti secoli dopo si scrisse. La pa- leografia, secondo le regole del celehratissimo Walte- ro, che più di venti anni impiegò a compilare il suo dizionario diplomatico, è del secolo duodecimo, co- me ho potuto rilevare dalle ahbreviature e dai nessi tutti propri di tale epoca. Il frammento poi si aggi- ra brevemente su tai quesiti : dir septuagesima, se- xagesima , et quinquagesima in ordine per dies dominicos ante quadragesimam dicantur; de ipsius quadragesimae nomine , deque varia eius ieiunii observantia ; e porta il nome del venerabile Beda. Ma avendolo attentamente esaminato col confronto delle opere sincere di quel chiaro scrittore, non vi ho potuto ravvisare ne lo stile, né la dottrina di lui. Alcuni brani incontransi nel Libellus de ojjìciis (i), (t) Benedetto XIII, il quale donò questo codice con altri al- la casanalense, avvisò prudentemente tali cose, onde cautamente si leggesse II che m'indusse a farne l'analisi , in cui ho ricono- sciuto anciie meglio la profonda intelligenza di quel santo pon- tefice, inclito ornamento dell'ordine gusmano. Ecco la nota de- gnissima di esser qui riportata distesamente , come sta in fronte r' codice ■ Saiiclissìnius D. D. Bf^nedictus PP XIII, ord. predi- ntoruin alumitus, moninienlorum veteriim sagax et indefessus in- dagalor, ac de re literaria optime meritai, wolumen istud biblio- 'hecae casanalensi dono dedit anno MDCCXXf^IIl, X kalendas novenibr. Et quia opusculuin, quod ad calceni codicis legere est, nonnihii offensionis hahet, snnctissimus moni t uni voluit lectorem : primo, opus illud ascriptum venerabili Bedae, non esse genuinum foelum ipsius; sed epitome libelli De officiis eiusdeni i>enerabilis nomine vulgati; secundo quidquid in hoc opusculo reperire est , quod in libello De qfficiis mox laudato desideralur , caute legen- duni ne noceat. Haec addidit P. M. Fr Anloninus Bremond- Fr. Io. Duniinicuò Auagni bibliolhecarius. 286 Letteratura falsamente ad esso attribuito; altre ragioni sono frì- vole e puerili, come quella con cui vuol persuade- re, non doversi mai digiunare nella quinta feria, per- chè in essa fu inslituito l'augusto e santissimo Sa- cramento; altre espressioni sono inesatte ed erronee, come quella, die parlando dell'Eucaristia, dice: Re- demptor omnium coenando cum discipiilis panem, henedixit etfregit, pariterque calicem eiiis inji- guram corporis et sangainis sui dedit. Quell'i«^- gura, che tanto piace a' calvinisti e a' nemici della verità, non essere in conto alcuno parola dettala dal venerabile Beda , si convince da quelle che scrisse in più luoghi delle sue genuine opere, secondo la edi- zione di Basilea del i563. Nel tomo V, al capo vi- gesimo secondo, chiama l'Eucaristia non figura, ma : Sacramentum carnis et sanguinis Chris ti ; e nel tomo III, ove trattai /?e Eucharistia sumenda, do- po aver narrato, come l'eucaristico pane abbia salva- to la vita con grande prodigio ad un figlio colla pro- pria madre, liberandoli da immense fiamme, conchiu- de : Deprecemur Deum^ ut sic donet nobis suum corpus accipere, ut vitam aeternam mereamur ac- cipere. Quale differenza non passa tra l'espressioni Jnfiguram corporis, e suum corpus! Adunque è ma- nifesta la frode di chi ardì attribuire a quel venera- bile autore così insulsi ed erronei sentimenti. Non perciò fia inutile aver fatte tali filologiche indagini su questo frammento; poiché, se così fossero stali esa- minali simili opuscoletti , che qua e là rinvengonsi Or questa insigne membrana possedeva!» Francesco Trevi- sano vescovo dì Verona, il quale la regalò a Benedetto XIII eoa altri iusigni codici, che or arricchiscono la casanalense. Pergamena antica 287 sparsi nelle antiche pergamene sotto quel venerando nome, non ne avrebbero tanto abusato gli eretici: e con più rispetto avrebbero di lui parlato alcuni scrit- tori anche cattolici, citati nella di lui biografia stam- pata in Venezia nel 1822, contro de'quali già valo- rosamente lo difese il Mabillonio e il Leland, che lo chiama il più bell'ornamento della nazione inglese. Lettere inedite d'uomini illustri al p. abate don Anselmo Costadoni camaldolese. Estratte da' ma- noscritti della biblioteca di s. Gregorio al mon- te Celio dalVab. Filippo j4ndreozzi segretario delV eminentissimo sig. card. Bianchi^ in conti- nuazione di quelle pubblicate dalla eh. meni, del p. don Gregorio Nar dinocchi. DI ANTON FRANCESCO GORI. I. A dottissimi fratelli sig. Walchi , co' quali ebbi la sorte di pranzare l'ultimo giorno di carnevale presso i nostri veramente garbatissimi e dottissimi signori Bri- chieri Colombo padre e figlio, attestarono alla P. V. Rrha qual sommo giubilo provai nel vedere la sua egregia dissertazione piena zeppa di eruditissime os- 288 Letteratura servazioni sopra l'anlica tavola greca, e specialmente nel vedere l'altra di avorio, che a me pure pare di un' antichità molto alta. Queste sue dotlissiine ope- re saranno due inestimabili gioie per la mia opera de' dittici. Ma sopra la seconda se ella la distendesse in latino, oh quanto più la gradirei ! Ella si assicuri, ci correrà qualche poco di tempo prima che si pos- sa principiare la mia stampa; perchè io son rifinito affatto dallo spendere, e a causa di queste maledet- te guerre non si vende un libro. Io prego la sua bontà ad assistermi e favorirmi , e ora per sempre mi accetti per suo buon servitore, e secondi le mie idee, che sono di giovare al pubblico. Il p. Calogerà celeberrimo si è fatto un gran nome con questi opuscoli; desidero di imitarlo colle mie Sjmbolae litterariae, di cui già diedi un ma- nifesto; e perciò alla P. V. reverendissima mi rac- comando, che le siano a cuore. Dopo il tomo XL bisognerebbe che il degnissimo p. Calogerà pensasse a fare un esatto indice de' nomi e cose notabili , che si trovano ne' suoi opuscoli ; cosa necessarissi- ma , e che è la chiave di un tesoro di tanta eru- dizione. Or sappia che dopo i dittici consolari, e dopo le tavole di avorio figurate , che propriamente non son dittici, penso di raccogliere le pitture più anti- che, le quali si vedono ne' codici più vetusti, a so- miglianza de' dittici : ed ella ne nomina molte , e descrive. Quanto alla sua, è veramente venerabile e pre- ziosa : e vedendola così di forma quadrata non or- dinaria, inclino più a credere, che abbia coperto qual- che evangelistario: ed è simile nella grandezza a quel Lettere inedite 289 famoso della vaticana , di cui ho il disegno, ed ho descritto in una lettera, che il p. Bianchini dell'ora- torio di Roma ha voluto inserire nella sua grand'ope- ra degli evangeli secondo i testi più antichi e pros- simi agli autori. I quattro miracoli piìx strepitosi di Gesù Cristo vi sono, come anche ne'vetri del nostro gi^an Buonarroti, e i tre fanciulli nella fornace babilo- nese. Onde mi rallegro che nell'illustrarla si farà un onore immortale, ed ho ammirato che ella osserva tut- to minutamente e con bellissimo ordine. Bramo la dissertazione che rammenta del p. Sa- lani (i); e altre su questo gusto. Mi onori dirmi se Jia costi, o sa che altrove siano, vetri degli antichi cri- stiani; che avevo pensato di fare una giunta a quelli dtd Buonarroti, e ho delle giunte del medesimo a tal sua opera, che sono inedite, siccome ancora all'ope- ra de'medaglioui. I marchesi, o sig. marchesa Ange- lelli, sento che abbiano molti di tali vetri. Io non ci ho servitù, nò mezzo; onde mi onori alutarmi. Ella resterà attonita , che io subito alla prima ardisca di darle tanti incomodi; ma perdoni; io le confesso, che il mio genio è tutto conforme al suo, e tanto basti perchè mi perdoni; e da qui avanti mi onori di comandarmi. Dai sigg. Walchi riceverà un mio opuscolo che le presento. Si degni mandare dal sig. Gio. MantVè, che vi è un involtino di certe mie lettere critiche: uno ne prenda per sé, e Taltro lo dia in mio nome ai sigg. Walchi, che mi abbiano sempre a memoria. Sono giovani, e fanno tanto onore alle lettere, che (i) Vedi la nota alla lellera III. G.A.T.XCV. f go Letteratura gpero anch'essi aiuteranno i miei studi, e le mie ri- cerche di dittici e di opuscoli per le mie simbole ; onde mi onori riverirmeli { giacche non ho tempo di scriver loro) plpnis ulnis, e pregarli a scrivere due righe al sig. Hagenbuchio di Zurigo, con dirgli che mi lamento, che mi ha abbandonato, non mi scri- ve, e non mi manda i suoi libri, specialmente Cow- mercium epigraphicum. Or ella seguiti a farsi ono- re, e torre dall'oblio tante belle coso: mi comandi, e quando scrive al p. Ziegelbaur mi raccomandi an-. che ad esso, che cerca dittici per me: e sono ec, (Manca di data.) IL Ella mi rinnova al doppio il piacere dicendomi nella sua umanissima ed insieme eruditissima , che ha gradito i due libretti, e che l'istesso han fatto i sigg. Walchi, ai quali rendo vive grazie della lettera scritta a mio nome al chiar. sig. Hagenbuchio. Ogni favore posso io compromeltermi dal suo bel cuore ; e già vedo che ci siamo fortemente innamorati , ed ella mi dà riprove di quanto mi ama coU'interressarsi così generosamente per i miei studi, e specialmente per l'opera de'dittici. Oh quanto godo, che in lati-^ no siano i suoi dottissimi commentari sopra le ta- vole di avorio, e ora latini abbia fatti quelli sopra la s. croce ! Me ne rallegro seco vivamente. Certa- mente son questi monumenti sì preziosi, che sempre chi studia forte, trova da aggiungere e impreziosire il fatto; essendo il fondamento dell'antiquaria sacra e profana l'osservare, e aver osservato moltissimo, e poi con giudizio e scelta combinare , perchè una Lktterk inedite agi cosa chiama l'altra. E certo vi è da dir molto an- che De vestibus augustorum christianorum cruce ornatis , e credo che sia stala battuta troppo poco questa selva o messe. Se costì ella avesse, o trovar mi potesse, un li- bretto raro, e comprarmelo, quanto godrei ! E lo- sephi Suaresii de vestibus litteratis^ che mi fu pre. slato e vi ho fatto delle note, che ora penso di ri- produrre nelle mie simbole : e ciò dico a lei con tutta segretezza. Se non si trova in vendita , e sì può avere in prestito, lo recapiti al sig. Manfrè o al sig. Pasquali, che lo riavrà cum foenore. Sicché il diffondersi negli ornati delle vesti , e specialmente de vestibus cruce signatis^ è cosa che l'immortalerà: sebbene non poco ha detto. Il catalogo ragionato de' loro codici sarà una opera insigne. Mi dica se costì hanno quello de'co- dici orientali della nostra laurenziana e palatina , opera di monsig. Assemani iuniore: che si potrebbe fare a giova giova. Del resto io mi rallegro di un' opera sì illustre col p. Mittarelli e seco parimen- te (I). A proposito de'musaici di Torcello , mi onora di una sua gentilissima lettera il sig. Francesco Gri- selini, ed è la prima che io abbia avuta, cortesissi- (i) Dopo la morte del Mittarelli fu pubblicato il catalogo no- minato dal Gori con questo titolo: " Bibliotheca codicum manu- „ scriplorunfi monasteri! s. Michaelis Venetiarum prope Muria- ,, num una cum appendice librorum impressorum seculi XV- j, Opus postliumum lohannis-Benedicti Mittarelli veneti abbati» „ ex-gen. benedictino-camaldulensis. Veaeliis 1779 ,,■ Il catalogo poi della laurenziana e palatina fu pubblicato dallo stesso Gori nel 1742 coiTcdato di quattro indici. 202 LETTERATUnA ma al maggior segno: e basta dire che è suo amica. Io sono ora assai affaticato per lo scrivere, e mi sen- to gli ocelli che mi frizzano. Mi onori dirgli , che presto gli risponderò; e intanto desidero che ella mi dica la condizione di esso, e quali titoli devo dargli, e per ora lo ringrazi. Si esibisce per far ritrarre i detti musaici; ma vedo che il canale, che ella mi in^ dica, è molto illustre, e lo scrivere a quel gran si» gnore sarà per me un grand' onore, e specialmente colla sua mediazione a suo tempo, per ora tenendo di lei silenzio. Dica al sig. Grisellni, che procurerò che il ma-, nifesto venga nelle novelle letterarie, e potrà veder-, lo. Mi onori ringraziare e riverire distintamente in mio nome il chiarissimo p. Calogerà ; e godo che gli piaccia dopo il tomo XL darci gì' indici necessari ben ordinati a'suoi opuscoli (i). Se ell?i avesse di-, segni delle antichità trovate ad Ercolano in Napoli, poi farebbe un gran favore a comunicarnieli, Firenze 23 marzo 1748, HI, Che dal sapere non vada mai disgiunta la gen- tilezza e la cortesia, hejx 1q dimostra la P. V. Rma nel ricordarsi di me, e favorire i miei studi. Rispetto ai musaici , perchè io risolva bisogne^ rebbe prima averne una breve descrizione , che cosa sono e contengono , e di che età ; e quante tavole gvapdi quanto tutto questo foglio possono fare, Poi, (l) Il p. Calogerà diede gl'indici promessi nel tomo IjI im* pres^q pel I757, cop cui 5Ì compie la prima raccolta^ Lettere inedite iigO che spesa sarebbe: che il mio pensiero sarebbe averli disegnati e coloriti co'loro colori: il che molto im- porta. Del resto se sono musaici intorno al mille, o poco dopo , non m'interessano tanto; perchè ancor qui è il mio battisterio di s. Giovanni tutto a rau* saico nella cupola, come si ricorderà aver veduto: ed io a questi ora non penso, perchè fatti dopo il mille. Poi bisogna sapere, che spesa per ultimo ci vor- rebbe, e che libri bramerebbe il pittore per ricom- pensa: che se sono de'miei, va bene; ma se di altn^ è l'istesso che dire voglio il danaro. Gradirò sommamente di avere la sua dissertazio- ne sopra la s. croce , e so che non averà bisogno della mia correzione, ma dovrolla ammirare. Gradirei averla quando il sig. Occhi pubblica i tomi de'suoi opuscoli scientifici, e sempre pregare i librai che pon- gano 1' involto in qualche balla , che qua mandano continuamente. Che nuova trista mi dà ella! In tre giorni per- so un sì valent'uomo, il p. ab. Salani ! Oh Dio che siamo noi ! che grazia che viviamo ! Me ne dispiace al sommo. Ma e che sarà di quell'opera di esso da lei lodata ? (i). Non ho la Triga dello Schmidio: e se ella l'a- vrà, mi farà grazia grande a prestarmela. La sua in-* (t) Il p. ab. olivetatio don Paolo Salant bolognese scriveva Una dissertazione per dimostrare cbé il corpo di s- Elend iin* peradrice , fin dal secolo XIII trasportato da Costantinopoli j custodivasi nella chiesa di Venezia dedicata alla santa in un'iso-' letta, una volta soggiorno dei canonici regolari , poi de'nionaci della sua congregazione. Ignorasi, ad onta dèlie ricerche f.ltte , iiresso chi tal dissertazione sia rimasta. fl94 LETTtRATtJnA signe tavola di avorio è da me a man giunte desi- derata. Il nostro signor Domenico Brichieri-Colombo sta benissimo: e come vo da esso, non di rado ella è ram- mentata. Per le mie simbolo ha cominciato a darmi delle sue dotte fatiche: ed io fo da levatrice, o come loro dicono, mammana. Veramente è di un cuore in- comparabile, e mi vuol bene; però l'ecciti a compi- re la sua dissertazione De fide multi-nomine: e poi devono seguitare le sue disquisizioni de'collegi den- drofori, seviri, augustali ec. Firenze 22 giugno 1648. IV, Evviva ! Evviva ! Or ora tornato dopo le 24 àaì mio battisterio, dove si celebra l'ottavario in onore di s. Giovanni Battista, ricevo il piego accennatomi nella sua pregiatissima lettera, e la sua eruditissima dis- sertazione latina sopra le tavola della santa croce. Io mi rallegro di sì bella fatica compita, e mi professo eternamente obbligato , che l'ha a me mandata. Or dunque che si ha da fare ? La mia opera de' dittici non è all'ordine , e troppe spese ci vogliono anche per prepararsi; sicché ci correranno de'mesi, e forse un anno. Penserei di pubblicar questa nel tomo delle mie Simbole secondo, se ella me lo permette; e poi chi vieta che si riproduca nella collezione de'dittici an- cora ? Sarebbe un peccato l'indugiare a far godere al pubblico questo suo dotto lavoro, in cui farò quanto a me si appartiene per ben servirla, e le ne manderò una porzione di esemplari tirati a parte, perchè gli dia al mecenate e suoi amici. Resta che mi dica se Lettere inèdite 2g5 iella approva questo, e bisognerà che mi mandi il ra- me per farlo tirare; e poi, tenutone gran conto, re- stituirglielo. Or passiamo all'altra dissertazione sopra il sa- cro pesce. Bellissima è quasi' opera , che porta non solamente tal simbolo di Gesù Cristo, ma la porta a parlare de'primi sacri simboli de'cristiani. Il sig. ca- talier Vettori può essere che abbia qualche altra co- 6a; ma nelle sue opere già stampate ha tali pesci in cammeo con lettere, che potrà vedere, e bisognando mi presterà il rame o l'intaglio. Ella procuri altri da codesti, e dal sig. abate Foggini: anzi, per anticipare, gliela mando io: e zitti , che pochi giorni sono mi mandò tale stampa monsig. Bottari. Non parli e la- vori intanto. Veda che belle combinazioni ! Ora non mi pare di avere cose simili. Un pesce ho in ameti- ste, ma senza lettere, e può essere stato profano. Ve- drò adunque i miei cimeli. Ma io ho in vista un mo-^ numento insigne, una tavola dipinta da Giotto, co^ me si crede. Rappresenta Gesù Cristo con i dodici apostoli, dalla cui bocca escono tante fila con l'esca ai lami, e piglia per la bocca gli apostoli figurali co- inè tanti pesci. La tavola dipinta è in un monastero di monache qui dette di Chiarito: e se le piace pos- so farlo disegnare e mandarglielo. Già è un pezzo , che per la novità e pel mistero meditavo io di pro- durlo. Si procuri anche quello del museo Vallisnieri, Qui ci ha correlazione anche la nave: e potrà vedere la spiegazione dell' Aleandro, Navis ecclesiam referens ; e quell' avorio portato ne' medaglioni dal Buonarroti, colla nave e un pesce nella rete con let- tere IHCVC, che fa a proposito. V. pag. SgS. Veda l'Arringhio, Bosio, Boldelti, Fabretti ec. Sia ella mil- aoG Letteratura le volte benedetta, che pensa a Dìo con illustrare 1 venerabili monumenti ! Nella gemma fogginiana i pesci differiscono da tutti gli altri usati da'cristiani; che usarono pesci da noi detti barbi. Ma quelle sono come aliguste. Cre- do che il cristiano, che aveva questo profano inta- glio, lo santificasse con porre quelle lettere, che in- dicano G. C. Solere Dio. Ella vi farà di belle os- servazioni, e altre ne farà raonsig. Bottari; però può essere che non gli prevenga; e però stia zitta, e lavori, Firenze 29 giugno 1748. V. Godo che avesse già la stampa dell' intaglio in gemma ( non mi pare cammeo ) del sig. abaie Fog- gini; onde avrò caro di riavere la mandata. Ho già scritto a monsig. Passeri se ha pesci sacri: e quelli che riporta il sig. cav. Vettori sono nel libro De ba- ptismate Christi, il qual libro ora non ritrovo; ma la sua è che scriva al medesimo, e forse, e senza for« se, le presterà il rame; anzi se si degnerà darla a me per le mie simbole, vi penserò io. Per ora, perchè non perda tempo, le ne mando questa stampa, che ho ta- gliato dalla mia raccolta per servirla ; e gradirò che me la rimandi. Or dunque gradirei sommamente di aver quest* opera ancora sacra per unirla nelle mie simbole col- l'altra sua dottissima; e però penserò io a tutte le spe- se degl'intagli. Se il rame della croce non si può avere in pre- sto, con discreto regalo, pazienza! Veramente mi di- spiace: che sempre le copie variano: e lo riaveranno Lettere inedite 297 I tale quale , dovendosi tirare sole 3oo copie. Il clie può anche farsi costì, e però ella si degni farle tira- re: cbè pagherò le spese di carta e tiratura. Vada prosperamente a Torcello: e giacché va, mi onori di una esatta e diligente descrizione di quei musaici e della basilica, Firenze 20 luglio 1748' I . Ricevo i disegni che mi rimanda. Ringrazio Dio, che abbia ispirato nel cuore a quella devota persona di favorirmi del rame. Non mi sarebbe rincresciuto il farlo intagliare di nuovo ; ma perchè, siccome il vino travasato sempre perde della sua primiera ve- racità ed esattezza, così ricevo per un gran favore, che mi sia prestato questo rame, e prometto ohe non sarà punto deteriorato , e sarà conservato nell'essere che si manda; perchè il mio tiratore in rame è dei pili bravi che qui siano , e sole copie 3oo saranno tirate, e non può patire il rame: e prometto di ri- tornarlo con frutto tale quale, e dirò ancora che l'ho ricevuto in presto, se quella devola persona gradisce d'esser da me nominata. Or dunque con tutto suo comodo io l'aspetto unitamente colla sua descrizione de'musaici, e tanto più la gradirò se è latina, e così anche la stamperò dopo la sua dissertazione che unisce a maraviglia; sic- ché faccia tutto un plico. Il libro del p. Lupi mio amico non ha indice (1). »» ■ — — ^ . _« [i) Disserlatio et animadversiones ad nuper invenlum Severae ìnartyris epHaphium, Panornii 1754. agS TjEfTERATtJRA Cercherò dove parla di pesci. Aspetto di Palermo al-» cuni esemplari dì quest'opera: e avuta, se così mi pei'- mette, le ne donerò un esemplare. In oggi son di-» venuti rari. Una gemma, simile a quella riportata da lui alla pag. 64» è presso di me in plasma di smeraldo, as- sai consumata per essere stata portata. •»•••• ..< La nave si trova in alcune lapidi cristiane, ma altre non vi sono con pesci. Ricevuta a dì i6 agosto 1748. VII. Mi scordai di domandare alla P. V. reveren- dissima se quella dissertazione, che sta ora compi-' landò, la riserba a me: che io la porrei subito dietro all' altra sua nel mio tomo delle simbole. Ciò dico per poter prendere le mie misure : e gradirei che fosse latina, perchè tanto più fosse applaudita di là da'monti. In terzo luogo vi porrei la descrizione sua de'musaici sacri di Torcello; e così tre cose insieme farebbero a lei un onor grande, ed a me pure, che non voglio mettere nelle simbole, se non che cose scelte e utili e buone. Firenze 16 agosto l'j^Q. Il sig. don Domenico Brichieri- Colombo la ri- verisce devotissimamente. Vili. Non ho che soggiugnere intorno alle sue dotte fatiche: sono benissirae impiegale negli opuscoli ea- Lettere inedite ago logerlani ; mi contenlerò di esser simile alla cana- nea che disse: Quae de micis cudunt. Forse quel che essa farà in lingua italiana, potrà esser mio ia lingua latina: facendo somma slima delle cose sue, fo quel che richiede la giustizia e la verità. Io ho un monumento sacro di metallo insigne. Il monogramma è in una corona radiata elevato so- pra una colonnetta : alla sinistra vi è nostro signore Gesù Cristo con volume, dalla destra s. Pietro con Volume. E alto circa 5 once. Vorrei fare una disser- tazioncina mostrando, che il divino mont)grarama co- stumarono i cristiani di esporlo all' adorazione ele- vato così nelle chiese. Il mio bronzo corrisponde ai vetri del senator Buonarroti. Prego la sua bontà a notarmi in un foglio alcune testimonianze di tal con- suetudine e rito presso i santi padri, e aiutarmi che possa andare innanzi. Firenze 7 settembre 1748. IX. Ella colla sua doltisslma dissertazione sopra la s. croce , che godo sommamente sia citata da Sua Santità, mi ha fatto venir voglia di soggiugnerne un' altra sopra la s. croce di s. Giovanni, che è un gran pezzo del ss. legno, in cui è effigiato di rilievo cro- cifisso con mitra e tiara in capo, tutta rotonda ova- ta : pare con linee di perle ornata. Questa corona, non più veduta al crocifisso, mi dà materia da di- scorrere. Più presto che può mi mandi qualche eru- dizione o notizie. In somma Cristo è pontefice, sa- cerdote e vittima. Ha i subligacoli , è confitto con 3oo tjETTERATtJllA 4 chiodi, ha il suppedaneo. Costa che al mio baU tisterio la donò Carlo Magno (i). Aspetto la descrizione o illustrazione de'musaici di Torcello. Mi dia le nuove sopra i pesci sacri. Non trovo ora la mia gemma : trovandola, sarà sua. Firenze aS novembre 1748. X. Nell'ordinario passato scrissi con molta fretta; ora rispondo a qualche cosa lasciata indietro. Ebbi la tavola , ed ora gliela rimando : ed ho procurato che ne sia tenuto conto , e vedrà che è tale come me la mandò. Le stampe sono venute scure un poco: perchè, come le dissi, è stato tirato il rame con rinettarlo col cencio intinto nell'orina; onde ha man- dato fuori le sue arenosità. Io le ne rendo infinite grazie, e ringrazio ancor senza fine chi mi ha favo- rito: e se debbo nominarlo nella prefazione di que- sto tomo terzo, che si stampa, mi onori dirmelo. Ella si degnerà mandarlo a prendere al sig. ab. Medoro Rossi, a cui l'ho indirizzato : e insieme ri- ceverà per mia memoria il tomo i e 2 delle sim- bole. Il torno 3 principia col suo lavoro, ed a suo tempo corrisponderà cum foenore. Mi accenni 1' iscrizione di un dittico prodotta dallo Schannat: veda se può, e con suo comodo. (1) L'erudito lavoro del Gori su tale croce trovasi prodotto nel tomo III delle sue Sinibole con questo titolo.- Crux de vitali Ugno sanctae crucis, in qua lesus Christus Nazarenus capile mi- trato,quae adservatur in thesauro basilicae baptisterii Jlorentini, commentario illustrala etc. Lettere inedite 3oi Mille grazie della gvatissima notizia della ta- vola di avorio con due figure, che hanno in Padova i PP. lateranensi di s. Giovanni di Verdura; come pure dell'iscrizione che intanto mi accenna. Questa è una bella scoperta, e la prego a seguitare a far- ne. Cercherò tutti i mezzi per averne un disegno. ]Mon mi mancano amici per tutto , e specialmente in Padova. La dissertazione sopra la croce avrà luogo an- cora nella grand'opera de'dittici. Per ora è stato be- ne il pubblicarla: e perchè a quell'opera dispendio- sissima vi bisogna un pozzo d' oro , e del tempo , però ella la tenga sempre davanti , e di altre belle notizie la impingui ed accresca , sicché possa dirsi auctiov et aliis ohservationibits locupletior : che vi resta ancora molto da dire, specialmente de cultu vestium imperatorum et augustorum, come tempo fa le avvisai. E l'istesso può farsi rispetto alla gran tavola che ora ha spiegata ; perchè poi venga cre- sciuta di notizie, sarà riferita nell'opera de'dittici, e si darà, se vuole, anche nelle simbole. Mi pare assai, ohe avendo loro tre tomi di epi- stole del loro generale Pietro Delfino, non persino a stamparle; che contengono sì gran parte della sto- ria di que'tempi e letteraria e monastica. Via via; è interesse della loro gloina, Io già ci pensava; ma mi mancavano le inedite. Se io ho tanto coraggio, non creda che io sia ricco ; quel poco che ho di lucro dai miei impieghi, lo spendo così: e sono pieno di debiti , e sempre ne fo de'nuovi. Deus providebit. Vorrei che ella da amico e con tutta confiden- za mi dicesse a qual nobilissimo patrizio veneto po- trei dedicare questo terzo tomo delle simbole, e se 3oa Letteratura all'Istesso qualiiicalisslmo sig. FUminio Cornaro se- natore; ma vorrei sfar sicuro, che qualche regalo mi facesse per sussidio de' miei studi. Ella mi parli da amico, e sinceramente: e se mi sarà compare, vedrà che non sarò sconoscente. Di rado si trovano si- gnori, che gradiscano le fatiche: e pochi che sieno generosi; se costi vi è, me l'additi. Firenze 3o novembre 174^» X I. Rispondo alla sua stimatissima dei 7 del cor- rente. Son tanto tanto obbligato alla sua sincerità, colla quale mi parla in proposito di dediche di li- bri: e già mi son notato quel che fa più a mio pro- posito; onde le professo infinite obbligazioni. Ma io non ho ancora ricevuta la descrizione de'musaici sacri della basilica torceliana. Non so se sia più della sua prima intenzione di mandarmeli per darli in luce. Se ella gli ha promessi al degnis- simo p. Calogerà, non ho che dire: ella deve con- solar lui, e non me , e conservare la buona armo- nia, e non lo disgustare. Vedo che ella scrive a me con del riguardo. Più non mi nomina la sua dis- sertazione sopra i pesci sacri. Nulla si parla della gran tavola d' avorio. Io godo , che vengano questi suoi eruditissimi lavori negli opuscoli , e spero di averli a vedere: e così non mi sgomento: che, per- mettendolo lei, potrò qui farli tradurre da qualche mio amico in latino. In tal caso farò capitale deU l'impreslilo del rame. Ora sto con impazienza di sentire il suo pa- rere sopra le simbole date in luce. In Venezia ella è stato il primo primo ad averle. Lettere inedite 3o3 Olire al rametto suo, ebbi ancora certi carat- teri: ma giunsero tardi , sicché io avea già fatta la spesa in farli gettare a posta dalle madri e punzoni. La prego a trovare amici, o letterati che si sot- toscrivano: ed a tale oggetto ne mando alcune po- che copie oggi al sig. ab. Medoro Rossi. Voglia Iddio che il bel pensiero di pubblicare le lettere del suo generale Delfino vada avanti ! Sono un tesoro di erudizione. Firenze i4 decembre l'j^^. xn. Quel che ho promesso è irrevocabile. Avrà la gemma cristiana, che spero di trovare tra molte che ho, ed è confusa. La troverò certamente e sarà sua; benché la stimi infinitamente. Per ora le mando il disegno. Ella vede manifestamente che in vece dell' àncora vi è la s. croce , e non si può mettere in dubbio : perchè l' àncora in altre gemme cristiane e profane é figurata in altra guisa. Desidero , che la riporti nella sua opera, e faccia memoria di me, che le ne sono tanto obbligato. In caso, che non vi sia più tempo , mi rimandi il disegno : che avrò modo io di riportarla. Or venendo a noi , godo che dal sig. ab. Rossi abbia ricevuto il rame della tavola della s. croce e il dono meschinissirao delle mie simbole. Poco dopo ho ricevuto un suo pregiatissimo dono, la disserta- zione epistolare sopra la venerabile tavola di avorio: che io prego a tener conto del rame, e poi prestar- melo per riportare e la dissertazione sua e la tavola jjella mia opera de' dittici : e la prego a non scor- 3o4 Letteratura darsene: e può farlo ogni volta che le si porgerà op- portuna occasione. Ella mi ha onoi'ato di rammentarmi onorevol- mente: onde le ne rendo infinite grazie. La disser- tazione è molto dotta e sugosa, e hen ordinata. Nel §. I Christus videtur ab exhedra in tempio ver^ ba facere legis^doctoribus : a me pare diversamen- te, e averei piti tosto creduto che esprimesse Cristo legislatore che ha dato e consegnato la sua celeste dottrina, il suo evangelio, agli apostoli : e parmi a s. Pietro e s. Paolo, che tengono il sacro codice col- le mani velate. In somigliante guisa si vede dipinto negli antichi musaici. Vedo in somma, che ella può molto aggiugnere a questa dissertazione, e per quan- do andrà in opera desidero che lo faccia dicendo : Nunc secundis curis r ecognita ^ aucta^ vel locu-i piotata. Perdoni dell' ardire che mi prendo; s,e poi ella vuole che sia il Nazareno che insegna nel tem- pio, mi rimetto a lei. A me non pare. Nò deve dar fastidio, che Nostro Signore sia figurato assai giova-. ne; ella sa perchè cosi si esprimeva, e lo dice nella sua dissertazione. Desidero sapere in che tomo e a che pagina o articolo viene questa sua negli opuscoli ; perchè la devo ora citare nella mia dissertazione sopra il le-r gno della s. croce: e devo notare una cosa assai no- tabile, ed è della croce radiata, di cui ella non ha detto nulla. Parlando ella e scrivendomi con sincerità e can- dore, mi onori dirmi, perchè, non mi favorisce della promessa descrizione de' musaici della basilica tor- cellana ? Io gli aspetto per farne buon uso. Scopersi che in Novara vi era un prezioso dit- Lettere inedite JoS ileo, di profano passato all'uso ecclesiastico: e ieri io ne ebbi i disegni. E veramente insigne, e può essere che presto nelle mie simbole ne anticipi la notizia con una breve descrizione. Mi procuri sottoscritti al- le simbole. Il battisterio fiorentino, a cui preseggo indegna- mente, è ottangolare. I pisani presero il modello da questo. Vi era deU'istessa figura il battisterio nel mezzo, di cui pai'la Dante: e raccontando un caso, dice:(t Fatti pe'luoghi de'battezzatori (i).» Fu ne'tempi del gran- duca Francesco levato dal bel mezzo del tempio bar- baramente per la solennità del battesimo di un suo figlio; e ora è da una parte, ed è altro vaso di mar- mo tutto storiato, lavoro del secolo XIV. Oh quanto vi è da lavorare sopra i battisteri antichi ! JNon ve- do l'ora di avere la sua disseriazione sopra i pesci sacri. Se fa intagliare la mia gemma , ora divenuta sua, mi mandi subito una stampa. Se non si disgu- stasse il p. ab. Calogei'à, Dio sa quanti monumenti ella potrebbe comunicarmi dalla sua biblioteca I Oh Dio quanti riguardi ! E che anni ha il p. Calogerà ? Firenze 21 dicembre ij^^^. (i) r vidi pei' le coste e per lo fondo Piena la pietra livida di fori D'un largo tulli, e ciascuno era tondo Non mi parèn meno ampi, né maggiori, Che quei che son nel mio bel san Giovanni Falli per luogo de'battezzatori. L'un degli quali, ancor non è molt'anni, Rupp'io per un che dentro v'annegava; E questo fia suggel, ch'ogni uomo sganni. Inferno, canto XIX. G.A.T.XCV. ao 3o6 LlTTKRATWRA XIIL Mille grazie dei luoghi accennati nell'opera del Cotelerio. Circa il sacerdozio e pontificalo di Gesù Cristo, è cosa tanto dilucidata, che poco mi tratten- go. Più di ogni cosa mi preme di fissare con auto- rità irrefragabile quando s' introdussero nella chiesa le immagini del Crocifisso ^ e quando sopra l'altare. Perciò, se ha tempo di favorirmi presto, lo gradirei assai. Casalio dice nel 680, De vet. christ. ritib. pag. 5. Manderò la gemma cristiana, che mi onora chie- dermi con tanta premura. Già le ho mandato il di- segno, che se vuole può anche ridurre a minor gran- dezza. E la gemma in corniola, ed ho scritto sardae: se poi questo non le place, dica corneolae ; e ora dica che è nel suo museo, e che glie l'ho donata. Parevami, se non mi ha promesso la dissertazio- ne sopra i musaici di Torcello , almeno mi avesse fatto sperare i disegni, e detto a qua! signore mi do- veva raccomandare. Tutto sia per non detto. Io al- tro non desidero che il bene delle lettere. Ella se- guiti a dare le sue fatiche al p. Calogerà: che sono ben date, ed è cosa giusta, giustissima. Non ardirò di pregarla da qui avanti di altro, che della sua buona grazia , e a credermi sempre qual mi dico. XIV. Di Venezia mi viene scritto, che il degnissimo p. Calogerà, che io riverisco dislintamente, voglia ri- Lettere inedite Sójr «larapare ne' suoi opuscoli scientifici le mie notizie di Ercolano. Io prego la sua bontà a dirgli, che de- sidero che aspetti un poco, almeno per non fare così presto ora un pregiudizio e si notabil danno al mio stampatore. Del resto, se egli aspettando vorrà fare una cosa migliore, io gli darò molte correzioni e giun- te, e altre lettere concernenti le dette antichità : e con aspettare altri libri e relazioni, che sento ora si stampino, potrà fare una sol opera molto compita. Ella mi faccia questa grazia: se poi ciò non fos- se vero, sia per non detto. Vorrei che anche in questo affare , che assai mi preme, ella mi scrivesse colla sua solita ingenui- tà e schiettezza. Di Napoli alcuni letterati mi hanno scritto quel che va corretto e dove va aggiunto nel mio libretto; però se lasciasse passare qualche poco di tempo, ad esso comunicherei tutto. Firenze ii gennaio 1749* XV. Fra pochi giorni avrò occasione di rimandarle il suo piccolo rame, e nell' istesso involto porrò *la gemma promessa. Non dubiti, e viva quieto che de- sidero servirla. Mille grazie per gli uffici fatti al p. ab. Calo- gerà. Godo che non abbia l'idea, come mi era stato supposto, di riprodurre le mie notizie di Ercolano : e le resto sommamente obbligato. Ho lodalo la sua fatica sopra i pesci sacri, ma in generale, non sapen- do il titolo. Il sig. Brichieri la riverisce senza fine. Firenze 26 dei 1749* 3o8 Letteratura XVL Son privo di sue lettere da malto tempo. Già le scrissi che intorno a quelle tavolette non sapevo dir nulla; che altre simili ne ho ancor io. Le man- dai una copia della sua dissertazione perchè la leg- gesse: e dove trovava errori di stampa, me gli man- dasse colle correzioni. Quanto alla tavola eburnea, ora che è stampata ne desidero fare le copie per il mio tesoro de' dittici; perciò la prego a mandarmi in presto il rame , che subito Io riavrà tal quale lo manda. Lo dia al sig. Pasquali, che 1' unirà a qualche balla di libri, e lo fasci con due cartoni. Le mando il manifesto di una bellissima opera or data in luce. Mi dia le sue nuove. Che fa la dissertazione De pìsce sacro ? Mi onori conservarmi il suo affetto , e comandarmi: che sono di vero cuore. Firenze 12 luglio 1749- xvn. Ieri fu da me, ed io oggi sono stato a riverire, il degnissimo p. cancellier Mittarelli , e molto si è discorso insieme, come anch'esso le dirà. Io l'aspetto domattina da me , e concerterò il modo di servirla della sua dissertazione. Ella non mi ha mandato in presto il rame del- la tavola grande di avorio, sicché io l'aspettavo en- tro alla balla di libri, che mi ha mandato il sig. Pa- squali, Se non può, o non vuol favorirmi, me lo seri- Lettere inedite 3og va chiaramente, perchè non ho difficoltà di farla in- tagliare di nuovo. Più costerà il rame dell' intaglio. Io fo ora infagliare a dirittura i miei dittici. Ho ricevuto ancora gli involtini de'sigg. Walchi, ai quali non mancherò di rispondere. Ella più non mi ono- ra delle nuove delle sue dotte applicazioni. Ho avu- to la disgrazia che il sig. Occhi non mi ha ancoi'a spedito i tomi degli opuscoli, che mi mancano, e so- no il tomo 3c) e l^o. Mi onori sollecitarlo , se ha modo. XVHI. Credo che già avrà ricevuto dal sig. Pasquali la tavola incisa in bronzo; per cui le rendo infinite grazie, e sono sempre più obbligato alla sua gran cor- tesia. Gli dissi, che franca di spese gliela desse. Mi scrivono dagli ultimi confini defilo stato ve- neto grandi elogi della sua dissertazione sopra il sa- cro pesce. Non vedo l'ora di avex-la: e se prima del di 6 ottobre io l'avessi, sarebbe il mio diporto. Già le mandai un esemplare della sua dissertazione sopra la tavola della s. croce. La supplicai a mandarmi la nota degli errori, se vi erano da correggersi: ella non in- dugi, perchè a mezzo ottobre saranno pubblicati 3 to- mi delle simbole. La tavola sua entrerà nell'opera de'dittici, e vi riporterò la sua dissertazione: ma per mostrare, che ho giusti molivi di ripeterla, di quando in quando la prego a vederla ed aggiugnervi, sicché possa dirsi secunda editio auctior et locupletior. Vi è da ag- giugnere moltissimo, e molte cose non tocche, op- pur leggermente. Sicché ci pensi, se così non si la- menterà il p. Calogerà. Mi conservi la sua grazia , e sono con tutto l'ossequio. 3io Lkttbratura XIX. Dopo la mia villeggiatura per a6 giorni passali nel mese di ottobre, con profitto della mia salute, può immaginarsi con qual piacere riceva la sua let- tera : e vorrei poterle dare avviso di aver ricevuto ancora la sua dissertazione già da me annunziata, e lodata nelle simbolo , De pisce sacro etc. Ma fi- nora non l'ho avula; perchè sempre piia del dovere indugiano le cose che si desiderano. Avuto il pac« chello, farò quanto ella m'impone. Le mie siinbole sono ora per l'approvazione nel- le mani de'superiori: spero tra dieci o i5 giorni di avergliele a spedire. Solleciti il sig. Pasquali a cui scrivo, e che mi mandi tutto ciò che gli chiedo. Ve- do che ella mi scrive sempre con gran fretta, e noa mi dà veruna nuova, e che fa il catalogo de'MSS. ed altre sue dottissime opere, tutto per altro per ar» ricchire le calogeriane. E che sarà de'musaici di Tor- cello ? Desidero la bellissima insigne opera del sig. senatore Cornaro, al quale, subito veduta, ho applau- dilo sommamente (i). Sia egli mille volte benedet- to ! Questa sola gloria mancava a codesta gran me. Iropoli. Ella mi onori sollecitarlo al restante , e si congratuli per mia parte in segno di venerazione, e di affetto, e di stima, che per mille titoli si merita questo gran signore : e sono tutto suo. Firenze 8 novembre i749' (i) Ecclesìae venetae anliquis monumentis , nunc eliam pri- mum editis , illuslratae, ac in decades distributae: Ven. 1749 et »egg. Voi. 18 in 4- LlTtERB INEDITE 3Hr XX. Sto con somma impazienza aspettando la nuo- va che abbia la P. V. reverendissima ricevulo un pacchetto dal signor dottor Carburi, con lettere. Pre- go la sua bontà ad accettare i tomi 3, 4 e 5 delle simbole in dono, e per ora ricevere due copie del- la sua dissertazione. Per altro, subito che qui potrò fare spedizione, le ne manderò altre copie. Per non aggravare quel signore non potei fare in altra guisa. Altrettanti tomi colla lettera mi farà grazia, per mezzo di codesto banchista sig. Vagner, d'indirizzarli ai signori Walchi a Iena: e mi preme che sieno ben involti e condizionali, con buona e chiara direzione. Aspetto sue lettere , e suoi comandi : e raccoman- dandomi caldamente mi dico. P. S. Altro pacchetto di detti esemplari trovo aver mandato a Venezia per i sigg. Walchi. In tal caso desidero che quest'altro si dia al sig. don Francesco Rosi per mandarsi al sig. canonico Berteli; onde mi farà grazia di stare attento, che non segua errore ; perchè parmi averlo fatto consegnare al sig. Vagner, col quale potrà conferire: e condoni tale incomodo ec. Firenze 3i gennaio i^So. XXI. Ricevo con sommo piacere la nuova che la P. V. reverendissima mi dà, che sia qua per venire a primavera il sig. Pietro Monaco. Io lo riceverò vo- lentieri, e dal canto mio lo pregherò xi lavorare per me, purché sia discreto. 3H LETTKRATUnA Mi dispiace, che ancora nou siano in sue mani pervenuti i tomi delle simbole, un corpo delle quali lo tenga per mia memoria : l'altro poi lo dia al sig. dottor Francesco Bosi, che sa a chi lo ha da indirizza- re In mio nome. Spero che nel ricevere questa mia sarà ritornato da Treviso. Le professo infinite obbligazioni per 1' iscrizio* ne di s. Sabina martire mandatami. Ho veduto quella di s. Memmia nella bell'opera di cotesto illustre se- natore, che mi son fatto venire di costì. Le sono an- che sommamente tenuto del Centlfoliitm camaldu* lense (i) consegnato a questi signori che finora non son qua capitati, e venendo non mancherò di prestar loro ogni ossequio: e pieno di riverenza mi dico. Firenze 21 febbraio lySo. XXIL Scrivo di villa, dove mi trattengo fino alla fine del mese. Ho mandato al p. Zaccaria per ricevere i suoi favori: della quale sua dissertazione le rendo di* stintissime grazie, e bramo qui presto gustarla. Quando averà ricevuto quegli esemplari delle sim- bole dal sig. dottor Carburi, che si degnerà riverir-^ melo distintamente, farà grazia serbarli, perchè le dirò a chi gli ho destinati: perchè già gli ho ultimamente mandati al sig. canonico Bertoli , a cui questi sono superflui. (1) Centifolium camaldulense, sive notitia scriptorum camaldu- lensium,quamyCeu prodromum, ezceptura est bibliolheca patrum eamald/densium etc: auctore p. Magnoaldo Zivgelbnur ordinis s, Btnedicli etc. Venetiis ijSo. Letterb inedite 3i3 Subito tornato a Firenze discorrerò col sìg. Sci- vi della medaglia da farsi. Egli ne vuole tre zecchi- ni, con dare i modelli: e quelle si fanno gettare, si comprano a cinque paoli l'una colla camicetta fatta di ottone: e senza tal cornicetta le vende paoli 4' Tutto quel maggior risparmio potrò procurarle , lo farò. Ma il ritrailo del personaggio d'onde lo deve prendere, da pittura o da maschera (i) ? Per la sua tavola di avorio, che va nelPopei'a de' dittici, vi è ancora del tempo; e se non ho aiuti per quest'opera, colle mie deboli forze e spose non posso per qualche tempo condurla a stamparsi. Il sig. card. Querini fa il sordo , e su questo punto non mi risponde: e un eretico, il sig. Hagenbuehio, si po- trà vantare di aver fatto quell'opera a spese di sua eminenza. Le correzioni che mi manda saranno aggiunte al suo luogo* La servirò anche dei difetti, che chiederò al Ne- slenus stampatore. Mille grazie dell' involto ricevuto dai signori Walchi: e se vi ha spese per me, non manchi di si- gnificarmele. Onde attendo i suoi favori; ma il Pas- quali è più lungo dell'anno santo: gli stia dietro, l'af- fretti , e dica che resto scandalizzato nel non rice- vere sue lettere e risposte. Quarto, Villa 24 luglio lySo. (i) Nelle seguenti lettere non si parla più della medaglia qui nominala, né d'altronde si è potuto conoscere qual perso- naggio dovesse esprimere. Pare che non ne sia stato mai eseguito il progetto. 3l4 LST TIRATURA XXIIL Dovendomi spedire alcuni libri il sig. Pitteri, mi farà grazia dargli l'involto che ha ricevuto dai sigg. Walchi, e dirgli che dall'Occhi si faccia dare i due ultimi tomi degli opuscoli scientifici. Ieri l'altro ebbi dal p. Zaccaria la sua dottis- sima dissertazione, che mi piacque assai e mi fece gola col descrivermi le tavole storiate di Argento, di Ve- nezia e Trevigi, che potrebbero aver luogo nel mio tesoro de'diltici, se ella si degnasse dirmi come posso fare ad averne i disegni. Mi credeva, che nominas- se la mia croce o il mio martirologio lapidario, che tante occasioni se 1' erano date. Ci andavano quei bassirilievi antichi, ed oh quanto io gradirei i dise- gni di essi ! E chi pubblicherà quei musaici ? Io mi congratulo seco. Quel sig. Del Monaco più non si è veduto. Se ha avuto dal sig. dott. Car- buri quell'involtino, sappia che i tomi delle simbole bisogna mandarli al sig. Giuseppe Bini arciprete di Gemona: e la prego di questa grazia con trasmetter- gli l'acclusa. Firenze 8 agosto lySo. XXIV. Ella mi onorò scrivermi, che dai signori Wal- chi aveva ricevuto un involto per me; ma io finora non l'ho veduto ne avuto dal Pasquali o dall' Al- brizi. Io prego la bontà sua a fare , che io 1' abbia più presto che sia possibile. Mi dica se è costì in Venezia un bulinista sig. Lettere inedite 3i5 Francesco Zucchi, che ha intaglialo le tavole del mu» seo veronese, che assai mi piacciono: e se il sig. Del Monaco su tal gusto vuole intagliarmi un rame, che mi preme: e subito che mi risponde, lo manderei fran- co per la posta. Il sig. Pasquali non manda e non risponde alle mie lettere: onde o si degni sollecitar- lo, o trovar modo che io abbia quell' involto, e mi dica il rimborso che devo farle. Non voglio dare incomodo al sig. Zanati per quei disegni; se non sono antichità in avorio, o or- namenti di libri, non sta a me il produrli. Mi scriva più distintamente sul foglio della vi- ta del p. Mansi. Non intendo bene quel che vuole, Firenze 5 settembre lySo. XXV, Deo gratias : {ìnalmente dal sig. dott. Carburi, che mi riverirà e ringrazierà senza fine, ho ricevuto l'involto delle simbolo. Per conto della sua disser- tazione, quanto prima le ne manderò altri esemplari; perchè non ho avuto tempo di mettergli insieme, es- sendo stati tirati da sé: e se a ciò non ci penso da me, gli stampatori si confondono: e nulla hanno vo- luto di questo. Adunque giacche il p. del Torre ha avuto i suoi esemplari, e parimente ella ed il sig. canonico Ber- teli, resta che mi onori presentar codesti in mio no- me al sig. arciprete Bini, che è costì: e me lo rive- rirà distintamente. So che è occupatissimo : mi ris- ponderà quando potrà, e a lei dirà se ricevè una let- tera mia scritta nell'ordinario passato. 3i6 Lbtteritora Mille grazie della benigna laude che dà alla mia disseriazione De mitrato. Le manderò ancora la dissertazione del p. Pa- ciaudi. Facevo capitale del sig. Monaco, se passava di qui, per un lavoro di un bassorilievo che devo fare intagliare , ed altre cose per il tesoro delle gemme astri/ere che sarà in luce , come spero , dentro al prossimo ottobre. Sono 3 tomi in foglio con CGXXX tavole intagliate e più: e son restato maravigliato, che non abbia ella fatto prendere la sottoscrizione a co- desta insigne libreria, quando ai non sottoscritti co- sterà 100 paoli, e ai sottoscritti era offerta per paoli 60. Firenze la settembre i^So. XXVI. Son disgrazialissimo; quanto più desidero quell' involto de'signori Walchi, tanto più divento Tantalo. Di grazia lo levi di mano a Pasquali e me lo spe- disca. Vi sono costì stampatori che qua sempre spe- discono. Lo dia al sig. Pietro Bassaglia, e lo solle- citi a spedirmi i suoi libri, e tra essi ponga anche quest'involto. Ho mandato a monsignor Passeri la starapina della sua gemma abraxa, cioè magica, con i caratteri solo noti a chi gli fece. Sentirò quel che ne dice : e, se vuole, può favorire di mandarmi il rame in pre- sto per farne buon uso e dar lode a lei. E 1' opera sull' ultimo : e vedrò se trovo luogo dove porla. Non è ancora composta la prefazione: onde avrei kisogno d'aver presto la dissertazione walchiana De Lettere inedite 3 17 nummis capricorno signatis etc. perchè bisogna che la citi e che la veda : onde o in un naodo o nell'al- tro la prego a sollecitare la spedizione. Mi è stato grato l'articolo dove parlasi di me e del mio tesoro delle astrifere, e le sono obbligato. Oh quanto mi ha conturbato la nuova della mor- te del celebre p. Ziegelbaur ! Oh quante cose ci vo- leva dare se viveva ! Godo che altro letterato voglia pubblicare la storia dell'accademia di Olmitz. A quel sig. conte Zappata ec. si degni presentare il mio os- sequio, e raccomandarmi quando gli scrive. Vorrei potere aver cose antiche cristiane da dar- le; ma come, se sono rarissime ? e come le impiega per ornare un paliotlo ? Io non capisco che nuova idea sia questa. ( Saranno continuate. ) 3i8 Elo^^io di Curzio Ardizi pesarese^ letto nella so- lenne distribuzione de^premi nella sala del co- mune di Pesaro Vanno 1842 da G. I. Monta- nari. F. ra le più nobili sentenze del divino Platone ne* libri della repubblica, sovra l'altre nobilissima quella mi pare, cbe fu poi sollennemejite ripetuta dalTim- morlale Torquato Tasso: La filosofia e le lettere quasi donne reali sdegnare il consorzio della plebe; perchè venule a mano di questa, si tingono di fango e per- dono gran parte di quella nativa maestà, per la qua- le nel mondo banno faccia di cosa celeste. Concios- slacchè bene osservando il concetto del greco maestro, due cose mi sembra aver manifeste: cioè gli uomini dovere dalla filosofia e dalle lettere prendere princi- palmente abito di nobiltà, e dover essi guardarle non altrimenti che il palladio della civiltà, perchè non cag- giano a mano d' uomini vili , che ne deturperebbe- ro le forme, e di relne in meretrici le Iramuterebbo- no. Ne creda alcuno che io voglia affermare con que- sto, essere disdetto a coloro, che sono nati d'umil li- gnaggio, nobilitare se stessi e lor sangue coli' opera della filosofia e degli umani studi: perchè coloro, che fin dal primi anni affissano gli occhi alle divine bel- lezze della sapienza, da lei ricevono nobiltà, che gli scevera ben tosto dalla plebe: e per via, quanto più ardua tanto più gloriosa, li sublima a quella verace nobiltà, che non è vecchia vena di sangue, ma eter- Elogio di C. Ardizi 3ig na gloria della civile società, e vanto precipuo del- l'umano intelletto. Sebbene con quali forze combat- terebbero costoro contro la fortuna? O come potreb- bero essi mandare ad effetto gli elevali lor desideril, ove a custodia delia sapienza non fossero uomini di generosi nascimenti e di grjinde animo , a cui non patisse il cuore di vedere in basso quegli stessi, che al consorzio della fdosofia con tanto affetto aspiran- do si mostrano degni di miglior condizione ? Io cre- do al certo che perciò Platone e Torquato volesse- ro, che dalle mani della plebe non fossero contami- nate la fdosofia e le lettere , ma stessero fidate alle mani de'soli veri nobili, ad indicare due doti che la nobiltà, per essere ragguardevole, debbe in sé avere: cioè conoscenza d'ogni arte gentile che dalla liloso- fia si derivi; e amore a tutti coloro che tentano sol- levarsi dalla schiera volgare per mezzo de'buoni slu- di. Il quale amore poi dee crescere, quanto più loro la cieca arbitra delle umane sorti contrasta : sic- ché vero nobile solo debba dirsi colui, che è ornato d'ogni bell'arte, e le arti stesse protegge e conforta. E tali furono a grande vostra lode in ogni tempo , o signori pesaresi, gli avi e i padri vostri: per modo che debba affermarsi, nella vostra città potersi avere lo specchio di quella verace nobiltà, che non invec- chia col sangue, non varia col variare de'tempi e del- le opinioni, ma sfolgorante dell'elerna luce della vir- tù nella durazione de'secoli si mantien gloriosa. In- fatto la grande ed onorata corte di filosofi e di ogni genere letterati, che qui fiorirono ne'secoli andati e al principio del presente, sarà sempre cagione di ma- raviglia e d' invidia ai secoli che a questo succede- ranno. E cosi potessi io avere spazio di mostrarveli 320 Letteratura tulli in ischiera, e di scoprire lor pregi ! Che gran prò, credo, ne verrebbe per inainorarne i novelli, e così nelle domesliche lodi rassicurare la presente e la fu- tura generazione. Ma se mi è folto dire di tulli, io mi arresterò a favellarvi d'uno spirito gentilissimo, or- nalo de' costumi e delle lettere piìi squisite, per le quali puù dirsi che fosse a' suoi giorni immagine di perfetto cortigiano, Curzio Ardizi pesarese: del quale tanto più volentieri mi fo a rinfrescar la memoria» quanto più veggo ch'ella qui laugue; perchè non vi è cosa clie ci metta innanzi, e quasi di colpo ci por- ti sotto gli occhi il valore di quell'egregio cortigia- no ; e le stesse opere della vita di lui ci sono na- scoste, e in molla parte involate dal tempo. Laonde mi pare che io farò cosa e giusta e pia , offrendo alla mente vostra quanto ho di lui raccolto, e mo- strando a voi quale egli si fu; spero anche a voi ac- cetta, e degna della vostra attenzione. La famiglia degli Ardizi, patrizia di Milano, si trapiantò in Pesaro sul fine dell'anno 1466, quando Gasparino, medico di grande grido in que'tempi, fu inviato da Francesco Sforza duca di Milano a cu- rare Alessandro suo fratello, signore di Pesaro. Que- sti, presa in moglie Pacifica Samperoli mollo nobile gentil donna e di rara e piaciuta beltà, ebbe a fi- gliuolo Giovan Francesco , che fu vicario al buon principe Costanzo Slorxa, e a Giovanni figliuol suo, ed ebbe grandi ed onorevoli offici. Di costui e di Lucrezia Lopes, sangue pur ella nobilissimo, venne un altro Gasparino, il quale impalmata Tommasina de- gli Arduini n' ebbe nell' anno i524 quel Girolamo, che da Chiara degli Almerii.i sua donna fu fatto pa- dre di quattro figliuoli, tutti valenti e degni d'ono- Elogio Df C. Ardizi Sai re, il secondo de'quali fu Curzio. Non ho dalle me- morie di questa casa l'anno in cui nacque: ma, fatta ragione di molle cose, mi pare poter dire che egli nascesse verso la mela del secolo decimo sesto , o poco dopo. Quale fosse l'educazione datagli ne'pri- roi anni è agevole cosa argomentare da quella che si ebbero prima e poi gli altri fratelli: il primogenito de'quali, che fu Fabrizio, ottenne laurea in diritto dell'arcbiginnasio perugino , e fu delizia di principi per la sua dottrina e virtù. Per la qual cosa io sono di credere che nell'archiginnasio medesimo, il quale allora era in gran voce , fossero inviati e Curzio e Pompeo e Fabio, che pur essi furono e per dottrina e per valore nell'armi sommamente riputati. Bene è fuor di dubbio che Girolamo padre loro, illustre cor- tigiano, li crebbe alle corti: per trovar grazia nelle quali si conveniva avere contezza d'ogni bell'arte e d'ogni costume gentile, spezialmente nella corte di Urbino, ove fiorivano uomini eccellenti e per sapere e per valentezza nell'armi, e in tutte maniere di lo- dati studi. Quindi copia di buone lettere e di fdo- sofia ; quindi piena conoscenza di tutti gli esercizi della persona che ad uom di guerra appartengono , e di certe sottilità, e destrezze, ed ingegni che gio- vano nel reggimento degli affari; ed oltre a ciò af- fabilità gentilezza e prudenza , non discompagnate dalle grazie di un nobile portamento , e di un fa- cile e dignitoso favellare. E che Curzio si porgesse adorno di tutte queste ottime partì non è a dubi- tare, solo che alquanto ci facciamo a discorrerne la vita, tutta a' servigi di nobilissimi principi e della patria in ogni tempo condotta. Infatto egli giovinetto ancora fu nella corte dei duchi di Mantova: e tanto G.A.T.XCV. 21 322 Letteratura ili lui si coiuplacque Guglielmo Gonzaga, che lo no- mi uò prima suo gentiluomo di camera, poi cavaliere della cliiave d'oro. Indi fu invitato e voluto alla cor- te de'Medicl in Firenze, onorato in questa di Ur- biuo , e tanto pregiato nella romana che Gregorio XIV (che fu Nicolò Sfrondati, chiamato in prima il cardinal di Cremona, ingegno nobilissimo, e delle let- tere e de'buoni studi favoreggiatore singolare) nomi- nò Curzio Ardizi suo cameriere d' ouore. Le quali cose tutte se per una parte danno indizio certo del- l'amore che que'principi posero a Curzio, ne dauno ancora una prova de'molti suoi pregi, e dell'eccellen- za di cortigiano a cui era salito. Ne sia chi, poco gperto delle cose, giudichi questo nome di cortigiano essere di picciol conto, o acquistarsi con viltà d'adu- lazione e di servigi ; e coutondersi poco meno con quello degli antichi giullari. Che cortigiano, o gen- tiluomo di corte , fu nome onorato e proprio della vera nobiltà, ne si ottenne mai senza virtù e dottri- na. Che dotto foss-^ Curzio Ardizi, oltre i chiari te- stimoni che ne abbiamo in molli rinomali scrittori degni di fede, ne danno certezza e la bellissima let- tera nella quale mosse dubbi all'immortale suo ami- co Torquato Tasso intorno la Gerusalemme, e i ver- si che scrisse e al Tasso e Bernardino Baldi: ai qua- li que'dug grandi uomini risposero in modo da ono- rarsene e insuperbirne l'animo più modesto; e i ver- si latini ch'ei dettò sul rosario di Maria, i quali men- tre ci mostrano il sapere ch'egli ebbe nella poesia del Lazio, ci manifestano ancora la sua sincera pietà, e come in lui la dottrina era fruito della religione, la quale sola è principio e fine d'ogni virlù, e senza la quale non vi è eccellenza o nobiltà alcuna nel mon- Elogio di C. Ardim ^aS do. E ancora stato tramandato a nostra memoria, eh' ei si dilettasse di pittura e molto innanzi ne sapes- se; la qual cosa è da pregiare assai, poiché tanto più valgono le lettere, quanto dalia conoscenza delle arti gentili, a capo delle quali non istarei in forse di por- re la pittura, esse non si discompagnano. Se queste cose soltanto avessimo di Curzio Ar- dizi, elleno, com'io son di credere, hasterebbero a giu- dicarlo perfetto gentiluomo e patrizio nobile e di grand' essere. Nuliadimeno perch'io dissi che i pregi della ve- ra nobiltà non si contengono soltanto nelle doti che adornano l'animo e la persona del cortigiano, senza uscire direi quasi di lui stesso, ma denno esser tali che oltre partorir lode a chi se ne porge ornato, par- toriscano ancora utilità agli altri; convien vedere co- me costui, che tanto si procacciò titolo d'uomo sa- puto e dotto, si facesse inoltre ragione a titolo più glorioso: di protettore, anzi di confortatore de'veri sa- pienti, anche allorquando più la fortuna da lor tor- ceva la faccia. Il celebre Bernardino Baldi, stretto di salda ami- cizia con Curzio nei tempo in cui egli si teneva alla corte in Urbino, avevagli scoperto un suo desi- derio di prendere servigio presso qualche nobile e chiaro principe. Alla qual cosa egli accenna nell'eglo- ga, cui die titolo : / successi: raffigurando sotto no- me di Dafni l'Ardizi nostro « ... Il buon Dafni del- le muse amico, - Dafni gentil che su l'Isauro nacque - Meco strìnse amicizia, e femmi parte - De'suoi pen- sieri: ed io del cor l'interno - Tutto parlando disco- persi a lui. )) Curzio era già in Mantova presso i Gonzaga, ai quali, per dire collo stesso Baldi: « Ei piacque sì che 324 Letteratura nella reggia loro - L'alzaro a degno grado, » Ne Io sla- to fiorente in cui era posto, né le liete fortune della corte, gli fecero cadere della memoria il desiderio del- l'amico: che anzi sì tosto non ebbe inteso che don Ferrante Gonzaga II, principe di Molfetta e signore di Guastalla, cercava chi nelle matematiche lo am- maestrasse; egli ne fé' molto prontamente a Bernar- dino Marliani segretario di quel principe: e renden- do fede della virtù e dell'alto ingegno del Baldi, ado- però di maniera, che quel signore non solo si accese in vivissima brama d'averlo a maestro, ma non patì che altri gli andasse innanzi nell' onorarlo. Laonde pare a me, che come al Gonzaga niuno possa con- tendere la gloria d'essersi mostrato riconoscente a tan- to maestro, cosi niuno possa negare all'Ardizi il van- to d'avere all'amico offerta questa lieta ventura. Esempio di altissimo e infelicissimo ingegno fu cer- tamente in Italia nel secolo XVI Torquato Tasso: e parve che la fortuna nel tormentarlo non prendesse misura, che dalla grandezza di quella mente sublime. Dalle ricchezze alla povertà, dalla corte alla carcere, dall'umiliazione al trionfo: accarezzato e combattuto, amato e perseguitato, sprezzato e ambito dai principi, egli della fortuna bersaglio la stessa fortuna trionfò, e fe'nascere fra le catene dei maniaci e le abiezioni della miseria un alloro, cui tutti i secoli, tutte le genti ammireranno, ed all'Italia invidieranno. Consolatore, amico, difensore di questo maraviglioso italiano fu il nostro Ardizi: il quale forse il conobbe in giovane età alla corte de'Rovereschi, quando di Roma Tor- quato passò per Pesaro e alquanti giorni vi si fermò nel iSja, 0 meglio nel iS^B, allorché perseguitato in Ferrara, e presso a cadere iu quella disgiazia della Elogio di C. Ardizi SaS quale ancor si vuole ignorare l'origine, venne per ri- crearaento dell'abbattuto animo in seno dell'amicizia, e si fermò alcun tempo presso l'illustre vostro con- cittadino Giulio Giordani, segretario e consigliere del duca ed amicissimo dell' Ardizi, Quivi riverenza e ve- race stima, che sono il più solido fondamento dell* amicizia, lo strinsero all'immortale cantor di Goffre- do: e credo io che da quel di crescesse sempre piìi l'amore fra loro: la stima no, che più non potea cre- scere. Abbiamo trentadue lettere del Tasso all' Ardizi, nelle quali ora amico, ora consigliere, ora protettore lo chiama, ora magnanimo, ora il solo che fra molti a ristoro di tante sventure gli avanza ; e da queste veggiamo atti generosi , carità senza esempio , cure d'amico e di padre prodigate al grande infelice; e se per un lato ci move tanta gratitudine nel maggiore degli epici che fosse da Omero a noi, una lagrima secreta ci scende dagli occhi, rammentando quale es- sere doveva il cuore del vostro gentile concittadino. Del quale se altra memoria non avessimo a dichia- rarlo degno d'immortalità, basterebbero in vero quel- le lettere, e in quelle lettere il sospiro della più pu- ra amicizia. Io non t'invidio il sapere , le glorie di corte, il nome d'illustre letterato, che tutti conven- nero nel darti quand'eri ancora tra' vivi: ben io t'in- vidio, o magnanimo Curzio, l'amore che ti ebbe il di- vino Torquato, e la memoria che di te lasciò nella posterità : alla quale non so se parrà più miracolo tanta gratitudine nel Tasso, o in te cotanto affetto ed animo da affrontar l' ire implacabili e insidiose della corte, per dar mano a chi indegnamente era ca- duto nel fondo di tutte umane sventure. Specchio ben degno ad ogni illustre gentiluomo, per cui si pa- SaG r^ETTERATURA re aperto il debito che hanno i "veri nohih" di aiuta- re i buoni ingegni, e tanto più di forza, quant'è più duro il martello con che la sventura li malmena! Sa- ^à sempre tra le glorie dell' Ardizi l'avere adoperato alla liberazione del Tasso ; l'avere posto se stesso a lato dell'illustre perseguitato. Ma per rendermi onde una piena di affetto mi ha prepotentemente distolto, dirò che poiché molti anni nelle aule si fu acquistato grido di egregio e raro genti- luomo,, il nostro Curzio si ritrasse in patria: e credo che ne fosse cagione la morte del fratel suo Fabrizio, che nel iSgi in freschissimi anni finiva in Parma, ov'era governatore ; anno calamitoso alle case degli Ardizi, perchè in questo istesso mancò pure Fabio, ultimo de' quattro fratelli; giovane lodato per dottrina e per va- lore, e in verde età segretario del cardinal Farnese , fratello che era di quella Vittoria, che tanto illustrò la reggia de'Feì treschi. O ci venisse adunque chiamato dal padre già vecchio, che perduto il primo e l'ul- timo genito suo , lui secondo nato voleva presso di se al reggimento della famiglia, o per ispontaneo mo- to del cuore si recasse a ristorare d' alcun dolce la paterna vecchiezza, fatto sta che egli a que'di si rese alla patria. E credo che dopo la sua venuta, a con- siglio del padre, menasse donna: della quale comechè il nome al tutto io ignori, questo so nondimeno che fu donna di gran virtù, e della famiglia nobilissima degli Ubaldini d'Urbino. Indi a non molto ebbe egli a chiudere gli occhi al benamato genitore, che giun- to al settantesimo anno dell' età sua se ne andò di questa a vita migUore nel 1594. Vecchio fortunatis- simo ! che in quattro figliuoli aveva visto fiorire tut- te le più belle virtù; tutti lodati come esempli di no- Elogio di C. Ardizi 827 biltà: Kitli in gran pregio nelle più illustri corti ita- liane ! Perlocliè ben mi penso che dolce gli fosse il morire, sì perchè si riuniva con Fabrizio e Fabio suoi dolcissimi che gli erano precorsi, sì perchè in Cur- zio lasciava se stesso, e quante virtù bastavano all' onore della famiglia; in Pompeo poi un prode, che sui campi di Palestina lascerebbe la vita In onor del- la fede e della patria. Quanti padri non danno in- vidiare alla ventura di questo ! Ho dagli atti del mu- nicipio che il g di aprile i5c)5, cioè pochi mesi do- po la morte di Girolamo, Curzio fu ascritto nel no- vero de'conslglleri del comune a pieni voti; ed era- no 35 i votanti: prova veramente singolare della sti- ma in che tutti l'avevano. Ne meno splendida prova io mi ho dagli stessi libri, quando nel i5g8 il nove di gennaio il consiglio elesse cinque , che avessero cura delle feste che erano state decretate ad onorare papa Clemente ottavo di questo nome , il quale fu prima Ippolito Aldobrandino cardinale. Questi, sap- piamo, partitosi di Roma il dì 12 di aprile iSgS, fu accollo in ogni dove con mollissirao onore, ma spezi rii et februarii. Item de anno iSBg conf. prò mensibus novem- bi'is et decembris. Ilem de anno iSgS conf. prò mensibus iulii et augusti. Itera de anno i594 conf. prò mensibus septem- bris et octobris. Dominus Curtius de Ardiliis fuit extractus se- cundus in appoca priorali prò mensibus maii et iu- nii 1606 cum conditione quod si eques Hyeronimus de Ai'duinis non exerceret munus gonfaloneriatus prò diclis mensibus , ad quos erat extractus , lune eius loco succedere debecet suprad. U. Curtius : et hoc non fuit executioni demandatum, co quia ambo tem- pore exlractionis d. appocae ad meliorem vilam tran- sierant. D. Franciscus de Ardiliis fuit extractus conf. de j63o prò mensibus novembris et decembris. Elogto di C. AnoiH 33^ Item conf. de anno i633 prò mensibus martii et aprilis. Item conf. de anno i636 prò mensibus novem^ bris et decembrls. Et hodìe reperlfur descriptus infer conslliarios huius nostrae clvilalis. Nob. dominus Franciscus Maria Arditius, filius nob. domini Hyeronimi suprad. domini Francisci, qui quidem dominus Franciscus Maria posilus fuit in hoc Consilio die i3 martii anni currentis 1694 annuen- tibus omnibus DD. consiliariis in num. Sa. In quorum omnium fidem has per nostrum se- cretariura fieri et sigillo publico muniri iussimus. Datura Pisauri ex palatio nostrae solitae residentia» hac die ec. 19 Discorso di Filippo Mercuri recitato in arcadia intorno un passo di Dante, » Quale del bulicame esce il ruscello » Che parton poi fra lor le peccatrici, » Tal per la rena giù sen giva quello. C. 14, Inferno. JParrà per avventura, arcadi illustri, uditori uma- nissimi, temeraria e prosontuosa cosa il pronunciare che in mezzo a così folta schiera di comentalori e antichi e moderni, che cercano di sparger luce sulla 34o Letteratuiva divina commcJia del T Alighieri, si trovino ancora molti luoglii di quella, o non abbastanza bene interpretati o male intesi del tutto. Ma ciò è pur troppo vero: perchè non pochi sono quelli che in vece di sparger luce, ne accrescono !e dubbiezze e le difficollcà, e non fanno che ricantare ciò che da altri si è detto; tal- ché molti si ridono a' giorni nostri del soverchio e ri- dondante numero degli interpreti che sorgono da ogni parte, e il voler passare per glossatore di Dante è qua- si venuto in discredito tra i letterati non meno, che nel popolo. Voglia Iddio che a me non tocchi la stes- sa sorte, e non sia da voi tenuto nel novero di co- storo! E in verità a chi non consideri che in mezzo a tanta farragine di espositori, e ad onta di tante glos- se e dichiarazioni, non sempre si trova il vero senso del poeta, parrà falso ciò ch'io dico; giacché per ser- virmi delle espressioni di quello : Veramente più volte appaion cose, Che danno a dubitar falsa raetera Per le vere ragion, che sono ascose. Ma la vera e principale ragione di ciò ch'io dico si è, che la più parte di costoro non tanto hanno stu- diato, quanto si vorrebbe, per ben dichiarare quegli au- tori che si pongono a cementare. L'altra ragione è poi, che più molti ancora, non tanto per amor dello stu- dio e della verità, quanto per venire in fama d'au- tori, o per far suonare il loro nome nei giornali, o forse ancora per soverchia semplicità e dolcezza di sa- le, sostengono nelle accademie, o pubblicano con le stampe i più assurdi paradossi, con dispendio non tan- to della fama di Dante o d'altri autori, che prendo- Discorso del Mercuri 34 i no a comentare, quanto della propria: e postisi a se- dere a scranna ragionano dei manoscritti , che forse mai non videro in vita loro, abbracciando per mala sorte le più strane lezioni e i più stolidi errori de- gli amanuensi, per regalarci di qualcbe nuova opinio- ne, e dandoci per moneta di buon conio quella che non è tale, si persuadono di darci a credere cose (buon prò per loro s'ei se le credono) che Calandrino non crederebbe. Così tenga Iddio lontani dalla nostra re- pubblica, elle come ogni altro corpo sociale, ha bi- sogno di freno e tli disciplina, questo morbo lettera- rio, questa turba di gloriosi accattabrighe, questi co- menti che hanno bisogno d'altro comento per inten- derli, queste visioni o sogni del i843 in comento del- la visione del i3oo , questi commentatori , io dico, che più molesti e perniciosi degli indotti ( come è sempre più dannoso tutto ciò che ci presenta il male sotto apparenza di bene ) col bugiardo pretesto di me- dicare le piaghe, le rincrudiscono, e sotto nome d'il- lustratori accrescono l'oscurità e la caligine degli au- tori, che intendono di dichiarare. Ma avvi eziandio un'altra e più nascosta cagio- ne dell'insulficienza de'comentatori, eh' è forse la più grave di tutte: ed è questa; che molte favole o fan- ciulhiggini lasciateci da qualche antico glossatore e postillatore nei margini dei codici , sono da costo- ro, che non fanno che ricopiarle, avute per vere, e come tali ritenute da loro per sacrosante e tramanda- te alla posterità. E che ciò sia vero, se prova manifestissima ne diedi i» una mia prima lezione sulla Beatrice e Mar- gherita del canto VII del purgatorio, già da me dala in luce nel giornale arcadico, dove colla scoria dell;» 34» LErTKRATURA storia mostrai un errore da tutti i cementatori segui- talo per quattro secoli e più, ed in un'altra, stam- pala nello slesso giornale, sul terzetto del canto 82 del paradiso a Però secondo il color de'capelli: »> ve ne darò ora nuovo saggio in questa mia terza le- zione , che prima di dare in luce ho voluto sotto- porre al vostro giudizio, sopra il terzetto di Dante del- l'inferno XIV : Quale del bulicame esce il ruscello Che parton poi fra lor le peccatrici, Tal per la rena giù sen giva quello. La cui dichiarazione riescirà, io spero, tanto più nuo- ra e curiosa agli amatori di Dante, quanto l'opinio- ne ricevuta sul luogo che io prendo ad interpretare non fu mal tenuta per erronea o per sospetta, come molte altre della divina commedia dalla comune de- gl'interpreti: quantunque io sempre e nel leggerlo da me stesso ed insegnando per falsa lo ritenessi. Pre- go pertanto i conoscitori di Dante, e voi sopraltutti virtuosi accademici, ad onorarmi della vostra atten- zione, e quindi, se vi pare, del vostro suffragio. Ragionando io meco medesimo ogni volta che mi poneva a legger Dante , diceva: Io non posso sì di leggieri darmi a credere, che il bulicame nominato dal poeta sia il bullicame di Viterbo che dicono gli espositori. Quale sarà dunque questo bulicame, sul quale cade la comparazione del fiume Flegelonte ? E in primo luogo la voce bulicame è voce ge- nerica , che io credo detta da bullio ( giacché non DlSCOBSO DEL MeRCORI 34^ convengo con qualche cinquecentista, che la fa deri- vare da brulicare o brulichio ^ che fiorentinamente si dice quando s'intende un'ahbondanza, siccome un brulichio di formiche, di serpentelli, un brulichio d' acque e simili: e brulicare si dice V acqua, quando ella esce sotto terra, e s'innalza e spicca, per cosi di- re, fuor della terra ) è voce generica, io dissi, che io credo detta da bullio verbo latino, il quale significa gonfiare, e dicesi dell'acqua traboccante e avanzante se medesima, cioè la sua superficie per cagione del fuoco ch'ella ha sotto. ISè vi paia questo nuovo in Dante: giacche se voi andate pensando, perchè il me- desimo chiami bolge i contenuti del luogo detto ma- lebolge, voi troverete tutto tratto dai latini, i quali dicono hulgae le tasche o di cuoio o d'altro porta- te dai cavalli, siccome dimostra Festo Pompeo no- bilissimo grammatico. Posto ciò, e ritenuto bulicame per termine ge- nerico, io non vedo ragione alcuna, perchè sotto quel- la denominazione dobbiamo intendere piuttosto il bu- licame di Viterbo, che qualunque altro : né perchè Dante, volendo fare una comparazione del fiume Fle- getonte con un' acqua bollente e minerale del ruscel- lo del bulicame, volesse farla piuttosto con quella di Viterbo, che con altre acque bollenti e sulfuree di Toscana, di Napoli o d'altro luogo, più conosciute e più celebri che non sono quelle di Viterbo. In secondo luogo, io diceva, la comparazione che fa Dante dell'acqua rossa di Flegetonte ( che il Lan- dino prende per sangue ) con quella del bulicame (quantunque mostrerò in appresso, che il paragone non cade sul color dell'acqua, ma sopra altra cosa ) non vedo quanto sia perfellaj giacché volendo slare al co- 344 Letteratura lore, non solo l'acqua del bulicame di Viterbo so- gnalo dagli espositori , ma qualunque altr' acqua di qualsiasi altro bulicame del mondo, sarà sempre di color bianco o al più giallastro: ma mai non sarà di color rosso, come vuole il poeta, e richiedono ì ter- mini della comparazione. Fatte queste considerazioni, concluudeva io me- co slesso : Non deve esser dunque il bulicame, di cui parla l'Alighieri, il bulicame di Viterbo , che i co- menlatori ci hanno voluto dare a credere : Credat iudaeus j4pella, non ego. E se strana mi è sem- pre sembrata la comune interpretazione del bulica- me^ più strana ancora ed assurda mi è sempre riu- scita la comune interpretazione di peccatrici per me- retrici: altro scoglio quasi insuperabile, di cui molti conoscendo l'irragioncvolezza, arrivarono a sostituirvi altra significazione anche più irragionevole di spedale, che tanto valga peccatrice quanto spedale o stanza di malati. E dopo soggiungeva: Se questa non fosse un'o- pinione consacrata dal corso di quattro secoli, io cre- do che non varrebbe il prezzo dell' opera il confu- tarla. Tanto io la credeva insussistente ed erronea, e tanto era persuaso, che da una glossa di qualche an- tico interprete avesse avuto la sua origine. Ma sic- come io sponendovi il mio avviso, non fo che op- pormi alla comune di tutti gl'interpreti, o per me^ glio dire di uno, il quale tutti gli altri hanno a chiu- si occhi seguitato, come mostrai nella mia prima W- zione, essere accaduto nel terzetto Quanto è del seme suo minor la pianta, Quanto più che Beatrice e iVIargherita Costanza di marito ancor si vanta : Discorso del Mercuri 345 ne tutti i commentatori sono di quel genere, di cui io prima vi parlava, ma salvo il dovuto rispetto al Lombardi , al Dìonisi , v' ha ancora di molti altri , oltre questi, uomini per ogni parte ragguardevolissi- mii, che sopra Dante posero i loro studi e le loro cure: la venerazione a questi dovuta, non meno che il lungo lasso di tempo, che ha quasi suggellate nel- le menti di tutti la comune spiegazione, esigeva da me, che prima di dirvi la mia opinione , mi accin- gessi in qualche modo a confutare la comune e l'an- tica. Questo è ciò che ora fo brevemente quanto mi sarà possibile: e poi ritroveremo, e spero ne con- verrete con me, qual sia il vero bulicame di Dante, che io vi mostrerò quasi a dito senza bisogno di re- carci a Viterbo per ritrovarlo. fi qui lasciando di riferire Leon Battista Alberti, il Sansovino, il Magini ed altri, nei quali non trovo farsi alcuna menzione ne di postribolo né di mere- trici; nella scarsezza di memorie è mestieri limitarci al solo Bussi che ne parla. « Si vuole che Dante intendesse favellare di que- sto medesimo bolicame, allorché disse nel canto XIV: Quale del bulicame ec. (Sono queste le parole del Bussi, Storia di Viterbo.) ni quali versi così vengono spiegati da Bernardino Da- niello : Per comparazione descrive ^ che questua- equa è consimile a quella^ che caldissima esce dal bulicame di T^itei^ho^ la quale dopo molto spazio di corso giugne al luogo pubblico delle meretri- ci, e quivi divenuta tepida si va spargendo per le loro case^e esse se ne servono in lavar seme' 346 LHTTKRATtJftA d(^sime e le cose loro. Il che sopra i detti versi ra- tifica Alessandro Vellutello in questa maniera: ^,?- somigUa a quel ruscello che a Viterbo esce del bulicame^ le cui acquea, perchè passano dal pub' blico postribolo y le peccatrici , cioè le meretrici di quello ^partono poi tra loro, per lavar se e le cose sue. DoVe può riflettersi , che essendo antica- mente i bagni di detto bollicarne mollo frequentati, avessero colà in qualche disianza le pubbliche me- retrici formalo uno deloro abbominevoli postriboli, per trar guefdagno non meno dai servi dì quelli che VI si portavano o per curarsi o per lavarsi, che da altre diverse persone che in que'luoghi o soggiorna- vano, o praticavano : di che però non avendo io alla mano altro riscontro più certo, lascio la cosa nella sua oscurità. » E quantunque il Bussi riporti il Daniello , le note del quale si attribuiscono dal Fontanini a Tri- fon Gabriello, il più antico degli stampati a riferire tale opinione io credo che sia il Landino. Ma io non contento delle slampe, come quegli che gran tempo ho consumato a consultare testi a penna, ne ho voluto vedere quattro o cinque della vaticana inediti : quello cioè di Francesco da Butrio, di Giovanni di Serravalle e alcuni altri , e in tutti ho tro^vato spacciata la stessa erudizione. La qual cosa lungi dallo svolgermi dalla opi- nione preconcepita della sua falsità , non ha fatto che confermarmivi : sapendo per lunga esperienza , quanto deboli nella criiica, quanto fallaci nell' eru- dizione , quanto incerti nella storia , debbano ri- putarsi quei miserabili cementi, nei quali se trovasi una dramma d'oro in mezzo a mille di fango, è da Discorso del Mercuri 347 stimarsi gran cosa : talché non meritano cerlamenla l'onore di veder la luce. Da tali fonti adunque viziose e guaste ha o il Landino, o altri che il primo ne sia slato, attinto la spiegazione del bulicame. E in primo luogo è incerto, o a meglio dir fal- so, nella dubbiezza ed esitanza di tutti gli storici , che oltre il Bussi ho consultato , che esistesse colà questo postribolo : e molto più improbabile che ivi esistesse due miglia lontano dalla città. Oltracciò è da vedersi se Dante per peccatrici volesse intendere le meretrici'^ la quale spiegazione è anche più ridi- cola: e qui neirinverlslmigllanza della cosa io incli- nerei più a credere , che la spiegazione assurda di peccatrici per nif^retrici abbia dato origine al so- gnalo postribolo di Viterbo, che non il postribolo di Viterbo alla spiegazione comune. Ma, caduta la realtà del postribolo , cade anche quella dei condotti , pe* quali dicono che si partiva Tacqua in servizio delle peccatrici donne. Ed infatti come spiegare quel verso Che parton poi tra' lor le peccatrici, se, fabbricalo il postribolo, non si fabbricavano poi i condotti per portarvi l'acqua ? Feci probe: multo sum incertior quam antea. A questa, ch'è la comune interpretazione di tutti gli antichi e moderni spositori, si oppone il Venturi: il quale quantunque non sia certamente uno de' più classici commentatori di Dante, arrivò tuttavia a subo- dorare la falsità di tale opinione. E',cco le sue parole: 348 Letteratura <( Ma iOt dice, che ho visto il bulicame^ non vcp^- go come ciò possa verificarsi^ essendo due miglia lontano dalla città. » Messa in dubbio l'esistenza del postribolo e dei condotti, resta solamente il nome di bulicame, il qua- le è certamente comune con quello di Viterbo; e tale ^ chiamalo anche da Fazio degli liberti nel lib. 3 del suo Dittamondo e. io: Io noi credea ( perchè l'avessi udito ) Senza prova che 'l bolicano fosse Acceso da un bollor tanto infinito. Ma vi gettai un monton dentro, e si cosse In man che l'uomo andasse un quarto miglio: Ch'altro non si vedea che proprio Tosse : dove per non lasciar nulla inosservato si noti , che Fazio pai'la precisamente di Viterbo, e che lo chiama bolicano e non bulicame. Ma ciò non basta: che è da vedere se il bolicano o bulicame di Viterbo sia quello veramente inteso da Dante o inleso solamente dagli espositori. E qui ripetendovi che bulicame è termine gene- rico, che quantunque diasi alle vene d'acque bollenti nel piano di Viterbo, pigliasi però per qualunque sor- gente di simili acque; già ognun vede, ch'io porto la cosa a segno, che il solo nouìe di bulicame non ha con se ragioni sufficienti per farci credere che l'A^ lighieri intendesse con questo nome quello sognata dagli espositori: giacché esclusi il postribolo, le me- retrici e i condotti, resterebbe inesplicabile il verso Che partono poi tra lor le peccatrici : Discorso dei. Mercurì 3/^q ed io ho già in tal modo indebolita la verlsiniigìian- za di tal credenza , che vi è bisogno di una gran dose di credulità per prestarle fede. Non è dunque, io diceva, il bulicame sognato dagli sposilori il bulicame nominato dal poeta. Ma quale e dove sarà egli rrai questo bulica- me ? E dove potremo noi ritrovalo, o signori ? Non più lungi di quello chi voi potreste im- maginarvi. Ritorniamo sulle orme del poeta due canti più indietro di quello, in cui ort siamo, e richiamate alla vostra mente la riviera di sangue del canto XII, e colà ritroveremo tutte le cont.zloni volute dal poe- ta per la comparazione. E vaglia il vero, s' io noi vaneggio, la riviera di sangue è il bulicame indicttoci dairAllghieri. E qui sponendovi le ragioni che m'inducono a cosi cre- dere, che a voi non parranno J poco momento, imi-' tando colui che dice E '1 più caldo parlar detro riserva : ve ne riserverò per ultima una di tale e tanta au- torità, che sarà idonea a trar'c i più schivi nel mio parere, talché potrà dirii coi verità E questo fia suggel che ogni uomo sganni. Di fatti concesso ancora pe un istante, che il pa- ragone che Dante vuole isliaire tra il Elegetonte e il bulicame, cada sul colore I esso (quantunque, co- me io vi dissi, la comparaziire non cade sul colore dell' acqua, come vi moslreò di qui a non mollo ) cadrà ottimamente il paragoe, e la simiglianza sar^ 35o Letteratura , \ perfettissima, se tu paragoni acqua rossa con sangue: cioè l'acqua rossa, di cui era composto il Flegelonte: il bollor dell'acqua rossa Dovea ben solver l'una che tu faci : col sangue della risiera, che tutti sanno esser pari- menti rosso, e non è difficile il persuadersene ; Ormi s'approccia La riviera di iangue, in la qual bolle Qual che per violenza in altrui neccia, E qui egli è tante certo, che la riviera di san. gue e il fiume Flegelonte siano una cosa distinta e diversa l'una dall'altia. quanto è certo che dall'acqua rossa al sangue corre non piccola la differenza: quan- to è certo che quella forma un lago o fiume isolato e indipendente da ogi altva cosa, che serve per pu- nizione del violenti c:)itro il prossimo, questo, cioè il Flegelonte, è uno ci quei quattro fiumi, che de- rivano dal monte Ida ii Creta, e che si formano dal- le lacrime dei mortali: takhè non potea. venire in menle che al Biagioli di prendere la riviera di san- gue pel fiume Flegetont»: la quale assurdità non me- rita l'onore d'una confulizioie, E qui voglio che non la mia, ma l'opinione d Benvenuto da Imola e del Ginguené , bastino ad erluJere quella del Biagioli. Posto questo, e ritenuta per vero ciò ch'io vi dico , eccovi ritrovato nella ri i era di sangue il bulicame di Dante; quantunque ome io vi diceva, la com- parazione non cade a m> credere sul colore dell'a- cqua del fiume, ma sul lodo di correre del Flege- tonte. Discorso del Mercuri 35 x Io vidi un'ampia fossa in arco torta Come quella che tutto il piano abbraccia, Secondo che avea detto la mia scorta. Paragonale ora questo terzetto del canto XII coiraltro del canto XIV, e vedrete dove cade la com- parazione. La comparazione sapete voi dove cade? Cade sul- l'obliquità del correre dt4 Flegetonte. E qui richiamatevi alla memoria, che tutti i giri dell'inferno nel cammino percorso dall'Alighieri es- sendo circolari, circolare doveva essere la riviera di sangue. FaI essendo circolare la riviera di sangue, cir- colare, o a meglio dire ellittico o spirale, era mestie- ri che fosse il correre del Flegetonte. Ili spirale o el- littico conveniva che fosse il cammino, che Dante fa- ceva sui margini di quello. Imperocché seguitando Dante il suo cammino di cerchio in cerchio, andan- do a destra e scendendo sempre a sinistra, Pure a sinistra giù calando al fondo : ora che si trovava nel settimo, che a differenza de- gli altri è suddiviso in Ire giorni, non in altro mo- do poteva egli passare dal primo girone al secondo, e dal secondo al terzo, e percorrere i duri margini del Flegetonte fino alla sponda del burrato, e ritrovarsi nello stesso tempo sull'estremità del settimo cerchio opposta al punto, da cui\era entrato, se nei passag- gi che faceva da un girone all' altro non avesse te- nuto sempre una via ellittica o spirale. Ed ecco la ragione, perchè spirale o ellittico era necessario che 33^ Letteratura fosse il correre del Flegetonte, sopra il quale portan- dosi egli dal secondo al terzo girone, potè ancora •vi- sitarlo tutto intero e avere esperienza piena delle tre specie di peccatori che ivi erano puniti: Acciocché tutta piena Esperienza d'esto giron porti. Così ancor su per la strema testa Di quel settimo cerchio tutto solo Andai dove sedea la gente mesta. C. XVII. La qual cosa, se egli avesse tenuto il cammino in al- tro modo, non poteva accadere, non che immaginarsi. Questo è ciò che Dante vuol farci avvertire, quando dice : Quale del hulicame esce il ruscello Che parlon poi fra lor le peccatrici, Tal per la riva giù sen giva quello: che si riferisce alla tortuosità del correre del Flege- tonte. E da ciò che vi diceva traggo io un altro argo- mento a favore del mio assunto. Ed infatti che cosa ci raostrerebhe Dante, che se in tutto è grande, nel genere descrittivo riesce sempre maraviglioso, dicendo che com'esce il ruscello dal bulicame, così per la re- na correva il Flegetonte ? Non a mio credere vole- va egli far comparazione del colore, benché il colore possa essere una delle qualità, che ravvicina il Fle- getonte : Discorso dkl Mercuri 353 Lo cui rcssor ancor mi raccapriccia, colla riviera Dove i bollili faceano alte strida : non a mio credere voleva egli intendere del bollore, benché il bollore del bulicame sia l'altra qualità, che ravvicina il Flegetonte colla riviera di sangue: ma il modo del correre del Flegetonte, cioè la sua obliqui* tà, è quella che si è avuta in mira, e che ci è slata principalmente dal poeta indicata nella comparazione Tal per la rena giù sen giva quello. E che sia vero ciò ch'io dico, ve lo fa Dante vedere col vocabolo gwa, cioè correva: il quale non accen- na al bollore, non al colore, ma alla tortuosità del fiume. Laddove se per un istante vogliamo concedere, che Dante facesse allusione al bulicame di Viterbo, vi troveremo al più al più la simiglianza del bollo- re, ma giammai non vi troveremo quella del colore o dell'obliquità del correre. Né è da credere, come io dissi, che l'Alighieri tanto maraviglioso nelle sue descrizioni, che conside- rato anche in questa sola parte non la cede punto ad Omero, dica cose che non significano nulla. Con- ciossiachè nulla ei direbbe, rigettata la nostra spiega- zione in quel verso Tal per la rena giù sen giva quello: Ritenendo l'ipotesi del bulicame di Viterbo , in cui G.A.T.XCV. a3 354 Letteratura alla circostanza del colore non poteva alludere , co- me abl)iaiT) detto, né tampoco all'obliquità del corre- re, e la qualità dell'ardore o bollore era già assai in- dicata dalla voce stessa Flegetonte, che tutti sanno anche i non periti di greco derivarsi dal greco, co- inè lo sapeva Dante non perito affatto di greco, quan- tunque questa parola Flegetonte, di cui Dante fa co- noscere la derivazione, sia uno dei grandi argomenti, e il palladio di quelli che grecista lo fecero : 5;i. Il bollor dell'acqua rossa Dovea ben solver l'una, che tq faci, .l'i*' ■ Bestava adunque che la comparazione cadesse sull' obliquità del correre del Flegetonte: e questa tu ben la ritrovi in quella riviera , con cui se ne fa para- gone; dove, se tu vuoi, puoi ancora ravvisare le due altre qualità e del bollore e del rossore, che tutte ia quella coincidono a maraviglia. Torniamo un'altra vol- ta a vedere la riviera di sangue per esserne più certi» Jo vidi un' ampia fossa in arco torta Come quella che tutto il piano abbraccia, i Secondo che avea detto la mia scorta. Ma ciò non basta : veniamo al più forte de'miei ar- gomenti, argomento che supera ogni evidenza, e ri« duce la cosa ad una dio^os trazione geometrica. Se io vi troverò, o signori, che Dante stesso ha dato il no- me di bulicame alla riviera di sangue , non resterà più dubbio, che ciò ch'io dica sia vero, e niuno che abbia dramma di buon senso vorrà piia credere al bulicame di Viterbo, Così è, o signori : e non avrà e Df^coRso DEL Mercuri 355» nioìfo ad affalicairni per ritrovarlo: ch'io vi mostrerò, che non una, ma ben due volle l'Alighieri nel can- to XII chiama bulicame la riviera di sangue , dove sono i violenti contro il prossimo ; Poco più oltre il centauro s'affisse Sopra una genie, che infino alla gola Parea che di quel bulicame uscisse» Siccome tu da questa parte vedi Lo bulicame che sempre si scema. E dopo tutto ciò vi sarà ancora chi dubiti, che il bur licame di Dante non sia la riviera di sangue, a cui Dante stesso dà il nome di bulicame ? Non a me a- dunque, ma a Dante medesimo dovete prestar fede, che decide per me la controversia, e quasi preveden- do le fanciullaggini degl'interpreti, ci lasciò un docu-- mento che troncasse ogni difficoltà. Oltracciò le leggi della critica, che abbiamo nel nostro secolo e mancavano al tempo del Landino, c'in- segnano, che di due spiegazioni si debba seguire la più probabile. E parrà a voi, dopo tulle le cose det- te , più probabile che pel nome di bulicame , che è comune col nome di bulicame che si dà a quello di Viterbo, ma comune ancora colla riviera di san- gue del canto XII , a cui Dante stesso dà il nome di bulicame : parrà, dico a voi, più probabile che la prima e la seconda volta Dante col nome di bulica- me intenda la riviera di sangue , la terza volta col nome di bulicame nel canto XIV intenda quello di Viterbo? Credat iudaeus Apella, non ego. Ma io già aspetto da voi, o signori, che alcun 356 Letteratura mi dimandi, coras potrò soddisfare all'altra parte del- l'argomento, come cioè potrò spiegarvi la voce pec- catrici ; la quale rinchiude in se lìon minore diffi- collà della prima, ed è uno scoglio, nel quale ei sem- bra più facile l'arrenare la nave, che di portarla a salvamento. E certo io non crederei di avere abba- stanza esaurito la questione propostami, se non po- tessi darvi una spiegazione probabile anche di que- sto vocabolo. Ma se voi accettate per buona la spiegazione , cbe già vi ho data del bulicame; ovvia e naturalissi- ma, quant'altra mai, vi si presenta ipso facto la spie- gazione di peccatrici'^ avvegnacchè senza bisogno di ricorrere alle meretrici di Viterbo o d'altro luogo, che andassero ad attingere l'acqua del bulicame ( favola insussistente ed assurda : giacche avrebbero, secondo lo stesso Bussi, Storia di f^iterbo, dovuto andare tre miglia lontano dalla città): ne tampoco di ricor- rere ai ricetti o spedali o stanze di spedali (spie- gazione anche più strana): sarà facile, chi abbia occhi da discernerlo, riconoscere nelle peccatrici le anime stesse dei violenti ch'erano condannate a giacere nel bulicame. Dante stesso è quello che per me vi ri- sponde. Ritorniamo di nuovo alla riviera di sangue, e ricordatevi che le anime condannate a essere tuf- fate in quel luogo non sono tutte a pari profondi- tà colà sommerse. Io vidi gente sotto infiuo al ciglio : E'I gran centauro disse : Ei son tiranni Che dier nel sangue e nell'aver di piglio. Non basta : Discorso del Mercuri 35^ Poco più oltre 'I centauro s'affisse Sovra una gente, che infino alla gola Parca che di quel bulicame uscisse. E più innanzi: Poi vidi genti che fuori del rio Tenean la testa e ancor tutto il casso : F. di costoro assai riconobbi io. Così a più a più si facea basso Quel sangue, sì che copria pur li piedi; E quivi fu del fosso il nostro passo. E non riconoscete voi in questa pittura dei riferiti versi del canto XII spiegato da Dante stesso quel verso : Che parton poi tra lor le peccatrici: cioè che le anime peccatrici si dividono tra loro in proporzione della colpa l'acqua del bulicame? E se ciò non vi basta , ve lo dice anche più chiaro, quando parla de'centauri, i quali D'intorno al fosso vanno a mille a mille Saettando quale anima si svelle Dei sangue più che sua colpa sortille. Ed eccovi spiegato ancora dall'Alighieri quali so- no le peccatrici del bulicame. E non vi pare ades- so, che tutto ciò che vi ho detto finora possa egre, giamente convenire, e dar luce e apertissima dichiara- zione al terzetto che mi sono proposto ad illustrare, senza bisogno di ricorrere al bulicame di Viterbo? 358 Lettsratuka Quale del bulicame esce il ruscello Che parton poi tra lor le peccatrici. Tal per la rena giù sen giva quello. E per essere anzi soverchiamente minuto che negli- gente, non lascierò di farvi osservare, e già l'avrete forse, io credo, osservato da voi medesimi , che pec chi desiderasse il sostantivo alla parola peccatrici: a cui io sottintendo le anime; non sono io, ma Dante stesso che nel canto medesimo lo suggerisce : Saettando quale anima si svelle Del sangue più che sua colpa sortille. Or a chi non piacesse le anime ^ potrà sottinten- dere in vece le ombre: conciossiachè e l'uno e l'al- tro sostantivo si usa parlando dei bolliti in quel can- to XII dall'Alighieri: Mostrocci un'ombra dall'un canto sola: che poi per 1' aggettivo peccatrici gli piacque nel canto XIV di significarci. E non aveva io ragione di dirvi, o signori, che le difficoltà principali degli autori nascono le più voi. te dalla stoltezza e dalla discordanza de'comentatori ? e che le più volte le chiose degli interpreti non ser- vono che ad accrescere la caligine degli autori , che si pongono a dichiarare ? E non è egli vero, e senza tema d'arroganza può francamente asserirsi, che ad onta delle fatiche del Lombardi, del Dionisi e di tanti altri chiarissimi ingegni, restano ancora nella di^ I9« Discorso del Mercùri SSg vina coraedla molti luoghi o male interpretati o non intesi del tutto ? E qui mi pare, che talun di voi mi dimandi: Ma nel cinquecento, al tempo degli Strozzi, degli Acciaiuoli, dei GiambuUari, dei Gelli, dei Ma- netti, sarà stata forse meno intesa che al presente non è la divina comedia ? Ed io vi rispondo che no: e la ragione che io ve ne do è appunto questa, perchè al presente la soverchia raoltiplicllà e discordanza del- le note lo rende piìi difficile ed intricato: laddove se sì studiasse il puro testo, come allora da quelli stu- diavasi e pubblicavasi, sMntenderehhe meglio il vero senso del poeta. Ed una prova di questo ne avrete! nell'osservare, che tutti i dotti di quel secolo si oc- cupavano non tanto dei sensi delle parole e della sto- na, che non è da supporre che non conoscessero , quanto della filosofia e della teologia (nella qual par- te forse peccavano essi ancora un po'di soverchio); onde è che tutti i loro comenti sentono della stoa e del peripato e della scuola di s. Tommaso d'Aquino« Ho io abbastanza esaurito l'argomento proposto- mi. Quanto bene l'abbia fatto, a voi ne lascio il giu- dizio; e tu sorridimi, ombra sdegnosa dell'Alighieri, Se io ho ben la tua parola intesa/ 36o Intorno alle arti primitive d'Italia^ e singolarmen- te intorno alla scultura etrusca considerata nelle tombe dei J^olunni. Osservazioni lette alla pon- tificia accademia romana di archeologia dal so- cio ordinario cav. Luigi Poletti professore di architettura pratica nell'insigne e pontificia ac- cademia di s. Luca. Mn quella fausta e memoranda occasione , che all' immortale pontefice Gregorio XVI piacque di visita- re alcuni santuari e molte provinole de' suoi domi- mi, trovandomi chiamato al tempio degli Angeli pres- so Assisi, non potei tenermi dai recarmi ad osservare in quelle vicinanze il monumento dei Volunni , che poco prima il eh. cavalier Vermiglioli avea fatto co- noscere ai dotti (i). Nell'esaminare questo mirabile ipogeo, si ben conservato e tutto di arte italica, mi sentii commosso l'animo a grande allegrezza, vedendo in esso operate cose non viste altrove, nuove e ma- ravigliose. E toccato dalla dolce carità della patria forte esclamai: Oh si moltiplicassero siffatti stupendi trovamenti, che non vedremo si spesso la burbanza (i) // sepolcro dei Volunni scoperto nel /eb. del i84o ec. Perù- fin. Un voi, in 4 con tav. ;pifi4Mnv^A:^ ^■im-i\ao:io'^H-^y^, ^t5SJ'' 8 -U /'y. .. /io<^/j'Mty,i, ìMONvmento ri at.vnte volvnnio FlGLIVuLl^ DI AVLO i i rJ I M ^A , 1 V/.A : '- V ( ( 1 J • l\ fi •^^ ' ' <^ '^m MiiiiiiiiiiiMiiiiiiimiimiiiiiiiiniu- MONVMENTO DI T'RANQUILT.O FJ'yLirOI.O DI. MANNIA Arti primitive d'Italia 36 i straniera tentare di offuscarci le glorie avite : uè paz- zamenle pregiando soltanto la loro potenza in armi, stimar noi pacifici, e la nostra Italia caduta nel nul- la, come se alla forza accordar si dovesse ogni altra sapienza! Né vedremo spingere lant'oltrt; un lai de- lirio, da volerci tuttodì negare, tranne appena la pri- sca romana grandezza, qualunque altra antica e mo- derna civiltà ! Fra il romor dell' arfni se chiamano emuli, anzi maggiori, ad ogni storica conoscenza: e noi barbari fra la quiete degli sludi, della pace e della dolcezza. Così col vanto di una politica potestà pre- tendono dettar leggi in lettere ed arti, regalandoci le gelide nenie dei romantici, e le offuscate orgie dei miserabili secoli del goticismo. Ma se la vera civiltà non giunge ad abborrire la prepotenza militare , e ad accarezzare la gentilezza e la soavità de'coslumi, qual' altra consolazione potrà sperarsi in questa mi- sera vita pur troppo sbattuta dagl'infortuni ? Questa scoperta del sepolcro dei Volunni è un tesoro di preziosi monumenti , che spande vivissi- ma luce suir istoria e sulla civiltà dei nostri padri prima che l'ellena penetrasse fra noi. Imperocché è mirabile a vedersi, come quivi la scultura è operata a un grado di perfezione, che va del pari e si col- lega all'eccellenza della pittura dei vasi , della pla- stica, dei bronzi, delle medaglie: e, con pace di tutti i sistematici, ognuna di arte nostra ed originale. E veramente com'è accettar per buoni que' loro ragio- namenti, co'quall intendono di spogliarci delle arti primitive anteriori alle greche? Le arti in Italia, essi dicono, s'informano di due stili: l'uno rozzo ed in- digeno , r altro più purgato ed artistico di maniera greca. Quindi è che insanamente stimano italiche tut- 36a Belle Aeti le le opere rozze e grossolane, ed appellano greclie • le più finite e gentili: o al piìi si limitano a chia- mar le ultime d'imiiazione cilena , quando conten- gono iscrizioni etrusche. Oh il savio modo di ragio- nare ! Forse non accade tuttodì che le nazioni , le quali operarono con gran senno dei capolavori , ne fornirono ancora dei goffi e dei materiali ? Non si veggono ancora pitture operate nel decimoquinto se- colo, che per la rozzezza e l'imperfezione si direb- bero fatte almeno due secoli avanti ai tempi di Ci- mabue e di Giotto ? E non si osserva infatti dipinto in Urbino poco innanzi la nascita di Raffaello l'o- ratorio di ». Giovanni da due pittori, che tennero alla maniera di Giotto ? DI più, tra le stesse moderne fi- guline non si veggono cose mirabili, se della scuola dell'urbinate: e posteriormente ad essa le più strane deformità, se fatte ad imitazione di quelle ? Sarà per- ciò giusto l'argomentare , che gli artisti della prima maniera, perchè più esperti, erano di una nazione ; e quelli della seconda, perchè più inabili, di un'al- tra ? Sarebbe questa a mio avviso una logica bene stra- na , la quale può acciecare soltanto la mente degli infervorati da spirito di partito, e gl'ignari delle dif- ferenze e delle sottigliezze delle arti della stessa na- zione. A me par giusto ed indubitalo, che se un'ope- ra manca di perfezione, non si può e non si deve as^ sicurare, ch'ella sia anteriore a quella perfezione. Po- tè l'artefice guidare lo scarpello o il pennello ad una debole imitazione de'migliori esemplari. Gli scrittori infatti rammentano Canaco, che nella gS.* olimpiade lavorava all'etrusca (i): ed Euticrate, figliuolo e sco- ti) Cic. da ci. orat. Plin. XXXIV. e. 8. Arti primitive d'Itama 363 lare di Lisippo, che nella lao.** preferì più presto l'austerità dei precedenti maestri, che l'eleganza del padre (i). Si ammirano, non rezze, ma bellissime dipin- ture in molti e molti vasi , che sono senza dubbio etruschi, perchè trovati nel suolo etrusco, e distinti con iscrizioni e marche etrusche. A dir vero sono questi vasi di gran fastidio ai grecisti, perchè in essi mirano un alto scoglio , in che urta la loro classi- ficazione. Imperocché si veggono obbligati a sofisti- care di supposizioni, e non di fatti, ad immaginarli di greca imitazione , senz' accorgersi che vengono a confessare essere stati in Italia egregi artisti, che sep- pero operare quanto i greci. E una franca temerità il ricusare all'Italia il privilegio di quest' arte dopo le testimonianze degli scrittori intorno alle pitture di Ardea, di Lanuvio e di Cere, più antiche di Ro- ma; dopo l'imtneasa moltitudine di vasi dipinti di- sotterrali, non nelle greche , ma nelle italiche con- trade; dopo le pitture delle tombe recentemente sco- perte ed operate a tempi remotissimi , perchè sulle pareti di monumenti tagliati nella roccia. Giudicare e pretendere, che le figuline dipinte siano di arte greca, mentre i vasi si disotterrano in Italia e non in Grecia; mentre Numa istituì il col- legio dei figulini (2); mentre al contrario in Grecia non si trovano vasi , che l'uno a mille, col dubbio ancora che colà siano pervenuti col mezzo del com- mercio, che gli scrittori confermano esistente anche ai tempi dei Demarati e degli Eugrammi (3); è un, "1 I — ■ * (i) PHn. loc. cit. (a) Plut. in Numa. Plin. XXXV, e i2. (5) Herod. lib. VI , e. 5. Diouig Uh, I , e 8 , e. i5. Plin. JiXXV, e. i^. 364 Belle Akt! voler vivere di opinione, e non di verità e dì falli* ISon sente meno di presunzione e di ardire quel loro sostenere , che le arti etrusche si assomigliano alle greche: quando a chi ben le considera non presen- tano che notabili diversità di stile e di modi, che dimostrano negli etrusci un far proprio ed originale, come avrò occasione di notare in appresso. Ma dove i fautori dello stil greco maggiormen- te annodano il loro giudizio, è in quel trovarsi nelle arti tirreniche ( dico tirreniche, poiché fu un tempo antichissimo che gli etrusci si chiamarono tirreni) mitologie ed iscrizioni greche. Sebben fosse ragione- vole il sospettare, che molte opere figurate rappresen- tino miti e storie etrusche , specialmente laddove il senso n'è duro, pure è da tenersi per indubitato, che gl'itali primitivi ebbero una religione, un Saturno , un Giano, un Tina o Giove col suo consiglio di do- dici numi chiamati poscia Consenti^ una Vesta, una Cerere sicula, una Proserpina, un INettuno, un Vul- cano, un Apollo, una Fortuna detta vecchia dai ro- mani, un Bacco barbato , una Minerva, un Caco, un Ercole : ebbero degli dei dati ai sagrificii, ai riti religiosi, alle divinazioni, ai penati, alle cerimonie campestri: ebbero delle venerazioni ai fenomeni na- turali, alle imprese e ai fatti sovente consimili ad al- tri popoli, che fecero ad essi generare dei numi, di- versi soltanto nei vocaboli presso altre nazioni: in- somma ebbero quelle medesime cagioni e quelle me- desime origini di divinità , che furono comuni a gran numero delle genti antiche. Che se vorrassi ac- consentire, che la maggior parte della teogonia greca è di provenienza italica (siccome mi sembra di aver provato in una mia diiscrlazione , che ebbi l'onore Arti primitive d'Itaua. 365 di leggervi nel 1B40 di seguito ad altra mia prece- dente letta nel i836 Intoino alle genti e alle arti primitive (T Italia ) si vedrà che non è maraviglia, anzi è naturale, che I tirreni rappresentassero simili mitologie. È dunque una pura asserzione, che le fan- tasie mitologiche espresse nei vasi, nelle ciste, negli specchi, nei bassirilievi dimostrino un'influenza gre- ca su tali lavori. Se poi vorrassi concedere ( ciò clie mi pare di aver egualmente dimostrato nelle citate mie disser- tazioni), che da tempo antichissimo gl'italioti emigra- rono in Grecia portandovi le arti e la propria civiltà, e vi conservarono un commercio (i), si dovrà altresì convenire , che questi nostri fabbricatori di vasi ne spacciassero anche in Grecia. E pur vero, e si ha da- gl'istorici, che l'isola Enaria nel golfo di Pozzuoli fu delta Pitpcusa dai greci, perchè abitata dagli stovi- gliai maestri di vasi di terra fin dai tempi di Enea (2). Qual maraviglia adunque, se per favorire il traffico delle loro figuline si fossero accomodati alla greca in- telligenza ponendovi nomi e lettere greche? Non ve- diamo anche oggi improntare voci e marche straniere nelle manifatture indigene di una nazione ? Che se vorrassi considerare, che il linguaggio eolio è il più antico greco, e che nella piti alla antichità eolio al- tro non significa che italo , perchè Eolie, compresa la Sicania, si dissero a tempi di Esiodo e di Omero le isole del mar siculo , si troverà ragionevole che in molti vasi s'abbiano greche scritture, che sentono appunto dell'eolico. Dirò di più, che gl'italici emi- (1) Veggasi l'una e l'.iltru delle cil. dissert- (2) Plin. 1. Ili, e. 6, 366 Belle Arti grarono prima nel Peloponneso , e passarono poscia nella Doride, dove quelle genti, al dir di Vitruvio, imitarono le nostre arti (i); che dorico si disse e lut- tor si appella da taluno il linguaggio greco primiti- vo. Non sarebbe dunque irragionevole il credere, che la base della lingua dorica fosse italica, etrusca o si- cula. Il che mi par anche più conforme al vero, quan- do penso che 1' Elruria fu senza dubbio piìj antica della Grecia , e che Erodoto (2) disse, che i pelas- ghi, cioè stranieri, i quali dalla Tirrenia passarono ia Grecia, stettero anche presso i dorici, e v'ebbero la lingua che ancor si parlava dai popoli sopra Corto- na. Aggiungerò un fatto significante, che le iscrizio- ni greche sono soltanto sui vasi, non mai sulle pittura delle pareti dei sepolcri, non mai sui grafiti, non mai sulle sculture: e che i vasi, i quali portano scrittura greca, hanno poi sempre sotto il piede una marca etru- sca. Le iscrizioni greche adunque nulla provano la prò- venienza cilena di tali arnesi, e molto meno che per quelli le arti primitive si siano diffuse sotto il cielo di Ausonia. P^gli è certo che i vasi si trovano, come dissi, soltanto in Italia, e non in picciol numero, come in Grecia, ma in quantità tale e sì prodigiosa, che passa le ventisei mila. Si mancherebbe alla ra- gione se gli oggetti, che si rinvengono abbondante- mente nelle nosire terre, si dovessero poi supporre di altra nazione, dove di rado vengono alla luce. Anzi si può quasi presagire, che continuandosi come negli ultimi anni a dissotterrare in sì gran copia i preziosi monumenti della prisca nostra sapienza, non resterà (1) Veggansi le citate mie dissertazioni. (7; Erod. lib. I. Arti primitive d'Italia ^67 in questa gravissima questione ombra di dubbio , si chiarirà col fatto l'anteriorità italica sulla civiltà gre- ca, e si supplirà al silenzio degli antichi scrittori, e al difetto delle opere perdute. Ma tornando al proposito dirò, che poco distan- te dall' augusta Perugia si rinvenne il singoiar ipo- geo della gente Volunnia. La sua foggia e struttura è delle più regolari, che siansi vedute: tutta escavata con mirabile maestria nel tufo arenario, senza il sus- sidio di artificiale murazione, presenta il carattere ori- ginale e severo di etrusca architettura. Si scendeva in esso per una scala esterna similmente scolpita nel suolo tufaceo : usanza quasi costante di quella na- zione. Sullo stipite destro dell'entrata sono scritte in caratteri etruschi parole , che dimostrano essersi da Arunte Larte Volunnio dedicato il sepolcro agli an- nuali sagrifici. L'interna struttura, quasi a foggia di un tempio cristiano, s'informa di una nave media lunga quanto due larghezze ( circa m. 8 ) con tre celle laterali per ciascun lato più lungo , ed una specie di calcidica all' estremo , nella quale erano riposte le urne dei maggiori. Altre due celle sono ai fianchi della cal- cidica. La copertura di detta navata tiene, come nel- la maggior parte delle tombe tirreniche, alla strut- tura di un tetto, vedendosi figuralo il colmareccio, i paradossi e le tavole. I due frontoni, l'uno sulla cal- cidica e l'altro sulla porta d'ingresso, ebbero in bas, sorilievo scolpite due teste, entrambe in un gran cli- peo: la prima chiomata si contiene in triplice circolo di foglie di alloro, ai Iati del quale sono due arnesi simili a due fronde di alghe sormontate da due au- gelli, che ho più volte veduti ripetersi nelle tombe 368 Belle Arti di Tarquinia. Sono dunque ben lungi dall'essere due spade, come taluno ha creduto : ma è piuttosto un ornato, che vadosi vai'iato nei citati sepolcri. Aderi- rei quindi anch'io al Vermiglioli, che quella fosse la testa di Apollo fugatore dei mali : e al Panofka, che gli antichi vi combinassero gli uccelli colTidea di com- piangere i defunti. L'altra lesta, che manca, ben si conosce essere stata l'immagine del sole, dai raggi che ancor si conservano: e ai lati del clipeo si veggono du6 delfini, simbolo tirrenico sovente ripetuto nelle tombe elrusche. Alcune porte, come quella d'ingresso, hanno sti- piti ed architravi di travertino senz'alcun rilievo ed ornato pareggiali coi loro piani alla superficie delle pareti; il che dimostra ristauro, forse all'epoca di quel- l'Arunte che dedicò l'ipogeo. Poiché la materia fra- gile del tufo conservando difficilmente gli spigoli net- ti, fu d'uopo di applicarvi una pietra più solida; e così può argomentarsi, che il sepolcreto sia anterio- re'al citato Arunte Larte Volunnio. Le stanze late- rali sono coperte da soffitta in piano , o liscia , o lavorata di cornici a foggia di lacunari, da cui tras- sero l'origine, imitati poscia dai greci e dai romani. Nel centro dei lacunari è scolpita con bel garbo una testa gorgonica di molto rilievo. Altre particolarità si .scorgono, come gli urei o aspici , eh' erano simbolo presso gli elrusci di vita e di morte; si veggono ge- melli alati, arnesi guerrieri, avanzi di lampade ec.,' delle quali cose qui non è luogo di parlare. Ora passerò a dire qualche cosa delle sette ur-r ne serbate intatte da migliaia d'anni nella cella, che ho chiamata la calcidica. Tranne una di ma^rmo, lui-' Arti primitive d'Italia 36(y te le altre sono di nenfro ricoperte di stucco, o con Statua sedente in allo seggio, o giacente in riposo , secondo il costume etrusco, sopra un letto, che non saprei chiamar funebre coi più. Poiché essendo con- suetudine antica di rappresentare i defunti nei più lieti momenti di vita, tolsero a figurarli nei conviti magnificamente ornati; e credevano infatti, al dir di Platone e Plutarco, che le anime dei beati conser- vassero le terrene abitudini, e prendessero dopo mor- te diletto delle cose, che ad esse furono care in vita. A foggia di basamenti o stilobati sono configu- rate le urne, nel cui dado hanno scolpita una Me- dusa; se non che in quella, che grandeggia di fronte all'ingresso, lo stilobate è magnificamente ornato di altre due statue sedute. Esse rappresentano le due fu- rine ministre della vendetta divina: che tante e non più né contavano gli etruschi, in ciò diversi dai gre- ci, che numeravano non meno di tre erinni. Il loro aspetto minaccioso, il capo intrecciato di serpi, le ar- denti faci, le ali spiegate, lo smanioso atteggiamento, palesano apertamente lo spaventevole loro ufficio. Po- iste a guardia della porta del sepolcro, sono più in at- te di schermo, che di offesa degli estinti: di cui fu forse una scena quella dipintura, che vide il eh. cav. Vermiglioli sulla purta stessa, che ora più non esiste. In questo monumento furono deposte le ceneri di jirunte Volunnio figliuolo di Aulo, come si legge nella scritta in bei caratteri etruschi scolpiti sulla ci- masa. Trovandolo molto singolare per la bellezza del- la composizione e della fantasia, e molto opportuno al presente scopo, ho voluto riportarne inciso il di- segno nell'annessa tavola , facendolo più fedelmente G.A.T.XCV. 24 Syo Belle Arti ricopiare e correggere da molte mende, onde si scor- gesse meglio lo stile di quelle opere (i). Come in questa, così nelle altre urne sono scol- pite iscrizioni elrusche, che il lodato cav. Vermiglio- li, seguendo le flottrine del Lanzi, ha spiegate con bella ragione. La piccola arca marmorea, senza dub- bio per lo stile e per la qualità della materia assai meno antica delle altre, è bilingue ; e mentre con- valida le opinioni del professor perugino , conferma eziandio a chiare prove, che l'ipogeo fu dato ai Vo- lunni, gente antichissima e gloriosa nei fasti roma- ni. Poiché in Italia piìi che altrove le antiche fami- glie furono sacerdotali , ebbero la prima veste nelle magistrature e nei pubblici negozi, e spesso trassero i nomi anche dalle loro divinità. Con infinite testi- monianze potrei qui convalidare questo principio, e così dimostrare che la gente Volunnia, tutta italica, rimonta ad epoca molto remota. Infatti ne'primi se- (i) Debbo all'esattezza e diligenza del sig. Traversar! il disc» gno di questo monumento, il quale è nella slessa scala di quello pubblicalo dal Vermiglioii, dove sono però da notare molte tra- scuraggini ed omissioni, che riguardano l'espressione figurata, e i dislinlivi etruschi non mai negletti da quegli antichissimi ar- tisti. Poiché le pieghe vi sono tutte d'invenzione, le gambe jiial intese riguardo al costume e al disegno. Le teste dei geni non sono marcate di quel robusto Ideale, che esprime il loro uf- ficio, né hanno que'fermi sopraccigli, né quelle masse di capelli assai ben intese ed intrecciate elegantemente con due serpi scen- denti a giri sul collo, fra le quali spuntano le alette sul capo , segno non equivoco di furine. Nel monumento si scorgono ap» pesi alle orecchie due bottoncini, e al petto una gemma di for- ma romboidale, oltre l'anello nella man sinistra; singolari distin- tivi della gente etrusca. Molte altre particolarità e differenze scorgerà chi voglia fare il confronto delle due incisioni sul pro- tagonista, sul panneggiare e sugli accessori, che si riferiscono .il carattere e costume nazionale di quegli antichissimi tempi. Arrr pbìmitive d'Italia 371 coli di Roma tenne seggio splendido frai primi ma- gistrati, e Livio ci porge notizia di un Lucio Volun- nio, ch'egli annovera fra gl'invitti capitani , i quali reggevano il confronto di Alessandro (i). Or sia per la nobiltà del luogo, sia per la magnificenza dei mo- numenti , non è dubbio che questo sepolcreto non appartenga al gentilizio di quella medesima stirpe. Che se questa acquistò celebrità da quel Lucio ricordato da Livio , non si deve però argomentare , che fosse oscura ne' secoli anteriori. Poiché al contrario si sa aver sostenuto il carico sacerdotale, conceduto sol- tanto alle splendide famiglie nelle precedenti età, al- le quali par che si debba riferire la fondazione del- lo stesso ipogeo, come si dichiara anche per l'indole della costruzione tutta escavata nello scoglio. Rimon- terebbe così questo monumento ai primi secoli di Ro- ma, e paleserebbe lo stile italico dell'arte ivi svillu- pata. Ma una particolarità, che merita di essere distin- ta in questi monumenti, è quel trovarsi in gran par- te ricoperti di finissimo stucco, che dà campo ad un ragionato confronto fra la preparazione in abozzo sul nenfro, e l'opera finita sullo stucco medesimo. Si sa- peva che gli antichi italiani usavano di coprire di un indumento molle i lavori di statuaria e di architet- tura , e ciò soltanto per alcuni indizi e frammenti di rivestimento; ma non tali, che si potesse argomen- tare da essi la qualità del disegno e la perizia d'ar- te operata sullo stesso impasto. Si giudicava quindi della scultura e dell' architettura qual si presentava all' occhio sul nucleo spogliato dello stucco , che il (i) Livio lib- IX, e. 4- Syà Belle Arti tempo avea distrutto. E siccome il nucleo non era che un abbozzo, così rozza ed informe si è fin qui stimata la scultura; senz'accorgersi che ciò ripugnava sovente ad una bella composizione, ad uno stile di buone linee, e ad una ragionata moltitudine di par- ticolarità, che doveano far sospettare una imperfetta esecuzione e non una ignoranza artistica. In fatti nel- la scultura in metallo, arte senza dubbio italica, si osserva maggior perfezione, che nelle opere di pietra; eppure innanzi ai lavori metallici vanno sempre la plastica e le altre arti del disegno. Come si poteva dunque giudicare grossolana e rozza la statuaria in pietra , distinta e perfetta in metallo , se entrambe hanno lo stesso fondamento nella plastica ? Una si-, mile congettura, non da altri avvertita, era pur ra- gionevole abbastanza per rettificare un si strano giu- dizio; il quale si è tenuto per fermo, senza dubitare un lavoro più finito sullo stucco. Una serie di mo- numenti, che ci avessero conservata una tale incrosta-» Spione, avrebbe palesemente fatto conoscere il vero ; perchè un accurato confronto avrebbe senza dubbio ifatlo rilevare la differenza del lavoro. Tutte le urne della bella collezione dell'università di Perugia, quel- le del museo vaticano, e quante altre ne ho vedute 0 raccolte in gallerie , o pubblicate colle incisioni , non presentano alcuna applicazione di stucco: o in gì poca quantità, che non si può giudicare del lavo- ro artistico su questa materia ; e ninno per conse- guenza ha mai sospettato, che l'arte sullo stucco fos- se pili finita, come pur si dovea, per le ragioni det- te di sopra (i), (i) Il eh cav. Campana possiede paa preziosissima collezio- Arti primitive d'Italia SyS Con siffatte opinioni mirando le urne dei Vo- lunni, fui ben pago che mi dessero argomento d' i- atituire un simile confronto; pojchè 1' incrostazione si serbava quasi intatta sulle medesime; e per mag- gior ventura la parte mancante serviva anch'essa mi- rabilmente allo scopo della comparazione, da trarne questo importante principio: « Che quanto più rozza e materiale restò presso gli etrusci la scultura sul nucleo della pietra, altrettanto maggior magistero e perfezion d'arte usarono nel coprirla e finirla d'im- pasto; e che quindi il genio e la perfezione di que- st'arte si debba ricercare ne'monumenti, che conser- vano una tale incrostazione. » Imperocché in quest' ultima si osserva chiaramente piìi Condotto e rego- lare il disegno , più proporzionata ed espressiva la figura, più naturale il piegar dei panni , men dure le movenze : in somma tutta 1' opera guidata a più buona intelligenza e maestria. Nel monumento prin- cipale, riportato nell'annessa tavola, i geni si vedono ideati e finiti con tanta espressione e con tant'arte, che si direbbero fatti negli aurei secoli di Pericle e di Augusto. Al contrario minor diligenza si osserva T)e di terre cotte, die è la più copiosa e la più dotta di quante altre se ne conoscano. Si deve all'amore e al sapere ch'egli ha della scienza archeologica e delle arti gentili, non che alla sua generosità, si classica raccolta: della quale sta pubblicando una parte, in cui non si saprebbe abbastanza commendare la dottrina delle illustrazioni, e la magnificenza dell'edizione. Alcuni di qué- sti plastici monumenti chiaramente dimostrano essere stati rico* perti non solo di dipintura, ma ben anche di stucco. La parla conservata degli ullimi è però si scarsa, che non permette un ar^» tistico confronto. E' certo nondimeno, che tutti sono di arte ita- lica, propria originale, e di una bellezza di disegno e di esectì* ziooe da non potersi desiderare maggior perfezioue. 374 B'elle Arti nel lavoro operato sul nenfro: poco o nulla son ri- cercale le parti degli occhi, della bocca, delle mani, dei capelli; meno disegnati sono i muscoli e i nervi; in somma tutto sente di materiale e di abbozzo. E dunque collo stucco, che le opere tirreniche acqui- stavano una singoiar perfezione. Per questa mia os- servazione di fatto e di confronto resta così confer- mato il principio di dover giudicare, come una pre- parazione o un abbozzo tutte le opere etrusche, che vediamo sul nenfro; poiché ad esse manca quell'ul- tima finitezza, che gli artefici etrusci davano ai loro lavori col mezzo dello stucco medesimo. E se è ve- ro, come sembra, che quest'ipogeo rimonti almeno ai primi secoli di Ruma, abbiamo un criterio per co- noscere a qual grado si trovassero in Italia le arti a quell'epoca, senza la minima influenza greca. Poiché non i Demarati e gli Eugramral insegnarono a tagliar le rocce , arte antichissima della nostra penisola, co- me ho dimostrato parlando di Cere (1); non i greci ci diedero quegli elementi originali , che si vedono sparsi nei lavori tirrenici, e principalmente in questa tomba di carattere severo, totalmente diverso dall' el- leno primitivo, sia pel costume, sia pel lavorio. Che nello scorso secolo si ravvisassero alcune somiglianze fra lo stil greco e l'italico, si poteva con- donare a taluno nella mancanza de'monumenti tir- renici. Ma che oggi si voglia sostenere la slessa opi- nione, e che ancor durino quelle sentenze in mezzo a tanta copia di monumenti italici , è da farne le grandi maraviglie; poiché ora con prove di fatto può ognuno scorgere per se stesso le diversità, e stabilire — ... ... . - ' —f (1) Ann deU'Inst. Arch. tom. 7 e la citata dissert. Arti primitive d'Italia SyS 1 caratteri distintivi ed assoluti delle due nazioni. Tuscanico chiamarono gli antichi lo stile etrusco , che Strabene (i) credè di assomigliare all'egizio della più alta antichità ; e Quintiliano (2) ammise pure una diiferenza fra la statuaria etrusca e la greca, non altrimenti che fra la rettorlca cilena e l'asiatica. Se poniara mente all'arte figurata della scuola primitiva degli etruschi, dobbiamo riconoscere un proporzionare di poca sveltezza, un modellare di mani e di piedi lunghi, un arricciare di capelli circolare, un copiare di forme e di fattezze nazionali, figure nude con mu- scoli risentiti o ricoperte con ricchissime vesti, di ra- do in riposo, spesso in attitudine di moto o di sal- tellare. Più svelte ragioni si veggono nelle antichis- sime figure greche : mani e piedi meno lunghi , un andar naturale di capelli assai bene accomodati e che ricadono sugli omeri in lunghi cannelli, un profilare più dritto e più fermo, un panneggiare cannellato pa- rallelo, attitudini tranquille e ritte senz'altro movi- mento, che dell'un piede avanti l'altro, e di mani di- sposte a tenere colle dita la veste o qualche ogget- to. Le composizioni italiche o sono sparse in un cam- po, o in azioni composte e violenti; laddove le gre- che sono processionali e parallele. Direbbesi che nel- le opere più antiche d'Italia, paragonate alle più an- tiche della Grecia , tutto sente nelle prime di origi- ne e di tentativo, e nelle seconde di progresso e di passaggio al meglio; tanto che è forza concludere, che primitive ed originali sono le arti etrusche, ed imi- tative le greche, siccome disse Taziano. (i) Strab. lib. XVTI. (3j Quinlil. lasl. Xll io. 3j6 Belle Arti La stessa originalità si scorge nell' anliclùssima architettura italiana confrontata coll'ellena più remo- ta. Poiché i monumenti piij vetusti, cosi detti dori- ci e ionici , in Itah'a sentono di tentativo ; laddove ne'greci mostrano arte più avanzata sull'orme altrui* P^elle tombe italiche tagliate nello scoglio, che per-* ciò rimontano, come si disse, alla più alta anlichitàj si osservano i primordi degli ovoli, delle gole, degli sgusci e di tutte le modinature architettoniche : ma con un fare incerto e primitivo, qual si usa da chi si cimenta a provare una propria fantasia (i): si veg- gono i distintivi del dorico foggiati nei triglifi e nelle melope con particolarità proprie ed originali ; anzi nel monumento di Castel borchia, scolpito sul fian" co del monte, si osserva tutta intera l'ordinanza do- rica conformata a modo di due tempii in antis (a)* A prima vista si direbbero fatti dallo stesso artefice, che die forma al tempio di Egina : se non che in quelli si conosce un far primitivo di chi crea ed im- prime il carattere nazionale di un architettura, che trasse il tipo dalle strutture di legname senza la mi- nima traccia di greca imitazione; laddove nell'egine- tico edificio tutto è ridotto ad arte, a regola e con- venzione, che sente dell'operato altrui, e si dimostra posteriore all'italico monumento. Chi direbbe poi che si conoscano d'imitazione quelle ordinanze ioniche , che si osservano nel monumento di Volterra ripor- tato dall'Inghirami (3), e in quella edicolelta roton- da, 0 monumento sepolcrale di Tranquillo figliuolo (i) Yeggasi la mia dissertazione sopra citata. (a) Opus, dì Bologna tom. i, ed Inst. arch. tom, 5. (3} Mon. etr. tom. 1| lav. i6. Arti primitive d'Italia 877 (ìi Mania, che vedesi nelle sale del museo etrusco va- ticano j lavoro ^enza dubbio italico ed antichissimo, come si annuncia dall'iscrizione e dalla forma , che singolare e quasi inedito ho disegnato nell'unita ta- vola ? Io non aggiungerò su quest'ultimo altre paro- le: perchè basta la semplice ispezione del disegno per convincersi, che tutto sente un far primitivo, sia nel- le generali euritmie, sìa nei particolari, che poi imi- tate dai greci furono ridotte a più giusta regola e proporzione. Che se non mi fossi proposta una brevità rela- tiva all'argomento, potrei qui aggiungere molte altre prove di fatto, cbe le antichissime opere italiche so- no originali assolute , e che quanto all' invenzione nulla vi contribuirono i greci; che anzi gli stessi gre- ci, mentre mancarono di que'tentativi e di quella du- rezza propria di chi inventa, si dimostrarono al con- trario piìi sicuri sulle orme altrui, avanzando e pro- gredendo verso la perfezione. Ma riducendomi di nuovo allo scopo dirò, che con- ferma il mio assunto, che la scultura etrusca era mol- to più avanzata e perfetta di ciò che scorgiamo rac- colta nei musei, quel vedere in questo ipogeo le te- ste gorgoniche scolpite nelle soffitte, siccome quelle che restar doveano nude di stucco, operale con tal magistero di lavoro da non doversi desiderare di più, sia per la nettezza dell'intaglio, sia per l'eccellenza del disegno. Ond'è che per la rarità e pei vari gra- di di scultura, questi monumenti si rendono prezio- . sissimi, e col confronto ci provano di fatto, che le opere toscaniche di pietre, stimate rozze e grossolane, non sono che preparazioni ed abbozzi, che riceveva- no l'ultima finitezza dello stucco. 378 B E L L « A R T I In questo modo viensi a collegare presso gli etru- sci la perfezione della scultura alla gentilezza delle altre arti del disegno figurato, che per verità restava nella comune opinione da queste troppo divisa. Noi vedevamo infatti l'arte figurata eccellentemente dipin- ta sulla superficie dei vasi e sulle pareti delle tom- be; egregiamente modellata sulle terre cotte e sulle figuline; con sommo magistero grafita sulle ciste, su- gli specchi e sulle patere; con sovrana perizia incisa nei cammei e nella moneta primitiva; fusa nei bronzi di statue , d'idoli , di candelabri, di suppellettili, di arredi sacri ec. In mezzo a tanta raffinatezza come potevasi conservare rozza la scultura in pietra , se non perchè mancava dell'ultimo finimento collo stuc- co ? Il quale non essendosi salvato sulle opere , si sono esse giudicate perciò di grossolano ed imperfet- to disegno, che pur tale dovea essere per una sem- plice abbozzatura, come ho fatto notare di sopra. E dunque bello il conoscer oggi col fatto dei monumen- ti dei Volunni quello, che la ragion naturale dovea suggerire; che cioè la scultura tirrenica andava del pari coU'arte più perfetta rappresentata sulle materie di metallo, di pietre preziose, di terra cotta, dove le opere non ricevevano dalla mano dell' artefice altro perfezionamento. Ed in vero, siccome dissi dì sopra, non era la stess'arte che dovea informare e dirigere la plastica e il disegno dell'incisione ? Io credo dun- que di poter ripetere ed affermare con buona ragio- ne, che non »1 abbia a desumere il genio della scul- tura tirrenica dalle semplici sculture di nenfro o tra- vertino, che la mano dell'artefice dovea ricoprire, ri- cercare o perfezionare collo stucco, poiché sono a ri- guardarsi come nucleo ed abbozzo dell'opera, p che ^ISfABIMMENTO DEL CANTO S^Q per quelle coperte dello stucco, come di lavoro più finito, si debba quest'arte rialzare allo splendore e al- la gloria delle altre di disegno figurato , che furono esercitate da questa illustre nazione, la quale operò sempre cose mirabili in belle arti. Ristabilimento del canto e della musica ecclesia- stica. Considerazioni di Pietro Alfieri prete ro- mano, maestro compositore ec. 8. Roma, tipogra- fia delle belle arti i843. (Un voi. di pag. i3o.) E, Ila sarebbe cosa veramente lodevolissiraa ed utile assai, che tutti quei libri, che sono scritti per toglie- re dalla musica sacra gli abusi che la deturpano, fos- sero letti dai cantanti e professori di ogni sorta; af- finchè ciascuno conoscendo il proprio errore si rav- vedesse e cessasse di profanare il tempio del Signo- re. Il libro, del quale ho scritto di sopra il titolo, è di gran vantaggio per l'arte ; sul quale intendo qui, anzi che farne un ordinato estratto, osservare soltanto quel che crederò meglio giovevole per dare a cono- scere lo spirito dell'autore, aggiungendovi qualche mia riflessione, che forse non sarà disutile. Facendomi dal proemio dirò brevemente come il chiarissimo iVlfieri, appoggiandosi sempre all'autori- tà della s. scrittura ed a quella dei ss. padri, prova che fin da Mosè si cominciò ad adoprare il canto per onorare l'Altissimo : e ne mostra gli abusi, le riforme, ! e le tante volte che la chiesa ha inveito per vedere così piena di vizi la musica sacra. Eruditissimo è tut- to questo discorso, come lo sono del pari i primi pa- ragrafi della prima parte, ove parla del canto grego- 38o Belle Arti riano: sicché ben dà a conoscere quanto egli sia ad- dentro e nella storia e nel cantò. Tratta poi dell'orga- no e dell'organista: e dice essere, come lo è di fatto, assai trascurato lo studio de'toni ecclesiastici , onde gli organisti difficilmente sanno accompagnare il can- to: del quale accompagnamento già dettò le regole l'autore in un libro stampato nell'anno 1840. Mo- stra quindi i motivi, pe'quali succedono tanti incon- venienti negli organisti, ed i mezzi da prendersi per tògliere i molti abusi introdotti nell' esecuzione del canto e nel suono dell'organo. Ed invano non ispe- ra, ored'io, V Alfieri che dal regnante sovrano Gre-* gorio XVI, protettore insigne e delle scienze e delle arti, sia ripristinata in Roma quella scuola pubblica di canto e di musica sacra, che fin da'remoti tempi esisteva. Che se a questa, seguendo il consiglio d'al- tro esimio scrittore, fosse unito, come pur si dovreb- be, lo studio della lingua latina ( studio assai van- taggioso, anzi necessario al lustro, al decoro ed all' efficacia della musica sacra ), certo sarebbe che nuova- mente rifiorirebbero e cantori e maestri , i quali a- vendo tutti attinto a quel fonte, oltre al godere essi medesimi gran rinomanza di eccellenti e dotti, ese-- guirebbero e comporrebbero veramente secondo lo spi- rito della chiesa. Segue a quanto ho detto l'articolo che tratta dei falsi-bordoni, che è tanto bene svolto che nulla più: come ragionevolissima è la confutazione a quanto vuol sostenere il francese Didon, il quale facendo cono- scere che poco sa di musica, è consigliato a parlare piuttosto d'architettura, che forse è l'arte sua. Finisce la prima parte col mostrare quali siano i compositori più celebri della musica sacra. E qui mi cade in acconcio il palesare come il nostro auto- Ristabilimento oet. canto 38 i re, anelante pel ristabilimento di questa musica-, abbia faticato ed immensamente speso per dare a modello da imitarsi i capolavori del Palestrina e di altri: spe- rando, propagati che fossero per via di stampa ed a tenue prezzo, che ì maestri bandissero dal tempio e le cabalette, e le contradanze, e le marce e tutto quel- lo che sa di teatro. Ma che ? Fatica, sudore, dispen- dio incredibile, e critica acerbissima per aver ripro- dotto quelle anticaglie, questo solo è stato il suo com- penso; e, tolti pochissimi associati, le belle messe e gl'inni dell'immortale principe della musica, i mot- tetti e di questo e dell' Avila e dell' Anerio, e tante altre gemme di quegl'invidiablli maestri, giacciono nel- l'archivio dell'autore; ed io, che fui uno de'primi ad animar l'Alfieri a quell'intrapresa, sono ora testimo- nio dolentissimo dell'inutile riuscita. Ma se le leggi terran fermo, risorgeranno a nuova vita: e non più antipopolari, come lo sono tuttora tra noi, ma caris- simi saranno i nomi di quei grandi, che furono e so- no l'onore della musica sacra italiana. Una bellissima pittura dell'odierna musica di chie- sa si trova nel primo paragrafo della seconda parte, che abbraccia la musica armonica: e non crediate già ch'essa, quasi per vaghezza di satira, sia fatta con tin- te troppo oscure; no davvero, ma è così naturalmen- te dipinta, che è pur forza dire : Ella è proprio co- sì. Il danno spirituale, che cagiona la musica profana in chiesa, lo mostra nel secondo paragrafo: e nel ter- zo parla dell'istromentale, che il nostro autore, fattosi scudo coU'autorità di san Tommaso, coll'esempio di san Carlo Borromeo e di altri zelanti vescovi, vorreb- be che fosse sbandita dal tempio, onde mantenere nel pieno vigore quanto viene stabilito nel cerimoniale romano, che non permette altra musica, eccetto quel- 3Bi Belle Arti la clie è accompagnata dal solo organo. Ciò sarebbe invero una cosa ottima : ma quando pure non potes- se ottenersi , vietisi almeno di usare in chiesa que- gli istrumenti che sono di gran francasse. Ed infat- ti non è egli giusto che siano tolti dalla chiesa que- sti stromenli, come i timpani, tromboni , oficleide e trombe, i quali costringono il povero cantante a gri- dare a tutt'uomo, trovandosi mezzo sepolto da que- gli stridenti ed assordanti ottoni, che ti fan credere d'essere non già nella casa di Dio, che è casa di ora- zione, ma quasi in un campo vicino alla battaglia? Questo ch'io dico, e che pur troppo è la verità, prò-, va abbastanza che quel maestro, che in siffatto modo scriva, non conosce ne l'estetica dell'arte, ne la na- tura ed estensione degli stromenli: dei quali invece di servirsi per dare risalto all'accompagnamento, ad ag- giunger forza all'espressione ed a commuoverti l'ani- mo, egli fa uso di tutti quanti sono, da arco, da fiato e da percossa, per istordirti e confonderti; talmente che non sai più se cantino preci e lodi al Dio dei cpistiani, o l'inno di Marte protettor dei guerrieri pa- gani. Si tolgano dunque tanti inutili strumenti nel- la musica ecclesiastica ; e se pure ( giova ripeterlo ) interamente non vuole abbracciarsi il parere dell'Al- fieri, si lascino solo quelli che permette Benedetto XIV ( citato opportunamente in questo paragrafo) in que' luoghi ove ne sia l'inveterato costume. Mi piace quanto dice sulla fuga nel quarto pa- ragrafo, non essendo realmente pezzo da chiesa: do- vendo il compositore non destare ammirazione per la sua dottrina nel contrappunto, quasi che fosse in un' accademia, ma bensì cercare di muovere l'animo alla devozione : mi piace anche l'idea di far cantare dei cori in lode del santo in quelle piazze, in cui sin'ora RlSTABILIMBNTO DKL CANTO 383 nelle sere della vigilia e della festa si sono eseguite sin- fonie e pezzi teatrali; e giusti trovo i provvedimenti che l'autore suggerisce onde cessare l'inconvenienza della musica sacra. E così fosse una volta finalmente che spo- gliata di tanti vizi, dai quali è ricoperta, tornasse la musica ad essere semplice e bella per servire non più alla profanazione, ma alla gloria del tempio del Si- gnore ! Un libro, utilissimo come questo del nostro Al- fieri, sarebbe necessario, come già dissi, che fosse let- to; ma i professori di musica leggono poco, molti per- chè pensano di non averne bisogno, ed altri perchè poverissimi. Per rimediare in parte anche a questo male, sarei d'avviso, che un qualche istituto musicale dovesse a proprio conto fare stampare e propagare quei libri e quegli articoli fatti a posta per ristabi- lire la vera musica di chiesa : come pure necessaris- simo sarebbe un luogo pubblico, dove fossero e libri d' arte e scelti giornali musicali , affinchè trovassero pascolo quei che desiderano occuparsi della parte scientifica, della novità e della critica musicale. Lodiamo infinitamente il maestro don Pietro Al- fieri, il quale oltre l'aver già stampato il saggio so- pra il canto gregoriano , il canto della passione di N. S. G. Cristo, l'accompagnamento de'toni ecclesia- stici, la traduzione del trattato d'armonia del Catel e varie messe, litanie, mottetti, sequenze ec. di sua composizione, ora ci ha regalato questo libro, che se è bello per l'erudizione e per la critica, lo è anche per essersi in esso l'autore mostrato degno cittadino romano, coll'inveire contro lo straniero che ignorante- mente derideva la nostra patria. Marchese Giovanni Longhi. 384 CONTENUTE NEL TOMO XCV, VOLUMI 283, 284, 28S DEL GIORNALE ARCADICO, SCIENZE Torlolini, Continuazione e fine della seconda memoria sull' applicazione del calcolo ec P'^g- 3 Santarelli, appendice alVarticolo sull' eziologia dell' inter- mittente endemica j> ^7 IXe-Angelis, Lezioni elementari di chirurgia i>elerinaria. ,, loi Bertoni, Mem.oria sul lago di Quarto j, n' Ferrane, Praelectiones theologicae, voi. yiH ,...,, 126 Monchini, Instituti di pubblica carità ec ;^, i47 Proia, Stato presente delle matematiche in Roma , . ,, i6l Cantalamessa, Cassa di risparmio in Ascoli ....,, iSy Chinienz, Cenni biografici di Silvio Clementi .... „ igi LETTERATURA Cappello, Memorie isloriche di Accumoli (continuaziona). „ 197 Ponta, Interpretazione di un verso di Dante „ 25i D,e-Ferrari, Pergamena antica latina contenente i canoni a- postolici ec. {con litografia ) ,, 265 Gori, Lettere inedite al P. abate Costadoni „ 287 Montanari, Elogio di Curzio Ardizi », 3 18 Mercuri, Discorso ^opra un passo di Dante „ 33q RELLE ARTI Potetti, Intorno alle arti primitive d'Italia ec. (con rame). „ 36o Al/ieri , Ristabilimento del canto e della musica ecclesia- stica „ 375 NIHIL OBSTAT Fr. Ioan. B. Marrocu M, C Censor Theol. IMPRIMATUR F. A. V. Modena O. P. S. P. A. M. S. IMPRIMATUR los. Canali Archiep. Coloss. Viccsg. 5L G I O R IV Al L E DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI %^oÌ. a86, ^87/ a88. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 -dfc- ^^Pc^f^iW GIORNALE D I TOMO XCVI. LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE 1845. ROMA Tipografia delle Belle Arti 1843 sellili ^li Teorema di Steiner sul volume di un corpo ter- minato da basi parallele e circoscritto lateral- mente da una superficie rigata. E ra le molte memorie che il sig. Steiner, valen- tissimo geometra, ha inserito nel giornale di Creile, ve ne ha una sopra alcuni teoremi stereometrici, casi particolari di un solo teorema, il quale, per la sua sua eleganza e fecondità meritando d'ora innanzi di entrare negli elementi di geometria , è utile che si divulghi per mezzo ancora di altri giornali. ]Ne darò qui, non una traduzione, ma una riduzione, in cui mi sono studiato di semplificare qualche dimostrazio- ne, di aggiungere quelle che l'autore ha soppresso , e di porre tutto in quell'ordine che mi è semhrato il più acconcio per l'insegnamento. TEOREMA. Se un corpo terminato da basi parallele A, B, e circoscritto lateralmente da una superficie rigata (*), C) Rigata è ogni superficie generata dal muoversi di una ret- ta secondo una legge qualunque. La snperficie rigata è svilup' 4 Scienze è tagliato nel mezzo della sua altezza H da una se- zione C parallela alle basi, il suo volume K sarà K= i-H (A-Ì-B-H-4C). Inoltre, se una delle basi, B per esempio, giri nel suo piano intorno ad un punto fisso per una semirivolu- zione, e se nella nuova posizione di B si uniscono per via di rette i diversi punti del contorno di B con quei punii del contorno della base A, coi quali erano già uniti dapprima; ne nascerà un nuovo cor- po, il cui volume Ki ( chiamata C, la sezione media equidistante dalle basi A, B ) sarà K, = ^ H ( A -h B -I- 4C J , e si avrà la relazione pabile, se si può considerare come generata dalle intersezioni consecutive che fa in se medesimo un piano in movimento: tali sono, per esempio, le superfìcie piramidali, prismatiche, cilindri- che e coniche; e si dicono sviluppabili perchè si possono svolge- re e spandere in un piano senza rottura o duplicatura. La su- perficie rigata si dice storta , se due posizioni consecutive qua- lunque della retta generatrice sono sempre in piano diverso; ta- le è, per esempio, la superficie generata da una retta che si muo- ve parallelamente ad un piano, appoggiandosi simultaneamente sopra due rette fisse non situate in un medesimo piano, 5uperfi- cie che nella geometria analitica è detta paraboloide iperbolica. Il quadrilatero i cui lati opposti non sono in un medesimo pia- no, e che è detto quadrilatero storto , è una porzione di simile superficie. e qu indi Teorema, di Steiner K=H(C4.ÌCJ, K, = H(C. + ÌC; La dimostrazione di questo notabile teorema è fondato sul lemma seguente : Se una piramide VABB'A' (fig. i), avente per base un trapezio ABB'A', è tagliata da un piano VMM', che passa pel suo vertice V e per i punti medii M, M' de'lati non paralleli AB, A'B' della sua base, il suo volume sarà = — del prodotto della sezione VMM' per una delle perpendicolari calate dai quat- tro vertici della base ABA'B' sul piano della stessa sezione: perpendicolari che, come facilmente si vede, sono tutte eguali tra loro. Ciò può dimostrarsi così. Dal vertice V della piramide, calata sulla base la perpendicolare Vo , da o parla una retta perpen- dicolare alle linee parallele BB', AA', MM', che le incontri rispettivamente ne'punti b , a , m , e da b la bo perpendicolare a Vm. Il volume P della pira- mide VABA'B', essendo = —, del prodotto della base per l'altezza, sarà P = 1 { MM'. ab).Yo Ma i triangoli simili Vow , bmo danno ab . Vo = bo' . \ni ; 6 Sciènze Junque {p) P = i.MM'. Vw.Ao':= Ì(VMM').^»a', 3 o ove bo , a causa delle parallele AA', BB', è uguale a ciascuna delle perpendicolari calate dai vertici della base trapezia della piramide P, sul piano della sezio- ne VMM'. E palese, che questo lemma sussiste pure quan- do la base della piramide è un triangolo: essendo il triangolo un trapezio, in cui uno de' lati paralleli è uguale a zero. In appresso, sotto la denominazione di trapezi, saranno compresi come casi particolari an- che i triangoli. Ciò premesso, il corpo K sia un poliedro cir- coscritto lateralmente da facce Irapezie. Nella sua se- zione media C preso un punto V ad arbitrio, si con- sideri come vertice comune delle piramidi che han- no per basi tutte le diverse facce del poliedro K, e che per conseguente formano riunite l'intero polie- dro K. Le piramidi, che hanno per basi le facce la- terali di K , sono tutte comprese nel caso della pi- ramide considerata nel lemma; ciascuna è tagliata dal piano C secondo una sezione triangolare ( che rispon- de al triangolo VMM' del lemma ) , e tutte queste sezioni triangolari costituiscono insieme il poligono C ; cosi la somma di siffatte piramidi sarà = Ì.5.C=ÌHC. 3 2 6 Le due piramidi poi, che hanno per basi A, B, sono rispettivamente Teorema di Steiner y ' 5.A = i HA ' .5.B= 'hB. 3 2 6 3 2 6 dunque il volume del corpo K è (K) K = 1h( A-J-B-H4C). Prima di mostrare la sussistenza di questa formula pel volume Kj in cui si trasforma il corpo K in virtù del movimento descritto nel teorema, osserviamo che se nella piramide P del lemma il trapezio ABB'A', che le serve di base, non è semplice ma doppio, cioè ha la forma di due triangoli opposti al vertice (fig. 2), avremo, siccome è facile a trovarsi, BB' — AA' MM'= MM'. ab = triang. ( B^B' ) — - triang. ( Ag^A') . D'onde segue che in questo caso la formula ^p) 3 P = - ( triang. VMM' ) . bo' 4 rappresenta la differenza delle piramidi triangolari , che hanno in comune il vertice V e per basi i trian- goli Bo^B', Ag^ A' componenti il trapezio doppio ABBA'. La fig. (3) rappresenti il corpo Kj in profilo, e V sia il punto della sezione C, preso per vertice co- 8 Scienze mune delle piramidi che hanno per basi tutte le di- verse facce di Kj . Neirespressione algebrica delle pi- ramidi pVr^ qVs , le parti Yor, Vos entreranno ne- gativamente, ma le parti medesime entreranno posi- tivamente nell'espressione della piramide Vrs. Quia- di avrà luogo pel volume Ki la formula (K), e si avrà (K.) R. = 1h( A4-Bh-4Cx) 6 Immaginiamo un trapezio, di cui i lati paralleli tì, b siano situali sulle basi A, B, e questo trapezio sia semplice nel corpo K; esso diverrà doppio nel corpo Ki . La retta e, che dimezza i lati non paral- leli del primo trapezio, giacerà nella sezione media C del corpo K, e sarà e = E la retta Ci,che dimezza i lati non paralleli del se- condo trapezio , giacerà nella sezione media Ci del corpo Ki , e sarà a — b Ci = - Le rette tt, b, e, Ci , le chiamerò linee omologhe de'quattro poligoni A, B, C, Ci . Per triangoli omo- loghi di siffatti poligoni s'intendano quelli che sono circoscritti da rette omologhe. Consideriamo ne'poligoni A, B, C, Ci , un si- stema qualunque di triangoli omologhi I Teorema di Steiner < «' /3» 7, y, ,• io dico che si avrà «-H/3 = 2(y-f-y. ). Fd infatti se le basi omologhe e le altezze omologhe di questi triangoli si designino rispettivamente per («, «'), {b, b'), (e, e'), (e, e.'), avremo art' 2 ,=i^ 2 e per conseguenza a-«-/5=2 (yn-y,). Ciò posto, se i quattro poligoni A, B, C, C, si consi- derano siccome aggregati di triangoli omologhi, avremo IO Scienze e perù K=:.5 (A4-B + 4C) = II(C4-lC0, K.==S ( A4- B -h4C0 = H ( C. -H i^ C ) . Supponiamo che il corpo K sia un tronco di pi- ramide a basi parallele A, B; il corpo corrisponden- te Kj, si ridurrà a due piramidi opposte al vertice; e i quattro poligoni A, B, C, Cj, saranno simili tra loro, e però le radici delle loro aree, cioè 1/-A , i/B , ^aC , i^C, , staranno tra loro come le rette omologhe a, ^, e, Ci. Avremo dunque 2 2 d'onde 4C = A -H B 4- 2i/^(AB) , 4C, = A 4- B - 2t/^(AB); da qui K^S/'a-hBh-i^IABjV k.^S/'a^-b- Jt, latto =r= n , SI ha l^B HA HA n^~ I a ore — I HA HA n^-t- I K,= — - ( 1 4- /^ H- /i=) == — ^, . |/-(AB) Teorema di Steiner ii Se le basi A , B svaniscono in due rette non toarallele, il volume del corpo K diventa K = ÌHC, ove H è la minima distanza tra le due rette A, B, e C è la sezione fatta iu K da un piano parallelo alle due rette ed equidistante dalle medesime. Siano, per esempio, A, B gli spigoli non paral- leli di una piramide triangolare (fig. 4-) ; la sezione media C diventa un parallelogrammo, i lati del qua- le sono paralleli agli spigoli A, B, e ne sono rispet- tivamente la metà: talché ^ A B Li = — .^ — seno , 2 2 ove m è l'angolo formato dalle direzioni di A e B. Quindi il volume K della piramide triangolare si e- sprime pure con la formula IT K = -r AB senf o Osserviamo che se A e B , A' e B' , A" e B" sono gli spigoli opposti della piramide triangolare (fig. 4)? ogni piano parallelo agli spigoli A e B, se- gandola, vi fa una sezione che è un parallelogrammo li a b' b' b" , cui lati sono rispettivamente paralleli agli spigoli 12 Scienze A e B, ed i vertici a', d\ b\ b" sono situati sugli spigoli A', A', B, B'. Se il piano secante si muove da A in B, ciascuna delle due diagonali ab\ a'b" del parallelogrammo , per esempio ab' , descrive un quadrilatero storto AB'BB' , cioè una porzione di pa- raboloide iperbolica; e poiché la diagonale ab' divi- de costantemente il parallelogrammo a a! b' b" in due parti uguali, perciò il quadrilatero storto AB'BA' di- vide pure la piramide in due parti uguali A", k^ cia- scuna delle quali è terminata da tre facce, cioè dal quadrilatero storto AB BA', e da due triangoli, facce della piramide. Chiamata "y la sezione triangolare, fat- ta in k da un piano parallelo agli spigoli A e B ed equidistante dai medesimi, sezione uguale alla metà del parallelogrammo C, sarà 12 2 2 3 3 ^ Supponiamo adesso che il corpo K colle basi parallele A, B, sia circoscritto lateralmente da qua- drilateri storti, quali [a , ^) fig. 5. La sezione me- dia C sarà, come prima, un poligono rettilineo. So- pra ciascuno de'quadrilateri storti si applichi, all'e- sterno del corpo K, una metà k di piramide trian- golare, tale che abbia per ispigoli opposti i lati a, b del quadrilatero storto situati nelle basi A , B. Ne nasce un corpo K' circoscritto lateralmente da facce triangolari, il quale ha le basi A, B comuni col cor pò K. La sua sezione media C è composta della se- zione media C del corpo K, e di una somma 2y di triangoli y, i quali, presi separatamente, sono le se- |iii zioui medie de'corpi applicali k\ cosicché Teorema di Steiner i3 C'=: C H- 27 , dcn.le ly = C— C. Similmente il corpo K' è composto del corpo K e della somma Ik de'corpi applicati k. Avremo dunque =.H(A-hB-h4C')-|h(C-C), e però K = 5 (A -H B -h 4C) . Per la semirivoluzione che la base B fa intor- no ad uno de'suoi punti, mentre il corpo K si tra- sforma in Ki , il corpo K' si trasformerà in un altro K', , che si comporrà del corpo K, , meno un sistema di corpi k applicati dalla parte interna sui quadrilateri storli di R, . Quindi, chiamata Ci la sezione media di R'i , avremo C, = Ci — . 27 , donde 2y = Ci — C', , e K.=K\ -f- 2A- == 2 (A-i-B+4C;,) 4. t H(C.— C^), e però TT I K. =^(Ah-Bh-4C.). i Inoltre A -H B = 2 (C'-h C.) = 2 (C -H CJ . i^ Scienze Il teorema è così dimostrato nel caso che il cor- po K sia circoscritto lateralmente da trapezi o da qua- drilateri storti. Esso, per la teoria de'liraiti, continua a sussistere eziandio nel caso che gli spigoli laterali si succedano per continuità, cangiandosi in linee cur- ve i contorni delle basi A, B, e della sezione media C. Dunque tale teorema sussiste generalmente, giusta i termini onde fu espresso da principio. Applicazioni I. Il corpo K sia una porzione di una iperboloide semplice o ad una falda, le cui basi parallele A, B sono due ellissi; la sezione media G sarà pure un'ellisse. I semiassi delle tre ellissi A, B» C, siano rispettivamente aeoc^be(i,cey. Sarà K = ^ H (a« -H ^'/S -t- 4c7 ) . II. Trovare il volume K circoscritto dalla su^ perfide generata da uoa retta = za , che si muove appoggiandosi con le sue estremità sopra due rette fisse indefinite A, B, siiuale nello spazio , e la cui distanza perpendicolare è H ^^ 2/1. Soluzione. Si prendano per assi jc, y le rette perpendicolari A, H, e per origine delle coordinate la loro intersezione; l'asse z sia parallelo alla reti* B, e però perpendicolare ad y. L'angolo ip che for- ma X con z, sarà = all'angolo che formano tra loro le direzioni delle due rette A, B. L'equazione della generatrice la sarà della forma, I II — -^ = '— 4 , ^ ' l m n ove (3) \ = l^ -^ tn^ --^n^ panico S(^ . Teorema, di Steiner i5 Inoltre la retta 2a, partendo dal punto e terminando al punto (x == o, j == a/i, :;), sarà — a 2h aa =z l m d'onde h (3) a = — 2al , w = — I . a Dalle (i) e (3) si ricava — hx h hz l = , m =='-<, n = . a {2n — j) a ajr Sostituendo questi valori di l, /w, n nella (2) si ot- tiene J^z z^ 2ZX cos(p (i^ — h^ (2/1 —yy y- /(a/i— /)" h- equazione della superfìcie rigata circoscrivente il vo- lume K. Se in questa si pone j = h, si avrà X* -f- 2^ 2ZX . cos^ = a^ — h^ i equazione della ellisse clie rappresenta nel corpo K la sezione media C equidistante dalle due rette A, B. I semia&si di questa ellisse sono le radici dell'equa- zione ^2 fi2 V» — a{i-^cos'(p) V^-h(a^ — /i=')- =0, i6 Scienze la quale somministra . /l -4- COS^m f3 /"{l -i-cos'fy — (i — COS^^)ì'^^ sen'* y^ sencp J e però i semiassi principali della ellisse C sono \/-{a^—h^) cot^f , ^{a^—h^) . tang | ? , Dunque l'area C = (a2 Zia] ;: , e il volume K= tvn:=.Ìh{a^^h^)n', risultati notabili , in quanto che sono indipendenti dall'angolo 93 , formato dalle direzioni delle due rette A, B : cioè nel corpo K vimangorio costanti il vo^ lume e Varca della sezione media C, al variare dell'angolo (p. Se © è un angolo retto, la sezione media C di-r viene un circolo del raggio = [/^{a^ — h^) . D. Chelini delle Scuole Pie, > — BBoegeoe»- ■^^ ^ n ò b' / \ v,/ \ M 7t \ B >C AL ^ J 1 A' /" y Fenomeno geologico negli ipogei etruschi presso Kiterbo. s, 'uccessivamente ed in emulazione degli scavi e ritrovaraenli nella necropoli etrusca di Vulcia effet- tuati da S. E. il slg. principe di Canino nel 1820, anche nel territorio di Viterbo ed adiacenze furono tentate escavazioni di etrusclie tombe, E tali luoghi presentano ubertoso campo a tali tentativi : poiché so- no foracchiati in molti punti da lunghissimi cuni- culi e celle ipogetiche, le quali, se non sono d'or- dinario riunite in numero tale da costituire ampie necropoli, non mancano di essere ampiamente diffuse nelle campagne. Di tali imprese e risiillamenti rela- tivi fu sovente fatta menzione nelle varie pubblica- zioni dell'istituto di corrispondenza archeologica; ma qui credo opportuno di dar conto di un singolare fenomeno che sovente incontrasi in tali sotterranee ricerche, e che ha datò luogo a varie erronee opinioni. E ben noto che i predetti cunicoli hanno d'or- dinario r altezza e la larghezza di una persona che possa camminarvi, e sono eseguiti in colline formate di tufa vulcanico, 0 di lave friabili e decomponibili, e perciò men dure. E pur noto, che tali sotterranei viottoli conducono a tombe, o celle mortuarie, nelle quali oltre i cadaveri si rinvengono armi, arnesi mu- liebri, vasi, tripodi, patere, e talvolta anche preziosi oggetti d' oro e di gemme. Finalmente è pur noto che in mancanza di porte, od analoghi mezzi di chiu- G.A.T.XCVI. 2 i^ Scienze sure, che nell'epoca etrusca tutelassero la conserva- zione di que'depositi consacrati all'eternità, sogliono d'ordinario oggidì trovarsi que' cunicoli ostruiti co- gli stessi detriti e materiali ottenuti dall'escavazione, cioè tufa e lave frantumate. JNon di rado si rinvie- ne che le inferiori parti dei cunicoli e delle celle sono ingombre della sostanza slessa delle pareti e delle volte e lacunari respetlivi , che sono franate e cadute o per la sotterranea umidità, o per l'urto di altri agenti dalla lunghezza de'secoli suscitati. So- no ben più rari gli ipogèi chiusi alla bocca da mas-, si lavorati di solide pietre e di peperini. Oltre queste specie di chiusure aveva io, e forse altri prima di me, osservato che in alcune di que- ste cavità la chiusura era formata da un ammasso compatto di una sostanza argillosa, che talvolta per lunghissimo tratto ostruiva interamente lo spazio fi- no alla volta, sovente mostrava una specie di depres- .^ione ed avvallamento che lasciava vuota la parte su- periore, e talvolta formava soltanto una stratificazio- ne più o meno elevata sul piano inferiore. Uno di questi cunicoli è sotto gli occhi di tutti, perchè ve- dasi troncalo dalla strada che dalla città di Viterbo conduce al santuario della Quercia, e che iuteraasi sotto il pralo della fiera formato di lava friabile. Il cunicolo è ingombrato appunto da quest'argilla del colore di sangue di drago di commercio, di frattura angolare, aridissima, che avidamente si attacca alla lin- gua per attrarne l'umidità, che impastata con acqua forma una pasta molle ed attaccaticcia, ma che presto si prosciuga, ed allora si fende e screpola spontanea- mente in frammenti irregolari mandando un cerio sibilo , ed in fine suole ridursi ad un mucchio di polvere. Fenomeno geologico iq Quando nel i83o dai sigg. cav. Zelli e march. Especo furono fatte alcune osservazioni in cerca di elrusche anticaglie nel territorio di Viterbo, si rin- vennero non pochi ipogei di tale sostanza ostruiti , e diedero luogo a varie opinioni. Fuvvi chi illuso dall'analogia del colore pretese esser un' argilla bo- lare, non dissimile dal bolo armeno, che per usi me- dici circolava in commercio ne' passati secoli, la qua- le ne' tempi etruschi si facesse trasportare dal levan- te, come alcune terre corrosive impiegate in alcuni cimiteri. Altri, rigettando tale opinione, osservava che in alcune carte topografiche relative alla provincia TÌterbese, fra le quali in quella di monsig. Morozzo del 1791» trovavasi descritta od indicata una vena di bolo armeno in una collina posta fra Viterbo e Montefiascone denominata Monte Erminio, e che da quel luogo era verosimilmente stata cavata l'argilla in questione. Per quanto però queste opinioni presentassero assurdi, per quanto ninno a' di nostri abbia potuto nella collina di Monte Arminio trovare alcun indizio di tale argilla, era chiaro che essa non rinvenivasi in altri luoghi che nelle tombe etrusche, e sovente in copiosissimi ammassi. Mentre si brancolava in ta- le oscurila d'idee, discoprissi un cunicolo non lungi da' ruderi dell'antica città di Perento ( Ferenlinum Plin.), in cui il eh. Semeria, diligentissimo investi- gatore di etrusche e naturali novità, osservò che tol- ta una esteriore congestione di terra e sassi l'inter- no cunicolo era vuoto nella parte centrale ed in- feriore, ma era rivestito di un intonaco dell'argilla in questione per quasi mezzo palmo sulle pareti, e sfo Scienze per una maggiore spessezza in sulla volta. Il suola poi era quasi libero da ogni imbarazzo. Postomi a considerare le circostanze del feno- meno , la sostanza entro cui era stato cavato abo- rigenamente l'ipogeo , la quale era un tufa poroso, arido, friabile e decomponibile alla macerazione nel- l'acqua, noncbè quella dell'argilla aderente alla vol- ta e parete, la quale riducevasi ad una poltiglia fi- na molto analoga al sedimento del tufa sciolto nel- l'acqua, ed in fine la grossezza del banco di tufa so- vrincombente al cunicolo, mi persuasi che le acque meteoriche, che cadevano nell'esterna e superior su- perficie di esso banco , s'internavano e filtravano a traverso di esso, distaccando, decomponendo, ed as- portando con esse la parte più tenue del pulviscolo. L'umore poi, trasudando per la porosità entro la ca- vità ipogetica, deponeva la parte solida e concrescibi- le sulla volta e pareti di essa. Quivi poi si prosciu- gava, ed aderiva in solida forma, come sotto lo stac- cio d'un farmacista o di un cuoco rimane attaccata la parte più tenue della poltiglia, che per mezzo della compressione siasi fatta pestare a traverso de' forami dello staccio. Dopo tale osservazione mi sembra dimostrato , che il supposto bolo non è che la deposizione di un ranno formato dalle acque, e dalle ceneri vulcaniche, o tufa, il quale si rende concreto sulle pareti e la- cunari delle cavità sotterranee. Ed in ciò diversifica dalle concrezioni calcari stalaltitiche: che queste so- no formate da distinti stillicidi, che recano distem- perale le particelle lapidee, le quali si aggregano e solidificano in forma di coni-rovesci, racemi, mam- melloni, ed analoghe figure: e la concrezione dell' ar- Fenomeno geologico 21 gilla avviene per mezzo di un trasudamento , e di una sostanza meno compatta e solida , onde nasce uno strato continuo, omogeneo, ed amorfo. É facile dopo ciò il persuadersi, che nella col- lina di Monte Arminio essendosi ne'passati- secoli di- scoperto qualche ipogeo contenente l'indicata sostan- za, apparentemente analogo al bolo armeno, insorgesse opinione che ivi esistesse realmente una vena di tal fossile: e quindi fosse anche invalsa la denominazio- ne di Monte Arminio, e l'indicazione del bolo ar- meno apposta alla carta topografica. Se questa osservazione non è una scoperta ar- cheologica, è almeno la distruzione di un'opinione erronea , che nelle scienze congetturali merita pur considerazione: perchè la scoperta d'un errore equi- vale sovente nell'interesse a quella d'una verità. s. e. 32 Sulla restaurazione della medicina italiana. Dis- sertazione letta nell'accademia medico-fisica di Firenze V anno 1841 dal doti. P. Dupré so- cio corrispondente. Satius est nulla uti medidina^ {juam non indicata. StoU, R. M. ^iPuantunque volte pongo io mente allo stato in che trovasi in oggi la medicina, questa olire ad ogni altra bellissima ed utilissima disciplina, parmi di non errar lungi dal vero significando l' epoca presente , epoca di restaurazione. Perchè, a non ingannarsi più a lungo, è pur d'uopo confessare come questa nobi- lissima scienza condotta già ad infelici termini dal prepotente immaginare del patologo scozzese, e scissa e travolta da'vari addottrinamenti de'riformatori, più non offre oggimai che un informe assieme che male a mio avviso sistema denominasi, in contraddizione assai spesso co' suoi principii medesimi, e molto più co' fatti che la medica esperienza ne addita. Nel quale misero stato di perturbazione e di er- rore non senza grave rammarico da noi si rammenta come per lunga pezza una prava maniera di medi- care soperchiasse neiresercizio dell'arte nostra quella a noi tramessa con tanto studio pe' sapientissimi no- ReSTAUR. della MED. italiana 23 stri predecessori , e successivaraenle ratificata cl.illa esperienza di tanti secoli ; donde salita ad intolle- rabile orgoglio la nuova medica generazione , ebbe ben presto a scherno gli antichi nostri maestri : e successe perciò una gente, che rotta ad ogni intem- peranza si fé lecito tutto che le seppe buon grado; e con metodi violenti e arbitrari il correre delle ma- lattie all'intutto disordinò: per che quella instituzione clinica dal chiariss. Bocraave, posta a base di ogni medico insegnamento, addivenne in quell'epoca cri- tica il campo delle più ardite intraprese : e 1' uma- nità, fatta subbietto d'una sfrenata baldanza , soffrì tale strazio da non rammemorarsi il maggiore. Ma finalmente, la Dio mercè, logora e guasta dal tempo e dall' opposizione va a chiudersi quella scuola, che perduta dietro il fantasma deWuna e in- divisa eccitabilità, la essenza di tutte malattie, dalle istrumentali in fuori, entro leggi di fisico movimento, ed il metodo curativo entro leggi di fisica compen- sazione, slringnea. E mi gode assai l'animo mentre veggo, che per lo molto studio che molti pongono ne' libri d'Ippocrate e suoi seguaci , onde penetrare in quell'antica e veneranda sapienza, e per lo molto studio che molti adoperano nell' osservare le mani- festazioni morbose al letto degli infermi e le altera- zioni patologiche sì di struttura e sì di composizioni nelle autossìe cadaveriche, si viene a noi ridonando il conoscimento di quella vera dottrina, la quale par- mi che, a guisa di pianta che si rinnovelli, sia pre- sta ormai tutta a fiorire, onde compartirne que' frut- ti, di che fu sempre superba. E sì che que'primi, che intesero con tutto l'ani- mo l'impeto a frenare dell'incauta gioventù corrente 24 Scienze alla scapestrata dietro alle innovazioni indotte nel- la medicina . e che oggi intendono col più valido proposito a ristorarla, saranno onorati mentre durerà la medicina, e con essa l'umana spezie. E vogliamo più che ad ogni altro riferirne grazie e lodi a quel sommo ingegno del Buffalini, che il primo ha osalo opporsi e costantemente ha resistito alla prepotenza delle nuove dottrine, sostenendo vittoriosamente la medicina della esperienza; nel che si adoperò ei sem- pre in guisa, che col grave senno degli antichi si tem- perasse la troppo facile sapienza de'moderni ; molti de' quali disdegnando dal canto loro ogni correggi- mento, e quasi che quelle povere loro baie fossero cose piovute dalle ultime stelle, gridarono alla mala bestia contra il patologo cesenate, e dello studio del- la medicina un campo fecer di guerra, dove se non versossi il sangue e la vita, non si risparmiò certo la convenienza e la buona fama di alcuno. Sapientissima deliberazione per tanto e da tutti i buoni medici da gran tempo aspettata ell'è di ve- der modo come all'onore della medicina italiana sia per le migliori e più acconce vie provveduto. Que- sta splendida eredità, a noi più che ad ogni altra na- zione da' nostri padri greci raccomandata, a chi me- glio stava di guardarla pura ed intera , se non agli eredi medesimi , ed a quella felice parte del globo che ne fu la prima depositaria, e che con tante no- bili fatiche e studi non pur ce l'ha conservata, ma nobilitata e cresciuta per opera di que' chiarissimi in- gegni che co' loro scritti a quell' onore l'hanno re- cala che nessuno mai le negò ? E non ci dorremo noi di averla sì malamente guardata questa splendi- da eredità, quando dissipata vilmente e posta in non ResTAUR. della MED. ITALIANA 25 cale , giungemmo a posporle una merce straniera , che barattata in varie guise e per varie mani, si spac- ciò alla perfine col fastoso titolo di nuova dottrina medica italiana ? Commendevole adunque e per tor- nar utilissimo è l'affannarsi di molti nell'opera del- la restaurazione della medicina italiana, onde rimet- terla per quella via che follemente smarrì. Ma per- chè ella si paia ad ognuno, qual'è, necessaria e do- vuta, e perchè ella muova di là appunto onde tra- sviò, importa assaissimo il determinare lo stato pre- sente della medicina italiana; dopo di che si faran manifeste le cause che l'hanno portata al suo deca- dimento, e ne emergeranno eziandio i mezzi più ac- conci per ritrarnela. E tale è l'intesto di questa mia dissertazione. Il determinare lo stato presente della medicina italiana la non è mica cosa di si lieve momento , come alcuno se lo potria figurare. Sebbene, a dire il vero, a me pare egli lo stato dello sfinimento dopo un esercizio portato tropp' oltre le forze. Perchè a que' caldi sostenitori delle nuove dottrine accadde pur troppo quello che Tacito narra essere accaduto a Quin- to Aterio ; che dove sopravvenne la industria e la meditazione de' buoni, tosto quel suo sonante fiume con lui medesimo si dileguò. Ond' è che come al tempo di Celso, cosi in oggi va la medica famiglia divisa in tre partiti, o fazioni che vogliam dire. L'una è di quelli che tenner saldo alle innovazioni de' ri- formatori, e fedeli si stettero alla medicina de' pa- dri nostri ; i quali co' loro scritti e col loro esem- pio molti de' medici richiamarono dal torto sentiero, ed oggimai son presso al meritato trionfo. La seconda è di quelli che, vergini di ogni scienza e di ogni ar- 26 S e 1 E N Z K te, mascherano la loro ingnavia ed ignoranza sotto il vanissimo titolo di medici pratici, ben degni di es- ser confinali laddove condannò l'Alighieri « Que'scia- gurati clie mai non fur vivi.» Questi cotali sono stra- nieri ad ogni mutamento, abitatori di una sola me- desima età: che vanno alla decrepitezza ed alla im- becillità senza esser mai giunti alla condizione civile della loro medica carriera. Se non che veggonsi pur troppo di frequente strascinati senza opposizione, e quasi inscienti, dalla foga delle opinioni predominan- ti : perchè tra costoro puoi ben trovare i più fa- natici brunoniani e i più impudenti controstimolisti; medici della giornata, persecutori de'sintomi, che vaa condannali qual già li condannava al suo tempo il chiariss. Celso. Veramente non sarebbe piccola co- modità il poter medicare a grado, senza guardar a leggi né a precetti ; e questo sarebbe per lo meno speziai privilegio a nessuno in nessuna arte finor con- ceduto. E tutti i chiari medici nello studio e nell' esame delle altrui osservazioni si travagliarono assai, e altrui sempre la medica educazione in sugli otti- mi raccomandarono strettamente per necessaria. E chi sarà di così poco senno che voglia ristringersi en- tro la sfera angustissima de' propri sensi , o ristarsi a quelle meschine primizie nello studio scolastico , Dio sa come, conseguitate ? Ma tal sia di loro: né giova occuparsene di vantaggio. La terza in ultimo è di quelli che, abbacinali dalle nuove dottrine, passarono dai vessilli di Brown. a quelli di Tommasini e di Rasori, e si assunsero il nome di riformatori : i quali a non ricredersi ben si stan forti a' loro principi], ne vogliono indietreg- giare per qualunque argomento che loro si adduca ReSTAUR della MED ITALIANA 27 in contrario; avvegnaché non si credano così lungi da quella medicina che eterna vivrà, come lo sono difatto. Da non far maraviglia se francamente viene nel bullettino delle scienze mediche di Bologna per l'anno 1840 asserito: Non mancar d'argomento a di- mostrar la rettitudine dell' italiana patologia , e la ingiustizia di coloro che tutto giorno e senza cogni- zioni opportune muovono contro di quella insussi- stenti censure. Ed il prof. Valorani, in un suo di- scorso indiritto a' suoi discepoli nel terminar dell'an- no scolastico i838, assai si adoperava a far conosce- re i pericoli delle nuove dottrine che tuttodì si cer- cano d'introdurre; raccomandava loro di stare sull'av- vertita per non esser sedotti dalla fallacia delle ap- parenze, dalle lusinghe delle promesse, dalle attrat- tive delle novità; ed alla loro vigilanza e custodia raccomandava caldamente la medicina italiana, quel- la medicina italiana , egli dice, la quale nella pu- rità e semplicità de'suoi dettati è sì strettamente vin- colata alla medicina de'padri nostri, che ben può dir- si esserne una diretta e legittima dipendenza. Ora questa medicina italiana, di che muove pa- rola il Valorani, è ben quella istessa che il Tom- masini chiamava figlia legittima del riformatore scoz- zese: quella stessa che comunemente appellasi Dot- trina eccitabilistìca o (ìe' Bruno-riformati : queir la istessa che il prof. Medici non ha molto si per- suadeva di portare a conciliazione colla dottrina de' clinici toscani; nel che vanamente si adoperò, non potendosi ravvicinar cose che di loro natura vanno disgiunte. Il perchè a determinare lo stalo presente della medicina italiana, come la è dopo la subita ri- forma, fa bisogno, se mal non mi avviso, definir s'el- 28 Scienze la sia, e quanto vicina o lontana dalla sua vera for- ma, ch'ella aver dee e ch'ella ebbe certamente allor- quando fiorì; secondo, che la maggiore o minore per- fezion delle cose dimora nel piià o meno partecipar della forma lor naturale. Ora quale fu la vera forma che assunse dalla natura la medicina ? Indaghiamolo nella istoria. La medicina, dalla sua prima origine figlia della neces- sità, non già del capriccio o di altra vaghezza di sa- pere, fu in que' primi tempi povera e dimessa, quale si convenia a gente come sfornita di grandi aiuti , così lontana da grandi vizi. E non apponeasi al ve- ro certamente Cornelio Celso allorché dicea, che a fronte di pochi aiuti trovati a soccorso della salute, buona tuttavia se la godessero que'buoni uomini pe' loro costumi non ancora guasti dall'ozio e dalla lus- suria. Posla quindi attenzione , così come occorre- va, a quello dal quale nocumento e malore si avea, ed a ciò di che usando, conseguiva profitto e salu- te, si venne a poco a poco alla conclusione del nuo- cere di alcune e del giovare di altre di quelle co- se che ne circondano. Cosi d'osservazione in osser- vazione, e da pivi casi particolari ad alcune generali illazioni passando, si scese a buon diritto a regole ed a precetti : con che fermossi , nella maniera che si parca la più acconcia, e come guardar la salute quan- do ella tengasi buona, e come provvedere a' malori quando la si sia per qualche guisa perduta. Le qua- li regole furono consegnate in prima alla tradizione, e poscia iscritte su tavole si conservarono a perpe- tua utilità, quasi tenesser del divino, ne'templi: do- ve Ippocrate con genio maraviglioso si fé a scernere tutto il vero di che v'era dovizia. Cui aggiunto tutto RlSTAUR. DELLA MtD. ITALIANA 2n che avea egli di proprio, che non a poco montava, fondò quella medica sapienza, che ritratta da meto- do severamente analitico, e da clinico esperimento me- nata, non fu poscia potuta non che oscurare, ma né agguagliare giammai. Fu ella infatti sì veramente pri- vilegiata, che sempre che fu negletta, o posposta ad altre dottrine, mancò del più valido sostegno l'infer- ma umanità: e tanto la medicina apparve men buo- na e più sconcia, quanto meno sentia di quella ip- pocratica sapienza. Infatti Areteo, come bene avverte il Puccinotti, ricercando tutto il fatto in addietro ed il fondamen- to empirico della scienza, presto si avvide che que- st'ultimo aveva sofferto non poco attraversando sem- pre le teoriche da Asclepiade sino ai pneumatici : e che era mestieri ristorarlo, se si volea che della teo- rica si giovasse come di cosa accessoria e di aiuto interpretativo, e non si perdesse in lei interamente. Ristabilì adunque la osservazione e la descrizione de' morbi alla maniera ippocratica, e con ingegno e fé- deità tale che si rese in questa parte insuperabile. E così per opera di Areteo la medicina italiana fu restituita alla sua forma naturale, che Ippocrate le avea data in Grecia, ove si può dir che nacque, creb- be e si fé grande per modo, che né per volger d'an- ni , ne per mutarsi di cose non andrà mutata però giammai. In mezzo alle dense tenebre che coprirono la terra per ben cinque secoli , e vi estinsero ogni lume di lettere e di scienze e di arti, la medicina ella pure incontrava la medesima sorte, ravvolgen- dosi tutta lacera e sconcia tra le brutte pratiche del- ia magia e della astrologia. Ma come lo spirito uma- no, solcando con qualche raggio di luce la notte della 3o Scienze tarljarie e dell'ignoranza giunta al colmo nel deciaKy secolo , risorse a novella vita , la medicina non si stette dimenticata o in dispregio: che gli arabi la col- tivarono i primi e ne diffusero il genio per tutta Eu- ropa. Ma in quella avversila di tempi e di circostan- ze ella venne abbandonala ai folleggiamenti ed al- le superstizioni , da cui fu pur forza ritrarla colla divina sapienza d'Ippocrate : onde dalla tenebrìa del- lo scolasticismo fu a poco a poco riportata a quel me- desimo fondamento empirico, che a base della me- dicina fu già posto, come si disse, dal sommo vec- chio di Coo. E così poi da Sydenam e da Baglivi, l'uno insignito del glorioso nome d'Ippocrate ingle- se, l'altro di quello d'Ippocrate italiano, venne alla medicina ridonata quella dignileì che ella si avea per- duta quando venuto era a schifo lo studiare in sulle opere eterne di quel grande. E sì valse l'esempio , che tutti i grandi medici delle età posteriori si fecer forti sui volumi d'Ippocrate, ed appellaronsi dal loro divino maestro medici ippocratici. Dunque l'epoca in cui visse e fiorì Ippocrate fu ella veramente, nella quale si giltarono le fondamen- ta della vera medicina: le quali stetter ben salde per tanti secoli fino a noi , e nella quale assunse ella quella forma che non può esser diversa, poscia che dalla natura medesima le fu compartita. Perchè a me pare che le nostre cognizioni bensì progredissero a una meta sempre plìi avaali: non avanzasse così l'aggrandimento di quel medico criterio che fu scor- ta all'invenzione del metodo eterno, a cui va debi- trice la medicina di tutta la sua preterita e presente granflezza. Per la qual cosa la medicina odierna ita- liana dee giudicarsi raen buona e meno partecipante ReSTAUR. deliba MED. ITALIANA 3l della forma sua naturale, quanto più dal fondamento empirico ippocratico si scosta. Fermata e posta in sodo la vera forma che la medicina aver dee, e ch'elia ebbe sotto Ippocrate, ri- mane a specificare di quanto la nuova dottrina medi- ca italiana da'principii della scuola ippocratica dissen- ta. Nel che ci adopreremo senza grande spendimento di tempo, discorrendo soltanto i principii fondamentali d'ambe le scuole: molto ben persuasi, che dove vacil- lino e caggiano le fondamenta, non pur l'edificio che sopra vi è posto, ma quantunque sorta di ornamenti, come che splendidi e di bella foggia, dee rimanerne guasta e distrutta. E ciò tanto più volentieri, in quan- to non è nel mio proposto il confutare distesamente i principii della odierna medicina italiana: ciò ch'è sta- to pur fatto da altri ad esuberanza; ma solo dimostra- re, come per via di fatto, se realmente e di quanto ella si scosta dalla medicina ippocratica; con che ap- punto e per diritta via giungiamo allo scioglimento della proposta quistione. Il primo punto, il principalissimo di tutti, per il quale la scuola moderna dissente dalla ippocra- tica, ragguarda il concetto della vita; che dove tut- ta passiva viene enunciata dalla prima, si estima dal- la seconda reggere e manifestarsi per un'attività tut- ta a lei propria. E colai punto di discrepanza non. è certo così da poco, che non importi alla scienza della medicina grandissima briga. Anzi insorge di là, se mal non m'appongo, quasi che dirittamente la op- posita indole d'ambe le nominate scuole. Ma faccia- moci a intendere più chiaramente su tal proposito. Posto è a base della nuova dottrina medica italiana, come lo era di quella donde legittimamente ella emejr- 3a Scienze se, rinsegaamento dell'esser la vita un moto, od ecci^ tamento, in cui mettonsi i corpi organizzati passiva- mente la mercè di esterne potenze agenti su loro. Ora queste potenze, che colla loro azione sui corpi orga- nizzati inducono questi al moto od sXV eccitamento, furono appellati stimoli: e determinossi col vocabolo eccitabilità quel non so che, per cui i detti corpi son resi capaci a ricevere quelle azioni e ad entrar quindi in eccitamento. Il quale perciò è mai sempre un effetto, un risuUamento necessario, proporzionato al valore della eccitabilità e degli stimoli che la in- ducono al moto. Ridotta a tai termini la cosa, non fu poscia difficile lo statuire le leggi, alle quali piegas- sesi la eccitabilità, come fu immaginato da Brown e come fu dalla scuola italiana fedehnente ripetuto. Ne il Rasori traeva un nonnulla dal falso concetto della vita, già compendiata da Brown, coll'insegnare che non tutte le esterne potenze agiscono al medesimo modo: avvegnaché, secondo esso, altre agendo accre- scano Veccitamento, altre lo sminuiscano : azioni op- poste che dinolaronsi ,co'verbi stimolare e controsti- mola?'e, contrarie in tra loro per guisa, che dall'azio- ne delle une venga distrutta l'azione delle altre, e per contrario. Perchè nella riforma pur rasoriana conservossi nel concetto della vita l'idea di uno sta- to passivo, che non fu tolta né anco per le modi- ficazioni addottevi del prof. Medici di Bologna. All'incontro la scuola ippocratica fermava l'al- tissima dottrina dell'attività della vita , esistentesi e raanifestantesi per propria virtù, sol dipendente dalle cose esteriori che ne circondano, per lo legame ne- cessario in che ella è colle medesime, sotto l'uffizio della nutrizione, ossia del commutaraento perpetuo ReSTAUR. della MED. ITALIANA 33 della materia, a cui ella si annelle. E le cose este- riori tenderebbero con forze del tutto opposte i cor- pi viventi a condurre al governo della comune ma- teria ; ma questi in virtù di que' poteri comunicati loro da quella organica costruzione, cioè a dire del magistero della vita, resistono non pure alla loro in- cessante azione, ma reagiscono su di essi, e si ren- dono proprio del mondo esterno quanto è necessario alla loro riparazione , ripudiando ed alla comune materia rispingendo tutto che sotto l'esercizio della vita bassi renduto logoro e insufficiente alla lotta ove son posti. Pertanto in questi due momenti d'azione e di reazione è di vero riposto il carattere essenziale della vita organica: e per tal guisa si è mai sempre considerato un corpo vivente come un piccolo mon- do a se, fatto centro a se stesso, e conservandosi e sviluppandosi in opposizione alla materia universale. E ben gli antichi a ragione aveano concepita quella lotta del raicroscopo, o piccolo mondo, contri) il ma- crocosmo o gran mondo; veduta sublime che addi- mostra quanto vadan errati coloro che ridono gli an- tichi, e francamente asseriscono esser loro del tutto ignorato il gran magistero della vita; onde poi si vor- rebbe che una delle maggiori assurdità concepite da mente umana sia appunto l'idea della vita come una lotta tra le leggi ond'è governala la comune materia, e quella onde si reggono i corpi viventi. Ma così è, e così sia, e contro il fatto è vana ogni ciancia. Ed è pur bisogno convenire colla scuola ippocratica e con quanti ne furon mai seguilatori, che la materia animale vivente e certamente di tal modo costituita, da contenere in lei stessa una cotale tendenza a re- sistere agli impulsi di decomposizione , non che a G.A.T.XCVI. 3 34 Scienze riordinarsi e ricomporsi quando egli vi abbiano pro- dotto una qualche alterazione: all'Isfesso modo che nelle declinazioni dell'ago magnetico evidente si scor- ge nel medesimo la tendenza all' equilibrio ed alle regohiri direzioni. L'unità e l'indivisibilità furono gli attributi dalla scuola brunoniana concessi all'eccitabilità : Cui in- sita incltahilitas non in alia sedis parte est^ nec ex partihiis constai, sed una toto corpore et in- divisa proprietus. Pe'quali attributi fu posta ognor più la dottrina moderna della vita in contraddizione coi fatti , ed in contrasto con quella degli antichi. Guidati infatti da sana ragione aveano essi ben po- tuto osservare, che gli organi di nostra macchina so- no donati ciascuno di diverse vitali proprietà, nelle quali dimora la vita speciale di ognuno , e per cui la funzione del fegato non è quella dello stomaco, ne l' orecchio agisce allo stesso modo dell' occhio e del naso. E noi possiamo osservare il medesimo fat- to neir andamento de' processi morbosi , nell' isola- mento de' quali veggiam manifesta la indipemlenza delTun organo dall' altro. Niuno dubitava però che per il bisogno della riparazione, e quindi per lutto il processo dell'organica assimilazione, gli organi di nostra macchina fossero tutti insieme connessi, e 1' uno dipendente dall'altro e l'uno per l'altro esisten- te, E cos'i le vile separate di ciascun organo repu- tavansi collegale insieme a formare un tutto di vita, sigoifioato dal divino Ippocrate in quella sublime sen- tenza : Consensus unus, consentientia omnia. Par- ve sentir diversamente da Brown il Toramasini, al- lorché insegnava, che la eccitabilità era modificata variamente ne'vari organi, e che da queste modifica- ReSTAUR. della MED. ITALIANA 35 zioni si doveano le limitazioni e le varie unioni de' fenomeni organici, e le altitudini particolari di tutti i diversi organi derivare. Fu la evidenza del fatto, olle suo malgrado lo portò a contraddir se medesi- mo e a crollar egli stesso l'edificio dalle fondamenta; mentre, come ad esuberanza lo provò il Buffalini, sul- l'una e indivisa eccitabilità posano e si adagiano tut- te le dottrine tommasiniane. Ed è assurda cosa l'am- mettere una e indivisa l'eccitabilità per tutto il cor- po, e al tempo medesimo modificata variamente nel- le sue diverse parti. Altro punto di discordanza tra l'odierna medi- cina e l'antica egli è questo : che laddove gli anti- chi moltissimo ai liquidi del corpo vivente tribuivan di vita, i moderni tutta l'hanno concentrata ne'soli- di : per che la nuova dottrina medica fu ben anco del titolo di solidismo donata. La si è traportata sen- za dubbio la medicina umorale ( dicea Bichat in epo- ca di solidismo esclusivo ) , ma ella non manca di fondamenta : ed in una moltitudine di casi è pur for- za convenire, che tutto debbesi a'vizi degli umori ri- ferire. Tullavolla l'umorismo andò lunga pezza con- dannalo senz'appello: ed i fatti, che lo potevano far rivivere, o passavano inavvertili, o a disegno veniva- no negligentaii. lira però facile oggimai il prevedere che riprodottisi questi fatti più volte , ed esaminali con meno di prevenzione, il solidismo puro verreb- be alla fino gagliardamente rispinto, allorché indarno si gisse per esso, onde rinvenire lo scioglimento di tante quistioni rimase finora insolute. Il movimento retrogrado adunque verso l'umorismo è pure conse- guenza naturalissima dell'andamento dello spirito di scienza. Si cessi pertanto dal dispulare sulla vita del 36 Scienze sangue, se non si confonda la vita col movimento, ror£;ano colla forza organizzante. Certo riporlandosi alla dottrina della eccitabilità non è possibile al san- gue dar vita ; perocché questa insorge dall' azione degli stimoli sulla eccitabilità', e siccome Teffetto di quesl' azione consiste sempre , secondo Brown , nel senso, nel movimento muscolare , nell' azione della mente e nelle emozioni, così l'eccitabilità non può aver sede nel sangue, ne il sangue senza reccitabi- lilà può esser dotato di vita. Ma noi ritornando all'idea della vila, come ne la trasmisero nella loro sapienza gli antichi, non tro- veremo un nonnulla che ne impedisca di concepir la vita nel sangue : ne varrà l'opporre che questo flui- do non ha organizzazione, e che dove questa non è, non sono pure manifestazioni vitali, o fenomeni di vita. Imperocché se per organizzazione vuoisi inten- dere eselusivamente quella tale disposizione di mo- lecole, onde si configura il solido, sarà ben forza il dichiarare incompleto ed inetto il significato del vo- cabolo riferito , avvegnaché 1' organo si confonderia per tal modo colla organizzazione. Ciò è sì vero, che ove si seguiti la serie degli esseri viventi, tosto parrà lo sminuire degl'istromen- ti delle funzioni vitali, e così nel numero come nel- la complicanza, in ragion che si discende : ed in fine cessar per intero, senza che perciò cessi di nulla la vita. Si tragga ragione dal seme vegetabile, e dalla goccia liquida ch'è il primo gettito dell'embrione ani- male, e vedrassi che in colali parti meno assai chii nel sangue trovasi orma di ciò che dicesi organizza- zione. Vuoisi da ciò inferire, che dove pur mancano forme, solo alle quali è usanza lo attribuire vita, si Restaur. della MED. italiana 37 operano azioni vitali, alle quali per manifestarsi non è certamente bisogno di certe cotali condizioni, in che venga compartita la materia: conciossiacchè l'os- servazione tuttodì, e in ben mille e cento casi, a que- sto ne mena, che la vita rivelasi a noi in generale non per via delle forme, bensì per quella delle fun- zioni. Anzi quella condizione, per cui si ha vita, si va a perdere quanto più ci avviciniamo allo slato di solidità: perchè incontra, che in tutta la natura la ri- gidità sia l'emblema della morte. Onde conseguita, dice con molto senno l'Huffeland, che uno de'mag- giori errori che si possano commettere in patogenia, egli è il considerare il sangue come se non apparte- nesse alla organizzazione: come se egli non costituis- se, tanto essenzialmente quanto le j^iarti solide, la vita interna dell'organismo: considerandolo semplicemente come un fluido che circola meccanicamente, e tutto al più come una potenza stimolante esterna, e ne- gandogli ogni suscettività morbifica. Quanto è certo che il sangue è il primo grado, la prima forma del- la vita organica , e che contiene la base principale del di lei carattere e della di lei manifestazione, al- trettanto egli è vero il dire ch'esso racchiude la ca- gione fondamentale di molte malattie. Ma i moderni, i quali avevano ai fluidi ed al sangue negata ogni vita, non indugiarono a negare potere in loro stabilirsi la sede di alcuna malattia. Ed anche per questo vennero a discordar dagli an- tichi, i quali tenner mai sempre che i fluidi anche essi sono capaci di costituirsi in istato di malattia. Laonde Rostan, rivendicando alla medicina ippocra- tica contro i moderni anco questa parte essenziale di dottrina, ragionava a proposito in cotal guisa: « I 38 Scienze nostri organi non sono formali soltanto d'elementi so- lidi; entra nella loro composizione una quantità mag- giore dei fluidi : questi fluidi sono combinati co'no- stri tessuti, rinchiusi in vasi ne'quali circolano, e in cavità nelle quali stagnano. Detti fluidi per certo non sono semplici e indecomponibili. Ora in virtù d'una legge immutabile della natura tutti i corpi composti sono suscettivi d'alterazione, di decomposizione: detti fluidi dunque son atti ad alterarsi. I solidisii puri pre- tesero che, essendo i fluidi sempre il prodotto del la- vorio d'un organo, debba questo essere alterato in- nanzi al fluido. Ma è facile intendere quanto sia mal fondato un tal ragionamento : imperocché supposto anche che tutti i fluidi sieno il prodotto d'un lavo- rio d'un organo , nulla impedisce che una morbosa cagione agisca direttamente sul fluido separato con- tenuto in vasi o in particolari serbatoi senza agire su essi vasi o serbatoi. » Ma del ragionamento vengo- no a conforto ben molte prove di fatto , che con- fermano e mettono in sodo, assai spesso le alterazio- ni morbose de'fluidi, ed in ispezie del sangue, essere non pure reali, ma eziandio primitive e causa prin- cipale de'fenomeni, di che si compone la forma mor- hosa di molte malattie. A quel modo , che i moderni riformatori im- presero a dimostrare come tutte quante elle sono le malattie da eccitamento muovono sempre dal disor- dine de'movimenti vitali ; o almeno che fra la par- te sensibile di questi e le intrinseche mutazioni del composto organico non sia differenza alcuna; giun- sero così di leggieri a questa conclusione : Che ogni maniera di malattie universali s'ingenera nella stret- ta ragione del perturbarsi del moto, in aumento cioè ReSTAUR. della MED. ITALIANA 3g e in diminuzione; donde provenne la celebre dollri- na delle diatesi da eccesso e da difetto di slimolo. Ma non videro intanto quanto poco al medico im- portasse il tener conto de'moti, pe'quali si va in ma- lattia : moltissimo importare allo incontro il conosci- mento delle proprietà, che il corpo può avere acqui- stato passando dallo stato sano a quello infermo. Le quali nuove proprietà traendo da alterazione della ma- teriale composizione del corpo, è appunto fin là in che dee spingersi la indagine del medico: almeno per quanto lo si possa nell' attuale nostra condizione. Intanto però la via d'alterarsi della materiale com- posizione del corpo è molteplice: uè fra queste ma- teriali alterazioni e quelle de'movimenti organici vi ha così stretto legame, che da queste si possa argo- mentare di quelli : perchè la scuola ippocratica, affi- data mai sempre al fondamento empirico delia scien- za, e avversa di suo instituto a dar vita e motu alle astrazioni , dissente anche in questo principalisslmo punto di nostr'arte dai sistematici moderni, sostenen- do la pluralità e specialità de'processi morbosi. Che se nel falso concetto della vita l'ipotesi del noì'tnale eccitamento non valea a dichiarare per nulla la pro- pria ragione di alcun fenomeno vitale , assai me- no in mia fé' potria l'eccesso o il difetto di esso ec- cittìmento mostrare la propria ragione di alcuno sta- to morboso. « I posteri, si querelava a buon diritto il Roslan, stenteranno a credere che a'nostri dì siasi vo- luto tener forte, che non esiste se non una sola ed unica malattia, e che per conseguenza non debba far- si se non una sola e medesima cura. » Di tale stra- vagante proposizione noi certamente saremmo ma- ravigliati, se non avessimo tutto giorno inteso affer- 40 S e I L N Z E mare, e se non avessimo le bon cento volte letto noi medesimi, che la peste e l'appoplesla , il vainolo e la flussione di petto, l'epilessia e la tigna, la rabbia e la zona, non sono se non leggieri graduazioni di nn'affezioiìe sempre la medesima. Sapeva per l'addietro il patologo, dice il Buffa- lini, esser ne'mali certe nature particolari e specifi- che: onde altro era per lui la febbre periodica, altro la febbre gastrica, altro la petecchiale, altro lo scor- buto, altro la flogosi, altro l'empitigine, altro l'ipo- coiulriasi ec, e quando non iscorgeva corruzione di umori trascorrenti per tutta la macchina , come la dottrina degli ultimi tempi insegnava, soleva cercare la sede de'morbi in qualche organo o in qualche si- stema. Ora i nostri sistematici italiani col loro claa- lismo diatesico si emanciparono dalla incomoda leg- ge delle particolari nature delle malattie, nò più la slessa importanza offrì loro la diversità di sede delle medesime. Anzi, andando via via sempre più oltre nel loro modo di astrarre e di generalizzare, portarono la cosa a un termine, che dov> in Francia Tirrilazione fu il tipo ed il punto di origine di tutte quante le malattie, in Italia lo fu la infiammazione : perchè si proverebbe assai grande fatica a trovar ne' prospetti clinici trai mille un esempio , che infiammazione o sequela di essa non fossevi dichiarata. Così questo vo- cabolo, che creato nella infanzia della scienza, co- me dice l' Andrai, e tutta metaforica, fu ricevuto a rappresentare uno stato morboso, nel quale le parti sembrano bruciare, come se fossero state esposte al- l'azione del fuoco, fu propagato nel linguaggio me- dico moderno con tale estensione e potere, che finì con significare in varia guisa ogni processo morboso ReSTAUR, DELr,A MftD. ITALIANA ' 4* rtualiinque, con sola la distinzione d'infiammazione acuta e lenta. Anzi i riformatori italiani non si stet- tero a questo : ma la dissero la infiammazione , in grazia dell'esaltamento a cui chiama i poteri vitali, creatrice e formatrice di tutte le produzioni acciden- tali ed anomale; ed in ultimo, alzando l'infiammazio- ne a grandi confi:onti con altre maravlgliose ma fi- siologiche e salutari operazioni della natura, asseriva il Tommasini che 1' utero gravido presenta i passi successivi come di una infiammazione, e di quelle in- crescenti vegetazioni che sono ne'visceri il prodotto di uno slato flogistico. Giusta le ingegnose deduzio- ni, prosegue egli, e le osservazioni di un mio ami- co illustre il celebre Onofrio Scassi , la membrana dell'utero, detta decidua dalPHunter, non d'altro è il prodotto che di una specie d' infiammazione na- turale. Il vero è ch'egli, troppo più che alla bisogna si convenia, si è in cotal guisa camminato all' innan- zi : ed importa or più che mai il dichiarar coU'An- dral , la parola infiammazione esser voce così fatta- mente vaga e di lato senso, da non opporvi quin- ci innanzi valore alcuno. Ella è oggimai alla condi- zione portata di vecchia moneta senza l'impronta, la quale vuol esser tolta dal corso, perchè, tenuta sic- come corre al presente, confusione ed errore e non al- 1 tro ne condurrebbe. Dove, volendo pure usarle alcu- j na benignità, la si può ritenere ad esprimere un fe- nomeno composto, il quale comprende molti altri fe- nomeni, la cui dipendenza non è necessaria ne co- stante. Ma non è mio offizio d'intertenermi più a lun- go su tal subbietto, e procedo senz' altro a conclu- dere : che noi pure desidereremmo con essi che non 42 Scienze esistesse se non se una malattia, oJ anche che il nu- mero di esse si ristringesse entro i limiti del duali- smo diatesico : ma disgraziatamente la cosa è bea lungi dall' esser così com' è in essi insorta fiducia ; e la specie umana va esposta, secondo che il fatto lo mostra, a buon numero assai di differenti e partico- lari affezioni. Se al patologo, guidato dall'esperienza clinica, fu bisogno concedere a' morbi certe singolari nature , il terapeutico dovè tosto vedere singolari nature ne' rimedi; che questo discendea come legittima conse- guenza da quello. Per la qual cosa la scuola ippo- cratica, che aveva insegnato la pluralità e spezialità de'processi morbosi, ritenne come dimostrato la plu- ralità e speziale indole de'rimedi : perciocché se al valore di questi si dovea la guarigione de'morbi, es- sendo questi ben vari d'indole e numero, e vari pur essi d'indole e numero dovean essere i medicamenti. All'incontro la scuola de'rifonnatori, dopo aver tutte le malattie ristrette entro il daalisnio diatesico, com- prese nel dualismo terapeutico tutte le sosinnze me- dicamentose. Quindi i medicamenti, creduti acconci per le malattie a diatesi di stimolo, furono chiamati controstimolanti: e quelli, che si opponevano a mor- bi giudicati di diatesi di controstimolo, si appella- rono stimolanti ; cosicché raggirandosi in un circolo vizioso, come ben riflettea lo Spallanzani nelle sue lettere critiche, le diatesi si provarono per gli sti- moli e i controstimoli, e questi per le diatesi; ada- giali pienamente all'assioma : Contraria contrariis curantur. Ed eccoci ad altro punto, per il quale la dot- trina ippocratica disconviene da quella degli odierni ReSTAUR. della MED, ITAI.IAliA 4^ rlforinalori; la quale è pur differenza di sommo gra- do, da che l'una ritiene a suo fondamento l'azione molteplice ed elettiva de'medicaraenti: l'altra conce- de a'medesimi sola l'azione dello stiniolarr e del con- tro stimoì are. « In cotal modo, dice il profondissimo Buffalini, tutte le maravigliose e variatissime opera- zioni delle macchine viventi erano ricondotte a sem- plici e generali principi! : così l'intelletto discarica- vasi del grande imbarazzo di tener conto di tanti par- ticolari e minuti avvenimenti: e così regole generali come fornivano al fisiologo la spiegazione di tutte le funzioni de'corpi viventi, al patologo accennavano le prime origini de' morbi, e al terapeutico indicavano le poche generali azioni de'rimedi da opporsi a cia- scheduna di esse. Ristretta pertanto ne'termini del dualismo te- rapeutico la suppellettile di tulle le sostanze medi- caraentarie, non si pensò più ad aggi edire co'rimedi dirittamente la parte piìi lesa, e si stette contenti di operare sopra qualunque parte di quella onnipossen- te forza che fu detta eccitabilità., perchè il metodo curativo chiamossi di compensazione, e fu creduto su- scettivo di tale esaltezza da potervi applicare il cal- colo aritmetico, come lo propose il Rasori. Negligen- tata COSI e smarrita la sapienza diagnostica, non che la scienza delle specifiche azioni de'rimedi , si pro- cedeva alla cura delle malattie alla maniera poco ap- presso de' chimici, i quali in forza de' loro reagenti giungono a discoprire le sostanze che si stanno ce- lale entro un composto. Questi reagenti delle moder- ne scuole, adoperati a svelare il fondo delle diatesi ed il grado delle medesime, si conoscono sotto il no- me di misuratori delle diatesi: e per quella di sti- 44 Scienze molo venne impiegato il tartaro emetico, e per quet« la di controstimolo l'oppio, od anche in inversa ra- gione, ritornando a quella prova delle diatesi cogli sii* moli e coi controstimoli ^ e di questi con quelle. E perchè nell'andare innanzi nella cura e nel propor- zionarla non si eccedesse dall'un lato , non s'indu- giasse dall'altro, fu proclamata la celebre legge della tolleranza^ la quale valea a misurare il grado di ca- pacità della macchina costituita in istato morboso per una data spezie di medicamenti. Però colale edificio clinico, eretto e sxxWuna e indivisa eccitabilità, cioè sul falso concetto della vita, e sul dualismo diate" sico a gran pezza contrario alla medica esperienza, rovina giìi dalle fondamenta, e dà luogo di necessità alla dottrina delle azioni specifiche de' medicamenti posta in sodo sulla spezialità dimostrata dal fatto dei processi morbosi. Egli è oinai tempo, a mio avviso, che uno stu- dio più esatto sulla vita, così in istato di sanità, co- me in quello di malattia, tragga le menti strascinate all'illusione sulla pretesa diversità de'due medici si- stemi allopatico ed omiopatico, formali apparente- mente a basi del tutto opposte: il primo cioè al prin- cipio contraria contrariis cnrantur, il secondo si- mili a similibus, su cui si è parlato e si parla sen- za profitto alcuno. La medicina non ha mai diviso il j suo patrimonio, ed ella è stata e sarà sempre l'ar- te di ritornar la salute a chi l'abbia alterata per ma- lattia. Né una è certamente la via onde al suo fine perviene; ma sempre in questo limite, o agendo di- ritlamente sul principio morboso, come si fa col mer- curio contro la lue celtica, o movendo i poteri vi- tali ad una tale azione , che sieno poi capaci dopo ReSTAUR. della IVIED. ITALIANA 45 un conlr.islo più o meno lungo a liberar la macchi- na flal processo moi^boso che vi si era stanziato. Que- sta ullima maniera di medicare è la più adoperata, siccome quella che è quasi la sola a portata della no- stra arte nella sua grande limitazione. Ora non si ponno muovere cotesti poteri vitali così colla ragion de'contrari, come con quella de'simili ? Che quan- to alla scelta de'medicamenti sarà tanto più sapiente quel medico , quanto più agirà con mezzi diretti e specifici, fin dove il fatto clinico ne ha ammaestrati; che altra via per certo non havvi da quella della cli- nica esperienza in cotal maniera di cognizioni. Quan- to poi alle dosi, stolto, anzi reo, sarà egli quel me- dico, che non vorrà o non saprà proporzionare l'aiu- to al bisogno. Simili discordanze però non sarebbero, se l'at- tenzione de'medici, quando si occuparono della forza attiva de'medicamenti e degli effetti che seguono la loro amministrazione, non fessesi fissata unicamente sopra questi agenti. Egli, dice Barbier, trascurarono interamente il subbietto, sul quale questa forzasi e- sercitava: e ragionarono come se il corpo vivente si dovesse prestare d'una maniera passiva a tutte le mo- dicazioni che possono importargli le sostanze diverse che s'introducono entro di se. Perchè torna vano il cercare ne'principii costitutivi di un medicamento la ragione dei cangiamenti fisiologici suscitati dalla sua azione, quando questi cangiamenti sono operati dagli organi, e l'agente farmaceutico non n'è cl;e il pro- motore. Posta a base della dottrina medica l'attività del- la vita, non possiam più rifiutarci ad ammettere una forza raedìcalrice, e il fenomeno delle cris. che sono ^6 Scienze l'altro punto di discrepanza, e l'ultimo che noi esa- mineremo tra la scuola ippocratica e quella de'rifor- matori italiani. Medicus naturae ministeri disse Ip- pocrate, e lo ripeleron seco lui tutti que'clie segui- rono le sue tracce. Perchè trovandosi, come ben ri- flette l'Huffeland, in opposizione le sistematiche dot- trine, si può con ragione asserire, che bene spesso si ottiene nella cura delle malattie uguali effetti con mezzi contrari; e che perciò restar bisogna una volta persuasi, essere la natura quella forza che di molto agisce, e che nell'atto clinico il medico devesi limi- tare 0 a promoverne l'azione quando questa sia in- fievolita, o a moderarla se sia eccessiva, ed a rivolgerne in somma le direzioni ne'modi salutari. Latet , di- ceva il cel. Gian Pietro Frank . tam in animali , quain in vegetabili cor por e, ignotum principium , quod resectas partes restituita fractas^ separatas unii, noxia ablitit, im'ohit, separata expellit. Ora i moderni hanno riso gran pezza, e a loro agio, la buona fiducia alla natura medicatiice de'nostri anli- chl, ed hanno francamente asserito che il linguaggio di costoro manifesta una ignoranza completa della fi- siologia, e l'imperfezione loro nella terapeutica. Di- ceva egli pure il Tomraasini : a Non si sa come pos< sa esser ministra di salute a se stessa la natura in- ferma minacciata da pericoli e da mine Nello stato mortoso niuna utilità dehhesi aspettare dalla na- tura, perciò non esiste in noi, quanJo siamo colpiti da morbo, alcuna benefica mano che ripristini le al- terate e mutate condizioni organiche. » E questa ma- niera di vedere in medicina trae di là medesimamen- te, donde erano scaturiti tanti altri errori della no- stra dottrina medica italiana, cioè dal falso concetto ResTAUR. della MED. ITALIANA 47 della viia. Conciossiuchè la vila essendo un eccita- mento forzato in sequela dell'azione delle cose ester- ne vSuUa eccitabilità, e ramministrazione di tali cose essendo assolutamente nelle mani del medico, chiara cosa è che sì lo stato morboso e sì il sano, ed ezian- dio la facoltà di commutare l'uno nell'allro, sia tutto negozio di pieno diritto del medico. Infatti tutta qua- si la terapia delle scuole moderne in questo ristrin- gesi, che o si aumenti il grado dell'eccitamento, ove trovisi difettivo, o che si sminuisca, allorché si paia in eccesso; quindi una medicina operosa, inquieta e violenta, e lo adoperare incessantemente di mezzi in tutto perturbatori dell'ordine e dell'andamento natu- rale de'morbi. « Non intendiamo di qui riprodurre , diremo con Brera, la quistione sulle cause delle forze nie- dicatrlci della natura, ma solo di ricordare che il me- dico clinico non le può negare: e che se nel voler- ne indagare l'origine forse si oltrepassano i limiti d-l- l'inlendimento umano, nell'osservarne all'atto prati- co l'andamento e la direzione, felici sono i risulta- menti che si ottengono nella cura delle malattie. Co- sì la pensarono Ippocrate e i clinici tulli che ne se- guirono la luminosa pratica. I clinici attivi, operosi e non curanti di questo potere salutare della natu- ra, sono nella loro pratica molto meno felici di quel- li, che spettatori ed osservatoi'i pazienti contemplano con avveduta e saggia aspettazione il corso della ma- lattia, e lasciano, per così dire, maturare le indica- zioni, onde cogliere il buon momento per agire con- venientemente, sia promovendo le salutari operazio- ni, o tutelandole da ulteriori innormalità, sia tem- perandoae con prudenza e circospezione gli eccessi, 48 Scienze sia correggendoDe possibilraeute le deviazioni e le con- seguenze che potrebbero addivenir funeste. » La guarigione de'morbi e le erisi sono due fe- nomeni fra loro connessi a modo di causa ad effet- to , perchè queste antecedono quella costantemente. Ora la guarigione de'morbi si opera in virtù della na- tura medicai rice o spontaneamente, o aiutata dalla medicina. Che se pertanto alla risoluzione di ciascun morbo fa bisogno una crisi che la preceda e la de- termini, forza è ammettere che le crisi altro non so- no che modi diversi, onde la natura medicatrice ope- ra lo scioglimento della malattia, liberando il corpo vivente dall'incongruo principio che la costituiva. Per- ciò la forza medicatrice, le crisi e la guarigione dei morbi stanno tra loro in questa ragione : che la gua- rigione non potrebbe accadere se non si liberasse la macchina inferma di ciò che l'è addivenuto nocivo; e che una tale liberazione non avverrebbe altrimenti se uu potere efficace non ne preparasse i materiali e la via. Da ciò la ragione di unire sotto un medesi- mo punto di vista la considerazione della natura me- dicatrice e il fenomeno delle crisi. « Le crisi, scrive il Buffalini, studiate con par- ticolare attenzione e diligenza nelle scuole ippocra- tiche, e tenute dai solidisti per inganni di supersti- ziosa osservazione, non poterono certamente negarsi giammai dai clinici i più avveduti e sperimentati. Ba- glivi le trovava in Roma soggette alla stessa regola, che il sommo padre della medicina avea stabilito: e se frai moderni è più raro raccogliere esatte osserva- zioni rispetto al loro procedimento , debbono senza dubitazione accagionarsene i metodi ora usati di più energica cura, co'quali si disturbano le guarigioni per ReSTAUU. della MED. ITALIANA 49 molo spontaneo della natura. Il comparire però qual- che insolita abbondante evacuazione, e il venire umo- ri alla pelle, o farsi depositi all'esterno, e con que- sti espurghi sciogliersi tostamente malattie inveterate e ribelli, ovvero assai violente, sono tale maniera di fenomeni che diffìcilmente si può comprendere senza credere, che per tali vie abbia uscita una materia ve- ramente morbosa. Ciò non pertanto, lo dirò pure con sue parole, non sia alcuno che pensi essere io pro- penso ad ammettere tutta quella pomposa dottrina delle crisi e de'giorni critici, che formò per sì lun- go tempo la delizia delle scuole ippocratiche. Ma non so negare il debito assenso non che alle ragioni so- praddette, ma pure ai fatti, i quali tutto giorno pon- gono sott'occhio lo sciogliersi delle malattie con la uscita di qualche inconveniente materia, i» Intanto i moderni, non potendo negare i fatti, hanno impugnato la conseguenza: ed hanno difeso che la crisi tien dietro al miglioramento, non il miglio- ramento alla crisi. Sebbene in questo essi a gran pez- za si apponessero al falso : perciocché la è troppo ve- ra la osservazione degli antichi , che lungi dal mi- gliorare la condizione dell'infermo innanzi la crisi , succede invece in lui un inasprimento di tutti i sin- tomi; ed effettuata la crisi, ad un tratto senz' altra causa manifesta tutto questo infierir di sintomi, tutto questo tumulto cessa, e l'infermo entra in una cai- ma, di che non aveasi poco innanzi sentore alcuno. E diceva Ippocrate, il vero copista della natura: Qui- huscumque crisis, idest iudicatiojìt, his nox gva- vis ante accessionom: quar vero subsequitur, ma- gna ex parte levior existit. E tutto ciò avviene quando le crisi sono perfette: perchè se sortono elle G.A.T.XCVI. 4 So Scienze imperfette, siccome egli è indizio manifesto, che l'im- pulso della natura medicatrice a liberar la macchina del principio morboso è stato frustraneo, così ne va necessariamente o la recidiva o la morte a consegui- tare. Perchè nuovamente Ippocrafe : Qiiae relin- quuntur in morhis post iudicationem^ recidivas fa- cere con sue veruni. Io non posso spaziarmi più lun- gamente, e mi conviene conchiudere che il fenome- no delle crisi nelle malattie sì acute e si croniche è un fallo clinico da non si potere impugnare , ed è buona parie di dovizia dell'ippocratica medicina. Tutte colali cose ho io discorso, dirò quasi, di fuga per non allargarmi oltre i termini del mio pro- posto: e fin dove ho potuto ho cercato di farlo piut- tosto colle parole altrui, perchè il mio ragionare si confortasse dell'autorità di valenti scrittori, e perchè i piìi ritrosi al ravvedimento trovasser modo , onde provvedere oggimai alla loro estrema perdizione. Che mollo più vituperevole cosa è a credere che sia il dare in colpevole e dannosa ostinazione, anzi che ritrarsi sul buon sentiero smarrito per umana fralezza. E si vuo- le soprattutto cessare, se cotale scienza n'è pur ca- rissima , quel mal amore di noi stessi , che troppo di rado ci lascia confessare di avere smarrita la via, e gli scritti nostri condannare per difettosi, e rifarci indietro con nostra vergogna in quello studio , nel quale per avventura ci credevamo poter altrui esser maestri. Singolarissimo esempio ne lasciò in questo il Bioussais in Francia, il quale non meno de'rifor- matori italiani aveva alla medicina guasto interamente l'aspetto, e ridottala a quella forma sistematica, che ognuno ben sa. Ma buon tempo non si passò , che convinto il suo spirito dalla forza della verità, la qua- lÌESTAUR. DELLA MED. ITALIANA 5l le a'nobili animi o presto o tardi si mostra, la pri- ma cosa si confessò pubblicamente fino a quel punto ingannato. « E ingiustamente, dice il Rostan, que- sto suo ricredersi è paruto a parecchi difetto di fer- mezza e nelle opinioni e nelle osservazioni. Non è egli per avventura oltre ad ogni altra cosa a guar- darsi nel suo operato la saggezza e il franco animo, onde si è alla via della ragione renduto, fatto accor- to del suo smarrimento ? Ed abbenchè ogni sua opi- nione sia siala sostenuta con sommo caldo, e con tale una fiducia quasi che verità incontrastabile fosse, gii uomini sapienti non dubiteranno a dichiarare essere egli questo un trionfo di filosofica dubitazione, n E così fanno gli uomini più della verità amanti che. di se stessi. Ma quanti ne troverem noi ? E quel che v'ha di peggio si è, che la foga della moderna medicina, avendo a parecchi dato credito e nome, vi ritien gli animi loro e de'loro seguaci ferocemente attaccali. Ma qui io voglio avvertiti coloro che leggeran- no , che quantunque io abbia detto e dica , che la vera medicina si dee per noi prendere per prima cosa da Ippocrate, e da coloro eziandio che con tanto sen- no il seguirono più da presso, non dirò già per que- sto, che troppo più alla perfezion di nostr'arte non ci bisogni. E questo è ben da fermarsi: perchè non si creda volere io negare ogni merito allo studio me- dico de'moderni, e poter pure da essi ritrarre un non- nulla di bene alla scienza , alla quale parecchi dei più severi, e inorgogliti tropp' oltre sul loro decadi- mento, vorrebbono non altro da essi importato, che nocumento e rovina. In verità molti fatti relativi a quel processo morboso chiamato infiammazione sono stati chiariti dai moderni, ed in ispezie dal Tomma- 52 Scienze sini: al quale dobbiamo perciò grandissima gratitudi- ne , per il grande amore cbe avea posto alla nostra scienza ed a'suoi cultori. Ne mi comporta l'animo a leggere in altri, come egli intorno alla dottrina del- l'infiainmazione scrivesse : « Una prolissità di volu- mi, cui è perpetuale fondamento non la osservazio- ne de'pratici, ma un nudo, astratto ed arbitrano con- cetto , continuamente raggirato entro quella forma sofistica , elle i logici chiamano circolo vizioso , o petizion di principio , e che raccomandasse a' suoi seguaci tanti eccessi e tanti errori di sanguinaria te- rapia, da minacciare l'esistenza del genere umano ». Che con tale linguaggio si vorrebbe bandirgli ad- dosso la croce, niente di meno che si farebbe a un tristo e ad un malfattore. Noi verremo volentieri mediatori fra i satelliti della licenza e quelli della superstiziune : e siara persuasi che siccome lo studiare ne' vecchi con buo- ni accorgimenti è il solo modo per cui la medicina si riconduca alla nativa sua forma, così il seguitarli da superstiziosi e da ciechi potrebbe offenderla di nuove macchie; ed egli è pur vero, che siccome tut- to oro non è quello che si contiene nella dottrina degli antichi, così tutto che è in quella de' moder- ni non è a stimarsi mondiglia. Ne pavento perciò che ne scapiti per qualche guisa la nobilissima im- presa della restaurazione della medicina: intenden- do io sempre di preservare dal disfacimento della dot- trina odierna italiana tutto che ci ha di vero in lei, e di cernere così le cognizioni empiriche de' moder- ni dalle loro sistematiche dottrine , che desidero a tutl'uomo divelto fino alle radici, ne che più se n' abbia ad avere per noi alcun pensiero. Ed è pertan- ReSTAUR. della MED. ITALIANA 53 to che io tengo oplulone ben altra da quella iiiaui- fcstata nel suo tentativo dal prof. Medici: percliè la restaurazione della medicina vuol essere intera , né imbrattata da teorie die non sieno l'esatta espressio- ne de'fotti : e noi vedemmo quanto le teorie de' ri- formatori dlscordin da questi, e quanto sieno in op- posizione colla dottrina ippocratica, a cui vuoisi tor- nare. Così lasceremo ch'altri giudichi di per se stes- so quanto ignorasse il Valorani la vera condizione della dottrina medica italiana in comparazione di quel- la de' padri nostri, allorché diceva esser quella una diretta e legittima discendenza di questa. Le cose fino a qui ragionate ci conducono pres- so che dirittamente a conoscere le cause che hanno portato la medicina alla sua decadenza ; perchè se la forma naturale di questa scienza era nelle npere d' Ippocrate e di tutta la sua scuola , non è a du bitare che il disamore e il non avere studiato quan^ to era d'uopo ne' libri d'Ippocrate e de' suoi seguaci la portasse allo scadimento, a cui venne dall'epoca di Brown in poi. Che se più potuto avessero di co- tal modo avanzare le cose , non si comprende mica a qual termine sarebbe ella stata miseramente con- dotta. E questa n'è, se io ho ben ragionato finora, la prima cagione diretta. Lo dobbiamo confessare, (e che gioverebbe il disfingere? ), che la riforma brunoniana colla sempliciià de' suoi dettati impromettendo faci- le il conquisto della medica sapienza, che cosi ma- lagevole si avea dalla dottrina degli antichi, gittò la passata medica generazione nella mal fondata fidan- za, già addivenuta -comune in tutte le cose, d'appa- rar molto con poca fatica. E poco si stette che man- cato il bisogno dello studiare, la medica gioventù si 54 Scienze alibantlonò anch'essa al gusto del secolo che domi- nava , e fu allora che videsi un subisso di medici scritti inondare la Italia , de' quali tra' mille non si contavano i dieci , ove si assaporasse quella ben digesta erudizione, e quella magnifica veste mostras- sesi , ch'eran pure le assise di quasi tutte le opere di medicina degli antichi , o almeno di quelle che trasmettevansi a' posteri ; perciocché , come dice il Perticari , i nostri antichi usavano delle sole opere de' grandissimi, e di quelle de' piccioli non teneano conto, ma le guardavano e pas^avan'oltre, lasciandole alla potestà dell'obblio, nella quale elle entrano sem- pre da quel primo giorno in che nascono. La impromessa facilità di diventare buon me- dico sotto i vessilli della teoria eccitabilistica , fé lenti e sbadati al cammino nello stuùlo primo della medicina; che gli uomini sono naturalmente fuggifa- liche, dove ad apprendere una scienza così vasta, sic- come è la tioslra, assaissime e lunghissime ne abbi- sognano. E certo ne' termini del dualismo diatesi- co^ ed in quei del dualismo terapeutico ^ alla gran mercè del misuratone delle diatesi., ed al lume del- la legge della tollpranza^ la medicina si potea pur premiere per passatempo, senza darsi [liìi pena di ri- frugar bene addentro ne' libii de' nostri antichi mae- stri, senza esercitare il metodo così laborioso a' pa- dri nostri , e prendersi quella infinita noia e fatica che importa lo studio delle singole malattie e delle singole azioni de' rimedi. Fatta così la scienza mi- sera e gretta , anco le opere de' più valenti autori menarono la medesima merce: e,- quello che è più, egli è proprio una pietà a vedere ch(" molti fra' lo- ro scrivessero queste cose senz'arte e senza ragione , Restaur. della mkd. italiana S5 e con nn tal bastardume di voci straniere , ed im- bratto di capricciosi vocaboli, che non che in lin- gua italiana, ma in lingua che giammai sia stato ai viventi, non sembrano certamente composte. ,, Sarebbe assai bello, dice il Gargallo, se l'ob- bligo di conoscer bene la propria lingua a certi li- bri dri certe sole materie si restrignesse: ed uscendo del limitato campo di quel che amena letteratura si appella, a chi poi o d'arti o di scienze, o di qual- sivoglia altro argomento prendesse a scrivere , dato fosse il divagar licenzioso e libero d'ogni freno ' E pur così par che se l'intendano alcuni saccentuzzi, che appena prendon la penna per descriverci il gu- scio d'una conchiglia, o l'ala d'una farfalla, ed ecco lagnarsi immantinente dell' austerità della grammati- ca , della parsimonia del vocabolario. Il sovrutnano autore non sa, non può con tanti legami esprimer quelle idee originali^ che come vento in voto ed an- gusto luogo romoreggiano nel suo vasto cervello .... Camminando di questo passo (in ispezie in medici- na) e a tutta la plebe degli italiani scrittori la stes- sa pienissima indulgenza di battezzare quante voci lor piaccia concedendo, un vocabolario avremo ben tosto infinito, e 11 fatto della torre babilonica in Ita- lia ( e In medicina lo è già ) rinnovarsi vedremo.» Or sono i più che odiarono la fatica, e al pre- sente temono la vergogna del parere ignoranti: e tut- ti costoro tengono dalla parte moderna , perchè in quel medesimo che favoreggiano e lodano le nuove dottrine e i loro sostenitori , sostengono se medesi- mi , e si difendono quel non so qual nome che si ebber male acquisiate. 11 perchè ai tentativi di re- staurare la medicina hanno sempre opposta fortissi- 56 Scienze m» resistenza, facendosi l'un dell'altro schermo, e con male voci gridando e schiamazzando , o in alto di stoltissima ironia sogghignando, non vorrcbbono da cotale maniera di medicina dipartirsi , per non ri- manersene colle mani piene di mosche. Ma perchè tali strida si fanno ogni giorno piìi fioche, e si la- sciano già alla potestà dell'obblio molte opere ch'e- rano state accolte con tanto favore, sembra ogglmai esser per la medicina eziandio a tal termine venute le cose, che assaissimo se ne debba sperare. Oltre a questa discorsa < aglone, molte altre han- no congiurato al decadimento della medicina: tra le quali va rammentata quella, già ampiamente svolta dal Buffalini, per la quale tutti i sistemi e le teo- riche di medicina non partirono mai da osservazioni intorno gli esseri vivi , ma trassono uidlnarlamente origine dalle famigerate dottrine delle filosofiche scuo- le. E questa causa di errore fu sopra modo poten- te a far dichiuare dal suo splendido sialo la medi- cina : avvegnaché dominate le menti in sul finir del secolo scorso da una fiilsa filosofia , la riforma della medicina pur ella sentì di questo pessimo gu- sto: e poco andò che così in Francia come in Ita- Ila ogni buona medicina sotto sì malefico Influsso ven- ne guasta e distrutta. Così come in filosofìa 1 scm- sisti, dopo aver confuso il senso colla volontà e col- la intelligenza, poneano ogni fatto dello spirito uma- no in un risnltamento forzato delle impressioni ope- rate sui sensi dagli agenti esterni, negando così ogni attività per se indipendente allo stesso spirito uma- no, non altrimenti si spiegò ogni fatto dell'organismo vivente; perchè la dottrina pccitahilistica ripose la vita in un moto od eccitamento forzato, in cui i cor- ReSTAUR. della MED. ITALIANA Bj pi organizzati son mossi passivamente dall'azione del- le cose esteriori. Questa medesima verità non rima- se occulta all' Andrai , il quale parlando della teo- ria brousseriana della irritazione diceva : « Allorché sono state attribuite al fenomeno dell'irritazione tutte le lesioni dette organiche, allorché sono state riguar- date come Virritazione trasformata, non si è for- se proceduto come i metafisici, i quali hanno presa la sensazione come il punto di partenza di tutti i fenomeni intellettuali e morali, che gli hanno per- ciò chiamali la sensazione trasformata ? Non sa- rebbe difficile di provare, che le idee della scuola del- la sensazione hanno guidato inavvertentemente i fon- datori e gli allievi della scuola della irritazione, co- me l'ontologia di Scott ha inspirate le teorie sovente sublimi di Van-Helraont, come lo spiritualismo del- le scuole filosofiche del diciassettesimo secolo ha pro- dotto l'animismo di Stalli , e non è stato straniero alla dottrina del vitalismo di Barthez ,,. Lo stesso noi potremo pur dire per la scuola italiana della in- fiammazione: che ambedue ritennero la medesima im- pronta lordata da identica mano. Altra non meno efficace cagione ad importare la decadenza della medicina fu il dedicarsi di molti a questa scienza ben troppo sforniti di mezzi natu- rali e sociali per non arrecarle anzi danno e diso- nore. ,, I più grandi medici, dicea Tissot parlando de' cerretani, tra' quali van posti pur molli di quelli che il nome legale tengon di medico , i più grandi medici, quegli uomini rari che sorti alla luce co'più felici ingegni, hanno illuminato il loro spirito fin dal- la primissima infanzia, che hanno coltivato con mol- to studio tutte le parti della fisica , che hanno do- 58 Scienze nati i più cari momenti di loro vita al continuo stu- diare sul corpo umano , sulle sue funzioni , sulle cause che possono turbarle, e sui rimedi alti a rior- dinarle, cbe hanno alle loro proprie osservazioni quel- le di tutti i tempi e di tutti i luoghi congiunte; que- sti uomini rari, dico io, non trovansi ne pure, cosi co- me farebbe bisogno, per confidar loro il prezioso de- posito della umana salute. E lo si commetterà ad uo- mini incolti e plebei, che spesso non sanno né an- co ben leggere, che ignorano tutto che si rapporta alla medicina, che le più volte impresero quest' or- ribile mestiere sol per Istudlare i loro turpi bisogni, e per non esser capaci di meglio ? » Lodiamo perciò il senno de'nostri maggiori, che solo a'iiberi uomini e a' ben nati consentisse l'eser- cizio di sì nobll arte, difendendolo ad uomini vili e di abbietta condizione, quando nulla di grande e ge- neroso aspettare si potea da coloro, ne'cui petti la buona educazione non avesse coltivato fecondo amo- re di onestà e di dottrina. Del gran conto che face- van de'medioi loro i greci, si ha una prova lumino- sa neir aver consegnato ai pubblici templi a modo di cose divine i loro scritti: e del gran conto, in che teneasi appo loro il medico esercizio , argomento pur bellissimo abbiamo nella celebre forma di giu- ramento, che Ippocrate faceva anzi tutto proferire ai suoi scolari. E la grandissima idea in che era venu- to il più gran filosofo dell'antichità latina, Cicerone, sul conto della medicina , altamente fu espressa in quella sua sentenza : » Homines ad deos nulla re proplus accedunt, quam salutem hominlbus dando. » « Quare videant, soggiungerò col Carminati, qui bue illuc cursitando perfunctorie medicinam exercent, tot- ReSTAUR. della MED. ITALIANA Sc) que aegros lucri causa curamios assumunt, quol eo- rum auxilium implorant, qiiique per ampia niniis va. letudinarla nutriunt , ne cum summa cura slngulis consulere non sustineant , et propria intueri prohi- beantur, salutarem arlem in opprobrlum hominum- que perniciem traducant. » Or che vi pare da molto tempo in qua, o se- guaci d'Igea ? Vi basta esser decorali del solo titolo di medici ? Siete contenti a un po'di guadagno ? E per questo ognor pronti al campanello de'grandi, o al capriccio delle feniininucole ? Non vi cape nell' animo d'esser ministri d'un' arte non vile, non ozio- sa, ma nobile, ma operosa ? Aver preminenza tra' vo- stri non compra dal favor de'potenti, o guadagnata al bagliore di vanissime teorie, bensì alla mercè di lungo studio ne'classici autori, e della filantropia in- verso gì' infermi ? Pur la vostra arte è capevole di tanta dignità. Ma a chi parlo o ragiono ? Se una tur- ba di giovani non dalla migliore classe della società sbucati fuori, con pochissimi lumi, donata più pre- sto alla crapula ed alla dissipazione, senza guida di galateo o senso di onore , menata solo nella vana speranza di guadagno comecliessia, si avanza baldan- zosa ed intollerante all' eccidio inrcuento dell'uma- nità ! Guai a ciascun tra costoro die in così fatta guisa al medico esercizio s'acconcia ! Io gli dirò con Dante : « Tu proverai siccome sa di sale » Lo pane altrui, e come è duro calle » Lo scendere e'I salir per l'altrui scale. Il ragionato fin qui ci dà il mezzo legittimo e certo d'ottenere la tanto bramata restaurazione del- 6o Scienze la medicina. E ciò viene da se : perchè se la me- dicina è scaduta per aver abbandonato lo studio ed il metodo della scuola ippocratica , questo è a ri- mettere in uso chi vuole aver la medicina restituita alla nativa sua forma. A questo modo elh-} si è ria- vuta per opera di Areteo; e cosi, ricaduta per la ra- gione medesima dell'avere abbandonato ( primi mae- stri, ella si è ristorata mercè del genio dell'incompa- rabile Sydenham, il quale la ricondusse appunto, on- de s'era parlila: perchè si meritò d'esser chiamalo il secondo Ippocrate. Nel medesimo modo si restaura- va la medicina in Italia per opera dell'immortale Ba- glivi, il quale parlò sì giustamente del metodo con- veniente a buona osservazione, e nella sua bellissima Praxis medica rimise talmente in vigore la dottri- nn di quel grande, clie fu dello l'Ippocrate italiano. Nel medesimo modo l'Hildebrand si facea a restau- rare la medicina nel suo metodo eterno di osservazio- ne, riportandola perciò alla nativa sua indole, perchè fu detto meritamente fedelissimo al metodo ippocra- tico, e trai ristoratori della medicina annoveratela questo medesimo modo, ci giova sperare, anzi lo ten- ghiam per fermo, vorranno la medicina italiana re- staurare que'grandi, che teneri dell'onore della patria comune e forniti d'ingegno e di spirito franco sono preposti all' istruzione della medica gioventù e alla direzione de'clinici stabilimenti, ove più che altrove è dato di applicare il metodo ippocratico all' osser- vazione de'morbi, e dimostrare il gran principio del- la chnica d'Ippocrate: che il processo, onde si va a guarigione, è un allo spontaneo, per il quale la natura posta nello stato morboso tende a restaurarsi nello stato di salute. Questo è l'unico mezzo, come fu e Rivista medica 6i sarà sempre, di ristorare la medicina e vendicarle la prima gloria; che siccome bene lo ha provato il Buf- fallni, resta fermo, quest'arte salutare avere avuto nel suo nascimento il vero metodo analitico, che smarrì poi errando per tutte le ipotesi de'filosofì: ne lo ri- pigliò nemmeno, allorché dopo gl'insegnamenti di Ba- cone e di Galileo tulle le altre scienze naturali si rimisero nel vero sentiero dell'analisi e progredirono ad incrementi maravigliosi. Rivista di lavori di medico-chirurgico argomento del dottor Giuseppe Tonelli. -3E>»g» Sopra alcuni argomenti di fisiologia e di pato- logia. Esame critico del prof. Michele Medici, in risposta alle cose dette dal eh. sig. prof. cav. G. Tommasini ne'' §. 3o2 , 3o3, 3o4, 3o5, 3o6, 3o7 del 3 voi. della sua opera delV infiammazio- ne e della febbre continua. Estratto dal giorna- le per servire ai progressi della patologia e della terapeutica. Venezia 1842. k^ottopose il eh. cav. Tommasini nel cap. XXXI diiU'indicato volume a critico esame VEccezioni da- te da illustri patologi viventi alla estensione, alla identità ed alla terapeutica della infiammazione dq lui sostenute ', e rivolgendo nei paragrafi menaorati 62 Scienze nel titolo le sue critiche considerazioni ai pensamen- ti del eh. prof. Medici , dal particola!*' argoinenlo dell'infiammazione passa a spargere dubbi e disappro- vazioni sopra i generali principii fisiologici e patolo- gici in varie scritture dichiarati dal dotto fisiologo di Bologna, A seguir l'ordine tenuto da quest'ultimo nel rispingere le opposizioni del T. (i), fissar è d'uo- po, che questi dichiarasi partigiano della palingene- si, e a dimostrare intende nelle sue censure la inveri- simlglianza del concetto , che il processo plastico o riproduttivo nella primitiva formazione de' corpi or- ganizzati operi prima dell'eccitamento : iadtlove con- trappone il M. , che l'opinione la più verosimile in- torno la generazione è l'epiganesi. Per giugnere al- lo scopo di ([iiesta sua dimostrazione l' esimio prof, di Bologna si vale di molte e gravi maniere di ar- gomentazioni. Rammenta in prima, che l'epigenesi fu in altissimo onore presso tutta la sapiente antichità, ed il tenne fin verso il dechnare del XVII, quando pe'lavori del Mal|)ighi parve restasse evidentemen- te dimostrala la prcesislenza del germe nell'ovo della gallina. Ciò non ostante ancor mentre la palingenesi si godè di molta celebrità, non mancò l'epigenesi di gagliardi difensori. Onde riigioni assistessero per sostenere e promul- gare Tesisi Miza di un germe organizzato ed eccita- bile neir(nala della femmina pria della fecondazione, ex'a ben mestieri far conoscere, che si fosse da taluno veduto : il che con tante disquisizioni s'impugna dal (i) Per sola ragione di brevità fermiamo questa premessa , che d'ora innanzi dovendo nominare spessissimo gl'incliti sog- getti sigg. Tommasini e Medici usareino nel corso di questo ma- lo le sole rispettive lettere iniziali. Rivista medica 63 M.» il quale varie sode obiezioni pur oppone ai pen- samenti halleriani. Ma il fatto per verità non è sta- to che una semplice deduzione ricavata dalla credu- ta identità delle ova feconde e delle infeconde, e dal- la supposizione che il manifestarsi del pulcino deri- vasse dall'ampliamento di un germe; laddove l'unica dimostrazione diretta non doveva essere che quella, di aver veduto cioè quel pulcino entro l'evo di gal- lina non fecondala dal gallo. Ma supponiamo, insi- ste il M. , che innanzi la virtù operativa del seme nascondasi nell' ovo qualche cosa di organizzato ed appartenente al corpo dell'animale nascituro. Fa efjli stima nulladimeno di non andar errato affermando, che non sia esso un piccolo animale dotato di orga- ni, ed eccitabile sì che non d'altro abbia d'uopo che di stendersi ed ampliarsi per riescire un animale com- piuto e perfetto, siccome il comune de'palingenesisti sei credono. « Tengo in vece ( egli dice ) di appros- )j siraarmi alla verità giudicando, che, se pur esiste, w consista in certi lineamenti di tale languore , in » certi rudimenti di tale debolezza e.semplicità, che t) sia necessaria un' opera plastica, formativa o pro- » duttrice, acciocché veramente e debitamente si or- » ganizzi ed acquisti gli appetiti vitali, di che parla » r illustre Tommasini. » Il che pur rileva il M. da varie brevi animadversioni che porta ai dettali me- desimi del Malpighi. Poiché analizzando scrupolosa- ìneute alcune memorabili parole di questo scrittore, si trova condotto a dedurne, o che un germe orga- nizzato ed eccitabile nell'ovo prima della fecondazio- ne non esista ( e questa è per il M. la conseguenza la più naturale e spontanea, a cui ancor ci ascrivia- mo ), o che, esistendovi alcuna cosa di organizzato, 64 Scienze essa è tale, che richiede necessariamenle la virtù ope- ratrice di una forza, \à quale a poco a poco compon- ga, formi ed organizzi, acciocché ne riesca un corpo dotato di tull'i caratteri e di tulle le qualità, che ren- danlo abile all'esercizio degli atti vitali. Ciò però non è tutto: poiché non sarebbe anco finquì la cosa che una deduzione che ne fa il M. Ricordando però egli in seguito, che il Malpighi medesimo, nelle sue ocu- latissime indagini, in mezzo alle apparizioni di parti nell'ovo fecondato vide anzi tutto i rudimenti della carena o spina, ma non potè vedere i vasi che pivi tardi, e più tardi dei vasi il cuore, ne trae una pro- va bellissima che né manco, giusta il Malpighi, pree- sisle nell'ovo \m piccolo pulcino organizzato ed ec- citabile, per tacere dell'Harveio, il quale rispetto agli animali di ordine superiore fermò l'epigenesi. Dottrina quindi più simigliante al vero si è l'e- pigenesi, e più fertile altresì di utili applicazioni a vari punti della fisiologia e della patologia, massima- mente considerata nelle attenenze sue colla nutrizio- ne e colle riproduzioni animali ; ed emerge in pari tempo il poco valore delle opposizioni affacciale dal cel. T. contro il M., le quali riposano sopra la pa- lingenesi. « E per verità ( son parole del chiar. M.) » che un corpo, il quale vitalmente si riproduce o u si nutre, debba prima, siccome egli dice, esistere » vitalmente e vitalmente appetire, è cosa la quale » affermar si può solo di un corpo, il quale sia già » organizzato e fornito di organi esercitanti le loro » funzioni. Conciossiachè rispetto alla materia dell' » ovo fecondato ... non si può dire che in essa ab- » bia luogo la riproduzione o nutrizione : operazio- w ne, la quale presuppone e tessuti ed organi; stru- Rivista medica 65 » menti di acquisii e di perdile di materia, i quali » non per anco esistono. Accade in vece una pro- w dazione o plasticità, per la quale poco a poco , » e successivamente compongonsi i tessuti e gli or- » gani, tanto die per le varie loro azioni possa poi » avvenire quel transito, o circolo continuo di ma- » teria , nel quale consiste la riproduzione. Quel M corpo adunque, quale che sia, ch'è nelTovo, av- » venuto il concepimento, non esiste vitalmente, ne » vitalmente apparisce , ma comincia ad acquistare )) le qualità o condizioni necessarie, acciocché in ap- » presso, e a tempo debito, abbia e vita e vitali ap- » petenze. » Per le quali cose e per altre già ra- gionate non conviene il M. coll'avviso del T., che risguarda subalterne all' eccitamento od alla vita le funzioni tutte dell'organismo, comprese la nutrizio- ne o la riproduzione. Sostiene in vece, che sicco- me nella vita compiuta, e, come suol dirsi, in cor- so, la riproduzione non è funzione subalterna all' eccitamento^ ma un atto primitivo pari all' eccita- mento, benché diverso di esso; così è che nella pri- ma origine de'corpi organizzali la produzione o pla- sticità è anteriore s\V eccitamento, e di questo ge- neratrice. La qual produzione poi fa slima il M. non differire dalla riproduzione ^ se non che, a dir così, per ragioni di tempo; essendo quella più anti- ca e generante per la prima volta l'organizzazione, e di questa essendo proprio rifare e conservare im- mutato fino alla morte quanto si formò nel comin- ciamento della vita. Da questi premessi principii fisiologici, che l'o- rigine della divergenza appalesano delle patologiche opinioni di questi due sublimi scrittori, volge il M. G.A.T.XCVI. 5 66 Scienze I' attenzione ai concetti del §. 3o2 , in cui si tien proposito dal T. sulle idee dal M. pubblicale nei suoi cenni (i). Aveva il fisiologo di Bologna ivi fer- mato, consistere il mal di Comacchio in un perver- timento specifico di riproduzione o à\. plasticità e ne'solidi e negli umori, curabile, per quanto è in se, né cogli slimoli, ne co'depriraenti, ma co'rimedi, qua- li l'esperienza clinica ha insegnato od insegnerà pos- sedere la virtù di correggerlo e distruggerlo. Aggiun- geva in siffatte considerazioni non essere quel mor- bo una lenta flogosi cutanea, siccome da non pochi medici si opinava, né aver poi le malattie flogistiche in realtà tutta quella estensione, che da moltissimi viene oggidì loro accordata. E quantunque vero sia, che il T. non ha tenuto in conto di morbo flogisti» co il mal di Comacchio, pure, avendolo egli novera- to nella sezione delle malattie dinamico-chiiniche o dinaniico-plastiche , ne dissente il M. ricusando con- cedere , che il mal di Comacchio , la rachitide , la tendenza alle produzioni calcolose ec. abbiano spet- tanza al dinamismo, e sieno come rami di questo tronco. Dimostra in vece, che né anco a senno del T. ponno questi morbi appartenere ai dinamici, stan- te che dall' un canto per il T. il dinamismo è la slessa cosa che la vita, cui fa egli consistere nell'ef- fetto dell'azione degli stimoli sopra 1' eccitabilità : e dall'altro i suddetti morbi vengono ingenerati da pre- ternaturali mutamenti de'processi chimico-plastici, tut- ti secondo il T. secondari della vita stessa. Non so- lo dunque non sono dinamici quei morbi a forma dei (i) „ Cenni fisiologi patologici e terapeutici intorno la ma- lattia di Comacchio ec ,, I Rivista medica 67 concelti del T., ma il M. in vece li riconosce per vitali. Poiché se il concetto migliore del dinamismo è di riguardarlo come il movimento della fibra viva, ne segue che non ponno esser dinamici : e se il pro- cesso chimico-plastico o riproduttivo ( in una dege- nerazione di cui i predetti morbi consistono ) for- ma una parte od un elemento primario ed essenzia- le della vita , ne segue che sono essi a dirsi vitali. Che se volessero per dinamismo intendersi le forze vitali, qualunque elle sieno, potrebbero il mal di Co- roachio e gli altri summeraorati, come nascenti dalla forza riproduttiva pervertita, appellarsi ancor dinami- ci. Fa per altro vedere il M. la necessità di distin- guersi forza da forza e gli effetti che a ciascuna di esse competono: ben altro essendo il moto de'solidi vivi e ben altro il processo plastico per cui essi si riproducono , comecché e l' uno e l'altro sieno alla vita appartenenti e necessari. Distinzione essa è que- sta che da altri dottissimi venne adoperata, e special- mente da Hartmann e Lobstein, che due maniere af- fatto diverse ravvisarono negli atti di vita, patologi- camente seguendo cotesto concetto patologico con am- mettere morbi di vita plastica e morbi di vita motri- ce. Non essendo all'incontro, a senno del T., che di- namiche le infermità tutte non locali, non meccani- che od istrumentali , ne segue che confusi riman- gonsi o non abbastanza distinti i morbi derivanti dal- le alterazioni dei diversi atti primari di vita : « In- » conveniente, il quale ( dice il M. ) mi sembra tol- » to, ogni volta che si tenga la vita, quale un esa- » me accurato e profondo di essa insegna che è , » cioè un atto composto, ossia organico-dinamico. » Reslan quindi il mal di Comacchio in un cogli al- 68 Scienze tri suiinomxnali, come altrettante lesioni dell'atto or- ganico di vita locato nel processo plastico o lipro- duttivo, non già dell'altro atto, similmente vitale, ri- posto nell'eccitamento o moto. Conviene il M. (passando a rispondere a quello che spetta al §. 3o3 ) nelle sensale ed ottime ragioni congregate dal T. a dimostrazione della ignoranza di natura, in cui siamo, della gotta, della pellagra ec; ina vorrebbe pur anche dichiararne insufficiente e pei'ciò da continuarsi io studio, in onta che si rag- giugnessero le cinque condizioni che bramerebbe il T. si potessero ottenere. Siccome però il M. aveva di già in vari luoghi delle sue apprezzabilissime pro- duzioni dato ampia testimonianza di non potersi, spe- cialmente in medicina , sottoporre la mente a con- cetti alti ed universali, ma che in vece di estemlere fuori di modo e di misura le generalità, doveasi per le particolarità lasciare un certo non piccolo cam- po : cosi nutrendo su di ciò , ed avendo anche ora manifestato il T. diverso opinamento, torna il fisio- logo di Bologna a rilevare, che coleste spaziose e lar- ghissime generalità non costituiscono e non formano la parte nota, ricca, scientifica e dignitosa della me- dicina. Che di vero fu ben dimostrala dal M. in ogn' incontro la miseria ed angustia, in cui vorrebbe an- zi rinchiudersi la scienza medica, col ravvisare le so- le due opposte facoltà di tutte le sostanze medicina- li, l'eccitante cioè e la deprimente; giacché se è con profitto applicabile alla pratica cotesta opposizione di poteri, non è però essa a ritenersi l'unica , intorno a cui debbasi tutto aggirare il pratico magistero. La miseria, egli dice, di cotesta dicotomia terapeutica è insufficiente a render ragione della varietà de'modi, BlVlSTA MEDICA 69 co'qualì operano le sostanze medicinali : essa è con- seguenza immediata e necessaria della dicotomia pa- tologica, dei principii patologici cioè troppo gene- rali, pe^quali le malattie, nel massimo loro numero, sonosi ridotte allo stato dì stimolo e di controstimo- lo. Laddove quella certa moltiplicilà di azione dal M. conceduta alle medicinali potenze può ben esser ba- stevole a dar ragione degli effetti diversi da quelle recati : e questa mohiplicità slessa è ancbe una con- seguenza parimente immediata e necessaria di una con- forme mohiplicità patologica. Conseguenza cioè di quelle parecchie condizioni morbose particolari o spe- cificbe, le quali mentre non permettono ridurre niol- te malattie ad uno stalo di stimolo o di controsti- molo, formano con le loro particolarità la porzione oscura ed indeterminata della medicina, in cui, a giu- dizio dello stesso T., non si vede luce^ e si dee sta- re unicamente a ciò che giova, o ciò che nuoce. Aveva modestamente il M. mossi alquanti dubbi nei prelodati suoi Cenni contro la già divulgata idea dal T. sostenuta, che l'infiammazione cioè, o buona sia o cattiva la tela organica la quale s'infiamma, è sempre un processo di slimolo, sempre identico, sem- pre eguale a se slesso, e sempre e solamente cura- bile coi controstiinoli. Essendo poi ora il T. tornato nel §. 3o4 a rafforzare con altri argomenti il suo dettato, e specialmente con un trilemma; torna pu- re il M. a combattere quest'ultimo, i tre estremi del quale egli premette in relazione. E per dirla contro il primo di questi, risponde il M., che se i tessuti di cattiva tempra, infiammati, passano più facilmente che i sani a scomposizione cancrenosa, icorosa , ec. ( fatto verissimo ) v'ha luogo a credere , od almeno JO S e I E M Z E a dubitare mollo ragionevolmente, che il mutamento dagli uni patito non sia eguale ed identico a quello degli altri, stante che i tessuti, i quali passano alla cangrena ec. , sono quei medesimi che vengono presi dalla infiammazione. Consiste questa in un mutamen- to materiale della parte stessa infiammala anche a giudizio del T. , quantunque questi la chiami e con- sideri uno stato di stimolo; mutamento però, il quale sembra al M. non poter non ricevere varietà dalle qualità diverse della materia del tessuto medesimo , cui la flogosi si appiglia. Pone nel secondo estremo del trilemma il T. una separazione tra flogosi e per- vertimento di riproduzione : con la quale idea ri- marrebbe inconcussa la necessità del medico in ri- volgersi a curare principalmente e subito la infiam- mazione. Ma contro cotesto concetto è ben saldo l'ar- gomento , con cui il M. distingue le infiammazioni semplici o genuine da quelle nelle quali varieggia la flogosi a forma di certi diversi pervertimenti di ri- produzione, e dove la sollecitudine di curazione non è d'altronde un fatto bastevole a provare , aver tali infiammazioni tutte una natura identica, ed essere il processo flogistico sempre uguale a se stesso. Ed in- fatti è d'avviso il M. , o almen gravemente ne du- bita, che, ove accendasi in un corpo sano la flogosi per azione di cause infiammanti insieme e pervertenti simultaneamente la riproduzione; o accendasi per cau- se comuni in un corpo, in cui già pervertita trovisi la riproduzione: è d'avviso ( si disse ) che la muta- zione materiale flogistica insorta compartecipi neces- sariamente ai pervertimenti generati dalle stesse cau- se morbose, cosicché ne risulti sì la flogosi, ma cor- rispondente a tal pervertimenti medesimi di riprodu- Rivista medica yi zìone. La qual maniera di flogo.si per fai modo coiisi- 8ta ed in aumento ed in una degenerazione insieme del processo plaslico: laddove le infiammazioni sem- plici e genuine vengono solamente riposte in una so- verchia e morbosa vegetazione, ossia nel processo sud- detto fuor di modo accresciuto. Se non che potreb- be il T. ripigliare, che nell'avviso del fisiologo di Bo^ logna di ammettere infiammazioni, nelle quali il pro- cesso plastico sia insieme ed accresciuto e degenera- to, non potrebbe verificarsi la celerità di corso e di cura, di cui il T. intendeva favellare. Ma su fai pro- posito rammenta il M. l'avvertenza raccomandata e seguita dai migliori pratici, i quali nelle infiamma- zioni, che piantano radice in cattiva tela organica, procedono con certo modo e con certa misura nella prescrizione dei più validi antiflogistici, ne allargano la mano al pari del modo con cui si condurrebbero nei casi di flogosi genuine. Quindi (ed ecco in bre- ve la risposta al terzo estremo del trilemma ) se l'in- fiammazione in vari incontri si accenda senza pro- ceder da se e separatamente dal tessuto in cui pren- de luogo; se l'infiammazione unisca l'esser suo con quello della parte che s'infiamma; se sia strumento de'disordini o de'tristi esiti che ne derivano: se per essa il morbo faccia altro corso ed altre forme acqui- sti; ne segue ( a giustissimo parere del Medici ), che « l'infiammazione non è sempre una ed eguale a se » stessa: che può varieggiare: e che altra è l'indole » di una flogosi legittima e genuina, ed altra quel- » la che nasce in uno scorbutico, in uno scrofolo- » so, m un artritico, in un venereo ». E senza ri- » correr poi a risguardar la flogosi come figurante, » sempre compagna inseparabile de'morbosi lavori che ^2 Scienze » van guastando i tessuti affetti, e sempre Ihfluenìe » a mantenerli e ad accrescerli » ( com'è parere del T. ); saviamente si appone il M. (e ciò ad istruzio- ne, giova ripeterlo, specialmente della medica gio- ventù ), che se da un lato non v'ha dubbio, che tali infausti lavori sieno effetti della flogosi, è dimostra- to dall'altro, poter la materia organica degenerare in varie guise, e trasformarsi senza l'intervento di una infiammazione; e tali guasti, tali organiche alterazio- ni divenir poi talvolta pivi profonde, più estese e più variate, sopravvenendovi un processo flogistico. Nello stesso patologico argomento della inllam- inazione insisteva pure il T. nel §. 3o5; e perciò su di questo tornando ora il M. in questo suo bello scritto apologetico varie e dotte considerazioni vi span- de. D'uopo essendo fra queste per bi'evilà molte ta~ cerne, fissar ne place lo sguardo alla precipua dis- sonanza de'concetti di questi dottissimi scrittori. Di- fende il T., ohe l'infiammazione è per se stessa una malattia di slimolo o di eccitamento accresciuto, os- sia dinamica; effetto del quale stimolo è la vegeta- zione morbosa ammessa pur da lui in una parte in- fiammata. Altro punto da lui sostenuto egli è , che l'infiammazione, quanto che malattia di stimolo o di eccitamento accresciuto , è sempre di una sola ed identica natura e sempre uguale a se stessa. Ed ap- punto { in ciò consiste il terzo ) perchè l'infiamma- zione è malattia di stimolo o di eccitamento accre- sciuto , e per conseguente di una sola e medesima natura, va sempre curata in un solo e medesimo mo- do, cioè colla sottrazione degli stimoli e coll'appli- cazione dei rimedi controstimolanti. Contro questi tre punti però contrappone il Medici le sue rifles- Rivista medica ^3 Bionì: e per r'sppllo al primo r}e trova tosto la ra~ gioiie nelle massima slesse del T. sulla infiamma- zione promulgate. Giacche se nella seconda di esse la risguardò processo di slimolo acciesciuto od ecce- dente; dichiarò nella sesia , che non è confondibile col semplice eccesso di stimolo o di eccitamento; ed aggiunse nella ottava, che il processo flogistico, quan- do è veramente tale, è una specie di vegetazione. Per lo che trova il M., che anco, secondo le idee del suo illustre censore, l'infiammazione non è malattia così astrattamente e puramente di slimolo o di eccita- mento accresciuto, che di essa non formi parte vera e sostanziale anche la vegetazione morbosa. Le quali co- se il fisiologo di Bologna si occupa in dilucidare con molla accuratezza, rilevando, che se intender vogliasi per istimolo accresciuto quello precedente alla flogo- si , esso non forma l'elemento o la parte integrale di essa. Che se poi considerar si voglia lo stimolo od eccitamento accresciuto in quanto che accompa- gna la flogosi già nata e crescente, intende e dimo- stra il M., che per questo neppur muta la sua na- tura: siccome non la muta la flogosi , eh' è sempre cosa affatto diversa da quel suo accompagnamento , siccome la fu da quel suo precedente. Il che emer- ge ancor più chiaro dalla impossibilità di compren- dersi, come, ove fosse la infiammazione un morbo di eccitamento o di stimolo accresciuto, abbiano a darsi infiammazioni così isolate e segrete, che non offrano alcun manifesto indizio di sé, ne possano per alcuna via discoprirsi. Ed infatti essendo per il T. la vita un risultamento dell'azione degli stimoli sopra l'ec- citabilità, e quindi un atto dinamico, ossia un mo- vimento, non sarebbe altro l'infiammazione che un 74 S e I E U» Z E moto delia fibra soverchiamente accresciuto ; Il che non arride al fisiologo di Bologna : ed ecco realmen- te vero il dettato, che la questione rimonta ai prin- cipii generali di medicina, mentre quest'ultimo ritien la vita per un atto organico-dinamico. Quindi l'atto di vila, che si stima dal M. peccante per eccesso nel- la infiammazione, è veramente l'organico, ossia il pro- cesso plastico o riproduttivo; il quale nelle dottrine tommasiniane non figura come elemento primario del- la vita, concedendosi solo cotesta prerogativa all'ec- citamento. Non intende con ciò il M. escludere affatto dal- la infiammazione lo stimolo od eccitamento accresciu- to; bensì non lo riconosce formante la parte sostan- ziale o precipua di essa: e perciò non malattia vera- mente dinamica: « ma sì bene materiale organica » o plastica: e avuto riguardamento a quella qua- » lunque parte che in essa può prendere l'eccitamen- » to o lo stimolo accresciuto, potrà essere organico- » dinamica: » siccome specialmente ebbe a conside- rare nella seconda parte dei suoi Cenni. Discendono da'trattati ragionamenti, quali patologici e terapeutici corollari, le risposte agli altri due controversi punti che si dissero dal T. difesi. Discende cioè come dimo- strato, che l'infiammazione, non consistendo nel puro ed astratto stimolo accresciuto, ma bensì nella muta- zione della plasticità, non è sempre di una sola ed identica natura ne sempre eguale a se stessa, ma che la sua natura varieggia a seconda della diversità dei vizi inerenti al tessuto medesimo, il quale l'infiamma. Discende finalmente come dimostrato, che non può la infiammazione esser curata in un solo e medesimo | modo, cioè e colla sottrazione degli stimoli, e col- | Rivista medica ^5 l'applicazione dei rimedi controstimolanli; ma clie in vece « la cura debb' essere proporzionata alle varie » degenerazioni materiali della parte, cui la flogosi » si appiglia, e le quali togliere non si ponno né col » sottrarre gli stimoli, ne coU'usare i controstimoli: » ingegni valevoli unicamente a rimediare all'eccita- » mento soverchio ». Questo discorso poi, sebbene conseguenza fluente dalle discusse nozioni, viene an- che ulteriormente lumeggiato con altre ben più istrut- tive e pratiche dichiarazioni. JSè sono di minor interesse le illustrazioni che prosegue il M. a spargere nel proseguimento delle sue critiche risposte alle censure emesse dal T. nel §. 3o6. Ivi questi opponevasi alla proposizione del pri- mo, il quale già fissato ebbe che le malattie dell'ec- citamento debbano essere sempre effetti di un' alte- razione dello stato organico, il quale anzi, secondo il T., ritiensi che si alteri in seguito di alterato eccita- mento. Rammentando però il M. esser massima uni- versalmente ricevuta e dallo stesso T. ammessa ed abbracciata, che l'eccitabilità è una proprietà risul- tante dalla organizzazione, ne trae per legìttima ed indispensabile conseguenza, che l'eccitabilità mutare non si possa ne in piìi ne in meno senza un propor- zionato mutamento dello slato organico : il che con varie forme di raziocini conferma. Ed a maggior con- vincimento della verità della proposizione rammemora pur le altre ad essa susseguenti e nei prefati Cenni registrate. Alla maniera di ragionare invalsa oggidì ap- po molti non potendo il M. uniformarsi, non accen- nava mica a disconoscere le malattie di stimolo e le sostanze medicinali controstimolanli, siccome dall'av- y6 Scienze versarlo discorso parrebbe. Mirava bensì egli alla so- verchia estensione che dar volevasi ai morbi flogistici; il che è tanto vt-ro, che n'eccettuava le vere pneu- raoniti, epaliti, ec, ed i rimedi antiflogistici di non duhbia azione. Intendeva rivolto il suo discorso & cer- te malattie reputate di stimolo o flogistiche, e non a tutte; a certi medicamenti reputali controstimo- lanli ed antiflogistici, e non a tutti. Insisteva special- mente, siccome non cessa d'insistere, sulla necessità di accordare a ciarli farmachi, come agli amaricanti ed ai marziali, una speciale virtù medicatrice, corri- spondente all'indole speciale dei morbi, nei quali l'e- sperienza dimostra che recano utilità. E quantunque non possa impugnarsi, che il T. ammetta le specia- lità tanto rispetto all'indole di certi morbi, quanto riguardo all'azione di certe sostanze medicamentose; pure è a dirsi, che oltre colali specialità vi ravvisa le generalità di stimolo e di controstimolo, alle qua- li concede moltissimo peso e preferenza. Vago anzi di luce e di chiarezza nelle mediche investigazioni, mostra tener in poco conto la speciale azione dei ri- medi e l'indole speciale del morbi, perchè cotesti so- no misteri. Sulla qual misteriosa oscurità conviene in parte anche il M., aggiungendo anzi, che anco negli eventi comuni troviamo non tanto di rado malattie di specifica natura, e nelle quali la parte speciale di esse non si toglie co' rimedi comuni o noti , sti- molanti cioè o controstimolantl; e cotesla parte è la più importante, formando essa la vera natura od il fondo, come suol dirsi, dello stato morboso. E cosi dopo queste e ben altre ragionate considerazioni ci rafferma il M. nelle massime già esposte nei suoi Cra- ni : « cioè che la lue venerea, lo scorbuto, il mal Rivista medica 77 » di Comacchio, la pellagra ec. in se stessi, e non » considerale le complicazioni ed accidentalità colie » quali ponno mescolarsi, sono morbi di natura spe- » cifica e non mai di stimolo o di conlrostimolo: e » che i rimedi atti a debellarsi sono quelli che pos- » seggono una proporzionata specifica virtù, e non )) mai gli eccitanti o i controstimolanti ». Aveva il M. nei memorati suoi Cenni adoperalo a dar prove che antiflogistici o controstimolanti non sono a dirsi i marziali e gli amaricanti ; o che, es- sendolo, non era questa l'azion loro nel togliere egre- giamente e sopra tutti gli altri rimedi certi stati mor- bosi. Ne acquietasi ora alle opposizioni, colle quali insiste in contrario l'illustrissimo censore con soste- nere, che vinta una malattia flogistica rimane super- stite la flogistica predisposizione, ch'è il germe delle recidive: che la convalescenza altro non è che un piccolo 0 minimo grado della malattia stessa che fu superala; giacche non sono tali risposte per il M. decisive ed inappellabili, benché rivolte in genere ai controstimolanti. Non si persuade infatti il M. alla ragione di attività non molto forte, con cui vorreb- besi ripiegare; poiché i buoni pratici nella maggior acutezza di una epatite 0 splenite ec. non combinano coi salassi i marziali e gli amaricanti. Molto meno sa egli persuadersi che giovino a flogosi in decre- mento o quasi cessata: poiché anche allora, dopo i salassi e le sostanze controstiraolanti di maggior ef- ficacia, potrebbe proseguirsi la cura con altri miti e blandi cantrostimoli, come col cremor di tartaro, e slmili. Né giova la distinzione fra l'azione contro- stimolante pronta e lenta^ della qual ultima voglion- si forniti gli amaricanti ed i marziali: la quale azio- ^8 Scienze ne credesi più opportuna a sradicare le reliquie dei. morbi; giacché del pari convenir potrebbero altri con- trostirnolanti. Una sensata anitnadversione sulle occulte e clan- destine infiammazioni forma la risposta del M. al ^. 807 di opposizione del T. La giornaliera esperien- za depone per l'esistenza di morbi che procedono oc- culti, e sono argomento di grande umiliazione pel medico pratico. Conviene in ciò pienamente il M. Se non che dubita gravemente, che siffatti morbi sie- no sempre infiammazioni, siccome vengono con so- verchia facilità giudicate, e specialmente per certe al- terazioni o trasformazioni organiche, le quali, come ponno essere esiti di una flogosi, così ponno da al- tra cagione esser partoriti. Tali sono l'indurimento, l'aumento di mole, il rammollimento, lo spappola- mento, la corrosione e la perforazione di un organo, l'aderimento suo col vicino ec; cose che lo stesso fi- siologo di Bologna dottamente dilucidò nelle sue ope- re (i). Non v'ha dubbio, che l'unica luce atta a di- sgombrar le tenebre sia quella che scaturisce dal por- re in attenenza i guasti rinvenuti nel cadavere co'sin- tomi presentati dall'infermo in vita, e dal conoscere che questi indicavano un processo flogistico. « Ma » quando i sintomi mancano affatto , quando la )) malattia è clandestina ed occulta, sarà forse leci- » to, ogni volta che incontrinsi ne'cadaveri le ora » dette degenerazioni, giudicare che furono esiti d'in- » fiammazione »? Ah che puossi ben ricevere luce (ij Nei suoi prefali Cenni, ed anche nella sua dissertazione.- ,, De quadam cordis disruptione, vel potius rosione • . . „ Nov. commet. accad. scient. instit. Bonon. tom. a pag* i!fi. Rivista medica 79' da un lume acceso, ma da uno spento, non mai! E lumi spenti, e fatti perduti per la scienza medica, so- no tutte le infiammazioni ed infermità, le quali pro- cedono in modo cosi secreto ed occulto, che per al- cuna via non si manifestano ai sensi, né all'intelletto del medico pratico. Potè quindi rettamente asserire il M. e sostenere: a Che le malattie senza sintomi, )) rispetto al medico , è come non esistano : e che » d'infiammazione propriamente occulte, clandestine, I) segrete, seppure si danno, non puossi giudicare. E )) ciò per due grandi ragioni: la prima delle quali è, » che queste infiammazioni occulte, non essendo ah- » bastanza provate, o non lo essendo rispetto alla lo- » ro quantità o frequenza, non ponno in significante » modo accrescere il numero de'fatti particolari, i » quali dieno valore e peso alla massima generale, e » cioè che l'infiammazione sia tanto comune alle uma- » ne infermità: e la seconda è, che, sebbene abha- » stanza provate e frequenti, non sovvengono di aiu- » to veruno il medico pratico, non potendo egli gio- » varsi dell'analogia, e ricevere da essa consiglio e » norma onde regolarsi in casi simiglianli ». Riepilogando qui in brevi accenti le cose, di cui si è tenuto proposito, rimarcar possiamo in sul me- rito delle questioni, che gli argomenti discussi non han trovato nella penna del dottissimo Tommasini quella soluzione, a cui egli mirava raggiugnere. Co- sicché per tacere del misterioso tema della epigenesi, in cui pur sembrano le ragioni di verisimiglianza e di soddisfacente plausibilità meglio assistere il cele- berrimo professor Medici, troviamo sempre più ras- sodate e convalidate da irrefragabili documenti le sue dottrine contro l'unità primaria dell'atto dinamico della 8o Scienze vita: contro la condizione subalterna di tutte lefun-- Ziioni dell'organismo allVccitamento: contro il carat- tere dinamico della sifdide, dello scorbuto, della gotta, della pellagra, del mal di Comacchio, della rachitide, ed altri morbi memorati a suo luogo: contro la di- cotomia patologica e terapeutica: contro la natura di- namica della infiammazione: contro la sempre costan- te identità ed unità della flogosi: contro la enorme creduta frequenza dei morbi flogistici: contro il ca- rattere flogistico di alcune morbosità aventi natura specifica: contro la idea delle clandestine ed occulte infiammazioni: contro la facoltà contrsstimolante non costatata di alcuni farmachi, come degli amaricanti e dei marziali e di altri dotati di non dubbia azio- ne specifica. Rimarcar poi ne piace con somma am- mirazione il decentissimo contegno dell'egregio prof. Medici da prendersi lealmente a modello d'imitazio- ne negl'incontri di apologetiche scritture, nelle quali la verità debbe prendersi sempre di mira per impe- gno di onorando amore. E se questo amor del vero rende detestabile il veleno degli umani rispetti, che orbando alcuni di senno e di coraggio impone con turpitudine il silenzio; disdlcevole non può a meno di chiamarsi e malvagia la moda introdotta da cer- tuni, perfin nel santuario delle scienze, di tutto mor- dere con isconcio linguaggio, dove alcuna presa aver possano i denti lividi della satira. Siccome d'altronde per le sapienti gare dei letterati, egualmente che per le ben maneggiate loro contese, viva luce si span- de sugli astrusi argomenti a comune istruzione, ed il vero progresso promovesi della scieuza ; ricono- scenti così professar ci dobbiamo alla valentia ed al coraggio dell'eruditissimo fisiologo di Bologna, che in Rivista medica 8 1 modi cosi dignitosi e con drappello di così ben sode ragioni è disceso in arena alla difesa delle sue opi- nioni e dottrine ed a vantaggio del pubblico inse- gnamento. TONELLI. Memoria sul bezoar degli animali e singolarmen- te su quello del cavallo. Di Giuseppe Martino dì Castello?^ a F'olturno dottore ec. socio ec. Napoli 1842. JLn questa memoria, letta con soddisfazione alla il- lustre società economica del II Abruzzo ulteriore, si prefige per iscopo il valente autore di ragionare sulla origine, su' componenti, sulle cause di una pie- tra cbe rivenir si suole nelle viscere degli animali, e singolarmente del cavallo, detta bezoar, bezoar- do; dipingere il quadro dei sintomi, con cui mostrasi tal morbo ; formarne il regolare pronostico ; e sta- bilire in fine i mezzi profilattici e curativi, co'qua- li il cavallo ricondur si possa al pristino stato di gio- viale salute. Dopo aver esposto con erudizione l'eti- mologia della voce, giusta i vari pareri non che le notizie isloriclie di tali pietre, ne accenna le varie- tà coi caratteri fisici e chimici , e porta opinione non esser diversa da quella degli uomini la genesi delle medesime. Concrezioni calcolose sono esse, che spesso hanno per nucleo una sostanza diversa da lo- ro; e ciò confermasi dall' osservare , che avidamente lambisce il cavallo le muraglie coperte di nitro . o fruga col muso la terra. Allo stato di continua agi- tazione, che in sulle prime offre il cavallo bersaglia- G.A.T.XCYI. 6 Ba Scienze lo dal bezoav, succede il contorcimento, la nausea, e spesso il vomito; si alza, si abbassa 1' animale, si guarda il ventre, e batte la terra co' piedi come se soffrisse una colica; il ventre è teso e dolente: e toc- calo nella regione del ventricolo o intestina, mani- festa uno o più tumori duri dinotanti la presenza di corpi estranei. ISon ritiene il Martino sì infausto il pronostico, qual lo immaginò il De la Fosse; e sic- come l'indicazion primaria per la cura di esse si è la eliminazione , cosi suggerisce puiigative medicine singolarmente oleose, e bevande mucillaginose da do- versi ancora ripetere, coadiuvandone l'azione coll'im- mersione dell'animale in bagno tiepido, e con clisteri ammollienti. Un alquanto profuso salasso sarà pur indicato, se forti sieno i dolori ed infiammatoria la febbre. Se restìo fosse in onta di ciò ad uscire il bezoar, opportuno sarà che il veterinario colla intro- duzione delia sua mano negl'intestini gli sbarazzi dal- le fecce indurile ; o se impedito ne venisse 1' esito dal crasso per il volume sovercliio, dovrà estrarsi con la tanaglia nel modo praticato dal celebre chirurgo Merand in una donna, dall'ano di cui non potè di- versamente estrarre una grossa pietra. Indispensabile poi, come profilatlico regime, debbe osservarsi la net- tezza nelle acque e nell'intiero foraggio dell'animale, non che l'avvertenza di tenerlo legato a corto nella scuderia : ma soprallutto deesi la stitichezza evitare dell'animale per la formazione di mero bezoar, e sot- toporlo perciò al regime del verde , su cui dotta- mente ha scritto il eh. Sannicola di Venafro, Dissimular per altro non possiamo con sincera dispiacenza, sembrarci il nolo A. incorso in un grave erramento, allorché nell'apparalo fenomenico di que- Rivista medica 83 slo morbo accennava, che nel cavallo affetto dal be- zoar il vomito va spesso unito agli altri sintomi. Poi- ché sappiamo per attestazione d'insigni naturalisti e di dotti scrittori di fisiologia ed anatomia comparata, che il cavallo, per disposizione di struttura naturale del suo stomaco, non è soggetto al vomii o, né può effettuarlo. In sostegno di tal proposizione rammen- tiamo unicamente quel che leggasi nelle opere clas- siche del valentissimo Cuvier e di Uccelli. « Les so- li lipédes (son parole del primo) (i) ont un estorr\ac » simple, où l'on retrouve la forme ordinaire, L'aeso- » phage s'insère très-obliquement près du milieu de )) sou are anlérieur qui est tres-courbé, de sorte que » les deux culs-de-sac sont à peu près égaux. La » membrane interne du gauche est llsse, comme dans » l'aesophage, tandis que'elle paroit veloutée dans le » reste de l'estomac. La ligne, qui semble sépàrer ces » deux porlioris, est marquée d'un pli dentelé. La » membrane musculeuse a plusieurs couches de fibres » dingées en différens sens; il y en a qui sont di- » sposées en bandes, qui se portent de l'aesophage, » en traversant obliquement le cardia, à la grande » courbure de l'estomac, et contribuent sans doute » à fermer celui-ci, lors des contractions de cet or- » gane, et à rendre le voraissement impossible; ef- » fet qui est encore erapèché par l'insertion oblique » de l'aesophage ». « / solipedi (cosi si esprime il » secondo) (2) hanno uno stomaco semplice di for- (i) " Lesons d'anatomie comparée ec. „ Tome III pag. Sog e seg. (2) " Compendio di anatomia iìsiologico-comparata, ,, Vo- lume VI pag. 117, e seg. Firenze, 1826. ^/ S e I E N Z K u ma ordinaria. L'esofago vi s'inserisce obliquamente » quasi nel mezzo, talraentechè i due cui di sacchi » sono presso a poco uguali. Assai robusta è la mera- » brana muscolare, ed ha disposte le fibre in diffe* « renti sensi: per la quale disposizione è in questi » animali impossibile il vomito. « Cosicché, posta la evidenza di queste anatomiche dimostrazioni e di que- ste autorità irrefragabili (che giudichiam sufficienti senza congregarne ulteriori), ne sorprende come del- l'asserto del sig. Martino in proposito non siasi fatto scopo di avvertenza critica dalla sapiente ed illustre società economica del II Abruzzo ulteriore, che al- l'autore stesso del dono ne indirizzava lettera di rin- graziamento. TONELLI. 85 Praelectiones theologicae , quas in coli, romano S. I. habebat Ioannes Perrone e soc. le su ec. ec. y^ol. VIII^ Pars II, continens tractatus de locis theologìcis parf.es secundam et tertiam. Bo- mae tjpis collegii urbani 1842. [Art. IX). D 'opo avere discorso della chiesa e del suo visibi- le capo, come abbiamo nell'antecedente articolo ve- duto, passa il eh. A., nella seconda parte del tratta- to de' luoghi teologici a ragionare della parola di Dio trasmessaci o per iscritto, o per tradizione. Di questa soltanto ora parleremo , riserbando ad un nuovo articolo il ragionare della terza parte , ossia dell'analogia della ragione e della fede. Se la sola chiesa, come nella prima parte si ad- dimostrò, è quella società, cui Nostro Signore volle affidalo il deposito della fede: se fu da lui istituita per condurre gli uomini con indubitabili argomenti a questa fede: se la chiesa fu sempre la stessa, e tale serberassi fino alla consumazione de'secoli, adempien- do al ministero commessole dal Redentore; ne viene per conseguenza, che non altro debbasi dai cristiani credere , se non quello che ha proposto e proporrà essa, la quale unicamente per noi può essere la pros- sima ed adequata regola delle cose da credere e da fare. Ora tutte quelle verità, che la chiesa fin dal suo nascere o dalla bocca stessa del divino maestro, o dallo Spirilo Santo ricevette, le ha sempre essa senza alteramento e con fedeltà a viva voce ai suoi figliuoli 86 Scienze trasmesse. Siccome però ella, secondo i princlpiì dal Perrone stabiliti e dirnoslrali, visse ognora coU'interna vita di fede, di speranza e di carità; così per mezzo di un esterior ministero dovea comunicare questa vi- ta medesima a tutti coloro, che trasse a Cristo col- la predicazione della divina parola , ed accolse nel suo seno mediante l'amministrazione de' sacramenti: le quali cose ne costituiscono, per così dire, il corpo mistico. Diffondevasi infatti questa cliiesa per ogn'in- torno, e già mandava al cielo i suoi martiri pria che si ponessero in iscritto gli obbietti della fede, i quali solo venivano proposti colla tradizione sia orale, sia pratica. Intanto e per impulso dello Spirito Santo, e per loro spontanea volontà cominciarono alcuni a scrivere o intorno alla vita di Gesù Cristo e ai dog- mi da lui insegnati , o nudamente riferendoli , o commentandoli. Ma questi libri giunti fino a noi non solo non recarono , né poterono recare alcun danno alla tradizione e al pubblico magistero della chiesa del tutto indipendente da essi: ma come re- dola prossima furono sottoposti all' autorità di lei, anzi ebbero solo forza dal suo suffragio. Ed inve- ro chi, se non essa, disse essere questi libri veridici, e scritti per ispirazione divina ? Chi, se non essa, for- mandone il canone decretò doversi quindi in poi te- nere per canonici, cioè per veraci, autentici, divina- mente ispirati, ricavandone qual maestra le verità che v'erano racchiuse ? Da ciò emerge quella doppia re- gola, come dicono i teologi, agendorum et ci'eden- dorunif la scrittura cioè e la tradizione, subordina- te amendue al magistero della chiesa. E quantunque coll'andare del tempo molte di quelle cose, che sape- vansi solo per tradizione, sieno poi slate scritte, ciò Teologia del Perrone 87 nondimeno questa scrittura e questi monumenti, co- mechè per se stessi morti, se ebbero vita la ricevettero dal magistero della chiesa, appartenendo ad essa esclu- sivamente il giudicare si delle vere e genuine scrit- ture, sì del loro legittimo senso, sì delle vere e di- vine tradizioni. Laonde 1' esistenza , la origine , la ispirazione delle scritture divine, e tutte le altre cose apparte- nenti ad esse e alla tradizione , non possono a noi constare per fede e per infallibile autorità , se non per mezzo della chiesa. In ciò non avvi differenza alcuna tra il dotto e l'ignorante, fra il teologo e il laico: tanto l'uno quanto 1' altro devono prestare il loro assenso alla chiesa. La sola differenza che passa tra il dotto e l'ignorante si è, che a costui basta il credere alle cose dalla chiesa insegnategli; all' altro spetta col soccorso della scienza investigarne i fonti, e far sì che giammai non vengano in modo alcuno contaminati. Infatti in qualsivoglia articolo il teolo- go prima espone la dottrina della cliiesa: quindi colla scrittura, colla tradizione, co'padri, e con tutti gli al- tri argomenti della sua scienza ne mostra la verità: in ultimo ribatte le difficoltà che possono opporsi. Un siffatto metodo, come abbiamo veduto, è an- che ne' luoghi teologici dal nostro autore seguito. Imperocché quantunque sieno que'fonli, dai quali si ricavano gli argomenti a provare la scienza, nondi- meno sono anch'essi per noi obbietti di fede, e co- me tali ci vengono dalla chiesa proposti. Avea l'A. divisato parlar pria della tradizione e poi della sacra scrittura , essendo quella più antica di questa : ma siccome molle verità, che furono a viva voce propa- gate , vennero in appresso scritte , cosi per meglio 88 Scienze serbar l'ordine genetico, né avere più volte a torna- re sulla materia medesima , giudicò bene trattare nella prima sezione della scrittura, e della tradi- zione nell'altra. Facciamocene ad osservare il nesso veramente filosofico, tralasciando, come siam usi, o appena accennando quelle cose , che sono comuni agli altri teologi. Definito che cosa intendasi per sacra scrittura, imprende l'A. a parlare nel I. capo della canonicità delle sacre scritture, e con due separate proposizio- ni dimostra : I, che il canone de' sacri libri emanato dal concilio di Trento deve assolutamente ritenersi, per avere un solido fondamento nella chiesa primi- tiva. Imperocché esso altro non è se non quello pub- blicato da Eugenio IV a nome della chiesa romana l'anno i43e), desunto dall'altro di Gelasio dell' an- no 494 •' ^^ qnal canone erasi già nella chiesa ro- mana formato sul finire del primo secolo, dandocene argomento la lettera i^rima ( da alcuni detta anche seconda) di san Clemente ai corinti. Verità che dall' A. è sostenuta con corredo di scelta erudizione, ap- portandone a conferma per ogni secolo testimonianze di padri greci e latini. Ciò fatto, nella II proposizio- ne incalza vieppiù gli avversari, dimostrando che tolta l'autorità della chiesa cattolica non possono i prote- stanti stabilire un canone certo. In fatti non rico- noscendo eglino la infallibile autorità della chiesa , rifiutando la divina tradizione, essendo tra loro stessi discrepanti, non possono avere una sicura norma per compilarlo : e però è necessario , o che ammettano quello della chiesa romana, o che si rimangano sem- pre incerti e dubbiosi sulla canonica autorità di qual- siasi libro. Teologia del Perrome 89 Il capo II tratta della ispirazione de'libri cano- nici: e bene determinato in che cosa essa consista, quale nozione ne abbiano i protestanti e i raziona- listi prendendo egli tra le diverse sentenze de'calto- lici la via di mezzo, segue l'opinione del Marchini cbiamandola « una singolare impulsione dello Spi- rilo Santo, che muove a scrivere, ed una direzione e presenza che governa l' animo e la mente dello scrittore in guisa, che non gli permette di cadere in errore: anzi fa si che scriva solo ciò che Dìo vuole. » Dalla quale definizione chiaramente apparisi e, doversi ritrovare nella ispirazione divina quelle quattro cose, che bastano per comune consentimento de'teologi a costituirla, vale a dire, 1 V impulso o eccitamento a scrivere , 2 la illustrazione della mente , e la mozione della volontà: acciocché non solo il sacro scrittore non cada in errore, ma 3. la scelta delle cose si trovi in esso lui, sicché nulla lasci o aggiun- ga di quanto Iddio vuole che da lui si scriva, e fi- nalmente la costante e particolare assistenza nel compiere l'opera. Notata la differenza tra la ispirazione e la rive- lazione, la quale ultima ha per oggetto la manife- stazione di una cosa ignota, e per cui sovente sono le parole stesse da Dio medesimo dettate: nella I pro- posizione sostiene la dottrina della chiesa cattolica propostaci dal concilio di Trento , vale a dire eh' essa a buon diritto insegna essere il solo Dio l'au- ' tore dei libri canonici del vecchio e del nuovo te- slamento, ossia che tali libri sono sacri, perché scritti, quanto alle cose e alle sentenze , per ispirazione ideilo Spìrito Santo, Ciò eseguito, dimostra nella se- conda proposizione quello che abbiamo già di sopra go Scienze accennato: vale a dire, che l'ifiutata l'autorità della chiesa cattolica rion può con certezza constare ai pro- testanti della inspirazione de'libri canonici. Non man- ca però di far notare, aver lui detto autorità della chiesa cattolica', imperocché per essa sola sappiamo che quanto ella udì dal Redentore e dagli apostoli il Iraniandò a noi con una non interrotta tradizione: la qual cosa dire non possono le sette , niuna di esse riandando cronologicamente ai tempi apostolici. Inol' tre ci fa sapere di avere l'A. aggiunto con certezza', perchè una maggiore o minore probabilità non esclu- derebbe il dubbio, che in cosa di tanto momento deve assolutamente eliminarsi ; e di aver parlato de' libri canonici, vale a dire di tutti i singoli del vecchio e del nuovo testamento. Assai importante è il capo III, in cui l'autore ragiona della interpretazione delle sacre scritture. So- prattutto ne sembra assai pregevole la distinzione eh' egli pone tra la interpretazione dommatica ed esege- tica. La prima è quella che si fa con potestà ed au- torità di obbligare a credere o a qualche domma, o a qualche verità risguardante la fede e i costumi, o in qual siasi altra guisa il deposito della fede mede- sima: la seconda è una privata o dottrinale o scien- tifica esposizione, che rende pivi agevole la interpreta- zione del sacro testo: ed è a chiunque permessa, pur- ché si osservino alcune regole r^cjaieste dalla natura stessa della cosa. Giusta i ca,ttolici la dommatica interpretazione appartiene solo alla chiesa: giusta i protestanti ogni cristiano può esserne il dommatico interprete. La controversia principale, e che può a ragio- ne chiamarsi fondamentale, è intorno alla dommati- Teologia del Perrome gr ca interpretazione. I protestanti non si attennero ad una medesima dottrina. Imperocché fermi mai sem- pre iiell'escludere la dommalica ed autentica interpre- tazione della sacra scrittura per parte della sola chiesa, altri n'esaltarono la somma chiarezza in tutte le cose; altri ne credettero legittimo interprete lo spirilo pri- vato : col qual nome alcuni de'più antichi indicaro- no una interna illustrazione comunicata dallo Spi- rito Santo, per cui ognuno infallibilmente era fatto certo del senso della divina scrittura; altri linalmente dissero, la scrittura essere di per se stessa giudice del- le controversie, e interprete di se medesima. Ad ab- battere questi erronei principi! il nostro aulore in due articoli, il primo de'quali è suddiviso in ire propo- sizioni, mostra I che la sacra scrittura anche nelle cose riguardanti i costumi e la fede non è sì chiara da non aver d'uopo d'interprete : II che appartiene al- la sola chiesa il darne una dommatica interpretazio- ne: III che, ricusata l'autorità della chiesa, i prote- stanti non possono mai esser certi della dommatica inlerprelazione de'Iibri santi. Nell'articolo II passando alla interpretazione ese- getica, ossia alla scientifica, benché questa non appar- tenga propriamente al professore di teologia ma si a quello della sacra scrittura, nondimeno , siccome i protestanti malignamente accusano la chiesa cattolica di ritardare gli studi biblici, e di restringerne la scien- za , costringendo i fedeli a seguire la sua interpre- tazione, o per lo meno a non dipartirsi da quella de'santi padri: e siccome hanno essi accozzate tali re- gole di ermeneutica da togliere alla sacra scrii ìura lutto il religioso valore; cosi egli, senza però stabilire alcuna proposizione, prende a ribattere le loro calun- 92 Scienze nie, mostrando che cosa importi il decreto del con- cilio di Trento. Institnisce quindi il paragone essen- ziale tra la ermeneutica cattolica e quella de' pro- testanti, i quali devono, per così dire, incominciare l'edificio da'fondamenti. Infatti non ammettendo essi l'autorità della chiesa, deve ognuno di loro in pria ricercare se esista la scrittura, quanti ne siano i li- bri, se sieno scevri da ogni interpolazione, e devono in fine determinarne il senso: ciò richiedendo l'essen- ziale principio del protestantismo, secondo il quale piena e generale dev'essere !a libertà dell'esame. In ultimo porge 1' A. alcune regole, che servir devono di norma al teologo nella esposizione della sacra scrit- tura; avvertendo doversi sempre condurre con gran- dissimo discernimento, e distinguer bene l'uso dall' abuso. Tratta il capo IV delle versioni della sacra scrit- tura, ed è in due proposizioni diviso. Sostiene nella prima, che a ragione il concilio di Trento di tutte le latine edizioni della sacra hìhbìa dìc\i\arò per auten- tica Vantica volgata', ossia che ne dichiarò la con- formità intrinseca col testo primitivo non solo nelle cose riguardanti la fede e i costumi, ma eziandio la sostanza, e che in conseguenza le dette quella estrin- seca autorità che non concesse alle altre. Con que- sta sottilissima distinzione di autenzia intrinseca ed estrinseca sembra interamente tolta la controversia della preferenza data dal tridentino alla volgata sopra il testo e le altre versioni. Imperocché il concilio non toccò già i fonti, ma li serbò nello stato in cui trovavansi, lasciando agli eruditi il disputare sull'in- trinseco valore , non avendo voluto ad essi col suo decreto, come riferisce il card. Pallavicino, nulla de- Teologia del PkRronk ^3 trarre, e solo dando alla volgata quell'autenzia, di cui dicevamo di sopra. Nella seconda proposizione fa vedere, che a buon diritto i romani pontefici proibirono con ripetuti de- creti, come perniciose e nocevoli, le società bibliche. La quistione è troppo importante, e però non possiamo fare a meno di svilupparla alquanto sulle tracce del eh. autore. I protestanti e gli anglicani, vedendo a malincuore il frutto grandissimo che i cattolici ricavavano dalle loro missioni, vollero anch' essi imitarli, e tentare di formarsi così nuovi prose- liti. Pertanto nel i8o4 ^^ Inghilterra si fondò una società a fine di tradurre la bibbia nelle lingue vi- venti, e spargerla quindi senza commentari e anno- tazioni. A questa società primaria molte altre se ne aggiunsero per amichevolmente giovarla o con lette- rari o pecuniari soccorsi. I luterani , i calvinisti, metodisti, gli anglicani, i sociniani, gliarminiani, gì anabatisti, i quacqueri, in una parola gli eretici tutt si gloriarono di farne parte. Ognuna di queste sette formò la versione della sacra scrittura secondo i pro- pri errori: e quando le fu d'uopo di corromperla, non arrossì di farlo apprestando così agl'incauti la professio- ne della fede propria di ciascuna setta. Lo spirito che in essi domina, come ognun ben vede, è l'opposizione; il fine, ia distruzione della chiesa romana. E che ciò sia vero , e non già un malignare di noi cattolici , il fece tra gli altri molti palese il ministro Cotta- rei (i), che in un pubblico discorso pronunziato Tan- fi) The orthodox journal. Octob. t8t3, pag. 179. Anche il »ìg. O* CoUagan ripete dalla istituzione di queste società lo spi- rito ili opposizione verso Roma, ossia verso la chiesa cattolica. g/|. Scienze no i8i3 in una di queste bibliche adunanze disse,- sperare che la distribuzione delle bibbie avrebbe mol- to conferito ad abbattere V autorità del papa : è ben chiaro il manifestano le stesse distribuzioni del- la bibbia senza dilucidazioni o note, perchè preval- gano i fondamentali principii della interpretazione privata , e del rifiutamento di tutte le dommatlche tradizioni. Laonde non perdonano ne a spese, ne a travagli, ne a fatiche per istampar bibbie: e nel con- gresso tenutosi nel 1828 in Noyon gloriavasi la so- cietà, essere stato l'evangelo tradotto ed impresso in 97 idiomi , quando ne' diciotto antecedenti secoli non erasi volto e stampato se non in 47 lingue. Quanto poi al fine, non solo essi disseminano tra gl'infedeli e i protestanti le loro bibbie, ma fin tra i cattolici della Germania , della Francia, della Spagna, del Portogallo e della stessa Italia; sicché nell' anno 1889 nella sola Francia n'erano siali distribui- ti 1 3 7000 esemplari, contandosi dalla istituzione del- la società fino a quell'anno, ossia nello spazio di an- ni 36, di averne in più di 148 idiomi spacciate ol- tre a dodici milioni; fine che pivi chiaro apparisce da- gl'innumerevoli libri e trattati che o gratuitamente o a tenue prezzo e in eleganti caratteri ( come pur sono le sopraddette bibbie ) spandono tra la più vile e rozza plebaglia per ingannare gl'incauti. Né di ciò paghi, adoperano le più indegne frodi, né si ristanno dal vessare e perseguitare i missionari cattolici ovun- que li trovino. Il perchè non solo i romani ponte- fici, ma molti eziandio degli stessi protestanti e an- glicani, attesi i gravissimi danni che alla società de- rivavano, sono fin giunti a riprovarle. Nel capo V il N. A. passa a parlare della lei- Teologia dei, Perrone g5 tura delia Bibbia in lingua volgare: dimostrando nel- la I proposizione, che la lezione della sacra scrittura non è assolutamente necessaria a tutti i fedeli per l'acquisto della salute, né per se medesima, ne per precetto positivo divino o ecclesiastico; e nella II, che mai la chiesa o i romani pontefici non ne proibiro- no a tutti i fedeli la lettura in lingua volgare: ma che ora la condannarono, ed ora l'approvarono, se- condochè richiedevano le circostanze de' tempi , de^ luoghi, e la utilità stessa delle persone: facendo av- vertire, trattarsi qui di una cosa disciplinare^ e però mutabile tutte le volte che il bene della chiesa il ri- chieda. Detto quanto era necessario a sapersi intorno alla scrittura, viene egli all'altra parte di questa se- conda sezione: e determinato che cosa sia tradizione, espostine i vari generi in riguardo degli autori, della durazione, dell'obbligazione e del luogo, fatta osser- vare la differenza che passa fra la tradizione e i mez- zi, co'quali la conosciamo, l'autore restringe tutta la materia a tre soli capi. Sebbene anche i protestanti confessino, che in principio fu la dottrina di Gesù Cristo nella chiesa insegnata e conservata per mezzo della tradizione : essendosi, come si è veduto, assai più tardi incomin- ciato a scrivere i libri santi; nondimeno, anche dopo compiuto il numero de' sacri libri , dividono essi la tradizione in inesiva e dichiarativa. Chiamano ine- riva quella che insegna i dommi stessi contenuti nel- le sacre scritture : dichiarativa quella che più aper- temente sviluppa quanto le scritture con maggior bre- vità o con minore chiarezza espongono. Ne hanno difficoltà alcuna in ammetterla, risolvendosi ambedue q6 Scienze nell'autorità della scrittura, della quale col mezzo di • una siffatta tradizione meglio conosconsi i dommi. Vengono in tale guisa con sottilissimo inganno a ri- fiutare la tradizione distinta dalla parola scritta, so- stenendo non avere essa alcuna forza se sia presa in se, e separata dalla scrittura; anzi la riguardano co- me principale e feconda origine di quella corruttela, che credono ravvisare nella chiesa romana. Ma il no- stro A. con una proposizione ad evidenza dimostra, che oltre la sacra scrittura debboasi necessariamente ammettere le tradizioni divine dommatiche assoluta- mente distinte da essa: e ribattendo le difficoltà trat- te dalla sacra scrittura stessa , dai santi padri , dai dottori e Unalraente dalla natura , e dagl' incomodi di essa tradizione, li costringf? a dichiararsi per vinti. Nel capo secondo parlando de'mezzi generali, con cui ci fu trasmessa la primitiva domraatica tradizione, e di quelli per cui possiamo con sicurezza ravvisarla, ripetuta la necessità di distinguere fra la tradizione dommatica e i mezzi per cui essa ci si rende nota, di- vide questi mezzi medesimi in generali e particolari. Trattando de'primi in separati paragrafi, discorre, i del magisterio della chiesa; 2 degli atti de'concili spe- cialmente ecamenlci, avvisando i giovani a ben no- tare la differenza tra le discussioni fatte dai padri , la dottrina da essi nel concilio approvata, e a non confondere l'oggetto della difinizione col motivo che la provocò; 3 degli alti de'martiri, ricavandosi in par- ticolar modo da essi quale dottrina dalla chiesa in pubblico e in privato s'insegnasse senz'alcuna mesco- lanza di privata o soggettii'a spiegazione, la quale talvolta ci può essere d'inciampo nel raggiugnere la mente genuina de' padri; 4 <^'ella sacra liturgia; 5 del- Teologia del Perrone gy la pratica della chiesa sia nella pubblica e solenne amministrazione de'sagramenli, sia nel culto religio- so: 6 de'santi padri, esponendo la differenza che pas- sa tra testimonio e dottore, e dando alcune sicure regole per conoscere quando essi parlino come testi- moni della tradizione e della dottrina della chiesa , n de'teologi scolastici, i quali non solo debbonsi as- sai stimare per avere ridotta a capi la dottrina stessa della chiesa, e ristrettala sotto alcune formole ; ma eziandio perchè furono dottori di sommo ingegno, fa- cendo peraltro avvertire non dovere il giovane teo- logo né strettamente attenersi agli scolastici, né di- spregiarli di soverchio: 8 degli eretici, i quali pure l'autore pone come testimoni della tradizione sì per tutte quelle cose, per le quali essi non discordano dalla chiesa cattolica, sì perchè collo impugnare essi una verità ne venivano in tal guisa a contermare la esistenza; e per ultimo della storia ecclesiastica, ru ferendo i canoni più sicuri per ravvisare l' autorità degli scrittori. Esaminati i generali, passa il Perrone nell'ulti- mo capo a discorrere de'mezzi singolari, ossia di quel- li , per cui più particolarmente si conosce la verità della fede cattolica. A due egli li riduce ; alla epi- grafia cioè, e agli altri monumenti degli antichi cri- stiani. E quanto alle iscrizioni, essendo ben noto co- me i primitivi cristiani le abbiano avute a cuore, so- no esse per noi preziosissimi testimoni, e sopperisco- no alla istoria specialmente de'primi secoli, in cui non sono sì copiosi gli scritti de'padri. Così, a modo di ■esempio, le innumerevoli iscrizioni poste al fanciulli ci fanno fede del battesimo degl'infanti, della distin- zione tra il battesimo e la confermazione ec. Ci at- G.A.T.XCLVI. 7 g& Scienze testano inoltre esse iscrizioni ora la invocazione de* santi, ora i voti soddisfatti, ora la necessità della pre- ghiera ec. E poiché il Perrone riferisce nelle note la inedita epigrafe non ha guari dal eh. p. Giuseppe Mar- chi della comp. di Gesù, conservatore delle catacombe, scoperta nel cimiterio di sani' Agnese nella via no- mentana, così anche noi la riporteremo, essendo quan- to altra mai affettuosa e assai pregevole , per dimo- strare specialmente la forza della preghiera e la in- tercession de'beali : DIONISIUS . PUER . INNOCENS HIG . QUIESCIT . GUM . SANGTIS REGORDAMINI . AUTEM . ETIAM NOSTRUM . IN . SANGTIS . VESTRIS PREGIBUS . ET . MEI . SGILIGET . QUI SGULPSI . ET . MEI . QUI . SGRIPSL (i) Termina il Perrone questo paragrafo col ricordare i canoni stessi del p. Zaccaria , perchè più fruttuoso e più utile sia l'uso delle iscrizioni sacre. In appresso, ragionando degli antichi monumenti cristiani, incominciando dalla pittura e dalla scultura ricorda i vetri, le gemme, le lucerne, i sarcofagi e quante cose archeologiche vi sono, intorno a cui si bene scrissero il Buonarroti, il Bosio, l'Arringhi, il Bot- tari, il Vettori, il Lupi, il Maffei, il Gori, il Boldelti e innumerevoli altri. In fatti dal vedersi effigiato s. Pie- fi) Tale iscrizione dal greco fu cosi volta in latino dallo stesso padre Marchi , il quale nel suo originale la pubblicherà e la illustrerà inserendola nella opera de' monumenti degli anti" chi cristiani, la quale coti tanta ansietà si aspetta dai dotti. Teologia del Perrone ^q Irò che sovra tutta la chiesa riceve la potestà di Gesù Cristo , non veniamo forse assai bene a rilevarne il primato ? Dall'osservare che san Paolo, benché collo- cato a lui vicino, è sempre però dipinto in tale rispet- toso atteggiamento da dimostrare la differenza ben grande, la quale tra l'uno e l'altro passava, non si con- futa forse anche con questo solo indizio il paradosso del duplice capo della chiesa? Dicasi il medesimo del- le altre pitture rappresentanti cose che riguardano il domma. Passa di poi il Perrone a ricordare i van- taggi che trarre si possono dalle monete , dai eepoU cri , dalle immagini simboliche , da quelle di Gesù Cristo, della santissima Vergine e de'santi che tro. vandosi sovra gli altari, ove operavansi i divini mi- steri, bene addimostrano essere state ab antico in ve- nerazione. Ricorda le croci non solo collocate sulle are, ma sovra gl'ingressi delle porte, perchè i cristia- ni le baciassero, i sacri vasi da essi adoperati, la va- ria struttura delle chiese indicante la distinzione di luogo tra i sacerdoti, i ministri, e la plebe: il nu- mero degli altari, trovandosi nella soprannominata ca- tacomba alla via nomentana fin sette altari in una stessa cella: dal che ne segue confutarsi ad evidenza i giansenisti, che giusta la veneranda antichità un solo altare nelle chiese vorrebbero; e finalmente, a ta- cere di ogni altro, rammenta que'sedili, in cui i sacer- doti ascoltavano le confessioni de'fedeli (i). In una pa- rola ninna cosa sfugge al sagace occhio del nostro teo- logo, anzi di tutto sa trarre partito per sostenere la (i) Queste ed altre cose, ritrovate non ha guari nelle roma- ne catacombe, saranno illustrate dal Marchi nella opera già ri- cordata. 100 Scienze verità dell'assunto, e ammaestrare così i giovani a co- rjDseere, difendere e propagare quella dottrina , che Gesìi Cristo non ad uno o ad un altro individuo com- mise, ma sì agli apostoli suoi, ossia alla cliiesa: che gli apostoli in ugual modo affidarono a tutta la chiesa ossia ai vescovi che alle chiese preposero ; che sana ed intatta è giunla-fino a noi: e che, giusta la pro- messa del Salvatore, intera e pura si professerà fino alla consumazione del secolo. Dalle quali cose, benché discorse da noi con gran brevità, evidentemente raccogliesi quanto prege- voli sieno anche le due parti di questa seconda se- zione, e come siensi dall' autore sviluppate con tale chiarezza , profondità ed erudizione da non lasciar nulla a desiderare. F. Fabi Montani. lOI Sulla proposta dei sigg. fisici di Ancona di ab- bre\>iare il periodo della contumacia nei porti . dello stato pontificio. Parere dei fisici del tri- bunale di sanità di Roma (*). N< oi fisici del tribunale supremo di sanità, avendo per ordine di vostra eccellenza reverendissima letto ed attentamente esaminato due voti, l'uno di tre fisici di Ancona, 1' altro anonimo , nel primo de' quali si vorrebbe ridurre la contumacia per la patente brutta a soli 20 giorni, per la netta a io, premessa la de- purazione del corpo e degli abiti dei passeggieri^ nei secondo si vorrebbe ristringere a ig giorni per qual- sivoglia patente; abbiamo concordemente osservato che (*) Mi è venuto in questi giorni alle mani un prezioso li- bretto del sig. dott. A.. Bo, medico del lazzaretto di Genova, in cui a tutela della società si sostiene il rigore delle contumacie contro le provenienze sospette, e si risponde efficacemente agli argomenti del sig. dott. Gosse di Ginevra, tendenti ad insinuare notabili facilitazioni, onde non porre ritardo al commercio. Per mostrare quanto sia stato, e tuttora sia consentaneo al modo di pensare del dott. Bo quello dei fisici sanitari di Roma, ho stima- to bene produrre questo breve scritto, che sin dal i825 esiste negli archivi della congregazione di sanità, e che d'accordo coi professori Morichini e Carpi, e dietro l'invito di monsignor 01- giati allora segretario di consulta, fu da me esteso in risposta ad un parere dei slgg fisici di Ancona, e ad altro anonimo, lo sco- po de'quali era appunto quello di persuadere la riduzione del- le contumacie, in ispecie per le provenienze del levante e della Grecia. G. Folchu ioà Scienze l'opinione di alcuni medici di abbreviare la quaran- tena non era ignota a quelle savie e dotte persone, che dieci anni indietro compilarono il nostro codice di sanità marittima, e che non pertanto elle crede- rono benfatto fissarla a quel periodo, il quale si legge nel codice medesimo titolo III. Due furono le ragio- ni principali, per le quali i redattori del codice sta- bilirono a 40 giorni la contumacia per la patente brutta; l'una fu l'esempio della maggior parte dei laz- iiaretli d'Europa; l'altra la notizia di qualche caso, nel quale il contagio pestilenziale introdotto nel cor- po si era sviluppato dopo lo spazio di alcune setti*, roane ; e siccome in affari di sanità pubblica i ca^i rari sono appunto quelli, sui quali conviene fondare la regola, e dee sempre abbracciarsi il partito pili si- curo, perciò eglino , posposta l' opinione dei fautori tli tìna contumacia breve, si appigliarono al consiglio di quei magistrati e fisici che avevano inculcato un lungo esperimento sull'individuo sospetto, pria di re- stituirlo alla società. Fatta pertanto una volta nel no- stro tribunale matura discussione sull' articolo della contumacia, parrebbe ora inutile il ritornarvi , e Ir. massima per esso adottata potrebbe servire di rispo- sta a qualunque difficoltà ; nondimeno in ossequio della volontà dell'eccellenza vostra reverendissima, e in riguardo de'rispettabili fisici anconitani, che hanno di nuovo proposta la quistione, ci faremo ad esami- nare brevemente le ragioni contenute nei voti soprac- citati, ed a confortare coi fatti le disposizioni del no- stro codice. Asseriscono i fisici anconitani, che la delitescen- za del virus pestilenziale nel corpo umano non suo- le ordinariamente oltrepassare i io o 12 giorni: e Contumacia nei porti lo3 posano la loro proposizione sull' autorità di alcuni scrittori , e sull' esempio della delltescenza del pus vaccino inoculato. In verità cotesla proposizione ben ponderata è tale, clie mentre favorisce le misure del nostro codice, non è affatto di appoggio all'opinione contraria. Dunque il contagio pestilenziale suole or- dinariamente star nascoso nel corpo per lo spazio di 10 o 12 giorni, senza alterare la sahife; ma noi ri- petiamo, e non cesseremo mai di ripetere, che in af- fari di sanità non si dee badare a ciò che accade oì'- dinariamente , bensì a ciò che avviene sempre, im- mancabilmente, ed è comprovato da una lunga e co- stante osservazione. D'altronde noi comprendiamo che i fisici anconitani , volendo essere cauli, non pote- vano con diversi termini emettere la loro proposizio- ne, giacche cosi l'annunciano tutt'i savi scrittori, e così parla l'esperienza. Coloro che hanno scritto sulla peste, dopo essere stati presenti alla medesima una o più volte, allorché parlano della delltescenza del con- tagio e del momento in 'che si sviluppa nel corpo infetto, adoperano sempre gli avverbi generici citius aut tardiiLS, si riportano alla diversa alllvilà del vi' rus, alla diversa disposizione degl'individui, ally cir- costanze atmosferiche più o meno favorevoli, e noa ardiscono mai precisare il numero dei giorni. Felice Plater , il quale rammentava sette pestilenze in Ba- silea sua patria, in alcuna delle quali era stata as- salita la stessa sua famiglia, parlando del tempo, in che la materia contagiosa rimane inerte nel corpo , si esprime così : Corpus infectum , nondum ta- men pestilenti febri laborans redditi a quo tamen vel proprium corpus vel aliorum nunc citius nunc io4 Scienze tardius potest affici (i). Diemerbroeck , l'au lorità del quale nell'argomento di peste è generalmente rispet- tata, facendo parola dell'operazione del germe pesti- lenziale nell'organismo umano, dice: Illa autem per-- nicìosa istius pestilentis veneni operatìo in omni- bus hominihus non eodeni tempore et modo pera- gitur: nam cum illud contagiosum miasma in cor- pore receptuni est, in aliis citissime^ in aliis lente morbum inducit. Imo in hac peste novioniagensiy etsi plerumqite citissime se effectis proderet. ta~ m,en interdum per aliquot dies, interduni per duas tresve hebdomadas^ semel per aliquot menses, in corpore Intuisse observavimus, antequam sui prae- sentiam certis ac notis signis se manifestaret, vi- resque suas manifeste exerceret (2). Se adunque presso l'autorità di questi e di altri scrittori, che fa- cile ci sarebbe il citare, non può determinarsi il nu- mero de'giorni, pei quali il veleno pestilenziale rimane, inoperoso nel corpo ; e se da ciò che accader suole ordinariamente, non può trarsi argomento sicuro in materie sanitarie; noi non vediamo come i fisici an- conitani dalla loro proposizione , vera d' altronde e giustissima , abbiano potuto dedurre la conseguenza di abbreviare per metà il periodo della contumacia. Tanto è vero che la delitescenza suole essere di IO o 12 giorni ordinariamente ^ non però sem- pre, che nella storia medica sono registrati de'casi, ne'quali il contagio pestilenziale ha tardalo assai più a manifestare i suoi effetti. Fodere, nell'opera intito- (i) Praxeos traci. II. Peslilens febris continuarurn febriut genui. (a) De peste lib. I cap. X pag. (mihi) 88. Contumacia nei porti io5 lata Legons sur les epidéinies et Vhygiéne publi- que (i), riporta un fatto eh' egli dice aver desunto dal lournal coniplementaire^ riguardante un certo Rusenfeld di Carintia, il quale pretendeva possedere un segreto onde essere Immune dalla peste , e per dar prova del suo valore si sottopose al seguente espe- rimento , che sopra di lui eseguirono i medici della Nunziatura austriaca nell' ospedale degl' appestati di Costantinopoli. Gli si fecero lavare le mani e le brac- cia con acqua e sapone: e dopo averle bene asciu- gate, gli si fecero immergere non solo le dita nei bu- boni e carboni suppurati degli appestati , ma trarre eziandio una quantità considerevole di pus dai bu- bonl medesimi, e con esso stropicciare le braccia e le mani, sino a che queste parti fossero bene asciut- te. Fatto l'esperimento, Rosenfeld godette di una per- fetta salute per lo spazio di 22 giorni; ed era già sul punto di cantar vittoria, quando al vigesnno terzo fu assalito da tult'i sintomi della peste, e ne rimase vit- tima dopo una malattia di 54 ore. In questo caso la materia contagiosa non fu innestala; ma certo l'ap- plicazione sulla pelle fu tale, che ninno vorrà muo- ver dubbio sulla introduzione di essa nel corpo; tanto più che il medesimo Rosenfeld prima dell'esperimento avea soggiornato impunemente per 17 giorni nell'o- spedale prestando In tutti i modi la sua opera ai ma- lati; e quindi nel caso attuale abbiamo un esemplo di delitescenza di 22 giorni, dieci giorni plìi lunga di quella ordinarla, annunciata dagli autori del vo- to. Manget, nel trattato della peste (2), riporta l'isto- (i) Tom IV %. 517. (2) Traile de la peste; chap. III. Des signes de la peste pag.27. io6 Scienze ria Jl una vedova, cui nell'otlavo mese di gravidanza morì il marito di peste , ed essa fu aHaccata dalla stessa malattia dopo il parto, ch'è quanto dire olire a 40 giorni dopo la morte del suo coniuge. Quindi il lodato autore riguarda come giusta la precauzione di assoggettare ad una quarantena completa coloro che vengono da luoghi infetti, sebbene apparentemente sieno in istato di sanità: Par cette sorte de'cas je pus ohserver^ qite le venin pestilentiel méme le plus vehement peut qualquefòis se cacher assez long tems dans un corps humain, et combien est juste la précaution de ceux , qui font faire la quaranteine complete a ceux qui viennent des li" eux infectés , quelques sains qu^ ils paraissent. Più singolare e meritevole di attenzione è l'istoria ri- ferita dal lodato Diemerbroeck (i) di un nobil uo- mo, il quale contrasse il contagio pestilenziale in oc- casione della malattia di un suo fratello e sorella vit- time della peste, e lo portò per lo spazio di tre mesi circa nell'interno della sua macchina senza provare i soliti sinlomi: a capo del qual tempo gli comparve un bubone nell' anguinaia che svanì a poco a poco senza maturare , coll'imposizione di certo empiastro risolvente. Ne può dirsi di quest' uomo ciò che so- spetta Hlldebrand (2), ch'egli ritenesse soltanto ade- rente al suo corpo la materia contagiosa, e ne fosse come un conduttore passivo, sino a che favorevoli cir- costanze esaltarono la di lui disposizione ad assor- birla; imperocché nota Diemerbroeck che nel decorso dei tre mesi si lagnava il suo cliente piìi o meno di (i) Loc. cit. lib. IV hist. io5. (2) lustit. med. praet. Contumacia nei porti ioj dolor di capo, d'inappetenza, e soprattutto di ansietà di cuore, e debolezza delle forze;! quali incomodi, quantunque non caratteristici del contagio operante, dichiararono abbastanza l'introduzione di esso nella macchina , ed un lento incoininciamento della sua azione. Né può dirsi tampoco di quel soggetto che «gli per un cerio tempo avesse aderente agi' abiti o alle robe infette la materia contagiosa, assorbita po- scia per un fortuito contatto ; giacche avverte Die- inerbroeck, che subito dopo la morte della sorella de- pose tutte le robe sospette e mutò cielo : Ut sani- tati suae melius consuleret , meo Consilio statim post mortem sororis suae . . . aerem mutavit, et relictis omnibus rebus suspectis^ extra urbem . . . se contulit. Rarissimo invero, e forse unico si è que- sto caso, anche a giudizio di Diemerbroeck, che n'è stato testimonio; ma non cosi rari sono altri casi di delitescenza men lunga di questa, più lunga però di quella ordinaria, che pongono innanzi i fisici anco- nitani, e d'onde desumono la loro illazione. I quali casi, e tra questi sono da contarsi i teste accennati di Fodere e di Manget, benché presentassero delle cir- costanze non affatto scevre di eccezione, pel solo dub- bio sulla loro realtà dovrebbono rispettarsi dai ma- gistrati e dai fisici sanitari. E conviene pur dire che sia stato questo dubbio rimaso nell'animo , il quale ha fatto sì che anche i medici men proclivi ad am- mettere una lunga delitescenza del contagio, quando sono stati al punto di pronunziare sul periodo della contumacia, non han saputo determinarsi a scemarlo neppure di un giorno. Così Lodovico Sellala dice- va (i),non potersi persuadere che il virus pestilen- (i) Gap. VII lib. IV- De peste etpestlferis affectibus (mihi) x^o. io8 Scienze ziale stia inoperoso nel corpo per 40 giorni senza ap- portargli del danno : eppure trattando della conlu- rnacia soggiunse: « Hocque modo non immerito sta- tutum esse credemus, quadragenarium hunc nu- mei'um esse necessariam^ maxime cum in naturam aliquam possit incidere, quae diutiiis etiam pote- rit operationem venenatae matcriae protrahere. Il Muratori egualmente, nel lib. i cap. XII della sua opera (i), non osa contraddire al parere di quegli scrit- tori , i quali sostenendo una breve delitescenza del virus, vorrebbono accorciare la contumacia nei laz- zaretti: egl'intanto al cap. II dello stesso lib. I. avea raccomandata la quarantena intiera del minuto po- polo, onde preservare sul principio della peste tutta la popolazione della città, ed appoggiato avea questa misura all'autorità ed esperienza del p. Maurizio da Tolone cappuccino, autore del Trattato politico del- la peste. E che dovrà dirsi dell'argomento di analogia dei jGsici di Ancona tratto dalla breve delitescenza del contagio vaccino inoculato nella pelle umana ? Noi, che abbiamo lutti gl'anni occasione d'inoculare, pos- siam dire che non sempre brevissimo si è lo stadio di delitescenza, e che talvolta lo abbiam veduto pro- lungato sino al decimo e duodecimo giorno: e come per questo tratto di tempo rimane inoperoso nel corpo il pus vaccino, cosi non ci sembra improbabile il caso che vi rimanga più a lungo, quantunque nel- la noslra pratica non siasi da noi sinora avvertilo. Diciamo poi che se i lodati fisici prendono argomento in sostegno della loro opinione dalla breve delite- (i) Governo della peste. Contumacia nei porti log scenza del vaccino, noi in nostro favore prender lo potremmo dalla lunghissima del virus idrofobico , il quale sebbene abbia natura diversa dal contagio pe- stilenziale, e diversa maniera d'agire, è pur sempre una materia disaffine all'organismo umano, irritante, e capace di risvegliare un morbo simile a quello, pel quale è stata generata. Ognun sa , né v'ha bisogno di esempi, che il virus idrofobico resta talvolta laten- te per alcuni mesi nel luogo della ferita, e produce poi inaspettatamente una malattia mortale; e appunto questa lunga delitescenza ha fatto credere un tem- po efficaci certi antidoti che sono stati decantati con- tro l'idrofobia. Qual maraviglia dunque che anche il contagio pestilenziale ed il pus vaccino introdotti nella macchina possano sospendere la loro azione ir- ritante per lunga serie di giorni? Che se dall'autorità di espertissimi scrittori, dal fatto , e dall'argomento di analogia risulta potere il contagio pestilenziale aver sede per molti giorni nel- l'interno della macchina senza alterare lo slato ap- parente di sanità, noi non vediamo come le misure suggerite dai fisici anconitani possano essere di com- penso a quel numero di giorni, che si vorrrebbe to- gliere alla contumacia. Eglino distinguono uomo in- fetto da contaminato : intendendo pel primo colui che porta nel suo interno il seminio pestilenziale ; pel secondo quello che lo tiene aderente alla super- ficie cutanea, ovvero alle vestimenta: distinzione giu- stissima, ch'è stata pur fatta da tutt'i medici che han- no scritto sulla peste. Dicono pertanto che quando l'individuo, entrato in lazzaretto, spogliato de'propri abiti, sia immerso in un bagno di cloro, o anche di acqua marina , e vestito di nuovo de'suoi abili do- no Scienze poche questi sono stati disimbrattati o con le lavan- de, o con le fumigazioni di Morveau, e l'esposizione all'aria libera, è già rimosso il pericolo delia conta- minazione: e quegli può esser posto in pratica dopo 20 giorni, se venuto con patente brutta: dopo io, se con patente netta. Conveniamo anche noi che le indicate misure sono efficacissime ad allontanare il caso che il germe pestilenziale aderente all'esterno o s'insinui nel corjDO del passeggiero, o si appicchi ad altri; in poche parole le indicate misure sono buo- nissime riguardo alla contaminazione. Ripetiamo pe- rò che non compensano, ne potranno mai compen- sare la diminuzione della contumacia. Posto che il germe contagioso possa più lungamente stanziare nel- l'interno stesso dell'organismo senza sconcerto nota- bile delle funzioni, come noi confidiamo aver dimo- strato di sopra, potranno forse i bagni e le lavande salvar l'uomo infetto dal pericolo di ammalarsi, e di- messo che sia questi dal lazzaretto pria del tempo convenevole, salvar la società dal pericolo della pro- pagazione della peste? In forza di questa considera- zione i redattori del codice, mentre han prescritto nei regolamenti presso a poco le stesse misure, che i me- dici di Ancona vorrebbero ora proporci come nuove, o inusitate, sono stati poi fermi nel fissare la qua- rantena completa. Si apra il codice alla pag. 53, e si leggerà relativamente alla persona di passeggieri : Seguito il trasporto delV equipaggio , e dei pas- seggieri nel lazzaretto sporco^ si spogliano inte- ramente ^ e si fanno tuffare nelV acqua di mare, o, in difetto^ nelV acqua comune'^ indi si rivestono di robe nuove y e si chiudono in locali separati. Contumacia nei porti i i f avuto riguardo al rispettivo grado di sospetto di contaminazione: ed alla pag. 56: Per quanto si pos- sa, le robe e gli ejfetti degl'equipaggi e dei pas- seggieri devono assoggettarsi alV espurgo, e non abbruciarsi , anche per non dare incentivo alle occultazioni ec. ec. Ma noi non vogliamo intrattenere più a lungo l'eccellenza vostra reverendissima: poiché dalle cose dette ci sembra poter legittimamente trarre le se- guenti conclusioni : I. Che potendo il contagio della peste avere nel corpo umano una delitescenza più lunga di quella ordinaria eh' egli ha, dee restar fisso il pe- riodo della contumacia assegnato nel codice, tit. Ili, alle diverse patenti, vale a dire di l^o giorni per la patente sporca o brutta^ di ventotto per quella toc- ca, di ventuno , diciotto e quattordici per le fedi nette, a seconda della diversa provenienza del basti- inento. Riguardo agli scali ottomani, i quali se sono stali considerati sempre come sospetti, molto più lo debbono essere al presente, vigendo in quelle contra- de la guerra, dee rimanere immutabile la contuma- cia di ventuno giorni pei passeggieri, giusta la mas- sima stabilita nei regolamenti pag. 14 §• Sg. E quan- to agli stati uniti dell'Ionio, attesa la loro prossimità al territorio ottomano rimanga invariabile la contu- macia de'giorni diciotto, e solo per i legni regi da guerra vuoti di merci potrà essere di quattordici gior- ni, come vien disposto al C. 60 del cit. regolamen- to. Sulle quali ultime contumacie relative alle fedi nette è da notarsi, che non è infine grandissima la differenza col periodo proposto dai fisici anconitani, 112 Scienze come può l'eccellenza vostra reverendissima facilmen- te riscontrare (i). II. Che i bagni, le lavande, le fumigazioni ed altre simili misure rimediando unicamente alla con- taminazione, e non alla infezione, esse non debbono alterare per nulla le disposizioni del codice sopra le quarantene. Siccome però le medesime misure sono prescritte nei regolameoti, e proveggono maggiormen- te alla sicurezza della società, così dovranno religio- samente praticarsi nel caso di patente brutta. Rincresce che queste nostre conclusioni sieno discordi dal parere dei fisici anconitani nostri colle- ghi, pe'quali professiamo tutta la slima ed il rispet- to; c'incresce altresì di opporci al desiderio de'mini- stri esteri, i quali bramerebbero ne'loro corrieri un più sollecito disbrigo dalle noie del lazzaretto di An- cona ; ma per noi è legge immutabile l'esternare la nostra opinione senza verun riguardo: e la sicurezza della salute pubblica è l'unico argomento, cui mira- no le nostre discussioni. Sul quale argomento giun- ge a tale la nostra delicatezza, che quand'anche fos- simo venuti per un momento nella credenza, potersi abbreviare il periodo della quarantena senza pericolo della società, avremmo sempre consigliato il supremo tribunale a non essere il primo ad abbracciare tale (i) Cosi erano disposte le cose in quell'epoca del i825. Dap- poiché nella Grecia, e nelle isole Ionie sono stale introdotte le di- scipline di sanità marittima, si è fissata per le provenienze di co- là con patente netta senza suscettibili una osservazione di y gior- ni. Per le provenienze con patente netta da Costantinopoli, ove parimente è stato adottato un regime sanitario , si è stabilita la contumacia a 18 giorni per i passeggieri; con patente brutta con suscettibili quella di 34 giorni , previa l'apertura dei boccaporti per 3 giorni. Cassa di risparmio di Bologna ii3 novità, che intacca la legge principale di un codice generalmente commendato, ed anche adottato da ri- spettabili governi; novità che non può essere mai cor- redata di tutt' i gradi di sicurezza pubblica , e che forse richiamerebbe sul nostro commercio marittimo il rigore di que'magistrati stranieri, cui non piacesse recedere dalle sue massime e dalla sua antica pratica. Rapporto del consiglio dì amministrazione della cassa di risparmio di Bologna sulla gestione delVanno 1 842. -i?e^o conto della gestione stes- sa. - Riferimento dei signori sindaci revisori COTI estratto degli atti letti ed approvati nel- la generale adunanza degli azionisti tenuta nel giorno 3 febbraio i843. Bologna tipi go- vernativi alla volpe [In 4 di fac. 82 ). M-JdL storia riconoscente, che nota i beneficii de'prin- cipii all' umanità , scriverà tra le lodi del regnante sommo pontefice Gregorio XVI quella peculiare e sfolgorantissima di avere approvata e promossa la isti- tuzione delle casse di risparmio nello stato. La pri- ma fu in Roma del i836, ed altra in Bologna l'an- no appresso. L'esempio di queste grandi città fu pre- sto imitato; per cui i5 casse di risparmio si hanno già ne'pontificii dominii, otto delle quali nelle lega- zioni. Prosperano generalmente queste benefiche isti- tuzioni; e quanto a quella di Roma, ciò ben risulta dagli atti della medesima, di cui onoriamo a quan- G.A.T.XGVL 8 ii4 Sciènze do a quando le pagine del nostro giornale : qùatilo a quella di Bologna, che è la più ragguardevole nel- le Provincie, giova dare qui un cenno dell'esercizio della medesima per i-iguardo alla gestione del 1 842 ( i ). Nell'enunciata stampa abbiamo prima il rappor- to del consiglio d' amministrazione alla società, dal quale si arguisce, essere confermala generalmente la fiducia pel danaro sempre in maggior Copia deposi- talo; aumentato il numero degli attuali depositi più particolarmente nella pregevole classe dei minimi non oltrepassatìli lo scudo ; sovvenuto con larghezza di restituzioni ai bisogni, forse nell' ultimo anno mag- giori, delle diverse classi dei depositanti, esteso con saviezza di regolare inscrizione il numero dei libretti di credito a favore la più parte delle classi meno agia- te; mantenuto il conguaglio dei settimanali depositi, e dei credili complessivi a cifre, che sostanzialmente escludono l'abusiva speculazione. Quindi una maggiore operosità della cassa , la quale ottenne quelle due condizioni , che diremmo vitali a siffatti stabilimenti: la prima di non lasciare somme disimpiegale, la seconda di averle a breve ter- mine rimborsabili. E non maucò di promuovere co' premi nelle classi minori la frequenza dei piccoli e frequenti depositi: aggiunse altri due giorni di eser- cizio settimanale per servire all'affluenza dei deposi- tanti, a comodo specialmente dei campagnuoli: e in occasione del pagamento de'frutti aggiunse altro gior- no la settimana: e il tutto regolò con apposito orario. Segue al rapporto la slalislica degl' iscritti per (i) Della cassa di Bologaa si parlò nache nel tom. 84 p- '4^ «d altrove in qutsto giorijale. Cassa di risparmio in Bologna hS nuovi libretti nel 1842, e due confortanti dispacci, r uno di sua eminenza reverendissima il sig. cardi- nale Mattei, l'altro di sua eminenza reverendissima il sig. cardinale Lambruschini, sulle risultanze della cassa per la gestione dell'anno 1841. Dopo viene il rendiconto e bilancio in modo riassunto per tutto l'anno 1842 in tre allegati: il i dà il conto delle rendite e spese : il 2 dà il conto del cassiere: il 3 dà il bilancio degli effetti attivi e passivi rimanenti al 3i dicembre 1842. Viene appresso il rapporto de' sindaci revisori , sul quale giova intrattenersi per avere una qualche idea del reso-conto ed allegati pel 184.2. AH. num. I. Rendite e spese. La rendita totale è di se. 17,282,78,2, che si compone di frutti e scon- ti ritratti per una somma di se. i7,i39,o4»3 da in- vestimenti , più se. 143,74 di sconto sulle somme maggiori di se. 4 sulle restituzioni fatte prima dello scadere dei i5 giorni di diffidazione. La spesa tota- le è di se. i2,o35, 42, che si compone di se. 10,733,10 per frutti scalari conipeleuli ai depositanti, di scu- di i,o36,38 di assegni agl'impiegati, e di se. 265,94 di spese diverse di amministrazione e mobilie. La par- tita di assegni agl'impiegati, die è maggiore in con- fronto agli anni decorsi , trovasi ragionevole in ra- gione deiraccresciuta fatica. Notavasi poi, che a ta- luno degl' impiegati è accordata una mite quota a modo d'interessenza, talché sia premio della operosi- tà : il che si compone colle norme di ben regolala amministrazione , e non può biasimarsi in ispecie , quando la concessione del premio sia vincolata a tali cautele e riserve, che allontanino ogni pericolo, cui una tale misura in genere può andare soggetta. Ma tl6 SctEIfZK la molta e continua vigilanza de'signorl amministrae lori, e la integrità degl'impiegati stessi, garantir pos^ sono abbastanza l'innocaità di una cosiffatta dispo-. sizione. In generale però se dovessimo esternare il parer nostro, diremmo che dopo molti anni di eser- cizio avendosi un medio per giudicare le operazioni della cassa, e 4, Cassa di risparmio in Bologcta 117 dei rispettivi fruiti esigibili nel 4^ P^r se. S, 75 7, fi8,3 : di se. 179,35 di mobili, e più la restanza in effettivo contante. La qual somma di attivo figurereb- be anche di più , se rispetto alle partite di credito con pubbliche aziende si fosse notato il valore nomi- nale , anziché quello effettivo di acquisto, come si è fatto. Ammontano i passivi a se. 297,743,17, e si compongono del fondo di dote in se. 5, 000, e del credito de' depositanti per capitale e fruiti in scu- di 292,743,17; onde un reliquato atlivo di scu- di i5,420,54»5 che corrisponde al complesso delle rendite nette verificatesi in tulio il corso di esercizio della cassa, cioè dal i ottobre 1837 a tutto 11 1B42. Seguita l'estratto delle deliberazioni prese nel- l'adunanza generale dei 3 febbraio i843: fra le quali è bello notare, che il fonda per la premiazione è ac- cresciuto portandolo a se. 25o: e salutari misure so- no adottate sopra proposta del consiglio d' ammini- strazione; onde la premiazione slessa porta il suo scor pò, che si è quello di animare le classi minori a fa» re spessi depositi alla cassa dei piccoli loro risparmi, onesto frutto di una incessante operosità (i). Desi- (i) Giusta il regolamento di Bologna, Ti poiino concorrere que'soli depositanti non agiati , che appartengono alle classi di serventi e giornalieri , coloni e braccianti , artigiani e lavoranti. Chiunque aspira a premio deve in una certa epoca insinuare la sua (iìmanda con tutte le indicazioni , lasciando se occorra il li- bretto in mano al direttore, che ne rilascia un apposito riscontro. Bimane escluso dal concorso chi abbia estinto il libretto, e dal pre- mio chi a spessi depositi vada alternando spessi ritiri . né a più individui di una stessa famiglia è dato premio, ove non consti di separati guadagni. 1 premi sono di se. io l'uno, con aumento di se 2; lu al libretto di più antica iscrizioue, -i" a quello di uiuno I l8 SCIENZE derianio che si diffonda nelle popolazioni l'amore dì siffatte istituzioni, che promovendo la fatica e i ri- sparmi, e quindi il huon costume, nelle classi minori, influiscono sulla domestica e pubblica felicità. Ma non possiamo por fine senza rendere molte grazie a'savi governanti, che le proteggono: ed ai ge- nerosi, che le mantengono e promuovono con esem- pio di carità, che onora il secolo in cui viviamo. D. Vaccolini. o minore ritiro, 3o a tre libretti premiati, che abbiano più numero di depositi nell'anno. Indi aumenti non ponno accumularsi in un solo libretto. Estratti a sorte i numeri de' libretti premiati, i ri- spettivi depositanti per ricevere realmente il premio devono giustificare di appartenere alle classi minori suindicate, e di ave- re col frutto di loro fatiche fatti i depositi. In mancanza di tale giustificazione (da prodursi entro un mese dalla seguita estrazio- ne) si decade dal premio, che passa nel caso ad altro numero estratto di più per questa circostanza di successione. Se nulla si opponga per parte de'premiati, i loro nomi vengono pubblicati. Ecco le cose principali contenute nel regolamento de'preini; dal che si ha a lodare sempre più l'oculatezza e prudenza dell'am- ministrazione anche in questa parte intesa a promuovere i minu- ti e spessi depositi delle classi minori. II.9 Institutionum iuris publici ecclesiastici libri tres. Editio altera. Laureti ex officina Rossiorum i843, in 8 pag. 293. N. ella scarsezza, in cui siamo di libri adatti all'i- struzione de'giovani, è sempre da commendar assais- simo chi si fa a cessare questo difetto delle nostre lettere e degli studi. Quindi è che somma lode dob- biamo all' autore di questo libro di diritto ecclesia- stico, il quale esponendo le più sane dottrine, e di- chiarandole ai giovani, loro mette innanzi il modo di addottrinarsi con sicurezza : e senza opprimere con soverchia erudizione , la quale sovente non è altro che pompa e letteraria vanità, con ischiettezza e sem- plicità somma pone in chiaro i dettati più sinceri e utili della scienza. E tanto è più lodevole l'intendi- mento del chiarissimo autore, quanto che egli intese a riparare un difetto che ci era in Italia, posciachè nes- suno de'nostrali si era dato a scrivere istituzioni di diritto pubblico ecclesiastico in uso delle scuole: « Qua » constitutione, die' egli ( Leonis XII, Quod divina » sapientia ), promulgala cum animadvertissem italo- u rum exlitisse neminem, qui iuris publici ecclesia- » siici instituliones in scholarum usum edidisset, huic V operi manum admovere coepi, et has institutiones, » videlicet prima iuris publici ecclesiastici dementa, » conscripsi, et sunt veluti pars dogmatica iuris ca- » nonici ... 1) Di che ognuno che si senta italiano debbe sapergli grado, non meno che dell'aver egli in 120 Scienze codesta seconda edizione aggiunto di molte belle ed utili cose. Ma perchè i nostri lettori abbiano idea dai mo- do, della trattazione o dell'ordine di quest'opera, di- rò che ella incomincia da una breve prefazione, nella quale si manifesta l'intenzion dell'autore, e si dà la partizione dell'opera: la quale ha tre parli. Nella pri- ma si parla dello stato della chiesa: nella seconda del romano pontefice, capo e reggitore di tutta la chiesa: nella terza dei vescovi reggitori di particolari chiese. Ma innanzi di venire a queste cose l'autore si espri- me cosi : « Operae pretium duxi , de fonlibus iu- » ris canonici, deque sacrorum canon um collectio- » nibus notiones aliquas praeponere, quibus ad haec j) studia rite colenda tironum mentes imbui et prae- » parari omnino debent. » Da questa prefazione poi possiamo conoscere che autore dell' utilissima ope- ra è l'eminentissimo signor cardinale Giovanni So- glia Ceroni, reverendissimo vescovo di Osimo e Cin- goli, il quale si è posto a tale fatica: « in gratiam » adolescenlium qui in auximano vn. semin.n-if) et 1» nobili collegio Campana instituuntur. » Dal che può ben rilevarsi quanto amore egli ponga agli studi della gioventù, e come gli stia a cuore di ritornare l'osimano seminario e collegio a bella fama in Italia. E certo io sono che sotto la protezione di tale dotto e piissimo porporato questo nobilissimo istituto rifio- rirà , e non avrà fra poco ad invidiare il grido che si ebbe nei tempi andati. Perocché ove sono belle norme di vita civile e religiosa, e sono raccolti uo- mini di sapere e di costumi incorrotti ad insegnare la gioventiù, non può altro sperarsi. M.i per rendermi all'opera, della quale ho promesso di dare quasi in IkSTITUTIONES lURlS PUBLICI ECCL. 121 iscorcio il disegno, dirò che dopo ^vere parlato dei fonti ,del diritto canonico i'erninenlissimo autore si fa a parlare della sacra scrittura: e questa è la materia del primo capitolo, il quale si divide in quattro pa- ragrafi : il primo de'quali discorre dei libri delle sa- cre scritture, il secondo dell'uso e dell'autorità del vecchio testamento nel diritto canonico, il terzo dell' uso e dell'autorità del nuovo testamento , il quarto delle istituzioni divine ed apostoliche. Il secondo ca- po, che in due paragrafi si riparte, parla delle tradi- zioni divine ed umane, poi dell' uso e dell' autorità delle tradizioni. Nel terzo capo, che si ripartisce in dieci paragrafi, è detto, i delle varie costituzioni de' sommi pontefici, 2 dell'uso e dell'autorità delle me- desime, 3 della loro promulgazione, 4 dell' accetta- zione delle leggi ecclesiastiche, 5 de'rescritti, 6 dell' autorità e dell'uso de'rescritti, 7 quando essi hanno vizio dalla persona, 8 quando dalle suppliche, ^ quan- do dalla forma, io dell'esecuzione e della cessazione de'rescritti. Il quarto capitolo è tutto sulla materia do'concili, ed ha sei paragrafi. Nel primo dei quali si dà la definizione de' concili , nel secondo si dis- corre della convocazione de'concili generali, nel ter- zo della celebrazione loro, nel quarto della confer- ma, nel quinto de'concili particolari, nel sesto dell' autorità de'concili. Il quinto capitolo va tutto in ra- gionare del diritto naturale: e ripartendosi in due pa- ragrafi, nel primo tratta di vari precetti del diritto di natura, nel secondo dell'uso e dell' autorità del diritto naturale nella ragion canonica. Il sesto parla degli scritti dei santi padri della chiesa: e prima ac- cenna i nomi e la dignità d'essi santi padri, poi l'u- so e l'autorità che hanno. Il settimo capitolo è in- 122 Scienze torno la ragion civile, e dice del diritto civile rice- vuto dai canoni, e delle regole che si denno osser- vare nell' usa della ragion civile. Nell'ottavo, che è Fultimo de'protegomenì, si tratta delle collezioni di sacri canoni, e in sedici parti è divisa: nella prima delle quali si parla delle collez,ioni in genere, nella seconda delle costituzioni apiostoliche, nella terza dei canoni degli apostoli , nella quarta dell'origine, del Dumero e dell'uso de' medesimi, nella quinta delle collezioni della chiesa greca, nella sesta delle- colle- zioni latine, nella settima della collezione d'Isidora Mercatore, nell'ottava delle, cose notabili in codesta collezione, nella nona sì ragiona intorno al decreta di Graziano, nella decima si dice della emendazion del medesimo. Dell'autorità del decreto di Graziano e delle antiche collezioni di decretali si disputa nell' undecime e nel dodicesimo paragrafo: nel tredicesi^ rao e nel quattordicesimo si discorre della collezione di Gregorio IX, del sesto delle decretali, delle cle- mentine e delle estravaganti: nel quindicesimo e nell' ultimo si tratta delle rubriche , de' sommari e delle glosse ; pai del gius novissimo. E qui hanno fine i prolegomeni , a cui segue il primo libro, intorno lo stato della chiesa. Questo è diviso in tre capi: il pri- mo de'quali, ripartito in tredici paragrafi, tratta della chiesa e della podestà di lei, e ragiona i della di- visione della podestà ecclesiastica , 2 della podestà dell'ordine, 3 della podestà della giurisdizione, 4 del- la podestà di proporre leggi , 5 della materia delle leggi ecclesiastiche, 6 della forza delle medesime, i e 8 della podestà di giudicare e di punire, 9 delle pe- ne ecclesiastiche, io della forza della podestà eccle- siastica, lì, 12, 13 degli argomenti de' protestanti iNSTITUTrONES lUEIS PUBLICI ECCL. 123 traiti I Jalle sacre lettere; a dalla natura della re- ligione, 3 dall'indole dei governi. Il secondo capitolo si ■versa intorno l'oggetto della podestà ecclesiastica» Otto paragrafi lo compongono; nel primo de'quali si esaminano gli errori di Richerio; nel secondo si mo- stra la podestà data a s. Pietro e agli apostoli; nel terzo si parla del primato di s. Pietro, e del fine dì esso primato nel quarto ; nel quinto si disputa del romano pontefice successore di s. Pietro ; nel sesto dell'unione di questo primato colla santa fede. Si ra- giona nel settimo dell'immediata podestà del sommo pontefice, poi nell'ottavo si discorre dei vescovi suc- cessori degli apostoli. Ha materia il terzo capitolo dal soggetto dell'ecclesiastica podestà: e in esso si parla I delle cose spirituali, 2 delle cause spirituali, 3 e 4 del matrimonio e delle cause matrimoniali, 5 del- le cause sopra gli sponsali e il divorzio, 6 delle cau- se annesse alle spirituali e alle miste, 7 in fine delle cause ecclesiastiche, fatta ragione delle persone. Il libro secondo, nel quale si tratta come fu det- to del rettore della chiesa universale, è diviso in due capi: de'quali il primo si propone insegnare quali sia- no i diritti, quali gli offici del sommo pontefice. Ra- giona in prima, 1 della maniera di determinare gli offici e i diritti del primato, 2 poi dei diritti essen- ziali e degli avventizi, 3 indi nel diritto di definire le controversie in fatto di fede e di costumi , 4 tli proibir la lettura dei libri cattivi , 5 di far leggi , 6 di mantenere i sacri canoni, 7 di dispensare dalle generali leggi della chiesa, 8 di approvare gli ordini regolari, 9 di canonizzare, io di creare e consecra- re i vescovi, 11 di trasferirli, d'accettarne la rinuncia e di deperii, 12 di destituirli anche loro malgrado, J24 Scienze i3 di dar loro coadiutori, i4 inoltre si ragiona del diritto di concedere esenzioni , i5 di percepire an- nate, i6 di mandare legati o nunzi, ìj di ricevere relazioni , 18 In fine del diritto delle appellazioni. Il capitolo secondo, che di solo quattro parti si for- ma , manifesta quali siano gli aiutatori del sommo pontefice : e quindi i dichiara il nome e l' origine de'cardinali, 2 il numero e la creazione de' medesi- mi, 3 l'officio e la dignità loro, 4 da ultimo esce a dire de'legati a latere e de'nunzi apostolici. Il terzo libro si distende a favellare de' reggitori delle parti- colari chiese, come fu detto: e si compie in due ca- pi, il primo de'quali ha per iscopo d'insegnare i vari gl'adi dei vescovi, e quindi il i e il 2 parlano de'pa- triarchi e de'loro diritti, il 3 degli esarchi, de' pri- mati e degli arcivescovi, il 4 ^ il 5 de' metropoliti, della croce e del pallio, infine de'vescovi. Il capitolo secondo ed ultimo va tutto in discorrere dei diritti e degli uffici de'vescovi : i dell'officio e diritto d'in- segnare, 2 di comandare e di dispensare, 3 di giu- dicare e correggere, 4 ij^ ^^^ dell'officio e diritto che è lor dato di amministrare. E qui termina 1' opera, della quale abbiamo dato l'ordine e la disposizione, acciocché ognuno possa dalla qualità delle materie argomentarne il peso e l'utilità. Nel fine della me- desima abbiamo una singoiar prova dell'umiltà e del- la pietà dell'illustre porporato, il quale quasi si ac- commiata dai lettori con queste parole, che io non pos- so dispensarmi dal recare : « Et hic institutionibus » iuris publici ecclesiastici finem facimus, parati quem- » cunque errorem, in quem lapsi simus , corrigere. » Hoc vero opus, qualecunque sit, beatissimae virgini » Mariae ab angelo salutatae damus, donamus, di- » Camus. » InSTITUTIONES IURIS PTJBI.lCI ftCCL. 125 Ma perchè possano i leggitori, dopo aver cono- sciute le parli diverse di quesl' opera , giudicare da se della semplicità e dell'eleganza del dettato latino in cui è esposta, e della mirabile chiarezza e gravità di cui va in ogni parte adornata, credo far loro co- sa grata recando qui il primo capitolo che è intorno i libri delle sacre scritture. Caput /, De sacra scriptura. ^. 1, De libris sacrarum scripturarum. Generalis sacrae scripturae divisto est in vetus et novum testaraenlum. Vetus eos coraplectitur li- bros, qui ad legem a Moyse proraulgatani, et ad iu- daeorum synagogara spectaot. Novum autem eos con- tinet, qui ad legem Christi domini atque ad eccle- siam pertinent. Ecclesia catholica septuaginta duos libros prò sa- cris et divinis recipit, videlicet quadraginta quinque veteris et viginti septem novi testamenti , quos tri- dentina synodus recenset omnes nominatim sess. IV in decreto de canonicis scripturis, ita suhiiciens: « Si quis autem libros ipsos integros cum omnibus suis partibus, prout in ecclesia catholica legi consueve- runt , et in veteri vulgata latina editione habentur, prò sacris et canonicis non susceperit, anathema sit.» Deinde declarat et statuit, ut baee ipsa vetus et vul- gata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa ecclesia probata est, in publicis leclionibus prò au- thentica habeatur, et ut nemo illam reiicere quovis praetextu audeat vel praesumat. 126 Scienze §. 2, De Usti et auctoritate veteris testamenti in iure canonico. Vetus teslamentum tribus praeceptorum generi- bus conslat, moralibus, caeremonialibus et iudiciali- bus. Certura vero exploraturaque est, praecepta rao- ralia in veteri testamento tradita semper vigere, quo- niam praecepla sunt ipsius iuris naturalis prorsus im- mutabilia, quae proinde Christus non sustulit , sed clarius evolvit confirmavilque. Praecepta vero caere- monialia, quae divinum cultura, sacrificia, sacrosque ritus speclabant; et iudicialia, quae civilem hebraeo- ruin polii iam constituebant, iam irrita facta sunt: cae- remonialia quidem, quando sacerdotiuin translalum est, et novum teslamentum morte lestatoris obsignatura: iudicialia vero, postquam respublica hebraeorum sine ulla reslitutionis spe omnino desiit. Quae cum ita se babeant, videndum est, nura ex abrogatis veteris testamenti praeceptis caeremonia- libus et iudicialibus, argumentum in canonica iuris- prudentia validum atque efficax sumi possit: nam quod altinet ad praecepta moralia , nemo certe dubitai , quin ex eis argumenla firmissima ducantur. Iam vero cum utrumque testamentum inter se nexum iugatumque sii, tum quia alterum umbra et simulacrum fuit, tum quia alterum alteri suffectum est, canonistae sine ulla controversia sentiunt, argu- menla ex voleri testamento deprompta non parum va- lere ad multa ecclesiasticae iurisprudenliae capita il- lustranda et ampliu-s confirmanda. Sic dogma de di- stinclione inler clericos et laicos ex lege veteri mi- ritice conHrmalur, instltuto argumento a pari, ut aiunt, InSTITUTIONES JURlS PDELICI tCCL. IIJ vel eliam a fortiori; quare Sdirne itever, Introduct. in ius. can. (liss. II cap. 2 ^. 87: « Si eadera, inquii, aut niaior ratio adhuc pugnai prò lege nova, quam obli- nuil prò teslamenlo velcri, bene ab hoc ad illam ar- gumenlaheris. » Sic eliam in quaestionibus explicandis solvendisque recte Ulimur teslamenlo velcri: « Si quae sunt quaestiones conlroversae, ait Zalwein de princ. iurisprud. eccles. tom. I quaesl. 2 cap. 2, quae nec ex scriptura nec ex traditione decidi possunt, et una ex sententiis controversia habeat prò se ingentem pro- babililalem, haud inepte, licei non convincenler, ex antiquo ad novum argumenlaberis teslamenlum , si eadem vel maior pugnet ratio. Et bine argumenlum, quo calholici a privilegio fori et immunifalis sacer- dotibus in antiqua le .<• competente , ad clericorum immunitatem in lege nova argumentantur, ìnler ca- iholicos non est ineptum, non tamen convincens. » Hoc loco addendum est, plura decretalium capi- ta ex veteris testamenti legibus tum iudicialibus, tum caeremonialibus deprompta esse, veluti cap. I de ho- micidio voluntario vel causali, cap. I de adulterio et stupro, «ap. I de furtis, cap. I, II, III, IV, V, de in- iuriis et damno dato, cap. I, et II de praesumplio- nibus, cap, I de decimis, primitiis, et oblationibus, €l huiusmodi alia. Al vero iudaeorura leges in cor- pus iuris canonici receptae, et, ut aiunl, can-oniza* tae, non tamquam leges divinae, sed lamquam leges eccleslasticae,sive auctoritate ecclesiastica receptae con- firmalaeque habendae sunt ; nam, ut optime scripsit Zalwein tom. I princip. iur. eccles., leges istae non habent vim obligandi vi institutionis divinae , quae cessavit, sed vi auctoritalis ecclesiae eas libere ado- 1^8 S e I E N Z E ptanlis : et prolnde ecclesia polest easdem relaxare , atque etiam penitus abrogare (i). §. 3. De usti et auctoritate novi testamenti. luris ecclesiasfici et publlcì et privali fons pri- mus et praecipuus est novuna testamenturn. « Sane, in- quit Zallinger in inst. iur. eccl, cap. V, quae ad ius ecclesiasticum publicum pertinenl, de fundalione ec- clesiae, de institu rione potestà tis hierarchicae, de sa< ero imperio aposlolis atque in primis s. Petro a Chri- sto collato , de gesto ab iisdem imperio circa res omnes ad religionera et ecclesiae gubernationem spe- ctantes . . . ea omnia ex s. scripluris novi testamenti luculenter sumuntur. Et de iure privato vix tractari quidquam podest, quin idem ex sacris litteris erui, confirmari, et illustrar! queat. » At vero videndum est quis usus, quantaque sit vis et pondus argumenlorura , quae ex novo testa- mento depromuntur. Qua super re distinguendus in primi» duplex s. litterarum sensus , nempe litteralis et mysticus. Sensus litteralis est , quem verba ipsa (i) Di'ximus ecclesiam posse eas leges relaxare. Hoc loco tiro- nes inonendi sunt, quotiescumque in sacris canonibus legerint ec- clesiam posse, ecclesiam poluissc, nomine ecclesiae non totam fi- delium congregalionem intelligi, sed tantummodo ecclesiae pasto- re» et rectores, quibus solis omuis ecclesiastica polestas tributa fuit. Hac significatione ecclesiae nomen usurpatum est ab ipso Christo, dum Matlh. e XVIII inquit: ,, Si eos non audierit, die ecclesiae. ,, Quae verba explicans s. Ioannes Chrysostoinus ait : „ Die ecclesiae, idesl ecclesiae praelatis ,, Eodem sensu saepe ad- hibitum est a concilio tridentino, veluti cum sess XXIV can 4 ait: ,, Si quis dixerit ecclesiam non potuisse constituere impedi- raenta matrimonium dirimentia, anathema lit. ,, Institutiones iuris pubuci ecct,. l'ag ex usilato loquendi modo praeferunt , sive proprie , sive metaphorice accipiantur. Dixlmus sive proprie , sive melaphorice accipiantur : quandoquidem scri- ptores sacri sine ulla controversia tenent , sensuin verborum sive naturalem sive metaphoricura ad sen- sum litteralem revocandum esse, quatenus metaphorae sub notione, ut aiunt, iraaglnaria, satis aperte indi- caut quid vere proprieque significare voluerint. Ita- que cura Christus, loan. io,ait:« Alias habeo oves, quas oportet me adducere, et fiet unum ovile, et unus pastor: » perspicuum est nomine ovium eos intelligi, qui ad ecclesiam adducendi erunt, et nomine ovilis ecclesiam ipsam designari. Seiisus mysticus seu spiritualis est, cum verba praeter litteralem sensum , quem babent , ad aliud quidpiam significandum adhibentur. Sensus vero my- sticus in allegoricum, anagogicum et tropologicura di- viditur: de quibus late disputant theologi. lam vero quamquam viri docti ac pii, praeser.- tim ad fidei morumque praecepta illustranda, s. seri- pturarum sensibus spiritualibus et mysticis utantur ; certe , tamen , auctoritatis argumenta habenda non sunt , praeterquam illa , quae ex litterall scripturae sensu ducuntur. Ratio manifesta est, quam affert Bel- larminus lib. Ili de Verbo Dei cap. 3. « Convenit, in- quit, inter nos et adversarìos ex solo litterali sensu peti debere argumenta efficacia, Nam eum sensum , qui ex verbis immediate colligitur, certum est sen- sum esse Spiritus Sancii; at sensus mystlci et spiri- tuales varii sunt; et licet aedificent, cura non sunt centra fidem et bonos mores, taraen non semper con- stat an sint a Spirilu Sancto intenti. » Quia vero s. scriplurarum sensus non ita sera* G.A.T.XCVI. o i3o Scienze per aperlus est, ut cuivis legenti pateat: hinc ante oculos perpetuo constiruendum est iJ quoJ maxima sapientia et aequilate tridentina synodus decrevit sess. IV: (« Netno suae prudentiae innixus in rebus fi- dei et morum ad aedificationem doctrinae christianae pertinentium , s. script urarn ad suos sensus contor- quens contra eum sensum , quem tenuit et tenet s. mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturarum sanctarum , aut etiam contra unanimein conseusum patrum, ipsam scriptu- ram sacram interpretari audeat. » §. 4» De divinis et apostolicis institiitis. Evangelia nonnisi doctrinam ipsius Christi con- tinent: sed reliqui novi testamenti libri praecepta tura divina, tum apostolica complectuntur. Haec praece- ptorum divisio apertissime significata est a s. Paulo I ad corinth. 7 v. io dum ait: « Praecipio non ego, sed J)ominus: » et v. 12: « Ego dico, non Dominus.» lam vero praecepta novae legis , quae Ghvistus in evangelio tradidit, aut quae apostoli caeìitus afflati proposuerunt, cum vere et proprie divina sint, nulli nec deroga tioni nec abrogationi obnoxia sunt , sed perpetua et inviolata manere debent. At vero praece- pta, quae apostoli tamquam recfores ecelesiarurn edi- derunt, quamquam in sacris litteris conlineantur, cum taraen proprie huraana et ecclesiastica sint, baec ab ecclesia sive a summo pontifice possunt, ut reliquae ecclesiaslicae leges, immutar!, relaxari, atque etiara contiariis legibus vel moribus abrogar!. Hinc intel- ligi polesi , cur factum sit, ut electionum sacrarura forma, abstinentia a sanguine et soffocato , agapae , InSTITUTIONES IURJS PUBLrCI ECCU l3l mulierum in templis velationes , aliaque plura apo- stoloruin instituta, vel senslm deleta, vel alii ritus nio- resque in eorum locum substituti. Sic etiam ponti- fices ex. gr. in aliquibus irregularitatibus dispensant, quamvis quae sunt de irregularitatibus constitulae le- ges ex epistolis s. Pauli potissimura proficiscantur. Sed episcopi eadem apostolica instituta immulandi aut relaxanJi potestate omnino carent ; quandoqui- dem apostolica instituta ad geiieraiein ecclesiae disci- plinam pertinent. Si vero regula eerta pela tur, qua instituta di- vina ab apostolicis internosci possint, haec generatini tenenda est: nitnirum , quae in epistolis et reliquis ^postolorum libris continentur, omnia et singula prò divinis habenda sunt , nisi ex verbis aut ex subieta materia luculenter appareat, eadem ab apostolis tam- quam ecclesiarum rectoribus profecta esse. Primum itaque verba consideranda sunt, ut videaraus, an apo- stolus suo an Christi nomine locutus sit. Si nihil certura ex verbis cognosci possit, tnnc subiecta ma- teria spectari debet; si enim quod traditur ad fidem vel mores peitineat, divinum erit et immutabile; si vero ad disciplinam spectet, non temere apostolicum institutum esse dixeris. ,32 Elenco sommario delle operazioni di alta chirur- gia eseguite nel decorso anno 1842 nel venera- bile apostolico arcispedale di s. Spirito in Sas- sia. Roma, 1843, tipografia di Crispino Pucci- nelli^ in 4> di facce 28. Si 'i dà conto in primo luogo di una cataratta ope- rata per depressione, quindi dell' estirpazione di un tumore lipomatoso, e di altra estirpazione della lin- gua che, per essere interessante, qui scriviamo. » Riportammo nelle osservazioni del decorso an- no un caso ben raro di carcinoma nella lingua svi- luppatosi : un altro più singolare, e più difficile però per le complicazioni che presentaronsi, forma il sog- getto della storia presente. Illuminato Molini chia- mavasi 1' infelice che n' era affetto ; nativo di San- severino, di professione calzolaio, e che già toccava l'anno sessantesimo di sua età. Oltre a ciò presenta- va egli un temperamento linfatico, allorquando il 27 gennaio entrò all'ospedale. Disse nell'esame di aver subito da giovane l'operazione della pietra, e di esse- re stato attaccato più volte da lue celtica : che nella lingua, da circa un anno divenuta più grossa dell'or- dinario, aveva incominciato a soffrire delle punture, che gli si erano di giorno in giorno aumentate con esulcerazione al lembo destro della medesima: la qual cosa non solo gli rendeva difficile la masticazione e la loquela, ma gli produceva benanche copiosa emor- ragia non disgiunta da continue fitte lancianti insof-^ Operazioni di alta chirurgia i33 frlbili. Verificatosi lo stato della lingua, questa ritro- vossi quasi il doppio più grossa dell'ordinario: oltre a ciò i bordi eran duri, e come sfrangianti da vari bitorzoli esulcerati, da cui gemeva un pus icoroso fe- tido. Per vari giorni fu sottoposto il paziente ad una cura rinfrescante, e ad una conveniente dieta, facen- dogli far uso continuo di soluzioni mucillaginose. Con queste prescrizioni essendo più miti divenuti i sin- tomi, fu operato asportando la lingua in poca distan- za dalla sua base ; ad essa trovaronsi morbosamente aderenti ed assai indurite le glandole sublinguali, per cui fu d'uopo estirparle: la qual cosa fu operata sen- za molto imbarazzo. Piumaccioli di fdaccia imbevute in acqua emostatica frenarono il sangue, cbe con vio- lenza sgorgava dalle ranine. Sviluppatasi nella sera la febbre con dolore e turgore alle fauci, la degluti- zione si rese difficilissima. Fu prescritto allora un salasso, e l'applicazione di un cataplasma emolliente al collo, facendo fare al paziente continue abluzioni emollienti. Al termine del quarto giorno scomparve- ro i summentovati sintomi, e la deglutizione compi- vasi con facilità. Usando le medesime prescrizioni do- po dieci giorni la piaga era astersa, di buon colore, ed a tutta possa restringevasi. Dopo 32 giorni tro- vandosi guarito, sortì dall'ospedale presentando in luo- go della lingua un moncone non più lungo di mez- zo pollice, che gl'impediva l'articolazione della voce. Ond'essere ingenuo, come lo sono sempre stato nelle osservazioni da me pubblicate, manifesto che il suddetto Molini non godè lungamente della guari- gione. Imperocché dopo tre mesi ritornò all'ospedale, essendogli sopraggiunto un ascesso sul dorso d'indo- le cangrenoso. Questo, dopo avergli attaccato il col- i34 Scienze lo, e dopo un lungo soffrire, lo ridusse imman linea- te al sepolcro. » Succedono due casi di bubbonocele : i quali sor- tirono infausto termine, abbenchè le operazioni fos- sero con tutta la possibile diligenza e maestria ese- guite. Seguono tre casi di cislotomia operati col metodo laterale, un'operazione di fistola uretro-perineale, quat- tro casi d'idrocele, una semicastrazione, cinque fisto- le all'ano, una disarticolazione della seconda falange del dito medio, e finalmente tre casi di amputazio- ne, uno dei quali perì. Tra questi fu un giovanetto di la anni di età, affetto da pedartrocace. Gli fu ta- gliata la gamba nel suo terzo superiore; sostenne co- raggiosamente 1' operazione , e sì felici furono i ri- sultamenti che 3o giorni dopo era guarito. Si trovò rei membro amputato la carie delle ossa del tarso e del metatarso, e rammollite le estremità inferiori del- la tibia e della fibula. Queste furono le operazioni eseguite dal eh. sig. prof. Francesco Bucci. Il eh. sig. pi'of. Antonio Speroni ci presenta due casi d'idrocele, un'operazione di fistola orinaria peri- neale, ed una laringotomia, in cui egli seguì il me- todo di Vicq d'Azir aprendo un passaggio attraverso lo spazio tiro-cricoideo ed introducendovi la cannula. Si ristabilì tosto la respirazione e ne seguì calma : dalla cannula stessa fluiva una copiosa mucosità, ma lo stertore e l'ambascia rinnovellaronsi e l'infermo pe- rì. « Necroscopia. L'alterazione infiammatoria occupa- va i tessuti dal velo pendulo palatino a tutta la glotti- de, di cui la rima era presso che obliterata. La gian- duia tiroidea entrava a parte dell'ingorgo : la mucosa laringea era tumefatta e macchiata d'incipiente cangro- na ». Finalmente un caso di disarticolazione della falange media del dito miguolo della mano sinistra. Operazioni di alta chirurgia i35 Con quanta dottrina siano scritte queste storie di operazioni di chirurgia, lo abbiamo già detto nel render conto degli anni passati ( Vedi il tomo 88, pag. 3o, ed il 91, pag. 376 ); aggiungeremo soltan- to, clie col continuarsi a stampare , si formerà una raccolta di osservazioni chirurgiche di sommo pregio e sarà dimostrato con quanto senno i nostri professo- ri han saputo trascegliere i veri e saggi metodi, dai lalsi e stravaganti. Si suole pubblicare eziandio in ogni anno un loglio. Contiene il Eistretto generale di tutti oVin. fermi, proietti e famiglia del sacro ed apostoli- co arcispedale di s. Spirito in Sassia e suoi an- nessi per lo scorso anno 1842. Eccone i risultamenti : INFERMI COME SIEGUE Nella gran corsia. Braccio nuovo, e *• Carlo pei febbricitanti . Nello spedaletto de'feriti pei mali di chirurgia .... Nfilla sala degli operati . . Nello spedale di s. Giacinto pei' ti- sici ...... Nella sala pei scorbuti Nello spedale per gl'infermi di fa- miglia ... Nella sala clinica .... Nella sala dei cronici ... Sommano Num. 432 3 [0,987 366 28 10,412 271' II i53 43 4 42 34 2 18 20 i3 273 257 2Ò 44 23 676 lOI 5 118 5 002 1 1,911 :)0i 38 o 7 i5 24 ">079 9^9 125 l36 S e t E N Z È I giornalieri trattamenti dati agl'infermi surldeHi sono ammontati a 178, iii che giornalmente hanno ragguagliato 474 1/3. La famiglia al servizio degl'infermi varia a mi- sura del maggiore o minor numero dei malati che ragguagliano un giorno per l'altro a 171. ESPOSTI. Rimasti dal 1841 come segue . * * . . ^ Numero 1781 Maschi 889 j Femmine 89-2 Esposti alla ruota in tutto l'anno 1842, come segue . . I 844 Maschi 407 I Femmine 43" ' Sommano in tutto * 2625 Morti che ragguagliano il 27 \fa per 100 ....,, Maschi 335 Femmine • . : . 377 Restano 1 1913 MOVIMENTO DELL'ANNO 1842 MASCHI FEMMINE IN TUTTO Legittimi restituiti a'propri genitori Concessi ad arte ed a tempo nubile Sommano Rimasti il 3i dicembre 1842 . . . Totale 25 94 28 77 io5 53 171 224 1689 1913 Operazioni di alta chirurgia ZITELLE MANTENUTE NEL CONSERVATORIO rimaste entrate maritate dall'an- nell'an-I nel NO l84l NO 1842 1842 5o8 CONCESSE restituì- RIMASTE A TEMPO ITE a'lORO morte PEL NUBILE GENITORI 1 l843 491 Delle zitelle, che si trovano, concesse se ne sono ma- ritate nel 1842, ig, che comprese le quattro marita- te in casa, formano 23. DEMENTI RITENUTI NEL VEN. OSPEDALE DI S. MARIA DELLA PIETÀ' DE'POVERI PAZZI. RIMASTI DALL ANNO 1841 Uomini 248 Donne i45 Totale 393 ENTRATI NEL 1842 Uomini 85 Donne 49 Totale i34 Uomini 56 Donne a3 Totale 79 Uomini 3a Donne 07 rimasti per l'anno 1843 Uomini 245 Donne i44 Totale 39 Totale 389 I trattamenti giornalieri dati ai suddetti dementi so- no amraotati a i43, 679 , che giornalmente hanno ragguagliato a 898 yà. E. C. B. i38 Cenni sulla vita di monsig. prof. Camillo Ranzani. M onsignor Camillo Ranzani nacque in Bologna l'anno 17 75 il dì 21 di giugno da genitori onestissimi, i quali né co'beni di fortuna, ne colla emulazione e coli' esempio di rara scienza, poteano eccitarlo a quella celebrità , a cui le singolari sue prerogative seppero innalzarlo. Fin dai suoi primi anni mostrò una propensione singolare agli studi filosofici, che intraprese con som- mo calore e con profitto ammirabile. Il perchè la na- turale attitudine ai medesimi, figlia di un'apertura di mente e di un acume d'ingegno straordinario, lo mi- sero in pieno possesso della logica e della metafisi- ca. Questi due precipui rami della filosofìa furono sempre da lui predilette e coltivale per modo , clie lo condussero a quel nerbo di ragionamento, a quella dialettica pura e stringente , che formarono uno de' più belli suoi pregi. Per lo che non dee recar sor- presa se esponendo a'suoi uditori astrusi argomenti e quistioni difficili con chiarezza straordinaria , pene- trando essi la forza delle ragioni da lui addotte, fa- cilmente le intendevano ed al parere di lui si ri- volgevano. Percorse ordinariamente le scuole tutte, che so- gliono condurre a sapienza, sotto la direzione di otti- mi maestri pubblici. In pressoché tutto il corso degli studi ebbe per condiscepolo sua eminenza il sig. car- Memorie di monsig. Ranzani i3q dmate Mczzofanli, con cui riscosse in lutte le scuo- le i primi onori: e compiuto il corso di teologia, fu invitato da sua eminenza il sig. cardinale Severoli ad insegnare mosofia e matematica nel collegio e semina- no di Fano, ove in dettar queste scienze si acqui- stò molto plauso : finché dalle circostanze di allora costretto a ripatriare , fece le parti dell' ottimo sig. canonico priore Giuseppe Vogli, professore di filoso- fia in Bologia. In quella stessa città insegnò pure nel seminario le matematiche in modo , che non pochi suoi allievi godono una particolare rinomanza. L'an- no 1802 dal prof. Fortis fu egli proposto al gover- no per coprire la cattedra di storia naturale, sebbe- ne fosse allora in particolar modo occupato nella bo- tanica , della quale cattedra era esso ripetitore: ed a proporlo fu condotto il Forlis ( siccome si espres- se in seguito) dal sublime concetto cbe avea di lui, e dall'intima persuasione in cui era che monsignor lianzaui si sarebbe reso celebre anche in una carrie- ra non ancora da lui battuta. Accettò di fatto, in- coraggiato dall'amico Fortis, codesta nomina: e l'esi- to addimostrò ch'ei non errò nella preconcepita opi- nione. L'anno 181 1 al 18 12 giunse a Bologna il som- mo naturalista alemanno Giorgio Cuvier , il quale portatosi nel gabinetto di storia naturale , vide con sua sorpresa tutti gli oggetti zoologici, in esso conte- nuti, classificati col suo metodo non molto dianzi pubblicato: e seco lui si rallegrò, per aver eseguila pressoché solo una operazione che di un tempo lun- go abbisognava e dell'aiuto di molti naturalisti. Il perchè, giunto Cuvier a Milano, pregò S. A. il vi- ceré d'Italia che inviasse a Parigi, a spese del gover- i4o Scienze no, il prof. Ranzani: ciò ch'egli accordò di buon ani- mo , onde in quella capitale , ricca di oggetti e di professori dottissimi , vie meglio s'approfondasse nel- r intrapresa carriera. Ivi contrasse amicizia e fami- liarità colla maggior parte degli scienziati , che in que' dì ornavano Parigi, ed ebbe dal sudelto Cu- vier distinzioni ed assistenza singolarissima, con cui anche in seguito ebbe regolare corrispondenza. Fu in tale circostanza che per ordine del governo fece ivi r acquisto di assai numerosi oggetti di storia natu- rale sì geologici e sì mineralogici, i quali furono da lui spediti a Milano , e poscia distribuiti alla uni- versità di Pavia, di Padova e di Bologna, che allora al regno italico appartenevano. Questi oggetti, ed innumerevoli altri dal dótto professore con somma cura acquistati, hanno accre- sciuta la suppellettile del museo di Bologna in mo- do non ordinario. E prova sia della viva brama di lui di aumentarne il numero , la ricchissima colle- zione di conchiglie a lui lasciata in legato dal N. U. sig. conte Prospero Ranuzzi di Bologna , di cui il suddetto professore fece ben tosto al museo un do- no gratuito. Né questo zelo mai venne in lui me- no: giacché per mezzo dei professori stranieri , con gran parte dei quali egli era in corrispondenza, ri- cevè egli sovente oggetti che al gabinetto mancavano. Nel corso di sue lezioni seguì dapprima Lin- neo, poscia le tracce segnate da Cuvier allorché le opere di lui furono rese pubbliche ; ed Hauy spe- cialmente in mineralogia: non però dell'altrui parere troppo ligio , ma dietro un rigoroso esame ed un confronto esatto con molti altri autori di queste scieU' ze, di cui si potè dire a dovizia provveduto. Memorie di monsig. Ranzani i/^r La chiarezza delle idee, la cognizione profonda degli studi filosofici e matematici, non che la fluidità del suo discorso , resero mai sempre le sue lezioni vantag- giose e piacevoli: laonde non dee recare sorpresa se assai numeroso ne fosse il concorso si di scolari, e sì di eruditi e di scienziati , che con assiduità e con piacere vi concorrevano. In trentasei corsi di lezioni ha esposto la mag- gior parte dei rami della storia naturale, premettendo sempre le dottrine elementari e necessarie alla in- telligenza de'rami stessi , sia che esponesse i zoolo- gici , sia i mineralogici. Ma nel i834 si accinse a trattare della geologia in modo particolare , scienza sino allora non coltivata in Bologna: premettendo un trattato sulle rocce, poi negli anni successivi parlan- do della geografia fisica, della geognosia e della geo- genia. Compiuto un tale corso, imprese a parlare del- la zoologia applicata alla geologia, ovvero degli avan- zi di corpi organici fossili, infrapponendo di tratto in tratto l'esame delle principali e più recenti opere di geologia; il perchè i trattati di Leihnizio, di Lazza- ro Moro, di Demaillet, di Buffon, di Chaubard, di De Serres, di Raspali, la clamorosa opera di Bukland e quella del forte dialettico Desduils ec. formarono un oggetto di sue lezioni. La sua salute cagionevole non gli permise di da- re in luce varie opere: e per tale motivo rimase so- spesa la grandiosa opera incominciata col titolo: « Ele- menti di storia naturale: » di cui non è uscito finora che il trattato dei mammiferi e degli uccelli , mal- grado degli eccitamenti degli scienziati. Molte memorie ha egli pubblicate negli atti dell* accademia delle scienze di Bologna, e negli opuscoli jA.2 Scienze scientifici della stessa città , negli atti della società italiana, negli annali di Bologna, e lavorò pel dizio* nario di Carrer, e gli articoli da lui scelti danno sag- gio del possesso di ogni ramo di storia naturale, es- sendo tali argomenti fra loro assai diversi e disparati. ELENCO DELLE OPERE DI MONSIG. RANZANl. 1. Elementi di zoologia, tom. i contenente Tin- Iroduzione generale alla zoologia. Bologna per An- nesio Nobili 1819, 8 voi. 2. 2. Tomo secondo del mammiferi: tre voi. in 8 con tavole. Bologna 1820. 3. Tomo terzo degli uccelli : voi. in 8. Bolo- gna 1823, con tavole. N. B. Nel tomo primo de' commentari di Bo- logna 1834. De tesludine coriacea marina, pag. i43 i55. De didelpbide nudicaudata, pag. i83-ig3. De serpente monspessulano generis caolopellis Wagleri. ( Novi coramentarii acadeiniae scientiar. in- stiluti bononiensis. Tomus a, i838, pag. 229-240 fig. 4- De supinambidibus Daudinii ( ibid. pag. SgS-^ 4i4) 4. Dispositio familiae malorum in genere et in spe- cies. (Novi comment. eie. tom. IH 1839, pag. &3*- 81 fig. ) 3. De charaaeleontibus (ibid, pag. 218-237 fig. ) i^. Sopra i vestigi di crostacei entomostraci del ge- nere ciclopo di Mailer in uno schisto marnoso ittio- lilico. Annali di storia naturale. Bologna 1829, to- mo 2, pag. 342-353 fig. 8. Sopra due grancbi fossili della specie chiamata Memorie di monsig, Ranzani i43 da Desmarets Cancer Leachii ( ibidem pag. SSa-SSy^ fig. « ì- _ Descrizione di un animale , che appartiene ad un nuovo genere della classe degli anellidi (Opus- coli scientifici, Bologna 1817, tom. 1 pag. loS-iog % 4 ). Descrizione di una nuova specie del genere Are- nicola di Laraark ( ibid. pag. iio-iia fig. ). Descrizione di una nuova specie del genere tha- lasseuia ( ibid. pag. ii2-ii6). Osservazioni sui balanidis, parte i, ibid. p. igS- 20 2 fig. . . . parte 2. ibid. pag. 269-276 fig. . . . parte 3. Opuscoli scientifici ec. tom. a pag. 68-98. Osservazioni sopra un fossile chiamato Sepite dcll'Aldrovandi. Ibid. pag. 344-348 fig. Descrizione di un pesce, che appartiene ad un nuovo genere della famiglia dei tenioidi di Cuvier. Ibid. pag. 1 33- 187 fig. Osservazioni sul limulo Polifemo. Ibid. pag. 275-286 fig. Considerazioni sul genere eledone di Leack, e 6ul modo di determinarne la specie. ( Opusc. scient. ec. tom. 3 pag. i5i-i58. Considerazioni sui molluschi cefalopodi, che si trovano dentro le conchiglie denominate Argonauti. Ibid. pag. 198-214 fig- In questa memoria l'A. prende ad esaminare un lavoro del celebre Blainville su tale soggetto. Qual- che anno dopo il barone di Férussac pubblicò egli pure una memoria su questo argomento , che inseri nelle Méinoires de la società iVhistoire naturelle de i44 Scienze Plitìs. Tom. a, i parlie i825: sul finire della quale egli casi si esprime (a pag. 172): « Cetfe note était rédigée lorque, par la obligeance de M. Desmarets, nous avons eu connaissance d' un beau mémoire de M. l'abbé Ranzani de Bologne, l'un des naturalistes qui font le plus d'honneur à l'Italie, sur le sujet qui nous oceupe et qui a pour bout special l'éxamen du memoire de M. ile Blainville sur le méme sujet. u I celebri Cuvier e Dumeril furono incaricati del rap- porto sulla precedente nota di Férussac : nel qual rapporto dicono pag. 1^4 1- e. « Nous nous étions appuyés de l'èxcellente memoire de M. Ranzani, qui sana decider la question réJuit considérableraent la valeur du raisonnement de nótre habile compatriote ( Blainville ). Sulla dentatura di una foca a ventre bianco, Opusc. scientif. ec, tom. 4» pag- 58-6o. Osservazioni intorno ad una iena, ibid. p. 3o-3o2. Descrizione di un serpente, il quale appartiene ad una nuova specie del genere calaraaria di Boia (Memorie della società italiana delle scienze. Mo- dena forn. 21, 1837, pag. ioo-ii3 fig. 4-) Esame del lavoro del sig, ab. Lichtenstein su i polipi dei funghi ( I. H. Woigls magasin fùr deu neu-. asten zustand der naturkande VII Band. V stùok. lahrgang i8o4 ^^J- Vaymar ). Questo esame istituito sul finire del i8o3 dal Ranzani , e da lui stesso scritto in forma di lette-^ ra, fu dal prof, abate Fortis già nominato, amicissi- mo di esso Ranzani , mandato a Woigts perchè lo inserisse nel suo giornale. Questo fu il primo lavoro dal nostro A. pubblicato colle slampe: ed alieno sic- come egli era di stampare le cose sue, solo nel 18 17 MEIWnniE DI MONSIG. RanZANI X /^5 V ..ninciò ad esporle al pubblico, ciò che procacciò a lui onore e vantaggio al pubblico. V. nota in fine. In due articoli del sig. Desmarets inseriti nel bulletlino del barone di Férussao ( tom. x pag. i63 e tom. 7 pag. 289 ) viene con modi assai onorifici esaminata 1' opera di inonslg. Ranzanl « Elementi di zoologia. « Ivi si dice ch'egli ha reso un grande ser- vigio all' Italia, dando a lei un' opera di un genere che le mancava: e che in generale apparisce essere l'autore perfettamente in corrente dei lavori anche i più recenti dei naturalisti esteri. Questa non è la sola testimonianza, che gli scienziati abbiano resa alla ricca suppellettile di opere spettanti precipuamente al- la storia naturale, che con sommo ardore e con gene- rosi sacrifizi adunava il prof. Ranzani. Oltre alle ope- re sui mammiferi e sugli uccelli, di cui parlano Des- marets ed Oken, possiamo ora aggiugnere che in pari modo egli era in corrente delle opere di erpetologia e geologia, e che ricchissimo egli era di opere malaco- logiche ed entomologiche , non eccettuate quelle di maggior costo. La mineralogia, la zoologia fossile e l'ittiologia, non che i viaggi e le scienze affini alla storia naturale, la fisica e la chimica, la botanica e le scienze filosofiche morali, e la filologia eziandio, offrono in questa biblioteca opere sceltissime, ed in vistoso numero; il che forma una condizione neces- saria per ispiegare la somma erudizione sparsa nelle sue memorie. -^f Fin dai suoi primi anni frequentò i padri filip- pini di Bologna ed il loro oratorio , mostrando in tutte le sue azioni una vera pietà ed un contegno esemplare. E tale fu il rispetto che addimostrò verso i suoi genitori, specialmente alla madre, la quale soprav- G.A.T.XGVI. 10 l46 SciENZI visse al marito molti anni. Visse egli ritirato ed im- merso ne'suoi studi, ricevendo gli amici di buon ani- mo e somministrando loro il comodo di esaminar© nella sua libreria quegli articoli che loro abbisognas- sero; e si limitava a fare quelle visite che sono in- dispensabili al dovere ed alla civile costumanza. E ciò basti intorno al suo carattere morale generalmente ben conosciuto. «i Note. Allorché pubblicava alcune opere, e spe- H cialmente i suoi elementi di zoologia, andarono que- sti soggeti a qualche censura nella nostra Italia: sic- come accade sovente di quelle opere, le quali hanno in se vero merito: e cui egli dette la più eloquente e la più modesta risposta col silenzio. E mentre in Italia t suoi elementi si criticavano, ricevevano essi generale approvazione in Francia ed in Germania : e tale, che in un giornale tedesco scientifico si pro- poneva ad esempio la descrizione di un uccello presa dalla suddetta sua opera, onde l'esposizione de'prin- cipali caratteri generici e specifici dallo stesso, con precisione e chiarezza esposti, servisse altrui d'esempio. 2. Nota. Fu eletto molti anni fa consigliere co- munale, posto che occupò non breve tempo. 3. Nota. Frequentava egli prima del 1826 le principali famiglie di Bologna: ma da quell'epoca in poi cominciò a vivere ritirato , come si è detto. Nota 4- Del 1801 fu nominato aiutante al pro- fessore di botanica dottore Rodolfi. Nota 5. Del 1820 fu nominato dalla nobile famiglia Malvezzi monsignore primicerio, ed il tito- lo di lui trovasi nel frontispizio de' suoi elementi. Nota 6. Fu detto professore del i8o3. Nota 7. Partì egli per Parigi del 18x1. Memorih di monsig. Ranzani ,^* Queste note furono comunicate all'autore di que- sto articolo dalla gentilezza del sig. Giuseppe Bian- coni , il quale gli somministrò pure 1' elenco delle opere del prof. Ranzani, e la loro paginatura, presso a dubbi da lui proposti sulle epoche, di cui non po- teva serbare viva la memoria. Il celebre scienziato bolognese cessò di vivere in patria nell'anno 1841. i48 ^mTTmWLMT'UWLÉ^ Elogio storico del p. don Giuseppe Maria Stam- pa C. R. soinasco, scritto dal p. don G. Bat- tista Giuliani della stessa congregazione. on parrà indegno, che io prenda a ricordare il nome, e a discorrere in brevi parole la vita e le ope- re del p. Giuseppe Maria Stampa , se pure non si voglia sconoscere il vero merito di chi tutti impiegò i suoi giorni nell'esercizio della virtù, e nell'acqui- sto del sapere. Nacque egli l'anno 1666 in Grave- dona, assai cospicuo borgo posto sulla riva occiden- tale del lago di Como. I parenti di lui furono Fran- cesco Stampa e Cecilia Corti, famiglie ambedue ono- rate ed illustri per antico sangue e per segnalata vir- tù. La prima educazione l'ebbe quale gli si conveni- va, nobile, ma non guasta da molli e snervanti abi- tudini. Toccato i i3 anni passò al collegio Gallio di Como per esservi ammaestrato nei buoni studi, e per meglio ordinare i suoi costumi ad un tenore di vita religioso e civile. Governavasi in allora quel collegio alle provvide cure dei padri somaschi ed al discreto senno del loro pregevolissimo rettore il p. don Lui- gi Primo Zatti. Questi, che uomo era di mente per Elogio del P. Stampa 1^9 spicace, veduto la buona disposizione e i rari lalenli che lo Stampa aveva sorlilo da natura, se ne promi- se assai felicemente, e non invano. Imperocché cre- scendo negli anni, quel giovane alunno veniva di pa- ri con gli abiti di virlìx moltiplicando i frutti dell'in- gegno. Ond'è che appena ebbe l'età capace, gli fu pur bastevole il domandare perchè ottenesse di vestire l'a- bito de'suoi istitutori. Dappoi un anno ne giurò so- lenne la professione , e fu tosto applicato alle utili discipline; dove, per non fallire l'aspettazione che si aveva in lui, con tanta passione d'animo e intensio- ne di studio vi si mise addentro da riuscirne pres- soché in tutte profondamente addottrinato. Correva il 1696 quando monsignor Pier Marino Sormanno, vescovo di Vigevano, entrò in j^ensiero di ridurre il suo seminario sotto la direzione dei C. R. somaschi. Fattane ed accettata a vicenda l'onorevole proferta , tra più altri valentuomini si pensò di mandare a quel seminario l'ottimo p. Stampa. E ciò saviamente; che a stabilirsi , e guadagnare nell'universale concetto, nulla dovea rilevar più che un solido e ben avven- turato principio. Nell'aprirsi degli studi il p. Stam- pa fu avviso non poter meglio augurarli che cele- brando le lodi del vescovo , la cui benignità volle che singolarmente i somaschi a quella importante ope- ra presiedessero. Difficile impresa a dir vero e non lieve pericolo di frodare la verità s'incontra a volere encomiare i viventi, massimamente se grandi , e in loro proprio cospetto; non per questo se ne scorag- giò il p. Stampa, ma tenendosi alle strette leggi del vero seppe lodare in bella maniera e senza punto macchiai'si di bassa adulazione. Piacque olirà ogni credere questa sua orazione; tanto che si giudicò e i5o Letteratura fu fatta degna di vedere la pubblica luce : ed egli quasi a ricambiare i vigevanesi di sì grato favore , v'aggiunse, in forma d'iscrizioni, dìclotto elogi ad al- trettanti di quei vescovi onde s'era illustrata la dio- cesi di Vigevano. Condottosi quel degno padre al ca- rico che gli veniva imposto d'insegnare la rettorica, vi si esercitava con operosa ed inslancabile solleci- tudine. Avvegnaché non gli fuggiva dell'animo il gra- ve ufficio che è il farsi maestro altrui, e che a bene adempierlo non basta la molta dottrina ed il fino giu- dizio che altri aver possa, ove l'animo vada sfornito della necessaria attività e pazienza. Nò stavasi egli solo contento alle fatiche di scuola : ma , fermo il pensiero alla maggior gloria di Dio, studiava assai , scriveva ben più e meditava moltissimo; e con un si ordinato sistema le sue cognizioni, in quella che s'al- largavano, consolidavansi. Di ciò lo Stampa non pren- deva cagione di vanagloria, si veramente di più mo- desto sentire di se medesimo, come quegli che bene intendeva ogni sapienza derivare e voler tutta rico- noscersi dalla beneficenza divina. Il che valeva ia gran maniera a fargli crescere la stima presso i vige- vanesi, i quali se facevangli onore come uomo dotto, l'ammiravano ancora assai più come uomo sommamente virtuoso. Indi a qualche anno gli convenne lasciare Vigevano per condursi in Milano a fine di addottri- nare in belle lettere i chierici professi della sua con- gregazione. Or io non istarò qui a dire come egli po- nesse tutto il suo ingegno e studio in fornire degna- mente questo magistero; non però voglio passare in silenzio che era tutta propria di lui la difficile arte di avviare, d'informare e d'innamorare quei cari gio- vani non prima né più alla eloquenza che alla filosofia: Elogio del P. Stampa i5i donde venivasi loro imprimendo nell' animo questa poco intesa e pur rilevantissima verità ; che niuuò mai potrà salire in fama di eccellente oratore se pri- ma non si è bene educalo alla scuola dei filosofi. L'anno 1704» rimanendo lo Stampa nel suddetto im- piego , si radunò in Milano il capitolo generale : ed egli, per festeggiare il giorno in che si elesse il capo di tutta la congregazione, fece tenere a' suoi disce- poli una cosi detta accademia sul verisimile ; argo- mento che o vogliasi per la novità, o per 1' accon- cia maniera secondo cui fu maneggialo, fruttò al suo autore amplissime lodi. Divulgandosi ognora più il suo nome, fu chiamato a Roma quasi per àgglugnere nuo- vo ornamento al collegio dementino che per buoni ed utili sludi splendidamente fioriva e grandeggiava. Pronto mai sempre al piacere dei superiori, il padre Stampa si recò a Roma , portatovi ancora dal desi- derio vivissimo di meglio conoscerne e vederne con- fermala da'monumenti l'antica istoria. Fa al termi- nare dell'indicato anno che egli entrò a quel colle- gio per insegnarvi l'eloquenza; ed essendo sul comin- ciarsi delle scuole, si vide costretto a recitarne la con- sueta inaugurale orazione. Di che apparve quanto la fama del p. Slampa annunziasse il vero, e come ia lui la profondità della dottrina andasse del pari alla maestria dell'arte. In questa magnifica città, dove mai sempre s'aperse largo il campo ai buoni ingegni, fece notabili pruove del suo valore non che in poesia , ma quasi in ogni altro genere di letteratura. Il per- chè l'arcadia il volle eleggere a suo socio; onore per quei tempi invidiato ed invidiabile, stantechè a'soli pochi e veramente degni largivasi. Lo Stampa, seb- bene noi comportasse la sua isquisita modestia, pure iSa Letteratura vinto alle dolci ed efficaci istanze degli amici, mo- vendolo eziandio un cotal sentimento di grata rico- noscenza verso chi lo degnava di sì onorevoli dimo- strazioni, faceva del frequente risuonare il serbatoio e le selve arcadiche de'suoi leggiadri e piacevoli com- ponimenti. E per tutto ciò si videro piia chiari ris- plendere i suoi pregi, che soli gli bastarono l'amici- zia dei principali dotti di cui Koma andava merita- mente famosa. Mi vaglia per tutti il ricordare quel felice ingegno del cardinale Lodovico Pico della Mi- randola, nella cui grazia ed affezione lo Stampa era entrato si innanzi che tra essi due del chiedere era men tardo il fare. Nel giro di tre anni, quanto stet- te in dementino , compose e pubblicò, lasciando il resto, due orazioni sulla Trinità; che seppe egli mo- do a degnamente trattare questo altissimo soggetto, e così dare a vedere che non gli era neanche nuova, né ardua la scienza delle divine cose. Se a gloria dei maestri tornasse il buon riuscimento degli scolari , non tacerei che lo Stampa ne contò un bel numero, e tra questi il cardinale Giuseppe Ferroni e i due non oscuri poeti don Carlo d'Este da Milano e Pier Antonio Fenaroli patrizio di Brescia. Mentre che pie- no di gloria e solo occupandosi di scienza e di re- ligione viveva lieti e tranquilli i suoi giorni, di trop- po amaro cordoglio fu afflitto nel vedersi rapito da subita morte il più dolce anzi il primo de'suoi amici nella persona del p. Giuseppe Maria Arconati , so- masco anche questi, degno di rimanere famoso, più che non è, per le religiose ed intellettuali virtù di cui fu veduto risplendere. E perchè suole essere frequen- te cagione di tristezza un luogo dove altri incontrò una qualche mala ventura, lo Stampa, divenendogli Elogio del V: Stampa i53 ogni dì più increscevole il soggiornare in Roma, ri- volgeva i suoi pensieri a ritornare a Milano. I supe- riori conosciuto l'animo di lui, ne volendolo altra- mente distoglierlo , sì lo contentarono ne desideri suoi. Or bene recatosi nuovamente a quella popolo- sa città, e deposto il carico di maestro, si diede eoa fisso ed attento studio alla storia ed alla cronologia. Avea egli, olire ad una forte penetrazione d'ingegno, una grande capacità di memoria ed una sana dirit- tura di critica ; e perciò questi studi gli riuscivano con singolarissimo frutto. In ciò metteva ogni suo pen- siero, e noi distoglieva se non per richiamarlo a Dio, ullimo ed unico termine de' suoi desideri e de' suoi affetti. Di qui il rifiutare che faceva continuo ogni grado o titolo onorevole che la congregazione a ri- meritarlo di tanti servigi gli offeriva. Pur tuttavia que- sto suo non curare gli onori e le dignità era stimolo a largii'gliene maggiori e continuate. Alla perfine gli fu forza accettare, oltre la carica di consigller gene- rale, quella ben più grave di rettore del collegio di s. Pietro in Monforte. Le virtuose opere del p. Stam- pa erano di per se sole bastevoli, perchè la sua re- ligiosa famiglia, all'esempio di lui componendosi, vi- vesse una vita tutta d'amore e di pace. ISè alcuno fuvvi mai che negasse di prestargli obbedienza anche nelle minime cose : né a ciò faceva altro uopo che l'aprire il suo desiderio. Tanto ha di forza sul cuore dell'uomo la onestà e dolcezza del comando ! Noie- voli son per certo le cure che seco porla la rettoria di un collegio, e tali da portarsi via buona parie di tempo; contuttociò lo Slampa, non mancando al suo debito, nulla rimetteva de'suoi letterari esercizi. Per quanto ei menasse una vita ritirata , non potè fare x54 Lettieratura che il suo norat? ed i suoi rari talea lì conosciuti non fossero. Vivea a'queMl in Milano Filippo Argelati scrit- tore sommannente dotto tra quanti ne vide il suo se- colo, e degnissimo di onorata e non peritura nomi- nanza. Questi, avuta contezza del p. Slampa, prese di presente ad usare con lui e quindi a tenerlo in tan- ta affettuosa estimazione, che non pareva aver persona ne più pregiata, ne più cara. E nella sua Biblioteca degli scrittori milanesi volle accennarne la biografia: e questo non già perchè quel reverendo padre avesse per patria Milano, si perchè ne crebbe lo splendore con aver quivi lunghi anni onoratamente vissuto. Ap- presso non pochi altri letterati egregi e ben chiari alla fama era avuto in altissima stima : e, per tacere quello degli altri, mi basterà pur riferire il giudizio che il gran Muratori, nome a cui tutta Italia riveren- te s'inchina, ne espresse in queste gravi parole: Do- ctissimus , mìhique ex antiquo amicitiae foedere carissimus vir^ quem non minus politiorum lite- rarum cultiis, quam mathematica studia, et mul- tiplex eruditio celebrem apud nos iamdiu effe- cere^ ac praecipue mediolanensibus notum. Ma, assai più che le parole altrui, sono irrepu- gnabile testimonio al vero merito del p. Stampa le sue più eccellenti scritture. Già si è veduto che egli faceva una delle sue maggiori delizie la poesia: ed al- cuni suoi componimenti in italiano si leggono sotto il nome di Euristeo Parebasio in quelle raccolte che di tempo in tempo soleansi dagli arcadi mettere a luce. Diede pur fuori una miscellanea di epigrammi latini divisa in sette centurie, tre delle quali tratta- no argomenti di storia sacra e profana , e le altre hanno varietà di soggetto. Le poesie del nostro Eu-» Elogio del P. Stampa i55 rìsteo si vogliono riguardare dai tempo in cui scri- veva: e ben chiaro si vedrà come egli abbia saputo levarsi dalla schiera volgare, e non dare così spesso nelle strane fantasie de' secenlisti. Si conservano di lui parecchie favolette, lodatissime da G. B. Glorio per ischiella semplicità e per nativo candore. Raro esempio in un secolo, che tutto di sforzati concetti e di ammanierate forme deliziavasi. Notabil cosa ezian- dio è ohe in quella corruzione e perversità di gusto lo Stampa scrivesse e facesse recitare a' suoi scolari un'accademia sulla varietà dei gusti, e del buon gu- sto insegnasse le infallibili norme. Se non che al ma- le già invecchiato era troppo tardo rimedio. In mez- zo alla dolce amenità delle lettere non intralasciò la coltura della matematica: e quanto valore in essa vi dispiegasse ce ne dà fede, tra più altri, il suo trat- tato dell' aritmetica progressione. Quello che princi- palmente gli acquistò un qualche nome si furono gli Atti del beato Miro eremita^ benefico protettore del- la Lombardia. Chi restandosi al solo titolo vuol for- mar giudizio delle opere, farà niuno o picciolo con- to di questa; ma chi sa aggiustarne la debita stima, e le cerca bene addentro, la troverà assai pregevole per finezza di critica e per riposta erudizione. Che non era lieve fatica quella di trarre da pochi ed oscu- ri monumenti, da vecchie ed incerte tradizioni , da scipite e mal veridiche cronache, i singolari fatti on- de è intessula la vera vita di quel beato. Non da cie- co, ne da credulo conveniva in ciò adoperare : che troppe volte la fama suol farsi inventrice e semina- trice di maraviglie: sì da assennato filosofo, il quale, riguardando a fondo ogni cosa, sapesse attignerne quel tanto in cui non si potessero disconoscere le certe i56 Letteratura sembianze Jel vero. Era a quel tempo inteso il Mu- ratori al suo interminabile lavoro Rerum italicarum scrìptnres: e tutti che sentivano alquanto di patrio amere davan mano all'impresa e si travagliavano di vieppiìi estenderne il campo. Lo Stampa, cercando es- so pure di giovare le fatiche di quel degno figlio d' Italia, frugò e mise sottosopra quanti archivi potè ve- dere e quello massimamente del collegio di s, Pietro in Monforle. Venutogli a mani un poema di un ano- nimo comasco De bello et excuUo urbis comensis^ non tardò a spedirne copia al Muratori se mai lo giudicasse meritevole di riporlo in quell'immenso te- soro. Rispose che sì; e il p. Stampa si fece tosto a paragonarlo con altri codici, e sì lo emendò d'assai notabili errori, e lo arricchì di tante e tante perspi- caci osservazioni che il Muratori, nel riceverlo la se- conda volta, noi ravvisò più per quel medesimo di pri- ma. Ma e che dire dell'arduo tentamento, a cui in- clinò l'animo e poscia applicò la mano, d' illustrare cioè e continuare i tanto celebrati fasti del Sigonlo ? E chi non vedeva richiedersi a questo gran lavoro per poco tutta la vita di un uomo ? Pur nondimeno il p. Stampa, ancorché divertito ad altre occupazioni, l'intraprese con ardente volere, e in poco d'anni lo condusse a felicissimo termine. E l'Argelati, che gliel commise, troppo bene conosceva a cui sicuramente si confidasse. La consolare cronologia, che fruito al Si- gonio acerbe contese, s'ebbe nel p. Stampa un forte difenditore : e come quegli, cui l'antica istoria e la ragione de' tempi era troppo più conosciuta che a niun'altro, seppe usarvi tale industria da recarne in mano al Sigonio la palma, E perchè meglio si ve- '^sse che i fasti consolari di Livio fossero in pieno Elogio del P. Stampa 157 accordo coi fasti capitolini , ciò che fortemente si disputava, li fece imprimere in sette tavole, e di gui- sa che gli uni agli altri si riscontrassero e per tal forma il vero visibilmente si manifestasse. Vi aggiun- se di più non poche considerazioni, da cui la crono- logia del Sigonio ricevette nuovo lume e più solido sostegno. Con pari sagacità e franchezza disaminò e sostenne la difesa che il Sigonio avea comincialo de- gli Scogli di Livio contro il Giareano ed il Robor- tello. Ed essendo che per istabillre con fondamento la cronologia, donde la storia prende la sua massima luce, occorrevano assai cose da illustrarsi più ampia- mente, vi mandò innanzi molte ed eruditissime dis- sertazioni. Le quali se non erano tutte per recare maggior chiarezza ai fasti del Sigonio, assaissimo con- ferivano all' uopo di chi si fosse occupalo in conti- nuarli. A questo incarico si sottopose egli lo Stampa, indottovi dalle preghiere che l'Argelati continuo glie ne veniva facendo. E che non può un animo impa- ziente della fatica e lutto fisso ad un solo pensiero? In picciol varco di tempo ed ia meuo che ei si era immaginato venne fatto al p. Stampa e di protrarre quei fasti dalla morie di Augusto , dove si era fer- mato il Sigonio, fino all'imperio di Diocleziano e Mas- simiano. E l'avrebbe più largamente distesa, se non fosse che esso medesimo il Sigonio con la storia De occidentali imperio^ ripigliala da quei due impera- tori, glie ne chiuse la via. Nel compiere quella se- rie de' tempi, così l'Argelati, il nostro continuatore travagliò faticosamente, ne nulla trascorse che fosse jnestiero a viemmeglio chiarire la storia ed a rimet- tere in più stabile ordine la cronologia. L' anno 1687 cessò di vita il padre don Luigi Tatti mentre l58 LETTERATURA che era in sul pubblicare gli Annali sacri di Como. Avendoli per massima parte lasciati inediti, né altri essendosi tolta la cura di proseguire l'edizione, n'an- darono smarriti. Già erano passati presso che 5o anni dappoi la morte dell'autore, quando per buona ven- tura quelli vennero trovati al p. Slampa, che quasi fossero tesoro di patrie glorie, subito corse a darne notizia al corpo de'nobili giureconsulti in allora prin- cipal magistrato della città. Non istettero punto so- spesi questi virtuosissimi cittadini di quello si dovesse- ro deliberare; pubblicasse quelle istorie, ed eglino pen- serebbero alle spese. Quel degno padre, recandosi ad onore questo ca- rico ed acceso come avea 1' animo di patina carità , non pose indugio a fare quanto gli era imposto. Pro- dusse a luce quei libri, non già quali aveali disco- perti, ma corredati di dotte illustrazioni e di non pic- cole mende ripuliti. Sopra che molto rare notizie in- fine a ciascun d' essi appose : e cosi , dal i3oo al iSgS ordinatamente il filo seguitandone, quasi la ri- compose. E più innanzi l'avrebbe forse tirata, se non che mal reggendogli la vigoria del corpo, come se un maligno umore tutte gli ricercasse e lento lento gli dissolvesse le membra, dagli studi a se caramente di- letti si distolse. Per consiglio di medici discreti spe- riraenlò l'aria nativa di Gravedona: ma anzi che van- taggio, parve glie ne risultasse danno. Laonde però avvisando più che mai vicino l'ultimo passo, puro co- me sentivasi di coscienza, e tutto fidandosi alle gran- di braccia della divina bontà, gli si faceva incontro con lieta ed imperturbabile fronte. Rimondatosi il cuo- re e rinvigoritosi lo spirito coi sacramenti , con in volto la calma del giusto e con gli occhi che accen- Elogio del P. Stampa t5a tinvano al cielo, nel i5 di novembre 1784 placi- damente morì. Una sì gran perdita non potea essere che grandemente ed universalmente lamentala. Se ne dolevano i dotti, perchè in lui avean perduto un sa- vio consigliatore , un amico sincero , un autorevole maestro; piangevanlo i buoni, che in lui era ad essi mancato un visibile esempio ed un forte stimolo di ben guidare la vita. Ma soprattutto quella sciagura tornò acerbissima ai comaschi, che in lui videro sce- mato lo splendore del loro paese. E per testimonio di grato e riverente affetto ne celebrarono la memo- ria con solenni esequie, e con funebre elogio ne vol- lero rammentali i non comuni e laudabili pregi. Il p. Slampa fu ben diposto della persona , di statura piuttosto alla che mediocre, e tutto ben rispondente e proporzionalo. Mostrava nell'aspetto una grande au- torità, non sì però che non sapesse prendere sembian- te di amorevolezza ; bastava pur riguardarlo, perchè altri ne fosse tratto non saprei se più ad amore che a riverenza. Poco parlava e raro; perocché le molte e continue parole sapeva egli che ci fan correre alla stoltezza. Era lutto compreso di singolare umiltà: e quanto più avanzava nel sapere tanto era minore il parlare, e l'opinione di se stesso; là dove agli altri cresceva la stima e vieppiù largheggiava di lodi. Sol- lecito che il tempo non passasse perduto, nulla pa- tiva più che vederselo rubato da oziosi cianciatori. Il fruito di sua virtù metteva in coscienza, non in va- nagloria. Dalle regole del suo istituto punto non si partiva: ed era un suo familiare detto, ogni civile e religiosa comunità fiorire o dicadere secondo il vigor delle leggi da cui è governata. Colla voce e coll'e- «empio esortava alla carità come vincolo che gli ani- l6o L E T T E R A T U R A mi affratella, e die appropria a tulli quello di cias- cuno. I suoi rimproveri erano cari cenni d'amore, i suoi consigli ne disvelavano la bontà del cuore , la dirittura del volere e la salacità dell'inlelletlo. Pieno la lingua ed il petto di religione, viveva conlento di poco, obbediente con pronta volontà, casto nei pen- sieri, e negli alti e nelle parole ordinato. Non cono- sceva ambizione, e quindi dagli onori teneva l'animo qL'anl'allri mai lontano. Cercò e promosse il bene al- trui, non curando quello die gli era suo proprio. Il corpo in digiuni ed altre penitenze affliggeva, e con l'assiduità di fervide preghiere riducevalo in servitù. Soccorreva chi veniva a pregarlo d'aiuto, e fu talvolta che risparmiò tzianclio la vergogna dilla domanda. Be- nigno, come era a lutti, di tulli l'amore tenacemente si obbligava. Tale si fu l'uomo, di cui io tolsi a par- lare : e come tale degnissimo di essere con affezio- ne ricordato presso a coloro che, dipartendosi dalla moltitudine, vivono amando la virtù ed onorando la scienza. ira 8)»«»i i6i CATALOGO DELLE OPERE DEL P. GIUSEPPE MARIA STAMPA C. R. S. Anonjmi novocoraensis, Gumanus, sive poema de bello et exci- dio urbis cotnensis ab anno MGXVIIl usque ad MCXXVII. Kuuc priinum e mss. mediolanensibus et comensibus in lu- cem prodit- Accedimi casligationes et notae D. loseplii Mariae Slanipae e somaschensi congregatione. Questo si leg- ge nel tomo V dell'opera: ,, Rerum Italicarum scriptores ,, stampata in Milano Vanno 1754- Alla prefazione del Mura- tori viene appresso quella del padre Stampa unitamente a\- V Ordine cronologico della guerra descritta nel poema. Caroli Sigonii Fasti consulares ac triumphi acti a Romulo rege usque ad Tiberium Caesarem. Eiusdein in fastos et trium- phos, idest in universam romanam historiam, commentarius D. losephi Mariae Stampae cler. reg. somasch. adnotatio- nibus illustratusj alque ab Augusti obitu ad iniperium Dio- cleliani et Maximiani, unde occidentalis iniperii libros idem Sigonius exorditur, productus. Ritrovasi nel tomo Ideile Opere di Carlo Sigonio. Milano 1732. Edizione magnifica fatta per cura di Filippo Argelali. I detti Fasti sono con- tinuamente illustrati di copiose annotazioni, tra le quali pia- cque al p. Stampa d'inserire alcune dissertazioni come al- trettanti opuscoli, e sono le seguenti; I. De Romae conditae , ac de instituti consulatus anno primo. Comincia alla colonna ^1. a De spoliis opimis. Col. 46- 3. De Rotnuli anno, eiusque correctione a Nuraa Pompilio, tuin a decemviris, deinde a lulio Cacsare, mox ab Octavio Au- gusto, et tandem a Gregorio XIII facta. Col. 5i. 4 De anuis romanorum reguin et de consulatus initio. Col. 67. 5 De coniitiis romanorum brevis dissertatio. Col. 74- 6. De Christi nati anno vero. Col. 585. C.A.T.XCLVI. ,1 162 L E T T E R A T U K A y. De eius primo suscepla post baptisma praedicatione. Col. 601. S. De eius supremo paschale, deque eius a sua incarnalione ad passioneni triginla trium anaorum traducta vita mortali. Col. 6i3. Fasloruiii triumphorumque romanorum post Sigonium conti-" uuatio. Ivi med. p. 60^. Ad llvianam cronologiam Sigonii scholia, et los. Mariae Stampae C. R. S. in eandem cronologiam et in eadein scholia adnota- liones. Ivi med. p. 981. Caroli Sigonii livianorum scholiorum aliquot defensiones adver- sus Glareauum et Robortellum. los. Maria Stampa rcceu- -suit. Ivi med. pag. 1009. Aloysio Pisano D. Marci procuratori prò meritis electo. Oratio. Venetiis apud Leonardum Pittonum, 1692, in 4- Pelro Marino Sormano episcopo viglevanensi. Oratio panegyrica loseplii Mariae Stampae C. R. S. Mediolanum apud Ramella- liirn, 1696, infoi. Tre epigrammi latini si ritrovano nella Raccolta: „ Per le nozz» di Rinaldo d'Este duca di Modena etc. e Carlotta Felicita principessa di Annover. In Bologna 1696, in fol. Organum academicum, sive de corporis proceritate ac parvitate. Mediolani apud Ramellatum, 1699, in 4- Ludiis serio expensus. Mediolani apud Malatestam, 1700, in 4- De aritliinetlca progressione tractatus, in quo praeter alia scitu digiia, de quantitate discreta tota resolvitur combinatoria. Mediai. 1700, ex tipographia losephi Pandulphi Malate- Stae, in 4- Canzonette musicali per 1' accademia sul Verisimile. Milano , presso Giuseppe Malatesta, I7o4j in 4- Tres unum sunt. Oratio habita in festa sanctissimae Trinitatis in pontificio vaticani sacello. Romae lyoSper Franciscum Con- zagani in 4- Si non credideritii non inteltigetis. Oratio habita in festo sanctis- simae Trinitatis in pontificio vaticani sacello. Romae, «706, per eumdeni in 4- Un'elegia latina corredata di alcune annotazioni si legge in fine alla raccolta intitolata: Applausi alle felicissime nozze del Elogio del P. Stampa i63 CO: Francesco Maria Baldassini e lu contessa Chittra de Cozze. Pesaro, 1712. -Queste aotizie furonmi per gran par- te camunicate dal reverendissimo padre don Ollavio Ma- ria PaltrinierL onore ed ornamealo della mia congregazione, che da lui principalmente riconosce quanto ella conserva e sa delle sue antiche glorie. - Vita del p. don Antonio Mezzabarba C. R. S. insigne letterato. Si legge- sotto il nome di Euristeo Parebasio nel voi. 1 delle notizie storiche degli arcadi morti. Roma, 1^20. Breves interpretationes ad un'egloga di Gian Antonio Volpi ve- scovo di Como. Si leggono nel libro .• Ioannis Antouii Vol- pi carminum libri tres. Patavii, 1725. Epigramtaata sacra, eroica, etilica, et miscellanea in VII centu- rias distributa cura adnotationibus. 3Iediolani, apud Mala- test am, 1727, ili 8. Osservazioni &opra la terza deca degli annali sacri di Como del p. Luigi Tatti C R. S. dall'anno i3oo al i582. Milano nel- la stamperia di Carlo Giuseppe Gallo, 1734, in 4 Osservazioni sopra l'appendice degli annali sacri di Como del p. Luigi Tatti dall'anno i583 al iSgS. Milano per lo stesso, 1735, in 4- - In fine a questa appendice si legge l'orazione, che nei funerali dal p. Stampa fu recitata dal conte Antonio Giuseppe della Torre di Rezzonico. N. B. Lascio di mettere in catalogo altre poesie che poco var- rebbono ad accrescere fama al p. Stampa; siccome anche di accontarne le opere manoscritte che infelicemente andarono perdute. Bensì mi piacerebbe di dare un qualche saggio dello scrivere poetico, in che pe'suoi tempi lo Slampa potè dirsi gran maestro: ma, non le avendo in pronto , mi riser- bo ad altro tempo di ciò fare. Basterà al presente che io ponga solt'occhio al benigno lettore una lettera inedita di quel buon padre, dalla quale non so se meglio apparisca la schietta naturalezza dello stile o Tingenuo candore dell'a- nimo del p. Slampa. DI questa io son debitore alla rara cor tesia di sua eccellenza reverendissima monsig. Carlo Em- niauuele iVIuzzarcUi. Eccola senza più; i64 Lbttkratura ,, Al sìg. Mario Crescimbeni. „ Poiché ho trovato un cavaliere virtuosissimo di questa cit- tà, che si diletta de'libri scritti eoo lutto il fior della lingua no- slra toscana, ho pure incontrata la sorte e l'onore di servire a Y- S. illustrissima, esitando presso di quello una copia della sua bell'opera sulla volgar poesia, che restava in mano del sig. ca- nonico Casliglloni nostro compastore e comOne amico. E per- chè questi non me n'ha saputo inai dire il prezzo, cos'i scrivo in quest'islesso ordinario al sig. abate Fontanini , bibliotecario del' l'eminenlissimo Imperiali, acciocché ne sborsi il prezzo a V. S. illustrissima, avendo io commercio di lettere e di libri con esso- lui. Ciò le serva d'avviso, mentre io domani parto per Venezia , sperando nel Signore di ritrovarmi di nuovo in Milano alla fine di maggio. Intanto V. S. illustrissima mantengami la stimatissi- ma sua grazia, e mi onori qualche volta de'suol comandamenti , perchè con tutto l'ossequio sarò sempre ,, Di V- S. illustrissima „ Milano, da s. Pietro in Monforte 22 aprile 1710. Divmo ed obbligmo servitore Giuseppe Maria. Stampa e. R. S- Del p Stampa fecero onorevole menzione le Nouelte della repubblica letteraria dell'anno 1732; il Giornale dei lellerati d' Italia nei tom. 34, 35, 36 ed in altri ; l'Argelati nella sua Bi- blioteca degli scrittori milanesi ; il Muratori in più di un luogo e spcciiilmcnte nella prefazione al poema Anonymi noifocomensis, dalla quale ritrassi quel giutlizio da me riportato nell'elogio ; il conte Gio. Battista Giovio nel suo Dizionario ragionato degli uo- mini illustri della Comasca; il Lombardi nella sua Continuazione alla storia letteraria del Tiraboschi, tom. IV, pag. 58; il dizio- nario biografico stampato in Bassano, tom. XIX, pag. 174» "^ '^^• Cesare Gantù nella sua Storia dì Como a pagine 333 e seguen- te; il celebre Maurizio Monti nella Storia della stessa città, vol- ai parte 2, pagina 646; finalmente l'egregio professore Giusep- pe Lugli nella Continuazione delle memorie di religione, di mo- rale e di letteratura, tom. 12. Modena, 1841. i6!^ Nuovo esperimento sulla principale allegoria del- la divina commedia di Dante AlUghieri sfatto da Marco Giovanni Ponta^ procuratore gene- rale della congregazione somasca e rettore del collegio dementino di Roma. INTRODUZIONE R ella sera degli otto aprile dell'ora terminato mil- le otto cento quarantadue io leggeva alla nobile adu- nanza dell'accademia tiberina un mio ragionamento, dove interpretando quel vei-so dell' AUigbieri: Perch'io te sopra te corono e mi trio (i) : desumeva le ra- gioni della nuova interpretazione da argomenti fdo- sofici tratti unicamente dalle opere dell'autore stesso. Per procurare alcuna chiarezza al mio dire, dovetti esporre certi miei principii particolari intorno alla vera allegoria di tutta la commedia; i quali e perchè non seguiti da quel corredo di raziocini che richie- devano quanto a se, ma che non comportava la cir- costanza, e perchè non racchiudenti per intero l'al- legoria, se bastavano all'uopo cui furono diretti, non potevano certo indicare all'uditore il vero aspetto dei pensieri di chi parlava : e quindi contenevano in se alcuna idea prematura ed incompleta. A rimedio op- portuno produco ora l'allegoria, da cui quel ragiona- (i) Fu stampato nell'arcadico di Roma al n. 91 nel mese di aprile. ,66 Letteratura mento fu estraUo , per così esprimermi ; e ciò non per far pompa di eloquenza, non di elevati concelli, non di erudizione filosofica, storica o filologica; ma solo per manifestare a chi degnerà leggermi sotto qua. le aspetto mi si presentò il poema sacro , interpre- tato cogli unici sentimenti del suo autore, sparsi à larga mano in ogni suo scritto. Certo io mi crederei riprovevole se dopo la classica opera: Dante e la fi- losofia cattolica del secolo XIII: produzione sa- pientissima del francese A. F. Ozanam , ardissi ri- produrre alcuna cosa che tale argomento avesse per ìscopo. Né meglio mi apporrei se, dopo quanto con pari erudizione ed eleganza pubblicò il conte Troia delle parti guelfe e ghibelline e loro subalterne di- visioni nel suo Veltro allegorico^ ardissi chiamare il nobile ceto dei lettori a ricorrere le stesse cose negli incomposti miei scritti. E forse che io potrei su^tpor^ mi accetto al pubblico , se narrando a lungo la vita dell'Allighieri, ricalcassi le pedale tanto luminose del profondissimo conte Cesare Balbo, primo tra i bio- grafi di Dante? O se riproducessi quelle cose, le qua- li con incantevole eloquenza mandarono al pubblico il conte Giovanni Marchetti ed il cavaliere Filippo Scolari; i quali tutti io con ammirazione lessi e com- mendai pila volte? Io non intesi a questo. Rimetto il nobile mio lettore a tali opere: e delle cose che essi trattano formalmente io do solo un picciol cenno e per non protrarre di troppo la noia a chi legge , e per non ritrattare il già trattato , e per non sapere far meglio di chi mi ha preceduto. Però da'miei det- tati con questa mira viene esclusa rigorosamente ogni erudizione estranea airargomento: e di quella che ne è intrinseca »on intendo citare o riferire che la più Allegoria della divina commedia 1G7 necessaria, e di preferenza mi atterrò sempre a quella che somministra Dante medesimo. Raramente sarA ci- tata la scrittura sacra, raramente Boezio, Aristotele e s. Tommaso d'Aquino, Virgilio, Seneca il morale, santo Agostino, san Dionisio Areopagita: quantunque sìeno essi la fonte prima , da cui , per sua confes- sione , l'Allighieri derivò la sua immensa dottrina. Ancora, a diminuzione e del volume e della pazienza a'miei lettori, io non mi estendo mai alla descrizio- ne delle cose e figure indicate, come che molto be- ne si presterebbero all' uopo le forti e nuove im- maginazioni del nostro poeta. Non è mio scopo ne comporre romanzi , né trattenere a lungo 1' atten- zione sulle cose perlrattate. Io intendo deliberata- mente a far conoscere per via spedita e chiara quale mi parve fosse la vera intenzione del poeta, quali i mezzi posti in opera , quale la via tenuta per riu- scire all'inteso fine. Sarà forse chi si maravigli al vedere, che io non esito a fare esperimento di una nuova allegoria dopo le celebrate del Marchetti, del Lombardi e dello Sco- lari: e sarà forse chi, avendo letto il commento del Rossetti sull'inferno, ed i suoi sentimenti su tutta la commedia ( i ) , ed il discorso di Foscolo sul testo della commedia (-2), non saprà acconciarsi a credere m queste pagine alcuna cosa di vero, perchè ad essi non conformi. Ma quanto al Rossetti e al Foscolo io dirò che Dante vero e sommo filosofo, vero e pro- fondo teologo, vero cristiano di dogma e di morale, vero cittadino di pace, malamente può essere inler- (i) Opera, Disquisizioni dello spirito anti-papale ecc. (a) Foscolo, La comniedia di Danle AUigliieri illustrata. r68 LftT TARATURA pi-elato nei principii poUticl , morali e religiosi da chi nulla crede , nulla teme e nulla spera : da chi pone ogni sua compiacenza nell' accendere continue rivoluzioni civili, ed apostasie religiose. Chi, lutto ar- dente e consunto da una diabolica atra-bile contro il papa ed il legittimo potere, mette a tortura il pro- prio cervello ed i sentimenti degli autori per soddi- sfare allo spirito maligno che lo invade, empiamente ]iuò giudicare di Dante, che sera e mane invocava il nome del bel fiorf per la pace sociale: che divinizza l'anforità monarchica; professa tal riverenza alla reli- gione cattolica e sua gerarchia, quale pio figlio dee al padre, quale pio figlio deve alla madre, pio verso il pastore, pio verso tutti quelli che professano la reli- gione cristiana. Per le quali cose, unite agli argo- menti di altissima fdosofia e sacra teologia ohe divi- nizzano il poema , il Petrarca asseriva che la com- media dovevasi intitolare piuttosto allo Spirito Santo, che a Dante (i). Quanto poi a quei primi , che io (i) Nel codice membranaceo del i4oo , od in quel torno, esistente nella biblioteca di S, E. il principe Borghese in Roina^ in fine cosi si legge . ,, E noti chi leggerà qui , che trovatidoini Io scrittore a >, Trapano di Cicilia, ed avendo vicltato uno vecchio uomo pi- ,, sano , perchè avea fama per tutta Cicilia d' intendere molt9 ,, bene la commedia di Dante ; e con lui ragionando e pratican- ,, do sopra essa commedia più volte , e di più cose, questo tale ,, valente uomo mi ha detto cosi: Io mi trovai una fiata in Lom- •,, bardia, e vicitai messcr Francesco Petrarca a Milano; il qua- ,, le per sua cortesia mi tenne seco più di. E stando ano di con ^, IbÌ nel suo studio, lo domandai se v'av-ea il libro di Dante , e „ mi ris^os€ di si: sorge, e cercato fra'suoi libri, prese il sopra- „ dello libretto chiamato Monarchia ,, (di cui qaesto scrittore ha ■,, parlftlo a principio della presente scrittura },, e getlollomi in- „ naiui- A che iu veggendolo dissi, non essere quello che io do- Allegoria della divina commedia 1G9 stimo e venero quali maestri , dirò che io intendo solo a contrapporre alle loro le sentenze dello stesso autore, che essi ed io abbiamo studiato: ma con que- sta intenzione , che mentre essi conducono Dante a confermare le proprie supposizioni; io null'altro vo- glio supporre che quello stesso che Dante mi pre- parò ne'suoi scritti. Non v'ha dub!)io che Dante pen- sò lungamente , e più lungamente studiò per ordire la gran tela del suo poema : la sua fantasia poetica ha già preparato , ordinato e disposto ogni minima cosa, dirigendo tutto ad un fine. Se chi lo vuole in- „ mandava , ma che io domandava la commedia. Di eh* allora ,, m'ess€r Francesco mostrò meravigliarsi, che io chiamassi quel- „ la commedia libro di Dante. E domandoinmi s' io tenea che ,, Dante avesse fatto quello libro.- e dicendogli di sì, onestameu- ,, le me ne riprese, dicendo che non vedeva che per umano in- ,, tellelto senza singolare aiuto delio Spirito Santo si dovesse po- ,, tere comporre quella opera; concludendo che a lui parca che ,, quello libru di monarchia si dovesse e potesse bene intitolare ,, a Dante ; ma la commedia piuttosto allo Spirito Santo che a „ Dante. Soggiungendo ancora e dicendomi; Dimmi, tu pari va- „ go e intendente di questa sua commedia; come intendi tu tre „ versi che pone nel Purgatorio, dove pone che messer Guidp ,, Guinizzelli da Lucca (*) domandi se quivi era colui che disse; ,, Donne che avete intelletto d'amore; e Dante disse; Elio a lui; ,, lo mi sono un che quando - Amor mi spira noto, et in quel mo- ,, do- Che dieta dentro vo' significando? Dicendo mejser France- „ SCO; Non vedi tu che dice qui chiaro; che quando l'amore del- „ lo Spirilo Santo lo spira dentro al suo intelletto, che nota la „ spirazicne, e poi la significa secondo che esso Spirito gli dieta ,, e dimostra ? Volendo dimostrare che le cose sottili e profonde, „ che trattò e toccò in questo libro, non si potevano conoscere ,, senza singolare grazia o dono di Spirito Santo. ,, {*) 11 manoscritto ha Guido da Lucca: ed in margine Guiniz- zelli; ma la dimanda toccata in questo luogo essendo di Buona- giunta «Ih Lucca, è certo che sia lo scrittore, sia il postillatore, im- mischiarono per fallo di memoria I nomi, e che ivi sia da leggere correllamonle Buonnqìiinia da Lucca, jr-o Lkttkràtora tendere da una sentenza o da poche, pretende colla propria immaginazione d' innalzare e disporre tutto l'edifizio poetico , questi ne darà bensì un nuovo e mirabile, ma non sarà quello dell'alta fantasia di Dante. Per interpretare le profonde verità, clie egli nascose sotto bella menzogna, fa mestieri non fantasia , ma lun^a, paziente e ponderata lettura de' suoi dettati : non immaginazione, ma diligente applicazione degli alti principii fdosofici e teologici da esso manifesta- li. Vedrà pertanto il mio cortese lettore quale e quan- ta stima io faccia di chi con tanto favore pubblico mi ha preceduto in questa materia; avendolo adot- tato molte delle sentenze loro, e solo quelle escluse, col debito rispetto, che vanno in contraddizione col- la commedia e colle opere di Dante. Non voglio poi lasciare di avvertire come in que- sta mia fatica non intendo dare niente di elaborato ed all' ultima perfezione condotto : ma piuttosto un abozzo-, una lieve prova di ciò che sarebbe da fare con maggior cura, più scienza e meglio allettante di- citura. Con tale protesta umile e sincera sia dunque ricevuto il mio scritto; e ninno dubiti che per me sia per glugnere mal gradita qualunque ragionata os- servazione che altri volesse fare, o a rettificazione dei concetti, o contro gli argomenti addotti. Che se poi Dante fosse la fonte da cui siano attinti gli argo- menti, che rettificando, mostreranno l'erronellà del mio esposto in alcuna parte, oppure che mala fosse la via da me tenuta; già di presente abbia la mia ricono- scenza quel generoso che mi avrà onorato, e sia per- suaso che con ciò mi avrà fatto cosa tanto grata, che mai non furo strenne Che fosser di piacere a queste iguah. Allegoria deij.a divina commedia lyi CAPITOLO L Sulle diverse allegorie supposte nellu divina commedia. La più anlìca allegoria attribuita alla divina com- ìnedia suppone che Dante, smarritosi nella selva delle passioni e vizi umani , si avvide in età di 35 anni di avere smarrito la via del ben vivere , trovandosi miseramente implicato in quella del vizio ec. (i) Quest' allegoria , contemporanea quasi ai primi commentatori del poema sacro, deve la sua origine a molti e moltissimi tratti di esso, ove il poeta, par- lando apertamente di se, confessa: essersi rinvenuto per una selva oscura come tutti gli altri uomini , fuori della retta via che era smarrita: e come che afferrai di non saper ridire come vi entrasse , causa il gran sonno che T opprimeva quando abbandonò la verace via (2) : pure, interloquendo con Forese, non manca di far intendere il suo dolore di esservi dimorato alcun tempo collo stesso, e come solo che Valtro ieri l'abbia abbandonala, mercè della compagnia e della scorta di Virgilio (3). INè meno franco si vide a dichiararsi bramoso di risanare dalla sua cecità (4)? rinlracciare la libertà, che avea perduto (5); ritornare a casa per questa nuova strada (6) ; lasciar lo fiele (i) Vedi Filippo Scolari , Della piena e giusta intelligenza delia Divina Commedia (Padova iSaS). §. XII. (•}; Inf. e. I. (3) Purg. e. 23. (4) Purg. e. 26, V. 53, (5) Purg e T, V. 71. (6) Iiif. e. i5, V. 54. jrya Letteratura pei dolci pomi (i) , ed altri simili. Che più? Bru- netto Latini suo caro maestro, all'udire come, smar- ritosi in una valle oscura prima che l'età sua fosse piena, solo che ieri diede a quella le spalle, lo in- coraggia alla virtìi, e lo consiglia a forbirsi dai co- stumi dei fiesolani; quasi che fuggito pur ora dal loro letame, non avesse avuto tempo a detergersi dal puz- zolente sudiciume (2). E che altro suppone il commiato che gli fa Vir- gilio nel 27 del purgatorio, quando lo abbandona a se medesimo, poiché il suo arbitrio essendo libero , dritto e sano, sarebbe mancanza il non fare a pro- prio senno ? Le quali espressioni suppongono al certo, che prima né diritto, né libero, né sano fosse l'ar- bitrio di Dante. Cosa che meglio e più apertamente dimostra la forte riprensione di Beatrice al primo incontro dell'amico per entro la divina foresta. Im- perciocché mostra ella da prima di maravigliarsi forte che l'amante abbia ardito di accedere a quel monte, dovendo pur sapere che ivi è Vuom felice (3): es- pressione che viene a questi precisi termini : Come ardisti di ascendere quassù tu uomo lordo di tutti i vizi ? Non sapevi tu che qui non si ammette se non olii opera secondo virtù in vita perfetta ? ( Vedi ca- pitolo ni Dei principii di Dante §§. 11, 12. ) Quin- di non si tenne dal dirlo stato nella diritta via fin- ché i giovinetti suoi occhi lo guidavano : ma come ella mutò vita, così egli diessi altrui , volse i passi per via non vera seguendo false immagini di bene; (i) Inf. e. 16, V. 61. [-ì] Inf. e. i5. (3j Purg. e, 3o, V. yS- Allegoria della divina commedia 1^3 ed in così mala condotta lo disse lalinenle ostinato, che niente giovando le sante ispirazioni che ella im- petravagli nei sogni, od altrimenti per rivocarlo, niun argomento era più valido alia salvezza di lui, che il fargli vedere le perdute genti : ed ora che è 11 nel paradiso terrestre, essere necessaria la confessione del male operalo, ed un pentimento seguito da largo pianto Perchè sia colpa e duol d'una misura (i). Ne Dante a sì diverse rampogne s' infinge, o nega; ma, tutto riconosciuto e dolentissimo, vergognasi con- fessando il folle suo traviare; e per la veemenza del dolore cade vinto e tramortito al suolo: né prima se n'avvide, che già stava in mezzo a Lete trattovi da Ma- telda per mondarlo della colpa già pentita. Per la qual cosa beandosi felice nell'empireo, laddove giunse santificato, fa plauso alla sua bella sorte che lo gui- dò di Fiorenza in popol santo e sano', e volgendo r ultimo commiato alla bellissima sua benefattrice , così favella: Tu m'hai di servo tratto a liberiate . . . La tua magnificenza in me custodi, Sì che l'anima mia, che fatta hai sana, Piacente a'ie dal corpo si disnodi (2), Alla chiara intelligenza di quel, la tua magni- ficenza in ine custodi è da avvertire, che per Dante magnificare uno, è fargli avere in atto e palesemente (i) Purg. e. 3o, V. »o8. (2) Paracl. 3i. tj^ Letteratura quanto clli di boutade aveva in podere ed occulto (i).. Ma più a proposito si tratterà del magnificare par- lando della donna gentile. Queste e mille altre espressioni di simil foggia misero in capo a tutti gli antichi espositori, sino al Biagioli ed al Lombardi, quella prima allegoria; che uella selva conosce la viziosa vita delTautore, nelle tre fiere i suoi vizi capitali, e nel monte^ principio e cagion di tutta gioia, la virtù e felicità naturale.. Ma ciò tutto nulla suffraga ai più recenti espo- sltori: essi non seppero intendere come il poeta fug- gita dalla selva dei vizi, ossia convertito alla virtù , potesse vedersi rabbiosamente assalito dai suoi vizi , che lo ricacciavano anche nella selva: inoltre, secon- do essi, non è da ammettere che datosi alla virtù sot- to la guida di Virgilio, debbasi poi attendere un fa- moso guerriero ( il veltro ) che venga ad uccidere l'a- varizia di Dante ( la lupa ), perseguitandola di villa in villa, sino a rimetterla nello inferno (2). E come sarebbe da menar buona a Brunetto Latini la con- fessione, che se non fosse morto così per tempo, lo avrebbe egli stesso confortato alla conversione in ve- ce di Virgilio ? Uno del cerchio dei violenti contro natura poteva egli essere commendabile guida a chi fugge il vizio ? Finalmente supponendo essi , ed in particolare l'egregio conte Marchetti, che Dante con quel poema intendesse a farsi così famoso, che i suoi concittadini dovessero richiamarlo in patria; non pos- sono acconsentire qual mezzo ottimo a tal fine, che il poeta si confessi vizioso ec. Imperciocché per sola (i) Conv. trai. 1,09. (2) Gozzi, Difesa di Dante Allegoria della divina, commedia lyS questa confessione i fiorentini lo avrebbero cacciata di patria , onde purgarla da cosi pessimo cittadino. Onde che prima il canonico monsig. Dionigi, quindi il Marchetti mandò ad effetto una seconda allegoria^ le cui parti principali sono le seguenti: La selva è la miseria dell'esilio: le tre fiere sono Firenze, Fran- cia e Roma , che si opposero al suo ritorno in pa- tria: il veltro è Cane Grande, che Dante sperava fos- se per dare buono aiuto alla sua parte. Egli poi si diede all'opera del suo poema, perchè venendo per essa in fama, sperava di conseguire il ritorno in patria (i). Il parere descritto nell'antecedente allegoria par- ve poco degno di si grande poema, e niente proba- bile il fine per cui veniva composto: poiché, i II fine ultimo del poema sarebbe tutto pei'sonale di Dan- te, il che è molto basso, a Questo supposto fine pre- sentasi contrario alla generale condotta del poema , che mostra nell'autore fini ben più elevati, che non la -sua miseria. 3 Colla storia non provarsi le op- posizioni delle tre potenze contro la speciale persona 'di Dante. ^ Non sussistere ragionevolmente la sup- posizione, che Dante mettesse la speranza del ritorno in patria nella fama del poema, la quale doveva es- sere molto tarda; ntolto più per un poema volgare, poco stimato a quei tempi ; maggiormente perchè il poeta fece continuamente ogni sforzo per tornare sen- za rilardo. 5 Finalmente 1' allegoria non presentarsi collegata nelle sue parti ec. Tali considerazioni contro questa suggerirono al chiarissimo cav. Filippo Scolari una terza allegoria, in cui la selva significa l'esilio del poetagli diletto- (i) Scolari, Opera citala. 176 Letteratura so monte è la felicllà pubblica; le fiere oppoiientìsi al suo ritorno in patria sono i vizi di Firenze , le viste ambiziose di Francia, e quelle di avarizia e su- premazia ambite da quei di Koma. Desolato il poeta nell'esilio, prende a suo conforlo lo studio; e men- tre spera nella militare virtù di Cane Grande ( il vel- tro ) per l'effetto ài una politica restaui'azione, e^\i si accinge a quello della restaurazione morale e re- ligiosa della sua gente con un poema, che fosse mae- stro di rettitudine , punitore dei vizi e premiatore della virtù (i). CAPITOLO IL Osservazioni sulle precedenti allegorie. Di tutte e tre le finora esposte allegorie niuna compie interamente lo scopo del poema sacro. La pri- ma si ristringe alla persona del poeta , e però non soddisfa che alla minima parte della commedia. E ve- ro che Dante si confessa vizioso, cieco e schiavo in tutto il processo della sua visione : ma riconosciutosi dell'errore e del vizio, può rimanere in lui la colpa da purgare, non mai il vizio da scacciare ; come fa supporre nelle tre fiere, dinanzi a cui lo tolse Vir- gilio; le quali appunto gli si opposero perchè era fuo- ri della selva. Ma Dante più volte ritorna a battere sui vizi di tutta la società e di tutto il mondo, non pur di Firenze : si fa ordinare le ti'e e quattro volte di scrivere quanto vede e sente a conversione degli (i) Scolari, Op. cit. Allegoria della divina commedia lyy erranti, a prò del mondo errante (i). Finalmenle si estende a troppi più ammaestramenti e dottrinali in genere, che i necessari alla sua conversione. Cerca ed indaga dalle ombre quali siano le cagioni che ri- dussero a cosi mal partito la società (2) ec. I secondi immiseriscono l'oggetto del poema, fa- cendolo scrivere per solo fine di ritornare in patria; di guisa che potevasi ottenere l'effetto medesimo per qualunque altra fama, che per quella del poema sa- cro: giacche a lui bastava, come essi dicono, l'essere famoso a tal segno da venire commiserato da'suoi ne- mici, e desiderato in patria da tutti i suoi concitta- dini: in conseguenza di che il tessuto del poema sacro non avrebbe nulla di necessario per cosiffatta allego- ria. Anzi aggiungerei che a tale effetto l'argomento, trattato come sta, era tutto proprio per farlo ostina- tamente rimanere in perpetuo esilio. Che di vero , quanti fiorentini vi sono rispettati? Niuno, se ne ec- cettui i vivuti al tempo di Federico secondo, e quei due, di cui Ciacco disse : Giusti son due, ma non vi sono intesi (3). I terzi e si avvicinano e si allontanano dai secondi, nulla ammettendo dei primi. Concorrono a ravvisare nella selva la miseria dell'esilio, nelle tre fiere le tre potenze, nel veltro Cane Grande, designato distrug- gitore della temporale potenza della curia roma- (i) Purg. e. 32, V. io3, e e. 53 v. 54- Farad. «. ij, v. laS , e e. 29, V. 65 e segg. ec. (2) Purg. e. 16. (3) Purg. e 16, V. 117. Inf. e. 6, v. 73. G.A.T.XCVI. la lyC Letteratura na', ma nel fine vi vedono la restaurazione politica e religiosa della società. Né qui pure vi è tutto 'l bisognevole, né tutto è da ammettere. Se la selva, da cui è fuggito, significa la miseria dell'esilio, come mai Dante era tuttavia miserabile quando già fuori di quella slavasi con grande consolazione sulla deserta piaggia (i)? Come poteva essere fuggito da tale mi- seria, se tutto il processo del poema intende a pro- nunciarla come futura tra pochi anni (2) ? Se è dall' esilio che fuggiva, perchè disse a Forese con alta sua vergogna di essere teste fuggito da quella valle, ove dimorò con esso lui alcun tempo ? E Forese era mor- to da oltre quattro anni (3). E se ancora era la mi- seria deir esilio da cui fuggiva, come sta in buona logica tutta la severissima riprensione di Beatrice ? Perchè Dante confessa con tanta vergogna e lagrime di esservisi smarrito e dimorato oltre a nove anni ? E perchè Matelda, così ordinando Beatrice, lo stra- scina pentito entro Lete per rimovere ogni memoria della colpa (4) ? Era egli forse disonore per Dante la nera ingiustizia, di cui lo colpiva l'ingratitudine della patria ? E toccava proprio alla sua amica il rim- brottamelo cosi amaramente ? Ma se ancora è dalla miseria dell'esilio che fuggiva , come poteva asserire in cielo, che venne al divino dalVumano, e da Fio- renza in popol giusto e sano (5) ? Non ci assicura egli con simile parlare, che fuggi dal popolo né giu- sto, né sano di Fiorenza, quando disse : (i) lof. e. I, V, 11 e segg. (Q) Ini', e IO, V. 79, e segg ec. (3) Purg. e. a3, v. 44> e segg. (4) Purg. e. 3o, e 3i. (5) Farad, e. 3i, ▼• 36, e segg. Allegoria della divina commedia 179 . . . riposato il corpo lasso Ripresi via per la piaggia diserta (*) ? E finalmente, per omettere altri punti forti e conclu- denti contro tale supposizione , se era fuggito dall* ejsilio, a che prò il congedo di Virgilio (3) ? A che (juanto dice uscito di Eunoè: Io ritornai dalla santissim'onda Rifatto sì come piante novelle Rinnovellate di novella fronda. Puro e disposto a salire alle stelle (3) ? Ed a che finalmente la chiusa del poema: All'alta fantasia qui mancò possa : Ma già volgeva il mio desiro e 'l velie, Sì come ruota che egualmente è mossa, L'Amor che muove '1 sole e le altre stelle ? Ossia: i( Qui terminò la mia altissima visione: ma il mio intelletto e la mia volontà erano già fatti così obbedien- ti al volere divino, come una ruota che si presta tutta intera alla forza che la volge. » Qui trattasi di perfe- zione della mente del poeta senza altro toccare dell' esilio: quindi ci diranno i sostenitori della terza al- legoria come bene si accozzi per essi principio e fine del poema. (i) Inf. e. I, V. "28. (2) Purg. e. 27, v- 142, e segg. sino al fine. (3) Purg. e. 33 fine. i8o Letteratura Nel poema sacro, dice il cav. Scolari, si lavora per una restaurazione morale della traviala socie- tà. Sì bene; ma si dice aver traviato cogli altri an- che l'autore: sfavasi acciecato nella selva con essi ; e per esso muovonsi in cielo le tre donne benedette; solo per esso Beatrice lasciò nell'inferno le sue ve- stigia ; e Virgilio prende cura di lui solo dalla de- serta piaggia , sino alla foresta divina: e finalmente solo a Dante nominatamente volge le sue riprensio- ni Taffettuosa Beatrice, ed egli registra il suo nome per necessità di comando (i). Come ciò si combina ragionevolmente colla ideata allegoria ? Dante vuole restaurazione morale ? Ebbene, appunto per questo ha visitato i tre regni dei trapassati, e ricevette ordi- ne di descrivere a prò degli erranti il mistico suo viaggio , i famosi che vide ed incontrò , le profezie intese , le visioni apparse , le riprensioni udite ec. Con simile processo e praticava la restaurazione mo- rale in se stesso, e dava solenne esempio e lezione agli altri come debba fare chi ama la virtù e la fe- licità sociale per abbandonare il vizio e farsi otlimo cittadino. Vuoisi restaurazione politica ? Troppo scarsa a tale impresa è l'armata e la potenza di Cane Gran- de, o quella del Faggiolano, Questi principotti sono una foglia contro l'impetuoso torrente della irrequieta (i) Dante, perchè Virgilio se ne vada, Non pianger anco, non piangere ancora; Che pianger ti convien per altra spada. Quando mi volsi al suon del nome mio. Che di necessità qui si registra .... Purg. e. 3o, V. 55, e scgg. ALLEGOniA DELLA DIVINA COMMEDIA 18 1 Italia, e dell'Europa tutta, che sovr'essa .ninacciava. A sì gigantesca impresa il chiaro veggente e maschio spinto dx Dante non invita che un imperatore , il quale tutto possedendo sia giustissimo e potentissimo a difendere gl'innocenti, e tenere a freno gli oppres- sori (r). A questo fine dovevasi disporre l'Italia e '1 mondo tutto, additando ovunque il male e l'oppres- sione, persuadendo essere l'imperatore il direttivo da Dio fissato a hene temporale della società. Dettò a questo fine il poema sacro, che giustificando in fac- cia al mondo il suo passaggio dal vizio alla virtù , dal guelfismo all'impero, per le mirabili cose che di esso vide ed udì nei tre regni de'trapassati, ove non è più inganno, eccitasse gli aitii compagni di parte ad imitarlo ; e battendo ugualmente contro gli ec- cessi di tutte le parti che dividevano la società, cer- cava modo che seco rinsavissero tutti , stringeudosi con buona pace a fortificare il santo segno del mon- do e de'suoi duci. Scorgendo pertanto che mentre muna delle esposte allegorie soddisfaceva all'ampio te- ma che si mostra nella divina commedia, tutte però mettono in aperto alcune file che veramente compon- gono il misterioso ordito di sì gran tela; mi feci cuore ad investigare se altra vi fosse più analoga, giovandomi alquanto delle nobili fatiche dei rinomatissimi conte Marchetti e cav. Filippo Scolari, che in questo lavoro con tanta gloria mi precedettero : ma più che altro attenendomi a quelle sentenze , ed a quei principii dello stesso Dante , i quali il fondamento cosliuli. s.:ono cosi della commedia, come di tutti i suoi det- tati pervenuti a nostra cognizione. Onde che volendo (1) Monarchia lib. i, e. io, Cony. trat. 4, cap. 4. iSa Letteratura ora esporre al giudizio degli ammiratori della secon« da bellezza di Dante il debole mio parere; farò pre- cedere alcuni punti fondamentali , cui parverai rav- visare in tutte le opere del nostro autore : appresso esporrò la nuova allegoria; cui succederà la sua ap- plicazione, quasi esperimento che mostri come bene si acconci alle principali parti della commedia. Ma prima di avanzare più oltre, credo mio do- vere assicurare i cortesi lettori che coU'esporre e di- chiarare le sentenze e le opinioni dell' Allighierì, non intendo di farmene mallevadore: ne voglio che altri sospetti essere pur tali i miei principil. Io dico ciò che ravvisai in Dante: quanto al vero o falso di tali sentenze, i cinque secoli, che con sì diversi rivolgi- menti successero, hanno fatto vedere anche alle vi- ste corte di una spanna in quale pregio siano da tenere. CAPITOLO in. Principii di Dante* ì. Dio, governatore di tutte le cose spirituali e temporali, ha stabilito in terra a felicitazione dell'u- mana società un ordine simile a quello che beatifica le intelligenze e gli spiriti celesti, e che regola i mo- vimenti di tutto il mondo (i). Però siccome ivi egli solo regge e governa immediatamente ogni cosa, co- me fonte eterna ed infinita di autorità , e siccome per mezzo d'intelligenze, cui egli impera, governa ì moti dei cieli : cosi in terra governa tutta la società per mezzo de'suoi vicari. Ma poiché l'uomo compo- (i) Monarchia, lib \, e. 6, j ed 8. Allegoria, della divina commedia i83 sto di anima e corpo ha due fini, l'uno celeste, ter- restre l'altro; eterno e temporale : perciò Dio ordinò due vicari distinti , che di sua autorità, ad essi im- mediatamente communicata, guidino gli uomini alle due felicità temporale ed eterna (i). 2. Però sono due le monarchie sulla terra : la temporale , che abbraccia quanto immediatamente o mediatamente spetta al ben essere nostro in quanto viviamo in società civile. Monarchia unica e sola in- tesa alla pace e felicità civile di tutti gl'individui u- mani , ninno eccettuato. E come Dio elesse questo ufficio per suo vicario e ministro : così quest'ufficiale elegge altri vicari, denominati re, principi, repubbli- che ec, i quali tutti a suo nome e di sua autorità nella osservanza delle sue leggi tengono in pace e contenti i regni, i principati, le repubbliche, i mu- nicipii e le case di che si compone l'impero. Que- sto ufficiale supremo chiamasi monarca, e per eccel- lenza vien nomato imperatore : egli è giudice supre- mo di tutti i suoi vicari e di tutti i cittadini dell'im- pero, di che si compone l'umana società : per lui si tengono in dovere i re, principi, repubbliche e niu- nicipii , che non invadano i confini altrui ; per lui prosperano i regni, le città, le vicinanze e le fami- glie (2). 3. L' altra monarchia, ordinata da Dio a bene dell'uomo, è la spirituale denominata papato. Questo ufficio superiore a tutti quanti gli uomini, non ec- cettuato l'imperatore, dovendo guidare alla felicità ce- leste, ha per oggetto ogni cosa spirituale : quanti fan- (i) Mon. iib. 3, fine. (2) Moa. Iib. I, cap. io, ii. - Conv. Trai. 4. e. 4- i84 Letteratura no uso di ragione sono soggetti al papa^W ({U^Xe dirige tutta la società, denominata la chiesa^ alla bea- titudine eterna. Il papa per mezzo di altri vicari da lui assunti ed ordinati, detti vescovi e pastori, gover» na e dirige tutte le chiese della terra (i). 4. La chiesa è monarchia spirituale; il suo re- gno non è dì questo mondo : tuttavolta a decoro del suo culto e sollievo dei poveri di Dio può avere uno stato a se, ove il suo capo regga il comando civile in qualità di sficario imperiale. Però Costantino im- peratore poteva con una si benigna intenzione e sa- na offrire alla chiesa in suo patrocinio e patrimonio il governo civile di Roma, ritenendo però sempre a se l'alto dominio imperiale. Il perchè sarebbe incon- venientissimo dire, che la chiesa tenga ingiustamente il patrimonio ad essa deputato ; fu bene dato, e giu- stamente posseduto: J^enerunt bene .... qilia bene data (2). 5. Fermo a tali principii, parla sempre della chie- sa e del papa colla più alta venerazione, come là nel- la monarchia, ove usa queste dolci e divote espres- sioni ; « Quapropter cum solis concertatio restai, qui aliquali zelo erga matrem ecclesiam ducti, ipsam, quae quaeritur, veritatem ignorant. Cum quibus illa reve- rentia fretus, quam pius filius debet patri, quam pius filius matri , pius in Christum , pius in ecclesiam , pius in pastorem, pius in omnes christianam religio- nem profitentes, prò salute veritatis in hoc libro cer- tamen incipio (3), » Che più ? Insinua all'imperatore (i) Mon. lib 3 e particolarmente e. uU. (2) Mon. lib. 3, e. 10, i3 ec. (3) Mon. lib. 3, e. 5. Allegoria della divina commedia i85 di usare al papa quella riverenza, che il primogenito deve al padre (i). 6. Quanto alle decretali, che sono la tradizio- ne della chiesa, egli le tiene bensì in grande vene- razione , ma per guisa che prima di loro venera la sacra scrittura, i concili generali ed i santi padri. Pe- rò se tal fiata sgrida coloro che egli udì ostinatamen- te sostenere, che le tradizioni della chiesa sono il fondamento della fede, non pare in tutto da ripren- dere (2). Ma è pur sempre certo che rispetta vene- rabondo la chiesa in ogni cosa, e solo avventa le sue querele contro l'individuo, che egli crede aver trali- gnato dalla santità del suo ministero (3). E come che abbia per tutti i tre libri della monarchia proclama- to l'indipendenza dell'imperatore dal papa; pure a mostrare quanto veneranda sia l' autorità pontificia , non meno agli occhi della società, che a quelli dello stesso imperatore, paragonato il papa al sole, e que- sto alla luna, conchiude in queste parole : « Quae quidem veritas ultimae quaestionis non sic stricte re- cipienda est, ut romanus princeps in aliquo romano pontifici non subiaceat : cum mortalis ista felicitas quodammodo ad immortalem felicitatem ordinetur. Il- la igitur reverentia Caesar utatur ad Petrum , qua primogenitus filius debet uti ad patrem : ut luce pa- ternae gratiae illustratus, virtuosius orbem terrae ir- radici : cui ab ilio solo praefectus est, qui est om- nium spiritualium et temporalium gubernator (4). » (i) MoQ. lib. 3 in Fine. (3) Mon. lib. 3, e. 3. (5) Farad, e. 12, v. 86, e segg. ^4/ Mon. in fine. i86 Letteratura 7. Roma, per consiglio divino, è il privilegialo seggio del papa e dell'imperatore (i). Ivi sederanno ambedue indipendenti nei loro attributi, coadiuvan- dosi coi propri lumi e forza. 8. Ma se chiare sono le sentenze dell'autorità imperiale e papale su tutto il mondo, non lo sono meno per dimostrare la loro necessità a beatificazio- ne civile ed eterna dell'uomo. Alla felicità tempora- le non si perviene che sotto la guida dell'imperato- re : è questo il sole che addita col suo raggio ove sìa la strada che mette alla città del ben vivere : egli è maestro, guida e signore, che ammaestrando , di- fendendo, guidando amorosamente ed autorevolmente, fa cessare i pericoli, appiana le difficoltà, illumina la mente dei cittadini fino alla vetta del monte dilet- toso che è principio e cagion di tutta gioia (2). Q. Ben è vero che questa via medesima è ad- ditata all' uomo ed illuminata anche dal maestro in filosofia, Aristotele, e dalla ragione filosofica. Ma se è vero che l'imperatore nel suo governo deve attenersi ai filosofi ed alla filosofia, per condurre il mondo in seno alla felicità ; senza la quale filosofia sarebbe una potenza pericolosa : non v' è dubbio che la filosofia ed i filosofi , come che buoni in se , diventerebbero fiacchi e deboli ed insufficienti per guidare da soli tut- ta la società. Però Dante che aveva detto : « Colui è morto che non si fece discepolo, che non segue il maestro » (3); soggiunse altresì : « Filosofia non ri- li) Mon. lib. 2, passim. Inf. e. 2, v. 119 ... 124. Purg. e. i6, V. io3 ... Ilo. (2J Moa. lib. 3, verso il fine. (3] Conv. traU. 4> e 7. Allegoria della divina commedia 187 pugna airautorilà iinperinle : ma quella senza quesla è pericolosa, e quesla senza quella è quasi debole, non per se, ma per la disordinanza della gente : sic- ché l'una coll'altra congiunta, utilissime e pienissime sono di ogni vigore » (i). 10. Né meno della fdosofia sono insufficienti al- la felicità umana i re ed i principi particolari di uno stato : poiché questi, o dominati dalla cupidigia, am- biscono d'invadere l'altrui stato; o troppo deboli, non possono difendere il proprio contro l'altrui aggi-essio- ne. Ma gli uni e gli altri son contenuti nei propri termini, e conservali in pace nei propri diritti dal- l'imperatore, il quale è giustissimo e potentissimo (2 ). 11. Le due felicità temporale ed eterna, cui ten- dono gli uomini, sono figurale l'una nel terrestre, e 1' altra nel paradiso celeste. A questa , trascendente l'umana ragione e virtù, non si può ascendere se non per insegnamenti spirituali , adoperando secondo le tre virtù teologiche : alla prima poi si perviene per virtù propria, col mezzo d'insegnamenti fdosofici, os- servandoli praticamente secondo le virtù morali ed in- tellettuali. Ma sebbene questi mezzi e verità ci sieno già tutti insegnati dalla ragione filosofica, e dai filo- sofi; e quelli dallo Spirito Santo, e dai profeti: pu- re, causa l'umana cupidigia , sarebbero tutti trascu- rati e sconosciuti, se gli uomini, quasi destrieri vaganti per la propria bestialità, non fossero tenuti in via e spinti dal freno e dallo sprone. Pertanto fu neces- sario un doppio direttivo, secondo il doppio fine: il sommo pontefice, che, secondo gli insegnamenti ri- (i) Conv. tratt. 4» e 6. (2) Conv. tiat. 4. e. 4- Mon. llb. i,c 9 e io. i8P» Letteratura velati da Dio , diriga il genere umano ali.» felicità eterna ; e l'imperatore, che, secondo gli ammaestra- menti filosofici, tutti compresi nella ragion naturale, lo dirìga alla felicità di questa vita (i). 12. L'uomo che tutte acquistò, ed attualmente pratica le virtù filosofiche , è giunto alla perfezione civile, e quindi egli è temporalmente felice. Ma la virtù per Dante essendo operazione sen- za soperchio e senza difetto, misurata col mezzo per nostra elezione preso ; la felicità è per esso opera- zione secondo virtù in vita perfetta; o più brevemen- te, operazione con virtù (2). i3. Ora la virtù non si acquista se non collo studio della filosofia. Per giugnere dunque all'ultima perfezione è necessaria la scienza morale, che appun- to è l'ultima perfezione della nostra anima, nella qua- le sta l'ultima nostra beatitudine temporale (3). 14. Il giovane, per entrare nella città del ben vivere, dev' essere obbediente : poiché entrando egli nella selva erronea di questa vita, non saprebbe te- nere il buon cammino , se prima da' suoi maggiori non gli fosse mostrato; né il mostrare varrebbe, se a' loro comandamenti non fosse obbediente. Però deve obbedire alla correzione del padre , e il padre dee lui ammaestrare. E se non è in vita il padre , obbedir dee a quelli che il padre nell'ultima volontà in padre ha lasciato : poi debbono essere obbediti i maestri e maggiori (4). (i) Mon. lib. 3, verso il fine (2) Conv. trat. 4> e. 17. (3) Conv. Trat. 2, e. 14, e e. i5, e 16. (4) Conv, Trat. 4» cap. 7, e 24. Allegoria della divina commedia 189 i5: Colui è morlo che non si fece discepolo, che non segue il maestro (i}. Vivere nell'uomo è ra- gione usare: chi si parie da quell'uso, egli parie dal- l'esser uomo : costui è morlo ; poiché, levala via la ragione , non rimane più uomo , ma animale bruto con figura umana (2). 16. Chi è felice è libero: la libertà è la libera e pronta obbedienza alle leggi. Poiché questa non è che'l libero corso della volontà ad eseguire la legge. Il libero arbitrio è il libero giudicio della volontà : ed il giudicio è libero se egli pel primo muova l'ap- petito, 6- nullamente sia dall'appetito prevenuto (3). Ma il giudicio è schiavo, se viene come che sia pre- venuto dall'appetito : perchè non è indulto ad ope- rare per se, ma vi è tratto per la cupidigia. 17. Sapienza e filosofia sono la medesima cosa: imperciocché filosofia è amoroso uso di sapienza. Il corpo della filosofia componesi di tutte le scienze , nelle quali essa termina la sua vista, cioé-i raggi del- la luce delle sue dimostrazioni: ma quelle scienze, in cui [>iù necessariamente e con più fervore termina lo suo viso, sono chiamate per lo suo nome filoso- fia , siccome la scienza naturale , la morale e meta- fisica (4). 18. Per l'abito della sapienza s'acquista e felice essere e contento; poiché la sua bellezza e moralità piove appetito diritto, che si genera nel piacere del- la morale dottrina; il quale appetito ne diparte non solo dai vizi consuetudinari , ma anche dai natura- (i) Mon. lib. 3. cap. 11, e lettera ai fiorentini. (2) Conv- trat. 4. e- "]• (3) Conv. trat. 2, e. S. (4) Conv. trat. 3, e. i5. igo Letteratura li; e però dà origine a quella felicità, che Aristotele denominò operazione secondo virtù in vita pi'rfet-^ ta. Per seguitar lei, ciascuno diventa buono, essendo, quella che umilia ogni perverso , cioè volge dol-^ cernente chi fuori del debita ordine è piegato (i). ig. Fine della filosofia è quella eccellentissima dilezione , che non paté alcuna intermissione o di- fetto: cioè vera felicità che per contemplazione della verità s^acquista. Il filosofo è l'amico della filosofia , che è amistanza a sapere. La sapienza ama ciascu-. na parte del filosofo in quanto tutto a sé lo riduce, e nullo suo pensiero ad altre cose lascia disten- dere (2). 20. La filosofìa, immaginata dall' Allighieri, è una donna gentile in atto misericordiosa, e piena di dol- cezza, ornata di onestade, mirabile di soavità, glorio- sa di libertà, da cui non si può torcere lo sguarda amoroso (3). Ella è suora e figlia e sposa dilettissi- ma dello imperatore dell'universo : imperatrice eter- nale, regina del tutto, bellissima e nobilissima. Il suo amore caccia e distrugge qualunque altro ; fa beato altrui ; Salva dalla morte delV ignoranza ; libera dalle misere e vili dilettazioni, e dai volgari costu- mi. Ella ama chi ama lei. Con lei Iddio fece il mon- do ; vallò con certo giro e legge gli abissi ; sospese in alto le fonti dell'acque; pose suo termine al ma- re, e legge alle acque; con lei dispose tutte le co- se ; e avanti che 1' uomo fosse , ella fu amatrice di lui, acconciando e ordinando il suo processo: e, poi- (i) Ivi medesimo. (a) Conv. trat, 3^ cap. rt. (3j Conv. trat. 3, cap. i3. Allegoria della divina commedia 19 i che fu fatto , per diri/zar lui venne sulla terra in sua similitudine (i). E bello notare come questi pre- gi medesimi della sapienza, ampiamente da Salomone descritti nel libro de'proverbi e sapienziali, vengono da santa chiesa applicati egualmente al Verbo Eterno ed alla gran vergine Maria, sposa e figlia di Dio, regina dell'universo, dispensiera delle grazie divine, madre di misericordia: quella medesima che Dante disse: Regina del cielo ^ per cui ardeva tutto d^ amore : Donna tanto grande, la cui benignità non pur soccorre a chi dimanda^ ma molte fiate liberalmente al di- mandar precorre ec. (2) 21. Quando a manifestare la verità di una qui- stione concorre e la ragione umana, ed il raggio del- la divina autorità; il cielo e la terra necessariamente devono acconsentire a quella (3). CAPITOLO IV. Dei quattro sensi del poema. É dissensione tra gli ammiratori della comme- dia intorno all'uso dei sensi allegorico^ morale ed anagogico^ concordando tutti nel letterale. Alcuno vuole che il morale sia il senso che debba correre per lutto il poema di pari passo col letterale, men- tre Tallegorico debba solo trovarsi qua e colà nella storia d'Italia, ma non mai ovunque: Altri volle che (i) Conv. trat. 3, in fine: e trat. 7, in fine: e trat. 4> ^^ fiae< (2) Farad, e. 32. (3) Monarchia ]ib. 2, cap. i. in2 Letteratura solo il senso letterale corresse per tutto il poema, se- gnando lo stato dei trapassati; ma l' allegorico fosse qua e colà nelle diverse favole dei greci , e che il morale si trovasse nella storia e nei costumi d'Italia, mentre l' anagogico era nella selva delle umane va- nità (i). Io, per quanto ne veda, non so arrendermi a ninna delle due opinioni, come quelle che troppa son diverse dagli ammaestramenti lasciatici dall' au- tore: il quale ne'suoi scritti ne pose in mano la vera chiave ed il filo per internarsi ed aggirarsi nei piì» riposti penetrali del suo edifizio poetico. Onde che, ahbandonato qualunque altro, seguirò Dante nel con- vito, nella lettera dedicatoria a Cane Grande, e ne- gli altri suoi scritti. ^ Ouatlro sono i sensi, pei quali si possono in- t«ndere, e debbonsi esporre le scritture: il letterale^ Vallegorico, il morale e V anagogico. Il primo è la narrazione piana dalla lettera esposta, o per istoria, o per favola. Il secondo è quello che si nasconde sotto la storia o sotto la favola, ed è una verità as- cosa sotto bella menzogna. Il terzo è quello che i lettori deono intentamente andare appostando per le scritture a utilità di loro e dei loro discenti. Il quar, to finalmente è quando spiritualmente si espone una scrittura, la quale eziandio nel senso letterale signi- fica delle superne cose dell'eternale gloria (a). Ora, di questi quattro sensi, il morale è neces- sario appostarlo per le scritture^ e l'anagogico, o d) Paolo Costa, e conte Giovanni Marchetti, ambedue citali dal chiarissimo conte Francesco Maria Torricelli nei nuovi com- mentici 1 canto dell'inferno, inserito Tae\V Antologia oratoria n. 3i 1842; cui si rimette il lettore. (3) Gonv. tratt. 2, cap. i. Allegoria della divina commedia i^3 sopra senso spirituale è quando anche la lettera tratta di cose spirituali: dunque non sono continuali per tutta la scrittura. Poiché il morale, per conoscerlo, fa mestieri attentamente appostarlo per le scritture, quasi andarne a caccia per cavarlo fuori onde venne dall'autore annidato; e però certo non può trovarsi in tutta la scrittura: che non farebbe mestieri appo- stare per le scritture ciò che trovasi in tutto il loro corpo: è uopo il conoscerlo ovunque , non mai ap- postarlo attentamente. In fatto Dante a schiarimento di questo appostare attentamente adduce il seguen- te esempio: « Siccome appostare si può nel vangelo, quando Cristo salio lo monte per trasfigurarsi , che delli dodici apostoli ne menò seco li tre; il che mo- ralmente si può intendere, che alle secret issime cose noi dovemo avere poca compagnia » (i). Il quale senso morale chi non vede esser tutto proprio di quel pun- to del vangelo, e che ivi comincia e finisce, senz'al- tra relazione a quanto {)recede b segue ? Che per te- stimonianza di Dante, Pietro, Giacomo e Giovanni ( i tre apostoli di cui qui si tratta ) allegoricametite significano le tre virtù teologrili (2). L'anagogico non può essere se non là dove anche la scrittura tratta di cose spirituali. Dunque non può rinvenirsi che rare volte nella divina commedia. Che più? L'autore ne avverte a confermazione di questo, che la sua es- posizione si farà sui due sensi letterale ed allego- rico , per esposizione continuala su tutto il testo , mentre del morale e dell'anagogico non ne toccherà che incidentemente, come a luogo e tempo si conver-. (i) Couv. Trai, -i, cap. t. (a) Farad, e. a.jj c 25, v. 32 e«. G.A.T.XCVI. ig4 Letteratura rà. E però esposta la sentenza della prima canzone letteralmente , e quindi allegoricamente , non toccò mai del senso morale sino alla stanza terza, là dove dice: « L'anima piange, sì ancor len duole ... »: quivi, indicala l'esposizione allegorica, apposta il sen- so morale in questa sentenza : « Qui si vuole bene attendere ad alcuna moralità, la quale in queste pa- role si può notare: che non dee l'uomo per maggior amico dimenticare li servigi ricevuti dal minore; ma se pur seguire si conviene 1' uno , e lasciar 1' altro, lo migliore è da seguire, con alcuna onesta lamen- tanza l'altro abbandonando; nella quale dà cagione a quello che e' segue di più amore n (i). E dopo questa esposizione morale non ne fa mai pivi altra per tulio il convito , come là dove più non essendovi , non potevasi appostare; ma in quella vece continua di lungo nel senso allegorico. Dell'anagogico non es- sendo mai occorso nella lettera niente che fosse di cose spirituali, non ne fece mai uso. Vengo ora al senso allegorico. Questo senso è quello che si nasconde sotto il manto delle favole, o della storia, esposte dal letterale: il quale senso alle- gorico è una verità ascosa sotto bella menzogna; o (|uello che si ha dalle cose significale per la lettera. « Siccome quando (così produce egli l'esempio) (a) Ovidio dice che Orfeo iacea eolla celerà mansuete le fiere; e gli alberi e le pietre a se muovere; che vuol dire, che '1 savio uomo collo strumento della sua voce faceva mansuescere e umdiare li crudeli cuori; e fa- ceva muovere alla sua volontà coloro che non hanno (i) Conv. Trat. 2, e i6 (a) Coav. Trat. a, cap, i. Allegoria della, divina commedia igS vita di scienza e d'arte; e coloro che non hanno vita di scienza ragionevole alcuna, sono quasi come pie- tre. » Ha veduto qui il lettore ? La favola o scrit- tura, o senso letterale , parla di fiere, di alberi e di pietre fatte mansuete, posti in moto, attirate dal can- to di Orfeo : ma l' allegoria v'intende uomini cru- deli, ignoranti e quasi insensibili come pietre , resi mansueti ed obbedienti alla voce di un poeta. Que- sta è l'allegoria o la verità ascosa^sotto bella men- zogna. In ugual modo se la favola, o senso letterale, parla di un uomo fuggito da una selva oscura ed as- pera; impedito da tre spaventevoli fiere nell'ascendere alla chiara vetta di un monte: chi potrà per allego- ria non trovare nella selva i vizi e crudeltà di una società bestiale; nel monte illuminato, il progredire alla virtù, e nelle fiere 1 vizi ? ec. « A'^eramenle ( continua egli nel luogo citato ) li teologi questo senso prendono altrimenti, che li poe- ti; ma perocché mia intenzione è qui lo modo delll poeti seguitare^ prenderò il senso allegorico secondo che per li poeti è usato. « Ora chi non sa essere la commedia un lavoro poetico ? E chi lo sa, come pò- tra ancora starsi intra due qual sia il senso mistico che continua per tutta l'opera ? Certo è Dante il mae- stro, che ci dee guidare ed illuminare nella propria intelligenza delle sue opere: ora nel commento alle sue canzoni ci ha lasciato un argomento irrefraga- bile e chiaro della via a tenere per conoscere la se- conda bellezza delle sue poesie: come dunque potre- mo allontanarcene ? Che se alcuno recasse in dub- bio se la commedia veramente spetti al genere poe- tico e favoloso , o no ; io lo pregherei a porre ben mente a tutta l'opera: e se questo non bastasse a con- igG Letteratura vincerlo, lo inviterei a leggere queste parole nella de- dica a Cane Grande, «... Forma sive modus tra- ctandi est poeticus fictivus ... » (i). Ma l'opera e la maniera del trattare adunque essendo poetica e fa- volosa come le canzoni, al pari di quelle è da spie- garsi la commedia col senso letterale prima, e quindi coll'allegorico per tutto il poema, come usano i poeti. Ben è vero che nella lettera dedicatoria sopra citala asserisce, che tutti gli altri sensi, salvo il let- terale, si possono dite allegorici^ ossia diversi; per- chè sono tutti diversi dal letterale: il che riviene a questo , che anche il morale e l' anagogico sono in qualche modo allegorici. Ma non per questo ne av- verrà, né Dante lo disse, o poteva dirlo, che il senso puramente allegorico possa anche dirsi morale od ana- gogico. Così le piante, per atto di esempio, i bruti e gli uomini hatino un carattere a tutti comune , ed alcuni di essi ne hanno altri che a quello si sovrap- pongono particolarìzzandoli. La pianta vive, il bruto vive e sente, e V uomo v/cp, sente ed intende : al vedere dunque ohe il vivere è comune a tutti , io potrò generalmente dire che tutti possono denomi- narsi viventi : quindi sarà vivente tanto la pianta , quanto l'uomo ed il bruto. Ma essendo proposito di vivere e sentire, potremo noi intendere ciò general- mente della pianta e del bruto ? E sj il discorso fosse di vivere, sentire ed intendere, potremo accomunare a tutti ciò che è tutto e solo proprio del lei'zo, ossia dell'uomo ? e dire che essendo questi animale ragio- nevole , anche la pianta ed il bruto sieno ragiune- (i) Epistola ad Cari. Gran. §. 8. ALr.EGORlA DELLA DIVINA COMMEDIA 107 voli (i) ? A parila di significati, Tallegorioo è il più semplice dei sensi figurati o mistici, come Dante li denomina; il morale è figurato e proprio del co- stume umano', ma l'anagogico e figurato ^ proprio del costume umano e diretto alle cose celesti: ve- dasi ora se dal potersi generalmente denominare al- legorico il senso morale e l'anagogico» si possa ugual- mente e giustamente appropriare al semplice allego- rico il nome di senso morale od anasrosrico. E su questa generalità bene avea detto l'autore : « Quo- modo ( forse meglio quamquam) isti sensus mistici variìs appellantur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, quum sint a litterali, sive hyslo- riali diversi. Nam allegoria dicitur ab alloios graeco, quod in lalinum dicitur alienum, sive diversura (2) ». E bene parimente, seguendo poi il ragionamento sul primo e più semplice significato mistico , non parla mai del morale ed anagogico, ma sempre dell'allego- rico semplicemente preso, come nel Convito. Veramente una istanza mi potx'ebbe esser fatta, apparentemente di qualche forza: Il senso allegorico è quello che chiudesi sotto le favole, ed è una ve- rità ascosa sotto bella menzogna: or dunque si tro- verà solo che nelle favole; e quando trattasi di sto- ria, il senso allegorico dove sarà ? A prevenire l'istan- za io colle parole dell'autore dissi: « Il senso allegori- co è quello che chiudesi sotto il manto della favola o della storia riferita dal senso letterale od istoriale.» E però non ha qui luogo la istanza : poiché i fatti istorici, come i favolosi, possono avere in sé tutti e qual- (i) Conv. Trat. 3, cap. 2. q) Epistola ad Gan. Graud. §. 6. iq8 Letteratura Irò i sensi da principio indicati; e vedasene per esem. pio la sposizione che Dante medesimo fa, mostrando come i detti quattro sensi ritrovinsi tutti nel salmo: In exitu Israel de Aegjpto etc. : ove la lettera narra il fatto storico del popolo israelita passato libe- ro alla terra promessa sotto la condotta di Mosè (i). E quanto al poema ne guida al senso allegorico, sia nel convito (2), ove ne avverte che Catone, in cui tutte splendettero le virtù morali ed intellettuali, mar- tire della libertà e monarchia della patria, nel pur- gatorio significa Dio che riceve le anime fuggite dal- la schiavitù della carne e del peccato. Ne avverte poi nella licenza della canzone: O patria degna: che i cattivi malnati, da lui chiusi nell'inferno, sono figu- ra di altrettanti loro simili viventi in Firenze, siano presi dalla favola , ovvero dalla storia. Ecco alcuni di quei versi: Tu te ne andrai, canzone, ardita e fera . . . Dentro la terra mia, cui doglio e piango . . . . . . stentando vive ella; E la divoran Capaneo e Crasso, Aglauro, Simon Mago, il falso greco, E Macometto cieco. Che tien Giugurta e Faraone al passo . . . La presente applicazione dei personaggi storici, tra- passati e rinchiusi nell'inferno, è una bellissima le- zione che manifesta ai commentatori come e sino a qual punto Vinfemo letterale sia un'immagine della (i) Conv. Trai. 2, e. 7. Epistola ad Can. Grand. J. 6. [1) Conv. Trat. 4> cap. 28. Allegoria della divina commedia i{)y società fLOi-entinciy o di tutta Italia nel senso al- legorico'^ e come dovesse porgere maggior Jiletlu ai contemporanei , che ai posteri ; mentre l' inferno a quel tempo era una pungentissima satira municipale e nazionale, ove gli intelligenti conoscevano di pre- senza quasi tulli viventi gli individui nascosti sotto il manto dei trapassati. Al che suffraga molto colla canzone or ora citata quanto leggesi nella tledicalo- ria a Cane Grande, a cui il postillatore al cod. ma- gliabecchiano aggiunse in margine: « Ita ex islis ver- bis colligere potes, quod secundum allegoriciim sen- sum poeta agit de inferno Isto, in quo peregrinando ut viatores, mereri et demereri possuinus, » Ne sferzava solo gli individui , ma tal fiata in un personaggio nascondeva un' intera città e re- pubblica, come vedesi di Mirra nelle seguenti pai-ole: (( Haec ( Florentia ) est ... Myrrha scelestis et impia in Cynirae palris amplexus exaestuans ... » (i). Come dunque e dove ritroveremo noi il senso morale ? Questo non essendo che una buona mas- sima , un buon ammaestramento da metter in pra- tica, tratto dalla lettura, quasi frutto della lezione, non si troverà ovunque, ma solo tratto tratto in quei punti, o fatti die si prestino al moralizzare. Il più delle volte il poeta medesimo ne rende avvertilo il lettore di ivi appostarlo: (2) ed alcun'altra lo nietie in aperto nella sua persona , come quando, descri- vendo lo strazio dei ladri che si mutavano e trasmu- tavano d' uomini in serpenti , e di serpenti in uu- (i) Epistola ad Arrigo settimo, §. 7. (2) Inf. e. 9, V. 61, e. 20, V. 19. Purg. e. 8, v. 19 ec 200 Letteratura mini straziandosi a vicenda, tutto spaventato dal mi* sero fine delle astuzie umane, cosi scriveva : AUor mi dolsi, ed ora mi ridoglio Quando drizzo la mente a quel ch'io vidi; E pili lo 'ngegno affreno ch'io non soglio; Perchè non corra che virtù noi guidi: Sicché se stella buona, o miglior cosa M'ha dato il ben, ch'io stesso noi m'invidi, (i) Da ultimo, a tener conto degli esempi lasciatici dal- l'autore, si può applicare il documento moi'ale della gratitudine verso gli amici { tratto dalla stanza terza, canzone prima del Convito, di cui si è parlato più sopra in (questo capitolo): al piangere che egli fa nel Paradi- so terrestre nell'abbandono di Virgilio, sopraggiunta Beatrice (2) : al ringraziamento a Beatrice prima di seguire quale maestro il contemplante s. Bernardo : polche in fatti ivi mette in pratica il precetto mo- rale; che a non dee V uomo per maggior amico di- menticare li servigi ricevuti dal minore: ma se pur se- guire si conviene 1' uno e lasciar l'altro, lo miglio- re è da seguire, con alcuna onesta laraentanza l'al- tro abbandonando ec. » CAPITOLO V. Allegoria principale della divina commedia. La conversione di Dante dal guelfìsmo alla mo- narchia , operata dalla filosofia , ossia , secondo lui , (i) Inf. e. 26, V. 21. [1) Pnrg. e 3o, V. 53. Alt.egoria della divina commedia 201 ilalla vera sapienza ( figurata in Maria Vergine ) co- municando dirittamente la sua luce (figurata in san- ta Lucia vergine e martire) a Beatrice (1' amica di Dante), qual maestro in sacra teologia, e guida nelle virtù teologiche; e da questa riflessa in Virgilio can- tore dell'impero e di Roma (di cui Dante era stu- diosissimo) , qual maestro nella filosofia naturale e morale , e guida nella pratica delle virtù morali ; è l' oggetto principale di tutta 1' allegoria della divina commedia. O fuori di allegoria : in virtù della luce della filosofia, appresa per amore di Beatrice, Dante nelle opere di V'^irgilio ravvisò la verità: che l'impero è necessario al ben essere della società, come il pa- pato, appresogli dalla teologia ; e che Roma era da Dio stabilita quale sede di ambedue. A questo fine gli si proverà dai tristi effetti av- nuti a chi si oppose , e dai buoni a chi favorì, che la monarclna temporale ed il papato sono uffici ne- cessari al bene temporale ed eterno della società ; comunicati immediatamente da Dio a due uomini suoi vicari , denominati l' uno papa e l'altro ìmpprato- re (i) ; da esso immediatamente dipendenti: che la filosofia , e ciascuna delle parti civili che dividono l'Italia, è debole per guidare la società alla perfezio- na e lèlicità civile; ma fa mestieri per questo l'aiuto della monarchia: che la giustizia sulla terra è tutto effetto della monarchia (2). Gli si mostrerà ancora, che senza la direzione del papa non si può entrare nella beatitudine cele- (i) Purg. 16 passim, e particolarmente v. n6 , e s€gg. Mou. lib. I, Q, e 3. [1) Mon. passim, e particolarmeute lib. i, e. 9. e io. 202 Letteratura sle; e quindi non basta a sanlifìcazione della socieià la monarchia temporale, ne la teologia; ma è neces- sario il direttivo spirituale, che colla sua benedizione illumini il monarca , e diriga gli uomini da questa vita alla felicità eterna (i). Sarà provato che l'Italia fu dal cielo scelta per sede dell'impero e del papato, e Roma designata per città imperiale e papale; perchè quivi Dio vuole es- sere la sede dei due direttivi per la felicità tempo- rale e spirituale. Però chi muore fedele ai due di- rettivi, cala alle rive del Tevere per essere dall'angelo trasportato al monte del purgatorio: chi fu contrario, casca alle rive di Acheronte per all'inferno (a). L'oggetto adunque di questa scuola pratica è la conversione del poeta all'impero. Il fine immediato è l' ammaestramento ad ogni uomo di studiare la filosofia, e praticarla nelle virtù morali; persuadendosi che mentre durano le gare po- litiche , finche gli uomini saranno privi di papa e d'imperatore (3) , o che 1' vino di questi soperchierà l'altro ne'suoi attributi; la diritta via, che mette al- la vera felicità temporale ed eterna, è lo studio del- la filosofia morale e della teologia : con questo so- lo per ciascun uomo individualmente è supplito al papa ed all'imperatore. Il fine mediato è la pace e la gloria dell'Italia e dell'Europa; mostrando non solo che è possibile , ma insinuando inoltre agli uomini la necessità per consìglio divino di un imperatore e di un papa rispettivamente indipendenti per ottenere t (r) Mon. lib. 3, fine Farad, e. 5, v. ^3, e segg. (2) Inf. e. 2, V. ig , e segg. Purg. e. 2, v- loo, e segg. mon. lib. I, 2, passim, ma in particolare cap. y. (3) Purg, i6, passim. Farad, e. 27, v- 22, e segg. Allegoria della divina commedia 2o3 la estinzione totale con buona volontà di qualunque genere di parti, che sono la rovina sociale. A dimostrazione e conferma di così alte verità concorrono la fdosofia e la teologia, non meno che la stona profana e sacra colla mitologia o tradizioni popolari : così si confermeranno e dimostreranno le venta con argomenti cavati da tutte le scienze ed arti, dalla ragione umana e dalla divina autorità. Quindi è vero: 1. Che al poema sacro pose mano e cielo e terra (i). 2. Che questo è il poema della concordia e fe- licita temporale e spirituale , invitandovisl tutti alla pratica delle sette virtù sotto i vessilli imperiale e pontihcio. 3. Che questo è '1 poema della speranza; perchè mostra essere possibile, e promette certo un avvenire prospero, quieto e glorioso a tutto il bel paese (3) 4- Che finalmente è il poema dell'esaltazione delUtaha sopra tutto il mondo, essendovi per voler divino decretato Roma città e sede dell'imperatore e del papa direttivi e soli di tutti gli uomini. ^>ual p,u politico, qual più religioso, qual più Patno argomento di questo? Qual più degno di Dan- te, zelatore della pace e della gloria italiana? r»)Mon^l.b. 2,c. I. Farad. 24,V.3.csegg. (•») Farad, e. a5, v. 52, e segg. ^^ ao4 Lkttkratura CAPO VI. Esposizione dell'allegoria. Essendo alla società mancati i due soli che la dirigevano alla felicità civile e spirituale per la di- diritta via del mondo e di Dio, figurati nell'impera- tore e nel papa (i): Dante, con tutti gli uomini usci- to fuori della retta via, si smarrì in una selva sel- vaggia , aspra e forte; selva, dico, spessa d'uomini ignoranti, parteggianti, e perciò intrattabili, superbi, invidi e viziosi ec. Perciocché la società , priva dei due direttivi supremi che tengono a dovere i re e governanti secondari, si divise in due grandi fazioni che pretendevano dirigerla a proprio modo : i guelfi ed i ghibellini, egualmente in errore, egualmente cru- deli, ed egualmente deboli a compire l'impresa {2). Quelli volevano che'l direttivo spirituale fosse in ogni cosa superiore al temporale ; e questi non migliori di quelli, non il pubblico bene, ma i propri ingiusti fini avevano in mira, e talora giungevano a pretende- re ed adoperare perchè il direttivo temporale fosse in tutto superiore alla società ed al direttivo spirituale. Gli uni e gli altri si combattono a vicenda fuori del- la diritta via, e la società geme nella persecuzione, imputridisce nel vizio, ne sa più rinvenire la diritta via per alla beatitudine civile. Tutte le parti sono (i) Purg. e 16, V. 106, e segg. Mon. lib. 3, e. ult. Par. e. 27, V. i36, e 27, V. 22 e segg. Conv. Irat. 4> e. 3. (2) Farad, e. 6, v. 6, passim. Coav. trat. 4* c- 4> * 5, mon. lib. I, 0. 5, 9, .0 ec. Allegoria della divina commedia 2o5 ostinate, crudeli e cieche , e Dante con esse ; niun rimedio sufficiente più si presenta. Il perchè tutto angosciaro per la mala vita, che ivi nella selva si traeva, giovatosi della ragione illu- strata e confortata dalla filosofia appresa nelle opere di Cicerone, Boezio, Seneca ed Aristotele, tanto adoperò, che strascinossi fuori di quella noiosa e vile ignoranza fino a pie del monte della perfezione e della felicità sociale, la cui vetta, principio e cagion di tutta gio- ia, vide illustrata già dalla filosofia, simboleggiala nel sole (i). Onde racconsolatosi alquanto, entrò in fer- ma speranza di rendere felice se ed i suoi concitta- dini, conducendoli per la rinvenula via della perfe- zione (significata dalla deserta piaggia , che si eleva sino alla vetta del monte) con degli ammonimenti fi- losofici su tutte le virtù morali; ciò che viene signi- ficato nel suo avviarsi a stento su per la deserta piag- gia {'2). Però è che'l guelfo zelante, illuminato dalla fi- losofi;!, persuaso che la sua parte sia più che sufficiente a rendere perfetta e felice la sua patria, commenda la virlù, e biasima il vizio di tutta forza, con franchez- za e coraggio. Ma con questo adoperare, prima si at- tirò contro la gioventù con tutti i seguaci della con- cupiscenza , significata nella lonza di pel maculato : onde gli convenne^' stentare mollo in questa lotta. Ma essendo i giovani facili alla correzione , perchè ancora nel mal fino della età, ed allora appunto cor- rendo il principio della primavera , quando tutte le stelle infondono influssi virtuosi; Dante confidò di po- terla perfezionare (3). (i) Inf. e. I, conv. trat. 1, cap. 1. (n] Ivi medesimo. Vedasi il capo ultimo. (3) Farad, e. 1, v. 38, e segg. Conv. trat. 4> e- "^^i ® ^^- 2o6 Letteratura Intatita gli si avventò contro anche Tetà virile con tutti i signori e polenti , e quanti sono domi- nali dalla superbia ; significata dal leone dalla testa alta: e Dante ne prese quello spavento maggiore che era del caso, e meno cuore gli rimaneva in petto di proseguire la nobile impresa. Pure si teneva ferma sul piede più basso, spingendosi tuttavia alla vetta (i). Ed ecco avvenlarglisi addosso anche la vecchiezz^a , il clero, e quanti sono dominati dalla avarizia, figurata dalla lupa carca di tutte brame. A questa il rifor- matore guelfo , conosciuta l'improba impresa di per- fezionare la società de'suoi tempi, confessatosi insuf- ficiente colla sola filosofia a combattere moralmente contro tutte le età, contro la società divisa da parti, dà la volta, li-ascura se e gli altri, ed abbassa le ci- glia per rovinare a valle (2). Qui compare Virgilio con voce fioca (di poca nominanza in quella età ignorante, ma ben cono- sciuto ed amato con lungo studio dal nostro poeta), e fattoglisi incontro, disapprova la nuova risoluzione, e lo consiglia ad abbandonare la cura morale altrui: e per intanto lo conforta a pensare solo che a se ; poiché, quanto alle tre fiere, ciò sia quanto alla so- cietà, son necessarie maggiori forze per sottrarla dal fango dei vizi, dalle gare cittadine, ed avviarla nelle virtù civili alla perfezione e felicità sociale ; ma in modo specialissimo maggiori forze ci vogliono a mon- darla dal vizio della avarizia. Per quelle prime (la lonza ed il leone) è necessario un monarca pio e po- (i) Conv. trat. 4> e- 27. (2) Conv. trai. 4,cap. 6. Vedasi il capo 5,Principu di Dan- te n. 8 e i). Allegoria della divina commkdia 207 tenlìssimo in forza ed ia giustizia, come imparerà nel viaggio che sta per intraprendere (1): per questa fa di mestieri un papa santo che, rinunciato alle preten- sioni temporali , si contenti di essere monarca uni- versale nelle cose spirituali, riconosceudosi, quanto al temporale, soggetto al monarca universale dell'uma- na società. Questi viene figurata nel veltro che non ciba ne terra, ne peltro ( intendi non usare, ne do- minio temporale, né ricchezze), ma virtù, sapienza ed amore (Padre, Figliuolo, e Spirito Santo, ossia la scienza rivelata da Dio). Questo santo ponlefice, ren- dendo a Cesare quanto gli spetta , rinunciando alle ricchezze mondane; con forti leggi spirituali toglierà via dal clero 1' avarizia , e quindi il malo esemplo a tutto il mondo, cacciando via di villa in villa la sordida avarizia, fino a rimetterla nello inferno (2). A slmili ragioni Dante rientra in se ; e datosi lutto a Virgilio come duca , maestro , signore , e come suo autore, che è quanto a dire persona de- gna di fede e di obbedienza (3), si dispone alla ri- forma di se medesimo. Questa sarà compita in un viaggio corporalmente fatto per l'inferno e purgato- rio ad apprendervi esperienza piena dei tristi effet- ti dei vizi che iufestano la società , e del modo che tengono quelle anime fortunate che si pentiro- no prima che giugnesse per loro l'ultima sera. Sa- rà dunque una potente lezione pratica di tutta la fi- losofia morale, che di virtù in virtù lo condurrà si- no al possesso della civile felicità, figurata nel para- fi) Purg. e. 17. Parad. e. 18, conv. trat. 4j c 4> e 5, ec. (2) Vedi il capo 8. Il veltro. (3j Conv. trat. 4» cap. 6. 2o8 Letteratura diso terrestre (i). Tutto questo e oggetto della filo- sofia morale; quivi sta la porta di s. Pietro, per cui si entra nella scala del suo palazzo celeste, la quale guida alla felicità spirituale ed eterna, colla pratica delle virtù teologiche : questa felicità è figurata nel paradiso celeste , e forma l'oggetto particolare della teologia (a). Ma intanto sorgono forti dubbi nella mente del poeta. Un viaggio all'altro mondo, fatto sensibilmente, è cosa privilegiatissiraa: non fu da Dio accordata che a due soli per fini di alta provvidenza, al pio Enea e a s. Paolo. Al primo, perchè desse degnamente ori- gine all'alma Roma, designata divinamente per sede dell'impero e del papato (3): al secondo perché re- casse conforto alla fede: il primo riguarda l'impero; il secondo, il sacerdozio. Niuno di questi fini essere in lui : però si scusa al maestro se più non pensa durare nella presa determinazione. x\lle trepidazioni risponde Virgilio, qual maestro e guida mostrandogli come anzi questa sua gita pei tre regni dei trapassali è consiglio maturato in cie- lo da tre donne di alto grado : la regina del cielo averne dato commissione e cura alla santa vergine Lucia; questa averne raccomandato l'opera alla di lui amica Beatrice ; che, scesa nel limbo con occhi la- grimosi, inviò lui a prenderne la prima direzione si- no al paradiso terrestre, onde ella in persona lo ele- verebbe alla corte dell'imperatore che sempre regna (4). (i) Purg. e. 28, e segg. Mon. lib. 3, cap. ultimo. (2) Ivi medesimo. (|3J Iiif. e. 2, V. 20, e segg. (4) Inf. e. I, v. 112, e Allegorfa della divina commedia 209 Il viaggio di Dante deve abbracciare l'uno e l'aU tro scopo , dell' impero e del papato. Questa scuola era necessarissima alla sua salvezza. Poiché le buone ispirazioni, da tanti anni mandate da Bealrice all'a- mico in sogno ed altrimenti , onde convertirlo alla verità ed alla virtù che ammette le due monarchie universali tra loro indipendenti, riuscirono vane; l'u- nico mezzo a salvarlo è il mostrargli per grazia spe- ciale il regno dei sommersi, onde si spaventi: quel- lo dei purganti, onde al lume della illosofia e della teologia veda co'propri occhi a salutare suo spavento i tristi effetti delle parti politiche, e conosca l'ori- gine vera dei mali temporali e spirituali che angu- stiano la società, e ad un tempo ravvivi la speranza nella considerazione che quelle anime purganti, pen- tite innanzi l'ultima sera , vennero tutte confortate dalla divina misericordia che ha sì gran braccia che accetta tutti quelli che a lei si rivolgono (i); ed ora con dura purgazione, ma sicuri di salvezza, mondano le note che quinci portarono , per tornare belle al suo Fattore. E finalmente era opportuno confortarlo nella vista del regno dei beati, perchè vedesse quanta felicità è nel cielo apprestata ai fedeli a Dio impe- ratore e papa, obbedendo e rispettando i suoi vica- rii su questa terra. Ottimamente gioverà questo viaggio a diffidarlo di qualunque parte politica, ed affezionarlo unica- mente all' impero, poiché avrà mostrato praticamente i tristi effetti delle parti politiche, facendolo incon- trare nei tre regni con le anime piìi note , o per delitti contro Dio e contro la società , ossia contro (l) Purg. e. 3o, V. 112, e segg. G.A.T.XCVI. »/ aio Letteratura l'autorità ecclesiastica e civile; o per divozione spe- ciale alle stesse. Un ammaestramento di siinil natura gli fermerà bene in mente, che tutti i mali vengono dalla mancanza dei due direttivi da Dio posti indi- pendenti tra loro come suoi vicari a felicitazione tem- porale ed eterna dei cittadini: e gli farà toccare con mano che Roma , per divino consiglio , fu stabilita sede pontifìcia e reale, capitale, vo' dire, di tutto '1 mondo cristiano. Questo viaggio, operato nella persona ed a con- versione di Dante, sarà scritto in volgare, comune a tutti gli italiani , e particolarmente a tutti i re , principi e nobili, che non sanno latino, e per uti- le ammaestramento a quegli erranti che gli erano compagni nella selva, e di tutto il mondo che mai vive. CAPITOLO VII. Le tre fiere. I commentatori più antichi hanno sempre rav- visato nella caratteristica distinzione delle tre fiere, che si opposero a Dante, l'emblema delle tre princi- pali passioni dominanti le tre età dell'uomo, adole- scenza, giovenlii e vecchiezza; ciò sono concupiscen- za, superbia ed avarizia; raffermati anche in questa interpretazione dal sacro testo: « Concupiscentia car- nis, concupiscentia oculorum, et superbia vitae. » Gon- vien poi dire che ebbero ben onde a così pensare , se pure non lo intesero dall'autore medesimo. Imper- ciocché se per sua attestazione : il fine della com- media è di rimuovere gli uomini dallo stato della miseria^ prodotta dai vizi dei cittadini; e condurli Allegoria della divina commedia 211 allo stato della felicità ^ procurata dalla pratica del- le virtù: e se il genere di filosofia usato in essa è Voggetto inorale^ ossia etica : come allontanarsi dal pensiere, che la mira del poeta era tutta nella ri- forma morale della società ? E che però il vero si- gnificato chiuso nel vocabolo fittizio delle fiere, che, impedita la strada della virtuosa felicità , spinge- vano Dante nella miseria, fosse da cercare nelle qua- lità morali , o vizi che allacciano l' uomo nel male e lo rimuovono dalla virtù (i)? Tale è la via che loro tracciò l'autore in più luoghi del convito e del- la commedia, i quali tutti io passerò sotto silenzio, contentandomi di un solo, nel quale, sferzando acre- mente i vizi di tutti quanti sono gli abitatori della valle d'Arno, scriveva inorridito : Ben è che 'l nome di tal valle pera Che dal principio suo .... Virtù così per nemica si fuga Da tutti, come biscia, o per sventura Del loco, o per mal uso, che li fruga: Ond'hanno sì mutata lor natura Gli abitator della misera valle, Che par che Circe li avesse in pastura ec. (2) Una considerazione di tale natura mi rimosse dalla interpretazione dei recenti commentatori, come quella che in essa mi fa ravvisare un' aperta e continua contraddizione tra 'l fine della commedia notato qui sopra, il genere della filosofia morale , e le tre po- (i) Epistola ad Can. Grand. $. 14 et i5. (2) Purg. e. 14, V. 39, 212 Letteratura lenze da essi intese nelle tre fiere. Perciocché non mi quadra ne punto ne poco il pensare, die tre gran- di potenze si occupino a tutt'uomo per impedire che un individuo privato fugga dalla miseria alla felici- tà; e molto meno ancora mi quadra, che queste po- tenze medesime potessero farsi oggetto della filosofia morale. Per verità, il poeta seguita bensì per tutto il suo tema a lodare la virtìi, biasimare il vizio; sfer- za e riprende nominatamente e ripetutamente quante sommità coronale o no presiedevano agli alti desti- ni dell'Italia e dell'Europa tutta quanta: non dimen- tica mai di fare scopo delle acerbe sue riprensioni papi, cardinali, religiosi, nobili, capi di famiglia, ar- tigiani e ciabattini, fino alle donne, fino agli imber- bi, fino quasi ai lattanti. Tutto questo lo vedo e lo intendo conforme al fine della commedia ed all'eti- ca. Ma le tre potenze, che tanto adoperarono col sen- no e colla mano da costringere quello spaventato di Dante a fuggire per lo inferno la loro bestiale per- secuzione, io non le so ne vedere, né comprendere; tanto più che in tutto il poema non se ne parla pili mai. Ma sarà forse chi farà instanza dicendo; Si tace per sempre del leone, una volta sola ancora parlasi della lonza ; ma della lupa se ne tratta più e più volte, ed alcuna fiata se ne parla con espressa appli^ cazione a Roma pontificia. Questo è vero: e questo appunto conferma il mio supposto, che la lupa sia l'avarizia in genere, senza più; la quale prestandosi facilmente a figurare e l'avarizia di Firenze e quella di Roma , ed i fiorentini e qualunque altro che sia slato avaro, e lo stesso Plutone; potevasi indurre tan- te volte sulla scena della commedia , quante occor- Allegoria della divina commedia 2x3 reva di sferzare tal vizio nefando. Vediamone in bre- ve le provo. Niun dubbio che alcuna volta parlisi della lupa con diritta intenzione di ferire i pastori della chiesa. Tali, per grazia di esempio, sono quei versi del pa- radiso, che, lasciatine tanti altri, qui riferisco: La tua città Produce e spande il raaladetto fiore C'ha disviate le pecore e gli agni, Perocché fatto ha lupo del pastore (i). Ma che per ciò ? E tal vizio esclusivo del clero ? Mainò: che Dante sferza a sangue anche l'avara po- vertà di Catalogna (2): l'avara usura dei Capeti, che giunsero a vendere per oro il proprio sangue, e ga- reggiano colla lancia di Giuda, che per avarizia tradì il proprio maestro (3): il malgraziato vedere il conio di Vinegia, che fece quel da Rascia (4): l'avarizia e la vita di Federico re di Sicilia : la lega suggellata del Battista , che i fratelli Guido ed Alessandro da Romena falsarono per opera di mastro Adamo : né mancò di gridare sdegnato alla m^ladelta antica lu- pa^ che più che tutte le altre bestie ha preda, sino a dirla il mal che tutto il mondo occupa (5). Dun- que chi potrà dirci errati nell'asserire, che la lupa letterale sia allegoricamente figura, non della sola ava- rizia dei pastori, ma sì piuttosto come la è di quella (i) Farad, e. 9, v. 127 ec. (2) Farad, e. 7, v. 77 e segg. (3) Furg. e. 20, V. 71 e segg. (4) Farad, e. 19, v. 137. (5j Furg. e. 20, V. 8. Farad, e. 27. ai4 Letteratura dei pastori, così la sia pure di quella dei re, prin-. cipi, duchi, signori e capi di repubbliche, di Firen- ze, dei nobili e di tutto'l mondo ? Se la figura deve abbracciare tutto il soggetto figurato, come e perchè contro la mente dell'autore ristringerla ad alcune par- ti, escludendone altre di grande considerazione? Tale per l'appunto è l'operato dei moderni commentatori. L'autore persegue l'avarizia in tutti i celi, e per tut- to '1 mondo: figuratamente la dice lupa, di cui esten- de il dominio per tutto; ed essi la vogliono ristrin- gere a figurare la menoma parte degli uomini, il cle- ro e Roma. Ma per quanto gli espositori, contrad- dicendo al testo, non vogliano vedervi altro che Ro- ma; il poeta però spiegossi con sì aperto latino, che quanti sono dotati di sano intelletto vi dovrebbero intendere e ravvisare piuttosto Firenze. Leggesi nel purgatorio (i) che Arno, trapassati i casentini , figu- rati nei brutti porci^ e gli aretini, denominali bo- toli ringhiosi, caggendo ed ingrossando la maledet- ta fossa, trova di cani farsi lupi; e questi lupi so- no i fiorentini senza manco nessuno. Ora se i figli sono lupi, quale altro nome che di lupa aspetteras- si mai la patria generatrice dei lupi ? Eccolo appun- to applicato a Firenze dallo stesso Allighieri nella affettuosissima canzone: O patria degna, ove allu- dendo appunto a diverse figure della commedia, cosi le canta: Eleggi ornai ( Firenze ) se la fraterna pace Fa più per te, o '1 star lupa rapace. (i) Purg, e. 14. Allegoria della divina commedia aiS Ecco adunque fuor d'allegoria chi è la misteriosa lu- pa; ed ecco, se Dio mi aiuti, a ragionare come gli espositori , ecco segnato a dito chi sia la lupa del primo canto dell'inferno. Ne sarebbe tanto fuori di proposito questa mia sentenza , quanto vi è quella degli espositori: che, per mia fé, Dante fu sempre ne- mico degli avari infestanti la pubblica felicità, sin da quel tempo che era amico e parteggianle per Roma e pel papa. E egli stesso che ce ne assicura nel pa- radiso (i), laddove si lagna di essere chiuso fuori del bello ovile, ove dormì agnello, nemico ai lupi che gli danno guerra. Ora, diremo noi , se Dante era guelfo dalla sua puerizia sino a tutto il trecento: fu certamente per tutto quel tempo amico al papa ed a Roma: ma egli si dice contemporaneamente nemico ai lupi, che davano guerra al suo bello ovile', dunque egli era nemico dei fiorentini ghibellini: e però lupi erano i ghibellini e non i guelfi , e molto meno il papa, che n'era l'idolo. E dopo così giusta conseguen- za, chi n'vieterà d' imitare il ragionare degli esposi- tori, asserendo che la lupa significa la parte ghibel- lina che infestava il bello ovile, ove dormì agnello il poeta ? Le parti sono pari, e forse migliori le no- stre: ma come erravano quelli così conchiudendo, non vogliamo errare noi. Più equi e conseguenti diremo, che la lupa è la figura dell'avarizia in genere (come già la disse il Gozzi nella sua difesa di Dante), la quale abbraccia tutti i seguaci del mal che tutto il mondo occupa. Così vedesi confermare quella indif- ferenza con che si denominano lupi e lupa tanto Fi- renze, quanto il papa , tanto i fiorentini , quanto i (i) Farad, e. 25. 2i6 Letteratura pastori, pel soverchio amore alle ricchezze che for- mano il regno e la pena di quel Plutone denomi- nato per infamia il maledetto lupo (i). Così guidata la mia indagine sulle figure che ìn-^ tessono la favola o la storia del poema, non mi sep- pi togliere dal ravvisare nelle tre fiere che impedi- rono l'avviarsi del poeta alla vetta della felicità, che è operazione con virtù, i tre vizi dominanti le tre età dell'uomo, e per conseguenza l'intera società, che dee tendere alla perfezione civile. Onde che riconohbi nella lonza l'immagine della gioventù, infetta dalla concupiscenza; vizio proprio bensì in modo specialissi- mo della adolescenza, ma non perciò si vogliono esclusi da quel ceto altri di provetta età, i quali siano do- minati da simile peccato. Fermo a questo principio, dice il poeta che confortavanlo nella lotta colla be- stia dalla gaietta pelle, fora del tempo e la dolce stagione : V essere cioè di buon mattino e di pri- mavera: di buon mattino, quando il giorno piglia au- mento avanzando nelle ore buone, le quali sono ot- time al mezzodì (2): e di primavera, quando le stel- le migliori acquistan forza (3). Che se poi ci si per- mettesse tener per genuina la variante di molti co- dici, che legge la gaietta pelle, in questo modo: (i) Inf. e. 7, V. 8. (2) Conv. trai. 4» e. aS. (3) Esce ai mortali per diverse foci La lucerna del mondo, ma da quella Che quattro cerchi giugne con tre croci, Con miglior corso e con migliore stella Esce congiunta, e la mondana cera Più a suo modo tempera e suggella. Farad, e. i. Allegoria della divina commèdia 217 .« Sì che a bene sperar m'era cagione Di quella fera, la gaietta pelle. L'ora del tempo e la dolce stagione'. » noi avremmo ancora un'altra giustissima ragione, per cui dovesse sperar bene di chi è ancora nella pri- ma sua età, la più tenera e docile che altra mai: fi- gurata nella bellezza dell'aspetto giovanile. Il leone spaventevole, dalla testa alta, con rab- biosa fame, è la giovinezza, o virilità , infetta della superbia, vizio di quella proprio. E questa l'età del comando, età di progredire nelle scienze e belle arti. E però abbraccia i re, gli ottimati, i demagogi delle repubbliche, dei comuni e degli eserciti: i letterati e gli artisti, che primeggiano nelle scienze ed arti: al qual fine si leggono poi le edificanti ammonizioni di un Oderisi famoso miniatore (i), e quelle di un Buo- naggiunta da Lucca, e di Guido Guinizzelli (2). Finalmente la lupa magra e carca di tutte bra- me, che si ammoglia con tutti gli animali, è imma- gine della vecchiaia, schiava dell'avarizia. In questa sono figurati i vecchi, i pastori, i chierici, in cui ava- rizia usa il suo soperchio, e tutti coloro che in età virile emulano di già la sete dell' oro dei vecchi, o per iscialacquarlo in vizi, o per adorarlo qual Dio. Ora questa viziosa società analogamente si pre- sta nell'opporsi a chi tenta avviarla al colle della fe- lice perfezione : e pone tutta l'analogia tra il vero fine della commedia ed il genere della filosofia in es- (i) Purg- e. II passim. (2) Purg. e. 24, 2G, V. 8 e segg. ai8 Letteratura sa usato; tra il rimuovere, dico, gli uomini dallo- stato della miseria, ed il negozio morale, o la eti- ca, come è detto da tutto principio (i). CAPITOLO VIIL // veltro. Ufficio del veltro è di far morir di dolore la lupa, cacciandola di villa in villa, sino a rimet- terla nello inferno. Ora la lupa in qualunque alle- goria è la avarizia, o di tutti gli uomini in genere, o della curia romana sparsa in tutte le città del mon- do. Il veltro adunque alla sua volta dovrà significa- re un personaggio tale, che valga ad esercitar la sua potenza contro 1' avarizia , non in una città sola , né in uno stato solo e ristretto, ma in tutte quante le città del mondo , o per lo meno in tutta Italia. Un principe od un re non avrebbe potuto persegui- tarla che negli angusti confini del suo governo, e pe- rò male lo avrebbe potuto di villa in villa sino allo inferno: ma l'avrebbe cacciata, per immagine di esem- pio, o dal solo stato veronese o dal lucchese o dal pisano ec. Pertanto sono assolutamente da questo si- gnificato esclusi Uguccione della Fagglola, Cane Gran- de della Scala, ed altri di questo grado, come pic- cioli principi, non pur nel mondo , ma nella stessa Italia; i quali durarono, quanto ci vissero, nella guer- ra e nella impotenza di mandare ad effetto i loro de- siderii. Per riuscire a perseguitare la lupa con pro- spero effetto faceva mestiere un monai'ca universale ; •--- - r (i) Vedi cap. uhimo. Allegoria della divina commedia 219 questi si poteva esercitare la sua autorità in lutto l'impero, che estende i suoi confini dall'oriente all' occidente e dal settentrione al mezzodì. Vediamo ora quali siano i caratteri di questo personaggio: I. Non ciberà terra , ne peltro. E concordia in tutti gli espositori clie qui s'indichi uno, il qua- le non si curerà ne di stati, ne di ricchezze. II. Ma virtù, sapienza ed amore : virtù , sa- pienza ed amore, così uniti assieme, sono per Dante costantemente l'augustissima Trinità, e nel caso pre- sente significano la sacra teologia, o scienza rivelala ( i ). III. Sua nazion sarà tra feltro e feltro: na- zione può avere due significati; può valere luogo di nascimento, ovvero regno, stato ec. : qui è da te- nersi al primo: che nel secondo significato vi sareb- be ripetizione in ciò che segue. IV. Fia salute di quella Italia, ch'egli, Vir- gilio nominò umile : è questo il confine dello stalo romano. Determinate così le significazioni dei caratteri costituenti il veltro, veggiamo un tratto come si px^e- stino, prima al monarca temporale, quindi allo spi- rituale. Può egli dirsi che l'imperatore non abbia cu- ra delle ricchezze e degli stati mondani ? Il nome stesso di monarca universale temporale, Dante ed il fallo medesimo ne dicono esser lui il re dei re, dei principi e delle repubbliche; che tutto è suo il mare, le arene, le alpi e la terra (2). Meno ancora potrà dirsi, che l'imperatore faccia suo cibo della sacra teologia e scienza rivelata. Dante dà per scienza (i) Inf. e. 3, V. 5, 6. (2) Lettera ai principi italiani; e monarchia lib. i, e. 2. 220 Letteratura all'imperatore la filosofia morale, riservando la teo- logia al solo pontefice (i). Quanto poi alla nazione, o si prenda per luogo di nascimento , o piuttosto per regno o stato , non compete nuUamente all'imperatore; perchè il più, gli imperatori erano tedeschi; che tedeschi erano gli elet- tori, e Dante il suo lo aspettava di là (2): ed altresì perchè lo stato dell'imperatore non si ristringe tra i due feltri. Da ultimo , Jla salute di quella umile Italia. Se la salute viene dal monarca universale ci- vile, come, o perchè ristringerla a privilegiare l' unti- le Italia , anzi che a henefizio di tutto '1 giardino dell'impero, e dell'impero tutto quanto ? Adunque, se mal non m'appongo, neppure il mo- narca civile è figurato dal veltro; però veggiamo se lo fosse il monarca spirituale^ il papa. I. Non si curerà né di stati^ ne di ricchezze', si legge nel vangelo: Regnum meum non est de hoc mundo. II. Ma ciberà sapienza^ virtù ed amore', ma sarà suo cibo la scienza rivelata e teologica ; e nel vangelo si legge: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procedit de ore Dei. E que- sta la scienza rivelala, detta divina, tutta propria del papa. III. Suo nascimento sarà tra feltro e feltro: in tale significato designerebbe il pontefice s. Bene- detto XI (3) (eletto l'anno i3o3 e morto l'anno i3o5) (i) Mon. lib. 3, cap. ultimo. [1) Mon. lib. 3, cap. ult. in fine. (3) Sono ben lieto di vedermi in questo parere preceduto dall'insigne letterato e storico acclamatissimo sig cav. don Giu- seppe De-Ce&are, il quala (come rilevai di recente da un arti- AlT.EGORIA della TifVrwA COMMEDIA 221 nafo in Trcvigi. Ovvero lo stato da lui governato come vicario imperiale, e posseduto a sollievo dei po- veri, e decoro della chiesa, come voleva Dante (i) sarà inchiuso tra i due Feltri. È questo pure il pa- trimonio di s. Pietro. IV. Fia salute di tutto lo stato romano. Rifor- mata, come Dante voleva, la potenza temporale pon- tificia, dando a Cesare quel eh' è di Cesare ec. , si farà la salute, prosperità e santità di tutta quella par- te d'Italia che al suo dominio è soggetta. Essendo adunque i sin qui esposti caratteri tutti propri di un s. pontefice, secondo i precetti dal poe- ta esternati nel terzo della monarcliia , non esito a dire che il veltro significa un santo papa, e non al- tro. In questo caso, estendendosi la spirituale monar- chia per tutto lo impero, è secondo ragione e secon- do giustizia che questi possa cacciare di villa in villa quell'avarizia, che pel cattivo esempio del clero (se- condo i sentimenti dell'autore) occupava tutto 'l mon- do, con una savia disciplina spirituale applicata con forza al clero, ed estesa a tutti i cristiani. In que- sta forma morrà di doglia la lupa , e cacciata eolle colo favoritomi dnlla gentilezza del mio confratello p. Giuliani estratto dal quaderno LX dal Progresso di Napoli) già sono più anri, pa^sau, d.scostandosi da tutti i moderni commentatori, non un guerriero, ma sì un santo papa riconobbe nel veltro, e nomi- natamente .1 s. Benedetto XI. Se prima avessi avuto la bella sor- te d. conoscere i sentimenti di cosi degno scrittore, non avrei di presente .1 rammarico di vedermi privo dei preziosi suoi det- tat, che su questo argomento si aggirano, e sulla divina comme- dM. lauta e tale è la dottrina e sana critica di cui si abbellano ie scntture di questo nobile A , che certo non dovrebbero essere COSI Ignorate dagli amatori delPAllighieri. (I) Mou. lib. 2, cap. 12. Lib. 3, e io infine, e cap. i3. 222 Letteratura scomuniche da tutta la terra, verrà confinata nello inferno, infesta compagnia della invidia prima. Da tutto il processo di quest'articolo avrà il let- tore osservato che noi, in opposizione ai recenti com- mentatori, attribuiamo al veltro un' autorità e forza puramente spirituale, e ciò non che in Roma, ma in tutta quanta la terra, là ove si estendono i seguaci del Salvatore del mondo: ed in questo ci avviciniamo al parere dei piìi antichi, i quali pel veltro vollero in- tendere Gesù Cristo: il che se non è tutto conforme al vero, si avvicina in parte, e tocca la fonte, onde il vero discende. Se il veltro non è Gesù Cristo, deve però essere dato da esso; _e forse in questo sospetto entrarono quei primi commentatori per alcuna tradi- zione orale de'suoi tempi, che narrasse come Dante avesse detto: Che tocca a Gesù Cristo a procurare il veltro. Il quale mio supposto è fondato su molte es- pressioni e voti suoi, costantemente riprodotti sempre che s'imbatteva a trattare di questo medesimo argo- mento o copertamente , o totalmente alla scoperta. Nel purgatorio (i),dopo sdegnatosi contro le disgra- zie di Roma, volgesi tra la speranza e lo zelo a Ge- sù Cristo in questo modo: E se licito m'è, o sommo Giove Che fosti in terra per noi crocifisso, Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? . . . Roma è sede imperiale, Alberto non la cura e l'ab- bandona , il papa la occupa da solo a danno dell' (i) Purg. e. 6, v. ii8. Au.tlGORIA DELLA DIVINA COMMEDIA 223 Italia e dell'irapero; piegasi l'esempio e forma della chiesa , di cui i papi sono vicari, a porvi riparo ri- tornando a cesare ed al papa quanto rispettivamente loro si aspetta. E nel purgatorio si rivolge un'altra fiala al cielo sollecitando la venuta del veltro, per cui disceda la maledetta antica lupa (i). E nel pa- radiso più volte chiama la provvidenza a porvi ri- paro. Ma, per giovare ad un tempo alla chiarezza ed alla brevità, riferiremo soltanto ciò che registrasi nel i8, ove parla di Giove: O dolce stella, quali e quante gemme Mi dimostraron che nostra giustizia Effetto sia del ciel che tu ingemine ! Perch'io prego la mente, in che s'inizia Tuo moto e tua virlute, che rimiri Ond'esce il fumo che il tuo raggio vizia; Sì ch'un' altra fiata ornai s'adiri Del comperare e vender dentro al tempio Che si murò di segni e di martiri. Per la giusta intelligenza di questi versi vedasi quanto si disse nel cap. XX, Giove: che per ora mi avvio a ciò che spetta all'argomento presente. Si chie- de a Gesù Cristo che guardi onde viene il fumo che vizia il raggio della giustizia, affinchè un'altra volta si adiri del comperare e vender dentro al tempio. Al parere del nostro autore chi impediva all'imperatore di usare ovunque la spada della giustizia e far buono il mondo, è il suo emulo il papa; il quale colle ven- (i) Purg. e. 20, v. i3. 224 Letteratura dite dei privilegi ec. viziava lo splendore della giu- stizia, e dava scandalo al gregge : però s'invita il ca- po dei pastori a prestarvi ripiego. Egli è maraviglioso a vedere come Dante sia fedele e preciso a'suoi prin- cipii. Per verità con tutti questi punti della divina coramedia concorda ciò che all'oggetto medesimo scri- ve nella monarchia (i): ove dopo fatte le solite la- gnanze contro chi sostiene 1' autorità del papa sull' imperatore, e contro lo spendere e la cupidigia dell' oro dei pastori , così rassegnato conchiude : a Sed forsan melius est propositum prosegui: et sub pio silentio, Salvatoris nostri expectare succursuin. » Il che, stando alle sue opinioni, è ben giusto: poi- ché il cattivo esempio dei pastori traviava nell'ava- rizia tutto il mondo; e le pretensioni all'impero im- pedivano al monarca di far risplendere nel mondo il sole della giustizia. Ora i pastori essendo vicari di Cristo; a questo, e non ad altro, spettava il porvi ri- piego col mettere sulla sedia di Pietro un pastore giusto ed equo verso Iddio e verso Cesare. Veramente potrebbe alcuno fare opposizione, di- cendo : Ninno dubitò mai che Dante aspettasse dal cielo e da Dio il soccorso: e ciò fa tanto il Padre, quanto qualunque altra delle tre augustissime Per- sone: ma si dice che questo rimedio volevasi prestare al mondo per mano di un potente, che ristringesse nei debiti limiti ed autorità il papa. Or questo ap- punto, dico io, era il volere dei ghibellini, ed era al tutto diverso dai principii del nostro autore: quin- di l'opposizione non ha luogo. E valga il vero. E sen- tenza del nostro autore, ninno dover porre mano aJ ■«■i ir.- (i) Monarchia lib- "ì, cap, 12. Allegoria deliba divina commedia 22S ufTfìzio che scenda da Dio, il quale a lui non spetti. A questo effetto parlando dell'arca vacillante sul cai'- ro, la dice il carro per cui si teme uffizio non com- messo (i) ." e scrivendo ai cardinali italiani per la elezione di un papa italiano , nel fare a sé questa obiezione medesima, quasi che rimproverando i car- dinali sembrasse voler lui stender la mano ad uffi- zio non commesso^ così conchiude: « Forsitan: et quis » iste, qui Ozae repentinum supplicium non for- » midans, ad arcam quamvis lahantem se erigit ? » indignati obiurgabilis : quippe de ovibus pascuae » Jesu Christi minima una sum; quippe nulla pa- M storali auctoritate abulens .... Nec Ozae praesum- » ptio quam obìectandara quis crederei, quasi temere » prorumpentem, ìnficietur sui tabe reatus: quia ille )) ad arcam, ego ad boves calcitrantes , et per avia » dlstrahentes attendo. » Però, illuminato e scorto da questi sentimenti, condanna sempre tutti coloro che attentarono contro l'autorità pontifìcia direttamente: e stanno dannati tra i seguaci d'Epicuro non solo i ghibellini Farinata ed il cardinale Ottaviano Ubaldi- ni ; ma l'imperatore Federico secondo e mille altri, i quali tutti dettero ci^nl briga alla chiesa. Fermo a tale principio, beatifica nel cielo, perchè stati giu- sti e pii, tutti quei re ed imperatori che alla giustizia verso i cittadini accompagnavano la pietà verso i som- mi pontefici, sia dell'antico, sia del nuovo patto: ai qua- li monarchi, costellati nell'aquila imperiale, fa cantare: (i) Piirg. e. IO, V. 56. G.A.T.XCLVI. i5 226 Letteratura per esser ginsto e pio San io qui esaltato a quella gloria, Cile non si lascia vincere a desio (i). Ed invitato da s. Bernardo a bearsi, vedendo la so- cietà adunata sotto il vessillo deWimperator che seni- pre regna, cosi ripete un'altra fiata: Ma vicnne ornai cogli occhi si com'io Andrò parlando, e nota i gran patrici Di questo imperio giustissimo e pio (2). Che se alcuno amasse conoscere bene e precisata la forza di quel pio nelle scxùlture di Dante, legga il capo 3 del lib, 3 de monarchia^ ove scrive di sé: « Illa reverentia fretus, quain pius filius debet patri, quam pius filius matri , pius in Christura , pius in ecclesiam, pius in pastorem, pius in omnes christia- nam religionem profitentes . . . certamen inci])io. » E più chiaramente spiega questo vocabolo coli' altro reverentia , chiudendo la monarchia in questo mo- do: « Illa igitur reverentia Caesar utatur ad Pelrum, qua primogenitus debet uti ad palrem: ut luce pa- ternae gratiae illustratus, virtuosius orbem terrae ir- radici. « Dopo le l'atte osservazioni credo di non errare asserendo, che Dante aspettava il soccorso da Cristo (i) Paracl, e. 19, v. i3. (1) Paracl, e. 32, v. ii5. Allegoria della divina commedia 227 sacerdote eterno, clie mandasse in terra quasi veltro a fugare la lupa un suo vicario, il quale fosse de- gno della chiesa, unica sua sposa dilettissima, a pace temporale e spirituale di tutto l'impero. CAPITOLO IX. Qual norma segua Dante nel punire e premiare. Qual fu la norma che guidò il poeta nell' ap- plicare le pene ed i premi a que'famosi che incontra ne'tre regni ? Per Dante Dio è centro e fonte dell' autorità pontificia ed imperiale; la quale da lui per due capi distinti diramasi in due speciali autorità su questa terra a beatificare gli uomini. Sono suoi vicari ad eser- citarla con tutta la più esatta distinzione l'impera- tore ed il papa dalla esaltazione di Giulio Cesare e dalla morte del Redentore in poi. Prima la pontifi- cale era esercitala dal sommo sacerdote degli ebrei, e la monarchica dal popolo romano o per re, o per consoli, o per dittatori; e prima dei romani tenevasi in Alba, ivi trasportata da Enea, dopo Troia distrut- ta, ove era la sede imperiale. Tre sorte di peccatori vi sono in ordine a Dio ed a' suoi vicari. Altri hanno peccato contro Dio stes- so, imperatore e papa per natura: altri hanno peccato contro la monarchia e società a lei soggetta, ed altri contro il papato e la religione. Tra i peccatori della prima specie si annovera Lucifero col superbo slrupo degli angeli che lo se- guirono, quando pretese farsi uguale a Dio, usurpan- 228 Letteratura cl>> in tale guisa l'una e l'altra autorità (i). Per que- sin Lucifero è dannato ad essere per sua eterna pe- rii Viinperator del doloroso regno. A lui sono sog- goli i ì peccatori di tutte le specie, ed i tre più rei gli staranno sporgenti dalle bocche delle tre facce rispondenti alle tre parti del mondo allora note, ciò erano Europa, rossa ; Asia , gialla; ed Africa, nera; così designate dal colore degli abitanti. Sono questi famosi, Giuda, che tradendo l' uomo Dio, sacerdote eterno, peccò contro l'autorità papale: Bruto e Cas- sio, che nell' assassinio di Giulio Cesare imperatore peccarono contro alla imperiale (2). Cesare imperatore, adorno delle quattro virtù car- dinali, ma privo delle tre teologali, starà al limbo, ove non si gode e non si pena. Catone, uno del po- polo monarca, ornato di tutte le virtù cardinali, il quale a difesa della monarchia del popolo romano si oppose tanto a Cesare duellante per impossessarsene, che, piuttosto che cedere, volle morire in Africa li- bero, quasi martire della monarchia romana; sia in guardia e direzione del Purgatorio, quasi immagine di Dio imperatore, che riceve i buoni cittadini tra- passati. Ma Curio, che diede il consiglio a Cesare duel- lante di avviarsi a Roma per impossessarsi della mo- narchia, gemerà senza lingua nel girone degli scom- mettitori con Maometto, che attentò alla autorità pon- tificia. Parrà qui in contraddizione Dante con se stessa {1) Inf. e. 7, V. IO e segg. (2) Inf. e 34, v. 36. Atxeooria della divina comjwkdia 229 quanlo a Giulio Cesare, il quale, o era degno di ri- spetto e di obbedienza, e Catone che si oppose non dee aver premio, ma pena; e Curio, che lo consigliò, deve meritar premio e non castigo: o era il contra- rio , e dovrebbesi mettere in pena il consigliato ed il consigliere, dando uguaìinenlc premio a'suoi ucci, sori come a Catone, Ma la contraddizione per av- ventura svanisce , avvertendo che secondo il nostro poeta, durando le gare tra Cesare e la repubblica , quasi un duello che decida chi Dio voglia eleggere tra loro due ad esercitare l'autorità monarchica, era santa la parte dei cittadini romani | perchè già da lunghi anni in possesso ) e malvagia l'altra dei sol- dati di Cesare; ma fatto questi vincitore, avute le re- dini monarchiche in mano per giudizio divino; cessò la monarchia della repubblica, passandone tutta l'au- torità in mano di Cesare, da Dio costituito, per mez- zo di un duello, monarca universale. E questa la sen- tenza di Dante, come giace nella monarchia libro se- condo: Qiiod per duellum acquiritur^ de iure acqui- rltur. Cosi Enea a buon diritto conquistò l' Italia contro Turno ; così i romani conquistarono la mo- narchia contro gli albani nel duello degli Orazi e Curiazi ec. Tuttavia se vuol credersi che la venera- zione di Dante per l'antichità classica e per le cele- brate virtù di Catone lo abbian fatto cadere come nell'esagerazione, così anche un poco in contraddi- zione co'suoi principii, io noi vorrò riprendere. Tutte le parti politiche, salvo la imperiale pura, sono in errore , operando contro la vera monarchia e contro il papato: pertanto i loro addetti saranno a popolare l'inferno, sieno guelfi, sieno ghibellini: tutti gli adoperanti contro Dio e contro '1 papa saranno aSo Letteratuua all'inferno, sie no papi, cardinali, imperatori, re ce. ec.. Il perchè lo stesso ultimo imperatore romano Fede- rico II che tanto operò contro '1 papa, e morì sco- municato, starà anch'esso nelle arche infocate. Ma prima di Roma la città monarcliica era Tro- ia: però Achille, Diomede, Ulisse, Sinone ec. , che comhatterono contro di essa, gemeranno dentro lo 'n- ft-rno ce. Per simil guisa sono in cielo beati un Ri- feo da Troia gentile, perchè tanto favoreggiò la mo- narchia della sua patria, che per essa mori combat- tendo: per questa opera generosa Iddio fecegli per gra- zia speciale conoscere le tre virtù teologali, e lo sot- trasse al puzzo del paganesimo. Traiano imperatore, già dannato e chiuso nello 'nferno , sax"à dalla pre- ghiera di s. Gregorio papa ritornato a vita per farsi buon cristiano, e quindi volare al cielo; per questo solo, perchè essendo imperatore fece vendetta per la buona vedovella (i). Salomone, di che tutti deside- rano sapere la sorte , Dante lo trova in cielo per questo solo merito, che , fatto re , chiese per prima grazia a Dio la sapienza per ben governare 'l suo po- polo (2). Più e più altri fatti somiglianti s'incontra- no nel cielo, come sono i paladini erranti, e Carlo Magno, che stanno tutti colà beati , perchè armeg- giarono valorosamente a defensione dello 'mpero e del- la chiesa (3). Questo dei dannati e dei beati: ora delle anime purganti. Chi si pente prima che morte gli abbia dato H volo^ e riconosce Dio , la chiesa e l' impe- (i) Parad. e 20. (2) Parad. e. io, v. log, e. il, V. 91. (3) Parad. e. 18. Allegoria della divina commedia 23 i ratore , ottiene da Dio 11 perdono , sebbene il jjana non abbia assoluto e ritii'ato i suoi iiitei-dcttL Poi- ché Dio, fonte dell'autorità spirituale e temporale, non è a queste soggetto. Elleno sono da lui: e senza esse, o contro di esse può condannare ed assolvere. E pe- rò se i vicari malamente adoperano, o malamiinte as- solvono, o condannano, Iddio liberissimo adopera in contrario, condannando ed assolvendo secondo giu- stizia. Ecco la ragione perchè nel 27 dello 'nferno vedesi condannato alla hamma Guido di Monte Eel- tro, sebbene prima di peccare fosse assoluto dal pa- pa : e nel terzo del purgatorio vedesi tra quelli che vanno a purgarsi Manfredi re di Puglia, morto sco- municato dalla chiesa , ma pentitosi poco prima di morire. Veramente la sentenza del papa continua ad aver forza anche colà alle falde del purgatorio, per- chè chi muore in contumacia di lei, ancorché al fine si penta, dee slar fuori del purgatorio 3o volte il tem- po che ha indugiato a pentirsi, se pure da sante pre- ghiere non gli venga abbreviato ec. CAPITOLO X. Vanti-inferno. Dante scelse un luogo particolare a quei che più curando se e '1 proprio comodo , che la gloria di Dio, la salvezza e la felicità della patria, si asten- nero dal prender parte alle fazioni celesti e civili , col mantenersi indifferenti ad ogni governo. Costoro non possono aver parte sotto il vessillo dell'impera- tore celeste, perchè non cooperarono alla sua gloria quando Lucifero tentò di oscurarla. Li cacciarono i aSa Letteratura cieli per non essere man belli: né giustizia permefle che lo inferno li riceva, perchè i rei e ne avrebbero una qualche gloria vedendosi a paro cogli indiffe- renti ; e perchè potrebbero menarne vanto , sem- brando così cresciuto il numero degli angeli ribella- tisi a Dio (i) : « Pietà gli sdegna e giustizia non li riceve » (a). Aduncpe costoro, con gli uomini che ne segui- rono il vile esempio negli estremi bisogni della pa- tria e dell'impero, verranno arrolati sotto una terza insegna senza nome , senza colore e senza qualità come essi , di cui il mondo fama esser non lassa. Questi avranno invidia di ogni altra sorte, a signi- ficare come tali esseri sieno vili e noiosi alla società. CAPITOLO XI. Il sole. Il sole nella filosofia di Dante è P unico fonte della luce, che rischiara il mondo sensibile. Egli per un discorrimento di luce denominato raggio la com- munica agli altri corpi celesti e terrestri, illuminan- doli e riducendoli qual più, qual meno a sua imma- gine. Tanto veggono gli occhi del nostro corpo, quan- to risplende il sole, o direttamente sulla terra, rag- giandovi, come nel giorno; ovvero indirettamente per riflessione che i suoi raggi fanno dalle stelle verso la terra, come di notte (3). (i) Inf. e. 3, V. 4o" fa) Inf. e. 3, V. 5o. (5j Farad, e. 20, v. i. Purg. e. 4- V. 63. Farad, e. 23, v. 3o. Conv. trat. 2, e. i4- Allegoria della divina commedia 233 Il sole ha lume e calore: col primo rischiara ed abbella il mondo; col secondo feconda la terra, gio- vando la produzione delle piante e degli animali ec. Per simili qualità nel sacro poema il sole signi- fica la filosofìa , o scienza morale : perchè essa illuminando gli occhi della nostia mente, ci fa cono- scere intellettualmente tutte le verità intellettuali e morali, rischiarando il vero ed il giusto: e con que- sta luce e cognizione neM' affezionarci al buono ed al vero , riscalda quasi la mente , facendole amare ogni cosa buona, generandovi ottimi affetti, ed abiti lodevoli, come sono le virtù morali ed intellettuali; quasi che in noi fossero da esso calore di filosofia germogliate (i). La spiegazione di questo simbolo ci viene offer- ta, sgombra da ogni benda di parola oscura, dal- lo stesso Allighieri nella canzone : « Posciachè amor del tutto ... M ove alla penultima strofe dice della filosofia : « Al gran pianeta è tutta simigliante, Che da levante Avante, infino a tanto che s'asconde, Con li bei raggi infonde Vita e virtù quaggiuso Nella materia sì come è disposta . . . Oh falsi cavalier malvagi e rei Nemici di costei Che al prence delle stelle s'assimiglia ec. » E pur fermo in questo confronto così principia al- tra canzone : ( i) Conv. trat. 3, cap. ult. 234 Letteratura « La bella stella che'l tempo misura Sembra la donna che mi ha innamorato, Posta nel ciel d'amore; E come quella fa di sua figura A giorno a giorno il mondo illuminato; Cosi fa questa '1 core Alli gentili, ed a qufi ch'han valore. Col lume che nel viso le dimora; ec. » Che più? La filosofia è prima in Dio, in cui è som- mo amore e somma sapienza; anzi è la sapienza stes- sa (i). Oi-a ne nsserisce'l nostro autore: » die nullo sensibile in tutto 7 mondo è pia degno di farsi esemplo di Dio, che il sole corporale, lo quale di sensibile luce se prima, e poi tutte le corpora cele- stiali e dementali allumina ; così Iddio , sole spiri- tuale e intelligibile, se prima con luce intellettuale allumina , e poi le celestiali e le altre intelligibi- li ec. » (2). E però, fermo in questa somiglianza, usa poi quelle vaghissime traslazioni di raggi, lume, lu- ce, splendore della filosofia, per designare il suo di- mostrare la verità all'intelletto : le quali metafore ven- gono tanto frequenti innanzi l'occhio di chi legge al- cuna riga del nostro autore , che ne par bello di- spensarci dalle citazioni. Tenendoci adunque fermi al sin qui detto, potremo ragionevolmente sostenere che i raggi che vestono le spalle del monte della fe- licità naturale, e che diconsi raggi del pianeta che mena dritto altrui pe?' ogni calle (3), allegoricamente (i) Conv. Trat. 3, cap. 12. (1 Couv. ivi mcd. (3) luf. I, V 17. Allegoria della divina commedia 235 sono appunto i raggi della filosofia, clie davvero di- rigendo l'umana ragione, la conduce diritta per ogni calle, ed in ogni cosa, col guidarla al vero ed al buo- no , additati dalle sue dimostrazioni ed ammaestra- menti. Non meno di questa è allusiva alla filosofia la preghiera di Virgilio rivolto al sole: O dolce lume, a cui fidanza io entro Per Io nuovo cammin, tu ne conduci, Dicea, come condur si vuol qulnc'entro: Tu scaldi'l mondo, tu sovr'esso luci: S'altra cagion in contrario non pronta, Esser den sèmpre li tuoi raggi duci (i). Se alla lettera , dice Virgilio che quando non siavi altra guida esperta che ne conduca nelle nostre stra- de, l'uom giusto dee seguir sempre i raggi del sole, schivando le tenebre : poiché , come scrive Salomo- ne (2): « La via dei giusti, cioè dei valenti, quasi luce splendiente procede; e quella delli malvagi è oscu- ra , ed essi non sanno dove rovinano. <( Ed altro- ve ne avverte la scrittura che: Impil amhulant in te- nehris ec. Allegoricamente però ne fa avvertiti, che dove non ci sia ammaestramento o direttivo che lo guidi , l'uom giusto ed onesto dee sempre attenersi alla strada che additano per buona gli ammaestra- menti della filosofia. Ora da questo simbolo , che l' autore diede al sole, e dal significare il monte del purgatorio il pro- li) Purg. e. i3. V. 16. (2) Proverbi!, e. 4- 336 Letteratura gredire (lell'uomo nella via della virtù alla perfezio- ne e beatitudine sociale; figurata nel paradiso terre- stre, che ne è la vetta; il poeta diede a questo mon- te certa natura particolare, per cui non potevasi ascen- dere altro che di giorno, e quando il sole era si ben alto da empire della sua luce tutti i valloni (r). Poi- ché essendo le virtù morali ed intellettuali l'oggetto della filosofia , ed essa guidando l' uomo alla perfe- zione e naturale felicità, necessità voleva che al man- care di essa, figurato nel tramonto del sole, non si potesse progredire, se da capo non risorgeva a diri- gere ed avvalorare l'umano intelletto. E questa la na- tura del monte che affrange le membra dell'uomo quando si annida il sole ; è questa la tenebra che col non poter la voglia intriga : è questa ancora che nella notte permetteva il girare intorno al sacro monte , o discendere ; che senza filosofia altri può tenersi fermo nell'acquistala perfezione, o può scen- dere peggiorando, ma avanzar passo non mai (2). Dante per questo metlesimo entrò nell'inferno , quando lo giorno se ne andava, e senza sole discese sino al centro ove puntan tutte le rocche; ma quan- do ascese dall'altra parte, già il sole riedeva a mez- za terza: e Dante stava per cominciare la via di per- fezione (3). Veramente parrà ad alcuno clie'l progre- dire a perfezione per Dante cominciasse dall'affidarsi tutto a Virgilio come a maestro. Ma a giudizio mio, confortato da tutti gli antichi espositori, non è così. La beata perfezione essendo additata dalla filosofia in (i) Purg. e. 7, V. 44. (2) Purg. ivi mecl. (3) Inf. e. 2, v. I, e. 34, V. 97. Allegoria della divina commedia aSy vetta al monte, che è principio e cagion di tutta gio- ia, chi discende, ancorché per andare in cerca della strada che lassij guida , itilanto che discende , non profitta certo alla volta della vetta : ma va per so- lingo piano coiri'uom che torna alla smarrita stra- da^ che infino ad essa U pare ire invano (i). Ta- le fu la discesa di Dante fino al centro della terra, ove ritrovò la smarrila strada, e cominciò l'ascendere verso la vetta del monte felice. Questo lo dico stan- do al fittizio senso della lettera ; ma venendo al ve- ro dell'allegoria. Dante non poteva progredire a per- fezione se non era persuaso che sinor tenne mala via, parteggiando pei guelfi, e che egualmente mala è la via tenuta dai ghihellini. Egli era ben uscito fuori della ignoranza , figurata nella oscurità della valle , nel fiume onde il mar non ha vanto, nel rivolgersi addietro a rimirar lo passo che non lasciò giam- mai persona viva: (che vivere per l'uomo è ragione usare , e chi non usa ragione è peggio che morto , perchè è morto uomo, e vive bestia (2): ma durava pur mo nella crudeltà dei guelfi : e tutti argomenti erano già corti alla sua salute, fuorché mostrarli la perduta gente (3). Però è che Virgilio, »er Jar lui esperienza piena, àoveite menarlo per lo infer- no di giro in giro, ove ha udito cose e veduto che, fattolo certo come pessima cosa erano tutte le parti politiche, da cui era straziatamente dimenata la so- cietà, lo ridussero a piangere amaramente, contrista- to gli occhi e'I petto, spaventato dal rischio che cor- (i) Purg, e I, V. 119. (2) Conv. trat. 4> cap. 7. (3) Purg. 3oj v. 37. 238 Letter atura reva: lezione che gli restò eternamente Titta nella me- . moria, secondo sua confessione: « Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio. Quando drizzo la mente a quel ch'io vidi, E più lo'ngegno affreno ch'io non soglio, Perchè non corra, che virtù noi guidi : Sì che se stella huona, o miglior cosa M'ha dato'l hen, ch'io stesso noi m'invidi (i). La discesa dell'inferno adunque fu per Dante la savia lezione che lo invitava al pentimento del pas- sato errore, ed al santo proponimento di mutare par- tito, confidandosi tutto alla direzione dell'etica; la qua- le, dannate nei principii suoi le parti civili dominan- ti, lo guidava di virtù in virtù pei sette gironi del purgatorio in seno alla perfezione e felicità naturale: e di pari gli apprendeva che a perfezione dell'uma- na vita l'imperiale autorità fu trovata : ella e rego- latrice di tutte le nostre operazioni giustamente: per tanto Oltre, quanto le nostre operazioni si stendono, tanto la maestà imperiale ha giurisdizione , e fuori di quei termini non si sciampia (2): lezione ai guelfi. Gli apprendeva ancora che il papa, successore di Pie- tro, porta veramente in mano le chiavi del regno ce- leste (3) : lezione contro i ghihellini. La filosofia morale sola guida per chiara via al- la civile felicità : e Dani e che tornò a riveder le stel- le prima che l'aurora comparisse sull'orizzonte, usci- (i) Inf. e. 26, V. ig. (2) Conv. Irat. 4» cap. 9. (3) Mon. lib. 3, e. i ed uhimo. Farad, e. 5, v. 74. Allegoria della divina commedia 289 to fuori all'onente della montagna della perfezione in parfe molto elevata dal mare, laddove è suo dritto cominciaraento, non sa, nò può continuare l'ascesa; ma per ordine di Catone deve discendere sino al bas- so lido laggiù colà dove lo batte Vonda, a precin- gersi i lombi di fortezza, quasi preparato a viaggiare per la via che il sole, il quale ornai sorgeva, gli avrebbe mostrata (i). Ecco nuova prova che il sole è esempio della filosofia morale. È poi bello osservare che non essendo trai dan- nati uso di filosofia, come lo insegna Dante (2), il poeta per lutto lo'nferno ad accennare le ore non prende mai confronto dal sole, ma costantemente usa le stelle e la luna (3). E a mostrare differenza che usa tra'l di qua e'I di là del centro terrestre, giun- to presso a Lucifero, disse : Ma la notte risorge ; ed uscito fuori dall'opposta parte, cosi muta linguag- gio : Levati su che giàH sole a mezza terza rie- de (4). Ne per tutto il rimanente della commedia muta linguaggio. E non è fuor di proposito l'avvertire, che come delle tre volte che dormì sui scaglioni del sacro mon- te, le prime due, perchè ancor novizio nella via di perfezione e di scienza morale, non si svegliò se non quando il sole era alto già pia che due ore ; e quando tutti eran già pieni delValto dì i giron del sacro montCi per andare col sole nuovo alle re- ni (5); ma nella terza, sul compire del virtuoso viag- (i) Purg. e. I. (2) Conv. Trai. 3, e. i3. Inf. e. io, v. 98. (3) Inf. e. 7, V. 98, e. II, V. ii3, e. 29, V. 8, e. 20 fine. (4) Inf. e. 34. (5j Purg. e. 19, V. 44j c. 19, v. 37. s/^o Letteratura gra, si alzò diligente, come Virgllia e Stazio, al pri- mo fuggire che le tenebre facevano per tutti ì latiy quasi filosofo al par di loro (i). Le proprietà di luce e calore, che sono nel so- le , vengono da esso comunicate più o meno alle stelle» ed agli specchi ec; quindi, siccome essi pure per lo risplendere ed illuminare che fanno, sono tal fiata in largo senso denominati soli : così del pari l'intelletto del filosofo, che per lunghi studi è latto luminoso dei raggi della filosofia, tanto da rifletterli colla parola ahbondantemente nello intelletto degli uditori , viene come la filosofia denominato sole in largo senso. Cosi fece Dante: neirinferno, a confessarsi contento del filosofico ragionare del maestro, gli disse: O sol, che sani ogni vista turbata ì Tu mi contenti si quando tu solvi, Che, non raen che saver, dubbiar m'aggrata {2). Virgilio, illuminato dalla filosofìa, quasi nuovo sole rifletteva gli stessi raggi per ragionamento nella mente dell'uditore, sciogliendone e diradandone le te- nebre dell'ignoranza e dell'errore, che quasi nodo di nubi la circondavano e stringevano. A meglio inten- dere questo sentimento è da vedere quanto sarà per noi avvertito nel cap. XIII dei Principali perso- naggi ec. (i) Purg. e. 27, V. 112. (2) Inf. e. Il, V. 91. Allegoria della divina commedia u/^i CAPITOLO XII. La luna. Poiché nelle sue fasi mostrasi in tutto dipen- dente dal sole sensibile, la luna è nel senso allego- rico la ragione umana; la quale fa d'uopo che sia il- lustrata dal lume della filosofia per farsi chiara della luce del vero : e tanto più o meno splende, quanto più o meno è illustrata da quella. Però la luna ton- da o piena è figura di ragione perfettamente illu- minata dalla filosofia. Di qui è piano che cosa volesse dire Virgilio a Dante con quelle parole: » E già ier notte fu la luna tonda ^ Ben ten dei ricordar, che non ti nacque Alcuna volta per la selva fonda (i). Dante usci dell'oscura selva a luna piena (2), che gli giovò ad uscire dalla noia della selva selvaggia; ma fuo- ri d'allegoria, uscì della selva dell'ignoranza allora sol- tanto che lo studio della filosofia gli schiarò la men- te: e quindi questa ragione illuminata^ e fatta splen- dente come luna tonda, non gli nacque nella fon- da selva, se lo guidò fuori della notte dell'ignoran- za e del vizio. Se non che si legge altresì, che la luna è la don- na che regge nell'inferno (3): che intendesi con ciò ? (i) Inf. e. 20, V. 127. {1) Purg. e. 20, V. I ig. (5) Inf. e. IO, V. 80. G.A.T.XCVI. iG 342 Letteratura La luna splendeva sotterra ? Mainò, splende in cielo, soltanto : ma la favola che dava più nomi alla luna ( Lucina, Diana, Ecate e Proserpina ), come Ecate o Proserpina, la diceva regnante nell'inferno quale dea, dei morti. Ora Dante segue la mitologia nella let- tera , mentre nella allegoria la prende come ragio- ne umana : e non essendovi uso di filosofia nelV inferno^ secondo il nostro autore (i); ma i dannati non conoscendo solo che'l passato ed il futuro per uso di ragione, come chi ha mala luce, che vede soltanto le cose lontane; per questo disse, regnare colaggiù la ragione e non la filosofìa, la luna e non il sole (2), Le virtìi morali e teologiche sono l'oggetto deU la fìlosoCa, o sapienza, ed il mezzo di che servesi per la felicità naturale ed eterna, che è operazione se- condo virtù, come la definisce Aristotile. Sono dun- que illustrate dall'elica e dalla sapienza eterna, co- me la luna dal nostro sole; ma non hanno luce pro- pria, né senza quella sono conosciute : seguentemen- te a dirle raggiate dalla sapienza, Dante delle sette luci splendenti sui candelabri, immagini delle sette virtù, scrisse che risplendevano » Più chiare assai che luna per sereno Di mezza notte, nel suo mezzo mese. » (3). (i) Inf. e. IO, V. 97, 108. (a) Conv. trat. 3, e. i3. Inf. e- io, v. gp. (3) Purg. e. 29, V. 53. Allegoria della divina commedia 243 CAPITOLO XIII. / principali personaggi che si adoperarono alla salvezza di Dante. Dei cinque personaggi , che attesero alla sal- vezza di Dante dalla deserta piaggia sino alla com- piuta sua conversione, tulli, salvo la donna gentile, sono per guisa descritti individualmente , da essere universalmente conosciuti per enti che già vissero in carne ed ossa. Virgilio parla del suo corpo tolto a Brandisio e sepolto a Napoli (i). Beatrice parla della bellez- za cresciutale c|uando passò da carne a spirito (2): Lucia siede nella candida rosa di contro alV an- tico padre , come fanno gli altri santi che vissero quaggiù sotto Vincarco della carne di Adamo (3): e 6. Bernardo è lo stesso che quaggiù godette contem- plando della celeste pace (4)- Ora ciascuno di que- sti personaggi veste due caratteri ; il personale, che ebbe quaggiù dove si muore ; e 1' altro provvisoria- mente ricevuto per salvare l'amico. I. Virgilio , per ordine di Beatrice, è duca^ maestro e signore per dirigerlo, ammaestrarlo, go- vernarlo per la via che lo metta in cima al monte vestito dei raggi solari: e ciò preso letteralmente: ma allegoricamente, per levarlo dalla viziosa selva dell' ignoranza, e guidarlo in seno alla felicità civile. (i) Purg. e 3, V. 26. {2) Purg. e 3o, V. ii'j. (3) Purg. e. II, V. 43- (4) Farad, e. 3r, v. ili. 2^4 Letteratura 2, Beatrice è quell' antica, che fu dei cristiani del decimoterzo secolo (i), ove riconosce Dante i sé- gni delV antica fiamma', la quale crucciata che alcun tempo l'abbia abbandonata Vamico suo e non della ventiira^vna sempre calda di verace amore per esso, vuole rinsavirlo e guidarlo al cielo (2): è dessa nella lettera, in virtù del grande amore acceso nel cuore di Dante, guida nella pratica delle virlìi teologali e maestro in sapienza , ovvero in tutta 1' universalità delle scienze divine ed umane denominate filosofia nel linguaggio del nostro autore; scienza attiva e pra- tica. Ma introdotto l'amico nell'interna corte del re- gno giustissimo e pio^ laddove non occorre più at- tività, ma contemplazione. Beatrice passerà nelle bea- te sedi , ed il contemplatore s. Bernardo ai fianchi di Dante lo dirigerà nella contemplazione di tutta la candida rosa, sino alla visione beatifica di Dio Uno, sino alla triplice distinzione visiva delle tre augustis- sime Persone (3). Misticamente Beatrice significa To- perare amoroso delio Spirito Santo, cui sono attribui- ti i doni di virtù, perchè vengono da ineffabile ca- rità (4). 3. Lucia, ^^e/7^^ca di ciascun crudele vivendo, ossia nemica dei persecutori del cristiani, siano tiran- ni scettrati, siano l'altra peste della cattolica società, i cattivi cristiani, i quali col malo esemplo e colle istigazioni fanno inciampo ed impedimento ai fedeli; è nella lettera la protettrice degli occhi sensibili, deK la quale Dante con tutti i buoni cristiani di quei (i) Vita Nuova sul fine. (2) Purg. e. 3o. (3) Parad. e. 3i, v. 58 e seg (4) Conv. tratt. 4» cap. i\. Allegoria della divina commedia 24'> tempi era fedel divolo, come lo si dice egli stesso : or abbisogna il tuo fedele di te (i). Misticamen- te però è la luce del raggio della filosofia, o sapienza eterna, che illumina la sua menle , raggiando sulla filosofia morale e sulla teologia per magistero di Vir- gilio e di Beatrice. Questo raggio di virtù, sapienza e amore, è nemico di ciascun crudele; poiché, secon- do Brunetto Latini , crudeli sono denominati lutti gli uomini viziosi (2). Ora se enti reali sono i quattro descritti, potrà alcuno dubitare che tale pur non sia il quinto let- teralmente detto donna gentile ? La natura della poe- sia polisensa lo vuole, e tale fu veramente, come ve- dremo più sotto. Prima però di chiudere è da aggiungere una pa- rola. Nelle espressioni di somma passione verso i pro- pri maestri e guide , il nostro poeta scorre talvolta in così alta lode, da non sembrare più essi i maestri , ma la scienza medesima che devono insegnare; come quando dice a Virgilio: O virtù somma che per gli empi giri Mi volvi ei par che tu mi neghi, O luce mia, espresso m alcuno testo co. (3). Kd a Beatrice: il sole degli occhi miei^ e simili al- tri. Nelle quali parole non pare più che parli ne al maestro, ne all'amica, ma sì alle scienze medesime, (i) Inf. e. 1, V. 98. (2) Brunetto Latini. Tesoro lib 6, e. 07. (5) Inf. e. IO, \. 4- Pu'g- e. 6, V. 28. a46 Letteratura ed alla filosofia medesima in persona. A che coni- prendere è da vedere e considerare quanto scrive nel convito (i): »... In alcuno fervore d'animo talvolta l'uno e l'altro termine degli alti e delle passioni si chiamano per lo vocabolo dell'atto medesimo e della passione; siccome fa Virgilio nel secondo delTEnei- da, che chiama Ettore: O luce, che era atto, e spe-^ rama delti troiani^ che è passione; che ne era esso luce, ne speranza, ma era termine onde venia loro salute del consiglio, ed era termine in che si ripo- sava tutta la speranza della loro salute; siccome dice Stazio nel quinto del Thebaidos, quando Isifile dice ad Archemoro: « O consolazione delle cose e del- la patria perduta, o onore del mio servigio; sic- come quotidianamente dicemo , mostrando 1' amico : P^edi Vamistà mia; e '1 padre dice al figliuolo: Amor mio ec. I) Niun dubbio adunque può sorgere dalle citate ed altre simili frasi , che Virgilio e Beatrice non significhino per lui altro che guida, maestro e signore lunghesso il viaggio alle due perfezioni ci- vile e religiosa: siccome egli stesso continua ad ap- pellarli. 4. La donna gentile. Come Lucia e Beatrice, anche la donna gentile è un ente reale: è Maria Ver- gine denominata donna gentile, che duro giudicio lassù frange , perchè appartiene alla famiglia dell' imperatore celeste ; gentilezza equivalendo nelle scritture di Dante quanto leggiadria; e gentile vale adorno di tutta nobiltà e leggiadria , qualità richie- ste nell'imperatore, come si legge nel convito (2), e (i) Conv. trat. 3, cap. ri. (2) Conv trat. 4> cap 6 ed altrove. Allegoria della divina commedia 247 nella canzone che comincia: « Posciachè amor del tut- to m'ha lasciato: » Per nome di valore Cioè di leggiadria che è bella tanto, Che fa degno di manto Imperiai colui, dov'ella regna. Ella è verace insegna La qual dimostra u' la virtù dimora. Onde bene altrove la denomina augusta (i) , sull' uso degli antichi romani, che augusti dissero i per- sonaggi della casa imperiale, e lo stesso imperatore, come pure l'usa Dante parlando di Enrico (2). Al- trove la disse anche regina del cielo e del mon- do (3). Nomi tutti che a tutta precisione di termine si confanno alla madre, Jìg^^^ ^ sposa di Dio im- peratore universale. Dì questa era divotissima Beatrice quando vive- va: e morta fu posta nell'altissimo cielo delVumil- tà, op'è Maria (4)- E pertanto ne era pur devoto il suo amico Dante, il quale mattina e sera ne in- vocava il nome (5) ; credeva che chi spera andare in cielo senza raccomandarsi a lei, pretende che la sua desianza voli senz'ali (6): teneva per fermo, che non pure soccorre a chi la prega ^ ma spesso Zi- fi) Farad, e. 02, v. 119. (2) Farad, e. 3o, v. i36. (3) Farad, e. 3i, v. ii6. (4) Vita Nuova. (5) Farad, e. 23, v. 88. (6) Farad, e. 33, v. i5. 248 Letteratura beramente al dimandar precorre (t). Che più? Paf- landò con s. Bernardo non esita a dirla la nostra regina (2), quasi che ne fosse tanto devoto quanto jl medesimo s. Bernardo, che si denomina di propria bocca, parlando di Maria: lo sono il suo jedel Ber- nardo (3). Ella siede nella rosa celeste gloriosamente nel primo posto, determinando la divisione tra i santi dell'uno e l'altro patto, secondo i due aspetti della fede in Cristo venturo o venuto. Qualità e prero- gative sono queste, che non pure si prestano oppor- tune, ma ci costringono a considerarla per la donna gentile, non men che benigna, possente sì che duro giudicio lassù frange, la quale dolendosi delVim- pedimento del poeta nella deserta piaggia, gli spe- disce Lucia e Beatrice a salvarlo. Che però dopo il Tommaseo, che per tale la manifestò agli amici dell' AUighieri , ninno , speriamo , vorrà piìi metterla in dubbio quanto al significato letterale od istorico. Pe- rò terminando su questo oggetto, passeremo al senso allegorico della stessa donna gentile. Nel significato mistico od allegorico , la donna gentile altri non è che la sapienza eterna , quella slessa che Dante nel suo convito denominò filo- sofia, o amoi'oso uso di sapienza, di cui sono mem- bra tutte le scienze: questa si compiange del suo ami- co, il filosofo Dante, impedito per la sua via alla per- fezione dalle tre bestie, o vizi ec. Ad ampia dimo- strazione e conferma di quanto asseriamo, vedasi ciò che fu esposto al cap. IH, Principii di Dante. (i) Farad, e 33, v. i8. [1] Farad, e. Sa, v. 104. (3j Farad, e. 3i, v. ro'2. Ar.T.EGORlA DELLA. DIVINA COMMEDIA 24g Or più non rimane, a conferma del nostro as- serto, che la interpretazione allegorica della preghiera di s. Bernardo alla vergine Maria; la quale in senso vero è diretta alla filosofia divina. Né io certo mi sarei avanzato in questa asserzione , se non avessi aperte e ripetute prove di ciò nella commedia e nel convito : quantunque chiarissimo e determinato per se ne sia il significato in mio favore dal conlesto di tutta la preghiera: ma per mia hella ventura non pu- re il convito concorre a confortare la mia sentenza, ma sì pure e quello che succede a questa preghiera, e quanto la precede dal mezzo del cammin di no- stra vita, sino a Vamor che muove il sole e le al- tre stelle. Però, confortato largamente da questo pen- siere, supplico il discreto lettore a seguirmi con pa- zienza negli argomenti che farò succedere, onde met- tere con saldo fondamento fuori di dubbio questo pun- to, come quello che la base costituisce di tutta l'al- legoria. Affine che non debbami troppo ripetere nella presente discussione, faccio prego ai lettori di richia- mare qui per primo tratto alla memoria quanto già esposi sui Principii di Dante (capo III). Nel che fa- re essi di leggieri avvertiranno , che Filosofia è amo- roso uso di sapienza'^ che sapienza è corpo di fi- losofia : e che questa filosofia non pure è figlia , suora , e sposa di Dio , ma che , essendo della natura divina^ è nobilissima:, perchè nobilissima è la divina essenza. Seguentemente essendo in Dio somma sapienza^ sommo amore, e sommo atto, il quale non può essere altrove, se non in quanto da lui procede', la filosofia è in Dio quasi per modo perfetto e vero , quasi per eterno mairi- aSo Letteratuka monio \i). Ora la filosofia per Dante è una virtuo-. sissima luce intellettuale , i cui raggi fanno ri^ fremire e fruttificare la verace degli uomini no- biltà (2). Questa fuor d'anima considerata ha per soggetto lo intendere , e per forma quasi un di- vino amore allo intelletto (3). Tre cose sono qui: intendere^ amore divino, ed intelletto, o cosa in- tesa. Ma, riducendo lo intendere dall'astratto al con- creto, si ha intelligente, o intendente; con che ven- gono le tre parti componenti la filosofia ; ciò sono intendente, intelletto ed amore divino- Questo con- cetto medesimo, di maravigliosa poesia vestito, venne racchiuso per tre volte in tre terzine. Prima fu detto: . . . quella viva luce che sì mea Dal suo lucente, che non si disuna Da lui, e dall'amor che in lor s'intrea. Quindi: O luce eterna che sola in te sidi, Sola te intendi, e da te intelletta Ed intendente te ami ed arridi. E con parole poco diverse l'avea già detta: Ciò che non muore, e ciò che suol morire, Non è se non splendor di quella idea Che partorisce amando il nostro sire (4). (i) Conv. trat. 3, cap. 12. (2) Convit. trat. 4> cap. i. (3) Convit. trat. 3, cap. it. (4) Farad, e. i3, v. 55, e. 33, v. 124, e. i3, v. 52. Allegoria defxa. divina commedia aSi Il quale sire quivi nominato è il sole di luce eterna , il sereno che non si turba mai ( i ) : però in quest'ultima terzina abbiamo bensì una nuova de- nominazione, ma sempre analoga alla prima: che qui è il sire, a sole intellettuale, che amando partori- sce la splendida idea. Altra volta fuori di fxgura dis- se: « Guardando nel suo figlio con l'amore che l'uno e l'altro eternalmente spira lo primo ed ineffabile valo- re ec. (2).)) Riducansi ora pertanto come a breve cod- fronto tutte queste triplici denominazioni della filo- sofia divina e dell'augustissima Trinità, somministra- teci dal convito e dalla commedia, e ne apparirà per se chiara e precisa l'identica significazione. ommo atto -Intendente-Sire -Lucente-Padre )Dio Trino^ omnia Sapienza-Intelletta -Idea partorita-Luce -Figlio )o Filosofia ommo Amore -Amore -Amore -Amore -Spirito S.) Divina lou- tr. 3,c.i2. Co.tr 3, e. II. Farad. i3. Par. i3. Parad. io. Farad. 33. Il Padre si disse : i. Sommo atto di mente : 2. Intendente: 3. Sire o sole : 4- Lucente. Il Figlio fu detto: i. Somma sapienza: 2. Luce intelletta : 3. Idea splendida : 4* Luce. Lo Spirito Santo poi vi dura immutabile nel suo nome amore, o nel suo verbo amare. Da cui si con- chiude, che la divina filosofia è la eterna intellisren- za sommamente amante la somma sapienza : o in una parola è Dio trino ed uno. Ma tornando anche alla filosofia di natura di- vina, nel suo nome complessivo è detta sposa di Dio — ■ — , (i) Farad, e. 19, v. 64. (2] Parad. c- io, v. i. aSa Letteratura imperatore dell'universo, e quindi imperatrice ella . slessa; sotlo simil rispetto è vergine madre della sa^ pienza eterna, o del figliuolo di Dio. E perchè que- sto figliuolo è pure Dio consustanziale a Dio Padre, anche la filosofia alla sua volta è figlia di Dio, o fi^ glia del suo figlio. Chi vuol perfettamente comprendere quanto la divina filosofia nobilitasse la natura umana) non ha che a considerare un istante tutto Quanto per mente, o per occhio si gira (i); e di colpo saprà, che tutte queste cose { salvo le an- geliche essenze ) la natura umana immensamente a- vanza, come quella che dotata di ragione parteci- pa della divina natura a guisa di sempiterna in- telligenza; e però è Vuomo divino animale dai fi- losofi chiamato (2). Conchiudendo ora da questo me- desimo pregio, dice Dante, che se Dio incarnò a salute dell'uomo facendosi fattura della natura umana, fu solo per esser questi dotato di ragione: però ben po- teva dire s. Bernardo a questa donna gentile: Tu se'colei che Vumana natura Nobilitasti sì, che'l suo fattore Non disdegnò di farsi sua fattura (3), Il quale concetlo precisamente coincide con l'altro del convito (4), ove contro ai nemici della sapienza escla- (ij Farad, e- Io, v. 4- (2) Conv. trat. 3, cap. 2, (3) Farad, e. 33, v. 4. (4) Conv. trat. 3, cap. ult. At.lbgoria della divina COMMKDIA 253 mava : « O peggio che morti, che l'amistà di costei » fuggite ! Aprite gli occhi vostri, e mirate che, anzi » che voi foste, ella fu amatrice di voi, acconciando » e ordinando il vostro processo ; e poiché fatti fo- » sle, per voi dirizzare in vostra similitudine ven- » ne a voi : e se tutti al suo cospetto venire non » potete, onorate lei ne'suoi amici, e seguite i co- » mandamenti loro, siccome quelli che v'annunzia- M no la volontà di questa eternale imperatrice. » Di più: Dio trino ed uno nell'eterno suo con- siglio ha dato se stesso per redimere l'uomo (i); dun- que nella fdosofia divina si raccese Vamore che re- se il cielo frequente in gente antica e moderna^ o come Bernardo le dice nella preghiera : Nel ventre tuo si raccese Vamore , Per lo cui caldo nell'eterna pace Cosi è germinato questo fiore. E poi chiaro da per se, che questa medesima divina fdo- sofia, come è in cielo meridiana face di carità, qui in terra è di speranza fontana vivace. E via pur discorrendo di questa forma, sino alla fine di tutta quella santa orazione. Veramente non so dispensarmi dal toccare par- ticolarmente quel pregio che si dà alla filosofia, di- cendo : In te magnificenza^ il quale già era stato at- tribuito a Beatrice dall'amico con queste parole : La tua magnificenza in me custodi (2). (i) Farad, e. 7, v. 25 e segg. (2) Farad, e. 3i, v. 88. 254 Letteratura Perocché, usando i concetti medesimi di Dante, e qua- si trascrivendo le formali sue parole, sarà forse che io tolga via un dubbio sul vero vocabolo usato dal-» l'autore in questo verso; dubitando alcuui interpre- ti , se Dante scrivesse tua magnificenza o munifi^ cenza. Per molte condizioni di grandezza, così descri- ve nel convito il verbo magnificare (i), le cose si possono magnificare , cioè far grandi : e nulla fa tanto grande, quanto la grandezza della propria bon- tà; la quale è madre e conservatrice delle altre gran-» dezze ; onde nulla grandezza puote l'uomo avere mag- giore , che quella della virtuosa operazione , che ò sua propria bontà , per la quale le grandezze delle vere dignitadi, e dei veri onori, delle vere potenzie, delle vere ricchezze, dei veri amici, della vera e chia- ra fama , e acquistate e conservale sono. E questa grandezza diede la filosofia divina per opera di Bea^ trice a Dante filosofo , cioè amico suo, in quanto , quello ch'egli di boutade avea in podere e occulto, ella lo fece avere in alto e palese nella sua propria ope- razione. Però con simili sentimenti esclamava a Bea- trice nell'atto di licenziarsi, considerandola qual àoU ce ed amicissimo maestro in filosofia : O donna, in cui la mia speranza vige .,.. Di tante cose, quante io ho vedute Dal tuo podere e dalla tua bontate, Riconosco la grazia e la virtute. Tu m'hai di servo tratto a liberiate Per tutte quelle vie, per tutti i modi Che di ciò fare avean la poteslate. (i) Conv. trat. i, e. xo. Allegoria della divina commedia a5S La tua magnificenza in me custodi, Si che Tanima mia, che fatta hai sana, Piacente a te dal corpo si disnodi (i]. Finalmente, a dare la più patente e decisa conferma alla mia interpretazione, si unisce alla sentenza del- la preghiera quello che succede sino alla fine della commedia. Imperciocché il contemplante s. Bernardo prega la donna gentile, o la filosofia divina, di due cose : la prima che disleghi a Dante ogni nube di sua mortalità, ossia offuscamento che il corpo indu- ce nella mente umana, quasi nube che s' interpone tra l'occhio ed il sole; e che gli avvalori così V in- telletto, da potere spingere da se gli occhi della men- te più allo, sino alla diretta visione del sole di eter- na sapienza. Poiché in tutto il suo viaggio, dalla de- serta piaggia sino quivi nell'empireo, i raggi della fi- losofia ( figurati in Lucia ) non si appuntarono mai direttamente negli occhi intellettuali di Dante ; ma prima gli si rifrangevano dalla mente di Virgilio, ove erano riflessi da quella di Beatrice, che dirittamente li riceveva dalla filosofia. Poi avvalorato alquanto, li riceveva per secondo riflesso da Beatrice, e dai santi; quindi ancora per secondo riflesso da s. Bernardo; ma in avvenire prega Dante con s. Bernardo di riceverli dirittamente dalla donna gentile , come gli angeli ed ì santi. Per la seconda cosa prega la filosofia che, aven- do in questo mirabile viaggio fatti sani gli affetti suoi dopo tanto vedere di tutte le vite spirituali dal- la superficie della terra, ultima lacuna o centro del- (i) Farad, e- 3i, v. 79. 256 Letteratura l'universo, attraverso il centro terrestre sino all'em- pireo ; si degni di conservarli sempre tali, vincendo colla sua guardia i movimenti umani. Dopo così fer- vida preghiera accompagnata dagli affetti di Dante, di Beatrice e di tutto il cielo, il nostro mistico viato- re è fatto patrizio della corte dell'impero giustissimo e pio : non gli fa più mestieri di maestro , non di guida, non di signore che lo regoli colla propria di- gnità, e rifranga ne'suoi occhi i raggi della filosofia; ma egli stesso, venendo sincera la sua vista , en^ trerà più e pia per lo raggio delValta luce che da se è vera\ fino a giunger V aspetto suo col va-* loro infinito; e però giustamente esclamerà : O abbondante grazia, ond'io presunsi Ficcar lo viso per la luce eterna, Tanto che la veduta vi consunsi ! Ed al dileguarsi della sua visione, che egli denomi-r na alta fantasia^ legando principio e fine del poe- ma sacro, decanterà il glorioso effetto della filosofia divina adoperato in sé medesimo in questo viaggio ; perchè il suo intelletto, che muove'l desìo, e la sua volontà, che si determina a seguire il bene , ambe- due in perfetto accordo tra loro, sono, come gli an-- geli, obbedienti interamente al volere divino : All'alta fantasia qui mancò possa; Ma già volgeva il mio desiro e'I velie, Siccome ruota che egualmente è mossa, L'amor che muove il sole e le altre stelle. Am.egoria della diviwa commedia 257 CAPITOLO XIV. / sette candelabri, le sette luci, le sette stelle e le sette ninfe. Le quattro stelle, di cui godeva il polo antar- tico air alba , come videle Dante al suo arrivo alle falde del purgatorio (i), significano le quattro virtù morali 0 filosofiche : sono desse le virlù civili , che perfezionando l'uomo lo rendono felice su questa ter- ra; sono desse l'ornamento dell'uomo onesto, e la cau- sa della beata società. Catone onestissimo degli uo- mini, che tutte (al dire di Dante) le praticò in sommo grado, comparve in mezzo alle tenebre tutto splen- dent«i dei raggi di quelle, come se '1 sole fosse d'a- vanli ; ciò non è altro, che un dirlo tutto adorno de- gli splendori delle quattro virtù (2). Queste splendono la mattina in alto cielo in- nanzi al levare del sole, che significa la filosofia ( co- me si vide al capo XI, Sole): ma la sera al tramon- tare del sole cadono al basso, e salgono al loro po- sto tre altre, che fanno ardente il cielo per tutta la notte: sono desse le tre virtù teologali, che giovano solamente all'acquisto della beatitudine celeste; però compaiono la notte , quando la gente attiva , ossia la civile società, riposa, ma la contemplativa, o reli- giosa, dura indefessa nella pratica delle virtù teolo- gali (3). (i) Purg. e. I, v. 22. (a) Purg. cap. i, v. 57. Conv. tr. 4> e. 28. {"S) Purg. e. 8, V. 88. G.A.T.XCV1. 17 358 II ETTER ATURA Le quattro morali e le tre teologali sono una cosa medesima colle sette ninfe che danzano intorno al carro tirato dal grifone (i) : sono pure la stessa cosa nella signincazione colle sette luci, che sui can- delabri precedono l'esercito del grifone (2). In verità le ninfe si dicono la slessa cosa con le sielle ( Noi Sem qui ninfe ^ nel del s^mo stelle (3) ); ed al par- tire del grifone le sette luci furono lasciate in ma- no alle sette ninfe (4), indizio di loro attività, per corteggiare Beatrice ed il carro: il che a mio giudizio è una irrefragabile prova dell'unità simbolica. A que-r sto riviene anche quel denominarle Dunle (nel can- to trentesimo del purgatorio) il settentrione del primo cielo (l'empireo), che non soffrì mai al'ro velo che di colpa, e che lì faceva accorto del suo dovere la gente verace (la società perfetta), come'l nostro settentrio- ne fa qui accorti i marinari che vanno al porto. Chi guida noi a felice porto nella civile società sono le vir- tù morali; ed al cielo ci guidano le teologali: le quali da niuna nube sono mai offuscate, se non se dal pec- cato. Le sette luci adunque precedevano unite, lascian- dosi addietro l'aere dipinto dei sette colori dell'Iride, formanti quasi un baldacchino, o cielo dipinto, sotto cui movevasi tutto 'l seguito del grifone, che stavasi nel mezzo. 11 tratto colorito, che lascia ciascuna lu- ce, è figura della pratica della virtù da essa luce signi- ficata: e perciò quel cielo dipinto è largo dieci passi, a mostrare che tutta Ja pratica di esse virtù contiensi nell'osservanza dei precetti del decalogo comuni ai fé- ,1; , -^ (1) Purg. e. 99, V. 122. (2) Purg. e. 29, V. 49. (3) Pmg. e. 5c, V. 106. (4) Purg. e. 32, V- 97. Am.fgorta dtct.la. divina CO'WMEDTA 25'q dell dell'una e dell'altra alleanza; designa pure che tut- lo'l genere umano può salvarsi, ma solo con quesfa pratica, essendo "l dieci numero d'università (i). Tutto l'esercito del grifone dividasi in due parti: quei che precedono, sono i libri del vecchio testamento; quei che lo accompagnano e seguono, sono 1 libri del nuo- vo; così disposti sotto'l baldacchino delle sette virtù, come a significare che tutta la s. scrittura ne coman- da la piatica, onde felicitare la società umana quag- giù sulla terra, e poi nel cielo. In fatto i beati del vecchio patto preceduti a Cristo, praticarono le car- dinali tutte negli atti loro, e le teologali nella fede, (Speranza e carità in Cristo venturo: i beali poi del nuovo patto praticarono le cardinali finche vissero, e le praticarono tutte nella fede, speranza e carità in Cristo venuto e risorto (2). Bene adunque i libri del vecchio testamento, pre- ceduti sotto sì bel cielo, rivolgono la faccia al grifo- ne che viene , mentre quelli del nuovo seguono il carro ed il grifone che loro precede. Ecco i due patti cogli aspetti rivolti al Messia, come a sua pace; fer- mi e fissi ad esso , siccome ordinava il settentrione delle virtù, il quale faceva accorto Zi, nei due patti, ciascuno bealo del suo dovere (3). Chiederà forse alcuno perchè le luci significanti le virtù precedessero l'esercito del grifone da prima, indi passassero in mano alle sette ninfe. Prima che venisse il Messia la luce delle virtù precedeva i fe- deli del popolo ebreo quasi illuminandoli nella fede ( i) Convit. trai. 2, e i5. [1) farad. 19, v. io3, e e- 35, v. 22 e JRgg- (3) Purg. e 3f>, v 4 sGo Letteratura in Cristo venturo (solo di giustizia e tli verità) , e' loro segnaudu la via ilella perfezione; ma le selle vir- tù in persona, quasi selle stelle, corteggiavano il gri- fone, ossia Cristo venturo nel seno dell'Elerno Pa- dre: essendo le virtij, ossia ogni bontà, come in suo fonte e principio in Dio Trino. Però tenendosi l'er- me col sole eterno, mandavano avanti i loro splen- dori, che sono le rivelazioni fatte dallo Spirito San- to ai patriarchi ed ai profeti (raccolte nel vecchio te- stamento) per illuminazi<3ne del mondo. Ma venuto 'l Messia, scesero in persona a corteggiarlo, ed alla sua ascensione rimasero con noi tenendo tra mano le lo- ro luci in segno di attività, e corteggiando la chiesa colla sacra teologia , che ne è la guardia fedele. E questa una buona legione all'uomo, clie le virtù, la vera felicità, ed il vero ci vengono condotti ed in- segnati dalla chiesa, e dalla sacra teologia che com- prende l'antica e nuova rivelazione (i). Quanto all'abito, le virtù teologali lo hanno ca- ratteristico e distinto, bianco, verde e rosso. E poi- ché per esse sole l'uomo ascende al cielo, tutto l'e- eercito porta una corona contrassegnante alcuna di loro: i beati del vecchio testamento sono coronati di fiordaliso ( la fede ) : quei del nuovo, corleggianti il grifone, lo sono di alloro (speranza); e gli altri, che seguorio , sono coronati di rose e di altri fiori ver-.- niigli (carità); bianco, verde e rosso; che sono i co- lori del velo, del manto e della veste di Beatrice. I fedeli del vecchio patto si salvarono per la fpcle in Cristo venturo: i vangeli contengono la vita di Ge- sù Cristo, nostra speranza', le epistole e gli atti apo- -•^n ' — 1 : r--!l...l .'. . .,.,1 .1 : '- *^ (i; Purg. e. 32, V. ^4, e segg. Allegoria della divjna commedia aCu stollci ne accendono di carità verso Dio e verso l prossimo. Beatrice pure avea corona in capo ed era di olivo , simbolo della sapienza di cui era maestra a Dante. Le virtù morali Sono In He abituale in porpora, come quella che è tutta propria dei re e dtgli im- peratori: mostrano con questo che spettano al cor- teggio del trono imperiale. E perchè Foro indica la suprema dignità dell'imperatore e di Dio; i sette can- delabri , su cui splendevano le luci delle sette vir- tù , corteggio dell' imperatore e del vicario di Dio , erano appunto d'oro (i). CAPITOLO XV. La monarchia e l'albero della vita. La monarchia, o in altri termini l'autorità im- periale, ebbe la sua manifestazione nel paradiso ter- restre. Iddio la raffigurò al guardo umano in una pian- ta altissima con rami larghissimi alla cima, per mo- strare coU'imraagine che, siccome questa pianta, che vive della cima, ha suo principio e virtù da Dio; così a Dio solo è soggetta , e tulle le altre autorità so- ciali sono ad essa sottoposte (a). (i) Purg. e. 2gj V. 6t. (2) Purg. e. 32, V. Sy e segg. II sJg Francesco Perez, flna- mato poeta paleriiiilano, in un suo ragionamento Sulla prima allegoria di Dante; sliinipalo a Palermo nel i836, dà M'albero del paradiso terrestre la stessa interpretazione che io, e molto si avvicina anche iu quella del drago. dosi mi vien riferito dui mio progiatissimo confratello il p, Giuliauijii «^uaie le»lè lesse a Palermo questa preziosissima prò- aCa Letteratura A tale autorità furono assoggeltati da Dio i ne*-, stri progenitori Adamo ed Eva coll'espresso coman- do imperiale che non gustassero del frutto soave al gusto dell'albero del bene e del male ; così de- nominato ad ijidicare che dalla obbedienza all'auto- rità imperiale deriva il bene della società, come dalla disobbedienza il male. Con simile comando, od in-> tcrdetto inteso moralmente, i nostri progenitori fu- rono posti sotto7 velo dell'obbedienza alla raonar^ chla (i) ; ciò sia a dire, furono posti misticamente sotto l'autorità imperiale , a fine che obbedienti vi-" vesserò sempre felici nel paradiso terrestre; ove adom-^ brasi lo stalo imperiale nella piìi perfetta sua forma e tranquilla felicità per la pratica delle virtù morali della vita civile, figurata in Matelda che sceglie fior da fiore, virtù da virtù; le quali sono ornamento del- l'uomo perfetto e felice. Ma Eva sedotta dal serpente, avendo con Adamo gustato dei fruiti dciTalbero in- terdetto, rubò la pianta, e con bestemmia di fatto offese Dio, che solo alluso suo la creò santa (2); ossia disobbedì a Dio imperatore, con cui prelese di partecipare all'autorità imperiale, e sottrarsi all'obbe- dierjza. Però Iddio in punizione gli scacciò fuori del santo impero, escludendo con essi tutti i loro discen- denti, dannati alle fatiche e morbi della vita presente. dazione senza potersene procacciare una copia. Però, se godo nello intendere che questo chiarissimo A. mi abbia preceduto battendo la stessa via delle opere di Dante, ed in particolar ma- niera della monarchia; devo dolermi fortemente di non aver po- tuto conoscere che per nome così pregiato lavoro É veramente un grave danno che i buoni libri siano i meno divulgati ! (1) Purg. e. 2g, v. a5 e segg. e. 33, v. 70. Par. e. a6, v. ii3. (2) Purg. e. 35, V. 55 e segg. fino al v. 73. Allegoria della divi^ja commedia 2 Gì» In questo derubamento la pianla rimase vedova (li fiori e di fronde. Dunque dalla disobbedienza all' autorità impe- riale, o, come lo dice Dante, dal non aver voluto Eva soffrire alla virtù che vuole freno a suo pro- de (i), ne vennero tutte le disgrazie all'umana gè- nerazione; di qui cominciò il torcersi dalla via di verità e da sua vita (2). Intendesi ora la ragione, per cui la gente santa, che precedeva '1 grifone , alio avvicinar alla pianta imperiale non cantavano, ma mormoravano tutti A- damo, che in essa aveva peccato, e perciò rimase cosi . vedova de'suoi adornamenti (3). Siccome il peccato del primo padre fu un at- tentato contro l'autorità del celeste imperatore, così il Figliuolo di Dio discese a salvar l'uomo incarnando, per punire nel suo corpo colla obbedienza all'imperatore terreno, rappresentante del celeste, la colpa originale. Dante lo raffigura nel grifone, animale di due natu- re, aerea e terrestre, divina ed umana. Gesù Cristo nella sua vita e passione riconobbe e confermò l'au- torità imperiale in tutta la sua estensione , e l' ob- bedì: fu inserito nei registri dell'impero appena nato: ordinò che si desse a Cesare quello che è dì Cesare, a Dio quello che è di Dio; significando l'esatta sepa- razione delle due autorità spirituale e temporale: con- fessò che il suo regno non è di questo mondo; ciò sia, che non venne a guidare alla felicità temporale di questa terra, ufficio che è del monarca; ma a quel- (1) Farad, e. 7, v. 25. (a) Paracl, e. 7, v. 36. (5; Purg. e 5i, V 37. 264 Letteratu ra la del cielo, ufficio del papa: fiualniente, potendo soì- trarsi, voile sottomettersi alla condanna di morte ema- nata da un rappresentante dell'imperatore (i). Il per- chè i beati delle due alleanze all'avvicinarsi del gri- fone alla pianta cantavano: « Beato se', grifon, che non discindi Col becco d'esto legno dolce al gusto, Posciachè mal si torse '1 ventre quindi (2). n Il grifone poi , mostrando di approvare sì bello en- comio , rispondeva : Sì si conserva H seme d' ogni giusto', ciò sia: così operando si conserva la radice, il principio fondamentale d'ogni giustizia, lasciando alto imperatore di lei ministro quanto spetta alla sua autorità. Per questo medesimo lasciò il timone di le^ gno legato al legno della pianta ( E quel di lei, a lei lasciò legato ) (3) : lezione aperta che M papa colla chiesa ( raffigurali nel timone e nel cafro ) sono soggetti e raccomandali, quai cittadini temporali a membri della società, alla vigilanza e cura dell' im- peratore (4)- La monarchia temporale è superiore alla chiesa nelle cose mondane, e può stare senza essa; ma per tanto tempo gode onorata e piena felicità, quanto si tiene ad essa uiìita. Poiché dalla chiesa le vengona guidate le sette virtìi, ed i precetti da Dio rivelali (i) Par. e. "j tutto intero, e particolarmente v.^ 49> 5o, 5i. Monarchia lib. I, Gap. ultimo, lii). 2, cap. lu e i5. {i) Purg. e 32, V. 43- (3) Piirg. e. 32, V. 5i. (4; Myu. lib. 2, e. i2, i5, veclansi per intero. Allegoria della divina commedia 265 a norma del ben vivere quaggiù in ordine al cielo. Ma se questa perseguita la chiesa, danneggia se me- desima ; se poi troppo debole o troppo affezionata le accondiscende eccessivamente, e 1' arricchisce ol- tre l'equo, danneggiando e se e quella, si espone al certo pericolo di esserne privala. Roma è la sede in- divisa dell'impero e della chiesa. Queste sue oiùnio- ni vennero figurate dal poeta nella unione del carro e dell' albero giacenti in una medesima terra detta vera (i), ossia la vera città capitale dell'impero e del pontificato: nell'istantaneo rivestirsi di fiori e fron- di che fece la pianta all'arrivo del carro; nello scheg- giare e sfrondare che sofferse quando l'aquila folgorò giù per essa conlro'l carro: nel divenir mostro che que- sto fece ricevuto il dono delle piume aquiline a ca- gione della puntura velenosa del drago nel fondo del carro : e nella totale furazione di tutto '1 carro fatta dal gigante (2). CAPITOLO XVL Le due coi-tì imperiali^ Gerusalemme era la cillà sacerdotale e reale di tutto il popolo eletto, immagine della città di Dio; ma, causa la perfidia de'suoi sacerdoti che fece croci- figgere Gesù Cristo sacerdote eterno, il sacerdozio ed il regno e la capitale furono tolti a lei, e trasferiti a Roma per divino comando. Onde questa fu capitale di tutto il mondo, sede vera dell'impero e del nuovo (i) Purg. e. 32, V. 94. (2j Purg. e. 3i, passim. a66 Letteratura pontefice, immagine della Roma celeste, città capita- le di tutto l'universo : il suo nome, le sue dignità, i suoi uffici non sono che ombre del nome, delle di- gnità e degli uffici della celeste (i). Però V imperatore che sempre regna siede nel- l'empireo sua città come re, ivi comanda senz'altro mezzo in persona : gli altri nove cieli sono detti re- gni dell'impero (2), ove come vicari imperiali regna- no le intelligenze rispettivamente motrici. Dio Impe- ratore ivi non regge ^ ma impera, come lo dice Vir- gilio : «... Quello imperator che lassa regna ^ Perch'io fui ribellante alla sua legge, Non vuol che in sua città per me si vegna. In tutte parti impera, e quivi regge : Quivi è la sua cittade e l'alto seggio (3). » Gli angeli adunque ed i beati sono gli avventurosi cittadini e dignitari di Roma celeste, aventi alla te- sta Gesù Cristo, lo Spirito Santo e Maria Vergine. Nella corte del cielo altri sono dell'ordine patrizio, altri duchi, baroni , principi e re. Cristo medesimo come uomo è detto cittadino romano (4)» come sa- cerdote è abate del collegio (5) : poiché essendo ivi Dio uno e trino, fonte e centro di tutta l'auto- rità monarchica e pontificia, Cristo suo figlio unige- nito , esempio e forma della chiesa , vi figura come (ij Epìsl. cardinalibus ilaiicis §. i. (2) Farad, e. 5, gS. (3) Inf. e. I, V. i'24- (4) Purg. 02, V. 102. (5j Purg. e. 26, v. i5a. Allegoria della divina commedia 267 àbale : e però per la stessa ragione lo Spirito San- to è detto senatore là nel convito (i), ove dice che l'arcangelo Cabrile fu mandato a Maria da parte del senatore celeste. Per simil guisa la madre , la sposa e la figlia del re e dell'imperatore della cele- stiale Roma, ora è detta regina^ ora augusta , ora donna gentile: denominazioni tutte che rivengono , secondo lo stile dei latini, alla espressione di donna della casa imperiale (2). Se i commentatori avessero badato a questi prin- cipii, non certo avrebbero declamato cotanti spropo- siti contro Dante per le denominazioni sin qui esposte. CAPITOLO XVII. // carro del grifone e sue trasformazioni. Il carro rappresenta la chiesa , e le due ruote siguiBcano la dottrina sacra e la povertà. Sono que- ste, secondo Dante, le due grandi armi lasciale dal Redentore a difesa, aumento e decoro della sua spo- sa : è questo il fondamento, su cui deve poggiare il suo carro trionfale : sono queste le ruote su cui pro- gredisce. Con queste corse vittoriosa propagandosi mi- racolosamente dalla Giudea per lutto il mondo. Con queste confuse, vinse e fugò i suoi avversari civili ed eretici. Cotale spiegazione mi venne suggerita dagli argomenti medesimi che veggo usati dal poeta, per ri- condurre la chiesa ai veri suoi principi!. Poiché, lo- (i) Coriv. trai. 2, cap. 6.- se pure non v'ha errore di lezionci (aj Paiad. e. 5i, v. 116, e. 3a^ ii4, ug. 268 Letteratura tlala a cielo nel paradiso (i) la povertà del serafico Francesco e la dottrina del cherubico Domenico, as- serisce esplicitamente essere queste le due ruote da Cristo lasciate alla chiesa, onde vinca la sua ci^>il briga (2). Per questo canta e ricanta le mille volle il pregio della povertà, la divinità della vera dottrina, biasimando altamente l'abuso delle decretali, da tutti a quel tempo seguite e studiate col micidiale disprez- zo di quella (3). E finalmente ritorna ancora su que* sto nella lettera ai cardinali : « lacet Gregorius fuus in telis aranearum, iacel Ambrosius in neglectis cle- ricorum lalibulis; iacet Auguslinus abiectus, Dioni* sius, Damianus et Beda: et nescio <^uoA speculam, Innocentium et Ostiensem declamant. » Ma ritorniamo al carro. Appena tu donato dal- l'aquila, tosto cominciò la tentazione infernale con- tro lo slesso. Tra l'una e l'altra ruota usci dalla ter- ra un drago, che punse colla coda velenosa, quasi ve- spa, il fondo dell'arca; ed infusovi il veleno, ritrasse la coda e corse vagante per la selva. Ed ecco in bre- ve manifestarsi la velenosa forza della puntura : sic- come vivace terra si copre di gramigna; così il car- ro tutto, il timone e le due ruote si copersero delle piume dell'aquila, donate forse con benigna inten- zione. (1) Farad, canti 11, 12, i3. (1) Se tal fu l'una ruota della biga In che la santa chièsa si difése^ E vinse in campo la sua eivil briga. Ben ti dovrebbe assai esser palese L'eccellenza dell'altra, di cui Toniina Dinanzi al mio venir tu si cortese. Farad, e. 12, V. 106. {3j Farad, e. 24, e 29, e. 12. Allegoria della divina commedia 269 « Trasforraato così 'l difìcio santo Mise fuor teste per le parti sue, Tre sovra'l temo, e una in ciascun canto (i).») Il drago, che esce dal centro della terra, è l' invidia prima (2), Lucifero, che invidioso della prospera pro- pagazione della chiesa, si giovò della dote offerta da Coslaiitino al papa; e con suggestioni di avarizia e di arnbizion di cornando, poste in cuore ai pastori, corruppe il loro affetto e la loro santità, affezionan- doli alle cose terrene : però è che, al dire di Dante, il diabolico suggerimento quasi incendio avvampò di guisa il cuor loro , che abbandonato 11 desiderio del cielo si diedero tutti alle ricchezze e al potere monda- no. Ma siccome le due basi su cui fondasi la chie- sa, la povertà e la dottrina sacra, non permetto- no di possedere; il diavolo trovò una via di mezzo, una nuova dottrina che conciliò la ricchezza ed il potere terreno col vangelo, interpretando a suo mo- do la scrittura j3); onde dissero i nuovi pastori : Il mio regno è di qìicsto e delValtro mondo : sono queste le interpretazioni date da alcuni alle decretali, che appunto così concentrano nel papa l'una e l'altra autorità, spirituale e civile; uniscono la spada col pa- storale. Questo tutto vien significato dalle due ruote coperte dalle piume ( Vedi a questo proposito hi fine idei canto 9 del paradiso ). Quest'ambizione di monarchia civile è la don- (1) Purg. e. 32. (2) Inf. e. I, V. 112. (3) Monarchia lib. 3. 270 Letteratura na sciolta^ che sorge sicura quasi rocca sul carro Coronato dai sette peccati capitali ( le sette teste cor- nute ), trescando con un gigante che geloso la cu- stodisce. Il gigante poi, figlio della terra, neraio deU la potestà divina; di quella razza che mosse guerra airOnnipotente monarca di tutto l'universo, figurato in Giove, della quale discese quel Goliat che com- batteva contro '1 popolo eletto, e fu ucciso da Da-» vide; figura, per confessione dello slesso autore, la parte guelfa (i) potente in Italia e protetta in Fran^ eia: di cui faceano parte gli assai re , e le migliori repubbliche italiane : la quale parie gagliardamente opponevasi alla dii'ina autorità da Dio comunicata all'imperatore, sotto colore di atlri!)uirla al pana , che la desiderava; ma in verità per vivere senza sogr gezione, per liberarsi dal timore di un giudice poten-r tjssirao e giustissimo. Per tal fine con lusinghe d'arrir bizione tenevano il papa a sé legalo e stretto , co-? stringendolo con simili allettamenti e sforzi a muo- versi secondo il loro piacere ed interesse, pretendendo che benedisse chi essi dicevano di benedire, e maledi-r cesse chi era colpito dall'odio loro (2). Che se il papa mal reggendo alle crudeltà guelfe, che emulando le ghibelline avvilivano l'Italia alla condizione dei bruti, intanto che ebri di ferocia schiacciavano le teste dei migliori cittadini, o per lo meno avidi delle loro su' stanze gli sbandeggiavano; se il papa, dico, circon- dato dai sospiri che gli stracciavano le viscere, mo- — > (i) ,, Eia igitur riimpe moras , proles altera Isai, sume libi iìduciam de oculis Domini Dei Sabaoth corani quo agis , et Go- liam hunc ia funda sapienliae tuae, atque in lapide virium tua- rura, prosteme. „ Epistola ad Henricum VII. (■2) Mon. lib. 3, e. 3. Epistola ad Henricum. Farad, e. 9. Allegouia detxa divina commedia 271 strava compassione degli oppressi, ed inclinava a pro- movere la venuta del giudice della società, il mini- slro della giustizia , l'imperalore, che mettesse pace nel bel paese : essi lo maltrattavano per ogni guisa, e slaccandolo per forza dall' idea per loro micidiale che lo inclinava all'impero, lo costringevano a corre- re, operare e quasi pensare secondo i loro empi e ca- pricciosi disegni; quasi che il papa fosse cosa di tutta loro proprietà (i). Un agire tanto diverso e crudele venne dall'al- ta fantasia dell' Allighieri dipinto cosi al vivo verso il fine del Sa del purgatorio in un quadro allegorico, che non pure si legge, ma son per dire, si vede e tocca. Stando così le partite, non sarà forte cosa il rav- visare chi sia quel cinquecento diece e cinque mes^ so di Dio die ancider^i la fuia, e quel gigante che con lei delinque (2), Questi non può essere altro che Verede delVaquila (3), l'imperatore. Egli solo può misurarsi con gloria col gigante che aveva prose- liti devoti e potenti in tutte le città italiane e fran- cesi : egli solo, e non altri, può ridurre nei giusti li- miti di una modesta matrona e regina la temporale podestà della chiesa, uccidendo la sfrontatezza di quel- la donna, ossia Vambizione della monarchia civile., la quale fu vista peccare coi re deila terra, prestan- dosi per denari alle inique loro dimande. Ne qui fi- nisce lo sdegnoso poeta: ma nel paradiso ritorna su questo punto medesimo accagionando di tulto'l ma- le Firenze, col farsi dire da Folco : (r) Muratori, Annali d'Italia all'anno i3i2, tom. 8. (2) Purg. e. 32, V. 43. (3) Purg. e. 33, V. 37. aya Letteratura a La tua città, che di colui è pianta Che pria volse le spalle al suo fattore, E di cui è la invidia tanto pianta, Produce e spande il maledetto fiore Che ha disviate le pecore e gli agni , Però che ha fatto lupo del pastore . . . Ma vaticano e Taltre parti elette Di Roma, che son state cimitero Alla milizia che Pietro seguette, Tosto libere fien dall'adultero (i). « La nostra allegoria ci additò nel drago e nel gigante personaggi ben diversi da quelli comunemente ve- dutivi dagli espositori: e noi abbiamo dovuto ricono- scerli pei veri coperti dall'autore sotto bella menzo- gna. Come in effetto rimanerci duri a credere che il drago sia Maometto, vedendo che Dante lo fa uscire dalla terra , nel cui centro stanno non gli uomini, ma Lucifero col maledetto strupo? Come non avve- derci che quel figgere la velenosa coda su per lo carro e ritrarla come la vespa , piuttosto che una azione fatta per furare del fondo, significasse meglio un pungere per avvelenare? A che segue appunto qual triste effetto quel moltiplicare come gramigna che fecero le piume: il sorgervi le sette teste cornute ec: azione che non successe prima che il drago v'infon- desse il veleno: ma questa, come la puntura velenosa della vespa, produsse l'alterazione di tutto il carro of- feso ed avvelenato. Il perchè ci parve chiaro, che il drago sia una cosa medesima colla invidia prima che » m. (i) Parali- e. 9. Allegoria della divina commedia ayS diparte Jall' inferno la maledetta lupa ( il male che occupa tutto il mondo pel cattivo esempio de'pasto- ri ) la quale in prima origine è l' ardente brama di oro e di comando, a cui accenna frate Guido nel 27 dell'inferno, narrando di Bonifazio che chiese lui per maestro a guarir della sua sjiperha febbre\ origi- nata dalla velenosa puntura del drago infernale. Maometto non cagionò alterazione nella gerar- chia ecclesiastica: corruppe i seguaci, trascurò i pa- stori. Non assai è lontano da questa interpretazione Pietro di Dante , che nel drago ravvisa l'anticristo, che poi è una medesima cosa col diavolo. Finalmente il gigante non può significare alcun re: egli fu sempre considerato come un aborto di na- tura, un accozzo di immense forze impiegate contro la vera autorità. Così ce 1' offre la scrittura in Go- liat e nei figli della terra; così ce l'offre la mitologia. Dunque impropriamente sarebbesi usata così indegna figura a significare individualmente il re di Francia, tenuto da tutti e dal nostro autore per legittimo re di quella nazione. Di più, non si saprebbe quando quel re ascendesse in persona sulla cattedra di Pie- tro, e in Roma per trascinarla via. Le quali tutte in- conseguenze e falsità scompaiono e s' induce analo- gia in tutto il simbolo , se nel gigante si ravvisa il mostro della parte guelfa, la quale e rifiutava obbe- dienza al monarca temporale vicario di Dio, ed attri- buiva l'uno e l'altro potere al papa, traviandolo dal cielo alla terra. E siccome i guelfi vantavano tra i lo- ro parteggianti i pastori tutti, cui favoreggiavano; cosi •«lavano veramente diritti sul carro del grifone. Anzi il gueifismo, che millantava per seguaci i più potenti re, principi, signori, e repubbliche d'Italia e di Fran- G.A.T.XCVI. la 2^4 Letteratura eia, era davvero quel colossale gigante, «.he nel senso ' del nostro A., distaccato il carro daWalbero tempo- rale, lo trascinò fuori della selva beata, e lo confinò nella selva selvaggia da cui era fuggito il poeta. Il nostro pensiero prende largo conforto dalla pittura della chiesa che si legge nel 19 dell'inferno: perchè qui con eminente fantasia poetica in un solo individuo mostruoso volle abbracciare tutte le poten- ze terrene, cui si prostituiva la donna dell'apocalis- se. Confrontisi questa immagine del purgatorio con quella dell'inferno. A piìi valida conferma dell'asserto viene quell'al- tra pittura in bocca di di Beatrice al canto 33 del pur- gatorio, che promette un erede dell'aquila, un impe- ratore che ucciderà il gigante e\àfuiu: in cui Dante mirava all'Italia, e non alla Francia: mirava alla parte guelfa che affascinava la chiesa e l'Italia, e non a Fi- lippo: mirava a quel Goliat, contro cui apertamente in- vita Arrigo nella lettera di cui sopra è fatta menzione, CAPITOLO XVIII. Figure simboliche descritte nel poema. La nostra allegoria viene mirabilmente confor- tala dalle figure plastiche e scientifiche inserite per tutto il poema sacro; come apparirà da alcune, che qui riferiremo per prova. I. Il colosso di creta. La statua del gran ve-» glio di creta è una colossale immagine della monar- chia. La prima idea fu presa da quella di Nabuco ; ma essendo diretta ad uno scopo molto differente, fu perciò variata in molte sue circostanze e di luogo e Allegoria della divina commedia 275 idi forma e di atteggiamento. Quella del re assiro fu ideata in un luogo aperto qualunque, col capo d'oro, col petto e le braccia d'argento, il ventre, sino alla forcala, di rame , le cosce e le gambe di ferro, ter- minata nei piedi di ferro e creta ifumischiali. Quella di Dante ha bensì la slessa materia e disposizione a comporla; ma oltre che ha la figura di un gran ve- glio, ed ogni parte, eccettuato l'oro, è rotta da una fessura, psr cui gocciano lagrime, ha pure il sinistro piede tutto ferro come le gambe , mentre il destro, su cui si regge a preferenza, è tutto di terra cotta, di più sfa diritta in una grotta del monte Ida in Cre- ta, e date le spalle ver Damiata, guarda Roma come in suo speglio. Perciò è che mal si apporrebbe chi da quella volesse indovinare il simbolo di questa. A parer mio la spiegazione è da prendere dalFidea ido- latrata da Dante, la quale, come è l'oggetto di tutte le sue opere minori, così forma tutta la base della parte politica del suo poema. Creta è l'isola dell' Egeo, stante in mezzo alle tre parli del mondo note a quel tempo: dove Satur- no primo re, primo monarca di tutti gli uomini, fe- licitava la terra con un governo talmente paterno e saggio, che diede il nome all'età dell'oro (i). Per la quale cosa l'Allighieri ne insegna ed accerta che Virgi- lio, cantando dell'età dell'oro, del regno di Saturno, del ritorno della Vergine sotto l' impero d' Augusto, non altro intendeva che magnificare gli ottimi effetti della monarchia universale, di forma che età delVoro, (i) caro duce Sotto cui giacque ogni malizia morta. Farad, e. i t , v. 27. 276 Letteratura ritorno della tergine e regno di Saturno non sia che un sinonimo del governo imperiale: il coman- do di un imperatore su tutti i re e i popoli della terra (i). In quest'isola sorge il monte Ida, ove stan- no le aquile, insegna della monarchia. Dal quale mon- te, quando al cessare di Saturno la monarchia passò di Creta a Troia, fu tolto il nome per darlo ad un altro monte in Frigia, propinquo alla capitale dell* impero. Da questo secondo Ida un'aquila rapì Gani- mede per ordine di Giove, e trasportollo sull'Olim- po al banchetto dei numi: immagine che mostra co- me la monarchia avvia gli uomini alla felicità di que- sta vita. Ora dentro quell' antico monte medesimo dell'isola guasta e deserta sta appunto diritto il mi- sterioso colosso (2). Il suo aspetto è quello di un gran veglio ; e vecchiezza è per Dante l'età del comando, come quel» la ove si trova prudenza e giustizia (3). Egli signi- fica nelle diverse parti le diversità dei governi che regolano la civile società: monarchia, regno, repub- bliche, municipii e famiglie: e secondo che più o me- no sono dannosi all'uomo, cosi peggiorano di metal- lo , e gettano più o meno gocce, che sono le lagri-r me dei cittadini. La monarchia, governo imperiale, per la sua ec- cellenza è adombrata nell'oro del capo: è comanda- mento dei comandamenti , governo dei governi , da cui tutti dipendono, come da capo e da giudice; uf- ficio temporale, ministro di giustizia, dato da Dio a (i) Mon. lib. I, e. IO. (2j Inf. e. i4, V. 94 e seg (3J Conv. Irati. 4» e- 27. Allegoria della divina commedia 277 difesa degli uomini verso i governanti ed i governati: è un padre, un giudice a favore degli oppressi. Però essa non dà lagrime: che ninno soffre, ninno piange per cagion sua: « è questo un principato che mantiene li re contenti nelli termini delli regni, sicché pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno; il quale preso, l'uo- mo viva felicemente (i). » Il regno, significato dall'ar- gento, ove un lungo tratto di paese con più città è governato da un solo, detto re , soventi fiate è ca- gione di oppressione ai sudditi: esso adunque ha una fessura, da cui gocciano le lagrime degli oppressi. Ma più del regno è pesante la repubblica, ove molti co- mandano de'signori e degli ottimati: e più ancora è pesante il governo municipale: perciò quello è signi- ficato dal rame, e questo dal ferro. Finalmente il destro piede, su cui poggia princi- palmente la statua, è di terra cotta, che significa la casa formata di mattoni, simbolo del governo di fa- miglia , ove il padre è capo assoluto detto padrefa- miglia. La casa o la famiglia è il fondamento di tutta la società umana; che le famiglie compongono le vi- cinanze e le città, e da queste son composti i regni e le repubbliche: le quali tutte parti unite formano l'impero (2). Si aggiunge che '1 veglio, date le spalle a Da- miata, guarda Roma quasi fosse '1 suo specchio, cioè a dire con grande compiacenza: e ciò ben a ragione, perchè anche Roma desidera lui ardentemente , che (i) Monarchia, liti i, e. io. Convit. trat. 4> e. 4- (2) Mon. lib. I, cap. 5 e i3. Couvit. ivi med. 2^8 Letteratura piange vedova, sola, e di e notte chiama: « Cesare mio» perchè non m'accompagne » (i) ? Il guardare del vec-^ chio verso Roma, con le spalle volte a Dainiata, signi- fica che la monarchia cominciata in Creta, di li pas- sala a Troia, onde venne con Enea in Alba, e quin- di a Roma, è partita dal levante, e correndo addie-- tro al moto celeste, andò verso ponente, ed ha posto sua sede in Roma, per consiglio divino decretata ca- pitale dell'impero e del pontificato. Però il vecchia si compiace di mantener la sua sede in essa, come? Dio comanda (2). Verrebbe qui da osservare alcun che sulla opi- nione del Costa, e per brevità ci restringeremo a tv6 cose. 1, Mostra di non conoscere che cosa sia mo- narchia per Dante: poiché il Costa la prende pel go- verno di un solo, non accorgendosi che tale proprie- tà è comune ai regni. Ma Dante nella monarchia an- nette la nozione che '1 monarca , chiamato impera- tore, di tutti li comandamenti egli è comandato- re (3): di guisa che la monarchia ha un capo detto* imperatore che assolutamente comanda a tutti i re » repubbliche e municipii del mondo. 2. Il Costa nulla dice della terra cotta che for- ma 'l destro piede , base di tutta la statua ; né del reggersi che fa in essa, più che sul ferro: le quali cose (r) Purg. e. 6, v. 112. (2) MoD. lib. 2, e. II. Inf. e. a, v. 10. (3) Conv. trat. 4j cap. 4- Est ergo temporalis monarchia, quam dicunl iniperium^ uniis principatus, et super oinnes in tempore , vel in iis et super iis quae temporaliter mansuranlur. Mon. lib. i, cap. 2. Allegoria della »jvina commedia 279 da lui trascurate giovano a maraviglia al coinpimonlo della figura. 3. Flnalmenle il Costa, nel guardare che il ve- glio fa Roma come suo specchio, riconosce il riget- tare che Roma fece dell' impero. Ma primieramente Roma non rigetlò l'impero, ma lo desidera ardente- mente col chiamare che fa vedova e sola: e Cesare mio perchè non m'accompagni ? « Quindi ciò è contro al- tresì alla meccanica operazione del veglio e dello spec- chio. Di fatto il guardare Roma come in suo spec- chio, mostra un grandissimo piacere di ciò fare nel veglio; e se Roma rigettasse l'impero, il vecchio non si compiacerebhe di guardarla, h non è poi vero che lo specchio, come dice il Costa, rigetti da se l'im- magine di chi gli sta innanzi : per contrario 1' at- trae, e se ne impronta, mostrandola altrui dentro di se. Tale è la teoria universale , e quella di Dante che scrisse : « S'io fossi d'impiombato vetro - L'imma- gine di fuor tua non trarrei - Più tosto a me, che quella dentro impetro (1) ». 2. Zodiaco ed equatore. Anche nel zodiaco e nell'equatore Dio ha dato un precetto morale all'im- peratore ed al papa. L'equatore significa il papa , il zodiaco l'impe-' ratore. Questo cerchio è per divina disposizione di- stante da quello per 2 3 gradi circa, e non s'incon- trano che in due punti, ove cominciano e finiscono, i quali significano Dio principio e fine d'amendue (2). Il zodiaco, che porla i sette pianeti che tanto influiscono sul bene temporale della società, è lo ado- (1) Inf. e 23, V. 95. (2; Paiad. e. IO. aSo Letteratura perare dell' imperatore a prò dei cittadini. Se àiié^ ■ sto cerchio si allontanasse di più, o di più si avvi-* cinasse all'equatore di quello che ora fa, nel mondo fisico seguirebbero mille sconcerti. Del pari se l'au-* torilà imperiale o troppo si allontanasse dalla ponti- ficia contrariandola, o troppo le si avvicinasse asse- condando oltre il convenevole , infiniti danni mo- rali verrebbero alla società. Pertanto mantenendo l'uno sopra l'altro quella equa autorità rispettiva da Dio comunicata , ne deriva la temporale felicità ed eterna di tutta l'umana generazione. Tale idea nacque in mente al poetai entrando' nel sole, che stava in ariete, Oi^e Vun moto alValtro si percuote ; e l' alta sua mente ravvisò nel sole l'esempio di Dio che dà origine e moto ai due cer- chi, non meno che ai due uffici sovrani della socie- tà. Sono queste le verità che prelibando ha messo innanzi al suo lettore^ cominciando'! canto decima del paradiso, dietro a cui lo invita a pensare medi- tandone il significato allegorico e morale, se vuol es- sere lieto prima che stanco. 3. Fetonte. Le favole dei poeti concorrono esse pure nel principio irrefragabile che gli alti uffici, da Dio immediatamente comunicati e commessi ad al- cuno, non mai si possano esercitare da altri, senza cagionare orribili sconcerti, ed attirarsi addosso tre- mendi castighi. Fetonte, figlio di Febo, con preghiere ottenne dal padre di guidare il carro del sole: ma correndo i ca- valli mal retti dal freno, avvenne che essendosi sviati dalla tracciata carriera, diedero fuoco al cielo. Il per- chè la terra, minacciata di grave incendio, riclaraò a Giove per cessare l'imminente conflagrazione univer- Allegoria della divina commedia 281 Sale: e Giove, arcanamente giusto, fulminò l'audace t'etonte , e lo sommerse nel Po. Lezione tremenda all'imperatore Costantino, ed a quanti troppo condi- scendenti concedono in tutto od in parte altrui le redini della monarchia loro immediatamente affidate da Dio medesimo. Il sole è il monarca facilone che per piacere al figlio, lo fece sfolgorare (i). Dopo questa lezione di arcana giustizia i pa- dri sono divenuti più scarsi e ritenuti quando i fi- gli chiedono alcuna grazia troppo ardita (2). E que- sta la ragione per cui Dante tratto tratto ricorre a tal favola nel poema , nella monarchia e nelle let- tere (3). 4. Oza. Ma non è solo il monarchico ufficio che è delitto a trattarsi da chi non vi è chiamato per divino consiglio; lo stesso avviene del ponlificio per testimonianza del sacro testo. Dio punisce con egual severità chi temerariamente vi s'immischia. ]Ne è spaventevole prova Oza, a ritegno di chi attentasse alla spirituale autorità pontificia anche con l)uona in- tenzione. Dante lo rammemora nel purgatorio : « Era intaglialo lì nel marmo istesso Lo carro e i buoi traendo l'arca santa , Perchè si teme ufficio non commesso (4). » E quasi che non bastasse l'avviso accennato in Oza, il poeta a far chiaro il suo intento su questo prin- (i) Purg. e. 29, V. iig. (2) Farad, e. 17, v. i. (3) Monarch. lib. 3, cap. lo. (4) Purg. e. IO, V. 55. 282 Letteratura cipio, che tulli, il re e l'imperatore compresi, sona. rinchiusi nel suo aramonimenio, loda re Davide che immischiato col popolo, spogliato d'ornamenti reali, danza divotamente innanzi all' arca (immagine della chiesa), dicendolo in quel caso pia e men che re: più, perchè servire con umiltà a Dio è regnare su tulle le creature: meno, perchè si mostra soggetto al direttivo spirituale. E per dar risalto ancora alla sce- na, descrive ad una finestra dispettosa e trista per Vumiltà del consorte la superba figlia del re Sanile; cui Dio precipitò dal trono perchè pose mano all'in- censiere, ufficio riservato al sommo sacerdote. CAPITOLO XIX. Giove. La commedia essendo composta alla foggia poe- tica antica , 1' autore trattò gli argomenti adoperan- do in essa la maniera e lo stile poetico , Jittivo , descrittivo del suo tempo (i) : espressioni che sono per lui come un solenne precetto poetico, al quale dovevasi poi conformare tutto l'andamento esteriore ed interno della fervida sua immaginazione. Fu dunque per Dante, non che lecito, ma un dovere l'inlessere ne' suoi versi i voli poetici , le favole e le maniere usale dai poeti latini di maggior voce: e siccome in quei primi anni d'infanzia per l'italiana favella e poe- sia erano modelli di sommo pregio i luminari della poesia greca e latina; così, come quelli, essi pure rac- chiudevano i più alti concetti della mente sotto il '^i) Epìstola ad Con. Grand. §. 8. Allegoria della divina commedia 283 tilanto della favola , per circondarli di una raaravi- gliosa apparenza, che abbelliva i loro versi, nell'atto che prestava loro il comodo di produrre ampiamente e con dignità le più ardite immagini che mal pre- stavansi alla veste della nascente lingua volgare. E perchè ciò avveniva con ragionevole fine ed opera stu- diata, con sì pensato artifizio e destrezza innestavano quei nomi nei versi che, mettendo poi in aperto le vere immagini nelle favole racchiuse , presentavano agli uditori le più alte dottrine scientifiche e morali. Perciò Dante non ne fu schivo, ma tratto tratto ne ingemmò le sue poesie giovanili e le susseguenti , sino al maggior parto del suo ingegno, tenendo sem- pre fissi gli occhi della mente a questo precetto. Oda- si in fatto come ben ne discorre nella P^ita Nuova, commentando il sonetto: (t Io mi senili svegliar den- tro dal core. « Potrebbe qui dubitar persona ... di ciò che io dico d'amore, come se fosse una cosa per se, e non solamente sostanza intelligente, ma come se fosse sostanza corporale. La qua) cosa secondo ve- rità è falsa: che amore non è per se siccome sostan- za, ma è un accidente in sostanza ... A cotal cosa dichiarare, secondo che è buono al presente, prima è da intendere che anticamente non erano dicitori d'amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'amo- re certi poeti in lingua latina, tra noi dico . . . non volgari, ma lilterati poeti queste cose trattavano . . . Onde conciossiacosaché ai poeti sia conceduta mag- gior licenza di parlare che alli prosaici dicitori , e questi dicitori per ripa non sieno altro che poeti vol- gari , è degno e ragionevole che a loro sia maggior licenza largita di parlare, che agli altri parlatori vol- gari: onde se alcuna figura o colore rellorico ò con- 284 LETTÈRATÙtlA ceduto alli poeti, conceduto è a' rimatori. Dunque se noi vedemo che li poeti hanno parlato alle cose ina- nimate come se avessero senso e ragione , e fattole parlare insieme, e non solamente cose vere, ma cose non vere ( cioè che detto hanno di cose , le quali non sono che parlano , e detto che molti accidenti parlano, siccome fossero sostanze ed uomini ): degno è, lo dicitore per rima fare lo somigliante, non senza ragione alcuna, ma con ragione, la quale poi sia pos- sibile d'aprire per prosa ... E per questo puote es- sere manifesto a chi dubita in alcuna parte di que- sto mio libello. E acciocché non ne pigli alcuna bal- danza persona grossa , dico che ne li poeti parlano così senza ragione, né que'che rimano deono così par- lare, non avendo alcuno ragionamento in loro dì quel- lo che dicono; perocché grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa sotto veste di figura o di co- lore rettorico, e poi domandato, non sapesse dinu- dare le sue parole da cotal vesta, in guisa che aves- sero verace intendimento. E questo mio primo amico ( Guido Cavalcanti ) ed io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente. » Ora questo precetto, che fu di norma alle prime sue composizioni poetiche, ne accerta averlo seguito già fatto uomo maturo. « Il senso allegorico, dic'egli nel convito (i) , è quello che si nasconde sotto il manto delle favole, ed é una verità ascosa sotto bella menzogna; siccome quando dice Virgilio, che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere; e gli alberi e le pietre a sé muovere ec. . . . Veramente li teologi que- sto senso prendono altrimenti che li poeti; ma per- (i) Conv- trat. 2, ci. Allegoria della divina commedia 285 elle mìa intenzione è (jai lo modo delli poeti se- guitare, prenderò il senso allegorico secondo che per li poeti è usato. » Ne conferma poi d'aver se- guito colai maniera scrivendo Ja divina commedia con queste parole scritte a Cane Grande : « Forma vel modus tractandi est poeticus fictivus (i). » Non sia chi riprovi l'essere stati qui per esteso riportati questi brani, poiché trattandosi di giudicare un lavoro poetico, vuoisi conoscere prima il tempo che fu scritto, e quali fossero i principii fondamen- tali dell'autore. Le quali cose ove fossero state presenti a queir indiscreto del p. Venturi quantunque volte si avveniva in Caronte, Cerbero, Plutone e gli altri enti mitologici che figurano nella commedia, avrebbe cangiato le inopportune sue censure in largiti atti di ammirazione, ravvisando come in tempi che altri usa- vano la mitologia ciecamente senza alcuna ragione- vole arte, questi sapesse nobilmente costringerla a si- gnificati morali e cattolici. Ma perchè tra tutti questi favolosi enti uno si trova che fu addossato alla sacratissima persona del Redentore, di questo solo intendo parlare estesamen- te. Nel purgatorio (a) al figlio di Dio vero è detto: sommo Giove che fosti in terra per noi crocifisso'. e nel paradiso tornasi a parlare di Giove con rispet- to allo stesso uomo-Dio. Questa mistura parve abbo^ minevole anche ad altri meno difficili del Venturi ; ed io pure, come che inclinato a riconoscere confor- me a ragione tutto ciò che, facendosi per più anni magro , scrisse Dante , pure durava fatica a passar- (i) Epistola ad Can. Gran. §. 8. (3j Puig. e. 8, V. ii8. 286 Letteratura gliela del tutto buona. Tuttavolta considerate a do- vere le cose, e le ragioni delle cose, dovetti alla fi- ne interamente acquetarmi, e conchiudere che ne di- sprezzo, ne incoerenza, ma profonda erudizione erasi in questi due punti. Imperocché si legge in Seno-» fonte, laddove parla degli equivoci dei nomi, che: Sa- turni erano detti quelli antichissimi personaggi di no- bili famiglie reali, i quali fondarono delle città. I lo- ro primogeniti erano Giovi e Giunoni ; ed Ercoli i prodi loro nipoti. I padri poi dei Saturni erano detti Cieli, e le mogli loro erano Ree denominate; ma quelle dei cieli venivano dette Veste. Però quanti Salumi, tanti erano i Cieli, le Veste, i Giovi, le Giunoni e gli Ercoli. E seguentemente il medesimo personaggio che agli uni popoli era Ercole , ad altri era Giove. Poiché i nomi relativi possono convenire a molti per diversi rispetti, polendo essere lo stesso individuo pa- dre, figlio e nipote rispetto a diverse persone: perciò lo stesso individuo può essere Giove, Saturno ed Er- cole, come ne adduce esempio in Nino: imperocché dai caldei nomavasi Ercole, presso gli assiri era Gio- ve, perché loro diede, e fissò per capitale delfimpe- ro Tetrapoli, picclola città fondata da suo padre (^i). Ciò osservalo e ritenuto per vero, come oltre Seno- fonte e Diodoro l'osserva altresì Lattanzio; dato clie Giove significhi non altro cha figlio primogenito del- V antico re di nobile famiglia, fondatore di città ^ qual maraviglia o scandalo può sorgere dicendosi a' tempi di Dante sommo Giove a Gesù Cristo, Figlio unigenito deirEterno Padre Iddio, creatore, e conser- vatore e re di tutte le città e società del mondo ? (i) Xeaophonlis llbcr de aequivocis* Allegoria della divina gommedu 287 A clù ben guarda, non allio suona che: O sommo Fi- o-ilo delV Eterno Iddio re del inondo^ che fosti in o ... terra per noi crocifisso. Per me non ci ravviso di più; ed in un poeta del trecento, il quale pel pri- nio cominciava generosamente ad emulare nella lin- gua che chiama mamma e babbo V alta poesia gre- ca e latina, non so riprovare che poeticamente usasse un titolo di altissima dignità presso i poeti, i popoli e gli istorici pagani, per figurare una immagine cristia- na. Egli faceva del nomi ciò che i papi fecero de- gli insigni monumenti antichi rinvenuti nella città eterna, che esorcizzatili e mondatili dalle sacrileghe sporcizie degli idolatri, li dedicarono santificati o al- la croce, o a Maria Vergine; quali a s. Pielo, quali a s. Paolo ec. Dante non diversamente. Nomi usati a significazione onorifica delle pagane deità, esorcizzati, per cosi dire, dalFAllighieri, passarono purificati nel suo poema a designare dignità crisliane e cattoliclie: e Giove, non piìi il rapitore d'Europa, ma fu il pri- raog!?nito dell'Eterno Padre , creatore ed imperatore del mondo. Dichiarata così l' intenzione cattolica e pia del nostro poeta nel chiamare sommo Giove il Salvatore del mondo , credo opportuno trattenermi un breve istante a mettere in aperto il perchè di certe espres- sioni usate nel diciottesimo del paradiso intorno al pianeta Giove, ove così cauta: 0 dolce stella, quali e quante gemme Mi dimoslraron, che nostra giustizia Effetto sia del del che tu ingemme \ Perch'io prego la mente ^ in che s'' inizia Tuo moto e tua virlute, che rimiri Ond*esce il fumo che il tuo raggio vizia; a88 Letteratura Sì ch'un'altra fiata ornai s'adiri Del comperare e vender dentro al tempio Che si murò di segui e di martiri, A fine però di venire con qualche ordine e chia- rezza alla piena intelligenza di tali terzine, non sarà vana erudizione il premettere alcune cose sulle in-, telligenze che muovono i cieli, e sulla cagione ed ef-. fetto della passione del Salvatore, secondo i princi-. pii danteschi. Però diremo avanti di quelle, riservan-, doci a parlare brevemente di questa alla fine. I no- ve cieli sono girati dalle intelligenze beate, che loro comunicano anche i raggi che costituiscono la virtìi, onde rispettivamente influiscono quaggiìi su tutti gli esseri. Queste intelligenze dividonsi tutte in tre ge- rarchie o principati, ciascuna distinta in tre ordini, come segue. I serafini, cherubini, e troni formano i tre ordini della prima gerarchia: le dominazioni, vir- tù e podestà, i tre ordini della seconda : ed i prin- cipati, gli arcangeli ed angeli, i tre della terza (i). Il pruno grado in dignità e letizia è dei serafini, il secondo dei cherubini, e così discendendo sino agli angeli, che sono gli infimi e di beatitudine e di gra- do. Di più , la prima gerarchia è addetta al Padre Eterno, la seconda al Figliuolo, e la terza allo Spi- rito Santo: però è che la prima gerarchia, cioè quel-t la che è prima per nobiltà, contempla la somma po- tenza del Padre; la seconda, contempla la somma sa- pienza del Figliuolo: e la terza, contemplando ammi- ra la fervente carità dello Spirito Santo. Le intel- (i) Purg. e. 35, fine. Allegoria della divina commedia 289 ligenze adunque della prima gerarchia , Jiconsi del- Vordine del Padre, deWordine del Figliuolo è la seconda gerarchia, come la terza la è di quello dello Spirito Santo (1). Le intelligenze della prima gerarchia muovono 1 cieli cristallino, stellato, e quel di Saturno : quelle della seconda girano i cieli di Giove, Marte e Sole: al movimento di Venere , Mercurio e Luna presie- dono quelle della terza. Onde che questi ultimi tre cieli dovranno produrre effetti analoghi alla fervente carità dello Spirito Santo. Perciò i beati della luna dicevano: Li nostri affetti, che solo infiammati Son nel piacer dello Spirito SantOy Letizia?! del suo ordine formati (2). I secondi tre li produrranno analoghi alla sapienza del Figliuolo (3) : Perch'io prego la mente, in che s'inizia Tuo moto (Giove) e tua virtute, che rimiri Ond'esce il fummo che il tuo raggio vizia. E nell' alito e nei costumi di Dio Padre si avviva il movimento degli ultimi tre. Perciò scrive Dante del cielo cristallino: (1) Conv. trat. 2j cap. 5, e 6. (2) Parad, e. 3, v. 52. (3) Farad, e. 18, v. n8. G.A.T.XCLVL 19 ago Letteratura Lo real manto di tulti i volumi Del mondo, che più ferve e più si avviva Nell'alito di Dio e nei costumi ... (i). Ora sufficientemente chiarito sin qui che la dolce stella di Giove inizia il suo moto e la sua virtù nel- la mente dell' Eterno Figliuolo , quel desso che in- carnato venne a redimere il mondo dalla colpa an- tica ; passeremo a trattare dell' altro punto che alla sua passione ha rispetto. Si aggiunge al testo, che la giustizia di quaggiù è effetto della stella di Giove , la suprema dell' ordine del Vei"bo. A chiara intelli- genza è dunque da vedere quanto sul peccato di ori- gine e sua redenzione fu per noi detto nel capo XV L' albero della vita e la monarchia : dove si di- mostra che il peccato di Adamo fu tutto contro T autorità monarchica temporale di Dio ; che il Ver- bo incarnò per farne vendetta a gloria del Padre ; e -quindi essendo egli forma ed esempio dell' autori- tà spirituale e pontificia, si sottomise alla morte per decreto imperiale , dichiarando col fatto , come già r avea fatto colle parole , che sia da rendere a Dio quel che è di Dio, ed a Cesure quel che è di Cesare. Con che ristabili sulla terra la giusta ri- partizione e divisione delle due autorità, spirituale e temporale, come derivate dall'Eterno monarca, fonte di ambedue; costituendo, dichiarando e confermando l'imperatore quale vicario divino, ministro di Dio ad esercitare la giustizia sulla terra. Quanto bene adun- que sono qui nella stella di Giove gloriosi e costel- (i) Farad. c> 25, v. in. Ali^egoria della divina commedia 291 lati in un' aquila tutti i più famosi santi imperatori, re, e principi, che prima e dopo la venuta del Re- dentore esercitarono con pietà e giustizia sulla terra la divina potestà temporale a bene dei popoli e a so- stegno della religione ! e quanto giustamente ancora esclamò il poeta : O dolce stella, quali e quante gemme Mi dimostraron che nostra giustizia Effetto sia del ciel che tu ingemme (i)! CAPITOLO XX. Qiial parte seguisse Dante nel poema. Il Tommaseo nelle note alla divina commedia fa le maraviglie al vedere che l'autore danna alle pe- ne infernali indifferentemente i guelfi ed i ghibelli- ni , i papi e gli imperatori che tennero una ripro- vevole vita politica o religiosa: maraviglia pure al ve- derli indifferentemente mischiali nel purgatorio e nel paradiso. Il simile fecero altri commentatori, ed il conte Balbo neWa Biografìa delV Allighieri ^Q l'Ozanam nella classica opera: Dante e la filosofia cattolica del seco- lo XIII: fanno avvertire cosi sorprendente equità del poeta. Quanto essi notano a questo proposito è ve- rissimo: ma non è da maravigliarne, quasi che l'au- tore avesse adoperato contro alla sua parte col met- tere all'inferno i ghibellini, ed i guelfi nel pai-adisi). Si consideri il poeta come fuggito per consiglio di- vino dall' insegna guelfa , e rifugiato sotto '1 vessillo ^i) inarati, e. i8j v. n5. 292 Letteratura della vera monarchia, ma così che non appaptengc. ' più ad alcuna delle parti che straziavano la sooetà: lo si consideri devoto ugualmente all' impero ed al papato; e perciò nemico ai nemici di Dio, del papa e dell'imperatore: e in Dante si troverà il poeta della rettitudine, nome che diede egli stesso alle sue poe- sie nell'opera de Vulgari eloquio', e potrà senza con- traddirsi, o (dicasi meglio ) dovrà, per essere consen- taneo con se medesimo, punir© e premiare i cattivi ed i huoni di qualunque parte con equa lance. Pe- rò , supposti i fatti quali Dante gli afferma , starà Lene all'inferno Farinata ghibellino di costa al Ca- valcanti guelfo', l'imperatore Federico secondo, e Ni- colò III papa: il primo, perchè aperò contro la chiesa, e ne discredette i dogmi: il secondo perchè per am- bizione di comando fece contro all'impero. Brunetto Latini guelfo^ e Pietro Delle Vigne, fido segretario di Federico. Bocca degli Abati e Buoso Donati; tra- ditore dei ghibellini questo , e quello dei guelfi^ Beccheria, legato del papa a Firenze, favoreggiante i ghibellini con tradimento dei guelfi', e Gianni Sol- danieri, che a prò dei guelfi i ghibellini tradiva. Met- te i papi rei all' inferno, ma ivi pure chiude Mao- metto col seno aperto, che vi attende fra Dolcino , nemici ambidue dell'autorità pontificia. Prove sono queste evidenti , per quanto io ne sappia vedere, che '1 poeta nella commedia mostrasi imperiale e papista puro; fenomeno unico, anzi che raro a quei tempi ; egli non appartiene ad alcuna delle parti che infestavano l' Italia. Il suo poema è un continuato elogio di questi due uffizi supremi , di essenziale necessità al ben essere degli uomini, ed è una prova che egli, mantenendosi costante nel mez- Allegoria dklla divina commedia 2q3 7.0 , coinballe contro i due estremi , costringendo e cielo e terra a mostrare al moìido errante come le due monarchie universali, civile e spirituale, sgorgano dalla stessa fonte dell'eterna bontà (i). É da dire senz'ombra di errore che Dante co- minciò '1 poema come guelfo , idolatrante V autorità pontificia, nemico al massimo grado della monarchia, e lo terminò convertito con eguale amore e fede al papa ed all'imperatore, i quali però ristringe nei limiti della propria autorità ; e se dice'l papa come uomo nelle cose temporali soggetto all'autorità civile, dice e ridice pure l'imperatore nelle spirituali soggetto al- l'autorità del papa , e bisognevole della benedizione pontificia (2). Per verità era tuttavia guelfo quando ragionava col ghibellino Farinata entrando in queste parole : « Guardommì un poco, e poi quasi sdegnoso Mi domandò : Chi fur li maggior tui ? Io, ch'era d'ubbidir desideroso, Non gliel celai, ma tiitto gliel'apersi : Ond'ei levò le ciglia un poco in soso : Poi disse : Fieramente furo avversi A me, e a'miei primi, e a mia parte, Sicché per duo fiate li dispersi. S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte. Risposi lui, l'una e l'altra fiata : Ma i vostri non appreser ben quell'arte (3).» (i) Mon. llb. 3, e. 16. Lettere ai principi italiani, ed ai fio- rentini. (2) Lettera ai principi^ verso'l fine. (3) Inf. e. IO, v. 4*' 2q4 Letteratura Vedasi pure quanto segue, che nello stesso tuono ri- batte di buon polso le ragioni del glìibellino. E guelfo era tuttavia, quando nello schiantar le chiome a Bocca degli Abati, traditore dei guelfi a Moa- te Aperti, lo rimprocciava in questi accenti : » Ornai ... non vo'che tu favelle, Malvagio traditor, ch'alia tua onta Io porterò di te vere novelle (i). » ì^e ancor sapeva a qual parte appigliarsi quando chio- so a Marco l'origine delle disgrazie che infestavano l'Italia, e quegli rispondeva di sorte da far compren- dere come i guelfi non avevano tutte le ragioni: co- me mal convien che vada la spada giunta al pa- storale: che a fare il buon mondo Roma dee avere due soli, che mostrino, l'uno la strada del mondo^ l'altro quella di Dio : e quindi venirne tutti i mali che tanto sono lamentati. Vedasi di grazia quel dia- logo per intero (2). Dal 3o a tutto il 33 del purgatorio intese e vi- de cose, che lo accertarono che l'imperatore ed il pa- pa sono egualmente necessari al bene di tutta la so- cietà : ed egualmente voluti per espresso comando di- vino. Dante è pentito e riconosciuto', piange come un fanciullo battuto sino a cadere vinto dal dolore; cangia parte, e fatto uomo nuovo, lieto intonava ; (1) Inf. e. 32, V. log. (2) Purg. e. 17. Allegoria oella divina commedia 298 « Io ritornai dalla santissim'onda Rifatto sì come piante novelle Rinnovellate di novella fronda, Puro e disposto a salire alle stelle (i). » È convertito, ma ancor neofito : abbisogna di mag- giore scuola per confermarsi sulla retta via. Nel sesto del paradiso dall'imperatore Giustiniano ba potuto co- noscere, per la lunga storia, che'l santo segno del mon- do e de^suoi duci^ l'aquila, non spelta a parte. O- dansi le formali parole a tale scopo dopo l'ammira- bile narrazione delle altissime gesta imperiali a glo- ria e felicità del romano impero, ed a sostegno del- la santa cbiesa, cominciato sino dalle anticbe glorie troiane : « Percbè tu Veggi con quanta ragione Si move contr'al sacrosanto segno, E ch'il s'appropria (i ghibellini) e chi a lui s'oppone. » ij'§uelfi) Ornai puoi giudicar di quei colali Ch'io accusai di sopra, e de'lor falli, Che son cagion di tutti i vostri mali. L'uno al pubblico segno i gigli gialli Oppone, e l'altro appropria quello a parte, Si ch'è forte a veder qual pia si falli. Faccian li ghibellin, faccian loro arte Sott'altro segno, che mal segue quello Sempre chi la giustizia e lui diparte. (i) Purg. e. 33, fine. UgS Letteratura E non l'abbatta esto Carlo novello Co'guelfi suoi, ma tema degli artigli Ch'a più alto leon trasser lo vello. Molte fiate già pianser li figli Per la colpa del padre; e non sì creda Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli » Chi non vede in un^apostrofe così veemente dan- narsi con egual bilancia e la guelfa e la parte ghi- bellina ? Il che ben sentito dal nostro poeta, e pre- vedendo come la sua rima dovesse irritare gli uni e gli altri contro di se, chiedeva consiglio al glorioso proavo Cacciaguida, se dovesse o no scrivere quanto vide e senti nel mistico viaggio, laddove cantava ; « Ben veggio, padre mìo, siccome sprona Lo tempo verso me per colpo darmi Tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona. Perchè di provedenza è buon ch'io m'armi, Sicché se luogo m'è tolto più caro, Io non perdessi gli altri per miei carmi «« La luce in che rideva'l mio tesoro .... Indi rispose : Coscienza fusca, O della propria o dell'altrui vergogna. Pur sentirà la tua parola brusca ... (i) » Ma prima di venire a questo consiglio già l'aveva ammonito in questi accenti,* (t) Farad, e. 17, v. io6. Allegoria della civina go3imedia 297 « . . . . A te fìa bello Averti fatto parte per te stesso (i).» La qual cosa stessa già Tavea toccata anche Brunello Latini, allorché, narrate le persecuzioni mossegli con- tro dai fiorentini, delti bestie Jiesolane, soggiungeva : « Da' lor coslumi fa che tu ti forbì. La tua fortuna tanto onor ti serba, . Che l'una parte e l'altra avranno farne Di te; ma lungi fia dal becco l'erba (2). » Per la qual cosa, obbediente il nostro neojito imperiale ai consigli ed alle tremende lezioni ricevute in quel novissimo viaggio, non dubitò di cantare altamente sul cominciare del 25 del paradiso, magnificando la sin- cera sua conversione, e non meno godendo dell'ap- provazione data alla sua fede religiosa dal primo vi- cario di Cristo ; « Se mai contìnga che'l poema sacro. Al quale ha posto mano e cielo e terra, Sì che m'ha fatto per più anni macro, Vinca la crudeltà che fuor mi serra Del bell'ovile, ov'io dormii agnello, Nemico ai lupi che gli danno guerra, Con altra voce ornai, con altro vello Ritornerò poeta, ed in sul fonte Del mio battesmo prenderò 'l cappello. (1) Parad. e. 17, v. 68. (») Inf. e. i5, V. 69. 2()8 Letteratura Co?i altra voce, ossia con altro nome di par- te, né guelfo, né gliibellino, ma imperiale puro : coìi altro vello, inlendi con una credenza più illumina- ta e tutla secondo il vangelo , con quella credenza che professando la fede di Pietro , e attribuendo a Pietro quel ch'è di Pietro, attribuisce anche a Ce- sare quel che a Cesare spetta. Con qaesto nuovo no- me e con questa nuova veste prenderà la corona del sacro poema, a cui posero mano e cielo e terra (la filosofia e la teologia ) per difendere, stabilire e ce- lebrare le glorie del pastorale e della spada a lume, pace, consolazione e gloria degli erranti, della mise- ra Italia e di Roma. Nota bene. « Sembrerà forse a qualche pro- fondo conoscitore del Poema sacro, che Dante siasi trattenuto più sulla difesa della spada, che su quella del pastorale; e che ben più altre cose vi abbia tocca- te che non sono le immediatamente spettanti a que- sti due supremi uffizi. Questo é vero, né io devo, né voglio occultarlo. Solo vorrei fare avvertire che a quei tempi, in cui si agitavano le quistioni tra l'impero ed il papato, il papa era in pacifico possesso del loco santo (i|; e ninno, o pochissimi si adoperarono per di- sturbarlo ; onde simile diritto si avea generalmente come certo : ma per 1' imperatore non era così : si voleva richiamarlo in Italia e stabilirlo un'altra vol- ta in quella stessa Roma lì siede il successor del maggior Piero. Però si scriveva e parlava assai per mandare ciò ad effetto. E tanto basti della prima qui- stione. Della seconda io direi, che per Dante il fonda- mento della felicità civile sono i due uffizi imperia- (i) Inf. e. 1, w. l'i . ■ ■24. Allegoria della divina coimmedia 290 le e papale ; da cui come da fonti abbondantissimi discende la concordia, l'amore e la quiete su tutti gli uomini. Però io mi trattenni bene in questo opusco- letto a discorrere su quelli chiamali i due soli della società ; ma non intesi che nella commedia si miri solo che a questi come ad unico fine, ma come a certo mezzo della beatitudine sociale. E Dante, che scrìveva per la ristorazione civile e religiosa, non manna di farsi il poeta universale di ogni paese, di ogni città e condizione di uomini : è questo il poema dell'amore, che vuole ricondurre in terra quella maggiore felicità che per gli uomini si può acquistare : però attese così a conformare il cuore di ogni uomo alla divina vo- lontà e concordia, che per buona ventura dovesse poi guidare l'umana famiglia verso l'ultimo suo fine « L'amor che muove il sole e le altre stelle, » CAPITOLO XXL Quanto tempo stesse smarrito nella selva. Beatince nella riprensione a Dante gli rimbrotta come subito dopo la sua morte siasi tolto ad essa^ e dato altrui; abbia volti i passi suoi per via non vera , seguendo false immagini di bene ; per cui insensibile alle sante inspirazioni^ che le sue pre- ghiere gli mandavano dal cielo, cadde sì basso, che per ritrarlo dal male fu mestiere fargli vedere le perdute genti (i). A sì forte riprensione l'amico si confessa reo, e conferma essere pur troppo vero che le presenti cose col falso lor piacere volsero i (i) Purg. e. 3o. 3oo Letteratura suoi passi per via non vera, tostochè si nascose per morte il di lei volto (i). Ora Beatrice morì nel giugno del i2go, e queste cose erano dette dieci anni appres- so, allorché Dante disbramava nel paradiso terrestre la decenne sete^ ossia nell'aprile del i3oo (2). Incontratosi con Forese nel cerchio dei golosi, alla interrogazione dell'amico sul perchè di quel viag- gio rispose: « Se ti riduci a mente Qual fosti meco, e quale io teco fui, Ancor fìa grave '1 memorar presente. Di quella vita mi volse costui Che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda ^ Vi si mostrò la suora di colui . . . (3). » 1, dunque certo che Forese e l'amico suo durarono alcuni anni nel male , e quindi assieme giacevano nella oscura selva dopo smarrita la retta via. Ma Fo- rese essendo morto forse da cinque anni, secondo che dice Dante medesimo (4), pare chiaro che vivessero insieme nella selva antecedentemente all'anno 129.5. È ora da vedere quanti anni vi stettero. Beatrice mo- rì, come è detto, nel 1290: e Dante nella /^ite nwo- va confessa che ufi anno dopo cominciò ad amare una giovane, che mostrava compassione della sua dis- grazia : e tanto di questa innamorò, che tutto si die- de a lei, dimenticando Beatrice. Ninno dubiti che le (i) Purg. e. 3i. {1) Purg. e. 32, V. 2. (3) Purg. e. 23, V. 1 15. (4) Purg. e. a3, v. 73. Allegoria della divina commedia 3oi riprensioni di Beatrice letteralmente non sieno di- rette a questo nuovo amore. Or dunque non v' ha dubbio che'l nostro poeta si smarrisse nella selva sul- la fine del 1291 , e vi malvivesse con Forese sino al i2g5, fermandovisl dopo la morte dell'amico fino all'aprile del i3oo: i quali sommano a 9 anni od in quel torno. Vedasi ora come la selva possa significare la mi- seria dell' esilio , siccome suppongono il Dlonisi , il Marchetti e lo Scolari. Se così fosse, Dante sarebbe stato esiliato con Forese sino dal lagi, e vi sareb- be rimasto sino al i3oo, in cui per grazia di Bea- trice ne sarebbe uscito: ovvero, volendo che preve- desse l'esilio nel 3oo, Forese, che era morto da cin- que anni, sarebbe cascato dopo il trecento nella oscu- ra valle della miseria in compagnia dell'amico ! CAPITOLO XXII. Quando abbia cominciato il poema. Giovanni Boccaccio asserisce che avanti l'esilio già eran composti i primi sette canti dell' inferno. Più volte nelle tre cantiche mostra di aver comin- ciato ad uscire dalla selva a luna tonda. Ora la luna piena significa la ragione umana illustrata dalla filosofia: e poiché si era smarrito in una valle oscu- ra, esempio della società viziosa ed ignorante , non ha potuto uscirne che quando la ragione illustrata gli fece conoscere ed il cattivo passo ove giaceva, e la strada che era da tenere per cavarsene. Nella fine della Vita Nuova il poeta ne dice, che a consolarlo della morte di Beatrice gli apparve una 3o3 Letter atura mirabil visione che era tutta gloriosa per lei; e clie •voleva scriverla; ma onde far cosa degna di essa, che di altre non fosse mai slata fatta, erasi dato a tutta s-uo potere allo studio. Nel convito poi (i) ci fa sa- pere, che lo studio intrapreso per consolarsi nella mor- te di Beatrice fu la frequenza alla scuola di filosofia nelle case dei religiosi , là ove ella si dimostrava veracemente ; e che la fece con tale impegno, che in men di trenta mesi intendeva molta bene in quel- la scienza. Noi veniamo adunque intorno al 1294 ad avere il nostro autore sufficientemente ammaestra- to nella filosofia: e quindi allora per esso era luna tonda^ onde uscire dalla oscura selva della ignoran- za. Non poteva prima, perchè di notte^ senza lii^ na' non doveva dopo, senza offendere la sua intel- ligenza, perchè « Il perder tempo a chi piij sa, più spìace {2).» Laonde non è improbabile che il vero principio del poema, non al i3oo, ma si corrisponda piuttosto al 1294- Infatti se tre anni prima studiava quanta poteva per gloriare la sua donna beata, non è sup- ponibile che un amante così ardente volesse tardate da 16 o 17 anni a por mano ad una promessa cosi solenne fatta alla sua amica in faccia a tutto il mon- do , siccome vuole chi dà cominclamento al poema dopo il 1807. Pertanto io mi sarei d' opinione che Dante, nella prima idea che segui dando comincla- mento alla commedia, tenesse di mira il 1294» onde (i) Tiat. 2, cap. i3. (2) Purg. e. 3, V- 78. Allegoria della DivmA commedia 3o3 solennizzare il suo ingresso nella scienza filosofica acquistata con tanto studio ed amore per cantare al mondo l'apoteosi di Beatrice. Ma con tanta crudeltà ed ingiustizia sbandeggiato dalla patria prima di com- pire la visione, avendone ritardato a lungo il com- pimento e la pubblicazione, si vide apprestare nuovi fatti, nuove idee e nuove ragioni per cominciarlo nel mezzo del cammin della sua vita. Ma sarà forse persona di nobile intelletto, la qua- le ci faccia una quistione, a cui sia bello dare la ri- spettosa soluzione. Il poeta comincia la commedia « Nel mezzo del cammin di nostra vita »: secondo i principii posti nel convito (i) , è questo il trenta- cinquesimo anno. Ora se nel novantaquattro egli non erano cbe ventinove i suoi anni, come poteva ragio- nevolmente darle tale cominciamento ? L'obbiezione pare secondo ragione ed insuperabile: tuttavolta cbi bene consideri, la trova tutta poggiare sulla suppo- sizione che al poema sia essenziale quel principio. Ma chi potrà seriamente sostenere ciò ? Il conte Bal- bo nella vita dell' Allighieri ci dice, che la prima idea del poema nacque nel ventesimo quinto anno dell' autore: ci ripete che nel suo ventottesimo si ripro- dusse con maggior forza: ritorna a dirci che il pri- mo esperimento venne praticato in versi eroici latini; e che finalmente si conchiuse col rifare i già ulti- mati sette canti latini in versi italiani e proseguire tutto il poema come al presente si trova (2). Mes- ser Giovanni Boccaccio pure nella f^ita di Dante ave- va già scritto che pensò lungamente a questo poe- (i) Conv. tratt. 4> cap. 23. (2) Balbo. Vita di Dante, cap, 7 e cap. loi.'qì 1 3o4 Letteratura jna , e che da prima lo ebbe incominciato in versi • latini, e finalmente lo rifece in ritmi ed in fioren~ tino idioma: e che prima della sua cacciala da Fi- renze già ne aveva terminati sette canti. Questo pen- siere medesimo fu in certo modo ripetuto nella Epi^ stola di frate Ilario ad Uguccione della Faggiola. Ma il Boccaccio aggiunge, che talora passavano degli anni senza che alcuna cosa vi aggiungesse. Ora a tut- te le sin qui addotte notizie succede necessariamente un pensiere, che le difficoltà più forti ad un' opera di alto concetto sono sempre quelle che si affaccia- no da principio per istabilirne e disporne debita- mente l'orditura, su cui lavorare dappoi la gran tela secondo i posti principii: ciò a cui l'autore accenna- va poi dicendo: « Più non mi lascia ire il fren dell* arte: » Ma perchè'l tempo fugge che t'assonna: » e molte altre sentenze di simile natura (r). Però be- ne e sapientemente diceva Aristotile : Fatto bene il principio^ Vopera è fatta per metà (2). A questo viene appresso l'avvertire che se Dante pensò lungamente al concetto del poema, già da lun^ go tempo aveva determinato 1' anno che costituiva 1' epoca della favola poetica: che per verità, siccome riprendendo il filo della commedia intorno al i3o8, come vuole messer Giovanni, prescelse quella del 3oo; così nel 3oo , quando già erano fatti i primi canti, doveva essersi prefisso un'altra epoca d' alcuni anni antecedente, nel qual tempo avesse già ^en^afo lun-^ gamente per ordire la gran tela, e dare luogo ed es- (1) Purg. 33, V. i4i' Parad. e. 52, v. iSg. (i) Arist. ad Nicain. *' Videlur namque plus quam dimidiutn totius esse principium. ,, AM.EGoniA DELLA DIVINA COMMEDIA 3o5 cluslone a tutti i pentimenti e nuovi, pensieri che di necessilà aderiscono a simili composizioni, sia per lo concetto, sia per la lingua da scegliere; pensiero gra- vissimo a quella età che, disprezzati come romanzie- ri amorosi i poeti del volgare , solo erano dai dotti pregiati coloro , che bellamente seguivano le tracce dei poeti latini. Servano qui per qualunque altra mi- glior prova, ed il Petrarca coronato d'alloro pel suo poema latino, e Giovanni de Virgilio che nelle eglo- ghe altamente dissuadeva Dante dal più scrivere cose serie pel volgo e per la gente idiota (i). Ciò po- sto , come seriamente sostenere che in quei primi canti, già terminali nel i3oi (poiché del gennaio i3o2 già era esiliato per sentenza ), si fosse prescelto per epoca il 3oo, come al presente ? Chi ragionevolmen- te sosterrà che il pensare lungamente^ riferito dal Boccaccio, riducasi a pochi mesi o poche settimane, siccome vorrebbe chi fa cominciare la favola nel 3oo ? Tanto più se riflettasi che quell'anno per Dante fu tutto di maneggi e tumultuanti affari di patria per giugnere al priorato, e che per ciò medesimo nel fi- nire di questo passò a Roma per più non ritornare nella sua patria. Arrogo che alcuni anni prima, al di- re dello stesso messer Giovanni , fu così avido di gloria popolesca , che, dato interamente alle cose pubbliche, abbandonò le filosofiche speculazioni, da cui nasceva la commedia, come certo sa chi bene inten- de r orditura della stessa. Che se non par dubbio intorno al sin qui detto, chi starà duro ad ammet- tere che l'epoca dei primi canti del poema debba es- sere stata di alcuni anni antecedente al 3oo ? (i) Giovanni de Virgilio, Egloga i a Danle. G.A.T.XCVI. 20 3o6 Letteratura Altre ragioni anche più forti a fermare tale epo- - ca si hanno dal convito, là dove tratla delle diverse età dell'uomo e del loro officio. V adolescenza^ che è la prima, è detta età imperfetta.^ quando lo ado- lescente non può certe cose fare senza il tutore: quando è bello arrossire per le mancanze^ che si commettono : ma è pure detta l' età prima che è porta e via, per la quale si entra nella nostra buo- na vita^ nella città del ben vivere (i). La seconda è detta gioventù, ossia età della perfezione^ ed è questa la buona vita, è la città del ben vivere, in cui deve già essere entrato chi, valicala l'adolescen- za, già pose piede sulla soglia della seconda età (2). Non così fece Dante ; entrato nella selva erronea di questa vita, in tutta la sua adoliiscenza, o vita nuova, tenne la via diritta che mette alla città del ben vivere, seguendo gli occhi helli di Beatrice, quasi maestra : ma giunto sulla soglia della gioventù, quan- do morì Beatrice : « Volse i passi suoi per via non » vera, immagini di ben seguendo false , che nulla » promession rendono intera »> (3). Ora mi dica il nobile mio lettore: se l'errore di Dante sia avverti- lo, e coiravvertenza pentito in uno 0 due anni, po- tremo bene dire che il fallo è compatibile, e che la virtù di Beatrice a rivocarlo fu valente e felice: ma se per ben dieci anni invecchia ed imputridisce nel vizio, qual compassione ci stringe omai più pel tra- viato, qual virtù crederemo doversi attribuire all'amo- re ed alle preghiere dell'amica? Per me non mi ci so (i) Gonv. Irat. 4» cap. 24. (2) Ivi medesimo. (3) Purg. e. 3o, V. i3o. Allegoria della divina commedia Soy acconciare, ed il bello estetico mi sembra patirne noa poco danao. Intanto si può dire con sicurezza, che tutta la forte riprensione di Beatrice contro l'infedeltà dell'amante letteralmente si ristringe all'amore quasi biennale portalo alla donna pietosa della vita nuova', e tutto il suo piangere come un fanciullo battuto, ed il suo riconoscersi, intende unicamente a questo. Si legga prima nella Vita nuova la sua infedeltà e con- versione, quindi subito il canto trentesimo e trentu- nesimo del purgatorio, e vi si ravviserà la vera con- tinuazione del pensiero, quasi che fossero scritti se- guentemente senza interruzione. Che se i rimbrotti dell'amata , e la sincera confessione dell' amico non vanno oltre al terzo anno dalla sua morte , a che dunque protrarre a dieci anni 1' ostinazione, se già nella Vita nuova i due parvero tro.ppi ? Dopo questo io non credo più dover aggiungere per mostrare come ragionevolmente ho potuto asse- rire, che la prima idea ed orditura del concetto del poema fissa l'epoca del 1294, ventinovesimo di Dan- te, terzo dal suo traviamento, primo del ritorno sin- cero all'amore di Beatrice : e piìi solenne e più glo- rioso, percbè questo amore e questa conversione gli ba procurato l' ingresso nel più recondito santuario del cielo a sposarlo alla sapienza divina. In una pa- rola, lo ba costituito filosofo : od in altri termini: Bea- trice fu per lui la scuola platonica, che dalle bellez- ze terrene lo innalzava alle celesti sinché visse quag- giù: e passata da carne a spirito con aumento di virtù e bellezza, accrebbe in lui amore alla filosofia, lo distaccò affatto dalla terra, e lo elevò di cielo in cielo ( ossia di scienza in scienza ) sino alla più no- bile parte dell'empireo, ove faccia a faccia vide Dio, 3o8 Letteratura somma sapienza, causa prima, in cui osservò legato con amore in un volume ciò che per Vuniverso si squaderna (i). E qui riepilogando conchiuderò, che, stando al Boccaccio, i sette canti della commedia composti pri- ma dell' esilio dovevano avere nn' epoca di alcuni anni precedente al 3oo : che, secondo il parere e le ragioni esposte dal conte Balbo, questa non poteva es- sere posteriore al 1294 : che da quanto si legge nei Convito e nella p^ita nuova intorno a'suoi errori e conversione, viene stabilita l'epoca del gS o g4 * ^ che la teoria delle quattro età umane non permette che la sua conversione oltrepassi di molto il suo 28 anno : che le riprensioni di Beatrice non intendono che alla sua infedeltà per la donna pietosa della vi- ta nuova : e che da ultimo la figura dataci per la luna tonda , che lo aiuta ad uscire della selva, si compie a pelo nel I2g4- O'' dunque chi mi potrà dire al tutto errato, se a tale anno io stabilisco l'e- poca primitiva del poema sacro ? Il proemio poi si poteva nobilmente cavare dalla via smarrita sul co- minciare della seconda età. Nel che si trova una feli- cissima antitesi tra l'amante e l'amica; tutta glorio- sa per questa, che tocca tale soglia appena e vola al cielo: quello al contrario, perduti i begli occhi che lo indirizzavano alle eterne ruote, rovina alla terra; e più non sa rinvenire la via del cielo, se la sollecita ami- ca, interceduta grazia non più intesa , non viene a ritrovarlo in persona e scorgerlo in grembo a Dio nello stesso cielo empireo. (i) Farad, e. 33 verso '1 fine- I Allegoria della divina commedia 3of) CAPITOLO XXIII. Parallelo tra'l fine del convito e quello della divina commedia. A dare più ampia conferma alla nuova allego- ria da me seguitata sin qui, non sarà tutto fuor di proposito lo aggiungere alcuna cosa che mostri al be- nigno lettore conie questa idea fondamentale di tutto il poema era così ferma, cara ed indelebile nella men- te deir Allighieri, che, forse temendo non venisse a primo tratto compresa dai lettori della commedia, ne fece base anche del suo convito, esponendola con ter- mini piani ed a tutti noti. Né il lettore crederà im- maginaria tal mia supposizione, se avrà fatta ponde- rata lettura delle opere di questo valente : da esse avrà senza meno dovuto conchiudere , che i sommi principi! fdosofici, politici, religiosi ed allegorici so- no costantemente gli stessi in tutte, dove più, dove meno , chiaramente esposti secondo la natura della composizione: tali si trovano nella vita nuova, suo primo dettato, tali nella commedia, nella monarchia, nel convito , nella volgare eloquenza , ed in tutte quante le sue lettere. Di guisa che io mi sarei d'av- viso che, siccome la monarchia e le lettere sono il commento della parte politica e religiosa; così il con- vito sia quello della scientifica ed allegorica del poe- ma e delle poesie : a cotal che qualunque principio della prima classe abbia la sua spiegazione in quel- le , ed in questo lo abbia ogni altro della seconda. Ma diam fine al preambolo, e veniamo alla esposi- 3io Lbtteratura zione. Nel convito (i) Dante dicesi fuggito dalla mi- seria di coloro che cibano in comune colle pecore; e di avere misericordia di essi, che quasi bruti vide giacere in bestiale pastura, mangiando erbe e ghian- de. Pertanto egli non sapiente^ ma stando a' pie di cuei savi che seggono alla beata mensa, ove si man- gia il pane degli angeli, ricoglie quanto da essi cade; e per la dolcezza che ne prova, intenerito della mi- seria di coloro che si ha lasciato addietro , cui ben ricorda, ha riservato alcuna cosa anche per essi ; la quale agli occhi loro già è più tempo ha dimostrata ( le canzoni filosofiche , le quali tanto lo resero fa- moso, da farlo chiamare l'autor delle nuove rime) (2): per la qual cosa ora volendo fare un convito gene- rale, vi sono invitati tutti gli uomini, eccettuati gli impediti per difetto di organi corporali, e gli assen- tutori di vizi. Le vivande, dice egli, saranno di quat- tordici maniere ordinate, cioè, quattordici canzoni sì d'amore, e sì di virtù materiate, ossia materiate di scienza e virtù ^ come dice altrove. Poiché è noto che per amore Dante intende lo studio^ il quale è applicazione dclV animo innamorato della cosa a quella tal cosa (3) : ed egli era innamorato della fi- losofia, che chiama la Donna della sua mente. E nel trattato quarto cap. i , così descrive gli effetti della sua amicizia per la filosofia : « Amore è che congiunge e unisce 1' amante alla persona ama- ta .... e perchè le cose congiunte comunicano na- turalmente intra se le loro qualità, intanto che tal- ( 1) Conv. trat. i, cap. i. (a) Purg. «. ^, T. 49. (5) ConT. trat. 2, cap. ull" At.LEGORIA della DIVTPf a COMMEDIA 3 I T volta è che l' una torna del lutto nella natura del- l'altra ; incontra che le passioni della persona ama- la entrano nella persona amante, sicché l'amor del- l'una si comanica nell'altra, e cosi l'odio e'I deside- rio e ogni altra passione : perchè gli amici dell'uno sono dall'altro amati, e i nemici odiati. Onde io, fat- to amico di questa donna, cominciai ad amare e a odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai dun que ad amare i seguitatori della virtù, e odiare i se- guilatori dell'errore e della falsità, come essa face ec. » In tutti questi brani parmi vedere l'idea stessa che si descrive nel primo canto della commedia. La selva selvaggia, ove giace il volgo ignorante, nudo di virtù, a cibare come bruti erba e ghiande: la fuga di Dante dalle tenebre e dalla viltà, desideroso di più nobile vivanda al lu77ie della filosofia: Varrivare nel- la diserta piaggia, ove in alto vedesi la mensa del- la sapienza, a cui seggono i savi mangiando il pane degli angeli (il vero, fonte di beatitudine), illumi- nata dai raggi della filosofi^ direttrice in ogni co- sa delVumana ragione. Io ci veggo Dante ricogliente quello elle di lassù cade e farne parte ai miseri che giaccion nella selva, chiamandoli a cibare la sapienza e la virtù, onde essi pure con lui elevarsi colla per- fezione della mente alla giocondissima e luminosa vetta. E perchè chi odia il vizio e lo combatte, al dire di s. Giovanni, si attira la persecuzione dei vi- ziosi (i): perciò il nostro caritatevole poeta si attirò l'odio e la persecuzione di quanti cercava favorire con (i) RIundus me oclil, quia testimonium perhibeo de ilio, quia opera eius mala sunt. 3i2 Letteratura si prezioso dono (i). Quest'odio è pei\soniflca(o nelle' tre principali spezie di vizi, che aggravano le tre età degli uomini nella corrotta società, e simboleggiati in tre fiere spaventose. Infatti nel convito (2) usa que- sti concelti a dichiarare il Une di quel libro : « Il dono veramente di questo coraento è la sentenza del- le canzoni, alle quali fatto è; la quale massimamente intende inducere gli uomini a scienza e a vir-' tìi . . , u Ed ivi (2) aveva già detto : « Per distrug- gere questo errore ( sulla vera nobiltà ) proposi di gridare alla gente ^ che per mal cammino andava- no^ acciocché per dritto calle si dirizzassero. ìì Per tutte queste supposizioni sarei inclinato a dire che la fuga della selva oscura sia lo studio della fdo~ sofia morale fatto in Cicerone, Boezio ec. : la vetta, luminosa e gioconda sia il monte principio e ca- gion di tutta gioia, ossia il monte della virtuosa fe- licità sociale dall'etica additato. L'avviarsi al monte per la deserta piaggia , significhi le diverse canzoni filosofiche e morali date, fuox-i a conversione degli imr pediti nella valle, o degli erranti, come li denomi- na nella terza canzone, o del mondo errante, come lo dice pili volte nel purgatorio e nel paradiso. Per le quali suscitossi contra la gioventù ( lonza ), la vi- rilità (leone), la vecchiaia (lupa), ossia i tre vizi dominanti in ciascuna età, concupiscenza , superbia (i) Ma quell'ingrato popolo maligno, Che discese di Fiesole ab antico E tiene ancor del monte e del macigno, Ti si farà per tuo ben far nimico ec. Inf. e. i5, V. 6i. (a) Conv. trat. i, cap. 9. (3j Conv. trat, i, cap. i. Allegoria della divina commedia 3i3 e avarizia. Di vero le canzoni del convito trattano, due di virtuoso amore alla fdosolìa , come perfezio- nante l'intelletto: una della vera nobiltà, di cui è par- te la virtù, contro i nobili , ricchi e superbi. Pro- mette che nel trattato 14 tx-atterà contro alla ava- rizia: cosa che non fece, ma la canzone contro gli avari esiste, e degna di Dante. Dice altrove che trat- terà contro la concupiscenza : questo neppure ha fatto, ma la canzone era già divulgata. In breve ba- sta leggere le canzoni filosofiche che di lui riman- gono, per ammirare la sua franchezza nello svelare, sferzando, i principali vizi che infestano la società. Io non entrerò qui a decidere quale tra '1 con- vito e l'inferno nascesse prima in mente dell'autore: ma contenendo l'uno e l'altro lo stesso concetto nel cominciare , lo stesso andaraepto e fine per tutto '1 processo: e l'uno e l'altro essendo parti della stessa mente, panni giusto il dire che Tuno ritrae l'altro, e che la sola differenza consiste nella diversità dell'o- pera, nella maggiore o minor perfezione dei colori, o diligenza usata ad incarnare il disegno che stava altamente impresso nell'anima dell'artista. Onde mi sto volentieri nel parere, che le tre fiere non altro significhino che le tre età viziose componenti il po- polo fiorentino, ed in generale tutta la società: le quali risentitesi alle forti sentenze morali onde veniva pun- ta la rispettiva passione viziosa, non che sapergliene grado ed avviarsi col poeta morale alla virtù, miglio- rando, gli si avventarono piuttosto contro come belve feroci, ripingendo lui là dove il sole della virtù non luce. Ma che queste fiere allegoriche non sieno che cittadini bisognosi di cura morale e di cibo sano, lo 3i4 Letteratura dice nel paradiso (i) , laddove tocca d'Arrigo im- peratore, odiato e contrarialo dalle meglio città ila- liane , e specialmente dai tìorentini. Quindi per gli anni di sua età, e per le disgrazie sostenute, e pel lasso di tempo corso dalla sua cacciata sino al giorno che scriveva, raffreddatosi alquanto lo sdegno con- cetto contro i suoi crudelissimi ed ingiustissimi ne- mici; e ricorrendogli tuttavia alla menle l'idea del con- vito, e come egli cercasse di cibarli del pane degli an- geli, per levarli dalle ignominiose ghiande della selva: con più mite iinmagine e più affettuosa, ma sempre collo stesso concetto, ricantò ai firentini: « La cieca cupidigia che v'ammalia Simili fatti v'ha al fantolino Che muor di fame, e caccia via la balia (2).» Ed ecco principio e fine del sacro poema con- tenenti la slessa idea, la stessa figura e lo slesso pre- cello: ma con immagine meno tetra, e con parole me- no offensive. Gli abitatori dell'oscura selva della so- cietà viziosa ed ignorante, che quasi bestie feroci si scagliano addosso a chi loro porge il pane dei savi , fatti ciechi a guisa di cupidi fantolini ammaliati ed affamati^ i quali cacciano via la balia. Tre versi tutti amore chiudono in se quel medesimo concetto cui av- velena lo strabocchevole e pungente sdegno del primo canto. (i) Farad, e. 3o. (2) Farad, e 3o, v. Sg. 3i5 *ta—— P— — Il I i.ii Il— a»^— — ^iM— M^— PH^^W Memorie istoriche di uéccumoli. Continuazione. PARTE TERZA. CAPITOLO I. Clima, costumi, stabilimenti, statistica. I climi degli appennini sono variabili a piccole di- stanze: e tali mostransi nel loro centro, ove sta la regione del secondo Abruzzo ulteriore collocata nella Latitudine Longitudine ( 4i« 4^ j f^^ ' 8^^^^ ( Ji« 54' ) Notissima è la salubrità che quasi ovunque godasi negli Abruzzi. Da essa debbe soprattutto ripetersi il carattere de'suoi abitanti , cbe secondo gravi autori nazionali e stranieri diconsi leali, ospitali ed indu- striosi. I quali pregi congiungonsi, per sentenza dei medesimi, a robustezza, ingegno ed attività. In que- st'elogio ogni discreto lettore comprenderà, non in- tendere io che gli abruzzesi vadano immuni da quei difetti e vizi, che or più or meno osservansi nell'uo- mo pel proprio organismo, e pe'sociali abusi, rattem- prati però dalla religione , dalle savie leggi e dalla civile educazione. Non è guari, mentre un illustre scrittore pro- digò lodi non poche agli abruzzesi, dolcemente rim- proverolli, che le belle disposizioni della natura non erano da essi secondate nelle arti e manifatture. « Vi- » vacìtà d'ingegno, robustezza di corpo, clima fred- '» do, acque abbondanti, boschi sufficienti, posizione 3i6 Letteratura » nel centro d'Italia, commercio di mare avrebbero » dovuto portare le arti e manifatture a gradi di mag- » gior perfezione. » Ma vuoisi per me ripetere, es- sere una chimera che un popolo qualunque, senza l'intervento del potere sociale, divenga artista e ma- nifatturiere (cosa molto difficile della legislazione eco- nomica ) : molto più è chimera per un popolo come l'abruzzese, che oltre i prodotti del proprio suolo, colla laboriosa industria sua esercita al di fuori in isvariali modi un commercio ora più ora meno, ma sempre attivo. Fintantoché Roma non sarà popolo- sa, e deserta sarà la sua campagna: fintantoché il ge- nio di qualche sommo pontefice, senza ledere le al- trui proprietà, non giunga con apposite leggi a sud- dividere i latifondi, riducendoli a poco a poco dalla periferia al centro del suolo romano, in piccole co- lonie; giammai le arti e manifatture non prenderan- no energico vigore, precipuamente nel secondo Abruz- zo ulteriore. Non mai gli abitanti di questa provin- cia vi si volgeranno di cuore, avendo essi una stra- da aperta da'secoli per satisfare alle più urgenti bi- sogne, accumulandone talora ricchezze. Non è pic- colo quindi il profitto che ne trae il regno napo- litano, nel quale non si addotteranno conseguente- mente misure gravi da promovere colà le arti/ e ma- nifatture. Mi allontanerei io troppo dal mio assunto, se di proposito dovessi tornare a discutere quest'ar- gomento più fiate da me trattato (i) ; e che mi fu duopo ultimamente ancora accennare di volo per ri- vendicare la profonda sapienza di un sommo ponte- fice, e per manifestare l'ignorante malizia di chi re- (i) Opuscoli scelti di Agostino Cappello pag. 523. Me'MOKIE ISTORICHE di i\.CCUMOLI 817 gaio poclii pastori degli Abruzzi del titolo d' inva- sori stranieri delVagro romano (i). Gli abruzzesi, non oslaule 1' additalo esteriore commercio , progredirono tuttavia nelle economiche ed ngrarie discipline. Il che debbesi soprattutto all' attuale regime di governo. Di fatti malgrado delle vi- cende del 1820 , e delle dannose sue conseguenze nelle diverse diramazioni, floride nulladimeno mani- feslansi le napolitane provinole, eziandio per la ogno- ra crescente popolazione; dimodoché il sommo fra i moderni geografi scrive , che la bilancia economica del regno reloliva alla popolazione è superiore agli altri stati di Europa (2). La qual cosa ripetiamo dalle proprietà più ripartite, dalla maggiore attività d'in- dustria agraria e commerciale , e dal mancante fla- gello della guerra; ma soprattutto ripeliamo dall'im- mancabile vaccinazione, e dalla gelosa tutela de'pro- ielli affidata ai comuni fino dall'anno i8o3. Percioc- ché le nuove istituzioni politiche civili ed ammini- strative hanno da poco tempo quasi raggiunto la loro perfezione ; prosperevole quindi appare la condizione economica degli Abruzzi, siccome di tutto il regno. Ne sembra poter essere altrimenti laddove veggonsi aperte continue interne comunicazioni con nuove stra- de e ponti, la detta vaccinazione in pieno vigore, la lodevole conservazione dei boschi, e le scuole agrarie in ogni comune ora stabilite. Arroge l'alternamento dei diversi generi di sementi piìi confacenti alla na- tura del suolo ed al temporaneo slato commerciale. (i) Schiarimenti economici di Agostino Cappello p. 4> e seg. e giorn. arcadico tom. LXI. (2) Adriano Balbi, Bilancia politica del globo. Genova i834- 3i8 Letteratuiva il riposo talvolta di alcune terre , i novi strumenti rurali, gl'ingrassi ed appositi concimi dalla sperienza e dagli elementi di chimica agraria rinvenuti piìi pro- fìcui. Finalmente la coltura de'prati arlilìciali cotan- to giovevole alla pastorizia, non mai più per lo in- nanzi praticata, e l'uso opportuno delle abbondanti acque sono i frutti delle vcglianti leggi e delle socie- tà economiche già da qualche lustro statuite in ogni capo luogo di provincia. Di gran vantaggio saranno inoltre i risultamenti, quando avranno compiuto effetto i decreti del dì i8 giugno e 23 settembre 1840 , risguardahti i grandi deposili di mendicità nelle napolitane provincie. Quello sugli Abruzzi è stato solennemente aperto dai suoi tre presidi nel dì i maggio del corrente anno 184^ a Sulmona nel magnifico soppresso monistero de'ce- lestini. Ivi saranno accolti gli accattoni, ed i proietti dell'età minore degli anni 18 delle Ire provincie. O- gnuno di essi sarà occupato all' esercizio delle arti meno difficili, escluse sempre le insalubri. Kè sarà di- scaro accennare qui di volo le generali disposizioni. Ogni deposito di mendicità sarà diviso in due ospizi, uno pe'maschi, ed un altro per le donne : ed i re- clusi saranno divisi in differenti classi, secondo l'età. Gli storpi e gVimpossibilitali al lavoro per cagioni fi- siche o morali formeranno classi separate. I ciechi ed i sordi-muti saranno spediti al reale albergo de'po ve- ri della capitale. Per gli uomini vi sarà un rettore, per le don- ne una direttrice scelta tra le suore della carità. La s. messa vi sarà ogni mattina , ed il rosario la se- ra con altri atti cristiani : il catechismo in tutte le domeniche e nei giovedì: ogni i5 dì vi sarà confes- MKIVIoniE ISTORICHE DI AcCUMOLI 3ig sionc colla sauta comunione. Gli alunni avranno un maestro di lettura , di calligrafia ed aritmetica. Chò se si scorgesse qualcuno di svegliato ingegno per de- dicarsi alle scienze, verrà spedito nei licei. Tutti poi dovranno apprendere un'arte; ne si mancherà l'istru- zione pel mestiere delle armi : vi sarà ancora un orto di modello, ove gli alunni dovranno apprendere i la- vori agricoli. Oltre i suddetti rettore e direttrice vi fiaranno altri impiegati pel buon andamento dello sta- bilimento, senz'omettere i vice-prefetti e le prefette addette alla vigile sorveglianza ec. Ma nel particolare di cui qui si tratta, puossi con certezza affermare saluberrimo il clima di Accu- moli. Il che rilevasi in parte dalla pianta topografi- ca, dalle geologiche osservazioni e dal catalogo delle piante che precedono queste isteriche memorie (i). E sebbene rigide sieno le più alte cime de'monti ac- cumolesi, tuttavia nell'abitato di rado il termometro di Rèaumur si abbassa 5, o 6 gradi sotto il zero, sic- come non mai eccessivo provasi il caldo nel sommo estate. Le nevi non vi cadono se non nel finire di novembre, o nel principiar di decembre, e nel mar- Zo vanno per lo più in dileguo; ne sempre nei sud- detti mesi rimangono in tutto il territorio. Non vi sono luoghi palustri, né acque stagnanti di sorta al- cuna: limpidissime anzi e rapidissime discorrono esse abbondevoli nel suo territorio. Il Tronto e gl'influenti (i) I diversi errori occorsi ia questo catalogo furono emen- dati nella terza edizione del medesimo inserita nei citati opusco- li scelti scientifici p. 287-92 Vi si aggiunsero inoltre altre pian- te /anerogarne e crittogame. Le quali in appendice saranno ri- portale in fine di quest'opera con altre piante, e colle acque minerali che principalmente vi si ritrovano. 320 Letter atura in esso, che scorrono perennemente nel solo territo. rio di Accurnoli sulla destra di quel fiume, sono i tor- renti di Poggio Gasoli, d'Illica e di Poggio à''Jpi ài- slinto col nome di Chiarino (i). Sulla sinistra so- ro i torrenti di Collespada, il fiumicello Pescara , il torrente di s. Pancrazio detto Fonte rotta, il tor- rente di Rapino , e la Pescara di Capodacqua (2), In inverno e nelle alluvioni scorgonsi altri torrentelli. Laonde i suoi abitanti, che non abusino de'raodi di ■vivere, godono costantemente sanità prosperosa e vita lunga, che non di rado stendesi nonagenaria con vi- gore di mente e di corpo. Ivi non sono endemici morbi , e si scorgono solo leggiere affezioni reuma- tiche, in ispecie in qualche villaggio privato di aper- to orizzonte e a ridosso de' monti (3). Registrossi in queste carte , come la stessa peste bubonica po- chissima strage menasse , quando colà e ne' circon- vicini luoghi pralicaronsi opportune e facili caute- le (4). In un breve rendiconto di un classico la-- voro (5) notai, come generalmente nei monti dell'Um- bria non vi sono febbri di accesso, cosi esse non os- servansi mai nel suolo in discorso. Se non che i no- (i) Questo nell'inverno e nelle alluvioni è cotanto inipeluo- so ed abbondantissimo di acque , che minaccia Grisciano di es- sere distrutto. Dimodoché un egregio ingegnere opinò di traslo- care quel villaggio altrove, profittando de'iumi geognostiei rac- colti ne'miei lavori: siccome rilevasi da un officiale riscontro da me in iscorcio pubblicato nel i83o. Opuscoli scelti cit. p. 2^3-4- (2) Vedasi la pianta topografica. (3) Ad eccezione di due o tre, il resto de'villaggi fruisce di ottima grafica posizione. (4) Parte 2, pag. 147, e giorn. arcadico tomo 44» P- '75"4" (5) Massari, Pestilenze di Perugia nel gioru. arcadico tomo 78, pag. 177-8 nota. Memorie istoriohe di Accumol! Sai Siri contadini che ispirano od assorbono il nocivo ele- mento di dette febbri nella campagna romana , tor- nati colà, cadono talvolta nella recidiva. Il che spe- cialmente accade quando nei mesi di autunno espon- gonsi al freddo mattutino, ed agli umidi calori delle ore meridiane, che dominano sovente nelle falde delle nostre montagne. Per le quali nocive cagioni, men- tre gl'indigeni abitanti ponno soggiacere alle suddette affezioni reumatiche, in quelli tornali di Boma, ove soffrirono febbri intermittenti , svulgonsi di nuovo queste febbri. Vuoisi anche avvertire che sulla destra del Tronto essendo il suolo arenario^ e calcarlo ge- neralmente sulla sinistra, osservasi nel primo qualche calcolosa affezione, che a me, prescindendo da eredi- taria labe, sembra ripetere da idro-geognosliche ragio- ni sviluppate a lungo nel secondo articolo della re- staurazione de'bagni minerali presso Tivoli (i). Alla bontà del clima corrisponde assai magnifi- co l'orizzonte, quantunque nell'interno abitalo, in sa- lita , sebben larghe , per lo più si veggan le strade generalmente selciate : e le vecchie abitazioni sono quasi tutte crollale, ed il suolo ridotto ad ortaglie: benché non pochi sieno i nuovi fabbricati eretti re- golarmente, come meglio si dirà in appresso. Certo poi si è che la grafica posizione accumolese dalla parte !N. o N-E. porge un aperto orizzonte con spettacolo assai imponente alla vista ; dappoiché 1' occhio non istancherebbesi mai in contemplare la grandiosa e sva- riata prospettiva, la quale riguardata nella non bre- ve, benché angusta valle del Tronto, circondata poi da campi e da colline cariche di vigneti e di dis- (i) Pag. iS-6, iSSg, e giorn. arcadico tomo 80. G.A.T.XCVI. 31 322 ~ Letteratura persi alberi fruttiferi, crescendo elleno in subappen- nini colli ed alti monti coperti taluni di superbe fo- reste, terminasi in altissime montagne. Imperocché un sì stupendo apparato finisce al N. colla montagna della Sibilla; ed al N. al N-E. in piìi distanza col- le montagne del Piceno che vanno fino al mare ; mentre al S. ha fine coi Frctuzi e colla montagna di Pizzodisevo che in altezza eguaglia quasi la Si- billa alta 7800 piedi parigini sopra il livello dell' Adriatico. Ora gaia e pittoresca non poco , sebbene di un aspetto del tutto diverso dalla descritta, si è la prospettiva al S. e S-0. , ove scorre il fiumicello Pescara influente in piccola distanza nel Tronto. Mol- tissimo di fatto gode l'occhio dalle case e torrioni es- posti al S. , poiché veggonsi praterie sempre verdeg- gianti ( eccetto nel sommo inverno ) , le quali cir- condate da tre lati da boschive colline, nel riuscire alla vista assai gradevoli, riempiono l'animo di pia- cevoli sensazioni. Accennate la bontà del clima, e la topografica posizione di Accumoli, debbe procedersi nel proposto argomento, pel quale se l'amor patrio non illuda, ci sembra che i suoi fondatori avessero tanto accorgi- mento quanto non sarà mai bastevole ad ammirarsi nell'epoca in cui surse ( principio del sec. i3 ). Im- perocché alla salubrità e magnifica centralità congiun- sero, nella sua fondazione, fortezza e felicità genera- le e speciale. Noi, oltre la cialla della nostra peni- sola, e le avite glorie sabine, ricordammo nei primi capitoli di queste memorie le italiane contrade par- tite in signorie longobarde. Tale era appunto la no- stra contrada sommatina dal capo luogo Sommata^ che taluni cronisti derivarono ab optimatibus per Memorie istoriche di Accumot.i 323 alcuni grandi di Roma e di altre città che vi si ri- fugiarono nelle barbariche invasioni. Bicordammo che Maginardoy ultimo signore longobardo, donò detta con- trada al vescovo di Ascoli (i): ed essendosi per esso perduta ed abbandonata , vi dominarono piìi lustri quattro famiglie con aperta tirannide ; per la quale i più savi ed antichi sommatini sdegnaronsi talmente, che schiacciati i tiranni, si costituirono in assennato oligarchico governo. Era Sommata in luogo piano , eccentrica , ed alle falde della più aspra montagna ( Pizzodisevo) delle sommatine terre. Laonde con ma- turato consiglio, ed in vista delle rivalità municipali che insorgevano in questi tempi, e per le prevalenti jirmi a cavallo, prescelsero quella località con mira- bili fortificazioni. In che que' sapienti , o per dot- trina, o per reminiscente tradizione ed esperienza, se- guirono le massime inculcate da P'itruvio, commen- date da f'^egczio^ e da Filone maggiormente chiarite. Raccomanda Vilruvio la fondazione delle città me- diterranee in luogo elevato : che il recinto di esse non sia quadrato, ne ad angoli acuti, ma salienti e rientranti. Il quale vitruviano precetto fu egregiamen- te commendato da Vegezio. Imperocché, secondo Fi- lone, gli antichi non vollero tirar le mura in linea retta , affinchè non fossero percosse dagli urti degli arieti, ma nel gittare le fondamenta chiusero le città con tortuosi giri, innalzando spesse torri sugli an- goli, acciocché nell'approssimarsi il nemico con sca- le o machine non solo verrebbe oppresso di fronte, ma ai lati ed alle spalle (2). I . , I . . - (1) Parte i, cap. II. (2) Vitruvio lib. I, cap. IV e V. Vegezio Rei milit. lib. IV, cap. II, e Filone lib. V- 324 Letteratura Alla centrale elevatezza del suolo tortuoso corri- sponde presso a poco il giro di circa un miglio e mez- zo napolitano delle mura accumolesi ( ora quasi tulle diroccate ) di Sa palmi di altezza e sette di spessez- za, con quattro porte che eran munite di forti tor- rioni, le quali in forma quadrata proseguivano per tutto il circuito 20 passi Tuno dall'altro distanti. Il Giu- stiniani nel suo dizionario citato s'inganna nel dire i torrioni distanti 5o palmi l'uno dall'altro: poiché quelli che tuttora esistono distano precisamente 20 passi l'uno dall'altro (i). Nella parte superiore (O.) per la quasi piana posizione tuttora scorgonsi terra- pieni ( da essi era in origine circondata tutta la ter- ra), a' pie de'quali stavansi un tempo larghe e pro- fonde fosse che all'opportunità empievansi di acqua. Le porte presero il nome dalle convicine chiese che ritennero quasi sempre, e corrisposero alla divisione in quattro parti della terra, che si dissero poscia quar- tieri, ed alcun cronista del secolo 16.*^ vi confuse an- che il quarto di s. Lorenzo. Portò il nome di s. Pie- tro la porta ed il quartiere a ponente. Prese il no- me di s. Niccola la porta ed il quartiere a levante, di s. Leonardo si chiamò la porta ed il quartiere a tramontana, e di s. Maria prese il nome la porta ed il quartiere a mezzogiorno. (i) Nella I parte di queste memorie si disse fin da princi- pio, che la corta durata delle nostre fabbriche deriva principal- •nienle dalle pietre arenarie, e dalla mancanza di pozzolana, in- vece della quale si mesce colla calce l'arena propriamente detta, che è la stessa arenaria in istato polverulento. Assai miglior ce- niento si otterrebbe, se invece di quest'arena si usasse quella che trovasi lungo la riviera del Tronto, risultante da sostanze silicee, calcane, arenarie, ferruginose ec. Memorie istoriche di Accumolt 32?) Gli uomini del quarto di s. Lorenzo, detti an- che Satrapes (i), nella fondazione di Accumoli eser- citavano per tre mesi olio per volta, e due per ogni quartiere, il comando che slendevasi a lutti i castelli e villaggi soramalini corrispondenti a ciascuna porta; e nelle gravi bisogne convocavasi il consiglio com- posto di 48 che fossero i più notabili cittadini. Tutti gli abitanti delle terre sommatine eran soldati, e pron- ti ad ogni chiamata de'capilani de'suddetti quartieri. Il qual sistema continuò ancora nell'accumolese de- cadimento, come rilevasi da queste memorie (2). Se nonché non solo gli uomini del quarto di s. Loren- zo, ma altre persone ancora divenute notabili entro la terra ebbero il comando militare: e sotto il vice l'eale governo l'esercitarono spesso i capitani per lo più spagnuoli che scambiavansi in ogni anno , e si pagavano dal comune, come apparisce dall' officiale elenco più volte per noi citato. Di che ci piace no- tare alcuni (3). Credo io superfluo ridire la gene- fi) Quando nella prima parte pag- 80 aggiungemmo questo nome, fu preso da più cronisti accumolesi: ma nelle memorie dei quarto di s. Lorenzo chiamansi sempre uomini. (2) Se però dovevasi marciare fuori di patria, le milizie com- ponevansi di un uomo a fuoco; e minore era il numero se do- vea militarsi all'estero. 11 qua! obbligo fu duraturo costante- mente, finché non adoLtaroiisi regolari milizie ( i57t)- (3) Magìiificoriim capitaneorum soluta salaria per folia eo- rum manibus et existentia in dicto fasciculo. Magnifici Raimun- di De Curtis de civitate Cavae regii capitanei terrae Accumuli de anno i54o. Magnifici Alonsi de Robles hispani, cuius anima requiescat in aeterna pace, capitanei sub anno i54i- Magnifici Petri de Santa Maria capitanei sub anno i542 hispani. Magnifici Joannis De Torres hispani capitanei deputati per regiam apru- tinam audientiam cum fideiussione . . . sub anno i543. Magnifi- ci Michaelis Gara^oe hispani capitanei sub anno i544 ^^c- 326 Letteratura rale e speciale felicità da me diuioslrata neW accitì-^ molese fondazione per la pastorizia colà statuita pef tutti i castelli e villaggi, come la più confacentc alla natura del suolo , dalla quale derivava la generale riccliezza , e la speciale degli uomini del quarto di s. Lorenzo e de'loro discendenti maschi. La qual co- sa ad esuberanza rilevossi nel corso di queste me-- morie. Che malgrado della catastrofe, che sono per ri- petere di volo , avrebbero pur durato i nuovi som- matini in quella felicità , se invidiose novelle fami- glie, e soprattutto l'oppressivo governo vicereale, non avessero a poco a poco quasi del tutto distrutte le fondamentali loro istituzioni. Ma se è debito d'iste- rico di rammentare le avite virtù , ed i giorni lieti della patria, non ho io dimenticato mai di dire i gior- ni infausti e le colpe degli avi. Perciocché la pros- perità di Accumoli fu veramente durevole, finché vis- sero i suol preclari fondatori; ma essi trapassati, noa seppero i propri figli sostenersi col senno de' padri: mentre la gelosia e la fierezza in allora de'norcini da una parte, e l'ambizione di al(;un cittadino dall'al- tra, portarono la patria rovina. Il politico sconvolgi- mento suscitato nella contrada da Marco Benincasa del quarto di s. Lorenzo, la sua violenta morte pec tiranneggiare la patria assoggettata "per esso ai nor- cini, qua e là messi poscia a morte : come essi l'ab- bandonassero , ed il conte di Ascoli ne reclamasse il dominio coU'intervento del pontefice , per essersi per le intestine discordie dati gli accumolesi sponta- neamente a Carlo I d'Angiò, si è diffusamente chia- rito nel 2.° capitolo della prima parte di queste me- morie. Ivi leggesi ancora non solo il decurtato ter- ritorio venuto in potere della chiesa, ma soprattutto Memorie istoriche di Accumoli 237 l'asprisslmo traltamento (le'ministri angioini verso Ac- cumoli e Civilareale multali nella metà de'loro ter- ritorii e villaggi venduti agli Orsini. Una siffatta sven- tura fecesi in progresso maggiore per la potenza de- gli Orsini a noi sovente avversi, perchè nemici fre- •quenti ai nostri re , siccome raccogliesi non meno dalla generale che dalla nostra municipale istoria. Ar- roga il livore passato di generazione in generazione fra gli accumolesi e le nuove genti ( neofiti ) (i) , colle quali, per la insofferente soggezione alla servi- tù baronale dei suddetti villaggi tolti ad Accumoli e a Città reale, popolossi il villaggio di Matrice^ scam- biato poscia in xlmatrice, rendendolo gli Orsini ben munito. Ne minore fu l'odio contro i novelli ospiti delle convicine terre, che nelle calamità furono mai sempre con Accumoli confederate: che anzi nelle lo- ro municipali contese fu più volte mediatrice la pa- tria nostra (2). Che se nella prima parte di questo nostro la- voro , per non ridestare spiacevoli rimembranze , ci proponemmo di tacere la derivazione dei novelli abi- tatori di Matrice, ed il nome di essa slessa; e se nel- la seconda parte proseguimmo nel silenzio; tuttavia gli accorti lettori, in ispecie nazionali, veggono aper- tamente per noi lodata T odierna Amatrice, col pro- posito di spegnere la congenita avversione (3). Ma un recentissimo atto officiale ( 3o novembre 1884) compilato in xAmatrice, al quale del pari officialmente fu con dignità risposto dal magistrato di Accumoli (i) Parte I, pag. 104. (2) Mem. cit. e parte 2, pag. 32; e Manzini,Wiz di F. Giu- seppe da Leonessa cappuccino. Bologna 1647 P^S' ^-*^* (3j Parte 2, pag. 45-4- SaS Letteratura (20 gennaio 1 835), ci obbliga per l'onore della nostrji patria e per la verità della storia, di dire alcuni ri-- cordi ai nostri vicini. E primieramente ci congratu- liamo di cuore del loro mercato e fiere, e più del lo- ro incivilimento : neghiamo però solennemente che abbia di questo fruito la patria nostra , siccome ar- dirono rappresentare: mentre avvenne diametralmente l'opposto pe'sei lustri che sfortunatamente fu il co- mune di Accumoli compreso nel circondario di Ama- trice. Non ripeteremo i danni gravissimi in questo tempo sofferti (i), bensì ricorderemo, che in onta dell' accumolese decadimento , ogni padre , per poco che agiata fosse la famiglia, studiossi sempre che l' edu- cazione de'figli si perfezionasse per lo più nelle ca- pitali. Numerevoli poi erano i sacerdoti entro il solo Accumoli : ma si la prima, come i secondi, per quell' epoca fatale parevano dileguarsi. Ricorderemo che gli abitanti di Accumoli, fra i vari epiteti dati ab im- memorabili ai matriciani, li distinguevano specialmen- te col nome di beoni, e scherno ed infamia appic- cavasi a chiunque degli accuraolesi s'insozzasse nell' ubriachezza: perlochè gloriavansi i nostri della lode- vole sobrietà per essi serbala. Ma con nostro sommo scandalo e di taluni assennati accumolesi quel vitu- perio a guisa di contagio propagossi in detta epoca a diversi abitanti di Accumoli. Ecco l'incivilimento gua- dagnato dai matriciani ! Né dovrebbero essi ignorare, che i contadini delle ville di Amatrice, e gli stessi indigeni in essa rimasi quando passò in feudo agli Orsini, per lunga pezza si astennero d'imparentarvi: il che con municipale risoluzione fu in Accumoli e ■ ■ ■ M I ■ . * (i) Parte 2, pag. 238-9. Memorie istoriche di Accumoli 82^ nelle circonvicine terre statuito , e fu la medesima duratura per secoli (i). Da ciò abbiamo precipua- mente desunto di essere in taluni cittadini di Araa- trice restata l' impronta della loro origine, e la de- rivazione dei motteggi dati ai matriciani dal volgo, in Roma eziandio. Per l'istessa provenienza ripetiamo l'uso, continuato fino agli ultimi tempi dal capo della magistratura di Amatrice,di portare al petto nelle pub- bliche funzioni lo stemma della passione : imperoc- ché, siccome è noto, i neofiti a differenza de'gentili, portavano il medesimo in tutta la loro vita. Per la stessa origine crediamo che il costume di fuggire in Amatrice in alcuna religiosa funzione si approssimi alquanto a quello della danza avanti l'arca del Si- gnore. Né i compilatori di quell'alto avrebbero do- vuto ignorare l'antica soggezione di tutta la contrada sommatina ad Accumoli: mentre sotto gli occhi ne avevano e ne hanno un indelebile monumento, quale si è il rasteUo di Accumoli (2), che fu la insegna più distinta per esso nella sua fondazione conceduta a diversi suoi villaggi che avevano maggiormente me- ritato della patria. lUica, Grisciano, Tufo, Capodac- qua ed altre ville dalla detta insegna presero, quan- do divennero università , il sigillo col rastello fino al 1807; siccome lo ebbe Matrice , ove vedesi tut- tora in alcuna fabbrica eretta da questo comu- ne (3). Ivi parimenti per le iscrizioni e stemmi ve- donsi i migliori edifizi surti per opera de'loro baroni (i) Parte i, pag. 104. (2) Parte i, pag. 80. (3) La maggior fabbrica, che fu eretta da questo comune, fu nel fine del secolo XVI, ed è il tempio de' minori conventuali, ove mostrasi lo stemma di Amatrice col rastello accuiuolese. 33o Letteratura gli Orsini , i Vitelli ec. Per contrario in Accumoli osservansi il suo rastello, innestato poi colla corona reale , e gli stemmi delle antiche famiglie. Fu del pari ignoranza di que'signori couìpilatori quando di- notano essi come speciale privilegio la residenza del regio erario allodiale in Amalrice. Il che dimostra l'op- posto: mentre colà erano stati fondi rustici ed urbani, che dal feudale erano sotto Carlo III passati nel re- gio dominio : per contrario nessunissimo bricciolo di terra o di case, come fu per noi nel VI capitolo della seconda parte chiarito, fu mai dalla corona nell'accu- molese goduto: laonde dove era maggiore il reddito al- lodiale, risiedere doveva il suo amministratore. Ne tli- scrediamo totalmente, che per la su riferita corrutte- la siasi talvolta rilasciato il buon costume cotanto pro- fondamente scolpito nel cuore de'padri nostri. Per tornare in sentiero, se guerrieri ma insta- bili erano generalmente gl'italiani costumi nel natale della nostra patria, noi osserviamo che quei degli ac- curaolesi mostraronsi con carattere fermo e fiero, sic- come ce lo han rappresentato le istoriche memorie. Il che vien confermato non meno dall'accumolese in- sofferenza per le sevizie de' ministri angioini e dal tre- mendo alto del I re Carlo d' Angiò, che dalle spe- ciali indulgenze de'successivi sovrani. Imperocché fre- quente fu per essi la remissione delle pene e delitti, in cui gli accumolesi incorrevano: più frequente an- cora la remissione delle regie taglie. Ai quali bene- fizi corrisposero gli avi nostri con fedeltà costante, non Comune in questi tempi. Né debhe a giudizio nostro recar maraviglia 1' importanza che ponevano i re di Napoli sopra quel luogo, quando bene si conoscano Memorie istoriche di Accumoli 33 i gli usi dell'epoche in discorso. Nelle quali se interes- savano eziandio le piccole masse politiche, maggiore diveniva l'interesse verso un paese forte, circondato da domini! limitrofi, con chi di continuo faceva duo- po lottare, congiungendovisi spesso le interne ribel- lioni de'baroni, e di tempo in tempo le straniere ag- gressioni. Malgrado però delle feroci discordie municipali, scorgesi di buon'ora l'accumolese incivilimento per lo studio della giurisprudenza più o meno coltivalo in ogni patrizia famiglia : per esso raltempraronsi al- quanto le aspre costumanze : e nello stesso governo de'vicerè furono i giureconsulti tenuti in sommo ono- re in tutto il regno, siccome in tutta Italia. Se non che la moltiplicità delle leggi e delle caste privile- giate rendendo progressivamente inti'alciata la pratica del foro, soprattutto nel regno, dopo i privilegi ac- cordati alla pastorizia, decadeva la grande estimazio- ne ai cultori di Temi, in ispecie negli ultimi tem- pi. Che se alcun viceré nelT istituire la dogana di Foggia intese al miglioramento della pastorizia, re- putata in allora la più doviziosa, precipuamente ne- gli Abruzzi; l'istituzione diventò giornalmente un abu- so. Imperocché bastava in queste provincie essere possessore di poche bestie lanute per godere il foro doganale , pel quale in ogni comune era un giu- dice singolare. Quindi avveniva non infrequentemen- te, che mentre la corte locale aveva compilati gli atti per giudicare, la parte che vedevasi soccombente prov- vedevasi di piccolo armento : per cui gli atti erano devoluti all'officiale della regia doganella di Foggia. Abbiam sempre con disdegno rammentato il vitupe- rio di un giudice di doganella, che in principio della 356 Letteratura nostra adolescenza ci dettò più fi ile istanze avanti di esso, mentre le risposte dettavate ad altro giovincello; ed un anno e più durava il litigio fra due contadini per un montone con mollo loro dispendio; finche ri- velata per noi la turpitudine alle due parti, troncossi la lite. Né discrediamo che siffatte malvagità si ri- petessero anche altrove. Vantavansi gli accumolesi, co- me di regio dominio , di avere nelle loro cause un terzo appello nel capoluogo della provincia : il che non era conceduto alle città baronali, le quali ave- vano un solo appello. Ma questa prammatica legge, lungi da benefizio, reputiamo che fosse una sventura. Nel corso di queste memorie videsi la prima volta stabilito un giudice nei luoghi di regio demanio dal- la regina Giovanna I.''' (i). In Accumoli, terra regia e di frontiera, risiedeva anche un capitano che ab- biam osservalo scambiarsi in ogni anrlo. Molte era- no le sue attribuzioni: ma per una consuetudine so- spendevansi per quindici giorni precedenti la quare- sima, nei quali un cittadino fra i pivi distinti, scelto dal consiglio, assumeva il comando col titolo di si- gnore. Osservammo parimente, che nella patria de- cadenza riunironsi le facoltà di governatore e giudi- ce. Se non che talvolta, non essendo il regio gover- natore fornito di laurea dottorale, faceva duopo an- dar fuori pel decretare : ma dappresso giusti reclami, la magistratura non diede più possesso ai medesimi senza la detta laurea. Il governatore regio, durato fi- no al 1807, percepiva dal governo tenur emolumento (i) Parte I, pag. log- E' noto che generalmente nel regno i giusdicenti in questi tempi, ed anche per nou pochi altri anni, giravano da un luogo all'altro per rendere la giustizia ! Costituì, de officio et capii; et magno iussil. Mf^toi^ie ìSToErr.iiE di Accumou 333 (io clucall mensili): ma siccome in prima istanza giu- dicava Ji qualunque somma, e nel criminale dannava ancora alla pena di morte : così dalle note che abbia- mo sotto occhio di alcuni governatori reputati one- stissimi, l'introito, oltre il detto emolumento, era per lo meno di ducati /(.oo-Soo. Al presente più regolare è il corso di giustizia, poiché assai limitate sono le alliihuzioni dei giudici regi pagati dai comuni, e che sono slabllili ne'capolunghi di circondario. Ogni co- iniiae ha un conciliatore che esercita gratuitamente le sue attribuzioni, che non" oltrepassano i ducali sei: ma inappellabili sono i suoi giudizi. Tali ancora (ino ai ducati venti sono quelli de'giudici, che giudicano fino ai ducali 3oo : essendo appellabdi le loro sen- tenze ai tribunali di prima istanza, che sono in ogni capoluogo di provincia. Siccome in ogni tre o quat- tro Provincie risiede xma gran corte civile in grado di appello, dalla quale per difetto d'irregolarità vassi alla cassazione nella capitale. Inoltre in ogni capoluo- go di provincia sta una corte criminale. Per Accumoli il magistrato municipale, dopo la sua dedizione alla corona reale, si compose per secoli di quattro membri, poi di due. Il capo, preso semnre dal primo ceto fra i cittadini, chiamavasi da ultimo capo priore, e mutavasi in ogni anno. Per lunga pez- za l'accumolese magistrato fu barone di Roccasalli; e mai sempre le corporazioni religiose gli resero pub- blico e solenne omaggio (i) durato fino alla loro sop- pressione ( 1807 ). Il capo della magistratura perce- (r) Il guardiano, il priore ed 11 rettore delle respettive chie- se andavano con altri religiosi con piviale e croce alzata a pren- dere processionalmente il magistrato al palazzo comunale. 334 Letteratura piva anticamente un emolumento di fiorini i8 al me- se , e gli altri membri ne percepivano 12 : la qua! somma scambìossi dipoi in ducati 9 e 6 : e fu per- cepita fino alla metà del prossimo passato secolo. A seconda di una legge aragonese, andata in oblio sotto il governo vicereale, e che fu ripristinata da Carlo III, doveva il magistrato dar conto esatto della sua gestio- ne a due deputati scelti dal consiglio municipale. 1\ quale dopo la suddetta dedizione agli angioini, ben-t che si componesse di un uomo a fuoco, seguitò tut-, tavia per lungo tempo nel privilegio accumolese di 4S consiglieri fra i più notabili cittadini che formavana il maggior consiglio (i). Il consiglio di un uomo a fuoco, comune in tutto il regno, ebbe fine nel 1807 (a), Fino a quest'epoca in ogni accumolese villaggio un, individuo nominato dal consiglio portava il nome di massaro, dipendente totalmente dal magistrato della madre patria : siccome oggi ciascun eletto di villag- gio è subordinalo al sindaco e ai due eletti della me- desima, Cotcsta magistratura è uniforme in tutti i co- muni del regno : ma va soggetta anche per la più te- nue amministrazione alla prima autorità della pro- vincia, e dura tre anni. Oggidì è assai decurtato i\ consiglio municipale in tutti i comuni, e porta il no.- rae di decurionato , ì cui membri rinnovansi dal medesimo ogni quattro anni. In ciascheduna provin- cia inoltre è un consiglio provinciale che adunasi per 20 giorni in primavera, le cui sessioni sono pre- (i) Parte a, pag. 89- {1) Vuoisi avvertire che le famiglie del tutto povere, e non aventi alcun fondo rustico ed urbano, si contavano appo noi sot- to il nome di forestiere, senza far parte mai del consiglio. Mf^IORIE ISTORrCHE DI A.GCUIVIOLT 335 cedute dal consigli distrettuali che aduuansi nel capo- luoghi di distretto, e durano i5 di. Le liste per que- sti consiglieri sono presentate dai decurionali alla scel- ta deirautorità superiore della provincia; dovendo pe- rò comunemente avere una rendita non minore di dui-ali 200 i consiglieri di distretto, e di 4oo quei di provincia. Per qualche secolo, oltre i diritti delle famiglie fondatrici di Accutnnli, i fondi rustici del suo vasto lenilorio furono proprietà de'ciltadini. A poco a poco pel contrahando, pel commercio con Roma e per lo scialacquare de'citladini, i contadini da pastori e iilta- iuoli divennero pioprietari: ed ora la maggior parie del territorio è venuta in loro potere (i). Dacché essi di- ventarono possidenti di terre, ottennero di costituirsi in università per ciascun villaggio: nel che furono se- condati da'nostri maggiori, i quali ne riportarono van- taggi. Imperocché il privilegio di cotesto università ri- ducevasi a collcttarsi fra loro non solo coli' ohhligo di versare le somme in Accumoli, cui esclusivamen- te il superior governo fissava la quota totale delle imposte, ma coll'ohbligo ancora di tenervi ciascuna villa un esattore, un cancelliere ed un procuratore. Tenui bensì erano i relativi emolumenti, ma decisa utilità ne risentivano i cittadini. Ne finiva qui il loro guadagno : imperciocché i loro beni esistenti nelle vil- le collettavansi tuttavia nel libro della città. Il per- ché dopo il catasto di Carlo III le ville intentarono lite, acciò d'ora in avanti i fondi si collcttassero nelle (i) Dalle patrie memorie rilevasi ancora, che i nostri ante- nati non solo possedevano in tutta la contrada sommatina, ma aacora fuori del regno. 336 Letteratura rispettive università ove esistevano; ma ne uscirono costantemente perditrici. Crediamo qui riportare po- che frasi dì un cittadino di Aecumoli suo avvocato., elle forse repulerebbonsi oggi aperte soverchierie. « Nella causa di cui trattiamo è ardita e teme- » raria V impresa intentata in nome delle ville che )) compongono il nostro antico contado , avendo la )) città più secoli di possesso legittimo, quantochè ba- )) sterebbe uno solamente Se in fine il titolo più )) giusto per una perfetta comunione si è mai sem^ )) pre riputata la filiazione, or come mai si sono quasi )) contro le leggi della natura dimenticati i naturali )) de'villaggi del contado la loro troppo onorevole fdia- 3) zione colla città ? Qual vantaggio credevano esse » ritrarre coll'essersi separati in università ? Imperoc- » che la regia camera non sognò mai che rimanesse )) estinta la promiscuità ed unità di tutto il territo- )) rio, avendolo la corte considerato sempre come un » sol corpo. Deve perciò pagarsi nel domicilio del » buono tenente ; mentre la dimembrazione fu sola- )) mente in quanto all' esigersi e formarsi separata- » mente la tassa delle loro rispettive rate e di altre )) spese arbitrarie, ma non però in quanto all'unità, )) promiscuità e giurisdizione: sicché nulla si cangiò )) dell'antico sistema. Vanissime sono quindi le pre- 3) tensioni, per le quali credono le ville non esservi )) promiscuità e di potere esentarsi dalle conlribuzio- » ni a questa icittà nei pesi, e di poter collcttare i )) beni de' cittadini che in esso contado posseggono, u Per chiudere sulle generali tasse, se riflettasi che imponevansi in tutto il regno, in ispecie prima del catasto di Carlo IH, in ragion de'fuocbi, ne discende che così il ricco come il povero comprendevansi nel- Memorie istoriche di Agcumoli 33 7 ristessa categoria. Ma vi era di più : i contadini e gli artigiani, sotto vari nomi di bracciale, industria, sargente ec, fino agli ultimi tempi pagavano tasse , dalle quali erano totalmente esenti i nobili, gli ozio- si e tutti quei che esercitavano le arti liberali. Che se aggiungansi i pesi baronali, i quali appo noi, ec- cetto tenuissimi per Roccasalli (i), non esistevano , vedesi chiaramente qual carico subissero le classi la- boriose del regno. Regolarissime sono oggi le taglie nel medesimo , perchè , oltre le abolizioni baronali, impongonsi in ragione delle proprietà. Pel comune di Accumoli non oltrepassano ora le dirette contribu- zioni fondiarie i 2800 ducati. Per le memorie del Quarto di s. Lorenzo, pel bollario francescano, per le fortificazioni positivamen- te, negativamente poi pel diploma di Leone IX , e per la cronaca farfense riguardante la sommatina con- trada, noi fissammo la precisa origine di Accumoli, contro l'avviso di coloro che la reputarono di mag- giore antichità. Non sapremmo per altro indicare con precisione , se simultaneamente sorgessero tutte le sue chiese, e gli altri stahilimenti pubblici, e taluni singolari usi e costumi. Pensiamo quindi con ragio- ne che avessero luogo a poco a poco. Certa però ve- desi la dovizia degli accumolesi fondatori per la forte costruzione della terra, per le cinque pari'occhie in- terne, per l'interno fabbricato, e per le chiese che die- dero nome alle porte, e per quella conceduta ai frati minori. Le altre chiese saranno state probabilmente costruite in appresso. Prima della brevissima descrizione delle medesi- (1) Parie 2, fiag. 80. G.A.T.XCLVI. 32 338 Letteratura me, e dell'animo veramenle religioso degli accnmole- si, diremo di volo di taluni usi e stabilimenti, eccet- to di quelli che dovettero ricordarsi nel corso di que- ste memorie. I matrimoni celebraronsi più secoli fra eguali con corrispondente corredo nuziale, e con do- te di paraggio compresa in tre gradi di i,° 2,*'e 3* ceto: il quale ultimo abbracciava gli artigiani, i po- veri cittadini ed i contadini. Dai 5oo a looo fiorini era la dote statuita pel primo ceto, dai 20o-3oo pel secondo, e di loo fiorini era quella del terzo ceto. Le quali somme convertironsi poscia in ducati, e so- vente in scudi romani. Curioso si è che i contadini, poveri o ricchi che fossero , dotarono costani emente le loro donne fino al principio del secolo corrente con scudi lOO (i). Il vestiario di lusso della sposa del 1 ceto era di ricca stoffa { broccato ) e insieme colle gioie passava fino agli ultimi tempi dall'una al- l'altra generazione. Modesto era il vestiario delle po- vere cittadine, ed uniforme in tutta la contrada era quello de'contadini. Oggi però il lusso ha progredito più o meno in tutte le classi: ma relativamente all' antico è retrogrado nel primo ceto pel generale de- cadimento de'loro patrimoni. Piacque e piace ancora la buona tavola ai co- modi accumolesi. Nella vita su citata di s. Giuseppe da Leonessa, allorché predicava in Accumoll (sec. i6) narransi i manicaretti e crostate regalate al santo, che di soppiatto le passava ai poverelli. La danza ed al- tri onesti divertimenti furono cuu maggior frequenza praticali negli andati tempi, e raddoppiavansi nei gior- ni di carnevale, nell' ultimo de' quali riunivansi le (i) I poveri hi obbligavano di pagare a rate. Memorie istoriche or Accumoli 33f) agìale famiglie, dopo pubblico ballo in mascliera, a sun- luosa cena nella sala del comune. Il teatrino da noi ricordato in un atto officiale esistente dentro il pa- lazzo del Quarto di s. Lorenzo, crollato con esso nel 1627 (i), mostra di buon ora il gusto per la com- media de' nostri antenati (2). Il novello, di cui di- cemmo ivi renderne conto in questo capitolo, fu co- struito nel principio del secolo 18." appresso alle pub- bliche scuole (3). Essendo nel 18 ig crollalo il mu- ro in fondo del palco scenico, venne lutto il resto dilapidato e derubato, e la località fu ridotta a de- positi d'immondezze. La severità de'costumi de' nostri vecchi era tale, che i palchettoni di questo teatrino occupavansi solo dalle donne, le quali vedevansi se- parate soltanto nella diversità della loro condizione. Un grazioso teatrino si è ricostruito nell'istesso luo- go nel decorso anno ( 1842 ). I palchi vi sono gran- di ed aperti, e di proprietà delle principali famiglie, occupati peraltro promiscuamente da ambi i sessi. In questi dì (giugno 1843 ) andato io colà, ho dovuto lodare una non dispregevole compagnia comica che vi recitava commedie di carattere e farse. Molla passione per la caccia ebbero i nostri mag- giori, venuta meno pel disarmamento nell'occupazio- ne militare, I capri, che un tempo abbondavano, di- vennero rari per la diminuita quantità de'bosLhi: vi (i) Parie 2, pag. 108-9. (2) Ignorasi l'epoca in cui venne stabilito questo teatrino .• troviamo solo una ricevuta di 5o fiorini pagati ad un tal Abiso- mi ebreo in Ascoli per debito contratto per mercanzie pel teatro nel 1545. (5j Questo teatrino vien ricordato ancora dal Giustiniani nel- la citata opera. 34o Letteratura abbondano tuttavia lepri , ne mancano volpi e lu- pi (i). Le pernici nelle vette montuose, le starne ed altri volatili vi sono piuttosto in copia. Assai diver- tente ne'passati tempi era la caccia de'coloinbi nell' ottobre. Oggidì è andata quasi in dileguo, non solo perchè minore è il passo de'medesimi, ma ancora pel suddetto disarmaraento, e per la spesa che richiedono i cosi delti azzichi. Il Tronto ed alcuni suoi influ- enti abbondano più o meno di pesci di acqua dolce, eccetto la trotta, che noi crediamo polesse prospe- rarvi: mentre i fiumi Nera ed Aniene rapidi quanto il Tronto, e discorrenti in geognosticn suolo, a un dipresso simile al nostro, hanno squisite trolle (2). Se attivi furono e sono i nostri contadini ne' loro diversi traffici ed industrie dentro e più fuori del comune, i cittadini soprattutto ne'passati tempi assai discretamente vi si prestarono: e taluni ne'tempi mo- derni poltrirono nell' ozio. Discorrendo in appresso i prospetti statistici, rileverassi l'accumolese commer- cio, essendo oggi il traffico divenuto scopo principalissi- mo di tutte le nazioni incivilite. Vero è che la politica posizione di Accumoli e le cattive strade ne furono e (t) Il Giustiniani dice essorvi nell'alte cime molti orsi. E del tutto falso, e per sola tradizione si conta come caso rarissimo es- sersi per una sola volta veduto un orso che venne ucciso. Così del pari noa vi furono, né vi sono cignali: ma nel i8io sedici di questi animati , senza sapere il preciso luogo d'onde venisse- ro, furono sequestrati nel gennaio dalla neve nel fosso di vdla TinO) e colle mazze ed accette ( per essere stati dal governo pri- vati delle armi ) furono uccisi da que'contadini. (2) Nel 1811 io mandava di Tivoli, in vari recipienti di acqua da cambiarsi di tempo in tempo, venti libre di piccole trotte per gittarsi nel Tronto: ma alla metà della strada eran tutte perite. Torno ad inculcare a' miei concittadini di procurarle dalla con- vicina Umbria. Memorie istoriche di Accumoli 3^i ne sono pe'cittadini ostacolo gravissimo (i). Noi difatlo abbiamo sotf'occbio un originale privilegio del dì 16 giugno 1753 sul pubblico mercato della suprema ca- mera di Sommaria , che in onta dell' opposizione de' conviciai, dei quali in dt^tto privilegio rlportansi varie parole, conferma ampiamente l'antico (2) : ma nessun frutto produsse la rinnovata concessione. Noi iy94 l'iattivossi il pubblico mercato con grande appa- rato: ma non era risorto che tornava tosto a morire,^ Cosi accadde fin da' passati secoli delle pubbliche fiere, che lenevansi presso i suburbani santuari. Le armi un tempo , la toga soprattutto e la chiesa , occuparono soltanto i nostri antichi. Continue sono le nostre me- morie dell'insegnamento gratuito di pubblico diritto a que' cittadini , cui mancavano mezzi di studiarlo nelle capitali Dicemmo altrove che ogni casa patri- zia aveva un dottore di leggi (3). Veggonsi ancora, ma raramente, que'dl medicina (4). Nessuno, a no- tizia nostra, diedesi colà allo studio delle arti belle. (i) Noi slam certi che in brevissimo tempo, per cura di ambi i governi del potilefice e del re, si apriranno facilissime comuni- cazioni auche da questa parte fra l'Umbria, l'ascolano e la pro- vincia aquilana. In questi dì, giugno i843, siam noi passati per la incominciata strada rotabile di Acquasanta per Arquata. Nel- la qual circostanza potranno sorgere nell'accumolese ricche e di- verse industrie per le abbondanti acque, buschi e salubrità del clima. (2) Parte 2, pag. 68-9. In cotesta opposizione notavano spe- cialniente che, Accumoli confinante collo stato pontificio , se si tornasse a concedergli il mercato, si aprirebbe un ampia strada, alle /rodi, ed al facile profugamento de' bestiami e delle vetta- vaglie. (5; Parte 2, pag 8i-4, j4j Nella metà del secolo 16 il primo medico condotto per- cepiva i5o fiorini! 34a Letteratura, quantunque non mancassero maestose fabbriche e non dispregevoli diplnlure. Piibbliclie vi erano le scuole fino alla rettorioa, ne mancaron mai simili anclie pri- vate fino agli ultimi tempi. Ferdinando IV, C(une so- pra si disse (i) (1773), raddoppiò del proprio peculio il soldo al maestro di grammatica superiore e di uuia- nità (2). Il che è ricordato eziandio nell' opera del Giustiniani (3). Nel dizionario del Maltebrun leg- gesi: (1 Accumoli, piccola città dell'Abruzzo a 7 le- ghe dall'Aquila, è bagnata dal fiume Tronto, e vi so- no vari utili stabilimenti pubblici. » Ma per verità se gli antichi relativamente non eran pochi, oggi an- darono in dileguo , e solo di qualcuno rimangono vt'stigie. Se nel 7 capitolo della seconda parte tor- nammo a ridire sui disastri per le diboscate selve , noti tralasciammo ancora di ricordarvi un nostro dis- corso sopra \\n parziale avvallamento, in cui aveva- mo notato il barbaro abuso di alcuni accumolesi, che per le loro fabbriche private han fluito di rovinare le pubbliche '/^). Nò minore è il vandalismo di os- servare qua e là dispersi dentro Accumoli condotti stupendi di macigno calcario, e di vederne anche usati taluni per sostruzioni nelle pubbliche piazze e nelle case private I ! Noi ignoriamo l'epoca di siffatta dis- (i) Pag. 196-7. (2) Oggi ogni comune nel regno deve avere scuole primarie e secondarie ed agrarie, e le normali per le fanciulle. Ogni ca- poluogo di provincia ha un collegio: e ogni due o tre provincie un liceo, che negli Abruzzi risiede in Aquila per borbonica be- neficenza. I^e università nel regno unito sono in iNapoli,in Paler- mo, e se mal non mi appongo in Ciitania. (3) Tom. I, art. Accumoli. (4.Ì Discorso sopra un parziale awaUamenlo ( i838). Aquila tipografia Grossi^ pag. a5. Memorie istoriche df Ìccumoli 343 persione che privò gli abitanti di salubeirima ed ab- bondante acqua, che scaturiva in suolo calcario dai monti superiori. Magnifico era il fonte collocato in una piazza nel centro della terra, d'onde partivano piccioli condotti di piombo che portavano acqua nel- le case de'primari cittadini (i). Per tradizione dicesi 1' acquedotto devastato da' francesi nel secolo XVI : infatti poc' oltre la metà di questo fu indarno più volte da'medesiini aggredita la terra (2). Il cui pro- gressivo decadimento non diede campo a ristabilirlo: ne discrediamo che rimontasse all'origine patria (3). Invece sostituissi una pubblica fontana in un canto- ne di Accumoli con acqua scaturente bensì da'monti superiori : ma che nelT avvicinarsi discorre in suolo arenario (4)> e s'introduce superficialmente al terre- no in meschinissimi condotti di tegole e coppi. Non è guari che il decurionato ha proposto di riparare in qualche modo a questo sconcerto. Che non vi sia rimasa reliquia di un ospedale per morbi pestilenziali, di cui leggonsi qua e là me- morie, e che fino al secolo XVI esisteva rimpelto a Grisciano nel monte di Rapino presso questo villaggio, (i) Le sostruzioni della detta fontana, chiamata secca, dura- rono sino al 1794» iu cui spianata la medesima, si trovarono i particolari condotti di piombo. {2) Parte 2, pag. 5o-3. Io credo che le cisterne, che antica- mente v'erano in copia , miravano a riparare i bisogni in caso d'assedio. ^3) Qualche secolo contano alcune fabbriche, a'piedi delle quali veggonsi i suddetti condotti calcari .• in ispecie sulla picco- la piazzH Chiarella. ^4) Uà ciò specialmente ripeliamo (jualche calcolosa affezio- ne dentro la città. \ 344 Letteratura sparilo anch'esso (i), la cosa potrebbe esser ragione- vole : giacche talun contagio si spense sul finire del secolo XIII ( lebbra ) : alcun altro mercè del genio italiano fa raffrenato ( laz.zaretti ). Ma che un'eguale distruzione avessero gl'interni ospedali civici, sarebbe un'onta imperdonabile pel comune, se la progressiva diminuzione degli abitanti e la salubrità del luogo non dessero motivo di ricuoprirla. L' ospedale con- giunto colla chiesa di sani' Antonio abate ebbe fine sul pi'incipio del secolo XVI , come raccogliesi in queste memorie (a). Allorché brevemente diremo del- la chiesa matrice, vedremo ivi un'istituzione del pa- ri distrutta , che nel praticare religiosi offici mira- va principalmente all'amministrazione del maggior o- spedale, ed alla sorveglianza de'poveri infermi. Por- zione del casamento di quest'ultimo, rimasto in pie- ili, erasi dal comune destinata pe'poveri passaggeri, ed anche per alcun indigente del paese : ma nel dì iq (i) Vedasi la pianta topografica. - Quest'ospedale è anterio- re alla fondazione di Acoumoli. Tra le nostre memorie vedesi , che l'antica collazione della sua chiesa couferivasi dal capitolo vaticano. Ecco le parole tratte dal suo archivio: ,, Ecclesia s. Mi- ,, chaelis s. Angeli cuni hospitale in loco ubi dicitur Sasso di ,, Rapino apud villam Crisciani dat annuatim dictae basilicaa j, libram imam cerae albae laboratae. Di'-ta ecclesia est con— ,, firmata Rmo Capitulo ab Innocentio III, prout ex bulla con- ,, lirniatiouis , quae conservatur in archivio ,,. Non si nomina Accumoli, di cui fassi meuziunu in tutte le collazioni posterio- ri (late dallo stesso capitolo «'sacerdoti acciuuolesi : finisce poi così: ,, Anno i625 apparet predictain ecclesiam possideri a do— ,, mino Bernardino Peraso, qui renuit solvere , el visitatores an- „ no 1666-81 nihil dicuut de possessione et solulione ,,. La chie- sa non esisteva più. ;2j L'anonimo più volte per noi citato nel descrivere le chie- se din;: „ S. Auluuio de \ leuii.., el suo hospetale, sft)ene hog- ,, gì dì non ce, et da molli anni che fu inalaiuente levalo „. Memorie istoriche di Agcumoli 3/^S settembre iBoi finì improvvisatnenle di crollare col- la morte di due povere vecchie (i) ! Manifesta dilapidazione fu il disfacimento del monte di pietà eretto nel i635 (2) : ed ebbe fine ra- pidissimo sullo spirare del prossimo passato secolo. Ne scusa di sorla puossi accordare all'ultimo direttore , che per coprire la totale espilazione narrava, che mol- to avevan derubato i ladri notturni : ed il rimanente di pegni e del danaro fosse servito per indispensabile necessità nelle tristi emergenze del 1799. Dai libri mastri rilevasi, che profittavano del medesimo non so- lo gli accumolesi, ma eziandio i vicini del regno e dello slato pontificio. Nella nostra ad(jlescenza ram- mentiamo benissimo, che i pegni rlratisti liberi ven- devansi all'asta pubblica nel giorno dell'epifania. Savissimo sarebbe stato l'accorgimento de'nostri magi^iori nell'Istituzione de'monti frumentari, se non avessero diminuita la |>astorizia : talun di essi rimon- ta a poco dopo la metà del secolo XV (3). Venti se ne conlavano nell'accumolese nel passato secolo. Crebbero essi per raffrenare l'emigrazione de'poveri (i) A lode degli odierni abitanti, se qualche poverello s'am- mala senza alcun iiiezzo, il che è assai di rado, fanno essi a gara per soccorrerlo II detto ospedale fu ridotto ad orlo , ed il ritrat- to della vendita fu convertito in piccolo casolare destinato an- che al presente per la medesima carità. (2) Parte •?., pag. 119. (3j Le gravissime usure, in ispecie praticate dagli ebrei, ispi- rarono ai frali minori risliluzione de'nionli di pietà; il primo de' quali dicesi surlo nella convicina Umbria, e precisamente a Pe- rugia nel 1462. Notizie biografiche di frate Marco Da Montegal- lo pubblicale in Ascoli nel corrente anno i845 da Giacinto Can- tala messa Carboni. 346 Letteratura coloni (i). Oggi sono ridotti a tredici, uè hanno quel- la copia di frumento, siccome in detta epoca. Ciascun monte viene amininisfralo da due persone che al pre- sente rinnovansi in ogni anno, e son proposte in ter- na dal decurionato, e prescelte dal capo della provin- cia. Ogni monte ha lo stato discusso, che parimenti si rinnova ogni anno. Gli amministratori danno con- to della loro gestione, che esaminata dal decuriona- to, viene rimessa al consiglio generale degli ospizi del- la provincia colle opportune osservazioni. La rota pe'proietti è generale per tutti i comu- ni del regno fino dal i8o3. Il sindaco, un parroco, un altro deputato ed il medico e chirurgo formano una commissione speciale per la sorveglianza de'me- desimi. Scelgonsi nutrici, povere bensì, ma senza ec- cezione : la mercede loro assegnata appo noi fu dap- prima di ducati sei, ma ridotta subito a carlini trenta al mese : di poi ribassata a carlini 0,1^. L'emolumen- to diminuisce dopo l'allattamento, e riducesi in fine a carlini dodici mensili fino all' età di anni dodici compiuti per le femmine , e fino agli otto anni pei mascbi. E singolare però che nella nostra patria na- tia vengano i proietti adottati, o per dir meglio tenuti come figli; e questi come genitori riconoscono le per- sone della casa ove furono collocati (2). L'un l'an- no per l'altro, come risulta dallo stalo discusso (ta- bella comunale), la spesa ammonta nel comune di (1) Parte 2, pag. 71-4» e seguenti. (2) D'ora in avanti, come sopra accennossi, saranno traspor- tati dopo quell'età al gran deposito di mendicità stabilito pei tre Abruzzi in Suhnona. Memorie istoriche di Aggumoli 347 Accuraoli a ducati 4oo l'anno, e quasi per metà viene rivaluta tlal governo (i). Il maggior commercio degli accumolesi, oltre l'in- terno, fu da secoli con Roma per le diverse industrie de'contadini, con Ascoli e Norcia: perlocchè la moneta correnle fu romana, e cominciò la napolitana dacché vennero le guarnigioni militari (1797) ed i rigori doga- nali. Le misure sono napolitane: ma i pesi e le misure de'liquidi fino a questi dì sono romane; giacché d'ora in avanti per provvido comandamento gli uni e le altre saranno uniformi in tutto il regno, ove in ogni provincia variavano. Nel che noi torniamo ad ammi- rare la sapienza del governo aragonese^^ che a cotan- to incivilimento aveva portato il regno , siccome fu per noi di volo chiaramente mostrato (2), essendo av- venuto un totale rovescio per barhara aggressione stra- niera. Desolazioni, lutto ed ignoranza ne fu il lagri- raevole risultato : mentre noi eravamo sì innanzi, che non pochi trovati, spacciati negli ultimi tempi dagli stranieri per propri, l'Italia maestra prima avevali te- nuti in pregio, ma per 1' importato loro vandalismo erano gettati nell'oblìo. Quindi fra le buone istitu- zioni intendiamo qui dire de'pesi e misure, per le quali la maestà di Ferdinando II ( D. G. ) con legge de'6 aprile 1840 ha richiamato in vigore l'editto di Fer- dinando I d'Aragona del 6 aprile i415o, che institaì le misure e i pesi nella loro integrità, prescrivendo l'uni- forme osservanza del nostro antico sistema metrico. (i) Dal i8o3 fino all'anoo corrente annoveransi iSg proietli nel comune di Accumoli Vuoisi bensì conoscere che per la co- modità diversi provengono da vicini luoghi limitrofi. (a) Parte i , pag. i6o-3. S/^ò Letteratura e ne fece spedire campioni in tutte le provincìe: sic- come si è in questi dì rinnovato dal sapienlissima principe che regge i napolitani dominii. D'ora innan- zi i pesi e le misure di Napoli capitale co'raoltipli^ ci e summoltiplici stabiliti nell'accennala legge sona comuni a tutte le provincie del regno. Il palmo è considerato come base dell' intero sistema metrico» Esso è settemilesima parte di un minuto primo del grado medio del meridiano terrestre, ovvero la sette- millesima parte del miglio geografico d'Italia: è diviso in parti decimali, e dieci palmi costituiscono la can- na. La canna lineare, la canna quadrata e la canna cubica sono le unità di misura di lunghezza, di su- perficie e di solidità per lutti gli usi. La prima è uguale a dieci palmi lineari : la seconda a cento pal- mi quadrati : la terza a mille palmi cubici. L'unità superficiale delle misure agrarie è il moggio di die- cimila palmi quadrati , ossia un quadrato che abbia uno dei lati di cento palmi o canne dieci. (L'antica misura agraria era il tomolo di 400 canne di palmi otto ciascuna.) Un tomolo di antica costumanza cor- risponde a moggia legali 2: 56. Perciò 100 tomoli cor- rispondono a moggia a56. Per gli arìdi il tomolo è l'unità delle misure di capacità. Equivale a tre pal- mi cubici, e si divide in quattro quarte, o in 24 mi- sure, ciascuna delle quali uguaglia il cubo di mezzo palmo. La misura degli aridi si esegue sempre a raso, e non a colmo. (In iVccnaioli per gli aridi era la stes- sa misura, cioè la starella eguale a mezzo tomolo. ) Il barile è l'unità delle misure di capacità per alcu- ni liquidi, come acqua, vino, aceto ec, e si divide in 60 caraffe. Equivale ad un cilindro retto del diame- tro di un palmo, e di tre palmi di altezza. La botte Memorie istoriche di Acgujmou 3X0 si compone di 12 barili. (Il barile accumolese era di 40 boccali composto di 4 caraffe o fogliette di once 18 romane. ) L'olio si misura a peso, cioè a canlaia, a rotoli ed a frazioni decimali di rotolo. Pel com- mercio a minuto si misurerà a capacità, facendosi uso di piccole misure di capacità di forma cilindrica, le quali debbono essere equivalenti in peso alle parli de» cimali di rotolo. ( L'antica misura accumolese era a fogliette di once 12 romane. ) Il rotolo è l'unità di misura pe'pesi, e si divide in parti decimali. La sua parte millesima è il trappeso. Il canlaio si compone di cento rotoli. Religiosissimi furono gli accumolesi, siccome ri- levasi dalle interne cinese per essi fondate e dotate, senza le suburbane e quelle disseminate pe' villaggi. Il loro decadimento portò quello ancora delle medesi- me (i). Talune di esse sonosi rovinate a' dì nostri con molto scandalo de'buoni cittadini, appo i quali indelebilmente scolpita rimane la religione tramandata dagli avi. Sedici sono le cinese interne erette nella patria fondazione ; e forse talune, come abbiam sopra divi- sato, poco dopo la medesima. Alcuni cronisti, come altrove notammo (2), diligenti nelle cose del tempo loro, cadono in continui anacronismi per le antiche. Siccome, a modo d'esempio, nel fissare l'origine di Accumoli all'epoca di s. Francesco , lo recano po- scia a più secoli addietro : così alcune parrocchie sten- fi) Un cronista del principio del secolo XVII nel numerare le chiese dice: „ Sono ora buona parte profanate per l'antichità e cattiva amministrazione de'pastori. „ Dovevasi aggiugnere . pel territorio aspramente tolto dagli angioini. (2) Parte 2, pag 20 e 65. 35o Letteratura dendo la loro giurisdizione in alcuni villaggi, credono che tutti dovessero tenervi la loro chiesa. Il lettore per altro non attenda ora la descrizione di tempii magnifici : ma di chiese piuttosto povere, e quasi tutte oggi rovinate. S. Maria della misericordia è la chiesa ma- trice di Accunioli, amministrata gratuitamente da un officiale per lo più laico nominato dal magistrato, cui dee render conto dell'annuale amministrazione. La sua rendita, di circti 200 in 3oo ducati, era un tempo qua- drupla, senza le rendite delle particolari cappellanie che fino al passato secolo erano dieci, ma oggi dimi- nuite di numero e di entrata. I cappellani l'officia- vano pochi lustri addietro a guisa di collegiata. Il cap- pellano maggiore, i sagrestani (ora un solo) e l'organi- sta sono nominati e pagati dalla sola università di Ac- cumolic II cappellano maggiore lucra ancora pioplae : egli è obbligato di fare tutte le sacre funzioni che sono continue ; e ne'dì di festa deve celebrar messa solenne sul mezzo giorno : ed uno de'cappellani ha obbligo di dirla all'alba ne'dì festivi (1). I confratelli delti della misericordia, ST^ar'iì'i da. qualche secolo, amministravano il maggior ospedale, ed assistevano con zelo per turno gl'infermi: esso era quasi dirimpetto alla chiesa : prendevano inoltre i morti e (i) In quaresima il cappellano maggior nel giorno della pre- dica del purgatorio dà al predicatore (pagato dal comune ) una nota di persone del primo ceto per la questua delie anime sante. Appena salito al pulpito il sacro oratore annunzia le medesime. Per la chiesa vanno raccogliendo elemosine due giovani con sot- tocoppa d'argento. Per la città e sue ville due uomini, ed in giorni separati due signore le più recentemente maritale. L'ele- mosine che sono oggi dccurtalissime vanno in suffragio del pur- gatorio. Memorie istoriche di Accumom 3S i gl'infermi in campagnn, inclusive quei per l'altro ospe- dale uno dei cappellani confratelli aveva la direzione spirituale. In s. Maria, oltre varie sepolture gentili- zie, ve n'eran due per ambi i sessi destinate pe'morti di campagna e dell'ospedale. Subì questa chiesa di tempo in tempo molte ri- parazioni, e ne ha tuttora grave bisogno. La sua for- ma attuale puossi dire come una grossa lettera T a ro- vescio. In mezzo è volta piena : ai due lati sono sof- fitte semplici, ed in fondo, ove son tre cappelle , il soffitto è più alto e variopinto. Cinque sono oggi le cappelle rimase, escluso un oratorio sotterraneo. La maggior cappella rimodernata a stucco ha una nicchia, in cui è sedeule la Madonna della miseri- cordia col morto Redentore sulle ginocchia: essa cuo- presi talora con cortina di seta , o con un quadro che s'innalza e si abbassa , nel quale sono le vergi- ni Lucia, Agata e Caterina. Questa circostanza fece sì che restasse sconosciuto per due dì un famoso fur- to di un sagrestano laico, commesso circa tre lustri prima di spirare il prossimo passato secolo : imperoc- ché preziosi e ricchi gioielli e perle orientali ador- navano la testa ed il collo delia statua (i). Il ladro, fuggilo fuori del regno, trovò protettori ed impieghi. Dirimpetto , ma lungi da quesl' altare , detto aliare maggiore non meno per la vergine cui è dedicala la chiesa, che pel santissimo sacramento che vi si cu- stodisce, vedesi la cappella di s. Domenico passata in proprietà di una famiglia degli Organtini, che nel fi- nire del XVI secolo si era stabilita in Accun^oli. La cappella di s Giuseppe, in distanza e di pro- (i) Vi furon poscia sostituite gioie false. 352 Letteratura spetto alla porta maggiore, fu ristorala in principio del sec. 1 7 a spese de'cittadini con raddoppiate co- lonne ed ornati di noce bensì, ma con superbissimi intagli. Stimasi il quadro del santo che cuopre col suo mantello Accunioll, di cui è principal protetto- re, e se ne celebra più o meno solennemente la fe- sta (i). Sotto quest'altare sta un'urna col morto Sal- vatore, che nelle pubbliche calamità conducesi proces- sionalmente anche nei santuari suburbani. Di buon pennello credesi il quadro di s. An- na, che forma la cappella gentilizia dei Pasqualoni, che medesimamente fondarono quella in s. Lorenzo in Lucina di Roma : il che rilevasi ancora nella di- rezione pontificia del debito pubblico. Questa famiglia è non ha guari estinta. Quella cappella era ricca- mente fornita: ma gli argenti si presero dal governo, come dappertutto, per le vicende luttuose della fine del secolo passato. La rendita del cappellano, fondata so- pra i luoghi di monte, è oggi assai decurtata (2). Di- rimpetto a questa cappella è la gentilizia, un tempo de'Guidoni, dedicata alla s. Vergine concetta. La Ma- (i) Uq Organtini deputato per questa ristorazione, nello slem- ma di Accumoli clie vedesi da Rinbi i lati dell' altare innestò di più il giglio fiorentino ; perchè gli frullò in testa , che essendosi in quel tempo discoperte alcune case di s. Giovanni del Guasto pomarese sotterrato per avvallamento (par. i,p.24), fosse l'antica Fiorenzuola fondata da cittadini fiorentini, e dalla quale avesse origine Accumoli : di ohe non vi fu mai né antica né moderna memoria. Per cotesta bizzarra innovazione videsi in appresso il suddetto stemma coll'aggiunta di quel giglio, di cui alla pagi- na gì della i parte promeUemmo darne conto a suo luogo. (•2) A lato sinistro di questa cappella è reputato di pennello maestro una testa collocata iu deposilo di marmo con iscrizione pertinente ad un allro Pasqualoni illustre, e di famiglia estinta da pochi anni. Memorie istorichk di Accumoli 353 donna, cui sovrasta l'eterno padre, è di un vivissimo colorito, e dicesi l'opera di buon artista. Annesso a guisa di sotterraneo sta un oratorio, che perteneva fin dal secolo i6 alla confraternita di s. Marcello, e vi era l'altare di questo santo. La con- fraternita componevasi di artigiani con sacco nero , che associavano i morti in campagna ed i poveri in città , essendo essi in questa pia istituzione suben- trati al suddetti fratelli della misericordia che erano del 16 2 ceto. L' oratorio ristaurato , abbellito e fornito di ricche suppellettili ed organo, fu per sovra- no decreto nel 1798 convertito in altra confraterni- ta chiamata della Vergine addolorata : il real decre- to leggesi nello scendere dalla sagrestia della chie- sa sulla porta dell'ingresso. Fervorosissimo, per cura dell'ottimo priore Odoardo Marini non è guari de- funto, è lo zelo de'fratelli dell'Addolorata che si pre- stano alle funzioni anche di altre chiese. Indossano il sacco bianco con rocchetto celeste, ove è appesa la Vergine de' sette dolori. La cui figura è presa dalla espressiva statua regalata sul finire del secolo da un confratello canonico Sgariglla di Ascoli che riparava da'suol parenti in Accumoll nel 1798. La divozione verso la medesima è edificantissima, e sono continui gli atti divoti che vi si praticano. Alla festa, che si ce- lebra la 3 domenica di settembre piuttosto con pom- pa, vi accorrono i conviclni paesi. La confraternita non ha rendita di sorla, ma si mantiene di elemo- sine. Fra le sacre funzioni che si celebrano in s. Ma- ria, oltre quelle che maggiori ricordano i giorni di nostra religione, vogliono rammentarsi ancora la fe- sta di s. Emidio, a spese del comune, i.° vescovo dio- cesano e protettore { e quella d^ì Gonzaga con pie G.A.T.XCVL 23 354 Letteratura elemosine. Porzione della sagreslia di s. Maria, l'o- ratorio, il vicino teatrino ed il fabbricalo ed orto ad- iacente formavano un tempo il monistero e chiesa di s. Caterina subissati da terremoto: di cui ignorasi l'e- poca. Teniam fermo però che le rendite riuuironsi alla suddetta chiesa. Il terreno, ove era surto il mo- nistero che si riporta al i3 secolo, era censito con una libra di cera bianca al capitolo di s, Giovanni La- terano. Una pergamena del 1690 di questo capitolo, che abbiamo sott'occhio, ricorda l'origine del moniste- ro, accenna la rovina, e concede agli officiali della Madonna della misericordia di Accumoli di aggiugne- re alla medesima il fondo di sua pertinenza coll'ob- bligo di detta cera (i). La chiesa di s. Francesco, posta sulla piazza di detto santo, ancor oggi vien dalla pietà de'fedeli as- sai frequentata: e vi si praticano entro l'anno varie divole funzioni. Pertenne la medesima fino al 1807 ai minori conventuali : e nella loro soppressione fu restituita, senza le rendite, al comune che ne fu il fondatore fin dalla patria origine (2). Diroccò la mag- gior parte del convento pel terremoto del 1708; e fu ricostruito due anni dopo, ma non del tutto terminato, a spese di divofo cittadino, che a giudizio nostro pre- maturamente fece collocare sulla porta d'ingresso al convento una lunga iscrizione in lapide marmorea : a' piedi della quale leggesi questo borioso epigramma: Hic sacra quae patriae perierunt teda ruinis , Munifica reparas hoc modo praesul ope - Ut ta- li) La pergamena degli 8 oUobre di detto anno è sottoscrit- ta dai canonici camerlenglii Vincentius Cencius, loseph Sacri- pantes, et loannes Franciscus Papa canonicus a secretis. (a) Parte i, pag. 91 e g4j e 96 nota. MfcWORIE ISTORICHE DI AcCUMOLI 355 men aeLerniun tanti stet gloria facti - Ipsa quo- que egregium saxa loquuntur opus. - La chiesa è a una sola ma grande navata. Il so- lo coro è a volta piena. L' altare maggiore dedica- to all' Assunta , e crollalo in quel terremoto , fu riccamente risarcito dal comune, e vi è il suo stem- ma da ambi i lati. Con ragione il s. Francesco mo- ribondo colla sacra sindone e la Vergine sulla destra in alto che lo guarda, è stimato di artista assai va- lente , la cui cappella gentilizia è dei Marini. Sti- masi ancora il s. Biagio , cappella gentilizia dei De Benedictis. Le altre cappelle parimenti gentilizie nul- la presentano di rimarchevole per l'arte. Solamente vuoisi notare che nei primi lustri del passato secolo XVIII duravano ancora due confraternite: l'una della Vergine del rosario, la cui divozione esiste tuttora: l'altra di s. Antonio di Padova, dacché vi fu traspor- tala per la sua chiesa diroccata totalmente nel sud- detto anno in poca distanza alla sinistra di questo convento (i). S, Agostino e suo convento surto per opera de' cittadini fu dalla loro istituzione donalo agli eremi- tani di detto santo. Crollato pel terremoto il con- vento, mancarono i frati sulla metà del secolo 17.** Col titolo di abate fu conferita la chiesa alla fami- glia dei Cappelli. Ma nel 1725, dotala di maggiori rendile da Carlo Maria Organtini, passò col titolo di rettore, e come beneficio laicale in questa famiglia. La chiesa fu frequentata ed officiata giornalmente si- (i) La porta maggiore della chiesa, costruita lateralmente di marmi colorati, preaetiia in cima dei lati scolpite figure che sem- brano di animale di rapina. 356 Letteratura no a tre lustri addietro. Andata quindi in decadi- mento, dovette il vescovo sospenderla nell'ultima vi-, sita. Dopo questa sospensione è andata in maggior rovina. Si è venduto lo stesso quadro di s. Agosti- no (i). Era pregiato quello del s. Tommaso apostolo, parimenti venduto 1' anno decorso , ed era cappella gentilizia dei De Pelris, famiglia estinta in questi dì: e si è venduto il s. Francesco di Paola dei Censori- ni. Rimangono gli altari dell'Annunziata dei Cappel- li, e del s. Niccola di Tolentino dei Tommasi, perchè o di cattivo pennello, o per la svegliatezza di alcu- ni di queste famiglie. Una delle campane, che abbia- mo in questi dì veduto calata dal campanile sul tetto, è per vendersi o no (2) ? La chiesa di s. Antonio abate coll'accennato os- pedale, mancato fin dal principio del secolo 16, crol- lava anch' essa, e risorgeva per cura del magistrato, cui il rettore prò tempore nel dì di s. Antonio pre- stava 1' omaggio, come fu detto degli ordini religio- si (3). Le tenui rendite di questa chiesa (ora sospe- sa ed in rovina ), siccome di tutte quelle del regno che portavano il nome di detto santo, furono in fine del passato, o in principio del secolo corrente con- cedute per sovrana determinazione all'orarne costan- tiniano. La chiesa di s. Nicolò di Bari col monistero diede nome ad una delle porte. I nostri cronisti ed (i) Colà è invalsa opinione, che il quadro sia per vendita passato in Affrica. (2) Taluno ha preteso, che come beneficio laicale potessero rendersi anche i fondi rustici , siccome sono stati alienati nella maggior parte. (3) Parte i, pag 91 a ga. Memorie istoriche di Accumou SSy allre officiali memorie ricordano soppresso il moni- stero, e la chiesa rovinata fino dal secolo i6: venne poi per pietosa cura di famiglia patrizia ristorata la sola chiesa ; e vi si celebrava fino a questi uUimi tempi la festa dagli scolari nel dì del santo. La pic- cola entrata fu per decreto reale data alla parrocchia di s. Paolo apostolo. Ma questa chiesuola nella pe- nultima visita del vescovo fu sospesa , ed ora è to- talmente in rovina. La chiesa di s. Maria detta ancora del Poggio di Api ( villaggio) era a dritta della porta di questo nome, chiamata dipoi anche porta Pescara , e sparì fin dal principio del secolo 17, e fu ridotta ad or- to. Sparì del pari la chiesa di s. Spirito, che esiste- va poco lungi a sinistra della fontana pubblica at- tuale. Rimpetto al palazzo de'Marini furono i ruderi fino agli ultimi tempi della chiesa de' ss. Filippo e Giacomo, ed il luogo ne ritiene tuttora il vocabolo. Così del pari sparì ab immemorabili la chiesa di s. Gia- vanni ricordala dai nostri, senza indicazione di lo- calità. S. Leonardo, che diede nome alla porla di tra- montana, crollò anch'esso, e risorse in piccola chiesa nel principio del secolo 18 per opera di un Dioti- guardi, che dotolla di tenue rendita, ed apresi poche volte dentro l'anno. Restan ora le chiese parrocchiali e suburbane. La parrocchia di s. Paolo apostolo , la cui chiesa è posta sulla piazza di questo nome, è pel clero la chie- sa madre: giacche di là escono le processioni del cor- pus domini, delle rogazioni ec. , cui debbono in- tervenire anche i parrochi del contado. Siccome essi e tulli i sacerdoti vanno, o solevano andare a trat- tarvi in ogni mese di cose morali. Con decreto so- 358 Letteratura vrano nel penultimo lustro del passato secolo fu dì- chiarata parrocchia regia. Essendo scarse le ren- dite , si aggiunsero nello stesso decreto due piccoli benefizi di s. Nicolò 1' uno , 1' altro della Mailonna delle Coste^ di cui diremo. La plebe sola era in ori- gine nell'interno abitato soggetta a questa parroccliia, che distese e distende la sua giurisdizione a varie case suburbane, e ai due sobborghi o villaggi di Fon- te del Campo e d'Illica, ove il parroco è obbligalo tenere un cappellano. La chiesa fu più volte rovi- nata e risarcita da' suoi parrocchiani, e merita tut- tora risarcimento. L'altare maggiore attuale fu eretto per pietosa cura di un suo parrocchiano, il celebre Ulisse Moscati. Il suo nome, che ricorda il dono, è scritto in fondo alla destra del quadro dedicato alla nostra Vergine del Carmine, con queste parole : Ulj- xes Muscatus I. U. D, i6oo. La Madonna è circon- data da tulli i lati da quadrelli minori di frali car- melitani : ed il quadro è riputato di mollo pregio. Ai lati delle colonne dell'altare vi sono grosse sta- tue in gesso degli apostoli ss. Pietro e Paolo. La chiesa della parrocchia di s. Pietro, che diede nome alla porla, fu più volte ricostruita da' parroc- chiani, ed ultimamente sospesa. Il parroco attuale di- simpegna il suo ministero alla chiesa di s. Francesco. Questa è la parrocchia che si destinarono le ?>i fa- miglie fondatrici di vlccumoli; e con loro consenti- mento vi si aggiunse nel 17 secolo quella degli Or- gantini che aveva conseguita la cospicua eredità di una delle medesime. Essa è 1' unica parrocchia, la cui giurisdizione non si estese mai fuori di porta. Con- suetudine immemorabile si è, che mentre le suddette famiglie godevano cappelle e sepolture gentilizie nel- Memorie istoriche di Agcumoli 3S9 le diverse chiese, nella loro parrocchia tumulavaiisi esclusivamente i loro bambini al di sotto degli anni otto. La parrocchia di s. Lorenzo martire stende la sua giurisdizione al vicino villaggio di Tino. La sua chiesa, che era del quarto di s. Lorenzo, fu concedu- ta nella patria fondazione al parroco dagli uomini di detto quarto, riserbandosi l'alto dominio. Cessato il loro governo, ne affidarono la cura ai De Preta (De Presbiteris) che per maggior sorveglianza ne diven- nero parrocchiani. Crollato nel 17 secolo il palazzo di detti uomini rimpetto a questa chiesa, tennero es- si le loro sessioni dentro la medesima fino al prin- cipio del secolo corrente, in cui diroccò (i). Al par- roco deslinossi provvisoriamente l'altare della Conce- zione in s. Maria, e per conferire il s. battesimo il battisterio di s. Paolo. Gli uomini del quarto di s. Lo- renzo, quando nella loro origine governavano a vi- cenda la sommalina contrada, l'ebbero per parrocchia: siccome in seguito è stata de'regi governatori, capi- tani etc. La parrocchia di s. Giovenale stendeva la sua giurisdizione al lontano castello di Roccasalli e villa CoUeposta. Esisteva sotto la piazza detta di Chia- vella, e se ne vedonoiruderi.il suo croUaraenlo av- venne nel ly secolo: ed essendo diminuita oltremodo la popolazione, il parroco colle debite licenze trasferi la sua residenza a Roccasalli. Finalmente la parrocchia di s. Lucia posta sulla piazza pubblica, ove esiste tuttora la facciata con una mostra di orologio e colla porta d'ingresso, stendeva (1) Parte 2, pag. 109. 36o Letteratura la sua giurisdizione alla villa Poggio Gasoli, ove nel principio del prossimo passato secolo trasferi la sua residenza il parroco per le ragioni dette della parroc- chia di s. Giovenale. I pochi parrocchiani cittadini di queste due parrocchie furono ripartiti fra quelle di s. Paolo e di s. Lorenzo (i). Fra le chiese subiirbane era in gran venera-' zìone quella dedicata alla Vergine detta delle Cam- pore, e posta presso la via chiamata romana che con- duce nel Piceno. Tutti i nostri cronisti ci narrano una ricca fiera dei primi tre di maggio negli ultimi tempi. Un giovane del 2." ceto, che ha scritte pò-* che facciate nel 1771 appresso al cronista per noi più volte citato (2), adirato contro il i ceto per non aver conseguito in quell'epoca un impiego comunale, scrive così: « Vi era anche una pubblica fiera alla Madonna delle Campore li primi tre giorni di mag^ gio, ed un'altra in s. Pancrazio li 12 di detto mese, come ricorda il sacerdote don Niccolò Pasqualoni , dismesse quasi nei primi anni di questo secolo 18 per le impertinenze, aggravi ed ingiustizie de'signori accumolesi, li quali se prima per le loro buone azioni meritavano dagli stessi sovrani il titolo di nobili, ora meritano il titolo di memorialisti ed inquieti, che po- co possono vedersi gli uni cogli altri per l'invidia e per l'ozio che vi regna. » La fiera andò difatti in di^ legno prima della chiesa che finì alla metà del secolo passato: e, non è guari, rimanevano in piedi le sole mura. (1) In occasione di vacanza di parrocchie, dì benefìci eie. ne assume l'amministrazione la commissione diocesana, di cui fa par* te il vicario di Ascoli residente in Accumoli. (a) Parte 2, pag. 21, nota. Memorie istorighb di Agcumoli 36 i La chiesuola di s. Pancrazio presso Cose, ove fu per noi rivendicata l' educazione di Vespasiano im- peratore (i), esiste tuttora, ed apresi alcune volte, alla venerazione de'fedeli: ma la fiera sparì, come narra il suddetto cronista. Fuori della porta s. Pietro sono in piedi le mu- ra con un quadro della Madonna detta del Riparo. Rimase sospesa fino dal secolo passato : era dei De Preta (De Presbiteris): difatti alla porta vi è in mar- mo lo stemma dei De Presbiteris innestato con quel- lo dei Colonna, di cui furono eredi. Quasi un miglio sopra è la Madonna detta, per la salila, delle Coste. Questa chiesa è graziosa, e fu riedificata nel i638 dal giureconsulto Giacinto Ca- merari, di cui vi è iscrizione marmorea. Questa è la sola chiesa nell'accumolese, in cui vedesi lo stemma del vescovo di Ascoli card. Gabrielli •, che sta alla destra: mentre a sinistra vi è quello de' Camerari. In* credibile è a dirsi la venerazione che riscuoteva la sacra immagine della Vergine dipinta in tavola col divin Bambino fino agli ultimi tempi. Giornalmente, ma più nel sabato, era frequentatissima. Nel dì poi della sua festa, che si celebra nel 2 e 3 giorno di Pentecoste, vi concorrevano le vicine popolazioni del regno e del pontificio: vi si celebrava ancora la fiera nel secolo passato. La medesima è affidata ad un ret- tore, che oggi è il parroco di s. Paolo, che vi tiene un eremita. Alle radici del colle ove sorge Accumoli sta il ponte di pietra, sotto cui discorre il Tronto. Alla te- sta del ponte era appeso piccolo quadro di maiolica (i) Parie i, cap. i. 36a Letteratura eolia Vergine. Un divoto contadino pregava ferven- temente nel 1810 appiedi della sacra immagine, e ne conseguiva prodigiosa grazia. La quale divulgata- si, numerosa gente correva ad orarvi. Ma la divozione crebbe e fecesi generale nei luoghi limitrofi per ope- ra e fervoroso zelo di celebre oratore sacro ( reve- rendissimo p. Cipolletti, non ha guari generale delTin- chlo ordine de'pp. predicatori ), che nella quaresima di quell'anno compartiva la divina parola dal perga- mo accumolese. Vi si fabbricò tosto per cura de'di- voti una chiesuola, che tuttora riscuote la venerazio- ne de'fedeli e de\iandanti; giacche vi passa la strada sostituita alla Salaria, Il governo di quel tempo per l'insistenza del sindaco vi conferì il privilegio di pub- blica fiera per tre giorni, che io vidi tre anni dopo meschinissima, ed ora ha avuto fine come le altre. Noi non parleremo delle chiese de' villaggi, alcune delle quali sono fornite di ricche suppellet- tili : noteremo solamente che in Capodacqua , oltre la chiesa parrocchiale , è quella dedicala alla no- stra Signora detta del Sole. A noi pare la dipintu- ra in tavola di qualche valore per la storia dell'arte: e vi è tradizione costante, che il quadro sia stato do- no della regina Giovanna I in occasione delle con- tese co'norcini. Poche parole spenderemo sull'interno caseggiato, di cui un cenno fu superiormente dato. Non vuoisi però omettere, come calando dalla cattiva strada detta del Colle al mezzogiorno di Accumoli ( sostituita alla detta Salaria), ed in alcun allro punto si mostri il paese in grazioso panorama. Penetrali peraltro den- tro, le strade sono tutte o quasi tutte in salita , e crollate quasi interamente le antiche abitazioni, e la Me.MORIE ISTORICKE Ul AccUMOLl 363 maggior parte del luogo ridotta ad oriaglie, siccome sopra aocennossi. Esistono tuttavia molte case pala- ziate, che vi ricordano l'agiatezza de'nostri maggiori, e varie di esse nell' interno non mancano di orna- menti delle arti belle (i). Distinguesi soprattutto per classica architettura il palazzo de'Marini del se- colo 16: e nell'interno vi sono dipinture a hesco, ed altri ornamenti che ne dinotano l'antica opulen- za. Il palazzo dei Cappelli anteriore di qualche lu- stro al precedente, e venduto nel passato secolo agli Or;<^antini, sovrasta la terra a guisa di fortezza : og- gidì, hen<^hè spoglialo nell'interno, vi si rilevano ciò nullaostante non poche reliquie della magnificenza colla quale fu costruito. Un'altra famiglia Organtini innalzò sontuoso palazzo verso la metà del secolo 18 con ricche stoviglie, arazzi e galleria de'quadri, i più famosi de' quali venduti sullo spirare del secolo in questa capitale, gli altri di minor valore furono di mano in mano dispersi con quanto di sorprendenti mobili e di preziosi arredi vi rimaneva. Nel principio di queste memorie dlmostrossi, che (i) Sullft piazza detta pubblica sta una piccola casa (Del Guasto] di eccellente architettura con pietre quadrale di maci- gno arenario, ove sono sculti vari bassirilievi sacro-profani. La copia de'quaii avendo io nel iSiS mostrata al cel. collega abate Amati, egli affermava che quest'opera indicava che nello stesso luogo avesse predicato s. Bernardino da Siena. Poco sopra la medesima sorge l'attuale, ma non finito palazzo comunale con grandioso arco riedificato nel Ì774 pc esser l'antico totalmente crollalo. In faccia al medesimo rimane tuttora la vecchia porzione del primo piano dell'antico palazzo del governo.' essendo la parie posteriore crollata del lutto dal terremoto (dirimpetto alla quale rimaneva l'antico p.ilazzo del quarto di s. Lorenzo ) risarcita con nuovo e cattivo fabbricalo. Al suo lato sinistro rimane la torra col pubblico orologio : e vi sono le pubbliche prigioni. 364 Letteratura per la geognosia del patrio suolo natio non si rin- vennero, né rinvengonsi reliquie di sabine o romane antichità (i). Solo di tempo in tempo trovasi qualche medaglia : e varie centinaia in argento se ne trovarono presso Capodacqua nel 1806. Le medesime furon ven- dute parte in Aquila, e parte in questa capitale: ed appartenevano alla repubblica ed ai primi anni dell'impero romano. La popolazione del comune di Accumoli cresciu- ta in questi ultimi tempi , come in tutto il regno, è tuttavia inferiore a quella del sec. 16, in cui il re- gno numerava un terzo di meno della popolazione presente. Difatfi la statistica del Giustiniani (2) por- ta nel i56i il numero de'fuochi in Accumoli a 768, confermato dalle sue milizie un lustro dopo accorse sulle terre marittime contro i turchi (3). Debbe an- che riflettersi che nel novero de'fuochi non era com- presa la classe assolutamente povera: siccome fu per noi superiormente notato. Il detto autore inoltre, mal- grado che vegga nel suo quadro statistico decrescente rapidamente la popolazione di Accumoli, ciò nono- stante lo ripete città, prima ancora che portasse que- (i) Vicino a Norcia scoprissi nel i838 un sepolcreto con rot- tami di vasi eli'uschi e con un vaso interamente conservato, di cui quel sig. gonfaloniere mi diresse nn facsimile per la sua il- lustrazione: per la quale io pregai l'ottimo amico marchese Cam- panari, come il più dotto in siff:itte amichila. Egli cortesemente vi corrispose con un articolo a me diretto e pubblicato nell' Ar- cadico tom. 8j, pag 9.89. Il Campanari lo reputa uno de' mi- gliori vasi etruschi fin qui rinvenuti: e questa rara stoviglia, sic- come esso la chiama, fu nel 1840 depositala nel musco grego- Kiano. {'i) Dizionario articolo citato. (3) Parte a, pag. 60, e giorn, arcadico tom. 4 2, pag. 94- Memorie istoriche di Accumoli 365 sto titolo. Il che creJIamo non solo in vista dell'e- steso suo, quantunque per gli angioini decurtato ter- ritorio, che dal ripartito catasto che abbiamo solt'oc- chio ( 1783 ), ricordato sopra (i) , e che sappiamo il pili esatto ( sessantaseimila tomoli (2) in fondi rustici ) , ma soprattutto in vista de'suoi antichi pri- vilegi. Nel che quell'autore consuona col Balbi, il qua- la dice : « Il titolo di città, a parlare rigorosamen- te , non è dato ad un aggregato di case in ragione dell'estensione o della popolazione, ma in virtù dei privilegi di cui gode quella località. I villaggi sono talvolta più grandi di parecchie città » (3). Il cer- to si è , che nella sua origine l' interne parrocchie del solo Accumoli, oppidiim (4), superavano di molto la popolazione dell'intero comune attuale. Ora le sue tre parrocchie interne portano una cifra poco più di mille e cento anime: e tutto il comune non arriva alle tre mila e cinquecento , come risulta dall' offi- ciale statistica dell'anno decorso (5). (i) Parte 2, pag. 199 nota. (1) Cinque tomoli formano un rubbio romano. (3) Elenco di geografia moderna. Roma 1828 pag. 19. (4) Parte i, pag. 7 nota. (5j la questa statistica non sono punto comprese le due parrocchie aggregate al suo circondario, e risultanti di parecchi villaggi. 36(5" Letteratura ANNO 1842. Stato di popolazione del comune di Accumoli, Maschi dalla nascita agli anni 14 . . n.o 727 1(1. adulti » 1024 cioè Dai 14 anni al 18. n.° i57 Dai 18 a 26 . . » 184 Dai 25 in poi . . » 683 Femmine prima degli anni 12 . . . » 740 Id. adulte » 866 Totale della popolazione . . » 3357 Condizione naturale. Celibi ( Maschi .,.,,.. n.° 446 / Femmine , » 262 { Maschi prima degli anni 14. » 727 ( Femmine prima degli anni 12 » 740 Coniugati! Maschi » 5 io ( Femmine. . , . , . . » 5 io Vedovi ( Maschi ...,...» 68 ( Femmine » 94 Totale ...» 3357 Condizione civile. Famiglie possidenti n.° 240 Addette ad arti liberali ...... i4 Memorie istoriche di Accumou 367 Sacertloli » 20 Famìglie di contadini » 3i6 Artigiani e domestici ,....» 98 Mondici ( Maschi » 19 ( Femmine » 87 Nati nel 1842. Legittimi ( Maschi n.° 3a ( Femmine > 87 Illegittimi { Maschi » o3 ( Femmine » 01 Totale . . » 73 Nuovi domiciliati. Maschi n.® 06 Femmine » 07 Totale . . » i3 Diminuzione. Morti ( Maschi n.° 20 ( Femmine » 20 ( Fanciulli maschi e femmine prima degli anni 7 . . » rg Totale . . » Sg 3Cì5 Lktterat ura Espatriati^ Maschi n.° o3 Femmine. , ...» ©4 Totale . , » 07 Riassunto, Nati in più . . «•** ^4 Nuovi domiciliati più degli espatriati . » 06 Aumento del 1842 ........ 20 Popolazione al tutto il 1841. • • • "•" ^SSj Aumento del 1842 » ao Totale della popolazione a tutto il 1842. » SSSy Calcolo ordinario delVanno de' prodotti e quantità. Grano • tomoli qSoo Granone ...» 600 Orzo e segala » 5oo Legumi diversi " 4®^ Castagne • » a^»» Frutti secchi, cioè Amandole e noci » 200 Pere e mele . . » 3oo Pomi di terra. » 200 Ghianda » »5oo Memorie istoriche di Accumoli 869 Vino, barili di antica misura, cioè di boccali quaranta .... barili 8000 Fieni e paglia, salme di peso un cantalo l'uno i5ooo Canapa (*) . cantaia 3o Bestiamen Pecore d'industria particolare, cioè strada- iole n.o 5ooo Capre „ ^qo Bovi „ 100 Vacche „ 3oo Cavalli e giumente » 5o Muli „ 3o Asini » 2i5 Porci ,) 600 Inoltre Due masserie, l'una di pecore ...» i5oo e 40 cavalli , 14 puledri e due stalloni L'altra masseria, pecore » 700 capre » i5o e cavalli 12 e vacche 16 (*) Benché soprabbondino le acque, la canapa non si macera nei pozai o nei torrenti : ma si espone distesa all'azione dell'aria sui prati o sulle stoppie de'cereali, voltandola un paio di volte in tutto il tempo della macerazione. Questa si conosce tostochè la canapa palesa un colore cinereo oscuro. Con siffatto metodo si è esperimentato, che la medesima riesce di miglior qualità di quella macerata nei pozzi o presso i torrenti, e non produce al- cuna disgustosa esalazione. G.A.T.XCVI. 24 SyO LKTTKRATUnA Commercio attivo. Per vendita di gioveuchi, vacche ed altri animali fuofi del comune. . . ducati 5ooo Vino. Vendita di circa .... barili aSoo Castagne (marroni) circa .... tomoli 5oo Noci circa tomoli 3o Formaggio e ricotte superflui delle pecore stradarole . libre 6000 Lana d'avanzo che si vende . . . libre i5oo ( I prodotti delle due masserie vendonsi quasi del tutto in Roma. ) Per pascoli estivi a forestieri circa ducati lOOO Più per lavori campestri di contadini che in numero di circa 4^00 portansi fuori di patria nell'inverno, siccome ricavasi dai registri delle carte di passo, s'introdu- cono per lo meno scudi romani -7=^ 4^00 Il guadagno fatto da altri cento individui delle ville del comune pe'raestieri esercitati in Roma di facchi- ni, tripparoli, caprettari, salumari con alcun confet- tiere, cioccolatiere ed oste, la più parte de'quali sono padroni dei negozi , è di gran lunga assai maggiore de'precedenti (*). (*) Il Giustiniani prende grand'equivoco, quando narra nel- la citata opera, che i nostri contadini portano a vendere le frut- te in Roma ! Memorie istorichg di Accumoli Syi Commercio passivo, cioè generi che mancano, o che il suolo non produce. Grano circa tomoli n." 2000 Olio cantala » 100 Riso canlaia » io Canapa cantaia » 8 Per tutt' altro che serve ai bisogni della vita e del lusso, come generi coloniali, pesce, salumi, vestiario ec, non basta un esito di dodici mila ducati l'anno: siccome scrivesi dal sindaco nel principio dell' anno corrente i843. A. Cappello. Traduzione o imitazione del cap. 11^ del libro Tobia, fatta dal prof. Giuseppe Ignazio Mon- tanari. ^-Josì Tobia nel faticoso e lungo Cammin si mise, e lo seguìa dappresso Il suo bracco fedel : ma quando innante Si vide il Tigri dilagato, ai passi Die sosta, e delle chiare acque lavacro Si fece ai piedi. Ed ecco uscir dagl'imi Gorghi, e contro avventarsegli feroce Un pesce enorme: ond'ei gridò eoa alta Sya Letteratura E paurosa voce: - O signor mio, Egli mi è sopra, e Ingoierammi ! - E a luì L'angel di Dio : - Fa cor, caccia ogni tema; Abbranca il mostro per le orecchie, e il Iraggì In sulla riva. - Ed ei con mani pronte Lo afferrò, lo ritenne, e in sull'asciutto Margo lo trasse a boccheggiar. Con lieto Piglio a tal vista Raffael si volse In tali accenti al giovinetto: - Incidi Tosto il ventre capace, e fuor ne togli Colle viscere il cor, dove si chiude Un portentoso medicame arcano. Ciò fatto, mise in sulte ardenti brage Tiepide e palpitanti ancor le carni, E parte ne insalò, cibo futuro Nel cammin lungo, infin che la turrita Città dei medi li raccolse. Allora Tobia fe'al divo tal domanda: - Dimmi, Azaria fratel mio, qual medicina Vive dentro le viscere ch'io tolsi Per tuo voler al mostro immane, e meco Tengo ora in serbo ? - Ed il celeste a lui Sorrise tai parole: - Ove tu ponga Sovr'accesi carboni particella Di questo cor, tal leverassi un fumo Che a'dimoni fa guerra, e si li caccia, Che ne a donna ne ad uomo han più baldanza D'avvicinarsi. Il fiele poi rischiara Gli occhi, che indarno la pupilla opaca Alzano al sole, e li ravviva. - A questi Accenti al buon Tobia tremò nel petto Due volte il cor, che del suo vecchio e cieco Padre allor gli sovvenne; e poscia al santo Gap. IV DEL LIBRO DI Tobia 3-, Suo compagno richiese: - Ove ti piace, Signor, che stanza noi prendiamo? - E il divo- - Qui stanza ha Raguele a te congiunto Di sangue e di tribù. Questi si allegra Al riso d'una sua leggiadra figlia A nome Sara; né maschil progenie Ked altra femminile ei s'ebbe. Quindi Tu sol sarai di suo redaggio erede, Se questa verginella a te si annodi In caste nozze; e però tu la chiedi Al suo buon padre, e la ti avrai. - Tobia Com'uom ristretto ad un pensier che il pùnge, Ripigliò tosto: - E' voce ch'ella, a sette Manti disposata, abbia di sette Morti la casa funestata; e inteso Ho ancor che rio dimonio occultamente Gh abbia a lei morti; onde timor mi stringe Non sovrasti a me pur questa sinistra fortuna: ed io che sono unica prole, Unico amor de'vecchi miei parenti, Non sia cagion che sconsolati e in pianto Scendano nella tomba. - E Raffaello Serenando il sembiante: - Odi, Tobia, Ciò ch'io ti assenno, e intenderai su quali Genti il fiero dimon abbia possanza -. « Chi a stato coniugai viene in desio Che da fiamma terrena ha nutrimento, E tien lungi dal cor e da sé Dio; Chi agogna satisfar solo al talento, Come cavallo o bestia che da terra Non leva per ragion l'intendimento, Dal demone tremendo ha strazio e guerra: Ma tu, se fai di Raguel la figlia Tua donna, entro le tue stanze ti atterra, 374 Letteratura Colle mani supine alza le ciglia, E infin che il terzo dì sorga nel mondo Sol di pregar con lei ti riconsiglia. Quando sarà la prima notte al fondo, Le viscere serbate ardi del pesce, E fia fugato ogni reo spirto immondo. Quando del mar la notte appresso n'esce, De'santi patriarchi il concistoro Per te di nuova compagnia si accresce: Poi che alla terza notte il manto in oro Gli astri trapungeran, tu benedetto Sarai ne'figli, e in chi verrà da loro. Allor potrai con sicurato petto Impalmar la fanciulla, ed il Signore Pioverà grazie sul fecondo letto : Anzi che a fiamma di beltà tuo core Di casta prole nel desir si accenda, Perchè del cielo il sommo imperadore Come il sangue d'Abram lieto ti renda. » ^1- W M^WLtmT M? Prospetto delle principali malattie curate dal i settembre i838 a tutto agosto 1842 in d'aita Castellana dal dottor Mauro Leonardi. Fano, tip. Lana, i843, in 8 di facce 64. KJ n abbozzo storico dei sistemi di medicina antichi e moderni è delineato in una lunga prefazione, che segue la dedica del li- bro alla magistratura ed ai primati di Civita Castellana , nella qual città l'A. esercita la medicina. II prospetto è diviso iu due parti; nella prima parla delle acute e croniche infiammazioni : nella seconda degli esantemi, dei sinochi , dei tifi , delie febbri gastriche ed intermittenti. Il metodo antiflogistico portato ad un grado, che non saprei consigliare a tutti, l'u adoperato dallA. nel trattamento delle malattie , specialmente in novo casi di pneu- inouili acute. Il caso XXII è singolare per la violenza de' sinto. mi , e per l'autopsia cadaverica che ,, mostrò interamente can- crenato il rene destro, e cancrenata pure porzione di fegato al rene stesso corrispondente; e per uno dei non iafrequeati miste- ri anatomico-patologici ci additò del pari, e non senza sorpresa, quasi interamente atrofizzalo il destro polmone, e la relativa ca- vità pienissima di bufare raccolta, quando poi quest'infermo er.a stalo sempre esente da pneumoniche indisposizioni ^ e fino agli ultimi del viver suo avea anzi assiduamente atteso ( era questi un calzolaio ) e senza verun' incomodo di petto alle proprie ingeren- ze,,. Merita eziandio di essere ricordato il caso XXIV" di volvo- lo, a vincere il quale riuscirono vani, anzi dannosi,! soliti mezzi: per cui l'A. seguì il consiglio del professor Meli, negando all'in- fernìo ogni maniera di cibo e di bevanda, ordinando clisteri con infusione satura di sena e sale inglese, bngni generali e sanguisu- ghe al basso ventre. JN'ulIameno al io giorno il male si rendea più grave, ma persistendo nell'intrapreso metodo, si ebbero delle sca- riche di ventre e miglioramenlo notabile, e tolta l'inììauunazio- ne addominale, il malato fu restituito a perfetta sanità. Cosi un 376 Varietà' morbillo^ che die causa ad un coma appopletico, fu guarito pei" l'applicazione delle mignatte, per la rasione dei capelli , per il berretto freddo e perle fomentazioui senapate ai piedi, unilnmen- te alla polpa di cassia e di tamarindo : una resipola flemmonosa al braccio sinistro con cancrena al cubito fu egu^lnieute guarita col metodo antiflogistico. Quattro casi di tifo gravissimo, alcuni casi di febbri intermittenti perniciose, di cui alcune succedettero a gravi malattie, pongono fine alle 52 storie mediche scritte dal sig. dottor Leonardi con molta accuratezza. Il Raccoglitore medi- co {{i Fano n. 21. (22 maggio i843.) ne ha fatto menzione. E. C. B. Di alcuni illustri anatomici italiani del Xy secolo, indagini per servire alla storia della scienza di Giuseppe Cervello. Ve- rona, tip. poligrafica di G. Antonelli, 184^, in 8 di facce :58 col ritratto di M. A. Della Torre. Uopo un rapido e dotto sguardo sullo slato e sui progressi del- l'anatomia presso gli antichi, si fa prima a parlare di Pietro Mon-- tngnn veronese , del quale nessun'anualista patrio fa menzione» Brambilla , nella sua storia delle scoperte fisiche degi' italiani (tom. I p. ti 4), dice che fiori circa la metà del XV secolo e che pnliblicò diverso opere in foglio ; segnalandosi in ispecie coll'fl- nntoinia, fornita di bellissime tavole e disegnata, con somma dili'- genza. Gabriele Gerhi, celebratisBÌmo medico ed anatomico verone- se, fu accusato di varie turpi azioni da'suoi nemici, e, quel che è più vergognoso, da alcuni colleghi. La molta stima che ebbero di lui i pontefici Sisto IV ed Innocenzo Vili, non che altri sovrani e principi d'Italia, e li virile difesa che ne fa l'autore le smen- tiscono solennemente. Scrisse alcuni libri di metafisica , di me- dicina, ed un trattato di nnalomia, che era il più riputato a'suoi tempi, sebbene oscuro, e dove si trovano indicate parti , che si credono da anatomici a lui posteriori scoperte. Il Corvetto ha riportato quattro lettei^e tratte dalla raccolta del Pino di Ve- nezia, in una delle quali scritta da Benedetto Varchi a Lodovi- co Dolce si fa parola di un Gabriello Cerbi, due del Cerbi sles- so a Paolo Manuzio, ed un'altra a Lodovico Dolce. Oltre che que- ste lettere sono posteriori all'anatomico veronese, chiaro appari- sce che furono scritte da altro Gabriele Gerbi giureconsulto pa- Varietà' 377 dovnno. Di fatti , siccome a persona gentilissima e solo amante della scienza , io ne scriveva al eh. dott. Cervetto a Verona: ed egli, nel rispondermi, annuiva alla mia opinione. Marc' Antonio Della Torre ebbe origine da nobilissima fami- glia veronese. Lo studio della medicina e dell'anatomia, a cui si applicò, il resero celebratissimo , benché assai giovane; e certo , se la morte non avesse troncato sul fiore degli anni quella vita , l'Italia chi sa qual'altra palma avrebbe mietuta in costui, che fu maestro al sommo Leonardo da Vinci ! Alessandro Benedetti come letterato , come filosofo e come medico, ebbe fama di sommo presso i contemporanei, e lucidissi- ma la rendono tuttora ì suoi primi tentativi sulla litotripsia e sul- la rinoplastica, l'originalità e la sapienza de* concetti intorno al morbo venereo, ed alla peste orientale, dottamente posti in chia- ro dall' A. Egli infine fu il primo che fondò il teatro anatomico a Padova. La storia medica quindi dee saper grado al sig. dott. Cer- vetto per gl'interessanti lavori storico-medici da lui condotti a fine con tanta perizia e dottrina. E non voglio qui tacere di al- tro illustre sci-illore, del dott. Antonio Schìvardi, cbe nel pubbli- care la Biografia dei medici illustri bresciani (Brescia per G.Ven- lurini, iSSg, in 8) ha tanto giovato a retlificare ed illustrare va- ri punti di storia medica. In due classi li ha separati: nella pri- ma ha collocato i più illustri, e ne ha tessuto bellissimi elogi: gli altri, che fama non tanto estesa si meritarono, sono posti per or- dine alfabetico, con succinte notizie. In fine si parla delle acca- demie, da cui fu adornata la città di Brescia. Il libro del dott. Schì- vardi ebbe elogi dai più accreditati giornali della penisola. E. C. B. Della naturalizzazione delle piante e dei mezzi per ottenerla, ra- gionamento di Vincenzo Falcar i, socio residente delV accade- mia romana di agricoltura e manifatture, letta nell'adunanza del 3t gennaio 1811. Roma, tip. Contedini, i843, in 8. di fac- ce 44- Xl tempo decorso, da che fu pronunziato questo ragionamento, non ha fatto che convalidare l'opinione del sig. Folcari. Quanti vegetabili non vediamo tra noi resi naturali, clic contano pochis- 378 Varietà' sìtni anni? E non si dee a ciò, se nel felicissimo clima nostro tut- to di SI dà opera alia coltivazione di fiori e di alberi esotici in tanto numero e variala, che verrà tempo che non si addirrà più alla sola Firenze l'epiteto di città di Flora ? Tre principalissime colture volea introdotte a preleienza, siccome utilissime, il Fol- cali: l'iiidìgofera, la canna a miele (indigena della Sicilia), ed il caktus nopal per averne la cocciniglia. Crede egli, che ogni ve- getabile possa ovunque naturalizzarsi, ma che vi abbisognino molte cautele; e quella principalissima di non trasporre un ve- getabile in un clima opposto a quello in cui vivea , senza prima averlo fatto passare per climi medii. Quest' avvertenza dee esser meno rigorosa in Italia, ove esistono svariati climi. L'egregio sig. Folcari ha ottenuto di fatti negli scorsi anni dell'Indago co/i perfetto, che nulla perde al confronto dell'esotico: e di ciò vuoi- sene tributare somma lode a lui per essere stalo il primo fra noi ( (in dal gennaio i8ii ) a proporne la coltivazione, e quindi ad eseguirla recentemente con felicissimo successo. Discorso agrario detto da A Coppi neW accademia tiberina il dì 11 dicembre iQ^i. Roma tip, Sahiucci 1845, in 3, di fac- ce 27. JTone a disamina lo stato dell'agricoltura nei diversi stati d'Ita- lia. Detto della società agraria di Torino , di quella di Biella e delio stato dell'agricoltura piemonlese, che fu mai senipre in fio- re, parla d&W associazione agraria, che hanno stabilito tra loro alcuni possidenti. S. i\l. il re l'approvò, e ne onorò l'albo col suo nome e con quello della regina ; i duchi di Savoia e di Genova , e tanti distinti personaggi si unirono , che in meno di due mesi sommarono a più di 700. " Francesco Burdln agronomo insigne offri subito un appartamento per la sala, la bii)lioteca, e gli uf- fici AeWassociazione. Di più lire due mila per le prime spese , e quindi altre t5oo per tre anni. Augusto di lui figlio ne offri al- tre 600 per associazioni a giornali agrari ,,. 11 miglioramento fat- to in Arignano (villaggio di goo abitanti, distante otto miglia da Torino) dalla nobile famiglia Costa, è sorprendente. Nel regno Lombardo-veneto sembra che nulla sia a deside- ra re ; mancano tuttavia soclelà agrarie, ma è a sperarsi che una se ne stabilisca a Padova. La Toscana, la cui agricoltura è invidiabile, ha una società Varietà' 3^0 agrana col nome dei georgofill fino dal lySS, ]a quale ha recato grande utilità non solo alla Tccana , ma al resto d'Itali, L'ac- cadem.a della Valle tiberina stabilita in San Sepolcro rivol-e spe- C.almente le sue mire al miglioramento delle razze dei bestiami. E a tuit, noto il podere modello dell' insigne marchese Cosimo R.dolfi, che fu chiuso al finire del 1842. Insegna ora nell'uoiver- s.ta di P,sa , ove per la munificenza del gran duca Leopoldo II SI e aperta una cattedra di agraria e di pastorizia. « Avrà terre- ni e mezzi per unire la pratica alla teoria, ed il predio assegna- togli sarà ordinato in modo da assumere ragionevolmente il titolo d Istituto agrario pisano „. A questo stesso gran duca deesi la intera bonificazione della maremma sanese. Nello stato pontificio l'agricoltura nelle provincie di Cam- pagna, della Sabina, dell'Umbria, delle Marche («j e delle lega z.ón. generalmente è buona. Nella provincia di Ravenna fin dal 1767 Girolamo Rasponi introdusse la coltivazione del riso. j\el 1842 la raccolta giunse a ^So migliaia di sacchi. Nelle regioni che sono sulla spiaggia del Mediterraneo, cioè dell'agro romano e nelle provincie di Vilerbo, di Civitavecchia e di Velletri l'a ' gncoltura è in uno stalo deplorabile. In molti luoghi ancora esi- ste l'antico diritto di pascere e di legnare. Nell'agro romano la seminagione del grano va diminuendo ( nel .802 si seminarono IO, 4i5 rubbia; nel 1841, 6, 086): mentre se il grano si vende meno di scudi ,0 il rubbio, l'agricoltore vi rimette. I possidenti delle vigne sono a peggior condizione. A Velletri si è ideata „ una società enologica, che ha per iscopo di formare coi mi- ghon processi meccanici di ultima invenzione : I. Uno stabili- mento di raffineria di vini indigeni. II. Una distilleria di spiriti e di acquavite dei vini inferiori e scadenti e delle vinacce. III. Un opificio per la produzione del cremore di tartaro colla feccia dei vini. IV. Attivare il commercio di questi prodotti anche all' estero , e praticare altre opere industri;)li analoghe. Determina- rono il fondo sociale in scudi 10, 000 diviso in 200 azioni di scu- di 5o l'una. Le azioni son* oramai tutte distribuite, e ne presero eziandio vari notabili ro.nani „ La pastorizia invece va aumen- tando , sebbene da due anni a questa parte le greggi siano di- minuite. Le sei migliaia di pezze di borgonzone fabbricato con (•) fn Macerata si è testé fondata un' accademia provinciale di agricoltura, arti e commercio. i^uvinciaie 38o Varietà' lana indigena, che erano richieste dall'estero, non si esitano più. Lo stato dei boschi non è molto soddisfacente: mentre se si fa commercio attivo di carbone col regno di Napoli, e di doghe col- la Spagna, s^iinporta annualmente mollo legname di abete e di pino dal lidi austriaci. - Un podere sperimentale fu dato dalla munificenza del principe D. Marc'Antonio Borghese ai sigg. Vin- cenzo Folcari, Giuseppe Antonio Scarini, ed all'A. Essi vi fece- ro tentativi suU'indigofera e sul zaffrano. La principessa Ales- sandrina Bonaparte (vedova di Luciano) seminò ( io rubbia ) nei campi di Canino la robbia, dalla quale si estrasse un buoa saggio di sostanza colorante. Nel regno delie due Sicilie l'agricoltura è in uno stato sod- disfacente. L' istituto d' incoraggiamento di Napoli nel 184^ ha pubblicato un programma molto utile all'agricoltura. Ivi è una società enologica fondata nel i833. ,, Ferdinando II sulla pro- posizione del cav. Nicolò Santangelo ministro segretario di stato degli affari interni, e di Giuseppe Maria Mazzetti arcivescovo di Seleucia e presidente della pubblica istruzione, ordinò la insti- tuzione di pubbliche scuole di agricoltura e di geometria in tut- ti i comuni. Neil' autunno di quest'anno (1S42) ne erano di già stabilite più di 700. Varie altre erano sul punto di aprirsi. Si prescrisse per tutte un metodo unico ed uniforme con norme ger nerali e positive.,. Si tentò la coltivazione dell'indago in Reg- gio, e se n'ebbe qualche libbra. Quella della robbia è già molto estesa : nel t838 se ne eslrasse per 117,204 ducati. La marineria mercantile è notabilmente aumentata Non dee tacersi del boni- ficamento alla foce del Volturno (4oo miglia quadrate). In altra memoria il eh. A. parlò deiragrlcoltura della Sicilia. Il governo per migliorarla vi spese, nel 1842, 566 mila ducati per la costru- zione di nuove strade comunali e provinciali. L'asportazione del grano è ora divenuta nulla; è cresciuta quella degli agrumi, del- le mandorle, del sommacco, del vino, e di altri prodotti del suo- lo. Conchiude „ col rinnovare i voti che si promuova la coltiva- zione degli agrumi, dei gelsi, delle mandorle, degli olivi e di tut- ti quei prodotti che sono propri dei cMmi meridionali, e perciò non possono temere la concorrenza dei siUentrlonali. ,, Enrico Castreca Brunetti Varietà' 38i Poesie greche e latine volgrizzate dal catfaliere Dionigi Stroechi faentino. Faenza dalla stamperia Conti MDCCCXLlll in i6 di fac- 284 con ritratto inciso dal Mari. V^uesta nuova edizione è come un gioiello a quanti sentino in- nanzi nelle lettere. Lavori già bene accolli dall'uiiiversale acqui- stano più pregio per le ultime cure del degno autore. E chi noa conosce, chi non onora il cav. Stroechi come il Nestore de'lette- rati nostri? Il suo nome splendeva indiviso con quello di Calli- maco per la bella versione degl'inni.- ora splende con quello di Virgilio per le felici versioni delle Buccoliche e delle Georgiche- E perchè non manchi alcuna cosa del maggior greco Cui le muse lattar più ch'altri mai , ecco r inno d' Omero a Venere in terza rima Un discorso sul- le traduzioni , dove si racomanda lo studio delle tre lingue, os- sia la scuola greco-latina itala, e note aggiunte qua e là ren- dono più accetta questa edizione. Io non vgolio lasciare di rac- comandarla , persuaso come sono , che debba tornare di molta utilità lo studiarvi sopra sì permeglio gustare gli originali, sì per larsi uno stile veramente italiano. Questo dee premere tanto più, se non vogliamo essere stranieri nella patria nostra; che sarebbe troppo grande viltà. Cari i parenti, cari gli amici ; ma più cara dev'essere a ciascuno la patria, che in se raccoglie tutti gli altri amori; carissima dev'essere a noi questa nostra, che per sorriso di cielo è il soggiorno di ogni bellezza. Se questo è il giardino del mondo, perchè lasciarlo imboschire , e peggio ancora introdurvi d'altronde Le male piante, che fruttar non sanno ? I classici a questo mirarono di conservarci almeno nella lingua la nativa purezza. Imitiamoli studiando dì e notte sugli esemplari antichi, e su quelli che meglio li ritrassero; fni i quali è da por- re iu cima quell'onore di Romagaa, anzi d'Italia, del cav. Stroe- chi. Ne' greci e ne'latini e in Dante pur egli tolse ciò, che lo fa tlegno di lode ai presenti e agli avvenire. D. Vaccolini 382 Varietà* Elogio funebre del sacerdote Francesco de"" conti Margotti par-» roco di s. Maria in Traveisaca detto dal ree. sig. don Giuseppe Massaroli canonico della chiesa cattedrale di Faenza in occa- sione di solenne funerale il 5o marzo i843 ec ec Bagnacavallo, dalla tipografia Bonacci stamp. cani, in 4- di pag. ii. J-Jsempio a' sacerdoti ed a' parrochi si fu il Margotti, e ben me-» rilava elogio la vita di lui. Ebbelo degnamente; e venuto in ln- ce^j ne è dedicata la stampa all' ottimo njansignor vescovo Gio. Benedetto, de' conti Folicaldl nella fausta occasione di festeg- giarsi la Bagnacavallo, sua patria, in uno CQQ tmt£( la diocesi faentina il compimento del volo universale, a cui piegandosi l'in- signe prelato è rimasto al governo della diocesi stessa, quando, era sul punto di dimettersi spontaneamente- D. Y. NIHIL OBSTAT Fr. Ioan. B, Marrocu M. C. Censor Theol, IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR los. Canali Archiep. Coloss. Vicesg. 383 CONTENUTE NEL TOMO XCVf, VOLUMI 286, 287, 288 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Chelinìi Teorema di Steiner sul volume di un corpo terminato da basi parallele ec. {Con rame.) pag, 3 Camilli , Fenomeno geologico negli ipogei etruschi di P^iterbo n in Duprè^ Restaurazione della medicina italia- na » 23 Tonelli , Rivista di lavori di medico-chirur^ gìco argomento ( continuazione, che trat- ta dell'esame critico del prof. Medici so- pra alcuni argomenti di fisiologia e di pa- tologia) » 6i Martino, Memoria sul bezoar degli animali.» 8i Ferrane, Praelectiones theologicae. Voi. FUI pars II » 85 Parere dei fisici del tribunale di sanità di Roma sulla proposta di abbreviare il pe- riodo delle contumacie ne'porti dello stato pontificio » loi Rapporto del consiglio d^ amministrazione del- la cassa di risparmio di Bologna . . » ii3 Card. Soglia, Institutiones iuris publici ec- clesiastici » iiQ 384 Operazioni di alta chirurgia eseguite nello spedale di s. Spirito nel 1842 . . . » 182 Cenni sulla vita di monsig. Camillo Ranzani.tì i38 LETTERATURA Giuliani, Elogio dì Giuseppe Maria Stampa chierico regolare somasco . . . . » 148 Ponta , Nuovo esperimento sulla principale allegoria della Divina Commedia . . » i65 Cappello , Memorie istoriche di jiccumoli. Parte Terza » 3i5 Montanari, Traduzione del cap. IV del li-^ bro di Tobia » 3ji Varietà. -^