?^@# II GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI VOI. aSg, HQO, 2-91. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 ^.ncfiu. e* GIORNALE D I TOMO XGVII. OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE ROMA Tipografia delle Belle Arti 1843 SGiiiisrzE Storia di febbri perniciose y e cenni sulle mede- sime ^ del professore Carlo Maggiorani. {Con- tinuazione.) eseguendo a considerare qual parte abbia l'aggiunta di altri stati morbosi alle febbri periodiche nel tra- mutarle in perniciose, ci si offrono esempi conducenti a stabilire, che il solo fatto della complicazione non sempre basta a indurre tal cambiamento. XXV. Un soldato di temperamento bilioso, abito asciutto, carnagione bruna e nel trentesimo anno di sua età, a mezzo giugno, qualche ora dopo un violento eser- cizio, fu assalito da tosse, colla quale rese alcuni sputi di sangue spumoso. Continuò nelle sue abitudini, e nondimeno l'emorragia non si riprodusse fino ai pri- mi di agosto dell'anno seguente, in cui, dopo un mo- to faticoso essendosi dissetato con acqua fredda, tor- nò a fare alquanti spuli sanguigni; di che parimente ei non fece alcun conto , vivendo anzi pivi disordi- nato che prima. Iiitanlo sul finir dello stesso mese fu colto al mezzodì da febbre a freddo terminata con 4 Scienze dirotto sudore, che dopo un giorno d'intervallo si ri- petè con maggior gagliardia. Allora entrò nell'ospe- dale, ove presentò il terzo accesso con egual tipo di terzana, e preceduto da più lunghi rigori. Nella notte consecutiva a questa febbre, quattro o cinque ore do- po finito il sudore, sollevossi la tosse e con essa ap- parvero di nuovo parecchi sputi di vivo sangue. Seguì il quarto parosismo alla stessa ora, con lo stesso tipo e con eguale intensità di freddo e fervore di caldo; ma né l'uno ne l'altro stadio provocarono l'emorragia, che bensì riapparve la notte seguente. E questo fu l'ultimo accesso di periodico andamento, dopo il quale l'infermo continuò per sei giorni a sputar sangue a quando a quando. Il polso divenne duro , secca la pelle, frequente il respiro; per ciò si dovè por mano ai salassi, alle bevande fredde, ai rivellenti; e così si ottenne !a guarigione. Ognun vede in questo caso, che la spinta eser- citala sul sangue dagli accessi febbrili ha promosso nei vasi polmonali, a tal condizione già predisposti e assuefatti, un afflusso, un turgore terminato col tra- pelamento del ridetto fluido. Nascevano quindi una complicazione del processo delle periodiche coll'emor- ragico; ma non per questo la febbre diveniva più gra- ve, non per ciò trasformavasi in perniciosa: anzi tut- toché non assalita colla corteccia arrestavasi, lasciando libero il campo all'emoploe , che sola continuava il suo corso. Eppure vi sono perniciose caratterizzate da profluvi sanguigni: ma in queste l'emorragia è sin- toma della febbre, ò fenomeno strettamente dipendente dal processo della medesima. La venosa congestione, che le precede, è un effetto essa stessa della gene- rale atonia , della morbosa condizione del sangue ; Fèbbri pirniciose 5 quindi la vediamo manifestarsi al primo irrompere del- la febbre, al primo rinvertire del sangue dai vasi pe- riferici, appena si turba !a circolazione. Al contrario nel nostro infermo l' emorragia è un male staccato interamente dalla periodica, che solo qual causa oc- casionale concorre a riprodurlo, preesistendone gli ele- menti. Qui il sangue non è viziato e non trasuda passivamente dai vasi appena compresso: perciò l'e- screato sanguigno non sì manifesta coll'esordir dell' accesso sotto un lungo spasmo cutaneo, ne durante l'effervescenza febbrile nello stadio del calore; ma se- dato il generale tumulto, entrano in moti dì attiva espansione i vasi pulmonici e ne avviene l'emorra- gia, seguita poi da tutti ì segni della diatesi inflam- matoria. La quale, come se fosse di natura affatto di- scorde da quella della febbre periodica, non si con- giunge ad essa, non l'aggrava, anzi par la combatta e la metta in fuga; con raro esempio, cbe una in- termittente autunnale, dopo quattro accessi rinforzan- tisi ogni volta più , scomparisse senz'aiuto di china al sorgere di un'emorragia attiva. Altra specie di società stringe pur l'emottisi col- le periodiche , ove nò l' emorragia può considerarsi provocala da uno stato vizioso del sangue, ne stac- casi interamente dalla febbre, prendendo natura flo- gistica, come nel caso citato; ma una parziale cede- volezza de' vasi pulmonali è superata dall' urto del sangue , sospinto dalla superficie del corpo verso le interne regioni , sicché ne segua l'effusione di esso fluido dai vasi, da rinnovarsi col ritorno di ogni ac- cesso febbrile. A questa maniera di intermittenti emot- toiche appartengon più casi riferiti dagli autori : i quali però , siccome fu ragionato di sopra , non si 6 Scienze dovrebbero affasciare colle perniciose propriamente det- te; poiché assai minore è il pericolo che minaccia- no, e questo, ove mostrisi , deriva più dalla malat- tia accidentale che dalla febbre onde fu suscitata. Co- sì nel terzanarie di Storck (Ann. med. secund.) in cui dopo il rigor febbrile prodiib copiosissimits spu- mosus sangids, dopo tre parosismi accompagnali da tale eraoriagia e non curali, non si dice che il ma- le divenisse ad estrema gravezza; quamlo nelle vere perniciose il terzo o al più il quarto accesso suol es- sere micidiale; essendo proprio di tali febbri che, al dir di Morlon , vita aegri in praesens discrimen adducatur. XXVI. Un soldato in età di anni trenta, di tempra bi- liosa, carnagione bruna, proveniente dalle paludi pon- tine, si presentò all'ospedale con febbri terzane, di cui aveva già sofferto tre insulti. Dopo il quarto, che av- venne sotto i nostri occhi, fu amministrata una pur- ga, aspettando di dar la china seguito il quinto, in luogo del quale fummo sorpresi di trovar la pelle tempestata di pustole vaiuolose. Il vaiuolo percorse i suoi stadi regolarmente e benignamente senz' al- tra febbre che quella di suppurazione, mitissima an- ch'essa, e senza indizio di periodiche recrudescenze. Terminato l'esantema, l'infermo si espose incauta- mente all'aria fresca, passeggiando nel cortile , e fa quindi assalito da nuova febbre con vivo dolore alla regione dorsale, tosse molesta e difficoltà di respira- re profondamente, senza che si esasperasse il dolore al dorso. La febbre mostrò continuo andamento per cinque giorni: e i quattro salassi, praticati a vincer Febbri perniciose 7 la insorta flogosi, recaron sangue cotennoso. Là sert del quinto ebbe luogo una remissione coù madore; e la mattina del sesto turno la febbre iti forma di accesso, e terminò con dirotto sudore. Fu chiaro al- lora che la condizion periodica riprendeva il suo do- minio; nondimeno, rimanendo qualche urto di tosse con escreati mucosi sparsi di strie sanguigne, ed es- sendo recentemente comparso un gonfiore erisipela- toso alla sura destra, non sì corse sì tosto al febbri- fugo. Ma il parosismo del settimo 6on polsi molli, faccia lurida e notabile prostrazione di forze, dimo- strò che la febbre andava a pericolo , e ruppe ogni indugio riguardo all'esibizion della china , la quale troncò sollecitamente gli accessi febbrili, e rimise in sesto il malato. Scriveva Mead (De varici, e. IV) che minus sae- pe accidit ut fehris intermittens febri variolafum se comitem adiungat. Nel caso nostro di fatto la febbre periodica, quantunque non ancor combattuta coll'opportuno rimedio, si occultò al comparir del va- inolo , ne il suo fomite latente contribuì punto ad aggravar l'esantema, cbe indipendente da quella per- corse benignamente i suoi stadi, ne segno alcuno esi- bì di periodica complicazione. Ei non fu al terminar dell'esantema che risorse la intermittente , ma dopo aver depresso le forze nel corso di un'infiamniazione. Le pustule vaiuolose erano diseccate, la flogosi della pleura dorsale era vinta, ed allora la condizion perio- dica tornava a signoreggiare. XXVIL Un marinaio di trenlacinque anni, costituzione robusta, carnagione bruna, trovavasi a Fiumicino sul 8 Scienze finir di luglio, e vi pativa da cinque o sei giorni una leggera difficoltà d'inghiottire e un senso di molestia alla forcella del petto. Avvenne in tale stato che an- dando di corpo sdrucciolasse in mare, e dovesse poi rimanere coi vestimenti bagnati in dosso. Il giorno seguente fu condotto all'ospedale, ove offrì princìpio di trisrao, difficoltà d'inghiottire, rigidità de'muscoli addominali, polsi tardi , temperatura naturale , cute molle. Egli provava di tempo in tempo delle scosse provenienti da una rapida e dolorosa contrazione de' muscoli addominali, e che avevano origine da un sen- so di trafittura allo scroblcolo del cuore. Fu prescrit- to un salasso, che si volle ripetere anche nella visita pomeridiana. Sul far della notte le scosse essendosi fatte più forti e frequenti, si applicaron mignatte lun- go la spina, e si ordinò l'oppio alla dose di quattro grani. Il giorno appresso si notò una piccola dimi- nuzione nella violenza e numero delle scosse , e si rivenne all'oppio e alle sanguisughe. La mattina del terzo dopo l'Ingresso le scosse continuavano ad es- ser meno frequenti, ma più forte era il trismo e il malato sentiva a tirarsi il capo all' indietro. Si ac- crebbe la dose dell'oppio e si attaccarono coppette scarificate al dorso. Al mezzodì dello stesso giorno, accesso distinto di febbre con molesta sete e grave dolor di capo , ma senza aumento de' sintomi teta- nici: la sera, apiressia preceduta da sudor generale e profuso. Il resto come sopra. SI continua nell' uso dell'oppio alla dose di otto grani Interpolatamente. Il quarto giorno, polsi appena frequenti, color natura- le, trismo quasi perfetto, difficoltà somma d'inghiot- tire. Si prosiegue coU'oppio alla stessa dose. Il dì se- guente , nuovo accesso di febbre anticipante e assai Febbri perniciose g più impetuoso del primo, che si sciolse parimenti al- la sera con dirotto sudore. Nessun mutamento nel resto. Si accresce la dose dell'oppio fino a dodici gra- ni, in varie prese. La febbre piìi non comparve , e le contrazioni spasmodiche andarono gradatamente di- minuendo, a misura che si aumentò la quantità del nar- cotico, finche nell'undecimo cessassero interamente. La costituzione regnante, la stagione, la prove- nienza dell'infermo, l'andamento della febbre, i pro- fusi sudori seguiti da perfetta apiressia; tutto mostra che gli accessi del terzo e del quinto giorno appar- tenevano ad una vera intermittente. Pure essi non aggravarono i sintomi tetanici e non ne furono ag- gravati. La febbre decorse indipendente dalla malat- tia principale, come avviene delle reali complicazio- ni: e se disparve senza uso di china, se ne può aver qui una ragione nel valore dell'oppio, cbe fin dai tem-' pi di Aezio si era mostrato capace a vincere le pe- riodiche. Se adunque un'emottisi, un vainolo insorti du- rante il corso di febbri periodiche, se una febbre pe- riodica sopraggiunta a un tetano, non generarono per- niciose, mentre pure le cliniche osservazioni ci pre- sentano la perniciosa emmottoica, l'esantematica, la tetanica, egli è forza concludere che in queste non trattisi di semplici complicazioni , ma che V indole malvagia della febbre derivi dall' inlimo stato delle forze e del sangue, languide le prime, e il secondo peccante per troppa venosità , o per notabile alca- lescenza slegato e disciolto: condizioni tutte accon- ce a render più attuosi gli accessi, cioè operativi di più profonde congestioni. Mercè che sminuito il to- no ai vasi e la plasticità al sangue, avviene che nel- IO Scienze l'effervescenza febbrile esso penetri più addentro nel- la sostanza nervosa , e comprima e irriti e più fa- cilmente iraveni. Queste condizioni poi delle forze e del sangue non possono aversi in conto di vera complicazione, cioè di stato indipendente dal processo morboso del- la febbre, poiché originate dalle stesse cause febbri- fìclie, e con la febbre strettamente connesse. Perciò i fenomeni comitanti le perniciose furon la più parte riguardati non quali stati morbosi distinti, ma come veri sintomi della febbre: dacché per essa sono messi in comparsa e svaniscon con essa, e quando lo stes- so rimedio che tronca i parosismi febbrili combalte anche i compagni , come ne fanno testimonianza i casi seguenti. xxvin. Un contadino in età di 36 anni, che aveva la- vorato nelle vigne fuori la porta s. Paolo, preso mol- to sole , dormito a ciel sereno e mangiati frutti in gran copia, il i^ settembre sul far della sera fu as- salito da forte dolore di capo, cui seguirono brividi, indi caldo e sudori copiosi nella notte. Durante la febbre vomitò ogni cosa che avea preso, ed ebbe al- quanti scarichi di una materia somigliante a lava- tura di carne. Il giorno seguente slava bene, ma nel- le ore vespertine si rinnovarono i fenomeni del gior- no innanzi , sebbene ad un grado più mite. Il i6 fu condotto all'ospedale , ove dopo il mezzodì pre- sentava decubito supino, estremità inferiori divarica- te, polsi piccoli, celeri ed irregolari , cute molle di freddo sudore, sete, desiderio di bevande gelate, eva- cuazioni frequenti di una materia sieroso-sanguino- Febbri perniciose t i lenta, basso venire alquanto tumido e dolente sotto la pressione, prostrazione di forze. Fu prescnllo il solfato di chinina alla dose di due grani ogni ora e un clistere di acqua d'orzo. La notte passò inquieta e ia freddi sudori. II giorno appresso i polsi erano più elevati e regolari , la cute asciutta e riscaldata, sospese le purgazioni. Si continuò nell'uso del sol- falo. La sera lieve accesso non preceduto da fred- do, e con poche evacuazioni come sopra. La matti- na del 18 era apiretico: ma nelle ore pomeridiane si rinnovò la febbre con volto acceso , occhi luci- di, senso di ardore per tutta la persona, basso ven- tre dolente al tatto , ansietà. La notte smaniosa e senza sudori. La mattina segaenle remissione di feb- bre e di tutti i sintomi, i quali si ripeteroa la se- ra più debolmente, e svaniron la notte con copiosi sudori, che posero fine alla malattia. XXIX. Un contadino di anni 42» arso anch' esso dal sole nelle campagne dell'isola Farnese ove lavorava, espostosi alla frescura della notte col corpo accalo- rato, e satollatosi con acerbe frutta, il i^ settembre fu preso alla mattina da freddo, seguito da intenso calore, anzi ardore nell'interno del corpo e special- mente del venire , mentre la faccia e le estremità eran gelate e molli di freddo sudore. Poco dopo vo- mitò materie di color verdiccio in gran copia, ed eb- be al tempo istesso evacuazioni liquide imbrattate di sangue. La notte recò calma, che durò fino alla se- ra appresso, in cui l'infermo patì calore, sete, dolor di capo, stanchezza, e poi sudore che mise termine 1? Scienze alla febbre nella notte. li i6, con lieve rllartlo nel* l'ora, si ripetè la scena avvenuta nel giorno 14 , e il 17 ritornò alla sera la febbre coH'aspetto onde si produsse nel i5. Allora fu portato all'ospedale, ove la mattina del 18 si presentò senza febbre e senza alcuna molestia: ma sulle notizie circostanziate clie si ebbero dello stato pregresso, fu prescritta subilo la china, le cui prese furon tutte restituite per vomi- to. Nelle ore pomeridiane del 18 brividi, ardore al- le viscere, sete inestinguibile, faccia di un rosso cu- po, mal di capo, basso ventre dolente , e maggior- mente sotto la pressione , vomito di materie verda- stre miste a sangue, e scarichi parimenti sanguino- lenti, estremità fredde» e suffuse di un sudor gelato. Si ordina la chinina alla dose di due grani ogni ora. La mattina del 19 non vi era che un pò d'inquie- tezza de'polsi, e la sera dolor di capo. Il 20 sete e senso di calore al ventre, e poi la convalescenza. XXX. Un contadino giovane, rubicondo, di abito asciut. to, era uscito poco avanti dall'ospedale, in cui ave- va sofferto febbri periodiche accompagnate da vomi- to; di là si era condotto al luogo denominato la Stor- ta per attendervi ai lavori della campagna, ove era stato ben percosso dal sole, dormendo poi la notte sul nudo terreno all'aria scoperta. Il dì 8 agosto pa- tì stanchezza, calore, sete, mal di capo, molestie al ventre; sicché il giorno dopo si ridusse nuovamente all'ospedale, in cui nelle ore pomeridiane presentava febbre con polsi duri, piccoh, irregolari, cute secca, ansietà, vivi dolori di basso ventre, che si esaspera- Febbri perniciose i3 no sotto la pressione, vomito ed evacuazioni di ma- terie somiglianti a lavatura di carne, sete, respiro fre- quente, faccia accesa, occhi rosseggianti. Fu ordina- to un salasso di once dieci, dopo il quale apparve il sudore, ma che non impedì l'inquietezza e la veglia della notte. La mattina nuovi sudori con declinazio- ne della febhre e di ogni altro incomodo. Si comin- ciò a dare il solfato ogni ora. Verso sera si alterò un poco la circolazione, si accese il volto, tornò a farsi dolente il ventre con due o tre scarichi di materie sanguinolenti. La notte recò qualche agitazione, ma i sudori della mattina furon termine alla malattia. Ecco tre casi di subcruente, o disenteriche che vogliam dire, due de' quali curati col solo preparato di china , che troncò ad un tempo e febbre e pro- fluvio cruento. Questo profluvio era dunque sinto- matico della periodica, non processo morboso distinto da essa, e frenabile con altri mezzi. INel terzo esem- pio fu tratto sangue , e par con vantaggio , se così pronta seguiva la guarigione: ma anche in questo i fenomeni disenterici si manifestarono solo colla feb- bre: e non sarebbero così rapidamente scomparsi con essa , se una condizione morbosa , avente esistenza propria e indipendente dalla periodica, avesse presie- duto a que' disordini. Non già che talora il processo delle intermittenti non possa associarsi ad una vera disenteria e proceder con essa: ma allora gli è lo slato flogistico che signoreggia e che domanda le prime cu- re, accessoria la periodicità e da non attendersi che dopo aver combattuta la flogosi. Tale è il caso del giovane arpinato riferito dal Pucclnofti nella sua sto- ria delle perniciose di Roma. Ivi i fenomeni disente- rici precedevan di tre giorni la febbre, essi mante- i4 Scienze nevansi durante le remissioni dopo sopraggiunta, la china gli accresceva , il male terminavasi manifesta- mente in cancrena. Il contrario de'nostri esempi, in cui i fenomeni disenterici non apparivano che nell' accesso febbrile , e in cui lo stesso rimedio, cioè il preparato di china, vinse febbre ed evacuazioni cruente. La inalai 'ia adunque dell' arpinate si differenzia in ciò dalle nostre, che il fondo di quella era l'infiam- mazione e accessorio il periodo, aggiunto dalla co- stituzione regnante; in queste principale è la febbre intermitiente e sintomatici i fenomeni disenterici. Nel- la prima doveva combattersi il processo flogistico pria di occuparsi della periodicità ; nella seconda conve- niva aver di mira la perniciosa più che gli scarichi sanguinolenti. Ed è questa una difficoltà che stringe non di raro i medici ne' luoghi ove regnano le pe« riodiche: definire cioè se trattisi di malattia infiam- matoria a periodico andamento, o di febbre periodi- ca che susciti negli accessi fenomeni congestivi simu- lanti l'infiammazione, diversa offrendosi l'iudicazioa curativa nel primo periodo del male. XXXI. Un carrettiere in virile età , di abito pieno e piuttosto pingue, avendo già sofferto qualche acces- so di terzane nel mese di luglio, il dì 6 agosto fu assalito da febbre a freddo finita con sudore, e ac- compagnala da grave dolore di capo. Il 7 fu condot- to all'ospedale, ove offrì poca febbre con mal di te- sta più mite del giorno antecedente. Il giorno dopo di buon mattino gli entrò nuova febbre con freddo for- te e lunghissimo , indi calore non proporzionato al Febbri perniciose i5 freddo, polsi piccoli, celeri irregolari, ansietà, senso di abbattimento, stupore, sonnolenza, tremori, sussulti di tendini. Non può sedere sul letto senza provar vertigini e tremori alle membra. Gl'ipocondri son tu- midi, il basso ventre alquanto dolente sotto la pres- sione , la lingua arida e scabrosa. Si presciive una dramma delle polveri antipiretiche del prof. Peretti in sedici parli, da prenderne una ogni ora. La se- ra sì apre il sudore, che è freddo, ed abbonda spe- cialmente alla fronte : rossori circoscritti alle gote e il resto come sopra. Nolte inquieta. La mattina del 9 continua nel medesimo stato, eccettochè la mente è più sana. Si prosiegue nell' uso delle polveri. La sera abbattimento e sonnolenza come il giorno in- nanzi. Si amministra un clistere emolliente, con cui si ottengono alcuni scarichi. Sudori nella notte. La mattina del io cute madida, polsi più elevati, basso ventre meno dolente sotto la pressione, ansietà di- minuita. Continuano l'aridità della lingua, i rossori circoscritti ai pommelli, la prostrazione e la sonno- lenza. Si ripetono le polveri. La sera ipocondri me- no tumidi, cute molle, lingua meno arida, polsi più validi , mente sana. V è ancora un pò di molestia palpando il ventre. Ebbe qualche scarico nella not- te, in cui si continuò nell'uso dell'antipiretico. Per due altri giorni i polsi furono inquieti e la lingua un poco arida: poi la convalescenza. Anche in questo caso il solo preparalo di chi- na è bastato a debellare una perniciosa; anche qui non si saprebbe dimostrare 1' esist'^nza di un altro stato morboso indipendente dalla febbre e compli- cante la medesima; i disordini nervei e cerebrali es- sendosi mostrati del tutto connessi ai parosìsmi feb- i6 Scienze brili e ad essi corrispondenti. Del resto, citando qual- che esempio in cui la sola corteccia ha troncato in- termittenti di prava indole, non s'intende già esclu- dere dalla cura di tali febbri ogni altro genere di rimedi, e specialmente il salasso, che offre anzi un mezzo valevolissimo e spesso indispensabile a doma- re le perniciose cefaliche: soprattutto le estive e quel- le, ove la congestione cerebrale operatasi negli ac- cessi è frutto di pletora e turgenza venosa , senza che i poteri vitali siano infraliti e viziata la crasi del sangue, come nel caso seguente. XXXII. Un contadino di anni trenta, di robusta costi- tuzione, proveniente dal lenimento denominato la Ca- stigliuccia fuori la porta Angelica, stato già sogget- to a febbri periodiche, dopo essersi esposto col cor- po riscaldato al fresco notturno, fu assalito al mez- zodì del 6 luglio da dolore di capo e senso di stan- chezza generale; sintomi che si dissiparono nella not- te. Il dì seguente lavorò la terra, quantunque si sen- tisse abbattuto e colla testa pesante. La mattina del giorno 8 fu portato all'ospedale, ove presentò febbre, sopore, volto acceso. Si ordinò subito una sanguigna dal piede , indi una dose di china che fu vomitata suir istante. Poco dopo T infermo era interamente appopletico. Si prescrìve una sanguigna dal braccio e dodici sanguisughe alle tempie. La sera continuava nel medesimo stato, e si replicò il salasso. Il di 9 polsi frequenti, calor naturale, alquanto stupore, sen- so di molestia al ventre. Si amministra il solfato di chinina, e dopo tre giorni di stordimento ritorna la sanità. Febbri perniciose 17 Opportune furono in questo caso le iterate fle- botomie, ed evidente il profitto che se ne trasse: ine volendo conservare ai nomi l'antico e giusto loro si- gnificalo, si dovrà dire ch'esse furon dirette a com- battere un grave sintoraa della febbre, non una mor- bosa complicazione. L'ingorgo cerebrale poteva esser favorito da precedenti disposizioni: ma certo non fu in atto che per la febbre e con la febbre manten- nesi in dipendenza di fenomeno concomitante, non m società di stalo morboso capace a sussistere per se stesso. Ove l'ingorgo si fosse convertito in flogosi , ne sarebbe allora insorta una vera complicazione, co- me di vere complicazioni ci porgono esempio le in- termittenti che si appigliano ai tisici, ai venerei, agli scabbiosi, ai feriti. Ma le emorragie , i sudori stra- bocchevoli, i deliqui , i sopori, e le cardialgie che compariscono con la febbre e scompariscono con es- sa, sono veri sintomi dipendenti ex morbo ut cau- sa, comunque la lor gravezza possa meritare una spe- ciale considerazione riguardo alla cura. Si distingua- no adunque le perniciose comitale dalle complica- te^ e si riservi la seconda espressione a que'casi in cui decorrono unitamente ad altra malattia indipen- dente da esse , e da esse differenziate per origine , per natura, per bisogno di special curazione. Il vomito delle sostanze ingoiate durante il fer- vore febbrile non è raro nelle intermittenti; ma nel nostro esempio questo sintoma militava probabilmente fra i precursori dello stato appopletico, come occor- re anche nelle appoplesie idiopatiche. XXXIII. Un muratore di 45 anni , carnagione bianca , G.A.T.XCVII. 2 i3 Scienze statura riien che mezzana, ma ben compresso e ro- busto, entrò all'ospedale il 5 agosto, proveniente dal- la Magliana, con febbre, che disse assalirlo ogni mat- tina a freddo, forte dolore di capo, sonnolenza, fac- cia di un rosso cupo , vomito frequente. Domandò di essere salassato come gli era in costume, e furoii tirate io once di sangue dal braccio: il sangue non presentò cotenna. Indi veduto che la febbre rimet- teva la sera con sudore , pi'emesso un purgante , si prescrisse la china, e vi si continuò fino al quinto giorno dopo l'ingresso ; in cui , a malgrado del ri- medio, proruppe un più grave accesso con ambascia, slimoli frequentissimi di orinare, freddo marmoreo, su- dori viscosi specialmente alle estremità, labbri e den- ti neri asciutti,, faccia squallida, abbattimento mor- tale. Poco dopo cadde in profondo sopore ., cui se- guì in hneve la morte. - Cadavere molto rigido e ben conservato. Iniezione della pia madre ; sostanza ce- rebrale punteggiata di rosso oscuro, molto siero san- guinolento alia base 'del cranio; cervelletto ammol- lito. Alcune aderenze fra le pleure. Il pericardio in- tieramente aderente al cuore , da cui si durò fatica a distaccarlo. Il cuore due volte maggiore dell'ordi- nario cuni incrassatione substantiae. La cavità del sinistro ventricolo ridotta a incredibile angustia per attaccamenti contratti fra loro dalle colonnette, on- de in un punto quasi si bipartiva. Gli atri destri con- tenevano sangue fluido e nereggiante. Fegato picco- lo, molle, pallido: molta bile picea nella cistifellea. La milza aderente airintorno e disfatta. Lo stoma- co assai dilatato, assottigliato e disleso da un fluido rossastro in cui notava la china. La mucosa gastro- enterica di color plumbeo. I tenui contenevano mol- Feubri peuniciose 19 ti e grossi loinìjrlci e la solita materia gialla. Vessi- ca orinarla contralta. La mancanza di sintomi di pericardite nel prin- cipio e nel progresso del male, l'accresciuto volume del cuore , la tenacità dell' aderenza del pericai'dio a quest'organo, la natura del sangue estratto : tutto indica che in questo caso le sinfisi cardiaca fosse di antica data. E che poi tal disordine si possa conci- liar colla vita, se ne hanno bastevoli testimonianze in Morgagni, Senac, Corvlsart, che lo rinvennero in per- sone morte repentinamente di altre malattie. ISe in- cresce di non aver potuto rintracciare a quali inco- modi andasse sottoposto il nostro infermo innanzi l'ul- tima malattia: se fosse molestato da senso di oppres- sione o di stringimento al petto, o sperimentasse tre- mito o veementi pulsazioni al sinistro lato del pet- to, o fosse inabile a prolungato parlare, ovvero pa- tisse dolore all'epigastrio dopo il pasto, come narra- no aver osservato gli autori ne' diversi casi di tal ma- lattia. Ad ogni modo quelle lesioni del cuore non mancarono certo di aggravare la febbre del nostro in- fermo, già per se di perversa natura. A questa fune- sta complicazione si riferiscono probabilmente l'am- bascia, il freddo marmoreo, i sudori viscidi che ac- compagnarono l'ultimo accesso: sintomi che non sono in islretto legame colla congeslion cerebrale, che fu pur la cagion principale di morte. La vessica, che ne' morti di comatose trovasi al solito distesa da molta orina, si mostrava nel nostro esempio contratta; ciò che ne richiama alla mente i frequenti slimoli ad ori- nare dell'ultimo parosismo. 20 Scienze XXXIV. Un contadino in età di ^o anni, di pelle bru- na , carne soda , temperamento bilioso , non aveva sofferto da un anno alcuna malattia , allorché il 4 agosto ebbe ad affaticarsi in un orto fuori della porta Angelica durante la pioggia. La notte gli passò in- quieta; ciò non ostante il giorno dopo tornò al la- voro: ma sul mezzodi fu colto da brividi seguiti da calore, e irresislibile inclina2Ìone al sonno, cui si ab- bandonò sdraiato sul terreno e sotto la sferza del so- le. Trasportato la sera all'ospedale, mostrò la febbre con polsi tesi, faccia di un rosso cupo, stupidità, oc- chi aperti ed immobili. Non intende, non parla, non sa mostrare la lingua, e fa continui sforzi per denu- dare le estremità e alzarsi dal letto. Il ventre supe- riore era molle, ma la regione ipogastrica tumida e protuberanle. Si ordinò un salasso e le fomentazio- ni emollienti sul pube; nella notte scaricò fecce ed orine e si andò amministrando il solfato. La matti- na seguente la febbre era alquanto rimessa, ma con- tinuava la stupefazione: si proseguì nell'uso del sol- fato. La sera esaeerbaron febbre e tutti i fenomeni morbosi: si tornò al salasso. La mattina del j l'in- fermo era senza febbre, e con tal serenità di mente da poter raccontare il fatto suo fino al momento in che si era addormentato sul terreno ; dopo il qual punto non sapeva ciò che gli fosse avvenuto. La se- ra, nuovo accesso di febbre con vomito di bile por- racea, stupore, perdita di sensi , faccia di un rosso cupo, occhi aperti ed immobili , discreto calore. Si applicano 12 mignatte alle tempia. La notte fu in- Febbri pernigiosk 2j quieta , e si riuscì con difficollà a fargli inghiottire il solfato. La mattina seguente continuava nel me- desimo sfato, e vomitò, nuovamente della bile come verderame. Si praticò una terza sanguigna dal brac- cio, e il sangue presentò una sottil pellicola. Al mez- zodì polsi confusi, respiro corto e sonoro, faccia iniet- tala, occhi splendenti, sudor generale. Morì la matti- na seguente. -Il cadavere era pieghevole in ogni giun- tura, e voltato ne uscì dalla bocca una notabile quan- tità di liquido giallastro fetidissimo. I seni ed alcu- ni vasi della dura madre ingorgati di sangue. La pia meninge minutamente iniettala, in ispecie nelle sue ripiegature entro le circonvoluzioni. La sostanza del cervello e del cervelletto ricisa compariva macchiata di piccoli punti rossi. I polmoni di color turchina- stro. Fegato e milza ammolliti in modo da disfarsi alla più lieve pressione. La cistifellea conteneva poca bile gialla. Il grande omento era avviluppato in for- ma di cordone che andava ad impiantarsi sul fondo della vessìca orinarla. Gl'intestini presentavano ester- namente una tinta lividastra, interrotta da piccole mac- chie di rosso cupo, ed eran pieni della stessa male, ria fetente che uscì per la bocca. Il colon ed il ret- to contenevano scibale durissime. La mucosa dello stomaco era fortemente colorata di giallo che non isva- niva per lavande ; quella degl'intestini offriva qua e la delle iniezioni arboriformi di un rosso vivo , nel tratto delle quali sporgean bollicine di una tinta più cupa, consistenti in grumetti di sangue travenato nel- la cellulare sottostante. Queste enchlmosi pustolifor. mi non eccedenti in grandezza una lente , or ag- gruppate or distinte, abbondavano specialmente nel- l'ileo, ed erano spesso circondate da un'areola di co- lor roseo. 22 Scienze Maravigliano i medici come la china o il snó alcaloide amministrati nelle perniciose opportunamen- te, e in dose conveniente, e di irreprensibil natura, pur falllscan talora all'espettazione, e i parosismi si rihnuovino con maggior forza e con esito fatale del- la malattia. Il qual fatto , non infrequente special- mente nelle comatose, ed osservabile anche in que' casi, in cui non furono trascurati i più gravi sinto- mi, se muove talora da occulte cause, può però ri- ferirsi spesso alle seguenti cagioni. La prima , e comune alle altre malattie , è la complicazione morbosa, dalla quale non vanno esen- ti le nostre febbri, avvegnaché se l'esser di pernicio- se non deriva necessariamente loro da associazione con altro male diverso d'indole e d'origine, ma na- sce piuttosto dalle intime condizioni delle forze e del sangue; non perciò esse giunte a tali per queste cau- se non potranno congiungersi ad altri processi mor- bosi , o divenir tali su macchine già offese da altri malori, come avvenne nel caso penultimamente nar- rato. Or la complicazione è quel fatto che accrescen- do il disordine delle funzioni , turbando i moti sa- lutari della natura, e facendo sorgere opposte indica- zioni, rende infruttuosi i mezzi dell'arte e paralizza l'azion de' rimedi. Una seconda cagione si contiene nelle gastriche impurità , che son fomite di recrudescenze febbrili. Ella è una verità Irrecusabile che, al dir di Strack, « si mucosa in imo ventj'e coUmnes residet , et febris intermittens prehendit , cortex peruvianas febrim non movebit ». Ora fu veduto che quisquiglie gastriche, biliose, verminose stivano sempre il canal gastro-enterico ne' morti di perniciose: e se tal con- Febbri perniciose 23 dizione fu mostrata capace a promuovere il sopore in queste febbri, essa lo è poi tanto più a riprodur- re la febbre medesima, rendendo vana l'interposizioi): della cbina. Mercè cbe le viscidezze, onde è imbrat- tato lo stomaco, oppongano un obice all'azione che il rimedio dee esercitare sulle estremità de' nervi, e la mordacità di una bile viziata, effusa in gran co- pia negl' intestini , mantenga il disordine nella vita de' gangli addominali che tanta parte si arrogano nella genesi delle periodiche. Ricalcitrano adunque le per- niciose al poter del febbrifugo, ove impuro sia il ven- tre , come sotto egual condizione gli sono l'ibelli le intermittenti benigne: e che poi il gastricismo abbia tal potere di riprodurre gli accessi, vien confermato anche dal fatto, che più volte ho avuto occasione di osservare negli ospedali, del suscitarsi cioè ne' con- valescenti repentini parosismi di febbre comatosa per disordini commessi nella dieta. Altra causa di morte nelle perniciose, malgrado della cura, rinviensi nelle più profonde congestioni che ne' lor casi funesti si operano durante gli acces- si; e ciò non tanto per impeto strabocchevole della febbre, quanto per lassezza di vasi e dissoluzione del sangue, che per tal sua qualità s'insinua più adden- tro ne' minutissimi vasi e travena più facilmente, e più facilmente s'infiltra nella midolla nervosa. I qua- li infiltramenti residuali divengono esca a nuovi ac- cessi, e quindi a nuove congestioni. ■3o6,g8; una restituzione di -7^ l^^i^^i^ con un totale di ■7^ 4^7^ depositazionl e 416 ritiri; ossia, per seguitare l'ordine tenuto nel rapporto dell'anno primo: Si aprirono nel i semestre del 2 esercizio Libretti num. 212 Nel secondo semestre » 36o £ sono cogli attivi al i luglio 1842 872 585 Di codesti si estinsero Nel I semestre Nel a semestre num. iiSj num. 142 » n8 num. 260 Cassa di risparmio di Pesaro Residuarono i libretti non estinti al i luglio 1843 num. 897 Il numero dei depositi Nel I semestre num. 247^ Nel 2 semestre num. 2400 «9 Le somme depositale Nel i semestre Nel 2 semestre num. 4873 7=? 7268,98 » 7088 — -s^ 14,306,98 -^ 275, ,i3^ « 1982, 2429, ,38 ,86 •7=? 4412, .34 » 84,852_ E queste danno una media setti- manale di Le somme ritirate Nel I semestre Nel 2 semestre E queste danno una media setti- manale di Dai quali fatti statistici risulta, come volendo para- gonare la popolazione di questa città, valutala a un incirca per anime 12247, ^^^ numero dei depositi , si ha il rapporto di uno a venticinque e tredici cen- tesimi. Quindi ciascun individuo avrebbe deposi- tato ■^ E i depositi al disotto dello scudo furono num. Con una media di -7^ I depositi che toccarono il maxi- mum furono num. i,ib — ' loo 2o35 o,35- iiii 3o' Scienze Quelli che dallo scudo non giun- sero ai maximum num. 1726 Con una media di -7^ 3,74-— Avendosi altresì la media di tutti i depositi, compresi quelli del maximum, in ^ 2,987^ E quella di ciaschedun libretto, compresi lutti del maximum, in » i2,36~ Inoltre voi decretaste nell' ultima sessione , che in questo secondo ,anno di esercizio venissero premiati gl'individui poveri del paese, i quali avessero depo- sitato nella nostra cassa colla maggiore assiduità per tutto il corso annuale. A desumere pertanto la povertà, oltre alle indicazioni della condizione enun- ciale all'ufficio nell'atto del deposito, si è pensato a derivalla dalla tenuità delle somme versate non ol- trepafisanti i baiocchi quindici; dappoiché non è sup- ponibile che le persone facoltose, o almanco non po- vere, vogliano procacciarsi un piccolo premio a danno dei miseri, versando per tal fine costantemente una misera somma. Onde avere poi la prova dell'assiduità nei depositi, sonosi consultati i registri del sig. con- sigliere ragioniere: ed egli gentilmente ne ha favoriti gli acclusi fogli, l'uno pel primo, e l'altro pel secon- do semestre, dai quali emerge quello che segue: 1. Terenzio Antonioli, maiolicare, depositò nel- l'anno 29 volte baiocchi io. 2. Camilla Semprucci, artigiana, depositò nelP anno 20 volte baiocchi io. 3. Giovanni Marzia industriante , depositò 26 volte baiocchi 5 e io. 4. Romolo Mingaroni, scrittore , depositò 82 volte da 7 a i5 baiocchi. Cassa di risparmio di Pesaro 3i 5. Giacinta Biglietti , caffettiera , depositò 33 volte (la IO a i5 bajocchi. 6. Gaetano Baglioni^ orfano, depositò 26 volte da 5 a 8 baiocchi. Versarono inoltre più di tre volte in ciasche- dun semestre dai baiocchi 5 ai i.5 i seguenti arti- giani: 7. Luigi Santinelli 8. Francesco Anfonioli. 9. Giuseppe Paraccini. 10. Ferdinando Desideri. 11. Oreste Signoretti. 12. Angela Zaffmi. i3. Pietro Vitali. 14. Gaetano Gaggiarini. i5. Luigi Baglietti 16. Luigi Tomassini. 17. Raffaele Ceccarelli. i8. Caterina Gili. i^. Giulia Bernabei. 20. Rosa Semprucci. Il vostro consiglio, o signori, ha stabilito dì ac- cordare ai primi sei individui un premio fisso per ciascuno di paoli dodici : ed agli altri quattordici , tre premi di paoli otto : da estrarsi a sorte prima che abbia fine l'attuale seduta. V'interessa altresì il consiglio di stampare i nomi di tutti i premiati ap- piedi al rendiconto che si deve affiggere alle colon- ne ; e in tal guisa , colla tenue spesa di scudi io e colla ricompensa della pubblica opinione , avrete in tutta giustizia distinti e incoraggiati venti indivi- dui, ì quali, ad onta della loro condizione inferiore, 3a Scienze pur tuttavia gustarono ed apprezzarono i sommi van- taggi della nuova cosmopolita istituzione. Rallegratevi adunque nosco pei risultati vera- mente felici di questa cassa; rallegratevi dell'esattez- za con cui procedono le cose vostre in una tale be- neficenza pubblica, in codesta azienda che ebbe nel breve giro di un anno un movimento di danaro per •7^ 42i4^4' ^"^ profitto di -7^ 208 netto da ogni spe- sa, ed un residuo non investito di soli 7=? 28,86 ; rallegratevi infine perchè il fatto dei depositanti vi som- ministra modo di accordare un tenue sì , ma pure ambito guiderdone ai vostri concittadini docili, eco- nomi e costantemente decisi al bene operare. Tutto questo ad esaurimento deiresercizio 1842-43 della cassa. Ora conviene provvedere alle bisogne del terzo anno già cominciato , e che avrà termine col giugno del i844« Dapprima, o signori, è nostro dovere il propor- vi l'aggregazione ad onorem alla nostra società dell* eminentissimo principe cai'dinale Della Genga. Non si può difalto tollerare che il solo albo di Pesaro vada privo dell'onore di avere fra' suoi il nome del preclarissimo preside governativo, nell'atto che in tut- te le altre società dello stato lo vediamo figurare e risplendere per gli speciali favori che loro procura e che noi ancora speriamo dalla munificenza, dalla be- nignità e dal favore del nuovo legato. Quindi fa d'uopo che venga data sostituzione all'egregio e nobile sig. Vincenzo Maria Donati; nel quale la morte inesorabile ha colpito uno de'noslri più illustri e più benevoli consoci. Da ultimo necessita che nominiate, come al so- lito, i tre sindaci revisori per questo terzo esercizio Cassa ni rispariviio di Pesaro 33 della cassa; dopo il quale (conforme al regolamento) si dovrà rinnovare un terzo del consiglio, ed imbor- sarne il restante; rinnovazione e imborsamento giu- stissimi, felicemente ideati e lenuti in vigoi'c presso le antiche e moderne associazioni civili; rinnovazione e imborsamento che gl'italiani hanno pei primi im- maginato ed insegnato ai popoli che vollero mante- nere nelle loro politiche istituzioni la ugualità dei pesi e quella degli onori. Due cose soltanto siamo astretti a proporvi co- me modificazioni dello statuto, e che la necessità dei casi, e la prudenza richiesta ne'casi slessi, ci con- sigliarono. La prima viene da una nuova malizia che è sorta nei depositanti; e sapete bene che di mali- ;zia vanno sempre forniti gli uomini, quando si tratta di eludere o di rallentare i vincoli delle leggi. Al- cuno immaginò che depositando con molti libretti e con distinti nomi soli cinque scudi , possa a lui venir fatto di affacciai-si un mercoledì alla cassa coi molti libretti da scudi cinque, e senza la difUdazio- ne prescritta ritirarne sul momento una forte som- ma , o tale almeno da imbarazzare e intralciare le altre pecuniarie operazioni. Si proporrebbe adunque, per allontanare simile evento, « che chiunque si pre- » senti alla cassa con molti libretti da scudi cin- » que per averne immediata restituzione, non pos- » sa ottenerla che per un solo libretto; e per gli al- » tri debba correre la diffidazione ed il lasso dei i5 )) giorni. Altrettanto si stabilisce per chiunque pre- )) sentasse molti libretti, sui quali ritirare una som- )) ma complessiva oltrepassante gli scudi 5 ». Di fat- ti, o signori , il presentatore di uno o piìi libretti è ritenuto esserne il proprietario : dunque, abbiasi G.A.T.XCVH. 3 34 Scienze o no in tutti il nome suo, egli non può pretendere che l'immediato rimborso complessivo di scudi cin- que. Che se poi il malizioso darà tanti libretti da cinque scudi ad altrettanti soggetti, e se ciascuno di loro verrà a ritirare la somma di scudi cinque, al- lora noi saremo autorizzati a investigare se quei li^ bretti appartengano o no ai presentatori: e non ap- partenendo o confessandosi l'inganno, saremo in fa- coltà di rigettar la domanda. Tant'è, che ad un so- lo individuo non ponno e non debbono essere re- stituiti, senza diffidazione, che soli scudi cinque. L' altro abuso inerente alla istituzione , di già avvertito da noi lo scorso anno, ed ora dai signori sindaci verificato , è quello dei grossi depositi , i quali con separati nomi e libretti si vanno facendo quasi ogni giorno dell' apertura della cassa. Code- sta è materia di grave considerazione, ed alla qua-- le (già vi dicemmo) non è stato fatto a veruna so- cietà il trovare un efficace rimedio. Apparterrà alla previdenza degli uomini piìi illustri e più addot- trinati di P'uropa il rinvenire un mezzo per ovviare a questa generale trasmutazione delle casse di ri-, sparmi in altrettante banche di sconto. Per noi frat- tanto sta in fatto di non potere adottare per ora se non quei rimedi, che valgano a diminuire la spesa e la mano d'opera della contabilità; ci conviene di- minuire la massa dei libretti, e la fatica degli ama- nuensi; cose che per le grosse somme accrescono di soverchio la nostra passività. In conseguenza noi pro- porremo di portare il maximum dei libretti dagli T^ 8 agli 7=^ 2o; e ciò sull'esempio che se ne è da- to da qualche altra cassa dello stato. Questo spedienle risparniierà tempo, slampe, e fatica, senza ledere me- Cassa di rispahmio di Pesaro 35 nomamenle la istiluzione; dappoicliè sarà sempre in libertà di ognuno il versare dai baiocchi cinque agli scudi venti , col di più cbe prevalendosi qualcuno di vari libretti, e di diversi nomi onde versare, a mò di esempio, cento scudi, potrà farlo con soli cinque libretti, e non con tredici , come adesso è voluto. Torniamo a dire che una tale modificazione non toglie l'abuso, ma ne rende meno pesante l'opera/ione: e questo abuso stesso (per ora) è di profitto nellu mol- te somministrazioni che la cassa va facendo ai par- ticolari del paese. Ogni altro mezzo da noi imma- ginato, e alle altre casse richiesto per abolirlo, fu di- chiarato non idoneo, o vulnerante i regolamenti sta- tutari, che pure è forza di mantenere inconcussi: e la società generale della cassa di Roma ha nomina- ta ( non è un mese) un' apposita commissione per provvedere al rimedio; e noi ci faremo solleciti, a tem- po e luogo, di chiederne per norma all'eccelleatis- 6Ìmo presidente il risultato. Resta che noi ringraziamo il cortese vostro con- corso , la benignità e scrupolosità dei sindaci che vollero approvato in ogni sua parte il nostro ope- rato, la gentile compiacenza del signor gonfaloniere che a questa adunanza die loco , la bella e fratel- levole connivenza di lutti i nostri consoci che la cas- sa fondarono, sorressero ed insieme cogli altri citta- dini applaudirono. Ecco il cielo sorride alle buone intenzioni degli uomini pietosi ; e benedice la im- presa già prosperante in altre i6 città dello stato (oltra le casse succursali , o affigliate che vogliansi denominare): città le quali in poco più di un lustro cumularono un capitale di oltra due milioni di scudil Il vice-segretario delle cassa G. Mamiani 36 Origine del metodo laterale per Voperazione del- la pietra. Memoria di B. Chimenz dottore in filosofia e in chirurgia. X^el mese di dicembre iGgy comparve a Parigi uà uomo, con abito da frate o eremita, chiamato fra Gia- como Beaulieu, che avea un numero grande di cer- tificali, i quali attestavano le guarigioni ohe avea ope- ralo in varie provincie. Vantavasi costui di aver il metodo singolare di esfrarre la pietra dalla vessica dell' uomo , e di venire ad insegnar ai chirurghi di Parigi il metodo di tagliare i pietranti. Questo fra Giacomo nacque nel i65i in un borgo chiamato Etendonne, baliaggio Lousc le SouU lier nella Franca Contea. I suoi genitori poverissi- mi gli fecero imparare a leggere e scrivere, ed a que- sto fu limitata la sua educazione. All' età di anni i6 abbandonò la casa paterna, s'ingaggiò in un reg- gimento di cavalleria, ove ebbe occasione di conosce- re un altro ciurmatore chiamato Pauloni che correva per le campagne facendo 1' operazione della pietra. Fra Giacomo lo seguì per sei anni, dopoché ebbe il congedo: e non volendo andare col Pauloni a Ve- nezia, rimase in uno stato di estrema sventura: ma il suo forsennato ardire, non che l'impudenza da ciar^ latano, l'indusse intrepidamente ad operare: ed ese- guiva quel tanto che avea veduto praticare dal suo maestro. Nel 1690 vestì 1' abito monastico: ma non somigliava a verun ordine religioso, e si pretende che Metodo laterale ec. 37 fosse un abitò da eremita: ed allora assunse il nome di fra Giacomo. Sembrava costui un uomo pio, con un'aria di modestia e semplicità capace di sedurre, e di un disinteresse di cui avea dato prove singola- ri. Costante nelle sue operazioni ( dice Mery ) egli avea la mano sicura, e sarebbe slato difficile il tro- vare un operatore più ardito. Ma tutti coloro, che han parlato di questo famoso girovago , convengono che ignorava del tutto i princlpii di anatomia e di chi- rurgia, e la sua tranquillità dipendeva dal non co- noscere i grandi pericoli. Prima dell'operazione niun rimedio prescriveva: subito operava il paziente: e com- pito tutto soleva dire al malato: L'operazione è faU ta. Dio vi guarisca. Dopo un lungo giro il nostro fra Giacomo si portò a Besanzone : colà operò feli- cemente alcuni poveri alla presenza di personaggi rag- guardevoli, e fra gli altri l'arcidiacono della melro- poli che lo consigliò di andare a Parigi raccoman- dandolo ad un canonico di Nòtre-Dame. La lettera era accompagnata da molti certificati. Ecco fra Gia- como a Parigi nel 1697. Il canonico lo preseniò al presidente del parlamento De liarlay, e questo ma- gistrato ordinò ai chirurgi e medici dell'Hòtel-Dieu che esaminassero bene la sua capacità e glie ne ren- dessero conto. Il frate fece il primo esperimento su di un cadavere di un uomo, nella vessica del quale era stata posta una grossa pietra: ed eccone il rap- porto di Mery: Introdusse V eremita nella vessica una tenta ben massiccia, rotonda, senza scanala- tura , diversa dalla figura della tenta di cui si servono quelli che operano colf antico metodo : prese quindi un bistorino comune, ma lungo, col quale fece una incisione al lato interno della tu- 38 Scienze berosità delVischio fino alla tenta che non estras- se: fatta Vincisione, introdusse un dito nella Jes- sica per riconoscere l'esistenza della pietra : le- vò quindi il dito^ ed intromise in ve s sica un pic- colo stromento per dilatare la ferita , e render facile V estrazione della pietra. Lo stromento era come un ( grattoir ), colla differenza che era ta- gliente da una sola parte, ed il suo manico avea un fusto lungo di acciaio. Con questo dilatatore! fece penetrare la tanaglia in ve s sica: ed esti'atto questo conduttore , tolse la tenta dalVuretra^ ab" brancando il calcolo, estraendo questo per la fe- rita: il tutto colla massima destrezza nello spa^ zio di pochi minuti, abbenchè la pietra fosse gran- de come un uovo di gallina. Mery dissecò subito in presenza di lutti i professori e degli allievi dell' HóteUDieu le parli incise; e paragonandole colle al- tre, che ei dissecò del pari, osservò che fra Giaco- mo avea tagliato l'adipe della grossezza di un pol- lice e raezzo, che avea condotto il suo tagliente fra i muscoli erettore ed acceleratore sinistro senza of- fendei'li , che in seguito avea aperto lateralmente il collo della vessica in tulta la sua lunghezza, e circa mezzo pollice di corpo di questo viscere. Non si po- teva eseguire una operazione con sì brillante succes- so: quindi il rapporto di Mery fu di sommo aiuto per Teremita. Egli dice, che il collo ed il corpo della vessica essendo incisi, invece di esser dilatati come nella maniera ordinaria di operare , e la pietra do- vendo uscire dalla parte più larga dell' angolo del pube, dovrebbero sopravvenire minori accidenti: che l'emorragia non deve spaventare, essendo le parti fe- rite irrigate da una quantità di vasi sanguigni quan- Metodo laterale ec. 3q to lì bulbo: che la parte spongiosa dell' uretra e la tumefazione dello scroto non dovea considerarsi: cbe finalmente non potevano accadere le stesse lacerazio- ni alle parti interne. Aggiunse però die gli stromen- ti di fra Giacomo gli sembravano meno sicuri di quei elle si tenevano in uso , e il difetto della scanala- tura della tenta formava un ostacolo considerabile al buon risultalo dell'operazione, giacche il bistorino dovea sempre vacillare su quella tenta. Mery qual- che giorno dopo ebbe ordine di nuovo dal presi- dente del parlamento di veder operare fra Giacomo. Il frate travagliò sul cadavere di un giovinetto di 14 anni , la vessica del quale fu rinvenuta in un guasto spaventevole: ed in quello di una donna, la cui vagina era forata da ambe le parti. In questo rapporto dei due sperimenti Mery si ritrattò { al- la francese ) de' primi elogi che avea scritto sulle operazioni dell' eremila, riguardando il suo metodo assai pericoloso in comparazione deli' alto apparec- chio. Luigi XIV, essendo a Fonlainebleau, riceveN te l'eremita accompagnato da Fagon archialro di que- sto monarca, da Felix primo chirurgo di camera, da Duchesne medico dei principi del sangue, e da Bour- delot medico della duchessa di Borgogna. Duchesne fece custodire un giovine pietrante , e volle che l' operasse fra Giacomo : il che fece con brillante ri- sultato in presenza di quei dotti professori di Pa- rigi , che sorpresi dalla intrepidezza e singoiar de- strezza dell'operatore ne testificarono la più grande soddisfazione. Il malato fu in istato di camminare dopo tre settimane. L'eremita quindi tagliò sei pie- tranli, quattro all'ospedale, e due in città: e fra que- sti un irlandese , nella vessica del quale fu rinve- 4p Scienze nula una palla incrostata di una materia arenacea, avendo quest'uomo ricevuto i8 anni prima un col-- pò di moschetto nell'addome. Il dì IO aprile 1698 operò nell'Hotel Dieu un giovane di ly anni, e gli eslrasse cinque pietre VO" luminose. Durante l'operazione il paziente ebbe una perdita di sangue : tre giorni dopo 1' emorragia di- venne più imponente , ed il sangue fluiva dalla fe- rita, dalla verga, dall'ano: il che lece conoscere, di- ce Mery, che era stato tagliato l' intestino. Ed in- falli comparvero due vermi dalla vessica. Il pazien- te morì dopo cinque mesi con una fistola. In egual tempo r eremita tagliò vari pietranti a Parigi e a Versailles, sempre con esito infelice. Sembrava che questi sventurati avvenimenti, ed il rapporto di Mery , avessero dovuto allontanare i magistrati dall'accordare a fra Giacomo la facoltà di operare i malati affetti di pietra negli ospedali di Pa- rigi: pure in un' assemblea dell' Hotel Dieu tenuta nell'arcivescovado il 26 aprile, ove intervennero tut- ti i chirurgi e medici dell'ospedale (eccettuato Me- ry ) , in quesl' assemblea dissero che faceva d'uopo praticare nuovi esperimenti : e fu deciso farlo ope- rare all'Hotel Dieu, Operò dunque il frate 4^ ma- lati in questo spedale, e 18 in quello della Carila. L'ansietà di vedere l'operatore fu estrema. Non aravi chirurgo, medico, personaggio, magistrato che non fos- se testimonio del suo operare: e vi bisognarono del- le guai'die per il popolo accorso. Dei 60 malati, 23 morirono, i3 perfettamente guarirono, e le ferite di questi eransi riaperte: gli altri 24. rimasero negli ospe- dali, alcuni con incontinenza d'orina, altri con fi- stola: ma quasi tutti in uno slato di marasmo e di Metodo laterale ec. 4* estenuazione perdettero la vita. La sezione di quel- li morti fece conoscere che il frate avea lacerato la vessica nel fondo, in altri il collo di questo visce- re separato affatto dall'uretra, nelle donne la vagi- na costantemente forata in due luoglii opposti , 11 retto sempre aperto in ambi i sessi, e quasi in tut- ti un guasto considerevole : conseguenza necessaria del difetto di guida per il bistorino e per il condut- tore, col quale era incisa la vessica. L'eremita assi- steva sempre a queste sezioni anatomiche, ne pote- va disconvenire delle tremende conseguenze che ri- sultavano dal suo metodo di operare. Furono molto utili le sezioni eseguite in pubblico: giacche il fra- te avea accusato i religiosi e i professori della Ca- rità di aver fatto morire i pazienti , facendo loro introdurre dei corpi estranei nella ferita dopo fat- ta l'operazione : il che gli fu molto rimproverato dal superiore della Carità, dicendo al frate che tali im- putazioni erano ben indegne di un uomo onesto. Questi disgraziali fatti dell'eremita fecero molta im- pressione a ivTery, e l'obbligarono a condannare un metodo, da cui un noma dotto, com'egli era, avreb- be potuto trarre i migliori vantaggi, facendogli su- bir correzioni , delle quali avea preveduto il bi- sogno. Ma tutti non furono d' accordo con Mery. Felix e Fagon giudicarono che questa operazione si poteva rettificare, per essere stata eseguita senza me- todo: poiché lo stromento, che non era guidato, era diretto a caso, interessando ora Tuna parte, ora l'al- tra. Allora il girovago fra Giacomo si pose a viag- giare. ]NeI luglio 1698 soggiorna in Orleans: nell'a- gosto in Aquisgrana, annuncialo già con rimbora-^ banti parole nelle gazzelle di Amsterdam col pom- ^2 S C I 1! N Z È poso titolo di Utotomista del re cristìamsxjmo: Stt-^ zi si pretende che operasse 60 maiali di pietra tut- ti felicemeirte guariti. Nel 1699 ^^ fra' e si porta in Olanda, e viene presentato a Bourepos ambasciatore di Francia: ivi fece molte operazioni, ma con poco successo. Nel 1700 Mery pubblica in Parigi le Os- servazioni sulla maniera di operare del frate Giacomo pietrante : ed allora l'eremita se ne tor- na a Parigi. Fagon, dotalo di un'anima grande per il ben pubblico e per il proprio , giacché pativa di pietra, impegnò fra Giacomo a dimorar presso di se, e di slare alla sua mensa, ed in egual tempo lo in- vitò a sezionare dei cadaveri. Duverney fu incarica- to dell'esame delle parti ; e benché trovasse il me* todo del frate superiore al grande apparecchio (es- sendo allora soltanto questo in pratica), pensò, co- inè disse Mery , che si poteva perfezionare aggiun- gendo la scanalatura al catetere , la cui forma ro- tonda non poteva dirigere con sicurezza il bisto- rino. Fra Giacomo, docile ai consigli di questo in- signe anatomico, approvò la correzione, fece costrui- re nuovi cateteri, e quindi se ne servì costantemente. Nel 1701 si reca a Versailles, operando con questa correzione 82 pietranti : in Angers operò delle di- stinte persone: profittò delle lezioni di Hunault, me- dico di fama singolare in quella città; e questo pro- fessore s' impegnò a vendicarlo in un' opera ornata di anatomiche osservazioni , facendone egli stesso i disegni, i quali contenevano il metodo di fra Giaco- mo perfezionalo in un modo che il chirurgo era sem- pre sicuro di tagliare le stesse parli. L'opera non fu stampata: ma il frate pubblicò nel 1702 uno scrit- to, nel quale espose la maniera dell'operazione, del quale non furono impressi che pochi esemplari. Metodo laterale eg. 4^ Come ho dello , Fagon allaccato dalla pietra Voleva far operare dall'eremita: ma la famiglia lo di- stolse: fu quindi operato da Marechal diirurgo in ca- po della Carità, che divenne successore di Felix chi- rurgo del monarca. Nel 1703 il maresciallo di Lor- ges si fece esplorare da fra Giacomo , accolse nel suo palazzo 24 mendici affetti da pietra, e li vide operare dal frate tutti in sua presenza. I poveri gua- rirono tutti: ed il maresciallo, la cui vessica era fun- gosa, e che conteneva altre pietre , mori il giorno susseguente all'operazione. FagoD operato da altro professore, e la morte del maresciallo di Lorges, disgustarono il frate, e costui abbandonò Parigi. Nel 1704 fu invitato dal governo d'Olanda. Egli soggiorna in Amsterdam, ottiene da quei magistrati di operare, e la sua fama percorre ia tutti i punii della città. La repubblica per gratitu- dine gli fece incidere il ritratto coli' abito da ere- mita. Nell'alto dell'incisione leggevasi: Aegri^ quìa non omnes convalascunt , non idcirco nulla .vze- clicina est: e in basso: Frater lacobus Beanlìpu jinachoreta Bnrgundus. La sua riputazione si estendeva a BelO, a Utrecht, e all'Aia, ove i magi- strali della città gli fecero coniare una seconda medaglia d'oro col suo ritratto, donandogli 12 sci- ringhe d' oro. Lasciando l'eremita l'Olanda si porlo ad Anversa, quindi a Brusselles ove dimorò qualche tempo: fu richiesto ad Amsterdam, e ricusandosi di andarvi , rispondendo che eravi il celeberrimo Raw assai più abile di lui, ebbe però da quel governo il diploma di litotomista, e ricevette ancora dalle ma- ni del governatore di Olanda un allro medaglio- ne d' oro del valore di ^o luigi , essendo incisa la 44 Scienze sua effigie dall'una parie clie avea nella mano «tld tenta, e Jall'allra lo stemma della città di Amstei'- dara con l'epigrafe « Pro scrvatis civibiis » Nel l'jO'j l'eremita torna in Francia, passa a Versailles , e si presenta a Fagon che lo accolse con somma Lontà^ facendogli un dono, di cui il frate lo ringraziò: con- tentandosi soltanto di un documento onde poter ope-^ rare in tutte le provinole del regno quando fosse chiamato. Continuò a menare una vita errante e tapina esercitando i suoi talenti fino al 17 13. Stanco ed oppresso dai lunghi travagli, non che dall'età, giun- se a Besanzone sua patria, ove cessò di vivere il dì 7 dicembre nell'età di 61 anni. ^ In questa storia distinguonsi due epoche: la pri- ma ci mostra un uomo ignorante ed ardito, operan- do senza principii e senza metodo, con istrumenti di- fettosi che lo esponevano a fare orrendi guasti, le cui lesioni davano luogo ai più gravi accidenti. La seconda ce lo dipinge come un uomo illustre, il- luminato , ed incoraggito dai consigli dei professo- ri dotti ed onesti , sottoponendo la sua maniera di operare a regole solide e ragionate. E dunque cer- to che questo girovago fosse stato aiutato da quegli scienziati di Parigi; come lo fu a Versailles da Fa- gon e da Felix, ed in Angers da Hunault. Ora la chirurgia, sebbene sia giunta all'apice di perfezione, va sempre debitrice ai lumi e all'invenzione del fi- lantropo eremita, non conoscendosi fino a quell'epo- ca che l'alto apparecchio. Il metodo laterale non era conosciuto prima del secolo XVII; qualche ti'accia ben oscura rinviensi in Franco: ed il Raw olandese non sarebbe giunto a quell'altissima rinomanza, se non Metodo laterale ec, ^5 avesse veduto operare in Amsterdam il frate, trion- fando il nome del Raw nella storia chirurgica per aver tagliato iSSy pietranti: Credat iudaeus u4p- pella, non ego. Nota sul passaggio dagli integrali dell'equazioni a differenze finite agli integrali deW equazioni differenziali. ^"uando per qualcuno dei metodi cogniti si giun- ga all' integrale generale di un' equazione lineare a coefficienti costanti a differenze finite, sarà molto fa- cile per una conveniente trasformazione dei coeffi- cienti determinare l'integrale di una somigliante equa- zione differenziale. Tal è lo scopo che ci proponia- mo in questa breve nota. Data pertanto l'equazione lineare a coefficienti costanti F(A)j=/(^) e sia F(r) = r" + a^ r"-» -h a^ r""* -h ....-+- «„ Per ottenere la funzione principale y che verifichi qualunque sia x l'equazione proposta, e per a: = x^ le condizioni i y =.(/.^ 4j =1 «' , L^y = a", . . . A»-'/ = a'""*^ basterà prendere, come già 6Ì è veduto in una mia y{.6 S e I E R Z E Memoria sul calcolo dei residui, pubblicata nel to- mo 91, y ^ r—a (F(o) x~z-h L' integrale finito del secondo membro ha luogo a partir da j? = jTo , e si dovranno inoltre sostituire dopo lo sviluppo gli indici alle potenze di «. Ritenendo che h sia la differenza finita, e co-. stante della x, pongasi 5^(r) = r'* -f" a. Zi r"'' -f. a^ ìf' r»-^ -h . . . . 4- a„ /*" e consideriamo la nuova equazione caratteristica Le radici dell'equazione .f^(r) = o sono evidentemen- te eguali alle radici dell' equazione F(r) = o mol- tiplicate per h ; di più se in quest'ultima equazione a differenze finite si dividano ambedue i membri per /l'i , e si faccia simultaneamente h=o , A/=o, i limiti verso i quali convergono i rapporti Aj- Ay- A^y A"y ¥' "^ ' ~W ' ' ' ' ' ~hn Nota dei passaggi dagl'integrali /^ coincideranno con le successive funzioni derivate D/ , Dy , D3j , , . . . D> in modo che l'equazione a differenze finite si tras- formerà immediatamente nella nuova equazione diffe- renziale F(D)r=/(^) Ciò posto, supponiamo che per x = x^ la funzione principale, che verifica l'equazione a differenze fini- te, verifichi le condizioni j c= oc , Aj = a'h , Ay = x' k^ y . . . A"-' j^ = «(""') A"-» allora per l'integrale sarà H-8- r — «/t (f (d) a:-a-A [fin) Osservando che ^(r) è una funzione omogenea del grado n delle due quantità r, h, potremo far dipen- dere l'estrazione dei residui delle radici dell'equazio- ne F(r) = o , quante volte si sostituisca i in luo- go di h'j cosicché facendo r = h s 48 Scienze si avrà ^{r) = h" F{s) ì In questo caso, per le regole del calcolo dei residui sul cangiamento della variabile indipendente, si do- vrà moltiplicare il secondo membro della r, per la derivata D,r = h e si troverà ^ ^ s-cc (Fa)) x-z-h y''{i^sh)-ir-hf{z) (F(.)) Il secondo membro di quest'equazione si potrà porre anche sotto la forma ^„^FM-FW Ci, \s Ix-Xa) L 5 — a (F (5) ) (FC^)) Supponendo /i = o , e chiamando secondo il con- Nota dei passaggi degl'integrali 49 sueto e la base dei logaritmi iperbolici, avremo Km (i -{-shf = teologia era governato da questa inesora- bile volontà : sicché quante volte que' greci e latini vedevano sulla scena imitati i fatti di Mirra, di Fedra, di Edipo e di tanti altri colpevoli, altrettante com- movevansi ad un timor sacro, chinavano umiliati la fronte, raccapricciavano delle umane sciagure, cadeva- no in fine d' ogni orgoglio e baldanza delle proprie opere, pensando come per una spaventosa forza del cie- lo potesse anche la virtù inevitabilmente precipitare. A noi però lardi posteri, da lume altissimo rischiarati, non é più questo fato: sicché mancata la stolta cre- denza, ed estinta con èssa quella teologia che mitica nominò Varrone, attribuendole, a differenza della fi- sica e della civile, il regnare nelle favole teatrali, ora cotante abbominazioni e sozzure non ci muovono al- tro che orrore e vergogna. I quali se dirsi debbano sentimenti degni d'essere risvegliati per mero diletto in una gentil civiltà, com'è la presente d'Italia e d'Europa, lascio a voi volentieri considerarlo. Sicché , prose- guì Fernando, abbiamo spesso deviato da'greci in ciò che seguir si dovevano, e gli abbiamo poi seguiti in ciò che doveano schivarsi. Tal é il vero, diss* io : e massimamente mi pare che ciò mostrisi nella trage- dia : nell' imitare la quale si é tutto da'nuovi mae- stri considerato con mirabil giudizio , e più soven- te con soverchia sottilità, eccetto quello che per pri- ma cosa dovevasi , come a dire la religione : parte I L'illustre Italia itS in essa cosi principale, clie perciò appunto la prisca crlstianilà sentiva del teatro quel gramlissirao abbor- rimento che tutti sanno : fino a stimarsi profano chi solo col pie n'avesse toccato la soglia. Quindi da pri- ma Apollinare vescovo di LaoJicea, e poi il gran na- zianzeno si diedero a comporre le loro: nelle quali non credo che altro si proponessero que' sapienti , j salvo di procacciare a' novelli nella fede ( trovatili forse troppo ritrosi a spogliarsi in tutto d'una sì co- mune abitudine delle genti ) tale spettacolo del culto cristiano, che, mutato ciò che mutarsi doveva, adem- piesse onestamente il difetto dell'antico spettacolo del paganesimo. Alla qual saviezza si conformarono pure i latini: seguiti poi rozzamente ( ma opportunamente \ alla necessità ) da que'vecchissimi dell'età di mezzo, i quali con tanto spirito di pietà usarono per molli secoli chiamare i fedeli alle teatrali rappresentazioni de'loro misteri, non già ne'porlici delle chiese, come narrasi di Livio Andronico, ma nelle chiese slesse, dandovi opera e sacerdoti e cherici traveblili : fiuuliè sembrando ad Alessandro III pontefice esser giunte le cose ad offender troppo la santità della casa di Dio, le vietò. Tu dunque vorresti , domandò Fernando , che le nostre tragedie fossero soltanto sacre ? T^on ose- I rò già pretender questo, diss'io: benché non so chi I mi contrasterebbe, che tal non sia stala precisamente intorno a siffatta spezie di poesia la ragione de'gre- 1 ci, cioè di colóro che la crearono. Come niuno pure mi contrasterà che , lasciando anche stare per rive- renza la divina persona del Redentore ( troppo so- {{vrumana ed augusta perchè un uomo presuma di ri- vestirsene ), grandi e magnifici temi a destare nel po- polo ogni maniera di affetti non siano le maraviglie 1^6 Letter atura dell'uno e dell'altro testamento, la fortezza de' mar- tiri, la castità delle vergini, la virtù de' confessori , che già non lottarono vanamente contra un cieco e duro destino, ma ebbero a guida i cousigli d'un'alta e mirabile provvidenza. Siano però, se questo non vuoisi, siano pur civili le nostre tragedie : ma nin- no diraenticbi il popolo ch'oggi n'è spettatore, niuno dimentichi le passioni ch'hanno fra'cristiani a purgarsi colla pietà e col timore. Imperocché un omicìdio non è più oggi per noi che un omicidio: né altro che vi- zi sozzissimi, beffandoci d'ogni poter del fato, i soz- zissimi vizi: né un tiranno che senza riceverne o dal cielo o dalla terra il castigo si bagna nel sangue dì un innocente, né una moglie che adultera uccide il marito, né una figlia che d'incestuoso amore arde pel padre, né un fratello che feroce gittasi sull'altro fra- tello , sono di alcun salutare esempio in questa ci- viltà e religione, e molto meno di alcuna moralità. Qui di nuovo Alberto: Dunque i fatti, che per utile del popolo si rappresentano su'tealri, dovranno rappresentarsi in altro modo che avvennero ? Dunque il tragico dovrà mancare così alla mitologia, come alla storia ? E chi, diss'io, impone oggi al tragico di sce- gliere dalla mitologia tanti fatti di laidezza e di or- rore ? - Or bene, si risponderà, scelgansi pur dall'isto- ria di qualunque secolo vuoi , e ci si dia in tutto uno spettacolo istorici).- Ed ecco, Alberto, l'error mas- simo de'tuoi romantici: credere che la tragedia debba essere istoria, come se all'una ed all'altra sia propo--, sto propriamente un fine medesimo. - Ma così fece,- dirassi, Shakespeare! - Certo fece così quell'immenso ingegno britanno, tanto ricco sempre, anzi smisurato- di fantasia, quanto spesso povero di giudizio: il quale L'tLLUSTaK Italia. 177 poco o nulla sapendo (ielle alle ragioni dell'arie, bar- baro auch'egli in mezzo ad una nazione allor barbara, credette non doversi far allro, perchè subito uno scritto divenga tragt-Jia , che porre terribilmente in azione e in dialogo gli annali della propria patria. Ma di que- sto errare, che sì perturba l'arte nella verissima es- senza sua, la quale già non consiste nel vero, sì be- ne nell' imitazione di esso , cioè nel verisimile ( e quindi fu chiamata favola ogni tragedia da quanti un giorno sapientemente pensando scrivevano), potrei qui aggiungere molte cose, se inutili non le stimassi ai dotti, che non hanno bisogno di persuadersene : ed agl'indotti, che non se ne persuaderanno giammai. Chi a costoro infatti torrebbe di capo il credere { perchè alcuni così credono di là dall'alp<ì ) instituito appun- to il teatro per tener cattedra di storia al popolo ? Oltreché non saprei intorno a questo argomento re- care in mezzo maggior fdosofia di quella, che il sa- vissimo Polibio ci diede là dove censurò Filarco. Ma tornando al Melaslasio , a me sembra che il vero esempio della tragedia, qual debba volersi ned- la civiltà presente, ci si porga dal grande romano: il quale non obbligatosi all'istoria più che si convenga «^ chi scrive per allro fine, così usa negl'incomparabili euoi drammi la compassione e il timore ( dico il ti-r more, e non il terrore, concordando io pienamente col- l'Haus), che veramente ne trae il sublime ammaestra- mento degli uomini. Piangi in essi e tremi ed ag- ghiacci ora dell'innocenza in periglio , ora dell'ono- re e della costanza già presso a funesto termine, ora della colpa cui poco manca per trionfare : ma poi tutta r anima ti si esalta e consola ne'portenti del- la provvidenza; ed esci di teatro non tacito , ango- G.A.T.XCVII. 12 178 Letteratura sciato, inorridito, raa lieto d'aver veduto della virtù ciò che il tuo cuore desiderava: santificarsi i principi colla clemenza: celebrarsi 1' amor della patria : figli, padri, sposi ed amici aver degno merito di degne ope- re: e soprattutto riuscire a buon fine gli egregi co- stumi e l' ossequio verso la divinità , salute e forza principalissiraa degl'imperi. O Artaserse, o Temisto- cle, o Tito, o Ezio, o Olimpiade, o Demofoonte, e j potrebbesi, in un'arte dalla saviezza degli avi creata | a render migliore l'umana generazione, potrebbesi, di- co, voler altro da noi, che le virtù dell'immortal poeta cesareo ne'vostri drammi rappresentate? Né credere, Al- berto, che quelle gentili menti de'greci talora non si sdegnassero anch'esse, con tutta la riverenza del fato, di dover sì spesso tornare atterriti dal teatro alle ca- se loro: perciocché abbiamo in Aristotele, eh' Euri- pide dell'atrocità delle sue tragedie veniva sovente ri- preso dagli ateniesi: i quali avrebbero ahnen voluto che terminate si fossero con lieto fine, non altrimenti che l'Alceste, l'Ifigenia in Tauride, il Ione, l'Elena e l'Oreste di esso Euripide, ed il Filottete di Sofo- cle. Ed or che direbbero se all'età nostra vedessero ( in tanto progresso di costumi e di leggi, in tanta eccellenza di religione ! ) così peggiorata Melpomene, che perduta affatto ogni antica sembianza di musa , quasi più non ci si porge che come una furia , là solo corrente ov' abbia maggiore speranza di trovar delitti che facciano rizzar le chiome ? Che direbbero se lor si narrasse, che in ciò ella si adopera per puro diletto di commuovere ad orrore gli animi ( bell'arte di civiltà ! ), benché conosca che saprebbero assai me- glio commoverli a ciò il carnefice e qualunque più vile sicario? Sì, che direbbero, amici? E di quali corone non L'illustre Italia lyc) ornerebbero poi la fronte al Melastasio , veramente sapientissima de' moderni, che più d' ogni altro con grave giudizio considerò le ragioni de'tempi, ed a quel- le accomodò le mirabili sue tragedie ? V. E questa, salvo la riverenza per tanti gran, di, l'opinione cb'io porto di queste cose : ed in essa, amici, conlesserò d' esser sì fermo, che già fra noi j non desidero altra disputa: tanto pivi che Guglielmo ! sembra con qualche impazienza richiamarci ornai all' opera sua. Oh quanti là veggo col pallio greco, disse Fernando ! Greco è il loro pallio, riprese Guglielmo: greca n'è pure la lingua: a tutti è però italiana la patria , a lutti italiano è l' animo. Ravvisate presso quell'acero Sositeo, uno della poetica pleiade che ono- rò la reggia di Tolomeo Filadelfo: ed ha seco i suoi siracusani Acheo, Formo, Dinoloco e Sosicle, mara- vigliati della presenza di Dionigi il vecchio, che, de- posta ogni insegna della tirannide, così intendo che voltosi loro umanamente favelli: « Potentissimo agli anni miei, guerriero e politico de'più solenni, e per- ciò da'principi e da'popoli sovente adulato e sempre temuto, or ninno ( lo credereste ? ) vuol più soffrir- mi al suo fianco. Tutti al mio comparire si coprono \\ colle mani il volto, e mi fuggono : crucciosi i guer- rieri che tanta forza d'armi adoprassi contro alla na- , zione e alla patria: ed i politici, ch'ogni pensiero e consiglio drizzassi a rendere schiavi i miei concitta- dini. Qui dunque Dionigi di Siracusa , qui almeno I ; troverà un asilo ! Qui dove non sarà persona che ) I di nulla possa rimproverarlo ! Perciocché nel favori- re le lettere appena cedetti di magnificenza a Gero- B ne : quelle lettere che oh solo nelle tante cure del j I regno, ne'taati sospetti della vita, e soprattutto ne' i8o Letteratura tanti rimorsi, mi furono pur benigne d' alcuna vera dolcezza ! E cosi poi valsi nell'arte tragica, che me- ritai, non senza gloria della Sicilia, di veder coro- nata solennemente dalla libera Atene una mia tra- gedia nelle feste di Bacco. E coronalo sarei stato an- che ne'giuochì olimpici, senza l'eloquenza di Lisia, che a si grande odio mi concitò l'adunanza, fino a vietarmi di venire a ninna concorrenza di premio , qual oppressore ch'ei m'infamò di un popolo alleato de' greci. « Ecco , gridò Fernando , il fine di tanti grandi ! Famosi e tremendi in vita, sublimati fra gli uomini alle maggiori altezze, appena è chi dopo mor- te voglia più degnarli d'un guardo ! Tutto , quanto essi sono (ne più la cenere che la fama), precipita nel sepolcro : e se alcuna parte talor se ne salva , ella è spesso lo scherno o 1' abborrimento de' poste- ri ! Costui, fuggito e cacciato da tutti , abbiasi pu- re , o Guglielmo , il rifugio che implora all' ombra delle lettere: e sia spettacolo e maraviglia il vedere, come nel giudizio de'posleri più gli giovò la corona legittima di un teatro , che non quella usurpala di un regno. Fors'anche avravvi chi un dì passando per l'aula, ove di se farà mostra questo dipinto , osser- vando costui dirà: u Sii a'malvagi principi esempio del potere che solo hanno le lettere di rendere alla posterità tollerabili le immagini de' tuoi pari I » E già egli medesimo, che fu di grandissimo senno , il previde: narrandoci Filoslrato nella vita di A.ntifon- te, come usasse dire Dionigi: Amar egli le sue tra- gedie più che il regno stesso di Siracusa. Al che ag- giunge Luciano , aver anche il tiranno comprati a gran prezzo, in riverenza di tanto nome, i pugillari di Eschilo. Di nulla però, riprese 1' artefice , gli ha L'iLi.TTSTRE Italia i8i invidia colà quel tragico e del pari oratore illustre, Pitone da Catania: ne pure della corona poetica: ono- rato come fu dalla sentenza se non di un gi-an popo- lo, certo di un gran re: di quella cioè di Alessandro macedone , che un suo dramma: satirico fece al suo esercito rappresentare quando sulle sponde dell'Idas- pe celebrò i giuochi di Libero. Siedegli presso Car- cino d'Agrigento, cui agevolmente ravviserete a certo orrore che ancora gli turba il volto pel morso dell' aspide velenosissimo che il trasse a morte : benché della trista memoria intenda svagarlo Patroclo da Tu- rio, che presolo amorevolmente per mano gli addita Spintaro d'Eraclea, già sorto in pie ed acconcio a re- citare non so qual parte più insigne o della Semele fulminata o dell'Ercole ardente. Oh come Livio Andronico sarebbe volentieri an- ch'egli del numero di questi buoni ! Egli nativo della magna Grecia, e perciò della favella de'suoi così perito come della latina. Se non che il muove anzi curio- sità di sapere a che fine riuscì fra' romani il teatro tragico, ch'egli il primo introdusse fra loro. Curio- sità che parimente non tace nell'etrusco Volunnio, il quale è già in quell' atto di chiedere se i famosi del Tebro così della greca e toscana sapienza si vantag- giassero nella tragedia, come fecero in tante altre cose. « Si certo ( affermagli Lucio Accio ) : ed in maniera degna di sì gran popolo: e se maggior vaghezza de' suoi poemi epici ha condotto altrove il grandissimo Q. Ennio, vedi però l'amico mio M. Pacuvio, figliuo- lo della sorella di lui; vedi anche me stesso ( posso presentarmiti senz'arroganza ), cui la massima Roma di Cicerone, di Virgilio e di Orazio celebrò terzo nel sommo triumvirato dell'arte antica. Perciocché se prò- iB2 Letteratura pria fu d'Ennio la grandezza e la magnificenza : se di questo venerando Pacuvio si lodò la gravità e la dottrina : di me sì disse che nella forza de' versi e nell'altezza delle sentenze tolsi ad ogni altro la pal- ma. » Gode Pacuvio, se bene sono riuscito a ritrar- lo , di rivivere in sì onorata memoria : e più forse d'aver vicino quell'Accio, che fu l'amicizia sua ed il degno ospite a Taranto, quando il tragico pesarese tor- nando d'Asia volle lui vecchissimo, e omai per in- fermità con un pie sotterra , richiedere di giudizio intorno alla sua tragedia di Atreo. Ed or perchè , domandò Alberto, hai posto in mano a Pacuvio in- sieme collo stilo da scrivere anche i pennelli ? E Gu- glielmo: Per onore dell'arte mia: essendoché questo grand'uomo fosse anche pittor valente: ed anzi così valente, che a'tempi di Plinio il vecchio ( come a di- re nella maggior gentilezza romana delle arti belle ) tuttavia celebravasi una sua pittura ch'era nel tem- pio d'Ercole al foro boario. Certo, allor chiese Fer- nando, alcun magnanimo sarà là il togato, che con tanta autorità s' intromette fra i due , che ancor si guardano con livore. Onorate in lui , rispose Gu- glielmo, il veronese o comasco Pomponio Secondo, non meno illustre tragico, che senatore e guerriero: quel Pomponio, cui Quintiliano levò all'onore di prin- cipe di quanti avea conosciuti scrittori più nobili di tragedie, ed altri esaltarono d'essersi colla vittoria ger- manica meritate le trionfali. Ed egli è là entrato me- diatore dì riconciliazione fra Cassio parmense e Quin- to Varo: benché non pare che quella sua grave fa- condia, e l'accusare che fa la malvagità del secolo, profitti molto nel cuor di Cassio; il quale se fierissi- mo di libertà non perdonò alla gloria di Cesare l'aver L'illustre Italia t83 fatta serva la patria , e fu con Bruto a quello che Tullio chiamò banchetto degl'idi di marzo, ne pure all'abblezione cortigiana di Varo perdonerà l'essersi reso sgherro di Augusto, e lasciatosi trarre all'onta, nobile e letterato com'era, di cacciarsi fin dentro alle case sue per troncargli il capo. Scellerato uomo , e non meno scellerato che vile, gridò Fernando : e come hai potuto qui porre costui ? Mio malgrado l'ho posto, ripigliò Guglielmo: ma come avrei dimenticato uno de'nostri, il quale se cosi straboccò ne'voleri del dominante, ebbe però tale ingegno, che il suo Tieste fu comparato da Quintiliano a qualsiasi più eccel- lente tragedia greca ? Quindi , benché reo di tanto misfatto , hol rifiutarono tuttavia compagno Virgilio ed Orazio. Quanto a me, riprese Fernando, ne con Virgilio ne con Orazio ( che forse troppo sommisero anch'essi al piacer della corte la dignità delle lette- re ) me l'avrei sofferto a'fianchi: e lodo volentieri il non curarsi che fanno di lui Sceva Memore e quell' Emilio Mamercio, che nella tragedia di Atreo ( te^ stlmonio Dione ne'frammenti pubblicati dal Mai) ri- trasse al vivo l'atroce animo di Tiberio, e tanto fu invitto a scrivere , quanto a morire. Se non che più mi piace 1' atto di Curiazio Materno, il quale, voltogli sdegnoso il tergo, sembra dire al parmense, che nella tragedia sua di Catone ( e glie la porge ) gioisca di vedere ancor vivo, malgrado di Roma tre- mante sotto il giogo de'cesari, una scintilla dell'an- tica virtù de' romani. Deh almeno che in Varo non avvengasi mai quell' austero spirito dell'Alfieri ! Che né la possanza di Augusto , ne 1' amicizia dei due sommi poeti, né la fama del Tieste varrebbero a sot- i8^ Letteratura trarlo a'folgori del suo sdegno: e troppo turbata ne rimarrebbe la pace di questo luogo. Vittorio ( così allora Guglielmo ) è qui pure , qual fu ne'gravi suoi anni, ritroso e solingo, ne d'al- tro curante che di cercarsi nell'animo, per indi le- varne fieramente quel grido, tutto ciò ch'aveavi d'ita- liano. Forse d'alcun diletto sarebbegli ancora la com- pagnia o di Tommaso Valperga , o di Paolo Maria Paciaudi, o d'Ippolito Pindemonte, e più quella dell' amico del cuore, del solo verace e caldo ch'egli disse d' avere avuto giammai, Francesco Gori Gandellini. Ma perciocché qui non sono, egli eria colà lutto in se romito sulle sponde del lago, non altrimenti che Ugo Foscolo il vide un giorno errar muto » Ov'Arno è più deserto, i campi e il cielo » Desioso mirando. Ed è sì fiso in quella contemplazione , che direste non esser cosa ch'egli creda vivergli intorno : ne si avvisa di Giovanni Pindemonte che di lui parla al Granelli e al Varano, di ciò magnificandolo che quasi unico dell' età sua non avvilisse la dignità italiana dietro le orge di una libertà, cui per essere disprez- zata, o tenuta un inganno, bastava solo che fosseci recata di là dall' alpe. Lode sua maravigllosa ! Lode di chi alto del pari avea l'intelletto ed il cuore : ne pel prestigio di un giorno dimenticava il vero di tutti i secoli. Le quali parole del veronese così empiono di riverenza insieme e di maraviglia l'animo degli au- tori del Sedecia e del Giovanni di Giscala, che già sono pet trarsi innanzi accesi di desiderio di contem- L'illustre Italia iB5 piar più da presso e di onorare quello stupendo inge- gno, y. a che restiamo, dice Carlo de' Dottori a Prospe- ro Bonarelli ? Su via, andiamo a Vittorio noi pure: ed io per primo porrogli a'piè il mio Aristodemo, co- mechè si avesse quella gran fama: e tu farai poscia il medesimo del tuo Solimano, non guardando che sia sembrato degno al Menzini, » D'irne in paraggio del coturno argivo. E me avrete compagno, aggiunge Cintio Giambatista Giraldi : e s' ai volgerà uno sguardo amorevole alla mia Orbacche, volentieri per la letizia dimenticherò, non ch'altro, le offese ch'ebbi a sopportare dal Pi- gna , mio sconoscente discepolo. E forse ( cosi i\.n- tonio Caraccio ) forse ch'io non vorrò fargli presente del mio Corradino ? Gran fiamma, dice l' Andreini, destò il mio Adamo nella fantasia del Milton , che da esso tolse le più terribili immagini del suo Pa- radiso Perduto: né quindi Vittorio lo sdegnerà. Ab- bassa gli occhi Pier Iacopo Martelli, ne sa che far- si : che quindi il muove desiderio di venire anch'egli alla presenza dell' astigiano , quinci il ritrae timo- re : timore cioè d' essere acremente ripreso { da chi in tanto fiele intinse la penna a scrivere il Misogal- lo ) d'aver da'francesi accattato il verso alessandrino con tutta la servitù e la noia della sua rima : qua- si non fosse all'Italia nel libero endecasillabo l'emu- lo di qual si è più maschio e nobile verso tragico de' latini e de'greci. Frattanto Scipione Maffei è lungo quel filare di tigli congratulando al Trissino, non della grazia eh' ebbe co' grandi principi : non degli onori che le sue i86 Letteratura ambascerie gli recarono, ne delle insegne del tosoti d'oro che ottenne da Carlo V; ma dell'avere intel- letto gravissimo a tanto di perfezione ridotto il tea- tro tragico , che meritamente dalla moderna Europa ne sia salutato restauratore e padre. Sicché, aggiunge Scipione, senza gli auspicii della tua Sofonisba ne io avrei levato quel grido colla mia Merope , e mosso con tanta gloria italiana le invidie francesi : ne l'alio ingegno di questo veneto Antonio Conti sarebbesi in- dotto a scrivere il Cesare, ritraendosi alquanto dalle filosofiche speculazioni e dall'essere medialor di con- cordia fra il Leibnizio ed il Newton. Gratitudine, one- stà, cortesia di sapiente ! Di che più oltre, presso la bella fonte, è altro esempio gentilissimo il Melasla- sio, il quale non so se con parole più affettuose od timili protestasi di sentire grand'obbligo al Rinuccini: parole che al cavalier fiorentino così commovono l'a- nimo, che più noi fecero né le lodi di Enrico IV , né forse gli amorosi sguardi della sua Maria de'Medici. Talché il vedete inchinarsegli con certo alto di riveren- za, quasi baciar volesse la mano che gli stende l'uomo grandissimo : dietro a cui standosi il generoso Apostolo Zeno, è già per porgli sul capo la corona del prin- cipato dell'arte. E sì ne gode Silvio Stampigliare più anche Ranieri de'calsabigi che d'amor supremo amò il poeta di Maria Teresa, e vendicollo dalla temerità di un d'Alembert, il quale presumendo d'avere coll'eccel- lenza de'suoi compassi ricevuto anche il dono di spin- gersi a volo per le regioni della fantasia e del bel- lo, osò dar la palma sopra il Metastasio al Quinault. Maggiore dell'italiano il francese ! Del dominatore de- gli animi ! del signore delle dolci lagrime! del maravi- glioso, che la virtù fece più grande di qualunque pò- L' ILLUSTRE Italia 187 tente del secolo! del maggior filosofo in fine del cuore «mano ! Le quali cose con mirabile attenzione e stu- pore ascoltano, fattisi al Calsabigi vicini , gli autori del Sagrificio, del Paslor fido e della Filli in Sciro. VI. O mio Montrone, o mio Rosini, diss'io, per- chè non siete qui meco ! E voi pure, o Marchetti , o Romani, o Rorghi, o Maffei ! Che d' un'alta gioia italiana vi gioirebbe il cuore nel trovarvi innanzi al- le immagini di tanti famosissimi nostri lirici. E de' lirici è certo, o Guglielmo, questa schiera che ci rap- presenti : ottimamente fra essi riconoscendo, e per la medaglia de' termiti imeresi e per la statua che da Cicerone ci viene descritta, il sublime animo di Ste- sicoro. Quanta maestà d'aspetto, quanto fuoco di fan- tasia ! La grave età, nell'incurvargli sì l'omero, sem- bra avere però temuto di recar danno al suo spirilo: ed egli, cinto del nimbo le chiome, non curante del pallio ch'è già per lasciargli ignuda gran parte della persona, ricerca colle dita le corde della sua cetra, e canta forse la pudicizia e la beltà di Elena. O figliuo- la di Tindaro, raccendigli ornai la spenta luce degli occhi : che il gran vecchio d'Imera t'ha già vendicala delle onte dell'altro gran vecchio di Smirne. Ma tu, povero Senocrito da Locri, tanto bene alla sventura tua non aspetti : e, cieco fino dal nascere , ti è sol conforto il cantare, come a'tuoi anni facesti, ditiram- bi e peani in onor degl'iddii. Godi ora però , curvo sul suo bastoncello, godi di udire Stesicoro : percioc- ché dopo Omero non ebbero le greche muse un più sublime di lui. Della qual patria gloria credo bene che si esalti l'animo di Lisiuo, sicché quel canto fac- ciagli qui lacere lo sdegno delle scelleragini di Fala- ride, ch'egli co'suoi fieri versi infamò. Certo è che le i88 Letteratura sciagura del carcere e la morte acerbissima parrai ave- re dimenticato Fulvio Testi , accorso a tanto suono non pur col Guidi e col Mazza, ma col Chiabrera, cui forse non può che solo Stesicoro muovere a far quel cenno amorevole a Giovanni Meli, perchè piac- ciagli per un istante cessar le grazie della siciliana sua lira emula della teia. Allora Guglielmo : Tu sei si franco a riconosce- re queste immagini, ad avvisarne gli atti, anzi a pe- netrar fino a'ioro pensieri, che io ho bene di che an- dar lieto d' aver tanto potuto colla povera mia ma- tita. Cosi ti fosse facile di raffigurare quell'altro, che presso all'imerese, al cui tempo fiorì, non è men de- gno della lode e dell'ossequio de'posteri ! E come vuoi, risposi, ch'io subito noi raffiguri alla sambuca ( sua invenzione ) che gli hai data in mano, ed alla gru che rivelatrice del delitto della sua morte riposagli al pie ? Non veggo Ibico da Reggio, l'ardentissimo in amore fra tutti i poeti antichi, de'cui sette libri di cose li- riche cotanto lamentiamo la perdita ? E pure avevano per più di sei secoli vinta la guerra del tempo, quando furon letti da Cicerone ! Veramente, disse Fernando, dolorosissima perdita: di cui però con Demetrio Cal- condila vorremo accusare (non altrimenti che di quella d'altre gentilissime opere greche) meno la forza degli anni, che il furore della bizantina superstizione. Co- si (gridava fra noi quel greco) perirono le commedie di Menandro, di Difilo, di Filemone, d' Alessi, d'A- pollodoro ! Così le poesie di Saffo, di Erina, di Mim- nermo, di Bione, di Alcmane, di Alceo, e tanta par- te di quelle di Anacreonte ! Gran ventura che gre- co non fosse Orazio, e che de'suoi versi non si pia- cessero i cittadini della nuova Roma d'oriente, i quali L'iLLUsTRK Italia 189 generalmente non conoscevano che sola una lingua, la propria ! Che anche questa maraviglia avremmo per- duta : né altro che una fama ci rimarrebbe di ciò che nella lirica potè di piìi alto l'ingegno latino. Im- perocché ( gioiscine, Italia ) in tutta 1' antichità non sorse il maggior di Fiacco : il quale se d' energia e d'audacia ( e così richiedeva ragione, considerata l'e- leganza del secol d'Augusto e la qualità della lingua) fu superato da Pindaro ; nell'accuratezza però delle immagini, nella castità della favella, nella grazia, nel- la festività, nella dolcezza, e principalmente nell'es- sersi ne'suoi nobili voli guardato da ogni precipizio, superò lutti, non che Pindaro stesso: ne vuole altro pa- ri nella poesia latina che il suo diletto amico Virgilio. Cosi il cortigiano o l'epicureo non avesse talvolta con- taminato quella sì limpida e ricca vena ! Ma tal è non- dimeno nelle sue odi lo splendore dell'antica sapien- za e della romana magnanimità , che a rimettergli ogni colpa basterebbero sole la sesta del libro terzo, e quella settima dell'epodo, di cui tanto mostra qui compiacersi. Imperocché quegli per certo è Orazio : as- sai mei dicono il piacevole aspetto, la breve fronte, i negri capelli, e soprattutto quella pinguedine non troppo bene proporzionata alla picciolezza della per- sona. Ma quanta vivacità negli occhi ! Quanta gen- tilezza in ogni atto ! E l'altro, che gli sta da lato , non può essere che Cesio Basso , chi sa che Quin- tiliano lui chiamò primo, dopo il cigno di Venosa , fra tutti i latini lirici. Il quale con quel ciglio au- stero , venerabile vecchio , abbastanza ci rende fede della gravità delle opere sue e della lor purità da ogni macchia, benché scritte regnante Nerone; virtìi igo Letteratura che a Cesio meritò ramicizia di Persio, che intitolo- gli la sesta satira. Quanti sono venuti, io seguitai , a far festa ai due sommi ! E quanti altri con loro, disse Gugliel- mo, si sarebbero accompagnati, se più gravi opere noa gli avessero tratti altrove ? Ma oltre ad ogni altro in Orazio si affisa Marcantonio Flaminio, che da lui noa meno che da Virgilio tolse la sublimità del linguaggio ad empierci soprattutto di maraviglia nella traduzione dei trenta salmi. Animo egregio, a chi vedete con aspet- to sì riverente tener dietro Antonio Laghi, Pellegrino Boni e Benedetto del Bene, non so se piìi presi alla gentilezza de'versi suoi , o alla castità della religiosa e civile sua musa. Volgetevi poi a Batista mantova- no, che al Fascitelli lo accenna, e che gode di avere anch'egli, per esser tutto in un ozio beatissimo, rinun- ciata l'alta sua dignità : perciocché se noi faceva, già non vedrebbesi la sua statua, nella patria stessa di Vir- gilio, a sì grande onore innalzata dal duca Federico Gonzaga. Quell' altro è Benedetto Lampridio : caldo ancor d'estro, come osservate : il quale gioir non po- tendo della presenza di Pindaro, né udirne » La cetra degli eroi coronatrice ; supremamente confortasi d'esser vicino a colui , che i numeri venosini fece sì grandi emuli dei tebani. Su \ia, grida là Ippolito Capilupi ad Ercole Strozzi, de- siati e vieni meco. Quivi è il tuo Fiacco, noi sai ? E che ? Non vorrai ancora dopo trecento quaranta- cinque anni dimenticare le bellezze della tua donna, e la gelosa rabbia di chi pochi giorni appresso alle nozze cosi crudelmente della tua felicità veudicossi col ferro dell'assassino ! L'illustre Italia 191 » Ma ch'io solo (è l'Augurello ch'indi osser- vale in atto di muovere queste parole ), ch'io solo sì vecchio non possa più da vicino accostarmi ad Ora- zio, e meglio udire il suono di quell'antica elegan- za ! » Sicché facendosi reggere il buon riminese ad An- tonio Urceo, denominato Codro , oh come s'adopra di spingersi innanzi , preso per mano l'Altilio per- chè pure il segua, e lasci che il Colocci narri al Mo- rei le vicende della romana accademia, ch'egli appe- na mancatole Pomponio Leto accolse lietissimo ne' suoi orti, ed ivi guardò e protesse finche non anda- rono preda alle fiamme accese dalla barbarie spagnuo- la e tedesca nel gran misfatto del sacco di Roma. Al nome de'tede.^chi tutto si riscuote e freme il Cam- pano, che tanto ebbe a sdegno quella nazione ( e chi a'suoi anni avrebbe potuto rimproverarlo?), quanto mostrano le lettere da lui scritte nel tempo che per papa Pio II fu in ufficio di nunzio al congresso di Ratisbona. Ma guardando il Colocci : « Vedete amore preclaro de'buoni studi, dice il Zampieri rivoltosi a Giovanni Costa, al Solari ed al Montalti ! Vedete e- fiempio di gravissimo personaggio ! Questo Colocci non dal carico di segretario di due pontefici, non da quelli di vescovo, di tcsorier generale, e d'inviato a trattare tanti negozi della sede apostolica co'principi di Ger- mania e d' Inghilterra , fu distolto ( così ebbe sem- pre gentile la volontà) dal mostrarsi in tutte le opere una delle più salde colonne che le nostre lettere aves- sero nel secolo decimosesto. Oh quante cose delle sue liberalità potrà qua dirvene il Beazzano, che di quella età e di quella corte fu pure una luce ! » VII. Riconosco là il Bembo, disse Fernando, alla calvezza del capo, a'vivissirai occhi, alla lunga bar- ig2 Letteratura ba, alla veneranda persona, in fine alla pompa sì meri- tata deiroslro. Ma perchè sembra così perplesso, quasi fra diverse cose non sappia a quale appigliarsi ? Il porporato famoso, ripigliò Guglielmo, tratto al piacere quinci dell'eleganza latina, quindi dell'italiana, vor- rebbe or essere con Orazio, e correr fino a Virgilio, or dimorarsi col cantore di Laura. Pur vince nel suo cuore l'amor del Petrarca : sicché vedete ch'egli ri- sta : ed è già in atto di volgersi indietro : e se tanto l'arte potesse, vi mostrerei anche le accoglienze lie- tissime che l'un l'altro si fanno i due grandi padri della nuova lirica. E questi direbbe al Petrarca, sem- brargli che tutto intorno risuoni della dolce armonia de'suoi versi, e quasi l'erba sotto i pie gli fiorisca : e quegli di ciò al Bembo rendendo grazie, protestereb- begli che forse mai non uscì da cetra italica un canto più bello di affetto, più grave di sapienza, più facon- do, più gentile di quello, ond' egli pianse la morte del suo fratello diletto. Non sapeva io levarmi da quella vista : e ne pu- re il sapeva Fernando ; talché preso animo Alberto: Oh, sclamò, eccelsa lode de'secoli che furon potenti a darci una lingua sì dolce, si armoniosa, sì vivace, si pittoresca, com'è la bellissima che poi soprattutto c'in- namorò nel Petrarca ! E dirassi barbara l'età che vide nascere sì gran portento, il portento dell'italiana fa- vella ? Guardommi a queste parole Fernando : ed io intendendo bene ciò ch'ei volesse, voltomi ad Alberto risposi : Se altro non mostrasse che barbara fu quell' età, ciò appunto lo mostrerebbe : che non si creano le nuove lingue , se non coli' opera della barbarie : la quale corrompendo il fiorente idioma della nazio- ne ,( il che non può avvenire in secolo di civiltà ) , L'ir-LUSTRE Italia ig3 a poco a poco va mutando in uso quella corruzione s\iUe labbra de'suoi ignoranti e rozzi. Oh non aveva il mediò evo (qual maggiore barbarie ! ) recalo all'ul- timo guasto la lingua d'oro di Virgilio e di Tullio ! Tu dunque, riprese Alberto, mi li porgerai sempre avverso a un'età, in cui trovate furono tante cose, quante i tuoi antichi ne pur sognarono ? Ed io: Molle cose sul fini- re del medio evo furono trovate, nessun l'ignora; ma ciò non è buono argomento perchè i presenti stolti debbano e predicare e magnificare la civiltà sua : sì dimostra, o Alberto , che alcuni già incominciavano ad avvedersi delle necessità della vita : e qualche men- te, vergognandosi d' essere dimorata inetta per tanti anni, aveva ripreso in fine l'abitudine di pensare me- no abbiettamente che il secolo comportasse. Queste però erano virtù rare , non che isolate : virtù spesso vilipese , e più spesso ancora perseguitate non solo dalla moltitudine popolare, ma si da coloro che traeva- no maggior possanza dalla pubblica dappocaggine: sic- ché in mezzo que' bestiali pensieri appena si ardiva mostrarsi vivo con qualche maggiore spirito da quel- la che Dante appellò morte dell'ignoranza. Né solo tremavano i secolari , ma eziandio gli ecclesiastici ; quando si sa che il dottissimo Silvestro II, una delle luci che più illuminarono quelle tenebre , fu dalla scempiaggine ed insolenza de'popoli accusato ( leggasi soprattutto il capo ultimo del Pungllingua di fra Ca- valca ) d'essere fino asceso per opera magica, matema- tico insigne ch'egli era, alla somma cattedra della fe- de. Certo non mancarono intelletti, principalmente in Italia (sempre men barbara delle altre terre), che non- dimeno facessero forza al gran ferro de'tempi : ma che sono essi innanzi all'obbrobrio di una generalità d'uo- G.A.T.XLVII. i3 10)4 Letteratura mini e ignoranti e persecutori e feroci? Non dalle o- pere di pochi individui, sì da quelle di tutto il popolo, si giudica un secolo. Cosi è veramente, disse Fernan- do : sicché rido, quando de'tempi di mezzo mi si van- tano alcuni costumi qua e là gentili, mentre gli uni- versali erano di sì crudele abbiezione , salvatichezza e stupidità. Ben vorrei (come non so chi pretende ) dare almeno a quell'età il titolo di religiosa : se la religione, splendor del cielo che illumina ed innalza il nostro spirito, potesse mai trovarsi disgiunta dalla pu- rità della fede, dalla moderazione dell'animo , e dal ragionevole ossequio. Ma chi l'oserebbe al confronto di quelle intelligenze celesti de'tempi apostolici? Chi, udi- te ch'abbia le voci, le quali e pontefici e vescovi alza- rono così sovente, ora tremende a cessare cotante ire, libidini e profanazioni, ora tenere a ricordare a'fierissi- mi la mansuetudine e la carità del vangelo ? Chi, letti ch'abbia i concili, più che in ogni altro tempo della chiesa frequenti nel medio evo ? Mai di fatto non fu tanto necessaria l'opera de' pastori a ricondurre ( se bene indarno ) a'salubri pascoli il gregge di Cristo. Sì, dico, indarno ' quando ne togli coloro che appun- to per vergogna della pubblica contaminazione, in al- tro modo non potendo schifarla, correvano a serrarsi ne'chiostri, o meglio a nascondersi nelle foreste. Bene alcuna generosità o pia opera quelle parole autorevoli e que'santi consigli talor valevano ad incuorare : ma ciò era siccome lampo che brilla e sparisce in una gran notte * perciocché, più possente, ecco loro subito farsi sopra la barbarie del secolo con tutte le sue o lordezze del fango o ruggini del ferro. Il che videsi massimamen- te nelle crociate : pensier magnanimo, che riuscì poi al più sozzo ed atroce fine, onde le memorie dell'umaa •L'iLLrsTRE Italia igS genere si disonorino : sicché altro quegl'iramensi pas- saggi non fruttarono al nome cristiano, ed all'ardente sullecitudine de'pontefici per le chiese dell'Asia e per l'onor del sepolcro di Gerusalemme, altro, dico, non fruttarono , che un grido di rapacità , di crudeltà , di lussuria , di che poi per tanti secoli fummo in- famati in oriente. Che più avrehbero fatto que' bat- taglieri d'Europa, se stati fossero ladroni arabi, se altra legge avuta avessero che il vangelo , od altro specchio dinanzi che il vicario slesso di Dio sulla ter- ra ? Oh innalzarono magnifici templi ! Sì, gì' innal- zarono : e se non contrasterò che talora, oitra il bi- sogno, vi fossero anche mossi da un pio fervore (qual maraviglia in tanto numero di cristiani ? ed in qual secolo non se ne sono innalzati ? ) ; vorrei però che alcun mi dicesse se più spesso noi fecero o per te- merità di voti a Dio stesso oltraggiosi, o per muni- cipale orgoglio : e sempre colle mani tinte di sangue italiano. In qual tempo inoltre fu quivi piìi veduto profanarsi la santità del culto, travagliarsi di civili ne- gozi , tenersi convegni d' amore , congiurarsi contra le potestà della patria, svergognarsi in fine o truci- darsi pontefici, principi e sacerdoti ? Passo i giuochi ed i balli che vi si esercitavano : cosa quasi incredi- bile alla presente venerazione, se non ci fosse atte- stala dagli scrittori stessi che allor fiorivano : e spe- cialmente dal pio Cavalca, il quale nel capo vente- siraosettimo dell'opera testé nominata ebbe fino a ma- ravigliarsi, che niuno (tali erano quegli animi) ne pur pensasse del grave scandalo : a Anzi (egli grida) veggiamo continuamente, e massimamente per le ville e per lo contado, che nelle chiese si fanno questi ma^ ledetti balli e giuochi : sicché pare che studiosamente ic)6 Letteratura per più dispetto di Dio l'uomo il vada a offendere a casa sua. » Telro quadro m' hai tu dipinto , soggiunse Al- berto : ne io su due pie potrei altro risponderti, se non questo : ohe se gli uomini dì que' secoli erra- rono, fu generalmente per falso giudizio, e per depra- vate abitudini , non già per manco di fede. E per questo, io risposi, o Fernando, eran essi ben barba- ri ? Credi tu che del pari non sia un falso giudizio ed una depravata abitudine ciò che induce i canni- bali, in mezzo la riverenza de'ioro iddii, a farsi pa- sto di carni umane ? Di nuovo egli t Sia pur quello che vuoi: ma io leggerò sempre con estremo diletto le prove (generose e mirabili prove!) dell'antica caval- leria. Allora io: Di quella cavalleria vuoi dire che tanti reputava nemici, quanti eran da meno? che per piacere di sangue e di odii giunse fino a nobilitare co' suoi tornei l'arte che i romani lasciarono alla viltà de'gla- diatori ? che ci dotò di si funesto retaggio nella scel- leraggine del duello, in cui la forza si usurpa (e an- cora la civiltà del secolo non arrossisce ? ) i sacri di- ritti della ragione ? O Alberto (dammi deh che l'a- micizia possa così parlarli ! ) togliti pur una volta da tante ciance: schiudi gli occhi alla verità: e chiaro conoscerai se il medio evo, così come ora da certi no- velli scempi si ammira, sia piuttosto opera del roman- zo, che dell'istoria. Desideri farne esperienza ? Or be- ne, torna per breve tempo all'istoria , ed abbandona il romanzo : e subito ti si parrà tutta 1' odiosa fero- cia di quell'ignoranza, tutto l'orrore di quella barbarie. Ma dove ci ha mai tratti, continuai, il ragionare che facevamo della lingua italiana ? Tornando adun- que al proposito, or credi tu, Alberto, che veramente L'illustre Italia ìi)j la lingua nostra uscisse si nobile , sonante , graziosa dalle mani di que'corrutlori d'ogni cosa gentile ? In- terroga, interroga là que'veccliissimi, quell' Ubaldino Ubaldini, quel Ciullo d'Alcamo, quel Folcaccbiero de' Folcaccliieri, quel Guido dalle Colonne, e più lieto della corona del Parnaso, che di quella della Sarde- gna, il re Enzo: il quale, della vanità delle terrene pompe così crudelmente resosi accorto, ama starsi fra questi come fra'consolatori di quella sua prigionia, che solo finì nel sepolcro: interrogali, ripeto, e sì ti diranno come anzi per l'orridezza sua questo bel favellare fu vituperato già un tempo col titolo di volgare. Ma no, amico, non tei diranno : cliè di se stessi avranno ros- sore ad aprir lalibro innanzi al Petrarca ed a quegli altri leggiadri : benché dovesse renderli meno restii la lode di aver mostrato, per quanto era da loro, come a dira- dar quelle tenebre già per virtù italiana spuntava una qualche luce di lettere : luce che poi in poco più di cent'anni sfavillò sfolgorantissima nel cantor dei tre regni, e quindi » In quel dolce di Calliope labbro » Che Amore, in Grecia nudo e nudo in Roma, j) D'un velo candidissimo adornando, » Rendea nel grembo a Venere celeste. Portento unico in ogni altra istoria , che in quella della potenza del nostro ingegno ! E sì che appena osano di trarsi avanti il Guinicelli, l'Urbiciani e Guit- lone ; comecbè a questi due stenda amorevolmente la destra Gino da Pistoia : ed al bolognese facciasi in- contro Guido Cavalcanti, ringraziandolo d'avere leva- to il primo alcun suono filosufico sulla sua cetra, ed 198 Lettera tu r a ottenutone quindi il nome di massimo dall'Alighieri. Deh perchè, disse Fernando, perchè né Gino, né Gui- do curansi punto del povero lacopone, quasi il lun- go ed ingiustissimo carcere ahhia reso men degno di riverenza un tale spirito, non cosi franco nel vero ed intrepido, che spesso anche non sia nelle sue rozzezze sublime ! Non vedi, rispose Guglielmo, ch'egli è con Francesco da Barberino e con Graziole de'Barabagioli attento a Dino Frescobaldi, il quale cotanto pregiasi ( ed è ben dritto ) di avere coli' industria sua ope- rato che Dante seguitasse in esilio la maraviglia del suo poema ? Perciocché ben sai come perdutisi i sette canti, che il poeta divino n'avea composti in Firen- ze prima d'esser cacciato, capitarono essi per avven- tura ( preda del sacco dato alle case de' forusciti ) alle mani di questo Dino : il quale, com'era di let- tere gentilissime, letti che gli ebbe e trovatili di sti- le, d'immagini e di sapienza eccellentissimi, gl'invio in Lunigiana al marchese Moroel Malaspina, caramen- te pregandolo che per l'autorità ed amicizia sua do- vesse il grand'esule dar compimento a tanto principio, e cosi difender per sempre all'Italia il primato delle al- tissime fantasie. Allora io : Oh se il buon Sordello , nel luogo dove Dante trovollo a farsi degno di poter essere co' beati, immaginato avesse che quel compagno del suo Virgilio già levavasi a tanta eccellenza di poesia , quanta è stata poi celebrata dallo stupore di tutte l'età ! E più se fortuna degnato lo avesse di legge- re un solo canto del poema immortale ! Clii sa di- re come avrebbe se stesso , italiana mente , ripreso d'essersi cosi piaciuto un tempo di quell' avanzo de' bardi , che senza niuna grande immagine e vivacità L'illustre Italia iQf) di color poetico traeva i provenzali a cantare le scio- peraggini del secolo e gli ozi e le superbie de'prin- cipi , ed a far soprattutto echeggiar l'aura de' fred- di sospiri di un amore, centra cui la natura, sì fat- tamente trasfigurala nella più generale e ardente del- le sue passioni, vendicossi poi colla noia e colla de- risione de'posteri ? E forse di ciò fa egli ragione, o Guglielmo, con quegli altri ch'ivi sono con lui, co- me a dire con Folchetlo, con Percivalle Doria e con Alberto Malaspina ? Anzi di ciò certamente : sì bene l'è riuscito di usar l'arte a farci quasi leggere que- sti'pensieri nella fronte e negli occhi suoi, ed a si- gnificarceli vivamente in quell'atto. A cui pur gìu- Terei che dica Folchetto: « Deh il picciol volo che sen- 2a il fuoco e il vigore dell'ingegno italiano avrebbe ■preso la poesia , se dimorata si fosse nella pedestre uniformità delle maniere e nella grettezza de'proven- zali ! Appena ora posso a me stesso credere, che la tnia voce, articolata in quella lingua, valesse a gio- care d'alcun soccorso l'amico mio Alfonso IX di Casli- glia, quando fu rotto da'mori ! » Se non che, amici, se povere e rozze erano le parole, caldo però era il petto del genovese che le. profferiva. Ciò che tu pensi, disse Guglielmo, de'provenziali ^ giacché altre volte t'ho udito parlar dì loro) ha dato apputìto vita al concetto, che mi son provato di met- tere in atto nel mio disegno per le immagini prin- cipalmente di Sordello e di Folchetto. Osserva intan- to al Petrarca far corona que' nostri più nominati , che da lui soprattutto presero il bello stile. Fra'qua- li è primo il suo Sennuccio del Bene : poi seguono i due Montemagno, lo Staccoli e Giusto de'Conti , a cui Girolamo Benivieni sembra dolcemente rimpro- 200 Ijetter attira verare quell'aver troppo travagliato il suo grazioso in- gegno dietro il cantar continuo delle bellezze di una mano. » Perchè, o Giusto, a più alto subbietlo non li levasti, testoie di gentilissimi versi ? » Di che il fio- rentino gode aver qui appro valore Trifon Gabriele : il quale , giudice solennissimo , alle sue parole si è rivolto, e con quel grave atto del capo e della de- stra le assente : mentre il buon Girolamo Molino è sul consolare Bernardo Cappello d' aver dovuto , perpetuamente esule dalla patria, provar quanto pesa ad un nobile animo il viver lungi, benché con santa coscienza, da ciò che si ha di più caro, e il riposa- re in altra terra le ossa , che in quella che pia ri- copre le ceneri de'padri. Oh questa mala sorte, di- ce il Molza al Tarsìa e a Lodovico e a Vincenzo Martelli, questa mala sorte a me non toccò ! Benché per poco me ne sottraessi : solo che quel rivale, che pe'begli occhi della mia Beatrice Paregia m'assalì di coltello, avesse con maggior gagliardia vibralo il suo colpo. Ma Nicolò Franco, che al modenese è da pres- so , china gli occhi al suolo, non so se più vergo- gnoso della lascivia de'versl suoi, o dell'infamia del- la sua morte : ingegno stupendo, e da onorare la na- zione fra'primi, se niente fosse il pudore o potesse stimarsi vano il nome della virtù. Ben fa, gridò Fer- nando, ben fa colui a chinar gli occhi. E come po- trebbe infatti sostener la vista de'buoni, che sono pur quivi, poeti d'onestà pieni non men che di religio- ne? Del Lemene, dico, del Casaregi, del Zappi, del Ghediui, dell'Orsi; e quindi deirKrcolani,del Salandri, del Cotta, del Minzoni. Né solo di questi illuminali, non altrimenti che egli fosse, del lume della verace fede: ma si degli altri che fra noi seguirono la giù- L'illustre Italia 201 daica. Intendo di Emmanuele romano , il maggior poeta che, giudice Gian-Bernardo de'Rossi, fra quella gente abbia fiorito dopo la dispersione: Giuseppe Gan- so, di cui ( seguo il giudizio medesimo ) la favella del reale profeta non ha il più alto scrittore d' in- ni : e , non ultimo dell' eia e lingua nostra , Salo- mone fiorentino. Come in fine sostener la tua , o Ippolito Pindemonte, che ancor ti fai dolcezza colà de'tuol campi diletti, assiso al rezzo di quelle piante col tuo Girolamo Pompei e con Ugo Foscolo ? Ed oh le cose gentili di che penso favellerà co'due spi- riti nobilissimi ! Fors'egli, o Guglielmo , discorre tut- tavia le bellezze e le ragioni dell'arte che il rese così famoso? Ben t'avvisi, rispose Guglielmo. E potrebbe cor- rergli ad altro la mente neL trovarsi fra quegli egre- gi, avendo egli in sul morire lasciata a sì duro stato la poesia pel mal governo che ne facevano i seguitalori della scuola dell'orridezza ? « Si, Ugo (egli dice), ret- tamente il tuo Platone filosofava , insegnando che il fine dell'arte nostra è sol di piacere all'immaginazione, j Ora alla nostra immaginazione che altra può piacere, dal bello in fuori ? Il bello, perfezione di tutte le co- se ! Il bello, che ci trae sì mirabilmente e c'innalza e ci sublima fino all'immensa sua fonte, ch'è Dio ! E questo bello non è ancor utile, essendoché non pos- sa accompagnarsi col vizio ? Col vizio, dico, secondo la dignità dello spirito, se non secondo il lezzo della materia. » Credete voi, seguitò l'artista, che tali in- torno alla poesia siano state le sentenze del Pinde- monte ? Tali appunto , io risposi : né altre poteva averne un intelletto così usato alle vere scuole della sapienza. Imperocché non si deve alla poesia il meri- to d'essere slata là prima a revocar gli uomini da- adi Letteratura gli orrori della barbane, ed a ringentilire i loro co- stumi ? Ora come potè far questo , se non col bel- lo, cioè collo splendor del vero ? E perchè non an- zi col vero stesso , m' interruppe Alberto ? Ed io : Se il vero bastar poteva , oh noi vedevano tutto di que'rozzi e selvaggi co'propri occhi ? Perchè l'opera della poesia , là dove non bisognava che la severità dell'istoria ed il rigor delle scienze ? Come a dir quel- le cose, le quali benché nobilissime ed utilissime, tut- tavia per loro fine non hanno il bello. "' ^^''^ Meritamente ( allora Fernando ) è qui posto Ugo Foscolo : che se italiano non fu di sangue, certo il fu di studi e di amore : laonde anch' egli pregiaVasi dire, come, o Betti, diceva il tuo Mario Pieri dalla cattedra di Treviso : SHo greco non fossi, cdtro non vorrei essere che italiano. E veramente se alcuno senza infamia potesse rinunziar la patria, ad un gre- co non converrebbe lasciar la propria che per l'Italia; la quale ritrae cotanto dalla terra ellenica e per me- morie di virtù e d'impero, e per grazia d' arti e di lettere , e quasi dir volea per disavventure. Quegli è dunque Ugo Foscolo, che nella lingua italiana, e, quel ch*è più, con italiano cuore dettò il carme de* sepolcri : che sì bel monumento alzò alla gloria della patria adottiva colla illustrazione de'libri del Monte- cùccoli sull'arte militare; che noi difese costantemente dalle straniere arroganze, e soprattutto dalle francesi, le quali in ultimo costrinse a tacere intorno al ri- trovato d' usare nella milizia gli archibusieri a ca- vallo :( oggi li chiamiamo dragoni ) , di là dall' alpe attribuito al Brissac, e da esso rivendicato al fioren- tino maresciallo Strozzi. Né lungi ila sì gagliardo in- telletto, e dal Pindemonte e dal Pompei, poteano' già i L'illustre Italia 2o3 trovarsi que' petti ardenti de] Guidiccioni e del Fi- licaia : né Giovanni Fan toni, il quale se all'altezza di sì grandi muse parve minore per eleganza e pu- rità di favella, per ogni altra dote fu pari : ed ebbe si forte animo , che volle anzi porger la destra a'iac- ci in Milano e in Torino , e poi andar esule , che inchinarsi italiano alle insolenze di Francia : e scri- veva sdegnoso a Buonaparte console, rammentandogli lia vera sua patria eh' egli troppo in quella potenza d'armi dimenticava. Povero Leopardi ! E poteva la tua immagine desiderarsi là dove son quelle de' più generosi che l'Italia cantarono e la sua dignità e le sue sciagure? Alcune lagrime in questo dire spuntarono sugli occhi a Fernando, ben ricordevole d'essere stalo meco più volte a visitare in Roma il sapiente : e seni- pre avutone consigli amorevoli e cortesie. Poi conti- nuò: Deh quanto, o Giacomo, la natura ti fu ma4 trigna ! Quale spirito , meglio del tuo gentilissimo ^ avrebbe meritato un più bello albergo ! Lascia al vol- go, io risposi, siffatte accuse: al volgo che ogni cosa bassamente considera, ne mài leVa gli bechi al' gran fonte della sapienza. Puoi tu affermarmi che Italia si onorerebbe di questo ingegno, e che noi oggi il vedrem- mo fia tanti sommi, se la deformità del suo corpo non avessje egli studiato di compensare colla bellezza del- l'animo ! Puoi tu affermarmi che tale in altre membra sarebbe egli riuscito, spirito come fu, anche nella con- dizione in cui rilrovavasi, cosi volto, anzi vivo, pur- ché il potesse , ai diletti d' amore ? Talché ho sem- pre pensalo, che con quella imperfezione facesse di lui la provvidenza ciò che coll'avvérsità e colla mi- seria parve aver fatto dell'Alighieri e del Tasso. Im- perocché, o Fernando, io non credo che Dante, se 2o4 Letteratura tranquillo ed ozioso fosse vissuto in Firenze, in mezzo le dolcezze domestiche e l'ossequio de'suoi concitta- dini, avrebbe mai levato la mente a tanta sublimità di pensiero, e con tinte sì fiere e fantasia sì terribile osalo descriver fondo, com'ei cantò, all'intero univer- so. Ed il medesimo dirò di Torquato. Uomo per l'an- tica gentilezza de'suoi maggiori pieno di spirili caval- lereschi, usato col padre fin da giovanetto alle corti, caldissimo il cuore di affetti, di onoranze vagheggia- tore, ed anche pronto a mettere spesso nella spada le sue ragioni, che sarebbe stato di quel rarissimo inge- gno senza la sua gran consigliera, la povertà ? Am- miriamo piuttosto il cielo, che per l'infelicità di po- chi mortali abbia reso e felice e immortale lutto un popolo sì di gloria e sì di sapienza : come ora certo l'ammira il Leopardi medesimo, che, Uscito fuor del pelago alla riva^ vede di che nobil prò siagli s'ala nella vita di tutti i secoli quella sua passegglera di- sgrazia. Pertanto alla mestizia, che ancor gli siede sul viso , voglio dar altra cagione che quella de' privati suoi mali : la cagione cioè con sì virili concetti toc- cataci da Luigi Ciampolini nel dialogo intitolato ap- punto del nome di questo suo fido amico e compa- gno. Immerso l'anima in tanta amarezza, ben è ra- gionevole che non curi ne le piacevolezze, che poco lungi si d con fra loro il Coppetta e l' Allegri : ne le molli canzonette, onde si piacciono tuttavia il Fru- goni, il Rolli, il Savioli ed il Vittorelli. Vili, Ma è pur tempo, riprese Guglielmo, che oltre procedasi all' elegia , nella quale parimente i nostri tennero sì nobil campo. E primo fra coloro , che v' ebbero maggior nome , si presenta Teognide , nalìo della Megara siciliana con tanta certezza quaa- L'illustre Italia 2o5 ta in queste cose può darne l' autorità di Platone. Eveno è seco , il buono , il severo , che il segreto dell'efficacia tucididea dello scrivere insegnava al più celebrato isterico dell'isola , a Filislo. Ponete men- te come ne'discorsi dell'uno e dell'altro compiaccia- si il latino Properzio , così ammiratore delle greche audacie e vivezze , delle quali tutto infiorò maravi- gliosamente il suo stile. Cotanto anzi se ne compia- ce, che né pur dà vista di curarsi di tale, che ognun di noi si stimerebbe lietissimo di ascollare : dico d' Ovidio, che lasciatosi vincere alle istanze d' Albino- vano e d'Aulo Sabino , apre pur una volta le vere cagioni dell'ira di Augusto, e poi del bando che ca- valiere romano e d'animo sì gentile dovette fino alla morte sostenere fra'geli,e più fra'barbari, della Mesia. « Deh quanto, dice più oltre Tibullo a Cornelio Gallo, quanto ancora son pago d'aver solo da lungi mirata la reggia di cesare ! Quanto d'esser vissuto , remoto affatto da tante invidie e menzogne, e quindi da tanti pericoli, in quella modesta mia povertà ! Povertà sì, ma dalle dolci ire , seguite setnpre dalle dolci paci or di Delia ed or di Neera , resami spesso più cara di qualunque più fastosa ricchezza ! Né rifiutai per questo la necessità del principato di Ottaviano. E co- me tranquillo cultor delle muse l'avrei potuto ? Ben io però potea non viverne schiavo : ed il feci : e la corte fuggii, benché libero mi fosse di entrarvi, sta- to d' amicizia strettissimo a Messala e ad Orazio. « Te felice , rispondegli Gallo , te mille volte feli- ce ! Oh perché io non seguitai l' orme tue ! Perchè in quelle atrocità pubbliche non anteposi ad ogni al- tra cosa il piacere agli occhi della mia Licoride ! Ma la furia delle parli cittadine mi slrascinò : volli es- 2o6 Letteratura sere anch'io guerriero del principe fortunato ; e quasi mi reputai alla cima d'ogni prosperità, quando per decreto d'Augusto vidi alla potenza de'miei cenni ob- bedire la terra de'faraoni. Stoltissimo, che non vidi anzi il precipizio che mi si spalancava davanti: non l'offesa d'una condanna, non l'avversità d'un esilio, non ultimamente il pugnale con che disperato posi da me stesso fine ai tristi miei giorni ! » Con un ghigno amaro sul lahhro il guarda Lucilio, sdegnoso di quel secolo e di quella serva milizia, egli che da magnanimo pugnò per la patria al fianco di Scipione a Numanzia. » Ed oh costui, grida voltosi a Giovenale, fosse stalo costui al mio tempo ! Di qual dente non avrei morso quell'ambizione, non che quella morte codarda, nelle mie satire ! » A cui l'aquina- te : « In me più compassione che sdegno hanno sempre destato e Cornelio Gallo e assai altri , che forse con rettissimo animo, secondo che accade nelle civili contese, seguirono per solo inganno di giudi- zio le parti men buone. Poco perciò nelle mie satire toccai d'una età, in cui non so qual animo più ge- neroso ( non lo stesso Tullio ) potè al tutto vantar- si scevro da colpa, e d'essere con intatta virtù cam- pato da mare sì tempestoso. Sì bastonimi di strazia- re i vizi, tanto vergognosi, quanto inescusabili, che contaminarono la Roma degli anni miei ; ed espor- re soprattutto i possenti ( cioè i più rei ) alla pubbli- ca onta e vendetta. Vero è ch'io vissi sui sette colli, disonorando Domiziano l'impero del mondo : ne avrei potuto pensare a più antichi e maggiori vizi : che tut- ti la corte di quel malvagio gli avanzò. » Tutti sì gli avanzò, l'interrompe qui Persio : tutti, salvo quelli ch'io vidi pur troppo nella tirannide che infamò l'ul-. L'illustre Italia. 207 limo del sangue de'cesarJ ! » Allora Fernando : Tu, disse, o Guglielmo, in tale aspetto mi rappresenti Persio, ch'io quasi pavento a guardarlo in viso. Egli è , rispose l'artista , nell'aspetto dell' uom virtuoso , quando il vituperio privato e pubblico ha rotto ogni freno : quando chi esser dovrebbe autore di dignità e di modestia s'è fatto esempio di turpitudine e di sfac- ciatezza : quando tutti giacciono i costumi degli avi, e parole di ludibrio son divenute religione, patria e sapienza. Sì, Fernando, egli è nell'aspetto di chi fre- mendo dee le sue sentenze ravvolgere in un denso velo d'oscurità, perchè l'odio del vero va fino ad im- mergere un ferro nel virtuoso petto di Trasea. Tu non consideri che Persio vivea regnante Nerone ? Toscano austero, che morto a'ventinove anni, ebbe certo pro- pizio il cielo, il quale insieme co'giorni volle anche abbreviargli l'ambascia di veder pvofonata più oltre la terra della magnanimità e della gloria ! Egli ancora ne'suoi versi ci grida: « Chi vuol l'animo da ogni viltà difendere, in me apra la mente : ch'io tutte le abbiezioni esecrai. » Se non che osservate ardire ! A lui pretenderebbe appressarsi Petronio Arbitro, fidato non meno nella consolare sua dignità, che nell'ele- ganza mirabile onde le sue parole s'infiorano. Ma sde- gnosamente, slesagli la mano al petto, gli si contrap- pone Turno d'Aurunoa, e maravigliasi, e sgridalo, e gì' impone di recare altrove il dispregio d'essere un distato maestro de'turpi diletti a Nerone. «Tu fra que- sti severi, che in tanto servaggio furono così liberi ! Che si alta cosa stimarono la maestà del nome ro- mano ! » Duolmi di non aver potuto qui darvi due gran- di principi della satira : Orazio e l'Ariosto : e d'es- !2o8 Letteratura sere stato ancbe costretto a passarmi di Luigi Ala- manni , di Salvator Rosa e di Vittorio Alfieri , che hanno meglio desiderato essere in altra parte. Ma in loro vece abbiatevi de'nuovi latini Gian-Antonio Vol- pi seniore, il Palingenio { fra'satirici lo pose il Gra- vina), il Sergardi, il Cordara : e de'più chiari nella lingua del sì quell'ardente Menzini, de'cui amarissi mi sali prendono sì gran piacere e il Vinciguerra e l'Adimarì e il Bentivoglio : mentre al Soldani ed al- l'Azzolino è mostrato a dito da Angelo Delci 1' in- comparabile, che come innamorò il nostro secolo, cosi di tutti gli altri sarà delizia colla sua vivacità ed urba- nità graziosissiraa. Intendo di Giuseppe Parini, gagliar- dissimo ingegno ed emulo di quanti furon più grandi fra i greci e i latini : al cui Mattino ( per non dire delle altre parti del giorno da lui cantate ) niuna an- tica o moderna letteratura saprebbe trovar cosa da pa- ragonare. Levossi a tanto nome Fernando : levossi an- che Alberto : ne io mi rimasi, pieno come sempre ho avuto l'animo d'altissimo ossequio per quella eccellen- za. Perchè stati alquanto a contemplare non so s'io dica con maggiore attenzione o rispetto le venerande sembianze, così Guglielmo continuò : Quella severità di viso vi dice che ancora il poeta filosofo e cittadino è sul riandare, non che le pravità e le sciagure del se- colo, ma la stoltezza di coloro, i quali già fra noi, a guisa di chi edifica sull'arena, intesero a porre le fon- damenta d'un'italiana libertà con opera non italiana : perciò provandosi per prima cosa di vituperare agli uomini e diveller loro la religione de' padri- Nuovo senno, togliere ogni interno spavento alla colpa, all' infelicità ogni speranza almeno del cielo ! Certamente non fu mai cosi sublime il Parini e così degno del sa- L'illustre Italia 209 ccrdozio della sapienza, che quando entrato un dì nella sala ove adunavansi i legislatori della nuova repub- blica ( nel cui numero aveva in su que' primi per- messo d'essere annoveralo ) cercò intorno cogli occhi l'immagine che già eravi di Cristo in croce. Non tro- vatala, ne domandò stupefatto a'colleghi : ed avutone ch'era ornai tempo di svecchiare Italia ed il mondo di certe popolari credulità, preso egli da dispetto ma- gnanimo e tinto di rossore il volto partissi inconta- nente del luogo, e rinunciando l'ufficio : « !Non sarà mai, gridò, che Giuseppe Parini, italiano e cattolico , soffra d'esser là dove stimasi libertà (libertà empia ! ) il cacciar Gesù Cristo. » Onore, disse Fernando, onore al sommo, che italiano italianamente e pensava e par- lava, e di tanta virtù coronò i cadenti suoi anni ! Oh pera fin la memoria d'un tempo , che la gentilezza nostra non si vergognò, come il Monti direbbe , » Di gir co'ciacchi di Parigi in tresca ! Miserabili ! Che tutto di in quelle o superbe o fu- riose baie, straniera merce, evocando l'ombra del Ma- chiavelli ( che certo rìdeasi di loro ) ignoravano con quanta solennità il terribil maestro di ragion politica avea detto a'reggitori de'popoli : a Come l'osservanza del culto divino è cagione della gr.mdezza degli stati, così il dispregio del culto divino è cagione della loro rovina. » E di fatto quella turpitudine di licenza, con in testa il berretto de' liberi , quasi larva mostratasi solo a far ribrezzo di se alla nazione , poco stante fra il pubblico vilipendio sparì. Tu non la vedesti , o Gaspare Gozzi : e bene»-, dici la sorte che non volle almeno alle tue tante sven- G.A.T.XCTII. 14 3io Letteratura tuie aggiunger l'estrema di trovarti in mezzo a quel- Huovo tripudiare d'ignominia e di schiavitù. Ti salu-' to, o savio : ti saluto, o cortese ; e ringrazioti delle^ altissime verità, che mostrate m'hai non pur sotto si gentili apparenze, ma vestite dell'oro di uno stile» di cui fosti ed in verso ed in prosa il maggior eseroploir di perfezione sopra tutti gli altri scrittori del secai tuo. Ed ora che dici con quell'atto di beffe, cui coui tanta attenzione osserva il Zanoia ? Ripete fra se , rispose Guglielmo, que' versi dell'ottavo de'suoi sermonia « Odo parole » Gravi, ma il cor è vóto. Commendianli > » Dlciara la parte : e, monimenti ed arche, » Mostriam belli epitaffi, e nulla è dentro. ■ ? Vera sentenza pur troppo, io sclamai, e dal povero Gozzi appresa con sì trista esperienza ! E tuttavia stu- pisco Bon poco com' egli, in tanta strettezza di vi- vere , potesse talor partirsi dalla scuola di Platone e di Orazio, e fare a prova di scherzi non pur con Luciano, ma coll'aulore di quella satira che lepidis- sima e tutta nostra prende nome dal Berni, e che s» leggiadramente anche ride nelle opere di coloro, ch^ più là ci ritrai: del Mauro cioè , del Franzesi , del INelll e del Caporali, Che più varrebbe, disse Guglielmo, studiar sa- pienza (e veracemente sludiolla il Gozzi) se poi doves- simo riuscir minori delle sventure, e abbandonare ad esse, non che il cuore, ma l'alta nobiltà della men- te ? Credi tu che sempre lieta si girasse fortuna a questi altri qua, che sì spesso scherzarono di epigram- mi ? Io so anzi che alcuni fra loro ij© furono gran L'illustre Italia aii bersaglio : e nondimeno non ne perdérono i' ilarità. Alberto allora : Questi son dunque gli antichi e i moderni, che fra noi composero epigrammi ? Son des- si, rispose Guglielmo : almeno i più celebri : percioc- ché vedi Bolride da Messina, antichissimo , a chi si dà l'invenzione fra'greoi di ciò che con proprio no- me chiamavano motti e facezie : e seco ha Posidippo, pur siciliano, ed il tarantino Leonide, forse di tutti non solo il più illustre, ma il più favorito dal tem- po, il quale tanti elegantissimi versi di lui così rispet- tò, che potè poi Carlo Ilgen, professore a Iena, rac- corli in un volume e illustrarli. Bellissimo,, io dissi, quel suo epigramma su Venere cU' esce del mare : bellissimo pur l'altro sul capro che yode la vite : e quello, per tacere di tanti, sul sepolcro d'Ipponatte. Ed uno appunto di questi, ripigliò Guglielmo, reci- ta egli a Botride e a Posidippo , ascoltanti Statilio Fiacco , Lentulo Getulico e Quinto Mecio , che la- tini furono sì vaghi di poetare oo'greci. Ma Catullo con affetto particolare si è volto ad Andrea Navage- ro, lieto d'intendere come ad espiare la colpa d'avec potuto un tempo gì' italiani piacersi de' concetti e delle sottigliezze di Spagna, prendesse il buon vene- to a sagrificargli ogni anno quante copie sapea tro- vare degli epigrammi di Marziale, gittaudole ad ar- dere. Il che sommamente ivi approvano, come creder potete, il Tebaldeo , il Cotta , il Bassani : parendo loro non tollerabile, che a' versi mollissimi e dilica-. tissimi di un poeta, la cui mano non si sa da qual venere o grazia fosse guidata, abbiano potuto mai con- trapporsi in Italia que'di Marziale. Qual sia il giu- dizio che di ciò portino il Pagnini , il Boncalli , il Cerretli, noi dico ; che attesi al Pananti, cosi godo- 212 Letteratura lìo all'allegro racconto di quelle sue avventure in Af- frica, che pregato lianno il Lazzarelli a differire per poco la narrazione de'nuovi scherni, co'quali ancora non si rimane di farsi acerbo a Bonaventura Arri- ghlni. Possono cogli scrittori di epigrammi trovarsi be- ne di compagnia anche quelli di favolette : e quin- di ho posto qui Rufo Avieno, che a Gabriele Faer- no dà il merito d'aver superato quanti vennero dopo Fedro : e presso lui il Pignotli, il Bertola, il Cangi, il Fiacchi (meglio fra'comici vedrete Gian- Gherardo de Rossi), ed in fine tutto solo il Crudeli, che pallido e scarno sembra con sospetto guardarsi intorno, ricor- devole ancora di ciò ch'ebbe fieramente a soffrire per l'atrocità dell'altrui perfidia. IX. Gloria poi nobilissima degl'italiani è di avere co'greci conteso anche di eccellenza nella commedia. Che se forse la romana non emulò l'ateniese ( non volendo essere ardilo di oppormi alla sentenza di Quintiliano, o piuttosto alla ragione, che non dà in ninna cosa all'imitatore poter pareggiare l'originale ), l'emulò certissimamente quella che festivissima , leg- giadrlssima, senza aver seguito altri esempi, fu popo- lare nella Sicilia : ne raen certissimamente (per gran forza comica , se non per leggiadria di lingua ) l' e- mulo quell' altra che ci die poscia il Goldoni : anzi pur la stupenda che fino da'principii del secolo de- cimosesto fu mostrala all'Europa dall'ingegno anche in questi scherzi potentissimo del Machiavelli , la cui Mandragola è dal Voltaire anteposta a quanto ha di più bello e nuovo Aristofane. Qui Alberto con certo sdegno guardando Guglielmo : Inchiniamoci, dis- se, inchiniamoci con tutta l'antichità a questo Ari- L'illustre Italia 2i3 slofane, ne siamo così superbi : ed insieme incliìnia- moci pure a Menandro, gran lume altresì della Gre- cia di là dal mare. E Guglielmo: Si, Alberto , in- cbiniamoci ai due maestri : ma sappi che il vero prin- cipe della commedia non dee cercarsi in Grecia, sì bene in Sicilia, là dove fiorì e fu coronato Epicarmo: ed anche sappi che allora la civiltà greca accolse il lieto spettacolo, quando potè solo averlo perfetto dal poeta e filosofo siracusano. Supremo vanto, aver costretto Platone a dir nel Teeteto, tal essere nella commedia Epicarmo, quale nella tragedia Omero ! Ne vanto mi- nore della Sicilia, trovarvisi il teatro comico adulto e gentile, quando appena in Grecia nasceva ! Ed è di questo drivi esaltano l'immortale loro concittadino i tre altri piìi famiosi dell'isola , ApoUodoro da Gela , Rintone da Siracusa, e quel vecchissimo ch'è il se- niore Filemone: il quale se vedete atteggiato al riso, più forse che all'età sua non converrebbe , sappiate ( e siami ciò di scusa ) che appunto da un eccesso di ridere fu egli nello stesso campo de'suoi trionfi, cioè nel teatro, condotto a morte. « 0 beala ilarità di pu- ra coscienza, sclama ivi il giuniore Filemone suo fi- gliuolo ! Se non fosse stato così, avrebbe questo Epi- carmo vissuto ben novanl' anni , e quasi cento mio padre ?» A cui Stefano da Turio, che gli è vicino: (( E perchè non anche rammenti Alessi mio padre , ch'altresì tranquillissimo toccò gli anni dell'estrema decrepitezza ? Caro a'suoi, dalla patria onorato, in ri- verenza a tutti, benché a niun malvagio costume non perdonasse, osservatelo, cinto le canute chiome della corona che dal voto popolare gli ottennero le sue o. pere, dilettarsi di riandare con Egesippo da Taranto que'templ, quelle libertà, quelle gare. » Cosi Stefa- 2i4 Letteratura no : e nel dir tali parole , non attende alla prota che indi fanno fra loro di maggiore spìrito e attici- tà ne'mimi Sofrone e Laberio, quegli in greco, que- sti in latino : non sì però che già Laberio non si confessi minore dell'emulo suo, e non vegga ora il perchè in quelle candidissime piacevolezze studias- se tanto Platone, che co'mimi di Sofrone usava spes- so temperare la noia delle lunghe ore notturne, e ta- lora con essi in mano addormirsi. Gran che, tornò a dire Alberto, non esserci ri- maso nulla di questi nostri comici, ne potersi altro che per fede antica giudicare delle lor fantasie ! Gran che veramente, io risposi ! Se bene qualche cosa ci ri- manga quasi di tutti, salvo di Sofrone, di cui per- ciò si dispula ancora fra' dotti se scrivesse in prosa od in verso i famosi suoi mimi. Anzi possiamo dire non affatto perdute le commedie di Apollodoro da Gela e del giuniore Filemone : sapendosi esser traduzioni di quelle del primo il Formione e l'Ecira di Terenzio , e di quelle del secondo il Trinummo ed il Merca- dante di Plauto. E Fernando : Sicché di Terenzio non so in vero che resti all'onore delle lettere affricane: perciocché non solo fiorì in Italia fino da giovanetto, ma non volle aver su'labbri altre eleganze che quelle della nostra lingua : nella quale prese poi a voltare le più graziose opere comiche così della Grecia elleni- ca, come dell'italica : se pur fu egli che le voltò, e non anzi si piacquero sotto il nome suo pubblicare il frutto de' loro gentili ozi , secondo che in Roma di- cevasi, Scipione Emiliano e Caio Lelio. In fatti non è poco degna di maraviglia in uno schiavo cartaginese tanta venustà latina, tanta purità, proprietà, grazia, e, quel che più parmi, dilicatezza di urbanità romana. L'illustre Ijalia 2t5 Ilaliano era Cecilio : ma tuttavia, perchè nalo servo nelle parti d'Insubria, quella sua latiiiità, giudice Ci- cerone, raOstravasi qua e là forestiera e corrotta, E sì che viveva anch'egli nell'amicizia de' grandi della repubblica, ed avea principalmente familiarissirao En- nio. Ma, riprese Guglielmo, comechè Cecilio per bontà di lingua cedesse a Terenzio, non meno che a Plauto, tuttavia fu reputato principe della commedia latina. Tania forza comica e tanto ingegno creatore ravvi- sarono i romani nelle sue immaginazioni. Se non che a questo giudizio non pare quietarsi Plauto : né mol- to il muove la sentenza di Orazio, che fra le finezze della corle di Augusto protestavasi di mal sapergli i sali plautini : perciocché egli ad Orazio contrappone e Tullio e Varrone e Terenzio stesso, e chi soprattutto dicea che le muse, se parlasser latino, Don userebbero altre eleganze. E se ne appella qui ad Afranio, a Li- cinio, a Turpilio, ad Atilio, a Luscio, a Trabea, non che a quel Virginio romano si meritamente lodato fra' grandi dell'arte da Plinio il giovane : chiedendo loro -se il teatro latino ha cosa che di festività e di legiiia- zzo crudele verso l'uma- nità. Ben mi pareva, diss'io, che Gentile Bellini do- vesse ivi narrare alcuna cosa di barharo: osservando i segni del raccapriccio non solo nel fratello e nel j)adrc, ma in quegli altri della famosa scuola, Cima da Conegliano, Andrea Previlaii, e Pellegrino da san Daniello : che non osano, credo, fra loro inlramettersi, memori tuttavia dell' emulazione eh' esercitarono, lo Squarcione, il Carpaccio ed il Basaiti. Ecco, ecco, sclamò Fernando, ecco Tangiol da Fie- sole ! Deh parliamo basso, che noi destiamo da quella beata contemplazione ! Oh egli è certo, cosi come fra i gigli e le rose si è posto a seder soletto, egli è certo co' suoi pensieri in cielo, là dove deliziasi nell'ineffabile soavità di quelle bellezze, che niun altro con tanto spirito di paradiso ritrasse in terra! Gli è in fatti vicino Benozzo Gozzoli, amantissimo suo discepolo, il quale non so dire se con ossequio o meglio con religione guarda cotanta estasi, e alzata una mano accenna di far silenzio a Lippo Dalmasio, a'due da Sassoferrato ed a Carlo Dolce, sopraggiunti, io ben credo, per con- sigliarsi con Giovanni Angelico intorno a quello ch'essi studiarono soprattutto: a rendere cioè rarissime di gra- zia, di purità, di dolcezza le immagini della madre di Dio. Tanto però, riprese Guglielmo, non può fare il L'illustre Italia 243 Gozzoli, che poco dì lungi quel silenzio non sia tur- balo : che al Masaccio, il quale ama qui pur ritro- varsi col venerabile amico, presentasi Andrea tlel Sar- to, studiosissimo quan l'ai Irò rnai delle opere di lui: e aiffetluoso il saluta, ripetendogli i versi, che in onore di esso Masaccio compose maravigliando la musa gen- tile di Annibal Caro : » Finsi, e la mia plitura al ver fu pari : » L'alleggiai, l'avvivai : le diedi molo, » Le diedi affetto. Insegni il Buonarrofo » A tutti gli altri, e da me solo impari. Di che ho posto una viva contentezza sul volto di Ma- solino , che gli fu maestro , ed a cui dell'aver dato alla pittura ed alla gloria italiana un si grande sono sul congratularsi Bartolomeo della Gatta , il Roselli ed il Ghirlandaio : mentre in vece i casi di Andrea, l'intollerabile servitù con che la fierissima moglie l'op- presse e avvilì, e la povertà e l'abbandono in cui morì infelicissimo, lamentano fra loro il Pontormo, il Fi'an- ciabigio, il Puligo, presenti e pieni parimente di com- passione Sandro Bolticelli e Lorenzo di Credi. Qui Fernando , tuttavia volgendosi dolcemente alle immagini ora del fiesolano ed ora del valdarnese: Oh quel Masaccio, disse, e quel veracemente beato da Fiesole sono slati sempre l'amor mio parziaiissimo : ed appena credo che più alcuno pervenisse nell'arte a quella tanta ingenuità di bellezza e cara evidenza e modesta semplicità ! E tu, Guglielmo, a qual ti ac- costi delle due sette ch'oggi dividono cosi le arti ? Io non ho sella, rispose l'artefice: ne d'altro pregiomi che d'italiano. E perchè italiane, supremamente italiane. Olf^l^ LETTERATURA sono appunto amht^ilue le scuole e del quattrocento e del cinquecento , intorno alle quali è ta^nta divi- sione di sentenze e di animi, io le ho per eccellente del pari. Non seguirono Funa e l'altra la bella uatnra? ]Non presero guardia l'una e l'altra di non bruttarsi di straniera contaminazione? Anche a me va per l'a- nima una ineffabil dolcezza al vedere principalmente le opere di Giovanni Angelico, del Masaccio, del Ghir- landaio, del Perugino : non polendo non vagheggiare tanta soavità, ingenuità, verilà : ma godo non meno, anzi tutto in me stesso mi esalto, quando considero quelle di Leonardo, di Raffaello, di Tiziano, di Gior- gione : e con ambe le mani serromi poi sdegnato le orecchie all'udir bestemmiare i nomi (tanta in alcuni è la temerità e l'impudenza) di Correggio e di Michelan- gelo, e dir che dobbiamo, non ch'altro, vergognarci ornai del Parmigianino e di Giulio romano. Tu dun- que (allora interrogò Alberto l'artefice) tu duncjue vor- resti che senza alcuna eccezione avesse a seguirsi qual i)iù ci piace di esse scuole ? E Guglielmo: Si certo: per- ciocché, come di sopra nolai, ciascuna imitò la natura e con occhio e giudizio italiano ne scelse il bello. Hai tu l'immaginazione più gentile che ricca ? Or bene ti gioverà usarti neiramabilità, diligenza e finezza che furono proprie doti dell'arte del quattrocento. L'hai ricca ugualmente e gentile ? Maravigliosissimi ti sa- ranno i primi del cinquecento. Fiera l'hai ed auste- ra ? Appressati pure, ma pien di timore, al terribile Buonarroti. O meglio ripeterò quello che il senno deln Tamico mio Antonio Bianchini inculcò, non ha mollOj agli artisti in un suo scritto splendidissimo di sapien* za : « Parli colle ombre ( egli dice ) chi bene appren- de la luce, parli colle tinte chi più s'accorge del co- L'illustre Italia a/JS lore, pavli col disegno chi meglio pensa alle forme : ma parlili tulli, e facciansi non udir solamenle, ma inlendere. » Così appunto adoperarapo i nostri som- mi; finché giunti per diverse vie d'eccellenza allfi ci-, ina deìTarte, fecero disperare i posteri di raggiunger- ti. Che dico di raggiungerli ? Anzi doveva dire di su- perarli, come in molti ne venne ila presunzione: quasi alcuna miglior cosa fosse di là dall' ottimo. Quindi l'arte ruinò. £d ecco reputarsi vecchia fip le tue ta- vole, o Mantegua : talché in quella novità di follia sarebhesi deriso un maestro che avesse a'giovani, uon che propasti a studiare, ma lodati per insigni ,i tuoi capo-lavori. Deh che mai non sappia, gridò Fernan- do, il gra.nd'uqmo (fin dove declinò poi l'arte ,fra'no- slri^ non perchè ci mancasse l'ingegno ( che l\i, mas- simo in ogni secolo ) , ma j>erchè fummo con cer- ta superbia, come in altre cose è avvenuto, satolli del buono! E perciò il principe della scuola lombar- da attenda pure fra quelle ombre all'animosa dispula, intorno a cui veggo ancor ca.ldo Giorgione : il quale (j non volle mai consentire^ come ognun sa, che l'opera dello scolpire pareggi quella del dipingere in nobiltà ed in perfezione. Oh quanti altri vi prendon parte della ricchissima scuola veneta ! Sebastiano dal Piom- bo, Palma il vecchio, Loreni!;.o Lotto, Iacopo da Pon- te, Andrea Schiavone ! Ai quali ( così Guglielmo ) si sarebbero con piacere aggiunti anche Paolo veronese ed il Tintorctlo, se vaghi non fossero d'udir risolvere un'altra quislione, che ad Antonello da Messina so- no venuti a muovere Girolamo Aliprandi e Pietra Novelli. « E dunque vero, dice Girolamo ad Anto- nello, clie fino in Fiandra n' andasti ad apprendere da «n iGiovanni da lìiru:ges il segreto di dipiwgeire ad 1 246 Letteratura olio ? » Da quell'atto vi sarà facile, amici, l'imma- ginare che cosa gli risponda Antonello : il quale non può non maravigliare la stranissima favola die primo, senza recarne testimonio veruno , pubblicò il Vasari. Cerio il siciliano ha ragione : e ninno dopo Leopoldo Cicognai^a e Giuseppe Tambroni crederà più al trovalo di Giovanni da Bruges: anzi dopo hi fe- de ch^ deirantichità di quel dipingere si ha chiaris- sima non solo in Cennino Cennini, ma nel monaco Teofilo, che prima del secolo undecime scriveva fra noi il suo Trattalo Lorahardico. . Per quel viale diportandosi Filippo Lippi, an- dava leste raccontando le avventure della sua schia- vitù in barberla a Luca Signorelli ed a Barlolomeo da san Marco : coniechè questi avrebbe amato forse più volentieri di udir cosa del suo Savonarola , cui sì spesso è costretto di rammentargli Mariolto Al- bertinelli , che mai non gli si parte dal fianco. Ed ecco frate Diamante, che giunto improvviso, e preso il Lippi familiarmente per mano : « Volgiti, gli dice, e vedi il fanciullo che morendo all'amor mio racco- mandasti. S'io l'abbia tenuto sempre in luogo di fi- gliuolo carissimo, tei dirà egli : bastiti che a renderlo degno del nome tuo, l'allogai nobilmente all'arte nella scuola del Botlicelli, d'onde uscì artefice di bellissi- mo ingegno e di vaghissima novità ed invenzione. Mi- ralo il tuo Filippino, che affeituosissimo ti s'inchina e ti stende le braccia desideroso degli amplessi pa- i terni ! » E Fernando : Non senza vaghezza e varietà è questa scena : e bene ti sei consigliato di non tra- lasciarla in un'opera , com'è la tua , nella quale la sapienza e la gentilezza di coloro , che sonovi rap- presentati , non danno che possa mostrarsi accesa al- L'illustre Italia 247 cuna fiera passione. Anche d'allre consolazioni però avrebbe gioito Filippo, se pivi azioni si fossero potute qui tollerare. Che in falli sarebbe sfato se fossell riu- scito ritrarre in lui la tenera gratitudine verso Loren- zo de'Medici, che avendo invano richieste , ito da se stesso a Spoleli, le ossa deirartefice illustre, ordinò che almeno si onorassero di nobile sepoltura, appo- .sfavi un'iscrizione d'Angolo Poliziano ! E il sapere, che a quest'opera fu richiesta dal magnifico la mae- stria di Filippino medesimo ! E perchè Raffaellino del Garbo non può ad esso Filippino narrare , tanto a quella splendida età de'Medici essere state in riveren- za le arti, che non pur da'principi si cercavano e chie- devano con istanza, decoro della patria, le ceneri de' famosi maestri, ma sì il popolo con lutto spontaneo" accompagnava la morte loro ? Siccome avvenne ap- punto il dì che pertossi a sotterrare il cadavere di Filippino : che tutte si videro chiuse, dice il Vasari, le botteghe innanzi alle quali passò. Anzi perchè niu- 110, io ripresi, fa loro fede della suprema altezza, a che non molto tempo da poi pervennero quelle arti medesime ch'ebbero così care ? Bene, 0 Guglielmo , hai questo luogo disposto per modo, che veramente dimostra esser dimora non di gente di poco affare , né di piccoli princìpi, ma di re. E tu farai che più dell'usato qui cielo e terra s'infiori di luce ; qui tutta ritrarrai la natura nella maggior sua pompa, dolcezza, maestà; qui massima- mente si parrà la potenza del tuo pennello. In fatti non è qui la sede di ciò ch'Europa ha venerato co- stantemente di piìi regale nell'arte dagli annidi Giunta a questi del Camuccini ? Non veggo io insieme riuniti Raffaello, Leonardo, Correggio, Tiziano ? Fi Miche- a48 Letteratura langelo, disse Alberto, l'hai tu finalmente sagrificato quel Michelangelo al gridare della novella scuola ! Michelangelo, ripigliò Guglielmo, poteva (egregiamen- te del pari ) considerarsi da ine come autore o dell'u- niversale giudizio, o del Mosè, o della mole che so- vrasta suldimissima al valicano. Ma essendomi data libertà di scegliere fra'suoi portenti, ho preferito ad ogni altro il Mosè: perciocché se il Buonarroti nel dipingere e nell* architettare ebbe grandissimi emu- li, e principalmente il Sanzio nelle camere de'pon- telici ed il Brunellesco in santa Maria del Fio- re; nel ritrarre però in marmo, vivissimo, imperio- sissimo , e quasi col comando di Dio sul volto , il legislator degli ebrei, è stato dì unica terribilità ed eccellenza. Lo troverete adunque in sommo luogo fra gli scultori ; in ciò io seguendo il giudizio anzi del Cellini e del suo stesso scolare Condivi, cbe del Ci- cognara. Qui giovici frattanto onorare i quattro su- premi, a'quali ninno potrà essere contrapposto , che non sia sempre stimato minore : benché non solo il Correggio e il Vecellio , ma il Vinci stesso, il qua- le fu tal miracolo dell'uman genere, che sommamen- te ringrazio Dio d'avere della sua nascita degnato l'I- talia : benché, dissi, lo slessi Vinci siasi concordato cogli altri due, come parmi agevole a scorgere , nel concedere all' urbinate il seggio principalissimo della pittura. Di che niun creda però che l'animo genti- lissimo di Raffaello sia per levarsi in alcuna super- bia : anzi con dolce forza traendo in mezzo Pietro Vannucci, di ciò pregiasi il generoso, che se volle la provvidenza privilegiarlo di mostrare in terra il mag- gior lume delie sovrumane bellezze che mai ad occhio mortale può esser dato di contemplarej dee rendersi di L*[LLCJSTRE Italia 349 questa grazia un gran merito al suo famoso maestro. Be- nignità (legna di lui , die in se veracemente accolse quanto ebbe mai la natura umana di più modesta, affa- bile, cortese, perfetto! Benignità che si piacMì al Pin^ turicchio, al Bazzi, al Francia (i quali tratti dairanttca benevolenza sonosi spinti, osservando, fra gli alberi di quel bosclielto), che il perugino ed il vercellese n'han- no umidi gii occhi di teneiHJZza: ed il bolognese presa amorevolmente per mano il suo Innocenzo da Imola» ed additandogli l'artefice sommo : 0 Deh mai, gli di^ ee, non l'eiica dalla memoria un tanto atto di ecceU sa virtù ! » Il quale atto volendo poi Bartolomeo Sa-* menghi perpetuare coU'arte, sedutosi «ur una pietra, e la cartella posatasi sulte ginocchia , mostrasi lutto inteso a ritrarlo colla matita. Frattanla una pressa è quivi e di discepoli e d'imitatori de'qualtro massimi. « lo fui de'primi ad usare in Milano l'accademia M Leonardo: » dice Bernardino Luino a Giulio Ramano, tenendosi affettuosamente al iDraccio del sti-a Gaudenzia Fenari : e Giulio all'incontro gloriasi d'^avei^e il gran Raffaello più in lui, che in altra, riposto l'amor sua e la sua confidenza. « E me sopra tutti amò il mio Ve-, eellio: » dice d'altra parte Bonifazio veneziano al Par- migianino : il quale u l'avere a tempo vedute le opere del Correggio, più, risponde, mi consolò, che non mi travagliasse la povertà ch'ebbi giovanissimo a sop- portare per la barbarie del sacco di Ro^ma. «Tutto di sdegno infiammasi e freme a si trista memoria Poli-» doro da Caravaggio, ben sicuro che se la rabbia stra- niera non si fosse precipitala sulla reggia della reli- gione e delle arti , non avrebhe egli perduto , dell' [orribile pestilenza che si mise in •Ht)ma, il suo conv pagno carissimo Mat^no : né ^jos'li-^tto a riparo-i?© aSo Lbttbratura in Sicilia , sarebbe ivi così crudelmente finito. Do- lenti alla sciagura dell'insigne lor condiscepolo, ed a quella altresì di Pellegrino da Modena, ucciso in odio del figliuolo colpevole, sono a'due artefici intorno con pietosa sollecitudine quinci il Fattore e Giovanni da Udine, quindi Timoteo Viti e Andrea da Salerno : mentre a Benvenuto Garofolo chieggono con ansietà, trattolo in disparte, la cagione di t .nta mestizia i suoi concittadini Ercole da Ferrara, Dosso Dossi, e Giro- lamo de' Carpi. E lu, Pierin del Vaga, gridò allora Fernando , perchè si lieto, essendo a te pur toccata cotanta parte delle romane miserie, caduto ne'lacci di que'vandali di Carlo V ? A cui Guglielmo : Pierino all'amico suo Daniel da Volterra esalta ancora la generosità d'An- drea Doria, che dòpo l'infortunio raccoltolo in Ge- nova, tante solenni opere gli die a condurre, ohe per quella splendidezza di principe potè egli in fine mo- strarsi degnissimo della scuola di Raffaello. Vedete co- me al nome del Doria è subilo accorso il sanese Me- cherlno, che non poco parimente operò nelle case di quel magnanimo. Anzi vedete com'anche accorrono i genovesi Valerio Castello e Luca Cambiaso. Su via, traete ivi pure, o valenti, diss'io; che mai non sonò nella patria vostra ( e fu sì feconda di eroi ) un più gran nome d'Andrea Doria. Per Leonardo, riprese Guglielmo, è d'altra parte commosso di tenerezza Francesco Melzi: a chi sono intorno con quella giocondità rispeìlosa i suoi com- pagni Marco da Oggione, Cesare da Sesto , il ììei-^ traffi ed il Salaino, di ciò ringraziandolo che chiamato erede d'ogni manoscritto, slrunicnLo d'arte e disegno dal maestro immortale (che a mani francesi affidar non L'illustre Italia aSi volle morendo i tesori della sua mente), una cura sì af- fettuosa erasi data di conservarli a'posteri: nobilissimo milanese non men d'animo che di sangue. Seguono poi due altri sommi da Tiziano educati al dipingere: il Moretto da Brescia e Paris Bordone. Il primo de'quali non sa tuttavia distaccarsi dal suo magno discepolo, che nel ritrarre di naturale vuol cedere appena nella scuola veneta al rarissimo da Cadore : voglio dire da Giandjalista Morene ; il quale, giudice il bresciano, è sul disputare molte quistioni d'arte a lui proposte in- torno al far egregi ritratti da quegli altri che pur ne furono maestri sì riputati, dal Carotto, dal Carbone e da Scipione Gaetano. Sono ivi altresì (e qual luogo me- glio da loro ? ) ornamento del gentil sesso Lavinia Fon- tana ed Artemisia Gentileschi ; attese però alla vene- randa vecchiezza di Sofonisba Anguissola, la quale, benché perduto abbia il vedere , tale ancora diraa- slrasi da render vero per sapienza di ammaestramenti ciò che di lei diceva il V andyck : « Avere da questa cieca più appreso, che da qualunque maggior veggen- te. » Te felice. Bernardino Gatti, che potesti fra'tuoi discepoli annoverare in Cremona questo solenne in- gegno ! E sì che verrai fra poco a onorarlo con quanti ha spiriti di maggior prestanza la patria tua scuola: va- glio dir col Casella, co'Boccaccini, coi Campi, e col tuo nipote Gervasio. Paris Bordone però s'è accostato al Rosso ed al Primaticcio, co' quali dopo Leonardo recò anch' egli a'francesi ( chiamalo pure dal re Francesco) le gen- tilezze del bel paese, « Cui dier l'arti leggiadre ogni sorriso : aSa Letteratura e così concorse italiano a cessar dal volto di quel mo- napca la vergogna della barba lie, di cui vedea vitu- perato il suo popolo» Imperocché Francesco, nel tan- to correr l'Italia, aveva ben fatto comparazione fra ciò che in ogni luogo splendeva di qua dall'alpe per gen- tile magnificenza, e ciò che di là per zotichezza e far gotico ributtavagli l'animo : né gli era caduta di me- moria rindegnità, che quelle menti rozze e feroci ave- vano un dì creduto di Valentina Visconti , qiiando andata sposa in Francia al duca Luigi d'Orleans (cosi per le sorti d^talia non vi fosse andata giammai ! ) fu pubblicato che co' suoi sortilegi ammaliava il re Carlo VI. « Ma i sortilegi di Valentina { grida il ge- neroso Chateaubriand ne'suoi studi sull'istaria di Fran- cia ) altra non erano che le sue grazie ! Perchè re- calo, avea quelPitaliana nel ruvido nostro clima, nella barbara Francia , la cortesia de' costumi ed il gusta delle artì^ ella venne riputata maliarda ! E volentieri l'avremmo arsa per la bellezza sua, come il fu poi Giovanna d'Arco per la sua gloria ! » Tali cose con quel gran sentimento tra lor discorrono i tre mae- stri, che v'ho noiftinatl, avendo già deposta il Rosso ogni emulazione col Primaticcio : né si tengono di prendervi parte Nicolò Abati e Francesco Salviali. IV. Altro decoro della patria di Raflaello, il buon vecchio Baroccio, così com'è infiacchito da' suoi ot- tan-taqualtr'anni ed appoggiato sul suo bastone , ma di mente interissirao , ahi quanto duolsi a Taddeo Zuccari della miserabile declinazione che il fratel di lui Federico apportò all' arte ! « Buon per le , gli dice , che la provvidenza li richiamò per tempo da queste cose mortali, sicché non l'accadde d'oscurare il bel nome che t'acquistarono i dipinti di Caprarola ! L^'iLLCsTRE Itaha a53 Perciocché Federico si fu tal uomo, che avrebbeti cer- to strascinato seco con quella destrezza e vanità lu- singhiera, onde giuuse, noi\ ch'altro, a dominare la volontà de' maggiori principi dell'età sua. » Ingegno torbido, gran seguilalore della natura, così com'ella si mostra senza veruna scelta, ma tut- tavia nella maniera sua valentissimo e inarrivabile , Michelangelo da Caravaggio ascoltalo con tal fronte, che quasi aspetta d'essere anch'egli rimproverato d'a- vere con sì gran forza di mano e di mente dato al- l'arte un esempio perniciosissimo: comechè ottimo fos- se il suo fine di richiamarla ( già caduta ne'manieri- sii) ad alcuno spirito di verità. Rallegrali però, egregio Baroccio, sclamò Fernando, che finalmente in Italia non andò perduta del tutto la causa del bello : perciocché già veggo i Carracci, che con vigore invittissimo la so- stennero. Riconosco Lodovico alla dignità dell'aspetto, ed all'autorità di capo che sembra ancor tenere sopra i cugini Annibale ed Agostino. Ma d'onde negli atti di Annibale quella vivacità, che sì contrasta al sapersi che fa anzi in vita tristo e pensoso ? Suprema ra- gione, replicò Guglielmo, del presuntuoso che veggasi ripreso d'alcun manifesto fallo è spesso ricorrere al- l'ollraggio ed alla violenza. E violenza ed oltraggio osò farsi ad Annibale : e qui egli il ricorda : perchè avendo come viziosa censurata un'opera del cavaliere d'Arpino ( e questo nome già basta per crederla ta- le ), n'ebbe dall'arrogante pittore in risposta una di- sfida a duello. E l'accettò, disse Alberto ? E Gugliel- mo : Non l'accettò : né il dovea : ma sì al corrompi- tore dell'arte mandò replicando, che sola spada a'pit- tori è il pennello, e con esso un Carracci non avreb- be mai rifiutato di dar soddisfazione ad un Giuseppe Cesari, 254 Letteratura Fanno cerchio a'Carracci il Zampieri, il Gner- cino, il Cavedone, il Tiarini, variamente o a sdegno o a stupore atteggiati per quella temerità del postero indegno di Cicerone : ne vi manca l'Albani, che col suo Andrea Sacchi da presso tiene ossequioso in man la berretta: segno che alcuno ha pronunciato ivi il nome di Raffaello. Vedreste anche in mezzo alla bella scuola il gran Guido Reni : se non fosse ch'è volto d'altra parte al Lanfranco, il quale alla sua benevo- lenza raccomanda Simon Cantarini, che scolare ardi tante cose contra il maestro, e ch'ora domanda farne una nobile ammenda. Com' egli non si stringerebbe di nuovo al seno il pentito, se di ciò caramente lo prega pur quella giovane amabilissima Elisabetta Si- raui, la quale in vita fecesi tal delizia delle opere di Guido , che volle riposare in morte nello stesso a- vello che raccbiudea le ceneri del sommo artista ? Assisi altri valenti, e primi dell'età in cui fio- rirono, sull'erboso greppo che cinge quella valletta, sono attenti all'Appiani che legge loro alcuni passi qua e là d'un libro del marchese d'Argens. E forse quel- lo, diss'io, che va intorno col titolo di considerazio- ni critiche sulle diverse scuole della pittura ? Quel desso, rispose Guglielmo : e l'Appiani , che visse al tempo della maggior francese insolenza, e fu primo pittore di Napoleone nel regno italico, vuol ivi che sappiasi fin dove giungesse mai la superbia di quella nazione, ed insieme la bassa invidia verso gì' inge- gni d'Italia. Quanto meglio, io ripresi, avrebbe fatto 1' Argens se contentato si fosse di prendersi giuoco ( come leggesi nelle lettere al re di Prussia ) o delle chimere metafisiche del suo d'Alembert sulla poesia non meno che suirisloria, o dell'enfasi ridicola con L'iLLUsTHE Italia aSS che 11 Diderot, da lui chiamato stolto, dicea le cose più triavili in quel libro che nominò de' pensieri filoso- fici ! Or mirate, seguitò l'artista, mirale atti di scher- no, d'ira, e dirò pur d'orrore, in quegl'ilaliani maestri. E già loro ha letto l'Appiani la sentenza stranissima, che al Vinci fa uguale Vittore Cusin, al Correggio il Mignard, al Parmigianino e alTA-lbani i due Coy- pel : della quale, come di grossissima stupidità, sen- tono piuttosto pietà che sdegno e Giulio Cesare Pro- caccini e il Cigoli e Pietro da Cortona e il Cigna- ni ed il Landi. Altresì ha letto l'altra, che vuole a Tiziano pareggiare in tutto il Blancliard, ed a Pao- lo veronese il La-Fosse : oltre al solito ardire di porre l'immenso Michelangelo , pittore, scultore ed architetto solermlssimo al mondo, alcun grado anche più sotto dell'orgoglioso manierista Le-Brun. Di che, spiriti più ardenti, non sanno al viso e alla voce fre- nare il cruccio Daniele Crespi e Luca Giordano, ri- volti a quelle bestiali parole, mentre con Giuseppe Cades si rallegravano della maestria del disegno e della forza del colore, ond'è sì mirabile il suo capo- lavoro nella chiesa de'santi apostoli a Roma. Ora però l'Appiani è giunto a leggere là dove a Raffaello, tas- salo prima di secchezza nelle figure, di gusto pessimo ne'paesi, e di ninna cognizione di chiaroscuro (né la mano al temerario gallo tremava quando così scrive- va ?), è anteposto come più pittoresco e gentile il Le- Sueur. E perciò vedete surti in pie frementi il Ma- ratta e il Batoni, che drizzandosi a Salvator Rosa : « Su scrivi, gridano, scrivi una satira delle più acer- be, che l'ira sappia inspirarti, centra il profano be- stemmiatore di là dall'alpe ! » V. Alquanti altri pittori, che di minor nome in a56 Letteratura llalia, sarebbero forse chiarissimo vanfo oltra 1' alpe ed il mare, avrei qui anche potuto mostrarvi : ma in- tendo che questi bastino. Che se vorrà il signor mio concedermi spazio a continuare in altre stanze il la- voro, non mi passerò certo de'maestri più celebri an- che di quelle arti, che se cliiamansi minori, già non sono men belle e gentili ì come a dire di prospettive, di paesi, eli nielli, di musaici e soprattutto d'intagli in gemme ed in rame. E quanta pure dovizia ed antica e moderna I Quanta solennità di nomi e di opere ! Ma che vo io pensando ? Questa sarà lode di altro artefice: perchè molti e natiti anni, come vedete, avrò io qui a lavorare co' miei scolari, se le presenti invenzioni oHerranno grazia ed approvazione, e se la provviden- za mi concederà tanto vivere. Ora a'maestrl del dipingere seguono quelli del- lo scolpire : arte anch' essa degl'italiani antichissima e nobilissima. Sì dico , antichissima- : imperocché se non crederò con Clemente alessandrino» che inven- zione toscana sia sfata la plastica : e con Cassiodo- ro, che primi noi fummo ad innalzare statue a nu- mi- e ad eroi ; dirò bene che questo grido già mo- stra l' antichità remotissima dell' arte in Italia e la sua riputazione. K che infatti le opere toscane fos- sero non meno insigni per lavoro , che grandi per laote, ili vediamo tuttavia in quelle che il lungo an- dare del tempo non ci ha involate : il videro in tante altre gli antichi, che ce ne lasciarono scritte parole di ammirazione. Ma quali ne furon gli artefici ? Il nome loro è perito : sia che non lo ponessero ne'pro- pri lavori, come talora usarono ottimamente i greci di qua e._di' là dal mare ; sia che non sappiamo legr gerlo in que'caTatteri che sovente ne'loso bronzi ci oc- L'illustre Italia, aS/ corrono. Chi fu colui cli'eccellentemente operò la sta- tua colossale di Apollo, ornamento toscanico della bi- blioteca di Augusto ? Statua di ben cinquanta piedi di altezza! la quale da Plinio, che videla, dicesi esser dubbio se più fosse preziosa pel bronzo o per la bel- lezza sua . Se però degli artisti etrusci non ci ri- mangono che alcune opere, degl'ilalo-greci e de'lati- m non ci rimangono in vece che alcuni nomi. Ed ecco il pili antico fra essi Learco da Reggio, scola- re di Dipeno e di Scillide : di cui narra Pausania che vedevasi a Sparta un Giove lavorato di pezzi com- messi insieme : la vetustissima delle statue di bronzo che si sapessero nella Grecia. Con lui è Patroclo da Crotone, il cui simulacro d'Apollo in legno, col capo messo ad oro , serbavasi testimonio dellarte de'vec- chi, secondo esso Pausania, nel tesoro di Sicione ia Olimpia. Indi è Mamurio Veturio, l'egregio che al re Numa formò di bronzo gli ancili, e che n'ebbe ira- mortai nome fra'più lontani posteri ne'carmi saliari. Affinchè questo artefice fra gli altri si riconosca, osser- vategli a'piè uno di essi ancili tratto dall'insigne gem- ma etrusca del museo fiorentino, la quale ho prefe- rita alle medaglie di Augusto e di Antonino. E Ma- murio n'apre il religioso mistero a Learco ed a Pa- troclo , che ne sembrano stupefatti : ascoltante Tur- riano da Fregelle, il maggior plastico del suo seco- lo, a chi Tarquinio il vecchio allogò la statua di Gio- ve e le bellissime quadrighe che ornavano il tempio capitolino. Poco di lungi è Damea da Crotone ri- strettosi col sardo Teomnesto, di cui lodavasi in O- limpia l'immagine del giovanetto Agelete : il qual Da- mea è sul narrare cosa maravigliosissima della statua di bronzo, ch'egli operò, parimente in Olimpia, pel G.A.T.XGVn. 17 258 Letteratu ra suo concittadino Milone : ed è, clie il famoso atleta ]a si recò nell'Alti sulle sue spalle. Non crederemo, disse Alberto, ch'abbia in ciò qualche parte la greca favola ? E Fernando : Non volendo negarti che al- cuna cosa potessero aggiungere i greci, secondo il co- slume loro, a'portenti di quella forza, è tuttavia cer- to che fra lutti gli atleti de'secoli istorici fu Milone crotoniate il più celebre e maraviglioso. Il quale quan- te volle entrò a contendere ne'gluochi della Grecia, altrettante vinse tutti i suoi competitori : e se final- mente la settima vittoria in Olimpia (sei volte aveva egli vinto a Delfo, nove a Nemea, dieci a Corinto ) gli fu involala, o meglio lasciò involarsi, da Timasi- teo, è a sapersi che anche costui era nativo di quella Cortone, di cui andava pel mondo un proverbio, che secondo Strabene diceva : a L'ultimo de' crotoniati esser pari di forza al primo de'greci. » Infatti poche città greche ebbero forse tanti vincitori ne' giuochi , quanti n'ebbe l'italiana citlà : della quale narrasi pu- re da esso Strabene cosa unica ne'fasli olimpici, che cioè in una sola olimpiade sette suoi cittadini ad un tempo furono coronati. Ne il nome di tanti eroi è del tutto perito : essendo ancora celebra tisslmo quel Faillo , che vincitore due volte ad Olimpia e tre a Delfo, ebbe non minor vanto nel corso che nelle ar- mi, siccome quegli che comandò la patria trireme alla giornata di Salamina. Da cui non vuole scompagnarsi Astilo, con esempio sì memorabile in tre successive olimpiadi coronato nel corso , ed onorato poi d'una statua nell'Alti da Pittagora leontino. Se non che , Alberto, a renderti fede della quasi religione, con che in antico veneravasi fra noi la patria, e bella se ne teneva la dignità , serva il fallo di questo Astilo UiTxusTRE Italia. aSg quand'egli in grazia del primo Cerone osò dirsi non più croloniate, ma siracusano. Hai veduto mai arde- re tutto un popolo in una gran sedizione? Tale ac- cadde a Crotone, udita questa ignominia del suo cit- iadlno : perciocché non solo si corse al tempio di Ciu- none ad abbattervi la statua dell'empio che rinegato aveva la patria, ma si fece impeto alle sue case, ed atterratele, fu in quel luogo per maggior dileggio fab- bricato un pubblico carcere. L'arte antica, seguitò Guglielmo, ebbe, dopo la sublimità di Fidia, fra' più eccellenti maestri i due nostri Pittagora, l'uno da Reggio, l'altro da Leontino: e questi fu tale, che mentre Policleto nel suo Dori- foro porgeva il famoso canone a'greci , egli in vece nelle proprie opere insegnava loro di lavorare con mag- gior industria e franchezza i capelli, e dare più per- fetto rilievo a'nervi e alle vene. E narra Plinio eh' ebbero ambidue i Pittagori a competere con Mirone: e che l'italiota il vinse nel pancraziaste, ed il siciliano nell'Astilo. E di quante preclarissime loro opere non è giunta fino a noi la memoria ? Del leontino cosa in- signe nell'antichità reputavasi la statua del fanciullo Libide, che in mano recavasi un pomo : e più anche il Filottete, sì vero e si vivo, che a guardarlo, dice Plinio, sentivi quasi in te stesso il dolor dell'ulcere, onde l'eroe vedeasi cruciato. Alquante pur del reggi- no sono registrate in Pausania, oltre a'gruppi d'Eteo- cle e Polinice e d'Europa sul toro ricordatici da Ta- ziano. Ma niun'opera per avventura avrà il sommo artista condotta con tanto animo, non la stessa fa- mosa statua del messinese Leontisco, quanto quella che in Olimpia serbava a'posteri le sembianze d'uno de'maggiori atleti e citladini d'Italia, Eulimo da Lo- 26o Letteratura eri. Costui, disse Alberto, non ho memoria d' aver udito mai nominare. E così, rispose con gravità Gu- elielmo, s'ignorano le cose nostre, mentre siamo sì avi- di delle altrui ! Celebre ne'libri di Strabone, di Pli- nio, di Pausania, di Eliano è questo locrese, il quale tre volte nel pugilato ed una nel pancrazio fu coro- nato in Olimpia. Famosissimo perciò in tutta Grecia, ne maggior gloria avendo a desiderare, volle in fine riveder l'Italia, e meglio, animo della patria caldis- simo, fra le feste e la riverenza de'suoi godersi il frut- to di tanti trionfi. Ora da Locri usando egli sovente andare intorno per le contrade de'bruzi, accadde che un giorno capitasse a Temesa, città oggi distrutta. Oh fu certo una graziosa fortuna che vi condusse cotan- to uomo ! Essendoché atrocissima scelleratezza vi si commettesse da molti anni in espiazione d'esser quel popolo corso a furia sopra uno de'compagni di Ulis- se, ed uccisolo, perchè, afferrato per tempesta a quel porto, v'avea colui fra il vino e la crapula recalo diso- nore a una vergine. Così correane la fama: ed aggiunge- va, che lo spirito dell'itacense avesse co'suoi spaventi per tal modo travagliala la terra, che già gli abitanti proponeansi di abbandonarla. Consultato quindi l'o- racolo di Delfo, se n'ebbe, che ninno della città si partisse : ma sì fabbricato dal popolo un tempio in cuor dell'estinto, dovesse ivi sagrificarsi ogni anno la più leggiadra delle donzelle di Temesa. Qualunque però si fosse l'origine di quel culto, certo è che la bar- barie durava ancor.i dopo la settantesima settima olim- piade, in cui Eutìmo ritornò a Locri : perciocché fu in essa olimpiade ch'egli ottenne ne'gluociii l'ultima sua corona. Quanti anni dunque, computandoli da' tempi così detti ti'oiani, s'era per una straniera di^ L''iL.LUST)\E Italia 26 1 vìnità versato quel sangue innocente ! Ma già la re- ligione e l'umanità erano finalmente per cessare un tanto aLbominio. Non trovavasi in Temesa Eutìmo ? E che fé il generoso, replicò Alberto, centra la cru- dele superstizione di lutto un popolo in terrore ? Ciò che far dee, soggiunse Guglielmo, chi ha pari al sen- no ed al cuore l'autorità. Entrato il locrese nel tem- pio il di medesimo, che dovea compiersi il sagrificio, tanto il vinse pietà dell'atterrita e vaghissima giova- notta già nuda il collo ed avvinta le mani presso al- l'altare, che levatosi animosissimo in mezzo a' mini- stri ed al popolo ( chi più di Eutìmo il poteva ?) e minacciando cogli atti, e colla voce tonando: « Fer- mate, gridò, e non sia chi si attenti di spargere una stilla di questo sangue ! » Accostatosi quindi alla ver- gine : « Non temere, le disse, o gentile : che tanta beltà non ti diedero i numi per esser guasta sotto un esecrato coltello. Giurami, se il vuoi, la tua fe- de ; e tu sarai mia. » Può bene immaginare ognu- no qual fosse la risposta della meschina, così da mor- te ricondottasi a vita ; ne solo a vita, anzi ad amo- re ed a nozze con un sì famoso. Sicché penetralo subito Eutìmo ne'segrcti del tempio, mandò poi voce d'esser venuto ivi a combattimento col malefico ge- nio del luogo, e d'averlo non pur vinto e prostrato, ma costretto a precipitarsi nel mare. Così a un di presso narra il fatto Pausania. A noi basti, che quel- l'empietà pel coraggio e pel senno d' Eutìmo cessò : il quale non solo ebbe al suo talamo la bella , ma usando in bene dell'umanità e della ragione la gloria sua, pervenne a sì venerata vecchiezza, che qual d'uo- mo divino si disse di lui, che senza essere stato so- praggiunto da morte erane volato all'Olimpo. 262 Letteratura Tornando però allo scultore veggino, vedetelo che col leonlino allato ancor si piace ne' ragionamenti del suo maestro e conci tladino Clearco: veterano illustre della scuola d'Euchiro in Corinto: al cui magistero è pur qui venuto a prestare ossequio il siracusano Mi- cone, famoso altresì nel ritrarre o di bronzo o di mar- mo gli atleti, ed artefice delle due statue, una delle quali equestre, che al secondo Geione dedicarono i grati fi- gliuoli in Olimpia. Intanto per quel boschetto, lutto va- go qua e là d'urne e di simulacri, va passeggiando Pa- sitele, altro decoro della Grecia italica, e ancor curioso di osservare le opere più preclare dell'arte, delle quali scrisse già i cinque libri che tanto lamentiamo perduti. Imperocché se preziosa stimasi, e meritamente, la no- tizia che Pausania ci dà delle cose più rare della Gre- cia ellenica, niun dica se anche di maggior pregio non sarebbeci l'altra che Pasitele avea composto di quel- le, secondo Plinio, di tutto il mondo conosciuto al- l'età di Pompeo. Tanto più ch'ove Pausania non fa che un dotto amatore di arti, l'italiano in vece fiorì tra' primi artisti del secolo, e valse soprattutto in opere eccellentissime d'oro e d'avorio, come facevano insi- gne fede anche all'età di Vespasiano la statua eburnea di Giove che ornava in Roma il sacrario de'Metelli. E Pasitele si è là soffermato innanzi all'effigie di Laide, che innalzala su candida base fa osservargli Turno : artefice che al nome, conservatoci da Taziano, non du- bito essere slato de' nostri. Allora nuovamente Alberto: Come mai un nobile artefice gitlar l'arte e l'onore a ritrarre una cortigiana! A cui Guglielmo : Deh cogli usi, disse, del tuo paese non agguagliare gli altrui, e soprattutto co'moderni gli antichi, anzi co'puri e santi di chi pregiasi di cristiano L'illustre Italia 268 quelli del paganesimo ! Nulla aveva di turpe fra'greci il far copia una libera donna della propria beltà : co- me a dire di ciò die quel popolo reputava essere il dono più sublime e celeste fatto a'mortali. Oh non ti sov- viene che Aspasia, dopo essere stata pubblicamente a' piaceri di Atene, n'andò, senz'alcun'onta dell'arbitro nobilissimo della nazione, al talamo di Pericle: e che Taide, in cui diletlossi (cantò Properzio) tutto il popolo d'Eritteo, sposò poi Tolomeo! Non ti sovviene che per non guastare tanta eccellente opera, quanta monstrava- si nelle membra di quella Frine, di cui fece Prassitele la famosissima statua posta nel tempio di Apollo in Delfo, i gravi eliasti al solo mirarne ignude le dilica- tezze del petto la rimandarono assoluta d'un capitale delitto ! Vero è che nell' istoria della siciliana Laide trovasi tuttavia, malgrado delle cure del Bayle , una gran confusione così di fatti, come di tempi. Due fu- rono, io risposi, le Laidi, celebrate ambedue ne'pia- ceri di Grecia. Confusele insieme Pausania : ma come l'uomo dottissimo non avvedersene, se l'una fu d'Ic- cara nella Sicilia , condotta poi fanciulla a Corinto ( dov' era il vasto mercato di questa merce ) al tempo della spedizione siciliana di Nicia nella novantesima prima olimpiade : e se 1' altra fu di Corinto stessa , figliuola di quella Damasandra che seguiva nelle bat- taglie Alcibiade ? Se l'una morì a'piè dell'ara di Ve- nere in Tessaglia, vittima della rabbia gelosa che le sue grazie inspirarono alle tessale donne : e 1' altra mancò sì attempata in Corinto, che più non ardiva mirarsi allo specchio, come graziosamente si ha nel- l'epigramma d'un poeta Platone ? Se dell'una vede- vasi il sepolcro sulle rive del Penco, dell' altra nel Craneo di Corinto ? E quale delle due , disse Fer- 264 Letter atura nancìo, siimi essere l'italiana ? Ed io : Seguendo la fede deU'Istorico più aulico che ne parlò, cioè di Po- lemone addotto da Ateneo, dirò esser quella certis- simamente che finì gli anni in Tessaglia : quella dì chi narrasi la festevole avventura col troppo vecchio scultore Mirone : quella in somma bellissima e gra- ziosissima se allra donna fu mai sulla terra, e sì gran delizia e maraviglia de' greci , che potè scriversi sul suo sepolcro : » Benché di forze e d' animo sia in- vitta la Grecia, nondimeno dalla beltà di Laide, fi- gliuola di Amore, fu vinta.» Oh piacemi, ripigliò Fer- nando, che non sia la nostra Laide colei, la quale da' corintii s'ebbe il sepolcro colla effigie della leonessa che te n casi fra le branche un caprone ! Ed io : E per- chè ? Perchè, rispose Fernando, non so qual simbolo più oltraggioso potesse idearsi a rappresentare la vo- racità insaziabile di quella femmina. Di nuovo io: Chi ha interpretato così quel simbolo, ha certo errato: non essendo possibile che i corintii abbiano voluto una tanta infamia non solo porre a grandi spese nel loro Craneo, ma sì a perenne vituperio improntare nella propiia moneta : perciocché una moneta di Corinto, data dal Visconti nell'iconogi^afia greca, recaci real- mente dall'un canto l'immagine di Laide, e dall'al- tro quel monumento. Se lecito mi fosse di esporre intorno a ciò un parer mio, direi che sì fatto sim- bolo, anziché svergognare Laide d'ingorda, e di ca- prone tutto il popolo di Corinto, è, come chiede ra- gione, alla cortigiana non che a'corintii onorevole. Per- chè io stimo essersi colla leena indicato, non l'avidità crudele del prezzo ch'olla a'suoi piaceri poneva, ma si la volontà che in essi, donna a Venere dilettissima, la spingea non senz'alcuna gencrosilà d'animo : cosa, se- L'illustre Italia 265 condo Plinio, reputala propria di quella nobile belva. E così stimo pur nel caprone fra le sue branche essersi significato il gran dono, che la famosa cittadina fece a'corintii di un farmaco contra il morso de'cani rab- biosi e le febbri terzane e quartane ; farmaco cb'ella, al dire di esso Plinio, soleva ijivolgere appunto nel- la pelle di un capron nero, perchè dovessero i ma^ lati recarlosi in dosso. VI. Ma di questo giudicheranno i più pratici eh' io non sono nelle cose dell' antichità greca. A noi giovi qui d'ammirare le invenzioni, colle quali segue il nostro caro artefice a dilettarci. Ed ecco veggo que' buoni, che dopo tanti secoli di orrenda barbarle, non solo risuscitarono fra noi la scultura, ma sì l'avvia- rono al vero e grande suo fine. Che può in un po- polo, comechè civilissimo, sclamò Fernando, la servitìi che gli viene dallo straniero ! Che tremendi esempi pur troppo n'hanno dato all'umana generazione l'Ita- lia e la Grecia ! Oh sì veramente Giove, come Ome- ro cantò, toglie la metà dell'intelligenza allo schia- vo ! Infatti appena gran parte d' Italia scosse il più esoso e pesante e iniquo de'gioghl, il tedesco di quel- l'età, e vincitrice con antica virtìi a Legnano ricac- ciò fra'natii geli e scogli la rabbia di quel Federico Barbarossa , che col vanissimo titolo d' una corona tolta di là dall'alpe, e da ninna volontà nostra (non datici, non conquistati ) impostagli sul capo, vaneg- giava crudelissimamente di far dell'Italia non solo una provincia germanica, ma un assoluto retaggio della sua casa; ecco i due piacentini fratelli Oberti gittare in bronzo le porte della basilica lateranense. Anzi ecco il pisano Bonanno, prima di loro, rilevar veramente l'ingegno italiano colle porte delle caltcdrali di Mon- 266 Letteratura reale e tli Pisa : e per esse dar animo al suo famose» conciltadino Niccola, perchè al lutto richiamasse gli artefici all'antica imitazione de'capolavori greci ed ita- lici, e loro mostrasse una nuova idea di vera sublimi- tà : facendosi così maggiore d'un'ignoranza, che pre- tendeva in ciò pure fuggir con orrore le cose paga- ne, e confondere la religione coll'arte. E Guglielmo : Perciò Niccola pisano siede quivi sul celebre bassori- lievo antico della Fedra, su cui principalmente stu- diò : ed ha seco il suo figliuolo Giovanni, che a te- slimonio dell'insigne progresso che fece l'arte, dopo la paterna restaurazione, a lui presenta il disegno dell* ammirabil sepolcro di Guido Tarlati operato in Arez- zo da'suoi scolari Agostino ed Angelo da Siena, che fìssi gli occhi allenlamente in Niccola, tengonsi rive- renti dietro all'amato loro maestro. Il qual disegno è pure osservato da Margarllone, ch'è ivi, ingegno non raen potente : ed in volto glie ne leggete la maraviglia, comechè avesse scolpito anch'egli in Arezzo con lode di quell'età la sepoltura di Gregorio X. Ponete mente però all'assai maggior frequenza che raccogliesi intor- no all'altro grande pisano Andrea : quasi ancora la signoria fiorentina cogli ambasciatori di Napoli e di Sicilia n'andasse solennemente a visitar le porte eh* egli operò al bel san Giovanni : lavoro che stupen- do al suo tempo, sarebbe anche stato unico di stu- dio, di nettezza e di grazia, se a togliere a tutti il grido deU'ecceUenza non fosse indi venuto il Ghiber- ti. Quegli a lui pili presso è il suo figliuolo Nino, cui ninno aveva ancora raggiunto nel trattare con ra- ra squisitezza le carni: quell'altro è Iacopo della Quer- cia : il terzo è Niccola d'Arezzo : il quarto è il giu- nlore Masaccio: quindi Giovanni Balducclo, TArnol- di, il Lanfrani e Gore da Siena. L'illustre Italia 267 Ma già s^aprono, io dissi, i grandissimi secoli : già l'arte s'alza gigante : nulla già veggo mancarle nel- la perfezione della bellezza e della sublimità. Non so- no quelle, 0 Guglielmo, l'eccelse presenze di Loren- zo Ghiberti, di Donatello, di Michelangelo ? Non è quegli ( e il cuor me ne batte per l'antica benevo- lenza ) non è quegli Antonio Canova ! Oh mi t'in- chino caramente e ti bacio le mani, uomo rarissimo, che l'arte stranissimamente depravata in tutta Euro- pa, in tutta Europa colla sola potenza del tuo in- gegno rialzasti per modo, che di nuovo si rabbellì ia un secolo d'oro ! Tu padre e maestro di tanta nobil famiglia, quanta è quella ch'oggi onoriamo de'più fa- mosi scultori delle nazioni, non che di questo som- mo triumvirato italiano del Finelli, del Tenerani e del Bartolini ! Ho posto, prosegui Guglielmo, poco lungi l'uno dall'altro questi quattro sovrani dell'arte : benché tan- ti, a dir vero, sono i preclari fra'noi, che appena sa- prebbe definirsi a quanti appartengasi il principato. Ma valga in ciò la più generale sentenza. Or da que- sto facciasi stima delle fortissime ale che hanno sem- pre avuto gl'ingegni italiani per alzarsi a gran volo, quando, fidati solo in se stessi, non sonosi lasciati da altri o trattenere 0 sviare ! Con Donatello è il Canova. Ed oh 1' affettuoso e lieto serrarsi di ma- no, che fra loro si fanno que'gentillssimi ! Certo al mondo non furono animi più somiglianti, non solo per dignità d'arte, non solo per amor patrio, ma sì per candida bontà di costumi : che grandissimi am- bedue, quegli nella grazia di Cosimo de'Medici e del- la repubblica fiorentina, questi nelle corti di Pio VII e di Napoleone, né abusarono mai il favor de'poten- 2^8 Letteratura ti, né se ne levarono in alcuna arroganza e super- bia. Ognun sa, disse Fernando, il candidissimo spirilo die informava il Canova: ma di non minor candore fa quello di Donatello : anzi fu tale, che avendo questo artefice insieme col Brunellesco concorso all'opera del- le porte di bronzo di s. Giovanni, tanta virtù ebbe, che col suo compagno andò a'consoli delle arti della mercatura a provar con ragioni, ch'eccellentissimi so- pra tutti essendo i disegni presentati dal Ghiberti , doveva loro perciò il Ghi^ìerti per ogni giustizia esse- re preferito. Quindi qual maraviglia che sì grande- mente fosse non dirò amato , ma quasi adorato dal popolo di Firenze, fino a negare all'armata volontà di Callo VILI la statua della Maddalena, che il re in- tendeva acquistare ad ogni gran prezzo ? Non volen- do la magnanimità fiorentina che di tanta ricchezza patria potesse andar fastoso a Parigi il rapace oppres- sore d'Italia. « Voi beati, sclama ivi Desiderio da Set- tignano a Nanni ed a Miehelozzo, voi beati che po- teste dal labbro stesso di Donatello essere ammae- strati ! Io non invidiai altra sorte ad alcuno : e nel morire sì giovane di ventotto anni non andavami per la mente, che quella grazia inestimabile di scarpello: e me ne sarei disperato, se non avessi, altro me stes- so, lasciato alle più fine dilicatezze dell'arte questo mio dolce discepolo Mino da Fiesole, che ne pur qui m'abbandona. » Le quali parole udendo Luca della Robbia, voltosi a'due Rossellini, a Benedetto da Ma- iano ed al Civitali : « Né io, dice, di altra cosa fui maggiormente lieto a'miei anni { non della stessa per- fezione che diedi alla plastica), che d'essere slimato degno di operare a concorrenza con Donatello m santa Maria del Fiore. » L'illustre Italia 269 Ma ecco ecco il Glùberli, a cui si fa incontro, deposta quella sua terri])ile severità , Michelangelo Buonarroti : « E, salve, gli dice, o portentoso, le cui porte di san Giovanni meriterebbero anzi d'essere in paradiso. » FaI io : Così appunto, secondo il Vasa- ri, usava coir enfasi dell' aauniiazione Michelangelo celebrare la stupendissima opera. A tanta lode , a tanto affetto, continuò Guglielmo, bel sentimento di gratitudine vedete in volto al Ghiberti : e vedete in- sieme allegrezza ne' due Pollaiuoli , e più in i\.n- drea del Verrocchio così favorito supremamente dal- la fortuna, che dalla sua scuola uscirono a maravi- gliar la pittura Leonardo ed il Perugino, Michelan- gelo la scultura. Veramente niun più di lui potreb- be andare orgoglioso, se pari al magistero non fos- se sfato in SI nobile artefice la modestia : modestia da te soprattutto conosciuta , o Alessandro Leopar- di, che si affettuoso gli stringi la destra ; da te, che fusagli la statua equestre di Bartolomeo Golleoni in Ve- nezia, aggiungesti poi, essendo mancato Andrea, alla insigne opera quel piedistallo di quasi unica eccel- lenza, « Venite venite, sono qui il Giberli ed il Buo- narroti ! » grida infanto così levato su' pie ed alzata la mano Alfonso Lombardi, bello come vi appare della persona, e leggiadramente vestito, e ornato d'oro il col- lo e le braccia : e mirale già subito accorrere il Del- la Porta, il Piustici, i due da Montelupo, Andrea da Fiesole e Vinnenzo Danti. Fra' quali però la figura che più sembra sollecita di trarsi presso al Ghiberti è il padovano Andrea Riccio , il Lisippo de' bronzi veneziani, come chiamalo il Gicognara : artista prin- cipalmente sommo del candelabro che adorna in Pa- dova la chiesa di s, Antonio, e del mausoleo de'Tor- 270 Letteratura riaiìi dalla gallica rapacità disertato ia Verona. « E t\i a che rimani, dice il Montorsoli al Torriglano ? Sti- rai forse che ancora nell'alto animo del mìo Miche- langelo viva alcun'ira della fierezza con cui l'offen- desti nella tua gioventù ? Abbi anzi di vederlo com- passionare la troppo indegna fine che ti si minaccia- va, e che fortissimo prevenisti in quella Spagna, già emula della scitica Tauride, benché onorala l'avessi di tante illustri opere della tua mano! « Oh perchè, sospirando parla ivi slesso Benedetto da Rovezzano, perchè non posso andar io ! Che povero cieco deb- bo sedermi su questa pietra , maledicendo ancora la soldatesca licenza che nelle battaglie combattute sotto Firenze tra la libertà e la tirannide ( ahi funestissi- mo mille cinquecento trenta ! ) devastò e disperse la maggior fattura del mio scarpello, il monumento di san Giovanni Gualberto, ond'io sperava emulare i piìi gran- di e vivei^e famoso ne'secoli. E si che dieci anni vi avea lavorato ! « Buon vecchio (rispondegli però consolan- dolo Nicolò il Tribolo), se a le fu molesto quel far di vandali, puoi ben pensare quanto se ne dolessero non men Firenze che tutta Italia. Ma godi che di tanta tua opera vive ancora bellissima la memoria, e tale n'hai fama, che piìi grande non suona pel ma- gnifico sepolcro da te in Inghilterra innalzato ad Ar- rigo Vili. » Accoglienza poi tenerissima fa il Cantucci a Ia- copo Sansovino , cui tanto amò ed ebbe quasi qual figlio. Né minor la si fanno fra loro Girolamo. Lom- bardo ed Alessandro Vittoria , che già qui non po- teano mancare, onor chiarissimo l' uno della scuola del Conlucci, l'altro di quella di Iacopo. Ma un cla- moroso contrasto arde più oltre: perchè Benvenuto L'illustre Italia 271 Cellini, sempre avversissimo al BanJlnelli, fra le ol- ire cose lo accusa d'avere invidiata così la gloria del Buonarroti, che per fino siasi condotto a fare in bra- ni e disperdere rincomparabll cartone della guerra di Pisa, su cui Innlo studiò Raffaello. Della quale atro- ce iinpulazione caldissimamente risenlesl il Bandlnel-" li : e con proteste e ragioni adoprasi di smentirla. Ma invano : cliè il torvo Cellini con quell'aspetto di bra- vo non ode discolpa : anzi dispostosi in alto non men fiero che risoluto ( perdio sì aspri costumi in uomo sì grande ! ) temereste che ornai si spingesse ad alcu- na delle solite sue violenze , se prudenti scolari di Baccio non si frapponessero Bartolomeo Ammannati e Giovanni dall'Opera. E già traggono al romore, co- mechè la cagione n'ignorino, i sì lodati lombardi Cri- stoforo Solari, Andrea Fusinn , Francesco Brambilla e Iacopo da Tradale : mentre Agostino Busti, deno- minato il Bambaia , strettosi col Clemente ricercalo se sa notizia dell'avello da lui operato in Milano per Gaston di Foix. « Certo la so, gli risponde il reggia- no : perciocché racquistata avendo Francesco Sforza la signoria, ed essendo nuovamente di là dall'alpe cacciate le armi francesi, si rispettarono sì le ossa di colui che si barbaramente aveaci e taglieggiati ed oppressi, ma non si volle die sovr'esse ad insulto della nazione sorges- se tanta pompa di monumento. » Oli sempre, o pa- tria, abbi quest'alterezza ! dicono ascoltandolo, orna- mento delle arti napoletane, Marliano da Nola e Gi- rolamo Santacroce. Sempre suprema cosa ti sia la tua dignità ! Che non può una nazione disperarsi dell'av- venire, finche viva in petto a'suoi figli un sentimento generoso che faccia fremerli al solo nome di chi la vituperi o la calpesti. » Sii però contento che ciò non 2172 Letteratura toccali, o Paolo Ponzio : benché ito in Francia (co- me ivi egli narra a Girolamo Campagna), chiamatovi a rifiorirla tu pure della gentilezza italiana, vi operasti in marmo i sepolcri di Luigi XII e d'Anna di Bretagna sua moglie. Se non che quanti, o Pietro Lombardo, non invidiano piuttosto alla tua ventura ! Che fosti prescelto a coprir co' tuoi marmi le ceneri di Dante Alighieri ! Qui pure una donna? lo interruppe Alberto ma- ravigliando, E Guglielmo : Qui pure una donna : e qual donna ! Properzia de'Rossi, grandissimo miracolo della natura, com'esaltolla il Vasari , e come più la celebrano le sue opere. Del corpo bellissima, eccelsa dell'animo, tutto fiorivale intorno, la giovanezza prin- cipalmente e la gloria. Ahi tu solo, tiranno Amore, le fosti sì crudo, che nella primavera degli anni ce la rapisti ! Assisa ella sotto il bel mirto, sta i suoi casi narrando a Nicolò dell'Arca e all'AIgardi suoi bo- lognesi, che mal sanno frenar le lagrime : mestissimi anche pendendo dall'amoroso labbro Taddeo Landinl, il graziosissimo che operò in Roma la fontana delle tartaruglie : e quello Stefano Maderno, tanto superio- re al suo secolo e vicino ai sovrani dell'arte, quanto il mostra, parimente in Roma, la sua statua di santa Cecilia. Chiudesi in fine la schiera degli scultori con Gui- do Mazzoni, che fra se e il Caradosso e il Branda- no tolto in mezzo Antonio Begarelli, il piìi solenne de'plastici : « Sovvengati per tua ed italiana gloria, gli dice, che male il gran Buonarroti augurava delle an- tiche statue, se la tua creta fosse divenula marmo.» VII. Se terza fra le arti belle qui vedete l'ar- chitettura, già non crediate, amici, ch'io l'abbia per L'iM.usTiiE Italia ^jS meno illustre o gentile delle due altre sorelle. No, ella in tutto le agguaglia: quando di utilità non vo- glia dirsi anzi maggiore. Ed anche in questo senno ed ingegno chi può vantarsi di averci avanzato ? Su- premi furono i greci, siccome in tutte cose, così an- che in archilei lura ; ma già non cedettero loro i ro- mani, se il giudizio di Vitruvio non erra nel proe- mio del libro setlimo. E prima de'romani ebbero fa- moso nome gli etrusci, che pure d'un loro online ar- ricchirono l'arte. E chi poi de'moderni pareggiò mai nella ragione, nella maestà, nella grazia i nostri del cinquecento ? Ne sia chi ciò dica vanità di nazione: anzi è nobile alterezza, che da virtù derivando , da virtù pure non si scompagna: e piace a'generosi, ed esaltasi dal venosino. Chi alzò in Agrigento lo stupendo tempio di Giove olimpico, grand'emulo di quello d'E- lide ? Chi murò a Siracusa ed a Pesto ? Chi a Ro- ma il Pantheon, e tanta magnificenza e di templi, e di circhi, e di basiiiclie , e di archi, e di ponti, e di acquedotti, vincitori de'secoli: e quelle terme co- strutte, direbbe Ammiano, anzi a modo di provin- cie che di città ? Chi tanti teatri, i più sontuosi di tutto il mondo, non che della Grecia, come attoni- to scrive Pausanla ? E farei la domanda medesima per 1' anfiteatro flavio , se non fosse che 1' autorità d'un'antica lapide, come sapete, sembra attribuirlo al martire cristiano Gaudenzio. Non è tuttavia die di que' vecchi non ci ri- mangano ancora parecchi nomi gloriosi. Sapete chi sono que' due, che insieme si spaziano per l'erbosa pianura ? Sono Iperbio ed Agrola siciliani, che a Ci- mone ( testimonio Pausania ) circondarono di mura la cittadella di Atene. Sapete pure chi sono quegli G.A.T.XCVIl. ,8 374 Letteratura altri tre che lor vengono appresso ? L'uno è Cossu- zio, che con arie rarissima dit; compimento in Ate- ne, chiamatolo a tanta opera Antioco il grande, al tempio di Giove Olimpico, lasciato imperfetto fin da quando morì Pisistrato : e ne' tre che seco vanno del pari ravvisate Antonino, senator romano, che archi~ tettò in Epldauro il tempio dedicato a tutti gC id-. dii, non che gli altri di Apolla, della Sanità, e di JbiSCulapio co' suoi celebri bagni : indi Marco Stal- lio e Caio Muzio, i quali pute in Atene riedificaro- no ( munificenza di Ariobarzane Filopatore re della Cappadocia) l'odeo già fondalo da Pericle , e sciagura- tamente fatto una mina nell'as-sedio che Siila pose alla grande città: sicché coU'italiano ingegno ripararono essi il danna dell'italiano valore. Ma Caio Muzio non vuol anche dimenticata la gloria d'avere archiiiHtaio in Roma un tempio all'Onore. Come uno però de massi- mi padri osservate indi il canuto, che in mezzo ad una corona di altri artefici pare aprir loro tutti i tesori delle arti nostre al sei:alo d'Augusto. Egli è il gran Vi- truvio Pollione. La forza del tempo, che rovesciò a terra r distrusse in Fano la sua superba basilica, non ar- di offendere la sapienza r gravità de'suoi scritti daU la fortuna delle arti serbati a più alti destini. Co- me attenti lo ascoltano Mustio, Caio Postumio, Mar- co Artorio, Publio Numisio ! E se riverenza di tan- to uomo noi trattenesse, non vi sembra che l'altro Vitruvio, cognominato Cerdune, mostrerebbegli volen- tieri il disegno ( e l'ha in mano ) dell'arco dei Ca- vi in Verona ? Né in Valerio d'Ostia sarebbe, come ho cercalo di mostrare, minor volontà d'avere il giu- dizio suo sull' invenzione di coprire gli anfiteatri , che tanto il rese fra i romani benemerito e illustre. L'illustre Italia 27S E tu, Caio Cocceio Aucto, diss'io, sei forse con queU l'alio per dichiarargli alcuna delle più insigni opere che ti affidò il magnanimo Agrippa, di chi fosli li- berto ? E sì clie tra esse è il Pantheon, di cui tut- tavia ignoriamo l'artefice, e il traforo che presso Na- poli facesti della montagna chiamata oggi la grotta di Pozzuoli? Né, Guglielmo, m'ingannerò sul no- me di quei tre, che d'alquante tavole disegnale fan- no mostra e piacere sull'ampia base di marmo ch'è sotto il platano : perciocché il primo dalla man de- stra è Rabirio ( e come non riconoscerlo all'epigram- ma di Marziale, che in quel ragionare gli è inavver- tentemente caduto a' piedi ? )j e gli altri dalla sini- stra non possono essere che Severo e Celere. E che ? S'applaudono forse delle fabbriche immense e dovi- ziosissime che per loro magistero sorsero in Roma, architettando Severo e Celere la casa aurea di Ne- rone , e Rabirio il palazzo di Domiziano sul pala- tino ? Male non ti apprtsil , soggiunse Guglielmo : son dessi, e di quelle opere insieme ragionano. Qui Alberto non vedendo più altri , che alla foggia del vestire gli ricordassero l'età greca e lati- na , rivoltosi come pochissimo soddisfatto al pitto- re : E così, disse, così ha fine la schiera de' nostri architetti che precedettero la restaurazione ? Cosi ha fine, ripigliò Guglielmo: ne altro ci danno le anti- che memorie. Pochi nomi pur troppo ! Ma tali che ben possiamo gloriarcene , eziandio per la fede che ci fanno d'avere un giorno la stessa Atene , fioren- do maggiormente le arti sue, ammirato nei più splen- didi edifizi della città V italiana eleganza. Famosi e grandi in que' secoli , che gareggiammo colla greca sublimità, non meno il fummo però nella nuova ci- 276 Letteratura villa de' popoli: e i nomi de' nostri sommi , che in otto secoli riianno illuslrala , vivranno , come è a credere per virtù della slampa, finché la terra starà. Ma prima di mostrarvi quelli fra loro j che 1' arte moderna fecero Vera emula dell'antica, vorremo es- ser cortesi con questi che riuniti insieme vi addito, buonissimi vecchi che incominciarono l'egregia ope- ra: Buschelto cioè, Diotisiilvi, Buono , Faccio , La- po, e principalmente quell'Arnolfo ch'è ivi con Pie- tro di Cozzo facendosi slupore dell'arditissimo inge- gno, onde il valente innalzò a' padovani la [)iù vasta sala che sappiasi in tutta la terra. Ne dimenticheremo» benché stiasi così solo in quel canto, il romano Cas- sandro che nel secolo undecime recò pure la cele- brità delle nostre arti in Ispagna, essendo stato un dei due principali architetti che il re Alfonso VI cbia- mò a riedificare la città di Avila distrutta da' mori. E già vedete verso loro avviarsi l'Orgagna, che toh tosi per mano Filippo Calendario va intanto conso- landolo della trista mercè ch'egli ottenne d'aver de- corata Venezia della piazza di san Marco e del du- c!\\e palazzo: perciocché dovette sciaguratissimo sod- disfare della sua vita al rigor delle leggi, essendosi congiurato più per affetto al suo benefattore, die per odio agli ordini della patria, col doge Marino Faliero. Sì, amici, siamo con quella vecchiezza cortesi, co- me vuol gentilezza, anzi dovere di gratitudine: ma il grandissimo ossequio sia riserhato da noi soprattutto per Filippo di ser Brunellesco, che veramente cessò la barbarie invocando l'arte alla sublime ragione greca e romana e mondandola d'ogni avanzo di gotica e lon- gobarda bruttura. Increspò Alberto la fronte a questa sentenza, e L'illustre Italia 277 voltosl airimmagine del fior(!nliin), quasi più non vo- lesse aver quislione con alcuno di noi : a Te t'elice, gridò, Brunellesco, se inteso alla sola architeltura ci- vile, avessi così lasciato la religiosa come fu ne'se- coli eminentemente cristiani del medio evo ! Bieca- mente e con un crollar di capo guaidollo Fernando: E deh, disse, non seguir oltre : che già troppo ci ha infastidito questo esaltar continuo la ruggine d' una età di vergogna ! Ma e che ? replicò Alberio : vorrai forse negarmi, che l'archil «altura così detta gotica non eia meglio cristiana di ogni altr' aulica ? Vorrai ne- garmi che tutte le sue membra non tendano mirabil- mente in su, quasi volessero spingersi verso il cielo? Allora io: Riconosco il misticismo alemanno: la più folle cosa che possa cadere in mente ad un uomo, il quale non sia tedesco. Ma noi a tali miserie non av- viliremo il pensiero augusto della religione. Può darsi infatti maggior miseria di questa, che per ciò solo che un'architettura colle aguzze sue membra tende in su, ella sia subito degna di Dio, come se tutti i lati del- l'essere non siano ugualmente abbracciati e compresi dairimmensltà dell'Altissimo ? Degno non fu duncjue di Dio il tempio di Gerusalemme , santificalo dalla stessa parola della sua lode : degno, dissi, non fu di Dio, perchè niente vi si trovava di aguzzo, né le fi- nestre e le porte avevano il sesto acuto , e quindi sventuratamente non tendevano in su ? Oh volgo de- gli uomini, vorrai essere sempre volgo ! Quell'archi- tettura, a cui gli avi nostri imposero il nome di go- tica solo per infamarla d'una estrema barbarie, quel- l'architettura, 0 Alberto, non ebbe origine da niun pensiero di religione. Ella non fu che la necessità di un popolo, il quale uscendo delle sue tane e capan- 2^8 Letteratura ne senlì la prima volta il bisogno di un più pulito e solido fabbricare t né avendo alcuna scienza di ma- lematiche proporzioni , ne altra idea che delle natie foreste, da queste senz'altro studio prese norma a'suoi edifizi. Perciò indistintamente servì all' uso così de templi , come delle ahi Iasioni : ed anche servita sa- rebbe a'teatri, se non fossero state morte a lauta roz- zezza le arti gentili di Sofocle e di Epicarmo. Ma dato pure che l'architettura gotica fosse stala ( co- me certo non fu ) cosa particolarmente cristiana ilel- l'efà di mezzo : e che ? La religione di Gesìl Cristo nacque forse in quel tempo ? [Sacque forse nella Ger- mania ? Non è anzi temerità, non è intollerabile ir- riverenza, mandarci ad apprendere in ogni altro luogo il modo dì onorar degnamente nelle sue chiese la re- ligione, eccetto là dove è la sede antica e venerabile del cristianesimo ? Voi traviaste dunque, o pontefici d'ogni secolo, voi obliaste la maestà delia fede, quan- do queste nobilissime basiliche e questi splendidi tem- pli consecraste al culto del Dio vivente ! Quando pen- saste che niente meglio si convenisse all'autore della lagione, che l'opera appunto più ragionevole, la quale uscisse giammai dalla sapienza e dalla mano dell'uo- mo, l'architettura greca e romana ! Quando non cre- deste in fine che 1' arte del fabbricare cristiano do- vesse dal Signore esserci imposta ne'giorni della mag- gior ira sua ! Or eccovi una setta di stanchi d'esser civili non vergognarsi gridare, eh' ella sa più di voi provvedere all'onor degli altari ! E vuole che non pur lutto superstiziosamente si volga colle punte in su, ma che il luogo stesso, ove adorasi il Dio della glo- ria, non debba porgersi a'nostri sjj;uardi, se non te- tro ed oscuro : quasiché alla riverenza del nostro ere- i L'iLLUSTPxE Italia a^g aere sìeno mestieri i tremenJi aiuii, con che alla celtica franile soccorrevano i druidi fra gli orrori delle loro bo- scaglie ! Quasiché nel carro della notte, e non anzi nel sole, l'Onnipossente abbia posto il suo padiglio- ne ! Oh certo non riciùedevasi che un orrido pen- siero settentrionale a far della religione una tenebra e una tristezza, anziché un lume e una letizia dell' anima ! Come altresì non potrebbe che una crudele forsennatezza osar dire all'Italia t « Se non fossi slata corsa da'barbari, e tutta mi;ssa al ferro, al fuoco ed al disonore, non avresti tu cosa d'arte da glorificare il Signore della bontà. » Anch'io, disse Alberto, converrei forse teco in questa sentenza ! Ma qual nome darai finalmente ad un'architettura , che pur non è dubbio essere sfata la delizia de'secoli di mezzo ? A ciò risponda, io sog- giunsi, questo egregio artefice che abbiamo al fianco. E Guglielmo: A me pare doversi, quanto a' templi , chiamare un tristo avanzo de'ferrori di Odino : e ge- neralmente un'ammanierata sottilità di opere, una ir- ragionevole bizzarria, nata solo dall'ignoranza del bel- lo, e pro[)riissima ad allettare colla pomposità de'la- vori, anziché coH'eleganza e maestà delle proporzioni, la stupida ammirazione de'barbari. Ella è la ragione in sonjma del tempo alla ragione piìi avverso : e quin- di cosa da vergognarsene ( non men che di questo ludibrio novello del rococò ) una grave e gentile na- zione che pregiasi della dignità del pensiero. Bello tut- tavia, riprese sospirando Alberto , bello quel duomo de' milanesi, e da maravigliare chi'l vede ! E a lui di nuovo Guglielmo t Bello sì ( come il Milizia dice- va ) (! quel monte traforato di marmi e di altre ma- terie, condotte dispendiosamente da lungi, e poste 1' 280 LETTEnATTjRA una sopra l'altra senza gusto ed alla confusa ! » A tali novità mostruose non andò preso ceilainente il nobilissimo animo del Brunelleseo : che anzi * n Ces- si ( ivi favella ) cessi fra noi tanta ignominia bai Ca- rica, e tornisi pur una volta all'antica civiltà italia- na. Non abbiamo noi arti proprie ? Siamo sorti forse teste della gleba, o usciti del bosco , che dobbiamo slimar quasi grazia d'apprendere a fabbricarci e tem- pli ed abitazioni dal primo lurco scesoci dalle alpi ? » Le quali parole sono gran fiamma al cuore di Giu- lian da Maiano, di fra Giocondo, del Pintelli, del (Pecione, del Bramanlino, del (Cronaca, accorsi a udir ragionare quella sapienza : e soprattutto del fiorenti- no Viiruvio, intendo dire Leon Batista Alberti, a cui die natura troppo alto ingegno per inchinarsi ad al- cuna servitù forestiera. Chi al pari in fatti di lui an- dò colla filosofia dell'arte interrogando il senno de'se- coli in mezzo le ruine stesse di Roma, di qiiesta Ro- ma il cui ultimo sasso vai meglio, e più parla ad un generoso animo, che qualunque altra maggior gran- dezza del mondo ? Oh se sapesse, diss'io, il doltissi- 1,10 artista quale usurpazione gli ha fatto T inglese Hook ! E quale, domandò Fernando ? Quella, io ri- sposi, dell'istrumento ch'egli il primo trovò per rai- surari* la profondità dell'oceano, e ch'è noto col no- me di bolide albertiana. E Guglielmo : Di questa usur- pazione parlavagli or ora Luigi Gagnola: venuto ivi, chiarissimo postero, a far lieto l'amor patrio di que'va- lenli colle novelle che dar può veramente lietissime dell'arte moderna in Italia, secondo che ben dimostrano tante opere classiche che in ogni parte della bella con- trada sorgono tutto dì ad attestare l'eccellente magiste- ro non che la gentilezza della nazione. E perchè n'ab- L'illustre Italia 281 binno innanzi agli occhi un esempio, ha recato loro il modello, e poslolo sur una base, deU'arco suo dei- la Pace in Milano : e vedetene approvazione negli atti e n;3'volli così di Bramante, come dei due da San Gallo, di Girolamo Genga, ed insieme di Baldessar Peruzzi che ad ammirarlo ha chiamalo anche il suo caro discepolo Serlio. E tu non vi accori, gridò Fernando, 0 rarissimo da Vignola ? E pure qual diletto non li sarebbe, gran savio che fosti nelle antiche dottrine , il vedere si splendidamente rivivere nel secolo decimonono quel- l'antica ragione, maestà e grazia di architettura J Dov' è, dov'è, io chiesi , il Barozzio ? A che Guglielmo : Il Barozzio col suo Giacomo della Porla è lutto in- teso al Tressini e al Quarenghi : l'uno de'quali, ar- chitetto di Pietro il grande , fece al potentissimo il palazzo imperiale e la chiesa metropolitana di Pie- troburgo : l'altro, chiamato da Caterina II, meiitò d' essere interprete ed esecutore de' pensieri magnanimi di quella donna, perchè dovesse in fine cessare al tut- to, anche negli edifìci della grande città, l'orridezza scitica de'suoi russi. ]Non vedete che il Tressini pre- sentagli un libro? E sì ch'egli lietamente l'accoglie! E desso il celebratissimo del Barozzio medesimo su- gli ordini dell'architettura, voltato da Pietro il gran- de nell'idioma russo. Or qua levate lo sguardo ad un altro grandissimo se mai ve ne fu sulla terra : a colui che i britanni chiamano il Newton dell'architettura: ad Andrea Pal- ladio. Onorate qui pure l'altezza dell'animo suo, non che la piacevolezza, la cortesia, la modestia. Ed altro anch' egli non grida, che l'assiduo studio dell'antico greco e romano, e la pratica soprattutto de'vitruviani 2B2 Letteratura precelti: non essendo stato raen degli nitri sommi ita- liani avversissimo alle deformila dell'ediilcare tedesco. Ma qui è in allo d' essersi già mosso ad accogliere il suo concittadino Scamoz2i con tanta maggiore be- nignità di viso e di ariimo , quanto che questi non si tenne alcuna volta di offendere la memoria di lui. Come però due sì grandi potrebbero non pregiarsi l'un r altro ? In fatti non minore è l'affetto con die lo Scamozzi si fa innanzi ad Andrea: cui l'udreste pur salutare (se potessi dipingere la parola) col titolo di padre e di principe. Tenerissimo incontro : ad osser» vare il quale son fisi l'Alessi e il Pennone, intermes- so avendo per ora il narrarsi a vicenda ciò che opera- rono di più gentile ad abbellire la città capo della Liguria é né meno amorevolmente vi hanno l'occhio il Falconetto, il Ligorio, il Tibaldi, e quel Giovanni da Ponte, il cui disegno por l'ardita opera di Rialto fu dalla signoria veneta (vanto magnifico di qualun- que più insigne artefice ) anteposto a quegli stessi dei due massimi vicentini. Sono in ultimo Domenico Fontana, il Bernini ed il Vanvitelli. In ogni scienza ed arie, allor disse Afoerlo, ho veduto Irà queste tue invenzioni qual- che gentile sembianza di donna: ma ninna, per quan- to guardi, ne veggo neirarchitettura. Ne io l'ho tro- vata, rispose Guglielmo: salvo ciò che il francese De- Lorme ci narra d'una eccelsa regina, di Caterina de' Medici , cui egli attribuisce la lode d' essere stata il vero architetto del palazzo delle Tuillerie. Un luogo anche dovevasi, e degno , ad alcuni de'più celebrati che fra noi scrissero delle tre arti. E perciò con Fussizio, che fra'romani fu primo a com- porre un libro intorno all'architettura, vedete Publio L'iLvosTRE Italia aBS SiMtlmio, i cui scrini loda Vitruvio : e con essi, au- stera compagnia, il LodoU ed il Milizia. Né mi sono passato del Lomazio e dell' Armenini : i quati4io rap^ presentato seduti sul margine di quella fonte, curiosi d'intendere le varie quistìoni che l'un l'altro si fanno, quinci Raffaello Borghinl, il Baldinucci, il Delia-Val- le, il Temanza; quindi con certa pompa di favella- re, come furono facondissimi, il Vasari ed il Cico- gnara. Quando piacerà, egregi, alla provvidenza, qui avrete un giorno con voi anche Giovanni Rosini, Lui- gi Canina e Domenico lo Faso duca di Serradifalco. Vili. Sono stato in forse alcun tempo se dovessi qui porre o altrove i professori più eccellenti di mu- sica i perciocché ben sapete che alcuni greci innal- zarono la bellissima fin sopra la sfessa filosofia, altri* huendole dì esercitare ne'coslumi dell' uman genere un dominio più soave insieme e più efficace : e Pla- tone le die il primo seggio fra le arti tutte che di* Consi liberali. D' altra parte l' odierno uso la pone dopo quelle del disegno, le quali hanno del pari nel- la filosofia il lor fondamento , e fanno di un puro e sapiente diletto la perfezione della felicità. A quest' uso mi sono in fine conformato anch'io. Né saravvi^ disse Fernando, chi forse te ne riprenda. Ma credi ta che gli antichi italiani agguagliassero in eccellenza i moderni ? Non saprei affermarlo, ripigliò Guglielmo: ti basti solo che ce ne fiorirono di famosissimi an- che nell'età più remota • né direi eh' avesse mutalo mai condizione così la soavità di questo clima, come la gentilezza di questi animi. Certa cosa è che il ta- rantino Nicocle, il cui sepolcro sorgeva, secondo Pau- sania, nel borgo de'lacidi in Atene, avea per la mae- stria del sonare (ed erano allora i musici esecutori 2o4 LeTTT. RATÙ nA insieme e compositori ) quella suprema fama fra*gre- ci, ch'ebbero negli uUimi anni in Euiopa il Gorelli, il Tari ini, il Yiotti, il Paganini: e che Micia agri- gentino , Archia ibleo ed Eunomo locrese meritaro- no, per uguale sublimità d'arte, d' essere coronati i due primi ne'giuochi olimpici, ed il terzo ne'pitici. E Nicocle appunto ed Archia ed Eunomo sono là co- loro, vivacissime immagini, che fra i mirti e gli al- lori porgonsi attenti all'agrigentino, il quale non sen- za certa generosa alterezza legge loro la splendida ode, con cui Pindaro celebrò la vittoria di lui in Olim- pia. Preclarissimo premio, che forse pareggiò quello della corona ! Del quale però il gran tebano fu co'no- stri sì largo, che ben possiamo andarne gloriosi : per- ciocché fra le quarantacinque odi, che di quella mu- sa altissima ci rimangono , diciassette cantano de- gli italiani, che ne' quattro sommi giuochi del valor greco levarono in tanlo grido a'suoi anni le città di Siracusa, d'imera, d'Etna, d'Agrigento, di Locri, di Camarina. Or poni, gridò Fernando, poni anche que- sto, o Italia, fra'tuoi vanti piia nobili. Ma ond'é che mi sembra non curarsi ne di Mida né de' versi di Pindaro colui, che sì corrucciato in volto s'è là ri- dotto sulla dipinta riva del fiumicello, e già s'appres- ta a toccar le corde della sua cetra? A cui Gugliel- mo : Non so come avrei potuto in altro modo rap- presentare il gran pittagorico Clinla, di chi si nar- ra che nel sentirsi comraovere ad ira, recavasi in ma- no incontanente la cetra, e con quella dolcezza, di- ceva egli, l'animo suo racchetava. Ed ora ap[)unto ha mestieri di tanlo schermo : che trovandosi teste con Platone, il quale arder voleva ( come afferma Laer- j zio) i comentari di Democrito, a lungo ha contrastato L'illustre Italia 285 coU'ateniese filosofo per suivare dalle fiamme que'libii famosi. Laonde niun osa in questo istante svagarlo: e sì con ammirazione della sua sapienza il riguardano Eraelito da Taranto e Dionigi da Eraclea, ch'iti con Alessandro all'impresa di Persia, l'uno toccò di ce- tra, l'altro cantò ( è Ateneo che il racconta ) nelle pompe di Susa per le nozze dell'invittissimo conqui- statore : a'quali s'è aggiunto altresì Claudio Fiacco, che fece a' romani così gradir la sua musica delle commedie di Terenzio. Ponete poi mente al celebralo autor del micro- logo , a colui che il primo pose le fondamenta alla scienza del contrappunto, al monaco pomposiano Gui- do d' Arezzo. Perchè la ragione della presente ope- ra non mi ha pur dato di ritrarre , fra quegli anti- chissimi e Guido, i due che supremamente giovarono a preservare la greca ed italiana musica dalle estreme onte della barbarie, cioè i grandi Ambrosio e Gre- gorio ? Ma se qui non sono gl'incliti eroi del cielo, osse ivate però i due romani valentissimi che dal pon- tefice Adriano furono conceduti alle istanze di Car- lo magno perchè dirozzassero nel canto la Francia. E sleso il dito c'indicò sotto l'ombra di una rovere sì Benedetto fondatore della scuola di Soissons, e sì Teo- doro che abbellì quella di Metz. Può ben credersi con qual piacere noi ammiravamo l'antica bontà che tralucea da quelle sembianze, e l'abito del secolo ot- tavo onde i due onorandi clierici si vestivano: quan- do rivolto all'artista : Or dunque , disse Fernando , più antico assai che pensato non mi sarei è il ma- gistero dell'Italia nella musica de' francesi. Percioc- ché anche a'di nostri ciò che v'ha d'armonia in riva alla Senna è opera d'un grande italiano, di Luigi Che- 386 Letteratura rubini. Anzi perchè non dici, io soggiunsi, ch'^opera pure d'un nostro, cioè di Giambatisia LuUi, fu (juan- ta n'ebbe il secolo di Luigi XIV ? Oltreché noi soli recammo loro il dramma in musica, noi soli di tanta maraviglia ritrovalorì ; essendo cosa isiotica che il car- dinal Mazzarino, allorché governava quel regno, fu il primo che facesse rappresentare a Parigi nel mil- leseicento quarantacinque la Finta pazza del Sacrati» Non saprebbe tuttavia negarsi ( chi vuol esser sin- cero) che a tante cure italiane non ha la musica cor- risposto in Francia così lietamente , come in altri paesi d'Europa, ed in modo supremo nella Germania: sicché malgrado del molto presumere di quel popolo» esso cosi nella scienza come nell' arie del canto è ancor degli ultimi fra'civili. Seguono Marchetto da Padova ed Anselmo da Parma ; co'quali , nobilmente altero d' esser vissuto carissimo all'Alighieri, va del pari Casella. Poc'oltre è l'immortale Pierluigi da Paleslrina, il maggior lume dulia musica sacra in Europa r e mirale il diletto , onde legge uno de' volumi che della sua scienza e di lui ha scritto dottissimamente questo vivente ono- re di Roma e d'Italia Giuseppe Baini. Né potrebbe- ro dal rarissimo scompagnarsi gli altri che sono più ì in fama ( come ritrarli tutti ? ) d'avere nelle salmo-, die religiose, per quanta è dato a'mortali, elevate per dolcezza e maestà le cristiane menti all'angelico » Canto che tanto vince nostre muse» » Nostre sirene, in quelle dolci tube, )) Quanto primo splendor quel ch'e'rifuse. Più pressa però vuol ragione che stiagli Gregorio AU L'illustre Italia aOj legrì , a cui Urbano Vili commise di curar degiiii- luentc, romana gloria, la stain|u-i delle opere del grau maesiro : benché degni ugual luen le ne siano ed il Boi% roni ed il Gesù e quel Carissimi, veccliio di novan- tanove anni, che appoggialo coli' una mano al brac- cio del Perù, scopresi coll'allra per ossequio il capo all'aspetto del prenestino, INon riconoscete poi Ales- sandro Scarlalti ? Al quale il Uuranle con familiari- tà di discepolo avvicinandosi : « Questi è, dice, que-- sii è uno de'maggiori miracoli dell'umana armonia» l'impareggiabile che ci die lo Stabat^ il mio Pergo- lese ! » E presolo per mano vuol trarlo innanzi. Ma il modestissimo giovane a ciò ripugnando : « Non me, grida, ma piuttosto ammirisi questo Benedetto Mar^ cello autor sublime de' salmi. » A tal norae preclara si volge maravigliato il Leo, lasciando che intanto il lomelli trattengasi a ragionare coll'araico suo Stanis slao Mattei, il quale d una ben solenne testimonian-. za intende confortare sì lui e si la scuola napoleta- na : della testimonianza cioè di Gian Iacopo Rous- seau, che nel dizionario della musica volendo inse-« gnare ad un giovane com'e'possa saper se natura sia^ gli stata benigna d'infondergli nell'animo una vera scintilla armonica ; Vai tu sapprlo^ gli chiede ? Ka, corri a Napoli., ed ascolta là i capolavori del Leoy del Jomelli, del Durante , del Pergolese. Ben si vede, disse Fernando, che il Rousseau nacque a Gi-. nevra, anziché a Parigi: di tant' onore sono le sue parale non solo a que' maestri ed a Napoli , ma s\ a tutta Italia. Il Zingarelli però ha ben che fare ivi presso col Cherubini ! Venerandi vecchi, quanto onorarono an- ch'essi la patria, e con che piacere io sempre con* aSy Letteratura tpfuplo le loro immagini ! E Guglielmo : Ad ambe- due fu severa un giorno la poleslà di Napoleone. Ma il Zingarelli fu quasi per esserne oppresso : ed egli al celebre fiorentino, che nel richiede, racconta quell' avventura. Imperocché dev'esservi noto che il Zinga- rolli, trovandosi maestro della basilica vaticana e ca- rissimo a Pio VII, sdegnò, uomo d'intera fede, dì prestar l'opera sua ad un rendimento di grazie, che la forza straniera ordinavaci per la nascita del re di Roma. Nascere un re di Roma nella casa di Francia,^ conlra l'esempio stessa d'ossequio che verso !a mag- gior sede dell'Italia e del mondo mostrato avea Car- lo magno ! E non se ne vergognava Napoleone ? Ma se il pudore non tinse allor la fronte del guerpier co- ronalo, ben tinse quella del Zingarelli : sicché italiano, e di tanta grazia onorato da Pio, non volle contami- narsi d'una viltà ed ingratitudine. Potete voi credere il fremere che ne fece l'imperatore ! 0 meglio coloro che gli stavano al fianco : i quali nient'altro cercando in ogni loro consiglio che d'umiliar quest'Italia, ornai stan- ca di versare il suo nobile sangue per un ordine sì svergugiiiiiu di cose, intendevano insieme a spegnere in essa ogni affetto più sacro e pììi generoso. Fu dunque il maestro magnanimo tratto subito prigioniero a Pari- gi ; ed ei colà presen tossi tH>lla dignità di un uomo che sapeva d'avere adempiuto un alto dovere. Ma o fosse che Napoleone si sentisse preso di riverenza ver- so quella invitta coscienza, o fosse che ricordandosi, come alcuna volta soleva, d'essere anch' egli italiano risvegliasse la virtìi dell'animo suo, certo è che là do- ve il Zingarelli attendevasi d'essere stretto in carcere e sentenziato reo di maestà , non trovò in fine che larghe/iZe e favori : talché libero potò indi a poco ri- L'iLLUsTUE Italia a8o vedere la sua diletta Italia, e vivervi pien di speran- za che ricacciata uu dì sarebbe di là dall'alpe ogiai iniquità oltramontana. Oh sia benedetta la tua memoria, gridò Fernan- do ! E subito alzatosi, amantissimamente baciò più vol- te l'immagine del Zingarelli, con quanta mia tenerezza non so qui esprimere. Anzi con tenerezza pur di Gu- glielmo: ne con minore di Alberto, il quale dimoralo alquanto in silenzio: Non però solo, disse, furon mae- stri di musica sacra, o Guglielmo, questi che ci hai rap- presentati : perchè alcuni di essi ebbero pur nome chiarissimo per opere di teatro. Gosi è, rispose il pit- tore : ma pare che il giudizio il'Europa sia concorde nell'anteporre le loro musiche sacre alle profane : ben- ché lodatissime anche queste. Che. se ora ti piacerà osservare eziandio i più celebri fra gli scrittori tea- trali ( non però tutti, che mi sarebbe impossibile ), guarda colà il romano Emilio del Cavaliei'e, che pri- mo nel secolo deciinosesto tentò in Europa la ma- raviglia del dramma in musica : e contenti de'secon- di onori, ma sommi filosofi anch'essi dell'arte, il Pe- ri, il Corsi e il Caccini. Presso a'quali saluteremo il Monteverde, colui che ogni altro avanzò nel mostra- re coll'aulorità dell'esempio suo l'effetto delle disso- nanze : e seco il Viadana, il Mariengo, il Ciccogni- ni, il LuUi, il Caldara. Quegli è poi l'Araia, a cui l'imperatrice Anna commise d' altamente stupefare i suoi moscoviti rappresentando loro la novità d' un dramma italiano in musica : e se ne applaude col Man- fredini e col Buranello, che pur vissei^o onoratissimi a'servigi di quella corte : mentre il Galuppi mostra in viso la gran conlentezza d'essere le sue armonie così piaciute a Caterina II, che l'augusta donna pubbli- G.A.T.XCVII. 19 2qo Letteratura carnente affermò, uiuna cosa aver più con tentato il suo cuore. Siccliè utìita la Dldoae del Metaslasio, Ira per la dolcezza de'versi, e per la soavità delle note, man- dò subito carissimamente a rallegrarsene col maestro, inviandogli insieme un ricchissimo dono di rubli con queste parole : « La regina infelicissima di Cartagi- ne ha morendo lasciato pel Galoppi un tal codicillo.» Mosse a noi tutti l'ilarità quell'imperial corte- sia : ed augurammo un ugual codicillo a quanti mae- stri ci fanno con dolcissime melodie sospirare sulla sventura de'grandi principi. Benché, disse Fernando, ne pur oggi è scarsezza di simili codicilli : ma so- gliono essi confortar l'animo, non più de'maestri che con sì lunghi sludi sudano ad arricchire perennemen- te de'lor portenti il tesoro delle nazioni, sì bene di coloro che per poche ore, e senza che a'posieri ne ri- manga verun vestigio, cantano o ballano le gentili in- venzioni altrui. Il che sarà certo un progresso, perchè tutto a' dì nostri è progresso : non però che al mio scarso intelletto non sembri alquanto fuor di ragione l'esaltare così spropoizionalamenie, come oggi s'usa, l'esecutore sopra il creatore di una cosa. Crollò il capo a (|ueste parole Alberto, e con eerto viso di mal sotfe- lenza : E vano, i)roruppe, l'andar contra il secolo, che in fine vuol ciò che vuole. Alche non avendo il gio- vane in altra maniera risposto, che coU'ironicamente levarsi di sedere e inchinarsi: Perciò (Alberto continuò) invece di tante lamentazioni omai divenute incresce- voli ancor a'savi, perchè a sazietà ripetute, segui oltre, o Guglielmo, ad innamorarci dell'opera tua; e dimmi se quegli è il Porpora, l'amico del Metastasio- se quell' altro è il Dani che primo fece ricevere, malgrado d'ogni ingiusta contrarietà, la commedia lirica in Francia: e L'illustre Italia 291 se il terzo finalmente è il Casali maestro del gran fiammingo Gretry. Tu gli hai oltimamente raffigura- ti, rispose Guglielmo : e ne son lieto. Etl anche vo- glio che riconosca in quegli altri il Vinci, il Caffaro, il Tritio ed il Sarti, i quali seguili sono dal Borghi, dal Traetta, dal Uemaio,dal Guglielmi e dal M aver. Sì sì, ripetè Alberto, son dessi. Ed ora con che pia- cere, io credo, rammenlano i Irionfi dell'arte che me- narono così splendidi in tutta Europa ! Ma ond'è eh' io veggo là il Cimarosa in tanto atto di ammirazio- ne ! E perchè quel moto improvviso d'alzar del seg- gio, ov'egli si asside, la vasta mole delle sue membra? Di nuovo Guglielmo ; Ammira egli gentilissimo d'a- nimo la virtù del Piccini, che fa di sì dolci lagrime di tenerezza al buon Sacchini inondar le gote. Percioc- ché vissuto emulo il Piccini (emulo, dico, non avver- sario) e di esso Sacchini e del Gluck, appena seppe che i due si celebrali uomini eran morti , non è a dire come pianse la sciagura dell'arte e con quali pa- role solennemente propose che all'uno e all'altro si rendessero sommi onori. Né ciò solo : ma volendo più particolarmente mostrarsi ossequioso alla memoria del- l'italiano, con cui avea sostenuto anche maggiore l'e- mulazione , diessi a scrivere 1' elogio di lui : elogio magnifico, e degno della grandezza sia di chi ricevea la lode , sia di chi la dava. Questo questo , ami- ci, è ciò ch'ivi si fattamente esalta lo spirito non so- lo del Cimarosa , ma e del Salieri e dell' Anfossi e del Paer. Perchè il Paesiello, ch'è pur del numero, pon mento più presto al Porta, che ancor tutto at- territo ricorda la tremenda congiura di Parigi con- tro al primo console Buonaparte; : quando sotto il coltello repubblicano doveva cadere il formidabil sol- 202 Letteratura dato nella sera del dì dieci di ottobre milleottocento, raentr'era inlento in teatro alle armonie dell' opera' degli Orazi, lavoro lodatissimo di esso maestro Porta. Qual crudel fine avrebbe avuto colui, che appena quattro mesi innanzi erasi a tanta gloria innalzato à Marengo, se uno di que'francesi fosse stato men pron- to a tradir la fede giurata ai fieri compagni suol! Qual sangue però non fu versato dalla man del carnefice, e quali vite nello squallore del carcere non si spensero o per disagio o per ira ! Né senza cagione il Pae- siello è così sollecito di tanto fatto : essendoché te-^ neasi di molto, come ognun sa, d'avere avuto grazia singolarissima con Napoleone, non altrimenti che con Caterina di Russia e con Federico secondo. Ma ecco in fine il Bellini, ecco l'anima più soave di cui for&o si onori l'arte ! » Non israentisoe la slcana prole » Se stessa mai : né sovra lei più bello » S'apre dal cielo invan l'italo sole. Non crediate però ch'ivi quell'aui-eo labbro dica nul- lo di se ; anzi favella di tanti compagni egregi che morendo ( ahi perchè sì presto I ) lasciò all'onore del magistero italiano : celebrando però singolarmente co- lui, ch'ora ogni altra immaginazione trascende, Mi- clielangelo a un tempo e Raffaello e Tiziano dell'ar- monia, e tutto ciò ch'egli vuole. Già intendete ch'io parlo di Gioacchino Rossini. Intorno alla cui pode- rosissima fantasia non potrebbe il catanese recare al Portogallo ed al Generali, a'quali volge il discorso, testimoni di maggior fede del Morlacchi e del Fio- ravanti. L'illustre Italca 2g3 Fama d'insigni maestri t'bbero altresì questi altri ch'indi vi addito : ma perchè furono parimente insigni scrittori dell'arte, gli iio posti insieme. Ed il canu- to, a cui gli altri fanno corona, è Aristosseno da Ta- ranto, il discepolo d'Aristotele, l'anticliissimo di quan- ti ancora c'insegnano colle opere loro. Pensate il di- letto eh' ora ivi sentono di sapere espressamente da lui le condizioni della musica greca e Vincenzo Ga- lilei e il Zarlìno e il Doni e il Martini e il Planelli ! Sarò poi scusato, siccome spero, se qui non veg- gonsi anche i più principali ch'abbiamo avuti nel can- to : perchè a dir vero il loro gran numero ra' ha spa- ventato. Altri però torrassi questa fatica, quando sia tale il piacere del signor del luogo. Se cercate in fi- ne coloro, ch'eccellentissimi del pari ne'fasli dell'ar- te moderna fecero del violino , non altrimenti che della cetra i greci, il re degl' istrumenti armonici: benché per la gloria italiana basterebbero soli colà quel Gorelli, quel Tartini, quel Viotti, quel Paganini: ab- biatevi nondimeno e il Baltassarrini , che di tutti fu il padre nella rinnovata musica del secolo decimo- sesto, e con esso il Vei'acini, il Clari, il Boscherini, il Lolli, il Pugnani , il Nardini : e, come richiede ossequio e gratitudine di discepoli, più presso al Go- relli il Geminiani ed il Somis, ed al Tartini 11 suo carissimo Pasqualino. IX. Ma tanti egregi doni del cuore, dell'intel- letto , della favella , onde sì graziosa ci è stata la provvidenza, a che in fine sarebbero riusciti, se man- cando a' nostri sapienti ed artisti il soccorso d' al- cun potente, avessero dovuto da se soli sostenere i bisogni del vivere, e più spesso il mal talento e l'i- gnoranza degli uomini ? Era dunque mestieri anche 2 K LETTERATURA 9^ all'Italia di chi bene usando l'autorità e le ricchez- ze, non facesse giacer negletta o avvilita la cosa che dopo l'Altissimo ha piìi del divino, l'umano spirilo. Ne ciò solo: ma richiedevasi pur l'opera del cortese, che avesse cuore d'andar talora da se medesimo in traccia della virtù, la quale modesta, ne ad altri pen- sieri attesa che a nobili e decorosi , sdegua sempre mostrarsi fra la turba vilissima degli adulatori e de' cortigiani. Or di questi magnanimi, che per ogni mo- do gentile favoriron gringegui , non abbiamo avuto difetto giammai: e vedetene qua una schiera, che non meno d'ogni altra famosa vive immortale nella rive- ìenza degl'italiani. Oh certo animi egregi, che glo- riosamente sostennero il peso o della propria fortu- na o della grandezza de'loro avi ! Perchè fra essi non mi è dato anche di porre a grandissimo onore i ro- mani gerarchi, clic forse tutti nell'eccelsa opera su- perarono ! Imperocché non so quali altri principi del- la terra con maggiore liberalità abbiano procaccia- to per tante generazioni di allargare, non men colla fede che culle umane dottrine, i confini della civil- tà : sicché Veramente può dirsi, che supremi pastori del gregge di Cristo, ed eredi insieme della romana maestà , più paesi colla sapienza acquistarono, che non gl'invittissimi re colle armi. Ma poiché non pos- sono qui trovarsi ( troppo essendo sublime il grado loro fra gli uomini ) volgetevi intanto a quel som- mo Cerone etneo, ed onorate in lui un glorioso, che d'animo splendidissimo fu nominato fra i re anche per cosa maggior del regno. Chi non sa che per fox'za d' armi (benché valoroso anch'egli) non potendo levarsi all' altissima fama del suo fratello Gelone , il quale nel giorno stesso della battaglia di Salamina ( seguo L'illustre Ttalia oq^ il testimonio tli Erodoto) eoa cin,|,uu,!aclue m-'Ia'de' nostri ruppe e disfece ad I.nera trecento mila car- tagmesi venuti a far serva la palri.: chi, dico, non sa che CIÒ non potendo, volle .d.nco emular il for- tissimo per liberalità e cortesìa, e debellar l'ignoran- za là dove più non polevasi la straniera oppressione:» favorendo perciò con ogni leal maniera gli studi fattosi autore anch' egli d' insigni opere , prlncipal- rnonte di agricoltura, non solo ebbe alla sua reggia l-picarmo e i più eletti ingegni della Sicilia, ma de- siderò d'aver anche e Simonide e Baehillide ed Fschi lo, e soprattutto quel Pindaro che doveva nelle sue odi vendicarlo presso a'posleri sì nobilmente dellni- guina ch'avea tentato fargli Temistocle. Forse ricor- da ora que'tempi coH'agrigenlino Terone cognato suo- e singolarmente il dialogo che intorno al regno ten- ne coli' a.nico Simonide , e che con verità ed eie quenza sì candida ci è descritto da Senofonte; men- tre poco lungi sul verde prato sbuffa, guizza gli orec. chi, scuole il crine, e i fiori e l'erba colla forte un- ghia percuote ,1 suo destriero Ferenico, quasi aspet- ti ancora lo squillo dell'olimpica tromba. Allora Fernando : Questo Terone, disse, fu ve- ramente de'pjù chiari principi eh' abbia avuto 1' an- tichità : e ben a ragione potè cantare il lebano, che dalla nobile Agrigento in fuori niun' altra città in cent'anni aveva dato alla terra un uomo che per li- beralità e per fede agli amici fosse maggior di lui Avventuroso, a chi la patria stessa desiderò con li- bero voto d' elevare il sepolcro e decretare V onor degli eroi ! Il che già Roma non fece, se non collo spavento ch'avea del figliastro terribile, a colui dalla stanca crudeltà, che poscia da Guglielmo ci si rap- 2q6 Letteratuika presenta. Intendi di Cesare Augusto, diss'io? Di luì appunto, rispose. Ed io : Non vorrò teco ne difen- dere ne scusare in lutto quel fortunato : che sareb- Le troppo lungo ragionamento riandare i fatti d' un secolo sì pieno d'ire civili e di puiibliche colpe. Deh in chi, amico, in chi troverai più a que'terapì ini.^ quissimi (se ne togli due sole sublimi anime) T umani' tà e la giustizia ! Il so pur troppo, riprese Fernan- do ! Ma so pure che stette iìnalmente in Augusto , superate in gran parte quelle ferocie, il restituire a' romani l'antico loro stato di libertà. Oh Fernando, io soggiunsi , quanto è facile anche alle menti più giudiziose ingannarsi ! Or come senz' alcuna repub- blicana virtù poteva in Roma più essere una repub- blica ? Come ancor pretendere di chiamarsi liberi que- gli animi , che sì schiavi mostravansi de' loro vizi ? Può dunque non dirò prosperare, ma vivere con qual- che stabilità di leggi, uno stato senza i costumi che gli son propri ? Deh ninna maggior vanità che il pen- sare più oltre dopo Mario e Siila , dopo Cesare e Pompeo ( in tanta sfrenatezza d'ogni passione ! ) al- l'austera libertà de'Fabrizi e de'Curi ! E fattosi per- ciò il principato una necessità, godiamo, o Fernan- do, che venisse alle mani d'Augusto , anziché d'al- cun altro di que' malvagi. Vedi che non l' ho già per egregio. E ben fai, sclamò allora Guglielmo ! Ma ninno tuttavia vorrà negare , che in Augusto i vizi non fossero pareggiati, e superati anche da molte vir- tù : e, quel che piacemi maggiormente , da virtù sì fatte che a lui sopravvissero e al grande impero. Per- ciocché le cose, in cui egli errò, non offesero che so- la un'età: ma quella regalissima splendidezza, che fa- vorì ogni sapienza e meritò al suo secolo un nome L' \wA>sTi\E Itaua 297 clic più non erasi lulito fra gli uomini dopo Pericle, e gloria di tutti i tempi, o Fernando, è luce di tulle le menti. Di che Adriano, ch'è ivi al suo fianco, si appresta, già sorto in pie, a dargliene vanto: egli che singolarmente dall' esempio di lui trasse cagione di tanto amare le arti, e di spander meglio, dirò cosi, l'Italia per l'universo. Tu qui ci dai Adriano ? interrogò Fernando. Ma non vuoisi che fosse anzi spagnuolo ? Che spagnuolo fosse per antica origine, seguitò Guglielmo, lo credo bene. Ma certo è, per l'autorità di Sparziano, ch'ei nacque in Roma di famiglia già senatoria fin dall'a- volo Marinino. E chi nacque in Roma, chi fu in Ro- ma educato, chi vi regnò, e poco lontano, cioè a Ba* ia, passò di vita, ben ha ragione d'essere annoverato fra'nostri. Basti all'onor della Spagna l'aver fatto un dì venerare sul trono de'cesari Traiano e Teodosio, e dato alla protezione delle nostre lettere Alfonso il magnanimo e Ferdinando suo figlio. Non vedo però che Augusto, riprese Fernando, attenda gran fatto né ad esso Adriano , ne a Gordiano il vecchio , ne a Balbino , ne a Numeriano che ha pure allato : ma parmi anzi che con Mecenate maravigliosamente si piaccia ne'discorsi di quel Cosimo de'M edici a Di cui la patria sua sì chiamò figlia, ed insieme di Lorenzo il magnifico. Ne ciò, replicò l'artefice, potrebbe non essere: perciocché grandissima conformità di pensieri e di opere fu tra il romano e que'due fiorentini : i quali s'insignorirono parimente della loro città, quando il viver libero non parve più cosa possibile : e la resero, non altrimenti che Augu- ^9^ Letterato RA sto fece (li Roma, e per arti e per le ir ore fra tutte le italiche famosissima. Guardò AUierto con un sorriso il pittore , poi disse : Già non troverai molti che vorranno di che- to consentirti cotante lodi ai due Medici, e soprat- tutto a Cosimo. A cui Guglielmo : Sai tu , Alber- to, ciò che il Caro diceva ? « Ognuno, diceva egli, ha il suo capo : ogni capo le sue opinioni : ed ogni opinione le sue ragioni. >, B! cosi a me giova ripetere. Ne io, benché artista, sono pur tanto ignaro dell'i- storia fiorentina da non sapere che que''governi, ora in balìa de'grandi ed ora de'popolani, non furono al- tro per lungo tempo che un sanguinoso dissidio ed una crudele oppressione oggi di questa , domani di queir altra parte de'cilfadini. Forse non ha l' Italia cosa più ignominiosa di quella licenza : quando una città così splendida , ma d' un naturale ( diceva il Machiavelli ) che pare ch'ogni stato le incresca , fu veduta , per le rabbiose fazioni dimentica di se stessa, giurarsi schiava non che d'un Manfredi, d'un Carlo d'Angiò, d'un Valois, d'un Roherlo, ma d'un Landò da Gubbio bargello, e peggio d'un Gualtieri di Brienne ! Quando un Azzolino degli liberti (fre- mo solo della memoria ! ) andando co' suoi consorti a porre il capo sotto la scure, per aver voluto tiran- no anzi uno svevo che un francese, altro dir non sa- pea con terribile tranquillità : « Noi andiamo a pa- gare un debito che ci lasciarono i nostri padri! » Ma quest'onta cessò primieramente con Cosimo, a giustissima ragione chiamato padre della patria : poi con Lorenzo nipote suo : i quali postisi vigorosissimi ( e soli il potevano) fra la plebe ed i grandi , animi d'ugual protervia, questo in fine per forza e pruden- L'illustre Italia 299 M operarono, che le bestie fìesolane non facessero più strame di lor medesime. Anzi divenuta allora la fioren- tina repubblica veramente forte d'armi, di ricchezze copiosa» di desiderii unanime, siccome quella che la patria alterezza incominciò ad anteporre alPamblzio- ne ed all'orgoglio di pochi uomini, accadde che per la prima volta si assise autorevole ne'consigli de'som- mi potentati di Europa. Ed oh questo Lorenzo non fosse mancato così per tempo ! Che governandosi alla sapienza' sua pressoché tutta Italia : e soprattutto, di- ce il Guicciardini, essendo egli mezzo a moderare e filasi freno ne'dìspareri e ne'sospettì, i quali per diverse cagioni tra Ferdinando e Lodovico Sfor^ za, principi d'ambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nascevano: non sarebbe la patria nostra precipitata da tanta dolcezza dì pace negli orrori della guerra straniera, ne avremmo veduto Carlo Vili cor- rere colle sue masnade disonorando e predando l'in» felice paese. Allora Alberto : Sia pure che in Cosimo ed in Lorenzo risplendesse cotanta virtù civile : sic- ché il popolo reputasse ornai legittima una potestà che lo rendeva felice. Ma non saremmo ingiustis- simi a credere, che cosi a quell'età fosse al tutto gua* sta Firenze, che l'antico stato non avesse ivi altri ama* tori se non vili o perversi ? Ne io, riprese GuglieU mo, sarò questo ingiustissimo : anzi ben dirò ch'era- no m Firenze a que'giorni non solo uomini d'alto animo, ma sì pronti a operare cose forti e onorate. I popolani però o non gli ascoltavano, o gli odiavano: per non dire che anche più spesso chiedevanli a morte, e tripudiavano del sangue loro. Qual più magnifico trionfo dell'esilio fu a Cosimo ? Qual cosa a Lorenzo più gloriosa della congiura de'Pazzi ? Poteva la vita 3oo Letteratur a di un cittadino proteggersi con maggior fede da tante armi, o se vuoi da tanto servaggio di tutto un po- polo ? Credettero da prima Rinaldo degli Albizi , e J)oscia i Pazzi , per un errore che sì terribilmente espiarono, viver quasi là dove Manlio e Spurio Melio furono un dì condannati fra le acclamazioni de'citta- dini : e non si avvidero di viver anzi in una città, d'onde Bruto e Cassio sarebbero stati astretti nuova- mente a fuggire. Era io stato ad ascoltare attentissimo il parlar di Guglielmo non senza maraviglia d'aver trovalo tanta ragione islorica in un artista. Sicché a lui rivolto : Se v'ha, dissi, chi non approvi i tuoi detti , già io son colui. Imperocché ninno al pari di me venera e quel Cosimo e quel Lorenzo , de'quali certo l'I- talia non avca veduti più magnanimi cittadini dopo la romana grandezza. ]Nè per questo vorrò contende- re dì cose patrie co' fiorentini : bastandomi soltanto dir loro, che qualunque olti-aggio abbiano mai fatto i Medici alla libertà di Firenze, tale oltraggio in fine non fu altro che cosa municipale; ma nazionali furono i beni che la splendidissima famiglia recò all'Ilalia: da lei essendoci venuto il gran secolo , che dovea poi fare il pontificato ed il nome di Leon X, figliuol di Lorenzo, a tutte le generazioni immortale. Ai due primi grandi di tanta stirpe, seguitò Gu- glielmo, ed a Bernardo Ruccellai che dal suo Loren- zo non vuol partirsi, è allato quell'altro Cosimo, che fu indi coronato granduca : del quale in vero dirò che molti fatti furono riprovevoli, e principalmente quella inesorabile ragion di stato che gli serrò il cuore ad ogni clemenza. Ma chi lo passò tuttavia nell'amor del- le lettere e delle arti ? Chi meglio di lui adoperò a L'illustre Italia 3oi sostenerle in un tempo , che già pur tanto inchina- vano a tralignare ? Né dal sangue mediceo degenerò il cardinale Leopoldo , suo pronipote , il quale sa- pientemente considerando che niun passo ha mai fatto la fisica (secondo il detto di un illustre fdosofo) senza trovar per tutto la mano di Dio, fondò l'accademia del cimento, onor preclarissirao non che di Firenze, ma d'Italia e d'Europa; perciocché da essa trassero esem- pio quasi tutte le altre accademie delle scienze, non eccettuate quelle sì meritamente famose di Parigi e di Londra. Uomo veramente degno, disse Fernando, di tanta non meno autorità che fortuna ! Qual'opera più da principe che il travagliarsi, per quanto può una nobil mente , d'allargare i confini della sapien. za, che sono pur quelli dell'umanità ! Questo Leo- poldo fu certo de'personaggi rarissimi dell'età sua, né saprei dire se più onorasse il sangue di Cosimo e di Lorenzo, o la dottrina ch'ebbe dal Galilei e dal Tor- ricelli. Né potevi da lui scompagnare Carlo Emma- nuele I, duca di Savoia, che appunto dal Tiraboschi è celebrato fra gì' italiani che più emularono quella gran larghezza de'Medici : cosa tanto più mirabile in lui, quanto che non in mezzo alle beatitudini della pace, ma fra guerre sanguinosissime, pensò il magna- nimo a dare il tributo dei re a chi gli ammaestra del- la giustizia, della mansuetudine, della clemenza, e del- le arti tutte che fanno e paterno e glorioso e desi- derabile un principato. Ma nella casa di Savoia non è ciò maraviglia: considerando a che splendore sia giunta nella sapienza europea, per la liberalità de'suoi monarchi, in men di due secoli la reale Torino. Oh quanti poi veggo, e pel prato e pel bosca e 3o2 Letteratura presso il zampillar di quell'acqua, andare di tanti lor latti o ragionando insieme, o fra se godendo della me- moria ! Ecco Galeazzo e Gian Galeazzo Visconti con Francesco ed Alessandro Sforza: ecco Giacomo II e Francesco da Carrara con Azzo e- Nicolò da Correg- gio : ecco pur Federico e Guidobaldo di Montefeltro con Sigismondo Pandolfo Malatesta e Guidobaldo e Francesco Maria della Rovere. Chi non riconosce Lo- dovico II marchese di Saluzzo, Gianfrancesco Pico», Alberto Pio da Carpi, Guido Rangone, Ferrante San- severino, Iacopo Buoncompagni ? E quindi i Gonza- ghi Francesco, Federico, Vespasiano e Ferrante ? E quel loro cardinal Ercole, che raccoltisi intorno Gio- vanni Colonna, Giordano Orsini, Benedetto Accolti, Domenico Grlmani, Arrigo Caelani e Ranuccio Far- nese , porporati dell'ordine suo, cotanto piaeesl ne* discorsi dì Giammatteo Giberli vescovo di Verona ? r^on è quegli Agostino Chigi, il protettore più caldo che. in privato cittadino abbiano avuto mai le arti ita- liane, e tanto tenero di Raffaello, quanto forse noi furono gli stessi Giulio II e Leone X ? Sicché si dis- se, che pili non soffrendo di dimorarsi in terra dopo esserne partito quel rarissimo spirito, appena quattro giorni trascorsi il segui nel sepolcro. Sì cerio è des- so : nò mollo gli son discosti tre veneziani, che non meno di tanti preclarissirai guerrieri ed uomini di sla- to e di lettere illustrarono quella che prima nobiltà ereditaria (V Europa fu giustamente ciiiamata dal Voltaire : l'un de'quali è Domenico Molino, gli altri due Giovanni Falier e Girolamo Zulian , immortali per aver primi accolta la povera gioventù del Cano- va, e trattala pe'loro conforti a sedersi poi, come ve- demmo, nella maggiore splendidezza del secolo. Favai- L'illustre Italia 3o3 lano essi infalti, continuò Guglielmo, del magno ar-. tefice : non ahriraenti che di Dante favellan più là con Guido da Polenta, con Moroel Malaspina, con Gherardo da Cammino, con Guido da Castello, e prin- cipalmente col generoso Pagan della Torre patriarca di Aquileia, i tre fratelli potentissimi Della Scala Bar- tolomeo, Alboino e Can Grande : spiriti ugualmente gentili anche in mezzo la rabbia di quelle fazioni : la cortesia de'quali fu rifugio ed ostello non solo del- l'esule famoso, ma di quanti all'età loro si affatica- rono perche! l'ignoranza non fosse più tra i fieri uo- mini una tirannide. Il che fu pure in tante genera, zloni la saggia sollecitudine di quella magnificentis- sima famiglia d'Este, la quale avrei qui dovuto rltrar quasi tutta. Così tutta mostrossi delle lettere e àeU le arti amoi^osa ! (^osì tutta in ogni tempo parve o- norar se slessa ne' grandi Ingegni della sua patria ! Ma basti per sua gloria, e per ornamento dell'opera mia, vedere Nicolò III co'tre figliuoli Leonello, Bor- so e 1 Ercole: e i due x-^lfonsi di Ferrara, e i due Fran- ceschi di Modena : né ad alcuno d'essi minore il car- dinale Ippolito il giovane. Uniti ià insieme nella fio- rita piaggia, cui dall'una parte verdeggia il colle, dal- l'altra bagna il ruscello, sono intorno ad Alfonso U» il quale narra loro tal cosa, ch'essi appena avrebbero per credibile, se l'uomo gravissimo non l'attestasse con quella medesima sicurtà ond'ò pure affermata da insi- gni storici. E quale ? domandò Alberto. E Guglielmo: L'offerta che , ucciso il re Arrigo 111 , ebbe di cin- gersi la corona di Francia. E da chi l'ebbe? conti- nuò a domandare Alberto. Da quanti, rispose l'arti- sta, erano in armi contra le ragioni dì Arrigo IV, e principalmente dal duchi di Guisa, d'Elboeuf e d'Au-- 3o4 Letteratura male : solo die Alfonso inconlanente conlasse loro la somma di centomila scudi, essendo la lega in gran- dissima Becessità. Ma l'Estense, cauto sempre e pru- dente, noi fu meno nel rigettare quella stolta propo- sizione : per non dire che sommamente si vergogna di trovar animi così vili che a lui osassero farla, mo- strandosi più rotti all'ira che riverenti alla patria. Oh dunque, sclamò Alberto, volevano i parigini mettere uno straniero sul trono di Francia ! Giurar per si- gnore un principe italiano ! E dove più era quel Io- loro orgoglio ? Dov'aera, soggiunse Fernando, dov'era appunto dopo la giornata di Waterloo , quando gli ©ralori delle due camere del parlamento presenlaronsi «milissimi in nome pubblico al campo degl'imperatori d'Austria e di Russia , implorando non solo un go- verno ohe a' collegati piacesse , ma sì un sovrano , fosse pur egli un Grange ed un Sassone. Il che fac~ eia tacere in fine una boria, che tanto fu insolen- te soprattutto centra Roma e l'Italia nelle brevi pro- sperità di Napoleone, quanto fu abbietta (e forse più che non leggesl d'altro popolo) allorché sorse in ul- timo il giorno della sventura. Ma di ciò, amici, oc- correrà miglior occasione di ragionare : ed intanto là onoro, italiano, quegli altri tre porporati alle lettere libéralissimi Pietro Ottobonl, Alessandro x\lbani e Sil- vio Valenti : e con essi gli animi non men signori- li del doge Pietro Grimani, di Marcantonio Borghe- se, d'Ignazio Paterno Castelli e, di Baldassare Ode- scalchi: e quindi il Foscari, il Ginori, il Torlonia ed il Sommariva , ed a ninno dell' età nostra seconda Gian Iacopo Trivulzio, anzi a moltissimi superiore nel- l'aver conosciuto in tutta la vita sua il bene che fa veramente degna d'ossequio un gran nobiltà. L'iM>usTRE Italia 3o5 fine (li quesla opera. Cosi neironorare l'Italia e nel servire il signor mio gittata non avessi tanta fatica ! Fatica però dolcissima, sapendo che i giorni e le not- ti, ch'io vi spendea, appartenevano alla mia patria. No, no, rispondemmo tutti, non l'hai giliala : e qui noi, o carissimo, in nome di quanti hanno cuore italiano intendiamo di ringraziartene. Ne di ringraziartene so- lo , ma si di baciartene, siccome facciamo, con te- nerissimo affetto le gole e la fronte. Mentre questi atti di affettuosa congratulazione, gratitudine ed amicizia col buon Guglielmo si adem- pievano, presa io la mano d'Alberto : O Alberto, dis- si , da tal gente noi proveniamo ! E tal gente dob- biamo noi obliare o nel gittarci all'ignavia , o nell' avvilirci innanzi all'orgoglio straniero ! G.A.T.XCVII. ao 3o6 Memorie ìstornche dì Accumoli. Continuazione e fine. CAPITOLO II. Biografia accumolese, ^e noi non abì)lamo tlati positivi per dimostrare che l'etimologia dell' Apennino derivi, come si preten- de, da un gran capitano Jpi (i), la cui culla fosse in un anlichissimo nostro villaggio Mons Api (Pog- gio di Api ): certamente la contrada nostra va glo- riosa per la famiglia de'Flavi. Intorno alla quale nel discorrere la via Salaria, e gli ultimi due vici o pagi sabini , fu per noi chiaramente rivendicalo il luogo dell'educazione di Vespasiano imperatore, pel quale egli serbò sempre grata e dolcissima memoria (2). I più distinti archeologi di questa capitale vennero nel nostro avviso, ed il Guattani ne'suoi monumenti sa- lini ( pe'quali profittò sovente delle accuraolesi me- morie ) lo ricordò con moltissima lode (3). Di To- scana, ove credevasi che nell'antica Cose presso Or- belello fosse slato educato Vespasiano imperatore, ci pervennero cortesi congratulazioni , per essere stato da noi messa in chiara luce la vera patria de'Flavi , ed il luogo dove fu quell'imperatore educato (4). (i) Parte I, pag. 62-3 (nota), (a) Id. pag. (64-70). (3) Monurueuti sabini descritti da Antonio Guatlani^ toni, li, pag. q6i. (4) Opuscoli scelli seientifìci cit. pag. q58 nota. Memorie istoriche di Accumoli Soj Argillano. Creiliarno ancora di rivendicax'c aper- tamente la patria di questo capitano , che il Mar- ciicci crede di Ascoli (i). Tre ragioni manifestano il suo errore. La prima die Ascoli si resse con lustro anche nell'itah'ano decadimento: onde gli storici che dicono Argillano, e non Argesilando come confonde il Marcucci, nato sulle rive del Tronto, non avreb- bero taciuto la patria, se fosse slata Ascoli. La se- conda e più forte ragione si è, che alle radici presso dove era la nostra Sommata antica (a) , sostituita nella nuova ( Accuraulum ), sta un semidiruto tor- rione lambito dalle acque del Tronto: e per una co- stante tiadizione chiaraossi e si chiama la torre di Argillano. La terza ragione la ripetiamo dal cogno- me Argillano esistito ed esistente in alcuno de'no- stri villaggi: e si sa bene che molti cognomi deriva- no da'norni, ISon è quindi il Tasso, come osò dire il Marcucci, che siasi arbitrato chiamarlo Argillano, essendo stato precisamente questo il suo vero nome. Ci sembra anzi chiaro che l'immortale Torquato lo reputi di regno, quando nel suo canto Vili (stanza 58 ) dice : Costui pronto (li man, di lìngua ardito, Impetuoso e fervido d^'ngegno. Nacque in riva del Tronto, e fu nutrito Nelle risse civil d^odio e di sdes^no : Poscia in esiglio spinto, i colli e '/ lito Empiè di sangue, e depredò quel regno^ Fin che nelV Asia a guerreggiar san venne, E per fama miglior chiaro divenne. (0 Saggio cit. delle «ose ascolane. (2J Parte I, cap. i. K A TJ U R A Dagl'imperatori e capitani lamosl il^bMaino noi discendere alla nostra umiltà municipale. Perai Irò te- niam fermo cbe i Sa fondatori di Accuraoli merilltio an- noverarsi fra gl'illustri uomini non meno per la sapien- za delle loro istituzioni che pel valore spiegalo nella patria fondazione. Li ripeteremo quindi in ordine al- fabetico, notando il più brevemente possibile, quando o si estinsero o rimangono alcune loro famiglie , e di quegli loro discendenti cbe furono illustri, e di altri accumolesi cbe riscuoter possano onorata lode. Né credasi esagerazione, se dobbiamo ridire cbe in ogni primaria famiglia di Accumoli si conlino innumerevoli dottori di leggi, de' quali non terrem punto parola, se non quando ci sembrino meritevoli di particolare menzione. Jcquistiicci. In questa famiglia, decaduta fino dal principio del secolo XVIII, vedesi alcuno col titolo di cavaliere in tempo di cavalleresca corruzione (i). Vuoisi però lodare un Acqulstucci cbe in Ascoli col sangue di Rainaldo, fratello uterino degli Sforza, lavò quello di uu suo zio materno religioso domenicano, cbe fu barbaramente messo a morte con altri accu- molesi da Giovanni fratello di Francesco Sforza (2). Son pocbi anni, cbe mori in Roma il p. Acqui- stucci ex-provinciale de' ministri degl' infermi , che noi abbiam molto conosciuto non meno per la ca- rità e sempllcllà di costumi, cbe pel grande amore alla sua patria originaria. Addaci. Nel 7 capitolo della seconda parte di queste memorie si è parlato a lungo del capo-massa (1) Parte II, pag. loi. {1) Parie I, pag. r3i-5. MEaioRlE IS-rORlCHE DI AcCUlHOLl 3o(J Domenico Adduci di s. Giovanni, villa e comune di Accumoli. A noi pare che meriti lode principalmenle perchè fa assai diverso dagli alui suoi colleghi, che diedero generalmente in eccessi di ogni genere. Mar- co Adduci suo zio fu in Roma nel passato secolo primo sosl liuto del vicariato. Balbo. Gitaltirius Balbus fu uno de'Sa fonda- tori e legislatori di Accumoli. Lodasi un Balbo morto condottiere de'siioi concittadini contro i norcini (i). Maggior lode dassi ad un Giovanni Balbo, che ac- corse a sue spese in deputazione al gran capitano per la conferma de'patrii privilegi (2). Nelle memorit? del Quarto di s. Lorenzo vedasi questa famiglia mancata nell'ottavo lustro del secolo XVIL Benincasa. Paulus Benincasus fu uno de'fon- datori e legislatori, la cui famiglia rimase spenta in Marco suo figlio, morto violentemente per tirannide e tradimento (3). De Benedictis. Questa famiglia, nella quale Un dal XV secolo trovansi dottori ed alcuni cavalieri, fi- nì al principio del secolo corrente. Giusti elogi si fanno di un Giovanni nella sua deputazione al par- lamento convocato nel i552 (4). * (i) Parte 1, pag. 106-7. {1) Parte li, pag. 6. (3) Parte 1, capitolo IL (4) Parte li, pag. 48. * Domenico, figlio di Giuseppe Caccliiatelli di s. Giovanni TÌlla e comune di Accumoli, impiegato nel romano censimento ci fu cortese del dono del suo nuovo sistema stabile di fortifica- zioni in foglio grande con rami corrispondenti , publjlicato in Roma nel i8ig. Ci donò del pari il suo progetto per la decora- zione della facciala di s. Maria in Aracoeli edito nel 1826 con ra- me. Finalmente ci favorì il suo progetto per una nuova borgata 3 IO L K T T E U A T U R A Calcagni. Lucius Caìcaneus uno de'fonclalori e legislatori. Di questa famiglia fu la innocente mo- naca impiccata in Ascoli per ordine di Giovanni Sfor- za (i). Nell'eccidio poscia degli Sforzeschi, accaduto in detta città e dilatatosi per lutto il Piceno, vi ac- corse e morì un Calcagni (2). Nelle memorie del Quarto di s. Lorenzo vedesi mancata la maschile suc- cessione nel primo lustro del secolo XVI. Camerajn. Nicolaus Camerarius fu uno de' fondatori e legislatori. Annoverasi in questa fami- glia Bartolomeo ucciso nella suddetta fazione contro gli Sforza. Ascanio Camerarii fu uno dei deputati al parlamento convocato in Napoli da Ferdinando il cat- tolico (3). Polimante Camerari fu capo del reggimento municipale, quando Accumoli sofferse un assedio di circa 9 mesi (4). Alessandro Camerari, tornato in pa- tria con coscia amputata, fu condottiere del contin- gente accumolese nelle guerre di Alemagna nel se- colo XVI. Il citato anonimo loda ancora per la mol- ta dottrina, Porzio e Flaminio Camerari : e commen- dasi nella scienza legale il Giacinto, da noi superior- me.n te , ricordato per ila riedifiuazione di graziosa chiesa rurale. Quattro di queste famiglie Camerari si estin- sejo nei primi anni del corrente secolo. Talun' al- tra in decadenza diedesi fino dal principio del seco- rimpelto al porto di Ripelta con rame: oltre un analitico ragio- namento con 3o rami pe'diversi quartieri. L'opera fu pubblicata nel i83o Altre produzioni di militare architettura sono state da e&ju compilate, taluna edita ed altre inedite. (1) Piirle I, pag. i32 nota. (2) Jd. pag. i33. (3) Parte II, p. aag. (4) Id. pag. 33-4- Memorie istoriciie di Accumoli 3i i 10 XVIIl alle scienze salutari, coltivate fmo al no- stri dì. Ciriaco Camerari morì, non ha molto, medico in Civitavecchia. Essendo stato prima medico in Cor- nalo, entrò a difendere co'chiraici toscani i cornelani contro la formazione delle salme; ed il suo voto ri- cordossi sovente ilal nostro cel. Morichini entrato va- lorosamente nell'istesso arringo a favore delle saline. 11 dottor Giovannelli, professore nell'università roma- na, con manifesto plagio profittò interamente del la- voro del Camerari : talché il Morichini dopo averlo piìi volte rampognato conchiude: « Se il sig. dottor » Giovannelli se ne è impadronito senza citarlo, ciò » non dà a me ohe il dritto di rilevare il suo pla- M giato, mentre il dritto di esigere una riparazione n appartiene al signor dottor Camerari medesimo. » Il biografo del Morichini accennò anch' esso questo plagio (i). * Campana o Campano. Laurentìus Campanas fu uno de'fondatori e legislatori. Trovasi pili fiate nel- le nostre memorie lodato un Campano pel suo va- lor militare sotto le bandiere del re Ladislao. Né qui ripeteremo quanto fu per noi ventilato o discusso in- torno la patria di Fanusio Campano istorico genea- logico del secolo XV, che riputammo accumolese (2). Il citato cronista loda assai per la sua dottrina un Camillo Campano del secolo XVI. Nel principio del secolo XVIII l'undecimo Clemente onorò della man- fi) Giorn. Arcadico toni. ^3, pag. 261. Han fine i Camerari con Fausto Antonio medico in pa- tria, che correndo il 18 lustro, presenta ancora vigore di mente / e di corpo nel clinico esercizio. (a) Giorn. arcadico toni. V, pag. 40-1 (1820). 3t2 Letteratura telletta Vincenzo Campana discendente da questa fa- miglia per linea femminile: giacche la maschile man- cò sul finire del secolo XVI, siccome raccogliesi dal- le memorie del Quarto di s. Lorenzo. Cappelìanti. Non è guari mori vicario generale in Accuraoli Raimondo Cappelìanti d'IUica, parroc- chia di s. Paolo di detta città. Cappelli o Cappello. lacopus Cappellus uno dei fondatori e legislatori, Silveiio Cappello morì nel- la suddetta fazione combattuta in Ascoli contro gli Sforza. Francesco Cappelli, fu uno dei deputali al parlamento convocato in Napoli da Ferdinando il cat- tolico ( iSoy ). Valerio Cappelli, condottiero de'suoi concittadini (i56G) , ricacciò i turchi nel mare che depredavano le terre marittime di Abruzzo, ridonan- do coraggio e tranquillità non meno a quelle che al- le circonvicine popolazioni limitrofe (i). Glo. Paolo suo fratello due anni appresso co' suoi discenùenti fu aggregato all'alta nobiltà as-olana : e Gio. Carlo suo nipote, dopo essere stato da ultimo auditore del Torrone di Bologna, onorato della inantelletia da Paolo V , morì governatore in città di Castello nel dì 19 febbraio 161 1. Ogni sorta di onori gli furo- no renduti nel funere, come leggesi negli annali del Certini di quella città : il cui magistrato nello stes- so dì spedì per islaffelta al cardinale Scipione Bor- ghese la notizia di quella morte. Questo Cappello, as- sai ricco prima ancora di diventar prelato, istituì es- clusivamente erede il nipote Giuseppe, senza punto considerare l'altro nipote primogenito Dionisio, i cui (1) Parie II, pag. 60. Memorie istoriche di Accumoli 3i3 diretti discendenti da più lustri decaduti, e ridotti alla sola famiglia dell'avo nostro nel finire del secolo XVUl, sono oggi i soli superstiti dei Cappelli. Il cit. ano- nimo cronista fa grandi elogi del Giuseppe, dicendo: « Giuseppe Cappello huomo per le sue virtù e buo- » ne lettere eslimato mollo da grandi, è amator della » patria, e molto dissimile da monsignor Cappello » suo zio. n Questo cronista nel biasimare Io zio, non avrebbe forse lodato Giuseppe , se avesse cono- sciuto, cbe espatriava per creare un fide-commesso, non ammesso in patria per municipale stallilo. Sta- bilivasi egli in Ascoli, imparentandosi co' Malaspina che davangli in dote la metà del loro superbo palaz- zo (i). Questa famiglia, non è guari estinta con Gio. Battista Cappello, si rese famosa per ostinato litigio colla famiglia Ciucci durato molti lustri in questa capitale per un albero di quercia', e fu cagione clie le due nobili e ricche famiglie contendenti mandas- sero quasi a totale rovina i loro patrimoni. Domenico di Evandro Cappello del suddetto sti- pite ;_ lacopus Ca|)pellus ), come leggesi nelle memo- rie del Quarto di s. Lorenzo, fu abate di s. Agosti- no iu palvia. Venuto in Roma, fu fregiato di onori e di cariche. Si distinse non meno per la sua dot- trina che per 1' esemplare modestia ed ecclesiastico contegno: soprattutto per indicibile carità. Le sue do- vizie convertironsi in eleuiosine ed in legati pii. Ciò che assai più onora il nostro Domenico si è, che co- siffatte azioni praticavansi sempre, o sotto nome d'i- gnoto benefattore, o in nome di alcun suo amico, o (i) Orsini. Descrizione delle pitture, sculture, aicltiteitur* ctc. della insigne città di Ascoli Perugia 1790 pag. 124. 3i| Letteratura trapassato benet'altore (i). Continui sono gli elogi pro- iligaligli dagl'illustri suoi coritemporanei (a). Noi non abl)iaii>o quasi mai nelle nostre memorie riportale lapi- di sepolcrali, perchè le crediamo comunemente esage- rate. C'incombe di riportare la seguente che vedesi in me/ao alla nave-croce collo stemma di famiglia nella detta basilica di s. Anastasia, per la ragione che il sud- «letto Maroucci (3) annovera il nostro Domenico fra gl'illustri ascolani, itti ex lapide^ senza riportarlo. D. O. M. Dominico Cappello de Accumulo Preshytero os- culano I. U. D. ibidem ecclesiae s. Augustini Ab- bati. Protonotario Apostolico. In vaticana Biblia- theca sacrorum rituum scriptori. Sacrosanctae Ba- silicae s. Mariae Transtyberim huiusi^e ecclesiae canonico^ ac insigni benemerito. Sub Innoc. XI ^ Alexandpo Vili, uc Innocent. XII summis pon- tificibus sacri palatii apostolici Caeremoniarum Praefectù. Quo in niunere ex institutione Fran- cisci Mariae Phaebei Archiep. Tarsensis accu- rate studi nspque versatus fuit. F'ixit ann. LXVII diebus fJI. Obiit VI idus aprilis anno saìutis MDCXCVI. Tìburtius frater I. U. doctor, et ca~ nonicus Philippus Cappellus nepos hoc grati ani- mi monumentum posuere. (i) Crescirabeni, Istoria della basilica di s- Anastasia pag. oQ e seg. Notizie della chiesa e collegiata di s. Anastasia di Filippo Cappello pag 16-18. (•2) Op. cit. e Ciampini, De origine abbrevia torutn de par- co inaiori pag. 52-3, ed altrove. Piazza, Gerarchia cardinalizia pag. 4oi e seg. (3) Op. cit. Memorie istoriche di Accumoli 3i5 Il cel. Fahretll suo amico e collega fu il com- pilatore di questa iscrizione, siccome ricorda il Gre- scimbcni. La grande divozione verso la detta santa, lo aveva mosso a compilare (1676) un discorso sulla medesima, che per modestia lasciò ms, al suo amico cav. Mandosio, come ricorda il Piazza (i). La me- desima con aggiunte, ed inlilolata al card. Massimo, fu pubblicala dal suo nipote Filippo nel 1722 (2): non mancano in quesl' opera arcbeologicbe disquisi- zioni sacre e profane. Il titolo della medesima, pre- ceduto dallo notizie della basilica fino alla pag. 106, è il seguente : DelV iav emione del coi'po di s. Ana- stasia martire e della identità di esso , discorso di Domenico Cappello di Accumoli. Vada cano- nizationis sanctorum Pelvi de Alcantara et Ma- riae Magdalenae de Pazzis, pubblicati per officio, e dedicati dal detto Domenico al IX Clemente, so- no scritti con gravissimo sermone del Lazio, e ve ne sono edizioni in 4 ^^ '" ^' Gon pari dottrina sono scritti gli atti per la canonizzazione di s. Francesco de Sales intitolati ad Alessandro VII. In leggendo le domestiche memorie noi rilevammo , che egli avesse compilali grossi volumi, per modestia parimenti non pubblicali, e gelosamente conservati nell'archivio de* cerimonieri pontificii. Per cortesia del fu monsignor Zucche noi discorremmo i medesimi con molta sod^ (i) Luogo citato. {•.1} Il Crescimbeni parla di questo Filippo più volte, ed alla pag. 125 op- cit. dice: ,, Filippo Biagio Cappello d' Accumoli . diocesi d'Ascoli, nipote dello stesso abate Damenica Cappello, abbreviatore apostolico del parco miuo,re, e segretario coadiuto- re del detto collegio, e dell'altro dei parco njiag^gior*. 3lG Jj ET T ERA TURA disfazione. In che debbe notarsi che all'epoca del Cap- pello mancavano in Roma giornali o gazzette. Circa tre lustri dopo la sua morte cominciò a pubblicarsi il diario romano, berlocche i prefetti di cerimonie non solo scrivevano le cose attinenti alla corte ed ai con- clavi, ma eziandio le notizie correnti. Questo rama Cappello ebbe fine eoi suoi nipoti Filippo ed Ana- stasia rientrata ne'Cappelli (i). Aunoieremmo troppa il lettore se di tutti i Cappelli annoverati per illu- stri dal suddetto anonimo dovessimo far parola. Non debbe per altro defraudarsi il giureconsulto Corinchia Cappello dello stesso stipite, come si raccoglie nelle dette memorie di s. Lorenzo : mentre fu esso uno di que'generosi che a proprie spese accorse in Napoli, quando fu in procinto la sua patria di cadere in ser- vitù (2). Questa linea Cappello finì nel ijiiS con Giocondo Cappelli , siccome vedesi nelle suddette me- morie. Censorini o Censorino. Flavianus Censorinus fu uno de'fondalori e legislatori. Lodasi un Censori- nò morto nel i4^7 condottiero de'nostri nell'unica fazione combattuta contro i casciani : mentre furon sempre amici o alleati degli accumolesi (3). Guaite- rio Censorini, benché la pace durasse brevemente, fu attivissimo per porre fine alle contese co'norcini con (t) Fu uso nei Cappelli segnarsi Cappelli, o Cappello, co- me raccogliesi dalle memorie del Quarto di s. Lorenzo, dalie cro- niche citale, e dalle stesse loro opere, e dai citati autori. Op. cit. di Filippo Cappello pag. 91, e i43 , Crescimbeui id. pag. i6 , Piazza id. ibid. (a) Parie II, pag. i36. (3) Parte I, pag. laS. MtMORlE ISTORIGHE DI AcCUMOLI 3 1 J Irattato stipulato nel i563 (i). Il citato cronista lo- da molto la dottrina di questo Gualtiero e di Gio- vanni Battista suo nipote. La linea maschile dì que- sta famiglia finì con altro Giovanni Ballista nel 1669, come leggesi nelle memorie di s. Lorenzo. Colonna. Valerius Columna fu uno de' fonda- lori e legislatori. Benedetto Colonna, candottiere de- gli accumolesi alleati con Ascoli, monva nella san- guinosa fazione combattuta sotto Arq.iata , ess Nibby, uno de'piìi chiari e celebrati archeologi dell' » età nostra, socio ordinario della pontificia accade- V mia di archeologia, corrispondente dell'istituto reale » di Francia, e di quello di Monaco , dell' accade- » mia di belle arti in Firenze, dell'ercolanese di Na- » poli, e di quella delle scienze di Torino, profes- » sore di archeologia nell'accademia reale di Francia w in Roma ec. ec. (2) morto in quest'ultima città ai (i) 11 Grau Sasso d'Italia. Opera periodica di scienze naturali ed econoiuiche. Anno III, nuiii. 8, i5 aprile i84o, pag i22-a4> (2) Il Nihby era ancora pubblico professore di archeologia uell'uaiversilà romana, scrittore greco alla vaticana, e membro della commisìioae delle antichità, belle arti ec. \ MeMORÌK ISrORICHK DI x\cCUMOLl 33f) » 20 Jello scorso dicembre nell' ancor fresca età di u anni 4? ^^^ dolore di tutti i buoni. Boncbè per » la consueta emigrazione di tanta parte degli abi- li latiti del secondo Abruzzo ulteriore nel limilrofo u stato pontificio, segnatamonte nella stagione inver- » naie, egli sortisse i natali in quella medesima do- li minante, la sua patria dee dirsi Accumoli , ove na- » cquero i suol genitori e dove riposano le ossa de- » gli avi suoi: Accumoli capoluogo di circonJario, e » residenza del vicario generale della diocesi di Ascoli il nel regno, che nel 1824 spedì al Nibby onorevole I) diploma di aggregazione al suo patriziato, e cbu egli » amava siccome figlio riconoscente. Ed in segno di 1) quest'amore erasi il sommo archeologo indettalo col )) suo chiariss. concittadino dottor Agostino Cappello u di andare nella ventura stagione estiva a visitare i> quella terra laatale, e d'illustrare Tantica corogra- » fia colle sue dotte investigazioni (i). Noteremo qui » sotto la lunga serie delle opere da lui pubblicate; u ma quelle che sopra le altre gli hanno assicurata (i) Il designalo ilinerario, pel quale si erauo per me prese le necessarie relazioni, doveva avvenire dopo la metà del maggio (i84' ) nella maniera seguenie. Percorrere lutla la via Salaria con più o breve dimora nelle celebrale località lungo la medesima : riposando dopo la sua metà in patria per uaa decina di giorni. Rieti, Ascoli, Atri sarebbero stale le città cbe più dovevano ri- chiamare l'attenzione del nostro archeologo. Quindi dal teramano portarsi in Sulmona ed in Ai[uila per illustrare soprattutto Gor- finio ed Amiterno; d'onde venire al Fucino, ove per le tante re- liquie antiche, in ispecie di Alba Fucense, sarebbero state coro- nate di felicissimo successo le fatiche del nostro concittadino. Oal Fucino, percorrendo la via Valeria, saremmo tornali in Roma. Non dubitiamo di affermare essere stata grandissima disavventura la morte del Nibby anche per rapporto a questo viaggio. 34o Letteratura t) la vita del nome sono la continuazione del Mu- li seo Pio-Clementino illustrato dai sommi eruditi e u filologi Visconti e Guallani, ed il volgarizzamento » di Pausania col Saggio di osservazioni cì'itiche^ )i geografiche, antiquarie sopra la Grecia da quell' « antico autore descritta; e se per quella si mostrò » non inferiore a que'suoi grandi precessori, per que- » sta ottenne il plauso del celebre Sebastiana Ciam- » pi , traduttore anch' egli di Pausania ed uno dei w maggiori lumi dell'antica letteratura in Italia. Chiu- a deremo questo brevissimo cenno con le parole del » suo elogiografo nell'accademia archeologica roma- » na. frisse posero e morì indigente. La pietà di » un amico corse in aiuto ed ebbe onorevoli fu- » nerali. Il governo e la generosità di un prin- » cipe romano, dhm personaggio per grado e di- » gnità eminenti s Simo, di dtn^ illustri accademie, » de'' buoni e degli stranieri dimoranti in Roma, » valsero a provvedere a' bisogni della misera e )) numerosa famiglia di quest'uomo tanto beneme- » rito delle lettere e dell' arckcologia. « Opere e dissertazioni pubblicale da Antonio » TSibby. - La Grecia di Pausania. - Saggio di osser- w vazioni critiche antiquarie. - Roma antica. - Sulle » vie degli antichi. - Del Tempio della Pace e della » Basilica di Costantino. - Foro romano, la via sacra, j> l'anfiteatro Flavio e i luoghi adiacenti. - Un viag- » gio antiquario ne'contorni di Roma. - Le mura di » Roma. - Sopra la statua volgarmente appellata il » Gladiator moribondo. - Intorno alla forma e alle » parti che costituiscono le antiche chiese cristiane. - » Circo di Caracalla. - Illustrazioni de'monumenti di « scultura del Campidoglio. - Memorie romane di an- Memorie isTORicHE di Accumoli 34i » licliità. - Nolizie storiche dei principali Itioglii os- )) servati nella triangolazione fatta dai professori Con- » ti e Ricchebach. - Posizione geogr.ifica dei principali » luoghi di Roma e suoi contorni. - Descrizione isto- » rlco-topografìca del lago Gahino. - Viaggio antiqua- » rio alla villa di Orazio, a Subiaco, a Trevi presso » le sorgenti dell' Aniene. - La villa Adriana. - Via )) portuense e l'antica città di Porto. - Cavo prati- » cato sotto le mura urbane presso la porta Nomen- » tana. - Elementi di archeologia ad uso dell' archi- » ginnasio romano. - Viaggio antiquario ad Ostia. - » Delle antichità romane.- Monumenti scelti della vii- )i la Borghese. - Monumento sepolcrale detto degli » Orazi e Curiazi. - Degli orti serviliani. - Dichiara- » zione del dipinto di un aulico vaso vulcente. - Mu- » seo pio-clementino. - Analisi storico-topografico-an- » tiquaria della carta dei dintorni di Roma. - Sopra » il sarcofago detto di Annuendola (i). » Onorante. Romualdo Onorante di Macchia, villa e comune di Accuraoli, dopo avere alacremente atteso agli sludi preliminari in patria, venuto in Roma, con- seguì diverse dignità ecclesiastiche, fra le quali il pro- tonolariato apostolico per privilegio del XII Clemente (lySGj.Cuoprì poi posto di segretario presso il tribunale del vicariato. Nessuna ambizione per testimonio de'no^ (i) L'ultima opera del Nitjby assai reputata è intitolata: Ro- ma nelVanno i858: essa è divisa in 4 tomi in 8. grande con 64 rami. I due primi volumi risguardano la parte antica, e gli altri due la moderna. L'ultimo volume per l' immatura morte è stato compiuto per opera di due illustri letterati rom.mi, che con mol- to senno profittarono delle opere del cliiar monsignor Morichi- ni sui stabilimenti di pubblica beneficeuza, e del Marchi sul mu- seo kirkeriano. 342 LrTTEK ATURA Stri ])uoni vecchi, ebbe l'Onorante, e per nostra morale certezza rifiutò più volte la dignità episcopale : il che maggiormente l'onora. Gloriavasi esso dell'accumolese cittadinanza, alla quale ei'a stato da' noslri distinta- mente aggregato : ed egli non trascurava che nelle di- verse patenlali onorevoli, che gli si spedivano, venisse ricordato accumolese cittadino. Varie sono siale le sue opere fatte di pubblico diritto : diremo noi di quelle che gli procacciarono maggior fama, fra le quali è la seguente: Praxis spcretaviac tribunalis endnefitiS' simi et V(i.>erendissiml domini D. cardinalis urbis vicui'ii perutilis non modo sccretariae ministris , verum etium ordinatidi.s\ conjessariis, paroclus^ ac episcoporicm cancelìaviis. Auctore Romualdo Ho- ìiorante preshytero ab Accumulo asculanae dìoe- caesis etc. Romae 1762 pei tipi del Fianzesi e Pa- peri voi. in 4' P^g- 342» (i). Precedenlemenle 174^ e 4C aveva pubblicate : Direttorio de^parrochi ed altri prelati che hanno la cura delle anime. Ope- ra drlV esercizio spirituale per gli ordinandi ec. Organtini. Sul declinare del secolo XVI Alon- so Organtini venuto in Accuinoli per comando mili- tare, vi si stanziò. La sua famiglia si divise in due li- nee, dipoi in tre, oltre un ramo naturale, secondo- che trovasi scritto, disperso ne'sobborghi e villaggi. In ognuna delle suddette linee sortirono uomini di toga e di armi. Ne'registri battesimali del secolo appresso troviamo: Anno Domini 1694, die vero quinta mar- tiì, ego Ioannes Baptista Poggius rector paro- chiae s. Petri apostoli baptizain infantem natum fi) Ve ne sono più edizioai anche in 8. Memorie ìstorighe di Accumoli 343 ex magnijicis dominis capituneo Alexio Organtinl et Camilla De Cappellis , cui impositum est no- men Àlontius etc. In quest'epoca Alessio aveva con- seguita la ricca eredità de' Titoloni , l'ulliina donna de'quali era stata sua madre. Molto opulenti furono due di queste famiglie : ma l'una decadde sulla metà del secolo XYIII, e l'al- tra sul finire di detto secolo. Sotto il ministero Ta- nncci contrastarono (per farne parte, come eredi di don- ne ), siccome ai loro tempi avevano praticiiio i Lau- ri, i Lucidoni, i Fortis ed altri, i diritti degli uomi- ni del Quarto di san Lorenzo : ma se non uscirono vincitori, fu loro opera per la quale il governo spedì in Accumoli il commissario Celentani per verificare quanto concerneva gli uomini di detto Quarto (i). Tuttavia il litigio durò più anni, essendosi prepoten- temente intrusi ne'loro lenimenti. L'incarico della lite fu dato all'avo nostro, che era stato il primo a querelar- si, e ne contrasse inimicizie ed odiosità, sebbene facesse rimovere gli atti criminali E semplice , come fu in uso degli uomini del Quarto, è la seguente loro ri- soluzione : 176B, è stato anche risoluto che Ago- stino Cappelli avendo esposta querela a partico- lari su tale affare del Quarto , ed avendo fatto fare il decreto di remota criminalitate, si dà al me- desimo Agostino tutta la facoltà di poter prose- guire tale litigio etc. Molla lode debbesi al giure- consulto Gaspare Organtini, che fu il più attivo per la procedura della residenza del vicario generale in Accumoli. Non minor lode meriterebbe l'altro giures- (1) Parte li, pag. 116-17. 344 Letteratura perito Alfonso, che fu il provvisorio luogotenente nel- la difficilissima epoca del lygg. La maggior parte del- le notizie officiali di quest'epoca, per noi riportate, so- no attinte dai manoscritti che esso ci consegnò nei 1826. Per altro vituperevole fu la sua condotta, quan- do per contrario a danno della sua patria e de'mi- gliori suoi concittadini per vile vendetta si cullegònel 1807 col Caparrotti, che cercò di sterminare quanti proprietari erano nell'accumolese : e taluni ancora del limitrofo stato pontificio. Alfonso , stando come con- sigliere provinciale in Aquila ai comizi del 1829, fu preso da grave morbo nelle vie orinarle , del quale mori dopo aver acerbamente e lungamente patito. Domenico Organtini fu lunga pezza e fino alla morte vicario generale in Accuraoli pel vescovo di A- scoli. Fu per noi nel capo VII della seconda parte di queste memorie notato, quanto avesse influito con- tro i francesi, in ispecie per la sommossa degli abi- tanti della valle Castellana (i). Un altro Domenico Organtini dello stesso sti- pite, ma povero ed orfano di padre e madre, mostrò fin dall'infanzia vivacissimo ingegno : e di gran lun- ga maggiore superò i suoi condiscepoli nelT appren- dere. Dimodoché alcuni suoi concittadini lo sovven- nero, perchè si portasse in Roma a compiere la car- riera degli studi. Ivi, soccorso ancora da un vecchio sac»;rdote , corrispose alle concepite speranze. Prese l'abito ecclesiastico, e divenuto sacerdote, andò pro- fessore di filosofia al collegio di Osimo, d'onde fu ri- chiamalo professore di belle lettere nell'università gra- fi) Parte II, pag. 218. Memorie istokighe di Accumoli 34^'> goriana. Quanti sono uomini in Roma per istudi in ogni scienza distinti che furono scolari dell'Organti- ni , e non sono pochi, tanti lo ricolmano di elogi. Riconoscono in esso non solo un profondo sapere, ma eziandio una felicità tale nel comunicare le idee, per la quale infondevasi nella gioventù amore non meno che entusiasmo per lo studio. In ogni francese invasione dello stato pontificio, l'Organtini tornò per poco in patria, d'onde si portò a Napoli. Ivi ( i8i4) fu immaturamente colto da morte improvvisa nell'età di anni 54, col massimo di- spiacimento de'suoi concittadini ed amici, e con vero detrimento delle buone lettere. Imperocché le sue gra- vi fatiche nella traduzione dell'Eneide e delle odi di Orazio, con ricche annotazioni, sono deperite. Seppure non venga giorno, in cui altri ne profittino, siccome sì è profittato delle prediche e de'suoi panegirici, e di altri dotti suoi lavori. Di molti manoscritti fu erede l'unica sua sorella monaca in Amatrice. Richiesta in grazia dagli accumolesi suoi parenti che si dessero lo- ro per farli di pubblica ragione, siccome aveva avuto in proggelto l'autore, rispose che appena i mss. le tor- narono di Napoli, gli aveva dati al sacerdote Andrea T?ersico, che le ne aveva fatta premurosa istanza, ed al quale professava obbligazioni. Pregalo poscia il Per- sie» più volte di ristituirli, vi si è rifiutato sempre diceido, che non erano di verun momento ! Quando seppesi in Roma la morte dell'Organ- tini, alcuni de'suoi allievi, benché conoscessero che le eoe più gelose le aveva seco portate, tuttavia cer- carom se nella casa ove era stata la sua dimora in Roma,i fosse rinvenuta qualche sua produzione. L' egregie signor canonico Ambrosini ci è stato cortese 346 Letteratura nel mostrarci quanto fu in tal circoslanza per esso acquistalo. Vari separati argomenti portano il titolo di Discorsi morali^ in cui nello spiccare la religiosa pietà, si scaglia con impetuosa facondia contro il vi- zio. Sopramodo ci è andato a cuore il suo discorso sull'ipocrisia. De'suoi panegirici, molti della madonna, fra'quali dell'addolorata ne ha diversi : essi sono scrit- ti con istile veramente incalzante, ardente, e da som- mo oratori? : e si narra che quello sopra s. Miche- le arcangelo per la novità degli argomenti, e per la robustezza oratoria riscuotesse in Roma generale am- mirazione. Le sue prolusioni latine, lette nell'apertura degli sludi, erano note: e parecchie ne ha il lodato canonico. Siccome degne di grave latino oratore ci so- no sembrate la sua orazione De lingua latina reti- cenda , e quella Df historiae laudibits. Le quali produzioni compilale e scriile di carallere del nostro Organtinl, e dall'Ambrosini custodite, sono zero a fronte di quelle smarrite o che possono andare sott' altro nome *. Palmieri. Ioannes Palmerius fu uno de'fonda- torì e legislatori. Molti sono gli uomini segnalati con distinzione qua e là nelle patrie memorie. Noi riporteremo di soli due le parole dell'anonimo cro- nista. « Fra Valerio Palmerio dottore in teologi? e * Debbo notare i viventi Gaetano e Francesco Oijantini 9Uoi nipoti cugini : perchè al primo sono debitore della p'anta che precede queste memorie. Del secondo, egregio ingefiere ia Sicilia, sono diversi anni che io vidi l'acquedotto del Beino la rilievo fatto con molto ingegno: vidi inoltre il geomet'co pro- spetto di una fabbrica per le terme d'Introdoco .• e so he molti altri sono i suoi lavori di simil genere. Memohik istorighe di Accumoli 347 » predicatore eccellentissimo dell'ordine de'mendican- » ti di s. Agostino, siccome chiaramente si vede dai » suoi scritti. » « Gio. Giacomo Palmerio philosopho B e matematico, et in molte altre scienze pratico, al » quale se Dio presterà vita, sarà per dare a questa » patria grande honore, et a sua casa utile et hono- » re insieme. » In Flaminio Palmieri spegnevasi <:jue- sta famiglia nel 1664, come si raccoglie dalle nuino- rie dì s. Lorenzo. ■ Paìuzzi. Paulus Palutius fu uno de' fondatori e legislatori. Di questa famiglia , tuttora esistente , un Paluzzi si distinse con valore sotto le bandiere del re Ladislao , ed un Andrea Paluzzi fu uno de' condottieri de'suoi concittadini sotto Braccio da Mon- tone. Gio. Antonio Paluzzo, sindaco del Quarto di 8. Lorenzo nel 1640, moriva nella fazione contro i norcini. Il giureconsulto Gregorio Paluzzi fu uno de' quattro che con carità veramente patria accorse in Napoli per rimovere il servaggio, da cui fu Accumoli minacciato (1). Fasqiialoni. Domidaniis Paschalonns. Pom- ponius Paschalonus. Due furono gli stipiti di que- sto cognome, entrambi fondatori e legislatori. E seb- bene nel corso delle memorie del Quarto di san Lo- renzo chiaro non apparisca, se i loro discendenti ven- gano dall'uno piuttosto che dall'altro stipite, essendo divisi in più famiglie, e talora cogli stessi nomi; ed alcuni espatriati, i loro figli ripatriavano; pure i pro- venienti da Domiziano ebbero cura fino alla loro estin- zione di dirsi suoi discendenti senza aver nulla di co- (i) Parte II, pag. i56. 3/^8 Letteratura mune origine con gli altri Pasqualoni. Appo noi nel volgo medesimo fu questa distinzione. La differenza in fine de'Ioro stemmi conferma questa notizia genea- logica *. 11 certo si è, che da ambi gli stipili sono sortiti uomini di merito e degni di onorevole men- zione. Che se in tutte le nostre famiglie furono mol- ti dottori di leggi, in quelle de' Pasqualoni supera- no il centinaio. Vi si noverano ancora piìi medici , fra'quali il citalo cronista dice: « Giovanni Giuseppe » Pasqualoni, quale hora si ritrova medico d'Ascoli » in grandissimo credito. » Un Pomponio è segnato per celeberrimo in una delle lapidarie iscrizioni nella loro cappella in s, Lorenzo in Lucina. Per altro nes- suna menzione si fa di esso nelle patrie memorie. Ec- cetto Domiziano , erettore di questa cappella, gli al- tri Pasqualoni, di cui ivi sono i busti, sono seppel- liti in Accumoli. Fra'quali iiureliano, chiamalo am- plissimo giureconsulto nell'iscu-izione romana, morì in patria 9 anni prima che Domiziano fondasse detta cappella, siccome chiaramente si vede dalle riportate iscrizioni lapidarie. In s. Francesco di Accnmoli col- lo stemma dei tre pini vi ò sepolto Aureliano colla seguente iscrizione : D. O. M. Aureliano Pasqua- lono viri optimo iuriconsuìto primariis iudicatus officiis insignito. Df^iparae Matris Misericordiae, ac piorum locor. hiiius patriae singulari patrono perennem etc. (i) Fixit ami. LXF, menses IIII^ * Lo stemma della famiglia di Domiziano sono tre pini eoa doppia sbarra a campo aperto. Quello della famiglia di Pompo- nio sono tre monti con un genio che alla sinistra ha tre spighe di grano, e superiormente una fascia colle parole Soli Deo. (i) La lapide essendo di pietra arenaria e per terra, si sono consumate varie parole. ..i)5f .^««j ,11 vili' Memorie istoriche di Accumoli 34q obiit an. d. MDCXXXFII mense augusti. Un altro Pomponio Pasqualoni morì combattendo sotto l'Aquila pel partito braccesco, Gio. Battista Pasqualoni inviato dalla sua patria ambasciatore nella coronazione di Car- lo V a Bologna, invece di perorare la di lei causa, cercò i propii interossi (i).^ E celebralo Salvador Pasqualoni non meno nel- le leggi cbe nella poesia. (>)me disliuto giureconsulto fu in Roma ascritto alla cittadinanza romana ne'pub- blici comizi del di ultimo febbraio 1602. Il Crescim- beni scrive pel poetico suo valore « che ad onta del cattivo gusto, saldo al buono si tenne il Pasqualoni, e le rime da lui pubblicate sono di assai buona ma- niera , meritando il suo autore onorato luogo tra i giudiziosi poeti toscani (2). /, Il Tiraboschi, per gli schiarimenti avuti da parte ancora di un illustre discen- dente collaterale di Salvatore, narra : « Tre valorosi poeti ebbe ancora il regno di Napoli. Il primo fu Sal- vator Pasqualoni. Egli, era nato in Accumoli città dol regno di Napoli nella provincia dell'Aquila, e venuto m lioma vi ebbe la cittadinanza romana. Le rime da lui pubblicate in Napoli nel 1620 sono tali che si possono paragonare con quelle de'più leggiadri scrit- tori del secolo XVI : ed egli stesso protestasi nella prefazione di aver presi a sua guida i migliori mae, stri, e non già quelli che al suo tempo tanto si ce, lebravano. Egli è annoverato dal marchese Manso fra gli amici che ebbe in Napoli il Tasso , e detto da lui intendentissimo della poesia non meno che le leg- (i) Parte II, pag. 3';-8. (2) Storia della volgar poesia, tom. IV. pag. iSg. 35 o Letteratura gi (i). » Il dello Manso nella vita del gran Tor- quato racconta così: come raccogliesi dalle memorie del Quarto di s. Lorenzo : ed una fa- miglia de' Pasqualoni ereditò i beni. I De Presbite- ris, decaduti sul finire del secolo XVII, si estinsero nel primo anno del secolo corrente col medico Ales- sandro De Presbiteris. Maritatasi una sua sorella con un tal Passarini del contado di INorcia, il suo figlio La preso il cognome della madre. Vari sono gli uo- (i) Debbe notarsi che questi non vanno confusi co' De Pe- tris : dalla qual famiglia ancora sortirono in patria e fuori uo- mini di lettere e di armi. G.A.T.XCVII. 33 334 Letteratura mini dlstinll di questa famiglia, che ripetesl nelle pa- trie memorie essere stata ascritta sul finire del seco- lo XVI al patriziato ascolano. Un Tommaso De Pre- sbiteris combattè con valore nel lungo assedio della sua patria , allorché in assenza di un capitano spa- gnuolo subentrò al comando di una compagnia di ca- valli. Nella citata opera del Ziletti, ove fu riportala la sottoscrizione di Demofonte Diotiguardi , giudice in Ascoli, è la medesima preceduta, dopo l'esposto con- siglio, da quella di Gio. Lorenzo de Presbiteris com- pilatore del consiglio. Riportiamo di lui la semplice sot- toscrizione : « Ego Ioannes Laurentius De Praesbi- )) teris de Accumulo L U. D. licet mlnimus, et ad » praesens Vicarius reverendissimi episcopi et prin- » cipis Asculani, qui me subscripsi manu propria, et )) sigillum meum, quo in similibus utor,apposui etc.(i). Preziosi. Flavius Predosiis fu uno de'fondatori e legislatori. Gio. Battista Preziosi uno de'condottieri de'suoi concittadini militò con valore fino agli ulti- mi giorni delTesistenza di Braccio da Montone. Ia- copo Preziosi nel lungo assedio di sua patria (2) fu inviato ambasciatore in Napoli al principe d' Oran- ges , peluche invocasse aiuti prontissimi pel massimo desolamunto in cui essa era ridotta. Da quanto nar- ra l'aocumolese cronista , sembra die fosse egli ben conosciuto dal lodato principe. Questa famiglia, deca- duta nel fine del secolo XVI, ritiravasi in principio del seguente nella villa Tino; ed oggi, ridotta in vil- (i) Ziletti lib I, png i83. In Ascoli in questo tempo due accuiDolesi erano i suoi giudici. (2j l^arle li, pag. 28-9. Memorie istorighe di Accumoli 355 lica condizione, spegncsi a momenti per mancanza di maschile successione. Titoloni. Benediclus Titulonus fu uno de'fon- datori e legislatori. Iacopo Titoloni guadagnato coli' oro dal Piccinino gonfaloniere della chiesa, che sa- peva essere egli in amichevole relazione con Giovan- ni Sforza in Ascoli , lo spinse a portarsi in questa città per far trucidare lo Sforza sotto il manto di a- micizia. Di che avvertito per isplonaggio lo Sforza, il Titoloni fu arrestato alla porta romana , e co' suoi sgherri ridotto a pezzi con tanaglie sulla pubhlica piazza. Inoltre quanti accumolesi si trovarono in cit- tà, tanti furono appesi. Quest'ultimo atroce fatto con- ciliò odio agli Sforza in tutto il Piceno, e furore nel- l'animo de'nostri antenati e di non pochi ascolani (i). Per altro molti sono i Titoloni distinti nelle scien- ze e nelle lettere, e registrati nelle patrie memorie. Vi si rileva ancora che detta famiglia fu aggregata al patriziato ascolano nel secolo XVI. Doviziosa era la medesima, rimanendo tuttora in alenai luoghi della nostra contrada il vocabolo Titoloni , e la torre di- ruta de'Titoloni al N. O. fuori di Accumoli (2). Eb- be fine la maschile successione di questa famiglia con Fioravante Titoloni nel 169 i, come raccogliesi nelle memorie del Quarto di s. Lorenzo. Tommasi, Un Tomtnasi dalla convlcina Umbria sì stabilì in Accumoli nel principio del secolo XVII. Francescantonio Tommasi , dopo aver regolarmente (i) Parte I, png. i32. (2) Sembra che ognuna delle primarie famiglie avesse in campagna la sua torre. Nel casino de' Marini presjo Grisciano fino al principio del passalo secolo erano visibili le tracce di Ira- Jbochelti ce. ! 356 Letteratura compiuti i suoi preliminari studi in patria, intraprese quelli tii medicina in Pioma, ove fu medico avventurie- re. Occup-) poscia la condotta primaria in Ascoli , indi in Forlì, ove mori lasciando di se onorata fa- ma. Ebbe vari figli, fra' quali Bonaventura die nello studio delle scienze salutari si distinse nell'università di Bologna : intraprese quinrli un viaggio in Orien- te, d'onde mai più non si ebbe notizia malgrado delle premure de'suoi congiunti. Salvatore altro figlio per rindefessa applicazione alle scienze, ne fu immatura vittima. Vari opuscoli furono da esso pubblicati. A noi è riuscito averne uno di proposizioni fisico-ma- tematiche dedicate al card. Domenico Orsini edite in Ascoli nel 1758. Egli le aveva pubblicamente soste- nute: e come era l'uso del tempo, gli furono prodi- gati elogi in istampa , fra' quali crediamo riportare quest'epigramma. Tu ani naturae potuisti nascere motiis, Qiiaecfue foret terrae semita certa gravi'. Le gibus et gravibus conferri sidera cursu. Et c/uae tam varii causa coloris erat: Angliae honor Newton.^ tumulo, quo conderis, esseri della nostra specie, e così viceversa. Sonovi » adunque degli oggetti in natura assolutamente buo- » ni e belli, e all'opposto ne esistono altri, le cui 1) impressioni riescono a tutti spiacevoli e cattive. » Osserviamo inoltre, che ogni nostro piacere o do- )» lore sta in una sensazione, la quale è semplice o » composta. » Spiega l'A. questa sua distinzione, dicendo sém- plice la sensazione che noi non sappiamo attribuire all'azione di alcuna causa, e che nominiamo affezioni; qualunque sia il grado di loro energia, queste sono sempre e rispetto a tutti le stesse. Ogni altra sensa- zione egli dice composta, giacché si compone per lo meno di una esteriore impressione avvertita e della nostra parlicolar maniera di percepire. Più, riferen- dola ad un determinato oggetto si associa alla sua im- magine ed agli elementi che la compongono: di guisa che divenendo anche più complicala, può essere viep- più facilmente percetta in modi diversi, e può quin- di eccitare nel tempo stesso dei sentimenti diversi ed anche opposti, risultando essa da impressioni parte ag- gradevoli, parte moleste. « Ora ( prosegue l'A. ) la diversità de'nostri giu- » dizi intorno al bello ed al buono, ed ai loro con- » trari, verte sempre su queste sensazioni complica- » te. . . Ove agiscano su'nostri sensi più oggetti o più » parti distinte d'un oggetto ad un tratto, non pos- » siamo ritrarne percezioni chiare e distinte se non » ci venga fatto di portare separatamente la nostra » attenzione su di ciascuna, e ... il risultato di que- » st' analisi è sempre un piacere , perchè soddisfa a » un desiderio comune, che appelliamo curiosità, bra- » ma di sapere. Ma veggiamo altresì, che a voler con- 376 Le TTEn ATURA )) seguire questo in lento conviene che l'oggetto 0 le » parti delToggetlo, che soffre a'nostrl i sensi, ci si n presentino in una certa situazione e con tal rela- )) zione fra loro, che non solo ci sia agevole perce- )) pirle isolatamente, ma eziandio avere del tutto ia- )) sieme una percezione chiara e distinta , cioè una » vera percezione; altrimenti la nostra attenzione si j) disperde, la mente soverchio affaticata si stanca, e )) quindi non ci risulta che un ammasso d'idee in~ ì) tralciate, oscure e confuse, in cui sta la molestia » e la noia. Scorti da questo fatto innegabile (egli )) conchiude ) che il buono e il bello trovansi in una » certa disposizione e collocazione delle parli di un )) tutto, che chiamasi ordine e simmetria^ dalle quali )) circostanze risulta una certa corrispondenza e af- » finità delle parti slesse fra loro, onde proviene che » tutte le relative impressioni si associano senza sfor- )) zo e si riuniscono come in una impressione sola, « la quale alletta e piace, perchè trae l'intelletto al » conseguimento di un fine, che si rinviene nella per- » cezione di un suggello semplice ed unico, in cui M la mente volentieri si adagia. Da queste osserva- » zioni ricavarono i sapienti le regole e i precetti )) per le arti imitative , i quali non possono essere » trascurati dagli artisti senza detrimento del vero » bello ideale, che risulla da varie porzioni di bello » naturale qua e là sparse, che l'arte assembra ia » un solo tipo, ed ordina alla rappresentazione di uà )) soggetto: ed ecco come le arti siano imitatrici del- )) la natura. » Viene quindi l'A, a spiegare la varietà de'glu- dizi intorno al belio ed al brutto: aggiunge che dalla maraviglia ancora sorge il piacere^ dunque nel ma- Sul bello 377 raviglloso consiste pure una parte del bello , fino a che lo straordinario esercizio delle nostre facoltà in- tellettuali non arrivi a produrre la stanchezza o la molestia. Nota gli aberraraenti del gusto, conseguen- za del disprezzo degli esempi e de'precetti degli an- tichi maestri: nota il ritorno alla slima ed allo stu- dio dei medesimi nella arti beile. « Così ( egli dice ) » si è reintegrato il criterio del vero bello ideale , )) che consiste in una certa ragionevole proporzione » delle parti di un tutto fra loro, onde procede ciò » che dicesi ordine ed armonia: così l'occhio e la » mente dell'osservatore si appagano in veggendo la » giusta corrispondenza dei mezzi al fine propostosi M dall'artefice: in che sta la ragione dell'arte. » Tanta consonanza di opinioni tra me e TA. non ha bisogno di essere spiegata; perciocché parla da se. Tacerò adunque raccomandando ai giovani singolar- mente l'amore dell'ordine sì ne'pensieri e nelle pa- role, come nelle azioni, se vogliono rendersi cari a se, alle famiglie, alla patria, regina delle arti belle ! D. Vaccolini. 378 'WM,miMTA' Delle bonificazioni ferraresi, e dei lavori a conservazione della, loro agricoltura. Memoria dell'ingegnere Carlo Passega. Bologna, j8^0, tipi governativi alla volpe, in 8, di facce 80. Jlì pur troppo vero, che la sicurezza delle proprietà ha dato eccitamento ai coltivatori ad estendere e migliorare la ricchezza prediale. Da queita cagione ebbero origine le bonificazioni delle pianure ferraresi, che giacevano sotto le acque, e rendevano in- salubre l'aria. Gli sforzi dell' uomo e le operazioni della natur-i valsero a torre quelle fertili pianure dal dominio delle acque, e renderle biondeggianti di spighe, e per ogni dove abbellite di alberi, di case, di villaggi e di città piene di popolo attivo, che divenne poi insigne per arti, per lettere e per scienze. Le argi- nature de'grandi fiumi, che intersecano le campagne, l'apertura di canali di scolo, l'innalzamento dei bassi fondi , le piantagio- ni, l'industria agricola ben diretta, il miglioramento delia con- dizione delle classi, che per vivere hanno bisogno di lavorare, la forza del governo che coadiuva si fatte cose, lo spirito in fine di progresso, checché si dica, il quale anima e muove tulle le classi della società in ogni luogo , faranno quei luoghi assai più ameni, fertili e salubri di quello che ora sono. Lode adunque al valente ingegnere sig. Carlo Passega ferrarese, che coll'operae co- gli scritti giova a questi miglioramenti , che sono le corone più belle, che abbianìo dalla pace, che Dio lungamente conservi ad utilità e ad incremento di tutto ciò , che rende la travagliata umana esistenza più felice. E. C. B. Varietà' 3;g Rendiconto delle memorie dell' accademia medico-chirurgica di Ferrara, Ielle nelle adunanze del 184 '• Bologna, fonderia e tipografìa gov. alla volpe, i843. in-d, di facce ^3 con 2 tav. lilogr. importantissimi argomenti furono trattati nel i84i, anno XIV accademico, e dottamente discussi dai membri dell'accademia medico-chirurgica di Ferrara. Il rendiconto che annunciamo , e varie memorie che o in alcuni giornali o separatamente si pubbli- carono, fanno indubitala fede di ciò. Si trattò di fatti delle acque termali e potabili, di vari argomenti di veterinaria, di anatomìa patologica e di medicina e chirurgia. Meritano speciale menzione la descrizione di un caso di melanosa vera del sig. prof. Luigi Bosi ; un caso di emiacefalia nella specie umana del signor dott. Grillenzoni, corredato di due ben' eseguite tavole : e la storia dì una strana forma di coavulsione del sig- dott. Trevisani. E. C. B. Discorso sopra alcune tasse ed operazioni di finanza degli antichi romani letto da A. Coppi nelV accademia romana di archeo- logia il dì 4 maggio i8^5. Roma, tip, Salviucci, i843 in 8 di J'acce 17. Xn questa eruditissima memoria, colla scorta dei classici, l'A. di- mostra, che tante gabelle e dazi che si credono recenti sono an- tichissimi. Di fatto egli ci parla di tutte le operazioni censuarie, del dazio sul sale, del debito pubblico, de'beni pubblici, delle tasse alle porte, del registro, della pubblicità delle finanze, della car- ta bollata al tempo di Giustiniano, e di altre cose che intecessa- no moltissimo la storia di un popolo si celebre come il romano. E. C. B. 38o Varietà' Pel solenne possesso del nuovo protettore di Gubbio eminenti^* Simo sig. card. Mario Mattei. Orazione del gonfaloniere conte Francesco Ranghiasci Brancaleoni cameriere pontificio di spa^ da e cappa, socio di varie accademie ec. Gubbio con licenza de'superiori i843. V^uesta forbita orazione, piena di robusti pensieri e di amor pa- trio, fu pronunciata dal nobile sig. conte Ranghiasci la sera del 17 maggio del corrente anno nell'aula comunale di Gubbio alla presenza dell'illuslrissinio e reverendissimo monsig. vescovo, del- la magistratura, delle autorità civili e militari, della primaria no- biltà e depili ragguardevoli cittadini, e precedette la solenne ac- cademia instrumentale e poetica in sì fausta occasione tenuta coti grandissima pompa. Applaudita dalla udienza si volle di pubbli- co diritto, e fu dall'autore con bella filantropia dedicata ai suoi concittadini medesimi. Descrivonsi brevemente nella prima parte la gesle dell'eminen- tissimo e reverendissimo sig. card. Mattei segretario per gli affari di stato interni di Sua Santità: e nella seconda ricordansi le an- tiche magnificenze eugubine , il commercio di quella città, gli antichi monumenti, de' quali abbonda. Il eh. sig. conte fa arden- tissimi voti, perchè la sua patria , mercè del proteggimento di sì illustre porporato, torni all'antica dovizia e splendore.il peixhè ci uniamo ancor noi alle lodi, che da più giornali si è dato a que- sto parto dell' ingegno del conte Ranghiasci , ben noto pel suo amore verso le arti, e specialmente per la famosa galleria de'qua- dri, la quale onora non meno Gubbio, che la sua cospicua fa- luiglia. G. A. yocabolario romagnolo • italiano di Antonio Morri. Faenza ti~ pografia di Pietro Conti 1840, in ^, di pag. 83o. J.1 on ripeterò le cose dette in questo giornale fino dai primi al- bóri di quest' opera tutta patria del signor Morri di Faenza (i). {i) Giugno 1840, a p. 194 e seg- Giugno 18^2, ap 207 e seg. Varietà' 38r Divo bene, che a differeuza di altri, i quali propongonvì associa- zioni o lo lasciano a mezzo (con loro colpa o senza); il sig. Mor- ri ha punlualmcate adempiuta la sua promessa. Egli ha dato alla Romagna e all'Italia un buon vocabolario del dialetto per lo più faentino, ed ha posto il corredo alle frasi eziandio de' corrispon- denti Italiani con tanta diligenza e tanto giudizio, che vuoisi as- solutamenle commendare. E siccome in tanta mole , quanta si è quella di un vocabolario cosi popolare o meglio municipale, fa- cilmente si ommette o si travede .• cosi egli il savio compilatore della un appendice, che servirà come di corona all'opera, E cre- scerà a se lode, agli studi utilità ,' D. Vaccolini Del pregio della fatica alimentato dalle casse di risparmio. Dia- loghi due di Antonio Faccolini, segretario municipale e con- sorziale in Bagnacavallo. Bagnacavallo , dalla tipografia del Benacci i8^j, in 8, di pag. 3-ì- Seconda edizione ivi, 1842, in 8, di pag. 4o. Del riposo degli operai. Dialogo di Antonio Vaccolini, segreta^ no municipale e consorziale in Bagnacavallo , socio corri~ spondente dell'imperiale e reale accademia di scienze, lette- re ed arti della l'alle tiberina di Toscana. Bagnacafallo, dai tipi Benacci, stamp. coni. 1842, in 8, di pag. 43. Degli studi e de'servigi del dottore Luigi Antonio Montesi, nie.<- dico comprimario condotto in Bagnacavallo. Memoria di An- tonio Vaccolini ec. Bngnacavallo , dai tipi Benacci stamp. com. J843, in 8, di pag. 20. J-Ja istituzione delle cassa di risparmio è tanto raccomandala per sé, sia per l'utile materiale, sia pel morale; che più non si potrebbe. Ma difficile cosa è persuadere la classe degli operai a prevalersi di cosi benefico stabilimento. A ciò sono diretti i dia- loghi suenunciali, e riescono al fine propostosi con belle ragio- ni bellamente esposte. Ke è prova il prosperare della cassa di risparmio, che fu aperta in Bagnacavallo sino dal luglio 184 1 , dove accorrono artigiani ed altri delle condizioni minori a porre i risparmiati frutti degli onesti loro sudori. 4-)eUo stesso auloie è la memoria suindicata, ed è la biogra- 382 V A R I E T Ila di un medico snvio e opcoso; le cui virtù sono in modo de- gno toccate dallo sciiltore, il cui lodevole spirito nelle carte chiaramente traluce ad incitameoto delle arti utili e ad incre- jnento del bene e dirittamente operare: di che la sua patria sia- golarmenle deve essergli grata e riconoscente! A. C. Memorie storiche intorno ai forlivesi benemeriti della umanità e degli studi nella loro patria, e sullo stalo attuale degli stabi- limenti di beneficenza e d'istruzione in Forlì. Faenza, dalla Stamperia di Pietro Conti 18 43, in 8, di pag. ylH, 198. xl chiarissimo monsignor Morichini diede il segno del come sia bello occuparsi nel dare quasi il quadro e la storia degli stabili- menti di beneficenza in Roma. Noi fummo de'primi a commen- dare quel suo lavoro ( fot. ig3, settembre iS55 a 2^5), e ne an- nunziammo poscia la seconda edizione uscita ultimamente. Ora ci gode l'animo di potere annunziare un lavoro consimile per la città di Forlì, tanto per la parte della umanità e beneficenza, quanto degli studi, ossia dell'istruzione. Cosi il cuore e la mente, e tutto l'uomo è interessato in quest'opuscolo del conte Sesto Mat- teucci ; il quale ha fatto bene a dirigere a così degno scopo i suoi pensieri ; poiché mira a rendere tributo di grato animo al benemeriti, e ad accendere una nobile emulazione nei superstiti e ne'posteri nel fare lasciti e istituzioni convenienti alla presen- te e futura civiltà. Tra queste notiamo la cassa di risparnn'o già aperta del i83g, che prospera con tanta celerilà, che mai la maggiore. Lode ai generosi forlivesi , che hanno la mente e il cuore rivolti a giovare e perfezionare 1' umanità : e lode allo scrittore , che ne raccoglie le memorie di ogni savia e benefica istituzione, e ne studia altresì il miglioramento! D. Vaccohni. 383 ERRATA-CORPiIGE, de'principali falli di slampa occorsi nella seconda parte deWlllusCre Italia, ed enieudati con altri nelle copie tirate a parte. Pag. 63 lin. ti soggiunse, leggi soggiunge. 3t ai sapienti, leggi alla sapienza. 5 gittan, leggi gittaron. q6 e fecero farle, leggi e lo fecero. 24 alzarsi, leggi aizavasi. 14 dov'erano, leggi dove sono. ^ volendo fare, leggi volendo farsi. 21 sufficienza, leggi ostentazione. 3 gente, leggi lingua. 1.3 lissio, leggi Ilisso. 5 e che in quella, leggi in quella. i4 dovuta porla, leggi dovuto porla. 28 pare, leggi vi pare. 3 riverenti e le sorreggono, leggi e riverenti le sorreggono 20 stessa, leggi medesima. 32 tua patria, leggi sua patria. 17 condelissime, leggi crudelissime. 23 de'noslri tempi, leggi di questi tempi. 24 ad una, leggi ad uno. 4 svergognasse, leggi svergognassero. 3 haffare, leggi beffare. 26 sulle imprese, leggi intorno alle imprese. II deirimmortal poeta, leggi dall'immortal poeta. 5 E questa, leggi Tal'è. 4 di quella, leggi da quella. 5 un suo dramma satirico, leggi un dramma sa- tirico di lui. 28 sul suo bastoncello, /ei^g-/ sul tuo bastoncello. 3 sullecitudine, leggi sollecitudine. 26 Fernando, leggi .'Mberto. i5 dovesse, leggi debba. II favellerà, leggi favellerai. g sedarsi, leggi sedi-rsi. 19 Guzzoli, leggi Gozzoli. 29 le arti, leggi l'arte. 27 s'infiori, leggi s'infiorino. 17 dnlln memoria, leggi della memoria. i5 Cortone, leggi Crotone. I veggino, leggi reggino. 9 Eritleo, leggi EreMeo. lo monstravasi, leggi mostravasi. 22 Giberti, leggi Ghiberli. 18 strettosi, leggi ristrellosi. 17 architettando, leggi architettato avendo. 19 tende, leggi tenda. 'o- 63 li » 74 )ì .84 >t ivi >y 93 )ì 9^ >t 106 » 107 >» no 5> 1.4 3> ii5 l> 126 >> ivi »> 127 >» i34 tt 142 tt i46 >> i5o » l52 jy 162 1> i63 >» ivi >» 178 .»> '79 >» 181 >J ivi » 187 >> 195 lì ivi 5> '97 » 201 >» 255 >ì 240 » 243 >» 247 >> 249 >» 258 J> 262 >> 263 »» ivi 1» 269 j. 271 >> 275 il 277 384 CONTENUTE NEL TOMO XCVir, VOLUMI 289, 290, 291 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Maggioranl , Storia di febbri perniciose {.continuazione ) pag. 3 Mamiani, Rapporto della cassa di rispar- mio di Pesaro n 26 Chimenz, Origine del metodo laterale per V operazione della pietra . • . . » 36 Tortolini, Nota sul passaggio dagl'integrali delle equazioni a differenze finite agVin- tegrali delle equazioni differenziali • » 4^ LETTERATURA Betti , Z(' illustre Italia. Parte seconda ed ultima . » 5o Cappello^ Memorie istoriche di ^ccumoli. Continuazione e fine » 3o6 Vaccoliniy Del bello- Art. XVIII- • . » SyS P''arietà' IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Maj IMPRMATDR '" ~'j*lì>Archiep. Coloss. Yicesg. $. ^é^^^ ^("^"^W !/. p'»7/¥ •¥ m ^ G I O R N A LE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1844 ■®3sf^"^ ^ ^ GIORNALE D I TOMO XCVIH GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO ROMA Tipografa delle Belle Arlt 1844 DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, presidente della pontificia èceademia dì archeolo- gìa, membro del collegio filologico dell'università romana. BETTI SALVATORE, professore di stòria e mito- logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, accade- mico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della crusca, corrispondente della pontificia romana ac- demia di archeologia e del R. instituto di Fran- cia, membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- lente della san. mem. di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. MAGGIORACI Carlo, professore sostituto di anato- mia, fisiologia, terapeutica generale e materia me- dica, patologia generale e semiotica, medicina teo- rico-pratica e medicina politico-legale nell'univer- sità romana. POLETTI cav. LUIGI, consigliere e professore di ar- chitettura pratica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nell' ospizio apostolico di s. Michele, professore onora- rio della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riedificazione della basi- lica di san Paolo, membro del collegio filosofico dell'università romana, socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore di medicina. IV VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario delle aii'ichilà romane, presidente onorario del mu- seo cnpilolino, segretario perpetuo e socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia, mem- bro del collegio filologico dell'università romana. ONORARI CARPI PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabi- netto mineralogico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHl GIACOMO, professore d'igiene, di terapeu- tica generale e materia medica, membro del col- legio medico-chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro del- la congregazione suprema di sanità. GERARlil FILIPPO, dottore di leggi. A, lNTALDI marchese Anlaldo, a Pesaro. ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto, a Rologna, BARLOCCl Saverio, professore di fisica sperimentale, membro del collegio filosofico e direttore del gabi- netto fisico dell'università romana, segretario del consiglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico, camerier d'onore di Sua Santità, in Roma. BIANCHINI Antonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale, in Roma, BRIGHENTI Maurizio, ingegnere ispettore, a Forlì. BRIGNOLIdiRrunoff Giovanni, professore, a Modena, BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUON APARTE S. E. don Carlo, principe di Cani- no e di Muslgnano, in Roma. BUON COMPAGNI S. E. don Baldassare, in Roma. CAMILLl Stefano , giudice del tribunale di prima istanza, ih Viterbo. V CAMPANARI avv. Secondiano, socio ordinario della pontificia accademia di arclieologia, in Viterbo. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CAKDINALI cav. Luigi, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CASSI conte Francesco, a Pesaro. CASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medici- na, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, profes- sore nel collegio nazareno, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CICCONI ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro-cu- stode generale coadiutore di arcadia, socio ox'dina- rio della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CONTI dolt. FILIPPO , medico, a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio , socio ordinarlo della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, mem- bro della reale accademia, a Torino, DE-LUCA monsig. Antonino, caraerier d'onore di Sua Santità, vice-presidente dell'accademia ecclesiastica, consultore delle sacre congregazioni dell'indice e di propaganda fide, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de'conli MONTANI cav. Francesco, camerier d'onore di Sua Santità, sotto-custode di arcadia, in Roma. FERRARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de'pre- dicatori, prefetto della biblioteca casanatense, con- sultore della sacra congregazione dell'indice, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. FOLCHI cav. Clemente, ex-presidente dell'insigne e vt pontificia accndemia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofico dell'università romana , socio ordinario della pontifìcia accademia di arclieologia, in Roma. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GENNARELLI dottore Achille, a Roma. GIÀ COLETTI padre Giuseppe, delle scuole pie, pro- fessore nel collegio nazareno, in Roma. GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della com- missione generale consultiva di antichità e belle arti presso il camerlengato della S. R. G. , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. GUZZONl DEGLI ANCARANI dolt. Carlo, profes- sore nel collegio, a Trevi. LABUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafista di corte, membro e segretario dell'istituto, a Milano. LOPl'Z cav. Michele, prefetto del ducal museo, a Panna. MALVICA barone Ferdinando, soóio ordinario del reale ihtilulo d'incoraggimento, a Brindisi. M AMI ANI DELLE ROVEllE conte Giuseppe, cen- sore dell'accademia agraria, a Pesaro. MAH CHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, prefetto del museo kircheriano, conservatore de'sacri cimiteri di Roma, membro del collegio filologico dell'università, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANI Filippo, professore, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore nel colle- gio, a Osimo. MORICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di ca- mera, membro della congregazione di revisione de' conti, in Roma. MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele, uditore VII della sacra rola, consultore della sacra congrega- zione de'riti, in Roma. PAOLI conte Domenico a Pesaro. PEFiETTI Pietro, professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma. PilRUZZl monsignor Agostino, arciprete della me- tropolitana e rettore dell'università, a Ferrara. PIATNCIANI padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, membro del collegio fdosofico dcU'universilà, in Roma. PUCCINOTTI doti. Francesco, professore nell'uni- versità, a Pisa. POGGIOLI dott. Miclielangelo, già medico ordinario della san. mem. di Leone XII, professore di bota- nica e membro del collegio medico-chirurgico della università, in Roma. RA-GGI avv. Oreste, in Roma. RAiMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan- ni in Persicelo. RAMELLI Camillo, professore, a Fabriano, RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott, Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santità e delegato apostolico della città e provin- cia di Ancona. SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di ar- chitettura teorica nell'insigne e pojiliGcia accade- mia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, architetto de' ss. palazzi aposto- lici, membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. SANTARELLI dott. Michele, professoie emerito di medicina, a Macerata. SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Mon- lalboddo. SANTUCCI ab. Domenico, in Roma. SANTUCCI monsig. Loreto, cameriere segreto di Sua Santità, custode generale emerito di arcadia, mem- VI» bro del collegio filologico dell'università romana, in Koma. SCLOPIS di Salerano conte Federico , membro della reale accademia delle scienze, a Torino. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Ge- sù, professore e bibliotecario del collegio romano, socio ordinario e censore della pontificia accade* mia di archeologia, in Roma, SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. SPEZI Giuseppe, in Roma. STEFANUCCI ALA dottor Antonio, in Roma. TESSIERI padre Pietro, della compagnia di Gesù, sotto-prefetto del museo kircheriano, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia , in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, professore di calcolo su- blime nell'università, in Roma. TROMPEO cav. Benedetto , medico di corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, a Torino. VACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco, membro del collegio me- dico-chirurgico , professore di sanità nella sacra consulta, in Roma. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del consi- glio d'arte pe'lavori di acque e strade, accademico di merito di s. Luca nella classe dell'architettura, membro del collegio filosofico dell' università, in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore nell'u- versità, direttore del museo antiquario, a Perugia. VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI dott. Carlo, professore sostituto di fi- sica sperimentale nell'università, in Roma. ZANELLI ab. Domenico , rettore del seminario , a Tivoli. ÌSSS ssiisir^s Bilancio della cassa di risparmio in Roma per Vanno 1842 e scritti fatti per la XKII generale sessione della società tenuta il 19 luglio 1843. I. Rapporto e bilancio della cassa di risparmio per Vanno 184^ presentato dal sig. Antonio Snei- der, letto ed approvato nella sessione del con- siglio d' amministrazione tenuta il dì 5 apri- le 1843. MuJ questa la prima volta , dappoiché fui onorato della nomina di ragioniere per il terzo triennio di amministrazione della cassa romana di risparmio, che ho la fortuna di presentarvi un bilancio di mia ge- stione, dal primo gennaio cioè, a tutto il dicembre dell'anno 1842. Sciogliendo il debito che ne ho, mi permetto da prima, in relazione al mio incarico, ve- nire allo sviluppo de'fatti. Due milioni centotremila due centonovantuno scudi e novantacinque baiocchi e cinque decimi di moneta romana è l'importante cifra, che i registri dimostrano essere stata consegnata alla nostra cassa dall'apertura di essa, cioè dal i4 agosto i836 a tutto il dicembre del 1842. A questa cifra aggiungete gì' G.A.T.XCVIII. I 3 Scienze interessi aitivi prodotti, e deducetene le somme re- stituite, e gl'interessi passivi pagati: e vi residua il capitale affidato , o fatto proprio dello stabilimento, nella somma di un milione drtecento quarantadue mila settecento cinquantacinque scudi e baiocchi ventiquattro ed otto tì?ec/wf, moneta romana, al 3i dicembre 1842. Lo sviluppo delle partite, che la compongono, lo avete nello slato attivo, che vi si presenta, cioè: Rinvestiti in diversi colloca- menti tutelati dalle piii sagge prov- videnze, e dal più maturo esame 7^ 1,191,245:55^1,^ Interessi attivi dovuti dai de- bitori per effetto dei suddetti col- locamenti, ed esigibili il i genna- io 1843 j) 20,922:62 Capitale in mobilie , stampe , libri ec. , già decurtato dal ratizza- to deperimento annuale . . » 566:i25|,o Effettivo contante in cassa , scorta necessaria, onde supplire a ■'■• momentanee richieste dei nostri de- positanti, ed al pagamento dei bo- ni , e certificali dei frutti in cir- colazione » 3o,02o:94«|io T^ 1,242,755:248], „ Lo stabilimento ha un debito verso i fiducianti in esso di un milione duecentocinque mila cinque- cento sette scudi e baiocchi sei^ e cinque decimi^ moneta romana: cui vengono aggiunti scudi cinque mila, capitale delle azioni dei cento soci; e la som- ma si eleva a un milione duecentodieci mila Gin- Cassa di risparmi 3 quecento sette scudi e baiocchi 06 5|i„. Questo debito, portato xieUo stalo passivo, è diviso nelle se- guenti partite; Capitale dei depositanti in nu- meri ii,8t3 conti distinti , -7=7 l, 176,508:44 Interessi dovuti a detti depo- sitanti al 3i dicembre 1842 . » 20,912:27 Boni di somme tolte dal capi- tale attivo dei depositanti per loro domanda, e non ancora maturati o presentali all' incasso ...» 4»790* " Certificati d'interessi dovuti so- pra i libretti estinti non esibiti alla cassa per esser pagati ...» 898:92 Capitale, di due azionisti de- funti, non ritirati dai loro eredi w joo: » Interessi attivi per lo stabili- mento pagati da'debitori, prima che fosse maturata la scadenza . « a5:83^|i. Deposito in rendita consolida' ta a garanzia d'interessi passivi di un debitore per rinvestimento fruì-» tiferò con esso stipulato . . » 2,771:60 Capitale dei 160 azionisti del- lo stabilimento nostro ...» 5, 000: » r^ i,2io,5o7:o65[,^ Dal confronto dello stato passivo coli' attivo si deduce, che Fattivo dello stabilimento, ossia il pro- prio fondo, dimvcion\.SL al 3i dicembre 1842 a scudi trentadue mila duecento quarantotto, e baiocchi diciatto e 3|,o moneta; ed aggiuntovi il capitale del- le cento azioni dei soci, a scudi trentasette mila duecento quarantotto, e baiocchi i8^|,o. / Scienze E poiché a tutto l'anno 1841 i profitti ammontavano, compreso il capitale delle azioni, a . . 7=7 28,916:36 così quello verificatosi dell' anno 1342 sarà di 7^ 8,33i:8a3|,^' ■7^ 37,248:i83|.^" Perchè poi V utile derivante dalla gestione 1841 fu di scudi » 9,636:a4^|,o,. e quello del 1842 di ... » 8,33i:82''|,a, di questo meno in . . . . ■?=? i,3o4:42^lto intendo dare ragione. Dalla dimostrazione della rendita e spese unita allo stalo passivo ed attivo che vi presento, posta a confronto con quella datavi nel bilancio a tutto il 1841, risulla ( quantunque molto maggiori siano state le operazioni, che l'amministrazione ha dovuto com- pier-e nel 1842 ) che la spesa totale degl' impiegati non si è aumentata che di soli se. 223:857(,o . La minorazione dunque dei profiìh non deve ripetersi da soverchia spesa , che grava sull' amministrazione. Ed un solo sguardo , che si getti sopra queste due dimostrazioni delle rendite e spese degli anni i84i' (; 1842, raostrprà, che se nel primo l'utile avuto nel- le transazioni della rendita consolidata s'innalzò a ■7^ 5,527 - nel 1842 non si ebbero che 7^ 2,5o8:63^|,o che è quanto dire, assai meno che la metà dell'anno antecedente : e ciò proveniva dall' innalzamento del valore de'fondi pubblici. Può accagionarsi ancora del minor profitto, l'abbassamento dell'interesse sul da- naro verificatosi in Roma , ed operalo specialmente dai rinvestimenli a discreto agio stipulati dalla no- stra cassa : il quale abbassamento non è forse uno Cassa di risparmio fi dei minori vantaggi pubblici prodolli dalla filaiUro- pica nostra istituzione. E poiché ho parlato dei risultati della gestione, mi veggo in secondo luogo portato dal debito d'uf- ficio a dimostrarvi quale fosse il movimento, che ven- ne al capitale della cassa durante l'anno 1842. Nel bilancio a tulio il 1841 il capitale dovuto ai depositanti, compresi i loro interessi capitalizzati al 3i dicembre di quell'anno, ascendeva a scudi no- vecento settantaquattro mila duecento novantacin- que , e baiocchi novantasei. Lo vedete al 3i di- cembre, dell'anno di che parlo, salito ad un milione centonovantasette mila quattrocento venti ^ e baioc- chi settantuno. Esso viene composto delle seguenti partite, cioè: Capitale dovuto ai depositanti a lutto il 3i dicembre 1841 • » 9745295:96 Interessi ad essi dovuti a tutto giugno 1842 , e capitalizzati il i luglio a netto » i8,5o3:4o Versamenti durante l'anno 1842 . 7=^449,632:89) ,83 700-08 Restituzioni » 265,923:81 ) '' •^* Interessi da capitalizzarsi il dì 1 gennaio 1843 » 20,912:27 -^ 1,197,420:71 Quindi è chiaro , che il capitale affidato alla cassa dei depositanti si è aumentato nell'anno 1842 della cospicua somma di 7=7223,124:75 : nuova pro- va della tìducia sempre crescente nella istituzione. Ora lo stalo passivo, di cui vi riepilogai le par- tite in che si suddivide, e che vedeste ascendere al 6 S e ì E N 2 È 3i dicèmbre 1842 a se. i ,210,507:065], „, non ha bi- sogno di dichiarazione maggiore : per se stessa pre* senlandola quella unita alle cifre, che lo compongono» Dirò piuttosto alcuna Cosa di quelle partite, di che si lornia lo stalo attivo ascendente, come già di* ceva, alla somma di se. 1,24.2,755:24^110» ed eccone la distinta. Sono rappresentati da altrettante cartelle di con- solidato romano calcolato al prezzo corrente in borsa al 3i dicembre 1842, cioè a io675|j^^ saggio non ec* cedente, considerato il progressivo aumento nei no* stri pubblici fondi: saggio cui l'ho calcolato per non. essere in dissonanza con ciò che antecedentemente trovai essere stato praticato nella nostra amministra- zione » 9o,93o:335|io Detto consolidato in forma di deposito ritenuto per garanzia di frutti dovuti alla cassa da un de- bitore di capilale corrispondente » 2,771:60 • Da sedici rinvestimenti garan- titi da ipoieche » 179,989:52 Da ventolto conti correnti ga- ranlili da solidissime firme. . » 297,875: » Dalle azioni della banca ro- mana garantite anche nel proprio da dodici principali solidissimi ac- quirenti di esse » 3i5,ooot » Da quattro azioni nella privi- legiata pontificia società di assicu- razione » 2,000: » Da debitori a credito fruttife- ro as.sicuratì e garantiti in forza ■di delegazioni accettate . . » 80,0 12:43 Cassa di risparmio j Da soinminlstraziuni a credito fruUifero, con solidali garanzie, e boni liberi di banco , realizzabili tutte nel decorso dell'anno iH^3 » 222,666:67 Da frutti attivi dei suddetti rinvestimenti scaduti il 3i dicem- bre 1842, ed esigibili il 1 genna- io 1843 n 20,922:62 Contante in cassa effettivo » 3o,02o:948|,o Valore di mobili, stampe, li- bri ec. , decurtati dal consumo e deperimento annuale , e necessari allo stabilimento » 566:i25(,, 7=7 1,242,755:2481,0 La dimostrazione delle spese e rendite die ag- giunta avete a questi fogli, per se stessa è chiara ri- prova dello stato passivo ed attivo, del quale vi ho intrattenuto: ed i rapporti, che possono istituirsi fra gli utili e le spese riguardo al capitale , sono una ben facile operazione, la quale altri che il brami può per se stesso eseguire. Conchiudo adunque con presentarvi lo specchio dei settimanali versamenti e restituzioni, e con la di- stinta di que' depositi, che non oltrepassano per cia- scun versamento gli scudi dieci , messa a confronto con quelli, che da oltre io vanno a -7^20. Da que- sto confronto istituito fra gli anni 1841 e 1842 ve- drete essersi verificato un accrescimento notabile in quelli , che non sormontano gli 7=j io per ciascun deposito, e che però mi sembra possano chiamarsi ve- ramente risparmi collocati da morale e provvida ma- no, E poiché questo numero si vide ognora più di 8 Scienze molto accresciuto , fatto il confronto co' giti decorsi anni, tal risultato mi sembra ch'offra un solido motivo di compiacenza alla società, e sarà argomento vasto, perdio con ingegnoso e dotto discorso possa trarne conseguenze lusinghiere morali chi avrà l'onorevole incarico di ragionarvene nella prossima generale adu- nanza. E qui potrebbe diisi esaurito rargomento di mia spettanza, quando non credessi uliKi, se non ne- cessario, aggiungere alcuna cosa, o signori, che allo scopo credo sia congiunta: molto più che nel decor- rere dell'anno 1842 ne fui alcuna volta da vari dei rispettabilissimi consiglieri e soci nostri richiesto, e perchè stimo sia utile di ciò dare ragione a chi prò* moveva una riforma in alcun ramo della nostra scrit- tura, ed a chi abbia vaghezza di conoscere il proce- dere di essa in questo interessante stabilimento di ca- rità e di morale economìa. E dapprima a volere soddisfare alla domanda dì alcuni, che vorrebbero, ad esempio della contabilità della cassa di risparmio di Parigi , che si tenessero anche fra noi a doppia parlila ( non a scrittura dop- pia, come per equivoco si era creduto che facesse la iuissa di Francia ) i conti di ciascun depositante, debbo osservare , che oltre a che questa operazione rirlilcJerebbe un accrescimento d' impiegati , il cui tumIo decurterebbe troppo i profitti della gestione, esi- gerebbe altresì indispensabilmente un locale grande almeno al doppio di quello, che la generosità di uno degli istllulori ci lascia godere. Ma senza queste ra- gioni di second' ordine , o lo e meco il consiglio grandemente s'inganna, o il nostro metodo di nota- re sui mandatelli di entrata e di uscita ( oltre al no- tamento, che se ne fa sul libretto di credito ) la par- Cassa di risparmio 9 Illa, che sì deposita, o che si ritira , e di assogget- tare questi mandalelli alla vista e alla firma di due nostri soci funzionari, e di ritenerli poscia a custo- dia del socio provveditore in archivio, per controllare alla occorrenza qualunque partita di deposito 0 di restituzione, sono un vero duplicato di conto; per- chè del duplicato tengono luogo, se non nella for- ma, perchè nori ridotti a registri, certo almeno ne- gli effetti ; anzi ci danno maggiore morale certezza della precisione, con che le partite si registrarono sui libretti e sulle note del ragioniere: dalle quali note esse partite si cavano per trasportarle sui saldaconti» Che se vogliasi che i mandatelli così legalizzati scri- vano non solo per le verifiche occorrenti al bisogno, ma eziandio ad una controllerìa da premettersi alla registrazione sui saldaconti^ e sia però giudicato espe- diente di fare d'essi e delle note del ragioniere setti- manalmente il confronto, dirò: che il consiglio ha di recente a ciò provveduto ancora colle nuove dispo- sizioni ordinate a maggiore tutela dell'ordine ed esat- tezza della scrittura, mentre questa verifica venne dì ragione prescritta, e viene di rigore eseguita. Mi sera- bra dunque che da questo lato , siccome in molti altri, siasi pienamente già soddisfatto a quel deside- rio, che oltre ad alcuni di noi eziandio i signori sin- daci del bilancio della cassa di risparmio di Firenze per l'anno 1841 nel loro rapporto esternavano a quel- la amministrazione. Tutto ciò s'intende rispetto ai soli conti de' depositanti: giacché tutti gli altri, e nessu- no eccettuato, sono ritenuti a scrittura doppia, in- clusivamente al conto de' boni di cassa in circolazio- ne, secondo le prescrizioni datene dai signori sinda- ci del 1841. IO Scienze A Parigi, ove in parte l'estensione del capitale affidato alla cassa di risparmio è così ingigantito, e dove altri e importanti profitti provengono dal go- verno e dalle municipalità allo stabilimento , è fa- cile il sopportare la spesa di un doppio ufficio di con- tabilità, e viene tutta la scrittura ripetuta in ciascu- no di essi. Fra noi mi sembrerebbe, almeno per ora, non potersi seguire quelle d'altronde provvide e sag- ge disposizioni. E come che intesi piìi volte a ripetere, che pia- cerebbe moltissimo, ed ai nostri soci, ed ai deposi- tanti ancora, che questo bilancio in ogni anno si fa- cesse di pubblica ragione nei primi giorni, dopo com- pito l'anno a cui si riferisce; mi veggo costretto a replicare, che sarebbe e del consiglio e mia somma la soddisfazione il poter compiere questi voti; ma seb- bene mediante l' assiduo e diligente impegno degli ottimi impiegati nostri, di cui ho ben caro il potermi lodare con voi, signori, si trovarono liquidati e bilan- ciati al 3o dicembre del 1842 gl'interessi passivi per io stabilimento di n. ii,8i3 conti aperti a quel gior- no a profitto de' depositanti , oltreché liquidati pur vennero i n. 65o altri conti dei libretti estinti dal i luglio a tutto il 3i dicembre: e così in tutto sopra n, 12,463 conti: tantoché al 3i dello stesso mese la cassa pagava quegli interessi a chi bramava ritirarli, e ne' susseguenti giorni li notava sui libretti a tutti in aumento del capitale , se a quello volevano ag- giungerli : non pure a compiere le altre molte ope- rarioni riferibili alla vasta nostra scrittura, a dare la dimostrazione e la prova che tutti i conti si bilan- •ciassero perfettamente, e mettere tutto al netto, non mi pare meno si richiedesse del tempo da noi irapie- Cassa di risparmio i l gaio; tanto più perchè le nuove operazioni riferibili all'anno 1843, che senza dilazione alcuna si sUc'ce* dettero , e che pure debbono dagli impiegati stessi compiersi, non permettevano spendere lutto il tempo a quelle, che al passalo anno riflettevano. Che se per ultimo riguardar si voglia ciò che praticano le altre casse di risparmio delle principali città d'Europa, ve- dremo, che quasi tutte fanno il bilancio di pubbli- ca ragione, chi dopo 3, chi dopo 4> ^ ^^^^ chi dopo 6 mesi passato l'esercizio delP anno, cui è relativo. Tuttavolta al 19 marzo andante al rispettabilissimo no- stro principe presidente io sottoposi il bilancio, che oggi ho l'onore di presentarvi. IL Bapporto dei signori soci sua eccellenza il com* mendatore don Carlo Torlonia e Giuseppe Forti, eletti sindaci nella 16 generale sessio' ne della società tenuta il 5 maggio i843. Chiamati dal voto di questa rispettabilissima so- cietà alla revisione del bilancio dello scorso anno 1842, eccoci, o signori, a rassegnarvi quel discarico, che l'onorevole commissione da voi ricevuta ci ha po- sti nell'obbligo di darvi. Diacisi, innanzi tutto, permesso, o signori , di parlarvi della nostra compiacenza nel vedere il pro- gresso dello stabilimento, per la fiducia di che gode sempre più presso il pubblico. Difatti l'aumento del capitale affidato nel decorso anno alla cassa è stato della rilevante somma di se. 223,124:75; nella quale abbiamo dovuto con molta nostra soddisfazione ri- 12 Scienze levare, che vi ha concoreo anche il minuto popolo per cui è fatta l'istituzione. Imperocché la succur- sale del Trastevere ha fornito un numero di deposti molto maggiore degli anni precedentp, e tutti vera- mente risparmi della classe meno agiata. Passando dipoi ad esaurire il debito del nostro officio per ciò che riguarda la parte amministrativa dello stabilimento, avrem l'onore di dirvi che, osser- vato con quale saggezza 11 consiglio seppe adoperarsi nel rinvestlmento delle somme depositate, dovemmo avere il pieno convincimento che ciascuna partita , più o meno rilevante, rinvestita in 28 conti correnti nella complessiva somma di se. 297,875, offre qna sicurezza tale , che nulla lascia a desiderare , tanto per le più accreditale firme, quanto pel metodo co- me essi conti furono regolati: e dobbiamo convenire che questa specie di collocamento è assai adattata alla natura della istituzione, la quale, potendosi trovare nel caso di fare forti restituzioni a' suoi depositan- ti, è necessario clie abbia collocati i suoi capitali in modo da poterli agevolmente ritirare. Portata quindi la nostra attenzione ai 16 rin- vestimenti garantiti da ipoteche nella somma di ■7^ 179,989:52, ci è grato il dirvi di avere in essi ravvisati tutti gli elementi della più certa realizza- zione: e dobbiamo gran lode al consiglio, il quale pro- cede con tutta cautela in siffatti rinvestimenti , ed usa dei molli lumi legali di alcuni de'nostrl soci ri- spellabilissimi. Nulla abbiamo ad aggiungere a quanto già dis- sero saggiamente i signori sindaci che ci precedero- Bo nel 1841 sopra l'opportunità del rinvestimenlo di Cassa di risparmio i3 r^ 3i5,ooo fallo colle dodici firme che acquistarono tanta parie delle azioni della banca romana. Me faremo osservazioni sulle partite di sommi- nistrazioni a credito fruttifero con solidali garanzie, non che sulle altre dei debitori con delegazioni ac- cettale di boni liberi di banco nella complessiva som- ma di se. 222,666:67, realizzabili nel corrente an- no 1843: in quanto che tulli ci lasciano pienamen- te soddisfatti. Non e' intralteremo egualmente sull' altra cifra di -7^ 90,93o:33'[2 rinvestita in cartelle di consoli- dato, per esser nolo ad ognuno a qual punto di cre- dito sia giunta questa rendita nazionale. Quanto alla giacenza in cassa di se. 3o,02o:94*!io. a tutto il 3i dicembre, la troviamo misura di pru- denza ed in proporzione dell'aumento di capitale pas- sivo, come anche per la circostanza del cadente pa- gamento de'frultì. Esaminala la scrittura, vi abbiamo trovato tu ita la regolarità ed esaltezza possibile: di che si devono giusti encomi agl'impiegati. Pari tributo di lode dob- biamo anche al consiglio, il quale ha sapulo con sin- golare economia condurre le spese di amministrazione. Quell'aumento di credito, che notammo fin dal principio del nostro rapporto, se per una parte deve consolare per sì bella lode cbe sorge dai fatti a van- taggio dell' istituzione , per l' altra non può negarsi che, accrescendosi notabilmente la massa dei capitali affidati alla cassa, ponga l'auiminisl razione nel grave imbarazzo di sempre nuovi rinvestimenli , nei quali pel diminuito frutto d,el danaro non può trarsi tutto queir utile , che se ne cavava nei primi anni della ibtHuzione. E questa diminuzione d'interessi del da- l4 S e 1 E N Z 5 naro, che è senza duLJjio m\ rilevaate vantaggio nel-, le generali contraltazioai , Jeesi in gran, parte alla nostra cassa niedesima, la quale ha p.o&to. in circo- lazione tanto danaro che prima o, giaceva negli scri- gni dei privati o nei pubblici banchi di deposito sen-^ za frutta » q dissipavasi in modo loialraente impro- duttivo. Sappiamo che il oonsiglia già saviamente avvisa ai modi di provvedere a questa nuova emergenza, la quale è di sua natura gravissima per l'istituzione: ed è perciò che a lui dirizziamo i nostri voti, aftinché nella sua previdenza e saviezza ponga un rimedio , che vieppiù assicuri la crescente prosperità della me-^ desima, scopo de' nostri comuni desiderii» Carlo Torlonia. Giuseppe Forici l U. Discorso di sua eccellenza il principe d. Pietra Odescalchi consiglier segretario letto nella 17 sessione generale della società tenuta il ig luglio 1843. Se ne' passati anni, giusta la legge de'nostri sta-' luti, in quest'ultima generale adunanza per la pub- blicazione del bilancio a me fu dato, o signori, l'o- nore di rendervi palesi le opinioni e i desiderii del nostro consiglio su quanto giovar potesse al buon an- damenlo di questa cassa , e su quanto avesse a ri- chiedersi per viemmeglio avviarla a quel benefico fi- ne, a cui venne indiritta; in quest'anno io con bre- Cassa di risparmio i5 vi parole mi spaccerò del primo obbietto, ed affario mi tacerò sul secondo: perchè di esso vi terrà discorsa il nostro principe presidente, il quale, animato sem- pre da quel caldissimo zelo con cui siede capo di que- sto istituto, si è proposto di porvi sott'occbio le di- scussioni, che per la eccedenza dei depusili che si van- no facendo alla nostra cassa , e per la difficoltà di buoni e facili inveslimenti, si sono nel nostro con- siglia agitate : e perchè ama egli eziandio che voi tulli concorriate a proporre quei mezzi, che nella vostra scienza e pratica di queste opere stimerete i più op- portuni si a togliere gli abusi con cui profanasi Tia- stituzione nostra, sì ad avvisare quei metodi che ve- racemente la conducano ad essere la depositaria de' soli sopravanzi del popolo: al cui fine venne unica- mente fondata t E qui, tenendo io l'ordine dei passati anni, non lascerò di presentarvi la statistica de'depositanli e de' depositi, tanto perchè questa si rapporta al bilancio, dell'anno 1842 di cui oggi compiutamente si decreta la pubblicazione, quanto perchè su questa statistica si basano que' provvedimenti che quinci a non moUa voi medesimi sarete per sanzionare. E senza più entrando a parlarvi per primo de' nuovi libretti aperti nell'anno 1842: Nel primo semestre furono , , , . N. i,65o Nel secondo semestre ,.,,., » 1,280 Che in tutto ammontano a . . , , N. 2,980 A voler prendere a disamina la condizione de'' possessori de' suddetti nuovi libretti ( per quanto de- sumer si possa dal libro delle notizie diligentemente i5 Scienze richieste ogadni depositante ) si ripartono per que- sto modo: Inservienti ed artigiani venuti in persona. N. i,o85 Detti per mezzo d'incaricati » lOi Possidenti negozianti ed impiegali ... a 8^4 Luoghi pii ed opere pie » 288 Incogniti per mezzo d'incaricati ...» 235 Orfani pel cholera, alunni dell'ospizio apo- stolica ft 8a Condannati con libretti vincolati ...» 69 Corpo di guardiaciurma ....... Sg Libretti creati nella succursale di Trastevere. » 171 Ritorna la somma qui sopraindicata di N. 2,980 I libretti estinti nella total massa furono: Nel primo semestre N. SgS Nel secondo semestre ....... 65o Che sommano in tutto ...... N. 1,24^ Il numero de'depositi eseguiti con gli anzidetti libretti furono: Nel primo semestre . . . N. 26,842 Nel secondo semestre . . . N. 26,270 Che danno la somma di . . N, 53, 112 Il danaro depositato su i 2,980 libretti nuovi aperti nell'anno 184.2 fu di scudi 149,038:97:5. E il danaro depositato su tutti i libretti nell'an- no 1842 fu Nel primo semestre di . . . t=? 24o,44^'9''5 Nel secondo semestre di ... 7^ 209,188:97:5 che in totalità danno . . . -t^ 449»63^*^9 " E le somme che nel corso di Cassa di risparmio i- detto anno furono restituite sono: Nel primo semestre . . — , »rR Q/ ^ Tvr 1 1 ^ J IO, «42:62 iNel secondo semestre . , w- ^q • • • ^Y ^q^J,ooi:ig che formano in tutto .... -^ 265,923:81 Volendo poi p,ù minutamente computare i de- positi fatti co' 2,980 libretti nuovi aperti nell' an- no 1842, che ascesero, come già vi ho dimostrato alla somma di scudi 149,088:97,5, conteggiati e ri- partiti nelle lor somme speciali per le 5i domeni- che in cui ebbe luogo l' incasso , si avranno le se- guenti proporzioni: N. 856 libretti fino a -7-? io a settimana danno . . , 1 „t:t>.o cfiejormano ciascuno-^ 4:3847J,„^ » 716 . . . ^ 20 . . . ^",3,064:58 - chejormano ciascunoi^ 1 8:24^6!, „„ » 2o3 ... ^ 3o . . . ^ 5,363:o7.|, cnejormano cìascunoT^ 26:4i9o|,o„ » 36i . . . ^5o . . . ^°,4^,^^^^g,|^ che formano ciascuno-r^ 39:4583|^^_^ " ^\* • • • -^100 . . . -^32,608:21.1, che formano ciascuìior^^ 77=45^5|,oo » 233 . . ^200 . . . ^°34,8o2:72.(, e f^ef ormano ciascuno-i^ i/^gM7o\^^ »> 140 sopra gli -^200 '. . . '•^°45,202:5o.L che formano ciascuno-rs^322:Qn5o\ / (100 ^' 'f " -7 149.038:87.., Dalle quali cose per così fatto modo dimostrate SI traggono queste conseguenze: 1. Che i libretti aperti nell'anno 1842, posti a raffronto con quelli estinti, stanno come i a 2-15. 2. Che la somma di scudi 149,038,87 'L depo- G.A.T.XGV1II. ^ ; ^ ^ i8 Scienze sitata coi 2,960 libretti creati nel 1842 ragguaglia per ciascun libretto a scudi 5o:866^|,oo. 3. Che la totalità dei 53,ii2 depositi fatti nell' anno 1842 in scudi 449'632:8f) ragguagliano per de- posito a scudi 8:4657[j^„. 4. Che le somme depositate nell'anno 1842 stan- no in proporzione di quelle restituite come 1:69^1100. Or per prendere più largamente ad esame que- sta statistica, ed instituirne un raffronto con quella dell'anno antecedente , per ciò che risguarda il nu- mero de'libretti aperti sì nel 1841 e sì nel 1842, dirò che si scorge assai facilmente che conservansi presso a poco nella medesima propoi'zione. Se non che get- tando uno sguardo su tutta la massa de' libretti si vede, che tra la totalità delle somme depositate nel passato anno e quella dell'antecedente 1841 vi ha un aumento niente meno di scudi 5 1,580:17. Il che pur troppo chiaramente dimostra, che i capitali del ricco e dello speculatore proseguono ad ingombrare la nostra cassa: quantunque gli speciali depositi dell' anno i84i siano in complesso di minor somma dell' anno avanti, e molto più forti siano state le somme ritirate ripllo slesso anuo 1842. ]Nel confermare peraltro questa verità , non è già che io mi avvisi di discordare dal parere dei be- nemeriti nosUi sindaci, i quali con molta soddisfa- zione notarono che alla nostra cassa concorre ezian- dio la classe del minuto popolo; perchè i depositi , che ha forniti la succursale , furono di molto più numerosi di quelli degli anni precedenti. Anzi io stesso v'aggiungo , che ci conforta il vedere aumen- tata di sopra a due centinaia la cifra degli artigia- ni e degli inservienti , e il vedervi altresì portata Cassa di risparmio iq quella de' soldati così detli guardlaciurma. Ma que- sti favorevoli risultamenli ^ che noi andiamo (direi quasi) mendicando, non sono che un'omhra ed un principio, del quale poco o nulla dobbiamo appa- garci. Si, fa d'uopo pur confessarlo, la nostra cassa de' risparmi mai non istette fin qui ne' limili della sua infetituzione: ed intianzi che siaci dato di pbr- lavi ci converrà durare lunga fatica ed assai ostàco- li superare. Imperocché , a dir lutto in poche pa- role, per raggiungnere il nostro sdopo abhiamo a Com- battere due contrarie condizioni: la prima è quella de' ricchi e trafficanti speculatori^ che usati a vedef tutto cedere a'ioro desiderii e a travisare ogni cosa a lor talento, audacemente e fraudolentenienle anco- ra immaginano e sottilmente pensano ai mezzi di elu- dere ogni più stretta e severa vostra disciplina : la seconda è quella degli artigiani e de' popolani che, improvvidi e scostumati per natura, ricalcitrano ad ogni morale e proficuo provvedimento, e non ama- no e niun pensiero al mondo si danno di profittare di questo beneficio, che la operosa carità dt'l secolo ha tr'ovato per unico loro vantaggio, .i> Ma io temo non le parole e le giuste querele mi conducano di là dai limiti di quella brevità che mi sono proposta. Il perchè porrò fine con farvi cer- ti; che quanto alle altre cose , di che al consiglio affidaste la cura, col più saldo proposito e col più animato vicendevole interessamento adoperossi di so- stenerle. E senza entrare in altri particolari, di cui il nostro sig. ragioniere e gli egregi sindacatori vi favellarono, sappiate cosi per somma che felicissimo riuscì il ben concetto impiego del danaro nella ban- ca romana : e che, fra le tante altre somme in di- I 20 Scienze verse guise, investite, ninna fu che ne andasse smar- rita. E certamente il consiglio avrebbe ancora nelle provinole dello slato largamente impiegato il contan- te, se un qualche timoie non gli avesse ingerito un investimento che presentatosi, e indi conchiuso colle più evidenti e provate sicurezze, in processo di tempo si trovò poi mancare quasi del lutto di quelle gua- rentigie, colle quali venne acnettato e sancito. Il con- siglio però quanto più si avvide del pericolo che cor- rea questo affare , tanto più raddoppiò e di zelo e di sollecitudine: sicché niuna cura obliando, ed in- vocando all'uopo l'autorità delle leggi, gli venne pur fatto, la Dio mercè, di superare qualunque difficol- tà e di apprestare al bisogno il più sicuro rimedio: e giovami assicurarvi, che è giunto alfine, più pre- stamente di ciò che potea pensarsi, a rassicurare ap- pieno gl'interessi della nostra cassa. Sappiate altresì, perchè niente vi sia nascosto, che il regolamento am- ministrativo, a cui stava intorno il consiglio e che può dirsi finalmente compiuto , vi sarebbe slato già presentato; se più gravi argomenti, e le discussioni di quanto vi esporrà . l'onorando noslro presidente, non 1' avessero necessariamente distolto: ma quanto prima ci vedrete sottoporlo alla vostra autorevole di- samina ed approvazione. E qui richiamando in ultimo, o signori, la vo- stra atienzlone all'importante obbletto, che vi accen- nava in principio, associatevi ai nostri deboli sforzi per condurre una volta questo insliluto al santissimo fine per cui venne fondato: e siate certi che, se ne verrà dato di riuscire nel generoso intento, vedremo mano mano operarsi quella morale rigenerazione, a cui già porsero il fondamento le scuole notturne de- Cassa di risparmio 21 gli artigiani e molte altre belle opere di cristiana e civile carità, che mercè della valevole protezione del nostro augusto sovrano, informano il cuore del no- stro popolo non meno alla educazione che alla vir- tù e alla religione. IV. Ragionamento di sua eccellenza il principe don Giulio Cesare Rospigliosi , letto nella mede- sima session generale della società tenuta il ig luglio 1843. SIGNORI, Meno l'affluenza di straordinari depositi, i quali siansi effettuati durante l'anno 1842, die molle e im- portanti restituzioni di danaro collocate a breve spa- zio di tempo, e la difficoltà della collocazione cre- scente in proporzione dell'accrescimento della massa del numerario, hanno occupato il consiglio in discus- sioni trattate con quella ponderazione che domanda- va la gravità della questione, che io dirò senza esa- gerazione vitale pel nostro stabilimento. Mai però non era stata ridotta a termini posiiivi, come si è avveralo dopo l'entrata del i843. Il perchè il consiglio stes- so, che l'ha esaminala per vari modi, deliberò sin dal febbraio scorso che se ne facesse relazione all'assem- blea generale, affine di giovarsi dei lumi che voi, o signori , per mezzo di una scelta giudiziosa di soci potreste dare in proposito. La questione conseguente all'affluenza del danaro alla cassa consiste nella dif- ficoltà di collocarlo in sicuri rinveslimenti. Crescono ?a Scienze la cagione e l'effetio di giorno in giorno in ragione della massa di numeriiiio lurnaia in circolazione, co- me osservarono i sindaci a cagione in gran parie di questa nostra istituzione. E queste cose sono così evi- denti, che io stimo sarebbe perduto il tempo che io impiegassi affine di persuadere co' ragionamenti, ciò che attesta il fatto della riduzione degl'interessi del danaro. Questi interessi dal 5^\^ e dal 6 per ogni cen- tinaio ed anno, quali correvano all'aprirsi della cassa nel i836, sono ridotti oggi al ^'l^ ^^ ^1 4'l4* ^^^ partiti proposti, discussi , esaminali dal consiglio si riduce la somma a tre questioni principali: 1. Nello stato attuale delle cose può la cassa con sicuiezza di non iscapilare tener fermo in tulle le parli lo statuto , e relribuire ai depositanti il 4 per 100 ? 2. Ovvero deve la cassa jìiovvcdore alla propria conservazione coli' adottare misure capaci a restrin- gere il danaro dei deposilanli, senza però alterare me- namamente la retribuziune dei frulli ? 3. Dove questi due parliti fossero riconosciuti non soddisfare al bisogno, deve la cassa procedere le- galmente alla riduzione del frutto da corrispondere ai depositanti , obbligata com' è di livellare i suoi rinvestitnenti al saggio oramai comune degl'interessi, ed a ritenere per se un margine sufficiente a far fron- te alle spese ed a procuiarsi un iondo di riserva ? La parte del consiglio, che teneva la prima opi- nione, partiva dall'affermare che la cassa dal suo na- scere al giotno d'oggi si era sempre trovata in ista- to di progrcvssoi, quanto al danaro affidatole; che l'af- Hucuza del danaro negli ultimi tempi e in questo Cassa dt RtspARMio a3 slesso anno depositato non era molto al di sopra de- gli anni decorsi ; esser vero che con gravissima dif- ficoltà si rinverrebbero collocamenti sicuri al 5 per '^j,,; ma non esser poi cosi difficile il farlo alla ragione di un 4'|2 ; Tutile di un mezzo per cento ed anno doversi tenere per sufficiente a fare le spese dello sta- bilimento. Consideravano che il consolidato, per quan- to fosse salito a saggio tra noi inusitato, portava an- che esso un rinvestimento al 4'U ; conchiudevano che senza necessità nulla doveva cambiarsi in un insti- tuto di credito, che poteva anche per voci maligne perdere il suo prestigio e la sua influenza; che que- sta necessità non era ancora venuta; e però doveva giudicarsi precoce qualunque rimedio. I secondi opinavano che, non volendo inganna- re noi stessi, bisognava confessare che le giacenze in cassa .'darebbero di giorno in giorno maggiori; che que- ste giacenze infruttuose, o quasi, alla cassa, le costa- vano l'intero frutto del qualiro per cenlo a l'avore dei depositanti; che i conli correnti, nei (jua!l furo- no rinvestili quasi due terzi del danaro depositato, erano esauriti, anzi diminuivano per le restituzioni, piuttosto che aumentarsi per nuove dimande che si avessero o che si potessero sperare ; che ciò nono- stante la diminuzione del finito non era misura da prendere, come quella che toglierebbe ai poveri una parte dell'ullle che loro spettava. Si aggiungeva poi che. non ostante la diminu- zione del frutto, era da credere che l' affluenza del danaro alla cassa sarebbe stata la stessa: che quindi la cassa de'risparmi diverrebbe uno stabilimento gi- gantesco, e però d'una difficile ed incomoda ammi- nistrazione e per la sua stessa mole pericoloso. Pro- •24 Scienze ponevano invece mezzi indiretti affine che la cassa si riducesse a vera cassa pe'poveri, affinchè l'introito settimanale, invece Ji essere dai sei ai dieci mila scu- di, si limitasse tutto al piìi dai due ai quattro mila scudi. Consentanei a questi ragionamenti proposero mol- ti mezzi di repressione all'affluenza dei deposili. Al- tri di quesli mezzi erano comportevoli con lo statu- to, altri ne divergevano. Tutti quelli della prima spe- cie furono approvati e posti in esecuzione sin dal mar- zo scorso : e gl'incassi se ne trovarono diminuiti dai due ai tre mila scudi per seltimana. Fra quelli della seconda specie, che il consiglio non poteva adottare senza il consenso dell'assemblea generale, quello che più di ogni altro corrisponde allo scopo, consiste nel proibire ogni deposilo superiore agli scudi cinque. Per siffatta guisa il deposito, che lo statuto ammette si- no a scudi venti, si troverebbe diminuito di tre quar- ti, e potrebbe sperarsi che fosse corrispondente la di- minuzione degl'Incassi che si faranno nell'avvenire. Enira nella stessa categorìa il progetto di ridur- re i libretti personali, quando in presente lo statuto li riconosce buoni al portatore ; quello di restringe- re ad una settimana per mese la facoltà di deposi- tare somme superiori agli scudi dieci : quello di la- sciare l'intiero fruttato stabilito ai depositi eseguiti a tutto il 1842, e ridurlo ai depositi posteriori; quello di conservare l'interesse corrente ai libretti che por- tassero depositi di piccole somme, e ridurlo ai libretti che portassero depositi di scudi venti. Coloro da ultimo che opinavano doversi ridur- re il frutto ai depositanti, partivano dal principio , che siffatta misura fosse inevitabile per le circostan- Cassa di irisparmio aS ze del commercio; che queste circostanze portavano non potersi il frutto del danaro conservare al saggio corrente nel i836 al momento che fu istituita la cas- sa; che in quell'epoca i rinvestimenti comuni si fa- cevano al S'Ia per cento, ed il prezzo del consolida- to era al gì per cento, mentre il consolidato oggi è asceso al iio ed i rinvestimenti si fanno comu- nemente al 4'|2 pfir cento; che la cassa di risparmio deve sempre retrihuire un frutto minore all' incirca di I per cento; clie tale differenza era quasi neces- saria per la cassa, mentre era quasi giusta pei depo- sitanti. Era quasi necessaria alia cassa, che doveva prov- vedere ad una spesa annua di amministrazione, e a un fondo di cassa, senza il quale la istituzione sa- rebbe sempre precaria. Era quasi giusta rispetto ai depositanti, quando si considerassero a sangue fred- do i vantaggi tutti propri dei rinvestimenti che si fanno con la cassa, e che nessun'altra specie di rin- vestimenti può offrire. E numeravano i vantaggi del rinvestimento con la cassa, nessuna spesa nel rinvestire, facilità di rin- vestire anche in piccole somme, frutto che si cumu- la coi capitali e diviene fruttifero nel momento del- la scadenza semestrale, restituzione quasi a vista del capitale rinvestito. Domandavano se il conseguimento di questi vantaggi non renda giusta una minorazio- ne d'interessi da quelli che si esigono negli altri rin- vestimenti , specialmente se ipotecari ? Ne la parte del coQsiglio, che abbracciava questo parìilo, si spaven- tava punto delle obbiezioni contrarie lauto di colo- ro ì quali tenevano potere tale misura portare la con- seguenza dello scredito e quindi di una crisi dello stabilimento, quanto di quelli affei^manti che, nono- 26 S e I T, N Z E Stante la riduzione degl'inleressi , la stessa affluenza avrebbe aggravata la cassa, e quindi l'irabarazzo del- l' amministrazione sarebbe stato lo slesso. Non dei primi, perchè il credito della cassa gli sembrava ba- stantemente assicurato, e perchè il diminuire i frut- ti passivi non diminuì mai il credito dei negozianti o delle case di commercio; non di coloro che temo- no le conseguenze dell'affluenza del danaro , perchè quando questo possa aversi a basso interesse sembra- va loro cosa nuova, che ia uno stabilimento di cre- dito potesse recare o danno o dispiaceri. Conchiude- vano, che si avesse a domandare all'assemblea gene- rale la facoltà di ridurre il fruttato del quattro al tre per cento , dando al consiglio la latitudine di usare di tal facoltà , quando solamente fosse necessario, e nella misura che fosse necessario: confessando che po- tesse per ora la diminuzione restringersi al di sotto dell'uno. Da ultimo non debbo tacere l'obbiezione che si trae dalla natura e dalla essenza , come affermano , del nostro istituto ; ritenendo essere questo uno sta- bilimento pei poveri, e non dovere proporsi viste com- merciali o di lucro. Al che si fecero due risposte : la prima, che la cassa di risparmio , per esser vera- mente sicura , ha bisogno di un fondo di riserva di centomila scudi almeno : fondo che non può ottener- si senza che gravi somme colino nella nostra cassa; la seconda che non bisogna trascurare quel fatto prin- cipalissirao, che ha prodotto la cassa di risparmio in gran parte, che i signori sindaci dell' anno scorso e dei precedenti hanno riconosciuto , e senza il quale forse non si sarebbe fatto luogo alla presente discus- sione. Questa islitusione lui messo in circolazione la Cassa di risparmio 27 vistosa sorama eli un milione e trecentomila scudi , mentre le altre casse dello stato hanno anch'esse po- sto in giro altri scudi setfecentomila ; tantoché può affermarsi che due milioni di fondi affatto giacenti e stagnanti sieno stali messi in movimento. Questa nuo- va rotazione di capitali è forse la causa principale della diminuzione degl'interessi del danaro. Ora quan- to pili questa si aumenta, tanto più si avrà diminu- zione d'interesse: e quanto più l'interesse diminuirà, tanto più si aumculeranno le intraprese industriali e manifatturiere, che per essere nel nostro paese ham- blne, per non dir nulle, potrebbero quindi ricevere un impulso di grande vantaggio. Sotto il quale as- petto reputavauo non affatto alieno dalla istituzione il concorrere, anche per via indiretta, al benessere del- la classe manifatturiera. Ma il consiglio, mentre si è a lungo occupato nell'esame delle varie opinioni che ho esposto, si è convinto che tutte hanno bisogno di matura discus- sione. Io ho stimato superfluo al bisogno lo scendere al dettaglio degli argomenti, coi quali sono stale so- stenute le diverse sentenze: perchè insieme al con- siglio credo, che la maniera propria a mettere in pie- na luce tale questione spinosa e gravissima sia quel- la di eleggere cinque membri fra voi, i quali uniti al consiglio stesso possano riprendere ad esame latta la massa delle considerazioni che ha avuto presenti il consiglio; quelle che un socio ha pubblicate colla stampa, ed un altro ha depositato in is( riilo presso il sig. dlrettoi'e, e quelle che potessero per avventura esibirsi da ognuno di voi, o signori, come io ve, ne prego. Compiuta che sarà la discussione , la più dili- gente che si possa, sarà parte della cojnmissione far- 28 Scienze ne a questa assemblea generale un pieno rapporto , riducendo a quel numero di proposizioni , cbe giu- dicherà conveniente, i rimedi per suggellarla al vo- stro voto e alla vostra deliberazione. Storie di febbri perniciose, e cenni sulle mede- sime. Del prof. Carlo Maggiorani. (^Continua- zione e fine. ) XXXIV. BJn soldato in giovanile età, di gracile costituzio- ne e tempra linfatica, aveva sofferto più volte le feb- bri intermittenti nell' agosto e settembre , e queste accompagnate sempre da qualche ottusione de' sensi. Ei Irovavasi da più giorni nella convalescenza dagli ultimi accessi, allorché, commesso un disordine nella dieta, fu assalito nuovamente da febbre, che terminò con sudore, e si riprodusse nelle ore pomeridiane del giorno seguente. Sul far della sera il suo stato era talmente simile a quello delineatoci da Celio Aure- liano, ove scrisse delle febbri letargiche e cataletti- che, che non si potrebbe meglio rappresentare, quan- to servendosi delle sue stesse parole: « Schema ia- cendi iugiter supinum , colli distentio , genarum rubor , febris , vocis amputatio, sensuum torpor atque hebetudo, palpebrarum distantia, et infixa atque immobilis intentio luminum, tanquam quic- quam intento obtutu aspicej'e cupientis . . . se- quitur lachrymatio . . . pulsus celsior^ humectusy Febbri perniciose 29 plenus : vehemens retentlo ventris^ et neqiie ex- tenta recolligit membra ^ neque conducta disten- da . . . Dentium concubitus. » E poco dopo si ve- rificava che « Cum statimi sumpserìt accessio, ho- rum recessus adeo ut sit quaedam interiecta di- stantia. Oris hiscens atque dimissa hebetudo', nunc plurimum salivarum Jluore per eiiis obliqua fo- ras decurrit » (i). Sulla mezza noUe cominciava a sciogliersi il parosismo , comparendo il madore alla pelle: l'infermo seguiva collo sguardo il suono delle parole di chi gli stava intorno a nihil dicens, sed volentis respondere vultum aemulans, » E non mol- to dopo « cum sudore plurimo atque ferventi^ et in dimissione^ sinceritati propinquans rursum ad- monetur. n Durante l'accesso furono applicate san- guisughe alle tempie, e appena declinala la febbre si die mano al solfato, che la troncò di netto , rima- nendo solo per tre altri giorni pallore, frequenza di polso e inclinazione al sonno. Ho riferito questo esempio di febbre catalettica colle medesime espressioni di Celio Aureliano, per- chè si vegga con quanta diligenza l'antica scuola me- todica raccogliesse i sintomi delle perniciose, e come le forme da essa descritteci si ripetano con perfetta somiglianza a' dì nostri. E si noti pure come l'espo- sitore delle dottrine di Asclepiado, ed interprete di Sorano, avverta col primo apud Romam frequentare has febres^ e col secondo ricordi ridisse plurimos ex intemporali cibo ista oppressos passione: ag- giungendo poi: Quod autumni tempore haec paasio (i) Acutor. morbor. lib. It, cap X. 3o Scienze magis irruat corporìbus : circostanze tutte che si / avverano nel caso nostro. XXXV. Un calzolaio quadragenario, di cute bruna e gra- cile costituzione, aveva dormito in un lenimento fuo- ri la porta di s. Giovanni, e sofferto quindi nel set- tembre febbri terzane accompagnate da dolor di ca- po, che si riprodussero nell' ottobre. Guarito da tal recidiva, ei consumava la convalescènza nell'ospizio a ciò destinato, ove commesso qualche errore nel vit- to cadde nuovamente malato, e ricondotto all' ospe- dale ci offri lo stalo seguente. Polsi deboli e appe- na frequenti , calore del tronco naturale , estremità fredde, cute secca, faccia squallida composta al do- lore, occhi semichiusi, congiuntive giallognole , lab- bra nerastre, lingua sordida, mani posate sul ventre avvallato nel centro. L'infermo corruga spesso la fron- te, chiude strettamente gli occhi e si agita nel letto: interrogato, fissa gli occhi e non risponde; palpando- gli il ventre, si scuote e tóanda gemiti. Si è mante- nuto in questo stato per due giorni. Fu amministra- to l'olio di ricini, che produsse copiose evacuazioni, indi il solfato. La guarigione procede con molta len- tezza. XXX VL Un contadino in età di 35 anni, di pelle bru- na e costituzione attiva, aveva sofferto le febbri pe- riodiche nell'estate, dopo aver lavorato nelle campa- ^ gne dell'isola Farnese. Per recidiva avvenuta sulco, minciar di novembre ei tornò all'ospedale, ove la feb- Febbri PEiirviciosE 3ì bre si elevò al grado di soporosa, che per due gior- ni lo tenne in pericolo. Un salasso, le sanguisughe alle tempie, i vessicanti e il solfato dissiparono il so- pore, dopo che manifestossi un gonfiamento alla pa- rotide sinistra , persistendo tuttora un poco di feb- bre. Fu condotto, com'è costume, nella sala chirur- gica e dopo cinque giorni iu riportato nella medica senza febbre e senz' altra molestia. Allora , avendo mangiato intempestivamente formaggio e frutta reca- tegli di soppiatto, tornò la febbre, che al terzo gior- no ripigliò forma di soporosa e di più con frequente rigurgito dallo stomaco di materie giallastre. E in que- sto ei cessò di vivere. L'apertura del cadavere presen- tò le solite apparenze de' morti di soporose; con ciò che alla base del cranio si rinvenne siero più che non suole. XXXVII. Un altro contadino di anni 5o entrò all'ospe- dale sul finir di ottobre con febbre periodica a tipo quotidiano: ed erane guarito già da otto giorni, al- lorché saziatosi di pane accattato dai vicini, fu assa- lito da febbre comatosa, che lo tolse di vita dopo 24 ore, malgi'ado della chinina amministratagli in buona copia. ]Non fu esaminala la testa, e il petto non offri- va cosa alcuna da rimarcarsi. Del resto: fegato di co- lor terreo, milza disfatta , mucfisa dello stomaco di color fosco tendente al verde. Il tenue era tutto sti- vato della solila melma, e il retto di scibale. La ves- sica piena di orina. Le narrale istorie servono a mostrare che gli er- rori dietetici non solo promuovono il ritorno delle febbri periodiche, come a lutti è notissimo, ma che 32 Scienze talora concorrono anche ad elevarle al grado di so- porose. Di che volendo investigar la cagione, si pre- senta alla mente il profondo disturbo recato al cen- tro gangliare da un cibo grave, importuno, sconve- niente alle deboli forze dello stomaco. Imperocché non è dubbio che l'epigastrio costituisca un centro di vitale espansione, e che le potenze nocive scaglia- te su tal regione offendano gravemente la vita. E certo non andò lungi dal vero Lobstein, che alle tre co- nosciute maniere di morte aggiunse quella di esau- rimento nervoso del plesso solare. Se in fatti le per- cosse allo stomaco, e le subitanee passioni, e l' uso dell'acqua diacciata a corpo riscaldato han potuto ca- gionare in breve tempo la morte , ciò dee essere avvenuto per paralisi del centro gangliare , o come Hoffman diceva, per una rapida sottrazione del vital calore, riportando a tal causa anche l'uso di alimenti frigidi in persone infiacchite dall'età e dalle malattie: « Huc quoque referendain censeo subitam mor- temi qua senio confectos, et viribus orbato s ex usu fructuum refrigerantium, v. g. melonum, ma- lorum persìcorum , Inter dum defungi legimus. » Sanno bene i chirurghi come i disordini nel vitto interrompano l'andamento regolare della suppurazione nelle ferite; i bottoni carnosi appassiscono e si fan pallidi e lividi, l'ulcera inaridisce o, invece di pus, ne stilla umore sieroso, i suoi margini divengono flo- sci e cinericcio il suo fondo: intanto il malato cade in estrema debolezza. Medici di ogni età ebbero ad osservare moleste epigenesi e metaptosi funeste avve- nute nel corso delle malattie per disordini nella die- ta, e per la stessa causa gravissime recidive nella con- valescenza: ciò che dee tanto più avverarsi nelle in- Febbri perniciose 33 termittenti, in cui sono già turbati i poteri vitali del- lo stomaco, e de'viscerl connessi alle sue funzioni. XXXVIII. Un contadino di anni 3o , pelle rosea , occhi cllestri, capelli biondi, dopo èssersi esposto col cor- po sudante all'aria fresca della notte, fu preso il aS luglio da senso di molesta stanchezza, foriero dell'ac- cesso febbrile che lo assali il dì seguente, e che ter- minò con sudore. Il terzo giorno freddo marmoreo, senso di calore e stringimento all'epigastrio, decubi- to supino, polsi oscuri ed irregolari, prostrazione di forze, lingua coperta d'intonaco giallastro, ventre sciol- to. Al quarto il parosismo fu più mite, e nel quinto si ripetè colla stessa gravezza del terzo. Nel settimo vi si aggiunse una copiosa epistassi. Continuò collo stesso andamento per quattro altri giorni ; indi ap- parve il miglioramento che progredì con molta len- tezza. Fu curato con un emetico in principio , poi una leggera cavata di sangue, e appresso con gene- rose dosi di china sospesa nel vino. XXXIX. Un fjenarolo di anni 5o , abito asciutto , cute rossigna, occhi vivaci, dimorante fuori la porta s. Pan- crazio, e soggetto da tre anni a patire le intermit- tenti in estate, fu assalito il 20 luglio da febbre a freddo con vomito, diarrea, abbattimento notabile di forze; cui si aggiunsero appresso senso di ardore al- lo stomaco, sete, lingua rossa, cute gelata specialmen- te alle estremità. L'infermo si mantenne nel mede- G.A.T.XCVIII. 3 34 Scienze sirao slato per otto giorni, senz'altra periodicità, che di recrudescenze irregolari ne' patimenti dell' epiga- strio , precedute da brividi di freddo. Fu curato in principio con due applicazioni di sanguisughe sul ven- tre , indi con larghe dosi di china sospesa nel vino e bevande nevate. Si ristabilì lentamente, conservan- do un senso di molestia allo stomaco. XL. Un vecchio contadino con pelle rubiconda, occhi striati di giallo, avendo lavorato presso Ponte Galera, e dormito la notte a ciel sereno, il 27 settembre tu preso da febbre a freddo terminata con poco sudo- re, che ricorse il dì seguente con minor forza. Il 29 entrato all' ospedale offriva lo stato seguente. Senso di freddo alternante con vampe calorose, sete mole- sta e vomito delle bevande inghiottite, flusso di cor- po sieroso, prostrazione di forze, senso di ardore in- terno più sensibile all'epigastrio; fronte, naso, estre- mità ( e più le superiori ) gelate, petto e ventre di calor naturale; polsi minutissimi , irregolari , talora impercettibili; respiro frequente; faccia accesa , lin- gua rosea ricoperta di un intonaco viscoso. Sul far della sera apparve un sudor freddo che pose termi- ne alla febbre, al vomito e alle deiezioni. Fu pre- scritto subito il solfato di cbinina alla dose di due grani ogni ora. 11 3o continuavano solo la prostra- zion delle forze e il gelo della estremità, sulle qua- li inollre erano sparse larghe maccbie livescenti. Si seguilo coll'uso del solfalo e furono applicati due ves- sicauli alle cosce. Il giorno seguente si riprodusse il medesimo stalo che aveva offerto il 2y. In quest'ac- Febbri perniciose 35 cesso il termometro di Reaumur, che all'aria segna- va 20, discese di un grado allorché fu applicato e man- tenuto per tre minuti alla piegatura del cubito e al- la vola di una mano dell'infermo , mentre sotto la sua ascella saliva a 26. Stretta per poco la palla del termometro nel mio pugno, e fattolo ascendere a 28, calò a 20 quando fu messa in mano al malato e a 21 applicata alla pianta di un suo piede. Si conti- nuò nell'uso del solfato aggiuntovi l'oppio. Il 2, polsi impercettibili, labbra ed estremità lividastre, lingua contratta, labbro inferiore tremulo, alito freddo : in fine sincope mortale. All'apertura nulla si rijivenne di rimarchevole nelle cavità del cranio e del tora- ce. 11 fegato, di mole più grande dell' ordinaria , si estendeva con buona porzione di sua sostanza sul- l'ipocondrio sinistro : la cistifellea piena di bile pi- cea. La milza rassembrava un sacco pieno di fluido denso e nero come cioccolatte. Lo stomaco conte- neva una quantità di mucaglie giallastre, in cui si annidavano tre o quattro grossi lombrici : la muco- sa, specialmente nel fondo, aveva acquistato un co- lor di rame. Il tenue era tutto spalmato di una pol- tiglia vischiosa, nido anch' essa di vermi: la mucosa offriva due colori distinti, il fondo cioè roseo e le valvule conniventi olivastre. Il colon presentava qual- che iniezione arboriforme. XLI, Un soldato quadragenario, di temperamento bi- lioso, proveniente da Ancona, slato soggetto, com'egli diceva, a riscaldamenti di ventre, fu condotto all'o- spedale il i5 luglio il quarto giorno di malattia, e 36 Scienze veduto ivi nello slato seguente. Sembianza mesta , guance e pomelli traversati da linee rubiconde, fac- cia, lingua, ed estremità freddissime, vomito , diar- rea, ambascia, sete veemente , con desiderio di be- vande gelate, ardore implacabile alla regione epiga- strica. L'infermo afferrava il vaso della bevanda, e se io rovesciava sullo stomaco : ei portava ancbe spes- so le mani sul ventre , die era molto sensibile e dolente sotto la pressione, e alquanto infossato ver- so l'ombelico. Respiro aneloso con bisogno continuo di soffiare, alito freddo , polsi esili, irregolari, talora impercettibili. Si mantenne in questo stato fino alla sei'a del »6, in cui morì, avendo provato solo qual- cbe momentaneo sollievo dall'uso del siero tamarin- dato; olire il quale erano stati anche prescritti l'op- pio e il solfato di chinina sospeso nella muccilagi- ne di gomma arabica. Il cadavere ci offrì qualche rubore nell'arancnoidea, molto siero ne' ventricoli e un pò di trasudamento sieroso fra le circonvoluzio- ni cerebrali. Il cervelletto ammollito. La lamina del pericardio, che riveste il cuore, presentava i suoi va- si mollo inlettati in alcuni punti, e in taluno una maggior densità. La sostanza del cuore slavata. Fe- gato di un rosso acceso; cistifellea ridondante di bi- le picea. Rubicondo il peritoneo, ove tapezza il dia- framma ed ove ricopre il ventricolo e gì' intestini ; ispessito sulla milza che si sfracellava al solito fra le dita. Il grande omento, in vece di spiegarsi sugl'in- testini, era tutto ravvolto sul colon trasverso. La mu- cosa dello stomaco sparsa di grandi macchie inlensa- mente rosse, che non si dileguavano con ripetute la- vande. Gli stessi rubori lascinva scorger qua e là tut- to il tratto dell'intestino tenue , il quale conteneva pure alcuni lombrici. Febbri perniciose 87 XLII. Un soldato sessagenario, di pelle bianca leviga- la, abito magro, fu portato all'ospedale la sera del 27 luglio con polsi piccoli frequenti , ineguali, tracce rubiconde ai pomelli delle gole, superficie del corpo freddissima, sete, vomito, diarrea di materie giallastre, forte dolore alla regione ombelicale che inasprisce alla piti lieve pressione, lingua sordida, voce fioca, respiro frequente, alito e sudore freddi, prostrazione di forze. Si applicarono subito 16 sanguisughe alia parte dolente, da cui l'infermo ritrasse mollo sollievo: indi si cominciò ad amministrare il solfato e la china nel vino. Il giorno seguente continuava nel medesi- mo sialo , ma sul far della sera il dolore aumentò grandemente, e vi si aggiunsero il senso di bruciore alla slessa regione, la difficoltà di orinare, il rubore intenso delle gote, una straordinaria lucentezza de- gli occhi. Furono applicate di nuovo 16 mignatte al ventre che alleggerirono all'istante i patimenti dell' infermo, come il vomito incessante fu sedato da una mistura oppitata. Nella notte si continuò nell'uso del solfato. Il 29 il gelo della cute, il dolore e il bru- ciore del ventre erano diminuiti : rimanevano in sce- na il rubore circoscritto alle gote, la diarrea, i polsi piccoli ed ineguali, la voce fioca, la prostrazion delle forze. Si prosiegue nell'uso del solfato. Ne'giorni 3o e 3i vi fu notabile miglioramento, talché furono ac- cordate in ciascheduno dieci once di vino \ ma il di seguente ricomparvero in tutto il loro vigore i sin- tomi descritti di sopra , e si fecer sempre più gravi fino alla mattina del 3, in che avvenne la morte. - 38 Scienze Nel cadavere si rinvennero quasi tutte le vene cere- brali (lislese dal sangue; alcune poi obliterate e so- migliaiili a cordoni di color ceruleo ; minutamente inieltati erano i vasi che serpeggiano sotto la lami- na sierosa della dura madre, la sostanza del cervello e del cervelletto ammollita. Un'apofisi scabrosa pro- tuberante dal lato sinistro della sella turcica pigiava il nervo ottico corrispondente. La cavità del petto era angustissima , e avvizziti i polmoni , con lasse aderenze delle pleure fra loro. Il fegato di color ne- rastro nella sua parte concava e la cistifellea ripiena di bile picea. La milza molle. La mucosa dello sto- maco, di un color grigio tendente al verde, era sparsa di macchie di un rosso cupo , e presentava distinte erosioni presso il forame esofageo. La mucosa del duodeno offriva le stesse apparenze, eccetto le erosio- ni. Nell'ileo i vasellini, che si spargono sulle valvule conniventi, eran minutamente iniettati. Tutto il crasso e soprattutto il cieco ed il retto mostravan vaste esul- cerazioni a margini ineguali, e poi macchie rilevate di color verde, interserile di bottoncini carnosi. La vessica era ristretta al volume di una grossa noce, ed aveva la sua membrana interna tutta ispessita, e di im rosso acceso presso il forame dell'uretra. L'o- mento non iscendeva sugl'intestini essendo avvolto- lato in se stesso. 11 sisterna venoso, che si reca alla porta, era disteso da un fluido, che somigliava più alla bile che al sangue. Confermano le narrate istorie nelle febbri lipi- riche essere in colpa specialmente lo stomaco: ciò che fu già noto agli antichi e ripetuto con maggior chia- rezza dal nostro Baglivi ove scrisse che : « Inter ma- lìgnas ratione vehementissiinae injlammationis ven- Febbri perniciose Sg triculi numeratur Ijrpiriafebris^ in qua interiora uruntur^ exteriora frigent. » Ma come poi avviene che in una flogosl del ventricolo lo stesso autore coji- danni il salasso: J^enae sectio et pitrgatio in prin- cipio earum non conferunt: e Valcarenghi,che molte febbri lipiriche aveva osservate nelle costituzioni cre- monesi e mantovane, inculchi al figlio la stessa massi- ma: jinimadvertas , velim, quod, vigente lipjria , tantum abeft ut phlebotomia vel purgatio quid- quam conveniate quin potiore iure utraque praesi- dia damnanda sint: illa quidem, ne aliunde maxi- me lahefactatae vires, eo magis exsolvantur: ista vero y ne lipothjmia, vel ininioderatas alvi Jluxus eveniat (i)? A sciogliere il qual dubbio si avverta in prima, che la flogosi lipirica non suol esser associata alla febbre fino dal suo principio; ma si forma gra- datamente nel progresso del male a misura che si ri- petono i parosismi. Ciò che è provato dalla serie cre- scente de'fenomeni locali , e dalla facilità a troncar la febbre ne'primi accessi colla sola china, e in fine dalle osservazioni cadaveriche, le quali ci mostrano tracce d'infiammazione nella mucosa dello stomaco e degl'intestini, ove il male si è prolungato, e segni di mera congestione in que'casi, in cui il malato ha do- vuto soccombere ne'primi insulti, più per malignità della febbre che per l'elfelto di locali offese ad essa sopraggiunte, come nell'esempio 'XL. Avviene adun- que nelle lipiriche quel che si verifica delle coma- tose ; e come in queste il primo e secondo accesso non sogliono offrire che un molimen del sangue verso (i) De praecipuis febribus specimen practicutn. Cremonae 1761, p. 245. 4o Scienze la testa, poi vi si manifestano i segni della conge- stione , e in fine può stabllirvisi anche un processo flogistico; così pure nel principio di quelle non v'ha che irritazione dello stomaco e intestini , quindi vi si forma la congestione, che finisce da ultimo in vera flogosi. A questi diversi stadi delle lipiriche atten- deva pur Valcarenghi, allorché segiiitava ad ammae- strare il figlio che « Duplex carationis norma in hoc morbo con si deranda est\ altera nempe, quae, quo citius fieri potest , instituitur ^ ad ai-ertendani li- prriam, statìmae patho gnomonica eiusdeni signa appareant\ altera, quae incaeptae iani lipjriae il- lieo succurrit. » Se dunque il primo periodo di que- ste febbri non è peranco accompagnato da infiamma- zione, si giustifica la sentenza di Baglivi che T^enae sectio in principio earum. non confert. Ma Valca- renghi la condanna anche vigente lipyria : e co- mecché tal giudizio patisca qualche eccezione, riman sempre vero che questa flogosi non sopporta quelle cavate di sangue, che esige la comune gastrite, e non inasprisce tanto per la china e pel vino, come la co- mune gastrite farebbe. La ragione poi di tal differen- za si ritrova nell'indole rislpelacea, e nel debol gra- do della llogosi lipirica , provocata da potenze irri- tanti e disturbatrici, non da veri stimoli, preceduta da circostanze sfavorevoli alla reazion vascolare, all' innalzamento e diffusione del processo infiammatorio; cioè discrasia del sangue e prostrazione di forze. Per- ciò anche ne'casi, in cui la febbre lipirica si prolun- ga, non si ha bisogno di que' validi mezzi aniiflogi- stici, che si debbono impiegare in una genuina in- fiammazione dello stomaco e degl'intestini, accesa su florido sangue e m\ tutta la pienezza delle forze vitali. Febbri perniciose 4* Peraltro hannovi esempi di febbri liplriche, in cui preesistenJo una disposizione alla dialesi inflara- matoria, e alle cause provocatrici delle intermittenti aggiungendosene altre di natura eccitante, come l'in* solazione, l'esercizio protratto ec, la malattia riveste fin da principio indole flogistica, senza aspettare rei- terazione di accessi. In tali casi ella è l' infiamma- zione che predomina , la febbre decorre con anda- mento remittente e si aggrava coli' uso intempestivo della china, Aestate magis ad ardentes accedunt^ scriveva Borsieri delle lipirie: e poco dopo aggiunge: Sed panilo implicatior res est ; ubi tantummodo remissionibas suis intermittenles acmulantur. Tane enini non seinpev liuiasmodi re medio (cioè la china) vincuntur. Così nella storia XLI una costituzione ro- busta , la tendenza ai riscaldamenti del ventre , uà viaggio da Ancona a Roma nella stagione estiva, eran tutte circostanze da far prevalere la diatesi inilam- matoria sulla periodica, e che avrebbero dovuto sug- gerire fin dal principio qualche sottrazione di sangue, come fu fatto nella storia XXXIX, dove in caso non molto dissimile si ottenne la guarigione. E nell'ulti- mo esempio le ulcerazioni del crasso, che forse pree- sistevano alla febbre lipirica, dovettero rendere il pro- cesso flogistico predominante al periodico. Perciò le sanguisughe recavano pronto sollievo , la china e il vino accrescevano il male, il quale avrebbe già do- vuto volgere a tristo fine, per le molte altre imper- fezioni di quell'organismo. Si avverta che in tutte le citate istorie di lipi- riche gl'infermi eran dotati di pelle bianca , bianco- rosea, nitida e molle. C'insegna in fatti l'esperienza che tale abito dell' organo cutaneo va congiunto a 42 Scienze maggior susceUività dello stomaco e degl'intestini, e che con esso si va più spesso soggetti a coliche , a diarree, a lienterie. Si noti pure che ne'due ullitni casi terminali colla morte si trovò l'omento raccolto superiormente : la qual coincidenza indurrebbe a sup- porre in questa disposizione una sorgente per gl'in- testini di maggior proclività a risentire l'azione di al- cune potenze nocive, se V omenLum sursum retra- ctum non ricorresse quasi ad ogni pagina del Mor- gagni, scompagnato da lesioni intestinali, e senza no- tizia di patimenti abituali nel tubo cibario. Le mac- chie livescenti e le estremità lividastre del vecchio num. XL ci rammentano le pleurilidi verminose con forme lipirlche descritte dal Pedratti e riferite da Mor- gagni, in cui ; « Aegri misere inquieti , intus ae- stiiantes, toto autem corporis ambitit perfrigerati, et, quod certissimum erat mortis signum , cada- veris instar liventes » ( Ep. XXI, 4^ ) • ^^ anche nel caso nostro non mancava l'irritazion de'lombrici, che fu solenne in quella epidemia. La mesta sem- bianza, e il desiderio che aveva di morire il soldato num. XLI, confermano la sentenza di Baglivi che : « Mocror, et anxietas cuni inquietudine, sunt fere inseparabile signum lypiriae. » Finalmente l'inso- lita lucentezza dell'organo della vista nell'ultimo ca- so si collega a quegli occhi supra consuetudine ni micantibus, osservati da Torti in caso analogo. La diminuzione reale di calore sulla periferia del corpo nelle lipiriche, mentre ferve lo stomaco, è un fatto meritevole di attenzione. Un certo abbassamento di temperatura sulla pelle occorre più o meno in tutte le perniciose, come si rileva dalla fredda qualità de' sudori e dalla maggior freddezza della cute durante Febbri perniciose 4^ l' apiressia o la retnission de' sintomi. Dal che viea confermalo che il centro epigastrico , principal sede del male in queste febhrl, esercita qualche parte nella genesi o distribuzione del vital calore. Ma però nelle lipiriche questo raffreddamento è tanto più sensibile e caratteristico, in quanto che ogni moto espansivo di vital raggiamento dal centro alla periferia cutanea è impedito ; la reazione operandosi tutta sul canale alimentare. Lo stesso influsso nerveo sul cuore e sulle arterie è notabilmente diminuito, come lo mostrano i polsi piccoli filiformi oscurissimi, compagni insepa- rabili di queste febbri. Quel calore, che nelle altre perniciose si ridesta sulla pelle in forza della reazio- ne nerveo-vascolare, qui si accumula tutta sullo sto- maco e sugl'intestini. Vi ha dunque in queste febbri un languore de'poteri vitali de'gangli, come nelle al- tre intermittenti maligne : vi ha di più un impedi- mento all'espansion periferica, la reazione rovescian- dosi tutta sul tubo gastro-enterico, sede di spasmo , di flussione e appresso anche di flogosi. XLIII. Sul finire del marzo fu trasportato all'ospedale uno stalliere, di bruna carnagione e in giovanile età, con febbre, assopimento, faccia squallida, respiro af- fannoso, estremità purpuree, che alzate, ricadono co- me membra di corpo morto. Interrogato più volte , non se ne potè trarre altra risposta, se non ch'ei sof- friva un feroce dolore all'occipite, ove portava spesso la mano. Lo stato letargico durò tutto il giorno, in cui fu praticato un salasso , che die sangue di na- turale apparenza. La sera sudò copiosamente , e si 44 Scienze riebbe dal sopore in modo da poterne informare, che era andato soggetto a molte febbri di periodo nell' estate antecedente , e che Tattuale lo aveva assalito per la prima volta in quel giorno, e con freddo in- tenso ; ciò che egli attribuiva all'esser chiuso il suo ventre da cinque giorni. Persisteva intanto il dolore alla regione occipitale , e i polsi eran celeri e pic- coli. Furono ordinati due vessicanti ai femori e un clistere emolliente. Nella notte, che fu smaniosa, si amministrò la chinina alla dose di i6 grani. La mat- tina seguente cute fredda, polsi piccoli e irregolari, perdita di sensi e di conoscenza, occhi fissi, gemito, estremità superiori immobili; indi spasmi tetanici, du- rante i quali l' infermo inarca il tronco irrigidito , muovendo allora anche le braccia : dopo alcuni di questi accessi si pone in agonia e muore. - Il cada- vere era flaccido, livido e fetido. Molto sangue nero infiltrava i seni della dura madre. Uno strato di lin- fa purulenta era sparso sulla superficie convessa de- gli emisferi, situato sotto l'aracnoidea e apparente so- prattutto lungo i grossi vasi, ed entro le anfrattuo- sita cerebrali. La pia meninge minutamente iniettata ovunque internasi nel cervello. La sostanza di que- sto viscere molle, di color clnerlccio, punteggiata in rosso e gemente sangue colla compressione. Le stesse apparenze presentava il cervelletto. I plessi coroidei con pallottoline di linfa purulenta pendenti alle estre- mità. Un po'di siero sanguinolento alla base del cra- nio. La cavità del petto non andava esente da qual- che versamento sieroso, e di siero eran pure infiltrati i polmoni : oltracciò il sinistro di essi era sprizzato anteriormente di piccole macchie rosse. L' intestmo tenue rubicondo tutto , e 1' ileo ripieno della solita Febbri perniciose 4^ poltiglia con molti lombrici. La milza voluminosissi- ma, aderente all'interno e ammollita. Bile nera e pi- cea nella cistifellea. La vessica urinaria ingrossata nel- le sue pareti, contratta e sparsa di punti rossi nella interna superficie. XLIV. Nello stesso mese fu ricevuto un giovinetto men- dicante , che posto in letto presentò la febbre con polsi celeri e calore urente, il sopore, la faccia tu- mida, la lingua sordida, Palilo fetiilo, il respiro af- fannoso, qualche urto di tosse, decubito supino. Scos- so ed interrogato, appena proferiva qualcbe sillaba, e ricadeva nel sonno. Fu ordinato un salasso, e si ap- plicarono i senapismi alle piante de'piedi. La notte sudò profusamt^nte. La mattina seguente erano scom- parsi calore e sopore: rispondeva giusto alle doman- de , e raccontò di aver sofferto le intermittenti in autunno, ed essersi ammalato di nuovo il giorno in- nanzi, adducendone in causa l'aver mangiato pesce in gran copia. Lagnavasi di acuti dolori ricorrenti alla regione ombelicale, il ventre era tumido, i polsi piccoli ed irregolari, la pelle 'del tronco chiazzata di piccole macchie purpuree. Fu dato 1' olio di ricini, dopo il quale l'infermo cominciò a lagnarsi di fred- do, a tremare, ad agitarsi, e in poco morì di sinco- pe. Il cadavere si mostrò flaccido e lividastro. I seni della dura madre notabilmente ingorgati di sangue: la sostanza del cervello punteggiata in rosso: molto inietlati i vasi che serpeggiano sulla interna super- ficie de' ventricoli laterali. I polmoni colla lor base aderivano indissolubilmente al diaframma: aderivano pure, ma con minor tenacità, alle pareli anteriori. I 46 Scienze lobi superiori offrivano al taglio due distinte sostan- ze, una crepitante di color carneo vivo , 1' altra di un rosso nerastro infiltrata di sangue: i lobi inferio- ri si spappolavano fra le dita come una milza dis- fatta. Lo stomaco assai disteso conteneva gran copia di mucosità gialla, su cui nuotava l'olio di ricini. La superficie esterna così dello stomaco, come degl'in- testini presentava delle piccole macchie nerastre. L'i- leo offriva invaginamenli e lombrici: tutto poi l'in- testino tenue era spalmato di muco giallo, ed aveva le tuniche in molti punti notabilmente assottigliate. La milza, tre volte più grande dell'ordinario, aderen- te al diaframma e in gran parte ammollita. La ci- stifellea turgida di bile viscosa. C insegnan queste due storie che la degenera- zione del sangue, e la triste condìzion della fibra e la fiaccliezza de' nervi organici , retaggio delle gravi intermittenti , estendono i loro effetti fino alle ma- lattie di primavera , partecipando loro un fondo di malignità, di cui non si trova ragion sufficiente nel- le recenti cause occasionali delle medesime. Vedem- mo di sopra come pneumonili ed angine, suscitatesi durante l'inverno in rrfacchine profondamente offese dal clima palustre, terminassero con parosismi aventi tutto l'aspetto di perniciose. Fu visto pure come gli errori dietetici , commessi nella convalescen2,a delle periodiche di prava indole, valessero a riprodurle più gravi. Lo stesso si osserva ne'due ultimi casi, quan- tunque avvenuti dopo un più lungo intervallo dalle febbri sofferte. Nel primo de'quali le offese del cer- vello e de'suoi velamenti spiegan bene il sopore, e la paralisi delle membra alternante colle scosse te- taniche , e la morte seguitane , ma non rendon ra- Febbri perniciose 4? gione dello squallore e ilell'andaraenlo parosislico, e di sì pronto fine. E nel secondo , una mangiata di pesce poteva ben riprodurre la febbre, e parteciparle indole putrida; anlicbe magagne del polmone ci mo- stran pure il perchè nello stadio del freddo si sta- bilisse più facilmente in quel viscere un ingorgo mor- tale: ma tutto questo non rende conto della prostra- zion delle forze fino dal primo accesso della febbre, e delle improvvise congestioni , e della insolita ra- pidità nel corso della malattia. Preesistevano dunque altre condizioni che concorsero in questi infermi a un sì repentino esaurimento delle potenze vitali; cioè la discrasia del sangue , la viziata assimilazione , e una maggior suscettività de' nervi organici verso le potenze nocive. Il primo de'due ultimi casi offrendoci indizi di flogosi in tutte le cavità , senza che la forma mor- bosa avesse manifestato i segni dell' universale esal- tamento flogistico, conferma il detto di sopra: cioè che il processo inllammatorio , ove si susciti in or- ganismi mail pattati dalle gravi intermittenti, suol riu- scire men ddlusivo, meno atto a provocare una va- lida reazione du'vasi, una febbre inflammatoria. Neil' ultimo esempio, l'ingorgo sanguigno del cervello in secondo accesso comprova che la proclività alle con- gestioni nelle perniciose deriva piij dalla dissoluzio- ne del sangue, e dall'atonia della fibra, che dal nu- mero e lunghezza de'parosismi febbrili. Che quanto alla prima condizione , se non è da credere che in essa consista lutla la malignità de'morbi, è però ra- gionevole il pensare che per tal eausa si accresca grandemcnle, e si aggiungano nuovi e gravi sintomi alle malattie: Coniungi igitur cum maligna vi so- 48 Scienze lutivam^ aut coagulativam sanguinis ^ in neutraque hariim malignitatem consistere ^ credibile est. At- tamen ubi alterutra magna sii, et adiuncta habeat symptomata quibiis malignitas significelur, ut in primis citam maximamque prostrationem virium; ipsa quoque ut quae creberrime et gravia qui- dem addens sjmptomata , cum malignitate solet coniungi, lume quodammodo comprobabit .... ( Morgagni, Ep. 49, 28 ). XLV. Un soldato da Forlì di anni 35, carnagione bru- na, abito asciutto, temperamento bilioso, godeva sa- nità da gran tempo, allorché nel principio di settem- bre adiratosi fortemente, e fatta poi la sentinella not- turna alla porta del popolo, fu assalilo il giorno do- po da febbre a freddo terminata con sudore, che si ripetè il dì seguente con altro accesso più mite e non preceduto da freddo. Il terzo parosismo, in cui fu condotto all'ospedale, era accompagnato da cefa- lalgia, giallore delle congiuntive e dei pomelli, lin- gua paniosa, ventre teso e dolente sotto la pressio- ne, sembianza trista, abbattimento di forze. Il quarto giorno recò una larga remissione di febbre; ma sul far della notte , previo un tremor frigorifico , tornò l'accesso con profondo stupore, occhi fissi, incapaci- tà d' intendere e di parlare. Si ordinarono le san- guisughe alle tempie e il solfato di chinina. Notte smaniosa. La mattina seguente persisteva la stupidez- za, ma era alleggerita la febbre, che risalì poi la sera con aumento di tutti i sintomi e specialmente del giallore. Si praticaron fomenti sul ventre e un eli- Febbri PEnNiciosE ^n stere emolliente. La prima mela della notte fu pie- na di ambascia: appresso si a[)rì il pudore, e fluiro- no copiosamente le orine. Il sesto giorno si dilegua- va lo stupore, e l'infermo era in grado di rispondere ad ogni domanda: persistevano il giallore, la tensio- ne e il senso doloroso del ventre , la prostrazione delle forze. Sul mezzodì ebbe luogo un vomito ab- bondante di bile porracea. La sera nuovo assalto di febbre, ma senza alcuna stupefazione; e così avven- ne pure nel settimo, che fu l'ultimo del male. L'escrezione di copiose orine fu in questo in- fermo di felice presagio: essa indicava lo scioglimen- to della congestion cerebrale, di cui suol esser effetto l'iscuria cbe accompagna gli accessi delle comatose. È stato notato di sopra come in coloro, clic soccom- bono a tali febbri, si rinvenga la vessica distesa da molta orina : ciò cbe conferma il noto consenso fra essa e il cervello. Consenso reciproco; poiché se le malattie soporose inducon torpore nella vessica , le irritazioni di questo ricettacolo suscitano a vicenda sopori e appoplesie. E familiare ai pratici il coma so~ Tìinolentuni ab ischuria: e non ha guari il prof. Ba- roni, accintosi ad una operazione di litotomìa, ebbe ad osservare un insulto appopletico nel paziente, ap- pena introdotto lo sciringone in vessica. Io posseggo un grosso calcolo trovato nella vessica di un calzo- laio, cbe morì di appoplesia nell'ospedale di s. Spi- rito, senza aver l'abito che predispone a tal malat- tia, e senz'altra causa palese. Quest'ultima storia ci rammenta pure, che le ac- cessioni perniciose enlran talvolta nelle ore della not- te ; ciò cbe rarissimamente avviene delle febbri pe- riodiche dì benigna indole: fatto notevole nella pra- G.A.T.XCVIII. 4 '^O Scienze tica per gli errori diagnostici a cui potrebbe dar luogo, ove l'infermo non fosse osservato che nelle ore diurne, XLVI. Un carbonaio di anni 3o, temperamento linfa^ tico e abito scrofoloso, dinjorante a s. Antonino de' portoghesi, non aveva mai sofferto le febbri intermit-^ lenti, allorché il i5 agosto, essendo più avvinazzato dell'ordinario , e dopo esser entralo in ardentissima collera, discese col corpo assai caldo in una fredda cantina ; ciò che gli cagionò una febbre con forte do- lore di capo, che tornava ogni giorno a caldo verso il mezzodì, e rimetteva notabilmente la notte in se- guito di discreto sudore. Dopo il quarto accesso si oscurarono le remissioni, e la febbre prese andamento di subcontinua, aggiungendolesi il delirio ora placido ora violento. Sguardo animato, loquacità, sconnessior- ne d'idee, veglia : l'infermo tenta di uscire dal letto; e costretto a rimanervi mediante i legami, minaccia e sputa sui circostanti. Questo stato durò quattro giorni, dopo i quali sopravvenne il sonno, da prin- cipio inquieto e interrotto da tremori, indi placido e ristorante che pose fiqe alla malattia. Fu curato con due salassi in tempo del delirio, poi vescicanti, cli- steri e generose dosi di china e chinina. Sebbene le intermittenti mali moris sogliano es- ser progenie de'luoghi, ove tutte raccolgonsi e ad alto grado saliscono le condizioni del clima palustre; ond'ò che la sola provenienza degl' inferrai da tali regioni ci rende avvertili del pericolo che gli sovrasta; tut- tavia anche ne'paesi raen rei, e dove il vizio dell'aria si limita spesso ad agire come semplice elemento pre- Febbui perniciose 5i disponente, il concorso di più cause nocive, che as- saliscano ad un tempo rorganlsmo, sopratlulto se di- rigansi sui nervi organici , è bastante a provocar feb- bri di maligna natura : e se non accompagnale da tanta prostrazione di forze e discrasia di sangue, co- me quelle che si generano in mezzo alle acque sta- gnanti; tali però da farsi micidiali, ove non si appre- stino i necessari soccorsi. Ce ne porgono esempio i due ultimi casi, in cui alTazione proegumena dell'aria malsana si aggiunsero gli sbilanci di temperatura e l'effervescenza dell'ira. La quale pure disturbando la vita dell'apparato gastro-biliare, offendea parte di quel- la sfera di nervi, già bersagliata dalle altre potenze morbose. Che quanto al modo di agire della mararia, ei sembra che tutti i fatti si adunino a mostrarla da nn lato nell' accresciuta venosità del sangue per la condizione caldo-umida dell'atmosfera, e dall'altro in un avvilimento de'poteri vitali del centro epigastrico, rappresentato dalla condizione saburrale, e dalla ten- denza ai ristagni del sangue ne'visceri cui provvede il plesso semllunare. Il basso ventre è in fatti la sede principale delle molestie anche in quelle perniciose che si presentano con altra forma, e che assaliscono altri organi. Si è veduto come nelle letargiche gl'in- fermi portino spesso le mani sulla regione ombelica- le, e mostrino di patire in comprimerla. Si è notato pure come le intermittenti risveglino più facilmente le malattie abituali dell'individuo, allorché queste ab- biano origine dalla cavità addominale , e in ispecie dal centro de'gangli. Finalmente anche fra le cause atte a suscitare le intermittenti sporadiche primeg- giati quelle che agiscono su questo centro, come al- cuni patemi d'animo, il vitto grave e pingue, i pur- 52 Scienze ganti validi e inopportuni, il ber gelato col corpo in bollore ec. La qual sede delle febbri in discorso nel sistema gangliare fu già con molti argomenti soste- nuta dal Comparetti ne' suoi Riscontri medici^ cioè da quello slesso autore cbe in altra opera (^Occurs. med. de vag. aegr. m/?AV». niruin che ne rende presen-^ taneo il pericolo ^ ed esige più larga copia di china la quale è sì gran rimedio alle perniciose palustri , ove non sapremmo quale allro sostituirle, mentre di più succedanei è ricca la materia medica per le in^- lermittenti benigne; poiché, al dir di Sjdenham, sod- disfa ad un tempo a due indicazioni: vince cioè quel- la condizione in che è riposta la periodicità, ed emen- da in gran parte la discrasia del sangue che si su^ scita in tali febbri: Ita poteliter cortex noit soliun paroxjsmis, sed et djscrasiae subvenit. Se in fatti la china tronca non solo e previene le intermittenti endemiche delle regioni malsane, ma guarisce inoltre molte affezioni periodiche, sparse in ogni luogo e tem- po, essa dunque ha possanza di distruggere la con- dlzion periodica. Se la china è stata usata con van- taggio da tutti i pratici nelle febbri putride scevre da complicazione flogistica, se tuttodì si usa esterna- mente ne' processi gangrenosi con egual profitto, essa dunque ha virtù di frenare la tendenza putrefattiva del sangue. Ambedue questi benefizi sono richiesti nel- le perniciose palustri , e si ottengono mercè della corteccia peruviana. Intorno poi alle cause onde il sangue si altera in queste febbri , cade qui in acconcio il riflettere che se gli effluvi emanati dai paduli non si son ri- velali alle chimiche indagini, ciò avviene appunto , perchè essi agiscono non in virtù di lor materia, ma inforza del movimento di decomposizione da cui so- 54 Scienze no animati, e clie sono atti a provocare in altri cor- pi, disposti a sperimentarlo. Non si è giunti ad iso- lare il principio attivo delle emanazioni palustri, co- me i fisici si tomenti non hanno potuto imprigionare i contagi; poiché l'energia degli uni e delle altre con- siste in forze, palesi pei fenomeni che producono , non in coì'pl che si manifestino ai processi anali- tici. £ noto per moltissimi fatti, che un corpo orga- nico in decomposizione, messo a contatto di una ma- teria liquida o molle, che ne contenga gli elementi, vi può indurre lo slesso movimento intestino, ond' esso è compreso , e riprodurvisi al modo che opera il fermento in una sostanza vegetale fornita di glu- tine. E noto altresì che il sangue , il pus, la bile, la carne, la materia cerebrale nello stato di putrefa- zione, inoculate in ferite ad animali viventi, vi su- scitan sintomi gravissimi seguili ben presto dalla mor- te. Or come in tali casi non è dubbio che queste sostanze ahbidno, a modo di fermento, comunicata al sangue l'alterazione in cui trovavansi; come esse val- gono a partecipare il loro stato di decomposizione ad una materia anche meno facilmente alterabile del san- gue, qual'è l'acqua zuccherata (Colin): così i miasmi lanciati da focolari di rapida putrefazione provocano nella saliva, nel muco, nei succhi gastro-enterici, e quindi nel sangue degli organismi viventi lo stesso movimento fermentativo, da cui sono agitati, allorché la forza conservatrice non possegga il suo pieno vi- gore, onde sottometter le leggi chimiche alle vitali. Narrando Senac di una mortale epidemia di febbri intermittenti, insorta dal prosciugamento di uno sfa- gno, sottostante alle mura di una città, ove a qiia- draginta annis omnia domoriim et vicoi'iiin con- Febbri perniciose ^^ Jlaehant purgamenta, riferisce pure: Erat hoc pr^ cuUare his exhalationibus, quod qui prope lacum d(^gerent^ carnes asservare per tres horas non po- tcrant', eae statini ferme putresccre solebant, omnis' que culinaria suppellex crusta quadam breoi ob- ducebatur ( I. cil. p. 18 ).E certo clie sì rapida pu- trefazione delle carni se poteva esser favorita dalla maggior utnidità presso il lago, era però suscitata dal moto intestino agitante le particelle organiche , che esalavano dalla putrida melma, lasciata allo scoperto dall'evaporazione delle acque e per esse comunicato alle carni. Similmente posson rimanere infetti gli umo- ri dell'uoino, cui già il caldo-umido, i profusi sudo- ri, le vicende atmosferiche, l'alimento grave, l'elettri- cità negativa abhian disposto a risentire l'azione delle potenze nocive. . Questa infezione del sangue per opera de' mia- smi palustri illustra anche l'argomento della diversa alterazione che presenta la milza nelle intermittenti henigne e nelle perniciose. E noto cioè che le pri- me, per trasGuranza che vi si usi , e per recidivare che facciano, appena è che vadano a pericolo ; ma dopo un certo numero di accessi sogliono indurre au- mento di mole nella milza e spesso anche nel fegato. La quale offesa, ove non sia corretta opportunamente, finisce col turbar l'ematosi e la circolazione, donde poi la diatesi sierosa e l'idropisia. Questa milza dopo la morte trovasi accresciuta di volume e di consisten- za; essa offre al taglio una sostanza compatta, simi- gliante ad una massa carnosa; rosseggia vieppiù al- l'aria e non geme sangue dai vasi recisi. Al contra- rio si è detto più volle, che ne'cadaveri di coloro che soccombono alle perniciose la milza rinviensi di un 56 Scienze color violaceo o rosso-cupo, e ammollita al segno ila screpolarsi alla più lieve pressione; il suo parenchi- ma si riduce fra le dita in una poltiglia quasi flui- da, somigliante a feccia di vino; la membrana ester- na e i filamenti che se ne slaccano, hanno perduto ogni tenacità. Aumentato n'è quasi sempre il volume, ma diminuito il peso; dacché il sangue, che vi si rar- coglie, abbonda di fluidi aeriformi, come si rileva dal- Timmensa copia di bolle, che sorgono alla superficie dell'acqua, ove sott'essa maneggisi il viscere. Il quale reciso in felle, e disseccato all'aria, riducesi quasi ai meri tessuti che ne formano l'orditura. Ne questa co- pia insolila di gas può attribuirsi a calor di stagione e a corruzion cadaverica , poiché si osserva quando tulli gli altri visceri sono intatti da putrefazione, e non si rinviene contemporaneamente nella milza de'morti per altre malattie. Or che nelle intermillenli si pro- vochi una flussione alla milza, ninno è che lo igno« ri , ed è anzi questo il più costante fra i caratteri di tali febbri: ma per poco ohe vi si attenda, si do- vrà convenire che la sola flussione non ispiega l'i- pertrofia dell'un caso e l'ammollimento dell'altro; le- sioni disparatissime fra loro, e che non possono es- ser generate dalla slessa causa, senza l'intervento di altra condizione modificatrice. Questa condizione è riposta nella diversa natura del sangue, che si rac- coglie e stagna nelle cellule spleniche: florido, con- cresqibile nelle semplici periodiche , disciollo e al- calescente nelle maligne; che si rappiglia e ispessi- sce nelle prime, fermenta e corrompesi nelle seconde. L'ammollimento infalli della milza si effettua spesso anche in altre malattie, in cui il sangue tende alla dissoluzione, come nello scorbuto, nelle febbri pulri- Febbri per.viciose 5jr ^e, nel Ufo petecchiale, nella febbre gialla, nelle re- mitlenli che regnan fra i tropici; onde può dirsi con ragione che lo stato della milza ci rappresenti quel- lo del sangue. Del resto se l'alterazione di tal flui- do è assai più notevole nella milza di quel che sia nel restante del corpo , ciò vuoisi attribuire , come già fu detto , alla natura alcalescente di questo vi- scere, e alTavvilita innervazion gangliare : donde la preponderanza che le chimiche azioni acquistan sul- le vitali, e la dissoluzione che l'ammoniaca, di cui abbonda soprattutto la milza nelle perniciose, eser- cita sui materiali del sangue e sui tessuti del visce- re. Questo predominio poi di ammoniaca vi è dimo- strato dagli stessi cimenti chimici esposti di sopra , riguardo alle condizioni del sangue nelle febbri in di- scorso : la quale esuberanza di un alcali, proclive a cambiar forme, e a dar origine a nuovi corpi azota- ti, ci spiega il formarvisi che talora avviene dell'aci- do idrocianlco, come fu già notato in altro scritto. Finalmente 1' infezion degli umori nelle perni- ciose endemiche ci offre argomento a sciogliere il dub- bio propostoci del perchè molte intermittenti, quan- tunque mal curale o neglette, non depongan lor be- nigna natura, ed altre invece saliscan prestamente a gravezza di perniciose. Le dette febbri cioè conservan mite indole , ove l'insalubrità del suolo non giunge al grado di produrre seminìi fermentativi atti a de- stare lo stesso movimento nel sangue , ma si limita a mal disporre la maccliina, disturbando specialmen- te le funzioni de' visceri addominali ; sicché poi le vicende di temperatura o i disordini dietetici valga- no a suscitare i parosismi febbrili. Son poi gravi le intermittenti dai primi accessi e divengon tosto 58 Scienze maligne, allorché alle altre cause si aggiunge il ri- detto principio d'infezione : principio che talora può generarsi anche nelle prime vie senza intervento di emanazioni palustri. Oltracciò le febhri periodiche pos- son farsi gravissime in casi che gli antichi avrebber chiamato sine materie, o come si esprimeva Galeno solo spirita alterato, quando le potenze nocive ca- paci a suscitarle, agiscano sopra organismi impoveriti di forze. Ivi le successive reazioni de'centri ganglia- ri esauriscon prontamente l'energia vitale, ove non si appresti subito l'opportuno rimedio. E noto come ne- gl'individui spossati dalla venere, dalle perdite smo- date di sangue, dai validi purganti, od oppressi da for- ti patemi d'animo, le intermittenti divengan facilmen- te mortali. Sg Sopra le funzioni di Laplace che risultano dallo sviluppo dell'espressione ( «2 — 2aa (cos acoscp-h sen a sen 9 cos(3 — 5') ) -f-a ') • Memoria del sig. cav. C. G. J. Jacobi professo- re di matematic in Prussia (**). re di matematiche nelV università di Konisberga u I. na espressione della forma v = 1/ ( A^* -j- B^- -i- O ) può essere rappresentata dall'integrale definito 1 f,'^^ dv7 2nfo A -f- « li cos >7 -t- i C sen v? quando si ponga i = [/' — i. Sia in questa formola A :^ a cos flj — a'cos s> B = a sen w cos 3 — o sen 9 cos 3' C = a sen w sen 3 — a'sen 9 sen 3' ; (*) Il sig. cav. prof. Jacobi nel suo soggiorno in Roma ha gentilmente acconsentito alla pubblicazione di questa Memoria cedendo alle vive ricbieste a lui fattene dal sig. ab. professore Torlolini.Così il nostro giornale prima d'ogni altro d'Italia viene onorato dagli scritti di uno de! più grandi geometri dei nostri tempi, [l Compilatori del giornale.) 60 S e I E N 2 K L'espressione, della quale ò proposto lo sviluppo, si ottiene per mezzo (lell'inlegrale definito 1 V= . — \/ (o^ — 2aa (cosco cosy •+• seua> sen^ cos (3 — 3) ) -J-a^) 1 p25r dv? 2;Tyo a(coslM-^-^scnw cos (3. — vj) ) — a'(cosy -+- ^■sen9cos^3' — vj) \ Sia lo sviluppo in questione Y/ /„ per la forraola precedente il termine generale ¥„ sarà dato per l'integrale definito 1 ^2* ( cos ^ -4* i sen o cos (S' — vj) )" dvj " 2k Jo [_ cos 00-1-2 sen w cos (3 — vj) J'*' Ponendo [ cos 9 -f- i sen ip cos [Ò' — vj ) 1" = X„ 4- 2 « X'„ cos (3— >3) — 2 X"„ cos 2 (3— vj) .... [ cos co 4- i sen co cos (3 — vj) ]-(""^0 = P„ 4- 2 i P'„ cos (3 — -/j) — 2P"„ cos 2 (3 — vj) . . . . l'espressione precedente di Y„ porge y„ = P„ X, -2P'„ X'„ cos (3-3) 4- 2P"„ X"„ cos2 (3-3) .... Le quantità P„ , P'„ ... dipendono solamente da w, le Matematica 6r quantità X , X'^^ .... solamente da ©. Inoltre le quantità corrispondenti P„"'' , X," debbono essere le medesime funzioni di o , e di m , od almeno dif- ferenti fra di loro per un solo fattore numerico. Que- sta è una conseguenza proveniente dalla natura stessa della funzione V, e quindi anche del termine gene- rale Y di non cangiare quando si cangiano fra di loro w , e i'= 2r f t <^05 <^ ■*" ^ ^^^ '■^ <^os (3— vj) ]-(«+«) d>7 = P^ y/^{a^ — 2aa'cos « -t- a^) a * o» "^ a^ "*" ' * * I primi coefficienti divengono in questi casi Xo=Pg=i come risulta dalla supposizione a=o. Negli due in- tegrali pe' quali X,i , e P„ sono determinati , può sostituirsi V7 invece di 3' — vj , 5 — vj. I due radicali divengono fra di loro eguali, quanJo si ponga «=«; d'onde ne viene, che P„ ed X„ sieno respettivamente le medesime funzioni di w, e di © senza differire fra loro di un fattore numerico: ciò che fornisce la se- guente proposizione ; « Se |/"(a' — 2aa cos (ù ■+• a^) a ^ ' «^ ' ^ a^ « e se P„ sia la medesima funzione di w come X è di 9 si ha 1 ^2ff d3 2nJo 2nJo |/^t«^— 2aa'(cos(W cosip-Hseucjsenf) cos(3' — B) ) -ha'^] 1 a a'2 = --4-PxX, — H-P,X, — H » a a* a-> Questo bel risultato fu trovato per la prima volta da Legeudre nelle sue ricerche sulla figura della terra. Matematica 63 II. Gli sviluppi di X„ , X'„ ..., P^ , P'„ , ... si pos- sono trovare per mezzo del teorema di Taylor, e di una importante estenzione di questo relativa agli svi- luppi di una funzione di p -\- z, in serie infinite, le quali contengano potenze negative dell' incremento. Sia infatti cos ijj = a: , ì sen ^ e'^ = js ol terremo l'equazione rimarcabile 2z (cos 9 4- ^■ sen (p cos vj)==(x-l-5)* — 1 . Quindi sostituendo vj in vece di 3' — vj nella serie di sopra supposta per lo sviluppo della potenza C cosp ~\- i seno? cos(3— >j) ]" ed introdotte le quantità esponenziali invece dei coseni, proviene [ (.r -f^ a)2 — 1 ]" = 2" z" (cos 9 + 1 senp cos vj ) " == 2" z- [ X„ 4- ^• X'„ é^-n — X"„ e2«vj _ iX\ e3«->j . , . -}- ì X'„ e-^ — X"„ e-2*>? — i X"'„ e-3«'>7 . . . ] = 2^." (x„4-x',. -^-i-x"„ -4-H- r"„ -4- \ sen (p sen^9 sen-^^ — X'„ sen f z^'4-X"„ sen* f xr^ — X'",^ sen^^ z-^.... j Essendo sen 9 = j/^i — .r' , e le quantità Xi"*' es- sendo funzioni della sola x , la serie precedente sì 64 Scienze trova ordinata secondo le potenze di z , ed i loro coefficienti sono funzioni di x, in modo che il coef- ficiente di z""^"* sarà sen'"9 1/(1 — x^)" Ma per il teorema di Taylor il medesimo coefficiente sarà JI( wH-m) dx""^'" ' ove TI k = 1. 2. S., k i e perciò si avrà („) sen'"9 d"+"' (j?^ — 1)" A./1 = 2" n (/H- m) d^''^"* Per .«w = o si ottiene d" (jj2 — 1 )" """ 2"nM.d*'" d'onde all'espressione di XL'" può sostituirsi questa j^,„,_ n. j„.d-x. n (« -f- m) dx"' Per trovare 1' espressione di P,r' s'introducano le so- miglianti notazioni cos w = p ed i sen w e^''? = z , Matematica 65 e si avrà egualmente [ (p -f- z)=»— 1 ]-(«+') = (2z)-(""^') [cos w -+- «sen « cos vj 3-("*') = (2z)-(«+') ('p,. + P'„ _Ì- -i- P"„ -^ + p"; -4- -H .... \ sen 0) sen^oj " senati) — P'„ sen w .Z-' -^P"„ sen2 w.2-a — P"„ sen^ wz-3 4- ... j Il coefficiente di s-( ""*■')"*''" sarà in questa formola sen"' w Per ottenere i coefficienti delle medesime potenze di z , nello sviluppo di [ (p •+- z)^ — 1 ]-{«+') osservo che lo stesso principio , il quale ci dà la serie di Taylor ( cioè che gli m"!mi coefficienti differenziali parziali di una funzione di ^ _f- z presi respettiva- mente o a p o a z sono eguali ) può applicarsi an- che agli sviluppi, che come i precedenti contengano insieme le potenze positive e negative di z in infi- nito. In uno sviluppo di questo genere sia u il coef- ficiente di z"'""*"') , il coefficiente di z -(""*' ')'*''« diverrà . Uin — m) d'"u ^ ' Un dp"^ Nel proposto sviluppo dell'espressione [(p-+-z)2-1]-(»'^') il coefficiente di z^""*"') è 2-("'*'') P„ e generalmente il coefficiente s-C"*'')^"' è 2-("* Seneca G.A.T.XCV1II. '(") 66 Scienze Dunque applicando allo sviluppo proposto la regola generale, testé stabilita, e moltiplicando per 2-»+! sen'"ii) 8Ì ottiene ^^,1 / V n(« — m) d'"P„ P,r''=. — 1)'"sen"'w-^- ■' -— ^ ^ Un djt)"' Essendo P la stessa funzione di pi, corifle X.. è del- la X, si ha p ^ d" ( p' — 1 Y 2" Un dp" d'onde ^" -^ ' 2''nn.Un'' ^ ^ dp"-*-»' Sostituendo i valori trovati di Xi'"', Pi"'' neirespres- sione di Y di sopra riportata Y. = P„ x„-2p; x; cos (^-^')-^2P'; x"„ cos 2(^-S') etc. si ottiene 217 (n — 1 ) sen tì seno? d P„ d X j, . Y = P X -1 ^^ ■ -7—^ cos(3— 3 i„ r„A„-t- n(»-l-1) dp dx n n n n( n -H 2) dp2 dx^» Tal'è r espressione del termine generale Y^ trovata da Laplace per una via totalmente differente. Due casi non frequenti nella clinica chirurgica. Narrazione del medico Filippo Marini chirur- go primario condotto in Loreto^ socio ec. Lo^ reto^ tipografia dei fratelli Rossi^ i844» '« 8» di facce ^6. uesli due casi ài chirurgia Tion frequenti, che il eh. A. ha indirizzali al più valente fra i romani chirurgi, al sig. prof.Francesco Bucci, come a quello che realmente tutta 1' importanza loro ne potesse com- prendere, mostrano quanto egli prudente e dotto sia.- In un giovane contadino sanissimo^ per un lieve col- po di tosse (cosa in vero strana), si produsse un'er- nia intestinale incarcerata. Non conoscendone egli il grave pericolo trascurò ogni cura ; fattogli palese e dal prof, e dai sintomi , permise che si ponesse in opera tutto ciò che suol farsi prima di eseguire l'o- perazione del buhhonocele, alla quale poi si sotto- pose al 5 giorno. Sei giorni dopo l'operazione, lutto progredendo bene — F% R = ABC -H 2DEF — AD^ — BE^ — CF' , si trova, dopo una conveniente ordinazione de' ter- mini, che l'espressione (a) contiene soltanto le dif- ferenze delle quantità A, B, C, ossia che quest'es- pressione rimane inalterata quando le A , B , C si aumentano o si diminuiscono di una medesima gran- dezza. Lo che si può raccogliere eziandio dalla sola ispezione dell'equazione cubica, scritta nella seconda o terza forma, dove apparisce che, per siffatto cam- biamento, le tre radici dell'equazione vengono in cor- rispondenza a crescere o a diminuire di una mede- sima quantità. Fatto pertanto B — C=r=«, C — A^/3, A — B=-y, 74 Scienze donde ordino la formula [a) secondo le dimensioni di D, E, F, ed ottengo 2^7 (a^* -H 2/3y) D^^^ («'+ 8^7) D4 -j- 2 ( 1 Oa^^/Sy) E> F=» H-27« (/3> -t 2ycc) E^-f- (iS^^ + 87a) E4 h- 2 (1 0^^—yx) F^ D* -h2«/3 (7^ H- 2ai3) F^'-t- (7' 4- 8a/S) F4 ^ 2 (1 07^— «/3) D^ E^ H-a* /3» 7' -H 4 (i3 -- 7) {7 —«)(«_ ^) DEF — 36 C(/3 — 7) D^ -H (7 — e) E^-h{cc — ^) F^ } DEF -f- 4 (D» + E^» -H F^ )3 — 108D=«EvF2 = o. Ecco 1' espressione , che trattasi di ridurre ad una somma di quadrati. Wiuno 51 aspetterà che a quest' uopo siasi trovato ed applicato un metodo diretto. Io qui ho proceduto per via di tentativi, comincian- do dall'eseguire la riduzione in quadrati per valori particolari di a, /3, 7, D, E, F, propri ad indurre una grande semplificazione nella formula. Tale è il qaso di a = /3=7 = o, per il quale la formula, che si deve risolvere in una somma di quadrali, riesce 4 (D^ -h E=» 4- F2)3 — 108 D^ E* F^ = 0. Or questa si trasforma, senza grande difficoltà, nella Equazione cubica n5 seguente 1 5 D» (E» — F^)-! + D^ (2D^ — E^ — F»)'- -H 1 5 £2 (F^ — D^)^ -f- E^ (2E2 _ F^ — D^-)^ H- 1 5 F= (D^» —• £3)2 4- F» (2F* — D" — E^)^ = o . Profittando principalmente di questa formula come di punlo di parlen?;a, sono pervenuto finalineule a risolvere la formula geperale (iella seguente somm^ di quadrati positivi ' 1 5 [ EFa+DIEvF^') ]'-H-[2/5yD-|-(y-/3)EF-<-D(2D^-E='-F^)]* J-+-15[FD^Sh-E(FvD3) V-^ 1 2y«EH-(«.7)F£|+E(2E^-F2-D^) y -hi 5 CDE7+F(D^-rE^) y-f- [ 2a/3F-(-(|3-a)DE+F(2F^-D2-E2)]> -f- [ apy ■+. aD^ -{- ^E^ ■+- yF^ ]=» = o. Da ciò che quest'espressione non può mai riuscire ne- gativa, si deriva immediatamente che, supponendo rea- li i coefficienti A, B, C, D, E, F, l'equazione cu- Ijica ha sempre reali le sue tre radici. Inoltre, affui- chè l'equazione cubica abbia due radici uguali, cia- scuno de' quadrati precedenti dovrà svanire per se medesimo: lo che somministra apparentemente sette equazioni; ma si dimostra di leggeri che tutte sono sodisfatte se hanno luogo le due prime, cioè l'equa- zioni EF«. •D(E=' — F^) = o.. FDp-f-E(F-— D^)=o. E queste sono le due condizioni necessarie e bastan- ti, purché due delle quantità D, E, F non isvanisca- 76 Scienze no insieme, essendoché in questo caso bisognerebbe aggiungere ancora una delle tre condizioni (*), (b) D* 4- By = o , E^ -H 7« = o , F^» -f- a/3 = o. La cosa però è totalmente differente qualora per i coefficienti A., B, C, D, E, F si ammettano pure de'valori immaginari. In questa ipotesi la formula (i) somministra, non più due, ma una sola equazione di condizione, per l'uguaglianza di due delle tre radici A' , B', C. Ora quando resta soddisfatta quesl' una condizione soltanto, generalmente non sarà punto pos- {*) La condizione, che ha luogo in questo caso particolare, è data evidenteineule dalia (i),e si può ancora ricavare dalle (a) nel modo che segue. Le (2), ossia Tequivalenti O, DE FD ^ EF DE «-*- F E ==^' ^-^ D F somministrano EF „ FD DE A ;— = B ^G — D E F ' d'onde si traggono le seguenti EF EF CA B „ JCA C ^ 3 = D' . ^ ^ FD FD [B e E ^tB A ^ ]=E^. DE DE CC-A--_][C-B- — ] = F- e queste^ quando due delle tre quantità D, E, F svaniscono, si riducono ad una delle (b). Affinchè però questo ragionamento sia giusto, bisogna considerare le due quantità evanescenti, co- me limiti di altre due quantità che, nello svauii-e , serbano tra loro il rapporto risultante dall'equazioni (2j. D. Chelini d. S. P. Equazione cubica 77 slhile (li cacciare i prodotti dalla formula kx^ _t- By^ -h C3^ -h 2D1/3 -t- 2Y.ZX -+. 2¥xy , per via della sostituzione sovr'indicata. Affinchè ciò possa avvenire , si richiede di più che una seconda equazione di condizione venga adempiuta. Voglio qui rischiarare questa circostanza notabile, a cui la mia attenzione è stata rivolta dal sig. Iacobi, quando gli comunicai la riduzione in quadrati proposta di sopra. L'impossihililà del problema, nel caso di cui si tratta, è fondata nella composizione àe'nove coeffi- cienti della sostituzione lineare, i quali hanno, com è nolo, i valori seguenti (*) ^_D--(A'-B)(A'-C) ,^ DMB-BXB'-C) „^ D'-(C-B)(C-C) "'~ (C'-A')'(A'-B') '**'"" (G'-B')(B'-A') "^^~ (B-C')(C'-A') ■* .,_EMA-C)(A-A) __E^-(B--C)(B'-A) E^-(C'-C)(C'-A) (C-A')(A'-B') ' (C'-B')(B'-A') ' (B'-G')(C'-A') "' _^ F^-(A'-A)(A'-B) ,^ _ F'-(B-A)(B-B) „^ F'-(C'-A)(C'-B) (C-A')(A'-B') ' (C-B')(B'-A') ' (B'-G')(C-A') ' Suppongasi verificata l'equazione di condizione (i), in modo che risultino eguali due radici dell' equazione cubica, per esempio, A' e B'. In questa supposizio- ne, a causa del fattore comune A' — B' = o , svani- scono i denominatori delle sei quantità a , b , e j a •, b\ c\ (*) Qui si sono corretti alcuni piccoli errori scorsi nelle for- mule dell' originale, ed i correlativi ragionamenti dell' autore. 78 Scienze e queste sei quantità diventano infinite, salvocliè in- sieme co'denominatori non isvaniscano pure i sei nu- meratori. Quindi la sostituzione lineare proposta dì sopra sarà impraticabile, e però insolubile il proble- ma, quando non resta soddisfatta là condizione dell' evanescenza di que'sei numeratori. Così affinchè, per A' — B' = 0 , si possano dal polinomio Ax^ H-- By* 4- Cz^ -t^ 2D (/z -4- 2Eza7 -|- 2Fxy feliminafe i prodotti ^ chiamata p una delle due rà- dici uguali A' , B' , dovranno simultaneamente veri- ficarsi le tre condizioni Ì)i_(p_B)(p-C) = o, È^_(p__C)(p-A)=o, F-_(p-A)(p-B)=o, dalle quali si esprime che svaniscono i sei numera- tori di a, b, e, d ^ b\ e'. Coleste equazionij com- Linatei coll'equazione ciibica, danno l'uguaglianze (p-A) (/j-B) {/j-C)=:D=^(p-A) = E^(p-B) = F^(p-C) = — DEF, ossia (p-A)(p-B)(p-C)= -DEF, ^ EF FD - DE ciascuna delle quali è contenuta nelle tre rimanenti. Equazioni cubica jg Affinchè poi queste uguaglianze possano coesistere, si trova esser necessario e bastante che tra i coeftìcienti A, B, C, D, E, F, abbiano luogo le due seguenti relazioni EF (B-C) -h D (E^-F'-) == 0^ FD (C-A) -+- E (F-D^) = ò . E queste sono appunto le condizioni (2) trovate di sopra, le quali verificano la condizione (i). Si conchiuda pertanto che, se l'equazione (i) si Verifica per se medesima senzachè si verifichino le due equazioni (2) ( ciò che è possibile solamente pe'coef- ficienti immaginari), non si potranno dall'espressione kx* -t- By2 _^ ^22 _^ 2Dj/z -H 2Ezx -+- 2Yxy cacciare i prodotti; ma che se si Verificano l'equazio- ni (2), con che rimane pur sodisfatta l'equazione (i)< la soluzione del problema torna possibile, ed in una infinità di maniere. 1 Una conclusione analoga ha pur luogo per un'espressio- ne di secondo grado tra due variabili or, y, come apparisce da ciò che segue. L'espressione A.r=» -+- By" -H 2Ca^y riducesi, com'è notoj alla forma A'a.-'2 -{- By a i mediante la sostituzione X = ax -h ay' j y = hx 4- h'y ; ove a^ -H ó^ = 1 , «'='- -i- A'2 =c 1 , aa H- ói' = o , 8o Scienze ed i coefficienti A', B', sono le due radici dell'equazione p^ — (A -h B) /)H- AB — C^^ = O , le quali sono sempre reali, quando reali sono i coefficienti A, B, C. La condizione, perchè quest'equazione abbia eguali le sue radici, consiste nell'uguaglianza o = (A -f- B)2 — 4 (AB — C) = (A — B)2 h- 4C» . Quest'uguaglianza, nel caso de'coefficienti reali, si risolve natu- ralmente nelle due seguenti condizioni A = B, C = o, ma rimane condizione unica nel caso, che pe' coefficienti A, B, C, si ammettano pure de' valori immaginari. In questa ipo- tesi non sarà mai possibile di cacciare dal trinomio Ax^ -H B»/2 -f" 2Cxy il prodotto, per mezzo dell'indicata sostituzione. Ed infatti i va- lori de'coefficienti a, b, a, b', essendo quelli che nell'equazioni {p — A) l — m C = o , {p — B) m — l C = o , l^ -+- m^ == 1 , prendono / ed m, per ciascuna delle due radici A', B' di p2 _ (A -I- B) p -+- AB — C^ = O , saranno A' — B , B — B' a2 =^ a'z:b' ' " " A-B- _ A— A __ A — B' ' A' -B' ' ' A'"^ B^ ■ E, per A' r= B', questi quattro valori diventano infiniti , salvo- che insieme col denominatore non isvanisca ciascuno de'quattro numeratori. Quindi la proposta sostituzione sarà impraticabile, e però insolubile il problema, quando, per A' — B'= o, non resta sodisfatta la condizione dell'evanescenza di que'nunieratori,cioè se non si abbia A =A=B, la quale, in virtù di (p) p2_(A-HB)p-+-AB — C^ = o, Equazione cubica 8i trae seco C = o. Si concliiuda pertanto, che, quando pei coefficienti A , B, C si ammettono de'valori immaginari , e si verifica la condizione (A — B)^ -H 4C^ = o , non sarà possibile di cacciare dall'espressione il prodotto, qualora non sia A = B ^ C = o. Quest'osservazione appartiene pure al sig.lACOBi. N. B. Allorché gli assi x,y inclinano Ira loro coU'angoIo (p, l'equazione {p) diventa j)^ sen2(p — (A -1- B — 2C cosip) p -t- AB — C^ = o , e la condizione esprimente l'uguaglianza delle sue radici^ sarà o=[:A-v-B — 2G C0S9 ]2 — 4 (AB — C^) sen'9 = (A — B)2 scn^9 H- [ (A -H B) cos^ — 2C V- II. Giova notare che la riduzione in quadrati, data di sopra dal sig. Kummer, si può variare in una infinità di maniere. In- fatti, se le coordinate rettangolari x, y, z, si trasformano in al- tre pure rettangolari, varieranno i sei coefficienti A, B, C, D, E, F , e diverranno funzioni di tre quantità angolari arbitrarie , ma l'equazione cubica si conserverà, siccom' è noto, la medesima. Assegnando adunque diversi sistemi di valori particolari alle tre nominale quantità arbitrarie, otterremo diverse riduzioni in qua- drati dell'espressione (i). Quando le coordinate x, y, z sono obliquangole, l'equazio- ne cubica, per la quale si determinano gli assi principali, divie- ne assai coniplicatii. Tuttavia, dopo la scoperta del sig. Kummer, non è più difficile di ridurre ad una somma di quadrati la con- dizione algebrica , esprimente che la nuova equazione cubica ha due radici uguali. A quest'uopo basterà passare dalle coordinate G.A.T.XCVIII. 6 8a Scienze obliquangole ad un sistOiiia quiiliiiique di coordinate rettangole: si sa che l'equazione cubica, relativa a queste coordinate rettan- gole, coincidala coll'e(|u;izioNe cubica, relativa alle coordiuate rettangole. Cosi il nuovo caso ricade in quello del sig. Kumraer. D. Chelini d S. P. Osservazioni e riflessioni sulla cancrena secca contro alcuni S( Giuseppe Posta contro alcuni seguaci delVavterite. Del dottore PRIMA OSSERVAZIONE Scientia est amica omnibus, Platone. G liovanni Natali napolitano, d'anni 38, di tempera^ mento sanguigno-bilioso, di mestiere facchino, sca* polo, nato da genitori sani ancora viventi, che go- dono presenteniente ottimo stato di salute, fu con- tagiato nell' età di anni venti di ulceri veneree al ghiande, le quali furono guarite mediante il nitrato di argento, ed i mercuriali si localmente e sì inter- namente amministrati. Esclusa l'epoca di questa affe- zione contagiosa, tanto nell'età giovanile, quanto nell' età dopo della malattia venerea godè ottimo stato di salute. Nel mese di luglio dell'anno 1840, ventesl- mottavo anno di sua età, un giorno guardandosi l'al- luce del piede destro vide un certo annerimento, che pon gli dava dolore, ma piuttosto una certa schifez- za, giusta la relazione dell'infermo. Volle consultare qualche persona: gli si disse, che poteva essere una Cancrena sf.cca 83 contusione , e che 1' eccLiinosi di già formata dava quel colorito nero. Ma nella sera dello stesso gior- no del consulto, fatto a persona che forse non era dell' arte, l' infermo incominciò a sentire nel piede un certo intormentimento o formicolìo, che lo mo- lestava , ma che non gli dava precisamente dolore. Fattosi chiamare un medico, ed accortosi che la ma- lattia era sospetta, dicendogli che sembrava dalla fot'- ma morbosa una gangrena secca, l'affrettò a portarsi all'ospedale degV Incurabili. Difatti il mattino dopo lo sviluppo della gangrena fu ricevuto nel real os- pedale, dove gli fu fatto un accuratissimo esame. S'in- cominciarono ad esplorare le arterie radiali: ed i bat- titi di quest'arteria erano esili tanto, quanto legger- mente capaci a distendere le tuniche arteriose in ogni pulsazione; lo stesso facevano sentire le brachiali, le succlavie: non mai dolore fu inteso dall'infermo suU' alto di questa esplorazione. Esplorate le arterie del lato opposto del piede malato, cioè l'arto sinistro, die- dero tutti i caratteri del destro; ma però non vi era tanta l'esistenza nei canali arteriosi, ed il grumo san- guigno non era così solido, come nel destro lato. Il professore della sala volle esplorare con maggiore at- tenzione le arterie femorali: ed invece di sentire la pulsazione arteriosa, sentiva sotto i polpastrelli delle dita un cordone molliccio, come se vi fosse nell'ar- teria una iniezione di cera alquanto raddensata , e questo osservavasi nell'arteria iliaca primitiva: ma più la mano esploratrice avvicinavasi alla fine della cru- rale per diventar poplltèa, e più avvertiva un vero cordone resistente, che poi perdevasi nella sarà, at- tese le masse muscolari. Nell'atto delle diverse pres- sioni, che eseguivansi nel tratto arterioso, fu doman- 84 Scienze (lato airinfermo se senliva dolore; ma fu sempre ne- gativo. In diverse ore del giorno si riosservò l'infer- mo: mai aura calurifica non appalesossi al nostro tatto, ne mai vi furono segni di febbre. Per il primo e secondo giorno V infermo si mostrò sempre con gli stessi sintomi, ne il male fece rapidi progressi; quan- do il terzo giorno dello sviluppo della cangrena ap- palesossi una prostrazione generale, che sul finir del- lo stesso giorno era nello sfato adinamico. La can- grena non oltrepassò il terzo superiore della gamba, e nelle ore della notte l'infelice fini di vivere, come per mancanza di sangue. j4VT0PSlA. Venllqualtro ore dopo la morte si passò all'ispe- zione cadaverica. Incominciossi la sezione dal luogo cangrenato ; ed appena impiantossi il bistorl nel tes- suto del piede si palesò un aspetto rosso - bruno , che fu dai professori presenti alla sezione paragonato ad un presciiitto bollito^ e lo rassomigliava tanto nel colorito, quanto nell'odore. Si cercò la tibiale ante" riore, e con grande maraviglia si scoprì un cordon- cino, come iniettato di trementina ed alcool; le parti circostanti alle arterie erano disseccate, ed il bistorì non si tinse di sangue; accompagnossi fino alla pò- plitèa, e da questa alla femorale, e dalla femorale al- l'arteria iliaca primitiva, dove l'iniezione era in tutto il tratto arterioso della medesima densità e del mede'.- simo colorito. Ma giunta l'iniezione nell' iliaca pri- mitiva, qui finiva; e niente videsi nell'aorta addomi- nale e toracica; poi nel lato destro l'iniezione mor» bosa si rivide fino alla succlavia, e nel lato sinistro Cancrena seccìa 85 VeJeVasl fino all'Ilìaca interna, ed il restante delle ar- terie di questo stesso lato erano vuote ed anemiche. Aperto Vaddomine , si mostrarono gl'intestini alquan- to scoloriti e come disseccati: non altra alterazione esisteva nel basso-ventre. Aperto il torace, i pulmoni erano dì un colo-^ rito poco dissimile a quello dei muscoli della gam- ba, cioè di un colorito rosso-oscuro; il cuore nulla offrì d'innormale tanto relativamente, considerato alle sue cavità, quanto alle sue pareti, tutto era norma-^ le : niun'altra alterazione vedemmo nel petto, -i- Se- zionato il capo, il cervello era anemico, di consisten- za normale tanto nella densità quanto nel colorito. La midolla nulla ci mostrò di particolare, ed il si-' stema encefalo-spinale sembrò essere nel vero stalo fisiologico. Dopo la sezione fu maraviglia di tutti l'os' servare , che il bislorì del settore non erasi affatto tinto di sangue, né ci fu possibile nel cadavere ve- der goccia di detto fluido. SECOiNDA osservazione. Autopsia. Non essendoci pervenuta l'istoria dei fenomeni accaduti in vita, descriveremo ciò che abbiamo rinve- nuto in un cadavere, come mezzo a poter dilucidare la prima osservazione. Si seppe esser questo un conta- dino dell'età circa di anni sessanta, che venne a ri- coverarsi all'ospedale, giungendo moribondo, dove fui incaricato assisterlo in quelle ore estreme. Il sogget- to di questa istoria morì nello stesso giorno, che fu dato alla nostra sala. Ventiquattro ore dopo la morte g-S Scienze ne facemmo la sezione: ed ecco quanto vedemmo. In- cominciossi ad aprire il capo, giusta il metodo che non vale la pena descrivere; segato l'osso, ed aperte le meningi, il primo ad osservarsi fu il cervello, che aveva una leggera iniezione sanguigna, dove appena facevasi una piccola pressione , il sangue ne usciva con la più grande facilità. Praticaronsi alcuiìe inci- sioni nella sostanza del cervello, che mostrossi della consistenza normale, e nulla aveva di particolare. La midolla spinale, messa allo scoperto della sua teca os- sea, aveva superficialmente la stessa iniezione, che ab- biamo menzionata nell'encefalo, ma che la pressione colla più grande facilità faceva scomparire. - Aperto il torace, le prime a vedersi furono le pleure, che era- no nello slato fisiologico; i pulmoni si videro di un colorito fosco, cioè di un rosso-oscuro molto denso; nia non è cosa straordinaria a vedersi nei morti per gangrena secca, giacché er£^ questa una densa stasi; però il pulmone era tanto in densità, quanto in pa- stosità dello stato ordinario. - Aperto il sacco del pe- ricardio, che era bianchissimo, si vide il cuore ed i suoi ventricoli , che niente offrirono di particolare ; però solo nel punto, dove l'aorta sbocca nel ventri- colo sinistro, eravi una calcare incrostazione, che os- servossi per un buon tratto nei diversi punti della tunica interna dell'arteria fino all'estremo dell'aorta toracica ; niente videsi di una tal litiasi nelle arte- rie succlavie e carotidi. Passato all'esame dell'addo- mine, gl'intestini erano tinti in rosso oscuro in vari punti; però aperti facevano uscire delle piccole goc- ce di sangue, che sembrò non essere un fatto mor- boso, ma bensì una stasi cadaverica, per la ragione che appena il pezzo d'intestino fu lavato nell'acqua Cancrena sécca fi 7 di fonte, i^cstò anemico e dello stato ordinario. Il fe- gato aveva una consistenza normale , il suo volume era alquanto aumentato; la cistifellea conteneva una Mie piuttosto densa d'un colorito oscuro; non vi fu- rono segni di attiva congestione, ma piuttosto una ca- daverica alterazione; la tnilza aveva una certa mol- lezza d'un colorito feccia di vino. Fu continuata ad osservare l'aorta addominale fino all' iliaca primitiva, e non si videro piti segni di litiasi; tutto il restante era nello stato fisiologico. Nella regione femorale vedevasi ad occhio nudo un cordone, come due volte il nervo sciatico, prominente nel comun tegumento di detta re- gione; s'incise il ponte di Poupàrt, e videsi l'arteria chiusa in tutto il suo lume da un sangue perciò den- sissimo, ed in alcuni punti il sangue era del colore del tabacco di Spagna, che distaccavasi con il bistorì, attesa la resistenza. Accompagnossi l'arteria nella re- gione del poplite, dove l'arteria poplilèa faceva vedere la sfessa iniezione; si giunse alla tibiale anteriore, e si osservò quest'arteria chiusa dallo slesso grumo mor- boso. E d'avvertirsi che il coltello anatomico fino a quest'arteria non si tinse di sangue. Non si potè an- dar oltre , atteso che la gangrena dell' estremità del piede lo impediva coi suoi guasti; e l'arteria perde- vasi in mezzo ai muscoli cancrenati. Esaminata l'al- tra gamba, vedemmo di particolare, che la gangrena non oltrepassava l'articolazione del piede; ma qui il grumo vedevasi dalla tibiale anteriore sino alla divi- sione che fa l'arteria iliaca esterna quando passa ad essere femorale. Il grumo dunque non ollrepasiò la regione del ponte crurale: ed ecco quanto c'insegnò la presente sezione. 88 Scienze RIFLESSIONI. La flogosi, che per ogni dove è stata considerata come la sorgente di tutte le pivi orribili infermità < fece che una huonafatta di medici pensassero, che l'or- '. ganismo non si sapesse infermare in altro modo se non per processo flogistico. Questo precetto quasi aura impercettibile seppe insinuarsi nei più segreti ricetti - del pensiero di una quantità di medici deirEuropa. Di fatti non ne mancarono in Francia, che tutte le malattie riconoscevano d'indole flogistica, escluse ben poche dove non sapevano a che trihuirle ; non ne mancarono in Germania , e se ne vide poi un' im- mensità nella nostra Italia. Ma quantunque acceca- ti da questa nebbia sistematica vi furono dei parteg- giatori, che non vollero di tutta possa farsi assoluti controstimolisti, ma con ogni accuratezza desideraro- no guardar la natura nel fatto; quindi è, che si mi- sero ad osservare affine di domandare a quella stes- sa dea , chiamandola come un testimonio oculare a precisar in quanti modi può l'umano organismo in- fermarsi. Di fatti quantunque in sulle prime arduo fos- se il sentiero, che aprissi innanzi al loro scientifico desiderio, pure cimentando molti la stessa vita si gel- j tarono negli ospedali, nelle cliniche e nei teatri ana- ' temici ad osservar l'uomo nello stato d'infermità, e spessissimo in quello di morte. Ma cosa fu mai l'os- servazione di quei, che avevano per più tempo suc- chiato il latte del puro controstimolo ? L'osservazione era sempre la stessa, e come non fatta. Ma il desi- derio di acquistar nuove cognizioni, e di farsi gran- de ed imparziale nei fatti anatomici, incominciò a di- Cancrena secca 89 legnare dall' occhio del controstimolo quel!' assoluto principio, che il rossore sia sempre segno di processo llogistico. Ora dunque il rossore, che fu sempre nelle scuole flogistiche considerato come il carattere essen- ziale, e forse esclusivo delle infiammazioni, oggi ali* osservatore patologo è una nota , che può accompa- gnarsi con la flogosi , ma che flogosi non è. Se da una cattiva considerazione di principii ne sono venuti tanti falsi coi'ollari, dohhiamo anche noi, e siamo nel- l'assoluta necessità di puhhlicare qualche idea sopra la cangrena secca, che ahhiamo studiata ed in clinica ed. in morte. La cangrena secca non si è considerata fino al giorno d' oggi, che come un' assoluta conse- guenza dei processi flogistici. Difatli l'immortale Du- puytren pubblicò un articolo, dove l'arterite conside- rava come la sola ed esclusiva cagione della cangre- na secca, che egli chiama cangrena sintomatica. Quella stessa scuola, che educò tanti uomini eterni nel co- dice della medicina, aveva educalo il celebre chirurgo francese: difalti fu controsliraolisla dichiarato e par- teggiatore della flogosi. Egli dunque non sapeva con- siderare cangrena sintomatica senza arterite ; queste espressioni sonavano la stessa cosa. Ma pure il fatto non è così : l'osservazione, e l'accurata osservazione, non che i ragionamenti che ad essa si associano, fauno ricordare di frequente quei dotti, che poco fa erano assoluti partegsiatori di un sistema. Affinchè un male possa dirsi infiammatorio, bisogna che possegga quei caratteri o note, che lo possano differenziare da qua- lunque altra siasi malattia; sappiamo che nelle flogosi vi è il calore, vi è il dolore, il rossore, il turgore ec. Ora se una parte dell'umano organismo non ha que- ste note, ed intanto trovasi inferma, dovrà categoriz- r)0 S G I E N Z. É zarsi sotto altra infermità. Ora se noi, per modo ài esempio, diamo agli osservatori un uomo il quale pre- senti un arlo, che nella punta del piede abbia anne- rimento, senza rossore, senza una delle note caratle- rlsliche della flogosi; se la gamba è fredda, se la co- scia del pari, se in luogo dell'arteria femorale siavi un cordone duro resistente, non pulsante, che lascia una leggiera impressione nel luogo dove toccasi, non. potrà affatto dirsi infiammato, perchè mancante delle note flogistiche. Quest'è il fatto della gangrena secca. Diciassette casi di tale gangrena furono osservati, e mol- ti noliziali dal prof. Ramaglia di JNapoli. In cinque di detti casi siamo stati anche noi osservatori degrinferrai, prima in clinica e poi nella sezione cadaverica ; e tutti senza eccezione non mostrarono i segni ne in vita, né in morte di note flogistiche. Molti di coloro che era^ no con noi all'osservazione stupivano, ma con isfron- tatezza sostenevano l'idea dell' arterìte. Oh ! quante volte si confonde nella scienza medico-chirurgica aci- do con alcali: ma non per ignoranza, solo per voler sostenere le leggi ridicole del suo sistema. L'arterìte dunque non è la cagione assoluta, come si è da molti considerata, della gangrena secca. Nessuno di tali me- dici ha saputo rispondere all'obbiezione , che spesso artificialmente si sono cagionate delle arterìti, ed in- tanto la gangrena secca non si è palesata. Ciò basti: la clinica ci ha fallo toccar con mano, che non esi- stendovi segni di flogosi abbiamo vista la gangrena secca far rapidi progressi ed uccidere l'infermo senza che si lagnasse del più lieve dolore. Lungi dal pen- samento (li Dupuytrèn e dei suoi seguaci, non am- mettiamo la gangrena sintomatica , cioè quella che sempre dipende dall'arterite; perchè nella clinica ab- Cancrena secca gì Liamo osservato il contrario, e siamo necessitati a ma- nifestarlo a quei dotti medici die amano l' osserva- zione. I sintomi, che spesso abbiamo osservato nello svi- luppo della malattia che descriviamo, sono stati sem- pre gli stessi. Gl'infermi han cominciato ad avvertire nella regione dell'alluce un certo intormentimento , una certa stupidità, spesso iin formicolìo che dava un incomodo passeggero: quindi si passava ad una fred- dezza, di cui rinfermo non ha mai saputo precisare l'intensità, come ancora ad una certa lentezza nella circolazione dell'arto affetto. Non abbiamo mai visto alzarsi il polso, ne relativamente ai suoi battiti, ne re- lativamente alla sua temperatura, né abbiamo mai po- tuto osservare fenomeni febbrili. Appena 1' anneri- mento si è incominciato ad appalesare nell'alluce, è poi passato nel dorso del piede ; allora l'arteria fe- morale dello stesso lato si è mostrata, come iniettata di un materiale simile alla trementina od alla cera con minio, corno apprendesi nelle iniezioni cadaveriche; gl'infermi si sono lagnati sempre di fredda e pochis- sime volte di dolore. L'oppilaraento delle arterie spes- so è formato da una sostanza, che frammischiata alla fibrina gli dà tale pastosità da raddensarla, e renderla grumosa da ostruire il canale delle arterie; e quindi la circolazione , che deve formare il rinfranco delie perdite organiche, resta sospesa, che poi diventa ca- gione prima di male e poi di morte. Sia qualunque la cagione del grumo, l'osservazione cadaverica ci di- ce, che il sangue di coloro che morirono di gangre- na secca è alterato in quanto a colore, a consisten- za, ad odore ed a moltissimi sali, come lo dimostra- no le chimiche analisi degli osservatori. E dunque la 02 Scienza plasticilà, che osserviamo nel grumo sanguigno, ctié condensala nel lume delle arterie impedisce il benefico liquido animatore di percorrere le fibre tutte, cagio-^ ne dì morte. La mancanza di sangue spiega l'orribile disseccamento che osservasi nella cangrena secca; le infiammazioni non hanno avuto mai esito così funesto; il disseccamento anche forma un altro fatto, non trat-^ tarsi d'infiammazione, ma bensì da oppilamento mec- canico. I fatti sono i mezzi, che mettono in chiaro le teorie se sono o no veridiche : il fatto ci fa ve- dere il grumo sanguigno: dunque è il grumo sangui- gno la cagione della cangrena secca e non già l'ar- terite. L'orrore di tante vittime sagrificale dal sistema ci fa pubblicare questo qualunque siasi scritto. Voler da un sol lato guardare le malattie , non è da veri figli della medicina ippocratica , ma è farsi assoluto schiavo di un fanatismo sfacciato. Il fanatismo non è giammai slato un essere confacente alle rnedlco- chirurgiclie richieste, e non è un punto scientifico; eppure la sorte della cangrena secca fino ai giorni no- stri è restata tra gli artigli di una sì spietata belva! Fortuna che il quadro nosografico delle cangrene sec- che non ha quella enumerazione delle altre cangre- ne! Che se ciò fosse stato, avremmo a deplorare tanti infelici gettati nella tomba pel capriccio di esser con- sentaneo ai soli principii del sistema. Che se il con- trostimolo ha allontanati infesti principii della passata nosologia, ha seminato un veleno, che ha tanta presa sull'animo dei giovani medici, che poco sanno con- siderare i fatti dell'osservazione, e quindi della verità. Quante volte mi sono avvicinato alle cattedre flogi- stiche, e gli uditori delle stesse con quanto acciglia- Cancrena secca g3 mento non mi hanno guardalo , per la sola notizia d'essere io educato nelle scuole delle organiche altera- zioni, della medicina cioè dell'osservazione, della me- dicina che può ben chiamarsi l'amica della società ! Quante volte ho cercato ricliiamare in rassegna ad al- cuni di essi ì principii dettati dall'immortal Tonima- sini, ma pure non mi si è risposto! Lo slogicare, ed anche l'indecenza nelle parole sono state il risulla- mento delle nostre questioni; e se ho voluto con ar- gomenti non difficili della notomia patologica mani- festare i danni terapeutici , che hanno apportato in simili infermità, sono stato disprezzalo, ma non con filosofia. Ma 1' orgoglio è cagione di mille danni in medicina , né si spererà giammai di convincere gli orgogliosi. Grandi settari vi furono nel ramo dei si- stemi delle diverse patologie, molti di essi erano ca- parbi , ma molli di essi si facevano persuasi e con- vinti della verità e dei fatti. Chi 'l crederla ? I soli controslimolisti riuunziano alle osservazioni ed alle ne- croscopie : ne vi è mezzo alcuno onde farli distin- guere falsità di sistema , ragion di fatto. Dobbiamo però gioire in quest'aureo secolo della medicina: una quantità di flogistici conosce che la loro bandiera si- stematica è oramai logora, ne più ritroveranno un ri- caraatore protagonista che la sappia imbellettare : e ne sono dolentissimi. Ma noi arruolali ci siamo sotto quella dei teatri anatomici; essa è tinta non del solo colorito roseo della flogosi , ma è un fetido e mor- boso cencio, che si fa leggere dagli osservatori, e da coloro che tuttodì leggono le alterazioni dell'organi- smo. Se la Francia sotto la scuola di Broussais è stala forse più terribile dell'italiana , oggi anch' essa non più favoleggia col suo eloquente e fervido lin- 94 o e I E N Z E guaggio, "non più ci conduce nei globi aereostatici a guardar il genere umano ammorbato da sola gastro- enterite, da soli processi flogistici; ma è tutta la sua cura disseccare le ullime fibrille organicbe, ed aguzza il suo ingegno onde vieppiù istruirsi in quei morbi, in cui l'organismo ancora non palesasi all'occhio del- l'osservatore. Gloria all'Andrai , al Crehvelièr ed al Roslàn elle hanno così bene tracciato il cammino ai loro corapatriotti, all'osservazione, alla diagnosi ed ai morbi tutti organici. Chi sai'à quel medico che potrà allontanarsi da ciò, che l'anatomia patologica ci fa toccar con mano? Potrà forse 1' arterìte portar come esito la gangrena secca; ma noi non l'abbiamo mai veduta; e quelle isto- rie che leggiamo, ci piacerebbe che non fossero con- fuse coi caratteri anatomici del grumo sanguigno. Spesso molli si fanno compiangere per voler notizia- re quei fatti, che fatti non sono. Non vogliamo tac- ciare d'ignoranza o malizia le altrui osservazioni; ma leggendo le loro istorie non troviamo una precisione di caratteri patologici; e fino a tanto che non dilu- cideranno le istorie di tale gangrena, noi diciamo che l'arterite non produce la gangrena secca. Siamo stati anche noi indefessi alle necroscopiche osservazioni , ed abbiamo visto arterìte senza gangrena secca. L'al- bero arterioso trovato dal prof. Ramaglia in un uo- mo morto per gangrena, che ora conservasi nel ga- binetto patologico del dottor Sorrentini, scosse Du- puytren e lo convinse , che il grumo sanguigno ha maggiori dati a produrre la gangrena secca, che l'ar- terite. La frequenza di osservare gangrena secca senza arterìte ha fissata sempre la nostra attenzione : più gl'infausti esili della cura antiflogistica ci fanno con- PflOPAGAZIONE DELLA FEDE «5 chiudere, che non bisogna ciecamente medicare come flogistico quel malore, che dipende da una cagione mec- canica: e tutti coloro che incominceranno ad osser- vare, speriamo che vogliano fare delle osservazioni te- rapeutiche, onde cercare di sciogliere quel grumo ca- gione di male e di morte. Allora avremo entram- bi servito alla scienza ed alla società. ha propagazione della fede. Discorso recitato a Tivoli nella festa dei santi apostoli Pietro e Paolo dall'abate Domenico Zanelli. JSuntes docete onines gentes. Matth. 28, 19. utte le nazioni hanno eroi più o meno grandi, da cui ripetono gloria e onore. Sono vanto invidialo della Grecia Milziade, che tolse d'in sul collo ad Ate- ne il giogo di una perpetua schiavitù; Temistocle , che da scapestrato giovanastro tramu tossi in eroe e mosse infiammato a frenar l'Asia e salvare Europa ; Epaminonda, prode soldato e maraviglioso capitano. Roma, la capitale del maggior impero che mai abbia esistito, ricorda siccome primi gli Scipioni, i Fabi, i Marcelli, i Camilli e cento altri, il cui nome ri- suona famoso in tutto il mondo, e le strepitose im- prese furono eternate dai pochi, nelle pagine della sto- 'jia e nei monumenti, di che non pochi sono durati fino a noi. E il cristianesimo, la novella nazione che g6 Scienze fondava lo stesso Uom-Dio , non vanta ella forse i propri eroi , e tali da essere ammirali ed encomiali per bocca di tulli i popoli ? Sì, anche il crislianesì- mo va glorioso di siffatti uomini; e così grandi essi si presentano al mio pensiero, che al loro paragone non reggono quanti ne vanno decantando le più fa- mose nazioni. Conciossiachè la gloria di questi con- siste principalmente nell' avere devastate provincie , arse o saccheggiate città e castella; consiste nell'ave- re a torrenti sparso il sangue cittadino , e fra i de- siderii dell'ambizione, della Cupidigia e della vendet- ta, fra gli orrori delle guerre aver chiuso l'oreGchio e il cuore a' gemiti dei moribondi , al pianto e alle voci alte e fioche di vecchi cadenti, di vedovate spo- se, di vergini e di fanciulli, lutti supplicanti mise- ricordia e perdono. Per cui se nel giorno di lor trion- fo dall'una parte venivano salutati dalle felicitazioni e dalle voci favorevoli de'cittadini in allora come nel- l'ebrezza dell'entusiasmo e del fanatismo ; dall' altra l'umanità languente malediceva a quella gloria, e pian- geva i danni irreparabili in quelle imprese apportali. Laddove gli eroi del cristianesimo conseguirono que- sta gloria non col distruggere, ma coli' edificare; non desolando i popoli, ma consolandoli e facendoli fe- lici; ond'è che in ogni dove erano salutati colle be- nedizioni e colla riconoscenza di chi viene beneficato. La memoria di due di questi eroi con solenne pom- pa oggi va festeggiando chiesa santa in lutto 1' orbe cattolico; soa eglino Pietro e Paolo, l'uno principe degli apostoli, l'altro apostolo delle genti. Questi due grandi e magnanimi difensori della croce sono degni della gloria più immortale , perchè convertirono al cristianesimo città e provincie moltissime; ed eroe io Propagazione della fede 07 chiamo ogni grande propagatore della nostra fede, sic- come colui, che compie presso Iddio e presso gli uo- mini la più salutare e ammirabile delle imprese. Per la qual cosa se io, in questo solenne giorno , nella tenuità di mie forze, potrò in qualche maniera trac- ciarvi r eroismo degli apostoli Pietro e Paolo , indi quello di ogni propagatore del cristianesimo , onde possiate apprezzare la santità, la grandezza ed il be- ne di queste apostoliche fatiche, avrò soddisfatto al- l'argomento, che ad esporre io tolgo a chi con tanta sollecitudine trasse ad udirmi. La maggiore o minor gloria e ammirazione de- gli uomini misurar si suole dalla maggiore o minore grandezza delle imprese da essi compiute; il perchè a ben comprendere quanta gloria e quanta ammira- zione sia dovuta ai nostri grandi banditori del van- gelo, ci è mestieri considerare il tempo in che vis- sero e le opere che trassero a compimento. Gittiamo uno sguardo sul nemico che com.batter debbono gli apostoli, i due campioni Pietro e Paolo. Non sono munite torri, a cui debbasi dare la scalata: non sono città, cui debbano cingere d'assedio; né numerose coor- ti disposte nel campo, contro cui venire a battaglia. Il nemico degli apostoli è più terribile : essi debbono combattere l'ambizione delle scuole fdosofiche divise in sistemi e in altrettante sette quanti i maestri; si- stemi che tengono occupate le menti di quanti han- no fama di sapienti. Il loro nemico si è la tiranni- de e il dispotismo di molti principi e monarchi, che seduti sul trono de'padri loro o della usurpazione , spargono ne'sudditi il terrore e il desolamento; si è presso il giudeo l'orgoglio della sinagoga, le cui dot- trine, quantunque chiamale mosaiche, tanto distanno G.A.T.XCVllI. 7 g8 S e r E N z E da ([uelle registrale ne! pentateuco , quanto la luce dalle tenebre; e presso il gentile si è la mitologia , religione universiilinente professata da'popoli, cui veg- go qui prostrati dinanzi ad altari e tronchi d'albero, colà adorare i piti inimondi animali. Debbono distrug- gere la mitologia, colosso antico di grandezza e di va- nità, di acciecamenlo e di libidine, di stoltezza e di corruzione. E quanto venerata si fosse questa religio- ne ne fanno testimonianza le storie, che ci additano l'Egitto, il quale abbrucia incensi e china la fronte davanti al bue Api: Delfo che innalza il maggior tem- pio ad Apollo: Efeso, dove sono con grande pompa e con intervento di smisurato popolo celebrali i mi- steri di Diana. Quanto si fosse questa religione scuola e maestra di corrompimento, ne sono esenipio Grecia e Roma, che avevano data ospilalilà ad ogni sognato nume: ne sono una prova i ruderi dei templi e le statue, che risparmiate dalla mano del tempo e del vandalismo di popoli barbari e civili, sono tuttora da noi conservale; statue che rappresenlano alcune delle moltissime divinità religiosamente adurale, e dei molti templi, altri sacri a Giove incestuoso o a Venere im- pudica, altri a Mercurio proteggitore del ladroneggio o a Bacco dio della ebrezza o a Marte sanguijui- rio. Di maniera che non vi aveva vizio, per quantun- que turpe, che non fosse divinizzato, che non avesse il suo nume tutelare; non vi era passione, che non avesse il suo altare ; e il pudore rifugge dal dire e a iln' anco dal pensare quante nefandità si conunelte- vano nei templi di Adone , di Priapo , di Bona e di altre divinità non meno abborainevoli. E siffatta religione del tutto sensuale diventava un nemico da doversi dire inespugnabile, siccome quella che era di- Propagazione della feue gg fesa dall'avarizia de'suoi sacerdoti, dall' inleresse dei principi, che con essa vedevano caduto il loro trono, come al cadere della religione di Maometto l'antica Bisanzio non sarà più la capitale del musulmano im- pero ; siccome quella che era difesa dalla superstizio- ne e dalla corruttela dei costumi fatta universale e nel regnante e nel suddito, nel fdosofo e nel popolo: corruttela giunta a lai segno, che a bassezza maggiore non fia mai che l'uomo discenda ; conciossiachè nel- l'avvenire sono impossibili le circostanze, che cosi de- gradarono l'antichità. Per cui di mezzo a tanti mali nessuna maraviglia se era autorizzato l'infanticidio, se era permessa la poligamia, se il padrone teneva diritto di vita e di morte sugli schiavi, se veniva giudicata colpa la sventura, e se gli uomini occupati del solo piacere non curavano l'incerto domani , avendo fer- ma credenza che fosse uguale il fine dell'uomo e quel- lo del bruto. Ecco il nemico che stassi contro a'nostri eroi , ecco l'impresa ardua e maravigliosa a cui si accingo- no. Ma chi sono questi apostoli, quali le loro forze e quale il numero ? Son dessi dodici poveri pescatori appartenenti ad una nazione spregiata, che allora al- lora avevano lasciate le reti e il mare; sono uomini poveri, ignoranti, timorosi, senza credito e senza pro- tezione , affatto sconosciuti anche a' popoli più vi- cini. E che dovranno eglino fare per riuscire nei lo- ro divisamenti ? Dovranno certamente accarezzare e i filosofi, e i principi, e i sacerdoti, e i popoli, vene- rarne le opinioni, rispettarne gli usi. Al contrario, o signori: essi vogliono mostrare la vanità delle dottri- ne filosofiche, confonderne i maestri coli' umiliare il loro orgoglio ; far palese l'avarizia e la impostura dei lOO Scienze sacerdoti , e ai monarclii intimare che sopra di loro impera un re onnipotente, che è vero Dio, scrutatore delle reni e del cuore degli uomini, che si deve ado- rare in ispirilo e verità. Vogliono distruggere diretta- mente la sinagoga, e insegnare una religione imper- scrutabile nei misteri, che alTinlelletto perciò impo- ne di chinarsi agli oracoli della fede ; una religione che tipo di carità rompe ogni barriera che il greco divide dallo scita, il romano dall'asiatico, il principe dal suddito, il padrone dal servo, lo schiavo dall'uo- mo libero : e va insegnando che tutti siamo eguali, tutti fratelli, nati dallo slesso tronco , creati dallo stesso Padre celeste , e chiamati alla stessa destina- zione. Vogliono che l' uomo abbia a frenare le sue passioni, a reprimere gli eccitamenti della carne, che alla effemminatezza sia sostituita la continenza, la mo- derazione all' ambizione e alla cupidigia , la umiltà all'orgoglio, la pace e il perdono all'odio e alla ven- detta. Vogliono che tutti abbiano a credere la esisten- za di una vita avvenire , in cui siano con giustizia premiati i buoni e puniti i tristi. Questi paurosi e poveri apostoli hanno stabilito di distruggere i gran- diosi templi, miracolo delle arti sovrane, di rovescia- re le statue lavorate dallo scarpello di Fidia, di Pras- sitele, di Pollcleto, di Alcaraene e d'altri valenti, e sui loro piedestalli piantare la croce, che la prima volta veniva inalberata, siccome oggetto d'infamia, sul Gol- gota: hanno stabilito, che il giudeo adori il Nazzare- no da lui crociGsso, e che l'idolatra riconosca per Id- dio il figliuolo di un fabbro. Queste sono le intenzioni degli apostoli. Ma chi può dubitare del felice riuscimento, se essi combattono non colle forze proprie, ma con quelle dell'Onnipotenle, Propagazione della fede loi il quale come fiocchi di lanugine spinti dal venlo ogni nemico disperde e distrugge ? Osservateli usciti di cenacolo nel giorno della pentecoste : e voi gli ve- dete intrepidi e pieni di sapienza , perchè pieni di Spirilo Santo, sciogliere la loro potente voce, la quale è intesa, ciascuno nel proprio linguaggio, dal parlo, dal medo, dall'elamita, dagli abitatori della Mesopo- tamia, della Cappadocia, della Frigia e da altre na- zioni: che allora un nuuiero grandissimo n'era in Ge- rusalemme. Osservate Pietro, quel Pietro che tre volte avendo negato Cristo alla presenza di una fantesca, ora lo confessa e predica dinanzi a sterminata molti- tudine : e il fa con tanta potenza, che alla sua voce si scuotono gli animi, e si piegano a Cristo. La sua prima vittoria è di tre mila persone, che credono in. lui, e diventano seguaci del vangelo. Pietro sulla piaz- za di Gerusalemme è il novello Davidde, che arma- to di semplice fionda si presenta nel campo nemico, onde combattere il formidabile filisteo terrore d'Israel- lo: e mentre questi lo irride e compassiona, il giovane pastore, divenuto in un tratto guerriero, nella fionda pone il sasso, scaglia il colpo, che diretto dalla ma- no di Dio colpisce in fronte lo smisurato gigante, e semispento lo fa cadere al suolo: laiche l'israelita ne ha reciso il capo, come segno di vittoria. In tal maniera il maggior nemico è combattuto e vinto da imherbe pa- storello, che allora aveva lascialo la greggia e il cam- po ed il colle. Così Gerusalemme comincia ad esser vinta da Pietro, dal pescatore di Betsaida, che da po- chi giorni la barca avea lasciala e le reti. Ed a que- sta vittoria la sinagoga si mette in pensiero e si riem- pie di timore, i principi e i sacerdoti stupiscono, e il popolo sempre stollo ne'suoi comunali pensamen- 102 Scienze ti, perchè insofferente o incapace di raziocinio, va cliia- mantlo ubriachi gli aposloli. Ma Pietro raddoppiando la sua energia e ovunque facendo intronar la sua vo- ce: « 0 uomini di Giudea, ei va gridando; e voi tut- ti che abitate Gerusalemme, porgete orecchio alle mie parole, e sappiale che non siamo noi ebbri; concios- siachè non è ancora scoccata l'ora terza : in noi piut- tosto avverossi ciò che fu detto pel profeta; - Negli ul- timi giorni, dice il Signore , avverrà che lo spirito mio diffonderassi sugli uomini , e i figli e le figliuole vostre diranno profezie, e visioni avrà la gioventù, e sogni il vegliardo. In quel giorno lo spirito mio dif- fonderò anche sulle fantesche ed i servi, e tutti pro- feteranno : grandi prodigi manifesterò in cielo, e se- gni maravigliosi manderà sulla terra, sangue, fuoco, funìoso vapore ; il sole ottenebrerassi e di sangue sa- rà tinta la luna, prima che venga il grande e solen- ne giorno del Signore; e allora chiunque avrà il mio nome invocalo, conseguirà salute. -Ascoltate queste pa- role, o uomini d'Israello : Gesù nazzareno, cui Iddio vi manifestò con opere, grandi , con miracoli e por- tenti operali Ira voi per mezzo di lui, essendo stato per consiglio della sapienza divina così stabilito, Gesù nazzareno, traffigendolo per njano di empi, voi ucci- deste: ma Iddio lo risuscitò: sciogliendolo dai dolori deirinferno , dove era impossibile che vi fosse trat- tenuto. Iddio pertanto suscitò Cristo da morte, della qua! cosa fummo noi lutti testimoni: lo ha collocato alla sua destra : e ricevuta la promessa dello Spirito Santo, Cristo ora l'ha diffuso come voi vedete e udi- te. Per la qual cosa sappia tutta la casa d' Israello, che Iddio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che avete voi crocifisso. » pROPAGAzrONE DELTA FEDE », ^ A queste parole, pronunciale culla veemenza di un nonno infiammato di Spirito Santo» molti di Ge- rusalemme stupiscono, e un gran numero va giidan- do e chiedendo che far si debba; e udito di far pe- nitenza e di ricevere il battesimo, onde aver la re-» missione dei peccati , eccone cinque mila chinare ob- bedienli la fronte, aprire gli occhi alla luce, vendere le loro fortune , metlerie in comunione e vivere in santo vincolo di fratellanza. Ma dall'altra parte evvi chi si solleva contro Pietro, a cui s'impone desistere dalla sua impresa; egli però gridando che prima con- viene obbedire a Dio che agli uomini, non desiste: e cacciato in prigione, un angelo fuori lo trae, e così da Gerusalemme passa in altri luoghi, sempre trion- fando colla croce. E dappoiché in una sì ardua e gran- de impresa si vede imjiolente, quantunque undici al- tri siano gli apostoli, de'quali ciascuno ebbe una re- gione da conquistare , Pietro pieno di fede , come quando Cristo confessò figlio di Dio vivo, si prostra al suolo e chiede al cielo un soccorso, onde più gran- di sieno le conquiste : e Iddio ascolta quella santa preghiera. Sulla via di Damasco passa un cavaliere, che porta lettere in quella ciiià, onde tradurre i cre- denti a Gerusalemme stretti in catene; Iddio lo ab- baglia con una sfolgoreggianle luce, il fa precipitar di sella, e gli fa risuonare all'orecchio queste parole : Saule Saule ^ qui d me per spqueris ? Rovesciato nella polvere il cavaliere, volge al cielo lo sguardo accie- cato, chiede che far si debba , è condotto in città , gli viene dato il maestro, il nome di Saulo muta ia quello di Paolo, e da persecutore dei cristiani Iddio ne fa un vaso di elezione. Ecco, o signori, il compa- gno, il soccorso, che Cristo porge a Pietro. Ora chi I io4 Scienze polrà resistere a questi due grandi campioni? Come nu- merare le loro conquiste, come seguire il corso delle loro vittorie ? Pieti^o io veggo abbandonare Gerusa- lemme, ove già ha mostrato maravigliosa fermezza ed operati assai portenti; lo veggo passare nella Samaria, indi discorrere loppe e Lidda, visitare in seguito An- tiochia, la Siria, la Cappadocia, la Bitinia, la Gala- zia e altre importantissime contrade, in ognuna delle quali lascia memoria di se : che a nome di Dio le visita, siccome banditore del vangelo. Paolo abban- donata Damasco predica disto in molti luoglii di Giudea, ove conseguisce vittorie, e dagli uomini ha in compenso atroci persecuzioni ; è poscia destinato ad essere apostolo delle genti. Vedetelo far sventolare lo stendardo della croce in Cesarea, in Tarso, nella Siria, nella Cilicia, in Antiochia, d'onde passa a Ci- pro, indi a Pafo e nella Llcaonia; corre indi a visitare la Macedonia, la Troade e la Cappadocki e la Bitinia, città e Provincie, dove rovescia statue e altari sacri ai bugiardi numi e stabilisce il culto di Gesù Cristo, fa ammutolire le sinagoghe, confonde intere assemblee, combatte da intrepido e trionfa. La celerità dei suoi passi, quindi delle sue vittorie, non può essere ritar- data dalle fatiche e dalle persecuzioni, o da qualun- que altro impedimento : sembra ch'egli abbia messe le ali a'piedi , onde usare il linguaggio del profeta: e così valica monti, attraversa pianure, solca mari e penetra in regioni assai lontane e inaccessibili, dove si accrescono le difficoltà, si moltiplicano i pericoli: ma egli è sempre intrepido e vittorioso. Se non che contro questi eroi maggiormente si armano i nemici: i principi ricorrono alla forza , i sapienti mettono in campo le astuzie della filosofia Propagazione della fede io5 e della eloquenza onJe sterminarli; tutti sono con- giurati contro di loro i filosofi e i sacerdoti, gli scri- bi e i farisei della Giudea, e gli oratori di Grecia e di Roma : tutti formano una barriera, onde arrestare il progresso delle apostolicbe conquiste; ma i due apo- stoli non si lasciano atterrire, coraggiosi proseguono nella loro intrapresa, liappresentatevi al pensiero, o signori, un tempestoso mare : ecco una nera nube che ottenebra il cielo, l'onda che mugge, ì cavalloni che montano si che sembra volere ora andare alle stel- le, ed ora sprofondarsi negli abissi. Intanto rimbom- ba il tuono, scrosciano le folgori e guizzano per l'aere caliginoso ripetuti lampi che accrescono lo spavento. In questo mare immaginate ora vedere pochi uomini senz'arte e sperienza montare sopra sdruscila navicel- la, gettarsi in mezzo agli orrendi fluiti , ridersi de- gli infami scogli, non temere il prossimo naufragio e baldanzosi correre ad assalire una formidabile flotta. Tali si offrono a me innanzi i due banditori del van- gelo, allorché all'uscire di Giudea entrano nel mondo gentile per soggiogarlo. Essi non temono, ma vogliono dominare in medio inimicoruni: e mentre si cerca di perderli, mentre alcuni già stanno per suonare la loro sconfitta, ecco che Pietro solo soletto , poveramente camminando, ne d'altro armato che della croce, muo- ve intrepido alla volta di Roma, entra nella potentissi- ma città, dove regnano tiranni e abitano cittadini rotti ad ogni vizio, e chiedenti soltanto panem et circen- ses; e quivi, dove ad ogni passo sorgono templi ed al- tari alle bugiarde divinila , il principe degli apostoli predica Gesù crocifisso e vuole che si creda in lui: fa buttare a terra molte statue e in loro vece vi colloca la croce del Nazzareno, a cui già moltissimi chiuaDo io6 Scienze la fronte. Allora Roma si arma da tutte parti per ar- restare questo primo passo; ma stolta impresa è quella degli uomini di voler combattere le opere di un Dio! Invano si affaticano i cesari per arrestare nella loro capitale la predicazione del vangelo. Sappiale, o ce- sari, che la croce inalberata una volta sul campido- glio resteravvi fino alla consumazione de'secoli ! Pio- ina diventerà centro del cristianesimo: il vostro pa- lazzo cadrà, e fra le sue imponenti macerie aggirerassi il gufo e l'upupa, e accanto ad esse s'innalzerà la più grande e maravigliosa basilica al Dio vivente , sotto la cui cupola leggeranno i venturi: Tu e s Petrus ^ et super hanc petram aedificaho ecclesiam vicani. Tali sono i destini di Roma , cui come primo cre- dente visitava Pietro. Si congiura contro questi due banditori: e mentre si cerca sterminarli, Paolo si pre- senta in mezzo all'areopago di Atene, a quel tremen- do tribunale, che dannò all'ostracismo tanti grandi cit- tadini e pronunciò tante ingiuste sentenze : e a que' sapienti : « O ateniesi, ei va sclamando intrepido, in tutte cose vi ammiro più che religiosi , conciossia- che passando fra i vostri templi e visitando i vostri simulacri, ho veduto un altare su cui sta scritto : AI dio sconosciuto. Colui adunque, che voi adorate sen- za conoscerlo , io oggi vi manifesto : egli è quel Dio che fece 1' universo e le cose tutte che in esso esi- stono : essendo egli il Signore del cielo e della ter- ra, non abita in templi fabbricati dalla mano dell'uo- mo, dal quale non è servito; imperocché egli è colui che a tutte cose dà respiro e vita. Da un solo ei fece nascere tutte le generazioni degli uomini; onde abi- tassero tutta la estensione della terra, avendo fissati i tempi e i confini alla loro abitazione, perchè cer- Propagazione vm.hx fede 107 cassero Iddio, quantunque da noi ei non sia lonta- no; imperciocché in lui viviamo, ci moviamo e sia- mo; come hanno detto taluni de'vostri poeti. Essen- do noi dunque creature di Dio, non dobbiamo sti- mare che l'essere divino sia simile all'oro e all'argen- to o alla pietra lavorata dall'arte; ma sopra i tempi di tanta ignoranza avendo Iddio chiusi gli occhi, in- lima ora agli uomini che tutti facciano penitenza ; imperocché egli ha fissato un giorno, in cui giudicherà con giustizia il mondo per nìezzo di un uomo da lui stabilito, come a tutti ne dava testimonianza col ri- suscitarlo da morte. » Così ammutoliva l'areopago che chiedeva di udire anche nel giorno appresso il grande apostolo, il quale da Alene passò in altre città e Pro- vincie, predicando sulle piazze, sulle vie, entro le si- nagoghe ed i templi : e dove non poteva ritornare , mandava lettere ripiene di divina sapienza : finché stretto fia le catene, che non gl'impedirono di con- quistare anime a Cristo, veniva ttadullo a Roma, do- ve nelle pene e nella rassegnazione ebbe a compa- gno Pietro. E Iddio, che ha numerati di tutti i nio- menti, dopo aver voluto che anco colle softeren/e e colle atroci persecuzioni questi due magnanimi des- sero prova del loro eroismo, fissò il termine alla loro carriera ; e mentre Nerone, quel mostro di crudeltà che teneva il governo dell'impero romano, dannava a morte i due grandi apostoli, il cielo preparava la co- rona del loro trofeo, e scriveva nell'eterno suo volu- me che sul luogo del loro patibolo avrebbero i cre- denti innalzati templi e altari : e così, caduta Ruma gentile , sarebbe sorla Ruma cristiana non meno gran- de e maravigliosa : e gli annali del cristianesimo si abbellivano fino dal loro incominciamento col raccon- I08 S G I E N / E tare di questi tlue eroi le rnernorande geste, delle quali al paragone non reggono quelle operale dagli eroi del secolo; imperocché il domare popoli barbari per edu- cazione, innumerevoli per mollifudine , lontani per luogo, potenti per armi e riccliezze, non è impresa fuori delle cose quasi ordinarie, allorché si consideri non vi essere forza, cui ad espugnar non valga una forza maggiore. Ma il dominare l'intelletto, governare la volontà, governare le altrui passioni, dalla licenza condurre gli uomini alla mortificazione, dall'odio al perdono; ma il far sì che la mente si prostri dinanzi alla fede, e creda ciò che non può comprendere; ella è una impresa affalto straordinaria, e che venne com- piuta dai due eroi Pietro e Paolo , perchè sostenuti dallo Spirilo Santo, nel quale tutto possiamo. Ma col passaggio dalla terra al cielo degli apo- stoli non cessava l'eroismo dei banditori del vangelo. Eantcs elocete omnes gentes, disse ('risto a'suoi: e la sua voce ebbe un eco in tutti i secoli e in tutti i luoghi. Per cui se scorrete gli annali del cristia- nesimo voi troverete apostoli, che discorrono quando l'una quando l'altra parte del mondo , onde far co- noscere ai popoli Gesù Cristo. E lasciando i secoli che più non sono, io ft»rmo il mio sguardo sul no- stro , che dalla provvidenza divina sembra destinato ad operar cose grandi per la fede: i cui trionfi si van- no moltiplicando sì, che al mio pensiero non è lon- tana un' epoca felice per la chiesa cattolica. Quest' epoca è preparata da molli avvenimenti, affrettata da moltissimi e salutala dal desiderio e dai voli di ogni credente. Le nazioni, mercè della civiltà del secolo, non più straniere le une alle altre , ne più occupate in una compassionevole ignoranza, iu mezzo i beneficii Propagazione della fede ioq della pace hanno rivolto lo sguardo al cattollcìstno: religione cui contemplano il miscredente ed il setta- rio , perchè sentono il bisogno dell' unità nelle cre- denze, perchè allrimenli non trovano pace all'animo; contempla T infedele, perchè da apostoli operosi gli veniva additata siccome scuola di sapienza , luce di civiltà , sollievo e conforto ne' mali che pesano sui popoli barbari e miseri. In ogni dove si ammira un religioso movimento, che prepara grandi conquiste pel caltolicismo. La Francia, che ora ha sperimentato i mali gra- vissimi che affliggono i popoli pei rovesci politici, in- torno a credenze cattoliche sollecita i suoi passi per collocarsi sull'antica sua sede, e come in passato aspi- ra ad essere novellamente la sostenitrice del cattoli- cismo. L'Inghilterra, avvilita sotto i dommi di Enri- co Vili , fra le ribelli nazioni sembra destinata ad essere la prima a ricongiungersi all'unità della chie- sa di Cristo : in essa ogni giorno si moltiplicano le conversioni al caltolicismo tra il ricco e il povero, il dotto e il dignitario , la donna e la donzella. A Londra e in altre popolose città di quel regno s'in- nalzano chiese e cappelle per le sacre cerimonie del cullo cattolico, si progettano stabiliraenli per la edu- cazione del giovane clero. L'universi là di Oxford è come in rivoluzione e si slancia nel puseismo , via deslinata a condurre l'anglicano all'unità della chiesa. L'Irlanda fra i suoi continui contrasti, onde riavere gli antichi e sacri suoi diritti, mercè dell'opera del suo grande tribuno , che come lione la discorre facendo ovunque udire il ruggito di sua voce, l'Irlanda libe- ramente esercita il culto de'padri suoi , da cui non valsero a distoglierla le persecuzioni conlinue. L'O- no Scienze landa ancora comincia a svegliarsi dal suo letargo , e indifferente al riformatore della Sassonia, sorride alle conquiste della chiesa cattolica. E non minore si è la reazione nelle contrade (li Alemagna. A Wltleml)erga si sostiene in pubblico parlamento la causa del catlolicismo. In Prussia si fonda la società di s. Francesco Saverio per la pro- pagazione della fede, e in brevissimo tempo sono in- genti somme raccolte; le provinole del Reno ammi- rano edificate e commosse la costanza e la fermezza del novello Atanasio di Colonia. Hurter, Voigt e al- tri celebrati professori delle università difendono in sudate carte la cattedra e i successori di Pietro. An- co l'Elvezia è stanca di perseguitare i suoi cittadini a Roma obbedienti. Lucerna forma una lega conser- vatrice contro 1' opposizione protestante. Ginevra ha la sua venerazione diminuita pel cittadino di Noyon: e Munier, uno de'suoi ministri, scrive e fa sapere al popolo, ch'ei teme di dover vedere il protestantismo precipitare nella impotenza^ indi finire, se il go- verno lascia di sostenerlo. Sono udite con univer- sale indignazione e con lagrime le atroci persecuzio- ni contro i cattolici nelle Russie : sente ognuno un giusto sdegno in vedere come nel secolo decimonono si usi in Europa ancor violenza in materia di reli- gione : intanto i buoni, considerando l'apostasia dei ruteni, si confortano nella speranza che questi siano per far presto ritorno alla vera chiesa, perchè smem- brati col terrore, coll'inganno, non per convincimento e ragionata deliberazione. La Spagna non presenta che rovine e miserie d'oji^ni sorte; ma intanto da tutte le parti dell'orbe cattolico si fa eco alla voce del suc- cessore di Pietro, che dal Vaticano invita tutti i ere- Propagazione delva fede ih denti a far preci a Dio pel bene della religione in quelle miserande contrade. L'Oriente pure comincia a scuotersi dal suo lun- go sonno : esso concede asilo alla occidentale civiltà, e con questa alla religione cattolica, non polendo l'una stare dall'altra disgiunta. Sul Bosforo il vero credente può liberamente esercitare il suo culto; nell'antica Bisanzio si fabbricano e ristaurano chiese, s'innalzano ospedali e fondano scuole; Smirne riconosce nelle sue sventure siccome angioli calati dal cielo \e figlie della carità^ che da provvidenza sembrano destinate ad eser- citare in Oriente una specie di apostolato. Quell'in- trepido vecchio, che sempre lo slesso nella prospera e nell'avversa fortuna liene il governo di Egitto, chia- ma sapienti dall'Europa ad incivilire le sue provin- ole, vi concede asilo ai sacerdoti cattolici, e a Gre- gorio XVI dà prove di riverenza e amore, concorren- do con preziosi alabastri all'opera della riedificazione di una delle più grandi basiliche consacrate all'apo- stolo delle genti. All'ombra dei cedri del Libano e- cheggiano piìi espansivi i cantici del credente : è mag- giore la frequenza al santo sepolcro: e il musulmano e l'arabo del deserto contemplano volentieri il cat- tolico, che da lontane terre move a sciorre i suoi voti in quelle contrade santificate dalla presenza di Cri- sto. L'Abissinla invia deputati a Roma, onde sotto- mettersi al gerarca supremo della vera chiesa, e tende ansiosa le braccia ai missionari che corrono a visi- tarla. La Persia apre ella pure le porte al prete cat- tolico, e sulle coste settentrionali dell'Affrica le armi vittoriose della Francia fanno sventolare la croce sui minareti di Algeri, di Bona e di Costaatiua: e una porzione delle reliquie del grande vescovo d'Ippona 112 Scienze fra gli osanna di un popolo pieno di fede e di spe- ranze viene restituita all'antica sua sede. La Cina ar- restar non può il missionario cattolico, come un tem- po la sua gran muraglia arrestar non potè l'invasione dei tartari. Nell'India col nome britannico quello an- cora risuona di Cristo : e l'Oceanica comincia a sa- lutare il crocifisso. Il Giappone raccoglie qua e colà le memorie del cristianesimo e a quelle s'inspira. Nel- la Nuova Olanda e nella Zelanda non è piìi nome sconosciuto quello del Nazzareno e di Pietro. L'A- merica poi agitata dalle molte sue sette, che conti- nuamente la travagliano, nell'unità della chiesa cerca un soccorso alla discrepanza delle sue religiose dot- trine, una maestra nelle sue dubitazioni, un conforto ne'suoi agitamenti, un raggio di luce fra le dense te- nebre, in cui giace avvolta. Il governo della Nuova Granata proclama in senato la necessità di far fiorire la religione cattolica nella sua repubblica, decreta lo stabilimento di molte missioni, e al vescovo di Bogota affida l'incarico di chiamarvi i figliuoli di s. Ignazio, siccome i più atti a rendere civili i popoli selvaggi. Non v'ha dubbio, o signori: il movimento reli- gioso è universale. In Europa è opera dello studio e della meditazione religiosa, del disinganno, del biso- gno e del rimorso. Nei paesi ancor sepolti nelle te- nebre del paganesimo è opera del missionario, di quel- l'eroe del vangelo, che anelante muove in tutte parli dell'orbe, onde farvi conoscere e adorare Gesù Cristo, in nome del quale soltanto puossi conseguir salute. Osservate ora, o signori, il prete cattolico. Per ar- dente desiderio di chiamar le genti all' ombra della chiesa ei diventa missionario, abbandona le dolcezze della patria, di quel sacro luogo ove sorridono mille PflOPAGAZtONE ntLLA FEDE Il3 speranze e mille dolcezze, si getta in mezzo ad uua moltitudine di pericoli, rinunciando ai piaceri della vita e della famiglia; e povero, senza protezione, colla so- la speranza in Dio, a nome del quale tutto opera ^ ei va in terre rimote , fra popoli barbari e feroci » non atterrilo dalla fame o dalla sete, non dal caldo o dal freddo; ma animato dallo Spirito divino , cbe fece sì grandi gli apostoli, e precipuamente Pietro e Paolo, egli si avventura in tempestosi oceani, dove alle volte avviene cbe prima della navigazione lia suo ter- mine la vita, va incontro a orribili tempeste, attra- versa immensi deserti e lande, s'inerpica pei monti» scende in orride valli , apprende barbari linguaggi » diventa l'uomo di tutti i climi, assume il costume di tutti i popoli : qui lo veggo farsi astronomo e mate- matico, colà curatore degli egri corpi e maestro di ar- monie ; in un luogo insegna a mettere a coltura il campo, in altro a fabbricar case per ricovero, e drap- pi per coprire le popolazioni ignude. Il magnanimo propagatore della fede monta sul dromedario coll'ara- bo errante, si asside sulle cocenti sabbie del Gange e fra le rovine di Palmira : ispida e folta porta la barba in Oriente, veste da mandarino nelle immense e popolose provincie della Cina; e tutto per conqui- star uomini al cielo. Ovunque incontra nemici, op* posizione; ma egli non si lascia incutere spavento; da vero eroe combatte e resiste; se cbiamato è a desistere dalla sua intrapresa, non obbedisce, perchè noi deve; se percosso è o flagellato, lieto soffre; se dannato a mor- te, non fugge; muore, ma sempre costante nei suoi principii e nella fede predicata, le sue ultime parole sono quelle di Cristo, del vangelo: e morendo si con- forta nella speranza, cbe dal suo sangue sorgeranno G.A.T.XCVIII. 8 II/,. Scienze novelli credenti atti a stancare le braccia de' perse- cutori. Tal'è l'eroe del vangelo, il missionario cattolico; tale l'uomo della vera grandezza: e a'temi nostri non mancano siffatti eroi, che corrono a sì nobile impre- sa : che anzi io veggo farsi maggiore il santo entu- siasmo per la propagazione della fede in ogni angolo della terra. Iddio usa degli umani ritrovati per com- piere talvolta grandi disegni : le strade di ferro che improvvisamente ci associano a lontani popoli, i ba- stimenti a vapore che sembrano aver messe le ali per correre dall'una all'allra estremità della terra, se per gli uomini sono mezzi di commercio, d'industria e di politica, se sono vie maravigliose al progredimento delle scienze e della civiltà, in mano dell'Onnipotente di- ventano stromenti, per cui portare alle lontane genti la luce del vangelo. E i ministri del santuario, am- mirando siffatte vie trovale dalla divina provvidenza, maggiormente si accendono di santo desiderio per le straniere missioni , e moltissimi attendono soltanto che la carità dei fedeli prepari loro un bagaglio, per diventare da umili soldati intrepidi eroi. Nella capi- tale dell'orbe cattolico quanti sacerdoti non accorro- no a domandare di essere arruolati al numero dei mis- sionari ? Quanti pii e zelanti leviti non veggonsi rac- colti nel maggior tempio, che mai siasi innalzato al Dio vivente, e prostrati dinanzi alle tombe dei due grandi apostoliPietro e Paolo, con fervida preghiera non chieggono che siano loro di aiuto, onde giungere al ter- mine dei santi loro desiderii ? ... Il numero dei mi- nistri del santuario, che sospirano di essere apostoli in barbare terre, va sempre più aumentando. L'Irlan- da è divenula un ammirabile seminario di banditori pROPAGAZtONE DELI-A FEDE ll5 -evangelici. La Spagna, gemente sotto il peso dell'op- pressione, e non presentando die desolamento in ogni sua contrada, quasi non ha più il religioso conforto dei sacri ministri: ma questi esuli e dispersi, non polen- do esercitare l'ardente lor zelo nella troppo sventu- rata lor patria, corrono in traccia di stranie regioni. Sacerdoti missionari continuamente si presentano da tutte parti; ma a grave dolore non è dato di appa- gare i loro desideri!, perchè manca con che provve- derli. Talché essi altra speranza non hanno, che la carità de'fedeli. Il perchè ogni cattolico, che ama daddovero la gloria di Dio e il hene del proprio fratello ( che tutti siam fratelli in Gesù Cristo), dovrehhe nel miglior modo, che per lui si possa, assecondare i desiderii di tanti apostoli, e concorrere ad opera sj santa. I no- stri padri innalzarono religiosi monumenti, fondarono inslituti di ogni specie a sollievo della sventura , e promossero altre opere insigni, che fauno conoscere il loro spirito religioso. Noi viviamo in un seco- lo, in cui la provvidenza chiama la nostra carità an- che su coloro, che da noi stanno divisi per immensi spazi di terre e di mari. Non vi ha opera così gran- de e benefica, come quella di munire del necessario i missionari, che vogliono movere a combattere la ido- latria, la miscredenza, la superstizione e la barbarie: non v'ha beneficio maggiore di quello che far si possa eoi propagare la fede, all'ombra della quale si affra- tellano i popoli, si destano gl'ingegni, si promuovono le arti e le scienze, sono ingentiliti i costumi e pro- gredisce la civiltà. Quest'tTpera santissima, o signori. Iddio ha serbato a noi, e noi dobbiamo compierla. Io che oggi per la prima volta vi favello come ministro ii6 Scienze del Signore (i) , oh! potessi farvi comprendere con efficaci parole la grandezza di quest'opera, quale nel- l'animo mio la sento. Oh! se il credente, ravvivando la sua fede, considerasse la condizione di tanti mi- seri, che vivono una vita errante, somigliante a quel- la del bruto, che non hanno idea veruna né del vero Iddio, né dei propri doveri; se considerasse che anco i popoli, che dormono nelle tenebre della idolatria, 5ono figliuoli della stessa sua origine, immagine del- l'Onnipotente, come siamo noi lutti, e che furono creati pel fine medesimo, per il quale noi fummo crea- ti; se avesse a considerare che tutti, sapienti e igno- ranti, civili e barbari, poveiù e ricchi, siamo tutti fra- telli, e che fuori della chiesa l'uomo non può aver salvezza; oh allora il credente aprirebbe il cuor suo alla pietà ! E ben lo dobbiamo; la natura ce lo im- pone, la religione ce lo persuade. Gittiamo uno sguar- do sulla nostra famiglia e sulla nostra patria, e la ve- diamo cattolica, perchè Iddio a noi inviò i suoi ban- ditori; senza loro noi ancora saremmo nelle tenebre idolatre sepolti ! Gittiamo uno sguardo ai popoli a noi più stranieri: e conosciuto il lagrimevole loro stato, coli' essere non credenti, desideriamo loro quel bene che a noi medesimi avremmo desiderato , se uguale fosse la condizione. Solleviamoli, o figliuoli di Cristo, solleviamoli dalla loro miseria , vel chieggo a nome d'Iddio; colle preghiere e colle nostre largizioni pre- pariamo per loro qualche missionario, il quale abbi- sogna di soccorso, non per se, ma pei fratelli che de- ve convertire a Cristo, per l'umanità; perchè nei paesi (i) L'autore recitava questo discorso nel giorno della sua pri- ma messa. Propagazione detxa fede 117 destinati alle sue apostoliche imprese ei debbe pre- pararsi la via coi benefici i ; perchè debbe recarsi in regioni, dove non si vedrà dinanzi che abitanti miseri, sì che appena hani«io una zona che gli copra in par- te, e de'quali molti si muoiono di fame; perchè final- mente non ha "li arredi necessari alla celebrazione dei sacri misteri. Scenda dunque nel cuor di tutti la voce della carità, la compassione per l'infedele: che il cristianesimo vedrà moltiplicai'si gli eroi, che mo- vono alla conquista dei popoli per sottometterli alla croce. E voi, Dio della onnipotenza, fate discendere su noi tutti una scintilla di quella sovrumana carità, che è operatrice di portenti ; sia dessa quella che ci ec- citi a soccorrere i banditori evangelici, onde il vostro santo nome risuoni in tutte le parti dell'orbe: e invo- cato quaggiù in terra, possa essere lodato per tutta letamila nella gloria dei santi. -^Èse^as^s*- ii8 E^mTTmmATvmA CoTighiettiira sopra due versi di Dante nel XI f^ deW Inferno. A SUA ALTEZZA li PRINCIPESSA DI SASSONIi Jlo ho bene inteso dire, altezza serenissima , che i mali poeti sono una mala cosa, e che gli fugge ognu- no volentieri; ma peggiori ancora e più nocevoli io credo che siano i troppo tenaci sostenitori delle pro- prie opinioni. Che io non sia uno di questo nume- ro, vaglia a farne fede il presente discorso, nel quale ingenuamente protesto, che quando, non ha guari, io medesimo diedi in luce una mia opinione sul buli- came ricordato ààWuIlighieri , non volli clie sotto- porla al giudizio del pubblico, qual'ella si fosse; ma fui e sono tanto lungi dal volerla difendere e soste- nere, come vera, che all'incontro, quando altri sap- pia propormene una migliore, io mi dimostrerò sem- pre prontissimo a ripudiarla. Ma chi è degli esposi- tori, che abbia fino ad oggi dato fuori una ragione- Versi di Dante i ig Vole spiegazione JI quel luogo mollo dubbio e veri- similmente viziato della divina commedia ? O chi è degli oppositori, cui non essendo piaciuta la medi- cina, che si è voluta recare in mozzo per rettificar- ne la probabile, se non vera, interpretazione ed il pro- babile sentimento, male inteso per colpa o degli espo- sitori, o degli amanuensi, abbia saputo trovare un'an- tidoto conveniente alla supposta corruttela del luo- go, che avea bisogno di medicina ? E chi è, fino ad og- gi, che abbia saputo dare una ragionevole spiegazione della voce peccatrici ? Non parrà adunque cosa strana (anzi dovrà ognu- no convenire esser proprio d'ingenuo scrittore) che io stesso, il quale proposi quella mia opinione sul bu- licame , per soddisfare a coloro, a cui non piacque, metta fuori adesso una conghiettura , la quale dia loro le armi, ch'essi non seppero trovare per distrug- gerla, e che mostri nello stesso tempo , che con ar- gomenti troppo deboli ed inefficaci si fecero innanzi a combatterla. Ma la verità è una sola; e, se io dovessi ripu- diare ciò ch'io scrissi sul bulicame, non certamente a farlo m'indurrebbero le ragioni degli avversari, ma la preferenza, che mi fo un pregio di dare alla conghiet- tura, che son per esporre. Non ritratterò nuUadimeno ciò ch'io scrissi della negligenza degli spositori, della quale bastevole docu- mento ne somministra la mia prima lezione su Bea- trice e Margherita del canto Vili del purgatorio. La conghiettura ch'io propongo intorno al senso di quel luogo della divina commedia, è del professo- re Emiliano Sarti, ch'io nomino a ragion d'onore: ed eraini già nota innanzi eh' io pubblicassi la mia l^-jìO'' Letteratura opinione intorno a quel luogo di Dante ; ma non erano a me noti i documenti prodotti in luce, non ha guari, dall'archivio di Viterbo, i quali se non so- no abbastanza valevoli per istabilire presso il bulica- me di Viterbo il postribolo e le peccatrici de'comen- talori, sono però piìi che sufficienti a rivendicare a quella città l' onore del bulicame messo da me in dubbio nei versi àeW^lighieri. Essi sono per verità di tal natura, che costrin-. gono a confessare che il bulicatile ricordato dal no-. Siro poeta è assolutamente quel di Viterbo; giacché resta per essi dimostrato, che quelle acque servissero certamente ad uso di bagni, e forse a macerare an- cora la canapa ed il lino , siccome si usa anche al presente , conducendole per mezzo di rigagnoli alle piscine a tal line costrutte. Recediamo adunque per un istante dal nostro nrimo avviso, e facendo a noi slessi la parte d' op- positori, abbracciamo la conghie Itura che qui veniar mo ad esporre. Che ne conseguirà ? Quello appun^ to, che desiderano i contraddittori; che Dante cioè ab^ bia voluto nominare il bulicame di Viterbo, e far conir parazione di quelle acque con quelle del B'iegeton^ te: ma non si potrà mai provare presso il bulicame V esistenza d' un postribolo immaginalo unicamente dai comentatori per rendere una ragione del sIgniQ- ceto attribuito alla voce peccatrici senza alcun plau-r cibile fondamento. Sia adunque nei versi di Dante nominato il buf ìicame di Viterbo, il concedo; sia pure, che quelle acque del bulicame servissero ab antiquo ad uso di macerare la canapa e il lino, concedo ancor questo; wa non sarà mai possibile , che dai documenti del- Versi di Dante 121 l'arclùvio ili ViierLo possa concludentemente dimo- strarsi avere esistito presso il bulicame un postribo- lo , e che nella voce peccatrici sieno significate le meretrici del postribolo , che non ha mai esistito e di cui non v'è memoria, traccia, 0 vestigio, ne nel luogo sftesso, ne negli storici o nell'archivio di Vi- terbo nei tempi anteriori o di poco posteriori all'età di Dante. Ricorderò intanto a chi meco si è mostrato men che gentile in dar giudizio della mia opinione, ch'egli è cosa puerile il volgere in ridicolo chiunque s'ac- cinga a dichiarare alcun luogo dubbio ed oscuro di classico autore, senza poter poi dare nulla del pro- prio; e che se io non sono riuscito a persuadere altri della mia s[)iegazione, intendo compensare la mia in- sufficienza producendo cosa, che non parrà forse spre- gevole del tulto. Allorché la prima volta esposi io al prof. Sarti ciò che seinbravami del bulicame^ e lo ebbi diman- dato del suo parere intorno a ciò, si mostrò egli in tutto da me dissenziente, e gentilmente mi fece parte d'una sua conghiettura, che già fin dall'anno 1827 mi disse aver comunicato, insieme a varie altre osserva- zioni, all'erudito inglese (\o\.\.. Giorgio Federigo Nott^ il quale molto si adoperava per pubblicare una nuova edizione della divina commedia, che prevenuto dalla morte non ha potuto eseguire, rimanendo abbozzato soltanto ed imperfetto un lavoro, pel quale avea riu- nito gran dovizia di materiali, che, lui morto, sono passati quasi tutti nella biblioteca bodlejana. Riflette egli dunque, che la città e territorio di Viterbo ha sem- pre in ispecial modo atteso alla coltura della canapa p del lino, distinguendosi talmente per questo ramo 123 Letteratura d'industria, che le tele viterbesi ebbero ed hanno tut- tora particolar lode sopra le altre. E siccome al presen- te traggon profitto quegli industriosi cittadini dalle ac- que del bulicame^ derivandole in opportune piscine per adoperarle nella macerazione della canapa e del lino, crede egli, che lo stesso abbiano sempre prati- cato nelle passate età: non essendo cosa naturale, che fossero così malaccorti da non vedere il vantaggio , che potevano trarre da quelle acque. Il che posto, conghietlura egli, che scrivesse Dan- te peggatrici e non peccatrici, intendendo per quel- la voce tutta latina ( e forse tecnica, per così dire, presso i viterbesi della sua età ) le femmine occupate in pexanda cannahi et lino, ossia nel fare i pes- saliy cioè i fasci di lino e di canape macerata. Che cosa sia pessale, viene abbastanza indicato dal nuovo glossario dell'infima latinità, che così de- finisce questa voce. « Fessale, fasciculus certi-ponderis (*),ut videtur, unde nomen. Glossar. Latin, gali, ex cod. reg. 7692. Pessale, peissel. Stat. an. 1299, in lib. I, ordinai, arlìf. parls, ex cam. comput. fol. 193 , v. Quicon- qae at linier, il peiU et doit vendre son Un en gros par poingnées, par pessiaus, par quartiers et botelleites de Bethisj et Un ccrancié , bon et royal, poitr quHl soit prest à filler etc. (*) Sebbene l'autore dell'appendice al glossario mostri dì opi- nare con queste parole, che la voce pessale derivi da pensuni , certa cosa è che in questo s' inganna. L' analogia di derivazione di quel nome dal verbo pexo, piuttosto che dalla parola pen- sum, e il tenore dell'articolo degli statuti, ch'esso cita in propo- sito, escludono affatto ogni idea di peso. Vebsi di Dante •'123 « Pesiaus ex eod. stat. inter consuetuJ. Genovef. mss. fol. 12, V. VlJe Pmsa. » Nulla adunque di più probabile, quanto che tro- vando gli amanuensi nel testo di Dante la voce pexa- trici scritta a questo modo pegcatrici per pezzatri^ ci { siccome vediamo sempre scriversi nei codici la parola inangl ed altre simili ), né conoscendone il si- gniflcato , come di parola tecnica , la trasformassero nell'altra più comune peccatrici. Il che resta comprovato dall'uso frequente e co- stantissimo dei manoscritti di scrivere la e per la zela dolce. E quella fronte ch'ha'l pel così nero E Eccelin Inf. XII. Ribadendo se stessa sì diuanci Inf. XXV. Ah Pistoia, Pistoia che non sfanci Id. XXV. Poiché 'n mal far lo seme tuo avanci Id. XXV. De nostra condicion, com'ella è vera Purg. I. Che già no m'affatico, come dianfe Id. VI, Noi anderem con questo giorno inance. Id. VI. 124 Letteratura Ma el facto è d'altra forma, che non stanci. Id. FI. La mia leticla mi li tien celalo : Cunicia fui Id. FUI. Ogne forma substanclal ch'è. seda. Id. XFIII, Ma questa sonuolencia me fa tolta Id. E doi dinancl grldavan piangendo Id. Se villania nostra giustizia tieni Id. Dappoiché Carlo tuo, bella Clemenfia, M'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni Che ricever dovea la sua semencia. Par ad. IX. E si conferma dal eh. sig. Parenti, che nel t. Ili , parte I, pag. 12 del Dante stampato in Udine per cura del sig. Fiviani, dice, che nel manoscritto esten- se si legge Cenit per Zenit. Passiamo ora in rivista i documenti estratti dal- l'archivio di Viterbo, onde meglio esaminare, se da questi si possa meritevolmente inferire, che Dante al- ludesse ne'suoi versi alle meretrici del postribolo esi- stente presso il bulicame. I. Statutum Vilerbi i25i. Sezione 3, rubr. i56. Statuimas cjitod de meretricibiis expellendis^ seii retinendis in certis locis, consilii specialis arbi- trio relinquimus. Versi m Dante 125 2. Sezione 4» rubr. 22. Si qiiis mulieri non bonae famae i quae puhlice prestai (i), iniuriam fe- cerit in personani, vel eani verberaverit, X soli- dormii, poenam persoU>at. 3. Rubr. 146. Daplicatur pocna , si quis coni- miserit malpficia in balneis aliquihus^ et viis baU neoruni et circa balnea etc. 4. Stalutum Viterbii i458. Lib. de maleficiis rub. 67. Nitllus quoque ^nterbiensis ut ruffianus vel meretrix debeat stare in plano balnei vel in aliquo loco postribuli dictae civitatis ad poenani XXV librarum etc. 5. Slatutum Viterbii 1649 ' ^^^' ^^ ^^^ "^^' leficiis. - In balneis extra nostrani civitateni Vi- terbii existentibus nullus possit cum mulieribus etiain meretricibus adulteravi vel fornicari ad poe- nani etc. Addilio et refoi-matio. - Plura bandinienta super balneis promulgata idem prohibent, et adest capitulum illud expressum. « Che non sia lecito etc. tanto dentro le acque, quanto per le strade dei ba- gni etc. I) 6. Libri delle riforme i4o3. . . . Ser Jacobus de urbe conservator gabellae comunitatis Viter- bii .... Vendidit et locavit magistro Anselmo Van- nis de Viterbio gabellam et ius gabellae baracta- riae cum postribulo meretricum in plano balnei et intiis civitatem Viterbii etc. y. Ibid, 1404. Providus et discretus vir ser lacobus de urbe conservator etc. vendidit et lo- (i) Errò forse l'amanuense del lesto dello statuto scrivendo prestai per prostrai. 126 Letteratura cavit .... Francisco Gerboni de Senis, et nunc civi viterbiensi, gabellam et ius gabellae barapta^ riae cutn postribulo merelricum in plano balnei et intiis civitatem Plterbii eie. 8. Ibld. 1452. Masius de Albizis de Floren- tia conservator etc. Servatis servandis super lo- catione novi postribuli . . . dictum locum postri- buli locavit . . . Agneti Sclavae meretrici habita- trici dictae civitatis tamquam plus offerenti etc. 9. Ibidem i454- Istromento d'affitto alla soprad- detta Agnese con aumento di prezzo. - Cum hoc pa- cto expresso et specificato, quod alibi in dieta ci- i'itate non possit retineri postribulum, quam in lo- co supradicto; et si alibi quam praedicto loco me- retrices de die mane et sero obversarentur et lu- xuriareìitur tam in dieta civitate quam extra^vide- licet apud balneos, stratam viam, et semitas bai- neorum absque licentia et voluntate ipsìus yfgne- tis\ quod ipsa Agnes conductrix delinquentes pu- nire et multare possit cum moderamine et discre- tione. 10. Ibid. 1455. Affitto cpl medesimo patto espres- so di sopra a Giacomo di Mariotto Alzacoda, il (\ndi~ \e promisit dictum locum tenere ad usuai boni viri. Dalla semplice lettura del i, 2, 3, 4 ^ ^ '^^ ^^^^ documenti chiaramente si vede, che nulla risulta, che riguardi le meretrici del bulicame; ma sì quelle di Viterbo, alle quali sole si riferisce ciò, che il magistra- to di quella città si trovò in necessità di decretare. Che anzi nel documento 4 dell'anno i458 pare che espressamente si vieti loro di dimorare in Planum Balnei, dove forse abusivamente si recavano in quella stagione dell'anno, in cui vi era il costume di servirsi di quelle acque ad uso di bagno. Versi di Dante 127 E quantunque dai documenti 6 e 7 dell'anno i4o3 e 14^4 sembri apparire, che vi fosse un qual- che postribolo nel Planum Bdlnei; introdottovi forse per abuso; nulladimeno nel documento 4» dell'anno 1458 ( posteriore di tempo a questi due ) si vieta es- pressamente alle meretrici di stare nel Plano Balnei. Ma si consideri di grazia, come siffatti documenti siano già d'un secolo posteriori al tempo di Dante; e l'articolo 8, dove si rinnova lo stesso divieto , fa chiaramente conoscere, che Agnese Sclava condut- trice di quel luogo abitava la città di V^iterbo. Vedremo poi se il peccatrici o pecgatrici di Dante possa essere equivalente al meretrices dello statuto di Viterbo. E più chiaramente ancora ciò appare dall' arti- colo g, dove si esprime e si specifica con patto es- presso, che in niun altro luogo che in città non pos- sa ritenersi il postribolo: e sono minacciate pene se- vere, se fuori della città nei luoghi dei bagni senza licenza di Agnese si ritrovassero. Dal documento io poi , dove si rinnovano gli slessi patti e condizioni, si rileva la stessa cosa. Qualunque siano dunque le conseguenze che da tutto ciò vogliano dedursi , egli è sempre vero che tutti i sullodati documenti sono posteriori d'un in- tero secolo a Dante: e quantunque possa provarsi (il che non è abbastanza chiaro) che in qualche tempo vi sia stato qualche postribolo fuori di Viterbo; presso il bulicame sarà cosa ben difficile a dimostrarsi che quel luogo fosse permanentemente abitato. Se a tutto ciò si aggiunge, che non apparisce a' di nostri vestigio alcuno di rudere o di antico fab- bricato non meno nel Planum Balnei^ che in quei 128 Letteratura dintorni; che la disianza del bulicame dalla città di Viterbo di circa un miglio e mezzo rende sempre più improbabile l'esistenza del supposto postribolo; e che atteso il soverchio sprigionamento del gas-idrogeno solforato^ come ce ne fa fede il eh. naturalista sig. Riccioli^ è fuori d'ogni verisimiglianza che abitati fosse- ro quei contorni del bulicame, ne è presumibile che più anticamente lo siano mai stati; nulla potrà deduisi di positivo da quei documenti, e dovrà piuttosto sup- pórsi, che il postribolo del Planum Balnei fosse una riunione temporanea di gente che colà recavasi in tempo dei bagni, anzi che un vero postribolo. Checche poi voglia dedursi da tali documenti , io dissi, per provare l'esistenza del postribolo, e la spiegazione della voce peccatrici per meretrici, re- sterà ancora questa sempre più dubbia a fronte della nuova conghieltura, che io godo che mi sia stata da- ta l'opportunità di metter fuori; giacche in forza di essa conchiudo, che quando anche gli si voglia dare il significato di meretrici^ il vocabolo peccatrici non indicherebbe esclusivamente le meretrici], ma potreb- be ancora significare, e forse con più probabilità, le pecgatrici: il che io m'era proposto di dimostrare. E posta ancora l'esistenza d'un postribolo nel Planum lì altiei^xesìexehhe sempre a dimoslrareper qual motivo le meretrici derivassero quelle acque dal bu- licame^ ed a qual fine partendole infra di loro cia- scuna ne avesse, come in sua proprietà, una porzione, non essendovi di ciò alcun vestigio né storico nò lo- cale; e che quelle acque abbiano cominciato ad ado- perarsi ad uso di bagni, non pare che ve ne sia me- moria anteriore a quella del i458. Antichissimo e d'altronde colebratissimo era 1' uso di quelle acque Versi di Dante 129 per la macerazione della canapa e del lino, come ce- lebri erano e sono i campi di Viterbo per la coltura di quei prodotti. Ma lutto questo è ancora nulla a fronte di ciò ch'io son per dire: e il ragionamento fatto rispetto ai documenti di Viterbo potrebbe forse sembrare in- sufficiente nella falsa ipotesi, che finora ho ammesso, che cioè il vocabolo peccatrici di Dante sia statò in qualche tempo equivalente al vocabolo meretrici. Imperocché, o è falso che Dante scrivesse pec- catrici^ e scrisse in vece pegcatrici; il che è oltre- modo probabile in forza della conghiettura proposta; e allora la questione è decisa in favor mio, né fan- no più al caso nostro i documenti di Viterbo: o Dan- te scrisse realmente peccatrici , e resterà sempre a dimostrarsi dai contraddittori ( il che non so in qual modo potranno provare) che questo vocabolo, se pure Dante cosi l'ha scritto e adoperato, e in latino e in italiano fosse equivalente del vocabolo meretrici. Ma questa, il ripelo, è la difficoltà principale, anzi prin- cipalissima della questione, a cui liauno dato origi- ne; I , la singolare stranezza del vocabolo non mai fra'lalini e gli italiani adoperato in tal senso; 2, la controversa esistenza del postribolo. Cadono adunque anche in questo caso i docu- menti di Viterbo, e nulla più monta per me, che in quelli apparisca nominato qualche postribolo , giac- che a me non basta, ne basta allo scioglimento della difficoltà, Taver trovato tutti i postriboli e tutte le me- retrici del mondo presso il bulicame-^ quando il peg- gatrici di Dante non equivale al vocabolo meretrìci. Nulla adunque hanno che fare le pegcatrici di Dante col meretrices dello statuto di Viterbo. Che G.A.T.XCVIII. 9 i3o Letteratura se ciò è vero , acquisterà forza viemagglorraenle la nuova conghietlura proposta, la quale pare che vaila a divenire sempre più plausibile. Ed infatti, ammessa la derivazione di peccatrici a pexanda cannabi aut lino, scritto forse negli an- tichi manoscritti peccatrici, donde la voce pessale; e che quindi può essersi introdotto nel testo Terrore di peccatrici ', ammesso che i campi di Viterbo furono sempre ab antiquo celebratissimi, e lo sono tuttora per la coltura della canape e del lino , e che le acque del bulicame servirono sempre a macerare questo ge- nere di prodotti; ammesso che non provasi conclu- dentemente pei documenti di Viterbo l'esistenza d'un vero postribolo nei tempi di Dante, e il non potersi render ragione ( posto anche il postribolo ) del per- chè coteste supposte meretrici si partissero fra loro quelle acque; ammesso in fine clìe la voce peccatrici né nei tempi della buona, né della media, né dell* infima latinità, né in italiano é stala mai equivalente di meretrici', parmi che la conghietlura non debba meritare la disapprovazione di coloro, cbe tanto stu- dio e tante sollecitudini oggi pongono nel raggiugnere il vero senso della divina commedia. Queste riflessioni, altezza serenissima, ho voluto io sottoporre alla vostra considerazione, come quello che a voi mi professo debitore di molte nuove lezioni che ho tratte da un testo del comento di Benvenuto da Imola sopra Dante, ornamento pregevole tra gli altri molti di quella vostra insigne raccolta di mano- scritti, che sì cortesemente mi é stato dato di con- sultare. Né ad altri che a voi, altezza serenissima, doveva più giustamente intitolarsi uno scritto sopra il divino poeta: che tra le molte glorie della vostra Elogio di Benedetto XIV. i3i illustre famiglia annoverale ancora un Giovanni di Sassonia^ a cui la letteraria repubblica è debitrice di un nuovo volgarizzamento in lingua alemanna del- la divina commedia, corredato di copiose ed eruditis- sime annotazioni. Filippo Mercuri. Delle lodi di Benedetto XIV. Discorso del prof. Domenico Vaccolini^ letto il ^ di ottobre 1841 per la solennità de^ premi ai giovani delle scuo- le in Bagnacavallo. ^^uella gioia preziosa de'figli, che i padri confidano a' maestri per farla colta e gentile, è come un sacro deposito, che vuoisi guardare gelosamente per render- lo ad essi non pur di eguale, ma di molto maggiore bontà. Non di quella bontà materiale ed estrinseca, che è più del corpo; ma proprio di quella spirituale ed intrinseca, che è più dell'animo. Trattasi d'istrui- re la mente e di formare il cuore de'giovanetti; tal- ché in lume di scienza e di virtù giovino indi a se ed a'suoi, giovino alla patria: officio gravissimo e no- bilissimo di quanti mai sono nella città ; se già il magno Alessandro non dubitò confessare, lui più do- vere al precettore che al padre. E veramente da ge- nitori i figliuoli che mai riconoscono in prima? Poco più che la vita caduca del corpo. E dai maestri ? Mol- to più, cioè la vita immortale dello spirito. Questa, sì questa, che non teme di tempo o di fortuna , è r32 Letteratura vera vita: questa singolarmente vuol essere rivolta a segno di gloria, alla quale ci guidano concordemente la scienza colla face del vero , e la virlù coli' esca del bene: questo, che è meglio cosa del cuore; quel- lo della mente. Né l'una cosa va disgiunta dall' al- tra; perchè, addentro guardando, mente e cuore sia- mo noi: e la mente si riposa nel vero , il cuore si acquieta nel bene. Di qui il saggio ordinamento delle nostre scuole, di crescere i giovanetti , queste dolci speranze dell'avvenire, non pure a dottrina, che ador- na la mente; ma insieme a virtù, che scalda il cuor, re ; di qui parimente il saggio istituto de' pubblici premi a quegli egregi, i quali accoppiar sanno a ma^ raviglia i pregi della mente ai pregi del cuore. Di che serbando essi memoria per tutta la vita, buono è in mezzo a questa luce d'onore por loro innanzi qualche esempio chiarissimo di scienza e di virtù, nel quale affissarsi per iscolpirne dentro 1' immagine colà dove traccia non si cancella. In cosiffatti pensieri io veniva teste chiedendo appunto a rpe stesso : Qual piente e qual cuore toglierò adunque oggi per que- sii cari figliuoli a vivo specchio di dottrina e di vir- tù ? Quando, men donna assai che dea, m'apparve una felice di venerevole aspetto: era dessa la patria doU cissima: « e, Figlio (dicevarai), compie già un secolo, che un lodatissimo, salito appena al maggior soglio del mondo , me riguardava ira mille e di favori mi ricolmava ; egli in cima al candelabro , di sapienza e di bontà sfolgorando , cresceva alle mie feste de- coro, e all' ara e al tempio magnificenza e splendo^ re. Di lui parlare è bello pubblicamente, ponendo la sua gran mente, il suo gran cuore quasi specchio ai novelli. J! sarà indizio di gratitudine a quel sajiÌ90« Elogio di Benedetto XIV. i33 tissimo ed umanissimo ciò, che loro è proposto a pro- fittevole imitazione. » Così disse la patria dolcissima ! Or chi potrebbe de'figli non ubbidire a tal madre ? Non io certamente, che tutto a' suoi cenni assumo di ragionare; ne voi, o signori, che vi porgete bene- voli ad ascoltare. Mancato al mondo e alla chiesa il pontefice Cle- mente XII, trattavasi di eleggere il successore. Divise erano le menti ed i cuori, piacendo ad alcuni il car- dinale Aldrovandi bolognese, ad altri no; quando egli stesso l'Aldrovandi propose ai padri adunati in con- clave due di patria, di costumi e di studi a lui con- giunti, Vincenzo Gotti de' predicatori tutto pietà, e Prospero Lambertini arcivescovo di dottrina e di vir- tù sopra ogni lode. Ed ecco dopo sei mesi e più d'in- certezze tutti i voti fissarsi in quest'uno: il quale in memoria di Benedetto XIII , che lui innalzava alla porpora, prese il nome di Benedetto, e fu il quar- todeciino. Kgli aveva allora G5 anni con mente sana in corpo sano , e tanta vigoria quanta a sostenere r immenso peso si conveniva. Prospero Lambertini nacque in Bologna di famiglia antichissima e nobi- lissima; e posto ivi dal padre a studio di liberali di- scipline, volò sopra gli altri della sua età. In brama di più sapere non si arrestò, come accade de'grandi, che si riposano sulle glorie domestiche; venne anzi incontanente al cielo di Roma, soffermandosi nel col- legio dementino. Pei rari pregi della mente e del cuore crescendo nella slima universale, fu da Inno- cenzo XII tra' prelati della curia annoverato : indi avvocato concistoriale, promotore della fede e segre- tario del concilio sodisfece sì fattamente, che sendo già arcivescovo di Teodosia e vescovo di Ancona fu i3/|. Letteratura insignito della porpora de'cardinali. Quattro anni ap- presso venne a Bologna arcivescovo , degna sede a lui degnissimo: fu allora che chiamato arbitro fra noi, compose gravi quistioni di beni tra la chiesa nostra e nobili famiglie; fu allora eh' egli conobbe ciò che a decoro sì della chiesa e si della patria nostra si conveniva. Tra le cure dell'episcopato, tante e sì gra. vi, parve maggiore di se con maraviglia di tutti: il Montfaucon singolarmente , quel prodigio di erudi- zione, diceva di lui: « Abbenehè giovane egli ha due » anime, l'una per le scienze, l'altra per la società.» !Nè solo nel fatti; nei detti ancora mostrato avea si- no dagli anni primi quanto egli si fosse. A volerli lutti rammemorare saremmo infiniti: uopo è restarsi contenti ad alcuno dei tanti. Aà un amico scriveva: « Mi si suppone un uomo di tre teste in ragione » delle cariche conferitemi: mi bisognerebbe un' ani- » ma per ciascuna di esse : e la mia basta appena » per governare me stesso. « Venuto a Genova, ed i compagni al ritorno prendendo la via di mare, egli ricusò di essere con loro, e soggiungeva: « Prendete » quella strada voi altri, che nulla arrischiate; ma io, » che ho da esser papa, non degglo arrischiar Cesa- » re e la sua fortuna. » Giovane avvocato, qual era allora , già non poteva presagire cotanto di se ; ma una certa festività per poco soverchia, osservata assai jirima in M. Tullio, era sempre ne' suoi motti; na- tura lo aiutava, e più alulavalo uso frequente di poe- ti. E diceva: « Mi sgridano d' intrattenermi talvolta )) con Tasso e Dante ed Ariosto ; ma ho bisogno n di ricordarmeli per dar più vita alle mie espres- » sioni , e pili energia a' miei pensieri. « E vera- mente anche s. Paolo toglieva a' poeti, come notò Elogio di Benedetto XIV. i35 il magno Basilio, di che ornare ed avvivare la men- te: e il Lamberlini faceva di s. Paolo le sue delizie. E che? oggi slesso quell' antico compagno della sven- tura e delle glorie del settimo Pio , quegli che ha in tanto amore la patria nostra che in lui si fida , scrivendo le istorie di quell'onore di Romagna e della chiesa , va spargendo l' amaro di tempi difficilissimi colle dolcezze de' poeti. Tornando a quell' eletto giudizio del Lamberlini , chi mai non sa quel suo dello famosa ai cardinali in conclave? « Se volete )) un santo, diceva, fate Gotti: se un politico, Al- drovandi: se un dabbene uomo, fate me. « E fu e- gli 1' eletto, che di dottrina e di virili ogni altro a- vanzava. Lo previdero i padri nostri, ed ossequiaronlo, quando per gire al conclave passò di qui rivolto a Ravenna , dove altendevalo compagno di viaggio il cardinale Alberoni legato. Qui slesso baciando la sa- cra porpora il magistrato auguravagli l' altezza del trono: ed egli con quella sua festività rispondeva: « Se » io sono papa, la prima cosa vi fo la collegiata, n Augurio non fu mal più vero, né promessa meglio adempiuta. Pontefice di gran mente e di gran cuore, egli ebbe 1' arte di conoscere gli uomini, e tosto si circondò di tali ministri, che al suo sapere, al suo volere degno di principe, e di tal principe, si con- formassero. Ed egli fiore di sapienza, comprendendo tutto il bene che dalle arti e dagli studi viene agli uomini, fondò in Roma accademie, promosse quella di Bologna, fece misurare un grado del .meridiano, rialzare obelischi, edificar chiese; dava egli stesso il disegno della chiesa di S. Marcellino : ancora fece fare in musaico le pitture di s. Pietro , e tradurre molti buoni libri: e che non fece egli mai? Di tan- i36 Letteratura te cose basti qui rammentare quest' una, che i pre- ziosi manoscritti della vaticana crebbe sino a 33oo. Ma di un principe, e di tal principe, prima e somma cura si è ben governare lo stato ed i comu- ni, sicché dentro sia pace in ogni ordine, e in tutto 1' orbe concordia, prosperità. E quella gran mente di Benedetto Quartodecimo si volse ad animare il com- mercio, che è tanta parte di pubblica economia, gu- standone le nuove teorie, clie il Broggia e il Galiani in Italia diffondevano: ricompensò col titolo di Mar- chese il Belloni, che scritto aveva non più che una dissertazione sul commercio: e buone leggi al gover- no de'comuni egli ordinava di nuovo o confermava. I popoli all' ombra della giustizia e della religione benedicevano il pontefice e più che padre; tuttoché r invidia, che flagella i migliori, e lascia slaie i rei, non mancasse di apporgli: « Che scriveva troppo, e » non governava abbastanza. » Il fatto si è che con- sentendo agli astri minori ( tali porgevansi i suoi e- letli ministri ) d' illuminare quasi la notte de'piccoli negozi , egli siccome il sole diffondeva il suo lume di prudenza e di carità per tutto il mondo. Ma perchè l'uomo é nulla senza Dio, primo ed alto pensiero di quella gran mente, di quel gran cuo- re, sì fu di sollevarsi oltre l'umano, e da quella al- tezza invocare dall'orto all' occaso le preci eziandio de'fedeli per la prosperila della chiesa. Se non che negli eterni giudizi era scritto, che provata fosse nelle sventure, come l'oro nel fuoco, la virtù del ponte- fice. Una si fu la morte di Carlo VI, che non potè sopravvivere alla caduta di Belgrado, antemurale della cristianità. Previde quella gran mente di Benedetto, che sendo Carlo l'ultimo mascliio di casa d'iVustria, Elogio m Benedetto XIV. iSy già sì feconda di augusti all'impero, di eroi alla chic- sa, sarebbero insorti dissidi tra' pretendenti al mag- gior seggio d'Europa. Parve al pontefice di favorire la primonata dell'imperatore, Maria Teresa: ma insor- gendo Carlalberto di Baviera , scoppiò la guerra in Germania : e la misera Italia, campo aperto ai poten- ti, ne sofferse : più ne soffersero i bei dominii delia chiesa. Intanto l'erario esausto, la camera aggravata di debiti, le spese soverchianli. A riparo di tanti mali egli slesso il pontefice scemò in prima le spese in- torno a se, poi moderò le pensioni, riformò le mili- zie, e a tutti insegnò di conciliare colla parsimonia il decoro, colla sobrietà la splendidezza, co'nuovi or- dinamenti la securtà e ogni bene de'singoli e dell'uni- versale. Egli a tutti accessibile, fuorché ai nipoti, col- la umanità che conforta, e colla giovialità che alletta, temperava la maestà che atterrisce : egli colla sua ama- bilità facevasi non pure amare dagli amici, ma da'ne- mici: in ciò fu ingegnoso più ch'altri mai; di che un esempio uopo è ci basti. Personaggi di religione ete- rodossa trovandosi innanzi a lui, egli volle intratte- nersi con loro: e quando erano in sul partire, si av- visò benedirli ed ammonirli dicendo : « Figliuoli, la » benedizione de'vecchi è accetta a tutte genti: io vi » benedico : il Signore v'illumini ! » Egli tutto men- te e tutto cuore , vide gli eccessi della moda e del lusso; onde, colpa del secolo, usciva dallo stato il da- naro, che, come il sangue nel corpo sano, bisogna anzi ritenere per farlo ben circolare al di dentro : quegli eccessi egli vide, e senza opporsi direttamente ( che in ciò non giova) pensò animare l'industria interna. Ma che fanno le buone leggi senza i costumi ? Ai costumi egli provvide, e pensò ancora la riforma del j38 Letteratura clero, affinchè quasi specchio gli eletti di Dio si por- gessero : in questo divisamenlo hene statuì che uffici e dignità si dessero a' meritevoli. Questo mezzo gli piacque, sapendo la speranza de'premi muovere gli uo- mini assai più che il timore delle pene, le quali, sic- come incontra talvolta al mondo, tarde vengono. Tut- tavia dove a difesa dell'ordine fu d'uopo condannare, punire, egli non mancò mai a se stesso; checche gli costasse ! Intanto questioni insorsero circa il digiuno e l'astinenza quaresimale: questioni che dall'una parte potevano rilassare, dall'altra irrigidir la morale : egli con quel suo senno le definì ed acquietò le coscienze. Tra questi pensieri di pace la sorte delle anni arbitra degl'imperi "arrise al bavaro, che videsi per po- co imperatore. Meglio riuscì al pontefice di comporsi colle corti di Spagna e di Portogallo, di INapoli e di Sardegna; la dateria ricuperò sue ragioni, e in quella concordia anche lo stato si ristorò. Ma quando mai v'ha quiete nel mondo ? Vide ben presto il ponte- fice minacciata negli stati ereditari d'Italia la regina d'Ungheria: vide ne'propri il teatro della guerra : que- sto vide, e non tacque quel mitissimo e sapientissi- mo. Splendeva appena raggio di pace, che la morte di Carlo VII aperse il campo a nuovi dissidi, i quali però alla elezione di Francesco 1 acquietaronsi. Non passò un anno, e fu novella sciagura la morte di Fi- lippo V di Spagna. Al successore polente pregava in- vano il pontefice, che dal peso di armi straniere gli stali della chiesa liberasse. E pure con nuove istanze, e coll'animo sempre alla pace, la procurò tra'prlncipi al nuovo congresso di Aquisgrana. Tranquillo al di fuori, più e più promosse il commercio, ed ogni bene de'suJdili, i quali provarono vero quel dello: Allora FxoGio DI Benedetto XIV. i3g i popoli essere felici, che da savio principe sono go- vernati. Benedetto XIV era di quegli uomini di mente e di cuore, nati fatti a giovare l'universale; di que- gli uomini, che non dovrebbero morir mai pel bene di tutti. Ma noi siamo qui viatori, l'ora del partire c'incalza e un'altra vita ci aspetta. Benedetto XIV, tranquillo della coscienza e tutto ilarità, di 83 e più anni passò : tra i crucci di penosa infermità non si doleva, confortato altresì dalla religione santissima , quell'unica che ci consola ed accoglie, quando pom- pe e dovizie e tutto qui ci abbandona e ci rifiuta, e ci ricaccia nel fango e nella polvere. Alla sua mor- te il compianto fu universale, le esequie solenni nel- la basilica vaticana: ivi la sepoltura modesta; più tar- di surse onorevole un monumento, quanto i bei gior- ni della scultura incalzavano. Ma il sole di Canova non isplendeva per anche sui sette colli ! Monumento più degno e più durevole de'bronzi e de'marmi sono le opere di quella gran mente , di quel gran cuore di Benedetto. Quanta affabilità nell'ascoltare, nell'in- segnare ! Quanta dolcezza nel comandare, e fino nel riprendere e nel punire ! Quanta saviezza nel pre- miare ! Quanta costanza e ilarità sì nelle prospere co- se, e sì nelle avverse ! Quanto amore pe'sudditi, quan- ta larghezza pei poveri ! Nuova cosa a que'tempi: chi venuto da lungi cercava in Roma i nipoti di papa Lambertiui, udiva dirsi a una voce: Tali essere sud- diti e poveri, e lui a tutti più padre che principe ! E le arti mostrano ancora tra l'altre cose una gran sala aggiunta col gabinetto anatomico all'arci-ospedalc di s. Spirilo, la basilica di s. Croce e l'ampia stra- da che ivi fa capo da s. Giovanni Laterano: mostra- i4o Letteratura no la cupola di s. Pietro assicurata , la fontana di Trevi perfezionala : inostrano la basilica di s. Maria Maggiore adornata, la chiesa di s. Apollinare e più altre giovale, abbellite : mostrano il triclinio di Leo- ne 111 nella lateranense rinnovalo, e musaici alla sca- la santa ed a s. Paolo di nuovo fatti o racconci : mo- strano il colosseo ed il panteon conservati e adorna- ti, il campidoglio arricchito, ed in Roma quasi un' altra Roma. Le arti e la pietà queste cose ivi mo- strano di quella gran mente e di quel gran cuore di Benedetto; e fuori mostrano più città rabbellite. La torre a Loreto innalzata, l'atrio della basilica amplia- to, il porlo di Ancona rassicurato , la cattedrale di Bologna perfezionata, arricchita , il seminario eretto e con larghezza fornito. E scienze, lettere ed arti pro- tette, giovale a maraviglia, con voce che mai non Ila muta ripetono ai secoli concordemente la gloria e il nome di Benedetto XIV : di lui che tutto mente e tutto cuore in tanta altezza di principato ( cui ten- ne gloriosamente quasi diciolto anni, assai alla sua fama, pochi al desiderio della umanità ), aggiunse al potere il volere, e, ciò che è più raro, il sapere : di qualità che vivo e morto empiè il mondo delle sue lodi, le quali ascoltiamo e vediamo non pur tra l'al- pi e il mare, sull'aureo Tebro e sul felsineo Reno, ma oltremonte e oltremare, e sul Tamigi altresì : che amici e nemici, com'io vi accennava, uniti furono e sono ad ammirare quella gran menle e quel gran cuo- re di Benedetto, il quale animalo col soffio delle arti eternatrici ravvisiamo tra mille in mezzana statura e pingue corpo, sguardo vivace, sorriso accorto, aria dolce, soave, al tutto patriarcale, in ogni aspetto gran- dezza, e colla grandezza amabilità. Elogio di Benedetto XIV. 141 Specchiatevi, o giovani, non nelle forme del cor- po, che si dileguano, ma in quelle dell'animo, che mai non vengono meno. Allo specchio di quella gran mente di Benedetto XIV, a noi singolarmente bene- fico, ornatevi la mente di scienza: allo specchio di quel gran cuore, formatevi il cuore a virtù. Egli quel mitissimo e sapientissimo ebbe regno ed allori; egli pastore di popoli frenò tante genti, quante ne vede il sole; e voi dovete contenere le passioni che fer- vide irrompono e vi disviano. Ecco, o giovani, il vo- stro regno, il vostro trionfo; ecco il modo di acqui- star grazia nell'universale, e, ciò che più monta, di farvi utili a voi, ai vostri, alla patria, la quale da se non è grande, se grande non la fauno mai sempre colle opere della mente e del cuore i benamati fi- gliuoli ! Essa guardando al futuro molto anche in voi si confida. Deh che il suo confidare non torni vano ! Deh che non perda per voi di gloria, di ric- chezze, di prosperità! Veda, sì veda, questa madre contenta fiorire ognora l'industria, il commercio, gli studi, e cogli studi i costumi : veda crescersi intor- no colla luce dell'ordine l'agiatezza, la forza ed ogni beatitudine | E voi, inclito magistrato, e voi, eccellentissimi professori e maestri, non mancate a voi stessi , alla patria : la quale vi dice, che tali cittadini vi avrete in futuro, quali colla santa opera degli studi saprete formarvi di mente e di cuore a pubblica utilità. «-«^^O^S*»- 14=1 Orazione a difesa di Tito Annio Milane volga- rizzata da Giuseppe Ignazio Montanari. AL PROFESSORE SALVATORE BETTI GIUSEPPE IGNAZIO MONTANARI ]\< on ho mai dubitato tanto di me , b carissimo Betti, quanto questa volta. Nell'inviarvi il mio volga- rizzamento della milouiana sono cosi sospeso dell'a- nimo, che non saprei dirvi quanto. La vostra auto- rità mi consiglia a mettermi a questa difficile ed ar- dua presa: la diffidenza, che giustamente ho di me, me ne ritrae. Recare Cicerone in veste italiana mi par grande ardimento per tutti, per me temerità ed arroganza. Tuttavia , giacche all' ardimento mio voi siete buona scusa e difesa , vo' attentarmi a quest' acqua pericolosa , e per infiniti naufragi diffamata. Protesto però a voi, e per mezzo v(^stro a tutti gl'i- taliani, che il volgarizzamento di questa orazione do come a saggio di altre molte, le quali però non ve- dranno luce se non quando io sia certo che la mia fatica possa sperare d' essere approvata. Ed io aspetto con desiderio che tutti quelli, cui sta a cuore 1' o- MiLONiANA DI Cicerone i43 ìlor delle lettele nostre, o con pubbliche o con pri- vale lettere mi aprano intorno ciò 1' animo loro: e senza rispetto alcuno mi dicano le magagne del mio volgarizzamento. Confesso poi fin d'ora, che più le savie correzioni mi torneranno in grado, che le lodi; perchè ho sempre tenuto che quelle si derivino da buon giudizio, queste da cortesia: ed io ho bisogno d'essere giudicato, non lusingato. I molti difetti de' traduttori passati rai hanno messo in isperanza di far raen male. Se io ho avuto troppo presunzione, mi piacerà assai essere tolto d' inganno: e come di sin- goiar beneficio a voi , mio caro Betti , ed a chiun- que altro ne saprò grado e grazia. Resta che io vi dica il metodo che mi sono proposto nel volgarizzare. Ho cercato chiarezza e non raffinala eleganza. Dico non raffinata; perchè questa mi pare una delle rare qualilà di Cicerone , essere elegantissimo senza mo- strare studio di raffinatezza. Ho cercato poi somma- mente mantenere quel largo e rotondo periodo , e quelle svariate e gravi armonie, per cui M. Tullio da tutt'altri si distingue. Se io abbia conseguito quanto ini sono proposto, vedetelo voi : e con voi gli altri amici delle buone lettere sei veggano. Qualunque sia questa mia fatica, io la pongo sotto i vostri auspici : e voglio che se alcuno onore me ne può derivare, sia vostro, perchè voi solo mi avete principalmente tiralo a pubblicare questa ver- sione; se poi biasimo, intendo che debba esser mio, perchè in venlidue anni (che tanti sono che io inse- gno lettere ) non ho saputo seguire il precetto di Orazio, il quale nella poetica insegna : i44 Letteratura Sumite materiam vestris qui scrlbitis aeqiiam Viribus^ et versate diic quid ferre recusenty Quid valeat humeri .... E qui facendo fine , all'amicizia vostra quanto più so e posso mi raccomando. ESORDIO I.S. 'ebbene io dubiti, o -giudici, non sia turpe co- sa temere a cbi incomincia a parlare in difesa di un fortissimo personaggio : e mal si convenga die mentre Tito Annio Milone stesso più della salute della repubblica, cbe della propria, si dà pensiero, io nella causa di lui un' uguale sicurtà d' animo non possa recare; nondimeno questa nuova forma di nuo- vo giudizio fa paurosi gli occhi , i quali dovunque si volgano, 1' antica consuetudine del foro e il pri- miero costume de' giudizi ricercano. Che il vostro consesso non è cinto da quella corona che aver so- leva, e noi siamo da inusitata frequenza stipati. Im- perocché quei presidii che innanzi a tutti i templi vedete, sebbene ivi posti conlra la violenza , non è tuttavia che all'orator non arrechino alcuno spaven- to: sendochò quantunque nel foro e nel giudizio sia^ mo da guardie non men salutari che necessarie as- siepati, pure anche senza alcuna cagion di timore non temer non possiamo. Che se queste io credessi poste contro Milone , cederei al tempo , o giudici , e non crederei che in mezzo tanta forza d' armi a- vesse luogo un oratore. Ma mi conforta e rassicura MiLONiANA DI Cicerone i4S il consiglio di Gneo Pompeo , sapientissimo e giu- stissimo personaggio, il quale invero non terrebbe essere della sua giustizia abbandonare alle armi dei soldati quel reo , che egli alle sentenze dei giudici avea lasciato, né della sua sapienza l'audacia di con- citata moltitudine colla pubblica autorità rafforzare. Per la qual cosa quelle armi, que'centurioni, quel- le coorti, non pericolo, ma conforto ci annunziano; ne solo a stare di tranquillo animo, ma ben ancbe di sicuro ci esortano ; nò aiuto soltanto alla difesa mia, ma silenzio ancora impromeltono. Il resto del- la moltitudine poi, che invero è di cittadini, è tutta per noi; né ffa coloro, i quali da questo stesso luogo vedete guardar d'ogni parte', onde alcun punto del foro si può scoprire, aspettando l'esito di questo giu- dizio, v'ha persona che mentre favoreggia alla virtù di Milone, non pensi in quest'oggi che di se, de'suoi figliuoli, della patria, e delle fortune sue si contenda. II. Una sola razza d'uomini è a noi contraria e nemica; quella che il furore di Publio Clodio di rapine e d'incendi e d'ogni pubblico esizio alimen- tò : la quale anche nell'adunanza di ieri fu istigata a precorrere colla voce il vostro giudizio. Il cui grido, se per avventura si levasse, dovrebbe farvi av- visati a serbare quel cittadino che sempre tal sorte d'uomini ed i più grandi clamori per la vostra sal- vezza ha sprezzato. Laonde fatevi animo, o giudici : e se alcun timore avete, deponetelo. Imperocché se mai aveste potere di giudicare di buoni e forti per- sonaggi: se mai di benemeriti cittadini : se mai in- fine questo luogo ad uomini trascelti dagli ordini più illustri fu dato, ove co'fatti e colle sentenze verso i buoni e forti cittadini quel favor dichiarassero , che G.A.T.XCVIII. 10 l/^6 LETTERATURA cogli atti e colle parole avevano spesse fiate mani- festato : in questo tempo invero lutto questo potere avete voi per istabilire se noi , i quali sempre all'au- torità vostra fummo devoti , sempre miseri pianger dobbiamo travagliati a lungo da perdutissimi cittadi- ni: o da voi, dalla fede, dalla virtù, e dalla sapien- za vostra alla perfine una volta abbiamo ristoro. In fatto qual cosa, o giudici, può essere di noi due più travagliata? qual cosa più piena di angustie e di affanni può dirsi o immaginarsi, che condotti a' servigi della repubblica dalla speranza di amplissimi premi , senza timore di crudelissimi supplicii andar non possiamo? In vero io tenni sempre, che tutte le altre tempeste e traversìe in questi flutti delle adu- nanze dovesse sostenere Milone , perchè sempre coi buoni contro i malvagi aveva sentito: ma in un giu- dizio , e in quello stesso consesso nel quale i più chiari personaggi di ogni ordine giudicherebbero, non credetti mai che alcuna speranza sarebbero per avere i nemici di Milone, non solo per ispegnere la sua salvezza , ma ne anche la gloria per mezzo di tali uomini abbattere. Sebbene in questa causa, o giu- dici, del tribunato di T. Annio, e delle cose ope- rate da lui a salvezza della repubblica, per difenderlo da questa accusa non ci varremo, se voi cogli occhi vostri non vedrete le insidie fatte da Clodio a Mi- lone : né saremo per dimandarvi in grazia che que- sta colpa pe'molti e preclari meriti verso la repub- blica a noi condoniate : ne per chiedere che se la morte di Publio Clodio vi fruttò salvezza , vogliate piuttosto al valor di Milone attribuirla, che alla for- tuna del popol romano. Ma se le insidie di lui sa- ranno più chiare di questa luce, allora infine vi pre- MiLONiANA DI Cicerone i^j glierò e vi scongiurerò , o giudici , che se ogni al- tra cosa abbiamo perduto, questo almen ci rimanga, poter la vita dalle armi e dall' audacia de' nemici impunemente difendere. III. Ma prima che io venga a quella parte del mio discorso che è propria della nostra questione, mi pare che ribattere quelle cose si debbano che soven- te nel senato da' nemici, sovente da' malvagi sona state millantate, e poc'anzi ancora dagli accusatori nel parlamento; acciocché, tolto di mezzo ogni erro- re , la cosa che viene in giudizio nettamente cono- scer possiate. CONFUTAZIONE Dicono non esser lecito che veda la luce colui, il quale si confessa avere ucciso un uomo. E in qua- le città finalmente disputano di ciò stoltissimi uomi- ni ? In quella stessa, che il primo giudizio capitale vide in Marco Orazio personaggio fortissimo, il quale non essendo per anche libera la città, pure dai co- mizi del popol romano, mentre confessava di avere ucciso di propria mano la sorella, fu liberato. V'ha forse alcuno che ignori , che quando trattasi di un omicidio, o suole al tutto il fatto negarsi, o soste- nersi che giustamente ed a ragione fu adoperato? Se però non reputate dissennato Publio Affricano , il quale essendo malignamente interrogato in parlamento da Caio Carbone tribuno della plebe , che sentisse egli della morte di Tiberio Gracco, rispose parergli che a buon dritto fosse stalo ucciso: ne Aala Servi- lio, o Publio Nasica, o Lucio Opimio, o Caio Ma- rio , 0 (me console ) il senato stesso potrebbe non 1/^8 Letteratura aversi per iseellerato, se ai cittadini fosse colpa dar morto. Pertanto , o giudici , non senza cagione uo- mini dottissimi favoleggiando a memoria nostra man- darono , che colui il quale per vendicare il padre aveva morta la'rmadre, svariate essendo le opinioni degli uomini, non solamente per divina sentenza, ma sì per quella della dea più sapiente, fu liberato. Che se le dodici tavole vollero che il ladro notturno in qualunque modo impunemente fosse morto, il diurno poi se colle armi si difendesse: chi è colui che pensi un omicidio in qualunque modo sia fatto doversi pu- nire, quando vede che alcuna volta ad uccidere uà uomo dalle stesse leggi ci è posta in mano la spada? IV. Ma se v'ha tempo alcuno, in cui si possa a buon dritto uccidere un uomo ( che molti ve n'ha ) quello certamente è non solo giusto, ma necessario ben anche, quando colla forza si respinge la forza. Nell'esercito di Caio Mario un tribuno militare, pa- rente di esso imperadore, essendo per rapir l'onore a un, soldato, da quello slesso cui faceva violenza fu ucciso : perocché quell'onorato giovane volle meglio incontrare pericolo , che sostenere vergogna. E quel grand'uomo, lui scevro da ogni colpa, liberò da ogni pena. Ad un insidiatore poi e ad un assassino qual morte può essere ingiustamente recata ? E che le no- stre comitive, e che vogliono le nostre spade ? Le quali certo non saria lecito avere, se a niun patto fosse le- cito usarne. È adunque questa, o giudici, una legge non già scritta, ma nata: la quale noi non abbiamo appa- rala, ricevuta, letta, ma dalla stessa natura abbiamo portata, attinta, succhiata : nella quale non siamo slati ammaestrati, ma formati; non educati, ma imbevuti; ehe se la nostra vita nelle insidie, o nella forza, o fra MiLo:!?UNA m Cicerone t/^Cj l'armi degli assassini o dei nemici cadesse, sia onesia ogni via che allo scampo ne mena. Che le leggi in mezzo le armi si tacciono; ne d'essere aspettate co- mandano, quando chi voglia aspettarle un'ingiusta pe- na, prima di ripeterne una giusta, sostenere ne debba. Sebbene con molta sapienza e in certo modo ta- citamenle la legge slessa ne dà poterci difendere: la quale non solo di uccidere un uomo, ma di portare armi affitie di ucciderlo non ci divieta : onde non l'ar- mi, ma la cagion del portarle cercandosi, colui che a sua difesa dell'armi si valse non si giudica che per uccidere un uomo le avesse. Per lo che questo ri- manga fermo nella causa, o giudici: che io non du- bito provarvi la mia difesa, se vi ricordate ciò che di- menticar non potete, a buon dritto potersi ad un in- sidiatore dar iuorle. V. Segue ciò che assai di sovente dai nemici di iVIilone si dice, la strage, nella quale P.Clodio fu mor- to, essere stata riputata dal senato contro della repub- blica. Il senato però non solo co'suoi voti, ma ben anche con dimostrazioni di favore, l'ebbe approvata. In fatto quante volte è ella stata trattata quella causa da me in senato? con quanto consentimento di tutto l'ordine, ne già tacito, né occulto, trattata ? Quando mai, in pienissimo senato, quattro o al più cinque si trovarono che la causa di Milone non approvassero? Lo dichiarano quelle tramortite concioni di questo abbronzato tribuno della plebe (Tifo Munazio Fianco), nelle quali ogni giorno malignamente la mia potenza accusava, dicendo che il senato non ciò che egli sen- tiva, ma secondo il mio voler sentenziava; la quale invero se potenza chiamar si debba , anziché pei grandi servigi verso la repubblica una mediocre au- l5o LlTTKRATURl torità nelle cause dei buoni , o per le officiose mie fatiche alcuna grazia presso i buoni, si chiami pure così: purché di quella alla salule de'buoni, e contro il furore degli scellerati noi oi valgliiarao. Ma que- sto giudizio, sebbene ingiusto non sia, non fu pur inai inlenzion del senato che s'intavolasse: che v'erano leggi , v'erano giudizi e d'omicidio e di violenza : ne tanta tristezza e lutto nel senato la morte di P. Clo- dio metteva, che una nuova forma stabilir si dovesse. In fatto chi creder può che il senato, al quale la facoltà fu lolla di dare giudizio di quell' incestuoso stupro di Clodio, d'istituire un nuovo giudizio per la costui morte avesse pensalo ? Perchè dunque l'incendio della cuna, l'oppugnazion delle case di Marco Lepido, que- sta strage islessa il senato giudicò che contro la re- pubblica fosse commessa ? Perchè niuna violenza in libera citlà fu mai fra' cittadini portata, che contro la repubblica ancora non fosse. Non è invero a de- siderare giammai alcuna difesa contro la forza , ma qualche volla pur è necessaria : e quel giorno stesso nel quale Tiberio Gracco fu morto, o quello in cui fu morlo Caio, o quello in cui furono oppresse le ar- mi di Saturnino, sebbene il fossero dalla repubblica, nulladlmeno la repubblica stessa fu lacerala. VI. Per la qual cosa io stesso feci meco ragione, che l'omicidio commesso nella via appia essendo palese, colui che si era difeso non aveva contro la repubblica adoperato; ma avendovi avuto luogo la violenza e le insidie, riservava io al giudizio il delitto; il fatto disap- provava. Che se quel furioso tribuno avesse permesso al senato di condurre a fine l'intendimento suo , al presente alcuna nuova forma di giudizio noi non a- vremmo. Ch'egli decretava, che secondo le antiche leg- MlLONIVNA DI ClCEUONE l5l gì, ma solo straordinariamente, si procedesse. Fu di- lisa la sentenza a richiesta di non so chi: poiché non è necessario le colpe di tutti svelare; e così 1' altra autorità del senato per comperata opposizione fu tolta. Ma Gneo Pompeo colla sua proposta giudicò e del fatto e della cagione, e propose che si deliherasse del- l'omicidio nella via appla avvenuto, nel quale P. Clo- dio era stato morto. Che cosa adunque propose ? Ap- punto che si procedesse. Perchè si doveva procedere? Per sapere se il fatto era stalo commesso ? E mani- festo. Da cui ? è palese. Vide adunque che, anche con- fessando il fatto, la difesa del diritto può prendersi : che se non avesse veduto potersi assolvere colui che confessa, veggendo che noi confessiamo non avrehhe mai comandato che si procedesse: ne tanto questa let- tera salutare ne'gluJizi, quanto quella funesta, avrebbe a voi dato. A me poi sembra clie Gneo Pompeo non solo non abbia giudicato cosa alcuna contro Mllone, ma ben anche abbia fermato a che fine nel giudicarlo voi dobbiate mirare. In fatto colui che al reo confesso non pena ma difesa accordava, certo non doversi ricer- car sulla morie, ma sulla cagion della morte, pensava. Ed egli stesso oggimai vi dirà se questo ch'ei fece ab- bia fatto di sio volere in grazia di Clodio, o della condizione de tempi. VII. Un nobilissimo personaggio difensor del se- nato, e quasi di que'tempi proteggitore, zio di que- sto nostro giudice, uomo fortissimo Marco Catone , Marco Druso ribuno della plebe in sua casa fu mor- to. Sulla morte di lui non si consultò punto il po- polo, ninna foima di giudizio fu dal senato decre- tata. Quanto litio non fu egli in questa città, co- me dai padri rostri abbiam sapulo , quando a Pu- i52 Letteratura blio Affricano, che nella propria casa dormiva, fu re- cala quella notturna violenza ? Cbl allor non ne pian- se ? Chi non arse di sdegno ? Veggendo che di tal uomo, cui, se fosse stato possibile, tutti avrebbero desiderato immortale, non si era neppure la naturai morte aspettala ? Forse adunque fu proposto alcun giu- dizio per la morte deirAIiVicano ? Certo che no : e come mai ? Perchè con eguale delitto i chiari e gli oscuri uomini a morte son messi : la differenza fra la dignità della vita del sommi e degli infuni passa; ma la morte recata per iscelleraggme alle medesime pene e alle medesime leggi è tenuta. Se non vogliam dire più parricida colui che uccise il padre uom cou- solare , che colui che in umile stalo Tuccise : o se perciò la morte di P. Clodio è più atroce , perchè ne' monumenti de' suoi antenati fu ucciso; cosa che da costoro si va sovente dicendo : quasiché quell'Ap- pio Cieco lascialo avesse codesta strada non ad uso del popolo , ma perchè impunemente i suoi posteri vi ladroneggiassero. , Pertanto in codesta medesima via appia avendo P. Clodio ucciso un ornatissimo cavatere romano , M. Papirio, quella colpa da punire n^n fu , perchè un uomo nobde fra i monumenti de' suoi maggiori avea morto ! Ora il nome di questa flessa via appia quante tragedie non ci ridesta? Quela, che da pri- ma nella strage di un onorato ed iniocente cittadi- no insanguinata faceva, quella stessa ora sovente va per le bocche di tutti, dappoiché il langue di un as- sassino e di un parricida si bevve. Ma a che quelle cose io rammmto ? ISel tem- pio di Castore fu colto un servo di P. Clodio, che egli per uccidere Gneo Pompeo vi iveva appostato. MiLONiANA DI Cicerone i53 Mentre confessava, gli fu dalle mani strappato il pu- gnale. Pompeo si astenne in appresso dal foro, si asten- ne dal senato, si astenne dal pubblico: colle porte e colle pareti, non colla ragione delle leggi e dei giu- dizi, si difese. E quale proposta fu fatta ? Qual nuo- vo giudizio fu decretato ? Ma se vi fu mai circostan- za, ma se mai vi fu uomo, se tempo alcuno da ciò, certamente in quella causa tutte queste ragioni erano al sommo. L'insidiatore era slato appostato ; si ten- tava dar morte a quel personaggio, nella vita del qua- le la salvezza della città riposava : in quel tempo del- la repubblica , nel quale se egli solo fosse caduto , non questa città soltanto, ma tutte le genti con lui sarebber cadute. Se a dire non fosse, che Tattentato non era da punire perchè effetto non ebbe : quasi- ché le leggi gli umani fatti e non i disegni dovesser punire. Fu meno a dolere che la trama non riuscis- se, non però al certo da non punire. Quante volte io stesso, o giudici, dalle armi di Clodio e dalle in- sanguinale sue mani non mi sottrassi ? Dalle quali se la mia o la fortuna della repubblica non mi aves- se campato , chi mai per la mia morte un giudizio avrebbe proposto ? Vili. Ma stolli siamo noi, che Druso, e l'Affri- cano, e Pompeo, e noi slessi osiamo porre con Clodio. Que' mali furono tollerabili: la morte di P. Clodio ninno di buon animo può comportare. Piange il se- nato, si duole l'ordine equestre, tutta la città è ri- finita dalla tristezza : sono squallidi i municipii, af- flitte le colonie, i campi stessi infine un sì benefico, un sì mansueto e salutar cittadino desiderano. Non fu questa, non fu questa cagione, o giudici, perchè Pompeo riputasse dover proporre tale giudizio : ma i54 Letteratura quell'uomo sapiente, e dotato di alto e quasi divino intelletto , molte cose ben vide. Colui gli era stato nemico, amico Milone: or se nella comune letizia di lutti egli pure godesse, temette non avesse a sembrar poco sincera la fede della riconciliazione. Molte al- tre cose ancor vide: ma questo principalmente, che sebbene egli avesse troppo severa legge proposto, tut- tavia voi da forti avreste alla fin giudicato. Pertanto daTioritissimi ordini il fiore Irascelse : né, come alcu- ni vanno dicendo, nella scelta de'giudici disceverò i miei amici : che quell'uomo giustissimo a questo non pensò, e scegliendo personaggi dabbene, ancorché l'a- vesse desiderato, non l'avrebbe potuto conseguire. Im- perocché il favore che io ho non si restringe alle fa- migliarità, le quali a molti non si possono stendere, dappoiché con molti aver non si può comunanza di vita : ma se alcuna cosa possiamo, per ciò la possia- mo, che la repubblica ci congiunse coi buoni, dai qua- li avendo egli trascelto gli ottimi ( cosa che egli pen- sava essere principalmente della sua lealtà ) non eleg- gea persona che a me alfezionata non fosse. Nel voler poi che tu, o Lucio Domizio, a que- sto giudicio presiedessi, altro egli non mirò, se non alla giustizia, alla gravità , all' umanità , alla fede. Ordinò che dovesse essere un uom consolare, cred'io, perchè egli debito de'primari cittadini teneva, alla leg- eerezza della moltitudine e alla temerità dei ribaldi resistere. Creò poi te fra tutti i consolari , perché fino dagli anni tuoi giovanili quanto tu le furie po- polari pregiassi a luminose prove avevi mostrato. X. Laonde, o giudici (per venire una volta alla causa e all'accusa), se ogni confessione del fatto non è inusitata , né della causa nostra il senato giudicò MiLONiANA DI Cicerone r55 altrimenti da quello che noi volevamo: e l'autore stes- so della legge, non essendovi alcuna controversia sul fatto, volle che del diritto si disputasse, e giudici fu- rono eletti, e dato a questo giudizio chi presiedesse, e con sapienza e giustizia tutte le cose disaminasse; ri- mane, o giudici, che null'altro dohhiate cercare se non ehi dei due aJjbia posto all'altro le insidie. La qual cosa acciocché più agevolmente dagli argomenti co- noscer possiate, io brevemente così com' è avvenuta l'espongo: e voi di grazia attentamente ascollale. NARRAZIONE. P. Clodio avendo deliberato con ogni scellerag- gine nella pretura tribular la repubblica, e veggendo così essere protratti nell'antecedente anno i comizi, che pochi mesi potrebbe tenerla, come quegli che non al grado di onore, siccome gli altri, guardava, ma e voleva scansare di avere a collega Lucio Paolo cit- tadino di singolare virtù, e cercava un anno intero a dilacerar la repubblica, subitamente lasciò Tanno suo, ed al vegnente appresso riportossi , non per alcuna religione, ma per avere, com'egli stesso diceva , un anno pieno ed intero da esercitar la pretura , cioè da sovvertir la repubblica. Gli si faceva innanzi, che manca e debole la sua pretura andrebbe essendo con- sole Milone : vedea quindi, lui fatto console con som- mo consentimento di tutto il popol romano. Si mi- se perciò fra i suoi competitori, ma sì che egli solo tutta la petizione anche a mal grado loro regges- se ; talché egli andava dicendo che tutti i comizi sugli omeri suoi sosteneva. Convocava le tribù : vi si metteva di mezzo : colla feccia de'più perduti citta- i56 Letteratura dini una nuova collina formava : e quanto più egli travasava, tanto più questi ogni giorno si rafferma- va. Quando costui, clic era presto ad ogni ribalderia, vide certissimamente console un fortissimo personag- gio a lui giurato nemico ( e ciò conobbe non solo dai discorsi cbe andavano, ma -gli fu cliiaro sovente pei suffragi del popolo romano) calò la maschera, e cominciò a dn-e apertamente che bisognava uccidere Milone. Avea condotti dall'apennino selvaggi e bar- bari servi, coi quali avea dato guasto alle selve pub- bliche e travagliata l'Etruria ; voi li vedevate, la cosa non era più oscura; ch'egli scopertamente diceva non potersi togliere il consolato a Milone, ma ben poter- si la vita. Questo manifestò sovente in senato, que- sto disse in parlamento : che anzi Favonio, fortissi- mo personaggio, avendolo dimandato con quale spe- ranza vivo Milone imperversasse cotanto, rispose che fra tre o quattro giorni egli più non sarebbe. 11 che Favonio riferì subito a questo Marco Catone. X. Infrattanto sapendo Clodio ( e non era dif- ficile a sapere ) che Milone prima del venti di gen- naio dovea fare un viaggio solenne, legittimo e ne- cessario a Lanuvio per crearvi il flamine ( perciocché Milone era dittatore di Lanuvio), il giorno innanzi partì d'improvviso da Roma, per porre, come in fatto mo- strò, agguati a Milon'e davanti al suo fondo: e parii lasciando una turbolenta adunanza tenuta in quell' islesso giorno, nella quale il suo furore si ebbe a de- siderare: né mai, se non per cogliere luogo e tempo al suo misfatto, l'avrebbe lasciata. Milone però essendo stato quel giorno in senato finche si fu sciolto, tornò a casa, mutò calzari e ve- sti, si trattenne alcun poco finché la moglie, come MiloniAna di Cicerone iSt avviene, si assettasse : poi a larora si partì, che se CloJio in quel giorno avesse avuto animo di venire a Roma, ben vi poteva tornare. Gli si fa incontro Clodio, alla spedila, a cavallo ; non cocchio, non treno, non compagnia di greci, come usava: senza moglie, cosa che non era quasi mai ; e questo insidiatore, ch'erasi posto a quella via per farvi strage, veniva in cocchio, colla moglie, immantellato, con grande seguito di ser- vi, e con delicato e muliebre corteggio di ancelle e di paggi. Si abbatte in Clodio dinanzi al suo podere sul fare dell'ora undecima, o non molto dopo. Ec- coti che dall'alto molti armati gli si avventano so- pra, e que'che stanno di fronte gli uccidono il coc- chiere. Milone gitla il mantello, balza di cocchio e si difende gagliardamente. Quelli che erano con Clo- dio metton mano alle spade, parte corrono al cocchio per assalire Milone alle spalle , parte oredendol già morto se la prendono coi servi che erano appresso rimasi ; fra i quali coloro che animo sicuro avevano e fedele al padrone , parte furono uccisi : parte ve- dendo accesa la zuffa attorno il cocchio, ne polendo giovar d'aiuto il padrone , anzi udendo che egli era stato morto da Clodio, e credendolo; servi com'erano di Milone (e io il dico non a discolpa, ma perchè av- venne così ), senza comando, senza saputa o presenza del padrone, fecero quello che ciascuno avrebbe vo- luto che i propri servi in tal frangente facessero. CONTEINZIONE. XI. Queste cose, o giudici, così come io le ho esposte sono avvenute : l'insidiatore fu superalo , la i58 Letteratura forza dalla forza fu vinta, o piuttosto dal valore op- pressa l'audacia. Non dico qual prò ne sia venuto al- la repubblica, e a voi e a tutti i buoni. Questo nulla giovi a Milone, il quale nacque a tal destino, di non potere se stesso salvare, senza salvare insieme la re- pubblica e voi. Se egli noi poteva a diritto, io non ho come difenderlo; ma se la ragione ai savi, la ne- cessità ai barbari, il coslume alle nazioni, la natura stessa alle fiere prescrisse, sempre a tutto potere ogni violenza dalla persona, dal capo, dalla vita respingere: voi non potete giudicare ingiusta quest'azione, se in- sieme non giudicate, che quanti cadono nelle mani degli assassini, o per le armi di quelli o perle vo- stre sentenze denno perire. Il che se egli avesse pen- sato, certamente era più desiderabile cosa a Milone offrire la strozza a P. Clodio, cui non una volta, ne allor per la prima aveva appuntato il pugnale , che esser morto da voi, perchè da lui non si lasciò tru- cidare. Che se niuno di voi è di questo avviso, re- sta ora a giudicare, non se sia stato ucciso ( che il confessiamo ), ma se a ragione o a torto: il che già in molte cause sovente fu ricercato. È chiaro che fu- rono fatte insidie; ed è ciò che il senato giudicò fatto contro alla repubblica. Da chi dei due siano state fatte, non è ben manifesto. Di questo adunque fu ordinato che ricercare si debba. Per tal maniera il senato con- dannava il fatto, non la persona: e Pompeo intorno al diritto, e non intorno al fatto, un giudizio ordinava. XII. Forse adunque non cade altro in esame se non chi dei due abbia poste le insidie ? Certo nuli' altro : perchè se questi a quello, non vada impunito: se quegli a questo, noi siamo assoluti. In qual guisa adunque provare si può, che Clodio fé' insidie a Mi- MiLONiANA DI Cicerone iSg Ione ? Basta provare che a quell' audacissima e scel- leratissima bestia, grande cagione, grande speranza , grande utilità la morte di Mllone porgeva : però in tali persone valga quel detto di Cassio : A chi sia tornato meglio; sebbene i buoni per niun guadagno si danno alla frode, i tristi sovente per poco. Ma Clo- dio, morto Mllone, conseguiva non solo di essere pre- tore fuor del consolato di lui, sotto il quale non a- vrebbe potuto alcuna scelleragine commettere : ma di esser pretore sotto tali consoli , i quali se non gli avessero dato mano, avrebbero chiuso un occhio, ed egli sarebbe venuto in isperanza di eludere la repub- blica in quelle sue premeditate furie ; né gli atten- tati di lui, com'egli avvisava, potrebbero reprimer se il desiderassero, tenendosi a lui di così gran benefi- cio debitori : ed ancorché lo volessero, forse tentereb- bero invano di fiaccare l'audacia di uu uomo scelle- ratissimo ornai rinvigorita dal tempo. Forse, o giudici, voi soli ignorate, voi soli siete novelli in questa città, le vostre orecchie vanno pe- regrinando , e non sentono quello che ad una voce si parla, quali leggi ( se leggi si debbon chiamare, e non faci della città, pesti della repubblica ) egli fosse per imporre, anzi per imprentare a noi tutti ? Mo- stra di grazia, o Sesto Clodio, mostra quel codice di vostre leggi, che dicono aver tu rapito di casa, e per mezzo le armi ed il notturno trambusto aver portato come Palladio, perchè fosse bellissimo dono ed istru- mento al tribunato di qualcuno, se alcuno trovar po- tevi che a tuo talento il tribunato reggesse (i). « E (t) Questo luogo è stato assai convenientemente supplito dal celebre prof. Peyroa: ed io l'ho recato in mezzo alPorazione al luogo designato. i6o Letteratura » qui potendo io citare moltissime leggi fuor d'ogni » ragione ed equità ritrovate, una soltanto ne espor- » rò, o giudici, saggio e fondamento delle altre. Che » egli volendo maggiori suffragi alle sue leggi, mag- » giori armi alle rapine acquistare, aveva stabilito che » ai servi, i quali manomessi per privata volontà de' » padroni si viveano liberi, fosse data piena libertà » e cittadinanza romana , e per lo stesso diritto il )) suffragio nelle tribù rusticane. Forse ch'egli di que- » sta legge, della quale Clodio inventore si vantava, » avrebbe ardito far parola, vivo Milone, e non dirò M io console ? Di noi tutti poi non oso pienamente » parlare. Vedete quanto dannosa quella legge riu- » scita sarebbe, se non è senza pericolo il sol ricor- » darla. » E mi guardò con quegli occhi stessi, con cui soleva a tutti minacciare minacce. Veramente mi muove lo splendor della curia. Che ? pensi tu, o Sesto Clodio, che io sia adi- rato con te, con te che hai punito un mio inimicis- sirao assai piìi crudelmente che non era della mia uma- nità domandare ? Tu 1' insanguinato cadavere di P. Clodio cacciasti fuor di casa; tu lo gittasti sulla pub- blica via ; tu senza esequie, senza immagini , senza pompa, senza lodi, mezzo arso da infelicissime legna, pasto dei cani notturni tu lo lasciasli. Per la qual cosa sebbene nefariamente adoperasti, pure dappoiché in un mio nemico la tua crudeltà disbramasli, lodar non ti posso, sdegnarmi al certo non debbo. XIII. « Avete udito {i),o giudici, quanto a Clo- » dio la morte di Milone tornasse proficua : ora vol- (i) Qui pure era una lacuna, la quale dal prelodato profes- sore Peyron fu empiuta col sussidio de'codici antichi. MiLONiANA DI Cicerone i6i » gete l'animo dall'altra parte a Milone. Oual prò ne » veniva a Milone che fosse morto Clodio? qual era- » vi ragione, per la quale, non dirò dovesse farlo, ma » desiderarlo? Ostava Clodio a Milone nella speranza » del consolato. Ma a suo dispetto ei l'otteneva: anzi » tanto meglio Tolleneva; né gli era io miglior fau- » tore che Clodio. Valeva presso voi la memoria dei » meriti di Milone verso me, verso la repubblica: va- » levano le preghiere e le lagrime nostre, dalle quali » ben conosceva che voi eravate mirabilmente com- )/ mossi : ma molto più valeva il timore de'sovraslan- » ti pericoli. » E qual cittadino vi aveva, che la sfre- nala pretura di Clodio senza grandissimo timore di novità si proponesse ? E vedevate che sarebbe stata sfrenala, se non vi fosse tal console che ardisse e po- tesse infrenarla. Conoscendo tutto il popolo romano che Milone solo era da ciò, chi sarebbe stato in forse di liberar col suo voto se dal timore, la repubblica dal pericolo ? Ma ora, tolto P. Clodio, egli ornai per gli usati mezzi la propria dignità debbe cercar di di- fendere. Quella singoiar gloria a quest'uno concessa, la qual ogni dì piìi col rintuzzare le furie clodiane accrescevasi , ora per la morte di Clodio gli venne meno. Voi avete conseguito di non temere più citta- dino alcuno: questi l'esercizio della virtù, i suffragi del consolato , la fonte perenne della sua gloria ha perduto. Pertanto il consolato di Milone , che vivo Clodio non poteva abbattersi, morto alla fine inco- minciò a piegare. ]Non solo adunque non giova, ma ben anche la morte di Clodio nuoce a Milone. Ma prevalse l'odio, vinse l'ira, operò da nemi- co, volle vendicarsi dell'ingiuria, punirlo del suo do- lore. E che se io dico, che queste cose non solo fu- G.A.T.XCVIII. II i62 Letteratura tono in Clodio maggiori che in Milone, ma che in colui al sommo, in costui punto non furono? Volete di più? Avrebbe egli Milone odiato Clodio, campo e messe della sua gloria, fuor di quelTodio citladino, con che noi odiamo tuUi i malvagi? Doveva colui bene odiare il primo difensore della mia salvezza, il primo infrenatore delle sue furie, d domatore delle sue armi, in fine anche il suo accusatore: perchè Mi- lone accusò Clodio, finche visse, di legge plozia vio- lata. E come credete voi che il tiranno comportasse questo? quanto credete che fosse l'odio suo, e quanto anche giusto, in un uomo si ingiusto? XIV. Resta ora che lui difendano e la natura e 1 costumi, e che le slesse cose in accusa di questo ri- tornino. Nulla Clodio fece mai per violenza: tutto per violenza fece Milone. Che dunque, o giudici ? quan- do 50 partiva di Roma con vostro dolore, non ebbi IO forse a temere un giudizio? non servi, non armi, non violenze? Quale fu adunque giusta ragione del richiamarmi, se ingiusta non fosse slata dello sban- diruii? Mi aveva, creJo io, citalo in giudizio, impo- sta una multa, data querela di perduelle. E in questa causa, o giudici, o cattiva per voi, e non bellissima per me, doveva io temere un giudizio? Contro l'armi di servi e di mendichi e di facinorosi il petto de' miei cit- tadini, salvati co'miei consigli e pericoli, esporre io non volli. Io vidi co' miei occhi questo stesso Quinto Or- tensio, lume ed ornamento della repubblica, essere quasi morto da una mauo di servi perchè a me fa- voriva: e in quel tumulto Caio Vibieno senatore, ot- timo personaggio, che era con lui, esser così malconcio da perderne la vita. E quando mai riposò quel pu- MiLONiANA DI Cicerone i63 gnale che egli da Gatilina avea ricevuto? Questo fu appuntato al mio petto: a questo io non patii che voi per me vi esponeste: questo insidiò la vita a Pompeo: questo la via appia, monumento del suo nome, insan- guinò colla strage di Papirio: questo, questo medesimo dopo lungo intervallo di nuovo contro me si rivolse, e, come voi sapete, presso la reggia non ha guari quasi fu per finirmi. Che fece di somigliante Milone? Tutta la vio- lenza del quale fu sempre questa, che non potendo- si Clodio strascinare in giudizio, almeno colle vio- lenze oppressa la città non tenesse. Cliè se lo avesse voluto uccidere, oh! quante e quante belle occasioni, e quante volte gli si erano offerte! Non poteva egli prenderne giusta vendetta, quando difendeva la casa ed i suoi dei penati da costui assalili? non poteva egli quando quell'egregio e forte cittadino di P. Se- stio suo collega vide ferito ? Non poteva egli quan- do, vinto Fabricio ottimo personaggio che portava la legge del mio ritorno , fu cacciato, e commessa nel foro crudelissima strage ? Ben lo poteva quando co- stui strinse d' assalto la casa di Lucio Cecilio giu- stissimo e fortissimo pretore : in quel giorno, in cui fu fatta legge per me , quando il concorso di tutta l'Italia, risvegliata all'avviso della mia salvezza, volen- tieri di quel colpo avrebbe riconosciuto la gloria : che sebbene fosse di Milone, pure tutta la città se ne sarebbe appropriato l'onore. XV E qual tempo fu quello mai? Era console P. Lentulo, chiarissimo personaggio e fortissimo, ne- mico di Clodio, vendicatore di quel misfatto, difen- sore della vostra volontà, sostenitore di quel pubbli- co consenso , restitutore della mia salute : v' erano i64 Letteratura sette pretori e otto tribuni della plebe, avversari di Clodio, miei difensori. Gneo Pompeo, primo autore del mio ritorno, nemico di lui, la sentenza gravis- sima ed onorevolissima del quale intorno la mia sal- vezza fu da tulto il senato seguita, egli esorlò il po- pol romano, egli fece a Capua il decreto , egli die il segno a tutta l'Italia, che in desiderio a lui levava le mani , accioccliè tutti in Roma per richiamarmi concorressero. Tutti i cittadini infine ardevano d'o- dio contro di lui per la mia lontananza: e se alcu- no allora ucciso lo avesse, non dell'impunità, ma del guiderdone si sarebbe trattalo. Nulladimeno Milone si contenne, e Clodio due volle chiamò in giudizio, all'armi non mai. Che più? Essendo Milone uscito di magistrato, ed accusato da Clodio dinanzi al popolo, mentre Gneo Pompeo per lui arringava, gli fu fatto impeto contro. E non era quella non solo occasione, ma bella cagione, di oppri- merlo? E quando, non lia molto, M. Antonio nobi- lissimo giovane, somma speranza a lutti i buoni, re- cava e sopra se una parte importantissima della re- pubblica pigliava, tenendo accalappiata quella bestia il che ai lacci del giudizio sfuggiva, qual luogo, o dei immortali, qual tempo non quello era ! Quando egli erasi rifuggilo sotto il buio delle scale , era forse di tanto affare a Milone sterminar quella peste senza alcun suo danno, e con grandissima gloria di Anto- nio ? E quante volte noi poteva egli ai comizi nel campo? Quando costui di forza nello steccato gitta- vasi, faceva brandire le armi, scagliar pietre, poi su- bilo atterrito alla vista di Milone al Tevere riparava, e voi e lutti i buoni facevate voti, perchè a Milone far prova del suo valore piacesse. MiLONiANA DI Cicerone i65 XVI. Colui adunque, che col favore di tutti uc- cider non volle, lo volle poi con richiamo di alcuni? Colui che a ragione, a luogo, a tempo, a man salva non si ardi mettere a morte, non dubitò poi a tor- to, in mal punto, fuor di luogo, con pericolo della vita trucidare? Principalmente, o giudici, essendo vi- cina la gara del più alto onore, e il giorno dei co- mizi , nel qual tempo (e so ben io quanto sia ti- mida l'ambizione, quanto grande ed inquieta la bra- ma del consolato ) non solo di quelle cose che pos- sono essere apertamente disapprovate temiamo, ina di quelle ancora che in segreto pensare si ponno: una voce, una favola finta. e da nulla, ci fa tremare: la bocca e gli occhi di tutti guardiamo: che non avvi cosa alcuna tanto molle, tanto delicata, ne tanto fra- gile o mutevole , quanto la volontà e 1' affetto de' cittadini verso di noi; i quali non solo della malva- gità dei candidati si adirano, ma delle cose ben fatte ancora soventi volte si sdegnano. Questo giorno adunque sperato e desiderato del campo a Milon proponendosi, egli con insanguinate le mani e dinanzi dalla fronte il suo delitto mettendosi, confessando la sua fellonia, a quegli augusti auspicii delle centurie veniva? Chi potrà credere tal cosa in tal uomo? chi dubitarne in Clodio , il quale di re- gnare ucciso Mi Ione pensavasi? E chi non sa, e que- sto è il sommo dell'audacia, o giudici, e chi non sa che grande allettamento a mal fare è la speranza del- l'impunità? In chi dei due adunque fu questa? in Mi- lone ? Il quale anche al presente è accusato d' un fatto o nobilissimo o certamente necessario ? 0 in Clodio, che tanto i giudizi e le pene sprezzò da non dilettarsi di cosa che non fosse o illecita per natura, o dalle leggi vietata? l66 Letteratura Ma a che argomento io? a che più innanzi ora disputo? A te, o Qninlo Petilio ottimo e fortissimo cittadino, io mi volgo, te chiamo in testimonio, o M. Catone, che una quasi divina sorte a giudici mi die- de: voi da M. Favonio udiste, Clodio avergli detto (e vivo Clodio l'udiste) che Milone fra tre giorni mor- rebbe. Dopo tre giorni il fatto come aveva detto av- venne. Se egli di aprire i suoi pensieri non dubitò: di ciò che egli abbia fatto potrete voi dubitare ? XVII. Come adunque non gli fallì il giorno? Vel dissi poc'anzi. E non era gran fatto sapere, che in quel dì i sacrifizi del dittatore di Lanuvio erano sta- biliti. Vide che Milone dovea partire per Lanuvio in quello slesso giorno in cui partì, e però lo prevenne. Ma in qual giorno? In quello slesso in cui, come ho detto da prima, fu tenuta una furiosa adunanza con- citata da quel suo mercenario tribuno della plebe: il qual giorno, la quale adunanza, il qual tumulto egli lascialo giammai non avrebbe se non per correre al meditato delitto. Non avea dunque alcuna ragion di partire, si bene assai di rimanersi. Milone non po- lca rimanere : e dell'andare, non solo buona ragione, ma necessità lo stringeva. E che direste se là dove Clodio conosceva che a tal giorno Milone si porrebbe in via, Milone non po- tè pur sospettarlo di Clodio ? Domando io in prima, come lo polca sapere: la qual cosa voi non mi potete ugualmente dimandare di Clodio. In fatto se non ne avesse richiesto alcun altro, tranne T. Patina suo fa- migliarissimo, polca sapere che in quello slesso gior- no da Milone dittatore in Lanuvio il flamine crearsi doveva. Ma v'avea ben di molli altri, dai quali gli era agevolissimo saperlo: cioè da tulli i lanuvini. Mi- MiLONiANA DI Cicerone 167 Ione onde cercò del ritorno dì Clodio? E n'abbia pure cercalo. Vedete quanto io sia a voi liberale ! Abbia an- cora, come disse Q. Arrio amico mio , corrotto un servo. Leggete le testimonianze de' vostri testimoni. Caio Cassinio Scola da Terni, intimo compagno di Clodio, a testimonianza del quale non ha guari Clodio era stato nell'ora medesima a Terni ed a Roma, disse cbe Clodio in quel giorno nell'Albano sarebbe rima- sto, se d'improvviso non gli fosse stato arrecato che Ciro architetto era morto: per lo che stabilì subito tornarsene a Roma. La stessa cosa Caio Clodio, com- pagno di Publio, asseriva, XVIII. Vedete, o giudici, quante cose per queste testimonianze in chiaro si mettono. Prima , Milone certamente è fuori di sospetto d' essere partito col tlivisamento di porre insidie a Clodio fra via, perchè assolutamente non poteva incontrarlo : poi ( che io non vedo per qual cagione io non debba qui trat- tare anche la mia causa) voi ben sapete, o giudici, che vi furono alcuni, i quali nel persuadere al popolo questa legge dicevano, che l'omicidio per mano di Mi- lone, ma per consiglio d'alcun altro maggiore era stato commesso: e me questi uomini perduti e vili assassino e sicario accennavano. Costoro per opera degli stessi lor testimoni si giacciono, i quali dicono che in quel dì Clodio, se non avesse avuta novella di Ciro, a Ro- ma non sarebbe tornato. Respiro, sono al sicuro; né temo cbe sembri che io avessi meditato ciò, che non potea neppure entrarmi in pensiero. Ora seguirò il resto : perchè ci si affaccia questo: « Dunque neppur Clodio alle insidie pensò, se nell'Al- bano egli era per rimanersene ». Verissimo: se dalla villa muovere alla strage non avesse potuto. E ben i68 Letteratura vedo che colui, cbe dicono la morte di Ciro avergli re- cata, di ben altra novella fu apportatore. Egli recò che Milone appressava. In fatto che doveva egli annun- ziare di Ciro , cui Clodio al suo partire da Roma moribondo aveva lasciato ? Io era con lui : insieme con Clodio suggellai il testamento; il testamento poi era stato fatto apertamente, e lui e me eredi lascia- va. L' avviso adunque finalmente gli si portava che colui , il quale nel giorno innanzi sul far dell' ora terza aveva in agonia lasciato, all'ora decima del dì appresso era di questa vita trapassato. XIX. Ma sia pure così. Che bisogno v'era di cor- rere a Roma ? Perchè mettersi in cammino di notte ? d'onde cotanta fretta ? Perchè era erede ? In prima, questo alcuna fretta non dava : e quando anche aves- se avuto a sollecitare, che cosa vi era che egli con- seguire in quella notte potesse, perdesse poi se fosse alla dimane venuto ? E com'egli dovea piuttosto evi- tare che cercare di venire a Roma in tempo di not- te, così a Milone , se fosse slato insidiatore , sapen- do ch'ei sarebbe giunto di notte metteva meglio fer- marsi ed appostarlo. Di notte , in luogo insidioso e pieno d'assassini, l'avrebbe morto : ninno si sarebbe trovato che non gli avesse credulo, se fosse stato sul niego: mentre tutti, anche ora che confessa, il voglion salvo. La colpa in prima quel luogo stesso, nascon- diglio e ricetto d' assassini , avrebbe portata : né la muta solitudine indizi avria dato , né la cieca not- te Milone avrebbe scoperto. In sospetto poi molti da lui violati, spogliati, cacciati de' propri beni , caduti sarebbero : anche molti che di ciò pur temevano : tut- ta in fine l'Etruria come rea sarebbe slata citata. E in quel giorno al certo tornando Clodio da Aricia, MiLONiANA DI Cicerone 169 sì fermò nella sua villa in Albano. La qual cosa an- corché Milone non sapesse, nulladimeno dovea sospet- tare che tornando a Roma da Aricia, per poco alla sua villa, che era sulla strada, ei piegherebbe. Perchè non gli si facea innanzi prima che egli nella villa si fermasse? e in quel luogo, dove egli di notte sarebbe arrivato, non lo aspettava? Ben vedo, o giudici, che ogni cosa fin qui è chiara; a Milone essere anche utile che Clodio vivesse: a Clodio per conseguir le sue brame essere la morte di Milone desideratissima : V odio di colui contro questo essere stato acerbissimo; niun odio di questo contro colui: perpetua consuetudine di quel- lo essere stato, fare violenza; di questo, soltanto respin- gerla: da colui in limata la morte a Milone e pubbli- camente predetta: nulla di questo essersi udito giam- mai da Milone ; il giorno della partenza di questo esser noto a colui, a questo ignoto il suo ritorno: l'an- data di questo necessaria; di quello anzi svantaggiosa che no: questi aver detto innanzi, che egli di Roma in quel dì partirebbe: colui il giorno in che tornereb- be avere dissimulato: questi non aver punto cangiato d'avviso; quegli per cangiare aver trovato pretesto; a questo, se fosse stato insidiatore, metteva conto di not- te vicino a Roma aspettarlo: a quello, sebbene di ciò non temesse, pure l'appressarsi a Roma di notte do- veva metter timore. XX. Veggiamo ora ciò che è il punto principale: quel luogo stesso, dove vennero alle mani, a chi dei due per gli aguati più acconcio tornasse. Ed è an- cora da dubitare, o giudici, e da pensare più oltre? Innanzi al fondo di Clodio, nel quale per quelle sue pazze e smodate fabbriche (i) possono facilmente un (i) Ho aggiunto l'epiteto smodate, perchè si couliene nella pa- rola substructio. 170 LETTERATUnA mille gagliardi fanti appiattarsi , in quel rialto di luogo così aperto potea sperare Milone di uscir con vantaggio, e per questo appunto principaltnente all'assalto lo aveva prescelto ? O egli è stato piuttosto aspettato da Clodio in questo luogo istesso, a fidan- za del quale avea determinalo assalirlo? La cosa di per se parla, o giudici; e questo è pur sempre as- saissimo. Se voi non udiste questo fatto, ma sì lo vede- ste dipinto, certo vi correrebbe agli occhi qual dei due fu l'insidiatore, qual non ebbe pensiero a mal fare, mentre l'un di essi in cocchio, manlellato e con accan- to la moglie veniva. Qual cosa gli era di maggiore im- paccio? Il vestito, o il calesse, o la compagna? Qual foggia meno adatta alla zufia ? Egli chiuso nel manto, egli impaccialo nel cocchio, egli quasi dalla moglie incatenato. Vedete ora colui che improvvisamente esce primo dalla villa. E perchè ? S' appressa la sera. Che duopo ha d'avviarsi a tal ora? E usato partirsene tardi. Come gli conviene, specialmente in tal tempo? Torce alla villa di Poiupeo. Per vedervi Pompeo? Sapeva che egli era in quel d'Alsio. Per osservare la villa? Vi era sialo le mille volte. Che dunque era questo? Indugiare, prender tempo. Finché Milone giungesse, egli il campo abbandonare non volle. XXI. Orsù, la speditezza di questo assassino co- gl'impedimenli di Milone paragonate. Colui per lo passato sempre con la moglie, ora senza; sempre in cocchio, ora a cavallo : in ogni dove co'suoi grecastri, anche allorquando agli accampamenti di Etruria move- va, ora di queste frasche nulla. Milone, che mai noi soleva, allora per caso i musici della moglie e una greg- gia d'ancelle conduceva con seco. Colui che sempre avea donne, sempre fanciulli, sempre laidezze, ora niun MiLONiANA DI Cicerone 171 allro se non uomini che diresti ad un per uno trascelti. Perchè adunque fu vinto? perchè non sempre il vian- dante è ucciso dall'assassino, ma talvolta l'assassino dal viandante: perchè sebbene Clodio ben provvisto al- la sprovvista il coglieva, pure era una femminetta a ma- no d'uomini venuta. Né poi Milone era mai sì poco guardato, che ab- bastanza noi fosse. Avea sempre in mente quanto a Clodio importasse che egli perisse ; sapeva quanto 1' odiava , e quanto era audace : sapeva che la sua vita era esposta a gravissime taglie, e quasi venduta; e però non mai senza difesa e guardia la cimentava. Aggiungi i casi, aggiungi gl'incerti eventi dell'armi, e Marte a comune, che sovente per mano del vinto il vincitore, mentre sfa per menarne trionfo, abbatte e percuote: aggiungi l'inavvedutezza del capitano barcol- lante pei fumi del cibo e del vino; il quale avendosi lasciato dietro il nemico già colto in mezzo, non pensò all'ultima banda dei compagni: nei quali essendosi ab- battuto, infiammati, com' erano essi d'ira e disperati della vita del padrone, gli fecero pagar quel fio che ser- vi fedeli per la vita del loro signore di lui prender do- veano. Perchè adunque li manomise? Temeva certo non lo scoprissei'o, non sostenessero il dolore, confessassero nei tormenti che P. Clodio nella via appia dai servi di ■Milone era stalo ucciso. Che duopo v'ha di tormenti ? che cosa vuoi tu sapere ? se lo abbia ucciso? lo ha. Se a torto 0 a ragione? Non v'ha che far la tortura: che TQell'eculeo il fatto, la ragione nel giudizio si cerca. XXn. Qui adunque si tratti ciò che vuoisi esami- nar nella causa. Ciò che vuoi saper ne'tormenli, lo •confessiamo: se poi domandi perchè gli abbia affranca- ti, e non piuttosto perchè poco gli abbia guiderdonali, 1172 Letteuatura non sai riprendere il fatto del tuo nemico. Impercioc- ché questo stesso M. Catone, che tutto opera con for- tezza e costanza, disse in mezzo al tumulto di un'adu- nanza, che per l'autorità di lui fu poscia cessata, non solo di libertà, ma de' più larghi premi esser degnis- simi coloro che la vita del padrone aveano difesa. E qual guiderdone avvi mai, che basti a servi tanto affezionati, tanto buoni, tanto fedeli, per cui egli vive? Sebbene non è da tanto la vita, quanto che per opera loro col sangue e colle ferite sue, non saziò l'animo e gli 'occhi di un crudelissimo nemico. Che se non gli a- vesse affrancali, sarebbero stali gittati fra'tormenti co- loro stessi che a lui furono scudo, salvezza, e vendet- ta. E fra tante miserie non v'ha cosa che meno gli pesi, ( avvenga di lui che si vuole ) quanto l'aver loro pagato le meritata mercede. Ma gli esami ora tenuti nell'atrio della Libertà , piià e più slriugon Milone. E da quai servi? Il domandi? di P. Clodio. Chi li citò? Appio. Chi li produsse? Ap- pio. E d'onde? Uà casa di Appio. Dei buoni ! si può egli andare con più rigore ? Per legge non avvi alcun'esame de'servi con tra i padroni, se non in caso d'incesto, co- me avvenne di Clodio. Or sì che Clodio si è fatto dap- presso agli dei più che allorquando penetrò nel sacra- rio, se nella morte di lui come per violata religion si procede ' Ma pure i nostri maggiori non vollero che i servi fossero posti all'esame contra il padrone, non per- chè il vero non potesse scoprirsi, ma perchè indegnità pareva ai padroni più dura che la stessa morte. Quan- do poi contro il reo i servi dell'accusatore si esaminano, la verità può ella trovarsi ? Ma via, come e quale fu quest'esame? Ehi, Ruscione, bada bene, non mentire ; Clodio ha fatte insidie a Milone? Si. Alla croce. No. MlLONIANA DI ClCEnONE I'j3 Sarai libero. Quale esame più sicuro di questo? Quelli che a loro insaputa son presi per esser posti al tormen- to, nuUaclimeno sono separati dagli altri, sono anche nelle segrete gittall, perchè alcuno non possa con es- si parlare. Questi,dopo essere stali un cento giorni pres- so l'accusatore, dallo stesso accusatore vcngon pro- dotti. Quale processo più integro e più incorrotto di questo j)uò darsi ? XXIII. Che se il fatto slesso, il quale pertanto prove ed argomenti si cliiaro risplende, non basta an- cora a mostrarvi che Milone a Roma tornava con mente pura e retta, non macchiato da colpa alcuna , non abbattuto da alcun timore , non trafitto d'alcun ri- morso : ricordivi, per gli dei immortali, quale fosse la celerilà del suo ritorno, quale il suo ingresso nel foro mentre andava in fiamme la curia , quale la grandezza dell'animo, l'aspetto, la favella! Si die in mano al popolo non solo, ma ben anche al senato; ne soltanto al senato, ma ancora alle guardie pubbliche ed alle armi; né a queste solamente, ma ancora al potere di colui, al quale dal senato 1' intera repub- lica, tutta la gioventù d'Italia, tutte le armi del po- polo romano erano stale affidale. Al quale non mai egli se non a fidanza della sua causa si sarebbe ab- bandonato, specialmente perchè egli udiva tutto, te- meva assai, sospettava di molto, alcune cose crede- va Grande è la forza della coscienza, o giudici, gran- de nell'una e nell'altra parte; di guisa che nulla tema chi nulla commise; e si abbia sempre la pena sugli occhi colui che peccò. E non senza buona ragione dal senato la causa di Milone fu sempre approvala; poiché, uomini sapien- tissimi siccome sono, la maniera del fatto, la sicurezza iy4 Letteratura (leiranimo, la costanza della difesa vedevano. Atete voi forse dimenticato, o giudici, quali alla prima no- vella della morte di Clodio i discorsi si fossero e i pareri non solo de'neraici di Milone, ma ben anche di molti volgari ? Dicevano, non tornerebbe a Roma. O avesse egli ciò fatto per ira o per vendetta, o nel bollore dell'odio avesse trucidato il nemico, egli ter- rebbe da tanto la morte di P. Clodio da starsene di buon grado in bando dalla patria, poiché l'odio suo rei sangue del nemico aveva sbramato: o se anche aves- se voluto colla morte di lui liberare la patria, non dubiterebbe, dopo avere da forte col proprio pericolo salvata la repubblica, di cedere volontariamente alle leggi portando seco gloria immortale, e lasciando noi a godere dei beni per lui conservati. Molti ancora Catilina e quegli orrori ricordavano si gitterà contro la patria, occuperà qualche luogo, romperà guerra. Oh misera sovente la condizione dei cittadini bene- meriti della repubblica ! de'quali non solo in dimen- ticanza si pongono le opere più chiare, ma di nefan- de ancora se ne sospettano! Adunque quelle cose fu- rono false : e al certo state vere sarebbero, se Milo- ne avesse commesso una colpa che onestamente e con verità non potesse difendere. XXIV. Che dirò delle accuse che in appresso addossate gli furono, le quali sebbene avrebbero ab- battuto qualunque anche di lievi colpe avesse co- scienza, nondimeno, o dei immortali, come le sosten- ne ? Le sostenne ? Anzi le sprezzò, e le si ebbe per nulla: facendo cosa che ne con cuor sicurissimo senza essere innocente, ne sendo innocente senza fortezza grandissima far si potrebbe. Denunziavasi che si sa- rebbe potuto trovare una moltitudine di scudi , di MiLONiANA DI Cicerone in5 spade, (li ronche, e ili giavelotti : non esservi in ciltà via, non chiassuolo, dove preso casa Milon non aves- se ; pel Tevere portale armi nella sua villa d'Ocri- coli ; la sua casa sull'erta del caui[)idogli(j stipala di scudi; per tutto magliuoli da metter fuoco nella cit- tà. Queste cose non solamente furono riferite , ma quasi credute , né prima d'aver fatto inquisizion ri- pudiate. Io lodava invero l'incredibile diligenza di Gneo Pompeo. Ma dirò ciò sento , o giudici : a troppe gran cose sono costretti dare ascolto, ne possono al- trimenti, coluro cui è fidata l'intera repubblica. E si dovette pure non so qual Licinio, taverniere del cir- co massimo, udire, il quale diceva che i servi di Mi- lone, avvinazzati appo lui, una congiura alla vita di Pompeo confessata gli avevano: che poi, temendo non gli scoprisse, era stato da uno di essi di spada ferito. Il fé sapere negli orti a Pompeo ; io son chiamato de' primi : a sentenza degli amici ne fa relazione al senato- Non poteva io non essere stretto da timore in tanto sospetto del custode mio e della patria; ma pure maravigliava che ad un tavernier si credesse, si porgesse orecchio alla confessione di servi brianchi ; una ferita nel fianco, la quale pareva puntura d'ago, si giudicasse colpo di spada. Ben conosco che Pom- peo più in guardia che in timore si stava, né solo di quelle cose che erano paurose, ma di tutte affatto , perché voi nulla aveste a temere. Riferivasi che per molte ore della notte la casa di Caio Cesare, chia- rissimo e fortissimo personaggio, era stata forzata. Non trovavasi chi in luogo sì frequentato avesse sentito, né persona viva accorta se n'era. Pur se ne dava voce. Non poteva io sospettar timido Gneo Pompeo, uomo i'j6 Letteratura di valore senza pari: né diligenza alcuna pensava che fosse soverchia per chi ha sopra di se l'intera repub- blica. Sendo pienissimo il senato non ha guari nel cam- pidoglio ebbevi un senatore, il quale diceva che Mi- lone di pugnale era armato. Nudossi egli in quel san- jj tissimo tempio: perchè mentre non facea fede la vi- ta di tal cittadino e personaggio, lui tacente, il fatto parlasse. Tutto falso e malignamente inventato trovossi. XXV. Che se nulladimeno si paventa anche al presente Milone , non già quest'accusa clodiana te- miamo, ma i tuoi sospetti, o Pompeo ( che ora a te parlo e con tal voce che tu udire mi possa), i tuoi j sospetti, io dico, ci fanno tremare. Se temi Milone, se credi che egli abbia mai avuto alcun mal pensie- ro alla tua vita, o abbia mai contro te macchinato: se le leve d'Italia, come alcuni tuoi levatori andaro- no dicendo, se queste armi, se le coorti del campi- doglio, se le scolte, se le veglie, se il fiore della gio- ventù, che sta a guardia della tua persona e della tua casa , è armato contro l'impeto di Milone , e tutte quelle cose contro lui solo sono poste, preparate, ri- volte; grande forza certamente in costui ed incredi- bile animo si mostra, non le forze e la potenza di un uomo solo; poiché contro questo solo il più va- lente capitano fu scelto, e tutta la repubblica è in armi. Ma chi non intende, che tutte le membra della repubblica inferme e cadenti a te furon commesse , perchè con queste armi tu le sanassi e le ristorassi ? Che se fosse dato luogo a Milone, egli avrebbe a te stesso certamente provato, che niun uomo fu mai ad uomo più caro, di quello che tu a lui : niun peri- colo aver egli mai per la tua dignità fuggito : con MiT.OMiANA DI Cicerone 177 quella stessa terribile peste essersi egli spesse fiate per la tua gloria affrontato. Il suo tribunato egli a mia salvezza co'luoi consigli aver governato, cosa clie ti sapeva carissima; egli poi da te essere stalo in peri- colo della vita difeso, nella petizione della pretura aiu- tato: aver egli sperato di avere due amicissimi, te per tuo beneficio, me per suo. Le quali cose se egli non provasse; se questo sospetto in cuor tuo sì forti ra- dici avesse posto da non poterlo più svellere; se fi- nalmente rilalia dalle leve, la città dalle armi, senza la rovina di Milone non fosse mai per cessare; io li giuro, cbe costui non avrebbe dubitato andarsene della patria: perchè tale n'è la natura, tale il costume; ma pure partendo a te, o Magno, come ora fa, que- sto ricordo ei lascerebbe. XXVI. Vedi quanto sia varia e mutabile la con- dizion della vita: quanto vaga e volubile la fortuna: quanto infedeli le amicizie: quante le simulazioni a seconda dei tempi: quante le fughe dei congiunti nei pericoli : quanti i timori ! Verrà, si verrà tempo; ri- splenderà alla fine quel giorno, in cui tu, come spe- ro, essendo in prosperevole stato , per alcun movi- mento dei tempi comuni lo vedrai forse cangiarsi; e quanto ciò spesso avvenga, noi lo sappiamo per espe- rienza : sì che tu la benevolenza di un uomo ami-i cissimo, la fede di un gravissimo personaggio, la ma- gnanimità del più forte che fosse a memoria d'uomini, avrai a desiderare. Sebbene chi crederà che Pompeo , peritissimo del diritto pubblico, delle costumaiize dei maggiori, del reggimento infine della rejìubblica, aven- dogli commesso il senato che guardasse non la repub- blica ricevesse alcun danno ; colle quali parole sole furono sempre abbastanza armati i consoli, ancorché G.A.T.XCVIII. 12 Iy8 Letteratura armi date loro non fossero : qupsli avuto un esercito, questi avuto il potere di far leve, avesse voluto aspet- tare un giudizio per opporsi ai disegni di tale che gli stessi giudizi colla forza abbatterebbe ? Chiaramente adunque Pompeo giudicò, che queste imputazioni date a Milone erano false , facendo legge, per la quale, com' io avviso , voi dovete , come tutti confessano , potere assolver Milone. In quanto poi egli in quel luogo ha voluto se- dere, circondato da tante pubbliche guardie, dà ma- nifestamente a vedere che egli non ha voluto in voi metter terrore ^ qual cosa in fatto sarebbe di lui meno degna che costringer voi a condannare colui che egli stesso di per se , e per lo costume de' maggiori , e per proprio diritto potrebbe punire ?), ma darvi ma- no ; acciocché intendiate che, ad onta di quell'adu- nanza di ieri, voi secondo ohe sentite liberamente giu- dicar potete. XXV'II. Ne invero, o giudici, mi move l'accusa di Clodio, né io sono sì poco sprovveduto o ignaro e sco- noscente de' vostri sentimenli, che io non sappia qua- le avviso intorno la morie di Clodio portiate. Della quale se non mi piacesse così purgare da colpa Mi- lone, come ho fatto, egli potrebbe nondimeno impu- nemente ad alta voce con gloriosa menzogna grida- re: « Io ho ucciso, sì ho ucciso, non già Spurio Me- lio , il quale coll'alleggerire l'annona e prodigare il suo, mostrando di carezzar troppo la plebe, cadde in sospetto di regno agognato: non Tiberio Gracco, che sediziosamente tolse di magistrato il collega; gli uc- cisori de' quali colla gloria del nome loro empiero- no il mondo; ma colui (e potrebbe arditamente dirlo, avendo col proprio pericolo liberala la patria), colui, MiLONUNA DI Cicerone lyg die in nefando adulterio da nobilissime mafione ne'sa- crosanti origlieri di Vesta fu colto: colui, col supplizio del quale il senato più volte giudicò doversi le vio- late cerimonie espiare : colui, che Lucio Lucullo giu~ rò ne' processi aver veduto nefandamente fare di sé copia alla sorella germana : colui, che coH'armi dei servi confinò un cittadino, che il senato, il popolo, e tutte le genti conservatore della città e della vita de'cittadini avevano giudicalo : colui, che diede^e tolse regni, divise a cui volle il mondo: colui, che dopo aver menalo di molte stragi nel foro, colla violen- za, colle armi un cittadino di gloria e valor singolare a casa respinse : colui, che di fellonie e di libidini mai non si fece coscienza : colui, che mise a fuoco il tempio delle ninfe, peluche si spegnesse la memoria pubblica del censimento, impressa nelle pubbliche ta- vole : colui infine, che mai legge alcuna, o ragion ci- vile, o termine di proprietà non rispettò: che gli al- trui fondi non invadeva con cavillose liti, con ingiu- sti titoli, con ispergiuri, ma con eserciti, con trin- cera, con insegne spiegate : colui, che non solo gli etrusci, i quali aveva al tutto in dispregio, ina que- sto P. Vario fortissimo ed ottimo cittadino , giudi- ce nostro, de' suoi poderi colla forza dell'armi ten- tò cacciare: colui che andava con architetti e con per- tiche per le ville e per gli orti di molti; colui, che dal Gianicolo alle alpi la speranza delle sue posses- sioni portava; colui che non avendo ottenuto da uno splendido e forte cavaliere romano, M. Paconio, gli vendesse un'isoletta nel lago Prilio, bentosto con bar- che fu a quell'isola recandovi materia, calce, cemen- ti ed armi, e sugli occhi del padrone, che dall'oppo- sta ripa guardava, un edificio sull'altrui non dubitò i8o Letteratura d'innalzare: colui, che a questo Tito Fnrfanio (a quale uomo , iddii immortali ! che nulla dirò della ft-mminelta Scanzia, né del giovane Aponio, i quali minacciò di morte se il possesso degli orti loro non gli avesser ceduto ) che a Tito Furfanio osò dire , se quanto danaro gli avea chiesto non desse, porte- rehhegli a casa un morto , acciocché sì degno per- sonaggio per tale odioso sospetto avesse ad essere di- sertato; colui, che Appio fratello, uomo a me con- giunto con fede di amico, essendo lontano cacciò del possesso di un fondo: che innanzi al vestibolo della sorella si fece a condurre un muro, e sì ne gettò le fondamenta, da privare la sorella slessa non solo del vestibolo, ma d'ogni ingresso e del limitare. XXV'III. Quantunque invero queste cose sem- bravano già tollerabili, ancorché egli ugualmente con- tro la repubblica, contro i primati, contro i vicini, contro i lontani, contro gli stranieri, contro i suoi si gi'tasse: ma non so in che modo l'incredibile pa- zienza dei cittadini ornai erasi per l'uso indurata ed incallita. Quelle cose però che or ora ci erano sopra, e già sul capo ci pendevano , in che modo avreste voi potuto o distornare o sopportare se egli a signo- ria fosse venuto ? Degli alleati, delle nazioni stranie- re , dei re , dei tetrarchi mi passo : che voi avreste fatto voti acciocché egli piuttosto contro codesti si scagliasse, che contro le vostre possessioni, le vostre case, le vostre ricchezze. Ricchezze, dico ? Non dai fi- gliuoli, dai figliuoli vostri in fé mia, né dalle vostre mogli si sarebbero astenute le bramose sue voglie. Cre- dete voi che io finga queste cose, le quali sono chiare, sono maniteste a tulli e con mano si toccano? Non era egli per levare nella città un esercito di servi, col MiLONiANA DI Cicerone i8i quale la repubblica intera e le private sostanze di tutti in suo potere avrebbe rivolto ? Laonde se tenendo alto l'insanguinata spada Tito Annio gridasse: « x\ccorrete, cittadini; accorrete ed udi- te: io ho ucciso P. Clodio: i furori di costui, che niuna legge, niun giudizio aveva potuto infrenare, io con questo ferro, con questa destra, dal vostro capo ho respinto; io, io solo, ho fatto che l'equità, il buon dritto, le leggi, la libertà, la verecondia, la pudici- zia fra noi si rimanessero: » sarebbe egli a dubitare in qual modo i cittadini ciò comporterebbero ? Ed ora chi avvi che questo fatto non approvi e non lodi, che non dica e non senta, il solo Tito Annio dopo memoria d'uomo alla repul)b!ica aver giovato, colmando d'infi- nita allegrezza il popolo romano, tutta l'Italia, tutte le nazioni ? Non posso io giudicare fin dove le an- tiche allegrezze del popolo romano giungessero: ben di molte chiar-issime vittorie riportate da sommi ca- pitani l'età nostra vide: niuna delle quali né più du- revole ne piìi grande letizia arrecò. Fermate (juesto nella memoria, o giudici. Spero che voi ed i figliuoli vostri sarete per godere di molti beni nella repubblica, in ciascuno de' quali dovrete voi sempre pensare che non gli avreste giammai, vivo P. Clodio, veduti. A grandissima speranza, e, come io confido, certezza, noi siamo ridotti, che sotto il con- solato di questo sommo personaggio, compressa la li- cenza, fiaccate le cupidigie, stabilite leggi e giudizi , quest' anno stesso in salute della patria sarà per tor- nare. Vi ha forse dunque alcuno .sì folle che vivo Clodio creda che si potessero aver questi beni ? Che anzi quelle cose, che possedete in privato e son vo- stre, sotto la signoria di quel furioso avreste voi po- tuto col diritto di perpetuo possesso godere ? t82 Letterato ra XXIX. Non temo, o giudici, che io infiammato dall'odio di private inimicizie mostri queste cose con- tro colui gridare piìi con diletto che con verità. Im- perocché quantunque V odio mio doveva essere sin- golare dagli altri, pure così egli era comune nemico di tutti, che coll'oilio universale l'odio mio stesso qua- si andava del pari. Non si può dire uè pensare quan- to egli l'osse scellerato e ribaldo. Ma voi ponete men- te , o giudici, che qui appunto si tien ragione della morte di Clodio. Immaginate ora (poiché liberi sono i nostri pensieri, e così raffigurano ciò che vogliono da porre sotto gli occhi quelle cose che non vedia- mo) immaginate adunque che io mettessi questo par- tito per ottenere, se il potessi, che voi assolveste Mi- lone, sì veramente che Clodio riviva. Che? impallidi- te ? Or come egli vivo vi turberebbe , se morto sol del pensier vi percosse? Se lo stesso Gneo Pompeo, che è di tal valore e fortuna da poter gcnqjre ciò che ninno valse da esso in fuori; se questi, dico, come ha potuto proporre giudizio sulla morie di Clodio, cosi avesse potuto ridestarlo a vita, credete voi che l'avrebbe fatto? Ancorché avesse voluto per cagion d'amicizia rivocarlo da morte, per cagione della repubblica non 1' avrebbe egli fatto. Voi duncjue vendicatori della morte di Clodio sedete; la vita del quale se per voi potersi restituire pensaste , non vorreste giammai; e della uccisione di lui fu ordinato un giudizio, il qua- le se avesse potuto lui con quella legge risuscitare, la legge non si sarebbe proposla giaumial. L'uccisore €ndunque di costui nel confessarsi avrebbe egli a te- mere d' esser punito da coloro , che egli ebbe libe- ralo ? 1 greci rendono onori divini a que' magnanimi MiLONiANA DI Cicerone i83 che uccisero i tiranni. Che non vidi io in Alene, che nelle altre città della Grecia ? Quali ceiànionie religiose per que'prodi istituite? Quai canti, (|uali in- ni? Essi dalla religione e dalla gratitudine sono all'im- morlalità consacrati. Voi al conservatore di sì gran popolo, al vendicatore di tanta fellonia, non solo o- nore alcuno non renderete , ma patirete che egli al suppliclo sia tratto? Confesserebbe Milone, se fatto lo avesse, con grande e volonteroso animo aver egli ciò fatto per la comune libertà confessereìibe : ne solo dovrebbe confessarlo, ma ben anche menarne vanto. XXX, In fatto se egli non nega ciò, onde nul- la se non perdono si attende, dubiterebbe egli con- fessar ciò di che dovrebbe il premio delle opere lo- date aspettarsi? Se già non credesse esser più grato a voi che egli abbia difesa la sua vita, meglio che la vo- stra: conciossiachè in tal confessione principalmente, se essere a lui grati voleste, amplissimi onori conse- guirebbe, ove il fatto per voi non si approvasse (seb- bene com'esser può che uom non approvi la propria salvezza?): ma pure se il valore di un forte personag- gio men grato ai cittadini fosse caduto, egli con gran- de e costante animo dall'ingrata città se ne andereb- be. E quale maggiore ingratitudine invero , cìie gli altri in allegrezza vedere, in pianto veder colui solo, per cui tutti gli altri si allietano? Sebbene in questo avviso noi lutti sempre fum- mo: die nell'opprimere i traditori della patria, come nostra ogni gloria, così nostri anche gli odii e i pe- rigli sarebbero. In fatto qual lode a me stesso ver- rebbe dell' avere tanto ardito nel mio consolato per voi e pe' vostri figliuoli , se avessi credulo che al- l'ardimento mio gravissimi rischi non seguitassero? i84 Letteratura Qual femminetta non avrebbe coraggio di uccìdere uno scellerato e pernicioso cittadino, se il timor del pericolo non l'arrestasse? Quegli è veramente prode, che avendo sugli occhi gli odii, la morte, i supplicii, intrepido nondimeno difende la repubblica. È da po- polo grato i benemeriti cittadini premiare : è da uo- mo forte non esser pur mosso da supplicio a pen- tirsi di quanto adoperò con fortezza. Laonde Tito An- nio a quella medesima confessione verrebbe , a cui vennero e Ahala, e Nasica, e Opimio, e Mario, ed io stesso; e se grata gli fosse la repubblica, ne pro- verebbe allegrezza: se ingrata, in sì fortunosa tempe- sta sotto l'usbergo della buona coscienza si sentireb- be sicuro. Ma la fortuna del popolo romano, o giu- dici, la felicità vostra e gl'iddii immortali domanda- no che loro la riconoscenza di questo beneficio si deb- ba. Ne può invero altrimenti pensare se non chi crede non esservi una forza, una potenza divina : chi non sente scuotersi ne dalla grandezza del vostro impe- ro, né dalla vista di questo sole, ne dal moto del cie- lo e degli astri, ne dall'ordinato avvicendar delle cose, né, ciò che più vale, dalla sapienza dei nostri mag- giori, i quali e sagrificii e cerimonie ed auspicii eglino stessi con santità osservarono , e a noi loro posteri tramandarono. XXXL V'ha, si al certo v'ha questa forza ; ne questi corpi e questa imbecillità nostra informa un non so che, il quale ha vita e senso, e non informa poi questo sì grande e sì magnifico movimento della natura. Se però non credono che ella non vi sia, per- chè non si mostra e non dà negli occhi: quasiché la nostra mente stessa, per cui intendiamo, pensiamo, o- periamo, e ragioniamo, quale o dove sia possiam noi MiLONiANA m Cicerone i85 al tutto vedere e sentire. Questa forza adunque, que- sta forza stessa, che sovente alla nostra città incredi- bile prosperità e beni ha recato , spense e distrusse quella peste: ella fu che in lei mise ardire d'irritare colla violenza, e appresso provocare col ferro un per- sonaggio fortissimo, acciocché fosse vinto da tale, cui se ella avesse vinto, impunità e licenza perpetua a- vrebbe avuto ad imperversare. Non fu, o giudici, per umano consiglio, ne per mediocre cura degli dei ira- mortali condotta a fine quell'opera. La religione stes- sa, in fé mia, quando vide cader quella belva, parve si commovesse, e i suoi torti in lui vendicasse. Ed ora io invoco e chiamo in testimonio voi, tu- moli e boschi albani, voi dico , rovesciate are degli albani, consorti e partecipi de'sacrificii del popol ro- mano, cui egli sospinto da furore, tagliati ed abbat- tuti i santissimi boschi, sotto insane moli di edifici aveva sepolto: la vostra santità allora trionfò: allora la vostra potenza, che egli con ogni scelleragine ave- va profanato, prevalse: e tu dall'alto del tuo monte, o santo Giove Laziare, i cui laghi, le selve, i recin- ti sovente con istupri e con ogni nefandità aveva con- taminato, alla perfine a punire costui apristi gli oc- chi ! A voi, a voi, nel vostro cospetto, larda, ma giu- sta, ma meritata fu pagata la pena. Se pure non vo- gliam dire, essere a caso avvenuto che innanzi alla celletta stessa della dea Bona, la quale è nel fondo di Sergio Gallo onestissimo ed ornatissimo giovane, in- nanzi la stessa dea Bona, io dico, avendo egli ingag- giata la zuffa, quella prima ferita ricevesse, per cui di pessima morte si morrebbe, acciocché in quel nefa- rio giudizio non sembrasse assoluto, ma a questa me- morabile pena serbato. i86 Letteratura XXXII. Né altro in vero che la stessa ira degli tlei ne'satelliti di lui mise codesta follia, acciocché sen- za immagini, senza canto, senza spettacoli, senza ese- quie, senza lamenti, senza lodi, senza funebre pom- pa, insozzato di sangue e di fango, spogliato delia ce- lebrità di quell' ultimo giorno che anche da' nemici conceder si suole, fosse gittato ad ardere. Né credo io si conveniva, che le immagini di chiarissimi personag- gi alcun onore a quell'infame parricida recassero, ne che in altro luogo la sua morte fosse straziata, meglio che dove n'era stata dannata la vita. Dura, in fé mia, e crudele da gran tempo mi pareva la fortuna del popol romano, la quale per tanti anni vedeva e sof- friva che egli contro questa repubblica imperversasse. Aveva profanato di stupri santissime religioni: infran- to gravissimi decreti del senato: comprati palesemente i giudici: afflitto il senato nel suo tribunato: annul- lato cose per consenso di tutti gli ordini a prò del- la repubblica operate: me dalla patria bandito, i miei beni a ruba, la casa in fiamme, figliuoli e moglie tribulati : a Gneo Pompeo scellerata guerra avea rot- to : sparso il sangue de'magistrati e de'cittadini: da- to il fuoco all'Etruria: molti di lor case cacciati, e di lor beni: incalzava, premeva: non alla sua follia le città, l'Italia, le provincie, i regni bastar potea- no : già in casa sua s'incidevano leggi, per le quali noi servi de' servi nostri stati saremmo : non eravi cosa d'altrui che, avendone egli brama, in quest'anno non giudicasse far sua. Ninno a' suoi disegni si op- poneva, fuorché Milone. Quello stesso che avrebbe po- tuto opporglisi, sei credeva suo per la fresca riconci- liazione: sua diceva la potenza di Cesare; il coraggio Mii.oNiANA DI Cicerone 187 de' buoni nella mia disgrazia avea dispregialo: Milone solo gli tenea fronte. XXXIII Qui gl'iddìi immortali, come già dissi, posero in cuore a quello scellerato e furioso di fare insidie a Milone: altrimenti quella peste perir non poteva, nò mai la repubblica di suo diritto ne avreb- be preso vendetta. Il senato, cred'io, gli avrebbe in- frenata la pretura ? se ancor quando ciò soleva lare contro di lui privato s'era indarno tentato. Forse i consoli sarebbero sfati forti abbastanza nell'infrenar lui pretore ? Primamente , morto Milone , egli avrebbe avuto consoli dalla sua: poi qual console avrebbe ba- stato contro lui pretore, ricordando die per lui tri- buno l'autorità consolare fu crudelissimamente vessa- ta? Avrebbe dato di piglio a tutto, lutto posseduto, si- gnoreggiato. Colla nuova legge, che fu trovata pres- so lui insieme coU'altre leggi clodiane, egli avrebbe fatto suoi liberti i servi nostri. Infine se gl'iddii ira- mortali non avessero posto in pensiero a lui, effem- minato com' era , di attentar alla vita di un perso- naggio fortissimo , oggi voi più non avreste alcuna repubblica. E forse che egli pretore, egli console, se pure questi templi e queste mura slesse avessero potuto restar tanto tempo da aspettare il suo consolato, egli alla fine vivo non avrebbe insomma recato alcun dan- no, se morto per mano d'uno de'suoi satelliti, Sesto Clodlo, mandò in fiamme la curia ? Quale vista più miserabile, più acerba, più lacrimevole! Il tempio del- la santità, della gramlezza, della sapienza, del pub- iLlico consiglio, il capo della città, l'altare degli al- leati, il porto di tutte le genti, il seggio dell'intero ,popol romano a questo solo ordine concesso , arso, i88 Letteratura disertato, funestato! Né questo per fatto d'ignorante multiludine (cosa che pure sarebbe stala miserabile) ma per opera di tale che se tanto ardi per arder lui morto, che non avrebbe fatto spiegando per lui vivo bandiera ? Lo gitiò poi nella curia, acciocché morto l'ardesse, come vivo l'aveva abbattuta. Ed evvi ancora chi si lamenti della via appia, e della curia si taccia ? chi pensi che da lui spirante si sarebbe potuto difendere il foro, se al suo cada- vere la curia non resistette ? Ridestatelo a vita, ri- destatelo pur se potete: abbatterete voi 1' impeto di lui vivo, se appena le furie di lui insepolto sostene- te? Se pure non teneste fronte a coloro che trassero con le faci alla curia, colle falci al tempio di Ca- store, e coll'armi s'aggirarono per tutto il foro. Ve- deste correre il sangue del popol romano, messa dal- l'armi in tumulto l'adunanza, mentre vi si udiva in silenzio Marco Celio tribuno della plebe, personag- gio fortissimo ne'servigi della repubblica, fermissimo nella causa intrapresa, e alla volontà dei buoni devoto, e all'autorità del senato, e in questa o malevolenza o sventura di Milone, di singolare, divina, ed incre- dibile fede. PERORAZIONE XXXIV. Ma già della causa è detto assai: fuor della causa anche troppo. Che resta se non che io prieghi e scongiuri voi, giudici, ad usare ad un uomo fortissimo quella misericordia che egli non implora, e che io mal suo grado ed imploro e sollecito ? Non vogliale, se nel nostro pianto alcuna lagrima di Milone non vedeste, se il volto, se la voce, se la MiLONiANA 1)1 Cicerone itfn favella egli mai non cangiò, non vogliate per questo essergli men favorevoli : cliè io no so se anche per questo di più favore sia degno. In fallo se nelle pugne de'gladiatorl e nella con- dizione e fortuna d'ucjmini vilissimi sogliamo anche odiare i timorosi e supplichevoli che in grazia la vi- ta doraandono, salvi i forti e gli animosi, che sicuri si offrono a morte, desideriamo, e piìi compassione dì quelli che coinpassion non ricercano, che di quelli che la domandan ci prende, quanto maggiormente ciò fare co' fortissimi cittadini non dohhiamó? Ma invero, o giudici, trafiggono ed uccidono queste parole di Mi- Ione, le quali soventi volle ascollo, ed ogni giorno me presente ripete. Vivano, vivano felici i miei cittadini, dice egli, siano salvi, siano in fiore, siano heali : stia questa città nohilissima, mia dolcissima patria, comun- que ella mi tratti, godano i miei cittadini di tranquilla repubblica; e giacché a me non lice goderne con essi, ne godano senza me, ma pure per me: io cederò, me n' anderò: e se non mi èdaio di vivere in una buo- na repubblica, mi terrò lungi da una cattiva; e quella terra costumata e libera, che da prima io toccherò , quella sarà la mia stanza. O indarno, die' egli, intraprese fatiche, o fallaci speranze, o vani miei pensieri ! Quando io tribuno della plebe, oppressa la repubblica , mi diedi al se- nato quasi estinto, ai cavalieri romani, le forze de' quali erano deboli ai buoni cittadini, che per l'armi di Clodio si erano spogliali d'ogni autorità; avrei io pensato mai che a me mancherebbe l'aiuto de' buoni? Quando io te restituiva alla patria (che meco spessis- simo parla) avrei io pensato mai che per me in pa- tria non sarebbe più luogo ? Dove è ora quel se- i()0 Letteratura nato che noi seguimmo, dove que'cavalieri romani, sì que'tuoi cavalieri, dove il plauso dell'Italia, dove fi- nalmente quella tua voce, quella tua difesa, o Marco Tullio, che a tanti pur valse ? Forsechè a me solo, che tante volte mi feci per te incontro alla morte, non potrà nulla giovare ? XXXV. Ne queste cose, o giudici, come ora io fo, dice egli, piangendo; ma con quel sembiante mede- simo che voi vedete. Nega egli, nega d'aver posto le sue cure in cittadini ingrati; non nega che siano timi- di e d'ogni pericolo paurosi. Rammenta che la plebe e la feccia del popolo capitanato da P. Clodio stava per dare di piglio ne'vostri averi, e che egli, perchè fosse più sicura la vostra vita , non solo col valore cercò di piegarlo, ma ancora con tre suoi patrimonii am- mollirlo: né teme, che avendo colle larghezze ti'an- quillala la plebe, non si abbia pe'suoi meriti singo- lari verso la repubblica la vostra grazia ancor conci- liata. Dice di aver conosciuto sovente in questi stes- si tempi la benevolenza del senato verso di lui: le officiose pratiche vostre poi, il favore di lutti gii or- dini, e i discorsi loro, porterà sempre con sé dovun- que la fortuna lo tragga. Ricoìda ancora, nuU'altro che la voce del ban- ditore essergli mancala (cosa che egli non desiderava) e a pieni suffragi del popolo ( la qual cosa solo bra- mava ) esser egli slato dichiarato console. Ora final- mente se queste cose contro lui stanno, per sospetto di colpa, ma non per colpa vi stanno. Aggiunge que- ste cose, le quali al certo son vere, che i forti e sa- pienti personaggi non sogliono tanto i premi posti alle imprese onorate, quanto le slesse onorate impre- se seguire : non aver egli fatto in sua vita opera se Mir.ONiANA DI Cicerone igi non lodata ; poicliè niuna esser può più lodata che liberare la patria dai pericoli : essere beati coloro cui presso i lor cittadini ciò torna ad onore: non però miseri quelli che coi benefi2,i i loro cittadini lianno vinto. Ma di tutti i premi della virtù se ragione tener si dovesse, essere il più gran premio la gloria; per quest'una la brevità della vita trovar conforto nel- la memoria dei posteri : per quest'una fare che lon- tani siamo presenti, morti viviamo; questa infine far quasi agli uomini scala per salire su al cielo. Di me, dic'egli, parlerà sempre il popol romano, sempre tutte le genti: e niuna eia lontana fia mai che si taccia. Che anzi in questo tempo stesso, in cui tutti i miei nemici contro me tutte le faci della malevolenza rin- focano, in ogni adunanza d'uomini con ringraziamen- ti, con gratulazioni e con ogni guisa d' applausi io son celebrato. Lascio i dì festivi fatti ed istituiti nel- l'Etruria : sono oggi cento e più giorni, come penso, dalla morte di Clodio; e fin dove i confini dell'im- pero del popol romano si stendono, non solo di que- sto fatto la fama , ma l'allegrezza ben anche ne cor- se. Laonde dove sia questo mio corpo, poco mi cale: poiché in tutte le terre già vola, e sempre la gloria del mio nome starà. XXXVl. Così tu meco sovente non udito da que- sti: ed io così sugli occhi loro a te parlo, o Milone. Te invero io non posso di codesto tuo animo abba- stanza lodare; ma quanto più codesta virtù è sovru- mana, tanto più è grande il dolore dell'essere diviso da te; ne al certo, se tu mi sarai rapito, mi resterà il conforto del potermi sdegnare contro quelli, da cui mi verrà sì profonda ferita. Che a me non ti toglie- ranno i mici nemici, ma si gli amicissimi; non quelli iga Letteratura che alcuna volta mi offesero, ma quelli che sempre mi beneficarono. Non potrete voi, o giudici, trafigger- mi l'anima di più acuto dolore (e qual altro può es- ser sì acuto ?): ma non per questo dimenticherò quan- to voi sempre mi abbiate onorato. Il che se voi ave- te dimenticato, o se in alcuna cosa io vi spiacqui , perchè sul mio capo la pena , anziché su quello di Milon non ricade? Sarò vissuto abbastanza felice, qua- lunque cosa mi avvenga, primachè io vegga cotanta sciagura. Ora un solo conforto mi sostiene : che, o T. An- nio, niun ufficio d'amore, ninno di buon zelo, niuno di pietà per me ti è mancato. Io per te inimicizie di potenti ho incontrato, io sovente la persona e la vita alle armi de'luoi nemici ho esposto, io per te sup- plichevole a' pie di molti posto mi sono : i beni e le fortune mie e de' miei figliuoli con te nella tua disgrazia ho accumunato: in questo istesso giorno fi- nalmente, se alcuna violenza è preparata , se alcun pericolo alla tua vita sovrasta , io , io volentieri lo sfido. Or che mi resta a dire, che deggio fare pe' tuoi grandi meriti verso di me, se non che qualunque sia per essere la tua fortuna, io l'abbia per mia ? Non mi ricuso, non mi ritiro ; e voi scongiuro, o giudici, che ai vostri benefizi verso di me o con la salvezza di Mllone il colmo poniate, o veggiate cbe lutti nel» la ruina di lui verranno a mancare. XXXVII. A queste lagrime non si commuove Mi- lone: egli è d'incredibile fortezza d'animo: esigilo pen- sa essere, dove la vlrtìi non ha luogo: la morte esser fine della natura, non pena. Serbi egli pure questi al- ti sensi, coi quali nacque: e voi,. o giudici, di quale animo alla fine sarete voi ? Riterrete la memoria di MiLONiANA DI Cicerone ig3 Milone, e lui caccerete ? E vi sarà luogo più degno a tanta virivi di quello che la produsse ? A voi io mi volgo, o fortissimi, a voi che molto sangue per la re- pubblica avete versato; a voi nel pericolo di un per- sonaggio, di un cittadino invitto mi volgo, o centu- rioni, e a voi, o soldati: essendo voi non solo presenti, ma armati, ma a questo giudizio preposti, tanto va- lore di questa città sarà cacciato, sterminato, sbandito? Oh me misero, oh me infelice! Tu richiamare me in patria, o Milone, per opera di questi hai potuto: io te in patria per opera dei medesimi non potrò rilene- re? Che risponderò a'miei figliuoli, che hanno le per secondo padre? Che risponderò a te, Quinto fratello, che ora sei lungi e fosti a parte della mia disavven- tura ? Io non ho potuto ottener la salvezza di Mi- lone per opera di quelli per cui egli ottenne la no- stra ! Ed in qual causa non l'ho potuto ? In tale che è grata a tutte le genti. Da chi non l'ho potuto ? Da quegli stessi che per la morte di Clodio priuci- palmente riposo si ebbero. A prieghiera di chi ? A mia preghiera. Che grande colpa ho mai commessa, di quale gra- ve scelleraggine reo mi son fatto , quando indagai , scopersi, misi in chiaro, estinsi quegli indizi di co- mune sterminio? Tutti i miei mali, si tulli, da quella fonte mi derivano. Perchè volesle voi richiamarmi ? Forse perchè vedessi il bando di quelli, pei quali alla mia patria io fui restituito? Non vogliate, ve ne pre- go, sostenere che mi sia più acerbo il ritorno, che non lu quella stessa partenza! E come posso credermi re- stituito alla patria, se sono strappato dalle braccia di quelli, pe'quali fui restituito ? XXXVIII. Eosse piaciuto agi' iddii immortali , G.A.T.XCVIII. i3 i(j4 Letteratura (perdonami, o patria, cliè io temo non torni in em- pietà contro te, quanto la pietà mi fa dir per Milo- ne) fosse piaciuto agl'iddìi che Clodio non solo vives- se, ma fosse pretore, console, dittatore, anziché io ve- dessi questo spettacolo ! Che uomo forte, o dii im- mortali, e degno, o giudici, d'essere da voi salvato! No, no, dice egli: colui una giusta pena ha pagato: io, se fìa duopo, ne porterò una ingiusta. E questo magnanimo, nato alla patria, morrà altrove fuor del- la patria? 0 se morrà per la patria, voi le gloriose memorie dell'animo suo riterrete, e soffrirete che il suo corpo non abhia un sepolcro in Italia? E vi sa- rà chi col suo voto lui da questa città sbandisca, lui che cacciato da voi, le città tutte a se chiameranno ? Oh beata quella terra che tal uomo raccoglie! que- sta ingrata, se lo caccia: misera, se lo perde ! Ma sia fine: che io per le lagrime non posso ornai più par- lare, e questi colle lagrime non vuol esser diteso. Voi prego e supplico, o giudici, che nel dare la vostra sen- tenza arditamente facciate ciò che sentile: la virtù, la giustizia, la fede vostra, credetemi , egli somma- mente avrà in grado: che nello scegliere i giudici, cia- scun ottimo e fortissimo e sapientissimo cittadino tra- scelse. 195 Del pregi e di alcune nuove applicazioni delVoro- logio di Dante immaginato e dichiavato da Mar- co Giovanni Ponta C. R. S. Ragionamento del P. Giambattista Giuliani della medesima congre- gazione. ^^uesto secolo, che tanto s'onora degli studi di Dan- te e che a buona ragione può da lui sortire il no- me, deve tenere preziosa e cara ogni lodevole fatica, che vaglia a via più dilatarne ed assicurarne la glo- ria. Molti, non ha dubbio, intesero e si travagliarono a questo: ma perchè taluni nel farsi interpreti della mente di quel sommo, la vollero torcere e conforma- re ai propri pensieri, diedero nelle più strane immagi- nazioni, fino a macchiare d'empietà il maggior poeta di quanti mai siensi inspirati alle sublimi verità della religione. Le beffe però e l'onta, che tutta in sul capo a loro dovea riversarsi e gravare , percosse in parte anche i veri intenditori ed espositori del divino po- ema. Lacrimabile danno, che offendendo ed oscurando la fama del maestro par che minacci d'invilirne e di ab- batterne i fedeli seguaci. Ma viva Dio! che non è spenta del lutto la semenza di quei pochissimi, dal cui diritto giudizio dipende la gloria, ed a cui, se non si vuol essere scherniti per ignoranti, tardi o tosto convien sot- toporsi. E presso a questi savi stimo e mi accerto sa- rà fatto buon viso all'egregio lavoro del revmo Ponta. Perchè si paia quanto bene sei meriti, non sarà discon- venevole che io mi fermi alcun poco a toccarne di- 196 Letteratura stintamente i rarissiini pregi. Dissi toccarne, giacche a volerne iJlscorrere in debita maniera sarei costret- to a troppo maggiore lunghezza. Chi non è nuovo nello studio di Dante saprà quanti e quali sieno i tliversi modi, con cui vengono dinotate le ore -nel processo della commedia; ne ancora gli sarà ignoto che l'AUighieri, conoscitore profondo dell'astro, nomia, usa coniinuamente di sì bella dottrina ad infio- rare il suo poema; in Une non gli fuggirà dalla mente che tutta nuova e propria di quel potentissimo ingegno si è la posizione dei tre regni, 0 si riguardino l'uno ri- spetto all'altro, o lutti rispetto all'Italia, di cui Roma .si suppone occupare il mezzo. Or tutte queste ed altre molte osservazioni aveansi a fare e tenere ben im- presse nella mente, chi volea costruire un orlogio che per appunto indicasse le ore, e per così dire segnasse i passi del viaggio dantesco. Né ciò pur bastava : sì era mestieri una mente sagace e tutta fissa in un pen- siero; la quale, ricomponendo tanti e sì svariati e a pri- ma veduta discordi elementi, ne dimostrasse il mira- bile accordo. A sì gran lavoro applicossi l'alto intel- letto del p. Ponta: e come chi avea foize pari all'ar- duità della materia riuscì a fornirlo con tale una per- fezione che, per avviso del eh. Luigi Muzzi e del su- blime, ingegno del revrfio p. Parchetti, da quinci in poi se altri voglia leggere e studiare con frutto la divina commedia, converrà che usi di queirorologlo, siccome dnlìa bussola chi va per mare. Il dare ad intenderne la ingegnosa forma, in che cel presenta il suo degno autore, non è sì piccola fatica quale a prima giunta si parrebbe; né voglio io già pro- varmi a tanto: che, troppo ben conoscendo la debilità del mio ingegno, diilido di poter uguagliarne la mae- Orologio di Dante igy strevole descrizione che il medesiino ce ne diede. So- lo mi terrò a notare, che nei ventitre esempi, i quali con giusta critica e col diritto uso del suo orologio furono da lui tolti ad esaminare, ve n'ha ben molti dove egli dipartendosi dalla comune interpretazione, viene somministrandocene una più schietta e con mag- giori sembianze di verità. Così, per entrare tosto in materia, nel III esempio: Ma la notte insorge e oramai ec. (Inf. e. 34, v. 68.) E già il sole a mezza terza riede ec. ( ivi V. g4. ) dove si fa a spiegare perchè mai, risorgendo la notte quando i poeti dimoravano ancora in fondo all' in- fernal abisso, appena essi ne furono usciti il sole fos- se già inoltrato a mezza terza. Il p. Ponta accorta- mente ci riduce al pensiero, che laddove fino a que- sto luogo piacque all'Allighieri il dinotare le ore rife- rendole a Roma , nei passi succennati le volle con- tare in rispetto agli emisferi di Gerusalemme e del Purgatorio. E ciò con discreto senno; perocché pas- sato che egli ebbe il punto Al qaal si traggon cVo^ gni parte i pesi, dovea cadérgli opportuno il mette- re in confronto le ore di quei due emisferi da lui supposti dirittamente contrari. Laonde se la notte era in sul risorgere a Gerusalemme allorché i due viag- giatori si trovavano di là dal centro della terra, non deve addur maraviglia che riusciti sotto all'emisferio del purgatorio fosse per loro già cominciato il mat- tino. Vero è che il testo dice: E già il sole a mezza igS Letteratura terza riede; il che indica un'ora e quasi mezzo di più. Dunque se ne vuole argomentare, che i poeti pe- narono più d'un'ora tra per discendere giù per i peli di Lucifero e passare il punto dell'universo e quindi salire su per le vellose cosce di colui ecc. Né de- vesi prendere stupore che un'ora e mezza fosse ri- chiesta a tale uopo, pensando la smisurata grandezza che l'Allighieri attribuisce a\V Jmperador del dolo- roso regno. Nel IV esempio : Lo bel pianeta che ad amar conforta ec. (Pur. e. I, V. 19.) il p. Ponta mostra di tenere per mal avvisalo il pen- siero del sommo Perlicari, che vorrebbe per lo bel pianeta che ad amar conforta intendere, non già y^enere, ma il Sole. La riverenza dovuta a tant'uomo quasi ritenne quel degno padre dall'aprire la sua ve- ra sentenza. Dissi vera\ giacche non è a metter dub- bio che Venere sia desso il l)el pianeta che piove in- flussi, e cosi ingenera gli stimoli d'amore. Dante nel Pur. e. 28, V. ()6; e nel Par. e. 8, v. i e seg. : ed in più luoghi del Convito ha per ferma l'opinione, che tutto da questo pianeta si debba riconoscere il virtuoso a- more, da cui gli uomini, colpa le loro malvage pas- sioni, empiamente si torcono. E vorremo poi vedere quel grande in discordia con se stesso? Ciò non può essere di lui che tutta dinanzi alla mente avea or- dita e spiegata la gran tela de' suoi pensieri, ed a cui bastava la vista per iscoprirne eziandio i più pic- cioli nodi. Nel resto, che ei distinguesse il sole dalla stella palesemente si vede nella canz. Donna pietosa Orologio di Dante igg e di novella etade ( V. N. p. 44) > Quello che riman certo si è, che Dante si ritrovò in essa nel i3oo, e che ne uscì la mattina susseguente al plenilunio di marzo. Ora in tale anno il plenilunio^ ossia il giorno i4 della luna di marzo, avveniva il terzo giorno d^aprile, che appunto era in dome- nica', pasqua per gli ebrei, e per i cristiani dome- nica delle palme. Però facendosi che, giusta il co- stume degli ebrei, il giorno cominci dal tramonto del sole, converrà dire che il giorno 2 di aprile l'Allighieri si trovasse dentro alla selva oscura; dove tramontato il sole, spuntò la luna tonda a rischiarargli il cam- mino. E pertanto ebbe principio il secondo giorno, 3 12 Letteratura che si terminò allora, che Virgilio col suo caro alunno entrarono all'inferno. Tra il terzo dì ed il quarto tra- versarono il centro della terra, e riuscirono sotto al- l'emisfero del purgatorio, e si condussero quindi alle falde di questo monte cominciandovi l'aurora, e però essendo per Roma vicino il declinare del sole e con esso il finire del quarto giorno. Partendo i poeti da Manfredi, si principiò il quinto ; e giunti al girone dei superbi già erano per colà le 4 ore di sole. Il per- chè a Roma già era tramontato il sole, e perciò era compito il giorno quinto. I poeti ad un'ora del sesto di erano pervenuti al primo girone, e già entravano a quel- lo dei golosi, che per Roma il sole da un'ora era passato al tramonto, e quindi il settimo giorno era da questo tempo cominciato. Già la quinta ancella del di era al temo, quando Dante con le dolci guide di Vir- gilio e di Stazio erasi bene avviato pel sesto girone; on- de a Roma erasi fatta la prima ora del settimo giorno. Al nascere del sole entrarono al paradiso terrestre, ed al mezzodì l'Allighieri già stava con Reatrice alla fonte di Eunoè. Quest'ora per Roma è la terza dopo il tra- monto, e perciò il giorno era ivi fornito da tre ore. Dante non si parti di quel paradiso, se non levato il nuovo sole; donde si mostra che ei non prese la via per all'Empireo se non dopo cominciato il vespro per Roma. Giunse alla costellazione di gemini quando a Gerusalemme era finita l'ora prima di vespro, ed essen- do a Roma l'una dopo il mezzodì; dunque non pur era passato l'ottavo giorno, ma erano già scorse le 19 ore del nono. Il poeta innanzi d'avviarsi all'Empireo lasciò i gemini, mentre stavano levati di 3o gradi sopra Gade, e però al terminare del nono giorno; essendo che quel- V ora corrisponde all' una dopo il vespro di Roma. Orologio di Dante 2i3 Onde n'andò felice airEmplreo a prendervi la pasqua in compagnia del sodalizio eletto alla gran cena del benedetto agnello. Chi può opporsi a queste scliietle ed incrollabili verità ? Dal p. Ponta ci deri- vò una tal luce che splendidamente dìsfavilla: ed a lui, se l'amore del vero e del buono ci scalda , è da es- serne ^rati rendendogliene le debite lodi. Ora che piuttosto dislesamente si è ragionato sui pregi dell'Orologio dantesco, sarà buono d'adoperarlo a spianare altri difficili passi del poema sacro. Nel canto 26 dell'inferno si accenna che Ulisse, dopo un lungo e faticoso viaggiare, alla perfine giunse a tal punto dovè Tutte le stelle già dell'altro polo Vedea la notte e il nostro tanto basso Che non sorgeva fuor del marin suolo. Buona parte dei commentatori vuole che la notte non sia qui posto per nella notte^ si veramente uel ca- so retto, e che l'autore ci rappresenti quella regina del- le tenebre a modo di una persona, cui le stelle dell'al- tro polo si rendevano visibili. Io non so pensare che letterati di sommo valore ed assai chiari alla fama sia- no potuti cadere in questo avviso. E di vero qual senso risulterebbe egli da questo dire , che la notte vedesse le stelle dell'altro polo e il nostro in tanta bassezza che non usciva fuori del suolo marino? A cavarne un qualche costrutto e'bisognerebbe far cam- minare la notte in compagnia d'Ulisse. Ma a cui non 4)i farebbe manifesta una sì fatta inconvenienza? Ove la notte si prenda per nella notte, quei versi d'a»» sai lieve si comprendono e bene s'accordano; imperoc- 2i4 Letteratura elle Ulisse avendo già eorso tanto mare , che nella notte gli apparivano le stelle dell'altro polo, il no- stro dovea stare si basso da non mostrarglisi fuori alla superficie del mare, e cosi togliersi alla vista di lui. E per esprimere altramente una medesima cosa ; se il polo antartico, a che s'indirizzava quell'astuto ca- pitano, erasi levato sopra il mare ad una sì grande altezza da render visibili le stelle che intorno ad esso si rigirano , di necessità conveniva che il no- stro polo fosse per tal maniera di sotto al suolo ma- rino, da non poter più essere veduto. Laonde chiaro se ne conchiude, che Ulisse e i suoi compagni eransi avanzati ben oltre all'equatore, dove i poli 'par che ri- mangano come equilibrati sulla superficie del mare. Per accertarsi di quanto qui si discorre, non si vuole far più che girare e adattare convenientemente il no- stro orologio. Parimente scontrasi una grande arduità nel vo- ler glugnere alla diritta spiegazione di quei versi: In quella parte del giovinetto anno, Clie'l sole i crin sotto l'aquario tempra, E già le notti al mezzodì sen vanno: Quando la brina in sulla terra assempra L'imagine di sua sorella bianca, Ma poco dura alla sua penna tempra. ( Lif. e. 24. V. I. e seg. ) A volere secondare gl'interpreti, il sole allora tempra i suoi crini sotto l'aquario, che esso dimora in questo segno : cioè per una terza parte di gen- naio e per due terzi di febbraio. Ma se male non «ni appongo, in ciò grandemente si va errali. E per Orologio di Dante ai5 verità in questo tempo, oltre all'essere le notti ancor lontane dall'agguagliare la metà del giorno, gran parte della campagna d'Italia suolsi vedere ricoperta di ne- ve, non che di brina. Né farebbe maraviglia lo scor- gere questa nel tempo che è solita a mostrarsi la ne- ve; e d'altra parte è il consueto della brina l'assempra re l'immagine di sua bianca sorella, quando già la sta- gione s'è raddolcita ed il freddo rallentato. Onde è che per non essere obbligati a conseguenze inverislmlli, vuoisi prendere quel sotto V aquario ^non già per questo segno, ma per quello che vi rimane sottoposto, che sono i pesci. Così interpretato il testo, ogni cosa procede per diritto cammino. Avvegnaché il sole in tale segno suole temprare, o diremo aguzzare le sue lucide sa- ette: e così far che le notti, accorciandosi, vadano a mezzo II dì, ossia s'accostino alla giusta metà del gior- no. Allora è clie la brina usa ritrarre l' immagine della neve, sebbene per 1' accrescersi e ingagliardire del calor solare, essa a mano a mano vada perdendo l'altitudine e quindi la potenza a quel suo lavoro. Per mettere coli' orologio innanzi agli occhi il giu- sto punto a che ritrovavasi il sole nel caso esposto, sarà pure a sufficienza di condurre il i.° dei pesci, la stanza del sole , sull'oriente di Roma, e tutto il segno di aquario si rimarrà a quello superiore. In fine, per lasciare altre applicazioni che sareb- bero a farsi, l'ingegnoso ritrovamento del p. Ponla ci scorge a dirittamente interpretare il principio del canto 29 del Paradiso : Quando amboduo li figli di Latona, Coperti del montone e della libra, Fanno dell'orizzonte insieme zona, ai6 Letteratura Qaanl'è dal punto che il zenit inlibra, Infm che l'uno e l'altro da quel cinto Cambiando l'emisperio, si dilibra, Tanto, col volto di riso dipinto ecc. A bene comprendere questa similitudine , è da figurarsi lo zenit si come il punto d'appoggio su cui si equilibrano, quasi due pesi, i figli di Latona, l'uno nel i.° d'ariete e l'altro nell'istesso grado della libra; o veramente , si riguardi lo zenit siccome la ma- no di chi tiene sospesa la bilancia, e quei due pia- neti si considerino quasi ne fossero i due bacini o gusci. Per vero dire a si fatta interpretazione non si può essere condotti da quelle sole parole, che il ze- nit inlibra, senza sottintendervi un li. Ora io sarei nel pensare che si dovesse leggere, conforme alle più an- tiche stampe, non già il zenit inlibra^ si bene il zenit i libra. Ognun vede che di leggeri si potè essere in- dotti a scrivere inlibra anziché i libra., perchè quel- l'i parea dimorarvi come fuori di luogo; e d'altro lato era uso degli antichi, forse per dolcezza o pienezza di suono, il mettere Vn dinanzi o dopo alle vocali, onde è principiata la parola. Cosi vedesi indifferen- temente scritto abisso e nabisso, anti e nauta ec, ed in alcuni codici leggiamo al 27 del Purgatorio: En l'onde in Gange da nona riarse, ec. Ancora è a fare avvertenza, che i più volte è usato dal- l'Allighieri invece di //: si come, per tacere le altre ci- tazioni, nel 5 dell'Inferno Per quell'amor eli i mena ecc. Orologio di Dante 217 e nel XII del Paradiso: Pur, come gli occhi, ch'ai piacer ch'i muove ec. Onde se i sta e può prendersi per Z/, non sarò troppo ardito a giovarmene nel caso nostro: e cosi via levare l'ambiguità che può sorgere, ponendo che o il zenit inlibri il punto ec, come vorrebbe l'or- dinato procedere del discorso , o che il zenit inli-' orasse quel due pianeti ec, come richiede la buona ■^^gione , che però non si dimostra con sole quelle parole il zenit inlibra. Tutto dunque concorre a te- nere per la meglio conveniente la lezione Quant'è dal punto che il zenit i libra. Questo si dichiara con evidenza così: Quanto di tem- po è dall'istante in cui il zenit tiene equilibrati quei due pianeti, essendo da ciascun d'essi egualmente di- stante, fino a quello in cui cessano da siffatto equi- libramento, tanto Beatrice ecc. Io mi passai di riferire, perchè troppo lontana dal vero, la lezione comune che porta Quant'è dal punto che li tiene in libra. Il punto qui dinota tempo, e si riferisce all'm- Jine del quinto verso: e però mal sarebbe il traspor- tare su di esso l'azione di tenere in libra quei due pianeti. Forse che altri avviserà per soverchio questo mio discorrere , ma tanto e più ancora pareami ri- chiedersi ; perocché, al giudizio dei savi intenditori delle cose dantesche , l'operetta del p. Ponta è una delle preziosissime che siano comparse ad illustrare la divina commedia. si8 Dello studio e delVuso della mitologia. Riflessioni di angelo jistolji. Ne on è gran tempo che spassandomi per la piaz- za mi posi ad osservare libri da vendersi al miglior offerente. L'uomo fa volentieri quanto vede da altri operare: si che non erano passati due o tre minuti, da che mi stava leggendo a caso frontispizi di libri, i quali trattavano di cose mitologiche, che mi trovai stipato per ogni intorno da molte persone. Infra le altre aveva a costa un omicciattolo di assai fresca età, il quale dando un' occhiata a ciò che io leggeva , disse con alcuni che erano in sua compagnia : Pare impossibile che in questo secolo trovinsi anche cer- ti che corrono dietro a libri mitologici ! Indi se ne andò con Dio. Dopo tre o quattro minuti ripresi io pure a diportarmi, non più pensando a' libri osser- vati, ma alla vera o supposta ragione per cui oggidì gli studi mitologici siano cascali in odio alla cre- scente generazione. Discorrerò la quistione, ma bre- vissimamente, perchè la materia trattala a lungo riu- scirebbe molesta, ed i più volterebbero carta per cer- care altronde un miglior pascolo. Io credo di non andar erralo in tenere, che la mitologia altro non sia in sostanza , che la storia degli eroi e degli dei della più rimota antichità. Par- liamo, a meglio intenderci, parlitamenle degli uni e degli altri. La mitologia, per ciò che si rapporta alle azioni de' più cospicui personaggi de' remoti tempi, Studio della mitologia a 19 trae di certo radice dalla verità: perchè quegli uomini, che ne vengono celebrati , debbono avere avuta vi- ta, e non essere stati al tutto immaginati, come plij innanzi mostreremo. Ma le geste di questi uomini illustri o benemeriti della umana famiglia, che veni- vano innalzale, non sembrando bastevolmente segna- late, i parenti o gli oratori, affine di levare in ammi- razione i nomi de' loro eroi, cominciarono a trami- schiare a' fatti della loro vita cose straordinarie e portentose. E siccome prima della invenzione delle lettere per raccomandare a' futuri le azioni degli uo- mini insigni , che andavano morendo , altro mezzo non eravi che la tradizione , così a mano a mano che queste geste trascorrevano di generazione in ge- nerazione erano vieppiù aggrandite ed esagerate. An- che le prime iscrizioni forse non furono che oscuri geroglifici , i quali eran interpretati e chiariti a ta- lento de' lodatori. In seguito cominciarono a decre- tarsi annue feste a questi eroi per eternarne la memo- ria : indi si elevarono monumenti in loro onore, e particolarmente colonne, siccome quelle di Ercole e di Bacco. E tali solennità erano accompagnate da can- tici e da inni ( forse la prima poesia ) in cui, per eccitare il popolo alla venerazione verso questi uo- mini illustri, si sublimavano fino alle stelle le glo- rificate loro imprese. Tale smania di magnificare e d'iperboleggiare le geste degli uomini grandi dell'antichità, continuò ne' primi poeti, i quali dappoi trovarono buoni imi- tatori. Per tal modo non bastava ad Omero il con- durre Ulisse incognito alla reggia di Alcinoo : per rendere portentoso il suo eroe gli dà per iscorta Mi- nerva ravvolta in una nube. Non bastava che lo stes- 220 Letteratura so Ulisse si trovasse a contrasto co' flutti, ed in pe- ricolo di perdere la vita: fu mestieri il tramescolarvi la collera di Nettuno, il quale così intendeva di ven- dicare il figliuolo Polifemo. Virgilio, che si formò al- la scuola del greco poeta, manda nella stessa guisa Enea alla reggia di Bidone, accompagnandovelo qua- si per mano la dea Venere. Laonde, a bene guardar- vi dentro , la mitologia non è che la storia degli uomini più celebrati de'remoti tempi, guasta e sfor- mata da coloro che ne contavano le geste, come qui sopra ho notato. Il dire poi dell' origine della teologia pagana , sarebbe opera troppo lunga: tuttavolta non sarà fuo- ri di luogo il toccare , che vedendo gli uomini dal bene derivare la loro felicità, e dal male la loro mi- seria, fu oggetto delle loro prime adorazioni il vene- rare il principio buono, percliè li guardasse dall'al- tro pernicioso e nocevole. Questo culto, secondo la sentenza di Eusebio, di Lattanzio, di Cassiano e di altri, pare che realmente cominciasse nell' Egitto e nella Fenicia, d'onde poi si sparse per l'oriente : e ciò a' tempi di Cham, od almeno sotto il regno di Misraim suo figliuolo- Pretendono non pochi, che gli astri servissero ai primi riti de' pagani, avendoli introdotti il qui so- pra citato Misraim, dopo la sua morte appellato per lo appunto Zoroastro , che è quanto dire astro vi- vente, per avere sollecitali gli egizi a venerare que- sti lucenti corpi. Ma il dottissimo inglese Tommaso Hyde nella sua opera sulla religione degli antichi persi ha dimostrato, che Zoroastro viveva a'tempi di Dario figliuolo d'Islapse : e che questo Zoroastro yeggendo dati quc'popoli al sabismo, o sia all'adorazione de- Studio della mitologia 221 gli aslri , cercava distoglierli da ciò. Temendo per altro che inferocissero conlro di lui, come empio e sacrilego , bellamente sludiossi d'indurii a rendere onori al sole ed al fuoco , dicendoli i due princi- pii fecondatori del mondo. Checché sia di siffatta qui- stione , pare che non si possa revocare in dubbio , anche per testimonianza di Maimonide, che gli uo- mini della più remota antichità, ed eziandio antidi- luviani, veggendosi cotanto beneficati dal sole, qua- si per via di gratitudine si sentissero mossi a pre- stargli ossequio di religione. Diodoro siculo alla gratitudine unisce la sorpresa , che recava questo astro primario, soprattutto nel suo nascere, e la ma- raviglia che pure destava la vista della luna : don- de ne venne che i popoli cominciarono a riverirli sotto nome di Osiride e d' Iside. Dall' Egitto tale culto passò alle genti convicine, poscia alle più lon- tane, iscamblandone i nomi. Così gli ammoniti ado- ravano il sole sotto nome di Moloch , i caldei sotto quello di Belo o di Baal , gli arabi il dicevano Ado- ne, i moabiti Beelfegor, i persiani Mitra, gli etiopi Asabino , gl'indiani Libero , in fine Apollo o Febo i greci e i romani. Quantunque Sanconiatone vo- glia, che l'apoteosi degli uomini fosse introdotta fi- no da'più lontani tempi, tuttavolta questa è senten- za rigettata da molti dotti, e più dalla buona criti- ca. Imperocché siccome le arti tardarono assai a spar- gere i loro beneficii sopra gli uomini, così non nac- que subito quel sentimento di riconoscenza verso alcuni benemeriti all'universale, che potesse invitare i popoli a prestar loro alti onori: fra'quali non po- teva non essere il primo quello di associare i loro nomi a qualche astro, e per tal modo render loro 222 Letteratura omaggio di divinità. Certo egli è , che in processo di tempo dal culto degli astri si verme a quello di altre cose materiali, e sopra tutto del cielo, degli e- lementi, de'fiumi, de' monti, e dappoi si collocarono uomini o per gratitudine o per adulazione nella schie- ra degli dei. Allorché poi le arti ringentilite da'mae- stri dell' antichità ( fatti sommi perchè fedeli imi- tatori della natura) ascesero a quel grado di splen- dore, a cui è stato fin qui vano il tentare di più aggiungere, comparvero quelle maraviglie del culto pagano, cioè i mausolei, i templi, le statue, le di- pinture, i cui avanzi tuttora ammiriamo siccome por- tenti dell'umano intelletto. Questo scorcio e questa sterilissima idea della istoria eroica e teologica del paganesimo può bastare per dar a vedere quanto sia esteso lo studio della mitologia, per chi ne voglia avere almeno bastevole notizia. Or bene, non v'ha poeta, oratore e forse an- che istorico greco e latino, i quali o non facciano oggetto de'loro scritti materie mitologiche, od almeno non ve le tramischino per maniera, che chiunque vo- glia ben comprendere i loro pensamenti abbia duopo di una non lieve contezza della mitologia. E chi o- easse aprire alcuni di questi libri ( anche tradotti ) digiuno di siffatti studi, dopo alquante ore di lettura ne correbbe quel frutto , che ne avrebbe colto se avesse dato il tempo al sonno o al diporto. Quanto poi sia necessario lo studio della elo- quenza, non solo per divenire poeta ed oratore, ma per qualunque altro che professando le scienze e le lettere abbia bisogno di rettamente ed elegantemente esprimere i propri pensamenti, non ispenderemo al cerio parole in dimostrarlo. Più presto aggiungere- Studio della mitologia 223 mo , clie a conseguire un tal fine non basta, co- me molti si avvisano, il leggere i nostri classici au- tori italiani : perchè essendosi questi scrittori for- mati alla scuola greca, e particolarmente latina, l'ap- plicare soltanto alle loro opere, tornerebbe lo stes- so che il pretendere di divenir grande artista stu- diando gl'imitatori de'sommi maestri dell'arte^ e non i lavori originali de' maestri medesimi. Che se per riuscire non solo rinomati poeti ed oratori, ma an- che puliti e tersi scrittori, è duopo attingere ai fonti della greca e latina sapienza: se questi libri non si possono utilmente svolgere senza il soccorso della mi- tologia , di cui sono per lo più aperse le materie trat- tate dai classici greci e latini ( e toccate altresì da molti poeti italiani ); ci par chiaro, che la mitologia anche al presente si debba avere in pregio egualmente che in passato, e che sia stoltezza il mettere in di- leggio chiunque a ciò intenda. E per questa stessa ragione , onde fa mestieri studiare i classici greci e latini , indi i nostri ita- liani, affine di addottrinare l'animo e formarsi buo- no scrittore, è indispensabile ancora l'istruirsi sopra i classici maestri delle arti del bello , che fiorirono nella Grecia e nel Lazio , chi voglia diventare ec- cellente artista. Molti principi italiani e molti altri ricchi signori hanno profuse in passato, e profondo- no anche oggidì , somme sterminate in operare sca- vi per riunire cose. d'arte o di numismatica, e tutto questo all'oggetto di favorire potentemente siffatti stu- di. Corrono le poste stranieri d'ogni maniera per re- carsi ad ammirare questi capolavori, specialmente gre- ci e latini , che la liberalità de' regnanti ha dispo- sti e collocati in ordinali musei. Se illustri viaggia- 224 Letteratura tori tengono lunghi cammini per contemplare que- sti gloriosi avanzi degli avventurosi secoli delle ar- ti, vorremo credere che prima d'imprendere le loro peregrinazioni non avranno applicalo alle storie, ed in particolar modo a ciò che ha rapporto alla mito- logia ? mai no. E fra tutte le scienze quale corredo di questi studi non dimanda l' archeologia e la numismatica ? Per ispacciarmi più presto della ricerca , ridirò la sto- riella di un caso non ha guari accadutomi, il qua- le metterà in chiaro il bisogno d' inslruirsi anche nella mitologia non solo per gustare i classici gre- ci e latini, ed ammirare con buon prò i lavori de' più supremi maestri dell'arte che in quella felice età fiorirono, ma altresì per mantenersi in concetto d» uomo savio e dottrinato, per chi ami costumare con sapienti. Mi condussi una sera da una signora di scelto lignaggio e di svegliato intelletto, la quale fa assai volentieri della sua casa un ritrovo di persone scienti e letterate. Passando dall'un discorso all' al- tro, la dama era entrata a parlare di una statuetta pel suo giardino da lei allogata ad un valente arti- sta; quando corsole alla mente un altro pensiero el- la disse: Oh ! io voglio consultare questi amici so- pra un oggetto archeologico. E fallasi recare una fi- guretta in rilievo, che sembrava di bronzo, aggiunse: Un nostro lavoratore di un podere di montagna, dis- sodando un campo, ha trovato questa statuetta, che io non so né di che età, né da qual nazione sia fat- tura; sentiamo un pò il parere di alcuno di questi signori. Tutti guardarono la statuetta, ma niuno pro- feri parola. Allora la prefata dama : Voi, dottor R., essendo mezzo antiquario, che ne direste.? 11 giovine Studio della mitologia 325 dottore, voltala e rivoltata più volte quella statuetta fra le mani, finalmente proferì: - E un'antichità etru- sca.- Un altro forse di pari età, compostosi grave, ag- giunse:- Questa statuetta già rappresenterà alcun che di mitologia : ma adesso non si sciupa il tempo in queste inutili materie, come si faceva una volta. In vece di spendere in cose di maggiore istruzione, gli uomini debbono occuparsi della verità, e non delle favole.- Io che quantunque non medaglista, ne archeo- logo , aveva subilo riconosciuto che quella staluella non era che uno di quegli idolelti rappresentanti il dio Pan, i quali si fondevano in gran parte dell'Ita- lia nella occasione de'lupercali, ossia delle feste che si celebravano in onore di questo nume: - Crederei piuttosto, slava per dire. ... - Ma un mio amico mi tirò forte per la falda del giuslacore : Non va bene contraddire in società ^ mi sussurrò all' orrecchio : vi taccerebbero di pedante^ e vi metterebbero in beffe.- Ho inleso, risposi io: - e non aggiunsi parola. Preso per altro per mano quell'amico mio, pas- seggiando su e giù per una elegantissima sala, co- minciai a dirgli: Questo si appella il secolo dei lu- mi: ma io lo chiamerei anche quello delle contraddi- zioni. Ciò che mi è accaduto questa sera, molte al- tre fiale mi è avvenuto , cioè di vedere lo studio della mitologia venuto a noia dei più, e nel mede- simo tempo volersi da tutti oggidì dare sentenze fi- nali e terminative sopra oggetti di arte. Non s' in- ciampa adesso in un sasso , in uh frantume di la- pide, non si trova una vecchia e slavala dipintura, non si dissotterra un braccio, una gamba, un torso, una testa di statua, la quale abbia apparenza di co- sa antica, che molli non si mettano a disaminarla per G.A.T.XCVIII. i5 226 LlTTKRATURA darne subito alle stampe le illustrazioni. E come far questo, e poi mostrare di abborrire da quegli studi, che ci possono essere via a farne buon giudizio? Ini somma assicurati, amico mio, che col mettere in ri- dicolo, come al presente si tenterebbe, gli studi mi- tologici, si verrebbe a portare nocumento alle buone lettere : perchè bisognerebbe tralasciare non solo qua- si ogni applicazione a' libri de' classici greci e la- tini, ma ci attireremmo addosso dagli stranieri altre- sì la taccia di stolidi e scempiati. Imperocché noi italiani, che abbiamo in ogni dove un suolo semina- to, anzi gremito di avanzi di preziosi antichi monu- menti, ci veremmo da noi stessi a chiudere la stra- da di apprezzarli ed illustrarli con buon senno. Dopo di aver detto della necessità e della uti- lità degli studi mitologici, facciamo una parola del- l'uso degli studi medesimi. Quanto alla pratica, ossia al valersi della mitologia , io mi trovo meglio cogli uomini nati in questo secolo che in quello ch'io uscii del grembo materno, e peggio ancora cogli altri del secolo precedente , cioè del decimosettimo. Era ve- ramente una noia, se non vogliamo dire una seccag- gine eterna, il non leggere mai un sonetto, una can- zone, un'ode, un discorso, una dissertazione, che non fosse ripiena di fatti mitologici. Parlano proprio a mio modo certi giovani autori, i quali ricordano e sug- geriscono a' poeti , a' prosatori , ed a' cultori delle arti belle, il fare subbietto de'loro componimenti cose italiane , da che l'istoria nostra cotante ne sommi- nistra acconce al bisogno. E questo si può dire al- tresì della tragedia, la quale sarà di più fermo ri- cordo e di maggior prò agli spettatori , ogni qual- volta eglino sappiano che le azioni magnanime o Studio della mitologia 227 malvage, che si rappresentano, furono commesse non da uoraini favolosi , ma da uomini che vestirò no polpa ed ossa, come noi viventi. Pertanto, a spremere il succo di quanto fin qui bene o male dissi, a me pare rimanere chiarito, che gli studi mitologici si deggiono coltivare con quel fervore che si adoperava in passato , non già per imbrattarne ogni argomento da trattarsi, ma perchè senza ciò non è dato il dischiudere i tesori della greca e latina sapienza, né il penetrare la mente di que' sovrani maestri del bello, le opere dei quali è indispensabile diligentemente studiare per riuscire artista di alcuna celebrità. Io non mi so quanto que- ste mie parole possano garbare a chi le abbia lette. Se ho detto male non imbizzarrirò al certo nel mio avviso, anzi sarò assai grato a chi, non persuaden- dosi della rettezza del mio discorso, mi faccia accor- to con buone ragioni d'avere io sostenuta una bi- storta opinione. — »^^50^^3-«»— 228 Lettere d'uomini illustri al p. abate D. Anselmo Costadoni, monaco camaldolese^ tratte dagli au- tografi della biblioteca di s. Gregorio al cli- vo di Scauro. LETTERE DI GIOVANNI BRUNACCI. I. VJJempre si grida carie: ecco un autografo, che mi capita in questo momento sotto le mani voltando l'archivio di s. Pietro (i) : <( Mill. cent, nonagess. sodo ind. decima die XI » exe. mad. actum est hoc in civifate Vicenda apud » monasterium quod dr sci Petri et camera Abba- » tisse (etc). Eodem vero anno die ultimo mensis in » claustro raonaslerii pnte dno lohe monasterii SCE- » LVCIE abbate, et. » Se s. Lucia è ora de' camal- dolesi, dovranno far riflesso se col nome del mona- (i) Il genio del Brunacci per lo studio delle antichità e del- la storia del medio evo gli fece visitare non solo gli archivi di Vicenza, ma quelli ancora di Venezia, di Padova e di molte al- tre città, dai c[uali trasse copie di carte pregevolissime» Lettere inedite 229 stero avevano i camaldolesi anche l'abito fin dal 1 192: che saria molto (i). E s'intenda la carta comune an- che al padre Calogerà. E siate tutti due buoni: che '1 Signore lo comanda (2). Ieri al padre Calogerà ho scritto per le venti copie legate del mio libro (3). Oggi lo confermo. Dun- que delle mie 5o, che ha seco, ne faccia legar ven- ti al Pasquali e le diriga a Vicenza al conte Lodovico Barbieri, col quale ho parlato ieri dopo pranzo. Qui cosi legate me le pagheranno 5o soldi. Deo gralias. Vicenza in s. Pietro 1744» ^' dicembre. IL Tirabosco lo conosco, benché losco, e tenetelo per vosco, che per voi schicchererà il tosco (4). Vi son obbligato della mia data al sig. procuratore. Io tra cento dissertazioni avea fissato questa come fatta al det- to propriamente di lui; ma questo non vederne ri- sposta mi fa credere che non sia gradita, come m'im- maginai : e però farò alto. Dico poi a voi , che mi fareste ridere col revocare in dubbio quello che ac- (i) Pare che gli annalisti camaldolesi abbiano fatto poco conto di questo documento del Brunacci; poiché nel tom. V, p. 293-4 fissano il principio del monistero di s. Lucia presso Vicen- za all'anno i3i4. Veggasi la carta che riportano nell'appendice del citato tom- pag. 412. (2) Il carattere faceto del Brunacci e la sua familiarità col Costadotii apparirà meglio dalle lettere seguenti. (3) Dovrebbe intendere il libro De re nummaria patavino— rum, da esso pubblicato in quell'anno a Venezia. (4; Il p. don Alessandro Tirabosco era monaco col Costado- ni in s. Alicliele di Murano. aSo Letteratura cenno. Potete ben ricordarvi ch'io niente dico se non con carte o autografe o autenliche. Ne molto mi pia- ce far così un fascio di tante belle memorie, e do- rarle senza proposito. A voi, al Calogerà, siate bene- detti, vedete non faccio mistero: e sul fatto avete ve- duto, che vi presento i libri: e volentieri il faccio: e, piacendo a Dio cli'io venga là, sempre sarà l'istes- so. Ma nessun altro può per conto mio vantarsi d'al- trettanto. Per quello che mi dite di Ca Manino, io vi ringrazio, e sempre più imparo a conoscere il vo- stro genio caritativo. Nell'inchiusa vedete che seguito il vostro consiglio , lodando ec. Ma l'adulazione mi pesa troppo: onde mi son regolato cosi. Non ho me- moria quanto la carta delle mie stampe mi sia co- stata. Ma ci'ederei cinque lire e mezza la risma. Se potrò farmi forza, mi ridurrò pure a Padova con mio padre; perchè fuor di casa non posso vivere in al- tro modo. Nel qual caso vi provvederò come vorre- te. E son tentato d'andar presto là. Anzi mio padre sempre mi batte su qvieslo. Io son quasi sicuro che mi troverete qualche nicchio; e sarà gran carità, per- chè temo di precipitar un dì; non mancandomi ne ragione ne volontà! Queste sono rime, altro che quelle del Bosco e Tirabosco. Cento volte salutatemi Calo- gerà. Iscrizione a s. m. mater dni. « Pad. mccclxxxvu die XV augusti a dno Grego. PP. XI per ordineni impelratum habitus monialium s. Marie de Conver- titis de ALBO in nigrum mulatus est per dum re- verendissimum anlistilem Padue (etc). » E nel Tomas- slni, ma sicuramente sarà alterata. Io andrò a rico- noscere la lapida, che me ne ricordo il sito; e sta in caratteri barbari. Non mancate di tener all'impegno la madre Tirabosco per le carie del B. Pellegrino. Monseiice 9 febbraio 1745. Lettere inedite a3i III. Voi mi dite, ma non mi dite tutto. Non fate data alla lettera; mostrate di non sapere che Suzzi è venuto a Venezia per espedire questo fatto (i). E mi si dice dagli amici, eh' egli ha scritte le ob- biezioni. Nel resto ci accordiamo; e che tal sia l'o- nestà del P. Ponte, e di Suzzi, e degli altri. Io so- no testimonio che Suzzi fu indotto dagli amici a stam- pare; e chi conosce il suo carattere, vedrà ch'egli non ci ha vanagloria. Aspetto un'altra vostra, che mi descriva il fine di queste dubbielà. E state sicu- ro che tutto è in mano di persone tanto ragionevoli e tanto discrete , che non ne può se non uscir di vantaggio. Il sig. Calogerà non si è degnato di scri- vermi il prezzo dell'Affarosi in tre tomi. Ricordate- glielo, che me ne scriva; o scrivetemene voi. Al sig. Antonio Terzi qui è destinata la cattedra del Barto- li (2]. E lo so da buona parte. Addio. Padova 25 dicembre 1747- IV. Una parte della vostra lettera dei 3o (3) di que- sto è che riguarda me: come se avessi sparso che il (i) Per l'intelligenza di questa lettera vcggasi la seguente. (2) La cattedra di diritto canonico che il Bartoli lasciava perchè promosso al vescovado di Feltre. (3) E' notabile l'accorgi mento del Costadoni, che inserì nel codice la minuta di questa sua lettela al Brunacci^ la quale qui aSa LlTTERATURA. padre lettore Ponte ha de'dubbi sopra l'opera del Suz- zi. A questo rispondo, ch'io non parlai. E vi dico che si riporta perchè si conosca la sloria del civile litigio , com'egli lo chiama, fra il Suzzi e il p. da Ponte. Ecco la lettera .• ,, Carissimo amico. Io vi scrissi il giorno di s. Tommaso: e ,, come mentre scriveva era venuto uno a seccarmi, cosi io sba- ,, gliai. Il di 24 0 aS da noi si seppe che il Suzzi era a Venezia: ,, e dairOrtes, che venne qui a posta, si usò diligenza per sapere ,, dov'era il di lui alloggio, e lo si seppe con un viglietlo deil'Or- j, tes soltanto il di 'jy al mezzodì. Andò dopo il pranzo il p. lelto- ,, re da Ponte per riverirlo, e gli fu detto ch'era partito per co- ,, sti la mattina. Voi poi con lutti gli amici siete in errore, men- ,, tre alle obbiezioni del Ponte il Suzzi non ha rì&poslo ne l'erbum ,, quiclem. Se voi innocentemente non aveste sparsola notizia da- j, tavi dal p. lettore Calogerà , che il p Ponte avea dei dubbi „ sopra il nolo canone, il p. lettore Ponte avrebbe comunicato ,, segretamente le sue ragioni a Suzzi: e senza che il mondo sa- „ pesse, a quest'ora si avrebbe il Suzzi rilratUilo con suo onore. ,, Ma la voce sparsa impegnò il Ponte a scrivergli subito la prima ,, lettera onestissima; e poi studiare bene la materia in modo da ,, poter presentarla, non già ad uno scolare e ad un privato ami- „ co, ma ad un valentuomo , e ad un professore di tanto merito „ e sapere com'è il Suzzi; e perciò dilazionava alquanti giorni, ,, tanto più ch'egli è pure impedito dalle lezioni di mattina e di ,, dopo pranzo. Queste obbiezioni del Ponte hanno dato origine ,, a due partiti. Uno che scusa l'accidente del Suzzi mal servito „ da' suoi amici, e tradito ignorantemente dal Riccalo; e l'altro ,, che riceve dalli partigiani del Suzzi degl'insulti ti'oppo pregiu- „ diciaii all'onore del p. Ponte, ed alla memoria sempre onore- „ volissima , e, convien dirlo, sempre rispettabile da chicchessia „ del p. abate Grandi. Voi ben vedete che queste ciarle non so- I, no indifferenti, e niente meritate da chi la ragion! nell'ordine „ e nel merito. La materia non è di erudizione, o di morale, ove ,, si può parlare, e tirare di qua e di là ragione, come si fa le cal- ,, zetle; ma le matematiche sono cosa di fatto che amnicllono o ,, verità o errore. lersera ha scritto il Ponte al Suzzi, che non „ può più tacere riguardo alle tacce che gli vengono date, e che ,, perciò conviene che il Suzzi risponda alle sue dillicoltà. e re- „ standone capace, egli sarà sempre in islalo di rendergli giuòti- Lettere inedite 233 uè pur io parlai della vostra prima lettera dei 21, e non ne parlerò: e non parlerò dell'altra che ricevo oggi. E pur questa sera o domani debbo andare dal Suzzi per altre faccende. Ma intendiamoci. Non ne parlai in modo, che questo abbia prodotto l'impegno nel p. Ponte. E mi stupisco che si cerchino que- sti pretesti (i). Poiché Suzzi è tornato da Venezia, ,, zia anche colle stampe: ma se le risposte non gli quadreranno, „ è in impegno di fare che il pubblico ne dia il giudizio. Ecco ,, tutta la storia miserabile, ma vera. Io che amo e stimo davvero ,, il Suzzi, e che 1' ho scusato ed onorato con tutti, anche con „ chi può, e che pure amo e stimo il Ponte, credetemi, che ho „ di questo civile litigio un grande dispiacere E non so altro che „ dirvi di più. „ Il p. Calogerà dice che l'Affarosi vale lire i3: e se ne vole- ,, ste qualche altra copia, la farà venire da Reggio. „ Cosi pure qui intesi del meritato avanzamento del Terzi. Tutti ,, poi gli amici, il Calogerà, il .Miltarulli, il Ponte, il Bernardi, il ., Vie vi abbracciano di cuore. 5o dicembre 1747 D, Anselmo lutto vostro. (i) Questa espressione dispiacque al Costadoni,e il palesò nella replica al Brunacci del tenore seguente, da esso parimenti inserita nel codice iu minuta. ,, In tutta la vostra lettera non mi dispiacciono se non le pa- ,, roìe: Mi stupisco che si cerchino questi pretesti. Mentre noi lut- ,, li operiamo alla buona, senza bindoli, e da veri galantuomini, ,, come dobbiamo essere. S. E. il sig. procuratore Foscarini era „ impressionato che il sig. dottor Suzzi avesse nelle sue lettere ,, malamente trattato il p. Ponte; ed io, oltre averlo assicurato ,, che sempre furono onestissime da ambe le parti, ho pensalo pre- ,, sentargli le copie: Io che ho fatto ieri; e vi giuro che ho difeso „ e difenderò la persona del Suzzi sempre con lui e con altri, j, e colla ragione che non è il primo degli uomini grandi che sia- f, si ingannato , specialmente tradito dagli amici, che troppo lo ., lusingarono, senza esaminare di proposito la materia, amando „ questi due teneramente. Vi m.miierò quest'altro ordinario ne' 234 Letteratura cioè che il fuoco era acceso al modo die è , io ho detto che fino a quel tempo ch'io era a Venezia , io sapea che il padre Ponte aveva degli scrupoli; e ch'e- gli non si vanagloriava di questo; ma se n'era spie- galo con alcuno segretamente e con del rammarico. Io ho fallo uso di questa notizia per metter acqua sul fuoco; e praticare quel metodo che son solito, quando si tratta di voi altri, miei amici camaldolesi: perchè agli altri serva d' esempio la vostra dottrina congiunta colla modestia e colla civillà. Riveritemi tutti que' degnissimi soggetti, e credetemi. Padova ultimo del i747' V. Ho avuto le novelle di Firenze, la vostra let- tera, e il libretto sopra la tavola greca composto da voi. Tutto va bene, e voi conoscete il mio tempe- ramento; e conseguentemente quel ch'io pensi del li- bro. Io vi consiglio a farne degli altri, e tuttavia do- narmene; e finalmente non ricercarne da me giudi- zio. Se io lodo, come non direte che fo cerimonie? Dunque debbo criticare per affettare sincerità? Il li- bro è pieno di cose giovevoli; ma per aver idea pie- namente del loro merito bisognerebbe studiarle ne' fonti. Poi sapete ch'io sono il matto della brevità! ,, foglietti la mia dissertazione della croce, e vi darò alcune rì- ,f sposte de' miei amici di Roma intorno di voi, che sono vere, e ,, tali e filiali. Vi abbraccio con tutto il cuore, e spero lo crede- „ rete- Addio, addio. Lettere inedite a35 Voi medesimo descrivete il viaggio che si faceva per voi d'uno in altro libro, e d'uno in altro ìndice; col- la quel' occasione vi si crescevano materiali per l'o- pera. Nel qual caso fate più bene al lettore che a voi. Ma, replico, buono è il cumolo delle notizie, e nell'ordinarie mostrate di crederle necessarie; ne di farlo per ciarlataneria. La favola mirìjlco dedii- cta modo, secondo la delineazione che ne fate, non si può mettere sopra l'età dell'ab, Francesco; e altro è che in altri secoli si trovino quelle complicazio- ni di lettere, altro che abbiano quel disegno. Que- sto posso provarvi per originali. Onde mi auguro d'e- ■; saminare quelli che citate per tutto, per assicurarmi del tempo del vostro monumento, l^à risalto al vo- stro merito la comunicazione che si vede che avete con tanti valentuomini: e l'Indicate con bel modo. Il sig. Calogerà non vuol die si vada lodando con queste milensagginl ; ma battendo, strepitando e sa- lendo in aria. Vi dico bene che tornerò a leggere la dissertazione; e può essere ch'altramente me ne sembri. Avete veduto la cartina che l'ab. Suzzi fece seguire alla sua opera alle accademie? Io non la vi- di. Oh se sapeste quanto gran bene mi farà l'artico- lo di lettera che poneste per me del sig. avvocato Garatonl! Fu letta la vostra a questo emlnentlssimo (i). Monslg. Ferri prese occasione di bei discorsi. Ho da- to a leggere la vostra dissertazione al canonico biblio- tecario di s. Gio. di Verdara, ch'è della famiglia Dondi (i) Al cardinal Rezzonico, che fu poi papa col nome di Cle- mente XIII, del quale tornerà a parlarsi. 236 Letteratura da Orologio, e dell'angelica vostra indole. Risalutate tutti codesti vostri degni colleghi, e credetemi. Padova 19 gennaio 1748. VI. A disnare Lo ricevuto il fagotto; e lessi la vo- stra lettera a tavola. Ho detto in pubblico quello che n'era; il marchese Gasparo, ch'è il primogenito, si mi- se a dire: - Quando è vita d'un santo, sarà per mia sig. madre (i).-lo risposi alla madre, che veramente sarà ben collocala nelle sue mani pregiabili. Onde ho disfatto il fagotto; e le ne diedi la mia copia. Subito dal pranzo ne leggessimo davanti al fuoco, finch'è venuto Vallisnieri a interrompere. Questa è un'amicizia fatta così. Il libro è rimasto nelle came- re di quella matrona, ch'è qui stimata delie più savie, delle più pie e delle più intelligenti. Ho mandato l'altra copia alla madre badessa del B. Pellegrino, e per l'altra al sig. card, mi sono regolato così. E' due giorni ch'ho principio del mio male di gola; e per- ciò mandai al canonico Ferri la vostra, con doman- dargli consiglio; perch'io per altri due 0 tre dì non posso mettermi in pubblico. Fatto questo, son anda- to così in berretta da Tartini ch'è a queste bande, e (1) Accenna qui l'opera pregevolissinriR del p. Mlltarelli dedi. cala a papa Benedetto XIV : Memorie della iuta di s. Parisio monaco camaldolese, e del monastero de' ss. Cristina e Parisio di Treviso. Ven. l'^^S. Lettere inedite 287 gli diedi la copia del p. Fromond (i). Me n'iia par- lato, e me n'ha detto mille parole, e molto fu tocco per l'espressioni della vostra lettera. M'iia detto ch'io scriva; che dopo si farà da lui. Ho mandato Taltra co- pia del Fromond a Colombo. E poi mi son chiuso nel- la mia camera; e davanti al piccolo fuoco ho preso in mano la copia per il sig. card., ch'è quella in pe- cora. Ho letto così da convalescente, cioè guardando- mi dall'applicazione. Mi toccarono fortemente que' documenti nel fine. Anzi credo d'averne bisogno per qualche caso mio. Già vidi la perizia del p. maestro Mittarelli quel dì che si consultò i codici del mona- stero. Il libro mi parve fatto con giudizio, secondo ch'io l'andai leggendo fino alla pag. 79. Perchè qui mi venne la risposta di monsig. Ferri, che da lui a conto mio si darebbe la copia colla lettera nelle ma- ni di Sua Em. Ho mandato a lui ambedue. Ma se la sig. di casa non mi restituisce quella ch'era mia, che ne faremo, Costadoni ? Mi raccomando, salvate- mene un'altra, perchè è veramente libro che io vo- glio avere. Ilo notato - giorno di domenica decimo ex- eunte novembre -^ cioè alli venticinque: nel latino sa- rà sexto in vece di decimo^ io credo. NelTislesso tempo son avvisato, che il p. Colombo non è in ca- sa. Onde risposta da lui niente. Voi ringraziate per parte mia i dotti due scrittori di queste due opere, vostri colleghi, e mici cari signori. Ho detto e di- rò sempre che la vostra congregazione camaldolese por- ta in Italia il pregio del monachismo. Anche oggi (i) E' questa l'opera del p. Gio. Claudio Fromond professore nell'università di Pisa : Nova et generalis introduclio ad philo- sophiam. Yen. J748. a 38 Letteratura abbiamo detto e tornato a dire di quell'amabile col- legio , ove voi siete , di s. Michele. Ieri l'altro ho avuto la lettera del P. Calogerà, e il dì dopo i fo- glietti. Avvisatelo che Lami non ci ha mandato il fogl. 6. Onde l'aspettiamo a primo incontro. Debbo pregarvi che ringraziate il p. Tirabosco per la pena che si è preso di scrivermi a nome vostro la let- tera. Io sempre trovai quel monaco assai gentile. Voi mi domandate quaresilo ebbe la vostra coli' inchiu- so capitolo da Roma. Vi rispondo, che per quella si è avanzato assai il discorso di monsignor Ferri con sua eminenza per gli aiuti da prestarmi. E a suo tem- po si finirà pure. Ma vedete che bisogna far come di volo certi colpi. Intanto la mia istoria è arrena- ta (i). Ma spero non mi succederà più tal caso. La vostra dissetlazione è presso il sig. Alessandro Don- di Orologio canonico lateranense; e l'altro dì, che fui a cioccolata da lui , me la ricordò , e nuovamente me ne professò obbligo. V'ho detto che questo gen- tiluomo è dell'angelica indole, come siete voi. E se verrete a Padova ne resterete soddisfallo. Spero che il signor Calogerà starà meglio. Saluto lui e voi e Mittarelli e tutti quanti divotamente. Padova io marzo 1748. VII. y Ai dieci di questo vi scrissi de' libri che mi (3) La storia della chiesa di Padova, che il cardinal vescovo Rezzonico gli avea commesso di scrivere, e che condusie fino al- iamela del secolo XII, La versione latina, che iie avea comiaciata, giunge alla metà del secolo XI. Lettele inedite aSg rnamlaste, e subito quella sera mi gettai a letto per il mio incomodo di gola. Vi stetti tutto ieri e que- sta mattina fino al disnare. Dopo questo ho ripre- so la vita di s. Parisio, e al fuoco V ho scorsa su- perficialmente: perchè non m'arrischiai ancora d'ap- plicare. Ho notato la dedicatoria, che non può es- sere meglio intesa per un papa di tanto studio in simili materie. Mi venne in mente come all' ango- lo del 1200 qui abbiamo avuto la famiglia Parisio; e mi ricordo in carte di quel tempo Corani jélher- to indice de Parisio'. ma non ho ozio ne testa di scorrere i miei avversari. Ho veduto alla pag. 208 o 108 quelle mie lodi ; e son obbligato all'attenzio- ne dell'amico. Veramente io mi pregio della buona amicizia con voi altri miei signori, e come fratelli. Quell'Alessandro qui detto del JViìio, credo ch'era del Nevo. E non mi stupisco che non sia apparso chiara- mente nella carta. Anche a me carta di que'tempi, già sei anni, dall'archivio de'canonici di Monselice capitò con questo nome; é mi fece penar estremamente per la difficoltà del carattere. Credo certo che dicesse del Nevo\ perchè d'allora in poi non ne so al- tro, e non è poco che me ne ricordi; massimamen- te che io non applico a questi studi. Altro ora non non ve ne posso dire; perchè non occorre ch'io m'al- teri coll'applicazione. Ben vedo che l'autore ha da- to in bei punti dell'arte, come nell'istoria del mo- nastero, nella serie delle badesse, nella descrizione degli acquisti. Il libro non è in mia mano; e l'ho letto sur al fuoco nelle stanze della marchesa Da- ria Dondi da Orologio, ch'è la matrona che vi no- minai. Anzi ho veduto che ha un segno fatto da lei, secondo che lo va leggendo. Poi essendo venuto raon- a4o Lettekatura signor Ferri l'ho portato sotto il braccio negli ap- partamenti della raarchesina sposa; e qui con diver- si gentiluomini v'abbiamo tenuto sopra conversazio- ne. Poi detto monsignor mi trasse da basso nella mia camera, e mi disse come avea presentato per parte mia il libro e la lettera all'eminentissimo Rez- zonico; che sul fatto s'era parlato di me, che sua emi- nenza mi vuol aggiungere altri cinque ducali il me- se per impiegarli in aiuto dell'istoria ecclesiastica. E vedete, quello che voi mi ricercaste nella vostra ieri l'altro; e come la cosa finalmente andò a finire. A voi, a Mitarelli, a Calogerà credo di dovere questa mia nuova soddisfazione. Poiché a forza di battere chi per un verso chi per altro, avete aperto. Vedre- mo dunque al principio del mese venturo. Debbo anche dirvi come oggi ho portato il libro del p. Fro- mond al marchese Poleni ; percliè mi parve eh' ivi qualche parte spettasse a lui. Non ci ho avuto riguar- do, perchè già è a stampa. Non lo trovai, ma l'ho la- sciato in mano di Vitaliano IJonà che convive con quel letterato. Crescono i miei timori per il libro do- natomi dal p. maestro Mitarelli, e me ne dispiace, perchè se l'avessi lo comunicherei a qualche perso- na che torneria conto. La marchesa Daria non mo- stra disposizione di restituirlo. Se me ne mandaste altra copia, dirigete: a Al sig. Gaetano de'Biasi libraio al Bo: )) come Calogerà fa le novelle di Firenze. Direi che n'arrischiaste qualche copia anche per esitare; nel qual caso mi prescriveste il prezzo. Ma questo è un paese poco alla mano per libri di tale argomento. Pu- re fate come piace; ch'io farò come posso. Quel che vi scrivo del Poleni può star occulto, finché non odo Lettere inedite a4i il suo sentimento. E' uomo col (£uale i riguardi non sono mai troppi. Padova 12 marzo 174^. Vili. Grand'aria , sig. Cosladoni ! Vi si scrive e non rispondete. E poi si dirà che Brunacci non sa scri- vere ! Ne pure di Calogerà si vede. Maffei direbbe: Questa è una specie di congiura. Ho lasciato ordi- ne che la vostra, ch'era nel pacchetto delle novelle, sia portata alle monache di s. Marco. E a voi dico, e ditelo a Calogerà , cìie monsig. Eerri è in Vene- zia in casa di sua eccellenza Michele Morosini. Ho veduto nell'ultimo foglietto di Venezia l'elogio sopra s. Parisio e suo monastero; e mi parve che quel rac- coglitore non v'abbia messo niente del suo : conse- guentemente si può soffrire. In quei di Firenze ho letto del vostro sopra la s. Croce, e vi trattano bene. Ma io son molto secco di quel Lami con quel suo Maffei e Bianchi e simili matti della gloria. Voi ama- temi, e i vostri colleghi con voi. Addio. Valete. Padova 4 aprile 1748. IX. Son offeso in un braccio ch'è otto di; onde non vi stupite di questo scrivere. Queste sono le prime lettere che faccio. E fu accidente che questa mattina col braccio al collo andai da Gaetano libraio, e tro- vai l'involto di Firenze, e le vostre e di Calogerà ! Io vi rendo grazie, e certo mi obbligate, ma tanto e G.A.T.XCVIII. 16 242 Letteratura poi tanto; ma assai. Voi dite che della introduzione non slete soddisfatto. Io vi dirò quel ch'ho fatto. Ho portato lutto al nostro Brazolo; e fece, come vedete. Ma, per amor di Dio, che non se ne sappia da lui; che direhbe del diavolo. Qualche cosa è ivi più spic- cata, e voi potrete accomodare al vostro stile. L'ope- ra è stata da noi due stimata; e Brazolo m'ha repli- cato : Questo vi fa onore. Piìi netto mi parrà che mi diate del voi. Il titolo:A.l sig, (etc.) istoriografo (etc). Invece di cominciare col sig. ab. riv., potete col mio si°'nore. Dentro, dopo mezza riga, potete venire col sig. abate. In fine alla conclusione della lettera, tor- nerete a darmi del voi. E poi, quanto da voi, e col consiglio di Calogerà e de' miei amici , sarà fatto , tutto sarà bene. Ma fa specie che in tre pezzi sia sempre il medesimo nome. Se è tessera, non ne vor- rebbe pili d'uno, perchè per contrasegno d'una sola persona. O che era non per indicare la persona, cioè l'adepto, ma la rappresentazione; come se dicessimo in altro genere, Miles gloriosus (etc.) Così quella o quell'altra funzione ne'sagrifici di Bacco, di Mitra o d'altri. Compatite, che sono oscuro, d'oscuro; per- chè non m'arrischio d'allungarmi a scrivere, per non patire. Ho fatto due righe a Lami per il dono del libro. Quel di Ruggieri non so se sia pretesto. A Fac- ciolati avrebbe fruttato una pensione. Dite al Calo- gerà, ch'io lo prego a slampare questa vostra disser- tazione subito; perchè mi frutterà assai : e mi rispon- da dell'orazione Marcello. Mi raccomando all'amico Vendramini per la copia dell'investitura. Padova 29 novembre 1748. Lettere inedite 243 X Non m'aveste mai toccato il punto della vostra epistola a Ruggeri sopra il dittico ! Ghè avete avvele- nato nell'animo mio tutto il dolce ch'è nella vostra che mi scrivete. E certo clii v'ha mosso questo di- scorso non ama ne voi, ne me. Me non certo; per- chè non m'avrehbe mai procurato il rammarico che ne sento. Io ho detto che la dissertazione mi piace: che molto è superiore all'altra sopra la croce: e so d'aver anche detto , che dopo questa seconda opera si vede che voi avete profittato tanto, quanto quel- la par fatta colle mani, e questa colla mente. Io vi ripeto lo stesso. Per la latinità non vi feci applauso; e non ve ne faccio. Eppure vi dico che è quella che basta in opera di tal genere, e ch'io ho letto opere di merito con latini manco belli; e pure servono. M'a- vete mostrato l'epistola poiché s'era stampata. E se m'aveste detto: » Guarda, che se lo stile non ti piace, disfarò tutto, e la farò in altro linguaggio: « io molto chiaramente avrei detto il mio sentimento; come sa- pete che ho sempre fatto. Concludo, che il metodo è singolare, e che lo stile potea facilmente miglio- rarsi. « Mais ceux qui écrivent de ces sorles de cho- » ses ne se pinquet pas d' etre ciceroniens. Il est » comme impossible que la multitude des livres qui » ils lisent, et qui sont très mal écrits, ne gate insen- » siblement leur stile. Les PP. Mabillon et Ruinart )) en sont de bons cxemples. « Biblioth. Choisle Tom.ys^. pcig. 262. Oimè! mi sgravai! sto meglio. Non mi scrivete niente della Santorio? Mi mandò una lettera di fuoco dopo la vostra visita. Voi avre- 3^.4 LETTKRATUnA. te conosciulo sul falto che non è persona così da strapazzare. Vi prego continuare quello, che non pos- so far io. Vengo all'orazione Marcello, E necessario ch'io sappia se fu licenziata tale qual'è. Nel qual ca- so dite che me la ricapiti per il solito Biasi. Leg- gendola troverò quelle due righe da metter innanzi. Della lettera al Bressani farò. Quando vi dissi dell' abate Buggeri, ho voluto piuttosto maledire la com- binazione de' fatti, che l'animo del vostro amico. Co- sì nelle tante chiacchere che scrissi su l'ARFAS SI- DON ho voluto signitlcarvi , che soprattutto era da determinare l'uso di quel pezzo ; perchè da questo potea passarsi a giudicarne legittimamente. Comunque sia, stampate sotto i miei auspicii ; e non dubitate, vi patrocinerò. Da Ruggeri n'avrete risposta presto. Intanto nel fatto delle feste, si dirà che fu a modo dell'eminenlissimo Quirini. Perchè egli volea che si stesse sull'antico: e però, tutti tacendone, vi si starà. Vitaliani è stato a Brescia a inchinarlo; e tornò ieri l'altro. Mi dice che si buttò via quando sentì a no- minarmi; e continuò, che non finiva mai. Ne in pro- posito di Padova si parlò d' altro che di me. Que- sto vi serva per quel che può nascere. Del braccio vedete che sto meglio. Ma son impedito tuttavia. Scri- vetemi quando si darà la spinta al nuovo tomo de- gli opuscoli; e ricordate al Calogerà che col ventu- ro pacchetto di Firenze mi mandi il conto de'porti; e salutatelo , e i nostri cari Ponte e Bernardi , e tutti senza fine. Vegnamo al documento franzese, sive grecolati- no; che tanto serve quasi per tutti gli uomini del mondo. Per me dico che va bene. E anche vero del mio che trovai nell' archivio di Praglia. Ma l' w di Lettere inedite 12/^S questo non è o, ma a: « Bernardi p^oymensls episcopi.» E scritto nel M. C. XXllI. ind. XV. KI. mai, con piombo pendente. Non istrologate sugli anni di quei due re Ugone e Lottario ; che non la finirete mai. E però vero che quei del figliuolo ritardano per lo più cinque di quei del padre; e che in altri stru- menti l'indizione va con quel modo. Ma andando con troppo rigore, si trova imbroglio. Mi domandate , che ne conchide Muratori? « Verum is epocham Hugonis et Lolharii promovebat ex charlis, ut eas ab Ughel- lo, Rubeo, Margarino, Tatto, Carapio, Saxio colle- gerat; ac plures a suis antiquitatibus hal)ebal: has autera in hos aut hos annalium locos importabat: a- liae de scriptoribus aliis elici poterant. At inler eas omnes anni regum fluctuant. Aut enim haeo amanu- ensibus Irapules, aut aliquando scriptores olfenderint; ambigui quoque mores italicis, ut indictiones et an- nos alli aho modo supputarent: aut etiam reges im- peratoresque suos alli serius alli maturius agnosce- rent, aut quas ei denique malo causas accenseas, id exploratura est, quoties haec agitar! tempora necesse est, toties occurrere chartas, ex quibus aliquae dif- ficultates ingruant. Ita Muratorium ancipites instru- mentorum suorum notae fatigant: nec Hugoni facile statuas, alt, non diem aut mensem, at nec annum, quo titulum aut coronam acceperil: haec etiam me Lhotarii ex or dia implicante ait (tom. V. annal).» Per la voce Romania guardate Pagi alle note del tomo IV baroniano. Già che sono a scrivere, dirò che nella biblio- teca scelta del Clerc al tomo XX e pag. che vi significai, è il giudizio delle diplomatiche di Mabll- lon e degli scritti in quel proposito; e parlandosi di q/,6 Letteratura Germonio , pare che se ne voglia sospettare , come ne sospettai io, e poi voi. Ma silenzio. Ne feci mot- to con un altro del vostro ordine, benché non del vostro colore : e vedendolo ributtarsi fortemente, can- giai. Credo che il Pasquali capiterà a voi nel tem- po delle feste ; o prima. Pregate Calogerà che mi ricordi a quel cavaliere. Del celebre letterato Grisel- lini a questa volta non serve : non mancheranno in- contri. Dite al medesimo Calogerà che il Brazolo è salutato per lui, e risalutato da lui. Torno al prin- cipio, ti mio rammarico era, che chi vi parlò della dissertazione a Ruggeri mi fa far figura da ribaldo, co- me se in faccia vi lodassi quello che poi alle spalle vi biasimo. Pensate come sto , se di me questo si pensasse con un amico come voi e del vostro ordi- ne , il quale superate quanti ho al mondo in affe- zione e desiderio di gratificarmi ! E sapete che Bru- nacci non ne fa di queste: piuttosto pecca del con- trario. Addio. Padova 17 dicembre 1748. XI. Ieri ho scritto al Calogerà dell'interesse di che oggi scrivo a voi. Così conferirete per mio vantag- gio. Scrissi le due lettere di che vi mando copia, e così vedrete il mio con legno, se per accidente dovre- ste voi o egli averne parte. Bisognerla considerare dal- l'un canto le malevolenze, le insidie, le accuse, le ca- bale, i tradimenti, le male grazie, i placiti, le bric- conerie, e tutto quello che si può immaginare di fa- stidioso, di bruito e d'esecrabile, che centra me ten- Lettere inedite 247 tarono e praticarono i miei amorevoli : e dall' altro canto vedermi sempre il solito; e poi leggere queste due lettere. Mi fareste una gran carità di conservarle presso di voi, ma facendomene far altre copie dal ce- lebre Tirabosco, mio poeta e sonettiero e sonatore ; e mandarmele. E cent'anni che ho preveduto di si- mili frottole : e so da che nascono. Son io in questo secolo più bello di Noris, di Gravina, di Grandi, di Mabillou ? (ec.) Per quelli che aspettavano da me gran concitamento nel caso che siamo, io dico' che quelle due lettere sono un bel giuoco : e se credere- te che la seconda è fatta per burla, crederete il ve- ro. Ma tacete. Nella prima affettai quella rozzezza , non che simplicilà. E se volete pur a Lami mandar- ne copia , forse sarà bene ; perchè egli conosca co- me io mi governo nel comune impegno. Addio. Prima. Illmo sig. sig. Pne Colmo. Ho debito di rassegnarmi a vostra signoria illu- strissima anche senz'altra ragione che di ricordarle le mie vecchie obbligazioni. A questa volta s'aggiunge questo piccolo motivo dell'inchiusa al loro beneme- rito sig. Vigna. Debbo ringraziarlo d'un regalo che m'ha fatto ; e non sapendo ricapitar altrove meglio ■che a lei, me le raccomando. E le lascio aperta la lettera, perchè conosca che l'uffizio non è alieno da suo pari; e di piti perchè mi lusingo , che un atto di rispetto e di gratitudine mia verso quel soggetto, avrà più momento, per la sua autorità. Qui vivo a' miei studi; e non penso ad altro. E veramente chi a48 Letteratura vuol far il suo debilo, non ha da pensar ad altro. E reputo mio grand'onore potermi ricordare beneC- cato dalla di lei bontà; e potermi tuttavia raffermare Di V. S. lllraa. Padova 21 dicembre 1748. Umo. dmo. obmo serv. Gio. Brunacci. All'Illmo sig. sig. Pne Colmo, Il sig. ab. Gio. Checcozzi can. Vicenza. Seconda. Rmo sig. sig. Pne Colmo, Ho avuto il bel dono dell'Apologetica, che vo- stra signoria reverendissima scrive a Firenze. L' ho scorsa da capo a fondo , come ho potuto fra varie occupazioni: e n'ebbi piacere. Io le ne porgo mille ringraziamenti. Bene di quel Bernardo a pag. LVIII. Come nelToriginale è « Domino Bernardo archi- diac. vicentino , magistro Bernardo decretoriim (etc); Fr. B. vicentinas, loh. paduanus et F. A- driensis epìscopi eie. Così da quel B. saltò fuor il Bernardo cogli altri di quel nome, per arbitrio for- se dello stampatore , o mio. Negli altri punti delle mie opere, che sono ricordati da lei, non trovo da mutare. Nondimeno a tutti è lecito abbondare in pro- prio senso. Di vicentine memorie mi trovo qualche poco ; e potrei servimela nel caso che me ne co- mandasse, come a lei non mancheranno di Padova. Io ho interesse nella gloria della mia nobile Vicen- za : e non mi dimentico mai le beneficenze che mi Lettere inedite a4Q vi sì praticarono. Sul fatto ella mi conoscerebbe, co- me procuro con tutti gli uomini di merito dimostrarmi, Di V. S. Rma. Padova 21 dicembre 1748' Uino. dmo- obmo. serv. Gio. Brunacci. AI Rmo sig. sig. Pne Cimo. Il sig. Francesco Fortunato Vigna Vicenza. XII. A Calogerà e a Cosladoni, Per buon augurio da'vostri nomi comincio il nuo.. vo anno; e sono alle undici prima del giorno; sic- cbè io ho anche sollecilato di dar questo principio. C'è un fatto comune tra voi due e me. Mi ricordo, Costadoni , che già tre settimane mi significaste ex Caloierao nostro^ cli'io gli mandassi le quattro righe da mettere alla lesta dell'orazione sopra'l Marcello. Io vi risposi, ch'io non poteva scrivere se non mi si mandava quello scritto, per cavar in somma da tutto quel che fosse a proposito. Dopo questo mess. Calogerà mi scrisse, e d'altro; e dell'orazione niente. O voi o egli mancaste di memoria. Onde mi raccomando. Così per la spesa de'porli da Firenze. Voi, Calogerà, dicendomi prudente nel fatto di Vicenza, avete detto una grarv verità. E Brazoli medesimo l'avea detto : e non me l'avea detto mai piià in vita sua. Udite quello ch'io penso : e me ne sono spiegato con lui. Noi leggiamo il Pulci, come sapete : e continuamente si dà in quel maledetto Gano e ne' suoi maganzesi che pronauo^ aSo Letteratura vono con arllficM'i, con insidie, con tradimonti con- tro i paladini di Carlo. E i paladini a un colpo di scimitarra tagliano le pratichelte, le furberie, le ca- bale di que'lrisli. Onde ho detto a Brazolo : Vede- te, parrai che qu^to Caspiero, che quesl'Olpi, che questo Meo, che altri cosi piccioli come son questi pazzarelli, siano Gano, siano i maganzesi , e noi e Paulo siamo i paladini. I paladini? Ridete, Caloge- rà ? Non ridete. Chiedetene a Costadoni, che non è manco paladino di noi. Non sapete come sa bestem- miare da maresciallone ? Almanco saremo i paladini della prudenza. Vedete come m'ha risposto Vignù, ch'è il pedante de'maganzesi. « Rmo sig. sig. Pne Colmo. « Dalle mani del sig. canonico Checcozzi ho ri- » cevuto una gentilissima sua lettera , in cui leggo » i ringraziamenti che lei mi porge , per averle io » mandato in dono, come dice, la mia lettera apo- » logetica; ma di ciò io non me ne ho alcun me- » rito, perchè ne gliela ho mandata, né ho pregato » altri che gliela presenti. Ciò non ostante de'suoi » ringraziamenti molte grazie le ne rendo. Circa le » altre cose, che in essa sua lettera si contengono, » io per ora non ho che rispondere : tempo verrà » forse, in cui me ne dovrò pur servire. Intanto io » mi do l'onore di mostrarmi » D. V. Rma. » Vicenza 26 dicembre 1748. )) Umo dmo obmo servo » Francesco Fortunato Vigna. Lettere inedite aSi Questo dunque sarà un altro alto della com- media. Benché altri dicono ch'è .tragedia per me. E Facciolati medesimo ne pianse per alflizioae. Vedete se m'ama ! Il caso va, com'io dissi. Chi non ha pra- tica di queste materie dà ragione all'ultimo che scri- ve. Io son insensibile tuttavia, poiché non mi curo del popolo. E vero che alla prima parola ch'io lascio correre con qualche mio amico, ogni obbietto cade. Voi, per la copia di questa che vi mando, potrete dir alla gente , che Vigna e io ci vogliamo bene , e ci trattiamo, e carteggiamo. Vedete che amorosa lettera ! Sig. Costadoni, a voi. Conoscerete chi mi scrive que- ste due righe ? « Mio sig. - Il padre Costadoni pel medesimo » fine si porterà in questi giorni da monsignor Mai- » nardi vicario per ottenere che si conservassero le » ossa. Il medesimo padre è di parere che si facesse » memoria di tutto, come a suo tempo si farà, se- » condo inclineranno le cose. » Questo è pensare da paladino, e fare da pala- dino. Compar Ponte, addio l'uno e l'altro, anche per conto di vostra sorella. Addio, Bernardi: addio, Sol- dati: addio, Bettini e Tirabosco e Vio. E i miei com- plimenti al reverendissimo Ipsi. Vale. Brunatius. - Ca- lend. ianuarii 1749 indictione XII. XIII. Al nostro Buggieri non piace lo stile del libro De re nummaria. Il libro non si potè presentare, e forse non si presenterà. Cade la dedicatoria desti- natami: io forse sarò disistoriograficato. Il padre Ca- logerà non mi ha fatto licenziare l'orazione Marcel- aSa Letteratura lo, o non me ne scrive. Voi dite d'essermi ingrato, d'essere mal creato : vedete, tutte queste sono disgra- zie ! Ma a tutte sono insensibile dopo il sonetto del mio Tirabosco. Avete letto del Donnoli ? Vi ricor- date del Donnoli ? Mo leggete la chiusa di questo nostro, e direte che n'abbiamo uno per città. Com- batti pur insino che la dura. Oh sonetto tirabosches- .00 ! Non so che dire. C'è tanto da dire e da ridere, massimamente ricordandomi quel muso di scimmiot- to. In somma, viva il mio campione, e muoia il Ga- nellone. Vendramini ha cercato in vescovato per voi: De di Terrarsa o di Vallonga si trova innanzi il i56o. Per le investiture de'molini di Campolongo s'è trovato i/pio, i4'95 1429» i44^' ^^^o circiter etc. Notate die le copie sarebbero lunghissime, e d'ognuna sanno do- mandare fino a quattro zecchini. Per la vostra disser- tazione del pesce più sono contento, che più n'avete merito. Gli accenti sulle maiuscole greche erano arbi- trari, e vi furono messi da Vendramini. Caro fratello, non fate note al vostro libro, e piuttosto lasciatelo com'è. Dite al Calogerà, che non posso scrivere nien- te sopra l'orazione Marcello, finché non so se tale si stamperà, qual'è nell'originale. Dunque m'avvisi, se fu licenziata da'revisori e da lutti gli altri che si dee. •Due parole saria da replicare a Ruggeri sopra lo sti- le, anzi sopra gli stili l'uno intrinseco e l'altro estrin- seco : quello per la disposizione delle materie, que- sto per la collocazione delle parole, ne'quali mi vo- gliono anzi fare distinzione i miei amici o altri che leggono il libro. E questo si vorria fare con l'amico, non per la vanagloria che uno o altro mi stimi, ma perchè, se non è persuaso del merito, tratterà fredda- mente. Se scriveste al padre Collina, ditegli pure che Lettere inedite 253 per me non vada a cercare superlativi. Addio a voi e al mio Donnolettd. Padova 28 gennaio 1749. XIV. Voi in vece di mettere alla posta la mia lette- ra a Lami, me la rimandaste: e se fu per inavver- tenza, non mi stupisco. Questi son atti filosofici che possono accadere. Se fu perch'io la rifacessi, l'ho fat- to. E dopo le nuove notizie , dover\' farsi. Sappiate ch'è molto tempo che Lami mi contava a quel verso. Perchè è un ometto piccolo a Firenze che non sa nien- te, e parla di tutto. Questo a fine di bene m'intri- ga tanto, che posso dire che sia a Firenze per mio castigo. Per questo ho fallo tante parole: ma credo sarà per ultimo', perch'io non voglio perdermi. Io non vorrei mai aver amici di questa spezie. Ho letto della vostra commedia a qualcuno, e della sentenza sopra Ja latinità. V assicuro che se ne rise. Io son tanto fìsso nella vostra dissertazione del pesce, che qualun- que volta sento a dir pesce, pesce, domando se han- no qualche passo per voi. Desidererei che la spedi- ste presto. Ma che mi scrivete del Gori ? Ancora te- mo non sia fallo nel catalogo degli antiquari viventi. Tom. I, pag. 220. « Pafavinis, lac. Facclolatus, Co. Io. Rinald. Carlius qui nunc valorem monelarura a seculo X ad XVI aerumnoso ludicio scrulatus est, et de his egregium commenfarlum parat, lulius Pon- tedera, Zanolinius, Brunaccius mullis cum laudibus nominandi. » Se nominò Facciolall, poteva anche Vol- pi; se Zanolini, anche Gandiui; se Carli, anche Car- raeli; e farne tre coppie : un'altra di Leoni che stam- 254 Letteratura pò sopra le sibille, e di Lavagnolo che sopra Ooiei^o,, Dico se nominò i primi , dovea pur i secondi. Ma questi non son antiquari. Se nominò Carli perchè promise, non meno promise Vitaliano. Poleni è ta- ciuto; eppure secondo il Gori sarebbe più antiqua- rio degli altri. 0 Vigna piuttosto, Vigna: che ha loda- tori come questi. Vi copio un polizzino che mi fu mandato su tal proposito : e ne conservo l'originale. « Resto sorpreso ed ammirato che dal sig. Gori re- )) stino nominali ed additati per antiquari alcuni si- » gnori, i quali sono bensì di merito, ma in que- » sto studio delle antichità affatto ignari. Ciò che mi M sorprende sarà di maggior maraviglia a'forestieri, i n quali affidati dalle informazioni del sig. Gori, ca- » pilaudo a Padova, e ricercando di vedere uno stu- » dio di medaglie, statue o altre anticaglie, saranno » bensì condotti dal signor canonico abate Giovanni » Francesco Vigodarzere, il quale è il solo che ab-^ » bia studio di medaglie e raccolta d'altre cose an- » tlche, e che sia di tale studio informato etc. » E vero è tutto. Lascio quelP aevamnoso iitdicio , che non si può tollerare in chi studia 1' antichità , cioè anche l'antico linguaggio de'lalini. Del mio viaggio è così. Monslg. Ferri m'avvisò che l'eminentissimo Rezzonico era deliberalo di man- darmi a Verona per l'archivio di s. Zen. Io doman- dai tempo per aver a quella parie raccomandazioni. E veramente facemmo scrivere al padre abate Zucco: scrissi a Muratori, scrissi a Zanetti. M'è venuto un impelo il primo dì di quaresima, e corsi a dir al Fer- ri, che sarei andato subito. Ferri m'ha risposto che subito ne toccherebbe con chi si dee. Ma prima di finire questo punto, ho dovuto venir a Venezia. On- Lettere inedite 255 eie al ritorno. M'è ben dispiaciuto ieri ch'ho avuto dal padre Ziicco una lettera così a mio genio, che non ho avuto mai altrettanto; e per più fastidio mi scrivea ch'io andassi presto, perchè volea avermi là prima del suo partire per Milano a capitolo, credo io. Ora pensate voi pure, e ditelo al Calogerà, di far- mi lettere simili a'vostri amici, e tenete una via che anche mi giovino alle bande di qua. Padova 26 febbraio 1749* XV. Vedete se io son da poco. E otto giorni che ho la penna alla mano per scrivervi; e non ho potuto farlo : e ho sommo bisogno dell'aiuto vostro. Com- patitemi e aiutatemi. M'è venuto uno scritto : ^n- dree Mocenigi patricii veneti., filii Leonardi olini serenissimi etc. Credo che quel Leonardo sia doge, dietro al vocabolo serenissuno ; guardo nel catalogo de' dogi, e non si ha. Leggo Sansovino , Scrittori veneti, sotto Andrea Gritti; e trovo: « Andrea Mo- » cenigo P,, Bgliuolo di Leonardo procurator di s. Mar- » co, dopo diversi magistrati avuti, lasciò De bello » turcarum in verso eroico, e Belliim cameracen- » se,)) Dunque serenissimo non significa solamente do-» gè; e si dava a' procuratori. Mandatemene degli esem- pi. Di più, mandatemi lutto quello che v'occorrerà facilmente di Piero Pomponazio. Quello che n'è ne' tomi dello Speroni ho veduto, e nel Moreri, Bayle, Giovio, Tommasini, Papadopoli, e nelle opere di Pom- ponazio. Ma qui non abbiamo De incantationibus. Onde se vi capitasse, cavatemene le notizie storiche: a56 Letteratura che farete presio. E notate ch'io non amo di lui se non che le notizie padovane; perchè fu qui fino al i5oQ. Vi dirò; Pomponazio prese moglie una femmina di questa famiglia de' Dondi, e ne ho istrumento nu- ziale, con altre bagattelle che m'hanno fatto promet- tere dì trattarne e stamparne (r). Onde bisogna fa- re. Ma tacete; perchè il diavolo è da per tutto. E forse non ne scrivo a chi si sia , per questo. Basta che col Calogerà. C'è l'apologia di Pomponazio libri tres. Al fine del lib. IL tratta della sjbilla erythraea, e dell' i)(3v?. Anche d' Andrea Mocenigo cercatene con prudenza ( sapete dove ) quello che ne sapete. Fu discepolo di Pomponazio; e scrisse versi per lui. Addio, conte Costadoni; addio, marchese Calogerà. Un saluto al mio poeta Tirabosco, e mio Antivolpi. Ho il mio matto che mi persegue; ho il mio matto che' mi sostiene. La ra la, la ra la. Padova 24 aprile 1749* XVL Carissimo amico e procuratore ad omnia. E co- me tale farete i miei complimenti a tutti questi miei signori e colleghi vostri, i quali m'hanno trattato al solito e poi al solito. Item se v'incontrate co' miei amici per Venezia , de' quali avete notizia. Item ai due fratelli Ponte, anche per parte delle sorelle. Ci sarebbero due parolette per i miei benefattori alla gon- fi) Questo lavoro vide la luce nel tomo XLI della raccolta del Calogerà col titolo ,, Io. Brunatii Pomponatius adla, Ant. Mar- eellum. ,, LlTTERE INEDITE aSy dola del Iraghello, de' quali v'ho coniato; e questo forse farete più volentieri che altro. In suinma vi av- viso ch'ho terminato ieri di leggere il lihro del re- verendissimo don Bonifacio Collina (i). Vi dico che l'ho letto tutto. Onde concludete. M'accDiJo al vo- stro sentimento in lutto. I giornalisti con sì fatti li- hri si potrebbero far onore. La ragione è in pronto. Voi me la suggeriste. Vi ringrazio di cuore dell'at- tenzione per me. Di voi è detto molto; e tutto ra. gionevolmente. Animo , amico carissimo , spedile il pesce, e giovate al pubblico. Segue per il Calogeri. lersera ho colto il Ferri a buon passo; e gli ho det- to: - Monsignore, col Calogerà abbiamo concertato un fatto, che bisogna a ogni modo l'accordi. Ho la dis- sertazione di Poraponazio, e sarà negli opuscoli. Quel matrimonio assai influisce nell'onore de' miei Dondi da Relogio; nella cui casa da lei fu collocata la cu- gina; ond'è naturale, dopo il suo merito, toccar an- che questo punto, nell'occasione che siamo. - In som- ma, che il Calogerà faccia a questo signore la lette- ra di complimento, che dovrà mettersi, a quest'aria. « Prima significare la stima che sempre si è avuta del soggetto; poi avanzare , che la fantasia su que- sto si è andata riscaldando per i discorsi (ec.) con Brunacci; che certamente si è desideralo l'onore al tomo venturo di questa dedica; che l'islesso Brunacci ha dato relazioni mollo favorevoli su questo propo- sito. Che dunque non si penserà ad altro alla pub- blicazione del nuovo tomo. Aggiugnere due cerimo- (i) Il libro del p. Collina è forse l'orazione „ Pro secundo in- gressu ad confaloneriatum iustitiae senatoris bononiensis comilis Jacobi Bolognetti anno iy48.,^ G.A.T.XCVm. 17 a58 Lettkratuua nie della gratitudine di Brunacci (ec). E subilo fatto questo io distenderò l'informazione per la dedicato- ria. E poi non mancherò per qualcos'altro nel me- desimo genere ». Mi dimenticai che Vitaliano salu- ta il Vio , patriarca del mio. Che fa il mio Maro- ne ? Quel dalla testa in' qualche confusione ? Al re- verendissimo Collina i miei ringraziamenti: e fate per conto mio l'applauso al suo libro, che se gli dee. Av- visatemi se al Calogerà è capitato il mss. Pinci delle monete di Ravenna; e ditemene il resto. Padova 24 naaggio I749' XVII. Vi scrivo subilo subito subito, per causa della carta di Murano. E vi dico che io non la giudicai . apocrifa. Se fosse bisogno direi di piìi. E il Zeno non è un commediante. Vedete die nasce ? Per questo io sto lontano da slmili fatti. Vengo al NEIKAFOPAG t t t MEMMIHIMIIAKE. Le lettere colla croce sotto non le vidi Ialine mai nelle molte carte, ne'pochi codici, ne'nummi, ne'sigilli, o nelle lapide de'raedii tempi. Queir II medesimo circolare è vero che sull'angolo del secolo XIII comincia trovarsi : ma è molto prima ne'nummi bizantini o d'altri greci. Padova 5 giugno 1749- Lettere inedite 289 XVIII. Rido della risposta, che ho dato ieri al vostro quesito. Ma la fretta d'allonlananni dairenor appo- sto , mi ha spinto in uno autentico. Siaìnallina ho separato la leggenda così : NEIKArOPAG MEMMIH IJV IIAKE. e secondo questa distinzione le parole sa- ranno latine, ma con lettere greche. Solo duhitate se l'H sia come Vae; sicché non posso rispondere più di quello ch'ahhiate trovato nelhi paleografìa di Mont- faucon o simili. Conchiudele: non ho risposto niente; e per me , come Nicagora lascia in pace madama Menmiia. Per le memorie camaldolesi dite all'eccelso Ca- logerà, cKe cinqiie dì che il mio tedesco fa l'indice delle membrane del terzodecimo secolo. E che se si l'iporterà a me, spero non avrà niente. Perchè non so trovar il tempo in cercare per voi : che mi man- ca per me. Basta che del mio cuore non abbiale dub- bio. Granellini sive Grisellini da me non si è vedu- to. E se si vedrà, faremo come sapete. Ma chi dia- volo ha fatto quella scrittura così ? Me ne dispiace per i miei Zanetti. Oggi ho trovalo molle notizie per l'epistola mia sopra Pomponazio. Mille seccaggini mi ritardano gli archivi. E pure soii paziente. Raccoman- datemi agli amici e colleghi. Addio. Padova 6 giugno 1749' 26o Lettkrai ura XIX. Del vescovo di Padova Severiano non ho al- tro che il nome ne' diltici. E il più che se n' avrà nella mia storia è ch'io provo, come que'dittici non sì possono totalmente rigettare. Ben è vero che dit- tici da me non si vogliono se non quelli, che sono ta- li, cioè che contengono i nomi de'vescovi, e non al- tro : come quelli dopo la cronica di Rolandino gram- matico. Onde il cognome di Daulo non entrerà nel mio libro. Più vorrei sapere per servigio di sua ec- cellenza Flaminio prestantissimo senatore , al quale vi supplico de'miei rispetti. Del che io sicuramente non mancherò capitando a Venezia. Ho messo a rischio la monetina di Leone sotto Lottario : e conseguentemente la vostra dedicatoria. L'ho data a un ragazzo di tredici anni stamattina per li fresco. E solo me ne fidai, perchè sta con mia so- rella n 8. M. M. D. Onde mandatevela a prendere. Prima sarà vostra, se la volete, come fu. Poi, scri- viate, o non scriviate, potete farla rientrare nel mio museelto; perchè dato che facciale la lettera , come dite, diretta a me; potete introdurvi col dire,, che me ne fate dono : e di qua prendere occasione di par- larne. Per voi saria il medesimo farla in latino o in volgare. E me , non so per qual ragione , move in questo caso più il latino. Può darsi che entriate in qualche scabrosità. Nel qual caso tal linguaggio v'aiu- terebbe. Io né della carta di Murano, né della rispo- sta, controrisposta, questione, libro o tutto quello che sia, niente so, fuorché quello mi scrivete voi, e due parole del padre bibliotecario , e due righe di Mo- LETtKRE INÉDtTfi ^fil molo Zanetti. E s'io fossi stalo a Venezia, mi pro- metto dì tanto ch'avrei impedito questi tumulti. Ho un impeto troppo grande contra simili fastidiosità. Al- tro è per allegria vibrare due bagalteile, altro trat- tarle con studio e gustarle al tavolino. Vegnamo a Pomponazio. Oggi il Calogerà l'avrà. Guardate, se può promettersi che aieno osservate tutte le distinzioni del carattere, quando colle lineette sot- to, quando colle virgolette al fianco, e le distinzioni de'periodi, de'sensi, e delle parti. Perchè a ogni fallo in tal genere si ha rincrescimento assai. Per ([uesto scrissi che, occorrendo, sarei venuto io. Onde scri- vetemene. Ditegli die forse qualche bagattella ne frut- terà a me. Però che si ricordi delle dodici in quat- tordici copie con carta piìi grande e più nobile per la dedica a Marcelletlo, per il dono al cardinale, agli Orologi; e altro che sa che corre. Che la slampi su- bito, perchè qualche cosa di caldo, che so essere a favor mio, non si raffreddi. Perchè colla stampa po- tremo prevenire Lami, il quale scrivendo sarà più ca- pito, che non son io : onde mi gioverà. Vedete che bel fatto per il sig. abate Ambrosi ( ex. arch, episco- pali): « In nomine Domini. Petrus Donato D. E. A. S. G. episcopus Paduanus. Curaigitur egregius scientificus ac prudens vir Mr. Laurent. Roverella art. doct. fil. nob. viri domini loh. De Roverella de Rodigio fue- rit praesentatus venerabili viro Antonio Zeno vicario nostro per excellentiss, et famosiss. art. et med, do- ctores magistros Barlholomaeum de Montagnano, Ste- phanum de Doctoribus, Sigismundum de Polcastris, loh. Benedictum et Bartholomaeum De Noali de Pa- dua promotores suos ec, nos in cathedrali ecclesia no- stra paduana, coram nobis more solito convocata so- 26a Letteratura lemniter et congregata arlislarum et meJicorurij pata- vini gymnasii ultramontana et cismontana universita- te, una cum speclahili viro et egregio art. et med. scholare domino magistro lohanne Argyropulo con- stantinopolitano Jictae ulriusque facultatis rectore, ma- gistruui Laurentium Roverella doctoratus in medici- na ec. Millesimo quadrigentesimo guadragesimo ter- tio, indici ione sexta, die dominico tertiodecirao men- sis oclobri.s. » Io so che il sig. abate ha sentimento per qui!sta famiglia Roverella ch'ebbe un cardinale, e che la onore assai a Rovigo patria di lui, onde po- trete fargliene dono per parte mia con attestati di rispetto; com'è conveniente. Ferrara si fa sua quella famiglia e quel cardinale. Nel poemetto del Mocenigo per il matrimonio di Pomponazio son molle oscurità, che nascono dalla gran copia d'idee che aveva quel giovane, e non eb- be tempo di svilupparle. Nel principio è quella se- rie delle scuole fdosofiche, delle quali sul fatto non ho notizia generale. Se i vostri filosofi, che avete nel monastero, le sanno tutte, è facile notar al margine del verso, per esempio, platonici, democritici, aver- roytae ( etc). E se tutte non si sanno, è da omet- terle tutte. Così nell'istesso poemetto son tante gran favole : delle quali dico il medesimo. La stampa, che se ne fece nel tSoo, ha molti errori, ch'io ho cor- retti. Se n'ho lasciato qualcuno, finite di correggerli. Mi dimenticava dire al sig. Tirabosco, ch'io per de- coro della religione lo crederò savio. Dite al Betti- ni, che lo riverisco. Al sig. Molinetto, che lo riveri- sco. A quel che mi fa la cioccolata, che lo riverisco. A chi m'ha fatto tanti disnari , che lo riverisco. A chi m'ha fatto tante volte il letto, che lo riverisco. Lettere inedite 263 Appunto appunto al padre priore, che sommamente lo riverisco. Compatisca chi resta fuori. Appena c'è luogo per me, che sono il padron di casa. Padova 22 luglio 1745. XX. Il p. don Anselmo Desing, e il suo compagno padre don Sigismondo Poschinger, auìbedin; vi salu- teranno a nome mio. Già mi dicono aver inlroduzio- ne presso voi per lettere del padre Ziegelbanr ; ma avendo io fatto amicizia con loro, credo di dover ag- giungere anche della mia attenzione : e voi ne sare- te soddisfatto. Conoscerete il primo, che vi farà pia- cere per il nostro studio d' archivio- Anzi a lui ho fatto esaminare la nobile carta del DCCCCLXIV, e non intende per niente che se ne dubiti. Per le pa- role augustus o imperator anticipate, com'è in que- sta mia, m'ha detto qualche casa, che saria utile se si potesse comprovare, in somma s' è concluso, che detto Ziegelbaur appresso il Gotsched professore a Li- psia, o altri, ne potrebbe far del bene. Voi sapete il mio bisogno; cioè cercare negli autografi tutte le pa- role di caesar, o augustus, 0 imperator, o imperii accomodate ai re di Germania e d'Italia avanti la co- ronazione imperiale. Voi e il padre Desing insieme componete la lettera a Ziegelbour o a chi meglio vi pare, perchè dagli originali ne traggano quei passi col- le date delle carte, e ne li mandino : e ciò subito. Vi ringrazio di varie lettere che mi scriveste, per le quali è manco pericolosa la voce che la penna. Quel ch'era a proposito si trascura da voi, cioè del signor 26/|. Letteratura Flaminio Corner. A questi due monaci ho detto che noi due ci trattiamo più che da fratelli. Così racco- mandatemi al padre Calogerà e agli altri de'vostri. Padova 22 aprile lySo. {Saranno continuate.) Continuazione e fine del volgarizzamento del li- bro di Tobia fatto dal prof. G. I. Montanari. (*) CAPO VII. Undi fur ambo a Raguele, ed egli Con letizia gli accolse, ed affissando Tobia: - Ve',disse, Anna mia, vedi quanto Questo garzone al mio cugin somiglia ! - Poscia volgendo le parole in dolce Atto ai garzoni: - E d'onde siete voi ? Donde venite, o fi*atei nostri ?- Ed essi:- Della tribìi di Neftali noi semo, Di que'che schiavi son nella turrita ISinive. - E ad essi Raguel; - Se a voi Sia men grave il servaggio, ora mi dite, Conoscereste il fratel mio Tobia ? - E quelli, rallegrando d'un sorriso (*) Veggansi i volumi seguenti di questo gioi-nale. - Gap. I, tomo ^3; pag. 3ii. - Gap. II, tomo 79, pag. 233. - Gap. Ili, tomo 81, pag. 288. - Gap. IV, tome 85, pag. 3i8. - Gap. V, to- mo 90, pag. ■282. - Gap. VI, tomo 96, pag. 3;! (per errore è dello cap. IV e dee dire VI.) Libro di Tobia al XjC gote, a lui risposero: - Tobia Ben conosciamo. - Poi che a dir si fero Di sue rare bontà, di sue virtudi, L'angiol soggiunse: - Quel Tobia, di cui Chiedi contezza, o Raguele, a questo Garzone è padre. - £ Raguel gli cinse D'ambo le braccia il collo, e abbandonato Nella dolcezza d'amoroso amplesso D'umide stille gli bagnò le gote; Indi ruppe in tal dire : - O figliuol mio, Ti benedica Iddio, dacché tu nato Sei di padre onorando e pio ! - Frattanto Bagnavano di pianto le pupille Anna sua moglie e la diletta figlia Sara. Poi ch'ebber le parole fine, Accennò a'suoi dicendo : - Olà, il più pingue Ariete del gregge or mi uccidete, td un convito n'apprestate. - Al cenno Rispose un eseguir pronto : le mense Fur di cibi ingombrate : e Raguele : - O buoni garzonetti, or v'assidete Alla cena ospitale. - E s'assidea L'angelo ; ma Tobia si tenne in piedi E disse : - O Raguel, non fia che teco Prenda di cibo o di bevanda alcuna Ristoro infin che alla domanda mia Satisfar non prometta, e non consenta Farmi marito della casta e bella Tua Sara. - Corse a questi detti un gelo Per l'ossa a Raguel, tremogli il core. Conscio del fato di que'setti morti r,i Prima d'entrare al talamo, e lo strinse Timor che un'egual sorte anche a Tobia 266 Letteratura S'aspettasse. E mentr'egli in pensier mille Ondeggiando e dubbiando se n'andava, Né d'alcuna risposta alla domanda Soddisfacea , ruppe il silenzio il santo Angelo, e disse : - Non temer, consenti Che Sara di Tobia donna divenga : Bene a costui , che timorato in Dio Visse, la figlia tua si debbe in moglie; Altri, da questo in fuor, non ebbe merlo Alla sua mano. - E Raguel tra mesto E fiduciato gli soggiunse: - A Dio Forse le preci mie giunser sicure, Del mio pianto inondate, e al suo cospetto Egli pietoso le degnò! Suggello Al creder mio fu il venir vostro: e penso Ch'egli arridesse alla venuta vostra, Affinchè questa mia fosse congiunta Al sangue tuo, secondo vuol la legge Di Moisè. Perciò spoglia ogni tema, Ch'io la farò tua donna. - E ratto prese La destra della figlia, e nella destra Del buon Tobia la pose, e colla sua Premendo la ristrinse : e i lagrimosi Occhi levando al cielo : r 0 Dio d' Abramo, Sclamava, o Dio d'Isacco e di Giacobbe, Sii tu con questi, e li congiungi insieme, E d'ogni ben li compi ! - Indi la scritta Fer delle nozze in carta, e tutti appresso A letiziar e a banchettar si diero. Benedicendo a Dio. Poiché fu sazio Il desir delle mense, Raguele Ebbe in disparte Anna e le disse : - Un' altra Stanza prepara ai giovinetti. - Ed Anna Libro m Tobia aG" Tosto adempieva il cenno, e nella stanza Apparecchiata introduCea la figlia, Che battendosi l'anca, il fren scioglieva Alle lagrime tristi ed al sospiri. Onde la madre a lei: - Sara mia dolce, Mia dolce figlia, ti rincuora, e l'alto Signor del ciel delle sofferte angosce Con purissime gioie or ti rintegri I CAPO Vili. Tolte le mense, il giovinetto a lei Recaro: ed egli, sì ammentando i detti Di Raffaello, trasse fuori parte Del fegato del pesce, e sopra vivi Carboni il pose. Allor l'angelo prese Il dimon nero, e rilegollo in fondo Ai deserti d'Egitto ed oltre il Nilo. Quindi Tobia, rivolto alla fanciulla. Le die conforto di speranze liete : - E levati, le disse, o donzelletta , E meco adora infin che tre fiate Sorga del mare, e in mar ritorni il sole. Tre notti intere a Dio preghiam che in santo Nodo ci stringa : e poi che fia la terza Notte vinta dall'alba, allor le prime Dolcezze coglierem. Che noi di santi Siamo figliuoli, né si addice a noi Venire a nozze come que' che in falsi Numi e bugiardi hanno fidanza. - Allora Amendue si levar, amendue insieme Col cuor sul labbro a Dio porsero preghi, Perchè fiorisca lor coi cari doni Di salute la vita. E Tobia disse: - 268 Letteratura O alto, immenso ed increato Amore, Signor de' padri nostri, eterno Iddio, A te la terra e'I ciel facciano onore, I mari, i fiumi, i fonti ed ogni rio; Benedica al tuo nome e al tuo valore Ogni creatura che dal nulla uscio, Poiché il tuo spirto passeggiò suU' acque, Ed a le l'opra tua cotanto piacque. Tu pria dal fango della terra festi Adamo, e in lui spirasti immortai vita: Tu a compagna da poi Eva gli desti Nelle dolcezze e nelle angosce aita : Or tu, padre pietoso, accogli questi Devoti pregili, e fa che l'infinita Tua bontà, ohe fu larga ai padri nostri, Anche ne' figli loro oggi si mostri. Signor, tu vedi che non mal talento Mi mena ad impalmar la mia sorella, Ma un desir casto che nel core io sento Di aggiungere ad Abram prole novella; Acciò, finché non fia del sole spento . Il raggio, a te pur benedica quella, E il nome tuo e le tue glorie gridi, Signor, dagl'indi ai mauritani lidi. - Anche Sara dicea : - Signor cortese, Volgi deh! volgi alla tua ancella gli occhi Vedi, dolce signor, le brame accese De'servi tuoi, e al cor pietà ti tocchi : Fa che degli anni non sentiara le offese, Fa che bamboleggiar su' miei ginocchi Vegga i miei figli, e vegga i miei nipoti Al tuo nome adorato ognor devoti !- E già il crislato augello i primi albori Libro di Tobia 260 Salutava col canto, allor che surse Raguel, cui mordeva atra una cura; E a se chiamando i servi: - Ite, e la fossa Del sepolcro scavate. -Al detto pronti Metteansi all'opra i fidi servi ; ed egli Diceva in suo pensier : - Forse Tobia Sorte piij lieta non avrà sortito Degli altri sette che le fur mariti !- E dentro si turbava. Allora i servi La fossa vaneggiar fecero; ei ratio Trasse innanzi alla moglie, e in llebil suono:- Manda, le disse, di tue ancelle alcuna A spiar s'egli è spento : acciò che prima Che vibri il sole i primi rai, di terra Tacitamente io lo ricopra. - Ed Anna Mandò un'ancella, ch'alia stanza entrando Ambo salvi li vide, in dolce sonno Caramente assopiti : e ritornata Recò lieta novella. Onde al Signore Ed Anna e Raguel porsero grazie, E lieti si sentir d'inusitata Gioia nel petto intenerire il cuore:- A te benediciamo, 0 Signor vero D'Israello; tu n'hai campati al danno, Che già ne sgomentava del pensiero. Benigno ti levasti al nostro affanno , Da noi cacciando l'avversario antico Che ci solca ogni ben torre ad inganno. P/.ftà ti vinse, e d'uno sguardo amico Questi unici due figli hai tu degnato, Tal che indarno si rode ora il nemico. Tu fa che ognor più al nume tuo beato Benedican : tue laudi e lor salute Offrami sempre in sacrifizio grafo. ayo " Letteratura Sicché, ammirate di tua gran virtute, Quante ha genti dall'uno all'altro polo Te confessin : né lor lingue sien mute A gridar che tu sei Dio vero e solo. - Poi tosto Raguele ai servi accenna Che adeguino il terren là dove il vano Fatto avean della fossa, in pria che al halzo Dell'oriente il sol surgesse. Quindi Rivolto ad Anna : - Oh! disse, ora di nuovo Fa por le mense, e fa che presti all'uopo Sien quanti cibi viator desia. - Indi uccider fé due pingui giovenche Con quattro arieti, e a vivandar raccolse I vicini e gli amici. In questo mezzo A Tobia Raguel porse tal prego: - Restali meco almeno infin che sette E sette volte il dì nasca e tramonti. Ecco, di quanto mi possiedo io dono Ora a te l'una parte: e questa scritta L'altra parte ti rechi, ali or che morte Me colla donna mia n'abbia raggiunto. - CAPO IX. Tobia allora a se l'angelo chiama, Cui mortai reputava, e sì gli disse: - Azaria, fra tei mio, ricevi in grado Le mie parole, ti scongiuro. S'io Mi facessi tuo schiavo, ai merti tuoi Pari mercé non renderei : cotanto Di me ti calse, e tal cura prendesti Di mia persona ! Nondimen, ti prego, Prendi cavalli e servi, e non ti gravi Libro di Tobia 271 Condurli a Rages che fra' medi il capo- Ingliii'Ianda di torri, ed a Gabelo Render la scritta, e ripigliar l'argento Ch'ei debbé al padre mio. Poscia lo stringi Con tue preghiere, sicché teco venga A rallegrar mie nozze. E tu ben sai Come il vecchio mio padre i giorni conia ! E s'io più indugio d'un sol di, nel core S'attristerebbe : e ben conosci quanto M'ha scongiuralo Raguel ch'io resti Qui seco, e come del voler suo i' debba Far mio volere. -E Raffaello allora Benignamente alla dimanda arrise Del giovinetto : e seco tolti quattro Servi di Raguele e due camelli, Avviossi de'medi alla superba Rages, ed a Gabel si fece innanzi ; La sua scritta gli rese ed a rincontro N'ebbe dieci talenti. Lidi a lui tutte Narrò le cose per disteso, e quanto A Tobia figlio di Tobia occorso Era, e alle nozze il fé venir. La via Per buona compagnia divenne breve, E ratti furo alle ospitali case Di Raguel. Quivi trovar Tobia Colla sua donna a desco. Appena ei l'ebbe Scorto da lungi, si levò da mensa E delle braccia sue fece catena A Gabel che baciollo e ribaciollo Teneramente: e di soavi lagrime Inondando le gote, benedisse Al signor d'Israello: e - Su le piova, Disse, di Dio la grazia : che tu nato aya Letteratura Fosti d'ottimo padre e giusto e pio, Che teme il suo Signor, e largamente Di sue dovizie al poverel soccorre. Alla tua donna benedica Iddio E a' tuoi parenti, sì che a voi conceda Vedere a voi simili i figli vostri, Ed i figli de'figli ed i nipoti ! Al vostro nome benedica l'alto D'Israello Signor che vive e regna Senza tempo nel tempo. - E poi che tutti Al prego acconsentir, novellamente Furono a mensa, e del Signor la tema Fece più lieta il nuzial convito. GAP. X. Ma le nozze mettean lontano indugio Alla reddìta di Tobia; trafitto Dallo slral del desio si stava il veglio Suo padre: - E perchè mai, fra se dicea, Perchè indugia cotanto il figlio mio? Forse alcun lo trattenne, o forse estinto È il buon Gabelo, né persona rende Al mio Tobia l'argento? -E in questi detti, Sentìa stringersi il core, e s'attristava : Ed Anna dolorando, e al vecchio sposo Fatta compagna del dolore, insieme Allargavano il freno alle cadenti Lagrime e compiangevansi che al giorno Fisso Tobia tornato ancor non fosse ^ Alle case paterne. Sconsolata Ella si stava: inconsolabil duolo Le scoppiava dagli occhi in larga vena. Librò di Tobia 273 E fra'sospir dicea:- Ahi figlio mio, Ahi figlio mio, perchè a si lunga via Noi li fidammo? Oh de' nostri occhi lutìae, Sostegno e scorta alla vecchiezza nostra, Conforto della vita, unica speme Del sangue nostro! Ahi, tutte in te raccolte In te solo raccolte eran le nostre Ricchezze e le speranze! O mio Tobia, Non dovevamo consentir che mai Dal nostro fianco ti partissi! Lassa ! Come vivrò senza di te la vita, Miserissima vita, che mi avanza ! - Ma Tobia le dicea: - Taci, turbarti, Donna, non devi tu : che il figlio nostro Vive in fior di salute : ed è fidata La guida cui noi io credemmo. - Ed ella, Qual chi non trova al suo dolor conforto. Ogni dì se n'usciva, ed aggirava Tutte quante le vie, d'onde sperava Le dovesse tornare il lagriraato Figlio : e acciò meglio discoprir da lungi Potesse, senza pur batter palpebra, Sovra l'ali degli occhi il cor mettendo Spingea a lungi lo sguardo. Così mesti Le trascorreano i giorni ! Raguele Infrattanto pregava il giovinetto Genero suo: - Non mi lasciar, Tobia : Intraltienti con meco : al padre tuo Farò di te recar novella, e lieto Sarà che tu sii sano. - A cui Tobia : - Cessa pregarmi, o Raguele : io vedo E l'uno e l'altro mio parente in pianto Contar i giorni e l'ore, e del mio indugio G.A.T.XCVm. 18 aj4 Letteratura Sentir di Juol gravezza. - E Raguele Accalorava le preghiere in molte Parole: ed egli pur saldo ed immoto In suo pensier chiudea le orecchie ai preghi. Perchè allor Raguel gli diede Sara, E con essi de'suoi beni ugual parte In servi, in serve, in pingui armenti, in greggi E camelli e giovenche e in molto peso D'argento e d'oro : e poi, reiterate Tre e quattro volte le partenze oneste, Accommiatollo sano e salvo, e disse : - Il santo angiol di Dio scorta fidata Vi sia nel caramin lungo, e salvi e sani Vi guidi sì, che in prosperoso stato Tulle cose troviate, e innanzi tutto Gli amati genitori. Oh ! voglia Iddio Ch'anzi che morte quest'occhi mi chiuda Veggìa i vostri figliuoli ! - Allora in cari Abbracciamenti stetter colla figlia Tre e quatlro volte Raguele ed Anna: Indi l'accomipiataro: - O figlia, vanne Col tuo consorte : i tuoi suoceri onora, Ama il marito, la famiglia reggi. La tua casa governa, e ti diporta Sì che buona di te nomanza suoni.- CAP. XL Già l'undecimo dì volgea che detto Aveano addio a Raguele, e giunti Erano a Caran. Quando al buon Tobia Favellò Raffael: - Come tu vedi. Noi siam nel mezzo del cammin: che quanta Libro di Tobia a^S Via noi corremmo, tanta ne discorre A Ninive (la Caran. Ben tu ammanti, Dolce fratel, come lasciasti il veglio Tuo genitor, com'ei numera i giorni Della tua dipartita, e dentro il core Ei si compiange. Or, se ti torni in grado, Bello mi par che percorriamo noi A tutt'altri, e dappresso indi ci segua Con più lieto viaggio la tua casta Donna, la tua famiglia, e il ricco armento. - E poi elle la proposta a grado s'ebbe Il giovinetto, ripigliava il santo Suo condottier: - Tobia, prendi con teco Del fiel del pesce: che n'avrai mestieri, E ben dolce ti fia. - Della fidata Guida Tobia adempì il cenno, e ratta Innanzi agli altri preser via. Frattanto Anna ogni dì sedea lungo la strada Sopra il ciglio del monte, onde cogli occhi Correr più a lungo, ed iscoprir se alcuno Peregrin s'appressasse. E mentre intanto Tenea lo sguardo, e più che il guardo il core, Alla persona, al portamento, ai passi Raffigurò da lungi il figlio : e, tratta Di sé per l'allegrezza, in pie levossi, E corse ad arrecar lieta novella Al veglio suo consorte, e ad alta voce Gridava : - Ecco Tobia, ecco ritorna Il lagrimato figlio nostro ! - Allora Raffaello si volse al giovinetto, E sì gli disse : - Non sì tosto il piede Avrai tu dentro le paterne soglie, Adora al tuo Signore, e a lui ringrazia. 276 Lkttkratura Indi al padre ti appressa: e poi che un bacio Libato avrai, sulla rugosa fronte Col fiel del pesce, che tu porti, gli ungi Le velate pupille: il tuo buon padre Vedrà del cielo il dolce lume, e gli occhi Disbramerà nella bramata vista Del figlio: e del vederti inusitata Letizia in cor gli pioverà. - Ma il fido Cane, che nel cammin gli avea seguiti, Odorando da lunge il natio nido, Siccome messaggero a corsa venne A recar la novella, ed isquassando La coda festeggiava intorno al veglio. Ond' egli alzossi, e punto dal desio Correa : ma cieco brancolando, e a'piedi Facendo inciampo il tenebror degli occhi, Pose la destra nella man di fido Servo e ratto avviossi incontra al figlio Con Anna. E poi che gli fur presso, in dolci Abbracciamenti e in iterati baci Stetter lung'ora , e in lagrime soavi Fuori per gli occhi uscia del cor la gioia. Ma poi che i pie fermare entro lor case, Adoraron devoti e reser grazie A quell'alto Signor che con sua luce Mena diritto l'uom per ogni calle. Poi Tobia prese del serbato fiele, Ed unse lieve le pupille inferme Del suo canuto genitor. Trascorsa Avea già un' ora mezzo del suo arco , Quando per gli occhi ottenebrati uscia Albugine simile al legger velo Che veste l'uova : cui con mani preste Libro di Tobia 377 Il giovinetto trasse, e sì dagli occhi Gli disgombrò la nebbia ond'eran cinti, E ridonogli il sole. Onde Anna e quanti Lui conoscean dier gloria e laude a Dio: E tu, veglio felice, in tali accenti Allora prorompevi :- Alto Signore, Dio d' Israello, a ringraziar mi atterro Tua gran benlgnilade ! Tu percosso M'hai di grave ferita, e poi sanato. Ecco ch'io veggo, tua mercè, del mio Figlio, del mio Tobia l'amato aspetto. La tua misericordia oggi si mostra, Ed io grazie ti rendo ! - Erano omai Quattro e tre dì trascorsi allor che giunse Sara, la donna del suo figlio, e tutta La famiglia de'servi, e in un con essi E gli armenti e i camelli e ricco peso D' oro e d'argento che dal buon Gabelo A lui tornava. Di salute il fiore Eìoria a tutti sul viso, e di beltade Splendea di Sara sulla fronte un puro Lume. La gioia qui si accrebbe. Lieto Il giovine Tobia narrava intanto A' suoi parenti i casi occorsi, i molti Beni di che il Signor l'avea degnato Per man del fido duce : il Tigri, e il pesce Morto sul margo della sponda: il nero Demone avvinto; le allietate nozze, Ed il ritorno fortunato. In questa Achiacar e Nasba a lui cugini Venian con la letizia in sul sembiante A visitarlo, ad allegrarsi, a prendere Parte in tante dolcezze, in tanti beni 278 L ET TERATURA Che Iddio sovra di lui avea piovuti. Quindi lieti per sette interi giorni A convìvare e a festeggiar si diero. GAP. XII. Allor Tobia a se il figliuol suo chiama, E in tali accenti gli favella : - Dimmi, O dolce figlio mio, dimmi : codesto Sant'uom, che sempre ti fu ai fianchi e teco Corse il lungo cammin, di qual mercede Rimertar noi possiamo ? - A cui rispose Il giovine Tobia: - Buon padre mio, Come possiamo noi porgergli degna Mercede al merlo, o qual ricambio ai tanti Suoi benefici ? Salvo ei m'ha condotto A Raguele, e salvo mi ridusse Alle case paterne. Ei da Gabelo L'argento tuo riscosse? egli mi ha fatto Di pia moglie contento: e il dimon nero Infrenò si che a lei muover fu indarno, Ei compì d'allegrezza i suoi parenti, E mi tolse dinanzi dal gran pesce Che minacciava divorarmi, e tutte Tremar le vene mi faceva; il dolce Lume del cielo agli occhi tuoi rendeva; Egli ci ha d'ogni bene infin ricolmi. E che dargli potrem che basti a tante Opre sue degne ? Ben ti prego, o padre, A supplicarlo che accettar gli piaccia Metà di quanto or qui recammo. - Arrise Al dir del figlio il vecchio; ed Azaria A se chiamando, l'ebbero in disparte, Libro di Tobia Syg E con calde preghiere amendue a lui Pregavan che gradir non isdegnasse Egual parte di quanto avean recato. Il sant'angelo allora in un sorriso Sommessamente cotai delti sciolse: - Benedite al Signor che ia cielo ha sede, E le sue glorie e il suo valor narrate De'mortali al cospetto : egli vi diede Sentir gli effetti di sua gran boutade. Al segreto di re non romper fede E bello, e l'opre sue tener celate : Ma più hello è narrar senza alcun velo L'opre e le glorie del Signor del cielo. Quanto giova adorar ! quanto più vale Adorar con digiuno in umil sorte ! E anzi che far tesoro, in liberale Sembianza aprire a carità le porte ! Caritate a buon prego impenna l'ale, Toglie i peccati, e l'uom campa da morte: Ella fa forza alla pietà superna, E ne fa degni della pace eterna. Stolto è colui che vive dentro il brago Delle peccata, e sol d'avare e prave Voglie e di sangue il suo pensier fa pago ! Ei nel tesoro ha del suo cor la chiave, Ei trarrà l'alma nell'ardente lago : Che a se fa guerra l'uom che Iddio non pavé. Or io vi svelo il ver, uè occulta cosa Più innanzi tengo agli occhi vostri ascósa. Quando tu orando in lagrime e in digiuno I tuoi fratelli a seppellir ti davi, E lasciando la mensa ancor digiuno II dì lor salme nel tuo ostel recavi, aSa Letteratura ^"^^'^ Finche poscia al venir dell'aer bruno Poste in terra di pianto le bagnavi; A lato io sempre ti vegliava, ed io Offersi allor la tua preghiera a Dio. Al tuo Signor perch'eri accetto e grato, Volle ei tentarti e di te prova prendere; Egli alla tua salute or mi ha inviato ; Il sole a tue pupille io venni a rendere : Campai la casta Sara dall'agguato Che pria il dimenio a lei s'ardiva tendere ; Che Raffaello un di que' sette io sono Che stan sempre dinanzi al divin trono. A questi detti si turbaro in volto Il pio vegliardo e il giovinetto figlio: Fu l'uno e l'altro da temenza colto, E senti carco di stupore il ciglio: Caddero colla fronte a terra, e molto Stetter senza più dir, senza consiglio, Finché l'angelo in dolce atto cortese Riconfortolli, e poscia a dir riprese: Con voi sia sempre del Signor la pace : D'ogni temenza disciogliete il petto, Poiché di suo volere il mio si face, Se con voi stetti e presi umano aspetto. Voi quando splende il sole e quando tace A lui fate volare un inno eletto. Talché la gente il suo valore intenda. Ed a servirlo e venerarlo apprenda. Questa forma mortai, ch'ora mi veste, Parer vi fece ch'io prendessi cibo E bevanda gustassi; ma celeste Cibo e bevanda ignota a voi delibo. Petto mortai non può conoscer queste Libro di Tobia 281 Sovrumane dolcezze, ond'io mi cibo; Dolcezze che d'amor son esca e meLsa, E carila là su nel eiel dispensa. Ma tempo è ornai ch'io rendami a colui Che a voi per voslro scampo mi ha mandato , r- negli eterni padiglioni sui Risalga tosto all'immorfal mio stato. Intanto, ognor benedicendo a lui, Dite le grazie ond'egli v'ha degnato. Tacque e nelle leggiere aure disciolto Ei dileguossi, e agli occhi lor fu tolto. Allor per terra ambo giitar la taccia, E prostrati e compunti ambo adoraro Benedicendo a Dio, finché allo scocco Della terz'ora surti altrui f^r conte, Alto Signor, le tue magnificenze. CAP. XIII, Quindi il vegliardo, disciogliendo il labbro In questi accenti, benedisse Iddio. - « Senza tempo, o Signor, grande tu sei : Il regno tuo nei secoli si stende: Tu se'beato eternamente e bei. Tua man flagella, e poi salute rende: Traggi alla tomba, e ne ritraggi : invano Scudo mortai dal braccio tuo difende. D'Israel figli, al suo valor sovrano Rendete grazie, e la sua laude suoni Fin dove al mondo il sol gira lontano. Al cospetto di tutte le nazioni Esaltate la sua alta virtute, Sì che ogni gente sol di lui ragioni. aSa Letteratura Fra gl'idolatri, a cui disconosciute Son le sue maraviglie, ei vi disperse, Acciò le vostre lingue non sica mute L'alte cose a narrar ch'egli vi offerse : E gridiate, ch'ei solo, ei solo è Dio, Tal che a lui tutte genti sien converse. Dei nostri falli ei fé pagarne il fio; Ma alfin ne porgerà scampo e salvezza, Perch'egli è giusto arcanamente e pio. Tenete gli occhi fissi alla larghezza Ch'egli vi fece, e a lui grazie rendete Con quel timor che tanto in ciel si apprezza. Il regnator de'secoli con liete Fronti laudate, e l'opre tengan fede : Che dell'opere sol frutto si miete. Ed io, che schiavo in strania terra ho il piede, Io pur ringrazierò perchè il suo lume Mostra a gente che al suo nome non crede. Alme, cui colpa rea grava le piume, A lui vi convertite, ed opre fate Giuste al cospetto dell'eterno nume. In lui misericordia, in lui bontade: Egli a voi grazie pioverà; e il mio cuore Nuoterà in mar di gioie inusitate. Voi tutti, o eletti, al vostro almo Signore Or benedite: e celebrando i bei Giorni di gioia, gli rendete onore. 0 Sionne, o città santa, se or sei Sotto il flagello del suo giusto sdegno, Ben questo all'opre di tua man tu dei. Tu fosti in prima alle sue grazie segno: Però devota a ringraziar ti atterra E a più sani pensier volgi l'ingegno; Libro di Tobia 2 83" Perchè vinta de'tuoi falli la guerra, E in te riposto il tabernacol santo, Chiami gli schiavi alla natia lor terra; E tu vestita di giulivo ammanto, Finché il mondo del sol s'imbianca a'rai, Lieta a lui sciolga delle grazie il canto. Tu di fulgida luce brillerai : Fin dove il giorno infuoca e dove agghiaccia Suonar tue lodi e le tue gesta udrai. A te verranne e tenderà sue braccia Cardie di doni ogni lontana gente, Piegando innanzi al tuo Signor la faccia. In alto ossequiosa e riverente Santa dirà tua terra, perchè in lei Il nome invocherà del Dio vivente. Maledetti dal elei saranno quei Che spregieranti, e quei ch'onte diranno Innanzi al tuo Signor, saranno rei. Quei che le torri tue ristoreranno, E gioveranli di pietosa aita, Benedetti dal elei sempre saranno. AUor ne'figli tuoi sarà compila La tua letizia: presso il lor Signore Si stringeran come desio gl'invita. Beati quei che in te pongono amore, E godon di tua pace ! Anima mia. Benedici lodando al tuo fattore ! Per lui di serva a libertade usola Gerusalemme; e dell'anlico duolo Conforto a lei benignamente olirla. Egli è il nostro Signor; egli è Dio solo. Me fortunato, se in sorte mi tocchi Che de'nipoti miei fra il lungo stuolo i8^ Letteratura Y'abbia alcun che sbramar possa un dì gli occhi Nel tuo nuovo splendor, Gerusalemme, Sì che la gioia nel mio avel trabocchi ! Le tue porte saran ricche di gemme : Di zaffiri, rubini ed ismeraldi Tuo precinto murai fia che s'ingemme. Sfavilleran le torri e gli alti spaldi Di rare e preziose margarite ; Marmi di bianca e tersa vena saldi Le tue piazze a letizia rivestite Lastricheranno, e per le piene vie S'udranno alleluiar le genti unite. Benedetto il Signor che partorle Gioia a Sionne, e sì l'ha posta in alto, Che il regno suo sino all'estremo die Non temerà de'secoli l'assalto.- CAP. XIV. Qui pose fine al grazioso metro Il buon vegliardo: e da quel dì, che a'spenti Occhi fu .reso il dolce lume, ei vide E venti e Tenti del maggior pianeta Interi girl; e de'nlpoti strinse In fra le braccia i figli. Ma dal lungo Arco della sua vita omai scendea L'anno secondo dopo cento, quando L'anima riposata il voi disclolse Fuor del carcere antico, e lieta scese Nel sen d'Abram. Pianser di Media l'alte Torri, e Ninive a'ior pianti rispose : Pianse Israello, e delle sue catene Al suono disposò nenie funebri. Libro di Tobia i85 Quindi al suo fral rese gli estremi onori E nel barbaro suol tomba gli diede. Sei con anni cinquanta avea toccato, Quando degli occhi egli fu casso; e quattro Anni si stette in tenebria. La vita Ch'ei visse appresso d'ogni ben fu lieta E fiorente, sì ch'egli con sicuro Passo avanzava nel timor di Dio, Finche a se nella sua pace chiamollo. Quando alle spalle si sentì l'estrema Ora, a se volle il suo figliuol Tobia Con sette da lui nati, e sì lor disse: - Non molto andi'à che Ninive superba Sepolta fia sotto le sue ruine: Ed ove or sorgon torri altere, l'erba Coprirà il suol con triboli e con spine. Questo, o dolce mio figlio, a mente serba; Non san fallir predizion divine : E i tuoi fratelli, che raminghi or vanno, Nel natio nido alfine il pie porranno. La terra, ch'or deserta è tutta intorno, Di popolo sarà ripiena e lieta ; Di Dio la casa, ch'andò in fiamme un giorno. S'ergerà tosto a più sublime meta; Ritornerà al natal dolce soggiorno Chi nella tema del Signor sì acqueta ; Nella tema di quell'alto Signore Che 0 flagelli o carezzi è sempre amore. Tutte genti agli dei falsi e bugiardi Daran le spalle, e a te, Sion, verranno. A te da lunge drizzeran gli sguardi, In te sola alla fine i pie terranno. Né a prendere in te stanza saran tardi •feSG Letteratura Tulli i re della terra, e ne godranno : E li vedrai lu ia allo riverente Adorar d'Israello al re possente. Io mi son, figli, qual vedete veccliio E giunta è l'ora ch'io la morte aspelli. Adunque voi date a' miei detti orecchio, Tu figlio, e padre a questi piccioletti ; Del voler del Signor fate a voi specchio, Vi caglia solo a lui tornare accetti, Raccomandate ai figli ed ai nipoti Che sieno giusti, ed al Signor devoti. A Dio placcion giustizia e cantate, Che a' poverelli ognor la man distende, Queste virtudi lor raccomandate, Per cui desir di bene in cor si accende. Governi i pensier vostri in ogni etate Colui che l'universo in se comprende: A lui solo servite in santi modi, Ed a tutto poter date a lui lodi. Figli, vi lascio: per l'estrema volta La mia parola a voi suoni gradita : Qui la vostra dimora non fia molta. Quando la donna mia del mondo è uscita E la sua polve col mio frale accolta. Tosto, figli, di qua fate partita: Nini ve rea vedrà disfatte ed arse Le mura, e le sue torri a terra sparse. - Disse il buon veglio: e in questo dire al figlio La moribonda man sul capo mise : Indi al cielo tenendo immoto il ciglio Di benedirlo in atto a lui sorrise. E qual chi in patria riede dall' esiglio L'alma allor dal suo frale si divise : Libro H)i Tobia 287 Mentre Tobia co'suoi figliuoli accanto Allargò il freno a inconsolabil pianto. Al precetto del padre indi si tenne Obbediente: e quando della cara Madre ebbe pianto la partita estrema, Colla sua donna, i figli ed i nipoti Kgli a'suocerl suoi fece ritorno. Sani trovolli in fortunata e verde Vecchiezza; e sì di lor cura lo strinse. Gli ei si ristette, e qui fermò sua stanza : Lor chiuse i morienti occhi, e n'accolse L'ultimo spirto. E poi ch'egli il retaggio S'ebbe di Raguele, in pace visse Lunghi anni, e de'suoi figli e de'nipoti Vide i nipoti. Nove anni e novanta Nel timor del Signor ebbe compiuti Quando morte lo colse, e a lui pietosi Dier sepolcro i nipoti. I suoi congiunti, E quanti uscir della sua stirpe, in santi Costumi ed in pietose opre fiorirò Tutta lor vita, sì che accetti e cari Furo alla patria, a'ior fratelli, a Dio. 288 uélcune biografìe denomini illustri italiani. I. LUIGI METAXA'. l conte Demetrio Metaxà, celebre avvocato e pro- fessore di legge ne.ll'accadeitiia ecolesiaslica, oriundo di Cefalonia, l'u padre a Luigi. La madre fu la no- bile Maria Ray romana. Egli nacque in Roma nel 1778, Compiuti i suoi studi nella dominante, ed ab- bracciata la carriera medica, nel 1808 enlrò ad es- sere professore di veterinaria nelTuniversità romana. Vedendo però die tale scienza non si poteva in- segnare senza le cognizioni principali dell'anatomia comparala e della zoologia, intraprese di suo proprio movimento a dar Itzioni ancora di ambe queste fa- coltà. Prosegui in lai modo a fare scuola fino al tem- po di Leone XII, il quale con saggio provvedimento separò la cattedra di zoologia dalla veterinaria, del- la quale fece un istituto a parte diramandola nelle sue parti. Tra esse il Melaxà ebbe l'anatomia com- parata, insegnando contemporaneamente la zoologia nell'università. Nella sua età giovanile venne scelto pe'suoi meriti all'ufficio di segretario generale redattore della repubblica romana. Il suo ufficio venne da lui adempiuto così lodevolmente, che in quel tempo fu- ron fatti stampare due volumi de' suoi processi ver- bali. Così prima di essere professore in Roma lesse per vari anni filosofia nel seminario di Civita Du- Biografie d'illustri italiani a8^ cale nell'Abbruzzo. Luigi Melaxà fu il primo a col- tivare in Roma le scenze naturali, ed a trasferirne ne- gli altri la cognizione ed il gusto. Del pari l'inco- minciamento dei due musei di zoologia e di ana- tomia comparata devesi pienamente alle sue premure ed alle sue instancabili fatiche, alle quali corrispo- se il governo somministrando quanto occorreva per la formazione dei nominali musei. Le effemeridi ro- mane ed il giornale arcadico contengono varie me- morie estese dal medesimo. Cosi molte dissertazioni da lui dotte nell' accademia de' lincei sono in oggi di pubblico diritto. Spettano ancora a lui varie me- morie medico-legali relative a cause agitate ne'fribu- nali. Le opere principali però da lui isolatamente stampate sono le seguenti : 1. Delle malattie contagiose ed epizooliclie de- gli animali domestici. Voi. 2, in 8. Koma 1816. 2. Memorie zoologiche. Roma 1821 in 4- 3. Monografia de' serpenti di Roma e suoi con- torni. Roma 1828 in 4- 4. Osservazioni intorno alle cavallette nocive delle campagne romane. Roma i835 in 4> 5. Orazioni latine dette nell' università. Questo illustre scenziato cessò di vivere in Ro- ma il dì 24 novembre dell'anno 1842. Egli appar- tenne a celebri accademie così estere come naziona- li : e fiori nell' amicizia degli uomini piìi dotti del suo tempo. Le romane effemeridi ed il nostro gior- nale lo ebbero per loro collaboratore. Negli ultimi della sua vita dettò per le slampe gran parte di una memoiia sulla morva equina, di cui raccomandò la continuazione al suo primogenito e successore prof. Telemaco. G.A.T.XCVIIL 10 ano Lbtteiiatura II. G. B. CURZIO MELCHIOR BALDELU (l). Gianbattìsla Curzio Melcliior Baldelli nacque in Cortona di Elisabetta Boni e del cavaliere Giro- lamo Baldelli. Orfano di padre nell'età sua infantile, la cura della sua educazione rimase alla madre, don- na di gran mente e di gran cuore. Bevve la prima istruzione dai maestri più culli della sua patria , e specialmente dai pp. scolopi ; fra i quali il p. To- scanini, allievo del celebre p. Fontani, lo iniziò nel- le scienze, e lo istruì con grande amore. Avendo ve. stito r abito di cavaliere di s. Stefano , fece le ca- rovane in Pisa, e in quella celebre università compiè i suoi studi. Terminate le carovane , entrò al servizio di Francia, ove servì nei reggimenti reale italiano e re- ale alemanno cavalleria. Soprappreso dalla rivoluzione si trovò col reggimento avviluppato in tutte le vi- cende di Parigi e della Francia del 17B9 e degli an- ni successivi. All'occasione dell'imprigionamento del re lasciò col reggimento il servizio di Francia , le- galo come era di doveri al re, e non alla nazione. Passò nell'esercito dei principi, fece la campagna di Sciampagna: finché, passato il reggimento al servizio di casa d' Austria, fu riformato. Allora tornò in To- scana, si fissò in Firenze, e per ritorsi dall'ozio, cui lo aveano richiamato le triste circostanze enunciate , (i) Scritta da se medesimo ed inviala al chiarissimo monsìg. Muazarelii uditore della sacra romana rota. Biografie d'illustri italiani 291 si rivolse a coltivare le lettere , che non aveva ne- glette nemmeno nel servigio militare. S' invaghì di scrivere , e scrisse l' elogio del Machiavelli : di che ebbe gran pentimento , che enunciò pubblicamen- te nella vita del Boccaccio. Pubblicò di poi la vita del Petrarca , indi quella del Boccaccio: e si trovò nel 1799 implicato in nuove vicende. Minacciata la Toscana d'aggressione straniera, offerse i suoi servi- gi al suo sovrano Ferdinando III, che lo mandò con grado di capitano a comandare nella Romagna To- scana. Occupato il gran ducato dalle armi stranie- re, si tenne nascosto ; e tornato sotto l'imperio del suo legittimo padrone, fu spedilo come uno dei de- putati toscani a Vienna. Indi fu fatto maggiore , e comandante della Val-di-Chiana superiore. Nelle tri- ste vicende successive del 1800 seguì nella sua ritirala l'esercito austriaco: e recatosi a Vienna novellamente, ottenne lo stesso grado nelle truppe austriache dalla cle- menza dell'augusto imperatore Francesco II. I quattro primi anni del secolo li consumò in viaggi. Visitò l'Un- gheria da' confini della Polonia sino a quelli della Turchia, indi la Boemia, la Sassonia, e la Prussia; tornò in Italia , percorse tutta la Francia meridio- nale, tornò per la quarta volta in Parigi , passò a Londra, visitò tutta la parte meridionale e orientale dell'Inghilterra, indi la Scozia, s'imbarcò a Leilh, tra- versò il mar del nort , sbarcò a Elseneur , visitò la Danimarca e per Amburgo la Vestfalia, fu in Olan- da, e pe'paesi bassi tornò in Parigi , indi in Italia. ]Nel 1804 passò al secondi voti con Lucrezia Clc- ciaporci. Erasi accasato in Francia con Giulia mar- chesa di Loumlny provenzale, cui, nel dargli alla luce una figlia, ebbe il dolore di perdere dopo pò- 202 Letteratura chi mesi di maritaggio. Stretto in nuovi vincoli con- iugali , abbandonò il militare servigio , e corse la carriera degli impieghi civili nella sua patria ; pri- mieramente provveditore dell'azienda de' presti : in- di , ai tempi della regina d'Etruria, soprintendente generale della reale casa e corte : sotto il governo francese, conservatore dei palazzi, parchi, giardini e mobilie della corona in Toscana, e prefetto di palazzo; ripristinato poi il governo austriaco, adoperato in va- rie missioni; e fra le più onorifiche ebbe quella di trattare il matrimonio della principessa Marianna Ca- rolina di Sassonia col gran principe Leopoldo di To- scana. E fu chiamato a cuoprire il posto di soprin- tendente generale dell'uffizio delle revisioni e sinda- cati, indi promosso alla carica di luogotenente gene- rale governatore della città e slato di Siena. Quanto ai suoi titoli, si leggono nell'almanacco toscano. Non trascurò, dopo il suo ritorno in patria, gli studi letterari. Fu ascritto, senza mai domandarlo, a parecchie accademie: e fra queste, dopo la sua ripri- stinazione, a quella della crusca. Per cinque anni la presiedè col titolo di arciconsolo; e in vari tempi ha scritto varie opere, oltre le vile del Petrarca e del Boccaccio. Sdegnato che tanto indegnamente avesse madama de Staèl parlato dell'Italia nel suo Saggio del- la letteratura di tutti i popoli^ scrisse tre Lettere stallistiche inserite in un giornale intitolato VJpe, che si stampava in Firenze. Nella Raccolta degli opuscoli scientifici e letterari fu inserita una sua lettera responsiva all' abate Denina sul fatto della lingua toscana nel secolo caduto. Quindi un Saggio di storie fiorentine inserito negli atti dell' accade^ mia della crusca, censurato acremente e con molta Biografie d'illustri italiani 2o3 ignoranza dalla hiblioteca italiana. L' essere acca-lc- niico della crusca lo impegnò ad illustrare il Milione di Marco Polo. Questa illustrazione destò in lui Ìl concetto di scrivere la Storia delle relazioni vicen- devoli deW Europa e delVJsia, opere che videro la luce in Firenze nel 1828. Innanzi pubblicò un Sag- gio di antichità primitive, slam[^ato nella poligrafia fiesolana : opera che a lui costò sette anni d'inces- sante lavoro, e che dedicò alla sua amata consorte, per dichiarare l'alta stima, l'attaccamento, e la ricono- scenza, che si è dal consorte inalterabilmente meritata. JY. B. Questo illustre letterato cessò di vivere il dì 25 febbraio i83i. Un bell'articolo intorno la vi- ta e gli scritti di lui, lavoro di Ferdinando Tartini Selvatici, può leggersi nella Biografia degl'italiani illustri del secolo XVlII e dei contemporanei, che si pubblica per cura di Emilio de Tipaldo: Venezia dalla tipografia di Alvisopoli 1884, volume primo. III. serafino gatti (i). Serafino Gatti nacque in Manduria, famosa ed antica città della provincia d'Otranto, il di 2 di ot- tobre 1771. Diretto da abili e reputati maestri ap- prese ivi le umane lettere. Si può dire che in quel- la età , nella quale v'è bisogno di stiraoli e forti e continui all'applicazione ed allo studio, si richiedesse per lui severità e rigore per parte de'genitori e de' (I) Scrina da se medesimo ed inviata al chiarissimo monsig. Muzzarell 2g4 Letteratura maestri per raoderarne l'eccesso. Fu straordinario il profitto che egli fece ne' primi sludi. D'anni 18 \olle dare il suo nome all'istituto delle scuole pie. Emessi i suoi voti in Campi, fu tosto chiamato a Napoli a terminare i suoi studi, e addirsi nel tempo istesso alla educazione della nobi- le gioventù nel reale collegio Fernandiano diretto dal suo ordine. Ivi ancor si distinse per felici progressi nelle scienze superiori; tal che era proposto ad esem- pio ai suoi colleghi. Assai giovane venne impiegato all'esercizio del proprio instituto ne' collegi più popolosi e distinti. Insegnò per molti anni belle lettere, filosofia, scien- ze esatte e naturali, etiche e teologiche; ed ebbe la fortuna di dare molti e valenti allievi al santuario, al foro, alle cariche pubbliche d'ogni maniera. Il suo notne ottenne quindi presso di tutti benedizioni e crédito affatto particolare e distinto. Era egli nel collegio di Foggia quando il regno di Napoli fu occupato dalle armi francesi. Il nuovo governo, informato degli utili di lui servigi e di quan- to bene procurava a quella città ed a quella provin- cia col pubblico insegnamento , colla direzione del convitto, coll'esercizio della sacra eloquenza e con quello di altre funzioni ecclesiastiche e letterarie, lo scelse a redattore della statistica di Capilanafa ed a segretario perpetuo di quella società economica nella prima sua instituzione. Corrispose con gloria ai nuo- vi incarichi, e ne ebbe premi ed onori. Ritornato Ferdinando ( , fu esso chiamato con decreto alla direzione del real liceo del Salvatore in Napoli. Quivi die prove più luminose di quanto egli valesse nella disciplina morale e letteraria della gio- Biografie d'illustri itauam ai^^ì ventù. AccreLbe il lustro di quello stabilimento, e ne accreditò il nome nelle guise più brillanti e piìi belle. Dopo alcuni anni però cominciò a risentirne de' gravi incomodi. Il peso di questa carica gli divenne insopportabile. La necessità di sgravarsene, e il de- siderio vivissimo e prepotente di abbandonarsi a'suoi studi geniali, lo consigliarono a rinunziarla. Elesse quindi una vita tranquilla e privala, e dedicossi più che mai alla coltura delle lettere e delle scienze. Si diede allora a frequentar le accademie, a scriver li- bri, ad esercitarsi nella eloquenza del pulpito, per la quale ebbe sempre una particolare predilezione. Scel- to e numeroso fu di continuo il suo uditorio; e nin- no seppe contendergli il vanto d'esimio e valente o- rato re. Abbiam di lui le seguenti opere: Lezioni di eloquenza sacra. Questo libro può dirsi unico nel suo genere. L'autore si propone di formare in esso l'oratore sacro in tutte le sue parti ben istituito e perfetto. Alla seconda edizione segui- rà indi a poco la terza, essendosene esauriti gli e- semplari. Scuola di civiltà y o sia Lezioni d^ onesto e de- cente vivere proposte alla gioventù. Questo libro è preziosissimo per nobiltà di massime e di precetti, per morale e civile filosofia, e per purgatezza ed e- leganza di stile. E stato riprodotto a Torino pei tor- chi del Pomba. Trattato della ortografia italiana. In quest'o- puscolo si sciolgono alcune quistioni ortografiche, e si fissan le regole del retto scrivere. Forma oggetto di studio ne' seminari, ne' collegi, ne'licei ecc. Lettere critiche e memorie accademiche su diversi argomenti. 2g6 Letteratura Sermoni, voi. due. Elogi vari. Questi saranno anche raccolti in due volumi. L'autore appartiene a varie accademie. Egli è socio dell'accademia tdjerina e dell'archeologica di Ro- ma: è arcade: è socio dell'istituto reale d'incoraggia- mento di Napoli, dell'accademia pontaniana, di qua- si tutte le società economiche delle provincie. JV. B. Il Gatti cessò di vivere in Napoli il dì 3 di gennaio 1884. Il eh. raonsig. C. E. Muzzarelli scrisse le notizie intorno la vita e gli scritti di lui, che les- se alla pontificia romana accademia di archeologia il i3 di marzo di quell'anno : le quali sonosi inserite nel volume V degli atti della stessa accademia e poi pubhlicale coi tipi della R. C. Apostolica. Roma i835. IV. CANONICO BARTOLOMEO MAGLIATRICl. Trasse Bartolomeo i natali in s. Giovanni in Per- sicefo a di 2 di febbraio 17B2. Furono suoi genitori Gi- rolamo Maglialrici e Teresa Flandoli, famiglie civili, onorale e molto religiose. Le mostre di vivo inge- gno, che venia porgendo fanciullo, persuasero al padre di avviarlo alle lettere: e già i semi dell' aritmetica in lui bene allignati prometteano ubertosa la messe nelle matematiche : ma egli bramando rendeisi sacer- dote ai volse al latino, cui intese a gran diligenza gui- dato dall'ex-gesuita spagnuolo don Vittorio Martinez. Nominato canonico, passava al seminario bolognese , ove 1 accesa pietà, il candor de'costumi e la lieta e festiva indole gli acquistarono l'amore e la stima del Biografie d'itxustri italiani 3(^7 rettore Luigi Ragazzi ; ponendolo anche in benevo- lenza all' arcivescovo Gioannetti, che profferiasi gra- ziarlo d'ogni dispendio: beneficio che per la morte di quel porporato gli fallì. Non è però che rimanesse or- bato di sostegno : che l'eminentissimo arcivescovo Op- pizzoni al pari dell'antecessore l'ebbe caro e pregiato. Movealo a ciò non tanto la rettitudine, soavità e mo- destia del garzonetlo , quanto i bellissimi studi che faceva, essendosi reso bene sperto nell'eloquenza e nel- la lingua del Lazio (1798, 1799, 1800) mercè delle cure del Tognetti e di Camillo Tartaglia. Appresso a ciò, e all'aver delibate in patria dal canonico Gae- tano Morisi le filosofiche discipline, si die tutto ad es- sere insegnato dal dott. Luigi Zanotti. L'ingegno chiaro e sottile, e la bene ordinata mente congiunti ad ope- rosa volontà, lo fecero profondo in tali materie (1802, i8o3), e nelle fisiche ancora, le cui lezioni quasi a ricreamento e diletto voltò in pulito latino, e forma- tine due volumi (che ancor rimangono) gli ornò di ta- vole da lui disegnate e condotte con diligenza ed esat- tezza maravigliosa. Né meno accesamente avendo stu- diato in divinità, ne trasse bei frutti, e potè mante- nere in pubbliche disputazioni difficili tesi con gran- de riuscita. In questo mezzo veniagli conteso quel ca- nonicato: e la sopravvenuta perversità di tempi aven- do colpita la sua famiglia, trovavasi in angustie; dalle quali lo ebbe tratto la largezza di don Carlo Gelsi Picinelli, che di suo censo costitulvagli il patrimonio, che poi venuto in possessione del beneficio genero- samente rinunciava. Salito al sacerdozio ( i8o4 )» e compier volendo in Bologna i bene intrapresi studi, lo ebbe il cav. De Buoi institutore de'suoi figliolet- ti: ufficio cui satisfece lodatamente. La casa Uè Buoi agS Lettkratuia di antica e sfolgorata nobiltà , e di non poche ric- chezze, sia per l'età malvagia, sia per l'incuranza de' ministri, volgea tuttodì in basso, e sarebbe gita in to- tale ruina, se non si fosse posto alcun argine alla sua caduta. Il Maglia trici, già provato di sagacilà e destrez- za grande, eletto ad amministrare le declinanti for- tune, tanto bene e lealmente si guidò che in breve spazio ebbe raddrizzate e riordinate le cose. Laonde i De Buoi rimasergli legati d'indissolubile stima e be- nevolenza: ed ei portando loro sincera affezione, co- mechè ricerco ad impieghi di maggiore utilità ed ono- rificenza, non volle dipartirsi, ricusando ben anche le larghe proferte della nobilissima casa Pallavicini, nel privato oratorio della quale solea prestarsi a cjuelle morali istruzioni in dialogo che diconsi Catechismi^ per cui sortì attitudine grandissima, correndo a udir- lo volonterose e a folla le genti, quando le dava nel- le chiese della Libertà, del Baraccano, de'Mendicanti, e in altre. Negli spazi lasciatigli da cure siffatte spen- deva tutto sé stesso nell'ascollare le confessioni, in che ebbe grido di valentissimo: e nel faticarsi all'ad- dottrinamento della congregazione di s, Carlo, in cui adunasi la feccia della città, beccai, facchini, taver- nieri, pelacani, funai, fiera e grossa gente infangata in turpi abiti, ch'ei colla dolcezza delle maniere sa- peva ammansare, e ammansata a migliore e più cri- stiana vita indirizzare. Frattanto nuove leggi dell'ita- lico regno concedeano riordinarsi alle collegiate più insigni; ed ei congiuntosi all'avvocato Francesco Mel- chiorre Pancerasi (che ebbe a primo e dolcissimo ami- co) pervenne ad ottenere il ristabilimento del persi- cetano capitolo. Richiamato allora dal proprio debito, dalle famigliari bisogne e dall'amore de'suoi, rlcondu- Biografie d'illustri itauani agg cevasi alle paterne case, toccata già la meta de'leo- logici studi , in cui non ebbe laurea, poicliè erane proibito il conferimento: e quando si ricomposero i collegi teologici, ei non ambì, ne curò più onore sif- fatto. E perchè lo avea preceduto in patria fama di bella dottrina, appena vi rientrava che veniagli con- ceduta, prima a tempo, poi stabilmente, la scuola di fdosofia (1808), cui per molta età erasi reso inabile il Morisi. Lunghi anni durò in tale insegnamento , quantunque corressero infortunati giorni, sottile sti- pendio ricavasse, e questo in breve gli venisse ces- sato. Formato sugli antichi, sintetico e tendente allo scolastico era il suo metodo : scritti propri dettava e lutti in latino, procacciando sovrattulto che i giova- ni ogni cosa chiaramente intendessero, e prestamente ne sapessero render ragione. Non è quindi maraviglia che tale scuola desse valenti alunni alle scienze, alla chiesa, e alla civile comunanza. Laonde non rima- nendo più il suo nome racchiuso entro le patrie mu- ra, intervenne che morto a tradimento in Bertinoro il canonico Biachedi, professore di filosofia, ei chiama- vasi a succedergli: promessigli in aggiunta un cano- nicato e la rettorìa del seminario rinunciata dall'ab. Poggi, cui era venuta meno la vista. Condizioni sì bel- le, e le speranze d'ingrandimenti maggiori, non val- sero a staccarlo dalla cara famiglia e dalle incumben- ze che il gravavano. Conciossiachè fino dal suo tor- narsi in Persiceto quest'ottimo signor arciprete dott, Vincenzo Sacchetti lo avea voluto coadiutore nelle molte fatiche della cura d'anime e del vicariato; ed ei sobbarcatosi a ciò, vi adempiva con operosa diligen- za, dandosi tutto al confessionale, a'servigi della chie- sa, ad esplanare la dottrina cristiana, a tenere cale- 3oo Letteratura chismi e discorsi, a metter paci, rìcornUirre a bene i traviati, raffermare i buoni nella saldezza della fede, e prevenire il guastamento e la corruttela de' co- stumi. Ondechè mostrandosi nato fallo all'ufficio di parroco, 1' eminenlissinio arcivescovo il confortò più volte ad assumerlo in ragguardevoli cblese : una fra l'allre instando perchè gisse alla Pieve di Cento: ma fu costante nello schermirsene e ringraziare. Quasi- ché poi tali fatiche fossero leggiero peso, gli si aggiun- sero in più tempi cariche diverse: poiché e fu notaio del s. uffizio, e presiedette alla congregazione di carità, e depulavasi alla visita delle carceri ed allo spoglio de' benefiziati, ed assisteva pel clero al consiglio comu- nitativo. Segretario lo ebbe la patria accademia de' candidi-uniti , l'amministrazione parrocchiale, e l'o- spedale di'l ss. Salvatore, cui molli beni salvò, e di- fendendo e sostenendo i suoi diritti pervenne a risto- rarne le quasi disperate fortune. I brevi istanti, che rimaneangli da tanti e sì svariati uffici, erano posti nel satisfare alla sua carità verso il prossimo. Tutto di tutti, a chi era largo di sovveniraento, a chi di con- siglio, a chi di conforto. Intendente e pratico delle cose del mondo, di solerzia e perspicacia d'ingegno grande, venia sovente ricerco d'aiuto negli altrui piìi spinosi negozi: ed egli non negarsi mai, operarsi ef- ficacemente, istruire, raccomandare, indirizzare per lo meglio. Continuo era quindi nel dettare pareri, let- tere, informazioni, suppliche e progetti. E tanto ve- dea addentro nelle cose per aspre e difficoltose che fossero, che, appena uditele, con sicuro sguardo dal vero lato le mirava: quindi ne svolgeva le fila, ne or- diva la trama, ne rimovea gli ostacoli, e alla più cerla e debita fonte rivolgersi sapeva. Dal che rimane chia- Biografie d'illustri italiani 3oi rito come riuscisse a bene nella più parte delle in- traprese negoziazioni. Incredibile poi, ma vera cosa è, cbe da tante cure, biiglie e faccende non ritrasse mai emolumento, lucro o vantaggio alcuno: ricusando fer- mamente qualunque ricompensa, dono o mercede: sa- viamente avvisando, cbe cessa in gran parie il merito del prestarsi all'utilità altrui, quando a sola speranza di guadagno si faccia. Erano tornati intanto torbidi e perigliosi giorni: e soppresso nuovamente il capitolo persicefano, vedea con gran doglia essere state indar- no le diligenze già poste nel raddirizzarlo e sostener- lo. Ma quando, ridonata la pace aiFEiiropa, restitui- vasi alla sua sede il beatissimo Pio VII, fervide preci gli rivolgea, acciò la sua collegiata fosse rimessa nell' antico splendore: e, per aggiungere il bramato fine, eb- be ad impiegare sollecitudini infinite, a superare forti opposizioni, disseppellire vecchi documenti, compilare istoriche narrazioni, interporre personaggi gravissimi, sostenere viaggi, vigilie, dispendi non pochi. Corona- va da ultimo tanti disagi la bolla di Leone XII (i), santa memoria, con cbe il capitolo persicetano venia onorevolmente ripristinalo , e a lui non cbiedente data la dignità di canonico decano. Né cessando ris- guardare al bene e decoro della patria, ebbe pure mol- ta mano al ritorno in essa de'pp. conventuali. Richie- sto alla sprovveduta di condursi in luoghi vicini a da- (l) A questa bolla del primo di giugno i8'24, ottenutasi per la cure del Maglialrici, debbesi l'aver date le prime mosse acciò Per- siceto avesse nome e grado di città; leggendosi in essa: Jntedicta terra uti oppidum videbatur salis nnipluni, ac familiarum summo genere diviliiscjue ita conspicuum, ut civilatis nomea promererivi^ (ieretur. , 3oa Letteratura re le ss. missioni, assentì prontamente: e le sue pa- role, tutta dolcezza e carità, furono udite con fruito e soddisfazione grandissima. Venia frattanto a mancar- gli la madre, piissima donna, che opposto forte animo al sinistrare della fortuna, la nave della famiglia po- sta a rischio di naufragio mirabilmente avea retta e sostenuta; ed egli affliggersi oltremisura, piangere e do- lorarne altamente la perdita: che di forte amore aveala amata per tutta la vita. Questo colpo seguito dalla morte del genitore dilettissimo , non che le assidue fatiche che il diflVancavano, ebhergli abbattuto alquan- to lo spirito: che poi pativa piìi forte crollo nelle tem- pestose nubi che adunaronsi su questi luoghi, or son due lustri, e che la Dio mercè andarono in facile di- leguo. Solito a vedere molto innanzi nelle cose, pre- sentiva mali grandissimi ed imminenti: quindi a un tratto gli vennero scemando le forze della mente e del corpo. A quella sua tanto vivace festività succes- se un cupo abbattimento, un disperare appieno delle proprie forze, un reputarsi inabile a lutto. A tale su- bitaneo cangiamento d'indole, di consuetudini, tenta- tasi riparare con pronti rimedi : fu a Bologna in cura al Baroni; saggi amici studiaronsi distorlo dalle fosche idee che gl'ingombravano l'animo: fé uso d'acque mi- nerali e d' ogni argomento che arte umana può con- sigliare: ma tutto invano. Ei non mostrava alcun ma- le: eppure andavagli ogni dì sfiorendo la salute, tal- ché dopo quattr'anni, confortato da'soccorsi della re- ligione,venia a mancare la sera de'29di settembre i836, quando l'ancor vegeta età e la robusta tempera da- vano fidanza alla patria, al clero ed agli amici d'a- verlo ancora lunghi anni ad ornamento e sostegno : giacché fu uomo d'animo sensitivo, di pronta e fer- Biografie d'illustri italiani 3o3 viJa immagìnaziojie,e della fatica soslenitore indefesso. La religione altamente venerava ed osservava fino allo scrupolo. In Nostra Donna divoto senza fine , ebbe s. Nicolò magno a speciale patrono. Riverenza prestò grande alla sede apostolica, di cui zelò e difese mai sempre i diritti e l'onore. De'poveri fu amanlissimo e largo soccorritore. Acuto era d'ingegno, eccellente di consiglio, pronto a deliberare, e le deliberate cose a mettere in effetto. Sobrio, temperalo, purissimo ne' costumi, avea però conversare ameno, belli e piacenti molti, racconti saporiti e graziosi parlari: di che gio- vanetto solea far liete le oneste brigate. Amore alla roba non sentì mai ; andò anzi si preso della religio- sa povertà da non riserbarsi danaro alcuno, tutto ver- sandolo a prò de'poveri e della famiglia, con cui visse tranquilla e concorde la vita, avendo posta studiosa cura^ acciò si allevasse degnamente alle mediche scien- ze il carissimo suo fratello Antonio, or cavaliere e capitano ne'volontari pontificii. Sincero e fedele fu co- gli amici, che scelse pochi e valenti. Nel numero di questi, oltre a'sovraddetti, furono Stanislao Tomba bar- nabita or vescovo di Forlì, Federico Bencivenni ve- scovo che fu di Bertinoro e Sarsina, monsignor Boat- ti, il Lucchesini, il Mellini e somiglianti. Gli studi e sacri e profani non ebbe mai intermessi: furono in vece la sua più dolce e cara delizia: di che rendono prova i manoscritti rimasti , tra'quali è un cumulo grande di dialoghi morali pe'catechismi, di spiegazioni della dottrina cristiana, di discorsi sacri, di prefazioni accademiche, e di elucubrazioni riguardanti cose fi- siche, filosofiche e matematiche. Primeggiano fra que- sti le orazioni sulla passione di N. S., sulla resurre- zione, sul beneficio della redenzione, quelle a lode 3o4 LKTTERATUnA. de'ss. Filippo Neri e Luigi Gonzaga, non che la gra- tulatoria Iella nell'accademia che ebbesi in seminario quando l'arcivescovo Opplzzoni vestia la porpora de' cardinali. Ne meno notevoli sono i discorsi contro la poesia, sulla matematica , sull' unione della filosofìa coll'eloquenza; e una dissertazione sul moto. Umile e dispregiatore di lodi com'era, non amò quella glo- ria che viene dagli scritti : quindi non volle che il suo nome corresse per le stampe, contento di mira- re all'utilità altrui nelle opere e negli studi , e di averla molto sovente procacciata. In tal modo visse Bartolomeo Magliatrlci, e chiu- se il mortale suo corso. Né diremo che ei sarebbe stalo degno di più lunga e prospera vita: poiché le virtù di che si adornò l'animo, e la lunga infermi- tà fortemente tollerata, ne porgono fiducia che da que- sto travaglioso esiglio sia salito a godere la beatitu- dine eterna, G. F. Rambelli. V. UBALDO BELLINI E CAMILLO BRIGANTI BELLINI suo NIPOTE. L'abate Ubaldo Bellini, nato in Osimo verso la metà del secolo XVIII, visse la maggior parte della sua vita in Roma: dove essendo ancor giovane fu fat- to uditore del prelato Campanelli, che diveniva di poi cardinal prodatario e reggeva assai della mole dello stalo, siccome quegli col quale il papa Pio \l più volentieri che con altri si consigliava. Andando con alcuni illustri personaggi a diporto per maremma , perde un occhio per una molla che scattò dal ba- Biografie d'ilt.ustrt italiani 3o5 sione del prelato Guerrieri, mentre egli l'osservava troppo curiosamente: allora il papa volle conferirgli due piccoli benefici ecclesiastici, che tutti e due frut- tavano poco meglio di cento scudi, ed egli non gli avea domandali. Perchè molto ottenne per altri, ma nulla mai richiese per se : ed in un posto di favori e di grazie vide piegarsi davanti a se molte ambizio- ni, senza ch'egli menomamente partecipasse alla cor- ruttela dti'lempi : perchè fu di rara delicatezza e di modestia incomparabile. Al cardinal Campanelli de- funto succedeva Aurelio Roverella di Ferrara, il qua- le, come era l'uso, conduceva seco l'udilor suo: ma il papa noi permise , volendo che l'abate Bellini rima- nesse uditore ex officio. Si dilettò maravigliosamente di studi archeologici , e co' risparmi d'una vita fru- gale riuscì a comporre una collezione di monete e di altri oggetti di antichità, che supera la condizione di privata persona. Parti di Roma due volte, l'una durante il governo repubblicano, l'altra quando un de- creto dell' imperator de' francesi richiamò alcuni sud- diti del suo nuovo regno d'Italia alle loro stanze. Col- tivò le lettere italiane, latine e greche : e negli ozi domestici volgarizzò in ottava rima le georgiche e l'e- neide di Virgilio, la scacchiade e il filugello del ve- scovo Vida, scrisse in epigrammi latini le vite dei pa- pi da s. Pietro a Gregorio XVI, ed alcuni inni del- la chiesa; nei quali lavori, comecché qualche volta è a desiderare una vena più facile e una fraseo- logia più corretta, v'ha pure di molte e grandi bel- lezze, e sempre altrui fanno fede del come alimen- tasse l'adolescenza sua, e come la vecchiezza confor- tasse. Fu amico di parecchi uomini celebri contem- poranei: fu amalo e stimalo dai maggiori di se, rispet- G.A.T.XCV1II. 20 3o6 Letteratura tato dagli inferiori. Casljgalo e severo seco stesso, era con ogni aUro indulgente: nella conversazione fa- miliare facetissimo. Liberale e largo del proprio, egli tuttora vivente sovvenne di crediti e danaro più d'uno stabilimento pubbliconella patria, alcuno dei quali non seppe mai donde quella beneficenza gli provenisse; tanta cura poneva perchè la mano sinistra non sa- pesse quel che si facesse la destra. Era grave di vol- to e antico di costumi, e sempre gli spiacquero i mo- di che tengono del forestiero. Longevo mori senza pena fra le cure di una famiglia amorosa, che l'eb- be in luogo di padre. Tale uomo sì fu l'abate Ubal- do Bellini, del quale scrisse queste poche ma impor- tanti notizie il nipote ed alunno suo Camillo , di cui ora come pubblico danno la città di Osimo pian- ge la perdita. Per lo che mi pare debito di pietà cit- tadina dettare anche di lui alcune parole, che mo- strino com'egli seppe ritrarre dallo zio il sapere e la virtù. Dico adunque che Camillo Briganti nacque in Osimo da Teresa Bellini osimana , e da Tommaso Briganti da Mondolfo il 6 di giugno jji^G. Fin dal- la prima età diede non fallibili segni di perspicace e robusto ingegno, e di tale potenza di memoria da parere miracolo. Laonde i savi genitori, veggendo qua- le egli imprometteva addivenire, non cessarono cura di educazione perchè alle speranze loro rispondesse. Tenero ancora degli anni lo collocarono nel nobil collegio Campana di Osimo, che allora era in grido ed in fiore; ma sopravvenuti que' commovimenti pxib- blici , che fecero risentire tutta l' Europa , essendo stato chiuso quel luogo, furono costretti a richiamar- lo a casa, ove lo tennero finché tranquillate alquaiv- Biografie c'iixiisTni italiani Soy. lo le cose e riaperto il collegio poterono dì nuovo agli studi ivi lidoudilo. JNel lempo in cui stelle co' suoi in patria, comecché nulla sapesse di latino, so- lo per una inclinazione somma ad imparai'e mandò a memoria tulli e quattro i libri delle georgiche sì bene, che meglio non avrebbe potuto ov' egli fosse stalo bene addentro in quella lingua, e si conosces- se di tulle le bellezze di quella divina poesia. La qual cosa meglio confermò, che comuni non erano le forze dell'ingegno suo, e die anche ad intravve- dere com'egli aveva una rara disposizione ad appren- der lingue. In tutto il corso degli studi sovrastò a- gii allri per diligenza e per prontezza ad imparare , ed in breve fu la delizia de' suoi maestri. L' abate Pietro Qualrini allora insegnava retlorica, ed era uo- mo che nella lingua del Lazio vedea fondo , bene ed elettamente dettava in poesia latina , con molta vivezza e facilità trattava V italiana : e se la ragio- ne degli studi fosse stala migliore, ed egli avesse a- vuto più larghe cognizioni del mondo, sarebbe riu- scito a fronteggiare i primi poeti dell'età nostra. Que- sti si aveva sommamente diletto il Briganti, e se ne compiaceva assai, perchè scrivea ancor giovanetto bel- le poesie latine, e con tale disinvoltura ed eleganza, che più non potrebbe un provetto. La qual cosa, oltre la bontà de'costumi e del cuore ch'egli ammirava nel suo discepolo, fu cagione ch'egli a lui tanto amore ponesse, che poi per tulta la vita non volle meglio a persona del mondo: e venuto a morte, a lui solo fidò l'adempimento delle ultime sue volontà. Ma per seguire 1' ordine degli studi di Camillo , è a sapere ch'egli dispulò pubblicamente, con plauso e maravi- glia non so qual più, in filosofia, tenendovi conclu- 3o8 Letteratura «ione secondo Tanlico metodo. Né io qui verrò di- sputando se veramente fosse buono (parendo ad al- cuni ch'esso sia ostentazione meglio che altro: e pro- va rischiosa, se tutto si lasci al disputante: vana, se altri vi prenda parte) : ma dirò solo, che a giovane forte della memoria, com'era Camillo, poteva giovare assai, e farne bella prova a destare alcun grido nel- la propria terra. Compiuto il corso degli studi filo- sofici, egli, che si sentiva inchinato ad apprendere le lingue dotte, si diede a studiare greco sotto la di- sciplina del canonico Luca Fanciulli, uomo di mol- to sapere ed erudizione: e presto vi fece di grande profitto. Indi incominciò a studiare ebraico, prenden- do a maestro il dottissimo padre Ceruti: e anche in questa lingua cominciò ben presto a valere. Appres- so chiamato a Roma da Ubaldo Bellini suo zio, tra per l'esempio di lui e la naturale vaghezza ch'egli Ca- millo avea di spaziare nell' antichità erudita , più e piìi penetrò negli studi archeologici , e si perfezio- nò neir apprendimento delle lingue ebraica e gre- ca: le quali non parendogli bastare ad uomo che vo- glia vivere fra le più remote età del mondo, si die- de ad imparare anche il caldaico e il siriaco, ed in- oltre tutti quanti i dialetti della lingua ebraica non eccettuato il babilonico: e tanto fu caro a'suoi mae- stri, che erano de'primi uomini di Roma, fra' qua- li mi basterà aver nominato l'abate Ignazio de'Rossi, il p. Benedetto Maurizio Olivieri domenicano e l'aba- te Luigi Lanzi personaggi sopra ogni elogio, che es- si non solo gli avevano amore, ma ben anche stima. E amore e stima di lui presero ben tosto i due car- dinali Campanelli e Roverella, i quali e dell'ingegno si compiacevano e della compostezza ch'ei mostrava Biografie d'illustri italiani 3oq nei costumi, ch'erano tali da onorarsene qualunque nomo savio e maturo degli anni. Cosa mirabile in tanta giovinezza, e in tanta vivacità di spiriti e pia- cevolezza di modi, quanta egli possedeva ! Tornato di Roma nel 1808, Ubaldo si rimase continuo con lui e cogli altri suoi zii , monsignor Stefano che fu vescovo di Loreto , e Gioacchino, i quali gli avevano sì grande affetto, che non si po- tria dire a parole. Ed egli lor corrispose, e die loro mano ed assistenza e nel reggimento delle cose do- mestiche e negli studi: che egli scriveva per lo zio Ubaldo a quanti eruditi con lui avevano relazione di lettere, e fra questi spezialmente al chiarissimo pa- dre abate Enrico Sanclemente, e al sommo antiqua- rio Domenico Sestini. Quindi potentemente atten- deva ancora a'suoi diletti sludi, ed estendeva le sue cognizioni spezialmente in fatto di storia, e cercava perfezionare il suo gusto nella letteratura. Ma so- pra ogni cosa egli si applicava allo studio della ^a- cra Bibbia, la quale non solo quasi per intero riusci a mettersi nella memoria, ma a possederla per modo da tener fronte a chiunque. Per solo suo esercizio ne illustrò e tradusse alcuna parte, come fanno fede gli scritti che di lui rimangono. Queste sue rare do- li d'ingegno ed i costumi lo fecero presto carissimo alla città: cosicché fu chiamato ancor giovane di 26 anni a reggere le cose del pubblico. Nella quale ma- gistratura si portò per modo , da esserne lodato dal principe, amato da'suoi concittadini : conclossiacchè due cose ebbe soprammodo a cuore; rendere giustizia a tutti e beneficare. E nelle cose del comune si ten- ne fino al ritorno di Pio VII dalla Francia, il qua- le egli come capo della città accolse, e conipliinen- 3io Letteratura tò. Appresso piaccjue a' suoi zìi Ubaldo, Slefano, e Gioacchino, ch'ei rinnovasse il sangue dei Bellini, e menasse donna : e però si ritrasse a'domestici affari, e secondando il desiderio loro condusse in moglie Costanza Rotigni da Recauati, nobile e fregiata d'o- gni virtù, la quale gli diede tre figliuoli e non gli lasciò invidiare felicità di marito e di padre. Ma per- chè si distogliesse dagli affari del comune , noa ri- cusò mai l'opera sua ove fosse richiesta. Egli rimise in fiore, anzi ridonò alla patria, l'istituto del monte di pietà, che era ridotto all'ultima decadenza: e ve- lluto onde era il danno, vi appose riparo, ne riven- dicò i diritti, e ne scrisse un regolamento , che fa encomiato e approvato non meno dal consiglio che dalle autorità superiori. E quando la città d'Osimo ebbe la ventura d' aver vescovo un uomo di quel- l'essere, che fu Maria Timoteo Ascensi, Camillo en- trando ben tosto nella benevolenza di lui, per quel suo franco leale e schietto mostrarsi in ogni cosa, ebbe a coadiuvarlo nella revisione delle ragioni di tutti i pii istituti della diocesi, avendolo egli deput- lato a ciò con altri distinti laici, i quali, ad esem- pio del Briganti, non solo adempierono ma superaro- no l'aspettazione dell'ottimo predalo. Per egual modo ebbe mano a rimettere in ordine le cose dello spe- dale degli infermi, l'amministrazione del quale è fi- data alla insigne confraternita de' ss. Benvenuto e Rocco. Conciossiacchè eletto priore della medesima, tolse di molti abusi , adoperò a far mandare ad ef- fetto savie norme pel governo del luogo, e così ri- stabilire una regolare e savia amministrazione. Nel 1828, nominato anziano del comune, adem- pì a' gravi incarichi, dando in tulio a vedere quan- BrooRAFiE d'illustri italla.ni 3 I I t'egli fosse esperto delle cose, facile uei buoni trova- ti e spedito nell'indurli a fine. Cittadino amante della patria, spontaneo la soccorse di danaro nelle bisogne, per lei si espose a pericoli, per lei non rifiutò mai fatica alcuna. Ritiratosi di nuovo dalle cose pubbliche, si ab- bandonò interamente all' educazione de' figliuoli , i quali meglio coll'esempio e coU'amore che colla se- verità volle reggere : poi avendo di molto accresciuto il museo di medaglie ed altre antichità raccolte dal dotto suo zio Ubaldo, e da lui ridotto a tale da for- mare una ricchissima serie, quale poche se ne ha in Italia, e che supera di gran lunga la condizion del privato, all'illustrazione di quelle si applicò : e già era sul punto di vederne Compiuto per l'intero l'in- dice ragionato, che con tante fatiche egli avea descrit- to, quando fu sorpreso da improvvisa mòrte, che lo tolse a'suoi ed alla patria nell'ultima ora del i4 di giu- gno 184.3 fra il Compianto di ogni ordine di cittadini. Fu Camillo Briganti Bellini di mezzana statura, ben impersonato, piatente di aspettò, d'occhi vivacis- simi, amico d'ogni piacevolezza, affabile, ospitale. f)eU la sua beneficenza non è a dire: perchè tròppo sa- rebbe difficile colle parole significare quale e quan- ta si fosse. Ben si può affermare che questa fu sua particolare indole, esser largamente caritativo con tut- ti. A lui niun genere di beneficenza fu nuovo: e per- chè sapeva in molli la vergogna prevalere al desi- derio e al bisogno del domandare , precoiTcva egli stesso alle domande e il fatto nascondeva a tutti: e se non poteva a se stesso, certo studiava nasconder- lo al beneficato. Consigliò lo zio vescovo a non la- sciargli punto nulla dell'eredità sua, mostrandogli che 3ia Letteratura sarebbe meglio collocato ne'poveri: e quel venerando vecchio, lieto che i consigli del nipote si convenissero col suo desiderio ,ai poveri la divise. Ogni assistenza ed amorevolezza profuse a'suoi zii: ogni premura ed affetto alla moglie ed ai figliuoli : ogni carità a'suoi concittadini. Spesse volte trovandosi intorniato dalla sua famiglinola soleva dire : Figliuoli miei, giacche Iddio ci dà tanto bene^ facciamo bene a chi non ne ha. Pe'suoi buoni consigli e per le affettuose sue pre- mure il pio sacerdote D. Francesco Arnunsani legò ogni suo avere a beneficio de' poveri ed agli infer- mi della città. A'figlìuoli tenne luogo d'amico, e vis- se in tanta pace di concordia, ch'egli soventi volte ringraziandone Iddio soleva dire: Quanto compiango què'padri, che per domestici dissidi sono privati di quella gioia eh'' io provo trovandomi co'' miei figliuoli ! Amò teneramente i fratelli, e procurò con affetto l'educazione letteraria de' nipoti. Appartenne alla società di religione cattolica in Roma , ed ivi con lode disertò : fu avuto in gran conto dagli ar- cheologi; fu invitato al primo congresso degli scien-. ziati in Pisa, ma per buone ragioni non v'interven- ne : studiò e si conobbe alquanto della lingua san- scrita, e d'ogni genere di letteratura. Fiori nell'ami- cizia e nella slima di molti chiari e dotti dell'età no- stra, ed ebbe l'amore di tutti i buoni, i quali sempre serberanno memoria ed ammirazione della virtù di un uomo sì benefico, saggio ed erudito, da levar grido non solo in una provincia, ma in una nazione. ^ G. Ignazio Montanari. Biografie d'illustri italiani 3i3 VI. Vittorio Barjsoni (i). Vittorio Barzoni nacque in Conato correndo l'an- no 1768. Fece i suol primi studi in patria ; attese in Verona alla letteratura latina ed italiana, alla me- tafisica, alla fisica, alla geometria: in Padova appli- cò alle leggi civili , al naturale diritto , alle lingue francese, spagnuola, ed inglese. Tornato in patria, ri- prese lo studio delle buone lettere latine ed italia- ne , e mollo si diede alla storia , alla legislazione , alla geografia, al diritto delle genti. Venuto poscia in Venezia, onde rendersi impratichito nell'avvocatu- ra, vi pubblicò nell'anno 17B4 i^ Solitario delle Al- pi:, ma l'opera giacque presso che sconosciuta, per- chè contraria alle massime licenziose, che in quella età erano in pieno vigore. Pochi anni appresso sor- se quel 16 maggio del 1797» nel quale i francesi si trassero alle mani Venezia: ed in quel giorno il Bar- zoni imprese a modo di colloqui civici un giornale periodico, nel quale criticò del pari e giacobini e a- ristocratici. Rimproverati che ebbe gli errori delle al- lora bollenti opposte fazioni, giovandosi della liber- tà della stampa, scrisse, diede fuori, ed indirizzò a Bonaparfe un rapporto, col quale censurò lui, i suoi reggimenti municipali pe'danni che avevano cagiona- ti alla sua patria; e il rapporto col proprio nome sottoscrisse. Levò l'audace scrittura gran remore, e (i) Scritta da se medesimo ed inviala ài chiarissimo monsig- Muzzarelli. 3x4- Lettekatura gli uomini a quel lempo imperanti furono tlella stes- sa assai indignali: il fu mag£;iormente degli altri il cittadino Giuseppe Villelard, surrogato alTambascia- tore di Francia, che era andato via. Nella notte so- pravvegnente a quella pubblicazione (era la notte del 27 settembre del 1797) il Barzoni sì trovava al Caffè delle jRcVe, deplorando con pochi amici le miserie de'tempi : e mentre gli passava da presso Villelard, nel modo famigliare, che era comune in que'momen- ti dell'eguaglianza, gli disse: Jddio^ Viiletard, Que- sti tutto sfoliiorante d'ira si rivolse contro il Barzoni e proruppe: Voi siete infame] Alla grave ingiuria il Bar- zoni sciamò: ^ me infame"} . . . Scellerato\ ti farò balzar la testa in aria: e trasse di tasca una pisto- la. Villelard, che era inerme , al vedersi di conlra un'arma gridò: f^aoi tu assassinarmi ? - Sei tu, ripi- gliò il Barzoni, che mi assassini colV infamarmi, ma ti ucciderò: ed inarcò l'acciarino. In quel frangen- te il gentiluomo Guerra, che per caso era alle spal- le del Barzoni, onde impedirgli di trascorrere ad un eccesso di vendetta, l'afferrò per le braccia. Intanto l'alta ed esacerbata voce, colla quale erasi dalle due parli altercato, suscitò un tumulto, un subuglio, uno stridere orrendo. Donne, uomini spaventati fuggirono: ufficiali e soldati francesi, che là erano, si affrettaro- no intorno a Villelard, onde difendere questo lor na- zionale, che tutti i francesi in Venezia rappresenta- va. Il Barzoni non aveva che una pistola, sentivasi le braccia afferrale, e non si vedea di fronte che ar- mi ed armati. Maravigliando alla tanta forza che a- veva contro di se destata, ogni idea di offesa e di resistenza tornando impossibile, la necessità il forzò a ritirarsi. Laonde svincolatosi dal patrizio Guerra, Biografie d'ilmjstui italiani 3i5 e (lanJo indietro colla pistola, e colla faccia sciupre rivolta conlro Villelard, si ridusse all'uscio die met- te nella Calle canturlna: e postosi in quella, andò in casa Paiigrazio a s. Luca. All'udire il fatto delle Rive infuriarono i bo- napartisti. Si accusò , com'era siile (lolla calamitosa stagione, il Barzoni di esser capo d'una trama ten- dente a rovesciare la repubblica : e per dare a quel- la menzogna un'apparenza di valore, si chiust^ro i tea- tri, e s'intonò di voler porre Venezia in islato di assedio. Le società patriottiche molte cose dissero, scrissero, e decretarono contro il Barzoni; alcuni fra i più infocati oratori di quelle trassero i pugnali, e su que' ferri giurarono di voler ucciderlo. La procel- la fremea da ogni banda. In mezzo a tanto ardore ed a tanto irritamento Giuseppe Villetard disse, the il Barzoni ed. egli erano del pari trascorsi; e che pe- rò ad un convito patriottico si sarebbero dati l' ab- bracciamento della fratellanza, e che non si sarebbe parlato oltre di quanto era avvenuto. In aspettazione di quel desinare e di quel componimento, il Barzo- ni, benché minacciato dalla fazione regnante, si ri- maneva tuttavia in Venezia: quando Bonaparte, forte adirato del Rapporto e del caso Rive , scrisse al consesso municipale di Venezia una lettera , colla quale dopo averlo redarguito perchè avesse lasciato correre un simile scritto , e perchè lasciasse andar «enza pena il misfatto delle Rive, ordinava die fosse sul momento inflitto al Barzoni un castigo esempla- re. A quell'ordine il tribunale rivoluzionario impre- se a formargli il processo , e il comitato di salute pubblica decretò l'immediato arresto di lui. Alcuni deputati municipali tosto lo avvertirono dell'alto pe- 3 1 6 L B T T E R A^ T U R A ricolo, nel quale versava: ed il cavalier Lodovico Buo- namico, incaricato per gli affari del re di Torino in Venezia, ad onta che esponesse se ed il suo grado a forti rischi, fece l'azione ardita e generosa di tra- durlo per mezzo alle sentinelle francesi ed alle guar- die nazionali fuori di Venezia. Nel lasciarlo gli con- segnò un passaporto, col quale potè salvarsi in To- scana. Uscito che fu dalle mani de' suoi nemici , tranquillo se ne viveva a Firenze, in una casa tro- vatagli dal tipografo Molini, il quale ad un tempo il raccomandò al gran duca Ferdinando , perchè in ogni evenlo protetto fosse l'asilo di lui; ma sendosì poco appresso scoperta la sua dimora, ed essendo e- gli mal sicuro, e il gran duca amando salvarlo, ne' volendo palesemente tramischiarsi nella niala ventu- ra, comandò al Molini che chiedesse in suo nome, a favore del giovine proscritto, una commendatizia all'arcivescovo Martini per 1' abate di Vallombrosa. Avuta che ebbe il Barzoni la lettera, si ricoverò in quella badia, ove compose la maggior parte delle sue Descrizioni. Si tenne occulto in quella solitudine fi- no al conchiudersi del trattato di Campo-Formio. Partito dall'Italia Bonaparte, partiti dai ceduti stati veneti i partigiani suoi, il Barzoni fece ritorno in Venezia, quantunque si tenesse ancora dal presidio francese. In quella città rimase per alcun giorno: poi andò a ripararsi in una villa del trevigiano , ove si tenne nascosto fino a che Venezia non fu occupata dal- le armi austriache. Allora vi tornò egli pure, e vi pubblicò / romani in Grecia, pe'quali non soffer- se né danno , né persecuzione alcuna. L' onorevole sig. Adams, nel tempo che era presidente degli sla- ti uniti d'America , quel libro tradusse i» inglese. Biografie d'illustri italiani 3 i 7 Non molto dopo pubblicò il Barzoni le Rivoluzioni della repubblica francese^ opera della quale si fe- cero tre edizioni , e che fu voltata in tedesco. Nel 1801 diede fuori in due volumi le Rivoluzioni della repubblica veneta : storia che fu tradotta in ingle- se, ed encomiata dalla Rivista d'Edimburgo. In sul finir dell'anno 1801 il Barzoni si con- dusse col conte Giulio di Strassoldo a Vienna, ove chiese all'imperatore d'Alemagna una cattedra di let- teratura latina ed italiana, allora vacante nell' uni- versità degli studi di Padova. Frattanto che si deli- berasse su quella domanda impiegava il suo tempo a leggere nella biblioteca imperiale quelle opere te- desche, che rinveniva voltate in alcuna delle lingue a lui note. Nella biblioteca fece conoscenza e di- venne in processo di tempo amico del chiarissimo storico Mùller, e del rinomato botanico lacquin. Fu in quel tempo ciie descrisse le ville imperiali di Lu- cemburgo e di Belforte. Era in que'giorni ambascia- tore in Vienna per l'imperatore di tutte le Russie il principe di Ressoumowski. Questo illustre personag^. glo desiderò conoscere il Barzoni: ed il sig. Naran- zi, che andava ministro straordinario a Pietroburgo per la repubblica settinsulare, glie lo condusse innan- zi: e fu da quello con onoranza di tratto ricevuto. Da quel momento cominciò a praticare nella casa del principe, e fu in quella che fece relazione coU'am- basciatore ilella Gran Bretagna in Vienna , e con sir Carlo Stuart di quella ambasceria segretario. Là conobbe pure il celebre cavaliere Enrico Gentz , il piincipe di Swartzemberg , il conte di Stadion , e molti altri grandi che quella cospicua casa frequen- tavano. Tra pel suo andare in quella, e più per al- 3 1 8 Ti E T T K n A T U R À Clini imprudenlissimi delti che una sera scagliò nel caffè del Graben contro Bonaparle, questi volle che fosse espulso dalla Germania. Fu allora che gì' in- glesi, i quali in ogni periodo della rivoluzione fran- cese protessero le vittime di quella, il fecero acco- gliere nelle loro navi e trasferire al principiar del- l'anno iBo4 in Malta, Quivi scrisse e pubblicò i Motivi della rottura del trattato d^ yimiens: discus- sione politica, della quale Waller-Scott fece onorevo- le memoria nella vita di Napoleone. Nel tempo stes- so l'esiliato si pose a scrivere sull'alta politica di que' tempi il Cartaginese, col quale si argomentò di sol- levare tutta l'Europa contra Bonaparle. Questo gior- nale finì allo spirar dell'anno i8o8. Succeduto il ri- volgimento di Spagna, Il Barzoni nel 1B09 intrapre- se un Giornale politico , col quale incoraggiava la nazione spagnuola a star salda nella sua dura lotta contro i francesi. Perseverò in quelle esortazioni fi- no al 181 1, nel quale anno riunì e stampò i suoi Discorsi; e gl'inglesi credono esser questa la migliore delle sue opere. Il Barzoni intanto riceveva in Mal- ta frequenti cortesie dai ragguardevoli personaggi col- locati nelle sedi del governo, dagli ammiragli e ge- nerali inglesi e spagnuoli che là approdavano, dai vari insigni letterali che a quando a quando vi ve- nivano. Egli vivea nella massima intrinsichezza coi sig. Valpolee CoUerigda, con lord Byron, e coll'il- Instre sir William Drumond. Questi gli procurò la re- lazione del principe Italinsky, uomo di gran sapere, che era stato ambasciatore per l'imperatore di tutte le Russie a Costantinopoli, e che pe' disastri della guer- i*a d' oriente si era ritirato in Malta. Quivi il Bar- zoni fece conoscenza col conte de la Tour, col duca Biografie d'ilta' stri italiani Sto di Modena, col conte Pozzo di Borgo, col duca d'Or- leans, coi cavaliere d'Azara, con sir Boherto Wilson, e con altri signori distinti per lettere, per armi, o per potenza. L'indole sua leale gii procacciò l'affezione de- gl' inglesi, de' maltesi, de' foiestieri che in quell'iso- la arrivavano: tutti il colmarono di atti della maggiore cordialità. In quell'asilo di sicurezza egli passava le ore di ozio leggendo e rileggendo nella biblioteca britanna le belle ed esatte traduzioni inglesi dei pro- satori e dei poeti greci. Al principiar dell'anno 1812 il Barzoni si fece a distendere il Giornale di Malta. In mezzo al flagello della peste, die per più di un anno imperversò in quell'Isola, tuttoché nel bollore di quella infermità pericoloso tornasse il trattare la carta e la penna , egli continuò sempre a scrivere il suo giornale, dan- do nel medesimo avvertimenti ai maltesi del come salvarsi dalla pestilenza; dando ai popoli lezioni per abbassar Bonaparte; e tutto con un sangue freddo e con una perseveranza , che potrà essere uguagliata, ma che sarà difficile potersi superare. Tradotto che fu Bonaparte nell'isola dell'Elba, il Barzoni cessò dal suo Giornale di Malta, depose la penna, chiese il suo congedo all'onorevole sir Tho- mas Maltland e fece ritorno in Italia. Il magnani- mo governo inglese, onde ricompensare tanti servigi che questo italiano, in mezzo a pericoli e a disastri d'ogni sorta, avea co' suoi scritti dal 1794 fino al 1814 resi alla causa dell'umanità , gli ebbe assegna- la una pensione, colla quale visse lontano da tutti gli affari in patria. JV. B. Il Barzoni ha cessato di vivere nell'an- no 1843. 3ao Letteiiatura VII. Giambattista Spotorno (i). Nacqui in Albisola (diocesi di Savona) a dì 24 di ottobre 1788 ; essendosi in esso luogo ritirato mio padre dopo le sventure della casa. In s. Francesco a Ripa è l'epitaffio di E'rancesco Spotorno mancato costì in Roma nel 1646 ; è detto Jngennae pvobitatis vir. Peraltro la nostra famiglia è di Celle ( luogo pure della diocesi di Savona) ed ascritta alla cittadinanz;) savonese da due secoli e mezzo. Studiai rettorica e filosofia in Savona nelle scuole pie : nel 1806 pro- fessai tra' ce. RR. bernabiti in s. Severino (Marca) : in Macerata ebbi per sette mesi lezioni privale di matematica e gius pubblico dall' egregio Colizzi, al- lora bernabita, ora professore emerito della universi- tà di Perugia. In Roma ascoltai le lezioni teologiche del p. Grandi e del p. Lambruschini, e n'ebbi non poche in privato dal p. Fontana, poi cardinale chia- rissimo. Mi applicai similmente alla lingua greca ed ebraica, continuando lo studio delie matematiche. Ri- cacciato da' francesi in patria, ebbi a perdere la pen- sione e a soffrire l'arresto pel negato giuramento. Ot- tenuta finalmente la facoltà di ridurmi a Chiavari (capo allora del dipartimento degli apenninl, ed ora d'una provincia del ducato di Genova) fui bibliote- cario della società economica di essa città ; accolto nella casa del marchese Stefano Rivarola, ov' anche (i) Scrìtta da se medesimo ed inviata al chiarissimo mon- slgoor MHzzarelli. Biografie d'illustri italiani Sai soggiornava l'ora emiuentissimo Rivarola suo fratello. Ricomposte le cose, fui dal p. generale Fontana man- dato a Bologna a insegnarvi rettorica (i8i4-i8i6), e poi a Livorno (1816-17), d'onde ritornai a Bologna accademico del collegio di s. Luigi, e ripetitore di ma- tematica ( 1817-19 ). Nel 18 19 feci il quaresimale quotidiano nella collegiata di Cento. L'anno stesso venni a Genova a riaprire il collegio di s. Bartolo- meo restituito ai bernabiti. Nel 1821 la città di Ge- nova mi affidò la direzione delle scuole pubbliche e la cattedra di eloquenza; incarichi da me conserva- ti sino al chiudersi delle lezioni di quest'anno sco- lastico. Nel 1824 fui pure dalla città eletto alla di- rezione della biblioteca comunale con titolo di pre- fetto. S. M. il re Carlo Felice mi nominò di motu proprio nel 1828 dottore nel collegio di filosofia e lettere di questa reale università; e con reali paten- ti del i5 settembre 1829 mi promosse alla cattedra di eloquenza latina nella detta università, per la mor- te avvenuta del professor Giacomo Lari. La morte di mio padre avvenuta nel 18 19, e le strettezze in cui rimase mia madre, mi obbligarono a chiedere nel 1822 un breve di secolarizzazione, di cui per consiglio di monsignor Lambruschini non ho fatto uso che per la coscienza. Ecco le notizie tutte di un uomo, che appena sarebbe degno di un cantuccio nelle memorie Ob- scurorum virorum. Se la S. V. illustrissima e re- verendissima darà luogo tra gl'illustri viventi a mon- signor Lambruschini, basterà che in nota mi ricordi come scolare di esso prelato, e nulla più. Le opere e gli opuscoli da me scritti sono i seguenti : G.A.T.XCVm. 21 322 Letteratu ra I. Arte epigrafica. Savona, Zerbini, i8i3, voi. a in a. a. Della origine e patria di Cristoforo Colombo, libri 3. Genova, Frugoni, 1819 in 8. Quattro opuscoli servono di appendice al libro dell'origine, tra'quali uno intitolato - Observations cri- tiques sur 1' escrit de ra. le comte Lanjuinais inti- tulè « Notice concernant Cbristophe Colombo, Paris Fanlin 1824 in 8. » Io lo scrissi in italiano: ma un eccelso personaggio Io voltò in francese. Se ne ha una versione italiana del dottor Giovanni Baleslreri, Ge- nova 1827 in 8. 3. Alcune poesie. Reggio, Davolio 1818 in 8. Le fece stampare il sig. Antonio Ferreri reggiano, già mio scolare in Bologna. 4. Codice diplomatico Colombo americano. Ge- nova, Ponthenier 1823 in 4- Colombo mandò in Genova al nobile Nicolò Oderico suo amico una copia autentica in pergame- na di tutte le convenzioni fatte co'monarchi di Spa- gna , e i decreti e disposizioni relative al governo del nuovo mondo. Per ordine della città io copiai quel codice prezioso, lo tradussi dall'originale spa- gnuolo: e premessavi la vita del Colombo ed alcu- ne postille postevi qua e là, lo feci stampare dal Pon- thenier. L'anno stesso fu ristampato, tradotto dall'italia- no in inglese : Memorius of Columbus preceded bes a memoir of bis life and discoveries by D. Giovan Balista Spolurno. London, Treuttel and Wurlz i823 in 8. 5. Storia della vita e de' viaggi di Cristoforo Colombo scritta da Washington Irving : tradotta in italiano. Geuuva, Pagano 1828, volumi 4» i" ^" Biografie d'illustri italiani 3 2.1 il una traduzione falla da un prezzolalo scrii - tore. Io vi aggiunsi (per amicizia coll'editore) le an- notazioni e l'ultima giunta. La slessa. Torino, Ghe- ringhello, voi. cj, in 32. Vilissima e letterale ristampa. 6. Storia letteraria della Liguria. Genova, Pon- llienier, 1824 e segg. , in b. 11 voi. 5 ed ultimo è sotto il torchio. Servono di appendice a ([uesta storia due opu- scoli: Sul castello Alpino detto Savone da T. Livio, lettera a Giuseppe Pira. Genova, Pagano 1B2Q, iu '6.- Notizie della chiesa vescovile di Vado. Genova, Pa- gano, li^sf), in 8. y. Ritratti ed elogi de' liguri illustri. Genova , 1824 e segg. in foglio, edizione magnifica. Ne sono puhhlicati 14 fascicoli, contenente ognuno di essi cin- que ritratti e cinque elogi. 1 fascicoli i5 e 16 non si puhhiicarono pel fallimento dell'editore proprietà- rio G. B. Gervasoni. Per ordine della città, che in- coraggiò l'editore, io n'ebhi la direzione; ma presta- mente l'abbandonai, vedendo che il povero Gervasoni non intendeva consigli. Scrissi per essa raccolta elogi rum. 12, e feci le annotazioni all'elogio del Colom- bo scritto dal eh. ab. Gavotti mio amico. Elogi di liguri illustri, edizione corretta e di ilue elogi inediti accresciuta. Genova, Pellas 1828, in 8 grande. Sono tre fascicoli, che contengono i soli miei elogi ; premessavi una prefazione dell'ah. Antonio Ba- cigalupo, in cui parla di me e delle mie fatiche con molto di affetto. 8. Un ragionamento ( Bologna, 18 18, in 8). e una dissertazione (Genova, 1820, Frugoni, in 8) so- pi-a la bibbia poliglotta di monsignor Agostino Giu- stiniani. 32/|. Letteratura g. Notizie sLoiico-critiche del B. Giacomo Ja Yaragine. Genova, 1822, Bonando, in 8. IO. Giornale ligustico di scienze, lettere ed arti. Genova, Pagano, 1827, 28, e 29, in 8. Direttori di questo giornale sono due preti miei amici. Paolo Rebuffo e Antonio Bacigalupo; non aven- do io creduto ben fatto, per degni riguardi, avere il titolo di direttore. Gli articoli miei principali sono : Sopra le bellezze di Dante del Gesari : Sopra la collezione del cav. Navarrete : l'Illustrazione del luogo di Dante -Io vidi le fiammelle: - la Matricola de'pitlori genovesi con Raffaele scoperta in un zibal- done : la Versione di alcune lettere spagnuole di Gri- stoforo Golombo : Sopra la letteratura francese del Ba- rante : Sopra la storia de'popoli italiani del Botta: So- pra le lllosoficlie marcbe di monsignor Olivieri : la Lettera ad Amiclanle Eracleo intorno a Vado : le Os- servazioni letterarie di Ali)o Docilio ( mio nome ne- gli arcadi romani ): Sopra le cinque orazioni volgar- mente credute di Gicerone : Sopra i sinonimi del Gras- si : Sopra le isole Ganarie : Sopra la storia letteraria dtdlo Scblegel : Sull'amor patrio di Dante ; Sopra b epistole del p. Villardi : Sopra la filosofia del Lau- rini ie : Sopra il corso di matematica del mio amico prof. Giamlioni : Sopra le illustrazioni del Romagnosi all'opere del Robertson sull'India antica; e quasi tulie le novelle letterarie. N. B, Lo Spotorno cessò di vivere in Genova il di 22 di febljraio 1 844* •'^-n'^ ^^ membro dell'ac- cademia reale di Torino , e nel i834 la maestà di Garlo Alberto lo creava cavaliere de' ss. Maurizio e Lazzaio. 1 dutli lo tennero in somma riverenza: il Botta cbiamollo dottissimo , e la sua morte venne pianta universalmente. 325 Lpttera di Domenico Paoluccì al prof. Giusep- pe Ignazio Montanari intorno una rara edizio- ne del libro De viris illustribus urbis Romae: e risposta del medesimo. AL CHIARISSIMO PROFESSORE mwn IGNAZIO MONTANARI CARISSIMO AMICO JLieggeva , e col massimo trasporto , l'eruditissimo vostro discorso premesso alle vite degli uomini illu- stri romani, stampato in Cesena nel i83o: quando iscorgendo tante varietà d'opinioni sull'autore delle vite stesse, mi venne in animo di fare io pure qual- che ricerca; fermo con voi nel pensamento, che esse appartener devono o al secolo di Augusto, o ai tempi corsi più vicini a quello; tale è la purezza della lingua che in esse riscontrasi, non disgiunta da uno stile di singolare semplicità. Della qual cosa occupandomi con tutto amore, mi venne fatto scoprire, che parte delle vite da voi pubblicate videro fin dal i3 gennaio i4-85 sotto il no- me di C. Plinio la luce in Venezia senza nome di stampatore. E difalli al principio del libro leggesi : 32G Letteratura ff C. Plini Sccundi lunioris liber illusfrium viro- )) rum incipit. » E dopo l'ultima vita, che è di Giieo Pompeio Magno : « C. Plinii Secundi veronensis liber illustrium vi- » rorum finit feliciter. » Supposi che questa edizione giunta non fossa a cognizione vostra; tanfo più che il Fahricio nella sua biblioteca latina non fa cenno di essa; e perciò mi diedi tosto a farne confronto: nel quale mi ac- certai, che le vite da voi stampate sino aUa pagina 8f) corrispondono al vecclilo testo, tranne Fabrlcius a carte 44 ^'^^ "<^'^ ^ nell'antica. Avendo nel confronto stesso trovate alcune va- rianti, ho creduto annotarle: delle quali ora vi fo partecipazione a tutta la vita di Tarquinio. Che se poi in essa alcuna cosa v'ha da poterne trarre uti- lità, mi sarà assai caro il saperlo, onde potervele co- municar tutte in processo di tempo, e darvi così un testimonio di quella slima ed amicizia che comin- ciai a professarvi , quando nella simpemenia rubi- couia al vostro cospetto , e dinanzi a tanti uomini dotti, le mie letterarie produzioni esponeva. Ecccovi qui pertanto alcune lezioni della edizio- ne moderna, diverse dall'antica. LlBER DE VIR. ILL. RoMAE 32 7 EDIZIONE MODERNA EDIZIONE ANTICA P R O C A Pag. Un. G 2 educandos dedit educandos tradii » 4 P«'^^**'"'''i^s adunatls pastoribus coadunalis » II et a Fabio Celere et a Celere centurione ra- centurione rutro stro fertur occisus. fertur occisus. - Romulus - _ De Roraulo - 7 5 omnibus in nuptiis omnibus nuptiis Thalasii Thalasii » 6 cum foeminas ergo Cuna foeminas finitimo- fìnitimorum ro- rum romani vi rapuissent. mani rapuissent. 7 1 1 Spolia opima lovi Spolia opima lovi phere- feretrio in capi- trio in capilolio consecra- tolio consecravit. vit. Sabini ob raptas bel- AnteinnateSjCru- lum adversus romanos slumini, fidena- sumpserunt. tes, veienles, sa- binos etiam ob raptas bellum ad- versus romanos sumserunt. 8 II et bine patres inde et bine paires inde co- coniuges depre- niuges deprecatae conci- catae pacera con- liarunt. ciliarunt. » i5 Centum senatores Centura senatores ab ae- a pietate patres tale patres appellavit. appellavil. 328 Lette » r8 quas a suo nomine ramnenses. )) 20 Hebem in trigln- ta curias distri- buii, easque ra- ptarura nomini- bus appellavit » 2 1 Cum ad Caprae pa- ludem exercitum lusfraret. 9 7 Regnavit annos XXXVII -Numa -Pompilius. » Il Cum diu interre- gnum esset et se- ditiones oriren- tur. » i4 cum addicenfibus avibus Romam venisset. » 20 Quorum primus praesul vocatur, duodecim insti- tuit. IO 4 Leges quoque plu- rimas et utiles tU' lit : omnia quae gerebat iussu E- geriae nimpbae uxoris suae. » IO ubi post multos annos. - Tullus Hoslilius R A T U R A quas suo nomine ramnes. ( manca nell'antica ) cum apud Caprae palu- dem exercitum luslrarel. ( manca ) - De Numa Pompilio - cum diu interregno sedi- tiones orirentur. cum adducentibus civibus Romam venisset. Quorum primus praesul vocatur : alios duodecim instituit. Leges quoque plurimas et utiles, et omnia iussu Egeriae ninphae uxoris suae. ubi post annos. -De Tulio Hostilio. LlBER DE VIR. ILL. RoMAE SsQ » 16 Tullus Hostilius TuUus Hostillus quia bo- quia avus eius nam operanti adversum sa- bonaraoperam ad- binos navaveral. versus sabinos na- vaveral. » 19 quod trigemino- quod trigeminorum cer- rum certationefi- lamine finìvll. Albam pro- nivit , el albani pter proditionem ducis propter perfidia Metii Fufecii diruit. ducis Metii Fufe- tii. ( N. B. Si osserva che nella edizione anlica Tulio Oslìlio, gli Grazi e Curiazi, e Mezio Fufecio formano un sol capitolo ). 11 9 paucorum certatio- paucorum certamine fi- ne finire. nire. » i3 duo romanorum duo romanorum cecide- ceciderunl. ranl. » 16 ut vulnerum do- ut vulnerum dolor erat lor patiebatur in- interfecil. sequentes inter- fecil. » 21 quare apud. quod apud. 12 7 quod bellum sola quod bellum solo trigi- trigiminorum menorum certamine finis- certatione finis- set. set. 12 IO Ipse ab Tulio in Ipse Tulio in auxiliura auxilium arces- accersitus .... ut forlu- sltus ut nam sequeretur. ,fortunambelliex- perirelur ac se- queretur. 33o Letteratura » 12 et in diversa di- et in diversa distructns stractus est. est -Ancus Martius- - De Anco Martio - i3 1 Aventinum et la- xlventinum et Curtiura niculum montes raontes urbi addidit. urbi addidit. » 7 in hostia Tiberis in hostio Tiberis eduxlt. deduxit. 0 8 ras repetundas u- res repetendas uterenlur. terentur. » i3 qualem promiserat qualem praemiserat regem regem. - L. Tarquinius - De Lucio Tarquliùo Priscus - Prisco - » i4 Pricus Demarati Priscus Lucumo graeci corinlhii filius. Demarathi fìlius. i4 6 nomina mutare nomina duplicare non po- non potuit, tuit. » 17 per dolum regia per dolum regno exulus excitus et inter- est et interfeclus. fectus est. -Servius Tullius- - De Servio Tulio - » 20 Servius TuUìus P. Servius Tullius Puri Cor-- Corniculani etO- niculani et Ocreliae capti-i crisiae caplivae vae filius. filius. i5 4 cumque adolevis- quicum adolevissel set assum- assumptus est. tus est. » 6 Tanaquil ex alti- Tanaquil ad populum de- ore loco ad pò- spicens ait, Priscura gravi pulumdespiciens quidem, sed non. . etc. . LlBER DT! VIR. alt, Priscuoi Tar- quinlum gravi quidem, seti non . . . etc . . . Ser- vio Tullio dicto audientes essenl. » i3 imperium admini- stravit. » i4 coUem quirinalem et viminalem et esquilias urbi ad- didit. I) 19 Primus omnium censum ordìna- vit,qui adhuc per orbem terrarum incognitus erat. 16 4 4^0 facto, bos cui- dam Ialino mi- rae magnitudinis nata. » 14 consilioque vindi- cavit. - Tulliae - » 18 Tarquinii Prisci fi» lios. » 27 iussu Tarquinii gradibus deiectus I Tullia in forum properavit. ... a quo iussa e tur- ba decedere. ri.L. Romat: 33 1 Servio Tullio audientes essent. imperium rainistravit. quirinalem et viminalem urbi addidit. 17 ( manca ) quo effecto bos cuidam latro mirae magnitudinis nata est. consilioque quaesivit. ( segue il capitolo ) Tarquinii filios. iussu Tarquinii gradibus reiectus. Tullia statim in forum properavit a quo iussa turba recedere. 332 Letteratura » 6 unde \icus ille unde vicus illc sceleraliis sceleratus dictus dictus. est. « Tarquinius - - De Tarquinio Superbo- 17 i5 Svessam Pometiam Sceam Pometiam hetru- volscis eripuit. scis eripuil. » 18 Locos in circo et Lacus in circo et cloacani cloacam maxi- raaximarn fecit: ubi tolis mam fecit , ubi populi viribus usus est. tolius populi vi- ribus usus est. 18 2 et cum in obsi- et cuna in obsidlone Ar- dio Ardea. dea. Nelle varianti fin qui additatevi, benché di po- che vite, parrai essere qualche cosa che meriti os- servazione. Per esempio: nella vita di Proca alla pa- gina 6 linea 4 l^ggo nella edizione moderna: « Pa- » storibus adunatis: » e poscia : « Et a Fabio Cele- » re centurione rutro fertur occisus: » e nell'antica: <( Pastoribus adunatis : » indi : « Et a Celere centu- » rione rastro fertur occisus. » Rutruin, secondo Pli- nio, è il badile per mescolare la calce; e rastriim^ secondo Columella e Varrone, è uno strumento den- tato per triturare e svolgere la terra. Se adunque erano raunati de'pastori , sembra più probabile che vi fossero de'rastri , di quello che de' badili da cal- ce, istruraenti propri dell'arte murarla. Coli' aiuto però di Dionigi d' Alicarnasso (i) parrai di poter porre in chiaro questa lezione. Scrive: (( Celerera vero quendam, qui supra muros stabat, (i) Roman, autiq. lib> I. LlBER DE VIR. ILI.. RoMAE 333 » qulqne operi praeposilus erat, subiecisse. At islum » liosfem facile nostrum quivis arciieril, moxque ca- » put eius nitro percussisse et euin inferfecisse. » Conosciuta quindi la carica di Celere, sembra doversi attenere più alla lezione moderna , che al- l'antica. Nella vita di Romolo alla pag. 8 lin. i5 leggasi: « Senatores a pietale palres appellavit: » e nell'antica: « Senatores ab aetate patres appellavit.» Ogni isterico concorda, che il senato istituito da Romolo era composto d' una venerabile compa- gnia di magistrali, i quali si chiamavano ancora Pa- tres, per riguardo si al merito e si alla loro età; e che solo ai tempi di Tarquinio in quel rispettabile corpo furono introdotti molti plebei , per cui ven- nero i primi distinti col titolo di Patres malorum, mentre gli altri erano detti Patres minoram. Con- viene però ritenere che il nome di senatore sia de- rivato più dal merito e dalla età, che dalla sola pie- tà, la quale può essere comune agli uomini in qua- lunque siasi età, ad esser quindi preferibile la vec- chia lezione. Ancora la variante alla pag. io nel principio della vita di Tulio Ostilio ha qualche cosa di sin- golare. Leggesi nella edizione moderna : « Tullus « Hostilius quia bonam operara adversus sabinos. » Ed infalli che c'entra qui l'avo, quando in Dionigi succilato (i) si vede che Tulio Ostilio fu quegli che diede fine alle oslilità coi sabini, che segnò con es- si la pace, che procurò loro delle compensazioni pei danni avuti nelle guerre e nelle predazioai? La le- zione antica pertanto parrai la migliore. (i) Roiuau. autiij. lib. IH- 334 Letteratura E altresì al principio della vita di Lucio Tar- quinio Prisco da tenersi in raolto conio l'antica le- zione. Vi si legge: « Priscus Liicumo graeci Dema- I) rati filius: » e nella moderna: « Priscus Demarati co- » rintliii filius. » L'omissione del nome di nascita , Lucumo , è qualche cosa. E vero che poco appresso si legge in ambedue le edizioni: « ipse Lucumo dictus. » Ma par- mi essenziale il conoscerlo da prima col nome di Lu- cumo, poiché il cambiamento di quello in L. Tar- quinio Prisco non si operò in lui, che nell'assume- re l'impero di Roma. Tanto lasciò scritto Strabene nel libro V: « Is deliinc, Anco Marco regi romano I) amicitia devinctus, adeptus est imperium, et mu- » tato nomine L. Tarquinius Priscus vocatus est. » Demarafo poi, padre di Lucumo, altri lo dicono di Corinto (i), altri di Bacchiade (2); il che avrà dato motivo all'autore delle vite dell' antica edizione di farlo greco, indicando più presto la nazione a cui apparteneva, che la città nella quale avea sorli i na- tali. Più sotto nella vita slessa: « Equilum centurias » numero duplicavit, nomina mutare non potuit. » Così nella edizione moderna; invece nell'altra: « Equi- M tum centurias numero duplicare non poluit. d Una volta che avea formato un numero di cen- turie, e dato ad esse uu nome, raddoppialo avendo il numero delle centurie, gli conveniva raddoppiare an- cora i nomi per darli alle nuove. Il nomina dupli- care^ in luogo di mutare, è più proprio e naturale; (i) Strabon. lib. Vili. (2) Dioiiys. Halicar. lib. III. LlBER DE VIR. il'L. RoMAE 335 perchè il mutare suppone un cangiamenlo totale di nomi stessi, dove il duplicare mostra il bisogno di dare un nome alle nuove centurie formate. Nella vita di Tarquinio leggesi nella nuova e- dizione alla ])ag. 17 lib. i3 : « Svessam Pometiam » V(dscis eripuit: » e nell'antica : « Sceam Pometiam » belruscis eripuit: » ed io invero non saprei come attenermi all'antica, quando Strabone nel lib. V do- po aver descritto l'agro Pomezio nella Campania vi pone : « Svessam metropolim volscorum. » Plinio e Tolomeo pure la pongono negli agri pomezi della Cam[)ania e la chiamano Svessa. Né diversamente la nomina l'Alicarnasseo, allorché ricorda come Tarqui- nio a forza la tolse, e bandì da essa all'istante quel- lo slato di floridezza in che si trovava. Giammai però la riscontro sotto il nome di Scea , ma solo chiamata Sve-ssa da Strabone (1), da Plinio (2), da Fioro (3), da Dionigi d'Alicarnasso (4). Svessa e Sessa da Tolomeo (5) e da Abramo Orlelio (6). L'Agosti- ni (7) ne'nummi dell'antica Grecia ne presenta uno di quella città, nel cui diritto v'ha una testa giova- nile cinta d'alloro colla epigrafe SVESANO, e nel rovescio il cornuto minolauro colla faccia e barba umana. Altro ne produce il Maffei (8) avente dall'una (i) Geograph. lib. V. (■i) Lib. III. cap. V. (3) Cap. VII. f4) Lib. IV, cap VII. (5) Geograph. lil). III. (6) Synonym. geograph. (y) Dialoglii sopra le medaglie, dial. V. [Sj Osservai, lelterar. toni. V, tav V, Q- 7. S36 Letteratura parie la testa di Mercurio, divinità sacra ai primi po- poli d'Italia, coll'epigrafe PROROM, e dall'altra Er- cole che comballe col leone e la legenda SVESANO. Il Guarnacci però nelle sue origini italiche (i) vuo- le che due fossero le città così chiamate, l'una Svessa degli aurunci nella Campania; l'altra Svessa Pomezia nel Lazio; ed attribuisce il nummo dell' Agostini a quella degli aurunci, seguendo forse Vellelo Paterco- lo {2) che la chiama Svessa aurunca , e Floro (3) Svessa pometia che la pone nel Lazio. Ma se si fosse fatto ad osservare come quella bella parte d'Ita- lia, una volta appellala Enotria (4)) indi Ausonia (5), fu ne'tempi remotissimi abitala dagli aborigeni , dai pelasgi, dagli arcadi, dai siculi, dagli aurunci , dai rutuli, come gli antichi popoli del Lazio erano pri- ma detti aurunci , e come al di là de' circei abita- rono i volsi, gli osci, gli ausoni; si sarebbe convinto, che dopo l'entrala di tante colonie, prima della fon- dazione di Roma, i luoghi aurunci fecero parte del- la Campania e del Lazio , come lo fecero gli agri pomezi . A sostener la qual' opinione chiamo a soccor- so Roberto Stefano, che nel suo tesoro pone gli au- runci, popoli dell'antico Lazio, vicini ai rutuli : e ve- nendo di Svessa pometia la chiama: « Oppidum Latii, i> caput volscorum. « Dal che si vede che sì gli au- runci e si i pomezi fecero parte del Lazio, ue'quali (i) Tom. II, lib. VI, cap. IV. (1) Hist. lib. I. (3) Gap. VII: (4) Strab. V. (5) Virg. Geor. II, et Aeneid. IV e VII. LlBER DE VIR. ILL. RoMAE 33y luoghi era Svessa che prese il nome di aurunca o di pometia dal popolo che la tenea. Con un corredo di sì accreditali scrittori fran- camente mi attengo alla moderna lezione, che dice S^'essa, e non all'antica in cui leggo Scea. Quan- to alla seconda variante etruscis, in luogo di voU scis, non saprei a quale attenermi, se mi fo a consi- derare col Cori che i pelasgi uniti agli elrusci die- dero le prime lingue al Lazio ; il che posto , non troverei del tutto doversi fuggire l'antica lezione, per- chè Svessa può aver appartenuto ancora agli etrusci. Voleva, o amico, come ho detto di sopra, limitarmi per ora nelle varianti a tutta la vita di Tarquinio; ma non posso a meno di porgervene sott'occhio una nel cap. di Orazio Coclite. Leggo nella vostra edizione: « Oh hoc ei tantum » agri puhlice datum est, quantum uno die circuma- » rari potuisset. » E nella edizione antica invece : « Quantum uno die arari potuisset; „ che corrispon- de appunto al dono di un iugero di terra che for- mava un' area quadrilunga di 28800 piedi : il che conferma pure Isidoro nel libro XV: « lugerum au- » lem constai longitudine pedum CCXL, latitudi- » ne CXX. » Columella (i), Varrone (2), Quintiliano (3) ed Alessandro d'Alessandro (4) convengono, che il iu- gero è quello spazio di terra: <, Quod iuncli boves » uno die arare possunl. » E siccome in tali mìsu- (1) Lib. V, cap. II. (2) Lib. I, cap. XXX. (3) Lib. I, cap. X. 1 (4) Dies. geu. lib. II, cap. XX. G.A.T.XCVin. 22 338 Letteratura re in più tempi , dopo la pubblicazione della legge agraria promossa da Cassio l'anno di Roma 268, di- versa da quella promulgata da P. Scrvilio Rullo contro la quale scrisse Cicerone, luron distribuite ai soldati romani vincitori le terre tolte ai nemici, co- sì non ho difficoltà alcuna di attenermi all' antica lezione che esprime arare, e non circumarare. E vero che Plinio al libro XVII cap. Ili, dopo descrit- to il Jugero , prosegue : « Dona amplissima impe- » ratorum ac fortium civium , quantum quis uno » die plurimum clrcumaravisset. » Ma il verbo c/7'- cumarare^xx&Si\.o ancora da Livio, è nel senso di ara- re intorno , girare arando : il qual significato non darei certamente al verbo arare., che inchiude il so- lo lavoro che si fa rompendo coU'aratro un terreno tenendo un solco presso l'altro; e qui do fine alle va- rianti. Prima però di chiudere la presente non vi di- spiacerà, che qualche cosa vi scriva sulle diverse tra- duzioni delle vite stesse: delle quali non fate cenno. Vide una la luce col titolo: (( Il libro degli uo- (( mini illustri di Caio Plinio Cecilio rivolto in « lingua volgare: » in Venezia iSGa pei tipi di Do- menico Guerra e Giambattista suo fratello, in un vo- lume in ottavo piccolo. Questo lavoro, come rileva- si dalla sua prefazione, fu riveduto da Dionigi Ata- nagi, scrittore molto lodato dal Giordani per la pur- gatezza dello stile. Il Fonlanini, nella sua bibliote- ca dell' elo(menza italiana , pose questa traduzione attribuendola all'Atanagi; e Apostolo Zeno nelle sue eruditissime noie allo stesso Fontanini , dopo aver dato per autore di esse vite ( seguendo Andrea Scot- ti) Aurelio Vittore, e non Caio Plinio, o Cornelio LlBER DE VIR. ;ILL. RoMAE SSg Nipote, come pretende il Fontanini, ricorda altro vol- garizzamento delle medesime fatto da Paolo del Ros- so, e stampato in Lione da Guglielmo Rovilio l'an- no 1546 in ottavo piccolo. Ho avuto sott'occhio la traduzione dell' Atanagi, e con piacere ho scorto die il traduttore lia fatto il suo lavoro sopra un testo non dissimile alla vec- chia edizione ; avendovi riscontrato appunto tutte quelle varianti che vi ho indicate. Altra traduziune in lingua senese delle vite slesse, credute di C. Plinio, vide la luce l'anno i5o6 pei tipi di Simone di Niccolao, cartolaio senese, ri- cordata dal Paitoni nella sua Biblioteca. Questa traduzione è detta del Cone. Da una nota però si rileva esser essa di Pietro Ranconi , e non Rangoni, come lo chiama THaim ; ne Ranconi, co- me ha il tomo II del giornale di letteratura Italia^ na ; ne finalmente Ragnoni, come lo dice l'Ugurge- ri ; il qual Ranconi la indirizzò con lettera latina a PandoUo Pelrucci suo concittadino. Nulla dirò della vostra bella traduzione, perchè essa è superiore a qualunque elogio che per me far si potesse : tale è la giustezza delle voci , e la pu- rezza dello stile che vi si riscontrano. Onde darò fine a questa lettera col pregarvi ad accoglierla con buon viso, come desidero che aggra- diate i sinceri sentimenti della stima che vi professo, colla quale di cuore mi dichiaro ec. Rimini 16 settembre i843. 34o Lettera tura Carissimo signore ed amico Osimo 24 settembre i843. La vostra lettera, rinfrescandomi la memoria del- l'antica benevolenza , m' è giunta grata oltremodo ; talché io debbo ringraziarvene. Ne meno accette mi sono giunte le cose che mi scrivete intorno l'edizione che io feci del libro De vìris illiistribus urbis Ro- mae^ che poscia volgarizzai : perchè sono erudite e accompagnate da rara cortesìa. Vi dirò che quando ebbi le mani a quel lavoretto non solo l'edizione as- sai rara del i485 , ma altra ancora in mostra più antica, sebbene senza nota di anno, mi fu innanzi: e queste ed altre raffrontai coll'edizione del Burman- xio, la quale a giudizio d'uomini doltlssimi, quali so- no il cav. Bartolomeo Borghesi e don Cesare Mon- talll, oggi defunto, ed anche a me, parve tale da in- durmi a posporre le lezioni che mi recate a quelle che io seguii. Ed ora che voi gentilmente me le ri- mettete innanzi , e che con posatezza le rileggo , tengo che per ragioni e di lingua e di maggiore ele- ganza, e perchè nulla di nuovo ci recano, debbano cedere il campo alle già registrate. Nulladlmeno perchè le conosca chi ha vaghezza di erudizione, e perchè vegglate che, sebbene non vorrei adottarle, io le pre- gio, le fo di ragione pubblica: e spero che la cor- tesia e la diligenza vostra non andranno perciò sen- za le merliate lodi. E dopo questo alla grazia vostra sinceramente mi raccomando. Obbmo ed affmo servitore ed amico GIUSEPPE IGNAZIO MONTANARI 84i Sullo stato e sul saggi dell'istruzione accademi- ca di s. Luca nelVanno i843. Discorso letto dal presidente dell'accademia prof, cav. Clemente Falchi^ in occasione della distribuzione de^pre- mi annuali il giorno 3o di novembre dell'anno medesimo alla presenza dell' eminentissimo prin- cipe signor cardinale Riario Sforza camerlengo della santa romana chiesa, dei prof essori e della scolaresca adunati nella galleria accademica. Mn questo luogo , ove alle belle arti derivasi l'in- segnamento, ed ove al volgere d'ogni anno con pre- mi si guiderdonano i nostri alunni, mi è grato a voi, Eminentissimo Principe, che sedete protettore nostro e delle arti, e che la prima volta aggiungete splen- dore a questa festa, il mostrare, nella mia rappresen- tanza accademica, il progressivo avanzamento di que' molti giovani studenti , i quali con riconoscenza e valore corrispondono alle paterne sollecitudini de'pro- fessori : e dirvi altresì di questi le cure e la vigi- lanza, perchè illeso si mantenga l' onore dell' acca- demia romana dalle tanto vituperevoli innovazioni , che pur troppo invadono già il nostro suolo, e cir- 342 Belle A-Rti conciano e insidiano questo palladio del bello e cen" tro delle arti e della gentilezza ! E primieramente parlerò dell'architettura; di quel- l'arte che ha nelle cose create men compiuti modelli d'imitazione, e che più a scienza si solleva, ed a fi- losofia si compone. Voi vedete, principe eccelso, con- dotti gli alunni su i ruderi della magnificenza roma- na e su i tempii, a figurare non solo quanto ci re- sta di quelle stupende moli, ma si bene a restituir- ne colle ricerche e col criterio le antiche forme e grandezze; ed eccovi là quel tempio, quale dovrebbe essere e quale esso fu, di Marte-Ultore, così deno- minato dal Labacco, dai Palladio, dal Canina, e po- sto nel foro di Augusto, sebbene di Nerva lo dica il Nibby là dove parla del foro transitorio. Gli avanzi, che per le recenti escavazionl vi si vedono, sono il podio, tre colonne corintie di mar- mo bianco scanalate, due pilastri senza scanalature, le une e l'altro con capitelli, architrave e lacunare del portico di squisito lavoro. Evvi parte della cella di massi di travertino interrotti da massi di mar- mo bianco gentilmente bugnati, che presentano nella forma e nel taglio una differenza co'massi di pepe- rino dell'altro probabilmente piìi antico muraglione di recinto , al quale essa cella è addossata. Queste parli furono il soggetto da studiarsi nelle dimensioni e nello stile : e sovr'essi marmi videsi la gioventù in- tenta a misurare, disegnare e confrontare le profiia- zioni ed il carattere cogli altri avanzi che abbiamo dell'epoca augustea , per dedurne le forme principa- li; il numero delle colonne di fronte e di quelle la- terali; la cornice esterna, la pianta di tutto il tem- pio, il coperto e la decorazione interna ed esterna; Istruzione accademica in s. Luca 343 comporne le parti ed un insieme che porti l'impron- ta di quel tempo, e ci ritragga un tempio octastilo picnostilo a similitudine del pseudo-periptero di Gio- ve Tonante illustrato e pubblicato nel 1818 dal Va- ladier. Degno di considerazione è il trovare in que- sta giovanile illustrazione del tempio di Marte Ul- tore le diverse opinioni de' concorrenti sulla coper- tura della cella: immaginandola uno a volta con cas- settoni quadrati, come il tempio di Venere e Roma ( sebbene di epoca inferiore ); ed altri a soffitto, co- me indubitatamente furono nella maggior parte i tem- pii dell'antichità; ed è bello il vedere con quanta in- telligenza siasi adoperato nei pilastri interni il par- ticolarissimo capitello ritrovato negli ultimi lavori fatti dal governo e dalla commissione di antichità e belle arti, ed ora posto a pubblica vista presso le colonne superstiti sul muro che le separa dal monastero. Né si creda che i nostri giovani siano giunti co- me in un subito a questo grado d'imitazione d'avvi- cinarsi all'originale, o che arditamente aiansi posti in questo arringo. Si volga lo sguardo alla scuola de- gli elementi, ed ivi apparirà manifesta la via, in che sono posti i giovani fino dai primordi della carriera: quali siano le istruzioni de'saggi professori , e quali i modelli su cui vengono abituati gli studenti. L'ar- co di Tito, disegnato e condotto secondo la sua ori- ginale forma e restauro, è il saggio che fu proposto in prima classe; ed il fregio e cornice del tempio di Antonino e Faustina fu quello della seconda classe nella scuola degli elementi. Nell'ornato fu esibita la copia del sublime frammento a grandi spirali del fre- gio ritrovato nel foro traiano e posto nel museo va- ticano; ed in prospettiva si richiese una sala sepol- 344 Belle Arti crale con pareli, costrutta a grandi pietre da taglio imitanti la rubusla e dignitosa maniera della muraglia al foro di Augusto o di Nerva. Non fa duopo che io dica con quanto plauso il pubblico abbia osservato siffatti saggi di concorso, e con quanta soddisfazione veda così mantenersi dai pro- fessori l'insegnamento del bello e del grande, a con- fusione del mediocre e del picciolo che oltremonte ( e pur troppo anche da qualche scuola italiana ! ) all'antico o si preferisce per moda, o si uguaglia per orgoglio. Ma qual risultamento e qual vantaggio da tali baie potrebbe promettersi l' età nostra ? Vedersi trasportati al regno di Teodorico! veder masse ardita- mente elevate senza regola e senza forme ! rette da sostegni o goffi, o esili; con minutissimi riparti; con ornati capricciosi, strabocchevoli cornicioni, sconci ri- lievi e trafori inopportuni ! Chi più fra gli allievi , cosi ammaestrati, saprebbe operare non che immagi- nare un colosseo, un panteon, un foro, una basili- ca, che ricordasse i tempi dell'altezza romana, o che gareggiando con essa dimostrasse la grandezza della nostra religione con que'domi imponenti, con quella severità e maestà di architettura, che si addice a sì fatti edifici ? Quando Giulio II pontefice a ricostruire la basilica vaticana : Nihil huniile cogitare decre- vìty nihil usitatiim moliri , ardua omnia aggredì quae magnis etiam viris admirationi essent futu- ra^ aeque ac terrori ! Chi fra gli addottrinati nelle moderne massime di arte avrebbe saputo corrispon- dere a sì grandioso decreto ? Se Bramante , se Raf- faele, se il Peruzzi, se Michelangelo, se il Vignola e tanti altri non si fossero di proposito e di propria persuasione e volontà slanciali allo studio delle an- Istruzione accademica in s. Luca 345 tichità romane, ammireremmo noi quel miracolo deU l'architeltura, il palazzo Farnese, la cancelleria , la villa Giulia, e la stupendissima opera a Caprarola ? Ed in Firenze la cattedrale di Arnolfo, il palazzo Pitti del Brunellesco, ed il palazzo Strozzi del Cronaca ? Nel veneziano i palazzi Pompei e Porta del Sam- micheli ; la biblioteca di s. Marco del Sansovino e le tante belle fabbriche del Palladio ? Non vi distac- cate dall'antico, alunni licenziati, ed in questo stu- dio non abbiate mai sazietà; ne mai vi prenda l'in- cauta voglia di secondare l'andamento del secolo tutto perduto a novità, i cui deliri giungono a tanto, da pretendere e proclamare essere l'architettura gotica la caratteristica della architettura cristiana! Donde mai queslo furore per le cose di barba- rica rinomanza ! donde tanta sconoscenza al tipo basilicale romano, che fu nei primi tempi del cristia- nesimo applicato con tanta opportunità alle nascenti chiese cristiane ? Imperciocché fu nelle basiliche co- stantiniane, che dalle catacombe e dagli altri inco- gniti luoghi passò la cristianità a salmeggiare ed as- sistere alle sacre funzioni. A queste si conformarono nella disposizione generale della pianta le chiese stes- se di Germania, le quali si distinsero poi nelle an- golari forme di elevazione : e quindi fu solo nelle in- vasioni settentrionali , che la nostra Italia vide eri- gersi quelle acutissime moli, che oggi pungono tanto la fantasia e solleticano il piacere degl'intemperanti, i quali appetiscono sempre la novità ed il piccante. Consoliamoci però qui noi; essendoché voi lo vedete, amplissimo reggitore, con quanta saviezza e saldezza di principii le nostre scuole procedano, tutte abba- minando le dottrine dell' ignoranza ; senza escluder 34^ Belle Arti però o chiuder l'adito a'ritrovati, che possano giova- re in ispecìal modo alla parte scientifica ed esecutiva di tale arte : ciò che propriamente si addice all'ar- chitettura pratica. Di meccanica applicata fu il tema dato in que- st'anno alla scuola di pratica per una delle più dif- ficili operazioni , che comprometter suole eminente- mente l'abilità di un architetto, se di dottrina e di esperienza non sia fornito. Si trattava dell' elevazione di un obelisco di granito egiziano di metri 20 d'altezza, e di base qua- drata di metri 2, 2o di lato , da erigersi sopra un basamento di metri 8 di altezza. Questa operazione e questo problema sonosi risoluti non solo co' dise- gni delle armature e delle macchine necessarie ad un simile movimento, ma colla descrizione e dimostra- zione della riuscita mediante le forze da impiegarsi, secondo il sistema che ciascun concorrente intese di adottare. Notissimo è il sistema che l'architetto Fon- . lana adoperò pel trasporto ed inalzamento dell'obe- lisco valicano, il quale è della più sicura riuscita al- lorché sia ben calcolato il peso da innalzarsi , e la forza clie occorre di adoperare. Di questo si servi il Montferrand, nostro collega straniero, per la eleva- zione del più grande nionolite che siasi mai tagliato, trasportato ed innalzato in Europa e nel mondo, qual' è la colonna monumentale di granito di un sol mas- so , eretta in Pietroburgo alla memoria di Alessan- dro I imperator delle Russie, di peso duplo dell'obe- lisco vaticano. E poiché le dimensioni del nostro supposto obe- lisco da innalzarsi produrrebbero il peso di kil.i72444> ossia alquanto più della metà di quello del vaticano Istruzione accademica in s. Luca 347 che è di kil. 389480; così la forza da impiegarsi si calcolò per la metà circa di quella impiegata al va- ticano j che fu d'uomini 907 e dì 75 cavalli , che in tutto corrisponde a uomini 1357. Due variazioni principali con molto intendimen- to sonosi adottate dalla nostra scuola nel macchinis- mo di questa operazione, dedotte dalla esperienza del Lebas. Il primo nel sistema dell'armatura, il secondo nel mezzo d'impiegare la forza. L' uno somministra maggiore semplicità di apparato meccanico; l'altro mi- gliore impiego delle forze moventi. Non il costosissimo e macchinoso castello, ma sera, plici leve, giudiziosamente combinate con alberi so- pra un cavalletto dì rotazione , producono lo stesso effetto; non l'imbarazzante numero degli argani, ma una quarta parte di essi è sufficiente ad applicarvi tanti motori, quanti ne occorrono. Difalti pel sup- posto innalzamento del monolile proposto sonosi cal- colati dieci argani di 64 uomini per ciascuno, appli- candovi in numero e specie quelli, con cui il signor Lebas innalzò a Parigi l'obelisco di Luxor del peso kil. 1 10289. E così mentre la nostra accademia dirige nella sua stretta istituzione le produzioni del bello, si oc- cupa altresì di tutte quelle parli che conducono alla perfetta esecuzione delle opere stesse, ed alla econo- mia di forze, di tempo e di spesa, attingendo saggia- mente dal progresso delle cognizioni umane tutto ciò che di utile deriva alle arti. Non men brillante risultato abbiamo avuto in quest'anno nella scuola del nudo e delle pieghe : in quelle della pittura , del disegno figurativo e della scultura; risultato che dimostra l'accordo fra Timpe- 348 Belle Arti gno de'professori nell'iatruire, e quello degli scolari nel secondare le cure de'maestri ; e ciò che più ri- leva si è il metodo, con cui sono istruiti i nostri gio- vani obbligali a dare la dimostrazione osteologica e miologica de'loro disegni colla descrizione delle pro- porzioni , onde di tutto si abbia intelligenza e si dia ragione. Al quale oggetto si danno le dimostra- zioni settimanali dall'abilissimo professore di anato- mia o sugli scheletri, o su'gessi, o sopra ogni par- te umana dei cadaveri la piìi adatta all' anatomia pittorica. Ed inoltre per accordar le menti dei pit- tori e degli scultori co'giusti concetti della compo- sizione, occorrendo l'aiuto della storia e la cognizio- ne dei costumi, a ciò provvedono le lezioni di chiaris- simo letterato, da cui si apprende quanto di eroico ci presenta la storia, e quanto di variato ci porgono i costumi di ogni tempo e di ogni nazione nelle ar- mi, negli arredi, nelle vesti, ed in ogni maniera di abbigliamenti. 1 respettivi saggi, dati dai concorrenti in que- ste scuole di anatomia e di storia , fanno fede con quanta abilità vengano ammaestrati quegli alunni che vi si dedicano a fondamento del disegno e della com- posizione figurativa. Né tutto ciò basterebbe a formare la mente e l'animo della gioventù studiosa, se al solo materiale esercizio dell'arte si limitasse, senza elevarsi al bello ideale ed al sublime. A questo scopo chi se non l'au- gusta nostra religione può fornire idee, e dare atti- tudine a rappresentar le cose nella loro verità, nel loro grande, e nell'altissimo loro fine ? Santificate le arti, nuova luce le colma; virtù nuova regge la ma- no ad operare nobilissimi monumenti , a raffigurare Istruzione accademica in s. Luca 349 istorie (li eroisino e di buon esemplo. Colle arti la religione fu sempre associala; ella le alimentò, ella le mantenne : talché senza l'ispirazione religiosa quan- ta gloria sarebbe mancata alle arti italiane ? A. tal gloria intendiamo noi lutti di proposilo, ed in que- sta prima virtù a tutto nostro potere ci conformiamo. Ne'giovni riservati alla Divinità ed alla religione consecrati, vedreste, Eminentissimo Principe, nel no- stro tempio intitolato a san Luca zelantissimi mini- stri intenti a formare gli animi de' nostri giovani a virtù santa : e questi con uguale ossequio servire a Dio, dal cui potere sanno che s'acquista quel raggio di luce che le menti illumina e la mano dirige. Il cuor dell'artista è tutto bontà , tutto amore scevro da orgoglio o da bassezza; sente squisitamen- te gli affetti, e squisitamente vuole esprimerli. Tale squisiiezza non viene se non dal cielo. Intendete be- ne, Q giovani, questa parte della vostra istruzione , che è la parte nobile , la parte essenziale a conse- guire il bello ideale ed a formare il grande artista. La religione è verità, è face del vostro cammino. Seguitela: e seguite i vostri direttori ecclesiastici, che ve ne mostrano il sentiero ; seguite gli egregi mae- stri del bello, che ve ne danno le regole, i precet- ti e l'esempio; seguite le massime di quest'accademia, a cui il mondo artistico s'inchina; e sopra lullo sla- te riconoscenti a chi di tanto bene vi degna, che è il gloriosissimo nostro Sovrano, il quale affidato ne ha la cura alla protezione di un cardine insigne del- la chiesa che qui presente onoriamo , cospicuo per nobiltà, chiarissimo per gentilezza, per senno, per virtù ; ed a cui pieno di fiducia mi rivolgo perchè voglia ricevere i voti vostri , quelli dell' accademia 35o Belle Arti ed i miei , onde compiuto sia con conveniente edi- ficio il magnifico stabilimento di questa parte d'istru- zion pubblica nella gran Roma, centro della religio- ne cattolica e delle arti belle. Sì, Principe Eminen- tissimo, col patrocinio vostro speriamo cbe la muni- ficenza del sommo Gregorio XVI, il quale sua pon- tificia cbiama quest' accademia , si mantenga sempre propizia alle arti ed alle nostre scuole , di cui ho avuto quest'oggi l'onore da esporvi l'andamento e lo stato. 35 1 wikmimT^' Orazione in morte dell' eminentissimo principe J^'abri^io Scebe- ras Testnferrata arcivescovo vescovo di Senigallia , Iella dal prof. Luigi Mercanlini il dì i\ agosto )843 ec. — 4- Senigal- lia dalla tipografia Lazzarini iS^S- ( Sono carie ig. ) Xl sig- proi. Mercantiai ha in degno modo narrate qui le tante preclarissime azioni , che renderanno sempre onorando e caro, principalmente a'senigalliesi, il nome del defunto vescovo car- dinale Sceberas Testaferrata, La poesia. Satira. 8. Meggio i843, Jilicco un altro gentile spiritOj Agostino Gagnoli, che pure in- nalza la voce contra la presente viltà straniera delle nostre let- tere. Un'alta bile ha dettato al reggiano i suoi versi; la bile del generoso, che tutte yede ornai a terra le onoranze della patria, e tutte insieme tradite le speranze della civiltà- Lode a lui, che si nobilmente s'è aggiunto airelettìssima schiera clie vuole restitui- ta alla natia gentilezza l'italiana poesia! Lode a lui che grida in line : Se cotanto di carmi vitupero Non vi fa vergognar della sua mostra, Vergognatevi alnien ch'egli è straniero. Come potete voi la patria nostra Amar, prender ne'canti, e adulterate L'unico avanzo della gloria vostra ? Oh ! d'Italia sentir la cantate Non può, nò il foco della gloria avita, Chi le sue più non sente aure beale, Chi più uou sente del suo sol la vita. 352 Varietà' Vocabolario degli accademici della crusca. Quinta impressione. Tomo primo. 4- Firenze nelle stanze dell'accademia i843. { Fascicolo primo. ) JLi accademia della crusca, dopo il lavoro assiduo di tanti anni, ha finalmente dato buon incominciamento alla quinta edizione del suo famoso vocabolario. Far opera perfetta, è sopra le forze umane: specialmente trattandosi di un vocabolario; quando sì sa che ninna più civil nazione può dire d'avere immune il suo da ogni menda. Ma questo della crusca sarà senza dubbio il miglio- re, che potrà mostrare all' Europa la ricchissima e gentilissima lingua del sì : ove si consideri cosi la dottrina e lo zelo degl'il- lustri accademici, come la savissima cura che hanno avuto di giovarsi (scevri da ogni bassa considerazione) di tutto ciò eh' è stato scritto fin qui intorno a questa materia da' primi filologi deiritalia. Una cosa sola vogliamo raccomandare agli accademi- ci : ed è di severamente governarsi nello scegliere i nuovi autori che possono meritar l'onore di far testo in lingua .• non lascian- dosi in ciò muovere né dalle grida di tanti sciocchi, né dalle in- solenze di tanti presuntuosi e villani, che con que'loro tre o quattro spropositi di lingua in ogni periodo farebbero assai me- glio a parlar d'altro , anzi di acciughe e di cavoli, che di gen- tilezza e di proprietà di favella. Jl Catilinario ed il Giugurtino, libri due di C Crispo Sallustio , volgarizzati per frate Bartolomeo da san Concordia. Seconda edizione napoletana con annotazioni , aggiuntivi ì frammenti dell'autore tradotti nello studio di ^asilio Puoti. - 8. Napoli , tipografia all'insegna di Diogene i843..-|Un voi. di carte LXXII e 355.) XI celebre marchese Puoti, accademico della crusca, avevaci da- to fin dal 1827 una sua pregiata edisione napoletana di questo Varietà' 353 aureo volgarizzamento. Or ecco pur la seconda, e sì ricca di sa- gaci ed utili avvertimenti intorno alla lingua, che vogliamo som- mamente raccomandarla non solo a'giovani, ma sì ad ogni ama- tore della gentil favella. Sono inoltre qui aggiunte due lettere, veramente classiche di parole e di cose: l'una di esso Ruoti ( di cui è anche la bella vita di frate Bartolomeo ), l'altra del mar- chese di Alontrone, al quale il libro è intitolato. E perchè nulla di Sallustio vi manchi, due eletti giovani alunni del Puoti, cioè i signori Rruto Fabbricatore e ab. Giovanni Cassini, l'hanno ar- ricchito delle loro traduzioni, assai eleganti , de' maggiori fraia- nienti che ci rimangono del grande isterico .• cioè il sig. Fabbri- catore, delie orazioni di M. Emilio Lepido e di L. Filippo, e del- le lettere del re Mitridate al re Arsace : ed il sig. Cassini, della lettera di Pompeo al senato e delle orazioni di C- Cotta e di Li- cinio Alacro. Il musaico antonìniano rappresentante la scuola degli atleti, tra- sferito per ordine del regnante sommo pontefice Gregorio Xf^l dalle terme di Caracalla al palazzo lateranense, ora delineato, descritto e illustrato per cura dell' eminentissimo principe car- dinale Antonio Tosti pro-tesoriere generale della R. C. A. — 8. Roma dalla tipografia della R. CA. i845' (Un voi. di carte 89 con due tavole in rame ). s jCj lavoro d'uno de'Ietterati per dottrina più insigni che oggi onorino l'Italia, cioè del padre Giampietro Secchi della compa- gnia di Gesù, bibliotecario e professore nel collegio romano. Ciò tasti perchè senz'altro sia chiaro ad ognuno, che con maggior magistero di cose antiche non era possibile illustrare un monu- mento importantissimo del pari all'archeologia ed alle arti. Noi diremo anzi, che dopo quest' opera del Secchi sarebbe vano il pretendere di scriver più alcuna cosa di nuovo intorno agli an- tichi atleti. G.A.T.XCVm. a3 354 Varietà' Poesie postume dì Piodata Saluzzo contessa Roero di Revello , aggiunte alcune lettere d^ illustri scrittori a lei dirette. - 8. To- rino, tipografia Chirio e Mina i843, (Da voi. di carte 679. J l^ltre le poesìe della celebrata donna, piene spesso di eleganza e sempre di potentissimo estro, contiene questo bel volume l'elo- sìo di lei scritto con grande amore dal conte Coriolano di Ba- gnolo: e, quel cb'è più, una scelta importantissima di lettere de' più famosi uomini del suo tempo, co'quali la Saluzzo ebbe cor- rispondenza. Noi qui citeremo fra'più be'nomi italiani il Canova, il Monti, il Parini, il Pindemonte, lo Scarpa, il Cesarotti, il Fo- scolo, il CalusOjil Denina , i due De-Rossi Gian Bernardo e Glan-GUerardo , il Mazza , il Fantoni , il Balbo , il Napione, la Tambron!, la Bandettini, il Gargallo, il Giordani, il Manzoni, il Lucchesiui , il Betti, il Niccolini, il Muzzarelli: e fra gli stranie- ri la Staél, il Byron, il La-Harpe, il De-Malstre ed il Lamartiue. Poesie italiane e latine e prose di Angelo di Costanzo, or per la prima volta ordinate e illustrate con la giunta di molte rinte inedite tratte da un antico codice, la versione poetica de' car- mi latini e la vita dell'autore, per opera di Agostino Gallo si- ciliano- 8. Palermo, dalla tipografia di Francesco Lao i843. (Un voi. di carte LXXXVI e 3i5, co' ritratti d'Angelo di Co- stanzo e di Vittoria Colonna, j Jl arleremo a lungo di quest' opera in un particolare articolo : percioccbè ci sembra doversi più maturamente discutere ciò che il eh. Gallo crede nella vita del poeta di aver provato intorno agli amori di lui colla famosa Vittoria Colonna marchesa di Pe- scara : amori che da noi assolutamente non possono ammettersi. Giovi intanto avvertire , esser questa senza niua dubbio la più corretta non meno che la più compiuta edizione delle rime ele- gautisstme del Costanzo , couteaeudo uu buoti numero di co5(t Varietà' 355 anemie inedite tratte da un antico codice posseduto dall'amico nostro prof. Salvatore Betti, a cui perciò il Gallo con nobile gra- titudine ha voluto intitolare il libro. Sul Leone X del real museo borbonico, alcune idee esposte alV accademia pontificia delle belle arti di Bologna dal socio di onore C. Guerra professore della scuola di pittura nel reale istituto di belle arti e socio ordinario della reale società bor- bonica. - 8. Napoli, stabilimento tipografico di Gaetano Nobi- le 1843. ( Sono carte 3a con un rame.) "jTran quistione sull'originalità del ritratto incomparabile di Leone X, che ugualmente si attribuisce a Raffaello sia nella gal- leria di Firenze, sia nella galleria di Napoli. Già si sa che il sig. professor Guerra sostiene quella del quadro di Napoli: né a dir vero le sue ragioni sono di picciol valore. Nondimeno si segui- terà ancora per alquanti anni a disputare tra i fiorentini ed i napoletani. Della venuta e dimora in Bologna del sommo pontefice Clemen- te VII per la coronazione di Carlo V imperatore celebrata l'anno i53o, cronaca con note , documenti ed incisioni pubbli- cata da Gaetano Giordani ispettore della pontificia pinacoteca ec. - 8. Bologna, fonderia e tipografia goi>. alla yolpe 1842. (Un voi. di carte XXXX, 184 , 176 e 199, con dodici tavole in rame. ) J^iavoro di molta fatica e diligenza, ed utile cosi all'istoria lette- raria, civile ed ecclesiastica, come alle arti. Niuna cosa dal bene- merito sig. Giordani vi è slata tralasciata, che potesse in alcun modo illustrare o la grande solennità della coronazione, o i ce- lebri personaggi che vi presero parte. Basti il dire che le note non sono meno di 720: né meno di 63 i documenti o rari od inedili. 355 Varietà' Scritti vari riguardanti le belle arti, del dipintore Michele Ri- dolfì conservatore de^monumenti delle belle arti ac. - \i. Luc' ca, tipografia di L. Guidotli i844- ( Uà voi. di carte XIII e 349, cou quattro ranji. ) ,/jLbbianio altre volte parlato del signor prof. Ridolfì , e detto eotn' egli intende lodevolissimamente non pure ad illustrare ciò che in fatto di arti onora la patria sua , ma si a confortare gli artisti italiani a non dipartirsi inai dalla scuola innarriva- bile del dipingere, che innalzò a fama altissima del bel paese. Caro perciò a lutti sarà questo libro, in cui le opere dell'egre- gio pittor lucchese , scritte con tanta saviezza non meno che semplicità ed eleganza , sono state riunite dal tipografo Luigi Guidotti, Sono esse; i. Ragionamento primo sopra alcuni mo- numenti delle arti di Lucca; 1. Ragionamento sull'insegnamento della pittura ; 3. Ragionamento secondo sopra alcuni quadri di Lucca di recente restaurati; 4- Ragionamento terzo sopra alcuni quadri di Lucca di recente restaurati; 5. Lettera al prof. Giovan- dì Resini sopra alcuni dipinti a fresco restaurati ad encausto ; 6. Lettera al cav. Racul-Rochette sopra un dipinto ad encau- sto; 7. Ragionamento quarto sopra alcuni monumenli di belle arti restaurati. Jj'ottica esposta in terza rima dal padre Giuseppe Giacoletti delle scuole pie, professore nel collegio nazareno ec. - it. Ro- ma, tipografia delle belle arti i843. ( Va voi. di carte VI e i56.) Jt; rosegue il valentissimo Giacoletti l'opera sua con assiii alacri- tà, non meno che lode, vincendo sempre animoso le tante e si grandi difficoltà, che ognun ben vede doverlo spesso arrestare in sul più bello del dare il linguaggio dell'immaglnuzioue e della lei^iadria alle rigide dottrine della matematica e della fisica. Varietà^ SH^ Ma che non può un forte intellelto ? Che non può un buon ma- gistero? Che non può un indefesso studio de'classici, e prin- cipalmente dell'Ah'ghieri ? I canti, che qui si leggono, seguo- no il decimo che avemmo già stampato nel primo volume ; e so- no : XI e XII, Rifrazione della luce ; XIII , Poteri refrangenli; XIV e XV, Fabbricazione del vetro; XVI, Costruiione delle len- ti •.fenomeni delle lenti piane e concave; XVII , Fenomeni delle lenti convesse; XVIII, La camera oscura; XIX, Vetri nioltipU-' canti: microscopio semplice; XX, Il prisma. Esequie di Camillo Briganti Bellini celebrate in Osimo nella ba- silica di s. Giusepp-e da Copertlno il 3 di agosto i843, con elo- gio ed iscrizioni di G. 1. Montanari. - 8. Ancona, stabilimen- to tipografico di G. Aureli i843. ( Sono catte 44- ì Al prof. Montanari non è mai minore della bella sua fama in niun'opera, che dotto ed infaticabile va pubblicando; né certa- mente io è in quest'elogio, non men facondo che elegante, e nel- le italianissime iscrizioni che l'accompagnano. Memorie storiche di Ottaviano JSelli pitto fé eugubino, illustrale con documenti da Luigi Bonfatti. - 8. Gubbio , tipografia Mei' gni 1843. (Sono carto 29.) j} iorì il Nelli ( detto comunemente Ottaviano de Marlis ) su' principii del secolo XV , "d ebbe nome di valente fra i maestri valentissimi di quella età. Lode al sig. Bonfatti, the tante impor- tanti notizie ci porge di questo suo illustre concittadino. 338 Varietà' Considerazioni sopra la moda, scritte da Gaetano Gibeììi. - i:?. Bologna i845, fonderia e tipografia gov. alla Folpe. ( Sono carte "5"]. ) Xjibretto d'oro cosi per le belle sentenze, come per la llngun e per lo stile bellissimi. Noi Io raccomandiamo assai di cuore a' giovanetti italiani, se vogliono in fine da tante straniere brut- tezze forbire i loro costumi, ed essere non in parole, ma in fat- ti, degni della gentilezza del secolo, anzi di tutti i secoli. E par- mi che ornai sia ben tempo che il vogliano ! Alcune considerazioni intorno a Lionardo da Vinci , discorso di Ferdinando Ranalli letto nel giorno della solenne distribuzio- ne dei premi maggiori nelVI. e R. accademia delle belle arti in Firenze l'anno i843. - 8- Firenze, nella tipografia Piatti ( Sono carte 28. ) VJonsiderare le sentenze e le pratiche de'maeslri grandissimi, è sempre con sommo profitto delle arti. E qual maggior maestro di Leonardo? Con buon giudizio adunque, in mezzo le presenti disputes il sig. Ranalli si è fatto a riandare nel suo eleganle di- scorso la sapienza di tanto artefice. Notizie storiche della città di Todi e sua statistica dell' anno 1842. - 8. Todi da Raffaello Scalabrini i843. ( Sono carte Sg.) XI e aut itore d sig. Arminio Cori, ed il suo lavoro ci è sembra- to assai diligente. Varietà' 3S9 biografia del cai>. canonico Rinaldo Rosati, scritta dal professor Pietro Contrucci. - 8. Pistoia , tipografìa Ciao i843. { Sono carte 35. ) vJolIa solila sua dignità di dettato il sig. professor Contrucci narra (|ui le virtù e le opere del canonico Rosati oratore illustre de'nostri tempi, nato in Pistoia il 25 di gennaio 1769, e morto in Modena, alla metà del corso delle evaugeliche sue fatiche, il 17 di marzo i843. La vita di Massimiano Zavona , scritta da Filippo Mordani ra» vennate. - 8. Ravenna per le slampe di Lodovico Bartolotti 1843. A ra i reputali medici, che die la Romagna nel secolo XVII ^ vuoisi pure annoverato il Zavona, il quale scrisse un'opera lati- na intorno all'aere ravennate ( i64g)> ed un'altra italiana sull' abuso del tabacco ( itìSo^, olire ad alquante lasciate inedite per la morte avvenutagli il 12 di aprile i652, sendo già vecchio di y3 anni. Era dunque bea conveniente clre il Mordani, elcgantis- BÌmo scrittore delle vite de'ravegnaai illustri, non trascurasse la memoria di questo suo concittadino. Poesie italiane e latine di Francesco Massi scrittore latino del'' la biblioteca vaticana. - 8. Roma, tipografia delle belle arti 1843. (Un voi. di carte i33. XN oi ringraziamo assai la sapienza della Santità di N. S. Grego- rio XVI, che di moto proprio ha conceduto al sig. Massi la coa- diutoria con futura successione alla cattedra di eloquenza latina e italiana nella nostra università. Imperocché chi scrive con 36o Varietà' tanta gentilezza nelle due lingue, quanta n' ammiriamo nel Massi, non potrà non egregiamente educare al bello di esse la gioventù , e dar opera polenlissima a tergere le nostre lettere dalle oltramontane brutture. Questi versi ce ne sono una nobil caparra, si pieni di dignità e di eleganza : quando ancbe non si sapesse lo studio clie l'autore pose grandissimo così negli scritto- ri del secol d'Augusto, come in quelli che fecero d'oro il nostro trecento. Atti dell'imperiale regia accademia di belle arti in Milano per la distribuzione de' premi falla da S. E. il sig. conte di Spatir governatore delle provincie lombarde il giorno 4 settembre 1843. - 8. Milano , co' tipi di Luigi di Giacomo Pirola i8/i3. N. 1 oi abbiamo letto con piacere singolarissimo in questi atti il discorso accademico d'uno de'più nobili intelletti che oggi vera- mente onorino la Lombardia, non che l'Itnlia; cioè di Felice Bi-l- lotti : discorso alto, generoso, facondo, sapientissimo. Deh il leg- gano e attentamente il considerino quanti sono artisti non meno che letterati seguaci di certa scuola seminatrice fra noi di si nuo- vi errori, che (salvo alcune onorande eccezioni) farà da' posteri chiamar questo secolo il secolo eminentemente presuntuoso e ridi- colo ! Certo vi vedranno con gravità di giudizio dall'esimio poeta e filosofo dannate al meritato scherno tante straniere sentenze, delle quali alcuni italiani (se più meritano questo nome) sonosi fatti servilissiino eco: vi vedranno saviamente determinato fin dove nelle cose dell'immaginazione e del bello può ammettersi il progresso, parola che a molti sciocchi è sul labbro senza sa- perne il valor preciso : vi vedranno in fine confutate insieme e derise le ciance di coloro, che sognano un'arte cristiana differen- te dall'arte greca e romana. O Italia, quando i tuoi figli finiran- no di delirare! Anzi quando finiranno di posporre la dignità loro all'onta di non esser altro che scimie delle genti di là da' monti ! Non sarà dunque mai che la vanità schiava de' monelli Varietà' 3Gi delle lettere e delle arti ceda alla libera ragione ed all'esperien- za de'primi sapienti della nazione! Non sarà mai che i nostri cessino di guardar sempre di là dall'alpi e dal mare ( son parole del Bellotli ), oce il genio delle belle arti, quasi soniolando, sof- fiò tah'olta il suo spirito in qualche petto, ma non si pose a stan- za giammai ! Indicazione denotante la generale distribuzione del distrettuale corso scolastico di agraria teorico-pratica e di pratica adot- tata per la cattedra pesarese dal dote, Ugo Calindri di Peru- gia, ed esposta in occasione del pubblico esame da incomincia- re il giorno 6 marzo i844 nella sala del consiglio tnunicipate coW intervento delle primarie autorità e del corpo de^professo- ri. - 8. Pesaro, tipografia Nobili i844- ( Sono carte 3i. ) AL SIG. PROF. SALVATORE BETTI. Hilla avrà, spero, già ricevuto un opuscolo a stampa, nel quale sono i quesiti, i temi, e gli esercizi proposti ai nostri allievi della scuola agraria: vale a dire agli alunni ed agli apprenditori di quella» fra'quali ultimi si distinse oltre modo il sig. Cosimo suo nipote. Ora mi fo un dovere di descriverle quanto avenne in se- guito agli esami ch'ebbero luogo dal giorno 6 al I7 del corrente: cioè quello delle richieste a voce, la risposta in quesiti in iscritto, la conl'erenza agraria , e finalmente gli esercizi pratici sui campi di questo emincnlissimo Ciacchi protettore , che volle onorarli di sua presenza, come già onorava della sua autorevole persona l'esame verbale il preclarissimo cardinal legato della provincia. Dato compimento al programma con molta fatica e bravura dei sigg. allievi; eseguitone lo scrutinio dall'illustrissimo sig. gonfalo- niere e da cinque altri esaminatori a ciò deputati; si fissò il gior- no \\ del COI I-ente per la solenne distribuzione de'premi. Ed ebbe pur luogo questa cerimonia eoa una splendidcz7-a 362 Varietà' noii comune, e con una tale compiacenza dell' intera città, clie forse mai fuvvene una uguale. Premetto che sette essendo gli allievi, selle altresì furono i premi ad essi distribuiti, graduan- doli giusta la qualità del merito per l'una parte, ed il valore o l'entità del segno per l'altra. Ad una tale e tanta retribuzione contribuirono l'eminentissimo Camerlengo con due medaglie « reminentissimo Legato con quattro, il prof. Ugo Calindri eoa la quinta , il prof. Cavalieri con la sua celebre opera, il prof. Rizzo con vari suoi opuscoli, ed il sig. gonfaloniere col corso di economia rurale del Trautinann. La mattina del giorno suindicato nella sala consigliare del palazzo municipale convennero l'eminentissimo Legato, l'euiinen- tissimo Ciacchi, monsig. vescovo Canali, l'illustrissimo gonfalonie-» re, la consulta, la magistratura, molti professori, quattordici da- me le più distinte del paese , e moltissime altre meritevoli d'ogni riguan-do. Il sottoscritto apri la funzione con un discorso, in cui si fece a raccontare agli allievi le vere qualità del merito e della ricompensa, esordiendo con un prospetto di quanto si operava in Italia, a vantaggio delT agricoltura, negli ultimi 3o anni, e chiu-^ dendo la orazione con raccomandare agli allievi la morale , la religione, l'indefesso studio dell' agricoltura. Si lesse quindi il processo verbale analitico di lutti gli esami ed esercizi scolastici subiti dagli allievi tanto nella teorica quanto nella pratica. Allora gli eminentìssiiui di propria mano largirono i premi: e a ciò fe- ce seguito una breve allocuzione di ringraziamento letta dall' apprenditore Oliva. INon è a dirsi con quimto applauso e con quanto giubilo venne accolta dal pubblico simile distinzione ac- cordata a giovani pieni di valore e di zelo, i quali diedero compimento al primo triennio scolastico dopo la restaurazione della nostra scuoia accademica. Solo un voto, sola una voce, ma veramente unanime e sincera: che il governo voglia sempre più favorire e proteggere questa istituzione, e porre a profitto per tal guisa i molti ed alacri ingegni che sempre sorgono in questo stato, ed animarli allo studio di quella scienza che è la più utile, la più innocua , la più necessaria ad un popolo per sua natura, per in- dole, per abitudine essenzialmente agricolo. Varietà' 3G3 Se ella vorrà far motto di quanto avvenne \n Pesaro il di t4 di marzo nell' accreditatissìmo giornale arcadico, sia certa che farà cosa sommamente accetta a tutti quelli che presero parte a qdesta veramente civica solennità. E con sensi di perfetta slima me le ripeto Pesaro -ìo mar?o j844. Devmo Obblpio Serv. G MiMUKI. Iscrizioni italiane del dottor Carlo Mongardi medicinese , socio di varie accademie, centurie due. Ravenna tip. di Lodovico di Gio. Bartolotti in 4. i843. (Nitida e splendida edizione). AJ arte di dir molto m poco; di dirlo bene; in modo da piacere ad ogni sorta di lettori che vivono e che vivranno; è la difficilis- sima delle arti. E l'epigrafista dee saperla per eccellenza, e pos- sederla in guisa, che in lui sembri natura. Ma dove s' impara? Se io dovessi giudicarne, direi dall'Alighieri e dal Gozzi (Carlo); parendomi questo genere d' iscrizioni italiane dovere adagiarsi quanto al dettato tra la prosa ed il verso. Ma non ostante gli esempi di solenni scrittori, non abbiamo ancora un tipo di epi- grafi italiane. Ciascuno segue suo stile. E il dolt- Mongardi se- gue il suo, che in generale dicesi di mezzo tra quello del Muzzi e del Giordani. Parmi da non defraudarsi di lode pel molto amo- re, che egli ha posto alla italiana epigrafia, nella quale riesce.- e più riescila senza dubbio con quel modo di scrivere, che sta di mezzo Tra lo stil de' moderni eH scrmon prisco : del quale ha dato buon saggio in molte delle epigrafi ora pubblicate. Prosegua come ha cominciato felicemente, e sappia di avere colto il segno ogni qual volta gli è avvenuto, 0 gli avverrà, di avtre colpito per- fettamente l'arte che par natura! D. ViCCOtlNl. 364 A R I E T A Biografìe e ritraili di nomini ilìustri piceni pubblicati per cufa del conte Antonio Hercotani editore. Due voi, in 8: iSSt-Sq- 4^- Forlì tip, Bordandini. LJ na sincera gratiUidine deve il Piceno al sig. Cónte Hercolani per la cnra, eh' egli si è preso di raccogliere le vite e i ritraili di 54 uomini illustri, tra i quali ci offre per primo Sisto V(t), quel sommo gerarca, che allo stato invaso dai ladri trovò rimedio nella fermezza e nella giustizia : ci offre per ultimo quel maestro delle melodìe, il Pergolesi. Lungo sarebbe dir solo i nomi degli altri : ci basta annunziare la edizione, confortando ogni gentile persona a procurarsi un'opera, che onora non solo il Piceno , ma Italia tutta j avendo preso parie alla medesima molti dislinli seritlori di quella porzione dello stato, e trattandosi che gli uomini illustri sono glorie comuni alla nazione ed all' umana famiglia. L'esem- pio de' trapassati insegni ai presenti e ai futuri di ben meritare con opere d'ingegno e con virtuose assuetudini! D. V. Tributo di stima ed amicizia offerto al nobile e chiarissimo mar'- chese Amico Ricci can. de'ss. Maurizio e Lazzaro nel i lu- glio i8^5, anniversario della morte di Maria vedova Ricci, nata Vendramin, illustre dama di lui genitrice. Fabriano pel Crocei ti , in 8 di facce 20. J-l gentile, che offre questo tenero tributoj é il eh. sig. prof. Ca- millo Ramelli. Di una dama sì saggia, sì virtuosa, era ben dc- (i) Chi amasse vedere di seguito biografie e ritratti de' sommi pontefici, potrà ricorrere all' Album di Roma, e troverà le vite dei medesimi scritte la più parte dal nostro collaboratore sig. prof, yaccolini .• il quale volge nelV animo di stampare a parte tutta la serie di tali vite, se troverà accoglienza neW universale, come è a sperare in un secolo riconoscente alla memoria de' som- mi pontefici, che sino al regnante glo riosissimo Gregorio XVI hanno conservalo agli uomini il beneficio della religione cattolica. Varietà' 365 bito che si onoras5e la memoria : e questo pregevole libretto ci pare aver adempiuto il voto de' buoni, che vogliono onorata la sola virtù, i soli meriti, e non i vizi e le prostituzioni di cui il secolo offre esempli moltissimi. Tre cose contiene il libro; XLI belle terzine, assai calde di amor patrio, del Ramelli; un'affettuo- sissima epistola del marchese Ricci al medesimo, ove narra con amore e riverenza filiale i rari pregi della sua madre; finalmente un nuovo monumento storico della gallica insolenza (e di nume- ro e di nefandità l'italiana storia ne presenta infiniti ): voglio dire un'eloquente lettera della Vendramin, in cui descrive le stragi ed il terribile sacco che quegli emuli degli ostrogoti diedero a Macerala nell'anno 1799. E. C. B. Le sette ultime parole del Redentore: bassorilievo del sig. Pietro Galli: otlai>e di Tommaso Borgogna chierico regolare somasco. Roma presso Alessandro Monaldi , i843, in 8. di facce 12. Una elegante lettera di Ottavio Gigli ( quel valente, che nella laboriosissima e dotta pubblicazione della biblioteca classica sa- cra erige un monumento di gloria all'Italia ed a se ) al princi- pe Conti precede le nobili e dignitose ottave del p. Borgogno. E lode ne abbia moltissima e per la bellezza de' versi , a per la egregia opera del buono artista che nobilmente imprese ad en- comiarei E. C. B. 366 'Varietà' Sulla decorazione in pittura eseguita da Giovanni Francesco Baccaccini nelle stanze del nobile appartamento del sig. V. Pennisi barone di Fioristella, in Aci-Reale ; cenni di Ma- riano Grassi. Catania, stamperia di Francesco Pastore , 184^= in 8 di facce i5,col ritratto in litografìa del Baccaccini. XVingraziamo ilsig. Mariauo Grassi dell'avi rei nel presente opu- scolo descritti lavori di belle arti, che non dovean punto andar confusi con molti altri , si pel pregio , finitezza e gentilezza del lavoro, si per tributare dovute lodi al sig. Boccaccini pistoiese, si ancora per mostrare come esempio nobilissimo il barone di Fio- ristella, che spende in gentili cose le sue ricchezze. L'autore ci rammenta eziandio e loda un quadro ad olio del sig. Panebianco di Messina , allievo del Camuccini , che rappresenta la famiglia dei barone in una scena di gioia, cioè nell' augurargli felicità il giorno natalizio. - Il sig Grassi pubblicò ancora un' interessante notizia sulla vita del pittore siciliano Michele Vecchio. Delle pubbliche biblioteche, pensieri di un anonimo. Foligno, tip. Tomassini i843, in 8 di facce Sj.» Privatus illis census erat brevis,-Commune magnum. Horat. ode 12 lib. 2. X-Jo scrittore di questi pensieri è il sig. Giuseppe Bragazzi di Foligno. Presenta egli un bel modo di fondare una pubblica bi- blioteca in non grande città, coli' associare tutti coloro che agli studi si dedicarono , perchè riuniscano i loro libri, e li collochi- no in un sol luogo pubblico. Cosi i libri medici, legali, ecclesia- stici, storici , letterari , che erano sparsi fra molti che coltivano diversi rami di sapere, insieme riuniti formeranno un' utile e vasta raccolta. Uà indice, nel quale sia notato il nome del gene- V A K I E T a' 367 roso che al pubblico uso li destinò, sarà cagione che altri fruis- cano si beli' onore. Che questo pensiero non sia una vana utopìa , lo prova la città di Foligno, che per tal modo ha fondato non ha guari la pubblica biblioteca. Un liberale signore di quel luogo lasciò erede questo utile stabilimento della sua libreria. Auguriamo che tale esempio non sia unico, e che i viventi eziandio onorino se stessi e la patria coli' accrescere si nobile suppellettile. Abbogastb Castreca Bbonettj. AD CAROLUM EMMANDELEM MUZZARELLI COM. ANTISTITEM URBANDM XII VIRUM LITIBUS lUDlCANDIS XVisum quìs tencat? Meus ne vitae Cursus qui fuerit, meisque curis Annorum spatio haud brevi quid actura Sit, o egregie et pererudile Muzzarelle, petis? locaris hercle. De viris liceat tibi, per orbem Queis ab ingenioque litterisque est Laus, id quaerere ; mitte vero de me. Qui sim, novi eteniai; nihilque feci, De quo non ( fateor ) prope erubescam. PuiLIPPl ScHIASSU. 368 Varietà' lElogio di Andrea Berardi di Bagnacavallo dottore in medicina e chirurgia, scritto da Antonio Vaccolini segretario municipale e consorziale in detta città ec. Bagnacavallo, dalla tipografia Benacci iS{5, in 8, di pag. 56. JAl el tomo 45 a pag. iig demmo la necrologia del dottor Mat- teo Berardi medico: ora abbiamo dal sig- Autonio Vaccolini l'e- logio del dottor Andrea Berardi, medico anch' egli come il fra- tello, ed altrettanto benemerito dell' umanità. Quest' ultimo si distinse per prontezza d'ingegno, per cognizioni e più per uà imrnenso amore verso i poveri: siffatto amore lo fé rinunziare al comodo de' ricchi, e proprio per darsi tutto al servigio gratuito de' poveri in tempo del cholera. Questo solo fatto basterebbe a raccomandarne la memoria. Che sarà poi se si aggiunga, che essendo condotto in Urbino ed altrove, la paga annessa all' im> piego non era sua, ma de' poveri ? Imperciocché ad essi dispen- sava soccorsi anche in danaro. Così morte lo colse, che non avea accumulato ricchezza, secondo il proverbio, che dice: Dat Calenus opes ; ma nella istoria dell' umanità il suo nome sarà chiaro! Il Berardi, di cui parliamo, era anche dotto; benché mancato in gioventù ed immerso nelle cure de'suoi malati (che molti lo volevano pel concetto, in cui era salito, di savio e buo- no ) , non ebbe tempo di porre in iscritto ciò che volgeva nella mente: abbiamo però di lui ne! nostro giornale qualche aiticolo segnato nelle iniziali A. B. ( i>ol. di agosto 182^ ]. Se Licurgo vietando d'incidere encomii sulle tombe degl'inet- ti e volgari, voleva questo onore serbato ai meritevoli, ben è de- gno, che il segretario del comune di Bagnacavallo abbia preso a scrivere l'elogio del dottor Andrea Berardi; la lingua é pura, e non si potrebbe non lodare il lodatore pel sentimento che lo ha mosso a scrivere. E utile anche ai superstiti ed ai posteri l'ono- rare la memoria de'ehiarl concittadini! A. C. Varietà' 869 Accademia delle scienze delV istituto di Bologna. \^uesla accademia tenne il 17 corrente sessione straordinnria dì ambidue gli ordini residenti, per l'aggiudicazione del Premio Aldini sugli incendi , già proposto con programma a pubblico concorso, spirato colla fine del p. p. novembre. I termini prin- cipali del tema erano questi : — Dare la storia ed analisi ragio- nata di tutti i mezzi tanto fisici, quanto chimici e meccanici fin qui proposti in difesa e salvezza delle persone e sostanze, e de- gli cdifizi negli incendi. — Tre furono le memorie presentate in tempo debito all' accademia per questo concorso ; una scritta iu latino idioma, le altre in italiano. Ella ha giudicato meritevole del premio una sola di esse , quella delle due italiane che Irovavasi contrassegnata colle epigrafi seguenti : Nam tua res agitar, paries quum proximus ardet. Et neglecta solent incendia sumere vi res. Horat. Ep. XVIU. L, I. Chiunque nelle calamità degli incendi opporrà con coraggio i nuovi mezzi di riparo suggeriti dal progresso delle scienze, po- trà essere certo di ben meritare dei riguardi dai governi e dalla gratitudine dei popoli. Aldiui, Istr. pop. ec. Ma l'accademia ha trovate in questa memoria, o meglio vo- luminosa opera, così largamente ed egregiamente corrisposte le richieste del programma, che, oltre l'anzidetta assegnazione del premio, non ha dubitato dover aggiungere queste due singolari dimostrazioni di sua soddisfazione per simile opera, e di sua com- piacenza per averla promossa ad universale certissimo vantaggio. L'una è stala di proclamare l'autore della premiata opera suo membro, uell' ordine degli accademici corrispondenti ; e l'altra di decretare la stampa, a tutte sue spese, dell'opera stessa, non senza stabilire in pari tempo che un sunto della medesima deb- ba essere pubblicato, couloriuemeule al suddetto prograuiaia , ne' suoi commentari. G.A.T.XGVIII. 24 r Syo Varietà' Prese dall' accndomia queste tre risoluzioni, per voti una- nimi quanto è alla prima della premiazione della sola memoria in discorso, e per acclamazione quanto è alle altre due risolu- zioni , e prese dietro lettura fatta di esteso rapporto sulle tre memorie elaborato da analoga commissione accademica, il pre- sidente passò ad aprire la scheda sigillata che accompagnava la memoria premiata, e che contener doveva il nome dell' autore di essa ( bruciate già le schede delle altre memorie); si vide esser questi il eh. sig. Francesco Del Giudice, direttore-interino del corpo artefici-pompieri della città di Napoli. Dalla residenza dell' istituto di Bologna, i8 marzo i844' PKor. Silvestro Gherardi, Presidente- Cai>. Prof G. B. Magistrini , Segretario. Reale accademia di scienze , lettere ed arti di Modena. PROGRAMMA JLl numero delle produzioni riconosciute dalla direzione centrale della reale accademia regolarmente ammissibili al concorso dell'an- no prossimo passato, aperto da essa reale accademia col programma del 3i dicembre 1842 ai sei premi d'onore istituiti dalla sovrana munificenza, essendo rilevante a segno (n. 44 produzioni teatrali, n. 29 morali-politiche, n. 6 d'agricoltura e n. 5 d'arti, in totalità n. 84) da non permettere che si possa con tanta sollecitudine pro- nunciare definitivamente intorno al merito delle medesime: e bra- mandosi d'altra parte che abbia a continuare senza indugio il ben- augurato effetto di questa provvida istituzione; la reale accademia si dà perciò la sollecitudine di pubblicare i temi morali -politici divisati pel concorso del corrente anno, rammentando eziandio, Varietà' 3-^ a lume ed a norma di coloro che intendono di aspirare a questo concorso , che i predetti premi d'onore , distinti in tre classi delle quali ognuna due ne comprende, consistono: per la classe prima, nella somma d'italiane lire 1200 da ripartirsi egualmente agli autori di quelle due drammatiche composizioni d'indole e di argomento qualsivoglia, ma per altro acconce alla pubblica rappresentazione nello stato attuale del teatro, le quali avranno meglio soddisfatto alle condizioni qui sotto additate; per la clas- se seconda, nella somma d'italiane lire 1000 da ripartirsi egual- mente agli autori di due memorie o dissertazioni sopra temi mo- rali-politici previamente proposti dall' accademia con pubblico programma e dalla medesima riconosciuti meritevoli di corona ; e per la classe terza, nella somma d'italiane lire 800 da ripartirsi egualmente a due tra gl'inventori di qualche nuovo e vantaggioso n.etodo di agricoltura, debitamente dichiarato, o di qualche utile perfezionamento di una qualsiasi arte propriamente detta. Tali temi pertanto sono: Necessità di sostenere la patria potestà , cosi per V ordine della famiglia, come per quello della società. II. Se sussista, come taluno asserisce, che V egoismo e la mollezza sia. no due sorgenti de'mali ond' è contristata l'età presente ; ed in caso affermativo additare i mezzi per impedirne gli effetti. Il concorso è aperto ai dotti italiani ed esteri riguardo ai pre- mi della prima e della seconda classe: ma riguardo ai premi della terza classe viene limitato ai sudditi estensi ; ben inteso che i nuovi metodi di agricoltura, che si avessero da produrre, sieno sempre applicabili all'agricoltura praticata negli estensi dominii. Tanto gli scritti riguardanti alla classe prima de'premi, quan- to quelli appartenenti alla seconda, debbono essere inediti e presentarsi anonimi, ma contrassegnati da un'epigrafe, che sarà 372 Variata' accompagnata da una sclieda o lettera suggellata', fuori della quale sarà ripetuta l'epigrafe stessa, e dentro sarà indicato il no- me, il cognome e il domicilio dell'autore; dovendosi poi anche evitare negli scritti medesimi qualunque indizio che possa farne conoscere l'autore stesso. Gli scritti spettanti ai premi della classe prima debbono es- sere in lingua italiana ; ma quelli delle altre due possono essere anche nella latina. Tutti gli scritti prodotti al concorso dovranno essere chiara- mente leggibili , e pervenire a Modena franchi di porto al più tardi entro il 3i del mese di dicembre del corrente anno i844 ( termine di rigore), col seguente indirizzo; AW eccellenza del sig. ministro di pubblica istruzione degli estensi dominii , presi- dente perpetuo della reale accademia di scienze , lettera ed arti di Modena. Gli agricoltori e gli artisti, che intendono di aspirare al con- corso ; dovranno avere entro il predetto termine presentato .• quanto agli agricoltori, la descrizione succinta, ma esatta, del lo- ro ritrovato, con indicazione del luogo a cui avesse a riferirsi , affinchè l'accademia possa poi procedere alle verificazioni che fossero del caso; e quanto agli artisti, i loro lavori nel luogo che verrà destinato dall'accademia per esaminarli e quindi giudicarli. SI gii uni come gli altri, amando rimanere occulti, non avrebbe- ro che a regolarsi in modo consimile a quello de' concorrenti ai premi delle altre due classi. I componimenti presentati al concorso saranno immediata- mente consegnati col più rigoroso secreto alle persone destinale a giudicarli a norma del regolamento, a tal fine già eompilato dalla direzione centrale dell'accademia; avvertendo, particolarmente per le composizioni drammatiche, essere imposto ai giudici di non da- re il volo se non a quelle che pienamente soddisfacciano alle esi' genze del buon gusto e della sana morale, evitando fra gli altri lo scoglio frequente nelle tragedie e né" drammi seri d'ingenerare negli animi avversione o dispregio delle più rispettabili autorità. Le schede delle produzioni riconosciute nierilevoli di pre- mio saranno colle dovute formalità subito aperte, e le altre nell' Varietà' 3^3 istante saranno date alle fiamme; e gH scritti non premiati sa- ranno deposti nell' archivio dell' accademia a giustificazione dei proferiti giudizi. I componimenti premiati saranno ben tosto impressi a spese dell'accademia, la quale ne presenterà di un conveniente nume- ro d'esemplari gli autori; e questo onor della stampa potrà ezian- dio esser conferito ai componimenti riconosciuti meritevoli dell' accessit, sempre che gli autori vi acconsentano. Modena 3o gennaio 1 844. Il segretario generale della reale accademia. Geminuno Riccabdi professore di matematica pura ed applicata nella reale università degli studi. 374 CONTENUTE NEL TOMO XCVIII, VOLUMI 292, 293, 294 DEL GIORNALE ARCADICO. Nota de' compilatori e de' collaboratori SCIENZE Bilancio della cassa di risparmio in Roma per Vanno 1842 pag. i Maggioruni , Storia di febbri perniciose {^continuazione e fine » 28 Jacobi, Sopra le funzioni di Laplace che risultano ec » 09 Marini, Due casi non frequenti di clinica chirurgica ....,....» 67 Kwnmer, Sull'equazione cubica ec. . . » 71 Posta, Osservazioni sulla cancrena secca. » 82 Zanellii La propagazione della fede . » 98 LETTERATURA 3Iercuri, Congettura sopra due versi di Dan- te nel e. XI F dell'Inferno . . . » ii4 F'accolini, Lodi di Benedetto Xll^ . . » i3i Montanari^ Kolgarizzamento della milonia- na di Cicerone a iJ^2 375 Giuliani, Pregi deW orologio di Dante imma- ginato dal padre Ponta . , . . » igS Astolfo Studio ed uso della mitologia . » 218 Brunacci, Lettere al Costadoni . . . „ 228 Montanari, Traduzione del libro di Tobia ( continuazione e fine ) „ 264 Biografie di Luigi Metaxh, di Giambattista Baldelli, di Serafino Gatti, di Bartolo- meo Magliatrici, di Ubaldo Bellini, di Camillo Briganti Bellini, di Vittorio Bar- boni, e di Giambattista Spotorno. . » 288 Paolucci, Lettera intorno una rara edizione del libro De viris illustribus urbis Romae. » 325 BELLE ARTI FolcU, Discorso alla pontificia accademia romana di san Luca » 34i Varietà — =-i?ypnfif{yrgn*. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR los. Canali Archiep. Coloss. Viccsg,