uu GIORNALE DI \SCIENZE NATURALI ED EGONOMICHE PUBBLICATO PER CURA DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERMO VOLUME XXVIII PALERMO ; OFFICINA SCUOLA TIP OGRAFICA Coloni ia A o d n Martino "ion GIORNALE SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE PER CURA DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERDMMO VOLUME XXVIII è GN PALERMO OFFICINA SCUOLA TIPOGRAFICA . Colonia Agricola S. Martino efono 6-954 GIORNALE DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE INDICE GENERALE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXVIII Anno i9ff Regolamento della Società di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo Elenco dei soci ordinari, straordinari ed emeriti della Società di Scienze Natu- rali ed Economiche MEMORIE Studio igienico sulle zolfare di Lercara; E. Carapelle .; Osservazioni sulla nidificazione dell’ Ephippigera rugosicollis Ramb. e del Calop- tenus italicus lin. (Ortotteri); Z. De-Stefani- Perez Conchiologia. Nota su taluni generi e specie della famiglia Cerithiidae; Mar- chese di Monterosato A Ricerche di radioattività e in ispecie delle acque termali di Termini-Imerese (Sicilia); P. Za Vespa. . 6 . Funghi coltivati e coltivabili; G. E. Mattei La potenza specifica e la struttura spettrale nell’ arco di piccola intensità; M. Le Rosa e B. Muglia La Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria in provincia di Palermo; G. Checchia- Rispoli i Sui fossili degli strati a Terebratula Aspasia della Contrada Rocche Rosse presso Galati (prov. di Messina); M. Gemmellaro Glanconite della Ficuzza e di Corleone (Palermo); A. Roccati Sulla questione dell’ acqua potabile per il Comune di Cefalù (analisi dell’ acqua Presidiana); £. Carapelle Sull’ Oligocene dei dintorni di Campofiorito in provincia di Palermo; G. Checchia- Rispoli ) Sul Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti; G. Checchia- Rispoli 5 5 Ò o È 0 ò ò 5 ; 0 c Pag. vir XIII SAVECISIAZIE REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERMO (approvato nella seduta degli 8 ottobre 1883) Art. 1. Il Consiglio di Perfezionamonte creato con R. Decreto del 2 nov. 1864, in Inogo e vece del R. Istituto d’Incoraggiamento per la Sicilia, assume da ora in avanti il nome di Società di Scienze Naturali ed Economiche. La Società intenderà all'incremento ed alla diffusione delle Scienze mate- matiche, naturali ed economiche, e delle loro applicazioni all’agricoltura ed alle arti. Ì Art. 2. A tal fine nelle sue adunanze si farà leitura e discussione delle memorie che saranno presentate. Art. 3. Farà per: mezzo dei suoi soci conferenze e letture pubbliche sopra argomenti delle scienze e delle applicazioni cni essa intende. Art. 4. Pubblicherà per le stampe i suoi proprii lavori con un periodico di cui stabilirà il programmi particolare. Art. 5. Sulla richiesta delle autorità governative, provinciali e comunali, dietro deliberazione affermativa della società, potrà incaricarsi : a) di fornire alle cennate autorità le informazioni edi pareri che le sa- ranno richiesti. 6) di bandire concorsi a premi d’incoragviamento e distribuirà i premi che - saranno promessi per le materie di cui si occupa la Società. Art. 6. Potrà incaricarsi altresì di concorsi stabiliti da privati, purchè i ; premi siano consegnati prima della pubblicazione del concorso. vu REGOLAMENTO DELLA SOCIETA DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE Parte organica della Sociefà Art. 7. La Società avrà tre ordini di soci: ordinarii, corrispondenti ed emeriti. Art. 8. I soci ordinari dovranno risiedere in Palermo ed il loro nnmero è fissato a 21; dei corrispondenti, i residenti, non potranno superare il numero di 25; il numero di quelli non residenti è illimitato. Il numero di soci emeriti è anch'esso illimitato. Art. 9. La società avrà un Presidente, nn Vice-Presidente, un Segretario, un Vice-Segretario ed un Tesoriere, che saranno nominati fra i socii ordinarii ed emeriti residenti, per un biennio, e potranno essere rieletti. Riunioni Art. 10. La Società terrà sedute generali, pnbbliche e straordiuarie. La seduta generale avrà Inogo nel mese di dicembre; in essa si renderà conto di quanto fu fatto nell'annata precedente e si discuterà il piano gene- rale dei nuovi lavori e studi da trattarsi. Dal dicembre a tutto giugno, la società terrà una seduta pubblica ad ogni seconda domenica del mese, ove verranno lette le memorie presentate dai socii ed altre comunicazioni scientifiche importauti, e ne sarà pubblicato un. resoconto in forma di Bollettino della Società. Le sedute ordinarie e straordinarie private saranno fissate dal Presidente a norma del bisogno. Art. Il. Perchè una riunione sia legale in prima convocazione è necessa- rio che sia presente la maggioranza dei 21 socii ordinarii presenti in Paler- mo; in seconda convocazione le deliberazioni saranno valide qualunque sia il numero dei soci presenti. Art. 12. I soci corrispondenti non avranno voto quando si tratti dell’ele- lezione di socii di qualunque ordine e della elezione dei funzionarii. I socii emeriti avranno voto come i soci ordinari, tranne che nella scel- ta dei soci a qualunque classe essi appartengono. Art. 15. Le votazioni si faranno per alzata e seduta, meno quando si trat- ti di questione di personale, nel qual caso si faranno a voti segreti. Art. 14. Ogni socio per pubblicare lavori nel Giornale dovrà prima pre- sentarli alla Società, la quale ne approverà subito la stampa, ovvero potrà af- REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE 1xX fidare lo esame ad una apposita commissione, per riferirne in altra seduta. Art. 15. Nel Giornale della Società possono pure pubblicarsi degli articoli di non soci, purchè siano presentati da un socio ordinario, ed approvati da una apposita Commissione. Funzioni delle cariche Art. 16. Il Presidente veglia all’esecuzione del regolamento, sottoscrive gli atti accademici, la corrispondenza colle autorità costituite ed i privati ed i mandati di pagamento. Art. 17. Il Vice-Presidente sostituisce il Presidente ogni qualvolta questo è assente o impedito: in mancanza anche del Vice-Presidente funzionerà il più anziano dei socii. Art. 18. Il Segretario compilerà i verbali, la corrispondenza, contrasse- gnerà le relazioni e tutti gli atti jaccademici, sopraintenderà alla pubblicazione del Giornale e del Bullettino, terrà in consegna archivio e biblioteca e nella prima tornata di ogni anno leggerà un rapporto col quale darà conto di tutti i lavori accademici dell’anno precedente, e questa lettura sarà pubblicata. Art. 19. Il Vice-Segretario farà le veci del Segretario in caso della sua assenza: mancando anche il Vice-Segretario funzionerà il socio più giovane dei presenti. Elezioni Art. 20. I soci ordinarii saranno scelti tra i corrispondenti residenti. La elezione dei soci ordinari e corrispondenti sarà preceduta da invito speciale del Presidente a tutti i so:i ordinari, e sarà fatta in due tornate. Nella prima tornata si comporrà per ciascun posto vacante una lista di candidati, nella quale saranno compresi i nomi di quelle persone che nella votazione hanuo riportato tre voti almeno. Questa votazione sarà fatta a schede segrete. Nella tornata successiva tutti i nomi della lista dei candidati saranno sottoposti alla votazione segreta. un dopo l’altro nell'ordine dei numeri ottenuti nella prima votazione, enel caso di parità di voti, la sorte deciderà sull’ordine da adottarsi. Perchè un candidato possa venir eletto al posto vacante, dovrà ottenere la maggioranza assoluta, che non sia minore di otto voti, e tra coloro, che l’a- vranno ottenuta s'intenderà eletto colui, che avrà riunito il maggior numero di voti. x REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE La parità sarà risoluta con nna seconda votazione, e nel caso che la pa- rità si ripetesse, resterà eletto l’anziano di nomina, e in pari data di nomina l'anziano di età. Non conseguendosi da alcun candidato il numero dei voti necessario, si procederà ad una nuova nomina con le formalità dianzi accenLate, dopo tra- scorso il termine di tre mesi dal giorno della seconda votazione. Art. 21. La elezione dei soci corrispondenti non residenti sarà fatta nel segnente modo: In una tornata ne sarà fatta la proposta almeno da tre soci accompagna- ta da un rapporto sopra i titoli del candidato, il quale rapporto sarà conse- gnato al Presidente. È In un’altra tornata il nome del candidato sarà sottomesso alla votazione. Art. 22. Potranno essere dichiarati soci emeriti i soci ordinari, che per età o per salute, o per occupazioni estranee, o per altri motivi non potessero adempiere agli obblighi loro imposti. Art. 23. La elezione del Presidente si farà per mezzo: di schede sogrete ciascuna contenente nn solo nome. S’intenderà eletto colui che avrà riportato la maggioranza assoluta. Nel caso, che nessuno abbia raggiunto la maggioranza, avrà luogo un se- condo squittinio, nel quale si voterà sui soli due nomi, che hanno riunito il maggior numero di suffragi. ) Colle stesse norme sarà fatta la elezione del Vice-Presidente, del Segre- tario, del Vice-Segretario, e del Tesoriere. Tali elezioni saranno fatte di regola nel mese di Dicembre. Se per rinun- zia,o per altra causa, si procederà ad altre elezioni nel corso del biennio, gli eletti doyranno durare in Ufficio pel tempo stesso, che rimaneva ai funzionari cui vengono sostituiti. Obblighi dei Soci Art. 24. Sarà preciso obbligo di ogni socio ordinario d’intervenire , nelie tornate periodiche della Società. I soci ordinari, che per un’intero anno non sono intervenuti alle riunioni senza aver notificato l’assenza alla Società saranno, sopra proposta del Presi- dente, passati a soci emeriti, se la loro nomina a soci ordinari data da più di 10 anni; in caso diverso l’assenza prolungata sarà considerata come rinunzia al posto accademico. REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE XE Fondi ed amministrazione Art. 25. Le spese occorrenti saranno fatte sui fondi assegnati dallo Stato, Provincia, Comune e dai privati. Art. 26, La Società voterà annualmente il proprio bilancio. Art. 27. L’esercizio finanziario di ciascun anno si protrae perla liquida- zione sino a tutto febbraio dell’anno susseguente, nel quale mese il Presiden- te presenterà il conto morale dell'esercizio precedente accompagnato dal con- to finanziario del Tesoriere. La Società dopo l'esame di una commissione discuterà ed approverà il conto. Art. 28. Il Tesoriere incasserà i fondi assegnati al mantenimento della Società e li verserà in una madre-fede apposita, o li terrà a conto corrente presso la Cassa di Risparmio. Pagherà i mandati a firma del Presidente. Giornale Art. 29. Il Giornale della Società sarà diviso in volumi e formerà la con- tinuazione di quello del Consiglio di Perfezionamento. Le memorie dovranno essere tutte originali e regolate per spesa delle tavole conforme a quanto prescriverà la Società in base ai fondi disponibili. Elenco dei Soci della Società di Scienze Naturali ed Economiche UFFICIO DI PRESIDENZA (1911-1912) Presidente — Venturi prof. Adolfo Vice-Presidente — Merenda prof. Pietro Segretario — Raffaele prof. Federico Vice-Segretario— Checchia-Rispoli dott. Giuseppe Bibliotecario — Di Stefano prof. Giovanni Vice- Bibliotecario — Carapezza ing. E. Tesoriere — Macaluso prof. Damiano SOCI ORDINARII . Allery Di Maria Tommaso 7. Lazzaro prof. Carmelo Marchese di Monterosato 8. Manfredi prof. Luigi . Angelitti prof. Filippo 9. Pagano prof. Giuseppe . Borzì prof. Antonino 10. Pagliani prof. Stefano . Caldarera prof. Francesco 11. Ricca-Salerno prof. Giuseppe 5. Cervello prof. Vincenzo 12. Ruggieri Avv. Leonardo . Di-Stefano Teodosio 13. Spallitta prof. Francesco SOCI CORRISPONDENTI i 1. Albeggiani prof. Michele — Palermo 2. Albertoni prof. Pietro — Bologna 3. Alfonso prof. Ferdinando — Palermo 4. Ampola prof. Gaspare — Roma 5. Arzelà prof. Cesare — Bologna 6. Arata prof. P. N. — Buenos-Ayres 7. Basile prof. Ernesto — Palermo $. Briosi prof. Giovanni — idem 9. Bianchi prof. Leonardo — Napoli 10. Bneca prof. Lorenzo — Catania 11. Caliri prof. Filippo — Palermo _. 12. Cantone prof. Michele — Napoli 3 13. Capellini prof. Giovanni — Bologna 14. Ceradini prof. Cesare — Roma , — Termini-Imerese 5. Ciofalo prof. Saverio . Corbino prof. Orso Mario . — Roma — - De Mattei prof. Eugenio — Catania . Emery prof. Carlo — Bologna . Errera prof. Giorgio — Palermo . Fileti prof. Michele — Torino . Finocchiaro Aprile avv. Camillo — Roma . Foderà prof. Filippo — Cagliari . Folco prof. Carlo — Palermo . Gemmellaro dott. Mariano — Palermo XIV ELENCO DHI SOCI DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE" 25. Gerbaldi prof. Francesco — Pavia 26. Giardina prof. Andrea — Pavia 27. Guccia prof. Giambattista — Palermo 28. Grassi prof. Battista — Roma 29. Koerner prof. Guglielmo — Milano 30. Lanza dott. Domenico — Palermo 51. La Rosa prof. Michele — Palermo 32. Lojacono prof. Michele — idem 33. Lieben prof. Adolfo — Vienna 54. Mondino prof. Casimiro — Pavia 35. Minunni prof. Gaetano — Catania 36. Mattei prof. Oreste — Palermo 37. Mosca prof. Gaetano — Torino 38. Naccari prof. Andrea — Catania 39. Naquet Prof. Adolfo — Parigi 40. Oglialoro prof. Agostino — Napoli 41. Oliveri prof. Vincenzo — Palermo 42. Orlando prof. Vittorio Emanuele — Roma 43. Palazzo prof. F. C. — Roma 44. Pintacuda prof. Carlo — Palermo 45. Rattone prof. Giorgio — Modera 46. Riggio prof. Giuseppe — Palermo 47. Riccò prof. Annibale — Catania 48. Righi prof. Augusto — Bologna 49. Roiti prof. Antonio — Firenze 50. Ross prof. Ermanno 3 — Monaco (Baviera). 51. Salvioli prof. Giuseppe — Napoli 52. Scacchi prof. Eugenio — Napoli 53. Sanso prof. Luigi — Palermo 54. Salemi Pace prof. Giovanni — Palermo 59. Schopen ing. Luigi — Palermo 56. Soler prof. Emmanuele — Padova 57. Spica prof. Pietro — Padova 58. Struever prof. Giovanni — Roma 59. Tanzi prof. Eugenio — Firenze 60. Terracciano prof. Achille — Sassari 61. Torelli prof. Gabriele — Napoli 62. Tonelli prof. Alberto — Roma 63. Whitaker comm. Giuseppe — Palermo 64. Zambonini prof. Ferruccio — Palermo. n SOCI EMERITI 1. Blaserna prof. Pietro — Roma 2. Paternò prof. Emanuele — Roma 3. Peratouer prof. Alberto — Roma PARTE I SCIENZE NATURALI n» — w ISTITUTO D'IGIENE DELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO DIRETTO DAL PROF. L. MANFREDI Studio igienico sulle zolfare di Lercara per il Dr. EDUARDO CARAPELLE « Le condizioni igieniche di nna industria sono intimamente dipendenti dalla sua prosperità: ma nelle zolfare, l’igiene è stata. affatto trascurata e an- che negli anni prosperi, come è stata trascurata la tecnica mineraria ». Così scrive il Giardina in uno dei capitoli del suo lavoro: « La vita, il lavoro e le malattie degli operai nelle miniere di zolfo », ed effettivamente ancora oggi se la tecnica mineraria ha subìto dei progressi, lo stesso non si può dire per quauto riguarda le condizioni igieniche delle zolfare. La più crassa ignoranza, congiunta all’avidità del guadagno, al principio : dello sfruttamento della terra e dell’operaio, sono stati i baluardi più robusti contro cni si sono infranti continuamente gli sforzi di tanti illustri medici tra cui noto principalmente Giordano e Giardina. Ecco perchè col progresso del- la civiltà si sente ancora il bisogno di ritornare sull'argomento avendo sempre di mira di conciliare gl’interessi Cell’industria con quelli della salute dei la- voratori, la quale rappresenta la forza viva della produzione. É dovere dell’umanità di proteggere l’operaio contro tutte quelle influenze che minano la sua esistenza diminuendone di pari passi la forza fisica e la rimunerazione al lavoro; il lavoro delle miniere in genere è un lavoro duro, penoso, pericoloso; abolire le sofferenze ed i pericoli inerenti a questo lavoro è impossibile senza sopprimere l’industria, cagionando un danno economico im- menso a coloro cni si vorrebbe giovare e privando la società dei servizi uti lissimi che in tante guise le rende lo zolfo. Ma per queste ragioni diviene pit imperioso il dovere di ricercare con cura amorevole quel che di meglio si possa - fare per alleviare le sofferenze, i pericoli e le malattie a quei lavoratori i 2 E, CARAPELLE quali sono anche consci della loro triste condizione malgrado in essi faccia difetto l’istruzione e la morale. L'industria dello zolfo è predominante in Sicilia costituendo essa circa 1°80.°], di tutta la produzione mondiale, ed il numero di operai che vi attendono arriva ai 40,000 circa, essa quindi rappresenta una fonte di ricchezza che merita le maggiori cure dello Stato per essere sorretta nelle vicende economiche e sorvegliata nell’esercizio e nelle coltivazioni a tutela dei lavoratori. Le ricerche d’ordine igienico sulle zolfare sono scarse se ne togli quelle del Giordano e del Giardina fatte col metodo intuitivo più che con quello sperimentale, tutte le altre non sono che ripetizioni con maggiore o minore competenza, riferenti le stesse idee dei due autori sopra citati, nulla aggiungendo di sperimentale; se però da questo punto l’argomento meritava ancora una larga trattazione, riguardo all’igiene sociale, cioò nello studio complesso delle {re- lazioni tra capitale e lavoro, e della patologia del lavoro l’argomento é pressochè in massima parte esaurito grazie all’interessamento di medici e sociologi illustri. Questo fatto ha portato come naturale conseguenza che si è preso di mira il costante miglioramento del contenuto e non del contenente: si è pensato a regolare i rapporti tra esercenti e zolfatari, tra picconieri e carusi, a diminuire il numero delle ore di lavoro, a fondare Casse pensioni, ad istruire ed educare le masse operaie, si sono studiate con amore le malattie profossionali dettando i mezzi più opportuni per evitarle o per lo meno attenuarne i tristi effetti, ecc. ma la zolfara é restata sempre la medesima fonte precipua di ogni malanno, al suo risanamento si è pen- sato come cosa secondaria perchè la sua insalubrità era poco conosciuta. Certo che col miglioramente della classe operaia un passo si è fatto, ma. non è tutto, molto altro ancora resta da compiere, e sarei ben lusingato, se il mio modesto lavoro aprisse la via a studii accurati non disgiunti da pratica Il mio studio riguarda il bacino zolfifero di Lercara. Questo, come è descritto dall’ing. Pucci, è costituito da quattro giacimenti disposti a conca e pendenti tutti verso un centro co- mune. Tali giacimenti sono collocati su quattro poggi non molto distanti tra di loro, denomi- nati: Colle Croce, Colle Friddi Colle Madore e Colle Serio. La linea ipotetica che circoserive tutti i bacini congiungendo i contorni estremi dei vari giacimenti, ha una forma rassomigliante ad una ellissi allungata di cui l’asse maggiore (Colle Friddi-Colle Serio misura circa 2050 m. e l’asse minore (Colle Croce-Colle Madore) misura circa 1300 m. Nel disegno planimetrico, le linee di sezione NO, PA, RS, AB, TV, EF, GF, XW tagliano lo strato del Colle Croce Ma- dore e Serio, nel senso della loro pendenza; queste linee convergono tutte verso un centro: situato nel settore limitato a nord dalla trazzera Palagonia, ad est dallo stradale che con- giunge lo stradale provinciale col quadrivio di tale trazzera. Lo strato del Colle Friddi che ha una forma lenticolore definita, è distante nel senso della maggiore lunghezza della linea CO che fa un angolo di 18° 4 col meridiano astronomico e dalle linee HI, KJ, ML, normali alla CO. Esaminando queste sezioni si osserva che esse non hanno relazione con la linea di massimo pendio del terreno di Colle Freddi; ma che invece la pendenza yera di questo gia STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 3 cimento è a sud. cioè anche convergente al centro verso cui concorrono le altre tre stratifica- zioni sopra menzionate. Ogni giacimento ha un regime proprio di acqua indipendente da quello degli altri perchè ì terreni costituenti le faglie che il dividono sono impermeabili. Tutto il materiale zolfifero del bacino di Lercara ha per tetto nn calcare compatto eccezione fatta per il Colle Friddi in cui questo calcare è tenero o quasi farinoso nella parte aderente al minerale, mentre diventa: compatto verso la faccia opposta. Il letto del bacino è costituito sempre da gesso cristallino compatto, il quale affiora nel Colle Madore dove raggiunge una grandissima potenza. In questo gesso sono praticate diverse cave che forniscono al paese tutto il materiale occorrente per le malte da costruzione. Giacimento zolfifero di Lercara secondo l’ing. Pucci Le mie ricerche furono fatte in diverse miniere in attività sul Colle Croce e sul Colle Madore e propriamente tra le prime scelsi la miniera Scianna, come quella che era in periodo di massima attivita, e Piccola Sartorio; tra le seconde la miniera Rotolo. Non trascurai però ricerche anemometriche anche in altre miniere quali la Romano e la Marinaro sul Colle Croce medesimo.- Colle Croce.—E? il più rieco ed esteso giacimento del bacino, però il minerale non è 4 E. CARAPELLE tutto coltivabile perchè si distribuisce con una certa regolarità presso le regioni del tetto. Il rendimento del minerale varia tra i limiti del 9-7 °.- la media del 13.5 °], pel minerale trat- tato con gli apparecchi di fusione a vapore: e dell’11910 per quello trattato ai forni Gill. Il campo minerario del colle è di mq. 186. 25. Le acque del giacimento si edncano dalla miniera Scianna a mezzo di due pompe mosse dall’euergia elettrica sviluppata da due alternatori azionati da due macchine a gas di 50 cav. vap. ciascuno. Le pompe sono capaci di sollevare ciascuna 10 litri di acqua al minuto secondo, ed attualmente all’altezza di circa 100 metri. Quando si ha bisogno di edurre le acque per ottenere il proscingamento dello strato, al- lora le pompe lavorano insieme tutte le 24 ore educendo circa]jeme. 1700 di acqua ed ottenendo un abbassamento medio giornaliero di eme. 25 circa. Dovendo però tenere le acque a livello allora, o si educe con una sola pompa tutte le 24 ore, oppure si educe 12 ore con le due pompe ottenendo lo stesso effetto cioè cent. 2 circa di ribasso. L’incremento giornaliero di -tutto il bacino è in media di cme. 3, s'intende che è più;d’inverno che d’estate. La portata media delle acque è di litri 8.38 al minuto secondo. Colle Madore.— È il più povero giacimento del bacino di Lercara; il minerale iu aleuni punti è scarsissimo e dà una resa del5-6°],. mentre in altri (presso il livello di acqua acquista una ricchezza molto maggiore, fino al 12 gx; la media quindi può valutarsi al’8,5°p, con i forni Gill con i quali viene trattato tutto il materiale di questo gruppo di zolfare. Il campo mine- rario coltivato del Colle Madore è approssimativamente di 64,400 mq. Im atto le acque si educono cou le benne della capacità di circa litri 800 e per la durata di circa 12 ore. Si sta pensando ora di cambiare il sistema adoperaudo una pompa centrifuga mossa da un motore elettrico. La pompa sarà capace di sollevare un litro di acqua al minuto secondo, e si presuppone che si debba ottenere un ribasso di cm. 30 in media al giorno. È noto l’aforisma del Ramazzini: « Tale l’aria, tale il sangue » compen- diante il senso profondo di uno dei più grandi bisogni fisiologici che investe il problema del lavoro, e sul quale oggi più che mai convergono gli sforzi, degli uomini di Stato: il bisogno cioé che l’aria degli ambienti di lavoro si mantenga pura, e che alle classi operaie sieno fornite adatte e salubri abitazioni a buon mercato ». (Manfredi). Il problema della ventilazione delle miniere constitnisce quindi la prima condizione della loro salubrità. e nelle zolfare esso è alquanto più ‘complicato perchè mentre da una parte abbiamo lavori a piccola profondità (100-120 m.) che non richiedono la ventilazione artificiale d’altra parte l’angustia e la irre- golare disposizione dei sotteranei per effetti del frazionamento della proprietà e della natura dei giacimenti, il numero degli operai, il sistema di illumina- zione adottato, lo sviluppo di gas nocivi, ecc., sono condizioni che rendono insufficiente la ventilazione naturale, quando questa non forma oggetto della massima, precipua cura dell’ingegnere: STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA (DI Coloro che all'igiene delle solfare dedicarono la loro attività, poco o nessun conto tennero delle ricerche anemometriche; effettivamente il constatare l'inquinamento dell'ambiente di lavoro stava a significare che difettava la ventilazione, ma ‘vi soro dune osservazioni da fare in proposito: 1° che l’inquinamento dell’atmosfera era supposto, ma non dimostrato; 2° che la ventilazione giudicata alla stregua della direzione della fiamma relle gallerie di carreggio e nelle discenderie sembra sufficiente. Ora appunto questo è l’errore. perchè spesso l’aria che imbocca le gallerie gira per i corridoi, e ne fuoriesce senza arrivare a penetrare nei cantieri di lavoro dove maggiormente necessita il suo ricambio. Il Giardina, che ha dato al suo lavoro una certa base sperimentale, è l’unico che si ferma sull’argomento della ventilazione facendone rilevare la importanza da un punto di vista teoretico e generale. Se nelle miniere di carbon fossile l'argomento è stato studiato; sia per vincere le grandi profondità, che per diluire il gr7so0z che vi si svolge, nelle zolfare, per la. mancanza di questo gas, non si è affatto tenuto conto del beneficio di un’aria pura e fresca; quasi che l’anidride carbonica, l'elevata temperatura, il contenuto in vapor d’acqua. ecc., non fossero tutte condi- zioni che influissero sulla salute dell’operaio. E del resto anche qui è applicabile ciò che giustamente osserva Haton de la Coupillière per le miniere di carbon fosssile: che i sacrifici fatti per attuare la buona ventilazione sono largamente compensati, dalla resa utile del lavoro. L'ingegnere Gatto ha studiato con competenza la questione della ventilazione dei sottaranei, e dalla sua memoria traggo in riassunto alcune notizie di massima utilità per l’igiene. La circolazione dell’aria nelle zolfare è unicamente prodotta dalla diversa densità della colonna gassosa. misurata dalla bocca più elevata al punto più basso del circuito, La corrente è diretta quando l’aria rarefatta fnoriuscendo della bocca più elevata esercita un richiamo su quella fresca che si introdu- ce della bocca più bassa, in alcuni casi però si hanno le correnti inverse che realizzano il circuito dell’aria proprio nel senso contrario a quello enunciato. L’aria circolando regola il calore degli ambienti assorbendone e conce- dendone a seconda della sua temperatura; quando la velocità di corrente è minima, si verifica nettamente il fenomeno di convessione, per cuni le moleco- le calde si riuniscono alle parte superiore e quelle fredde alla infe- riore. La corrente nel sotterraneo si origina per il calore che in esso si svi- luppa dalla vita umuna, dalle lampade, dai fenomeni di ossidazione del ma- teriale di sostegno (legno) e dal minerale stesso, specie nei piani abbandonati ove i materiali di riempimento sono carichi di sostanze organiche, quando ciò non si verifica, la circolazione dell’aria non ha luogo, e se la buca di riflusso è più alta di quella di afflusso può aversi il fenomeno della inversione della corrente. La velocità della corrente è proporzionale alla radice quadrata della profon- dità, ed a quella della differenza ditemperaturadelle dne colonne, ed inversamente b E. CARAPELLE proporzionale alla radice quadrata delle resistenze passive; per cui se le resi- stenze sono proporzionali alle profondità l’efficacia della corrente è semplice- - mente proporzionale alla differenza di temperatura tra l’aria ambiente e quella che si introduce. Tale dislivello è maggiore in inverno che in estate, per cni le correnti sono più efficaci nell'inverno anzicchè nell’estate, e tanto più inten- se quanto più la sorgente di calore si trova al fondo del canale di afflusso, vale a dire quanto più l’aria giunge fredda al fondo del sotterraneo, ciò che si ottiene diminuendo le resistenze, cioè ingrandendo i percorsi (compresi quel- li di afflusso, i quali siccome non servono al transito delle persone sono qua- si sempre trascurati) evitando i gomiti, ecc. Questa sistemazione, per cui l’aria giunge direttamente ai cantieri di lavoro più bassi, dicesi circolazione ascen- sionale. Il dislivello fra le bocche di afflusso e di uscita dell’aria non ha influenza alenna quando l’aria giunge nel sottorraneo alla stessa temperatura esterna, se l’aria uscente dal sottoraneo è più calda di quella esterna, si ha vantaggio ad elevare la bocca di riflusso sempre che le nnove resistenze create siano pic- cole; se invece essa è più fredda val meglio abbassare la boccadi uscita pos- . sibilmente anche al disotto di quella di entrata. Ma la efficace circolazione del- l’aria è dipendente anche dalla direzione del vento e dalla orientazione dalla bocca. L'influenza del vento è positiva quando esercitando una pressione perpendi- colarmente alla bocca di entrata, o favorendo l’aspirazione da quella di uscita determina la corrente sottorranea, in questi casi l’azione complessiva del ven- to 6 data dalla somma algebrica delle azioni sulle dne bocche e la corrente è energica ed in ragion diretta alla velocità del vento, in: ragione inversa alla radice quadrata delle resistenze. L'influenza del vento è negativa quando si esercita nel senso inverso a quello sopra detto ed in questi casi la corrente diventa proporzionatamente meno energica. Quando le due bocche sono ugnalmente esposte ed orientate, la corrente è insensibile al vento, lo stesso dicasi se la bocca è orinzontale, in quest’ulti- mo caso però si favorisce l’azione del vento con l’applicazione di opportune mitre ventilatrici. Uno dei fenomeni più gravi da prendersi in considerazione trattando della ventilazione delle zolfare è la possibile inversiore della corrente, per cui si possono avere gravi accidenti. La causa più frequente di inversione è in generale ogni repentino riscal- damento della colonna montante. Così agiscono gli incendi i quali determinan- STUDIO 1GIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 7 do la inversione subitanea della corrente, fanno sì che gli operai i quali cer- cano da quel lato la via di scampo, sono investiti dall’anidride solforosa. Le chiusure temperanee, l’aggiunziove o sottrazione di corrente,l'influenza negativa del vento, sono tutte cause di inversione, la cui possibilità quindi è in ragione diretta della radice quadrata della profondità e di quelle della dif- ferenza di temperatura fra le due colonne. L’apertnra di nuove foci, le comunicazioni interze, sia tra due punti di una stessa miniera, che tra due miniere differenti, sono tntte condizioni che accrescono l'incertezza della ventilazione. Le mie ricerche sono state praticate con l’anemometro del Fuess (a palette di mica) e dai risultati ottenuti si scorge subito come la quantità di aria introdotta, in generale, dopo pochi metri di percorso, incomincia ad incontrare già resistenze tali per cui spesso la sua velocità si affievola dì molto. Seguendo l'andamento della corrente sugli annessi piani delle miniere si scorge che la ventilazione dei cantieri è fatta unicamente per diffusione uti- lizzando il fenomeno di convessione, ciò che non attivando una corrente nean- che superiore al !/, metro a minuto primo (minimo segnato dall’anemo- metro) non falicita il prosciugamento dell’ambiente, per cui oltre all’eleyazione di temperatura si ha anche una umidità permanente molto incomoda. Rallen- tandosi gli scambi, tra discenderie, corridoi e cantieri di lavoro, la corrente sfugge per i riflussi che rappresentano i punti di maggiore richiamo, fallendo così lo scopo del risanamento dell’ambiente. Nella miniera Scianna e nella Romano la presenza di zone incendiate facilita l’energia della corrente, ma più nella Ro.nana che nella Scianna. Infat- ti in quest’ultima alla divisione della corrente al bivio tra le discenderie ai cantieri ed il corridoio che porta alle sorgive, da una parte le resistenze sono calcolate in modo che la massima parte della corrente imbocca le vie dei can- tieri; dall’altra parte, essendo la zona incendiata molto estesa, l’aria rarefatta cerca quasi di invertire la corrente per cui l’introduzione dell’aria fresca, in un primo tratto viene ostacolata (condiziene questa che cesserà subito che sarà aperta la scala n. 2 in costruzione), gira i cantieri 15 e 16, edin un se- condo tratto unita all’aria rarefatta imbocca la via che porta al riflusso n. 3, quivi le resistenze che incontra sono sempre minori e l’aspirazione potente che si produce serve al richiamo dell’aria dei cantieri di lavoro. Così si spie- ga come nel primo tratto che va alle sorgive non si verifica l’inversione della corrente, come si compie la circolazione nei cantieri di lavoro, e come il vo- lume di aria evacuato dal riflusso n. 3 rappresenta quasi la somma di quella ke) E. CARAPELLE che imbocca le discenderie o le vie delle sorgive, e dico quasi, in quanto if cantiere delle pompe è munito per conto suo di un altro riflusso (n°. 1). La corrispondenza dei valori esprimenti il volume dell’aria immessa ed emessa stauno ad indicarci che l’anemometro funzionava bene, che le condi- zioni sperimentali dipendenti dalla tecnica furono sempre ottemperate, e che quindi i dati ottennti mi autorizzano alle deduzioni sopra accennate. Nella miniera Romano abbiamo un richìamo di aria più energico perchè ap- puuto le zone incendiate fanno da fornello attivante il riflusso e l’aria compie un vero e proprio circolo. Se però lateralmente a questo circrito si dovessero prolungare dei cantieri di lavoro molto avanzati sia nel senso orizzontale che in quello dela profondità, difficile sarebbe la diffusione per .convessione di corrente, essendo la massima parte dell’aria distratta dalla corrente principale come verificasi appunto nella miniera Piccola Sartorio e Rotolo, dove, mentre nei cautieri di lavoro si ha una penosissima ventilazione (some ci si può accer- tare dando uno sguardo alle condizioni di inquinamento dell’aria di queste lo- calità), nei corridoi invece, come si desume dai dati anemometrici, vi é cerrente sufficientemente energica; analizzando gli annessi tracciati ci si rende subito ragione di questo fatto. La quantità di aria che necessita ad ogni operaio non si trova registrata da nessuno, l’ing. Gatto semplicemente aserive ad ' ogni operaio con la sua lampada litri 8 a minuto secondo, se però si tiene conto che l’ambiente può essere viziato da altri gas (SO,,H,S), che la temperatura e l’umidità alcune volte raggiungono valori troppo elevati, che spesso ciascun operaio ha più di una lampada, si può desiderare che questa quantità di aria sia raddoppiata ed anche triplicata. pu ; STUDIO IGIENICO SULLE ZOLPFARE DI LERCARA v i x ì ' < ; O CARAPELLE E. *Turuomiimods 1IOTIO pe ojuomequopirao emmaop 9° ‘our Ip ezuologIp uun uoo 9*F.g 8 ped g TCLe:eze ‘om 11On} onosnoA OI e ‘tI =8\TP/91696 UTD e vaoruTuI u]jou IPummb onoppemu IS 19 8°84 "6*TG 'VIDONI 97 VALI 0E'668 GE'9I LG 919 UIL 96 9'C0T 9 F'69 FIL T'9I 8/91 #19 va T'GEI P'8E 9'981 P'98 T'6L 96 TOI SIIT ‘8310d e] L'961 8'26 greca Ossugil ep opuede u3sonì) G'S61 8'G6I 6093 PSI EULEG 8°89 9°698 869 de 1IJOM DI TU 1U012DAL9SSO 7)0po31z ur | 0pmoA ]Jop ele Ip vIpem coquo WITOOTOA e'87 vee 9°8T vIngeiod -mog, ‘bm np euUuvoI [ep emoIZOg ozzod Jap esuq L40649 @[e3mozziIo Veni] NI eZuwIsig ozzod ]Jep 0010]S9 OIZIEIIO,I1UP WITPUOJOIT OUIPIO;P "N e dmrod OIIOP 9189 OT + + * *estq u][a ) Jop | “nu ossugia * *WI@IMIUT 9] 83}0} Ip g ‘I OSSO *uJu[puoeo ut enoz e][op vmmrad 811025) _uuI0gse v710d ere ) +. * 7 @AISIOS O][u VA 079 ELIO][eo) ESORDI 59) E e reopueostpue ) U]Uos e[[lep osvq ES PI vi ) E “u[topuoosIp F ) ACE #]10p 001dy ‘PI osud ) IRE] -Uv9 Te essosI(I W[eos Top Wyiumwos ) * *@AISIOS 7/2 VA 69 (2ITW @JuU9II09 2[OP QUOISIA “Ip e[[]op #mipud o vTeos vI[op Iperd Ty TA DI "PI OUIULIO] * *019Se1Ig0 Ip BrIa[[eS3 e[]op 013 u0g9 pda “PI "PI odo * JM e]tos e[[ep 009008 O][9p WMIIIT * 019991IMO IP BITTE) ozzod ]ep osug *BIIB|OS BIO[DIW 22049 91109 DIA]IUOUIUT STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCALA 11 Colle Croce — Miniera Scianna Zone incendiate Gallerie del piano superiore __— Cantieri e gallerie del piano inferiore 1, 2, 3, ece. determinazioni anemometriche I, II, III, ece., determinazioni igieniche O) CARAPELLE E. 926 SI ce GET ce (19% 6 TE 9 ted FI EI POLI 8 9iG 95G 61 T OI P'601 Li ‘tig uomo ds TIOTII pu Uma0p co Ga IP eZuoI10J -JIp gun VISITI ‘otra “on 00 -00SOnTOny Om ‘201 8G*)E=0E 0 96 89I 7810 GOT FELL 9 —g0')9 ‘om ouemouod ou Ip -umb 0/10)128 810901d VION 88126 GEE FI P8'0 GEL PIGII g ‘Om 0g vIpom nr esomogpi ond 1% #01 F'61 Dro 9 007 PSIT 7 ‘omMvso NI Q10ININI 0] UV Uan 049 VIIY Ip ujon0) 8G'09 so 6-1 0G FSII e ‘O 10IMIUI GESTI 9'69 a LIT SI SII 6 213] pe ogome oAI6s ogund 03sanb vp ugropo1zni VIa, 9a SI GIG ® PSII ] DI mn | ; Sa SS Z Pi 0) 11} Om NT,] V di din Gr : VIUZVIO Ù si 1U0O1RVALISSO U}}Opo13uI | 0} TOA [op 3 ozzod ep oseq |ozzod 19p DI Lira uuvo [ep d n ; a Ip 019350 fi UTIB! TP CHEcu: - MO] emorzog |2IMITOZZIIO VONTI np OFzzpio up) E° oquo) VITDOTOA LESS UZuVISIC RITPUOJOTT < D1:17IULOUIUF * to * * * OSSUIlIai [op osvug ‘OTAIQ Ir 0dog * * * * * OTAIQ [Op UIIIIT OLIO} IVS U[oooId (9 01930119 Tp vnIe[[U9 euro] OJSFO1IÙO Tp UrIO][UO) ‘015901109 Ip tv rIe]]ud 017 uof *OIC IAU VIOIUIN (2. ‘OTATO [9p WMILIKT ** * 013011 v9 Ip O[OprIt0)) * ozzod [op ost ‘0150}J8S ejlap oddnan 92049 91109 STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 13 Colle Croce — Gruppo delle Sartorio Posso CARAPELLE E. 4i [998 U[[Op om.10950 T°86 07 96 L8°I OIZIUI,ITEP 066 901 L }]uos eI[op omIegso T'0% 1A 08 78°0 OIZIUL,IIB8P_ 003 L0K 9 8'6L 8°GL 149 T 00T 10T g 79 g'La (tr 16"0 (174 901 F *Tqumemtiods rIOTIO pe gnaop ‘om p'a Ip Qroaod Gl'L c6 86 780 1G GOT ta uzuologgip um uo (')06=8 *a1XJSE ‘on omooseniony em IT 6% 291 {4 BI 08 66 td e ‘on =UIR Ip om T'0% 4926 Ipumb 0uopgponme IS 968 8°08 8I 80° ozzod [op esvg 66 T “ne *m n du [promug® al mu Sis i 3 vIm]uao 1U012DALISSO 63}OPOs}ur | OZUOA TOp eJunvo 1ep ozzod op oseq | ozzod 1op S TA UIIep om19750 [sf SIUIELE SIETE SUGHI ouorzeg |®TeXnOZZKTO wont] ut oIzgpioIep| E oqug RIOOTOA. È ezuw)SIC. vpuojorgi © (vietnam @[fop 0 ei =W0S 8][9p è Ie) 7% *U erIg.J]op ossugIua * * ] "WU ][e0S U[[Up vaue oo e IIy *o* ** * * I OSSOTpi [op v}10q * * To] ugo Te epiod ego YrIe][ur) * * @ATSIOS @[[t 0859008 IP e} 1i0q A FOOL ‘eos v[[9p era *o*tott o. * 0I9So11u0 Ip uLIol[eo) OUEMIOY BJ91U[W 29049 91100 STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA fa (3,1 Colle Croce — Miniera Romano 1 d 4 DS 2 ì E; RI S 3 Ss CARAPELLE E. 16 PI 7 Ltd GLI TG 66 L * TIOIRMU9O IM 0JOMINIE OTO BpIo][#r) ‘o0/z111]}s00 IT emoo a)eudos 180poA oro epusgs TLa 826 ted #60 06 6 9 e è d D O O * OSSUIIU el equniduioo vavs opuenb opuomnoguo ppae W19301]:d MT ‘II 'U [00 03unFos “I 0199 -0% 0.013 MO |Pp emorzesov Ta 8 6I to to4 t'88 g è 2 = o * OTAJQ [op odo(g TP OOI[OJUr 0no}z/puoo erT *Teguompiods TIOT10 pu ejnaop G*] ‘OM Ip *(OTATO [op em vzuol0ggIp tun moo "om G'Te L'9I gue Ni se er C'88 F -11d) vs Fermo | 7 =p'pxX1'.z ‘om omoppewe en È TId) V.1STITS TP 019S01IMO TP_UpIOT]U!) 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Esso può considerarsi da un duplice punto di vista, cioè: 1° come inquinamento dovuto in massima parte alla natura del minerale che si lavora ed al lavoro stesso che si ese- gne (umidità, anidride solforosa, idrogeno solforato, pulviscolo ecc.); 2° come inquinamento intimamente collegato alla vita che si svolge in tali ambienti (anidride carbonica, temperatura. sostanze organiche, microrganismi, ecc.). Tutti questi fattori che per comodità di studio esaminerò seperatamente, si connettono poi tanto intimamente tra di loro da aversi infine un risultato ben differente che se agissero singolarmente, e così l'umidità da un canto ten- de a far diminuire il numero dei batteri e la quantità di pulviscolo e dall’al tro canto sciogliendo in parte l’anidride solforosa elimina una certa quantità di questo gaz dall’ambiente; l'idrogeno solforato reagendo sull’anidride solfo- rosa in presenza di vapore d’acqua trova il miglior modo per eliminarsi; la temperatura che alcune volte è intimamente, anzi, esclusivamente legata alle coudizioni locali (zone incendiate) unitamente all’umidità prodnce la condi- zione più disagevole che si possa immaginare per i lavoranti, e così via. Quindi il giudizio sulla salubrità di una zolfara non può scaturire che dall'esame complesso di tntte queste condizioni, intendendosi bene che mutando una sola di essi mutano tutte le altre di pari passo. La tecnica segunìta è quella di solito in uso nei laboratori ; la ricerca progredì sempre parallelamente sia sull’aria esterna, che su quella interna. La profondità fu sempre valutata dall’orifizio esterno del pozzo, la temperatura venne letta su termometro centigrado, e la pressione su aneroide già controllato con barometro a pozzetto. L'umidita fu valutata col psicrometro di Augnst-Belli. La eubatura fu calcolata approssimativamente misurando sempre dal fondo cieco dall’avan- zamento al limite con la via di disimpegno dei cantieri. L'anidride carbonica fu dosata col metodo Pettenkofer, l'anidride solforosa col metodo seguito da Ascher nell’analisi dell’aria di i : Manchester. L’idrogeno solforato fu dosato con soluzione iodio: l’ammoniaca fu ricercata col reattivo di Nessler, l’acido nitrico con la difenilammina, le sostanze organiche furono determinate col metodo Kubel-Tiemann, i microrganismi col filtro Miquel avendo cura di aspirare in media 20-25 litri di aria ogni volta. ; Però è bene fare alcune osservazioni: Per il dosaggio dell’anidride solforosa fu fatto gorcogliare lentamente attraverso l’acqua ossigenata un volume di aria mai inferiore a 50 litri; mentre l’ammoniaca, l’acido nitrico e nitroso, le sostanze organiche furono riscontrate in 2cqua distillata in cui furono fatte gorgogliare un volume di aria mai inferiore di 100 litri, il volume dell’aria venne aspirato lentamente a mezzo di pompa mossa a mano, e misu- ato a mezzo di contatore di precisione. Particolare cura veniva messa nella livellazione del lie tate . STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 19 piano su cui poggiava il contatore; stante che la differenza nel titolo dell’acqua ossigenata poteva essere data sia dell'anidride solforosa, che dall’idrogeno solforato, si ebbe cura di cercare questo acido ogni volta con il nitroprussiato sodico nell'acqua distillata che serviva anche alle ulteriori ricerche (NH,HNO;HNO,, ecc.) di modo che ogni qualvolta il nitroprus- siato sodico in soluzione alcalina non svelava la presenza dell’acido solfidrico, la differenza. nel titolo dell’acqua ossigenata era addebbitato ad anidride solforosa. Nelle ricerche del Sanfelice e Malato-Calvino, Haton de la Coupilliore Leblane, Smitt, Mayle, Hausmann, Demeure, ecc., si è tenuto sempre conto della quantità di ossigeno come indice della salubrità dell'ambiente, di questo criterio non mi sono servito, e per diverse ragioni. Imuanzi tutto perchè il traspo-to di gas dalla -utiniera al laboratorio non affida per ciò che concerne possibili inquinamenti con l’aria esterna per cui si avrebbero valoti inferiori al vero, e l’analisi gassometrica riesce quasi impossibile nelle località zolfifere ove difetta perfino l’acqua potabile; infine perchè la mescolanza dell’aria delle zolfare con gas venefici che non sieno l’anidride carbonica è varissima: in secondo luogo perchè l'anidride carbonica vien fornita tutta a carico dell’ossigeno, quindi conosciuto questo dato, e saputa la quantita di. S02 0 H,S si può presumere con approssimazione la quantità di ossigeno in un metro cubo di aria; Per la stessa ragione le determinazioni ponderali furono eseguite al laboratorio in Palermo avendo cura di raccogliere le sostanze da analizzare in bottiglie pulite a tappo smerigliato giorno stesso in cui era fissata la partenza. Per i microrganismi fuseguìto: per gli aerobi il metodo delle lastre isolanti, per gli anaerobi il metodo Vincent. Tubi per anaerobi e scatole di Petri venivano allestite volta per volta e mantenuti all'oscuro in ambienti a 10-12° ©, infine portati al laboratorio furono tenuti ancora a 37° C per 7-8 giorni dopo di che si procedette alla conta ed identificazione delle colonie. Speciale cura fu messa uell’esame delle acque delle miniere sia per sapere quali caratteri presenta quest’acqua che vien continuamente in contatto con i picconieri ed i carusi, e quali condizioni offre essa alla vita dell’anchilostoma; sia per dosare il contenuto in idrogeno sol- forato delle acque in cui si è costretti a lavorare per progredire continuamente in profondità. L'analisi di queste acque non presenta nulla di particolare, essa fu eseguita con i metodi conoscinti per cui mi esimo dall’esporli; dico solo che l’idrogeno solforato era in tale quan- ì N tità che fui costretto usare una soluzione d’iodio _anzicchè una-— 10 100 Nelle seguenti tabelle espongo i risultati ottenuti : 20) E. CARAPELLE Esterno s Umidi Da pesi N Imidità GS Umidità | Numero so, 29 fn degli ni 2 © a S.S operai Sl, LOCALITÀ |#S| |, 5) 1a Sia 3 SARE No ss £ | £ Sal E a |E Fee meo SilL 9 (A i 3 = OR (3 ma ra & (2) n GERE 2 | E 1a a | S| a |ES|E = © a] D7) © pali) © pai n ® Bei ei Da E M < [aal QSsS| E fu < f|LÒO Colle Croce Cantiere: Pozzo Speranza a 668m, sul li-| 1 10 994 6.59] 72 | Salerno Ben. 112] 25.8 | 704 | 20,59| s4 | 3 | 10 vello delmare (miniera scian- mo) 2 410 | 694 | 6.59 72 | Rotolo 112) 26 | 704 | 2095|s1| 2| 4 3 8 742 7.12) 89 | Licata 112) 26.5 | 720 20,84) S1 Del 4 8 712 7.12 89 | Ferlisi 112) 25 720 22,75] 97 1 2 5 8 712 7.12| 89 | Prestigiacomo 152| 27 720 21,51] 81 2 3 el 8 | 712| 72/89] Scianna 112) 28 | 720 | 22,10 79) 17 3 7 8.5) 710 7.72) 93 | Bordolino 112| 27,2 | 720 24,24 90 2.1.8 8 8.5| 710 7.72| 93 | Ferrara 112) 26,4 | 720 21,49) 84 1 2 9| 85) 710 | 7.721 93 | Salerno Ag. 112) 27,8 | 720 | 2472 s0| 1| 2 10 8.5] 710 7.72| 98 | Troina 112) 26,4 | 720 20,42) 67 1 2 11 | 12| 708 | 9.19 gs | Scianna Sil. 112) 29,6| 713 | 23,18 75| 2) 4 12 12 703 9.19| 88 | Lucania 112) 29,8 | 713 | 23,48 75| 1| 2 13 12 | 703 9.19] 88 | Lo Strano 112) 29.9 | 713 | 24,45 72) 3| 4 14 12 703 919) 88| Vugica 115| 28,4 | 713 23,50| 82 3 1 15 8.5] 702 7.95| 96 | Siracusa Ste. 102) 47,6 | 712 | 37,85] 45) 3| 6 16 8.5| 702 7.95| 96 | Siracusa Fran. 102) 50,8 | 712 | 39,24 40| 3| 6 Pozzo Elisetta a 700 m, sul li-|17 8 697 7,45\ 93 | Mavaro I 135] 25,4 | 708 | 23,30 97 | 4| £ vello del mare (miniera Pic- cola Sartorio) 18 8 697 7,45| 93 | Mavaro IT 135] 24,6 | 709 21,43| 98 2 3 19 8 697 7,45| 93 | Buongiovanni 121] 26,6 | 709 |-2337/90| 2| 1 ; 5| 70° : 61) 15,21 : CORIO 20 8,5| 702 6,50| 79 | Rotolo Gasp 93) 19,6 | 711 | 15,21 89 2) 2 Pozzo Rotolo a 710 n° sul li-|21 8.5) 702 6,50| 79 | Scasciato Gasp. 93) 23 7ii |_19.41} 93 | 2] 1 vello del maro (miniera Ro- tolo) 22 8.5] 702 6,50) 79 | Rotolo Frane. 93] 33,2 | 711 33,66| 89 | 2 2 STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 21 Interno CI - G 8 RO z SD s ò Tarogeno = 22 5) Microrganismi = Si Li R solforato = E° a| z 8 = Gi per me. Sa per me. inca ng i > 2 à ® n Osservazioni Bi Si à DS) SER 3 si È SA © O=S| =. & E Di Es s OSTRA na 5 È D_ DIS i bei Qu ia) E LOI EEE = È s s SESIA 2 Si Resta RS ee o eee 2 Esa z ess a (2° a |a CE o e, Ore dilavoro dalle 5 alle 14. Nella miniera Scianna che è la più at- È î e tiva lavorano giornalmente circa 2| 48 3,6 | 0,43 | 150,2 tracce | 0,012 2,771 2 | «150 individui: 40 picconieri, 80 carusi, 2) diservizio, 7in galleria. 4 (135 3,8. |0,35 | 122,5 » 0,044 5,000 3 | 1° e 2° cantieri umidi. | n 3 |234 4,3 | 1,5 524,2 » 0.076 | 15,636 5 | Cantiere asciutto 1| 57,6 4,1 1,6 559,2 » 0,055 | 99,000 3 Id. 2632 1,06 | 370,4 5 0,020 | 93,333 2 Id. 1 | 23,8 4 0,73 259,7 » 0,033 3,333 1 Cantiere umido. 9 |(55 4,9 1,1 384,4 [ - 0,044 6,200 Id. 1| 33,6 3,5. | 0,22 76,89 » 0.048 8,500 5 | Cantiere asciutto. 1 |110,7 3,3 | 1,9 664,6 » 0,042 6,000 3 Id. 1 126 0,S4 293.5 n 0.0414|. 3,157 Cantiere asciutto (vi era stata spa- ua È di 5 ) rata una mina di 80-100 srammi di polvere pirica poco prima delle determinazioni). 1| 62,7 4,6 | 0,40 | 139,8 » 0,062: 16,666 6 | Cantiere asciutto. 1.| 27 1,2 | 0,43 | 150.2 5 0,036 | 27,272 3, Id. il | = 1|34 4,4 | 0,48 | 167,7 ° 0,033 | 63,500 2 TA. 2] 11,8 4,2 01 | 1.123 D 0,061 1,705 Ambiente (scasci4to) ricco di ES È 5 con uno strato d’acqua alto circa 30 centimetri. 2 | 15,5 4,8 1,2 419,3 0,052 Sorgive, queste determinazioni fu- 3| 8 4,9 1,83 643,1 0.018 rono espletate a lavori sospesi, lo zolfo quindi non colava, ma re- stava coperto da una crosta alta È. parecchi centimetri. 8| 17,3 95 | 0,8 279,6 tracco | 0,041 | 17,500 10 4| 25,4 | 118 0,32. | 111,8 » 0,062 6,000 7 2 | 15,6 8,1 | 0,9 314,5 » 0,033 | 30,000 12 1| 73 48: 0,32 | 111,8 0,025 8,000 5 | Cantiere umido. s 1 | 16.2 2,8 0,051| 567 0,016 | 13,758 7 | Im ganerale nei cantiere umidi il pulviscolo manca, in quelli asciut- 1009 5,9 0,033 20,000 10 ti, in media di parecchie espe- rienze se ne raccoglie 0,0803 per 24 ore su di unasuperficie di mq. 0,04521. I microrganismi sono costituiti da ifomiceti in massima parte, da protei e sarcine, non furono mai riscontrate specie patogene. CARAPELLE E. » 88% GG | 8920%0 | 66% 98° o | 79 78 68° 86%0 D eg ‘a | #80 | 86% 914 e | Si oz | 88° £0°0 VuIogso[t]o ue Ip oaon orojunb 09T8I UT ONU Tp WIZUOOsSLI ISSTA Iprmmn 11019 MV TOp VIFIMSNUJ e TTON | 00084 20% DO SOT 8F44 91 | S0T| FeL| 68 | sro i D; Ga ae o sad N RIC 2 ee e a ez E SU E 2 |ESsslE(gs|E E ni Ei [ESCE è [SEE È n de > |c83| # 5 O Ò 2 3 SRO toni E 1a n 1UOIEVALISSO È o SIG » E 3 E 8 E) O o Fio = w T 00/, 0pRIOHOS ii 2 IS00MWIY Ss = on9S0IPI È E Ipuad ur ezzommngq £ s 901 9810 | 86050 GLOÒT (riali 1971 9ELT PI {H009) %/, *OS'H o È tp us np vana OUOIZEOU HOMIP®}U10}13 OmOIZn]os Tod 0 Y -USOP OIFONTOS VITP{9U,1 (FOS.IMOP OUOIZEPISSO U][Ep opuWI[uspIi 0011 -OF1OS Oprot IP INIATAMIE OJ[oz Ip TI[®}S]19 1[009Id #p v}ImIIzs809 01 -M0S0 OpIoA 10[00 UZUY)SOS) [ITTIA (01030% MIOTUTM) 0MIOSYOR o]]op unboy (mumeiog WIOMIM) 0purosmog oxjop unbovy (cuneiog vota IM) ‘Tg OmIO[US 01017 ud [op enboy *2.101U1] a]1op anbon afjop 1811vuy STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 23 Nelle zolfare è assai importante il regime delle acque perchè ha la mag- giore influenza sull’andamento dei lavori e sulla sicurezza e salubrità della miniera. È raro il caso di trovare delle zolfare asciutte tanto più perchè con l’approfondimento dei lavori, rompendo gli strati impermeabili, si è resa più facile la filtrazione delle acque meteoriche cadenti sul bacino. Le infiltrazio- ni quindi segnono il regime delle pioggie, aumentando d’inverno e diminnen- do d’estate. Raramente esse dànno luogo a delle vere polle e spesso costitui- scono dei stillicidi e trapelamenti più o meno estesi e molesti, ciò che dà luogo a fango, e favorisce la formazione di acquitrini, specie nelle gallerie di passaggio. La composizione chimica delle acque varia da miniera a miniera; soven- te esse sono inolto acide, ricche di sali minerali tra cui alcune volte prepon- dera il cloruro sodico. Nell’acqua da me esaminata manca acido solfidrico e credo che questa sia la condizione di tutte le acque trapelanti le quali at- traversando l’ambiente di lavoro si caricano di anidride solforosa, per cui se contenevano tracce di idrogeno solforato, questo viene decomposto, dando luo- go a precipitazione di zolfo, nè si può giudicare se questa reazione effettiva- mente avviene perchè anche presa l’acqua al punto di origine essa è sempre torbida per sostanze minerali tenute in sospensione tra cui lo zolfo è la prin- cipale. La reazione da me supposta potrebbe benissimo occorrere dal momento in cui l’acqua trapela affiorando alla superficie della roccia e quello in cui si forma in goccia che poi cade. Nè però è priva di fondamento l’ipotesi che questa acqua stillante possa essere quasi priva di idrogeno solforato quando si pensa che essa proviene dalle acque meteoriche che hanno attraversato uno strato sfruttato quasi privo di zolfo, mentre è più facile supporre che si sieno caricate di anidride solforosa sia nell’attraversare l’aria esterna intorno alle zolfare, sia per essere passate in prossimità di zone incediate. Del resto nelle zolfare di aatica data, specie nelle vecchie gallerie, spesso scolano delle poltiglie molto acide capaci di provocare delle dermatiti dolorose e che i minatori chiamano p:0777. Il pitirri si riscontra anche nei condotti di riflusso là dove si ha la evacuazione di nu'aria calda a circa 30°C, quasi sa- tura di vapore d’acqua e di anidride solforosa (che si sviluppa dai cantieri incendiati); in queste condizioni il pitirri tappezza le murate sotta forma di soffice efflorescenza verde-oscura. L’eccessiva acidità dì questa sostanza corrispondente a gr. 10.6 di acido solfoirco per 100 di pitirri non dovut ao allaossidazione dell’acidsolforico 24 E. CARAPELLE e dei polisolfuri di ferro e di allume e di calcio come dice il Giardina, per- chè l’idrogeno solforato in questi ambienti non si riscontra, ma piuttosto è da ascriversi alla ossidazione dell’anidride solforosa in acido solforico in presen- za delle adatte condizioni di temperatura ed umidità. Analizzando il pilrri infatti potetti accertarmi che il solfuro di carbonico estraeva lo zolfo senza assumere reazione acida, il residuo trattato con acqua forniva invece un liquido acido, la cui acidità era dovuta in massima parte ad acido solforico (saggio col Ball, in presenza di HCI). Le acque invece delle falde profonde, o quelle meteoriche che attraver- sando il giacimento zolfifero vengono edotte al fondo della miniera, sono ric- che di idrogeno solforato la cui quantità varia a secondo della estensione del giacimento, costituiscono sempre una grave condizione di insalubrità, perchè il gas tende a diffondersi nell'ambiente. Tali condizioni si hanno esclusiva- mente in quei cantieri di lavoro che diconsi scasczali. Comunque sia, l’acqua che percola nelle zolfare considerata unitamente alla temperatura, la quale in certi ambienti arriva perfino ai 10°C e più, co- stituisce una delle cause di insalubrità le più gravi. L’elevata temperatnra, che in media è di 23°-530°, favorisce la evaporazione è l’umidità degli ambienti si avvicina quasi sempre al massimo di saturazione, di modo che l'operaio lavo- rando in queste condizioni non trova il beneficio della pronta dispersione di quel calore in soprappiù che si produce nell’organismo. Secondo Wolpert l’u- midità con nna temperatura di 18°-20°C non dovrebbe superare il 40°/, con temperatura superiore l'umidità deve essere inferiore al 10°/,. Nussbaum, come valori massimi, concede il 60°/, di umidità relativa ed una temperatura di 138°-20°C, il 50°/, a 21°23°C, e il 40°/, a24° C. Secondo Paul con nna umidità del 50°/, e una temperatara di 26° C., già si avvertono sintomi non dubbi di malessere. Del restoi numerosi esperimenti fatti dalFliigge e dai suoi allievi sull’nomo sano ed ammalato hanno dimostrato che le alterazioni chimiche delle proprietà dell’aria degli ambienti rinchiusi non hanno alcuna azione sulla salute degli abitanti. Sono di -massimo interesse invece la temperatura, l'umidità il movimento dell’aria, il quale ultimo può darci il senso di fresco anche quando l’aria non sia chimicamente pura. Si comprende facilmente come nelle condizioni descritte in ambienti caldo- umidi e privi di ventilazione si debbono riscontrare nei lavoratori tutti i fe- nomeni descritti da Stappf, Bozzolo e Pagliani, Febre, Bera, Fliigge, Heymann, Paul, Ercklentz, ecc.: oppressione, affanno. sudori profusi, elevazione di tem- peratura del corpo, polso debole e frequente, stanchezza muscolare, sete in- STUDIO IGIENICO SULTE ZOLFARE DI LERCARA 25 tensa, senso di malessere generale che obbliga gli operai a riposarsi spesso e recarsi a respirare in ambienti più freschi o meglio ventilanti. Dei gas che possono iuquinare le zolfare, ho ricercato semplicemente l’anidride carbonica, l'idrogeno solforato e l'anidride solforosa. L’ossido di carbonio non si riscontra ordinariamente nelle zolfare, ma se pure vi è contenuto (1), è sempre in tali proporzioni minime da non temerne i danni, il gr7sox è raro ma non mancano esempi iu cui si sono avuti repen- tine e fatali esplosioni di questo gas, nelle miniere. da me esaminate esso però non era contenuto; l'acido nitroso e_nitrico eranvi solo in traccie pro- venienti dallo sparo delle mine di polvere pirica. L'ammoniaca fu pure ritro- vata in tracce in vicinanza dei fondi ciechi funzionanti da latrine. La quantità di anidride carbonica riscoutrata è stata sempre enorme e ya addebitata oltre che alla presenza degli operai, anche a quella delle lam- pade. Riguardo alla presenza dell’;drogezo solforato e dell’anidride solforosa, è bene intendersi, perchè dai più si parla della simultanea presenza dell'uno e dell’altra; ora per la nota reaz'one: 2H,S4S0,=2H,0+43S evidentemente questi dne gas non possono esistere contemporaneamente, e solo vi sarà quello le cui quantità predomineranno. Ed è appunto l’anidride. solfo- rosa quella che sempre predomina, o perchè si svoloe dalle zone incediate, o dalla combustione del pulviscolo di zolfo intorno alle lampade. L’idrogeno solforato in grande quantità si rinviene d’ordinario dove si raccolgono le a- cque che poi si educono. Entrambi questi gas sono funesti, specie quando per l’improvviso aprirsi di crepacci si hanno scoppi di idrogeno solforato o soffi micidiali di anidride solforosa. Oltre che in questi casi nei quali gli infortuni sono inevitabili, la presenza di piccole quantità di questi veleni non è indifferente per l’orga- nismo per cui si nota sempre una specie di avvelenamento cronico caratte- ristico specialmente per l'idrogeno solforato e che si osserva in quasi tutti gli operai addetti agli scasciali o alla eduzione delle acque a mezzo di pompe a mano. Laddove nelle miniere da me esaminate le quantità di ar/dride solforosa sono state sempre tanto danon provocare neanche il solleticodella gola, le quan- (1) Giardina riferisce di avere rintracciato l’ossido di carbonio una sola volta ed in vici- nanza di un fornello. Ù 26 E. CARAPELLE tità di idrogeno solforato invece, quando questo gas era presente, raggiunge- vano sempre nun valore molto elevato e tale da non permettere il soggiorno per oltre 10 minuti, dopo di che l’operaio era costretto lasciare il lavoro e riposarsi finchè non sentiva svaniti i sintomi dell’intossicazione incipiente: dolore lombare, cefalea e sopratutto senso di bruciore agli occhi. L'inquinamento batterico di un ambiente così poco uniforme nelle sue con- dizioni fisiche e chimiche deve essere anche esso vario, mancano per esempio le specie microbiche dove la temperatura sale a 40°-50°C e l’atmosfera è pregna di anidride solforosa, scarseggiano negli ambienti con idrogeno solfo- rato nei cantieri molto umidi, aumentano in vicinanza dei corridoi che fun- gono da latrine, e nei cantieri asciutti. Iu generale la flora batterica delle miniere è scarsa, e di accordo con le ricerche del Sanfelice, Giardina e Roger si può dire che l’aria penetrando nelle miniere subisce da questo punto di vista una specis di epurazione. Le specie riscontrate sono gli ifomeceti, le sarcine, i protei, i cocchi banali: non mi fu dato di riscontrare mai le forme patogene, quantungne Giardina riferi- sca di avere isoiato una volta un bacillo coli dotato di forte virulenza. Se le ricerche del bacillo della tubercolosi sono riuscite negative nelle mani del Giardina, ciò non implica che questo germe si debba considerare del tutto assente nell'ambiente delle zolfare dove molti soffrono della malattia e dove il ricambio aereo, come si è visto, non è tale da assicurare una de- purazione meccanica; a me duole che per ora debbo aggiornare questo argo- mento che pure presenta il massimo interesse sociale. Prima di andare oltre nella trattazione del mio tema mi piace di fermarmi sn di un argomento che ha notevole interesse per l’igiene, cioé sugli effetti della mazcanza di luce, è ciò tanto più in quanto nel recente lavoro del De- meure è detto: « On compare parfois l’animal et le végétal qui vivent pour- rait-on dire, de la méme manière..... Chez l’animal, n’y a rien de semblable; il nè possède pas de chlorophyle, il absorbe l’oxigène et rejette l’anhydride carbonique et la prèsence de la Inmière n’est pas indispensable pour un acte physiologique ». Se questo concetto che è ripetuto altre volte possa applicarsi ai cavalli che vivono nelle miniere di carbon fossile, io non credo, ma é certo che esso non si può estendere come vorrebbe l’autore, all’nomo. L’oscurità delle miniere è dannosa per tanti riguardi non solo per i pericoli che crea la difettosa illuminazione artificiale perchè i picconieri non si avvedoemso-n pre delle falle che producono i loro picconi e quindi alcune volte restano vittime di massi che si staccano dalla volta, ma ancora perchè l’operaio viene sottratto all’azione benefica del sole. STUDIO IGIENICO SULLE ZOLPARE DI LERCARA 27 Numerose sono le esperienze che hanno dimostrato la importanza della Ince : Aducco provò come sotto l’azione della luce il ricambio materiale viene attivato determi- nandosi negli animali uno stato di iperfunzionalità cui consegue un maggior consumo di alimenti. Winslow ascrive alla deficienza della illuminazione solare la rachitide, la senilità precoce e lo sviluppo scarso delle facoltà psichiche. Molescott, Selmi, Fubini, Schoonenberger, ece. dimostrarono che gli. animali alla luce, sviluppano una quantità di acido carbonico molto maggiore che all'oscuro. y Valerio provò che nei conigli tenuti all’osenro diminuivano i globuli rossi ed il tasso di emoglobina, parellelamente si avova diminuzione del peso del corpo. Io studiando insieme al Di Cristina l’azione della luce sui girini di rana, ne c»statai l'influenza diretta sull’elemento anatomico il quale veniva eccitato nella sua attività formativa. Da tutto ciò risulta come non si possa mettere in dubbio che l’oscurità delle miniere deve influire rendendole maggiormente insalubri, predisponendo i lavoratori al deperimento organico ed all’anemia. Le misurazioni fotometriche nei cantieri di lavoro sono difficili e quasi credo impossibili per diverse ragioni: la intensità lInminosa varia a secondo del numero delle lampade, la quan- tità e qualità dell’olio, l’altezza e la grossezza del lucignolo, per cui nello stesso ambiente si hanno dati che variano da minuto, a minuto, nè si può stabilire una unità di misura sui dati di determinazioni fatte su di una lampada tipo perchè appunto questo ipo manca. Cercai di valutare la intensità luminosa col metodo proposto da Ascher, determinando cioè la quantità di iodio messa in libertà dall’ioduro potassico in presenza di acido solforico sotto l’azione dei raggi chimici, ma neanche questo metodo sensibilissimo mi diede risultati soddisfaceuti, per cui vi rinunziai. Dopo tutto ciò che ho esposto, lo studio sulle condizioni igieniche delle zolfare di Lercara è ultimato e se da esso dovessi trarre delle conclusioni, queste non potrebbero che essere compendiate nella seguente espressione : re- golare bene la ventilazione e regimentare le acque. Come si svolgono le la- vorazioni al presente, l’ambiente delle zolfare è quanto di più insalubre si possa immaginare e la sua malefica influenza deve presto o tardi farsi risen- tire sulla salute degli operai dando così larga messe alla patologia del lavoro. L'operaio delle zolfare non lavora sempre in ambienti uniformi e costan- ti per temperatura e umidità, la ventilazione in alcuni punti manca, in altri le correnti sono moleste, in altri è ricca di gas più o meno velenosi, dove l’ac- qua forma delle pozze e stilla fredda dalle rocce sull’operaio che lavora, do- ye essa forma uno strato più o meno alto ricco di idrogeno solforato e l’ope- 28 E. CARAPELLE raio vi lavora immerso fino quasi al ginocchio; a tutto ciò poi si accoppia la fatica e l'alimentazione insnfficiente. Ve n'è quanto basta per potere pensare come il soggiorno prolungato ed abituale, unito all’accessivo lavoro, devono formare un insieme di fattori agenti inevitabilmente sullo zolfataro. Ho voluto quindi portare ancora la mia indagine su alcuni punti che pos- sono avere relazione con la patologia del lavoro, vedere cioè se le acque che bagnano continuamente gli operai possono contenere l’anchilostoma, e portare il mio debole criterio sulla teapnenmoconiosi e sulla fatica degli operai. Non riassumo qui tutto ciò che sì è detto e fatto sull’anchilostomiasi, ri- mando perciò ai lavori di Perroncito, Giordano Giardina, Calmette e Breton, ecc., noto semplicemente che in Lercara, Jove questa malattia è quasi scom- parsa, ho rinvennto nella fanghiglia delle miniere, delle nova del parassita, e là dove l’acqua formava uno strato alto parecchi centimetri sul fondo limac- cioso. Ho visto anche come carusi e picconieri vanno spesso a lavarsi in queste acque, ed è ovvio pensare che simile pratica può riuscire dannosa, masssime a chi ancora è esente dalla infezione; la profilassi quindi intesa nel senso della istituzione di appositi lavabi non dovrebbe considerarsi come un lusso di superflua e quasi impossibile attuazione. L'argomento della teapneumoconiosi è intimamente legato con quello del pulviscolo. L’aria che in media contiene 6 mgm. di polvere per mc. può dirsi pura; Tissandier infatti valuta il pulviscolo di Parigi a mgm. 25 per me. con tempo secco, a 6 mgm. per me. dopo la pioggia; Fodor dà i seguenti valori per il pulviscolo dell’aria libera: mgm. 0.42 in autunno 0.24 in inverno 0.85 in primavera 0.55 in estate, tuttavia devesi convenire che tale quantità è sorpassata spesso nelle strade di una grande città (Albrecht). Il pulviscolo nelle miniere di zolfo, con esattezza non è stato ancora determinato; il Gior- dano asserisce di averne pesato da gr. 0,025 a gr. 0,25 per me., e Giardina asserisce che 0- scilla da gm. 0.20 a gm. 2.80 per me. fino a gm. 13.85 per me. in alcune miniere asciutte e dotate di materiale molto friabile. Da un calcolo approssimativo. considerando in media una giornata di 10 ore di lavoro, il Giordano calcola che un operaio possa inalare da gm. 250 a 2500 di pulviscolo minerale, ed in media gm. 1250 per ogni giornata di lavoro. Queste cifre a me sembrano esagerate. Determinando il pulviscolo nelle sale di lavorazione dei capelli in Palermo, ho trovato una quantità di pulviscolo che in media si aggira intorno a gm. 0.20 con un massimo di gm. 0.5 per me. ma da tali ambienti si usciva sempre ricoperto da capo a fondo dalla polvere del locale, e dentro le sale di lavoro sembrava di essere avvolti in una nebbia costante. Senza dire che i dati riferiti sono sempre i valori medi di parecchie determinazioni in vari punti della sala, perchè il pulviscolo non è mai uniformemente distri- buito, e varia a secondo delle correnti che si determinano negli ambienti, ccc. Il De Blasi nelle fabbriche di tabacco, valuta il pulviscolo a gm. 0.1, 0.2 per me. nell’at- STUDIO IGIENICO DELLE ZOLFARE DI LERCARA 29 mosfera che circonda l'operaio, e nota che la polvere di tabacco si depone abbastanza rapida- mente e forma già dopo mezz'ora uno strato ben visibile sugli oggetti circostanti, ciò che basta a significare come in tali ambienti il pulviscolo deve essere qualche cosa che si vede e si avverte, eppure abbiamo cifre ancora inferiori a quello del Giordano e del Giardina. Nelle miniere della Sardegna, Saufelico e Malato Calvino non trovarono pulviscolo, per- chè il massimo valore da essi riportato è gm. 0.0009 per me. quantità che è al disotto di quella che normalmente è contennta nell’aria delle città. Nelle zolfare da me visitate, pulvi- scolo nell'ambiente non se ne vedeva e non se ne apprezzava neanche nei cantieri asciutti, tale determinazione quindi fu omessa, anche per le seguenti ragioni. A chi è pratico di la- boratorio non sono ignote tutte le precauzioni da usarsi in pesate che vanno al decimo di milligrammo e per le quali il valore della sostanza che si vuol pesare viene ottennta per differenza tra due pesate. Se la determinazione del pulviscolo con il solito metodo dell’aspi- razione di un dato volume di aria attraverso un tubo tarato contenente un tappo di ovatta, di amianto, lana di vetro, o oltra sostanza porosa, e delicatissima già alla superficie della terra dove si gode della luce del giorno e delle comodilà dell'ambiente, figuriamoci poi alla profondità di 100 metri, in ambienti umidi, con illuminazione deficiente, dove si sta a disa- gio, dove gli urti e le scosse agli apparecchi sono facilissimi, dove per qualche colpo di pic- cone male, o troppo bene assestato nella roccia, il minerale vien proiettato con pericolo degli apparecchi e di coloro che lo manovrano, figuriamoci, dico, se in tali condizioni si può essere sicuri che la prima tara fatta non ha variato neanche di i mgm. e che la differenza di peso è da ascriversi al pulviscolo. D'altra parte se si volesse essere serupolosi e fare la ricerca per dire che non si è tra- seurato questo argomento, ma piazzandosi fuori del campo nel quale forse potrebbe essere un certo pulviscolo, si finerebbe con avere valori quali quelli ottenuti dal Sanfelice i quali non dicono nulla; ed anzi possono falsare il concetto degli studiosi i quali rigorosamente sareb- bero indotti a ritenere quegli ambienti affatto privi di pulviscolo, contrariamente a quanto realmente si avvera. Porre un apparecchio tra la ruccia e il picconiere, a livello della bocca di quest’ultimo non è cosa facile nò possibile: anzitutto lo zolfataio è ignorante o non capisce la utilità di simili ricerche; egli lavora a cottimo e si irrita di tutto ciò che può apportare un rallenta- mento nel suo lavoro diminuendone la produzione; se gli si offre in denaro la ricompensa del tempo perduto, o lo rifiuta, o si accinge nell’esperimento con svogliatezza ed ironia. Se mal- grado tutto si volesse tentare la prova, questa non potrebbe essere rigorosa perchè ad ogni colpo di piccone sono massi, aleune volte enormi, che si distaccano, e l’operaio li evita cam- biando continuamente di posto; ora, nella semioscurità in cui si trova, con un simile muoversi in tutti i sensi, l’apparecchio finirebbe col rompersi di sicuro. Per queste ragioni mi limitai ad esporre nei d'versi ambienti asciutti dei piatti di super- ficie nota (mq. 0.04521) e sui quali dopo 24 ore raccoglievo e pesavo il pulviscolo depositato (gm. 0,0803 per cantiere in media). Seguivo così il metodo del Tissandier il quale senza dubbio è il meno rigoroso, ma, pur tuttavia, tenuto conto che nei cantieri non esistono forti correnti, può indicarci qualche cosa, cioè che il pulviscolo è sempre in scarsa quantità, negli ambienti umidi addirittura minimo. In errore è quindi il Giordano quando voluta a gm. 1250 in media la quantità di pulviscolo inalato dal picconiere, in dieci ore di lavoro, ed anche per un’altra ragione, il pulviscolo di 30 E. CARAPELLE zolfo é pesante e tende facilmente a depositarsi; ora il picconiere quando alza il piccone in- spira profondamente un’aria la quale ancora non contiene particelle del minerale; quando abbassa il piccone, provocando lo sgretolamento della roccia accompagna il movimento con una forte espirazione; in questa posizione curvo si riposa qualche secondo, lasciando abbatte- re il minerale staccato e quasi trattiene il respiro, che ripiglia con lo stesso ritmo quando rialza il piccone. Evidentemente in queste condizioni la quantità di pulviscolo che si inala è minima. Pur tuttavia è questa quantità minima che, inalata, a lungo andare, se specialmente preesistevano lesioni dell’albero respiratorio, può determinare quella speciale malattia che il Giordano chiama teapneunmoconiosi; però bi- sogna pur convenire che quest’affezione è scarsa in quanto un solo caso ne riporta il Giordano, confortato dall’antopsia, nè si può parlare di teapnenmo- coniosi ogni volta che negli espettorati si riscontrano cristalli e detriti amorfi di zolfo, che possono capitare nel cavo orale in tanti modi e che potrebbero significare anche una pneumoconiosi fisiologica (Giuffrè). Frequenti al contrario sono le affezioni catarrali dell'albero respiratorio, affezioni le quali sono determinate dall’azione irritante dell'anidride solforosa congiunte a tutte le altre condizioni di temperatura ed umidità degli ambien- ti, e che facilmente vanno a finire con la tubercolosi, L'idea che nei zolfatai la tubercolosi sia rara solo perchè l’anidride solforosa è capace di distruggere il bacillo tubercolare negli espettorati secchi (Toinot) non può mettersi avan- ti o discutersi se non dopo accurato esame con tutti quei mezzi che il laboratorio pone a nostra disposizione. Il Giordano per sostenere tale opinione si trincera dietro gli asserti di Galeno, Innken, Etmullero, Ramazzini, Petteruti (1878), i quali tutti sostennero l’utilità del- le inalazioni di anidride solforosa nella tubercolosi; utilità che la terapia moderna ha accet-. tato per quel che vale. Zampa (citato anche dal Giordano) non solo ammette questo valore terapeutico, ma osserva che la tubercolosi è rara nei zolfatai. Egli sosteneva queste idee nel 1875. e non fa meraviglia se sul giudizio diagnostico si elevino oggi dei dubbi. Il prof. Giuffré ammettendo egli pure la rarità della tubercolosi nei zolfatai, fa delle riserve riconoscendo che l’argomento merita di essere approfondito. Il Giordano fece esaminare nell'Istituto d’igiene di Palermo due espettorati di affetti da teapneumoconiosi, che si trovarono esenti di b. tubercolari; io invece ne ho esaminato un certo numero (sempre scarso) e li ho trovati quasi tutti più o meno ricchi di bacilli di Koch. I casi negativi nulla depongono perchè si potrebbero considerare come eccezioni, mentre che per i fatti positivi si potrebbe essere indotti a pensare che: il pulviscolo di zolfo ricco di cristalli aguzzi o taglienti, le condizioni in cui si pratica la lavorazione, ecc., predispongono alla tubercolosi, e che questa abbia fatto ammettere un maggior numero di teapneumoconiosi più di quello che effittivamente non sia. STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA Bal Solo la ricerca paziente del bacillo tubercolare da una parte, e l’esame dei polmoni al tavolo anatomico dall'altra, potrebbero darci un criterio esatto per sapere quale l’estensione dell’una e dell’altra malattia, certo una teapne- umoconiosi può esistere, ma non deve essere molto frequente, e quella che in vita si diagnostica tate, spesso' è tubercolosi, onde alla distanza di 16 anni, nel caso in specie, pur troppo si devono ripetere le parole del Manfredi : » è uopo riconoscere che i medici italiani diagnosticano troppo poco tubercolosi e ciò perché la diagnosi di tisi polmonare presenta spesso grande difficoltà, so- pratutto nei vecchi e nei bambini, e d’altro canto è da troppo poco tempo co- miuciata a penetrare nella coscienza della maggior parte la convizione che il controllo batteriologico ne sia una garenzia indispensabile ». Di recente il Gabrielli, in base a criteri anatomo-patologici, ammette nei zolfatai anche l’antracosi, che sarebbe secondo il Gabrielli stesso, più freqnente della teapneunmoconiosi. Il fatto non deve destare meraviglia perchè il fumo delle lampade è ben capace di provocarlo; del resto non è nuovo: Valenti l'aveva già notato nel 1904; e anche il Sanfelice per le miniere di Sardegna, dice : « Oltre al pulviscolo che si stacca dalla roccia, bisogna anche tener conto del pulviscolo di carbore prodotto dalle lampade. Alcune volte abbiamo vedulo diventare nero il batuffolo di ovatta che serviva alla determinazione del pulviscolo atmosferico. Dopo qualche ora che si è stati in galleria, specialmente in alcuni luoghi asciutti, ove lavorono molti operai con molte l’ampade basta soffiarsi il naso per persuadersi della esistenza e della quantità del pulviscolo di carbone. Il dott. Loi, medico nel comune di Guspini, ove dimorano molti operai della mi, niera di Montevecchio, ci ha riferito che in parecchie delle autopsie fatte, ha riscontrato una considerevole antracosi pulmonare ». Nè le esperienze riferite nel lavoro del Demeur valgono a dimostrare che l’antracosi non esiste presso i minatori perchè, gli animali (conigli, cavalli) messi in esame non sono su- scettibili di questa pneumoconiosi in quanto respirano con le narici e senza tenere la bocca ‘aperta. E ci guarderemo bene dell’accettare le conclusioni espresse nel lavoro: » De tout ce qui < précède, il resulte que le milien minier n’est pas dèfavorabbe è l’homme; on pourrait mòme < conclure qu'il est plutòt favorable pour l’homme de vivre et de trevailler dans une atmosphè- «re costamment renouvelée ne subissant pas de variations brusques de température, à l’abri « des intempèries, des poussières nuisibles et des gaz nocifs que l’on respire dans beaucoup « d’industries superficielles ». Forse cioè potrà valere per la sola miniera Bois-du-Luc, ma non per tutte, anzi per la maggior parte. 32 E. CARAPELLE Vengo ora all’ultimo punto della mia trattazione, cioè alla fatica consi- deraudola nei suoi rapporti con l’apparecchio cardio-vascolare sia in riguardo all’ambiente in cuni tale fatica si compie, sia in riguardo allo sforzo che tale fatica richiede. In generale tutti quelli che si sono occupati del lavoro, dei zolfatari, spe- cialmente il Giordano, hanno discusso ampiamente sulle deformazioni schele- _ triche causate da un lavoro improbo non disgiunto da tante altre condizioni di miseria fisiologica e di età tenera. Io non ritorno su questo argomento in cui la voce del cuore a stento si riesce a raprimere; le vive descrizioni del Villari, Colaianni, Mario, Giordano, Valenti, Giardina ecc,, sono più che sufficienti a dare una chiara idea del co- me si svolge il lavoro; io mi occuperò brevemente dello sforzo del cuore du- rante la fatica sotto l’influenza di forti carichi, ed in determinati ambienti ric- chi d’idrogeno solforato o con elevata temperatura. Per la prima tesi mi son servito di picconieri e di carusi, ma in preferenza di carusi sui quali, come osserva Giardina, di ordinario il carico viene spinto sino all’estremo limite di tolleranza di cui sia capace; per la seconda mi son servito di due picconieri, l’uno lavo- rante in ambiente ricco di idrogeno solforato (scasciato), l’altro lavorante in ambiente ad elevata temperatnra. 40° C. (sorgive) e non credetti opportuno usare i carusi anche in queste ultime ricerche speciali perchè in generale il caruso non risiede che breve tempo nel can- tiere di lavoro, cioè il tempo che richiede per caricare il sacco e poi va via passando man mano tutti gli ambienti fino alle gallerie di carreggio ove l’aria va facendosi sempre più pura. Quindi mentre da una parte abbiamo azione brevissima del gas o dell’elevata tempe- peratura (azione che al massimo se si potesse cumulare potrebbe dirsi cronica, mentre io volevo colpire l’influenza nel periodo acuto), d’altra parte lo sforzo richiesto dal carico non avrebbe potuto farmi differenziare i fenomeni cardio-vascolari riferibili al carico, .da quelli riferibili all'idrogeno solforato e all’elevata temperatura. Dopo la magistrale trattazione del Giuffrè sullo sforzo cardiaco, studiato con rara competenza nei pescivendoli di Sferracavallo, io posso esisermi dal- l’enunciare le diverse teorie ed interpetrazioni di questo speciale stato patolo- gico del cnore. Tutto ciò unitamente ad una esposizione completa della lette- ratura si trova nel lavoro del Giuffré, anzi l’idea dello studio delle sforzo cardiaco nei zolfatai mi fu suggerito dalla lettura della monografia del prof. Giuffrè e cercai anche di uniformarmi alla stessa tecnica per quanto me lo permettevano i mezzi che avevo a disposizione, la condiscendenza dei soggetti. le condizioni ambientali in cui dovevasi compiere l'esperimento. Se quindi tali ricerche mostransi difettose e monche valgano esse ad i- spirare siffatti studi a persone più competenti di me, ed illustrare così in tutti i dettagli una nuova pagina della patologia del lavoro minerario. La quistione mi è sembrata tanto più importante in quanto nei zolfatai lo sforzo cardiaco non rappresenta la conseguenza di un carico esuberante o in genere di nn STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 33 lavoro sproporzionato alle forze individuali, ma è sempre la risultante della fatica in organismi sui quali agiscono: l’alcoolismo, l’ambiente ricco di gas più o meno velenosi, gli sbalzi più disparati di temperatura od umidità, la miseria fisiologica (intesa come labe ereditaria, alimentazione incongrua ed insufficiente, malattie pregresse non ultima l’anchilostomiasi, ecc.). Per amore di chiarezza trovo non fuor di luogo riferire le conclusioni cui giunge il nostro illustre clinico nel suo lavoro : < Ammettendo il caso che il cuore sia sano e gli sforzi acuti, si distingono nella loro a- zione tre gradi diversi (o periodi successivi) a secondo l’intensità e dla durata di essi: il pri- ino del semplice sforzo del cuore; il secondo dello sforzo ed incipiente stanchezza; il terzo della stanchezza e fatica del cuore. « Il primo grado ci è significato dall'aumento del lavoro del cuore, e cioè da quello del- la pressione, del coefficiente circolatorio e-della frequenza del ritmo cardiaco, da tachipnea o arrossamento della cute, sudore; il secondo pure da quegli stessi sintomi (con questo però che la pressione è più bassa che nel primo periodo, e talvolta anche più che nella norma la frequenza maggiore, il ritmo alterato, talvolta rumore di galoppo, ecc., ed inoltre da un modico aumento del volume (dilatazione primitiva acuta del cuore) parziale o totale, e quindi da cambiamento di forma, ed eventualmente di posizione del cuore, e poi da dispnea, copioso sudore, leggiera cianosi, senso di stanchezza più o meno grave; il terzo da eccessiva dilatazione parziale o totale ed eventuali insufficienze (funzionali) degli apparecchi valvolari da notevole, abbassamento della pressione, eccessiva frequenza e notevole aritmia e piccolez- za del polso, e nei gradi ancora più gravi da rottura del cuore, paralisi ecc. e correlativamen- te da dispnea grave, apnea, cianosi, prostrazione, vero spossamento delle forze e morte. <« Questi tre medesimi gradi (o periodi) troviamo pure a cuore sano nella seconda con» dizione, e cioè nel casv degli sforzi muscolari cronici, però l’intensità dei fenomeni può esse- re mitigata per l’influenza dell’allenamento. Di più può verificarsi la ipertrofia di cuore (ipertrofia di adattamento o come è comunemente detta idiopatica) parziale o totale, quando concorrono speciali circostanze : giusto rapporto tra i periodi di lavoro e quelli di riposo, possibilità (ereditaria ed evolutiva) nell’elemento muscolare di una iperfunzionalità anabolica stato normale della emopoiesi del circolo, dell’innervazione,, ecc. Se essi mancano, si sviluppa d’emblée la dilatazione delle cavità cardiache: dilatazione primitiva cronica. Nell’ulteriore decorso la dilatazione può essere seguita dalla ipertrofia, o viceversa que- sta da quella: dilatazione secondaria. Questi medesimi convetti fondamentali valgouo altresi nel caso che gli sforzi muscolari acuti e cronici fanno risentire la loro azione sul cuore pre- cedentemente alterato per cause comuni (sclerosi, degenerazioni, ecc,) e anche quando esso si trova nelle condizioni dell’ipertrofia e particolarmente di quella di adattamento o idiopatica. Però in tale caso deve notarsi che, se essa è pura, il cuore possiede una forza di resistenza maggiore che quando è nelle condizioni normali. A lungo andare poi, se cessa la causa mor- bosa ossia l’azione degli sforzi muscolari, il cuore continaerà a funzionare come nelle condi- zioni normali, e così pure è presso a poco, se quella perdura invariata; però se cresce l’inten- sifà o se l’allenamento vien meno o sopraggiungono altre cause capaci di danneggiare il cuore (intossicazione, ecc,) allora insorgono i soliti fenomeni caratteristici dell’insufficienza cardiaca 34 E. CARAPELLE le così dette asistolie parziali, l’asistolia generale, la morte... Infine tntti i fenomeni caratte- rizzanti lo sforzo, la stanchezza e la fatica del cuore sono dovuti all’azione di pochi fattori di ordine meccanico e dinamico (tossico e nervoso) intimamente legati l’uno con l’altro e capaci d’influenzarsi a vicenda in modo da costituire gli elementi di una vera teoria dello sforzo del cuore, che possiamo dire meccazico-tossico-nervosa. Secondo la stessa, tutti quei fee nomeni sono dovuti da un lato all’azione meccanico-tossica che gli sforzi muscolari esercitano più o meno direttamente sulla fibra stessa del miocardio e sui gangli di esso, e dall’altru all’azione pure meccanico-tossica che esercitano sugli stessi elementi in maniera più o meno indiretta, per l’intermedio dei nervi (acceleratore, moderatore, deressore, vasomatori)e rispet- tivi centri, non che dei vasi e degli organi rcspiratori (e rispettiva innervazione) e di tanti altri organi: fegato, reni, capsule surrenali, centri nervosi, ricambio oganico ». Dalle ricerche praticate si desumono i seguenti risultati: Per quanto riguarda i picconieri (v. tavola) furono esaminate sette indi- vidui la cui età variava dai 22 ai 61 anni e nei quali l’inizio del lavoro ri- saliva ad un periodo di tempo variabile dagli 11 ai 55 anni; la temperatura del corpo subì modificazioni poco notevoli in consegnenza del lavoro,, e per lo più si ebbe una elevazione di pochi decimi di grado. Per altro bisogna tener conto del sudore, piuttosto abbondante, che accompagnava il lavoro. In rignardo al polso le modificazioni della sua frequenza non furono nep- pure notevoli; in generale si ebbe nun aumento della frequenza, oscillante da Miceli Benedetto Prima del lavoro Dopo del lavoro 4 a 14 battiti al minuto ed in qualche caso si ebbe invece diminuzione della stessa, ovvero restò invariata. Non si ebbero modificazioni degli altri caratteri s STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 35 del polso. L’esame dei tracciati sfigmografici negli individui che lavorano in ambienti ordinari, in generale mostrano un aumento della linea sistolica dello sficmogramma. Nell'individuo che lavora ad elevata temperatura (Siracusa Stefano) mal- grado l'intenso lavoro non si ha anmento dell'energia sistolica. Non compare però aritmia, ma si ha aumento cospicuo della frequenza dei battiti. L’onda dicrota non presenta modificazioni degne di nota. In un caso di operaio lavorante in ambiente con idrogeno solforato (Miceli Benedetto) dopo il lavoro di 10 si ha una fortissima ascesa della linea sistolica, linea che si continua ad angolo acuto con quella diastolica cardiaca, in modo da mentire quasi un tracciato da insufficienza dei pizzi sigmoidi dell’aorta, ne differisce però per l’onda dicrota che si presenta molto elevata; questo tipo di tracciato bisogna interpretarlo come una vasocostrizione del circolo periferico. Il respiro anmentò in tutti i casi di frequenza (da due ad otto atti respi- ratori al minuto). La pressione arteriosa misurata con lo sfigmomanometro del Riva-Rocci non subì variazioni degne di nota, in quantochè in generale si elevò Siracusa Stefano. Prima del lavoro Dopo del lavoro, di pochi millimetri (al massimo 5 mm.) mentre in qualche caso restò inva- riata, ed in un caso si ebbe anche un lievissimo abbassamento. I segni fisici poi ricavati dall'esame dell’apparecchio cardiovascolare [pri- ma e dopo il lavoro non dimostrano modificazioni apprezzabili; occorre però considerare, come abbiamo accennato nella tavola, che il lavoro del picconiere n 36 E, CARAPELLE si interrompe ogui 10 minuti circa, sicchè si alternano dei periodi quasi ugua li di riposo e di lavoro. Riassumendo, i sintomi e segni su riferiti dimostrano che nei picconieri per effetto del lavoro si manifestano i fenomeni significanti il semplice sforzo cardiaco, poichè in parte si constata: sudore, aumento della frequenza del polso, tachipnea, lieve aumento della pressione arteriosa; però tali fenomeni non furono accentuati, e tal fatto deve evidentemente riferirsi alla influenza dell’allenamento come osserva il prof. Giuffrè. Inoltre il fatto che non si constatò ingrandimento dell’aia cardiaca, ed in base allo spostamento in basso infuori dell’itto cardiaco sono indotto verosi- E milmente a credere che in tali individui, da lungo tempo addetti al lavoro di picconieri esisteva una ipertrofia di adattamento, come la chiama il Ginffrè, tanto più che, come ho detto, questi operai alternano dei periodi di lavoro con periodi di riposo. Picconieri. Prima del lavoro Dopo del lavoro Da quanti Ore NOME Età anni lavora |di lavoro Facaslone Polso R. 52 43, 9 157 88 B. 22 di 8 195 72 F. 61 55 9 163 72 B. 37 30 10 161 92 G. 55 43 10 170 72 A. Ai 36 10 192 72 S. 47 40 10 167 72 20 20 16 16 Osservazioni ne Pressione Poleco Lricepsa Tem- IPERDIIRE, arteriosa, peratura 37 156 80 28 36,8 38,6 198 72 24 36,8 36,5 168 82 24 36 36,6 163 88 24 36,8 36 166 80 20 36,5 36 194 76 20 36,4 37 168 86 24 36,8 Il lavoro dei piccenieri iu generale si interrompe ogni 10 minuti, per cui mentre l’uno si riposa ricaricando i carusi, l’al- tro compagno picconiere ripiglia il lavoro. Essi quindi riposano e l’aia cardiaca misurata dopo lungo riposo, e dopo lavoro di 10? non mostra alcuna modificazione. L’itto della punta si con stata al 6° spazio e limi- — tante la mammillare. STUDI iGIENICO SULLE ZULFERE DI LERCARA 37 Carusi al lavoro 1 carusi sono quelli che di preferenza mostrano i segni dello sforzo ,car- «diaco. Il carico dei carusi in media è di 80 kg., esso poggia tutto sulla schie- na per cui il caruso cammina curvo in avauti e la ripidità delle scale, da al- ‘cuni considerata come causa di maggiore sforze per la salita, è infatti, al con- trario, un vantaggio; come nn vantaogio è la doppia scala parallella per cui la pedata in un gradino di destra corrisponde all’alzata di nno scalino di - sinistra. i 38 E. CARAPELTE In virtù di questo meccanismo ìl caruso sale divaricando molto le gambe per cui allarga la base al suo corpo senza spostare di molto il centro di gra- vità, è trova anche un’alzata relitivamente bassa (15-20-25 ent.) evitando così gradini molto, alti quali si richiederebbero per vincere i dislivelli tra diversi piani di lavorazione. Carnsi al lavoro In virtà della ripidità della discesa si ha doppio vantaggio: uno econo- mico cioè lo sfruttamento maggiore del minerale, l’altro pratico perchè nella. salita i gradini superiori costituiscono un punto di appoggio che si offre ai carusi a livello delle braccia, seuza richiedere un eccessivo incurvamento in avanti del tronco; per cni essi, si può dire che salgono sulle mani e sui piedi come si vede chiaramente dalle figure annesse, e tutto ciò si risolve nel fatto che per vincere un grande sforzo l’individuo non lascia in riposo nessuno dei suoi muscoli. STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA 39 L’esame dei carusi venne praticato in 7 individui la cuni età varia dai 17 ai 25 anni, nei quali l’inizio del lavoro risaliva da un periodo di tempo va- riabile dai 7 ai 12 anni, ed il cui carico per ciascun viaggio era come ho detto, in media di kg. 80. Riguardo alla temperatura del corpo si constatò in gene- rale lieve abbassamento della medesima (2-7 decimi di grado) concomitante a profusi sudori. Per quanto concerne il polso si ebbe in generale aumento della frequen- za di esso (fino a 44 battiti al minuto). Non si constatarono variazioni degli altri caratteri. All'esame dei tracciati sfiomografici si può dire che, in generale, la linea ascendente, indice del periodo di scarico del cuore, si continua con la linea discendente, corrispondente al periodo diastolico, formando un angolo tendente all’ottuso, si ha cioè che il periodo sistolico del cuore passa grada- tamente in quello diastolico. L’onda dicrota che nei tracciati presi prima del lavoro è molto spiccata, indica che la pressione arteriosa 6 ben marcata, nei tracciati presi immedia- tamente dopo la fatica è appena visibile: in alcuni è sospinta molto in alto, mentre in altri manca del tutto. Questo fatto deve interpretarsi come un segno di mancato aumento di pressione arteriosa, e dove è più accentuato sta ad indi- care un fenomeno di fugace stanchezza del cuore. Opinione questa suffragata dall’osservazione della linea ascendente dello sfigmogramma, che dopo il la- voro è notevolmente ridotto in altezza. Il respiro aumentò sempre di frequenza (da otto a sedici atti respiratori «al minuto). La pressione arteriosa dalle misurazioni praticate risultò in gene- rale abbassata e ciò si desume anche dall’esame dei tracciati sfigmografici giusta le considerazioni sopra esposte. Solo in qualche caso (Abbate, Presti- giacomo, Gambino) si ebbe elevazione della presssione (da 6 a 30) ma anche in questi casi dopo tre o quattro viaggi senza interruzioni, la pressione si ab- bassò ed in due casi (Abbate, Prestigiacomo) scese al disotto del grado che si aveva prima del lavoro. ì Quanto all'esame dell'apparato circolatorio, si constatò indistintamente in ‘tutti i carusi esaminati; aumento dal diametro del fascio vascolare e dei dia- metri longitudinale e trasversale. Riassumendo, i sintomi e segni riferiti dimostrano evidentemente che nei carnsi, per effetto del lavoro, si raggiunge anche la seconda fase dello sforzo ed incipiente stanchezza del cuore, come la chiama il Giuffré, poichè intatti si constatò: anmento della frequenza del polso, dispnea, abbassamento della pressione arteriosa, in qualche caso più che nella norma, ed infine aumento del volume del cuore. 40 E. CARAPELLE Per altro anche in questi levoratori tali fenomeni non furono molto accen- inati, e ciò deve in parte riferirsi all'influenza dell’allenamento. Guarnera Antonio. Prima del lavoro Dop) del l.voro Prestigiacomo Filippo. Frima dei lavoro Dopo del lavoro STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARE DI LERCARA Caltabellotta Prima del lavoro Dopo del lavoro Chiarella Prima dél lavoro Dopo del lavoro 41 GI ‘8839 ‘q 8:01 "8841 "TT ‘ojuuazdes os100 9] *duo] *( G‘G] ‘Suo1 *‘(T GG 041]00S Gf 018008 2104 1 10d 6] vFOdwm] |-vA os0sUH| 98 98 | 88 91 ‘PI UA OIOSWUT |g‘98| 03 | 06 | 091 ‘PI | 0T| 8 | 2 d9) . 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È necessario quindi che questa vei sottorranei incontri le minori resistenze possibili, e sia facile la diffusione dell’aria nei cantieri di lavoro. Speciale attenzione merita il numero e il dislivello delle foci, ’andamen- to della temperatura. l'esposizione e l'ubicazione delle buche di ventilazione per wodo che si stabilisca sempre la ventilazione ascensionale evitando in ogni modo le cause che possono provocare l'inversione della corrente. L’insufficiente ventilazione contribuisce quindi in vario grado all’inquina- mento fisico e chimico, dell’ambiente delle zolfare: la temperatura e l’umidi- tà raggiungono cifre alenne volte molto elevate. Entrambe queste due condi- zioni sono in relazione con la natura del giacimento più o meno ricco di ac- qua o più o meno facilmenfe infiltrabile dalle acque piovane, con la vicinanza di zone :incendiate, col genere di lavoro che vi si compie, ecc. Fra!i gas che inquinano l’ambiente meritano speciale menzione l’anidride carbonica e l’anidride solforosa: quella impedisce l’ematosi completa ‘perchè impoverisce l’ambiente dell'ossigeno necessario alla vita e provoca un abbassa- mento dei poteri difensivi organici avendo in armonia con gli altri corpi in- quinanti l'atmosfera (ammoniaca, acido nitrico, sostanze organiche, ecc); questo colpisce le vie respiratorie provocando, quando è in piccola quantità i catarri bronchiali, e perfino la morte se in grande quantità e sviluppantesi in modo talmente repentino da nov lasciar tempo di scampo. Lo stesso dicasi dell'idrogeno solforato, il quale si riscontra unicamente in alcune località ove la sua produzione è superiore a quella dell’anidride sol- forosa. Nè sono ricchi per esempio quei cautieri che tendono ad avanzarsi nel senso della profondità (scasciati) i quali rappresentando i punti più declivi dellla miniera raccolgono le acque del giacimento che sogliono sempre conte- nere una quantità più o meno notevole di questo gas velenosissimo. Il grisou è raro trovarsi nelle zolfare. I microorganismi rinvenuti nell’aria delle miniere in generale sono pochi, questo fatto va messo in relazione principalmente con l'umidità dell'ambiente. L’opportuna regimentazione delle acque delle miniere oltre ad apportare STUDIO IGIENICO SULLE ZOLFARF DI LERCARA 45 il beneficio di diminuire l'umidità, evita che i minatori lavandosi nelle acque che fanno pozze nei diversi cantieri possano propagare l’anchilostomiasi. Il pulviscolo che si produce nelle miniere nell’atmosfera che circonda il picconiere in generale è in piccola quantità e molto pesante, non risulta costituito da solo zolfo, ma vi si trovano anche elementi della ganga: silice, gesso, barite, stronziana ecc., esso quindi è vulnerante, inalato può dar luogo ad una pnenmoconiosi patologica detta da Giordano teapneumoconiosi. Quantunque quest’ultima sia ancora dai più messa in dubbio, pure mancano ancora dati sufficienti per escluderla del tutto; non è improbabile che questi due gradi di infiltrazioni pulmonari con pulviscolo di zolfo si accompaguino spesso a tubercolosi data l’azione corrosiva dell’anidride solforosa, l’azione vulnerante del pulviscolo e le tristi condizioni di vita dei zolfatari. L’antracosi riscontrata dal Valenti e dal Gabrielli 6 dovuta al fumo delle lampade in uso per cui è da sperare l'adozione di un sistema di illuminazio- ne capace di impedire questo danno all’operaio. Riguardo alla fatica che compiono i picconieri è da notare che quelli che lavorano in ambienti ricchi di idrogeno solforato mostrano un polso con caratteri speciali, lo sforzo cardiaco nei picconieri in genere si arresta al primo grado: sforzo cardiaco semplice (Giuffré), però è a convenirsi che in questi individui esiste la ipertrofia idiopatica da allenamento. Nei carusi abbiamo oltre allo sforzo anche l’incipiente stanchezza cardiaca (secondo periodo del Ginffé), ed anche qui la sintomatologia non é molto netta a causa dell’allenamento. Però sia nel 1° che nel 2° caso bisogna pure ammettere la concomitanza di tanti altri fattori quali l’ambiente in cui si svolge il lavoro (inteso come condizioni di temperatura umidità, gas mefitici o velenosi, sostanze organiche, ecc.) e le condizioni individuali (intese come alimentazione incongrua o insuf- ficiente, alcoolismo, malattie pregresse non ultima l’anchilostomiasi, ecc.). Concludendo quindi se da una parte si spera che una buona ventilazione unita ad una razionale regimentazione delle acque possa apportare la bonifi- ca fisica e chimica dell'ambiente delle zolfare, d’altra parte è da sperare che l'adozione di mezzi meccanici appropriati e perfezionati per l’escavazione ed il trasporto a giorno del materiale eviti i danni provenienti da una fatica che non è in giusta proporzione con la resistenza dell’organismo. Nel porre termine a questa serie di ricerche, sento il dovere di ringraziare sopratutto il. dott. Aquila, il quale rimase meco collaborando con amore ed intelligenza mi agevolò non poco nella raccolta dei dati sperimentali, ed i signori dott. cav. Giordano e l’ing. Fiore 1quali mi furono larghi di consigli. 46 E. CARAPELLE BIBLIOGRAFIA Apucco. Atti della R. Accademia dei fisiocritici di Siena, 1891. ArBrecHm. /giene industriale. Vallardi, Milano. AscHeR. Deut. Vierteljareschrift f. offent. Gesund, 1907. Brera. 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Volli attendere il risultato di quel lavoro il quale corrispose perfettamente alla mia supposizione, prima di un minuto l’ortottero aveva raschiata la cor- teccia e si era spostato un trattino verso l’alto, allora lo vidi inclinare la te- rebra sotto al ventre e dopo uno o due tentativi, introdurla con piccolo sforzo per circa nn terzo, nel piccolo foro di già tracciato. In questa nuova posizione l’insetto si mantiene tenacemente, anche mole- stato non smette punto la sua occupazione, e se si decide ad estrarre dal buco la terebra, o ve la rimette subito o ricomincia il lavoro di raschiatura in altro sito; ma non abbandona lo stelo che ha prescelto, ne fugge se viene molestato. Fu dietro questa osservazione che mi decisi recidere alla base quello stelo e insieme con l’insetto, sempre intento al suo lavoro, potei trasportarlo alla mia prossima dimora e collocarlo in una gabbietta di velo dove lo lasciai in riposo. Sino a quel momento i buchi praticati in quel gambo di fenicolo erano dne, ma l'indomani, quando andai a visitare il mio prigioniero, essi si erano mol- tiplicati di molto e sempre su uno stesso lato del fusto, uno a poca distanza 50 T. DE STEFANI dall'altro così, che davano l’idea dei fori di un flauto o di uno zufolo. (Ve- di fig. 1) Come era naturale mi nacque l’idea che quel la- voro dell’EpAppigera era tutto rivolto alla sua nidi- ficazione, col fatto non mi ingannai perchè, aprendo quel fusticino, in corrispondenza di ogni buco trovai incunveati nella sostanza midollare, un certo numero di nova. Queste sono lunghe circa:4 mm., larghe ap- pena un millimetro, col corion molto resistente, chi- tinoso, di color basale bruno, coperto di una prui- Fig. 1 Pezzettino di un fusto di Foeni- culum piperatum con tre buchi . . . . . i i b U i ti presse, di forma navicnlare e giacciono verticalmente Praticati dall'Ephippigera. nosità granellosa cenerino-chiara, leggermente de- disposte nello spessore del tesssnto midollare in nun piano radiale (Vedi Fig. 2?) col polo anteriore acuminato rivolto sempre verso il cunicolo aperto dalle mandibole della madre; il polo posteriore è leggermente arrotondato e alla su- perficie del corion non si nota reticolatura di sorta (Vedi Fig. 5%). Queste nova stanno l’uno accanto l’altro o a qualche distanza, esse però non sono ma; a contatto intercedendo sempre, tra l’uno e l’altro, un setto della sostanza midollare del fusto variante in Fig. 2* t=) ZARE PI È la l° IRA pon Sezione di un rametto di Foe- spessore a seconda l'angolo di spostamento che ha pniculum contenente 7 nuova di subito la terebra come spiegherò meglio più avanti. Ph. rugosicollis. @ nova Sulla nidificazione delle &p/ppigere sì conosceva ben poco e solo recentemente il Sig. Peyerimhoff ha pubblicato esatte osservazioni fatte in Algeria sul- l’Ephip. confusus Fin. (1), notizie che io sconosceva Fig 3* Un uovo di Eph. rugosicollis ELI: porre le uova, e tale scoperta mi sembrò così impor- quando sorpresi la specie di Sicilia nell’atto di de- tante che continuai le mie ricerche con entusiasmo, e ne fui compensato per- chè potei imbattermi in altri esemplari intenti allo stesso lavoro, non solamente su gli steli secchi di /oerziculum, ma su quelli anche secchi o quasi (mai sui verdi) di altre ombrellifere come la Magidar:is tomentosa D.C. e la Ferula com- munis Linn; e incotrai anche non pochi altri fusti di queste piante con nu- merosi fori simili a quelli già osservati; lungo un fusto di fernla potei con- (1) P. De Peyerimhoff — Sur l’Eclosion et la ponte d’Ephippiger confusus Finot (Ann. Soc. Ent de France v. LXXVII -- 1908) OSSERVAZIONI SULLA NIDIMCAZIONE DELL’EPHIPPIGERA ECC. Epi tarne sino a 45. Di questi steli ne rinvenni anche di vecchia data, forse di un anno avanti e dentro a questi, ancora incastrato nel midollo il corion, già retto per la schiusa delle larvette, ancora in sito. Sul fenicolo e sulla WMagidaris i buchi di nidificazione erano sempre prati- cati sopra un solo lato del fusto, quasi sulla stessa linea, mentre sul fusto più robusto della ferula essi erano irregolarmente disposti intorno alla circonferenza. Il costume di deporre le nova in alcune specie di Ep/ppigera sulle piante mentre altre le depongono nel terreno, come ha osservato il Sig. Xambew sui Pirenei orientali per Zp/ppigera vitium Serv. (1), è un fatto molto singolare e non si spiega facilmente come specie dello stesso genere e con organi di identica conformazione, possono avere costumi tanto diversi. Il Peyerzzhoff (1. c.) a questo proposito accenna all’idea chein ciò possa avere influenza la lun- tchezza della terebra, cioè che le specie con quest’'organo molto lungo, depon- gono le nova nel terreno, mentre quelle che lo hanno breve le depongono nel essuto vegetale. Riporto testualmente quanto egli scrive a questo riguardo: « Ainsi, Ephippiger vitinm, dont l’oviscapte est trés long, pond eu terre, f comme la majorité des Zoczstdae, un grande nombre (une cinquantaine) .« d’oenf à la fois, tandis qu’ 7. corfusus, chez qui l’oviscapte est court, dissé- « mine ses oeuf dans les tiges végétales. Peut-étre. trouverait on, dans ces DI coincidence, un indication pour la découverte des conditions de ponte chez .« les antres espéces du genre ori, comme on saint, les dimensions de l’oviscapte À varient beanconp. » Io osservo che tra la terebra dell’Ep%. vitium e quella dell'Epl. rugosicollis non esiste por una granCe differenza; il Fz0f (2) assegna alla terebra dell’Ep%. vitinm da 19-25 mill. di lunghezza, io trovo che quella dell’Ep/. rugosicollis di Sicilia 6 lunga da 16-18 mill. e non da 10-11,5 come lo stesso zo le ha assegnato (I. c.) i A ogni modo non credo sia questo il caso d’una discussione, anguriamoci più tosto che ben presto, osservazioni dirette possono venire a rischiarare come i fatti veramente sono. Ma certamente l’asserzione che le parti esterne dell'apparecchio genitale degli insetti è in rapporto col luogo in cui le uova devono essere deposte, per lo meno, non è esatta; difatti due insetti dello stesso genere, con appa- (1) Xamben le capitaine V. — Mèlanges entomologiques, if e memoire (Ann. Soc. linuéenne de Lyon, 1903). (2) A #inof. — Insectes Orthoptères — Thysauonrs et Orthoptéres proprement dits — 1892 — Paris. 52 T. DE SwEFANI rato genitale identico, non possono giustificare il diverso comportamento nella deposizione delle uova, come non si comprende d’altro canto che insetti con apparecchio genitale diversamente couformato e dello stesso ordine, depongono le nova in modo identico. Gli Acr47 infatti, che hanno un apparato genitale molto diverso da quello delle Zoczstidae, depongono le uova nel terreno co- me fanno appunto molte locustide. È certo che altre Zocustidae depongono le nova nelle piaute : il 7aschezderg osservò nna femmina di Mecorema varia Fabr. che aveva impiantato la terebra molto profondamente tra le rugosità della scorza di una quercia per ivi depor- re le uova, altra volta egli ebbe a trovare in primavera, dentro la galla ab- bandonata di un imenottero, dove si era introdotta in autunno, una larva della stessa specie (1). Questa stessa specie, secondo l’abbate Pierre, sul Quercus pedunculata, da luogo ad un cecidio delle gemme (Vedi Marcella, v. IV. pag. 167, 1905). In America l’Orchelinum agile depone le sue nova negli steli del cotone (2). Il Sig. V. Zorka in Nakel (Germania), ha catturato una specie di Larbitistes (? costrictus Br. ? ocshazi Charp) che poi osservò in schiavitù deporre le nova fra gli steli di un mazzetto dierica (Caluma vulgaris) che lui stesso aveva deposto nella gabietta del prigioniero, appunto perchè aveva osservato altra volta una femmina introdurre la terebra fra gli steli di tale piante; l’insetto prigioniero depose le nova in breve serie allungata sugli steli. incollandole con una gomma (3). Con quest'altra asserzione abbiamo allora anco un terzo modo di deposi- zione nelle Locusfidae e in specie dello stesso genere, o almeno di generi molto affini; e ho detto in specie dello stesso genere perchè il Barbi/isfes è molto prossimo parente delgenere &pWippigera: Così abbiamo efippigere che depongono le nova nel terreno, altre nei tessuti vegetali, altre ancorasui ramoscelli delle piante. E’ ben strano, ripeto, tale differenza di costumi ininssetti dello stesso gruppo, con apparato genitale identicamente conformato e dubito che per questi ortotteri, si manca ancora di più esatte osservazioni. Altre Zocustidae che depongono le uova nelle piante sono: Orchelimun (1) A. Z. Brehmn — Merveilles de la Nature — Les insectes par J. Kunchel D’ Herculais . (2) H. A Morgan — The differential Grasshopper in the Mississipi Delta other Common species (in Some Miscellaneous results of the Worh of the Division of Entomology) (U.S. Depart- ment of Agricolture) 1901 — Waschington. (3) Zorka V.— Ein kieferminsekt aus der Ordung der Orthoptereu (Zeitsch. f. Wissen schaft. Insekbiol. Keft 7-8 Band. V.) 1909. Berlin. OSSERVAZIONI SULLA NIDIFICAZIONE DELL’EPHIPPIGERA ECC, bb: glaberrimum Brunn., osservato da ZMancocl (1), Dasyscelus normalis Brunn. osservato da 5rezlkes [2] e probabilmente altre specie che a me sfuggono o di cui non è nota la biologia. D'altronde le osservazioni sulla deposizione delle nova delle Zocustdae nelle piante sono tutte di data molto recente, le più antiche sono quelle fatte dal Perris (3) il quale trovò i buchi di nidificazione negli steli di Zerz/ edi Asphodelo che aveva ricevuto dalla Corsica, e da cui ottenne alcune larve che egli, per analogia, credette appartenessero ai grillidi. Per la mancanza di essalto osservazioni sulla deposizione delle nova di Locustidae nelle piante, capita il caso di incotrare, in diversi autori, l’asserzione che la terebra di questo gruppo di ortotteri, serve ad insinnare nel suolo le loro nova più profondamente di come non fanno altri ortotteri che di tale organo sono privi; come ho detto più sopra, tale asserzione, almeno in parte, non è esatta, mentre oramai siamo sienri che alcune Zocustidae depongono le uova nelle piante; d’altronde non credo neanco che quest’insetti, pur forniti di lunga terebra, possono mandare le loro nova nelterreno più profondamente di quanto può fare una femmina di acridio. Mi proverò a dimostrare questa mia affermazione. Cito uno dei più grossi Locustidae, il Decticus albifrons Fabr. comunissimo in Sicilia tanto al piano, quanto specialmente al monte, esso è provvisto di una terebra sufficientemente lunga, la quale, dalla base all’estremità, misura 20-25 mill., e come è accertato, questa specie depone le nova nel terreno; ebbene, con un ovopositore così lungo essa non può, più di un Ca/optenus italicus cacciare le nova nel terreno, e non le può perchè il suo addome non è fornito della particolarità di potersi distendere come quello di un acridio, dove una membrana intersegmentale, nell’atto che l’insetto introduce l'addome nel terreno, mercè immissione d’aria nel suo intestino, si estroflette per una lunghezza molto sentita. Questa partico- larità la si riscontra quasi in tutti i segmenti dell'addome diun Acridio e la membrana ha una maggiore estensione tra il 5° e il 6° e tra il 6° e 7° somite, (1) Hancok I. L. Ovoposition and carnivorous habits of the green meadow &rasshypper (Psyche, 1904) (Analise del Dr. P. Speiser in Zetschr fiir wissensch. Insektenbiol,) 1906. (2) Brèthes J. Biologia del Dasyscelus normalis Brunn., 1893 (Pleminia argertinea Berg., 1900) (Ann. del Museo nacional de Buenos Aires. 1905). (3) Perris E. — Notices entomologiques. I Observations sur les manouvres de / Oecanihas pellucens (Orthoptères Grilloniens) pour la pont de ses cenfs (avec figures) (Ann. Soc. Ent. de France), 1869. Id. Nouvelles promenades entomologiques (Ibd.) 187 bi T. DE STEFANI minore fra il 7° e 5° e fra il 4° e il 50, più ridotta fra il 5° e 4°, piccolissima tra il 1° e 2° tergite e tra questo e il 3°, quasi nulla tra il 2° e 3° sternite. Tra gli sterniti del Dec/cus, tale membrana intersegmentale non si trova e l’addome può solamente subire un movimento di piegamento in basso essendone forniti invece i tergiti. Vediamo quindi, che mentre l’addome di un Caloptenzs o di un Sfauronotus può acquistare una lunghezza quasi doppia di quella che l’addome ha allo stato di riposo, il Deceus non può introdurre nel terreno che la sola terebra, e questa non è più lunga dell'addome di quegli acridii nell’atto di deporre le nova. To ho avuto diverse occasioni di osservare la deposizione delle nova del Oaloptenus italicus Linn.; essa non differisce da quella dello Stazrorzotas ma- roccanus Thumb., ed ho potuto costatare quale enorme estensione assume l’addome delle femmine nell’atto disgravarsi; basta dire, che la lunghezza media, allo stato normale dell'addome di unafemmina di Calopferus, suole essere di 15-20 mill., nell'atto della deposizione invece si allunga sino a 35 mill. circa. Ma ritorno all'&plppigera rugosicollis per dire qualche altra cosa del come essa opera onde assicurare la conservazione della sua specie. È dessa un ortottero di strana figura, tozzo. gobbo, tardo ner movimenti, sprovvisto di ali, con le elitre rudimentali e quasi nascoste dalla porzione po- steriore del pronoto, le sne gambe sono esili e lunghe, le antenne setacee e lunghissime; la femmina, in continuazione dell’estremo addome, porta una te- rebra piuttosto lunga di cui già abbiamo conosciuto l’uso. Il nostro insetto, salito sul fusto secco della pianta che ha scelto e.tenendovisi aggrappata ora col capo rivolto in alto ora verso il basso, indifferentemente, comincia con le mandibole ad attaccare il legno e tanto lo corrode sino a raggiungerne il mi- dollo così, che ha potuto praticarvi un foro grossolanamente ellittico di circa 1 mill. e !/,, attorno & questo, appunto pel rosicchiamento, si è formata una lunula di circa 3 mill. irregolare. Compito questo primo lavoro si ferma, piega in basso gli ultimi tergiti dell’addome e laterebra, in tal modo, viene portata molto innanzi, e per circa un terzo introdotta attraverso il cunicolo nel midollo della pianta; allora un uoyo discende lungo le lamine e viene incuneato tra l’inti- mo dl tessuto midollare. Deposto nr uovo, l’insetto ritira per un poco la te- rebra dal cunicolo, tanto per levarla dal sito dove ha deposto l’uovo, e leg- germente la sposta verso un lato dove, con altra pressione, l’introduce di nuo- vo nel tessuto midollare e lascia scendere lungo le lamine un altro uovo; e- così continua finchè non vede giunto il momento di abbandonare quel nido e an dare più in alto lungo il fusto o stabilirne un altro. Prima però di abbando- narlo, il pesante insetto gira a rilento attorno al buco, quasi direi, dispiacente OSSERVAZIONI SULLA NIDIFICAZIONE DELL’IPHIPPIGERA ECC. dI di doverlo lasciare o lo studia per poter meglio garentirlo da agenti esterni; es- sa difatti dopo un momento lo attacca con le mandibole, frastaglia un pò l’en- trata e va via. Quale scopo abbia quest’ultima operazione io non so, ma forse tale frastagliamento potrebbe non essere estraneo alla garenzia delle uova, potrebbe essere un impedimento all’entrata di alcuni parassiti. Im alcuni fusti di Mayg:daris ho osservato il piccolo e rotondo foro ai en- trata di nu imenotterino, della Prosopis argustata Schk, uno di questi forellini era precisamente praticato in quello dell’EpXippigera, ed era naturalmente cireondato dalla nota anreola di. scorza rosicchiata dall’ortottero; allora ho voluto aprire uno di tali fusti ed ho trovato che l’imenottero aveva scavato il suo cunicolo tra le nova dell’Ep/ppigera senza danneggiarle per nulla e in mo- do, che essendo stati per circa nn terzo della loro lunghezza spogliati dal tes- suto midollare in cui erano stati incastrati, ora per questa porzione sporge- vano liberi nel cunicolo della piccola Andrerzzdae. Quest’'insetto dunque non è un nemico delle nova del nostro ortottero, ed esso accidentalmente era venuto a stabilire il suo riparo nel sito stesso dove l’&p/ppigera aveva deposto al- cune delle sue nova; ma dei parassiti probabilmente non mancherranno alla Locustidae. Le uova, come ho detto, non sono mai a contatto, ma separate le une dalle altre per un tramezzo di tessuto midollare, doppio così a seconda l’an- golo di spostamento che ha subito la terebra. I movimenti di quest’organo nel deporre le nova, sono visibilissimi a chi sta con attenzione ad osservare l’in- setto, così, che può. sinanco carpirsi ìl momento in cui l’uovo scende lungo le lamine e viene deposto. Nei cunicoli, che chiamo di nidificazione, si trovano da uno a sette uova in quelli stabiliti nei fusti di Moex:cu/zm, fino a dieci in quelli più robusti di Magidaris e di Ferula; la sola differenza che si nota in questi diversi supporti consiste nel fatto, che mentre nel tessuto midollare del fenicolo e di Magzdaris le nova si trovano verso il centro o ancora più profonde, nella ferula esse so- no deposte appena sotto la scorza, proprio al principio del tessuto midollare, dopo il buco di entrata; ciò probabilmente perchè questo strato della pianta offre una certa resistenza alla perforazione della cerebra dell’ Ep/ppigera. I cunicoli praticati dall’insetto sui fusti di queste piante sono in numero variabile e per lo più disposti lungo una delle facce del fusto a poca distanza uno dall’altro, intercedendo fra essi un centimetro ed anche meno, oppure tre e quattro centimetri, ma non è raro il caso di incontrare dei fusti che contengono pochi di questi cunicoli, due o tre per esempio, ed allora possono trovarsi a maggiore distanza, ma io, in agosto, per lo più ho incontrato fusti riccamente provvisti di tali cunicoli. 56 T. DE STEFANI Ho sorpreso molte E&pA:ppigera, sempre nel corso del mese di agosto, nel- latto di deporre le nova ed ho dovuto osservare che l’insetto non si posiziona senza una ragione con la testa rivolta verso l’alto o con la testa in giù; ciò è dovuto alla conformazione speciale della terebra: Questa, nell’atto di disim- pegnare le sue funzioni per deporre le uova, viene portata sotto il ventre e introdotta nel tesssuto midollare, ma per la sua conformazione falcata essa non può bucare che in una data direzione, cioè, se l’insetto sarà disposto con la testa in alto, la terebra avrà la sna curva verso il basso e potrà deporre. le nova solo in questa direzione. mentre per deporle verso l’alto essa bisognerà raggirarsi con la testa in basso. Duraute la deposizione delle nova l'EpAhppigera è talmente intenta all’atto più importante della sua vita che, comunque disturbata, non smette punto il suo lavoro, ed ho potuto facilmente fotografare in quella posizione l’individno- che qui rappresento alla Fig. 4. Fig. 4. Femmina di Ephippigera rugosicollis nell’atto di introdurre la terebra in un fusto di Foeniculum per deporre uel.oav CSSERVAZIONI SULLA NIDIFICAZIONE DELL’EPHIPPIGRRA ECC. 57 Caloptenus italicus Oltre alle osservazioni sull’Ep/ppigera rugosicollis sopra riferite ho avuto occasione di osservare la nidificazione di un volgarissimo ortottero, il Ca/opte- nus italicus, una di quelle specie che disgraziatamente sogliono costituire le’ orde delle cavallette deyastatrici, sebbene questa specie sia conosciutissima pure la sua biologia non è ben chiarita; l'illustre Fabre, il noto antore di quel gioiello che sono i suoi Souvernz entomologiques, parlando della nidifizazione di questa specie dice : «< Le criquet d’Italie anferme d’abord ses oenf dans un tonnelet, puis, » « sur le point de clore son récipient, il se ravise: quelque chose d’essentiel » «< manque, la cheminée d’ascension. An bout supérieur, au point oi semblait » « devoir se terminer et se elore le barillet, un étranglement brusque change » « la marche du travail, et l’onvrage se prolonge par l’appendice écumeux » Créglementaire. » « Ainsi s’obtient logis 4 denx étages, nettement délimités an dehors par » « un profonde rainure. L'inférieur de configuration ovalaire, contient V’amas » « de germes; le supérienr, effilé en queue de virgule, n’est composé que » « d’écume. Les deux communiquent par pertuis 4 pen prés libre. » Io traccio schematicamente la fisnra con la quale egli presenta questo modo di nidificazione. (Fig. 5) Or io ho osservato molte volte in Sicilia la nidi- ficazione di questo Ca/optenus in natura, lho osser- vato per diversi anni, ho assistito alla deposizione delle nova di centinaia di femmine, ho raccolto mol- tissimi nidi di questa specie di ortottero, e l’ho rac- colti appena deposti le uova, dopo un giorno e dopo qualche tempo, mai ho osservato in essi un cammi- no di ascensione come lo descrive l’illustre Fabre; il cannello contenente le nova, alla sua estremità su- periore, non ha neanco segno di un principio di re- Fig. 5. Spaccato longitudi RI "5 5 p DAT di a o Gi CoA stringimento. tutt'altro, esso invece termina eon un’a- e nus italicus secondo Fabre: > pertura a taglio retto delle stesse dimensioni del © u__ 9 RIE i AT VALE Rao] ia Una specie inedita di Bostrychus (Coleottero) dell’ Eritrea L’egregio Dott. L. Senni che quale Ispettore forestale fu per qualche anno nella nostra Colonia Eritrea, raccolse in quelle contrade un ricco materiale scientifico; egli si occupò specialmente di ricerche botaniche e qui ebbe aggio di raccogliere anche alcune deformazioni causate da animali e di catturare pochi insetti che gentilmente volle affidare a me per lo studio. Im quanto si riferisce alle deformazioni delle piante non si tratta che di Zoocecidu in massima parte inediti; queste alterazioni io ho già fatto conoscere in due note pubblicate nel periodico Marcellia (1), oggi invece vengo ad illu- strare un coleottero fitofago che è l’unica specie che ritengo inedita tra quelle rinnite dal Senni. Si tratta di un Boszrichidae molto robusto, e che riesce di molto danno in quelle contrade ad una pianta di recente introduzione e di ornamento, alla. Melia Asederach L. I giovani alberi, che il bell’insetto assale di preferenza e in piena vegetazione, hanno molto a soffrire dei suoi attacchi, tanto piti che il poco resistente legno offre un facile lavoro alle mandibole del formoso la- voratore. La Melia Asederach è un albero di ornamento dal bel fogliame pennato e persistente e dai leggiadri fiori turchini; venne recentemente introdotto in E- ritrea e vi è benissimo attecchito come a Cheren, a Ghinda, a Filfil, a Nefasit, non così all’Asmara dove esso, sebbene vive e fiorisce, pure vi ha un lentis- simo accrescimento. Esso si riproduce facilmente per semi che germogliano (1) Z. De Stefani Perez—Contributo alla conoscenza degli Zoocecidii, della Colonia Eritrea Marcellia, Riv. int. di Cecidologia, v. VI — 1907 Avellino. Id. Altri Zoocecidii dell’Eritrea — Ibd. v. VIII — 1909. 62 T. DE STEFANI fra 20 e 50 giorni in tutta la zona delle pendici e nella parte alta di quella occidentale. Questa pianta però invecchiando perde molto del suo aspetto ornamentale e non corrisponde più allo scopo per cni veniva usata, che era quello di fare ombra, essa allora allunga sproporzionatamente i rami e conservale foglie disposte a cinffi solo all'estremità di questi. Se a questo si aggiunge il danno che vi apporta il Busfrychus di cui dirò più sotto e che è generalizzato, forse si può ritenere che in quei paesi bisognerà rinunziare alla coltivazione della Melia Asederach. Altri insetti che usufruiscono di questa pianta arrecandovi gravi disturbi non si conoscono, le termiti, in genere, non la danneggiano, diversi ortotteri però, cioè, le così dette genericamente cavallette, ne distruggono la chioma, ma essa resiste a questi attacchi e ben presto ritorna a rivestirsi delle sue foglie. L'unico insetto veramente esiziale per essa è il Bostryekus raccolto dal Dott. Senni che ne corrode i tronchi e i rami scavando delle lunghe gallerie tubolari nell’intimo del legno con un diametro da 5-8 mill. E nei tronchi e nei rami, per lo spesso, le gallerie non si limitano a una o a due, ma a secondo la loro dimensione se ne possono trovare parecchie così, che le parti attaccate si indeboliscono grandemente e il minimo colpo di vento le rompe; in tal modo capitozzata la pianta finisce sovente col perire. Le piante invase da questo insetto si riconoscono subito non solo per i rami troncati, ma anche per i numerosi e larghi buchi di uscita alla superficie dei tronchi e dei rami scavati dall’insetto ed ancora ai numerosi molticelli di rasura caduta al piè degli alberi. A difendere le piante da quest’insetto possono avere nna grande efficacia le ignezioni di vapori asfissianti, e potrebbe semplicemente usarsi anche con vantaggio, l’introduzione nelle gallerie contenenti le larve, di una bacchettinadi leono o di un fil di ferro con cui si schiaccerebbe l’insetto nei suoi recessi. Inumerosi esemplari di questo £0s/7ychus inviatomi dal Dott. Senni, mi hanno permesso di studiare la specie che ritengo inedita perchè non mi è riuscito identificarla con altre già note di quella regione e per tanto la descrivo col none di Bostrychus Senni n. sp. « Cylindricus, oblongus, niger, subter piceus, breviter rufo — pilosus; elytra « densis punctis impressis notata, costata, costaein parte postica decliviobsoletae ; « autennarum clava picea, tribus articulis transversis latis constans; caput < punctis coriaceis, antice rufis pilis hirtis parum dense praeditum; prothorax UNA SPECIE INEDITA DI BOSTRHUCHUS (COLEOTTERO) DELL'ERITREA 65 « latitudine elitris aequalis, nodiformis, postice leviter constrictus, leviter gra- « nulatus, antice recurvus, fortiter squamosus, inlateribus squamis denticulatis « recurvis armatus pedes nigro-picei-Long. 15 mill. » Questo Bos#ychus ha molta somiglianza con l’Apate (Bostrychus) insignita Fair, ma se ne distingue per la taglia maggiore, per la diversa scultura delle elitre e per la forma degli angoli posteriori del torace che nou sono salienti. Ha anche qualche somiglianza col Bostychus capucinus L. per quanto si riferisce alle dimensioni, ma questo, oltre all’avere una diversa colorazione ed una forma più cilindrica, ne differisce ancora per la diversa scaltura del torace, per la mancanza di coste ben pronunziate alle elitre e per essere quest’ul- time, nel Bostrychus Senni, molto declini, come troncate alla loro parte posteriore. T. DE STEFANI ‘’—‘onchiologia NOTA SU TALUNI GENERI F SPECIE DELLA FAMIGLIA CERITHIIDAE bel Marchese di Monterosato — co VULGOCERITHIUM Questo classico gruppo è in via di formazione nel Mediterraneo ed è il più diffuso ed il più polimorfo nella famiglia Ceri/Miidae. Vive nelle nostre coste a poca profondità, nelle praterie di Zostera. La sua origine è relativamente recente e non rimonta al di là del qua- ternario e del pliocene. Molte forme fossili dell’Astigiano vi sono state indebitamente riferite. Le sne numerose forme sono di grandi dimensioni ed attingono in altezza sino ad 80 millimetri. Numerosissime forme viventi più piccole, che si distinguono per la loro ornamentazione piuttosto irta, sono state confuse col Vw/gocerithinm, ma ap- partengono ad altra sezione. La scultura nel Vu/gocerithium è invariabilmente composta di noduli spi- nosi, che in alcune forme si obliterano ed in altre diventano più aguzzi. Gli elementi spirali sono sempre più prevalenti di quelli assiali in questo gruppo. La colorazione ordinaria é livida, un misto di seppia a screziature ver- dastre o rossastre su fondo più chiaro. Delle volte domina una tinta di rugine dovuta a qualche vicino sedimento ferruginoso. L’albinismo non è frequente. Le mostruosità sono rare; una di esse a cingoli carenati è stata pubblicata col nome di Ceri/hinm Milnesii-Edwardsii da Testa, un nostro antico conchiologo. Casi di sinistrorsità non ne conosco. 66 MONTEROSATO Questo gruppo manca nelle coste atlantiche Europee, se si eccettnano Cadice e Tangeri, che per la loro fauna sono riguardate più come località Mediterranee che Atlantiche. Bensì nelle coste della Bretagna, al Ponliguen, in Francia, si rinvengono rigettati sulla spiaggia esemplari fossilizzati, (v. figg. assieme a delle yalve molto spesse di un Pecfez (P. amphycirtus, Locard) che può dirsi estinto, provenienti senza dubbio da qualche deposito recente sottomarino. I nomi che sono stati dati a questo gruppo sono i seguenti: Thericiam, Rochebrune (nome manoscritto nelle schede del Museo del Jardin des Plantes a Parigi) — Monts. — Naturalista Siciliano, 1890. Questo nome non è che l’inversione del vocabolo Cerz/ium. Io sono stato il primo a raccoglierlo, ma ebbi il torto d’includervi il C. al/zcastrum, che evidentemente appartiene ad altra sezione. Gourmierium, Jousseanme—Bulletin de la Societé Géologique de France, 1894. ‘Questo nome non è stato adottato anzi fn criticato da G. Dollfus nei suoi Comptes-rendus della stessa Societé Géologique; sarebbe altronde da emen- darsi se si vuol prendere per tipo il Gozzzzer di Adanson e quindi dovrebbe -dirsi Goumierium. Esiste del resto, nella stessa famiglia Cerz/hiidae un genere «Gourmgygia di Bayle, 1884, fondato sul C. Gourmgi di Crosse, che potrebbe re- ‘care confusione. Vulgocerithium, Cossmann in litt., Sacco—Molluschi fossili del Piemonte 1890. Quest ultimo ha per me la preferenza quantunque non sia il più antico, per- .chè sembrami il più corretto e quello, che per la fusione dei due vocaboli, richiami il genere e la specie principale di cui ci occupiamo. Queste tre sezioni hanno per tipo il Cerilium vulgatum e sono quindi meramente sinonimi. CONCHIOLOGIA 67 VULGOCERITHIUM VULGATUM Questa grande e sviluppata specie si conosce per tradizione, perché real- mente non si sa con precisione, se Bruguière, che n’è l’ autore, abbia dato il nome di vz/gafum ad una o ad un insieme di forme. La sola nozione sicura è che sia una specie del Mediterraneo. Credo che sarebbe più prudente nello scegliere un nome, di adottare quello di ©. spirosum di De Blainville, cl’è facile verificare, perchè abbiamo un tipo ficurato in una opera, che non è troppo rara nè troppo antica. Inutile mi sembra il tentativo dettato da Jeffreys e poi da Locard, di ri- conoscere in questa specie lo Strombus tuberculatus di Linnè, un nome ch'è riferito dai conoscitori delle specie esotiche ad un Cerz/Wum di altri mari. L'u- nica nozione in favore di questa citazione è la patria Mediterranea, che può essere erronea. In generale questo genere di ricerche intorno ai generi e alle specie in disuso, sono fastidiose ed infruttuose; esse non servono che a sconvolgere la nomenclatura o per dar prova di erudizione. Non è poi dato a tutti di pro- curarsi gli antichi libri di cni non esistono che poche copie; n’ è lecito, dal- l’altro lato, Gi seguire servilmente anche i più antorevoli scrittori, senza con- trollare le loro asserzioni, le quali non hanno altro merito, che quello d’in- tralciare la via. PLIOCERITHIUM Distinguo con questo nome una parte dei Certi vulgati dell’Astigiano e del Miocene. Scno forme potenti, sviluppatissime, forti, pesanti, a scultura per- sistente e a labbro spessito. I miei tipi sono le specie seguenti : PLIOCERITHIUM HOLOTHURIUM Grande forma a labbro ingrossato, a profilo pupoide, a scultura composta. di noduli e strie impresse assai numerose. Altavilla e Cannamasca (Sicilia). 68 MONTEROSATO P. ANTEVULGATUM È la specie più comune nei terreni di Altavilla e Cannamasca. Si trova anche in Toscana. Non tutti gli esemplari hanno il labbro tanto spesso quanto nell’ esem- plare figurato, che mostra tutte le perfezioni della specie. Può darsi che De Gregorio l’abbia distinto col nome di Carzamascense, ma non posso ravyvisarlo con sicurezza, attesochè lo dice vicino all’ a/zcastram col quale non ha, nessun rapporto. GLADIOCERITHIUM Il tipo di questo gruppo è il C. alucastram (= Murex alucaster, Brocc. tav. X, f. 4), che ho sempre considerato come specie indipendente e che ora costituisce per me il tipo di un gruppo ben definito da chiamarsi G/adioceri- thinm, per la sua forma lanceolata. Il carattere di questa sezione risiede nelle coste assiali e nel non portare su di esse alcun vestigio delle nodulosità spinose proprie del C. vu/gatum. La sua coda o meglio il ricettacolo, che serve pel passaggio del sifone quando l’animale è in movimento, è lungo e ricurvo. La colorazione è bionda e bi- partita ed è costituita per metà dell’anfratto da una fascia sottosoturale scura e di altra metà a macchie alternanti con tinte più chiare, che variano di co- lorito e di disegno secondo i fondi ove abita. Vive in nna zona che non è la littorale nè la corallicena, in un fondo fangoso ad una discreta profondità. La distribuzione di questa forma allo stato fossile è in tutta la penisola in varii depositi non troppo antichi. Vivente è diffuso nel Mediterraneo, nel- 1’ Adriatico e nel Mar Nero. GLADIOCERITHIUM ALUCASTRUM = Murex alucaster, Brocce., tav. 4, £. 10. n Cc. alucastrnm sino a pochi anni addietro era considerato come varietà del C. valgatum ad imitazione di Philippi (I, p. 193), che lo distinse così: C. valgatum var. s plicata = M. alucaster, Brocc. CONCHIOLOGIA 69 Ora è apprezzato al suo giusto valore ! Una figura consimile a quella di Brocchi, trovasi nel Vol. V. della Bri- thish Conchology di Jeffreys (tav. CII. f. 4) come una rara conchiglia vivente Britannica, ma col nome di /udercu/atum. Questa figura è riprodotta nella Teonografia del Dr. Kobelt, tav. CXIV, f. 9. Una consimile forma è descritta su di nn tipo vivente nai Mo//usgaes du Roussillon col nome di var. alucastra (fasc. 5. p. 200), ma la figura non vi corrisponde esattamente. Il Prof. Brusina, ora non più fra i viventi, volendo ben chiarire le cose, stimò opportuno di lasciare il nome di a/ucastrum alla forma fossile fiurata da Brocchi. che in vero è un po’ esagerata nei suoi caratteri, ed impose il nome di SyFesi (dedicato a Mr. E. R. Sykes) alla forma vivente da lni conosciuta come Adriatica, trovando tra l'una e l’altra delle notevoli differenze. In ciò è stato seguito dal Dr. Kolbelt nell’ Iconografia, e così ora è citato ciecamente da vari scrittori. Ma Brocchi riconobbe l’identità fra la forma fossile e la vivente e si espres- se in termini assai chiari, come sempre, nella sua grande opera fondamenta- le. « Questo Murice, egli dice, è quello qualificato dal Prof. Renieri nel suo « catalogo alfabetico peluno/uccanus di Gmelin, e non è molto raro nell'Adriatico. « Nel museo del Consiglio delle Miniere ne esiste l’originale tanto conforme « agli esemplari fossili che sembrano per così dire, essere gettati nella me- desima stampa ». ‘Questo è per me il punto di partenza. In vero il Prof. Brusina, se risentiva il bisogno di un cambiamento di no- me, avrebbe potuto servirsi di quello di €. subzodosum, A. Adams (Sow.-Tes. Conchyl. 1385, t. CXXVIII, f. 47) con la patria sbagliata di Australia. Così tro- vasi etichettato nella grande collezione del British Museum di Kensington a Londra. L’errore di patria fu la sola cagione che lo determinò in questo pro- posito. Io ho potuto verificarlo varie volte e sostengo non esservi differenza al- cuna tra il subrodosum preteso d’ Australia e la forma dell’ Adriatico, più di tutto delle coste d’ Istria.. | : Simili errori di patria ho pure constatato (Boll. Malac. Ital. 1888) in al- cuni Zrochi (Gibbula venusta, A. Adams, ch’è G. ardens, v. Salis e G. sulcosa. A. Adams, ch’è una varietà della stessa G. ardexs) entrambi indicati come di Australia. Tale osservazione è avvalorata dal Prof. Hedley,il quale in una sua recente pubblicazione dice, che la G. verusta e la G. sulcosa di A. Adams, sono varietà della G. arders e che sono delle forme n.editerranee e non australiane. 70 MONTEROSATO G. SUBNODOSUM C. subrodosum, A. Adams = C. Sykesi, Brusina. (Kobelt — Icon. 1907, t. CXIII, f. 8). È la forma vivente dell'Adriatico e segnatamente delle coste d’Istria, ch'è bene mettere in evidenza per fare spiccare i caratteri che la distinonono dalle forme fossili che vado a descrivere. Attinge le proporzioni di mill. 75 in altezza e mill. 25 in larghezza. Questa specie possiede numerose forme viventi nei nostri mari, ma non tutte le collezioni ne possiedono una serie completa. G. PRISMATICUM È pinttosto piccolo in confronto al precedente ed è quello che si avvicina di più al vero al/ucastram fossile dell’isola d’Ischia, località originale di Broc- chi, che ho sott'occhio. È più gracile del subrodosum e mostra le sue coste assiali ben pronun- ziate e dimezzate nel centro degli anfratti. Alt. mill. 55, largo 18. Fossile di Ficarazzi. Credo sia utile dare anche la fioura di questa forma vivente del Medi- . terraneo, il cni tipo proviene da Valencia (Spagna). G. DIRECTUM Per la sna vantaggiosa statura eccede tutti gli altri G/adiocerithii ; il suo profilo retto, le coste poco salienti ed evanescenti verso la base e la coda assai ricurva lo fanno apparire abbastanza distinto. i Il mio più alto esemplare misura non meno di 10 centimetri in lunghezza e 3 in larghezza. È proprio del deposito di Montepellegrino. Sospetto che sia stato già segnalato da De Gregorio col nome di Paror- mitanum, ma lo dice pupotde. La località assegnata dallo stesso autore è Monte Pellegrino, ma vi confonde una forma vivente, che non è il d7'ectum:, che può dirsi estinto. CONCHIOLOGIA 71 G. PLICORNATUM Forma fossile che si rinviene a Sperlinga presso Palermo. Si distingue per l’ornamentazione delle sue coste che sono poco sporgenti ma più numerose. G. MANUSTRIATUM Altra forma fossile di Uditore presso Palermo. che rassomiglia a talnue forme viventi. G. vULNERATUM É una forma di altra corporatura ed è difficile trovarsi in completi esem- plari, attesa la tenuità delle sue pareti. Ma rimane tuttavia nella conchiglia qualche traccia della colorazione bipartita rossiccia, propria di questo gruppo. Alt. mill. 55 larg. 20. Anche del deposito di Montepellegrino (=? var. perfenuecostatum, De Gre- gorio) e di Castrovillari in Calabria, var. solida, Monts., perchè è più solida del tipo. G. FEMORATUM Si distingue per le sne grosse varici, ver essere tozzo, massiccio, striato. Alt. mill. 70 larg. 25. E una forma che si avvicina al fossile C. varicosum, Brocc., specie antica ma senza esserlo. Fossile di Sperlinga. Oreto, Ficarazzi, Caltagirone, tutte località siciliane. DRILLOCERITHIUM Questo nome l’impongo ad un dato numero di forme gracili, cilindriche, non lanceolate, strozzate verso l’ultimo anfratto, il cui insieme forma un gruppo ben distinto. Vive nella stessa zona del G. alucastrum. Fossili se ne rinvengono in Calabria e nel deposito di Montepellegrino, -come pure a Nizzeti (Sicilia). 72 MONTEROSATO Il Dr. C. Crema nel Bo//ettino del R. Comitato Geologico, Roma 1903, de- scrisse e figurò talune specie di questo gruppo. DRILLOCERITHIUM PROTRACTUM C. protractum, Bivona fil. = C. valgatum, Var. gracile, Ph. (non Lk., nec Sow.) = C. valgatum var. augustissima, Weink.= €. stenodeum, Locard. È una vera specie vivente che possiede varie forme secondo il fondo che abita, ma è relativamente costante nella statura, nei colorito corneo con poche fiammette negl’interstizii delle coste ed è facilmente riconoscibile. Fossile identico al tipo non lo conosco. Il iipo è tenne e trasparente. Vive in tutto il Mediterraneo, alla profondità del G. alzcastram. D. HAUSTELLUM = C. haustellum, (Monts.) Crema. In questa forma sono più pronunziate le coste e la strozzatura caratteri- stica dell’ultimo anfratto. ; 3 Vive nell’Adriatico e nel Mare Tonio. Fossile soltanto di Taranto (quater- nario), ben tipico. D. DI-BLASII Pubblicato da me nel Nazuralista Siciliano 1890, sul tipo fossile di Monte- pellegrino. Ha forme vicine viventi, ma non identiche. D. OPINATUM Questa forma si distingue per le sue coste più numerose che in quelle delle specie o forme affini, che diventano tnbercolose. È molto spesso in con- fronto alla suna piccola dimensione. La ritengo una forma estinta. Proviene da Nizzeti presso Catania (Sicilia). me CONCHIOLOGIA 73 D. DELPHINUM Vive assieme al prozractum senza che vi siano passaggi di forma, tanto da' congiungerlo ed è più alto e più solido. Mare di Palermo, coste di. Provenza etc. D. MAROSTICUM Rigettato dai marosi sulla spiaggia di S. Nicola alle isole Tremiti nel- l'Adriatico, in mediocri ma caratteristici esemplari, assai spessi e pesanti. Sempre più corto delle forme affini e ruvidamente ornato. D. ARGUTUM È la forma che più somiglia al D /ausfellum. Ze sue coste ed i tubercoli sono densi, più che nelle altre forme viventi e fossili e gli anfratti più stroz- zati. Vive sopratutto nelle coste Adriatiche dai due lati. Fossile non lo conosco BIRTOCERITHIUM Siamo quì in presenza di un grande cenacolo! Vi sono tre o quattro categorie di forme che pullulano nel Mediterraneo. Fossili se ne conoscono pochi in Calabria, a Castrovillari, a Carrubbare ed in Sicilia: però son forme estinte, quantungne non molto antiche. Altre forme fossili che si accostano di più alle viventi, ma non identiche, si rinvengono nel quaternario di St. Jean presso Nizza ed a Larnaca nell’isola di Cipro. E’ il caso del Conus Mediterraneus la cui origine è quaternaria e le cui forme fossili che vi si addebitano, non sono ©. Mediterranens. Ma il massimo sviluppo di questi Ceri/Wii è nell’epoca attuale. 1.° forme di mare libero e di acqua pura vicino le coste nei fondi di Zostera. Sono forme vulgatissime, spesse, irte, che non oltrepassano i 40 mill. in altezza, a corona periferale ‘co mposta di più o meno radi pungoli sporgenti 74 MONTEROSATO La colorazione è verdastra variegata, con rari casi di albinismo, piuttosto locali. Philippi figurò tre forme di questo gruppo. Una col nome di /4berculata, un vocabolo che non può sussistere, che poi Requien chiamò C. infermedium. La seconda col nome di 7z2uÎa, ed è il C. minutum di Marcel des Serres. Tale specie può conservare questo nome perchè l’autore la stabilì sopra un tipo vivente, nozione ch'è generalmente sconoscinta. 5 To sono stato avvertito di queste circostanza dal Dott. Vignal di Parigi, il conoscitore per eccellenza dei Cerz/kii e dalla loro bibliografia. Egli mi apprese che fu pubblicato in una memorietta intitolata: Essai pour servi à l'histoire des animanx du midi de la France, 1522, p. 60, col solo nome di mrufum e come del dipartimento dell’Hérault. Altre due specie di Marcel des Serres sono: asperum e pullum, viventi, ma non identificabili. come del resto sarebbe il minutum se non fosse conosciuto per virtù di Philippi. La terza è quella da lui chiamata pw/chella, alla quale ho duvuto or sono varii anni, sostituire il nome di rezovatum, perchè Cerihii pulchelli ve ne sono altri due o tre precedenti. 2° forme di acqua mista delle Lagune di Tunisi (/ecuzduz, Monts.), di Cuma (Cumzanum, Monts.), di Messina nel bacino di carenaggio (asplaltinm, Monts.), dello stagno di Diana in Corsica (s(aguimum, Monts.), a scultura più fina, più complicata, a pareti più tenui, melanose, abbondantissime. Mai albine. A questa forma se ne può aggiungere altra serie delle saline di Agosta, di Trapani (compositum, Monts.) e della Sardegna, di Smirne ed altre località. 5° forme svariatissime ma persistenti in ogni punto delle coste della Tri politania, Gabes, Sfax, etc., che vivono nell'arena a fior d’acqua o in prossimità di certi fondi algoidi. Più di 40 forme da descrivere, alcune figurate con nomi dati da me nell’Iconografia di Kobelt. Queste bellissime specie vivono anche nella zona delle spugne di Sfax e nei fondi a spugne dell’ Arcipelago. Si di- stinguono facilmente pel colorito essendovene citrini, giallo di cromo, albini, scritti, neri, pepe e sale etc. Sono le meno conosciute. HIRTOCERITHIUM PUGIONIFERUM La figura potrà darne una buona idea. Scarsa nel quaternario di Larnaca (Cipro). La forma vivente più vicina. è l H. Payraudeani, Monts. CONCHIOLOGIA 75 LITHOCERITHIUM Il tipo è il C. fuscatum di O. G. Costa = 0. Mediterranenm, Desh. Erroneamente questo gruppo è stato riferito al sottogenere Pifhocerithinm di Sacco, che ha per tipo il C. doltolum di Brocchi. Non occorre dire che fra la specie vivente e la fossile vi passa una grande differenza e che il P7/Moce- rithium sia rappresentato da forme coralligene, antiche ed estinte, mentre che il Lithocerithium è attuale e sub-terrestre. Scnltura, forma ed altri caratteri distinguono questi due gruppi. Il Zithocerithinm è il più littorale dei Cerz//ui del Mediterraneo e vive al livello delle Fafe/lae e delle Liftorinae. Si trova negli scogli sbattuti dai flutti, che sovente restano all’asciutto. Variabilissimo con una infinità di forme che si collegano fra esse. Alcune rimangono distinte e fra queste, le forme del C. rupestre di Risso, con l’aper- tura più ristretta e con gli anfratti ornati di tubercoli radi e sporgenti op- pure obliterati in alcune colonie. L'orlo dell'apertura in tutte le forme de Lithocerithium è ornato di macchiette alternanti bianche e nere. (Finito di stampare il 50 giugno 1910) D- 1 2 d 4 6 Ti MONTEROSATO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA . Pliocerithinm holothurinm, Monts., fossile di Cannamasca (Sicilia). . P. antevulgatum, Monts., fossile di Altavilla (Sicilia). . Gladiocerithinm directum, Monts., fossile di Montepellegrino (Palermo). . G. plicornatum, Mouts., fossile di Sperlinga (Palermo). ba. G. valneratum, Monts., fossile di Montepellegrino. G. femoratum, Monts., fossile di Ficarazzi. . G. manustriatum, Monts., fossile di Uditore (Palermo). . G. prismaticum, Monts., fossile di Ficarazzi. . G. prismaticum, Monts., vivente di Valencia (Spagna). . Drillocerithium opinatum, Monts., fossile di Nizzetti presso Catania (Sicilia). . D. protractum, Biv. fil., vivente di Palermo. . D. Di-Blasti, Monts., fossile di Montepellegrino. . D. argutum, Monts., vivente di Dalmazia. . D. delphinum. Monts., vivente di Palermo. . D. marosticzum, Monts., vivente di S. Nicola, Isole Tremiti (Adriatico). . D. haustellum, Monts., fossile del quaternario di Taranto. . D. haustellum, Monts., vivente di Dalmazia. . Hirtocerithinm pugionifernm, Monts., fossile del quaternario di Larnaca(Cipro).. (6) (3) ® E = oc Lu (6) z 2) =l ) (77) (©) Zz (o) £ (u) 7) 2 2 c o = P. MARZARI & ©. - SCHIO "CAMPAGNA fot. Istituto Fisico DELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO Ricerche di radioattività e in ispecie delle acque termali di Termini-Imerese (Sicilia), per il Dort. PaoLo LA VESPA E noto come sin dal 1899 Elster e Geitel (1), mediante una serie accurata d’esperienze, osservarono che l’aria atmosferica conduce sempre leggermente l’elettricità e che tale conducibilità varia a seconda dello stato igrometrico e del luogo, ove le determinazioni sono eseguite. I suddetti fisici allora riuscirono a provare che nell’atmosfera esistono joni positivi e joni negativi, la cui origine attribuirono alla presenza nell’aria d’una emanazione radioattiva, analoga a quella del radio e del torio (2). Merita spe- ciale menzione il fatto, osservato (3) prima da essi e in seguito da Ebert ed Ewers (4) che l’ aria delle grotte e delle cantine e quella tratta per aspira- zione dal terreno è dotata di conduttività superiore a quella dell’aria ordinaria. S'interpretò questo fatto, ammettendo che l'emanazione sopracennata pro- venga dal suolo, in cui probabilmente siano diffuse sostanze radioattive, e si pensò inoltre che tale emanazione, incontrando le acque dei canali sotterranei vi si potesse sciogliere in parte. Guidati da tale ipotesi, molti sperimentatori hanno esaminato la radioate | tività delle diverse specie di terreni e rocce e delle varie sorgenti d’acqua e d’altri liquidi, e le loro ricerche han confermato l’ipotesi fatta per le sostanze. esistenti nel globo terrestre. (1) Elster n. Geitel — Phys. Zeit. 1. ott. 1899 (2) Elster n. Geitel — Phys. Zeit. II pag. 590, 1901 (3) Elster u. Geitel — Phys. Zeit. III pag. 574, 1902 (4) Ebert un. Ewers — Phys. Zeit. IV pag. 162, 1902 78, PAOZO LA VESPA Lo studio delle acque, dei depositi che esse producono intorno alle loro sorgenti e delle sostanze che seco trascinano nel loro cammino, è interessante oltre che dal lato fisico, anche dal lato terapeutico. Dal lato fisico, perchè, come sopra s'è osservato, ci fa conoscere le sostanze radioattive che fan parte della crosta terrestre e la loro distribuzione; dal lato terapeutico, perchè è opinione di molti scienziati, cultori di radiologia, ‘che il potere curativo delle acque e dei fanghi sia dovuto ai fenomeni d’eccitamento della pelle, provocati dalle sostanze radioattive in essi contenuti. Anch'io ho voluto apportare nn modesto contributo a queste conoscenze, eseguendo delle misure sulle acque termo-minerali di Termini (prov. di Palermo) e sui fanghi, che si producono negl’interni acquedotti di esse. Dalle analisi chimiche, eseguite dai chiarissimi proff. Paternò e Oliveri, è risultato che quelle acque contengono cloro, sodio, ossido di calcio, di magnesio, di ferro, azoto, ecc.; invariabile è la loro temperatura, che s’aggira iutorno ai 45.0 Per lo studio delle acque adoperai il fontaktoscopio (col relativo metodo) di Engler e Sieveking. (1) Sarebbe stato molto opportuno per l'esattezza delle misure farle sul luogo stesso della sorgente, perchè l’emanazione, come è noto, rapidamente si disin- tera. Ma nella impossibilità di recar sul Inogo gli apparecchi, mi feci venire le acque e qualche volta andai io stesso ad attingerle alla sorgente, in botti- glie della capacità di circa mezzo litro, e poi per più giorni di seguito ne mi- surai la radioattività del contenuto. IT risultati comparativi ottenuti tra l’acqua distillata e quella termale fu- rono i seguenti: (1) Engler et Sieveking— Bibl. univ. 500, 1905. RICERCHE DI RADIOATTIVITÀ ACQUA DISTILLATA Data Ora Potenziale di carica Differenza Caduta media in volt-ora-litro 21 aprile 12h 20m 161,8 4,8 13h 20m 157 4 n {4h 2)m 153 call 3,6 15h 20m 149,4 25 aprile 10h {Cm 161,8 4,8 ih 10m 157 4 12h 10m 153 4,03 3,3 13h 10m 149,7 26 aprile 10h 80m 149,7 4.2 41h 30m 145,5 4,43 9,1 13h 30m 136,4 8 maggio 9h 30m 159,3 20, 1 6,7 125 30m 139,2 10 maggio 9h 30m 158,4 12,7 6,35 Jijh 30m 145,7 13 maggio 121 20m 155,6 7,1 14h 20m 148,5 3,57 3,6 15h 20m 144,9 Media delle medie della caduta 4, 66 30 PAOLO LA VESPA ACQUA TERMOMINERALE | 00 Attività 5 ’ a Li Potenziale | Differenza | Caduta in LAO I017 CEll'eqnme | Ora di carica |di potenziale|volt-ora-litro]| olo Sd Imiziolo | calcolata 12h 202, 1 = = 7 4d ; SO 51,2 | 614,4 | 609,54 1263 12h 10m 150,9 7 I ) i | CSI | h RO 5d a ee 63.7 509,9 504,74 1255 È h_5 203.5 Ga e 53,5 498 493, 14 1263 | | h | 92 Si BI 7a isla ES LO) 359,2 354,34 1269 Media delle attività iniziali 1262, 50 I numeri letti nella colonua della caduta in volt-ora-litro della precedente tavola iadicano a primo esame che nelle acque di Termini deve trovarsi di- sciolta qualche sostanza radioattiva; essi infatti si succedono secondo una legge esponenziale del noto tipo : I=Ie-?t Applicando questa formulaJai vari valori d’attività su riferiti, arriva a de- terminare la costante di disattivazione, che risulta : 2=0, 000. 002. 109 = 2, 11.10 Ora tra le costauti di disattivazione quella dell’emanaziona di radio, va- lutata intorno a 2,03.10-5 più si avvicina aila nostra. Per mezzo di questa calcolai l’attività iniziale media delle acque e il semiperiodo, ed ottenni rispet> tivamente: volt-ora-litro 1262, 50 ih = 6 180 Il semiperiodo dell’ emanazione di radio è t = 39,86 Ho creduto utile estendere l’indagine al fango deposto dalle stesse acque, ‘perchè, come è noto, i sedimenti deposti attorno alle sorgenti contengono quasi sempre le sostanze attive disciolte nelle acque. RICERCHE DI RADIOATTIVITÀ SÌ Disseccatolo in una stufa a 100°, ne misi gr. 1,02 sur una superficie di cm. $ e ne misnrai l’attività collo stesso apparecchio di Engler e Sieveknig, che una leggera modificazione alla base rende adatto anche allo studio delle sostanze solide. Prima d'ogni determinazione colla sostanza, ne facevo una ‘a vuoto, per vedere la caduta in volt, che l’aria della stanza produceva sulla carica del- l’elettroscopio. I valori trovati in alcune determinazioni sono i seguenti: DETERMINAZIONI A VUOTO Data Ora Potenziale di carica Differenza Caduta in volt-ora 29 aprile 1ijh 50m 154,6 7,9 12h 50m 146,7 Id 7.45 13h 30m 139, 7 4,7 50 aprile 9h 30m 141,1 4,7 10h 30m 136, £ 5) D,9 ih 30m 131,1 1 maggio 10h 307 160, 8 5,6 7,6 11h 30m 153,2 3 maggio 9h 10m 146,1 10h 10m 138,3 7,8 7,8 10h 10m 138,3 PAOLO LA VESPA DETERMINAZIONI A VUOTO ——c Data Ora Potenziale di carica Differenza Caduta in volt-ora 53 maggio Qu 10m 146,1 7.8 7,8 10L 10m 138, 7 » 16h 50m 149.7 8,2 5, 47 18h 20m 141,5 4 maggio 9h 30m 145.5 LIST 5,13 ih 137,8 5 maggio Qu 30m 159,3 9,6 10h 40m 149,7 7,28 8,6 12h 141,1 6 maggio gu 30m 150,3 5,7 5,7 10h 30m 144, 6 ) 7 maggio 10h 30m 154, 6 9,1 6,1 d1jh 30m 148,5 14 agosto 16h 15m 161,8 3,4 6,8 46h 45m 158,4 Caduta media in volt-ora 3,48 RICERCHE DI RADIOATTIVITÀ DETERMINAZIONI COL FANGO. 83 Data Ora Potenziale di carica Differenza Caduta in volt-ora 28 aprile Sh 25m 171,6 51,6 18,76 ih 10m 120 3 maggio 15h 30m 129, 4 ì 91,1 19,1 16h 30m 110,3 4 maggio 17h 30m 143,9 9,8 19,6 18h 134, 1 ò maggio 16h 149,7 7 10 16h 30m 139,7 21,5 11,5 17h 128,2 6 maggio 158 30m 159,3 10,8 h = 6 148,5 25,4 14,6 16h 30m 133,9 7 maggio — 161 40m 159,3 15,6 23,4 47h 20m 143,7 14 agosto dh 144,3 19 19 12h 125,3 5 17h 30m 149,1 : 10,8 21,6 18h 138,3 Caduta media in volt-ora 21,04 S4 PAOLO LA VESPA Per studiare l’attività indotta lasciai una piccola quantità di fango per circa ventiquattro ore nell’apparecchio stesso, facendone attivare le pareti e il cilindro dispersore. Espongo i risultati ottenuti nella seguente tavola: | Caduta in volt Malo le Tempo | Potenziale di carica ; Ù caduta normale RAZSGENIOI, per 15m per ora i Di Om | 162, $ | 15m 159, S 3 12 5, D7 | 30m 157,25 2,55. 10,20 5, 77 45m 155 2,25 9 2,57 60m 153 2 to) i 1,57 Calcolando la costante di disattivazione, l’attività iniziale e il semiperiodo. del deposito radioattivo del fango. Ottenni: È 2 = (0.000.470 i = Seo TI — 25reirca Ma fra le costanti di disattivazione delle sostanze radioattive conosciute quella dell’attività indotta del radio (=4,33.10-4) s'avvicina dippiù alla nostra;. il semiperiodo di quel deposito è valutato a circa 26%, 7, poco diverso dal nostro, come si vede; sicchè possiamo conchiudere che i fanghi e le acque termomiuerali di Termini contengono una sostanza radioattiva, che presenta i caratteri del radio. Non è certo privo d’interesse il conoscere se le sostanze radioattive così diffuse nel globo terrestre, si trovino anche nei corpi celesti. La spettroscopia . ci rivelò da un pezzo che gli elementi costitutivi del nostro globo sono anche parte essenziale di quelli, quindi nessuna ragione v'è per non supporli radioat- tivi, quando, per le più recenti e accurate ricerche, si può ammettere la ra- dioattività quale una proprietà della materia in genere. Del resto che nel RICERCHE DI RADIOATTIVITÀ 85 «sole ci sia del radio è molto probabile, essendo apparse nello spettro solare le righe dell’elio, il quale, secondo le ricerche brillantemente iniziate da Ram- say e Soddy (1) è un prodotto di trasformazione del radio. Per portare un po’ di luce sulla distribuzione della radioattività nei corpi celesti, mi son proposto d’eseguire delle opportune misure sulla materia d’un aerolite, caduto in Sicilia nei pressi di Favara nel 1856 e conservato in parte nel Museo di mineralogia della nostra Università (2) Ho adottato lo stesso metodo che per il fango di Termini, quindi mi limito a riportare i valori ottenuti dalle medie d’alcune esperienze : Caduta in volt-ora AllVYaria ordinaria 6, 43 Coll’ aerolite . . . . 10, 81 Nell’intento d’esaminare la natura dell'elemento radioattivo dell’aerolite, lasciai esposto per quasi due giorni il cilindro dispersore dell’elettroscopio, mantenuto a un potenziale negativo di mille volt, sulla sostanza in esame e montatolo quindi nell’apparecchio ottenni i seguenti valori : | A n SA 0a ; Di Tempo | Potenziale di carica Cacuio da valli Ra DO per 10m i per ora Om | 170, 48 | | | 153 | 9, 18 2, 75 10m 168, 75 . 1, 43 8, 58 2, 15 20m 167, 52 | È 1, 35 8, 10 | 1, 67 30m 166, 17 | i 1,29 ara! | 1,31 4070 | 164, 88 1, 18 7,08 0, 65 50m 163, 7 Col solito metodo calcolai la costante di disattivazione, l’attività iniziale ‘e il semiperiodo e ottenni i valori: 2 — 0,000. 455 I, = 15,}47 si = UE DI ls (1) V. Blane—Rad. pag. 143 e seg. (2) Sento il dovere di ringraziare il chiarissimo prof. Di Stefano per la cortesia con cui «mise a mia disposizione la detta meteorite. 86 PAOLO LA VESPA Essi mostrano una coincidenza più che soddisfacente con quelli del de- posito radioattivo del radio, sicchè si può concludere che nell’aerolite si tro- vano dei prodotti di trasformazione del radio. Mi riservai d’eseguire in ultimo le determinazioni colla sostanza campione (0, 01 gr. di (HO), Th), perchè, come è noto, il torio produce una forte ema- nazione e quindi, una volta posto nell’apparecchio, per i depositi radioattivi, che genera e che lentamente si distruggono, altera le determinazioni successive; esso provocava nell’apparecchio una caduta media di quasi 100 volt-ora, non tenendo conto dell’attività indotta. L’idrato di torio ora fu usato da solo, ora mescolato a poco più d’un grammo di terra per avvicinare possibilmente le sue condizioni a quelle delle sostanze in esame, però le differenze tra l’una e l’altra specie di determina- zioni sono lievi e trascurabili. Eccone difatti alcune: IDRATO DI TORIO CON TERRA Data Ora Potenziale di carica Differenza Caduta n volt-ora. 9 agosto 10h 25m 164, 3 8,7 | » 30m 155, 6 8,3 102 » 35 147,3 8, 5 » 40m 138, 8 10 agosto 14h 30m 161, 8 8, 1 » 35m 143, 7 100, 8 8,7 » 40m 135 » {44h 45m 166, 7 21,2 84, 8 15h 145, 5 10 agosto 15h 45m 166,7 92 23 15h 30m 143,7 RICERCHE DI RADIOATTIVITÀ 87 IDRATO DI TORIO Data | Ora Potenziale di carica] Differenza Caduta in volt-ora 12 agosto | 15h 30m | | | 161,8 20,7 107,84 | 15h 30m =] 141,1 | 308 | 5 17h | 166, 7 | 19,4 | 101, 07 jim 147,3 | | | 508 | | l Caduta media in volt-ora | dia LE | Data la forte attività della sostanza, volli determinare per la necessaria correzione il valore dell’attività indotta, che in questo caso non poteva essere trascurabile. A tal unopo lasciai soggiornare il miscuglio d’idrato con terra per quasi 24 ore nella camera di jonizzazione dell'apparecchio e appena toltolo, comin- ciai a misurare la velocità di disattivazione del deposito radioattivo. Eccone i valori ottenuti : Tempo. |\Potenziale di carica Coenta in voll Attività iniziale per 30m | per ora qib 161,6 6,2 12,4 12, 65 ih 30m 155,6 ; telo) PAOLO LA VESPA Caduta in volt Tempo Potenziale di carica I Attività iniziale | per 30m per ora | | 1jh 30m | 169, 2 6, 1 12, 2 12, 70 12h 165, 1 14h 169, 2 5, 5 11 12, 62 14h 30m 163, 7 Attività iniziale media = 12, 95 Il valore effettivo dell’attività dell’idrato di torio è dunque: volt-ora 98, 08 — 12.65 — 85, 45 Riassumendo nel seguente specchietto le medie ottenute dalle varie sure col fontaktoscopio, si ha: “RAC Cacinio da Costante Mgienta dn ego di disattivazione Volt-ora litro] Volt-ora Acqua distillata 4, 86 — —_ Acqua di Termini 1262, 50 — 2, 109.10—6 A vuoto . . + = 6, 43 —_ Fango termale = 21, 04 _ (gr. 1,02 su cm.° 8) — —_ — Attività indotta del fango . . . —_ —_ 4,7.10-+ Aerolite (gr. 1,02 su cm. 8) —_ 10, 81 _ Attività indotta dell’aerolite _ — 4,35.1-4 Idrato di torio (gr. 0,01) è — 85, 43 —_ Da esse si può intanto concludere: 1° Che le acque di Termini tengono disciolto in proporzioni non tra- scurabili un gas emanazione, presentante i caratteri dell'emanazione di radio; 2° Che i fanghi di tali acque mostrano nna discreta radioattività della natura stessa del radio; 3° Che pure radioattiva, sebbene debolmente, è la materia dell’aerolite,, il cui deposito ha i caratteri dell’attività indotta del radio. Così vien confermata l’ipotesi che le sostanze radioattive sono molto dif- fuse in natura e che si trovano anche nei corpi celesti. Luglio 1910 Funghi coltivati e coltivabili Pror. G. E. MATTEI I Funghi costituiscono una sostanza alimentare importantissima, contenendo, allo stato secco, fino al 76 per cento di azoto, corrispondente fino al 45 per cento di sostanze proteiche, più una grande quantità di sali di potassio e di fo- sforo,, oltre a. mannite; glicogeno, grassi etc. (1). Superano perciò in potere alimentare tutti gli altri prodotti ricavabili dal Regno Vegetale, avvicinandosi assai;, sotto tale. riguardo, alla carne. In molti luoghi i funghi abbondano, massime nelle regioni umide e bo- schive, e sovente è considerevole la quantità che se ne potrebbe raccogliere (2). (1) Il CavaRA, nel suo prezioso trattato sui funghi mangerecci e velenosi (Manuali Hoepli 1897; p: 23), riporta i seguenti dati: Sostanze Sali di albuminoidi potassio; ù fosforo ete. Porcmog|/BIC/ASSCARtT=) ARIANNA SO RO SO OO TIZI 6.22 Spugnola'(Morchella eseulenta) . 0. 0.0.0 +0. ++ 38.90 — THartufondiestaten((M2027706SHU1)EIOOO EROI 090, — Ditala giallo-rossa (Clavaria Botrgtis) << 0/0... 12.82 6.23 Didi giallo (Girare md) e e oto oss ooo ole 2 - Famigliola buona (Agaricus melleus) . . .. . . . +. +. +. +. 16.26 _ Gallinaccio (Canftarellas cibarins), <.< + + 23.43 8.19 Pratajuolo (Psalliota campestris) O PR EIA AES 00 _ Prusnoloi(0/7/0 p/a SE Pr 14192 15.00 Gambe secche (Marasmins Oreades) . . 0%... + 35.597 nOi Agarico delicioso (Lactarius deliciosns) . . . . 31.15 _ (2) Contenendo i funghi, anche quelli velenosi, Faso do di sncelicni. glicogeno, mannite ete., credo potrebbero prestarsi per l’estrazione dell’alcool, e forse sarebbe opportuno iniziare qualche tentativo in proposito. Vedasi, sul contenuto di glicogeno nei Funghi: ERRERA L., Sur le Glycogere chez les Basidiomycetes. In Recueil de l’Institut Botanigne de D Université de Bruxelles. Tom. I. 1906. p. 77, e CHAUTRIAU G., Etude chimique du glycogéne chez les Champignons. Id. p. 201. 90 PROF. G. E. MATTEI Disgraziatamente però non tutti i funghi sono mangerecci ed, accanto a molti ottimi e squisitissimi, ne crescono altri di perfidi e velenosi, che sovente furono causa di funesti accidenti. Tuttavia, come ha rilevato VARCANGELI (i), le specie veramente temibili si riducono a ben poche: da numerosi casi, bene accertati, di avvelenamenti per funghi, risulta che appena sette furono le specie che li causarono: una anzi di queste sorpassa di gran luuga in perfi- dia tutte le altre, essendo ad essa sola dovuto ben il 67 per cento di tutti gli avvelenamenti constatati: questa è l’ Amanita phalloidea, FR., che, come dice il VIPTADINI (2), « tutto il mondo è concorde a maledire come il pessimo fra tutti i funghi ». Perciò basterebbe far conoscere, massime nelle campagne, questa specie perniciosa, per evitare il maggior numero degli avvelenamenti. Furono proposti diversi metodi per neutralizzare l’ azione venefica dei funghi, massime usando aceto e sale, ma in pratica sono poco attnabili. e, ad ogni modo, rendono la carne del fungo coriacea e priva affatto di ogni aroma e sapore (3). Nelle principali città d’Italia poi, massime del settentrione, molto oppor- tunamente furono allo stesso scopo istituiti ufficii tecnici per il controllo dei funghi portati sul mercato: in tal modo viene evitata la vendita di specie sospette, ma a nulla giovano quando, come nella maggior parte dei casi di avvelenamenti, i funghi sono raccolti dalle persone stesse che se mne cibano. La questions quindi di potere utilizzare abbondantemente i funghi nel- l’alimentazione, senza tema di avvelenamenti, si presenta molto complessa, ed io credo che l’unica soluzione pratica sarebbe quella di procedere alla colti= vazione delle specie riconosciute innocue, escludendo i funghi raccolti spon- tanei nell’aperta campagna. Ma, se la coltivazione degli erbaggi, dei legumi, dei frutti, dei fiori, ha raggiunto oggidì un alto grado di perfezione, quella dei funghi è ancora all’inizio, quindi ben lungi dal presentare un interesse pratico ed economico. Tolto il Pratajuolo (Psa/liota campestris, FR.), che iu Francia già si coltiva abbondantemente, nessun’altra specie venne seriamente esperimentata. Tuttavia la questione della coltura dei Funghi è di tanto inte- (1) ArcanGELI G., Sugli avvelenamenti causati da funghi. In Affi della R. Accademia dei Georgofili. Vol. XXI. 1898. —ARrcANGELI, G. Di nuovo sugli avvelenamenti per funghi. In 47 della R. Accademia dei Georgofili. Vol. I (u. ser.) 1904. (2) VITTADINI C., Descrizione dei funghi mangerecci più comuni in Italia. Milano 1835. p. 138. (3) L'amico Prof. SEveRINO, di Napoli, mi accertò che ad Avellino un tale usava man- giare impunemente qualsiasi fungo, trattandoli preventivamente con tannino: non so però se questa pratica possa bastare per neutralizzare il terribile veleno delle Amaritae. FUNGHI COLTIVATI E COLTIVABILI 9 resse, che merita di essere più profondamente studiata, e di incoraggiare qualunque tentativo od esperimento si faccia in proposito. Per riuscire a qualcosa di pratico occorre anzitutto considerare quale è il modo di vita dei funghi: a tale riguardo questi si possono dividere in due categorie ben distinte, cioè in saprofiti ed.in parassiti. Ben diverso quindi dovrà essere il modo di coltura da praticarsi ai primi ed ai secondi. £ Devesi però rilevare che si è fatto troppo assegnamento sul saprofitismo, ritenendo per tali molte specie, che in realtà non lo sono. Anzi è da riconoscersi che la maggior parte dei funghi mangerecci, almeno nei primordii del loro svi- luppo, sono parassiti. In quanto ai funghi realmente saprofiti, la loro coltura riesce relativa- mente facile: consiste nel preparare un substrato conveniente al loro svi- luppo, e seminarvi in modo appropriato le spore od il micelio. Questo è quanto si pratica in Francia per il Pratajuolo (Psa/liota campestris, FR.), 0 Champignon de Couche dei Francesi. Constatato che questa specie si sviluppa di preferenza nei vecchi cumuli di concime equino, ricchi di paglia, si pre- parano strati di tale concime, fatto precedentemente fermentare in ambiente mmnido, ma non sotto l’azione dell’acqua, e vi si semina il micelio del fungo stesso, appositamente preparato. Essendosi trovato un modo pratico di far germinare le spore di tale fungo (1), sono ora in vendita tavolette selezio- nate del sno micelio, le quali dànno risultati veramente splendidi. Questa coltura ha già acquistato in Parigi una grande importanza, quantunque si tratti di un fungo non troppo squisito, ed ora va estendendosi anche altrove : ad esempio a Milano trovasi già bene avviata. Tuttavia posso dire che tale coltura non è delle più facili, prestandosi, se tentata da gente ignorante, a spiacevoli disinganni: infatti prevale nei più il concetto che i funghi si svi- luppino solo con molta acqua, e, di conseguenza, chi ne intraprende la col- tura, eccede sempre nel sommistrare loro troppa acqua: invece vogliono essere tenuti appena umidi, bastando un debole aumento di acqua per neciderne im- mediatamente il micelio. Occorre quindi un tatto speciale, ed una sorveglianza continna, per conservare sempre l’umidità al grado conveniente. In questa coltura infatti non sono sufficienti le pratiche manuali, secondo le istruzioni degli orticultori, ma occorre una certa conoscenza delle condizioni che richie- dono i miceti per il loro migliore sviluppo. Attenendosi bene a tali conoscenze (1) FeRGUSson M. C., A preliminary study of the Germination of the Spores of Agaricus campestris, and other Basidiomycetous Fungi. In UV. S. Department of Agriculture. Burean of Plant Industry. Bull. n. 16. 1902. 92 PROF. G. E. MATTEI non sarebbe difficile istituire anche da noi in Sicilia, importanti colture del Pratajuolo, per portarne il loro prodotto sui mercati, con vero vautaggio economico. Agginngasi che anche altre pratiche possono essere usate, per la miglior riuscita delle colture del Pratajuolo: ad esempio il GurFROY (1), asgiungendo scorie di defosforazione, alla dose di 12 a 15 Kgr. per ogni 200 metri di coltura, è riuscito ad aumentare il prodotto del 25 per cento. Un altro fungo saprofita, la cui coltura è stata praticamente, dimostrata attuabile, e che presenta forse anche minori difficoltà del precedente, è il falso Prugnolo, ossia Prugnolo bleu (7richoloma nudum, BuLL.), specie mangereccia che cresce particolarmente nell’humus forinato da foglie secche di pino, di faggio o di quercia. Il ConstANTIN edil MAaTRUCHOT (2) sono riusciti a farne germinare le spore, ottenendo colture purissime, facili dappoi a se- minarsi in cumuli di foglie marcescenti, precedentemente apparecchiati. To pure a Bologna ottenni abbondante produzione di un Zricholoma, che allora non curai determinare, togliendo porzione di micelio dai detriti di foglie di pino, ove cresceva, ai Giardiui Margherita, e portandolo in altro humus ana- logamente preparato. Una coltura, che pareva bene iniziata, ma ora andata in disuso, fu quella del cosidetto Fungo del Caffè (CWzocybe, neapolitana PeRS.). Consisteva nel fare grandi cumuli di ford di Caffè, lasciandoli fermentare sotto una debole umi- dità: pare che in breve questi fossero invasi da micelii fungini, dai quali non tardavano a svilupparsi i veri Funghi. Questa coltura facevasi a Napoli, spe- cialmente ngl monastero di San Potito, per opera di quelle religiose, le quali, a quanto pare, dovevano fare molto uso di Caffè. Ne trattano a lungo il GA- RERI, il BRIGANTI ed in particolar modo il TENORE: anzi quest’ultimo autore ne informò il PERSOON, il quale se ne interessò assai (3). Ciò che ha maggior- mente importanza, a proposito di questa specie, é il fatto che il VIv:ANI a Genova, ne ottenne in modo analogo la produzione. Io però, a Napoli, prepa- (1) GurFrRoy CH., Essais de fumure minerale sur Champignons de Couche. In Bu/etin de la Société mycologigne de France. Tom. XXVI. 1910. p. 150, (2) CostaNTIN aT MarRUCHOT, Sur la colture du Champignon comestible dit Pied bleu (Zricholoma nudum). In Revue Generale de Botanique. Tom. XIII. 1901. p. 449. (3) Il PeRrsooNn infatti, in data 19 Novembre 1828, scriveva al TENoRB: « Je saisis, Mon- sieur, cette occasion en vous envoyant la 3me partie de la Mycologia Europaca, de me rappeler a votre bon et amical souvenir: vons trovuerez à la page 73, de ce volume, la mnotice du Champignom comestible et cultivé d’une maniére tante particuliére chez vous, et que vous avez bien voulu me communiquer. » FUNGHI COLTIVATI R COLTIVABILI 95 rai e conservai a lungo, in luogo appropriato, un grosso mucchio di fondi di Caffè, senza ottenere alcuno sviluppo di micelii fungini. Altro fungo commestibile e facilmente coltivabile è quello che produce la cosidetta Pietra fungaja (Polyporus Tuberaster, FR.), specie un tempo assai comune nelle selve dell’Italia meridionale, massime in quelle presso Avellino, ma ora quasi distrutta, in causa dei vandalici diboscamenti. Ne trattò a lungo il GASPARRINI (1). Il micelio di questo fungo, agglutinando densamente detriti vege- tali, assieme a terra ed a pietre, forma corpi durissimi, di dimensioni enormi, e del peso sovente di qualche quintale, i quali, trasportati in luoghi umidi, spe- cialmente in cantine, continuano a sviluppare funghi per parecchi anni di se- guito. Vidi una di queste pietre fungaie, in coltura, nello stabilimento bota- nico dello SPRENGEL, al Vomero, presso Napoli. Credo che artificialmente sarebbe facile la riproduzione di simili pietre fungaje, mercè la seminagione delle spore del fungo in luoghi appropriati, e ciò sarebbe da tentarsi prima che questa specie interessantissima sia totalmente distrutta. Si è parlato poi sovente della coltura delle Spugnole (MorcWkella esenlenta, PERS.) in terreni preparati con la feccia delle mele, che servirono a fabbri- care il sidro, ma non credo che alcun serio tentativo siasi fatto in proposito. Anzi ritengo che a nulla approderebbe, imperocchè ho il sospetto che le Spu- gnole, almeno nel loro primo sviluppo, sieno parassiti di piante arboree, massi- me Olmi, e non saprofiti. Più facile dovrebbe essere la coltura delle cosidette Gambe secche (Ma- rasmius Oreades, FR.), funghi squisitissimi, quantunque molto piccoli e fugaci: crescono di preferenza nei prati coltivati ad erba medica, e sono affatto sa- profiti. Al Sasso, presso Bologna, riuscii ad ottenerne lo sviluppo di molti individui, raccogliendo l’humus invaso dal loro micelio, e conservandolo in Inogo moderatamente umido. Però le più importanti colture di Funghi dovrebbero essere quelle con- cernenti le specie parassiti, ma la loro pratica riesce assai più difficile. Per la maggior parte le specie parassiti vivono a spese di piante arboree, insinnau - do il loro micelio nel legno del tronco e delle radici: in alcuni casi la loro azione non è tale da causare la morte della pianta invasa, ma questa può continuare a vivere per molti anni, dando luogo ogni anno alla produzione di nuovi funghi: in altri casi invece la pianta invasa muore dopo pochi anni, ma (1) GASPARRINI G., Ricerche sulla Pietra fungaja, e sul Fungo che vi sopranasce. Napoli 1840. 94 PROF. G. E. MATTEI dal tronco già defunto si continnano, a lungo, a sviluppare nuovi funghi, fino a tanto che non furono consumate tutte le sostanze alimentari che vi si con- tenevano. Nel primo caso si hanno funghi esclusivamente parassiti: nel secondo caso, funghi dapprima parassiti poi saprofiti. Alcuni di questi ultimi furono in par- ticolar modo oggetto di speciali colture. Nell’Italia meridionale si ricorda la coltura del così detto Pioppino od Alberino (PWoliofa Aegerita, BrIG.), specie abbastanza buona, abbondantemente portata in vendita sul mercato di Napoli. Invade con il micelio grossi tronchi di Pioppo, di Ce/fis e di altri alberi, ed, anche quando l’albero è stato atter- rato, continna per qualche anno a produrre numerosi funghi. La pratica col- turale, menzionata anche da antichi antori, consisteva nell’abbattere vecchi alberi di pioppo, collocando i loro tronchi, tagliati a pezzi, in luoghi umidi ed ombrosi, o meglio sotterrandoli, ed innaffiandoli sovente, per facilitare lo sviluppo dei funghi. Dicevasi essere necessarie pratiche particolari per determinare la nascita del fungo, ma verosimilmente l’unica pratica utile era quella di atter- rare solo alberi riconosciuti già invasi dal micelio fungino. Ricordo, all’Orto Botanico di Napoli, di aver veduto un vecchio Ce/fis, con il tronco completa- mente invaso dal miceliv di questo fungo, il quale albero, abbattuto dal vento, continnò sul terreno, per ben dne anni, a produrre funghi in grande quantità. Simile a questa è la pratica usata nell’Estremo Oriente, per la coltura di alcuni Funghi, come ne riferisce il CostANTIN (1): ma colà questa coltura non è ridotta ad nn incerto ricordo, bensì ha assunto una importanza straordinaria, come articolo di esportazione. Trattasi del fungo chiamato Coeur parfumè (Cor- tinellus Shittoke, Cost.), la cuni coltura si va facendo, da tempo immemorabile, nella China e specialmente nel Giappone, ritenendosi colà questo fungo per uno degli alimenti più sani e pregiati: secondo un autore Giapponese, il TA- NAKA, se ne esporta annualmente per un valore di cltre due milioni di fran- chi, e ciò dà un'idea dell'importanza che tale coltrra ha assunto in detta regione. Il micelio di questo fungo vive parassita nel legno di diverse specie di Quercie, e principalmente delle seguenti: Quercus acuta, Q. cuspidata, Q. dentata. O. glandulifera, Q. serrata, tutte specie a foglie sempre verdi. Dicesi viva an- cora nel legno di Fagus Steboldit e di Carpinas Yedoensis. (1) CostANnTIN I., La culture des Champignons en Extrème Orient. In Bu//etin da Musenm National d’ Histoire Naturelle. Ann. 1909. n. 7. p. 497. » FUNGHI COLTIVATI E COLTIVABILI 95 La pratica usata per questa coltura è la seguente: abbattuti gli alberi, scegliendo verosimilmente quelli già invasi dal micelio, si lasciano sul terreno, esposti al sole ed all’aria, per circa un mese: poi da ogni tronco si tagliano pezzi lunghi un metro e mezzo, lasciandovi la scorza, nella quale si fanno in- cisioni di distanza in distanza. Questi pezzi si collocano su terreno in declivio, coprendoli di fronde, se la stagione si mantiene secca, e scoprendoli se è u- mida. Il loro legno in tal modo, sotto l’azione del micelio, va decomponendosi, mentre la scorza persiste viva, verde e lucida. Quando credesi che la decom- posizione del tronco sia sufficiente, cioè, in altri termini, quando tntto il legno fu invaso dal micelio, si tolgono i singoli pezzi dal luogo ove trovavansi, e si tengono immersi nell’acqua per qualche ora: poi, in apposito cantiere, sopra sostegni di legno precedentemente preparati, si raddrizzano, raspandone quà e là la scorza: dopo otto giorni incominciano a nascere in grande abbondanza i funghi. Non so se questa coltura potrà venire introdotta da noi, quantunque alcune delle suddette specie di Quercus resistano bene nell’Italia meridionale : forse sarebbe da tentarsi di adattare tale fungo a vivere sopra alcune delle nostre Quercie a foglie persistenti, quale, ad esempio, la Quercus Ilex. Una tale pratica però potrebbe adattarsi ad altri funghi: ad esempio po- trebbesi applicare ad una delle specie che ho trovato più squisite nell'Italia meridionale, cioò al Po/yporus sulphureus, FR., con le sue varietà Zodari, Inz. e Ceratoniae, Riss. Il micelio di questo fungo vive nel tronco di diversi alberi, specialmente Leguminose, come G/edifschia, Robinia, Cercis, Ceratonia ete., svi- Iuppando enormi ammassi di funghi, ad espansioni frondose e lobate, di colore aranciato, vivissimo, e del peso di uno a due, ed anche più chilogrammi, di sapore assai delicato. All’Orto Botanico di Napoli mi fn dato ‘sovente poterne raccogliere in grande abbondanza, per usarne come alimento. Vivendo sn spe- cie arboree, di poco interesse economico e di facile coltura, crederei possibile, ponendone i tronchi in condizioni appropriate, poterne ottenere abbondante produzione. Forse anche l’Orecchio di Giuda (Hirzeola Auricula-Judae, BERK.) si pre- sterebbe a questo modo di coltura. Tale specie vive nei tronchi di molte piante, come Sambucus, Aesculus, Schinus etc. Dagli antichi era assai stimata, ma ora da noi nessnno la raccoglie: però, come attesta il Jue/le (1), nell’Oceania, mas- (1) JumeLLe H., Les Ressources agricoles et forestiéres des Colonies Francaises. Mar- seille 1897. p. 416 et 424. 96 PROF. G. E. MATTEI sime nella Nuova Caledonia eda Tahiti, forma ancora oggetto di una attiva esportazione, sotto il semplice nome di Furgus. Altre specie di funghi, come dicemmo in precedenza, vivono parassiti sopra piante legnose, che però non uccidono, costituendo con esse quasi una sorta di simbiosi, imperocchè, in molti casi, paro che i loro micelii si sostituiscano ai peli radicali degli alberi, che li ospitano. Per queste specie non sono applicabili i precedenti metodi di coltura, ma si dovrebbe principalmente cercare di inoculare il micelio del fungo, nello stesso legno vivente degli alberi capaci a nutrirlo. Al contrario, per la coltura di molti di questi funghi, si è fatto troppo affidamento sul loro preteso saprofitismo, non curandosi del loro vero parassitismo, per cni non si è ottennto alcun risultato pratico. Ciò dicasi ad esempio per le specie da noi considerate migliori, come l’Ovolo (Amanita Caesarea, ScoP.), ed il Porcino (Boletus edulis, BuL1.). Entrambe queste specie vivono parassiti di piante arboree, principalmente Castagni, e la loro produzione trovasi in relazione diretta con la coltura di queste piante: quindi questa può venire aumentata con l’estendersi delle colture silvane, e così costituire un non ultimo reddito ricavabile dai rimboschimenti. Il medesimo dicasi per la produzione dei Tartufi. Da lungo tempo fu vagheggiata una razionale coltura dei medesimi: molto si è scritto in propo- sito, ma della maggior parte dei metodi vantati non val la pena di parlarne, mancando di qualsiasi serietà. Solo ultimamente, pare, ci avviciniamo alla so- luzione di una così importante questione. Si conoscono molte specie di Tartufi, ed ognuna ha i suoi particolari pregi: nell’ Italia settentrionale è molto vantato il Tartufo bianco (uber ma- gnatum, Pio.) che raggiunge sovente il prezzo di quaranta a sessanta franchi per chilooramma: in Francia invece trova maggiore incontro il Tartufo nero (Tuber melanosporum, Virt.), il cuni prezzo però rimane alquanto inferiore. Tuttavia basta consultare le statistiche francesi, per vedere di quale intensivo commercio sia colà oggetto e ciò ci conferma l’importanza che fra noi assu- merebbe una razionale coltura di tartufi. Già il MarTIROLO (1) si è fatto a- postolo per diffondere anche in Italia le pratiche che in Francia si usano a tale intento. I tartufi, come è noto (2), vivono in relazioni simbiotiche con piante (1) MarrIROLO 0., I tartufi, come si coltivano in Francia e come si potrebbero coltivare in Italia. ln Annali della R. Accademia di Agricoltura di Torino. Vol. LII. 1909. (2) MatTIROLO O., Sul parassitismo dei Tartufi, e sulla questione delle Mycorhizae. In Malpighia. Vol. I. 1887. p. 359. FUNGHI COLTIVATI E COLTIVABILI 97 arborescenti: il Tartufo nero preferisce le Quercie e le Avellane: il Tartufo bianco preferisce i Pioppi ed i Salici. Essi traggono la maggior parte del loro nutrimento dalle radici di tali piante, e di conseguenza la loro esistenza è collegata a quella dei boschi e delle piante silvane. Cioè, in altri termini, i loro corpi fruttificanti, vale a dire i veri tartufi, si trovano alla dipendenza delle radici di determinati alberi, collegati da fitta rete di ife, ossia di fili micelici, e ricevono da esse buona parte del nutrimento necessario al loro sviluppo. Per questo è evidente che, per ottenere una produzione artificiale di tartufi, occorre incominciare con serie piantagioni delle specie arboree rico- nosciute atte a dare ricetto ed alimento alle ife dei tartufi. Ciò vuol dire ini- ziare opere di rimboschimenti, ed il voler coltivare tartufi significa ripristina- re boschi e selve, non più in vista di lontani e problematici vantaggi, ma bensì in vista di un guadagno vicino e sicuro. Infatti la coltura dei tartafi elimina uva delle più forti difficoltà che in- contrava il rimboschimento, malgrado tutto lo zelo e l’entusiasmo dei suoi apostoli. Fin qui i boschi, in Italia, rappresentavano uva delle colture meno remunerative, ed i rimboschimenti stessi venivano trascurati, occorrendo atten- dere, dopo il loro impianto, almeno una decina di anni, per ottenere qualche reddito, sempre però minimo. Quindi, con i tempi che corrono, i proprietarii di selve non hanno saputo resistere alla prospettiva di convertire il legname in denaro sonante, e, malgrado tutte le proteste sollevate, continuano ad at- terrare, con grande accanimento, il maggior numero che possono di alberi secolari. Parimenti i proprietarii di terreni, che prudenza vorrebbe si rimbo- Scassero, 10n possono persuadersi di perdere l’annuo prodotto, sia pure sear- so, di grano, di segala, o di patate, per ‘sostituirvi piantagioni di alberi, con la quasi certezza di non vivere tanto a lungo, per giungere in tempo a veder- ne qualche utile. Ora invece la questione cambia aspetto: mettendo d’accordo, e facendo procedere di pari passo, i rimboschimenti con la coltivazione dei tartufi, è possibile ricavare dai nuovi boschi un forte rendimento, fino dai primi anni, e così i proprietarii. vengono non solo indennizzati del perduto raccolto, ma ‘anzi dovranno essere ben contenti di sostituirvi una nuova coltura assai più remunerativa. Ma come si può formare una tartufaja? Anzitutto occorre avere le pian- te relative e ciò non è difficile : seminando Quercie, queste dopo non molti «anni possono già rendere prodotto, e la cosa è anche più sollecita piantando talee di Pioppi o di Salici. Però non basta avere gli alberi, occorre anche seminar- SAC A 98 PROF. G. E. MATTEI vi i tartufi. Uno dei metodi usati più in antico è quello di interrare, ai piedi degli alberi stessi, tartufi interi od a pezzetti, ma raramente si ebbero buoni risultati. Un altro metodo è quello di prepararne artificialmente il micelio e seminarlo, ci si passi la parola impropria, presso le radici degli alberi: ma questo processo, proposto dal BoULANGER e dal MATRUCHOT, esige minnziose precauzioni, che difficilmente si possono attuare nella pratica. Fin qui però, credendosi che il micelio dei ‘tartufi vivesse solo all’ester- no delle radici di tali alberi, sotto forma di micorize, senza penetrare nei tes- suti legnosi dell’albero stesso, ogni tentativo di coltura fn limitato a col- locare il micelio esternamente, in prossimità delle radici di Quercia etc. Però pare che esista un nesso più intimo fra pianta e tartufo, conosciuto il quale potremo meglio stabilire le modalità di loro coltura. Una tradizione popolare vuole che per dare nascita ad alberi tartufiferi. sia necessario avere ghiande raccolte da Quercie riconoseinte precedentemente produttrici di tartufi. Analogamente esperienze recenti del Prof. MATTIROLO hanno accertato che, per ottenere rapidamente una produzione di tartufi, basta ef- fettuare piantagioni con rami di Salici o di Pioppi, tolti appunto da alberi ri- conoscinti tartufiferi. Nè questo è tutto: il PorTA ed il RATTI, a quanto rile. viamo, hanno ottenuto tartufi dopo un anno, innestando esemplari di tre anni, di Salice o di Pioppo, con gemme prese da individui riconosciuti tartufiferi. Ciò dimostra che la sede del fungo, producente i tartufi, non è limitata, alle ultime ramificazioni radicali, come fin qui si credeva, ma si estende an- cora al tronco e forse ai rami: si deve cioè ritenere che il fungo viva nor= malmente nel tessuto legnoso dell’albero, od almeno in quello trovi un sicuro rifugio, quando l’eccessiva umidità del terreno ne ucciderebbe il micelio ester- no soffocandolo, e che ne esca, per inoltrarsi ed espandersi nel terreno, solo . allo scopo di sporificare, quando trova condizioni appropriate di temperatura e di umidità. Ciò ammesso si comprende come possa bastare una semplice talea, staccata da un albero tartufifero, per riprodurre un nuovo albero, capace di sviluppar prontamente tartufi, imperocchè la talea conteneva nei suoi tessuti il germe dei tartufi medesimi. Questa naturalmente è una semplice induzione, ma è forse la sola che possa spiegare come si sieno ottenute tartufaje nel suddetto modo. Se si pensa come penetrano e si estendano i micelii di molti funghi in tante piante, come si sviluppa quello di C/aviceps nelle piante di Segala, come si diporta il fungo del Loglio, corue tanti Polipori in breve invadino alberi colossali, giungendo FUNGHI COLTIVATI E COLTIVABILI 99 dal pedale fino alle più alte ramificazioni, non parrà troppo assurdo ammet- tere questo. Conosciuto però questo importante modo di diportarsi dei tartufi, deve riuscire più facile il procedere all'impianto di tartufaje artificiali. Già il ser- virsi di talee, tolte da alberi riconosciuti tartufiferi, è un ottimo metodo, e si potrà adottare per i Salici e per i Pioppi: tuttavia la moltiplicazione per talee è poco pratica per le Quercie, quindi, per queste ultime, forse, sarebbe da adottarsi l’innesto, portando su ceppaie di piante non tartufifere, gemme di piante, riconosciute tali. Si tratterebbe della medesima individualità fisiologica riprodotta agamicamente, la quale, invasa dal micelio fungino, lo comuniche- rebbe alle radici sane. Queste conoscenze sulla biologia dei tartufi, aprono la ‘strada anche ad un altro modo, forse più sicuro e più facile, per ottenerne la produzione. Infatti è supponibile si possano ottenere buoni risultati con la inoculazione artificiale, diretta, del micelio fungino, alla base ‘del tronco, od all’inizio delle radici più grosse. Forse l’entrata naturale del fungo nell’albero avviene per le foglie (come pretese il GRAMONT) o per la corteccia dei rami: perciò sulle parti legnose dovrebbesi inoculare il micelio, o meglio le produzioni conidiofore che facilmente si ottengono nelle colture artificiali dello stesso micelio. A Napoli, alcuni anni or sono, aveva iniziato importanti ricerche esperi- mentali sulla coltura dei tartufi, e, se non avessi troppo presto lasciato quel soggiorno, passando nell’impossibilità di continuare tali studii, ora al certo potrei riferire di risultati positivi ottenuti, come già fanno fede diverse mie pubblicazioni intorno a tale argomento. (1) Per ottenere lo sviluppo del micelio dei tartufi si può procedere in modo ben facile: basta raccogliere tartufi non troppo maturi, e, non lavandoli, ri- porli, in grande quantità, in vasi o cesti, comprimendoli fra foglie secche di Quercia o di Pioppo, o meglio fra truccioli di legno dei medesimi alberi, per ottenere, dopo uno o due mesi, una massa compatta, cotonosa, bianca, com- posta di denso feltro micelico. Questo micelio appunto, che produce anche (1) MatTEI G. E., I tartufi ed il rimboschimento. In Gazzetta di Venezia, 18 Febbr. 1904. — MarTEI G. E., I tartufi. In Giornale Don Marzio. Napoli 20-21 Marzo 1904.—MarTE1 G. E., I tartufi di Napoli. In Giornale Dorn Marzio. Napoli 23-24 Settembre 1904. — MarTEI G. E, La coltivazione dei tartufi. Im BoMlettino delle Finanze, Ferrovie, Lavori pubblici, Industria e Commercio. Anno XXXVII. n. 74. — MatTEI G. E., Die Kultur der Triiffel. In Hans hof Gar- fen. Berlin 1904. — MarTEI G. E., A proposito di rimboschimenti: la coltivazione dei tartufi. In Gazzetta Commerciale di Palermo. 4 Dicembre 1909. — Matt» G. E., Ancora sulla colti- vazione dei tartufi. In Gazzetta Commerciale di Palermo. 21 Marzo 1910. 100 PROF. G. E. MATTEI forme conidiofore, e. che penetra facilmente nei rami freschi, con i quali viene a contatto, si dovrebbe inoculare, non solo sulle radici, ma più propriamente nel. vero legno vivo degli alberi. Mi auguro di essere presto messo in grado per. continuare queste importanti ricerche: il loro interesse si connette con quello dei rimboschimenti, e, dalla. riuscita. di tali colture, l’Italia potrebbe ri- cayare un vero, vantaggio economico. Nè deve impensierire la possibilità. di una superproduzione di Tartufi, cor- rispondente ad un possibile avvilimento dei loro. prezzi. Anzitutto occorrono molti anni prima. che la, produzione sia. così intensiva. da non trovare più sfogo nei mercati nazionali od.esteri: poi, anche giunti a.tale. momento, tutta la. quantità superflua potrà essere impiegata per usi industriali, ad esempio per l'estrazione dell’alcool o dello zucchero. Allora, accanto. al bosco, potranno sorgere stabilimenti aventi appunto lo scopo della lavorazione industriale dei Tartufi. i Infine non dobbiamo trascurare ancora la. coltura di altre Tuberacee, vi- venti in simbiosi con piante annue: fra queste.primeggia. il. cosidetto Tartufo giallo (Zerfezia Leonis, TuL.) che si sviluppa, sulle radici di ZAeZiazihemunm guttatum. Questa specie, che forma uno dei principali nutrimenti degli Arabi, nel- l’Africa Settentrionale, cresce ancora in diverse parti della. Sicilia. Come feci, altrove notare (1), pare che il micelio di questa specie porti. vantaggio alla pianta fanerogamica, somministrandogli sostanze azotate, mentre ricavi, dalle. radici di quella, alimenti. fosfatici. Infatti le piante di He/iazthemum, invase dal micelio di, Z'erfezia sono facilmente riconoscibili per il. maggiore sviluppo degli , organi vegetativi, in relazione all’aumentata alimentazione azotata, mentre pre-. sentano gli organi. florali più o meno abortivi, in causa, forse, degli alimenti fosfatici loro sottratti. Anche sulla coltura della Zerfezia aveva intrapreso a Napoli serii espe- rimenti, e già aveva la certezza di bnoni risultati, se avessi potuto fermarmi colà a continuare le intraprese colture, massime se non mi fosse venuto meno, con la morte del DeLPINO, il contributo pecuniario che egli mi aveva assegnato per tali studii. Questa rapida rassegna dei principali funghi coltivati e coltivabili, dimostra come molto si potrebbe fare in tale campo, purchè si iniziassero, coutinnandoli con persistente pazienza, numerosi esperimenti, incaricandone persona com- petente e seria. (1) MapTEI G.. E. e SERRA. A., Ricerche storiche e biologicha sulla Zerfezia. Leonis. In Bollettino del k. Orto Botanico di Napoli. Tom. II. 1904. p. 153. FUNGHI COLTIVATI E COLTIVABILI AS /7) f Ora che tanto si vuol fare in prò della rigenerazione silvana dei nostri monti, un pensiero ancora alla produzione fungina, che vi è connessa, non sarebbe superfluo. Si spendono tanti denari per alimentare tentativi di altre colture, genialissimi, ma in pratica quasi inntili, che, pari, non si dovrebbe rifintare qualche contributo per cercare di far risorgere fra noi la produzione dei Funghi, e massime quella dei Tartufi, la quale fu un tempo vanto delle nostre selve, e che potrebbe ritornare fonte di ricchezza e di prosperità per la Nazione. ner TR La potenza specifica e la siruffura spellrale nell'arco di piccola intensità Nota di M. LA Rosa e B. MuGLIA Lo spettro della luce emessa da un aeriforme, eccitato elettricamente, -dipende in modo strettissimo dalla potenza che la corrente introduce nell’ u- nità di massa del corpo emittente. Ciò ha dimostrato lo studio delle trasfor- mazioni che subisce lo spettro della scintilla elettrica o dell'arco musicale, quando si modifichino a grado a grado i valori delle costanti del circuito elet- trico (1). Questo principio si lascia ancora più facilmente verificare nel caso di fe-. nomeni persistenti, come p. es. nell’arco continuo. Prendiamo un arco fra carboni, alimentato con correnti di grande intensità (una o più decine di amp.), e facciamo successivamente decrescere questi elementi. A misnra che l'intensità 7 decresce, decresce anche il prodotto e;, ma in un rapporto minore, poichè, com'è noto, questo prodotto sodisfa alla relazione: et= a+ di nella quale 4 e d sono dei numeri, dipendenti dalla lunghezza dell’arco, dalla sezione dei carboni, dalla natura del gas ambiente ecc., ma in generale poco diversi fra loro. Lo spettro della luce emessa; per6, deve dipendere oltre che dal prodotto ci, dalla massa di gas incandescente che costituisce l’arco, ed in prima appros- simazione si potrà considerare quest’ultima come proporzionale al volume dell’arco stesso. La struttura spettrale deve perciò dipendere dal rapporto di ez al vo- sume dell’arco. Ora, finchè l’arco è alimentato con grande intensità di corrente (1) Cfr. M. La Rosa — Mem. R. Acc. Lincei; Ser. 5. vol. VII pag. 452 - 1908 Battelli e Magri — id. id. pag. 597 — 1909. 104 M. LA ROSA E B. MUGLIA l’area del suo cratere positivo, la sua sezione, e quindi anche il suo volume ( se la lunghezza è costante) decrescono quasi proporzionalmente all’intensità della corrente; il rapporto fra e: e v deve dunque crescere, ed il grado di eccitazione accusato dallo spettro diventare più elevato. Ciò è conforme (come uno di noi ebbe già occasione di notare (1)) ai risultati delle esperienze fatte da Huff, sopra un arco a carbone alimentato da intensità variabili fra 2 e 200 amp. Ma quando l’intensità della corrente si fa decrescere fino a valore molto piccoli, il volume non continua a decrescere con pari rapidità, anzi si può ot- tenere che con valori dell’intensità assai piecoli, il volume dell’arco sia presso a poco lo stesso di quello di un arco alimentato da una corrente all’incirca 50 volte più grande (2). La potenza specifica deve in tal caso divenire al- quanto più piccola e perciò molto più basso dovrebbe essere il grado di ec- citazione accusato dalla struttura spettrale. L'esperienza ha confermato tale previsione. Per ottenere in modo stabile un arco di debolissima intensità, i dune elet- trodi di carbone vennero foggiati a cono molto acuminato e furono fissati alle asticelle di un buon spinterometro a vite micrometrica. La corrente era fornita da una batteria di 500 piccoli accumulatori; attraverso ad una conveniente re- sistenza. Lo spettro ottenuto, proiettando l’immagine di tale arco sulla fenditura dello spettrografo (durata dell’esposizione da 60 a 90 minuti), non contiene tracce delle bande di Swan, nè di quelle del cianogeno caratteristiche dello spettro d’arco fra carboni; esso presenta alcune righe delle inpurezze metalliche che corrispondono agli spettri di fiamma, come per es. le 4272 e 4372 del calcio e le 4384,4405, 4416 del ferro molto intense come nelle fiamme; e la 4608 del calcio che è intensa nell’arco, si presenta qui molto debole come nella fiamma. Vi si trovano ancora tracce delle bande 5600, insieme con tracce di uno spettro continno fra le lunghezze d’onda 4471 -— 4750, elementi tutti emessi dal ferro nella fiamma. (1) M. La Rosa I. e. 4 (2) In verttà, riteniamo che in tal caso non si debba pit trattare propriamente di un arco, ma di un fenomeno intermedio fra l’arco e la scarica a bagliore (glimmentladung) benchè il Prof. Simon eseluda che un tale fenomeno possa presentarsi fra elettrodi di carbone nell’aria ambiente (Cfr. Phys Zeitschz. Bd. VIII. pag. 471) Pur riserbandoci di esaminare particolar- mente la cosa avvertiamo fin da ora che l'intensità impiegata nelle presenti esperienze è stata tre volte più piccola del valore minimo raggiunto da Simon. LA POTENZA SPECIFICA E LA STRUTTURA SPETTRALE NELL'ARCO DI PICCOLA INTENSITÀ 105 Si può dire, dunque, che il grado dì eccitazione che viene raggiunto in questa specie di scarica è alquanto più basso di quello proprio dell’arco; in conformità appunto con quanto si trae dal confronto delle potenze specifiche messe in gioco nei due casi. Per potere procedere a questo confronto, fn proiettata un’ immagine del- l’aroo di piccola intensità sopra uno schermo pellucido graduato, scegliendo le distanze fra sorgente, lente e schermo in modo da avere un ingrandimento di 5 diametri circa. Vennero cosìdeterminate le dimensioni apparenti dell’asse e del diametro massimo del globetto luminoso, mentre venivano letti, agli stru- menti elettrici di misura, i valori della corrente e della differenza di potenziale. Le stesse determinazioni si fecero sopra un arco fra carboni nguali, posto nelle medesime condizioni di distanza rispetto alla lente ed allo schermo. Que- st'arco aveva la stessa lunghezza del precedente e due valori diversi dell’inten- sità di corrente, scelti in modo, che mentre per il primo il diametro massimo dell’arco risultava un pò minore di quello misurato per l’arco di piccola in- tensità, per il secondo valore, al contrario, questo diametro era maggiore. I risultati delle misure sono i seguenti: Diametro V i i 4,24 un. arb. 150 0,06 4,05 60 3,00 4,45 52 5,00 Si vede immediatamente, senza ulteriori calcoli, che nell’arco di piccola intensità la potenza specifica deve essere.alquanto minore (10 volte almeno) -di queila impiegata nell’arco di 3 amp. Abbiamo voluto anche esaminare le trasformazioni che subiva lo spettro «di questo arco di piccola intensità, quando veniva reso intermittente per mezzo della nota disposizione dell’arco musicale; e fu anche qui ritrovato che a mi- sura che si fa impiccolire l’induttanza e crescere la capacità, lo spettro accusa un grado di eccitazione via via più elevato. Così quando 1’ induttanza è 5.23, 10-* henry e la capacità 1 microfarad, _lo spettro ottenuto coincide con quello d’arco (salve lievi differenze nella ri- 106 M. LA ROSA E B. MUGLIA partizione della intensità); quando l’finduttanza è di 1.1 10-° henry e la ca- pacitài 0,5 mf. si cominciano a presentare alcune righe del carbonio, già bril- lante la 4267, e con l’induttanza 1.1 1075 e la capacità 1 mf. lo spettro di righe del carbonio prevale su quello di bande. Che anche ìn queste trasformazioni la struttura spettrale si lascia rilegare con la potenza media specifica si potè verificare computando l’energia spesa in ciascuna scarica, per mezzo della differenza di potenziale, misurata col tubo di Wehnelt, e della capacità, e deducendo gli altri elementi occorrenti (durata di scarica, volume ecc.) in modo analogo a quanto fu fatto dal Dottor La Rosa per le trasformazioni dello spettro dell'arco musicale. ‘ha Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria in provineia di Palermo per G. CHECCHIA - RISPOLI INTRODUZIONE Ho finora descritto in due recenti pubblicazioni due delle più importanti se- zioni geologiche, che si possono esaminare nella serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese: una, che va lungo il Vallone Tre Pietre, dai terreni se- condari'al mare e l’altra che traversa il valloncello Cacasacco (1). Per esaurire lo studio di quell’interessante formazione eocenica, d’altronde già da me eseguito in succinto (2), occorrono senza dubbio altre monogra- fie, che stiamo preparando. Però le due già pubblicate sono le più im- portanti per gli elementi che forniscono riguardo alla questione della di- stribuzione geologica di taluni gruppi di 0rbifoides. Ora siccome è utile di confortare i fatti esposti in quei lavori con nuove osservazioni, così credo bene di dare la precedenza allo studio della serie eocenica dei dintorni di Ba- gheria, perchè quivi si ripetono quasi tutti i fatti constatati nei dintorni di Termini-Imerese, i quali vi trovano in questo Eocene la perfetta conferma. - Con questo nnovolavoro completerò la descrizione geologica e paleontologica della formazione eocenica di Bagheria, anch’essa molto importante, della quale ho dovuto occuparmi sin dal 1906 in varie pubblicazioni ed in una anzi abbastanza estesamente (3). (1) Checchia-Rispoli G.— Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Val- lone Tre Pietre (Giorn. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXVII) 1909; II. La Regione Ca- casacco, Td., 1909. (2) Id., Nota preventiva sulla serie nommulitica dei dintorni di Bagheria e di Termini-lme- rese în pr. di Palermo (Giorn. di Se. Nat. ed Econ., vol. XXVI) 1907. (3) Checchia-Rispoli G. — Sulla diffusione geologica delle Lepidocicline, 1906; — Sopra un crostaceo dell'Eocene medio dei dintorni di Bagheria in pr. di Palermo, 1907; — Nola preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., 1907. _ (©) DO G. CHE JCHIA-RISPOLI Come è noto, sull’Eocene di questa regione hanno scritto anche il Prof. Giov. Di-Stefano, che di già nel 1907 diede un breve ‘cenno agenerale sulle condizioni stratigrafiche di questa formazione, (1) e quasi contemporaneamente il dott. R. Douvillé, il quale ha pubblicato nel Ballettino della Società Geologica di Francia alcune sne osservazioni, che saranno esaminate nel corso del pre- sente lavoro (2). PARTE GEOLOGICA Tutto il vasto territorio compreso tra il torrente di Ficarazzi, a nord, ed il torrente Milicia, a sud, è occupato in massima parte dalle formazioni eoce- niche e quaternarie, che si estendono anche molto al di là. In mezzo a questi terreni, spuntano i monti secondari nei due gruppi importanti della mon- tagna dell’Aspra col M. Catalfano e del monte Ciancagno. I primi formano come un'isola quasi a picco sul mare e la pianura di Bagheria, elevandosi sino a 374 m. al Pizzo M. Catalfano. L'altro gruppo, detto di M. Ciancagno (m. 316), si eleva a sad di Bagheria colla sua minore cima detta Consona (m. 265). Però oltre a questi due gruppi principali, i terreni secondari si pre- sentano anche in spuntamenti più o meno piccoli, qua e là, nel vasto territo- rio di Bagheria, fra le argille scagliose eoceniche. Tali piccoli affioramenti sono costituiti per lo più dalla dolomia triasica o dai calcari e dalle ftaniti del Lias: medio e superiore o dal calcare a Rudiste e Camacee del Senoniano. Quest'ultimo appare in vari spuntamenti, dei quali i più notevoli sono quelli della C.9 Serradifalco e quello della C.9% Incorvino dove pare sovrapposto alla dolomia triasica. Tali affioramenti cretacei sono importanti pel gran nu- mero di fossili che contengono, tra i quali occupano certamente un posto no- tevole le Orbi/oides a cui già accennò il prof. G. Di Stefano, (8) e che io e il dott. Gemmellaro abbiamo descritto in due lavori in collaborazione (4). Frai montiora descritti, l’altro grandioso oruppo dei monti di Misilmeri e quel- lo di Calamigna Montagna del Cane si stende l’ampia regione percorsa dai fiumi torrentizi Milicia e Ficarazzi, la quale ad eccezione dei lembi di terreni del (1) Di Stefavo G. — I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento în Sicilia v. nota a piò di pagina, Roma, 1907. (2) Douvillé R. — Sur /es argiles écailleuses des environs de Termini-Imerese ecc., 1907. (8) Di Stefano G.— I calcari cretacei con Orbitoidi dei dintorni di Termini-Imerese e di Ba- gheria (Palermo), (Giorn. di Sc. Nat. ed Econ., vol. XXVI), 1907. (4) Checchia-Rispoli G. e Gemmellaro M. — Prima Nota sulle Orbitoidi del Sistema Cre- taceo della Sicilia (Giorn. di Sc. Nat. ed Econ., XXVI); Id. Id. Seconda Nota sulle Orbitoidi del Sistema Cretaceo della Sicilia (id., vol XXVII), 1909. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA Dl PALERMO 109 Trias superiore, Cretaceo superiore, del Pliocene e del Quaternario, è quasi tutta occupata dalle formazioni eoceniche, fra cui assumono il massimo sviluppo le argille scagliose varicolori con calcari e breccinole calcaree intercalate. Sulle argille, in lembi discontinui, riposano i calcari marnosi bianchi e varicolori con marne intercalate, i quali assumono talora una forte potenza, come si osserva lungo il Vallone di Casteldaccia e quello di Chiarandà, sno affluente, al Colle Bella- cera, nella Regione Coda di Volpe, alla Porcara ed in vari luoghi dell’ex-feudo dell’Accia. SE Le migliori osservazioni riguardanti la stratigrafia della formazione eocenica dei dintorni di Bagheria possono farsi lungo le sezioni, che si presentano da Colle Incorvino, a Sud di quella città, alla linea dei colli Vannucci, Bellacera, Coda di Volpe, Chiarandà ‘ecc., i quali orlano il Vallone di Casteldaccia.e quello di Chiarandà. Tra queste sezioni illustriamo qui quella che va da Colle Incorvino (v. Tav. I, Fio. 1) a Colle Chiaraudà (v. Tav. L Fig. 2), la quale, in uno spazio relativamente ristretto, fa rilevare, oltre ai terreni secondari, la successione di tatti i membri della serie eocenica dei dintorni di Bagheria. ; - Procedendo dal basso in alto, lungo una linea diretta da O. N. O ad E. S. E, si osserva: Sezione tra il Colle Incorvino e la Torre Chiarandà (Scala 1:25000 per le distanze; 1:12500 per le altezze) È €. IncorvINO orre CÒCingANDA RM. 150 Mi. 120 ì i i I Ù H ' { î ' Tosgente Cprard O.NO ESE 1. Dolomia (Zrzas superiore). (Zut. sup.) 2. Calcari a Rudiste, Chamacee ed 5. Argille scagliose con calcari a Le- Orbitoides s. str. (Senoniano superiore). pidocyelina e con altri a N. Diarritzensis 3. Calcare ad Orbitolites complanata, N. Tehihatcheffi, N. Guettardi. Orthophrag- Alveolina elongata, Nammulites crassa, As- mina ecc. (Lut. sup.) silina spira, ecc. (Luleziano medio). 6. Calcari marnosi a fucoidi con cal- 4. Calcari inferiori a Lepidocyclina cari marmorei ad A/veolina (Lut. sup.) 110 G. CHECCHIA-RISPOLI 1°) Dolomia biancastra grigio-chiara o grigio-cernlea, cristallina, compatta o brecciforme, a frattura irregolare del Trias superiore (Dolonzia principale), la quale compare sul lato Ovest del Colle Incorvino, presso quelle dirate ca_e. 2°) Calcare compatto biancastro, bianco-ceruleo, grigio, con Rudiste, Chamacee ed Orbitoidi del Senoniano superiore. Questo calcare, come abbiamo detto, compare anche in vari spuntamenti nella regione Serradifalco, con una maggiore quantità di fossili. Sui dne lati del Vallone di Casteldaccia, in basso, e poi a S. 0. presso il paese, nella regione Pateò e lungo la via che reca a Ciannarotto, i calcari a Rudiste ed Orbitoidi sono associati alla parte superiore con marne rossastre. Quivi le marne rosse sono assai più sviluppate che nel Cretaceo del Vallone Tre Pietre presso Termini-Imerese. 3°) Calcare compatto bianco, o bianco ceruleo, poco spesso, non sempre chiaramente stratificato, ricco di litotanni, nel quale si raccolgono oltre a re- sti di crostacei decapodi (Brachiuri), e di coralli, lamellibrauchi, gasteropodi, quasi sempre allo stato di modelli, anche moltissimi foraminiferi, rappresentati da specie per lo più di grandi dimensioni. Questo calcare eocenico, che le ‘continue escavazioni, fra un tempo non lontano, potranno far scomparire, co- stituisce una piccola e bassa cresta, detta Colle Incorvino. Tale calcare non comparisce in altri punti del vasto territorio di Bagheria. Si ritrova però in quello di Casteldaccia, nella regione Ciannarotto. Finora abbiamo raccolto i seguenti Foraminiferi : 1. Orbitolites complanata Lmk. 16. Nummulites Tchihatchefi doo 2. Alveolina milinm Bosc. 17. E GL Mi I ò » bl "tis .- Sp. i SN 19.» discorbina Schlth. d’ o 5 ; IA) Ri 20 » subdiscorbina d. 1. H. 6. o n fa 21. z biarritzensis d'Arch. CI ASTRI 2.» Guettardi V'Arch. 8. DE Ch.-Ris si 23. Assilina spira de Roiss. one ; PRA 24. | subspira d. 1. H. 9. Nammulites laevig. ia Brug. 95 mamillata d'Arch 1 : GRASSE Eolo 26 » Gemmellaroi Ch.-Risp. 11. » lenticularis Fich. et Moll 97 b-G UaroiCh-Ri 12} » sub-Donvillei Prev 5 SE SOA ian SI * 28. Orthophragmina Pratti Mich. sp. 13. » bayhariensis Ch.-Risp. 99 È allo Nd 9 14. » Gentilei Prev., var. regu- 30 E dispansa Sow. i % Vai Chet: SORT radians d’Arch., var. fenni- 15. » complanata Lmk. costata Gimb. 4° e 5°) Sul calcare bianco, precedentemente descritto, sta in concordan- un fascio di strati, pendenti a d Est di 25° a 30°, costituiti da tenaci cal- LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 11î cari, ricchi di litotanni, di color grigio-chiaro o grigio-scnro, macchiati di bianco o di rossiccio, passanti in qualche caso, specialmente nella loro parte superiore, ad una breccia a grossi elementi fortemente cementati. Tale insieme ha uno spessore di circa 30 metri e sta sul calcare bianco, or ora descritto, in perfetta concordanza ed in intimo legame litologico. Nella regione Serradifalco, a sinistra della strada rotabile, procedendo ver- so l’ex-fendo dell’Accia, ricompaiono tali calcari, ma ivi, mancando il livello inferiore a grandi foraminiferi, la formazione delle argille scagliose, alla qua- le detti calcari appartengono, riposa trasgressivamente sni calcari a. Rudiste e Chamacee. Ma i calcari dell’Eocene si distinguono da quelli cretacei, oltre che per la fauna, anche per la faczes litologica differente. Detti strati conten- gono delle tipiche Zepidocycelina di grandi e di piccole dimensi ni (Zep. Ranlini Lem. et Douv., Zep. marginata Micht., Lep. Gemmellaroi n. sp.) Queste forme sono molto abbondanti nel descritto fascio calcareo, come anche negli straterelli intercalati a varie altezze dentro le argille scagliose. Questi presentano la superficie interamente rivestita di Zepidocyclina facil- mente isolabili; ma anche nei calcari del fascio che sta alla’ base non è raro di trovare là, dove la roccia è stata attaccata dagli agenti atmosferici, dei grandi e piccoli esemplari facilmente isolabili. i Insieme con le Zepidocyelina sono associate sugli stessi pezzi calcarei delle alveoline di medie dimensioni, le quali, dalle sezioni trasversali, sembrano appartenere con molta probabilità all’ A/veolzza milinm Bose; rare Orthophragmina (Ort. Di-Stefanoi Ch.-Risp.) e delle rare nummuliti di piccole dimensioni (2 a 3 mm. di diametro). Queste nummuliti sono di difficile determinazione ; noi siamo riusciti ad isolarne parecchie e sembrano riferirsi a tre o quattro specie diverse. Di queste nna è sicuramente riferibile alla Mummulites Rzehaki Prev., dell’Eocene dei dintorni di Potenza e della Forca di Presta. La deter- minazione delle altre è più difficile e molto dubbia e noi ci siamo per ora limitati a descriverle ed a figurarle, nella speranza che altri ritrovamenti ci ‘possano mettere in condizione di studiare meglio queste forme tanto importanti. Può certamente accadere a chi esamina queste lastre calcaree, senza avere conoscenza dei luoghi, di trarre delle conseguenze stratigrafiche erronee; ma, visitando minutamente la regione, si convince che gli strati calcarei a Lepido- | cgclira appartengono indubbiamente alla formazione delle argille scagliose, sicuramente eocenica. Dobbiamo inoltre aggiungere, che nei luoghi che qui «studiamo, non esistono pieghe od altri accidenti tettonici, che potrebbero far so- spettare l'inclusione di lembi oligocenici o miocenici dentro le argille scagliose. 112 G. CHECCHIA-RISPOLI La serie è molto regolare, anzi non si osservano qui nemmeno quelle leggiere - ondulazioni, che vi sono lungo il Vallone Tre Pietre di Termini-Imerese. I calcari a Lepidocyelina del Colle Incorvino sono i soli che il dott. R. Douvillè potè osservare nelle sue escursioni nei dintorni di Bagheria nel 1906 ed ai quali accenna nella sna Nota dianzi citata. Egli li riferisce, insieme con le argille scagliose associate, allo Stampiano od all’Aquitaniano; però noi abbia- mo già discusso tale opinione (1) e ne torneremo a parlare nel seguito di que - sto lavoro. Noi nella sezione distinguiamo il più basso livello a Zepidocyelina, ma ho già detto però che i calcari a Lepidocygelina non sono gli unici, che si trovino inter- calati nelle argille scagliose, essi si ripetono in quelle argille a varie altezze e sono alternanti con dei calcari e delle brecciuole calcaree, per lo più in strati poco spessi, ricchi di foraminiferi eocenici appartenenti ai generi A/veolina, Operculina, Heterostegina, Nummulites, Orthophragmina, Gypsina, ecc. Sulla superficie erosa degli strati si osservano anche resti di coralli, colonie di brio- zoari, placche isolate e radioli di Echinidi, pet lo più riferibili al gen. Cidar:s, avanzi di Crinoidi, frammenti di valve di Pecfex costati e di Osfrea, ecc. La strada rotabile che conduce verso l’ex-fendo dell’Accia fa bene osser- vare, dentro le argille scagliose, la ripetuta ed irregolare alternanza dei calcari a Lepidocyelina con quellia Nummulites, Orthophragmina, ecc. Argille scagliose, calcari a Lepidocyelina è calcari a Nummulites, Orthophragmina, ecc., non for- mano che una unità geologica. | Diamo ora i’elenco dei foraminiferi che si raccolgono nelle breccinole nummulitiche, mentre avauti abbiamo citato i fossili degli strati a Lepidocyelina 1. Alveolina Baldacciù Ch.-Risp. 14. Orthophragmina Pratti Michl. sp. 2. » Fornasiniù Ch.-Risp. 15. > sella d' Arch. sp. DI » minuta Ch.-Risp. 16. 5 scalaris Schlumb. 4. » Schwageri Ch.-Risp. Ila » Canavarii Ch.-Risp. - 5I » festuca Bose., var. elongata d’Orb. 18. » Zitteli Ch.-Risp. 6. Operculina complanata Defr. 19. » dispansa Sow. sp. 7. Heterosteginareticulata Riit. 20. » Di-StefanoiCh.-Risp. 8. Nammulites Gueltardi d'Arch. 21. » radians d’Arch. sp. 9. » biarritzensis d' Arch. DI » triangularis Ch.-Risp. 10. » Tchihatichejfi d' Arch. 23. » Taramellti Mum.-Ch. Ill, » striata Brug. 24 5) stellata A’ Arch. sp. 12. » sp. ind. : 25. > trigonalis Ch.-Risp. 13. Pellatispira Madaràszi v. Hantk. 26. Gypsina globulas ‘Reuss. (1) v. Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 25. LA SERIEK NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 113 Sulle argille scagliose descritte seguono, in perfetta concordanza ed in strettissimo legame litologico, dei calcari marnosi nettamente stratificati, bianchi, bianco-giallicci, bianco-verdicci, alternanti con marne degli stessi colori e con lenti e strati di brecciuole calcaree e di calcare fossilifero, tenace, compatto, cristallino, di color grigio, biancastro, ceruleo, contenente spesso noduli e liste di selce scura ed anche nera. Tale insieme forma la parte più elevata della linea dei colli, che perciò si mostrano dolcemente arrotondati: esso per il sno colorito chiaro si distingue anche a distanza dalla massa bruna delle argille scagliose. Non è da confondere questo gruppo marnoso con quello apparte- nente al Cretaceo superiore e avanti descritto. La formazione dei calcari marnosi, che è discontinua, per causa della denudazione, si ritrova oltre che a Colle Chiarandà, a Colle Bellacera, a Colle Vannucci, alla Porcara, ad ovest di Colle Incorvino e poi nel territorio di Casteldaccia. Come ho avuto occasione di dire altrove, i calcari marnosi a fucoidi sono geologicamente indivisibili dalla formazione delle argille scagliose, alla quale appartengono; essi generalmente occupano la parte più elevata di detta formazione, ma talora alternano con le argille scagliose, e possono anche so- stitnirle lateralmente. Noi però qui avendo dovuto fare il rilevamento minuto di tutta la sezione, abbiamo voluto tener distinti i calcari marnosi dalle argille scagliose propriamente dette. I calcari e le brecciuole calcaree intercalate tra le marne a fucoidi contengono oltre a forammenti di Pecfer e d’Ostrea, qualche corallo, e radioli di Cridaris, numerosi foraminiferi appartenenti ai gen. Al/veolina, Baculogypsina, Operculina, Nammulites, Pellatispira, Orbitoides s. str., Orthophragmina, ecc. Fra questi le Alveoline occupano indubbiamente il primo posto: esse sono molto abbondanti, da costituire in certi punti interamente la roccia, e formano non dirado dei grossi banchi lenticolari intercalati tra lo macne. Anzi nei dintorni di Bagheria la serie dei calcari marnosi è terminata in alto quasi sempre da spessi strati di calcari bianco-grigi, tenaci, marmorei, formati essenzialmente ‘ dall’accumulo di alveoline di medie e piccole dimensioni. Tale calcare per la sna tenacità è suscettibile di pulitura e non è privo d’una certa bellezza prodotta «dal contrasto del color grigio della massa della roccia con quello bianco-candido delle Alveoline. Diamo intanto la lista dei soli foraminiferi che si raccolgono nei calcari -e nelle brecciuole calcaree intercalate tra le marne a fucoidi: 114 G. CHECCHIA=RISPOLI 1. Alveolina milinm Bose. 15. Nammulites Pillaî Ch.-Risp. 2. » oblonga Fortis. 16. » Tondii Ch.-Risp. 3. » minnta Ch.-Risp. 17. > Tchihatcheffi d Arch. 4. » elongata d'Orb. 18. » efr. contorta Desh. 5. Floscalina decipiens Schwg. 19. Assilina spira de Roiss. 6. » pasticillata Scuwg. 20. Pellatispîira Madaràszi v. Hantk. 7. Bacnlogypsina tetratdra Giimb. sp. 21. Orbitoides media d’Arch., var. 8. Operculina —ammonea Leym. Philippii Ch.-Risp. 9. » canalifera d'Arch, 22. » Caroli Ch.-Risp. 10. Nemmulites Zitteli Ch.-Risp. 23. Orthophragmina dispansa Sow. sp. il. » Lamarcki d' Arch. 24. » Di-Stefanoi Ch.-Risp. 12. » lenticolaris Fich. et Moll 25. » patellaris Schloth. sp. var. Meneghinii d' Arch. 26. 5) radians d’ Arch. sp. 13. » Gnettardi d’Arch. 27. » stella Giimb. sp. 14. » biarritzensis d’ Arch. 28. » stellata d’Arch. sp. La descrizione della sezione geologica sarebbe qui terminata, mancando nei dintorni di Bagheria il membro più elevato della Serie nummulitica di Termini-Imerese, da noi considerato come appartenente alla parte elevata del Bartoniano e tutt’ al più ad un termine di passaggio dall’ Eocene all’Olisocene; ma per completarla non resta che a dire qualche parola sui terreni recenti che coronano in qualche punto le sommità dei Colli Bellacera, Chiarandà ece. Quivi sui calcari marmorei ad A/veolina si trova un deposito discontinuo di calcara bianco e giallastro, friabile, talora polverulento, poroso, leggiero, pro- dotto dalle incrostazioni di acque sorgive. Questo travertino contiene inglobati sulla sua massa molluschi per lo più terrestri ed avanzi di vegetali; esso ha un ben piccolo spessore. CONCLUSIONI Descritta così la serie degli strati eocenici dei dintorni di Bagheria, se ora la si paragona con quella termitana si osserva in entrambe una corrispondenza perfetta nella successione e nella composizione litologica degli strati. Però alla serie di Bagheria e di Casteldaccia, almeno nel territorio da noi esplorato, manca il membro argilloso-arenaceo con calcari più elevato, da noi riferito alla parte alta del Bartoniano o a strati di passaggio tra l’Eocene el’Oligocene (1). (1) A proposito di questi strati ed in genere di tutta la Serie eocenica di Termini-Imerese riportiamo qui il giudizio espresso recentemente del Prof. Federico Sacco (v. Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXVIII, fase. III, 1909): « Nella Regione Patàra, presso il bel ponte di S. Leonardo, la bellissima serie di marne grigie con calcari, qua e là zeppi di Nummaliti, ricorda molto la formazione Psendolanghiana che nelle Marche è indicata volgarmente col nome di Bisciaro e che colloco nell'Eocene medio, età alla quale sembra pure di appartenere la formazione di Patàra. « Nel Vallone Tre Pietre la serie eocenica, tagliata tanto tipicamente dal torrente, mostra la LA SERIE UT MMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 115 T calcari più bassi a grandi foraminiferi del colle Incorvino, con Orbifo- lites complanata Lmk., Alveolina gigantea Ch.-Risp., Alv. ellipsoidalis Schwg., Nummulites laevigata Brug., N. crassa Bonbèe, NM. discorbina Schlth., N. sub- discorbina d. 1. H., Assilina spira de Roiss., Orthophragmina dispansa Sow. sp., corrispondono per la loro posizione e per la loro fauna, a quelli della Regione Varcoco sulla destra del Vallone Tre Pietre presso Termini-Imerese (1), i quali contengono una fauna, per quanto meno ricca di specie, quasi identica a quella di Bagheria. I calcari di colle Incorvino, come quelli del Varcoco, con moltissima probabilità appartengono al Luteziano medio e sono coevi ai calcari tenaci, compatti, cerulei con grandi Nummuliti ed Alveoline della Re- gione Selici alla base del lato settentrionale del Monte Pellegrino presso Palermo; a quelli bianco-giallastri di Monte San Calogero presso Sciacca, di Lercara, di Pachino; ai calcari marnosi tenaci giallastri con liste di selce nera di Chiaromonte-Gulfi in provincia Siracusa; ai conglomerati di ciottoli cri- ripetuta alternanza di strati marnoso-schistosi grigiastri e rossigno-violacescenti, con strati calcarei a Nummuliti e Lepidocyelina, ricordando formazioni analoghe, litologicamente ed in parte anche paleontologisamente, che ebbi tante volte ad osservara nella Serie dell’ Eocene medio ed inferiore delt Appennino centrale. « Nell'esaminare l'interessante formazione marnoso-calcaro-arenacea grigiastra, che costituisce la parte superiore della serie terziaria der dintorni di Termini-Imerese, fui anzitutto colpito dal- lPanalogia di aspetto e di rapporti che essa presenta con estese formazioni dell’ Eocene superiore deil’Appennino; poi notandosi (oltre alle frequenti Lepidocycline, che, per quanto molti credono solo oligoceniche e mioceniche, îo da parecchi anni vado segnalando nell’ Eocene Appenninico) una grande quantità di Nummuliti, qualche Assilina e numerose Ortofragmine, non mi rimase più dubbio che questa formazione, che ora si fa oscillare, a secondo degli autori, tra lEocene e l'Oligogene, è invece attribuibile assolutamenle all’ Eocene, probabilmente al Bartoriano; e se pur mi fosse rimasto qualche dubbio me lo tolse il fatto che nelle ricerche eseguite ivi in un banco colcareo-arenaceo molto fossilifero della Regione Cucca, ebbi la fortuna di poter raccogliere diversi esemplari di una grossa Nummulite di facies parisiana che mi fu poi determinata dal dott. Prever come una La- harpeia inbercolata Brue.(= laevigata D'ARCH. = scabra D’ARCH. =Defrancei D’ ARCH. = italica TELL.) specie generalmente caratteristica del Parisiano e che qui evidentemente per le speciali buone condizioni d'ambiente, potè sopravvivere fino alla fine dell’ Eocene, fatto del resto generale per. tante altre forme che paiono precorrenti 0 tardive rispetto alle nostre attuali conoscenze, e che debbono tali apparenti anomalie stratigrafiche appunto a speciali condizioni d'ambiente. «L’esame della serie terziaria del Vallone Tre Pietre, così regolare e così bene seguibile dalla sua parte superiore (Bartoniano) sino al suo passaggio al Cretaceo superiore esclade în modo assoluto che vi si verifichino quelle pieghe, quelle scaglie tettoniche o quei consimili disturbi stra- tigrafici che altri volle invocare per spiegare la ripetuta apparsa ed alternanza di calcari a Lepi- docgclina con le tipiche marne schistose e calcaree nnmmulitifere dell''Eocene superiore. « Debbo infine ricordare che nei lavori sulla geologia della Sicilia si dà generalmente il nome di Argille Scagliose a certe potenti ed estesissime formazioni marnose-argillose più o meno schi- stose, eoceniche, che sono diverse dalle vere ArRGILLE ScAGLIOSE OriTIFERE dell’ Appennino, che io ritengo generalmente come crelacee ». (1) — v. Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; 1. — Il Vallone Tre Pietre. pag. 55. 116 G. CHECCHIA-R1SPOLI stallini con lenti di calcare dei dintorni di Taormina, ecc., per limitarmi alla sola Sicilia e a quei depositi, che a me sono sicuramente noti. Come avviene nel Termitano, a tali calcari chiari del Luteziano medio, segue la molto spessa ed estesa formazione delle argille scagliose, che qui s’ini- zia con un fascio di strati di calcare tenace a Zepidocyelina. Il dott. R. Douvillé il quale visitò brevemente i dintorni di Bagheria, non ebbe l’agio che di os- servare il calcare bianco con Orbitolites complanata, Assilina spira, Alveolina elongata, ecc. del Luteziano medio, ed il fascio di calcari con Lepidocyelina addossato al calcare bianco. I calcari a Zepidocyelina furono da lui attribuiti allo Stampiano od all’Aquitaniano, insieme con tutte le argille scagliose, dalla quali sono indivisibili (1). Abbiamo già detto e torniamo a ripetere che tali strati a ZLepidocyclina, non sono gli unici che si osservano nei dintorni di Bagheria, ma che ve ne sono altri intercalati a varie altezze nella. formazione delle argille scagliose. Inoltre in queste argille sono associati altri strati di calcare e di breccinole calcaree contenenti una fanna di foraminiferi eocenici, come A/v. elorgata, Alv. Schivageri, Numm. Guettardi, N. biarritzensis, N. striata, N. Tchihatcheffi, ed abbondanti Orthophragmina. La formazione delle argille scagliose con calcari a Zepidocyelina e con altri ad A/veolina, Nummulites, Orthophragmina, ecc. ora detti, come avviene al Vallone Tre Pietre, presso Termini-Imerese, è intercalata tra i calcari a grandi foraminiteri del Luteziano inferiore 0, quando questo manca, tra i calcari del Senoniano alla parte inferiore ed i calcari marnosi a fuocodi, alla parte su- periore: l’età di questi ultimi è sicuramente eocenica. Per questi fatti è impos- sibile adunqne che i calcari a Lepidocyelina con le argille associate apparten- gano allo Stampiano od all’ Aquitaniano; esse sono invece indubbiamente eoce- niche, come quelle del Vallone Tre Pietre. Abbiamo già scritto parecchie volte a proposito di Termini, che l’età di questo potente complesso argilloso- marnoso con intercalazioni di strati di calcari e di brecciuole calcaree molto fossilifere appartiene al Luteziano superiore; la medesima età hanno le argille scagliose con i soprastanti calcari marnosi dei dintorni di Bagheria, poichè esse non rappresentano che la continuazione di quelle di Termini-Imerese, per Trabia, Altavilla, Casteldaccia. (1) DouLviLÈ R.— Sur les « Argiles écaillenses » des environs de Palermo, ecc., 1906. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 117 Lo studio della formazione eocenica dei dintorni di Bagheria, oltre a far conoscere una importante fauna di Foraminiferi, in gran parte non ancora nota in Sicilia ed un rilevante numero di nuove ed interessanti forme, è riu- scito anche di molta importanza per i dati che ha fornito riguardo alla que= stione della distribuzione geologica di taluni gruppi di Orbifordes. L’ esistenza di Zepidocyclina e di Orbitoides s. str. nell’Eocene, da noi già dimostrata per quanto riguarda i dintorni di Termini-Imerese, ritrova qui una nuova e sicura conferma. Della esistenza delle prime nell’ Eocene abbiamo oramai discorso abbastanza in questo ed in altri miei precedenti lavori. Si è detto innanzi che nel membro n.5 della sezione, cioè nel livello dei calcari marnosi a fucoidi, si trovano anche delle Orbzfoides s. str. Lo stesso fatto avviene nei dintorni di Termini-Imerese nella contrada Cacasacco e più ra- ramente alla Rocca. Delle Orbrfoides s. str., che si raccolgono nei calcari marnosi varicolori dei dintorni di Bagheria, e propriamente al Colle Bellacera, una è riferibile alla eocenica Ord. Caroli mihi, da noi già ritrovata nell’Eocene della ‘contrada Cacasacco presso Termini-Imerese; l’altra è una forma collegata all’Ord. media del Cretaceo superiore, e che noi credemmo già di poter nettamente distinguere da questa: un più minuto esame posteriore mi ha indotto in seguito a consi- derarla come una varietà (var. P/%/lppi mihi). Anche questa forma è stata da noi ritrovata nell’ Eocene di Cacasacco. La presenza di queste forme nell’ Eocene di Termini-Imerese si è voluta da qualche autore spiegare con l'ipotesi del rimaneggiamento. Chi ha letto il mio lavoro sulla Rne Cacasacco, vi ha trovato minutamente esposte tutte le ragioni contro tale supposizione, la quale poi anche a Bagheria. non trova il minimo appoggio sn alcun fatto (1). (1) v. Za Serie nummaulitica dei dintorni di Termini-Imerese; Il, La Regione Cacasacco, 1909 PARTE PALEONTOLOGICA —__—_—____—_ IForaminiferi del calcare bianco del Luteziano medio + Gen. ORBITOLITES Lamark. Orbitolites Complanata Lamark. (Tav. IV, Fig. 1-2) 1801. Orbitolites complanata Lamark, Systéme des Animaux sans vertebrès, p. 376. 1850. » » Lamk.—Carpenter, On he Microscopie Structure of Nummulina, Orbitolites, and Orbitoides (The Quar- terly Fournal, vol. VI, pag. 30, Tav. VI, Fig. 23 e Tav. VII, Fis. 30). 1853. » » Lamk.— D’ Archiac, Monographie des Nummulites pag. 350, Tav. XXXVI, Fig. 19, 4-0. 1895. » » Lamk.—Zittel, Grurdziige der Palaeontologie, pag. 24, Fig. 22. 1907. » » Lamk.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 5, n.° 28. Abbiamo raccolto di questa specie forme a megasfera e a microsfera: queste ultime, oltre ad essere più abbondanti, raggiungono notevoli dimensioni. In alcuni esemplari il diametro è di circa 50 millimetri. I dischi calcarei sono circolari, sottili, biconcavi: la loro sezione trasver-= sale ha la forma di due coni congiunti per i loro apici. La superficie del plasmostraco è solcata da numerose zone concentriche: ‘ognuna suddivisa da solchi trasversali in una serie di areole, che corrispon- ‘dono alle camerette interne. 122 G. CHECCHIA-RISPOLI Le sezioni mediane permettono di osservare la forma arrotondata delle. loggette del piano mediano. L’ Orbitolites complanata è una specie comune nel calcare bianco e bianco- ceruleo della Rne Incorvino presso Bagheria, dove è stata anche rinvenuta dal dott. R. Donvillé (1). Gen. ALVEOLINA d’Orbigny (2) Alveolina milinm Bose. 1800 A/veolite grain de millet Bose, Nouvean bulletin, des sciences de la Société philomatique, Tav. V, Fig. 4 a-c. 1883 A/veolina ellipsotdalis Schwager — Die Foraminiferen ans den Eoc. d. lyb. Wiiste u. Aegypt., pag. 96, Tav. XXV, Fig.la-i, fio. 2 a-c. 1909 » » Schwg. — Checchia-Rispoli, Muova contribuzione alla’ conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 60. Tav. III, Fig. 1 (cum synonimia). 1909 » sphaerica Fort., var. granum milti Bosc, (pars) Osimo, Studio critico sul Genere Alveolina d’Orb., pag. 13, Tav. I, Fig. 7-21. 1910 » milinm Bose—Dollfus, Revue critique de Paléozoologie, pag. 147. Secondo la Signorina Osimo l’A/veolina ellipsoidalis Schwg. cade in sinoni- mia con l’A/v. mili Bose, figurata molto tempo prima. Però accetto l'opinione del Dollfus scrivendo A/v. 77lum invece. che Av. granum milti, con lo scopo di semplicificare la nomenclatura, e nel considerare 1’ A/v. wliium, spe- cie luteziana come forma a sè, anzichè come una varietà dell’A/v. sphaerica Fortis del Tortoniano, la quale poi è stata creata posteriormente cioè, nel 1302, (1) DouviLLÈ R. — Sur Zes « Argiles écaillenses » des environs de Falermo cce.(Bull. Soc. Géol. de France, 4° sér., VI tom., pag. 630), 1906. (2) Omettiamo in queste lavoro la descrizione delle Alveoline, avendola giò fatta in una Nota a parte dal titolo « Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline coceniche della Sicilia » (v. Palaeontographia italica, vol. XV.) Qui ci limitiamo solamente a fare poche brevi osserva- zioni su qualche forma più importante, osservazioni cui ha dato luogo il recente lavoro della Signorina Osimo, dal titolo « Stadio critico sul genere Alveolina dOrb. »; tanto più che sarò costretto ad intrattenermi su questo argomento in una mia Nota, che è già in corso di pre- parazione, allo scopo d’illustrare il nuovo materiale raccolto in varie recenti escursioni. LA SERIE NUMMULILICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 123 mentre la istituzione dell’altra rimonta a due anni prima (1800). Il carattere della forma regolarmente ovalare, le più grandi dimensioni, il maggiore spes- sore della lamina spirale, lo sviluppo maggiore di questa verso i poli, oltre alla differente posizione stratigrafica, sono sufficienti a tener distinta |lA/v. milinm da tutte le altre alveoline conoscinte. L'A/v. Cremae nobis si avvicina molto all'A/v. meilium Bose. Avendo studiato meglio la prima, così crelo ora, che il carattere del diverso numero dei giri, quello della forria e del numero delle cellette trasversali, e quello della forma della concamerazione centrale. non valgono che a tener distinta 1 A/v. Cremae dalla A/v. milinm, come varietà. Alveolina oblonga Fortis 1802 Discolithes sphaeroidens oblongus Fortis, Momotres pour servir è l’histoîire naturelles et principalement è l’oryctographie de PI- talie. Mémoires sur l’Italte, Il; pag. 113, Tav. ; III. Fig. 8. 1909 A/veolina oblonga d°Orb. — Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione intorno alla conoscenza delle Alveoline ecc., pag. 62, Tav. III, Fig. 5 (cum syn.) 1909 > bulloides d° Orb., var. sphaeroidea-oblonga Fort. (pars) — Osimo studio critico sul genere Alveolina d’Orb., Tav. IV, Fig. 1-2. 1910 » oblornga Fort.—Dollfuss, Revue critique de Paléozoologie, pag. 147. La dott. Osimo riunisce la M/osculina decipiens Schwsg. all’ Alv. oblonga For- tis, e considera questa ultima come una varietà dell’A/veolina bulloides d'Orb. del Miocene. / ‘ Noi invece crediamo di dover tener distinte le prime due alveoline, oltre che per la forma. anche pel diverso andamento della lamina spirale. La 7. decipiens ha una forma ellissoidale, accorciata. La lamina d’avvolgimento poi nei giri mediani, assume un notevolissimo spessore, che non si osserva mai nell’A/r. oblonga. Possono anche esistero degli esemplari di quest’ultima forma, come qualcuno di quelli figurati dalla Osimo nel suo lavoro, in cui eccezio- nalmente la lamina può essere alquanto ispessita; ma questo ispessimento non raggiunge mai que grado che si osserva nei tipici esemplari della //. deci 124 G. CHECCHIA-RISPOLI piens descritti dallo Schwager. Se anche questi esemplari rappresentassero, come ritiene la Signorina Osimo delle forme di passaggio, non per questo sa- remmo facoltati a riunire la //. decipiens alla Alv. oblonga, essendo le due forme estreme fortemente differenziate. In quanto poi ai rapporti tra |’ A/v. oblorga. forma eocenica, con l’Afr. bullotdes, del Miocene, seguiamo l’opinione del Dollfus nel considerare la prima come forma distinta dalla seconda per i caratteri fortemente differenti, come pure siamo del parere del predetto antore di semplificare il nome della specie in discorso, scrivendo semplicemente A. 00/0rga, invece di A. sphaeroidea-oblonga. DI Alveolina festuca Bosc., var. elongata d’Orb. 1909. A/veolina elongata d'Orb. — Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla co- noscenza delle Alveoline ecc., pag. 65 (cum syn.). 1909. » granum festucae Bosc., var. elongata d’Orb. — Osimo, Studio cri- fico sul genere Alveolina d°Orb., pag. 87, Tav. Vy Fig. 18-54 e Tav. VI, Fig. 1-10. Crediamo anche noi che l’A/v. elorgata d’Orb. debba considerarsi come una varietà dell’A/v. festuca Bosc. Alveolina gigantea Checchia-Rispoli 1909. A/veolina gigantea Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 66, Fig. 5-6 (nel testo), Tav. III, Fig. 8-10. Questa specie è la più abbondante tra le Alveoline che si raccolgono nel calcare tenace di Colle Incorvino, tanto che in certi puuti la roccia ne risulta costitnita quasi interamente. Come abbiamo scritto uel lavoro sopracitato, essa raggiunge notevoli di- mensioni, misurando alcuni esemplari una lunghezza massima di circa 100 mil- limetri. DS LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALFRMO 195. Subgen. FLOSCULINA Stache Flosculina pasticillata Schwager 1909. F/osculina pasticillata Schwg. — Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline ecc., pag. 68 (cum syn.). Anche questa forma eocenica è rapportata dalla Osimo all’ A/v. dul/vides d’Orb., del Miocene di Dax. Dell’ A/. du//otdes noi possediamo ora il disegno inedito del d’Orbigny, dato dal Fornasini nel 1904. Esaminando bene questa figura, si osservano almeno nell’ultima concame- razione, diverse serie (tre) di cellette trasversali regolarmente sovrapposte; mentre nella /osc. pasticillata Schwg. se ne osserva solamente nna. Se il disegno del d’Orbigny è esatto, non si comprende per quale ragione debbano queste dne forme venire identificate. Gli esemplari invece che la Signorina -Osimo figura sotto il nome di A/v. dz//oides d’°Orb., sono delle vere e proprie //osc. pasticillata Schwg. Il modo troppo largo di comprendere le specie accettato dalla Signorina Osimo non è scevro d’inconvenienti, come abbiamo visto, ed è anche in grande contrasto con l’opinione di parecchi moderni studiosi di foraminiferi, come il Douvillé e lo Schubert, i quali tendono invece a suddividere sempre più l’antico genere A/veolina d’Orb. Il primo infatti ha istituito il gen. A/veoZizella per quelle alveoline, che. come la vivente A4/v. Quoji d’Orb., presentano diverse serie di concamerazioni secondarie per ogni concamerazione principale !(1), al quale io ho poi rappor- tato l’A/v. Verbecki mihi e V'Alv. Fennemai mihi (2). Lo Schubert recentemente ha istituito un nuovo sottogenere, chiamato £/0- sculinella, per quelle flosculine, nelle quali negli ultimi due giri almeno si osservano due soprapposte serie di concamerazioni secondarie. La serie supe- (1) DouviLL& H.— LesTcalcaires à Fusulines de PIndo-Chine (Bull. Soc. Géol. de France, 4° sér., t. VI, pag. 576), 1906. (2) CaeccHIA-RispoLi G.— Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, 1909. 126 G. CHECCHIA-RISPOLI riore è composta di cellette numerose e piccole, mentre la inferiore di cellette grandi e poco numerose (1). Anche l'A. Ciofalot mihi è stata riferita dalla Osimo all’ Al. bulloides d’Orb., var. sphaeroidea Cart.; ma basta paragonare la fig. 22 d della Tav. IN del citato lavoro della Osimo, con la fig. 17 della Tav. I del mio lavoro « So- pra alcune Alveoline eoceniche della Sicilia» perchè le differenze risultino a prima vista. Flosculina decipiens Schwg. 1909. Z/osculina decipiens Schwg. — Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline ecc., pag. 68, Fig. 7 (nel testo), Tav. III, Fig. 11. (cum. syr.) Questa specie è comune nel calcare bianco del Luteziano medio della R.r° Incorvino. Si veda per questa forma quanto è stato scritto a proposito dell'A/v. ob/orga. Plosculina Pillaî Ch.-Risp. 1909. M/osculina Pillai Checchia-Rispoli. Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline ecc. pag. 69, fig. 8 (nel testo), Tav. III, Fig. 12. Questa specie si rinviene comunemente nel calcare bianco e grigio della Rne Incorvino. Essa fu da noi raccolta ‘anche nel calcare luteziano dei din- torni di Peschici (M. Gargano). Questa forma si avvicina molto a quella figurata nella Tav. I, fig. 22 della importante Memoria della dott. Osimo, e determinata come A/r. sphaerica Fort., var. granum milii Fort. Ma l’esemplare ivi rappresentato non ha niente da fare con gli altri figurati sotto la stessa denominazione, e sembra invece che si debba rapportare alla //. Pilar. (1) ScHuBERT A. 72 RicHaRz S. — Geologische Mitteilungen aus dem Indo-Australischen Ar- chipel, VII, Der geologische Ban Von Kaiser Wilhelms-Land nach dem heutigen Stand unseres Wissens pag. 533-584, fig. 1°) e. (Neues lahrbuch fiir Mineralogie, XXIX) 1910. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI :DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 127 Gen. NUMMULITES Lamarck. sez. BRUGHIERIA Prev. Nummulites laevigata Bruguière (Tav. IN, Fig. 8-15) 1792. Camerine lisse Bruguière, Ercyclopedie méthodigue, Vers, Vol.I, pag. 399. 1801. Nummulites laevigata Lamarck, Sistime des animanx sans vertébres, pag. 101. 1853. » » Lam. (pars) — d’Archiac et Haime, Monographie des Nummulites, pag.103, Tav.IV, Fig. 1 a-c. 1890. » » Lam., var. astyla Tellini, Le Nummulitidi della Ma- Jella, delle Isole Tremiti e del Promontorio gar- ganico, pag. 32. Tav. XII. Fig. 16. 1396. » » Lam. — Verbeek et Fennema, Description geologi- que de Java et Madoura, pag. 1150, Tav. VII., Fig. 90-95. 1901. » » Lam. -- Gentile, Su alcune Nummuliti dell’ Italia me- ridionale, pag. 6. Tav. I. Fig. 4. 1902. < » Brug.—-Prever. Ze Nummuliti della Forca di Presta ecc., pag. 51, Tav. I Fig. 17. 1904. » » Brug.—Checchia-Rispoli, Noa preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ccc., pag. 4 n.° ll. 1909 Nummulites laevigata Brug.—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Vermini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 85, Tav. II, Fig. 4-5 e pag. 120, Tav. VI, Fig. 1-2. Specie di grandi dimensioni, lenticolare, gonfia nel mezzo, talora poco, dalla superficie ora pianeggiante, ora ondulata. Margine leggermente arroton- «dato. La superficie del plasmostraco porta numerosissime strie, fine, ondulate, 128 G. CHECCHIA-RISPOLI flessnose, che, anastomizzandosi fra di loro, originano delle reticolature assai nette verso il margine. Spira subregolare od anche regolare, passo crescente nei giri centrali, co- stante nei successivi e decrescente nell’ultimo. Lamina spirale sottile nei pri- mi giri: nei successivi essa si ispessisce, divenendo uguale all’ampiezza del passo. I setti nei giri centrali sono più fitti e più regolari che nei giri mediani e periferici, ove possono essere anche molto distanti fra di loro: essi nella metà inferiore sono subretti ed in quella superiore rivolti indietro ed incurvati Concamerazioni numerose, subregolari, falciformi. I più grandi esemplari misurano 20 mm. di diametro per 5 mm. di spessore. La N. laevigata è comunissima nel calcare bianco e bianco-ceruleo della R.ne Incorvino presso Bagheria. Sez. GUMBELIA Prever. Nummulites crassa Boubòe. (Tav. III Fig. 6-7, 16-21) 1834 Nummaulites crassa Bonbèe, Ball. de nouv. gisements de France. 1853 » perforata d° Orb.—D’ Archiac et Haime, Monographie des Num- mulites, pag. 115, Tav. VI, Fig. 1-12. 1879 » » d’ Orb. — De la Harpe, Nummulites du Comté de Nice pag. 5, Tav. X, Fig. 4 a-b. 1890 » » d’ Orb.— Tellini, Ze Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti, ece., pag. 22, Tav. XII, Fig. 1-3 e Tav. XIV, Fig. 49-51. 1902 » aturica Ioly et Leym. — Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 52, Tav. II, Fig. 23-24. 1907 » crassa Boub. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica der dintorni dr Bagheria ecc., pag. 4, n. 10. 1908 » » Boub.—-Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei din- LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 129 torni di Termini-Imerese; I, Il Vallone Tre Pietre, pag. ST, Tav. III, Fig. 9-13. Questa specie, come la NV. /uevigata e la N. complanata, è comunissima nel calcare bianco e bianco-ceruleo della regione lncorvino presso Bagheria. Tutti gli esemplari che vi appartengono sono da riferirsi alla var. afurersis d’ Arch. et H.: essi infatti sono discoidi e molto meno gonfi della specie tipo; la superficie del plasmostraco è largamente flessuosa ed il margine ondulato «ed un po’ arrotondato. La spira è abbastanza regolare, con i giri addensati in piccolo numero verso la periferia. I setti, specialmente verso la periferia, sono piuttosto distanti fra di loro. Gli esemplari più grandi misurano 25 mm. di diametro ed uno spessore -di mm. 6. Nummulites lenticularis Ficht. et Moll. sp. (Tav. III, Fig. 22-50) 1850 Nautilus lenticularis Fichtel et Moll, Zestacea microscopica, pag. 59, Tav. VII, Fig. 4. 1853 Nummulites Incasana Defr.—d’Archiac et Haime, Monographie des Num- mulites, pag. 124, Tav. VII, Fig. 5-12. 1890 » » Defr. Tellini—Ze Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti ecc., pag. 25, Tav. XII, Fig. 6 e Tav. XIV, Fig. 35-36. 1902 » lenticularis Fich. et Moll. — Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta ecc., pag. 50, Tav. II, Fig. 12-21. 1907 Nummulites lenticularis Fich. et Moll. — Checchia-Rispoli. Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 4, n.° 12. Questa specie è rappresentata abbondantemente oltre che dagli esemplari riferibili alla forma tipica, anche da altri appartenenti alla var. obsoleta de la Harpe. Il plasmostraco è lenticolare od anche subgloboso. La superficie verso la parte centrale è ricoperta di poche e grosse granulazioni, che mancano ’verso il margine, ove invece appariscono nettamente i filetti settali. 130 G. CHECCHIA-RISPOLI Spira regolare e dal passo costante e solo decrescente nell’ultimo giro. Lo spessore della lamina è presso a poco uguale all’ampiezza del passo della spira. Su di un raggio di mm. 3,6 si contano 9 a 10 giri di spira. Setti snbregolari, poco arcuati e sempre più distanziantisi fra di loro man mano che si avvicinano alla periferia. Concamerazione centrale grande e rotonda, bipartita. Concamerazioni in generale più alte che larghe, quasi rettangolari, specialmente nei giri peri- ferici e falciformi nei primi giri. Le maggiori dimensioni raggiunte sono di mm. 10 per il diametro e di mm. 3 per lo spessore: le forme globose possono raggiungere uno spessore di mm. 6 e più. Nummulites sub-Douvillei Prever (Tav. IV, Fig. 40) 1902 Gimbelia sub-Douvillei Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta ecc., pag. 56, Tav. III, Fig. 1-6. Plasmostraco di piccole dimensioni, lenticolare, leggermente rigonfio nel mezzo, dal margine subacuto. Superficie ornata di grannlazioni ben nette, numerose, disposte a spirale sulle strie, che sono rade, sottili, subrette, od anche più o meno flessnose. Spira regolare o quasi, dal passo discretamente ampio, rapidamente ere- scente nel primo giro, quasi costante in tutta la spira, decrescente solo nel- l’ultimo. Lamina spirale discretamente spessa ed a spessore quasi uniforme. Camera centrale di medie dimensioni, subelissoidale; prima camera se- riale semilunare. Setti subequidistanti, subregolari, non molto numerosi, un po’ curvi, non molto spessi, generalmente un po’ inclinati sin dalla base, più avvicinati nei giri centrali, che nei periferici. Concamerazioni discretamente ampie, non molto numerose, falciformi, subeguali. Le dimensioni massime raggiunte sono di mm. 5 per il diametro e di mm. 2 per lo spessore. Questa forma non è infrequente nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Essi per i caratteri esterni corrispondono moltissimo alla LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 131 N. sub-Douvillei Prev., «alla quale li abbiamo riferiti. Le leggere differenze che esistono rispetto agli esemplari tipici della specie, per quanto riguarda unica- mente un po’ l'andamento dei setti, non sono tali, a parer nostro, da permet- tere una separazione degli esemplari in esame dalla M. sub-Dowvillei, alla quale con moltissima probabilità noi li riferiamo. Or nou è molto il dott. Vredenburg descrisse minutamente ed illustrò una specie di nummulite del Luteziano superiore dell’India, sotto il nome di W. Donvillei Wredenburg. (1). È evidente che tale autore ignorava l’esistenza della N. Douvillei Prev., Ja quale inoltre è differente dalla specie indiana. Per evitare confusioni io darei alla specie indiana il nome di N. Vredenburgi mihi, in omaggio all'autore, distinguendola dalla M. parva Prev., a cui il dott. Prever crede di rapportare la specie indiana, (2) oltre che per le maggiori dimensioni e per essere molto più depressa, anche per la forma della spira, che nella N. Vredenburgi è rapidamente crescente sino al margine, talchè l’nl- timo giro (4°) è due volte più largo del penultimo (3°), mentre nella N. parva la spira ha un passo costante, e per il minore spessore della lamina spirale. (3) Nummulites bayhariensis Checchia-Rispoli (Tav. IV, Fig. 9-11) Dimensioni ; Diametro 5 ; 5 : i É . È mm. 4,5--5. Spessore ; , È 3 5 1 d i » 3,0. Giri in numero di 4 su di un raggio di . È » 2,23. Setti in numero di A i È E ; 7 > 4 su di !/, del 1° giro d d » . è . 0 o . » 6-7 » » DO » » » » Ù Ù b È È È DIRNICIT SIMON MN VIS) » » » 5 È i È 3 » 8 » » 40005 (1) Vredenbug E. — Nummulites Douvillei, an unddescribed species from Kachh, with re- marcks on the zonal distribution of Indian Nummulites (Records Geological Survey of India, vol. XXXIV, p. 2, pag. 79, PI. 8) 1906. (2) v. Rivista Italiana di Paleontologia, anno XIV, fasc. I-II, pag. 25, 1906. (3) Prever P. L. — Ze Nammuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 68. Tav. VII, Fig. 1-2. 132 G. CHECCHIA-RISPOLI Plasmostraco di piccole dimensioni, rigonfio, con le dne faccie coniche, talora molto appuntite. Margine molto acuto. Superfici ornate di tubercoli poco numerosi, radi, grossi, di forma irre- golare, di cui uno grandissimo occupa il centro della faccia, disposti a spi- rale molto regolarmente. Questi tubercoli si trovano generalmente sui filetti radiali, ma anche in mezzo ad essi e sono molto più grandi nella parte centrale, diminniscono di dimensioni nella parte mediana e scompariscono verso la parte marginale, ove invece appaiono le strie, rade, sottili, subrette od anche leggermente flessuose. Verso il margine si osserva anche in modo evidente il rilievo sulla lamina dei setti, dell'ultimo giro. Spira subregolare, del passo rapidamente crescente nel primo giro, co- stante nei successivi, decrescente nell'ultimo. Lamina spirale molto spessa ed a spessore decrescente dal centro verso la periferia. Camera centrale grande, irregolarmente subovale. Setti sub-equidistanti, inegnali, non molto numerosi, sottili, poco curvi, generalmente dritti nella parte inferiore, e poco o talora anche molto incur- vati nella metà superiore. I setti si distanziano sempre più fra di loro, come s'avvicinano alla periferia. Prima camera seriale semilunare, le altre subegnali, falciformi: nell’ultimo giro più larghe che alte. È La sezione trasversale è fusiforme, rigonfia; la camera centrale presenta la sezione circolare, ed è molto grande. La lamina verso il canale è più sottile che non lateralmente. Spazi in- terlamellari poco distinti ed attraversati da poche e grosse colonne avvicinate nella parte centrale. La N. bayhariensis è frequente nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Nummulites Gentilei Prever, var. regularis Checchia-Rispoli (Tav. IV Fig. 41) Dimensioni : Diametro . È : È 4 ; : i 4 mm. 9.5. Spessore ; c 5 7 ; 5 È : i SZ Giri in numero di 12 su di un raggio di c : >» 4.75. LA SERIE NUMMELITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 133 Setti in numero di . È ; È i ; È 8 in !/, del 7° giro » » 5 Ì 5 ; ? : ; 3 10 » 8°» » » . Ò . . . c . ò 19 » 9° » » ESS: ì ; 5 ; ì : : 12 » TOO: » » ° . . . . . . . 10 » iO » DEE È ) E ; 4 È ; 11 » 119 CAS Plasmostraco lenticolare, leggermente rigonfio nel mezzo, dal margine snubacuto. La superficie è ornata verso il margine di numerose granulazioni rotonde od allungate poste in parte o completamente sulle strie o fra di esse. Strie numerose, irradianti dal centro, sottili e leggermente ondulate. Spira regolare, dal passo discretamente ampio e lentissimamente crescente dal centro verso la periferia. Lamina spirale piuttosto sottile, anche essa lentamente anmentante di spes- sore dalcentro verso la periferia: però verso tale regione lo spessore non è costante. Setti numerosi, regolari, equidistanti: però si nota un graduale e lento di- stanziamento fra di essi man mano che si approssimano alla periferia. Essi sono sottili ed inclinati regolarmente indietro sin dalla base. Concamerazioni numerose, falciformi, generalmente più larghe che alte, meno verso l’ultimo giro, dove i setti essendo più distanti fra di loro, sono più larghe che alte. Questa forma è molto rara nel calcare bianco della Rne Incorvino pres so Bagheria. I caratteri esterni la distinguono subito tanto della N. /aevigata Brug., quan. to dalla N. italica Tell; mentre per quelli interni sembra corrispondervi molto. Se passiamo ad altre forme conosciute di nummuliti quella che, a parer nostro, ha maggiori relazioni con la forma in esame è la VM. Gertilei Prev. (1). Però specialmente per quanto riguarda i caratteri interni, essa mostra talune diffe- renze che consistono nell’andamento molto regolare della lamina, e nel co- stante e discreto spessore di essa, mentre nella N. GezZi/ei Prev. l'andamento è meno regolare e lo spessore è tale da eguagliare o da superare l’ampiezza del passo della spira. Per questi fatti siamo costretti a considerare, almeno in via provvisoria, la forma in esame come una varietà. (1) Prever ‘P. L. — Ze Nummnuliti della Forca di Presta ecc., pag. 57, Tav. III, Fig. 7-9 134 G. CHHCCHIA-RISPOLI sez. PARONAEA Prever Nummulites complanata Lamarck. (Tav. III. Fig. 1-5) 1804 Nummulites complanata Lamarck, Ann. du Mus., vol. V, pag. 242, n.° 4. 1853 » » Lamarck. — D’Archiac et Haime, Morzographie des Nummulites, pag. 87, Tav. I. Fig. 1-3. » » Dufrenogi d' Arch. — D’Archiac et Haime, loc. cit, pag. 84, Tav. I. Fig. 4. 1907 » complanata Lamarck — Checchia-Rispoli, Vota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc. pag. 4 n.° 4. i 1908 » » Lamarck. — Heim, Die Nummuliten — und Flysch- Bildungen der Schweizeralpen, pag. 208. Tav. VI, Fig. 21,25,26 i Questa specie, che è la più grande fra le Nummuliti finora conosciute viene ora citata per la prima volta in Sicilia: essa è abbondante nel calcare bianeo e ceruleo della contrada Incorvino presso Bagheria, tanto da costituire esclusivamente in certi punti la roccia. I più grandi esemplari sorpassano i 100 mm. di diametro, ma questi sono relativamente rari e non è possibile che di osservarli nelle loro sezioni tra- sversali. Fra i numerosi esemplari di questa specie, oltre a quelli tipici riferibili alla figura i della Tavola I della Morographie, che si distinguono per essere relativamente più spessi nella parte centrale, ve ne sono altri, che corrispon- dono perfettamente a quelli, che il d’ Archiac distinse col nome di N. Dufre- nogi e che noi, insieme col Kanfmann, col Reis e con 1 Heim, consideriamo solo come varietà della V. complanata. Questi esemplari infatti si distinguono unicamente per una maggiore sottigliezza nella parte centrale del plasmostraco e' per l'orlo più flessnoso ‘e più tagliente: i caratteri della spira e dei setti LA SERIE NUMMULITICA DHI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALER 0 135 festano i medesimi di qiiella della V. complanata. Dello stesso avviso di rinnire la N. Dufrenogi alla N. complanata come varietà, è il Tellini (1). Riporto infine alla varietà /enw/ssa Heim, alcuni esemplari, il cni dia- metro raggiunge circa 110 inillimetri (dimensioni forse finora mai raggiunta da nessun altra Nummulite) su di uno spessore massimo nella parte centrale di circa 3mm. Questi esemplari, per le dimensioni e per la forma della sezione trasversale, corrisporidono a quello figurato dal d’Archiae (I. c., Tav. I, Fig. 3), proveniente dall’ Isola di Candia e che recentemente l’ Heim distinse come varietà della N. complanata, riportandovi alcuni esemplari raccolti a Flifalte presso Weesen, a Seowen 6 a Kistempass. Nummulites Tchihatcheffi d° Archiae. (Tav. III, Fig. 31-52 e Tav. IV, Fig. 38) 1353 Nummulites Tchihatcheffi d’Archiac et Haime, Monographie des Nummulites, pag. 98, Tav. I, Fig. 9. d’ Arch. — Tellini, Ze Nummuliti della Majella, 1890 » >» delle Isole Tremiti e del Promontorio garganico, p. 14, Tav. XI, Fig. 8-12 e Tav. XIV, Fig. 19.26,29. 1901 » » d’Arch.— Gentile, Su alcune Nummauliti dell’Italia meridionale, pag. 6. Tav. I, Fig. 4. L902rRR » d’Arch.— Prever, Ze Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 70, Tav. III, Fig. 27-29. 1907 » » d’ Arch.— Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecec., pag. 4, n.° 7. 1908 » » d’ Arch.—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese, I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 89, Tav. III, Fig. 2 e pag. 124, Nav QViE Rig: 1909 » » d’ Arch.—Heim, Die Nummuliten-und Flyschbil- dungern der Schweizeralpen, pag. 215. (1) Tellini A.— Nammulitidee terziarie dell’ alta Italia occidentale, pag. 180, 1888. 136 G. CHECCHIA-RISPOLI La Nummulites Tchihatcheffi è una delle specie più abbondanti nel calcare bianco della contrada Incorvino presso Bagheria ed è rappresentata da esem- plari tipici della specie. Questi infatti hanno per lo più un plasmostraco len- ticolare, più o meno gonfio, talora ondnlato. Il margine è subtagliente. La su- perficie, anche ad occhio nudo, mostra delle strie finissime variamente intrec- ciate ed irregolarmente disposte. Le variazioni della spira sono poco notevoli: la maggior parte degli indi- vidui da noi osservati hanno 5 a 6 giri di spira subregolari, su di un raggio di 3 min: questi giri, come negli esemplari descritti dal d’Archiac, sono più larghi nella prima metà del raggio, che nella seconda, I setti sono arcnati ed inclinati di circa 45.° mu. Giza 6 mm. ORE eo. Dimensioni : , ecc. var. apiculata Checchia-Rispoli (Tav. IV Fig. 59) Il d’Archiac a proposito della N. 7ehihatcheffi accenna alla asimmetria che talora si riscontra nella forma del plasmostraco. Infatti nel calcare bianco della contrada Incorvino è facile trovare fra gli individui simmetrici della N. Tchihatcheffi, altri con una faccia più sviluppata dell’altra: fra questi ultimi poi ne abbiamo trovati alcuni, in cui la asimmetria è spinta al massimo grado: in questi esemplari una faccia è sempre piu o meno convessa, mentre l’altra. è per lo più alta e conica: i fianchi della faccia conica sono leggermente sel- liformi. Non abbiamo creduto di dovere staccare specificamente questi esemplari da quelli tipici, perchè essi sia per le ornamentazioni della superficie, che per icaratteri interni non differiscono dagli altri individui della N. ZeWihatcheffi d’Arch. 6-7 mm. Dimensioni: 3-3,5 LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI Di BAGHERIA 1N PROVINCIA DI PALERMO 137 Nummulites latispira Savi et Meneghini. 1850 Nummulites latispira (p.) Savi e Meneghini, Considerazioni sulla Geologia stratigrafica della Toscana, pag. 465. 1855 » » Sav. et_Mngh. — d’Archiac et Haime, Monographie des Nummulites, pag. 93, Tav. I. Fig. 6a. 1890 » » Sav. et. Mngh. — Tellini, Ze Nummulitidi della Majel- la, delle Isole Tremiti ecc., pag. 17, Tav. XI, Fig. 13-15. 1902 » » Sav. et Mngh. — Prever, Ze Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 72, Questa forma è rarissima nel calcare bianco della contrada Incorvino: io ho trovato solamente un esemplare aderente in parte alla roccia e che mostra interamente la sezione equatoriale. La spira è subregolare, a passo crescente, meno nell’ultimo giro. Lamina spirale sottile. Setti assai numerosi, sottilissimi, subregolari, in media equidi- stanti in tutta la spira, affilati, mediocremente inclinati, regolarmente curvi all’indietro a cominciare dai due terzi dell’altezza. Concamerazione centrale piccola, subrotonda. Concamerazioni seriali nume- rose, falciformi, strette. L'unico esemplare da noi esaminato misura un diametro di 5mm. Nummulites discorbina Schlotheim (Tav. IV, Fig. 12) 1820 LZerticulites discorbinus Schlotheim, Die Petrefactunkunde, ecc., pag. 89. 1853 Nummaulites discorbina Schlth. — d’Archiac et Haime, Morographie des Num- . mulites, pag. 140, Tav. IX, Fi. 2a—-f. 3. 1880 » » Schlth.— De la Harpe, Morograph. Aeggpît. Numm., pag. 183, Tav. XXXII. Fig. 1-7. 138 G. CHECCHIA=-RISPOLI ou con a 1890 Nummulites discorbina Schlth.—Tellini, Le Nummulitidi della Majella, delle i Isole Tremiti ecc., pag. 10, Tav. XIV, Fig. 20 e 28. 1902 » » Schlth. — Prever, Le Nummuliti della Forca di Pre- sta e dei dintorni di Potenza, pag. 96, Tav. IV, Fig. 41-43. 1907 » » Schlth. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Se- rie nummaulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 4, n.° 5. Plasmostraco lenticolare, regolarmente gonfio, con una leggera depres- sione nella parte centrale, dalla quale partono delle strie fine, numerosissime, diritte o leggermente flessnose, che talora si suddividono avvicinandosi verso il margine. Spira molto regolare e dal passo lentissimamente crescente. Lamina spi- rale spessa, dippiù nei giri centrali, che in quelli periferici. Setti numerosi, equidistanti, regolari, subretti, discretamente spessi. Concamerazioni numerose, generalmente più alte che larghe, rettangolari. Dimensioni: 3 La N. discorbina non è infrequente nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Nummulites subdiscorbina De la Harpe (Tav. IV, Fig. 13-37) 1883 Nummulites subdiscorbina De la Harpe, Monogr. d. in Aegypt. u. Libysscher Wiiste, pag. 185, Tav. XXXII, Fig. 3-15. 1890 » >» © Dela H.— Tellini, Ze Nummulitidi della Majella. delle Isole Tremiti ecc., pag.19, Tav. XIV, Fig. 6-8. 1902 » » De la H.— Prever, Ze Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 98, Tav. V, Fig. 3-4. 1907 » De la H.— Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serîte nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 5, n° 8. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 139 Plasmostraco lenticolare, gonfio, dal margine subacuto, presentante nella parte centrale una sporgenza disccidale, appiattita, liscia, dalla cui base partono numerose strie diritte o appena flessuose nel mezzo della loro lunghezza. Spira quasi regolare, dal passo discretamente crescente sino all’ultimo giro. Lamina spirale crescente di spessore sino all’avant’ultimo giro e decrescente in seguito. Setti numerosi, equidistauti, subretti, regolari, discretameute spessi. Concamerazione centrale bipartita. Concamerazioni seriali subrettangolari. mu. 9 , dl Dimensioni: Questa forma è più abbondante della sua omologa a microsfora nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Nummulites biarritzensis D’Archiac 1837 Nummulina biaritzana d° Archiac, Meémoire sur la formation crétacée du Sud-Ouest de la France (Mém. de la Soc. Géol. de France, t. 2, p. 2°, pag. 191). i 1846 Nummulites atacicus Leymerie, Mémoires sur le terran a Nummulites (Epicrétacé) des Corbières et de la Montagne Notre (Mém. d. 1. Soc. Géol. de France, 2° sér., tom. 1, p. 2°) pag. 358, Tav. XIII (pl. B), Fio. 13 a, b, c, d, e. 1855 » biarritzensis (pars) d’Archiac et Haime, Monrographie des Num- mulites, pag. 131, Tav. VIII, fig. 4 a, b,c,d,5 4, 64. 1883 DIC, » d’Arch.—De la Harpe, Morogr.d. n Aegypten u. Liby- schen Wiiste, ecc., pag. 169, Tav. XXX, Fig. 19-28. 1907 » » d’Arch. — Checchia-Rispoli, Nota preventina sulle Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 4, n.° 6. La N. biarrilzensis è rara nel calcare bianco della Rne. Incorvino: noi ne abbiamo raccolti pochissimi esemplari, di cui il più grande misura mm. 9 . di diametro, per mm. 2,7 di spessore. Tutti gli autori sono d’accordo nel considerare la VM. afaecica Leym. come sinonimo della N. biarrifzensis d’Arch., però non sappiamo per quale ragione 140 G. CHECCHIA-RISPOLI si voglia adoperare il nome di N. afacica per quello di N. biarrifzensis. Per diritto di priorità però si deve adoperare il nome specifico dato dal d’Archiae, il quale ha descritto la specie in modo perfettamente riconoscibile nel 1837, mentre il Leymerie la descrisse solo nel 1346. Dagli antori moderni la N. fRamond: d’Arch. et H. e De la H. (rec De- france) è ritenuta una piccola varietà della N. bdiarritzensis; al nome famondi deve però essere sostituito definitivamente quello più antico di g/0bw/ns Leym., perchè gli originali della N. Pamondi rappresentano invece una Assilina (Ass. Leymeriei). Nummulites Guettardi d’Arch. et H. 1853 Nummulites Guettardi d'Archiac et Haime, Monogr. des Nummulites, pag. 1502 y AVIS Ra Ne Rab: 1907 » » d’Arch. et H. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 5, n. 9. Questa forma è rarissima nel calcare bianco della R.ne Incorvino. Gen. ASssILINA d’Orbigny Assilina spira de Roissy (Tav. IV, Fig. 3-5) 1805 Nummulites spira de Roissy, Histoire naturelle des Mollusques, vol. V, pag. 57. 18553 » » de Roiss. (pars) — d’Arch. et Haime, Morographie des Nummulites, pag. 155, Tav. XI, Fig. l,a — c, 2 a. 1890 Assz/iza spira de Roiss. — Tellini, Le Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti, ecc., pag. 39, Tav. XIII, Fig. 7-9 Tav. XIV, Fig. 40. 1896 Nummulites (Assilina) spira de Roiss. — Verbeck et Fennema, Description géologique de Iava et Madoura, tom. II, pag. 1149, Tav. V, Fig. 86 e Tav. VI, Fig. 87-89. 1907 Assilina spira de Roiss. — Checchia-Rispoli, Mofa preventiva sulla Serie LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 141 nummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 5, n.° 16. Plasmostraco di grandi dimensioni, discoidale, sottile, pianeggiante od anche leggermente ondulato. Le dne superfici mostrano in rilievo più o meno pronunziato i giri della spira, che si allargano verso il margine del plasino- straco ed i setti che diventano granulosi verso il centro, ove esiste, ina non sempre, un mammellone più o meno sporgente. Su di un raggio di mm. 13 si svolgono 14 a 15 giri di spira per lo più subregolari od anche irregolari. Il passo della spira aumenta rapidamente dal centro alla periferia, ove misura una larghezza di 1! mm. a 1°/, mm. La- mina spirale spessa circa la metà dell’altezza dei giri, di meno verso i giri centrali. Setti inequidistanti, subregolari, quasi dritti e solo nell’ultimo tratto su- periore incurvati indietro. In un quarto dell’ultimo giro (13°) si contano da 19 a 20 setti e 10 a 5 mm. dal centro. Concamerazioni rettangolari, più alte che larghe e fatte a volta superiormente. L’Assilina spira è comunissima nel calcare bianco e bianco-ceruleo della R.ne Incorvino presso Bagheria. Assilina subspira de la Harpe (Tav. IV, Fig. 6) 1853 Nummulites spira de Roiss. (pars) — d’Archiac et Haime, Morographie des Nummulites, pag. 155, Tav. XI, Fig. 3-5. 1879 Assilina subspira de la Harpe, Nummaulites du Comtè de Nice, pag. 33. 1890 » » de la H. — Tellini, Le Nuumulitidi della Majella, delle Isole Tremiti ecc., pag. 40, Tav. XIII, Fig. 10-12 e 14 e Tav. XIV, Fig. 24, 31-34. 1902 Assilina subspira de la H. — Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta ecc., pag. 110. Tav. VIII, Fig. 9, 10, 19. 1907 » » de la H. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. Bo IL Plasmostraco di piccole dimensioni, lenticolare. pianeggiante, sottile e più regolare di quello della forma omologa. Sulla sua superficie si osservano chia- 142 G. CHECCHIA=RISPOLI ramente in rilievo i giri della spira ed i setti, che nei giri centrali diventano sempre più granulosi. Spira regolare dal passo ampio e crescente sino al penultimo giro e de- crescente nell’ultimo. Su di un raggio di mm. 3 si contano 4 giri di spira. Lamina spirale regolare, dallo spessore crescente lentamente sino al margine. Camera centrale circolare, di medie" dimensioni. Setti subregolari, diritti, subequidistanti; nell’ultimo giro più avvicinati ed inclinati. Prima camera seriale semilunare. Concamerazioni successive subegunali, rettangolari, più alte che larghe, falciformi nell’ ultimo giro. Il più grande esemplare da noi raccolto misura mm. 6 di diametro per circa 1 mm. di spessore. L’Ass. subspira è meno comune della forma omologa a microsfera nel cal- ‘care bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Assilina mamillata d’ Archiac. 1555 Nummulites mamillata d’ Archiac, Monographie des Nummulites, pag. 154, Tav. XI, Fig. 6-8. 1890 Assilina mamillata d’° Arch. — Tellini, Le Nummuliti della Majella, delle Isole Tremiti, ecc., pag. 40, Tav. XIII, Fig. 15, 15 e Tav. XIV, Fig. 23, 29, 30. 1902 » » d’Arch. — Prever, Ze Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, pag. 106, Tav. VIII, pata I 2 US 1907 » » d’Arch. — Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; 1, Il Vallone Tre Pietre, pag. 128, Tav. VI, Fig. 18. Plasmostraco lenticolare, rigonfio nella parte centrale, s leggermente de- presso al centro. Sulla superficie si osserva, sebbene confusamente, la traccia della lamina spirale; più chiaramente si osservano i setti, che non portano granulazioni di sorta. Margine arrotondato. 5 Spira abbastanza regolare negli esemplari da noi osservati e composta di 5 a 6 giri su di nn raggio di mm. 5. Passo spirale discretamente ampio e crescente lentamente sino al margine. Lamina spirale mediocremente spessa LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORN1 DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 143 e a spessore quasi costante in tutti i giri ed in media uguale ad un terzo -dell’ampiezza dei giri. Camera centrale di medie, dimensioni, circolare. Prima camera seriale semilunare. Setti non molto numerosi, inequidistanti, quasi diritti e solo appena in- curvati indietro nell’ultimo tratto superiore. In un quarto del 5° giro si con- tano 10 setti. Concamerazioni rettangolari, ineguali e sempre più alte che. larghe. Le dimensioni massime raggiunte da questa specie sono di mm. 10 per il diametro e di mm. 1, 5 per lo spessore nella parte centrale. L’ Assilina mamillata d° Arch. è meno frequente della Ass. spira nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Assilina Gemmellaroi Checchia-Rispoli (Tav. IV, Fig. 7) IENA a le e A E i o TAO) Spessore nella parte centrale. . . . .. . . >» 2,5 Giri in numero di 7 su di un raggio di. . . . » 10 SEUI >» 15 su di!], del7° giro » » FA IAT EI ERA TO A RESP CEI DU) rela Dire 6° » » » . . . . . . ° ° . ° . . . . ° 10 » i 5° » » » . . . . . . ° Ù ° . ° . . ù . 8 » 40 » Specie di grandi dimensioni, discoidale, sottile: la parte centrale è, oc- -cupata da un mammellone sporgente, conico, coperto di grosse granulazioni, che nei primi giri sono allineate lungo i setti: tali grannlazioni scompariscono nei giri successivi. La superficie del plasmostraco mostra chiaramente in ri- liovo i giri della spira e i setti. La spira aumenta rapidissimamente di ampiezza dal centro verso la pe- riferia, specialmente negli ultimi tre giri, talchè il passo del giro periferico misura una ampiezza uguale ad un terzo del diametro del plasmostraco. La lamina spirale ha un andamento quasi regolare ed il suo spessore aumenta gradatamente verso la periferia. Setti subregolari, equidistanti, sottili, discretamente numerosi, perpendico- lari alla lamina, meno nell’ ultimo tratto superiore, ove sono appena incurvati indietro, formando con la lamina spirale un angolo di 15° a 20.° 144 G. CHECCHIA-RISPOLI Concamerazioni rettangolari, molto più alte che larghe, specialmente nel- l’ultimo giro, ove l'altezza è nguale circa quattro volte alla larghezza. L’ Assiline Gemmellaroi si distingue dalla Ass. spira de Roissy, alla quale s'avvicina un pò per i caratteri esterni, prima di tutto, per avere la spira for- mata di un numero di giri di molto inferiore su d’ uno stesso raggio: così negli esemplari tipici dell’ Ass. spira su di un raggio uguale a mm. 15, si hanno 14 a 15 giri di spira e 10 giri perry = 10 mm, in altri termini si può dire che il numero dei giri nell’ A. spire è uguale a quello dei millimetri del rag- gio, mentre nella specie in esame, per 7= 10 mm, si hanno 7 giri di spira; viene di conseguenza che l'ampiezza del passo è maggiore nell’ Ass. Gemme- laroi, in cui il giro periferico è largo più di 3 mm. Inoltre i setti nell’ Ass. Gemmellaroi sono più regolari e molto più numerosi, teuto che in un quarto dell’ultimo giro (7°) si contano 15 setti, mentre nell’Ass. spira nello stesso giro se ne coutano 9 a 10. Maggiori sono poile differenze con’ Ass. exporers Sow., sia per i caratteri esterni, che per l'ampiezza della spira e pel numero dei setti. L’Ass. Gemmellaroi è una specie molto rara uei calcari bianchi della R.ne Incorvino presso Bagheria. Assilina sub-Gemmellaroi Checchia-Rispoli (Tav. IV, Fig. 8) Dimensioni: DI ZII OR RE O IS VRTTTIT MSI SPOSSOLOLA A IT A E RINO » 0,81. Giri in numero di 5 su di un raggio di. . . . > 45. SEUI UTERO RAI RO 5-4 in i], del 1° giro » » SAMSON IR ERI iO 5-6 » 20 Pa » » E AE IA gr 9-8 » 9° >» Plasmostraco di medie dimensioni, discoidale, sottile, regolare. Sulla sun- perficie si osserva molto chiaramente in rilievo la traccia della lamina spirale e dei setti: la parte centrale è ornata di una grossa granulazione di forma conica. Spira molto regolare e rapidissimamente crescente, cosicchè su di un: raggio di mm. 4-5 si contano appena 3 giri di spira. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO . 145 Lamina spirale sottile in tutto il suo percorso. . Concamerazione centrale rotonda e di diametro uguale a mm. 0,5. Prima camera seriale semilnnare. Setti non molto numerosi ed in media poco più di una cinquantina in ‘tutta la spira, considerando un esemplare del diametro di9 mm.; essi sono regolari, equidistanti, alti, impiantati quasi normalmente sulla Jamina spirale e legger- mente incurvati indietro nell’ultimo tratto superiore. Concamerazioni rettangolari, più alte che larghe, specialmente nell’ultimo giro, ove l’altezza di esse è circa tre volte la larghezza; le prime 6-7 con- camerazioni sono pinttosto quadratiche. I caratteri esterni, e poi il rapido svolgersi della spira, la forma ed il numero dei setti, avvicinano talmente questi esemplari ai precedenti, che noi «siamo inclinati a crederli come i corrispondenti a macrosfera, differendone solamente per le minori dimensioni e per la presenza di una camera centrale. Questa forma è molto più abbondante della precedente nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. Gen. ORBITOIDES d’Orb. (1) subgen. ORTHOPHRAGMINA Munier-Chalmas Orthophragmina Pratti Michl. sp. 1846 Orbitolites Pratti Michelin, Iconographie zoophyt., L. XIMI, Tav. 63, Fig. 14. -1868 Orbitoides papyracea Boub. — Giimbel, Beitrige zur Foraminiferenfanna. ecc., pag. 123, Tav. III, Fig. 40-47. 1876 » » Boub.—v. Hantken, Die Fauna der Clavulina-Szaboi Schichten, pag. 81, Tav. XI, Fig. 1. (1) Con piacere constatiamo che nei recentissimi Grurdziige der Paltiontologie dello Zittel ‘riveduti dallo Broili (1910), è adottato per questo gruppo di Foraminiferi il medesimo ordi- —dinamento sistematico, che noi sin del 1907 seguiamo, e di vedere in questo, come nei più re- -centi trattati di Paleontologia, confermata la esistenza di Zepidocyelina nell’ Eocene. 146 G. CHECCHIA-RISPOLI 1903 OrMhophragmina Pratti Michl. — Schlumberger, Zroisiéme Note sur les Orbitoides, pag. 27, Tav. VIII, Fig. 1-38, Tav. IX, Fig. 27. 1907 » » Michl. — Checchia Rispoli, Nota preventiva sulla Se- rie nummulitica det dintorni di Bagheria ecc., pag. Questa specie non è rara nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria. I più grandi esemplari non sorpassano i 15 mm. di diametro. Orthophragmina sella d’Arch. sp. (Tav. IV, Fig. 43-44) 1520 Lerziculites ephippium Schlotheim, Die Petrefactentunde, pag. 89. 1868 Orbitoides ephippinm Giimbel, /oc. cif., pag. 118, Tav. III, Fig. 15, 16 38, 39. 1905 OrMophragmina sella d’Arch.— Schlumberger, Zroisiéme Note sur le Orbitoides, pag. 278, Tav. IX, Fig. 14-16, 25. 1907 » » d’Arch. — Checchia Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica del dintorni ai Bagheria ece.,. pag. 4, n.° 2. Gli esemplari di questa specie sono così abbondanti che in certi punti col loro insieme costituiscono interamente la roccia. I più grandi esemplari non . sorpassano i 13 mm. di diametro. Accanto a questi esemplari, che corrispondono a quelli tipici, ve ne sono altri, che per alcune particolarità, sembrano costituire una varietà. Questi esemplari hanno il plasmostraco di grandissime dimensioni, piegato a forma di sella, poco spesso nella parte centrale e molto assottigliato verso il margine. Le due superficie presentano nella parte centrale un’area depressa, circolare a mò di ombelico, apparentemente liscia, attorno a cui sono disseminati una quantità di tubercoletti o tuberosità, molto sporgenti, che rendono la superficie molto scabrosa. Questi non sono fra loro addensati, ma distano l’uno dall’altro di circa mm. :0,4. Ad una certa distanza dal margine, vi è un’area segnata da una certa depressione, su cui i tubercoli diventano più rari e molto piu pic- coli per riapparire al di là di questa depressione; dopo di che essi finiscono per scomparire presso il margine del plasmostraco. LA ‘SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALFRMO 147 x Tutta la superficie del guscio, compreso lo spazio trai tubercoli, è oc- cupata interamente da minutissimi granuli, appena visibili ad occhio nudo. Le concamerazioni equatoriali, come appare da frammenti di sezione, so- no alte e strette. : Gli esemplari più grandi di questa orbitoide misurano sino a 40 mm. di diametro, per 2. 5 mm. di spessore, nella parte centrale. Questi esemplari, oltre che per le maggiori dimensioni, differiscono dalla specie tipo, anche per il maggiore sviluppo che assumono i tubercoli della superficie, da renderla molto scabrosa. Si potrebbe quiridi costituire con questi esemplari una varietà g9gaztea dell'O. sella d’Arch. Orthophragmina dispansa I. de C. Sowerby sp. 1907 Orthophragmina dispansa Sow. — Checchia-Rispoli, Mota preventiva sulla Ì Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., o 92 pag. 4, n.° 3. L’O. dispansa non è rara nel calcare bianco della R.ne Incorvino ed i più grandi esemplari non superano gli 11 o 12 mm. di diametro. Orthophragmina radians & Arch., var. fennicostata Giimb. (Tav. IV, Fio. 42) 1368 Orbitoides tenuicostata Giimbel, Beitrige sur Foraminiferenfauna der Nor- dalpinen EHocîingebilde, pag. 131, Tav. II, 114 a-c e Tav. IV, Fig. 55. 1903 OrMophragmina radians d’ Arch. (parsy-Schlumberger, Quatriéeme Note sur les Orbitoides, pag. 122, Tav. III, Fig. 7. 1904 > tenuicostata Giimb.—-Checchia-Rispoli, { Moraminiferi eocenici del gruppo del M. Indica ece., pag. 60, Tav., II Fig. 17 e 18. Plasmostraco sottilissimo, discoidale, fornito nella parte centrale d’un pic- colo mammellone arrotondato, del quale partono numerose costole esilissime (14 a 18). attennantisi verso la periferia, ove finiscono per scomparire, per cui 148 G. CHE JCHIA-RISPOLI il margine appare intero. Fra queste costole se ne osservano delle altre più brevi, che partono però ad una certa distanza dal bottone centrale. Tutta la superficie è ricoperta di minutissime grauulazioni. L’Orthophragmino tenuicostata fu istituita dal Giimbel e distinta dall’Orz4. radians d'Arch., per il maggior numero delle costole che ornano la superficie. A questo carattere lo Schlumberger non crede di dare una importanza speci- fica e riunisce la OrMophragmina lenuicostata all’O. radians. Però esiste ilfatto che in esemplari delle stesse dimensioni, oltre alla differerza nel numero delle costole, queste,nell’O. radians sono molto più forti, anzi si fanno più accen- tnate verso il margine del plasmostraco e sporgono sul suo contorno, in forma di punte unite da linee concave; nell’O. fezzicostata le costole sono jinvece più forti vicino al bottone centrale. diventano in seguito molto esili e finiscono collo scomparire verso il margine, che è perfettamente circolare. Per questo fatto noi crediamo di tener distinti i primi esemplari dai secondi e considerare questi come una buona varietà dell'O. radians d’Arch. L’O. radians var. tenuicostata non è infrequente nel calcare bianco della R.ne Incorvino presso Bagheria ed il più grande degli esemplari raccolti mi- sura 12 mm. di diametro. : If 1 Foraminiferi delle argille scagliose + Gen. ALVEOLINA d’Orbigny Alveolina Baldacciî Checchia-Rispoli 1907 A/veolina Baldaccit Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie num- mulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag.7, n.° 20. 1909 » » Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 61, Tav. III, Fig. 2. Questa forma è rarissima nelle breccinole calcaree intercalate nelle argille scagliose eoceniche, presso il Ponte di Castronnovo nei dintorni di Bagheria. Alveolina Fornasiniî Checchia-Rispoli. 1907 A/veolima Fornasinir Checchia—Rispoli, \Muova contribuzione alta conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 62, Tav. III Fig. 3. . Anche questa specie, come la precedente, è molto rara nelle breccinole intercalate tra le argille scagliose eoceniche presso il Ponte di Castronuovo nei dintorni di Bagheria. Alveolina minuta Checchia-Rispoli. 1907 A/veolina minuta Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica To mo 82 dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 150 G. CHECCHIA-RISPOLI 1909 A/veolina minuta Checchia-Rispoli, Azova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline ecc., pag. 64, Tav. III Fio. 7. Questa piccola Alveolina non è rara nelle brecciuole calcaree intercalate tra le argille scagliose dei dintorni di Bagheria, presso il Ponte di Castronuovo. Alveolina Schivageri Ch.-Risp. 1907 A/veolina Schivageri Checchia- Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummu- litica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 7, n° 52. 1909 » » Ch.-Risp.-Silvestri, Mi2rolidi trematoforate nell’ Bocene della Terra d' Otranto, pag. 155, Tav. IX, Fig. 14-15. 1909 » » Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline ecc., pag. 64, Tav. III, Fig. 6. Abbiamo trovato rari esemplari di questa forma perfettamente determi- nabili e corrispondenti in tutti a quelli già da noi descritti nel lavoro: « So- pra alcune Alvzoline eoceniche della Sicilia ». Questa specie dell’Eocene tipico, così ben caratteristica per la sua forma fusoide, pel gran numero dei giri, per la regolarità di essi, è con dubbi rife- rita dalla Osimo all’A/v. sphaerica (Fort.), var. Haueri d° Orb. del Miocene del bacino di. Vienna, la quale invece è uua forma molto gonfia (v. d'Orbigny, Die Fossilen Foraminiferen des tertiîiren Beckens von Wien, pag. 148, Tav. VII, Fig. 17, 18). è Alveolina festuca Bosc, var. elongata d'Orb. 1909 A/veolina elongata d°Orb.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 7, n.° 54. E’ una specie rara nella formazione delle argille scagliose eoceniche dei dintorni di Bagheria presso il Ponte di Castronuovo. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO t51 Gen. OPERCULINA d’Orbiguy Operculina complanata Defrance 1782 Lenticulites complanata Defrance, Diet. Sc. Nat, vol. XXV, p. 453. 1826 Operculina complanata d'Orbigny, Arr. Sc. Nat., vol. VII, p. 281, pl. XIV, Fio. 7-10. 1906 » » Defr.— Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbito‘di dell’ Appennino ligure-piemontese, pag. S8, Tav. II, fio. 26. 1907 » » Defr.—Checchia-Rispoli, Vota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria e di Ter- mini-Imerese, ecc., pag. 14, n.° 28. 1908 » » Defr. — Checchia-Rispoli, Za Sezze nummnulitica dei dint.rni di Termini-Imerese, I, Il Vallone Tre Pietre, pag. 119, Tav. VI, Fio. 21. L'Operculina complanata è discretamente abbondante nelle brecciuole cal- caree intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. I suoi esemplari non differiscono in nulla da quelli provenienti dalla formwazion* cal- careo-argillosa dei dintorni di Vermini-Imerese, da noi riferita alla parte più elevata del Bartoniano o a strati di passaggio all’Oligocene. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano. Gen. HETRROSTEGINA d’ Orbigny. Helerostegina reticulata Rùtimeyer 1850 Heterostegina reticulata Ritimeyer, Veber des Schieizerische Nummulitenter- rain, pag. 109, Tav. IV, Fig. 61. 1868 > » Riit.—Gimbel, Bertrége zur Foraminiferenfauna der nordalpinen Eociingebilde, pag. 662, Tav. II, Fig. 10. 152 G. CHECCHIA-RISPOLI 1878 Heterostegina reticulata Rit.—v. Hantken, Clavulina-Szabòi Schichfen, pag. 81, Tav. XII, Fig. 3. 1907 » » Riit. — Checchia-Rispoli, Mola preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. To 1052 205 1908 » » Riit.—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese, I, Il Vallone Tre Pietre, pag. 84 è pag. 120, Tav. VI, Fig. 22. Questa specie è comune nelle breccinole calcaree intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. Molto più rara vi è la sua varietà Hoffmanni mihi, da me stabilita per la prima volta su esemplari provenienti dalla stessa formazione del Vallone Tre Pietre nei dintorni di Termini-Imerese (1). Gen. NumMmuLITES Lamarck. sez. Paronaca Prev. Nummulites Guettardi d° Archiac et Haime (Tav. V. Fig. 4-5) 1907 Nummulites Guettardi d° Arch. —Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 7, n.° 23. 1909 » » d’ Arch. —Checchia-Rispoli, La Serîe nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; 1, Il Vallone Tre Pietre, pag. 92, Tav. III, Fig, 1. Fra le specie di nummuliti che si raccolgono nei depositi eocenici delle argille scagliose dei dintorni di Bagheria, la N. Gueztardi è la più abbondante. Gli esemplari di questa caratteristica specie sono facilmente riconoscibili e (1) Checchia-Rispoli G. — Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese, I, Il Val- lone Tre Pietre, pag. 84, Tav. IV, Fig, 1-2. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 153 noi non avendo da aggiungere alcun particolare alle descrizioni date dagli autori, ci limitiamo a figurarne qualcuno nella sua sezione equatoriale. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano. Nummulites biarritzensis d’Archiac (Tav. IV, Fig. 3) 1837 Nummaulites biarritzana, d° Archiac, Mém. sur la formation crétacée, ece., pag. 191. 1346 » atacica Leymerie, Mém. sur le terrain à Numm. des Corbières ecc. pag. 358, pl. XIII. (pl. B) fig. 13. a, b, c,d, e. 1853 » biarritzensis d° Archiac et Haime, Monographie des Num- mulites, pag. 131, Tav. VIII, fig. 4a, b, c,d,5a, 6a. 18853 » » d’Arch.—De la Harpe, Monographie d. in Aegypten und Lyb. Wiiste vork. Numm., pag. 169, Tav. XXX, pag. 19-20. 1902 » atacica Leym.—Prever, Ze Nummuhti della Forca dv Pre- sta e del dintorni di Potenza, pag. 74, Tav. IV, fig. 7-3. 1907 » biarritzensis d'Arch.—Checchia-Rispoli, Nola preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 7, n.° 22. 1909 » atacica Leym.—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese, I, Il Vallone Tre Pietre, pag. 91, Tav. III, fig. 14. Specie di medie dim>nsioni, lenticolare, spessa nella parte centrale, dal margine tagliente e dalla superficie ornata di strie assai nette, subrette o leg- germente ondulate. Spira subregolare a passo leggermente crescente sino nel- l’ultimo giro. Lamina spirale a spessore crescente. sottile nei giri centrali e spessa nei mediani e periferici: lo spessore è talora decrescente nell’ultimo giro. Setti discretamente numerosi, subequidistanti, subregolari, subretti nel primo tratto, dove in generale sono anche più spessi; più o meno incurvati in segnito; leggermente rigonfi e rivolti all’indietro alla base, ove si vede molto 154 G. CHACCHIA-RISPOLI chiaramente, specie nell'ultimo giro, l'apertura che mette in comunicazione Te concamerazioni fra di loro. Camere falciformi, subeguali, più alte che larghe. fium. Dimensioni: 2,5 Questa specie non è rara nelle breccinole calcaree intercalate tra le argille: scagliose dei dintorni di Bagheria. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano. Nummulites Tehihatcheffi d'Archiac: et H. (Tav. IV, Fig. 1-2) 1853 Nummulites Tchihatcheffi dArchiac et Haime, Monographie des Nummultites. pag. 98, Tav. I, Fig. 9 a-e. 1890 » » d’Arch.—Tellini, Le Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti e del Promontorio garganico, pag. 140, Tav. XI, Fig. 8-12 eTav. XIV, Fig. 19.25, 26. 1902 » » d’Arch—Prever, Ze Nummuliti della Forca di Presta e dei dintorni di Potenza, Tav. INI, Fig. 27-29. 1904 » » d’Arch.—Checchia-Rispoli, / Foraminiferi eocenici del gruppo del M.te Indica ecc., pag. 42. 1907 » » d’Arch.— Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 7, n.° 21. 1908 » » d’ Arch.—Checchia-Rispoli, Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; 1, Il Vallone Tre Pierre, pag. 89, Tav. III, Fig. 2 e pag. 124, Tav. WILD ok Anche la Nummulites Tehihatcheffi è una specie comune nelle breccinole nummulitiche intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. I snoi esemplari sono perfettamente determinabili e si contraddistinguono per avere la parte centrale del plasmostraco rilevato a guisa di mammellone. Riferisco ancora alla N. Telihatcheffi, per quanto a prima vista sembre- rebbe distaccarsene, nna piccola nummalite (4 mm. di diametro), che presenta una grande ampiezza e regolarità nella spira ed nna grande regolarità nei setti. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 155 Le notevoli variazioni interne ed esterne, ormai: troppo note, a cui va sog- getta la N. ZeWihatcheffi giustificano il riferimento dell'esemplare in esame alla specie del d’ Archiac. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano. Nummulites striata Bruguière (Tav. IV, Fig. 6) 1907 Nummulites striato Brag.—Bonssac, Palacontologia Universalis, n.° 115. 1907 » » d’ Orb.—Checchia-Rispoli, Mofa preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pay. T, n.° 24. 1909 » >» d’ Orb.—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica det dintorni di Termini-Imerese, I, IN Vallone Tre Pietre, pag. 94. Plasmostraco, di piccole dimensioni, leuticolare, discretamente gonfio, ri- coperto di strie finissime, che partono dal centro, leggermente flessuose. Margine subtagliente. La sezione equatoriale mostra una spira quasi regolare, che si allarga lentamente , però grande al suo inizio in rapporto con la loggia embrionale. La lamina spirale è spessa e a spessore gradatamente crescente; in taluni punti la lamina è circa la metà dell’altezza del canale spirale. Su di un raggio di millimetri 2, si contano 5 giri di spira. La camera centrale è grande, rotonda; la prima loggia seriale è anche essa abbastanza grande, ma più piccola della centrale e a sezione semilunare. Setti sottili, regolari, equidistanti, paralleli fra di loro, poco curvi nei primi giri, di più nell’ ultimo. Nel 1° giro si contano da ,3-4 setti per ogni quarto di giro, 6 nel 2°, 7 ad 8 nel 3°, 8 a 9 nel 4° e 9 a 10 nel 5.° Le dimensioni massime riscontrete sono di mm. 4,2 per il diametro e di 1,5 per lo spessore. La N. striata Brug. è una specie piuttosto rara nelle brecciuole nummu- litiche intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria e si presenta con esemplari, i quali, se non identici proprio a quelli tipici, editi recentemente dal Dott. Boussac, ai quali noi ci riferiamo, pure mostrano una 156 G. CHECCHIA-RISPOLI serie di caratteri che, dopo un miunto ed attento esame, permettoro il riferi- mento alla N. striata Brug. Nummulites sp. ind. (Tav. IV, Fig. 11) Nummulite di piccole dimensioni, lenticolare, discretamente gonfia, rico- perta di strie sunbrette, poco o nulla flessuose, ben distinte. Margine tagliente. Spira molto regolare, dal passo crescente dal centro sino al penultimo giro, decrescente nell’ultimo. Lamina spirale non molto spessa ed a spessore costante in tutto il suo svolgersi. Su di un raggio di mm. 2 si contano 5 giri di spira. Concamerazione centrale di medie dimensioni, circolare. Setti discretamente numerosi, equidistanti, eguali, paralleli: retti nella metà inferiore e regolarmente incurvati indietro nella metà superiore. Nell’ul- timo giro (5°) i setti sono alquanto irregolari. In un quarto del 5° giro si contano 12 setti, 9 nel 4°, 6 nel 3°, 5 nel 2° e 3 nel 1°. Concamerazioni uguali, falcìformi. Questa nummulite è molto rara nelle breccinole intercalate nelle argille scagliose eoceniche dei dintorni di Bagheria. La sua determinazione, come anche quella della forma rappresentata dalle Figg. 7 e 12 della Tavola V, riesce alquanto difficile, e non potrà essere mai sicura, essendo esse rappre- sentate per lo più da unici esemplari, e non sempre in buono stato di conser- vazione. Noi ci limitiamo per ora a darne le sezioni equatoriali, nella speranza che il rinvenimento di altri esemplari ci mettano in grado di studiare meglio e con maggiore sicurezza queste forme di nummuliti. Nummulites Rzehaki Prever (Tav. VI, Fig. 54-55) 1902 Nummulites Rzehaki Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta e det dintorni di Potenza ecc., pag. 90, Tav. IV, Fig. 32-34. Plasmostraco lenticolare, rigonfio, presentante spesso nel mezzo delle facce una sporgenza o bottone, da cui partono delle strie rade, alle volte numerose, LA SERIK NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA D1 PALERMO 157 ben visibili ad occhio nudo, debolmente ricurve. Margine subarrotondato, od anche subacuto. Spira regolare, dal passo crescente sino al margine od anche decrescente nell’ultimo giro. Lamina spirale spessa. Camera centrale bipartita. Setti subequidistanti, subregolari, spessi, discretamente incurvati nell’ulti- mo tratto superiore. Concamerazioni falciformi, subeguali, subregolari. Le dimensioni massime sono di mm. 3 per il diametro e di mm. 1,7 per lo spessore verso il centro. Questa forma è discretamente abbondante nelle lastrette calcaree con Lepidocyclina, intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. Essa sia per i caratteri esterni che per quelli interni, corrisponde alla N. fFzehaki Prev. dell’Eocene di Spina di Potenza e della Forca di Presta. Fra gli esemplari riferentisi a questa specie, ne abbiamo trovati anche alcuni più più piccoli, che corrispondono perfettamente alle figg. 33 e 34 della Tavola IV del citato lavoro del Prever, i quali presentano delle leggero variazioni nel- l'andamento generale dei setti rispetto agli altri. Nelle stesse lastrette calcaree accanto ‘alla nummulite or ora d-scritta, ne esistono poche altre spocificamente distinte , le quali, come ebli a scrivere nell’ Introduzione di questo lavoro, sono di difficile e non sicura determi- nazione. Di queste, una (v. Fig. 56, Tav. VI), d’altronde rara, non differisce molto per i caratteri esterni dalla N. Azekaki, ma internamente presenta una spira molto regolare, dal passo crescente regolarmente sino alla periferia; lamina sottile e setti molto regolari, equidistanti e poco incurvati. Un'altra forma, anch'essa molto rara, è quella figurata nella stessa tavola (v. Tav. VI, Fig. 57). Queste nummulite di piccole dimensioni (5 mm. di diametro) presenta un pla- smostraco depresso, alquanto ondulato, dal margine assottigliato, ed ornato di strie sottilissime, non molto numerose e poco flessuose. 1 Spira irregolare, dal passo rapidamente crescente dal centro verso la pe- riferia. Camera centrale grande, rotonda. Setti sottilissimi, inequidistanti, ine- guali, generalmente poco incurvati, talora quasi dritti od anche regolarmente incurvati. 158 G. CHECCHIA-RISPOLI Gen. PELLATISPIRA Boussac. Pellatispira Madaràszi v. Hantken (Tav. V, Fig. 8-10) 1375 Assilina Madaràszi v. Hantken, Die Fauna der Clavulina-Szabòi Schichten, pag. 86, Tav. XVI, fio. 7 a-c. 1890 » » v. Hantk.—Tellini, Ze Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti e del Promontorio garganico, pag. 40, Tav. XIII, pag. 16. 1906 PeMatispira Madaràsci v. Hantk.—Boussac, Developpement et Morphologie de quelques Foraminiferès de Priabona, pag. 92, Tav. II, Fig. 14. 1907 » » v. Hantk.—Checchia-Rispoli. Nota preventiva sulla Serie nummulitica det dintorni di Bagheria ece., pag. 7, n. 26. 1908 Assilina Madaràszi v.Hantk.—Provale, Di alcune nummulitine e orbitoidine dell'Isola di Borneo, pag. 66, Tav. IV, fig. 21-24; Tav. V, fig. 1-4. 1908 Pellatispira Madaràsci v. Hantk.—Checchia-Rispoli, La Serze nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese. 1. Il Vallone Tre Pietre, pag. 97, Tav. III fig. 20-22 e pag. 129. Gli esen.plari in istudio sono perfetiamente. identici a quelli raccolti nei vari membri eocenici del Vallone Tre Pietre presso Termini-Imerese. Essi sono piccoli ed il loro plasmostraco è ordinariamente irregolare, non mancano però esemplari perfettamente piani. La superficie è ricoperta di granulazioni grandi, tra cni ve ne sono altre più fine. Sul bottone centrale si osservano da 6 ad 8 granuli: gli altri formano suì duc giri di spira due serie spirali; essi ‘si corrispondono due a due e finiscono per fondersi formando delle costole’ trasversali. i La sezione equatoriale mostra una loggia centrale perfettamente rotonda, di medie dimensioni ed una cresta spirale che è generalmente presso a poco della stessa larghezza del canale spirale. LA SERIE NIMMULITICA D£1 DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 159 Concamerazioni irregolari, col soffitto arrotondato, grandi e separati da setti sottili, inequidistanti. Dimensioni. pn sis oI9Ri: La Pellatispira Madaràszi in Sicilia, oltre che nelle argille scagliose eoce— niche dei dintorni di Bagheria, si mostra in quelle di varie località del Ter- mitano ; inoltre nelle brecciuole nummulitiche dei dintorni di Catenannova in provincia di Catania, e nei calcari marnosi a fucoidi tanto dei dintorni di Ba- gheria, che di Termini-Imerese. Per i rinvenimenti di questa specie nell’ Eo- cene di altre località italiane rimando al mio lavoro sopracitato. sul Vallone Tre Pietre. «Gen. QORBITOIDES d’ Orb. subgen. LEPIDOCYCLINA Gùimbel Lepidocyelina marginata Michelotti sp. (Tav..VI, Fig. 11-38) 1841 Nummulites marginata, Michelotti, Saggio storico dei Rizopodi caratteristici dei terreni sopracretacet, pag. 45, Tav. II, Fio. 4. 1904 Lepidocyclina marginata Micht.—Checchia-Rispoli, { Foraminiferi eocenici del gruppo del Mon:e Indica ecc., pag. DT, Tav. Il Fig. 25-27. 1904 » » Micht.-Lemoine et Douvillé, Sur le genre Lepido- cyelina Giimbel, pag.16, Tav. I, Fig. 7, 9, 11, 20; Tav. III, Fig. 3, 8,9, 13. 1908 » » Micht.—Checchia-Rispoli, La Serze nummulitica dei dintorni di Termini-lImerese; 1. Il Vallone Tre Pietre, vag. 102, "l'av. V, Fig. 15-52 e Tav. VII Fig. 16. Gli esemplari di questa specie, tanto microsferici, che macrosferici sono abbondantissimi negli straterelli calcarei intercaleti tra le argille scagliose 160 G. CHECCHIA-RISPOLI della R.ne Incorvino presso Bagheria. Gli individui della forma B si presen- tano con dimensioni medie, eccezionalmente essi sorpassano i 12 o 13 mm. di diametro: quelliappartenente alla forma A non oltrepassano mai i 4 mm. di diametro. Tanto gli uni, che gli altri hanno un plasmostraco costituito di una parte centrale sporgente e ricoperta di poche e grosse pustole e di una parte marginale sottile più o meno espansa. Negli esemplari macrosferici, attraverso una serie dilamine sottili, si può osservare la graduale trasformazione dell’apparecchio embrionale, il quale è sempre biloculare. Es o dalla forma identica a quella che si riscontra in Lep. Morgani Lem. et Douv., passa gradualmente a quella che si riscontra in Lep. Canellei Lem. et Douv. Il fatto identico si osserva negli esemplari provenienti dal Vallone Tre Pietre presso Termini-Imerese. Abbiamo già detto nello studio della fauna di quella importante località le ragioni che ci hanno spinto a considerare questi esemplari macrosferici come i corrispondenti della forma B della Zepid. marginsta Micht. Ora non avendo da aggiungere altro a proposito di questa specie ci limitiamo qui a figurare un certo numero di esemplari tanto della forma A che della forma B. R.ne Incorvino, Amalfitano ecc. Lepidocyelina Gemmellaroi Checchia-Rispoli (Tav. VI, Fig. 39-53) Questa forma ho un plasmostraco di piccole dimensioni, regolarmente piegato a sella, gonfio, e dallo spessore aumentante rapidamente dalla periferia verso la parte centrale. Generalmente i margini sono assai taglienti, ma ta- lora ottusi od anche arrotondati. Gli esemplari molto flessnosi sono sempre i più grandi: i giovani sono leggermente curvi od anche quasi piatti: questi ultimi, senza un'analisi attenta, potrebbero essere facilmente confusi con i giovani individui di qualche altra specie. Le due superfici del plasmostraco sono uniformemente ricoperte di piccole pustole o tuberosità, più piccole nella parte periferica che in quella centrale e visibili anche ad occhio nudo negli esemplari ben conservati. L’apparecchio embrionale, che è molto grande, risulta di dune logge, di cui la più grande racchiude per circa tre quinti la più piccola. Questa ha una sezione quasi semicircolare; l’altra ellittica. La parete di entrambe è LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 161 molto spessa. Nella sezione trasversale l’apparecchio embrionale presenta una forma ellissoidale, molto allungata e depressa in una direzione perpendicolare al piano mediano. Attorno a questo apparecchio iniziale si dispongono immedia- tamente degli anelli concentrici di logge mediane ogivali, le quali sono grandi e non molto alte; verso la periferia però sono schiacciate. Su di nn raggio di circa 2 mm. non si contano più di 17 a 18 cicli di logge ed in un esemplare più piccolo dal raggio di circa 1.2 mm. noa se ne contano più di 10. In questa orbitoide ripiegata a sella naturalmente riesce impossibile di ottenere tutta la sezione mediana completa; per conseguenza le sezioni ori:zontali non mostrano le logge mediane che lungo delle lince eurve 0 branche d’iperbole, che si ragviungono al centro del plasmostraco : îra di esse appaiono sezionate anche delle logge laterali. Però negli esemplari giovanis- simi è possibile ottenere delle sezioni più o meno complete a causa della poca ivcurvatura del plasmostraco. La sezione trasversale ha la forma di una lente biconvessa, molto gonfia. Essa fa vedere gli stessi caratteri embrionali. La strato mediano delle logge in prossimità della loggia centrale è più largo, che verso la periferia : inoltre le logge mediane verso la periferia vanno diminuendo in altezza. Da un lato e dall’altro delle logge equatoriali si osservano quelle laterali, molto regolarmente disposte tra i numerosi pilastri discretamente sviluppati. Dimensioni: le massime sono di mm. 7 per uno spessore di mm. 3. Rapporli e differenze — La Lepidocyclina Gemmellaroi per la forma del plasmostraco ricorda moltissimo la Or/hophragmina Di-Stefanoi mihi dell’Eocene siciliano, con la quale si trova anche associata; ma essa se ne distingue nettamente per la forma delle concamerazioni equatoriali. La piegatura a sella del plasmostraco ricorda inoltre la Lepidocyelina inflexa mihi, però le minori Cimensioni, la mancanza di un bottone centrale, il forte spessore da eguagliare la metà del diametro del plasmostraco, ci obbligano a tener distinta la forma in esame dall’altra. 162 &. CHECCHIA-RISPOLI Lepidocyclina Raulini Lem. et Douv. (Tav. VI, Fig. 1-10) 1904 Zepidocyclina Raulini Lemoine et Douvillé, Su” /e genre Lepidocyelina Giimbel, pag. 11, Tav. I, Fig. 3, 6,9, 13, 16; Tav. II, Fig. 3, 10; Tav. III, Fig. 4,14. 1906 » » Lem. et Donv.—Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbitoidi dell'Appennino liguro-piemontese, pag. 22, Tav. II, Fig. 40. 1905 » » Lem. et Douv. — Provale, Di alcune Nummulitine e Orbitotdine dell’ Isola di Borneo, pag. 76, Tav. VI, Fio. 6-8. Questa forma per quanto meno abbondaute della Zep. marginata, è tnt- tavia comune nella formazione eocenica dei dintorni di Bagheria. Gli esemplari più grandi raggiungono circa 30 nm. di diametro, e sono piuttosto rari; più comuni sono quelli che raggiungono i 15 mm. Il plasmostraco discoide è leggermente ondulato nei grandi esemplari; regolarmente piano nei più piccoli. Essi sono rigonfi al centro, ove, nei grandi, si differenzia un vero e proprio wainmellone. La superficie è ricoperta interamente da granulazioni, in mezzo a cui appare il reticolato. Tutti gli individui da noi sezionati sono microsferici. Le logge equatoriali hanno nna forma che va da quella' di nn esagono regolare a quelia di un rettangolo allungato secondo il raggio e di cui il lato che guarda verso la periferia del plasmostraco è sostituito da un arco di cerchio. Nella sezione trasversale le loogie laterali mostrano delle pareti molto spesse. Inoltre si osservano tracce di pilastri non sempre ben definiti e completi; per questo carattere la Z. Raulni si distingue dalla £L. dilatata, che rresenta sempre dsi pilastri molto più evidenti. Questa specie si raccoglie tanto nel fascio dei calcari tenaci, bianco- grigi, addossati ai calcari bianchi del Luteziano medio a grandi foraminiferi, che nelle lastrette calcaree intercalate a varie altezze nella formazione delle argille scapliose. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO subgen. ORTHOPHRAGMINA Munier-Chalmas Orthophragmina Pratti Michelin sp. 1846. Orbitolites Pratti Michelin, Zcongraphie Zoophyt., L. XIII, Tav. 63, Fig. 14. 1868. Orbitoides papyracea Giimbel, Bertriige Zur Foraminiferenfanna ecc., pag. 125, Tav. III, Fig. 40-47. 1876. » » v. Hantken, Die Fauna der Clavulina-Szabdi Schichten pag. S1, Tav. XI, Fig. 1. 1903. Or#Mophragmina {Pratti Micht.—Schlumberger, Zroisième Note sur les Orbitoides, pag. 27, Tav. VIII, Fig. 1-3 e Tav. IX, Fio. 27. 1907. » » Mich.—-Checchia-Rispoli, Mota preventiva sulla Serie nummulitica aei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 7, n.° 2. 1909. » » Mich.—-Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 106. Questa specie è comune sulla superficio delle lastrette calcaree intercalate tra le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano. Orthophragmina sella d° Archiac sp. 1820 Zenziculites ephippium Schlotheim, Die Petrefactenkunde, pag. 89. 1868 Orbitoides ephippinm Schlth.—Giumbel, loc. cit., pag. 118, Tav. II, Fig. 15-16, 38-59. 1903 Orhophragmina sella d'Arch.—Schlumberger, Yroisième Note sur les Or- bitoîdes, pag. 2718, Tav. IX, Fig. 14-16, 25. 1907 » » d’Arch.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. UD E 164 G. CHECUHIA -RISPOLI 1909 OrMophragmina sella d° Arch.—Provale, Di alcune Nummulitine e Orbitoidine dell’ Isola di Borneo, pag. 74, Tav. V, Fig. 13. 1909 » » d’Arch.—Checchia-Rispoli, La Serie Nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 106. Questa specio, come la precedente, è ben rappresentata nella formazione eocenica delle argille scazliose dei dintorni di Bagheria, presso il Ponte di Castronuovao ecc. Orthophragmina scalaris Schlumberger (Tav. V, Fig. 58.) 1905 OrMhophragmina scalaris Schlumberger, Zroisiome Note sur les Orbitoides, pag. 277, Tav. VIII, Fig. 4, e Tav. IX, Fio. 12-13. 1909 » >». Schlumb.—Provale, Di alezuze Nummuktine ed Or- bitoidine dell'Isola di Borneo, pag. 75, Tav. V, Fig. 14-15, Tav. VI, Fig. 7. 1909 » » Schlumb.—Checchia-Rispoli, La Serie nammulitica dei dintorni di Vermini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 107, Tav. IV, Fig. 4, e Tav. VII, Fio. 14. Plasmostraco discoidale, lenticolare, più spesso al centro che verso il mar- gine, che è assottigliato. Tutta la superficie è interamente disseminata di gra- nulazioni, molto avvicinate e più debeli verso la periferia. . La sezione equatoriale mostra una loggia embrionale circolare, voluminosa che racchinde un’altra più piccola; encrambe hanno una parete sottile. Il primo ciclo di logge equatoriali è composto di circa 40 concamerazioni rettangolari, più grandi di quelle dei cicli successivi; però man mano che le logge si avvicinano alla periferia diventano più alte. LO. scalaris è comune nelle lastrette calcaree intercalate tra le argille scagliose dei dintorni di Bagheria ed i più grandi esemplari non sorpassano 1 cm. di diametro. Ponte di Castronnovo, R.ne Amalfitano. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PA LERMO 165 Orthophragmina Canavarit Checchia-Rispoli. (Tav. V, Fig. 16 e 43). 1907 Orthophragmina Canavarit Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei din - torni di Bagheria ecc., pag. 7, n.° 12. 1909 » i » Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei din- torni di Termini-lmerese, IL Il Vallone Tre Pietre pag. 109, Tav. IV, Fio. 15-17 e Tav, V, Fig. 10-11. Ho descritto e figurato questa bella specie nel mio lavoro sul Vallone Tre Pietre, in cui ho detto che la Or. Canavarii si trova anche nelle brecciuole nummulitiche dei dintorni di Bagheria ed ho figurato due esemplari di questi luoghi. Niente altro avrei da aggiungere a quanto ho scritto, se non che es- ‘sendo riuscito a trovare nel materiale, da me raccolto, qualche nuovo esem- plare, credo far cosa utile figurare esternamente uno di questi molto ingran- dito e di rappresentare di nuovo l’ apparecchio embrionale di questa specie. Esso pur essendo del tipo di quello già descritto, presenta qualche piccola variazione nella forma, nelle dimensioni e di più il primo ciclo di logge equatoriali è più alto e comprende un maggior numero di concamerazioni. Orthophragmina Zitteli Checchia-Rispoli. ® 1907 Orhophragmina Zitteli Checchia-Rispoli, Mota preventiva sulla Serie num- mulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 7, a IL 1909 ati » Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 133, Tav. VII, Fig. 5, 4, 19-22 e Tav. V, Fig. 14. Gli esemplari di questa forma seno stati da me già descritti e figurati nel lavoro sul VeMone Tre Pietre. Qui aggiungo solamente che la Or. Zitteli non è rara nelle brecciuole calcaree intercalate nello argille scagliose dei dintorni di Bagheria. | Ponte di Castronuovo. 166 G. CHECCHIA-RISPOLI Orthophragmina dispansa J. de C. Sowerby sp. (Tav. V, Fig. 18, 39 e Tav. VI, Fig. 58-60). 1837 Licophris dispansus J. de C. Sowerby, Geol. Transact., 2° sér, vol. V. 1860 Orbitoides dispansa Sow.—Giimbel, oc. cit., pag. 123, Tav. III, Fig. 40-47. 1904 Orthophragmina dispansa Sow. sp.—I Foraminiferi eocenici del gruppo del Monte iudica ecc., pag. 56, Tav. II, Fig. 9-23. 1907 » » Sow. sp.—-Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 7, n. 10. 1909 > » Sow.sp.--Checchia-Rispoli, Za Serie rummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 107, Tav. IV, Fig. 4 e Tav. VII, Fig. 8-10. 1909 » >» Sow. sp—Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Ter mini-Imerese; Il., La F.ne Ca- casacco, pag. 204, Tav. I, Fig. 20. Questa ortofragmina è una delle più abbondanti nelle breccinole calcaree intercalate devtro argille scagliose dei dintorni di Bagheria. La perfetta conservazione degli esemplari ci ha permesso di osservare chiaramente la costituzione dell'apparecchio embrionale di questa specie, il quale era finora poco conosciuto, oppure lasciava dei dubbi sulla sua struttura. Come appare dalla fignra schematica (v. Tav. V, Fig. 39), molto ingrandita, esso risulta costituito di una concamerazione centrale di forma rotonda e dalla pa- rete sottile, che racchiude un’altra più piccola pure rotonda. Le loggie equa- toriali dei primi tre o quattro cicli sono di forma esagonale, schiacciate, sub- quadrate a primo aspetto; quelle dei cicli successivi sono rettangolari, più alte che larghe ed aumentanti di altezza verso la periferia. Ponte di Castronuovo, R.ne Amalfitano, ecc. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 167 Orthophragmina Di-Stefanoi Checchia-Rispoli (Tav. V, Fig. 21,31, 40) 1907 OrMophragmiua Di-Stefanoi Checchia-Rispoli, Mola preventiva sulla Se- rie nummulitica det dintorni di Bagheria ecs, pag. 7, n. 13. 1909 » » Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre. pag. 110, Tav. IV, Fig. 6-13, Tav. VI, Fig. 25-26 e Tav. VII, Fig. 11-12. 1909 » » Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica, dei dintorni di Termini-Imerese; Il. La R.ne Cacasacco, pag. 203, Tav. I, Fig. 19. L’Orth. Di-Stefanoi è la più abbondante fra le ortofragmine che si rac- colgono nelle breccinole calcaree intercalate tra le argille scagliose dei din- torni di Bagheria. Abbiamo minutamente descritta questa specie nel lavoro sul Vallone Tre Pietre, dove abbiamo anche enumerati i r'nveni.nenti di essa nell’Eocene sici- liano. Poco o nulla ho da aggiungere alla suna descrizione. Torniamo in questo lavoro a figurare la sezione equatoriale di uno dei tanti esemplari raccolti e aggiungiamo anche una figura schematica dell’apparecchio embrionale, che non ancora avevamo dato di questa specie, ma che avevamo solamente descritto. Orthophragmina radians d’Archiac sp. (Tav. V, Fig. 15,19,42) 1850 Orbitoides radians d’Archiac, Bayonne et Dax (Mém. Soc. Géol. de France, (2°), III), pag. 405, Tav. VIII, Fig. 15. 1904 Orthophragmina radians d’° Arch.—Schlumberger, Quatrième Note sur les Orbitoides, pag. 122, Tav. III, Fig. 9, e Tav. IV, Fig. 15-17. 168 G. CHECCHIA-RISPOLI 1904 Orthophragmina radians d' Arch.—Checchia-Rispoli. Nota preventiva sulla Serie nnummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 7, n. 14. 1909 » » d’Arch.— Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 113, Tav. III, Fig. 17 e Tav. VII, Fig. 18. Questa specie è rappresentata da esemplari tipici, che hanno il plasmo- straco discoidale, sottilissimo, presentante al centro d’ogni faccia un grosso bot- tone o mammellone sporgente, arrotondato, dal quale parte un numero limitato, (6-8) di forte costole raggianti, principali, sporgenti sul contorno, immezzo alle quali vengono ad intercalarsi altre costole più piccole, che non raggiungono il bottone centrale. Sulle costole, come sul resto del plasmostraco, si osservano numerose piccole granulazioni disposte in cerchi concentrici. La sezione equatoriale della forma A mostra nella parte centrale una loggia sferica, che è racchiusa a metà da un’ altra pure sferica di dimensioni doppie della prima. Intorno a questo embrione si sviluppa il primo ciclo di logge equatoriali di forma quadratica. Quelle dei cicli successivi si allungano rapidamente e crescono di altezza sino verso la periferia. Però l’andamento della lamina non è sempre regolare, per cui si sovrappongono logge di tutte le dimensioni. L’Orth. radians si incontra non di rado sulle lastrette calcaree intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria ed il più grande esemplare raggiunge circa mm. 12 di diametro. Orthophragmina triangolaris Checchia-Rispoli (Tav. V, Fig. 13 e 41) Plasmostraco di piccole dimensioni, a forma di triangolo equilaterale, coi tre lati leggermenie concavi; ispessito nella parte centrale ed assottigliato verso il margine. Le parti centrali delle due facce del plasmostraco sono interamente rico- perte di numerosi tubercoli, avvicinati fra di loro e di discrete dimensioni; mentre la parte marginale appare quasi liscia ad occhio nudo. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA JN PROVINCIA DI PALERMO 169 La sezione equatoriale dell’unico esemplare, purtroppo incompleta, per- mette d’osservare nella parte centrale una loggia embrionale grande, circolare, circondata a metà da un’altra subovale, entrambe dalla parete sottilissima. Solamente lnngo la bisettrice di uno dei tre angoli è dato di osservare le loggie equatoriali, di forma rettangolare, allungate, di guisa che nessun dubbio può esistere sulla natura d’Or/kophragmina di questa interessante forma, che può considerarsi come la più semplice del eruppo delle Orkophragminu stellate. L’unico esemplare, proveniente dalle breccinole nummulitiche dei dintorni di Bagheria non misura più di mm. 8 di larghezza, dal vertice di un angolo al lato opposto. Ponte di Castronuovo. Orthophragmina Taramelliù Munier-Chalmas (Tav. V, Fio. 20) 1903 OrMhophragmina Taramellii Mun.-Ch.—Schlumberger, Quatriéme Note sur les Orbitoides, pag. 151, Tav. VI, Fig. 41-46 e 51-57. 1907 » » Mun.-Ch.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla 1 Serie nummulitica dei dintorni di Bayheria ecc., paci nsi 1909 > » Mun.-Ch.—Checchia-Rispoli, La Serie rummulitica dei dintorni di Termini Imerese; 1. Il Vallone Tre Pietre, pag. 114. Questa forma non è infrequente sulle lastretie calcaree intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. Gli esemplari da noi raccolti presentano tutti cinque punte sporgenti sul margine del plasmostraco e che sono le estremità di cinque costole tectiformi, separate da leggere depressioni, le quali si congiungono intimamente al centro, ove manca un bottone ben dif- ferenziato. Le due superfici del plasmostraco sono ricoperte di numerose e piccole granulazioni. La sezione equatoriale mostra nei centro una loggia sferica circondata © 170 G. CHECCHIA-RISPOLI metà da una seconda loggia pure circolare: tntte e due sono poi circondate da cicli di logge quadrate. Lungo le costole le logge equatoriali sono più al- lungate delle altre ed ivi la lamina è molto incurvata verso l’esterno. Il più grande esemplare da noi raccolto non supera i3 mm. dall’estremità di un apofisi al margine opposto. Orthophragqmina stellata d’ Archiac sp. 1907 OrMophragmina stellata d’Arch. — Checchia-Rispoli, Vota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 7, n.° 17. Questa forma non è rara nelle breccinole nummulitiche intercalate dentro le argille scagliose dei dintorni di Bagheria. Orthophragmina trigonalis Checchia-Rispoli (Tav. V, Fig. 17) 1907 OrMophragmina trigonalis Checchia-Rispoli, Nota preventiva «sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 7, n. 19. 1909 » » Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni x di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 136, Tav. VI. Fio. 27 4-0 e Tav. VII, Fig. 1. Come ho scritto nel mio lavoro sul VaW/ore Tre Pietre, non possediamo di questa forma interessantissima che due soli esemplari: nno proveniente dalla formazione argilloso-arenacea della R.ne Cucca presso Termini-Imerese e che costituisce il membro più elevato di quella Serie nummulitica e l’altro, che qui figuro dall’alto, dalle brecciuole calcaree intercalate dentro le argille sca- gliose dei dintorni di Bagheria. Per quanto riguarda i caratteri di questa forma rimando a ciò che ho scritto nel lavoro sopracitato. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 171 Gen. GyPSsINA Carter Gypsina globulus Reuss (Tav. V, Fig. 32-37) 1907. Gypsina globulus Reuss — Checchia-Rispoli,, Nota preventiva sulla Serie - nummulitica det dintorni di Bagheria ecc., pag. To 105: EL 1907. » » Reuss—Provale, Di alcune Nummulitine ed Orbitoidine ecc., pag, 78, Tav. IV, Fig. 14-15. 1909. » » Reuss.—-Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei i dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 137, Tav. VI, Fig. 17-20. (cum syn.) Questa specie è comunissima ed i suoi esemplari sono perfettamente iden- tici a quelli già da noi studiati dei dintorni di Termini-Imerese. Ill I Foraminiferi dei calcari marnosi a fucoidi Gen. ALVEOLINA d’Orbigny. Alveolina milinum Bosc. 1907 A/veolina ellipsoidalis Schwg. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 9, n. 16. (vedi arte). Questa forma è comune nei calcari marnosi varicolori dei dintorni di Bagheria; essa si raccoglie nelle località Vannucci, Coda di Volpe, Amalfitano, lato-ovest di Colle Incorvino, ecc. Alveolina oblonga Fortis (Tav. VII, Fig. 13) 1907 A/veolina oblonga d’Orb. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 9, n. 18. (vedi azze). L'Alv. oblonga è comune nella formazione dei calcari marnosi varicolori della R.ne Vannucci, Bellacera, Coda di Volpe, Amalfitano, ecc. 174 G. CHECCHIA-RISPOLI Alveolina festuca Bosc., var. elongata d’Orb. (Tav. VII, Fio. 14) 1907 A/veolina elongata d’Orb. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 9, n. 19. (Vedi azze) Gli esemplari di questa specie sono identici a quelli da noi già descritti e pro- venienti dai calcari marnosi a fucoidi della C.da Rocca presso Termini-Imerese. Anzicchè ripetermi, mi rimando in tutto a quella descrizione (1), limitau- domi qui solamente a figurare uno dei tanti esemplari, nella sua sezione equa- toriale. ‘ Alveolina minuta Ch.-Risp. 1909 A/veolina minuta Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 64, fig. 4, Tav. I, fig. 7. Ho ritrovato ultimamente anche questa specie nei calcari marmorei inter- calati tra i calcari marnosi varicolori della R.ne Bellacera. subgen. FLOSOULINA Stache Flosculina decipiens Schwager 1907 £/osculina decipiens Schwg.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica det dintorni di Bagheria, pag.9, n.21. 1909 » » Schwg.— Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 68, fie. 7 e Tav. I, Fig. 12 (cum syn.). (1) Checchia-Rispoli G.—Sopra alcune Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 14, Tav. L Fig. 15. è LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 175 Anche questa specie è frequente nei calcari e nelle brecciuole calcaree intercalate dentro le marne varicolori delle R.ni Bellacera, Vannucci, Amal- fitano, ecc. presso Bagheria. Flosculina pasticillata Schwager 1907 Flosculina pasticillata Schwo.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, ecc., pag. 9, n. 20. 1909 » » Schwg.—Checchia-Rispoli, Nuova contribuzione alla conoscenza delle Alveoline eoceniche della Sicilia, pag. 68, (cum syn.). i Questa specie si ritrova con la stessa frequenza della precedente e nelle stesse località. Gen. BACULOGYPSINA Sacco Baculogypsina tetratdra Gimbel sp. (Tav. VII, Fig. 11) 1860 Ca/carina tetratdra Giimbel, Beztrige zur Foraminiferenfauna ecc., pag. 78, Tav. II, Fig. 97 a-e. 1904 » > Giimb.—-Checchia-Rispoli, / Foraminiferi eocenici del gruppo del Monte Iudica ecc., pag. 31, Tav. II Fig. 12. 1909 Baculogypsina tetratdra Giimb. — Checchia-Rispoli, Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 115. Questa forma è comune nelle breccinole calcaree intercalate dentro i cal- cari marnosi a fucoidi del Colle Vannucci. Gli esemplari, perfettamente deter- minabili, sono identici a quelli da noi già descritti nei sovrarriportati lavori,. «per cui qui ci limitiamo solamente a fignrarne uno nella sua sezione mediana 176 G. CHECCHIA-R1SPOLI Gen. OPERCULINA d’Orbigny Operculina ammonea Leymerie 1908 Operculina ammonea Leym. — Checchia-Rispoli, Za Serie nrummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I, Il Vallone Tre Pietre, pag. 44, Tav. XII, fig. 24. 1909 » » Leym. — Checchia-Rispoli, Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; II, La F.ne Caca- sacco, pag. 190, Tav. I, Fig. 22. L’O. ammonea si raccoglie cun una certa frequenza nei calcari interca- lati tra le marne varicolori dei dintorni di Bagheria. I suoi esemplari, per- fettamente determinabili, non presentano caratteri particolari da richiedere una figura ed una descrizione e per queste ci rimandiamo ai due lavori so- pracitati. Operculina canalifera d’Archiac. 1907 Operculina canalifera d'Arch.—Checchia- Rispoli, Mota preventiva sulla Serié nummulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag 0; 0-9 L’0. canalifera, nelle località in esame, è meno frequente della prece- dente, ma comune. LA SERIE NUMMULITICA DEL DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 177 Gen. NumMmuLITES Lamarck sez. Bruguieria Prever. Nummutifes Uhligi Checchia-Rispoli (Tav. VII, Fio. 4) Dimensioni : Diametro o . z o È 6 mu. 4 Spessore 6 ° ò 6 6 ; . È 7 » 1 Giri in unmero di 8 sn d’un raggio di 3 ) - » 2 Setti in numero di ; 6 . 5 6 in ‘/, del 4° siro » » IT » BO » d d O . - . . ° 7-8 » 6° » » » s 9 » TO » » » o è ° . 9 » 8° d Nummulite di piccole dimensioni, lenticolare, poco gonfia, apparentemente liscia; però si possono: scorgere delle piccole e numerose reticolature, più o meno policonali, che ricoprono tutta la. superficie, del plasmostraco. Margine arrotondato. Spira regolarissima, dal,passo regolarmente crescente dal centro alla periferia. Lamina spirale discretamente spessa ed aumentante insensibilmente di grossezza verso la periferia. Setti equidistanti, regolari, paralleli fra di loro, regolarmente incurvati indietro sin dalla base, ma non molto. Concamerazione centrale microsferica. Concamerazioni seriali uguali, discretamente numerose, più alte che larghe. Questa specie proviene dalla R.ne Bellacera presso Bagheria. 178 G. CHECCHIA-RISPOLI sez. Laharpeta Prever Nummulites Lamarcki d° Archiac 1853 Nummulites Lamarcki d’Archiac et Haime, Morographie des Nummaulites, pag. 190, Tav. IV, Fig. 14 a-d, 15,16. 1902 » » d’Arch.--Prever, Le Nummuliti della Forca di Presta ece., pag. 38, Tav. I, Fig. 20-26. Un solo esemplare ben determinabilee proveniente dalla contrada Bellacera. sez. Gimbelia Prever Nummulites lenticolaris Fich. et Moll. var. Meneghinit d’Arch. et H. (Tav. VII, Fig. 7-8) 18559 Nummulites Meneghinii A Archiac et Haime, Morographie des Nummulites pag. 120, Tav. V, Fig. 7 a-c. 1890 Nummulites lucasana, var. Meneghinit d° Arch. — Tellini, Ze Nummulitidi della Majella, delle Isole Tremiti ecc., pag. 26, Tav. XII, Fig. 7. 1902 Gimbelia Meneghinii d' Arch. — Piever, Le Nummuliti della Forca di Presta, ecec., pag. 63, Tav. III, 24. Plasmostraco di medie dimensioni, lenticolare, regolare, gonfio e dalla supe:ficie oscuramente granulosa. Margine tagliente o appena arrotondato. Spira poco regolare, per cui talora succede che la lamina d’un giro si salda con quella d’un altro contiguo. Giri più ampi nella parte centrale che nella periferica. Lamina spirale molto spessa; talora lo spessore sorpassa la. metà dell’altezza delle camere. Su d’un raggio di mm. 4 si contano da 7 ad. $8 giri di spira. Camera centrale di grandezza mediocre, subrotonda. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 179 Setti molto arcnati, molto inclinati, subparalleli nel loro insieme, molto allontanati fra di loro, di più nei giri periferici: si contano 5 setti in un quarto di giro verso la metà del raggio ed 8 nell’ultimo. Essi si prolungano sulla lamina spirale, che li Sopecia: per mezzo di filetti semplici, capillari, poco flessuosi. Prima concamerazione seriale, semilunare, le altre rombiche; assai più larghe che alte, specialmente agli ultimi giri, ove la lunghezza è circa tre volte l'altezza. ; Questa nummulite è abbastanza frequente nei calcari marnosi a fucoidi dei dintorni di Bagheria; i più grandi esemplari misurano 8 a 9 mm. di -dia- metro ed hanno uno spessore di 3; 5 mm. La N. Meneghini, una volta considerata come specie autonuma, è stata giustamente dal Tellini aggregata alla MN. lernticularis (= lucasana anctorum) è distinta come varietà, per avere la lamina spirale più spessa degli esemplari tipici della specie e per i setti molto :radi-ed inclinati. I nostri esemplari _ corrispondono benissimo a questa importante varietà. sez. Paronaea Prever Nummulites Guettardi d'Archiac et H. (Tav. VII, Fig. 9) TELI Nummulites Guettardi d Arch. — Checchia-Rispolt, Nota preventiva sulla Serie i dei dintor.i di Bagheria ecc., pag. 9, n.° 11. É la specie più comune tra le nummuliti dei calcari marnosi varicolori dei dintorni di Bagheria. Nummulites. biarritzensis d’Arch. Anche: questa specie, sebbene con minore frequenza della precedente si raccoglie nei calcari marnosi varicolori dei dintorni di Bagheria. 180 G. CHECCHIA-RISPOLI Nummulites Pillat Checchia-Rispoli (Tav. VII, Fig. 2-3) Dimensioni : Diametro — . o 5 ; o o i . - mm. 12. Spessore . o - ; o c o . 5 DIVO Giri in numero di 9 su di un raggio di . - - » 6. Setti in numero di . 5 : ; . o 6 19 in ‘/, dell’8° giro » » 3 5 ; È o o i L 15 » ORA, » » o o ; 5 } ò 6 È 14 » AIA » » : 3 ; È i : : 5 13 » 59» » » 0 . . . . . . 10 » 4° » Plasmostraco di medie dimensioni, subregolare, lenticolare, sottile, da; margini taglienti, ricoperto di numerosissime e quasi invisibili strie incar- vate od anche molto flessuose. Spira subregolare, dal passo crescente in modo piuttosto rapido sin dal primo giro: nell'ultimo giro la spira si restringe bruscamente. Lamina spirale sottile e di uniforme spessore in tutti i giri. Setti numerosissimi, alti, sottili, equidistanti, ognali, pochissimo incurvati e propriamente subretti nei due terzi inferiori e rivolti regolarmente indietro nel terzo superiore. Nell’ultimo giro i setti sono più corti. Concamerazioni strette, uguali, falciformi, quattro volte più alte che larghe. La concamerazione centrale è invisibile a causa della sua piccolezza. Questa forma per il plasmostraro discoide, poco gonfio, per la superfi- cie finamente striata, per la lamina spirale sottile e per il passo ampio della spira, entra a far parte di quel gruppo di Nummuliti opercoliniformi, così ben definito dal de la Harpe e che va sotto la denominazione di NV. Marchisoni Essa però si distingue da tutte le forme di questo gruppo e specialmente dalla N. irregularis Desh., per un maggior numero di giri su di uno stesso raggio, per ilpasso della spira sempre molto meno ampio e crescente sino al penultimo giro, in luogo di restare uguale. Questa forma proviene dalle breccinole nummulitiche intercalate tra le marne varicolori a fucoidi della C.°* Bellacera presso Bagheria. Essa si rin- viene anche nello stesso livello della C.9 Rocca presso Termini-Imerese. LA SERIE NUMMULITICA DEI D:NTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 18£ Nummulites Tondiù Checchia-Rispoli (Tav. VII, Fig. 10) Dimensioni Diametro . 3 - o ; è , s . mm. d Spessore . i 5 . ì ; ; 5 o 013 Giri in numero di 5 su di un raggio di , di DURO Setti in numero di . c SIR ò È È 11 su di !/, del5° giro, » » 5 ° . 0 5 ° ° ò to) » go » » » 3 8 » 3° » » SUOL: ; ; ; È ; È 5 10 » 20 » Plasmostraco di piccole dimensioni, lenticolare, poco gonfio, ornato di strie flessnose, molto evidenti e poco numerose. Spira snbregolare, dal ‘passo svolgentesi rapidamente sin dal primo giro e crescente sino all'ultimo. O Lamina spirale discretamente spessa ed aumentante di spessore grada- tamente verso la periferia, in taluni punti essa è flessnosa. Setti in genere poco numerosi, subparalleli nel loro insieme, però nei giri centrali sono più abbondanti e più regoleri: a cominciare dal terzo giro essi diventano meno regolari, talora inequidistanti e allontanati fra di loro. I setti sono ineurvati indietro, più fortemente nei giri periferici che nei cen- trali: essi sono inoltre molto spessi e lasciano vedere nettamente i foglietti settali che li formano. Concamerazione centrale piccola, ma ben visibile, rotonda. Concamerazioni seriali numerose, falciformi, più aite che larghe. Questa forma si trova rarisissima nelle brecciuole calcaree iniercalate nelle marne varicolori della ©.î* Bellacera presso Bagheria. Nummulites Tchihatcheffi d' Archiac et H. 1907 Nummnlites Tchihatcheffi d Arch. et H. — Chocchia-Rispoli, Nota preven- tiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Ba- gheria ecc., pag. 9, n° 10. 182 G. CHECCHIA-RISPOLI Questa specie è comune nelle breccinole calcaree intercalate dentro la formazione dei calcari marnosi a fucoidi dei dintorni di Bagheria. Nummulites contorta Desh. (Tav. VII, Fig. 5 e 6) Dimensioni : Diametro ; 5 : È 5 . x . mm. 9 Spessore È 3 È È 5 È 2 7 » 2,8. Giri in numero di 10 su di un raggio di . ; » 4,5. Setti in numero di 6 6 5 o : . 8 di !/, del 5° giro » » i È ì : 3 . 5 9 » 6° >» » » è AI . . e . - 13 » TO » » » O . . . . . . 13 » 8° » » » . ° . . . è . 13 » 9° » » » P 5 z, 5 " ; 5 13 » 10° » Plasmostraco di medie dimensioni, di forma lenticolare, dai margini ta- glienti. La sua superficie è ricoperta di strie numerose, forti, subrette od an- che flessuose. Spira subregolare e dal passo generalmente crescente dal centro verso la periferia. Lamina spirale a spessore molto variabile, in alcuni punti sottile, in altri molto spessa tanto che il canale spirale ivi si riduce di molto. Setti numerosi, quasi perpendicolari o poco inclinati: a causa della ir- regolarità nello spessore della lamina, la loro altezza è variabile. I setti man mano che si approssimano verso la periferia si distanziano fra di loro. Le concamerazioni variano anche nella stessa proporzione: in genere sono alte, ma talora sono falciformi ed anche del tutto irregolari. I Nonostante la anormalità nello spessore della lamina spirale, che ha al- terato in parte i caratteri interni, ho riferito l'esemplare in esame alla N. cor- torta Desh,, a cuni corrisponde sia per i caratteri esterni, che pel numero dei giri su di uno stesso raggio, e pel numero e forma dei setti. (1) Si trova rara nelle brecciuole nummulitiche intercalate neile marne va- ricolori della contrada Bellacera presso Bagheria. (1) v. Boussac.- Nammaulites contorins Deshayes, 1834, in Palaeontologia Universal., 1170619, is LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO 183 . Gen. Assimna d’Orbigny Assilina spira de Roissy sp. 1907 Assilina spira de Roiss. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. ONOR: Non rara nelle breccinole calcaree intercalate dentro le marne vavicolori della C.3* Bellacera presso Bagheria. Gen. PELLATISPIRA Boussae Pellatispira Madaràszi von Hantken. (Tav. VI, Fig. 62-63) Ho ritrovato ultimamente questa forma nelle breccinole calcaree inter- calate tra le marne varicolori della C.î* Bellacera. In altra parte di questo lavoro ho descritto questa specie, sicchè credo superfluo il ripetermi, e mi li- mito qui a figurare l’osemplare da me raccolto. Gen. ORBITOIDES d’Orb. subgen. ORBITOIDES s. str. Orbitoides ‘Caroli Checchia-Rispoli 1907 Orbitoides Caroli Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummuli= fica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 3, n° 1. 184 n° 1 G. CHECCHIA-RISPOLI 1909 Orbitoides Caroli Checchia-Rispoli, Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; II, La P.ne Cacasacco, pag. 197, Tav. I, Fig. 11-14. Plasmostraco di piccole dimensioni, discoidale, leggermente asimmetricoy essendo conico su di nna faccia e alquanto convesso sull’altra. La parte cen- trale delguscio è ricoperta di poche granulazioni di forma circolare ed i mar- gini appaiono quasi lisci ad occhio nudo. i L'apparecchio embrionale risulta formato di nna prima loggia circolare racchiusa in un’ altra ovale: le pareti di entrambe sono ugualmente e discre- tamente spesse. Le loggie equatoriali sono largamente arrotondate, generalmente grandi ed anmentanti di dimensione verso la periferia del plasmostraco. i Le dimensioni massime raggiunte da questa specie sono di mm. 4 per il diametro e di mm. 2, 2 per lo spessore nella parte centrale. Ho già detto nei miei lavori sopracitati che la specie in esame distin- quesi dall’Or2. apiculata Schlumb., a cui si avvicina per la forma del pla= smostraco, peri caratteri embrionali. Avendo di già figurato nn esemplare di questa specie proveniente dai luoghi qui in istudio, nel mio studio sulla R.ne Cacasacco (v. Tav. I. Fig. 13), credo superfluo di tornarla a figurare in questo lavoro. Come è noto, Ord. Caroli, si trova anche negli eocenici calcari marnosi a fucoidi della R.ne Cacasacco presso Termini-Imerese. Colle Bellacera. Orbitoides media d’Arch., var. Philippi Checchia-Rispoli (Tav. VI, Fig. 64) 1907 Orbitoides Philippi Checchia- Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummu- litica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 8. n°. 2°. 1909 » media var. Philippi Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; II, La R.ne Caca- sacco, pag. 198. Tav. I, Fig. 1. 2. 2 bis, 24-82. Questa forma, come ho di già scritto nella Nota preventiva ecc., è la più abbondante nei calcari marnosi a fucoidi dell’Eocene dei dintorni di Ba= gheria. Essa si raccoglie in posto. LA SERIE NUMMULITICA DEI DINTORNI DI BAGHERIA 1N PROVINC1A DI PALERMO 185 , Si legga a proposito di essa quanto ho scritto nell’altro mio lavoro -sull’Eocene della R.ne Cacasacco, presso Termini-Imerese. Colle Bellacera. subgen. ORTHOPHRAGMINA Mun.-Ch. Orthophragmina dispansa de C. Sowerby sp. (Tav. VII, Fig. 12) 1907. OrMophragmina disparsa Sow. — Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica det dintorni di Bagheria ecc., pag. 8, n.° 4. Comune nelle breccinole nummulitiche intercalate dentro i calcari mar- nosi dei dintorni di Bagheria. Orthophragmina Di-Stefanoi Checchia-Rispoli. 1907 Orthophragmina Di-Stefanoi Checchia-Rispoli, Mota preventiva sulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 3, n° d. Comune nelle breccinole nummulitiche intercalate dentro le marne va-. tricolori dei dintorni di Bagheria. Orthophragmina patellaris Schlotheim sp. 1907 OrMhophragmina patellaris Schlth. sp.—Checchia-Rispoli, Vota preventivasulla Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria ecc., pag. 3, n.° 6. Comune nelle breccinole nummulitiche intercalate dentro le marne vari- «colori dei dintorni di Bagheria. 186 G. CHECCHIA-RISPOL1 Orthophragmina radians d’Archiac sp. 1907 Orthophragmina radians Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulle Serie num- ‘ mulitica dei dintorni di Bagheria ece., pag. 3, 1.° 1. Comune nelle brecciuole nummulitiche intercalate dentro le marne vari- colori dei dintorni di Bagheria. Orthophragmina stella Gimbel sp. 1907 Orthophragmina stella Gimb.—Checchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nummulitica aei dintorni di Bagheria ece., pag. 8, n.° 8. Anche questa specie non è rara nelle brecciuole intercalate dentro le marne varicolori dei dintorni di Bagheria. Orthophragmina stellata d’Archiac sp. 1909 Or/Mophragmina stellata @’ Archiac.— Ohecchia-Rispoli, Nota preventiva sulla Serie nunimulitica dei dintorni ar Bagheria ecc., pag. 8, n.° 9. Anche questa specie non è rara nelle breccinole intercalate dentro le marne varicolori dei dintorni di Bagheria. Rav Fig. 1. Colle Incorvino e Ponte di Castronnovo 1.) Calcare a Rudiste e Chamacee del Senoniano sup., 2.) Calcare del Luteziono med., 8.) Livello infe- riore dî calcari a Lepidoeyelina, 4.) firgille scagliose con intercalazione di strati calcarei del butez. SUP. Fig. 2. Regione Chiarandà e Coda di Volpe 1.) Argille scagliose con calcari del butez. sup., 2.) Calcari marnosi varicolori con calcari marmorei ad Alveoliîna del butez. sup. P_MARZARI a C. - SCHIO est va Qua Tav. II. Fig. 1. Colle Bellacera 1.) Argille scagliose con calcari del Lutez. sup.. 2.) Calcari marnosi varicolori con calcari marmorei ad Alveolina del butez. sup. Fig. 2. Calvario di Casteldaccia RE Pi ci e 1) e a 1.) Calcari con Rudiste Chamacee ed Orbitoidi del Senon. sup., con marne rossiccie associate. P. MARZARI & C. - SCHIO > » I G. CHECCHIA-RISPOLI , SPIEGAZIONE DELLA TaAvoLa III Nummulites complanata Lamarck, var. fennissima Heim. Grand. nat. » Loc. R.ne Incorvino. » Lamarck. Grand. nat. Zoc. R.ne Imeorvino. crassa Boubée. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. laevigata Bruguière. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. » Bruguière. Sezioni equatoriali. Ingr. 3 volte. Loc. R.ne Incorvino. crassa Boubée Sez. equat. Ingr. 3. volte. Zoc. R.ne In- corvino. » Bonbée. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. lenticularis Fichtel et Moll. Grand. nat. Zoc. R.ne In- corvino. » Fichtel et Moll. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Loc. R.ne Incorvino. Tchihatcheffit d'Archiac. Grand. nat. Loc. R.ne Incorvino. » d’Archiac. Ingr.8 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » d’Archiac. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Loc. R.ne Incorvino. Checchia-Rispoli — LA SERIE NUMMULITICA ecc. Tav. II. - S x ROSSA LIO] RA N De) Campagna fot. P. MARZARI & C. = SCHIO Lil TONNARA TO È 2 îl Î l 4 NI il Ù ty di î i) i Pi Ul ia v » Ti o È DUI ° So% îi Î 1 j 4 I) i tI i ì l i Ù j a n i tI Il i MT ; V = I i T î _- T i e di ni ARA : i E e ; L Î) can MI Auf ULTI : l Il MITI Ii RO TEL] Ì I cn fi ) i I Î : în Il I nai LIU TMAATERIONTI £ Ù ni Î Ì ) a) i uil RITA RT eta l Î 4 Î ì 1 ii n, il N TOI DE MSG u MONT uh Mari | Lai ì TIURRE) 1 ALU IT VTRALI i ea nl: I | ) Ù na n \ MIAO TU ii l nat Li (RU MITRA FIAT INTOSTOTONO Fai Ti TR di GIUNTI th MEPtRAEATI TO UT Rune, natanti "TOI AI UTI ì 3 PD 194 » » » G. CHECCHIA-RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV 1 Orbitolites complanata Lamarck. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvivo. 2 » » Lamarck. [Frammento ' di sez. equat. molto ingr. Zoc. R.ne Incorvino. 3-4 Assilina spira de Roissy. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. 5 » de Roissy. Sez. equat. Ingr. 3 volte. Zoc. R.ne Incorvino. 6 » subspira de la H. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne In- ù corvino. È T » Gemmellaroi Checchia-Rispoli. Vista internamente. Grand. nat. Loc. R.ne Incorvino. i 8 » sub-Gemmellaroi Cheechia-Rispoli. Vista intern. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. 9 Nummulites bayhariensis Checchia-Rispoli. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Incorvino. 10 > » Checchia-Rispoli. Sez. equat. Ingr. 8 volte.. Loc. R.ne Incorvino. 1l » » Checchia-Rispoli. Sez. trasv. Ingr. 12 volte. Loc. R.ne Incorvino. 12 » discorbina. Schlotheim Sez. equat. Ingr. 6 volte. Loc. R.ne Incorvino. i 13 » subdiscorbina de la Harpe. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Loc. R.ne Incorvino. 18-37 » » de la Harpe. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. 38 » Tchihatcheffi d'Archiac. Sez. trasv. Ingr. 9 volte. Loc. R.ne Incorvino. ; 39 » » d’Archiac, var. apiculata Ch.-Risp. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. 40 » sub-Donuvillei Prev. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne ; Incorvino. 41 » Gentilei Prev., var. regularis Checchia-Rispoli. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Incorvino. 42 Orthophragmina radians d’Arch., var. fennicostata Gimb. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. 43-44 » sella d’Arch., var. gigantea Ch.-Rispoli. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. Checchia-Rispoli — LA SERIE NUMMULITICA ecc. ILA ve ssliVie P. MARZARI & C. = SCdio Campagna fot. i I ‘ LI Ì E. Ù via R ' = , : pi iS Ù, Db 1 ; la Cna, Î LA sE 196 1 11 13 13 14 15 16 G, CHECCHIA =RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA Tav. V Nummaulites Tchihetcheffi dArchiac. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Loc. R.ne Bellacera. » » d’Archiac. var. Sez. equat. Ingr. 10 volte Loc. R.ne Bellacera. » biarritzensis d’Archiac. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » Guettardi d'’Archiac et H. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Loc. R.ne Bellacera. » striata Bruguiére. Sez. equat. Ingr. 9 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » sp. ind. Sez. equat. Ingr. 9 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Pellatispira Madaràszi v. Hantken. Ingr. 10 volte. Zoc. Bellacera. » » v. Hantken. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoe. R.ne Bellacera. Nummulites sp. ind. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » sp. ind. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Orthophragmina tr:angularis Checchia-Rispoli. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » dispansa Sow. sp. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Loc. R.ne Bellacera. : » radians d’Archiac. Sez. equat. Ingr. 4 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » Canavarii Checchia-Rispoli. Ingr.9 volte. Loc. R.ne Bellacera. » trigonalis Checchia-Rispoli. Vista dall’alto. Ingr. 4 volte Zoc. R.ne Bellacera. » dispansa Sow. sp. Ingr. 7 volte Zoc. R.ne Bellacera. » radians d’Arch. sp. Grand. nat. Zoc. R.ne Bellacera. » Taramellti Mun.-Ch. Ingr. 6 volte. Zoc. R.ne Bel lacera. > Di-Stefanoi Checchia-Rispoli. Grand. nat. Zoc. R.ne Bellacera. » » Checchia-Rispoli. Sez. equat. Ingr. 6 volte. Zoc. R.ne Bellacera. 52-36 Gypsina globulus Reuss. Grand. nat. Zoc. R.ne Bellacera. Bird Bio) 39 40 41 43 » > Reuss. Sez. ingr. 12 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Orthophragmina scalaris Schlumb. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. R ne Bellacera. » dispansa Sow. sp. Apparecchio embrionale molto in- grandito. » Di- Stefanoi Ch.-Risp. Apparecchio embriorale mol to ingr. » triangularis Ch.-Risp. Apparecchio embrionale molto ingr. » radians @ Arch. sp. Apparecchio embrionale molto ingr. » Canavarii Ch.-Risp. Apparecchio embrionale molto ingr. Checchia-Rispoli — LA SERIE NUMMULITICA ecc. no Va Campagna fot. P. MARZARI & C. - SCHIO ru “ 198 39-46 47 48 49 50-51 corvino. » » Micht. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne In- corvino. » » Micht. Grand. nat. Zoc. R.ne Bellacera. » marginata Micht. sp. (Forma B). Ingr. 4 volte. Loc. R.ne Bellacera. » » Micht. sp. Sez. equat. Ingr. 12 volte. Loc. R.ne Bellacera. » » Micht. sp. (Forma A.). Grand. nat. Zoc. R.ne In- corvino. » ’ Micht. sp. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » Gemmellaroîi Ch.-Risp. Grand. nat. Zoc. R.ne Incorvino. » » Ch.-Risp. Ingr. 7 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » » Ch.-Risp. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » » Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » » Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. S volte. Zoc. R.ne In- corvino. » » Ch.-Risp. Sez. trarv. Ingr. 8 volte. Loc. R.ne Incorvino. » » Ch.-Risp. Vista di fianco. Ingr. 4 volte. Nummulites Rzehaki Prosver. Ingr. 7 volte. Loc. R.ne Incorvino. » » Prev. Sez. equat. Ingr. 7 volte. Zoc. R.ne In- corvino » sp. ind. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. R.ne Incorvino. » sp. ind. Sez. equat. Ingr. 7 volte. Zoc. R.ne Incorvino. Orthophragmina disparsa Sow. sp. Ingr. 6 volte. Loc. R.ne Bel- lacera. Da » Sow. sp. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Loc. R.ne Bellacera. » » Sow. sp. Sez. equat. Ingr. 13 volte. Zoc. R.ne Bellacera. 62 Pellatispira Madarazsi v. Hantk. Ingr. 4 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » » v. Hantk. Sez. equat. Ingr. 7 volte. Zoc. R.ne Bellacera. G. CHECCHIA=RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA Tav. VI Lepidocyclina Raulini Lem. et Douv. Grand. nat. Zoc. R.ne In- > media d’Arch., var. Philippi Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 11 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Va Sava Checchia-Rispoli — LA SERIE NUMMULITICA ecc. P. MARZARI & C.- SCHIO Campagna fot. « 13 14 G. CHECCHIA-RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA TavoLa VII Sezione del calcare ad A/veolina della R.ne Bellacera ingrandita 5 volte. Nummulites Pillat Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 3 volte. Zoc. R.ne Bellacera. » Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Bellacera.' Unligi Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. R.ne Bel- lacera. contorta Desh. Grand. nat. Zoc. R.ne Bellacera. » Desh. Sez. equat. Ingr. 7 volte. Loc. R.ne Bel. lacera. lenticolaris Fich. et Moll., var. Meneghinit d’Arch. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Guettardi d’Arch. et H. Sez, equat. Ingr. 8 volte. Zoc. . R.ne Incorvino. Tondii Ch -Risp. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. R.ne Bellacera Baculogypsina tetratdra Gimb. Sez. equat. Iugr. 10 volte. Loc. R.ne Bellacera. Orthophragmina dispansa Sow. Sez. equat. Ingr. 12 volte. Loc. Alveolina R.ne Bellacera. oblunga Fortis Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. R.ne Bellacera. festuca Bose. var. elongata d’Orb. Sez. equat. Ingr. 6 volte. Zoc. R.ne Bellacera. Checchia-Rispoli — LA SERIE NUMMULITICA ecc. Campagna fot. P. MARZARI & C.- SCHIO DI i LI in nd n red 3 o £ # * % x (I Sui fossili degli Strati a Terebratula Aspasia della Contrada Rocche Rosse. presso Galati (prov. di Messina) continuazione dell’opera omonima di G. G. GEMMELLARO p CEFALOPODI (fine) _ GASTEROPODI PER MARIANO GEMMELLARO PREFAZIONE Nel 1884 il prof. G. G.Gemmellaro, mio Padre, pubblicavala prima dispensa della sua Monografia « Swi fossili degli strati a Terebratula Aspasia della con- trada Eocche Rosse presso Galati (prov. di Messina) » (Giorn. Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, Vol. XVI, 1884), nella quale si proponeva di illustrare tutta la bella e ricca fauna del Lias medio di Galati di Tortorici. In questa prima dispensa egli descrisse e figurò, in 7 tavole, la massima parte‘dei cefalopodi di quell’importante giacimento che era stato trovato per primo dall'ing. Emilio Cortese, durante i lavori di rilevamento della Carta geologica di Sicilia. Però di alenne poche specie (5Besemzzies confr. paxillosus Schloth., Nautilus Brancor G. G. Gemm. e Nautilus ajfinis G. G. Gemm.) esiste bensìil testo descrittivo, ma mancano le figure, perchè mio Padre si proponeva di pubblicarle nei succes- sivi fascicoli di quel sno lavoro. La conoscenza dei cefalopodi di Galati (Ply/oceras Partschi Stur sp.. Aegoceras (Liparoceras) Bechei Sow. sp., Aegoceras (Deroceras) submuticum Opp. sp., Tropidoceras Plandrini Dum. sp., Trop. Masseanum d'Orb. sp., Coeloceras pettos Quenst. sp., Belemnites paxillosus Schlot.) dimostrò che gli Stat: a Terebra- tula Aspasia di quel luogo appartengono alla parte inferiore del Lias medio, il che ora viene anche confermato dalle intime relazioni che emergono dallo studio dei gasteropodi del giacimento in esanie con quelli del Lias di Hierlatz. Diggià gli autori che avevano studiato i cosidetti Strafî_ a Terebratula 204 M. GEMMELLARO Aspasta dell’Italia continentale e della Sicilia, come Zittel, (1) Gemmellaro G. G. (2), Meneghini, Canavari (53), Parona (4) etc. li avevano riferiti al Lias medio. Pit recentemente il prof. G. Di-Stefano (5) eseguì un ordinamento cronologico di tutti questi calcari del Lias medio a /acies di Hierlatz. La denominazione di Strati a Terebratula Aspasia per sedimenti del Lias medio può sembrare ora- mai antiquata visto che la 7. Aspasia, la quale, a dir vero, raggiunge il suo massimo sviluppo nel Lias medio, si presenta in tutti e tre i piani del Lias. To però l’ho mantenuta perchè il presente scritto non è che la diretta conti- - nuazione della Monografia di mio Padre. Nè, del resto, credo che questa de- nominazione cronolngica possa produrre equivoci, perchè il nome di Stra? 4 T. Aspasia, da Zittel in poi, è stato usato sempre per sedimenti riferibili al Lias medio. Tra lefanne a brachiopodi appartenenti al Lias medio,in cni si pre- senta la Zerebratula Aspasia, si deve anche comprendere quella delle Tranze di Sospirolo recentemente descritta dal prof. Dal Piaz. (6) Nel 1885 il prof. Seguenza pubblicò alcune pagine staccate del suo lavoro intitolato « / minerali della provincia di Messina », rimasto purtroppo ine- dito, nelle quali diede un elenco descrittivo dei fossili delle Rocche Rosse di Galati. Questo elenco comprende i cefalopodi, già poco prima illustrati da mio Padre, e inoltre i gasteropodi, i pelecipodi e i brachiopodi. (1) Zittel K. A.—Geolog. Beobacki. a. d. Central-Apenninen. (in Benecke Geognostisch- paliioutologische Beitriige, II, 1869). (2) Gemmellaro G. G. — Sopra i fossili della zona con T. Aspasia Mgh. della provincia di Palermo e di Trapani (Giorn. Sc. Nat. ed Ec. Vol. X, 1874). (3) Canavari M. — I brachiopodi degli strati a T. Aspasia Myh. nello Appennino centrale (R. Ac. dei Lincei, S. 3*, Memorie, Vol. VIII, 1880). — A/czni nuovi brachiopodi degli strati a T. Aspasia Mgh. del’Appennino centrale (Atti Soc. tose. Se. Nat. vol. V, 1881). — Contribuzione III alla conoscenza dei Brachiopodi degli Stratiî.a T. Aspasia Mgh. dell'Appennino centrale. (Atti Soc. tosc. Se. Nat. vol. VI, 1883). — Le montagna del Suavicino; Oss. geol. e pal. (Boll. R. Comit. geol. Italiano, Vol. XI, n. 1-2, 1880). (4) Parona S. F.-/l calcare liassico di Gozzano e i suoi fossili (BR. Ac. dei Lincei, S. 38, - Memorie, Vol. VIII, 1850). — Contributo allo stadio della fanna liass. dell’ Appennino centrale (Mem. Ace. d. Lincei, 1883). — Valsesia e Lago d'Orta; Descrizione geologica (Atti Soc. Ital. Sc. Nat. 1886). — I Brachiopodi liassici di Arzo e Saltrio nelle Prealpr lombarde (Mem. R. Ist. Lomb., 1884). — Revisione della Fauna liassica di Gozzuno in Piemonte (Mem. R. Ac. Scienze di Torino, S. II, T. XLIII, 1892). (5). Di-Stefano Giov.—// Lias medio di M. San Giuliano (Erice) presso Trapani (Atti Ac. Gioenia Se. Nat. in Catania, S. 4. Vol. III, 1891): (6) Dal Piaz. G.—Sulla fanna liassica delle Tranze di Sospirolo (Mèm. d. la Soc. Palèout. Suisse, Vol. XXXIII, Genève, 1907). SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 205 Per questa ragione e perchè mio Padre fu distratto da altri e più im- portanti lavori, la pubblicazione delle dispense snecessive della sua Monogra- fia sulla fauna degli Stra a Terebratula Aspasia di Galati, non ebbe più luogo. Poco dopo cessava di vivere il prof. G. Seguenza e nessun altro si oc- cupò più della fauna in esame la quale invece merita di essere tutta illustrata anche perchè, facendone conoscere i gasteropodi, si agevola il paragone tra le faune degli strati di Hierlatz e quelle del Lias medio. Nell'elenco pubblicato dal prof. G. Seguenza. non si trovano che accenni descrittivi sommari, in modo che i gasteropodi, i pelecipodi ed i brachiopodi di quel giacimento rimangono ancora quasi sconosciuti. Già da un pezzo, con- sigliato dal prof. G. Di-Stefano, avevo intrapreso la continuazione della Mo- nografia di mio Padre, giovandomi della ricca collezione di fossili del Lias medio di Galati raccolta nel Museo geologico e paleontologico dell’Università di Palermo. Le difficoltà nelle quali mi sono imbattuto sono state gravi, per- chè mi è riuscito spesso assai difficile di poter riconoscere le specie indicate dal Seguenza solo con qualche frase descrittiva troppo concisa. Avendo però recentemente il Museo geologico e paleontologico dell’Università di Palermo acquistato quanto fu possibile di salvare della preziosa raccolta privata del prof. Seguenza, dalle devastazioni del grande terremoto messinese del 1908, ho potuto rinvenire buona parte dei gasteropodi e dei brachiopodi di Galati, ic- compagnati ancora dalle relative etichette di carattere dello stesso prof. G. Seguen- za. Mi sono deciso perciò a continuare l’illustrazione dei fossili di quel giacimento. Il presente lavoro non è quindi che la continuazione di quello di mio Padre e la revisione della importante Nota del Segnenza. Questo mi è stato possibile perchè il prof. Di-Stefano ha messo libe- ralmente a mia disposizione i fossili raccolti da mio Padre e dal prof. Se- guenza, aiutandomi anche con i suoi consigli, del che debbo qui pubblicamente ringraziarlo. Siccome io figuro le tre specie di cefalopodi, a cui ho sopra accennato, le quali furono descritte, ma non illustrate, da mio Padre, ho creduto giusto di continuare nel mio lavoro la numerazione delle tavole iniziata nella sua Monografia, tanto più che nelle descrizioni di mio Padre vi è il. riferimento a numeri di tavole e di figure che poi non vennero più pubblicate. Ho dovuto cambiare il nome specifico di Nau?i/us affinis G. G. Gemm. (Op. cit. pag. 212) in quello di Naz#i/us Di-Stefanoi perchè la prima denomina- zione era stata precedentemente usata dai Signori Chapuis e Dewalque per una specie differente. Oltre a questi cefalopodi, io illustro qui anche 3 altri Naudilus (Nautilus 206 M. GEMMYLLARO demonensis G. G. Gemm., N. Mariani G. G. Gemm., N. Pareloi G. G. Ge.nm.) i quali si trovano, denominati 7 sclhedis da mio Padre, nelle collezioni del Museo geologico e paleontologico dell’Università di Palermo. Le specie di gasteropodi che io descrivo sono 24, fra le quali una ap- partieue ad nn genere che credo nuovo, da me chiamato Cupariella. Di queste 24 specie, 9 sono nuove, mentre le altre 15 seguenti erano già note: Plenrotomaria intermeuia Mùnst. » Suessi Horn. Cryptaenia expansa Sow. sp. Discohelix Reussi Horn. sp. » excavata Reuss. sp. » orbis Reuss. sp. Turbo subaciculus Encyclus alpinus Trochus Avernus » Cupido Ualliostoma contextum » conuliforme Lewisiella conica Teinostoma macrostoma Neritopsis praeclara G. Seg. sp. Stol. Stol. d’Orb. G. Seo. G. Seo. d’Orb. sp. Stol. sp. G. Seg. Di queste specie già descritte, 4, cioè quelle indicate per primo dal prof. Segnenza, sono finora esclusive del giacimento fossilifero delle Rocche Rosse di Galati, mentre le rimanenti 11 si ritrovano tutte nel Lias di Hier- latz. Di esse alcune sono state anche rinvenute in molte altre località, nel Lias medio ed una (Discohelix orbis Reuss. sp.) è stata indicata in Italia dal Fucini nel Lias inferiore del Monte Pisan»n. (1) Tutto questo conferma sempre più le note relazioni dei cosiddetti Stra a Terebratula Aspasia con quelli di Hierlatz. Istituto geologico e paleoutologico dell’Università di Palermo, Novembre 1910. (1) Fucini A.— Fauna dei calcari bianchi ceroidi con Phylloceras eylindrieum Sow. sp. del Monte Pisuno (Atti Soc. Tose. Se. Nat. Memorie, Vol. XIV, pag. 162) Pisa, 1894. DESCRIZIONE DELLE SPECIE CEPHALOPODA BELEMNITIDAE Blainv. Gen. BELEMNITES (Agricola) Lister. Belemnites (Megatenthis) confr. paxillosus Schloth. (Tav. VIII, Fig. 1-2) 1854. Belemnites paxillosus Schlotheim —Gemmellaro G. G. Sui fossili degli strati a T. Aspasia della Contrada Rocche Rosse presso Galati. Giorn. Se. Nat. ed Ec. di Palermo, pag. 210. 1385. i » Schlotheim—Seguenza G. I minerali della pro- vincia di Messina, pag. 47. L’esemplare che io qui figuro è il migliore tra quelli descritti da mio Padrenella sua Monografia sui fossili degli strati a 7. Aspasia di Rocche Rosse presso Galati. Nulla avendo da osservare riguardo a quanto egli scrisse, rimando il lettore a quella descrizione. Questa specie è assai comune nel calcare variegato a crinoidi di Roc- che Rosse, ma per la tenacità della roccia, riesce assai difficile poterneisola- re esemplari interi. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservarono quattro buoni esemplari. i 208 M. GEMMELLARO NAUTILIDAE Owen. Gen. NAUTILUS Breyn. Nautilus Brancoi &. G. Gemm. (Tav. VIII, Fig. 4-11) 1884. Nautilus Brancoi Gemmellaro G. G.—Swi fossili degli strati a T. Aspasia delia Contrada Rocche Posse presso Galati. Giorn. Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, pag. 211. 1885. » » Gemmellaro G. G. — Seguenza G./ minerali della provincia di Messina, pag. DI. Figuro qui questa bellissima specie descritta da mio Padre nella sua Monografia « Sui fossili degli Strati a 7. Aspasia etc. » Il Nautilus Brancoi G. G. Gemm. è molto abbondante a Rocche Rosse; esso è vicino al N. iz/ermedius Sow. da cui però si distingue per essere as- sai più compresso, per avere l’ombellico più stretto, i setti più avvicinati fra di loro e per essere striato longitudinalmente soltanto nella sua regione ventrale. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservano otto bellissimi esemplari. Nautilus Di-Stefanot M. Gemm. (Tav. VIII, Fig. 12-19) 1884. Nautilus affinis Gemmellaro G. G.—Sui fossili degli strati a T. Aspasia della Contrada Rocche Rosse presso Galati. Giorn. Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, pag. 212. 1885. » » Gemmellaro G. G. — Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag. 51. Sono costretto a mutare il nome di questa bella specie, già descritta, ma non fignrata, da mio Padre sotto la denominazione di NV. affiris, perchè SUl FOSSILI DEGLI STRATI A THREBRATULA ASPASIA ECC. 209 con lo stesso nome specifico esisteva già un’altra forma illustrata e descritta dai Signori Chapuis e Dewalque. (1) Come si rileva dalla diagnosi di mio Padre (Op. cit.) questa specie, affine al N. Brancoi &G. G. Gemm., è pure vicina al N. semzistriatus d’Orb. da cui però agevolmente si distingue per avere i fianchi più appiattiti, la regione ventrale arrotondita, i setti più larghi e sinuosi e la regione ombellicale senza linee lon- gitudinali. Ml Nantilus Di-Sfefanoi M. Gemm. è piuttosto frequente a Rocche Ros- se, presso Galati. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Pa- lermo se ne conservano sette esemplari. Nautilus demonensis G. G. Gemm. in schedis. (Tav. VIII, Fig. 20-23 e Tav. IX, Fig. 1) Ù Conchiglia rigonfia, fornita di largo e profondo ombellico. Spira quasi abbracciante, formata di giri molto convessi, arrotondati esternamente. Apertura più larga che alta, di forma semilunare, arrotondita all’ester- no, il cai maggior diametro corrisponde al terzo interno. Setti non molto numerosi, leggermente arcuati sui fianchi, Il forame si- fonale è situato un po’ al di sopra del centro dei setti; questi mostrano una discreta depressione contro il ritorno della spira. Questo WNazklus è interamente coperto da strie di accrescimento sinuose egualmento forti e distinte sun tutta la superficie della conchiglia, incurvate verso dietro sul dorso di essa, le quali producono negli interspazi dei rilievi stretti è costuliformi. Mostra inoltre una ornamentazione longitudinale com- posta di grosse e fitte strie poco regolari e continue che, intersecandosi con le strie di accrescimento, le rendono grannlose e danno alla superficie della conchiglia un elegantissimo aspetto reticolato. L’ornamentazione si osserva con gran nettezza sopra i giri interni; negli esemplari accrescinti è più obliterata sui fianchi. Questa bella specie richiama per la formarigonfia e per avere l’apertura bassa, il N. irflatus d’Orb. del Giura superiore, se ne distingue agevolmente (1) Chapuis M. F. et Dewalque M. G.—Descrip. des Foss. secondaires du Luxemburg. pag. 34, tav. II, fig. 4 a, b. (Mèm. couronnè par l’Ae. royale de Belgique, Vol. XXV). Bruxel- les, 1853. 210 M. GEMMELLARO però avendo l’ombellico molto più largo, i setti sinuosi e per la caratteristica ornamentazione che manca del tutto uella specie del d’Orbigny. L’ornamenta- zione della forma descritta è molto simile a quella del NanZ/us affinis Chap. et Dew. Il N. demonensis è discretamente abbondante nel calcare variegato a crinoidi di Rocche Rosse presso Galati. Nel Museo di Geologia e Paleontologia: dell’Università di Palermo se ne conservano cinque ottimi esemplari. Nautilus Mariani G. G. Gemm. in schedis (Tav. IX, Fig. 2-5) Conchiglia rigonfia fornita di largo ombellico che lascia vedere parte dei giri interni. Spira composta di pochissimi giri convessi, leggermente ap- piattiti sui fianchi; ultimo giro caratteristico pel suo rapido accrescimento iu al- tezza e larghezza. Apertura subquadrangolare, quasi altrettanto larga che al- ta, la cni maggiore larghezza corrisponde presso il contorno ombellicale. I set- ti, disposti a regolare distanza, presentano due leggiere sinuosità di cui una sui fianchi, presso la regione ombellicale e l’altra sulla parte centrale della regione esterna dei giri. Il forame sifonale è situato nn pò più al di sotto del centro dei setti (1) i quali mostrano una leggerissima depressione contro il ritorno della spira. Questo Nauzilus si mostra ornato da strie di accrescimento distinte e sinnose, incurvate verso dietro sul dorso della conchiglia. Negli spazi tra que- ste strie si notano, specialmente sui primi giri, delle costole radiali. Una or- namentazione longitudinale, costituita da debolissime costelle. interseca.le strie di accrescimento e je costole radiali che ne seguono l'andamento e dà alla superficie della conchiglia un aspetto finamente reticolato. Il Nautilus Mariani è assai vicino al N. demonensis G. G. Gemm. pre- cedentemente descritto, però se ne distingne per la sua forma più appiattita sui fianchi, per la sua apertura assai meno larga, per l’ombellico più stretto e pei giri più alti. Infine la posizione del forame sifonale è più interna nel Nantilus Mariani che nel N. Demonensis. La specie descritta si allontana poi dal MNanAilus astacordes Yonng et (1) La posizione del forame sifonale è male indicata nella figura relativa (Tav. IX, fig. 5) In essa il forame appare quasi centrale mentre, nel fatto, è situato al di sotto del centro dei setti. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 211 Bird per essere più compressa sui fianchi e per avere quindi i giri meno larghi; inoltre il suo forame sifonale è più avvicinato alla parte interna dei giri e l’intera conchiglia si mantiene sempre di dimensioni minori. Il A. Mariani è piuttosto abbondante a Rocche Rosse presso Galati; i quattro esemplari illustrati fanno parte delle collezioni del Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Pal>rmo. Nautilus Paretoi G. G. Gemm. in schedis (Tav. IX, Fig. 6-8) Conchiglia piuttosto compressa, fornita di strettissimo ombellico. Spira composta di giri molto avvolgenti. Apertura più alta che larga, arrotondata al contorno esterno, subango- losa ai fianchi presso il contorno ombellicale, ove si riscontra la maggiore larghezza. ( I setti, disposti a regolari distanze, mostrano sui fianchi una leggiera concavità rivolta verso avanti e si ripiegano poi sul dorso bruscamente indietro formando una curva leggiera sulla regione esterna dei giri; la separazione della curva dorsale dalla ondulazione sui fianchi ‘avviene per mezzo di un angolo. Il forame sifonale è sitnato più all’interno del centro dei setti i quali sono fortemente intaccati dai giri. La superficie di questo NazZilus è ricoperta da strie di accrescimento flessuose e ben visibili. Tali strie nel principio dell’ultimo giro e nei giri interni assumono l’aspetto di vere costelle flessuose, le quali s’incrociano con sottili ma rilevate costole spirali che nei punti d’intersezione rendono granulose le co- stelle radiali. Questa specie si allontana dalle forme congeneri liassiche per la stret- tezza del sno ombellico. Ha relazioni di forma col Nau?!us Brancoi G. G.Gemm., ma se ne distingue per l’ornamentazione diversa e perla posizione del forame sifonale, il quale e situato più all’interno. La specie illustrata e descritta è piuttosto rara a Rocche Rosse presso Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservano due soli esemplari. O pa Li) M. GEMMELLARO GASTROPODA PLEUROTOMARIIDAE d’Orb. Gen. PLEUROTOMARIA Defr. Pleurotomaria intermedia Minst. (Tav. X, Fig. 20-21) 1844. Plenrotomaria intermedia Mister — Goldfuss. Pezrefacta Germaniae, pag. 67, tav. 185, fig. 1,2. 1848. » Deshayesit Deslongchamps. Mèmoire sur les Plenrotomaires, pag. 127-132, tav. 9, fig. 5-7; tav. 10, fig. 1-2; tav. 18, fig. 2. 1854. » » Deslongchamps. — d’Orbigny. Paltontologie Fran- caise (Terrains jurassigues), tav. 354. 1854. » Mysis d’Orbigny. Ibidem, tav. 353. 1854. » hyphanta Deslongchamps — d’Orbigny. /bidem, tav. 356. 1861. » intermedia Miinster — Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. der Hierlate-Schichten (Sitzungsberichte der Mathem-Naturw. Classe der k. Ak. der Wissenschft. XLII B. tav. IV, fig. 6). 1885. » » Miinster — Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag. 54. Conchiglia di medie dimensioni, trochiforme, conica, acuminata, tanto alta che larga, strettamente ombellicata. Spira regolare, composta di 6-7 giri convessi a sezione quasi pentagonale, leggermente angolosi nel mezzo, plicati dietro presso la sutura che è lineare ma distinta. Ultimo giro grande, convesso, un pò angoloso alla periferia della base questa è debolmente convessa e a volte quasi piana. La fascetta del seno, abbastanza larga, è situata un pò più al di sotto; SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 213 del mezzo dei giri ed è accompagnata da tre costelle spirali, di cui la media- na è sempre più sviluppata, le quali vengono intersecate dalle strie di accresci- mento finissime e ricurve. L'apertura è arrotondata, il labbro è sottile. La superficie di questa conchiglia, coperta da sottili e rilevate costelle trasversali che vengeno ad incrociarsi con costole spirali più o meno forti e regolari, appare per intero come reticolata. Presso la sutura, ove i giri sono plicati, le costelle trasversali si uni- scono in piccoli fasci pliciformi e si rendono più evidenti; sulla base invece divengono tanto poco sviluppate che, ad occhio nudo, questa appare solamente ornata dalie costole spirali. Uno degli esemplari da me figurati mostra nell’ultimo giro, presso la fascetta del seno, una forte cicatrice la quale ivi ha profondamente alterato l’andamento regolare della ornamentazione. Fra le numerose illustrazioni di questa variabile specie che ho potuto riscontrare, ho osservato che gli esemplari siciliani hanno la massima analogia con quelli tipici figurati dal Goldfuss; si mostrano solo di dimensioni sempre minori e con le costole trasversali un poco piu forti. Dalle forme di Hierltz illustrate da Stoliczka, gli esemplari descritti si distinguono per la minore altezza e per l’ ornamentazione trasversale molto più evidente. La Pleurotomaria intermedia Miinst, che appartiene al gruppo delle Reticulatae di Koken, è piuttosto abbondante a Rocche Rosse; il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo ne possiede quattro esemplari in ottimo stato di conservazione. Pleurotomaria Suessi Horn. (Tav. X, fio. 10-12) 1853. Plenrotomaria Suessi Hòrnes — Hauer. Gliederung der Trias-Lias una Juragebilde der nordoòstlichen Alpen, (Lahrb. d. k. k. geol. R. A. IV, pag. 762). 1861. » > Hérnes — Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. | der Hierlatz-Schichten (Sitab. d. math.-naturw- Classe d. k. Akad. der Wissensch. XLIII B. pag. 192. tav. V, fig. 1 a-d). 214 M. GEMMELLARO 1885. P/eurotomaria suturalis Hirnes—Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag. 54. Gli esemplari studiati di questa specie, corrispondono alle figure e alla descrizione data dallo Stoliezka; se non che alle Rocche Rosse si raccolgono soltanto le forme basse di questa specie mentre mancano le trochiformi. Alcu- ni esemplari siciliani anzi, si mostrano ancor più depressi dei più bassi figu- rati da Stoliczka. Questa specie è abbondante nel giacimento fossilifero di Rocche Rosse presso Galati; il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo ne possiede cinque esemplari. Sub gen. CRYPTAENIA Desl. Cryptaenia expansa Sow. Sp. (Tav. X, Fic. 13-19) 1821. Melicina expansa Sowerby. Meral Conchology, vol. 3, pag. 129, vav. COLXXIII, fig. 1-3. 1821. » solarioides Sowerby. Mineral Conchologg, vol. 3, pag. 129, tav. COLXXIII, fig. 4. 1850. » expansa Sowerby —Zieten. Die Wersteinerungen Wiirttem- bergs, pag. 43, tav. XXXIII, fig. 5 a,b,c. 1844. ‘rotella expansa Sowerby—Goldfuss. Pezrefacta Germaniae, pag. 96, tu. CXCV, fig. 8 a,b,c,d. 1848. Pleurotomar:a suturalis Deslongschamps. Mémorie sur les Plenrotomaires, — pag. 147, tav. XVII, fig. 3. 1854. » exPpansa Sowerby — Chapuis et Dewalque. Deser. des Joss. des terr. sec. de laprov. de Luxemburg, pag. 97, tav. XIII, fig. 3. 1898. » » Sowerby — Quenstedt. Der Inra, pag. 193, tav. XXIV, fig. 19. 1861. » » Sowerby—Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. der Hierlatz-Schichten (Sitzb. d. math.-naturw. Classe der k. Akad. d. Wissenschaften, XLIII B. pag. 185, tav. III, fig. 16.) SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 215 1874. Pleurctomaria expansa Sowerby—Gemmellaro G. G. Sopra i fossili della zona con T. Aspasia Mgh. della provincia di Pa- lermo e di Trapani (Giorn. Sc. Nat. ed Ece. di Pa- lermo, vol. X, pag. 114, tav. XII, fig. 20) Palermo. 1885. Cryptaenia expansa —Sowerby— Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag. 54. Questa specie è comune alle Rovche Rosse; la sna conchiglia è depressa, eliciforme, liscia, carenata al suo contorno esterno ove corre la fascetta del seno. Le suture sono poco profonde. L’ultimo giro è convesso alla base e mostra una spessa callosità che ricopre l’ombellico. L'apertura è subromboidale, quasi arrotondata. Come è noto, la Crypfaenia expansa Sow. sp. presenta anche delle fine strie ‘spirali che sono state però assai raramente osservate. Nel Lias medio delle Rocche Rosse di Galati, ho osservato nn esemplare (tav. X, fig. 17-19) coperto di fine ma nette strie spirali serrate tra di loro; esso nel resto dei caratteri corri- sponde perfettamente agli esemplari lisci della specie in esame. Per questo non ‘credo che tale esemplare debba essere separato specificamente, ma, conside- rato il carattere spiccato dell’ornamentazione, ritengo si possa considerare come una varietà striata della Cryptaezia expansa Sow. sp. (var. subtilistriata) rap- presentata da forme elevate e da altre depresse come quella che quì figuro. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo si con- servano quattro esemplari di questa bella specie. EUOMPHALIDAE de Kouinck. Gen. DiscoHELIX Dunk. Discohelix Reussi Horn. sp. (Tav. IX, Fio. 14) 1855. 4uomphalus Reussi H6rnes -—- Hauer. Glederung der Trias-Lias und Ju- ragebilde der nordistlichen Alpen, Tahrb. d. k. k. geol. R. A. IV, pag. 760. 216 M. GEMMELLARO 1861. Discohelix Reussi Hòrnes — Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. d. Hierlatz-Schichten (Sitzungsb. d. math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissenschaft, XLIII, B.. pag.184, tav. III, fig. 13-14.) 1885. » » Hornes—Segunenza G. / minerali della provincia di Mes- sina, pag. 51. Riferisco indubbiamente alla nota specie di Hornes gli esemplari bel- lissimi che ho potuto studiare. Essi sono perfettamente identici alle figure e alla descrizione data dallo Stoliczka. Sebbene il Seguenza dica la D. fPenssi molto rara alle Rocche Rosse di Galati, pure nel Museo di Geologia e Paleon- tologia della Università di Palermo ne esistono tre esemplari benissimo con- servati. . Discohelix excavata Reuss sp. (Tav. IX, Fig. 13) 1852. Zuomphalus excavatus Reuss. Veber ewei neue Enuomphalusarten des Alpi- nen Lias (Palaeont. vol. III, pag. 115, tav. XVI fig. 2 a-d). i 1861. Discoheliv excavata Reuss—Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. der Hierlatz-Schichten(Sitzungsb. der math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissenschaft. XLIII, B. pag. 154, tav. III, fig. 12 a-c). 1874. » » Renss—Germellaro G. G. Sopra i fossili della zona con Terebratula Aspasia Ugh. della provincia di Pa- lermo e di Trapani (Giorn. Sc. Nat. ed Fc. di Palermo, Vol. X, pag. 117, tav. XII, fig. 14 a, b e.15 a,b): 1885. » amabilis Seguenza G.J minerali della provincia di Messina, pag. 51. Conchiglia di ‘medie dimensioni, discoidale, escavata sopra e sotto, più pro- fondamente però sul lato ombellicale. Giri a sezione subquadrangolare, forniti di una carena sottilmente plicata, SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 217 convessi al contorno esterno. La più forte convessità del piano dorsale si ri- scontra vicino al lato superiore meno escavato. Specialmente sull’ultimo giro, la carena plicata marginale si rende eviden- temente nodulosa. L’apertura ha sezione subquadrangolare ed è quasi tanto alta che larga. La superficie della conchiglia è solo coperta da strie di accrescimento sottili ma distinte. Come è noto, la Discohelix excavata Reuss. sp. è forma vicina alla D. orbis Reuss sp. da cui però si distingue per le minori dimensioni, per i giri più alti, per la mancanza di strie spirali e per avere il dorso couvesso. Sebbene il prof. Seguenza nella sua Nota « / minerali della provincia di Messina » abbia creduto di dover staccare dalla specie del Renss le forme delle Rocche Rosse di Galati, distinguendole sotto il nome di Discohelix amabilis, pure sono dell’opiniono che tale distinzione non sia in alcun modo giustificata. Come si rileva dalla superiore descrizione, gli esemplari delle ‘Rocche Rosse confrontano perfettamente con quelli tipici del Reuss, con quelli di Hier- latz descritti da Stoliczka e con gli altri delle provincie di Palermo e di Tra- pani, illustrati da mio Padre. Non ho mai potuto notare nelle forme studiate, quanto afferma il Seguenza, cioè: un maggior numero di giri e nna compres- sione maggiore; alcuni esemplari anzi si mostrano meno compressi di quanto lo sono i tipi, nelle figure del Reuss. Infine, la sottile plicatura della carena dei giri, che del resto sull’ultimo giro diviene nodulosa, non è a parer mio carattere sufficiente per una distin- zione spacifica. Riunisco perciò con la specie del Reuss tutti gli esemplari siciliani, com- presa la Discohelix amabilis Seg. La Discohelix excavata Reuss sp. è piuttosto rara alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservano due bellissimi esemplari. Probabilmente l’Zzomphalus pygmaens Dunker (1) è un esemplare molto giovane della Discohelix excavata Reuss sp. Se questo fatto verrà accertato da studi ulteriori, al nome specifico dato dal Dunker toccherà la precedenza su quello del Reuss. (1) Dunker—Nachtrag en der Beschreibung der in dem Lias bei Halberistadt vorkommenden Versteinerungen (Palaeont. Vol. I, pag. 177, Tav. XXV, fig. 15, 16, 20) 1848. 218 1847 1852 1853. » 5 1855. » ornatus 1854. » biconcavus 1861 M. GEMMELLARO Discohelix orbis Reuss sp. (Tav. IX, Fio. 9-12) ? Discohelix calenliformis Dunker. Veber einige neue Versteinerungen aus verschiedenen Gebirgs-Formationen. (Palaeont. vol. I, pag. 132, tav. XVIII, fig. 11). . Enomphalus orbis Reuss. Veber emei neue Euomphalusarten des alpinen Lias (Palaeont. vol. III, pag. 114, tav. XVI, fig. 1 a-e). Reuss—Héòrnes in Haner. GUederung der Trias- Lias und Juragebilde der nordostichen Alpen,(Iahrb. d. K. K.geol. R. A.IV, pag. 760). Hornes in Haner. op. cit. pag. 760. Schafhiutl. Jahrb. fiir Geol. u. Min. pag. BAT, tav. V, fig. 14. -- . Discohelix orbis Reuss—Stoliczka Veber die Gastrop. und. Acepi. der Hierlatz- 1874 » » 1885. » galatensis 1894. 5 orbis Schichten.(Sitzb.d. math.-natnrw. Classe d.k.Akad. der Wiss. XLIII B. pag. 182, tav. III, fig. 8-10). Reuss — Gemmellaro G. G. Sopra i fossili della zona con T. Aspasia Mgh. della prov. di Palermo e di Trapani (Giorn. Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, Vol. X, pag. 118.) Seguenza G. / minerali della provincia di Mes- sina, pag. DI. Reuss — Fucini. Yaura dei calcari bianchi ceroidi con PhylI. cylindricum del monte Pisano(Atti Soc. toscana Sc. Nat. Memorie, Vol. XIV, pag. 162) Pisa Conchiglia appiattita, discoidale, profondamente escavata tanto sul lato superiore che su quello inferiore, piana su quello dorsale, composta di 7, 8 e qualche volta 9 giri a sezione trapezoidale, forniti di chiglie marginali che ne accompagnano il contorno esterno superiore e inferiore. Queste chiglie, lisce ed intere in molti esemplari, si mostrano in altri più o meno fortemente crenulate. In alcuni individui, e più specialmente in quelli che hanno raggiunto un avanzato grado di sviluppo, la crenulatura delle chiglie SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 219 si esagera fino a dar luogo a una serie di staccati e pronunziati tubercoli, a volte spiniformi, che coronano i due margini esterni dei giri. Spesso, esemplari forniti di grossi tubercoli mostrano solo sui primi giri le chiglie lisce ed intere. Le strie di accrescimento, sismoidali, sono forti, ben visibili, a volte pli- ciformi; esse presentano la loro convessità rivolta indietro. La superficie della conchiglia è poi coperta per intero da distinte strie spirali, serrate tra di loro, . che si rendono specialmente evidenti e ondnlose sul lato dorsale dei giri. Ivi, negli esemplari forniti di tnbercoli più o meno sviluppati o spiniformi, 1)’ on- dulosità delle strie spirali aumenta, seguendo le nodosità dei margini dorsali della conchiglia. L’apertura, in sezione, è snbarrotondata e present? una leggiera concavità solo nella porzione interna che poggia sul giro precedente; il labbro esterno è ispessito. Ho potuto studiare un gran numero di esemplari di questa specie che è comunissima alle Rocche Rosse di Galati e mi sono convinto chele differenze tra i vari individui, unicamente causate come sopra ho detto, dal diverso grado di forza delle crenulature.e nodosità delle chiglie marginali, non seno dovute che alla grande variabilità di questa specie. Anche in individui giovani si ri- scontrano le creste nodose comuni negli esemplari adulti, mentre esistono esemplari di grandi dimensioni a chiglie quasi lisce. La grande variabilità delle specie in esame è dimostrata dalle figure di Stoliezka, a tavola III del suo lavoro. Con la figura 9 egli mostra un piccolo individuo fortemente munito di tubercoli marginali, in tutto simile ai grossi esemplari di Sicilia, e, paragonando le due figure & c. ed £ e. della detta tavola si vede chiaramente come anche tra le forme di Hierlatz esistono individui a chiglie quasi lisce ed unite ed individui con chiglie a forte crenulatara, La’ figura /0, poi, mostra addirittura i tubercoli marginali spiniformi e l’ anda- mento onduloso delle strie spirali del dorso di un esemplare iu tutto uguale alle forme di Sicilia più fortemente ornate. La specie dunque è molto variabile. Credo che agli esemplari figurati dal Reuss e dallo Stoliczka si debbano riunire quelli illustrati dal Dunker sotto il nome di Discohelix calculiformis. Dunker sin dal 1852 (Palaeont. Vol. III, pag. 116, in nota al lavoro del Reuss: Veber 2wei nene Enomphalusarten des alpinen Lias) espresse precisamente l'opinione che la Discolelix orbis del Reuss sia identica alla sua D. calculiformis. Le figure di Dunker mostrano un esem- plare a superficie mal conservata, secondo scrive lo stesso autore; tuttavia le 220 M. GEMMELLARO chiglie marginali sono leggermente crenulate. Dunker stesso scrive che il suo esemplare tipico è alquanto logoro e decorticato. Si dovrebbe quindi preferire il nome specifico dato dal Dunker, come più antico; ciononostante debbo ma- nifestare questa opinione con qualche riserva perchè il Dunker non parla mai di strie spirali che ornano la conchiglia, sebbene nella figura da lni data ve ne sia un accenno. Le figure di Renss e 'di Stoliczka fanno osservare tutte le variazioni della Discohelix orbis. La Discohelix galatensis Seg., distinta dall’ autore con le seguenti parole: « D. galatensis n. aff. D. orbis Reuss. Comunissima e distinta per le grosse crenature acnleate marginali e per le forti linee spirali che ornano gli avvol- gimenti » rientra nel ciclo delle variazioni di questa specie. Se si vorranno distinguere con un nome di varietà, individui grandi e piccoli di questa specie, con forti tubercoli chigliari e forti strie dorsali ondn- late, sarà necessario di adottare quello di var. orzata Horn. (Zuomphalus orna- fns Hérnes in Haner, Op. cit. 1753, pag. 760) pinttesto che quello di var. ga- latensis Seguenza, 1885. i La var. ornata Hòru. non può essere ricuardata come una mutazione della D. orbis Reuss sp. poichè gli esemplari a forti tubercoli e forti strie ondulate si trovano tanto nel Lias inferiore, quanto nel medio. Tra le Discohelix liassiche che presentano qualche analogia di forma o di ornamentazione con le specie in esame, ma che se ne distinguono specialmen- te per le dimensioni molto minori e pel minor unmero dei giri, cito la D. rara Mart. sp. (1) la D. depressa Piette sp. (2) e la D. exiqgua Bròsam. (3) Mentre i più grossi esemplari di queste specie raggiungono appena quattro o cinque millimetri di diametro e contano al massimo cinque giri, i più piccoli indivi- dui della D. orbîs Reuss sp. misurano almeno venti millimetri di diametro e i più grossi ne ragginngono cinquanta. Il numero dei giri poi, nellaspecie in esame, non è mai inferiore a sette. Il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo possiede molti esemplari di questa bella specie. (1) Martin I. — Paléont. stratigr. de l'Infra-Lias du dèp. de la Cote d'Or. (Mèm. Soc. Geol. de France, 2° s. vol, VII, pag. 68, tav. I, fig. 3-5) 1860. i (2) Terquem O. et Piette E. — Le Lias inferieur de VEst de la France (Mèm. Soc. Gèol. de France, 2° s. vol. VIII, pag. 47, tav. II, fig. 35-38) 1865. (3) Broisamlen R. — Beitrag zur Kenntnis der Gastropoden des schwibischen Iura (Palaeont. Vol. LVI, pag. 201, tav. XVII, fig. 5 a — d) 1909. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. II Discohelix Mariae n. sp. (Tav. IX, Fig. 15-16) Conchiglia di piccole dimensioni, appiattita, discoidale, piana sul lato superiore. concava su quello inferiore, composta di 5-6 giri a sezione sub- quadrangolare, divisi da suture lineari ma profonde. Mentre sul lato superiore i giri sono muniti al margine esterno di spine che vanno ad incastrarsi nel margine interno del giro successivo, sul lato in- feriore esse o mancano o sono appena accennate. Sull’ultimo giro non ci sono spine ma due serie di piccoli tnbercoli allungati che nell'insieme costitni- scono dune leggiere carene dorsali. Le strie di accrescimento assumono l’aspetto.di numerose costelle sottili, ma rilevate e chiare, che coprono tutta la superficie. Esse passano sui tubercoli dell’ultimo giro in fasci di numero variabile, e negli spazi intermediari. Questa specie, molto rara a Rocche Rosse, rammenta, solo per l’aspetto generale, la Discohelix nucleata Bròsawl. (1) Essa però si distingue facilmente per la mancanza di strie spirali, per le spine e i tubercoli che l’ornano etc. Del resto l'esemplare figurato dal Bròsamlen è un modello interno e quindi non può giudicarsi esattamente. La Discohelix Mariae n. sp. è rarissima alle Rocche Rosse di Galati; il Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo ne possiede nu solo esemplare. (1) Brésamlen R. — Beitrag zur Kenntnis der Gastropoden des schwibischen Inra (Palacont. Vol. LVI, pag. 202, tav. XVII, fig. 6 a, b) 1909. D22 M. GEMMELLARO TURBINIDAE Adams. Gen. TuRBO L. Turbo subaciculus G. Seg. Sp. (Tav. X, Fig. 1-2) 1885. Zrochus (Gib>ula) subaciculus Seguenza G. [minerali della provincia di Mes- sina, pag. D3. Conchiglia di medie dimensioni, più alta che larga, conoide, solida, for- nita di un piccolo falso ombellico ricoperto in parte dalla callosità columel- lare. Spira composta da 5 giri convessi, separati da snture profonde. L’ultimo giro è grande e forma i due terzi dell’intera conchiglia; esso è convesso regolarmente ed un pò depresso sulla base. L'apertura è rotonda; i margini di essa, piuttosto spessi, si prolungano sulla base in una linguetta appiattita; il lato columelare, ricurvo, è coperto da una callosità. La superficie di questa conchiglia è ornata da strie spirali finissime e numerose che si dileguano sulla base. Le strie di accrescimento, inclinate rispetto all'asse della conchiglia, si mostrano forti e leggermente pliciformi; sull’ultimo giro dell’esemplare figurato si nota, presso l'apertura, una distinta varice. Questa specie sembra essere quella indicata dal Seguenza nella stessa località col nome di Zrockus (Gibbula) subaciculus G.Seg. Essa è infatti affine al Zrochus aciculus H6rn. però se ne distingue, oltre che per le minori pro- porzioni dell'altezza in rapporto alla larghezza, per avere l’anertura rotonda, i giri più convessi, la fessura ombelliczle assai più stretta e per essere ornata di strie spirali. Il Seguenza non accenna alle strie evidenti che coprono la superficie di questa conchiglia, sicchè non posso escludere che si tratti di una specie differente. Ml Zurbo subaciculus G. Seg. sp. non è molto abbondante alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Pa- lermo se ne conservano due esemplari. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 9 (9) (uv TROCHONEMATIDAE Zitt. Gen. EucycLus Deslongsch. Eucyclus alpinus Stol. (Tav. X, Fig. 26-28 e Fig. 31) 1861. Zucyclus alpinus Stoliczka. Veber die Gastrop. und Aceph. der Hierlatz -Schichten (Sitzungsb. der math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissensch. XLIII B. pag. 176, tav. II, fig. 12). 1874. Eucyclus alpinus Stoliczka — Gemmellaro G. G. sopra î fossili della zona con Terebratula Aspasia Mgh. della Provincia di Palermo e di Trapani (Giorn. Sc. Nat. ed Ec. di Palermo, vol. X, pag. 98, tav. XII, fig. 13). 1885. Zunema alpina Stoliczka — Seguenza G. / minerali della provincia di Mes- =) x sina, pag. 53. 1885. » sororcula Seguenza G./ minerali della provincia di Messina, pag.53. 1885. » Étrochiformis Seguenza G./ minerali della provincia di hessina, pag.53. 1885. » laevis Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag.53. 1885. >» Intercingulata Seguenza G. { minerali della provincia di Messina, pag. 53. L’Eucyclus alpinus Stol. è comunissimo nel calcare variegato a crinoidi di Rocche Rosse presso Galati. Ho potuto studiarne numerosi esemplari in ottimo stato di conservazione ed in diversi stadi di sviluppo e mi sono con- vinto che le diverse specie istituite dal Seguenza accanto alla specie tipo dello Stoliezka, non possono mantenersi. Ii Seguenza stesso ebbe dei dubbi nel creare le sne nuove specie (£. sororcula, E. trochiformis, E. laevis, E. intercingulata) basate sopra leggerissime differenze di forma o di ornamentazione, ed infatti nel suo lavoro così si espresso: « Queste varie forme, quantunque ben distinte per sè stesse, pure le- « sciano per la loro variabilità, nel dubbio che possano essere modificazioni « di un medesimo tipo ». 224 M. GEMMELLARO Nella Tavola X di questa Monografia, con la figura 28, io illustro un esemplare che corrisponde per la forma con quello figurato da Stoliezka, ma che presenta sui giri qualche cingolo granuloso in più, mentre con le figure 26 e 27 illustro altri individui che per differeuza di forma, (sono infatti più sfusati e più fortemente carenati nei giri) costituiscono gli esemplari più gra- cili ed appuntiti di questa variabile specie. Tra le specie liassiche che hanno relazione con l’Eucyclus alpinus Stol., cito l'Eucyclus elegans Miù., lEncyelus Orbignyanus Hudl. el’ Eucyclus longinquas Qu. sp. Da queste specie si distingne però agevolmente per la forma più gra- cile ed appuntita, per i giri più fortemente carenati, pel maggior sviluppo del- l’ultimo giro in rapporto ai precedenti e per l’ornamentazione costituita da costole rilevate, di forza e di numero variabile, rese sempre granulose dal- l’inerocio con le strie di accrescimento forti e distinte, le quali spesso si mo- strano rinnite in fasci. (Tav. X, Fig. 51). Nelle collezioni del Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo si conservano sei esemplari di questa bella specie. TROCHIDAE Ad. Gen. TRrocHUSs L. Trochus Avernus Stol. (Tav. X, Fig. 3-4) 1861. Zrochus Avernus Stoliczka. Ueber die Gastrop. und Aceph. der Hierlate -Schichten (Sitzungsb. der math.-naturw. Classe; d. k. Akad. d. Wissensch. XLIII B. pag. 172, tav. II, fig. 6). 1885. Zrochus (Gibbula) subavernus. Seguenza G. I minerali della provincia di Messina, pag. 53. Conchiglia di piccole dimensioni, trochiforme, spessa, più alta che lar- ga, fornita di uno stretto falso ombellico. Spira regolare composta di 5-6 giri convessi, divisi da suture lineari, distinte. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 225 L’ultimo giro è grande e forma quasi i due terzi dell’intera conchiglia. Fsso è convesso e si mostra angoloso al contorno della base. Questa è liscia .e leggermente convessa. Ì L'apertura è subromboidale, un pò più alta che larga; il lato columel- lare si mostra curvato e leggermente calloso; il labbro è sottile ed obliquo. La callosità columellare ricopre buona parte dello stretto falso ombellico. La superficie di questa conchiglia è ornata di strie spirali finissime, irregolari, spesso visibili solo con ingrandimento. Le strie di accrescimento, oblique e molto deboli sui giri. si accentuano sulla base ove si mostrano spesso leggermente pliciformi; esse per l’incontro con le strie spirali producono una leogiera trama. Il Seguenza distinse sotto il nome di Zrockus (Gibbula) subavernus gli esemplari della stessa località da lni studiati, sol perchè osservò che le forme siciliane presentano i giri un pò più convessi di quelle di Hierlatz e l’ultimo giro meno angoloso. To non credo che questa separazione sia giustificata; gli esemplari di Rocche Rosse non sono differibili dal Zrochus Avernus Stol. perchè con esso confrontano in tutti i caratteri e sono angolosi nell’ultimo giro. + Si riscontra è vero che i giri sono un poco più convessi, ma non in modo tale da giustificare l’istituzione di una nuova specie. Il Zrochus Avernus Stol. non è raro alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e di Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conser- vano quattro esemplari. i Trochus Folcoi n. sp. (Tav. IX, Fio. 33-34) Conchiglia di piccole dimensioni, un pò più alta che larga, turbinata, solida, fornita di un piccolo falso ombellico. Spira composta di cinque giri convessi, un pò depressi indietro presso la sutura che è lineare. Ultimo giro grande, convesso, ottusamente angoloso al contorno della base. Apertura romboidale, obliqua, a margin3 piuttosto spesso e discontinuo; lato columellare ricurvo, calloso e provvisto di un ottuso tubercolo dentifor- me alla base della columella. La callosità columellare ricopre in buona parte la perforazione ombellicale. 226 M. GEMMELLARO La superficie di questa conchiglia è per intero ricoperta da fine strie spirali regolari, nette e serrate tra di loro. i Le strie di accrescimento sono fine ma bene impresse, oblique e, presso la sutura, lievemente inflesse verso dietro. Questa specie ha relazione col Zrochus latilabrus Stol. da cui si distin- gue per la forma più acuta, per la presenza dello stretto falso ombellico e per le strie spirali che ne coprono la superficie. Il Zrochus Folcoi n. sp. non è raro alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e di Paleontologia dell’Università di Palermo se ne con- servano otto esemplari. Trochus Cupido a Orb. (Tav. X, Fig. 29-30) 1852. Zrochus Cupido d’Orbigny. Paléontologie Francaise (Terrains Jurassiques) pag. 261, tav. 309, fig. 5-3. 1861. Zrochus Cupido d'Orbigny — Stolizka. Veber die Gastrop. und Aceph. der Hierlat=-Schichten (Sìtzungsb. der math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissenschaft., XLIII B. i pag. 174, tav. II. fig. 10 a, b; 11 a, Db). 1885. Zrochus (Eutrochus) Cupido d’Orbigny — Seguenza G. / minerali della pro- vincia di Messina, pag. 52. / I numerosi e belli esemplari di questa specie che ho potuto studiare corrispondono bene per la forma e per l’ornamentazione con l'esemplare il- lustrato da Stoliczka nella tavola II del suo lavoro sui gasteropodi di Hierlatz, con le figure 11 4 e d. Si mostrano soltanto leggermente più acuti e forniti a volte di una leggiera crenulatura lungo il margine posteriore dei giri (tav. X, fic.50). Inoltre sull’ultimo giro delle forme di Rocche Rosse, il cingolo spirale immediatamente anteriore alla carena del giro prende spesso uno sviluppo tale (sempre minore però di quello della carena) da dare al giro un aspetto bicarenato. Io non comprendo in questa specie, come ha fatto lo Stoliczka, il Zurbo Nesea d’Orb. perchè non è dimostrata la sua identità generica e specifica con la specie che qui illustro. Mio Padre, il quale allora divideva il modo di ve- dere di Stoliezka, nel suo lavoro « Sui fossili della zona con Terebatula Aspasia SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 227 Mgh. della provincia di Palermo e di Trapani» indicò, nel calcare marmoreo bianco dei dintorni di Chiusa Sclafani e di Giuliana (Palermo). la presenza del Trochus Cupido dOrb. « sotto la forma che ha servito ‘di tipo al d' Orbigng per stabilire il Trochus Nesea ». In seguito però ne riconobbe le differenze e distinse le forme di Chiusa e di Giuliana, le quali, con etichetta di suo pugno, fanno parte dello collezioni del Museo paleontologico di Palermo, sotto il nome di Trochus(Entrochus) emendatus G.G.Gemm.= Trochus Cupido G.G.G>amm. non d’Orb. Lascio la specie illustrata tra i Z7ockus s. /. e uon la comprendo tra gli Eutrochus perchè non è fornita d’un largo ombellico, ma solo diunlargo falso ombellico che non traversa tutta la spira. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo si con- servano sei esemplari di questa specie. Gen. CALLIOSTOMA Swains. Calliostoma contextum G. Seg. (Tav. IX, Fig. 28) 1885. Zrochus (Ziciphinus) contextus Seguenza G. I minerali della provincia di Messina, pag. 52. Conchic!ia di piccole dimensioni, più alta che larga, conica, imperforata. Spira composta di 9-10 giri piani, separati da suture distinte e bene impresse. Ultimo giro fortemente angoloso al contorno della base, che è piana. L'aperinra è subromboidale, obbliqna, depressa, più larga che alta; il lab- bro è sotto ed obbliquo. La superficie di questa conchiglia è ornata da numerosi, piccoli e regolari cingoli sp.vali rilevati che divengono granulosi per l’intersezione di strie trasver- sali fine mo costuliformi, impresse ed obblique rispetto all’asse della conchiglia. Sulla base non si vedono che delle finissime strie spirali intersecate da strie di ac -vescimento flessuose che, pur divenendo in molti casi pliciformi, non producono oranulazione nei punti d’incontro con le strie spirali. La specie in esame può mettersi in rapporto col Zrochus Brutus d’ Orb. da cui però si distingue per essere di forma più strettamente conica, per avere un maggio: numero di cingoli spirali granulosi sopra ogni giro e perchè l’or- namentazione spirale si continna sulia base. 228 M. GEMMELLARO Il Calliostoma contextum G. Seg. non è raro alle Rocche Rosse di Galati; il Museo di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Palermo ne possiede tre esemplari. Calliostoma Sartoriusi n. sp. . (Tav. IX, Fio. 23-24) Conchiglia più alta che larga, conica, imperforata. Spira regolare, formata da 12-14 giri bassi, lisci, appianati, separati da suture distinte, canaliculate; ogni giro purta alla parte superiore un cordoncino poco elevato. L'ultimo giro, molto basso, è carenato al coutorno della base. La superficie dei giri si mostra ornata di sottili strie spirali, che spariscono sulla base. Questa è piatta; l'apertura, depressa, è obliquamente rombica; il labbro è sot- tile ed obbliquo. La superficie della conchiglia è interamente coperta da strie di accresci- mento bene impresse, forti ed obblique. | Questa specie ha relazione col Zrochus Epulus d’Orb., se ne distingue pe- rò agevolmente per la presenza delle strie spirali e del cordoncino alla par- te superiore di ogni giro, oltre che per la forma più gracile ed appuytita. Ha anche rapporti col Zrochkus Morpheus Stol. ma, oltre ad essere meno gracile e più conica, porta un solo cordoncino lungo le suture ed è ornata di fine strie spirali. : Non corrisponde infine col 7rochus Epulus A°Orb. var. gracilis Seg. perchè porta nn cordoncino alla parte superiore di o&ni giro ed è ornata di strie Spirali. i Le strie spirali che ornano i giri della forma descritta, per errore non furono messe in evidenza nelle’ relative figure. Il Calliostoma Sartoriusi n. sp. è piuttosto raro alle Rocche Rosse di Ga lati; nel Museo di Geologia e Paleontologia deil’ Università di Palermo se ne conservano due esemplari. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 229 Caltiostoma conuliforme G. Seg. (Tav. IX, Fig. 25) 1885. Zrochus (Ziziphinus) conuliformis Seguenza G. minerali della provincia di Messina pag. 52 Conchiglia più alta che larga, conica, appuntita, imperforata. Spira regolare, formata da 18-19 giri bassi, escavati nel suezzo. rilevati alle suture, ornati alla parte superiore di un cordone spirale elevaio. L'ultimo giro, molto basso, è carenato alla periferia; la base è appianata. L'apertura è obliquamente quadrangolare e depressa; il labbro è sottile ed obliquo. | i La superficie di questa conchiglia è ornata di fine strie spirali e di strie di accrescimento ben visibili e molto oblique; le strie spirali non si vedono sulla base. Questa specie ha rapporti col 7ochus torosus Stol. da cui si distingue per essere più svelta ed allungata e per essere ornata di nn solo cordone sopra ogni giro. Sui suoi rapporti col Ca/liostoma Salvatoris nobis è detto in segnito. Dalla descrizione del Seguenza mi pare che la forma in esame sia il suo Trochus (Ziziphinus) conuliformis, nonostante che il detto antore nou accenni nè ai cordoni sulla parte superiore dei giri, nè alle strie spirali che ornano gli avvolgimenti. Nella figura relativa a questa specie non furono fatte rilevare. per erro- re, le strie spirali dei giri. Tl Calltostoma conuliforme G. Seg. è raro alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell'Università di Palermo se ne conserva un solo esemplare. Calliostoma Salvatoris n. sp. (Tav. IX, Fio. 26-27) Conchiglia strettamente conica, a profilo leggerissimamente concavo, molto più alta che larga, imperforata. 230 M. GEMMELLARO La spira dell'unico esemplare rinvenuto, il quale manca dell’apice, mostra 10 giri bassi, leggermente concavi, rialzati presso la sutura posteriore e ornati alla parte anteriore di un cordoncino spirale stretto, ma evilente. La sutura è bene impressa, quasi canaliculatn. L'ultimo giro è basso e carenato al contorao della base, questa è piana, liscia e leggermente concava nel mezzo. L'apertura è subromboidale, più larga che alta, trasversalmente depressa; il labbro è sottile ed obliquo. Sulla superficie si notano delle strie di accrescimento ben distinte e molto oblique. Il Calliostoma Salvatoris n. sp. ha rapporti col Zrochus carinifer Horn. da cui si distingne per avere i giri molto più alti e meno numerosi e per la forma più allungata, meno conica e più robusta. Dal Calliostoma conuliforme Seg. si distingue poi per essere più acuta- mente conico e sprovvisto sni giri delle strie spirali che ornano quella specie. E’ rarissimo alle Rocche Rosse di Galati; il Museo di Geologia e Pa- leontologia dell’Università di Palermo ne possiede un solo esemplare. Gen. LEWISIELLA Stol. Lewisiella conica d°Orb. sp. (Tav. X, Fig. 7-9) 1852. Pitonnellus conicus d’Orbigny. Paltont. Francaise (Terrains Jnrassignes) pag. 304, tav. 321, fig. 5-8. 1861. Prfonillus conicus dOrbigny — Stoliezka. Weber die Gastrop. und Aceph. der Hierlatz-Schichten (Sitzungsb. der math.- naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissensch. XLIII B. pag. 178, tav. III, fig. 4 a, b). 1885. Zewisiella Stolicekai Seguenza G. I minerali della provincia di Messina, pag. 53. Conchiglia conica, appuntita, più alta che larga, fornita di nua discreta perforazione ombellicale coperta dalla callosità columellare. Spira regolare, composta di 5-6 giri non molto convessi, leggermente attennati indietro presso le suture che sono lineari e distinte. L’ultimo giro è SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBKATULA ASPASIA ECC. 231 “grande, carenato al contorno della base. Questa è convessa al margine, mentre una seconda carena limita la regione ombellicale fortemente escavata. L’apertura è rotonda; la columella è robusta, callosa e si prolunga oltre il piano della depressione ombellicale tertuinando in un bottone calloso e de- presso. L’escavazione del centro della base si osserva anche tra la columella e il labbro interno dell’aperinra. La superficie di questa conchiglia è per intero, coperta di fine strie spirali che si rendono più evidenti sulla base e lungo i margini dei giri. Le strie di accrescimento, fine ed oblique, divengono sulla base più forti e spesso pliciformi. Il Seguenza, riguardando come una specie diversa da quella di d’Or- bigny la forma di Hierlatz descritta da Stoliezka, vi riferì gli esemplari di Rocche Rosse da lui studiati distinguendoli col nome di Lewisiella Stolicekar G. Seg. — Pitonellus conicus Stol. non d°Orb. Tonon sono dell'opinione del Se- gnenza; gli esemplari di d’Orbigny, quelli di Stoliczka e quelli siciliani co- stituiscono una sola specie. Lo Stoliczka, che ebbe in mano anche gli esem- plari di May, provenienti cioè dalla stessa località di alcuni tra quelli studiati da d’Orbigny, osservò che tanto gli ivdividui francesi che quelli di Hierlatz hanno la superficie coperta da strie spirali e l’ultimo giro carenato; se la fi- gura di d’Orbigny mostra il bottone calloso della columella come immedia- | tamente giacente sulla base e nello stesso tempo colmante lo spazio tra il labbro interno della apertura e la columella, questa inesattezza non può pro- venire da altra causa che dall’essere l'esemplare figurato ricoperto in quel luogo dalla roccia. La mancanza delle strie spirali si spiega poi col cattivo stato di conservazione della conchiglia illustrata da d’Orbigny. La Lewisiella conica d'Orb. sp. è piuttosto abbondante alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservano sei esemplari. 232 M. GEMMELLARO UMBONIIDAE Adams. Gen. CaRysostoMA Swains. Chrysostoma Seguenzat n. sp. (Tav. IX, Fig. 29-32) 1885. Chrysostoma subgibbosus Seguenza G. I minerali della provincia di Messina, pag. 53. . 1885. » subacmon Seguenza G. 1 minerali della provincia di Mes- sina, pag. 53. Conchiglia di piccole dimensioni, un po’ più alta che larga, tnrbinata, spessa, fornita di un piccolo falso ombellico ricoperto dalla callosità columel- lare. Spira regolare, composta da 4-5 giri lisci, convessi, depressi dietro presso la sutura che è lineare e distinta. | Ultimo giro grande, forma quasi i due terzi dell'intera conchiglia; è re- golarmente arrotondato. Apertura leggermente ovale, col maggior diametro nel senso dell’ altezza, a peristoma discontinuo; lato columellare arcuato e calloso; labbro sottile. La superficie di questa conchiglia, sprovvista di ogni ornamento, mostra solo delle strie di accrescimento obblique e sottilissime. La specie descritta ha relazione tanto col 7urbo yibbosus d’ Orb., quanto col 7rochus Acmon d’Orb. Dal primo si distingue per la forma più alta, per la minore convessità dei giri e per avere le suture meno profonde; dal secondo differisce per la forma meno acuta © più globulare e per \ultimo giro più grande e più con- vesso. Il Chrysostoma Segnenzai n. sp. non raggiunge mai le dimensioni delle: due specie citate del d'Orbigny. Questa specie è piuttosto variabile; la depressione posteriore dei giri, presso la sutura, è nei vari esemplari più o meno accentuata, come pure entro certi. limiti variabile si mostra l’altezza dell’ultimo giro. i SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 233, Non credo che queste leggiere differenze siano sufficienti alla distinzione specifica che, in base ad esse, istituì il Seguenza, perciò riunisco in mnica specie il Chrysostoma subgibbosus Sec. e il CrAysostoma subacmon Seg. Data la contemporaneità dei due nomi specifici scelti dal Segnenza sono stato costretto a dare un nome nuovo (Okrysostoma Seguenzai n. sp.) alla specie descritta. ll Chrysostoma Sequenzai n. sp. è abbondaute alle Rocche Rosse di Ga- lati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Palermo se ne conservano dieci esemplari. Gen. TEINOSTOMA Adams. Teinostoma macrostoma Stol. sp., var. angulata v. n. (Tav. X, Fig. 5-6) 1861. fofella macrostoma Stoliezka. Uever die Gastrop. und Aceph. der Hierlate -Schichten (Sitzungsb. der math.-naturw. Classe d. k. Akad. d. Wissensch., XVIII B. pag. 178, tav. INI, fio. 5 a, b). Considero come varietà (var. argu/ata) della nota specie di Stoliezka i belli esemplari di Zezzosfoma macrostoma Stol. rinvenuti a Rocche Rosse presso Galati (Messina), che io qui figuro. Essi, pur concordando con la specie di Hierlatz nella massima parte dei caratteri, ne differiscono per avere la sutura meno profonda e l’ultimo giro fortemente angoloso al contorno esterno. La specie illustrata non è rara alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Palentologia dell’Univarsità di Palermo se ne conservano quattro esemplari. 234 M. GEMMELLARO NERITOPSIDAE Fischer Gen. NERITOPSIS Great. Neritopsis praeclara G. Seg. (Tav. IX, Fig. 21-22) 1885. Nerifopsis praeclara Seguenza G. / minerali della provincia di Messina, pag. DI. Conchiglia trasversalmente ovale, più larga che alta, spessa, sprovvista d’ombellico. Spira brevissima, composta di 3 giri crescenti rapidamente, divisi da suture lineari ben distinte. L’ultimo giro è grandissimo ed è quello che costituisce quasi per intero la conchiglia. L'apertura è ovale, a margine spesso e leggermente svasato. Il lato columellare è curvo e ricoperto da una forte e appiattita callosità. La superficio della conchiglia è ornata da forti costole assiali; sull’ultimo giro se ne contano nove. Queste costole sono intersecate da costelle spirali ben distinte, di grandezza irregolare. Tra due costelle più forti se ne intercala sempre una più leggiera. Questa bella specie è molto vicina alla Nerifopsis elggantissima Horn. ma se ve distingue per avere le costole assiali più pronunziate e molto meno numerose. È anche vicina alla Nerifopsis Taramellii G. G. Gemm. del Lias inferiore della Montagna del Casale da cui però si distingue per la forma più bassa, per l’ ornamentazione spirale composta di costelle alternanti più forti e più leggiere, mentre in quella specie si mostrano ineguali e solo più forti sulla porzione mediana dell’ultimo giro, ed infine per le dimensioni molto maggiori. La Neritopsis praeclara G. Seg. è piuttosto rara alle Rocche Rosse di Ga- lati. Nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Universiti. di Palermo se ne conservano dne belli esemplari. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 235 TURRITELLIDAE Gray Gen. PROMATHILDIA Andreae Promathildia demonensis n. sp. (Tav. IX, Fio. 20) 1885. Chemnitzia (Rhabdoconcha) ctr. margaritacea Stoliczka. — Seguenza G. 1 minerali della provincia di Messina, pag. 51. Conchiglia di piccole dimensioni, abbastanza solida, turriculata. Spira regolare, formata di giri piuttosto stretti, convessi, leggermente an- golosi verso il terzo anteriore, divisi da suture lineari e distinte non molto ob- eblique rispetto all’asse della conchiglia. Ultimo giro basso, convesso ed arrotondato al contorno dalla base che è leggermente declive. L'apertura, incompleta nell'unico esemplare rinvenuto, appare obliqua- mente ovale; essa non lascia però scorgere la leggiera doccia anteriore carat- teristica del genere; il labbro è sottile. La superficie di questa conchiglia si mostra coperta per intero da costols spirali, sottili, acute e regolari. Di esse, letreo quattro che ornano l’angolosità che si osserva circa al terzo anteriore dei giri, sono più sviluppate e meglio distinte.. Numerose costelle assiali sottili, in forma di S rovesciata eleogermente in- clinate rispetto all’asse della conchiglia, intersecano le costole spirali. La figura relativa alla specie descritta è mal disegnata, nonsirileva da essa nè l'angolosità dei giri nè il maggiore sviluppo delle costole spirali che la ornano; così figurata, la specie in esame acquista molta somiglianza con lx Chemnitzia margaritacea Stol. da cui invece differisce, oltre che peri caratteri sopra indicati, per la maggiore evidenza delle costelle assiali che intersecano le costole spirali senza mai renderle granulose, come si osserva nella specie di Stoliczka. Tra le piccole Promathildia abbondanti nell’Infra-Lias, il CerzWium tri- nodulosum Mart. è quello che più si avvicina, per la forma, alla specie studiata; 236 M. GEMMELLARO ne differisce però per \'’ornamentazione differente, per avere cioè sopra ogni giro, soltanto tre costole spirali, mentre nella PromaMildia demonensis n. sp. se ne contano 8-10. Rimango in dubbio se la Chemrilzia (Rhabdoconcha) crispitu Sesg., indi- cata dal Seguenza nel giacimento di Rocche Rosse come piccola specie affine alla sua Chemnitzia (Rhabdoconcha) confr. margaritacea Stol., debba identificarsi con la forma illustrata. Il Museo di Geologia e Paleontologia dell'Università di Palermo con- serva nn solo esemplare di questa rara specie. CHEMNITZIIDAE Koken Gen. CHEMNITZIA d'Orb. Chemnitzia galatensis n. sp. (Tav. IX, Fig. 17-18) Conchiglia di piccole dimensioni, conica. Spira a profilo leggermente cencavo, un po’ irregolare, composta di giri numerosi, piuttosto stretti, leggermente convessi. La sutura è lineare, distinta e poco obliqua rispetto all’ asse della conchiglia. L’ ultimo giro è grande, convesso e regolarmente arrotondato al contorno della base; questa è obliquamente declive. L'apertura (che nella figura è stata disegnata troppo rotonda) è poco ovale; la columella leggermente callosa, par- tecipa alla sua curvatura; il labbro è semplice e sottile. La superficie di questa conchiglia è interamente liscia e brillante. Lascio questa specie nel genere CRemziizia d’Orb., nel senso inteso da Koken, nell’attesa che gli antori si siano messi d’accordo sulla classificazione delle forme contenute in questo importante gruppo. La Chemnitzia galatensis n. sp., richiama la Chemnitzia amalthei Quenst. var. solida illustrata dal Bròsamlen nella tav. XXI, fig. 12 del suo « Berag eur Kenntnis der Gastropoden des schuwiibischen Jura » da cui però si distingne per avere un maggior numero di giri, una forma più ottusamente conica, e l’apertura più arrotondata. SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 237 La specie descritta è rarissima alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Palermo se ne conserva un solo esemplare. LOXONEMATIDAE Koken Gen. ZyaopLeurA Koken Zygoplenura? dubia n. sp. (Tav. IX. Fig. 19.) Conchiglia imperforata, di medie dimensioni, bacillare, allungata. Spira elevata, composta da giri appena convessi, più larghi che alti, dei quali la maggiore convessità corrisponde al terzo posteriore. La sutura è canaliculata e profonda. Gli ultimi giri mancano nell’ unico esemplare rinvenuto. La superficie di questa conchiglia è ornata da pieghe assiali leggermente arcuate, concave indietro; esse corrono da un margine all’altro di ogni giro. Presso la sutura anteriore, queste pieghe assiali spesso si suddividono in fascetti di dne o tre pieghe o in qualche raro caso anche di quattro. Ivi, sovente, divengono granulose formando un debole cordone che però non è sempre evidente. Alla parte posteriore di ogni giro si osserva sewpre nun altro cordone granuloso più forte di quello anteriore, il quale può mancare. Inoltre si notano sui giri molte fine strie spirali, più forti presso i mar- gini di essi. i La precisa determinazione generica di questa specie offre delle diffi- coltà perchè l'esemplare rinvenuto manca, come ho detto, degli ultimi giri. La forma descritta ha genericamente rapporti con le Zygopleura e con le Hypsipleura, ma non rientra esattamente in nessuno di questi due generi. La tengo per cra con dubbio nel genere Zygopleura Koken al quale più che agli altri si approssima pel carattere delle pieghe assiali che spesso si suddividono in fascetti, ma da cui differisce specialmente per avere i giri più appianati e le suture profonde e canaliculate. 238 M. GEMMELLARO Questa specie può avvicinarsi alla Chemritzia Hierlatzensis Stol. da cui però si distingue per la forma più bacillare e allungata, per le snture canaliculate e profonde, per la minore convessità dei giri e per la mancanza dei granuli disposti in serie spirale verso il mezzo di essi. L'unico esemplare rinvenuto si conserva nel Museo di Geologia e Pa- leontologia dell’Università di Palermo. CERITHIIDAE Meuke Gen. CUPANIELLA n. g. (1) Conchiglia di piccole dimensioni, di forma pupoide, imperforata. Spira corta, composta di giri convessi, non molto numerosi, la cui al- tezza non supera la metà della larghezza, separati da suture lineari e distinte L'ultimo giro occupa circa un terzo dell’altezza totale della conchiglia, è sempre più stretto del giro precedente ed è arrotondato al contorno della base, la quale è convessa. L'apertura è subarrotondata, a peristoma continuo, sottile e svasato; essa è quasi staccata dalla base e subdeviata dall’asse della conchiglia per cansa della direzione ascendente che segue la sutura dell’ultimo giro. Il lato columellare è calloso; la columella porta due pieghe avvicinate che in sezione appaiono uncinate. La superficie è ornata da costole spirali non molto numerose, rese gra- nulose per l'intersezione di costole assiali fine ed oblique. Questo nuovo genere, per la sna forma pupoide e per la suna apertura a peristoma distaccato e subdeviato è vicino al genere Z.wvelissa Piette col quale però non può confondersi perchè presenta le due pieghe columellari e non ha la forma poligonale caratteristica di quel genere. Col sottogenere Crypfoptyxis Cossmann ha in comune i caratteri delle pieghe columellari e della spira a profilo pupoide, ma se ne distacca per i differenti caratteri dell’apertura e per nou avere la forma pentagonale. Di questo novo genere non si conosce finora che una sola:specie la quale non è rara nel calcare variegato a crinoidi delle Rocche Rocche. di Galati presso Messina. (1) Questo nuovo genere è dedicato al naturalista siciliano Francesco Cupani da Mirto. (1657-1710) SUI FOSSILI DEGLI STRATI A TEREBRATULA ASPASIA ECC. 239 Cupaniella-biplicata. n. sp. (Tav. X, Fig. 22-25) Conchiglia di piccole dimensioni, di forma pupoide; spira corta, com- posta di 6-7 giri piu larghi che alti, convessi, separati da suture lineari e distinte. L'ultimo giro è più stretto del penultimo e forma circa un terzo della altezza della conchiglia; esso è convesso e regolarmente arrotondato al con- torno della base. L’apertura è subarrotondata, un pò più alta che larga, a peristoma con tinno, sottile e leggermente svasato; essa è quasi staccata dalla base e sub- deviata per causa della direzione ascendente che segue la sutura dell’ultimo giro. Il lato colnumellare è leggermente calloso; la columella porta due pieghe piccole, avvicinate e ricurve, che in sezione appaiono uncinate. Questa conchiglia si mostra ornata di 4-5 forti ed acute costole spirali per ogni giro; queste costole sono intersecate da costelle assiali numerose, fi- ne, leggermente arcuate ed oblique che diventano fortemente granulose e a volte: tnbercolose, nei punti d’incontro con esse. Questa ornamentazione si continua sulla base. La forma illustrata non è rara alle Rocche Rosse di Galati; nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Palermo se ne conservano quattro esemplari. dee n rai î di: do M. GEMMELLARO LI) Ha (iS) SPIEGAZIONE DELLA TavoLa VIII Fig. 1- 2. Selemnites (Megateuthis) confr. pavillosus Schloth. >» 4-11. Nautilus Brancoi G. G. Gemm. » 12-19. Nautilus Di-Stefanoi M. Gemm. » 20-23. Nautilus demonensis G. G. Gemm. (ir schedis) Tav. VII. CG.0. dis. Lit.G.Huber. PREV > Sisal siano DIEDI 6- 8. 9-12. 13. 14. 15-16. 17218; 19. 20. 91-22. 23-24. 95. 26-27. 98. 29-32. 33-34. M. GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAvoLa IX Nautilus demonensis G. G. Gemm. in schedis Nautilus Mariani G. G. Gemm. in schedis Nantilus Paretoi G. G. Gemm. in schedis Discohelix orbis Reuss. sp., var. ornata Hòrn.- Discohelix excavata Reuss. sp. Discohelix Reussi Hbrn. sp. Discohelix Mariae n. sp. Chemnitzia galatensis n. sp. Zygopleura ? Qubia n. sp. Promathildia demonensis n. sp. Neritopsis praeclara G. Seg. Calliostoma Sartoriusi n. sp. Calliostoma conuliforme G. Seg. Calliostona Salvatoris n. sp. Calliostoma contextum G. Seg. Chrysostoma Sequenzai n. sp- Trochus Folcoi n. sp. IMNZIO Lit. G.Huber. GERGO. dis. 246 Fig. » 1- 2. 3- 4. 5- 6. 1-9. 10-12. 13-16. 17-19. 20-21. 22-25. 26-28. 29-30. dI. DI) M. GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAvoLa X Turbo subaciculus G. Seg. sp. Trochus Avernus Stol. Teinostona macrostoma Stol. sp., var. angulata n.v. Lewisiella conica d°Orb. sp. Pleurotomaria Suessi Horn. Cryptaenia expansa Sow. sp. Cryptaenia expansa Sow. sp., var. subtilistriata n. v. Plenrotomaria intermedia Miinst. Cupaniella biplicata n. sp. Eucyelus alpinus Stol. Trochus Cupido d'Orb. Eucgelus alpinus Stol. (Porzione di un giro ingrandita). ALESSANDRO ROCCATI Glauconite della Ficuzza e di Corleone (Palermo) Tra le escursioni che dovevano eseguirsi durante il congresso annuale della Società Geologica Italiana tenuto in Palermo nel 1909 sotto la presi- denza del Prof. Giovanni Di Stefano, una, e non delle meno importanti, era progettata alla Montagna della Ficuzza ed ebbe luogo il giorno 8° Settembre (1). Di essa diede a suo tempo un’ estesa relazione il collega Dott. Giuseppe Merciai; tale Relazione (2) è accompagnata da parecchie illustrazioni, le quali non mancano d’interesse neppure per l’argomeuto che sto per trattare, indi- cando con chiara vvidenza la serie stratigrafica che si osserva alla falde della Montagna della Ficuzza. Al lavoro del Merciai credo quindi conveniente ri- mandare il lettore. Gli intervenuti all’escursione, oltre al constatare la non esistenza dei feno- meni di carreggiamento ammessi da Lugeon e Argand (3), già confutati esau- rientemente dal Prof. Di Stefano (4), poterono osservare il classico giaci- mento fossilifero del Lias inferiore illustrato, dal Prof. G. G. Gemmellaro (6) e le formazioni mioceniche rappresentate, fra altri tipi di roccie, da arenarie, (1) XXVIII Congresso della Società Geologica Italiana. — Programma delle adunanze e delle esenrsioni in Sicilia.—Boll. Soc. Geol. It. Vol. XXVIII-1909 fasc. 3. (2) Escursione alla Montagna della Ficuzza eseguita dalla Società Geologica Italiana l'$8 Settembre 1909.—Boll. Soc. Geol. It. loc. cit. (3) Suc de grands phénomènes de charriage en Sicile.—Sur la grande nappe de recon- vrement de la Sicile.—La racine de la nappe sicilienne et l’are de charriage de la Calabre.— C. R. de l’Ac. des Sciences. Paris. CXXLII—Aprile-Maggio 1906. (4) I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia. Note I e IT—Rend. R. Ace. pei Lincei.—Vol. XVI. 1° Sem. fasc. 5° e 6° 1907. (5) Su alcune faune giuresi e liasiche—Palermo 1872-1882. 248 A. ROCCATI le quali, per la loro abbondante e caratteristica ricchezza in g/aaconite, mi hanno fornito l'argomento della presente Nota. Nella carta geologica all’ ‘,00 000 rilevata negli anni 1880-1381 (1) le forma- zioni arenacee, che cingono il rilievo mesozoico costitueute la Montagna della Ficuzza o del Casale, sono riferite all’Eocene, mentre quelle di Corleone sono segnate come appartenenti al Miocene ed indicate dal Baldacci, che vi men- z'ona la presenza della glanconite, come più o meno ricche in clorite (2). Il Prof. Di Stefano fece però osservare che le formazioni delle falde della Montagna del Casale, come quelle di Corleone, rappresentano certamente il Miocena medio (Elveziano), come è dimostrato dai Foraminiferi, dagli abbon- danti denti di pesci e da varii Brachiopodi che vi sono contenuti; mioceniche sono pure indicate dal Merciai nella sua Relazione sopra citata (83). Le arenarie, alternanti con marne (a piccole Osfrea e zeppe di Globigerini- di), argille e calcari glauconiferi a foraminiferi determinabili, poggiano, general- mevte in trasgressione, sull’Oligocene, sul Titonico e sul I ias medio ed inferiore. Alla Ficenzza per esempio sono appoggiate sul. lias medio ed inferiore, sul Dogger e sul Titonico, mentre nella loro diretta ed immediata continua- zione, cioè a Corleone ed a Campofiorito, s'incontrano sopra l’Ol'gocene, (che sta illustrando il dott. G. Checchia-Rispoli) ed il Miocene inferiore, rappresentato da argille con molasse, e sopra il Titonico. La regione ove più estesa e maggiormente fossilifera si presenta la forma- zione è Corleone, ove raggiunge la potenza di anche oltre 100 metri (4); ma alla Ficuzza, intesa in senso largo, cioè con Cicio, Casale, ecc., è pure notevolmente sviluppata, continuandosi le arenarie associate ai calcari glanconitici fino pri sso Bisacquino. (1) Carta geologica d’ Italia alla scala !00 c00 Pubblicata per cura del R. Ufficio Geolo- gico. Foglio 258 (Cor/eone).—Roma 1884. (2) Memorie descrittive della carta geologica d’Italia.—Vol. I. Descrizione geologica del- l'Isola di Sicilia.—Roma 1886. (3) In data 2 febbraio 1910 il Prof. Di Stefano mi scriveva infatti: « Da un pezzo dubi- tavo che le arenarie e le marne del Casale di Busambra, segnate come Focene, fossero tali. Vi ho fatto molte altre gite ed ho dovuto convincermi che le arenarie varicolori, le marne ed i calcari verdicci del Casale, sovrapposti ai terreni mesozoici, appartengono al Miocene medio, avendovi trovato denti di Pesci, Brachiopodi e piccole Ostrea [(oltre ai Foraminiferi) identici a quelli che poco oltre, cioò a Corleone, si trovano in roccie da un pezzo attribuite al Miocene medio con ragione. Le arenarie e le roccie annesse del Casale sono la continuazione di quelle mioceniche della stessa Ficuzza e di Corleone. » (4) Baldacci.— loc, cit. . GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 249 All’epoca del Congresso ed in seguito per cortese invio del Prof. Di Ste- fano, che mi è gradito dovere qui nuovamente ringraziare di cuore, ebbi oc- casione di avere esemplari delle arenarie del Casale di Busambra (Ficuzza) e di Corleone, nelle quali:mi aveva colpito la frequenza, talorastraordinaria, di un minerale granulare verde, il quale, localmente e laddove non vi ha alterazione superficiale, le colora anche intensamente. Mi venne il dubbio che potesse trattarsi di g/aucorite (tanto più data la giacitura e l'età della forma- zione) e lo è di fatto, presentandosi il minerale con aspetto e struttura va- riabili, in alcuni esemplari. con tale abbondanza da gremire assolutamente la roccia, di cui è allora il componente prevalente. i Uno studio delle arenarie della Ficuzza e di Corleone e della glauconite, in esse contenuta, mi parve quindi non privo «i interesse come complemento ai parecchi lavori che trassero origine dal Congresso di Palermo (1) e come contributo alla conoscenza di nu minerale snlla natura chimica e sopra gli altri carattari del quale regna ancora alquanta incertezza. Benchè vi siano alcune piccole differenze fra le arenarie della Ficuzza e quelle di Corleone, differenze che si riferiscono essenzialmente alla maggior grossezza degli elementi granulari nella roccia di Corleone (almeno per gli esem- plari che mi sono pervenuti) e, pure nell’arenaria di Corleone, nella minor quan- tità di cemento calcareo tra i granuli, con prevalenza invece del materiale argilloso, non credetti tuttavia necessario il trattare separatamente delle roc- cie delle due località. Infatti se, come mi faceva osservare il Prof. Di Stefano nella lettera sopra riferita, esse costituiscono una sola unità per la posizione stratigrafica, la costituiscono pure evidentemente dal lato litologico. Le arenarie della Ficnzza e di Corleone presentano sempre una grana mi- uuta, talora anzi minutissima, come ad esempio presso la casa Dragna al Ca- sale di Busambra, e difficilmente i granuli e frammenti, dalla cui cementazione risulta la roccia, superano le dimensioni di una capocchia di spilla comune. Soltanto alcuni grani sporadici raggiungono circa la grossezza di un pisello, ma sono essenzialmente dovnti, come vedremo meglio in seguito, all’aggluti- namento di granuli minori di glauconite. La stratificazione è abbastanza netta, talora ben regolare, per cui l’arenaria si può dividere in lastre a superficie più o meno piana e di {vario spessore; in qualche esemplare di Corleone si osservano inoltre piani di scorrimento (1) Boll. Soc. Geol. It. Vol. XXVIII-1909. 250 A. ROCCATI molto evidenti, secondo i quali la roccia appare resa lucida, quasi speculare, oppure rivestita da fine striature disposte: nel senso dello scorrimento. Sopra le superficie di divisione e sopra quelle di scorrimento esistono accentramenti e spalmature di limonite, la quale forma pure noduli disseminati nella massa. Il colore è variabile; vi sono zone, come a Corlèone, ove la roccia pre- senta un colore verde caratteristico, oppure, come alla Ficuzza, verdastro; tale colore dipende dall’abbondanza e dallo stato di conservazione della glanconite. Più comunemente perciò negli strati affioranti alla superficie del suolo si osserva un color rossastro o bruno più o meno intenso dovuto ad infiltrazioni limonitiche, che ritengo provenienti essenzialmente dall’alterazione della glau- conite; difatti negli esemplari bruni o rossastri non solo l’alterazione della roccia è manifestamente più profonda che negli strati verdi sottostanti, main questi abbonda molto più la glanconite, scarsa invece nelle zone superficiali, ove è frequentemente trasformata in limonite o in via di limonitizzazione. La coerenza della roccia è pure variabile, anche indipendentemente dal grado di alterazione; si hanno così varietà che si spappolano facilmente tra le dita, altre invece più difficilmente e richiedendo un certo sforzo. In altri casi, ove la coerenza è ancora maggiore, tale spappolamento non si ha affatto e l’arenaria assume, come già fece rilevare il Baldacci (1), un aspetto analogo a quello del y4cigro; così è a Casa Dragna (Casale di Busambra), ove l’a- renaria si divide inoltre nettamente inlastre regolari di 5 a 10 cm. di spessore. Anche la porosità, e quindi la imbibizione, dell’arenaria glanconifera è rilevaute, in conseguenza della struttura ora accennata; sopra un esemplare di mediocre conservazione proveniente dal Casale di Busambra determinai un coefficiente di imbibizione corrispondente a 0,014 per una immersione durata appena 48 ore, non potendosi proseguire ulteriormente l’esperienza in causa del disgregarsi della roccia. Riducendo l’arenaria in piccoli frammenti e mettendoli nell'acqua, essi non tardano a disfarsi, specialmente se si agita alquanto; il liquido allora si in- torbida e si deposita nu abbondante materiale terroso finissimo di color bruno chiaro. Questo materiale mediante ripetute decantazioni risulta costituito da una parte argillosa e da un’altra verde, di glanconite in granuli tennissimi impalpabili; il materiale terroso è così minutamente diviso che per parecchi giorni il liquido si mantiene torbido, opalescente. Lo spappolamento della roccia è ancora più rapido (portando anzi ad un (1) Baldacci, loc. cit. GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 251 disfacimento assolutamente completo) quando il trattameuto si faccia con acido cloridrico, anche molto diluito. Si ha fortissima effervescenza, il liquido si in- torbida, separandosi nuovamente nella disgregazione, abbondante argilla fi- nissima, che, interposta fra i granuli dell’arenaria, vi deve funzionare da ce- mento insieme al carbonato di calcio. Dopo un tale trattamento con acido clo- ridrico, levisando e decantando ripetutamente il residuo, si ottiene, più evi- dente che nel primo caso, una parte di un bel color verde erba, costituita quasi esclusivamente da glauconite in grannli minutissimi, impalpabili, associati ad altri pure minutissimi di quarzo. ; ù La minutezza delle particelle di glauconite è tale che il liquido risultante dalla levigcazione mantiene per parecchio tempo una speciale e caratteristica opalescenza verdastra. Noterò poi ancora il fatto che durante il trattamento con acido cloridrico certe varietà dell’arenaria danno un distinto odore bitu- minoso, che dev'essere dovuto al mettersi in libertà di sostanze organiche. Dalla soluzione cloridrica precipita abbondante calce e discreta quantità di magnesia, oltre a ferro che ritengo provenire essenzialmente dalla limonite che inquina la massa; il cemento dell’arenaria è quindi argilloso-calcareo, alquanto magnesifero. La quantità del carbonato di calcio ottenuta varia però da luogo a luogo, essendo ad esempio l’effervescenza più intensa e di durata maggiore per la roccia proveniente dal Casale di Busambra, che non per quella di Corleone, ove sembra predominare la parte argillosa; anche la coerenza vi è del resto minore. In qualche esemplare il cemento dev'essere probabilmente di natura cal- careo-dolomitica; infatti la disgregazione non avviene completamente che con acido cloridrico in soluzione alquanto concentrata e la quantità di magnesia -che precipita è notevolmente maggiore che pegli altri casi. Nel trattamento con acido nitrico si ha risultato identico che con l’a- cido cloridrico; dalla soluzione nitrica si ha però con il molibdato ammonico molto distinta la reazione dell’acido fosforico, tanto perla roccia della Ficnzza che per quella di Corleone. E° del resto cosa nota che le arenarie e le altre roccie glauconitichv contengono del fosfato di calcio, in quantità anche abbon- dante, sia diffuso nella massa, che concentrato in noduli; di tali noduli non ne osservai però nelle roccie in esame. Ottenni nondimeno pure distintamente la reazione dell’acido fosforico trattando con acido nitrico e molibdato ammonico le masserelle provenienti dalla cementazione di granuli di glauconite con argilla e limonite. 252 A. ROCCATI Il residno granulare ottenuto nel disgregamento dell’arenaria con l’acido- cloridrico molto dilnito, oppure semplicemente per spappolamento nell’acqua e susseguente levigazione e decantazione, risulta, quando lo. si osservi con una lente o meglio al microscopio, costituito essenzialmente da tre parti. L’ima è rappresentata da minerali di varia natura, che indicherò in se- guito; l’altra da granuli e frammenti di glanconite; la terza da abbondantis- simi gusci (interi o frantumati), con forma non di rado perfetta, di Forami- niferi, appartenenti ai gruppi dei /rofa/idi e degli Operculinidi (1). Questi gusci si rivelano strettamente collegati con la glaunconite, poichè sì presentano sovente incrostati da essa o riempiti; si hanno del pari gusci che furono completamente modellati dal minerale, il quale ne conservò in modo perfetto le particolarità stenttureli primitive. Più comunemente però non man- tengono la forma del guscio che alquanto grossolanamente, benchè ancora di- stinta; noto infine che non è raro il caso di glanconite modellante l'interno dei gusci e sopra la quale esiste ancora qualche residuo del guscio calcareo primitivo. Oltre ai Foraminiferi che mi parvero di di gran lunga i fossili più abbon- danti, si osserva pure qualche rara spicnla silicea di spugna, che per la for- ma sembra riferibile al gruppo dei Tetrac4nellidi, e nell’arenaria di Corleone, constatai anche l’esistenza (già del resto indicatami dal Prof. Di Stefano nella sua lettera sopra riportata e menzionata pure dal Baldacci) (2) di denti di pesci. La parte minerale che si ottiene dalla disgregazione dell’arenaria, è costituita (facendo astrazione dalla glaaconite) essenzialmente da quarzo; anzi in certi esemplari della roccia è questo l’unico minerale esistente insieme alla glanconite ed ai gusci di Foraminiferi. Il quarzo si presenta prevalentemente in granuli rotolati, e quindi più o- meno sferoidali, oppure in frammenti a spigoli vivi con poca o nessuna trace. cia di fluitazione. (1) Della natura e determinazione delle specie di Foraminiferi e degli altri organismi fossili, esistenti così abbondantemente nelle arenarie glauconitiche della Ficuzza e di Corleone, non ho creduto di occuparmi. Ciò esulerebbe dall’ indole del mio lavoro, tanto più sapendo che esse formano già oggetto di studio per gli egregi colleghi del Laboratorio di Geologia- della R. Università di Palermo. (2) Baldacci, loc. cit. GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 253 Nel residuo ottennto dall’arenaria disgregata semplicemente con acqua oppure con soluzione di acido cloridrico molto dilnito, i granuli o frammenti di quarzo sono per la maggior parte rosei, rossi giallognoli, più o meno tra- sparenti; molti dei granuli rosei hanno però una trasparenza perfetta, la quale sì riscontra anche in una varietà, non frequente, che ha color giallo citrino chiaro. Altri individui di quarzo sono perfettamente incolori, ialini, altri infine di color bianco latteo. La colorazione rossastra e specialmente quella giallognola scompariscono quasi del tutto quando la roccia sia stata disgregata con acido eloridrico al- quanto concentrato; si tratta quindi evidentemente di una semplice inquina- zione superficiale di limonite. I grani di quarzo sono generalmente più voluminosi di quelli degli altri rari minerali presenti nell’ arenaria, potendo raggiungere le dimensioni di mezzo a un mm. di diametro, soltanto eccezionalmente ,maggiori; si può anzi dire che non esistono frammenti veramente macroscopici. Oltre al quarzo con l’abito granuloso o brecciato sopra descritto, si hanno pure frammenti che lasciano scorgere qualche faccia cristallina distinta, spe- cialmente di prisma, nen osservai però mai cristalli completamente terminati. Alcuni granuli di color rosso o verde, con lucentezza litoidea, mi sem- brano potersi riferire a d/aspro; essi hanno infatti tale dnrezza da rigare il vetro. Il quarzo è accompagnato nell’arenaria dai seguenti minerali, tutti però affatto subordinati: Feldspato sempre più o meno profondamente alterato. Tormalina, rappresentata da due varietà: La prima è incolora, perfettamente trasparente, in piccoli cristalli costi- tuiti da prismi con terminazioni emimorfiche di romboedri; la freschezza di tali cristalli esclude ogni flnitazione e mi fa ritenere che fossero inizialmen- te inclusi in qualche altro minerale. La seconda varietà è bruna, fortemente dicroica, o di color nero lucente; questa si presenta in frammenti irregolari, in cri è soltanto visibile qualche faccia di prisma. Zircone, incoloro, in piccoli cristalli -prismatici allungati con terminazioni ottaedriche acuminate; anche lo zircone, dato il sno aspetto, doveva inizial- mente esser incluso in altri minerali. Granato, raro, in granuli sferoidali, di color roseo trasparenti. Anfibolo in fibre, alcune quasi incolore, altre di color verde chiaro con ‘estinzione di circa 13°, quindi affizoto: qualche frammento verde scuro, con linee di sfaldature distinte ed estinzione alquanto minore, potrebbe essere di 254 | A. ROCCATI orneblenda ferrifera, la quale, come è noto, può avere estinzione inferiore a quella dell’attinoto. Mica, essenzialmente muscovite. in laminette corrose, rese torbide dall’al- terazione, oppure distinte, incolori o di color bianco con lucentezza perlacea. Molte delle lamine esistenti nel residuo ottenuto spappolando semplice- mente la roccia nell'acqua, hanno color giallo oro, che scompare nel tratta- mento con l’acido cloridrico : si tratta evidentemente del fenomero di altera- zione, che si osserva così frequentemente nella rmuscovite contenuta nelle sab- bie e nelle arenarie. Magnetite, in minutissimi granuli, forse inizialmente inclusi nella glauco- nite, per il fatto che alcuni frammenti di questa sono attratti dalla calamita; e per altro minerale poco frequente. Pirite, in rarissimi granuli. Questa scarsezza della pirite negli esemplari dell’arenaria di Busambra- Corleone da me studiati, contrasta con quanto si verifica generalmente nelle arenarie ed altre formazioni glanconifere, ove la pirite accompagna con una certa abbondanza la glanconite, di cui sarebbe appunto un prodotto di altera- zione, oppure formandosi essa per fenomeni di riduzione durante la genesi della glanconite stessa (1). Nelle arenarie della Ficuzza e di Corleone non mi parve esistere altro prodotto di alterazione della glanconite se non che la Zimonife, che vi è anzi molto frequente, non soltanto come infiltrazione, ma anche in grani e masse- relle; così pure non ho verificato nelle glanconite l’esistenza di inclusioni di pirite, le quali sono altrove (2) menzionate come abbondanti e caratteristiche. Venendo ora alla g/auconite, occorre premettere che essa è con il quarzo il minerale componente più abbondante dell’arenaria, anzi in certe zone, come- potei verificare per esemplari di Corleone, la sua frequenza supera quella del quarzo! (1) Gimbel-Ueber die Natur und Bildungsweise des Glaukonits. Sitz.. der Math. Phys. Classe d. K. Akad. Wiss. zu Miinchen-XXVI-1886. L. Cayenx — Contribution è l’étude micrographique des terrains sédimentaires. Glauconie des roches siliceuses—Mémoires de la Soc. Géol. du Nord. Tme IV-2-Li]le-1897. Léon- W. Collet. Les dépòts marins. Bibliothèque d’Océanographie physique. Paris-Doin.- 1908. (2) Gimbel. Ueber die Natur ecc loc. cit. L. ‘ayeux. Contribution ecc. loc. cit. L. W. Collet.. Les dépòts marins loc. cit. GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 255 Dei diversi modi di presentarsi delle glauconite studiati dal Cayeux(1) e dal W. L. Collet (2), si ritrovano nelle arenarie di Busambra-Corleone la varie- tà granulosa e quella epigenetica dei gusci di Foraminiferi. Comune è questa seconda varietà, dovuta cioè al modellarsi della glanconite sopra i gusci dei Fo- raminiferi o nel loro interno, essendo il modellamento avvenuto in modo più o meno perfetto, completo o soltanto parziale. Talora il fenomeno di zoomorfosi è assoluto, sicchè ogni particolare strutturale del piccolo guscio appare conservato e non è raro l’osservare parti calcaree ancora aderenti; in altri casi il modellamento 'è meno evidente e non si distinguono che grossolanamento le particolarità del piccolo guscio stato riempito. In conclusione, come già fecero rilevare Murray e Renard (3) per la. glauconite dei sedimenti dei mari attuali, si possono osservare tutte le transizioni fra i gusci riempiti perfettamente (che souo però i più rari) e molti granuli, in cui l'origine per modellamento od epigenesi non si scorge più che confusamente. La glauconite zoomorfa può esser compatta, con color verde scuro o nero e lucentezza subvetrosa, analogamente a quanto si verifica nella varietà gra- nulare che descriverò ora, oppure, ed è questo il fenomeno più comune, si presenta spugnosa, vacuolare, di color verde chiaro tendente al giallognolo, con aspetto terroso, e frequenti infiltrazioni di limonite, minerale, che, come dissi sopra, si origina appunto nell’alterazione della glauconite. La glauconite granulare corrisponde ai tipi di struttura descritti dal Cayenx (4) con i nomi di glauconite omogenea, granulata, globulare e concrezionata. Si hanno infatti anzitutto frequenti cranuli tondeggianti, omogenei, dalla superficie liscia e lucente, oppure scabra e rugosa, con color verde scuro a nero e lucentezza vitreo-submetallica o subresinosa; la stessa varietà esiste pure in frammenti a spigoli vivi, irregolari, con frattura subconcoide o indi- stinta, forse provenienti dalla frantumazione dei granuli. Ad ogni modo non mi parve osservare mai con certezza faccie cristalline, che sembrano s;iste- re nella glauconite di altre località (5). (1) /oc. cit. e Notes sur la Glauconie- Annales Soc. Gèol. du Nord. Vol. 20. Lilla 1892. (2) Zoc. cit. e L. W. Collet. et G. W. Lee.—Recherches sur la Glauconie. Proc. of. the R. Soc. of Edimburgh. XXVI—1905-06. (3) Z Murray and A. F. Renard—Deep Sea Deposits. Report on the Scientific Results of the Voyage of H. M. S. Challenger during the years 1873-1876. Londra 1886. Noterò quì come i lavori del Cayeux e del Collet sulla glancorite sono accompagnati da tavole e figure che riproducono perfettamente i diversi modi di presentarsi del minerale sia zoomorfo che granulare esistente, nelle arenarie di Busambra e di Corleone. (4) Contribution è l’étude micrographique ecc. /oc. cit. (9) Lacroix — Minéralogie de la France et de ses Colonies. Tom. I-Paris Baudry-1893. 256 A. ROCCATI La varietà omogenea presenta pure, ma più raramente, il color verde chiaro o verde giallognolo degli altri tipi; così pure può essere rossastra o di color giallo ocra in conseguenza dell’incipiente limonitizzazione. Dei granuli di glanconite alcuni sono veramente voluminosi; così dall’a- renaria di Corleone ne potei separare tre aventi un diametro di circa !], cm.; uno con forma lenticolare, gli altri due tondeggianti, aventi tutti e tre frat- tura abbastanza nettamente concoide e quello di forma leuticolare color ver- de erba, alquanto chiaro. Tali grani maggiori non hanno la loro superficie liscia; sono invece ru- gosi quasi come in segnito a corrosione, esternamente di color giallognolo per alterazione in limonite o per incrostazione di questa. Altri sono rivestiti di granuli di glanconite, od anche di quarzo, che vi aderiscono fortemente. Comuni sono masserelle della grossezza all'incirca di un pisello, ma non più esclusivamente costituite dalle glanconite; sono piuttosto minuti granuli ce- mentati da limonite o da sostanza calcareo-argillosa, quindi a coerenza varia- bile, talora minima, schiacciandosi facilmente tra le dita. Le masserelle in- globano frammenti eterogenei che sembrano quasi aver funzionato da centro di attrazione: gusci di Foraminiferi, granelli di quarzo, di limonite, ecc.; la glanconite delle masserelle (da parecchie delle quali ottenni distintamente la reazione dell’acido fosforico) ha color verde chiaro, mai il nero dei grani omogenei; l’alterazione in limonite vi è frequente. Altri granuli si presentano con aspetto concrezionato-mammillonare: glo- bulari, sferoidali, ovoidali più o meno regolari; in questa varietà la superfi- cie dei grannli è liscia, Incente ed il colore generalmente nero. Un tipo, enon il meno comune, simile a quello già indicato parlando della glanconite zoomorfa (da cui forse in parte proviene) è rappresentato da granuli di aspetto spugnoso, a lucentezza terrosa, con color verde erba più o meno chiaro, o verde tendente al giallo; sovente sono compenetrati da limonite. In questa varietà, che è poco coerento e la più tenera, anzichè di gra- ni omogenei sembra in molti casi trattarsi di masserelle di argilla impregna- ta da glauconite, che quivi potrebbe rappresentare il tipo pigmentario di Ca- yeux e Collet. Ritengo che sia il disfacimento di questi granuli poco coerenti che origi- na la glanconite pulverulenta, la quale, come dissi sopra, si ottiene spappo- lando l’arenaria cen acqua o con acido cloridrico molto dilnito. Non è però possibile che “ale glanconite pulverulenta provenga anche dalla trituraz i 0 m GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 257 ne naturale di grani maggiori, oppure, almeno in parte, da precipitazione di- retta del minerale nell'acqua del mare; sta infatti che per molti grani è le- cito ammettere una formazione non in posto, dato l’assoluto aspetto di mate- riale flnitato, tanto più se si tiene presente che la glanconite si forma a poca distanza dalle coste, in zone quindi ove si esercita l’azione meccanica delle onde. E° vero che generalmente gli antori assegnano alla sostanza organica una parte essenziale nella formazione della glauconite, la quale sarebbe quindi strettamente collegata alla presenza degli organismi ed i grani, anche i più voluminosi, si sarebbero dovuto inizialmento formare (e si formerebbero an- cora nei sedimenti marini attuali) per concentrazione del minerale sopra o nell’ interno dei gusci, specialmente di Foraminiferi, le cui spoglie, come nel caso nostro, sono sovente molto abbondanti nelle formazioni glaunconifere. Tuttavia, anche lasciando da parte l'incertezza che regna sull’ origine ed il meccanismo di formazione della glauconite, fa da parecchi sostenuto con validi argomenti potersi il minerale originare per precipitazione diretta in seno all’acqua marina o sul fondo, quando già gli elementi che costituiscono i sedimenti erano disposti come nel sedimento consolidato, e ciò indipenden- temente dalla presenza di sostanza organica o di spoglie di organismi, che talora non accompagnano affatto la glanconite (1). Noterò infine che qualche individuo di glanconite ha aspetto lamellare; non osservai però mai la struttura fibrosa o fibro-raggiata indicata da parec- chi autori. I granuli e frammenti di glauconite hanno per lo più durezza minima, potendo schiacciarsi sotto l’unghia o meglio fra due vetrini, per cui la du- rezza del minerale generalmente ammessa è = 2 (2). Devo però osservare (1) Z Murray and. A. F. Renard.—Deep Sea Deposits. — Report on the Scientific Results of the Voyage of H. M. S. Challenger ece. loc. cit. L. Cageux.—Contribution è l’étude micrographique des terrains sédimentaires. Glaunconie des roches siliceuses loc. cit. Léon. W. Collet—Les dépòts marins loc. cit. Gimbel—Uber die Natnr und Bildungsweise des Glaukonits.—Sitz. der Math. Phy. Classe d. K. Akad. Wess. zu Miinchen — XXVI — 1886. Id.—Ueber die Griinerde von Monte Baldo ibidem. S. Calderon e F. Chaves. — Contributiones al estudio de la Glauconita.— Anales de la Soc. Espanola de Hist. Nat. XXIII—Madrii 1894. (2) Dana. System of Mineralogy. 1892. Lacrorx.—Minéralogie de la France et de ses Colonies loc. cit. Léon. W. Collet.— Les dépòts marins. loc. cit, Glinka.--Der Glaukonit, seine Entstehung, sein chemischer Bestand und seine Verwit- terung.—-Groth. Zeitsch. f. Krystall. und Mineral. 30-1898. 258 A. RODCATI che uno dei grani maggiori ricavati dalla roccia di Corleone scalfisce netta- mente la calcite, da cui è scalfita alla sua volta, senza però rigare in alcun modo la fluorite; conviene quindi in questo caso ammettere una Aurozza = 3. Il peso specifico mi risultò di circa 2,4, cifra che concorda con quella generalmente ammessa; il fatto però che se nel liquido di Thoulet (peso spe- cifico>2.7.) la maggior parte della glanconite resta a galleggiare alla super- ficie, alenni granuli però cadono sul fondo del recipiente, e sono graunli del- la varietà nera, compatta ed omogenea, mi lascia supporre che il peso speci- fico possa anche eccezionalmente esser maggiore ed avvicinarsi al 2,8, valore del resto già trovato da Damour (1) per la glanconite di Folembray e di Borrigo e dal Glinka (2) per parecchie delle varietà da lui studiate. Queste notevoli differenze nel peso specifico mi pare possano essere con- seguenza della struttura così variabile del minerale, come anche dalla pre- senza di impurità o di inclusioni che devono influire in più od in meno sulla densità; potrebbero anche esser conseguenza del variare della composizione chimica, dovendo esser maggiore le quantità di ferro contenute rella varietà nera compatta, che in quella verde chiaro o giallognolo. Opaca nei granuli osservati in massa, la glauconite della Ficuzza e di Corleone diventa di color verde chiaro, quando sia ridotta in lamine sottili; all'esame microscopico i granuli maggiori, che sembravano omogenei, lascia- no sovente vedere che inglobano minuti gusci di Foraminiferi o piccoli fram- menti di quarzo, intorno ai quali si è fatta la concentrazione del minerale. A luce polarizzata si rivela nettamente birifrangente; non ho potuto però scorgere le linee di sfaldatura che hanno permesso al Lacroix (3) ed al Ca- yenx (4) di determinarne l’angolo di estinzione. Non posso quindi nulla dire a questo proposito, come neppur potei determinare se trattasi di minerale uniassico o biassico; le ‘proprietà ottiche della glaunconite furono però già ben studiate dal Lacroix (5), che ritiene sia monoclina; certamente non è amorfa (6). Ml pleocroismo è debole, per quanto abbastanza distinto: verde chiaro, (1) Citato da Lacroix: Minéralogie de la France ecc. loc, cit. (2) Der Glaukonit, seine Entstehung, ecc. loc. cit. (3) loc. cit. (4) loc. cit. (5) Ioc. cit. (6) Dana.—System of Mineralogy loc. cit. C. R. Van Hise.—A treatise on Metamorphism.—Monographs of the U. S. Geol. Survey. -XUVII—Washiugton. 1904. GLAUCONITO DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 259 verde giallo chiaro; i colori d’interferenza sono poco vivi: verde ed azzurro carico. In qualche frammento è evidente la polarizzazione di aggregato. Nel comportamento chimico va notato che la glauconite foude abbastan- za facilmente in vetro bolloso; essa è decomposta dall’acido solforico a caldo e, pure a caldo, dall’acido cloridrico concentrato, con separazione di silice. È poi parzialmente attaccata nel trattamento a caldo con una soluzione di idrato potassico. i s Circa la composizione chimica della glanconite gli autori si accordano in generale nel definirla essenzialmente come un silicato idrato ferrico-potassico, contenente alluminio e magnesio. Le analisi del minerale presentano però dalle differenze molto forti nel- la quantità dei compononti, differenze che spiegano come non fu ancora pos- sibile lo stabilire una formoia razionale della glanconite, tanto più che non sempre gli analizzatori tennero calcolo dello stato di ossidazione del ferro e della natura dell’acqua che si elimina a diverse temperature. Vediamo co. sì (tralasciando l’analisi di glauconite dragata dal Challenger, la quale non contiene che 24,74 °, di Si 0, e che gli autori (1) indicano come ottenuta da un materiale tutt'altro che omogeneo) la silice oscillare fra 40,00 (2) e 58,74 (3); l'allumina fra 1,53 (4) e 22,19 (5); il feryo sesquiossido fra 7.20 (6) e 31,80 (7); la potassa fra 2,23 (8) e 9,54 (9); l’acqua fra 4,71 (10) e 14,70 (11). (1) ZL Murray dan A. F. Renard.—Deep Sea Deposits loc. cit. riportata anche da ZL. W. :Collet---Les dépòts marins loc. cit (2) Zoskins—On Glaukonit from Antrim.—Geol. Mag. 1895 (3) Glauconite di Gainsville (Alabama) analizzata da Mallet—Am. Jour. of. Sc. 23-1857. (4) Glauconite dragata dal «Tuscarora»: Collet—Les dépòts marins loc. cit. e Glauconite. della Baviera: 0. W. von Cùubel—Geologie/von Bayern.—Erster Th.—Gruudzùge der Geologie. —Kassel. 1888. (5) Glauconite di Karawo (gov. di Kaluza). Glnka—Der Glaukonit; ecc. loc. cit. Questa alta percentuale di A1,0; spiega perchè parecchi autori definiscano la glauconite come idrosilicato di alluminio, ferro e potassio : I. Geikie. Traité pratique de Géologie. Trad. Paul Lemoine—Paris—1910. PF. Rinne. Etude pratique des Roches. Trad. Pervinquière.—Paris—Rudeval. 1905. E Jannettaz. Les roches et leurs éléments minéralogiques. Paris. Hermann 1910. (6) Glauconite di French Creek, analizzata da Xnerr e Scoenfell—Am. Ch. Jour. 6-1884. Analisi riportata anche da Dara (loc. cit.) e da Collet (loc. cit.) (7) Aressenberg. Aus Glaukonit—Mergel der Nummuliten—Formation. Analisi riportata da Hintze. Handbuch der Mineralogie. Zweiter Bd. Leipzig. 1897 (8) Glauconite di French Creck già citata. (9) Glauconite di Padi :gov. di Saratow). Glrka Der Glaukonit, ecc. loc. cit. (10) Glauconite dell’isola di Gozzo; analisi di Bamberger riportata da Hintze (loc. cit.) e de Dara (loc. cit.) (11) Benedictbenern. Aus Glankonit Sandstein—Analisi riportata ia Hintze loc. cit. 260 A. ROCCATI Giustamente quindi Lacroin (1) e Collet (2) fanno rilevare che non vi sono, si può dire, due analisi che concordano e sono portati a ritenere (anche tenendo conto che è quasi impossibile di operare sopra materiale veramente puro) che possono esistere diversi tipi chimici di glanconite e specialmente che possa differire ln glanconite dei terveni antichi da quella che si forma at- tnalmente (3). Il minerale sarebbe quindi da considerare come un idrosilicato ferri-po- tassico con allumina, ferro protossido e magnesia. In queste condizioni di incertezza sulla composizione chimica della glan- conite delle roccie sedimentarie e dei sedimenti attuali credetti opportuno di istituire un'analisi della glanconite delle arenarie della Ficuzza e di Corleone, data specialmente la sua abbondanza in grani relativamente voluminosi. Per separare il minerale ed averlo il più che fosse possibile puro, co- minciai a trattare la parte granulare (ottenuta nel disgregamento della roc- cia con acido cloridrico diluito) con acido alquanto concentrale, a freddo, onde escludere tutte le parti calcaree provenienti dai gusci di Foraminiferi. In seguito con l’aiuto della lente isolai la glanconite dal quarzo e dagli altri minerali clastici, limitando la cernita alla sola varietà in grani omogenei di color verde senro a nero, escludendo quelli a struttura spuguosa e terrosa ed escludendo in fine i pochi grani attratti dalla calamita, nei quali era pro- babilmente inclusa della magnetite. La separazione fu lunga, molto più di quanto potessi supporre, ed a questo fatto si deve il ritardo nella pubblicazione della mia nota, che avrei. | desiderato accompagnasse gli altri lavori riguardanti il Congresso di Palermo. (1) loc. cit. (2) loc. cit. (3) Secondo LZ. W. Coltet (Les dépòts marins) il più puro esemplare di glauconite attuale sarebbe quello dragato dal « Tuscarora » nel 1873, la cui analisi gli diede i seguenti valori :: SIO? 47,46 Fe?0* 30,83 A1208 1,53 FeQO 3,10 MgO 2,41 K?0 7,76 H?0 7,00 Totale ——— 100,09 GLAUCONITE DELLA FICUZZA E DI CORLEONE 261 L'analisi fu fatta da un lato disgregando il minerale con carbonato sodico - potassico e dell’ altro decomponendolo con acido cloridrico concentrato a caldo, dal quale, come dissi sopra, è completamente attaccato con separa- zione di silice; credetti anche interessante il determinare lo stato di ossida- zione del ferro, dato che è ancora discussa la questione se nella glanconite il ferro esista allo stato di protossido o di sesquiossido (1). Devo avvertire che mentre l’analisi fn eseguita sopra il minerale estrat- to dall’arenaria di Corleone, la determinazione del protossido e del sesquios- sido di ferro, per scarsezza di sostanza, fu fatta sopra una miscela di circa ‘4, della glauconite di Corleone e ?], di quella proveniente dal Casale di Busambra. I valori ottenuti sono i seguenti: Si deve quindi ritenere la glanconite della Ficuzza e di Corleone come un idrosilicato ferri-potassico con ferro protossido, calce e magnesia. Da questa mia analisi, come da tntte quelle riportate dai vari autori ci- tati nel corso del mio lavoro, riesce evidentemente difficile il desumere una formola che abbia qualche carattere di razionalità. Però se si tien conto della gran quantità di acqua generalmente contenuta dalla glauconite e del fatto che, secondo risulta dalla mia analisi e da quelle eseguite da Glinka (2), l’acqua si elimina in parte a bassa temperatura ed in parte a temperatura elevata, io credo che il modo più logico di spiegare la costituzione chimica delia glanconite sia l’ammettere che risulti da una mi- scela in proporzioni variabili di un idrosilicato ferri-potassico con quantità pure variabili di acidi silicici di differente composizione. Quest’ipotesi spie- (1) Dana—System of Mineralogy loc. cit. Sio, 55,55 AI1,0, 4,90 Fe,0, 18,46 Fe0 2,65 Mg0 1,47 Ca0 0,77 K,0 4,08 Na,0 tr. H,0 (a 100,) 17,55 Perdita per calcinazione (al rosso debole) 4,47 Totale 99,90 (2) Der Glaukonit, seìn Entstehung, ecc. loc. cit. 262 A. ROCCATI gherebbe fra l’altro il fatto che il minerale è parzialmente attaccato dall’idrato potassico. Per quanto però siano numerose le analisi di glauconite già eseguite, è difficile, allo stato delle nostre cognizioni snl minerale, il risolvere l’interes- sante questione, perchè non tutti gli analizzatori si sono preoccupati di sta- bilire la temperatura a cui sì elimina l’acqua, argomento che potrà esser ripreso con profitto in seguito. Torino, Gabinetto Geol.-Mineralogico del R. Politecnico. Gennaio 1911. IstITUTO D'IGIENE DELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO Sulla questione dell’acqua potabile per il Comune di Cefalù (analisi dell’acqua Presidiana) NOTA del Pror. Dr. E. CARAPELLE « Si è spesso cercato di stabilire i caratteri che devono presentare le «acque destinate ad uso potabile, ma bisogna pur convenire che non vi si è « arrivato in modo tutto affatto soddisfacente. » « Nell’Arnuario delle acque francesi, pubblicato da una commissione di cui « facevano parte: Orfile, Becquerel, Bonchardat, Chevalier, Milne Edwards, « Ch. Sainte-Claire-Deville, ed altri si trova questa definizione: « Un’acqua può essere considerata come bnona e potabile quando essa è « fresca limpida, senza odore; quando il suo sapore non è specialmente di- « sgustoso, insipido, salato, o dolciastro, quaudo essa contiene poche materie « estranee, sufficiente quantità di aria in soluzione, discioglie il sapone senza « formare grumi, e cuoce bene i legumi » (Ogier et Bonjean) In questa definizione evidentemente per l’epoca in cui fu formolata non si tien conto dell’analisi batteriologica, me: d’altra parte essa, per quanto riguarda il criterio chimico per giudicare della potabiltà di un’acqua è più comprensiva di tutte le altre, appunto perchè è la meno determinata. II Comitato consultivo di igieze pubblica in Francia aveva infatti stabiliti dei limiti entro cui le acque potevansi ritenere: pure, potabili, sospette, o cat- tive, ma chiamato a dare dei giudizi, sulla scorta dei dati analitici, dovette accorgersi che era imprudente stabilire dei limiti precisi, sui quali ad ogni momento dovevasi transigere. In Italia, al laboratorio centrale delle Gabelle, il criterio di potabilità è basato sulle seguenti considerazioni: 264 E. CARAPELLE « Si può dire che un’acqua é potabile quando è limpida, senza culore, « senza odore, grata al gusto, fresca, e non contenga oltre un certo limite dei « varî principî disciolti. « Secondo i varî autori, i limiti entro i quali dovranno oscillare quelle « sostanze che sono sciolte nelle acque, e delle quali più si deve teucre conto < per giudicare della potabilità delle acque stesse, sono i steuenti : Per 100 litri « Ossido di Calcio, Ca0 gr. 11-12 « » di Magnesio, MO » sino a 4 « Anidride solforica, SO, i 3 02 10 « Cloro, Cl i » 023,5 « Anidride nitrica, N,0, » 0,4 2,7 « » nitrosa, N,0, » 0 « Ammoniaca, NH, » 0 « Residuo secco a 180° » 10-50 « Durezza totale esnressa in gr. fr. » 28-32 « Sostanze organiche (ossigeno consumato) » sino a 0,25 « Come si vede dallo specchietto suesposto un'acqua per essere potabile, < deve, in primo luogo, essere affatto priva di ammoniaca e di nitriti; non de- «ve poi contenere che piccole quantità di nitrati e cloro, nonchè piccolissime quantità di sostanze organiche (espresse iu ossigeno consumato per la sua « combustione). Si è appunto alle predette sostanze che si deve principalmente «badare prima di dare un giudizio sulle potabilità dell’acqua, perchè, ad on- « ta che esse siano di per sè affatto innocue, nelle piccole quantità in cni sem- « pre trovansi nelle acque, pure la-loro presenza nell’acqua dimostra che que- «sta fu od è ancora contaminata da materie organiche (acque. di fogne, sco- < li di Inoghi abitati ecc.) sarà quindi sempre da rigettarsi un'acqua che con- « tenga ammoniaca o nitriti, o sostanze organiche (oltre il limite); sarà da ri- « tenersi come sospetta un'acqua che contenga nitriti, o cloro oltre i limiti sta- « biliti, a meno che non si possa provare, in modo certo, che questi sali pro- « vengono dai terreni. « Anche la presenza di acido fosforico è indizio di contaminazione organica < delle acque. » (Villavecchia) A Più restrittive ancora sono le norme che vengono date dal Ministero di- Agricoltura, industria e commercio nel volume dei « Metodi Ufficiali per le ana lisi >. In essi infatti è detto: « Un’acqua è potabile quando è incolore ed inodore, ha sapore gradevole, « reazione neutra o leggermente alcalina, temperatura inferiore a 15°C. Non « deve contenere ammoniaca, nò acido nitroso; l’avido nitrico vi può, tutt'al più « essere in ‘piccole quantità. La quantità dei ‘elornri non deve oltrepassare i «mg. 35 di clor. per litro; in qualche caso speciale si può tollerare fino a mg. « 50 per litro quando l’acqua non presenta altri difetti. Il limite massimo tol- « lerato per le sostanze organiche espresso in ossigeno consumato è di mg. 2,5 SULLA QUESTIONE D®LL'ACQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 265 « di ossigeno per litro. La durezza (grado idrometrico) non deve superare i «30° francesi. Al VI congresso di Chimica applicata tenutosi in Roma il 1901 il crite- rio di potabilità fu stabilito sulle stesse norme sopra esposte. Ora questi concetti così restrittivi evidentemente non sono applicabili che- in parte e solo quando la presa ela conduttura dell’acqua sono state già fatte secon- do le norme dellaidraulica moderna, quando cioè la polla è stata convenientemen- te espurgata e protetta. L'esame chimico e batteriologico in queste condizioni sono sufficienti a stabilire se in atto l’acqua è inquinata oppur no, ma non bastano il più delle volte a farci prevedere la possibilità di un futuro inquinamento. Per risolvere questo punto importantissimo del problema delle acque bi- sogna segnire le vene idriche nei loro periodi di magra e di piena, bisogna co- noscere le variazioni di portata e di temperatura in relazione alle stagioni, bisogna sapere se si intorbidano oppur no in alcuni periodi dell’anno. special- mente al sopravvenire delle prime pioggie. bisogna sopratutto conoscere la na- tura geologica del terreno, e il suo uso nella porzione superficiale. Ben’altri sono i criteri che guidano gli igienisti nella scelta di nn’acqua quando si tratta dell’ analisi di campioni attinti a polle da allacciare. Queste analisi per lo più trovansi in aperta campagna, in esse vegetano tutte le specie di piante e vivono ogni sorta di insetti, in esse i fenomeni di disintegrazione e mi- neralizzazione delle sostanze organiche sono in continua attività e non è me- raviglia quindi che si riscontrino abitualmente tracce diammoniaca ed acido nitroso quantità più o meno rilevanti di sostanze organiche e nitrati. A vo— lerci attenere strettamente a quanto dice il Villavecchia, ed il codice diciamo così, dei metodi analitici ufficiali, queste acque dovrebbero sempre essere di- chiarate non potabili. In queste condizioni l’ esame localistico, lo studio della natura geologica del suolo sono quelle che fanno specialmente decidere della bontà della pol la, ed ecco come i dati orografici assumono ad una importanza massima, prin- cipale di fronte a quelli analitici. S'intende che si esclude la condizione che un'acqua possa contenere germi patogeni cosa che non ammette discussione sulla sua impotabilità. Come si vede adunque sia che trattasi di acqua già convogliata, sia che trattasi di sorgente da allacciare, gli sforzi degli igienisti souo diretti ad inda- gare la possibilità di un inquinamento, o dimostrarne la esistenza in atto. Lo studio dei caratteri: minerali contenuto di cloruri, di sali di calcio e magnesio (durezza) residuo secco ecc. contribuiscono solo a chiarire più o meno la natura 266 i E. CARAPELLE degli strati della crosta terrestre che l’acqua attraversa nel suo cammino. E a meno che non si tratta di acque minerali dotate di speciali proprietà tera- peutiche o conterenti sali di metalli tossici, l’igienista non mette ad essi che una importanza relativa. Da tutto ciò: « Si capisce facilmente che le cifre, costituenti i limiti, non sono una cosa « assoluta, ma rappresentono solo una guida generica, alla quale dovrà atte- « nersi chi avrà l’incarico di gindicare della potabilità di un’ acqua. « Alla deficienza di cotesti limiti ed ai casi speciali deve supplire il criterio « dell’analizzatore o dell’igienista, poichè il non essere potabile un'accna non « dipende dall’eccedenza di uno dei costituenti dal limite stabilito ma dal com- « plesso di tutte le sostanze, ovvero dalla fisonomia dell’acqua ». (Celli) È l'esame d’insieme dei risultati dell’analisi fisica, chimica, batteriologica e micrografica, dello studio geologico dei terreni, secondo la topografia della regione ecc. ‘che fanno stabilire della potabilità di un'acqua. E quindi si può ‘concludere con l’Ogier e Bonjan: < L'acqua destinata all’alimentazione dell’uomo non deve presentare al- « l'esame chimico fisico e microbiologico nessuno indice di inquinamento, non « deve contenere sostanze capaci di determinare disturbi in organismi sani; « deve essere gradita al gusto, inodore, limpida. Deve essere adatta agli usi « domestici ed avere una temperatura costante compresa tra i 5-e i 18° C. » Consideriamo ora l’acqua Presidiana di Cefalù in riguardo ai concetti so- pra esposti; ed innanzi tutto indaghiamone la storia: Il Baldacci (1) così si esprime: Presso il mare, ai piedi del promontorio di Cefalù, sgorga una copiosissima sorgente salina: la abbondanza dell’acqua è tale che non sene potrebbe attri- bunire l’origine alla sola acqua assorbita dai calcari della rupe di Cefalù, e il sno corso deve senza dubbio rimontare fino alle grandi masse calcaree delle Madonie. La presenza del sale nell'acqua stessa potrebbe spiegarsi attribuen- dola all’assorbimento di una certa quantità d’acqua marina aspirata traverso meati e fessure esistenti nel calcare per effetto del vnoto prodotto dalla rapi- da sorgente sotterranea. Tale spiegazione fu proposta dal Wibel per le sorgenti salate dell’isola di Cefalonia; e richiamata anche dai signori Canevari e Cortese per dar ragione delle sorgenti saline del Gargano. (1) Boldaccr — Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia-Roma 1886 p. 155. SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 267 E che l’acqua di Cefalù possa avere origine dalle Madonie lo dice anco- ra il Perrone (1) il quale parlando dei terreni terziari della Sicilia stabilisce la natura geologica delle rocce di Cefalù analoga a quella delle Madonie e ne spiega in modo evidente l’origine delle acque. TERRENI TERZIARII « Questi terreni in Sicilia hanno una importanza eccezionale specialmente «per i minerali che contengono è per le-acque che ne scaturiscono. Tre sono «i sistemi nei quali si dividono, l’Eocene, il Miocene ed il Pliocene, ed ognu- «no di questi si suddivide in varii piani ed anche in qualche serie speciale. « Focene. — Comprende tre piani: l’inferiore, il medio ed il superiore. « L'Eocene inferiore si presents sotto le segnenti forme litologiche, indi- « cate nell’ordine cronologico in cui si trovano, quando sono fra loro in contatto : «1° Calcare a grandi nummuliti, durissimo, qualche volta con noduli e «liste di selci, qualche ultra, ma limitatamente, con l'aspetto di tufo calcareo < conchigliare, friabile. « S'incontra nella Valle di S. Venera, presso Taormina, poi presso Alca- «ra Li Fusi, presso la serra Malopinta ed al monte Ucina di Galati, ala Boc- « cadi Cefalù, alle falde delle Madonie, fra Isnelloe Collesano ove è esteso e potente. Più « limitatamente affiora presso Termini Imerese, al monte Pellegrino di Paler- «mo, alla Montagna grande di Calatafimi, a Segesta al monte Erice di Trapa- « ni, alla Portella di Misilabesi, fra Sciacca e Sambuca, al monte S. Calogero «di Sciacca, le cui stufe sono in calcare, al Capo Passero, a Priolo di Sira- « cusa, ecc. « Risulta perianto che la rocca di Cefalù è della stessa natura di quella « delle falde dell: Madonie fra Isnello e Collesano. A proposito delle arenarie ed argille che si trovano tra il fiume Caro- nia e le Madonie, o delle argille sabbiose ed aronarie grossolane eoceniche che stanno tra il mare a Mistretta, che idrologicamente si comportano presso .a poco egualmente; l’ autore dice: « Solamente deve farsi cenno particolare di una massa di calcari compatti «di dne piani del Cretaceo, coperti in alto da altro calcare pure compatto, «ma eocenico, che costituiscono il monte o rupe di Cefalù, a fianchi in certi «punti a picco ed aripide pendici ovunque, declinanti bruscamente al mare. Le «tre varietà di calcari di questa rupe sono ideutici sotto l'aspetto idrologico «ed hanno un'importanza assai grande per varie sorgenti ai loro piedi, delle «quali sarà detto convenientemente in seguito. A pagina 345 si legge: « Dalle Madonie stesse provengono pure le acque delle sorgenti di Cefalù e queste in modo così oscuro a bella prima da richiedere qualche speciale cenno che dia ragione al fatto. Si noti intanto che nessuna origine misteriosa esse possono avere cioè nè da condensazione speciale di vapori nel seno dei monti, o da assorbimento (1) Perrone — Relazione pubblicata per mano del ministero di Agricoltura Ind. e Comm. Roma 1909-p. 30-345. 268 E. CARAPBLLE dagli strati profondi come qualcheduno propederebbe a credere perchè la loro portata fu da me trovata costantemente in relazione con le vicende meteo- riche e con i deflussi delle sorgenti di Scillato. Non avendo origine misteriosa debbono provenire da massi di rocce per- meabili non troppo lontane. Le più vicine di queste sonvi calcari della rocca di Cefalù ai cui piedi le acque scaturiscono; ma questi caleari hanno una superficie di kmq.. 0,7 appena cioè assolutamente insufficiente a tale ufficio perchè dovrebbero per soddisfarci assorbire non meno di m. 5 di pioggia all'anno, stesa su di esse ed anene poi perchè la loro massa è così erta, dirupata ed a profondi burroni, da non poter conservare a lungo la parte maggiore delle acque assorbite, le quali per il breve percorso sotterraneo e per la poca pro- fondità a cui scenderebbero dovrebbero avere la temperatura assai variabile il che non è. Nei dintorni della rocca di Cefalù non vi sono altre masse calcaree con superficie sufficiente per alimentare le polle sudette essendo assai inferiori alla bisogna tutti i piccoli lembi interposti. E perciò è duopo risalire fino alle Ma- donie ed attribuire a queste l’alimentazione delle sorgenti sudette. Lo stesso Perrone (1) nella carta iarografica della Sicilia, quando parla delle sorgenti di Cefalù si esprime in questi termini: Varie sorgenti di acqua mineralizzata nascono attorno e dentro la Città di Cefalù quasi lungo la linea litorale. Una. la maggiore, a metà circa dei tratto di tale linea che delimita il caseggiato, due a Sud, verso la stazione della strada ferrata, una a Nord verso il molo ed un’altra infine a quasi due chilometri di distanza, all’Est, nell’insenatura di Torre Caldura; tutte ai piedi di quell’ asprissimo monte calcareo che con le sue pendici dirupatissime, a picco per molti e lunghi tratti, sovrasta a levante la città e precipita al mare a mezzodì, rendendo la spiaggia irta di scogli e di massi rotolati; nel quale monte sembra quindi che abbiano origini le polle, Ze quali sono certamente bocche diverse di un medesimo sistema di circolazione sotterranea. 20. — FONTANA GRANDE ED ALTRE VICINE. La principale di tali sorgenti, detta Fontana grande è creduta di acqua salmastra, scaturisce entro la città, a venti metri dalla riva, in fondo ad un vicolo cieco, sotto un grande arco ed affluisce in parte, in stato ordinario, da quindici cannelle di ferro, alcune delle quali versano con veemenza e con un getto superiore a due litri al 1° ed altre più quietamente e con minore deflusso, mentre parte dell’acqua sfugge da aperture sul suolo. I deflussi si raccolgono in tre vaschette comunicanti, dalle quali/sottopas- sato il vicolo, sboccano in una specie di lavatoio in cemento a vaschette e canali, cve nasce una quantità d’acqua maggiore della prima, uniti alla quale infine passano sotto uw'altro arco e siscaricano nel mare fra scogli e pietrame. La seconda sorgente esce a giorno sulla riva del mare, presso le prime case, sulla marina, verso mezzodì, da sotto le mura di un vecchio edificio e l’acqua subito si perde nella sabbia della spiaggia, che in quel posto non è rocciosa. (1) Perrone — Carta idrografica d’Italia; Corsi di Acqua della Sicilia, Roma - 1909 p. 241. SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 269 Presso questa sorgente, tre metri più verso quella maggiore soprade- ‘scritta, una terza polla versa in egual modo un litro circa a 1°°. Quella a Nord infine, fra la grande sorgente ed il molo di Cefalù, versa ‘altri tre litri. 26.— ACQUA DI S. ANTONIO (PRESIDIANA) La sorgente fuori di Cefalù scaturisce pure sulla riva del mare nella insenatura fra S. Antonio e Torre Baldina, all’ Est della città e propria- mente presso la tonnara, oltre la punta di S. Antonio ove la riva ripiega nuo- vamente ad angolo retto per riprendere la direzione di levante. a Consta di una vena che esce da una larga ed alta fessura della roccia a pochi metri dalla riva. Un tempo l’acqua era rialzata per mezzo di un muro di cinta. ancora esistente, ma abbastanza deteriorato e passava a mrovere un molino, del quale rimangono gli avanzi. Ora si raccoglie egualmente nel recinto artificiale, ina ne sfugge da due aperture a livello del suolo: a fianco del recinto una cannella di ferro, reliquia di una fontana, versa un terzo di litro al 1° L’acqua delle varie sorgenti descritta hatemperatura variabile da 15° a 16° 25° e propriamente di 15° 4 nella Fontana Grande, a lavatoio, entro Cefalù 16° 25 nelle polle esterne sulla spiaggia della Città stessa e di 15° nella polla di S. Antonio a Torre Caldura (Presidiana). I deflussi variarono notevolmente di epoche diverse; e così mentre nell’anno 1987 e nell’inverno del 1908, nella Fontana Grande le quindici cannelle versavano complessivamente mc. 0,015 al 1°, il 20 Novembre 1908 dieci di esse non versavano affatto, dne goccio- lavano appena e le altre tre davano meno di un quarto di litro ognuna. I deflussi totali delle varie polle misurati in mesi ed anni diversi sono i seguenti : 9 3 È ° È UE Ca ERRO ER Sg dae EST EROS ESTESO HSE | j9s | =S8 | NSd | S3g ; aq ba) d N 3 Sorgente presso la riva del mare venendo dalla strada ferrata. . . . . . . . .| 0009 0,010 0,005 0,005 0,004 ‘Sorgente a lato della precedente . : . .| 0,002 0,002 0,001 6,001 0,001 Fontana grande entro Cefalù . . . . . .| 0,147 0,150 0,110 0,100 0,085 Sorgente sulla riva, fra la fontana grande clamore ene e 0008 0,004 0,002 0,002 0,002 Sorgente S. Antonino, a levante di Cefalù, nell’insenatura di torre Caldura (Presi- diana) . On ee iO 004 0,045 0,020 0,016 0,014 270 b. CARAPELLE Il sapore dell’acqua è qualche volta differente nelle varie sorgenti, e cioè buono con lievissimo accenno a mineralizzazione nella seconda e nella terza sorgente quelle, sulla spiaggia, quando la loro portata è nel colmo: più deci- samente minerale in magra. Lo stesso è della grande Fontana entro la Città, detta salmastra e creduta medicamentosa. L’analisi chimica svelò ia queste acque la presenza di cloruri e solfati in proporzioni non molto forti, ma tali put tuttavia da renderle non perfet- tamente a:/e agli usi domestici. Dal fin qui esposto risulta che le acque di Cefalù si originano quasi cer- tamente dallo Madonie. La falda idrica forse, man maso che si avvicina all’abitato, ed anzi sotto l’abitato stesso, va suddividendosi in tante piccole vene che poi appaiono in riva al mare a poca distanza l una dall’ altra. Gli autori citati hanno argomenti per dubitare che le acque in parola sieno mescolate ad acqua marina, e così principalmente spiegano la grande quantità di cloro ché esse contengono; io non metto in dubbio che ciò possa verificarsi, ma per la sorgente Presidiana da me analizzata forse questa spe- ciale condizione, non può invocarsi. Infatti se il cloro dell’acqua Presidiana avosse in massima parte origine marina, avrei dovuto trovare in un litro d’acqua quantità «i bromo più signi ficante delle tracce da me notate. Da questo punto di vista la provenienza di tanto cloro, non potendo es-- sere fecale, per la mancanza dei fosfati esistenti devesi ritenere almeno in massima parte di origine geologica. Ma su questo argomento ritornerò in seguito. Delle numerose acque sgorganti dalla roccia di Cefalù non ne fn fatto esame che di due: quella così detta Presidiana e quella così dotta Fiume o. Fontana grande. L’acqua Presidiana è stata esaminata da me, l’altra è stata esaminata dalla Farmacia militare dell’85° fanteria il 350 Agosto 1910; inoltre dall’ufficiale sa- nitario di Cefalù Dott. Pernice poi fu consegnata relazione di unesame chimico di acqua eseguita in Roma nei laboratori della sanità del Regno, in data 12 febbraio 1892, rimessa al comune col foglio n° 1334 ove però ètceccato il nome dell’acqua analizzata. I risultati analitici sono qui sotto elencati: SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA: PODABILE PER IL COMUNE DI GEFALÙ bLSESA ME: CHIMICO 271 PON Durezza totale in g. f. E perttanente Gre i temporanea . Residuo secco a 110° per 1000 18=8, 4 » da. 0 1,570 Presidiana :W (Carapelle) (laboratori della. (sanità Caratteri organolettici Odore . inodore = Colore . incolore Li '-Sapore. «« molle dra Caratteci fisici ‘“bWemp. èsterna . 18° citò "Temp. acqua 15° a Caratteri chimici Reazione . legy. alcalina SEA -Amuoniaca-(NH°) tracce assento Nitriti (N°0*) . ;nrvassento assento “2° Nostanzesorganiche per1000. 0,0076 0,026 Glero (cl) per: 1000 . '0;6425 0.59 Cloruri (NaCl) per 1000 . 1,0588 pei - INitrato ‘(N205) per! 1000. 15 00032 È A di “- Solfito'(SO*) per 1000 20,0678 abbondanti Fostato (P°O°) per 1000 . . assente abbondante Calce (CO) per 1000 — abbondante Magnesio (Mg0) per 1000 - tene Bromo (Br) per 1000 . tracce minime 498=27,8 gt ESAME BATTERIOLOGICO =-' Germi per C°C° . INT e SI fondenti patogeni anaerobi Fiume (farmacia, militare) inodore limpido normale neutra , assente assente :, 10,002 » :0,603 +) 0,003 10 @_ © Le. TS Specie e sarcine 272 È E. CARAPELLE Se paragoniamo l’acqua x a quella Fiume forse possiamo venire alla con- clusione che la prima sia la stessa della seconda. Infatti i cloruri e la durezza danno dei valori molto viciri, lo stesso di- cesi per le sostanze organiche per le quali a mio avviso deve esservi mm er- rore in quanto: o il 0,002 dev'essere 0,02; o il 0,026 dev'essere 0,0026 ciò che è più verosimile, a meno che non si tratta di peculiari condizioni al momen- to della presa del campione, ciò che del resto non infirma il mio sospetto che l’acqua analizzata alla direzione di Sanità sia l’acqua Fiume. Altri dati da prendere in esame nelle dne analisi non ne abbiamo, perchè nei campioni esaminati alla Sanità, i nitriti, i solfati, i fosfati, il calcio ed il magnesio furono ricercati qualitativamente, non furono ricercati invece nell’a- nalisi fatta dalla farmacia militare. Il residuo secco che può darci l’idea com- plessiva della mineralizzazione dell’acqua manca in entrambi le analisi. E su questi dati ecco il giudizio che si emise: 1 Dal laboratorio della Sanità : « L’acqua in esame, dal lato chimico è da ritenersi impotabile per l’ecces- « siva durezza e ricchezza in cloruri, solfato. fosfati e nitriti ». Dalla farmacia dell’ 85° fanteria : « L'acqua in esame non presenta segni manifesti d’inquinamento, però per «la soverchia durezza (abbondanza di sali alcalino terrosi) e Ja quantità ecces- « siva di cloruri non può considerarsi come nna buona acqua potabile ». Tanto l’analista del laboratorio di sanità quanto quello della farmaci Mi- litare dunque per dichiarare impotabile l’acqua pare si appoggiano su due dati specialmente: e cioè sulla eccessiva durezza e sull’abbondanza dei cloru- ri, mettendo in secondo ordine i fosfati e le sostanze organiche. Ora per quanto si sa nè l’una condizione (durezza eccessiva) nè l’altra (abbondanza di cloruri) presa in senso assoluto sono tali che possono far di- chiarare impotabile un’acqua quando in un centro abitato non si dispone di meglio. Pinttosto qui la considerazione che l’acqua Fiunnre passa sotto l’abitato, e che lungo il suo percorso si aprono ben 25 pozzi tutti comunicanti quegli a monte con quelli a valle, è la sola l’unica la principale condizione per cui que- st'acqua non potrà mai essere usata a scopo potabile, e ciò lo dimostra anche. il rapporto fra cloruri, sostanze organiche, fosfati cui si aggiungono a comple. mento eccessivi nitrati e solfati complesso di cose che se rileva un alto potere di antodepurazione, indica che un inquinamento vi è e questo non può origi- narsi che col sottosuolo dell’abitato. SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 273 L’acqua Presidiana in breve ai dati su riferiti devesi considerare come differente dalla Finme ? Forse la mappa sarà unica, ma il ramo di Presidiana si discosta subito dal grosso della rimanente acqua. La durezza, ed i cloruri, lo indicano chiaramente. I risultati dell'esame batteriologico, e tutti i dati dell'esame chimico senza tener conto dell’ammoniaca delle sostanze organiche e dei cloruri de- pongono per un'acqua potabile. L’ammoniaca e le sostanze organiche possonoessere il frutto di inquina- menti occasionali per l'abbandono in cui è tenuta la sorgiva tanto più che tra l’ammoniaca ed i nitrati non si trovano i nitriti che costituiscono i termini di passaggio e quindi possono nou essere presi in considerazione; non si può dire lo stesso per i cloruri. Possono questi ultimi essere condizione di impotabilità di un'acqua? Se fossero di origine fecale non vi sarebbe discussione sul riguardo: ma. a me pare che essi sieno in massima parte di origine geologica e che in pic- cola parte (in relazioni con i nitriti effettivamente un poco eccessivi) rappre- sentino il risultato attivo di un’energica ossidazione delle sostanze organiche. Ed ecco quello che dicono 'Ogier e Bonjean a proposito dei cloruri: « La présence des chlorures dans l’ean n’offre pas d’incgnvéniguts, si ces < chlorures ont une origine naturelle, s'ilsviennent dn sol traversé. Il arrive « souvent, par exemple, dans les régions voisines de la mer ou dans les puits « artésiens, que les doses dechlorurede sodinumdans les eaux sont assez éle- «vées. Sauf dans ces cas un pen exceptionnels, la proportion de chlore dans «les eanx de bonne qualité estpenélevée. Une dose fort peut étre un indice « de suillure par desinfiltrations d’urine, on de matéries fécales; l’urine renfer- «me, comme on sait, environ 13 p. 1000 de clorures alcalins. «Il n’y a donc pas de limites à fixer sur les proportions de clorure de « sodinm dans l’eau et l’on peut admettre jusqu’à i gramme de chlorure de « sodinm sans inconvénient pour la santè publique. Sous ce rapport nous a- «vons dejà cité comme exemple les villes d’Eu, de Tréport, de Mers qui sont _<« alimentées par l’ean d’une mappe artésienne sferile et trés pure renfermant « environ 1 gr. de chlorure de sodium d’origine géologique ». L’acqua Presidiana quindi per queste semplici considerazioni potrebbe es- sere dichiarata potabile, se nonche l'ufficiale Sanitario dott. Pernice vi si op- pone per le seguenti ragioni: 1° Cefalù di acqua mineralizzata ha grandissima abbondanza. Di essa la gran maggioranza dei cittadini si serve per uso potabile, in mancanza di altre acque chimicamente buone. Quest'acqua scatnrisce alle falde della roccia in polle di grossa portata nelle quali ordinariamente attingono tutti quelli che non hanno pozzi. 274 E. CARAPELLE Questi ultimi sono circa duecento — Una piccola parte della cittadinanza si serve di tre meschine fontanelle, dove l’acqua, di buona qualità, arriva dalla vicina campagna. — Tutti i Cefalntani poi in caso di malattie non fanno }iù uso dell’acqua mineralizzata, e per consiglio dei medici, bevono l’acqua delle fontanelle. Ora il volere condurre in Città l’acqua di Presidiana non risolverebbe il problema sanitario ed il paese, dopo una forte spesa resterebbe allo stato primitivo. 2° Credo che la principale ragione per cuni le acque di Cefalù sono state dichiarate impotabili sia riposta principalmente nella eccessiva quantità di clornri che esse contengono. Se ileloro ha origine dal mare si deve ammettere come certo che un bacino di raccolta deve esistere sotto Cefalù, a fondo più basso del livello del mare, e che in questo bacino affluiscano le acque dolci e le acque marine. Ma in questo caso oltre al cloro nell'acqua in esame si dovrebbero trovare anche tracce di bromo. Se questo fatto fosse accertato, allora le acque di Cefalù, in tempi di epidemia, specialmente colerica, sarebbero addirittura pericolose, perchè nella spiaggia del mare sboccano tutte le pubbliche fogne; se il cloro invece non proviene dall'acqua del mare si deve ammettere che le acque nel loro percorso o nei serbatoi siano in contatto con altri minerali, che lo contengono, e specialmente con banchi di sal gemma. 5° L’acqua di Presidiana pur essendo lontana un chilometro circa dall'abitato è una diramazione di un’unica massa d’acqua che possibilmente si raccoglie nel sottosnolo della Città. È un'ipotesi, ma certo nessuno potrà dimostrare che quest’ipotesi non sia attendibile. 4° Se l’acqua di Presidiana proviene dal settosuolo della Città gli in- quinamenti di essa sono più che possibili.. In città difatti vi sono 200 pozzi mal costruiti, vicinissimi a fogne pub- bliche e private, privi di chiusura o tenuti sempre aperti. Questi pozzi, la maggior parte, si trovano in magazzini, in stalle, dove non esiste pavimen- tazione. L’acqua vi si attinge con secchi mobili, raramente con pompe. Que- sti pozzi inoltre sono in comunicazione con le sorgive grosse. Inquinata l’ac- qua di un pozzo si può ritenere inquinata l’acqua della più vicina sorgiva. . 5° Nelle epidemie di Colera del 1837, 1854 e 1867 Cefalù, appunto per la cattiva qualità delle sue acque, e per l’inevitabile inquinamento dei pozzi vide sviluppare la nualattia in modo così subitaneo e la vide diffondere in modo così rapido, che i racconti dei superstiti fanno ancora rabbrividire. Ora dopo una esperienza così dura si vorrebbero lasciare le cose come nel passato, aggiungendo per l'alimentazione idrica della Città l’acqua di Presi- diana, che nessuno può assolutamente affermare non provenga pure essa dal sottosuolo della Città. 6° Quest'acqua di Presidiana si dovrebbe elevare con pompe. Ebbere nello stabilimento dovrà risiedere un personale composto di macchinista e fuochista. In esso avranno accesso carrettieri, barcaioli. facchini per il tra- sporto del carbone ed altro occorrente per le macchine. Quanti accidenti imprevedibili possono determinare l’inquinamento di quelle acque? Non sono esso a portata di mano? si potranno assolutamente chiudere ed evitare con- tatti ed infiltrazioni? 7° Alla sopraelevazione delle acque di Presidiana si potrebbe pensare nel caso soltanto che nelle vicinanze della città non vi fossero altre sorgive d’acqua sotto ogni punto di vista eccellente. SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA POTABILE PEL IL COMUNE DI CEFALÙ 275 Queste sergive che migliorate potrebbero dare circa 10 litri d’acqua al m.° sono ‘poco distanti dalla città e scturiscono a duecento metri sul livello del mare, in Inogo incolto e lontano da case abitate. Un progetto di couvogliamento di tali acque fu fatto parecchi anni ad- dietro. Fn approvato dal Consiglio Comunale, dal consiglio provinciale, dalla Giunta Provinciale e dal Consiglio di Prefettura, ed oggi per ragioni che a me non compete di rilevare, quel progetto si vuole abbaudonare. 8° Or dovendosi, per ragioni che è meglio tacere, abbandonare il progetto già studiaio, l’unica via da scegliere sarebbe quella di studiarne un'altro, che proponga lo scopo di portare a Cefalù un'acqua che superi la quantità di litri dieci al m.”; acqua chimicamente potabile e batteriologicamente scevra di qualunque pericolo. Questo scopo si potrebbe o*tenere convogliando le acque di Collesano. La spesa, qualunque sia il prestito che si voglia contrarre, sarà sempre limitata ad un certo numero di anni e giammai perpetua come quella dipendente da un macchinario a vapore. Riguardo alla prima obbieziona essa concerne l’acqua Fiume e non quella Presidiana che presentemente pare non attraversi il sottosnolo abitato. Riguardo all’origine dei cloruri ho detto che la mancanza di fosfati e di grande quantità di sostanze organiche mi fanno escludere l’inquinamento feca- le, la piccolissima quantità di bromo mi fa escludere del pari l’origine marina, essi quindi sono di natura geologica e vanno giudicati con il criterio esposto di Ogier e Bonjean. Le obbiezioni 3* e 4%. formulate come una ipotesi, sono ammesse anche da me ed hanno effettivamente un gran peso nella questione. Sono quelle che lo decidono e di esse me ne occuperò in ultimo. La quarta obbiezione riguarda principalmente l’acqua Fiume. La 5° obbiezioue non ha valore in quanto l’ idraulica moderna possiede mezzi per sopraelevare le acque pur garentendole assolutamente da ogni iu- quinamento. Riguardo alle ragioni esposte nel 7.° e 3.° capoverso ne parlerò dopo avere risolto il problema: devesi l’acqua Presidiana usare a scopo potabile ? Le ragioni cho mi inducono a dichiarare nou potabile l’acqua Presidiana, non risiedono tanto nell'analisi chimica e batteriologica, quanto nella storia dell’acqua stessa. Dal lato batteriologico l’acqua è buona, dal lato chimico è tollerabile, ma donde viene quest’acqua ? Per me essa si differenzia dalla Fiume fuori dell’abitato, ma questa è una ipotesi e potrebbe differenziarsene anche sotto dell’abitato stesso; basterebbe questo solo dubbio per farla escludere dall’ uso potabile, e poi essa fluisce non lontano dal centro abitato. La città di Cefalù tende a maggiormente svi- 276 E. CARAPELLE x lupparsi, non potendosi estendere che solo lateralmente, avendo di fronte il mare, a tergo la montagna, finirà col tempo per far sorgere le abitazioni proprio sul corso Presidiana realizzando quelle stesse condizioni che esistono oggi per l’acqua Fiume. Ora è evidente che l’igiene non può assecoudare si- mili opere quando il problema dell’ acqua con lieve sacrificio può trovare altra e migliore risoluzione. Una prima ricerca di acqua per Cefalù fu fatta dallo stesso ing. Perrone ed ecco egli come egli ne riferisce : La non eccellente qualità dell’acqua ed anche la depressa posizione delle pelle, quasi in riva al mare, indusse il Municipio di Cefalù a ricercare sorgenti d’acque più buone e ad alta quota, per incondottarle. Te ricerche però non ebbero splendido esito, sebbene non possano dirsi fallite, poichè fu trovato un gruppo di sorgenti a tre chilometri dalla città, nella valle ghe scende dalle serre, con la portata ordinaria complessiva di 8 e con un deflusso di magra ord.naria di litri cinque. Sen onchè il 12 ottobre 1908, dopo la lunga e straordinvii: +i>:ità tanto nota, i deflussi parziali erano ridotti, secondo misure dell’ing. Tebaldi, ai seguenti valori, esposti al pubblico con nun manifesto affisso alle mure della città. Sorgente Dragonara grande Litri 2,22 al 1” » » piccola » 0,23.» » Vicenda e Mandorla amara » 0,43. >» » Celuzzo e Punzone Dio Totale Litri 2,99 al 1” ossia 250,000 litri circa ogni ventiquattro ore, pari a litri diciassette per abitante. Questo deflusso totale è certamente alquanto modesto, ma considerate le tristi condizioni presenti, ncn sembra a me così piccolo poi, da far abbandonare il progetto, tanto più che la magra del 1908 devesi considerare come un av- venimento assolutamente straordinario; ed in ogni caso converrebbe contrapporre un progetto migliore. Rececentente l’ing. De Serra per ordine del ministero si è recato a studiare in Cefalù le stesse acque su riferite, ed ecco quanto egli dice vella sua relazione: Per seguire l’accertamento della quantità d’acqua della sorgiva per laproget— tata conduttura comunale per C-falù, giusta l’incarico conforitomi dalla S. V. Ill.ma con lettera 25 Novembre n. s. 20179/31328 mi son recato nella loca- lità, dopo aver preso cognizione delle notizie concernenti lo stato di quella; pratica alla Regia Prefettura di Palermo. Il giorno 1 del mese corrente ho eseguito la misura delle sorgenti che scaturiscono nei Valloni Celuzzo e Dragonara, per la derivazione delle quali è stato redatto un importante e dettagliato progetto tecnico dal Signor Ing. Pernice, col precipuo scopo di adibirle ad uso potabile e sviluppo di energia elettrica per l’illuminazione cittadina. In dette constatazioni fui coadiuvato efficacemente dell’Assessore Sig. Ing. Salvatore Culotta e dall’Ing. Comunale Salvatore Ranzino. La portata delle singole sorgive fn misurata col sistema diretto, che si Ta SULLA QUESTIONE DELL'ACQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 277 ‘conviene praticamente il più adatto. specie quando trattasi di piccole portate, ed ha inoltre il vantaggio di poter essere verificato facilmente da qualunque persona, non esigendo calcoli speciali. î Si nota ancora che per la misurazione ci serviamo dei recipienti apposi- tamente costruiti per i presenti rilievi. avendo cura peraltro di farne il con- trollo velumetrico, sempre per via diretia a mezzo di altri recipienti campio- nati e bollati regolarmente. Nell’atto delle misurazioni, il TEMPO fu registrato mediante Cronografo a secondi indipendenti. I risultati delle misure ripetutamente vseguite sono i seguenti : 1°) Sorgento DRAGONARA GRANDE (Temperatura 15 gr. cent.) Un recipiente della capacità di litri 115,50 effettivi si è riempito in 43 litri 115,50 minuti secondi, per cui la portata risulta = 437 = litri 2,686 a 1” 2°) Sorgente DRAGONARA PICCOLA — Un recipiente di litri 10,00 effettivi, si 5 litri 10 DARE ; è riempito in 65°: portata gg. | litri 0,154 a 1” 3°) Sorgente VICENDA. — (Temperatura 16 gr. cent.) — Un recipiente di litri _ litri 20,00 2 effettivi si è riempito in 37”: portata 97” —= litri 0,940 a 1”. 4°) Sorgente CELUZZO — Un recipiente di litri 10,00 si ‘è riempito in 82° portata I litri 6,12 a 1” 5°) Sorgeute PUNZONE. -— Un recipiente c. s. si è riempito in 148”: portata N noi 148” RIASSUNTO DELLE PORTATE 1° ) Sorgente DRAGONARA GRANDE... litri 2,686 a 1” 200) de IDRAGONARARPIOCOLANRI II OO » 0,154 > OZ: VICENDA >» 0,540. » 40S)gnido CELUZZO RAEE e (OI DO), (dd. RUNZONE OI » 0,067 > In totale litri 3,569 a 1” pari a 318,56 metri cubi in 24 ore. Le portate parziali corrispondono quasi esattamente a quelle misurate dal Sig. Ing. Del Buono in altro periodo di magra ordinaria, nel Settembre 1892, ‘come si desume dalla relazione in proposito esistente negli atti Comunali. Il deflusso. minimo di queste sorgenti si riduce ancora dell’altro su quello delle magra ordinarie. Infatti nella memorabile siccità del 1908 (che ben conosciamo, essendo stata generale in Italia) fu constatato che la quantità d’acqua complessiva delle cin- que sorgive, si ridusse a circa 3 (tre) litri 1”, e cioè mezzo litro in meno della portata ordinaria di magra. Con la derivazione di queste acque, teuendo conto del loro rendimento to- tale in tempo di magra ordinaria, i cittadini di Cefalù potrebbero usufruire di nna dotazione d’acqua giornaliera individuale dì litri 20.55 ritenendo che la popolazione possa raggiungere nel complesso i 15 mila abitanti. ‘278 E. CARAPELLE E quando anche si verificassero le condizioni desiderate, di poter cioè e- levare la resa de le sorgenti, praticando estese opere di fognatura e di drenag- gio nelle sponde dei valloni dove si manifestano le acque, è da ritenersi che per la limitata estensione del loro bacino imbrifero, il risultato non potrebbe essere tale da raccogliere la quantità d’acqua occorrente a soddisfare le esigen- ze igienico-sanitarie del centro abitato di Cefalù, sede di vari uffici pubblici, fra cui, impurtantissimo, il Distretto Militare. É del resto convinzione generale di quella cittadinanza che per una re- golare fornitnra di acqua potabile, quantunque non sia necessario raggiunge- re la quota massima riservata ai grandi centri, dove il consumo dell’acqua— specie per i pubblici servizi è necessariamente maggiore, si debba peraltro: provvede. e ai bisogni individuali e collettivi della città in modo sufficiente stabile senza tema di sorpri se avvenire. É noto invero che lo sviluppo costante delle esigenze igieniche, apporta un graduale aumento di consumo d’acqua, assicurando sempre il benessere generale. Il problema va dunque risoluto in via decisiva, con la derivazione di nua quantità d’acqua sufficiente ai bisogni immediati ed in previsione di quelli che si andranno a svilluppare in segnito alle migliorate condizioni igieniche. In quest'ordine di idee Amministrazione Comunale di Cefalù non potrà che abbandonare il desiderio di raccogliere l'elemento salutare dalle sorgive del proprio territorio-tutte minutamente esplorate-sia perchè prese isolata- mente sono di portata modesta, sia per l’impossibilità di riunirle nella qnan- tità voluta e convogliarle con spesa proporzionata alla potenzialità economi- ca del Comune. Le acque locali seguiteranno perciò a sopperire ai bisogni della sparsa popolazione rurale, all’irrigazione di orti e giardini, e con le piccole forze a animare i numerosi molini che per quanto rudimentali rendono-in mancanza di impianti migliori-incontrastati servigi pubblici. Nell’intento di risolvere una buona volta l'annosa questione della f>rni- tura di acqua potabile, l’Amministrazione Comunale di Cefalù si è proposto lo studio di due differenti soluzioni e precisamente : 1°-il sollevamento meccanico delle acque della sorgente Presidiana : 2°-la derivazione a pressione naturale di porzione delle acque della sorgente Favara di propietà Eredi De Maria, in territorio del Comune di Collesano. ACQUE DELLA SORGENTE PRESIDIANA Aderendo al desiderio espresso dal Sig. Sindaco, Cav. Musso, il sotto- scritto nel giorno 2 corrente ha misurato la portata di questa sorgente, la quale sgorga all’est dell’abitato, da una fessura della roccia calcarea quasi in riva al mare e poco al disopra del livello: di questo, in modo da essere invasa dalle acque marine nei periodi di moto ondoso. Per il rilievo della portata si è fatto uso di una luce a stramazzo libera, dove il battente prima della chiamata risultò di metri 0,083 sulla soglia della larghezza di metri 0,50. Essendo la contrazione completa e senza velocità di arrivo, in . applica- zione della formola Q= jp e si V 2g H dove fu ritenuto il coefficiente d’efflusso p=0,39 e 1’ acceleramento della SULLA QUESTIONB DELL’AQUA POTABILE PER IL COMUNE DI CEFALÙ 279 gravità = 9,8 si è dedotto che la portata della sorgiva era in quel giorno di metri cubi 0,1237 a minuto secondo, corrispondente a me. 1068,77 in 24 ore. Questa quantità, che può ritenersi di magra minima, rappresenterebbe una giusta dotazione per l’abitato di Cefalù. Il deflusso di questa sorgiva-come è notato nella interessantissima pub- blicazione dei corsi d’acqua della Sicilia, compilata per incarico del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio dall’illustre Ing. Comm. Perrone-varia molto sensibilmente e nella portata magra suddetta giunge ad avere un colmo di 45 litri a secondo. Essa accenna al sapore minerale, che diventa più decison el periodo delle magra, al pari della grande Fontana cittadina detta salmastra e creduta me- dicamentosa. Il Municipio sta provvedendo ai lavori preparatori per un razionale pre- levamento di campioni onde sottoporre le acque di Presidiana alle analisi chimica e batteriologica, che sarebbe opportuno fossero esegnite dai Labora- tori della Sanìtà Pubblica del Regno. Il risultato di queste sarà per dare il giudizio definitivo sulla potabilità o meno di quelle acque. In caso di risultato positivo, si potrà studiare la convenienza economica di sollevare meccanicamente per poterle distribuire in Città. AcQue Di CoLLESANO —- SORGENTE FAVARA La distribuzione delle acque della Sorgente Favara che scaturisce nel territorio del Comune di Collesano, è stata anch’essa oggetto di conferenza col prelodato Sig. Sindaco che ha dilingentemente raccolto gli elementi prin- cipali che riguardono questa come possibile soluzione, anzi la più radicale, per l'acquedotto di Cefalù. La sorgente Favara ha una portata di 51 litri a minuto secondo scaturisce alla quota di 450 metri sul mare, ed è stata dichiarata potabile (1). Parte di essa infatti trovasi attualmente incondottata a beneficio degli abi- tanti del Comune di Campofiorito. Per l'acquedotto di Cefalù, occorrerebbe prelevare dalla sorgente Favara la quantità di litri 12 a 1”, pari a metri cubi 1036,80 nelle 24 ore, allo scopo di costruire la giusta dotazione giornaliera per individuo di litri 69,07 rite- nendo sempre che la popolazione agglomerata raggiunga i 15 mila abitanti. Da un preventivo sommario redatto dal sottoscritto su dati sperimentali di costruzione, risulta che la somma da stabilirsi per lo impianto di nn acque- (1) Portata. Essa può ritenersi di una media minima di litri 50” e di una massima di litri 66”. Da tale quartità il Comune di Campofelice ne ‘ha edotto soltanto litri 3” valutati e pagati in L. 13800. (2) Analist. Per ogni litri residuo a 150 gr. 0,2950 cloro gr. 0,0177, acido nitrico (N 2 05) 0,0007 sostanze organiche in ossigene consumata, gr. 0,0004, ammoniaca gr. 0,000, acido ni- troso gr. 0,000. Tale analisi fu eseguita dal gabinetto chimico municipale di Palermo, e dimostrala po- tabilità dell’acqua. i Dopo avere risposto categoricamente a tutto quanto V. S. ha richiesto, mi permetto farle osservare che non è possibile la conduttura dell’acqua suddetta in Cefalù perchè oltre la espropria di essa, bisognerebbe pagare il danno che riceverebbero i rivierani, per i numerosi e vegeti giardini, che essa irriga. 280 E. CARAPELLH dotto completo, compresa la distribuzione in Città ed un Serbatoio della capa- cità di 1000 metri cubi (da costruire in galleria nolla roccia calcarea che so- vrasta l’abitato), può raggiungere un massimo di . . . . . L. 520.000,00 Aggiungendo a questa somma la spesa occorrente per l’acquisto dell’acqua, imposizione di servitù di acquedotto, CECACHORSINPEESU ICROM RR » 80.000,00 si ha un totale di . . . +. _L. 600.000,00 che O la spesa ‘per la derivazione di 12 litri equivalente al costo unitario di L. 50.000 per ogni litro d’acqua a minuto secondo distri- buita in Città, prezzo proporzionato ai benefici da ritrarsene, ed inferiore a quello medio normale risultante in impianti consimili. Nello studio del problema dell’acquedotto, l’accorta.Amministrazione Co- munale di Cefa.ù saprà ben valutare la responsabilità che va ad assumere, e la soluzione prescelta dovrà essere affidamento sulla riuscita dell’opera che rappresenta il più alto interesse cittadino. Quanto dicono il Perrone ed il De Serra è in disaccordo con quanto af- ferma il Perrone nel capoverso 7.° della sna relazione solo, sul valore della portata complessiva. Però bisogna convenire che, per un certo abitato di 14518 abitanti come è quello di Cefalù anche una portata di litri 10 a 1” (ammessa ‘dal Pernice) e che forse si avrebbe nei periodi di massima piena è insuffi- ciente poichè assegna litri 59 di acqua per abitanti senza lasciar margine per gli altri usi civici—(spegnimento di incendi, inaffiamento, bagni, ospedali. pulizia degli animali ecc). È da sperare quindi come si angura lo stesso Dott. Pernice nel capo- verso 8.° della sua relazione che le acque da convogliare in Cefalù siano scelte tra quelle affioranti nel territorio di Collesano. Del resto è dovere di ogni comnne civile fornirsi di buona acqua po- tabile ed a qualunque sacrificio rappresentando l’acqua uno dei principali fattori del benessere dei cittadini. REVEAIR Rs, pont N Bea (I! NA 9 grane sa Men: DTA vi VENNE sui VENI Sull’Oligocene dei dintorni di Campofiorito O in provincia di Palermo. per G. CHECCHIA-RISPOLI PARTE GEOLOGICA La formazione oligocenica, della quale ci occupiamo in questo lavoro, è compresa nel territorio di Campofiorito, a sud-est di questo paese, i cui din- torni sono tanto importanti geologicamente. Essa è situata tutta a sinistra della strada rotabile Corleone-Campofiorito, la quale si svolge quasi interamente sulle arenarie verdi, con calcari, ricche di /f/0/#, del Miocene medio, ed in parte sulle arenarie giallicce e sni conglomerati del Miocene superiore. Poco prima di raggiungere l’abitato di Campofiorito e là proprio ove la strada si piega verso questo paese, subito presso il ponte sul torrente Can- nitazzo, si presenta il deposito oligocenico, il quale si estende per le regioni Scorciavacche, Giardinello, Balatella e parte del Piano delle Giumente. Tale deposito è continuo e ben delimitato soloverso N. e S. Quivi il con- fine è dato dal sovrapporsi della formazione miocenica a quella oligocenica. Il Miocene è costituito ivi da strati di molasse e di argille più o meno sab- biose, con abbondanti intercalazioni di calcari a Lepidocyelina. Ho già scritto altrove che il torronte Balatella, scorre precisamente lungo il limite delle due formazioni. (1). Più difficili sono a stabilirsi i confini verso S. ed O. per la grande .so- miglianza litologica che i depositi oligocenici hanno non di rado con quelli sottostanti del Titonico, a cui vanvo a sovrapporsi. (1) Checchia-Rispoli G. — Osservazioni sul Miocene medio di alenne regioni della Sicilia oc- cidentale (in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, IV Rinnione—Napoli. 1910) 1911. 282 G. CHECCHIA-RISPOLI I terreni, che qui esaminiamo, si elevano, sul piano delle Ginmente, a circa 900 metri sul livello del mare e risultano di strati le©germente incli- nati,i quali generalmente pendono a Sea SE.Qua e là però tali sirati si mo- strano variamente contorti e ripiegati ed offrono esempi di bel'e pieghe, come quelle che si osserv:no lungo la /razzera Prizzi-Campofiorito. Generalmente l’inclinazione degli strati è di circa 20°, come sopra il ponte di Giardinello; però in alcuni punti è di circa 30°, come in regione Balatella. I caratteri litologici dell’ Oligoce ne, che raggiunge una potenza di circa .200, sono, specialmente nella parte superiore, somiglianti a quelli dell’Eo- cene su periore, quando questo è rappresentato dai calcari marnosi a fncoidi. Si tratta cioè di un complesso di marne bianchicce e giallicce alternanti con strati di una breccia o brecciuola calcareo-marnosa più o meno tenace e facilmente disgregabile nelle parti esterne, ricca di fossili. Nella porzione in- feriore predominano i calcari duri, marnosi, bianco-giallognoli o bianchi, in strati molto regolari, talora spessi, separati da straterelli più scistosi e mar- nosi. In questo caso a prima vista essi potrebbero essere confusi con quelli del Titonico immediatamente sottostanti, anzi noi crediamo che la grande so- miglianza litologica di quei due depositi così differenti per età, è stata la ra- gione per cui sulla carta geologica venisse segnata anche come titonica parte della formazione di cni ci occupiamo. Il Titonico però è molto sviluppato ne- gli stessi dintorni di Campofiorito ed è rappresentato, oltre che da calcari mar- nosi bianchi (/affimusa), anche da marne variegate ricche di selce (1) (1) È il caso qui di ricordare che a piccola distanza dell’abitato di Campofiorito. verso S., dentro il vallone Brignola, uno dei tanti valloni che scendono dalla montagna detta la Par- rina, si trova 7 sifz un dicco di diabase scuro-verdiecia, stretto ed allungato, che spunta attraverso il Titonico. Il primo che accennò alla presenza di rocce eruttive in questo lato della Sicilia è stato Carlo Gemmellaro, sin dal 1827, che le indicò nei dintorni di Contessa (v. Breve descrizione geogno- stica dei contorni di Contessa , 1827). Più tardi il prof. G. G. Gemmellaro ne scopriva altri a Marineo, Campofiorito, Giuliana (v. Giorn. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XIII, Bul- lett., n° 5, 1878). Di queste rocce poi se ne occupò, dal punto di vista petrografico, il prof. L Bucca, il quale le studiò insieme con quelle di Lercara e di Scillato, pure in provincia di Pa. lermo (v. Ze rocce vulcaniche della provincia di Palermo. Studio micrografico, in Giorn. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XV, 1882). La massima parte di tali rocce eruttive sono indicate come diechi di basalti nella Carza geologica e nella relativa Descrizione geologica del- Pisola di Siciliu, 1886, dell'ing. Baldacci. Sarebbe certamente di grande importanza uno stu= dio geologico e petrografico di tutte queste rocce eruttive post-cretacee. SULL’ OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 283 Sezione tra Cozzo di Castro ed il Piano delle Giumente (Scala di 1:50.000) Priano delle (runernte Coszo di Castro ed 21.915 2900 è : TEPatticore Lelotella ; : : 21.650 i : A - eee eoono 1.° Arenarie verdi con /ff/0/ti (Elveziano). 3.°Marne e calcari marnosi con brecciuole 2.° Argille sabbiose con calcari a Lep:- e calcari nummulitici (Oligocene). docgelina (Langhiano). 4° Calcare marnoso compatto (/a?f154) con 7. dyphia e cefalopodi (Titonico). La fauna che si raccoglie nelle brecciuole calcaree e nei calcari inter- calati tra le marne giallicce e bianchicce è composta prevalentemente di fo- raminiferi. A questi si aggiungono rari avanzi di corallari, articoli di crinoidi, piastre e radioli di Echinidi regolari (Cidaris), piccole Scufellina e valve di Lamellibranchi (Lecter ed Ostrea): tntti questi fossili però sono allo stato fram- mentario, o di dubbia determinazione, quindi noi siamo costretti a fondare le nostre deduzioni sni foraminiferi, che sono quivi gli unici fossili ben con- servati, e di cui diamo l’elenco: Operculina complanata Defr. sp. Heterostegina reticulata Riitm. Nummulites miocontorta Tell. » submiocontorta Parisch » vasca Toly et Leym. » Boucheri de la H. » intermedia d' Arch. » Fichteli Micht. 284 G. CHECCHIA-RISPOLI Lepidocyclina dilatata Nicht. sp. » cfr. Ranlini Lem. et Douv. Orthophragmina Di-Stefanoi Ch.-Risp. » cfr. dubia Ch.-Risp. » sp. ind. Gypsina globulus Reuss sp. La fauna ora citata indica chiaramente il posto cronologico» da assegnare al sedimento calcareo-marnoso con Nummulites, Orthophragmina, Lepidocycli- na, ecc. dei dintorni di Campofiorito. Qui le forme dell’Eocene sono scomparse ed abbiamo invece una associazione dispecie, che si trova unicamente in stra- ti oligocenici, come per esempio in quelli della Liguria, del Piemonte, del Vi- centino, ecc., per limitarci solamente a quelli italiani e da gran tempo studiati. Qualcuna delle specie citate fa la sua prima apparizione qua e là nell’Eocene, come é stato di già indicato da vari antori e recentemente da me (1), da Heim (2) e dalla dott. Ravagli (3), però si watta di forme che raggiunsero il mas- simo di sviluppo nei terreni oligocenici. L'insieme della fanua sta ad indicare chiaramente l’Oligocene, non essendovi alcun elemento spiccatamente eocenico. Per la. presenza di Or/fQophragmina, noi riteniamo che il sedimento in in esame non occupi nell’Oligocene un livello elevato. Abbiamo visto che alle Nummuliti si associano nello stesso giacimento delle Or/kophragmina e delle Lepidocyelina. La presenza delle prime in un de- posito oligocenico, per quanto non sia più nn fatto nuovo, pure costituisce un’altra prova della persistenza di. queste forme al di sopra dell’Eocene. Del resto in Italia il fatto si ripete comunemente in quasi tutti i giacimenti oli- gocenici finora noti; ma per quanto il Prever (4), il Sacco (5), il Fabiani (6), (1) Checchia-Rispoli G. — Za Serie nummulitica dei dintorni di Termini-Imerese: I, Il Vallone Tre Pietre, 1909. (2) Heim A. — Die Nummnliten-und Flyschbildungen den Scheizeralpen, 1909. (3) Ravagli M.— Nammuliti ed Orbitoidi eoceniche dei dintorni di Firenze, 1910. (4) Prever P. L. — Osservazioni sulla famiglia delle Orbitoidinae, 1904. (5) Sacco F. — Sur la valeur stratigraphique des Lepidocyelina et des Miogypsina, 1906, (oltre che in vari lavori geologici). (6) Fabiani R. — Paleontologia dei Colli Berici, 1908. SULL’OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 285 il Silvestri (1) e lo scrivente sin dal 1904 (2) e ripetutamente avessero insi- stito a tale riguardo, pure esso continua ad essere contestato da parte di qualche geologo straniero. Neanche la coesistenza di Zepidocyelina ed Orthophragmina è un fatto nuovo. Prescindendo che tale associazione si verifica di già nell’Eocene, come ho sostenuto e dimostrato da parecchio tempo, questa avviene anche nell’Oligocene, come già è stata da me indicata in quello della provincia di Catania (3) e dal Silvestri pure nell’Oligocene dell'Appennino centrale (4). Anche la dott. Provale ha constatat» questa associazione in aleuni campioni di rocce prove- nienti da Borneo, però ha lasciato sospesa la questione se si tratti di rocce appartenenti all’Eocene o all’Oligocene, ed è espressa solamente 1’ opinione «o che le Orthophragminae passino nell’Oligocene o che le Lepidocyclinae si tro- vino di già nell’ Eocene superiore» (5). Per me i fatti avvengono tutti e due: ci sono OrMophragmina nell’ Oligo- cene, come pure nel Cretaceo, e ci sono Zepidocyelina, oltre che nel Miocene e nell’Oligocene, anche nell’Eocene e nel Cretaceo; noi parliamo qui di Zepi- docyclina propriamente dette, che teniamo distinte dalle Orbdifoides s. str., le quali alla lor volta oltre che nel Cretaceo, si trovano pure nell’Eocene. Prima di chiudere questa introduzione credo opportuno di riassumere brevemente tutto quanto conosciamo intorno all’Oligorene in Sicilia. Si vedrà da questo breve cenno quanto povere siano ancora le nostre conoscenze su di una formazione del Terziario antico, che, rispetto alla sottostante eocenica, ‘tanta diffusa e così ricca di fossili, sembrerebbe occupare un posto del tutto trascurabile. Tl primo che indicò l' Oligocene in Sicilia è stato . Giuseppe Seguenza. Egli sin dal 1873 vi riferiva nn insieme di argille scagliose fossilifere, bruno- Tossastre con noduli di limonite e con arenarie quarzitiche lucenti, nerastre, molto -sviluppate nei dintorni di Castelbuono, Isnello, Nicosia, sul versante settentrionale (1) Silvestri A. — Nummuliti oligoceniche della Madonna della Catena, ecc. 1909. (2) Checchia-Rispoli G. — 2 Moraminiferi eocenici del gruppo del M.te Iudica e dei dintorni di Catenanuova ecc., 1904; id. — Osservazioni sulle Orbitoidi, 1905; id. — Sull’esistenza dell’Oli- gocene nella regione del M. Indica ece., 1910. (3) Checchia-Rispoli G. — Sull’esistenza dell’Oligocene ecc., 1910. (4) Silvestri A. — Nummauliti oligoceniche ecc., 1909. (5) Provale I. — Di alcune Nummulitine ed Orbitoidine dell'Isola di Borneo, 1908. 2586 G. CHECUHIA-RISPOLI delle Madonie. In base allo studio della fauna (corallari e gasteropodi), il Seguenza sincronizzava tale formazione con quella di Castel Gomberto nel Vicentino (1). Inoltre contemporaneamanto lo stesso prof. Seguenza riferiva pure all’Oligocene, su soli rapporti di posizione, le argille con arenarie delle Caronie. Nel 1881 il dott. march. A. De Gregorio pubblicò una illustrazione della fauna delle argille scagliose delle Madonie. Egli attribuì tali argille all’ Eo- cene-Oligocene, senza venire a distinzioni più precise (2). Più tardi nel 1882, l’ing. E. Cortese indicò col nome di Miocene inferiore (Aquitaniano) le argille e le arenarie della provincia di Messina, riferite dal Segnenza all’Oligocene (3) e lo stesso fece il Baldacci in seguito per quelle delle Madonie e del Messinese (4). Dalle osservazioni però da noi compiute in questi ultimi tempi e da quelle che andiamo tuttora facendo, ci pare di poter asserire che la formazione oli- gocenica in Sicilia, pur non raggiungendo lo sviluppo delle altre formazioni terziarie, è anch’essa ben rappresentata e che parte dei terreni attribuiti ad altre formazioni, solo per somiglianza litologica, debba invece essere rapportata all’Oligocene. Noi, or è appena un anno, conformemente a quanto già scrisse. il prof. Giov. Di-Stefano (5) ed osservarono i prof. P. E. Vinassa de Regny e S. Scalia, abbiamo dimostrato, che parte della formazione indicata come eoce- nica nella regione del M.te Indica (dintorni di Catenanuova), in provincia di Catania, deve essere invece riferita all’Oligocene (6). (1). Segnenza G. — Brevissimi cenni intorno la Serie terziaria della provincia di Messina (Boll. R. Com. Geol., anno 1873); id., Del! Oligocene in Sicilia. (La Scienza contemporanea, an. Il, fase. 1, 1874); id., L’'Oligoceno in Sicilia (RA. R. Acc. d. Sc. fis. e mat. di Napoli 1874). (2) De Gregorio A. — Sulla fanna delle argille scagliose di Sicilia (Oligocene-Eocene) e sul Miocene di Nicosia, 1881. (3) Cortese E. — Brevi cenni sulla geologia della parte N. E. della Sicilia (Boll. R. Com. Geol., n.° 5-6) 1882. (4) Baldacci I. — Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia, 1886. (5) Di-Stefano G. — ‘a; pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia, 1907. (6) Checchia-Rispoli G. — Sw/l'esistenza dell’Oligocene nella regione del M.te Indica (Rd. Acc. dei Lincei, Cl. Se., Fis., Mat., e Nat., vol. XIX, serie V), 1910. SULL’OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALBRMO 287 PARTE PALEONTOLOGICA Gen. OPERCULINA d’Orb. Operculina complanata Defr. sp. 1782 Lenticulites complanata Defrance, Dict. Sc. Nat., vol. XXV, p. 453. 1826 Operculina complanata Defr. — D’Orbigny, Anz. Sc. Nat. vol. VII, pag. 281, Tav. XIV, Fig. 7-10. 1906 » » Defr. — Parisch, Di alcane Nummuliti ed Orbitoidi dell'Appennino ligure-piemontese, pag. 88, Tav. II, Fig. 26. 1909 > » Defr. — Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintornidi Termini-Imerese; 1, Il Vallone Tre Pie- tre, pag. 119, Tav. VI, Fig. 21. È una forma, che non 6 rara nelle brecciuole calcaree intercalate tra le marne bianche della C.da Scorciavacche presso Campofiorito. Gen. HETEROSTEGINA d’ Orb. Heterostegina reticulata Riitm. 1910 ZMeterostegina reticulata Rittm. — Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, pag. 151. (cum syn.). Non infrequente nei depositi qui studiati. 288 G. CHECCHIA-RISPOLI Gen. NommuLITES Lmk. Nummulites miocont.rta Tellini (Tav. I, Fig. 2) 1888 Nummulites miocontorta Tellini, Nummulitidee terziarie dell'Alta Italia oc- cidentale, pag. 183, Tav. VIII, Fig. 4 a-b. 1894 » veronensis Oppenheim, Veber die Nummulites Venetianischen Tert., pag. 26, Fio. 6-7. 1906 » miocortorta Tell. — Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbitoidi dell'Appennino ligure-piemontese, pag. 75, Tav. I, Fig. 8-9. 1908 » » Tell. — Douvillè R., Observations sur les Faunes a Foraminiféres du sommet du Nummulitique italien, pag. 94, Tav. II, Fig. 1,5. 7. Nummulite di medie dimensioni, lenticolare, poco rigonfia, dal margine sottile, ed un po’ flessuoso. Le due superficie del plasmostraco sono ricoperte di filetti settali nume- rosi, sottili, che non partono direttamente dal centro, ma da un punto che gli è vicino, verso il quale essi si avvolgono fortemente a spirale. La sezione equatoriale presenta una spira regolare, a passo continnamen-, te crescente; mentre la lamina, dal centro alla periferia, si ingrossa pochissimo e non raggiunge in ispessore un terzo dell’altezza del canale spirale. Setti sottili, sibequidistanti nello stesso giro, ma che si allontanano tra loro gradatamente a partire dal centro. Essi sono poco curvi e propriamente poco inclinati e quasi perpendicolari nella metà inferiore e più inenrvati e regolarmente piegati indietro nella metà superiore. I setti si continuano visi- bilmente a coprire il soffitto delle camere, che è fatto a volta. Il numero dei setti, a partire dal centro e considerando una medesima porzione di spira, cresce continuamente e lentamente. La sezione trasversale è lanceolata, con le estremità quasi sempre acute. Le lamine verso il centro si assottigliano e si avvicinano fra di loro; e quelle centrali sono attraversate dalle colonne. x go: mm. Dimensioni: Ò SULL’OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 289 Secondo il Tellini la N. m/ocortorta si distingue dalla N. conforta per ave- re un minore numero di giri in esemplari dello stesso raggio o per i setti più curvi e più inclinati. Il Dott. R. Douvillé, inoltre, fa consistere la diffe- renza essenziale tra le due specie sopratutto nelle dimensioni. Figuriamo qui a titolo di paragone un esemplare della N. conforta Deshayes, dalla quale vi- sultano meglio le differenze fra le due specie. Si vede che le dimensioni in questa ultima forma sono molto pîù grandi, e i seiti più dritti e quasi perpendicolari. L’esemplare qui figurato (v. Tav. I Fig. 10) della N. conforta proviene dall’Eocene della contrada Mazzarino presso Termini-Imerese. Credo bene avvertire che recentemente in un acquisto fatto dal Museo Geologico dell’Università di Palermo di parte del materiale appar- tenente alla collezione del compianto prof. Luigi Seguenza di Messina, tra le tante cose importanti, ci è riuscito di trovare alcuni esemplari di nua num- mulite, provenienti dalla località Mazzarino presso Termini-Imerese e deter- minati come Nummulites himaerensis G. Seguenza in schedis. Però dalla pre- parazione di qualcuno di questi esemplari è risultato invece che si tratta sem- plicemenie della N. conforta Desh. La N. miocontorta si distingue inoltre dalla N. vasca Ioly et Leym., con la quale è stata confusa altre volte, per presentare quest’ultima filetti'radiali radi e divergenti regolarmente dal centro, mentre nella prima, come si è detto, i filetti sono più numerosi e non divergono direttamente dal centro, ma si avvol- gono a spirale e formano generalmente uno o due centri di divergenza ausiliari. Infine è bene rilevare che la M. w/ocortorta ritrovata la prima volta nel Tongriano, ove raggiunge la sua massima diffusione e ne sembra caratteri- stica, è stata poi riconosciuta dal dott. Prever nella parte più elevata del Lu- teziano medio del M.te Caldiero di Granconi (Colli Berici), insieme anche con la NM. submiocontorta Parisch (1). ua N. miocontorta è rara nelle breccinole calcaree intercalate tra le marne della C.98 Scurciavacche presso Campofiorito. Nummulites submiocontorta Parisch 1906 Nummulites submiocontorta Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbitoidi del- l Appennino ligure-piemontese, pag. 75, Tav.I, Fig. 10-12. (1) Fabiani R. — Paleontologia dei Colli Berici. pag. 607. 290 G. CCECCHIA-RISPOLI 1909 Nummulites submiocontorta Parisch.—Checchia-Rispoli, La Serie nummuli- tica dei dintorni di Termini-Imrese; 1, 11 Vallo- ne Tre Pietre, pag. 127, Tav. VI, Fic. 10. Dimensioni : DIAMO RE NIDO SPESSORE RIP INT RIU ARTI Setti EAU ROGO E 10 in !/, del 5° giro » » ST RA A IN 8 » 4° > » » Ep ORA RETRO AIR AO MISTERI , 7 » BIO, » » ° o ° ° . . ° ° . ° 6 » 20 » Plasmostraco di piccole dimensioni, lenticolare, dal margine acuto. Le facce, come nella forma omologa, sono ornate di strie ben visibili, specialmente se la conchiglia è levigata. Queste strie sono irradianti dal centro, in geuerale ondulate e contorte a spirale verso il punto da cni irradiano, ma però non così fortemente come nella omologa. La sezione equatoriale dell'unico esemplare, da noi raccolto, presenta una spira regolarissima, dal passo più ampiamente crescente che non nella forma omologa sino alla periferia. i La lamina s’ingrossa pochissimo durante il sno svolgersi e si conserva sempre sottile e non raggiunge in spessore un terzo dell’altezza del canale spirale. Camera centrale rotonda, piuttosto piccola. Setti numerosi, sottili, equidi- stanti, regolari. retti nella metà inferiore e regolarmente incurvati indietro in quella superiore. Cencamerazioni più alte che larghe, regolari, subfalciformi. 3 RR 5 er Dimensioni : RES Questa forma è rara nelle brecciuole calcaree intercalate tra le marne della C.da Scorciavacche presso Campofiorito. SULL’OLIGOCENE DEL DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 291 Nummulites vasca Ioly et Leymerie (Tav. I, Fio. 3-4) 1848 Nummulites vasca Toly et Leymerie. Mém. Acc. Sc. Toulouse ser. 3, vol. IV, pag. 171, 186, 217. Tav. I, Fig. 15-17 e Tav.II, Fig. 7. 1855 » >» (pars) I et. L. — d’Archiac et Haime, Morogr. des Numm., pag. 145, Tav. IX, Fig. 11 a, b,d. 1879-81. > » I. et L.—de la Harpe, Descr. Numm. falais. de Biarritz, pag. 9, Tav. I, Fig. III 1-5. 1885 » » I. et L.—de la Harpe, Ptude Num. Suisse, part. III, pag. 177. Tav. VII, Fig. 25-32. 1906 » » I. et L.— Parisch, Dr alcune Nummuliti ed Orbi- toidi dell'Appennino ligure-piemontese, pag. 80, Tav. I, Fig. 28-30. 1908 » » I. et L. — Donvillé, Observation sur les Fannes a Foraminifères du sommet du Nummulitigue italien pag. 95, Fig. 9 e 10. 1908 » » I. et L. — Ravagli, Nummuliti oligoceniche di La- verda nel Vicentino, pag. 503, Tav. I, Fig. VII. 1908 » » I. et L. — Silvestri, Nummuliti oligoceniche della Madonna della Catena ecc., pag. 613, Tav. XXI, Fig. 1, 4,5. Plasmostraco lenticolare, di medie dimensioni, talora poco rigonfio, talo- rta molto: margine acuto, od anche ondulato. I caratteri della superficie a caun- sa dell’incrostazione, non sono visibili che raramente, oppure quando si e- seguiscono dei tagli paralleli al piano equatoriale. In ogni modo, quando que- sti caratteri si possono osservare, si constata che le due facce del plasmostraco ; sono ricoperte di flletti radiali, rilevati, radi, per lo più diritti e divergenti regolarmente dal centro, oppure anche alquanto flessnosi e ripiegati spiral- mente verso un punto, che non corrisponde proprio al centro del plasmostraco, ma che quasi vi coincide. Spira regolare o talora subregolare, dal passo crescente regolarmente dal centro verso la periferia. 292 &. CHECCHIA - RISPOLI La lamina spirale è di discreto spessore e quasi uniforme, oppure cre- scente lentamente dal centro alla periferia: essa corrisponde nei giri centrali circa alla metà ed in quelli consecutivi ad un terzo od anch» ad un quinto dell’ampiezza del canale spirale. La varietà ircrassata de la Harpe e la va- rietà /enzispira de la Harpe sono state create appunto per il differente spes- sore che assume in questa specie la lamina spirale: nella 7rcrassaza, la lami- 3 1 6a 7 i na raggiunge uno spessore, che è uguale ad Ton , 0d anche più dell’ampiezza del canale spirale; nella feruispira, la lamina è sottile per tutto il percorso. L'andamento della spira è indipendente dallo spessore della lamina. Setti sottili, equidistanti o subequidistanti od anche del tutto inequidistan- ti, talora regolari e regolarmente inclinati, oppure arcuati all’origine e quiîn- di raddrizzantisi, o poco regolari nella loro curvatura e non di rado flessuosi. Le camere sono arcuate, più alte che larghe, sovente di inegnale grau- dezza, col loro angrlo postero-superiore acnto, ma in generale poco prolungato. La sezione trasversale ha la forma d’un fuso, gonfio o assottigliato:le la- mine mostrano nno spessore uniforme tanto verso il canale spirale, che verso la parte centrale del plasmostraco. 8 mm. 8mm. 6mm. 3,5” 2 2 Tanto gli esemplari tipici che le sumenzionate varietà non sono rare nelle Dimensioni: breccinole calcaree intercalate tra le marne della C.% Scorciavacche presso Campofiorito. Nummulites Boucheri de la Harpe (Tav. I, Fig. 11-19) 1853. Nummulites Boncheri de la Harpe, Zfude des Nummulites de la Suisse, p. IMI, pag. 179, Tav. VII, Fig. 33-59. 1886. » » de la H. — Uhlig, Veder eine Mikrofauna aus dem altertiur der westgalizischen Karpaten, pag. 205, Tav. II, Fig. 7, 8, 10. 1888. » » de la H. — Tellini, Nummualitidee terziarie dell’ Alta Italia occidentale pag. 208. 1906. » » de la H. — Parisch, Di alcune Nummutliti ed Orbitoi= di dell'Appennino ligure-piemontese, pag. 81, Tav. I, Fig. 33-39. SULL'OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO In PROVINCIA DI PALERMO 293 1908. Nummulites Boucheri de la H. — Ravagli, Nummuliti oligoceniche di La- verda nel Vicentino pag. 502, Tav. I, Fig. 1. 1909 » » de la H. — Checchia-Rispoli, La serie rummaulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I, Il Vallone Tre Pietre, pag. 125, Tav. XI, Fig. 8,9. 1909 » » de la H. — HeimjA. — Die Nummuliten und Flysch- bildungen den Schweizeralpen, ] ag. 218, Tav. VI Fig. 1, 20, 24. 1909 G) vasca (A) de la H. — Silvestri, Nummuliti oligoceniche CCC; pag. 622, Tav. XXI, Fig. 2,3,6,7. Plasmostraco di piccole dimensioni, lenticolare, regolare, rigonfio od an- che sottile e depresso, per lo più rilevato nella parte centrale, ove presenta una specie di mammellone, circolare, depresso, dall’orlo frastagliato e dal quale partono delle strie non numerose, più o meno nettamente visibili, diritte o poco ricurve. Margine acuto. Spira per lo più regolare o talcra anche subregolare, il cui passo cresce lentamente a partire dal centro. In taluni esemplari il passo 6 crescente co- 1 3: Nella sezione equatoriale la lamina spirale appare a spessore costante in me l:1 fntto il suo percorso è corrispondente circa alla metà dell’ampiezza del cana ò ù ; 5 Tese 5 le spirale nel primo giro e quasi addi esso nell’ultimo. Camera centrale di medie dimensioni, subcircolare, suddivisa da un setto semilunare dalla camera susseguente, con la quale costituisce un apparato em- brionale della forma di un 3. Setti sottili, non sempre equidistanti, talora poco inclinati, tal’altra molto, e fortemente ricurvi indietro nella metà superiore. Camere seriali falciformi. Sezione trasversale a forma di lente talora molto gonfia, talora schiaccia- ta. La lamina nelle parti laterali è molto spessa; verso il canale spirale è as- sottigliata e perforata. f 6mm. 5mm. 4mm. Dimensioni : 9 b) 9 2 1 ; 5 9 ece. Da quanto ho sopra detto e come ho anche avuto occasione di scrivere nel mio lavoro sopramenzionato, la N. Boucheri 6 uua specie molto variabile tan- to riguardo ai caratteri esterni, che interni. Questa sua variabilità, spie- 294 G. CHECCHIA-2I&POLI ga la istituzione di numerose varietà, come var. :ncrassata de la H., var. fenui- spira de la H., var. variabilis Tell, var. falcifera A. Heiw, var. striatoides A. Heim., var. crassiradiata A. Heim., dovute specialmente al differente spessore del plasmostraco, alla presenza od assenza di un bottone centrale, al numero e forma di filetti radiali, nonchè al differente spessore della lamina spirale. La N. Boucheri è la più abbondante fra le nummuliti della regione Scor- ciavacche presso Campofiorito. Oltre agli esemplari tipici rappresentati da in- dividui non molto gonfi e con filetti sottali piuttosto fitti, poco flessuosi, par- tenti da un umbone centrale, ne abbiamo trovati altri molto rigonfi, umbone largo e sporgente dal quale partono dei filetti radiali e poco flessuosi (var. Incrassata); altri depressi con strie fitte, molto flessuose, senza umbone (var. fenunispira) ed aitri infine molto depressi, senza umbone, con strie nettamente visibili, diritte, a margine acuto e con la lamina spirale più sottile che nella t' pica N. Boncheri (var. variabilis). Queste variazioni accompagnano quasi sem- pre gli esemplari tipici, a cui sono rilegati da numerosi gradi di passaggio. La N. Boucheri, come è notorio, raggiunge il sno massimo sviluppo e la sna massima diffusione in tutto l’ Oligocene; ma fala sna prima apparizione anche nell’Eocene. Questo fatto fu da me già rilevato in varie mie pub- blicazioni: essa in Sicilia è comune sul livello più elevato della formazione eocenica dei diutorni di Termini-Imerese. Ora ai rari rinvenimenti finora noti nell’Eocene, se ne devono aggiungere due altri e molto importanti, fatti recente- mente. Il prof. A. Heim nel suo recente studio sul Flysch della Svizzera figura e descrive numerosi e ben conservati esemplari della NM. Bozcheri con parecchie sue varietà, rinvenuti in un orizzonte limite tra il Luteziano medio ed il su- periore: essa è accompagnata dalla MV. complanata, N. uroniensis Heim (specie molto vicina alla NV. crassa = perforata auctorum), ecc., per cui nessun dubbio o tergiversazione può farsi a proposito di tale importante rinvenimento. Infine la N. Boucheri è state ritrovata dalla dott. Ravagli nell’Eocene dei dintorni di Fironze (1). (1). v. Ravagll M.— Nammnliti e Orbitoidi eoceniche dei dintorni di Firenze pag. 230, Tav. XXIII, Fig. 11. SULL’OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 295 Nummulites intermedia d’Archiac (Tav. I, Fig. I) 1359. Nummulites intermedia d'Archiac et Haime, Monographie des Nummulites, pag. 99, Tav. III Fig. 5-1. 1853. » garansensis (pars) d’Archiac et Haime, Morographie pag. 101, Tav. III, Fig. 6 a. 1888. » intermedia dArchiac. — Tellini, Nummulitidee terziarie del- l'Alta Italia occidentale, pag. 217, Tav. VIII Fig. 15-16. 1906. » » d’Arch. — Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbi- foidi dell’ Appennino ligure-piemortese, pag. 88. 1908. » >». d’Arch.— Ravagli, Nummauliti oligoceniche di La- verda nel Vicentino, pag. 505. 1909. » » d’Arch. — Checchia-Rispoli, La Serie rummulitica dei dintorni di Termini-Imerese; I. Il Vallone Tre Pietre, pag. 122, Tav. VI, Fio. 4, ll a-b. 1909. » » d’Arch. — Silvestri, Mummuliti oligoceniche della Madonna della Catena presso Termini-lmerese (Pa- lermo), pag. 652, Tav. XXI, Fig. 8, 10-12. Ho raccolto vari esemplari di questa specie, i quali corrispondono a quel- li tipici della specie, provenienti da varie località oligoceniche e comunicati- mi dal dott. Prever. Essi hanno un plasmostraco di media grandezza, discoi- de, poco spesso, quasi piano negli individui giovani, e più o meno ondulato negli adulti. Margine arrotondato e flessuoso. Sulle facce si scorgono distintamente le fitte reticolature labiriutiformi, prodotte dai filetti settali, che si anastomizzano fra di loro. Queste reticolature sono piccole, irregolari ed allungate nel senso del raggio. La sezione equatoriale mostra una spira regolare o talora leggermente flessuosa, il cui pesso è rapidamente crescente nei primi giri e lentamente crescente od anche costante nei rimanenti, meno verso la periferia, ove, negli ultimi due o tre giri, è decrescente. La lamina pure è lentamente crescente di spessore: generalmente essa 296 G. CHECCHIA-RISPOLI è uguale alla metà circa dell’altezza del canale spirale, od anche poco più o poco meno, salvo che, come giustamente notò il Tellini, essa si attenna nel mezzo di ogni camera e s’ingrossa verso l’interno al punto di attacco dei setti. I setti sono sottili, subequidistanti, talora molto allontanati sin dal prin- cipio, oppure distanziantisi man mano l’uno dall’altro a partire dal centro; poco incurvati ed inclinati di circa 35°. I filetti settali si divaricano al soffitto e tappezzano la volta delle concamerazioni. Concamerazioni rettangolari, due © tre volte più larghe che alte. La sezione trasversale è a forma di un ellissi schiacciato, composta di numerose lamine, uniformemente sottili, più spesse verso la regione del ca- nale spirale, ove sono nettamente perforate. Gli spazi interlamellari son ristretti, ma visibili, con numerose culonnette. Di i4mm. 9mm. ASI Tag 9 La N. intermedia è frequente nelle breccinole calcaree intercalate tra le marne della C.da Scorciavacche presso Campofiorito. Nummulites Fichteli Michelotti (Tav. I, Fig. 5-9) 1841. Nummulites Fichteli Michelotti, Saggio storico dei Rizopodi caratteristici, ecc., pag. 44, Tav. III, Fig. 7. 1888. » » Micht. — Tellini, Nummulitidee terziarie dell'Alta Ita- lia occidentale, pag. 220. 1906. » » Micht. — Parisch, Di alcune Nummuliti ed Orbitoidi dell'Appennino ligure-piemontese, pag. ST, Tav. IL Fig. 17-18. 1908. ” » Micht. — Ravagli, Nummuliti oligoceniche di Laver- da nel Vicentino, pag. 504, Tav. I, Fig. 3, 6. 1909 » » Micht. — Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica der dintorni di Termini-Imerese; I, Il Vallone Tre. Pietre, pag. 123, Tav. VI, Fig. 3. 1909. » » Michelotti. — Silvestri, Nummuliti oligoceniche della hadonna della Catena presso Termini-Imerese, pag. 643, Tav. XXI, Fio. 9, 13-16. SULL’CLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 279 Gli esemplari di qnesta specie sono molto più abbondanti della prece- dente e corrispondono anch'essi a quelli tipici. Il loro plasmostraco è discoi- de, piano, od un pochino rigonfio, poco flessuoso, con orlo marcato, circolare più o meno visibile, flessnoso. Superficie nella parte centrale e mediana rico- perta di reticolature come nella N. irfermedia. Come in taluni esemplari os- servati dal Tellini, così pure in alcuni, da me rinvenuti, si osserva che corri- spondentemeute all’ultimo giro esiste un disegno che riproduce la forma delle concamerazioni. $ Camera centrale abbastanza grande, subcircolare. Prima seriale semilu- nare, più piccola. Spira regolare o subregolare, dal passo rapidamente crescente nel primo giro e poi lentamente e regolarmente crescente nei successivi. Lamina an poco flessuosa, a spessore crescente, poco più grossa della metà dell’altezza delle logge, alquanto attenuata nel mezzo di ogni concamerazione e protube- rante a guisa di minutissimo triangolo al punto di attacco dei setti, conforme all'osservazione del Tellini. Setti sottili, quasi dritti, ed inclinati di pochissimi gradi: essi si distan- ziano a partire dal centro e. sono quasi equidistanti in uno stesso tratto di spira. I filetti settali si divaricano verso la volta delle camere, che rivestono. Concamerazioni seriali rettangolari; sempre più larghe che alte, special- mente verso la periferia. Sezione trasversale fusiforme, sottile, od alqnanto rigonfia, che lascia ben vedere la camera centrale e la prima seriale. Le lamine sono più spesse ver- so il canale spirale, che è a sezione semilunare. Gli spazi interlamellari sono distinti ed interrotti da pilastri. DA mm. 4dmm. 2 mm. L gi Re Tri OZ Riferisco alla NM. Fichfeli un esemplare di una nummulite, la quale misura circa mm. 7,5 di diametro, per circa 2 mm. di spessore. Essa per i caratteri esterni corrisponde alla specie del Michelotti. Ma internamente, pur presen- tando i caratteri generali della N. Zichieli, se ne distingue per una certa ir- regolarità sia nell’andamento della lamina spirale, che dei setti, i quali sono inequidistanti ed alquanto più ircurvati che negli esemplari tipici. Per queste particolarità non crediamo dover separare l’esemplare in questione dalla NM. Fichteli, della quale potrebbe, con molta probabilità, rappresentare nua varia- zione individuale. La N. Fichfeli è comune nelle brecciuole intercalate tra le marne della 298 G. CHECCHIA-RISPOLI C.da Scorciavacche presso Campofiorito. Essa è stata recentemete rinvenuta dalla Ravagli nell’Eocene dei dintorni di Firenze. Gen. OrBITOIDES d’Orb. ‘“Sub.-Gen: Lepidocyelina Gimbel Lepidocyclina dilalata Micht. sp. (Tav. I, Fig. 23, 24, 25) 1904. LZepidocyclina dilatata Micht. — Lemoine et Douvillé, Sur le genre Lepido- cyelina Gimbel, pag. 12, Tav. II, Fig. 6-21 e Tav. III Fig. 10-15. 1910. » » Micht. — Checchia-Rispoli, La Serie raummulitica dei dintorni di Bagheria, pag. 159, Tav. VI, Fig.11-38 Questa specie è comune nei depositi qui studiati e gli esemplari clie ab- biamo raccolti corrispondono a quelli tipici della Lepid. dilatata Micht. Abbiamo trovate forme a microsfera e a macrosfera; queste ultime sono più comuni. Gli esemplari microsferici più grandi misurano un diametro d’oltre 2 cm., ma sono rari. Quelli a macrosfera hanno un diametro di 6-7 mm. Siccome tutti questi esemplari non presentano contrassegni speciali da richiedere una descrizione, così ci limitiamo qui solamente a figurarne qualcuno. Lepidocyclina cîr. Ranlini Lem. et Douv. Accanto ai grandi esemplari della Zep. dilatata Micht., ve ne sono parec- chi altri, che corrispondono in tutto alla Zep. Razlni Lem. et. Douv. Però alcu- ne sezioni trasvorsali eseguite su di esse, mettonoin evidenza dei pilastri sot- tilissimi, molto meno appariscenti, che negli esemplari della Zep. &latata. Ora secondo Lemoine e Douvillé la Zep. Raulini apparterrebbe alle graadi forme di Lepidocicline senza traccia alcuna di pilastri. Invece secondo la Sig.na Pro- vale la Zep. Raulini sarebbe fornita di pilastri, ma meno evidenti che nella Zep. SULL’OLIGOCENE DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 299 dilatata (1); ciò abbiamo constatato anche noi ed è perciò che non sapremmo a quale delle due forme riferire i nostri esemplari, che riportiamo con dubbi alla ZL. Faulini. Sub.-Gen: O7/kophragmina Mun.-Ch. Orthophragmina Di-Stefanoi Checchia-Rispoli. (Tav. I, Fio. 21). 1910. Orthophragmina Di-Stefanoi Checchia-Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria pag. 167, Tav. V, Fig. 21, . 31, 40, (cum syn.) Rilerisco a questa specie parecchi esamplari perfettamente determinabili, i quali corrispondono in tutto a quelli da me descritti nei vari miei lavori. Non preseztando essi contrassegni particolari da richiedere una nuova de- scrizione, mi limito qui solamente a figurarne uno nella sua sezione equato—- riale. Orthophragmina cîr. dubia Checchia-Rispoli. (Tav. I, Fio. 20) Plasmostraco di piccole dimensioni, regolare, lenticolare, non molto gon- fio, ricoperto di minutissime granulazioni, quasi invisibili ad occhio nudo. La sezione equatoriale mostra nella parte centrale un apparecchio em- brionale del tipo di quello della Or. Arckiaci Schlumb. Le concamerazioni equatoriali sono nei giri centrali e anche sino alla metà del raggio di for- ma esagonale: da questa passano a quella rettangolare nei giri periferici. La sezione trasversale ha la forma di una lenta biconvessa, non molto gonfia: si constata inoltre nella stessa che le loggie equatoriali aumentano gradatamente in altezza avvicinandosi al margine. miu. ) TR Dimensioni ; Î (1) Provale I. — Di alcune Nummulitine ed Orbitoidine dell'Isola di Borneo (Riv. Ital. di Paleont. vol. XIV), 1908. 300 G. CHECCHIA-RISPOLI Questa forma sia per i earatteri esterni, che per quelli delle loggie. e- quatoriali è simile all’ Ort. dubia mihi dell’Eocene dei dintorni di Termini- Imerese; ma se ne distingue unicamente per la iorma dell’apparecchio em- brionale, che nella forma eocenica è invece del tipo di quella della Or. Pratti Michl. Per questo fatto, vista l’importanza che gli antori generalmente attribuiscono alla differente costituzione dell’apparecchio embrionale, noi la riferiamo con dubbi all’ O. dubia, in attesa che studi definitivi su questo appa- recchio ci dicano il suo vero valore, come elemento per la distinzione speci- fica delle varie forme di Orbitoidi. Orthophragmina sp. (Tav. I, Fio. 22) Appartengono a questa forma vari frammenti di una grossa OrMophragmi- na, che io non sono riuscito a poter ricavare mai intera dalla roccia a cansa delle sue grandi dimensioni, percui poco possiamo dire dei suoi caratteri esterni. Il plasmostraco è tutto finissiman. ente punteggiato e pare che nella par- te centrale assuma un notevole spessore. Da vari frammenti di sezione equatoriale, s'osserva che la lamina è mol- to spessa. Le loggette equatoriali sono alte, strette ed i setti divisori sottili. È SE 202 Dimensioni: mm. ag, Gen. GvpsIna Carter Gypsina globulus Reuss sp. 1910. Gypsina globulus Reuss.— Checchia Rispoli, La Serie nummulitica dei dintorni di Bagheria, pag. 171, Tav. V, Fig. 32-3,7 (cam syn.). Non frequente. ma nemmeno rara. Gli esemplari appartenenti a questa specie si rassomigliano in tutto a quelli provenienti dalle formazioni eoceniche dei dintorni di Bagheria e di Termini-Imerese eda noi già descritti in prece- denti lavori. I più grandi esemplari raggiungono un diametro di mm. 3. 302 G. CHECCHIA-RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA Tav. I. Fig. 1° Nummulites intermedia d’ Archiac. Sez. equat. Ingr. 3,5 volte. Zoc. > OE » 118-122 > 13% » 172-182 >» 193 » C.1* Scorciavacche (Campofiorito). miocontorta Tellini. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Loc. C.%8 Scor- ciavacche (Campofiorito). vasca Ioly et Leym. Sez. equat. Ingr. 6 volte. Zoc. C.98 Scorciavacclie (Campo fiorito). Fichteli Michelotti. Sez. equat. Ingr. 6 volte. Zoc. C.% Scor- ciavacche (Campofiorito). » Micht. Sez. tang. Ingr. 8 volte. Zoc. C.ì8 Scorcia- vacche (Campofiorito). >» Micht. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Loc. C.9* Scor- ciavacche (Campofiorito) >» Michet. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. C.18 Scor- ciavacche (Campofiorito). » Micht. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. C.98 Scorcia- vacche (Campofiorito). contorta Desh. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Maz- zarino (Termini-Imerese). Eocene medio. Boncheri de la Harpe. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. C.98 Scorciavacche (Campofiorito). » de la H. Sez. equat. Ingr. 6 volte. Loc. 0.88 Scor- ciavacche (Campofiorito). >» de la H. Sez. equat. Ingr. 10 volte. Zoc. C.d8 Scor- ciavacclie (Campofiorito). >» de la H,, var. ircrassata d. 1. H. Sex. trasv. Ingr. 8 volte. Zoc. C.%8 Scorciavacche (Campofiorito). >» de laH. var. fernispira d. 1. H. Sez. trasv. Ingr. 9 volte. Zoc. C.% Scorciavacche (Campofiorito). » d. l]. H. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. R.ne Para- spora (Catenannova). » d.l H. Sez. equat. Ingr. 5 volte. Zoc. C.% Scor- ciavacche (Campofiorito). SULL’OLIGOCENH DEI DINTORNI DI CAMPOFIORITO IN PROVINCIA DI PALERMO 303 Fig. 20% Or/hophragmina cfr. dubia Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 12 volte. Loc. C.î* Scorciavacche (Campofiorito). > Qta Di-Stefanoi Ch.-Risp. Sez. equat. Ingr. 8 volte. Zoc. C.9 Scorciavacche (Campofiorito). » 22% » sp. ind. Sez. equat. Molto ingr. Zoc. C.%à Scorciavacche (Campofiorito). » 23% Lepidocyclina dilatata Micht. (A)-Sez. equat. Ingr. 6 volte. Zoc. C.% Scorciavacche (Campofiorito). » 249 » » Micht. (A) Sez. trasv. Ingr. 6 volte. Zoc. C.% Scor- ciavacche (Campofiorito). > 20 » » Micht. (B). Grand. nat. Zoc. C.d Scorciavacche (Campofiorito). Checchia-Rispoli — L’Oligocene dei dintorni di Campofiorito ece. Tav. I. PANI (iS) Mm l) Di Campagna fot. P. MARZARI & C. - SCHIO Sul Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti. per G. CHECCHIA-RISPOLI In una mia breve Nota, pubblicata recentemente, ho accennato al grande sviluppo che assume la formazione del Miocene medio uella parte occidentale della Sicilia ed ho dato, in via generaie, le principali notizie sui caratteri di quei terreni (1). Perla natura riassuntiva e preventiva di quella Comunicazione, non ho potuto intratterermi più a lungo sul riguardo, per cui credo ora utile, a compimento -di quel mio primo lavoro, di andare esponendo con maggiori particolari i risultati delle osservazioni compiute nei vari punti di quella vasta formazione, avendo avuto occasione di visitarla insieme col Prof. Giov. Di- Stefano e col dott. M. Gemmellaro. I. DINTORNI DI CAMPOFIORITO (PROV. DI PALERMO). Comincio dall’occuparmi dei dintorni di Campofiorito, dai quali non posso: staccare quelli di Corleone, sebbene di questi debba qui occuparmene in modo breve. Argille con molasse —A chi percorre il vasto territorio compreso tra il gruppo montuoso calcareo Casale-Busambra e i monti che vanno da Bisac- quino a Prizzi, è dato di osservare che gran parte di esso è occupato da una massa di argille molto potente, le quali costituiscono degli estesi rilievi colli- nosi a contorni mollamente arrotondati, tra le aspre ed elevate catene montuose calcaree e dolomitiche. 'T'ali argille variegate, ma di predominante color bruniccio, sono più. o (1) Checchia-Rispoli G. — Osservazioni sul Miocene di aleune regioni della Sicilia occi- dentale (Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, IV Riunione-Napoli,. dicembre 1910) 1911. 306 &. CHECCIHA-RISPOLI meno scagliose e per lo più sabbiose, da passare talvolta a vere molasse. In- tercalati fra le argille si trovano non di rado dei banchi iti una arenaria gialliccia, a grana fina, tenace e degli strati calcarei, ora soiili, ora spessi, più o meno compatti, talora sabbiosi e facilmente disgregabili. specialmente nelle parti esterne, formati da un impasto di piccoli fossili, quasi tutti forami- niferi. Gli strati di tutto questo insieme trasgrediscono sopra vari terreni secon- dari e mostrano una leggera inclinazione di 20° circa per lo più verso E. e talora anche verso NE. I calcari alternano chiaramente con le argille e spesso assumono una forma lenticolare nella parte media e superiore di queste. Così, nelle contrade dette Giardinello e Balatella, a sinistra della rotabile Corleone-Campofiorito; nella località detta Grarcavallo a Sud di Campefiorito e poi tanto sulla destra, che sulla sinistra dell’antica azzera, che conduce da quest’ultimo paese alla stazione omonima, si vedono sempre gli strati calcarei alternare con le argille finchè nella parte superiors di queste i calcari finicono col predominare, come avviene nella contrada Balafella. Qui i calcari assumono una grande potenza e gli strati sono pochissimo inclinati. Il torrente Ba/afe/la, incidendo quei ter- reni, fa vedere chiaramente, oltre all’alternanza dei calcari con le argille, anche la sovrapposizione di essi al sottostante Oligocene (1). Le argille non si mostrano fossilifere, ma i calcari che yi si associano lo sono. I fossili predominanti sono i foraminiferi, rappresentati quasi esclusiva- mente da Zepidocyclina, di medie e piccole dimensioni. La roccia generalmente risulta addirittura d’un impasto di Zepidocygelina cementate da una piccola quantità di calcare. Là dove questo è stato attaccato dagli atmosferili, le lepidocicline sciolte ricoprono il terreno all’intorno. No- nostante però la grandissima abbondanza d’individui, esse non possono riferirsi che a poche specie principali, cioè alla Lepidocyelina dilatata Micht. sp., Lep. marginata Micht. sp., Lep. Morgani Lem. et Douv. (= £L. marginata (A), Lep. Ioffrei Lem. et Donv. e a qualche nuova forma. Tra gli altri foraminiferi ri- cordiamo poi l’Operculina complanata Defr. sp. e 1’ Heterostegina depressa d’Orh. Ai foraminiferi si associano rarissimi molluschi, che si ritrovano sempre allo stato frammentario, appartenenti ai generi Pecfez ed Osfrea, tanto comuni in tutta la formazione, ma che per la loro cattiva conservazione non si possono determinare esattamente. (1) Checchia-Rispoli G.-- Sw Oligocene dei dintorni di Campofiorito in provincia di Palermo (Giorn. di se. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXVIII), 1911. SUL MIOCENE MEDIO DI ALCUNE REGIONI DELLE PROVINCIE DI PALERMO E DI GIRGENTI 307 Gli unici fossili sicuramente determinabili, oltre ai. foraminiferi, sono il Cidaris (Cyatocidaris) aventonensis Desm., comune e rappresentato da radioli e placche ben conservati, ed il Sargus (Zrigorodon) Oweni Sism., rappresentato da rari incisivi. Altri fossili iu questi strati calcarei non siamo riusciti a trovarne, nonostante le nostre ricerche. Però in altri punti dell’orizzonto in esame si associano ai suddetti fossili abbondanti denti di pesci, come avviene nei dintorni di Palazzo Adriano in provincia di Palermo e più sp:cialmente in quelli di Burgio in provincia di Girgenti. Arenarie e calcari glauconitici — La formazione delle argille, che come si è detto, poggia in trasgressione su vari terreni mesozoici, costituisce la base, su cui sono distribuite tutte le successive formazioni. Su di esse in- fatti in diretta e regolare sovrapposizione stanno i noti calcari e le arenarie a glauconite (1), i quali, nei luoghi di cuni ci occupiamo, hanno subito una forte denudazione. Le arenarie glauconitiche si osservano di già alla Ficuzza ed alla Monta- gna del Casale (2). Esse sono generalmente di color verdiccio, ma il loro co- lorito può localmente variare, così diventano giallicce, rossicce. di color cioc- colatta e nere. Si mostrano stratificate e nella loro parte superiore sono poco coerenti e facilmente sfaldabili. In queste arenarie i fossili sono rari; noi non siamo riusciti a trovare che rari brachiopodi (Zerebratula); per altro esse sono ricchissime di foraminiferi, come fu anche osservato dal dott, Roccati, appartenenti a vari generi, come Crisfellaria, Vaginulina, Pulvinalina, Nodasarza, ecc. Però di tanto in tanto le arenarie contengono dei piccoli e sottili letti di una marna sabbiosa rossastra, giallastra, verdiccia, piena di una piccola Ostrea, non sicuramente determinabile ed altri scarsi fossili mal conservati. Questi straterelli marnosi sono ben visibili nella contrada Credo, all'estremo occiden- tale della Montagna del Casale. Ma dove le arenarie assumono un notevolissimo sviluppo è nei dintorni di Corleone; qui si presentano associate ai calcari glanconitici arenacei. Que- sti ultimi specialmente formano alte scogliere, dalle pareti a picco: aleune sono dirnpate, altre sono per diruparsi; ai piedi di. queste scogliere è edificata (1) Da un recente studio mineralogico del dott. A. Roccati, si trae che il minerale verde che colora le arenarie ed i,calcari in esame è la g/anconite (v. Glanconite dalla Picuzza e di Corleone, in questo Giornale, vol. XXVIII). (2) Merciai G. — Escursione alla Montagna della Ficuzza eseguita della Società Geologica Italiana l 8 settembre 1909 (Boll. Soe. Geol. Ital., vol. XXVIII, fase. 3) 1909. 308 G. CHECCHIA-RISPOLI Corleone. Fra i tanti massi che si ergono in quei dintorni, ve ne è uno enorme, staccato dalla massa principale, sul quale è fabbricata la prigione. I calcari sono in istrati molto potenti ed alternano con marne scistose e con strati di arenarie intensamente glauconitifere. La glaucouite si vede anche irregolarmente sparsa nel calcare. Nella lor parte superiore i calcari passano ad una arenaria gialla. giallo-rossiccia, giallo-verdiccia, verde oscura od an- che nera, talora compatta, tal’altra facilmente disgregabile. Di questi calcari sono formati in parte il Pizzo Sant'Elena ed il M. Zue- carone a N. E. di Corlecne, la Montagna Vecchia (1114 m.) e il Cozzo Car- dellia (1263 m.) a S. E. Calcari ed arenarie si estendono verso il lato snd di Corleone: la strada rotabile che conduce da questa città a Campofiorito li taglia in moltissimi pun- ti. Il Moute Castellaccio e varie altre minori elevazioni, come quella in con- trada Giardinello fra il M.'* Barracò ed il monte di Campofiorito, sono costituite dai calcari glaneonitici e dalle arenarie. Anche la linea ferroviaria Campofio- rito-Corleone si svolge in gran parte su questa formazione. I fossili contenuti in queste arenarie sono ingenere mal conservati. Negli straterelli marnose-arenacei intercalati si raccolgano briozoi, frammenti di e- chinidi (C742775), brachiopodi, qualche bivalve, balani, ma tutto però così in- timamente impigliato nella roccia, che riesce quasi impossibile di isolarli. Fanno solo eccezione i denti di pesci, che facilmente si distaccano. Nella località det- ta Madonna del Malpasso sopra Corleone, negli strati dell’arenaria soprastante ai calcari glauconitici, identi sono abbondanti. La cultura, in quei luoghi, ha disgre- gato la roccia, che lì è una arenaria giallo-rossiccia, verdiccia, o verde oscura e i denti si raccolgono facilmente belli e liberi. Fra le specie più comuni ed abbondanti ci basti ricordare: Carcharodon megalodon Ag., Lamna crassidens Ag., Oxyrina hastalis Ag., O Desori Ag., O. crassa Ag., Chrysophrys cincta Ag. sp. Odontaspis cuspidata Ag. sp., O. coniortidens Ag. sp., Carcharias Egertoni Ag. sp., Sargus Oweni Sism., ecc.; notiamo poi come questo elenco può di gran lunga aumentare con lo studio completo di quella ittiofauna. Già nel Museo Geologico dell’ Università di Palermo esiste una ricca collezione di ittioliti dei dintorni di Corleone, che formeranno l’ oggetto di una Monografia speciale. Molto più scarsi sono i fossili del calcare; quivi, oltre a qualche esemplare di Chrysophrys cincta Ag. e di Odontaspis cuspidata Ag., non si rinvengono che foraminiferi. Questi sono per lo più i medesimi di quelli che si trovano nelle arenarie del Casale, a cui si aggiungono piccole Operculina, Amphistegina SUL MIOCENE MEDIO DI ALCUNE REGIONI DELLE PROVINCIE DI PALERMO E DI GIRGENTI 309 e numerose e piccole .Vr0gypsina, appartenenti con molta probabilità alla Mio- gypsina irregularis Micht. sp. È bene intanto precisare che noi in questo lavoro ci occupiamo esclusi- vamente .delle arenarie appartenenti al Miocene medio. Nei luoghi però in discorso, si osservano altre arenarie appartenenti ad un differvate orizzonte del Miocene, cioè al superiore. Queste ultime, oltre che per la loro giacitura, si distinguono anche per la fanna. Ad esse, in al- tri luoghi, si associano anche delle argille sabbiose e salate. Queste argille nei dintorni di Ciminna sono fossilifere ed il prof. S. Ciofalo vi raccolse una fan- na di molluschi del Tortoniano (1). Le arenarie passano facilmente a puddin- ghe e contengono un conglomerato distintissimo molto sviluppato. La rotabile Corleone-Campofiorito in parecchi punti fa bene osservare le arenaria» ed i conglomerati e la sovrapprsizione di questo complesso alle arenarie verdi, già da noi descritte. Negli immediati dintorni di Campofiorito, dirimpetto alla stazione, nelle località dette P7227/0, monte Giammaria, ecc., la formazione del Miocene su- periore (Zorforiano secondo il Baldacci (2), va a sottostare ai depositi di gesso (piano Poztico), i quali alla lor volta sono ricoperti da argille e marne a foraminiferi (570) del Pliocene. Descritta così la successione dei membri, veniamo a discuterne breve- mente l’età. È bene ricordare che finora la estesa massa delle argille qui descritte, come quelle, che, con gli stessi caratteri, si presentano nei dintorni di Bisac- quino, Palazzo Adriano, Burgio, ecc., e di cui parleremo in seguito, era ri- ferita all’Eocene medio. La grande somiglianza di esse con quelle veramente eoceniche di altri luoghi spiega la ragione di tale riferimento. Ma i dati stratigrafici e paleontologici, raccolti nelle varie escursioni eseguite in quelle - regioni, permettono ora di giudicare meglio l’jetà di esse e di dimostrare come quelle argille, insieme con i calcari glauconitici e le arenarie sovrap- poste, già giustamente riferite al Miocene medio, non possono staccarsi da questo piano. (1) Ciofalo S. — Descrizione duna nuova conchiglia fossile del Miocene di Ciminna (Atti Acc. Gioen. Se. Nat. di Catania, serie ITI, vol. VIII) (2) Baldacci L. — Descrizione geologica dell’ Isola di Sicilia, 1886. 5310 G. CHECCHIA-RISPOLI Come si è detto avanti, le argille si sovrappongouo per lo più ai terreni secondari, ma in taluni punti, come avviene nei dintorni di Campofiorito, sotto di esse si manifesta una formazione, finora non indicata in quella regione, che va riferita all’Oligocene (1). Questa sovrapposizione è ben manifesta nella lo- calità Giardinello. 7 i Ma vh? di più. Abbiamo già enumerati i fossili che si raccolgono negli strati calcarei-intercalati tra le argille. Questi se non sono davvero molto ab- bondanti, sono però sufficienti per determinarel’età di um giacimento, e infatti, oltre alla presenza di numerose Lepidocycelina, si raccolgono in quegli strati altri fossili d’indiscutibile valore miocenico, cioè il Cidaris (Oyatocidaris) ave- nionensis Dem. ed il Sargus (Trigonodon) Owveni Sism. Tanto l’uno, che l’altro di questi fossili sono caratteristici del Miocene medio (Langhiano ed Elveziano). Dunque per la posizione stratigrafica e per la presenza dei fossili citati, quelle argille attribuite di già all’Eocene medio, debbono invece passare nel Miocene medio. Abbiamo poi Visto che ad esse negli stessi luoghi, ed altrove, si sovrap- pongono concorCantemente le arenarie ed i calcari glanconitici. Quest’ultimi di già sono stati attribuiti dal Baldacci all’Elveziano. Considerando il carattere della fauna ittiolitica che contiene, associata con Cirripedi;il carattere litologico di quegli strati e la loro posizione superiore a tutto l’insieme di assai grande potenza, non sapremmo staccarli da questo piano. Questi strati contengono anche delle IMzogypsiua, che nell’Elveziano sogliono sostituire le Lepidocyelina. Le argille sottostanti invcce contengono una assai grande quantità di Lepido- cygeltna, le quali, secondo alcuni autori, non esistono nell’Elveziano che raris- sime o rappresentate da forme miogipsinoidi. I dottori Prever (2) e Ferrero (3), nei loro recenti studi sulle colline di Torino, asseriscono che le Lepidocyelina in quei Inoghi non vanno oltre il Langhiano, anzi, secondo i predetti autori, queste servirebbern a tener distinta localmente la formazione langhiava dal- l'elveziana. Tenuto or conto che le argille con Lepidocyelina, da noi qui stu- diate, sono sempre i.feriori alle arenarie e calcari glauconitici, in una forma- zione, che, come ho già detto, assume uno spessore grandissimo, ritengo che parte d’esse rappresentino molto probabilmente il Langhiano. (1) Checchia-Rispoli G. -— Sul Oligocene dei dintorni di Campofiorito (Palermo), 1911. (2) Prever P. L. — Za formazione ad Orbitoidi di Rosignano Piemonte e dintorni (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXVIII) 1909. (3) Ferrero L. — Osservazioni sul Miocene medio nei dintorni di S. Mauro Torinese (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXVIII) 1909. SUL MIOCENE MEDIO DI ALCUNE REGIONI DELLE PROVINCIE DI PALERMO E DI GIRGENTI IL II. DINTORNI DI PALAZZO ADRIANO (PRov. DI PALERMO) La descritte formazione delle argille da Corleone e Campofiorito, come ho di già scritto (1), si estende a Sud verso Bisacquino e Palazzo Adriano, occupando la valle del finme Sosio, mentre verso Est si spinge sin sotto Con- tessa Entellina e verso Ovest va sino a Chinsa-Sclafani. Le argille ricompariscono dovunque con gli stessi caratteri, dappoicchè non sono che la continuazione delle altre ed è quindi superfluo qui tornare a descriverle. Esse sono quasi sempre prive di fossili e diventano fossilifere solo quando contengono intercalati degli strati calcarei. Questi ricompaiono nei dintorni di Palazzo Adriano. Le argille, che sono molto sviluppate in quello di Palazzo Adriano, man- dano anche un ramo molto potente verso S. E. di tale paese; questo braccio per la contrada detta Zocca di Salomone si spinge sin sotto a Portella di Gebbia all’incontro dei terreni secondari. Questi terreni formano ivi una specie d’insenatura a ferro di cavallo, da nn lato della quale si erge il Monte Pietra Fucile (1174 m.) e dall’altro la Montagna delle Rose (1456 m.). La gola for- mata è in gran parte occupata dalle argille di color gialliccio e turchiniccio, «che costituiscono dei rilievi nudi di ogni vegetazione. È bene qui ricordare che è proprio in mezzo a queste argille, ritenute prima eoceniche, che spuntano i ben noti calcari del Permiano inferiore della Rocca di Salomone, la cui meravigliosa fauna è stata in gran parte descritta dal prof. G. G. Gemmellaro. Risalendo dalla Rocca di Salomone verse Portella di Gebbia, si osserva che nelle dette argille sono intercalati degli strati di una breccinola calcarea, tenace, di color chiaro tendente per lo più al verdiccio per presenza di glau- conite. L'alternanza di questi strati calcarei con le argille è ben manifesta; mav mano poi che si risale verso Portella di Gebbia, gli strati calcarei si fanno più frequenti finchè, alla sommità della formazione, finiscono col predo- minare del tutto. Sotto la Portella di Gebbia tali strati si mostrano quasi rad- drizzati e pendenti a Nord. Gli strati della brecciuola calcarea sono fossiliferi, e risultano d’un impasto (1) v. Osservazioni sul Miocene ece., 1910. 312 G. CHECCHIA-RISPOLI di Zepidocyclina di medie e piccole dimensioni, le quali, là dove la roccia è stata attaccata dagli agenti esterni, si possono facilmente isolare. Noi abbiamo determinato: Lepidocyelina marginata Micht. sp., Lep. Morgani Lem. et Donv., Lep. Canellei Lem. et Douv., Lep. Ioffret Lem. et Douv., ecc. Alle Zepidocyclina si aggiungono dei piccoli echinidi ornati (Arbdaciza), oltre a resti di Crdaris avenionensis Desm. Le placche interambulacrali e i radioli specialmente sono così abbondanti, che ricoprono talora intere super- fici di strati. La loro conservazione è così perfetta, che non vi può essere dubbio alcuno sulla loro determinazione. Oltre poi a frammenti di piccole Osfrea e di Peczer costati, si raccolgono alcuni odontoliti ben conservati, riferibili a Sargus (Tri gonodon) Oweni Sism., Chrysophrys cincta Ag. sp., Odontaspis cuspidata Ag. sp., Lamna sp., ecc. I caratteri litologici delle argille e la fauna che esse contengono sono del tutto simili a quelli che abbiamo studiato nei dintorni di Campofiorito e non vi sono argomenti per poterle staccare cronologicamente da queste. È Ja stessa formazione, da noi riteunta probabilmente langhiana, la quale, vedremo poi, spivgersi più oltre, sempre con gli stessi caratteri litologici e faunistici (1). Sulle argille sta posata concordantemente la formazione dei calcari e delle arenarie verdi dell’Elveziano simili in tutto a quelli dsi dintorni di Corleone e di Campofiorito. La rotabile Bisacquino-Palazzo Adriano taglia continuamente questa formazione, la quale appare anche lungo la vallata del finme Sosio ed in altri punti, come lungo la strada Bisacquino-Chiusa Sclafani, ora este- samente, ora in lembi o grandi massi dalle pareti ripide ed isolati sulle argille. (1) La formazione delle argille con calcari a Lepidocyelina si estende anche nei dintorni di Castronuovo di Sicilia e di Cammarata. Ho potuto studiare parecchi campioni di rocce provenienti dai dintorni dei suddetti paesi. In quelli provenienti dalle vicinanze di Castronuovo e che sono dei calcari marnoso-arenacei, giallo-grigiastri, talora facilmente disgregabili non molto dissimili da quelli dei dintorni di Campofiorito, ho potuto determinare, oltre a varie. Lepidocyelina (L. dilatata, L. marginata. ecc.), il Sargus Oweni Sism. edìl Cidaris avenionensis Desm. La roccia dei dintorni di Cammarata è invece una breccetta calcarea, rossiccia, tenace, zeppa anch'essa di piccole Zepidocyclina. Questa roccia somiglia molto a quella dei dintorni di Burgio, quando, per la presenza d’ossidi di ferro questa si mostra di color rossiccio. È sn- perfluo ripetere che nei punti, ove furono raccolte queste rocce, era indicato nella Carta. Geologica l’Eocene, che in parte realmente vi è. SUL MIOCENE MEDIO DI ALCUNE REGIONI DELLE PROVINCIE DI PALERMO E DI GIRGENTI 313 III. DintoRNI DI BURGIO (PROV. DI GIRGENTI) Sin dal 1906 ho accennata alla esistenza di Zepidocyclina insiome a Mio- gypsina in terreni miocenici dei dintorni di Burgio (prov. di Girgenti) ai «confini della provincia di Palermo, da me rinvenute in alcuni campioni di roc- ce conservati nel Museo Geologico dell’Università di Palermo (1). Solo però l’anno scorso ho avuto la possibilità di visitare quei luoghi e di raccogliere molto nuovo materiale, che sarà illustrato paleontologicamente in un prossimo lavoro insieme con tutto l’altro, di ‘cni si è parlato avanti. La formazione delle argille, come abbiamo già detto nella Nota riassun- tiva (2) e precedentemente, continua a svilupparsi sempre più a Sud verso Burgio ed oltre verso Caltabellotta, occupando l’ampia vallata del fiume di S. Carlo della Verdura e spingendosi con le sue ultime propaggini quasi a toccare presso Sciacca, ove sono sostituite da calcari, il litorale del mare africano. Nei din- torni di Burgio ricompaiono i calcari a Lepidocyelina, i quali formano come un'isola sulle argille scagliose associate. La rotabile S. Carlo-Burgio, proprio nelle vicinanze di quest’ultimo paese e le cave molto attive nella località Garebbici hanno messo allo scoverto una bella sezione di tali calcari, che vi si mostrano molto potenti. Essi pendono vorso Sud. La stessa pendenza si osserva anche in altri punti, come dentro l'abitato di Burgio, il quale è costruito sui calcari e dove gli strati affiorano continuamente, ed al Castello arabo, che domina tutto il paese. Tali caleari offrono un’ottima pietra da taglio e da costruzione di color giallastro e biancastro, che per azione degli atmosferili diventa di color giallo- cupo. Essa è largamente usatain parte delle provincie di Girgenti e di Paler- mo. Le cave assai antiche appartengono al barone Pietro De Michele. Il Ca- stello arabo e molte chiese antiche di Burgio ne sono costruite: ma la pietra è esportata in molti paesi vicini, come a Lucca Sicula, Villafranca Sicula, Bivona, Cianciana, S. Carlo, Chiusa Sclafani, Bisacquino, Campofiorito, Palaz-. zo Adriano, ecc. i (1). Checchia-Rispoli G.—S/a diffusione geologica delle Lepidocyclina (Boll. Soc. Geol. Ital. ol. XXV), 1906. i (2) Id, Osservazioni nel Miocene ecc. 314 G. CHECCHIA-RISPOLI Propriamente i calcari ora descritti sono delle breccioline molto resisten- ti. Esse risultano quasi interamente di litotanni e d’un impasto di minuti orga- ‘nismi e di frammenti di più grandi, rilegati da un cemento calcareo. 1 fossili che vi si raccolgono sono in predominanza foraminiferi e spe- cialmente Zepidocyelina, fra cui notiamo Lep. marginata Micht. sp., Lep. Mor- gani Lem. et Douv.. Zep. Tournoneri Lem.et Donv., oltre a qualche altra da descriversi come nuova. A queste si associano esemplari della M/ogypsina tr- regularis Micht. sp., dell’Operculiua complanata Detr., della Heterostegina de- pressa d’Orb., ecc. Però, oltre ai foraminiferi, non mancano i rappresentanti degli altri tipi d’animali; così si raccolsono frammenti di colonie di briozoi; abbondanti e ben conservati radioli della Cidaris averionensis Desm., piccole Scutellina e non rari esemplari dell’ Ze/kizolampas hemisphaericus Ag; balanidi ed inoltre abbondanti e ben conservati denti di pesci, tra cui ci basti notare per ora: Sargus (Trigonodon) Oweni Sism., Carcharadon megalodon Ag., Oxyri- na hastalis Ag., O. Desori Ag., Chrysophrys cincta Ag. sp., Odontaspis contor- fidens Ag. sp. ecc. Infine è proprio in questa formazione che è stato rinvenuto, parecchi auni fa, il molare del Vastodon angustidens Cuvier, donato dal compian- to deputato dott. G. Licata da Sciacca al Prof. Giovanni Di Stefano eda que- sto al Prof. G. G.Gemmellaro pel Museo Geologico cell’Università di Palermo. Questo dente è proprio quello a cui accenna il Prof.G. Capellini in una nota a piè di pagina della sna importante Memoria sui Mastodonti del Pliocene del- la provincia di Bologna e daluialloraindicato come M. arverzensis Croiz. et Iob. del Pliocene, essendo fino allora riferito a questo piano il calcare che lo con- tiene (1), ed in seguito al riconoscimento dell’età miocenica di quel deposito, come J/. angustidens Cuv., specie molto diffusa nel Miocene inferiore e spe- cialmente nel medio (2). 1 Il Mastodonte di Burgio costituisce il primo sicuro ritrovamento di M. aw- gustidens in Italia nel Miocene medio. Iv spero, fra non molto, di pubblicare un mio studio su questo molare, ultimato da parecchio tempo, e che per circo- stanze indipendenti dalla mia volontà, non ho potuto ancora rendere di pub- blica ragione. Passata così brevemente in rassegnala fauna di quegli strati, paragonan- dola con le altre non si può fare di meno di concludere che tanto quei cal- (1) Capellini G. -—esti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della provincia di Bologna (Memorie della R. Accademia di Scierize dell’Istituto di Bologna, serie V, tom. {II), 1895. (2) Id. — Mastodonti del Museo geologico di Bologna (Mem. R. Ace. d- Sc. Ist. di Bologna. serie VI, tom. IV), 1907. SUL MIOCENE MEDIO DI ALCUNE REGIONI DELLE PROVINCIE DI PALERMO E DI GIRGENTI 315 cari che le argille associate appartengono al Miocene medio. Sulla carta geo- logica invece le argille sono attribuite all’Eocene medio e la formazione cal- carea non vi è indicata ed al suo posto invece sono segnati dei calcari clo- ritici arenarei identici a quelli di Corleone, riferiti all’Elveziano. Presso Bur- gio e negli immediati dintorni nou esistono calcari arenacei verdicci, ma solo le brecciuole calcaree a Zepidocycelina descritte. Sopra di queste non si nota- no gli strati da noi e da altri autori riferiti all Elveziano, come quelli di Cor- leone; però esse, associate alle argille, non sono che la continuazione della for- mazione argilloso-arenacea con catcari a Lepidocyelina di Campofiorito e di Pa- lazzo Adriano da noi ritenuta probabilmente del Langhiano e quindi quella di Burgio non può staccarsens cronologicamente. I calcari a Lepidocyclina si vauno ad immergere sotto la formazione plio- cenica, che è anche molto sviluppata nei dintorni di Burgio ed assai più che nou segni la carta geologica di quella regione. Il Pliocene là è rappresen- tato dalle marne bianche a foraminiferi (207), le quali, sia lateralmente che nella lor parte superiore, passano ad argille turchine molto fossilifere. Tanto sulle nne che sulle altre si sovrappongono i tufi calcarei sabbiosi giallicci o giallo-rossicci. anch’essi fossiliferi. Nella contrada Carella presso l’abitato di Burgio, ove affiorano le argille, adoperate per laterizii, in una rapida visita ho potuto raccogliere le seguenti specie: Ceratotrochus duodecimeostatus Goldf., Schicaster canaliferus Lmk., Pec- ten inflexns Poli sp., P. cristalus Brn., Nucula nucleus L. sp.. N. placentina Lmk., Leda commutata Ph., Venus multilamella Umk. sp., Meretrix rudis. Poli, Corbula gibba Ol, Dentaliam Delesserti Chenu, D. dentale L.. Siphonodentalinm fetragonum Broce. sp., Turritella tricarinata Broce. sp.. Natica (Naticina) fusca De BI, Calyptrea chinensis L. sp., Nassa semistriata Br. sp., Ringicula buccinea Rr. sp., ecc., oltre a varie otoliti. Anche nel calcare tufaceo abbondano i fossili, i quali sono per lo più mal conservati. Ho potuto determinare: Difrupa incurva Ren. sp., Peclen Jacobaeus L., P. Alessii Ph., P. opercularis L., P. varius L., Venus multilamella Lmk. sp., Meretrix Chione L. sp., Corbula gibba O1l., Cardita aculeata Poli, Triphoris per- versa L. sp., ecc., oltte a resti di briozoi, coralli ed echinidi. Istituto Geologico dell’ Università di Palermo. Aprile; 1911. a Da n sano