iiSjaaeieMapj ìasasstsssssiSm m m 3 a SÌI3!ElE!ElEiM a a a a a a a a a GIORNALE LIGUSTICO r/ baeiiz^ . X' diete . ex) oRotli. G. de Paris , Tav. IX , fìg. 9 ) . Ho trovato non pochi individui, i quali somigliano assai a questa specie , non sono però abbastanza com- pleti per assicurare che gli appartengono. Terehratula gallina Alex. Brong, (Tav. IX. fig. 2, Min. des env. de Paris ) . Assai numerose sono a Gourdon le terebratule che presentano 1' aspetto generale e i caratteri della tere- hratula gallina ; siccome però sono in gran parte de- formate , potrebbe essere che taluna di loro apparte- nesse alle specie vicine. Vi potrebbe anche essere tra queste la terehratula difforme ( dicti des sciences na- turelles^, se l'abbassamento della valva che si osserva da una parìe non fosse forse dovuto ad una causa meccanica. Terehratula depressa N. Neil' impossibilità di determinare a quale specie ap- partenga questa larga terehratula , gli do un nome tratto dalla sua forma schiacciatissima. Non pare che si possa attribuire questa sua forma ad iJn' azione meccanica , ma credo invece che tale in gran parte potesse essere originariamente ', è striata da numerosi solchi come le precedenti. IO Vi si rinvengono inoltre dei frammenti di un' ostrica ripiena di pieghe frequenti ed acute , e che non saprei a quale specie i-iportare , il nucleo di una bivalve che potrebbe essere una venus , qualche resto di ammonite nou determinabile , delle belemniti , il nucleo di uu trochus di grande dimensione , il nucleo di un bucci- nile , delle punte di echino , un frammento che pare aver appartenuto ad un cidarite , dei frammenti di un naiitilo , e finalmente due specie di corpi , che riporto , ma con dubbio , alle orbitoliti , 1' uno largo di quasi due linee di diametro , è quasi piano da una parte e un poco concavo dall' altra : è assai sottile : tolta , per mezzo dell' erosione , la sottile crosta calcarea che ri- copre la sua superficie , si vedono comparire dei nu- merosi pori disposti circolarmente. L' altro non diffe- risce da questo che per essere di dimensioni più pic- cole ; è forse la stessa specie in età meno avanzata : non mi pare che né l'uno né l'altro corrispondano ad alcuna delle specie di orbitoliti descritte nel dizionario delle scienze naturali. Ma non è Gourdon il solo luogo di questo alto grup- po di montagne , ove si trovi un terreno analogo al so- pradescritto ; dei fossili provenienti da un luogo di là distante due oi'e e chiamato Coussoles , ove esiste una disposizione analoga di terreno , e che ho veduti nella collezione del Dolt. Gazan di Antibo , mi hanno indi- cato che colà pure si trova un bacino o lembo di creta verde. Questi fossili sono gli stessi che ho trovati a Gourdoìi: \i sono di più degli encrini , un ammonite e dei nuclei, che mi sono parsi somigliantissimi a quelli del cassis avellana Brong. , conchiglia dello sti^sso ter- reno rinvenuta presso la perdita del Rodano e alla montagna des Fis sopra Servoz. Pare ugualmente , che non pochi banchi dipendenti dalla formazione del green satid si mostrino ancora sparsi qua e là su varii plateau e cime di queste mon- tagne di Grasse, come verso Coursegoule , e forse Greolieres. (^Sarà continuato.') NECROLOGIA. Ippolito Pindemonte. I 1 dolore , che abbiam provato gravissimo alle perdite fatte , r una dopo 1' altra , de' primi luminari della let- teratura italiana , Cesari , Monti e Pindemonte , ci avea così gittati nella costernazione e nello stupore , che mancata ci è finora la forza di sfogare pur col pianto e colle parole il nostro cordoglio. Ora però che il tempo, sanatore d'ogni gran piaga, se non ci consola (che n' andreni sempre inconsolabili) de' nostri danni, ci lascia almeno libero il campo ad esprimere i senti- menti del nostro animo 5 ci sentiamo mossi dalla gra- titudine e spinti dal dovere al pietoso ufizio del favel- lare della lor morte. E principio al dir nostro por- gerà il PiKDEMONTE , il quale , siccome fu 1' ultimo dì essi a venir meno, così rivolse il cuor nostro, com- mosso già e angosciato per gli altri due, nella più profonda tristezza. Noi non credevamo al certo di dover così presto piangere sull' eterna dipartita" dell' esimio Cav. Pinde- monte , dalla cui vegeta senile età noi argomentavamo ( Giorn. Lig. Nov. Die. 1828 , p. 588) gran felicità all' Italia. Non passò un mese , che quel nostro presagio si vide deluso : quanta è 1' instabilità delle cose umane ! Ma poiché a questo termine siam pur condotti , noi non temiamo che in parlando d' Ippolito Pindemonte verremo o a ferire 1' orgoglio o a irritare l' invidia dei dotti : tanto visse modesto e tanto mostrossl con tutti gentile , che ben ci sembra non poter le sue lodi ad alcuno portare offesa. I fiori , che andiamo spargendo sulla sua tomba , saranno da tutti , speriamo , mirati con compiacenza e rispettati con religione, sì perchè li meritano sparsi a larga mano e le cortesi sue ma- niere e le religiose sue virtù , si perchè altro noa sono 12 che il contraccambio di quelli molti e fragrantissimi , end' egli intessè tante e si leggiadre ghirlande alla memoria de' cari amici e degli illustri letterati. Il solo incomodo , che proviamo nel ragionare del PiNDEMoNTE , si è il timore che le nostre parole ven- gano a scemare , anzi che ad accrescere lo splendore dell' opere di lui. Ma in questo pure troviamo un con- forto j conciossiachè sappiamo dalla pubblica fama , che quattro valenti scrittori sono già occupati a tesserne r elogio; r Ab. Michele Colombo , Mario Pieri , il Conte Benassù Montanari e il Marchese Tommaso Gargallo. Sotto il pennello di cosi valorosi artisti sorgerà es- presso al vivo il ritratto della soavissima di lui anima, tal quale era, dolce, modesta, gentile , liberale , amo- rosa e bella di tutte le bellezze, di cui adornano un uomo la civiltà e la religione. Noi godrenio d' essere vinti da tanta maestria , e paghi , non che contenti d'avere sparsa in questo cammino, innanzi ad ogni altro , qualche scintilla , ammireremo con piacere la luce , che dalle virtù di lui spiccheranno vivissima altri di noi più esperti e fortunati. Questo , qualunque siasi, tributo delle nostre parole varrà almeno a far fede, che anche noi professammo a quel cortese spirito ed umile servitù e singolare affezione , e che se nel lavoro ci falli l'intelletto, al certo non ci venne meno il cuore. La nobiltà della nascita e la chiarezza della patria non debbono essere ricordate in Ippolito Pindemonte , uomo che alla propria famiglia e città rendè più , che non ne ritrasse , onore. Si collochino su queste basi que' piccoli grandi che mostrar non si possono nella propria grandezza , ed abbisognano , per far di sé pom- pa , dell' altrui soccorso. Noi non siamo di quelli da voler dispregiare il lustro , che da egregia stirpe ed esimia patria proviene : che ben conosciamo quanto in un animo ben fatto possa 1' una e 1' altra conferire a destare gì' innati semi delle virtù , e sappiamo come il Gay. PiìiDEMOHXE sentiva altamente e della sua prosapia i3 e (Iella sua cluà , non per credersi abbastanza da quelle solo onorato , ma per ricavare stimoli più acuti ad opere gloriose. Solo noi vogliam detestata 1' albagia di taluni , che colla vanità delle parole fanno il panegi- rico della lor casa e nazione , -e ne forman colla mol- lezza de' costumi e malvagità dell' opere il disonore. Sorti adunque il nostro Ippolito i natali in Verona ai i3 di novembre lySS dal Marchese Luigi Pinde- monte e dalla Contessa Maria Lodovica Maffeo. Al mi- rar che tacevano i solleciti e amorosi genitori le scin- tille dell' ingegno , le quali dal giovinetto ne' puerili studj e fin anche ne' trastulli uscivano , siccome si riem- piano di soave diletto , così si metteano in grandissima apprensione. Temeano jessi , ancorché ne fossero per se stessi capacissimi , di non bastar soli all' educazione d' una mente e d' un cuore che parevano dover riuscire alcun che di straordinario j e provarono doglia acerbis- sima alla sola idea di doverlo dal lor seno dividere per consegnarlo a mani straniere. L' uso di porre i proprj figli in collegio parca inge- nito nel secolo scorso alle nobili famiglie^ con quanto profitto noi noi sappiamo. Certo 1' infelice riuscita della più parte degli allievi dovrebbe levar la benda a' ge- nitori assennati , e mostrar loro , come colà , quando non intervenga altro danno , si perde 1' affetto alla fa- miglia , Id soggezione a' genitori , l' amore alla terra natia. Non sia alcun che creda chiuso in questi detti un rimprovero agl'illustri genitori d' Ippolito , d' avere al- lontanato da se il loro figliuoletto; mentre le virtù, dì cui egli ritornava adorno, abbastanza ne formano la difesa, luttavia possiam francamente asserire, che egli medesimo , il Cav. Ippolito , nel chiamarsi che facea soddisfattissimo dell' educazione avuta nel collegio di Modena , interrogato pochi mesi prima della sua morte, se metterebbe , avendone , o consiglierebbe altri a met- tere in qualunque , benché rinomato collegio , i proprj figli , rispose risolutamente che no. E di questo suo i4 giudizio avea egli fatto cenno fin dal 1788 nelle sue poesie , quando alla Contessa Teodora da Lisca Pompei tessea lodi per 1' allattar che ella facea col proprio seno il suo figliuolino. Collocato adunque in educazione nel collegio di Modena, cominciò quivi a prendere amore alla poesia italiana , e la dolcezza di questo sentimento fu quella che dettogli il ringraziamento che per ciò fece ad Apollo , quando cantò nel 1802 : « Questa che sul Panaro a me ponesti — Nella giovine man cetra diletta , ecc. , e più diffusamente nel Sermone (il Poeta): Fanciullo ancor nel!' Attestln liceo — Le severe pareti , ov' io dal volto — Della madre e de' miei , lunge vlvea — Rideano a me per la volante intorno — De' fantasmi Diroei turba dipinte. " Così di soli diciassette anni cominciò quella carriera , che dovea poi correre unica in tutta la sua vita con tanta gloria e di se stesso e dell' Italia. Ritornato per- tanto in seno alla sua famiglia , principiò a sentire gli strali d' amore. La tenerezza del suo cuore non per- nietteagli di non amare, ove gli si fosse offerto im oggetto adorno d' avvenenza insieme e di bontà. Egli era fatto per 1' ottimo , e all' ottimo sentivasi prepoten- temente trasportato. Quindi fu più volte preda del cieco Dio , ma non sì che la ragione restasse sommessa al talento. L' amor dello studio , e x consigli d' un vero amico lo trassero presto dal giovanile amore per fargli seguire un altro fantasma , caduco in vero esso pure , tuttavia non dannoso , e per gli animi generosi più seducente , la gloria. « Quanto non ti deggio, o Torelli! (esclama egli nelle Prose campestri ) veggendo nell' amor dello studio il mezzo più efficace per divertire i giovani da' ■vani e pericolosi piaceri , con quanta cura non cercasti d' inspirarmelo ? Fu per questo che m' inducesti a far cosa , la qual non posso dire quanto mi spiacesse poi d' aver fatta. Ma conoscendo l' intenzion tua , of^io il consiglio ed amo il consigliere ad un tempo. M' indu- cesti ad uscire in istampa , credendo eh' io non potrei i5 più ritirarmi da un campo ia cui fossi entrato pub- blicamente. » Per opera adunque del Torelli , a cui il Marchese Luigi ,. morendo , avea raccomandato il suo figlio Ip- polito , prese egli a pubblicare poesie e prose e a con- correre alle corone delle accademie. Ma quanto delle prime si trovò contento per 1' applauso , di cui gli fa larga da prima Verona , di poi tutta l' Italia , altret- tanto ebbe motivo d' esser mal soddisfatto delle seconde. Concorse ai premj accordati dall' accademie di Parma, di Mantova , e più tardi ancor , di Firenze : ma in nes- suna , per quel che noi ne sappiamo , ebbe felice suc- cesso. Quel che sappiamo di certo si è che le opere ia allora premiate non valevano, a nostro parere , quelle del PiKDEMONTE. Nou è da noi il cercar la ragione di tale avvenimento ; che troverebbesi per avventura nelle bri- ghe de' concorrenti e nella debolezza de' giudici. Piut- tosto ci sembra opportuno di dare ai giovani autori l'av- vertimento d' un grand' uomo , stato esso pure giudice in tribunal letterario , cioè , di non concorrere mai a tali premj , perchè il solo merito non è solito , e forse non può neppure essere conosciuto , o , qualora pur si concorra , di non perdere il coraggio , quando non s'ot- tenga la palma. Il Pindemonte , che sentiva se stesso, pubblicò le opere nou degnate dell' alloro , e appellò cosi al tribunale di tutta la nazione e della posterità. Invaghitosi della gloria letteraria , vide egli che ac- quistarla non potea perfetta rimanendo chiuso entro gli angusti confini della sua patria. L' uomo che non ha veduto altro orizzonte che quello in cui è nato , non è dissimile dal bambino che va carpone : non vede più in là di pochi palmi ; ristretto nelle sue idee , freddo nel suo cuore , rado s' allegra al brio d' una nuova imma- gine , rado commovesi all' impeto d' un grave affetto. I viaggi , fatti da un uomo intelligente , sono un pos- sentissimo mezzo per ingrandire 1' estensione de' proprj pensieri e per sublimare i sentimenti del proprio cuore. Nel deliberarsi a viaggiare , volle trar le prime im- i6 pronte del bello e del grande da quella terra classica , che è la vera erede delle arti greche , e custode di tanti monumenti dell' antico valore , volle riceverle da quel popolo , a cui appartenea per origine , era astretto per amore, era divolo per ammirazione. Corse prima l'Italia. Fu nell'occasione di questo viaggio che venne rice- vuto col titolo di cavaliere militare di giustizia nel sa- cro ordine di RJalta, appunto nel giorno aS luglio lyyi : fu in quest' epoca che corse il regno ampio de' venti , come cantò ne' Sepolcri , nel fare la sua ca- ravana. Non avvenne però che , ascrivendosi al sacro ordine , ne facesse ancora la solenne professione , che al voto di castità obbliga quella milizia: solo vi diede il nome per quella costumanza , che i cadetti delle fa- miglie nobili doveano in allora essere uomini di chiesa o d' armi ; deliberato in suo cuore d' esser suo e della sua cetera , della quale potea dir con Chiabrera Nort ho se non quest" una. L'amore però della propria libertà e della poesia non gli togliea che assai non si compia- cesse di quell'aggregazione, se è lecito argomentarlo dalla sua pratica. JNon infatti si servì mai d'altro titolo che di cavaliere , tutto suo proprio , lasciando quel di mar- chese, proprio della famiglia. Educata 1' anima alle varie sensazioni del bello in Italia , credette che gli sarebbe innocuo non solo, ma ancor profittevole il vedere quanto v'ha di più pregiato presso le piìi colte nazioni d'Eu- ropa. Usci dunque d'Italia, e visitò la Francia, l'In- ghilterra , r Olanda , la Germania e la Svizzera dal 1788 al 1792. Lo studio dell'uomo, onde poi miglio- rare se stesso , era il solo stimolo che a' suoi viaggi il sospinse. — Desire antico e bello — Mi conduce a veder per monti e fiumi - Come 1' uom sempre è quello - Sotto vario color de' suol costumi — Cosi egli cantava. Trovossi in Francia al tempo de'primi ribollimenti della rivoluzione. L' idea d' un governo popolare , conside- rata nel segreto del suo gabinetto, a lui, benché nato in nobil famiglia e cresciuto nell' aristocrazia veneta , a principio per avventura non dispiacque. Ma, vedutala '7 poi per mezzo di tanti Oirorl indotta in essere , ne provò si grave disgusto , clic tenne raen cara la propria esis- tenza , ed ebbe desiderio di vivere in altri tempi o ia altri luoghi , dove gli uomini fossero più virtuosi , che è quanto dire più conformi al suo cuore. Ma sedati i tomulti e ritornato 1' ordine , la contemplò con occhio meno avverso; con quella onestà e moderazione però che erano la regola d'ogni sua azione: e ne diede un saggio neW ^ì'iiiùno, ed anche ultimamente nello Sciolto sul Perseo di Canova. Continuava però , com'è giusto, ad avere in abbominio i fanatici , i temerarj e i fel- loni; ridicoli gli uni, vituperevoli gli altri, infami gli ultimi , condannabili tutti , e nel suo Sermone sulle opinioni politiche ben mostra la conoscenza che avea pienissima della leggerezza de' moderni eroi della libertà , dove conchiude che la più parte cerca la felicità nella forma del governo invano; giacché non la troverà in nessuna anche delle più perfette chi non l'ha nel pro- prio cuore. L' amor di conoscere le cose straniere non gli fece dimenticare la cara sua cetera : sempre 1' ebbe compa- gna , e ne fece lisuonare le corde sull' alture del Ce' nisio e nella solitudine della Certosa di Grenoble, al momorio del Ingo di Ginevra , e al rimbombo della ca- scata del Reno e del Nant d' Arpenaz , fra le delizie di Parigi e gli orrori delle ghiacciaie di Boissons e del Montanvert , nell'innocente ritiro di Gesner e nel volut- tuoso asilo di Voltaire , presso il sepolcro di Laura in Avignone e quel di Petrarca in Arquà; dappertutto in una parola , ove abbatteasi in oggetto che accendesse la sua fantasia, o, per dir meglio, commovesse il suo cuore. Gli errori i in cui s' immergea ogni di più la Francia, la poca sicurezza delle strade, la noja di do- ver vivere gran parte alla discrezione d' indiscretissimi postiglioni , vetturali , albergatori , caBierieri e simile lordura, lo fecero ritornare in patria, e prorompere nel Sermone sui viaggi in quegt' eselanìnzione : — Ma qual furia , Demòa , Fistol , Folletto — Entrò a' fiijliuo'i b i8 dell' Italia in corpo — Che nulla più della natia con- trada — Non i compagni lor , noa le lor dame — Ri- tienli, e il mar Tua varca e l'altro l'Alpe, — E chi a tremar di freddo in Russia corre , — Chi a sudare in Ispagna ? — O mio buou Fiacco , — Sommo di poesia mastro e di vita , — Ben tu il dicesti : Con cavalli e navi — Cerchiam vita beata: è qui se vuoi — Muta chi passa il mar, V aria , non l' alma. « Malgrado di questa lagnanza , non pelea a meno di ricordar con gioja le varie bellezze di cui era stato spettatore , e princi- palmente la sensazione sublime , che avea provalo nella sommità de' monti altissimi , dove pare che fattasi più lieve la mortai carne condiscenda allo spirito maggiori voli, onde più vicino si creda al cielo 3 malgrado di tale querela rallegravasi assai , non senza però 1' usata sua modestia, nell'adunanze, a cui interveniva d'ami- che persone , ove fosse caduto il ragionamento sui luo- glii da lui trascorsi , nel poter dire ; Io vidi , io fui. Delle avventure de' suoi viaggi nulla sappiamo di par- ticolare : convien dire che nulla vi sia slato di straor- dinario. Da un Capitolo di lui alla contessa Elisabetta Mosconi ricaviamo il disagio che egli sofferse nel borgo di S. Quirico nel suo cammino da Siena a R.oma , grave per un cavaliere delicato , ma non molto diverso , anzi assai minore del descritto dal Fracastoro. A noi egli contò di sua bocca , che , colpa di non aver ricapitato , per essere giunto tardi in città , le lettere di raccoman- dazione, dovette, tanta era la calca di forestieri , dor- mire per gran mercè e a carissimo prezzo , in un gra- najo air Aja in Olanda , intanto che , se si fosse pre- sentato al signore , per cui avea le commendatizie , avrebbe goduto d'una squisitissima cena , e d' un solen- nissimo festino. Al respirare nel ritorno le prime aure d' Italia sentissi lutto da viva gioja comprendere , e deliberò in suo cuore di rivederla tutta di nuovo, questa cara terra, per dismor- barsi delle impressioni straniere. Siccome a' suoi viaggi d' oltremente e d' oltremare avea fatto precedere , per ri- '9 paro e clifes.i il giro d' Italia , cosi or vuole farvi questo succedere per medicina e lavacro delle contralte forestiere abitudini. La purezza del nostro cielo , che basta di per se sola a ingentilire i costumi dei più barbari e rozzi che vi stabiliscono la loro sede , potea e dovea viemaggior- mente tergere un gentilissimo suo figlio da ogni influsso, che avesse potuto soffrire per la caligine de' vaporosi climi settentrionali. E certamente rifece egli il giro d' Italia , con maggior profitto del primo : conciossiachè , conosciuto già pel grido che avean levato le sue poe- sie , trovò men difficili ad aprirsi a lui i più riposti penetrali dell'umano sapere; conobbe di persona molti e grandi letterati ; fu da tutti riverito e stimato , da moltissimi desiderato ed amato ; professò egli all' incon- tro a tutti ossequio , a molti stima , a pochissimi ami- cizia. La diversità delle massime e del costume fu la cagione in lui di tale contegno. Con alcuni apri quindi o continuò commercio di lettere , con assai scarso nu- mero venne all' ultima intrinsichezza. Tra questi ultimi si noverano Bettinelli, Cesarotti, Mazza, Vannetti, Vittorelli e Fossati. Non parliam di Torelli e di Pom- pei : piVi che d' amici ebbeli in conto di maestro o di padre. Curiosa si è la risposta data da lui , interro- gato , se avea molte lettere d'un celebre letterato d'I- talia , di cui per rispetto trapassiamo in silenzio 11 nome: nessuna, diss' egli. E perchè l'interrogatore mostrava di ciò meraviglia : meraviglia , soggiunse egli , dovrebbe essere , se io ne avessi alcuna. Infatti , salvo la stima dell' ingegno , non vi potea essere motivo d' unione. Al novero de' dotti amici aggiunger seppe anche uu eletto drappello di Letterate amiche j ma con quella purezza di tratto e illibatezza di conversare che s' addice a' spi- riti alti e cuori virtuosi. Sappiamo che nell' animo basso di molti non troverau fede questi amori inno- centi ; ma noi non crediamo di scrivere per animi Che hanno posto nel fango ogni lor cura, ma per lettori intelligenti della lòrza della virtù e capaci d' oneste affezioni. Presso questi saremo ascoltai: ao e intesi. Le signore , che godettero della stima affet- tuosa del cav. Pindemonte , fnrono tutte per celebrità di lettere e per candcr di costumi pregiatissime ; la contessa Elisabetta Mosconi , la contessa Isabella Al- brizzi , la contessa Silvia Verza-Curtoni. Pieni del nome di queste illustri donne sono i versi di lui , onde pare che valessero ad eccitare in lui 1' estro più che le Gra- zie e le Muse. Questi sono gli avvenimenti , a noi noti , che va- riarono la vita d' Ippolito Pijndemonte. Non dignità , non cariche egli mai cercò , né ebbe. Io mi conosco. \'aso Di prudenza civil non è il mio capo. Chi vuol questo da me , vada e alla pianta Che lichi porta , iiva domandi o pesche. Così protestava egli nel sermone intitolato La mia Apologia. Invano l'eccitavano i parenti, invano 1' esor- tavano gli amici. Era egli fermo nella massima di splen- der meno (son sue parole) ma splendere solo della pro- pria luce. Si rivolse perciò a cercare la vera gloria , che risulta dall'ottimo uso delle proprie doti dell'intelletto e del cuore. E per conto dell'intelletto, egli aspirò alla fa- ma di perfetto letterato, fornito ciuè di tutte le cognizio- ni che da ogni ramo dell' umano sapere possano rendere compitissimamente adorno uno scrittore. Beucliè nel sermone La sua Apologia dicasi non atto a gittarsi negli abissi metafìsici, e a fissare le pupille nella vi- vezza della luce matematica , o ad affilare lo sguardo sopra una foglia o una farfalla ; tuttavia dalla lettura delle opere sue , e massimamente degli Elogi , appa- risce che uè la metafisica, né la matematica, né la sto- ria naturale , né le altre scienze piìi alte , come teo- logia 5 legislazione , e medicina , non gli erano anche ne' più segreti misteri nascoste. Lo scrivere con chia- rezza e precisione di materie astruse è argomento di profonda , non di leggiera conoscenza : ed egli vi scorre in mezzo con tanta sicurezza che è una meraviglia. Nelle non poche né brevi couversazoni , che abbiamo 21 avuto eoa lui , ci apparve , ancorché tale non ci fosse apparito nelle opere sue, quel poliistore clie era vera- cemente , ma senz' ombra alcuna di fasto , ma coii sì bel garbo che non umiliava chi sentivasi sommamente a lui inferiore: né in alcuna materia mostravasi digiuno, benché svarlatissima , talché può dirsi di lui quel che del grandissimo Stellini disse l'AIgarottl , che avrebbe cioè potuto leggere in tutte le cattedre e spiccarvi splen- didamente. Contuttociò né le sue poesie né le sue prose ti riescono , come quelle di tutti gli eruditi , gravose e increscevoli j ma le cognizioni vi trovi richieste dall' argomento e nulla più , con tanta aggiustatezza , per- spicuità ed eleganza che ne rendono gradevolissima la lettura. Ma più di tutto studiò se stesso. ce Per trar dagli studj , scrivea egli nelle Prose Cam- pestri , tutto quel bene , di cui son capaci , confessiamo ch'esser fatti dovrebbero altrimenti da quello che in generale costumasi. Lo t-ttidio dell'uomo, dell'origine sua , del suo fine dovrebb' esser il più coltivato di tutti ed è il meno. Ut neino in se se tentai descendere , nemo ! Sarà forse dalla mineralogia o dalla botanica , sarà stillandosi il cervello sopra una lapida o sfibrando gli occhi per entro una pergamena , ch'io imparerò a fre- nare i desiderii e i timori , a perdonare gli altrui di- fetti, a non lasciarmi vincer dall' ira ? litcras nihil sa- nantes. Saprò come s' ami la patria, l'amico, la sposa , studiando come si nutra una pianta, si formi un me- tallo, si trasformi un insetto? Nonfaciunt bonos ista, sed doctos. Abbenchè io rispetti qualunque scienza , difficilmente m' indurrò a pensare , che 1' uomo sia stato posto nel mondo per numerare li l'jòib occhi d'una farfalla. La cognizion religiosa e morale dell' onesto e del turpe , della storia dell' uman genere , di qne' fatti onde acquistano solidità le opinioni e divien palpabile il vero , mi sembra d' uso frequente nella vita più che tutt' altro. La prudenza e la giustizia camminano per tutti i tempi ed in tutti i luoghi : ma solamente per 2» caso altri si dà alla fisiologia o all' idroslatica : ed ove son puramente volontarie le speculazioni di questa spe- zie , necessario è lo star con noi e con gli altri , ne- cessario il conoscer le nostre relazioni con gli altri e con clii ci creò, e i doveri die imperiosi sorgon da quelle, w Cosi egli , e a ragione : il saper tutto, fuorché sé stesso e Dio, è la miseria più luttuosa del mondo. Centro a tutte queste cognizioni egli fece la poesia ; ma una poesia che istruisca e diletti , ma una poesia che nasca piìi che dall' ingegno , dal cuore. Egli co- nobbe , come s' era studiato , veramente se stesso. Vide che quanto 1' affetto tenero e delicato in lui domina- •va , altrettanto non gli rispondea sempre il veemente e sublime; vide che la fantasìa sua, come era atta a voli temperali e a vista della terra , così avea men de- .stre le ali nelle regioni più alte fra i fischi de' turbini e i furori delle tempeste : vide che la face del suo in- gegno entro certo confine fiammeggiava vivissima , e che in ispazio più ampio perdeva del suo splendore. Quindi dal suo cuore più che da altro trasse i soggetti delle sue poesie • Bello o no , dal mio cor nasce il mio verso , cantava egli : quindi non trattò mai che subbiettl teneri , affettuosi , delicati , e mesti di dolce mestizia : quindi non mai , o rado , s' innalzò all' eroico. Chi perciò lo volesse escluso, come pare che alcuni vo- gliano , dal numero de' poeti ispirati , escluderebbe prima fonte dell'ispirazione, il cuore. O noi non in- tendiamo che cosa è ispirazione poetica , o una poesia dettata da un cuor che sente , è ispirata. Se credonsl ispirati soli Omero e VirgiHo , Dante e 1' Ariosto , al certo non lo é il Pindemonte ; ma se tengonsi ispirati Anacreonte , Mosco, Simonide , Tibullo e Rolli, lo è pure il Pindemonte. L' ispirazione è di due classi ; 1' una per la via dell' intelletto e dell'immaginazione innalza al grande, al maraviglioso , allo straordinario; l'altra per la via del cuore conduce al soave , al grazioso , 23 al dilettevole, al passionato. Queste due classi tutto si dividono l' impero delle belle arti : qual di esse pre- valga è ancora indeciso. Quindi la varietà de' giudi- zi : chi segue la prima , disgrada le produzioni della seconda j chi liensi a questa , men di quella apprezza i lavori. I! PiNDEMONTE appartiene a quest' ultima. La tristezza è l' affetto che ha saputo esprimere meglio d' altro : perciò scusavasi egli del genio melanconico che dominava ne' versi suoi: Se molta in lui (nel suo cuore) melanconia ripose Natura , e il verso da lui solo io traggo , Come allegro il trarrò ? E seguia : quand' io Prendo la cetra ed a cantar m' accingo , L' idea piìi trista , che sbalzar mai possa Fuor di cerebro uman , vienmi davante , E la veste poetica mi chiede. Cosi egli di se medesimo. Qualunque sia questa glo- ria di esprimere i proprj affetti con ottimi versi , essa è la gloria d' Ippolito Puvdemokte. Né egli mai ne cercò altra , né altra n' aspetta dalla posterità. Se noa avrà luogo fra i grandi poeti ( applicata l' idea di grande a chi cantò cose grandi ; benché noi crediam grande chi cttenne nella sua sfera il principato )j sarà coronato tra i delicati , soavi , teneri , affettuosi e di- vinamente maninconici. ^lol non sappiamo a qual al- tra aspirar possa il Petrarca. Non inopportuna potrà sembrar la ricerca a quale scuola appartenga , se alla classica o alla romanti- ca. Fu egli classico ? Se consideri da lui osservata nella tragedia la legge della unità , 1' uso da lui fatto qua e là della mitologia , la castigatezza sempre mai mantenuta dello stile , certo lo devi dir classico. Fu egli romantico ? Se noti gli argomenti da lui trattati ognor nazionali , anzi suoi , cioè le sue gioje e le sue tristezze , le sue speranze e i suoi timori j se osservi i generi nuovi di cose che prende a trattare , se ti volgi alle liute modcrue , di cui nella sua caslìgalozza s' abbellisce il suo siile , l' è d' uopo ciùamarlo roman- tico. INon fu dunque né 1' uqo uè 1' altro , ma un giu- dizioso misto d'auiendue; fu suo, o per dir meglio, fu vero italiano. Seppe trar profitto dalla lettura de' Gi'eci e Latini non mea che degl' Inglesi , Francesi e Tedeschi, e non dimenticarsi, qu 1 che iiioltisslml (^servinn pecus') fanno, d'essere italiano Per questi ti- toli non può negargli 1' Italia una corona tra' suoi più degni poeti , mentre mantenne sempre salve le ragioni dell' italica poesia , anzi ne amplificò i generi e ne ar- ricchì il linguaggio. Ma meglio dall' elenco che daremo delle opere di lui , apparirà il gi'an bene che apportò alla nostra letteratura. Noi non parleremo né d' un suo poema la Gibilterra salvata , né de' versi che vanno sotto il nome di Polidete Melvomenio , nò del romanzo V A- baritte , né della novella V Antonio Foscarini : di queste sue opere giovanili , benché degne forse del loro padre , noi , colpa della nostra imperizia o sfortu- na , non conosciamo che il tito'o. Diremo delle altre , e anche queste sole basteranno a farlo tenere in grande stima. Le Poesie Campestri sono creazion nuova del PiNDEMONTE. Il Sannazaro, il Rota e gli />rcadi lutti non ricopiarono che i Greci e 1 Latini. Pindemonte entrò in un campo tutto nuovo , e descrisse non pastori immaginar) , non costumi fiuti , non avvenimenti sup- posti , ma dipinse se stesso in villa , 1' uomo cioè com- moventesi a tutte le bellezze della natura. Questa pal- ma è tutta sua: da ninno ei ricavò il pensiero, di ninno segui 1' esempio , a ninno si fece emulo nello Stile : qui tutto è suo. Le Epistole pure son di nuova invenzione, anzi, di- rem cosi , non sembrano , tanto sono uniche nel loro genere , ammettere imitatori. Dettate dal cuore di lui variamente commosso escludono ognuno , che non sia lui , posto in quelle particolari circostanze di cose. Queste sono le opere per cui e' può dirsi veramente à5 creatore. Delle altre cercò a lutto suo potere 11 perfe- zionamento. Primo si volse ai teatro. L' Ulisse è una tragedia tutta sul gusto greco , lodata a gran maniera dal Metastasio. Tuttavia , se dopo quel grand' uomo possiam pronunciare il nostro parere , diremo che i luoghi imitati da Omero , e da Virgilio si mostrano forse con troppa evidenza , e col diletto che porgono della loro reminiscenza , fanno perdere 1' interesse , al- meno in parte , che deve svegliar la tragedia. L' Er- minio è lavor piìr pregevole , benché fuvvi chi disse , uè sappiam con qual fronte , che non vale la narrazioa di Tacito. La tragedia è magistrale, e 1' uso de' Cori così giudlciosamente introdotto mostra che potrebbe di essi adornarsi anche il nostro teatro. Le Dissertazioni su queste tragedie , scritte da lui in propria difesa , convincono anche i meno arrendevoli della suprema ragion dell' arte , con cui egli condusse questi suoi la- vori. Ugo Foscolo diede quel suo carme sui Sepolcri. Pm- UEMOMTE lo seguì, ma come sanno seguirei gran mae- stri, originalmente. Se il primo t'incanta col terribile pennelleggiar di Michelangelo j t'alletta il secondo col . grazioso colorir del Correggio. I Sermoni furono fatti conoscere all' Italia da Chia- brera ; Gozzi li perfezionò : Pijmdemokte volle ingen- tilirli. Invano cerchi in questi il fele d' Archiloco o la sferza di Giovenale. Un' anima , come quella del cav. Ippolito soavissima , non potea avere sì splendida bile. Egli vuol correggere colte e civili persone j e a que- ste basta un mottb , un cenno. Altre sue opere , come il Colpo di martello , il Tri- buto alla memoria di uéntonio Cagiioli , le Stanze per Lorenzi , ed altre molte attestano la medesima sor- gente e la medesima mano , come pure 1' attesteranno le Ottave per la Testa del Salvatore dipinta da Lau- di , se verranno fatte di pubblico diritto. Non contento della lode d' Autore , amò anche quella di Traduttore , la quale piìi che la priaia è difficile a conseguirsi grande. Di Virgilio die molti saggi nella Bu- colica e Georgica j d' Ovidio , 1' Eroide di Penelope ad Ulisse; tatti assai lodevoli. Dal greco tradusse , pro- prio sul testo , e non come or s' usa , sulle traduzioni altrui , l' Inno a Cerere e 1' Odissea : bello il primo , Berfetta la seconda. Il carattere semplice e tranquillo di questo poema v' è cosi conservato , che, per chi co- nosce l'originale, nulla di più somigliante. Alla poesia aggiunse la prosa. Le Prose Campestri , la Dissertazione sui Giardini inglesi , c[ne\le sulle sue Tragedie ; V altre sul Gusto presente d' Italia , gli Elogi fanno fede in lui d' una rettitudine di giudi- zio assai rara , d' una estensione maravigliosa di dottri- ne , ed' una perizia di lingua singolare. Colla molliplicità e finitezza di quest'opere, il cav. PiNDEMONTE può rispondere all' Autore del Dizionario de' Contemporanei , il quale lo accusa di aver perduto molto tempo nella pratica della divozione cristiana. Un uomo che ha arricchita 1' Italia di tante e sì belle pro- duzioni ; un uomo che non componea per fisica indi- sposizione che dall' equinozio di primavera a quel d'autunno, meritava egli un tal rimprovero? E ancor- ché avesse conceduto un tempo alla pietà piìi lungo , oh è ben d' altro interesse 1' acquisto della gloria ce- leste e della gloria letteraria ! 11 cav. Pindemonte fu religiosissimo , e noi ci stimiamo felici di poter gri- darlo tale, ad esempio de' giovani, a cui fassi credere che la religione è cosa da bassi intelletti. Dava le due prime ore del giorno all' oi-azione , lezione spirituale , e alla messa j cibavasi ogni domenica alla sacra mensa ; era largo e giudizioso distributore de' soccorsi co po- veri , umile in mezzo a tanta gloria , paziente de' mali che lungamente il travagliarono , sempre vigile sopra se stesso per infrenare i rinascenti primi moti delle pas- sioni ; ma nel medesimo tempo amante della società , condiscendente e piacevole con tutti, cortese anche co' più importuni , lodatore d' ogni beli' azione , anima- tore degl' ingegni e dell' arte , e proponitore d' un' ac- =*7 cademia , che legasse tutte le membra della sapienza italiana. Con qaeste virtù visse caro a tutti , rispettato anche da' libertini , e finì la sua carriera con tutta la tranquillità che ispira la religione. Ebbe mediocre per- sona , pallido volto , languidi occhi , naso aquilino , spaziosa fronte , gentili labbra : godè poca salute , forse per la soverchia applicazione , o pel troppo scarso be- neficio del corpo che avea solo una volta al mese : era per lo pili pensieroso e mesto ; rallegrava però talvolta d' ingenuo riso il sembiante : in ogni mutazion di cose si tenne fermo nell' amor della l'eligione e dell' Italia. Troppo brevi e imperfetti , parte per mancanza di cognizioni , parte per difetto di forze , sono i cenni che fin qui abbiam dati d' un si grand' uomo, Qnesli però , comunque siano , pochi e rozzamente esposti , intanto che stiamo attendendo i lavori condotti, e finiti d'uo- mini insigni per lettere e per erudizione , valgano ad eccitare nella italiana gioventù , almeno in parte , il desiderio d' una nobile emulazione j quel desiderio che servi a levare in tanta fama Ippolito Pikdemonte. Sic- come i trofei di Mitridate tennero svegliato l'anuiio di Temistocle , cosi le statue del Foro Veronese destavano 1' illustre Cavaliere a farsi degno della sua patria , e a meritare un monumento , che attestare a' posteri po- tesse 1' innocente ed utile sua vita. Rivolgeasi ad esse infatti sovente , e beveva per gli occhi da esse una sacra fiamma , che tutto accendevalo ad opere ge- nerose : O venerati simulacri e cari , Dite ( poiché di sotto a greca mano Per gran ventura non usciti , e quindi Dal gallico scampati inclito artiglio Pur m' è concesso interrogarvi ) dite : Fra questa ornata gioventù , che amico Degli asili secreti , e delle ignare Recondite foreste io mal conosco , Vedete alcun giammai , che a voi dal basso Tinti d' illustre invidia innalzi gli occhi , 28 / E del desìo d' una egiial fama accesi ' Spesso un MnQei gli alzava , e non già invano : Però tra voi spirante in marmo aneli' esso La patria il collocò. Sotto 1' industre Scarpello oh come cedea pronta , e quasi Lieta di farsi lui , la dura pietra ! Ma clii tra questa gioventù novella , Chi fìa che salga un dì sopra quell' arco Di cui la cima solitaria alcuno Non soslien simulacro, ed un ne aspetta? Quando sark , che inonorato, e nudo ISou s' incurvi quell' arco , e non accusi La degenere prole , e i tempi imbelli ? Possa io , deh possa a quello sopra un degno De' tuoi compagni, o Fracastoro , un degno Di te veder nuovo compagno ! Farmi Che al ferreo, eterno, ineviiabil sonno Contente io chiuderei c[uel dì le ciglia. Così egli sclamava nell' Epistola a Fracastoro , e non s' accorgea , che la sua patria , se vorrà esser grata a' meriti d'un figlio sì illustre , non potrà eleggere a com- pagno di Catullo, Macro , Vitruvio , Plinio, Nipote, Fracastoro , Maffei , alcun altro nel secolo nostro più degno di quell' onore , che Ippolitq Pindemonte. La gio- ventù italiana adunque , se fisserà lo sguardo nello specchio che nella sua vita le presenta 1' esimio Vero- nese , splendido d' ogni più bella virtù civile , lettera- ria e religiosa; oh di quali magnanime e leggiadre opre farà lieta e adorna questa nostra comune e cara madre , V Italia ! Agostino Paueto. A, ' tta lode agli uomini egregj è il dir ciò che furo- no. Ora se i primi onori si debbono a coloro , che operarono virtuosamente , e se tra le azioni , quelle che fatte sono a prò della patria , in tempi difficili , eoa pericol di se , senza mistura di opere indegne , supe- rano ogni altro merito del mondo, niuno potrà ma- ravigliarsi , che ahi troppo dolorosa cagione traendomi a lodare Agostino Pareto , io prenda semplicemente a dire quello eh' ei fu. Nacque egli adunque nel 1773 in Genova di nobile, e doviziosa famiglia, ma non contento a queste doti così invidiate, spese l'adole- scenza, e la più fresca giovinezza , temperate tutte a gravità, e a prudenza , in apparare da eccellenti maestri, da letture continue , da considerati viaggi , e da dotte conversazioni , onde arricchì 1' intelletto di varie , ed utili cognizioni , e nobilitò la mente con forti , e sa- pienti consigli. Ed assai tosto gli fu d'uopo di quelle, e di questi. Perciocché volsero i tempi cosi , che lo stato della patria immutandosi , il governo degli ottimati die luogo al popolare. Ed egli fu scelto del Magistra- to , appo cui stava la somma podestà della Repubblica. Né la nobile condizione di luì , già divenuta bersaglio ai fervidi popolari , gli fu a ciò impedimento , né gli anni suoi scarsi , pari appena al numero de' soggetti di quel Magistrato , i quali sommavano a soli ventitre (i). Mirabile fu, che per c[uella sì aspra stagione non fu mai forzato di fare il male , né impedito dal bene , e si non fu minacciato della persona , né ingiuriato nella fama. Ma crescendo la furia di quelli , che co- mandavano la iniquità, e cessando il potere a coloro, che Io avevano in antico retaggio , egli si ritrasse a (i) Il Governo provvisorio era composto di 22 soggetti presieduti dall' antico Doge. 3o nuovi , e più gravi studj raccogliendo dai casi della patria , e dell' Europa tutta in que' tempi sossopra , nuova opportuna istruzione. Due anni , e mezzo tra- scorsero , uè' quali tra noi si fecero più mutamenti , che in due secoli , e mezzo non erano in addietro av- venuti. Respiravasi appena dai furori di parte , da ini- que leggi , od inette , da guerre , da carestie , da as- sedj , da espugnazioni , die già si apriva nuova serie di pari lagrimose vicende. Ed egli ancora fu scelto con soli altri sei a reggere la Repubblica nuovamente balzala tra i pericoli , e le più dure avversità. Pur , se non solo, almeno de' primi valse con la prudenza, e la fortezza dell' anima , e la sagacita de' consigli a rimuovere i mali presenti , a correggere i passati , a prevenire i futuri. Mercè di tai cure nuovo si stabili più tranquillo Governo , foggiato in parte all' antica dignità, A questo pure egli fu scelto tra i principali , ed a lui si affidò 1' amministrazione delle pubbliche rendite , e la soprantendenza alle spese. Bea tosto 1' ordine , 1' esattezza , e la copia ricomparvero dove era da gran tempo confusione , lentezza , penuria. Ma quella forzata prepotente alleanza , per cui si eran tur- bali tutti gli ordini patrj , ed eravam trapassati per ogni estremo di miseria , con più pesante braccio gra- vitando oramai sulla città nostra, rivolgeva a suo pro- fitto le assise ordinarie , imponeva gravezze d' uomini , e d' armi, né lasciava pure tra' privati cittadini, e nel maneggio interior dello stato , la santità delle leggi inviolala. Uno a ciò tra' pochissimi contrastetie il Pa- reto. Ma ben presto essendo egli stato per mezzo di ostracismo onorevole con uno , o due magnanimi al- lontanato dal reggimento della spirante Repubblica , tutta ella cadde in altrui podestà. Il solo nome resta- va , e questo pure si volle , e fu dato. Ma siccome vo- levasi ancora , che il sagrifizio paresse spontaneo , si ordinò, che i padri di famiglia dessero il lor voto sulla proposta cessione. Diede 11 suo voto il Pareto , ma di riluto. Divenuta nulla meno Genova Municipio 3i dì quel vasto Impero , piacque al Signore di esso com- mettere il principale uffizio del nuovo Municipio a chi con ogni sforzo erasi opposto a mutamento si fat- to , ciò volesse colui o per ostentazion di potenza , o per estimazione di nimistà generosa. Allettato dalla lusinga di giovare alla patria sua , non ricusò il Pa- reto quel nuovo difficile uffizio sgradito. Tutto creò , ordinò , stabili nel reggimento Municipale , ed in quello perseverò finché speranza rimase di minuir carichi , procurare risparmj , fondare o promuovere utili stabi- limenti. Mancata questa , e già la salute di lui , e quella di una degna consorte delicate sempre , e vacillanti fortemente scadendo, depose il peso delle pubbliche cure , e tutto si volse alle domestiche. Ma nuovi pe- ricoli attrasse sulla città la caduta di quell'Impero, il cui ingrandimento erale stato così funesto. Nuovo as- sedio di armi non provocate stringe la misera Geno- va j già si minaccia dagli assedianti ai cittadini, tutto che in lotta col presidio straniero, il saccheggio , e la devastazione. Scelto è il Pareto per andarne interces- sore presso il Duce nemico. Se egli non ottenne per 1' assediata città i patti desiderati , a' quali si allegò ostare i diritti della guerra , ben ottenne per se larghe testimonianze di stima. Onde venuti essendo in balia degli assediatori la città, e lo stato , e volendosi a questi dar proprio, ed addatto governo, fu ancora scelto il Paketo per farne distinta parte. Ed egli a fa- tiche , a vigilie , a viaggi non perdonò , perchè il paese nostro ottenesse presso i re , e le genti straniere , pa- ce , pristino reggimento , favore. Tornata alfine con saldo pie la tranquillità , e la sicurezza , diede egli per sempre addio alle pubbliche occupazioni , quasi che r uffizio di lui fosse quel solo di affrontar pericoli , governando nella tempesta, o contrastando con le av- versità (2) . Godeva egli però tra' cittadini quella di- (2) Tra le occupazioni lasciate non fmono quelle , che semi-pubbliche potrebbero dirsi , cioè le cure dell' Accademia 32 gnilà d' opiii'one , che esercita nutorltìt tutta venera- bile , e cara , perciò appunto clic non è sancita dal ti- more. Intanto l'amabile, ed amata moglie di lui , con- sunta da immedicabile morbo , tutte attraeva le cure sue. Già non valsero queste ad impedire la violenza del male, ma sibbeue a spargere sulla lunga, e crudel malattia i conforti dell' amore , e di ogni gentilezza. Chiuse egli stesso i moribondi occhi di lei , e al ma- terno cuore ansioso promise di sostenere co' figli le veci di padre , insieme e di madre. Quindi provve- dute a' maschj ottime discipline, e compiuta 1' istru- zion loro co' proprj insegnamenti , e con dispendiosi viaggi , si applicò egli stesso all' educazion delle fem- mine. Ed ecco che appena son cpieste onorevolmente «ollocate iu matrimonio, ardendo ancora le tede della seconda , quasi omnI pago della sciolta promessa si af- fretta a ricongiungersi con la donna del suo amore , e della sua fede. Mori il i4 corr. raarzo dopo soli sei giorni di dichiarata malattia , munito de' chiesti sacra- menti , conservando fin quasi all' ultimo respiro 1' ot- timo suo intendimento, e venuto meno a' congiunti, .igli amici , alla patria , non avendo compiuto ancora il 56." anno dell' età sua , bensì riempiuti avendo i ter- mini tutti di pio cristiano , di uomo pubblico , di emi- nente cittadino. Or se alcun v' ha tra' Genovesi , e credo che molti saranno, il qual forte si addolori, per- chè alle perdite di recente pur fatte dalla nostra città, questa cotanta siasi aggiunta di Agostino Pareto , con- fortisi col pensiero , che la vita di lui sarà de' patrj fasti ornamento Immortale. delle Belle Arti , nella quale insiem con altri generosi , ed appassionati conoscitori del hello , spendendo parte dell' onorato suo ozio , attese a conservare , ad accrescere , a ben dirigere il zelo della gioventù per (piesta luminosa , e quasi solo a lei rimasa carriera di gloria. 33 Osseivazioni sull articolo di K. X. Y. inserito neW antologia di Firenze nel Decembre del 1828, pag. QG , col titolo seguente: Le Vite di Cornelio Nipote , trad. da Pier Domen SoREsi col testo a fronte ecc. 1_J autore di quest' articolo , togliendo a criticare Cor- nelio Nipote , tiene per poco sincero il conto che ne fu fatto da Catullo. Ed ecco il bel principio : cr Doctis , « Jupiter ! et laboriosis : chiama Catullo le carte di ce C. Nipote j e ben lo potea dire , egli che il titolo et di dotto avea ricevuto da Tibullo e da^ Ovidio. » Che Catullo intitoli le sue opere a Cornelio , come questi le sue Vite intitolò ad Attico , per me è prova di vero merito in Nipote ; anzi io ho questa dedica più assai sincera , che non quella , che faceva a Cesare il gran cantore delle Georgiche ; dacché ivi non si trat- tava di mantacare alla superbia d' un Semideo. E il giudizio di Catullo dovette saper più sincero a Corne- lio , che non a Virgilio quelV enfatico di Properzio : Cedile Romani scriptores , cedite Graji } Nescio quid majiis nascitur Illiade. Con tutto ciò io nulla vo' quinci inferire contro de Critico : poiché ivi Catullo non da altrimenti lode a Cornelio per le Vite degli Eccellenti Capitani. Di che convengono il Fabrizio , il Vossio , il Maffei , e 11 Tira- boschi , e ognun che legga ne' versi Catulliani un po' più di quello che ne allega il Critico : » Cui dono lepidum novum libellum , Arida modo pumi ce expolitum ? Corneli , tibij namque tu solebas Meas esse aliquid putare uugas , Jani tum cum ausus es uuus italorum e 34 Omne ce^^um trihus explicare chartis , Doctis Jupiter ! et laboriosis, » (i) Ove per quelle 'Dotte Carte vieti indicato un com- pendio di storia universale ; opera smarrita con tante altre di questo Autore , fra cui quella importantissima , di che parla Svetonio j j» Cornelius Nepos in libello , quo distingui! « Llteratum ab Erudito ; Literatos qui- cc dem vulgo appellari ait eos , qui aliquid diligenter , et et acute scienterque possint aut dicere , aut scrl- « bere. " (2) Sicché , se il Critico avea in pronto delle buone ra- gioni contro Cornelio , non era da dire che Catullo chiamò dotte le carte di lui per essere stato anch' egli appellato dotto ; ma da non fare conto alcuno di quel giudizio , come non detto a proposito delle Vite dei Capitani. Spiccatosi il Critico con siffatta destrezza dall' auto- rità Catulliana , seguita in questo modo : ce Io credo ce che molte altre storie , e antiche e moderne , possano , « per la profondità della scienza politica e storica , clila- « marsl dotte , al modo stesso , che quella del nostro « Cornelio. 3> In questo chi non sarà dalla sua ? Io anzi direi , che moltissimi storici furono non pure come Cornelio , ma assai da più. E Livio e Sallustio ( per tacere de' Gre- ci ), e Tacito e il Segretario fiorentino , e il Guicciar- dini e il Botta sono uomini di ben altra profondità di scienza politica e storica , che Cornelio nipote , il quale rispetto a costoro può dirsi con 1' espressione di Pin- daro , che va egli a piedi a canto d' un cocchio li- dio. Ma ciò non fa caso , che cosi dovea essere. Es- sendo che il genere di scrittura che prese egli a trattare , vale a dire la biografia , è men solenne e men grave della storia , (3) ai come quello , dice il Mascardi , (1) Catull. Carmen I, (2) Svet. De Graiiunaticorum appellatione. (3) Blair tom. 2. 35 R che conduce il suo personaggio dalla prima nascita « fiao all' ultima caduta , più accuratameme descrive le ce cose appartenenti al costume, e che più al vivo di- te chiarar possono lo stato interno dell' animo o buono , ce o reo che per ventura si fosse . . . Perchè volendo ce Plutarco , seguita a dire , rappresentare al mondo una ce coppia maravigllosa d' Eroi , dico Alessandro il Ma- ce cedone , e Cesare il Dittatore , chiede licenza al let- ce tore di tralasciar quell' imprese , che aveano stancate ce le penne di tanti valenti scrittori , con dire , Neque ce enini historias , sed vitas conscribimus " (4) • Per queste ragioni chiedo qui a' saggi quanto sia vero il giudizio che di Cornelio lasciò scritto il gran Tira- boschi , ove lo pospone a Cesare e Sallustio , giudizio che fu poi seguito dal Barbacovi (5) , e dal Galimberti (6). Eccone le parole ; ce Di Cornelio abbiamo le Vile ce degli Eccellenti Capitani , attribuite già per errore ad ce Emilio Probo , e quelle di Catone 1' Uticense , e di ce Attico ; le quali , come nella purezza ed eleganza dello ce stile non cedono alle opere di altro scrittore , così in ce ciò eh' è forza e vivacità , sono inferiori alle storie ce di Sallustio e di Cesare. » (^) La quale inferiorilà , per quanto a me pare , non pure non torna a difetto , ma si a lode del nostro Biografo. Fin qui è salvo l' onore dovuto a Cornelio per le Vite degli Eccellenti Duci . Se pure sono di Cornelio coleste Vile , appicca qui per coda al suo periodo il Critico. Con che vuol toccare quell' antica opinione , per cui altri volea eh' esse Vite fossero lavoro d' Emilio Pro- bo j opinione da non più recarsi in mezzo , sol che si paragoni lo stile di esse con quello che correa a' tempi di Teodosio j ciò che avvertì già il Vossio : ce Ac nec (4) Tratt. dell' Arte Isterica , cap. 3. (5) Compendio della Storia Letteraria d* Italia. (6) Quadro dell' antica letteratura e carattere de' suoi priu- cipali scrittori. (7) Storia della Letteratura Italiana , lom. 1. 36 '« Aemilium , nec Tlieodosiani sevi qiiemquam , eonim « esse libroruni auctorem arguii pura et Romana di- *( Clio, M (8) . E poi , ancorché si volessero a Probo attribuire o ad altri coleste Vite , non mi parre])be sensato il dire , eh' elle non sono altrimenti di Cornelio : stante clie a dir questo , saria mestieri avere alle mani altre opere del medesimo autore per farne confi'onto. Ora come farebbe ciò il Critico , se dalle Vite in fuori , nulla ci resta che sia di Cornelio ? Dire che questi era tenuto in conto da' suoi contemporanei , già pel nostro Critico non vale , dacché secondo lui , non furono sincere le lodi fatte al nostro storico da Catullo. Dalla maniera piuttosto , ossia dallo stile si sarebbe dovuto indagare a qual tempo ap- partengono. Così fecero gli antichi critici dell' Opera ad Herennium ; della vita di Alessandro scritta da Q. Cur- zio, delle Declamazioni supposte tra Cicerone e Sallu- stio , e per tacer di tant' altre , dell' operetta che il Si- gonio compose e tentò spendere per Ciceroniana. Dal non avere il Critico tenuta questa via di giudi- care del merito degli scrittori , non pure aderì all' er- rore volgare contro l'autenticità delle Vite di Cornelio j ma venne anche nel parere dell' autore dei Cenni bio- grafici , premessi alla versione d' esse Vite fatta per il Soresi , ed è questo : « Varj difetti , ivi leggesi , gli et vengono ( a Cornelio ) apposti : aridità , incoerenza , « disordine ne' racconti , studio di parte j inopportunità « e leggerezza di sentenze j imperizia di lingua greca e « di storia j inesattezza di locuzioni, jj Dopo averci detto il Critico che Cornelio per pro- fondità di scienza politica e storica può chiamarsi dotto al modo stesso che tanti altri antichi e moderni sto- rici , non so con quale coerenza possa confortare il suo discorso con siffatta allegazione. Che poi Cornelio pec- chi davvero per così enormi difetti , 1' Autore di que' Cenni il dice j onde non siamo tenuti a credergli , fin- (8) De Hisu Lat. lib. i , cap. XIV. 37 che non provi. Tanto più eh' ei si recò tosto a coscienza 1' avere trinciato sì francamente , e soggiunse con questo tal qual -lenitivo : « A malgrado di ciò , commendevole « egli è pur sempre nel fatto dolio stile; nel quale in- « vero congivmte a una sobria eleganza risplendono ce chiarezza e facilità. " Ora del come possa essere uno scrittore commende- vole in fatto di stile , di eleganza , e chiarezza, un autore , che pecca di aridità , di disordine , e inesat- tezza di elocuzioni , il nostro Crìtico più. eh' altri ne riderà , egli eh' è tanto ai'guio a discoprire incoerenze perfino dove niun ne ravvisa , come dov' egli dice : « Che diremmo noi di uno storico , il quale , dopo aver ce notato che Milziade nel Chersoneso avea dignità di ce re , ma non titolo ; soggiungesse che Milziade nel ce Chersoneso tthhe , per tutto il tempo che vi dimorò , ce dominazione perpetua , e vi fu chiamato tiranno ? m Si rechino prima le parole del testo , onde meglio si 6corga questa pretesa incoerenza, ce Quum virtute mili- ce tum deviclsset ( Miltiades ) hostium exercitus , summa ce sequi tate res consti tuit , atque ipse ibidem ( Cherso- cc nesi ) manere decrevit : erat enim Inter eos dignitate ce l'egia , quamvis carebat nomine. » § II. ce Miltiades ce multum in imperiis, maglstratibusque versalus , non « videbatur posse esse privatus ; praesertim cum con- ce suetudlne ad imperii cuplditatem trahi videretur. Nam ce Chersonesi omues illos , quos habitarat annos , perpe- ce tuam obtinuerat dominationem , tyrannusque fuerat ce appellatus , sed iustus : non erat enim vi consecutus , ce sed suorum voluntate , eamque potestalem bonitate ce retinuerat. >j § Vili. Nel primo luogo Milziade ebbe , secondo Cornelio , autorità regia nel Chersoneso e non titolo di re , per aver ciò ottenuto più coli' uso della giustizia, che con la sovranità del comando , neque id magis imperio , quam justitia consequutus. Neil' altro si afferma il si- mile , dicendosi che ivi Milziade ei'a stato dichiarato Tiranno , ma giusto , Tyrannusque est appellatus , sed 38 justus ,• siccome quegli , che non fu levalo a tal potere per via della forza , ma per volere de' suoi cittadini , e ne la ritenne con proLith : non erat enim vi conse- (juutus f sed suorum vnl untale , eamque potestatem boni tate retinuerat. Dall' aggiunto Giusto dato qui a tiranno , ognun vede toccato il doppio senso di questa voce tiranno , vale a dire di re e di despota : quindi è nota la sentenza di Agell. ffo-^oi lùpavvo t^v .ew;; — Et auctor vidctur clam notare voluisse dominationem Julii Ccesaris suo tempore. Sicché secondo Cornelio , Milziade signoreggiò nelCher- soneso in quel grado che detto è sopra , cioè con di- gnità regia senza titolo. E che ivi non tenesse egli mai altro grado , da questo pure si cava , che gli Ateniesi atterriti per anco dalla tirannia sofferta sotto Pisistrato , forte sospettaronla pure in Milziade. Che però se ne spac- ciarono sotto colore di tradimento che avesse egli com- messo nel fatto dell' isola di Paro. Il che abbiamo da Cornelio in quel paragrafo stesso , in cui tacciasi d in- coerenza dal Critico. « Mie etsi crimine Paria est ac- 39 K cusatus , tamen alia fuit causa damtiationis. JYatn « ^thenienses propter Pìsistrati tjrannidem , quce c< paiicis annis ante faerat , omnium suorum civiutn fc potentiam extimescebant. Miltiades multum in im- « jìeriis magistratibusque versatus , non videbatur ce posse esse privatus , prcesertim cuni consuetudine ce ad imperii cupiditatem trahi videretur. » Oltre all' incoerenza , trova il Critico di che ridersi della elocuzione del nostro Cornelio. Percliè subito do- po la definizione di tiranno aggiunge : ce Questo periodo, ce oltre al provare la tenacità di memoria , che era nello ce storico nostro , ci prova anche quella sua tanto dai ce grammatici moderni ammirala eleganza, js Io avrei creduto che a chiunque ha fior di senno sa- per dovesse per modo elegante il latino di quel periodo ; e oltre che non è da dire , che sieno più esperti am- miratori di eleganze i grammatici presenti , che i pre- teriti , ognun sa che dappoiché la lingua latina rifiorì in Italia , siffatta eleganza fu bentosto messa in corso per tale dal Sannazaro , dal Bracelli , e dalla lunga schiera de' cinquecentisti sino all' età presente. Appresso il nostro Critico come di un salto lirico passa a dirci in tuono cattedratico che ce In generale può dirsi ce che i latini scrittori nativi di Roma stessa , eviden- cc temente sovrastano agli scrittori d' altre parti d' Ita- cc Ha , e segnatamente a quelli che in Roma non pas- ce sorono gran parte di lor vita : sovrastano , dico , per ce naturalezza di stile , proprietà di frase , dolcezza di ce numero. Virgilio solo s' eccettui , il cui stile è un con- ce tinuo mii'acolo , come 1' anima sua. n Ora noi osserviamo che gli scrittori latini pochi o nulli furono di Roma stessa , né tutti passarono ivi gran parte di loro vita. Terenzio , Tito Livio , Cicerone , Fedro , Orazio , Catullo , Properzio , ed Ovidio , non. voglionsl dire nativi di Roma stessa, ma sì andativi per tempo a un dipresso come Virgilio. Ora in sì poco divario di domicilio in quella beata terra , chiediamo al Critico su quali bilancie pesi egli '4o la naturalezza dello stile , la proprietà del fraseg' giare , e la dolcezza del numero de' sovradetti scrit- tori. Se Asinio Pollione , clie dovea avere gli orecclù più conformati che noi alla vera armonia della lingua latina , non seppe dire che diamine si fosse la patavinità , che sentiva in Tito Livio ; noi certo disperiamo il trovare a quali carati diiferlsca quell' oro. E il Critico stesso , parlando della numerosità e dell' artificio della colloca- zione di Cornelio , non sa decidere se sia egli commen- devole , o no. ce Ma quando anche il nostro Cornelio fos- te se , specialmente nell' artifizio della collocazione e « del numero , assai più commendevole che forse non « è , converrebbe tuttavia ecc. " Con la quale dubitativa supposizione pare che il Critico ne conceda , che Cor- nelio è pur meritevole di qualche commendazione , o almeno la cosa resta in foi'se. Bella coerenza e te- nacità di memoria ! Ma seguitiamo che vi è di peggio ... « Converrebbe te tuttavia allontanarlo ( Cornelio ) dalle mani de' le- te neri giovinetti per la falsità delle massime sue poli- te tlche , civili e morali. Egli è doloroso a vedere dif- cc fuso in quasi tutte le scuole un libro nella cui pri- te ma pagina s' insegna , Che non presso a tutti le me- te desinie cose sono oneste , o vergognose , ma che ce ogni cosa si giudica secondo gli usi che noi ab- te hiamo ricevuto da' nostri antenati. » E noi diciamo : O le cose di cui fa menzione Cor- nelio sono vergognose secondo le nostre leggi , o non sono. Se no , se le sappiano pare i giovanetti , e il Cri- tico non ci avrà che dolersi. Se vergognose , tocca al maestro di screditarle a' fanciulli , e cogliere il de- stro di far vedere come la vera onestà non era de' Pa- gani , o d' altra setta , ma solo propria della legge del Vangelo. E senza questo espediente non si potrebbero spiegare né le Favole di Fedro , né gli Uffizi di Cice- rone , dove fra le altre cose , si loda ed esalta la pri- vata vendetta. E nello stile del gran Virgilio , stile che a valermi del modo eletto del Critico , è un conti- 4t tiuo miracolo , cogie V anima sua , non si appiattano dei serpi più lubrici ancora , che qua' non sono che tanto deplora il Critico in Cornelio ? Con questo di più, che Virgilio s' Interpelra a tali , che già non sono più semplici , come que' fanciulli , i quali secondo lui , non intendono le massime , Corneliane. E converrebbe cre- dere conformato alla semplicità d' essi fanciulli chi non. iscorgesse rie massime in presso che tutti gii scrittori latini. In tal caso saria a temere che si avessero tutti a sbandire dalle scuole 5 delibei-azione già deplorata da S. Agostino e da' Vescovi de' suoi tempi , allorché per legge di Giuliano Apostata fu vietato a' cristiani di stu- diare umane lettere 3 ma non si tosto venne abolita una tal legge , che in ogni scuola cristiana si ripresero a volgere dì e notte le dotte carte del Lazio. Rasserenatosi il Critico , come io penso , allo sfumare delle cattive massime del nostro Cornelio , vorrei che ingenuamente dicesse , se sia invece da dolere di quelle false massime politiche , civili , e morali , di cui sono sparsi tanti romanzi e libercoli volgari nati fatti per adescare non pure gli scolaretti , ma ancora 1' immenso stuolo de' saputelli. Il Critico dopo sentenziato del merito di Cornelio , viene a dire del traduttore cosi : « La traduzione del ce Soresi non è certo barbara , ma nemmeno elegante. « A dir vero in questi tempi che chiamansi illuminali e pieni di filantropia , le fatiche di chi dà saggio di sa- pere ben avanti nelle due difficilissime lingue latina e italiana , si vorrebbero accolte con cortesia , e censurate con ragioni. Chi a modo d' esempio fosse qui tanto ar- dito di asserire , che il Critico non è al caso di por- tar giudizio in fatto di lingua italiana , si dovria questi dar la pena di ciò provare , se non per altro , perchè ognun veda s' ei sappia cptel che si dice. Cosa non malagevole per mia fé , se oltre al citare 1' articolo di cui si ra- giona , recasse egli in mezzo quest' altro suo regalatoci nella medesima Antologia nel fascicolo di novembre dell'anno 1828 alle pag. 65. 66. 4. ce So la lingua pocrlca , die' egli , fosso costretta ad « avvicinarsi 11 più possibile alla lingua comune , allora « tutta la forza , la grazia , la nobiltà si dovrebbe ne- « cessar iamente riporre nella semplice e viva espressione « d' im forte , nobile ed elegante concetto. La poesia si « farebbe allor bella , non d' ornamenti posticci , ma « della vergine sua nudità. Questionando io , or fa « qualcli' anno , della necessità di lasciare alla lingua ce poetica alcune voci e frasi sue proprie , mi udii da ce un gran poeta rispondere : Non conviene che la poe- cc sia venga a disturbare le cose di questo mondo. ce E questa risposta , che a molti parrà strana ( davvero ! ) ce valse non poco a trarmi d' errore j e a mostrarmi , ce che a cagione d' esempio , ajnto , affrettare , con- ce solidare , non erano niente più prosaiche dì aita , ce nvacciare , assolidare. " Per la quale opinione di accomunare la lingua poe- tica alla prosaica , altri potrebbe dire che vien tolta di mezzo ogni eleganza di lingua , (per non dire ogni in- telligenza e di lingua e di poesia ) e però ogni ragione al Critico di censuramela nel Soresi. Sebbene , per gran- de che sia il poeta del Critico , ninno si terrebbe in errore nel sentire altramente , né vorrebbe convertirsi cosi per niente all' oracolo di quel gran poeta. E cjuando anche non si volessero prima ben ventilare le ragioni , che da Aristotele fino a' yetori presenti sostennero la contraria opinione , ognun però , che segue ragione , meglio si atterrebbe al giudizio d' Ipp. Plnden.onte , che almeno si sa qual uomo fosse. Il cpiale nell' Elogio del MalTci dice , che il Maggi ce manca di quella dote ce necessarissima , che il poetico dal prosastico distin- cc guendolo , costituisce. Se molti dall' una parie si met- cc tono a scrivere in poesia , che non han nulla da dire , ce vero è dall' altra , che non basta 1' avere cose da dire, ce ove dirle non si sappia convenevolmente j anzi l' idea ce e l' espressione formano un tutto , non essendo lo ce stile al pensiero , come affermano alcuni , quel che ce la veste al corpo , che resta il corpo medesimo senza 43 « la veste , ma ciò che la pelle , la fisonomia , il colo- « rito. » Quanto alla nguaglianza , in che tiene il Critico le voci aita , ajuto , consolidare , assolidare , affrettare^ avacciare , ogmmo gliela darà solo per possibile , caso che prevalesse 1' opinione di lui ; ma siuora e furono e sono voci ben disuguali ; altre eleganti , e per lo più poetiche , altre prosaiche , e più del dimesso stile ; co- me ciascun può vedere con classici scrittoi-i alla mano. Per rispetto della sovradetta filantropia , V infatica- bile stampatore Silvestri avrebbe voluto essere trattato più da cristiano. « L' edizione del Silvestri , conchiude « il Critico , è riuscita scorretta . . . Voglia il cielo che te questa biblioteca di traduzioni frutti luci'o ed onore ce a codesto tipografo infaticabile ! » Non sarebbe a temere che il voto del Critico andasse fallito del tutto , ove egli allegando di quella edizione i soli difetti , che vengono apposti a Cornelio , non ve- nisse dicendo a' lettori col suo articolo che il Silvestri stampando Cornelio Nipote , regala i letterati di un' opera di uiun merito , né intrinseco , né tipografico. Oi'a se queste osservazioni valgono a confutare le al- legate accuse , e però a mantenere Cornelio Nipote nel pregio , in che fu tenuto da savj uomini d' ogni età j riputiamo nostro debito di raccomandare al Critico a star sul!' avviso scrivendo , tanto che altri non abbia a dire di lui , quanto egli stesso già scrisse del Poeta Byron : (9) « Jl volere cercare 1' originalità non in altro « che nel fare diversamente , è 11 peccato troppo fre- cc qucnte degli ingegni moderni , da cui dovranno d' ora « innanzi guardarsi specialmente i Romantici. » (9) Antologia Mes. Dee. pag. 55. 1828. ■autjp 44 Operette^varie del Professai- Pietro Pjsqui- NOLI. Mantova, 1828, in 8." piccolo. c VJlil è vago di leggere accolti in uà sol volume com- ponimenti di vario genere prosastici e poetici, non ha se non a far acquisto di quel del Pasquinoli per ap- pagar le sue brame , essendo che comprese ci troverà azioni drammatiche, pantomimiche, favole in versi e in prosa , anacreontiche , elegie , epigrammi , epitaffj , sonetti , e sei dediche, L' Autore non oltrepassa per anco i trent' anni ; onde queste osservazioni , che fac- ciamo sopra i suoi scritti , non vogliamo che si cre- dano rivolte a scoraggiar hii , ma si a rendere più ac- corti que' giovani che tentano giovare , o crescer lustro alla patria colle lor penne. Il voler coli' ingegno tener dietro a molte e svariate cose , suole , a' giovani prin- cipalmente , recar grandissimo nocumento , che poco in ciascheduna possono pescare a fondo , e poca quindi o niuna gloria venirne loro. Non reca perciò maraviglia che le Operette , di che facciam parola , sien prive di quella regolarità , né asperse di quella grazia , che tanto piacciono ai culti leggitori , e fanno d' età in età vivi ed interi passare i uomi di chi scrive. Il picciolo me- lodramma 1' jdrmida ha poco ■verisimile 1' intreccio , come pure lo scioglimento , e la condotta non corri- sponde all'effetto che ne vuol trarre 1' Autore. Ma mea pregevole ancora si è la lingua e lo stile da lui ado- perato in tutto il suo libro. Basti il leggere la descri- zione della scena I, dare i piò a fuga ( pag. io ) , mai per non mai quasi sempre , acquistarsi il pane , rassegnarsi i baci ? Sg ) , sfibrar l' animo ( i48 ), favellar parole ( i5^ ), prevenire gii amici de' suoi impegni ( aac) ) , esser capace di debolezze ( 235 ) , e moltissimi altri modi e costrutti , che stavan forse bene alla lingua tedesca , ,di cui è pratico 1' A. , uoq 45 già air italiana. Né alcuno faccia 11 viso dell' arme se di frequente incontrerà in questo volume versi di do- dici sillabe , esempigrazia : Han essi il pie, né ciò mi cale: inquieto (pag. i4)l Pur , quanto agli altri , superior tu sei ( pag. 60 ) ; perciocché scarso frutto fece sinora tra noi il Trattato dei Dittonghi del Gasarotti , il quale non è letto , né inteso dai molti che ne abbisognano volendo pur ver- seggiare a dispetto di monna Clio , e quei , che il leg- gono , l'intendono, e non ne abbisognano, sono pur pochi. Onde chi vuol far d' Elicona nascer fiumi , Lk dove sotto occidentale stella Ande superbo giganteggia , e al vento Spiega vessillo di meteore e nembi, E dal trono di nubi, in ch'egli posa, Mezzo 1' orbe col guardo alto misura , non seppe in certa versione oltrepassare la prima de- ■ cina de' suoi sciolti senza regalarne a' lettori almeno una coppia colla giunta d' una o due sillabe di più che non era obbligato , in argomento di sua nobll lar- ghezza , Che sparsi io veggio di var'iabil ombra. Sarebbe poi una pedanteria il notare essersi ivi ap- posta la dieresi per propria condanna. Passiamo a un' altra versione del Pasquinoli fatta dal Tedesco , vale a dire , delle Favole di Lessing. Diede a lui occasione di darla fuori un' altra di non so chi « falsata , egli dice , in un bastardume dr lin- ce gua , che di rado il peggiore : avresti detto il Ira- te duttore essere tedesco , tanto sconciamente scritte ce erano ( le favole ) in italiano j lo avresti poi procla- cc mato italiano , tanto erano sconciamente interpretate ce dal tedesco « . Di cosi fatti traduttori se ne potreb- bono leggermente annoverare di molti : ma di quel valentuomo tedesco aveva già l' Italia un altro volga- rizzamento di gran lunga migliore e troppo più prege- vole di quello del Pasquinoli. Fu esso stampato in Milano per lo Stella nel 1 8 1 5 , e questo additiamo /i6 agli studiosi si della italiana , e si dell' alemanna fa- vella. GÌ' intendenti ne giudicheranno dal riscontro dei saggi che qui ne porgiamo. Lib. I y fav. wiii. LO STUUZ/.0. L' Anonimo dello Stella. Ora voglio volare , gridò il gi- gantesco struzzo , e l' intiero po- polo dei volatili stava nella piii fìssa attenzione intorno a lui. Vo- glio adesso volare , nuovamente gridò, e le pesanti enormi ale sten- dendo , diessi a correre , come un vascello in accjua , radendo ter- ra , e non abbandonandola mai d' un passo. Ecco una poetica immagine di quelle teste non poetiche , che Il Pasquinoli. Ora voglio mettermi a volo, esclamò il gigantesco struzzo ; e 'I popolo intero degli augelli sla- vasi intorno ad esso raccolto in seria aspettazione. Or voglio met- termi a volo , esclamò per la se- conda volta: dilatò in vasta am- piezza le smisurate ali, e simi- le a naviglio con ispiegate vele , piombò sul terreno , incapace a discostarsene d' un passo. Eccovi innanzi una poetica im- magine di quelle teste antipoetiche nelle prime righe delle mostruose che , ne' primi versi delle ster- loro odi con orgoglio parlano di minate loro odi , si vantano di slanciarsi alle nubi , e oItrepass;ir robusti slanci , minacciano di su- le stelle , benché fedelmente seni- blimarsi sovra le nubi e le stelle, pre attengansi a terra, e nella polve rimangono per sem- pre impacciati. Lih. II , fav. XXX. MINERVA. AnoJiùno. Lasciali , amico : non ti curare dei miserabili e maligni invidiosi della crescente tua fama. Perchè vuoi tu , usando del tuo ingegno , eternare que' nomi destinati all' obblìo ? Nella guerra insensata che fe- cero ai numi i giganti , questi Pasquinoli. Dispregia , amico , oh dispregia i piccioli e maligni inviriiosi della crescente tua fama ! Perchè vuole il tuo ingegno eternare i loro no- mi destinati all' obblìo ? Nella insensata guerra , che i giganti mossero agli Dei , posero i giganti incontro a Minerva uno spaventatevole drago ; ma Minerva opposero a Minerva un orribil dra- aflferrò il drago , e lo scagliò con gone. Ma Minerva afferrollo , e possente destra nel firmamento, con mano potentissima lanciollo Colà risplende egli ancora. E ciò insino al firmamento. Là risplende che SI spesso fu ricompensa di egli tuttora : e ciò che spesso fu grandi azioni , divenne pel drago ricompensa di grandi azioni , di- castigo degno di essere invidiato. venne pel drago uà gastigo da invidiare. 47 Lib. Ili , fas>. XXX. IL PASTORE E L USIGNUOLO. PasquinolL Annnimo. Ti corruccla , o ben accetto E ti lagni , uom caro alle Mii- ftlle Muse, la infinita schiera dcgl' se , dello strepito che mena in sul insetti di Parnaso ? Odi , odi da Parnaso la poetica marmaglia ? me ciò eh' ebbe un giorno ad udir Ora senti che risposta fu data a l'usignuolo. un usignuolo il quale, quantunque Deh , sciogli tua voce , amabi- dal Pastore eccitato che gridava- bile Filomena, disse un Pastore gli: Canta dunque, usignolo ca- si taciturno musico de' boschi in ro , stavasi tacilo in una placida una gioconda sera d' aprile. sera di primavera. Ah, rispose l'usignuolo , le rane IMa ! dissegli finalmente 1' usi- alzano s'x grave frastuono , oh' io gnuolo , fin tanto ntmnre coleste ne perdo ogni piacer di cantare, rane , che io ne perdo ogni voglia Non le senti tu? di cantare. Non le senti tu? Le sento si; replicò il Pasto- Le senta sì, replicò il Pastore: re ; ma il tuo silenzio solo è però e il tuo silenzio appunto è la ca- cagion eh' io le senta. gione che mi condanna e sforza a sentirle. ( reggasi inoltre libi i , fav. 10. 22 , lib. 2 , fai'. \ 2 , lib. 3 , /2zt^. 2.6.8. t2. 25.) La miglior cosa che troviamo nell' annunziato volume è la commedia in tre alti , intitolata Le Cento Staffi' late ossia La Critica Indiscreta , che è pregevole pel molto e buono ideale. « Ho voluto dipingere , scrive 1' Autore , 1' insolenza d' alcuni critici , la ciarlataneria d' alcuni letterati , e 1' orgoglio d' alcuni mezzi poeti. " La scena si finge in una città del Piemonte. La pri- ma , e gran parte delle altre sono nella bottega del caffè. .Atto L Tre letterati stranieri andando a Torino s' incontrano in quella prima città , dove propongono di far una visita a un moderno dittator del buon gu- sto , Autore del libro le Cento Staffilate (se. I ) , Questi è amareggiato dalle condoglianze del Librajo , il quale non potendo smerciare copia alcuna delle poe- sie di lui : Almanacchi , gli grida , almanacchi ci vo- gliono , o un qualche bel romanzetto italiano ; op- pure tradotto dal francese , il che e meglio : o siv- vero una qualche raccolta di poesie romantiche set" 48 tcntrionali , il tutto fregiato poi con un titolo òishe' ticosonoro che sbalordisca a dirittura — che vuol farci ? È il gusto ( alti'i direbbe lo spirito ) del se colo. — IVla colui riconforta il Librajo colle speranze d' uaa. sua Tragedia che dovea rappresentarsi quella sera , e di cui gli aveva indossate le spese tipografiche (se. 2 ) . Favellando col Correttore di stampe pone sé stesso sopra il Tasso , che nel suo poema osserva unità d' azione e di luogo : « Ma io , dice , al contra- rio la comincio in Inghilterra , la trasporto in Germa- nia , la proseguo in Italia , e la termino dove ? noi so più nemmen io m ( se. 3 ) . I viaggiatori assal- gono 1' Aristarco , il primo con queste parole : « Il suo stile somiglia 1' abito dell' arlecchino : da' suoi scritti rilevasi una mente balzana , piena di fantastlclie idee, senza ordine , senza connessione, una critica lorda di scempiaggini , di stravaganze , di superbia infinita jj (se. 4)' ^1 secondo gli ricorda, che le invettive, i sarcasmi non sono ragioni (se. 5 ) . Il terzo : « Io sono colui , gli grida , le cui opere vennero solenne- mente biasimate e condannate da lei nel suo . . . cri- tico libello ; e me le sono recato innanzi al solo effetto di esortarla allo studio della logica , perchè il dire : il tal libro e un'arca di pedanterie . . . non vi s' in- contra una sola riflessione eh' abbia un po' del nuo- vo , del pellegrino , e star sempre sulle generali , e non scendere mai al particolari , e non renderne la de- bita ragione , non significa parlare secondo la logica , ma bensì a tenore di qualche matto capriccio che ne faccia dare la giravolta al cervello « . — Il Critico ri- ceve quindi dalla posta la Gazzetta di Milano , in cui legge di se stesso 1' articolo seguente : « Quanto prima daremo un circostanziato transunto delle opere del sig. N. N. : per ora ci basta avvertire. . . i suol poemi avere questa prerogativa particolare , che nascono e muojono in un giorno solo » (se. 7 ) • ^ e quell'errore geografico degli Ossibj popoli della Gallia da lui collocati in Osi- glia nel Genovesato (face. loo). Ed avrebbe potuto ag- giungere a Floro la traduzione dell' operetta intitolata — Ludi j4mpelii liber memorialis — che il dotto Amar pubblicò assai correttamente insieme a Floro in Parigi colle str.aipe del Didot j 1822 in 18.° annotazione. Tra le opinioni più singolari del sec. XVIII famosa è quella del Contralto sociale , ossia della sovranità del popolo. Oggidì , cominciatosi nuovamente , per cura di alcuni pochi letterati tedeschi e francesi , a metter profondo studio nella filosofia , quel patto sociale va cadendo nella dimenticanza , in cui sarebbe stato bene che fosse rimasto mai sempre ; ma vi ha taluno che non osa rigettarlo affatto , credendo di trovarne 1' esempio nell' origine di Venezia ; perciocché , secondo l' opinio- ne volgare , gì' Italiani , che fuggendo il furor barba- rico si cercarono un rifugio nelle isolette dell' Adriati- co , quivi di comune consenso elessero un Doge , e costituirono la forma del governo. A togliere sì fatto errore , abbiamo già mostrato nel nostro Giornale , che le isolette delle venete lagune aveano abitatori prima della irruzione d' Attila 5 e che essi , non meno che i nuovi sopravvenuti dal continente , stettero per alcuni secoli sotto il dominio de' Greci j uè ottennero piena libertà , salvo se poco a poco , e per quelle ragioni me- desime , che procacciaroao indepeadenza alle altre città ^9 d'Italia ne' secoli oscuri. Dopo stampalo quel nostro articolo , ci accadde di vedere la storia napoletana di Pietro Giannone ; e trovammo eh' egli slmilmente in una sua addizione avea dimostrato che Venezia non nacque libera , ma fu lungamente soggetta all' impero de' Greci. Le ragioni addotte dallo storico napoletano essendo diverse dalle nostre , giovano a stabilire in- vincibilmente questo punto rilevantissimo della storia italiana ; e coloro eziandio che amano meglio irsene presi ai nomi , che agli argomenti , chineranno il capo all' autorità dello storico disile di Napoli. Ma la versione di L. Floro, ristampata dal Silvestri in Milano nel 1828 , rimette in vigore quella immagi- nazione del Contratto sociale. Ed essendo libro che naturalmente viene a cadere nelle mani dei giovani stu- diosi , ed importando assai che le tenere menti non sian guaste da' pregiudizi , vogliamo spendere due parole ad ammaestramento della gioventù. Il traduttore voltando quelle parole di Floro : « Suc- re cedit Romulo Numa Pompilius , quem Curibus Sabi- cc nis agentem , ultro petivere ob inclytam viri religio- cc nem 33 appiccavi la nota seguente : « Numa successe a Romolo per comando del popolo e con 1' autorità del Senato. Ecco ferma l' idea della Sovranità popo- lare, w Ove poi lo storico latino , parlando di Servio Tullio ha , che annitente regina , fu substitutus in locum Regis, cioè di Tarqulnio , nota il traduttore : « Fu cosi sedotta bensì , ma non apertamente violata la Sovranità popolare, » Ed appresso rimette i lettori al Contratto Sociale di G. G. Rousseau. Ma tutte queste idee della Sovranità popolare si risolvono in nulla , ove altri legga con più d' attenzione la Storia di Roma , e consideri con lume di filosofia la Storia delle nazioni. Tutti i popoli rozzi ancora , e più tosto guerrieri , che cittadini , avevano una famiglia , o stirpe , dalla quale traevano i lor Sovrani. E siccome le genti feroci e solite a star sull" armi , malagevolmente potrebbono essere governate da fanciullo o da femmina , avveniva 79 jierciò die 1' ordine della successione non era osservato ne' gradi esaltamente prcscrilli nelle eulte nazioni, ma il più atto a capitanare, purché della casa regnante, veniva scelto a salire sul trono. Ed era cosa naturale che trascurando 1' ordine delle generazioni , per servire a' bisogni guerreschi dello Stato, potesse nascer dubbio sulla legittimità delT eletto , ed a ciò riparavasi col farlo proclamare ed accettare da tutti i più ragguar- devoli cittadini. ^ Ora , se noi leggeremo attentamente la Storia Ro- mana , apparirà che i Romani tennero il metodo stesso delle altre nazioni ; cioè procurarono di avere Sovrani tratti, il meglio che si potesse , dalla stirpe regnantei. Infatti , Romolo, qual che fosse il padre, apparteneva, almeno dal lato di madre , ai Re d" Alba. Non avendo Romolo lasciato prole atta al governo , si cercò il successore ne' discendenti di Tazio suo col- lega ; e perciò fu dato il regno a Numa marito di Ta- zia figliuola del Re Tazio. IMaucato Numa , succedette Tulio Ostilio , nato da una figliuola di Ersilia naoglle di Romolo. Che Anco Marcio fosse nipote di Nujna , è afiermato anche da L, Floro , nepos Pomjìilii ; e come altri ag- giunge, ex filìa ; lezione confermata da Tullio nel libro u. de Repub. Tarquinio I. , consigliere intimo e ministro favorito di Anco, essendo i figliuoli del Re ancor fanciulli, usurpò il regno. Egli è vero , che questo Re , come ab- biam in Cicerone ( tZe Rep. lib. 2.) cunctis popiili suffragiis rex est creatasi ma ciò non dee far mara- viglia , perchè non essendo egli della casa regnante , avea bisogno de' voti del popolo , onde velare la sua usurpazione. Ma i figliuoli d' Anco non fecero gran conto de' suffragi popolari ; e con toglier la vita a Tar- quinio , vollero far conoscere a tulli , che essi non poteano starsi paghi alla condizione d' uomini privati. Servio , genero di Tarquinio , ne fu il successore. 7^ Tarqulnio il superbo, figliuolo o nipote di Tarquinio I, non volle sostenere che Servio occupasse il regno a luì dovuto } e quantunque maritato ad una figliuola di Ser- vio, tolse di vita il suocero j regnum avit.um , quod a Servio tenebatur , rapeie malult , quam expectare. ( L. Floijo ) . Uno stemma farà meglio conoscere la successione dei Re di Roma. Stirpe Albana e Sabina. Numitore Ilia , o Rhea Silv 1 ia 1 I. Romolo : suo collega Tazio m re de' Sabini. Ersilia 1 1 Tazia N. N. figlia m II. NVMA 1 III TVLLO 1 Ostilio. figlia IV. Anco Marzio. Stirpe Greca. V. Tarq VINIO I N. N. figlia m VI Servio Tullio. VII. Tarqvinio il superbo. Tre furono dunque le famiglie che diedero sovrani a Roma : quella dei Re d' Alba , e 1' altra dei Re della Sabina , in vigore dell' unione de' Sabini a' Romani. La 7^ terza scliialta fu quella di Taiqiiinio, venuta da Corinto in Elruria , e quinci a Roma. Tarquìnio, come usur- patore, fu messo a morte per opera de' figliuoli d'An- co ; e Servio che non si seppe risolvere a rcslitnire il paterno regno a Tarquinio , figliuolo o nipote del pri- sco , fu tolto di vita. Dai fatti qui sopra esposti , egli è manifesto , che i Komani prendevano i lor Principi dalla stirpe regnante. Morto Romolo , senza lasciar prole capace di reggere la città, è acclamato Numa genero di Tazio: mancato JNuma, ed essendo già adulto il nipote di Romolo , Tulio Osti- lio , lo scettro ritorna nella discendenza di Romolo , per trapassare vicendevolmente iu Anco , nipote di Numa e pronipote di Tazio. Nella minorità de' figliuoli d' Anco , Tarquinio , per- sonaggio scaltro, ricco, manieroso, che aveva ajutato il Re pili tosto a guisa di collega che di consigliere, ottiene la sovrana ]iodestàj ma i figliuoli d' Anco , fatti maggiori , non potendo riavere il dominio , uccidono l'usurpatore. Servio, come genero di Tullio, essendo ancor minore l'altro Tarquinio, assidesi sul trono; e non sapendo restituirlo al ^«/^er^o, vien ucciso dai sl- carj di costui ; e il regio potere torna alla linea ma- scolina di Tarquinio I. Conchiuderemo colle parole di Mons. Mai , splendore delle antiche lettere in Italia ; « Profecto , etsi romani « Reges sufFragiis legebantur , nihilominus plerumque « rationem cognationis in iis creandis habitara esse « videnuis , praeterquam in Pi'isco Tarquinio , qui par- « vulis Anci liberis regnum praeripuit. » ( Notae in lib. 2. Cicer. De Re puh. ) Del Commercio de' Romani , e il Colbertismo , Memorie due di FRANCESCO Mengotti : ediz. 'XI.'' Milano , Silvestri 1829 in 1 fi- li Commendator Mengotti è chiaro per un' opera d' I- draulica , pregiatissima iu Italia , ove nacque ed ebbe 73 perfezione la scienza delle acque ; ed ottenne non leg- ger grido per le due operette , che ora ci ristampa il Silvestri nella sceìta sua Biblioteca. Noi faremo due parole sulla disseriazione del Commercio de' Romani ; atterochè il Cav. Mengotti è tal autore, che anche da lui dissentendo , se ne può e se ne debbo parlar con rispetto. Comincia il Mengotti fiaZ/'' origine oscura ed ignobile , per non dire ignominiosa , della città di Roma , compo- sta d' una truppa di avventurieri e di fuorusciti. Ma Sallustio, storico di raro senno, attribuisce la fondazione di Roma, non a Romolo ed a' fuorusciti, si a' Trojani condotti da Enea : 53 Urbem Romara , sicuti ego accepl , ce condidere atque habuere initio Trojani, qui yEnea ce duce ec. (i) » Qual che sia per altro 1' origine di Ro- ma , seguitiamo il sig. Mengotti ; il quale si maraviglia della podestà paterna conceduta da Romolo, per guisa che il padre poteva battere, vendere i figliuoli, e dan- narli a morte. Di clie cita parecchi esempi j a' quali mi place aggiungere quello del Senatore Fulvio , che fece morir suo figlio , trovatolo complice della congiura di Catilina (2). Ma quell' autorità suprema io non direi che fosse da Romolo data ai Romani ,• parendomi che sia antica , quanto sono antiche le famiglie j stantechè , ne' primi tempi , il padre era sovrano nella sua casa ; come apparisce dalle più antiche memorie delle nazioni. Non si accusi dunque Romolo d' aver dato al suo popolo una legge feroce. ce Ora i Romani ( seguita il sig. Mengotti ) situati ce fra tante nazioni prodi e bellicose , che doveano di- ce ventare ? Altrettanti soldati. Bisognava distruggere , o ce esser distrutti. Stettero dunque coli' armi alla mano " per quattro secoli, « Nuraa ed Anco Marzio regnarono intorno a ^o anni, e furon pacifici sovrani j solleciti a ben ordinare lo stato , e raddolcire colle arti della pace r asprezza originata dalle guerre. Laonde non è in tutto (1) Sali, de Conjur. Catll. § VI. (2) Sallust. Catilin. § ^o. 74 ragionevole accusare i Romani , di non avere fallo al- tro, pt-r quattro secoli , salvo se cercar motivi di gnerra ; e nuli ò \cro che i popoli vicini agognassero sempre a distruggere Roma. Questa città ebbe , come le altre , i suoi tempi di pace , e i tempi di guerra. 'c Egli è difficilissimo . e forse impossibile , dì unire ce insieme in un medesimo popolo il carattere di un con- ce qiistatore col carattere di un mercante. L' uno è ia ce opposizione con 1' altro. L' uno è grande , orgoglioso , ce e teroce : l'altro è timido, guardingo e pusillanime, ce L' uno non pensa che a distruggere , 1' altro che a ce conservare ec. " Avendo 11 Cav. Mengoltl definito che i Romani per 4oo anni non fecero altro , se non che guer- reggiare , ne trae che non avessero commercio ; atteso che il conquistatore e 11 mercante sono caratteri diversi. In questo raziocinio è nascosto un equivoco. Un popolo non è sempre conquistaLore , perchè una guerra continua è contro natura. Può dunque conquistare e mercanteg- giare. Non furono essi i Cartaginesi e conquistatori , e negozianti ? E Venezia quando cessò di conquistare ? Allorché per la scoperta dell' America e del capo di Buona Speranza cessò di negoziare. Il raziocinio del Cav. Mengolti sarebbe forse vero limitandolo al tempo del furor guerresco : il carattere di conquistatore , fino a che dura il furor della guerra , è in opposizione col carattere di mercante. Dico J'orse , perchè gii Olandesi potrebbero somministrare una eccezione , avendo essi dilatato 11 commercio nel tempo stesso che doveano lottare contro alla formldabll potenza della Spagna nel sec. XYI. e nel XVII. ce Oltre di ciò (trascrivo le parole del nostro A.) un po- tè polo fiero e conquistatore riguarda la negoziazione , co- te me un mestiere ignobile , mercenario ed Indegno della te propria grandezza. 3> Qui dobbiamo ricordaron nuova- inente Cartagine e Venezia; le quali non rlguardaron mai il commercio come un ignobile mestiere , e furono ad un tempo Repubbliche conquistatrici. Avvi di più; anche dopo la nobiltà feudale , che preferi sempre la guerra 75 alle cure del commercio , nói vediamo l'Inghilterra far grandissimi negozj e nobili conquiste j perciocché, oltre i Conti , e gli altri Signori , avvi uà numero conside- rabile di cittadini , i quali rivolgono le applicazioni al commercio. L' Autore ha considerato le nazioni quasi uìiità matematiche. « Le idee vaste , i piani magnifici. . . lo splendore e ce la celebrila delle vittorie ec. non si confanno con le te piccole idee e coi minuti dettagli della mercatura, m A me pare che i Medici avessero idee vaste , e formas- sero piani magnifici , benché attendessero alla merca- tnra. E Venezia , che parve ad un Poeta fabbricata non dHgli uomini, si da' Numi, era città di negozianti. E la Compagnia inglese dell' Indie è senza dubbio una i tea vasta ed un piano magnifico. Il Cav. INlengotti dovea considerare che non tutto uno Stato è composto di mercanti , e che non tutte le parti del Commercio sono idee piccole e minuti dettagli (Cap.i.) Entra il Cav. Mengotti nel cap. 2. a provare che i Bomani ne' primi cinque secoli non ebbero né pittori , né architetti , né scultori j e da ciò dimostra che non po- tevano avere commercio. Anche in questo punto non parmi che la conseguenza sia giustamente dedotta. Ve- nezia non ebbe pittori né scultori, ne' sec. X. XI. XII, e pure cominciò iu quelF epoca per mezzo del commer- cio a farsi grande e potente. Come poi gli architetti pro- movano il commercio , io protesto di non saper inten- dere. « Egli è certo ( siegue il Cav. Mengotti) che i Ro- ti mani non ebbero per 5oo anni né poesia , né istoria, « né eloquenza, né filosofia. Quali arti adunque, qual « industria , quali manifatture , qual commercio poteva- « no averci Romani senza coltura, senza lettere, senza « scienze? (cap. S). w Potevano avere quel commercio, che ebbero i Genovesi , i Pisani , i Veneziani , gli Olandesi, prima di annoverare poeti , oratori e filosofi. « I Romani ( son parole del N. Aut. ) nel corso di qua- « si cinque secoli non videro il mare che pochissime 7« « volte (cnp. 4)- " Non so quanto sia credibile, che aven- do Anco M;irzio quarto re di Pioma condotta una colonia ad Ostia , accioccliè i suoi sudditi godessero i vantaggi di un porto sulla marina , essi poi uoa sapessero giovarsene che pochissime volle, li regola generale, clie ogni stato il qnal aLbia un littorale , non trascura mai la naviga- zione; almeno quanto è necessario al vero commercio , cioè a dare il soprappiù de' prodotti indigeni per aver- ne quelli che mancano. « Sul principio della prima guerra Punica i Romani , « se per un azzardo una galea Cartaginese non nau- « fraga va sulla costa del Lazio , non avrebbero saputo ce come costruire un naviglio (cap. 4) ^^ Sul principio della prima guerra Punica i Romani erano già padroni della Toscana e di tutta 1' Italia Transtiberina. Ma i Toscani erano navigatori , come sap- piamo da Cicerone nel lib. 2 della Repubblica: « nam te e barbaris quidem ipsis nulli erant antea maritimi « praeter Etruscos et Poenos ; alteri mercandi causa , « latrocinandi alteri. " Napoli , Taranto , Brindisi ed altre città della magna Grecia non potevano ignorare 1' arte di costruire un naviglio. Quel che si dice della galea Cartaginese è una Tavoletta popolare , confutata dalla natura stessa delle cose ; eh' è poi la filosofia imi- versale. La verità è , che i Romani , populus pasto- ritius vereque terrester , non ieney ano flotte, uè arsenali abbondevoltnente forniti di ogni marinaresco arredo ; come non avean nò flotte , né arsenali da guerra gli Americani delle colonie Inglesi sul primo scoppiare delle lor contese coli' Inghilterra : ma essendo facilissimo ad un popolo marittimo armar le sue navi a guerra , poterono i Romani affrontarsi co' nemici , e sconfig- gerli ; e poterono farlo alcuna volta gli Americani. Ma credere , che una nazione , la quale non avesse mai veduto navi , possa in pochi giorni allestire una flotta e trionfare de^ dominatori del mare, non è co^a da scri- vere nel secolo de' lumi. Entrando il Comm. Mengolti a parlare dell' epoca 77 seconda de' Romani , cioè dalla prima guerra punica ad Augusto , vuol provare che si trascurarono e disdegnarono il commercio e la navigazione. " A tal oggelio breve- « mente accenna i tesori accumulati dal popolo vincitore , « e ne conchiude , che i Romani non pensarono che « ad arricchirsi con le spoglie di tutte le nazioni, jj La qual argomentazione non è dissomigliante da quest' altra : I Francesi condotti da Nap. Buonaparte non pensarono , che ad arricchirsi con le spoglie di tutte le nazioni : dunque la Francia trascurava e disdegnava il commercio. L'accusa delle usure amaramente scagliata dal ]\, Autore contro a' Romani , non è così propria d' essi , che non fosse comune a' Greci e agli altri antichi. Il minimo del prò era il 12 per cento. Veggasi l'opera di Scipione MafFei dell' impiego del denaro. Io ag- giungo , sulla fede di un valente giureconsulto , che in una contrada d" Italia , due secoli fa , tolleravasi legal- mente il 33 per 100. Il Rabbe sostiene che in Russia, secondo il Codice di Jaroslaf, potevasi avere il prò del i5o per cento j benché poi Uladimlro lo ridusse al solo 5o. Maggior esattezza trovo neir epoca terza de" Romani, collocata dal N. Aut. tra l' impero d' Augusto e quello di Costantino. Osserva egli che vi hanno due guise di commercio; quello che si fa dentro lo Stato, e quello che si pratica colle nazioffi straniere. Commercio della prima specie non poteva mancare a quella Roma che studiosamente cercava tutte le delicatezze possibili ; ed anche il solo trasporto del grano necessario a forse 4 milioni di abitanti richiedeva di necessità una conti- nua navigazione dal Tevere alla Sicilia , all' Africa ed all' Egitto. Quanto al commercio con gli strani , che nulla prendevano da Roma (come, per figura, i popoli dell" Indie ) , essi a poco a poco assorbivano i più nobili metalli dell' Impero , lasciando a questo il lusso e la povertà ; e dal lusso congiunto alla povertà dovea nascere una orribile corruzione di costami. Man- 7« co dunque a' Romani V equilibrio commerciale; le cui teorie non erano note agli antichi. Satire di J. Persio Fljcco , traduzione del Cav. F. Monti. Milano, Classici Ital. 1826, in 12. E questo il quinto volume delle Opere Varie drl Monti ; delle quali si fece parola in altro luogo del Giornale (iSay), annunziandone i primi quattro volumi. In questo abbiamo Persio, poeta di tempra vigorosa , e di modi alquanto oscuri , sia per amore soverchio di brevità , sia per vaghezza di apparir più dotto col ce- lare le sue Idee agi' intelletti volgari. Duolci che la ver- sione fattane dal P. Solari non abbia per anco ottenuto la pubblica luce j che noi di buon grado prenderemmo a raffrontarla con quella del ]Monti. A questo celebre Scrittore non fu ignota la fatica del nostro Ligure; ed ecco come ne parli nella nota I.^ alla Satira \'II.'' : « Io t era a questo termine della mia traduzione , quando e venni a sapere che il P. Solari Scolopio , culto scrit- t tore e buon matematico , ha di fresco intrapresa , e e mi si dice ancor terminata una nuova versione di e Persio con un proposito singolarissimo Il P. e Solari , confidato nella sua somma perizia delle due r lingue, si è accinto (per quello mi si racconta) a e traslatar Persio in tanti versi italiani quanti latini. < So che tutto si può aspettare da quell' ingegno .... e Nulladinieno un tanto coraggio mi ha da prima fatto e paura indi , come suole accadere , mi sono in- t vogliato di seguirne 1' esempio ec. " Noi non osiamo far da censori trattandosi di un Monti, grande ornamento dell'italiano Parnaso; ma vogliam proporre alcuni dubbj , de' quali i dotti Cri- tici daranno sentenza. Comincia Persio il suo prologo ; iVec fonte labra prolui caballino , Nec in bicipiti somniasse Parnasso Memini 79 E il Traduttore: Né le labbra Io tuffai nell' Ippocrcne , Né sul doppio Parnaso aver dormilo Sovvienmi Non ha dubbio ohe Ippocrene risponde , quanto alla cosa, al fonte caballino; ma quanto al modo, troppo è grande la disparità. Ippocrene è dello stile nobile ; fonte cavallino è dello stile plebeo , e sente un colai che dì scherno ; qual si vede in tutto il rimanente del prologo. Doppio non rappresenta il bicipite , ossia di due capi. Dormire e sognare sono cose diverse; e se Persio avesse detto dormire ) tutto il sentimento si ren- deva strano e ridicolo. Infatti Sognare sul Parnaso , e poi destasi , dettar versi a furia , è cosa naturale : Nec in bicipiti sommasse Parnasso Memini , ut repente sic poeta prodirem ; ma dormire, e poi trovarsi poeta, non è cosa che abbia analogia. « Ipse semipaganus ^d sacra vatum carmen afferò nostrum. » « Io mezzo paesano De' vati al tempio le mie ciance arreco, w Yolgarmente si dice, in qualche parte dell'Italia occi- dentale, paesano per pagano ("villano , contadino, uomo di villa , di contado ) ; ma è detto alla francese. E tanto ne basti ad incoraggiar qualche sottil filologo a notare quel molto di bello , e quel poco di men pregevole , che possa trovarsi nel Persio del Monti. La Critica si avvilirebbe se discendesse ad esercitare il suo nobile ed importantissimo uffizio sopi-a le inette versioni di coloro , che per avere cinguettato quattro parole d' Inglese , o di tedesco , vogliono andare per le stampe a proces- sione , regalando all' Italia poesie scozzesi e jutlandlche di niun pregio; se già non fosse che si accompagnano con versi endecasillabi di 12 o i3 sillabe; quasi eoa vezzo di elette gioje Ignote a' pedanti ed a' rettili. Non termineremo questo cenno senza far avvertire uno sbaglio à^W Indicatore Livornese ( n. " i, 1829), 8o dove si hanno per epigrafe i due versi clie seguono : Non equidcin hoc studeo huUatis ut niihi nugis Pagina lurgescat, dare jìondus idonea fumo. Persio , Sat. V." Per intendere l' idea del Poeta , vuoisi premettere che la Satira V.'' è quasi una conversazione di Persio con A. Cornuto suo precettore, t^ominciavasi in Roma ad introdurre colla mollezza e 1' avarizia , una maniera di scrivere gonfia , ampollosa , piena di sentenze tiratevi a forza , e tutta fuor di natura ; qual sarebbe quella del moderno romanzo intitolato la Battaglia di Benevento. Temea Cornuto che il giovane Persio potesse lasciarsi prendere a quella novità ; e ne lo sgrida autorevolmente: Quorsuni hoic ? A che vuoi tu ingozzarti coleste villane focacce di stile sesquipedale ? y4ut qiiantas robusti car- ininis offas ingeris ? Lascia ai goffi cotali pazzie lette- rarie : eglino sono palloni a vento ripieni di sciocchez- za : tu , che se' savio , tienti allo stile semplice , e fla- gella i malvagi: ^<^ folle preniis ventos . . . verba togcB sequeris .... ore teres modico , pallentes radere mo- res doctus. " Io non bado , risponde il buon Discepolo , io non bado a gonfiar le mie carte di ciance, e a far de' granchi balene : parliamo a quattr' occhi : ti sco- prirò il mio cuore : ce Non equidem hoc studeo bullatis ut mihi nugis Pagina turgescat , dare pondus idonea fumo. Secreti loquimur ; libi nunc , hortante Camoena , Excutienda damus prcecordia Bullaque succinctis laribus donata pependit. " Poeta: « Non io certo m' adopro , che ripiene D' alte ciance mi scoppino le carte Atte a far granchj comparir balene. Siamo a quattr' occhi 5 ed a scrutinio or darte, Esortante la Musa , il cor vogl' io, ai succinti Lari la borchia pueril sacrai. ^^ Come si possano adattare queste parole ad un foglio , che non parla a quattr' occUi , ma si pubblica colle 8r slampe , volfintleri noi lasceremo giudicarne al Compi- latore sig. Guerrazzi j il quale ci spieglieià in qual ma- niera i sentimenti di un modesto discepolo al suo mae- stro , che lo ammoniva , possaoo convenire ad un foglio , che vuole promuovere ì buoni studjf smascheiarne i detrattori , purificare e perfezionare il gusto ec. ec. j cioè far da miestro all' Italia. Da ultimo , crediamo nostro uTizio di avvisare il Compilatore del foglio so- praddetto , ohe 1' elegante novella pubblicata nel nostro Giornale (1828 , pag ) non è lavoro dell' yVutore della Stoìia Letteraria della Liguria , cui esso foglio francamente 1' attribuisce. Prima di conceder 1' onore di uno scritto anonimo ad una determinata persona , (\ cosa giusta procurarsene esatte informazioni, Piipetia- molo : né In novella, nò il proemio, né le postille ap- partengono in modo veruno al citato Scrittore j il quale, ben lontano d' arrogarsene il vanto , ci ha pregati a faine questa sincera e necessaria dichiarazione. f^ita di Napoleone Buon aparte , preceduta da. un quadro preliminare della Rivoluzione fran- cese , di Sir JJ^JLTER Scott : trad. ital. Fi- renze, Galletti, voi. i4 in B. 1827 e 1828. La traduzione è pessima , come sono oggidì tutte quelle che si fanno da uomini poveri ed ignoranti a ronto degli stampatori. Dehosciato , posizionato , e si- mili gentilezze , colla sopraggiunta di grossolani errori di stampa, destano l'Ira di tutti i lettori. La versione è fatta non sopra 1' originale , ma sopra la traduzione francese ; viltà oggimai troppo comune all' Italia. Quan- to all'autore, egli è notissimo pe' suoi romanzi j ed è chiaro che storico e romanziere sono appunto come luce e tenebre. Noi toccheremo due o tre particolari j e basti. L' Aut. ( voi. 4- cap. I. ) parla della conlesa sul co- gnome di Napoleone j cioè se dovesse scriversi Buo- ìiaparte f o B on aparte ; e dimentica di esaminaru- f 82 quell'altro punto di cui si è parlato cotanto, vo'dire, se il Capitano di Francia nascesse a'ifi agosto del 1769, ovvero ne' primi mesi dell' anno medesimo j ossia , se nascesse genovese o francese. Quanto alla stirpe , ha queste parole:" I Buouaparte « erano una famiglia di qualche considerazione nel me- re dio evo. Il loro nome è iscritto nel libro d'oro di et Treviso , e vedonsi ancora le loro armi su molti edi- cc fìzi a Firenze. Ma attaccati nelle guerre civili al par- te tito dei Ghibellini , furono perseguitati dai Guelfi ed « esiliati dalla Toscana. Uno dei membri della fami- « glia si rifugiò in Corsica , e vi si stabili, w Qui è da notare che Buouaparte fu anticamente nome proprio, che passò , come altri moltissimi , ad esser gentilizio ; e la vita del B. Bnonaparte si può leggere in quelle dtì' Santi e Beati Bolognesi scritte dal dotto Filippino P. Meloni. De'Buonaparte ha memorie Pisa, come Fi- renze e Genova. Ma principalmente si conoscevano in Sarzana , ed in S. Miniato; dove un Canonico di tal cognome vivea tuttavia ne' primi anni di questo secolo. La storia del sacco di Roma nel i5iy, attribuita al tjuicciardini , è dimostrato esser lavoro di un Buoua- parte. Che poi tal famiglia tragittasse dalla Toscana ia Corsica per le fazioni de' Guelfi e Ghibellini , è cosa oscura : e si potrebbe negare senza pericolo d' essere smentiti. A nostra notizia , la più antica memoria del ramo di essa famiglia trapiantato in Corsica , risulta dal matrimonio di Geronima Buouaparte con un gen- tiluomo d' Ajaccio nel sec. xvi. Merita similmente una picciola chiosa quesl' altro luogo del nostro Romanziere ; ce 11 fanciullo fu battez- « zato sotto il nome di Napoleone ; ed allorché egli « fu interrogato a quest' oggetto dal Vescovo che gli « diede la confermazione , gli rispose senza sconcertarsi, « che vi era un gran numero di Santi ; ma che non « v'erano, che 365 giorni nell' anno da dividersi fra « loro. j> Il nome di Napoleone fu comunissimo iu Italia ne' secoli trascorsi , specialmente in Roma negli 83 Orsini , ed in Genova in varie case nobili. Napoleone Gomitoli fu Vescovo di Perugia. Andò poi come in di- suso ; e non essendovi santo veruno di tal appellazione nel Martirologio romano , non è maraviglia che il Ve- scovo di Ajaccio si maravigliasse che un fanciullo cri- stiano avesse un nome ignoto a' Martirologj , essendo prescritto ne^ Rituali che a' bambini s' impongano nomi di fedeli registrati nel catalogo de' Santi. Il traduttore italiano , imitando il francese , avrebbe potuto emendare alcuni abbaglj di Gualtieri Scott: ec- cone parecchi ; dice che Voltri è piccola città a due sole ^miglia da Genova ( ly. 112); e dovea dire grossa terra a dieci miglia dalla città. Millesimo non ò pic- cola città ( IV. ii5), ma un castello, o piccola terra murata. Cossaria si corregga in Cosseria (iv. no e 117). Romantica è la pittura del Buonaparte ohe dalle alture di Montezemolo gode del magnifico qua Ivo delle fertili campagne del Piemonte ; ma leg- gasi Montezenie , e si osservi che il magnifico quadro si gode dalle alture di Mondovl. Affermasi ( iv. i35), che Tortona è una delle chiavi delle Alpi i benché ogni carta dimostri eh' essa giace nel gran catino della Lombardia. Singolare è poi quello che dice il n. Aut. riguardo al Duca dì Modena ( iv. i58). « La sua na- cc scita era illustre : discendeva da quel celebre Eroe ce Estense , protettore dell' Ariosto e del Tasso : la sua « parentela non era meno splendida della sua origine : ce sua figlia era maritata all'Arciduca Ferdinando, gover- ct natore di Milano. " Queste frasi potrebbero servire a lodare una famiglia di fresca data ; ma quanto dis- dicono trattandosi della gloriosa casa d' Este , già rag- guardevole prima del mille ? E può egli ignorare uno storico inglese , che gli Estensi di Modena , ed i Reali d' Inghilterra sono due rami di un medesimo ceppo ? E dove trovò egli il nostro storico , che lo stesso Prin- cipe potesse proteggere l' Ariosto ed il Tasso ? Questi sommi poeti furon essi coetanei ? Siegue a dire lo sto- rico, che lo stato Estense era così piccolo , che avrebbe H potuto esser non visto da Napoleone. Quasiché un do- tiiinio ili Lombaibia con 4oom, abitanti , con due città ragi^uardovoli , ed altre minori, potesse non esser visto da chi guerreggiava in Lombardia ! f^ìtd politica e militare di Napoleone , narrata da Uà medesimo al tribunale di Cesai^e , di Alessandro e di Federico II. , trad. di G. B. La Cecilia, Livorno , Bertani e C. 1829. in 12. 11 Bertani nel manifesto assicura che autore di que- sta vita è il generale svizzero Joniini , il quale fu col Buonaparte nella guerra di Russia ; e poscia offerì i suol servici all' imperatore Alessandro. Ma è difficil cosa a credere che un libro scipito , come questo è in ogni sna parte , possa venirci da un soggetto riputatissinio qual è il generale Jomlni. Ecco due tratti del prologo brevissimo: «La Parca omicida già innalzava le terri- ne bili cesoje. Atropo crudele , inesorabile poteva ri- te nunziare ad una preda sì bella?... Si distingue la « galleggiante barca del fosco e tacitarno Caronte , il « qviale si avvicina alla sponda, e vi lascia T ombra di « Napoleone, « Poiché oggidì nelle scuole ben ordi- nate non haimo più luogo così fatte amplificazioni pro- saico-poeticiie , non si può dire, che sieno cose da scola- retti umanisti j diremo più tosto esser cose da lasciare agli Kco , ed agli Ahnanacclii per le dame. \J idea di far parlare Napoleone alla presenza di tre grandi Capitani , è tolta da Luciano , che introduce Alessan- dro ed Annibale disputanti del loro merito al tribunale di Minosse ; e poi vi fa sopraggiugnere Scipione , che toglie ad Annibale la palma , cedendo soltanto al Ma- cedone ; se non che in Luciano il dialogo è ben disposto; e non si fa che uno parli tanto , che se ne possano em- ])ier volumi. — Ma già per molle prove si è conoscinlo quanto sia difficile, non che imitare, intender sana- mente il fine propostosi da Luciano. Piacemi recarne un esempio. Nell^ Indicatore Li\'ornese n.° i citasi quel 85 dialogo In cui Menippo , povero filosofo , intuona a Creso a Mida ed a Sardanapalo il famoso , conosci te stesso ; ma per una maravigìiosa imitazione si fa che tal sentenza da giovane ricco , e copioso di ogni dol- cezza , s' intuoni ad un povero solitario intento a' suoi doveri e ravvolto \\e suoi libri. Or clil avrebbe mai. pensato, che le massime della Sapienza s'avessero a far dettare da giovani abbondanti d' ogni terrena com- piacenza a solinghi filosofi? E che questi dovessero tenere il luogo di Creso, di Mida, di Sardanapalo? — Ritorniamo alla Vita , che si pretende scritta dal generale Jomini. In essa aftcrma il Buonaparte ( face. 182, e 162) ohe « Bologna e Ferrara formarono la piccola repubblica transpadana ; Modena e Reggio la cispadana. 33 Ma il condotlier francese non era tanto stolido da ignorare che BoJogna e Ferrara , non meno che Modena e Reggio, sono città cis/>adane per noi, e traspadane pei Milanesi j stando tutte e quattro sulla destra del Po. Avvi pure (face. 5^)) una nota appiè di pagina, in cui parla 'iMapoleone , come nel testo; ed è cosa nuova e dolcissima che altri ragionando faccia annotazioni appiè di pagina. Altrove (face. ^9) in uà dialogo, che si finge tenuto il dì 5 maggio 1822 ( vedw il prologo ) Napoleone cita e confuta la Storia del poe- tico Botta, che non era pubblicata. A' pregj intrinsechi dell'opera corrisponde e lo stile del traduttore, e la correzione tipografica; basti avvertire, chea face. i43 in vece di Saaadra di Spagna leggasi la quadra di Spaga. Delle Conquiste celebri , libri due di Jppijyo Buonafede. Venezia 5 tipografia Alvisopoli , i8;i4 in ì2. Appiano Buonafede, nato in Comacchio nel 1716, fu Abate generale de' Monaci Celestini dal 1777 al 1780 ; e mancò di vita in Roma 1' anno del qS. Scrisse molti libri di cose filosofiche , ridendo di tutto e dì 8G tutti , come ne giudicò 1' Ui;oni ; forse troppo severa- inenle. L' oporetla delle Conquiste celebri, pulilameiile rislampata per cura del valoroso signor Gamba , tratta leggiadramciue un argomento gravissimo. Il P. Buona- fede si la coiuparlre davanti i più celebrati pubblici- sti, ne disamimi le dottrine, assolve , condanna. Ugo- ne Grozio è censurato perchè ■ insegnava « un diritta « di natura universale e poi un altro che nominava « diritto delle genti positivo, distinto dal diritto na- te turale. " Jl Buonafede afferma che « il diritto natu- « rale e il diritto delle genti sono in sostanza il me- « desimo diritto, o variano per la denominazione so- J« lamente e per l'uso; cosicché il diritto naturale dee « dividersi \n diritta naturale dell'uomo, quando si « applica ai particolari uomini , e in diritto naturai " delle genti ^ quando si applica agli stati ed alle na- « zioni ( I. cap. VI ) . « Del Machiavelli ha queste 'parole , L cap. 3 : « Alcuni portarono opinione che il « Principe non fosse già una seria istituzione di mal- « vagia politica , ma una satirica narrazione . . . Mi sa- « rei forse accostato a questa opinione, se non avessi « veduto il Machiavelli non essere uomo costante e ce connesso in sue dottrine , e se non avessi scorto tutto « quel suo Principe sempre e da per tutto sostenere ce la forma d' una grave istruzione ; e se infine non ce avessi pensato che di questo modo escusandosi gì' ce iniqui insegnamenti di quell' uomo , non vi sarebbe ce oggimal scellerata dottrina , che non potesse escu- cc sarsi. ... La primaria dottrina , a cui tutte le parti ce di quel libro si riducono, è che il sommo ed unico ce affare dflla società e del principe sta nella sola uti- ec lità. " È anche da vedersi il giudizio che del Ma- chiavelli si trova nella storia della Letteratura dello Schlegel ( Lez. 9), do^e questo erudito Tedesco di- .slinguendo dallo scrittore il pensatore, loda lo stile del Segretario, Fiorentino cosi altamente, che niun Ita- liano, non osò .niyi tanto; ma ne condanna francamente le dottrine lìjed-. è, bene da , stupire che a tal giudizio 87 non abbia voluto accomodarsi chi diede ultimamente un cenno dell' opera dello Sclilegel , cenno clie dimo- stra , come il giudicatore non lesse forse il Segretario Fiorentino , e non bene intese lo Schlegel. r. Paolo Amed]5o GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Rev. Are. K. Se ne permette la stampa. GRILLO Rev, per la Gr. Cancell. ss INDICE. Scienze. Giunta alle Osservazioni geognostiche fatte nel di" partimento del Varo Pag. 3. Lettele. Necrologia di Ippolito Pindemonte . . . « 1 1 . Necrologia di Agostino Pareto .... « 29. Osservazione a un Articolo dell' Antologia di Firenze sulla vita di Cornelio Nipote . « 33. Operette varie del Professor Pietro Pasqui- noli 44- Scuola dei Sordi Muti y Lettera . . . . « 5i. Sopra il sermone poetico , Lettera al Prcf. Zuccaia te 60. Piacevoli Poesie inedite di Antonio Cesari «« 64. Novelle Lettebarie. Commedie di Alberto Nota « 66. Delle Gesta dei Romani, di L. Floro . . « 67. Del Commercio de Romani , e il Colbertismo del Cav. Mevgotti « 72. Satire di A. Persio Fiacco « 78. Vita di ISapoteone l'uonaparte . . . . « 81. Vita politica e militare di Napoleone . « 84- Delle Conquiste celebri « 85. Correzione importante al Fase. 5." 1828, pag. 458. Neil' Art. sopra ìe. Operette * nel MSS. di lui si leg- gono come appresso : « Finalmente incontrasi in quesio Scrittore qual- che voce o troppo latina , come sncrcrlituro . vacato ecc. ; o troppo anli(jiiala , come di ccrlann , le piacunentU; le peccata, ammorbi doe , mvretle j o liopjw bassa n ©I©lir-4ILS M^lìJSf 1€0 oc òciai/tc , .\ clbccc , C'U «L'bvtt . Hoc opus, lioc studium parvi properemus, et ampli. Si palriae volumus , si nobis vivere chari. IIor. ANNO in. FASCICOLO lì. r^óarzo e ^^ qual procurata e as- sistita fu da Scipion Gonzaga , e fatta eseguir a tenore di quel manoscritto (i6). E egli credibile che quello stesso Scipion Gonzaga , al quale avea il Tasso parte- cipata parecchi anni prima nella lettera , che ho men- tovata di sopra , la risoluzione presa da lui di cangiare quel luogo , e di ridurre il duello ad una semplice disputa di due combattitori intorno al proprio valore , avesse ricollocata in quell'edizione una stanza che sa- (i6) Vedi il Sciassi , Viia di Torq. Tasso , tom. II , face. 58, e Catal. delle cdiz. delle opere div. di lui, stampato dietro alla Vita , face. XVIII. (i5) Canto 7 , st. g5. 123 pea pure essere slata dall' Autor rifiutata , se non 1' a- vesse veduta posta dal Tasso di nuovo nel manoscrito ? Potrebbe cliieder qualcuno: e perchè dunque leggesi tuttavia presso che in tutte le susseguenti edizioni la stanza rifatta ? facile è la risposta : perchè fu trovata quella e nella stampa ferrarese del Rossi, e nella se- conda parmense del Viotto, e nella seconda veneta del Percacino. Perchè cosi avevano fatto quegl' impres- sori , cosi continuarono a fare anche quelli che ven- nero appresso , senza pigliarsi altro pensiero. Non è av- venuta forse la stessa cosa eziandio nella stanza ses- santesimaquinta del canto dicianovesimo? Nelle tre pre- fate edizioni s'era fatto con pregiudizio del senso e della sintassi consriunta in una voce sola in vece di con giunta in due voci ; e questo errore di stampa fu ripetuto nelle posteriori edizioni per due secoli in- teri (17). Non a torto disse il maggior filosofo de' no- stri Poeti che i più degli uomini vanno 1' un dietro all' altro come le pecore ', e cosi appunto , com' esse , quel che fa r uno fanno gli altri medesimamente , senza eh' essi sappian perchè. Io credo pertanto per le ragioni addotte qui so- pra che abbiasi a leggere nel Poema la detta ottava non (17) In alcune stampe della Gerusalemme liberata gì' Impressori s' avvisarono di darci in fine i versi rifiutati dall' Autore : e trovasi tra questi anche la stanza di cui s' è par- lato. E da notarsi che il Percacino nella sua edizione del i582 aveva stampato , oltre al Poema, eziandio tutto ciò che leggesi diversamente in diversi manoscritti del mede- simo, ailincliè ( die' egli nell' avvertimento premessovi) cia- scuno s' appaghi del suo gusto , e scelga quello che più gli piacerà. Chi dappoi ristampò il Poema , perchè vide quelle cose gittate là in fondo del libro , giudicò che fossero state dal Poeta rifiutate , e per tali furono poscia spacciate. In quanto alle altre cose niente io qui dirò : ma in quanto a quell' ottava chiaramente apparisce da tutto ciò che di so- pra ho esposto eh' ivi essa l'u collocata indebitamente e a gran torto. 124 già com' essa si trova nel maggior mimerò delle stam* pe , ma come sta nelle prime e in quella di Mantova: niente di meno , come che queste ragioni pajano a me di gran forza , deboli tuttavia potrebbono forse pa- rere ad altrui. So molto bene quanto facilmente può 1' uomo ingannarsi anche quando egli manco sei crede: e d' altra parte io pur veggo che due critici di gran conto hanno serbata l'ottava rifatta nell'edizioni as- sistite da essi ; e tanto caso io fo del giudizio loro , che giungo quasi a diffidare del mio , e mi dichiaro pronto prontissimo a rinunciare alla mia opinione per aderire alla loro , per poco che mi si mostri che uel fatto di questa stanza io mi trovo in errore. De^ vizj de letterati , libri due del Cav. D. Giu- seppe Manno , membro della Reale accade - mia delle Scienze di Torino ecc. Ivi , AUiana , 1828 in 12. "jvr -L^ on mancarono alla Grecia e al Lazio uomini d' ot- time lettere e di fino discernimento forniti , i quali in varie forme or questo ed or quel vizio notassero cosi negli scritti come ne' costumi de' letterati j del che ab- biamo chiarissimi esempi in Luciano , Longino , Deme- ti'io Falereo , in Cicerone , Quintiliano , Orazio , e Per- sio. Qualche traccia se ne scorge eziandio nelle opere minori di Dante , nel Firenzuola , nel Lasca , nel Sal- viati , e più o meno in quanti altri de' nostri trattarono del bello scrìvere , od ebbero contesa con altrui : ma 11 Boccalini nel secolo 17.", e il Gozzi nel susseguente toccarono più da vicino questa materia. Tra i moderni mi piace di ricordare soltanto la Repubblica dei Cadmiti di Michele Colombo , la quale in una maniera tutta propria di quel leggiadrissirao scrittore pone sotto gli occhi gra- ziosissimamente le pecche onde sogliono andar macchiati gli uomini di lettere 5 e con non minor senno ne addita egli i rimedj nel Ragionamento sopra le discordie let- terarie d' oggidì. E cosi il nostro desiderio valesse ad indurre quel!' egregio abate a dar fuori la Storia dell* introduzione del tamburo e delle campane nel par- naso italiano , come a molti si caverebbe il ruzzo di capo. Ma il Gav. Manno , uomo già chiaro per altri scritti , annunziati nel nostro Giornale , ha composto in questo volume come vm' Etica del letterati , distendendo le sue osservazioni su tutti i punti principali , che riguar- dano particolarmente questa classe della società. Ma lode maggiore meriterebbe questa operetta , se 1 buoni priucipj , che vi rispleadono sparsi per entro , si ve- 126 dessero praticamente applicati a persone reali già tra- passate , lasciando in disparte le viventi. Così ne riusci- rebbe la lettura piìi proficua e più dilettevole. Ciò non toglie che il disegno dell' opera sia buono , e che dalle italiane lettere molto si debba all' Autore , il quale vi si mostra assai filosofo , e conoscente degli ottimi scrit- tori. Né meno esperto si mostra nei precetti dell' elo- quenza, i cpinli saggiamente applica agli scrittori aridi, fioriti , e giocosi. Riporteremo qui alcune poche sen- tenze , che pensiamo dover tornare assai utili a chi si pregia di bella letteratura. Comincia il primo libro dai troppo giovani. « Di- consi costoro talvolta ingegni privilegiati ; stampe che la natura fa con lunghi intervalli di riposo e poi rom- pe 5 Ercoli nella cuna ; miracoli d' intelligenza anzi tem- po. . . . Bene dicea Plutarco , che tanto conviene sgon- fiare 1' alterigia de' giovani , come 1' aria degli otri j dac- ché altrimenti ripieni di superbia nulla riceverebbero di ciò che s' infondesse. ^^ Mostra coli' esempio di Ci- cerone quanto tempo , diligenza , e fatiche incontrino i grandi ingegni per poter giugnere a stabile fama. « Seb- bene ( soggiunge 1' A. ) io penso , che non siano gli esempi o i consigli autorevoli clie manchino : perchè forse a ninno de^ più temerarj sarebbe dato il rispon- dere : ci non mi fu detto. Ma infino a quando in que- sta che si appella repubblica delle lettere continueran- no a formicare i bagaltellieri , i maniaci , ed i buffoni con tutte le altre generazioni de' guastamestieri , gì' in- citamenti ad ogni sorta di vizio letterario saranno i più. potenti presso alla moltitudine " . ( cap. i ). Il 2." cap. è rivolto all' ammaestramento di coloro , che dopo aver dati con onore i primi passi nella car- aiera letteraria , fan punto , né più si curano di am- pliai'e le cognizioni. L' esempio d' Ortensio in compe- tenza di Cicerone prova assai bene , ce che l' intelletto non confortato da uno studio perenne è soggetto ad in- selvatlcare ; e che non havvi nella vita umtma alcun termine , in cui si possa assegnare il perfin dove dee arrivarsi nell' adornar 1' animo di novelle dottrine » . 127 Asperso di vivacità drammatica- è il cap. 4-° > *^'i*^ meriterebbe di essere trascritto per intero , e fatto leg- gere almeno una volta il giorno agli eroi della moderna letteratura, ce Non istar a fastidiarmi con queste pedan- tesche tue citazioni storiche .... La storia vera ... è 1' uomo vivente. Io studio il cuore umano nella società de' miei amici , nella cronichetta galante del mio paese, nel teatro , ne' ritrovi , e soprattutto nel gabinetto di Er- minia , nel cui cuore tu potresti , come in una lanterna magica , veder apparire e sparire in breve ora tutto quanto nel correr d' un secolo si potè raunare dagli annalisti sul capriccio , sull' eroismo , su' forti sensi , sul fievole operare , sulle virtù mascoline , e su' vizi fem- minini nella più eletta parte del genere umano. « Così ivi grida uno di essi , ne si rista pel gridar de' pedanti.^^. . . Tu vuoi accoppiar due cose che non staranno mai bene insieme : fama d' uomo letterato , e lo star seggendo in piume o quietando sotto coltre , senza darti un pen- siero di grave od intricato studio . . . lasciando da banda lo scrivere pel pubblico , avresti potuto tenerti pago di quel nome di letterato , che tanti altri svaporati al pari di te , ma di te più cauti conseguono tutto di nelle festevoli brigate , e talvolta ancora ne' crocchi scientifici. Imitali , e li sorpasserai. » Così il saggio Gav. nella persona d' uno di cosi fatti pedanti. « Questo vi- zio di voler entrare nell' aringo letterario senza eserci- tazione e fatica fu vizio di tutti i tempi, n Con un bel passo di Cicerone de CI. Orat. illustra egregiamente 1' A. il suo assunto , indi conchiude : « Questo quadro di alcuni oratori romani conviene mirabilmente a tanti e tanti scrittori cervellini delle altre età , a' quali il for- micolìo di esser tenuti per uomini letterati fé' trasan- dare i mezzi di meritar tal nome » . « Molto si disputò e si scrisse di recente in un gran reame vicino sopra il prevenire e il correggere gli abusi della libera stampa. Che se in luogo di considerare tali abusi nel rispetto della ragion politica e morale , si po- tesse rivolgere lo sguardo alla ragione letteraria , forse 128 non minore sarebbe 1' ardenza , con cui si vedrebbe al destro ed al sinistro lato de' contendenti ventilata la quistione del far argine con qualche ordinamento cen- sorio allo sgorgo di tanti libri innocenti sì bene , ma nojosi od inutili. Io ni' immagino che sarebbe allora per sorgere qualche oratore di que' parlantini , atrabi- liari ed insofferenti di ogni maniera di magagna , il quale direbbe => onorevoli colleghi = E qui fa fargli r autore una ben lunga diceria aspersa di facezie , ma piena di saggie considerazioni , intorno alle lodi delle macchine a vapore , mercè le quali si risparmiano tante spalle quadrate e tante braccia nei mestieri e nelle arti meccaniche , mentre non si è finora pensato all' econo- mia delle forze morali , lasciando esercitare a chicches- sia la piìi nobile professione di tutte , quella cioè delle lettere e delle scienze. « E basterà che salti in capo a taluno il ticchio di presentare il pubblico di un suo det- tato , e che abbia egli schivato ( seppur lo schiva ) di mostrarsi empio , scostumato , calunniatore , od in altra maniera inobbediente alle leggi , perchè gli sia dato di sfarfallare a sua posta sopra qualunque soggetto ? . . . . Il male a luogo di schiantarsi rifiglia ; e tutta la cura de' critici e de' buoni amici con questi itomini teste- recci è proprio un fax"e , come su.ol dirsi , la zuppa nel paniere ... se manca per essi quell' educazione , che li dovrebbe illuminai'e nello sciegliere la materia de' loro studi od il tempo di farne palese il profitto , supplisca al difetto quella cotale censura di cui andiamo iu trac- cia. « Di niun' altra parola son vaghi piiì fi-equentemente i lumi della odierna letteratura , quanto di quella di pe- dante proferita coniunemente a sproposito. Mandarli a leggere Girolamo Pompei nel ragionamento sulla imi^ fazione degli antichi , o F. M. Zanotti nelF Arte Poe- tica , ovvero le Annotazioni del Metastasio a quella d'Ari- stotile , sarebbe vm non avere a mente le opere della misericordia. Onde n' è caro il poter loro additare il cap, 5.° , che viene appresso , e che appunto s' intitola 129 de' Pedanti. In poche pagine il Cav. Manno raccoglie ampie e ben fondate dottrine , e chiarisce troppo bene della maniera onde gli studiosi debbono attingere a' migliori fonti del bello scrivere. Distingue il saggio imitatore dal pedante , e toccando le pazzie degli Os- sianeschi : « Essi credettero , dice , che tutto il mistero stesse nel dipingere gli orrori alpini , o le nebbie sem- piterne , o r apparizione delle ombre ... Da quel punto adunque non altre inspirazioni li mossero a cantare , che quelle si colgono su pe' ciglioni delle m.ontagne , o nelle strette ottenebrate da antichissime selve , o nel cavo di qualche roccia , o laddove sbocca con terribile fracasso una ignota cateratta. Addio bel sole di primavera : ad- dio fiorellini de' prati , cielo sereno , incantesimo della bella natura. Tutto fu scambiato col giocondo muggito de' fulmini , e col bel fischio degli aquiloni. Una neb- bia che scendesse lieve lieve ad infreddare due amanti in sul bello del loro abboccamento , sarebbe stata per essi la più vaga delle immagini. Ed un manrovescio che avesse tocco per avventura 1' arpa de' novelli èarc^t, e fatto tremolare quelle coi'de , avrebbe lor suscitato nella fantasia il più beli' esordio ex abrupto. Le loro parole furono eziandio vestite alla foggia novella. E la monaca che cercava un sonettuzzo fu chiamata figlia del velo : lo sposo che andava all' altare fu detto figliuolo dell' impazienza : e poco fallò che il leggista non fosse anch' esso figlio delle pandette , e che per onorare Io scultore non foss' ei predicato figliuolo dello scalpello. » Ecco l'abuso dell'imitazione, che non cessò ancora, come par che creda il Ch. A. , ma si ravvisa tuttavia •nella tacita mezzanotte che vigila di Sionne sulle sacre torri, in ogni scintilla degli affetti terrestri ^ nei crepuscoli di miserie e d' affanni , nel del che si squarcia in lampi , E di lurida luce un nembo piove Pel sentier , che di latte il cielo irriga. Chiu- diamo per ora il presente articolo con una pellegrina descrizione del tramontar del sole fatta per confortare il celabro agli egri mortali. [3o E quando il sol 1' ultimo raggio invia Sul nostro mar, e i sussurevol' venti Tacciono , e V onde , e le selvette amiche , E manda un suon dall' incantata lira L' Esperico pianeta , e nelle valli Stride solingo il Cuculo , i suoi passi Allor fian volti ove gorgoglia un rio. Ove cader fan su i tuguri umili , Ond' è d' intorno la campagna sparsa , L' ombra più lunga i vallicosi monti , Ove gli avanzi di colonne infrante , E cupe selve forman ombra opaca Ad oscurar la rorida verdura j Qui ad arrestare il guardo suo rapito 3Von 1' accerchian colline , e solo innanzi Gli vampeggiano il ciel , la terra , il mare ! antidoto pe giovani studiosi contro le novità in opera di lingua italiana, scritto da AjSTOlSliO Cesari dell' Oratorio. Forlì , presso Matteo Casali , 1829 , in 8." J-J'obbiamo 1' edizione di cosi bella ed utile operetta all' egregio sig. Ab. Giuseppe Manuzzi , grande amico del Cesari e delle buone lettere italiane. L' ebbe egli in dono dall' illustre Autore in Faenza , e la rese tosto di pubblica utilità , dedicandola all' esimio Conte Mario Valdriglii modonese. A questo egregio coltivatore degli ottimi studj è indiritta una lunga lettera , piena di no- bili e sagge dottrine , la qual si legge nelP annunziato opuscolo premessa al lavoro del Cesari dal eh. sig. Ab. Manuzzi ; e noi ne trascriviamo qui assai volentieri pa- recchi brani , che risguardano gli ultimi giorni che visse quel gran Veronese , e non meno favorevolmente cre- diamo dover essere accolti da quanti si pregiano d' es- sere veracemente italiani, ce Io dunque ( scrive l'Ab. al Conte ) debbo dirvi , che il nostro P. Cesari , quel dot- tissimo e venerando vecchio , che sano e rigoglioso ab- bracciaste poc' anzi (la lettera è in data de' 5 ottobre 1828 di Forli ) in Modena; quel felice ristoratore della Italiana favella , della cui amicizia e benevolenza anda- vamo così lieti e contenti ; quel saldissimo baluardo della religion nostra ; quello specchio vivissimo delle più lo- date virtìi , dipartissi di questa vita manchevole sino dalla notte al primo del corrente ottobre , nella villa di S. Michele , a cincjue miglia da Ravenna , dopo una breve malattia di soli sei giorni. Ahi pena d' inconsolabile af- flizione ! Una sinoca inflammatoria ccl tolse i3a così acerbnmciite La sua morte fu veramente de- gna di quella santità , onde era vissuto continuo. Se io volessi descrivervi tutti gli atti di religione , di pietà , di fede che 1' accompagnarono , mi riuscirebbe cosa im- possibile. . . . Oli che aria di volto tranquillo ! oh che occhi sereni avea il nostro Cesari ! Se aveste veduto con che affetto teneva gli occhi fitti nel Crocifisso ! bisognava intenerire e piangere d' allegrezza. Oh come lieto e gio- condamente veniva ripetendo le cose dette dal Sacerdote nella raccomandazione dell' anima , che avuta la Estrema Unzione , addimandò ansiosamente da se medesimo. . . . I tratti specchiatisslmi di ([uelF uomo sommo e vene- rando voi li saprete da' suoi egregi ed afflittissimi com- pagni, il P. Bartolomeo Morelli, e l'Abate Conte Lo- dovico Besi ; i quali lo assisterono esemplarmente sino all' ultimo di sua vita. Vi diranno altresì della carità veramente evangelica usata al Cesari dal eh. Professore D. Pellegrino Farini , rettore nel collegio de' nobili in Ravenna , nella villa dei quali appunto l' anima del no- stro Cesari si partì dal corpo Saprete dai mede- simi che quel prezioso corpo , dopo essere stato esequiato nella chiesa di S. Michele , fu portato a Ravenna , e onorevolmente riposto , per cura dello stesso Farini , e di Monsignor Vicario Arcivescovile , nella chiesa di S. Romualdo , ove , se i suoi amati concittadini noi vor- ranno a Verona , gli verrà eretto da quegli animi gen- tili un pietoso e convenevole monumento. Litenderete eziandio come il nostro Cesari , verso 1' viltimo di sua in- fermità , avuto a sé il Morelli , gli dicesse quesie precise parole : Di' al P. Bonomo che scriva ai prillai di a mio nome , che gli domando perdono y se mai avessi detto o scritto cose che l' avessero potuto offendere come che sia. Che io non ho niente con lai ; e che gli perdono di cuore. O che grandezza d' animo ! o factum bene ! fu un recare in atto la religione di Cristo ; ed anche un mostrare aperto con che since- rità d'animo e di fede ne dettasse elegantemente la Vita. Or che dirà a questa novella il reverendo P. Maestro ? 133 Che vorrà egli fare ? « Certifica il eli. sig. Ab. Manuzzi che qual si mostrò il Cesari moribondo verso il Villani i , tal anche si fu nei brevi giorni che più gli rimaneaiio di vita dopo le famose Lettere sci'ittegli contro sì ladra- mente dal reverendo P. Maestro. Avendo 1' Ab. Manuzzi fatto intendere al Cesari com' egli s' era deliberato di pur voler rispondere al Villardi : « Caro amico , gli rispose , vi sono obbligato senza fine dell' amore e stu- dio vostro. Credetemi , non è da rispondere : pensato bene ogni cosa davanti a Dio e alla ragione , è da ta- cere .... Mi scrisse l' altro giorno un amico di Treviso j Al V^illardi sarà fatto il dovere i e da tale che gliene darà cento , e non si sentirà egli le dieci. Ella è amata da tutti gli Italiani i e tutti combat- tono per lei Or sapete che rispostogli io ? Gli. resi cordiali grazie .... ma lo pregai di non usar sferza sanguinosa , che mal mi sarebbe piaciuto. Se il Villardi è giudicato pazzo a maltrattar me , voiTem noi impaz- zire con lui ? vince bono mahim è il debito di cristia- no , che vorrà essere un prete ? n E perciocché famosa è questa guerra che tanto ver- gognosamente mosse al Cesari quel P. Maestro , sarà bene saperne 1' origine dall' egregio sig. Aliate Manuzzi , che dal Cesari stesso l' intese in Faenza , e cosi ne ri- ferisce le parole : « Io 1' amai sempre ( il P. Villardi ) e non di sole parole t e ciò per ben venti anni di calda amicizia stata fra noi duew Buon Dio ! se egli pensava diversamente da me : bene sta j ma voler che io pen- sassi a modo suo , ed imparassi da lui , questo era trop- po. Che ragione aveva egli mai di sì fattamente straniarsi da me ? d' insultarmi come Un fantoccino ? Nessuna in verità ! Forse V Addio Sozio ? No davvero. Ecco la cosa netta e verissima. Avendo io mandatogli due miei sonetti , che non li ci'edo la peggior cosa del mondo^ egli apponendo qui e qua , mi scrisse con un tuono assai magistrale. Io gli risposi allegando 1' esempio di Dante ; ed egli per ben due volte mei rifiutò , dicendo anche ; Dante non essere r Evangelio ; anzi aver fallato più volte. Allora io gli i34 risposi : " caro , se voi rifiutate per due volte eziandio r autorità di Dante , Addio Sozio ; volendo io dire , non ho miglior difesa : la cosa è spacciata. Ecco la pura cagione e verità di quel suo bollore Vedete , gli delti io giusta cagione di scagliarsi contro di me con tanti vituperi , e velenose arguzie 5 e , quello che è più , di appornìi cose false , o di alterar le vere, per accat- tarmi odio e disprezzo ? Del resto , se ora mi duol punto di questo accidente , egli è in servizio di lui .... Egli con quelle sue cose , già messe in campo da questo e quello le mille volte , a se medesimo , non a me , recò nocumento. Se ora non lo conosce , verrà tempo , e forse non è lontano , che lo conoscerà troppo bene j da che le miserie d' una passione lagrimevole non sogliono durar nel!' uomo eternamente Mi duole assai ( notino bene queste parole i giovani^ de' poveri giovani, i quali da certe false dottrine sono tirati leggermente nel trabocchello j essi non lessero, né sanno le molte cose al ben loro scritte da chi li ama. Non sapendo eglino ben discernere , sono facilmente ingannati ; massime da qiielle parole magistrali e disprezzative : J^ecchium e ! Linguisti ! Foglie ! Frasche ! Magre viterelle de' padri dell' Eremo ! e che so io ? jj Ma quanto appartiene all' operetta del Cesari , e al resto della Lettera dell' Ab. Manuzzi , riserbiamo ad altro fascicolo, per poterne più comodamente dar noti- zia agli amatori de' buoni studj , parendone d' esserci assai lungamente trattenuti nell' articolo presente. Non ommetteremo però di offerire a* nostri leggitori le due belle Epigrafi dell' Ab. Manuzzi , che leggonsi dopo la mentovata sua lettera. La prima fu dal eh. A. presen- tata al Cesari in Faenza per segno d' amicizia e vene- razione , come faceauo altri ammiratori di quel pre- claro ingegno : 1' altra fu scritta dallo stesso sig. Abate dopo r infausta perdita che fece l' Italia di quel grande sostenitore della religione e delle lettere. Né a lode di cotali iscrizioni fa d' uopo aggiugner altro , essendo nolo abbastanza il valore dell'Abate Manuzzi. i35 AD ANTONIO CESARI PRETE VERONESE POETA ORATORE FILOSOFO E SCRITTORE PRINCIPALISSIMO DI QUESTA ETÀ MAESTRO E SPECCHIO D' OGNI VIRTÙ ORNAMENTO ED AMMIRAZIONE D' ITALIA NEL DI FAUSTO FELICE DI SUA VENUTA IN FAENZA QUESTA MEMORIA COME AD AMICO OTTIMO CARISSIMO OFFRE E CONSACRA AFFETTUOSAMENTE GIUSEPPE MANUZZI MDCCCXXVIII. O DOLCISSIMO DEGLI AMICI ANTONIO CESARI VISSUTO CON ISPECCHIATE E CHIARE VIRTÙ 68 ANNI E 8 MESI FINO ALLA NOTTE INNANZI AL PRIMO DI OTT. 1828 ABBITI QUESTA MEMORIA DAL TUO AMATISSIMO GIUSEPPE MANUZZI CHE NON SA DARSI PACE DI TUA PARTITA O ANIMA GRANDE O RISTORATORE GLORIOSO DELL' ITALICO IDIOMA O DECORO O AMMIRAZIONE DEL SECOL NOSTRO i36 Le catastrofi della terra secondo i primi capi'^ ioli della Genesi , letti secondo il metodo degli apici , di FrjisceSCO Rie ardi fu Carlo , ti 16 febbrajo 1828. -La geogaosia , dì cui alcuni dotti moderni si occupano Utilmente , è una scienza , la quale mena gran rumore a giorni nostri , particolarmente in Francia , in Inghil- terra , in Allemagna ed in Italia , presentando ne' musei alla vista delle persone erudite ossa , e scheletri di ani- mali terrestri ed acquatici , noti ed ignoti -, e differenti qualità di pietre e di terreni , posti a strati orizzontali , perpendicolari ed inclinati ne luoghi , ove si trovano j gli uni agli altri sottoposti fino al numei'o di 5 , io, i5 ec. La classificazione di questi oggetti disparati , che si scavano tutto dì in climi non atti a produrveli , e man- tenerveli , e 1' investigazione della causa fisica , che ha potuto condurveli , e deporveli nella posizione , in cui si rinvengono , sono la ragione , che ha fatto dare a giusto titolo il nome di scienza alla geognosia. Dallo studio di questa scienza , fatto senza consultare il testo ebreo della Genesi , emanano facilmente due conseguenze primarie , una vera , e 1' altra falsa. La prima , giusta e vera , è quella dell' onnipotenza di Dio , che ha potuto fare , ed ordinare tante stupende mera-- viglie 5 e la seconda , falsa ed erronea , è quella dell' ul-* trantichissima antichità del mondo , contraria alla cro^ nologia biblica. Della prima di queste due conseguenze ^ giusta e vera , non mi occorre parlare , ma parlerò bensì della seconda , che ho asserito essere falsa , ed erronea. È stato detto , che gli scheletri di molti animali noti , ed ignoti , che non possono vivere se non in climi caldi , si trovano sepolti , anche profondamente in regioni fred- de , ed altri , che non possono vivere se non in climi 1^7 freddi , si trovano sepolti in regioni calde , e che s' in- contrano moltissimi luoghi , ove il terreno è disposto a strati di diverse materie , alcune più pesanti , altre più leggiere , e che sovente gli strati di materie più leggiere sono sottoposti a quelli di materie più pesanti , ciò che prova evidentemente , essere il mondo stato soggetto a tante catastrofi almeno , quanti sono gli strati di terreno. Da altri si è soggiunto , se è vero , che ogni strato di terreno provi 1' avvenimento di una nuova catastrofe : se è vero , che dall' ultima catastrofe a noi nota , quella del diluvio universale , siano già trascorsi quattro mila e più anni , quante migliaja d' anni devono essere pas- sate prima della formazione di tutti gli strati di tei'reno, che si vedono negli scavamenti fatti , e nelle frane de' monti ? Si , io loro rispondo , le premesse sono vere , ma la conseguenza è una mera supposizione , la quale , quando non sia convalidata da una storia esatta , e con- forme ai dettami della ragione , nulla prova , poiché non potendo noi colla nostra mente fissare lo spazio di tempo , che ha dovuto trascorrere fra una catastrofe , e 1' altra , potrebbe benissimo essere avvenuto , che dall' ultima in appresso già vi fossero , e potessero ancora passare molte migliaja d' anni , e che le precedenti fos- sero arrivate in pochi secoli , ed in tal caso non vi re- sterebbe altro mezzo per giungere a scoprire la verità , se non qvxello di avere ricorso all' autorità di una storia accreditata , e ragionevole. La difficoltà sta però nella scelta di questa storia , giacché i Chinesi , gì' Indiani , gli Egizj , i Greci , ed i Latini non danno , se non lumi sparsi , ed incerti , e non hanno lasciato su queste ca - tastrofi , che nozioni vaghe , le quali , quando si assog- gettano ad una savia critica , si riducono poi in favole stravaganti , ed indegne di fede ; anzi le stesse tradizioni degli Ebrei , e le tante versioni fatte in tante lingue della S. Bibbia non danno una nozione sufficientemente chiara su queste catastrofi , come non la danno lo stesso testo ebreo , letto col sistema masoretico , e la stessa Volgata latina a chi non sa leggere , e spiegare 1' ebraico i38 <:ol metodo degli apici , con che il primo sia canonico per gli Ebrei , e Crisliaui , e la seconda sia meritamente autentica per i Cattolici , poiché a malgrado tutto que- sto , è cosa di pubblica notorietà , che nessuno ha limi- tato il numero di queste catastrofi , e non ne ha data la ragione fisica , per cui sono arrivate , appimto come sta , a parer mio , espresso nel testo della Genesi. Io pertanto cercherò di farlo , leggendo il testo ebreo col metodo degli apici , pei-ò colla solenne protesta , che non intendo dover le mie conghietture portar mai il benché menomo pregiudizio all'autenticità della Volgata , egualmente sacra per me , come per tutti i Cattolici , e che intendo in ogni tempo di religiosamente rispettare , e venerare , servendomi unicamente dell' avviso di S. Geronimo , ed altri Padri della Chiesa , i quali inse- gnano di ricorrere ai fonti ebraici , e greci per bene spiegare , e dar maggior lustro a que' passi della Vol- gata , i quali non sembrano sufficientemente chiari a chi non sa il metodo vero di leggere , ed intendere gli ori- ginali , ma che poi in realtà contengono lo stesso senso , ed insegnano la stessa verità espressa nel testo ebraico. Ora 5 essendomi io fatto ad esaminare il testo dei primi capitoli della Genesi , mi è sembrato rinvenirvi ben espresse tre catastrofi generali, la prima avvenuta all' epoca della creazione del mondo , la seconda al tempo dell' espulsione di Adamo dal paradiso terrestre , e la terza durante 1' anno del diluvio universale , le quali sono , a parer mio , sufficienti a spiegare tutte le stu- pende meraviglie , che i Geologi giornalmente rinven- gono nel seno del nostro globo. Osserviiimolo. Prima catastrofe generale. Della creazione del mondo e degli animali. Dio creò nel primo giorno il cielo , la terra , e la lucej SHE-MIM , il cielo, ossia l'acqua, dalla radice MIM , acqua , SHE-MIM , ciò che è acqua , o aria ; ( giacché neir ebraico non vi è parola che propriamente significhi Aria , e per designarla c|uesto si serve della i39 frase MIM-MOL, acque al di sopra, che sono l'Aria), ARETZ , terra , mondo , regione , AUR , luce , e per antonomasia y'aoco , cioè: Dio creò nel primo giorno! tre primari elementi ; Acqua , Terra , e Fuoco. Dio fece nel secondo giorno il firmamento REKIO , 1' estensione , lo spazio , e divise 1' acque inferiori dalle superiori , cioè : diede la proprietà , ed il moto alle acque , in modo che la parte più densa delle stesse formò i mari , ed i fiumi , e la parte più leggiera formò 1' aria, e così la terra restò arida ed asciutta. Dio fece nel terzo giorno le piante , ed i semi , e loro diede la proprietà di vegetare , ed in appresso tutto vegetò secondo il proprio genere , e specie. Dio fece nel quarto giorno gli Astri , il Sole , e la Luna , cioè Dio diede la proprietà , ed il moto alla ma- teria , che doveva formare , e mantenere regolarmente questi corpi celesti , e tosto questa materia concorse alla formazione , ed al mantenimento regolare de' medesimi , come sono , e si mantengono anche al di d' oggi. Dio fece nel quinto giorno gli uccelli , ed i pesci , cioè diede a questi , oltre la facoltà vegetativa , anche la facoltà sensitiva , e cosi ebbero vita , e si moltipli- carono. Dio fece nel sesto giorno gli animali terrestri , e diede loro , oltre la facoltà vegetativa , anche la facoltà sen- sitiva , e così ebbero vita , e si moltiplicarono. Indi fece 1' uomo , e spirando sul suo volto lo spirito di vita , lo creò a sua imagine , e similitudine col renderlo intelli- gente , e gli diede poi ima compagna , che Adamo il primo uomo chiamò EUA , madre de' viventi. Dio avendo nel settimo giorno già compita 1' opera della creazione , Io santificò , ed istituì la festa del Sa- bato , oggidì la Domenica. L da osservarsi , che Mosè non si serve della parola BERA , creare , se non quando Dio trasse dal nulla i tre primari elementi , le anime dei bruti , e lo spirito dell' uomo fatto a sua imagine , e similitudine , ciò che mostra che le anime de' bruti , e lo spirito intelligente dell' uomo furono creazioni diverse da quella de"* tre primarj elementi, mentre tutte le altre cose Dio le ha fatte dando proprietà , e moto alla materia de' tre pri- marj elementi già creati. Sono parimente degne di osservazione le parole del quarto, quinto e sesto versetto del secondo capitolo, che spiego : ce Tales fuerunt origines cseli , et terrae in creatione eorum , in die quo fecerat J,E,U,E Deus cffilnm , et terram , tunc onine virgultum agri jani erat super ter- ram , tunc omnis herba campi gerrainabal, quamquam pluere non fecisset J,E,U,E Deus , et nemo operaretur terram , quia vapor ( AD ) ascendebat e terra , et irrl- gabat universam superficiem terra;, tunc formavit J,E,U,E Deus hominem de limo terrjB , et inspiravi! etc. » cioè che allora la terra era irrigata , ed erano i fiumi , nomi- nati in appresso , mantenuti non dalla pioggia , ma dalla rugiada della notte , cosa che non è più attualmente , uè ha potuto essere , se non quando la linea tra i poli del mondo tagliava ad angolo retto la visuale che parte dal centro del mondo , e va a quello del sole , cioè prima che fosse arrivata la declinazione del polo della terra , probabilmente originata da altro vastissimo pianeta , che nell' ellitica sua rotazione avvicinandosele vi produsse, per causa di scambievole forza attrattiva ed espulsiva , lale cambiamento di posizione , cosicché allora , essendo in tutti I giorni sempre uguale l' azione del calor<" del sole stilla terra , ogni giorno veniva sempre attratta la stessa quantità di vapori , che scioglievasi nella notte in rugiada equivalente alla pioggia attuale ; allora spirava ogni giorno una sempre ugualé^ura leggiera, atta a puri- ficare 1' atmosfera , ma non sufficiente ad eccitare venti gagliardi , prodottori di nembi e di tempeste ; allora le piante crescevano regolarmente e producevano frutti per- fetti , onde alimentare gli animali, e conservarli senza de- perimento , o consunzione; allora 1' interno della terra, essendo formato secondo le preordinate , e regolari pro- prietà della materia , ogni cosa stava al prefisso luogo , i4i e mai se ne dipartiva , in modo che la terra non era mai soggetta a scosse straordinarie , e terremoti , vi era in essa una continuata uniformità di clima , e gli ani- mali a sufficienza nudriti di alimento perfetto non an- davano soggetti agli urti di aure pungenti , e giunti all' aumento proprio della loro specie , vi si mantene- vano , mentre 1' uomo , guidato in tutte le sue azioni dalla voce di Dio , viveva in uno stato d' innocenza , e godeva di una felicità non sottoposta a casi avversi ; in- fine tutto era stabile , tutto era perfetto nel mondo , e r uomo , scevro da ogni male fisico e morale , vi traeva una vita immortale e beata. Seconda catastrofe generale. Dell'espulsione di j4.damo dal paradiso terrestre. L' uomo , creato ad immagine , e similitudine di Dio » nudrito di alimenti perfetti, e guidato in tutte le sue operazioni dalla A'oce di Dio , vivea beato ed immortale sulla terra; Iddio però aveva vietato a lui, ed alla sua compagna di gustare del frutti dell' albero della cogni- zione del bene , e del male , onde non rendersi coli' in- frazione del divieto indipendenti dalla voce di Dio , che li guidava , e manteneva innocenti ; ma la donna datagli da Dio per compagna, lasciatasi sedurre di serpe ( ENESH , provare , presagire , osservare ; Au- gure , Serpe , Spirito di curiosità") , gustando del frutto proibito , s' insuperbì , e si rese giudice , e direttrice delle proprie azioni, volle far uso della sua ragione, e Sottrarsi così dalla dipendenza della voce di Dio , che lo guidava, e poi indusse l'uomo a seguitare il di lei mal esempio ; Dio perciò gli abbandonò alla 1< ro propria ragione, e loro tolse 1' infallibile guida della divina voce , coiidrtnnò il Serpe (EJNESH), che aveva sedotta , e resa superba colle sae suggestioni la donna , a stra- scinarsi nella polvere, e nudrlrsi di terra (allegorica- mente : assoggettò il genere umano agi' influssi della concupiscenza , ed al peccato originale , la mal accorta donna , che gli aveva prestato fede , ai dolori del parto ; l42 e 1' uomo , troppo facile ad aderire alle lusinghe della sua compagna , a ])rocacciarsi il vitto col sudore del volto, poi li rimandò dal luogo di delizie , e furono soggetti ai mali , ed alla morte , e per servirmi della frase ebraica: capo ni. 24. « Dio riprovò l'uomo, e pose più orientali al giardino di delizie ( alla terra ) 1 poli (CHERUBIM, gì' Interni^, e la fiamma dell'ar- sura vi fu stesa , allegoricamente : fu resa meii frutti- fera la terra, onde impedire la via all' albero della vita , alle goricamente : privarlo dell' immortalità che doveva godere sulla terra. " Questa incliaazioue dei poli della terra ha dovuto ne- cessariamente produrre la varietà delle stagioni , la fu- ria del venti , e delle tempeste , 1 terremoti , 1' irre- golare sviluppo delle piante , e dei frutti , non piìi atti al perfetto nutrimento degli animali, in modo che l'uomo per tutte queste cause venne assoggettato al mail , ed alla morte , e fu escluso dal più godere in questo mondo la vera felicità , e beatitudine. Terza , ed ultima catastrofe generale dell' universale diluvio. Leggesl nel sesto capitolo della Genesi, che gli uo- mini potenti di allora , allettati dall' amabilità delle donne , ne prendevano capricciosamente quante loro piacevano , e popolavano cosi il mondo di gente cor- rotta , ed empia , ciò che dispiacque talmente a Dio , che stabilì di castigare la terra tutta con un diluvio universale, meno il buon Noè, e la sua famiglia. Po- che sono però, ed oscure le parole , che ha lasciato Mosè concernenti l' avvenimento e la cessazione del diluvio, mentre dice solamente: Gap. VII. §. II. Si son rotti 1 fonti dell' abisso grande, e le cataralte del cielo furono aperte , e vi fu una gran pioggia sulla terra « Cap. Vili. 2. " E furono chiusi 1 fonti dell' abisso, e le cateratte de! cielo, e furono ritenute le acque del cielo. » Chiunque leggerà questa spiegazione del lesto ebreo converrà meco, ch'essa presenta grandi i43 difficoltà , ed ha un senso molto oscuro; Io però, do- po di avere espresso il vario significato di alcune pa- role del testo a norma di tutti i buoni vocabolari di questa lingua , cerclierò d' illustrarla , servendomi del metodo degli apici; BEKO rompere , forzare , sortire dalla propria posizione , sconvolgersi ; MOINUTH da OIN occhio , occhj della terra , cioè fonti , occhj del cielo , cioè astri } THEUM abisso , immensità j ARABE cateratta , finestra , estensione } FETHE aprire , svolgere } SECHER consegnare , arrestare , poiché si è supposto , che questa parola avesse lo stesso significato di SEGHER ; qui però la connessione ge- nerale , ed il senso esiggono , che questa abbia il si- gnificato di riprender moto regolare , FESHEM piog- gia dirotta , inverno , sconvolgimento. Ed ecco come spiego il primo passo : « Furono sconvolti gli astri della grande immensità , e fu scossa 1' estensione del cielo , quindi vi fu un grande sconvolgimento sulla terra, Ed il secondo : « Allora ripresero moto regolare gli astri dell' immensità , e dell' estensione del cielo , e cessò lo sconvolgimento del cielo, w Da questa spiegazione già appare , che il diluvio è avvenuto per causa di un precedente sconvolgimento degli astri, e da altro luogo della Genesi si sa, che le acque oltrepassarono di quindici cubiti l' altezza delle montagne , e poi si abbassarono allo stato , in cui sono , cosa che non sarebbe possibile ,■ se non nella supposizione , contraddetta dal S. Testo , che la super- ficie del mondo fosse in allora divenuta piana , e poi si fossero elevate le montagne ; Si sa che dopo il diluvio la vita degli uomini è stata abbreviata , cosa nota anche ai gentili : Post sreculum Pirrae mors corripuit graduai " Orazio. Si sa che nel seno della terra vi sono molli strati di terreno rinchiudenti scheletri di animali , ivi sepolti in altrettante catastrofi ; E si sa altresì , che nell' immensità del cielo girano , e si fanno vedere da quando a quando dei pianeti , detti compie , le quali sono però formate egualmente dei tre primarj elementi acqua , terra , e fuoco. i44 Ora io dico essere impossibile , che siano potute av- venire tutte queste cose , clic pure sono fatti storici , e che questo tcccdiule di acqua venula dal cielo sulla terra , sia giunto ad oltrepassare i più alti monti , e siasi poi ritirato , scuza supporre , die questo vi sia stato condotto da una cometa riunitasi alla terra. Ammessa questa supposizione unica , tutto resta al- lora comprovato , e si comprende come i mari , che si trovarono Ira le parti di congiunzione del mondo colla cometa, abbiano dovuto per causa della forza di pres- sione emergere dal loro centro , ed inondare la super- ficie di due globi riuniti ; si comprende come questa inondazione abbia potuto durare molti giorni, e vi abbiano voluto moki mesi, prima che di questi due globi per causa della rotazione giornaliera se ne sia formato un solo j si comprende come , prima che questi due globi potessero giungere ad essere uu solo , molte masse enormi di terreno abbiano dovuto staccarsi dai luo- ghi più lontani dal centro comune per accostarvisi , e che queste , a misura che succedevansi , abbiano do- vuto produrre un conturbamento di materie di ogni specie , le quali deposte, in pochi giorni formavano uno strato di terreno, che veniva poi coperto da uu secondo , quando succedeva un altro distaccamento di uuova massa di materie , e cosi di seguito fintanto che tutto siasi posto in generale equilibrio , ed abbia avuto fine il di- luvio ; infine si comprende , come di questi due globi , essendosene fatto un solo , questo per causa del mag- gior peso , e volume siasi allontanato dal sole , anipian- do così l'antico giro annuale, e diminuendo quello della luna, in rapporto alla sua maggiore attrazi che divisi ne' 19,649,000 abitanti delle varie contrade italiche de- scritte dal Sig. Yiesseux , ci danno uno associato sopra 4om. abitanti. (a) E copiata dalla Geografia del Carta, ed. 1826. (b) L'Isola di Corsica non è nominata dal Sig. Viesseux. i66 Histoire de Henry le Grande Boi de arance , par Hardouiis DE Perefixe. Paris, i8ii7)n la. Arrigo IV. meritava di trovar uno storico schietto , imparziale, amico della verità. E tai pregi parmi di ravvisare nella storia che ne scrisse Monsignor de Pere- fixe , vescovo di Rhodez e precettore del Re Luigi XIV. Lo stile non mostra quella nobiltà e purezza , che si nota ne' libri di Fénélon, Bossuet e degli altri scrittori dell aurea età della letteratura francese; ma vi ha un certo candore , una cert'aria di bonarietà non affettata , che si concilia gli animi de' lettori. Il libro fu dall' Autore dedicato al Card. Mazzarino , celebre ministro di Francia ; e qiiell' antica dedicatoria si è conservata in questa ristampa. L' opera fu scritta per ammaestrare il giovinetto Re Luigi XIV. Monsignor Perefixe non tralascia opportunità veruna di far conoscere al Real discepolo i mali delle guerre, i mali, forse più ter- ribili, della voluttà; commenda la beneficenza, la giu- stizia : accenna doversi fabbricare da' Principi , quan- do lo stato non ha debiti ec. ec. , le quali dottrine se furono alcuna volta dimenticate da Luigi XIV , il qua- le riconobbe i suoi errori quando non avea più mo- do di ripararli , non si dirà che ci avesser colpa né il Mazzarino , né il Perefixe. Vie de Bossuet, par Ai^T. Caillot. Paris, 1826 in 11° Jacopo Benigno Bossuet nacque in Dijon nel 1627. Il Sig. Caillot dice ch'egli era per nascita rofuner (pag. l4)' Il Card. Beausset lo fa nascere dans une condì- tion ordinaire ( ved. pag. ByS). Queste locuzioni po- trebbero sembrare poco esatte , essendo certo che la famiglia Bossuet era da molto tempo ragguardevole nel foro, e ne' parlamenti ; ma i Francesi erano in altri tempi cosi fermi in questa idea , che non vi fosse no- biltà , tranne quella che derivava da un antichissimo possedimento di terre signorili ( o feudi ) , che niuna dignità civile od ecclesiastica , niun feudo comperato od ottenuto dalla sovrana munificenza , valevano a far dimenticare il carattere di roturier ; di che veggasi r eccellente ristretto della storia francese del Presidente Hérault (i). Il nostro Bossuet ricevette la tonsura in età di anni 8 ; di i3 fu canonico in Metz. Ito a Parigi e ricevuto nel collegio di Navarra , applicò alla lingua greca ed alla filosofiaj ma non volle mai volgersi alle matematiche. Tutto il suo studio pose nelle scienze sacre e nella eloquenza. Questa il fé' conoscere alla córte: per essa ottenne d' esser fatto vescovo di Condom , e poi precettore del Delfino j pel quale scrisse l' impareggiabile Discorso sulla storia universale , pubblicato nel 1681 j e la Politica tratta dalle parole della S. Scrittura. Nel 1682 ebbe il Vescovato di Meaux: chiuse i suoi giorni nel 1704. Noi trascriveremo un luogo del Gail- lot , in cui descrive le passeggiate filosofiche del Vescovo di Meaux, acciocché i nostri elegantissimi e giovinetti filosofanti moderni , che sanno riordinare il mondo con quella stessa facilità con che fumano ama- bilmente un sigaro , e frammezzano alle gravi medita- zioni politiche i trilli di una virtuosa , possano vie me- glio intendere quanto fosse infelice il sec. di Luigi XIV ; e quanto avrebbe potuto migliorare co' lumi e \e scintille , che oggidì traggono a perfezione la razza: « Ecclesiastici chiamati dalle lor funzioni alla corte , « Consiglieri , Giudici , e Cortigiani ben anco , accom- « pagnavano Bossuet, come 1 discepoli il maestro: ogni « di , all' ora stabilita , andavano a prenderlo ; e se la « stagione e il tempo non s' opponevano , l' accompa- « gnavano al passeggio sia in S. Germano , come in. « Versaglies e in Fontalnebleau. Bossuet non si lasciò (1) Mons. Perefixe nella Hìstoire de Henri IV. osserva che i Canonici di Lione non ammettevano mai i Re di Francia al titolo di Canonico e Conte di Lione , se non avean prima fatto le prove di nobiltà ( pag. 234« edit. Paris. 1827. ) i6R " mai vedere ne' pubblici passeggi , se non die cir- « condato de' principali nieiiibri del clero. Era uno « spettacolo sorprendente per gli abitatori di Versaglies « vedere un vecchio , venerando pel bianco crine , e « più ancora per tanti lavori e tanta gloria , passeggiare te in mezzo a si numeroso corteggio ne viali del pic- ce colo parco dì Versaglies, e spezialmente in quello, « cui tutta la corte usava nominare, il viale dei fi- « losofi. Ma badisi bene di non sognare che sì f^tti <^i filosoji fosser del conio di coloro che nel sec. XVIil. « usurparono questo nome : I filosoG della società di « Bossuet erano Fénélon , l' ab. Fleury , 1' ab. Renaudot , « Labruyère ec, ec. ed alcune altre persone . nelle qua- « li la pietà non era punto minore della dottrina. In « quelle passeggiate Bossnet risolveva le difficoltà che « gli eran proposte sulle Scritture sacre, spiegava un " dogma, illustrava un punto d'istoria, o trattava una « questione di filosofia. Èravi piena libertà ; si parlava « di tutto senza orgoglio , senza riserbo. Ragionavasi « ancora de' nuovi libri , che facevano parlare il pub- « blico j e non rade volte Bossuet, vinto dal suo gusto « pel grande e il sublime , recitava con una impertur- « babil memoria i passi piìi belli de' poeti antichi e « moderni .... Nel tempo di queste passeggiate Jilosn- '^'^ fiche, Bossuet propose agli amici di consecrarne al- ce cune allo studio della S. Scrittura: tutti disser che si , « e si cominciò dalla lettura d' Isaja. » Cosi fatte era- no le passeggiate e le ricreazioni di quegli uomini che oggidi son detti rettili e pedanti , ma che furono 1' or- namento della Francia e del secolo ; e saranno sempre in onore , fino a che la ragione e la virtù combat- teranno intrepidamente contro agli errori ed alla voluttà. Histoire de Stanislas I. Roi de Polo glie , due de Lorraine , par M. V Jhhé Proyart. Paris , Crapelet, j8a5 in 12, Stanislao Leckzinski , nato in Leopoli nella Polonia 169 l'anno de , 1682, ottenne col fnvore di Cnrlo Xll, ì\e di Svezia, d'esser elelto Re de' Polacchi nel 1704 l^er- duto il trono per le discordie civili della sua patria , per le vittorie de" Russi e de' Sassoni suoi nemici, ot- tenne dalla romanzesca munificenza del suo collegato Carlo XII il ducato di Due-Ponti nel l'Ji^ ; ma lo perdette quattr' anni appresso , per la morte del suo protettore. Costretto a cercarsi un asilo nella Francia , ebbe il conlento di vedere Maria , unica sua figlia , con- giunta in matrimonio con Luigi XV , Pie di Francia, La morte di Augusto, Eleitor di Sassonia e Be di Po- lonia, e il desiderio de' Polacchi lo richiamarono al governo della patria , se non che essendogli nemici i Russi , e i Polacchi per difetto del loro governo tro- vandosi più atti a rumoreggiare che a combattere , ebbe a somma grazia di potersi fuggire in abito di villano da Danzica. Un trattato de' Si ottobre 1^35 gli accor- dò, sua naturai vita durante , i ducati di Lorena e di Bar, per essere poi incorporati alla Francia. In questo nuovo dominio visse lungamente tutto applicato al bene de' popoli , ed alle opere di religione. Chiuse il mortai corso nel giorno 28 febbrajo 1^66 per un funesto av- venimento , che racconteremo colle parole delF Ab. Proyart : ce Stanislao addì 5 levatosi di buon mattino , e fatte sue preghiere, si fé' presso al cammino per ve- dere ad un pendolo che ora si fosse. Ad un lembo della sua veste di camera appiccossi il fuoco ; ed essendosi egli curvato per estinguerlo , cadde nel cammino; e restò con una mano nelle brace. Prima di cadere avea sonato il campanello , ma i camerieri ( secondo il solito ) non erano al loro posto. Non potea né levarsi né gridare , perduti i sensi per 1' eccesso del dolore. Il fumo e il lezzo della carne bruciata diedero sospetto ad una guar- dia del corpo : entrò costui nella sala della guardaroba , e non vide i camerieri: ma nella sua consegna eragli vietato di entrare nella camera del Monarca. Grida , schiamazza , e finalmente viene il guardaroba , poi ac- corre un cameriere , rialzano il Re , e veggono che 1 avea la mano sinistra calcinata ed una piaga , pur dal lato manco , che dalla gola scendeva al ginoccliio. " Così un Sovrano non fu soccorso da chi dovea ; e chi voleva ajutarlo non ne avea la facoltà. Qual meditazione sulla vanita delle umane grandezze ! A rallegrare i nostri lettori dopo sì trista pittura , ecco un aneddoto risguar- dante a Voltaire. Stanislao , Sovrano non meno pio che prudente , non vedea modo di far intendere al let- terato eh' e' si partisse dalla corte. Ogni via indiretta tornava inutile. Il Principe ne domandò all' Intendente della sua casa ; e n' ebbe in risposta : « cotesta razza « di demonj non si discaccia se non che coli" orazio- « ne e col digiuno. » Fate voi , disse il Monarca all' Intendente ; giacché pregar Voltaire che se ne vada , è tempo perduto. Allora 1 Intendente diede ordini cosi severi , che in tutto il castello il filosofo non trovava un briciolo di pane. Di che maravigliato scrisse all' Intendente questo vlglietto : « Quando Virgilio era in « corte di Augusto , Allotto ( Alliot era il nome dell' « Intendente) si faceva un dovere di provvederlo ap- tc puntino d' ogni cosa, jj M. Alliot mostrò non inten- dere il gentil complimento , e il povero poeta dovette partirsi di Lorena. Histoire de Charles XII , Boi de Suède. Paris et Bruxelles, 1828 in 12. Benché il frontespizio noi dica , questa è la storia di Carlo XII , scritta da Voltaire. Quanto sia veritiera , è cosa dubbia. 11 conte Segur ne fa sapere che Nap. Buonapnrte nella memorabil invasione della Russia , non volle fidarsene , tenendola come lavoro che più avesse del romanzo che della storia. Forse a quel con- quislrttore spiacque il tratto che segue : « certo è non « esservi Sovrano, il quale in leggendo lavila di Carlo « XII non debba guari.e dalla follia delle conquiste. ^ ( Discours sur 1' hist. de Charles XJI ). La Conquéte du Méxìqit-e , par C, F. Vàs-Der- f^ELDE , trad. de V Allemand. Paris , Renouard , voi 2 in 12. Iq tutte le discipline e le arti , sien nobili o vili , niuno può giugnere all' eccellenza senza un lungo studio , e sottili osservazioni , e molti sperimenti. Un buon col- tivatore non iscoppia fuor delle querce , né un valente falegnanae ci vien giù dalle nuvole. Chi vuol esser dotto , conviene che molto studj , e sudi, ed abbia die notte alle mani gli eccellenti modelli del gentile scrivere e i padri delle scienze e delle arti migliori. Così la pensa- vano un Virgilio e un Orazio: così tutti gli altri no- bili scrittori , e tra essi 1' Alfleri, che dovette logorarsi gli anni della virilità per emendare il difetto dell' ado- lescenza e gioventù , consumate vanamente ne' libri di niun conto, ed in viaggi fatti per giovanile impazienza. Ma ora sono mutate felicemente le condizioni degli stu- dj. La gioventù, quasi paventasse che troppo deggia tardare 1' eth della prudenza , vuol esser dotta prima di aver imparato , e vuol farsi maestra al mondo prima d' aver compiuto il corso della istituzione elementare. Ad appianarsi la via, che ben vede esser malagevole, comincia dal mostrar dispregio della propria lingua , lodando i barbarismi come filosofia , e le regole del ben parlare vituperando come pedanterie. Alla logica ed alla buona metafisica volta le spalle superbamente , appellandole rancidumi scolastici. I precelti dell' elo- quenza e della poetica chiama ceppi degl' ingegni : ogni sfrenatezza d' immaginazione , ogni idea gonfia , strana , ridevole , tutto accoglie , e lor dà nome di ge- nio & di lumi. Con questo nuovo metodo (i) non è cosa (i) et Voluminum moles terrei : prolixa , seria, difficilia , te sive sint , sive videaatur, voluntatem abducunt. Hinc ju- « venura magna pars , ne dicani maxima , mollitie , ignavia , « desidia languentes , jam et praecepta et Doctorum vocem « et gymnasia , omnia denìque , nisi gerras , pertaesi etc. » Cosi r edit. Torinese dei libio intitolato : Historice et Ro- mani Sermonis Exeniplaria. 1 ^ .. COSÌ facile , come l' empier volumi. Questa irrequieta brama di voler apparire tra' letterati , e di abbassare i solenni scrittori , percliè non si vegga quanto essi sien maggiori della turba volgare , ba nome di vomaiiticisnio letterario. E però non è da far le maraviglie , se in pocbi anni sien venuti fuora ( senza dir delle ristampe) infi- niti libri , i quali come nebbia , dopo d' averci tolto per pochi momenti il dolce lume del sole, sono iti in di- leguo , avantichè i loro Autori scendessero nel sepolcro. Io non ardirei atfermare che il Yan-der-Velde si abbia a collocare in questa schiera infelice j ma so che di pre- gj letterari ninno si trova ne' tanti volumi da lui pub- blicati. Egli prende una storia; la divide in piccoli bra- ni , cui dà nome di capitoli , ed in luogo di scrivere : Corlez adunati i suoi compagni mostrava loro le ric- chezze del Messico, qual preda a' valorosi preparata ec. dirà più volontieri : « Cortez chiama un suo famigliare e gli dice : Va , e di' al Capitano N. N. che faccia qui raunare gli Spagnuoli. 11 servo , dopo rispettoso inchi- no , si parte ec. ec. » Con quest'arte nobilissima di al- lungar la storia , spargendovi per entro eziandio molte favole , e frizzanti concetti , e disprezzo delle cose più rispettnbili , in pochi giorni , 1' uomo si trova aver bello e composto un romanzo storico. Né molto è dissimile il nuovo artifizio delle tragedie romantiche : si prende un pezzo di cronaca , la quale abbracci mezzo un secolo e due o tre regni: si traduce in cattivi sciolti, metten- dola in dialogo ; e cotal misera leggenda è tragedia romantica , da far vergogna alle Meropi , a'Dioni, alle Virginio, alle Atalle. Che sarebbe della civiltà europea , se tal insania durasse una intera generazione ? Ma gra- zie alla Provvidenza , non mancano scrittori valenti , che il buon gusto difendono dagli assalti de' romanticisti. In Francia specialmente , ove sursero mai sempre nobi- lissimi ingegni, non si dà perdono a quello che ivi dicesi galimatias romantique ; e i più acclamati ro- mantici sono i più combattuti , per la regola generale che il loro esempio può esser cagione di traviamento /73 all' incauta gioventù , che ama d^ esser liberata dai ceppi della lingua , del ben pensare, e delT eloquenza , per essere preslaoiente dotta e rinomata. Odasi come la Ga- zeLte de Fiaiìce (i) col semplice uso del corsivo dia risalto ad un periodo di un lodato Scrittore \ivente: « La Grecia si è rivolta alle potenze d"" Europa; V or- cc fanella insanguiiiata della civilizzazione non si sarà « prostrata invano ai piedi della civilizzazione ricono- cc scente. Se nella bilancia dell' Europa oggidì la Grecia « mette il peso della sua ragione per mantenerne V e- tc quilibrio , è eglia dire, ch'ella abbia perduto la sua « spada che potrebbe farne inchinare il bacino ? ^^ Qui domanda il critico : il bacino di chi ? il bacino dell' Eu- ropa, il bacino della ragione, il bacino dell' equilibrio ? I romaulici rideranno di un Censore che vuol essere ragionevole ; e noi lasceremo che ridano a lor posta ; pregandogli intanto a leggere un bel passo di M. de Cha- teaubriand (a), in cui dice, tra le altre cose , die uno de' principali caratteri di tanti libri , e libricciuoli che vengono pubblicati a' dì nostri è T ignoranza. Noi sap- piamo che a' romanticisti non vanno molto a sangue le verità , che tratto tratto dobbiamo ricordare a' nostri lettori : ma che perciò ? Dovrem noi tradire la verità ? ingannare la gioventù ? Il nostro Giornale è destinato a onorare i buoni Scrittori , a notarne modestamente gli abbagli ; a difendere il buon gusto , a propagare le verità scientifiche, a far cauti i giovani studiosi. Da Parigi, dalla Sicilia, da Napoli, dalla Toscana , e dalla Lombardia ci vengono lettere che ne ringraziano pel già fatto , e ne incoraggiano a durare nell' onorata im- presa j e i criticati ci si dichiarano assai tenuti sì de' modi , sì delle ragioni adoperate nell' estratto de' libri. Quanto ad alcuni de' nostri Romantici , che di noi tanno altissime querele , noi perdoniam loro , perchè dicono ciò che loro suggerisce il calore dell' immaginazione j e lutti (j) 19 juin 182C). (2) Conmrvalcur , tom. 1. pag. 38. 174 •anno che V immagÌQazione de' giovani è non pur calda , ma ardente. Ed a confortarli trascriviamo loro questo tratto prezioso di M. Golnet : « Stampasi un poema « eroicomico in 22 canti , intitolato la Filippide. Ninno « osa leggerlo : i più intrepidi sono atterriti ; io mi ci « metto attorno: intraprendo questa fatica d'Ercole, e « dopo d' averla terminata , dopo d' aver letto la ter- cc ribile Filippide , senza saltare un solo de' suoi Som. « versi, credo poterne dire ciò eh' io ne penso; dicen- « dolo per altro pulitamente e senza sentir d' amarezza : « che i poeti sciagurati sono degni di compassione; « massima che non dimentico mai. Ad onta di tutto « questo, eccoti M. Viennet , che se ne cruccia, e non « facendo conto né delia fatica, né della pulitezza , « pubblica una satira amara, che mi fanno leggere, ed « in cui mi tratta , Dio sa come. Io sono un altro Zollo , « guai chi ne dubitasse : ho assalito un nuovo Omero. « Deh ! mettasi la mano al petto il Sig. Yiennet ; e « dicami cosi a quattr' occhi : la sua Filippide è ella , « sì o no, un poema noioso? Ma dappoiché egli ha « un carattere cosi irritabile, e che la piìi dolce critica ec lo ferisce al vivo , io troverò modo di non dargli più « motivo di stizza. Stampi quanti poemi eroicomici egli «t vuole : io farò come gli altri: non li leggero più (i). " La cacciata del tiranno Gualtieri , accaduta in Firenze V anno \'òl[ò , Poemetto di Teresa Carisi ANI Malvezzi. Firenze , Magheri , 1827 in 8.° Alla Maestà di Carlo IV , Imperatore , Esortazione di F. Petrarca , volgarizzala da Teresa Carniani Mahezzi , ecc. come sop. ( sono face. n. ) Abbiamo altra volta nel nostro giornale (2) fatto onorevoi menzione del valor letterario di questa chia- (1) Gazette , de France , 23 juin 1829. (2; V. l'anno 1828. . rissima dama , ed altrettanto da noi ora richieggono i due annunziati lavori , onde ognor più si fa nobile e bella la fama sua. La scelta degli argomenti , e lo stile onde sono trattati mostrano in cuor femminile maschia virtù, e nobile amor di patria. La stessa nobilissima Signora ha volto in lingua italiana non pure i framenti della Repubblica di Cicerone , ma il libro altresì De Natura Deorum. Una donna di tal fatta vale assai bea più, e giova altrui , che non 1' infinita schiera delle seguaci del teatro e della moda , anzi pure di tutti que* dilicali poetini , a' quali Gaspare Gozzi indirizza un suo sermone. Caietjni Laueentii MoNi'ii Sermo habitus in Liceo magno bononiensi xrii. Kal. Jan. anno. . . . quum Josephus Altius philosophice et medicince laurea donaretur. Bonouiae ex ofQc. Sassiana a. mdcccxxvii , in 8." Ejud. senno ut sup. quum Jos. Theodoricus Borsie- rius Tridentinus medicine^ laurea donaretur etc. Sono quattro i Ragionamenti di G. L. Monti dati se- paratamente in luce in Bologna 1' anno 1827 dall' egre- gio Sig. C. Schiassi , e raccolti poi dallo stesso nel vo- lumetto che annunziamo. Tutti risplendono d' aurea lati- nità e di salda erudizione, e a ciascheduno premise lo Schiassi un' elegante e gentil lettera dedicatoria a per- sone dotte o d' alto stato, ove pure si contengono le notizie riguardanti tali scritti del Monti. Abbiamo altre volte lodato (i) le cure che in dar fuori così belle pro- duzioni si prende quel valente latinista bolognese, al quale deve moltissimo la presente eia delle lettere ita- liane. In luogo di tante Biblioteche, parte leziose, e parte mal accozzate , onde ogglmal si deturpano i tor- chi italiani, quanto sarebbe meglio che qualche Stam- patore assennato procurasse all' Italia una ben fatta col- (i) V. le ann. precfd. 176 lezione de' migliori aoslri latinisti da dopo il risorgi- mento delle lettere sino ano!, onde più facilmente po- tesse tornare al primo onore la troppo trascurata favella un tempo dooiinalrice del mondo ! Dopo gli autori , che fiorirono ne' miglior tempi di Roma , egli è ma- nifesto che dagli studiosi si devono rivolgere le carte di quelli , che scrissero più elegantemente tra noi dopo il trecento , in cui il solo Petrarca si sottrasse ai bar- barismi degli altri. Le cose del Monti , che ci dà lo Schiassi , anderebbono tra le prime del secolo XYIII. Comincia 1" A. il primo degli annunziati Ragiona- menti dalla sentenza di Platone , che floride e felici sarebbero quelle repubbliche , le quali avessero mode- ratori di retto e d' incorrotto giudizio nel conferire i premj e gli onori. La qual distribuzione dee aver luogo spezialmente nei beni dell' animo , che sono la parte principale nella natura dell' uomo , e grandi fatiche co- stano a chi li coltiva e ne dà esempio agli altri citta- dini. Passa quindi a mostrare non esservi mai stala città al mondo che cosi favorisse le lettere e i letterati come Bologna , e non dubita di anteporla ad Atene stessa. Onde Bologna fu sempre ricchissima d uomini prestan- tissimi in ogni genere d'ottime discipline? Niiniiutn ex ea , (juam supra laudavimas , Miijorum pro^'identia in proemiis honoribusqae largiendis , quorum spes apte et in tempore proposita teneros ac Jlexihiles juventu- tis animos a desidia atque olio averterei , et ad lio- nestissimce laudis studiiun perpetuis slimulis excitaret. Se questa gloria si desidera che sia immortale , segue a dire il Monti , doversi seguire le orme de' maggiori. Appresso discende alle lodi del candidato, alle cerimo- nie della laurea , e conchiude invocando Iddio e la B. Vergine a felicitare il laureato. Neil' altro Ragionamento, che procede e chiudesl nella forma che il primo , leggiadra e istruttiva som- mamente riesce 1' esposizione degli onori , che il popo- lo ateniese largamente donò ad Ippocrate e a Tessalo suo figliuolo , e negati all' oralor Demostene , e con quanto di ragione. 177 Caietani Laur. Montii de Lege Porcia Sermones duo etc. e. s. Ejusdem in Legetn xri Tabularum De dissectione obae- ratorum , Sermones quinque etc. e. s. Mocccxxyiii. Anche questi sono compresi nel soprallodato volu - metto, e dei cinque ultimi s' ha il primo soltanto. Di tutti parleremo più comodamente quando sapremo essersi dati fuori dal eh. Editore , dalla cui liberalità e dalla gentilezza del nostro famoso Prof. A. Bertoloni abbia- mo avuto cosi belli ed onorati doni. Sopra il famoso fanciullo Vincenzo Zuccaro. Epistola di Ferdinjndo Mjlficj. In Paler- mo, Dato, 1829 in 4-° Un fanciullo di sei anni , che senza lettere, senza verun segno che rappresenti il valore delle quantità , può in un attimo , o in pochi minuti , risolvere i que- siti più difficili dell' aritmetica , e con tal esattezza rap- presentarne la soluzione , che ne stordiscano valenti professori di matematica , era ben degjfo dì trovare qualche scrittore , che ne stendesse la storia. Quest' onorato uffizio assume di buon grado il Signor Mal- vica , movendolo a ciò fare l'amor delle lettere, e 1' af- fetto alla patria , due nobili incitamenti alle generosi azioni. Noi dello scritto del Sig. Malvica non farem parola prima di trascrivere dalla sua lettera la storia meravigliosa del Zuccaro. E di vero , chi vorrebbe dar fede ad un racconto , che passa i limiti del ve- risimile ? E quantunque a' Siciliani niuna cosa ardua sia , ed abbian essi dato prova in ogni età d' ingegni più presto singolari che maravigliosi , pochissimi ter- rebbero per sincera la narrazione di tal portento , se non ne vedessero la dimostrazione nell' opuscolo del N. Aul. Alla sua narrazione terranno dietro parecchie nostre osservazioni ; nelle quali farem conoscere quanto sien savj i consigli suggeriti dal Sig. Malvica agli educatori del Zuccaro. I* ce D. Benedetto , padre dì lui , ( parla il Signor Mal' \ica) era obbligato, per sostentare se stesso, e la sua povera famiglia , di vagare fra que' paesi , sonando ora qua ora là ^ e sovente avveniva eh' egli rinianea lungo tempo in alcun Comune prima che in Cefalù ritor- nasse. Neil' anno scorso , 1828 , accadde che slette sei mesi e mezzo lontano da casa , perchè invitalo da alcuni giovani di uno di questi Comuni medesimi ad organiz- zare , o a dirigere , una banda musicale : ritornalo però , dopo quel tempo , in seno alla sua famiglinola vide il piccolo Vincenzo di mollo smagrito , onde chiese alla raiadre che cosa avesse sofferto , poiché si travagliato lo ritrovava ? Nulla rispose colei 5 ma da qualche mese a questa parte , soggiunse , egli la notte sta quasi sem- pre sveglio, sempre cogitabondo , e calcola sempre seco medesimo , dicendo, a quando a quando fra le labbra, cento, dodeci cento, ottantuno , venticinque cento, ed altri numeri slmili. Rise il padre a quel racconto , e , chiamato il fi- gluolo , gli disse : che hai figlio mio , che non dormi la notte, e che calcoli tu mai, o maltarello ? Nulla rispose Vincenzo Come nulla , riprese colui ; tua madre mi ha detto, che stai sempre sveglio, e fai de' conti Che cosa dei tu contare , e che sai tu di conti ? Ah si , replicò il fanciullo , mi soa fatto qualche fiata il conto di quanti tari avevate gua- dagnato l' anno scorso e quanti denari ci avevate man- dati in questi mesi di vostra lontananza , e quanti ne spendevamo noi tutti i giorni , e a quanti ascendevano ad ogni mese e ad ogni anno. Al che il padre gli disse : ma tu che sei pazzo ? e che sai tu di stelle , e che sai di conti , che sai di nu- meri ? dimmi , soggiunse , quarantasetle e trentotto quanto fanno? E Vincenzo immediatamente rispose: fanno 85 e chi ti ha insegnato la somma ? nessuno e dimmi : 5 via 9 quanto formano ? Che vale a dire ciò? rispose Vincenzo .... vale a dire : cm- que volte nove quanto fanno .... ah ! ho capito ; fan- 179 no 45 E chi ti ha insegnato la tavola pitagorica? Alla qual cosa il figliuolo non seppe replicare , e gli do- mandò , che intendesse per tavola pittagorica. Allora la madre , che era presente a quel dialogo fra il padre e il figliuolo , prese a dire : qui non è venuto nessuno , nessuno ha mai parlato con Vincenzo : e tutta treman- te guardava il figlio , e non sapea quel che si dovesse pensare dei fatti suoi. Ma il genitore accarezzandolo teneramente , dimmi , Vincenzo mio , chi ti ha insegnato queste cose ? nessuno, ve lo giuro sulla madonna Come le sai tu dunque? Eh le so per me medesimo. E quegli allora , incerto di quel che os- servava , gli chiese quanto faceano 47 fìa 36 j e Vincen- zino , dopo un rapido momento , rispose : fanno sedici cento , e novantadue. Che sono , replicò di nuovo que- sti , sedlcicento ? Ogni dieci cento fa mille : dunque ri- spose il fanciullo , ogni venti cento fa due mila , ogni trenta cento, tre mila, e così mano mano. Ah! ho capito dunque , soggiunse , 4? fi* ^6 fan mille seicento novantadue ; per lo che il padre , quasi smarrito , pi- gliò la penna per moltiplicare 47 P^i' 36 e vide che il prodotto era in effetto quanto avea indicato il fi- gliuolo , onde non sapea che pensare , nò che dire : ma lo interrogò ancora dicendogli; 3^2 fìa gS quanto for- mano? ed il ragazzo in men che si dice rispose che for- mavano Irentacinque mila trecento quaranta ; e quegli veggendo , dopo di aver fatto la moltiplicazione , di esser quello il prodotto richiesto , andò , quasi fuori di se me- desimo , in traccia di due amici onde manifestare ciò che gli era avvenuto : li trovò , raccontò loro tutto il fatto , e li condusse in casa. Qui giunti chiamano Vincenzino , ed un di essi prendendolo per mano , senti , gli dice , noi siam tre amici e vogliam far un pranzo: tuo padre ha comprato quattro rotoli di maccheroni , ed ha speso tre tari e quindici grani , ha pure com- prato tre quartucci di vino ed un rotolo di fegato , ed ha esitato 27 grani per quello , e diciannove per questo : io ho comprato venticinque grani di cacio , e 4^ di i8o carne e sette grani di friitli , e quest' altro ha speso mi tari e diciaselte grani di pesci , quarantacinque gra- ni di pane e due grani di verdura : vorrei sapere quanto ha speso tuo padre , quanto io , e quanto questo altro amico, e poi quanto abbiamo speso tutti? Costui non avea finito il su o discorso , che s'intese dire dal ragaz- zo ; volete che ve lo dica in tari o in grani ? dillo , egli soggiunse , in tari. Ogni tari forma venti grani , non è vero ? Si: dunque, rispose senza perdere un momento di tempo , mio padre ha speso tari sei e grano uno , voi tari quattro , e quest'altro tari quattro , e quat- tro grani solamente , che tutti formano tari quattordici , e grani cinque. Quegli amici fecero poscia il conto e veggendo che avea perfettamente indovinato , gliene die- dero degli altri , e rimasero sempre più colmi di stu- pore , per la prontezza con che rispondeva : onde dis- sero al padre di condurlo da qualche gentiluomo, di Cefalìi , essendo il suo figliuolo cosa straordinaria : lo menò questi difatti dalle pei'sone piìi cospicue , ma fu consigliato di guidarlo a Termini , per essere cotesto pae- se di gran lunga piti culto , e quindi più atto a co- noscere il fanciullo, e a stimarne il valore. In effetto i Termitani lo accolsero con sommo giubilo , per la fama che già lo precedeva , ed avendolo abilitato a dare una pubblica accademia ne furon tutti si conten ti che vollero che se ne facesse il ritratto , e venise de- corato dell' onorata medaglia del loro liceo. A questi fatti trovossi presente il marchese Schysò palermitano che in que' giorni erasi condotto a Termini per snoi affari. Quest' anima generosa e filantropa rimase tanto presa di quel fanciullo , che ne sposò la causa con una generosità che può servire d' esempio ai migliori ; egli lo condusse a Palermo insieme al padre , ed è stato loro costantemente di mecenate e di guida. Sia lode alla virtù di questo gentiluomo magnanimo. Alle qua- li cose , mentre il fanciullo in Termini dimorava , si aggiunse che il Decurionato di quella città radunatosi a bella posta, onde proteggerlo anch'esso per quanto potea , con deliberazione dei 6 di decembre del passato anno , lo raccomandò all' Intendente del Valle di Pa- lermo , acciocché procurasse , conoscendone lo straor- dinario "Valore , di fargli ottenere la protezione del Luo- tenenle Generale del Re in questa parte del regno : e noi siamo più che certi che sotto i benefici auspici di si alto personaggio i desiderj comuni saranno pienamente esauditi : prova ne sono le ministeriali già emanate , per- chè il Decurionato di Palermo apprestasse i mezzi al nostro presente bisogno. Ecco ora dunque il fanciullo fra noi : ecco che in mezzo ad uomini di lettere di ogni maniera spiega tutta ^energia del suo divino intelletto. Una capitale popolosis- sima , qual è la nostra , ha fissato gli occhi sopra que- sto prodigio della natura , ed un segno del suo merito inaudito si è la generale maraviglia che ha eccitato in tutte le classi e in uomini di tanto vario sentire. Io , vene- ratissimo Signor Conte , vi ho quasi sottoposto a guisa di quadro le cose che antecessero la venuta del Zuc- caro nella mia patria ed ho cercato , nel miglior modo che sapea , di farvi conoscere il modo con cui si ma-, nifestò alle genti l' ingegno suo. Ora però mi sembra di esser giunto in un prato olezzante , per fiori di ogni maniera bellissimi j e incerto qual cogliere , farò come 1' ape industre che passa su questo e su quello , li sag- gia tutti , per poterne succhiare i migliori : cosi sono si tanti , e si varj i calcoli che ha fatto il nostro ra- gazzo , sono si complicati , e si astrusi i problemi che gli si son dati , che io ne sceglierò alcuni solamente , sicuro che bastano per far conoscere il forte razio- cinio , la prodigiosa memoria , e l' ingegno creatore di cui fu dotato. Il Sig. N. ( gli disse tale ) ha lasciato in testamento onze io4 a tre suoi figli, in modo però che al primo tocchi in ragion della metà , al secondo di un terzo , e al terzo di un quarto : si vorrebbe cono- scere quante onze sieno toccate ad ognuno. Il ragazzo dopo sei minuti rispose di essere toccate l82 al primo onze 48 , al secondo 82 , al terzo 1^. — Io ten- go un servitore , disse un altro , e gli do due tari , due grana , due piccoli e la novantesima parte di un pic- colo al giorno : vorrei sapere , Yincenzino , quanto gli do all' anno : e Yincenzino dopo tre minuti di riflessione rispose eh' ei dava all'anno once 2 5 al suo servo, ta- ri 12 e piccoli 4 5 tal altro gli diede una progressione geometrica doppia, dicendo; se io raddoppiassi sempre dall'unità sino al numero 24» ^'^i^ somma potrei avere? ed egli dopo cinque minuti rispose : avreste otto milioni trecento ottantotto mila seicento otto. Un' altra persona gli soggiunse ; il sole secondo gli astronomi è lontano dalla terra novanta milioni di miglia e i suoi raggi li percorrono in cinque minuti j amerei sapere quanti milioni di miglia percorreranno in ore 12 ? Ri- sposta , senza altro di mezzo ; in ogni minuto i raggi del sole percorrono diciotto milioni , e perciò molti- plicando questi per settecento venti minuti , compo- nenti le ore dodici, si ha il prodotto: qui tacque, e dopo due minuti e mezzo di silenzio, disse: si ha do- dici bilioni , novecento sessanta milioni. Secondo la Sacra Scrittura, gli replicò un terzo, dal principio del mondo fino ai due di gennajo sono scorsi 0,828 anni e due giorni : vorrei che mi diceste a quanti me- si , a quanti giorni , a quante ore e a quanti mi- nuti corrispondono? T analfabeta miracoloso pensò tre minuti, e quindi pronunziò; 5328 anni e due giorni corrispondono a 69,986 mesi , e giorni due : questi a 2 milioni 128,679 giorni: questi altri a 51,88,296 ore, le quali equivalgono a 3,o65 milioni , 297,760 minuti primi, i minati secondi sarebbero 4i83 mila , 917 mi- lioni, 865 mila e 600: e se voleste i minuti terzi, soggiunse , fissando gli occhi per alcuni rapidi momenti, eccoli, che ve li dico ancora, 11 bilioni , 35 mila 71 milione , 986 mila. Portenti son questi , chiarissimo sig. Conte , inauditi , ed oggi al mondo per la prima volta manifestati. Bisogna però notare che il ragazzo già co- noscea che ogni grano valeva sei piccoli , che ogni i83 giorno facca 24 ^^^ t ^^ o^^i ora 60 minuti, clie que- sti si dividevano in secondi , in terzi ec. , che i mesii erano composti di 3o giorni e di 3i , che ogni anno contenea 12 mesi, ed era formato di 365 giorni e sei ore^ e siccome dieci cento diceasi mille, cosi ancora dieci cento mila dicesi un milione , e dieci cento mi- lioni , un bilione; ed innanzi mano mano seguendo. Ed era cosa singolarissima l' osservare , prima che il ragazzo avesse queste nozioni apprese , nelle varie circostanze de' suoi calcoli , con quanta facilità tenesse a memoria un' immensa serie di numeri , e con che franchezza combinasse e maneggiasse le quantità di venti cento mila, di trentadue centomila , di cento centomila , come egli dicea. Ma la mente di questo essere prodigioso è si robusta da vincere ogni credere. Un individuo gli die- de il seguente problema di secondo grado in questi termini : vorrei che trovaste due numeri la cui som- ma faccia 146, ed il prodotto 5,2g3. Non avea co- lui finito di spiegarsi , che il fanciullo , con voce che ti fé' mutolo rimanere, pronunziò 67 e 79. Per verità se io medesimo non fossi stato testimone di questi e di altri prodigi , non so dove la mia credenza sarebbe gita : ma la luce eh' ei spande è si chiara da illumi- nare i meno veggenti , e da stabilir la difficile sentea- za , che non vi ha ninno che possa assegnar limite all'ingegno umano. — Io ho attentamente considerato questa angelica creatura , e credo che non riuscirà vano alla storia degli uomini il dire eh' eli' è grave più che 1' età sua non comporti , senza lasciar però di aver ma- rniere puerili : tostochè sente il quesito chiede qualche dilucidazione in termini concisi , e quasi direi in mo- nosillabi , ma ogni monosillaba contiene un' idea ; fissa quindi gli occhi in alto , e pare la sua anima alienata dai sensi ad altissime contemplazioni : ma dopo di aver compreso il tema , e di aver principiato i calcoli nella sua mente, il cuore gì' incomincia a batter forte , ab- bassa gli occhi , e li gira qua e là , facendo de' movimenti irregolari colle mani e col corpo ; questi movimenti i84 però noa sono che meccanicamente eseguiti , perciocché egli è tutto ili se medesimo riconcentrato ; ed è si pro- fonda la sua meditazione , che nessuna cosa lo distrae , di guisa che puossi chiamarlo a nome e sì può ride- re e parlare , che nulla ne sente. Solo si osserva che , mentre esegue il calcolo , muove a quando a quando le labbra , secondando il pensiero che ravvolge , e gli si ascolta pronunziare qualche numero fra i denti ; ma tostochè l'ha compiuto, quasi scosso dal suo momen- taneo , e portentoso letargo , annunzia subito coli' im- pero della sua parola il risultato del problema. E qui fa d' uopo che si ponga mente , onde ognuno conosca vieppiù quest' essere straordinario , eh' egli è sì certo delle operazioni ch'esegue, e sì pieno del suo valore, che si tiene quasi per oltraggiato , se mai alcuno du- bitasse delle soluzioni cVie ha date. Così è avvenuto che non corrispondendo qualche volta i prodotti de' suoi calcoli con quelli di coloro che gli avean fatti pri- ma che a lui li proponessero ; ed avendogli alcun detto di non essere uniformi, e che avea equivocato, egli ri- spondea , con un volto pieno di sicurezza indicibile , che ingannar non si poteva , e che 1' errore dovea es- sere dalla loro parte. La qual cosa, per la sua singo- larità , ha recato a chicchessia grandissima meraviglia , la quale si è fuor di modo accresciuta , allorché si è visto che il ragazzo non ha mai sbagliato, e dalla parte de' proponenti , com' egli ha detto , è stato sempre r errore. E qui mi ricordo d' uno de' temi che gli do- nai , e per lo quale ebbi campo di esperimentare per me stesso quello di che ragiono. Fuvvi , gli dissi , un imperatore che impiegò cento mila schiavi per innal- zare un grande edlfizio , e lo compi in un anno e mezzo : se ne avesse impiegato trentuno , in quanti me- si , in quanti giorni , in quante ore , e in quanti mi- nuli avrebbe finito il lavoro ? . . . Dopo tre minuti mi rispose che lo avrebbe finito in quattromila ottocento trentanove anni. No , io allora gli replicai . . . ma egli non mi fece spiegare più oltre , che , fisso guardando- i85 mi , e con un tuono grave m' interruppe , dicendo ; io non sbaglio. ... no , gli soggiunsi allora , no , mio caro, non \'o' dirvi questo , che avete egregiamente detto ; bensì che non desiderava sapere gli anni, ma i mesi, i giorni , le ore , e i minuti. . . . Ah ! ho capito , disse j e dimandandomi poco appresso , se dovea fare i mesi di trenta giorni tutti indistintamente , e avendogli re- plicato di sì , dopo otto minuti , che stette a pensare , pronunziò 58,o64 mesi, i5 giorni ii ore, e 36 mi- nuti. Per la qual cosa è piìi facile a pensare che a dire , come sorpresi rimanessero tutti coloro che sanno, quanto sia malagevole il cammino della sapienza. La meraviglia però che ha eccitato il nostro Zuccaro non si è circoscritta ai Siciliani solamente ; per- ciocché tutti gli stranieri residenti in Palermo , sono slati presi , come noi , da grandissimo stupore : il che torna a nostro conforto , e a gloria maggiore del for- tunato fanciullo. E qui mi cade in acconcio il dire che trovandosi di passaggio in questa isola , sono pochi mesi , il Barone Sermoni , Intendente generale dell' armata francese in Morea , mosso dal rumore , che già menava 1' analfabeta Vincenzo , volle vederlo e sentire per se medesimo i suoi decantati prodigi : ma nel ve- dere un sì piccolo fanciullo , e nell' ascoltare la sua voce , che con tanta forza pronunziava sui calcoli eh' ei medesimo volle dargli , ne fu preso da sì vivo en- tusiasmo , che lo decorò dell' Ordine del merito : ordine che per autorizzazione del suo Signore potea quell'uf- fiziale generale dispensare ai migliori. Ecco dunque il nostro piccolo Vincenzo fregiato di una medaglia e di una croce : considerazione che i dotti di tutti i popoli non hanno che raramente ottenuta , pel poco conto , in cui , per maggiore sventura degli uomini e degli stati , si tiene dai piìi la sapienza ; mentre è certo , siccome disse un gran politico , che l' onore è una moneta , che ben distribuita dai sovrani forma la gloria dei re- gni : ma rimovendo queste dolorose idee mi piace di riflettere sali' esempio presente che non ci prestano né i86 le antiche , né le moderne pagine , cioè di vedere ono- rata la virtù dell' ingegno nella tenera età di sei anni : esempio per due potenti ragioni straordinario , e che sarà certamente , anche nei secoli più lontani , notato dagli uomini , come cosa singolarissima. Ora perchè io nulla trascuri di ciò che può ridon- dare a gloria del siciliano ragazzo, mi credo in ob- bligo di parlare per un momento di que' temi , che gli furon dati in pubblica accademia , tenuta la sera del 3o di gennajo del corrente anno , ove intervennero più di quattrocento persone. Due professori di mate- matica furono scelti , acciocché registrassero i quesiti che gli astanti gli davano , e le soluzioni eh' ei ne fa- cea : e questa accademia riusci sì gloriosa pel fanciullo , che il direttore della specola di Palermo, sig. Niccolò Cacciatore, conoscitore egregio delle scienze esatte, e degno allievo e successore di quel sommo Piazzi , che tultor piangiamo, pensò di stendere «n rapporto, in cui si contenessero i proposti problemi , e che fece di pubblica ragione nella gazzetta officiale di Palermo del 5 di febbrajo trascorso. Dopo tntto quello che io toccai sm qui ciascuno indovinerà certamente quanto difficili dovettero essere i temi datigli da persone, che girono all'accademia preparate, per fare ad ogni conto prova solenne di ciò che la fama avea già cotanto predicato: ma nissuno sarà certamente, che possa immaginare la prestezza , la facilità , l' ingenuità con cui quella di- \ina creatura gli sciolse , facendo rimanere attonita la numerosa udienza. Il primo problema fu concepito nel seguente modo: il sig. B. ha compiuti anni ^i , mesi 7 e giorni i5 della sua vita; calcolando l'anno per 365 giorni e ore sei , e i mesi per giorni So , si do- manda quanti minuti è vissuto ?... Risposta (dopo tre minuti ) ventun milione , ottocento ottantotto mila trecento sessanta minuti. — Un signore propose per somma di due numeri ignoti 889 milioni e 683 ; e un altro assegnò per loro differenza 12 milioni e 776. Zuccaro riconcentratosi per sette minuti in se medesi- 187 mo , rispose che il primo numero era ^^o milioni , 5oo mila, 729 e mezzo; ed il secondo ^3S milioni, 499 mila 953 , e mezzo. Quantità sì lunghe avrebbero dovuto farlo esitare almeno per un istante , ma l' im- pero del suo intelletto è tale che non permette che alcun vi resista : e se pensiamo poi che per risolvere i suddetti quesiti a tavolino da solleciti e sicuri ma- tematici vi sarebbe di mestieri non poco tempo , noi non sapremmo ove la nostra meraviglia ci spingerebbe. Ma qualunque fosse il calcolo che noi ricordassimo, avremmo sempre argomento di maraviglia maggiore : cosi grato sarà a tutti il conoscere come in tre minu- ti, cioè in un tempo, per così dire, più rapido di quello che richiedea la semplice esposizione del que- sito , egli sciogliesse il seguente : parte da Napoli il pacchetto a vapore alle ore 12 della mattina verso Pa- lermo , facendo dieci miglia per ora: nel momento stesso parte da Palermo il pacchetto Leone verso Na- poli , facendo sette miglia per ora : supposta la distanza tra Napoli e Palermo 180 miglia, si chiede il punto e l' ora in cui s' incontreranno ? la risposta si fu : il pacchetto a vapore dee fare miglia io5 e "/,7 , e il Leone miglia ^4 6 y, . E siccome non avea detto 1' ora in che si sarebbero incontrati , cosi gli si chiese di nuovo, ed el rispose immantinente. . . già s'intende dopo dieci ore , e "/,.. Il che rende sempre più ma- nifesto q'iello che in principio dicemmo , cioè ch^ egli gettando lo sguardo su tutta 1' estensione del calcolo , lo abbraccia in un momento, ne rileva nella sua saga- cilà il modo di scioglierlo e di presentarlo : e siccome se ne è reso interamente padrone , cosi crede che gli altri possano col loro giudicio supplire a quelle cose eh' ei non dice , perchè gli sembrano di facile conce- pimento. Io non dirò quindi dell' immensa facilità con cui estrasse la radice quadrata e cuba di varii numeri sulla semplice loro spiegazione : non dirò di altri non dochi difficilissimi problemi che sciolse colla rapidità pel fulmine : dirò solamente cosa che mollo influisce i88 al nostro scopo , cioè cV egli dà conto a chicchessia del modo che adopera per risolvere i suoi quesiti. Questo modo però , come può bene immaginarsi , è tutto suo , avendolo creato colla forza del suo ingeguo. Ecco alcuni esempi che il dimostrano. Senti , o Vin- cenzo , gli disse taluno ; tre amici si posero a giuocare , e guadagnarono il primo la metà della somma posta in giuoco , il secondo una terza parte , il terzo quattro tari, e rimase un tari: io vorrei sapere quanl' è l'in- tera somma guadagnata ? Vinceozo , appena colui fini di dire , si riconcentrò per pochi minuti secondi seco stesso , e pronunziò , tari trenta. Ed essendogli quindi slato chiesto in qual modo avesse fatto , egli rispose all'istante: quindici è la metà guadagnata dal primo, dieci è -il terzo guadagnato dal secondo , e son venti- cinque , quattro tari guadagnò la terza persona , e son ventinove, ed un tari che rimane fan trenta, che è l' intera somma guadagnata. Dal che si scorge che il fanciullo , penetrando nello spirito della dimanda , ne vede quasi dinanzi schierate tutte le relazioni esatte , come disse il Cacciatore , che passano tra i dati e le incognite del problema : e quindi formando , decompo- nendo , combinando ne dà il risultamento preciso. Que- sta maniera è tutta nuova , e non può essere adottata che da una mente , capace , come la sua , di signoreg- giare subito tutti i rapporti del problema medesimo. Difatti quando gli si chiede qualche, spiegazione più calzante, egli non sa che rispondere, ed altro non di- ce se non che così è giusto : ed avendogli alcuno chie- sto , a proposito del suddetto quesito , la maniera co- me avea conosciuto di essere quindici la metà dal pri- mo guadagnata, egli si tacque, e colla manina toccava la fronte, quasiché volesse dire: io 1' ho afferrato colla mente , colla mente vidi tosto 1 rapporti che passavano dai noti agi' ignoti dati. Il sig. Cacciatore , valoroso matematico , come tutti sanno , volendo indagare i me- todi precisi che seguiva il ragazzo ne' suoi calcoli , gli ha fatte parecchie diuiaudc , e ne ha volute da lui oltre delle soluzioni , le ragioni che ve lo indluceano. Kccoiie alcune per consolidare vieppiù quello che ab- biamo asserito. Qual è , gli disse , la cuba radice di 474>552? Ris. y8. Dim. come avete cavato 78? Ris. 80 è radice cuba di 5 12,000, e yo lo è di 343, 000 , e il numero /{'j\,5S'ì è tra questi due. Il cubo di 7^ è 4^1)^75, quello di 77 è 456,533; quello di 7 è 474, 55« : dunque la radice cuba di tal numero è 78 esaltamente. Egli qui , dice il Cacciatore , si assegnò per limiti i cubi dei numeri rotondi , trai quali doveva trovar la radice che produceva il cubo dato. Del pari mi piace di riferire un altro esempio , che sarà , mi permetta che il dica alla Dantesca, qual suggello che ogni uomo sganni. In tre attacchi consecutivi , o Vin- cenzino , perirono una quarta parte , e una quinta , e una sesta degli assalitori, 1 quali in tal modo si ridus- sero a i38; si vuol sapere quanti furono gli assalitori al principio dell' attacco ? furono , rispose 36o : gli si chiese come tanti ne venivano, e soggiunse : se fossero stati 5o , non ne sarebbero rimasti che 28 ; ma 23 sono la sesta parte di i38, dunque gli assalitori furono sei volte 60 o sia 36o. Onde gli si dimandò la ragione per cui avea supposto 60, e non 5o 0 70 : ed egli rispose, perchè 5o o 70 non si dividono né a 4 "^ ^ sei. E qui il medesimo sig. Cacciatore dice che si vede il metodo di falsa posizione ; ma nella scelta del numero supposto si scorge la giusta regola per evitar le fra- zioni. Ecco dunque come riluce il raziocinio quadro del nostro fanciullo ! ecco con che giudizio ei dà le ragioni che lo inducono ad operare in questo modo piìi che in quell' altro ! Dal che sempre più ci confermia- mo In quello che dicemmo , che tal maniera singolare non può essere adottata che da coloro , che natura fé', come lui , prodigiosi. Imperciocché le regole stanno ■nella profondità del suo intendimento , il quale pene- tra nello spirito del problema , ne scorge tutti i rap- porti , e li varia , e li combina in quella guisa che migliore gli sembra , per trovare l' ignoto , di che si va in traccia. La meta delle matematiche è una per tutti , come unico è il fine cui tendono , la ricerca dell' esatta verità : il filosofo vi perviene coi conosciuti mezzi che appresta la scienza , il nostro analfabeta vi arriva per la via che gli suggerì la natura. Dissertazione sopra i beni grandissimi , che la religione cristiana porto a tutti gli stati degli uomini, lavoro del eh. P. A. Cesari ecc. Torino e Genova per G. Marietti, 1829 in 12. ce Non potea meglio, scrive il eh. Autore nella pre- fazione , essere provveduto contro i danni , che gran- dissimi apportò al mondo 1' incredulità d' oggidì , di quel che s' è fatto con la Pia Instituzione ordinata in Venezia 1' anno 1826 j per la quale sono tornate in luce le migliori opere, e provocati gì' ingegni a pub- blicarne di nuove ad onore e difesa della cattolica Re- ligione. » Questa dissertazione riportonne il premio l'anno 182^, ed il Marietti, che merita bene della tipografia italiana , ce ne ha dato in questo volumet- to la seconda edizione. All' udire la proposta del Ce- sari di voler scrivere dimesso ed umile, ci viene in mente ciò che dicea M. Giovanni intorno allo stile del suo Decameroue : vogliam dire , essere la presente una delle più belle ed eloquenti cose che sia uscita dalla penna del Cesari , e sola basterebbe a convincere i più ostinati , che 1' arte del dire non era punto disgiunta dalla filosofia nella mente di lui. Conciossiachè trovasi qui magistralmente raccolto quanto di meglio sul pro- posto argomento fu mai scritto da innumerabili apo- logisti della cristiana religione, e trae l'x4utore egre- giamente profitto dalle rivoluzioni degli ultimi tempi incalzando vittoriosamente i moderni sofisti. Certi esem- pi tratti dalle scritture , e dalle storie vi sono cosi be- ne innestati ed esposti , che dilettano ad un tempo e convincono , e rendono 1' operetta utilissima ed acconcia ad ogni maniera di persone. Onde noi la raccomandiamo , '9» specialmente ai giovani cTie danno opera alle belle let- tere. Quanto agli errori di stampa non ci venne ve- duto altro che in due luoghi codesto (per) cotesto , e alla pag. 34 beremo (per) berremo o beeremo. Racconti di Benfenuto Cellini ora per la prima 'volta pubblicati. Venezia , AlvisopoU , i8'28 in 8." (sono pag. 47 )• È noto questo grande artefice fiorentino per la sua vita originale dettata da lui medesimo e per la sua Orificeria , non meno che pei lavori che con tanta fa- ma esegui in varj paesi. Quanto a questi racconti fa sapere il eh. Gamba a' leggitori , serbarsi nella Mar- ciana in Venezia un Codice dell' Orificeria descritto dal Cav, Jacopo Morelli , che se non è di pugno del Cel- lini , è chiarito autorevole da qualche sua postilla , e quale appunto venne da prima composto dall' Autore. Il quale poi , ripulitolo con assai cangiamenti , il fece imprimere ', ed hassene la stampa di Firenze del i568. Da quel Codice trasse il Morelli un Discorso sulla utilità deir Architettura , e il cav. L. Cicognara il Capitolo suìV arte del niellare testé reso pubblico. Ora il Ì5Ìg. Gamba seguendo sì nobili esempj ha tratto da quel manoscritto i racconti, che diede alla luce ia questo libretto. 11 Proemio dell' opera del Cellinì anti- camente stampata , qui si legge più disteso e assai dif- ferente dal primo , e contiene le notizie degli artisti valenti nell' esercizio dell' Orificeria ed in altre nobili professioni. I fattarelli sono piacevoli assai , e distesi eoa quella famigliare trascuratezza, che tanto rende gio- conde le scritture del Cellini. Il tutto è corredato di buone postille e riscontri relativi alla vita e alle opere dell' Autore. IQ2 INDICE. Sgienze. Giunta alle Osservazioni geognostiche fatte nel di- partimento del Varo Pug. 91. Continuazione delle Osservazioni sul Vac- cino , Varicella o Vajuolo contempora- nei , « 101. Letture. Ragionamento inedito dell' Ab. Michele Co- lombo sopra la quindicesima stanza del canto sesto della Gerusalemme liberata del Tasso «HI. De' vizj de' letterati , libri due del Cav. D. Giuseppe Manno « i25. Antidoto pe' giovani studiosi contro le no- vità in opera di lingua italiana , di A. Ce- sari con due epigrafi italiane , . . . « 1 3 1 . Le catastrofi della terra secondo i primi ca- pitoli della Genesi , letti secondo il metodo degli apici f di Francesco JÌicardi. . . « i36. Introduclion à la Philosophie , par M. Lau- rentie « 147. Piacevoli Poesie inedite di Antonio Cesari. « iSj. Belle Arti. Nuova ed unica Raccolta di 36 Vedute della città e contorni di Genova. « i6o. Novelle Letterarie « 164. a 192. V- Paolo Amedeo GIOVANELLI Prev. di S. Don. Rev. Are. Se ne permette la stampa. GRILLO per la Gran Cancelleria. (DIOllàlLll ]L3©1P©^3(0® cà òoxzAMto f Aebte/te, qjÒ JlDtti. Hoc opus , hoc studium parvi properemus, et ampli , Si palriae volumus , si nobis vivere chari. Hon. i ANNO m. FASCICOLO ni. tAÓaaaio e ^tìono ^82.0. -^i-^_ u.^ GENOVA Giunta alle Osservazioni Geognosiiche fatte nel Dipartimento del Varo. (Vedi Fase. 2.», anno ^829. ) Se si riunisce questo carattere tirato dalle spoglie organiche ivi trovate, alla descrizione data, la quale ci mostra da una parte i banchi del lignite appoggiati al calcareo jurassico e dall' altra inclinati è vero verso di lui , ma non però sottoposti , poiché sì vedono finire quando s' incontra quella roccia , che è perciò più an- tica j se si aggiunge di più che questo terreno di li- gnite è situato è vero in una valletta , ma che questa è ad un' altezza rimarchevole e sopra una specie di plateau , al piano del quale si giunge da tutte le parti, percorrendo sui fianchi dei banchi quasi oriz- zontali di calcareo compatto giallo della formazione colitica, che perciò può credersi esistente al dissotto di tutta 1' estensione di detto plateau , si avranno non pochi gradi di probabilità per credere che il terreno di combustibile del pian d' Aups appartiene al lignite terziario di cui presenta i caratteri nella sua compo- sizione. Nascono inoltre qualche considerazioni di più dal succitato miscuglio di resti marini di acqua dolce e dall' intima relazione dei banchi di lignite e di quelli delle marne , che quasi alternano con loro , e queste sono ; che la posizione di questo lignite , riguardato dal Sig. Brongniart come appartenente all' epoca del lignite del Soissonois , cioè dell'epoca deW argilla plastica, dovrebbe forse cangiarsi , e che dovrebbe rimontare all' epoca delle marne turchine subappennine , giacché non pare si possano ricusar per tali le marne che lo ac- compagnano e colle quali è talmente legato, che a pa- rer mio costituisce con loro una sola formazione : né può parere un fatto nuovo e sorprendente il trovar dei banchi di lignite in mezzo a quella formazione , poiché si sa che alla base di queste marne esistono dei piccioli depositi di lignite con conchiglie lacustri (Siena), 196 oppure , e assai frequentemente , del frammenti di legno bituminoso, che ponno esserne un rappresentante: di più già da varj geologi francesi il lignite di S.' Paulet, che presenta con quello del pian d' Aups molla ana- logia , si per la tessitura , che pel miscuglio dei fossili marini e lacustri , è stato l'iguardato come forse appar- tenente alle mnriie subappenuine , onde non credo es- sere ito lungi dal vero nell' attribuire un' ugual posi- zione al banco di lignite del pian cV Aups. Non dissimile dal combustibile di questo luogo è quello del vicino vallone di »S/ Pons e Geinenos , che anzi può riguardarsi come una continuazione del pri- mo , avendolo veduto presso il colle che fa comunicar le due valli, al piede della rocca di Bertagne, ridotto alla menoma dimensione, ma però riconoscibile. Quan- do passa nella valle di S.^ Pons aumenta nuovamente di potenza e sembra anche qui aver colmato dei va- cui esistenti nel terreno anteriore ; mi è parso difficile di poterlo studiare minutamente presentandosi esso molto irregolarmente. Il miscuglio poi dei fossili marini e di acqua dolce osservalo in quelle località rende meno straordinario lo stesso fenomeno veduto presso il pic- ciolo canadeau alla Cadiere , e rapprossima quel ter- reno di combustibile di quello che è stato 1' oggetto speciale di queste nostre osservazioni al pian d' Jtnps e nella v'ali e di SJ Pons. Con qualche differenza , poiché non pare che vi esistano conchiglie marine , si presenta pure un terreno di lignite , ma in masse più cosiderabili , nel diparti- mento delle bocche del Rodano , ove sembra princi- palmente occupare un vasto bacino, limitato verso mez- zogiorno dalla catena di montagne dell' Etoile e del pilon da Roi e appartenenti alla forma/Jone oolitica , e a tramontana e levante da montagne ugualmente di assai antica formazione. Questo terreno è generalmente composto di calcareo marnoso , talora bitumii;ioso e fe- tido, assai duro: i suoi banchi inclinano generalmente \erso le montagne più antiche , all' incontrar delle quali ^97 finiscono inlieraniente : contiene del bandii di un li- gnite, che ha l'apparenza del vero carbon fossile, ma che appartiene, come l'indicano i fossili che vi si ve- dono , unio , cicladl , ec. , al terreno terziario. Si esten- de dalle vicinanze di Gardanne per Greasque verso la pomme. e Juveaii. Quantunque fuori del dipartimento del Varo, ne ho fatto cenno 5 perchè malgrado le dif- ferenze che vi si ponno notare , potrebbe anche ap- partenere alla stessa epoca che quello della Cadìere e del pian d' Aups , sebbene non vi siano dati decisivi per pronunziare piuttosto per V identità , che per la dif- ferenza di formazione , tra questi diversi terreni. Finalmente , oltre le traccio di combustibile che ab- itiamo descritte nel dipartimento del Varo, ne esistono Especes sjmholiques. Énigmatique J Quindi alla pagina 332 ne fa la seguente analisi. J'ai reconnu , corame ce savant pére , 2r3 1.° Trois difì'éreiUt's espèces d'éci'itures chez les Égy- plieiis. A. L'écritiire vulgaire , que j'ai appelée Démotlque d'après Hérodote , et que Clemeat a uommée Ej)lsio- lograpliique j B. L'écriture sacerdotale , que je désigae égaleraent sons Je noni d'écritui'e hiératcque ; C. L'écriture lijérogljphique , qui est l'écriture égy- plienne monumentale. 2." Que l'écriture hléroglypliique procédait de plu- sieurs nianières différentes dans l'expressioa des idées. 3.° Qu'elle procédait premièrement, au .propre de toute écriture , eu exprimant les objets par la peinture . de leurs noms , au moyen de caractères phonétlques cu des caractères , signes de sons et de prononciations. Cette méthode hiéroglypliique est appelée par Clement d'Alexandrie , Kyriologiké dia tón prótóii stoixeión, c'est à dire, s' exprimant au propre par le moyen d,e, lettre s. x j 4.° Qu'elle procédait en second lieu par la repré- seotatiou niécne des objets , au moyen de caractères purement figuratìfs ; c'est là sans aucun doute , la méthode hiéroglyphique , uommée Kyriologiké Kata niimésin. 5.° Qu'elle employa des caractères symboliques , ou exprimant indirectemcnt les objets par synecdocbe , par métonymie , ou par des métapliores plus ou moins fa- ciles à saisir. Clement d'Alexandrie a désigné cette troi- sième méthode hiéroglyphique par la qualifìcation de sjmboliqae tropique. 6° Enfìn , le méme auteur mentionne une méthode hiéroglyphique procédant à l'expression des idées par le moyen de certaines énigraes , Kata tinas ainigmous , et nous avons compris les signes de ce geure , tout en les distlnguanl , sous la dénomination generale de ca- ractères symboliques. Osservo in primo luogo , non essere errore di mente, ma bensì di volontà, dicendo nel paragrafo 3.' Qu'elle ai4 procedali premierement , au propre de touté écriture , V avere posto la virgola dopo premierement , ed aggiun- to le parole de tonte écriture, rendendo in tal ma- niera la parola au propre , una preposizione dell' ag- giunta de toute écriture , In vece di una qualifica- zione del verbo procédait ; poiché traducendo le pa- role dello stesso paragrafo dia tón prótón stoixeión Kyriologiké , dice : s'exprimant au propre par le mo- jen de lettres , e che già aveva detto alla pagina 262 la peinlure procédait toujours au propre , così che procedere al proprio è disegnare gli oggetti , come fa la pittura , e detto aveva alla pagina 278. : J'ai donne à ces signes la qualification Aejiguratifs , eii abandon- nant le terme de caractères cjriologiques , cioè che se- gno Kiriologico , significa segno figurativo , o come meglio alla pagina 3a.g : Expressions propres et carac- téristiques pour designer les objets ; In secondo luogo , eh' è un errore parimente di volontà l' aver detto : En exprimant les objets par la peinture de leurs noms , au moyen de caractères phonétiques , ou signes de sons; poiché è vero benissimo , che si possono dipingere i nomi delle cose col mezzo dei segni di suono , che sono le lettere , ma in tal caso non si esprimono più gli oggetti al proprio , cioè in modo Kiriologico , co- me dice Clemente Alessandrino , e come fa la pittura , la quale esprime gli oggetti , configurandoli con segui elementari , i quali sono soltanto figurativi , come ha detto lo stesso Filologo , pagina 262, quando al contrario la scrittura alfabetica lo fa con lettere , che sono segni puramente di convenzione , ond' è eh' esprimere gli oggetti in modo proprio, exprimant au propre , esclude necessariamente quello di poterlo fare co' segni di con- venzione; bisogna perciò dire, che il genere Kiriolo- gico della scrittura geroglifica é la pittura degli oggetti rappresentati al proprio co' primi elementi , e non la scrittura alfabetica, che esprime con segni, non al pro- prio , ma di convenzione , i suoni soltanto dei nomi degli oggetti -f la terzo luogo , che se si ristringono le parole co' primi elementi al solo significato allegorico di lettere , e si traduce « s' exprimant aii propre par le « moyen de leltres , " si fa dire a Clemente Alessan- drino un' aperta contrariclh nella stessa frase , giacché r esprimere gli oggetti al proprio , e dipingerli quali si presentano agli occhi dell' osservatore , esclude quello .d' esprimere colle lettere il suono del nome degli og- getti , le quali sono semplici suoni di convenzione , e non mal figurativi au propre ; In quarto ed ultimo luogo, eh' è impossibile, che il dotto Filologo non siasi avveduto , spiegando la prima delle tre specie del genere simbolico par caractères purement Jiguratifs , eh' egli stesso chiama Kjriologihé hata mimésin , Ki- ]?iologica per imitazione , non iraduceva esattamente , mentre 1' originale dice letteralmente , si hiriologizza per imitazione , cioè , che s' imita la forma dei segni liiriologici , esprim({nti gli oggetti al proprio , quali si mostrano agli occhi dell' osservatore, quando Clemente Alessandrino per togliere ogni anfibologia , ogni equi- voco , riferisce due esempj , dicendo : se si vuole descri- vere il sole secondo questo primo genere , si fa un cir- colo ; se la luna , si fa la forma del segno del mese., cioè i7 segno della luna sestile, ossia due segmenti di sfera di varia grandezza , che si combaciano nelle: estremità ; Ora è cosa evidentissima , che il cir- colo , e la figura della luna sestile , non sono l' imita- zione del suono dei nomi Sole, e Luna, ma lo sono lìensl del sole, e della luna dipinti al proprio, ed al naturale. In fatti corrispondono a questo metodo di scrittura tutti quanti i monumenti egizio-geroglifici , ne' quali si trovano delle figure , ed altri oggetti kiriologici , ossia dipinti , o scolpiti al naturale , che servono principalmente ad indicare qual sia lo scopo propostosi dallo scritto- re o scultore j vi si trovano egualmente delle figure , ed altri oggetti fatti ad imitazione dei kiriologici , . cioè , che non gli esprimono al naturale , ma li rappor- tano soltanto espressi con linee di contorno , o altre 2l6 poche , necessarie -tìlla loro precisa qualificazione ; altri che non li rapportano per intero , e non gì' imitano esattamente, ma tropicamente , cioè non interi , e tron- chi , o in ispeoial modo trasformati , o modificati ; al- tri finalmente , che non li rapportano né interi , né tronchi in parte , o modificati , ma eninirnaticamente, cioè , che non sono più 1' espressione della figura , o dell' oggetto , ma soltanto una loro qualificazione pro- pria , o di convenzione , generalmente nota , come se si scrivesse Me macedone per indicare Alessandro il grande , se si scrivesse globo per indicare il mondo. AflSne di convincersi stabilmente della verità di que- sto metodo basta di gettare gli occhi su dì un qualun- que monumento geroglifico per tosto avvedersi , che tutti i segni ivi espressi sono o kiriologici al proprio o kiriologici per imitazione, o segni tropici, ©se- gni enimmatici , e che questi sono i soli segni sim- bolici componenti questa dotta scrittura , più o meno esattamente configurati , secondo 1' abilità , o lo scopo dello scrittore , o scultore. Dopo questo , mi sembra di aver avuto ragione di as- serire , che il sig. Cavaliere Champollion giuniore , ed i seguaci del suo sistema fonetico-raisto non possono ignorare di sostenere il falso j mentre la lettura , che essi fanno dei segni inchiusi nelle Sferoidi , ossìa steni- tni egizj , come ho dimostrato in diversi miei opuscoli , dipende totalmiente dal capriccio , o dal caso , e che Clemente Alessandrino né in questo luogo , né altrove non parla mai di lettere fonetiche , o alfabetiche ge- roglifiche, in modo che conviene necessariamente dire, eh"' essi sanno di sostenere un paradosso , che però lo conrinuano a dire , e sostenere unicamente , perché si avvedono , come ho avanzato nell' Esposizione a S. E. il Sig, Conte Balbo , che queste fanciullesche baje , anche nel secolo in cui siamo , sono benignamente ac- colte da molti dotti, e da varj giornali letterari , i quali le ripetoiìo senza esaminarle, e forse senza averle lette; e che per intendere , e spiegare esattamente , e rego- larraente i geroglifici , bisogna seguitare il metodo to- talmente simbolico , insegnato da Clemente Alessandri- no , e da tutta 1' antichilìi greca , e latina , abbando- nando per sempre tutti gli or ora sognati sistemi fo- netici , o alfabetici. 2X8 De' vizi de* letterati , libri due del Cav. D. Giu- seppe Manno ecc. Torino, 1828. Articolo II." XXllorcliè s' indagano le cagioni , gli effetti , e le va- rietà di quelle operazioni , onde altri si accatta biasi- mo e mala voce , acciocché le passioni e le volontà degli uomini rivengano in sulla dritta via; a chi im- prende cosi bello e lodato uffizio dee mirare ognuno con quella stessa umanità e gratitudine , colle quali soglionsi riguardare coloro che alla vacillante sanità del corpo apprestano con arte benefica acconci farmachi e salutari. Se non che quanto più alta è la sfera dei beni e dei mali deli' animo , e quanto è più durevole e veneranda la vita della miglior parte di noi medesimi , tanto più nobili e sublimi riputar debbonsi le cure di un uomo, il quale agli altri additi come possano far passare all' immortalità il nome loro scevro da quelle pecche che il potrebbero o deturpare od estinguere. Il qual bene- fizio , nuovo per noi e grandemente richiesto dalla ita- liana letteratura, ne fu porto testé dall'illustre Gav. Manno , da cui tal argomento è trattato con molta leggiadria , e con pari giudizio e moderazione. Or es- sendo proprio de' giornali letterarj il tener dietro in particolare alle opere deir ingegno altrui , ninna cosa più dicevole e proGcua può essere al nostro che il de- rivare da questo volume le giuste e peregrine osserva- zioni, che con tanto senno vi sparse il dotto ed esperto autore. Ciò che egli disse sopra le diverse età e ma- niere de' letterati 1' abbiamo già notato , e siamo rimasti colà dove tocca gli Adulatori. Più gran numero di cosi fatti ne ravvisa tra i moderni , che tra gli antichi. « Meglio sonanti sono oggigiorno le espressioni le più usitate nel predicare l'altrui merito: poiché dove que' 219 vecchi contentavansi di poter dire: bene, saggiamente, con vetità , noi diciamo per lo meno : divinamente , sovrumanamente , senza pari. » Ma noi non crediamo più alla dea Nemesi. Quindi nasce nei lodati la falsa confidenza del proprio valore , quindi la temerità , le pazze presunzioni , il rifiuto de' sani consigli , special- mente ne' giovani. Ottimo è 1' esempio che il G. A. de- duce da Plutarco. « Accade a molti ciò che Cameade era solito a dire de' figli de' potenti , i quali imparano più eh' altro a ben cavalcare , perchè il maestro degli altri loro studj gli encomia sempre , ed il lottatore si lascia cadere sotto ad essi giovani : ma il cavallo non conoscendo quale sia il privato od il signore , il ricco od il povero , gitta in terra qualunque non sa ben te- nersi. E notisi che quel danno è più grande, come maggiore è il grido di chi loda » , il che suole avve- nire nell' offerta delle scritture , e n' è prova il Meta- stasio nelle sue lettere. Senza lode lasclansi spesso gli ottimi libri, ma a questi serba la palma la posterità. La qual sentenza del Manno mi richiama a mente quell' altra del Sulmonese : Pascitur in vivis livor , post fata quiesclt : Tunc suus ex merito quemque tuetur honos. Assai leggiadramente 1' A. si fa sopra agli Orgogliosi. Entra nel gabinetto d' uno di questi sedente sopra una scranna larghissima , puntello a due sterminati lessici , colla penna infra le dita or mordendone l' estremità , or ligiaudosene il viso , nel mentre che questi venia umilmente visitato da un librajo che gli offeriva un dorato volume per conseguire a benefizio della sua edizione uno di quei cenni di approvazione , che acciò vagliono quanto a un damerino lo sguardo delle belle al passeggio. Sogghigna il letteratone al frontespizio del libro , e ne fulmina V autor troppo giovane. Il Manno gli domanda se avea letto questa , ed altra simil opera, che svillaneggiava , e colui rispondendo del no , appicca coli' omaccione un ragionamento , che dispiega bei pre- cetti su questa materia. Cotal burbanza non è dote de' grandi letterati , le maniere de' quali soa dolci , ed es- si se facili all' ira , facilissimi a placarsi. « I| vero let- terato ricordando la difficoltà de' suoi studj , pregia meglio gli altrui : e riconoscendo ciò che sempre manca alla perfezione de' proprj lavori , tiene modo nello stimarli. Epperò o sente con modestia di se stesso , o la coscienza del suo valore non lo inebbria mai a se- gno, che venga ad avere a vile ed in dispregio gli altri scrittori. Il contrario avviene di coloro, il merito de quali più suona che non vale. Stanno ,essi sempre in sulle brave parole, ed in termine di combattere la propria superiorità , .... e non è raro il vedere che per carestia di buoni vicini s' infiorino da se stessi la ghir- landa. « Assegna accuratamente e con verità a quali indizi si scopra 1' alterigia : per esemplo essere avaro di consigli, o dargli imperfetti, e intingersi di non conoscere nuove opere che sono encomiate , e poi sa- perne ogni difettuzzo a menadito , il dire spesso Io r ho già notalo , leggete la mia opera A. , la mia opera B. : fare un viso da matrigna alla fama nascente dei giovani , ed odiare I più distinti fra essi come la mala cosa , pregiare , al dir di Plutarco , le lodi al pari della moneta , della quale tanto si toglie a se quanto si dona altrui. Tal vizio è ridevole ne' mediocri , ma- lefico nel grandi ingegni , e di qui la gara , la pertina- cia , la propagazione degli errori. Ingiusti chiama degnamente 1' A. i plagiar) , gli sto- rici che occultano i documenti de' loro scritti , ingiu- sti quei che non trovano mai nulla di perfetto , o si gettano a corpo perduto sopra leggiere mende, « che non si potendo evitare dall' umana natura , si dovrebbero anche dall' umana natura trasandare. Non sono rari questi censori delle sole cose buone , i quali dove avreb- bono largo campo a sbizzarrire sopra certe scritture che paiono fatte appostalamente per non lasciar digiuna la critica , appiccano il dente alle opere degne di rive- renza ; al pari di quegl' insetti che forano solamente le frutta le più saporose e le più mature : » bellissima 221 somiglianza. Tali ingiustizie nascono in gran parte da varia preoccupazione dell' intelletto. « Havvi una preoc- cupazione contro alla classe di persone cui 1' autore appar- tiene j talcliè a giudizio di alcuni parrebbe che il portar il cappello appuntato in una od altra foggia , spaccate o rotonde le \estiraenta , e la calzatura di cuoio o di tessuto, debba indicare una opinione franca o simulata, ferma o mutevole, propria o d' altrui. Havvene un' altra contro alla scienza professata dallo scrittoi-e : un' altra contro alle vicende pubbliche o private , alla grande o piccola fortuna , havvene tante , quante contro ad ogni ahra maniera di virtù". Non manca pure la preoc- cupazione nazionale , e i francesi , che spesso fecero da cornacchia fra gl'italiani, peccano di tal vizio. Ecco le gravi parole dell' A. in questo fatto. « Udite , egli grida nobilmente , o voi lutti , cui il bel nome d' italiano desta in petto non solo la rimembrnza di esser eredi , ma il compiacimento ancora di esser partecipi di ogni genere di gloria letteraria; udite la grave sentenza contro a voi ed a' vostri successori pro- nunziata in un librettino in diciottesimo , il quale for- ma parte di una enclcìopeduccia , che stampasi in Pa- rigi a uso di chi vuol tenere in una sola tascata tutto lo scibile , e dottrinarsi in poche calende , per poi stare , s' è libito , a donzellarsi nel rimanente della vita. Così ivi trovasi scritto : Gì' Italiani sgraziatamente non /tanno giammai saputo guarentirsi dall' affetta- zione, E' pare che abbiano eglino voluto serbare nella letteratura loro quello stesso abuso di sotti- gliezze, che ne' tempi mezzani erasi introdotto nella Jilosofia. Dappoiché questo popolo non è piit signore del mondo y egli ha intieramente rinunziato ad ogni dignità ne' suoi costumi e nelle sue scritture. Egli non sa concepire la vera grandezza : e da ciò de- riva queir enfasi , colla quale tenta di supplire a quanto gli manca di reale ; quasi come l' esagera- zione non fosse in qualunque soggetto nimica del vero. Per tal ragione gV Italiani hanno sempre fatto 222 sforzi inutili per giungere all' eloquenza. Alla sagr già e calzante risposta , che l' A. degna fare a quel libricciuolo , potrebbe altri aggiungere , che quando ad alcun Francese saltano in capo di simili fantasie , pri- ma di romper lancie di qua dall' alpi , badi in casa sua a trionfare del Ginguené , del De Sade , e del Voltaire (a) . Passa quindi 1' A. ad abbattere V errore di quelli , che tengono potersi nelle lettere offendere la giustizia senza timore e rimorso ; ed osserva giu- diziosamente, che ce la verità, sempre congiunta colla giustizia , è \iolata anche quando la menzogna dell' indebita lode , e dell' indebito biasimo non produce nessun ingiusto risultamento. jj E da far caso del grave rammarico d'un grande ingegno lacerato dalla legge- rezza, malevolenza, o spirito di parte. Alcuni per tal cagione si tolgono giù da nuove ed utili produzioni. E qual danno non si reca a chi è stretto a farsi scudo del proprio ingegno contro alla malvagità della fortu- na ? Inoltre si priva la società del frutto che trarrebbe dalla lettura di tai libri. Onde a ragione conchiude il C A. , che 1' uom giusto dee astenersi dal far danno alla riputazione letteraria, non meno che dal farlo all' onore , e alla roba altrui. Non è disdicevole ad onorata persona cercar profitto dal proprio ingegno , come dall' altre doti dell' animo e del corpo. Ottima è la condizione di que' paesi , ne' quali un buon manoscritto è un' ottima derrata , e si crede il danaro all' insigne letterato , come all' onorato trafficante. Ma 1' abuso che fassi da molti nel porre o nel ricevere il prezzo delle opere letterarie o scienti- fiche porge al N. A. occasione d' intitolare un capitolo ai letterati mercatanti. Il principio , eh' ei pone , di amar meglio il danaro che V opera , appartiene sì agli editori , che a capriccio imprendono , si agli scrit- tori che per gola di guadagno Inceppano il loro Inge- (a) V. la prefaz. del Cav. G. Maffei , Stor. lett. ital. Mi- lano 1824. 223 gno , e il vendono con disonor loro e delle lettere a danno della società. Tuttavia il volgo ingoja il tutto , si stampa, e si va innanzi: ce Imperciocché, osserva graziosamente 1' A. , se la curiosità è un bisogno della metà degli uomini , il soddisfarla dee essere il pen- siero dell' altra metà. Quando straordinaria è la ricerca che fassi dagli editori delle scritture anche mediocri , straordinaria dee ancora essere la moltitudine de' let- tori di picciola levatura. » Tra lo sterminato numero de' libri, che oggidì si stampano, gli eccellenti sono i pochissimi , gì' inetti ì moltissimi. Fa maraviglia ciò che dimostra il Cav. Manno delle sole tipografie fran- cesi e tedesche. Dal primo novembre 1811 al 3i di- cembre 1825 in Francia s' è pubblicato il numero im- menso di 1,152,295,229 fogli, fuori i fogli quotidiani, e la stamperia reale. La Francia conta 665 stamperie, 82 in Parigi. Nel 1825 si trovavano in attività i55o torchi, dei quali 85o nella capitale j e si pubblicarono circa i4 milioni di volumi. Il numero delle opere pub- blicate in Germania dal 18 14 al 1826 sarebbe 50,872 e aggiungausene ySoo annunziale come prossime: onde la somma riesce a 6omila. Tutto ciò 1' A. deduce da un opuscolo del G. Daru Pari di Francia , e dai catalo- ghi delle fiere di Lipsia riportati dalla Biblioteca ita- liana febbraio 1827. E soggiunge: «Sarebbe adunque un mezzo sicuro per trarre al netto il vero della mag- giore o minore gravità degli studj di un paese , il le- var le ragioni de' librai ; ed il riconoscere quale al raccor de' numeri sia il maggior profitto fra il traffico delle opere importanti , e quello delle bagattelle. Sic- come per giudicare del maggior impero della moda negli adornamenti della persona , basta il correre coli' occhio alcune delle officine , dove trovansi ordinate in bella mostra le tante superfluità che compongono il corredo e il bagagliume delle femmine ( se lecito è cosi dire) d'ambo i sessi. 35 La moda fa luogo alla pedanteria , e come da lei provenga l' infingimento e la doppiezza si disamina dal 2ft4 N. A. nel Gap. XII , eh' egli intitola delle alte parole e de' bassi sensi. Può dirsi questo un luminoso commento dell'Oraziano Quid valeant humeri Cai leda poten- ter erit res. Ciò egli cliiama molto argutamente voca- zione letteraria , e dà risalto alle sue osservazioni colle dottrine di M. Tullio e coli' esempio del Castiglione. E finisce così il primo libro dell'opera. Gli ammiratori di una sola scienza danno materia al principio dell' altro libro. Un geometra che \isita un sontuoso palazzo , men- tre i suoi compagni ne ammirano a parte a parte gli ornamenti d'ogni maniera, nuli' altro ne riporta che le dimensioni: e al ragionare che si fa del bombar- damento d'una fortezza, egli calcola la qualità della linea descritta su per l'aria da que' proietti senza vo- ler sapere doli' esito di quella oppugnazione. Con que- sto ed altri esempi va l' A. esaminando la natura, i vantaggi , e i rispettivi pregi di ciascheduna scienza , o mostra come tutte debbon esser sorelle , non nemi- che. Nel quale argomento siccome appare eh' egli n' è egregio coltivatore , cosi spicca la sua non volgare sag- gezza pel retto uso , che egli addita dover farsi delle nobili discipline, alle quali assegna per unico scopo il giovare agli uomini. Spesso gli scienziati spregiano lo studio delle amene lettere, a far conoscenti i quali egli stende un articolo di proposito, e fassi a considerare alcune delle ragioni che possono addursi da chi volesse discutere questa materia senza verun pregiudizio. Prima però di venire al nerbo del suo ragionamento difende dai morsi di un tremendo aristarco le patetiche rime di un giovine letterato, al quale era mancata di vita in sul fiorir de- gli anni una leggiadra giovinetta da lui amata pii!i de- gli occhi propri. Tutte le ragioni del censore erano epilogate in questa interrogazione : « Sono questi gli argomenti da trattarsi nel nostro secolo? » E il N. A. si fa ad interrogar lui pure : « Se o no in questo no- stro secolo gli uomini nascano così fatti , che il cuore 225 debba loro battere nella lettura <3I una novella chiosa della magna carta , o trepidare per uà' analisi cbimì- ca , o commuoversi a tenerezza nel contemplare I' in- clinazione de fiori mascolini di una zucca verso il pi- stilio del fiore vicino , o gongolare di giubilo per la scoperta che siasi fatta di una nuova generazione di grilli. » Uu soggetto amoroso non è proprio d' una sola età , ma di tutte. Che se tutti vorran farla da Ze- nocrati e da Zenoni, le scienze diverranno aride ed esangui , e coni' essi danno in sugli estremi , così , ce soggiunge il N. A. , non mancherebbe forse un qual- che maligno calcolatore , che tenendo conto delle tante bagattelluccie che hanno il passo insieme colle cose se- rie , si facesse a modo d' esempio a dimandare , quale in questo secolo così grave sia più buona ventura tra il fare un buon libro , e 1' avere le gambe sì fattamente addestrate , che si possa in men di un baleno picchiet- tare 1 un pie coli' altro in cento fogge , nell' andar sal- tellone su per un palco , e mille altre cose di simile natura. » Alcuni oppongono la moltitudine delle antiche opere di bella letteratura. Ma o gii antichi toccarono il col- mo della perfezione , e ne furono immortali : e allora chi de' moderni non avrà diritto a simile od eguale onore, ove raggiungali o s'appressi loro nella stessa carriera? Perchè un moderno, cui lattaron le muse, non potrà cantar come l' antico : Cedant carminibus reges regumque triumphi. . . . = Kivet Maconides Te- nedos dum stahit et Ide ? O gli antichi hanno lasciato alcun piccolo vuoto : e perchè malmenare chi di forza s'accinge a riempierlo? Oggidì il numero delle opere scientifiche non è a pezza minore di quello delle let- terarie. 13 Havvi , scrive 1' A. , già forse a quest' ora tal bruco per cui si sono scritte più carte , che non si fecero versi per la rapita moglie di Menelao ; ed havvi tal famìglia di funghi che ha fatto gemere i torchi meglio assai , che la giustamente chiamata eterna fa- miglia degli Atridi. » Inoltre , segue egli sempre , la o 326 tlifficollh dell' eccellenza in questi scritti chiarisce anzi il bisogno di moltiplicarli , affinchè non si spengano, ma non iscoraggiando i molti mediocri e buoni si gua- dagnino i pochi ottimi. A moltissimi la natura die gamba lesta pe' viaggi botanici ; a moltissimi pazienza per calcolare la vibrazione delle forze impiegate nel salto di una locusta : a moltissimi petto robusto pel fornello chimico , a moltissimi capo cinto di triplice acciajo per alcune antiche indagazioni che menano a niente : a pochi , al dir d' Orazio , mente divina e boc- ca ad esprimere alti e sonanti concetti. Per quei pri- mi studi una mediocre dose di senno , aiutata dalla fa- vorevole disposizione della volontà e da alcune fisiche qualità , basta a far commendevole uno scrittore ; ma chi dirà lo slesso delle amene lettere , e più della poe- sia ? Così ragiona il C. A. , e certo egregiamente. A far buon viso ad esse , oltre la loro difficoltà , accenna egli eziandio la mancanza di tanti altri inco- raggiamenti, senza cui non vanno certi altri studj , dal merito dei qnali dipende la sorte de' loro cultori e fa- miglie loro. Tali sono l'eloquenza forense, la politica, la medicina , le matematiche. Per lo contrario avventurosi cliininar si debbono quegli amatori delle umane lettere i quali in seguendole non sono condotti a logorare una palle del loro patrimonio. Ben di tal verità eran per- suasi i padri di Ovidio, del Petrarca e del Boccaccio, e di cent' altri lor pari, e dicea bene chi asseriva le muse esser vaghe donzelle ma senza dote. E il Gozzi meglio di chicchesia potea esclamare ; o buon Platone , Tu che dai bando alle fallaci ciarle , Perchè poi lo studiare anco non vieti ? Qual cosa ebb' io per lungo tempo cara J^iii che viver solingo , e con le dita Fregarmi gli occhi per cacciare il sonno , li volger fogli ? Ecco il te sor eh' io n' ebbi : Stomacuzzo di carta , un mesto umore , Un palUdume j una magrezza eterna (b). (b) Serm. VT. E in altro luogo (e) cosi si volgea ad un suo ricco benefattore : Sol ti ricordo , che il miglior terreno Ch'io m' abbia al mondo , è un oriuol d'arena. Altri allegano la scarsa o ninna utilità degli studj , e perciò stesso , dice 1' A. , mostrano di non conoscerli. Da un ingegno ingentilito tengono maggior lustro e profitto tutte le discipline. L' amenità delle lettere è ricreazione e ristoro all' animo stanco dalla severità delle scienze : s'affina il giudizio e s'aguzza l'intelletto nel mezzo di tutto ciò che la mente umana seppe par- torire di più perfetto. Il sapere con chiarezza , con gra- zia e con forza esporre i concetti del proprio animo è cosa tanto eccellente e sublime , che uno de' primi let- lerati dell' età nostra fu quasi tentalo a venire per ciò stesso nella sentenza di quel vivace spirito inglese , che facea per ischerno consistere 1' essenza dell' uomo ne panni, considerandone come puri accessorj le qualità personali (d) . E il Pallavicino prova che affatto « si dilungano e dall' intenzione della natura , e dal con- sentimento de' saggi coloro , che tutti rivolti allo studio del ben intendere , trascurano , quasi fanciullesco eser- cizio , le discipline del bel parlare (e): e guidato dal lume delle antiche storie dice , che « tanto i Greci , quanto i Latini non conobbero mai per degno di lode r esplicar con rozzo e barbaro stile il meglio de' lor pensieri , e vestir di sordidi stracci i più nobili parti dell' intelletto (f). " Dalla non curanza di queste stesse discipline non venne forse in gran parte l' ignoranza del secoli di mezzo ? Che frutto portarono le scienze , le quali a ripullular conlinciarono per favor di Carlo Magno e d' altri principi d' allora ? La scolastica , ma in cosi strane forme e in cosi barbaro linguaggio , che (e) Serra. IIL (d) M. Colombo Lez. I. (e) Trattato dello stile e del dialogo cap. I. (f) Ib. cap. IL 598 penarono a purgarsene tutti i secoli appresso. Di qui fu mosso lo stesso Pallavicino a dettare quell'aureo trattato dello stile , che più d' ogn' altro suo scritto gli fece onore. Ai tre primi maestri della lingua ita- liana dal comune consenso dei dotti viene attribuita la gloria della moderna civiltà europea. Un celeberrimo scrittore de' nostri giorni in un' opera , di cui perico- losa agi' inesperti è la lettura , cosi favella del punto che ora trattiamo, sebben vada egli gravemente errato dal lato religioso. « Veri autori della civiltà moderna altri non sono che Omero , Sofocle , Tucidide , Socra- te, Platone, Aristotile, Teocrito, Cicerone, Virgilio, Tito Livio, Tacito ec. Non sono già i raziocinj quelli che riformato hanno il mondo; egli è quell'intimo senso di delicatezza squisita , generosa , dolce , compa- tiscente , frutto felicissimo della lettura degli antichi autori classici .... 11 più gran benefizio , che , uma- namente parlando, siasi giammai fatto all'uman genere, egli è pertanto quello d'averlo ricondotto alle pure sorgenti del sapere , e del gusto greco e latino. « E mostrato come ciò venne fatto dagli Italiani, conchiu- de : ce A questo toscano triumvirato ( Dante , il Petrar- ca , il Boccaccio ) andiamo noi dunque debitori di quella civiltà , in mezzo a cui abbiamo la bella sorte di vivere ; imperciocché quelli che vennero dopo , al- tro fatto non hanno che seguitare l' esempio che dato essi aveano. I veri benefattori dell'umana specie sono Dante, Petrarca, Boccaccio (s)-" Accanto a questi primi collocarsi debbono i Magalotti, i Viviani , i Mal- pighi , i Torricelli , i Gallilei , i Redi , e gli altri di que- sta schiera, i quali non furono men caldi amatori dell' amena letteratura , che delle severe discipline : e queste appunto fecero tanti progressi e levaronsi a tanto splen- dore nelle opere loro , perchè i raziocinj della mente, mercè il congiunto sussidio delle lettere, non trovava- (g) Carlo Botta , Storia dei popoli ital. tradotta dalP orìg. frane, ecc. Pisa, Nistii, 1827 in 12. picc. no intoppo nella lor forma esteriore ; dove gli altri potean cantar col Poeta : « Così potess' io ben chiuder in versi ce I miei pensier , come nel cor gli chiudo. Gli atti dell' Accademia del Cimento sono una prova evidentissima di tal verità. Se pertanto trar si può valido argomento dal passato , siccome le scienze non crebbero , né si perfezionarono se non nudrlte ed ac- coppiate colle belle lettere , cosi sarebbe a temere del loro decadimento , ove ne fosser disgiunte , e l' Italia per questa parte ne avrebbe più cagione delle altre nazioni , nelle quali gli scienziati scrivono meglio nella lingua loro di quel che generalmente facciasi da gì' Ita- liani. "Per questo, osserva acconciamente il Cav. Manno , tanto si ditterenzia il linguaggio forense fra una ed al- tra nazione : e mentre in un luogo lo stile è nobile , e quando la materia il comporta , fiorito d' immagini , o ricco di gravi pensieri , o concitato e robusto , havvi cotal altro luogo dove, se tu eccettui alcuni pochi , la lingua adoperata da' giurisperiti non è altro che il traslatare eli' essi fanno il loro dialetto municipale in altrettante parole di desinenza diversa ; ed il razioci- nio altro non è se non il mettere in filza alcune dot- trine allogate alla mescolata senza ordinamento veru- no ; onde l' esposizione dei fatti è senza dignità , la dimostrazione del proprio diritto senza chiarezza , la confutazione dell^ altrui sentenza senza vigore .... Per la stessa ragione in alcuni paesi 1' eloquenza sacra ha toccato per molte volte il maggior apice j ed in altri a mala pena possono esser citati alcuni nomi meritevoli di fama. « Veggono adunque poco discosto coloro che inutili chiamano le belle lettere. » Quanto a me, dicea Cicero- ne citato dal N. A. , io vorrei meglio aver composto una delle orazioni di Lucio Grasso per Marco Curio , che aver ridotto a obbedienza due rocche (h). » Col qual passo del romano oratore pon fine 1' egregio sig. Cava- liere al suo articolo , e noi il porremo pure al nostro, (h) De Clar. Orat. LXXIII. ì3o Antidoto pe' giovani studiosi contro le novità in opera di lingua italiana scritto da ANTO- NIO Cesari Art. il JL'a lettera del eh. Editore di quest' Opuscolo al conte Valdrighi , siccome piena d' importanti considerazioni e notizie , ha fatto si che altro finora non fosse per noi offerto a' nostri lettori se non se un sunto della stessa, senza aver punto toccato la produzione del Cesari , che ben fu dal Manuzzi chiamata il testamento letterario di si grand' uomo. Se non che prima di scendere a questa , non crediamo fuor di proposito epilogar ancora dalla prima alcune altre cose , che non poterono far parte del primo nostro articolo. Che certo potrebbe alcuno giustamente lagnarsi , se , avendo noi tratto dall' esimio Editore quanto apparteneva agli ultimi giorni dalla vita del Cesari , si ommettesse ora il giudizio che quegli porta sulle costui opere nella seconda parte della let- tera sopra lodata. E primamente ricorda la dotta ed elegante Disserta- zione sulla lingua italiana , alla quale si dee principal- mente r amore e lo studio in che venne poscia il no- stro Idioma gentil sonante e puro da tanto disprezzo e snaturamento , in che si giacca prima. Rispetto al fa- moso Dialogo delle Grazie , nel quale racchiuse il Ve- ronese tanti e sì leggiadri modi della toscana favella , vien qui riportato il giudizio di quella potente e libe- ra testa di Carlo Botta , il quale cosi ne scriveva all' Autore di Parigi a' 26 settembre 18 13. Signor Cesari onorando , « Ieri mi pervenne da Casale per opera del sig. Aba- « te Pagani il bellissimo dialogo di Vos. Sig. intitolato 23 1 le Grazie , ed esso sig. Abate mi fece anche inten- dere , che ei m' inviava si preziosa cosa in adempi- mento del desiderio di V. S. Io ne rendo grazie alla gentilezza di lei , e gliene so grado infinito. Quasi pregio maggiormente me medesimo , dacché son fatto certo di essere non solo in cognizione , ma ancora in considerazione di V. S. Quanto al dialogo : io 1' ho già letto , anzi divorato , e dimani darò mano a ri- cominciare a leggerlo , tanto è il diletto e la mera- viglia che ne ho preso ! certo non si pviò desiderare uè maggiore eleganza , né più sana ragione , né piti profonda dottrina. Io mi vergognerei di essere al mon- do a cagione di quella puzza , che ammorba oggidì la nostra povera lingua , se a questi tempi non vi- vesse il sig. Antonio Cesari , ed alcuni altri pochi , che se ne vanno con lui , i quali coli' onorate fatiche loro si studiano di ridurla a sanità. Dio sia quello che conceda alla santa impresa loro quel fine , che me- rita , e che tutti i buoni desiderano. Se V. S. , che corre questo campo il primo , ottiene 1' intento , si r potrà ben dire , che ella abbia risuscitato un morto ; < che morti , e già sepolti pare a me che siamo , poi- ché oggimai non ci sentiamo più alle fiancate , che ci si danno. E se non siamo morti del tutto , per certo siamo sordi , e dei più tristi ; che il più tristo sordo che sia , è quei che non vuole udire. Poi le piche la vogliono far da muse, ed il mondo armeg- « già che non sa e non può bea distinguere. Io rin- c grazio di nuovo V. S. del prezioso dono , e non le t dispiaccia ch'io la saluti con quel di Virgilio : Idecus, < i nostrum ; melioribus utere fatis , e senza più fa- t stidirla le bacio le mani. Servitore Carlo Botta, jj Dopo si autorevole testimonianza rammenta il C. E. lo scherno del P. M. Villardi , che chiamò Disgrazie le Grazie , ed avea prima pubblicati alcuni brani della a32 lettera del Botta nella celebre Memoria al Cav. Monti ; e contro al detto dialogo tirò in campo le annotazioni di un abate Taglia, senza far motto della irrefragabll ri- sposta che ad esse fece il Cesari nella terza parte delle Grazie medesime. Alle Grazie, e in genere ai Dialoghi del Cesari , questa taccia piuttosto potrebbe darsi quanto alla forma : non esser cioè naturale ad una conversazio- ne , comunque composta di persone civili ed erudite , che gì' inteilocutori si scontrino quinci e quindi con sì lunghe e ripetute filatere di citazioni, e passi di auto- ri. Dal qual difetto non va eziandio esente il Varchi nel suo Ercolano. La traduzione delle Commedie di Terenzio, alle quali passa il Manuzzi , è veramente maravigliosa , e baste- rebbe per sé a far immortale il nome del Cesari , chechè altri ne dica senza convenevolmente considerarla. Fi-a quanti vogliono sentenziare sul magistero delle belle scritture , scarsissimo oltre ogni credere è il numero di chi fare il possa con cognizione di causa : ma ancor più pochi son quelli che per natura ed arte conoscano i misteri del vero scriver bernesco e del comico. Le Commedie di Terenzio volgarizz.ste dal Cesari sono in questo genere un lavoro , del quale si pregierebbero e il Cecchi e il Lasca e il Firenzuola , e leggendole sa- rebbero forte maravigliati che così potessero essere uscite di mano ad uomo che non sia toscano. Onde a ragione Pietro Giordani pose per questa versione a sedere il Cesari tra il Davanzati , e il Caro ; e preghiamo chi sente in contrario , prima di dar sentenza , a leggere quel capo-lavoro di Difesa dello stil comico fiorentino pre- messa dal Traduttore alle dette commedie nell' edizione del i8i6. Maravigliosa è detta altresì dal C. E. la traduzione delle Lettere di Cicerone , che prevenuto da morte non potè compiere il Cesari. Nel che non possiamo affatto essere col Manuzzi dello stesso avviso , e ne somministra pur egli la ragione dicendo , le lettere essere scritture che vogliono stile famigliare. Ma non sapremmo se di 233 questo secolo userebbesi lo stile di tal versione tra per- sone famigliari , tuttoché colte e gentili , in ordinario ed amiche\ol discorso , onde le lettere fauno le veci tra gli assenti. Senzadio le lettere prendono forma e colore dalla materia , sopra cui versano , ed ora celiano , or ragionano , ora negoziano , e si volgono ad ogni affetto e bisogno. Altre sono , a cagione d' esempio , quelle die Gasparo Gozzi scrisse nella Difesa di Dante , ed altre ? nelle eli' ei raccolse da varj autori ad istruzione altrui. )r M. Tullio ne ha di ogni genere , e ciascheduna ha , dirò così , la veste sua propria : il che non vedesl più che tanto nella traduzione. In somma a noi pare che se Tullio avesse a scriver le sue lettere nel nostro idio- ma , s' atterrebbe più alla dicitura del Caro , del Chia- brera , o del Bonfadio , che del Bembo , o del Casa , o ad un pretto fiorentinismo. Né con ciò vogliamo en- trare neJl' opinione di coloro , che posero in canzone la traduzione del Cesari in modo, direbbe il Gozzi, da farsi onore in una bottega , o in qualche cerchio d inge- gnetti. A noi piace l'antico detto: uhi pliira nitent in Carmine , non ego paucis OJf'endar maculis. Intorno al volgarizzamento dell' orazione Miloniana di Cicerone riferiremo le parole del Manuzzi , che la lesse . <■' Certo , egli dice , in vita mia non vidi tradu- zione più perfetta di questa. Le bellezze di che è piena son tante e sì risplendenti , che non lasciano in verità appuntare nulla, se pure vi fosse di non perfetto. Quanto a me , io non so finir di farne le maraviglie , e ben mi duole sino all' anima , che non ci abbia volgarizzato che questa, jj Delle Bellezze di Dante ha dato un estratto il no- stro Giornale nei primi Fase, del 1827 , al quale ri- mandiamo tanto più volentieri i nostri leggitori , per- ciocché il giudizio che ivi se ne fece fu pubblicamente allegato da un letterato valente contro al P. Villardi. E al già detto possiamo aggiungere 1' autorità di tale , a cui il Vannetti ( dedic. osserv. oraz. ) si confessava sem- pre obbligato quanto discepolo a maestro fosse giani- i34 mai. Questi si è 1' ab. Giuseppe Pederzaui , del quale r ab, Manuzzi produce un brano di lettera al Cesari in data degli ii dicembre 1826 di Villa Lagarina. « Voi, « gli scrive , avete pigliati non due , si tre colombi « ad una fava. Il primo colombo è le bellezze del poeta , « che sì valorosamente , come il principal vostro scopo , « e sì chiaramente mi avete mostrate. Questo tuttavia «e non è il colombo per me principale j conciossiachè « di molte e molte io già n' avea da me stesso fatto « tesoro nella mia mente ; anzi mi sono di me non ce poco , si spesso compiaciuto , a vedere che noi an- te diamo d' accordo : il che mi par segno di verità ! Ma « il colombo più grasso e più grosso , e proprio da far « bollire col riso , è stata l' illustrazione chiarissima che « mi porgete de' luoghi o del tutto oscuri , o d' incerta « e dubbia intelligenza : hoc opus , lue labor. . . tanto ce che da qui innanzi voi sarete per me il principale ce commentatore. Ve ne bacio la mano. . . Il terzo co- ce lombo poi è la lingua vostra , dalla quale tanto ap- ce prendo. O che copia ! o che proprietà continua ! o ce che chiarezza ! così è , amico. Io posso bene ingan- ee narmi da me medesimo ; ma non ingannar voi ecc. » Questo è quello , soggiunge il Manuzzi , che di quest' opera sommamente laboriosa ed acuta ne pensano i dotti ed esperti lettori. Ne è da far caso. . . di quelli , le cui scritture fanno fede assai largamente a chiunque si co- nosce punto di queste cose , della poca loro perizia di nostra lingua e di Dante : essendo certissimo che altri non può dirittamente giudicare , ov' egli non sia di quella cotale scienza ed arte assai esperto, js Segue il Gh. E. a far in breve le lodi -delle Lezioni Storico-morali , della Vita di G. C. , dei Fatti degli Apostoli , e dei due tomi già pubblicati del Fiore di Storia Ecclesiastica. Di quest' ultima avremo forse a di- scorrere in altro luogo colle debite avvertenze. Ma il favellare in onore delle altre opere sarebbe oggimai un portar , come si dice , acqua in mare , non essendo per poco in Italia alcuno iniziato nelle belle lettere , che 235 non ne vegga e non senta ricordare gli alti pregi. « Le 17 orazioni poste alla fine de' tomi della vita di G. C, , riescono pure piene di robustezza e di forza , e di un cotal nerbo di maschia e terribile eloquenza , che non si possono leggere senza innamorarne. » Così il Manuzzi. Ma perchè non furono al Cesari profuse generalmente quelle lodi che tanto meritò con così fatte scritture? Perchè le materie da lui trattate non furono del tempo e della moda , e questo è il maggior peccato che possa avere un buon scrittore in vita sua. Né tra le opere del Cesari tengono 1' ultimo luogo le Novelle , le quali a quelle degli antichi novellieri si possono paragonare si per la purità della favella , e si per lo stile , e le quali forse vincono quelle nella moralità. Grande studio vi pose l'autore specialmente nelle parlate , nelle quali , me- moi-e di quanto aveva insegnato nella Dissertazione so- pra la lingua italiana , ha voluto gareggiare col Boccac- cio , e forse in questa pai-te non ha saputo affatto celar 1' arte , per quello che a me ne sembra, l-ie Odi d' O- razio in rime toscane non sono una scrupolosa e sco- lastica traduzione , ma una giudiziosa imitazione o parafrasi in una lingua pura ed elegante , espressa in modi gentilissimi e in uno stile tutto petrarchesco , che racchiude il fiore dei più purgati rimatori antichi. Nelle quali i-agioni sono fondati gli elogi che ne fecero al Ve- ronese il Tiraboschi , il Pindemonte , il Bettinelli , e lo sesso Vannetti. La Traduzione dell' Imitazione di Cristo del Kempis è così schietta , semplice e scorrevole , che meritamente vien riputata una delle migliori prose del tempo no- stro : lo che è abbastanza provato dalle edizioni molte- plici che ne veggiamo. E recò grandissima maraviglia a chi scrive V essere richiesto in una nobile città d' Ita- lia , d' una nuova versione di tale operetta , ove quella del Cesari non era veduta di buon occhio , ragione trop- po forte alla negativa di uno studioso , come anche a quella di un ardito. Le Vite di S. Luigi Gonzaga, e di Teresa Saodata , sono modelli di eleganza e di 236 purità , che invitano , finite che si sleno , a ripigliarne con diletto la lettura. Che diremo delle Poesie del no- stro Veronese ? Abbiamo di lui un volume di Rime Gravi, delle quali altre sono leggiadre e delicate sul far del Petrarca , altre s' innalzano alla robustezza e su- blimità dell' Alighieri , e tutte mostrano il loro autore poeta squisitissimo. In fine delle Rime si leggono anche alcune poesie latine di lui , gentili da vero e di buon sapore : tra le altre una versione in elegiaci della Can- zone del Petrarca Chiare , fresche e dolci acque ; la quale però , siccome a noi non pare volta nel convenevol metro, cosi a nostro giudizio cede d' assai a quella fat- tane da M. Antonio Flaminio. Fece il Cesari una bella traduzione in terza rima di una Elegia latina del P. M. Villardi , il quale non ebbe rossore di ristamparla quest' anno in Torino con altre cose sue sacre e profane. Essa traduzione è tale, che il Villardi stesso nel 1824 I» presentava al pubblico siccome un saggio laminoso non pur dell' intendere , ma e del fare dantesco di quel primo scrittore, die vanti a' nostri giorni la lingua italiana ( V. Il trionfo della Relig. nella persona di Pio VII). Che al Cesari fossero famigliari le grazie dell' aurea latinità è chiaro dagli Elogj , che tanto egregiamente egli scrisse nella lingua del Lazio , di Tommaso Cliersa raguseo (V, il nostro Giornale i8a8), di Benedetto del Bene , di Domenico Bellavite suo confratello , dell' ab. Luigi Trevisani , di Anton Maria Grandi , e di Giovanni Trevisani , ce tutti scritti , dice 1' ab, Manuzzi , con tanto garbo , nobiltà , ed eleganza di puro e schietto latino , che non si sa ben dire se 1' autore fosse più caro alle lettere italiane , o a quelle del Lazio, jj E qui , per finire 1' estratto della preziosa lettera che abbiamo finora seguito , dovremmo recare a mezzo 1' ono- revol giudizio che dell' Antidoto dà il Ch. E. 5 ma per non esser soverchj nel presente articolo , daremo in se- guito un preciso estratto di tutta l' operetta del gran Veronese. 287 Lettera ed Inscrizioni latine fatte dal Professore Filippo Schijssi per il Cardinale Giuseppe Spina. D< 'obblamo queste inedite produzioni alla gentilezza del Prof. Ant. Berloloni , il quale non ostante le gravi cure della sua cattedra e del dotto Giornale, che assieme ad altri eh. Prof, sta componendo , non dimentica il nostro Ligustico. Fa egli vedere , come oltre ai lavori della Fa- coltà di Botanica , per cui è chiaro in Europa , non che in Italia , è pure filologo assai pregevole. Prova di che sia la compilazione delle opere edite e inedite del Chia- brera , che a gran dispendio e fatica condusse a fine. Con questa cura fa pur vedere il Bertoloni , eh' egli non cessò mai d' esser legato con 1' animo alla Liguria , la quale dee vantarsi d' essergli madre ; ed ora che col ri- metterci queste eleganti produzioni ce ne inculca la pub- blicazione , pare che voglia fare ognor più conoscere as- sieme col merito di chi le scrisse , la stima che ha sem- pre nutrito per la sacra persona del Cardinale Spina , nome venerando e immortale alle città eh' ebber la sorte di possederlo. Tutti gli scienziati poi ammireranno , oltre 1' epistola dignitosa , le inscrizioni , nelle quali si scorge , secondo noi , la gravità , 1' eleganza , la concisione e la perspicuità , che sono le doti , che sugli esemplari del buon tempo delle romane lettere insegnò e pose in opera il moderno ristoratore dell'epigrafia , e a' di nostri pos- sedè in sommo grado il eh. Prof. Schiassi. E tanto detto abbiamo di questi due chiarissimi Pro- fessori , attestando solennemente , che come è vero me- rito in chi è lodato , cosi non è adulazione in chi loda. a38 lOSEPHO . SPINAE . CARD . EP . PRAENEST . LEG . PROV . BONON . PHILIPPVS . SCHIASSIVS S . Reditus tuus exoptatlssimus , Vir Eminentisslme , cum universam civitatem , quod facile perspicere potulsti , ingenti gaudio perfudit , tuni Doctores Arcliigymnasii , quod testari ipse luculenter possuni , mirum in modum hilaravit. Cum enim te ad unum omnes non soluin propter eximlam Provinciae administrandae sapienliam virtutumque omne genus praestantiani suspiciant , vemm etiani propter disclplinarum , quas eorum quisque profì- tetur fovendarum studiuni exardescens, incredibilemque in singulos humanitatem colant , ac prope diligant ; si- quldem absentiam vel ad paucos dies aegre ferebant luam , praesentia iterum frui , ac jucundissima illa tua oris , et sermonis suavitate beari , nunc posse laetantur. Ego vero quam prae ceteris gaudere debeam , tum prò eo , quo fungor , Rectoris Archigymnasii munere , tum prò sumnia , ac singulari , cpia sum semper abs te exceptus , Gomitate, et benevolentia , piane inlelligo. Porro laetitlae hujusce , quam utroque nomine ulique maximam sentio , verbis autem exprimere vix possum , significationem tibi exhibere aliquam cum veliementer cuperem , sin minus satis apte , at certe haud omnino inopportune me factu- rum sum arbltratus , si quos haud brevi annorum spatio in Archigymnasio sermones habui , quum jurisprudentiae laurea juvenes bene multos exornarem , eas Tibi siste- rem ; nempe illud fore confisus , ut rem quantumlibet tantulam , quae tamen ad Archigymnasium pertineat, eaque ex me ( audacter enim dicam ) prodeat , gratam. acceptamque habere velis. Hos igitur sermones Tibi haud timide , uti meis de rebus et solco , et debeo , sed contra fìdenter si defero , minime abs te culpae mihi vertendum. censeo, quod nimirum argumentum id sit eximiae tuae virtutls, rarissimaeque benignitatis. Cura diligenter vale- tudinem tuam et Proviuciae nostrae , et Archigymnasii bono , et Tuo. a39 lOSEPHVS . SPINA . CARD . DOMO . SARZAKA . EPISC . PRAENEST . LEG . PROV . W . QVEM . OB . INSIGNEM . INGEMI . PRVDENTIAEyVE . LAVDEM AETATE . IXORENTI . IN . GRAVISSIMIS . NEGOTIIS . VERSATVM PIVS . VI . PONT . MAX . ^OMIlfIS . ClIRISTIANI . OESES AEnVMNAft . SOCIVM . PROBATISSIMVM . CARISSIMVMQYE . AD . EXITVM . YSl^VE . HABVIT PIVS . vii INTER . PATRES . PVRPVRATOS . ADLECTVM ET . FOROLIVENSIB . ET . BOJfONIENSIB . REGVNDIS . DATVM AD . IMPERATORVM . ET . REGVU . MAGNORVMQVE . PRIMCIPVM . COMVENTVM ' EVBOPAE . COMPONENDAE . CAVSSA . INDICTVM . NAVPORTVM .ET . VERONAM . MISIT QVVM . EX . PRAECLARISSIMA . PROVINClAE . ADMINISTRATIOKE AC .DISCIPLINIS .ET .LITTERIS .BONISQVE . ARTIBVS . FOVENDIS . IMPEKSE . NAVATA .OPERA SINCVLORVM . ClVlVM . PRAECONIA . ATQVE . AMOREM . ADEPTVS AD . VALETVDINEM . ETIAM . INCOLARVM . ADVENARVMQ . MENTEM . CONVERTISSET VIAM . AD . TUERMiS . HASCE . PORRECTANAS , QVAE . AngVSTA . ET . ASPERA . COMMEANTES . DETERREBAT ANTE . ANNOS . Vili . LAXARI . MVNIRIQVE . COEPTAM .AD .XX . M . P . PRODVCEKDAM irSAQVE . BALNEA AEDIBVS . INSTAVRATIS . LABRlS . EX . MARMORE . CELLISQ . POTORIIS . AMPLIATIS . AVCTIS IH . MELIOREM . FORMAM . REFICIVNDA . OMNIQ . INSTRVMENTO . ET . CVLTV . ADORNANDO E . PRAESCRIPTO . PETRI . PANCALdI . SVMMI . PRAEP . AQVAR . ET . VIAR - PER . PUILIPPVM . ANTOLINVM . ARGUIT . CVRAVIT QVORVM . VIRI . EMINENTISSIMI . IN . PATRIAM . BENEFICIORVM . MEMORIAM PETRVS . DA VIA . MARCH . LODOVICVS . ISOLANIVS . COM . CAMILLVS . GRASSIVS . PETRVS . CONTIVS . CASTEt.LIVS , MARCH . nil . VIRI . A . COKSVLTATIONIB . PVB . SECVNDVM . VOTA . POPVLI . VNIVERSI SAXSO . INSCRIPTAM . POSTERITATl . PROPAGANDA»! . CVRAVERVKT A . M . SCCC . XXIIII 34o (plani meleti in aemima) lOSEPHO . 3PIWAE . CARD. Leg . Prov . Foroliv . Qvod Anno M . Dccc . xvii . Fame . Et . Letali . Morbi . Vi . Grassante Ingenti . Pecvnia . Adsignata Cvram . Agente Ivlio . Verzaglia . Ab . Act . Pvb . Oppidanos . Piati . Mileti Et . Vicanos . Commvnivm . Decem Tertiam . Amplivs . Partem . Ab . luteritv . Vindicaverit Frane . Melchior . Pancerasivs . Praetor Lavrentivs . Fvzzilivs . Mag . Mvn . Praesidi . Optimo . Providentissimo FOROLIVII ( In fronte Aedium publicarum ) Avctoritate . Providentiaq . Pii . vn . Et . Leonis . ^ . PP . MM . Stanislavs . Sanseverinvs . Card . Leg . Prov . Opvs Id lOSEPHO SPINA Card . Leg . Decessore Propositvm Perf . A . M . Dcccxxvi . i a4i B 0 N O N I AE ( In porticu Mariae Lucanae ) AunO . M . DCCC . XX . lOSEPHO . SPINA . Card . Leg . Karolo . Oppizzonio . Card . Archiep , In . Honorem MARIAE . SANCTAE . GENETRICIS . DEI Caelestis . Patronae . Bonouiensivin. Praefectl . Tempio . Et . Porticibvs . Tveadis Fornices . Novendecim . A . N . dlxxviiii . Ad . N . dlxxxxvii . Qvvm . Ex . Mvri . Centra . Monlis . Labem . Facti . Inclinatione Conrverent Mvro. Eod . Ab. Incollato. Refecto. Et. Ad. Verticem. Prolato Alveoq . Laterlcio . Caelestlb . Aqvis . Gorrivand . Addilo E . Conlatioue . Civivm . Provinciaeq . Vnlversae Deqve . Reditibvs . Legati . Piniani Et . Stipe . Corrogata Per . Angelvm . Ventvrolivm . Archit . Restitvendos . Cvravervnt »42 Versioni poetiche : trattenimento poetico per la distribuzione de premj agli alunni delle Scuole Pubbliche di Genova Vanno iSag. K ' on è da tutti il tradurre , come volgarmente si crede : tante sono e si difficili le disposizioni che a bea farlo richieggonsi. L' incidere in un rame ciò che va- iente pennello ritrasse in una tela , e distendere in co- lori un"" immagine che con maestra mano altri animò m rozza pietra , è certo opera minore che il rendere perfettamente in una lingua i concetti dell" animo e i vai] affetti , che da eccellente ingegno siano stati espres- si in un' altra sua propria. Ond' è che su questa ma- teria ampj trattati scrissero i dotti , e scarso fu sem- pre il numero di quelli che ben 11 praticassero , ono- rati perciò di altissime lodi nella repubblica letteraria. Perciocché così fatta gloria da queste virtù non può esser disgiunta : somma perizia della lingua originale e della imitatrice, ferma cognizione degli usi religiosi, civili e militari della nazione , per cui scrisse 1' autore che si traduce, e grande conformità, e quasi emu- lazione d'ingegno, d'idee e d' afTezionl collo stesso: nelle quali cose è ristretto ogni dovere di chi si ac- cinge a tale impresa. Giovanni dell' Angulllara , die le- vò tanto alto il suo nome per le metamorfosi , fu mi- nor di se stesso nel primi due libri dell' Eneide : Ales- sandro Marchetti , in cui parca che fosse passata l' a- nima di Lucrezio , venne dal Lazzarlnl fatto conoscente di »©n lievi errori, e dementino Vannelli rivide il pelo di santa ragione al Corsetti , all' Aquila , e al Borglanelli , che con forze troppo disegnali tentarono di affrontare Orazio. Trattasi di raggiungere menti su- bllmissime nelle vie più malagevoli che s' abbia 1' u- mano intelletto. Or chi prenderà a raffrontare le Ver- 243 sioni Poetiche , le quali formano il titolo di questo trat- tenimento , coi loro originali , concederà di leggieri all' egregio Traduttore un vanto da tanti ambito , e da si pochi meritato. Della cantata non facciam motto, per- chè vide la luce : porremo qui a soddisfazione degl' intendenti alcune cose soltanto, le quali facciano più chiaro quanto si disse di sopra. Dalla poesia greca sce- gliamo il Cantico di Tirteo dall' elegia sensatamente trasportato al ditirambico j dalla Provenzale la forte e nobile Canzone di Bonifacio Calvi , che puossi vedere in prosa nel tomo I della Storia Letteraria Ligustica ; un Sonetto del Camoens , e una Favola dell' abate Meli saranno un saggio della Spagnuola e della Siciliana- Cantico di Tirteo. Se prole d' Ei'cole Invitto siete , Deh ! non temete: Che Giove fino ad ora Da voi non torce il volto. Lo stuol che folto S' accampa , in voi Timor non desti : Ciascuno appresti Lo scudo , e volgalo Contro al nemico. Meglio è la vita Lasciar sul campo j ^Meglio di morte Correr la soi'te Nera tremenda , Che vinti , i rai Veder del sole Che a servi splenda. 244 Di Marte 1' opere son lagrimevoli , E ben v' è noto. Lieto , o funesto , Della pugna il furor sempr' è molesto. Ritrarvi ad arte j in fuga Cacciar le avverse schiere , Voi pur sapete , o Giovani : sovente L' opra vostra fu cpiesta. Chi saldo resta , E del vicin guerrier si fa colonna j Chi al nemico lontano Corre animoso , è rado Ch' ei combattendo caggia j E chi dietro gli viene , Salvo mantiene. Ma del codardo muore Ogni vigore. Chi mi dark parole Atte a spiegar gli affanni D' uomo greco , se vinto E tratto in terra ostil di ferro cinto ? Vergogna è dar le spalle , E sul tergo ricever le ferite j Turpe giacer sul calle Di polve lordo , e il dardo aver sul dorso Tenacemente infisso. Chi sua virtù rimembra , Su l'uno e 1' altro pie si tenga fisso , E co' denti le labbia Morda , e coli' ampio scudo A' piedi faccia schermo , Alle spalle ed a' fianchi , e al petto ignudo : E nella destra mano Faccia crollare V asta poderosa , Ed agiti il cimiero Sull' elmo ogni guerriero. Forte adoprando impari L' arte del ben pugaar. Chi scudo imbraccia 245 Non volga la faccia Dal ferro inimico ; Ma fatto vicino , O d* asta o di spada Trafìgga il nemico. Battasi scudo a scudo , Al piede il pie si serri , Ed elmo ad elmo , ed a cimier cimiero , Ed urti al petto il petto. Stolto è colui , che pavé Dell' oste avversa il furibondo aspetto. Canzone di Bonifacio Calvi. Già non m'è grave s'io non son pregiato D'està selvaggia tanto, ed aspra gente j Né mi sarebbe grato Averne l'amistà, che d' uom valente Degna non è. Ma pur forte mi grava Ch' io li veggo discordi ; Che se fosser concordi Vittoria avrien di gente altera e prava. Ali ! Genovesi , ov' è 1' alta prodezza Che a^ Veneti mostraste un dì pugnando ? Par che vostra alterezza Dall' onorato petto stiasi in bando ; E ne han dolor cocente i vostri amici/ Che se discordia in seno Voi non covaste , il freno Porreste , e non già lento , a' rei nemici. Ma la discordia è sì salita in alto , Che se non c;ide, a voi cader fia forza,- Che non 1' ostile assalto Per cieco battagliar civil s' ammorza. L' aver di voi vittoria non ò lode ; Io sì volgo in pensiero , E sì mi ditta il vero j Che ad uom conquiso non fa guerra il prode. 246 E se non fosse subita follia Che il popolo in due parli oggi ha divìso , Non ardirebbe il viso Mostrar la Gente, che tremava in pria 5 E nelle sue lagune chiusa e stretta Non avrebbe consiglio: Si turba nel periglio Chi paventa condegna ostil vendetta. Ira il nemico sprona , che già 1' onda Del proprio sangue avea fatta vermiglia } Ed ora si consiglia Di calpestar de' Liguri la sponda. Pur son que' dessi , che non fean dì sprone A tre nostri guerrieri Dar con trenta destrieri. Così, Città discorde, il ciel dispone. Venezia , tu ben sai Se de' Liguri il braccio sia posente ; Che per molli anni avevi Cai/ion dì starne liniida e dpleule. Sonetto. Il vivo raggio cristallin sen già Per l'orbe, e il diftondea 1' allja gemmata Quando gentil , ma lenta e sconsolata Dalla capanna sua Nice partia. E i begli occhi , onde il sole impallidia , E le guance di lagrime bagnata , Di se , del fato , del tempo sdegnata , In questi detti l' infelice uscia. Nasci sereno sol puro e lucente , Risplendl , o vaga rosseggiante aurora , E r alme tristi sian per voi contente. Io noi sarò j che troppo si addolora Per interno desio la cieca mente ^ Nò lieta avrò , nò piti tranquilla un' ora. 247 // convito da' Topi ( tradotto dal Siciliano del Meli. ) Un topo d' alta stirpe , perchè nato Jn vetta a un campanile , essendo un giorno Disceso a terra , vide in un fossato Non pochi sorci alle immondezze intorno : N" ebbe dolor , e disse : ah J miserabili j Poscia parlava lor con modi affabili : E non vorrete ingentilirvi ? E quando ? Perchè abitar le terre sporche e basse , Un' aria infetta sempre respirando ? In me vorrei che ognuno si specchiasse. • Sto in un palagio aperto ad ogni vento : Trappole e gatti astuti io non pavento. E per farvi veder eh' io dico il vero , A cenare con me doman v' invito ; Quando va il sole nell' altro emisfero , Venite tutti con buon appetito ; T^anipicatevi in alto arditamente : Diman potrete esercitare il dente. I Topi disser , Signor sì. Contento Si parte ognuno, e desioso attende Il di fissato al nobil mangiamento , la cui trangugia più chi meno spende. Ma pii!i d'un Sorcio fu così gabbiano. Che andar non volle colle mani in mano. Chi porta un resticciuol di cacio fresco ', Chi bietole, chi noci, chi marroni. Rubò tal altro caldo pan sul desco , Chi rosicchiò le torte, chi i cialdoni: E così tutti al tempo stabilito Si furono trovati al gran convito. Del campanile intanto il barbassoro Con inchini profondi ed aria altera , Come persona amica del decoro , Riceveva la turba forestiera , 248 E la guidava sopra il cornicione , Ch' era il pezzo miglior della magione. I commensali stupefatti ammirano Il luogo , il bello aspetto , 1' eminenza j E lieti 1' aer puro alfin respirano : Poi si danno a mangiar con diligenza ; Che incivile è colui, clie a' cibi il sacco Non dà, qualor si può mangiare a macco. Mentr' eran sul più bello dello spasso , Il Sagrestano la campana suona. I Sorci non avvezzi a quel fracasso , Non sanno dir se fulmina , o se tuona ; Sembra loro die il mondo si sprofonde j Lo spavento gli aggira e li confonde. Quel Signore avea voglia di gridare , Statevi cheti ; ella è cosa da nulla ; S' affanna indarno : non li può frenare : Nel capo a' Sorci la paura frulla ; E correndo qua e là da smemorati , Tutti allo ingiù si fur precipitati. L' abitator del carnpanil sen duole, E dice : 1' han pur fatta la frittata. Ma perchè sarien vane le parole , Maugiam quel che portò la vii brigala. II traduttore avea finito qua ; Ed io v' aggiungo la moralità. li' esperienza fa 1^ uom dotto e forte , Sì che possa resistere costante Incontro ai colpi di nemica sorte , E il ben dal mal distinguer sull'istante, L'apparente dal vero: giova infine All' uom, ai topi, ai gatti, e alle galline. 249 Ricerche storiche su V India Antica . , . . di Gu- glielmo Robertson , con note , supplimenti ed illustrazioni di Giandomenico Romagnosi. Mi- lano, Ferrano 1827, voi. 2 in 8." con figure. N Articolo I." ominare il Robertson , egli è come allegare uno Scrittore diligente , graA'e , e giudizioso. Ma le ricerche storiche da lui fatte sull' Indie mal potrebbero venire al pubblico addì nostri senza un ricco corredo di sup- plimenti ; attesoché poco sapevasi dell' India a' tempi dello storico Scozzese ; non essendo che forse un trent' anni dacché gli eruditi si sono rivolti con sommo ar- dore a svolgere i libri , e a notare i costumi di quella famosa parte del mondo. Di queste fatiche de' letterati Europei si dorranno forse i protesi sapienti dell'Indie, veggendo che a misura che altri ne studia i libri , e n' esamina i monumenti , dileguasi tutta quella sognata antichità , e quella civilizzazione vetusta , e quel re- condito sapere che gì' Indiani s' arrogano ', giungendo eziandio a far credere tutto ciò a quegli Europei men dotti , che a sorte giungono alle fattorie che vi hanno gli Occidentali. Checché sia della semplicità di alcuni de' nostri , esaminiamo brevemente 1' opera del Robertson ( tradotta dal sig. Vincenzo Ferrarlo ) e le giunte del sig. Romaguosi ; facendo prima avvertiti i nostri leggitori , che cpieste Ricerche dello storico Scoz- zese sono come una introduzione all' altro suo nobil lavoro sulla storia d' America. Il più antico ed il solo autentico monumento delle prime età del mondo (dice il Robertson) sono i li- bri di Mosè. ce Erodoto , 11 piìi antico fra gli scrittori profani , le di cui opere sono giunte fino a noi, è poste- riore a Mosò di circa mille anni .... Seguirò con ri- verenza li sagri scrittori ( continua lo Storico ) in tutti que' luoghi in cui rammenteranno qualche circostanza atta ad illuminarmi in questo mio lavoro : ma tutto ciò che troverò negli altri autori sarà da me liberamente esaminato. » Il cammello servì a principio di mezzo al commercio delle vaste ed arenose contrade dell' Orien- te. Vennero poi i navigli j e il Mediterraueo coli' Eritreo servirono di comunicazione tra 1' Occidente e 1' Orien- te. I primi navigatori rammentati dalla storia sono gli Egizj e i Fenici . Ma de' primi abbiamo poche notizie e non ben certe. Sesostri giunse a mettere in mare una flotta di 4oo vascelli , per quanto ne dicono alcuni sto- rici : nel tempo stesso coli' esercito « penetrò nell' Asia , la conquistò tutta fino alle sponde del Gange , e ira- versando questo fiume , non si fermò che dopo d' esser giunto all' Oceano Orientale j ma gli Egizj, alla morte di Sesostri , tornarono subito all' antico loro abborrimento per la navigazione ', contenti de' prodotti del fecondo lor paese, » Qui il Robertson appicca una nota , in cui ci avvisa delle contraddizioni e delle favole clie si trovano in Diodoro riguardo a Sesostri , specialmeute sulla pre- tesa conquista dell' India. Ma il sig. Romagnosi con piìi sottil critica dimostra che se il Robertson avesse se- seguitato Erodoto , non Diodoro , avrebbe conosciuto che Sesostri non conquistò tutta 1' Asia , e molto meno pe- netrò nell' India. Aggiunge poi 1' annotatore italiano un suo sospetto ; cioè che Sesostri fosse non Egizio , ma «n Re Etiope , che giunse a conquistare l' Egitto. Que- sta nota merita d' esser letta e considerata. I Fenici , specialmente que' di Tiro , furono illustri navigatori, e ricchi mercanti, ma pur non abbiamo che poche notizie di un popolo sì celebrato e sì potente , che traeva dall' Indie mierci preziose , e vendevate a tut- ti i popoli dell' occidente sul Mediterraneo. A questo luogo dello Storico Inglese , aggiunge una nota, o me- glio , una bella dissertazione il sig. Romagnosi , nella qua- le dimostra che i Fenicj di Tiro e Sidone ecc. vennero 2^1 dall' Arabia meridionale ; e precisamente discesero dai Sabei , od Omerlti , antico popolo dell' Arabia ultima (Yemen) sull'Eritreo , dato alla navigazione ed al com- mercio ne' secoli da noi più remoti. Ed intanto castiga la temerità di Voltaire , il quale fìnge eh' Erodoto di- cesse quello che mai non disse , per trarne occasione di metterlo in ridicolo. Degli Ebrei , come popolo anticamente più tosto agri- coltore, che navigatore, spicciasi il Robertson in poche parole ; non ommettendo per altro di far osservare che « sotto i regni felici di Davide e di Salomone si tro- varono padroni di due porti sul mar Rosso " e che Sa- lomone mandava le sue flotte ad Ofir ; cioè a dire, se- condo una molto probabile opinione , non già nell' In- dia , ma ce neUa costa meridionale-occidentale dell' Af- frica fìno al regno di Sofala , paese celebre per le sue miniere d' oro e d' argento. " Ed a questa opinione non contraddice il dottor Romagnosi. Ben si oppone allo storico Scozzese , ove si lagna che i Fenicj mancassero di annali e di storie ; facendo vedere che gli storici Teodoto , Ipsicrate e Mocho , tradotti in greco da Le- to , eran Fenicj ; che Menandro di Pergamo compilò gli annali della Fenicia , e che Giuseppe Ebreo cita gli archivi ^^' Fenicj. Ma tutti questi monumenti sono perduti. Quanto alle comunicazioni de' Persiani coli' India , abbiamo notizie superficiali e dubbiosissime. Dario, figlio d' Idaspe , spedì Scilace giù per l'Indo a rico- noscere il paese bagnato da questo gran fiume ; ma la relazione data da quel Capitano è piena di tante fa- vole , che etiamsi veruni dicil , amittit fidem. Dario conquistò l' India fino al fiume , da cui prende il no- me } e il tributo che il monarca Persiano ne ricavava era , secondo lo storico inglese , quasi eguale al terzo di tutte le rendite del regno di Persia ; e da questo vuole il Robertson che « si debba concepire la più alta te idea della opulenza e della popolazione di que' paesi « ne' rimoti tempi. " Ma il dotto Romagnosi emenda nella nota 1' error dello storico , provando che la ren- dita considerata da esso come quella di tutta la Persia, non era che una parte de' tributi , cioè quella destinata al Re medesimo ; o come oggi dicono , la lista cwile. Bellissimo è 1' articolo del Robertson sopra Alessandro Magno , e la sua spedizione nell' Indie , ed un' anno- tazione del Romagnosi, rettificandone alcune idee, lo rende nel suo genere perfetto. Quanto al commercio de' Romani coli' Indie , savie sono le considerazioni del nostro storico j e l'annotatore italiano con una giudiziosa, ma troppo ( a parer nostro ) acerba invettiva contro all' operetta del commercio de' Romani scritta dal Cav. Mengotti (Vedi il n. Giorn. 1829, pag. . . .) abbatte i sofismi di « quei male informati o malevoli scrittori « ( sono sue parole ) i quali ci dipingono i Romani co- « me una masnada di ladroni che devastano e sacclieg- « giano , e indi non pensano ad altro , che a con- « sumare le prede ammassate, jj Le guerre quasi continue de' Greci Imperatori contro a' Persiani , e il monopolio della seta , che questi ul- timi volevano fare , a gran danno de' Greci , spinsero 1' Imperatore Giustiniano a favorire il progetto di due monaci Persiani , i quali penetrati nella China , e tolta di soppiatto una discreta quantità delle uova de' bozzoli , la laccarono in Grecia , donde passò in Sicilia e nelle altre parti d'Italia : con che fu tolto l'annuo tributo gra- vosissimo che si pagava dalla vanità de' nostri all' in- dustria de' Cinesi. Ai Maomettani arabi , o Saraceni , dobbiamo migliori cognizioni dell' India , ed eziandio le prime notizie della China. Due viaggiatori Musulmani recaronsi in quelle due vaste contrade nel secolo IX, e la relazione del lo- ro viaggio fu pubblicata 1' anno 1718 dal dotto francese Renaudot. Noi qui trascriveremo una parte della nota 28 del Robertson : ce Alcuni autori hanno preteso che « gli Arabi ed i Chinesi conoscessero appieno la bus- " sola , e ne facessero uso nella loro navigazione. Però « in niuna delle lingue araba , turca , o persiana vi « è un vocabolo proprio per significare la bussola , 253 tt eh' è un vocabolo italiano j prova manifesta che la « cosa significata era per esse straniera del pari che il ce suo vocabolo .... Il Sig. Niebuhr trovandosi al Cai- cc ro , conobbe un Maomettano , il quale aveva una « bussola, che gì' indicava il Kaaba (il tempio della ce Mecca) e le dava il nome di el maguatis (il ma- cc gnete ) , dimostrando ciò ad evidenza che questo stro- cc mento proveniva dall' Europa, jj Le relazioni degli occidentali coli' Indie indebolite dopo la dilatazione de' Maomettani , preser nuovo vi- gore dalle Crociate. Osserva il Robertson che i Crociati nulla avrebbero potuto ottenere ce se non si fossero as- ce sicurati dell' ajuto degli Stati d' Italia ... le flotte de' ce Genovesi , de' Pisani e de' Veneziani accompagnavano ce sempre 1' esercito cristiano costeggiando . . . GÌ' Italiani ce prestavano ai Crociati il loro soccorso da veri mer- ce canti , cioè à solo fine d' interesse .... ottenevano da' ce crociati liberta di commercio , ribasso e anche esen- ce zione totale dei diritti d' introduzione e d' estrazione ce delle mercanzie ecc. ^ Qui vorrei sapere se sien de- gni di rimprovero gì' Italiani più che i Franchi e i Fiam- minghi. Tutti concorrevano al conquisto della Palestina: gli uni avean bisogno degli altri : gli Oltramontani si pren- devano i regni e i principati ; gì' Italiani stavano paghi ad alcuni privilegi commerciali. Chi aveva in ciò mag- gior interesse ? Un piccolo feudatario di Buglione , che diveniva Re , od un popolo che otteneva di avere un Console in Levante., onde non essere divorato dagli of- ficiali franchi , che nulla intendevano delle leggi del commercio ? I popoli d' Italia non avean mestiere che signori Fiamminghi sedessero sul trono di Gerusalemme, di Antiochia , di Edessa ; ma questi principi non po- tevano durarla contro agli Asiatici senza il soccorso degi' Italiani. Egli è verissimo che ce i Veneziani ebbero gran- di vantaggi di commercio finché 1' impero de' Latini ( Franchi ) si sostenne a Costantinopoli w ; ma se i Fran- chi non avrebber mai potuto farsi Sovrani di Costan- tinopoli senza le forze navali de' Veueti , come si pò- 254 Irà invidiare a costoro qualche privilegio di commercio ? I Greci , sdegnosi di viver sotto ai Latini , giunser o finalmente coli' ajuto de' Liguri , a scuotere il giogo , e ce questa rivoluzione ( dice Robertson ) fece divenire i Genovesi la prima potenza mercantile d' Europa m ; laonde i Veneziani si videro costretti a volgersi nuo- vamente all' Egitto , come fecero similmente i Fiorentini, Ma caduto l' impero Greco sotto il giogo de' Maomet- tani , i Genovesi perduta la Crimea , ed abbattuti da intestine discordie , dovettero lasciar libero il campo alla fortuna ed alla industria de' Veneziani , che si pro- cacciavano immense ricchezze nel secolo XV. Lo sto- rico Liglese cerca la ragione per cui il commercio coli' Lidie , che impoveri l' impero Romano , arricchisse la città di Venezia , e ne dà in parte alcuna probabile ragione ; ma non tocca la principale , eh' è la seguente. Quando la tratta di merci straniere , comperate a con- tanti , si consuma nel paese , che le importa ( per usare il linguaggio mercantile ) , è inevitabile l' impoverimento del paese compratore. Cosi accadde a' Romani. Ma quan- do uno stato trae da un altro , a contanti , moltissime merci , di cui consuma una piccola parte , e vende tut- to il rimanente ad esteri stati con notabil guadagno , allora il paese compratore si fa ricco , ad onta dell' interna consumazione. Fingiamo che Venezia si prov- vedesse in Egitto annualmente di tante merci Indiane per un milione di ducati , e che i nove decimi ven- desse agli esteri popoli , ed uno consumasse nella pa- tria j certo è (mettendo il guadagno al solo 20 per 100) che ogni anno ne avea il lucro di i8om. ducati. Né paja strano il 20 per 100, attesoché se l'interesse del de- naro può dar norma del lucro mercantile , noi sappiamo da coloro che pubblicarono con lor commenti le deci- sioni de' Tribunali Supremi , che fino a tutto il secolo XVI il prò del denaro valutavasi in molti paesi a 2 5, 3o , e 33 per cento j usura enorme, ma tollerata per necessità da' Sovrani. ce La prima comparsa ( soao parole di Robertson y 5 3 a re d' uno spirito più azzardoso nella navigazione , si può te fissare all' epoca dei viaggi degli Spagnuoli alle Ca- « naric. Ma per quale accidente fossero essi condotti re alla scoperta di quelle isolette .... gli scrittori con- ce temporanei non 1' hanno spiegato, ^j Oggidi è certo e noto a tutti , che la scoperta delle Canarie si deve a' Genovesi. E scusabile lo scrittore Inglese , se non ebbe precisa notizia di questo memorabile avvenimento ; ma il dottor Romagnosi poteva supplire con una nota al di- fetto del Robertson, Noi intanto accenneremo brevemen- te un pregio de' Genovesi , che solo basterebbe ad ono- rar questa patria ; e che farà vie meglio conoscere quan- to sarebbe a desiderare che le belle imprese de' nostri maggiori fossero poste in chiara luce j e a chi si stu- diasse di porvele, non mancasse , almen in parole , c[ual- che segno di grato sentimento. Quattro sono le grandi vie del commercio praticate dopo il risorgimento delle arti e delle lettere , cioè do- po le Crociate : I. Il viaggio all' Indie pel capo di Buona- Speranza. E questo per la prima volta fu tentato nel secolo XIII da un Vivaldi e un Doria , che giunsero nell' Abissinia. Di che abbiamo la testimonianza non pur del nostro Foglietta , ma si del padovano Pietro d' Abano , scrlt- lor contemporaneo ; oltre a' documenti pubblicati dal eh. Graberg ne' suoi Annali di Geografia e Statistica. Chi scrive questo articolo lia sotto gli occhi un documen- to inedito , e coetaneo , risguardante a un marina) o che fuggi dalla nave Vivaldi , sulla quale si era obbligato di andare all' Indie : II. La navigazione sul Caspio ; importantissima a rac- cogliere le merci dell' India e della Persia, specialmente le sete , per trasmettei'le all' Occidente. Ora , i primi degli occidentali , che si sappia aver navigato sul Ca- spio _, sono i Genovesi. Ne aJabiamo la testimonianza del Polo , insigne viaggiatore veneto , avvertita per la prima volta da S. Em. il sig. Cardinale Zurla nell' opera de' Viaggiatori Veneziani , e poi dall' autore della Storia 256 letteraria della nostra Liguria ; e finalmente dal dotto Conte Baldelli nelle sue illustrazioni al libro di Marco Polo : in. La via di ponente , cioè del nuovo mondo j aper- ta , come è noto , da Cristoforo Colombo : IV. La via dell' Indostan per acqua fino al Caspio j e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi sino al Baltico. Questo maraviglioso concepimento dobbiamo a Paolo Centui'ione , che fioriva nel iSao ; del quale trattò Paolo Giovio nelle Cose di Moscovia, il Consigliere Karamsin nella Storia di Russia , e 1' autore della citata Lettera- tura Ligustica. Se ne ha pure un cenno in quest' opera del Robertson , ma senza il nome dell' immortai Ge- novese. Di già corron le navi dal Baltico al Caspio ; ma non potranno dal Caspio andare all' Indo senza la com- binazione di molte circostanze che stanno chiuse negli arcani della Previdenza. 2D7 Cajetani Laurentii Month in Legem Xll Tabu- larum de Dissectione Oboeratoium Sermones qiùnque. Bononiae , ex officina Sassiana. Per- niissLi Pi^aesidum. An. mdcggxxviii. Oi cerca ia questi eleganti sermoni , se in forza della citata legge , tratta da un frammento di A. Gellio , i creditori avessero sulle persone dei debitori , incapaci a pagare, lo stesso diritto di vita e morte, che i signori verso gli schiavi. Molti interpreti stettero pel sì ; i più si avvisarono , che ove i creditori d' un sol debi- tore fossero stati pili in numero , avessero piena facoltà di pigliarlo vivo , e mettergli il corpo in tanti brani , quanti uè fossero i creditori , onde ciascuno venisse sa- tisfatto prò rata. Gellio introduce a disputare del senso di questa fiera legge il filosofo Favorino con certo Ce- cilio. Finge egli che tutti e due consentano della equità di essa legge , ma che Favorino le dia taccia di troppo dura , e Cecilio ne la dichiari fatta per tenere fedeli i debitori , mercè la sola orribile minaccia di quella car- neficina , ne ad, eam ( poenam ) uiiquam deveniretur. Ora il Monti la intende ben altramente : « Verum ego ce rem totam allter suscipio , aliter , nisi mea me fallii ce opinio , legis sententiam non a teterrlmae solum cru- cc delitatis , sed etiam ab omni imprudentiae nota vin- ce dico. 3i Perchè prende a provare , come per le ro- mane leggi non fu mai conceduto ai creditori di met- tere a morte i debitori , molto meno squartarli vivi, ce Nimirum sic existimo , sic oplnor , sic scntio , non ce licuisse unquani per romanas leges creditori culqnam. ce judicatun^ addictumque debitorcm neci tradere, multo ce minus ejus corpus , si plures creditores essent , quasi ce ad ludibrlum dissecare : ncque tale quldquam ex lege ee xu tabularum , quam Gellius refert , iillo modo col- 258 « ligi , ac oinnino legis illliis vcrba FavorinUm , et Cae- « cilium , et ceteros omnes , quotquot in eadem sen- « tenlia fueruot , durius quani res postulabat , esse in- « terpretatos 33 (1) . Con che il Monti , non reggendogli il cuore di tener Roma d' animo si feroce , quale fu tacciata da Orazio e d' altri Romani , si studia con molta erudizione e bella industria , di provare il suo mite assunto , e difenderlo dalle opposizioni de' più ri- nomati giuristi. Se a ragione sostenga il Monti questa sua opinione , sei veggano gì' intendenti di siffatte ma- terie. Noi lasceremo la cosa in mezzo , e volentieri ver- remo nel parere del eh. Prof. Schiassi , editore de' Ser- moni del Monti : ce Etiamsl a Montio non steterls (scrive egli nella lettera dedicatoria all' Avv. Mazzolani ) , ejus ce certe ingenlum versatile , quod de Catone affirmat ce Livius , ac piane incredibilem in eo argumenti genere ce ab Historlae Naturalis et Botanices studiis , quae illius ce propriae fuere , tantopere dlssito , cognitionem vehe- cc menter admirnberis ; admiratus equidem ipse sum , ce atque admiror in dies. jj Quello che ogni colta persona ammirerà in questi Ser- moni si è per mio avviso 1' aurea dizione , onde furono esposti. Come pure sarà giocondo leggere innanzi d' ogni sermone una lettera latina , che lo Schlassi intitola a per- sonaggi , i quali , oltre a più altri titoli , tutti risplen- dono per sapere , e stretti sono per amistà non pur a lui , che al nipote suo , che molto cooperò all' accura- tezza della edizione. In queste lettere la urbanità de' pen- sieri viene esposta con tale semplicità ed eleganza di lin- gua , che ci pare di poter dire , e con più di ragione , dello Schiassi quello che Cornelio Nepote ne lasciò scritto di Pomponio Attico : Tanta erat suavitas seimonis la- tini , ut apparerei in eo nativum quemdam leporem esse , non adscitum. Rari sono gli uomini che scrivano con tanta maestria , né fra gli ostacoli da sormontare per giugnere a si nobil (1) Serui. pjini. 2D9 meta , è ultimo la barbarie di lingua con che vengono trattate nelle scuole le scienze sacre e profane. E che monta egli che il giovane sino a tutto il corso di belle lettere siesi formato sugli scrittori immortali dell' età di Augusto , se poi cade e resta inceppato a più anni in quella barbara terra ? Ivi pende in tutto dal poco Cartesiano Dottore j sentesi intimare questa comoda legge ; Tienti alle cose , non curar parole ; ed egli vi si adagia , senza intanto avvedersi che passa il poverino a far di- mora di lunghi anni in paese di cattivo dialetto , per poi tornarne a' suoi non più inteso e deriso. E perchè dunque non si torrà una volta di mezzo questo barbaro costume? Perchè tanti corsi di scienze avvolti in rozzo pallio hanno a passare per discendenza al pedanti ? Per- chè non sorgerà mai un uomo d' alti spiriti , il cpiale mentre s' informa ai sani principi e fa tesoro dell' am- pie cognizioni che si ricercano a comporre un trattato scientifico , non dia opera ad un tempo alla purezza della lingua latina , con alla mano ora i pochi autori che elegantemente scrissero della Facoltà eh' ei vorrà un dì professare , ed ora le opere didascaliche dei Classici dell' età d' oro ; onde inslem con la lingua lo stile ap- prenda di ben comporre e svolgere il suo scientifico trat- tato ? Tanto ci vuole perchè un uomo sì ben augurato riesca Lettore di tal merito , che in un col retto pensare accoppiar sappia il bello scrivere e 11 bel parlare. Di questo nobile sforzo grande gliene verrebbe il fratto : imperciocché polrlasl meritamente vantare d' essersi da per se abilitato ad insllUare negli animi della gioventù il sapere , senza spogliarla dell' arte del ben parlare j dì saper anzi accoppiare con si bel garbo la gravità delle scienze con 1' amenità delle lettere , che nò l' una mostri più severità in viso , né 1' altra più leggerezza. E nel corso di pochi anni , tanti e tali allievi uscir vedrebbesi dalla sua disciplina , che uomini dotti insieme ed eleganti scrittori anche nella maestosa lingua del Lazio , non saria in Italia merce si rara. iGo Lettera settima sulla Predicazione. (V. fascicolo 5.° anno 1828.) Mio don Fidelmo , Oe vi ho sempre avulo in conto di assai docile per- sona , non è per questo eh' io più fiate non mi sia av- veduto , che quanto al modo di scrivere voi pendevate un cotal poco al romantico. Il che era facile a congettu- rarsi, veggendovi usare con di que' ragazzacci, i quali con certa boria di taglia e squarcia ci vorrebbero far "veduto , come a riuscire ottimo scrittore è da lasciare lo studio a' pedanti , e solo aver cuore di abbando- narsi scrivendo ai liberi moti della fantasia. Ora poi che da costoro vi siete allontanato , e 1' animo avete volto alla lettura dei classici scrittori della nostra lin- gua , provate chiaro , non pure di avere lasciato il male, ■ma d' esservi appigliato al bene. Vedo infatti la scelta che vi siete fatto di questi scrittori , e con che ottimo discernimento ne avete tolto dal trecento , dal cinque- cento e da secoli appresso sino al presente. E già tanto durato avete in questo beli' esercizio , che il vostro stile trae da essi colore , a modo di chi camminando al sole imbruna senza avvedersi : e se vi sono di tanto diletto , è certo indizio , che nel buon gusto già siete ito innanzi di assai. Ben or il vedete se nel Boccaccio sia riposto il gran tesoro di nostra lingua , e se tol- ti pochi modi e pochi vocaboli iti in disuso senza depauperare la lingua , e quel suo periodare un po' troppo latino , sia egli il primo maestro del bello scri- vere. Tocco avete con mano , che il Passavanti , il Cavalca , le Vite de' SS. Padri , e il Paudolfinl non sono poi cose tanto umili e vuote di filosofia , come si va gracchiando da chi non vuoisi dare il pensiero 26l di legger prima di giudicare. Coa ragione vi lia sor- preso la gravità del Segretario Fiorentino , la copia del Guicciardini , e Incantato le delizie del Caro. Avete ■visto che non sono tanto parola] il Gasa , il Bembo , Alberto Loglio , con altri parecchi ; siccome forti sono ed efficaci il Davanzati , e il Bartoli ovunque è scevro da seicenterie. Ma il P. Segneri per la materia che tratta , vedo che vel toglieste a vostro Achille. Non vi par dunque più esagerato il giudizio oh' io ve ne ci- tai , se un tal giudizio piacevi udire di nuovo , con di più il nome di chi lo diede. Eccovi al piacer vostro: « Del Segneri chi più squisitamente ti ammaestra ? Chi « più caldo ti muove ? Chi più abbondante, concitato, « magnifico? Purgalo di poche metafore ardite quanto « concedevalo o piuttosto chiedevalo l'età sua, e poi « vedi in tutte le altre parti il solo oratore degno di « parlare ad uomini italiani : agli eredi cioè di quel e popolo , cui parlò M. Tullio. » Così ne lasciò scritto Giulio Perticarl : e asserì nobilmente davvero. Voi pe- rò, che vi capite bene di sacre dottrine, e avete letto a vostro bell'agio le opere del Segneri, non so se sa- rete così indulgente , di averlo per tanto squisito nell' ammaestrare e tanto parco di ardite metafore. I gio- chetti , onde spesso va egli chiosando le parole del sacro testo allegate nel senso cosi detto accomodati- cio ; l'Impasto di scienze e storie sacre e profane, mi pajono cose che ora offendano troppo II buon senso , e snervino l'elocuzione. Che però Io vorrei, che come altri ben si avvisò di analizzare le prediche di questo celebre oratore onde mostrarne la tessitura ciceroniana, così pur notato ne avesse cotesto altre taccherelle di qualche peso. Della lunga schiera d' oratori che dopo il Segneri sorsero di tempo in tempo sino a' dì nostri , certo non troverete alcuno che tanto vi appaghi j e avete fatto buon senno a non leggerne. Qu(^ est autem ut homi-. uibus f a dlrvela con Cicerone, tanta pen^ersitas , ut iiwentis J'rugibus , glande vescantur ì Trovereste per 262 la più parte divisioni e suddivisioni , turgidezza di pen- sieri, matto furore di sonanti parole, e nulla più. Vedreste come eglino caddero in questa falsa maniera di comporre , parte perchè di niua altro artifizio ora- torio si premunirono , che del saper amplificare con parole le cose piccole, che è poi l'anima de' ciarlata- ni j parte perchè non ravvisarono maschia eloquenza se non ne' francesi predicatori. Nel che se costoro furono accorti nel vedere nella sacra oratoria francese quello che 1' Alfieri scorsevi nella tragedia , non seppero come lui trovare i mezzi di emulare e soverchiare quella tanta superiorità. Non siate però tanto rigido da far brutto viso a chi non è Segnerl : che le dotte lezioni del P. Granelli sono tenute pregevoli per quello ancora che spetta a buona lingua : come pure sono per tal pre- gio quelle fatte intorno a Ruth; del cui autore, se ver- rà in luce anche il quaresimale, avrete un nuovo esem- pio e stimolo che vi scorga alla perfezione dell' arte vostra. A questo luogo mi torna in mente il parere che mi chiedeste intorno al merito del P. Cesari , che con di molte opere arricchì l' italiana predicazione : ma in que- sto non mi avete condiscendente ; vi esorto invece a formarvene posato giudizio da per voi. Schieratevi in- nanzi quanto ne dicono prò e contro le persone di vaglia. Fate come chi , avendo a dar giudizio del me- nto oratorio d'Isocrate, cerca la prima cosa, che ne pensarono antichi e moderni : Cicerone , che appella quel greco oratore padre dell' eloquenza , grande ora- tore , perfetto maestro , e che conchiude ; « Isocrate « avea soavità , Lisia sottigliezza , Ipericle acume , « Eschine suono , forza Demostene. Quale non egregio « di tutti loro? 3> Quintiliano, il Volfio , e T Anger concordi ad esaltare il merito d' Isocrate. Al contrario Ermogene, Longino, Plutarco, Bruto, Fenelon , che non trovarono in lui alcun che di buono e che gli dan- no taccia di freddo , non atto ad altro che a dare ar- monia alle parole. 263 Colali cose trovo io scritte di quel greco oratore , e di consimili odo tutto giorno del P. Cesari. A voi dunque che fornito siete d' ingeguo e di animo moda- li rato , a voi tocca leggere e ponderare le opere sacre ' di lui , e veder poi con quali regole di critica proce- da cosi clii gli dà lode , come chi lo condanna j tanto che in fine ne proferiate il vero giudizio. Una cosa che molto più mi sta a cuore , quella è , che voi nella lettura che fate de' classici scrittori ita- liani , altri vi prendiate a modello di stile semplice , altri di sublime , ed altri di temperato , onde vi ci conformiate secondo il bisogno. Il che mi par tanto trascurato oggidì , che di molti predicatori diresti quello che il Gozzi cantò de' poeti dell' età sua : Bello è che ai casi di Medea si rida , E orror muova lo Zanni t)ggi cucir si puote Lo scarlatto al velluto , augelli a serpi , Polli e volpi accoppiar , pecore e lupi. Bastan festoni d' annodarli ; lega Per la coda o pe' piedi , io non mi curo. In qualunque poi foggia prendiate a scrivere , pare a me poco piacevole quel genere di stile , che procede per continui intoppi di latini testi j e spesso in cose talmente ovvie, che l'oratore per ciò appoggia ogni suo detto all'altrui, che non vuol darsi briga di for- mare una sentenza di proprio capo. Intorno al che io direi : o gli uditori intendono questo latino , o non. Se intendono, dalla sostanza si avvedranno della allega- zione , e il dicitore apparirà più profondo nella ma- teria , quanto men mostra essere : che se poi di latino son essi ignari , ella è vanità parlare per non essere inteso. Che se per rispetto delle sacre pagine temeste per avventura di non rendere con esattezza il senso del testo , non mancano autentiche versioni , a cui appi- gliarsi. Tanto vorrei si facesse allora che si adopera la S. Scrittura nei sensi , di cui siamo d' accordo ; pen- sate come la sento di quo" barbassori , che prendono a 364 glilribizzare ampoUosllà sovra testi tirati per accomodo ! Quanto alle citazioni de' Padri della Chiesa e degli interpreti, basterà solo che non me ne alteriate il senso: nel che certo conviea saper bilanciare il valore delle due lingue , a voltar con fedeltà. Imperciocché , se per farmi intendere a mo' d' esempio , sino a qual grado abbia Iddio voluto innalzare la Vergine Madre , mi diceste con S. Bernardo, come "EWa Intellexitnaturain diviiialeni, e traduceste, ^ Maria fu nota perfetta- mente la divina natura , io vi direi , ove non can- celliate queir audace perfettamente , peccate forte e in latinità e in teologia. Che direm poi di que' tanti , i quali allegano del continuo lunghi squarci di latinità, senza né anche darsi la cura di voltarli nell' idioma in cui declamano ? Costoro non si avvedono che la fanno da que' dottoroni, che ne' giorni carnevaleschi svolazzano le vie tempe- stando latinamente in mezzo al volgo, che meno in- tende , più applaude. Ma che tanto scialacquo di cita- zioni latine sia da mettersi , veder potete con alla ma- no la versione del Kempis fatta dall' Ab. Cesari e la Manna dell' anima del P. Segneri , opere tutte e due intessute di passi tratti dalla Bibbia , e dai Padri. Nel primo legge con diletto cosi il dotto , come la donnic- ciuola. Non cosi nella Manna , che l'uno spesso provane sazietà , e 1' altra nulla intende di quel che si legge. E quanto a questa inconvenienza del non intendere, si avvide non ha molto quel buon uomo , chiunque si sia , il quale nell' edizione di Torino ai frequenti pas- si latini di quell' opera ha soggiunto a mano a mano mi letterale volgarizzamento. Con che , se si provvide agli ignari di latinità , si raddoppiò insieme la noia ai saggi, per cui quell opera venne scritta. Che però, se doveasi facilitarne la intelligenza , era da spogliarla di tanto latino, e sostituire ad esso una letterale versione, che più gli convenisse j o meglio , porre in calce que- sta versione , e lasciare 1' opera inalterata tal quale usci dalle mani dell' autore. E qui voglio che meco avver- 265 tiale , come questo mio consiglio di lasciare le citazio- ni latine, più che d'altrui, è contro l'uso appunto del Segneri. Perchè ben vedete eh' io non mi sarei in ciò aperto a persone attempate , a cui è molesto il ponde- rare se sia sempre e in tutto secondo ragione quel che ne viene dall'autorità umana. Ma voi, come del già tocco di sopra , vorrete indagare se pur in questo ab- biasi a schivare il Segneri. Di più vi aggiungo che il P. Cesari , il quale è scevro di tutto che nel Segneri or sentirebbe del difettoso , in questo dell' allegare la- line autorità , non è. Anzi non poche volte costuma latinizzare in pubblica diceria senza versione di sorta. Per esempio nella vita di G. C. al rag. /\ò, parlando egli della preveniente azione della grazia divina ( vedete che ardua materia ! ) e della cooperazione che dee avervi l'uomo, soggiugue , che cotali verità sono significate nelle S. Scritture ', che in esse dice Isaja : Dabitur pluvia semini tuo , ubicitmque seminaveris in terra , et panis frugiun terra; erit uberrimiis et pinguis: qui è 1' azion della grazia. E in Geremia : Navate vo- bis novale , et nolite serere super spinas ', suscipite insitum verbum quod potest salvare animas vestras : « dove , la cura di ricevere il seme , e studiare e pur- gare il cuor suo. M E nel rag. 44 v' imbattete a leg- gere : ce Udite spaventevole sentenza di Cristo : w Qui non accipit lìerba mea , habet qui judicat eum : ser- mo quem loquutus sum , ille judicat eum. TSe' quali luoghi e in altri parecchi non è versione alcuna , e però fatta solo per chi è esperto di latinità e delle materie, che tratta V autore ; non pel comune degli uditori , a cui si predicava. Io poi vi propongo quest' astinenza o parsimonia di latinità nelle sacre concioni, perchè soii d^ avviso , che con tal metodo non sia per essere mea fruttuosa la divina parola perchè più chiara e spedita- mente annunciata. Voi ponderate s^io dica vero, e ve- nite all' opera , come usate fare nello studio della no- stra lingua , in cui cominciate a riuscire gradito ed utile dicitore anche ai più fastidiosi. A proposilo di 266 lingua ne ho udita una già da parecchi veterani , che mi fa stomaco , e che monta che voi sappiate : che cloò il predicare in buona lingua nuoce forte alla mo- zione degli affetti. Costoro devono esser mossi dalla mozione che operò già certo missionario di villa , il quale nulla altro più facea che gestire perchè 1' udien- za si sciogliesse in lagrime di pentimento. Se la è così, ed essi non predichino mai più parlando. Ma nelle ora- zioni di Cicerone, dich' io, nelle parlate di Livio e Sallustio non sarà mozione d' affetti , perchè scritte in buona lingua ? E per toccare alcune de' nostri , il Se- gneri e V AlGeri non hanno scritto in buona lingua e insieme con arie da muover gli animi degli uditori ? Questa è pertinacia di uomini , che veggono bensì come la nostra lingua fa più bella comparsa in bocca altrui , che nella nostra , ma per tenersi ancora da qualche cosa , ne niegano 1' efficacia. Del resto sanno essi ed insegnano , che il muovere gli affetti dipende ben d'altro che dalla sola eleganza della lingua j e un savio predicatore incipiente non legge certo Aristotile , Longino, Cicerone e Quintiliano per apprendere lingua. Datemi un sacro dicitore , il quale prenda a trattare argomenti opportuni alla moltitudine; che provi con ovvie ragioni ; che posseda 1' arte di ben maneggiare r oratorie figure e ben proferire ; e slate certo , eh' egli non mancherà di muovere , per quanto che sappia colla favella colorire al vivo ogni suo pensiero. Laonde io direi che il Metastaslo non sarebbe men commovente , se fosse più terso in lingua di quel che non è j e le commedie del Goldoni seguitano ad eccitare plauso più che quelle del Nota , comechè sien queste esposte con ben miglior garbo di favellare. Ma punto , caro Fidelmo , che altramente saltiamo tanto di palo in frasca , che non la finiamo più mai. Addio. P. S. Vi tornavo il libro senza dirvene verbo. Ho scorso dunque questo sermone di Monsignor Baines , e da quel che pare 1' autore dev' essere persona di prò- 267 fondo sapere in divinila , e che sa trovare il soggetto secondo il bisogno. Quanto allo stile , ne dicon bene quei ohe si avvisano di ben intendersi della lingua , in cui fu scritto. La versione , che va di costa al testo , mi ha un' aria di assai fida e inerente , tanto che bene spesso per amore di quello non pare tenersi sulle na- tive sue forme. Quel die fa al caso nostro si è , che in questo sermone , sia nell' originale , come nella ver- sione , non sono citazioni di latini testi , se non fatti volgari. Oltre che , mentre io leggeva , come ivi si de- finisce la carità , mi si risvegliò in mente quell' abuso , per cui d' alcuni più non odonsi chiamare i Santi con altro aggiunto , che con quel ài filantropo. Sicché bel bello si cade nell' errore di tenere per Santi canoniz- zati i cristiani che vissero benevoli verso i lor simili ; e a forza di filantropo e filantropia , s' intessono elo- gi che starian bene come a Marco Tullio , cosi a S. Carlo Borromeo. Eppure egli è dogma cristiano , che altri può vivere amico agli uomini insieme e nemico a Dio. ce E dessa ( la carità ) sinonimo della benevo- « lenza al povero ? Consiste per avventura unicamente « nel sovvenire al miserabile, nel comportar T afflitto, « nel vestire il nudo , e in consimili opere di fratelle- cc vole amore ? No , giacché S. Paolo dice : Se io di- « vido fra i poveri i miei beni y se consegno il mio « corpo alle fiamme , e non ho carità , a nulla mi et giova. La carità adunque è qualche cosa piìi della « benevolenza. Che è ? Ella è una virtù che Iddio « insieme e 1' uomo riguarda. È dunque altra cosa che « la Filantropia. Vale. 268 BELLE ARTL Esposizione dell' accademia Ligustica nel passato Agosto, JLJa continuata frequenza che nei giorni dell' esposi- zione si osservò nelle sale dell' Accademia rende ma- nifesti due veri che devono tornare giocondissimi a chiunque scaldi il petto carità del luogo nativo. L'uno , che le arti fra noi hanno prodotto opere di pregio tali da destare la pubblica ammirazione ; 1' altro , che non tanto scai'so fra' nostri è il numero di coloro che di quelle prendon diletto , e che avendole nel debito onore , le tengono , come sono in effetto , maestre di civiltà e di sapienza , e però tanta parte di pidjblica felicità. I quali cosi rendono vana la contrarla sentenza , che con antica ingiustizia si va rinnovando da quelli che sulla fede altrui , le altrui ciance van ripetendo. Ad essi il 'fatto risponda meglio che le parole , e la sola ammi- razione delle opere che decoravano l' esposizione del corrente anno sia risposta efficace. Cominciando per- tanto a ragionare de' lavori dei giovani , dal quali si trae argomento dei loro profitti , diremo che erano in gran copia , e di molta bontà. Assai progresso si osser- vava nella scuola del prlnclpj di figura e nell' altra del disegno ai gessi j e i due cartoni di concorso cavati dalle pitture a fresco di Plerin del Vaga , specialmente il premiato , si rendean pregevoli per una larga , e li- bera maniera di disegnare , non disgiunta dalla fermez- za di contorni , e da un' accurata esecuzione delle parti. Degna di molto elogio si è pur mostrata la scuola dell' ornato , e fu pur bello a vedervisl oltre 1 disegni , i modelli eziandio di alcune fra le più eccellenti opere dell antico , o del cincpiecento , onde sorge fra noi spe- ranza di avere , non solo ottimi pittori d' ornamento 269 non dcgenpri dalla presente istituzione , ma stuccatori ancora , e cesellatori , e intagliatori in simil genere. In vero per gì' intagli in legno , Genova andava debita- mente rinomata , ma forse all' eccellenza del lavoro , per cui spesso vedevansi in minutissime proporzioni e dif- ficilissimi sporti lavori sorprendenti , non si accoppiava dai più la purezza dello stile ; di che ora per le pri- mizie dei modelli sovraccennati , possiamo accogliere neir animo grata fiducia. L' incisione ha supplito allo scarso numero de' suoi alunni colla bellezza delle opere dei pochi. Il Sig. Ravano singolarmente , che da due anni suol dare si bel saggio di se , in cpiesto ha con- seguito la gran medaglia d' argento per la copia della Maddalena di Carlin Dolci incisa da Morghen. La fe- deità e la nettezza con cui questo lavoro è stato con- dotto , e la pratica del taglio , fanno maravigliare che al terz anno di studio si possa tanto. Due altre incisioni del Sig. Tommaso Raggio , e del Sig. Raffaello Gra- nara che studiano , 1' uno sotto la direzione del Professor Lunghi , e 1' altro del Professor Garavaglia , facean parte dell' esposizione. Del primo era la copia da Wille , del secondo il ritratto di Bernardino Luini dal giovi- ne medesimo disegnato. Ambedue queste opere rispet- tivamente davano indizio del valor non comune dei due studenti , e dell' ottima istruzione che ad essi è toccato in sorte di ricevere. Il Professor Rivara , Diret- tore dell' incisione nell' Accademia , ha esposto l' inta- glio da esso non ancor ultimato di una Sibilla cavata dal quadro di Guercino esistente nella galleria di Fi- renze. Pni-e r effetto del dipinto nel chiaroscuro ed il carattere della testa , e il modo di trattar le pieghe as- sai già ritraeano dall' originale. Presso a queste varie prove d' incisione , era il disegno di una sacra famiglia di Luca Camblaso , eseguito dal Sig. Daniele Del Re , nel quale la bella esecuzione e 1' accordo faceano che ninno potesse innanzi allo stesso passare senza fermarsi ad ammirarne 1' artifizio , e tributare le lodi dovute al disegnatore. 270 Fra le opere di scultura , due singolarmente attras- sero gli sguardi e gli encomj universali j ed erano un' accademia modellata con larghezza di stilo e molta fa- cilità dal Sig. Drago , ed un gruppo, per ogni rispetto pregevolissimo , del Sig. Varni. Dedalo , che sta in atto di appiccar le ali da se fabbricate ad Icaro , ne era il soggetto. Diversi effetti con viva espressione si vedeano nelle sue figure ; nel padre 1' ansia dell' incerto evento e il timore pel caro figlio ; in questo la gioja d«ff ine- sperta giovinezza , la incauta curiosità , e la folle spe- i-anza. Gruppo pieno d' anima , e la cui composizione è felicissima j percioccliè girando intorno allo slesso , Ogni aspetto presenta all'" occhio linee gradevoli , e ben contrastate. E per quello che spetta allo stile e al di- segno , si vede che il Sig. Varni , stando fermo alle ottime massime , che dallo studio degli antichi , non iscompagnato dalla osservazione del vero , ha ritratto , tiene la via che deve condurlo a quella perfezione , cui Ogni spirito gentile deve aspirare , né mai acquietarsi finché non 1' abbia conseguita. Gli antichi , che sot,to il velame delle loro favole , vollero sempre alludere ai casi della vita umana , o racchiuder qualche documento pro- fittevole alla medesima, non altro ravvisarono nella ca- duta d' Icaro , che il guiderdone all' imprudenza e alla temerità serbato. Se però la modestia del giovane scul- tore gli ha in questo soggetto fatto esprimere la diffi- denza che ogni animo temperato deve avere di se , ognuno neir ammirare 1' opera sua vede quanto robu- ste penne egli spieghi nell' esercizio dell' arte sua , e com egli un giorno , se non aggiugnera la fama del Dedalo antico , ne acquisterà una più desiderabile , per- chè più vera , però non meno gloriosa. Diremo ora delle opere di pittura , lasciando da banda le molte presentate da amatori di belle arti , verso le quali non si vuole usare la severità che si adopera con quelle de' professori. Fra questi dunque noteremo varj ritratti , alcuni di figure intere , del Sig. Picasso , e i quadri della Signora Rosa Bacigalupo Carrea , pittrice accademica , e del Sig. Francesco Baratta , Direttore di Pittura nell' Accademia, Il Sig. Picasso a buon dritto , così fra noi , come fuori , si è acquistato nome di va- lente ritrattista , possedendo in sommo grado quella dote che è prima nei ritratti, la verità dei lineamenti, alla quale egli accoppia un bel modo di dipingere , imitan- do ancoi-a con molta verità gli accessoi'j che gli occorre di ritrarre : questi pregi ^^ parve di ravvisare nel ritratto di figura intera della Signora Clelia Durazzo Serra , la testa della quale si vedea con bellissimi passaggi di tiùte condotta , con mirabile soavità d' impasto e con bel rilievo. La veste di velluto cremisi , e i veli , e i nastri che la faceano ornata , erano imitati dal vero con somma maestria , se non che forse ti'oppo in evidenza disturbavano l'effetto generale del quadro , sul quale l' oc- chio posandosi , non ricevea c[uell' impressione di grata armonia che tanto lo contenta. Ad ottenere 1' eft'etto in un dipinto conviene , coni' è noto , che il prudente ar- tista sacrifichi molti oggetti , abbassandoli , sia col mez- zo della giudiziosa distribuzione delle tinte , sia colla ben' intesa economia del chiaroscuro , onde la parte che dev' esser prima , abbia in se radunata la maggior luce. Perciò nei ritratti , parte principalissima essendone i volti, a quelli ogni altro oggetto deve servire , né contender con essi il primato. La qual dottrina se avesse bisogno di esempj , a confermarla non ci mancherebbero quelli dei sommi ritrattisti , cominciando dal gran Tiziano. Nel ritratto di cui ragioniamo resterebbe ancora a de- siderare una maggior evidenza dell' assieme della figura, la quale avviluppata nel magnifico drappo che la rive- ste , ne è talvolta ingombra , e così la regione del nudo si cela. Le medesime osservazioni crediamo che possano convenire a quella di S. E. il Governatore. Ed ancora , la massa della medesima incerta , induce in lei una freddezza che molto le nuoce. Però se nel volto pre- senta le sembianze di quel tanto buono, quanto amato Signore , non ne esprime la dignità e il decoro che devon essergli compagni. Ma del carattere non bene 272 serbato , crediamo dover ripetere il difetto dal non aver posto il pittore maggiore studio nell' azione , cavandola dal naturale. Nel che posero gran cui'a i maestri dianzi citati, ond'è che al vedere alcuna loro figura, pare persona viva , che prenda le mosse verso chi la rimira e che si abbia quanto prima ad incontrare per via. Ma i due ritratti dei Signori fratelli De Mari , come quelli che in minori proporzioni , e in mezza figui'a soltanto , presentavano meno difficoltà al pittore , riunivano in se tutte le doti che lo distinguono , e quell' effetto ezian- dio , per cui le teste spiccando dal fondo tutto quieto , acquistavano somma vivacità ; e però di cpiesti egli dee grandemente andar lodato. Dopo le opere del Sig. Pi- casso ci si presenta il quadro della Signora Rosa Baci- galupo , nel quale tolse a rappresentare , in figure poco meno del vero , Briseide consegnata agli araldi. Se non audiamo errati, noi crediamo che a voler trattare con- venientemente questi soggetti favolosi , o dei tempi eroici , che voglia dirsi , sia duopo che 1' artista molto abbia studiato il modo con cui dagli antichi vennero tali avvenimenti espressi , onde dar loro colore nativo -per così dire , e non iscostarsi dai tempi. A ciò con- seguire uiuna cosa meglio conduce quanto il molto co- noscimento dei bassi rilievi antichi , nei quali tutti i fatti s' incontrano rappresentati , e mitologici , ed eroici. Né vi sono soggetti in pittura che meglio comportino le imitazioni e le reminiscenze dei marmi antichi , e che anzi da esse acquistino splendore. Del che sieno prova le stupende composizioni di storia , o di favola di quel grand' osservator dell' antico , Niccolò Pussino , le quali sono tenute nel pregio , che ognun sa , appunto pel carattere che ha sapulo dar loro , e che fan dire , aver lui 1' anima di un antico. Secondo quest' ordine però noi non torremo ad esa- minare il quadro della Signora Bacigalupo , perchè sa- rebbe un pretendere da questa nostra pittrice ciò che non può essa aver avuto in animo di darci ; e siamo memori che il pittor filosofo Raffaello Mengs lasciò scritto , non doversi le opere di un artista giudicare che secondo l' intenzione eh' egli ebbe nel produrle. Nel momento in cui , per compiere gli studj intrapresi , ed ispirarsi ai monumenti delle arti sarebbe convenuto alla Signora Bacigalupo lasciar la patria , la ritenea in quella la cura del vecchio padre , lodatissimo pittor di paesi , al quale , divenuto cieco , niun' altra speranza da lei in fuori sopravanzava. Ed essa adempiendo alle parti di ottima figlia , è pure maraviglioso a pensare come in tanto fresca età potesse alle molte parti che le erano imposte attendere , e non distogliersi dai lunghi e difficili studj della pittura. Argomento certo di non comune forza d' ingegno e di mente , da acquistarle V ammirazione e la benevolenza di ogni animo amatore della virtìi. Molte però essendo le parti nella pittura per cui si può ac- quistar fama , non perchè non ravvisiamo nel quadro , di cui trattasi , lo stile che reputiamo più acconcio a rappresentare il soggetto , deve dedursi eh' esso manchi di doti meritevoli di venir commendate. Ai Veneti ed ai Fiamminghi, ordinariamente poco castigati nel disegno , o peccanti nel costume , rimane molta lode pei colori e per 1' effetto. E nel nostro proposito sarebbe certo ingiusto chi nell' opera della Signora Bacigalupo non Volesse consentire trovarci perizia di colore , buon accor- do , bello indietro , semplicità di composizione. I quali pregi 1^ fecero acquistare giusta stima , da chiunque la considerò. Niun tratto della storia genovese offre tanta opportunità all' artista di rappresentare ars'enimenti pieni di terrore e pietà , quanto quello in cui vien narrata la memoranda congiura del Conte Gian Luigi Fiesco , il quale per un suo innato veeraentlssimo desiderio di cose nuove , e un odio Gerissimo contro la famiglia Doria , non temette tentare di far nuovamente la patria serva , e lordarsi le mani nel sangue del liberatore di quella. Il Sig. Francesco Baratta , per incumbenza avu- tane , ha figurato il momento in cui ad Andrea Doria vien annunziata la congiura , la morte di Gianettino , e r imminente pericolo che lo minaccia. Questo sog- getto non mai trattato, per quanto ci ò noto, oltre al pregio della novità , è tutto nobile , e meglio di ogni altro atto a metter in piena luce l' anima grande di Andrea , il quale non punto commosso dai proprj danni elegge incontrare la morte clie gli sovrasta , piuttosto che sopravvivere all' oppressione della patria. Al quale alto sentire fa bel contrasto la pietà dei congiunti e dei famigliari , clie si travagliano a stornare da così caro capo la procella , e vincer la costanza di quell' invitto , persuadendolo a serbarsi a più felici eventi ed al bene della patria , mettendosi in salvo. Sebbene non tutti gli annalisti genovesi focciano menzione di questo fatto , esso è però minutamente raccontato dallo storico della congiura , il Mascardi , in modo da non far sorgere dubbio alcuno ragionevole sulla veracità del medesimo j e ognuno sa quanto questo autore conoscesse il debito dello storico , di cui egli così eccellentemente trattò. E se nel racconto di questa gran tragedia egli entrò in maggiori particolari del Bonfadio e del Casoni , ciò fu pereti' egli di proposito ne scrisse , mentre quelli do- vettero usarvi maggior brevità per le molte altre cose che aveano a narrare. Sebbene , il Bonfadio sembra ac- cennare questa resistenza del Doria , dicendo che cegre ( illiim ) equo iinpositutn ec. laddove quell' CBgre pare che importi , che il Doria a malincuore s' inducesse alla partenza. Ad ogni modo , se al pittore è piaciuto attenersi al Mascardi più che ad altri , egli non ha fatto cosa che non debba lodarsi , poiché si è dato campo dì trattare un argomento bellissimo. Ciò intorno al soggetto. Rispetto al modo , con cui è stato rappresentato , vedesi in mezzo al quadro Andrea che lasciato il letto , che si suppone dietro ad alcune cortine nel fondo , e posato su di una seggiola , qual 1' uso dei tempi ricliiede , con vm panno avvolto intorno alla persona , come la fretta e la confusione del momento comportavano , manifesta ai circostanti la sua risoluzione di rimanersi ad ogni patto , e disdegnare il partito della fuga j lo che espri- mono chiaramente l' una mano al petto appoggiata , e 2^3 1' altra che coli' indice segna con gesto animatissimo il caro suolo che non vuole abbandonare. La qual figura pronta e risoluta , ancora in quella miseria d' anni e di mali , dichiara le tempre di un' anima generosa che non \inta dall' inaspettato e fiero caso tutta si comniove e piglia vigore in quel sommo pericolo della patria. Inva- no la consorte vuole indurlo , in tanta disperazione di tutte le cose , a cedere alla necessità , e così pure un intimo suo che gli sta di costa ; ma più di tutti git- tata a' suoi piedi ne lo scongiura la vedova afUilta di Gianettino , che in lui vede alla crescente prole vicino a mancare l' ultimo e fido appoggio. Coli' un braccio verso di lui alzato in atto di preghiera e coli' altro ac- cennando ad una finestra , da dove la tenda è rimossa da un servo , lenta di ritrarlo dal suo proposito , addi- tandogli, al favore dell'ultimo raggio di luna che lan- gue , il tumulto delle galee cadute , parte in poter del nemico , e parte in piena rivolta. Mentre de' suoi due figli , r uno pili grandicello si unisce alle preghiere della madre , e 1' altro in assai tenera età , conserva in si ter- ribil frangente la giovialità propria di quegli anni. Alla parte opposta sono due giovani paggi , 1' uno de' quali con torcia accesa illumina 1' azione , nella quale ravvisiamo la semplicità e la convenienza che il soggetto richiede. Tutti quelli che vi concorrono sono personaggi istorici o strettamente a quella legati. E noto che al pittore è dato , come al poeta , oltre al vero rappresentare il ve- rosimile , ed a quello legarlo. Nò di questo dritto cre- deremo che abbia abusato il Sig. Baratta , introducendo la vedova e i figli di Gianettino in casa di Andrea Bo- ria , ed essi pure facendo partecipi dell' azione mede- sima. Oltre di che si fa cosa assai pietosa il conside- rare quegli orfanelli e la loro sventurata madre per opera di uno scellerato avvolti in tanto lutto. Passando a dir qualche cosa della esecuzione , troviamo il disegno vigo- roso e le teste in generale , come pure le estremità , con buona scelta cavate dal vero. I panni sono ottimamente disposti , e con belli e facili partiti di pieghe lasciano 276 scorgere l'azione delle figure senza Ostentazione. 11 co- stume è serbato come si conveniva all' età j e se ritrae dallo spagnuolo , ciò ò perdio le fogge di quella nazione aveano allora in Italia gran voga. Il colore in alcune parti , e specialmente nella moglie di Gianettlno , è bene adoperato : e producono un bellissimo contrapposto il tono freddo del fondo , in quella parte ove al pallido chiaror della luna si scorge la sommossa delle galee , e gli accidenti di luce , cagionati sullo innanzi , dal lume di fiaccola. Il tono del pennello è franco e pieno di sicurezza e di maestria. Ma perchè al lodare non altro CI spinge che 1' amor del vero e l' intima persuasione , vogliamo avvertire alcune eccezioni che non senza qual- che fondamento venivano fatte a quest' opera. Sembra- va dunque la testa del protagonista non presentare il vero ritratto di Andrea , e piuttosto creata dalla fantasia del pittore , e fatta , come dicono , di maniera. Stimavano in alcune parti , e ciò specialmente nel maggior figlio di Gianettino , e nei due paggi a lato di Andrea , trasan- data 1' esecuzione , per cui il colore rimanea crudo ed intero. Per ultimo parca non tanto serbata , quanto ragion volea , l' economia del chiaroscuro , onde sebbene il primo e princlpal lume sul gruppo del Doria e della nuora fosse raccolto , pure altri ve n' erano sparsi qua e là che menomavano alquanto 1' effetto totale. IMa qual è queir opera , per quanto eccellente , d' ingegno umano che non vada soggetta a qualche menda ? Sul finire di queste notizie non vogliamo omettere di porgere un segno di grato animo al Sig. Peloso , il quale possessore di un eccellente quadro del rinomato pittor prospettico Sig, Migliara , in cui è egregiamente dipinta mia veduta di Venezia, ne ha con somma cortesia arric- chita r esposizione , e cosi dato campo a molti , che nulla conoscono di quell' egregio artista , di ammirarne il valore. Piìi di tutti deono sapergliene grado i giovani artisti , i quali mirando in quell' esempio , ne caveranno gran profitto per tutto ciò che spetta alla prospettiva lineare ed aerea , e al gusto e verità delle tinte. E sarà 277 forse alruiio fra essi cui prenda voglia di seguire questo amenissinio genere di pittura , dal quale ritrarrebbe al certo utilità insieme ed onore. Queste cose noi abbia- mo discorso sulla esposizione dell' Accademia del cor- rente anno. Notamma in prima quello che riguardava gli studj della medesima , e poi le opere da' professori presentate. E sebbene in molte parti , e rispetto a quest' ultime singolarmente , la nostra opinione sia contraria a quella manifestata dal foglietto che s' intitola Osservatore Italiano , non abbiamo voluto lasciare di pubblicarla , perchè le savie , e discrete persone , cioè quelle che si contentano a ragione , vedranno da qual parte questo si trovi. Oltreché , nel considerare il sopraccennato scritto , non ebbero a farci rimuovere dalla nosti'a sen- t(!nza le asserzioni ivi contenute , come quelle che de- stituite di fondamento e non avvalorate da raziocinio che persuada , non devono aversi in conto alcuno. Il Baldinucci , dotato di tanto intendimento nelle cose delle arti , non vuole che di queste imprenda a dlscoirere se non chi siasi In quelle esercitato , ed abbia così avuto campo di conoscere le difficoltà , e di considerarne le bellezze e 1' essenza ; e vuole pure che molto abbia stu- diato gli autori che trattano di simil materia. Ora che non direbbe al di d' oggi udendo taluni , aventi in se soverchia fidanza , né forniti d' altro corredo di erudi- zione, che di una frettolosa lettura di qualche squarcio della storia pittorica d' Italia , in cui hanno imparato a balbettare alcuni nomi , arrischiarsi a parlar di qviello che non intendono. Ma a confutare simili scrittori non si vogliono spender molte parole , dacché da per se stessi si tradiscono , e si fanno altrui , colle lor sentenze , se- gno di riso. E in vero , chi può frenarlo , nel caso no- stro , all' udire porre accanto al lodatissimo gruppo del Sig. Varnl , la morte d' Argia dipinta dal Sig. Carac- ciolo , qual opera somma che ci addita non essere spento fra noi il seme delle grandi cose ? E noi teniamo che quando sia caduto sott' occhio a quel Si- gnore un tale sperticalo sproposito di lode , siasi mosso 278 a riso od insieme a sdegno. E qual concetto può mai egli farsi di uno scrittore di belle arti , che nel celebrare uri' opera di scultura sta contento ai generali encomi di opera sorprendente in cui tutto e perfetto , è sommo , ammirabile e Jlnito ? e che usa questi altri modi, esat- tezza d' arte , la natura studiata con progresso, una composizione che Ita del duro , e un insieme che ha del manierismo ? Né meno recherà stupore l' inten- dere come la prima epoca della pittura in Genova si distinse per il cominciamento di tratti robusti , ed un maneggio di pennello vibrato , e la seconda dall' aver origine propria e per una sceltezza di bello ideale , senza che più. dovesse ricorrere ad estranei pittori per ottenerlo. Mentre ad ognuno è noto che i pittori della prima epoca , come In tutte le altre scuole , furono timidi e diligenti osservatori del vero, e poco arditi , sia nella composizione , come nelle espressioni , e nella esecuzione eziandio ; e che il carattere di quei della seconda è il Ralfacllesco, in essi derivato da Fe- rino , che fu quello che recò a Genova il bello stile di diping(>ro. IVIa di ciò basta , anzi forse giii troppo. '79 NOVELLE LETTERARIE. Elementi di Matematica ad uso degli studenti nella Ducale Università di Parma. Dalla Stam- peria Carmignani , 1828. Liimgo , universale e pur troppo giusto lamento si è quello , che mettèsi dagl' Italiani sulla mancanza di ottimi libri elementari per l'avviamento della studiosa gioventù alle lettere ed alle scienze. L'Italia, superiore ad ogni nazione in ogni maniera di poeti e prosatori , cede di gran lunga alla Francia , all' Inghilterra e alla Germania nel fatto di libri elementari. Egli si pare che i nostri filosofi disdegnino di scendere sì basso , persuasi per avyentura , che opera sia di piccolo inge- gno il sognar le prime vie dell' umano sapere. Ingan- nati , che non veggono i danni che cagionano gravis- simi con sì sprezzante orgoglio. Per lo che grandis- simo obbligo aver deve la letteraria Repubblica a que' pochissimi , che si studiano di appianare , il più che possono , 1' arduo sentiero della sapienza , e facile ne rendono alla comune debolezza l' acquisto. Uno di questi ci sembra l' Autore esimio degli Elementi di ]Mateinatica ad uso degli studenti nella Ducale Uni- versità di Parma , che è , quantunque egli , modestis- simo coni' è , n' abbia taciuto il nome , il eh. Professore Antonio Lombardini , Cancelliere della medesima Uni- versità e Vice-bibliotecario nella Ducale Biblioteca. Noi lungo corso d'anni , che , benché ancor giovine, in- segna questa parie delle Matematiche , ha potuto scor- gere , ciie quello che arrestava il pili degli studenti dal dare continua e calda opera a' principi delle scien- 28o ze esatte , non tanto aveva origine dalla dificile ìndole dell' insegnamento , quanto dal metodo travaglioso e dal sussiego filosofico degl' insegnatori. Ha inoltre os- servato che di centocinquanta allievi, che usano alla sua scuola , un decimo a un beli' incirca intraprende dipoi la carriera delle matematiche sublimi , dividen- dosi tutto il resto , chi alla Teologia , chi alla Giu- risprudenza , chi alla Medicina , chi a pubblici o pri- vati impieghi. Mosso da queste considerazioni ha cre- duto opportuno , anzi necessario di presentare la scien- za sua in men severo aspetto , e coli' andar degli anni ha potuto renderla cara , amabile e vagheggiata anche da quegli stessi giovanetti , che per legge dell' Ateneo non avrebbero più obbligo di coltivarla. Questo è il più bel trionfo , che aver possa un professore. Cosi son nati , cresciuti , e ridotti a quella perfezione , di cui eran capaci , questi Elementi , pubblicati solo col- le stampe , perchè i giovanetti studiosi non abbiano a perdere il tempo in iscuola a scriverli sotto la det- tatura , o a faticare inutilmente trascrivendoli da copie inesatte e formicolanti d' errori. Essi comprendono V A- ritmetica , la Geometria, V Algebra , e la Trigo- nometria Piana. È inutile che spendiamo il tempo e l'opera in lodarne l'ordine, la chiarezza e la pre- cisione j pregi son questi indispensabili a somiglianti trattati. Quello , che distingue , a nostro parer , questo corso di Matematica elementare , si è la facilità , e di- remo cosi , 1' amenità , con cui procede tutta l' istruzione ; si è la maestria delle defìnizloui , contenenti in brevi detti la somma di tutte le qualità delle cose definite , onde dalla conoscenza della sola definizione si possono dedurre tutte le proprietà e le applicazioni delle me- desime j si è una serie di questioni proposte per mag- giore sviluppo degli esposti principi e per esercizio degli studenti , cosa utilissima e affatto nuova nei Trat- tati elementari di Matematica , e solo , per quanto sap- piamo , usata nella Fisica dal Canovai ; cosa ben di- Versa da quella che costumasi ne' Collegi , ove si pub- 28l blicano comunemente problemi speculativi e vani : men- tre le questioni proposte dal oh. professore Lombar- dlni son tutte pratiche e accomodate agli usi della vi- ta civile. Noi ben veggiamo che la lode data all' egregio pro- fessore non sarà ben accolta da quegli accigliati cat- tedratici , che gridano al sacrilegio e allo scandalo ogni volta che alcuno tenta di alzare 1' augusta cortina , che vela agli occhi de' profani la divinità di Malesi. Ma noi chieggiam perdono a que' sommi e li preghiamo a condonarci il plauso che facciamo vivissimo all'illustre Autore , mentre noi crediam che il suo libro esser deb- ba di gran giovamento. Noi non istaremo qui ora a chiamarlo l' ottimo de' possibili. Non vogliam porre conQiii alla perfettibilità delle cose. Diciamo soltanto che è il migliore che conosciamo per 1' uso , cui è destiuato. Avrebbe , se avesse voluto , 1' ingegnoso pro- fessore , che ben il puote e il sa , compilarlo in aspet- to più grave ed austero : ma per afnor de' giovinetti s' è piaciuto di dargli un' aria di famigliarità , un" idea di dolcezza , un' indole di mansuetudine. E questa è non piccola lode , quando veggiamo il celebre Gagno- li aver non men fama dalle sue Notizie astronomiche , fatte all' intelligenza di tutti , che dalle opere sue della più sublime matematica , celebrate per pochi e da pochi intese. Avventurata pertanto noi stimiamo la scolaresca di Parma, che vanta a istitutore un si valoroso filosofo, il quale sa discendere dalla sua grandezza , e farsi pic- colo co"" piccoli , e allettare anche i più schivi ad uno studio che d' ordinario non suole arrecare , alla gio- ventù specialmente , di molto diletto. Metodo per istudiare la lingua greca del sig. BuRNOUF , recato dal francese in italiano. To- rino , Stamp. Reale» 1828 in 8.° ce La grammatica greca del sig. Burnouf , ristampata « più fiate in Parigi , fra le molte che vennero alla % 28e « luce in questi ultimi tempi , ci parve la meglio fon- te data su i principi d' analogia Questa perciò ce abbiam preso a tradurre , perdio servisse di sicura « scorta a' giovani ingegni nel coltivamento di sì no- ce bile favella } tanto più che l' ordine analitico dell' ce illustre autore punto non differisce da quello seguito ce da noi nelle pubbliche lezioni di greco nella R. ce Università degli studj. " Da queste parole ognuno intende che traduttore di questo metodo è 1' illustre professor torinese, il consiglier Boucheron. E il non avere sdegnato cosi valente scrittore di sottoporsi alla noja di tradurre , egli è questo il miglior elogio che far si possa al libro del Burnouf. In molli luoghi del Metodo le iniziali E. T. (Editor Torinese) dichiarano le giunte ed illustrazioni del prof. Boucheron ; e più di spesso si vedrebbero quelle iniziali , se alla modestia dell' edi- tore non fosse paruto quasi un' affettazione l' apporle ovunque ne aveva il dritto. avviso non inutile (i). Poiché siamo a parlar di greco dobbiam far noto , elle si trova qualche esemplare del nuovo Testamento greco , con versione latina , varie lezioni , e postille , pubblicato da Enrico Augusto Schott in Lipsia nel i8o5 in 8.° Nelle postille alla versione latina , 1' editore li- psiense ha versato il veleno de' Protestanti. Eccone un esempio a far cauta la studiosa gioventù. Nel cap. xxvi. di S. Matteo, ove si parla della instituzione dell'Eu- caristia, il sig. Schott non ha potuto scostarsi dall' in- terpretare : hoc est enini Corpus meum, , parole cosi evidenti , che Lutero protestava di non poter in miodo alcuno negare la real presenza di G. G. i?el Sacramento dell' altare. Ma 1' editor di Lipsia , alla fedel traduzione (i) II Direttore delle Scuole Pubbliche di Genova, P. Spotorno , che ha riconosciuto la malizia dello Schott in lui esemplare tollo ad uno studente , ci ha pregati a dar luogo nel nostro Giornale a questo a\>vlso. 283 aggiugne appiè di pagina queste tre dichiarazioni : « tale mihi est ( apparet ) corpus meum. — Hoc esp «: corporis mei sjmbolum. n Molti altri esempj si por trebberò addurre dell^ insidiose postille ; ma il già re- cato dee bastare a chi desidera allontanar da' giovani ogni occasione d' errore e di pervertimento. Résumé de rhistoire du Brésil et de la Guy cine y par Ferdinand Denis. Bruxelles , Wahlen , 1827 , in 24. L' autore stette qualche tempo nel Brasile j ma il suo lavoro ci dimostra che o non vide se non se alcune cittìi ; o che ben poco si può dire su quell' immenso paese ; in qual ultima supposizione non può ammettersi da chiunque conosce i molli libri , specialmente mo- derni , che trattano dell'impero brasiliano. Diranno, che in un Ristretto poco si potea scrivere 5 e io rispondo che il sig. Denis è tanto diffuso uel suo stile , che sem- bra volesse con moltiplicar le parole , nasconderla po- vertà dei fatti. Ma il fatto si è che fare un buon conipondlo storico, non è cosa facile; specialmeiite nelle uazioni oltramontane , che sono alquanto disposte a mol- tiplicar le parole. Ad onta di questo difetto , e di alcuni aUri , che non giova notare minutamente , egli è bene aver un' idea storica di quella vasta contrada del Bra- sile , che sembra destinata dalla Provvidenza a formare col tempo il più Vasto e possente impero del nuovo mondo. Due particolarità non possiamo approvare nel lavoro del sig. Denis. Trovasi la prima a face. 8 , dove indicata la mancanza di strade , e accennata la difficoltà di mantenere quelle poche che si erano aperte , a ca- i^ione de' vegetabili che in quella terra calda e fertile prestamente crescono rigogliosi a ingombrare il suolo, aggin>>ge 1' autore questa considerazione : « Le méme *^ inconvénient existe daus l'Inde, où Ton trouve les tt plus belles routes de lunivers. » Ma le Indie , rispon- deranno 1 lettori , sono popoìatissime ; e perciò hanno 284 la maniera di sterpare le pianticelle e gli arbusti che crescono su per le strade ; dove al contrario il Brasile è paese spopolatissimo ; e tutti gli abitanti basterebbero appena a rimetter le vie , se queste fossero cosi nume- rose come in Europa. L' altro particolare risguarda alla tratta de' negri. Il nostro autore cita (pag. 208) l'as- serzione di M. Van Alpher agli Stati-Generali de' Paesi- Bassi ; a' quali dimostrò che la proibizione della tratta de' negri non essendo da tutti rispettata con rigore , continua il commercio ,• ma fassi per tal modo , che « le sort des noirs durant leur trajet , pendant la veiite « et la livraison , a été aggrevé par les lois repressives « elles-mémes. » Questa osservazione può confermare il gran principio degli uomini saggi , esservi nella so- cietà certi mali e disordini , che non si possono toglier d' un tratto , ma lentamente , chi non vuole cadere in altri inconvenienti grandissimi. L' Antiqua! io i romanzo di TValter Scott. Torino, Cassone, 1829, in 24. L' Antiquario del nostro Romanziere non è un Pan- vinio , né un Noris , né un MafFei : è il ritratto d' un uomo discretamente ricco , adorno di alcune cognizioni , ma privo de' principi dell' archeologia , che vuol ad ogni patto raccogliere medaglie , vasi , marmi antichi e libri rari. Egli vede un fosso in una campagna : dunque , conchiude , quivi erano gli accampamenti di Agricola : incontra due o tre sigle | e le spiega secondo il con- cetto ideato nella sua mente : compra un libro non comune ; e crede aver un tesoro. Di cotesti Antiquarj non fu mai penuria. Se trovano un osso di un quadru- pede , affermano esser di un elefante di Pirro , o di Annibale ; avvengonsi in una macerie presso un torrente j e spacciano essere 1' avanzo di un ponte fabbricato dai Romani : trovano in un marmo il soprannome PERTI- IVAX ^ e gridano esser quello un monumento di Elvio Pertinace , imperatore. Desidero che l' Antiquario di 285 Gualtieri Scott faccia ravvedere questi sconsigliati , e scozzesi , e italiani ; ma non lo spero. Storia della Vita e de' Viaggi di Cristoforo Colombo , scritta da Washington Irfing : trad. italiana. Torino, Rejcend , 1839, voi. 9 in a4. Benché lo Stampatore Torinese noi dica , noi dicia- mo , a toglier ogni motivo di dubbio ne' venturi biblio- grafi, esser questa una pura e pretta ristampa dell' /r- ving pubblicato in Genova (1828 e 1829) per cura del sig. Agostino Pendola, dai torchj Pagano, in 12 fascicoli in 8." Se non che nella torinese mancano le due carte geografiche, utilissime ad intendere la storia del Colombo. Lo storico difende 1' antica ed universale sentenza , che fosse genovese lo scopritor dell'America ; e r editor genovese , si nelle annotazioni , come nella Giunta importantissima , rafferma vie meglio il detto dell' americano scrittore. E veramente , dopo che il R. Archivio di Spagna ci ha somministrato il testamento autentico del Colombo , in cui il grand' uomo due volte dichiara d' esser nato in Genova , tutte le opinioni e le contraddizioni hanno dato luogo alla verità. E però ne piace che Torino eziandio colla ristampa dell' /mn^ e delle annotazioni comunicate da un anonimo al primo editore , riconosca esser vana la pretensione del castello di Cuccaro , che ci voleva toglier 1' onore del Colombo. Notizia della Chiesa Vescovile di Vado. Genova, Pagano, 1829 in 8.° Quest' opuscoletto illustra le quasi smarrite memorie dell' antica sede episcopale di Vado in Liguria (1). Non è già che gli Storici Savonesi , e 1' Ughelli nell' Italia (I) Vedi il nostro Giornale 1829. a86 sacra ignorassero affatto questo pregio di Vado ; ma ne dieder cenno confusamente , e con varie contraddizioni. L' autore dell' opuscolelto , giovandosi specialmente di' tre storici di Savona, due inediti (Verzellino e Risso ), e il terzo ( Agostino Monti ) già impresso in Roma in- torno al 1700 j consultando la raccolta de'Concilj; e ragionando co principi dell' arte critica , mette in chiaro le memorie di sei Vescovi Vadensi ; ne restituisce uno a Sovana, emenda la serie de' prelati Sanesi , e stabi- lisce il tempo, in cui fu scritto un documento pubbli- cato dal Giorgi , in cui tra' Vescovi suffraganei del Me- tropolitano Milanese è annoverato il Vadense. Chi rac- coglierà in uno le notizie di Vado indirizzate ad Ami- dante Eraclea e stampate nel nostro Giornale ( 1828), 1' Elogio di Pertinace , impresso in quelli di' Liguri illu- stri, e questa Notizia , potrà far conto di avere la sto- ria profana e sacra di Vado dalle prime antiche memo- rie fino al mille. V. Se ne permette la stampa. GRILLO per la Gran Cancelleria. 28; INDIGF. Scienze. Giunta alle Osservazioni geo gnostiche, fatte nel di- partimento del Varo ....... Pyg. igS. Jllustrazione del passo di Clemente Ales-. sandrino sul metodo geroglifico ì'if erito nel quinto Stroma « 209. Lettere. De' viz] de' letterati , libri due del Cav. D. Givsevve Manno eoe « 218. Antidoto pe' giovani studiosi contro le no- vità ili opera di lingua italiana scritto da Antonio Ci^sabi « aSo. Lettera ed Inscrizioni latine fatte dal Pro- fessore Filippo Schiassi per il Cardinale Giuseppe Spina « o.Z'j. Versioni poetiche : trattenimento poetico per la distribuzione de' premj agli alun- ni delle Scuole Pubbliche di Genova l'anno 1829 « ^^2. Ricerche storiche su l' India Antica . . . di Guglielmo Robertson , con note , sup- plimenti ed illustrazioni di Giandome- nico RoMAGNosi ce 249. CajETANI L.4VRENTII MoNTII in LegCm XII Tabularum de Dissectione Oboeratorum Sermones quinque « 257- Lettera settima sulla Predicazione ..." 260, Belle Arti. Esposizione dell' Accademia Ligustica nel passato Agosto . . , « 268. Novelle Lettera bie. Elementi dì Matematica ad uso degli studenti nella Ducale Unversità di Parma .... Pag. 279. Metodo per istudiare la lingua greca del sig. BvRNOVF y recato dal francese in ita- liano « 281. Résumé de l'histoire du Brésil et de la Gujane , par Ferdinand Denis ... ce 283. L' ^antiquario , romanzo di Walter Scott . « 284- Storia della Vita e de' J^iaggi di Cristo- foro Colombo , scritta da Washington Irving « 285. Notizia della Chiesa Vescovile di Vado . «« ivi. òcie^w/s^C' , ci ebbene , e^u Ju^ti/. Hoc opus, hoc studium parvi properenius, et ampli, Si patrioe volumus , si nobis vivere chari. Hon. : ANIMO in. FASCICOLO IV. GENOVA Delf Innesto erbaceo , Traduzione dal francese. JLj innesto è una delle operazioni le più curiose dell' orlicoltura: fra' suoi attributi piìt rimarchevoli uon è soltanto il servire di mezzo di moltiplicazione e di ri- produzione in uno solamente de' tre regni della natura, ma ben anche il contribuire a verificare i titoli di fa- miglia fra le piante, provocandole a unioni organiche che esse ammettono o ricusano a tenore de' gradi di loro parentela. Se il processo dell' innesto in generale può , in più d' un caso , dare norma al botanico , non ve n' ha in particolare alcuno che meglio dell' innesto erbaceo possa decidere con più prontezza e sicurezza la vera paren- tela delle piante : cosi i botanici , amici del Barone di Tschoudy , che ne è l'inventore, hanno più d' una volta sottomesso a esperienze ingegnose i loro dubbj. Gli ortolani che da una parte ne facessero 1' applicazione in grande allo studio e alla riprova dei rapporti naturali che sembrano esistere fra certe famiglie di vegetabili , e dall' altra lo impiegassero a moltiplicazioni ancora poco usate, non coopererebbero meno all' avanzamen- to della scienza , e al perfezionamento della pratica , di quello che non si procurerebbero con esso un grande ed onorevole profitto. Non considerando adesso 1' innesto erbaceo , chiamato pure dal suo autore innesto per immersione , che sotto il rapporto dell' arte della moltiplicazione , comincere- tìio per dire , che ci sembra non potersene trovare che sia di esso più perfetto , più naturale , più sicuro e più pro- dottivo. Basta a convincersene di considerare prima lo stalo in cui si trovano le parti solide e le più carnose de' due vegetabili messi a contatto nell' operazione e di esaminare al termine di due mesi il luogo d' inser- zione e della commettitura. In qualità di pratici, e non avendo altri occhi per vedere , di quelli d' un operajo , noi non esamineremo se il primo effetto dell' innesto è di mettere due indi- vidui nello stato di continuità o di contiguità , e non cercheremo a dimostrare se la vermena non altro in realtà sia che una marza piantata sopra un vegetabile organizzato e vivente ; osserveremo soltanto che più pronto , e pili completo è il rimarginarsi delle parti , più pronto e più completo riesce 1' innesto: ora, al punto e al momento in cui si opera 1' innesto , erbaceo la corrente ascendente del succo , allora cosi rapido e così veemente nella pianta che riceve l'innesto, in- contra il minimo ostacolo possibile a giungere al suo fine , che è il prolungamento del bottone, e cou assai maggior facilità che in qualunque altro metodo tra- sporta nel tessuto rilasciato e sommamente arrendevole della vermena inserita provvista di bottone, la materia organica che va assomigliandosi colla sua sostanza in si fatta guisa, che tutto l'apparato ha T apparenza d^ una perfetta continuità, benché 1' individuo resti doppio < e contigua soltanto ne sia coli' altro V esistenza. Per rendersi^ conto dell' applicazione ragionata del suo innesto erbaceo agli alberi , e agli arbusti , il Sig. Tschoudy aveva da prima considerato che ogni pianta a fusto legnoso presenta all' osservatore e parti carnose e parti solide j che la sostanza carnosa , di cui il nome varia secondo il luogo ove ella si trova nella corapage della pianta , verde nelle foglie , bianca nelle radici , na la facoltà di cicatrizzare una ferita , e che un innesto non si applcchia al suo pedale , che per mezzo della cicatrizzazione di questa sostanza carnosa } ed egli chia- ma erba tutte le sostanze carnose atte a cicatrizzarsi , perchè considerate sotto il rapporto dell' innesto hanno fra esse un carattere di unità inalterabile che le av- vicina all' erba delle foglie, e a quella de' giovani tron- chi verdi. Pertanto la pratica soluzione del problema consiste a osservar e a cogliere la sostanza carnosa di ogni vegetabile arborescente o sufFrutlcaso , o erbaceo , nello stato, e nella circostanza la più favorevole alla pronta rimarginatura della doppia piaga , immediata- mente dopo che le parti carnose ferite e intaccate al bisogno , sono slate poste e ritenute salde per vicende- vole ravvicinamento. Ora tale è lo stato , tale la circostanza che in gene- rale nel torno di primavera presenta la cima del tronco o de' rami delle piante e degli alberi all' epoca del loro svolgimento , e quando sono giunti a un dipresso a due terzi del loro sviluppo primaticcio. Il Sig. Tschoudy considera gli alberi ne' l'oro rap- porti all' arte d' innestare come unifusti , moltifusti , e lutti-fusti. I pini , gli abeti , e i larici formano essi soli il primo ordine , e sono unifusti. Sono unifusti , perchè il loro bottone terminale, unico sempre, posto in sulla vetta, costantemente tendente a protendersi verticalmente , pre- senta un fuoco di vitalità invariabile e concentrato , dove la forza vitale attiva si dirige incessantemente col massimo vigore , a scapito delle altre gemme , e bottoni laterali, che progressivamente ella abbandona , o non av- viva che iu modo imperfetto e disuguale. Ne deriva da questa organizzazione , che i pini, gli abeti e i larici de- vono colla maggior facilità innestarsi alla loro vetta. In fatti che domandiamo noi alla pianta che s' innesta ? Di portar vita in una estremità che non le appartiene. Non vi ha dunque incertezza , egli è in questa sommità cbe risiede il fuoco di vitalità , e ne gode in tutto il suo vigore : uè v' ha a temere alcuna deviazione , divisione , o trasporto di questa forza vitale. L' innesto inserito sopra la vetta troncata dell' erba centrale , e terminale di questi alberi godrà del più alto grado di attività che si esige dalla pianta. Se si divide per trenta il grado di questa forza vi- tale attiva , e se si trovi invariabilmente concentrata in questa misura uguale a trenta nell' erba centrale ter- minale dei pini , degli abeli , e de' larici , si osservano pure altri alberi resinosi e una" quantità d' altri presso i quali il centro di vitalità è suscettibile di dividersi , o 294 trasportarsi disugualmente al piuito.di animare e svol- gere , a scapilo delproluiigameaio verticale , le erbe laterali che tendono a usurparsi la prolungazione ver- ticale. Questi alberi sono i multlfusti , e si possono ancora innestare alla sommila della loro erba centrale smozzata. Sopra questa sommità concentrare la forza vitale attiva che inegualmente si dirama sopra altri pun- ti j stabilirvi il fuoco di vitalità nel suo maggior vi- gore, uguale a trenta, durante un tempo dato uguale alla durata del tempo che esige la rimarginatura dell' erba , tale è lo scopo che bisogna attingere j e se ne viene a capo a forza di provvide cure, troncando e scapezzando per tanto tempo , quanto ne sarà necessa- rio , le erbe laterali. Si chiamano Tutti fusti gli arbusti , nei quali la forza vitale è ugualmente ripartita sopra ciascuna delle loro gemme o bottoni. Le piante sarmentose , e principalmente la vite , sono tutti-fusti: se il loro tronco s' iaaalza verticalmente , egli non guadagna a scapito sugli altri: se cade al dis- sotto della linea orizzontale , egli non languisce per difetto di altezza ^ si può pertanto innestar la vigna sopra ciascheduno de' suoi bottoni. Considerati gli alberi sotto questi tre rapporti , che indicano potersi essi innestare; i.° gli unifusti sulla vetta troncata della loro erba centrale verticale , do- tata organicamente del più alto grado di forza vitale , e di un fuoco di vitalità invariabile; 2. i moltifusti sulla stessa sommità , prendendo le dovute cautele di fissarvi e concentrarvi la forza vitale , impedendo che ella si divida , e travii ; 3. i tutti-fasti sulla sommità tron- cata di ciascheduno de' loro bottoni, ne' quali la forza vitale è ugualmente ripartila; non bisogna però perdere di vista 1^ importanza e la influenza delle naturali af- finità sulla presa , la saldezza e la durata dell' innesto : a quest' oggetto numerose, e importanti osservazioni rimangono a farsi ; già ne abbiam raccolte di molte , e per mezzo di uno de' più abili giardinieri di Frouiond , 295 altre si proseguono , delle quali sarà a un tempo ren- duto conio. In generale gli alberi resinosi sono di fa- cile innesto. Il sistema delle foglie presenta un carattere impor- tante , perchè racchiude gemme nascoste. I pini a tre foglie non prendono facilmente sopra i pini a due fo- glie (i) . Il pino a pinacchi ( pinea ) e il pino lari- ciò (/7z>iuj altissima Lin.') (2,^ , che sono a due foglie, provan bene sul pino di Scozia ( pinus rabica Mis. ) , che è parimente a due foglie. Lo stesso pino laricio mal soffre il pino marittimo ( 3 ). Il balcanifero di Gilcad ( abies balsamea') , che è 1* abete argentato d' America , riesce bene sul nostro abete argentato ( abies-taxifolia ) ; il pino cembra fa maraviglie sul pino strobo , (^pin du lord ) : ambedue sono a cinque foglie ; 1' abete bianco ( sapinette ) afferra sul pino pere} V abete del Canada ( Uemloh"), innestato sull' abete bianco, non vive che un anno: non si conoscono le sue parentele fra le piante resinose , perchè non è schiettamente unifusto. I larici a foglie caduche rinnestano felicemente sopra i larici delle Alpi. Il cedro del Libano, eh' è un larice a foglie persistenti , afferra sul larice comune , ma bisogna sa- perne cogliere il tempo. Nel giardino di Frammour sia- mo riusciti ad accusare 1' araucaria excelsa sul pino silvestre; e non sono che i rami laterali simili a quelli di cui si fanno le marze , e sulle quali sarebbe di tanto interesse di fare svolgere il bottone avventizio , che ten- derebbe a questo beli' albero la direzione verticale , come r ha insegnato il nostro collaboratore Poitau. L' araucaria brasiliensis non è stata ancora sperimentata. (<) Il Sig. Larminat assicura l'opposto. (2) Linneo non ha mai dato questo nome a nessuna delle specie di pino a lui note. Per pino laricio qui 1' autore intende il cosi detto pino di Corsica , che si vuole diverso dal pino laricio de' Toscani , Pinus Finestra TVilid. (Nola dell'editore.) (3) Altro fatto smentito dal Sig. Larminat. 11 pino marittimo de' botanici francesi è il pino laricio de' Toscani. (Edit, ) Il Sig. Tschoudy innestava in erba con pieno successo noci , frassini , ipocaslani , piante solanacee , crocifor- mi, idfangee, diversi fiori, meloni della grossezza di una noce , i quali in questo stato non essendo ancora che un prolungamento dell" erba continua , erano spic- cati da' loro tronchi e innestati sopra altre piante cu- curbitacee. Passiamo ora a descrivere il processo dell' innesto erbaceo secondo le diverse categorie di vegetabili , a' quali s'intende di applicare, principalmente in quegli alberi, e arbusti de' quali interessa di moltiplicare ra- pidamente la varietà ne' viva]. L' innesto erbaceo è una specie d' innesto a marza. Si pratica nella pianta io sugo , sulla vetta germo- gliante degli alberi resinosi unifnsti , e sul bottone terminale germogliante , che forma il prolungamento ■verticale degli alberi e degli arbusti moltifusti. V'; Egli si eseguisce al momento del maggiore rigoglio, 'é quando la vetta , o il bottone è giunto alla metà , o a tre quarti del suo svolgimento primaticcio. Questi fenomeni variano alquanto secondo lo sialo della stagione , ma sotto il clima di Parigi hanno luo- go ordinariamente ai primi giorni di maggio , conti- nuando lo svolgimento durante questo mese , e talvolta fino al principio di giugno in alcune specie , la vege- tazione delle quali è più ritardata. Più la vegetazione è attiva , più presto la messa usa di essere erbacea , e più ristretto è il tempo atto a operare. Per le piante rare , e di caro prezzo , nudrite in vasi il provvido ortolano sa adoperare i mezzi che la scienza gli suggerisce , per accelerai-e , o ritardare il movimento del sugo , e ottiene dalla sua arte una dilazione che non gli avrebbe accordata la natura. Bi- sogna aspettare che l'erba centrale degli unifusti , co- me a dire di pini , abbia percorso i due terzi di suo svolgimento, avanti di pensare a tagliarla per inserire l' innesto sulla vetta troncata. Allora le foglie inferiori si soa disposte a' loro giusti intervalli , e si trova 1' et- ba contigua presso la sommitli. Si taglia questa parte del tronco verde , ove le foglie 1' uaa all' altra appres- sate indicano un ritardo nel prolungamento , e s' inse- risce sopra questa sommità ove si può supporre la sal- dezza necessaria pel successo dell' operazione. Si dee radere quasi interamente il vecchio legno laterale alla cima , quando ve u' ha : perchè questo vec- chio legno assorbirebbe una parte del sugo , mentre si dee mirare ad avviarlo tutto alla cima. Con questo intendimento si scapezzano a un di presso per metà i giovini rampolli laterali. Ma innestando 1' erba cen- trale di un pino , si abbia cura di salvare alcune foglie presso il taglio , affinchè esse richiamino le forze vi- tali attive sopra questo punto , dove è stata inserita 1' erba centrale dell' altro pino che si vuol propagare. Volendo operare, si scapezza, o si taglia con uno strumento la vetta dell' albero resinoso che dee rice- vere l'innesto, per ridurlo alla lunghezza di quattro, o sei pollici: questo taglio, o sezione si fa nel luogo in cui il giovine rampollo comincia a diventare legnoso , avendo cura di lasciare cinque o sei paja di foglie nutrienti, e di ripulire rapidamente con ianestatojo bea tagliente , e senza offendere l' epldemide , quelle che si trovano al di sotto, e di spaccare il troncone per metà fino a un pollice circa sotto le foglie nutrienti. Questa lunghezza ha ad essere determinata da quella del taglio praticato sull'innesto tagliato a conio, ia modo che essendo questo ficcato per entro la fenditu- ra , le foglie nutrici si levino sopra la legatura. Si tol- gono con buono strumento le squame o giovini pun- goli che accerchiano questa porzione della cima tronca- ta , meno circa un pollice di sopravanzo , ove biso- gna conservare , coni' abbiam detto , qualche cosa che attiri il sugo. La spaccatura dee essere di alcune linee pivi profonda che non parerebbe lo esigesse la vermena che vi si dee Iramettere ; le vermene sono fasci di erbe termi- nali , prese alla estremità de' rami laterali degli alberi, che si vogliono propagare. 29» Bisogna aver gran cura per preserrarle dall' asciutto ; si tengono nell' acqua , o all' ombra sotto erbe fresche. Si riducono queste vermene tutto al più a due pol- lici di altezza. Si taglia in cono leggermente ottuso anziché no l' estremità inferiore di quest' erba , ad og- getto di rendere più facile e più perfetto il suo con- ficcamento nella spaccatura , si spoglia cautamente delle sue squame , o giovini pungoli , meno la sommità , che dee sorpassare la fenditura , e rimanere guernita di sue foglie. Si avrà cura di servirsi di strumenti ben affilati , e ben taglienti , che faccian taglio netto , e non biasciato, quindi non si può tagliare 1' erba collo strumento de- stinato a tagliar legno. Alcune piante hanno un tessuto si pieghevole , che converrebbe servirsi di un rasojo. Ad ogni volta si osservi che l' instrumento non abbia contratto qualche ossido nocivo al successo dell' opera- zione : |Se per non aver tenuto conto di questa impor- tante osservazione sull'arco del taglio si scorgessero macchie nerastre , bisognerebbe o rinfrescare il taglio , o sostituire un' altra vermena. Lo spessore della vermena dee essere un po' meo largo della fenditura , affinchè questa venga a coprirlo e in grazia della legatura le si addossi sui lati , né vi resti vuoto tramezzo. Questa legatura si fa di un cor- doncino di lana , che si avvolge a tutta la lunghezza dell' innesto , meno il sopravanzo di essn , e l' apice del taglio. Si può ancora circondare di un cartoccio di carta assicurato collo stesso cordoncino. Dodici o quindici giorni dopo 1' operazione si toglie il cartoccio , dopo altri quindeci si toglie la legatura che assicurava l' innesto , e sei settimane o due mesi dopo egli si racconcia, togliendo l'estremità del taglio conservata per attirare il succo ; e si slacchino pure 1 bottoni che gli si svolgessero attorno , e sotto , affine di rivolgere all' innesto tutto il succo che si avvia alla vetta della pianta. Un buon operajo, coli' ajuto d'un uomo atto a preparare le marze, può in un vivajo in- nestare fino duecento cinquanta piante al giorno , cioè tagliare la vetta , far la spaccatura , la legatura , e l'in- viluppo della carta. La messa dell' innesto degli alberi resinosi è quasi nulla il primo anno , ella si limita , per così dire , ali afferrare. Ma nel secondo anno è cospicua , cioè non meno di un piede e anche il doppio. Le messe sus- seguenti sono rimarchevoli per la loro spessezza , la loro lunghezza , e il loro rigoglio. Posson vedersene esempi nella macchia di Fontalnebleau , ove il Sig. Ler- minat ha praticato in grande questo innesto con pieno eflfetto. Ma noi , come possiamo far osservare , abbiamo ottenuto sopra le Azalee delle messe fino di quindeci pollici di lunghezza il primo anno ; e se tirando par- tito di tanto vigore *si fosse pensato a punzicchiare la gemma terminale , è probabile che in pochi mesi avrem- mo ottenuto arboscelli ben provveduti di chiome. Quando si ha a operare sopra alberi o arbusti mol- tifusti si dee osservare se sono a foglie alterne , o op- poste. Nel primo caso si sceglie per innestare la foglia che immediatamente precede il fascetto di erba ter- minale , onde questa foglia si trovi al debito intervallo dall' altra sul tronco. Se ella non fosse per anche giunta a questa distanza , e che troppo presto si recidesse l' erba terminale , e si inserisse l' innesto sulla cima dell" erba troncata , quest' erba prolungandosi alterereb- be il parallelismo della vermena , e delle piante che la ricevono , delle quali la saldezza è necessaria al buon successo. Si dica altrettanto delle piante unifustì. Si taglia il tronco verde un pollice al di sotto dell' in- serzione del quinto picciuolo : innanzi 1' ascella di questo picciuolo si scorge un bottone estivo e nell' ascella un bottoncino regolare. Si fa passare la punta dello strumento tra questi due bottoni con incisione obliqua che viene a dirigersi al centro del cilindro , un pollice e mezzo sotto 1' ascella. Questa incisione si tramette al bottone estivo , e all' invernale , gettandone uno da una parte , V altro dall' altra. 3oo Se si taglia a cono un tronco verde a un dipresso di ugual calibro, per es. il tronco verde del noce nero di America , la superficie del taglio dello spicchio sì troverà parcella all' area della fenditura che gli cor- risponde nel taglio praticato come si disse. Allora si innesta con una marza formata di uno spicchio di tron- co-erba munita di un picciuolo , e di un troncone ter- minale uguale in lunghezza a quello si è lasciato al pedale fuori del fuoco di vitalità. Tagliando queste marze si avrà cura che il taglio cominci all' altezza del centro del tubercolo del picciuolo ; cosi questo picciuolo potrà discendere all' altezza del picciuolo della quinta foglia del pedale, nel fuoco di vitalità, che è stato gettato sulla quinta foglia, quando si è soppresso il fascétto di erba terminale. Il picciuolo dello spicchio , e quello della foglia nutrice , trovandosi a uguale altezza e formando insieme un angolo di 90.°, il primo avvol- gimento del filo di lana abbraccierà i picciuoli in modo da impedire che il cono non rimonti , allorché il filo si avvolge e stringe inferiormente. Le parti della pianta che la mancanza di organi im- pedisce di prolungarsi , muojono cedendo la loro pro- pria sostanza al bottone vicino. II picciuolo della marza e i due tronconi vanno pertanto alimentando il botto- ne inserito , facendo funzioni di cotiledoni. Nel torno di circa venti giorni il picciuolo della marza comincierà a ingiallire , in seguito si staccherà lascian- do uell' area della sua inserzione una bella cicatrice verde, prova infallibile di aver preso. Questi innesti, che non mettono che alla fine di trenta giorni , si eseguiscono molto facilmente. Gli alberi a fo- glie opposte, per es. gli ippocastani e i frassini, ci pre- sentano due foglie nudrici invece di una. Si taglia la loro erba tre linee al di sotto delle ascelle del pajo che precede il fascétto di erba terminale ; si fende per intero il pedale , vi si fa sgusciare uno spicchio di erba tagliata a cono. I picciuoli dello spic- chio e quelli del pedale , posti a uguale altezza , sono 3oi disposti come i raggi di una rota. Ma 1' erba di fras- sini , presso a' bottoni, presenta sempre un corpo ovale. Se il piccolo diametro è troppo breve , si fende quest' erba nel senso del diametro medio. Bisogna ora attendere a impedire la deviazione della forza vitale attiva, al che si giugne scapezzando im- mediatamente le parti laterali al tronco terminale del pari che per mezzo della soppressione di organi che usurpano ad esso 1' umidità del suolo ; è questo lo sco- po delle cure che rimangono ad aversi e che costitui- scono il governo dell' innesto. Verso il quinto giorno si stacca II bottone estivo , verso il decimo si recide il lembo delle quattro foglie inferiori all'inserzione dell'innesto e delle loro gemme oscullari. Verso il di ventesimo , se i quattro picciuoli troncati hanno riprodotto bottoni invernali , di btil nuovo si staccheranno. Nel tempo stesso si reciderà il lembo della foglia nudrlce , e il suo bottone regolare che è stato diviso senza che ne sia stato cagionato un ritardo nel suo svol- gimento , perchè egli non è ancora che un prolunga- mento dell' erba. Cosi verso il ventesimo giorno cinque picciuoli for- meranno il grado di una nuova scala di vitalità , che dee Indispensabilmente essere conservata per innalzare alla cima 1' umore del suolo. Dopo avere sguernito , e messo al giorno l' innesto si rivestirà prontamente con un bindello di carta, con (il di lana, ma più ad oggetto di ritenere, che di rafforzare. Facilmente s' imparerà a modificare secondo le occorrenze questo governo. Le piante annuali ci dispensano da tutte queste cose, allorché si opera ne' viva] , o ne' boschi : trattandosi di pini , sembra conveniente praticare 1' innesto sopra piante venute da semi di quattro, o cinque anni, a tenore della loro forza , e altezza. Quest" altezza per li pini , del pari che per gli altri alberi, a voler ren- dere 1' operazione facile e comoda , dee essere di circa 302 quattro piedi. Ma trattandosi di moltiplicare specie di grande interesse , e nelle quali converrebbe di con- servare la sua lunghezza al tronco , facilmente si com- prende che bisogna innestare il piìi basso possibile. Uno de' maggiori vantaggi dell' innesto a bosco aperto egli è dì stabilire in essi , ne' punti ove si crede opportuno , preziosi semenzai (^portegraines') e per così dire im- provvisati. Allorché si opera In orti a jQori , sopra alberi di or- namento, ed educati in vasi, posson riunirsi in ajuole, sulle quali , fatto l' innesto , si stende un coperto Le cure devono proporzionarsi alla delicatezza della pianta , e in generale hanno a concordare con quelle che si usano per le piante coltivate a coperto. Il sig. de Tschoudy ha fatto molti innesti sulle viti. Su questo processo egli scorgeva un mezzo di ringio- \inire un vecchio ceppo , di sostituire una buona spe- cie a una cattiva , di affrettare la maturila del frutto , del pari che la maturità del legno , di cui 1' innesto limita l' aumento. Infatti aggiugnere a' nodi della vite il valore di un nodo , innestando sul suo ceppo , egli , è , diceva egli , un aggiugnere alla sua facoltà per la maturità del legno e del frutto. In questa più pronta maturazione necessariamente simultanea del legno , del- la foglia, e del frutto, egli travedeva un mezzo felice di trasportare e naturalizzare certe specie sotto zone più temperate. Né gli sfuggiva , che la miglior uva si ottiene presso la superficie del suolo , e raccomandava di non innestare nel mese di maggio che i tralci che sarebbero stati sotterrati nel marzo. GÌ' innesti che egli avea praticati dal sette al dieci di marzo alle terze e quarte foglie della vite , gli avevano fornito un bel le- gno a nodi ravvicinati , delle quali il frutto aveva per- fettamente maturato. In questa guisa egli aveva inne- stato ogni giorno fino al primo giugno , ed il prodotto n'era sempre andato minorando, come lo aveva pre- visto ; ne aveva quindi conchiuso che sul nostro clima i primi quindici giorni di maggio racchiudevano il tem- po più propizio per innestare la vigna. 3o3 Il sig. eie Tschoudy moltiplicava l'ortensia colla mag- giore facilità innestando a fessuolo un fascio di erba terminale nel seno del terzo pajo delle foglie di uà tronco verde radicale dell' ortensia. Egli attendeva lo sviluppo di questo terzo pajo , perchè rifletteva che le due prime paja che si svolgono per la germinazione di uà tronco radicale , sono formate di foglie incom- plete , e quindi poco proprie alla nutrizione. Egli innestava pure il cavol fiore con un fascio di erba terminale all' epoca in cui il cavolo si trapianta. Innestava il melone per mezzo di uno spicchio for- mato di uno picciuolo di una gemma ascellare , e di una sezione di uno tronco di erba : inseriva questo spicchio nell' ascella della quarta o quinta foglia di una gio- vine pianta di citriuolo, avendo cura che la gemma si collocasse verticalmente. Per innestare il melone in frutto , egli recideva a uno e mezzo pollice sopra l' in- serzione del peduncolo. Egli tagliava a cono questo spic- chio di tronco-erba , e lo introducea in una spaccatura obliqua , praticata mettendo la punta di un fino scal- pello neir ascella di una foglia che aveva innalzata. Aveva egli ben anche osservato quanto reca detrimento alle foglie l' azione del vento. Talvolta infatti riesce il vento a rovesciare un tronco; allora le Toglie presen- tano air umidità della notte la superficie che avrebbero a presentare alla luce , e periscono talora per non aver potuto riprendere quella situazione che avrebbe preve- nuto i danni. Egli metteva la pianta al riparo di quest' inconveniente , raffìermando il tronco con qualche pie- tra. Se il sole era troppo ardente, egli ravvolgeva una foglia attorno l' innesto , e vi teneva per qualche giorno una campana sopra. La pianta cui meglio si affa l' innesto del melone , è il citriuolo , e i migliori frutti si ottengono dagl' innesti fatti sopra piante seminate all' aria aperta. Il melone proveniente da una pianta in si fatta guisa innestata , tenuto sotto campana , impiega circa cinquanta giorni per giugnere a maturità. Se la pianta si scavezza trop- 3o4 pò per tempo , si aumenta la sua vegetazione j ma que- sto fallace vigore nuoce al progresso della maturazione. Il sig. de Tschoudy spingeva le sue piante a fruttificare sia smozzicando loro qualche radice , operazione delicata e pericolosa , sia spiccando una porzione cilindrica del tronco uguale a un terzo o alla metà del suo spessore. Alcuni innesti operati al principio di luglio gli hanno forniti eccellenti frutti dal primo di settembre fino alla fine di ottobre. Abbiamo estratto parte di queste particolarità da una memoria pubblicata dal Sig. de Tschoudy , divenuta ra- rissima , e sconosciuta dalla più parte de' nostri orto- lani ; ed abbiamo ad essa aggiunto i resultamenti delle nostre sperienze. Ci siamo spiegati a sufficienza per far conoscere i vantaggi de' quali 1' innesto erbaceo è su- scettibile. Se ne potrebbe trarre uno stupendo partito per la propagazione di belli alberi a fiore. Abbiamo fatto vedere a Fromond i fiori di sei varietà di agalee schiusi a un tempo sul tronco ramoso di un agalea pontica di due piedi di altezza. Il Sig. André , che ave- va ordinato e regolato la sperienza praticata con tanta abilità dal Sig. Larminat sopra i gioviui pini di Fon- tainebleau , ci ripeteva sovente coli' espressione della più profonda convinzione , allorché assisteva a' nostri primi saggi , che un coltivatore che s' impadronisse in grande di questa pratica, farebbe una fortuna ugualmente pronta che sicura, e onorata. Aggiungiam qui nna figura che rappresenta l' innesto erbaceo non ancora allacciato delle agalee , tal quale si pratica nell' istituto di orticoltura di Fromond. In questa operazione è duopo che la fo- glia inferiore a dell' innesto discenda almeno fino al livello della seconda foglia b del pedale. 3o5 Due Discorsi di Giorgio Gradenigo , Senatore 'veneziano , del secolo XVI ecc. Venezia , Al- visopoli , 1829 in 4«' (bellissima edizione). Oaggio e bello divisamenlo si è quello, che prati- cato già sparsamente in Italia or da uno , or da altro amator delle lettere , oggidì con molta lode è divenuto comune in Venezia. Al celebrarsi di qualche pajo d'il- lustri nozze , lasciate dall' un de' lati le nojose ed uni- formi cantilene iraenee , richiamansi a luce e a vita operette utili o dilettevoli , che tornino insieme ad ono- re e agli sposi e alla patria e ai buoni studj. Al qual fine mirano egregiamente i due Discorsi del Gradeni- go , e gli altri Opuscoli editi dal chiarissimo e genti- lissimo sig. B. Gamba, i quali degna cosa è far cono- scere alle colte e studiose persone. Al primi precede la dedicatoria del sig. Niccolò Luigi Pellegrini alla Con- tessa Marina Grimani madre dello sposo , nella quale ne fa sapere , che « L' uno di essi ( discorsi ) , intito- lato del complire , riguarda la maniera di esprimere 1' affetto e 1' ossequio nell' usar cerimonie 5 e 1' altro , in- titoliito dell' esperienza civile , dà opportuni suggeri- menti sulla necessaria deslerità di maneggiare le cose che accadono nel comun vivere » . Furono essi cavati dalle tenebre di una raccolta di vecchie lettere impresse scorrettamente ; ed emendatone il testo. Alla dedica vengono appresso le notizie dell'Autore inserite da Bar- tolomeo Zucchi nella parte seconda dell' Idea del Segretario ecc. impressa in Venezia nel i6i4 in 4*° Nacque Giorgio Gradenigo di nobil prosapia in Venezia l'anno 1622, fu per insigni opere benemerito della sua patria , istruì i propri figliuoli dalla puerizia , scris- se in giovenile , e più in matura età , rime e prose colte e leggiadre , che leggonsi sparse in varj libri , e il Zuc- chi, che scrisse tali notizie nel iSgg, in quest' anno t 3o6 stesso il dice dedito tuttavia allo studio e allo scrivere cose utili ed onorate. Nota il sig. Gamba trovarsi del N. A. compiute notizie nell' Opera del eh. Emanuele Cicogna , che porta il titolo delle iscrizioni veneziane illustrate. Ven. 1827 in 4-° Il primo di questi discorsi fu dall' Autore scritto in Cividal del Friuli negli ozj autunnali, e mandato in forma di lettera ad Agostino Abate di Ossaro, suo fi- gliuolo. E questo discorso come un Galateo , e prece- dette il Casa e il Castiglione, per essere di materia, scrive l' A. , per ancora non ispicgata in carte da alcuno di mìa notizia , cosa notabile per la storia di così fatto genere di scritture. Lo stile di questo ragio- namento è colto e gentile, la lingua propria e pulita, l'ordine chiarissimo ed esatto : i." accenna i luoghi on- de si cavano gli argomenti dell' amore , dell' onore , e dell' obbligo che ad altrui portiamo. Ecco un saggio dei modo ond' esprime l'A. quest' ultimo dovere. « All' obbligo , egli dice , poi verremo acquistando fede e credenza , se diremo esser a parte del comun obbligo . che portano gli altri alla persona con cui compiiamo per benefici conferiti alla repubblica cristiana , per ca- richi pubblici avuti e ben amministrati, ed in particolare per qualche segnalalo servigio fatto alla repubblica nostra. Dal medesimo fonte potranno derivar gli obblighi verso coloro che abbiano fatto o scritto opere che siano di ornamento delle città e di giovamento alla società uma- na , così per la via della religione, come del governo civile; ovvero attendano a scriverne, o farne per gli stessi fini ed oggetti, E non meno si fa credibile che abbiamo obbligo a coloro che con 1' insegnare e col leggere ammaestrano la vita umana , e conferiscono agli uomini il tesoro delle scienze e della virtù " . 2.° Ra- giona dei fonti , onde ci possiam persuadere che tali uffizi ii9 sono renduti dagli altri , e come a questi mostrarlo. 3.» Tratta di quei complimenti che si fanno in terza persona , cioè dell' iutrodur altri nell' amicizia de' nostri amici, e del raccomandarli a questi per qual- 3o7 che utilità del raccomandato. Il discorso finisce con un passo di Virgilio , e uno del Petrarca nella canzone a M. V. , dove si è ommessa la voce mia in quel verso cosi impresso qui Ma pur in te V anima si fida ecc. Il termine di tal ragionamento è cosi brusco , che si dee credere imperfetto, e privo di conclusione. il N. A. scrisse una lettera nel i^gg a Bartolomeo Zucchi a Monza, di cui sono le notizie del Gra- denigo premesse a questa edizione j la quale lettera è pur ciò che nel nostro opuscolo ha il titolo di Discorso. Dal quale molto più che dal precedente ne si mostra la grande erudizione e coltura del veneziano Senatore. Secondo che appare dal principio , non dovrebbe que- sto ragionamento andar disgiunto da un altro dell'Au- tore , nel quale avea egli già esposto al Zucchi il pro- fitto che si può prendere da Omero e Virgilio per 1' uso del vivere politico e morale. Nel presente poi si propone di additr-re la norma di alcuni studj , ne' quali el vorrebbe che fosse instituita la gioventìi , per con- dursi poi a quel fine di adoperarsi col consiglio e con l' azione per la patria , per gli amici , e per se stessi : soggetto sommamente notabile , in cui prendono sovente di gravissimi errori i moderni filosofi. All' acquisto della pratica sopraddetta richiede 1' A. njuti di natura e d' arte , i primi provenienti dal na- scimento , temperatura del corpo, ed educazione: i se- condi cosi descritti dal N. A. « Perchè dopo i doni di natura i primi elementi del nostro ben essere si ap- prendono prima dai buoni costumi, e poi, nelle età che succedono all'infanzia e alla puerizia , dalla ragio- ne ; conviene che colui , il quale intende divenire buon pratico , si ponga sotto la disciplina di buon precetto- re , studioso di belle lettere e prudente , il quale lo ammaestri non solo nella cognizione delle lingue e de' loro ornamenti , ma de' concetti ancora ; e sopra ogni altra cosa del giudicio e della prudenza , del decoro , e del costume degli scrittori non meno poetici che ora- torli ; perche e Virgilio e Terenzio e Orazio nelle epi- 3o8 stole e nella poetica , e parimente Cicerone insegnando r arte oratoria , fra que' precetti che danno intorno air arte del dire , apportano materia agi' intelletti d^^- cuto sguardo e di pronto ingegno , di accorgersi esser nascosti in essi chiari semi , atti ad affinar la prudenza e ad agevolar il giudizio j perocché sono pieni di esem- pi e di precetti de' quali P uomo può servirsi , essen- doché gravemente conferiscono al far docile e disci- plinata la gioventù , al parlare e all' operar co^ pru- denza , e ad ammaestrarla e ordinarla a trattare in più matura età i negozj gravi e importanti ». Al qual fine assegna principalmente quanto Aristotile lasciò scritto nel 2.° della Rett. intorno agli afletti , e aggiunge Va- lerio Massimo , Plutarco , Seneca , e Cicerone negli Uffizj. Appresso vorria 1' A. che i padri , o i più congiunti del giovane studente lo ammaestrassero per tempo del costume della loro cittk , vale a dire degli aflari di re- ligione , morali , economici , civili , ed attivi di qua- lunque sorta. Va quindi 1' A. inframmettendo una nuo- va e curiosa narrazione , la qual n' è caro offerire a' nostri lettori. ce Non voglio passare sotto silenzio (sono parole del « Gradenigo ) un avvedimento che Rusten Bassa , ge- « nero e primo Visir di Solimano celebre imperadore « de Turchi , prese per agevolarsi alla pratica soprad- « detta. Il quale vedendosi posto solo al reggimento di « quell' immenso impero , senza una minima cognizio- « uè di governo di popoli , di materie di Stato , e di « affari privati , chiamò a sé molti suoi amici , a' quali « impose , che in praticando per Costantinopoli andas- te sero con accurata diligenza osservando dai ragiona- te menti degli uomini di maggior senno e pregio degli « altri , i discorsi loro intorno alle corruttele ed abusi « della città e dell' imperio , ed a' difetti del reggi- « mento di quelli , così circa alla giustizia , all'abbon- « danza del vivere , all' obbedienza de' soggetti , all' « imposizione delle gabelle , e altre gravezze , come 3o9 ce all' imprese dulia guerra, e a' trattamenti della pace « e buone intelligeaze di principi ; e in somma a tutto ce quello , che eoa nuova riforma potesse stabilire , as- ce sicurar ed accrescere la signoria di quell' amplissimo ce imperio , e quanto venisse loro a notizia riferissero in et voce , e dessero in iscritto a lui. E parimente fatti ce venire alla sua presenza molti altri, ordinò loro, ce che con la medesima diligenza dei primi ponessero ce mente e facessero conserva di tutti i bei detti , delle ce sentenze e de' precetti appartenenti non men al vi- ce vere virtuoso e civile che al buon governo dello Stato ce che venissero loro alle orecchie , e quelli andassero ce alla giornata conferendo e ricordando a lui. Da un ce tale partito ne riuscì, che fra lo studio, che pose poi ce per la buona amministrazione di quel governo , e tra ce il por niente agli errori , ne' quali la sua imperizia ce lo conciuceva , e al correggersi di essi j pervenne nello ce spazio di poco tempo a tanta finezza di avvedimento ce intorno alla carica a lui imposta , che nelle princl- cc pali occorrenze di quell' imperio dava mirabile sod- te disfazione di se stesso , così parlando quasi sempre ce in sentenza , come operando con somma sapienza. 33 Passa quindi alla ueccssità e utilità della storia , ani- ma dell' uso civile e maestra della vita umana , e ribatte con forza e copia di dottrine 1' opinione di coloro , che così fatto studio vorrebbero sbandito dal mondo, ce Tutti gli esempi , sentenze , e precetti intorno alla vita uma- na lasciati scritti da tutti i filosofi di que' primi secoli della Grecia , e da tanti altri savj , e tanti poeti e isto- rici greci e latini de' tempi che seguirono dopo loro , sono sempre stati , dice FA., e tuttavia sono ne' pre- senti tempi dell' umana vita maestri. Perchè in essi si trova sempre che imitare e che osservare " . La natura ingenera sempre gli uomini cogli stessi affetti e passioni , le virtù furon sempre in pregio , i vizj detestati : onde la storia è lume e guida nel viver civile , e i gentili scrittori antichi ne sono i fonti. I^e quali tutte cose il-, lustra l' A. con belli ed opportuni esempi > tra' qual* 3io piacerà moltissimo quello , in cui narra come il conte Girolamo Savorguano imitò il i'amoso apologo di Me- nennio Agrippa acconciandolo agli aflari del tempo suo. Ecco il racconto del N. A. ce Dì questo successo si valse con ingegnosa imitazione « e pi-udente avviso il conte Girolamo Savorgnano , nobile te della nostra repubblica , per fede e militare virtù gran- ir demente di lei benemerito , e signore di castella nella « patria del Friuli ; il quale vedendo gli altri castel- cc lani di quel paese in litigi e dispareri con i contadini « e loro territori , a grave danno e dispendio comune , e « volendo in ogni modo introdurre pace e concordia fra « essi , invitò alquanti di loro castellani a desinar seco , e ce li pose ad una tavola copiosa e piena di tutte le più « scelte e delicate vivande del paese e del suo contorno, « ma vota di pane e di vino ; e dopo tenutili per al- te quanto di spazio sospesi e in ammirazione di quello « a che dovea ciò riuscire , cosi comparvero alquanti « contadini con ceste di pane fresco e bianco come « neve , e con m.olti fiaschi di vaiie sorti di vini gene- « rosi e delicati de' piani e de' colli, de' quali è dovi- te zioso oltre ad ogni altro quel territorio; e in atto ri- ee verente andavano somministrando al bisogno di cia- « scuno , dando tutti col volto e con le parole applauso « a queir aiuto e facendone allegra e ridente festa. Fi- te nito poi il banchettai-e , levate le tavole , e mandati <« i contadini a desinare ancor essi , il Conte prese a te dire : Che 1' averli tenuti alquanto a disagio di pane te e di vino , non era stato ordinato da lui a caso , ma te con avveduto mistero e consiglio , avendo preso di te far loro conoscere per quel modo la necessità che te- tt nevano dell' industria e opera de' contadini , senza la te quale malamente potevano vivere j onde gli esortava te a non consumarsi con le liti , a grave danno anche di ce se stessi , siccome facevano , potendo per loro prudenza te antivedere, che la mina di quelli conveniva finalmente te cader tutta sopra di loro. E fatti poi venire alla sua et presenza anco i conladini predetti , pose loro dinanzi 3ii ce agli occhi la ruiiia alla quale per cecità loro erano a et gran passi per arrivare se persistevano nel loro perti- « nace volere ; e mostrando ad essi con vive ragioni ce che non potevano vivere senza 1' aiuto della nobiltà , te li pose insieme d' accordo , e stabili fra loro una per- cc pelua e amichevole pace. " 3l2 La Monaca di Monza, Storia del Sec. XVII. Pisa, Capurro 1825, voi. 5 in 12. N. on si tosto apparve tra noi questo nuovo lavoro del chlar. sig. Giovanni Rosini Professore dell' Università di Pisa , che molli , i quali non curano di vedere più ad- dentro nelle cose , paghi di considerarne la corteccia , presero a farne paragone coi Promessi Sposi dell' illustre Alessandro INlanzoni , del qual romanzo è un episodio la Monaca di Monza ; e come sono varj i pensieri e ì capricci degli uomini , chi lodò il Professore Pisano ; chi fece le meraviglie , eh' e' volesse metter mano a' Romanzi ; chi finalmente lodò a cielo la fatica del Man- zoni , e vituperò quella del Rosini. Ma noi crediamo , che se altri avesse più attentamente meditato alcune pa- gine del nostro Autore, avrehbc forse conosciuto che più lodevol consiglio nascondesi nella Monaca di Monza, di quello che mostrisi nel suono delle parole. E vera- mente , non a caso F Autore chiudeva la sua breve de- dicatoria con quel verso di Vittorio Alfieri , Deh ! che non h tutto Toscana il mondo ! Né senza convenevol motivo leggesi scritto a capo della introduzione quel detto di Fedro , Decipit frons prima midtos. Laonde , non dovendo noi , né volendo passare così leg- germente sulla intenzione del Professore Rosini , diremo in poche parole il nostro sentimento ; e sarà pensiero dell' Autore il palesare se nella nostra interpretazione ci siamo , o no , dipartiti dalla verità. La repubblica letteraria in Italia , era , sono pochi anni, divisa in due partiti 5 l'uno de' quali valendosi di certe oscure parole di Dante, interpretavale a biasimo de' Toscani , e stabiliva nel nostro bel paese una lingua voì^are-aulico-siculo-illastre , che si trova (dicevano) in ogni parte d' Italia e in niuna si posa. L' altro non ammetteva che la lingua Toscana j e questa diceva essere 3i3 imitata ed espressa da tutti i buoni parlatori e scrittori italici , come nella Spagna tutti procurarono ritrarre il Castigliano , nella Germania il Sassone , nella Francia il dialetto di Versaglies , e de' luoghi micini. Coudot- tiere de' pi-imi erasi fatto il Perticari , cui accostossi il Monti con altri nobili ingegni di quella regione setten- trionale : i secondi eran condotti dal Cesari , e dal Bia- nionti , uomini d' alta mente e d' incorrotti costumi ; nei quali né odio, né dispetto, nò studio di parte potevau travolger le idee , né faile scliiave di qualcliesia privato all'etto. In questo , alcuni letterati accolti in Milano en- trarono in un lodevole pensiero , di compilare il Dizio- nario della lingua italiana , ed invitarono 1' Accademia della Crusca a voler concorrere al dlffìcil lavoro , man- dando colà i suoi spoglj perchè dal celebre Monti e da' suoi fossero riveduti e corretti, e cosi purgati po- tessero ottener 1' onore d' essere incorporati al gran Dizionario. All' invito de' Milanesi risposero gentilmente gli Accademici , molto ringraziando que" dotti uomini di loro cortesia, ma dichiarando che non poteano man- care né al Principe , nò all' istituto della loro Adunanza , né all' amore della patria ; e che perciò volevano atten- dere ad arricchire ed emendare il Vocabolario della lingua Toscana , lasciando a' Milanesi la cura del Di- zionario della lor lingua Italiana. La qual risposta feri queir animo generoso del Monti : di che venne quella Proposta , che fé' tanto parlare di sé , e tanto piacque a lutti coloro che amano scrivere come detta la penna 3 fino a che combattuta dal Biamonti , e dal Bagnoli , dal Tommaseo , dal Valeriaui , e più dal buon senso , che non mai si perde in una nazione , restò nelle Biblio- teche , qual dimostrazione chiarissima di quell' antico dettato, Genus irritabile, vatum. Alla parte di coloro che vagheggiavano quella lor lin- gua uolgare-cortigiano-illustre , parve accrescer gran- dezza il Sig. Alessandro Manzoni ; non perchè egli si curasse di controversie gi-amallcali , ma perchè adoperava scrivendo una favella corretta , secondo gramatica , non 3i4 toscana , e molto meno fioreutiiia. Ed ora grande il nome del Manzoni , si per gì' inni , come per le tragedie mo- dellate sul gusto de' moderni Alemanni , i quali tentano vie nuove nella nuova letteratura delle loro contrade; forse per fare ima nobile vendetta de' lor padri , che troppo servilmente aveano seguitato i nostri ed i Fran- cesi. Quando poi fu pubblicato il romanzo de' Promessi Sposi , vera pittura fiamminga , tutta la gioveutù leggia- dra d'Italia si scosse , e parve che andasse lieta di poter contrapporre allo scozzese Gualtieri Scott un' opera fatta in Italia con sembianze scozzesi. Questo lavoro porse motivo al nostro autore ( già chiaro per altri libri e per molte fatiche durate a prò delle buone lettere ) di voler mostrare cpial fosse nel secolo XVII la condizione della Toscana , acciocché tutti potessero farne il paragone colle pitture della Lombardia a sì vivi colori espressa dal Manzoni. Ecco , per quello che noi pensiamo , il vero intendimento del Professore Rosini. Nella sua Monaca di Monza voi trovate quel sonante e puro idioma , che è proprio delle rive dell' Arno , non di quelle del Ti- cino e dell' Adda , voi v"" aggirate per colli verdeggianti, e ridenti valli , che invano cercate in quell" immenso piano della Lombardia : voi udite ragionare non di monatti uè di birri , ma di musica , di arti belle : non vedete governatori spagnuoli chiamati a regger popoli che mal conoscevano; ma vi si presenta il giovane Sovrano che si aggira tra' suoi sudditi, come tra fratelli, recando loro parole d' umanità ed atti di beneficenza. Il dipinto del Manzoni co' suoi bravi , co' suoi prepotenti che rapi- scono donzelle , e resistono all' autorità suprema , co suoi giovani che giungono a contaminare i luoghi sacri , vi turba , vi contrista , e vi fa quasi dolenti d appar- tenere ad una razza corrotta : le pitture del Rosini , con quelle gentili Signore , che cantano bei versi soa- \emcnle posti in musica , con quel Pichena, ministro così prudente ed erudito , con que' ritrovi , in cui tutto è uibanilà e grazia , con quel rispetto alle cose sacre anche in u«i poeta, qual fu Giambalista Strozzi, con qite' pil- 3i5 tori ed artefici d' arti leggiadre che vivono quasi fratel- levohnente con nobilissimi gentiluomini , vi ricrea , vi ammaestra , e vi fa conoscere la dignità dell' uomo , anche in un secolo non troppo fortunato. Pubblicando la Monaca di Monza , il nostro Autore rispondeva col fatto alle autorità ed alle declamazioni del Monti. Perchè se in queir età medesima , in che la Lombardia , me- ravigliava de' Gorla , degli Orchi , de Sassetti , e non avea scrittore che degno fosse di lode , potea la Toscana pregiarsi di un Galileo , di uno Strozzi , di un Lippi ec. ec. , egli è manifesto , che la Lombardia , benché ab- bia prodotto uomini insigni , non può per grazia , per nobiltà di sentimenti , per altezza d' ingegno , soprastare a' Toscani ; e per conseguenza non dovere tanto gridare i nobili intelletti dell' Italia settentrionale , se per un istante i Toscani parvero minori di se e de' loro mag- giori. Questo vuol dire il Professore Rosini , se noi non andiamo errati ; e il disegno fu dall' Autore ottimamente colorito, E questo sia detto a muovere altrui a meglio considerare 1' opera sua, e a non giudicarne dalla cor- leccia. Decipit frons prima inultos. 3ì6 // Cnstcllo di BodincQinago dh'Cì'so dalla Città d' Ttidastrid , Lezione accademica del Profcs-\ óo/'e Costanzo Cazzerà, ec. Torino, 1829 in ^' X_J erudizione e la critica sono destinate a toglier gli errori diffusi nel popolo , ed anche tra i dotti , ed a scoprirne la verità. Quanto al primo ufficio, ne abbiamo, per tacere di altri molti , un recentissimo esempio nelle scoperte fatte in Egitto dal Sig. Champolliou , il quale avendo potuto esaminare attentamente nel marzo del 1B29 il gran Tempio d" Esna , o Esnè , trovò clie le iscri- zioni ce portano 1' epoca di Claudio , e vengou giù fino al Gela , ti'ucidato dal fratel suo Caracalla ^ e per tale scoperta potè distruggere la pretesa antichità del Zodiaco d' Esnè , concludendo « che non è punto più antico di Caracalla (]) «.Ma lo scoprire alcuna verità, che fosse nascosta sì al popolo , si agli eruditi , è opera come di maggior lode , così di più grave lavoro , e non av- vien mai che si faccia senza Incontrare la censura di altri studiosi del vero. Ma questa censura ò pur da bra- marsi , sì perchè dal contrasto più bella emerge la ve- rità ; sì ancora , perchè le critiche modeste dell' uomo dotto sono sempre onorevoli al censurato , giovano a mantenere viva la ragione dell' arte critica , così neces- saria al progresso d' ogni liberal disciplina. Questo che lo dico , è avvenuto poco dianzi all' accademica Lezione del chiar. Professore Gazzera , nella quale stabiliva esser diverso dalla Città d' Industria 11 Castello di Bodinco- rnago , avendo a tal opinione contraddetto modestamente l'erudito Signor Zannoni, In un articolo inserito nella Antologia di Firenze ( 1829 , settembre , face. 99-108 ). Vediamo brevemente gli argomenti del Sig. Zannoni. Plinio nel libro 3.° della sua Storia Naturale , cap. (1) Leu. di M. ChampoUlon , Antol. Flr. ottobre 1829. face. 86. XVII , traltando del Po , coli' autorità di Mctrodoro , dopo aver detto che i Liguri chiamavanlo Bodiiico ( clie \ale senza fondo ) aggiunge queste pai-ole : ce Cui ar- ce gumento adcst oppidum juxta Industria vetusto no- ce mine Bodincomaguni , ubi pr?ecipue altitudo incipit. 53 Cosi leggono 11 testo di Plinio moltissime edizioni , come pure non pochi testi a penna. Ma la prima edizione ( 1469) ed alcune altre del primo secolo della stampa, ed alcuni Codici hanno Industriavi , e da tal varietà di lezione nascono due significali diversi , perciocché In- dustria nel caso retto , viene ad essere il romano voca- bolo deir antico castello ligustico Bodincoviago ; In- dastriam poi essendo voce retta da juxta , verrebbe a significare che Bodincomago non era molto lontano da Industria. Essendo incerta la vera lezione di Plinio , ed avendosi iscrizioni latine de' secoli dell' impero che ri- cordano ora Industria ed ora Bodincomago , ragion vuole, che a decidere il dubbio si chiami in soccorso la lucerna critica , direbbe il MafFei j e questo fece il Sig. Gazzera nella sua lezione j cosiccliè se noi potremo dimostrare , che le difficollà del Sig. Zaunoni non sono accouce a sostenere la volgar lezione Industria , resterà inconcussa la scoperta geografica del Sig. Gazzera. Indegna di Plinio, anzi vaga ed avventata, parve all' Accademico Torinese la comune lezione adest oppi- dum juxta , sottintesovi Faduin. Ma 1' erudito Fioren- tino vorrebbe giustificarla con un luogo di Cornelio , e con due di Plinio medesimo. Il primo di essi par- lando di Timoteo , cui gli Ateniesi innalzarono una sta- tua nel foro , ove già un' altra ne avevano posta a Co- none di lui padre , conchiude ; sic juxta posila recens filli , vetereiii patris renovavit memoriam. Non cer- cherò se gramalicalmente siavi ne' due luoghi di Plinio e di Cornelio corrispondenza nella costruzione 5 ma dico , che un uomo sì dotto , come il Zaunoni , non doveva citare queste parole di Nepote a ribattere 1' argomento dell' Ab. Gazzera. Il Po ò fiume di lunghissimo tratto , e dire juxta Paduni , ad onta della limitazione , ubi 3i8 prcecìpua altitudo incipit ( cosa sempre incerta , e da non definirsi senza molto indagini ) , sarebbe una locu- zione non degna dello Storico della Natura. E tal essere deve il senso delle parole , forse troppo concise , dell'eru- dito Professore Torinese : « Adest oppidum juxta. « A che ? Al Po , dicono. Dirimpetto , o a lato del Po « è indicazione cosi vaga ed incerta , che ecc. " Ma Cornelio non dà luogo ad incei'tezza : nel foro , vicino alla statua del padre ; chi legge , corre subito coli' a- nimo alla piazza d' Atene , cerca la statua di Conone , ed ha trovato il luogo del monumento eretto a Timo- teo. Veggiamo intanto i due luoghi di Plinio addotti dal Sig. Zannoni. Il primo è nel citato cap. XVII , lib. 3 : « Hoc ante , Eridanum ostium dictum est , aliis Spi- re naticum , ab urbe Spina quae fuit juxta. » Ma qui similmente troviamo una esattezza di posizione geogra- fica , che non si avrà mai nello juxta di Bodincomago. Giova riportare alcune parole tralasciate dall' Antologia. Parlando Plinio delle varie bocche o foci , per le quali il Po mette nell' Adriatico , ha queste parole : « Pro- « ximum inde ostivun , magnitudinem portus habet , ic qui Vatreni dicitur ; quo Claudius Csesar e Britannis « triumphans , praegrandi illa domo verius quam nave « intravit Adriam. Hoc ante. m Chi non ravvisa tosto , essere in questo passo esattamente circoscritto il significato di juxta , così vago ed incerto in ciò che riguarda Bodincomago , secondo la comune lezione ? Non così circoscritto è juxta nel passo ricavato dal lib. VI cap. ly (i) , ove si parla del Caspio j ma ivi significa (i) « Hauslum ipsius maiis dulcem esse et Alexander Magnus piodidit , et M. Varrò talem perlatum Pompejo iuxta res gerenti Mitridatico bello. 33 Qui non si tratta di notare il luogo , in cui era Pompeo , ma di far sapere come po- tesse aver occasione di ragionare della dolcezza delle acque del Caspio; ed a tale oggetto bastava il dire, che Pompeo guerreggiava in quelle parti ; e male tradusse il Domenichi , presso a quel luogo, né molto felicemente Geronimo Huerta: ce cerca de aqucl lugar hazia guerra » essendoché Plinio 3i9 il nostro volgare in quelle parti , locuzione adoperata • quando non si sa , o non si vuole , indicare precisa- mente la posizione di un luogo ', dove al contrario Pli- nio nel luogo controverso voleva , e dovea volere , ac- cennare ad un punto determinato. Spiacemi poi leggere neir articolo del Sig. Zannoni , che ne' tre passi or ora esaminati , e nel controverso di Plinio « juxta è av- cc verbio e non preposizione , come la giudica il Signor « Gazzera. " Un gramatico citerebbe al critico 1' auto- rità del Forcellini ; ma chi non vede in tutti gli esempj qui sopra ricordati essere manifestamente e di necessità sottinteso il caso quarto : juxta Industriam ( o se si vuole ^ juxta P aduni )j juxta statuam patris ; juxta ostium Spinalicum ; juxta mare hircanuni. Seguita il vSignor Zannoni ad osservare , molti essere in Plinio i luoghi di due nomi , l' uno antico e nazio- nale ', men antico , e romano 1' altro ; né di ciò niuno gli voi'rà muover contesa. Ma se Plinio voleva confer- mare r antico nome ligustico del Po colla voce Bodin- comago , dovea mettere prima il nome primitivo , e poi il latino Industria , scrivendo : « cui argumento adest ce juxta oppidum Bodincomagum , quod cognominatur « Industria. Ji ovv. quce et Industria nunc est ^ come disse , secondo gli esempj citati dall' Antologia , Ossei , quod cognominatur Julia Constantia : Ucultuniacum , quce et Turiga nunc est. Perciochè si vuol osservare nella grand' opera di Plinio , quest' abitudine del suo autore j ed è , che quando vuol far conoscere i luoghi da semplice geografo , mette prima i nomi moderni , poi gli antichi j e quando si compiace farne conoscere r antica denominazione , mette in primo luogo il nome municipale , o barbaro , poi il romano , o latino. Ne appello agli esempj citati dallo stesso erudito Zannoni. Ma consideriamo alcun poco la lezione della prima nello stesso luogo si lagna della incertezza geografica sui paesi vicini del Caspio, ce Nec in alia parte niiijor antonna et inconstanlia ; credo, propicr inniiiiicias vagasene gentcs. 320 edizione di Plinio : come naturale ed elegante ! « Cu « argumento adest oppidum , juxta Industriam , vetusto ce nomine Bodincomagum. » — Che Bodinco fosse il nome del Po , vcl dimostra il castello di Bodincomago , che ha serbato il suo nome ligustico ^ e se volete in- tendere Ove si trovi , sappiate che è vicino alla città d' Industria. — Veggasi ora la lezione difesa dal critico Fiorentino. — Che Bodinco fosse il nome del Po , ecco vicino 1' oppi do Industria , anticamente Bodincomago. A mio giudizio la prima lezione è più schietta , e di maggior evidenza. Serve inoltre a spiegare come si ab- biano mai-mi col solo nome d' Industria , ed altri con quello solo di Bodincomago. Che se questo non fosse stato più in uso ne' tempi degl' Imperatori , chi avrebbe potuto conoscere la patria di coloro che sono appellati di Bodincomago ? Gli esempi ^^ Plinio , che spesse volte ci dà i due nomi di uno slesso luogo , non fanno al proposito. Il caso di vm eru^dito , di un geografo , non è quello di chi scrive secondo 1' uso comune. Non cre- derò mai che il Gonfaloniere , per es. d' Imola , si vo- glia dire Forocorneliese ; uè sul passaporto di un uomo di Messina si leggerà Mamertiììo. Come dunque ini membro del magistrato de' Quattro , si sarebbe chia- mato mi. Bodincomagensis , se il nome del luogo era già c|uell' altro d' Industria ? E come in iscrizione la- tina far rivivere il disusato nome ligustico , lasciando il romano ? Pochissimo poi mi muove quella iscrizione ri- cordata similmente dal dotto Zannoni Sacerdoti Colo- iiiai Patriciai Cordubeiisis, perchè il vedere dato il primo luogo al nome nuovo , e 1' ultimo al primitivo , mi fa credere che mutato il nome ad una città , non si mettesse ne' monumenti il disusato , se non che premes- sovi il legale e corrente , a modo di spiegazione ; e ciò non conferma 1' opinione del Zannoni , ma si quella del Gazzera. Noi dunque , dopo aver lodato la dottrina e la modestia del eh. Zannoni , lo pregheremo a voler permettere che ritenglilamo la correzione proposta dall eruditissimo Accademico di Torino , e leggendo Indù- 321 striavi , crediamo che ne venga luce a Plinio , ed alla antica Geografìa dell' Italia. Ed avendosi a favore del Professore Gazzcra e MSS. e slampe antiche , ninno po- trà rispondere , come già il Tarlarotti al Maffei : ac- cetterò la proposta lezione, ov'io la vegga confermata dall' autorità de' codici antichi. ^4nnotazione Bibliografica. Nella Civica Biblioteca Berlo è un esemplare di Plinio legato magnificamente , sparso a giglj d' oro , e dorato sul taglio, con una annotazione di un certo Guignard, che s' intitola Grammaticoruni Gymnasìarcha , il quale alFerma che 1' esemplare fu dato solennemente per pre- mio nelle Scuole di Parigi , ad un tal Andrea de Ca- mus, studente di Rettorica, l'anno i65q. L' edizione è quella di Basilea i535 in fol. Nella citata Biblioteca ò copia della traduzione di Plinio fatta in lingua spaglinola dal Medico Geronimo de Huerta , Madrid, in foglio , in due volumi j il primo del 1624 > il secondo del 1629. Giovi questa notizia ad emendare un piccolo errore del Brunet , Manuel du Libraire , che la dice fatta - Madrid 1624 ou 1629. Corrispondenza ])oetica tra il P. Cesari e Filippo Schiassi. A -lAI Professore Bertolonl va debitore il nostro Giornale eziandio di parecchie eleganti poesie latine e italiane , che verranno da noi a mano a mano pubblicate , tra le quali facciam capo dai seguenti Sonetti , che ci piace chiamare Corrispondenza poetica. Erano cpieste molto m uso e in pregio fin dal cominciamento della favella italiana, e le Rime Antiche ne mostrano quelle tra il Petrarca e Sennuccio del Bene , tra M. Gino e Onesto Bolognese , tra Bonaggiunta da Lucca e M. Guido Ca- valcanti , e tra altri ; né sdegnavano gli uni proporre agli altri quistioni metafìsiche o morali da sciogliersi nelle risposte. Ma di quest' ultimo genere non è la cor- rispondenza dei nostri due letterati da Verona e Bolo- gna , i quali amichevolmente e per ischcrzo si toccano 1' un l' altro con versi pieni d' vu'banità e gentilezza. Prima di entrare in aringo a corpo a corpo , fauno le prime scariche sul Conte Salina, caldo amatore de' buoni studj , e spendono in tutto quattro soli Sonetti, che ne fanno desiderare al lettore molti di più. Alcuno fia vago d intendere qual dei due vinca la prova ; al che ri- spondiamo ciò non essere di nostra pertinenza il deci- dere , tanto più che il loro è un combattere senza vo- lerlo , se piuttosto non vogliam dirli fare a chi può meglio encomiare il proprio competitore , ed abbassar sé stesso. Due parole soltanto sul primo Sonetto , le cui prime voci ne presentano un modo proverbiale fioren- tino postovi tanto a capello , che mai di meglio. La qual cosa affinchè si vegga più chiaramente , riputiam pregio dell' opera trascrivere qui un bello squai'clo dell' Ercolano del Varchi , che così dichiara tnl frase. « Slar sodo alla macchia , ovvero al macchione , è non uscire per bussare eh' uom faccia , cioè lasciare dire 323 uno qunnto vuole , il qual cerchi cavarti alcun secreto di bocca , o non gli rispondere , o rispondergli di ma- niera che non sortisca il desiderio suo , e gli venga fallito il pensiero , onde conosca di gettar via le parole , e il tempo , onde si levi da banco , ovvero da tappeto , senza dar pili iioja , o ricadia, e torre, o spezzare il cervello a se , e ad altri ; e questi tali che stanno sodi al macchione , si chiamano ora formiche di sorbo ( oggi , formicolìi di sorbo , in not. ) , e quando cor- iiacchie di campanile (f).(^li,rcolano, dialogo di M. Be- nedetto Varchi ecc. In Padova , appresso Giuseppe Cornino 1744- ^f^ 8.° a e. i8o. ) Or leggasi il Sonetto alla pag. 33^ del P. Cesari AL Gay. Conte Luigi Salina. (i) Questo modo è usato da Luigi Pulci volendo espri- mere che il Conte Orlando non volea palesarsi per quel che era al re Caradoro e alla figlia Meridiana , benché al pala- dino facesser carezze e tributassero lodi. Orlando è corbacchion di campanile , E non si venne per questo mutando. Morg. 6. st. penult. 32/l D. LETTERA Vili. SULLA PREDICAZIONE. Don Fidelino Carissimo. 'a che vi si è indossato l' incarico d' un sacro pane- girico voi non capite più nella pelle. Vi par proprio di essere nella vostra beva. Età verde , vivida fantasia , bella persona , che altro si cerca , voi dite , per sif- fatti lavori ? Cosi la pensate voi , perdio un tal genere di composizione è cosa affatto puerile in Italia. Ma ove più badaste allo scopo delle cose , che all' viso , direste ben altrimente , uè vi parebhe tanto inurbana 1' acco- glienza che solca fare a quest' imberbi oratorini da pa- negirici quel dotto Pievano , il quale ogni volta che se gliene offriva , dicea francamente : Sacer est , pueri , lo- cus , extra meiie. E se di questa mia opinione volete veder le ragioni , eccomi al piacer vostro. Al parer de' retori il sacro Panegirico non è altro , che un' orazione in lode di Dio , o di qualche Santo , nella quale si esaltano o gì' infiniti attributi dell' Ente Supremo , o le gesta di un eroe cristiano. Or io con le parole di S. Bernardo , che i panegiristi leggono ogni anno , domando : « Perchè a' Santi le nostre lodi ? Perchè « la nostra glorificazione e 1« nostre solennità ? Perchè « tributiam noi terreni onori a coloro , che ne son colmi K dal Padre de' Cieli ? Son essi nella pienezza della « felicità. Essi non abbisognano de' nostri beni , né « pregio alcuno può venir loro dalla divozion nostra. « Che se ne veneriamo la memoria , a noi ciò torna « utile , non a loro. Che però , conchiude il Santo , « dalla ricordanza che noi facciamo de' comprensori del « Cielo sento una forte e veemente brama , che in me ce si accende e divampa (*) n . Per la qual cosa l'oratore dee anche studiarsi d' essere utile co' panegirici , col maneggiare il soggetto in maniera , che gli uditori si (*) Seim. 5. De Festo omn. Sanctor. 325 sentano muovere non pure ad ammirare le virtù de' Santi , ma e ad imitare. Intorno al che ben si avvisano gli oratori francesi , e però in questa parte son pur degni d' imitazione. Ora vedete un po' se in fatto i nostri panegiristi si propongano altro fine, che quello della ammirazione ; e se quindi il loro lavoro non torni più ad onore di so , che del Santo ? In questo essi pongono ogni lor cura. Scelgono un sacro testo che porti nella scorza il suono del loro soggetto , per ghiribizzarvi sopra con ogni sorta di mattezze. In frasi poi or ben triviali , ed or poetiche si gonfiano ad uno stile sonante , nò mai conforme ; e tanto poggiano , che a maniera di palloni areostalici , spariscono al guardo umano. Altro che Crasso scaldatosi nel dissertare dei pregi dell' eloquenza ! Quo (juum ingressus esses , repente te quidam aestus ingenil tui procul a terra abripuit, atque in altum a conspectu poL'iie omniun abstraxit (*). Non dico già che il panegirista per esser utile agli uditori debba uscire del continuo in morali declamazionij ma un motto gittate a tempo e con garbo , un toccare e mettere in bella veduta quella pur fra le azioni del Santo , le quali più si confanno alle forze ordinarie de' viatori cristiani , tornerebbe assai bello ed utile nei nostri tempi . Negli elogj che si intessono ai profani sono pure gradite quelle morali sentenze spiccate con arte dal particolare e porte alla comune instruzione. E poi , chi non sa che dall' accortezza e dall' evidenza , onde si mostrano le azioni virtuose nasce spontanea un'emulazione, una gara che accende gli animi a ben operare? Né ad altro fine sono poi scritti questi elogj profani , se non per allettare al virtuoso vivere chi resta ancora a fornire sua mortale carriera. Perchè dunque non tenterà di fare il simile 1' orator sacro col panegirico? perchè anzi non con più di calore j da che le azioni che propone da imitare esser non possono men che divine; da che noi tenghiamo per fede , che 1' encomiato esemplare serba or O De Orai. Lib. ITI. 326 gran potere di guidarci nella via , che malte alla vera felicità? Riuscirk dunque per un cristiano più utile r elogio fatto ai mortali , che il sacro panegirico tenuto alla memoria dei comprensori del Cielo ? Ma voi anzi che la mia predica , vorreste sapere le belle cose , che intorno a' panegirici lasciò scritto 1' ab. Cesari , sicuro che sull' orme di tant' uomo non porreste piò in fallo. Ne avete ragione ; e se non vi viene fatto saperle per altri , ve le dirò io ; al costo però , che abbiate a leggere le notarelle eh' io gli fo sopra. Cerca adunque intelligenza ed acuto giudizio perchè si ap- prenda come egli pensa in opera di panegirici. Ed io , se pur r ho inteso , vi dico che adduce delle buone ragioni intorno all' arte di siffatto componimento ; con tutto ciò in cotale aspetto vuole si mostri 1' eroe celebrato, che agli uditori poco altro ne viene che ammirazione. Ma udite le sue parole : ce Or questa intelligenza vostra ce ed acuto giudizio mi bisogna per conto di qtiesto « mio scritto , per rispetto d' un mio pensare in opera " di panegirici , clie forse si parte alcun poco dal giudizio " e dai mod: , eh' io veggo agli oratori generalmente' e piacere. Certi lavori d' ingegno , o vogliam dire trovati e et idoli pittoreschi da lor creati di colpo , che ,poi e essi ingemmano spargendoli de' lumi delle vlrtìi dell' - eroe lodato , non mi parevano convenir troppo a questo e genere d' orazioni : conciosslachè a questo modo il t principale (cioè le virtù del Santo) diventa accessorio, ' e ci sembrano stare quasi a pigione , quando elle ' dovrebbono principalmente rlsplendere in tutto il ■e lavoro ; siccome vorrebbesi far d' un giojello , nel e quale 1' artifizio dell' incastonare ed ornare non dee ce far troppa mostra di sé , ma servir senza più a far " brillare meglio le gemme. E pertanto in questo te genere di lavoro , i panegirici mi sembravano riuscir « più in lode dell'oratore, che del Santo 3 conciossiachè « in fatti non tanto le nobili e virtuose azioni di lui ce sogliono , come principale oggetto , tener il campo ; « quanto e più i traili di lume risentito, e '1 lucicante 32^ lavoro di quella lor macchina ed invenzione , che nell" orazion signoreggia. Per contrario io credetti sempre , che le sole virtù dovessero essere la prima e precipua materia del panegirico , a cui l' ingegno debba servire , aggrandendole ed abbellendole co' lumi dell' arte; in modo però, eh' essa arte nel far suo uffizio non si lasci vedere , ma co' suoi ornamenti faccia campeggiare e cresca splendore alle sole virtù : sicché 1' uditore debba raccogliere tutta la maraviglia nel Santo , che oda lodare , senza poter accorgersi dell' ingegno dell' oratore e dell' artifizio. Ora a dire Virtù , io credeva essere il medesimo che a dir Fatti ; da che veramente le virtù cristiane a' soli fatti si mostrano , ed in loro si adoperano come in propria materia , e pertanto io giudicai , il panegirico dover distendersi principalmente nel contare e sporre de' fatti ed amplificarli aggrandendoli dalle circostanze proprie , e da' luoghi dell'arte oratoria, cioè da' fonti della amplificazione. Ma che ? in c|uesto io so bene d' aver alcuni contrari i quali , udendo il panegirista dimorar molto ne' fatti , sogliono dire , quello non un pane- girico , ma esser pure una storia. Ma se egli avessero letto ben Cicerone , avrebbero conosciuto ; non dover l' oratore contare i fatti nudamente , a modo di sto- rico, ma sparli, amplificarli eà ornarli : il che è r ufizio del lodatore, e la fonte unica della lode; la qual veramente non può uscire da' fatti , che non esca dalla propria materia. Ma odano Cicerone ( Part. e. 2 1 ) dove parla de' panegirici ; Conjicilur autem genus hoc dictionis narrandis exponendisque factis , sine idlis arguiiientationibus , ad anind motus leniter tractandos. . . . Non enim dubia Jirmantur , sed ea quce certa aub prò certis posita sunt, augentur. Quam ob rem ex iis quce ante dieta sunt et narrandi et augendi proìcepta repetentur ". Ora secondo 1' abbate Cesari , appoggiato a Cicerone , la fonte da cui deriva il panegirico consiste nell'esporre , amplificare ed ornare i fatti dell' eroe che si loda. Con ' 328 che mi pare che noi non otterremo poi altro col panegirico che ammirazione dagli nditori. E secondo che diceva io si cerca di più , che si promuova insieme con peculiar cura 1' imitazione delle virtù del Santo. Nò a farci stare al tutto col Cesari basta 1' autorità di Cicerone. Prima di tutto è da vedere , esser ben altro 1' oggetto che si propongono con questo genere di composizione gli oratori profani , da quello a cui mirar deggiono i lodatori sacri. I Greci , che diedero questo nome ad un tale componi- mento dalla solenne adunanza , che faceasi in Atene pei giuochi e per le feste , prendeano a lodare la divinità che vi credeano presiedere ; appresso la città , i principi e i vincitori ne' giuochi. I Romani poi teneano di codeste concioni in lode di gran personaggi. Sicché nell' lui caso e nell' altro ben si addiceva alla superbia mondana , che il panegirista inteso fosse a sedurne dolcemente gli animi , mercè solo 1' amplificare e 1' ornare , nel che Cicerone si mostrò famoso , non so se più nell' esaltare Pompeo , o nel vilipendere Verre. Ma queste son poi eloquenti menzogne , pari a quell' altra specie di panegirici , detti orazioni funebri , le quali , come disse Cicerone stesso e di poi Voltaire e più altri , corruppero miseramenle la storia. E certo , invano si tenterebbe di definire 1' indole de' Santi , ove altre cognizioni no\i se ne avessero , che quelle sole de' panegirici. Dopo Cicerone vennero in uso anche pili queste funebri orazioni , e fu celebre Plinio e molti parecchi sino a' di nostri , i quali quanto innal- zarono oltre il merito i loro eroi , tanto avvilirono se medesimi. E buon prò, se sono uomini così bassi e scipiti che tengono per cosa pregevole il dare e il ricevere di questi doni. Ma che non osino di muovere il labbro immondo sul merito degli eroi del Cielo , dove né adu- lazione , uè altra mondana passione ha ricetto. Ma elle sono parole ; che intanto , mercè questi canoni Ciceroniani allegati e seguiti in parte dal Cesai'l intorno a' panegirici , dura in Italia il costume di lodare i Santi del Paradiso nel modo che i superbi della terra , con questo di peggio , che ove negli antichi panegiristi 3?9 trovi bello stile , e forbita lingua da maestro , nei nostri non sono se non barbaine e puerilità da scolare. Quindi sonanti sesquipedali paroloni , invece di sublimità di pensieri ; parlar figurato e gonfio , nella parte che dee narrarti un semplice avvenimento ; grandinar di epiteti , stemperate idee , ove la passione vuole brevità , veemenza. Peggio ancox'a se cerchiamo del decoro, poiché con tale prestigio fan 1' arte loro cotesti nostri panegiristi , che al soggetto che han per le mani danno ogni forma : Martire se Confessore , Angelo se Apostolo ; paragoni fra il martirio della Madre Vergine , del Battista e la Passione di Gesù Cristo ; ed altrettali scandali , per tacer di coloro , i quali osano di far gareggiare 1' un Santo coir altro , come faria di Pompilo con Cesare uno sco- laretto. Che se mi diceste , che fra i tanti panegirici che si odono o leggono ve n' ha pur alcuno scevro da questa mostruosità , tutto che lavorato sul disegno di Cicerone ; io vi rispondo che ciò non pertanto non è alcuno che non torni vano nel suo scopo. Leggete , e vedrete anche in questi di assai belle bizzarrie. Uno si studia di mo- strarvi il Santo encomiato nella sola parte del prodigioso , tal the mal altro non può inspirare che ammirazione. Del qual genere vi do per appunto il panegirico a S. Vincenzo Ferreri messo in luce dall' abate Cesari eoa la dedica , donde ho tratto le sovraddette osservazioni. Evvi pure chi nel lodare si attiene alla facilità dell' or- dine cronologico 5 ma con tal garbo, che vuole pescare ogni voce nella sentina di quelle , che serbansl ne' lessici al solo fine di poter intendere gli antichi nostri scrittori ^ e quivi gli uditori per difetto de' vocaboli , non intendono le cose. Un altro infine si accinge al lavoro, come dicesi per ordine inverso, e prende un'andatura così capric- ciosa , che sur una sola corda ti trilla all' orecchio dall' a al zeta 5 tanto che tu diresti , che costui , il quale prosando si sforza di parer poeta , riuscirebbe alla prosa poetando, Sicché in ogni panegirista , più o meno attillato egli sia , non vegglamo altro scopo , che quello della sterile ammirazione. Né giova il dire che 33o r uso non gliene dà altro : che questo sarebbe voler vivere soggetti a quella pazzarella di Moda , la quale se ha vita nel perpetuo variar d' aspetto le cose , nello snaturare queste nostre non mai j altramente chi non è vuoto di senno avrà sempre in egual conto questi vanarelli oratori , che que' maestri di musica , i quali fan lieto il Kirie , e mesto il Gloria ; o darà alle lor opere quel valore , che agli inni o a' mottetti , che sogliousi nel tempio di Dio innalzare al Cielo col canto. Ora se le mie ragioni vi persuadono , tocca a voi di tentare una innovazione oratoria. Voi siete fornito di tal copia di senno , di cognizioni e bel discorso , che potete farla a man salva. Vo' dire con usar tale destrezza , che il vostro panegirico riesca ad un tempo gradito a' guasti orecchi dei dotti , intelligibile al popolo , utile ad ogni sorta di cristiano. Al che io vi stimolo con quanto ho di calore , ed ove non vadano falliti i miei voti , prego Iddio a dar lume ai giovani predicatori, affinchè smessa 1' arte erronea con che ciecamente prendono a lodare i Santi , vengano pur una volta nell' opinione di dare a' panegirici in un col mirabile 1' utilità. State sano. 33 j LETTERA IL DELL' AB. ODERIGO ( inedita ) ALL' AB. GAETANO MARINL Delle Coorti Pretoriane e Urbane presso i Romani. ( V. Lelt. K F. 3. an. 1828 ) .Xl ssai mi duole , che dopo molta pena e molte ri- cérche per fissar 1' anno in cui Genova fu ascritta alla Tribù Galeria , nulla potea dirvene , non solo di certo , ma neppure di verisimile. Per quanto mi sia affaticato , non mi è stato possibile di diradare quelle dense , e folte tenebre in cui quest' epoca è per me involta. Potria sospettarsi che ciò avvenisse 1' anno 665 , in cui Gneo Pompeo Strabone legein tidit, dice Sigonio ( de ant. jure Ital. lib.iii e. 2 ) qua Liguribus et Cispadanis et yenetis civitdtem; Transpadanis latinitatem commu- nicavit. Questa legge Pompeja è assai nota , ma non forse chiaia abbastanza j nò io ho sufficienti prove per asserire , che in vigore di essa , fosse a Genova data la piena cittadinanza ; e minori ne ho per negarlo , e per dire , come pure amerei dire , che prima di questa legge 1 Genovesi godeano della cittadinanza romana. Lascerò dunque la cosa indecisa. Chi sa , che il tempo non ci discuopra un giorno un qualche monumento per cui quest' epoca si possa sicuramente fissare ? Ma poiché ho parlato della cittadinanza romana accordata ai Liguri , di cui la nostra lapida è una certa prova , né io du- bitar ne posso ; vi dirò che dubito assai che non ab- bia qui luogo r autorità di Diodoro , con cui Sigonio pretese provarlo. Nam et Diodorus Ligures , et Slrabo Gallos Clsalpinos in civitateni acceptos nlerque lib. K. 332 mandarunt. (Le). Se non m'inganno, ebbe egli in \ista queste parole del lib. V, « Ttrfg Se av-u-j Sia ■zoj 87n(itS,i,a.j xYjq Vw/xaiMV TroXiTftag fx,tve?jou/i£vou,; fu da Diodoro usata per Prcefecti , Trcetores, mandali da Roma nella Liguria ridotta in provincia romana ; neppure in questo caso sarà Diodoro un buon testimonio della cittadinanza data ai Liguri da' Romani j che non si mandavano PrcfetlL o 1 retori ai Popoli , che godeano la cittadinanza ro- mana. Voi esaminerete questo luogo , e saprete dirmi , cosa ne pensate ; io penso a M. Galio, Ci dice la lapida , che questo Genovese militò nelle Coorti Urbane; in qual tempo, e sotto quali impera- tori né la lapida il dice apertamente , nò ci porge in- dizio veruno da cui poterlo ricavai'e. Da Augusto furono restituite le Coorti Urbane unitamente con le Pretorie , siccome Dione , e Suetonio lasciarono scritto : « Certuni ìiumerum niilitum, dice quest' ultimo ( V. Aug. n. 49 ) par Lini in urbis , partim in sui custodiam allegit , diinissa calagurritanoruni manu , quani usque ad de- victuni Aììionium , item Germanorum , quani usque ad clddeni Variaiiam iiiter arniigeras circa se habuerat. " La disfatta di Antonio accadde 1' anno 728 , quella di Varo 1' anno 762. Lascerò ad altri il fissare in quali di 333 questi anni debba rlporsi la fonnaziono delle Coorti Urbane, e Pretorie. Prima di quest'epoca non è cèr- tamente la nostra lapida ; e per quanto penso , non può collocarsi di troppo postei'iore all' impero di CaracaUa , per la cui famosa legge fu accordata a tutto 1' Impero Romano la cittadinanza di Roma. Dopo questa legge , e concessione , l' uso di segnar nelle lapidi la Tribù a cui vino era ascritto , si diradò , e a poco a poco mancò del tutto , siccome hanno già altri osservato , e voi ben sapete. La Coorte Urbana , in cui sotto il Centurionato d' un certo Negro militò Cado , nella lapida vien detta De- cima. MIL. CHOR XVRB. 7. NIGRI; questa Decima però si è la prima delle quattro Urbnne. Voi non ignorate certamente il sistema che sulla enumerazione di queste Coorti formò Fabretti. Osserva il dotto Antiquario che nelle lapidi , in cui si parla delle Coorti Urbane , non si trova mai numero inferiore al Decimo , trattene due Gruteriane , in una delle quali leggesi Coli. Vili, pagina 38^. 8, nell'altra Coh. \IIII. pag. 5ig. io, che esso crede mal copiate e trasformato il XIII in VIII , ed il XIIII in Villi per la mutazione del X in \ ; quindi ei vuole , venisse , dirò così , alla coda delle Pretorie , cioè della Nona j onde la prima Urbana portasse il nome di Decima, e così in appresso. Io non so , se il tempo abbia scoperte nuove iscrizioni , che contraddicano all' ingegnoso sistema di qnest' autore. Sia egli pur vero verissimo , domanderò perchè mai essendo state Dieci le Coorti instituite da Augusto , se dee credersi a Dione ( lib. LV. pag. 583 ) , perchè dico 1' enumerazione delle Urbane cominciò dopo la Nona ? Perchè niun conto si tenne della Decima ? Sembra che 1' autore del sistema attribuiscalo alla maggior dignità delle prime nove Pre- torie , che erano , dice , munere suo digiiiores. Ma di questo quali prove si recano? su quai monumenti si fonda questa maggior dignità ? Or io amo meglio dire che Nove soltanto furono le Coorti Pretorie formate da Augusto , e non dieci , e perciò la prima Urbana portò 334 il nome di Decima. Nove Coorti Pretorie , e non pii'- pone Tacito sotto Tiberio 1. a. 776. « quamquam iii- sideret Urbe proprius miles , tres Urbana? , et Novein cohortes Prcelorice , Etruria Jerme Umbriaque dele- cLce , et vetere Latio , et coloniis antiquitas Romanis 53 ( An. IV, 5 ). So , che Giosia Mercero inclinò a mutare in Decem il citato Novein ; e che altri senza alterare le parole di Tacito , ricorsero ad una diminuzione fatta da Tiberio per cui a nove fossero ridotte le dieci che Dione aft'erma essere state da Augusto insliiuite. Tacito però nulla dice di questa diminuzione nel citato testo , e nulla ove racconta che Tiberio raccolse e iissò iu uu sol luogo , detto Castra Prcetoria , queste Coorti , che erano qua e là disperse per la Città, ce p^im Prcefe- ctur(B modicam, antea iìitendit dispersas per Urbem cohortes in una castra conducendo jì ( An. IV. 2. ) La qual cosa vien anche scritta da Svetonio nella vita di Tiberio ( n. 87 ) « Ronice castra constituit , quibus prcetoriance cohortes vas^ce ante id tenijjus et per ho- spitia continerentur ". Parmi certamente strano , che né Tacito , nò Svetonio nulla ci dicano della pretesa diminuzione fatta da Tiberio , e sì parta , che Tacito dovesse darne un cenno. Ma Dione , mi si dirà , chia- ramente attesta , che in Dieci Coorti divise Augusto dieci mila Pretoriani da esso instituiti. Ma Dione, rispon- derò io , scrisse un secolo dopo Tacito , e potè essere ingannato per ciò che si appartiene al numero delle Coorti Pretorie , da quello in cui i Pretoriani erano divisi ai suol tempi : che io non contrasterò , né potrei volen- dolo , che Dieci siano state un tempo le Coorli Pre- torie , tante sono le lapidi in cui leggesi Cohors De- cima Prcetoria : sebbene io non sia al caso di assegnare r epoca d' un tale accrescimento. Lo erano sotto Anto- nino Pio , siccome mostra una lapida posta a M. Aurelio Cesare da Petronio Mamertlno , e Gavlo Massimo. Dirò Lensi , che fatto quando che fosse questo accrescimento , la prima delle Coorti Urbane continuò a chiamarsi De- cima per non isconvolgere l'ordine di già stabilito nella 335 eiiuraerazioiitì delle Coorti , e non per la pretesa mag- gioranza delle prime nove Pretorie, Ho detto , che non più di nove Coorti Pretoriane formate furono da Augusto : dirò altresì che non più di tre furono le Urbane nel loro principio : l' uno e r altro sulla autorità di Tacito nelle poc' anzi citate parole « quamquam insiderei etc. 33 Alla autorità di Dione , che quattro ne conta , darò la medesima rispo- sta , che ho data pel numero delle Pretorie , e preferirò in questa controversia Tacito a Dione. Tre Coorti Ur- bane instituì dunque Augusto , e sotto Vitellio, nel cui tumultuoso governo le Pretorie salirono al numero di sedici , le Urbane furono accresciute d' una quarta , conforme scrive Tacito ce Insuper conj'usus pravitate , vel anihiui ordo iniLitice , sexdecini Prcelorice , quatuor TJrhance cohortes scrihehantur , quis singula viillia iiiessent " ( H, 11, 98 ). Si è creduto che a' tempi di Antonino Pio , fossero le Urbane nuovainente ridotte a tre e cosi continuassero fino a Costantino ( V. Fab 1. e. ) Su quali prove ? Perchè nella citnta inscrizione di M. Aurelio Cesare leggesi ce Tribuni militum Cohortium IJrbanarum trium- Cohortes urbance X. XII. XIIII. » e perchè in altra de' tempi di Costantino un certo Flavio Ursacio è chiamato Tribunus Cohortium Ur- banarum X. XI. XII. Non so se queste due lapidi sieno per sembrarvi assai acconcie a provarvi l' in- tento ; a me , no certamente. E primieramente tre sole Coorti Urbane si nominano , ( nella lapida Co- stantiniana , per cominciar da questa ) perchè di tre sole Ursacio fu Tribuno j cosi tre sole nella Aurelianaj pei'chò tre sole concorsero ad innalzar quella lapida o monumento a M. Aurelio. Se non più di tre erano al- lora le Coorti Urbane , perchè la loro enumerazione non procede ordinatamente, come nella Costantiniana? Perchè ' dalla X." si passa alla XII." e da questa alla XIIII."? Ma tanto è per me lungi dal \ ero , che questa lapida Aureliana ci provi le coorti Urbane ridotte a tre sole sotto Antonino, che anzi ne argomento esser cileno state 336 cinque , poiché vi si nomina la Coorte Decima quarta. Né si dica esser ciò por errore di chi pose XIIII in luogo di XIII o meglio XII ; che troppe sono le la- pidi in cui leggcsi Cohors Urbana XIIII; laonde non è credibile , che in tutte sia corso un simile eri-ore ( V. Fab. 1. e. ) Errore piuttosto io sospetterei nella con- solare dell' anno 6Q della nostra era , in cui trovasi Cohors XVI ; e per cui Fabretti si credette , che sotto Kerone , sette fossero le Coorti Urbane, Muterei volen- tieri il XVI in XIII, giacché d'una sola lapida si tratta, né altra , eh' io mi sappia , se ne trova con la Coorte Decimasesta. Per dire una parola ancora di queste Coorti Urbane , è stato già avvertito , che esse furono sotto il Prefisjto di Roma , scrivendo Tacito ( H. III. 64 ) yit Primores civitatis Flaviiun Sabinuni Praefe- ctum Urbis secretis sernionibus incitabant , rictorice famceque partem capesseret ; esse UH proprium nii- litem cohortium Urbanarum. Se in appresso passas- sero sotto il Pretore Tutelare , siccome asserisce il Pan- ciroli ( De XIV P. V ) lascerò ad altri il verificarlo , che io qui non uè ho voglia , né bisogno di entrare in questa disamina. Torno un momento alla lapida e finisco di più nojarvi. Se essa ci fosse giunta sana ed intiera , sapremmo esattamente 1' età del nostro Marco ; il tempo che militò , da chi gli fosse eretto il sepolcral monumento , e più altre cose , solite a leggersi nelle militari lapidi. Possiamo però di buon grado soffrire r ignoranza di tutte queste cose ; con la sola parola Galeria; essa ci ha detto tanto, che con ampia usura ci compensa quanto o ci tacca , o il tempo ci ha tolto. Io sono. 337 SONETTO Del P. Cesari al Cav. Conte Luigi Salina. (V. Corrispondenza poetica, pag. 322 e 323.) Quel formlcou da sorbo , che mi manda I suoi giudizi per la bocca vostra , Quanto più si nasconde , e più si mostra D' alto inchiostro degnissimo , e ghirlanda. Tal il suo stil Castalio odor tramanda , •^> Che '1 pon tra' primi eroi dell' età nostra , La lingua poi di Roma , onde 1' innostra , Par d' un Catullo , che nettare spanda. Ma non contento di sì caro onore , Vuol esser creduto umile , ed ammuta Con me , quasi temesse il mio valore. Cosi suol far la forosetta astuta , Ch' al pastor scaglia il pomo , e per rossore Fugge , e da lui vuol prima esser veduta. , Risposta di F. ScHiASsr al Cav. Salina. Quel Barbassoro d' Adige , che manda Oggi per me , Salina , a casa vostra , S' eì dice pur da senno , affé che mostra Non saper qual si debba a me ghirlanda. Ben v[ ha chi sallo j v' ha chi lo tramanda A' posteri , nonché alla gente nostra j Ed è ben tal , che il ver non pinge , o innostra, Ma lo squaderna si che più si spanda. Dunque non umiltà schiva d' onore Fa che la lingua mia stupida ammuta , Ma coscienza del nullo valore. Amico , il dite a lui , che pur d' astuta Arie mi taccia j ahi ! quanto n' ho rossore , Che «l gli paja averla in me veduta. 33^ SONETTO Del P. Cesari a Filippo Schiassi. Ond' è , Schiassi , ( e non parlo alla latina ) Che alle lettere mie non rispondete ? Se , verbigrazia , è ver che le leggete j Ma mi fate rispondere al Salina ? Quella vostra eleganza alta e divina , Gh' a lui scrivendo squadernar solete , Vi scappa forse come d' una rete , Che per me bruscol. mai non si sciorina ? Cosi non facea mica quel Catullo, I cui versi imitate , e 1' aureo stile , Che a Flavio rispondeva ed a FabuUo . Che monta il non aver altro simile A frugar nel vecchiume , ed esser brullo Di quello , che ne' vecchi è più gentile ? Risposta. Vedeste pur la mia baj a latina ; Or perchè dirmi poi non rispondete ? A voi scritto non è , quanto leggete Da me scritto per voi al mio Salina ? Ei per giunta vi scrìve , e la divina , Penna in l' inchiostro bagna , in che solete Bagnarla voi j mìa musa quasi in rete S' impaccia , e nulla mai di buon sciorina. Imitar pur sapessi di Catullo , Gnor d' Adige vostro , il dolce stile , Che voi certo sareste il mio Fabullo. Beato òhi esser puote a voi simile ; Ahimè ! elle del latin pur mi son brullo , Non che di quel toscan vostro gentile. 339 I- (.'-1 SERMONE R O M A N 1 1 0;^; { ■'(■.] INTERLOCUTORI '' * Un Giovane, e un Torracphion^éi O Torracchion ., dell' Apennia montiepa , A' Sensibili erranti amabil porto , Ti veggo alfine : in te posar le stanche Piante dal mondo social fuggenti , E dolci obblii trar di tranquilla vita Dato mi sia. M' apri il tuo bujo , e meco A ragionare imprendi. Han senso e vóce ■, E rispondono a noi le balze e i monti. — O te felice , che nel fior degli anni Le dolcezze del secolo bugiarde '■''^• Abbandonasti. Mi ricorda appena ' ' '' ( Tanta età volse ) de' santi e canuti Di questo speco abitatori. A' lupi Solo , a' gufi e corbacchi ornai soa 'fatta Ospizio. Tutti i miseri mortali A Bacco , Vener , Pluto , e agli altri Dèi , Spregiato il vero ed uno , alzarto altari , Ardono incensì , e , ciò che più m' accora , Al dritto e manco lato del paterno Monte , quanto si stende dipartendo Dal mondo la più bella parte = O degno Di forti spirti albergo , a te si mostra Questo ver chiaro come della mezza- Notte in tempesta il grembiul negro al lampo D' una saetta che cincischia il cielo. Già da mille ottocento venti nove Anni iu questa fra tutte ektta sede Di vera sapienza , il Dio si cole Delle vendette ; e ancor non s' è" per questo Disimparato il mal costume antico Degli omerici Dei. Né delle nubi Figlia la piova dir si vuol da' vati , Ma Giove che discende della lieta Consorte in grembo. Il sole essi non fanno Centro a' pianeti j auriga nuovo e vecchio Nella stessa carriera. I fior , le messi , Niegan le poma alle feconde zolle , E a Flora ( ingrati ! ) , a Cerere , a Pomona Le ascrivono — T' appressa , ospite amico , Siedi su questa volta , a cui fa lume Quel fesso — Ne' più interni penetrali Anzi m' appiatta : alla luce nemici Son tutti di mia schiera — In se ristretto Altri meglio contempla. Scendi questa Scala dunque , se '1 vuoi — O vago seggio Di rovesciate roccie , oh mia delizia l Grammercè , d' Apennino inclito figlio. Su «u , mie veglie. Un mongibello io chiudo Entro aUe vene , e fur selce ed acciaro Le guance di Clarice. Era Clarice A me cortese : ma il crudo marito Troncò nostri diletti , e mi fu forza Involarmi. Ella di me sola or piagne Nostre sventure; ahi tristo fato ingiusto! Oh mia Clarice ! come urtansi spessi L' un con 1' altro i marosi irati incontro Le marine barriere , i miei sospiri S' avvicendan così. Dal guerrier bronzo Men roventi di lor fendono 1' aura Le palle presso assediate mura. Oh ciel maligno. ... — Questo aere cupo T' offende i sensi , o giovinetto. Sali , Se il ciel ti salvi , il mio cocuzzol ; ivi A me scopri tua sorte. Io non ascolto Follie d' amanti or di te indegne. Sgombra Pgni voglia dal cor , che al ciel non s' erga. 34i Se alto ingegno t' abbella , e arti leggiadre, M' avrai compagno a ragionarne , un' ora Ogni di , per ristoro alla salubre Disciplina = Di cpii , se si dissolve Questa nebbia gentil, vedrai la terra Che mi fu culla , e , ancorché più lontana , L'altra, ove ad apparar fanciullo ancora Fui trapiantato. Chi'l facesse punto A me uè a te monta il saper. Ciò basti Che nulla mi mancò di quanto al vitto Fa d' uopo in chiuso ostel di giovincelli Prigione, ove gli stolti e ciechi padri Ad altri padri più scipiti e rozzi Gli affidano ; ahi tradita altera prole Italiana ! E fino a quando in questa Patria durerà il barbaro costume? Che Vandali , che Goti ? In mezzo a noi Vivono ; Italia il vede , e sei comporta , Anzi li riverisce, ah vile, indegna Di tal nome ! non più se' dessa. Gli alti , 1 magnanimi semi di valore , Di libertà , d' orgoglio sbarbicati Vengon dal cor di nostra gioventute Per farne branco timido ed inerme, Facil preda agli scaltri. E qual s' apprende Nobil arte a coteste scuole? Antiche Lingue , antichi volumi , antiche foggie Di ragionar , ornai rancide , esangui , Fastidiose , inutili -, tempesta Alle tenere menti .• ed i soavi Moti del cor , cui la natura imprime , Ed innocente invita della razza L' amabile metà , son tronchi in erba. Che a noi di Tullj , che d' Omeri, e Danti, Che cai di Crusche ? Il secolo inesausti Ritrova in sé suoi lumi , e quali e quanti ! Tutto il mondo è un paese , un sol linguaggio De' saggi Russi , Turchi , Arabi , ed Indi , Franchi , Itali ^ il pùiisnio urta thitóéra.' Si spalanca da' gelidi trioni, .' ' Santa Scuola- novella ,'àrtipid ne ^gorg^V, Sublime càrtto , che vìrice'i^ rimboiiibó'^^ Dell' elettrico foCo' stjùhrcia-nubi.'' tj- )i.iy MI rapi , m' animò , fuori mi s^iii^ ''';' Dell' ergastolo , e \èrtil anch' io scoccai . '■" • *ì Che in Caledonia pai^éaA nati; mehtre'' ' Piacque al mio fato , € di dolor satollo;"' Pria che in patria né' verini à' te. Percbslro Ti'* avrà 1' eco l'orecchio delle nòte Peregrine, onde ItWli.V oggi rinasce; '"^ Ancor che tdrdi !=i= Q'uel eh'' a Italia gicyei , Quel che rio, sé '1 tuo dir beri io f oniprosi , Mal discerrti J fanciullo. Esperienza", ' Tempo, fàtic.1 , arte, maturò Siéttho"' '^ ' Unica sonò' e rteces'àarìa scorta. ''■'' ' ''' Ben io mei so , che d' Italo e ' SàtUrrtd ' ^ I volti ravvisai. Tutti' 'gir feVenli' ' ^ Da indi in qua d' ES'périd' a me son 'conti D'armi, d'imperi, è di Snyét'. Tirrl'hL', Liguri, Tèucri in questo Suol; dìi'primJil Vidi locar loi* sedi : e qix'é^o segnò "' A me fu de' gran vati in ógni etate', ''''. Che tromba fosse , Oppur zampogna , ò lira , Se n' intendeva il suo'n robusto e chràVò''_ Da questo monte, onde' che ùsfcisse. "Eterno Era il nome di questi, ed immortali' ,', I carmi lor . Téocrit'o , Lucrezio, ''J'^"^'- *■ Ennio, Fiacco, Virgilio ,' 1' Alighlèfi.^^'j^ Di Laura il vago , 1' Ariosto , il Tds^è'';,^ II Savonese , e cento altri,' ch'io tacciie^-.," Ai primi accenti udii , e i primi acc *i'itt^ Fean fede che di Lete uiiqua la |>ossa "■ Non sentirebbon. Gli altri, che la muda'^ In trionfo menava , a fémminelte E al volgo saputello idoli , unquaiic'ò " Non poteron fin qua spinger la voce , 343 Indizio certo che non fur mai vivi Se non come la gracchia infra i pavoni. lulallibile è questa esperienza. D' un Cesari e d' un M(jnti ultime accolsi Le note in bronzo scritte , e più del bronzo Stabili. Gran romor dalle secche Orse Tetro , discorde , confuso si spande. Se questo è quel , che dici , o giovinetto , Sappi che fin 1' aspetta ancor più trista Che non ebbe il Secento. Un simil rombo In tal secolo udii, se non che un" aura Tenue d" Italo ancor serbava , ond"" oggi Per ischerzo s' ascolta ancor. Del nordico Né il nome pur si serberà tra noi j CJhe lo sdegnano insin gì' itali sassi , - Won che la gente e i saggi. Erano cime D' uomini i tuoi maestri , che lontano Te ne tenner. La Grecia antica e il Lazio Di sapienza scuole uniche e sole Fiano sempre , quai fur. Quali armi , quali Toghe , quai templi od arti infra i mortali Di tanta gloria si vestirò ? Spoglia De' fasti suoi fora 1' umana prole , Se queste carte , onde s' alluma e gode , Ludibrio al tempo andassero. Ma prima Me col gemino mar , che quinci e quindi Serra quest' almo suolo al mondo tempio, Vedrai in Siberia a te maestra , prima Ciel senza stelle , uom senz' anima vivo , Che Italia senza i suoi prischi tesori Ivi celati. Pur si gonfi e scrosci La boreal bufera , e spazzi i monti 5 Al Tebro , all' Arno , ali" Eridàno in riva Germogliera pur sempre il sacro alloro. Ma tempo è ornai che in più solinga cella Con preghi e pianti e flagelli ti volga A mondar 1' alma dall' impuro lezzo , Che sì r ammorba , e allo chiamar mercede 344 Al pastor , che 1' erranti incaute agnelle Chiama , . e si stringe al seno. Doman fissa Tornerà al nostro ragionar la volta , E in senno , se '1 sostieni , a poco a poco , Spero , rientrerai — Sogno ? Io romito ? Chi udii ? Chi parlò ? . . . . Troppo tìa vero , Che anco esti tristi fasci di mattoni , Perchè italiani , in sé capir non ponno Nova filosofia. . .-. . ahi morta terra , Col rio destln ti resta ! Or or men volo « Là dove sotto occidentale stella cr Ande superbo giganteggia , e all' aure « Spiega vessillo di meteore e nembi , " E dal trono di nubi , in che si posa , « Mezzo V orbe col guardo alto misura. 345 Sulla marina, del lERRiroRro di Savona Osservazioni di un accademico rinvigorito di Cento. I • «gionare dì un luogo senz' averlo veduto , egli non è altro , se non se aggirarsi nel bujo. Questo eh' io di- co , è accaduto or ora ad un anonimo , che ha pub- blicato alcuni suoi pensieri sulla venuta del condotliere de' Cartaginesi , Magone, nella nostra Liguria. Immagi- na egli , che entrasse nel porlo di Savona con tutta l'armata partita da Minorca; e riprende coloro che fanno giungere il Cartaginese direttamente a Genova , fondati sul testo di T. Livio , che parla di un repen- tino arrivo , repentino adventu. Io non voglio , Prestan- tissimi Direttori del Giornale Ligustico , combatter l'a- nonimo colle autorità degli antichi ; perchè temo di non poterne trarre costrutto ; vedendo che a provare non essere differenza tra Oppidum ed Urbent adduce queste parole di Aldo Manuzio il giovane ■= Oppidum proprie infra urbem est = le quali dicono appunto il contrario, cioè — Oppidum è meno di Città , a parlare con esat- tezza — , Esaminerò dunque il paese che si stende lung» la marina di Savona , paese da me attentamente consi- derato più volte j e se dal mio esame si parrà che 1' anonimo non abbia veduto quella parte di Liguria , dovremo conchiudere che la topografìa non è lavoro da farsi nel silenzio e nelle noje d' uno scrittojo. L' attuai città di Savona , ragguardevole per molti pregi , è posta tra due luoghi antichi , Vado e Albisola. Non essendo verisimile che la città di Vado fosse priva di territorio , e dovendolo avere anche Alba Docilia ( Oggidì Albi sola ) . specialmente ne' secoli antichi , quando ni uno ricordava Savona , posso limitare il tenere dì Savóna^faTI torrente "ShnsohT)^ , che divide l'amena \ulle di Albisola, e il torrente di 7,inòla , che dalla \allè di Vado viene a metter nel mare tra Legine e Vado. Il territorio di Savona già da qualche secolo è più angusto di quello da me desciittij j cosicché non posso cadere in sospètto d' averlo cihiuso in troppo an- gusti confini per meglio prowedex-e alla mia causa. Darò principio alle mie ricerche dalla regione di Le- vante , dividendola in 4 parti ; I. dal torrente Sansop^ bva al- poggiò sU'l' qriale' sta la Chièsa PanoccW'.dfe 'di S. Maria della Concordia ; Ìl. f)a questa Chiesa 'allo' Spedale,' ed antica cella di' 'S. Benedetto j III. Da' S. Btn'édetto al na del Teriììine\ che distiiigue la ptt-^ risdizioné di Savona dal comune' di Albisola; IV. Dal* rio terminale alla Chiesuola di S. Lucia presso Savònft:' La porzione segnata' jV." i non poteVa aver j)ort6^' perché ^iaée sulle sponde di uà orgoi^liosò torrente , e', perchè battuta dal furore de' venti , che' scendoii'o da' monti akissinii. Quanto al primo argoulento, a tulli'è' notò che il letto di un fiume perenne e placido ,'"éi' leogh'i prossimi alla sua foce, possono dare alle nnvi' utt buOh ricètto; ma ciò non ha luogo parlandosi de' torrenti," che non sentono freno. Qual sia poi la rab- bia de"" véUtì nella vicinanza della Sansobbia , possono' dirlo i marina] di Savona ; al cui giudizio pratico mi rimetto intèVatìieiite. Vuoisi pur avvertire , che i terreni vici'tìi al Sansobbia o sotio di ghiaja fluviatile coperta di un po' di terra, o di terreno d'alluvione; indizio manifesto 'che il toiYente' non fu ne' secoli antichi stretto dagli ail'gini; é péro Vagar poteva nel piano della valle sènza fi-fcrio e séViz^ tóisùra. Che se nel foglio intitolato Osservazióni aéilta iute/ licenza di T.Livio, vien detto che ft'el pi«no 'dì' Albisola il terreno vicin della marina è- foi'iWàlo di' <£t/b, egli è (pieslo un errore di fatto, còóiè qU^lT' .vUrb assai' celebre dello scritto medesimo, per cu! 't^Yv antracnifiq del lignite di Cadibona , furono ivii&ióvnvAy'x ivi Elefanti cartaginesi , ad onta delle bel- Itssiihé Osservazioni' del Bàib'né Cu^N'iCr, che gli aveva esaminati e descritti. , ^47 Il terreno indicato nel N;° 2 essendo non di piano, ma di poggio , non lasciava luogo ad un porto. Infatti il marti, quando è un po' gonfio, entra nella piazza, e da questa comincia una brevissima cordonata che ffiette alla Chiesa : il palazzo de* Marchesi Mari, lon- tanò da' flutti non più che un trar di sasso, è sur un colle; e uri altro poggio sorge subito alle spalle ed al' latii occidentale di S. Benedetto. • -l Da S! Benedetto al rio del Termine è un nlòtifé'? còsi vicino a' flutti, che lascia a péna un pic'òiol"'éétì4* tiero tra i sassi del lido. ' ^^"; Dal Rio a S, Lucia è una catena di mónti , tagliata' a piombo, senza vestigj di littorale , ^e non che appiè delle piccole frane apèrte dalle acque correnti. Niun porto adunque polea trovarsi tra il Sansobbiisi^ e la città di Savona. '" '-'■'"'' ,•;»*'>/ Ora vuoisi esaminare la città medesima ,' sfe fòì"S(é 'Ribr- essa potessinvo allogare un porto. Possiamo dividerla^' nel' fatto del riguardare alla tnarina , in tre parti p I. Da S. Lucia alla piazza di Ganepa ; tratto pietio 'di,' rupi , ed elevato di troppo, come vedesl , dal palazzo' Giovo, dal Seminario, dal convento di S. AgoSlìno'j' II. Dalla piazza di C.uiepa a quella delle Arme ; por- zione così angusta, che non darebbe luogo se no ù che ad lin piccolo canale, oltre ad avere il poggio d-i troppo' vicino all'onde; come apparisce dalla torre del Braii- d'àle , e dal palazzo già di Giulio II. , ora della R, In-' tendenza ; IH. Dalla piazza' d' àrnie alfa porta Bélidrìct' che mette sulla via della riviera di ponente; e questo tratto era ingombrato e chiuso dalla scogliera di Pria- mà ( Pietramala ) , sulla quale sórge- da q^ualche secolo la fortezza, che ha i fondamenti sul vivo; come ve- desi e dal fosso che corre èotto al maschio, e più aper- tamente dalla parte del mare. Laonde , conchiuder dobbiamo che nel luogo dove è oggidì Savona , non era permesso dalla nnlura del suolo di farvi un porto. ' La parte occidentale del lido Savonese ; pnossi ri- partire in due soli tratti; dallo spallo del forte al lor- 346 reale o botro , detto Letiinbro dagli Arcadi Savonesi , e creduto un ragguaidevol fìume dall' Autore delle Osservazioni su T. Livio dianzi citate j e dal Letim- bro al ponte di Zinòla. Ma la marina in tutti e due c]uesti tratti è cosi aperta ed orizzontale , come verso Laveaza in Lunigiana ; ciò vuol dire che non è propria ad un porto, senza grandissimi scavi e spesa enorme i le quali cose non potevano fare prima di Annibale i poveri montanari della Liguria occidentale. E senza questo , rivengono le difficoltà già promosse circa al situare de' porti sulla foce de' torrenti , ed in uno spazzo battuto dall'aquilone, dal maestro e dal libeccio, senza schermo di monti , ovvero di colline. Per quanto si è scritto fino ad ora , noi sappiamo , che non poteva essere un porlo nella marina di Sa- vona , benché le abbiamo concedato un' ampiezza mag- giore del vero. Che se consideriamo quel porto fosse necessario a Magone per isbarcarvi di cheto le sue, genti , toccherem con mano , che le nostre prove rice- vono quasi una evidenza geometrica. Infatti, veniva Magone con 3o navi da guerra , e molte da carico. — • triginta ferme rostratis navibus et mnltis onerariis — Sui trasporti aveva posto 12 mila uom. di fanteria e 2 mila di' cavalleria — duodecim milia peditum , duo ferme equi-^ tum — Qui ne soccorra un poco d' aritmetica. A tra- gittare per lungo viaggio due mila cavalieri co' loro cavalli, arnesi e foraggi , non ci voglion meno di 20 buoni navigli ; ed al trasporlo di la mila fanti con armi e bagagli , a gran pena bastar potrebbero a5 navi. Cosi avremo Navi da guerra 3o — da trasporto, fa nter. aS — da trasporto, cavali. 20 Totale 75. Ter altro T. Livio parla di ottanta navi da carie» ( onerarias ) che dalla Liguria , come sembra più prò- 349 babile , rimandate in Africa, vennero in poter de' Ro- mani ne' mari della Sardegna. Ed in questa supposi- zione dovremo concedere un ceritinajo di navigli allo stuolo di Magone. Ma io mi contento di yS , ovvero di 80. Tutti questi legni , non piccoli , ma forti e capaci , come apparisce da tante truppe su di essi imbarcate , dovevano starsi rincanliiociati nel porto , se Magone , da buoa capitano, e di più capitano cartaginese , vo- leva nascondere la sua venuta a' Genovesi , onde sor- prendere 1' emporio de' Liguri , e pagare i soldati col bottino della città nemica. Ora se noi vogliam sup- porre che Savona fin d' allora avesse un porto cosi ampio da contenere una flotta sì riguardevole , dobbiani supporre similmente , che all' eia di Magone , 1' aspetto fisico del paese in riva del mare fosse in tutto dissimile dal moderno ; e che in luogo di monti , róccie , botri , torrenti, fosservi golfi, seni, fiumi placidi, e luoghi piani; la qual cosa troppo è lontana dal vero; cosic- ché sarà meglio starsene a T. Livio che racconta esser venuto Magone dirittamente a sorprender Genova , sa- pendo che non v' erano truppe a difenderla ; anziché immaginare che il Cartaginese volesse scendere a Sa- vona , e di colà muoversi per aspre rupi alla volta di Genova, quando già il suo stratagemma sarebbe stato vano , perchè palese; e i Genovesi chiuse le porte avreb- bero dai merli e dalle torri posto in canzone il nemico , il quale non avea né bombe, né cannoni d' aprire le mura. E credo che lo stesso autore dell' articolo in cui si crea 1' antico porto di Savona , ben conoscesse che non sarebbe cosa d'uomo prudente sbarcare in terra nelle riviere per poi sorprendere Genova repentino ad- ventu; perchè tal disegno di nuov'arte militare gli piac- que attribuire a T. Livio: «Narra T. Livio nel lib. 28 « r arrivo di Magone generale cartaginese al lido Li- « gustico , r occupazione e distruzione di Genova ec. » quasi che lo storico distinguesse i due fatti, l'arrivo in Liguria , e 1' occupazione di Genova ; laddove T. Livio 35o da Minorca fa venire difilato à Genova lo stuolo car- taginese, senza pur nominare la Liguria: « Maj^o ex te minori Balearium insula in Italiarn trajccit , ce Genuamqae nullis praesidiis etc. » Un' altra volta , ornatissimi Direttori , mostrerò quale sia grande 1' er- rore di creder Savona già fabbricata a' tempi di An- nibale , e quando fosse cominciato a scavare il porlo attuale dì essa città : per ora gradite i sensi della mia sincera stima e del mio ossequio. 35 yiiitidoto pe" giovani studiosi .contro le novità in opera di lingua italiaria sfinito da A. Ce- sari D- O. Forlì, 1829.. io 8." ( V. il noslio (i. fase. 2." 3." di quest' anno.) Estratto. "* Fiiut,i|i')iji • ; orte s' ingannerebbe chi si desse a credere , cfhe qdest^ opuscolo del gran Veronese sia cosa al tutto da ragaz- zetti principianti, nella quale si ridices-^^e ciò che mille volte s'è deito e scritto da' pedanti simili alle peco- relle del divino Alighieri. Trattasi qui im argomento , intorno al qtiale si garrisce in tutta Italia da chi sa e da chi non sa, e coloro i quali si pensano saperne più degli altri , prendono sovente in esso di granchi ben grossi. Tutti quasi I nostri letterati si dividono in due fa- zioni , ciascuna delle quali pare che abbia giurato d' at- tenersi ostinatamente all' uno o all' altro dei due estrerai, e ben di rado n' è dato d' incontrare il saggio che si sta fermo nel giusto mezzo. Ma di que' primi dir sì dee cieco q.iel novero , che dagli antichi nostri non sa trarre se non la mondiglia, o questa non distingue dall' oro: tuttavia questi miseri , ancorché inetti alle belle discipline , perciocché in ogni modo lavorano il patrio terreno , men riprensibili si debbono giudicare di que- gli altri, i quali nuli' altro veggono o sentono, che loro piaccia , fuorché oltramontano e fantastico. Ora il Cesari negli ultimi giorni suoi antiveggendo i gravi danni in che così fatta zizzania gitterebbe quandochesia le italiane lettere, s' argomentò con questo Discorso di porvi riparo ; e bene il potea fare siccome colui , che per poco da per se stesso bastò a rimettere sul buon sentiero la lingua e 1' eloquenza nostra da tanto tempo Sviata e corrotta. Non avvi alcuno, per malpratico che sia negli studj , il c[uale per dritto e per traverso non 35a voglia squittire sul fatto del Cosali , e clìiainarlo a si n- dacato , e fargli da pedante addosso: ma è bea altra cosa 1 investigare , e discoprire le riposte , molteplici , e disastrose vie , eh' egli ha battute si lungamente per giuguere a quell' altezza , In cui siede immortale. Ciò chiaro appare a que' pochi , che dopo molto e costante studio sugli ottimi classici , possono assaporare , e giu- dicar bene delle varie sue opere. A questi adunque principalmente porger si dee notizia del mentovato li- bretto , a questi s' appartiene portarne giudizio : ai gio- vani leggerlo, seguirne i principi , e farne lor prò. Comiacia il Cesari ad esprimere il suo amore e le sue cure per la lingua italiana dalla simiglianza d' un diligente cultore verso un terreno da lui trovato sodo e inselvatichito , dal quale non può mai rimuovere gli occhi , la mente , né le mani. Quanto calzi al Cesari tal paragone ognuno che abbia fior di senno , sei vede. La sua modestia però , e 1' amore del vero noi lasciò tra- vedere ; perocché attribuisce anche ad alcuni altri uomini saggi l' opera fatta addi nostri a rimondare la nostra favella dal bastardume , in cui giaceasi , e ritornarla alla sua naturale bellezza. Di questo solo a lui sembra poter gloriarsi , cioè d' averne ridestato nell' animo degl' Ita- liani r amor quasi freddato. « E certo , egli dice , non poco frutto mi pare aver colto da' miei sudori j che certo oggidì il parlare infranciosato , che era già in vo- ga , è rifiutato come barbarie ( parlo degli scrittori gentili , che scrivono a' posteri ) , e tutti fanno il pos- sibile di scrivere il vero Italiano ». Il che affinchè non venga ad esser guasto dall' amore di novità innaturato all' uomo , 1' A. si volse a prevenire questo pericolo ne' giovani singolarmente , i quali sono i più facili ad in- ciamparvi. Contro al corrompimento della lingua egli ribadisce i veri principi , che del bello scrivere non debbano la- sciar estinguere o svenire le prime forme ; nel che con - siste la sua proposizione. Dice ribadire , non volendo egli , né più essendo possibile recar in mezzo di cose 353 nuove , spezialmente dopo la sua Dissertazione sulla lin- gua Italiana, ce Ma egli è comune destino , che le cose vecchie , che lessero i padri e gli avi , i figliuoli e ni- poti non leggano più ; onde la voga riman fresca e vi- va per le cose recenti : queste si leggono , queste han- no accoglienza e favore : e sebbene le false dottrine sieno state rissolute e mille volte sventate , tuttavia ( perchè non si leggono le cose vecchie ) i nuovi pen- samenti e trovati fanno gran prova , ed a questi soli si pone la mente e 1' affetto. » La vera forma di nostra lingua è riposta nel secolo XIV , il che mostrasi ampiamente nella citata Disserta- zione , la quale ristorò ultimamente in Italia la gentile favella. Ma i giovani la vorranno essi leggere ? « Ecco svantaggio che noi abbiamo ( sono parole del N. A. ) in questa questione : che a dimostrare a' novelli la cosa dimenticata, ci bisogna un trattato^ ed a farla disprez- zare e deridere bastano due parole : P^ecchiume ! Ma- gre viterelle de'' Padri dell' eremo ! Linguisti ! e che so io ? w. Argomento I.° Ogni nazione ha pure sua lingua , la cui natura e la dote fu raccolta in un vocabolario , ri- conosciuto da ciascuna per tribunale legittimo , da cui non è lecito di appellare se non da chi al mondo non ne vorrebbe alcuno. L' Italia tutta accettò quello della Crusca , che fermò lo stato e la forma naturai della lingua negli scrittori del 3oo , specialmente ne' tre som- mi , Dante , il Petrarca , il Boccaccio. Gli accrescimeuli delle edizioni posteriori nulla mutarono della sostanza , né 1 accettazione de' cinquecentisti nuoce al trecento , perchè questi di que' primi ricalcarono V orme. Argomento II. L' assunto si fa più chiaro dalla pra- tica de' Trecentisti , alla cui forza cedettero quei che vollero veder la cosa sulla faccia del luogo , e i giova- ni ancora inesperti debbono cedere ai cosi fatti, ce Se non cedono cosi ; né eziandio la verità medesima , che venisse a loro mostrarlo , non ne farebbe nulla : e ri- derebbono , e schernirebbono tutti e tutto : e ciò fa- rebbon vie meglio , essendo animati e licenzi?iti a farlo X 354 da qualche amante di novità , massime se uomo di qualche fama ( qui si mira al Villardi ) , il quale in- segnasse loro beffare i vecchi e tutto metter in giuoco : la qual cosa come assai facile e spacciativa , e che sente del magistrale , i giovani si plglierebbono di tratto , parendo loro in un giorno di essere letterati. Là dove in contrario , per andar al fondo della cosa e bene co- noscerla , è necessario leggere e rileggere , e studiare assai , ed assai scrivere , e raffrontare i moderni co' vecchi ; e ciò porta fatica e studio non breve : il che i giovani odiano naturalmente ». Ma non che i giovani^ i nemici indurali del secolo XIV non vogliono questa fatica , anzi in vero studio la fuggono , e perciò perfi- diano nell' errore. Spigolano in quella vece una fila- strocca di voci dismesse per cavarne le risa de' giovani ingannati , e conchiudono , ecco la lingua del trecento. Ecco corme si vince la causa. S' aggiunge la calùnnia, te Egli sarà un dieci anni ( racconta 1' A. ) a me fu appo- sto , che avessi adoperato la voce Carogna per dire il Corpo morto del Salvatore. Io per purgarmi gli ho pro- "vocali , che mi citassero 1' opera , il tomo , la faccia , do- ve io avessi usata colesta voce. Nessuno mi portò mai il 'luogo. ( e notisi che il Cesari avea da fare con avversar) che non dormivano ). Il medesimo fecero del verbo iridar del corpo per morire come usato da me. Gli sfidai a recarmene il luogo : nessuno lo potè fare (i) . la calunnia rimase smentita da se : e tuttavia non è un anno, né molti mesi ( dall'agosto di quest'anno i8a8 in cui scrivo ) , che questa accusa fu anche rimessa in (i) Un simìl caso intervenne quest' anno medesimo a chi stende il presente articolo ; e in ciò solo è differente da quello del Cesari , che a questo si dava accusa d' avere scritto una tal voce e un tal modo , all'altro d'averli usali più volte tenendo ragionamento a una pubblica adunanza di giovani studiosi. Ciò che fece il Veronese rispetto ai volu- mi e alla stampa , fece altresì il Genovese rispetto ai testi- moni '^' udita. La qual cosa giova a dar risalto a quanto dice il Cesari intorno alla buona fede dei letterati d' oggi- dì , e ai loro giudizj. 355 campo. Egli è bene che i giovani sappiano queste belle lealtà de' loro nuovi maestri ; acciocché loro si possa dire a ragione : Guarda in cui ti fidi ». A chiarirsi della verità fondamentale propostasi dal Cesari , egli invita ì giovani , per scemar loro troppo lunga fatica , alle sue Bellezze di Dante dalla fine del Dial. 6 del Purg. e seguitando ad ogni fine degli altri fino al Dial, XI del Paradiso ; tanti sono i passi dei nostri classici che ivi adduce a questo intendimento. I fatti sono prove sovra ogni altra forti , e chiare agli occhi d' ognuno ; ond' io ne aggiungerò a questo luogo un' altra , che il Cesari stesso non isdegnerebbe j anzi può dirsi sua , perciocché io la traggo dalla sua vita di dementino Vannetti. Questo illustre Rovereiano fino all' età di trent' anni si giacque nella lingua pre- dicata dai nemici del secolo XIV , e se ne tolse mercè 1 consigli dell' Ab. Pederzani. « Il qual cambiamento di giudizio ( osserva il Cesari , vita suddetta cap. VIII ) In tal uomo , dopo sì lungo uso e sentimento contra- rio , io mi credo esser avvenuto in gran ventura e con- forto di que' pochissimi , che tuttavia amano e seguono lo scrivere di quel secolo , contro la moltitudine ed il costume, che in contrario soverchia ( scriveva il N. A. nel 1797 ): conciossiachè non altro, che la forza della verità conosciuta per lunga meditazione, può avere, quasi contro sua voglia , svolto da una antica opinione ( nella quale 1' avea tenuto senza più il non aver messo studio nella contraria ) , e a questa condotto un cosi gran letterato ( massimamente avendo cosi pochi gli esempi di si fatti scrittori , e tanti della maniera con- traria ) d' ingegno sì perspicace , e si maturo giudizio ; la cui sola autorità però in questo fatto , ci dee valere contra un milione di scioperali , e d' ostinati e leggeri jj. Argomento III. Paragone di un brano d' una orazione dei più forti avversar] del secolo XIV , e d' un altro moderno assai celebre con uno squarcio del Passavanti. Noi ommettiamo per brevità que' passi contrapposti , e con maturo giudizio disaminati dal N. A. Chiunque però vorrà leggerli , ancorché d' animo pregiudicalo , non pò- 356 tra a meno di conceder la palma ai trecentisti e a un lor ditensore , che allega quarant' anni di studio in co- tal causa. Ma seguitiamo il Cesari nella confutazione degli argomenti in contrario. Opposizione i .* I nemici del Trecento aggirano i gio- vani inesperti con questo paralogismo. Infilzano trenta o cinquanta vocaboli e modi rancidi e ili in disuso. Dun- que , conchiudono , il trecento è tutto vecchiume , ma- rame e sferravecchle (2). Risposta. Plauto somministra una filatera di vocaboli e verbi ( sciegliendoli al modo degli avversar) ) da far rider le panche : Dunque la lingua di Plauto e del se- col d' Augusto è tutta rancidume. Qualora questa con- seguenza discenda dalle premesse , la vittoria è in ma- no degli spregiatori del Trecento. Opposizione ^.^Nel 3oo son verbi d' ogni fatta , neu- tri passivi , e particelle , cioè frasche , frondl , nulla : dunque i trecentisti son parolai. Risposta. Non sono , o furono mai altro tutte le lin- gue , che nomi e verbi ed avverbj ecc. Omero , Tu- cidide , Cicerone , Virgilio non altro fecero che ado- perar nomi e verbi : altro non è 1' umano parlare che nomi e verbi soprattutto. Quanto alle particelle , nelle quali consiste gran parte della eleganza e della grazia , chi le togliesse imiterebbe colui che del corpo togliesse i nodi e le giunture , ministre d' ogni movimento. Con- (2) Questa opposizione , che si fa il Cesari , è un caso pratico , avvenuto , ha pochi mesi. Avvi chi compose un Sonetto in morte di esso Cesari , dandosi a credere venirne di conseguenza che la lingua e lo stile del Ve- ronese sien quelli del Sonetto medesimo , e che questo ne sia quasi un saggio. Il giudizioso leggitore chiaro scor- gerà , che chi cuci questi versi è cosi valente in logica , come in poesia. Bastino i primi quattro. Lo die che andoe del corpo il lumcr crero Dello aggenziato partacar scolfetto Onne om che zentil quore hae nello petto Micidar spala fedio d' ajo fero. E cosi segue sullo stesfo registro. 357 sultisi il Forcclli'ni alle particelle A , AB , IN , DE » ETiAM , APUD , ^E , AN , VERO , MODO ec, os- servisi usi svariali , in che i Latini le usarono , osser- visi che il gran Vocabolarista ce le dà per eleganze e grazie di dire , e dicasi a lui se son pur frasche e borra. O era egli un mellone il Turselliai , che ci diede le Particelle della lingua latina ? Opposiz. 3.» Dalle parole niun utile ne trae il com- mercio : dunque cose si vogliono , non parole. Pdsp, Ogni cosa deesi considerare in sé e nel genere suo. Qui il commercio non e' entra per cosa del mondo. Una lingua qualunque , come lingua , altro non è , né può essere che parole , non pur quella del Trecento , ma e del Cinquecento , e dell' Ottocento. Ma qui sta la bisogna , cioè se , ponendo le cose medesime , le stesse ragioni , filosofiche , teologiche , storiche , nella mente dello stesso scrittore , che vuol trasfonderle sulla carta , gli verrebbe ciò fatto meglio adoperando la lingua del Trecento , o la nostra. Ora ciò appunto ha dimostralo abbasliinza il N. A. in questo ragionamento , e in altri suoi scritti. Si fa qui il Cesari a dai'e una lezione , da quel gran- d' uomo ch'egli era, intorno alla maniera di comporre, attenendosi ai termini di cose e di parole. Primiera- mente , egli dice , tocca all' ingegno trovar i concetti proprj della materia : appresso ordinarli a tenore dell' arte poetica ed oratoria. Fin qui stanno le cose. Ma il più resta ancora da farsi , vale a dire 1' esporre i concetti , ovvero le cose in parole. Ora la questione qui si ri- duce , se una stessa materia si esprima egualmente bene cosi in una , come in un' altra lingua , ossia colle tali e tali forme di parole. Finora fu sempre creduto , che le stesse cose vestite in certo modo e linguaggio fac- ciano una prova mille volte maggiore che in un altro. Perché gli originali greci e latini perdono tanto nelle traduzioni ? appunto perciò. Così sentiva pure Sperone Speroni nel Dialogo delle lingue. Ma il N. A. stringe così i suoi avversar) più da vi- cino. Essi non si stanno contenti a questo , che tutte le 35^ parole sien cose. Intenderanno adunque cose utili , sic- come filosofi , e di moda. Anche per questo lato sono vinti dal Trecento nel Poema di Dante , nel Passavanti e negli altri ascetici più cospicui , nelle storie dei Vil- lani , neir Agricoltura del Crescenzi. ce Or dov' è quel tutto frasche e foglie del trecento ? Ma quanto alla vita j non è dunque utile altro che ciò , ond' essa è accomo- data e arricchita ? solo dunque sarà utile 1' aver grasso mercato delle derrate ? Il piacere e '1 diletto non è uti- lità della vita ? Io veggo gli uomini meglio che di nes- sun' altra cosa studiarsi ed occuparsi nelle cose , che loro porgono diletto e piacer senza più. La musica de' teatri , nella qual si gettano le migliaia , è altro poi che diletto ? Ingrassano i musici d' altro che del diletto de' nostri orécchi ? Le immense spese del lusso servono ad altro che a pàscere la vanità dell'esser veduti? Le lautezze squisite della gola ajutano la sanità , o non anzi la guastano ? il solo diletto del gusto ne è ricreato : e dite il medesimo di cento altre cose , le quali son cose , non essendo ad altro utili che al di- letto. Adunque , quando bene la lingua non ad altro giovasse che a portare quel nobile diletto che risulta dall'eleganza e forma delle parole e de' ragionamenti, dalla bella giacitura , dal legamento armonico de' suoni e de numeri; sarebbe ella inutile , e da sbandire? che vai dunque il gridarci cose, cose, e non parole? Obbiez. 4.'' La povertà della lingua del Trecento non sopperisce voci e maniere alle sublimi scienze , e all'arte oratoria. La risposta bassi nella più volte citata Dissertazione del N. A. , in cui dagli esempi del solo Decamerone dimostrasi ogni più alto grado di eloquenza. Aggiungerei la Vita di G. C. e le Orazioni sacre del Cesari. Dipoi. Il Bartoli facondissimamente , per confessione di tutti , scrisse di morale , di fisica , di nautica , di storia na- turale , di costumi di popoli svariatissimi , di religioni, di riti , di ogni cosa. Ma egli scrisse nella lingua del Trecento. Lo stesso è da dirsi del Davanzali quaulo alla forza dell' eloquenza. Il Cesari non nega a nuove cose 35$ doversi nuovi vocaboli i vuole a gran ragione , che questi nuovi vocaboli non si cottlondano co' modi del dire , ebe esprimono la forma generi»! di pensare , e rappre- sentare le idee , i quali sono ottimi nel trecento , pes- simi negl' imbratti moderni. Ma avere que' primi pronti alla mano è proprio del Bartoli , non di chi fugge la fatica e lo studio. Purgatosi il Cesari d' una taccia , eh' eragli stata ap- posta , d' aver cioè biasimato il Segneri quasi scrittor puerile ( e questo è un tratto sommamente proficuo a' giovani che lo leggeranno ) , passa a far le difese dello stil comico , il che è quasi un sunto della bellissima prefazione al suo Terenzio volgarizzato. Qual fu mai personaggio cosi alto, che non berteggiasse talor cogli amici e in voce e per iscritto ? La lingna del bordello, e della feccia del popolo è tutt' altra cosa da simigliarne motteggiare , e a chi ben discerne le cose in sé non fa d' uopo il mostrarlo. Il tutto però viene pienamente illustrato dal N. A. con buone ragioni , e autorità di Cicerone , del Porcellini , e cogli esempii del Caro e dell' Ariosto. Un altro argomento in favore de' Trecentisti cava il N. A. dalla persuasione generale degli uomini giudi- ziosi Italiani e stranieri , i quali posero amore e stima a quella lingua. E di ciò sono prova ben maniftìsta le tante edizioni si in Italia che fuori degli scritti editi e inediti del secolo XIV , tanto studio , collazioni , com- menti fatti sul solo Dante , che si spiega pubblicamente in Londra , in Berlino , in Parigi (3) ; i letterati , e professori di molte e molte cospicue provincie d' Italia , che il Cesari nomina specificatamente , e racconta fatti singolari di nemici del trecento ravveduti. Tra quesli un maestro di belle lettere nello Studio Municipale di Verona , il quale avea tanto guasti gli scolari , e stra- ziato il Trecento, ch'essi appena usciti dalla gramatica fuetteano spesso in canzone ed in beffa quel buon vecchio (3) V. la Div. Comra. colle note di P. Costa nella vita che vi e premessa. 36o del Cesari (4). Da ultimo con coperte parole accenna ai capogiri del P. Yillardi , e conforta i giovani a guardarsene. « Statevi, dice loro , statevi a' fatti che sono maschi , ridendovi delle parole che sono fem- mine. Quindi ricordato loro , come non avvi scrittore veruno , anche de' massimi , senza qualche difetto , av- verte essi giovani , che cosi fatte mende furono già ve- dute e notate da' sommi critici , i quali dicono con Orazio Uhi plura nitent, . . . non ego paucis offendar maculis. Chiude il ragionamento con un passo del sig. Despreaux ( Reflex. \'II ) , e noi con esso pure chiu- diamo il presente estratto ,• ma più ne sarebbe a grado che alcuno stampatore riproducesse esso Ragionamento, affinchè i giovani potessero vedervi le tante e sì calzanti ragioni , che in un solo articolo è troppo diiEcile collocare. « allorquando alcuni scrittori ( dice il Francese ) furono ammirati per molti secoli , né mai sprezzati se non da poche persone di gusto capriccioso ( per- chè de' gusti depravati ve n' ebbe sempre ) , allora non solo è temerità , ma pazzia il dubitare del me- rito di quegli scrittori. Se x>oi non vedete le belleZ' ze de* loro scritti , non si vuol però dire che non ci sieno ; ma che voi siete cieco , e non avete buon gusto. Il comune degli uomini , a lungo andare , mai non s' inganna sopra le opere d' ingegno. Adesso piìi non si tratta di sapere, se Omero, Platone, Cicerone, Virgilio sieno uomini maravigliosi : ciò e fuor di lite , da che venti secoli in ciò son convenuti : trattasi di sapere , in che stia il maraviglioso , che gli ha fatti ammirare per tanto tempo , e bisogna trovare il come vederlo ; ovvero abbandonare le bel*' le lettere : per le quali voi dovete credere di non aver gusto , ne attitudine ^ da che non conoscete studio , da che non conoscete quello , che conobbero tutti gli uomini. Gran lezione d'un Franzese ! » (4) Non vogliamo lasciar qui di notare un solenne errore di stampa occorso nell'ultima voce della face. 3o dell'Antidoto , dove si adduce dal Cesari quell'emislichlo di Virgilio (Georg. Uh. 1. v. 210 ) Serite hordea campis j in luogo di che s' è Stampato genie hordea campis : né si corregge nell' Errala. 36i DEL ROMANTICISMO. LETTERA I. V » oi mi dite , pregiatissimo Panfilo , che d' ogni lato udite parlare di Romantici e di Romanticismo , senza pur sapere che sia questa nuova Scuola , cui il Monti diede i titoli di audace e di boreale. E mi pregate , eh io voglia dirvene due parole , acciocché voi solo non siate air oscuro di ciò che va nelle carte ed è sulla lin- gua di tutti. Nulla deggio negarvi come ad amico j ma pensate voi forse che tutti coloro , i quali parlano di questa Scuola , e ne scrivono , intendano essi che sia Romanticismo ? Né 1' argomento è così picciolo , che possa chiudersi interamente in una Lettera. Adunque , se V è caro intendere qual sia 1' opinione de' Roman- tici sì neir opera della Letteratura , sì nel fatto d' altre cose , che vagliono assai più delle lettere , dovrete adat- tarvi a leggere tre o quattro mie , scritte così all' ami- chevole , ma pure con sommo rispetto a tutti , e caldo amore della verità. Or fate pensiero , che questa sia come il proemio. Dicono che un ingegnoso Tedesco affermasse d' avere fiducia che un dì fosse in Europa una sola letteratura ,• e che parevagli già di contemplarne la prima aurora. Queste parole del Goethe , sono così belle e di tanta consolazione , che molti ne rimasero presi a tal segno , da ripeterle ad ogni istante. E molti giovani cominciano a dire doversi lasciare al tutto quell' amore di lettera- tura nazionale , che ne fa men solleciti delle cose stra- niere ; essere venuta 1' ora di fare di tutta la letteraria repubblica una sola famiglia : nascer gli uomini così in- gegnosi nella Islanda , come nella Sicilia , e sulle rupi ^6'i éeìh SctìZià, coflie Itfttgri le rive dell' Aftto e dell'Adige. Né io farò contrasto a questi ultimi detti j perchè la natura umana è pur quella dessa in tutte le regioni del mondo. Bene io temo , che non siasi fatto accurato esame della proposizione del Goethe. E invero , s' ella non fosse vera , che varrebbero tutte le declamazioni , con che 1 adornano gli ammiratori di quell' uomo famosu ? Voi ed io cerchiamo la verità; e perciò è nostro do- vere di mettere ad esame quella magnifica immagina- £Ì9ne delld scrittore tedeàco< Considero in pritno luogo , che a voler procederò eoli' ordine naturale , vuoisi dapprima in ogni lettera- tura considerar la lingua ; essend^j certo che la lingua già formata ci dà scrittori ; e questi in ricambio fanno la lingua ^iù esatta , gentile e doviziosa. Ma dovrem noi forse sperare che tutta 1' Europa possa cominciare ad usar d' un solo idioma ? Una nuova lingua o è portata da popoli stranieri che vengano a porre lor nido in una contrada , come un di i Greci nell' Italia meridionale ed in Marsiglia ; ovvero è lento effetto di un popolo vincitore misto col vinto. Così 1' impero de' Longobardi spense la lingua latina tra noi ; e quello de' Maomet- tani die motivo di corruziofte alla greca favella. Ora io non vedo , come si possa dire che nel fatto della linguS cominci la prima aurora della nuova letteratura europea. Farmi che gì' Italiani sien solleciti di mantener pura la dolcissima lor favella ; ed i Francesi scrivono più cor- rettamente oggidì , che non facevano sul cadere del se- colo XVIII. Vero è che 1 Romantici d' Italia non sono cosi dilicati , ed ammettono assai facilmente vocaboli e modi stranieri ; ed in questo sènso potrebbe verificarsi , che spuliti in mezzo a noi 1' alba della nuova lettera-» tura. Ma è da temere che tutto si riduca ad alcuni ha-* gliori assai pallidi é fugaci ; perchè le lingue rifiutano rigorosamente le novità. Infatti il nome grandissimo del Boccaccio non potè mal far italiane quelle voci vengin- re , zambra , plusori , e quel modo al mio ifii'ente ; né in Toscana ho udito mai roba per veste. Quanti 363 gallicismi ha Giovanni Villani , tolti dalle lettere de' Fiorentini che avevano banco in Parigi, ma non mai adoperati da' buoni scrittori italiani ? Non è dunque da credere . che il disprezzo dell' idioma natio possa creare una letteratura europea. Considero ancora , che la cor- ruzione delle lingue viventi non produrrebbe un solo parlare , si molti e diversi ; come ne' secoli oscuri le varie tribù germaniche che occuparono l' Italia , le Gal- lie , la Spagna , guastando ed alfine spegnendo il latino , diedero origine alla lingua italiana , francese , proven- zale e spagnuola. E i Normanni , divenuti signori dell' Inghilterra , vollero si , ma non ottennero , di farla par- lare in francese j e se ne contaminarono il dialetto de Sassoni , nacque da tal corrompimento una nuova lingua, eh' è l' inglese , non rimasevi la pura normauda. Questi sono fatti certissimi ed a tutti palesi. E però chi ose- rebbe sperare di veder nell' Europa , divisa in tanti regni potenti e della propria gloria gelosi giustamente , una sola lingua , che fosse fondamento di nuova ed unica letteratura ? Le osservazioni qui accennate furono di certo presenti air intelletto del Goethe ; e perciò non è da immaginare eh' egli si confidasse di udire in tutta 1' Europa una sola guisa di favellare. Laonde , noi dobbiamo cercare , o Panfilo , se mai volesse quel vivo ingegno alludere a certe imagini , che fino ad ora parvero cosi proprie di questa regione , e di quella , che avrebbero desiato le risa in diversa contrada. Perciocché non essendo i me- desimi oggetti nella Sicilia e nel settentrione d' Europa i qual poeta islandese vorrebbe rubare a Teocrito le ima- gini per acconciarle alla Norvegia ? Le poesie , che sono , o diconsi d' Ossian , benché vestite d' armoniosi versi dal Cesarotti , non poterono durar lungamente in Italia, per- chè le imagini in esse rappresentate non erano proprie del nostro paese. Le Nòtti d' Young , eh' ebbero tanti leggitori e traduttori , ora sono quasi che dimenticate ; essendo esse troppo diflormi da' modi italiani. E se un Inglese può essere lungamente malinconioso , gì' Italiani 36/f non vogliono durar troppo nella tristezza. Che anzi, trovo nelle lettere di Giovanni de Muller , come egli simil- mente , benché svizzero , non sap^eva acconciarsi a quella mestizia. Quante minute e vive descrizioni troviamo ne' Promessi Sposi , che non possono piacere nò a' Fio- rentini , né a' Romani ? e forse piacquero in Lombardia. Per tutti questi motivi , io penso che il Goethe , peri- tissimo de' varj costumi de' popoli , non sognasse mai di vedere in tutta 1' Europa una letteratura , che si ras- somigliasse nelle tinte , e nelle imaglni per sì fatto modo da parere una sola. Né alcun uomo saggio darebbe per consiglio ad un poeta di Napoli , che prendesse a de- scrivere la nebbia , i ghiacci , le aurore boreali del Set- tentrione. Chi vuol descrivere bene , dee rappresentare ciò che vide ; ed è questa la ragione perché tanta è l' evidenza nelle similitudini di Dante ; egli scrive» nella mente ciò che aveva contemplato ; e dalla mente lo trasfondeva nel suo poema. Virgilio imitando e rico- piando Teocrito , non ha 1' evidenza del Siciliano ; per- ché le paludi Mantovane , ed il Lazio , non sono la Sicilia. In altra mia dirò più chiaramente quello che s' asconde sotto il velame di quelle parole del Goethe , avendo io curiosamente notato molte cose , che possono dar lume a bene intendere che sia il Romanticismo. Il Monti te- mendo che si volesse dar bando alla mitologia , sdegnossl di tal ardimento , e con nobili versi volle castigare gli audaci. Benché , a dire il vero , é forse necessaria a' cristiani la mitologia ? Non sarebbe egli più lodato il Sannazaro , se avesse sbandito dall' aureo suo poema De partu Virginis ogni gentilesca idea ? Potè bene Torquato , senza la Ve- nere e il Bacco del gran Gamoens , comporre un eccel- lente poema. Non è dunque da gridare soltanto contro de Romantici per la guerra che dichiarano alla mitologia : sarebbe forse da ringraziameli : ma è da cercare studio- samente qual sia 1' occulto disegno di questa Scuola , an- cor giovinetta , e già tanto ardita. Questo fiirò nelle let- tere seguenti ; se voi mi farete cenno di non aver discara la prima. Addio. 36o NOVELLE LETTERARIE. Da Lege et nfficiis seu Philosophiee moralis elenienta quce ad uswn studiosce jiwentutis Carolvs Leoisi R. AtheiKBi genuensis prof, digessit. Genuae , typ. Pagano, 1828. in 8." c V J li antichi uomini della Grecia e del Lazio , cui la natura fu più larga d' ingegno e di mente virile , nin- no altro studio stimarono più degno e più utile che quello dell' uomo stesso ; vale a dire delle passioni , dei vizj e delle virtù per ben condurre la vita a norma della ragione e dell' equità , e soddisfare a' doveri di buon cittadino. Al quale intendimento veggiamo rivolte quelle maravigliose pellegrinazioni , che ci presenta la storia della filosufia , dopo le quali tornavano que' saggi alla patria a versarvi il tesoro della sapienza , che avea- no da strane regioni con tante fatiche raccolto. Onde ogni età sempre ammirò le gloriose pagine di Platone di Aristotile e di Tullio , ohe fra tutti tengono il pri- mo seggio ; e s' egli è vero che nulla abbiano attinto da' libri ebrei , si spinsero certo fin dove pare che giun- ger possa la ragione abbandonata a se stessa. Se non che a conoscere il più de' precetti della legge naturale era la ragione insujGciente , e come gravemente in ciò errarono i popoli , cosi accolsero gli stessi errori i fi- losofi che ne percorsero le contrade e ne indagarono i costumi. Così Platone e Aristotile ammettevano la pro- miscuità delle mogli , 1' esposizione de' bambini viziati , e 1' ubbriachezza , gli Stoici lo stupro , e via discorren- do. Ma sparso poscia per divina larghezza quel superno lume di sapienza , eh era stato prima rinchiuso per en- tro ad una piccola nazione , tutti gli errori fur tolti , e gli uomini si videro ricovratl nella unica e vera filoso- 366 fia , cosicché 1' artigiano e la fante ne sepper quindi più avanti dei più sublimi sapienti del mondo. Ora se que- sta scienza era tanto onorata in quegli antichi cosi manca e deforme j che dovrk essere della nostra , condotta da Dio stesso al colmo della sua perfezione ? Dalle sante scritture , dai Padri , e dalla Chiesa noi apprendiamo l'Etica nostra, e questa, di cui ci fé' dono l'egregio Abate Leoni , professore dell' università di Genova , somministra gli elementi , e spiana la strada onde per- venire a quella. Il trattenersi a favellare più a lungo sulle lodi di questa scienza , sarebbe cosa volgare j on- de accenniamo piuttosto due pregi , di cui si rendette adorno 1' Autore colla stampa del proprio libro. Quanto il dettare la correzione de' temi , secondo 1' ottimo In- segnamento di M. A. Flaminio , col valersi delle parole de' sommi scrittori classici , è utUe , anzi necessario nelle scuole di gramatica e d' umanità ; altrettanto sì può dir superflua doppiamente la fatica di coloro , che le instituzioni filosofiche dettano a' giovani , converten- dosi in tal guisa 1' ufficio di leggere filosofa in una scuola di calligrafia. Dfella quale sconvenevolezza accor- tosi molto prudentemente l' Ab. Leoni , venne colla stampa a far gran masserizia di tempo nelle giornaliere lezioni , cosicché in capo all' anno si troveranno i suoi discepoli aver profittato presso che il doppio ; stantechè le ore della dettatura sono dal professore rivolte a dif- fondere que' lumi , che prima ristretti in assai breve periodo non poteano mostrarsi in tanta estensione. Né questa è la sola lode dovuta al N- A. , ma eziandio quella di aver porto agli altri un nobile esemplo , e la studiosa gioventù gliene dee saper grado , e accogliere con favore la presente edizione. Jlispnsta a due articoli dell' ^hìtologia di Fi- renze. . . scritta dn F. E. ( Ferdinando Elice ). Genova , 1829 , Tipografia Pagano. Quanto è lodevole atto in persoaa colta tentar sem- 367 pre e diliigentemenie le vie difficili del vero e del bello , allreltanco riputar si dee disdicevole lacerare con ingiuriosi assalti 1« fama e gli scritti di coloro, il cui volere è rivolto a giovare al pubblico , e a cre- scer come che sia il lustro duella propria nazione. Al Sig Prof. Elice , Bome già noto ai coltivatori delle scienze Clichè pel suo Trattato dell' Elettricità , ven- ner fatte non lia guari alcune osservazioni intorno alle Regole Newtoniane tacciandole d' erroneità , le quali osservazioni furono impresse nel Giornale Milanese di Farmacia^chimica. F.ece lo stesso d'una legge d'Idro- statica riportata e descritta neìY annunziato opuscoilo. La Ret'ue Eiicjelppédique «i lotìciò contro olle prime, « 1' Antologia contro fllle une e alle altre ; di che te- nendosi lo Elice m.il soddisfatto , fece già z\ francese ■Critico risposta , ed ora la fa al fiorentino. Quanto al merito della qnistione , lasciandone noi il giudizio agli intelligenti di cosi faltf materie, non altro faremo che trascrivere ]' aiti.rnlo che s;e pe legge nella Gaz- zetta Piemontese n.° i'5i , 1829. ce E stata pubblicata una nota del Dottor Elice , Dot- tor coUegi.'ito e Professore supplente per la Facoltà di Filosofi:! od Arti della R. Università di Genova , nella quale ei;li ha .prqso a dimostrare con tre esperienze , che la legge d" Idrostatica , secondo la quale «Un cor- po immerso in un liquido perde esattamente tanto del suo proprio pesp , quanto è quello dell' acqua spostata » va so;j;getta ad eccezioni. I risultamenti delle sue espe- rienze sono i segu.-nti : i." che in un corpo specifica- mente più leggiero del liquido , sul quale in parte galleggia , il peso del volume liquido escluso dalla porzione immersa può essere minore del peso del corpo intiero. 2.° Che un corpo della stessa gravità specifica del liquido, che si mantiene in questo equi- librato , in qualunque luogo si trova , può scacciare un volume di li([uido di minor peso del suo. 3." Che un corpo di gravità specifica , maggiore del liquido in cui è immerso , può perdere una porzione del suo 368 peso, maggiore del peso del volume dell* acqua rimos- sa. Lo stesso Sig. Elice pubblicò quindi uu' altra N'ala tendente a provaie 1' erroneità delle tre seguenti regole newtoniane; i." Delle cose naturali non debbono am- mettersi pili cagioni di quelle che sono vere e suffi- cienti a spiegare i fenomeni. 2.° I medesimi effetti di- pendono dalle medesime cause. 3." Cbe le qnulìtà dei corpi , die non sono suscettibili di accrescimento o di diminuzione, e che convengono a tutti i corpi, so- pra i quali far si possono delle esperienze , debbono essere riguardati come proprietà generali. La dottrina del D. Elice essendo stata censurata in due numeri dell' Antologia di Firenze ( 97 e 98 ) , egli prese a difenderla in una risposta stampata non ha guari in Genova dai fratelli Pagano. Ogni obbiezione è da lui fedelmente trascritta, e combattuta, e le ragioni ad- dotte a sostegno della sua opinione ci sono sembrate preponderanti. » ESOPO ZENEIZE. Zena , Stampaja Pagan 1829. ( Esopo Genovese , Genova stamperia Pagano. ) Non è pili in costume il valersi di libri latini per addestrare alle prime letture i teneri fanciulli. E certo con quell'uso si voleano gli uomini avvezzati per tem- po anzi alle parole, che alle cose. Ad ovviare questo male furono uomini parecchi, i quali perchè dotati d' ingegno, seppersi impicciolire e trovar cose più. sen- sate ed atte al bisogno. Per questo compose già a bello studio un libretto di questa fatta l'Ab. Taverna, ope- retta ristampata di fresco a Milano per lo Silvestri , e molto lodata dall' Ab. Colombo , nel Discorso che fece sull'ammaestramento che più conviene a' fanciulli. Ora il Sig. Martin Piaggio autore di questo Esopo tro- vò in elfetto , essere di molta utilità lo imbever prima di ogni altra cosa le menti a' fanciulli con di bei raccontini 369 nel dialetto, che apprendono per il primo dal labbro de' genitori , e formò un buon numero di Esopiane favolette. t, in lui da lodarsi moltissimo il giudizio con che inven- tò e scelse queste storiette , si come la spontaneità onde le venne cantando. Egli è poi tutto classico nel suo la- voro , poiché bandendo la croce a tutti i fantasmi ed errori de' Romantici , diede favella alle bestie ed alle piante a maniera di que' semplici filosofi della Grecia e del Lazio. Con queste favolette alla mano un mae- stro d' ingegno fornito potrebbe di leggieri , non pure allettare la curiosità degli allievi , ma esercitarli ancora nelle prime prove che fanno della lingua italiana , fa- cendo in guisa , che 11 fanciullo alle parti del discorso del suo dialetto pareggiasse per quanto conviene quelle della lingua italiana , e le frasi dell' uno nell' altra an- dasse volgendo. A quel modo a un dipresso che il no- stro Biamontl inculcava a questi maestri d' Elementi di tradurre nel dialetto del paese le bellissime prose italiane , che mise assieme nell' antologia ad uso delle pubbliche scuole. Con che il fanciullo procederebbe dal facile al difficile ( cosa non voluta da chi comin- ciava la letteraria educazione del solo latino), e in- sieme non avrebbe a desiderarsi maggiore facilità e diletto nella materia che han per le mani. Dopo queste produzioni aggiunte alle celebri del Ca- valli e dei De Franchi , verrebbe opportuno il Lessico del nostro dialetto , che ad imitazione di altre città stanno con calore componendo parecchi giovani , i quali sono in ciò tanto più pregevoli , quanto rari sono a^ dì nostri quei che nelle lettere cerchino anzi 1' utile , che le vanità. Quest' opera non solo mirar dovrebbe a serbare il valore del dialetto del nostro Cavalli , il quale va ogni dì più in disuso , ma aprir finalmente la via di rinvenire le tante voci italiane , soprattutto d arte e d' uso domestico , che in suono diverso , cor- rispondono a quelle del nostro dialplto. 3^0 Filosofìa morale, ossia i doveri dell' uomt , di Mons-ig. D. AGOSTINO Olivieri Vescovo di Aretusa. Genova, Ponthenier , voi. 2. in la. La prima edizione , che di quesl' opera si fece in Napoli nel 18 aS in due volumi in 8." , fu già annun- ziata in questo Giornale ove se ne leggono due estratti ( 1827 , fase. 3.° pag. 297 , e fase. 4-° P^g 53o), ai quali rimandiamo i nostri leggitori. Né possiamo trapas- sare in silenzio questa seconda si per la bontà del li- bro , si per la patria a noi comune coli' illustre Autore , e si ancora per la eleganza della forma , e la nitidezza dei caratteri , onde il Ponthenier ce la diede adorna. A ma- terie però così gravi e severe , quali vengono esposte in questo dettato , pare a noi che mal s' addica il fron- tespizio in litografia , alla quale se è lecito seguir la moda , non va cosi la bisogna della moral filosofia. Di questa bella ristampa andiamo debitori al Sig. Ab Giu- seppe Olivieri, nipote dell'Autore. Siccome alto è lo scopo dell' opera e per alti personaggi fu composta , così venne convenevolmente dedicata a due auguste Re- gine in ambedue le edizioni, delle quali la prima pro- curò r Autore sotto gli auspicj di S. M. D. Isabella di Borbone , Infante di Spagna , e Regina delle due Sici- lie , la seconda offerse il nostro Editore a S. R. M. la nostra Regina Maria Cristina. Se si consideri il gran nu- mero dei libri o mediocri o disutili , che esercitano og- gidì i torchi italiani , meglio si comprenderà il benefi- zio reso col mezzo di quest^ ristampa alla gioventù e alle lettere dal Sig. Ab. Olivieri. Cenni sulla Vita del Professore Giacomo Lari di Sarzana, Modena , per gli eredi Soliani Tipografi Reali, 1829. La persona a cui toccò il mesto uffizio di far parole intorno al merito del morto Prof. Lari , fu come ap- pare dalle ultime linee di questi Cenni , un suo scolaro j 3;i ma scolaro di tal pasta , che delle lezioni del maestro pare che intendesse come quell' uditore di fdosofìa , il quale era adorno di tanta semplicità , che ne' dialettici esercizii di scuola solca dare per buona risposta aJl' avversario le obbiezioni di quella tesi stessa che difendeva. Ma ven- ghiamo alle prove, ce Per non ritornare più volte sul ce medesimo oggetto , die' egli alla pag. 1 4 , darò qui ce un quadro delle materie , che abbracciava il suo corso. ce Esponeva egli in primo luogo in bellissimi trattati la ce natura , e le leggi d' ogni genere di comporre , tanto te in prosa , che in poesia , e mi attestano i suoi allievi ce che il faceva con si beli' ordine , con tanta conci- te sione , e con tanta ricchezza di sentimenti , che ogni ce sua lezione avrebbe meritato d' essere impressa. » E alla pag. i6: ce Credo opportuno, ed utile, re- te plica questo scolaro del Lari , per coloro che battono ce la medesima carriera di esporre qui la maniera con ce cui faceva le sue lezioni , e mi servirò quasi delle ce stesse parole d' uno de' suoi allievi migliori. " Con che 1' autore di questi Cenni ci fa un ingenuo attestato d' esser egli incapace a provare d' essere stato scolaro. Perchè ella saria opera perduta il far vedere che questi Cenni sono in sostanza una misera produzione per ciò che spetta e alla materia e allo stile e alla lin- gua. Che se ad onta di tutto questo , fosse altri vago di udirne alcune di questo scolaro , eccone un pajo : ce II Prof. Giacomo Lari ( pag. 4 ) > 1» cui morte è mi ce infortunio per la nostra città " : cioè per Modena , secondo lui , dove si sono stampati questi Cenni. Non è sperticata ? Ed alla pag. 22. ce Se 1' autorità uuiver- ce sale , die' egli , è una prova indubitata del vero , pos- te siamo attestare , che la perdita del Lari è irrcpara- ce bile ; poiché non si conosce nelle nostre conti-ade ce un uomo , che a tanta dottrina congiunga tanta virtù , ce e tanti amabili pregi. 33 Questo è proprio uscire de gangheri : poiché se questo scolaro tiene in sì poco conto gli abitatori delle proprie contrade , dovria sup-; porre almeno che a riparare quest' infortunio altri uo- mini di vaglia si pescano in Arno. 873 Che che però si pensi intonìo a questo , noi sentiamo di buon animo , che quanto alle morali virtù fosse il Lari un uomo dabbene , un cristiano esemplarissimo. Quanto poi al merito letterario di lui , diremo che ove il saggio non cosi di leggieri si arrendesse a questa autorità uni- versale , allegata dallo scolaro , e a quel che in forbita latinità ne mandò il eh. Prof. Michele Ferruzzi (che noi in questo nostro cenno rapportiamo ) , ne formi egli giudizio dai pochi opuscoli che del Lari abbiamo alle stampe , e dai molti , che , secondo dice questo scolare , per cura degli eredi saran messi in luce. Reqvieti . Et . Memoriae . Perenni lACOBI . THOMAE . F .LARI Domo . Sarzana . Genere . Patricio DoC'toris . Graecae . Ervditionis . Latinaeq . In . Lyceo . Magno * Docloris . Poeseos . In . Ephebeo . Regio Philologi . Omnivm . Ivdicio . Insignis Qvi . Ab . Ipsa . Iwentvte Scientìam . Ivris . Vtrivsqve . Pisis . Complexvs Qvvm . Tolvm . Se . Postea . Litterar . Studiis . Ad»li\issei Penitioris . Antiqvitatis . Investigator . Diligentissinivs Vetervm . Scripla . Nova . Lvce . Adspersit Discendi . Cvpidos . Adolescentes . Impensa . Opera Commodorvm . Svorvm . Oblitvs . Et . Valetvdinis . Ivvit Pacis . Idem . Concordiaeq . Avclor Maritvs . Optimvs . Fidissimvs . Amicorvm Pivs . Comis . Modestvs Decessil . Ex . Apoplexi . Ili . Id . Aprii . A . MDCCCXXVIIII Qvvm . Esset . Annor . XXXXV . Tantvm Complorantibvs . CoUegis . Et Avditoribvs . Bonisq . Vniversis Lvcas . Et . Hilarivs . Et . Franciscvs Fralri . Benemerenti . Posvere * Mancando in tfuesta Iscrizione il nome della città , nella cui Uni- versità e Liceo professa il Lari le belle lettere , siamo indotti a sos- pettare non ciò debba attribuirsi alla stampa modenese. (Gli Edit. ) 373 Bi sposta a Sii' Walter Scott sulla sua 'vìta di Napoleone , fatta da Luii^i Bonaparte Conte di S. Leu , già Re d' Olanda , fratello deli' Imperatore. Livorno, Vignozzi , 18*29. in 16. ce La storia , dice il conte di S. Leu , è per se stessa tanto fallace , é tanto facilmente si può alterare e sfi- gurare , che a me non piacquero mai i romanzi sto- rici. Il genio e la gloria non furono , non sono e non saranno mai il retaggio d' una sola nazione , e d' una sola armata , d' un solo capo : ogni paese ne ha e n'eb- be la parte sua. . . È tale e tanta la gloria della nazione italiana , che con giusta ragione si può andar superbi di appartenerle. ..." Queste sentenze sono verissime e di molta importanza ; benché sovente sieno dimenticate. Quanto alla parte critica della Risposta , tutti loderanno il sentimento di fraterna pietà, che mosse la penna al Sig. Conte di S. Leu ; ma vi hanno molti , che nella Risposta avrebber creduto di trovare notato un maggior numero di falsità e di errori : perciocché se ninno iste- rico , fosse pur diligente , veritiero , infaticabile , non potè mai evitare qualche errore, parea che infiniti se ne dovessero trovare nella voluminosa storia di Napo- leone , scritta frettolosamente da un Inglese. Ora gli abbagli , che la Risposta nota ne' primi tre volumi dello Scott, sono assai lievi 5 né gli altri valer possono a mettere il lavoro dell' Inglese uell' infelice numero de' romanzi , che si ammantano del nome di vite e di sto- rie. Veggiamone due o tre esempj , i quali serviranno a far conoscere che il Conte di S. Leu , difendendo il fratello , non si lascia trasportare oltre i limiti del de- coro e deir equità naturaley Grandi schiamazzi fecero nel 181 3 i fogli di Francia corttro al Re di Prussia , che si era sottratto al giogo di Napoleone per congiungersi alla Russia. Ma 1' Aut. della risposta in due parole giustifica quel Sovrano ( pag. 44 ) • " Bufjiardamt^nte ed ingiustamente si rim- provererebbe la Prussia della sua separazione nel i8i3. 374 Qual uomo di buona fede ha mal potuto credere vo- lontaria la sua alleanza , e conseguentemente reale ; allora che dalle nostre (^francesi ) vittorie era cotesto paese nella più lagrimevole situazione ridotto ? « Afferma il Sig Walter Scott, che ad onta del cosi detto sistema continentale di Napoleone « continuò il commercio britannico a fiorire ". Ed ecco 1' osservazione del Conte di S. Leu : « Io lo dico apertamente ; il si- stema continentale non era da me approvato j prima perchè rovinava l'Olanda piuttosto che l'Inghilterra, e io doveva pensare prima di tutto alla felicità dell' Olan- da : secondariamente, perchè un tal sistema vero In teoria , è falso nella sua applicazione. Io lo paragonava ad un crivello : una sola apertura bastava per renderlo incapace di contener cosa alcuna. . . . Posso affermare ( contro all' asserzione dello Scott ) non aver io esi- tato un momento ad eseguire tutto ciò di cui sono stato richiesto intorno il preteso blocco d' Inghilterra ; ma contro la mia opinione , e però senza zelo e senza pia- cere. » ( pag. 53 ). Scrive lo storico inglese che Bernadotte andò a pro- teggere Anversa dalla sorpresa che minacciavan gì' In- glesi. Ma il Conte di S. Leu rettifica la notizia nel modo seguente. « Non fu Bernadotte, ma io stesso che « ricevetti parecchi corrieri relativamente a questo , e « presi effettivamente il comando dell' armata raccolta « con bastante sollecitudine per impedire gì' Inglesi di « sorprendere Anversa. . . Quindici giorni dopo questo « giunse il Principe di Ponte Corvo , e .... lo gli ras- ce segnai il comando. » Notizie storiche del Castello dell' abbate e de suoi Casali nella Lucania, raccolte e pubbli- cate da Domeidco VentimigUa. Napoli, Gae- tano Re;»le , 1827 ( pubblic. i^ag ) in 4-" Castello dell' Abbate è una terra del Principato di Salerno. Fu anticamente un villaggio detto Giulia , do- nato nel loyS da Gisólfo principe di Salerno al celebre monastero della Cava. L' Ab. S, Gostabile nel iiaS vi eresse un forte , e cinse il luogo di buone muraglie : perciò ebbe il nome di Castello dell' Abbate. Il dotto Cav. Ventimiglia divide il suo lavoro in tre parti : I. Sto- ria del Castello , e de' suoi Casali che ne dipendevano; II. Documenti ricopiali con esattezza ; III. Glossario , che illustra e supplisce quello del Du Cange. Indici copiosi ed accurati chiudono il volume. Molte cose s' imparano da questo erudito lavoro , le quali possono giovare a' coltivatori de' buoni studj. Ec- cone alcune. I. Il primo documento , eh' è dell' anno 972 contiene una carta dell' 852 , inserita per disteso in quell' atto , ed opportuna a far conoscere le origini prime della lingua italiana. Una lingua dicesi perduta, d estinta (nelFuso della vita ) , quando non si conoscono più le regole delle declinazioni e conjugazioni. Perciocché, se bene il Per- ticari abbia detto che il popolo favellando non conosce legge , e muta sempre , i filosofi rispondono col Mura- tori, essere la plebe fedelissima alle regole fondamentali,- e ninno dire bella giorno , uomo ricca , io dicestì ec. , ^ essendoché sé mancasse la logica naturale, niuno po- trebbe intendere 1' altro , e ne verrebbe una confusione atta a disciogliere la civil società. Ora il Notajo che scrisse la carta dell' 852 non conobbe regola alcuna di lingua latina : = de res Silboli et Petri monachus no- stro da pars nostra recipere. .... prò integra sorte Petri monachus frater tuus , et prò integram res Silboli genitori vestro etc. = Se la lingua latina fosse stata viva nel secolo ix, non si vedrebbero nel documento così sconci errori. Ma troppo evidenti si mostrano i carat- teri della lingua volgare, benché il povero notajo si affaticasse a scriver latino : = habet fines de unu latu oHVi qui fuet de quodam Antuli (,fuet per fue , fu ). . . terra di filii Pipini per lougu unu capu sin do Massari da nominahc Bcnodirtu da Benedictu lilio 6ic/.iili = 1 doc\imonli meno an- 376 tichl , ossia quelli del secolo x. e xi. cominciano già a rispettare le regole gramatlcali , bench(^ non abbiano eloquenza ; indizio manifesto che la lingua latina era già in tutto fuori dell'" uso volgare , e che gli scrittori seguitarono le regole fondate sull' osservazione degli an- antichi scrittori, II. Nel Glossario si leggono utilissime osservazioni. La voce terra non vale solamente per terreno o per provincia , ma per luogo abitato e cinto di muraglie , sia castello , o città. Io aggiungo valere come 1' oppidum de' latini , che si diceva di un castello come di una illustre città ; laonde i traduttori debbono avvertire alla grandezza o meschinità del luogo per esattamente rap- presentare il valore del testo : cosi , s' io troverò in T. Livio Genua oppidum , volterò La Città di Genova j trovando Castelluin Alpinum Savo , tradurrò il Castello alpigiano di Savone ( Saorgio ). Fanno ridere i gaz- zettieri francesi , allorché ricopiando la Gaceta di Madrid m.ettono -y/Z/e in luogo di villa ; quasiché tutti i vil- laggi e borghi di Spagna fossero altrettante città . = Ba- staso , o Bastagio , che nel nostro Giornale abbiamo notato come voce usata dall' Autore del Pecorone , e da' Sardi , in senso di facchino , adoprasi pur tuttavia nel regno di Napoli , ed è un grecismo da /Sao-Ta^o , bajulo. = In atti del 1 1 00 e del n 1 3 si trova indi - cato dal notajo appiè del rogito , che ne' luoghi della pergamena , ove si era o cancellato o emendato qualche eri'ore , dovevano essere le tali e tali parole ; delicatezza necessaria a togliere il sospetto di alterazione o di frode. Possiamo aggiungere , che lo stesso costume usavasi nella Spagna nel i5o2, come rilevasi dal Codice diplomatico Colombo- Americano. = Bello è tra gli altri 1' articolo sulla voce formata , o firmata , presa per la S. Euca- , ristia , essendo il Gav. v entimiglia dottissimo anche negli studj sacri. Laonde noi desideriamo , che non tardi a pubblicare la Storia delle Chiese del regno di Napoli , della quale ha già pronta la prima parte ; essendo certi , che la critica , la diligenza , la erudizione e la mo- 377 desila , che tanto rìsplendoiio nelle notizie di Castello deW Abbate , renderanno quell' opera un de' più dotti lavori , che possa in tal genere mostrar 1 Italia. Opuscoli letterari di Scipione Maffei con alcu- ne sue Lettere edite ed inedite. Venezia, tip. Alvisopoli , 1829 in 12. Dire opuscoli di Scipione MafFei , e dire scritti ec- cellenti è la cosa medesima. Il Sig. Gamba , beneme- rito per tanti titoli delle buone lettere italiane , sarà lodato nuovamente per la cura posta in raccogliere que- ste opere di quel sommo Veronese , con arricchirle ezian- dio d' alcune lettere inedite. Cosi fosse venuto alle ma- ni dell' Editore « il bello suggerimento ( del Maflfei ) ce esteso per ordine di Vittorio Amedeo (i) intorno al « metodo , che potrebbe darsi a uno studio pubblico , « in occasione della nuova Università , che quel Re me- « dilava allora di fondare in Torino » come la fondò veramente con ottime istituzioni a grande onore della capitale , e a vantaggio singolare de' Regj dominj. Per altro , se manca il suggerimento per 1' Università di To- rino , abbiamo in questo volumetto 1' altro pur del Maf- fei sulla Università di Padova , già pubblicato dal eh. Labus l'anno 1808 in un giornale di Milano. « Si con- « giunge qui ( dice il Veronese a' Senatori veneti ) « l' onore con 1' utile e la gloria con l' interesse « Chi potrà invogliarsi della nostra Università , sapendo <« che in 60 cattedre ninna ce ne ha per le lingue , « che sono il fondamento del sapere , ninna per l' isto- cc ria in cui tutto si comprende , ninna per la Teolo- «c già positiva. . . ì Nello sudio delle leggi venti cattedre « al presente sono impiegate , e s' io non m' inganno , ce sarebbe abbastanza provveduto con dieci ; ma vorrei t% che in questo ( leggi queste ) uno special luogo si <« assegnasse alla erudizione legale , perchè senza di esM (1) Ippol. Pindemonte, Elogio del M. Scip. Maffei. 7 a 3^8 « è facoltà cieca e imperfetta . . . Non lascierei d' isti- « tuire una lezione per 1' Astronomia ; e se in grazia «t di questa , osservatorio si costruisse , verrebbe ad acqui- « stare gran lustro lo studio tutto. Passando alle sacre « lettere , parrebbe che di quelle fosse da procurare « maggiore coltura . . . Ma per ridurre lo studio a es- « sere considerato e frequentato anche dagli stranieri , « io credo che necessario sia Professori stabilirvi di « erudizione ec. Se ponderiamo bene , consiste final- tt mente in Istoria il nostro sapere .... Cosi 1' Istoria « Ecclesiastica è il cardine di tutti gli studj sacri . . . « poche università di grido rimangono però in oggi «prive d' una tal cattedra: ma chi sa non dovesse " riuscir profittevole altre produrne ancora di Storia « Letteraria ? " Ed acciocché ninno si faccia le mara- viglie del nome di studio dato dal MafFei alla Univer- sità di Padova , è da sapere , che le università ebbero fino a' tempi del nostro scrittore il titolo di studio , o studio generale} perchè non altro s'intende sotto il ■vocabolo d' università , parlando del pubblico insegna- mento, se non che un eletto numero di pubblici Pro- fessori , i quali dettino , o leggano agli studenti le va- rie materie che sono richieste alla conservazione della vita civile ed agli avanzamenti della società ,• sia che le lezioni si tengano in locale pubblico, o nella pri- vala abitazione ; ed oltre a ciò , si richiedono i CoUegj, che possono conferire i gradi e le lauree. Molte città ebbero de' colle;,') , senz' avere studio , come si vide in Genova per molti secoli j avendo Sisto IV conceduto non 1' erezione di una università , ma di quattro collegj. Talvolta ancora le lezioni si tennero nelle case abitate da' Professori , concorrendosi alle sale dello studio so- lamente per 1' apertura , gli esami , e le lauree ; e que- sto praticarono i Bolognesi fino a tutto il secolo XVIII. Sarebbe dunque un gravissimo errore il confondere ì Collegj collo studio generale; e il credere di trovare Una università di studj ovunque trovasi un locale, iu cui s'insegni qualche parte dell'umano sapere. 379 Geografia compendiosa di G. Goldsmith , 'versio^ ne dall' Inglese fatta dal Cav. LviGl BOSSI^ con aggiunte , carte ec, Milano , Vallardi , J829. in 12. La geografia puossi faie in tre guise ; o secondo i duaiinj , e dicesi geografia politica j o secondo i coa- firii posti dalla natura ; per esempio i Pirenei , 'il Me- diterraneo e l'Oceano per le Spagne; le Alpi e il mare per 1' Italia ; ovvero finalmente per lingue , come vole- va Scipione MafFei, il quale giudicava essere uno stesso idioma vincolo fortissimo a collegare insieme i popoli divisi dalla natura , o da' trattati politici. Qual metodo abbia seguitalo il Goldsmitli , non oseremmo decidere, vedendo eh' egli mette la Savoia nell' Italia , e il Re- gno Lombardo-Veneto nell' Austria ; con che mostre- rebbe di seguitare la divisione politica ; benché altrove dia segno di attenersi alla partizione prodotta dalle lin- gue. Ma senza darci pena del metodo , vediamo quanto ci dice dell' Italia • 11 granducato di Toscana, scrive il nostro Geografo, è situato sulle rive dell' Arno. Non lutto , perchè il Sanese , che occupa gran parte del granducato , non ha che fare coli' Arno , avendo per suo fiume principale r Ombrone. Parrai che Pistoja ed Arezzo non fossero indegne di essere nominate. Quanto all' isola dell'Elba è unita al granducato non per la maggior parie , ma tutta , fino del 181 5. Due parole sulle maremme toscane eran necessarie , acciocché i giovinetti che leg- gono , o ascoltano parlare dell' aria maremmana , pos- sano intendere di che si tratti. Quanto allo Stato Ec- clesiastico , non so come si dica Spoleti capitale dell' Umbria : almeno almeno si doveva aggiungere , una volta. Macerata sì , che dee dirsi capitale delle Marche, essendo in essa il tribunale supremo di quelle provin- cie. Viterbo , e Fermo non si potevano dimenticare ; la prima per essere una delle principali città della Chiesa ; 1' altra per aver jjià dato il suo nome alla Mar- à8o Ga; oltre ah ritenere oggidì ancora , dopo Macerata ed Ancona, il primo luogo tra le città del Piceno. E'chè diremo del vedere in tutto il regno di Napoli ricordala solamente la città cnpitale ? Forsechè Salerno, Lecce, Brindisi, Aquila, Bari, Otranto, Catanzaro ec. non n>erilavano d' essere mentovate al pari di Assisi , di Cervia , di Comacchio ? Riguardo a' 6urai , lasciando il Po , 1' Adige , e il Tevere , molti ne ha l' Italia assai mag- giori dell' Arno ; tra questi il Ticino. Il ducato di Lucca non è descritto esattamente , con dirlo una striscia di terra; meglio era chiamarlo una valle bagnata dal Ser- chio. Il difetto di non esser molto popolata , notasi parlando di Ravenna : perchè non applicarlo eziandio a Ferrara e Piacenza ? Potrebbesi pur chiedere per qual cagione non si leggono nel Goldsmith i nomi di IN izza al Varo , di Alessandria e Vercelli, città senza dubbio riguardevoll. Osserveremo per anco , non esser vero che la Toscana sia paese non meno bello che fe- condo ; perchè è ameno senza dubbio , e in alcune parti assai fertile ; ma generalmente parlando non può annoverarsi tra' paesi fecondi; e di ciò abbiamo la te- stimonianza de' Toscani medesimi. Fatte queste poche osservazioni sopra un solo breve articolo della geogra- fia corretta dal Cav. Bossi , sarebbe vanità far notare che i confini di alcuni Stati d' Italia non sono esatta- mente distinti : vogliamo piuttosto sperare che in altra ristampa si procurerà di emendare i difetti di un libro, che non è senza pregio. Catalogus Numorum veterum urhium , populorum et regum qui apud ci. V. Maximilianum yìn- geleUium March. Hieronjmus Bianconias de- scrìpsit.HoYìonìse, Masi, 1827 in 8." Niuna cosa è tanto onorevole ad uom dotto ed a tiobll Signore , come il far tesoro degli antichi monu- menti , onde s' illustra la storia civile e quella sì an- cora delle arti liberali. E perciò distinta lode si vuol tributare al Marchese Angelelli patrizio bolognese, ed 38i insigne cultore della greca letteratura , perchè abbia volto l' animo a raccogliere le antiche monete , o me- daglie delle città , de' popoli e de' Re ; ed abbia con- ceduto all' eruditissimo Sig Dottore Bianconi , nella cui famiglia è come naturato 1' amore delle arti belle e della più recondita erudizione , che ne formasse quella de- scrizione , che vede la luce coli' usato modesto titolo di Catalogo. E noto ai dotti , che il formare si fatti ca- taloghi non è opera di volgare ingegno; ed è simil- mente manifesto che la scienza numismatica trae da cotali scritti gran parte delle sue nozioni ; essendo im- possibile che altri possa cogli occhi suoi esaminare i pubblici e privati medaglieri delle varie contrade del mondo. Dottamente , benché con brevità di parole, il- lustra il Sig. Bianconi le monete del Marchese Ange- lelli , giovandosi delle fatiche de' più celebri scrittori di numismatica , ed ora ne approva , ora ne rifiuta le decisioni con grande modestia , com' è proprio de' veri letterati. Hannovi monete di molte città d' Italia , tra le quali una d' Alba nel Lazio , che ad onta del nuo- vo Poligrafo ( i83o, n. 8 ) che la riduce alla inesi- stenza , non lasciò mai di esistere , ed ebbe ne' primi tempi della cattolica Chiesa il suo vescovo , ed oggidì pure conserva l' onore della cattedra episcopale. Unica è la medaglia di Canosa ( Cenusium ) , già illustrata con altro lavoro dal n. Autore : rarissime quelle di Tu- rio , oggidì Terra-nuova , di Messina coli' epigrafe gre- ca nslopixQ ( Pelorias ) ec. Unica forse è quella di Phi- la in Macedonia. Desideriamo vivamente che il chiaris- simo Angelelli trovi molti imitatori nell' affetto alle an- tichità erudite ; e che l' esimio Bianconi continui colle dotte sue fatiche ad ornare il Collegio Jilologico dell' Università di Bologna , città , se altra mai , sempre amica alle buone lettere , e madre d' eccellenti ingegni in ogni maniera di sludj e di arti leggiadre. 382 Oeuvves complctcs de GessNER. Paris , Guillaume , tom. ^ìn 12. Salomone Gessner , grande ornamento di Zurigo e della Germania , scrisse in prosa la maggior parte de' suoi componimenti j a ciò confortato dal poeta Ramler suo aristarco ed amico , il quale giudicò eh' egli non sapesse dare a' suoi versi quella dolce armonia , che si vuol sempre negl' Idillj e nelle gentili pitture degli umani affetti. ]Non è dunque maraviglia che le opere tutte del poeta svizzero ci vengano dinanzi tradotte in prosa. La versione francese tien luogo di originale ; perchè Gessner medesimo la pubblicò , almeno in gran parte , con bella edizione di Zurigo. Idillj di SALOMONE Gessneh f tradotti dal Cav. ANDREJ Mjffei. Milano, Silvestri, i8a6, in 12. Chi non amasse la prosa francese , avrà un saggio di ottima versione in questo picciol libretto. Il Gav. Maifei era già noto per qualche brano della Tunisiade , tra- sportato felicemente dalla tedesca nella lingua italiana. Ménioiies sur la Vie et le Siede de Salvator Rosa. Paiis, GossoH , 1824, voi 2 in 12. Lady Morgan scrisse queste Memorie in lingua inglese : Alessio Emery , librajo parigino , ne procurò la tradu- zione, che ora vlen pubblicata per la seconda volta, onde ammaestrare 1 I -uropa intorno alla politica , ai costumi ed alle arti degl' Italiani nel secolo XVII. Noi preghiamo i neslri leggitori a non volersi fidare alle lezioni di que- sta signora inglese. Ella dimostra un grandissimo di- sprezzo della Storia Letteraria del lirabosclii j ella metle 383 sempre in ridicolo il Bernini ; ella deride tutto ciò che risguarda alla Religione ; e da questo sì può conoscere qual sia 1' erudizione , qual esser debba la mente di questa scrittrice. Parrà forse che si manchi di gentilez- za , censurando una signora ; ma la verità è la più rag- guardevole e la più bella dama del mondo j come dice un poeta persiano. Osservazioni sulV intelligenza di alcuni passi di Tito Livio , relativi alla situazione delV antica Savona. Ivi, marzo 1827, in 8." di face. 20. Questo libricclno vuol insegnare la storia a T. Livio, la geografia a Strabone , al Cellario e al Durandi j la zoologia al celebre Cuvier ; 1' erudizione al Muratori j la lingua latina al Facciolati ed al Forcellini. Enormi abbaglj , memorandi equivoci , insidie , lacci , muti- lazioni a capriccio , idee confuse , questi sono gli ar- gomenti che adduce contro 1' autorità e la ragione. la somma , inanes palece , diceva un Tedesco , professore di Jena. Il titolo è nuovo e singolare j né ci sarà negato di spendere due parole a dichiararlo. La Liguria occi- dentale era divisa in cinque parti , ossia tribù ligustiche : Genuati , Sabati , o Sabazj , Inganni , Intemelii e Alpini. T. Livio ricorda un castello de' Liguri Alpini (Ligurum Alpinorum) detto Savo. Non è dunque la moderna Savona , conchiusero il Cellario , il Muratori , e il dotto piemontese Durandi. L' autore delle Osserva- zioni , ponendo per cosa dimostrata il punto in qui- stione , dice che avendo T. Livio nominato la moderna città dì Savona , non si dee più cercare dove fosse il castello alpino dello storico romano j ciò vuol dire che 1' osservatore confonde i Liguri Alpini (dioc. di Nizza ) co' Liguri Sabazj ( dioc. di Savona ) . Un pregio pecu- liare di questo opuscoletto si è , che fa venire dalla Spagna in Italia Annibale , non per la via delle Alpi , ma per la nostra riviera di ponente , illustrando in si falla guisa la storia Di Lui che 1' Alpi superò primiero. 384 Trattato dello Stile e rlel Dialogo (lei P. Sforza Pallavicino — Reggio, Torreggiarli, 1828. Un libro si piccolo di moie e sì grande per cele- brità viene da noi annunziato non per tesserne gli elo- gj ( che sarebbe inutile ) ai nostri lettori , ma per far nota agli studiosi la sua recente riproduzione, il bar- baro stile che usavasi da molti ne' trattati scientifici a' giorni del Pallavicino, indusse questo dotto Padre e della lingua nostra intendentissimo , a distendere quanto egli stimava necessario a por riparo a cosi grave sconcio. Né scorre soltanto le parli filosofiche , ma belle e nuove osservazioni va innestandovi di poetica e d'oratoria, di lingue e d' ogni maniera d' erudizione. Si vedranno in questo dettato trattate cose che a' nostri tempi sembrano esser nate , né tutti i letterati terranno 1' autore in conto di giudice giusto. Rivolganlo i giovani il dì e la notte, e dietro sì fatta scorta pensino a rivestire , quando che sia , le materie scientifiche di que' colori , ond' erano adorne presso i Greci e i Latini. Se il Pallavicino fosse vissuto dugent' anni dopo , avrebbe avuto le cagioni stesse di comporre un tal libro. Meditazione sopire Valhero della Croce , testo di lingua del buon secolo. Torino , Marietti ec. Gran conto tener si dee eziandio di questa Operetta , che racchiude il pregio e della lingua e della religlo- Be j e il poco prezzo e la breve forma , in cui l' ha riprodotta il Marietti, servono a diffonderla in ogni clas- se della società. Non cosi semplice e scorrevole me ne pare la dicitura come nel Fior di virtìi , e dai latinismi che vi s'incontrano, ed eziandio dalla condotta delle mediiazioui , potrebbe taluno inclinare a crederla un volgarizzamento. Ma checché sia di ciò , meritò giusta- mente le lodi del eh. Sig. Parenti , e sarà ognor gra- dita a chiunque si conosce di lingua colta e gentile. Vide primieramente la luce in Firen/.i! nel 1819, presso Gaspero Ricci per cura del Sig. Luigi Rigeli Accade- 385 mico della Crusca , e ne fu eseguita la stampa sopra una copia tratta per l' ab. Fontani da un codice ric- cardiano. Se ne crede autore il Cavalca , ma non sap- piamo con quali ragioni. Si pregia il Marietti d' aver purgato la presente ristampa dagli errori avvertiti dal detto Parenti nella fiorentina edizione, tuttoché eseguita con diligenza. Questa Meditazione sembra tenere di molta analogia con quelle sulla Vita di G- C. , anch' esse testo di lingua , stampate pel Rusconi in Milano nel 1821 , pili però quanto alla sostanza , che quanto alla lingua. E da notare alla pag. 4 saporamente forse saporosamente — 9 — discuoti ( lat. discute ) diligen- temente — II — colombino (di colomba) pensiero — 22 — franchezza (franchigia) della gloria de' figliuoli di Dio — 21 — Novellizia (primizia ) — 2 5 — il fan- ciullo Gesù. . . fu portato , e fuggito ( trafugato ) nell' Egitto — 4' — malvagia ( malvagità); ed altri mol- tissimi modi , parte radi , e parte d' una noa isprege- vole novità. Poesie Casti gli ane del secolo XVI , scelte e tradotte da G. B. Conti. Milano, N. Bettoni , 1828, in 12 picc. Ha dato l' editore in questo volumetto il fiore di ven- tidue Lirici spagnuoli , notando in fronte alle poesie di ciascheduno la patria e l'epoca della nascita e della morte degli autori. A dar le debite lodi a cosi bei componimenti richiederebbesi non uno , ma molti e lunghi articoli : tanta è la maestria con cui seppe 1' egregio sig. Conti trasportarli nel nostro linguaggio , e tanto sono leggia- dri in se stessi e lavorati con gusto affatto squisito. Ne tengano lungi i Romantici gli occhi e le mani , percioc- ché ogni poesìa quivi compresa spira tutta di grazie greche e latine , e in più d' un luogo parrà ad essi dar di cozzo in M. Francesco , e in quanti altri cantarono tra noi meglio d' amore. Odi , egloghe , satire , canzo- nette , madrigali , sonetti di vario argomento si leggono 38« in questo libretto Mro alle muse. Quali giuste idee in- torno agli studj e alla letteratura avessero i cinquecen- tisti spagnuoli , basta a mostrarlo 1' eloquente Epistola di Bartolomeo Leonardo d'Argensola da Barbastro, scritta a D. Fernando di Soria Galvarro , del qual Bartolomeo sono bellissime altre satire contenute in questa Scelta. Se a certi Italiani piacciono tanto le cose d' oltremonti , perchè non corrono a queste ? Gli Spagnuoli studiarono nei nostri classici , e tali divennero essi stessi : non cosi certi altri oltramontani. Facciasi dunque , giacché cosi sì vuole , un bel ricambio eoa chi lo merita. Sarebbe desiderabile che il valoroso sig. Conti ci desse una simil versione delle Rime del Gamoens , e raddoppierebbe per tal modo i suoi benemeriti servigi alla italica lettera- tura. r. Paolo Amedeo GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Rev. Are. Se ne permette la stampa. SOLARI per la Gran Cancelleria. Errata del Fase. 2. 0 Face. 14 4.1 in. 13. stampa leggi Stanza ce « « 27. stesso sesto « H6. « 20. alle loro querele alla loro querela « U7. « 20. petto, e ferocemente petto , ferocemente « H8. « 20. traviar travisar « 122. ce 3. piacer pensier « 123. ce 2 . manoscrito manoscritto Errata del Fase. 3 0 « 262. ce 26. ia per « 264. ce 20. mettersi smettersi j Come può igno- rare uno studioso Ecclesiastico de' nostri tempi, dopo la celebratissima fatica del P. Constant sull' epistole de' Sommi Pontefici , nulla esistere che spetti a S. Eutichia- no ? E non lieve stupore ne recano le seguenti : « Len- te tecario Vescovo Lunese aveva grido intorno al prin- « cipio del secolo ottavo. Questo prudente Vescovo , as- te saHta veggendo la nostra città di Luni dai Mori d' Af- •e frica , ecc. " Questa è la prima volta , che s' intende avere i Mori d' Affrica assalito la Liguria intorno all' anno 720 ; e sarebbe una solenne scoperta nelle terre incognite della Storia, chi potesse trovarne i documenti. Nuovo è slmilmente il vestire i preti cardinali della Chiesa Romana con snera porpora a' tempi di Carlo Magno ( pag. 34 ) . Pochi saranno per lodare il titolo di codice antichissimo dato ( pag. 35 ) ad una scrittura del i36o. 40T Né i Romani , io penso , cosi di leggieri si arrenderan- no all' autorità del Baccellini per cedere Papa Sergio IV al castello di Scrgiana ( ora città di Sarzana ). Fi- nalmente , chi vorrà mai creder che il corpo di S. Aimo- ne vescovo di Colonia, scoperto nel ii83 , fosse già di mille anni circa sepolto ? Con tal notizia chiude il no- stro Autore il primo libro dell' opera sua , nel quale adu- nò le memorie degli uomini illustri di Luni. A noi pia- cerebbe che nel distendere questa prima parte del Suo la- voro , non avesse dimenticato c[uella sentenza che leggiamo a pag. 34 « esser meglio intendere a poco vero narrare , « che a cadere in dubbiezze, jì Nel libro 1°. stanno le memorie d' illustri scrittori e uomini insigni del distretto di Sarzana. Ed il primo è Urbano Mascardi « tuttoché G. B. Spotorno in sua in- cc troduzione alla Storia Letteraria di Liguria chiamilo ce scrittore supposto dal Barccllio e dal Fannusio Cam- te pano , due scrittori i quali non avevano interesse al- te cuno di fìngere in quell' età un illustre Sarzanese. « Apparisce da queste parole che 1' Ab. Gerini tiene per certo che sieno stati al mondo i due scrittori Fannusio e Barcellio , i quali altro non sono ( com ' é ben noto a chicchessia ) salvo se un sogno d' impostori. Ora se il P. Spotorno umilmente pregasse 1' Ab. Gerini a mo- strargli i libri del Fannusio e del Campano, o almeno a indicargli in qual archivio , o biblioteca si trovino , qua] risposta potrebbe dare 1' Ab. Gerini ? Il secondo Sarzanese é Paganino , antico rimatore. Il nostro autore citando il P. Spotorno , dice che viveasi nel secolo XIII, nel secolo del buon parlare , in cui fiorì Dante. Ma l' autore della Storia Letteraria della Liguria non im- maginò mai di confonder il secolo XIII ( il dugento ) col secolo del buon parlare ( il trecento ) ; e fece anzi accorti in una nota i suoi lettori dell' anacronismo del Perlicari, il quale per dileggiare il trecento allega scrit- tori del dugento. Appresso a Paganino è lodato Guido da Scetten Arcivescovo di Genova, te La prima di lui te memoria che abbiamo (dice il nostro Autore pag. 402 « 5o ) ricavasi dagli atti di Francesco di Gioan (^così") ce di Parente notaro di Sarzana del 2 4 novembre del ce i3o5 , nella quale stagione erasi rettore della chiesa ce di S. Bartolommeo di Ceserano e canonico di Sar- cc zana , conie s' annunzia in detti strumenti , che che et si dicano gli altri che scrissero diversamente ce Questo Guido iu sua giovanezza fu del Petrarca amico ce strettisimo . . . furono insieme prima a Carpentrasso in ce Provenza a studiare in grammatica e in umanità .... ce poscia a Mompellieri , indi all' Università di Bologna, » Ottimamente: ma essendo nato il Petrarca nel i3o4, come poteva egli andare alla scuola di grammatica in Provenza con un Guido che già del i3o5 era parroco nella diocesi di Sarzana ? Dunque gli atti del Parenti non furono ben letti , o si parla di un Guido , che po- teva essere zio dell' amico di M. Francesco ; non di quel Guido che fu poi arcivescovo di Genova. L' Ab. Gerini non ebbe qui 1' avvertenza di dare una occhiata alla Storia Letteraria della Liguria , in cui sono molte notizie dell' amico del Cantoi'e di Laura. Il Pontefice Nicolò V. singolare ornamento di Sar- zana , vuoisi dai nostro Autore di lì abile stirpe , contro il Platina , il Panvinio , il Foglietta ec. ec. e con- tro lo Spotorno ancora. Desideriamo che gli argomenti dell' Ab. Gerini possano far fede della nobiltà di quel Pontefice , perchè i versi di Baldassar Taravazzi non sono monumenti j e lasciano sempre vigorosa la difficoltà che sorge dallo stesso Pontefice , che non seppe mai d' avere proprio stemma, e non conobbe la nobiltà de' suoi. An- che al Colombo , che agli avversar] suoi , allorcliè il mot- teggiavano di oscura stirpe , rispondeva = il Re David fu guardiano di pecore — si volle dare una splendida genealogia ; ma i fatti stanno immobili contro alle opi- nioni. — Gotardo Stella cancelliere di Genova nel sec. XV , viene attribuito dall' Ab. Gerini alla famiglia Sar- zancse de' Donati ; e volendosi rispondere all' obbiezione del cognome Stella sempre usato dal Cancelliere , se ne dà questa ragione: ce 1' anno i455 trasferito avendo 4o3 sua dimora a Genova , fu colà aggregato alla nobile casa Stella e a quell' albergo ascritto secondo che per legge in quella Repubblica allora si praticava n Ma innanzi a tutto , il casato Stella non fece mai albergo ( aggre- gazione di più. famiglie ) 5 e poi , come poteva Gotardo nel 1455 essere astretto da una legge fatta nel iSsS ? — Del Bracelli , come di Persio , brevemente si sbi'lga il nostro Autore rimettendo i curiosi al Gesner , al Bardi ec. e a tanti altri che può riscontrare chi avesse desio di più saperne. Possibile che un Persio e un Bracelli non. meritassero tante parole quante ne ha spese il Ge- rini intorno a Tagete e a Crono Crosmazio ? == Del B. Onofrio da Sarzana (1) scrive il nostro Autore che fu frate della regola de' Minimi di S. Francesco , che fu custode felice di S. Giovanni da Capistrano , e sep- pegli ispirare tanto amore della virtù , che godesi ora la Chiesa di venerarlo su' sacrai altaici. Ciò vuol dire che Onofrio non era de' Minimi di S. Francesco da Paola , si de' Minori di S. Francesco d' Assisi , al qual Ordine appartiene S. Giovanni da Capistrano. Nel favellare del Cavaliere Laudivio Zacchia è citato il P. Spotorno con lode j ma notisi non aver esso mai detto nella Storia Letteraria che Scipione Maffei fallo Ve- ronese , come afferma l'Ab. Gerini. ■=■ Trattando di Be- nedetto Celso , protesta il nostro Autore di non sapere intendere in che modo lo Spotorno faccialo canonico di Sarzana, mentre sua lapida sepolcrale contrad- dice a questo. Perdonimi l' Ab. Gerini , se lo prego ad osservare più diligentemente la lapida sepolcrale , com' è nell' opera sua , pag. loi , perchè in essa vedrà che il dottore e cavaliere aureato Benedetto Celso fu Guhernator apostolicus Civitatis Narnice , il qual uf- fizio la Corte pontificia da più secoli non confida che a persone ecclesiastiche. Un altro incarico accenna la (1) Diciamo heato per seguitare il Gerini; senza darci briga di esaminare se tal titolo siagli accordato dalla S. Sede. 4o4 iscrizione , cioè Commissarius Apostolicus Thuscìce, Li- gurìce , Corsicce , Lunens. Sarzanensis dioecesis sucb ; e non è costume de' Papi mandar secolari per commisarj apostolici a visitar le diocesi. Vegga dunque il bene- merito scrittore delle memorie di Lunlglana di non aver preso errore , com' errò certamente alFermando , che Be- nedetto Celso fu mandato dalla Repubblica di Ge- ìiova al governo della città di Ceffà in riviera di Ponente, essendo ignota a tutti i Genovesi la città di Ceffà ; e non potendo qui aver luogo quella di Gaffa ( o meglio Caffà ) , che nel secolo XVI non era più de' Genovesi. c== Errore contiensi di certo in queste altre parole del Gerinl : ce Gloriò non poco Scipione Martelli , « e non Metelli come ha segnato lo Spotorno , col suo « nome e sapere la terra di Castelnuovo 33 essendo mo- ralmente impossibile, che sì nella dedicatoria del Prin- cipe del P. Ribadencira, come nelle poesie, libri stam- pati in Genova , Scipione non sapesse mai scrivere il proprio cognome, che vi si legge in nitide majuscole, e sempre metelli. Chiudesi questo 2.° libro con brevi notizie del Cardinale Giuseppe Spina , e coli' albero ge- nealogico della famiglia Buonaparte. Gli uomini illustri di Massa e Carrara trovansi nel libro 3." Il primo è il B. Jacopo da Massa , laico Fran- cescano del secolo XIII. Dietro a lui subito veggianx Eleonora Cibo. « Il Quadrio , il Tlraboschi e ultimamente te lo Spotorno esaltano il di lei illustre nome , riputando- le la Genovese contro la verità di suo nascimento. » L' Ab. Gerini vuol che nascesse in Massa nel 1 5 1 3 , dicendola — figlia di Lorenzo Cibo Malaspina duca dì Massa. — Io non cercherò il luogo preciso della nascita di Eleonora ; che ciò nulla monta a trovarne la patria ; ma osservo che Lorenzo Cibo non fu duca, ne prin- cipe , ne marchese di Massa ; perchè marchesana n' era tuttavia nel i532. Rlcciarda Malaspina , che n' ebbe l'in- vestitura imperiale da trasmettere a' figliuoli che ottenes- se da Lorenzo Cibo suo marito (Gerini, pag. 167): il primo ad aver titolo di principe fu Alberico nel i568 j 4o5 ed Alberico II ottenne nel i664 quello di Duca (^ Gè-' fini, pag. 169 e 199). Lorenzo adunque non era che un patrizio Genovese; e in Genova gli nacque Alberico (Gerinl, pag. 167): e però Leonora figlia d'un Ge- novese . e moglie di Gianluigi Fieschi Genovese , dovea trovar luogo nella Storia Letteraria della Liguria, — Se non fossero queste inesattezze , non avremmo difficoltà di credere al nostro Autore , che il Medico Antonio Ven- turini nacque in Massa , che che dicane di sua patria diversamente lo Sputorno , il Fabroni e il Targioni , poiché molti contratti stipulati da questo P'^enturini si trovano nelV Archivio comunale di Massa ; ma ca- ro ne sarebbe veder le parole precise di un contratto, potendo essere che il Venturini , benché Sarzanese , sia- si trattenuto , forse per esercizio di sua professione , non pochi anni in Massa ; cosicché potesse riguardarsene come cittadino. E questa osservazione ci vaglia non me- no per Giovanni Giudici , traduttore del Nostradamus , che il Gerini dichiara Massese « tutto che male s' ap- « ponga il Fontanini a darcelo per Genovese , e lo Spo- rt torno ingiustamente si maraviglia che sia stato di- « menticato dal Soprani e dall' Oldoini , i quali me- te glio di lui giudicarono a non attribuirlo alla Liguria. » Se non che nelle parole qui trascritte celasi un errore di raziocinio ; perciocché se il Soprani e 1' Oldoini non parlano del Giudici , come affermare che meglio giu- dicarono del Fontanini ? chi tace non pronunzia giu- dizio. Forseché i citati scrittori non ommisero per di- menticanza , o per iscarsezza di notizie scrittore alcuno della Liguria ? Il Cardella dimenticò nella sua Storia Letteraria Messer Angelo Pandolfini, autore chiarissimo del Governo della famiglia : avremo dunque a conchiu- dere che mal s' appongono i Toscani a crederlo Fioren- tino ? Ma leggiamo un' altra censura del Gerini : « t< « nostro debito adesso di restituire .a Carrara quest'ono- « rato uomo , celebrato dal Vescovo Bascapè e dallo Spo- «t torno come dottor Sarzanese , e di fare a si culti « autori giusto convincimento della vera patria di Giù- a a 4o6 n Ilo con prove le più autorevoli e certe. Messer Giu- « lio adunque , secondo i parrocchiali registri di Car- te rara, in essa terra nacque il i5 luglio i55p. n Ora si osservi che S. Carlo , il quale aveva il Brunetti a' suoi servigi , e Monsignore Base ape amico del Santo Arci- vescovo e del Brunetti , lo chiamano Sarzanese. Inoltre: se Giulio nacque nel iSSp, è alquanto inverosimile che 21 anni appresso, cioè nel i58i , fosse tanto conosciuto 0 in Roma o in Milano , che S. Carlo , uomo assai cir- cospetto nell' eleggere i famigliari , lo avesse già nella sua Corte, perchè il Gerini ne accerta ce che il nobile Giulio w del i58i viveasi già presso l' immortai Borromeo. « Suor Teresa Vittoria Cibo , monaca in S. Chiara di Massa , fiorì per egregia virtìi nel sec. XVII ed ha titolo di Beata nel martirologio Francescano. Carlo I. Cibo duca di Massa 1' anno 1694 fece ad essa suor Teresa e a suor Angela Costanza di lei sorella e monaca nello stesso monastero , e a tutte le principesse Cibo , che vestissero l'abito religioso delle Clarisse, un particolare sepolcro, con iscrizione che accenna questa volontà del duca. Ma 1 Ab. Gerini riportata la iscrizione, si fa meraviglia che non accenni la santità di tal monaca. A noi sem- bra per altro , che non siavi cagione di maraviglia. L' i- scrizione , come il sepolcro , è comune alle due sorelle, e a tutte le altre principesse Cibo , che in seguito pro- fessassero la regola di S. Chiara : ora la Teresa Vittoria giaceva in un sepolcro comune , ciò vuol dire che la Chiesa non la considera come santa , essendo questa la disciplina ecclesiastica , che le reliquie de' Santi abbia- no lor propria e decente collocazione. 11 martirologio Francescano , citato dal nostro Autore, non è il martiro- logio Romano. — Piace al signor Abate Gerini di to- gliere a Genova l' architetto e scultore Ponzanelli per questa unica ragione che ce Carrara segnò nei pnrrocchia- « li registri di avergli dato i natali verso il i65o : » ne spiace quel verso , perchè ci lascia in dubbio del fatto , ninno potendo capacitarsi , che ne' libri parocchiali , ove notasi il giorno , non che 1' anno della nascita , sia 4o7 scritto , verso il i65o. Non so poi, se i Genovesi gli con- cederanno che ce Francesco Parodi sia il più mirabile « degli scultori di Genova. » — Monsignor Gian Fran- cesco Tenderini vescovo di città Castellana e d' Orte , essendo stato persona di santissima vita , e trattandosi in Roma di concedergli il culto di Beato , meritava un articolo più copioso. Chiudesi questo i ." volume col Kb. IV contenente le memorie degli scrittori ed uomini insigni della Spezia e sue vicinanze. Forse in questo libro , non già nel primo che tratta di Luni , doveasi parlare di Persio. Comunque sia , il primo lodato è un Simone Cavalierini da Porto- venere vice ammiraglio della genovese armata nel 1267. Bene avrebbe fatto il nostro Autoi-e a confortare questo articolo coli' autorità di qualche scrittore. Segue Francesco Barbavara similmente di Portovenere , capitano di molte galere verso il i34o. Aldobrando da Corvara ( terra in quel della Spezia ) è noto per pochi versi la- tini. Curiosa è la storia di Giovanni Montino da Lerici. Il Card. Ludovico Fieschi 1' avea fatto nominare vescovo di Monterosso : il popolo non volle riceverlo , e il Papa per consolarlo gli diede la cattedra episcopale di Luni e Sarzana. Vengono appresso il Fazio ed il Curio. Questo secondo meglio sarebbe lasciarlo alla sua nobil famiglia di Taggia , avendo già dichiarato 1' Aut. della Storia Letterai'la della Liguria , che a lui pareva più probabile eh' e' fosse di Taggia , anziché della Spezia ; di che rende ragione nel voi. 3. pag. 4o5. Ma senza tessere una lista di tutti gli uomini ricordati dal Gerini , diremo che le notizie dei due pittori Carpenino e Spezzino sono rica- vate dalla citata Storia Letter. senza occultare la fonte j doveroso e gentil costume ,• di che altrettanto lodiamo nel nostro Autore , quanto censuriamo coloro che arrossi- scono d' additare le sorgenti onde ne' loro scritti deri- varono artificiosamente le notizie migliori. Non so poi come possa provare il Gerini che il medico Silvestro Fazio fosse natio della Spezia. Affermalo , è vero ; ma si vorrebbe qualche prova dell'affermazione. Bensì ere- 4o8 diamo che abbia ragione , scrivendo che il medico Vin- cenzo Alsari della Croce fosse di Monterosso ; notizia d' aggiungere alla Storia Letteraria della Liguria , ov' è detto semplicemente che il cognome di quel dotto pro- fessore trovasi nella riviera di Levante. Una persona di Monterosso da noi espressamente interrogata , conferma che gli Alsari sono un casato di quella terra. Ma non par- mi cosa convenevole che 1' Ab. Gerinl riprenda il Medico Ser essersi detto genovese e talvolta cittadino romano. fon è questo un ticchio di bizzarro cervello , ma una verità. È costume delle città colte d' Italia onorare i let- terati con dar loro la patente di cittadini : se dunque i Romani vollero far questo onore all' Alsari , perchè non poteva egli, senza bizzarria, intitolarsi cittadino romano? Quanto al titolo di genovese , non veggo qual difficoltà gli si possa opporre ; perciocché se napoletani , virtem- berghesi , lucchesi sono gli abitanti de' regni di Napoli e Virtemberg e del ducato di Lucca , dovevano esser genovesi gli abitatori del territorio soggetto alla Repub. di Genova. Riguardo al P. Bartolomeo Beverini , era me- glio certamente lasciarlo a' suoi Lucchesi , anzi che ascri- verlo al castello di Beverino , troppo essendo debole la ragione addotta dal nostro Autore, che dite secoli prima i Beverini si erano partiti da Beverino per istabilirsi in Lucca. Con sì fatto argomento potrebbero gì' Italiani at- tribuirsi tutti gì' illustri principi della stirpe R. oggidì regnante in Inghilterra , per esser questa un ramo della gloriosa casa d'Este. Al libro IV, e con esso al primo volume dassi fine con brevi notizie dell' erudito Giorgio Viani. — Desideriamo di ricever presto il 2." volume , del quale non mancheremo di fare convenevole estratto j sembrandoci che la miglior guisa di provvedere a' pro- gressi della storia , ed anche all' onore degli Autori , sia quella di notare senza fiele , quegli errori che difficil- mente si possono evitare in lungo lavoro E questo è pro- f)rio uffizio de' giornali , che debbono esser non ciechi odatori , né critici venali , ma censori modesti de' libri fatti colle stampe di pubblico dritto ; acciocché gli scrit- 4o9 tori possano o in qualche appendice , o nel caso di ri- stampa , emendare gli abbaglj , e dar nuovo pregio alle loro fatiche. Per questo spirito di critica imparziale fu sempre ammirato il Giornale de' letterati d' Italia , che Apostolo Zeno , ajutato da molti preclari ingegni , pub- blicava in Venezia j dove al contrario non pochi de' Giornali più recenti , non servono che ad ingombro delle Biblioteche; perchè nulla è in essi onde purgare la storia , od aumentarne il patrimonio j eh' è poi il pa- trimonio dell'umana sapienza. 4io Intorno alle Poesie di Pindaro , e al volga- rizzamento fattone dal Sig. Luigi Borghi. n DISSERTAZIONE. 'andò noi opera a ragionare alcuna cosa di Pindaro , maravigliosa moltitudine di considerazioni , le quali co- mechè al nostro Autore ragguardino , sì ancora perten- gono più avanti alla universale idea della Poesia Li- rica, ci si viene affollando di subito nella mente. Intra le altre che , quanto per noi si conosce di que' che son ■veramente sommi in siffatto genere di poetare , e' so- gliono insistere di modo in pochi argomenti , o in un solo , che ivi pongono essi 1' affetto , e il vi fanno por- re anche al lettore j e le loro poesie insiem componendosi e collegandosi, o tutte, o a parti grandi, molto s'ac- costano a unità di poema : disviate e scommesse dall' altre non vanno se non se poche che ci sono di soprap- più. In tutte poi si ravvisa uno intelletto particolare , un' indole , un costume del poeta che le compose , con isparsovi un certo colore, e talvolta un dipingere molto copioso del secolo e del popolo in eh' egli visse : né vi si dimentica egli altresì , siccome il più nell' Epica si suol fare j che anzi uscendo in mezzo ad ogni trat- to , assai gagliardamente vi si scuopre e manifesta. Sub- bietti egregiamente lirici sono o eh' altri canti di se medesimo e delle passioni che il vincono , o si di cosa che voglia celebrando innalzare , o biasimando avvilire : quinci nasce che i poeti Lirici debbano mostrarsi gran- demente parziali e infervorali , ed eccedere in ag- grandire le cose. Spesse volte gli argomenti che pren- dono a illuminare sono pur morali , o politici , e ad Ogni modo mollo del moralizzare e filosofare , a ren- derne i lor canti più sustanziosi ed efficaci, s' ajutan sempre j e o ivi stillano amore di generosa virtù; od aache , secondo la detestabile corruttela umana , conci- 4" liano co' vizj a lor cari il leggitore , porgendoli in as- petto lusinghevole di bellezza , e sotto specie di Sa- pienza. Inestimabile forza è poi nello accoppiarvi destra- mente air umano il divino , e le cose religiose alle ci- vili ,• dal che fare tanto s' aggiugne d' autorevole , di grande, di venerabile ad ogni cosa , quanto il secolo nostro , tutto terra e materia , non sa comprendere. Ma tutte queste considerazioni ci basti aver tocche cosi appena; e strignendoci più dappresso allo argomento, diciamo , che la Lirica accompagnandosi colla musica , perciò , comechè in ogni altro genere di poetici com- ponimenti gran ragione si voglia fare dell'armonia, ma in questo vie piìi j tantoché se di ciò solo si fal- lirà , facendola men bella o meno adatta , si verranno tutte 1' altre parti a dolersene fieramente. Quinci muove ancora un' altra molto curiosa avvertenza j ed è che quell'estro impaziente e a tratti un po' folleggiante , quel- lo sfavillare , quel guizzar vivo, e quasi lanciarsi della fantasia punta e stimolata , che nella Lirica si concede assai più là che in qualvogliasi altra poesia , per ap- punto ha sua ragione nel concitarci , scuotere ed agi- tarci che fa la musica ; perciocché intra suoni e con- centi mostra comporre il poeta ,e cantare il composto: Laonde, secondochè 1' argomento richiegga una musica più incitata e ardimentosa , cotale dovrà essere il poeta sì per parte dell'estro e si de' metri ; e dove si l'estro e sì i metri riescano a maggior fierezza e agitazione , tale vi si dovrà adattare la musica. E qui ne cadrebbe in acconcio favellare alquanto di quella maniera di dramma , che opera tra noi s' appella , in cui s' è vo- luto la verità del dialogo e dell' azione ridurre alle forme liriche , e con tutto il corredo dell' arte musica accompagnarla : ma perchè quinci troppo di lungi sa- remmo traviati dall'argomento, ed anche perchè pun- ti ne sarebbono troppo al vivo i più dilicati della na- zione, lasceremo stare di ciò j e studiosamente recan- doci in quella vece a ragionare di Pindaro , egli ci vien qui notato in sulle prime un paragone ch'altri 4l2 ne fa eoo un uomo agitato d' alcuna passione violenta j il qual pensiero ci sembra oltre modo fittizio e fallace : perciocché la violenta passione lega, o anzi conficca la imaginativa dell'uomo tutta iu un punto, e tien- Vela ; nò mai le concede quella boriosa libertà , quel Tolo sciolto, quel continuo procedere oltre, eh' è co- me la iuipresa del gran Tebauo. Per la qual cosa noi studiandoci di metter la mi^nte un po' addentro nelle odi di Pindaro, voyliamcr ricordare innanzi tratto, com' egli fu Cantore Sovrano di Ditirambi , li quali , per fare una grand' onta alla imaginativa umana e alla poe- sia , ci ha il tempo distrutti ; dipoi rappresentarcelo quasi egli componga gì' inni suol a una magnifica e sonora musica di vittoria. Donde avvisiamo eh' avverrà , in leggendogli appresso , di scoprire siccome vera nota dell'ingegno di Pindaro questa: una somma libertà fantastica congiunta ad ebbrezza , e quivi stesso uno intendimento con esquisitissima sapienza. Diciamo libertà fantastica , quando altri, a cagion d' esempio , trovan- dosi e diportandosi tutto solo , si anche si senta più \lspo, vegeto , e mobile dell' usalo, che la mente non tira ad occuparsi, nò la volontà pure a coslrignerlavl , che anzi entrambe s' abbandonano alla virtù imagina- tiva per divagarsi con esso lei ; ed ella veggendosi l'ar- bitra , gittasl a qual s' è 11 primo obbielto che se le fa dinanzi j ma prestamente da quello trapassando ad uno altro , e da questo ad un nuovo , e si cogliendone nul- ladlmeno i lineamenti più particolari , le attitudini più rive ed al vero, via via d'immagine in immagine , di cosa in cosa trascorre rapidissima , e di tutte forma , senz' avvedersi , edificj singolarissimi. Che se in alcuno obbietto s' occupa più che negli altri, non avvien però eh' ella vi s' arresti mai della sua volubilità ; bensì a gran lanci seco 11 rapisce in piccola ora per una va- rietà di cose , e un corso d' accidenti , di luoghi , e di tempi maraviglioso. Dipoi abbiamvi aggiunto l'eb- brezza , accennando agli stimoli e allo accalorameuto che nello stalo predetto dell' anima verrebbero altrui , 4i3 non solo da un poco di bollore vinoso , ma si parimente o dalle vedute air intorno siugolaii e pittoresche , o se- condo il già mostrato , da una viva musica , da un suon di guerra, da un tempestar di mare .dalle novelle re- centi d'alcuno avvenimento grande, e d'altrettali ca- gioni che tutte inebbriano e infervorano la fantasia , facendo eh' ella cavi le immagini più spiccate e risen- tite , che prorompa in parlari ed affetti improvvisi , che si scagli , e ferva , e frema in ogni cosa. Ora questo sì mirabile stato di libertà ed ebbrezza fantastica parci ch'abbia Pindaro recato nelle sue odi; in ch'egli si mostra Lirico singolare da tutti gli altri ; perciocché al vero anche a noi , In sul primo comporre , vengono sovente di quelle invenzioni liberissime , con una va- ghezza di volare ampiamente e impetuosamente per nuovi mondi: ma tutto ciò di maniera confuso, e quasi per sogno, che noi sappiamo recare ad esistenza ; Cosicché vie più con la volontà e con la mente appuntandoci, divenghiamo a rifrenarne la fantasia , raumiliarla , e con- durla a mano per la via piana d' un diseguo ristretto e diiBnito: ma il Tebano datolesi in preda securamente, sa e può la sfolgorata ricchezza delle visioni di quella creare all' essere. Il perchè mai non e' è venuto alle mani un poeta eh' abbia quello scarco , e quasi incor- poreo , e insieme quello immenso che ha Pindaro: egli si muove in un vastissimo e fluidissimo aere, nel qua- le, levato che vi s'è, nulla difBcollà gì' incontra da soverchiarsi ; ove le invenzioni e le imaglni fannosegli avanti cosi di per se, ch'egli non pena ad afferrarle, né si cura di ritenerle ; anzi e' va pur oltre continua- mente, quasi dimenticando e facendo a noi dimenticare il cammino già corso , come quello che non mostra es- sergli costato travaglio alcuno; occupandoci del presen- te sol quanto gli basti a trascorrerlo , eh' è pure uà lampo ; e cacciandoci innanzi velocemente in quello che rimansi a fare , e che già si lascia dietro le spalle. Per tal guisa hanno le odi di Pindaro quel eh' è sommo pregio de' poeti più poderosi , vuoisi dire un movimento 4x4 perpetuo , e che sempre acquista della via ; e il lettore si diletta sommamente di ravvisare una imagin vera di quel eh' è la fantasia propria, quand'ella si Iruovi ia arbitrio di se medesima ; più ancora , stordisce dello sterminato cammino fatto nel breve corso d'una ode, dimodoché giunto presso alla fine non ne vede più il cominciamento che remotissimo , e della varietà e della copia stupendissima delle vedute cose prende quasi sgo- mento. Impertanto così volentieri si paragona Pindaro ad una nave, in ciò per avventura ch'essa da buono e da fresco vento cacciata su per la cedevolezza del liquido , si vede i paesi e le spiaggie di fianco correre senza posa incontro, e dietro via via fugglrlesi j ma ella pur oltre rapida a suo viaggio. E qui per questo paragone della nave altri due ci occorrono che sovente fa il Lirico di se or con un dardo scagliato da buono arco e da man sicura , il quale per la molta aria di mezzo già non falla lo scopo suo ; ed or con un' aquila che scoperta d' altissimo luogo la preda , per quanto le sia di lungi , si piomba , ed lialla certa e aggavignatola intra gli artigli. Nelle quali similitudini vien figurato, per quel che ne paja , ciocché per noi s' é posto , che avvi nelle odi Pindariche intendimento diritto a uno scopo j vuoisi dire che per quanto sciolta ne vada la immaginativa del poeta in arbitrio di se medesima , noi fa però per un movimento casuale e all' avventura , ma bensì dietro 1' impulso ardito e saldo della mente che r ha sospinta in via , e a un termine certo che le ha segnato. In sul qual proposito uno avvertimento vienci dinanzi , da farci attenzione grande , e a non si volere smarrire in sulle audaci vie del Tebano poeta , neces- sarissimo. Egli è che altri diligentemente guardar si deb- ba di non prendere 1' un per l'altro e scambiare 1' ob- bietto , l'occasione, e il subbietto delle odi Pindariche. L'obbietto, o il segno finale che vogliam dirlo, é al postutto in ciascun' ode d' onorarne quel vincitore a cui ella è indirizzata, si veramente che altre mire e fini seconde ci ha talora, le quali però a quoH'nltim* 4is; metton sempre : la vittoria conseguita non è il più delle volte che V occasione dell' inno : e per conoscerne il subbietto e' non si vuol già precorrere all' autore , né affidarsi ad argomenti o sommarj di chi che sia , per- ciocché ivi con r immaginar che vi si fa digressioni sovra digressioni suolsi ogni cosa dissestare; ma e'con- \ien sì che il lettore si dia tutto in braccio alla virili fantastica dell' autore , avendo per costante eh' ella in tutta la sua strabocchevol foga tal saprassi però , quasi non vi badando , dar ordine di per se , da dovergli sempre , a lettura fornita , riuscire ad un bello , e tutt uno , e maraviglioso edifizio. E che ciò sia il vero , apri , o leggitore , il tuo Pindaro , e come avrai tutta discorsa la prima Olimpica , e bene addentro scortovi coli' intelletto , vedi se non è tale appunto la idea di quella. = « Le glorie di Pelope , il cui sepolcro celebre e sacro è presso ad Olimpia , e cresce rinomanza a que' giuochi e a que' giostratori; ode a onor di Gerone Siracusano, poderoso principe, e di virtìi ornatissimo, coronato vincitore in essi giuochi Olimpici. » Parimente la idea dell'ode seguente a Terone par proprio questa: == « Iddio agli uomini avvicenda le cose avverse e le prospere; ma nel mondo di là, sceverando dalle sorti pessime de' malvagi la generazion de' giusti e de' valoro- si, fedelmente li guiderdona , il che tutto infin d'an- tico dimostrasi avverato nella famiglia di Terone Agri- gentino , ode a onore d' esso Terone , principe per ric- chezze , per virtìi , e sapienza segnalato ; il quale ca- vatosi testé di molti e gravi pericoli , ond' era avvolto , ultimamente é alla somma felicità della vittoria Olim- pica pervenuto. » Olimpica settima. « I sacri vanti di Rodi , isola al Cielo carissima , e felicissima , laddove trasferitosi Tlepolemo antenato di Diagora da Tirinto , vi divenne a somma grandezza , e v' è da posteri ve- nerato siccome un Dio ; ode a onore di esso Diagora Rodiano , vincitore Olimpico , e pugile incomparabile. >» == Prima Pitia : « Etna nuova città fabbricata , e a sa- vio e lìbero reggimento composta da Gerone principe 4i6 Siracusano mvittissimo : ode a onore di esso Etneo e Siracusano Cerone vincitore Pitio. « = Nemeonica set- tinia : « Dalla virtù mirabile della poesia , senza la quale smuore la gloria degli uomini fortissimi , Pindaro , lo- dando poi se medesimo del proprio valore e veracità poe- tica in cantare gli Eroi , non che della netta e ingenua indole sua, viensi raccomandando a' prodi Eacidi, e agli Egineti , a' quali era stato messo in mala voce , come avesse detratto a Pirro ; ed egli smentisce 1' ac- cusa , encomia Pirro stesso ed Ajace Telamonio ; tocca di Giove , e d' Eaco j si mostra caldissimo per Egina , e per la famiglia del presente vincitore : ode a onore di Sogene Egineta Nemeonico, » — Istmica quarta ; « Si loda Melisso Tebano , mostrando eh' egli ha risuscitato e colmato la fama luminosa de' suoi antenati , rasso- migliandosi nella forza e nella destrezza ad Ercole suo grande concittadino; di cui si ricordano gli otto figliuoli uccisi, e i giuoclii soliti celebrarsi nel loro anniversario, per toccare alcun' altra vittoria dell' Atleta , e parte rac- consolarlo tacitamente della morte accaduta in guerra di taluni de' suoi congiunti : ode al detto Melisso Te- bano vincitore Istmlco. m — Olimpica decimaterza : « Le glorie di Corinto , donde era la famiglia di Seno- fonte tutta d' Atleti famosi : ode magnifica a onore di Senofonte stesso Olimpionico valorosissimo." — Istmica. ultima : ce Gli Eacidi , e principalmente Achille : ode bellissima a Cleandro Egineta Istmiouico." — E qui per rendere a maggior chiarezza il nostro concetto , di- ciamo, che delle vie tenute da Pindaro, segnatamente nelle sue Liriche più solenni bassi uno esempio splen- didissimo nell' Eneida. Presuppongasi un poco che Ot- taviano conseguisse vittoria ne' giuochi Olimpici , e che Pindaro togliendolo a celebrare , tutta da quel valente uomo eh' egli era la Virgiliana invenzione imaginasse , e in una sua Lirica , toccando a un medesimo tempo la recente vittoria e le laudi d'Augusto, la raccogliesse, che titolo a una siffatta ode si converrebbe ? forse questo ? Olimpionica cotale o cotal altra ; in rlie si celebra Or- 4«7 tavlano Augasto per la Olimpica corona testé ottenuta • non che per l'altezza di sue gran \irtù e memorandi fatti ; e parte secondo eh' è usato , digredisce il poeta all'auliche favole di Troja , d'Enea, d' Ascanio , di Didone , di Mesenzio e di Turno. No , veramente ; anzi egli parrebbe che la idea del Lirico fosse pur questa : ce Le glorie d'Enea Trojauo, il qual trasferitosi per de- stino dall' arsa patria in Italia e nel Lazio , giltovvi i primi semi della Romana grandezza, e fu il ceppo della famiglia de' Cesari : ode a onore di Cesare Ottaviauo Augusto trionfatore invittissimo di lutti i suoi avver- sar j, pacificatore, ristoratore, e principe immortale della Romana Città , nella occasione eh' egli ottenne corona in Olimpia, n — Ora a chi perlapiìi parte colgali nella guisa fin qui mostrata , ci avvisiam noi che di leggieri verrà trovato il semplice ed uno negl' inni spaziosissimi del nostro Lirico. Quindi trattanto s' ingenera un' am- mirazione siccome a ingegno d' estrema possanza verso r autore , parendoci che mentr' egli in tanto e sì libero discorrimento di fantasia, sa non pertanto , quand' altri il credea perduto , riuscire a tal perfezione d' un tutto , sia di quella 1' arbitro veramente ; e parte dopo quel corso sì rapinosamente fatto per sì gran via , in che spesso è ristretta la invenzione sufficiente per più d' uà poema , e dove siamo stati rapiti in guisa , da obbliar sovente 1' obbietto dell' ode , il vedercelo alla fine ri- comparir dinanzi , rendulone siccome per incanto mirabil- mente grande e luminoso, ci leva fuori di noi per uno stu- pimenio congiunto a un diletto inestimabile. E veramente troppo bene Pindaro s' avvisava come la lontananza e 1' anticliità togliendo le cose dalla maligna veduta , e dalla dimestica conversazione degli uomini presenti , le manda loro tanto più splendide e mirabili per la fama; imperò egli rapisce il suo Eroe dalle cose presenti nella luce delle passale , dove trovando e afferrando le fa- vole , le quali pur sono una mescolanza di maravigliosa immaginazione , e d' allegorica sapienza , n' arricchisce ad un tempo la sua poesia , e ne rende non meno il 4i8 volgo che i filosofi soddisfatti. Ma nota ve' che quelle favole noQ si ricusavano d' accoppiarsi acconcissimamente colla materia de' giuochi e de' vincitori ; dond' è che per quel collegamento di cose preterite e di presenti , d'antico e novello ne viene agi' inni Pindarici una va- stità stupenda , e in tutte le parti una convenenza e un' armonia bellissima. E già ivi s'adorna il vincitore colle lodi de' suoi antenati , ed egli a' suoi antenati quasi vien porto come non tralignante : e traendosi a mezzo così sovente le glorie pubbliche , e quegli antichi Eroi comun tesoro e superbia di lor patrie , si mostra 1' At« leta , che riceve splendore dalla sua città nell' atto stesso che ne le reca j di che vien quella a compiacersi dolce- mente di se medesima; tanto meglio in questa materia de' giuochi , dove , concorsovi genti a vedere , e ca- valieri a giostrare di tutti gli stati, isole, e cittadinanze di Grecia, quegli che vinceva, conseguiva in certo mo- do vittoria alla patria sua sopra quelle degli altri. La- onde per questo diffondersi che fa Pindaro ne' vanti delle città , senza che n' abbraccia 1' argomento suo più veramente ed appieno, si anco n'acquista grandezza alle sue odi , e recandole a cantici di pubblica esul- tazione , in mezzo alla quale introduce 1' Atleta vitto- rioso , cessa da lui ogn' invidia de' cittadini , e gli ac- cresce la gloria , la qual non è mai cosi grande, come quando distendesi nella patria. Oltre di che quasi altret- tante apoteosi mostrano essere le odi Pindariche; dove que' vincitori accoppiali cogli Dei , co' Semidei , cogli Eroi , colle glorie delle famiglie , delle patrie , e na- zioni loro, colle origini delle città , colle missioni delle colonie , colle istituzioni delle feste nazionali , con tutto il maraviglioso delle favole tanto prossime a que' tem- pi , tanto proprie di quella terra , tanto sacre a que' popoli, lievansi a caro vanto delle lor patrie, e alla veduta di tutta Grecia in così alta e cospicua parte , dove par che spogliandosi delle terrene qualità si ve- stano le divine immortali. Or questo modo di procedere del nostro Lirico tanto meglio addicevasi agli argomenti 4^9 da lui tolti a cantare, quanto che que' giuochi Olimpici , Pilli , e gli altri mettevano a bollore tutta la gente gre- ca , e secondo abbiamo accennalo , vi traeva concorso maraviglioso di tutte le provincie; dipoi perch'essi giuochi vantavano islltutori Numi ed Eroi , e a' colali erano dedicati ; ancora perchè quelle vittorie molto te- nevano della boria eroica , o come diremmo , caval- leresca ; da ultimo perchè il massimo pregio loro sta- va, più che in loro stesse, nella inclinazione e nella imaginativa di quelle genti j laonde conveniasi al poeta ajutarsi del suo imaginoso furore egli altresì, e pren- dendo i voli più dalla lunga venirne con mollo aere commosso e impetuoso, onde levar l' obbietto a tal grandezza che la estimazione pubblica se ne appagasse. Per le quali cose troppo ben puossi argomentare quale e quanta sia la sapienza di Pindaro j avvegnaché altri vie meglio verranne accorto , dandosi a leggere trita- mente e studiosamente negli scritti rimastici di quello spirilo impareggiabile j ne' quali intra la moltiplico va- rietà , e la piacevolezza del favoleggiare , tanta ricchez- za troverà infusa di moral senno, tanta di civile, tanta altresì di sacro e divino , e con tal possanza , diletto , e autorità di parlare recata in mezzo , da dover con- chiudere che a tutte le meditazioni degli stolti preva- gliono i sogni de' savj , e che sovente ancora sovra tulli i ragionamenti de' savj stessi le fantasie surgono de' poeti. Intratlanto da tutto il discorso in6n qui resta chia- rito , e' ci pare , a chi può punto là cogli occhi dello intelletto un pericoloso errore ed un grave in opera di poesia ; ed è il darsi taluni ad intendere che eoa gitlarsi baldanzosamente nel mitologico , e quivi sce- gliere alcuni traili che un cotal po' si rassomiglino al loro argomento , questo troncando per cantar quelli, sia forse leggier cosa surgere su in novelli Pindari vivi e veri. Ma egli oonvieu considerare , secondo il già det- to , che a mettersi di brigata con quel da Tebe , si vuol principalmente una cosa : abbracciare e trar seco la generazione presente sollevandola nelle passate. Al 1 4ao qual uopo era la Mitologia uno strumento poderosis- simo in man di Pindaro , si per tante ragioni allegate, e sì per questa, ch'egli viveva in un tempo, il qual si raggiugneva e s' annodava tutto co' favolosi. Al con- trario quegli Ercoli , e quegli Achilli , e Teli , e Pa- troclo, ed Ettore, e gli altrettali, che fanno egli a noi, e alle cose nostre? Niente hanno quelle uscite di \ero ardimento , anzi troppo hanno del servile e dello scolaresco : di più non essendo elle appiccate allo argo- mento per modo che procedan oltre , come il più son quelle di Pindaro , ma , per essere altrettante similitudini , combaciandosi e riducendosi nella forma di quello, elle non danno d' un passo innanzi , dimodoché ar- restandovisi la canzone, perde in un tratto il calore, il qual pure nasce dal movimento : non potendovisl in- corporare veramente, e aggiugner della sustanza , pro- ducon voto: non dilatandone i confini, come fan quelle del Greco, che a cagion d'esempio, dal vincitore lo- dato si dilargano alla famiglia , dalla famiglia alla pa- tria, e quindi alle origini e alla fondazione di quella , anzi stranamente accorciandoli, danno a divedere an- gustia d' ingegno contraria in tutto alla formidabile va- stità della mente Pindarica. Oltracciò Pindaro trae le invenzioni sue da' luoghi più riposti e curiosi della Mi- tologia , spesso ancora si ce le porge in un sembiante misterioso e allegorico , onde s' acquistano riverenza dal leggitore , tramandandogli agli occhi un incerto e pro- fondo lume de' sensi per entro ascosi : dovechè al dì d'oggi niuna di quelle due cose si può fare conve- nevolmente , perciocché in materia cosi remota e dis- giunta da noi non ci vien fatto di dar rilievo fuorché alle parti più grandi e massicce, le quali essendo altresì delle più volgari e ripetute, sentono di soverchio il reltorico. Dipoi , dacché 1' antica favola non facendo più parte della Religione , né avendo per se la venerazione degli uomini , é addivenuta una cosa da sollazzo, vor- rassi bene ne' componimenti sollazzevoli adoperare, ed. anco valersene più largamente per illuminarne il poe- 421 lieo linguaggio , ina ella non è più la favella ispirata e legittima de' sapienti. Al che tutto se altri venisse opponendoci degli esempli quanti si vogliano , ed anco di autorevoli e magistrali , noi senza perdere riverenza a' sublimi intelletti, diremmo però che ivi sta il vizio e non la virtìi di quelli : diremmo ancora , che a' pri- mi imitatori de' sommi antichi si comporta seguirli ezian- dio nella lettera ; ma si richiede a' susseguenti farsi molto più addentro imitandoli nello spirito. Alla fine noi desideriamo veramente e caldamente un cantore , che surga sulle vie del Tebano a celebrare gli alti per- sonaggi, e gli uomini grandi Italiani; ma se non saprà egli , o non vorrà dirizzare i voli suol alle glorie di questa bellissima terra ; non compiacere all' amor pro- prio de' popoli e delle famiglie ; non iscorrere a' vanti delle città , a' fasti e a' principi de' regni e delle re- pubbliche j alle sane fonti delle civili e morali dot- trine ; alla Religione universale della contrada, e a quelle singolari e predilette de' municipi e delle pro- vincie ; a' fiumi , laghi , e monti , ed altri particolari geografici ; a tutto ciò che possa svegliar veramente gli orecchi della gente Italica , infino a' suoi traviamenti , e quindi a' suoi pianti e alle sue sventure ; e insieme alla mano difenditrice di Dio , il quale , siccome lei preelesse in singoiar modo , così la protegge e la sal- va , senza di tutto questo , mai non soddisfarà egli alla pubblica espettativa , e riraarrassi poeta indifferente alla nazione. Né vogliamo che taluno follemente s' avvisi dover giugnere egli al glorioso termine per altra via , con rompere da forsennato in irreligiose invettive o ia torbide e sediziose. Che già non fia egli poeta per questo; e se il sarà veramente per altro , si nondimeno avrassi tolto di bere alle sorgenti più limpide e più feconde. Un tetro ed uggioso aere si spargerà sovra i suoi can- tici malagurati : non gli verrà fatto di conseguir tra' presenti 1' amore de' veri savi e de' più ; né per altro forse fia egli notabile agli avvenire , che per dimostrare a loro quanti rei semi di distruzione affliggessero la età nostra. b b 422 Oramai però , secondo il propostoci , venghiamo a ra- gionare un po' stesamente della traduzione di Pindaro fatta dal Sig. Luigi Borghi , intorno- alla quale , se non sentiremo così appunto , com' altri giornali han fatto , non reputiamo già eh' alcuno sei debba recare ad onta , perocché altramenti la pensa uno da un altro , e dal ' contrasto de' concetti sfavilla il più delle volte la luce della dottrina. E qui sulle prime con pronto ed allegro animo confessiamo che parecchi luoghi del sovrallodato volgarizzamento son veramente felici e belli; com' è la seguente slrofetta tolta dalla terza Olimpica: — «Già l' are al Padre ergea ( Ercole ) — AUor che incontro a sera — Accesa dischiudea — L'ampia pupilla intera — Cintia dal carro d'or » , dove la fedeltà e la, leggiadria vanno del pari. — E quest' altro felicissimo tratto della seconda Pitia : — « Oh salve, e il carme accetta, — Che qual fenicia vien dovizia eletta — Dai regni oltra- marini ! » — Una cara cosa si è ancora tutto il brano della Olimpica sesta , dove si parla del natale di Giamo , a cominciarsi dal verso: « Cagion di dolce ambascia », infino a quello : « Nome immortai dall' immortai suc- cesso »; il qual luogo, per essere lunghetto anzichenò, e la versione del Borghi alle mani d' ogni uomo , in- tralasciamo. Ancora ci ha sovente degli altri squarcetti belli di simil fatta : ma se avremo a dir poi il parer nostro liberamente su tutto il lavoro del Sig. Borghi , infia da ora temiamo non debban forse nostre parole aver sapore d' acerbe a taluni , per non voler essere lusinghiere. E la prima cosa , conciossiachè gli argo- menti faccian di quest' opera si gran parte , non si vo- gliono al tutto dimenticare; li quali per vero sono a lodarsi per di molte succose , e non volgari conside- razioni che vi sono sparse ; ma si anche fa gran pena il non trovarci né la brevità , né tanto meno la lucida semplicità dicevole ad un sommario : Dipoi si stupefa il lettore , né sa darsi ad intendere come sia di penna toscana potuto uscire quello stranio mescolamento d' una prosa che sente ad un tempo del soverchio , dell' 423 oltramontano , e dell' oracolo , con uno strascico ed un numero tanto Imnioderato e uniforme che assorda al- trui. Questo ci basti aver notato così alla sfuggita , ed entriamo a parlare delle Odi ; dove non senza essere stati prima un poco in forse tra noi medesimi , ci mo- viam pure a toccare alcuna cosa della favella. E già , grazie alle Muse Italiane , che sono state inflno ad ora mólto scarse dell' onor loro , non abbiam la poesia su- dicia di quel lezzo de' gallicismi , onde tanto ammor- bano le prose di taluni : Il perchè , d' alcuna macchia in fuori , non troviamo a notar di questo il Pindaro del Borghi : ma si , se per intemperanza di modi stra- nieri troppo noi riprendiamo , non è però che vogliani trapassare cosi di queto sulla poca ricchezza che vi ci par vedere delle proprietà e de' vezzi leggiadri di no- stra lingua , onde tanto s' ingentiliscono i versi de' clas- sici. In pruova di che tolgasi a ricercare alquanto nelle prime due stanze della canzone del Petrarca al Tribuno Romano , ed avransi tra gli altri cari ed eleganti par- lari , i seguenti : Spirto gentil in luogo di nobile e generoso; reggere le membra; albergare peregrinan- do ■, un Signor valoroso, in luogo di personaggio vir- tuoso j .se' giunto in vece di hai ottenuto; alV ono- rata verga; e suo' erranti ommesso l'articolo, e con la concisione gagliarda del 5Uo' in cambio di suoi cittadini e dello erranti per dire che camminano fuori del retto; correggi , per dire governi o si contieni e migliori col tuo reggimento,- altrove, cioè negli altri uomini; un raggio per dire un sol raggio ; al mondo in cambio di nel ; è spenta in luogo di non è più ; ne trovo chi , cioè non conosco alcuno che; di malfar , vale a dire, di seguire il vizio; che s* aspetti non so , nb che s' ag- gogni Italia , con la ellissi del ciò e del la , e col bel i'ipieno del si ; suoi guai omesso l' articolo ; non par che senta invece di, non mostra di sentire; vecchia così secco e sdegnoso in cambio di questa vecchia; e non jia chi la svegli? cioè ninno la sveglierh ? Le man avess' io avvolte^ entro i capegli , dov' è a conside- 4^4 rare , 1' avess' io senz' alcuna particella ottativa, e il bel dativo le , e avessi in cambio di tenessi , e avvolger le mani cbe non si potea dir meglio , ed entro i capegli, in luogo di ne'- — Vadasi oltre mettendo lo sguardo nell* altra stanza ; Dal pigro sonno mova la testa , dove si vede sottinteso scuotendosi , o simile ; per chiamar eh' uom faccia , modo tutto elegante in cambio di dire , per quanto ella sia chiamata , ed anco ci ha el- lissi nel chiamar invece di chiamarla ; sì gravemen- te e oppressa e di tal soma , dove ciascun vede eleganza cb' è nel si , e nel di , e nel tal , e come quel soma sia buona e gagliarda voce ; ma non senza de- stino , cb' è un bel modo fatto nostrale dal greco , uk ater technas , ( non senz' arte ) e dal latino , non sine Diis ; scuoter forte } è commesso alle tue braccia ; pon mano in quella venerabil chioma , nota nel pon mano come s' accoppi 1' eleganza all' evidenza ; securamente invece d' animosamente ; trecce sparte ,• la neghittosa con ellissi del sostantivo j esca del fango in cambio di dal; del suo strazio piango , vuoisi dire sopra il suo stra- zio j di mia speranza , ommesso 1' articolo , e avere speranza in alcuno ; al proprio onor alzar mai gli occhi, per ricordarsene e provarsi di ricoverarlo, di più alzar gli occhi a una cosa ; parmi pur eh' a' tuoi dì la grazia tocchi , dove e nel pur , e nel tocchi , e in ogni parola si sente non men l' effi- cacia , che la purità. Or altri si pruovi a notomizzare per simil guisa qual tratto gli piaccia del Borghi , e vedrà quanto di quest' oro ne sa cavare. Ad esempio, si cerchi ne' primi 38 versi della decima Olimpica , e per avventura non troveravvisi a notare se non forse , Fidando nelle rapide ore , o poco altro : Bensì fark arricciare i peli a taluno il significato in che si pone alcun vocabolo del primo verso. « D' Archestrato il fi- gliuol chi mi rappella ? Non è poi luogo del Borghi , dov' e' ci ricordi aver trovato miglior sapore d' eleganza , che le due prime stanze dell' Ode a Diagora , e le tre 4a5 prime dell' ottava Istmlca j ma bene colle dolci cose patrie vi s' è pur voluto affratellare la speranza lusin- ghiera in senso di buona e confortai rlce , e un genio là d' oltremonti : cosi va: quando i Toscani non sape- vano sì innanzi nel francese , inglese , e tedesco , e^ fu- rono i maestri di tutta Italia ; ed ora che n' hanno tanto ripieno il capo , che sono ? Ma lasciando stare di questo , egli par tempo da do- ver mettere il traduttore a fronte dell' originale , per vedere un po' come il sappia convenevolmente ritrarre. Né gli vogliamo negar la lode d' aver mirato studio- samente a renderne i sensi con una cotale fedeltà, sen- za venirne, se non di rado, a quel tagliare, e squar- ciare, e sopragglugnere , e raffazzonare che abbiam ve- duto usarsi da taluni eoa detestabile temerità , a' quali s' era appreso il folle pensiero di sapere essi abbellire gl^ incomparabili modelli antichi. Tuttavia e' non rimaa per questo che il Signor Borghi , quanto ci pare , non prenda d'ora in ora alcuno abbaglio, per cui si travi! dalla mente dell' autor suo. — Rechiamone alquanti esem- pli. — Nella I.* Olimpionica , strofa e antistrofa 4'*> dice Pindaro, che il gaudio ed il bene dell'Elea vittoria si diffonde a tutta la vita j dietro di che viene ad una sen- tenza di tal forma : « ora quel bene eh"" è sempre coti- diano, o vogliam dire , di ciascun di ( to d' aei para- meron eslon) , quello diviene il sommo , o il supremo , (^ jpaton ) a ogni mortale. ^ Il Borghi traslata : ce che questa ( perciocché questa della Elea vittoria ) è pur la gloriosa meta — 13' l'estrema dell' uo ni brama s'ac- queta w ; la qual sentenza come dia nel falso e nelT insipido non è chi non vegga , dovechè quella di Pin- daro è veramente solenne e memoranda. — Neil' ode stessa , Epodo ultimo , ha il greco : « grandeggiano ( gli uomini) gli uni in sugli altri"; ovvero: « sovr' altri altri son grandi " : e il Borghi : « altri per altra via sorge alle sfere " ; il qual concetto oltre al dissonare dall' originale , sì ancora mal si congiugne con quel che siegue : « che il supremo grado d' onore è quello de' Re. 4^6 All'" autistrofa 3" della 2» Olimpionica loda Pindaro le ricchezze , dove si collegllino colla virtù, perch'elle ar- recano opportuna occasione ton te hai ton , eh è modo elegante greco , per dire , di diverse cose : E il tradut- tore travolge cosi: « Sicuri ne sostenta — Pel diverso cammino — D'amica sorte, o di crudel destinoci. E qui esce il sommo Lirico in uno squarcio stupendo sulle pene e i guiderdoni dell'anime nell'altra vita, secondo la dottrina pittagoricaj al quale dà cominciamento con bel- lissime parole , così. Aster arizelos alat.hinon andri phengos. ei de min echei tis , oi den to mellon eie. — Queste parole tutti , per quanto sappiamo , e con gli altri il Borghi riferiscono a plutos ricchezza , interpretando che le ricchezze congiunte a virtù sono un fulgidissimo astro e una vera luce , le quali chi pos- siede conosce 1' avvenire , e le condizioni del mondo di là ; né noi vorremmo esser soli contra tutti ; ma pur pure questo encomio sì inudito della pecunia non ci finisce di soddisfare ; laonde ci ardiremo di gittar un sospetto , che il tratto preallegato si possa pur prendere di per se, cosicché dica; «astro fulgidissimo è la luce vera (cioè la luce del vero) a' mortali; la qual chi possiede sa 1' avvenire ecc. ; o si : avvi un astro tutto fulgido , e all' uomo vera luce ( vale a dire , luce all' uomo di verità), la qual chi possiede, sa l'avvenire ecc. L' in- lento poi dell' autore ci par sia questo : di esaltare 1' A- grigentiao Terone per le molte vittorie conseguite ; per le ricchezze accompagnale colla virtù; per la scienza della Pittagorica filosofia, ch'era allora in tal fiore per lo mezzodì dell' Italia. L' artifizio alfine eoa che si lega in beli' uno ogni cosa , è cosiffatto : si laudano le ric" chezze in mano d' uom valoroso, le quali gli porgono il destro di belle imprese , intra le altre di ottener la corona de' giuochi ; eziandio dannogli agio , per andar dietro a' più gravi studj , e indagare il vero delle cose : or avvi si certo, per gran bene di noi mortali, lo sfa- villar d' una luce vera, vuoisi dire della sapienza, la qual chi possiede arriva con l'occhio insin dentro dall' 4'^7 avvenire , e dì là dalla morie. Ma non plìi di questo j e ricerchiamo se niente occorra a notare sulla 3^ Olim- pionica : ed eccoci ad Ercole che insegue la Cerva sa- cra , dove ci cade sott^ occhio una cotale strofetta del Borghi : « Venia lungo le cime — D' Arcadia e le foreste — Quando il voler sublime — Del genitor celeste — L' as- pro german gli apri mj e subito prima : « Tempo già fu che Delia — Lo scorse al freddo suol», — Qui pri- mamente è da osservare che secondo il greco , Diana già non iscorse Alcide a quella terra settentrionale , anzi vel ricevette , dexatcDì^^oì par dica il volgarizzatore , che r Eroe venendosene pe' monti d' Arcadia, s'accozzò e intese non so che dall' aspro germano ; quando bassi al contrario nel lesto , che Diana raccolse lui vegnente da' gioghi , apo deiian d' Arcadia , allorhè la fatale suggezione al fratello lo strlgneva a dovere inseguire la nobil Cerva. E qui è dove il Borghi prende 1' abbaglio grosso, si vuol dire in quelle parole: » Quando il vo- ler sublime — Del genitor celeste — L'aspro german gli apri m: ma 1' autore dice Iroppo altrimenti ; ed al vero non era voler di Giove eh' Ercole facesse questa o quell' altra cosaj né aspro sarebbe stato il fratello, se solo gli avesse il voler di Giove manifestato : bensì era pur volere d' Euristeo , a' cui comandamenti doveva Ercole per divina necessità piegare il capo ed acconciarvisi ; or non altro da ciò suonano le parole del greco : Ejte min, angheliais Eyrystheos entj' anaiika patrothen eie. « Quando lui agli ordini d'Euristeo fea presto necessità dal padre di doverne menare presa la Cerva dalle corna . dell' oro. »> Quello eh' ha tratto ad errare il traduttore si è la voce angheliais , eh' egli ha intesa nel significato d' annunzj o di novelle recate , quando qui dice manifo- stamente dinunciazioni o comandi. A questo luogo non vogliam del tutto passarci tacitamente della opinion del Borghi, eh' Ercole si valesse della corona d'ulivastro insin dalla prima Olimpiade ; né sì dell' altra di voler duplicare il viaggio dell'Eroe stesso agli Iperborei. E a noi non va per lo capo ninna delle due: ina per non uscirne in 428 troppo lunga disputazione , diciam solamente che i due passi dell' originale in che quegli si fonda tutto , ciò sono , potainion ghe luche slephanoa , e thjmos or- marne, non pare che pruovin niente: perciocché non leggendosi mica in Pindaro nuova fronde , com' ha il tra- duttore, bensì nuova corona , e non si de' argomentare dalla novità della forma a quella della materia^ che anzi, nella prima Olimpiade , come nuova cosa si fu il certame , così fu il serto eh' ebbero i vincitori, ancorché d'alcuna non punto strania ma comunal pianta od albero fosse tolto. Indi il secondo passo del Lirico non significa già spronollo il proprio genio , ma sì l'incitava e traportavalo la for- za , la sicuranza , o la vemenza del proprio animo , in breve il coraggio suo ( thymos ) : ora eziandio in una impresa comandata , la elezione de' mezzi , e 1' animosa e gagliarda esecuzione s' attribuiscono a colui eh' opera. Adunque , benché il prender la Cerva fosse commesso ad Ercole da Euristeo , 1' aver però dietrole corso per- tanto mondo fu pur coraggio e forza d' animo dell' Eroe j laonde, poiché l'una cosa e l'altra stanno bene insieme a maraviglia , e' non bisogna immaginar due viaggi agli Iperborei , ma basta un solo. Bene , se n' è lecito uno scherzo , il Borghi contrappesa le cose nella decima Pitia , là dove canta , che solo il Jigliuol di Danae potè giugnere a quelle contrade rinomate , co- sicché se fa qui 1' un viaggio d'Ercole montare a due, colà il riduce a nessuno. Intorno alla ode /^' in lode di Psaumide, diciamo così fuggitivamente , ch'ella , a consi- siderarla, ci par cosa non finita, anzi pure il comincia- mento d' una molto maggior Lirica che sia perduta ; ma di • ciò rimettendoci nel giudizio de' dotti , e tornandoalla tra- duzione , si ne colghiamo un versetto degno di nota vera- mente:" DiClimene gentil-Sol ella liberò-L'alto figliuolo". Qui si vede aperto dalla terminazione del nome Climene , e dallo aggiunto appiccatovi di gentile , siccome il vol- garizzatore abbia scambiato un uomo forse molto ispi- do e gagliardo in una leggiadra ninfa. Pindaro nomò Ergino paida Kljmcnoio figliuolo di Climeno ; e il 4^9 Borghi poco badando a quel Kljmenoio , eli' è modo Jo- rico invece di ^/7772enoj", si riiafranteso ed istravolto in Kljmenes.. — Questo luogo ci chiama ad un altro della Nemea terza , dove l' italiano ha cosi : " Ove ( cioè in Egina ) r etade antica — Dei Mirmidoui salutò le tor- me 33. Questa etade antica che salutò le torme de"" Mir- midoni, è per verità una strana e sformata cosa. Il Gre- co ha cosi : Mjmidones inapvoteroi ohesan : dove i Mir- midoui primi abitarocK) 33 , il qual tratto per essere chiaro quanto la luce, e' ci nasce sospetto, che non siasi già preso 1' abbaglio in sul greco , si anzi in alcuna versione litterale , nella qual forse il coluerunt e il veteres gia- cessero un poco alla feliona. Intanto noi proponghiamo voltati in nuova guisa due nobili passi di questa me- desima Nemea terza. L'uno è alla prima antistrofa, dallato appunto al preallegato de' Mirmidoni , in tal for- ma : Charienla d' exei ponon clioras agalma , Myrni- dones ina ec I commentatori pongono agalrna choras ornamento della regione , a nominativo del verbo exei , dandoloci , il che sente del duro , per una circonlocu- zione d' Egina : laonde ne \ien la versione cosiffatta : «Ed avrassi graziosa la fatica, o si vero , ed avrassi una graziosa fatica (cioè l'inno) quell'ornamento della contrada , dove i Mirmidoni ecc. 33 Ma noi , filando da' sensi antecedenti , sottintendiamo per nominativo un zeys , e voltiamo come segue: « E Giove grazioso avrà il lavoro mio , in che s' adorna quella contrada dove i Mirmidoni primi abitarono 33 : il qual concetto quanto abbia del buono è facile avvedersi , chi sappia come fosse l'isola d" Egina diletta a Giove, e come qui s'ac- cenni appunto al regno d' Eaco figliuolo suo. — L"" altro de' due proposti luoghi troverassi alla strofa e antistrofa quarta, cominciandosi alle parole, £"» de peir.a infino a quelle : Chaire philos } in che nota però che noi sentiamo con coloro i quali leggono thnatos ( e non niacros ) aion. Ora come s' aggiri larghissimo e quasi in fuga dattorno a questo tanto notabile squarcio del Lirico il Sig. Borghi , altri a sua posta sei può vedere ; né an- 43o che staremo a recarne la interpretazione di questo o si di quello , bastandoci d' avvertire che noi troppo di- versamente dagli altri pognamo il pais , e V aner in concordanza col tis e prendiamo il tessaras di per sé, senza ninna pendenza dal tritoli : Imperò ci pare da dovere il tutto volgere in questa forma : « Ma già nella sperienza manifestasi alla perfine in che taluno pri- meggi j (ovvero, ma già nella sperienza chiaramente si mostra la fine e l'esito di quelle cose in che taluno primeggia) ; essendo fanciullo ancora , ('di che primeggi) intra novizj fanciulli j essendo uomo fatto intra gli uomini fatti ; e per terzo ( già fatto vecchio ) intra' vecchj , secon- do quella parte che ciascuna condizlon d' uomini abbiam ( della vita ). (a) Inoltre quattro sono levìrtù, le quali eser- cita l' età mortale : ma bene e' impone ella altresì di metter cura nelle cose che instano di presente. Di que- sti colali pregi ( Aristoclide ) non va già privo. Salve , amico ". Vuol dire in sostanza che Aristoclide è sem- pre tornato eccellente alla pruova , e che cosiffatto dimostro s' è tra gli eguali in ogni età : Lui essere adorno di quelle quattro virtti , che tutta abbracciano la moral vita, e che ha quella dote prlncipalissima di veder diritto nelle bisogne presenti , e provvedervi. — Trarremo ancora una parola dalla sesta Istmionica : leg- gevisi : u4ll' ydiahidaii Kaleon es ploon keryxe pan- ton dainjmenon E nello Italiano : « Ei ( Ercole ) facendo all' Eacide ( a Telamone ) invito , — Pur se- dendo nel pieno convito — Fé' intonar che s' aprissero ai venti — L' ampie vele nel lieto Ocean. » Già qui Oceano è usato largamente , per qualunque mare ; ma non è questo che vogliam dire: Il Borghi troppo s* è fidato a non so qual versione litterale , mal tramutan- do di luogo l'e^ ploon che indubitatamente dee tenersi unito al Kaleon ; dipoi e' è il verbo keryxe in che s'im- pigliano , e svariansi un poco gli annotatori ; da' quali (a) Questo tratto , chi seguisse altre edizioni , vorrebbe esser voltato alquanto diversamente. Ma è piccolo divario. 4^1 noi sviluppandoci intendiainlo in senso dì preconizzò , bandì un buono evento; ed in tutto cotal ne viene la traduzione : « Ma egli mentrechè appella 1' Eacide a dovere navigar seco (e5 ploon") al cospetto di tuiti i commensali , preconizzò. « ( cioè prenunzio , come si uarra quinci innanzi , la nascita del grande Ajace. ) Sarà continuato. 432 T^olgarizzamento delle Vite de' SS. Padii di Fra Domenico Cavalca , testo di lingua. Tomo i." Milano, Silvestri 5 i83o, in 16. È questa la prima edizione che porti in fronte il nome del volgarizzatore , che erasi finora tenuto celato alle indagini del Salviati, di Scipione Maffei, del Man- ni e del Cesari. L'Ambrosoli in una Scelta, che an- nunzieremo più sotto , si mostra , senz' alcuna prova , dell' avviso degli editori milanesi , i quali si danno a credere d' aver mostrato chiarissimo , doversi al frate pisano questo pregevolissimo volgarizzamento. Si fon- dano essi principalmente sopra 1' autorità del Paltoni , il quale nella sua Biblioteca cita il libro i.°cap. 2C) del Simbolo del Cavalca , ove questi ,. secondo lui , af- ferma di aver tradotte le Vite de' SS. Padri. Il passo non è addotto dagli Editori ; e noi qui lo trascriviamo quale sta in un esemplare dell' Esposizione di esso Sim- bolo stampato in Venelia per Peregnino Pasqual da Bologna nel 1489 in forma di 4 senza numerazione. Che Dio spesse volte ( ivi si legge ) per gratia ci si corroccia e per ira ci fa gratia molti exempli si tro- vano in Vita Patrum e nel Dialogo di San Gregorio, li quali perche nelli soi lochi rechài in volgare , hora qui non li pogno per non essere troppo prolixio : Et questo universalmente intendo in do' modi ecc. Or chi non vede che qui il Cavalca non parla se non di quegli esempi volgarizzati , i quali ha sparso , e di fatto leggonsi , in questa stessa sposizione del Simbolo ? Ciò dichiarano abbastanza quelle parole nelli soi lo- chi, cosa notissima a chiunque abbia mai letto scritti didascalici. Nella prefazione dei predetti Editori sono citate altresì , ma non addotte , in confermazione della loro sentenza, due parti, commessi dicono, del trat- 433 tato della Pazienza che rendono testimonianza dì quel lavoro delle Vite de' SS. Padri. Alle quali , per esser prive di ogni indicazione , nulla rispondiamo. Chieggiamo però di grazia , se , non sostenendo essi d'altre prove che queste, la loro opinione, possano a buona equità i Sigg. Editori iolltolar quest' opera come volgarizzamento del Cavalca, e pretendere d'averlo mostrato chiarissimo. Noi non osiamo inoltrarsi fin là , dove penetrar non poterono que" valentuomini ricor- dati di sopra ; ma se è lecito fare una conghiettura , oltre al già detto , non ci par dramma di somiglianza tra la nobiltà di questo anonimo volgarizzamento e le altre opere del frate pisano , il quale a noi non pare altrimenti da stare in schiera co' più famosi trecentisti , ma da collocarsi tra i mezzani , per non dire tra gì' infimi. Lo Specchio di Croce , che è il più pregevole de' suoi scritti , ben lo dimostrerà a chi voglia farne il confronto. Quanto al tradurre, chi ha letto il suo Volga- rizzamento degli Atti Apostolici non s'indurrà mai a te- nere il Cavalca per volgarizzatore delle Vite de' SS. Pa- dri. Osservano gli Editori milanesi , essere stato il Maa- ni vicino ad attribuire un così fatto volgarizzamento a Feo Belcari , in leggendo queste sue parole al princi- pio del Prato Spirituale : « Ed io sperando grandissima « utilità e consolazione spirituale dovere a' lettori ar- te recare , giudicai essere opera pia , come 1' altre Vite de' SS. Padri, farlo volgare ( il Prato Spirituale).» Tanto più che quest' ultimo nelle prime stampe va unito ad esse Vite j e nel Prologo della Vita del B. Co- lombini il Belcari stesso dice d'aver tradotte altre opere spirituali. Noi non veggiarao tanta discrepanza , dalle Vite de' SS. Padri alle opere di questo tersissimo scrittore , quanta tra le medesime Vite e le scritture del Cavalca : ma il Manni stesso ne porge un argomento incontrastabile da non ascriverle né eziandio al Belcari. Nella dedicatoria dell' Editor fiorentino ( a face. 27 e 28 dell' ediz. Silvestri) si citano i due Codici Venturi , dei quali egli s' è principalmente valso , e giudica il 434 primo essere scritto del trecento , e l'altro innanzi al quattrocento : ma Feo Belcari llorì un secolo appresso. Onde è da conchiudere con tutti i critici passati ; fin- ché non si rinvengano altre prove per fissare chi tra- sportò le Vite de' SS. Padri iu così pura eu elegante favella toscana. Esaminato così il titolo dell'edizione milanese, pas- siamo a un' altra parte della Prefazione premessavi , siccome quella che può trarre agevolmente altrui a portare men retti gindizj sulla lingua e sulle lette- re italiane. Primieramente pare che oggidì in Italia non possa farsi una prefazione ai libri appartenenti al bello scrivere , senza tirarvi pei capelli il Boccaccio , e malmenarlo a tutto potere per poco come si farebbe d' uno scolaretto di umanità. Il Parenti , letterato per altro pregiabilisslmo , tanto si compiacque d' una di queste prefazioni mandata innanzi alla Gramatica del Gorticelll impressa in Reggio 1' anno 1826, che la fece stampare in fronte altresì alle Lettere scelte del Redi nel 1828. Ma egli è da dire che altre cagioni da quelle esposte ne' suoi Cenni , il movessero a strapaz- zare il Decamerone come ha fatto. Nella prefazione degli Editori Milanesi si ricantano quasi le stesse cose , alle quali è pregio dell'opera far qualche osserv-izione con quella brevità , che vuole la ristrettezza di un ar- ticolo. Prendono essi per loro Achille il Baretti che mena la mazza a tondo ad occhi chiusi. Imperciocché che intende egli dirci di bello e di nuovo con cotesti suoi verbi in punta ? E chi crederà mai che essi sien proprj esclusivamente del Boccaccio ? Noi li ritroviamo in tutti quelli , che tanto sono levati a cielo dagli av- versar] slessi del Certaldese. Ecco come si comincia il libro della Penitenza , appellato lo Specchio della vera Penitenza: « Della Penitenza volendo utilmente et e con intendimento scrivere e dire , conviene , che « ciò si faccia per modo di ordinata , e discreta dottrina , te parlando aperto e chiaro , acciocché i leggitori age- tt volmente possano intendere , e comprendere quello 435 et che scrivendo sì dice : e seguire efficacemente con fc r effetto dell' opere , quello che più chiaramente s' in- « tende (i). Intervenne , che uno de' suoi scolari , tra « gli altri arguto , e sottile in disputare, ma superbo,- « e vizioso di sua vita ,'morì. (2) «. Di tutti i soprad- cc detti modi di legamenti , e come in ciascheduno mo- te do sei legato da Dio e dall'uomo, lasciamo ora, e « non diciamo (3). — Questo fece ( Iddio ) , quando « prese carne, che tutta la nostra vergogna levò da noi , « e puosela sopra se , e tutte le nostre peccata si recò « addosso (4)- — « A dirittamente , e bene vivere la na- " tura stessa ci chiama , e ammaestra , la quale di po- « chissimo è contenta j ma le concupiscenze ne' vizi , e « nelle infirmitadi ci traboccano (5). " « La qual cosa « chiaramente e' insegna la scrittura di sopra proposta, « che dice: Sapientiam antiquorum exquiret sapiens; « come se apertamente dicesse che molto saviamente fa ce chi la sapienza degli antichi sollicitamente cerca (6). « « — Onde priego ciascuno litterato , il quale trovasse in « questo libro alcuna autorità , posta inordinatamente, o « qualunque altro difetto , il quale si possa sostenere « senza pericolo , avvegnaché sapesse dire meglio di me > « abbiami per iscusato ; perchè scrivendo in volgare e « agli uomini idioti , non mi pare di necessità di atten- « der molto a componere , e ordinare mie parole, e al- te legare sempre i libri e' capitoli , donde saranno tratte « r infrascritte sentenzie , avvegnaché sempre quasi pon- (i) Lo Specchio di vera penitenzia di Fr. Jacopo Passa- vanti ec. la Firenze pel Vangelisti, 1681 , in 12. (2) Ibi face. 4i. (3) Prediche del B. F. Giordano da Rivallo ec. Bologna, 1820 , Predica 1.^ pag. 66. (4) Ib. Predica 2.' pag. ^5. (5) Trattato contro all' avversità della fortuna di Arrigo da Settimello. Milano, Silvestri, i8i5, in princip. (6) Ammaestramenti degli antichi ecc. Milano , Silvestri , 1829 , in princ. 436 ga il nome del santo il quale allego (7). >» — « E se ia alcuna parte, non dispiacendo a lui, può uomo parlare , per rallegrare il corpo e sovvenire e sosten- tare , facciasi con più onestade e con più cortesia clie fare si puote (8). " — Piangono dunque i suoi citta- dini sopra loro , e sopra i loro figliuoli, i quali per loro superbia , e per malizia, e per gara d' ufici hanno così nobile città disfatta , e vituperate le leggi , e ba- rattati gli onori in picciol tempo , i quali i loro anti- chi con molta fatica , e con lunghissimo tempo hanno acquistato ; e aspettino la giustizia di Dio ; la quale per molti segni promette loro male , siccome a' colpe- voli , i quali erano liberi da non potere essere soggio- gati (9). " — ce Di quanto amore e di quanta dilezio- ne la mia carità di padre, ami la tua subiezione di figliuolo , appena lo ti potrei dire , o con la mia lin- gua in alcuna guisa manifestare. Volendo dunque io Albertano te , Vincenzio mio figliuolo , informare di buoni costumi, e dell'amore, e della dilezioa d'Id- dio e del prossimo, e d'altre cose , e della forma dell' onesta vita ammaestrarti ec. (io). " A questi passi tolti così a prima giunta dalle opere dei trecentisti , sarebbe facile aggiungerne infiniti altri più chiari ed eflScaci , e condurne la serie per tutti i secoli della letteratura italiana fino al di d' oggi , senza dipartirsi mai dai sommi scrittori , e riconosciuti per classici da chicches- sia. Che se dai prosatori vogliam far passaggio a' poeti , non solo molto più frequenti troviamo i verbi in punta , e il quarto caso innanzi al primo , ma veggiamo anzi necessarie così fatte locuzioni, o vogliam dire costru- zioni di periodo. Il che è tanto chiaro e noto ad ognu- (7) Specchio di Croce di F. D. Cavalca ecc. Brescia , 1822 , in princip. (8) Scelta di Novelle antiche. Modena , 1826 , in princip. (9) Istoria fior, di Din. Compagni. Reggio, 1828, in princip. (10) Di Albertano Giudice da Brescia Trattati tre. Bre- scia , 1824, in princip. no, che sarebbe puerilitk provarlo con esempj. Dalle quali tutte cose a me par che discendano queste con- seguenze. i.° Che i verbi in punta, l'accusativo pre- posto al nominativo , e certe altre parti dell' orazione più o men lontane da altre loro correlative , apparten- gono all' indole , alla proprietà , e all' urbanità della lingua italiana , se non vogliam dire che tutti i nostri classici 1' hanno ignorata. 2/ Che chi pone in discre- dito tale prerogativa e gli autori che la mantennero ne' loro scritti , disonorano e deprimono essa lingua , to- gliendole un pregio eh' ella ritiene dalla latina e dalla greca, da cui procede, e riducendola alla condizione della francese, e d'altre men nobili europee moderne. 3.* Che il Boccaccio non fece se non dispiegare più maestosamente un carattere , che era già proprio e na- turale della lingua prima eh' egli la prendesse a ma- neggiare. Ma perciocché a mostrare pienamente questa verità colle debite distinzioni , sarebbe qui troppo lun- go, lo riserbiamo ad altro luogo , per toccare qualche altro tratto della prefazione Silvestriana. Sotto la scorta del Baretti stabiliscono gli Editori, nel cinquecento andar immuni dalla taccia di ciancioni soltanto degli artisti scrittori, la Vita di Benvenuto Cellini , e le opere di Nicolò Macchi avelli , vincendo egli colla novella di Belfagor di gran lunga qual- sivoglia delle composte dal Boccaccio . ... Se ne to- gli questi due prosatori , il Cellini ed il Mncchiavelli , a cui sarebbe colpa il non aggiugnere il Caro , tu non troverai nel cinquecento con tanta /"acilità prose spontanee , dettate con candore e con nitidezza in guisa, che non sentano l'arte ( pag. io). Noi non farem qui la distinzione di lingua , eloquen- za , e stile , le quali cose suol sempre confondere ogni filologo di solo nome ; solo diciamo , che il Parini , citato dai iiigg. Editori a sostegno della loro opinione , sen- tiva ben altramente degli scrittori del cinquecento , tessendone con somme lodi una lunga schiera (i) , e (1) Piincipj fondam. e gener. delle belle lettere, parte 2. cap, 5., che è l'allegato nella piefaz. Silvestr. e e 438 Ira gli altri dicendo Gio- Battista Gelli , ottimo scrit- tore in prosa , il Bembo , illustre autore per purità ed eleganza del suo scrivere , il Lasca , uno de' più naturali , e- insieme de' piìi colti e leggiadri scrit- tori di prosa italiana , Giovanni della Casa , uno de' principi scrittori della lingua , anzi il migliore di tutti dopo il Boccaccio. O chi crederà mai , altri che chi non abbia mai letto i cinquecentisti , non essere prose spontanee quelle del Firenzuola , del Varchi , di Vincenzo Borghini , o esser ciancioni un Davanzali, o un Castelvetro , che con un venti versi metteva il cervello a partito ai più famosi letterati di quel secolo ? E dove si lasciano il Guicciardini, il Segni cogli altri storici di quel tempo , dei quali considerando la sola scuola fiorentina un solenne storico de' giorni nostri , non dubitò di affermare , che è superiore a quelle d' Italia f anzi a tutte quelle delle altre nazioni, che hanno acquistata fama con gli scritti (i) ? Quanto al Macchiavelli , come potè al Baretti parere il colmo della perfezione, s'egli stesso ne censura le sgramma- ticature , e il fraseggiare alla latina ? Né la Vita di B. Cellini è quel miracolo di lingua e di stile da regger punto alla prova di severo critico o grammatico , o da stare a confronto colle prose de' più colti cinquecen- tisti. Che se i moderni barbassori della letteratura ita- liana , i quali inorridiscono al leggere negli scrittor fio- rentini Befania per Epifania , Filosofo per Filosofo , Siragusa per Siracusa , ingozzano per ben di Dio tutti gì' idiotismi e le storpiature cellianiane ; egli è ben da dire che abbiano il palato non così dilicato come vor- rebbero far credere. Ma passiamo ad altro. Alcuni brameranno sapere come sia corretta 1' edi- zione milanese del nostro volgarizzamento , ad appagare i quali abbiamo collazionato la maggior parte di que- sto primo volume colla bolognese del Veroli i8a3 in 8.°; e ne abbiamo ritratto, che in molti luoghi è ben (i) C. Botta , Del carattere degli Storici italiani. 439 corretto nell' una ciò che è fallito nell' altra. Ecco do- ve vince la Silvestriana. Lib. i. cap. 3o , pag. i66 , legge la bologn. — Era in quelle contrade un dra- gone di mirabile magnitudine y lo quale era chiamato Boas , perciocché questi coiali dragoni sì grandi , che sogliono inghiottire li buoi, lo quale guastava tutta la contrada ec. Silvestr. pag. ii8... questi co- tali dragoni sono sì grandi , che ec- La bologn. lib. i. cap. 60. pag. 3oy — Ben vi posso insegnare cosa , che se voi volete , questi guarrà. Andate , e rendete alla cotale vedova lo bue, che le furasti; e incon- tanente sia sanato lo Jigliuol vostro — La Silvestr. pag. 218. — . . .Jìa sanato ec. La bologn. lib. 2. cap. 1 o , pag. 4o2. JYon ti sia grave , Jigliuol mio , e non ti sgomenti questa cosa, perocché questa battaglia tu non senti per tua negligenzia , mostrasi e per la solitudine , nella quale se' , dove nulla femmina è , e per l' asprezza della vita tua — La Silvestr. pag. 285 — perocché che questa battaglia ec. Ed ecco dove la Silvestr. perde, a carte 208 ha appiè di pa- gina per variante mostrerà , e altresì nel testo, a e. 287. sessanla per settanta. 3o5 , se' usata per se' usato. 210 — andiamo alle sepolture de' frati che sono pas- sati, e a qual di Dio concede che ne susciti alcuno la sua fede sia reputata vera. Dove la bologn, 296 , legge e a qual di noi Dio concede ce. La Silv. 208. — essendogli insegnato lo luogo , nienoe con seco tutta la gente eh' era venuta per quegli ; a cui era imposto il micidio , . . . e disse ec. questo punto e vir- gola, che sconvolge il senso, non è nella bologn., che ha soltanto la virgola a e. 292. Ma la Silvestria- na ha i titoli d' ogni capitolo in ogni faccia , e due indici in fine più della bolognese. Il primo comprende alfabeticamente i nomi de' Monaci e Vergini nominati nel volume , il secondo alcune cose più notabili ; il qual ultimo particolarmente giova non poco a chi vo- glia illustrare con esempj le morali dottrine. Onde è da ringraziare il valente tipografo Silvestri dell' onore che 44o fa co' suoi torchi alla bellissima favella de' nostri mag- giori , e del comodo che porge agli studiosi di cogliere da queste Vite de' S5. Padri non solo ottimi documenti di cristiane virtù , ma eziandio il più bel fiore del to- scano-idioma. 44» Analisi di un articolo sopra una Letteratura europea inserito nel n. 107-108 delV Antolo- gia; e in generale del Romanticismo. Ridicolo personaggio è la Scimia , e le romantiche piii che le altre. Foscolo in Dante. ( Articolo comunicato.) Jn sul primo apparire del Romanticismo in Italia, alcuni tra' caldi amatori delle lettere italiane , sorpresi della novità de' principi > ^ ^^ tuono magistrale con cui erano promulgati , sapendo per pratica quanto la gioventù è facile a prestare orecchio alle cose nuove ; così di prima giunta ne rimasero impauriti , e ne au- gurarono male per li buoni stud). Poscia rincoratisi alquanto nella storia delle vicende della nostra lette- ratura , e fattisi innanzi con coraggio in questo ar- ringo , quando scopersero ì nuovi campioni cosi armati alla leggiera , cambiare di forma , e di linguaggio ad ogni attacco , pullulare in ogni parte d' Italia , sol che credano non trovar resistenza , pronti a fuggire al pri- mo scontro ; quando ne videro popolate le schiere d'ingegui rozzi , e volgari , ripudio delle buone scuole , con pochi ambiziosi per condottieri , cui punge il cuore la fama de' grandi , rinvennero dalla sorpresa , e fatti sicuri della loro causa dissero giustamente de' Roman- tici , ciocché i Romani solcano dire de' Liguri , che era più diffìcile trovarli che vincerli. Infatti gli stessi caporioni di questa nuova setta (i), che vanno a piena mano spargendo questa ria semenza sul suolo d' Italia , si sono egli mai fatto pensiero di (1) Dici.tnio Setta, perchè prima di dire Scuola, aspet- tiamo di averci imparato qualche cosa. 44* ' dirci quali sono i principìi , quali le massime di que- sta nuova dottrina ? Hanno egli mai , sull' esempio de- gli antichi , esposto in qualche loro poetica , il nuovo codice che serve di norma per ogni maniera di com- posizione ? Essi che pretendono aversi a scrivere pel popolo , e ravvolgono i loro pensieri nella più tene- brosa metafìsica; essi cui suona perpeluanieute sulle labbra amor di patria, e gloria d'Italia, e hanno a vile il prezioso tesoro della nostra letteratura , e ci propongono a modello , e idolatrano scrittori stranieri ? essi che hanno bandita la croce contro la mitologia , che sarà sempre il più bel campo tramandato dal ge- nio degli antichi alla imaginazione de'' Poeti , ed osano in sua vece introdurre in scena e Maghi , e Spiriti , e Fate , e Streghe , e Versiere , e Beffane , e quanti altri mostri , e chimere uscirono informi dalle rozze imagi- nazioni del volgo ? Era forse serbato all' autore dell' articolo sopra una letteratura europea lo svelarci 1' ar- cano , e sarebbe forse per accreditarlo qual voto una- nime della nuova setta, l'essere stato inserito nell' An- tologia , e strombettato dall' editore di questo Giornale come parto d'ingegno d'un vero Italiano? Sentiamo dunque a parlare di propria bocca questo vero Italiano, e seguitiamone passo passo i divisamenti in questa nuova impresa del Romanticismo. La necessità di un mutamento ( cosi entra in ma- teria l' A. ) nella letteratura de' Popoli è cosa ormai troppo evidente , perchè vi s* abbiano a spendere parole. Le vicende , le istituzioni , e le passioni di- versamente temprate , hanno creato il bisogno di una nuova letteratura , che esprima la situazione , e i voti del moderno incivilimento. Per verità sarebbe stato bene dirci prima per qual ragione la letteratura che abbiamo avuto fìnora^ e che ci ha seguitato compagna indivisibile di pari passo in tutte le nostre vicende , sia d' un tratto divenuta inu- tile a' nostri bisogni i come se da lungo tempo fosse rimasta inoperosa 5 e sarebbe stato ugualmente oppor- ♦ ♦ ■. •,■''.■ 1 443 tuno che 1' A.ci avesse chiarito la strana catastrofe che col volger degli anni è accaduta nel cuore umano , per cui le passioni abbiano presa tempra diversa. A dir vero gli uomini de' nostri giorni amano, odiano, te- mono , e s'allegrano nello stesso modo, e per le stesse cagioni degli antichi ; e si freme , e si piange ugual- mente sulle sorti della famiglia di Atreo a' nostri tem- pi ne' teatri d' Italia , che si fremeva e si piangeva ventidue secoli fa sopra quelli di Atene: tanto è vero che la specie umana che figura oggi sulla scena del mondo , fornita della stessa mente , e dello stesso cuore di quella che vi figurava tanti secoli fa , seguita a sen- tire nello stesso modo , e ad essere commossa per le stesse leggi. Crediamo pertanto che il preteso voto de' popoli per una nuova letteratura , e la concordia di tutta Europa , che accusa la sterilità delle norme antiche , V insujfficienza degli antichi modelli , sia un vero sogno del nostro A. , a meno che egli non abbia preso r Europa per qualche crocchio di scioperati. Ma in affare di tanto rilievo si vuol prendere la cosa molto da lungi. L' A. avendo osservato , che ogni po- polo ha metodi , concetti , e stile diverso , passa a esa- minare se queste differenze traggano realmente dalla natura per la influenza del clima , o se bensì abbiano ad aversi per effetto di politiche istituzioni. La prima di queste opinioni fu , a sua detta , sostenuta da inge- gni meschini , traviati da soverchio amor patrio : ed è perciò che ad ogni esortazione che per parte della nuo- va setta chiama gli italiani allo studio de' capi la- vori stranieri, si oppongono le deliziose frasi clas- sico SVOLO , tuL CIELO d' ITALIA. Eppurc , Seguita egli , la letteratura d' ogni popolo senti sempre 1' influenza straniera. Gli Arabi messero V impronta del loro genio alla letteratura del mezzodì dell' Europa , e quindi dell' Italia ... Il clima dell' Inghilterra e cupo , freddo , piovoso , ejìpure non v' ha terra che presenti negli ultimi trenta anni , poeti , i quali come Burnì , Crab- he , Woodsworth , ed altri abbiano indovinato il 444 linguaggio della solitudine, abbiano trasfusa ne* loro versi V anima della natura. E noi diremo dal canto nostro , che gli Arabi di cui intende a parlare r A. , divenuti Spagnuoli , erano Europei ; e che nulla di arabico spirano i versi , e le prose scritte in Italia a' loro tempi ; dove o la letteratura fu spenta , o ebbe sempre a modello , e norma la latina , come patrio retaggio, e lingua materna. Quanto agli scrittori in- glesi , non intendiamo sentirne ahrimente da quello ne sentono i più dotti critici di quella nazione ; cioè (i) che le produzioni di coloro clie vanno a seconda della nuova setta , e hanno perduto di vista gli antichi mo- delli, si distinguono per uno stile cupo, e tenebroso, nel quale ci sia permesso di vedere l' influenza , e l' ima- gine di quel clima. Quanto ai poeti , che hanno indo- vinato il linguaggio della solitudine , aspetteremo che la solitudine parli , per raffrontarlo col vero e giudicar- ne. Le somiglianze poetiche ammesse dall' A. tra Omero € Ossian , sono schiette compiacenze del Cesarotti , nelle quali partecipano que' meschinelli che ignorano il greco. Quelle tra le poesie de' pastori montanari scozzesi , e corsi , non avrebbero dovuto essere allegate dall' A. perchè fanno contro il suo assunto. Non possiam poi trattenere le risa ne' punti di ravvicinamento , che egli ravvisa nelle poesie d' amore persiane , arabe e italia- ne ; come se il cuore di un Arabo , o di un Persiano battesse per amore in altra cadenza da quella di un Italiano. Ma che giova ravvolgerci in questioni sulle facoltà dell' uomo , ove parla il fatto ? Qui non si tratta di quel tanto che l' uomo può operare in tutti i climi ; si tratta sapere cosa ha egli in climi diversi operato. E che e' importa il sapere , che nel più gelato Setten- trione si poteva verseggiare come verseggiò Omero , e (i) Si leggano tutti gli articoli del rinomalo giornale inglese, detto Quarterly Review , dove si rende conto delle diverse opere di Lord Bjron , e si troverà che siamo assai discreti in questo giudizio. 445 Petrarca ; e scolpire quanto Fidia , e Canova ? Sta di fatto che lo stesso immenso intervallo , che divide^ i poeti Scandinavi dai cantori di Achille , e di Laura , si frappone pure tra i monumenti de' Druidi , e i bassi rilievi del Partenone , e 1' Ebe di Canova. E se riflettiamo che pel lungo volger de' secoli , e sotto la influenza di istituzioni diverse , e talvolta opposte , le nazioni abbandonate a sé , non hanno saputo cam- biare certi tratti caratteristici impressi nella loro let- teratura , e nelle loro arti , siamo sforzati di accor- dare qualche cosa al clima , e con questo intendiamo dire alla natura che ci circonda. E che ! un poeta , un artista , in una parola un uomo di genio , che dee tutto il suo valore alla calda tempra della sua anima, alla squisita facoltà di sentire , avrà ora a rimaner- si stupido , inerte alle impressioni di un bel cli- ma , a' monumenti sparsi sopra un suolo classico , alle illustri memorie che conserva de' suoi maggiori ? e avrà egli ad essere ugualmente commosso , dove il cielo gli nega un raggio di viva luce, dove la terra è muta e deserta , dove di antico nuli' altro vede che r alpe che gli sovrasta , nuli' altro ode che il vento che fischia ? e se avete il cuore di tal tempra , che nulla sente di queste esterne influenze , perchè v' impacciate di lettere e di cose di gusto ? E non fu egli sulla fac- cia de' luoghi illustrati da tante gesta , sparsi di mo- numenti si solenni di belle arti, che il vostro Byron, abbandonato alle impressioni che sentiva , compose i più bei versi sulla Grecia ? E non fu in Ferrara , den- tro quella stessa cella ove per tanti anni languì l' illu- stre epico italiano , che proruppe in que' celebri versi sulla prigionia dello sgraziato poeta , che egli stesso di sua mano scarabocciò sopra quelle mura ? E giusta- mente fu osservato che le elegie composte da Goethe in Italia dipingono V effetto di questa bella contra- da sopra tutta la sua esistenza; quella ebrietà di contento di cui un bel cielo lo penetra. Leggete Pe- trarca , e dite se il cielo , e la terra , ove il poeta vi- 446 veva , è sempre messa a parte de' suoi sospiri j se l' au- ra che respirava ; se la valle pietosa a' suoi lamenti j se sopra tutto quelle care acque della Sorga, e la beata Valohiusa hanno avuto poca parte nelle sue divine ispirazioni. E furono certamente l' immaginazione , e il cuore de' nostri poeti sì fattamente nudriti dalle tan- to variate bellezze del nostro cielo , dallo aspetto poe- tico , e spesso venerando del nostro suolo , che tutto l' in- canto ne passò nelle loro poesie, le quali per tanto tempo avremo per nazionali , e sacre , per quanto l' aspetto del cielo e del suolo nostro non cambierh di sembianze. Non fu dunque a torto, che lo straniero diede il nome di classico al suolo d' Italia , e permet- tete che per tale seguitiamo ad averlo pur noi ; lascian- dovi godere in pace il vostro clima scandinavo , e le sue gelate impressioni. Ma tant' è ; a sentirne 1' A. , la natura dee essere muta al cuore , e alla mente degli scrittori j poiché la lette- ratura di diversi popoli tutta dipende dalle loro politi- che istituzioni. E qui prima di andare innanzi doman- deremo al nostro A. cosa intende egli per istituzioni , e per lo stato politico delle nazioni. Che se per istitu- zioni egli intende buone scuole , dove la gioventù sia istituita nelle lettere , e nelle sane regole del gusto ; se per lo stato politico intende quello stato di prospe- rità e di quiete , che non è meno necessario a chi scrive , che a chi legge , pienamente consentiamo con lui. Ma se nelle istituzioni politiche si mirasse , e qui sta il tarlo , a certe peculiari forme di governo , noi non sapremmo per verità come queste istituzioni abbiano si fattamente a governare , e incatenare la mente e il cuore degli uomini di genio , per loro natura insofferenti d' ogni giogo , che le loro produzioni debbano modellarsi sul codice di legislazione sotto il quale vivono , e scri- vono. Né oseremmo affermare , se per parlare d' amore , che sarà sempre frequente oggetto di poesia , convenga più essere governali a rcpubJiUca , che a monarchia , o ben anche a tirannide ; che nessuno cantò versi d' amore 447, in modi più leggiadri di Petrarca, e guardici il ciclo dal credere che il governo papale sotto cui sfogò le sue pene il cantore di Laura , favorisca la poesia erotica. E se sta , come pensa 1' A. , che amore non alligna in anima schiava , saremmo vaghi di sapere quali istitu- zioni va maturando la setta romantica, affinchè in ogni parte di Europa si possa amoreggiare da anime libere. Ma non furon certo inceppate dalla forma di governo la storia e la poesia , che a tanta sublimità si, innal- zarono in Atene retta a repubblica , quanto in Roma nel secolo di Augusto. Anzi ispirò più. odio alla tiran- nide la penna di Tacito, che scriveva sotto governo dispotico , che quella di Tucidide , e Sallustio sotto reg- gimenti popolari , e con più sdegno sfogò la sua bile contro la malvagità de' suoi tempi Giovenale sotto la sevizie di Domiziano , che Orazio sotto Augusto fatto mite e tollerante ; e spirano liberi sensi le tragedie dell' Astigiano , benché concepite e composte in paesi non governali a repubblica. Tanto è vero che gli scritti, e la letteratura che di essi si compone , ritraggono l' in- dole del loro autore , e non sono , come 1' A. si dà a credere , lo specchio , e 1' espressióne dello stato po- litico de' tempi che li produsse. Venendo al carattere speciale della letteratura di di- versi popoli 1' A. , dimentico di quanto ha detto prima , confessa che le differenze tra la letteratura del nord, e quella del mezzodì pajono fondamentali. La prima non potendo avere a cagione delle distanze ( come se i libri non penetrassero nel Settentrione ) sott' occhio a modello una letteratura antica , di proporzione , e forme perfette , ne crearono una piìi originale da' patrj elementi. Prendiamo in parole 1' A sopra que^ sta letteratura perfetta di forme e di proporzione. Intanto nella letteratura settentrionale , creata da patrj elementi , va in fumo tutta la sua diceria sulla nessuna influenza de' luoghi , che è base di tutto il suo lavoro. Però , segue 1' A. , mentre la riforma da un lato sfre- nava r immaginazione di quelli scrittori a un campo piii 448 libero, e le istituzioni politiche dall' altro vietandone r applicazione a grandi soggetti nazionali .... essi si trasportarono in un' altra sfera .... idoleggiarono le proprie immaginazioni , ed ebbe quindi origine una letteratura bizzarra di forme , ma vasta e pro- fonda. Ma è egli possibile che 1' A. abbia a vedere in tutto la politica ! Quale influenza esercitò mai la forma di governo sotto il quale viveva Schiller nel suo D. Car- los ? o nel suo inno sulla partenza de' Greci dopo la presa di Troja ? e parlò forse meno liberi sensi il suo Guglielmo Teli , perchè concepito sotto un governo non repubblicano ? e dovea forse anche il Messia di Klop- stock , e gli angeli che figurano in quel poema , pie- gare alle leggi e sentire le politiche istituzioni de' luo- ghi in cui fu scritto ? Si giudichi da questo , quanto 1' A. si sia addentrato in quella letteratura germanica , che pretende di proporci a modello. Quanto a quella dell' Inghilterra , egli se ne tira fuori in due parole : ella è tutta positiva , storica , e di fatto. Siamo sempre in parole, e in parole vuote di senso. E cos' è una letteratura positiva , e quale una negativa ? Quel che possiam dire di positivo all' A. é , che le istituzioni letterarie dell' Inghilterra sono tutte fondate sullo stu- dio de' classici. L' effetto di queste istituzioni , se egli sdegna sentirlo da noi , il sappia per bocca di uno scrittore , che egli non oserà certo annoverare né tra' pedanti, né tra' cortigiani : certo qui dove scrivo, dice Fo scolo nel suo Dante , alcuni che furono esercitati fino dalla prima gioventù a pesare sillabe , e accenti su classici , oggi primeggiano autori popolari , e poeti nuovi , ed eleganti fra gli oratori. Se cosi è , che avremo noi a sperare della letteratura fondata sulle istituzioni romantiche ? È lo stesso Foscolo che risponde ; emancipandosi da' greci e latini , riuscirà sterilissima. Or si giudichi da quanto precede , se 1' A. , confor- me al vero , e concorde a se stesso , abbia ragione di ooiichiudcrc , ch« le leggi e la letteratura di un 449 "popolo camminano sempre su due lìnee paralelle : ragion per cui a noi Italiani le istituzioni , or feroci , D7' corrotte , talora impotenti , sovente tiranniche , giammai consentanee al voto comune , procacciarono una poesia vaga di forme , splendida di colorito , e d' imagini , ina quasi sempre frivola , molle , muta alla niente ; e la nostra letteratura ora erudita , ora accademica , ora cortigiana , fu dotta , elegante , di' lettevole , utile , e nazionale non mai. E avrem noi a sopportare che tanta infamia sia ver- sata suir Italia ? Cortigiano un Parini , un Alfieri , un Testi , un Foscolo , un Niccolini ! Frivolo un Macchia- vello ! Molle un Dante , un Monti , un Botta ! Inutile un Guicciardini , un Bentivoglio , un Tirahoschi , un Lanzi , un Visconti I Non nazionali un Petrarca , un Tasso , un Ariosto , un Chiabrera , un Poliziano , un MafFei , e tanti , e tanti altri chiarissimi ingegni , che lungo saria noverarli , che furono e saranno sempre il più beli' ornamento d' Italia , e 1' ammirazione degli stranieri ? E osò dichiararsi vero Italiano chi non arrossì profferire contro la patria sì fatte bestemmie , che mo- veranno a sdegno gli stessi oltramontani ? E vi ha un giornale in Italia , e nel classico suolo di Toscana che accolga cotanto vituperio ! E sopra che mai è fondato il rimprovero che ci vien fatto di rimanerci addietro in punto di lettere , delle altre nazioni europee ? Qual' è quella meta cui dobbiam mirare , per raggiugnere que' sublimi scrit- tori boreali che si spassionarono co* sistemi , e le astra- zioni , e idoleggiaroìio le proprie immaginazioni ? Proponendoci a modello quella loro letteratura bizzarra di forme , e sregolata nelle apparenze ? e sarà negli artisti nati , e educati tra i diacci del Settentrione che avremo a ristorarci di quello sciagurato Palladio y che non valse a salvarci dalle rovine ? Veramente ci prende rossore di avere a contrastare con tanta igno- ranza. Ma di grazia chi è questo Palladio incolpato dall' A. di averci lasciato cadere in rovine ? 45o • Buon per noi , die il nostro Scrittore europeo tem- pera sovente i nostri sdegni col provocarci alle risa. Che se lo credessimo da tanto da poter colui ragionare sul serio , gli faremmo intendere , che in punto di let- teratura, e di arti che hanno per oggetto il Bello , non ha luogo quel progresso indefinito, che spinge con- tinuamente a nuove scoperte le scienze. Il Bello sta iu un tal punto, e a questo punto unico per qualsivoglia lette- ratura un solo sentiero conduce ; sentiero erto , fati- coso , difficile , pel quale la sola ragione è guida j r immaginazione può bensì affrettare i passi di chi lo batte , dirigerli non mai. I Greci , dotati di squisito di- scernimento , di una immaginazione caldissima , fecon- data dalla più. bella natura , calcarono le vie del Bello, e ne toccarono la meta rei loro scrittori , e artisti tramandarono alla più remota posterità modelli d' ogni maniera di perfezione. Sopra questi modelli nelle scuole de' greci filosofi fu compilato quell' aureo codice per ogni genere di composizione , che sappiam bene essere inutile per coloro che di fino intendimento , e di viva immaginazione vanno forniti , ma che svela al pubblico le vere sorgenti del Bello , e gli serve di norma ne* suoi giudizj. A queste leggi si assoggettarono gli scrittori e gli artisti italiani che sortirono dalla natura non meno de' greci e mente elevata , e immaginazione vivissima, e al pari di questi ebbero propizj il cielo e la terra a fecondarla , ed eccitarla sotto di esse j e non per le civili istituzioni di Giulio II. , di Napoleone , o del Se- nato veneto , Raffaello , Palladio , e Canova concepirono e condussero a fine monumenti si sublimi , che tutta Europa gli avrà eternamente a modelli di gusto , e di perfezione. Nudrita e governata da questi principii la nostra letteratura sfoggiò in ogni suo ramo bellezze im- pareggiabili : nella poesia poi ne lasciamo giudici gli stessi Oltramontani , che le tributarono mai sempre le più schiette lodi ; e tanto adoperarono , dican essi con ({uale successo , onde nella poesia epica non avessero a invidiare un Tasso , nella forza e verità de' concelti 45i un Dante, ne' versi di amore un Petrarca. E son calde ancora le ceneri de' grandi , de' quali la perdita riem- pirebbe di lutto inconsolabile V Italia , se non vedes- simo battuto lo stesso sentiero da tali , che da nulla altra vena nudriti , che da quella da greche , e italiche fonti derivata , forniscono continue prove e solenni, se per sostenere la gloria nazionale abbiamo a ritemprare il nostro gusto e a ringiovenire il nostro stile sulla letteratura boreale. Gessi dunque 1' italico cuore del nostro Romantico di palpitare sopra i futuri destini delle lettere italiane , e sappia che non può rimanersi addietro chi non ha alcuno al davanti j e che da pochi in fuori che partecipano nelle sue dottrine , nessuno prende parte nelle sue ambascie. Ci duole assai pe' nostri lettori 1' aver dovuto riba- dire argomenti e ragioni ormai trite j ma come passar- cene , se abbiamo a fare con si fatta genìa , e son tutti d' una mena , che ovunque appariscono vengono sempre in campo con lunghe tiritere metafisiche , razzolate con poca discrezione da' loro capiscuola , tornan da capo quando hanno vuotato il sacco , e cantan vittoria se uno si annoja di rispondere. Orsù lasciamo le generali , e venghlamo al grande argomento della letteratura eu- ropea. Ormai , a delta dell'A. , siam giunti a quel periodo della società , oye V ufficio della letteratura an- ch' esso si muta , e dove prima esprimeva e eseguiva , precede , e indovina : gli scrittori esplorano i biso- gni de' popoli , discendono a interrogare il cuore de' loro fratelli , e ne rivelano il voto segreto , pu- rificato da quanto acquista di basso nelle relazioni umane. Costituiti ad interpetri del comune pensiero, essi antivedono ed ajutano le gravi mutazioni so- ciali j ond' è che talora pajon creare gli avveni- menti , mentre non fanno che maturarli , e abbattere gli ostacoli. Qui il segreto è caduto di bocca al Ro- mantico , e a noi la benda dagli occhi. Sventurati poeti, e letterati, in quale aspro gineprajo avete mai a cogliere gli allori della letteratura europea ! Voi che 452 fiaora vi ricreaste in un sentiero di rose , coltivando le lettere come Dolce sollievo delle umane cure , 1' età degli scherzi poetici , della poesia campestre , e pastorale , degli sfoghi am^orosi è passata. Le lagrime versate sulla sorte di Merope , e sul destiao di Edipo furon perdute per la patria. Cessate di aver tra le mani giorao e notte quegli esemplari greci , e latini che la dotta antichità ci aveva tramandato come fonti perenni di ogni maniera di bellezza Se mai osaste trattenerci ancora col racconto di antichi avvenimenti , sappiate che non v' hanno più orecchi per voi. Scrittori inetti della vecchia scuola , che vi logoraste la vita a pa- scere di rancide fole la mente e il cuore de' vostri compatrioti ! Dalla nuova non possono uscirne che Licurghi e Soloni colla lira al collo, e la spada a' fian- chi , e potrà dirsi dello scrittore europeo , come fu detto di Mecenate , che spesso col pugnai temprò la penna. . . . Cessiam di grazia , che non vorrei fare , come si suol dire , a questa cattiva derrata una mala giunta , in cosa di tanta gravità : contentiamci di dire j che fuvvi già , ne' tempi andati , in qualche parte di Europa , questo concorso di scrittori , i quali esplorando i sup- posti bisogni de' popoli, discesero a interrogare il cuore de' loro fratelli , ne rivelarono il voto segreto , e ma- turarono gli avvenimenti che ormai tutti conoscono. Da questa loro letteratura , che per poco non divenne europea , ne sortì una tragedia , che fece spargere tor- renti di lagrime a un' intera nazione ; ma non furono di quelle che si spargono con tanta dolcezza sulla tomba di Agamennone , o per la morie d' Ifigenia. R. B. ( Sarà continuato, ) 453 Scelta d'Inscrizioni moderne in Lingua Italiana» Pesaro 1829. Pel Tipi di Annesio Nobili. xV questa Scelta d' Inscrizioal va innanzi un pream- bolo, o trattatello di Epigrafia Italiana , ove l'anoni- mo autore, che ci dona queste Inscrizioni per le mi- gliori che siansi composte a' dì nostri , vuol farci vedere a prova l' efficacia dell' italica favella a confusione di coloro che 1' accusano. E' vuole con tale esempio av- viare questa impresa , per V utile che a tutti viene dal poter intendere quello che insegnano i marmi : né vale , secondo lui , allegare l' antica usanza di scriverle lati- namente ; da che i Greci e i Romani , non che le na- zioni più antiche , si valevano nelle Inscrizioni della lingua propria j e di volgari se ne scrissero dal dugento in fino a Pietro Giordani , il quale , a detta dell^ autore , fu il primo che ardi sciorsi dai legami dell' imita- zione latina , e informò V epigrafia delV impronta del nostro idioma, e la j'iempì degli spiriti più vigorosi de' Trecentisti , senza punto offendere V orecchio dif- ficile de' moderni. Ci distoglie poi dallo scrivere In- scrizioni latinamente a motivo delle gravissime difficoltà , a cui vanno soggetti i latinisti a' di nostri , mercè i tanti nomi , titoli , onoranze , ed impieghi , cose nate in secoli barbari. Arroge la cattolica Religione , la quale non dee valersi di voci che putono di idolatria j quindi 1' autore torce il viso dai marmi , che fra voci d' aurea latinità , ne acchiudono di barbare , e in un da coloro , che traducendo dal latino inducono Tacito a dir delle Pasquinate , e il Panfilo di Terenzio ad aspettare un credo. Inoltre a chi scrive latino è chiusa ogni via d' invenzione; non cosi a chi in volgare. Esclude dagli Inscrizionisti latini il Morcelli , che sopra gli altri come aquila vola , precettore insigne dell' arte , e cultore d d 454 non pareggiabile; a lui però non deesi tener dietro, poiché con tutti i suoi lavori epigrafici ha procurato a se fama bellissima ed unica , e compiutamente pre- clusa la via della invenzione. Né si vuol saper grado al Prof. Schiassi del Lessico Morcelliano , che sta com- pilando; stante che non altro fa di meglio, che pre- parare una pingue messe ai pedanti. E qui l' autore preoccupa un' obbiezione de' fautori della epigrafia la- tina , secondo i quali la lingua italiana non è capace ^^ella strettezza , energia , e gravità propria di questa maniera di comporre. Al che di leggieri si arrende 1' autore j non però cessa di promuovere e decantare la sua impresa , per questo , che altrimenti non pure In- scrizioni non si dovriano italianamente comporre , ma né orazioni , né poesie , né altro. Un' altra obbiezione si è, che noi non abbiamo legge o norma, su cui camminare a ben comporre Inscrizioni : al che egli ri- sponde , che ciò non monta ; perchè in questo saremo pari ai Greci e ai Latini quando introdussero 1' epigra- fia. Tocca però V autore le regole connaturali all' epi- grafia , ciò sono , chiarezza , brevità , semplicità , effi- cacia , gravità , armonia ( con le altre lasciateci dal eh. Morcelli per la latina). Parla del pregio dell'epi- grafi.! volgare , e brama che nelle pubbliche scuole sia più che non è coltivata. Al quale proposito accenna la cura che di essa aveano in Francia nell' Accademia delle Inscrizioni , e più in Roma a' tempi di Augusto (come per esteso mostrò il Morcelli). Raccomanda che ogni voce e vocabolo sia attinto dai nostri scrittori classici in fatto di lingua. Di questa Scelta d' Inscrizioni , che attesta aver egli fatto con esame scrupoloso , non vuol proferire giudizio ; solo aggiugne , tenendosi sui gene- rali , che le migliori son quelle dettate in modo piano e semplice , bandendo la croce alla vuota turgidezza dello stile moderno ( de' Romantici ) : ed ivi dopo la celebre Inscrizione fatta già a Cesare dal Senato Ro- mano , reca ad esempio i Genovesi di que' tempi , che con semplici parole tramandavano ai posteri la memo- 455 ria di opere insigni , e riporta quella del Bonfadio. Con- danna nello Speroni una sfarzosa ricchezza di vocaboli , ed ambito di periodo sull'andare della magnificenza della lingua latina ; errore da cui non andò scevro il Boc- caccio , donde la presuntuosa scuola. Ci raccomanda dì non foggiare nuove voci senza bisogno, né di usare arcaismi , né sigle oscure. Finisce colta buona fiducia , che i saggi diano mano a comporre italiane Inscrizioni , onde si vada emulando le più colte città d' Europa , in cui già invalse 1' uso della epigrafia nazionale. Tanto dal più al meno contiene questo proemiale di- scorso, a cui facciamo qua e là alcuna piccola osser- vazione. E prima ci pare cosa eccessiva volere al tutto sbandita 1' epigrafia latina. Ognun sa quanto sia utile la lingua del Lazio ai saggi , i quali per essa si ren- dono l' un l' altro intesi delle loro dottrine. Ad essa venne affidato il gran tesoro della cattolica Fede , e ne* generali Goncilj fu sancita viva e vigente , come è tut- tora , e negli Editti , e negli Atti Pontificj. Essa infine non manca in ogni splendida città d' alcuni ceti di uomini dotti , i quali e la pregiano e la coltivano. Ora , se in tali e tanti casi viene ella in uso , perchè no a anche in alcuno dei tanti generi d' Inscrizioni ? Perchè , a mo' d' esempio , non sarà dicevole ad una dedica dì tempio j ad inscrizioni onorarie poste in Seminar] , in Ac- cademie, in Canoniche, in Conventi, o ad altre cose in luoghi siflfatti ? Del quale parere sono i letterati di- screti ; e valga per molti 1' Ab. Colombo , il quale ciò chiaramente espresse nel Giornale Arcadico j egli che è tanto ligio della lingua italiana , e che in essa più iscrizioni compose, le quali in questa Scelta avriano pur fatto bella comparsa , come si può vedere da una che abbiamo in pronto , e che porremo qui a' piedi (*). Dire poi che il popolo deve poter intendere tutto che gli vien porto agli occhi o all' orecchio , è troppo ; jelebras- chè altrimenti saria duopo che pur in italiano si cele! se la S. Messa , siccome pretese Quesnello. E però che all' autore di questo preambolo non si vuole dar vero 456 tutto il carico dello sbandire la lingua latina dall' e^pt- grafia; poiché questo fu già discorso un 4o anni fa con molta circospezione e giudizio nella lezione d' un ano- nimo (i). Dai cattivi Epigrafisti veggiamo qui escluso il Mor- eelli , e non a torto. Ma e perchè non anche molti al- tri , che scrivono su quel fare 7 Perchè in questo il Morcelli ha compiutamente preclusa la via della in- venzione , soggiunge il nostro autore. Il che non so come possa esser vero : stante che possono sempre ac- cadere cose nuove al tutto , o in parte da doversi scol- pire in marmo. Il Petrarca è quel gran lirico che tutti sanno ; non però fu mai retore che insegnasse , non po- tersi più dopo lui comporre una canzone , o un sonetto. Negli oratori greci , diceva Cicerone , egli è in vero mira- bile come uno a tutti sovrasti ; ciò non pertanto a tempo di Demostene fiorirono di grandi e chiari oratori, né mancaron dappoi ; e conchiude : ncque illud ispum quod est optimum , desperandum est ; et in praestantibus rebus magna sunt ea quae sunt optimis proxima (2). E tanto dicasi di qualsiasi altra facoltà liberale. Oltre che il Morcelli con la sua opera De stilo Inscriptio' num Latinarum (3) non ebbe in animo di chiudere altrui r invenzione j ma si di schiuderne le fonti , per- chè altri si addestri in quelle. Divise da prima con più esattezza del Mafiìei le inscrizioni in queste sei classi ; Sacre f Onorarie, Epitaffi,, Istoriche , Elogj, Costi- tuzioni. Quindi assegnato 1' artifizio e l' esempio a cias- cheduna di esse classi, va indicando gli autori latini, da cui spigolare , Terenzio , Cicerone , Tito Livio , Cornelio Nipote , Orazio , Tacito , e conchiude : qui hoc efficere conabitur non dubito , quin brevi magnam sibi ad titulos pangendos facultatem adeptus videatur (4). (1) Lezione intorno le Inscrizioni volgari all' Accademia Fiorentina. Torino 1786. (2) De Orai. cap. n, C3) Fatavi i 1822. (4) Tom. ni p. 199. 457 Quanto alla elocuzione , ove tratta delle voci che bea si addicono alle letterarie discipline , dice cosi : Celerà vero cuique , ubi opus sit latinae linguae thesaurì , vel ipsa etiam inscriptionum volumina suppeditabunt : in quibus idonea quaedam si praeterita a nobis fuisse videris , queri nequaquam debes : cuique enim seni' per race mari liceat (i) . Dove in flne tratta delle fon- ti delle inscrizioni poetiche , dichiara : quaedam hic etiam exempla proponenda sunt e singulis poetica- rum inscriptionum generibus , unde quisque intelli- gere possit permulta esse , quae nunc etiam a grae- cis mutuar i liceat (2). Ora il Morcelli ben pochi ebbe scolari che conoscano V artificio dell' epigrafia , non che non si veggano chiusa affatto r invenzione. Dico pochi , e intendo giudicare del merito delle Inscrizioni quali uscirono del capo agli autori : che quanto a quali si leggono impresse , anche al Morcelli vennero spesso alterate da' deputati all' in- cisione. Ai quali arroganti , che in ogni città non man- carono mai , quadrano pur bene le parole di tanto mae- stro : Hoc quoque in isto literarum genere molestis- simum invenitur , ut vel imperiti de Jnscriptione jw dicent , ac temere piane et nulla ratione , nullo au- tore judicent, quippe quod latine aliquid sciant , satis quidem se intelligere posse arbitrantur inscriptio ne rei quadret , an non: eo fit ut de stilo etiam judi- care velini , quem plerumque ignorant , et ea fere damnant , quae non intelligunt (3). Se poi il Morcelli con 1' opera sua intorno 1' epigrafia non ha preclusa al tutto la via della invenzione ; non sentiremo altrimenti con 1' autore , che il eh. Schiassi lavori a' pedanti col Lessico Morcelliano , che sta com- pilando. Diremo inoltre cV egli anzi ha fatto vedere , essere aperta tuttora la via della invenzione, da che (1) Tom. uj pag. 80. (^) Tom. Ili pag. 21 5. (^ Tom. Il p.ig. i3. 458 » s^crive con tanta grazia ed eleganza di latina lingua , che le sue inscrizioni non la cedono alle Morcelliane , come dalle epistole e dagli elogj che va scrivendo , noi diresti per poco a Cicerone , ed a Cor. Nipote inferiore. Tanto è poi conveniente che in parecchie occorrenze stia bene scrivere italianamente le inscrizioni , che per nulla noi sentiam con 1' autore intorno alla inferiorità , che egli trova della lingua italiana con la latina- Chi è più che non sappia eh' ella si piega sempre nobilmente e in prosa e in verso ad ogni fatta di componimento ? Chi non sa con quanto gravi ragioni fecer veduto uo- mini autorevoli le dovizie immense eh' ella tira dal greco e dal latino^ talché merita d' essere da noi chia- mata coli' Oraziano encomio , o Matre pulchra filia pul- chrior ? E per toccarne alcuno , il nostro Biamonti , a cui più che a tanti altri si deve il ritorno della buona letteratura , chiarì pur bene quanto gareggi l"" italiana lingua con la latina. 11 Vaunetti poi , quel cima di lati- nista che ninno ebbe che il superasse nel passato secolo , che non fé' , che non disse per amore del valor som- mo della nostra lingua ? » Vero è che la nostra lingua ha diversi impacci , per cui sembra meno spedita della latina; ma , come osservò già in fra gli altri il dottissimo Buommattei , essa ha poi tali e tante parti , tali e tanti accorciamenti , compensi , privilegi , che vale ad allun- gare e breviare i periodi , e a fare ampia e stretta ora- zione a suo senno. E eh' ella possa aver vantaggio della latina medesima , non dee mettersi più in qulstione , dopo ciò che ne ha fatto nel suo Tacilo 1' impareggia- bile Davanzali. Ma pieni sono tutti li nostri migliori prosatori , e poeti de' spedili e risoluti passaggi , di ri- voltati costruiti, di trasponimenti, d'ablativi assoluti, di troncamenti, d' ommissioni , e di somiglianti altre figure a brevità conducenti jj (i) . Sin qua il Vannetli , del cui parere fu pure Vincenzo Monti , quando ec- citalo dall' esempio del nostro Solari si accinse a vol- gere la satira sesta di Persio in tanti versi italiani, quanti (i) Sopra il Sermone Oraziano imitalo dagli Italiani. 459 latini; (i) nel che riuscì a maraviglia, per quel che a lui parve. Quanto al dire , che per 1' epigrafìa italiana , man- chiamo ancora delle leggi da ben esporla , 1' autore eoa alla mano la sua Scelta, che ci propose per esemplare , potea dirci senza più , che le leggi sono le stesse , che quelle per la latina. Ed è un mezzo miracolo come V o- recchio difficile de' moderni ( difficile forse perchè in- tronato dalla musica Rossiniana e dalla Romantica poesia ), non resti offeso dalle belle inscrizioni del Giordani , le quali , checché ne senta 1' autor della Scelta , ci sem- brano animate alla latina più che altre mai. Ove si inculca lo studio e la pratica di questo scri- vere italianamente le inscrizioni , sarebbe duopo che in- sieme un freno si proponesse alla mania presente d' in- cidere sul marmo , o pubblicar colle stampe per tutti : che altrimenti saranno romansesche davvero le storie che di questi tempi prepariamo a' nostri nipoti. Né qui per amore della nostra lingua sarebbe fuor di proposito lo inculcare , che anche le pubbliche in- dicazioni fossero fatte italiane. I Romani erano sì ge- losi della lingua propria , che di essa ogni barbaro , venisse pur d' Attica , dovea valersi ; e noi più discreti dovremmo volere almeno, che i pellegrini si avvedes- sero , come noi della nostra non ci vergogniamo di usar- ne. E queste converria che fossero espresse in caratteri pure italiani ; che ormai con tutti i lumi e progressi filosofici tanto decantati oggidì , noi italiani siamo astret- ti a studiare di bel nuovo T abbici della nostra lingua. Ma tornando all' autore della prefazione , la somiglian- za che trova egli fra le voci orda canonicorum , dia- conus beneficiarius , cardinalis aWa5 , incastrate dagli epigrafisti moderni a voci di aurea latinità , con la fra- se aspetta un credo e colle Pasquinate messe in bocca a Tàcito , mi indurrebbe a credere eh' egli fosse d' o- recchio simile ad un professore di eloquenza latina , a cui faceva barbaro suono la frase secare foenum , a mo- (i) Salire di Persio nelle Note della sat. 6. 46o tìvo della seccaggine che gliene veniva : ma ognun ve- de , che il nostro autore ebbe qui in mira di mordere un cotal poco il Davanzali , e 1' abb. Cesari per le lo- ro versioni di Tacito e di Terenzio. Il che non gli si può menar buono , se prima non provi erroneo quan- to ha detto il Cesari stesso intorno a ciò nella Difesa dello Stil Comico Fiorentino , da lui premessa alla sua traduzione di Terenzio (i). Tanto più che di queste me- schianze dì voci barbare e buone usavansi all' uopo dagli autori stessi dell' età d' oro. Quindi 1' autore si tro- veria astretto a fare mal viso se leggesse Sufeles , Me- dixtuticus in T. Livio ,• Vergohretas in Cesare ; Sa- trapes , Archoii e Pjtanis in altri , come osserva il MorceUi. Del merito delle scelte inscrizioni 1' autore non vuol dar giudizio ; ed a noi pare che uso , quale egli è , a trin- ciare del Boccaccio , del Bembo e dello Speroni , avria pure potuto francamente notare alcuno di questi lavoret- ti. E come ne avrebbe recato in mezzo di molti pre- gevoli ; così non si sarebbe tenuto dal toccare alcun che di difettoso in altri. In quell' inscrizione , a cagion d' esempio , posta in Civitella di Forlì , ove lodasi certa Chiara Todeschi , che ammirata ed amata da lutti , non si dolse mai di nessuno , il ricambio affettuoso di quella buon' anima era cosi ovvio e debito , da non incidersi nel marmo. In un' altra si dice di certo fan- ciulletto , che se non moriva anzi tempo , dovea col- locare il monumento ai genitori j quel moriva anzi tempo ne pare ivi superfluo. Di certa altra si segna la morte con questa espressione : Gilda Carullo non e più : il qual modo è come , più. non esiste , modo che non è né italiano , né cristiano , secondo che osserva il Bia- monti (2). Né al non è più si può intendere /m mor' tali , poiché questo chiaro s' intende dalle parole che vengono appresso , qui sono riposte le Virginee spoglie. Queste ed altre tali coserelle si potrebbero notare in più altre di esse inscrizioni , ove il portasse il pregio. (lì Verona j8i6. (3) Trattato della Locuzione Oratoria. 46i Che poi lo Speroni sia tacciato di certa cadenza rit- mica , siamo d' accordo col nostro autore ; eh' egli sia in ogni sua prosa sfarzoso e di periodo disteso ,• questo ne sembra anzi che vero , un tal quale passaggio a dir male del Boccaccio, e de' suoi imitatori. E ciò, più per servire un tantino alla moda , che alla verità : poiché , che monta egli che non piaccia lo stile del Boccaccio , purché si consenta , essere in lui il tesoro della nostra lingua ? Altro è lingua , altro è stile , convien pur dire a ogni tratto oggidì. Né alcuno scrittore di vaglia ac- catta Io stile dagli autori ,• ma quello adopera , che più sente conforme alla materia , che prende ad esporre : quindi é vero come de' sommi artisti , cosi degli scrit- tori , che ognuno ha sua maniera. Oltre che , non sap- piamo intendere con quali ragioni altri insorga tanto acremente contro allo stile del Boccaccio j da che ne sembra , che ove prima si voglia leggerlo , che dannar- lo , non è poi tanto foggiato alla latina , come si buc- cina. Che se in questi nemici del padre della lingua italiana potesse più 1' autorità altrui , che il proprio giu- dizio , si rammentino di quel che ne sentirono il Gra- vina , il Parini , il Monti , 1' ab. Colombo e il Pertlcari , e veggano soprattutto 1' esempio che ne dà all' Italia l' im- mortale storico Botta. E se neppur questo è assai , fa- remo che anche una volta sciami Udieno Nlsielli ; « Siccome gli allocchi , i barbagianni e simili iiccel- lacci notturni ricevono abbagliamento e stupidezza dal sole ; così gli ignoranti non potendo ben pene' trare l' acutezza e la profondità di un tanto libro , rimangono del tutto confusi e mentecatti. » Con questa osservazione al Boccaccio , ed alcuna dl- gressioncella fatta qua e colà ; noi miriamo a pigliar più colombi a una fava. Quanto all' anonimo autore , il for- te della nostra dissensione consiste in questo , che egli vuole sbandita 1' epigrafia latina per intero , noi in par- te. Che se le ragioni e la buona intenzione non saran- no qui trovate di peso , non valga. 462 e*) DELLA PLACIDA. PAGANINO È . DA . PIANGERSI . LA . MORTE TRA . DOLORI . ATROCI VIRILMENTE . INCONTRATA IL . DÌ . XVI . APRILE . MDCCCXXI X NEL . FIORE . DKGLI . ANNI DA . IMITARSI . LA . VITA COSPICVA . PER . LE . Piv' . BELLE . VIRTy' CRISTIANE . DOMESTICHE DA. . INVIDIARSI LA . PACE . IL . GIVBILO CHE . godrà' . ETERNO IL . CVORE . de' . GENITORI FRATELLI . COMPAGNE DA . QUESTO . SASSO NON . SI . potrà' , ALLONTANARE GIAMMAI 463 Storia della Letteratura Italiana nel secolo xnii scritta da Antonio Lombardi , primo Bibliote- cario di S. A. R. il Sig. Duca di Modena. Modena, Starap. Camerale , 1827, in 4-° e in 8.» ( Voi. 1.° e 2.°). Articolo L* J-J egregia storia dell' italiana letteratura scritta dal Tiraboschi meritava di trovare uà diligente continua- tore, che dall'anno lyoi la conducesse al i825i. A questa fatica degna d' animo generoso ha posto mano il Sig. Lombardi , il quale nella doviziosa Biblioteca Estense tiene quell' onorato incarico , che v' ebbe a' suoi giorni il Tiraboschi. Cosi noi dovremo a due Bibliote- cari la storia delle lettere , scienze ed arti italiane ; e si vedrà sempre meglio quanto sia ingiuriosa ed ingiu- sta la nota d' ignoranti e goffi conceduta gratuitamente dall'Antologia di Firenze (i) a tutti i Bibliotecarj. Può ben essere che 1' editore di quel giornale abbia ricevuto alcun dispiacere da qualche Bibliotecario j ma come poteva egli dimenticare i nomi del Fontani ni , Maglia- becchi , Muratori, Tiraboschi , Zaccaria, Granelli, Della Torre , Vernazza , Morelli , Lamberti , Affò , Mai , ed altri senza numero , uomini dottissimi e per opere insi- gni chiarissimi , i quali ebber l' onorato uffizio di pre- siedere a qualche libreria , e ne trassero larga messe di dottrina a vantaggio del Pubblico ? Quanto all' altra cagione addotta dal citato giornale per deridere i Bi- bliotecarj , cioè che sono quasi tutti ecclesiastici , non osiamo rispondere parola ; perciocché il parlare in tal guisa è uno scoprire troppo apertamente l'ini imo del (1) 1829, fase, novembre e dicembre. 464 cuore (i). Solamente preghiamo i compilatori di quel giornale a voler considerare , che in altri tempi che- rico fu sinonimo di letterato i e che negli ultimi anni il clero ci diede ( senza pur nominare gli scrittori di cose sacre ) Beccaria , Piazzi , Denina , Mascheroni , Haùy , Gerdil , Fontana , Frauceschinis , ConGgiiacchi , Andres , Genovesi , Fabbroni , Pino , Morcelli , Biamon- ti ec. E tanto «e basti aver detto intorno a tal contu- melia ', acciocché ninno , leggendo sul frontispizio dell' opera di cui prendiamo a ragionare , il titolo di Bi- bliotecario , sìa tentato, sul!' autorità dell' Antologia , di gittar il volume , quasi misero parto d' ignobile in- gegno. 11 degno Autore comincia la sua prefazione accen- nando il vivo desiderio che tutti avevano di vedere continuata la grand-opera del Tiraboschi, non riputan- do che a tal intento fosser bastevoli le fatiche del Cor- niani , dell' Ugoni , del Ginguéné e del Salfi. Le noti- zie opportune trasse il Sig. Lombardi dal Mazzucchelli , dalle opere del P. Zaccaria e del Fabbroni, da' Gior- nali , Cataloghi , e Dizionarj. Ebbe similmente 1' ajuto cortese d' uomini dotti che gli dieder contezza di molti particolari ; e di tal gentilezza rende loro le debite grazie. Ingenuamente dichiara che i Romantici schia- mazzeranno di trovare nel suo libro uomini mediocri ; ma risponde coli' aurea sentenza dell' Ab. Lanzi : « ta- ce cere il mediocre è industria di buon oratore , non « uffizio di buono storico. « Duolsi poi di non aver potuto adunar le notizie di molti nobilissimi mgegni mancati negli ultimi tempi , quali sono Volta , Breislach, Brocchi, ed altri molti, de' quali dà il catalogo; ed è veramente cosa spiacevole che per tal difetto la sua storia debba rimaner priva del grande ornamento , che (i) II Direttole dell' Anlologia non è cattolico, ne ita- liano , e perciò merita qualche scusa ; ma scrivendo in Ita- lia e tra' cattolici , converrebbe aver alcun riguardo alla «ledenza ed a' ministri del culto calloliro. /i66 le verrebbe da tanti celebrati scrittori. Riguardo ali- ordine , o partizione , egli s' attiene molto saviamente a quella del Tiraboschi , salvo due- eccezioni , avendo aggiunto un capitolo speciale per gli scrittori di archeo- logia ( benché il Sig. Lombardi sia matematico ) , e tolto quello de' viaggi , che gli è sembrato inutile , non avendo l' Italia prodotto negli ultimi tempi quegli in- trepidi cercatori di nuove terre e d' ignoti mari , che la ìecer gloriosa ne' secoli andati. Qui taluno risponderà che il Gemelli-Carreri , il Belzoni e il Conte Gastiglio- ni , non sarebbero indegni di qualche onorata memo- ria tra' viaggiatori; ma il primo può in qualche ma- niera spettare anche al secolo XVII, e degli altri due il nostro A. non ha potuto aver notizia , come attesta nella prefazione. Io per altro non avrei perciò dimen- ticato due uomini cosi ragguardevoli , potendosi del primo , cioè del Belzoni , dar convenevol contezza col semplice ajuto de' giornali ; e del Conte Castiglioni avendosi in poche parole un beli' encomio nelle anti- chità Longobardico-Milanesi. Il libro 1.° ci dà nel cap. i." un brevissimo cenno storico de' Romani Pontefici e degli altri Sovrani d' Ita- lia nel secolo XVIII. Il cap. 2.°, che tratta del favore e della munificenza de' Principi e d' altri personaggi il- lustri a prò delle lettere , è troppo digiuno ; e se altro non vi mancasse , gran difetto sarebbe 1' aver ignorato quanto operò il Conte Boggino in favore della Sarde- gna: di che trattò copiosamente e con esattezza il Ch. Cav. Manno nella Storia di Sardegna. Le Università , le Scuole Pubbliche e le Accademie sono argomento al cap. 3.° Qui farà meraviglia che non sien ricordate le Università di Torino , Catania , Perugia , Genova , Ca- gliari e Sassari ; che nulla si dica dell' Istituto Ligure , del quale abbiamo alle stampe tre volumi di memorie pregiatissime i che la R. Casa de' Sordo-muti, sostenuta in Genova dalla regal munificenza ed illustrata dalle fatiche e dall' ingegno del P. Assarotti , sia nominata nell' ultimo luogo tra le istituzioni di cosi pietoso in- /i66 carico. Delle Biblioteche e de' Musei tratta il cap. 4'" Se il Sig. Lombardi avesse trovato copia delle Cartas familiares dell' Ab." Andres, Genova non vi sarebbe dimenticata. Le scienze hanno luogo nel libro 2.° e innanzi a tutte le sacre , che formano il soggetto del cap. i." Co- minciasi dal Card. Pietra , che meglio starebbe ne' ca- nonisti pratici : viene appresso il gran Pontefice Bene- detto XIV : poscia il Muratori , che pur valse moltis- simo negli studj sacri. Nomi oscuri sono il BertolH ed il Bonacchi. Non così il P. Concina , al quale il dot- tissimo e perpetuo suo contradditore P. Zaccaria con- cedeva e calor di eloquenza , e bontà di scriver latino; due cose non così comuni negli scrittori di morale j e questo elogio valea meglio di ciò cbe osserva il nostro A. , cioè che il Concina « aveva un eccessivo trasporto « per la più stretta morale e godeva di farsi noto con « le grandi inimicizie " aggiungendo subito di non volere né saper decidere se avesse poi sempre il torto. Dotto e prudente fu il P. Ricchini ; celebratissimo il Berti ; benché non bene ammaestralo nella storia ec- clesiastica , eh' è tanta parte della teologia. I fratelli Ballerini , sacerdoti veronesi , ebber meritamente la fa- ma d'uomini dottissimi. A Mons. Incontri Arcivescovo di Firenze potevansi accoppiare Mons. Saporiti Arcive- scovo di Genova, e Mons. Agostino Spinola Vescovo d' Ajaccio e poi di Savona. 11 P. Fortunato da Brescia non fu spregevole , come filosofo , secondo 1' uso sco- lastico j e come teologo meritò gli encomj del P. Zac- caria. Mons. Carlo Majello fu scrittore elegante, e ciò che più monta , ornato di singolare umilth , ed erudito nelle sacre discipline. Vincenzo Gotti Domenicano e Cardinale, succedette al celebre P. Ab. Bacchini nella cattedra di teologia polemica in Bologna ; ed è rino- mato per la sua beli' opera della vera Chiesa di Cri- sto , allegata sovente dal Card. Gerdil ne' suoi scritti teologici. Due altri religiosi Domenicani rammenta il nostro A. , e sono il P. Moneglia valente professore in 467 Pisa , e il veronese Valsecchi amico di Apostolo Zeno. Cuneo, si pregia del P. Bruno delle Scuole Pie. Molli furono gli scrittori sacri della Compagnia di Gesù , co- me il P. Noghera natio della Valtellina , il Bolgeni , il Mozzi ed il Muzzarelli , copiosi ed eruditi autori di buoai libri. Mons. Tassoni ferrarese , mancato nel 1818 , è noto per 1' opera sua che s' intitola — La Religione dimostrata e difesa — Quanto ai nomi che in vano si cercano in quesl' opera del Sig. Lombardi , egli è d' uo- po averlo per iscusato , a cagione delle molte notizie , che gli mancavano a tessere pienamente sì difficil la- voro. Chi non sarà maravigliato di non leggervi il no- me del P. Griffini Barnabita , lodato con nobile elogio dal dotto P. Scandellari , ed autore di molti pregiati volumi ? Anche il P. Ugo , nizzardo , lettore di teolo- gia in Bologna , voleva qualche memoria. I PP. Tas- soni, Carboni, e Natali non si dovevano dimenticare. 11 Canonico Folgore è ragguardevole tra' corsisti di dogmatica , come 1' Alasia tra' moralisti. Il B. Alfonso Liguori non fu semplice ascetico, avendo scritto co- piosamente sulla teologia morale e la storia ecclesia- stica. I PP. Cuniliati e Mazzolta ebber grido in due scuole diverse. Appresso viene il Prof. Lombardi a ragionare della sto- ria ecclesiastica e sacra filosofia. Questa parte del capo primo si dovrebbe rifare in forma assai migliore. Non parlo del Cardinale Corradlni , e de' PP. Volpi e Par- lati della Compagnia di Gesù , non dell' Ab. Goleti , scrittori trascurati dal n. Aut. Dico che il solo Piemonte si dorrà di non vedervi i nomi dell' autore del Piemonte Sacro , di quello della Storia Ecclesiastica del Mondovi , e del Gallizia che illustrò le memorie de' Santi e Beati piemontesi. Cosi il P. Mattei autore della Sardinia sacra si dovea nominare per far conoscere che all' Italia sacra dell' Ughelli, edalla Sicilia di Rocco Pirro aggiungenò-o la Sardegna del Mattei , abbiamo bella e compiuta la storia delle Chiese italiane. La Storia Ecclesiastica della Liguria , benché non intiera , leggesi ne' due volumi del 468 Paganetto. Due Federici , 1' uno Beiiedittino , 1' altro Domenicano , diedero prove di vasta erudizione. Cosi 1' Amadesi che illustrò la Chiesa di Ravenna.; cosi il P. Galletti che rischiarò molti punti di storia ecclesiastica. Al Campagnola molto debbono le Chiese di Verona. liC memorie della Congregazione de' CG. RR. Barnabiti raccolse in due volumi in foglio il P. Barelli nizzardo. Il P. Bonelli da Cavalese sì per quello ch'ei fece ad illu- strare la nuova edizione di S. Bonaventura, si per ciò che scrisse sopra la Storia Ecclesiastica Tirolese , doveva trovarsi nella opera del Lombardi , che a tanti me- diocri credette , e non a torto , di dover concedere onorata menzione. Tra gli editori de' Santi Padri non veggo il Vallarsi , che ajutato dal Maffei ci die quella nobilissima edizione di S. Girolamo , per non parlare del Foggini e d' altri di minor grido. Sembrami poi che appiè dell' articolo sul Cardinale Orsi si dovesse trovare un cenno del suo continuatore Angelico Bec- chetti , bolognese , dell' Ordine similmente de' Predi- catori, poi Vescovo di Città della Pieve , che fu ezian- dio scrittore di filosofia. Il Signor Lombardi , che non si ricordò di lui nel comporre la storia , supplì con que- sta postilla : ,, Il Padre Domenicano Becchetti continuò ,, la storia suddetta conducendola sino all'anno iS^S, ,, ed in appresso la protrasse con altri dodici volumi ,, sino al Concilio di Trento. ,, Riguardo all' Orsi , non sarebbe stato inutile che il N. Aut. avesse detto il suo parere sopra due censure fatte a quello storico dal P. Zaccaria : 1' una che non poteva , scrivendo storie , passare in silenzio alcuni fatti che si credono veri , benché altri possa dubitarne j come a cagion d' esem- pio, T. Livio non tralasciò di registrare la comune opi- nione che faceva Numa discepolo del filosofo Pitagora , aggiungendo alcuni argomenti, pe' quali non poteva rico- noscerla come verace : I' altra censura , che dovendo la storia ecclesiastica servire di base colla S. Scrittura e le decisioni dogmatiche alla teologia , non si può scrivere Col metodo di Tucidide o di T. Livio} ma do- 469 versi più tosto imitare il Fleury , che la compone colle stesse parole degli antichi , servendo cosi alla sto- ria ed alla polemica. Io non entrerò a decidere se que- ste critiche sien giuste , o no ; ma il signor Lombardi doveva darne un cenno ad istruzione de' suoi lettori. Generalmente parlando , vedesi in tutto il capitolo de- gli Studj sacri una oscurità che nasce a parer nostro , da due cagioni , cioè dal trattarvisl di materie non col- tivate dal eh. Scrittore; e dall' aver tenuto conto delle date e de' nomi assai più che della materia. E pure , le tante controversie agitate nel secolo XVIII , ed ora feli- cemente sopite , giovar potevano egregiamente e alla chiarezza , e all' ordine , come anche alla brevità e pie- nezza della storia. Mi farò intendere con un esempio. L' articolo del P. Concina dovea collegarsi con quello del Patuzzi, e del Guniliati : poi si dovevano registrare i difensori del sistema contrario , Gagna , Balla , Milanta ec. che pigliarono la penna contro del Concina e de' suoi confratelli : da ultimo si potevano brevemente ac- cennare i seguaci delle due scuole , come Viatore da Gocuglio per la Gonciniana , il P. Mazzotta per la con- traria. Dicasi lo stesso delle grandi quistioni sulla Gra- zia , sulle Indulgenze , sulla Magia , sulla diminuzione del numero delle feste , sul matrimonio ec. Dovevasi poi conchiudere la narrazione di tante conlese , che af- fliggevano i buoni , con una opportuna considerazione , mostrando che da tanti combattimenti questo si trasse di bene , che gli studj sacri si coltivavano con fervore, e la verità finalmente ne sorgeva splendente di chia- rissima luce. Cosi la Divina Previdenza ricava dal male il bene , facendo che dopo la procella, più chete e più limpide si veggano le acque del mare. Il capitolo 1° ragiona de' filosofi e matematici. Ta- luno potrebbe lagnarsi che più della metà del volume sia conceduta a questa parte della storia ; ma il signor Lombardi, valente matematico, dovea naturalmente com- piacersi di trattare della matematica , e voleva eziandio mostrare che il Montucla non fu giusto rispetto agi' Italiani e e 470 che ebber grandissima parte nel progresso delle severe dottrine. I primi 45 paragrafi sono occupali da' filosofi e fisici j tutti gli altri da' matematici. Non potendo noi tener dietro a si numeroso drappello , saremo contenti di notare alcuni piccoli nei , che il degno autore potrà cancellare nella ristampa della sua storia. Egli afferma che l'Algarottì era di nobile e riccafamiglia veneziana. Temo che abbia confuso la nobil casa padovana Alvaroui ■ con gli Algarotti, i quali aveano bottega aperta, e s' erano fatti ricchi vendendo a minuto. Il filosofo non soffriva d' es- ser detto figliuolo e fratello d' un piccolo mercante , e perciò era sempre indispettito contro de' suoi , come il signor Lombardi poteva riscontrare nelle Lettere di alcuni Bolognesi illustri , nelle quali si ha da cercare la storia de' letterati , che furono , come 1' Algarotti , discepoli od amici del Manfredi e del Zanotti. Riusci finalmente al filosofo di ottenere il titolo di conte , probabilmente dal Re di Prussia ; e cosi ornato compa- riva più decorosamente nelle corti de' principi. L^ arti- colo di Pietro Verri dovrà riformarsi tutto colla scorta degli scritti inediti stampati nel 1827, e composti dal Verri negli ultimi anni della sua vita (1). La Società agraria di Montecchio nella Marca , ntieritava una po- stilla , per avvertire i moderni , che Montecchio ( Mon- ticulus ) ebbe da Pio VI il titolo di città, e lasciato il nome de' tempi bassi, pigliò quello di Treja , che si crede avesse ne' tempi de' Romani. Nuova mi viene la città ài Pinguente nell' Istria ( face. 55o ); e mi fa stupore che il signor Lombardi non ardisse met- tere tra' nostri scrittori il P. Soave , perchè nato in Lugano nella Sifi zzerà. Se vuoisi confondere la geo- grafia naturale e delle lingue, colla geografia politica, tutti i letterati del regno Lombardo-Veneto non potranno più comparire nella storia della nostra letteratura , e do- vremo annoverarvi i Savojardi , che sono sudditi di un Monarca che ha la sua sede in Italia. Intorno all' opera (0 Vedi il nostro Giornale, 1827, face 56; e 568. dello Spedalieri sui Diritti dell' Uomo, è notabile un luogo del sig. Botta nella Storia d' Italia , in cui ne dà, brevemente una idea analiiica , che vai meglio di un lungo estratto. Il N. Aut. poteva giovarsene. Del celebre Appiano Buonafede dice che « copri nella sua religione « le cariche più luminose, fino quella di Abate in varj « monasterii. w Non so qual carica luminosa possa es- ser minore di quella d' Abate ; ma il vero è , che il P. Buonafede fu Abate generale dell' ordine de' Cele- stini, non di qualche monastero ; che non sarebbe così gran fatto da rilevarlo con enfasi. Parlando del P. San- vitali Gesuita , ne loda meritamente l' ingegno j e dopo aver detto " che fu autore di una dissertazione pregevole sul modo d' insegnar a parlare ai muti « aggiunge « che ti gì' Italiani gettano i semi delle scoperte più utili all' u- « manità , e gli Oltramontani le fanno fruttare , essendo ce a tutti ben nota la perfezione a cui specialmente i « Francesi , hanno portato questo ramo di pubblica istru- tc zione. « Queste parole mi riescono oscure. In primo luogo , è egli vero che il P, Sanvitali scrivesse sulla ma- niera d' insegnare a parlar ai muti prima de' Francesi ? In secondo luogo , i Francesi rendono essi a' muti la loquela? Che se lo storico accenna alla educazione de' muti , il primo benemerito autore di opera tanto pietosa è il P. Ponce Benedittino spagnuolo , non sono né i Francesi nò gì' Italiani. Che poi i nostri sappiano far fruttare i semi delle utili scoperte , ne sia solenne argomento l' Istituto de' Sordo-muti in Genova , che per la costanza , e la sollecitudine del P. Assarotti venne a tanto di fama , che servi a propagare il buon metodo nelle altre case erette in Italia j e che fiorisce mai sempre , benché abbia perduto il suo fondatore j e continua a tenere il primato , conje dimostra la recente determinazione di S. A. R. il Duca di Modena , che invia il direttore de' Sordo-muti della casa modenese a perfezionarsi nell' Istituto di Genova. ■ Benché il capitolo 2." sia la parte migliore dell' opera del signor Lombardi , non si vuol perciò credere che non vi manchino le notizie di molti riguardevoli filosofi. Se altri vi cercasse Paolo Mattia Doria , autore della Vita civile , e di molti libri filosofici , lo troverebbe nascosto in questo periodo ( face. 260 ) ; « A propagare la filoso - « fia cartesiana ed a difenderla dagli attacchi di Paolo « Mattia Doria impiegossi Francesco Maria Spinelli (1) « calabrese , vivente anche nel lySS. « L'Abate Pal- mieri , autore dell' Analisi ( per tacere de' suoi scritti in altri argomenti ) è accennato per incidenza a pag. ^66.. Ai chimici si aggiunga Martino Poli autore di un libro , che sotto un titolo strano conteneva cose di gran mo- mento (2). Di lui parla il Marchese MafFei nel \ voi. 3 delle Osservazioni letterarie , pag. 171 : ce egli nacque in Lucca 1' anno 1 662 , andò a Roma in età di 1 8 anni e si applicò profondamente alla chimica. L' anno i6gi ot- tenne di stabilir quivi un laboratorio pubblico. Fra molti segreti che ritrovò , uno sarebbe stato ammirabile per la guerra , ma era di effetto così orribile , che il re Luigi XIV , cui andò ad offerirlo in Francia , anteponendo ge- nerosamente l' interesse del genere umano al suo proprio , non volle si ponesse in uso; ma ben ricompensò l' inven- tore , con nobil pensione , facendolo anche ascrivere alla sua Accademia delle scienze. ,, Giovenale Sacchi G. R, B. di cui poteva leggere il signor Lombardi un brev' elo- gio nel Giornale di Modena , ed una glorios a testimo- nianza nelle Lettere di Francesco M. Zanotti , non si poteva tralasciare, se non per altro, per quella sua mara- vigliosa dissertazione sulla misura del tempo nel ballo , nella poesia e nella musica. Il P. Massari dell' Altare ( diocesi d' Acqui ) , e il P. Morardo d' Oneglia , non erano indegni di memoria , essendo lodati non vol- garmente nell' Efemeridi letterarie di Roma. E se il Morardo in alcune cose meritava qualche riprensione , non era ciò un motivo sufficiente per lasciarlo in di- (1) Fr. M.* Spinelli era principe della Scalea città di Ca- labria , non già un calabrese. (2) II trionfo d^li Acidi: Roma, 1706 in 4»° 473 mentlcanza , potendo il signor Lombardi usare verso di lui quel temperamento che adoperò per altri peggiori di molto j cioè distinguere le opinioni lodevoli dalle teme- rarie o false , secondo 1' esempio lasciato dal Tiraboschi. Un' altra considerazione si può fare sulla lode che dà il n. Aut. a quasi tutti i lettori di filosofia , cioè d' es- sere stati de' primi ad abbandonare in Italia le sot- tigliezze scolastiche. Se tanti ebbero questo merito , è inutile il parlarne , e non è da du'sl che ciascheduno fosse de' primi. Chi poi conoscesse le lezioni dettate nelle varie scuole , specialmente nelle domestiche , s' accorge- rebbe che pochissimi prima del iy5o abbandonarono la scolastica. Ne può rendere solenne testimonianza, per coloro che non hanno tempo da spendere iu ricerche , il corso filosofico del Zanetti , il quale così gran filo- sofo , come egli era, altiensi assai docilmente agli esempj degli scolastici. Chiuderemo questo primo articolo con un' altra osservazione. Ragionando il nostro storico del Conte Algarottì , si maraviglia che non godesse dopo morie di quella fama e celebrità eh' ebbe in vita. Io mi sarei maravigliato , se dopo morte fosse stato cosi famoso , come in vita. A chi legge la storia letteraria con attenzione è manifesto che i più lodati vivendo , cadono assai presto nella dimenticanza, o lasciano un nome poco celebrato da' posteri. Chi fu più chiaro del Bettinelli , detto da taluno un nuovo Platone ? Ed ora chi pensa a questo Mantovano ? Ugo Foscolo era dianzi sulle bocche di tutti ; chiamavanlo onor dell' Italia , uo- mo da mettersi a lato degli antichi. Oggidì ninno il conosce, tranne alcuni giovani incauti , che ne leggono furtivamente le lettere. A Giulio Perticari si volevano ergere archi , e mausolei ; e sarà molto se una modesta pietra indicherà il luogo in cui giace il filosofo pesarese. Di questa varietà di giudizi , la ragione è manifesta. La fama grandissima o viene da merito veramente straor- dinario ( come in Cicerone , Rafaello , Canova ) , o da molte voci che insieme unite fanno un magnifico rim- bombo. Gli uomini di merito straordinario sono rarissimi. 47i Gli altri che hanno molti lodatori , ottengono lode non da' savj né da' critici , si da scrittori di alma- nacchi , e di versi nuziali. Ma il costoro giudizio dis- sentendo dal giudizio di coloro che possono senten- ziare, cade assai presto, appena la morte toglie il motivo di celebrare altamente un ingegno mediocre ; cioè la vanità e 1' invidia. 4:5 NOVELLE LETTERARIE. Osservazioni sulla Poesia de' Trovatori e sulle principali maniere e forme di essa confrontate brievemente colle antiche italiane. Modena , ere- di Soliani, 1829 in 8.° ■t\ utorc di questo erudito volume è il Sig. Giovanni Galvani che lo indirizza ailV egregia Signora Caterina Franceschi sposa di quel nobile latinista Signor Ferruzzi , più volte lodato nel nostro Giornale. L' argomento è importantissimo , e collegato strettamente colla italiana letteratura. Perciocché i Provenzali furono i primi , nella Italia meridionale a coltivar 1' idioma popolare , ossia la lingua romana , o romanza , per la ragione da me al- trove dichiarata , che volendo i trovatori piacere alle dame ed a' cavalieri di Provenza , ed essendo in esse contrade ita in disuso la lingua latina , di necessità do- vevano ricorrere alla favella del popolo e in questa sfogare cantando i proprj aflfetti. L' esempio de' Proven- zali seguitarono i Catalani e i Genovesi , che poetarono nella lingua di Provenza j e il Petrarca stesso , che fece vili tutti i poeti migliori delle lingue moderne , andò suir orme de' Provenzali : e perciò 1' opera del Sig. Gal- vani non sarh inutile a coloro che prenderanno a com- mentare le rime del Cantore di Laura. Le angstie di una novella letteraria non ci permettono di esami- nare minutamente il volume del n. Autore , sia per ri- levarne i pregi , che sono molti , sia por notare alcun piccolo neo , che leggendolo ci parve di ricouoscere ìa sì lungo e difficil lavoro. Ma per dirne pur due parole , piacerebbe a' lettori di trovarvi in compendio la storia letteraria de' poeti provenzali , non essendo sufficienti né 476 il Millot , né il Cresclmbeni o il TiraboscKl ad appagare su questo punto il desiderio degli eruditi. Almeno al- meno ci fosse una definizione de' Trovatori , e della lor dilTerenza da' Giullari e buffoni ; benché potrà sup- plire a quest' ultimo difetto il nostro Giornale , in cui abbiam pubblicato un articolo su tal materia , ricavato specialmente da un Codice della R. Biblioteca di Mo- dena (i). Curioso è 1' articolo , in cui il nostro Autore esamina quello che disse de' poeti provenzali il Conte Perticari, Dimostra che il filosofo Pesarese alterò le date , corruppe i testi che citava , diede alle parole olti'amon- lane la desinenza sicula , per istabilire su tali fonda- menti il suo sistema degli Scrittori del trecento. Cosi al Biaraonti , al Foscolo , al Tommaseo , ed agli a, tri che già rivelarono gli errori e gli anacronisnii del P er- ticari , si dovrà aggiugnere il Sig. Galvani , la cui auto- rità è tanto più ragguardevole in questo particolare , in quanto che egli n'è grande ammiratore j e ne imita lo stile, e lo appella il gran Giulio (_£ììcc. i6 ecc. ) j la- odde possiamo dedurne , che veramente gli abbaglj del Pesarese sien grandi e senza numero, se un suo caldo lodatore , e uomo eruditissimo , in un solo articolo potè farne cosi lunga lista , che si stende in carattere minuto dalla face. 5o3 alla 52o. Ma onde mai tanti errori ? chiederà taluno; era forse il Perticari un uomo idiota od un frettoloso scrittore ? Non questo , risponde il Gal- vani ; ina errò perchè volle , cioè perchè le sua scrit- ture dolevano essere des>ote e ausiliarie ad una causa e ad una sentenza già presa; vuol dire ad un pre- giudizio. Voleva piacere al suocero , voleva comljaltere i Toscani, umiliare il gran nome del Cesari: e non eb- be cuore di rispondere al Monti : Voi mi siete caro , ed amico , sad magis amica Kerilas. *&' (i) Giorn. Ligust. 1837 , face. 200 - lod. 477 Componimenti teatrali di Giovanni Pindemojite , con un discorso sul teatro italiano. Milano , Silvestri, 1827, voi. 2 in 16. te In Italia ( dice il N. Autore) Teatro vero , attori veri e veri spettatori ancora non v' hanno; che è quanto dire che la nostra nazione assolutamente non ha Te- atro. Questa è una verità incontrastabile . . . Alcuni saputelli , co' quali sarebbe il disputare gran vergogna , si scandalezzano di color che la sentono e che alta- mente la dicono e la divulgano , e come coloro che nulla conoscendo di meglio , sono di facile conten- tatura , sostengono impareggiabile. . . il Teatro tra noi , e dannosi a credere di difendere l' italica gloria tro- vando buono e perfetto ciò che è dispregevole e pes- simo . . . GÌ' Italiani vanno al Teatro per puro scher- zevole passatempo , e non prendendo essi veruno in- teresse nelle sceniche azioni , considerato è il Teatro dai più luogo di spasso , di bagordo , di distrazione. Amano solo di ricreare superficialmente gli organi della vista e dell' udito , né curan punto di pascolar lo intelletto . . . Per vero dire , la configurazione mec- canica de' Teatri nostri con quei tre o quattro o cin- que ordini di palchetti , a bella posta rassembra per la disattenzione e pel conversare amichevole imma- ginata .... Tutti i grand' uomini che in questi ultimi tempi nelle umane lettere si distinsero , conobbero chiaramente questa ingrata verità e la sentirono vi- vamente : tutti i veri letterati viventi ne son persuasi .... I compositori de' nostri drammi esser non possono che poetastri .... Ben fu leggiadro il pensiero do! comico autore Antonio Sografi , il quale introdusse per poeta dell' opera in musica un ciabattino . . . Do- po la recita , udiremo noi disputar tra coloro che vengon dall' opera , se il dramma sia bene immagi- nato , ben condotto , interessante , vei-osiniile , com- movente ... ? Nulla di tutto questo. Si udran soltanto promuovere gravi quistioni , se appariscenti o spia- 47» et cevoll sienio all' occhio le scene , se ricco o povero « sia il vestiario ecc. " Cosi scriveva un poeta dram- matico nel 1804. Se noi volessimo commentare queste parole del Pindemonte , potremmo forse risvegliar lo sdegno di coloro, che si credono poter giudicare del Teatro italiano, solo perchè vanno spesso alle rappre- sentazioni teatrali ; il che tanto vale , come chi dices- se ; io ho veduto molte case mal fabbricate , molti uo- mini bruttissimi j dunque m' intendo di buona architet- tura , di bellezza e di leggiadria. I componimenti del Pindemonte essendo notissimi , non hanno bisogno delle nostre osservazioni. Solo diremo che a torto i Roman- ticisti moderni si pregiano di avere immaginato le tra- gedie storiche. Il Quinzio Cincinnato del nostro Vero- nese è tragedia storica , e di più serba 1' unità del tem- po e dell' azione. Guida della prima gioventù^ di F. A. La Mennais. Torino, Marietti , 1828 in 32. L' illustre autore francese pare aver tolto di mira in quest' opericciuola 1' aureo libretto dell' Imitazione di Cristo introducendo a pai'lare il Dlvin Salvatore e uu Discepolo. Fu da lui ben trascelta la forma di dialogo siccome acconcia all' instltuzione de' giovani ; ma 1' a- ver seguito il Rempis anche nella materia , pare a noi che lo abbia allontanato non poco dal fine propostosi. Perciocché le sublimi contemplazioni , e il discorrere in genere de' vizi e delle virtù può riuscir grato pascolo alla mente d' un severo cenobita ; ma la gioventù , se non è allettata dagli esempi » ^ dai particolari , non fa attenzione né a gli scritti né alle parole , e presa da fa- stidio ne rifugge. Il eh. A. inserisce in alcun luogo de* suoi dialoghi qualche opportuno fatto cavato dalle sa- cre pagine , ma il più dell' opera rassembra un trat- tato , e tanto men vi si conserva la convenevolezza , nel fare il Redentore andare in busca di citazioni , special- mente in provando la divozione da aversi alla B. V. ed a' Santi. Né con ciò altro vogliam dire , se non che 479 il libretto non esce di lungo tratto fuori della schiera comune : perchè buono ed utile è quanto al resto. Il traduttore si mostra assai conoscente della lingua nostra , e pratico dei buoni scrittori. Non è poco pregio il traslatare dal francese, ed è troppo raro in Italia. Onde le colte persone daran molta lode a questa ver- sione; la quale ne meriterebbe ancora di più se fosse purgata d' alcuni pìccoli nei chi \'i rimangono ancora per entro. Gli umani in luogo di uomini, face. ii3, e face. 129 è francese, né mi ricorda averne mai ve- duto esemplo nei nostri classici , fuorché uno nella Vita di B. Cellini (1). Conati per sforzi a e. 176 , soluto per pagato a e. 4^7 putiscono di latino : Onnipossanza 181 , desiri 266 , Molcia 120 , Qual altra merita sorte 176 dan nel Poetico. Seco lui 97 , e mai quasi sempre negativo non vorrebbono i gramatici. E molti altri passi di questa fatta , i quali di leggieri potrebbero risanarsi , e crescer pregio a un libretto divoto , degno di esser ri- volto dai gentili lettori. Siècles de Louis XIV et de Louis XV , par Voltaire. Paris , dii Breuil , i83o. Voi. 6 in 24. ( L' edizione è piena di eirori tipografici. ) Bello è il principio del secolo di Luigi XIV j toltone il rappresentare la Francia, prima di quel Sovrano, quasi un paese senza commercio , senza lettere , senz' arti , strade ecc. Questa sarebbe industria lodata da' retori in un oratore , ma non è uffizio da tollerare In uno sto- rico. Vanità sarebbe poi cercare in Voltaire la schietta verità: egli voleva dilettare , non ammaestrare. Un filo- (1) Prima di rivedere le bozze di questo articolo, m'è incontrato di vedere in Lucrezio questa voce che 1 nostri f^ramalici chiamano francesismo. Ella trovasi al llb. 3 àe R. N. V. 80. Ecco il passo : ce Et sacpe nsque adco , mortis formidine, vltae et Precipit humnnos odium , lucisque videndae , ce Ut sibi coasciscant moerenii pectore letum. 48o sofo poi non avrebbe lasciato di far opportune consi- derazioni sopra i mali che vennero alla Francia dal lusso , dalle guerre e dalle delizie di Luigi XIVj spe- cialmente scrivendo , come scrisse il N. A. , alla metà del secolo XVIII; quando cioè gli effetti de' principi e degli esempi che corsero sotto il lungo regno di quel celebre monarca cominciavano a produrre amari frutti sì nella Francia , sì nelle altre parti di Europa. Che il Colbert con danno della coltivazione promovesse le le manifatture, fu scritto da molti j e Voltaire accenna di voler difendere quel famoso ministro ; benché non rechi nò fatto , né argomento , che possa scolparlo. Ul- timamente un valoroso scrittore francese , benché devoto alla causa ed a' diritti de' suoi Re , non ha lasciato di spiegare un gran fallo di Luigi XIV in materia di ra- gion politica , ed è maraviglia , che il N. A. non ne abbia fatto parola. Il secolo di Luigi XV è scrittura di niun pregio , e piena per giunta di sfacciate menzogne. Vero ò che noti v'è cosa più difficile dello scrivere la storia de' suoi tempi ; ma se Voltaire era così ambizioso del nome di filosofo , perché dir bugie per adulare i potenti, e dir nuove bugie per vilipendere i deboli ? Questo costume si os- servò similmente in Pietro Aretino ; sfrontato co' pic- coli , vilissimo co' potenti. Chi non vuol dire la verità , non iscriva storie ; e rispettando i grandi , non sia su- perbo co' minori. Il vero coraggio si trova colla gran- dezza d' animo ; e tutti coloro che scrivono per vanità , non possono esser magnanimi. Avventano qualche colpo agi' innocenti , se costoro o non hanno potere , o non hanno volontà di farne vendetta ; e baciano umilmente le orme di coloro che possono e vogliono ritorcere sul capo degl' impudenti i colpi di mano audace. E però i saggi ridono saporitamente allorché veggono il nome di filosofo usurpato da taluno Cui vergogna saria 1' esser padrone. Alla storia s'aggiunge un catalogo alfabetico degli scrittori del secolo di Luigi XIV. È breve , curioso al 4Bi solito , ma vi sono talvolta de' tratti osceni , e i versi de' poeti francesi che 1' autore trascrive , sono tutti scelti ad insinuare 1' epicureismo. Sovente afferma che il tale morì senza aver persona intorno al letto , ovvero da filosofo; ciò vuol dire nel gergo de' libertini, che morì impenitente. Ove parla d'uomini veramente grandi, s' ingegna di mischiare al racconto qualche storiella falsa od assurda j ed egli stesso la dà per tale j ma pur la riferisce , compiacendosi nell' immaginare , che taluno di mente o di cuor dissoluto , l' accetterà per vera , o almeno starà in forse di ciò che dovrebbe crederne ; e cosi r uom grande sarà vile nel giudizio de' \ili. Qual profondità di malizia in così leggiadro scrittore ! De- ride poi tutti gli autori di poesie latine , e tutti i poeti burleschi. Il motivo è che Voltaire non sapeva fare uà verso latino, e non conosceva il vero burlesco j benché fosse felice ne' tratti maligni. Osserva che Pietro Bayle fu un homme aff/eux , a giudizio di Luigi Racine ; ma egli ce lo dà per un solenne dialettico , e per uà filosofo benefico. Non vuole che si lodi il famoso so- netto di spiritual pentimento, attribuito a Giacomo Bar- reaux , ed assicura che non è di quest'autore , il quale si doleva che fosse spacciato per suo lavoro. Quanti schiamazzi per un sonetto ! L facile vederne il motivo. Parlando di Gianluigi Balzac , ne conferma il merito , notando che furono pubblicati contro di lui due vo- lumi d' ingiurie. Adunque tutti ^.coloro che vorrebbero avvilire i buoni scrivendo contro di loro fogli d' in- giurie , non intendono bene le dottrine del loro maestro Voltaire. A ragione si ride il nostro A. del March. Orsi che pubblicò due volumi di citazioni per difendere dalla censura del P. Bouhours tre o quattro versi del Tasso ; i quali versi , se avevano bisogno di tante cita- zioni per essere giustificati , non potevano esser buoni ; e non è poi da far maraviglia che in un gran Poema sì trovi qualche piccolo neo. Piacevole cosa è lo scrupolo del Presidente Ris , il quale non voleva permettere la stampa delle opere di Charleval suo zio , temendo che il 482 nome di autore fosse una macchia per la /amiglia. Leggano l' art. Amelot coloro che si deliziano nel Prin- cipe del Macchiavello , credendosi trovare in esso una politica profonda. Trascriverò da ultimo due luoghi del Voltaire , opportuni alla condizione de' nostri tem- pi : « Assai volte 1' arte di scrivere degenerò in un vii « mestiere ; perchè i libraj , che sovente non sanno leg- « gere , pagano a tanto il foglio le menzogne e le ine» « zie agli scrittori mercenarj , che della letteratura « fanno la più abbietta di tutte le professioni ( § Sau- rin Jos, )»....« Un numero prodigioso di giovani , « pensando che il furore di scrivere sia ingegno , vanno « a presentare a' Principi versi cattivi , inondano il « pubblico de' loro libricciuoli , e accusano la ingra- te tiludine del secolo, perch'essi sono inutili al mondo ce e a se medesimi. Le professioni , che vengon credute « le più vili di tutte , sono assai più onorevoli di quella, ce cui si son dedicati costoro (§ p^alincour') . » f^ita breve dì San Luigi Gonzaga scritta no- vellamente da Antonio Cesari Prete vero- nese D. O. Piacenza , Del Maino , 1829 , in 12. Amava grandemente i giovani studiosi e divoti quell' amico del Cesari , da cui il Veronese dice essere stato invitato a scrivere il sunto della vita di S. Luigi Gon- zaga. Ben questi condusse a fine il lavoro da pari suo , spargendo a larga mano in questa Vita quella dovizia di puri e gentili modi , e quelle grazie di stile , eh' egli s' avea fatte proprie e naturali dal perpetuo uso dei più purgati antichi scrittori toscani. E proprio del Ce- sari in tutti i suoi scritti il dir molto in poche parole mercè la scelta che ne sa fare , e la gran pratica che ha della lingua , cosi che quello in che altri spenderebbe più periodi e facce , egli tei dà vivo ed intero in un solo: il qual suo stile egli ha serbalo tanto più in questa eccellente operetta tiratovi dalla natura slessa di lei , come il titolo dimostra. Se non che da ciò slesso cre- sce la difficoltà dell' intender bene in chi legge , e non 483 sia esperto nelle finezze della lingua. Laonde questa Vita tanto più piacerà e gioverà ai giovani , cui è de- stinata , quanto più saran essi studiosi e avanzati nell' eloquenza. Agli altri divien necessaria l' assistenza di perito maestro a trar profitto da così fatta lettura. Egli è pertanto da render grazie al Del Maino , che con ac- curatezza ci diede una nitida ristampa di un libretto , che già faceasi desiderare dai saggi institutori della gio- ventù , né più era comune l' edizione veronese del 1828. Istoria Fiorentina di Dino Compagni dalVanno ia8o al l'oli. Reggio, Fiaccadori , 1828, in 12. Il Muratori , che primo diede alla luce questa Istoria nel tomo ix. Script, rer. ital. sopra un MS. di Apo- stolo Zeno , non dubitò di anteporla per eleganza e purgatezza di lingua al Malespini e al maggior dei Vil- lani j nella quale sentenza entrerà di leggieri chi fac- ciasi a leggere l'uno e gli altri. E tanto più sono da pre- giarsi i tre brevi libri del Compagni , perciocché narra le cose del suo tempo , delle quali fu testimonio , e v' ebbe gran parte anch' egli siccome persona addetta ai ma- neggi della repubblica. Il suo stile è netto , conciso e vibrato , e da torsi per modello dagli storici meglio che nessun altro di que' tempi. Egli sopprime volen- • tieri la particella c/te, segno degl'infiniti , ed esce a quan- do a quando in sensate e gagliarde esclamazioni sopra gli avvenimenti che ha per le mani. Una delle più belle è quella al principio del lib. 2. — « Levatevi , o malvagi « cittadini , pieni di scandali , e pigliale il ferro e il « fuoco colle vostre mani , e distendete le vostre mali- « zie , palesate le vostre inique volontà, e i pessimi pro- re ponimenti. Non penate più : andate , e mettete in ruina « le bellezze della vostra città; spandete il sangue de' vo- « stri fratelli : spogliatevi della fede e dell' amore : nieghi « l'uno all'altro ajuto e servigio. Seminale le vostre men- « zogue ecc. » Medesimamente son belle le parlate che introduce nella sua storia. Maraviglioso è poi nel de- scrivere i caratteri delle persone. Eccone uno dellib. i. 484 « 11 gran beccajo , che si cliìamava il Pecora , uomo di « poca verità, seguitatore di male , lusinghiere, . . . cor- ee rompea i popolani minuti , facea congiure , . . . a molti « promettea uffici , e con queste promesse gli ingannava. te Grande era del corpo , ardito e sfacciato , e gran ciar- « latore. Poco era costante, e piìi crudele che giusto. « Abbominò Pacino Peruzzi uomo di buona fama , senza te esserne richiesto. Arringava spesso ne' consigli ec. " Più breve è 1' altro di Simone da Pantano nello stesso libro, ec Iq Pistoja era uno pericoloso cavaliere della ec parte de' Cavalieri Neri , che avea nome Mess. Simone t< da Pantano j uomo di mezza statura , magro e bru- te no , spiatalo e crudele , rubatore e fattore d' ogni te male » . Bellissimo è nel lib. 2 quello di M. Corso Donati , in cui pare aver 1' A. voluto gareggiar con Sal- lustio. Le descrizioni delle battaglie , degli assedj , dei trattati hanno una certa brevità ed evidenza , che in- namora , e fa desiderare che chi narra grandi cose e degne di memoria , seguisse le orme di Dino Compa- gni. L' edizione è abbastanza nitida e corretta. De' Vlz] de Letterati , libri due del Cav. D. Giu- seppe Manno, ec. Milano, Silvestri,' i83o, in i6. Appena ci venne veduta questa seconda edizione , onde il Silvestri con ottimo intendimento ha voluto fregiare la sua Biblioteca scelta , ci rallegrammo con noi medesimi , che altri in Italia abbian portato sul merito di quest' opera un giudizio conforme al nostro , e fattala riprodurre a specchio e norma degli animi savj e gentili. Essa edizione porta in fronte il ritratto dell' illustre Autore , ma cosi male schizzato e lontano dalle fattezze dell' originale , che chi il conosce dappresso , quivi noi raffigura , e il Sig. Cavaliere noi riconosce per suo. Intorno ai pregi dei due libri del Manno noi non ridiremo il già detto nei fase. 2." e 3.» di quest' anno ; si aggiungeremo alcune sentenze tratte dal a." libro , le quali potranno far prò grandissimo a molti che si 485 daano vanto di letterati. <==' « Flavinio ( parlasi degli Enciclopedici ) si diede a leggere l' Astronomia inse- gnata senza il soccorso delle matematiche , la Chimica per le dame , il piccolo Dizionario medicale , la Bota- nica delle fanciulle, l'Enciclopediuccia portatile, le cosi dette Beltà , i sunti , i compendj , i saggi , le no- tizie , gli elementi , i manuali , i bozzi , gli Atlanti , le Antologie , . . . e giunse cosi a farsi credere un mira- colo di erudizione. » Ne risero i saggi , e non peri la memoria delle sue scritture , perchè un suo amico ne comprese la serie in una biografia, ce Da questa appa- risce eh' egli avea scritto dugencinquanta sonetti , quin- dici canzoni , ventitré madrigali , cinquanta epigrammi , un Ditirambo , un Poema eroicomico , tre Commedie della maniera appellala lagriniante , e due tragedie di quelle che son chiamate urbane. « Aggiunge lepida- mente il Ch. A. i seguenti titoli d' altre opere di colui — Del nome della madre di Cincinnato — delV om- bra del ginepro , e perche fu chiamata grave da Virgilio — tavola comparativa delV altezza di tutti i campanili d' Europa — conghiettare sopra un naso di bronzo scavato nelle rovine di Pompeja ec. " Se in que' tempi ( de' nostri padri ) taluno avesse voluto figurarsi ... l' immagine d' un letteratone . . . , ei se lo avrebbe rappresentato grave d' anni e di portamento , cogli occhi raccolti e un pocolino accesi per la fatica , e tal fiata ancora con un viso che sapesse un poco di amarognolo. Le forme sono ben mutate oggidì j e noi veggiamo sgorgare a pieno fiotto 1' erudizione da alcune figurine tutte leggiadre e tutte screziate , che sono pro- prio un tradimento per chi avvisasse di tenerle in quel conto che 1' apparenza iudica. Questo dimostra che la facilità di pervenire agli onori , un tempo sì rari , di grande scienziato , va distendendosi largamente ; e che verrà forse tal giorno in cui tanti saranno gli Enciclo- pedici , quanti saranno gli esemplari dell' euciclopediuc- cia stampati in varie parti del globo. » — Graziosamente conchiude il N. A. il cap. 3 col motto riferito da Plu- f f 486 Ureo : anticamente sono stati nel mondo sette savj ^ ma oggidì a gran pena si troverebbero altrettanti ignoranti — Più strana e più dannevole confusione non si vide giammai nel regno delle lettere de' cosi detti Romanzi storici. La storia è verità , il romanzo men- zogna. La storia ritrae gli uomini quali furono , il ro- manzo li figura quali hanno potuto essere. Quella fa servir 1' intelletto ad indagare i fatti , questo 1' immagi- nazione ad inventarli. Quella è quasi un giudizio solen- ne , questo è come uno spettacolo. Quella ammonisce ed ammaestra il lettore , e questo gli dice : sollazzati. » cap. 6. jÉlcune Lettere d' illustri Italiani ed il Treper- unn di Giammaria Barbieri modenese ec. , il tutto per la prima ojolta dato alle stampe. Modena, G. Vincenzi, 1827, in 8. E pregio dell' opera sapere come furono , dopo quasi tre secoli , ritrovati 1 sonetti intitolati il Treperuno di Giammaiia Barbieri , grande e dotto amico di L. Ca- stelvetro. Cosi 1' espone il C. Mario Valdrighi , che diede alla luce questa collezione per le nozze del Marchese Ercole Coccapani Imperiali. « Nell'anno iSaS in una ec casa di campagna già stata dei Sigg- Castelvetri di ce Modena , ed ora posseduta dai Sigg. Conti Prini di ce Reggio , poco discosta dalla Staggia , villa nel basso te Modenese , sentitosi per caso da certi affittunli , nel ce battere in un muro , rispondere un suono assai cupo , ce quale di luogo cavo , vi ruppero , e furono trovati et da cinquanta in sessanta volumi di libri ereticali , « come di Calvino , Lutero , ec. di prime edizioni , ed et ottimamente conservati , con molte carte manoscritte et da riempierne forse un sacco ; le quali per imperdo- ee nabile sbadataggine andarono malamente da fanciulli ce quasi tutte disperse ; tranne la lettera del Robertello ce (^impressa neW annunziato libretto') , ed altri pe- ce chissiml fogli , e di non gran conto , che raccapez- ce zati dal Sig. Dott. Giuseppe Bignardi , sono presso K . . . Cesare Galvani. Prima che della scoperta si spar- cc gesse la voce , un. degno arciprete , parente de' sud- ce detti afEttuali , vide que' libri , e come proibiti li ritrasse « da quel luogo : finché meno stando celato il fatto , « ne fu resa avvertita S. A. R. , per di cui ordine fat- te toseue r acquisto , passarono a formar parte dell' E- « stense , unitamente al mss. del Treperuno finora per- « duto , che stava a modo di segno fra uno di essi li- ce bri. " Questi nove sonetti sono una infelice risposta a tre altri del Caro in quella vergognosa gara col Castelve- tro , menzionati dal Muratori nella vita di questo pre- messa alle sue Opere critiche, e dal Tiraboschinel voi. 1. Bibl. moden. Il nascondimento di così fatti libri , checché ne dica il Sig. C. Valdrighi , prova 1' attaccamento del Castel- vetro alle dottrine ereticali , come ne fu accusato ancor vivente. Dee darsi lode al eh. E. d' aver tratto d' ob- blio queste scritture , che possono servire alla storia letteraria : ma il pregio di tutto il libro consiste prin- cipalmente nelle lettere eruditissime di Antonmaria Sal- vini , una al March. Gio. Giuseppe Orsi a Bologna , e le altre al Muratori a Modena. Prova il dottissimo Fio- rentino al Modenese , che sentiva il contrarlo , la lin- gua comune italiana aulico-illustre essere una chimera , e il fiore e la forma della lingua nostra essere riposto nel trecento. ce Una cosa , egli scrive , che a mio giudicio farà trionfare la lingua italiana sopra le altre volgari , è que- sta dell' avere fissato quel primo buon tempo , nel quale il bello stile fiorla. Perchè altrimenti faremo come i Franzesi (scriveva nel 1704) , amatori della moda , e poco riverenti verso 1' antichità , anzi ingratissimi verso i loro maggiori , che il R.onsardo dottissimo , e poeti- chissimo , stato pe' suoi tempi lo dio della poesia , trattano ora di pedante , e di selvatico , e mal polito. " Attestava all' autore della perfetta poesia , che al Fili- caja ce place assaissimo .... la forza , colla quale il Mu- 488 vatorl combalte 1' abuso della poesia drammatica , efie- minata , e molle al maggior segno , e cerca di estirpare corruttela sì perniciosa , che si può dire vergogna della nostra Italia ». Avessero almeno avuto felice effetto i voti d'uomini cosi preclari ! Istruzioni per la prima Comunione . . . traduzione del Sacerdote FRANCESCO GiNi. Pisa , Nistri , i8a8 , in 24. Interrogato Monsignor Arduino , piissimo Vescovo di Noli , da una divota Signora Savonese , quali fossero i libri ascetici , che si dovean leggere : « Non si parta ( le disse ) da quelli che corainciant) in S » e volea di- re da quelli che furono scritti da persone di santa vita e di dottrina incorrotta. Se poi vogliam parlare di li- bri spirituali da metter nelle mani della studiosa gio- ventù , ottimi saranno quelli che uniscono alla purità delle massime la grazia dello stile eziandio ; come sa- rebbero i trecentisti , la Imitazione di G. G. tradotta da Remigio Fiorentino, o dal Cesari, la Guida al Cielo del Cardinal Bona volgarizzata dal Conte Somis ec. ec. Ma vi ha taluno che rifiuta i libri del buon secolo della nostra lingua , immaginandosi che i giovinetti non deb- bano intenderli. A questo detto , io contrappongo 1' e- sperienza , che vai meglio di tutte le immaginazioni. I libri scritti bene ( dico per ora nel fatto della lingua ) son italiani j e perciò intesi agevolmente per tutta 1' I- talia. Qual villanzone non intende i Reali di Francia e il Guerrino? Mettete in mano di un idiota le Vite de' SS. del Massini , scritte con buona critica , ma in lingua moderna , e il Leggendario del Vigliegas tradotto nella lingua d' Italia , e vedrete qual sia più agevole alla in- telligenza volgare. Ma non più di questo j che forse ne dovrò parlare più a lungo in altro luogo , a sgannar co- loro che danno mala voce a' trecentisti e a' loro imita- tori , senza volersi dar la pena di leggerli ; somiglianti a quel dabbene in Bologna , che non volle mai andar- sene a Milano per poter continuare , tuta cotiscietuia , 489 ad asserire che Bologna era più bella di Milano : veii- ghiam alle istruzioni tradotte dall' Ab. Gini. Leggo a pag, 6 una versione o parafrasi del Simbolo ; e trovo in essa queste parole : ce Credo . . . nel nostra Signore G. C. suo unico figliuolo , perfettamente simile ad esso (Padre). Io credo che questo figlio adorabile ecc. » Non penserò mai che l'Autore francese dubitasse della divinità e consustanzlalità del Verbo , essendovi altri luoghi nel libro , che rendono testimonianza della retta credenza dello scrittore ; ma è certo che nelle ci- tate parole, del Simbolo , abbiamo pura e pretta 1' em- pietà de' Semi-Ariani, 1 quali gridavano essere il Fi- gliuolo simile al Padre ( omoiusion ) , ma non volevano sentir parola della consuslanzialitk ( omoousion ). Nella parafrasi del Pater noster , quelle parole : Jial voluntas tua , son tradotte : regnate con assoluto potere su tut- ti i cuori e su tutte le volontà. A me parrebbe ( ri- mettendomene a' più savi) che trattandosi di orazione insegnata dallo stesso divin Redentore , si dovesse stare più attaccati alla lettera ; essendoché in certe materie ogni lieve mutazione può condurre all' errore. Cosi a pag. i6 si mette questa dichiarazione da recitare sul fi- nire della Messa : « Io esco purificato pei vostri santi mi- « sterj : io fuggirò con orrore le più piccole macchie del « peccato : io sarò fedele alla vostra legge, w Qual uomo , che conosca la propria infermità , può dire : io fuggirò ogni peccato ; io sarò fedele alla vostra legge ? È forse in nostro potere , senza il divino ajuto , d' esser fedeli ? Neil' atto di Speranza che i Catechismi Cattolici fanno imparare a' fanciulli, si dice di confidare mediante V ajuto di Dio ; non si promette con assoluta certezza : si propone di fuggire i pericoli , ma sempre unendo alla promessa l' invocazione della Gi'azia. Terribile troppo mi sembra 1' idea del nostro Autore a pag. 2o, ove parlando de' giovinetti ammessi alla prima Comunione , non teme di scrivere queste parole : ce Se noi potessimo scoprire le disposizioni interne , quanti Giuda non vedremmo noi venire a tradire Gesù Cristo ? " 49° Io credo che ne' Fanciulli , in quella prima partecipazio- ne, sien pochi i Giuda; perchè non è questa l'età del tradimento. Sinite parvulos venire ad me ; talium est enim Regnuni Ccelorum. Ma non più di queste istruzioni. Nouvel Itine raire portatif <£ Italie , par M. PerrOT. Paris, Pochard, 1827, in 16. Questo libro è di una superiorità inconte stahile sotto tatti i rapporti , dice M. Perrot nel suo avviso , assai lodando sé stesso delle premure , diligenze , spese ec. ec. fatte per dare una esatta guida a chi viaggia in Italia. Ecco un saggio dell' esattezza di questo itinerario. Per andare da Genova a Savona si passa per Voltri , Noli , Sestri di Ponente e Albisola (face. ii5). Alassio è un piccolo villaggio molto lontano dalla marina ( f . 116). La cattedrale di Voghera merita di esser veduta ( 1 y6 ). Gli uomini illustri della città di Modena nominati dal Perrot ( fac. 190) , sono Muratori e Vignola. Ma tutti e due erano di Vignola nel due. di Modena. Questa città è patria del Sigonio , del Gastelvetro , del Molza ec. ec. Il collegio dei dotti tiene le sue sedute in Bologna ( face. 1 93 ). Il collegio dei dotti era una istituzione del regno d'Italia, che fini nel 181 3 j e perciò non doveva com- parire in un guida del 1827. In Ferrara è una buona biblioteca , nella qufile meritano la curiosità de' culti viaggiatori i famosi libri corali de' Certosini con minia- ture stupende. Ma il Perrot non ne parla. Faenza , com- presovi il borgo , ha ^700 abitanti ( face. 2o5 ). Sarà un errore di stampa. = L' Accademia iiorentlna fondata dal Duca Leopoldo , comprende sotto questo nome le anti- che accademie della Crusca e dell' Apatisca ( volea dire , degli Apatisti ). Questo era verissimo sotto il Gran Duca Leopoldo che aveva soppresso 1' Accademia della Crusca , incorporandola alla Fiorentina ; ma il governo francese restituì la Crusca alla sua antica esistenza. — Che Livorno sia il porto di maggior commercio nel Mediter- raneo (face. 281 ) è detto con poco di avvertenza : taj 49» era tra il 1800 e il 1808 j e pare che la guida del Per» rot sia un lavoro di que' tempi j come vedasi poi chia- ramente da quello che dice 1' aut. francese dell' acquai- dotto di Livorno , aiferoiando che n'est pas encore ter' mine; benché lo fosse già nel i8i6. Cosi la biblioteca del dotto Poggiali ( non Poggioli ) più non era in Livor-» no nel 1819, avendola comperata il Gran Duca j e il Perrot la crede in Livorno. — Ma udite questa , eh' è marchiana : colà ove comincia il viale che dalla Porta Romana di Firenze mette a Poggio Imperiale , ivi Dan- te e il Petrarca recitavano i loro versi al popolo ( face. 291 ). Nulla dirò dell' Alighieri j ma il Petrarca che non pose mai il piede né in Firenze , né a Poggio Impe- riale , come potè recitarvi i suoi versi ? — Né quest' altra è una ciancia ce La basilica di S. Giovanni in La- terano era altre volte chiesa madre, m E chi ha potuto spogliarla di questa sua prerogativa ? II Papa non credo ; essendo la sua cattedrale ; ond' è chiamata chiesa ma- trice urbis et orhis. — Nel parlare delle chiese di Roma nuli' altro dice il Perrot della Madonna del Popolo , se non che fu edificata dal Vignola col disegno del Buo- narroti , e riattata dal Bernini. Né forse dovea scriver- ne di più , in un volumetto destinato a viaggiatori fret- tolosi. Ma per colui che avesse meno fretta , è certo che la chiesa della Madonna del popolo , é una scuola sto- rica di tutte le arti belle , da' tempi bassi fino al sec. XVIII. Potrebbe dirsi lo slesso della metropolitana di Genova , se si trovasse chi volesse descriverla. — Massa di Lunigiana è detta città assai popolata , posta in un bel piano , vicin del mare ( face. 347 ) • ^* Perrot non deve averla veduta. A Sarzana si dà il titolo di antica Ci «à (face. 348 ) j ma l'antica era Zu/u". Da Sarzana a Genova non si può andar in carrozza, scrive il no- stro Autore , e lo scrive nel 1827 ! — La descrizione della Marca di Ancona non fa parola né di Fermo , né d' A- scoli , né di Jesi , senza Contarvi otto o dieci città mi- nori ; benché ognuna di esse abbia cose degne d' esser vedute. Ma quest' Itinerarj servono a trasportare i viag- giatori da una locanda all' altra sulle vie postali j e con- siderato sotto questo aspetto , il libro di M. Perrot non è spregevole j e gli errori notati si potrebbero emendare facilmente. Ha eziandio il pregio di una carta di tutta l' Italia , e delle piante di cinque o sei città principali. Ma s' io dovessi condurre una persona di qualche senno a viaggiare , non vorrei farla correre per le poste a saltellare da Napoli a Roma , da Roma a Firenze ec. , ma la guiderei ne' paesi vicini alla patria ; e vorrei che li conoscesse bene prima di recarsi alle terre lontane. Parliamo con un esempio , per chiarezza maggiore. Pon- ghiamo eh' io fossi in Genova , e volessi introdurre nell arte di viaggiare ( non di sbalzare ) un mio fratello o altro qualunque. Ecco , gli direi ; noi abbiamo le ma- raviglioSe stallatiti della grotta di Toirano , e i nostri corrono a vederle nella grotta del Palo nell' Umbria. Volete ammirare un nobilissimo lavoro del Bernini ? Al santuario della Madonna di Savona ti'overete un suo quadro in marmo di basso rilievo. Piacevi forse veder pitture di Giulio Romano , di Guido , del Domenichino , di Pietro Perugino , di Alberto Duro ec ec Ne avete in Genova e in Savona. In Albenga troverete un ponte an- tico. Che sia il porfido , vel diranno le colonne della cappella di S. Giovanni Batista in S. Lorenzo. Volete osserv^are la coltivazione degli orti e la coltura degli agrumi ? Ite a Finale. Come si possano senza moli di muro contenere i fiumi ve lo insegneranno col fatto i cit- tadini di Chiavari. Carbon fossile troverete a Cadlbona ec ec. Forse un giorno 'parlerò più distintamente dell' arte d' imparar molto con piccoli viaggi. Terminerò con dare il giro delle mura , o circonfe- renze , delle città principali d' Italia , com' è nel Perrot , acciocché si conosca da coloro che viaggiano senza pen- sare , la maggiore o minor grandezza delle nostre città italiane ; della qual grandezza si odono così goffi errori , che è veramente una compassione. Roma miglia 1 3. Napoli ce c). 493 Torino miglia 3. (i) Palermo <« 3. Firenze « 6. Pisa « 5. Livorno « 2. Lucca ce 3. Siena ce 5. Bologna ce 6. Padova ce y. Udine ce 5. Trento ce 1, Brescia ce 3. Verona ( coi sobborghi ) . . ce 6. Vicenza ce 4- Milano ^,'^'}'^ ""'''^'^l" ' '' l- ^l4. ( cinta nuova ) . • . ce 6, ij^4' p (muraglie nuove) . ce 12. (muraglie vecchie) . ce 6. Mi sia qui permesso di fare una giunta sulle Univer- sità d' Italia. M. Perrot (face. i4) ne conta i5 ; ma se ne debbono cancellare quelle di Milano , Mantova , Ve- rona , Venezia , Firenze e Salerno , eh' egli registra sull' autorità , forse , di qualche antiquario di piazza , e bisogna agglugnere quelle di Torino , Genova , Mace- rata , Catania , Modena e Siena , oltre quelle di Caglia- ri e Sassari in Sardegna , e due minori nello Stato Pon- tificio, Camerino e Urbino. S'egli avesse dimenticato que- ste due ultime , non sarebbe gran fallo , ma lasciar nella penna Torino e Catania , è cosa singolare ; se non che descrivendo poi la città di Torino parla dell' Università , e la dimentica nella descrizione di Catania. (2) (1) N.B. E probabile che 1' aut. frane, non abbia calco- lato la recente ampliazione. (2) Un nuovo Itinéraire si è pubblicato in Milano , voi. 1 m 8.° : l'edizione è migliore assai s'i per la stampa, come pei rami, e vi è dippiìi la pianta di Genova (ristretta alle muraglie vecchie ) che manca nel Perrot. Ma il compilator 494 Corso elementare di Geografia antica e moderna esposto con nuovo metodo dal Sig. Letronne : 3." ediz. ital. Firenze, Chiari 1829, 12. Uq libro elementare dovrebbe avere 4 pregi • essere scrilto con purgatezza di lingua, acciocché i gloviuelti non disimparino la propria favella : essere disposto con tal ordine che agevolmente si ritengano le cose impa- rate; nel che maraviglioso è il BiifBer nella sua geojjra- fia , meritamente prescritta dalla Eccelleatissima Depu- tazione agli studj per libro di classe a tutte le scuole pubbliche : insegnare quanto si annunzia nel titolo e nulla più, per non cadere nella ciarlataneria, colla quale, diceva piacevolmente quello Svizzero , noi fac- ciamo dottori i nostri giovani a i5 anni, e ciuchi a 25 : finalmente , dovrebbe un libro elementare essere netto d' errori , quanto è possibile. Tutti i quattro pregi qui riferiti mancano al Corso elementare del Sig. Letroime. E in primo luogo , il traduttore fiorentino, avendo voltate le parole, non le locuzioni francesi , ha fatto si che il libro sia fran- cese , benché abbia le de^nenze italiane. Neil' avverli' mento voi troverete presentar V insieme ; presentar un insieme ; conoscere /' insieme ; riempire un vuoto ; ab- bracciare con una ocóhiat/i } cognizioni isolate dal corpo; defatigare la memoria , e mille altre genti- lezze di simil fatta , le quali corrompono la puritk della lingua ; e perciò ritardano 1 inci\nlimento ; essen- doché il primci fruito di una eulta educazione debb es- ser questo , d' insegnare a parlare e a scrivere corretta- mente la propria lingua. I Francesi sono in ciò più sol- leciti degl' Italiani. L'ordine col quale il Signor Letronne dispose il suo milanese non ha fatto ahro , se non che trascrivere ferlcl- mente il Perrot riguardo a molte contrade d' Italia. Gli articoli di Genova e delle riviere, possono dirsi una ristam- pa del francese. E poi si grida sempre , che i Francesi sono plagiari. 495 libro , non può esser peggiore , trattandosi d' ammae- stramenti elementari. Comincia con alcune definizioni preliminari , tolte a' libri de' geometri , le quali un fanciullo può imparare a memoria in niezz'' ora e cosi andare a recitarle a babbo e a mamma e apparire uà dottorino; ma l'avere delle definizioni a memoria non è intender le cose ; e rispetto a' fanciulli meglio è col- locare le definizioni colà, ove sono chiamate dall'ar- gomento. Se io dovessi , a cagiou d^ esempio, insegnare la geografia ad un giovinetto , non m' impiccerei di fargli sapere cosi a vapore le definizioni di penisola , d' istmo, ec j ma dopo d'avergli fatto conoscere le cin- que parti del globo , vorrei che notasse esser 1' Africa bagnata tntt' all' intorno dal mare , toltone un picciol tratto a Suez ; poscia gli direi : vedete : l'Africa è quasi un' isola j o come dicevano i latini, peninsula ( pene-in- sula ), e dal latino noi abbiamo fatto penisola ; i francesi presqiiìle , che viene a dire lo stesso. Quella lin- gua di terra che unisce 1' AfricaaH' Asia chiamasi ist- mo, che è parola greca. Appresso inviterei il ragazzo a cercare se trovasse nella mappa del mondo altre peni- sole ; ed egli ne vedrebbe due in America, una nella Grecia, ecc. ecc. Finalmente gli farei notare, che al- cuna volta si dà il nome di penisola ad una con- trada, che sia bagnata da tre lati dal mare; come la Spagna ec. Ma qual che sia il metodo del Signor Le- tronne , fosse almeno esatto nelle sue definizioni geogra- fiche. Egli ne insegna che ( face. 85 ) parecchi ru- scelli/ormano una piccola riviera; e piìi riviere ybr- mano una gran corrente d' acqua che prende il nO' me di fiume , quando conserva il suo nome sino al mare (i). La definizione di riviera e fiume non è ricevuta da' Francesi , ond' è che M. Perrot nel suo (t) Scrive il Sig. Letronne , face. 86. che « la riviera « dcile Amazoni ha più di 1200 leghe di corso, ce Ecco un gradissimo Jiume , che mette nell' Oceano , e tuttavia « dal 11. geografo confuso colle riviere. 496 . Itinéraire d'Italie, Paris 1827, ha queste parole: « L' Italie arrosée dans tous les seris par beaucoup de « rivières , doiit les principales soiit , le Po, le Tésin, « r Adige , 1' Arno , le Tibre etc. « Ma il Po, l'Arno , il Tevere e T Adige mettono in mare, il Tesino per- dasi in Po (i). Benché, ponghiamo che lutti i Francesi ammettesseroquella distinzione, essa in Italia è ridi- cola , perciocché tra noi ri^>iera si dice del paese eli' è sul margine del mare , e de"" laghi : la riviera di Genova , la riviera di Salò , di Garda ec. e riviera ■pev fiume appena si concede a.' poeti. E 1' etimologia conferma 1' uso nostro; perchè riviera ( ne' bassi la- tinisti riparia ) vien da riva ( ripa ) , non da rio. Se- guitando il nostro geografo le sue definizioni , fa sta- gno sinonimo di lago , e poi parla dei paduli senza nominare le paludi. Ma in Italia è gran differenza da padule a palude : le paludi Pontine non sono i pa- duli di Vado: cosi lago è cosa maggiore di stagno: diremo lo stagno di Fucecchio , il lago di Como. Spiacemi similmente 1' ordine delle materie. Il gio- vinetto che voleva conoscere la terra , e specialmente l'Europa, vedesi costretto a studiare nel libro 1. una cosmografia , eh' egli non può intendere , e pochi maestri gli sapranno spiegare : succede nel lib. 2. la geografia fisica, men diffìcile , ma però non adattata agli anni della puerizia , e piena di vocaboli tolti alle scuole. Entra poi nella parte 2.^ dell' opera , e dopo parecchie notizie sul colore e gì' idiomi , e la civiltà degli uomini, vede la geografia antica, la quale è inutile a chi non sa la moderna ; s'egli è vero che le cose note debbono servire a spiegare le ignote. Finalmente si arriva alla geografia moderna , ristretta in 70 face, del libro ; cosi che si riduce ad una semplice nomencla- (1) Letronne medesimo dopo la sua bella (Icfinizione, afferma ( face. 85. ) che il Po riceve diversi fumi ; ben- ché avrebbe dovuto scrivere diverse riviere , se la sua de- finizione è vera. 497 tura , che annoja i fanciulli. Nel qual difeito non cadde il P. Buffier , avendo procurato di unire ai nomi al- cune importanti notizie , ma con una maravigliosa semplicità e naturalezza. Sono poi nel libro alcuni er- rori gravissimi. « La PoUonia ( così sempre ) russa « forma un regno , la di cui popolazione è di circa « 280001. anime. " Cosi a face. 187. Ora, altro è la polonici russa , ed altro è il regno di Polonia , sotto- posto all' Imp. di Russia. La prima fa parte dell' Im- pero , ed ha Vilna per città principale; l'altra ha una special amministrazione , e n' è capitale Varsavia. In poche righe descrive il n. Aut. gli Stati di S. M. Sarda, a' quali dà il titolo di regno di Sardegna. Loda Voghera come piazza forte : ricorda Acqui ed Aosta , dimenticando Nizza , Casale, Savigliauo, Mon- dovi , assai piìi riguardevoli : nel due. di Genova, ad- dita Savona , e Vintimiglia ,• tralasciando S, Remo , Al- benga , Chiavari e Sarzana. Nel regno Lombardo- Veneto non conobbe la città di Brescia , che dopo Milano , Vene- zia e Verona , è la principale , e troppo maggiore di Lodi , Sondrio e Como. Della Marca detta d' Ancona , dice esser capitale Ancona , e lo è Macerata. Al patrimonio di S. Pietro assegna per capitale Roma; ed è Viterbo, città riguardevole. Poco più di mezza faccia serve al n. Geografo per descrivere il R. di Napoli , la Sicilia , e Malta. Laonde può vedere chicchessia , come il Letronne non è scevro di notabili errori ; olire il difetto di voler insegnare troppe cose , gonOando il capo a' fanciulli. Utilissimo sarebbe il suo libro a coloro , che dopo lo studio della fisica , della cosmografia , astronomia , e geografia , volessero aver presto un manuale , ove in poche parole fossero accennate le cose più notevoli , acciocché il libro servisse, come dicono, a rinfrescare le idee. Ma qual operetta elementare non può servire se non che a render vani ed ignoranti i giovinetti ; vani pei molti vocaboli tecnici ; ignoranti per la con- fusione delle idee. Egli è tempo che i savj padri di 498 famiglia , ed i maestri riconoscano 1' errore di voler addottrinare in pochi giorni la studiosa gioventù. Un giovane è colto, allorché sa scrivere e parlare con esat- tezza la propria lingua , distendere con grazia e eoa forza i suoi concetti , giudicare con verità d' un com- ponimento , conoscere fondatamente i principi della geometria , aritmetica e geografia j intendere le qui- stioni principili della metafisica e dell'etica; ordinare le idee con buon metodo e illustrarle con eloquenza. Ma tutte queste cose non si apprendono in pochi mesi , né da' libri volgari, né sotto precettori che guardino più all'apparenza che al vantaggio de' giovani. Ben è \ero , che un metodo migliore farebbe partire dalle scuole gran turba di ragazzi ; ma non ne verrebbe ombra di danno alla civll società. Val meglio avere 4 buoni aritmetici e geometri , che mille facitori di sba- gli ,• meglio aver a savj ragionatori, che loo cicaloni; meglio un bravo filosofo, che un nugolo di prosun- tuosi ; meglio finalmente un buono scrittore che dieci mila guastamestieri , da' quali viea noja a' buoni e disdoro alla patria. Kersi inediti del Prof. Seni ASSI. La naturale repugnanza che molti sentono alla latina lingua, non può fare che noi qui non riportiamo alcuni versi del eh. Prof. Schiassi , a noi pervenuti dalla cortesia del Prof. Bertoloni. Da che non fummo già noi dannati alla pena delle Dauaidi da toglierci il carico di pascere scrivendo la scioperaggine dei più. Quindi por- tiamo fiducia, che tutti coloro, i quali non tacciano di pendanteria Catullo e gli Scrittori dell' età di Augusto, leggeranno con diletto questi versi , e insieme con noi ammireranno la somma modestia congiunta al raro me- rito dello Schiassi. Il quale domandato di qualche no- tizia biografica di sé da Monsignor Muzzarelli , rispose con questo endecasillabo : 499 Ad Carolum Emmanuelem Muzzarelltim Com. jintistitem Urbanum XII Virum Litibus judicandis. Risum quis teneat ? Meus ne vitse Cursus qui fuerit, meisque curis Annorum spatio haud brevi quid actum Sit, o egregie, et pererudite Muzzarelle , pclis ? Jocaris liercle. De viris liceat libi , per orbem Queis ab ingeruoque litterisque est Laus, id quserere : mille vero de me. Qui sim , novi etenim; nihil feci , De quo non ( faleor ) prope erubescam. Il medesimo , sorpreso alla lettura di alcune poesie latine, che il Prof. Gagliuffi disse all' improvviso e gli mandò in dono , proruppe in questo distico : ^d Faustinum Gagliujffium. Hos ergo , Los , inquam , fudisti ex tempore versus f Jam Ligurum ecce oras alter Apollo colit. F. Paolo Amedeo GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Rev. Are. Se ne permette la stampa. SOLARI per la Gran Cancelleria. 5oo INDICE. Articoli Lettehauj. Lettera terza inedita dell' Ab, Gaspare Luigi Ode- rico Pag. 391. Lettera quarta dello stesso « 3g5. Memorie storiche d' illustri scrittori e di uomi- ni insigni dell' antica e moderna Lunigiana ce 398. Intorno alle Poesie di Pindaro , e al volga- rizzamento Jattone dal Sig. Luigi Borghi. « 4 io. Volgarizzamento delle Vite da' SS. Padri di Fra Domenico Cavalca. ..,..« ^32. Analisi di un articolo sopra una Letteratura europea inserito nel n. i oy- 108 dell' An- tologia ^ e in generale del Romanticismo. « 44^* Scella d' Inscrizioni moderne in lingua Ita- liana ce 453. Storia della Letteratura Italiana nel secolo XVIII scritta da Antonio Lombardi, , ce 463. Novelle Letterarie. Osservazioni sulla Poesia de' Trovatori . , ce ^']^. Componimenti teatrali di Giovanni Pinde- monte ce 477' Guida della prima gioventù ce 47^« Siede de Louis XIV et de Louis XV . . ce 479- Vita breve di S. Luigi Gonzaga scritta no- vellamente da Antonio Cesari .... ce 4^2. Istoria Fiorentina di Dino Compagni dall' anno 1280 al i3i2 ce 483. De' Vizj de' Letterati ce 484 • Alcune Lettere d' illustri Italiani ec. . . ce 486. Istruzioni per la prima Comunione ... ce 488. Nouvel Itinéraire portatif d' Italie . . . c« 490« Corso elementare di Geografia antica e mo- derna ce 494' Versi inediti del Prof. Schiassi , . . .ce 498. ©lOlNAlLl ILIKDl&S^KO® cu òcLcu^tC' , ci ebbene ^ e^u t^'bvU/. Hoc opus, hoc stiidium parvi properemus, et ampli ^ Si patriae volumus , si nobis vivere chari. Hor. . ANNO III. FASCICOLO VI. GENOVA Ut/alfa <2/tautpetia Cvetiiiuaiit». I Intorno alle Poesie di Pindjbo^ e al volga- rizzamento fattone dal Sig. Luigi Borghi DISSERTAZIOKE. (Continuazione e fine. V. Fase. 5." pag. 410) o. 'ra di ciò vogliamo che basti ', e faremci più avanti a disaminare come si coavenga il Borghi con Pindaro rispetto al buono, al grande, ed al forte della poesia, e com' egli sappia serbar l' indole dell' originale. In che tanta è la messe che quasi non abbiam cuore di porci manoj laonde andremo qua e la sfiorando il più brevemente che si potrà , solo per invaghire i nostri lettori di volere vederci eglino per entro più pienamente , e parte av- vantaggiarsi nella poetica collo studiare sul principe di tutti i Lirici, Adunque , la prima cosa , audace in mi- rabil guisa ritroviam Pindaro , risentito , grande , evi- dente , risolutissimo ; ma non così a gran pezza il tra- duttore. Valgan gli esempj. Nella Olimpica 7.', Ep. i." Pindaro armatosi di cetera e di flauti entra in viaggio con Diagora vincitore , e il Borghi ne lo scompagna. Ivi stesso , Damageto padre del Pugile chiamasi Uom piacente a giustizia , al che non sappiamo s' equivaglia il dire : ce Illustre genitore , Ch' ebbe di giusto il vanto. M — Olimp. 3." Leggiamo nel Borghi : « Ben dun- que agli Amiclei Nel campo equestri Eroi , Teron , se chiaro sei , Se chiari sono i tuoi , Tutto si dee r onor ». Ma sentiam Pindaro : ce Me pertanto spigne 1' animo mio , eh' io dica , agli Emmenidi ed a Terone venir la gloria , perchè lor la donano i buon cavalieri Tindaridi » j dov' altri per fermo ci sapra grado , che noi ponghiamgli negli orecchi quest' armonia stupenda del greco : ce Kydos ejìppòn didbnton Tyndaridàn. 3> — All'Epodo 4-° della 1.=" Pitia il Lirico inteso a celebrar Gerone Siracusano , mette del pari la memoranda vitto ria 5o4 d'Imera ollenula sopra i Catta ginesi , confederati in al- lora di Serse , con quelle di Salamina e di Platea j il che fa egli con maravigllosa baldanza di furor poetico, immaginandosi d'essere in Salamina a cantar la gloria degli Ateniesi; ponendosi in Isparta a dare il vanto della vittoria del Citerone , o vogliam dir di Platea , a' La- cedemoni ; volando in Imera a ivi intonar l' inno a' Di- nomenidi , ciò sono Gerone slesso e Gelone fratello suo : Questa cosi potente e istantanea presenza del Lirico da luo- go a luogo non ci ha renduta il traduttore. - Veggasi quesl' altro brano della 2.* Pitia: « Amo chi m' ama, e torto calle e cupo Gli avversi ad assalir m' insegna il lupo »; il quale a dir vero, eccetto V awersi in cambio d' avversar] , è un tratto assai felice : ma la ferocia e la evidenza dell'originale dov'è? « L'amico oh si ch'io riami : ma odiando chi m' odia , a guisa che fa il lupo correrò a soppiantarlo di qua di là battendo bistorte vie »; E qui , ben sapete , la poesia , non la morale am- miriamo. — Istmica 6.* Ep. 2." Ercole augura all' a- mico Telamone da Giove il dono d'un figliuolo valo- roso : dietro di che così ha il testo : « A lui colai fa- vellante Iddio mandò , principe de' volatili , una grand' aquila; soave quinci per entro il pizzicò la gloja »: ( Leggiamo siccome fa il Borghi , cliara , e non charis. ) La versione reprime Giove togliendolo dall' atto: oscura e affralisce 1' aquila , priva la improvvisa gioja di quella trafittura interna che 1' è naturale : Ecco : « Disse , e a lui dell' Aligera Schiera — La regina da Giove discese ; — Gioja il sen gì' inondò lusinghiera » : e qui da capo il lusinghiera nel senso notato sopra. Seguitano undici altri versi infino a valor y che a leggerli ò proprio un dolore. — Questo luogo ci rammenta uno tutto diviao della I.* Pitia, laddove nel proemio fassi quel famoso encomio alla celerà , e dicevisi tra le altre cose : « Anco l'appuntata folgore tu spegni d'eterno fuoco ; e dorme sopra lo scettro di Giove 1' aquila , 1' ala veloce quinci e quindi rilassando , — Principe de' volatili ". E il Vol- garizzatore : c< D' eterae fiamme fumigante e rossa La 5o5 folgore divina Tu spegni , e s' addormenta Del greg- ge alato l' aquila regina Sullo scettro del nume , E lievemente d' ambo i lati allenta Le impetuose piu- me " : dove si vede manifesta la intemperanza degli aggiunti fumigante e rossa , e come il principe de' vo- latili che ha tanto dell' enfasi in Pindaro , riesca ad uno ornamento lussureggiante, od anzi aduno ingom- bro nella versione : sopra tutto disgradiamo le impetuose piume y che chiudendo la stanza con quella" furia , si ci sciolgono tutto l' incanto dell' aquila ammansata e \inta , e ci stampano nel senso il contrario. Quanto molle , placida , e cadente al contrario 1' armonia del testo ! « O-keian pterjgh'amphotérò - then chalaxais ». Piìi felicemente procedono i sei versi seguenti; ma nulla- dimeno dove dice Pindaro : « Una nuvola nereggiante in sull' adunco capo , delle palpebre dolce chiusura , le spargi tu »; ivi col verso , « Tu nubi atre le addensi », s' induce burrasca per 1' addensi ed il nubi plurale , ed orrore per l' atre , giacché se cose nere ponno esser belle , non cosi 1' atre j né , si compon tranquilla la 'Vigile pupilla , regge a fronte a quello arditissimo e partico- larissimo , delle palpebre dolce chiusura j né curi>o dorso esprime l'ygron (umido, acquoso) del greco, che con finissima metafora vien a dire , flessibile , ce- devole , fluttuante. Finalmente col dir 1' aquila amman- sata dal sonoro incanto , s' è spenta 1' audace figura del testo , che dice , soggiogata dalle frecce tue. — Ritorniamo sulla Istmica 6," , Epodo ultimo : vi si enco- mia Lampone da Egina , e i figliuoli di lui ; ed ecco il tratto dal greco : « Diresti lui tra gli Atleti essere quella tra 1' altre pietre domatrice del bronzo cole di Nasso. Darò lor bere della chiar' acqua di Dirce , cui le succinte ne' fianchi. Vergini di Mnemosine dall' aureo peplo , feron surgere appo le bene affortificate porte di Cadmo ». E il Borghi volta cosi : « Degli Atleti V intrepida schiera — S' egli accresce , alla cote di Nasso, — Domatrice de' bronzi primiera , — Chia- meresti quel prode simll. — Io di Cadmo alle immo- 5o6 bili mura — Dove fecer di Dirce la pura — Fonte scor- rer le Muse succinte — L' ampia veste di lucido fìl , ( errato , dandosi alle Muse quel che si doveva a Mne- mosine ), — Io farò che lor brame sieu vinte — Col gustar di quell' onda gentil « . Qua le immagini soq così tutte snervate , cosi slungato e stemperato il testo , cosi disagiato , e fuori di sua luce ogni cosa , che non e' è a far troppe parole su : basti annotare che nella sola traduzione del darò lor bere in due versi, si veggoa lutti raccolti i predetti vizj. — Pitia 7." , anti- strofa : « Perocché in ogni città divulgata è la fama del popolo d' Eretteo , o Apollo , li quali il tempio tuo nella divina Pilo stupendo edificarono. Si trag- gono però me le cinque vittorie dell' Istmo , quell' una decorosissima in Olimpia di Giove , le due da Cirra , — O Megacle , vostre, e degli avi». Per afFragnere questo luogo di Pindaro, e tutta sedarne l'agitazione, certo non aveasi il miglior modo che tor via l' apo- strofe ad Apollo , temperare quell' altro a Megacle , raumiliare il verbo traggono , torre lo schietto e il ge- neroso a quel vostre e degli avi : tutto questo ha fatto il Sig. Borghi. — Ed ecco ardimentoso tratto della Istmica quarta a Melisso , strofa seconda : « Imperò lo scotitor della terra , che fa dimora in Onchesto , ed al ponte marino di contro alle Corintie mura, questo por- gendo a quella schiatta mirabil inno , cava fuor dalle letta r antica fama de' gloriosi fatti. Perocché era ella caduta in sonno. Ma ora isvegliatasi sfavilla della per- sona , come il Lucifero cospicuo tra 1' altre stelle » , Il volgarizzamento ha cosi ; « Ed or Nettun che visita — Oncheste , e quel che a fronte — Delle mura Corin- tie — Levasi equoreo ponte , — Questo agli Eroi mira- bile — Consacra inno novel. — Dal sonno in cui gia- cevasi — L' antica fama ci desta — Di loro imprese fulgide — Che scossa omai la testa — Fiammeggia qual Lucifero — Sovra ogni stella in ciel ". Qui non ha che ci piaccia presso che nulla, tranne le due bellissime parole, scossa la lesta, Del rimanente puovvisi di leg- Sojr gieri vedere tagliato via tutto quel che ci avea di co- raggioso veramente sì rispetto a Nettuno , e si alla fama personificala ; e v ' è 1' azione di Nettuno con pes- simo effetto partita in due j e pare sconcia cosa che un tanto Iddio consacri checché sia a una schiatta mortale. — Leggi all' antistrofa seconda : « Perciocché di chi non si cimenta è il silenzio in obblio w j ( il silenzio , cioè il difetto d' opere valorose ) . Questo per vero è un tratto sublime divinamente : odasi il Borghi ; « Chi dell' agone i vanti — Sfugge , dai tardi posteri — Insalutato andrà jj j in che fermamente non ha di che sbigottirsi il lettore. — Ed Epodo secondo ; « Sapete ben voi d' Ajace la virtù sanguinosa , la qual poich' egli nella ferma notte troncava coli' acciar suo , n' ac- cusa i figliuoli de' Greci , quanti furono a Troja " . Qua questo Ajace che recide con la propria spada la sua terribile virtù, e che tuttavia nel cospetto de' posteri ne mette accusa contra la ingiustizia di que' Greci da Troja, è paruto cosa buona a Pindaro, e altresì dove- vaio al traduttore : veggiamo se sì : « Cesse all' astuto Eolide — Il sanguinoso Ajace — Notturno il seno apren- dosi — Col vindice pugnai 33 : Qua non é più Pindaro. Peggio quel che segue : « E biasmo ei colse ad Ilio — Dal greco stuolo intero jj; in che per aver franteso la greca frase, echei mompham, rimprovera , accusa , s è fatto dire all' Autore appunto il contrario di quel eh' e' dice. = Pitia 8.% Ep. 1.°, e Str. 2.^: «Ma bea fur domi ( intendi i Giganti ) dal fulmine , e dalla ba- lestra d'Apollo,- il quale con benlvola mente ha ( testé) di Senàrche accolto da Cirra il coronato figliuolo della Parnasia fronda e dello inno Dorico. Non cadde gik lungi dalle Grazie quella sì-giusta-iu-sue-città , e eh' aggiugne ( tuttora ) all'inclite virtù degli Eacidi, Isola ( Egina ) ; anzi perfetta è sua gloria fin da principio ". Or altri vegga come nello italiano del Borghi s' è tolto di suo contegno ad Apollo , che pur era il Signore de' giuochi Pitii , e quanto vi riesca il volo ad Egina men pronto e risentito. « Ma sotto il divin telo , — E il 5o8 grand' aico Febeo cadder gl'indegni. — Or di Senarce al figlio — L' istesso Nume venerato in Delo ( che tardo , e importuno verso ! ) — Volge propizio il ci- glio. — E vincitor delle Parnasie sponde — Lo guida incoronato — Del Dorio metro e della casta fronde , Dove le Grazie oneste — La bella Egina in guardia ebber dal fato " . Si paragonino poi questi altri due versi ; « Però splendide glorie ostenta e piene — Dai scorsi anni primieri « , con quel si stringato ed enfa- tico del testo : « Perfetta ben è sua gloria fin da prin- cipio " . — Alquanto più di sotto , dov' ha 1' autore : « Nutrice di supremi Eroi nelle impetuose mischie « , si ascolti un poco 1' armonia tutta superba e gigantesca dell' originale : « Thrépsasa kai thoais hypertàtus heroas en machais » ,• e quella della versione : » Dal generoso seno uscir guerrieri — In belle pugne accorti ». — Svol- giamo delle pagine addietro , e troviamo un po' la de- cima Olimpica : Ecco : « L' Olimpico vincitore leggetemi, il figliuol d' Archestrato , laddove entro della mente e' mi sta scritto « , Che audacia d' immaginare , e eh' evi- denza d' apostrofe ! Pindaro erasi per dimenticanza troppo indugiato di comporre l' inno promesso a quel pugile : or egli voltasi alla Musa e ad Aletia , e senza pure nominarle da bella prima , anzi parlando diritta- mente loro come a presenti , vuole , con istupenda immagine , eh' esse gli leggano nella mente ciò eh' entro v' è scritto d' Agesidamo. Oh questo sì eh' è Pindaro : Ed il Borghi ? et D' Archestrato il figliuol chi mi rap- pella — Nel sen d' Olimpia invitto ? — In qual remota cella — Della mia mente il suo bel nome è scritto ? « Qua non ha cosa che insurga dall' ordinario , e il verbo stesso è scritto , che s' è ritenuto nel suono , è però spento nella virtii, perchè tolto via il leggere, e 1' apostrofe a ,chi legger dee , quello cosi da solo non lievasi più su d' una metafora comunale. — Vuoisi an- che vedere ivi appresso , dove disse Pindaro : « O Musa , ma tu , e o Verità , figliuola di Giove ecc. » ; il che rendesi dal volgarizzatore : « O verità , di Giove indila 5o9 prole , — E tu , candida musa ec. « ; cosicché con 1' aver posto il primo quel rivolgimento sì agiato e quieto alla Verità , invece di quello altro lanciato e pronto alla Musa, viea meno allo Apostrofe la sua vemenza; dì più colla leggiadria degli aggiunti candida ed inclita appostivi , scemavisi troppo della gravità e dignità , singolarmente a quello , « O verità , figliuola di Giove » , il qual tratto pieno di divina scienza era cosi sufficiente in sé medesimo , da ricusare ogni ajuto dattorno a sé. — Ancora , pregandosi dal Lirico le Dee , eh' Elle con lor man tutta retta gli tengan lungi V accusa di fé' mancata , ed il Borghi non volendo saper nulla di quella imagine sublime , e ad un tratto cosi pittoresca che dà negli occhi , il fa pur pregare , onde elle ven- gan seco a dissipar con sante parole V accusa che fallo parer mendace. — Ep. 2.° Parla del Re Augea gastigato da Alcide : « E ben quello inganna-ospiti Re degli Epei , ivi a non molto , vide la Patria d' ogni beu-ricca , sotto la solida forza del fuoco e le bat- titure del ferro , in uno sprofondato gorgo di guai sedente la sua città » . Ora di questo si serrato e terribil passo come s' é egli potuto serbare la possanza in ben dodici versi , avvegna che buoni sieno , essendosene anche levata via la personificazione tutta biblica della dolo- rosa città ? Ma perché non diclam noi , tal qual è , nostro concetto liberamente ? Egli ci par che il Borghi abbia traslatato qua , ed altrove , innanzi da una Parafrasi che dal testo. — All' Epodo 4«'* ha voluto il nostro tra- duttore far pruova di concisione ; Dice Pindaro : « Farem risonar la grazia ( dell' Epinicio ) dalla superba vittoria soprannomato , e si '1 tuono , e strai fuoco-'n-pugno del fragoroso Giove , alla Onnipotenza 1' ardente fulmine ac- concio : ( o sì vero; l'ardente fulmine acconcio ad ogni possanza ) 3» . E il Borghi : « Direm del Sommo Nume — Il fragoroso tuono , e l' igneo strale , — Che vincitore atterra — Ogni nefanda guerra " . Ora par egli sia tra- duzione questa di tutto il passo preallegato ? neppure stimiamo che a tutti piacer possa lo atterrar la guerra, OIO né che negli ultimi due versi altri non senta più il bravare , che il dir sublime. — E che par egli di que- sto altro brano dell' anlistrofa 5.* ? « Ducisi che invan sì prese — Cura di belle imprese m , cioè quegli che avendo pure operato virtuosamente , vassi però a Plu- tone senza il pregio de' carmi : Ma Pindaro con bellis- sima evidenza così suggella : « Quegli trafelando a vo- lo , porse a sue fatiche un nonnulla di breve diletto ». — Or ecco delizioso tratto che ci vien sott' occhio dell' Istmica 6.': « Come ad un florido banchetto di con- vitati , il secondo nappo di musici carmi mesciam noi per la famiglia di Lampone buona in certami. In Neme già il primo a te. Giove, quando vi ricevemmo il fiore delle corone; Or novellamente nello Istmo a ( Net- tuno ) Signore , e alle cinquanta Nereidi ec. : Oh sia , che il terzo al Salvatore otFerendo Olimpico Iddio , possiamne aspergere Egina di mellisoni carmi » . Chi leggerà nel Borghi , troverà sommamente viziosa la distribuzione delle due Stanze j sentirà intemperanza la dove dice : « La tazza seconda — Dell' Aonia sonante canzon " j e stucchevolezza nello assembramento tanto uniforme di Muse canore , Alma Egina , miele di- vin j Non si appagherà che siasi posto , Serti Nemei , invece di dire in Nemea , con che si mostrava il poeta presente in luogo , e tanto bene corrispondevasi con quell" altro , JYeW Istmo j sdegnerassi alfine , che le- vando 1' Apostrofe a Giove siasi scemato tanto dell' ispi- razione ; indi che siasi tolto alla ottazione tanto di for- za , e privato Giove Olimpico del bellissimo titolo di Salvatore. — E già che qui ci cade per mano parlar d' Apostrofi , vogliam pur notare che presso che sem- pre son fervidissimi e vementissimi que' di Pindaro , ma in penna del traduttore , quasi che il faccia in vero studio , riescono a maraviglia placidi e temperati ; di che, oltre i già posti, eccone alcuno altro esempio. Prima Pitia , antistrofa 2." : « Oh sì , Giove , a te sì cVi' io piaccia , il qual reggi ecc. «. — E la versione : « Deh sempre a te diletto , — Deh sempre io t' abbia 5ii di letizia fonte , — O Dio che reggi ec. — Ivi Epodo a." ce Licio , e in Delo regnante , Febo , che hai grata la Castalia fonte in Parnaso , vogli tu ecc jj ; E la ver- sione : « Deh a questo suol di prodi , ( Questo verso può parere altrui anzi ottonario che settenario.) — Tu eh' ami d' Ascra il fonte , e in Delo imperi , — Pon mente ecc. mj Avvertasi che la fonte Castalia di che parla il greco. è nel Parnaso , e al contrario il villaggio d' Ascra pertiene al monte Elicona. — Ivi Ep. 3.° « Musa , anco di cantar tu a Diiromene ubbidiscimi il guiderdone delle Qua- drighe: E la traduzione: « Or segui meco il canto , — O Dea , mentre risono — Delle Quadrighe a Dinomene il vanto M. — Sentasi un poco il riprensivo e V impe- rioso eh' è in questo : Nemea 3.^ str." 2.^.: « Cuore , a che strania punta fai tu trasandare il navigar mio ? Ad Eaco anzi e alla schiatta intendo che tu trasporti la Musa » j E questo appunto ha il Borghi dolcificato più eh' alcun altro , in tal guisa : « Ma qual di conseguir lido stra- niero ~ Con temerario error , cor mio , t' illude — In- solito pensiero ? Ad Eaco devi, e alla regal sua prole -^ Gioconde ordir parole ": Anzi questo v' ha di più , che vi s' è rotta 1' allegoria bellissima del navigare , e eoa escludere la Musa s' è anco tòlto il trasportarla che fa Pindaro audacissimamente su per lo pelago. — Rechiam per ultimo esempio d' Apostrofi uno dilicatissimo , on- de alla Nemea predetta fassi cominclamento : « O ve- neranda Musa , madre nostra , ti priego , . . . . vieni ec. «: Questo spira veramente una semplicità e una tenerezza ammirabile j ma il Borghi s'è voluto dar la fatica di abbigliarlo a pompa, cosi: « Madre de' Cigni ceserei. Musa divina ,... . Volgi , ti priego , i generosi studi ec. » ; del qual tratto , se altri s' appaga , volentieri il lasciam signore del suo giudizio. Di peggio v' è , che mentre si rappresenta il Poeta alla Musa , pregando e intercedendo , ond' ella seco ne venga all' ospitale Isola Egina , e si le addita un coro di giovani can- tori Egineti già fattilesi incontro infin sulle sponde dell' Asopo , tutti cupidi ad aspettar la voce di lei , il 5l2 traduttore al contrario non avvisandosi che ivi si rinchiu- deva la idea d'un maraviglioso quadro, e in una sola strofa la invenzione di tutto un Dramma , si è divenuto De' Licj combattenti, — E de' Frigi , e de' Dardani vin- cesse : — Poi r orride armi e spesse — Sgombrando alfin dell' Etiope altero, — Al bruno condottiero — Squarciar godesse il petto , — E tornar gli negasse al patrio tetto j». Il penultimo verso par troppo atroce qua , dove s' intende fari' encomio ad Achille, e l'ultimo, in che ad altrui , ammazzatolo , si niega il tornare alla Patria , sente assai davvicino il Berniesco. Ora e' piace udir Pindaro : « Co- sicché a Troja spinto dal marino impulso de' venti , al tumultuoso strepitar de' Licj si stesse saldo , e de Frì- gi, e de Dardani j e immischiando le mani co' bellicosi lancieri Etiopi , si figgesse in cuore che il Duce loro, più non dovesse il cugin d' Eleno , il fiero e forte Memnone tornare addietro con essi alla patria ». Pon- gasi mente alla grandezza di questo concetto ^ e come nella terribil fiducia d' Achille leggasi 1' eccessivo della sua forza : Egli si sente avere in man le sorti de' suoi nimici, e tal ne decide con arbitrio e con potestà, che ben ci pare di veder qui la forza ridotta in atto di quel luogo sublime de' Santi Libri : T' ho posto in Iddio di Faraone. Dipoi , che particolare finissimo si è in quella imagine , dove Achille si rappresenta il ni- mico Duce , che salvo tra le schiere sue ritornisene alla Patria ? E dice : Non vi tornerà. Di ciò tutto più non riman vestigio nella versione : né si saprebbe assegnarne il motivo , se non forse che il Borghi abbia franteso il testo là dove dice : En phresi paxaito , Si figgesse in cuore ; e contraffattolo : Trafiggesse il petto al nimico. = Per questo bellissimo tratto sovr' Achille, a uno altro ci corre la mente , che puossegli appajar bene a maraviglia : truovalo nella ultima Istmica là do- ve , in cantando del Pelide , ti dice il Borghi : « Ei 5i3 ponte alla germana — Coppia di Regi li ridusse al re- gno » : Ma di vero se il ponte pur era Achille , spento lui , ed il ponte era altresì rotto in quella , cosicché gli Atrldi rimarrebbero a tornarci ancora adesso. Quant' è a Pindaro , e' ce la narra altramenti ; Egli dice , che l' Eroe fabbricò agli Atridi un ponte al ritorno , si- gnificando mirabilmente , che senza i gesti fortissimi d'Achille, ond'egli aflfranse le posse di Troja , fatto era pe' Greci , né avrebbono mai più riveduto la pa- tria loro. Attendi poi qua : Pindaro dopo avere accen- nato ad Ettore , a Memnone , e agli altri Campioni Trojaui spenti dall' Eroe , seguita : « A' quai la ma- gion di Proserpina segnando Achille , il custode degli Eacidi , Egìna e la propria stirpe illuminò : Lui poi neppur morto abbandonarono i carmi »; Nel qual tratto di vero sublime , a mostrare come si ajutino 1' un 1' al- tro quello additare tremendo , e questo Achille si minaccioso , non è bisogno di altre parole ; il perchè due cosiffatte pennellate dovea il traduttore serbarci : Ma egli ha tolto via l'Achille j e 1' attitudine fierissi- ma datagli dal Lirico ha cosi avviluppata , e caricando forte gli altri colori , oscuratola , eh' ella più non vive né salta agli occhi. Dipoi il venirci innanzi raccolto ia una sola veduta lo sterminar che fa 1' Eroe i nimlci da una banda, e lo illustrar sua gente dall'altra, è ìmagine poderosissima , la quale ha il Borghi , smem- brandola , e le parti scostandone « disanimata. Alla fine 1' ammirabil senso di fedele amicizia e di vera verso gli Eroi, che Pindaro attribuisce a' carmi in quelle bellissime parole, « non l'abbandonarono neppur mor- to » , è ben altra cosa dal dire : « Né fatto preda delle Parche infide — Fama non ebbe dall' Aonia tromba ». E qui sarebbe ad aggiugnere eh' egli non è già man- tenerci le native forme dell' Autore , rendendo il nep- pur morto del testo con tutto il verso delle Parche preallegato : o quest' altro , e disciols* Elena , con due versi , cosi : « E alla bella Spartana — Disciolse i lacci del servaggio indegno » ; o 1' unico vocabolo , illuminò , 5i4 ovver chiarificò , con tutto quel verso , « Per sovrano splendor rifulger vide » , che dice forse un poco di meno. Eziandio ne' due altri , « Degli Eacidì Eroi t— Così V invitto prence, il ^er Pelide", taluno sentirà pur alquanto di puerilità. Ma egli più ci diletta recar qui gli ultimi tre versi di questa medesima stanza , perdi' essi son veramente fedeli e belli : « Si dunque all' alme Dee — In guardia i Numi diero , — Benché già spento, l' immortai guerriero». — Ora ritrovata da capo la Nemea 3.* , notisi colà dove si parla della navigazion d' Ercole , la conclusione risolutissima , E terra mostrò ; al qual tratto così qual è superbo e av- ventato troppo bene attaccasi immantinente l' agrezza della riprensione già per noi recata , che lo rintuzza ; ce Cuore , a che strania punta dlsvii tu mio navigare ? ». Ciò posto altri vegga nelle stanze 5.* e 6." del volga- rizzamento , e giudicherà , speriamo , con noi , che i versi vi son buoni , ma spuntata la forza dell' originale. : — Alla stanza i/^.'' ha il Borghi come segue : « Grido s' acquista eterno — Il vincitor frattanto , — E cresce Egina delle Muse al canto » : E Pindaro : « Fa- cendo risonare ( parla dell' inno da' giovani Egineti intonato ) la Patria gioja. L' acclamazione per certo ha suo decoro col vincitore Aristoclide , il quale a questa Isola crebbe inclita fama , e splendide meditazioni al venerabil Tearione del Pltio Dio » ; ( o sì : « E a quello per isplendide meditazioni venerabil Tearione del Pitio Dio ».) 11 Signor Borghi ha tolto via il bel- lissimo dinominarsi gioja della patria la vittoria del suo cittadino ; dipoi la presenza in luogo del Lirico j ancora il pensiero non meu prudente che generoso , con che mostra Pindaro essere perciò degno d' applausi il vincitore , perdi' egli ha illustrato la natia terra ; da ultimo tutto quel che si tocca del Tearione d' Apollo iu Egina, il qual luogo per essere cosa erudita , e per- tenente a una rellgion patria d' Aristoclide , non voleasi a verun conto intralasciare- — Peggior guasto ancora s' è fatto , presso alla fin dell' Ode , d' uno altro ve- 5i5 ramente divino squarcio : Veggasi : « Salve , amico , Io questo li mando eh' è mele immischiato con bianco latte, e v' è la infusione d'una rugiada, onde tutto si condisce il celebre beveraggio nell' Eolico spirare de' flauti ,• — tardi si : ma è 1' aquila il più rapido intra' volatili ,• la qual bassi in un subito ghermita , dalla lun- ga spiandola cupidamente , sanguinenta la preda intra' pie « . Or chi può perdonare al Sig. Borghi , eh"" e' ci abbia cambiato in versi rugiadosi e aspersi di latte e mele quel maraviglioso beveraggio e celeste rugiada ? perchè tirar a mezzo i versi dove all' Autore non è piaciuto nominar versi ? perchè dove Pindaro liensi tutto al favellare traslato , ed il Borghi voler pure tra- boccar nel proprio , e la mirabile traslazione ridurre agli aggiunti ? Così la preziosa coppa è riversata in terra , e non ce n' è dato a gustare neppure un sorso. Dipoi quel tardi ( opséper ) si secco e brusco s' è ram- mollito in un tardi cantai. Alla fine s' è messo mano a spennacchiare , il peggio che si potesse , quell' aquila poderosa ,• perciocché dalla più rapida intra' volatili eli' è divenuta a un' illustre ; e dall' azione fulminea dello spiare dalla lunga , e aver già la preda ghermita e sanguinenta intra' pie , ad un desio d' insanguinar V artiglio su nobil preda dall' eteree piagge : più ancora , che truovasi ella angustiata dal traduttore in una molto modesta similitudine , dovechè il Lirico le avea lasciata tutta libera e sgombra l' aria , e sé me- desimo nascoso in lei. Per tal guisa, oltre all'esser da capo sciolta 1' allegoria , si anco sviene la fierezza , fal- lisce il colpo. Vedi in Pindaro j Tardi j ma e V aqui- la ec. Vedi nel Borghi : Tardi cantai , ma nondimen simiglio aquila ec. } dov' è più di quell' impeto ? — Rechiamo per ultimo un tratto , con che si conchiude r ottava Pitia , di tanto formidabile sublimità , che per poco ninno altro a suo paraggio sapremmo al mondo. Ammoniva il Poeta con autorità e libertà , da uno ve- ramente inspirato , l' Eroe dell' Inno , guardasse al su- bitano ascendere e traboccare che fanno gli uomini, 5i6 uè si scordasse dell' umana fragilità : al che seguita , e prorompe : « Efimeri ! eh' è egli uno ? oh' è egli veruno ? Sogno d' ombra ( skiàs ) i mortali. Ma quando luce diodata discenda , splendidamente irraggiano gli uomi- ni , e soave è la vita. Egina , ( Dea ) cara madre , al tuo libero popolo mantieni questa città , tu con Gio- ve, ed Eaco Re, con Peleo , con l' ottimo Telamone , ed Achille «.Osserva, lettore, che dove pogniamo , chi è egli uno ? eh' è egli niuno ? s' è per noi voluto rendere , tanto quanto si potesse , alla lettera il tre- mendo Ti de tis ? ti d' ùtis ? del Greco : Del rima- nente il senso vien poi a dir così : « Ch' è egli il so- no ? eh' è egli il non sono ? Oppure , eh' è egli dal nostro essere al niente ? » . Ora chi desidera vedere la versione del Sig. Borghi , ecco , che senza farci sopra né un motto noi , gliela trascriviamo. « Nati , cader bisogna. — Che siam noi dunque , o che non siam ? Leggiero — Veder d' ombra che sogna. — Ma se mai sovruman raggio u' è dato — Dal fulminante Padre , — Bello è r uman fulgore , e il viver grato. — Deh versa ogni tesoro — Su queste , Egina mia , libere squadre ; — E liete ore tranquille — Giove , Eaco , Peléo tessan per loro , — E Telamone , e Achille » . Infino a questo segno era pur nostro intendimento dare un buon saggio della felice audacia , della risolu- zione , della possanza , ed evidenza pindarica j ma qui ci vengono considerate delle virtù innumerevoli oltre alle dette : infra le altre la stupendissima sublimità ; e ad ora ad ora un fiorirsi di dilicatezza e cari vezzi inimitabili j talvolta dell' una cosa con 1' altra , del vez- zoso cioè col sublime un artificiosissimo mescolamento : oltre a ciò i portamenti superbi e generosi ; concisione con magnificenza j parsimonia con sufficienza ed effica- cia : il venir fitto e grosso con immagini , circostanze , concetti , e sentenze conglobate e aggomitolate insieme si fieramente , eh' è tutto un urto ed un colpo con che egli schiaccia. E quanto è maravigliosa la collocazione eh' e' sa dare a' pensieri e a' vocaboli , cosicch' egli e7) ^ ^ ~ ■ ^ /;> ^^.'-^ f i/y^/'j^ r/^^^ .^A* r^r2à^e^ éfy^J^ /yy2^/è y/^ ^^'* ^«^y^^ r^/ay^^ /f/Jy? P^yyy^u/',^. J^^ ^y^^ .y^ -,, c/e i in ^ ^e/i^^ ^^^/^ ^.^^^1 '^/'^^yo/''^^^^ / '^ / "^ ^ a^^Zf^rr^ «-^/«ry^ /lef^^/tM^t ' e ^^ * ^c<^yg^ C:, c^ aH' iJf. Il Greco : « Hadymeleì th' ama men phor- minghi , pamphonoisi t' ea entesin aylón m. E il Bor- ghi : ce Or molle tibia, or cetra alto risuona — Di Pindo in sulle alture ». Vana cosa sarebbe qui far pa- ragone dell' armonia : Osserveremo in quella vece cosi alla sfuggita e l' acconcissimo aggiunto , pamphonoisi , a-tutte-voci , intralascialo j e sopraggiuntevi le alture del Pindo , siccome in cento altri luoghi Ascra ed Ascreo , e Pimpìeo e colali altre coselline , le quali pur accollano all' Autore un' indole di parlar poetico che non è sua j di più il risuona , e altrettali parranno forse a tr^luno modi poco poetici , e il rinnuovar eh' oc- corre piìl innanzi e il ruotando eh' abbiam notato di sopra non li diremo né anche prosalci j e il Diagora di tre sillabe che trovasi alla decima quinta stanza, mai non sarà da' più severi orecchi approvato. Ma troppo e di troppe cose ci siam dilungati in fa- vellando j e quasi non ci riman luogo a trattare una parte di grandissimo rilievo , se non è toccandola cosi a fretta e a fuggi fuggi ; di che forte ci duole j per- ciocché , ove pur in questa avesse il volgarizzatore col- pito al segno , di leggieri ci si farebbe perdonare cento altre colpe. Questa è la composizione , e a cosi dire , la totale andatura che dà il Greco Lirico all' odi sue : e primamente , quant' è al metro , Pindaro il forma di spartimenti , o stanze , come le diciam noi , lunghe anzi chs no , mirabilmente varie ne' versi loro ; e questi spartimenti , seguitando Steslcoro , ordina pressoché in tulle l'odi , a tre a tre , cosi che i due primi si con- facciano , e vadano appajati egualmente, i quali s'ap- pellano , come ciascuno mezzanamente erudito sa , strofa ed antistrola , e il terzo eh' ha nome Epodo , come a dire sopra-canto , esca fuori in tutto dai due diverso. Quinci nasce che per la molliplice varietà de' versi gli uni dagli altri , e dell' Epodo dall' antislrofa che precede p della strofa che slegue dall' Epodo , scossi e risvegliati 52^ gli orecchi ;id ogni tratto, non lasciano altresì all' animo prender sonno. Ancora ne viene a riuscir tutta l' ode ad un corpo bellissimo , e con una composizione e uno scompartimento di grandi e piccole membra maravi- glioso , dove i sopraddetti Tcrnarj sono come le parti grandi di tutto '1 corpo , e queste si articolano e si pie- gano ne' tre spartimenti , onde sono formate , e cjuesti ne' loro versi ; al che aggiunge Pindaro , eh' egli i versi stessi quasi dispregia e non vi bada , rappiccando- gli insieme , e facendoli come sparire dentro a certi membretti di liberissima melodia , ne' quali stampa le immagini sue, e sì vi racchiude tutto il buono del me- tro in una prosa sciolta e divina. Intanto e' non ci dà riposo da un verso all'altro , ma ci costrlgne a correre pur innanzi j e più , rattaccando sempre 11 discorso , o lanciandosi oltre violentemente , ci precipita senza re- spiro di cosa in cosa ; rattacca e ci precipita in simil guisa dalla strofa all' antlstrofa , e dall' antlstrofa all'E- podo , e non di rado dall' Epodo nella strofa seguente , il tutto con una impazienza , un fervore ed un impeto cosiflatto , che investitone 1' animo del leggitore , e di- venutone mobilissimo , e operosissimo , di buona voglia rapir si lascia e s'accelera egli medesimo laddove quel furore e quella possanza il trasportano , infinchè ab- bandonatone , rimansi di cotanta agitazione quasi sba- lordito e spaventato. Questo ò lo straripato torrente che •vedea , e di che sbigottivasi Orazio leggendo Pindaro j od è anzi una meteora turbinosa , che incitatasi al mo- vimento diviene ad ogni tratto più grossa e insuperabile. Questa maniera di poetare libera e impetuosa, che se- condo le cose da principio discorse , tanto s'affa con l'estro e la imaginativa di Pindaro , si voleva studiosa- mente tenere volgarizzandolo : nò ciò ha potuto conse- guire il signor Borghi colle stanze formale modestamente d endecasillabi e settenarj ; colle pause composte e re- golate 5 col bell'oi-dine e la dolcezza delle rime ravvi- cinate e molli , le quali alloi-a solo potevano avere al- cun pregio in un Lirico di laJ fatta , quando o fosser 525 tenute discoste per indurre grandezza , o addensate in congerie per arrecare turbamento e tempesta nell'anno- nia. Peggio poi s' è tante volle inchinata l'altezza e l'or- goglio Tebano alla umiltà de' metri anacreontici (i) , li quali nò al sublime volendosi acconciare , né il brio e la leggerezza ch'essi amano e cercano ritrovando , si ne prendono un' aria contratta e disagiata , che a chi legge ne pena il cuore. Del qual difetto , se* si concede di spiccare un volo anche a noi , e' ci pare che pec- chino alquanto le pivi nobili liriche d'uno illustre in- gegno di Lombardia ; perciocch' elle , aNTCgnachè Pin- dariche non sieno , pur levandosi maravigliosamente al sublime , addivien poi , e per molte cagioni , che qui si tacciono , e per questa ancora de' metri , ch'elle ten- gano un non so che di stirato in sé , onde non fini- scono d'appagare per una parte , colà appunto , dove per l'altra son più mirabili ; e , se n' è lecito , noi di que- sto valentuomo , che avea sollevato grandi speranze si in poesia e si iu istoria , dolghiamci che troppo aper- tamente mostrandosi disdegnoso e non curante della pa- tria letteratura assai più là di quello che oggimai fac- ciano gli stranieri , quasi n'offenda e aspreggine tutta Italia che avealo carissimo , ed egli altresì non signoreggi la favella in che scrive ,- nel mentre stesso che traspor- tando tutto l'affetto di là da monti e da mari , non isdegna piegar sotto al gravoso carico delle novità Te- desche e Scozzesi il nobilissimo ingegno suo. Ma di ciò basti j e rimettendoci in via , perchè non poteva egli un traduttore di Pindaro valersi della moltiplice varietà de' versi Italiani , dal quadrisillabo all' endeca- (i) Taluno stupliassi per avventura clie noi non abbiamo fatto motto, né tacciamo, della ode famosa ad Arcesilao Duca di Cirene , traslatata dal Borgliì in ottava rima. Ma 1' esser quella in ottave si è la ragione appunto del trapassarla ; perciocché nostro inlendinienlo pur era discorrere d' un poeta lirico, e che tutto lirico fosse s\ quanto alla sostanza dentro, sì quanto alle forme di fuori. 526 sillabo . insieme con bello artifizio mescolandoli , e com- ponendoli ? Perchè quasi dare il bando all' agilitk e scor- revolezza degli sdruccioli nella prima metà dell' opera , e nell'altra non ajutarsene certo con quella vivacità , fierezza , e baldanza che conveniva ? Perchè non valersi anche talora de' versi tronchi , non già nelle soavi stro- fetle , ma bruscamente bensì a senso interrotto , in mezzo alle stanze membrute e grandi ? Alcun poco di tali ardimenti nel metro della Pitia 3.^ , leggermente veder si può quanto le arrechi del pellegrino , quanto la faccia venire innanzi svegliata e snella. Dipoi non si potevan elle diversificar le stanze l"" une dall'altre ? Oltracciò vìe maggiormente sospignersi e accelerarsi , se non dimezzando , a guisa che fa Pindaro , alla fin di verso i vocaboli ( in che però non era impossibile con più rado , e temperato uso imitarlo ) ma si almeno in un colai metro mezzo ditirambico , quale l'abbiam proposto , rannodando e serrando il verso , e i concetti, e giù conglobati , e frementi avvolgendoli , e con quella vorticosa piena da una stanza nell'altra riboccando , de- rivar così nel Pindaro Italiano dalla natia sorgente di quella sua rapinosa celerilà ? — Per le quali cose , e per tutte l'altre già prima da noi discorse , rimaiji , quanto ci pare, chiarito assai, che nella traduzione del signor Borghi non sono i proprj e spiccati sembianti , i linea- menti foni , l'indole , e i portamenti del Tebano lirico mantenuti. — Tuttavia non iutendlam mainò disgradarne il lavoro d'un casto intelletto e gentile, né quasi gar- rire al pubblico del favore accordatogli , che anzi noi medesimi , consideratolo di per sé , con verissimo amore il raccomandiamo. E comechè siamci sovente rassegnati ad esser meno briosi e dilettevoli per non offendere , nientedimeno , quando e' paresse che pur d'alcuna pa- roluzza intra '1 fervore del ragionamento fossimo tra- scorsi , noi non vogliamla aver detta , e preghiamo in fin da ora , siccome cortese , il signor Borghi ad aver- cene per iscusati e innocenti : imperciocché , se si ci sentiamo un bisogno qual siasi di dire il senso nostro $2^ tal qual è liberamente e un po' rozzamente , egli è al" tresì del nostro costume , ninno né mordere uè svil" laneggiare , e i colti ingegni ed ornati di virtù e di let" tere riverire. Ma sia qua fine una volta ; e per buon suggello vagliano ad encomio del signor Luigi Borghi , e , se altri noi ci rechi a superbia , pure un cotal poco a conforto nostro , le ultime parole con che V inimortal Periodo delle odi Pindariche si conclude : Pindaro: — « Sua giovinezza non egli domò, senza gusto Del bello , racchiusa in tana m. — Borghi : — « Che , ascoso in fresca etate , Digiuno non langui d'opre onorate ». 5a8 Analisi di un articolo sopra una Letteratura europea inserito nel n. 107-108 dell' Antolo- gia; e in generale del Romanticismo. Ridicolo person.iggio è la Scimia , e le romantiche piii che le allre Fos'joLO IH Dante. ( Articolo comunicato. ) ( V Fascicolo precedente.) Ovelati senza altro riguardo i doveri, e le incum- benze della nuova letteratura , 1' A. prende a esaminare, se nell' epoca attuale ci troviamo esposti all' influsso di tali cause che ci spronino per vie non diverse ad una medesima meta , afEnchè tutti gli scrittori dallo stretto di Beheriog a quello di Messina possano pensare, e scrivere in cadenza. E qui per chiarire la situazione attuale di Europa l' A. comincia niente me- no che da' tempi eroici , mentre i popoli fluttuanti tra la ferocia dell' isolamento , dal quale uscivano , e le nuove relazioni , vivevano a congreghe. A qiiest' epoca egli riporta i poeti gnomici della Grecia. Si scorge da ciò , che r erudizione del nostro A. , per servirmi di un suo bel modo di dire , cammina sempre su due linee paralelle colla sua lingua, e colla sua logica. Eccone nuove prove : La Grecia isolata dal mare , 0 recinta dalle montagne , sicura dalle irruzioni straniere , nu- drice di una schiatta d' uomini libera , e vigorosa , potè raccogliere i semi della letteratura orientale e fecondarli . ... Lo scrittore di questa nazione , segue l' A. , guardò la terra che egli calcava , e ne trasse la sostanza , guardò il cielo che gli sorrideva d' in- torno , e ne derivò i colori , e le forme. Ma caro il nostro scrittore europeo , qui vi battete a doppio la scure sopra i piedi. Poe' anzi per voi 1' influenza del clima era nulla, ed ora il clima è tutto: salvo però che il clima de' Romantici sia clima senza terra , e sen- za cielo. Per le stesse ragioni diremo anche noi degli scrittori boreali , che non ebbero modelli classici sotto gli occhi, ed Ossian verrebbe mirabilmente a conforto de' nostri detti : Guardò la neve , e i diacci che cal- cava , e ne trasse la sostanza j vide la rupe che minac- ciosa gli sovrastava, udi i venti che gli fischiavano intorno , e ne dedusse i colori , e le forme. Oh bella ! e perchè a noi Italiani non ci sarà concesso aver oc- chi per vedere il cielo , che del pari che a' Greci ci sorride d'intorno; non orecchi per udire il ruscelletto che mormora , e l' aura che suavemenle sospira , e do- vremo in cambio trarre la sostanza , e i colori dal cielo nebbioso che non vediamo, o dallo scroscio ro- vinoso de' torrenti boreali , che non feriscono i nostri orecchi ! Ma lasciam parlare 1' A. , che è una gioia 1' udirlo in quel suo stile sesquipedale , e in una lingua tutta nuo- va per noi, che forse prelude a quella letteratura eu- ropea, giacché d'italiano appena serba il sentore. La Grecia non potè reggersi sola a fianco del mondo Romano , che aveva per apice il Campidoglio , e per base tutto il mezzodì dell' Europa. Caduta la Grecia , r Oriente si confuse coli' Occidente. Se non che la potenza romana avendo accumunato la sua lingua , e le sue istituzioni a' popoli della Gallia e del Settentrio- ne , poco mancò che la Tramontana ( seguitiamo lo stde dell' A. ) non si confondesse col Sirocco , e fino da quell'epoca avessimo la tanto bramata letteratura europea. Infatti in quel torno di tempo si destarono i germi di queW eccletismo destinato ad essere uno de caratteri del mondo europeo ; germi che sarebbe- ro stati condntti a svolgimento, se prima una sospet- tosa tirranide , un giogo militare dappoi , non avesse vietato agli intelletti romani una letteratura libera, e nazionale. Quindi non potendo riuscire popolare , 53o sì gettò nelle vie della imitazione servile .... tutto fuorché la lingua tolse da' Greci. . . . straniera , isola- ta essa brillò d' una luce non sua , benché in Virgilio quella tinta di melanconia , onde egli sparge i suoi versi , sembri figlia di una meditazione sugli umani destini. La corda insomma del cuore e tocca piìi spesso , e tu senti che un passo si e mosso verso la rivelazione dell' uomo interno , e il primo saggio di questa rivelazione fu data dal cristianesimo. Più si va innanzi in questa scrittura , pivi bisogna in- gozzarne delle nuove. Chi osò mai asserire che i Ro- mani non ebbero una letteratura nazionale ? Nemmeno in Livio che eoa tanto amor patrio compilò la storia di quella nazione dalla sua origine fino a' tempi di Au- gusto ? Nemmeno in Sallustio , che con mano maestra ne ritrasse alcuni grandi avvenimenti che preludettero alla sua decadenza ? Nemmeno in Tacito che , da quel sommo politico che egli era , tratteggiò il trapasso di quella repubblica al governo monarchico ; e sotto lunga serie d' imperatori liberamente espresse gli ultimi respiri della romana libertà ? È non parlò liberi sensi , e veramente romani un Cicerone , nel quale il nostro dotto Romantico nulla trova dalla lingua in fuori che non sia greco ; forse per la ragione che vi fu in Gre- cia un oratore al pari di lui illustre nel patrocinio delle cause private , e nel maneggio de' pubblici af- fari, e che ebbe a combattere colla sua eloquenza un Filippo , come il Romano ebbe a combattere un M. Antonio ? E non sono schiettamente romane le commedie di Plauto , e romani de' suoi tempi i sog- getti che vi figurano ? E non ebbero a loro tempi ro- mana cittadinanza le commedie di Terenzio , e come tali tanto applaudite e gustate da quel popolo sdegnoso , cui tuttd sapeva di barbaro , che romano non fosse ; benché spesso quel poeta dal greco teatro traesse il V soggetto , e ne seguisse le norme ? E tutto è nazionale in Virgilio ossia che nelle Bucoliche introduca i pastori che in loro linguaggio si lagnino delle guerre civili 53i che disertarono i loro campi , e si abbandonino alle speranze di un' era più felice j ossia che nelle Georgi- che ci ritragga con colori impareggiabili le campagne del Lazio , e descriva gli agresti lavori di que' tempi : e spira da un capo all' altro amor di patria quell' Eneide destinata a derivare da illustre ceppo la gente romana , e a pascere la mente del gran popolo d' il- lustri rimembranze. Certo è che non ebbe mai Virgi- lio alle mani chi osò vedere in quella mente casta , e come si diceva a' suoi tempi inrginea , il romantico pensieroso sul destino de' popoli ; egli che nemico de' maneggi , e de' rumori della capitale del mondo , pas- sava i suoi giorni dove la natura più lieta o più mae- stosa parlava alla sua immaginazione. Ivi tutto intento a indagare 1' origine delle cose . ... non res romance , perituraque regna giunsero mai a turbare quella mente divina. Ma se 1' abbia in pace quel sommo Poeta : nelle ma- ni del nostro A. ha anch' egli la sua tacca di Roman- tico. E tanto più che la letteratura europea dee a luì tÌÌ primo passo verso la rivelazione dell' uomo interno , che fu poscia meglio dichiarata dal cristianesimo. Ma dì grazia , che razza di essere è egli mai quest' uomo inter- no , di cui il cristianesimo divide la scoperta col poeta gentile ? Sappiam bene che dal cristianesimo che abolì r idolatria , traggono tanto peso ì Romantici , che le loro viscere cristianissime bollono di santo sdegno , sol che sentano Giove armato di fulmini , o Eolo do- minatore de' venti. Noi a dir vero , per cristiani che siamo , non ci sentiamo presi da tanto zelo ; anzi por- tiamo ferma opinione , che gli austeri dogmi , e le strette credenze della nostra Religione , non possano essere abbandonate alla immaginazione de' Poeti , sen- za che questa o ne resti inceppata e sopraffatta , o tra- scorra irriverente e senza legge in un campo dove lutto dee rimanersi intatto , e illibato. La religione dunque della immaginazione , che non è quella del cuore , per noi seguiterà ad esser quella che ispirò tanti bei versi 532 al cantore dell'Eneide Intanto aspetteremo che ci sia data la definizione del suo uomo interno per rivolgere a prò della poesia , questa nuova sorgente di bellezza. In queste vicende politiche , cosi prosieguo il nostro A., la lotta che aveva dianzi posto a contatto l'Oriente colf Occidente (siamo sempre coli' Orizzonte in guerra) si rinnovellò tra il nord , e il mezzodì. Il mezzodì succombette , e la tramontana s' impadronì di Roma che cadde destituita dalle antiche credenze. . . . onde il sole della civiltà parve spento , e il mondo euro- peo ricaduto per sempre nel bujo. Però mentre i monumenti delle lettere , e delle scienze neW impe- ro si struggeano , o si condannavano a' chiostri. . . sulle rovine d' Italia errava una gigantesca poten- za. ... e un raggio de" tempi che più non erano , rompeva il bujo che la fasciava. Nulladimeno qualche fascia di questo bujo V A. conviene che fu squarciata dagli stessi Longobardi , che fondarono in Italia un re- gno , che contiene i primi germi del governo rappre- sentativo. E doveva aggiungere , che qualche raggio di luce sorti ben anche dalla galera de' chiostri j mi si conceda questa frase che so bene essere ingiuriosa ; ma non altrimenti si sarebbe espresso 1' A. per essere in coerenza con quel suo condannare a' chiostri. Tra 1' influenza del governo longobardo , e i generosi sen- timenti della cavalleria , di qualche passo si sarebbe avanzata la civiltà , se non che l' istituzione civile fatta istituzione religiosa , essa degenerò in fanati- smo , intolleranza , ferocia. Quindi 1' epoca delle Cro- ciate , epoca in cui alla voce di un eremita l' Occi- dente intero ( segue la guerra dell' orizzonte ) si levò in armi , e si rovesciò sulV Oriente : epoca feconda d' iniquità , ma seme e principio della universale ressurrezione. Pertanto dal giorno del giudizio prende le mosse il moderno incivilimento. Quindi la memo- randa lega lombarda ; la lega anseatica ; In magna caria accordata poco prima all' InghiUerra j la Hbortà racqui- stala dalla Svizzera. La letteratura seguitò tanti prò- 533 gl'essi ; gì' ingegni italiani . ... si lasciarono addietro V Europa ! ( in qual parte del mondo avremo noi a cercarli ? ) L' onnipotenza della natura si trasfase in Dante ( la natura diventa Ghiljcllina ). V amore , quel sentimento che sta tra il cielo e la terra ( anche 1' amore nelle nuvole ? ) svelò i suoi misteri a Petrarca. Compi 1' opera l' invenzione della stampa , die dovea recare da un Polo all' altro la parola della verità ( perchè non anche dell' errore ? ). Le divisioni furon vinte ( talvolta rinforzate ) j le differenze appianate ( e molte sollevate ) ; i millioni si strinsero di un vincolo indissolubile. ( La riforma sopra tutto parve creare in quella epoca una insuparabile differenza Ira il Nord , e il Mezzodì. Il nostro A. però , per quan- to dia alle istituzioni , non crede che realmente ella esercitasse grandi effetti j benché il Nord , che era necessariamente rimasto addietro fino a quell' epo- ca , ne sorgesse a nuova vita , mentre nel Mezzodì gli scrittori condannati a immiserire tra le inezie , si rivolsero a conseguire eccellenza di forme , e ve- nustà di linguaggio ; onde uscirono i secoli forse troppo venerati di Carlo V , di Leon X , di Lodo- vico XI V^ , ed ecco in mezzo a questo andare e venire della Tramontana col Mezzodì , e del cozzare del Le- vante col Ponente , dichiarati dall' A. miseri , e inetti i più grandi scrittori che pel consenso di tutti i dotti hanno dato un secol d' oro alle più colte nazioni di Europa. E saranno queste disposte a ricevere siffatta sentenza dal nósti'o Aristarco ? Ma più di tutto affrettò 1' epoca bramata della lette- ratura europea V apparizione di un Gigante che stese im braccio sul Nord, mentre aggravava V altro sul Mezzodì , e minacciò di soffocare nel suo nascere la tendenza europea. Quindi sorse quella bella unione di effetti e di scopo , quella mirabile concordia ne' pro- gressi intellettuali di tutta Europa, Havvi dunque , conchiude 1' A. , una concordia di bisogni , un comune pensiero, un'anima universale, che^ avvia le nazioni per sentieri diversi alla medesima meta. i i 534 Dunque la letteratura , quando non voglia con- dannarsi alle inezie , dovrà inviscerarsi in questa tendenza , esprimerla, aiutarla, dirigerla, dovrà farsi europea. Infatuato di questo fantasima 1' A. , e poco contento dell' accoglienza , che 1' Europa colta fa alle nove dot- trine de' suoi colleglli , mosso a sdegno prorompe in questi detti : .Perchè dunque V intollerante malignità , e la mediocrità inoperosa si ostina in Italia a con- tristare gì' ingegni che tentano farsi interpreti di un voto europeo ! Veramente caro il nostro scrittore europeo , ci duole assai che la prendiate sul serio. La- sciando stare per ora che , se il voto fosse europeo , ridicolo sarebbe cercarne l' interprete : Diteci di grazia , dalla parte di chi sono i contristatori ? Sarem forse noi , che seguitiamo tranquillamente ad aver per buono nelle lettere , ciocché tutti gli uomini dotti di Europa , pel lungo volger d' anni , e le sane regole della critica , hanno riconosciuto per veri modelli del Bello ; o bensi voi che da nuli' altro sostenuti , che da clamori di pochi che nulla sentono , nulla sanno , nulla conoscono dalla loro nullità in fuori , venite a sturbarci In un culto sanzionato dal tempo , dall' autorità , dalla ragione ; cousagrato dall' amore nazionale ? e non manca da voi 1' accorarci , se vi prestassimo orecchio , col continuo intronarci , che la letteratura italiana dee essere ringio- vinita, e che bisogna ritemprarne lo stile negli scrit- tori boreali ; mentre palpitano ancora le viscere di un Monti , di un Foscolo , di un Pindemonti , mentre scrive un Botta , un Niccolini , un Arici ? E ben male sentireste di noi , se vi deste a credere , che la venerazione , che professiamo grandissima pe' nostri scrittori , scemasse punto in noi quell' alta stima , in cui schiettamente tenghiamo la letteratura germanica. Chi con miglior successo de' dotti di quella colta na- zione ha adoperato a risarcire dalle ingiurie del tempo gli antichi scrittori , al punto che si direbbe , che con essi siano vissuti , e abbiano conversato ', tanto netta- 535 mente ne hanno colto il senso , tutte repristlnandone le natie loro bellezze J Ed è quest' aurea vena , rivolta per cura di quegl' illustri eruditi nel campo della let- teratura germanica , che scorre negli scritti di Wieland , di Lessing , e di quelli stessi Schiller, e Goethe , che avete sempre in bocca , e che forse non avete mai non dirò gustato , ma fiutalo nemmeno , se non avete in essi sentito il sapore d' antico. E se fosse stato in Voi senno per meditare , e conoscere la influenza che la lingua esercita sullo scrittore , avreste inteso perchè qùe' loro scritti non hanno , in quanto allo stile , si schiette vestite le forme antiche ; che la sintassi , il suono delle voci , il loro accozzamento in quella lingua originale noi consente. E fu cólpa della vostra leggerezza se spac- ciaste per servili imitazioni quelle stesse produzioni , nelle quali i nostri , essendosi incontrati cogli antichi , nel trattare gli stessi soggetti, tutto trassero dalla pro- pria imaginazione , e dalla propria lingua per ripro- durll ugualmente belli , ma non meno originali. Era ben questo il caso di riflettere , che lo stesso pensiero concepito da mente greca , o latina , o italiana , può es- sere espresso e colorito con queste tre lingue , che han- no origine , sintassi , armoniche desinenze in comune , senza che 1' originale disegno ne resti alterato. Ma so- pra questa materia soverchio sarebbe 1' intrattenerci con voi. Ci contentiamo per ora di averne quel tanto pro- dotto che basta a dimostrare , ohe per tanto tempo du- reranno questi caratteri di differenza tra le letterature di nazioni diverse, per quanto sarà diversa la lingua che parlano ; e che per conseguenza la vostra letteratura europea è un sogno , una chimera j quando non si vo- glia di tutti gli stili , di tutte le lingue fare un im- bratto , di cui la vostra maniera di scrivere sarebbe il modello. Del rimanente abbiamo anche noi la nostra lettera- tura europea , e tenghiamo pur noi alla influenza che questa dallo stato di civiltà riceve e ad essa a vicenda comunica. Ed è certo il più solenne documento e 536 r epoca più gloriosa della civiltà europea quella , ove tanti chiarissimi ingegni , correndo di concerto per lo stesso sentiero del bello , avendo a mira gli stessi mo- delli , tutti militando sotto lo stendardo della sana cri- tica , da nuli' altro divisi che dalla lingua , fondano , e vestono di patrie sembianze una letteratura veramente ' europea , ne' fasti della quale ogni nazione di questa bella parte del globo vede registrati i nomi de' suoi prodi. In questo nobile aringo riportarono fama di scrittori europei quegli uomini sommi , che de' loro scritti immortali arricchirono il tesoro della nostra lin- sua. Calcando lo stesso sentiero la gioventù italiana , confortata dalle gloriose traccie che in esso segnarono i nostri , e ispirata da un cielo , e da un suolo ove tutto parla all' immaginazione , e al cuore , riporteranno da questo illustre Areopago europeo quelle palme olimpi- che , che formeranno sempre il più beli' ornamen to d' Italia e=s e la vostra disperazione. k. b. 537 Biogì'afia Medica Piemontese. Torino, Bianco 1824? e 1828, voi. 2. in 8.' S blto il nome di Biografia Medica Piemontese s' intendono le notizie della vita e degli scritti de' Me- dici e Chirurghi degli antichi R, Dominj dell' Augusta Casa di Savoja. Ma il Signor Dottore Giangiacomo Bo- nino , egregio autore della Biografia, ha pur voluto dar luogo in essa ad alcuni scrittori del Genovesato , come Vico , Marassi ec. Di sì fatta mescolanza non possiamo lodarlo; perchè o dovea comprendere nel suo lavoro tutti gli attuali Dominj Sardi, o ragion chiedeva che all' opera sua stabilisse un determinato confine. Sem- bra eh' egli medesimo siasi avveduto di questo disordine geografico , promettendo a pag. 697 del voi. 2, « un « supplimento nel quale saranno anche le notizie de' « Medici Liguri e Sardi. » Che se il dottore Bonino non voleva parlare de' Liguri ce persuaso che il Prof. « Mongiardinl, avendogli egli stesso annunziato l'opera « incominciata , porgerà agli studiosi quell' ampia messe « di cognizioni intorno ai medici Liguri , che il Bonino « nato dall' altra parte degli Apennini , non avrebbe « potuto con eguale dovizia uè con pari dignità ed ele- « ganza trattare » ( voi. L pag. XXL ) , non vedo ragione di mutare quel primo divisamento , essendo pur vivo e fiorente , la Dio mercè , il dotto prof. Mongiar- diui. Ma di questo non più ; parliamo dell' opera. • Nobil principio al primo volume è una lezione Ac- demica di S. E. il Conte Prospero Balbo intorno alla storia della Università di Torino. Aveasi già questa bella dissertazione nelle memorie della R. Accademia di Torino ( voi. 29 ) ; ma non essendo quella volumi- nosa e pregiatissima collezione a mano di tutti , otti- mamente pensò il nostro Autore di collocarla , quasi fondamento del imovo edifizio, I leggitori del nostro 538 Giornale vedranno con piacere alcuni pensieri del dot- tissimo Conte Balbo: ce Lodovico di Savoja luogotenente generale di Amedeo suo padre , fra i privilegi che concesse ( alV Università nel i436 ), stabili che si dovessero condurre lettori celebri con onorar) ba- stanti a torli dal bisogno di applicarsi alla pratica delle loro professioni . . Sul principio del sec. XVII. incominciò in Piemonte ad alterarsi il buon gusto , ed ogni maniera di lettere e di scienze ; la falsa pompa d' ingegno e l' indigesta erudizione , poco si- sicura e mal collocata , usurpò 1' onore dovuto alla schietta eleganza ed alla soda dottrina : tutti gli studj ne soffrirono assai , e per naturai conseguenza la di- sciplina scolastica anch' essa venne a dicadere. . . Nel i66'j Madama Reale reggente dello Stato fece ordi- namenti savissimi. . . Gli onorar] de' professori cresce- vano ad ogni triennio , e potevano salire fino ad ottocento scudi d' oro. Ma la sapienza delle leggi e la generosità dei Principi non potè impedire il di- cadimento dell'Università; e si vide allora, anzi si toccò con mano , che senza i buoni studj di lettere non solamente mancano oratori e poeti . . ma vengono alla fin fine a mancare e savj teologi ed eruditi giu- reconsulti e dotti medici e periti ingegneri. Nel 1677 avea 1' Università 82 professori , cioè 3 di filosofia , i3 di leggi , lo di medicina, 6 dell'arti , fra le quali non era più insegnata la bella letteratura. . . . Egli è certissimo che il dicadimento degli studj di lingua e di letteratura tiasse seco la rovina di tutte le altre discipline. . . Tutti i ristoratori delle scienze posero cura alle arti del metodo e dello stile , senza le quali niuna sorta d' insegnamento può preservare dalla corruttela ed antivenir la barbarie. " Se questi principi fossero usciti dalla bocca di un umanista , si rebbe che sono pedanterie ; e si continuerebbe a angere sulla infelice condizione deìV Italia , che non può avere uomini grandi , perchè la sua gioventìx è co- stretta a imparare la gramatica j ma felicemente sono i •'539 prìncipi ^' ^^° illustre personaggio , versatissimo in ogni parte del pubblico e privato sapere ; e furono pro- nunziati in una scientifica adunanza , e da essa comuni- cati ad ammaestramento del pubblico. Il primo coltivatore della medicina ricordato dal Dott. Bonino è un maestro Alberigo da S. Stefano , che vi- vea nel 1090. Sarebbe da vedere s'egli spetti alla co- munità di S. Stefano nella nostra Liguria. Nel parlare di M. Alberigo il Signor Bonino afferma che « in « tempi non molto rimoli da que' di Trajano fioriva te già in Torino una società , o collegio , che dir si « voglia di medici >j citandone in prova un' antica iscrizione collocata sotto i portici della R. Università di Torino. Ma il Conte Balbo con più sotlil critica osserva nella lezione stessa ristampata dal Signor Bonino, come ec nella raccolta di lapidi che per opera del March. c< Scipione Maffel fu collocata sotto il portico dell' Uni- " versila di Torino , si vede un' iscrizione di non dub- « bia autenticità , la quale dimostra che poco dopo oc Trajano que^a nostra città aveva un numero di me- cc dici. L' iscrizione non dice che formassero un colle- te gio , ed ancorché ciò si voglia supporre , ognun sa che « tali collegii non aveano per oggetto 1" insegnamento « dell' arte professata da' loro sodali. » Maestro Gugliel- mo medico in Susa , M. Succio, M. Bongiovanni, M. Pa- gano ec. son nomi oscuri , che il Dott. Bonino non ha vo- luto ommeltere , perchè servono se non altro alla storia civile ; la qual cosa non intendono coloro che si lagnano delle biografie se dicono di annodarsi leggendole ; e certa- mente sono degni di compatimento , essendoché non v'è occupazione più nojosa del legger le storie parti- colari , senza intendere le relazioni delle cose tenui colle grandi. Nojosissime sono le operazioni praticate da'* mate- matici per delineare una carta geografica 5 ma sarebbe sciocchezza ^sprezzare le misure e i calcoli e volere ot- time carte. Il primo che meritasse d' essere mentovato , è maestro Pietro Vercellese, che in Bologna si fece ricco esercitando la medicina , e fiorì fra il 1 320 e il 54o 1240. Ma non si sa che scrivesse trattati di sua profes- sione , né che fosse lettore in quello studio. La medi- chessa Trotnla da Salerno fu trasformata in una Trotti alessandrina dalla consueta vanità ; ma il Bonino candi- damente la restituisce alla vera sua patria. Professore di medicina in Vicenza fu nel 1261 M.Raoul di Mom- melian in Savoja. Tutti i medici ricordati fino ad ora , ed altri molti che il dottore Bonino credette opportuno di registrare, non lasciarono vestigj del loro sapere in medicina ; e però il primo è il Canonico Pietro Campano da Novara , filosofo insigne e modico del secolo XIII. Il n. Aut. si lagna della Biografìa wnversale che , e in francese e in italiano, tratta del Novajcse in ima maniera affatto superficiale; ma io più tosto mi farei le maraviglie se in si fatte compilazioni dettate dall' amor dell' oro , vi fossero articoli degni di lode. Francesco de May- ronis , essendo certamente della valle di Barccllonetla , è francese j e se a metterlo ne' Piemontesi valesse la ragione addotta dal Bonino , che allora Barcellonetta stavasi sotto al dominio della R. Casa di Savoja , po- trebbe per lo stesso motivo , chi raccogliesse le notizie de' medici austriaci aggregarvi quelli de' Paesi-Bassi. Di- casi lo stesso di Giacomo Gaufrido , e di M. Guglielmo nativo de la Eresse. Il Piemonte non ha bisogno di ador- narsi colle spoglie de' paesi vicini. Ma questo difetto del Signor Bonino nasce dall' altro dianzi accennato , cioè dal non avere determinato i confini geografici della sua biografia. Curioso è il documento de' privilegi con- ceduti da Enrico Re de' Romani 1' anno i3io al col- legio de' Medici d' Asti. Incerta è la patria di Fran- cesco de Pedemontio. Il cognome Gordon , proprio di Guglielmo , può far sospettare eh' egli non fosse Italiano. Nella serie de' medici , io non avrei collocato quegli autori scolastici che commentando , o più tosto guastando Aristotele, scrissero de generation e et cor rup liane ; non essendo cosa alenua ne' loro lihri che possa servire alla medicina. In questa classe ripongo Fra Jacopo d' Alba 54i de' Minori di S. Francesco , ed altri miseri lettori di filosofia scolastica j a' quali il n, Aut. dà luogo tra' medici piemontesi. Non dico lo stesso di alcuni stranieri , perchè avendo essi esercitata la medicina , e insegnatala ne' R. Domini ' debbono aver parte nella letteratura di esse province , benché non si possano perciò appellar piemontesi. Cosi il Tiraboschi non tralasciò di ricor- dare parecchi scrittovi non italiani , a motivo del sog- giorno o degli studj da essi fatti in Italia. A questo so- lenne costume , ossia canone , non pose mente chi ma- ravigliavasi di vedere il Bonfadio nella Storia Lett. della Liguria. Non so se i Pavesi vorranno privarsi di Teodoro Guai- nerio per fame un dono col n. Aut. alla città di Chieri j considerando specialmente che il Re di Francia in una lettera alla città di Pavia qualifica il Guainerio col ti- tolo di Concivis vesler , e che nel frontispizio dell'o- pera sua è detto Palese. Maestro Batista nacque in Rapallo , dice il Signor Bonino, provincia orientale di Genova: e vuol dire nella riviera orientale , perchè la provincia di Levante non comprende che i distretti di Sarzana e Spezia. E curioso il diploma del Marchese di Saluzzo; in cui vo- lendo lodare il nostro chirurgo , nel nominarlo suo consigliere , all'erma come « calleat fere angelice artem extrahendi sectione calculos in vesica degentes » A M. Batista concede il Signor Bonino ce la gloria della in- venzione del grande apparecchio per l' estrazione dei calcoli dalla vesica. " Nella Stor. letter. della Liguria ( li. 172 ) si accennano alcune ragioni per le quali sembra doversi a Batista la gloria di aver condotto a perfezione , non d' avere inventato quel grande appa- recchio 5 e si emenda un gravissimo errore corso nel testo del Senarega pubblicato dal Muratori , e nuova- mente dal Bonino. Lorenzo Maggiolo è detto Astigiano dal nostro Autore , ma senza consolazione di documenti. Il suo epitafio in S. M. di Castello lo chiama patrice cLecus , senza aolaruc la patria ; ciò vuol dire eh' era 542 cosa notissima lui essere genovese. Il Federici nello Scrutìnio della Nobiltà Ligustica ( MS. Bibl. Berio ) afferma che i Maggioll « vengono da diverse parti del distretto di Genova così da Levante , come da Ponente » ed il primo eh' egli registrò è Paolo Maggiolo di Ra- pallo Podestà di Ovada nel i343. E nelle Genealogie raccolte dal Cav. Bonarroti ( MS. Berlo ) 1' albero de' Maggi oli comincia da un Giovanni eh' era Anziano di Genova nel 1 36o, Laonde se vi ha cosa certa nella Storia letteraria , si è questa , che il medico e grecista Lorenzo Maggioll era gentiluomo genovese. E trovandosi questo letterato illustre descritto come ligure nella Star. leti. del P. Spotorno , non doveva il Dott. Bonino dichiararlo d Asti , senza indicare 1 motivi di questa sua opinione. Copioso è r articolo intorno al celebre chirurgo Gio- vanni da Vico , grande ornamento di Rapallo sua pa- tria e della ligustica letteratura. Ma non sarà inutile con- frontarlo con quanto se ne dice nella Slor. lelt. della Liguria , III. face. 238 e segg. E vaglia questo avver- timento eziandio per Domenico Nano , che fiori in Sa- vona sul principio del sec. XVI. Egli non fu medico , ma per avere pubblicato una specie di enciclopedia col titolo di Poljanthea , nella quale di necessità dovevano entrare, se non altro, \ nomi ò\ Aegritudo , Febris , Obstetrix ec. ec. , il n. Aut. ha creduto non doversi om'mettere nella Biografia medica piemontese (i). Il secolo XVI non fu solamente chiaro per lettere , ma si per ogni maniera di scienze , quanto sosteneva queir età , non ancora illustrata dall' esperienza di os- servatori diligenti e curiosi. Cosi la Biografia del Sig. Bonino prende nuova forza , e in più largo campo meglio fa conoscere la erudizione e la dottrina dell Au- tore. Noi dunque non verremo più seguitandolo ne' suoi articoli , contenti di aggiugnere alcune osservazioni , che ci tornavano al pensiero rileggendo il suo lavoro. Angelo Visca Savonese, dottor coUegiato nella R. Uni- versità di Torino , e lettore di Anatomia in quella di Mondovi col tenue stipendio di 3oo lire torinesi , circa 543 il 1 565 , non fu conosciuto dal P. Spotorno. — Secondo Botalli d' Asti , chirurgo , ha una sua lettera nel Tesoro della vita umana del Fioravanti , lib. III. , ed oltre la risposta fattagli dal Fioravanti , tui' altra epistola di questo dottor bolognese al suddetto Botallo sta nel lib. IV. dianzi allegato. Giorgio de Ferrari , nativo del Monferrato, ha luogo neir opera del Signor Bonino, per avere promosso t edizione veneta del i5i4 dell'opera di Simone Genovese , intitolata CAdi^ìs Sanalioms , da lui utilissi- mamente dilucidata con annotazioni marginali. Qui l'autore della Biografia parla nella nota (i) del citato Si- mone , affermando che fu « medico e cappellano del Papa Nicolò IV, il quale cessò di vivere nel 1492. ... Si- mone fiori nella seconda età del secolo XV. » e riman- da i lettori al voi. I della Storia Letteraria della Li- guria. Ma si osservi , che 1' Autore della Storia Letteraria Ligustica mette il fiorire di Simone nella seconda metà de) secolo XIII e fa cessar di viver Papa Nicolò IV. iieir anno 1293 j la qual cosa ne piace di avvertire ac- ciocché altri suU' autorità del Signor Bonino non accusi il (1) La prima edizione della Polyanthea si fece Saone per m. Franciscuni de Sjh'a i5o3; e di nuovo Saone i5i4« Notisi quel Saone per conoscere che non a torto io dissi nella lettera al Sig. G. P. , che si cominciò a scrivere Sa- vona dopo il i55o ; (li che mi riprende un letterato Toscano, citandomi stampe moderne e inesatte di antichi documenti ; ne' quali per altro ora è Savona, ed ora Saona. Puossi ve- dere intorno a ciò la iscrizione , che si è pubblicata nel- la Origine e Patria di C. Colombo , pag. 1 1 , che è del- l' anno i533 ed ha in lettere quadre incise in marmo Saone. I registri della parrocchia di S. Andrea di Savona , che co- minciano dal i558 hanno per molti anni Saona, non Sa- vona. L' iscrizione sulla porta maggiore della cattedrale di Savona ha Saona, e fu incisa nel 1 60-2. Poteva dunque il Critico ritenersi dal dire che si corre per la posta ; quasi- ché in Firenze, non in Savona, si debba sapere il nome della città di Savona. 544 P. Spotorno di cosi gl'ave anacronismo. Aggiunge il n. Aut. d' aver esaminato il MS. torinese dell' opera di Simone , e di aver letto in esso il semplice titolo di Sinonjina. Ma per accertare che i libri intitolati Si- iionyma sieno lo stesso che la Clavis Sanationis , fa- cea mestieri osservare se il testo di Torino abbia quelle contraddizioni e diversità , che il P. Spotorno notò tra r opera genuina del botanico genovese ed un mano- scritto fiorentino intitolato Sinonjvia , che viene simil- mente attribuito al nostro Simone. L' articolo del chirurgo Batista da Vercelli ha dato occasione ad una discrepanza di parere tra il Dottor Bonino e il P. Spotorno. Sappiamo dagli Annali Ec- clesiastici , che il Card. Petrucci di Siena tentò di far avvelenare il Sommo Pontefice Leone X. Scopertasi la congiura , il Cardinale venne tolto di vita in Castel S. Angelo, e il chirurgo Batista, che doveva, col pretesto di medicare il Papa , dargli il veleno , fu con atroce supplizio pubblicamente giustiziato. Questa è la storia , che ci duole d' essere costretti a ricordare ; perchè certi fatti detestabili meglio sarebbe , che sì potessero sep- pellire in perpetuo silenzio. Il sig. Bonino non era co- stretto a parlare di Batista , affermando egli stesso , non constargli die abbia lasciato alcuna opera o inedita o stampata. Poteva, se non altro, imitare il prudente silenzio del Gav. De Gregori nelle Notizie della Lette- ratura Vercellese. Ma volendo il sig. Bonino rinnovar la memoria di quell' eccesso , ragiona nel modo seguente : comincia a notare d'ingratitudine, d'avarizia e di rotta fede il Pontefice a riguardo del Card. Petrucci : poi mette in dubbio la reità del Cardinale ; e finalmente cosi conchiude: non è cosa straordinaria che il Petrucci, trasportato dall'odio, affermasse di volersi vendicare: « ma che un illustre chirurgo , il quale meritò che in onore di lui fosse coniata una pubblica medaglia (NB. quel pubblica) abbia potuto partecipare a quella così scellerata azione , è questa una grave accusazione , di cui , io non dubito d' asserirlo , non csiete prova alcuna. » Ed 545 intanto comincia a declamare contro de' giudici , perchè non abbiano avuto scrupolo di condannare un innocente. Il P. Spotorno dovendo , nell' art. di Monsig. Agostino Giustiniani accennare la congiura del Petrucci , disse in un'annotazione (voi. 3. face. 3i) : « Lodo l'amor pa- trio del sig. Bonino j ma vorrei che si ricordasse del ne quid nitnis. Quando mancano le pruove positive , 1" equità vuole che si pensi mai sempre in favore del Ij^lbunale , non del reo. » Questo principio è vero in Critica, com'è giusto in etica. Chi ha diritto di con- dannare i giudici , come rei d' avere tradito la propria coscienza , sentenziando a morte l' innocente , se non se colui che abbia certissime prove dell' innocenza del con- dannato? Ora vediamo quali sica gli argomenti del Dott. Bonino. i.° La medaglia coniata in onore del Batista. Ma essa ci fa conoscere eh' egli fu uomo di grido , non già che non potesse farsi ministro del Petrucci in queir iniquo disegno. Cosi le molte medaglie coniate ad onore di Pietro Aretino confermano la fama, di cui', per disonore del secolo , godeva quell' impuro nelle cose letterarie j non giustifican l'Aretino dalle sozzure di cui fu sempre accusato j 2.*" 1' autorità del Sismondi , il quale insinua che _i giudici del chirurgo étaient de- terminés à le trouver criminel. Io non vorrei che uà testimone del secolo XIX sentenziasse sopra un fatto del secolo XVI. E poi è ben nota la tendenza del Sismondi ; oltre che noi vogliam fatti , ed egli ci dà parole. Il 3." argomento trovasi in una giunta dell' au- tore alla sua Biografia , voi. 2.°, face. SqS. « Narrano quel fatto gli storici , ma non lo provano ; per lo in- contro la dimostrata impossibilità di commettere un de- litto e r alibi sembrano pruove tali d' aversi in conto di positive, jj Rispondo , che gli storici coetanei , qual era il Giovio, non provano, ma narrano. E il Card. Bendinello Sauli, non già ne' tormenti, ma libero, at- testò al Papa , che si era disposta contro della sua .sacra persona una congiura: « praeparando venena plura « et varia per operam cujusdam magistri Joannis Bau- 546 e dichi:irare scellerati i 547 giudici. Che se il signor Bonino non approvasse il rigore adoperato da Leon X , noi , senza entrare ne' motivi pe' quali talvolta può essere più opportuna la severità che la indulgenza , diremo che anche il nostro Mons. Giustiniani (i) desiderò, che i giudici di Roma ce potessero anzi essere incolpati di troppo mansuetu- dine e clemenza , seguendo le vestigia del Sommo Pastore , che dar occasione d'essere notati di cupidità. « Ma questo desiderio , degno del mite animo di un Ve- scovo , non trasse V annalista ad accusare i Giudici dell' orribil delitto di avere condannato per malvagi affetti uomini innocenti a terribil supplizio. E V in- glese Roscoe non ebbe 1' audacia del Sismondi , ben- ché più diligentemente ricercasse tutte le notìzie spet- tanti a Leon X , e non avesse cagione uè d' odio né d' amore (2). Dopo così necessaria digressione , entrando nuova- mente pella Biografia , non sappiam lodare il n. Aut. perchè abbia voluto annoverare tra' medici del Monfer- rato Guglielmo Gratarola bergamasco , per questa ra- gione che nel Monferrato è un luogo detto Bergamas- co , senza rispondere alle prove allegate dal Gav. Gal- lizioli , che scrisse la vita del Gratarola , citata dal Ti- raboschi. Ripeterò di nuovo, che una parte d'Italia così copiosa di scrittori illustri , coni' è il dominio della R. Casa di Savoja , non ha bisogno di arricchirsi pvedando sulle terre altrui. Gio. Batista Mazzeo , medico e poeta Savonese alla R. Corte di Savoja, fiori nel 1600 , e si ha da aggiungere a' medici liguri nominati dal P. Spo- torno; se pure un medico , di cui non altro si cono- sce , tranne una poesia inedita , può lagnarsi di non es- (1) Annali di Genova, anno 1517. (2) Lodiamo sommamente la cura con cui il Bonino li- muove da Bernardino Biandrate la taccia di avere tolta la vita al medico Giorgio suo zio ( 1. 209 ), perchè di ciò egli reca ottimi argomenti , non autorità di moderni. 548 sere in registro con gli scrittori Jl medicina. A Gian- nantonio Barberis pose questo epitaffio un certo Jacopo Arpino nel 1666; Lege lugens, luge legens Mortalis Goncivis Infìrmoruna salus , desperatoruin spes, . . Jo. Antonius Barberis Patria illustrls, Sanguine illustrlor Sapientia illustrissinius. . . Professor proflcuus Ocultus non incultus. . . Nec oblit nec abiit SeJ hlc Latetutpateat... A parca nunquam parca rapitur. Ecco le pazzie, alle quali sono condotti gli scrittori, qualunque volta abbandonano gli egregj esenipj de' classici autori , ai quali in un manifesto di uno stam- patore italiano nel 1829 è dato, non meno piacevol- mente clic urbanamenente, il titolo di rugginosi mes- seri. Italia, Italia, griderebbe il Filicaja, se potesse vederla cinta di studj non suoi. Ma che giova lamen- tarsi ? I buoni ingegni staranno saldi a' dottami , non d' Aristotile , né di Orazio , né del Boileau , ma del buon senso : gli altri vadano pure ad impazzare tra i cavalieri della battaglia di Benevento, che non possono aver miglior compagnia. — Giovanni Maria Castellani , come natio delle Garcare , né stato nini professore in Torino o medico in Piemonte , sarebbe forse maravigliato di trovarsi nella Biografia del Sig. Bonino ; ma è probabile che il n. Aut. non volesse privare 1' opera sua di un nome così ragguardevole come è quello del Gastellani. Trattando il n. Autore di Pier Maria Trombetta ac- cenna pretendersi da taluno eh' egli sia del Mondovi; alla qual opinione non consente il Dolt. Bonino; e sa- viamente fece a non togliere a noi quel medico ( ben- ché io non lodi il consiglio di allogarlo tra' medici degli antichi Dominj ), perciocché Filippo Trombetti 549 padre di Pier Maria, nella Bilancia stampata in Gè* nova 1682 in 4-" ha queste parole, pag. 20. : « Perciò ti ristretta e succiata comparye la mia Apologia e da «e potersi dir magra , non già perchè io sia nato sulla et Magra , come scrisse , sinisVamente informato in « molte cose, il signor Ornati, esseud' io genovese « d' origine , quantunque lunigiano di prosapia. « Pro- babilmente volea dire — essendo io genovese di nascita , quantunque lunigiano d' origine e di prosapia. Le nostre osservazioni sulla Biografia del signor Bo- nino risguardano solamente al tomo i.", lasciando vo- lentieri 1' esame del secondo a' cultori della medicina ; attesoché la parte storica è tanto più certa , quanto più l' Aul. s' avvicina all' età nostra ; non mancando gior- nali, istorie, memorie, cataloghi, e simili ajuti per tutto il sec. XYUI. L'ultimo degli autori registrati dal Bonino è Giuseppe Audiberti , natio del Contado di Nizza, mancato in Torino nel 182O' , senza lasciare alcun frutto de' suoi lunghi studj , tranne la versione di un libro medico pubblicato nel 1787. Una cosa non possiamo lodare in questo volume 2.° , ed è che l' Aut. dia luogo nella sua Biografìa a coloro che nuli' altro lasciarono ad eccezione della solita tesi per ottenere la laurea ( ved. per es. face. 49^ )• ^' ha poi fatto maraviglia che avendo il Dott. Bonino ammesso nell' o'pe- *a sua tanti fisici ed altri scrittori, che propriamente non /Ono medici , abbia dimenticato V Ab. Amoretti cele- bratissimo in tutta la Lombardia. Queste nostre considerazioni potrebbero servire al chiar. sig. Bonino per {spiegar meglio , o difendere, se non emendare , alcune cose da lui dette nella sua Bio- grafìa , ma non debbono punto scemar la lode a lui dovuta per la fatica durata ad illustrare la patria ; molti essendo gli articoli copiosi , dotti ed esattissimi. Che se l'amplissimo Corpo di Città non volle ajutare la sua impresa né pure con associarsi per una copia , di che si lagna il Bonino , voi. 2.° pag. 538 e S3g , egli ebbe di tal dispiacere largo compenso nella Sovrana kk 55o munlficeaza, e nel favore della illustre Real Acca- demia delle scienze. Veramente pare incredibile che una città cosi colta e cosi doviziosa , codi' è Torino , abbia risposto ad un suo cittadino « non essere in grado di ce potervisi associare » trattandosi di poche lire ; ma sovente il Pubblico per colpa di qualche commesso , che non ha le nobili idee di un Consiglio Civico , tra- lascia di ricompensare le fatiche, o almeno di mostrarne il convenevol gradimento. Forse il Signor Bonino collo stampare la risposta de' Signori Sindaci Torinesi ha fatto non leggiadra vendetta , consegnando a perpetua memoria de' posteri un errore , che non può esser mai proprio degli Eccelsi Sindaci di una gran Città, e che a nostro giudizio si deve attribuire unicamente alla ne- gligenza di qualche scritturale d' uffizio. Una volta le città d' Italia slavano attentissime a dar qualche prova di gradimento a coloro che scrivendo le avessero onorate; e senza partirci da Genova e dall' età nostra , i pubblici fogli hanno parlato , non è molto , della generosità dell' amplissimo Corpo Decurionale di Genova a riguar- do del Sig. A. Lissoni , per avere stampato un Pane- girico di Crisi. Colombo, 55i Cenni del Prof. JiSTONio Bertoloni sopra il Carbon fossile di Caniparola in Lunigiana , e sopra alcune inscrizioni Lunesi. Vi si ag- giunge una Lettera del Ch. Bartolomeo Borghesi sopra le stesse inscrizioni. xlelle vacanze aatuanali dello scorso anno 1829 io mi recai a Sarzana mia patria per riposarmi alquanto dagli siudii , e per godervi dell' amenità della stagione , che ivi suole essere per mille cagioni , deliziosissima. Erami prefisso nell' animo di non occuparmi della ben- che menoma cosa scientifica ; ma non istetti saldo nel proponimento , perchè vennero a solleticare la mia cu-- riosità e le cave di Carbon fossile di Caniparola , e le antichità di Luni , cose in vero a prima vista dispa- ratissime , ma non tanto disparate in sostanza , perchè le une riguardano le antichità della natura , e le altre quelle degli uomini , e aggiungerò pur anche con Tullio , che hcec studia senectutem nostrani oblectant , e che non si è mai verificato meglio il nohiscum pe- regrinantur , rusticantur. Non è qui mia intenzione di trattenere a lungo il lettore sopra le miniere di Carbon fossile di Caniparola. Appena accennerò , che vi esistono quattro gradazioni di questo carbone , cioè la lignite ed il carbone terroso , sostanze le più su- perficiali al sito , indi viene ad una media profondità il carbone secco , ossia quello , che mentre è scevro dalle particelle terrose , manca pur anche delle sostanze spiritose , e bituminose , o almeno ne scarseggia , l'ul* timo è quel carbone che contiene dovizia di queste sostanze , perchè si accosta all' houille de'' Francesi. Esso è il pili ricercato per le fonderie del ferro , e per gli altri usi, ove si richiede grande intensità dì calore, e trovasi alla maggiore profondità , cioè poco più sopra del livello del mare più vicino. Nemmeno intendo di- lungarmi a parlare delle Tilliti , che copiosissime si rinvengono nelle Marne circondanti quelle miniere , ed anche a fior di terra lungo il canale di Albachiara, Tilliti di piante , le cui simili tuttora vivono in que' dintorni, come sarebbero Castagni, IVoci , Salci, e appena noterò che la Fucite di Caniparola , chiamata dal Brogniart Fucus intricatus (Hist. des. Veg. foss, p. 59. Tab. 5. Cg. 6. 7. 8 ) non sembrami altrimente una Fucite, bensì una Confervite , ossia un'impronta della Conferva glomerata L. , comunissima in tutte le fosse , e canali di quella contrada , ed aggiungerò di più , che tale impronta frequentissima nelle marne superfi- ciali del canale à!Albachiara si è formata ad acqua tranquilla , e stagnante , perchè trovasi costantemente colle ramificazioni aperte , e non già affastellate , sic- come avviene di quelle , che seguono V andamento delle acque correnti. Mi rivolgerò dunque alle antichità Lu- nesi , e particolarmente dirò di alcune iscrizioni dissot- terrate dalle rovine della vicina Luni , come quelle, che hanno dato luogo ad una dotta illustrazione del più insigne tra i viventi antiquarii Italiani il Sig. Bar- tolomeo Borghesi, quale illustrazione pregierommi qui addurre , avendone ottenuto il permesso dal Gli. autore. La prima di queste iscrizioni sta in un piedestallo di bianco marmo di Carrara lungo circa quattordici pollici , largo dodici , grosso quattro. Nel suo piano superiore è scavato un buco piuttosto profondo , che evidentemente sembra destinato a ricevere il perno di qualche cosa , e nella faccia anteriore è scolpita 1* in- scrizione entro un contorno a foggia di cornice. Essa inscrizione dice cosi : S53 e . LEPXPIVS C . F . PAX. SECUNDVS PRÀEF . FABH . PR COH . TR . MILIT FROMAa . XZ HEREDIT . AVO LUNAE . D . D. Poteva nascere questione , se la parola Lunce espri- messe il luogo dove G. Lepidio esercitava l' ufficio , o piuttosto la diviaità , alla quale era dedicato il dono soprapposto al piedestallo. Ma il Sig. Borghesi scioglie da pari suo il nodo , somministrando inoltre estese no- tizie intorno alle altre particolarità dell'inscrizione , e soprattutto intorno all' ufficio del promagistero della vi- gesima delle eredità. La seconda inscrizione Lunese , in cbe mi avvenni , era mancante, ed occupava la metà di una grande tavola di marmo bianco Carrarese in una villa del Sig. Grassi sopra il torrente Isorone vicino a Sarzana, ove era stata portata da Luni ad uso di tavoliere campestre. Le pa- role rimanenti , e a grandi caratteri dicevano cosi : ... — IBORIO . PBOCVLO ... RARVM . ET . OPERVM Era mestieri supplire alle medesime , e la facilità colla quale vi ha supplito il Sig. Borghesi , è prova della sua grande perizia nell' antiquaria. La terza inscrizione in piccola tavola del solito marmo bianco fu dissotterrata più in antico dalle rovine di Luni ne' poderi del fu Sig. Giambattista Benettini , ed ora serbasi in Sarzana appresso gli eredi di lui. Il Muratori la pubblicò pel primo , ma con qualche ine- sattezza ; onde mi pregio riferirla nel suo stato genuino. Essa fu corredata di cosi dotta illustrazione dal Bor- ghesi , che veramente può dirsi essere stato il pregio 554 della lapide accresciuto dal? illnstrazione stessa. Ec- cone le parole : . . ^ . . APPVLEIO , SEX , F GAL sex , n , sex , pro , h fabianvmakTima NATO , VLtImO , GEnTis SVAE Io Dòn m' imbattei cosi tosto ia queste iscrizioni , che pensai Ji farle pervenire all' illustre Borghesi , e siccome io non aveva relazione immediata collo stesso , mi rivolsi al mio amico il Sig. Marchese Antaldo Àn> laidi di Pesaro , il quale si compiacque secondarmi , e ne ottenne la bella ed erudita lettera , .che io mi pregio di qui aggiungere. u4l Marchese Cataldo Antaldl ,. .. Bartolomeo Borghesi. Insìetoècòtfa 'copia delle tre iscrizioni Lunensi , che vi è piaciuto d'inviarmi, e della quale vi ringrazio, come vi ringrazierò sempre della comunicazione di ogni nuova scoperta archeologica, ricevo i vostri comandi di riscrivervi alcune righe in loro illustrazione. Veramente potrei paragonarvi ad un Ateniese , che mi desse una commissione di civette : tuttavolta per obbedirvi ri- sponderò , che nella prima di loro io leggo Cajus. zk- viDivs . Caii Filius . vXLatina . secvndvs . praefccì «5 . fa- srum . coHortis , iRibunus . ìsxLitum . vv.om.K(iister . xx . he- KEDnatun} . kvausti . lvnae . Donum . Dedit. E chiaro per essa, che Lepidio dedicò alla Dea Luna non so che cosa sostenuta da questo ceppo , fosse mò ella una statua , com' è probabilissimo , o vero un cra- tere , o un qualunque altro donario , che nel titolo non è stato specificato, perchè era inutile 1' indicar ciò che avevasi innanzi agli occhi. La prefettura dei fabbri. tk per Is compagnia di altre cariche guerresche , come per essere cosi, chiamata assolatamente ». non è quella, che presiedeva ad un collegio urbano , come sarebbe dei ferrai, dei ti guarii f dei centonariif ma è l'ap- pellazione propria di un grado militare assai noto , cor- rispondente presso a poco al nostro unciale del genio , da cui fu usitatissima la promozione a prefetto di una coorte , ed a tribuno dei soldati. Un poco più oscuro è il promagistero della vigesima delle eredità istituita da Augusto pel mantenimento dei soldati, come ci fa sapere Dione 1. 65. e. 26. Il Marini , quantunque avesse occa- sione di parlarne negli Arvali p. 63. col. 2. , noi fece ; né merita di essere citato alcun altro che lo confuse colla procuratia della stessa vigesima , il che non è vero certamente. Qualche cosa ne ha però detto il Gulhero nel!' o^cm domus uiugustce III. 25., nella sostanza della cui opinione convengo ancor io. Cosi su due piedi non trovo memorato Questo promagistero se non che in tre lapidi del Griitero, due delle quali c'in- segnano (pag. 454» 8. e 9. ) che Q. Plozio Massimo fu tribuno militare in tre diversi reggimenti, poi pro- curatore di Augusto , promaestro della vigesima delle eredità , e prefetto delle poste : mentre 1' altra ci dice (pag. 4^6. 5), che G. Giunlo Flaviano fu prima tri- buno della legione vii. Gemina, quindi promaestro della, vigesima delle eredità, procuratore dell'Alpi marittime, procuratore della Spagna citeriore , infine procuratore delle eredità. Consta adunque da quest' ultima , che il promagistero della vigesima era cosa diversa dalla pro- cureria di lei , perchè Flaviano ebbe ambedue questi ulfic) , e 1' uno molto prima dell' altro. Ed apparisce egualmente , che il promagistero era una carica ab- bastanza importante , perchè in tutte queste lapidi ve- desi concesso dopo il tribunato , eh' era 1' ultimo grado militare , che poteva conseguirsi senza essere senatore. Per conseguenza non avrà da confondersi coll'u^ciaZi* hereditatium del Muratori p. 71 3. 6 , coli' arcana* XX. hSeditatium t col dispensator , col prcesignator , 556 col tahularius , coli' a commentariis , e con altH posti miaori ricordati presso il Grutero p. 599 , e presso il Fabretti p. 35 e seguenti, che sì davano a persone del volgo. Dall'altra parte il valore della parola Pro- magister , quantunque molto esteso , perchè si adatta egualmente agli uffinj religiosi e civili , è però assai chiaro, signiGcaudo chi fa le veci del capo di qnel tal sacer- dozio o magistrato. Giedu adunque col Guthero , che il proniagìster vi:^esimce lurcdiiatiuin fosse un vicario del procuratore della stessa vigesima, tanto più, che il vocabolo procurator non esiste , eh' io sappia , né iti Epigrafia , né in lingua Latina. Conosciamo bensì , che queste procurerie estendevano sempre la loro giurisdi- zione sopra un ampio territorio non minore di una provincia , e che spesso ne abbracciavano più d' una. Quindi troviamo in Italia Proc. xx. Heredit. Umhriae , Tuacice , Piceni (Grut. p. ^11. 1 ), Proc. xx Heredit. Campaniae f Apulice , Calabrice ( Murat. p. 700 3 ), e fuori di essa Proc. Aug. xx Hcred. prov. JVarbo- nensìs et Aquitan. (Grut. p. 493. i ), Proc. Aug. XX. Hered. per Hispaniam Baet. et Lusitan. ( Idem p. 434. 3), Proc. Augustoruni ad vectig. xx. Hered. per Pontum et Bithytiiam et Pontum mediterra- neum et Paphtagoniam , Proc. iteni ad vectig. xx. Her. per Pamphjliam , Lyciarrif Phrygiam, Galatiam et insulas Cjclades (_M\irnl. p. 695. i ). Cosi -vaste essendo adunque le ricevitorie di questa gabella, parrai non inverisimile, che si provasse talvolta il bisogno di stabilire in alcuni luoghi un' ufficio sussidiano , e quindi il promaestro delle eredità sarebbe per me equivalente ad un vice preposto del registro. Non so però se potrà asserirsi con tanta franchezza , come ha fatto il Guthero , che il promagister era la stessa cosa col subprocurator XX , ufficio memorato una sola volta in una lapide Gru- teriana p. 591. i , ed occupato da un liberto imperiale, facendomi qualche difficoltà l' osservare , che Q. Plozio Massimo enunciato di sopra , avanti di essere promaestro , aveva già luogo fra i procuratori Augustali , e non 557 essendo sempre vero anche ai giorni nostri che un vi- cegovernatore dì finanza sia la stessa cosa di un sot- togoveroatore. La lapide susseguente mi era ignota al pari della superiore. Ella non è che il frammento di una gran tavola , che mostra essere stata composta di tre righe , e della quale se n' è perduto forse più della metk , perchè nella seconda devesi onninamente sup- plire Curatore , Aedium . .SacRARVM . et . opervm Puhlicor. Da ciò ne segue che per riempiere lo spazio corri- spondente nella prima , convien supporre che quel Pro- culo abbia avuto due nomi , e che il prenome , il primo nome , la nota genealogica , e forse la tribù fossero scritti nella parte perduta , onde dicesse a caglon d'e- sempio ; L. Julio L. F. Arn. Liborio procvlo. Il ri- stauro della seconda linea viene assicurato dalla Gru- teriana ( pag. i3i. 3) cvr . jed . sacr. oper . loc . rV' BLic , dall'altra p. ^^i. 6 , ch'essendo rotta anche ella , non ha salvato se non che .... sacrarvm . lo- coRrMQVE . PFBz, e da una terza del Marini (F.A. p. 220. ) che ci mostra cvr • aedivm . sacrarvm . loco- RVMQVE . pvBLicoR j per tacere delle moltissime in cui separatamente si legge ora cvr . aed . sacr , ora cvr . OPER . l'VBLic. Di questa carica vi farò poche parole, rimettendovi a ciò , che ne hanno scritto il Reinesio ( Synt. Inscr. ci. ix. n. 5o. ) e Monsignor della Torre nei 3Ioniimenta veteris Antii. Solo vi dirò in succinto che le incumbenze affidatele spettarono da prima ai censori , e agli edili , ai quali furono tolte da Augusto per crearne questa nuova magistratura siccome ci an- nunzia Svetonio (Aug. 87). In Roma conferivasi ad uomini preterii; ma non fu cosi propria della capitale, che non si diffondesse in breve anche nelle colonie e nei municipi. Quindi cvr . aed . VRBanarum abbiamo in una iscrizione di Tivoli ( Mur. p. 190. 7), cvbatori. 558 AEDIVM in un'altra di Rimlni (Grut. p. 1116. 6.) e viceversa cvratori . opé» * pvblicor . bato . é. . divo . avg . VÈSPASIAN a Nola (Grut. p. 1092.4), e cvrat . opervm . PVBL . VÉNVSIAE . DATO . AB . DIVO . HADRIAMO (GrUt. p. 44*. 5). Ma sono superflui gli esempj, quando parla assai chiaraiìiente Ulpiano de off. proconsuUs , citato accon- ciamente dal Pancirolo (/?e magistr. munieip. e. i4). Aedes sacras , et opera publica circumire inspiciendi grada an sarta tectaque sint , vel an aliqua refec- tione indigeanfy et si qua ccepta sint, ut consumentur , prout vires ejus reipublicce permittunt , curare de- bett curatoresque operum diligentes solemniter prce- ponere. Si proverà dunque di qui , che anche Luni non fu privo di questa magistratura , e solo resterà dubbioso se il nòstro frammento appartenga alla clas- se dei titoli onorar) o a quella delle memorie di opere pubbliche. Per me considerando la forma straordinaria- mente lunga della tavola , e la mancanza del dedicante , preferirei di credei e , che fosse stata anticamente so- vrapposta a qualche pubblico edifizio per annunziare eh' era stato costrutto sotto la presidenza di questo Proculo, ed è per questo, che ho supplito piuttosto Curatore , che Curatori. E debbo pur confessare , che il suo mutilo nome è stato da me reintegralo Liborio, perchè non ho trovato meglio, non perchè abbia altro esempio di questa cosa, che manca eziandio nel sup- plemento aggiunto dal Fabretti , al catalogo Gruteriano delle genti Romane. Al terzo di questi marmi manca il merito della no- vità , avendolo già prodotto dalle sue schede il Mura- tori p. ii33. 9, il quale sbagliò nel togliere il secon- do P. ad APPVLEio contro la fede dell' originale , e con- tro la più comune ortografia di questo nome. Ciò non ostante ei vince di pregio i suoi compagni , essendovi ogni apparenza , che spetti ad un'illustre famiglia. Ma ne dà gran sentore l'annotazione, che il defunto fu l'ultimo della sua casa, e più la sua lunga genea- logia ascendente fino al proavo. Imperocché si è eoa 559 ciò seguito un costume, che negli ottimi tempi fu fa- migliare ai titoli mortuari dei giovani nobili, come può vedersi per esempio in quello di P. Fulcro , di M, Silano e di L. Nonio Quintiliano presso il Marini (F. A. p 63. 86. 643 ) , mentre all' opposto gli altri in- genui si contentarono di ricordare per l' ordinario il solo padre, e rare volte il nonno. Aggiungasi che an- che la madre si dimostra proveniente da chiarissima stirpe , siccome vi farò vedere in appresso. Trovo per- tanto molto probabile , che costui discendesse dalla casa degli Appulei resa celebre per varj consolati ottenuti sotto il regno di Augusto, e più per esservi stata ma- ritata una figlia di Ottavia minore sorella di quell'Im- peratore. E qui la congettura si rinforza , osservando che lutti i suoi antenati ebbero il prenome di Sesto , che fu appunto il più usitato in quella prosapia , e che queir Appuleio fu privo del cognome in un tempo in cui tutti i Romani V usavano , particolarità , che fu pro- pria esattamente della sua gente , e che appena 1' era comune con altre quattro , o cinque delle famiglie se- natorie coeve. E non è poi da tacersi, che per tutti gì' indizj , dei quali tien conto la scienza epigrafica nel portar giudizio dell' età di una lapide , questa non dovrebbe essere posteriore all' imperio di Nerone. Ora in- torno a quegli anni la gente Àppuleia doveva vera- mente essere venuta meno non tanto pel silenzio, che poscia se n' incontra , quanto per ciò che ricavasi dalla storia. Racconta Svetonio, che fra gli altri prodigi , dai quali fu predetta la morte di Vespasiano , si notò che le porte del mausoleo d' Augusto si apersero spontanea- mente , il che essendo stato riferito a quell' Imperadore rivolse in celia l' augurio , rispondendo eh' ei riguardava Giùnia Calvina abuipote , ed ultima superstite fra i di- scendenti di Ottaviano. Ciò dunque vuol dire , che co- i^e a quel j.empo erano estinti di fatto i Plaudi , gli Emilj , i Messala , gli Antoni , i Cassi , Rubelli , i Pom- pei , i Cornei) , e tutti gli altri, a riserva di questa Giù- nia , nelle vene dei quali erasi diramato il sangue di 56o Augusto, cosi del pari erasi spenta la razza degli Ap- pulei , eh' erano anch' essi suoi parenti per parte della sorella , e ai quali competeva egualmente per questo ti' tolo r ingresso nel suo sepolcro. Il che posto , io credo che uno dei progenitori di Numantina fosse Sesto Ap- puleio console nel yaS , che sex. appvleivs. sex. f. sex. V. dicesi dalle tavole trionfali Capitoline nel registra- re il trionfo ch'egli condusse dalla Spagna nel 728, e una di cui base onoraria postagli in Isernia del San* nio ci è stata conservata dal Doni ( CI. y. n. 38 ) e dal Donati (p. 71 3). Egli a mio parere fu uno dei due mariti di Marcella maggiore Oglia di Ottavia so* rella di Augusto , e il suo sposalizio era accaduto certo avanti il ^4^ > "^1 quale Agrippa morì , perchè Dione ( 1. 54. e. 3o ) ci parla d' uu certo giudizio , a cui intervennero Appuleio ed Agrippa , e l' udirli trattati ambedue collo stesso titolo di o-v^'y^vvi; mi dà motivo di giudicare , che il secondo non si fosse ancora am- mogliato cou Giulia, dopo di che diveune non solo con- sanguineo , ma genero di quell' Imperadore ; ed in vero supponendo accaduto quel fatto quando Agrippa aveva in consorte Marcella , sta bene che ai due cognati si attribuisse la medesima parentela , e che il marito della più grande fosse anteposto a quello della più piccola. Cosi le nozze di Appuleio sarebbero seguite anche pri- ma del ^33. Al qual tempo Marcella maggiore era cer- tamente viripotens .siccome quella , che nacque innan- zi il 714» in cui Ottavia vedova di C. Claudio passò al talamo di M. Antonio , e che fu anche probabil- mente più attempata del fratello Marcello venuto ia luce circa il 710. Queste considerazioni giovano a far credere che Appuleio fosse il primo sposo di lei , la quale ebbe un altro in Messala Barbato Appiano. A schiarire il qual punto nulla valgono le altre notizie^ che abbiamo di loro , perchè Messala mori appena as- sunto il consolato del 742 , iu cui Agrippa andò sot- terra e Appuleio si manteneva ancor prospero nel 74^'* nel qual anno vinse i Sannoni per attestato della Cro- 56i naca di Cassìodoro. Da questo matrimonio nacquero due figli per quanto sappiamo , cioè una femmina e un ma- schio. La femmina fu Appuleìa Yarilia , (o, come io leggo , Varilla , onde sia un diminutivo da Varo), detta espressamente so^'oris jiuguiti neptls , e condannata per adulterio nel yjo giusta il racconto di Tacito ( An. 2 e. 5o. ) E il maschio fu Sesto Appuleio console nel 767 , che anch ' egli dicesi parente di Augusto da Dione ( 1. 56. e. 29 ). È da notarsi , che dopo il suo conso* lato non si ha più alcuna memoria di lui , né d' al- cuno de' suoi discendenti ; tutto che succeda l' impero di Tiberio cosi ricco di memorie storiche , durante il quale la sua parentela colla casa regnante , e la dignitlt sostenuta , dovevano pur dar motivo di ricordarlo. È dunque ragionevole il credere , che non tardasse molto ad uscir di vita, e se ciò è, qual persona più oppor- tuna di lui per essere il padre dell' Appuleio della la- pide , che apparisce rimasto orfano in età fanciullesca sotto la cura della madre Fabia Numantina ? Di una dama Romana vivente a questi tempi , e che portò lo stesso cognome si fa menzione da Tacito ( An. 1. 4- t^» aa ) , narrando che nel 777 il Pretore Plausio Silvano sia che fosse pazzo , sia che fingesse d' esserlo col pre- cipitarla dall' alto uccise Apronia sua moglie figlia del console del 761 , e aggiungendo poi ; Mox Numantina prior uxor ejus accusata iniecisse carminibus , et ve Tìeficiis vecordiam marito insoris judicatur. Non è improbabile , che queste due femmine omonime e coeve fossero la medesima persona, ninna difficoltà essendovi che quella che aveva fatto divorzio con Plausio Silvano qualche tempo innanzi il 777 possa essere passata alle seconde nozze con Sesto Appuleio console non più , che dieci anni prima. Intanto è certo che Numantino fu cognome di chiarissima gente , quantunque sia sfug- gito a tutti i collettori , attestandolo anche Giovenale nella satira Vili, in cui riprende i vjzj dei nobili. 562 effigies , quo Tot bellatorum , si luditur alea pernox Ante Numantinosf si dormire incipit ortu Luciferi , quo signa duces et castra movehant f Cur Allobrogicis et magna gaudeat ara Natus in Herculeo Fabius lare , si cupidus , si Vanus , et Euganea quantum, vis mollior agno. Però né da Tacito, né da Giovenale erasi risaputo a qual gente appartenesse , e solo aveva sospettato , che spettasse ai Fabj , si per le cose che soggiunge il Satirico , come perchè in un catalogo di nobilissimi sacerdoti edito dal Marini ( F. A. p. y6 ) aveva visto ricordato nell'8i2 un fabivs . num .... Non avendosi altri appellativi fra i cogniti almeno , che possine ristaurare quella frat- tura , se non che N'umida , o Namidius, e Numantinus , né veggendosl alcuna relazione fra i primi , e la gente Fabia , quando sono manifestissime quelle del secondo , aveva supplito in quel marmo fabivs . nvyianlinus. Maximus , il che dalla presente lapide viene ora egre- giamente confermato. E noto che questa denominazione proveniente da Numanzia espugnata fu data pel primo a Scipione Africano minore , onde taluno potrebbe cre- dere , che avesse dovuto finire con lui , non avendo la- sciato discendenza. Ma sussistette però la linea del suo fratello primogenito Q. Fabio Massimo Emiliano , la quale era in sommo fiore ai tempi di Augusto , e si sa anzi , che per far pompa della sua nobiltà , rimise in uso a quei tempi tutte le magnifiche anticaglie della famiglia ; quindi Q. Fabio console nel ^43 . marito della Marcia celebrata dai versi d' Ovidio , prese il cognome di Paulo in ricordanza del celebre L, Paulo , da cui di- scendeva direttamente , e diede al figlio console nel 787 quello di Persico da Perse , o Perseo re di Mace- donia condotto da quel Paulo in trionfo. Egualmente il minor fratello di Paulo Fabio volle risuscitare le glo- rie del ramo cadetto della casa , e si fece chiamare Africano in memoria del prelodato Scipione distruttore di Cartagine. Or come il figlio del primogenito aveva 563 avuto il cognome di Persico pel trionfo riportato dail Paulo, da cui il padre denpminavasi , cosi io penso che per egual l'agicne la prole di Fabio Africano fosse della Numantina dalT altra insigne coo(juista fatta dal gran- de antenato, nel di cui nome era succeduto il di lei genitore. Da tutto ciò se ne .conchiude che la nostra Fabia dovrebbe esser nata da Q. Fabio Massimo Afrir cano console nel 744- l^«r tal modo saremmo noi .ar- rivati a conoscere il padre , la madre e il nonno di quest'ultimo Appuleio , ma non potrei dare un'^egual contezza del bisavolo , del quale nuli' altro si sa , se non che chiamossi Sesto egli pure , facendone fede le inscrizioni del figlio. Imperocché , se non è sbagliato un qualche prenome , egli non può essere il L. Appu- leio Pretore di Macedonia nel 6g6 memorato nella Plaa- ciana e. io, né il P. Appuleio Tribuno della plebe nel 711, di cui si parla nella Filippica XIV. e. 6., il quale essendo stalo proscritto dai triumviri fuggì colla moglie e colla famiglia secondo la narrazione di Ap- piano ( 1. 3. e. 4^* )• E né meno può essere il M. Ap- puleio proquesiore dell'Asia nel 710 citato dalla Filip- pica X. e IO, che fu l'altro proscritto di questa casa , di cui fa ricordo il medesimo Appiano ( 1. 3 e. 46 ). Ricoveratosi presso Bruto, ottenne da lui il governo della Bìtinia , che dopo la battaglia di Filippi conse- gnò a M. Antonio , impetrandone in cambio la facoltà di ritornare a Roma. Bensì non porrei difBcultk nel cre- dere , eh' egli fosse uno zio del console del yaS , e quel medesimo Marco figlio di Sesto, che nel ^31 reg- geva la Rezia , siccome c'insegna un marmo Tridentino del Donati (p. 209.6), e che nel 784 conseguì i fasci consolari forse in grazia del matrimonio del nipote colla nipote d' Augusto. Dopo ciò non mi resta altro da dire , se non che argomentando dallo spazio mancante per la frattura della lapide , quest' ultimo rampollo degli Ap- pulel ebbe anch' egli come i suoi maggiori il prenome di Sesto , e che il silenzio in essa serbato d' ogni of- ficio anche sacerdotale induce un' assai fondata opinio- 564 ne che fosse rapito dalla morte innanzi di assumere la toga virile, perloccbè non deve recar meraviglia , se presso gli scrittori non ce n'è rimasta memoria. Se dun- que vi piacerà di starvene pago a questi miei sogni , o congetture , che chiamarli vogliale , voi avrete in questo sasso un pronipote di Ottavia da aggiungersi air albero genealogico dei Cesari , che ci ha dato il Brotier nel suo Tacito. Ali* amor vostro mi raccomando. S. Marino li 5 novembre 1839. 565 POESIE INEDITE DI ANTONIO CESARI P. D. O. A Sua Altezza Reale LA Principessa AMALIA AUGUSTA. Vice-Regina d' Italia antonio cesari COMPILATORE DELLA NUOVA EDIZIONE DELLA CRUSCA IN VERONA PRESENTANDONE A S. A. IL SETTIMO ED ULTIMO TOMO. CAPITOLO NEL QUALE ESSA CRUSCA PARLA ALLA MEDESIMA PRINCIPESSA. 1 ' affazzonata al meglio che mi diede Il povero mio stato, io vengo a Voi, O Real Donna , per baciarvi il piede. Io non dico venir da' lidi Eoi O da finibus tense, come s'usa Per innalzarsi de' natali suoi. Io nacqui in Terra tra montagne chiusa; E "1 meglio de' miei di vissi in Fiorenza , E poscia da Certaldo anche in Valchiusa. 11 566 Ciò v' avrà dato piena conoscenza Dell'origine mia; sono Toscana, Nata della Latina alta semenza. E bench'io tenga un po' dell' Alpigiana , M'ebbe cara più d'un nobile ingegno,- E dettai leggi come una Sovrana. Veramente dal mio naturai Regno Or venuta non son , ma da Verona , U'per cinque anni star non ebbi a sdegno. Ma perchè d' esto tatto si ragiona Variamente fra' miei, vo' che sappiate La cosa me' , che per voce non suona. Egli è in Verona un tal tra prete e frate , Che per amor di mia beltà divina Arse di verno , e abbrividò di state. E cantò mia sembianza pellegrina In prosa e 'n verso , si eh' in gelosia Fu per scaldar la mia madre Latina. Ma perchè a certi la bellezza mia Non parve degna di si alti carmi , E fu '1 suo amor creduto frenesia ; IMolti centra di me presero 1' armi , Dandomi biasmo di vieta e di rancia ; E 'u suo dispetto ban tolto a canzonarmi; Ond' egli , come un Paladin di Francia, Per mia difesa si spogliò 'n farsetto Cavalier nuovo , ed impugnò la lancia : E tirando a traverso , e per diretto, Di que' bravi a più d' un fece la festa , E all'altro mondo gli mandò di netto. Sebben si scura fu quella tempesta , Ch' anch' egli ne toccò qualche mazzata , E 'I naso ne portò rotto , e la testa. Con men di zelo i Dei fer la parata, Armati di stecconi , e spiedi , e sassi , Al Padre Giove nella gran giornata; Quando là 'n Flegra cento Satanassi, Mettendo in campo tutta la lor possa . Dell'assalto del ciel tentaro i passi; re; E soprapposto a Pelio Olimpo ed Ossa, Macigni alto scagliavano, e iroii.oni , Per scavezzar di Giove il cranio e l'ossa. Dal ciel pendeano in giù volti i cannoni Tutti alle teste dello stuol rubello , Baliste, catapulte, archi, tromboni. Palla alla coda , con 1' occhio a sportello , Traguardando librava il colpo ; e Maite Dava fuoco al cannon , cora' vedeagl hello. Liicciate fuor con la terribil arte , Fioccavano le pnlle con tal rombo. Che '1 mondo ne tremava in ogni parte. 13acco gran trave giù mandava a piombo i Giove ^folgoreggiava in tal procella. Che ^n'assordar gli Dei per lo rinabombo. Chi de giganti perse le budella , Chi le gambe, o le spalle ; e fu veduto A cui saltaro in aria le cerNella. tinche, per non volerne altro saluto, Tutti scappar, lasciando la batiaglin , Chi monco , o guercio , e chi de' pie perduto. Adunque (per uscir di tal canaglia) Dico , che quel mio bravo cavaliere Nella difesa mia mostrò che vaglia. Or veggeudorai a lui tanto piacere, E la molta sua fé consìderAudo , Che tanto del mi'onorgli fé' calere, Che fece men per Angelica Orlando; Pensai eh' io sarei stata ben veduta , Venendolo io medesnia visitando. Tanto più , eh' alla gente , ora perduta Dietro ad altre bellezze , io più non sono Bella nel mio paese e cara avuta : E già tempo è , ch'ai mondo più non sono i^ue' prodi miei, per le cui opre sante ."Ji chiaro andò della mia fama il suono. Dunque fregando per l'Alpi le piante, Finalmente in Verona fermai '1 passo. In casa appunto del mio nuovo Amante. 568 Delle dolci ' accoglienze anzi io mi passo , Che dirne poco, e del dir caldo e pio. Che di pietade avria spezzato un sasso. Sfocato insieme l'onesto desìo, E richieste e rendiite assai novelle De' modi e usanze del popolo mio; Venimmo Analmente a dir cavelle Di quella dote , che mi fu lasciata Ab antico da quelle Anime belle. Allor diss' ei : S' ho ben considerata La tua condizion , che tu noi senti , Gran parte della dote ètti frodata ; Che , tra per donazioni e testamenti , Ti venne in casa sì , eh' in indigrosso , Dovresti aver sopr' ogni cento un venti. Ma lascia pur far me : o' ho tanto indosso Per te d'amor, di' io vincerò la zuffa, Con 1' arco in ciò mettendomi dell' osso. Ciò detto , a rifrustar tutto s' attuila Le casse degli ardiivj e gli scaifali , Scotendo a mille cartabei la muffa. Studia le copie e' vecchi originali , Di barbarica lettera e rabesca , La vista logorandovi e gli occhiali. Ne' quaderni , ne' ruotoli ripesca Degli atti antichi e nuovi, e per consiglio Con gli avvocati e co' nota] s' invesca. A diplomi e processi dh di piglio ; Tenendo ad ogni coma teso e aguzzo , Qual -vecchio sarto nella cruna , il ciglio. In questo di pensier calcato gruzzo , Iva da' sensi e pur da so diviso: Di sorta tal gli s' era tocco il ruzzo. Alla sua Crusca ognor intento e 6so , JNon vedea , non sentiva , a' buon cristiani Spesso per aslrazion sputando in viso. Tnlor uscia parlando con le mani , E per amor d'un nome o verbo attivo. Gli uomia mandava e le creanze a' cani. , 569 Talari non crederà quel eh' orn scrivo: Che, cominciato un Salmo, o la (jonipleta , La finì 'n gloria d'un Neutro passivo. Ma ( poicli' esser più lunga ragion vieta) Vedete amor di lui , vedete fede , Degna d'aver, come Laura , un poeta. Or della pena che per me si diede lo colsi il frutto; come la minuta Dice de' conti, che \i pongo appiede (i)- Perchè sopra l' antic i mia tenuta, \n cinquanta migliaja di fiorini Mi fu la dote, sua mercè, cresciuta. Ijì che in queste smaniglie ed orecchini, E braccialetti, e ciondoli, ed anella , E di perle fregiata, e di rubini, (Se niiiarmi in quest'abito v' abbella ) A Voi, Donna Real , mi son cundutla , Per amor di colui che mi le" bella. il qual nella sì lunga ed ardua lutta , Presa per me con travaglio colanto, Ogni vital sostanza ha già rasciutta: Ed un'etica ftbbre ha sempre accanto, (2) Ch'a tisichezza il tien mollo vicino. Ed è poco lontan dalT olio santo. Onde prima che affatto il poverino Al lumicin conducasi da vero (3), E corra de' poeti anch' ei il destino: (i) Nella nuova Ediziou veronese , tra nuove v'oci , e nuo- vi usi 0 niauicre, lùrono falle alla Crusca forse cinquanta- mila giunto. ( Nola del Cesari). 1^2) Inlisichllo deniio del polmone Ed è poco lonlan da l'olio santo. E per aggiunta senza discrezione Gli hainio sugalo i medici il borsino , Si eh' or gli resta vendersi in prigione. Onde prima ecc. (3) (Si conduca sul lastrico da veio) 5^0 D' un vostro sguardo aspetta il refrigero ; Questo il polria cavar di lisicume , E ritirarlo un po' dal cimitero (4). E come è de' begli animi costume, Date favor ad un , eh' ancor potrebbe (5) Al nome vostro e al mio far qualche lume ; Già dell' umile suo stato ne ncrebbe Anche al Pvpal vostro ronsorte, a cui In quanto oprò finor 1' ajuto debbe. Or fate il colmo a' benefizj sui , Mostrandovi anch' in questo a Lui simile j Di che egual gloria torni ad ambedui. L'alia bella, 1' alteramente umile Atto real, che riverenza inspira, E amor s' acquista da ogni cor gentile, Si larga spome in tutta Italia spira , Che già fin d'or di sue glorie secura Sotto il vostro favor ride e respira. Veggo la lingua mia già vile e scura (6) , Vostra mercè , gloriosa rifarse Nel primo stato e sua nobii figura. Poi eh' a Voi bella ed assai degna parse Dei real vostro amor , tutta s' adorna Del vostro lume , ed alto osa mostrarse. Già nuovo ordin di e ise ornai ritorna , Già '1 deslin favoreggia il mio desire : Della mia gloria un njagglor dì s' aggiorna. Ecco il gran Padre vostro, il nostro Sire Alla bellopra menv randa stende Anch' ei la mano, e obhlia gli sdegni e l'ire. Amor d'altri desir quel petto accende: (4) Deh I tnaudaLcgli un po' di refrigero , Glie '1 cavi luor di questo tisicume , E lo ritiri un po' dal cimitero, ("i) Pietà vi muova d' un , eli' ancor potrebbe ((j) Veggo già la mia lingua bassa e vile Ricevendo suo slato alto e gcnlLlc. ^7^ Già de' pensieri bellicosi il loco Genio di pace , e de' bei studj prende. Sazio di gloria e di trionfi, poco Sentendo il mondo al suo valor, dimostra Meglio amar delle mnse il genlil foco : E più in questo assai che Re si mostra. 572 ESPOSIZIONE dell' /à e e ad ernia Ligustica di Belle Arti nello scorso agosto. c Oe vi è cosa che debba tornar grata all' amatore delle arti ia questa nostra patria , gli è certo il considerare quanto , da non molti anni , il favore verso le mede- sime sia andato crescendo , e come noo solo molti pren- dano diletto di esaminarne le opere, allorché al pub- blico giudicio vengono esposte, ma come parecchi ezian- dio, che non stanno contenti a questa lodevole curiosità, si dieno a far di pubblica ragione le loro sentenze su quanto venne ad essi osservato, li , se a cosi adoperare siano mossi dalla ricerca del vero e dal desiderio del bene, né manchino ad essi le cognizioni da ciò, ot- timi saranno gli effetti che seguiranno il lor proposito. Quando al contrario 1' amor di parte , e certe idee fa- vorite , o proprie , o accattate , e la voglia pur anco di discorrer cose d'arte per parerne intelligenti (voglia che al dì d' oggi a molti, qunsi epidemia si appicca) ne movesser la penna , assai perniciose è a temere , che ne riuscissero le conseguenze. Noi , senza presumere di venir annoverati nell' onorato numero dei primi per 1' eftetto e la dottrina , sì il vogliamo per la intenzione; e, se non andiamo errati, crediamo che dal tempo iti cui ci siamo posti a tialiare siifatta materia , di tutt' altro possiamo esserci meritata la taccia , che di aver travisato per pnssione d'animo il vero. Nel qual uffizio di scrittori di cose pertinenti alle arti , se altri ci ha raggiunti , e facilmente superati , ci basta che di questo sol vanto possiamo andar paghi, di aver cioè invogliato altrui di seguire con miglior successo il nostro esempio , e contribuito cosi, ancora in questo, come meglio per noi si potea , allo splendore di quelle arti , che sempre 573 abbiam avuto care compagne , sia nelle liete , come nelle tristi vicende della vita. Ciò premesso, entriamo di buon animo a dir alcuna cosa delle opere, che nella metà dello scorso agosto furono esposte all' Accademia. Correano quest'anno , com'è noto , i triennali concorsi d' invenzione , e però in tutte le classi , eccetto in quella d' incisione , ove in maggiore , ove in minor numero , si presentarono i concorrenti. La mancanza di questi nella classe d' intaglio , non ci ha fatto maraviglia , perchè essendo essa ripristinata da non molto tempo , non è ragionevolmente a pretendere che sienvi già a quest' ora alcuni in grado di condurre a perfezione incisioni, quali si richiedono ad un concorso maggiore. Nella classe di pittura tre erano i concorrenti sul tema di Giuseppe , che spiega i sogni ai prigionieri. Conviene però confessare, che le opere presentate, non corrisposero al buon volere, o fors:^ me..;lio, alla con6- dente sicurezza dei loro autori E sebbene uno d" essi conseguisse il premio, forse perchè, in paragone degli altri, il suo lavoro avea qualche parte lodabile , e la prova estemporanea , per certa prontezza di concetto , e lampo di colore , dava assai favorevole idea del suo valore ; pure il primo era lontano da quella bontà che ragionevolmente si potea pretendere. Tranne la figura di uno dei prigionieri , le altre si vedeano senza effetto e rilievo, peccanti così nel disegno, come nelle tinte; né meglio osservato il costume nelle vesti, o la convenienza nel fondo, decoralo non si sa con quanta verosimigli- anza , di segni geroglifici. In generale , ci pare che i gio- vani non facciano abbastanza concetto delle parti che son necessarie , onde condurre a compimento un' inven- zione , trovata che sia. Chi vuol farlo con isperanza di fortunata riuscita deve , non solo aver già superato le pri- me difficoltà, e accostumato la mano ad esser fedele ese- cutrice di quanto 1' occhio vede , e 1' animo sente , ma trovarsi corredato di quelle cognizioni, che non dipen- dono solo dallo studio delle arti , ma da quello ancora delle lettere , senza il quale non sarà mai , che alcuno 574 sia osservator del costume , e della fedeltà delle istorie. Deve finalmente colla considerazione dell' antico , e dei gran maestri delle rinnovate arti italiane , aver cono- sciuto l'artificio di ben disporre, e distribuire il sog- getto. Al contrario molti vegliamo oggidì , impazienti delin fatica , non curare queste avvertenze , e sordi a qualunque suggerimento dei maestri , credersi d' aver già toccato la cima del perfetto , quando hanno dato appena i primi passi nella dKScil carriera ; quindi , con aiiinio imperturbabile , affrontare ogni più arduo ci- mento , cui venuti meno per necessità , accusano dell' onta sofferta tutt' altro , dalla stolta loro presunzione in fuori. L' unico concorrente nella classe di scultura , a cui fu attribuito il premio , presentò , giusta il program- ma , il gruppo di Angelica e Medoro , operato con molta diligenza e facilità; le quali doti quando non sieno disgiunte dalle principali , possono meritar qual- che lode. iN(;l caso nostro però , assai rimaneva a desi- derare ; giacché la figura del Medoro, lungi dallo espri- mere il caldo affetto del giovine , si ravvisava al tutto fredda ed indifferente. E se meno insipida era quella di Angelica , troppo contorta però nella sua azione pel desiderio di farla graziosa, riusciva invece leziosa ed affettata. Ma, al leggere queste nostre osservazioni, ci sembra che alcuno maraviglialo domandi : se queste opere non erano degne io tutio di approvazione , come mai ot- tennero r onore del premio ? Al die , in primo luogo rispoudoremo , che noi non ci arroghiamo la persona di giudici , e solo diciamo quello che il lume naturale , e un qualche studio delle arti belle ci ha dettato. Forse altrimenti ne parve a' giudici artisti , e al loro voto sembra che sia da acquietarsi; forse ancora adessi non parve diversamente da quanto abbiamo esposto; ma il desiderio d' incoraggiare i giovani studiosi , li mosse ad usare maggiore facilità; e allora , lodando la buona intenzione , non lasceremo di ricordare , che nel prò- nuaziare slmili giudizj , una discreta severità pare da preferirsi ad una eccedente condiscendenza. Perchè se è vero che non si devono sconfortare i giovani col so- verchio rigore , non è men certo che non si deve nep- pur blandire la mediocrità , e rallentar cosi 1' ardore de- gli emoli , i quali vedendo una corona facilmente con- cessa , poco più di sforzo adoperano nel meritarla , e quindi, con lor danno, perde questa le sue attrattive. Di soverchia condiscendenza non furono certo a tac- ciarsi i giudizj nella classe di ornato , rispetto al con- corso d' invenzione. Fra i varj disegni eseguiti sul te- ma di una pila ad uso di battislerio , uno ve n'era, che a parer nostro, e quel che più vnle , degl'inten- denti, riuniva tutte le condizioni desiderabili. Bell' j>ì- sieme , ragionata invenzione , eleganza di forma , e di ornamenti , stile severo , esecuzione acculata , doti che ravvisandosi ancora nella prova estemporanea , parca che avessero assicurato all'autore la dovuta ricompensa. Né si sa per quale combinazione non venne assegnata, mentre fra gli altri disegni, ninno ve n'era che po- tesse venire al paragone. Questo , che chiameremo con- trattempo , mentre ha privato il concorrente del pre- mio meritato, ha defraudato l'Accademia di una bellis- sima opera di concorso, che in quello di quest^anno, avrebbe fatto onoratissima comparsa. In compenso, il giudizio nella classe di architettura fu verso il Sig. Giovanni Marsano più equo , e i suoi disegni di un maestoso casino ad uso di una grande città, come il tema prescrivea, ottennero la dovuta co- rona. E a dir vero , manifestarono compitamente il va- lore di questo giovane architetto , tanta era la conve- niente distribuzione delle piante, la eleganza delle de- corazioni interne, la sobria ricchezza delle esteriori, e lo stile , in generale , savio e purgato. Quest' opera , non che 1' altra di ornato poc' anzi ricordata , crediamo elle sieno tali da far onore a qualunque più fiorente Accademia. Parleremo ora dei concorsi minori , ossia di copia , giacché a parer nostro, son quelli che segnano il gra- do degli avanzamenti in un' Accademia, dimostrano 1' or- dine tenuto nell' insegnare , e i frutti che ne derivano. Il soggetto di copia in disegno era una delle limette della loggia Doria , dipinta da Pierino del Vaga Del quale ninno più adattato potea scegliere per i giovani disegnatori , riunendo , bellezza di forme , fermezza di contorno, eleganza di carattere. E questo studio, ot- timo in se , fu dal Signor Francesco Ravano ottima- mente condotto in un cartone grande quanto il dipii»- to ; metodo giovevolissimo di esercitar Y occhio e la ma- no, che introdotto da pochi anni nell'Accademia, dopo le note riforme , ha prodotto molla utilità. In altro pic- colo disegno cavato da un quadretto di Sassoferrato , il medesimo Sig. Ravano ha chinrito , che chi non si rallenta negli studj fondamentali dell'arte, acquista, oltre alle principali , anche le parti secondarie , della bella e facile esecuzione. Ed è con lui a congratularsi , che essendosi dedicato all'intaglio in rame, nel quale alcuni felicissimi esperimenti lo han dichiarato assai valente, egli attenda a divenire dotto e fondato dise- gnatore , e però ad acquistare la prima lode che possa ad incisore venir attribuita. Alla gara dei modellatori fu proposta la bellissima statua del Zenone, e fra i molti rivali, il giovine Ru- batto ottenne 11 premio , come quello che più degli al- tri avea dato alla sua figura il carattere dell' esemplare antico. Non minori furono i concorrenti al secondo pre- mio in architettura , multi dei quali , a dir vero , de- boli assai , perchè forse innanzi tempo vollero cimen- tar le proprie forze. Il soggetto era , cavar la pianta del palazzo Sauli, architettura di Galeazzo Alessi, nel bor- go di S. Vincenzo , misurando 1' edificio medesimo , od eseguirne l'alzata e gli spaccati, da' disegni di antichi concorsi esistenti all'Accademia. Nella classe degli orna- menti un candelabro di Piranesi , e im fregio antico della raccolta del Professore Ferdinando Alberlolli , fu- rono assegnati per tema agli sludeali. Al qual proposilo eì sia lecito 1' osservare , che il sistema di dar per sog- getto ai concorsi di copia altre copie , non ci pare ade- guar l'oggetto dei medesimi. Le piccole medaglie sono quelle destinate a premiare i primi tentativi degli alun- ni in simili esperimenti : perciò , seguendo 1' uso anti- co, le copie dal rilievo, rispetto alla classe d'ornato, e i disegni cavati dalle misure prese sui migliori edi- fiz) , in quella di architettura, dovrebbero esser soli proposti in occasione dei secondi concorsi. Le meda- glie d' incoraggiamento ne parvero saviamente distri- buite , e quelle ottenute al disegno dai gessi dai gio- vani Gammillo Marcenaro , e Federigo Peschiera, fu- rono ben acquistate in grazia dell' intelligenza con cui copiarono, il primo la testa di Vitellio , il secondo quel- la del Faunelto , avendone espresso fedelmente il ca- rattere. Il Signor Marcenaro espose pure una copia della Santa Cecilia, incisa da Gandolfì che, quanto all'ef- fetto , e all' esecuzione , lasciava poco a desiderare. Vo- lendo però far mostra della sua perizia, anche in que- sto genere di disegnare accurato in minori propor- zioni , meglio avrebbe fatto di non scegliere ad esem- pio una stampa , e tanto meno una di quel genere ; ma piuttosto prendere a scopo di sua imitazione un dipinto di classico autore , di cui non è penuria in Genova , uè in luoghi pubblici, né in privati. Sentiamo ch'egli siasi volto a trattar 1^ incisione; e certo che tanto il disegno di cui parliamo, come l'altro della Fornarina nella tra- sfigurazione , da lui eseguita a penna , fanno presumere con fondamento , eh' egli debba aver per quella dispostis- simo ingegno. Non lasceremo di rammentare come degnissima d'en- comio la scuola degli ornamenti, la quale, retta con tutto amore ed intelligenza dal Sig. Canzio, ogni anno, siccome in questo , è ricca di bei disegni , operati eoa buonissimo metodo, e sanissimo stile. E faremo pur menzione, fra le accademie modellate, di quella del Sig. Viale , che non dimentica come nell' arte sua di oi:efice, lo renderan pregiato gli studj di scultura eh' 5^8 egli , con tanto successo coltiva. Ci rallegreremo da ul- timo col Sig. Cevasco del consiglio che il mosse, col proprio, ad esprimere il pubblico voto , nel monumento da lui ideato alla memoria del non mai abbastanza pianto e celebrato Marchese d' Yenne j nel quale la sem- plicità del pensiere , e dell' esecuzione , danno non fal- lace indizio dell' ottima sua disposizione. Fin qui degli studj dell'Accademia. . Della esposizione generale staremo contenti a ricordare i due ritratti esposti dai pittori Picasso, e Fontana , che am- bedue erano per pregi diversi lodatissimi. Nel primo si rav- visava la verità dei lineamenti combinata colla venustà del sembiante, una squisita, diligenza di esecuzione , cuna minuta imitazione delle vesti , forse troppa pel buon ef- fetto pittoresco. Nel secondo , molta disinvolta bravura di pennello e di tinte , e un effetto di luce singolare, la quale raccolta vivissima su quella fronte le dava anima e vita. Tutta la mezza figura poi avvolta , con ben disposte pieghe, in ampio tabarro, di mezzo a cui fuori spor- gea una mano, cosi pel disegno, come pel colore pie- na di verità. Delle altre opere , la maggior pmte di amatori, lasceremo di dar contezza, non dovendosi, a parer nostro , nel giudicarle , adoperar la misura che si suole verso quelle de' professori , bastando nelle pri- me il buon volere unito ad una discreta bontà. Però non sapremmo dir parole scortesi a chi , forse troppo , si allontanò dal segno, uè levare a cielo chi , ragionevol- mente operando , dove contentarsi di una proporzionata lode. Solo aggiugneremo clie noi , come dal fin qui detto sarà facile il dedurre, abbiamo considerato la presen- te esposizione in modo diverso da quello che altri usa- rono , nel darne alcun ragguaglio. Quegli scrittori han- no , a parer nostro errato, pretendendo di trovarvi un complesso d'opere d'invenzione, specialmente in pit- tura, quale appena si ammira, e non sempre (i), nelle (i) Come quest' anno è accaduto nella per altro fìorcn- tissiina Accatlemia di Milano , dove nei gran concorsi , ai tema di pittura niaiicaronu i concorrenti , e a quelli di scifl- esposizioni di quelle Accademie, le quali, protette dal favore Sovrano , possono e devono corrispondere a tan- to , e si valevole patrocinio. Ognuno sa che l'Accade- mia Ligustica , nata e cresciuta dalla inclinazione di parecchi amatori delle arti verso le medesime, ha perisco- pò d' iniziare nello studio di esse ogni fatta di persone, e in singoiar modo quelle , che per le arti e i mestieii che devono trattare , abbisognano di qualche nozione di disegno. Non è per questo , cV essa non curi, e non si piaccia grandemente ancora , di quegl' ingegni , i qua- li nello studio delle arti promettono non mediocre riu- scita ,• che anzi per essi nulla risparmia di ciò che al compiuto loro ammaestramento possa tornar vantaggioso. Delle sue cure a prò d'ogni classe di artefici sì vedono i frutti tuttodì nel!' esercizio delle arti minori , le qua- li tendono alla perfezione , da cui erano , anni addietro, lontane assai. Ma gli effetti del suo insegnamento, ri- spetto alle arti belle , quanto sono patenti nel profitto dei giovani nei primi anni di magistero , altrettanto dif- ficile è a ravvisarli in opere di grand' importanza , per- dio quelli che sarebbero giunti a grado di produrne, vanno d'ordinarlo a compier la loro istruzione fuor di patria, come appunto di parecchi accade al presente (2). E quando anclie alcuni in patria se ne trovassero da ciò, mancano ad essi le occasioni propizie di far mostra del proprio valore, mentre neppur tali si possono consi- derare i concorsi , giacché i premj che T Accademia asse- gna non sono di tal momento da poter pretendere in contraccambio lavori , che pel solo incomod(> delle spe- se necessarie per gli studj e per l'esecuzione, oltrepas- sano certo le forze de' giovani studenti. D altronde, veg- giamo ancora non di rado fra noi , con insolito esem- tura e di ornato , e del disegno di figure non furono pre- sentale opere che venissero reputale meritevoli del premio. (2) Fra questi bennati giovani nomineremo il Sig. Giu- seppe Frascheri di Savona , il quale ito 1' anno scorso a Fi- renze per cagione di studio , in questo ha conseguito da quella I. R. Accademia di belle arti il premio del bozzetto d' invenzione in pittura. 58o pio , quando trattisi d' opere d" arte , preferire stranieri ^ benché di mediocre sapere , ai nazionali sebben valo- rosi , e questo costume non è certo opportuno a fa- vorire le arti patrie. Del rimanente ripeteremo che il voler giudicare di quest' Accademia come di quelle che , sostenute dalla protezione Sovrana , hanno i mezzi di mostrar , per cosi dire , le proprie ricchezze , sia nelle opere che i loro pensionati annualmente mandano per obbligo alle esposizioni, sia in quelle che vi presentano gli stranieri , lusingati dalle lucrose condizioni dei con- corsi , estesi non solo a tutta Italia , ma ben anco a tutta la colta Europa , è opera vana. Ben al contrario , nel nostro caso, è ad aver caro se, in mezzo alle diffi- coltà che da ogni parte stringon l'artista, di quando a quando il buon volere si mostri più. possente della con- traria fortuna, come 1' anno scorso nel bellissimo grup- po di Dedalo e Icaro del Sig. Varni si fece manifesto. Dopo ciò speriamo che le ultime nostre parole non sa- ranno tenute fuor di modo scortesi ed acerbe, se di- remo che ci mosse pili a riso che a sdegno quanto ul- timamente leggemmo in un foglietto di mode , ove di mezzo a creste ed ai fichus , scappa fuori, in due bra- ni , un articolo , il quale nel dar conto dell' esposizione di quest'anno, mira a screditare la direzione dell'Ac- cademia , e l' insegnamento in una delle sue classi. L' au- tore di tal miseria , in cambio di condannar ciò che mostra di non conoscere, dovea con miglior consiglio, star contento ai giudizj che gli piacque proferire sulle opere esposte , giacché ognuno , che ha occhi , può dir, bene , o male , il proprio parere sa ciò che vede j ma non dovea mai trascorrere a giudicar leggermente e alP impazzata di uno istituto che riscuote la slima, e la riconoscenza universale. Scritti di simil fatta, hanno pe- rò ordinariamente seco la propria confutazione ; e il presente poi 1' ha amplissima, negli errori di fatto e nelle contraddizioni di cui è ricco a dovizia. Oltrecchè , vi trapela, non abbastanza celato, l'animo dello scrittore, che si direbbe spiiit\'V Convito di Dante Alighieri ridotto a lezione migliore. Padova, tip. Minerva, 1837, in 8.*^ Dopo la celebre edizione della Divina Commedia uscita da questa stamperia, bene avvisarono gli egregj slgg. che dirigono tal società tipografica a darci le opere minori di Dante , delle quali è questo il primo volume , che ci fa desiderare gli altri non per anco, a nostra notizia, pubblicali. Pochi esemplari d' una edizione milanese , che servì di norma alla presente , aveauo già veduta la luce per cura del March. G. C. Trivulzio , di V. Monti , e di Giannantonio Maggi sulla scorta di ben molti Go- dici Veneti, Fiorentini, Romani e Milanesi, registrati in fine della Prefazione. Fin dal 1823 avea pubblicato il Monti in Milano il suo Sai^gio degli errori trascorsi in tutte le edizioni del Convito , conforme al quale è fatta questa edizione, ed evvi spesso citato. In fine al volume si leggono i luoghi degli autori citati da Dante nel Convito, raccolti dall' ab. Mazzucchelli pref. dell' Ambrosiana. Chi letto non abbia quest' opera informe di Dante , rimarrebbe di leggieri ingannato dal titolo di Convito, che par d' altro secolo. Ma ella altro non è che un Com- mento fatto dall' Autore alle sue tre nobili Canzoni — Foi che intendendo il terzo del movete — Amor che nella mente mi ragiona — Le dolci rime d' Amor ch'io solia. — Né questa, che abbiamo, è se non il principio di tutta 1' opera disegnata , e non finita dell' Alighieri , il quale , siccome avea fatto nella ìTila nuo- va , volea cementare quattordici sue Canzoni sì di Amo- re, come di virlh materiate. « Così .... puotesi vedere « questo pane, col quale si deono mangiare le infra- ct scritte Canzoni ( tratt. i. cap. i3) • " Vegnaci qua- « lunque è per cura famigliare o ci\ile nella umana fa- te ma rimase , e ad una mensa cogli altri simili Impe- tc diti s'assetti ( ib. cap. i.). 35 Nella spoiizione di dette Canzoni , in ciascuna delle quali spende un trat- tato , entra l'autore con tutto 1' apparato dei vai) sensi, distinzioni , e sottigliezze scolastiche proprie di que' tempi , onde pare a noi che questa prosa , tanto decan- tata da taluno, perda non poco di quella nobiltà che le viene attribuita j specialmente se vi si aggiungono i perpetui latinismi e altre arditezze. Nò sappiamo come r autore della Prefazione abbia potuto paragonarla col Decamerone. Inoltre chi crederebbe che il i." Trattato Intero si aggira tutto sul nome , e ragione dell' Opera ? Posto ancora che fosse condotta a fine , e meglio perciò le rispondesse il preambolo , non lascerebbe per questo d' essere una lungheria. Onde quanto son degni di lode coloro che durarono fatica a presentarci pulitamente un libro prezioso per le lettere italiane e venerando pel proprio autore , altrettanto è da scusarsi qnest' ultimo siccome impedito di condurlo a maggior perfezione. Ma i difetti , che noi abbiamo accennato , sono abbonde- volmente compensati dalle molte bellezze , dalla erudi- zione , e da frequenti tratti di sovrana eloquenza, dai quali spira l'anima di Dante, e le passioni che il do- minavano. Di qui è da credere che provenga l' amore posto a questo libro da non pochi moderni italiani , e da qualche tedesco. 596 Ovidio , le Eroidi tradotte da Remigio Fioren- tino, coti note. Milano , Fontana, i83o, in 16. Finge Ovidio in questa parte assai famosa delle sue poesie , una reciproca corrispondenza tra i più celebri eroi della mitologia , e le loro spose od amanti , come Ulisse e Penelope , Paride , Enoue ed Elena , Enea e Bidone, Ercole e Dejauira , collocandoli ne' punti più disastrosi della lor vita ed amori. Al quale esemplo te- nendo dietro il Bruni sul principiare del secolo xvii diede a' suoi coetanei anch' egli le Epistole Eroiche , cavandone i soggetti dal Furioso delP Ariosto, dal Gof- fredo del Tasso , dal Decamerone, dall' Eneide , e dalla storia sacra e profana. Tra le molte traduzioni fatte con lode da Remigio Fiorentino , la ristampata dal Fontana è conosciuta per buona da' letterati , e va co' migliori cinquecentisti che usarono il verso sciolto. Il maggior difetto che abbia si è l'amplificare il testo latino , che è largo per sé medesimo. Girolamo Pompei ci diede delle Eroidi una leggiadra versione in terza rima, la quale anche per fedeltà e precisione entra di lungo tratto in- nanzi a quella del Nannini. Dovea preferirla il Fontana dopo averci dato le Metamorfosi in ottava rima. L' e- dizione è corredata di argomenti e note in questi tempi nei quali la mitologia non è gran fatto studiata da' giovanetti. Il che se per disavventura fosse vero , né eziandio da cosi brevi note potrebbono essi ritrar tanto da ben intendere i luoghi che richieggono schiarimento. Ma la materia del libro non sappiamo se ne renda af- fatto sicura ai giovanetti la lettura. Sermoni di Gabriello ChiabrerJ. Genova, Stamperia Gesiniana, i83o, in 8." Questa gentil edizione é intitolata dal chiar. Ab. Rebuffo Direttore del Ginnasio di Genova all'illustre Prof. Bertoloni. Il testo fu corretto suU' autografo Chia- breriano , mercé la cortesia del March. Lorenzo N. Pareto , che si compiacque a tal uopo concedere il pie- 597 zloso originale. Dietro a' Sermoni si leggono le bellis- sime Osservazioni del Vannetti , grande ammiratore di siffatti componimenti Chiabrereschi. Alcune postille rischiarano parecchi luoghi del Poeta , che potrebbero sembrare oscuri per difetto di notizie opportune. Chiù- desi il volumetto colla descrizione del manoscritto le varianti , e 1' indice. Sei o sette errori corsi nella stam- pa , si emendino cosi : F.» 30. v.ult. jeri leggi: jer F.»78.v. 7 . castrone leggi : Catone « 38.V. ■H..srt sia « ò'i.v. \1 . Scorgeràper prova Sovetth. « 41 . V. ò. fontana montana per prora « 48.V. t9.o di odi « ^^0. \ .\3. S. Sisto S.Stefano Il riscontro del testo a penna colle stampe ci ha dato i6 versi non prima veduti j ed alcuni nomi propri, che o il Poeta stesso per delicatezza nell' emendare sugli ultimi giorni della sua vita i proprj componimenti o il capriccio degli Editori avean tramutato in nomi finti. Leggevasi , per es. nelle stampe, serm. xm dice il-Triif- fa'f ma il testo ha dice il Grasso y eh' è cognome di una famiglia Savonese assai riguardevole a' tempi del Poeta. Similmente negli esemplari a stampa troverai , serm. xxix : « e tutti Conditi col saper del nostro Erasto ; ed il Codice ti fa leggere : « E tutto Condito sì , che non fa più lo Scappi jì e sappiamo essere stato costui un celebratissimo dottore dell' arte cucinaria a' tempi del Poeta. E con ciò mo- strasi avere il Savonese imitato Orazio in questo ezian- dio dell' accoccarla a qualche particolar persona , come desiderava il Vannetti (V. questa ediz. pag. qq)j benché il Chlabrera , come uomo pieno di gentilezza , e più come filosofo cristiano , siasi dimostrato più guar- dingo , e caritatevole , che non fu il Venosino, Gli altri miglioramenti , essendo senza numero, si debbono rile- vare confrontando questa edizione con tutte quelle che r avean preceduta. n n 598 Catalogo d' Ornitologia di Genova , compilato da Girolamo Calvi Prof, nella R. Università ec. Ge- nova , 1828. in 8.° La Bibliot, Italiana nel dar notizia ( 1829) di un gran lavoro sull' Ornitologia , che si vien pubblicando in Parigi , osserva che molte sono le inesattezze, molte le mancanze che si rilevano ne* libri de' migliori eziandio ; e non doversi spe- rare che aver si possa lavoro in tal genere perfetto , se in tutte le regioni dell' orbe non sorgono de' naturalisti dotti e diligenti, i quali descrivendo gli uccelli della lor patria , preparino materiali sicuri ad un sistema di ornitologia. Questa osservazione della Biblioteca è giusta , e dee piacere a tutti gli amatori delle scienze. Quanto alla Liguria , il voto de' Giornalisti, era già posto ad effetto per cura del nostro Prof. Calvi , il quale non già ricopiando i libri altrui , ma cercando con 17 anni di fatica e di studio gli esemplari nella natura, ha potuto dare un Catalogo degno dell' atten- zione de' natu ralisti. Nel disporlo , si attenne al manuale del Temnink , saltando i generi e le specie che non ha mai trovate fra noi • accennando però i generi di cui non abbia- mo specie veruna. Questo bel lavoro non sarà inutile a' più dotti Ornitologi, perchè può supplire a qualche ommlssione del Temnink. Veggasi per es. a face. 55 e 56 la descri- zione del Cuculus glandarius fatta sopra tre individui presi negli anni 1821^ 1827 e 1828; del qual uccello non fa menzione il succitato autore del manuale. Aggiungo una mia notizia. L'anno i8i3 ebbi in mano un individuo preso ancor vivo , ma ferito , da un cacciatore in Albisola. Esami- nato colle indicazioni suggerite dal P, Pino negli elementi di storia naturale , si trovò essere una Starna-Rondine. I cac- ciatori più vecchj non sapevano denominarlo; e questo mi fa pensare che sia uccello tra noi rarissimo. Non trovo che ne parli il nostro Professore , e ciò stesso dee tornare in sua lode ; facendo conoscere apertamente eh' egli non tra- scrive , ma registra gli esemplari da lui veduti ; cosicché noi possiamo aver somma fiducia nelle sue descrizioni. 599 Quattro Decadi di Piante egiziane descritte, e illustrate dal Sig. D." Dr FiFiANi Profes- sore di Storia naturale , e di Botanica nella Regia Università di Genova. Mentre un drappello d'illustri viaggiatori, sotto gli auspizj di Governi generosi, dopo aver visitato l'Egitto, ed essere penetrato nelle più rimote e rinomate parti di quella vasta regione , sta ora trattenendo 1' Europa colta di sue dotte scoperte nelle produzioni della natura , e dell' arte , mi riesce grato il far conoscere il frutto delle fatiche di un nostro concittadino , che da nuli' altro sostenuto che dalla più calda passione per la scienza , va da qualche anno raccogliendo in quel classico suolo i più preziosi materiali per condurne a compimento la Flora. E questi il sig. Antonio Figari , allievo di questa Regia Università , e mio prediletto uditore nella scuola di Botanica , il quale appena finito il corso de' suoi studj , vago oltremodo di dilatare in un teatro più vasto le sue cognizioni nel regno vegetabile , passò in Egitto , dove con tanto amore e perseveranza si diede a raccogliere le piante de' luoghi , che gli venne fatto di visitare , che senza tema di esagerare può dirsi , pochi essere stati tra tanti viaggiatori , che in questi ultimi tempi hanno vi- sitato quelle contrade , di lui più felici nello scoprire di belle e rare specie , nessuno che lo agguagliasse nella tenuità de' mezzi , ond' egli sostenne la sua impresa. Le parti dell'Egitto, ov' egli ha finora ristretto le sue pe- regrinazioni , sono i contorni di Alessandria , dov' egli per qualche tempo soggiornò ; poscia quel tratto di paesp che tra essa e il Cairo si protende. Le vicinanze di questa città , il deserto di Kanke , il monte di Mo- cadan , le paludi di Giseh , sono stati in particolar modo fecondo campo di sue indefesse ricerche ; e non v' ha dubbio che la moderna capitale dell' Egitto dovrà , tra 6oo non molto, a uà nostro concittadino la Flora completa de' suoi dintorni. Oltre a 4oo specie monta il numero delle piante diseccate, che il signor Fi{^ari, a più ri- prese, mi ha inviato, e intieramente abbandonato , per la loro illustrazione , alle mie cure ; volendo anch' eali . come graziosamente si esprime in una sua lettera , suU' esempio del Della Cella, e del Serafini (i), pagare il suo tributo di riconoscenza alla scuola botanica geno- vese. Tra queste specie , molte vengono in conferma di quelle già state per que' luoghi da altri viaggiatori scoperte ; o bensi finora sconosciute in quelle contrade , benché già state in altri luoghi incontrate , servono a dilatare i limiti della loro geografica distribuzione: altre meritano di essere rivolte a supplire ai difetti delle loro descrizioni , per cui elle si rimanevan tuttora incerte , e dubbiose. E ve n'ha inoltre un bel numero , per le quali non trovando io negli autori di Botanica , per quanto abbia adoperato , descrizione che loro si confaccia , credo non siano state per anche conosciute , e descritte. Queste ultime , unitamente ad alcune illustrazioni in- torno a specie dubbiose , formano il soggetto di questo mio scritto , che verrà a più riprese proseguito. E non si può , in questo genere di lavori , fare tutto alla vol- ta , e andar a seconda de' proprj desiderj , che bisogna munirsi d' infinita pazienza , ove si tratta di rinfrescare in piante diseccate i caratteri eh' elle avevano mentr' era- no in vita. Fra le specie finora sconosciute , gratissima mi riusci la scoperta di un nuovo genere , per avermi fornito occasione di registrare negli annali della scienza il nome del nostro giovine botanico , "e mostrargli a un (i) II primo di questi miei allievi, nel suo via;^gio nella Ciicniica . e ne' deserti della Gian Slrte , mi ha l'orniti i liiateiiali dello Speciinen Florae Libjcae , da me pnbl)licato !ie!l' 182.4; l'altro, il D.'' Serafini , colle sue continue rl- oerc'ie in Corsica sua patria , mi ha somministrato quella i/eila serie di piante nuove, o rare , da me slate pubblicate zjcl Frodromus Florae Corsicele, e ne' suoi due appendici. 6oi tempo la mìa gratitudine, per aver deposto nelle mie mani di che prender tanta parte ne' suoi lavori. Poco mi resta a notare intorno al metodo da me se- guitato in queste descrizioni, nelle quali, benché mi sia ristretto alle così dette frasi specifiche , lio però procuralo che io queste , in un coi caratteri di diffe- renza , vi fossero compresi que' tratti che bastano ad abbozzare la fisonomla della pianta. Nel registrnre queste descrizioni , del pari che nel catalogo generale di tutte le piante trovate in Egitto dal signor Figari , mi soa tenuto all' ordine delle famiglie naturali , come quello , che trattandosi della Flora di una regione , riesce il più luminoso per chiarirci sulle relazioni geografiche sta- bilite dalla natura tra diverse famiglie di piante , e la loro stazione in diverse regioni del globo. Dirò per ultimo, a conforto de' botanici, che posson per avventura prender qualche interesse in questo la- voro , che il signor Figari , eletto , non ha gran tempo , dal Viceré d' Egitto a Professore di Botanica nel suo collegio militare di Abu-Zabel , e fatto direttore dell' orto botanico annesso a quella scuola , ci dà luogo a concepire le migliori speranze , di vedere condotta a fine la sua impresa; ora che egli è agli stipendii di un Principe , cui nulla sfugge di quanto può essere rivolto all' incivilimento de' popoli affidati al suo governo. E certamente tra le scienze naturali non ve n'ha, che piìi della Botanica , per le sue continue applicazioni all'A- gricoltura , alla Medicina , alle Arti , e piìi ancora per la innocente , e sempre utile passione che ispira per questi studj , possa più possentemente cooperare all' a- dempimento de' suoi vasti disegni. 6o2 1. Ranunculus tenellus Noh. Glaberrimus ; radice repente; caule filiformi j foliis inferioribus basi truncato-cor- datis, trilobis, lobis rotundatis , obsolete crenatis; su- perioribus lanceolato-oblongis ; pedunculis oppositi- foliis , unlfloris ; receptaculo spicato , petalls ( albis ) longiore ; carpellis glabris. H. Ìq locis humentibus Alexandriie. 2. Nigella Iruacata Nob, Villosa; floribus nudis; sla- miaibus multiplici serie ; antheris breviter apiculatis ; setuiaibus angulatis; stylis subquinis ; capsulis glabris , ad apicetn usque coalilis , superne truncalis. H. Alexandria. 3. Mathiola acaulis Balb. DC. Syst. nat. IL 168. Prod. 1. i33. Obs. Haec species a ci. DecandoUio 1. e. inter dubias , etiam quoad genus , relata fuit , quòd nulli ejusdcin sili- quas videre nondum contigerat. Eodera defectu laborabant specimina in mea Fi. Llbyca recensita. Ex plantis a^gyp- tiacis nuper receptis , ejusdein definilionem sic restaurare licuit : M. acaulis: Pills stellatls ìncana ; caule primordiali sub- nullo , in racemum contracto , reliquis decumbenli- bus; racemis terminalibus , congestis , paucltloris ; foliis linearibus , remote, etporreclè dentati», nonnullis in- tegerrimis; siliquls subsessilibus , linearibus, compres- sis , apice tricuspidatis , cuspldibus lateralibus acutis , medium vix superantibus. Obs. Valde proxima M. parviflorse , a qua precipue dif- ferì , caule in hac scraper erecto ; foliis constanler latlo- ribus , et circumscriptione ellipticis. Siliqua; structurà , a Mathiolarum sectione i.'' Dee. Prodr. removeuda , et ad ly.am prope M. parvlfloram, sistenda. H. prope Kahirum. Annua. 4. Reseda tridens Nob. Herbacea glabra ; caule erecto, basi ramoso, ramis adscendentibus ; foliis linearibus canaliculatis , obtusis , basi ulrinque laciuulà appen- 6o3 diculatis , 'I mill. (i) ; calyce tetrapliyllo , folio- lis ovato-lauceolatis 5 corolla dipelala, petalis cunea- tls , tridentalis , simplicibus j sta minibus tribusj stig- tnatibus quatuor conniventibus. Pianta pygmea , digitalis : flores spìcati ; bractea laaceolata , calycis longitudine. Calycis follola ovato- lanceolata , margine membranaceo. Corolla alba, lon- gitudine calycis , parte superiore floris , seu qua ra- chidem spectat inserta , inler duo calycis foliola. Sta- mina longitudine petalorum , et cum ipsis in fructu persislentia ; fìlamenta e squama nectarifera minima orta , inter petala et germen posita ; duo basi con- nexa , alterum liberum: antherae subrotundse , com- pressse , biloculares , filamento ad basim inserto. Ger- men globosum. Fructus capsula quadriloba , lobis ia totidem stigmatibus obtusis , conniventibus ; quadrlval- vis , unilocularis , valvulis paulo margine inflexis , quo semina inseruntur ; bine biserialia , unica nempe serie prò singulis valvularum marginibus. Semina subro- tunda , badia, incurva, inversa; radicula nempe sty- lum versus spectante. H. in ^gypto inferiore. Obs. Petalorum numero tantum , R. dipetalae P^ahl af- finis. Vide prò cseteris observationes ad sequentem speclem : . Reseda podocarpos Nob. Caule ramoso , tuberculato , inferne hirto ; foliis '■• mill. llneari-oblongis , sub- sessilibus , glaucis , margine cartilagineo , undulato ; floribus racemosisj calyce 5 partito , lacinìis lineari- bus j petalis 5 insequalibus ; stigmatibus 5 conniven- tibus ; capsula pedicellata , pedicello calycem supe- rante. ({) Folionim , aliarumque partìum dimensionem , sape duobus nu- meris expressi, linea interjecta , divisis, quorum superior longitudi- netn , interior iatitudineui indicai. Al non hìc de magnitudine abso- lula agilui-,sed de ratione diametri longitudinalis ad transversale, ex qua ralione optimus dilTeientia; chaiacter emcrgit , nuiiimode negli- gendus. 6oi Pianta magnitudine varia. Radix Ugnosa simplex. Caiilis a basi in cauliculos teretes , elongatos , divisus , adscendentes , aevo apice subspinescentes , tuberculis albis , et basim versus pilis brevibus , uli et foliorum basis , et eorumdem nervus medius , hirti. Calyx in fructu persistens. Corolla alba , pelala longitudine sequalia ; quorum duo interiora ( rachidem respicien- tia ) reliquis latiora , mediò in squamulam incrassata , bine quinquefida, laciaiis setaccia incequalibus : tria exteriora paulò supra basim in tres lacinulas setaceas divisa , omnia cuni laciniis calycis allernanlia. Stami- na 12 , per paria approximata , quorum, 8 vel 9 , fila- menta e basi squamae nectariferse orta , germinis basi interioris applicitae , reliqua , qua parte squama defi- cit , e receptaculo prodeuntia, Antherse ovalo-cordatse. Germen globosum, quinquesulcatum , apice divisum in 5 stylos breves ; stigmata totidem , obtusa. Capsula in calyce pedicellata , pedicello nudo , paulo ultra ca- lyceni exserto. Semina incurva , levia , badia , curva- turge aplcibus altero crassiori , et magis producto , quo funiculus complanatus , canaliculatus , brevissimus , placenlse centrali inseritur. Fuuiculi post seminuni excussionera in placenta persistentes. An R. hexagyna ? Forsh. De script, p. 92. H. cum prsecedente. Obs. Nonnullos R. hexaginae Forsk. characteres exhi- bet, quae in synonimonR. canescentis Liti, vulgo adducitur. At sub hoc nomine priraum a Linnaeo Sp. PI. p. 644 evulgata fuìt R. species , Europae australloris incola , firmata sjnouimls Sauvagesii Monsp. 4^. Guettard. Stamp. 1. p. 225 et CLusii Hist. 1. p. 295. In pianta monspellien- si , prioribus sjnonimis fìi mata , nullam aliam specicm Botanici galli nuuc recognoscunt , quàm R. sesainoideain Lin. , cui etlam, raonente Decauilollio, in FI. Frane. Sup- plem. p. 599. mox citatum synonimon Clusii pcnilus con- gruit. Ulne R. cancscens Lin. vcluti fictilia omnino eli- ralnanda. Ni;que ratioui consouuin videtur , hauc falsam speciem, ubi iu Syst. veg. ed xiv , factum vldemus , sti- pare synonioio R. hexaginae Forsk. cujus si satis conslat , 6o5 distincta veluti species, falslsque synonlmis expurgata , reccnseri debet. At pianta haec Forskaliana , ut et mullae eiusdeni auctoris, seu descrlptionum , seu speciminum del tectu, obscuritate laborat; hexagince nomen, ut csetera re- ticeam , mea constanter pentagyna , lecusat ; et Vahlius ìpse, llcet Forskalii specimen sub oculis habueiìt, in eius- dem recensione dubius haeret. Hinc Forskalii synonimo dubiose mulluni recepto , podocarpam dixi , desumpto nomine , a memoranda , in hac specie , nota, fructus in calycc pedicellati. Caeterum harum singularium sane specierum integram descriptionem exhìbui; nam summo- rum etiam Botanicorura tanta in Resedarum familia or- dinanda dissensio, ut quidquid novi in harum specierum structura profertur , in scientiae emolumentum converti possit. Neque fortasse deernnt , qui postremae prajsertira speciei characteribus anomalis perspectis, eamdem in no- vum genus constituant. Nos vero cum summis in scientia viris Jussieuo , et R. Brownio censemus , in bisce varia- lioaibus , Resedacearum cum Capparideis nexum et affi- uitatem patescere ; nam hi characteres nunc in una , nunc in altera Resedarum specie occurrentes , in Cappa- ridearum generibus passim occurrunt (i) : Potiorem cum hac familia , alìinitatis giadum in Resedae fructu , more Capparidearum , pedicellato hic exhibuisse juvat. . Tribulus bimucronalus Noh. Pilis brevissimis cane- scens , aliisque longiorlbus hirtus ; foliis 6-7 jugis , rachide duplo petiolum longitudine excedente 5 fo- liolis oblique ovatis ; pelalis lineari-oblongis , calyce paulo brevioribus ; stigoiatibus sessilibus ; fructibus ovato-orblculatis j carpellorum dorso inermi , foveoHs reticulatini escavato , margine ad basim utrinque mucronato. H. prope Kahirum. Obs. Folioloruin forma , faciem a reliquis diversam ge- rlt. Carpellorum mucrones , numero , forma , et situ con- stantissimi , optimam differentìam , etiam a fructu petì- (I) Vide qua: de Resedacearum, et Capparidearum familia inge- niose multum , suo more, et doctissime specuiatus est R. Brown in notis prò Re botanica ad Iter per AfricK regiones centrales Kiap- perlonii, Denhamii , et Oudney voi. III. 6o6 tatn, exhlbent. Semina in unoquoque carpello bina, axi fere recto disposila ; radicala umbilicum spedante. j. Tribolus longipetalus Noh. Decutnbens , totus pilis laxis i Dcanus ; foliis quadri-sex jugis; foliolis adpro- ximatis , sessillbus , oblique ovatisj petalis duplo ca- lycem superantlbus , rotundato-obovatis ; siylo crasso brevi j carpellis in pjramidem coalìtis , dorso iner- mibus , tuberculatis , margine utrinque in dentes 2-3 triangulares , compressos , productis. H. prope Kahirura. Obs. Folioloruni forma cum T. bispinoso, eorumdem pube cum alato DelU. et terrestri ( aegjpliaco ) peniius congruit. Fructu , et carpellorura forma ab omnibus abun- de differì. In aliquibus carpellis , terlii seminis rudi- mentum inveni. Semina, axe prorsus erecto, disposila sunl , radicala stylum respiciente j quod a carpellorura di- sposi! ione polius quàm a seraiiiis variante situ trìbui de- bet. Hinc minus exacte , in generis charactere, carpella di- cuntur transverse plurilocularia. Ad hasce duas novas species ma^is confirmandas , dua- ram sequentium jam vulgata:um definiliones adjicere pra;- stat. 8. Tribulus alatus Delil. Decumbens , tolus pilis laxis incanus j foliis 6-8 jugis j foliolis adproximatis , ovato-acuiis ; petalis lineari-oblongls , calycetn £Equan- tibus ; fructlbus superne spliaericis , in stigmatibus sessillbus prominulis j carpelloruoi dorso superne iner- mi , tuberculato , margine ad basim ulrlnque in cri- stam acutam producto. H. prope Kahirum in deserto. g. Tribulus terre stris. Lin. Decumbens , totus pilis la- xis canescensj foliis 6-8 jugis j foliolis adproximatis, ovato- oblongis, marginem versus tuberculatis, tu- berculis piliferis j petalis oblongis, calycem sequanti- busj fructlbus superne orbiculato-depressis , carpello- rum dorso tuberculis cristato , marginibus utrinque in spinas 2-3 exporrectis , per paria conniventes. Far. a. Pube in foliorum pagina superiore, et ia 6'o7 fructlbus fere denudatus. T. terrestris omnium au- ctorum. Obs. Llcet , cauitiei, et tuberculorum praesentia , quibus individua aegypS-iaca poUent, a specie europaea diversa appareaut , uullate .us uuUis aliis potioribus characLeribus distinguntur. Speciei typum in segyptiaca conslitui , ratus vaiielates semper, quo longius a regione, famillae pro- pria, progrediiur , procreari; at Zjgophyllearum patria iEgyptus est , et regiones ipsi conterminae , quarum ve- luii colonus, a paterna stirpe paulo abberrans , noster T. terrestris haberi debet. FIGAR^A. Char. generis. Caljx 5 fidus , lacmiis ovatis, acu- tis , in fructu persistens , auctus, ipsumque tegens: spina singulis laciniis interjectaj crista radiatim dentato-ari- stata ad marginem coronatus, splnis , cristaque in flore inconspiciiis. Corolla pentapelala, petalis oblungo-obo- \atis ; calyce paulo longloribus , cuna ejusdem laci- niis alteruantìbus , receptaculo , dense villoso, insertis. Stamina io. longitudine calycis, petalis alternatim op- posita , et alterna , hypogyna ; filamenta linearia , an- iherse bilobae , biloculares. Stjli io, in flore vix conspicui , in fructu paulo elongati , rigiduli , persis- tentes. Stigma simplex. Ovariuin globosum , pilis tec- tum. Fructus orbiculatus , subtus coniplanatus , ra- diatim decem nervosus , nervis a pedunculi insertione alternatim per medias calycis lacinias, et in spinarum interpositarum basim excurrentibus : fere tectus laciniis calycis ipsi adpressis j margine in acìem depressus , cristato-aristatus : compositus io. carpellis cartilagi- neis, in verticillum dispositis, arctè lateribus , qui- bus se respiciunt , coalitis , ut capsulam multilocula- rem mentiantur. Carpella singula , latere interiore , de- biscentia, monospermata, incurvato-triquetra , nempe angulo basilari, basim fructus respiciente, rectangulari , latere axim fructus spectaute , in aciem attenuato , superne in styluni exserto, latere exteriore vel dor- sali incurvato. Semina et ipsa iuxta seasum carpelli 6o8 compressa, ovaio-acuta, curva marginem, apice axitu fructus spectantia. Albuaieu nuUutii , colyledoues crassiusculse , radicula centripeta , axim fructus les- piciente. Char. essensialis : Calyx 5 fidus pei'sistens , iu fruclu auctus , ipsumque tegens. Pelala 5 receplaculo io serta. Stamina io. hypogyna. Styli iu fructu conspi- cui , totidem quot carpella. Carpella loiu verticilluui arde acereta , bivalvia , axim versus dehiscentia. Se- mina exalbuminosa. Novum genus iiitcr Zygopliyllaeas spurias , Dee. Prodr. ob folia alterna collocantluin ; licet ma Jori affinllalis vin- culo , per Tribulura. Zjgopbyllajis veris consocietur. Figaraeam dixi in lionorem Antonil Figarii Genuensis , ollm auditoris mei dilectissimi , qui scientiae amore captus , propriis tantum viribus Irajtus , jEgyptum petivit , et Alexandria Kabirum usque progressus , qua latius potuit luijus regionis plantas undequaque diligentissime perqui- slvit, mihique describendas , et illustraudas commisit. IO. FiGAR^A. aegyptlaca Nob. Pianta parva, decumbens , tota tomento candicans, annua. Radix ssepius simplex, perpendicularis , filiformis, alias bi-tripartita. Gaules ex eadem radice plures prostrati , leretes , superne subflexuosi , laxa lanugine , prsesertim superne , tecti , ramulosi , ramis brevibus , alternis. Stipulse utrinque ad ramulorum , et petiolorum basim , breves , ovato- acutse , et lineari-ovatse , submembranacese , deciduse. Folia alterna, petiolata , pptiolo duplo ipsis breviore , io-i5 mill: longa, y-Smill: lata, majora oblonga , basi subcuneata , late et insequaliter crenato-dentata , den- tibus 5-y , duobus inferioribus ssepius magis pro- ductis , ut fere trilobata adpareant; alia (minora) ovata et ovato-oblonga , rare et obsolete crenata. Ad petioli basim foliorum majorum, folia duo, parva , ses- silia quibus folium fere trifoliatum diceres , et sessi- le , nisi folia hfec in petiolorum axillis , non super ipsos orirentur. Utraque foliorum pagina , inferior prse- sertim, denso tomento alveo tecta. Pedunculi axilla- 6og res , in flore vix conspicui , solitarii , uulflori , in fructu ad folioruax subjectorura longitudinem eìon- gati, nudi, patentes , ad flores basini articulati , ubi, fructu excusso, rupti, rigescentes persistuat : reliqua ex charactere generis. H. in deserto prope Kahirum. Oòs. In quotquot hujus plantae speclminibus mihi ob- seiyare contigit illud singulaii nota dignum , quod prope collura radicis, fructus , a radice ipsa in ejusdem centro trajectus , haereat. In cujus phaenomenl . certo singularis explicalionem censeo , unicum semen , in fructu , carpellis axitn versus dehiscentibus . evolvi , cseteris , alimenti de- fectu , abortientibus. Ab hoc semine, juxta axim fructus directionem , superne plumula , inferno radicula excuhit unaquffique suo more excrescentes ; unde fructus exsicca- tus, immutata sede, radice veluii trajectus, persistit. II Ruta tubercnlata Forsk. R. tuberculata var a R Forskalii DC. Prodr. Ruta glabra Olw. DC. lo'c. e R. caulibus virgatis , superne dichotomis ; foliis inferiol ribus Imeari lanceolatis, superioribus linearlbus acu- tis , tuberculis annularibus inferne sparsis ; floribus in corymbum termlnalem congestis , calycibus mi- nimis , staminibusque basi clliatis , dilalatis. H. in deserto Kanke. 0^5. Caljx S3epe tetraphyllus , et tunc corolla tetrape- tala, et stamma 8 cum calyce pentaphyllo eadem ratio- ne ,n usdem part.bus augmentum. Ad hanc speciem adii- cio msyn.R.glabram Oli., cum qua congruit et foliortim lorma , et mmori m singulis partibus tuberculorum numero et filnmentis cihat.s, et caulibus apice dicliotomis. Haud etemm video, cur tot characteribus cum R. tuberculata congruentibus, ut, species distincta haberi queat dum m yanetatem tantum R. tuberculata. in eodem op.M-e re- cp.tur R Mombretii, qu^ quantum ab eadem diffe'rat sequenti descriptione patescet. 12. Ruta Mombretii. Caulibus vlrgatfs , simplidbus j fo- Ins interioribus obovato-spathulatis , superioribus li- nearibus, acutis , omnibus subsessilibus , tubercnlis- que aanulanbussubtus sparsis ; floribus in corymbum 6io terrainalem , paucifloruni congestis ; calyclbuis clliato- hirsutis , corolla paulo breviorlbus. H. cum pi'Eecedente. Obs. Miriiine cum R. tuberculata confiindenda , a qiia praecipue foliorum forma , caulecpie minime dichotomo, dit- tert. Eadem lege , ac in praecedente , partes floiis variant. i3. Onobrychis squarrosa Nob. Decumbens , hirsuta foltotis 6-8 jugis , cuneato-oblongis , retusis , mucro- natis , extimis longioribus , extremo impari , llneari- acuto , Integerriaio ,• oraaibus subtus hirsutis ; stipuiis membranaceis , hispidis , ovato-acuminatis ; racemis ovatis , peduncnlo foliis breviore , calycinis deallbus setaceis , corollam sequantibus ; legumitiibus hirsutis, serai-orbiculato-oblongis , cristis dorsalibus dilatato- dentatis , disci deatiformibus compressis , foveolis iu- terstinctis. H. la monte Mocadan prope Kahlrum. i4. Lotus plalicarpos Nob. Pilis adpressis e tuberculis minimis prodeuntibus , totus sericeus j foliolis obova- to-oblongis , acutis : omnibus subsessilibus j stipuiis lineari-lanceolatis, petiolo triplo brevioribus; fiori- bus capitato-umbellatis , ternis , quaternisve , subsessi- libus 5 calycis dentibus lanceolatis , corolla ( albicante) paulo brevioribus ; legumlnibus ovato-falcatis , com- pressis, sericels , 4-5 spermis , calycem superantibus ; seminibus subrotundls ( aurantlis ), H. In desertis prope Kahirum. Obs. Liceat h'ic , capta a Loti specie occasione , men- dara a Seringio in DG. Prodro mo commissam patefacere , qui meum L, pusillum FI. Lib. Sp. p. 47» i^^b. XVII. f. 3, velati synonimon L. tetraphylli Lin. inconsulte re- cepii , sequenti vero pagina , re melius perspecta , liane ipsam speciem velati novam recenset. i5. Medicago pusilla JVob. Hirsuta, decumbens; fo- liolis subrotundis , cuneatis , margine exteriore exqul- site dentatls , stipuiis lanceolatis-acuminatis , basim versus inclso-dentatis; bractea setiformi ad basim ca- lycis j legumiais spiris adproximatis , compressis , in- 6ii ferioribus latioribus , nervo marginali remote denta- to-mucronato. H. Alexandriae. Obs. Fructus maturi unici servandi causa , quem mea specimina exhibent, nullam seminum mentionera feci. At in tanta charactemm diffeientia , defectus hic minime phrasim nostram infirmat. 16. Trigonella, striata Lìn. Sappi. Filosa , decumbens; foliolis obovatis , cuneatis , margine esteriore dentato- serratis, pagina inferiore parallelo-nervosa; stipulisi dentato-inclsls ; pedunculis petiolo duplo longioribus - floribus capitato umbellatis ; calycinls dentibus trìan gularlbus j legu minibus arcuatis , compressis , oblusis transverse paralello nervosis, pilosisque. H. prope Kahirum. Obs. Huius speciei phrasim ex specimine prope Kahi- rum ledo restaurare , necessarium duxi , nara characteres poiiores , in vulgatis descriptionibus omissi fuerant : ne- que ree te dictum , legumina longissima , dum illa T. monspeliacse longitudine vix superane. ly. Trifoltom cseruleum iVo6. Decumbens , csespitosum , glabrum j foliolis obovatis sub-sequalibus , toto ambita denticulatls , lateralibus sessilibusj stipulis membra- uaceis, oblique ovato-acuminatis ; pedunculis axilla- ribus folio brevioribus ; capitulis nudis ; calyclbus in fructu non inflatis , dentibus lanceolaiis, legumen paulo superantibus. H. In monte Mocadam prope Kahirum. Obs. Singularis species , colore florum cseruleo , inter vera Trifolia , spectanda. Ad sect. IV. Trifoliastra DC. Prodr. special. 18. Trifolium crysopogon IVob. Pilis longis patentibus aureo-rufis hirsutus ; foliolis lineari-ellipticis , stipulis membranaceis , nervosis , subinflatis , in setas acumi- natis ; spica ovata nuda ; calycis , fauce etiam , hir- sutissimi , dentibus setaceis , corolla monopetala, lon- gioribus i legumine monospermo , glabro , calyce bre- viore. 6l2 H. In Cyrenaica. Ohs. Praestat hic speciem regionis aegyptiacae reapse non incolam, sed ipsi conterminae, adjicere , quam in FZ.Xsi. 5pecjm. uli varietatem T. angustifoliiL. habueiara ; a quo reapse differre, ex relatis characteribus , constai. Quam- vis flores minime spicatos gerat , a Trifoliis lagopodibus minime divellendum censeo ; capitulis ovatis , spicae pri- mordium exhlbentibus , et a ffinilate pisecipue cum T. angustifolio conjunctum. 19. TiLL-EA alata Nob. Càule simplici membranaceo- alato foliis imbricatis , lineari-acutis , teretiusculis , aveniis ; basi perfoliata membranaceis ; calycis tri- phyllì foliolis lineari-lanceolatis apice setulosis. H. in paludosis prope Kahirum Obs. Pianta pusilla i-\\i centim. alta, lamulosa. Ca- lyx reapse tiiphyllus : corolla tripetala , petalis obovatis. Stamina tria , petalis alterna ; squama inconspicua. Car- pella tria, ovato-acuta , compressa. Semina in singulo carpello duo , interno augulo axili inserta, 20 Anchusa rhi zochroa Nob. Lithospermum tinctorium Zi/2. Spec. plant. edit. i. voi. i. pag. i32. Lelim. Asperif. p. 33o Anchusa tinctoria Horn. Hort. Hafn. voi i. p, 1^6. Anchusa tuberculata Forsk. FI. jFlgjpt. uirab. p. ^x.^'iàe Lehmanni qui Forskaliana speci- minavidlt, iisdem locis ac mea a Figario missa , collecta. A. Tota tomento candicans , simulque pllis e tu- berculo erumpeutibus hispida j foliis radicalibiis spa- thulato-oblongls , caulinls linearibus , sessilibus , ob- tusis ', bractels ovato-oblongis , coroUse tubo calyceni superante; tuberculls ad faucem minimis , hirsulis , cum staminibus alternantibus ; nucibas subovatis , in- curvis , muricatis , tuberculis confluenlibus j umbilico laterali prouainulo receptaculo alBxis. H. in desertis prope Alexandriam. Obs. Nucis forma , embryonis dispositlonem prsnunciat slcinflexi, ut radiculam cotyledormm lalerihus obiiciat , ut in Cruciferis cotyledonibus accumbentibuii. Cuius flexiouis. 1 6i3 licet priniordium in Echii embiyone levissime curvato in- spexerim , nullibi tamen , in tota Boraginearum gente , obseivare mihi , contigit. Huius agitatissimae planlae spc- cimiua aegyptiaca , a me , qua maxima potui diligentia , comparata cum iis in Hungharia lecta , a specialissimo viro de Wendel mihi communicatis , nullos solidae differentiae cha- i-acteres exhibent, penilusque respondent descriptioni a Leh- mannio 1. e. exliibilae ; qui sub oculis habuit specimen aegy- ptiacum a Forskalio lectum. Nam non tantum canescentia , et foliorum forma conveniunt , sed et corollse forma , et furfura qua eiusdem tubi interna pars scalei , et tuberculis ad faucem, et nucium , embryonisque eadera structura gau- denl. Faucem 5 squamulis rotundatìs ( a nobis tubercula forlasse verius appellata )alios in specie hungarica confirmas- se video in Roem. et Schult. Sjst. P^eg. voi. i. p. 96. Hinc nulla alia ratione inter hanc speciem et sequentem perpetua Iis dirimi poteiit , nisi utriusque affinilale recognita , et solidioribus characteribus confirmata , in eiusdem generis consorlio consocientur. Quapropler inter Anchusas utras- que recipio ^ quarum reapse habitum gerunt ; pauci factà tuberculorum prò squamulis , substitutione , quod et in aliis Anchusae speciebus jam observatum fuit, et praestantiori exemplo mox confirmare adgredior. Cum nomen specifi- cum alteruiri mutare necesse fuerit , hanc rhizochroain dixi , quo radici indilam proprielatem aptius eliam quam vetere nomine exprimilur. Huius speclei regio reapse orienlalis , et aegyptia est , licei bue , in Hunghariam usque mìgraverit. Hoc est verum Litbospermum tinclorium Lin. quod a sequenle specie om- nitio diversum declaravit dar. Herbarii Linnaei possessor Smithius. Nam Litbospermum tinclorium DC. Bot. gali, et Guss. Fior. sic. quod cum icone Anchusae tinctoriaj FI. grcec. 166, penilus convenil , nullus dubito, quin ad sequentem speciem non sii referendum. Nam species hsec quae a Galliae auslralioris oris , non interrupto tramile, in Liguriam usque procedit j et a me prope Nicaeam , et Albingaumium sa;pius lecta fuit , certo ad sequentem special. Quoad speciem siculam , ejusdem phrasis , licet faucis squamula;, et oculatissimo Gussonio aufugerint , sequentem quoque polius quàm hanc sapiuut. Ncque relicendum pulo , iteralas in Corsica , et Sardinia pe- regrinationes hacienus hanc speciem minime exhibuisse; 6i4 nam in illa , quse in Saidoaium specierum elencho pio Lilho- spermate linctorio a ci. Morisioexhihelur ,collatis specimi- nibus a Morisio communicatis , caindem speciem recogno- vi quae in Liguria quoque occunit , cum sequente penilusi congruente. Hincpatet Linnseum , recte suo Lilhospermat; tinctorio Sp. PI. edit. i. prò patria Orientcm dedisse, licet falsis synonimis Sauvagesii Mnnspell. 63 , et I. B , Hìst. III. p. 584 quae ad A»tinctoriam spectant, deceptus- ejusdem patriam ab Oriente Monspellium usque produxe rit , et tandem utrasque eodein nomine incaute salutaverit. 21. Anchusa tinctoria Lin. Sp. PI ed. 2. exclusis syn. ed I. Smith. Prodr. FI. gr. i. p. ii6. Sibth. 1. e. FI. gr. tab. i66 Lehm. Asperif. p. 218. Lithosperraum tinctorium DC. Bot. gali. i. p. 333. "Gussoni F]. Sic. 1. p. 211. il/om Stirp.Sard. Elench- p. 33 . ex collatione specitnìnum Gallo-provincise, Si ciliae , et Sardinise. A. tuberculis piliferis , pilis accumbentibus ota bis- pida , tomento nullo ; foliis radicalibus oblo'-ngis , in péiiolum attenuatis j caulinis sessilibus , oblungo-lan- ceolatis f bracteis cordatis , ovato-Ianceolatis ; corollse tubo calycem paulo superante, squamulis tuberculosis minimis, paulo infra faucem, munito j nucibus subo> vatis , incurvis , tuberculis confluentibus, scabris, la- teraliter corona prom inula , receptaculo afExis. H. in collibus maritimls Gallo-provinciae , Li- guri£e occidentalis , et in Sardinia , Sicilia. Obs. Consultò hic Clar. Lehmauni monitum repetere ju- vat , fornices minimos , infra corollae faucem positos , nisi tu- bus aperiatur , et diligenter oculo armato perscrutetur , conspici non posse. Hinc falsum oranino judicium prela- tura fuit de icone mox citala 16S FI. graece , in qua contraipsius Smithii sententiam, Lithospermum tinctorium Lin. videre arbitrati sunt , quòd squamas ad faucem in illa non conspexerint. Non enim in corolla , magnitudine naturali exhibita conspici possunt partes , quae oculo tantum armato conspicuae redduntur. Ccterum speciem non aegy- ptiam huc advexi, praecedentem firmandi causa. Eadem ratione h\c in censura venit mea Aucusa bracieolala FI. Uh. Spcc. p. IO. tab. IW.fig. 2.3 quae eadem fero faucis 6i5 structura cura duobus praecedentibus giudei , raultaque alflaltate cura A. ihizochroa jungltur; Hoc characteruin consolilo attente perspecto , sic A. bracteolatae pbiasim reformandam esse censeo .• 32. Anchusa bracteolata Kiv. l. e. Tota pllis longis , moliibus hlrsuta , taberculis in foliis inferioribus obsoletis, in superiorlbus, bracteisque , nullis; foliis radicalibus spathulatis ; bracteis amplexicaulibus , ampia basi ovatis acutis, bifariam imbricalis ,• eorollce fauce glomeribus pilosis munita ; nucibus subovatis incurvis , papilloso-muricatis j lateraliter corona pro- minula receptaculo affixis. H. in moQtibus CyrenaicjB. 23. Anchusa clavata Nob. Tota plHs e tuberculo erum- pentlbus , aliisque minoribus , discretis hispida ca- nescensj foliis radicalibus oblongis , in petiolum atte- nuatis , slnuatis , undulatis ; bracteis lanceolatis , ca- lyce brevioribus ; coroUae tubo calyceni superante , fauce clavis pedicellatis hirlis munita, pedicellis nu- dis dilatatis. H. in desertis prope Kahirum. Ohs. Faucis structura sic a congeneribus distincta , ut supeivacaneum ducam reliquos differentiae characteres ex- plodere , qulbus ab Aachusis ondulata Horn. hybrida Ten. nostraque crispa FI. Cors. facile discriminatur, Senalna matura non vidi , at satis evoluta , ut nuces dici possint tuberculis rauricatae. 24. EcHiuM tinctorium Noh. Suffruticosum , pilis e tu- berculo erumpentlbus hispidum ; foliis inferiorlbus lineari-oblongis ; bracteis lineari-lanceolatis , calyce bispidissimo , brevioribus j staminìbus levibus , duo- bus lougioribus coroUam hispidam , calycem duplo longiorem, aequantibus ; stigmate bifido, laciniis ca- pitellatis. H. in deserto Kanke. Obs. Radix eodein colore ac Anchusa tinctoria cartani tiiigit. Cultum ncque formam , nec partium pioportioncm mutavit , licet in omnibus ampliatum. Corolla adirne clausa 6i6 carneo rubens , explicata coelestem colorem induit , tota nervis satuiatioribus saaguiueis exarata : ncque radix fa- cultatein tinctoriain cultura, et coeli diversltate amisit. aS EcHiuM verecundum Noh. Herbaceum , caulibus de- cumbentibus ; follis radicalibus in longum petiolum attenuatis , oblongis , utrloque tuberculalo-hlspldU ; splcis laxis ; bracteis lineari-ìanceolatis , calycem co- roUae sequalem , superantlbus ; stamlnibus triplo co- rolla , stiloque breviorlbus : stigmate bifido. H. cuQi prsecedcntibus. Arnebu Forsk. Char. gen, reforinatus. Caljx pro- funde 5 partitus : in fructu laciniis duplo ainplia- tis ; directione immutatus. Corollce tubus tìliformis , limbo quinquefido : fauce nuda. Stjgma bifidum la- ciniis capitatis. Nuces 4 leves , cortice crustaceo fria- bili , basi truucata clausa , receptaculo affixa 26. Arnebia tinctorla Forsk. FI. JSg. Arah. p, 62. Li- thospermum linctorlum f^ahl Sjmb. II. p. 33. L, tetrastygma Lam. illustr. des gerir. 1790. Pers. Sjrn. Plant. I. p. i58. Lithospermum Arnebia Lehm. As- per. p. 3 16. Pianta parva , radice slmplici , perenni , elongata. Caulis erectus , nunc simplex , nunc a basi ipsa emit- tens ramos laterales decumbentes , pilis patentibus e tuberculo prodeuntlbus , uti tota pianta , hirtos; folla oblonga, radicalia in brevem petiolum attenuata su- periora sessilia. Spicse io extremo caule , et ramis simplices , compactse , paulo reflexse , bractese lanceo- latse, oblongse , longitudine floris , iique adpressse. Calycis lacinine liaeares obtusae , utrinque, et basi prse- sertim hispidissimse , corolla breviores , in flore seque ac in fructu conniventes , per maturatiorem semiuis , duplo longitudine , et latitudine auctae. Gorollee tubus tenuis , extus birsuius , lacinia; ovato-subrotundse. Sta- miuum filamento 5 brevissima , paulo infra faucem in- serta , antherse ovalcs , biloculares , medio dorso fila- mentis affixi : stilus glaber , longitudine corolla;. Re- liqua in genere. 617 H. in desertis Kahirlcis. Obs. Arnebiae genus, hac specie, aForskalio constitutum , at ncque solidis, ncque rite pcrspcctìs characl elibus flr- matum , a Laraaikio in Dict. Enc. et a Vahlio in Symb. hot. ad Lithospermutn amandalura fuit. Cujus Forskalianae speciei cura in speciminibus iisdem locìs natalibus lectis chaiactercs penitus rimari mihi contigerit , Arnebiae genus restitucndum esse, solidioribus tantum characteribus firma- tum,duxi. In omnibus quotquot speciminum examlnari mi- hi datum fuit , stigma constanter bifidum , laciniis capi- tatis observavi : Hi ne telrastigmatis nomen a Personio alio- rum fide repetitum , veluti ex erronea observatione de- ductum , omnino abiiciendum censeo. Ncque de hoc cha- ractere , in Borraginea sane notandum , mentionem fccit Vahlius , qui hujus speciei descriptioaera ad Forskalii siccam plantam confecit. 27. LiTHosPERMUM callosutn Vahl Symb. I. p. \I\. TVilld sp. PI. i. P. 2. p. ^54. Delil. Descript, de rjEgjpt. T. XIX. tah. 16. Jig. 2. Lehm. Asperif. P. 2. p. 3i5. L. angusti folium Forsk. FI. JEgjpt. Arab. p. 3g. L. caespitosum , suffruticosum , rigidum , pllis pa- tentibus , e tuberculo crasso erumpentibus , alìisque minoribus , crebris , incumbentibus hispidum j foliis i5 5 mill. sessilibus , adproxioiatis , lineari-lanceola- tis ; bracteis-lanceolatis ; corolla (violacea) triplo ca- lycem superante. H. in desertis prope Kahiruai. V. notam ad speciem sequentera. t8. LiTHOspERMUM ciliatum Forsk FI. j^gypt.Arab. p. 39. Fahl Sjmb. I. p. 14. Waid. sp. PI. I. P. 2. p. 755. Lehm. Asperif. P. 2. p. òi^. L. SufFruticosuin , rigiduoi : Caule, ramisque cor- tìce candidissimo, tnuricato , sericeo-hispido , dehl- scente tecto j foliis semiamplexicaulibus adproximatis , ovatis , ovatove-oblongis , g" mill. pilis margine prae- sertini e tuberculo crasso prodeuntibus , aliisque mi- noribus , crebris , accumbentibus hispido ; bracieis in spica fructifera elongatis , ovato-lanceolatis , distincte persisteutibus , corolla triplo caljcem superante. 6i8 H. cum praecedenle. Obs, In hisce duobus L. speciebus , quae dura halnta consociantur , a reliquis recedunt , hoc notandum vetiit , quod praecipue in hac ultima sjWie observavi , caljcis la- cinias , maturo semine a basi , veluti articulatione notatas , penitus excidere, calycis basi semina fovente , tantum ur- ceoli modo, persistente; cui chaiacleri bractearum in tVu- ctiflcatione augmeatum, et persistenlia soclatur. Stigma iu- divisum, ohtusum. Nuces duo , reliquis duobus saepius abor- tientibus , subovatae , extus turgido-convexae umbilico trun- cato , vix prominulo , ad internum latus basis , imperforato ; lateri interiori complanata, medio uervo exarata, vestigiura funiculi umbilicalis exhibente , in interiore latere seminis medium usque excurrente , caeterum corticc osseo , glaber- rimse, leves. 29. Orobanche curvlflora. Nob. Furfuraceo-hlrsuta ; scapo squamoso ; spica compacta , niultìflora , bracteis ovatis acutis , corolla duplo brevioribus } calyce bipartito , lacinlis bifidis , altera lineari-obtusa , altera antica ovata; coroUae tubo (candido) incurvato , cylindri- co ; lablo superiore bilobo , laclniis subrotundo-ovalis , crenulatis ( lobis omnibus cseruleis ) germine , starai- nibus , corollaque glaberrimis. H. in iEgypto supra radices Phcealcis dactyli- fer«. 30. Orobanche pedunculata Nob. Caule a basi diviso , flexuoso , aagulato , squamoso ; floribus laxe racemo- sis , pedunculis bracteam suppositam duplo superan- tibus ; bracteis calycinis duabus , lineari setaceis ; co- rolla quadruplo calycem nionopbyllum , quadrifidum superante ; filamentis , germìneque sphserico , glabris. H. in desertis Kahiricis. 3i. PlAntAgo polystachya Nob. Scaplfera , folils linea- ribus , elongatis, acutis , basim versus attenuatis , uni- nerviis , integerrimis , vel remotissime denta tls -, spicis ovatis , oblongisque , aliìs subsessilibus , aliis brevi- ter pedunculatis ; bracteis ovato-acutis , mucronulatis , margine membranaceo , corollae laciniis ovalo-ianceo- lalis. 6ig H. in deserto Kanke. Obs. Proxima nostrae P. syiticae Ft. Lib. Sp. p. 7. tab. III. f. 2. a (£ua differì bmaeis et corollae laciniis in hac rotundatis, in polystachya ovato-acutis. 82. Plaktago bellìdifolia Nob. Scaplfera ; folils obo- vato-rotundatis , abrupte in acumen proniinuUs , ia petiolum aitenuatis , unìnerviis , utrinque sericeo-la- natis ; spicis ovato-subrotundls , bracteis ovatis ciiia- tis ; corollae laciniis lanceolato-acumioatis. H. cum praecedentibus. 33. Atriplex coriaceum Forsk, FI. y^g'^ Arab, p. 175 Spreng. novi prov- p. 7. i. p. Rcern. Schult. Sjst. Veg. Fol. Vili. p. 280. non A. coriacea Delil- A. Totum cute furfuracea , lepidota albescens ; caule fruticoso caespitoso , ramoso ; follia subsessill- bus approximalis , concavis , . mill. ovato-obtusis , rotundatisque ; florìbus in glomerulos alternos con- geslis ; calycis faeminei foliolis rhomboideis , angulis obtusis , paulò supra basini duobus tubercnlis trian- gularlbus auctis. H. Alexandrise ad Catacombas. Obs, Agilur sane hic de Forskaliana specie , a Figa- vio iisdem locis natalibus lecta , descriptionibus a Forskalio data, a Sprengelio confirmata , conseuticntibus. At eodem nomine diversam omnino speciem salutavìt CI. Delile , quara cum inter plantas a Figaiio missas sorte reperìerim , mu- tato nomine eiusJem dlagnoslm sic constituo. 34. Atriplex ocymifolium Nob. A. coriacea Deìil. De- script, de l'yEgjpt. Fol. XIX. p. 383. fav. 62 f. i, A. SufFruticosum , totum cute lepidota albicans ; foliis brevissime petlolatis , late ovatis, 1^ mill. omnibus integerrimis ; florìbus in glomerulos alter- nos, in panicula patula , rigidula , congestisj calycis fseminei foliolis obovato-cuneatis , truncatis , triden- tatis ; basi in duas appendiculas triangUlares auctis. H. In littore Alexandria?. 35. Atriplex slylosum Nob. A fruticosa, ramis virga- 6ao tis , cauleque in squainas membranaceas dehiscente i floribus in paniculiB ramulis elongatis , filiformibus glomeratim disposltis j foliis alternis , oblongis , vel ovato oblongis, ^ mill. basi veluti in petiolum atte- nuatis , integerrimls , tomento furfuraceo cinereis ; ca- lycis fructiferi foliolis subrotundo-ovatis , integerrimis dorsi appendiculis duobus triangularibus , stilo exser- to , stigmate bifido. H. ìq iEgyptì desertis. Obs. Non absque haesitalione hanc speciera veluti novam receoseo ; quse multa sane affiaitate conjungitur cum A.. verrucoso M, A. Blcb. , vel fortasse Inter synonima A. Halimi Lin. latitat. At malo potlus novam velati , propriis- que characteribus distinctam exhibere , quam reliquas jam synonimorum ambagibus laborantes magis etiam infìrjriare. Certe minime confundl potest cum A. Hallmo , littoris nl- ceaensls , et siculi , culus etlam speclmina in Sardiniae ma- ritimis lecta a dar. Morislo liabu!. Dolendum sane dilTe- rentlae notas iu calyce fructifero exqulsite eliclendas , Bo- tanlcos non satls bactenus fecisse. In A, Halimi Lin. cui Clus. Hist. 1. p. 53 comparatum cum speciminlbus sardls, apprime quadrai , calyces utrlnque paulo supra baslm uno alteroque dente notati , basi Ipsa truncati , dorso appen- dlcibus obsoletis , vel nullis. A. verrucosa M. a Bicb. spe- clmina mlhl desunt , neque satls ex ejusdem descriptione difFerentiae characteres exererc facile est. 56. KocHiA muricata Schrad. Salsola muricata Lin. Mant ', 5 12. Vahl Sjmb. \. p. i^. Suaeda muricata Pali. III. plani, tub. 35. Salsola motiobracteata ? FQrsh. Descrip. 5.* Bassia muricata j4ll. Misceli. Taurin. III. p. 177. Tab. 4. f. 2. K. Caule fruticoso, villoso; foliis alternis linea- rl-lanceolatls , junioribus ovatis , acutis , om nibus utrlnque dense villosis ; floribus axillarlbus , sessi- libus , solltarils , genainisve } calycibus 5 aristatis , aristìs rectis. H. Alexandriae secus mare. Obs. Rochiae genus a Rothlo conditura , a R. Brownlo sancitum admltto : al specialissimo buie Botanico assen- Gai tiri nequeo , qui in FI. Novae HoU. Prod. p. ^oq as- serii , genus hoc posthac dividendum io Kochias , et Wil- Icmelias , pelila praecipua diflferentia prò Kochiis in ap- pendicihvs perianthii subulatis spinosis , et albiiminis de- fectii, et prò WHlemetiis perianthii appendicibus mem- ibranaceis dilatalis , et albuminis prcesenlia. Nam in hac ùli et in duabus sequentibus Kochiarum specicbus , pe- tìanthium appendicibus subulatis spinosis munitur , et se- mina albumine gaudent , tote ab embryone curvato pe- ripherìco circumdato. HInc in Kochiae genere conslituendo .pinìnae in characterum censu recipi potest albuminis ab- sentia , tribiis saliera Kochiarum speciebus cerio relu- ctanlibus; reliquis fortasse minime annuenlibus. 37. KoCHU ericìfolia Nob. Kali segyptiacum Incanum et villosuna, calyce stellalo, et aculeato Lippi MS- in Herh. Vàil. et Des-Font : ex notis ad Lippii spe- cimen redactis in Enc. meth. Suppl. V. relatìs. K. Annua, erecta , ramis inferioribus elongatis , decuuibentibus ; foliis ahernis, linearibus, acutis ; Il min ,* supremis inabricatis , inferiora longitudine fe^re aequantibus ; omnibus 'utrinqu e densissime, et iaxe villpsis , floribus axillaribus binis , ternisque j pe- riaathiis dQrso cartilagineo in 5. aristas rectas pro- ; tensis. H. In littore Alexandrlse. 0^5. Huc revocandum esse Syn. Lippiì 1. e. ex cha- racteribus ad specimen originale exaralis , qui omnes alias %.. species respuunt , non minus deduco ; quam a spe- cimlnìbus iisdem in locis a Sicbero lectis , et sub nomine Cornulacae muricalse exhibllis ; quag specimina , fide Schul- tesii (m Sjst F'eg. Voi. VI. p, aSo) cum Lippii pianta cpnsenliunt. 38. KocHiA sedoides Schrad. Salsola sedoides Pali. Hin. I. app. N." 108. tab. M. f. i. 2. Marsch. a Bicb. Act. Mous. p. 145 n. 18. jr. p. 18. n. 22. K. suflfruticosa erecta j ramis inferioribus adscen- dentibus , ramulis patulis , rigidis , inaequalibus ; foliis linearibus, carnosis , floralibus ovatis , gibbis , omnibus utrinque dense et longe villosis j florum ( 2-3 ) glo- 622 merulis adproxicnatìs ; calycibus fructigeris basi et centro hirsutis , totis cartilagineis , in 5 aristas rec- las dorso protensis. H. In desertis Kahiricis. Obs. Ad A. sedoidem refero ; Hcet dubia omnino non solvant in hac caulis herbaceus , et folla basi ciliata, dum aegyptiaca species caule suffrutticoso gaudeat , foliisque un- dique viUosissimls. DIagnosIm absolutiorera dedita opera exhibui , ex qua iis qui russica specimina possident , de specierum identitate facile sit judicare. Germen sphffiricum, paulo depressum , utriculo crustaceo venui contenlum. Em- bryo periphericus , al bumen centrale excipit. 39. Salsola oppositifolia Des-Font. FI. ad. 1. p. 219. Delile descript, de l'Egjpt. Bot. n. 384- Guss. F. sic. Prodr. 1. p. 3o3. S. fruticosa Cau. Icon. III. p. 4f. tab. 285. S. longlfolia Fosh. Aegypt. Arah. p. 55. Kali siculum lignosum , floribus membranaceis Bocc. Sic. t. 3i. Cup: Pamph. 2. ^a^'. 255. S. Fruticosa glabra, erecta , ramis rigidis, infe- rioribus adscendentib';3 ; folils oppositis , linearibus, semiteretibus , acutisj floribus terminalibus , oppositis , calycis laciniis supra basim fornice superne stamini- fero instructis , germeD depressum tegente , superne in alas membranaceas coloratas , orblculatas j vel reni- formes , expansis. H. In desertis ^gypti inferloris. Obs. Hanc speclem huc adduxi, non tantum eiusdem diagnosim exhibendi causa , quam ut calycis • singularis mutationis ratio , per hanc speciem , in reliquls conge- neribus, ubi minus exquisite observatur, patesceret. Huius calycis fructiferi structurae rudimentum in ipso flore obser- vare licet , ut per exliibitas figuras facile erit dignoscere. Nam calycis quinquefidi , brevissime tubulosi faux quin- que membranulis rpunitur , in fornicem inferne excavatis , laciniis ipsis calyciois oppositum , quibus fornicibus sta- minum filamenta imponuntur. Peracta anthesi , calycis laciniae ab ovario in orbem excrescento impulsae , proiuft- dius scinduntur , et ut eiusdem forma? componantur , su- per ipsum basi flectuntur; hinc earumdem forniccs sic ex- panduntur, ut propria cavitate, omnes simul, tegmen effi- 623 clant ovario , imposìtum. Hanc dilatìonis rationetn reliqua laciniae pars sequitur , hinc transveise expanduntur , for- ma , generatim orblculata , variante in emarginata , re- niforme , biloba ; semper venis radiantibus exaratae , qui- bus vasorum nutrientium vestigiìs , huius evolutionis modus exhibetur. Qua structura , quae prò normali in hoc genere haberi potest , satis perspecta , reliquae species , quae ab hac longe deflectere vulgo creduntur , facile ad hanc revocantur. Nam in Salsola Kali, ex. gr. in cuius floribus ne rudimenta quidem fornicum facile perspexeris ; laciniae calycis , in hac quoque specie, ad excipiendum ova- rium ea ratione inflectuntur , ut pars filamentorum basi subiecta, ubi fornicum regio sita est, maturescente ova- rio , in membranam ipsius centrum versus protensam , in tegmen, cum reliquis coniuncta, componatur : interea dorso in cristam extenuata excrescit , qua crista laciniae orbi- culatae nostrae speciei exhibentur. Hisce duobus , varian- tis in hoc genere structura , extremis , species interpo- sitae hyatum claudunt, qua singulae iisdem structurae le- gibus in fructificatione obtemperantibus , in uno eodemque genere coercentur. 4o. Salsola. villosa Delil, Descript, de l'Egypt. n. 809. S. fruticulosa , di6fusa , ramosissiraa , tota squamulis furfuraceis tecta , cinerascens ; foliis alterais ovatis , carnosis , imbricatis , superne depressis , floralibus conformibus , superne concavis , glabrisque j floribus ÌQ ramulos patentes , elongatos , alternatim in glome- rulos , 2-3 floros , dispositis j fornicibus calycis fruc- tlferi superne pulverulentis , dorso ia membranam expansis. H. Secus mare Alexandrìse. Obs. Species hactenus dubia , descrlptlone a Belile I. e. exhibita , omnino deficiente ; neque eiusdem defcctui supplent speciminura frustula a Sieberio in littore Ale- xandrino excerpta. Iisdem in locis lecta fuerunt spccimlna , quibus eiusdem diagnosim restaurare licuit. 6^4 INDICE DEL FASCICOLO VI. iSag. (^Scienze f^. infine e a e. 55i.) Letture. Intorno alle Poesìe di Pindaro , ed al volgarizza- mento fattone dal Sig. Luigi Borghi. . Pag. 5o3 analisi di un articolo sopra una Lettera- tura Europea inserito nel N," lO'^-ioB dell' antologia di Firenze , e in generale del Romanticismo « 628 Biografia Medica Piemontese. . . . . « 587 Cenni del Professore Antonio Bertoloni so- pra il Carbon fossile di Caniparola in Lunigiana , e sopra alcune iscrizioni Lu- nesi. Vi si aggiunge una Lettera del eh. Bartolommeo Borghesi sopra le stesse iscrizioni ce 55i Poesie inedite di Antonio Cesari. Capitolo nel quale la Crusca parla a S. À. R. Amalia Augusta Vice-regina d' Italia. . « 565 Arti. Esposizione dell'Accademia Ligustica di Belle Arti nell'agosto i83o. .... « 5^2 Novelle Letterarie. Esempi di gentil parlare moderno. . . . « 58 1 Anthologia latina Adolescentulis humanior. literar. studiosis decreto IV virilm studiis extra Alhenaiuni moderandis proposita. Atig. Tativin. 1825 ...,,...« 584 Uno Institutore di belle lettere a' suoi alun- ni . . , « 58L> 62 5 Uistoìre de Bertrand Duguesclin . . . Pag. 687 Cenni pel miglioramento della prima edu- cazione de fanciulli , traduzione libera di Bianca Milesi-Mojon , dall' inglese . . « 588 Lettera sulla Predicazione « 5go Versione d' una lettera di G. Vescovo d'Or- leans al suo Clero « Sga Convito di Dante ^alighieri ridotto a le- zione migliore — Padova y Minerva iSìj « 59 i Eroidì d' Ovidio trad. di R. Fiorentino . « 5y6 Sermoni di Gabr, Chiabrera , edizione sull' autografo f i83o « ivi Catalogo d' Ornitologia dì Genova ... et 698 Scienze Quattro Decadi di Piante egiziane descritte e illustrate dal Sig, D,"" D. Viviani Pro- fessore di Storia naturale , e di Botanica nella Regia Università di Genova . . . «t Sgg F. Paolo Amedej GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Rev. Are. Genova i3 Dicembre i83o. Se ne permette la stampa MARONE per la Gran Ganeelleiia. vc'-'^;:! w^^y'' I