Baccarini, Pasquale I caratteri e la storia della flora Mediterranea Pi sd ect Pe *% RATTERI E LA STORIA DELLA | DISCORSO ù ‘pronunziato il 16 novembre 1898 RE IR I — PERLA SOLENNE INAUGURAZIONE DEGLI STUDI | - NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA Dan * CATANIA | i n NOTA pur hi vu TIPOGRAFIA FRANCESCO GALATI 1899 ia ITZA in I CARATTERI E LA STORIA DELLA FLORA MEDITERRANEA DISCORSO pronunziato il 16 novembre 1898 PER LA SOLENNE INAUGURAZIONE DEGLI STUDI NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA DAL PROF. PASQUALE BACCARINI MA i d A &; CATANIA TIPOGRAFIA FRANCESCO GALATI 1899 LIBRARY NEW YORK BOTANICAL GARBEN i; 14 el i > NOTNAS \ a A “0 APR 25 1952 PU‘ A % (fe (tua ARIIGRITIRBALTA III RES RI MII LRRIKTMUKC KLIMT TOMI LIBAKKMIKO MIDI KBIKKMEKKK MITO mi t( rt (tt comitimesi0 med oiitoitimti(miioaii(mitimitimit(mitimivimicimiiimitimitimi; (ni Signore e ignoti, La ricerca del modo col quale si costituirono le presenti società vegetali forma senz’ alcun dubbio u- no dei più gravi problemi che le scienze biologiche si sieno proposto. Il concetto che le nostre flore risulti- no da una mescolanza di tipi o di stirpi, diverse tra loro oltrechè pei caratteri morfologici, anche per la patria d'origine, e l'epoca di costituzione, non trova ostacolo ad essere compreso ed accettato in linea ge- nerale; ma le difficoltà sorgono invece ad ogni pas- so, quando si voglia uscire dal campo della specula- zione teoretica, e dare una risposta concreta e preci- sa alle molteplici quistioni, che anche la semplice e- nunciazione del problema solleva. i Basta infatti pensare (per formarsi un idea di que- ste difficoltà) che la sua soluzione richiede una este- sa e minuta conoscenza degli elementi floristici delle varie parti del globo, e che non ostante i considere- voli progressi fatti negli ultimi tempi, appunto que- ‘ b) sta conoscenza fondamentale, è per molti territorii ancora manchevole. Inoltre le conclusioni derivanti da un simile stuaio devono venir controllate alla stregua delle vicende geologiche, climatiche e geografiche della regione, e cioè di una serie di fatti, il cui accertamento affatic: ancora la mente d’ illustri ricercatori. Tuttavia per alcune località che furono oggetto di indagini più lunghe ed assidue, le nebbie van dile- guando; e le linee generali della storia della vege- tazione, divengono oramai riconoscibili con sufficiente chiarezza. Tale è appunto il caso di quel complesso di forma- zioni vegetali che circondano le rive dello antico mare latino, e che appunto perciò vennero riunite in un Re- gno floristico, che prende il nome di mediterraneo. Dalle rive del mare esso si stende sui continenti vi- cini incontro ad altri domini, coi quali sì mescola e si fonde gradualmente, perdendo via via non poche delle sue caratteristiche. Ne avvenne da ciò che sor- sero tra i fitogeografi delle discrepanze non lievi in- torno aj confini da assegnare al dominio, in seguito al diverso valore attribuito ai caratteri ed ai fatti presi in esame. Il Griesebach ad es., il quale fa dipendere la distri- buzione delle piante essenzialmente dal clima, limita il dominio ad una stretta zona costiera che circonda il Mediterraneo, e ne sorte solo per affacciarsi un bre- ve tratto sulle rive dello Atlantico lungo la penisola iberica verso settentrione, ed il littorale del Marocco verso mezzogiorno. Ma quasi per compenso a questo sconfinamento, neppur tutta la riviera mediterranea viene assegnata al dominio; perchè da un lato la flora del deserto africano si spinge sino al littorale di Tripoli e d’ E- gitto; e dall'altro la vegetazione della steppa raggiun- ge il Mar Nero. A questa delimitazione il Griesebach è condotto dallo studio accurato dei caratteri floristici e delle condizioni climatiche della regione dell’ ulivo; il ter- ritorio del quale rappresenta nel suo concetto Vl area dell’ intero dominio. Guidato da un tale ordine d'idee egli ha potuto mettere in evidenza una serie di fatti di alta impor- tanza geografica e biologica: ma questo suo restrin- gere le indagini ad un numero relativamente scarso di specie, per quanto tipiche ed importanti, ed il fon- darsi quasi esclusivamente sui fattori elimatici, lo condussero a formarsi un concetto unilaterale del com- plesso problema relativo alle origini della Flora nostra, ed a darne una soluzione incompleta. Egli difatti pose in seconda linea i molteplici rap- porti che le stirpi del territorio dell'ulivo hanno con quelle delle regioni vicine : non diede un sufficiente valore ai fenomeni così frequenti di compenetrazio- ne d’area per parte delle specie di domimi finitimi, al loro estendersi in una direzione piuttosto che in un altra, e non tenne conto delle affinità che le piante dell’epoca nostra hanno con quelle vissute nei periodi geologici passati. La vita delle piante è senza alcun dubbio in inti- mi rapporti coi fattori climatici di un luogo; segna- tamente cogli estremi e la somma delle temperature utili pel compimento delle funzioni fisiologiche, e col decorso delle pioggie nelle varie stagioni: ma non è più possibile ai giorni nostri vedere nel clima la cau- 6 sa prima e sufficiente dei caratteri di un dominio flo- ristico. Fu oramai dimostrato che altri fenomeni biologici vi hanno una influenza non meno notevole, e che u- na stessa pianta può adattarsi in modo mirabile a delle condizioni climatiche profondamente diverse. E noto ad es. che la maggior parte delle piante alpine può vivere e prosperare negli umidi piani del- l Europa centrale solo che venga difesa dalle male erbe invadenti : ed in date circostanze ed in stazioni speciali, rinuncia facilmente anche ad una tale difesa. Il Koerner difatti ha potuto segnalare una serie di accantonamenti di piante alpine nelle pianure Vien- nesi e nella valle del Danubio : e non poche di esse si spingono anche sulle montagne mediterranee. I monti Lattari ad es. nel Golfo di Castellamare 0- spitano ad una moderata altezza e nel mite clima meridionale una piccola colonia di piante alpine: rap- presentanti della Flora alpina furono rinvenuti anche sull’ Atlante africano, e fu fatto osservare che la G/o- bularia nudicaulis, pianta alpina per eccellenza, sop- porta anche il clima delle Asturie e della Castiglia, e che la Saeifraga cotyledon vegeta ad un tempo nella Lapponia, al San Gottardo e sulle rive dei Laghi lombardi. Si tratta di umili erbe a breve periodo vegetativo che richiedono per fiorire e maturare i semi una li- mitata temperatura ed una certa umidità; e dopo sop- portano indifferentemente l’arida estate mediterranea o la gelida notte polare. Non è quindi soltanto un carattere di termofobia che le respinge sulle vette dei monti: ma piuttosto la loro inferiorità nella lotta contro tipi meglio adat- tati alle condizioni presenti. Lo studio di questi fenomeni (apparentemente aber- ranti) ha dimostrato l'insufficienza delle vedute del Griesebach, ed ha condotto a pensare che le vicende storiche, delle singole flore, ed i mutamenti geologici subiti dalle regioni che hanno attraversate e successi- vamente occupate abbiano influito sulla loro composi- zione attuale forse più profondamente del clima. Non fu quindi più possibile concepire il dominio mediterraneo nel senso del Griesebach e si dovettero assegnarvi più ampi confini, onde evitare il frazio- namento di società vegetali che hanno in comune la origine e lo sviluppo. Secondo questi muovi concetti il dominio Mediter- raneo si allarga a settentrione sino alle foreste del- l'Europa centrale: si mescola a greco col dominio delle steppe Eurasiatiche : ad oriente viene in con- tatto e si confonde gradatamente attraverso la Per- sia, l'Afganistan ed il Belucistan colla vegetazione del versante occidentale dell’ Himalaia; ed a mezzo- giorno sfuma senza quasi confini determinati nel de- serto Siro-Africano. Elementi mediterranei si trovano ancora alle Azor- re ed alle Canarie: ma queste estreme propaggini della Flora nostra vi son così soprafatte da altri ele- menti, che par giusto l’ escludere questi arcipelaghi dal dominio mediterraneo, il quale ad ogni modo nella sua tipica purezza spicca qui sulle rive del mare latino. Il clima mediterraneo è segnatamente nella sua parte occidentale caratterizzato dalla mitezza dell’in- verno, e dalla aridità della state: cosicchè per la maggior parte delle piante il periodo vegetativo s i- nizia colle prime acque d’ autunno, e continua senza interruzione per circa otto mesi sino alla state seguen- te: sino a quando cioè la scarsezza e più ancora l'irre- golare distribuzione delle pioggio costringe le piante al riposo. Questo andamento meteorico subisce, come è natu- rale delle variazioni notevoli a seconda della longi- tudine orientale od occidentale dei luoghi e della lo- ro elevazione e distanza dai mari. In conformità colle differenze climatiche variano alla lor volta gli aggregati vegetali delle singole contrade, come le ricerche del Griesebach, il più accu- rato forse tra gli indagatori delle caratteristiche della flora mediterranea, han messo in evidenza. Così ad es. sul Ponto Eusino dalla foce del Danu- bio sino ai piedi del Caucaso, agli estati caldi ed a- sciutti succedono direttamente inverni rigidi e nevosi: cosicchè il periodo di vegetazione si riduce a soli tre mesi in primavera, superando di poco quello conces- so alle piante alpine od artiche. | Sul littorale Siro-egiziano | eccessiva aridità del clima dominante per tutto l’anno esclude una folla di piante, che vegetano nelle altre parti del dominio: e si spiega quindi così, come sul littorale del Ponte Eu- sino predomini la steppa e su quello Africano la ve- getazione del deserto. Nel restante territorio assumono invece maggiore importanza dei tipi vegetali xerofili a lungo periodo vegetativo. Noi non troviamo qui infatti i boschi profondi di abeti e di faggi: nè i prati umidi e folti dell’ Euro- pa centrale; c neppure l’ intricata foresta vergine quasi sepolta nel denso viluppo di epifite e di liane, o le savanne dei tropici: ma una vegetazione più rada e più luminosa. Qua e là gli alti boschi s'allungano ancora sino alle rive del mare: ma tra le fronde degli alberi radi piove la luce a destare la vita d’ una folla di piante minori: e dove la foresta non abbia potuto costituirsi, od abbia perduto terreno, sorge una densa boscaglia di piante a foglie sode e lucenti, o si stendono dal- l'autunno alla state pascoli ad erba breve ricchi di piante rizomatose e bulbose. La vegetazione originaria è stata per altro profon- damente modificata e spesso respinta nei siti di men facile accesso dall’ attività industre dell’ uomo, ed ha dovuto cedere il campo a sempreverdi boschi di espe- ridi, od a placidi arboreti di ulivi 0 ad ampi vigmeti: e gli aridi colli si sono vestiti di uno spinoso mantello di Agavi e di Opunzie; e le pianure e le valli accol- gono numerose e varie culture. Nessun dominio floristico è stato più tormentato del nostro, ed in nessuno più che in esso Vl uomo ha impresse fin da tempo remoto traccie profonde e quasi indelebili sul paesaggio. Ad ogni modo anche con questa ricca introduzione di piante coltivate non. ne venne distrutta la nota’ fisionomica fondamentale: poichè nei tentativi di ac- climatazione o di coltivazione di piante esotiche su vasta scala, è condizione essenziale per la riuscita che il soggetto armonizzi coll ambiente, e segnatamente coi fattori climatici, in grado tale che l’opera del- l’uomo possa limitarsi soltanto a sorreggere il nuovo arrivato nella lotta contro gli antichi abitatori spo- destati. 10 È perciò che il predominio floristico tanto fra le piante coltivate che silvatiche è assunto qui da stirpi a fogliame sempreverde. Esse non sono per altro esclusive del Mediterraneo. La vegetazione alpina e glaciale son rieche di u- mili erbe e cespugli che durante il lungo inverno al- pino o polare conservano intatto il loro breve foglia- me: i boschi dell'Europa centrale e della Siberia ab- bondano di conifere sempreverdi; e di alberi sempre verdi constano in gran parte le foreste del tropico. Però il significato del fenomeno è differente nei singoli casi. Le erbe e gli alberi del Nord trovano in esso uno stato di cose che favorisce una pronta utilizzazione del breve periodo vegetativo; cosicchè al sopravvenire del- la buona stagione possono con una rapidità ignota a climi più miti, fiorire, fruttificare e rientrare di nuo- vo in riposo. Nei tropici il carattere non risponde più a questo ufficio : poichè in seguito all’ elevata temperatura ed alla uniforme distribuzione delle pioggie, la vegeta- , zione non subisce durante l anno pause notevoli, e sarebbero quindi privi di importanza e significato bio- logico degli adattamenti protettivi contro inclemenze climatiche che non esistono. Sotto questo rapporto le sempreverdi nostre han- no maggiore affinità colle tropicali, essendo come esse sprovviste di apparecchi protettori contro i rigori invernali. Delle tre formazioni sovracennate quella delle fo- reste è, almeno in occidente, la meno importante, es- sendo relativamente scarse le piante sempreverdì che si raccolgono in boschi. Van citate ad es. tra le Coni- ll fore i Pinus pinca, maritima, pinaster ed orientalis, ed il Cupressus sempervirens, che spingono la loro chioma verso i puri cieli del sud, nò sopportano gran fatto la caligine e le nebbie del Nord o delle valli montane: e tra le essenze frondose sono tipiche in ispecie l’ Ulivo, il Lauro, il Carrubbo, l’Elce e diverse specie di Quercie; quali la Q. Lidari, Castanacfolia ed Aegilops in oriente e la Q. suber, Mer e coccì- fera in occidente. L'estensione di queste foreste è al giorno d’ oggi molto inferiore anche a quella di epoche storiche : poich> quasi dappertutto vennero assottigliate e di- strutte dall'uomo, e in qualche caso ancora da lente mutazioni di clima e da cause locali. Il Lauro che un tempo era spontaneo in tutta Ita- lia, come ne fanno fede i reperti fossili dei traverti- ni romani, delle sabbie plioceniche di Mongardino e dei tufi vulcanici di Leucatia sull’ Etna, ora vi si trova solo coltivato; salvo ad Abbazia nella Istria, dove se ne incontrano gli avanzi di un’ antica foresta. E ciò è tanto più sorprendente, inquantochò il ca- rattere di pianta sacra del quale l alloro ha goduto per tutta l antichità Greco-Romana, avrebbe dovuto favorirne la diffusione; o per lo meno contribuire a mantenerlo nelle stazioni originarie. Queste sempreverdi frondose han tutte una comune tendenza ad assumere la forma di arbusti e cespugli, ed a portare delle foglie robustamente protette contro lo eccesso di traspirazione. Ambeduo i caratteri sono indici evidenti dell’ ari- dità del clima estivo, che esclude fra noi le sempre- verdi a foglie molli ed erbacee così frequenti nelle umide foreste del tropico. 12 Più importante della forestale è la formazione delle boscaglie, la quele spicca per la vasta estensione del suolo che copre, e per la ricchezza e varietà degli elementi che la compongono. Infatti arbusti di Mirto e di Lentischio, di Filiree e di Dafne; fratte di Oleandro dai fiori vivaci, boschetti di Eriche e Corbezzoli vestono il declive dei colli e si protendono sino alle rive dei mari: mentre più in alto fioriscono i Cisti, e nei terreni aridi e secchi folti cespugli di junciformi Ginestre od intricate mac- chie di spinose Calicotomi o di Ginepri: e lungo i tor- renti e sulle arene il molle ondeggiamento dei Ta- marisci. Nelle radure della boscaglia e del bosco dove lo strato di terra non basta ad alimentare una vegeta- zione arbustiva, si stende I aperta campagna, così interessante dal lato botanico : così povera da quello agronomico. Qui resiste soltanto una vegetazione eminente- mente xerofila: cosicchè nella state l occhio siper- de stanco sull’ampia distesa dei campi, le cui gri- gie tonalità sono rotte soltanto dai verdi ciuffi della Chamacrops humilis, V ultima palma che s indugia ancora sugli estremi lidi d’ Europa. 3 Le numerose erbe annuali che compongono il tap- peto pratense, quali in prima linea le Graminacee e le Leguminose, han già chiuso il loro periodo di vita ed abbandonate le semenze sul suolo al sopravvenir della state : le piante bulbose e rizomatose prima così vegete si nascondono sotterra: e sull’ arido terreno restano solo i rigidi ciuffi di qualche graminacea, e i nudi steli dell’ £uphordia dendroides. Questa £uphorbia, insieme ad alcune altre conge- 18 neri della regione, può venir considerata come la rap- presentante tipica di un gruppo di arbusti, nei quali il riposo estivo si esplica con una chiarissima mani- festazione esteriore, poichè la pianta si spoglia com- pletamente in estate come altre fanno in inverno, e si riveste nuovamente di foglie in autunno. La robustezza dei suoi cespugli, la densità della sua vegetazione lungo tutto il littorale, mettono sin- golarmente in evidenza questo suo comportamento : ma non è la sola pianta del dominio che si comporti in tal modo. Nei terreni aridi e rocciosi vi è tutta una serie di piante che presentano lo stesso fenomeno: ricordo le Calycotome tra le Leguminose; parecchi Zevcrium, il ZAymus capitatus, la Lavandula multifida tra le Labbiate ed il Poferium spinosum tra le Rosacee. Esse vestono per tutto l'inverno i dirupi ed i colli pietrosi di una vegetazione densa ed odorosa: ma per- dono in estate più o men completamente le foglie per rivestirsene in autunno. Non sono quindi più delle sempreverdi nel senso esatto della parola: ma hanno in comune con queste l’inizio e le fasi salienti del periodo vegetativo. Se però queste piante a vegetazione invernale, ten- gono il predominio nella nostra flora, 0 per dir me- glio v imprimono la nota differenziale tra le flore dei territori situati più a settentrione 0 più a mezzogior- no, non è a credere che manchino fra noi le piante a foglie caduche sì di foresta che di boscaglia. Ricordo ad es. tra le quercie la @. apernina e pe- dunculata, per limitarmi a quelle che più s' avvici- nano al mare, le quali si associano spesso al Lentisco ed al Mirto: i Frassini ed Pioppi che corrono lungo 14 le rive dei torrenti e dei fiumi: il Platano d'oriente, il Melogranato, il Sommaco, il Fico, 1’ Agnocasto, il Pistacchio e la Vite, per tacer d’ altre essenze meno diffuse 0 men conosciute. Più d’ uno ha supposto che queste piante rappre- sentino un elemento d’ introduzione, relativamente recente tra noi, potendo ammettersi che il carattere della caduta delle foglie in autunno alluda ad un an- tico adattamento ad inverni più rigidi od anche sem- plicemente a climi più tormentati dei nostri. L'ipotesi non è sostenibile che per certe piante e dentro certi limiti soltanto. Ad es. è molto probabilmente giusta 1’ ipotesi del- l’ introduzione recente del Melogranato fra noi, il quale è senz'aleun dubbio oriundo dello interno dell’Africa, dove non subisce perdita di foglie in autunno, cosic- chè tale carattere può considerarsi come acquisito per la prima volta nelle nostre contrade. i Se altre piante a foglie caduche si trovino nelle stesse condizioni e cioè sieno piante termofile che si adattano con questa disposizione a sopportare in- verni meno clementi che nel paese nativo è discuti- bile. E molto probabile ancora che stirpi indubbiamente originarie del Nord; come ad es. Frassini ed i Pioppi; possedessero questo carattere prima di giungere nelle nostre regioni: ma nulla può escludere che molte di esse l'abbiano per la prima volta acquistato nel do- minio mediterraneo. Ad ogni modo la maggior parte di questi tipi a foglie caduche appartiene al Mediterraneo fin da tem- po remoto: poichè già nel Pliocene di Mongardino troviamo impronte di Castagno, di Quercus apennina - To e di Faggio : e nel miocene- medio ed inferiore del Piemonte abbondano le impronte di Pioppi, Noci e Salici a foglie caduche: e tipi a foglie caduche: quan- tanque più vari: furono rinvenuti nello Eocene di Promina in Dalmazia. Questo fatto della coesistenza di piante semprever- di ed a foglie caduche nella stessa regione è però sempre di un alta importanza geografica e biologica; alla stessa maniera che è degna di nota l'epoca di schiusura delle gemme in primavera. Antiche osservazioni del Tenore dimostrano che il Tiglio rosso di Ungheria ed alcuni Aceri dell’ Apen- nino Meridionale schiudono sul golfo di Napoli le lo- ro gemme solo alla medesima epoca che nei luoghi d’ origine. E più tardi il Griesebach ha fatto avvertire che le quercie a foglie caduche, ed i Frassini, i quali nel- l'Europa centrale germogliano non appena la tempe- ratura raggiunge i 9°, restano in riposo a Nizza per tutto l'inverno: quantunque il termometro salga già ne: Febbraio per molti giorni di seguito a 10°: e re- stano in riposo anche a Madera, dove non scende mai sotto i 140. A latitudini ed in climi così differenti queste pian- te germogliano solo verso la stessa epoca in Aprile, benchè a Nizza ed a Madera trovino per la massima parte dell'inverno le condizioni favorevoli per ger- mogliare. Questi fenomeni son noti da molto tempo: ma non furono ancora forse studiati colla debita cura; nè se ne è tratto tutto il partito possibile: ma ciò non o- stante anche la loro semplice enunciazione ci fornisce la prova più sicura della insufficienza delle conoscenze 16 climatologiche per risolvere i problemi di Geografia vegetale. Ed infatti una concezione più chiara della nostra flora attuale ci deriva soltanto dal suo confronto con quelle delle epoche passate. E merito dell’ Ungher e del Saporta di avere aper- ta pei primi questa via così feconda di risultati; in- travveduta dal Parlatore; è merito dell’Heer, dell’En- gler e del Drude di averla percorsa con fine spirito di osservazione, e di aver gettato larghi sprazzi di luce sulle vicende storiche del Regno vegetale. Il dominio Mediterraneo non ha avuta sempre, nè la sua configurazione, nè il suo clima, nè la sua flora attuale. Nei remoti tempi dell’ epoca terziaria paleogenica molta parte delle penisole meridionali d’ Europa era sott’ acqua: e quelle loro terre che in forma di isole emergevano dalle onde, presentavano una flora di- versa dalla presente e molto più affine alla antica cretacea e giurese. Essa ha lasciato, per non ricordare che il nostro paese, depositi importanti al Monte Promina, a Stra- della, a Montello, Monte Bolca, Salcedo, Novale Veneto ed altrove. I grandi tipi di Felci dell'era mesozoica erano quasi del tutto scomparsi, e dominavano in loro vece le Muse, le Palme a foglie pennate e flabellate: sorge- vano boschi di Araucarie, di Artocarpee e Proteacee, di Laurinee e di Mirtacce simili alle Zugenza ed agli Eucalyptus, di Rutacde simili al genere C74rus e di Leguminose arborescenti affini alle Cassie. Era una flora prettamente tropicale, come troviamo ancora attorno l’ Equatore del vecchio e nuovo mon- 17 do : colla differenza che presentava un carattere di mescolanza e di uniformità scomparso attualmente in gran parte. Le Araucarie ad es. comuni alle Flore terziarie del- l'Europa, dell’ Asia e dell’ America del Nord vivono ancora soltanto nell’ America del Sud. Gli Zucalyptus si sono rifugiati in Australia, e le Proteacee sono sparse per le zone tropiche o tempe- rate dell’ emisfero sud; mentre mancano all’ India ed all’ Africa centrale, dove vivono ancora Laurinee, Ar- tocarpee, Leguminose ed Esperidi di tipi affini ai ter- ziaril. Sembra cioè che a misura che questa splendida vegetazione veniva soprafatta da altri tipi e respinta verso l’equatore, sia andata differenziandosi nelle flo- re tropicali dell’epoca nostra in seguito alla lenta e- liminazione di talune stirpi in una regione e di altre in un'altra. Contemporanea a questa flora tropica del dominio mediterraneo viveva più a Nord attorno al circolo polare, e separata da essa per l'ampia distesa dei ma- ri eocenici, una flora profondamente diversa. I reperti fossili della Baia di Makenzie e dell’ Ala- ska in America: quelli di Sakalin sul mare Ocotico; dello Spitzberg, della terra di Grinnel e della Groen- landia rivelano una flora composta di Sequoie, Libo- cedri, Pini ed Abeti, Magnolie, Viti, Platani e Quer- cie singolarmente affine a quella attuale degli stati Atlantici dell’ America del Nord, del Giappone, e del versante orientale del paese di Amur. Nello stesso paleogene parecchi elementi di questa flora aveano già cominciato ad infiltrarsi fra noi: poichè nel Miocene di Salcedo ad es.; mentre le Palme 18 scemano cons!iderevolmente di frequenza e di numero, e le Muse sono intieramente scomparse, parecchie for- me di Faggi, di Quercie, di Noci e di Pioppi, ci lascia- no impronte non dubbie. Probabilmente queste piante erano già penetrate da tempo nell’ Europa paleogenica : ma vi avevano oc- cupata sino allora una posizione subordinata, limitate forse alle alture; nello stesso modo come ora vedia- mo le piante dell’ Europa centrale. disporsi in zone sulle alte montagne mediterranee. E probabile poi che verso la fine del Paleogene sieno discese dal monte alla pianura; assottigliando e respingendo d’ ogni lato l’ antica flora locale: la quale, per quanto decimata e soprafatta dalla nuova, non venne per intiero distrutta. Anche senza tener conto dell’ opinione di coloro i quali fan risalire l’indigenato nelle nostre regioni di certi gruppi di piante, come ad es. le Friche, i Gla- dioli ecc. ecc. ad un periodo geologico anteriore al terziario, noi possiamo considerare ad es. il Carrubbo, l Oleandro, lo Storace, 1’ Edera, il Terebinto, il Lenti- sco, la Palma da scope ed il Lauro delle Canarie, come discendenti delle specie congeneri che abitava- no la regione mediterranea nell’ eocene ed in parte anche negli ultimi tempi dell’ epoca cretacea: e pos- siamo ritrovare nelle impronte fossili mioceniche gli antenati dell’ ulivo, del corbezzolo, dei #/4wnus e del- le Dafne: e riferire con ogni certezza al periodo ter- ziario l'origine e l’indigenato nel nostro territorio di parecchi tipi di Felci: quali le Wodwardia le Voto- chlaena e gli Adianthum. I fenomeni geografici di queste piante sono degni del più alto interesse così ad es. la Chamaerops; per 19 quanto diffusa in tutto il Mediterraneo, e quasi esclu- siva nella formazione dei Palmitos di Spagna: pre- senta un’area più ristretta della palma da datteri che pure é coltivata : e se conserva tenacemente le vecchie stazioni, non ne conquista di nuove, e scar- seggia e manca di fatto sui terreni vulcanici ed al- luvionali recenti. Altre come i Capparis, le Brionia, i Loranthus, gli Ardutus e le Clematis, per le quali non si può ne- gare che conservino vigorosamente il terreno degli avi: sono rappresentate nel dominio solo da una 0 poche specie: mentre le loro congeneri abbondano nei tropici: ed altre infine sono in via di progressi- va e qualche volta rapida estinzione. Così ad es. il Zaurus canariensis abbondantissimo in Europa per tutto il terziario, si è accantonato o- ramai nelle Canarie; e resta in Europa solo in. qual- che località del Portogallo, dove non è ben certo s° sia importato 0 spontaneo. La Putoria calabra, ultima rappresentante delle Rubiacee legnose fra noi, va perdendo lentamente terreno; e la Woodwardia radicans ed alcune altre felei mancano già da parecchie delle stazioni visitate da Tenore e Gussone. Ad ogni modo noi possiamo riconoscere ancora nella Flora mediterranea un gruppo di piante, che per la sua affinità colle attuali e terziarie, e per la sua distribuzione geografica, ci si presenta come lo elemento floristico più antico della vegetazione medi- terranea: e quasi come la retroguardia di una popo- lazione la cui massa principale si è ritirata più a Sud. Giova del resto avvertire che questa flora terziaria antica del Mediterraneo, ebbe ai suoi tempi origini 5 20 non meno varie e complesse di quella attuale: cosic- chè il Christ ad es., potè riconoscervi un elemento a- fricano, derivato da una vegetazione xerofila che oce- cupava prima del terziario 1’ Africa centrale, e venne in seguito respinta alla costa. Non furono soltanto cause climatiche che determi- narono questo cangiamento profondo nel paesaggio : sotto I esclusiva influenza del clima la flora terzia- ria non sarebbe scomparsa : piuttosto si sarebbe tra- sformata dando origine a delle nuove stirpi più in ar- monia col nuovo stato di cose. Non bisogna infatti dimenticare che il periodo ter- ziario fu lungo; che le mutazioni climatiche vi av- vennero con molta lentezza : e subirono delle oscilla- zioni profonde, e che neppure attualmente mancano esempi di stirpi d’ origine tropicale, adattatesi a cli- mi freddi o temperati. Così ad es. i Zrachicarpus dell Himalaia sono pal- me di montagna derivate con ogni probabilità dalle Chamaerops : ed i Cerorylon che vegetano sulle An- de dell’ Ecquador in prossimità della regione nevosa, trovano i loro antenati giù nella valle del Tropico : nè va dimenticato che i ghiacciai della nuova Zelan- da terminano in mezzo ad una Flora subtropicale. Le stirpi terziarie del Mediterraneo avrebbero quin- di potuto trasformarsi lentamente in una muova ve- getazione; se allo influsso «favorevole del clima non si fosse aggiunta un’ altra causa perturbatrice: e cioè la concorrenza di una folla di organismi che pote- vano svolgere la loro attività con miglior profitto degli antichi e quindi occuparono a preferenza di lo- ro i nuovi terreni, e a poco a poco li sostituirono nelle antiche sedi. Ma donde proveniva, e per quali vie, ed attraverso quali vicende giunse fino a noi questa nuova proge- nie di piante ? Nel periodo miocenico dalle latitudini dell’ Inghil- terra meridionale sino all’ 85° parallelo, dominava, co- me si è detto, una flora che le esplorazioni artiche della seconda metà del secolo hanno messa in luce, e le ricerche di Ungher, Ettingshausen ed Heer hanno il lustrata. In seguito al progressivo raffreddamento del clima che domin) tutta |’ epoca terziaria neogrenica, questa massa di piante venne lentamente respinta a Sud, e lungo il suo percorso si trovò esposta a nuove con- dizioni di clima e d’ ambiente, ed entrata in lotta colle flore preesistenti, ora si mescolò e si fuse con esse, ora le sostituì del tutto, non senza subire la perdita d'un numero grande dei suoi componenti. Laddove per altro gli ostacoli da superare furono minori; furono anche meno gravi i mutamenti subiti: ed è per ciò che le flore attuali del Giappone, del paese di Amur e del territorio atlantico dell'America del Nord hanno notevoli analogie fra loro e la flora artica terziaria. Lungo gli stati atlantici dell’ America del Nord le piante provenienti dal circolo polare non incontraro- no ostacoli gravi, e poterono senza subire perdite o mutazioni molto profonde, invadere il dominio più meridionale, e respingere le piante già padrone del luogo fin oltre il corso superiore del Mississipì. Così pure nell’ Asia orientale, attraverso il conti- nente che occupava a que’ tempi il mare di Behring, e del quale le Aleuti sembrano essere gli avanzi; po- terono guadagnare il paese di Amur ed il Giappone, wo dove sostituirono a Nord la flora terziaria antica ed a sud si fusero e mescolarono con essa. Il gran numero di tipi generici e specifici comuni alle flore Asiatiche ed Americane summentovate, e quello anche più grande di forme rappresentative , stanno ad indicare ad un tempo la loro origine co- mune; la autonomia relativamente recente, e lo svi- luppo quasi indisturbato dal periodo miocenico fino a nol. Per l’ Europa invece le condizioni furono essenzial- mente diverse. | La regione Mediterranea in ispecie aveva la con- formazione di un arcipelago e tutta | Asia meridio- nale era separata dalle terre artiche per delle ampie distese di mare, che dall’ attuale deserto di Gobi, si stendevano per la pianura Siberiana sino agli Urali ed al Caspio: mentre più ad Occidente un braccio del Mediterraneo si allungava dalla valle: del Rodano a Nord del paese Pennino - Carnico sino al bacino di Vienna. L'ampiezza e la forma di questi mari variò molto durante il terziario: ma si può dire in complesso che s'interposero sempre come una barriera continua tra le terre polari e le parti meridionali dell'Europa e dell’ Asia: cosicchè le piante artiche non potevano suadagnare il territorio Mediterraneo in direzione dei Meridiani: ma dovevano necessariamente compiere a tal uopo un più lungo cammino per le coste dei ma- ri suddetti. Ad oriente infatti del mare di Gobi la penisola di Behring congiungeva le regioni artiche col paese di Amur e la Cina; e tra questa e l’ Afanistan e la Persia si stendeva come ponte l’Himalaia ed il Tibet. 23 La penisola Balcanica a sua volta non era ancora se- parata dall’ Asia minore per la profonda fenditura del Bosforo; ed attorno alle isole Egee si stendeva la terra. Anche la conformazione dell’ Italia era diversa dal- l’attuale. Le Alpi si sollevarono in gran parte duran- te il terziario, e formarono in appendice alla penisola Balcanica il paese Pennino-Carnico : la Sicilia e VE talia meridionale costituivano una stretta penisola A- fricana; a Nord della quale 1 Adriatico, allargandosi per i piani dell’ Emilia e la valle del Po, confondeva le sue onde col mare Ligure. La Sardegna e la Cor- sica furono per qualche tempo congiunte alla Ligu- ria; e forse anche il promontorio del Gargano fu tem- poraneamente unito all’ opposta Dalmazia. Era così aperta sulla terra-ferma alla Flora artica una via per guadagnare attraverso il continente Asia- tico V Europa occidentale : mentre al contrario non sembra che si sia mai verificato uno scambio diretto di piante tra l Europa e l America. Le affinità tra le flore dell’ Europa occidentale e quella dell'America atlantica sono troppo deboli per rendere probabile un simile fenomeno: Asa Gray di fatto annovera soltanto 24 specie comuni all’ Europa ed all’ America, le quali in contempo manchino alla Asia Orientale: ed Engler ha potuto ridurre questo numero, già esiguo, a 10 soltanto. Gli stretti rapporti della Flora Groenlandese ter- ziaria coll Americana attuale fanno supporre che du- rante il Neogene abbia esistito tra i due paesi. una connessione terrestre: ed è probabile ancora che la Groenlandia, l'Islanda e le Isole Faroe siano state per qualche tempo unite fra loro, sia contemporaneamen- 24 te; sia in epoche diverse: ma questi territorii non si sono in ogni caso spinti forse mai così a mezzogior- no da offrire, per un periodo di tempo sufficiente, una via di migrazione alle piante verso i paesi me- diterranei. Le formazioni vegetali che rivestivano quei continenti dovettero tutte soccombere, senza lasciar discendenza al sopravvenire del periodo glaciale. Anche l’ ipotesi d'un collegamento più meridionale tra l'America ed il vecchio mondo per mezzo di un continente atlantico, durante l cpoca terziaria non trova valido appoggio nei fatti. Le differenze tra le fiore tropicali e subtropicali delle due regioni sono troppo profonde, perchè la loro autonomia non debba risalire ad un epoca molto re- mota, ed un reciproco scambio di piante non abbia cessato da tempi antichissimi. Alla scoperta dell’ America ad es. mancavano colà intieramente i tipi d’ Euforbie succulenti così diffuse nell’ Africa tropicale: ed al vecchio mondo era igno- ta l’antica e robusta stirpe delle Cactee, che ha tante specie di così facile cultura in tutto il Mediterraneo, e tante altre inselvatichite ed invadenti nell’ Africa meridionale e nell’ Australia. Molto più intimi sono anche attualmente i rapporti tra le flore della Europa d’ Occidente e quelle dell’ A- sia orientale: poichè, non ostante il grande numero di specie e di generi diversi, sono pur numerosi quel- li comuni, ed abbondano le specie rappresentative, e moltissime forme estreme sono collegate tra loro per abbondanti varietà geografiche intermedie. Le rivoluzioni geologiche avvenute durante e dopo il terziario hanno avuta in Europa un’ intensità più considerevole che in altre parti dell’ emisfero setten- 25 trionale del globo : ma ciò non ostante le parentele della Flora nostra con quella dell’ Asia orientale sono anche attualmente evidenti. E d’ altra parte i docu- menti fossili del neogene Europeo rivelano con sin- golare chiarezza le affinità della flora d’ Europa con quella dell'Asia centrale, orientale, e quella terziaria delle regioni polari. E molto probabile infatti, come le ricerche dell’En- gler han messo in chiaro, che durante il terziario dal- le regioni artiche due grandi correnti si sieno dirette verso il centro dell’ Asia, V una ad Est e VT altra ad Ovest del paese di Gobi; ed incontratesi ai piedi del- l’Himalaia si sieno fuse assieme ed abbian continua- ta in comune Ja via fino a mezzogiorno del Caspio ed alla penisola Anatolica, dopo inviato un breve ra- mo verso le pendici del Caucaso. Più ad ovest la corrente si è biforcata in due rami uno Nord-Europeo, l'altro Sud-Africano. Quello risali le sponde meridionali del Mar nero; si allargò nella penisola balcanica e quindi pei Carpazii raggiunse le Alpi, il Giura, i Pirenei e si allungò) si- no alle Azorre. Il ramo sud-Africano penetrò lungo la Siria nel littorale dell’ Africa mediterranea e quindi si distese con robuste propaggini nell'Italia meridionale e nella penisola iberica andando ad estinguersi alle Canarie. Questo percorso getta una gran luce sulle affinità e le differenze tra le singole flore d'Europa e d'Asia, e risolve in modo evidente una folla di problemi im- portanti. Così ad es. la varia composizione della Flo- ra italiana può benissimo spiegarsi e comprendersi colla diversa provenienza delle stirpi che hanno du- rante il neogene colonizzato i suoi territorii. 26 La maggior parte delle specie caratteristiche del Mezzogiorno s' arresta presso a poco al confine del- l’antica penisola italo-africana, e giunse a noi per la via dell’Africa. Tali il Po/erium spinosum, la Pas- serina divica, il Solanum sodomacum, la Coronilla va- lentina, la Physalis sommifera ecc. ecc. Altre specie, e son quelle che valgono a stabilire i rapporti e le parentele della nostra flora con quella del versante occidentale dell’ Atriatico, raggiunsero la penisola probabilmente attraverso i terreni che con- giungevano il Gargano alla Dalmazia: ed altre an- cora discesero per le valli alpine nella pianura lom- barda, e si estesero sui colli Liguri, e quindi alla Cor- sica, alla Sardegna ed all’Apennino, dopo guadagnata per l Istria il territorio delle Alpi. L'Aspoldeline lu- tea ad es. apparterrebbe secondo | Engler alla prima categoria : il Celtis, il Platanus, i Philadelphus, le Araucaria, i Tarodium ecc. ecc. alla seconda. Molte forme ancora batterono contemporaneamente le due strade del mezzogiorno e del settentrione: ed operatasi poi la congiunzione tra le varie parti della penisola italiana fusero assieme le loro aree prima disgiunte. Il Lentisco, la vite e l'alloro sono proba- bilmente in quest’ultimo caso. Col separarsi della Sicilia dall’ Africa e della Sar- degna e della Corsica dalla Liguria, lo sviluppo flo- ristico delle isole divenne autonomo e si spiega così il marcato endemismo della flora insulare; e Vl assen- za dalla Flora italiana di un gran numero di specie e di generi, che migrati più tardi in occidente, si dif- fusero nel littorale africano, nella Spagna e nella Fran- cia meridionale: ma dovettero arrestarsi ai piedi delle Alpi Carniche, e non poterono più penetrare nel mez- zogiorno italiano. Non si potrebbe infatti altrimenti spiegare la mancanza dalla Flora italiana del Cis/us laurifolius, del Peganum arvala, della Quercus Bal- loto, del Prunus prostrata così diffusi nel resto del dominio mediterraneo. Ad ogni modo questa grave e lenta corrente di piante andava trasformandosi ad ogni passo nel suo cammino. La conquista di un nuovo territorio, e quindi il progressivo spostarsi verso occidente dovè certamen- te per la maggior parte delle stirpi migranti essere opera di parecchie generazioni; e ne venne che le specie primitive andarono variando e scindendosi in forme rappresentative, parallele o divergenti, a misura che occupavano nuovi terreni, e si trovavano esposte a nuove condizioni d’ ambiente, ed a muovi rapporti cogli organismi locali. Di queste variazioni non ci restano attualmente vi- venti che i termini estremi della serie: la maggior parte è scomparsa lasciando scarsi residui fossili nei luoghi d’origine o di predominante sviluppo: e molte stirpi ancora, una volta fiorenti come le ,Sequoza, Ì Tarodium ed i Ginko, perirono senza lasciare discen- denza tra noi. D'altra parte questa flora incontrava nel suo cam- mino altre società vegetali, dalle quali dovette rac- cogliere arricchendosene un certo numero di elementi; allo stesso modo che un ampio fiume riceve nel suo corso le acque di affluenti minori. Più d'una Rutacea e d’una Zigofillacea, e forse i vari Mesembriantemi europei dovettero essere in questo caso. Per tutte queste ragioni quando la flora terziaria giunse a stabilirsi nell’ Europa occidentale presentava 6 già una composizione molto diversa da quella delle sedi primitive: ma possedeva ancora colla flora ma- dre e colle sorelle dell’ America e dell’ Asia un nu- mero molto grande di specie comuni, le quali peri- rono solo più tardi. La loro scomparsa va riferita al progressivo avvi- cinarsi del periodo glaciale, il quale ha modificata la composizione de’ fattori climatici, ed influito sulla Flora europea in grado più elevato che sulle altre parti dell’ emisfero boreale. Poichè non solo fu distrutta nell’ Europa centrale la flora terziaria che vi aveva messe radici, e fu de- cimata nelle parti più meridionali: ma venne inoltre arrestata la migrazione di nuove piante dall’ Asia. Ed invero contemporaneamente all’ avanzarsi dei ghiacci polari verso mezzogiorno si coprirono di ghiace- cio per ampio tratto le creste dello Altai, della Hi malaja, del Caucaso e cei Balcani; chiudendo l’antica via orientale con un’ enorme ea insuperabile barriera. Con tutto ciò una parte della Flora terziaria potè riparare nel mezzogiorno © diffondersi nelle penisole Furopee e sul lttorale Africano, mentre alle loro spalle i verdi boschi d° Europa, cedevano il campo ad un magro tappeto di piante polari o cadevano se- polti nel ghiaccio. L'invasione delle piante polari si dovette compie- re con una certa prontezza: poichè esse migrano a- gevolmente sul dorso delle morene e degli icerberg : utilizzando come precipuo fattore di diffusione quello stesso elemento che taglia la via alle stirpi termofile. Ed anche nelle regioni mediterranee si aggiunse in tal modo ai precedenti un nuovo componente flo- ristico : il quale più tardi -col ritirarsi dei ghiacci si 29 rifugiò sulle vette dei monti, là dove il rigore del clima escludeva altre forme. Una parte della vegetazione alpina delle montagne mediterranee trae la sua origine da quel periodo geo- logico; come lo prova il loro vivere ad un tempo sul- le alture del mezzogiorno e nelle regioni artiche: o l'essere rappresentate da forme sostitutive nelle due differenti stazioni. Fu più volte tentato di spiegare le vaste interru- zioni nell’ habitat di queste specie, attribuendo la for- mazione delle colonie montane al trasporto dei semi per opera del vento e degli uccelli di passo. Ma per quanto molte piante glaciali posseggano dei frutti o dei semi squisitamente adattati ad una disseminazione anemocora, riesce pur sempre difficile comprendere come abbiano potuto attraversare in que- sto modo così ampie distese: tanto più che le cor- renti atmosferiche al momento della maturazione dei frutti spirano nelle alte latitudini settentrionali in di- rezione contraria a quella utile per spiegare il feno- meno. L'importanza degli uccelli di passo, di fronte ad una accurata disamina dei fatti, perde molto valore : sia perchè questi uccelli toccano di rado le alte vette dei monti, e la loro opera riesce più efficace per le specie di piano o di lido: sia perchè relativamente scarsi sono i semi che vi possono aderire alle piume o alle altre parti del corpo; e più scarsi ancora quelli che possono attraversare illesi il tubo digerente. Molte specie avventizie di littorale devono senza alcun dubbio la loro comparsa all’azione degli uccelli; ma salvo condizioni eccezionalmente favorevoli, od 30 un trasporto molto numeroso e ripetuto di semi; fini- scono collo scomparire dalle località così vis:tate. Anche all’ epoca nostra la diffusione delle piante artiche è segnatamente favorita dal movimento dei ghiacciai e delle correnti marine : ed è in gran parte dovuto alla loro azione incessante; il carattere di u- niformità e di mescolanza che presenta la flora delle regioni polari. Va però avvertito che non tutte le specie accan- tonate attualmente sull’ alta montagna sono piante di origine glaciale. Vivono infatti mescolate con esse, e sulle monta- gne meridionali prendono su di esse il sopravvento altre forme che hanno per antenati delle stirpi che vivono anche ora, o vissero in altre epoche al piede delle montagne medesime. Son queste specie che portano il maggior contri- buto all’ endemismo locale delle varie parti del do- minio mediterraneo, ed attestano delle antichità del- la flora. Il sorgere ed il costituirsi di una nuova specie in una data località richiede, a quel che pare nella più parte dei casi, un lungo periodo di tempo, ed è collegato all’ apparire di un gran numero di varia- zioni e di forme intermedie : la maggior parte delle quali scompare: mentre i superstiti migrano 0 sl ac- cantonano in territori! differenti: cosicchè non di ra- do tra la specie stipite e la derivata viene a manca- re ogni traccia dell’ antica connessione geografica. Il fenomeno ci apparirà tanto più marcato quanto più antico è il momento nel quale s' iniziò la costi- tuzione delle specie. L'Etna ad es. ci rivela la sua origine recente anche 31 da ciò che le sue forme endemiche di alta montagna ‘come il Galium acetnense, il Senecio actnense, il Ru- mex aetnensis, si collegano ancora, per una serie di forme intermedie, colle specie stipiti viventi sui colli più bassi o nel piano. Ciò non ostante, quantunque le parti più meridio- nali d’Italia, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica sie- no povere di specie alpine o glaciali; pure queste for- mano una parte non del tutto trascurabile nella Flora mediterranea: poichè si spinsero un tempo molto più a sud delle regioni ghiacciate; e lasciarono delle colo- nie abbastanza importanti sui monti dello Abbruzzo, della Sierra Nevada e dello Atlante africano. La povertà di elementi alpini della Flora Sicula e Sardo Corsica si spiega col fatto che qui il clima si mantenne mite anche durante quel singolare periodo; e colla separazione diggià avvenuta di queste isole dal continente. Alla fine del periodo glaciale immensi spazii di terra restarono liberi, e sì entrò in un altra fase sto- rica della vegetazione europea. Le piante di origine orientale rifugtatesi nel mite clima mediterraneo, si trovarono nelle migliori condi- zioni per popolare le terre oramai liberantesi dai ghiacci, non avendo più a temere che una scarsa concorrenza per parte di altri coloni. Infatti le condizioni climatologiche e geologiche della Europa occidentale erano profondamente mutate e la grande strada d’ oriente sì manteneva chiusa, ed in piu parti spezzata. E bensì vero che V Europa occidentale non si tro- vava più separata dall'Asia per i mari terziarii: ma il prosciugamento dei vasti specchi di acqua che. rico- privano 1’ Europa, Vl Asia centrale e la regione del Sahara, rese in molte parti più caldo ed asciutto la state, ed in altre ancora più rigido l inverno, modi- ficando la direzione e la natura dei venti. Il risultato floristico fu che tra V Asia e I Europa si distese la steppa e per molte parti della Siria e dell’ Africa settentrionale sì distese il deserto. L’ostacolo frapposto alla migrazione delle piante dopo l’ epoca glaciale non divenne men grave: solo mutò di natura: poichè, anche non tenendo conto della scomparsa del continente Egeo e della separa- zione della penisola Balcanica dall’ Anatolia; le piante orientali non poterono adattarsi al clima di deserto e di steppa; e restarono chiuse in quelle sedi dove le aveva confinate il periodo glaciale. Anche lo scambio di piante col continente africano si ridusse ai minimi termini quando il Mediterraneo assunse la sua configurazione attuale, ed’ allora in poi lo sviluppo floristico dell Europa acquistò un ca- rattere di spiccata autonomia. Fu il momento saliente dell’ antica Flora mediter- ranea, la quale col raddolcirsi del clima, guadagno le vie del Nord, c dalle rive del mare attraverso i Pirenei, le Alpi, i Carpazii ed i Balcani si spinse nei piani dell Europa e dell’ Asia. La lotta per questa nuova conquista di terre fu lunga ed aspra; il ritiro dei ghiacci non avvenne in modo uniforme e continuo: ma lunghi periodi di cli- ma più mite alternarono a varie riprese con periodi più rigidi: durante i quali i ghiacci tornarono all’ an- tica potenza: soffocando e distruggendo ripetutamente la vegetazione stabilitasi sui terreni che avevano pri- ma abbandonati. 33 La successione dei depositi vegetali nelle antiche torbiere sta a farci fede di queste singolari oscillazioni del clima, e delle varie società vegetali che in armonia con esse si andavano sviluppando: e ci testimoniano dell’ordine e del modo, col quale i diversi componenti della flora Mediterranea diluviale procedettero alle spalle dei ghiacci in ritirata. Le pianure dell’ Europa e dell’ Asia; ora ricoperte di boschi, o ridotte a cultura; ospitarono invece per molto tempo una tundra simile a quella che s'inton- tra attualmente oltre il circolo polare: ed ampie di- stese di Licheni, di Muschi e di umili cespugli gla- ciali ricoprirono un suolo che a poca profondità si manteneva gelato anche durante la state. Poi a poco a poco successe alla tundra una forma- zione boscosa di Betulle, di Tremoli e di Salici: ai quali s' associavano i ginepri e la felce aquilina. In seguito, dietro di questa si spinsero a nord le foreste di pini e di abeti, e con esse molte essenze frondose, come il Sordus aucuparia, il Prunus padus il Rudbus idacus, e più tardi ancora nelle latitudini più meridionali acquist) il predominio una foresta ad essenze frondose, nella quale preponderarono dappri- ma gli Olmi, il Noeciuolo ed il Tiglio: e successiva- mente la Quercus peduneulata ed affini: i Faggi, gli Aceri ed i Frassini. Le diverse zone di vegetazione che ai giorni nostri si succedono verso il polo per le terre dei continenti borcali sono particolarmente adattate a darci un’ idea di queste consecutive sovrapposizioni di piante. L'estrema vegetazione artica è in fatto costituita da una tundra abbastanza uniforme; la quale a se- conda delle varie regioni ora sembra avanzarsi verso 34 il Nord: ora al contrario perde terreno, invadendo il dominio forestale e resping'endolo a sua volta più a Sud. Il limite artico delle foreste è formato in Norvegia e gran parte della regione polare dalle Betulle : alle quali segue una zona di essenze aghiformi, e dopo di questa un’ altra di essenze frondose: ripetendo nel piano la stessa disposizione, secondo la quale si suc- cedono verticalmente gli avanzi fossili delle torbiere. Però non in tutta la regione polare la successione delle varie essenze forestali s: mantiene costante: nel territorio del Jenissei e dell’Ob ad es. le estreme fore- ste settentrionali son formate, secondo avverte il Som- mier, di Larici: le betulle stanno solo più dietro in- sieme agli Abeti: e si ritirano anche dietro di questi nel paese di Taymir. Del fatto non si ha forse ancora una spiegazione adeguata: ma non è tale da infirmare le linee ge- nerali delle nostre vedute, intorno al processo col quale la vegetazione mediterranea invase il Setten- trione dopo il periodo glaciale. Anche un altro dominio floristico molto importan- tante trae in parte l'origine dalla Flora Mediterranea, e sì è costituito di recente alla fine del periodo gla- ciale sui territori Europei ed asiatici men favoriti dal clima. Laddove cioò il rigore dell'inverno e la siccità del- la state, o la particolare natura del suolo esclusero il maggior numero delle piante mediterranee, si as- sociarono e si divisero il campo una moltitudine di specie xerofili e suscettibili di un breve periodo ve- getativo, quali molte Chenopodiacee e Graminacee. Queste specie vivono mescolate colle altre medi. terranee nelle più varie formazioni vegetali: ma è E solo nella steppa che formano una società con ca at teri e fisonomia loro propria. Infatti le steppe della Catalogna e della Castiglia constano di piante che son diffuse nel Mediterraneo occidentale, o derivano da stirpi che abitavano que- ste regioni: e le piante della steppa orientale rico- noscono per patria d'origine i Balcani, 1 Asia mino- re e le più vicine pendici dell’ Himalaia. Per le ragioni che siamo andate esponendo la flora mediterranea e le sue derivato dell’ Europa centrale e della steppa si sarebbero andate svolgendo nel pe- riodo geologico attuale senza gravi perburbazioni, e con un carattere di spiccata autonomia, se non fosse sopraggiunto un nuovo agente attivissimo, che man- cava nelle epoche geologiche antiche. Questo agente, è quasi superfluo il dirlo, è l’uomo civile la cui influenza sulla composizione del Regno vegetale si esplica sin dal momento della sua com- parsa con una energia sempre crescente. Le necessità dell’ alimentazione e dell’ allevamento di animali domestici, indussero dapprima luomo a cercare intorno a sè le piante necessarie alla vita ed a favorirne lo sviluppo, a preferenza di quelle inutili e dannose. Così nacque la cultura: e la flora naturale venne lentamente ma progressivamente allontanata dalle a- bitazioni umane, e sostituita da una nuova vegeta- zione composta di forme originatesi artificiosamente, sotto l'influenza e la scelta dell’ uomo, e perpetuan- tesi nella maggior parte dei casi soltanto in virtù di determinate pratiche agrarie. Più tardi, quando ll addensarsi della popolazione spinse gli antichi abitatori del globo a cercar nuove " { 36 sedi, cominciò la migrazione delle piante coltivate : ed in seguito, coll’attivarsi dei commercì e degli scam- bi, il fiorire della civiltà ed il raffinarsi del gusto; la produzione di nuove varietà e la loro diffusione nelle varie terre abitate dalle razze umane raggiun- se una notevole intensità. Riesce il più delle volte difficile lo stabilire ora con sicurezza la patria d’origine di molte piante coltivate; sia perchè non poche furono introdotte nella cultura molto prima delle epoche storiche, e non han quindi lasciati ricordi sicuri delle loro vicende: sia perchè non di rado l’azione della cultura ne ha così pro- fondamenle modificati i caratteri da rendere irrico- noscibile la stirpe selvaggia dalla quale provengono. Gli stessi dati linguistici ai quali fu da taluno as- segnato un grande valore, valgono nella più parte dei casi ad indicarci soltanto il territorio od i popoli presso il quale si ottenne qualche varietà più pregia- ta: ma non c' illuminano con sufficiente esattezza sul territorio abitato dallo stipite selvaggio. Così per es. certe piante, quali 1° Ulivo, il Lauro e la Vite, furono da molti, in base a ricerche linguisti che, ritenute come piante orientali migrate in occi- dente soltanto in compagnia dell’uomo : mentre è 0- ramai dimostrato che esse abitano anche Ie provincie occidentali del dominio mediterraneo, fin dall epoca terziaria e forse da prima: cosicchè sembra più con- forme alla realtà dai fatti il ritenere che solo talune varietà orientali portate in occidente da antichi co- loni, abbiano lasciate le loro traccie negli idiomi dei popoli presso i quali trovarono diffusione e favore. E fuor di dubbio ad es. che il Fico d'India è pian- ta d'origine americana ed importato fra noi solo po- 37 chi secoli addietro : tuttavia in questo breve volgere d'anni ha già prodotto nel nostro paese un certo nu- mero cdi varietà più pregevoli di quelle originaria- mente importate. Se ora queste varietà tornassero di nuovo in Ame- rica portatevi, come altri frutti, dai coloni Europei, sarebbe molto probabile che conservassero anche là il nome ricevuto in Europa: e se taluna di queste varietà acquistasse per i suoi pregi favore e predo- minio sull’altre, non sarebbe difficile che anche pres- so gl’ indigeni il suo nome finisse col sostituirsi a quello della stirpe selvatica e delle varietà americane. Il caso si è dato per altre piante. Il Filologo del- l'avvenire, che in mancanza di altri documenti sì fondasse sul nome di queste varietà per stabilire la patria del Fico d’ India; correrebbe rischio di cadere in errore. i I mutamenti per altro determinati nel complesso floristico di un luogo coll’ azione diretta e meditata dell’uomo: per quanto sieno i più appariscenti, e di- vengano ognora più estesi, sono molto meno stabili e duraturi di quel che si potrebbe pensare. L'uomo decima e distrugge le piante selvatiche che non gli sieno di qua!che diretta utilità : e molte stirpi finiscono così per venir ridotte ad uno scarso numero di rappresentanti o per venire eliminate del tutto : ma ciò non ostante la vegetazione spontanea conserva un numero molto grande dei suoi compo- nenti e lotta con vigore contro le piante favorite dall’ uomo. Molte di queste infatti han preso origine da varia- zioni individuali non trasmissibili per eredità: e an- che quelle a caratteri fissati ereditariamente li hanno 38 acquistati in condizioni d'ambiente affatto diverse da quelle nelle quali verrebbero a trovarsi, quando fos- sero abbandonate a se stesse; ed in base a procedi menti ed a cure che verrebbero a mancare coll’ arre- starsi della cultura. o E appunto perciò che se una delle nostre provincie, dove l'agricoltura è più in fiore, venisse sottratta (anche per un periodo d’ anni non lungo) alle cure dell’uomo, si vedrebbe scomparire rapidamente la flora coltivata: e cioè dapprima il Lino, il frumento e le altre piante annuali o bienni, cd in seguito quel- le legnose quali gli agrumi, il Mandorlo, il Pesco, ed in molti punti anche la vite, sopraffatte dalla vege- tazione spontanea. ” Così ad es. boschi naturali coprono ora una parte di quella Magna grecia nella quale l’ agricoltura fu così fiorente un giorno: e molte piante introdotte nel mezzogiorno dagli Arabi sono intieramente scom- parse colla cultura. Più efficaci sono invece i mutamenti che devono la loro origine ad una azione passiva ed inconsape- vole dell’uomo. Nelle sue peregrinazioni egli trascina con sè una moltitudine di semi e di frutti che sfuggono alla sua attenzione; e ciò non ostante si pongono con una strana tenacia sulla sua via. Basta pensare alla ricchezza ed alla varietà della flora che sorge lungo le vie; sui ruderi delle abita- zioni e sui cumoli dei rifiuti, dell’ industria e dell’ a- limentazione per farsene un concetto. Molte di queste specie si comportano come avven- tizie, e scompaiono più o men rapidamente col ces- sare delle circostanze che favorirono la loro momen- tanea diffusione : altre persistono e guadagnano ter- reno; e finiscono col fondersi cogli elementi della flo- ra locale. Sarebbe fuor di luogo il citare qui un elenco di piante introdotte e naturalizzate per questa via in più parti del mondo civile: ma può esser sufficiente ricordare che il maggior numero delle specie cosmo- polite terrestri son divenute tali appunto coll’ uomo e per l uomo. La scoperta dell’ America ha reso anche piu mar- cato questo scambio di piante tra il mondo nuovo e l'antico: ed è già grande il numero delle specie Ame- ricane che da quattro secoli in poi si sono diffuse ed acclimatate in Europa ed in più d'una località sono divenute dannose. Dall’ altra parte dell’ Atlantico il fenomeno è anche più intenso, appunto perchè più attiva è la migrazione dei popoli verso l’ America. Il numero di piante Euro- pee che vi son penetrate sale a parecchie centinaia di specie e va di giorno in giorno aumentando; talchò in certe località degli Stati Uniti, del Brasile e del- l'Argentina, parecchie piante Europee si estendono rapidamente soffocando e distruggendo le piante ori- ginarie, allo stesso modo che la nuova razza Europea sì è sostituita all’ indigena. Deriva da ciò che l’ influenza dell’uomo sulla ve- getazione è tanto più profonda quanto più grande è la energia e la civiltà della razza dalla quale viene esercitata, e che dovrà ancora progressivamente ele- varsi a misura che le comunicazioni tra i diversi paesi diverranno più rapide e frequenti. E prevedibile quindi che la flora coltivata, o per meglio dire, domestica, andrà per lungo tempo an- 40 cora e con energia crescente, respingendo d’ ogni la- to le flore naturali dei paesi abitati dall’ uomo: e che andrà progressivamente indebolendosi quel carattere di autonomia e d'indipendenza che parecchi dominii floristici avevano assunto negli ultimi periodi geo- logici. Le differenze climatiche dipendenti dalle latitudini, e le condizioni geografiche locali formeranno sempre un ostacolo grave alla tendenza innovatrice e livel- latrice delle razze umane anche più progredite ed attive: ma le formazioni vegetali direttamente in- fluenzate dall’ attività conscia od inconscia dell’uomo, finiranno coll’essere predominanti ed uniformi in tutti i territorii che godono i climi simili tra loro. E certamente le piante coltivate di origine medi- terranea terranno il predominio nelle nuove flore do- mestiche delle regioni temperate, come lo provano fin d'ora il rapido diffondersi delle nostre culture in molte parti dell’ America e dell’ Australia. Sotto questo rapporto il dominio mediterraneo con- serva l'elevata importanza assunta fin dall'epoca ter- ziaria: e noi possiamo figurarcelo quasi come un e- norme accampamento nel quale giunsero a varie ri- prese, per diverse vie ed in diverso modo una mol- titudine di piante di origine e natura diversa: e vi si arrestarono come per rinfrancarsi del lungo cam- mino ad acquistarvi le forze per ulteriori conquiste.