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IL DARWINISMO

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LE SPECIE ANIMALI

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DOM. DI BERNARDO

IL DARWINISMO

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LI SPECIE ANIMALI

Without vevifìcation a theoretic conceptiou is a mere figment of thè intellect.

(Tyndall. Fragments of Science, p. 469).

SIENA

TIP. EDIT. S. BERNARDINO

1881

PROPRIETÀ LETTERARIA

%. ‘pvtio ^RAT^LLO

LIBORIO

£>’ cM DEBBILE, I C 0 jvf O £ C EJ\f

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£Dl SVffejto o^RDE^ITI^IMO

Digitized by thè Internet Archive in 2020 with funding from University of Toronto

https://archive.org/details/ildarwinismoelesOObern

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INDICE

Introduzione

Importanza della quistione sull’ origine degli es¬ seri Incontestabili meriti di Darwin E giusto udire una campana e 1’ altra La scienza nasce dalla sintesi dei fatti Poiché il darwinismo esiste, conviene discuterlo Una teoria che non si appoggia ai fatti, non può entrare nella scienza naturale In che consiste il darwinismo Perchè il darwini¬ smo seduce Come il darwinismo intende il principio della variabilità Se la scienza giustifichi il senso dato da Darwin a cotesto principio Influenza delle condizioni ester¬ ne Il trasformismo regolare e costante non può essere opera degli agenti esterni La lotta per 1’ esistenza, V elezione e l’eredità di fronte all’ origine delle specie Il siste¬ ma di Darwin è tutto poggiato sul caso li darwinismo lascia fuori i fatti fisiologici I soli fatti fìsici non ispiegano V origine degli organismi Le metamorfosi ordinarie non depongono in prò del darwinismo

XIV

INDICE

Come il darwinismo intende V adattamento e il progresso delle forme Errori che ne provengono Le comuni forme-stipiti Il comune piano di struttura Il grado dei gruppi sistematici La paleontologia, la morfologia, la fisiologia e la scienza speri¬ mentale di fronte al darwinismo Quali sono le leggi del darwinismo .... pag. 1

CAPO I.

TL.a lotta per l’ esistenza

In che consisterebbe la lotta per 1’ esistenza e quale ne sarebbe il risultato Esempi In quali limiti e in qual senso va intesa la lotta per V esistenza Come i darwinisti ne esagerano V importanza e le conseguenze I colori simpatici La lotta per 1’ esi¬ stenza non ispiega 1' origine della vita e la discendenza delle specie La lotta per la esistenza giova e nello stesso tempo nuoce Darwin contraddice alla sua teoria Le supposizioni di Darwin sono smentite dalla realtà I tipi inferiori di fronte alla lotta per F esistenza Se il caso possa regolare 1’ equilibrio delle specie Come s’ha da in¬ tendere la sopravvivenza del più atto La vigoria e la salute rispetto alla riproduzione Esempi tratti dai regni vegetale ed ani¬ male A che si riduce V influenza della lotta per V esistenza Mutua dipendenza

INDICE

XV

dei regni vegetale ed animale L’ interna evoluzione degli organismi e la lotta per la esistenza La correlazione dei caratteri, il principio d’ utilità e la lotta per 1’ esistenza

La lotta per F esistenza e le modificazioni utili La lotta per F esistenza e gli esseri inferiori Come si mantiene 1’ equilibrio delle specie La concorrenza vitale e la trasformazione delle specie L’ organizza¬ zione degli esseri in rapporto alla loro so¬ pravvivenza Come spessissimo la lotta per r esistenza contraddice alla teorica darwinia¬ na I caratteri fisiologici e morfologici e la lotta per F esistenza La lotta per la esistenza e le modificazioni inutili o indiffe¬ renti La lotta per F esistenza e la diver¬ genza delle forme La lotta per F esistenza e il progressivo perfezionamento degli esseri

La lotta per F esistenza non porta nessuna

luce nel problema della formazione delle specie . pag. 21

CAPO IL

L’ Elezione

Considerazioni sull’ ipotesi darwiniana Ele¬ zione artificiale Effetti di quest’ elezione nei regni vegetale ed animale Quali in¬ sormontabili ostacoli si frappongono all’azione della scelta artificiale L’ elezione naturale e il principio di variabilità Dagli effetti

XVI

INDICE

dell’ elezione artificiale non si possono argui¬ re gli effetti dell’ elezione naturale Li¬ rismo di Darwin a proposito dell' elezione naturale Raffronto fra 1’ elezione artifi¬ ciale e quella naturale L’ elezione natu¬ rale e il principio di tendenza alla stabilità

L’ elezione naturale e le lente trasforma¬ zioni delle specie L’ elezione naturale e il progressivo sviluppo delle forme L’ele¬ zione naturale dipendente dal caso puro e semplice non può essere razionale Gli organi utili e V elezione naturale Se reie¬ zione sia inerente alla natura degli animali

L’ elezione naturale e 1’ isolamento delle razze La distribuzione geografica degli animali e la scelta naturale L’emigrazione degli animali non segue un intento razio¬ nale L' esercizio e 1’ uso degli organi nella teoria dell’ elezione naturale La legge di evoluzione interna Le trasformazioni im¬ provvise La divergenza e la convergenza dei caratteri In che consisterebbe 1’ ele¬ zione sessuale e quali , secondo Darwin , ne sarebbero gli effetti Per quali motivi non si può ammettere l’elezione sessuale Polemi¬ ca fra il prof. Mantegazza e il prof. Canestrini

L’ elezione naturale nel senso darwiniano

esige che il caso e 1’ utilità si mettano d’ac¬ cordo L’ elezione naturale suppone nella natura un potere che questa non ha . pag.

64

INDICE!

XYII

CAPO III. L’ Eredità

Generalità sull’ ipotesi darwiniana Importanza dell’ eredità nell’ ipotesi darwiniana L’ere¬ dità e i pregi intellettuali e morali L’eredità è essenzialmente conservativa L’ eredità non ha effetti sicuri e costanti Le leggi dell’ eredità secondo Hàckel L’ eredità e gli organi inutili Gli animali neutri degli alveari, formicai, ecc. L’embriologia

La legge biogenetica, secondo Hàckel Teo¬ ria della gastrula L’ anatomia comparata e 1’ eredità Gli organi di estrema com¬ plicazione e particolarmente gli occhi

L’ unità di composizione , 1’ unità di forma ,

1’ unità di piano e la successione ereditaria

L’ eredità e la parentela delle forme Le trasmutazioni tipiche La successione ere¬ ditaria e il principio della variabilità La sterilità degli ibridi L’ eredità e il pro¬ gressivo perfezionarsi della vita Lo svi¬ luppo genealogico Opinioni del prof. Canestrini relativamente all’ eredità La legge dell' atavismo Parere del prof. Ca¬ nestrini sullo sviluppo delle forme e sulla teoria della gastrula L’ eredità non agisce secondo i voti del darwinismo Contrad¬ dizioni nelle quali cade il darwinismo.... pag. 147

XVIII

INDICE

CAPO IV.

L’ influenza degli agenti fìsici

Riflessioni sui sistema di Darwin L’ influenza degli agenti fìsici e P elezione naturale L’ ambiente e l’origine delle forme nuove Le circostanze esteriori e il principio di va¬ riabilità L’ adattamento e le sue leggi secondo Hàckel Gli agenti fìsici e la di¬ stinzione delle specie L’ azione delle cir¬ costanze esteriori nelle modificazioni degli esseri Le modificazioni non si estendono ai caratteri specifici e alla costituzione in¬ terna degli organismi Piante ed animali diversissimi vivono sotto identiche circo¬ stanze esterne, e viceversa L’ uniformità nei minuti particolari della struttura degli esseri La distribuzione geografica degli animali efinfluenzadegli agenti fìsici L’embriologia e gli agenti fìsici L'ambiente e i costumi degli animali Lo sviluppo e l’istinto degli animali La durata della vita I paras¬ siti Gli agenti fisici nel passato e nel presente Gli oppositori di Darwin non negano 1’ influenza dell’ ambiente Il aiu- dizio del prof. Canestrini su questa contro¬ versia Gli agenti fìsici e la costituzione interna degli organismi Il darwinismo e la teoria degli adattamenti La legge di ritorno al tipo L’ influenza nociva degli

INDICE

XIX

agenti fìsici Il Vogt combatte la teorica hackelliana sugli adattamenti L’ azione dell’ambiente e la scuola darwiniana.... pag. 226

CAPO V.

La legge del tempo

Osservazioni sulla teorica di Darwin L’ ele¬ zione naturale e la legge del tempo

L’ albero genealogico secondo Hàckel Regola generale che si ritrae dal confronto degli organismi attuali coi fossili più antichi Nelle epoche più lontane sono rappre¬ sentati anche gli estremi della scala zoolo¬ gica A quali conseguenze si verrebbe, se fosse vera la teorica darwiniana I periodi geologici e il passaggio delle forme dal ru¬ dimentale al completo , dal meno perfetto al più perfetto Donde nasce F errore dei darwinisti La supposta legge di rassomi¬ glianza tra le forme antiche e le fasi em¬ brionali delle forme attuali Il tempo e F organizzazione degli animali L’ appari¬ zione dei mammiferi Il darwinismo e l’o¬ scurità dei periodi geologici Lo stesso Darwin non fa grande assegnamento sulla legge del tempo. La subitanea apparizione di certi gruppi di animali Darwin ad¬ dosso alla sua ipotesi La nostra ignoranza in geologia e in paleontologia La legge

XX

INDICE

di continuità Buchner e la scala unica zoologica Le scale zoologiche parallele Gli esseri intermedine la filiazione delle specie I fossili e le specie viventi dei pipistrelli I trilobiti Le scoperte geo¬ logiche , lo sviluppo progressivo e la co¬ mune discendenza del regno animale - Le idee del prof. Canestrini sulla legge del tempo Osservazioni del Mivart La scien¬ za e il totale ammontare del tempo richiesto per b evoluzione secondo il sistema di Darwin Considerazioni del prof. Pfatf sulla legge del tempo Gli studi di Quenstedt ed Op- pel Le pietrificazioni L’ esame degli organi più complicati e delle zone zoologi¬ che si oppongono al darwinismo Le ester¬ ne condizioni di vita e la legge del tempo La geologia e la paleontologia non giu¬ stificano i calcoli di Darwin Obiezioni del signor A. Rimbaud alla legge del tempo nel senso che le dànno i darwinisti Gli stessi darwinisti confessano la loro sconfìtta pag.

CAPO VI.

Le leggi darwiniane *

Il prof. Mantegazza e le leggi darwiniane Il darwinismo fraintende la concorrenza vi¬ tale L’elezione naturale è una supposizione infondata Gli stessi darwinisti combattono

INDICE

XXI

le teoriche di Darwin sull* elezione sessuale, la mimicry , l’elezione naturale e l’eredità Gli agenti fìsici, i caratteri anatomici e le forme tipiche delle razze Il darwinismo, la teleologia e la metafìsica L’ elasticità del darwinismo La teoria di Darwin e quella di Newton Perchè i darwinisti si rifugiano nell’ ignota lunghezza dei tempi trascorsi Le ultime scoperte geologiche e la discendenza delle specie La corda dorsale di certi pesci, 1’ archeopterix e la pro¬ va embriologica L’ eozoon , i foraminiferi, i protózoarii, i trilobiti, i brachiopodi, i mol¬ luschi, gli ammoniti e la filiazione degli es¬ seri Esempi tratti dal regno vegetale con¬ tro tale filiazione Critica di diversi auto¬ revoli naturalisti contro le leggi darwiniane

Come ragionano i darwinisti Il graduale svolgimento degli organismi La lotta fra gli organismi e V elezione La superiorità fìsica e la superiorità morale degli organismi

Derivazione delle forme L’ unità di piano nel regno animale L’ anatomia e la fisiologia La gradazione nel volume degli organismi Caratteri morali Tra¬ smutazioni specifiche e metamorfosi Con¬ catenamento generale degli esseri animati I caratteri fisiologici e scientifici delle specie

Le leggi darwiniane lavorano a danno e in contraddizione del sistema di Darwin Dai fatti dell’ elezione artificiale non si pos-

XXII

INDICE

sono argomentare i risultati dell’ elezione na¬ turale L’inflessibilità dei caratteri specifici e morali La lotta per l’esistenza e le mi¬ nute variazioni individuali L’elezione na¬ turale e lo sviluppo nella struttura e nelle fun¬ zioni degli organismi Riflessioni del prof. Naudin sulle leggi darwiniane Queste leg¬ gi non entrano nell’ordine della realtà... pag. 484

Conclusione

L’apriorismo, la metafìsica e l’inanità della teo¬ rica darwiniana L' ingiustificato stupore di un professore darwinista Gli anti-dar- winisti e i clericali Le leggi darwiniane e lo studio della natura Metodo d’ inve¬ stigazione usato da Darwin Differenze qualitative e differenze quantitative A che si riducono le prove del Darwinismo Il sistema darwiniano non ha alcun fondamento empirico Dichiarazione del prof. Hàckel Le forme-stipiti I vani sforzi e le esa¬ gerate pretese del darwinismo Le sue spiegazioni rendono più complicato il pro¬ blema da risolvere L’ esempio addotto da Darwin relativamente al collo delle giraffe Le inverosimili accidentalità occorrenti alla riuscita dell’elezione L’elezione e il caso che dovrebbe agire in conformità dello scopo Il darwinismo, la scienza naturale e la filosofia 1 darwinisti moderati e titu-

INDICE

XXIII

bariti Il darwinismo della « seconda ma¬ niera » Quali servigi il darwinismo ha reso alla scienza La scienza e la lede

La scienza di fronte al problema dell’origine e della formazione delle specie Insuccesso e inevitabile catastrofe del darwinismo.. . pag. 611

«

APPENDICE

La generazione spontanea

Il darwinismo e la generazione spontanea Brevissimi cenni storici sul problema della generazione spontanea A qual patto si può ammettere la generazione spontanea Come si spiegano i casi che a prima giunta sembrano favorevoli agli eterogenisti Gli infusori

Gli entozoi Il microscopio e l’ipotesi della generazione spontanea La molecola orga¬ nica L’ acqua del mare e la generazione spontanea Argomenti addotti dal prof. Milne Edwards contro la generazione sponta¬ nea La teoria dei germi Le esperienze del Dr. Bastian Difficoltà per compiere a perfezione gli esperimenti Il Wilson con¬ futa il Dr. Bastian Il microscopista Dal- linger Perchè la teoria della biogenesi è più accettabile dell’ eterogenea Le espe¬ rienze e i ragionamenti del prof. Tyndall Altre ragioni in favore della biogenesi Il prof. Naudin assale l’ ipotesi della generazio-

XXIV

INDICE

ne spontanea Gli organi e gli aggregati chimici I cristalli e gli esseri viventi

Il prof. J. Tissot ribatte le pretese degli etero- genisti Patente contraddizione dei seguaci di Darwin La teoria darwiniana muore uccisa dal soverchio zelo dei suoi difen¬ sori . - . pag. 677

INTRODUZIONE

Amichiamo l’attenzione di lor Signori antro- § pologi (1) sopra una quistione che pare non voglia invecchiare così di fretta : intendo deir origine e della formazione degli esseri. Nelle tornate ordinarie delle Società antropo- logiche, all’ estero, si discorre, si discute di moltissimi soggetti; ma di tanto in tanto riap¬ pare, come uno spettro che per poco si era tirato da parte, il più importante dei proble¬ mi, quello dell’ origine delle specie. Allora si riparla di quest’ argomento ; ci si ragiona sopra ; gli antropologi naturalisti dicono quel che ne pensano; s’ informano a che punto

(1) I primi capitoli di questo lavoro furono letti alla Società antropologica italiana (V. Archivio per l’antropologia. Voi. IX, p. 356 e 368J.

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 1

2

INTRODUZIONE

siamo; domandano che cammino si è fatto; e poi rimettono la faccenda a dormire per un pezzo, aspettando dal tempo nuove rive¬ lazioni, nuovi fili di luce, nuove inspirazioni, augurandosi di vedere in avvenire un po’ più chiaro nell’ intrigato argomento.

Io non ho la pretesa di venire a dire cose nuove. Vorrei solamente compiere il mo¬ desto ufficio di svegliarino : vorrei che anche qui da noi si riponesse sul tappeto il difficilis¬ simo quesito per sapere su qual terreno sia¬ mo e che vento spira, a questo proposito, nell’ attuale stagione scientifica.

Carlo Darwin è il pontefice massimo, il venerato patriarca, 1’ acclamato maestro della maggior parte dei viventi naturalisti antro¬ pologo Sotto le misericordiose ali della sua grandezza e del suo genio riparano quasi tutti i dotti che si occupano ex professo di scienze naturali e di antropologia. Sotto la bandiera del magno sacerdote inglese si schie¬ rano i più dei diaconi, suddiaconi ed accoliti delle scienze naturali. Nondimeno, nelle So¬ cietà dei naturalisti antropologo c è posto anche per i non darwinisti, anche per quelli che, pur ammirando e applaudendo il gran caposcuola, non ne dividono le idee.

Io, ultimo dei gregari della Società an¬ tropologica italiana, di tutto cuore batto le

INTRODUZIONE

3

mani al profondo ingegno, all’ immensa eru¬ dizione, alla meritata celebrità del Darwin ; ma non ammetto la sua ipotesi sull’origine e sulla formazione delle specie, ipotesi che non è sua invenzione, ma che non ostante può dirsi sua creatura. D’ altronde, io non volevo assu¬ mere 1’ ingrato compito di far sentire in quest’ aula una nota discordante fra tanto bella armonia di darwinisti. Ma la Presidenza ha creduto che non sarebbe male udire l’una campana e l’altra ; ha giustamente pensato che dal cozzo delle diverse ed opposte opi¬ nioni sia ben probabile scatti fuori la verità, obbiettivo dei nostri studi e dei nostri sforzi.

Di fatti nella storia naturale delle specie se ne sono trovati e se ne sono riuniti una gran quantità. Questo capitale di fatti non poteva restare inoperoso. È proprio dell’ in¬ telletto umano il bisogno di generalizzare, di sintetizzare, di formare teorie, di trarre leggi dall’ osservazione dei fatti. La scienza non nasce, non vive e non fiorisce che a questo patto.

Diverse ipotesi sono state presentate sul- 1’ origine delle specie ; tutta una scienza si è creduto di poter fondare su cotesto tema ; la teorica più in voga è il darwinismo. Conviene dunque esaminare in che rapporto stanno col darwinismo i fatti conosciuti ed accertati.

4

INTRODUZIONE

Qualcuno ha detto che bisognava andare più a rilento nel proporre ipotesi; che i materiali e i fatti messi assieme non sono bastevoli per parlare di scienza intorno all’ origine ed alla formazione delle specie. Ma le ipotesi si sono ornai fabbricate: dappertutto si parla della scienza che concerne la 'produzione de¬ gli esseri ; il darwinismo esiste. Per conse¬ guenza il meglio che si possa fare è d’indagare se, e fino a qual punto, ed in qual misura il darwinismo risponda ai fatti che di già co¬ nosciamo.

Perchè una teorica sia accettata come vera,, o come vicina alla verità, o come molto pro¬ babile, occorre che si accordi o che, almeno almeno, sembri accordarsi coi fatti. Non è lecito muovere da pregiudizi, da preconcetti* da principii astratti, perchè allora i fatti ven¬ gono trascurati o interpretati stortamente. Non è lecito abbandonarsi alla semplice spe¬ culazione, perchè allora la teoria individuale e soggettiva esercita soverchia influenza nel¬ l’induzione e finisce col costruire sistemi fan¬ tasiosi che non hanno nulla di reale e di vero. La nostra Società deve guardarsi bene dall’in- ciainpare in simili inconvenienti, deve cioè rigettare le generalizzazioni basate sopra una troppo limitata o parziale conoscenza di fatti.

La teoria darwiniana domanda di essere

INTRODUZIONE

5

considerata come una « teoria naturale, » frutto di positivismo, risultato di esperienza. Dunque è importantissimo vedere se ci sieno fatti sufficienti per istabilire cotesta teoria.

Essa - nessuno lo ignora - si fonda nel- l’ ipotesi dell’ origine delle specie per mezzo della elezione naturale. In pochissime parole, tutta la teorica del darwinismo si può rias¬ sumere così : Siccome le razze derivano da semplici varietà, anche le specie « possono » ^essere derivate dalle razze; e i generi, dalle specie; e la vita animale, dalla vita vegetale,

La teoria è attraente; si mostra ^>tto una veste seducentissima; e non c’ è da stupire, vedendo eh’ essa ha trovato ammiratori e so¬ stenitori, dotti dal più al meno, amanti della verità, zelanti per il progresso, sotto qualun¬ que forma lo si presenti.

Forse a lor Signori sembrerà un po’ stra¬ no che un’ individuo nato e cresciuto tra i bori e gli ardori della parte più meridionale d’ Italia, si presenti questa sera come un fred¬ do calcolatore, un prosaico analizzatore, un’im¬ passibile giudice di fatti. Ma qui siamo nei domini della scienza; e quando facciamo per oltrepassare la soglia del maestoso e sublime tempio di essa, bisogna lasciare alla porta gli istinti belligeri, i sentimenti focosi, le vo¬ late dell’ ‘immaginazione, le impazienze del

6

INTRODUZIONE

desiderio e la smania di correre a rompicollo verso la mèta.

Ebbene, io ho infrenato le mie irrequiete tendenze, ho messo a dormire i miei poetici ideali, ho gettato acqua fresca sugli impeti dell’ indole meridionale; e mi è parso di tro¬ vare che le conclusioni adottate e proclamate dal darwinismo sieno incompatibili coi fatti e colla esperienza.

Il principio della variabilità degli esseri, cioè il principio generale, sul quale la teorica darwiniana si appoggia, è, dentro certi limi¬ ti, sodo m legittimo. Ma il principio conco¬ mitante, cioè la tendenza a variare in modo da migliorare, perfezionare e insieme dare origine a nuove specie, è contrario alla realtà. Che una disposizione o un impulso a variare esista nel mondo organizzato in un grado e con una forza assai maggiore di quello che una volta si ammetteva dai naturalisti, è in¬ contestabile ; che questo principio in certi casi prevalga, non lo nego. Ma non è la pre¬ valenza, bensì la sua intensità che deve at¬ tirare la nostra attenzione e formare oggetto del nostro studio. Il fatto indubitato che la tendenza a variare talora si manifesti in modo evidente, ha indotto a frettolosamente dedur¬ re eh’ essa è una proprietà necessaria della vita organizzata. Invece, la verità è che co

INTRODUZIONE

i

7

testa proprietà si appalesa, si svolge sotto certe condizioni e con intensità più o meno leggiera, limitata, circoscritta ai caratteri non essenziali.

Ci sono innumerevoli casi in cui non si rivela la più piccola tendenza a produrre va¬ rietà. Attribuire la mancanza di tale tendenza alle uniformità esteriori, è non solo pura¬ mente ipotetico , ma si oppone e contraddice al fatto che frequentemente una specie esiste sotto differenti condizioni esterne, senza mo¬ strare alcuna propensione a variare.

La presunzione che vi sia una forza centri¬ fuga la quale incessantemente costringa ogni specie a lottare per differire dal suo proto¬ tipo, non ha sufficiente fondamento in natura. E, per lo meno, un’ ipotesi non necessaria, giacché la variabilità che mostrano certi gruppi, si può spiegare con altri mezzi e con altri motivi molto più plausibili. Se in effetto accuratamente e spassionatamente esaminia¬ mo la storia naturale delle specie che pos¬ seggono la massima quantità di variabilità, troviamo che questa è una tendenza di pa¬ recchie concomitanti caratteristiche, se non identiche, certo analoghe a quelle che appar¬ tengono all’ individuo nel più vigoroso pe¬ riodo della sua vita, vale a dire nella più tipica fase del suo sviluppo individuale. Ora,

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il naturalista sa che in un gruppo organiz¬ zato , la parte più tipica non è niente affatto la più alta in quanto a struttura generale. Il naturalista sa che i caratteri tipici di ogni gruppo naturale si conservano anche da quelle specie , la cui decadenza non si può revocare in dubbio. Quindi bene a ragione ogni impar¬ ziale osservatore della natura argomenta che la variabilità non si governa secondo le nor¬ me e le regole indicate dal darwinismo.

I caratteri tipici di un gruppo si conservano non ostante le influenze esterne, si conser¬ vano malgrado che le specie componenti il gruppo sieno in decadenza. Questo significa che le condizioni esterne non possono nulla contro i caratteri tipici ; che esse non sono al caso di dare alle specie un tal grado di varia- fi ilità, da produrre nuove specie ; che insom¬ ma non hanno la virtù e 1’ attitudine che do¬ vrebbero avere, se la teorica darwiniana fosse vera.

L’ origine e la produzione delle specie, anche secondo l’ipotesi di Darwin, non dovreb¬ bero essere governate dai soli agenti fìsici , dalle sole forze meccaniche ed esteriori; non dovrebbero dipendere da cause accidentali, capricciose, arbitrarie. La progressiva gradua¬ zione degli esseri, il loro movimento regolare il lento ma costante « crescendo » nell’ evo-

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luzione e nella formazione delle specie non possono essere un effetto miracoloso del caso, dell’ imprevisto, delle fortuite combinazioni. Sarebbe una contraddizione nei termini.

Le circostanze esteriori variano, sono inco¬ stanti, non hanno regole fìsse. Ma un trasfor¬ mismo dipendente dal variare delle circo¬ stanze esteriori non è un trasformismo di¬ pendente dal caso ?

Anche stando alle idee di Darwin, il risul¬ tato della lotta per 1’ esistenza sarebbe, tutt’ ai- più, la conservazione delle variazioni. Poi fra le diverse variazioni la natura scieglierebbe quelle utili. La eredità, a sua volta, s’incari¬ cherebbe di tramandare di generazione in generazione le proprietà che riescono utili all’individuo per la concorrenza vitale. Dunque la lotta per 1’ esistenza spiegherebbe soltanto il perchè le variazioni sussistono , ma non ha nulla a vedere colla loro origine. E neppure la elezione e l’eredità, intese nel senso dar¬ winiano, dànno accettabili esplicazioni rispetto al nascere e al perfezionarsi degli esseri. Dar¬ win ci lascia sempre sulle braccia del caso: l’elezione fatta dalla natura abbandonata a se stessa equivale precisamente all’ elezione fatta dal caso; l’eredità, che, non si sa come, tra¬ smette soltanto le variazioni utili, non può essere che opera del caso. Ed ecco come la

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nascita e lo sviluppo degli individui sarebbero- affidati ad agenti , che sono fuori degli stessi individui, e che non hanno altra guida, altra norma regolatrice , altro principio direttivo- se non il caso !

Domando se intorno all’ origine e al pro¬ gredire delle specie si poteva escogitare un sistema più contrario alla filosofia sperimen¬ tale, più inverosimile, più inammissibile.

Il regno organico così ricco, così bello, così stupendamente ordinato sarebbe dovuto ad un fortunato concorso di cause vaghe, incerte, sconosciute! sarebbe affidato ad influenze le quali obbediscono ad una felice fatalità ! Gli organismi si svilupperebbero, si formerebbero, si trasformerebbero per mezzo di forze esterne e per un giuoco d’ indovinato meccanismo !

A questa conclusione devono arrivare i darwinisti che non deviano dalle premesse e non indietreggiano davanti alle conseguenze del loro sistema. L’ indole e la costituzione particolare, le intime facoltà e le funzioni speciali degli organi degli animali, in una parola, i fatti fisiologici non entrano nella loro teoria. A confessione di Tommaso Huxley, che è uno dei più valorosi ed illustri darwinisti, i fatti fisiologici sono contrari alla limitata proposizione espressa nel titolo del libro più celebre di Darwin.

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Ma così stando le cose, su quali buone ra¬ gioni, su quali convincenti argomenti si ap¬ poggia il darwinismo ? Nessun serio fisiologo scrive Navi Ile nella Revue Philosophique diretta da Ribot ■— nessun serio fisiologo, che comprenda le esigenze del metodo sperimen¬ tale, affermerà che può rendere conto della origine degli organismi colla sola considera¬ zione dei fenomeni fìsici. Coloro che ciò affer¬ mano, presentano un’ ipotesi e sono nel loro diritto. Ma s’ ingannano a partito, se danno alla loro previsione teorica il carattere di una solida induzione sperimentale. Per una scienza positiva tutte le manifestazioni della vita sup¬ pongono il concorso delle leggi fisiche e delle leggi proprie all’ organismo. Nello stesso pe¬ riodico, il Dastre avverte come la nozione vaga che siavi una successione purchessia, un con¬ catenamento, un’ evoluzione regolare nella pianta e nell’ animale, non dispensi dallo stu¬ diare la pianta e 1’ animale in se stessi, e dal cercare nella loro natura qualcosa di suffi¬ cientemente particolare per caratterizzarli.

I darwinisti non la guardano tanto per il sottile, sentenziano e tirano via. Essi, per esempio, fanno rappresentare una parte im¬ portantissima alle metamorfosi osservate in certi animali. Ma la metamorfosi, come ogni formazione embrionale, è un procedimento di

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sviluppo normale, che si compie in un ciclo¬ regolare, il quale ritorna sempre ad un punto di partenza identico e riesce sempre allo stesso fine. Gli è quello che avviene nella generazio¬ ne alternante degli animali inferiori e nella metamorfosi di altri animali più elevati, come le farfalle, certi insetti, o ancora certi rettili, ranocchie, rospi, salamandre. Che cosa dun¬ que possono provare in fasore del darwinismo le determinate e conosciute metamorfosi di alcuni animali?

La teorica darwiniana ha 1’ aria di volere andare molto addentro alle segrete cose; ma effettivamente si arresta alla superficie e si mostra di troppo facile contentatura. Essa, verbigrazia, vuole spiegare l’ adattamento de¬ gli organismi alle condizioni esterne. La do¬ manda sarebbe : per quale causa naturale le forme si adattano perfettamente all’ ambiente? perchè esistono soltanto forme che perfetta¬ mente si adattano all’ ambiente ? La teoria della elezione risponde: perchè delle innume¬ revoli variazioni individuali si conservano sol¬ tanto quelle che relativamente sono più adat¬ tate, mentre le meno adattate soccombono nella lotta per 1’ esistenza. Ma ciò è lo stesso che dire : le forme adattate esistono, perchè se non fossero state adattate, non avrebbero po¬ tuto esistere. Ne sappiamo più di prima? For-

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se che prima della teoria darwiniana s’ in¬ gnor a va che gli organismi, i quali non sono adattati alle condizioni esterne, non possono vivere ? A che serve parlare di progressiva, illimitata variabilità, quando, dopo tutto, si elude la questione principale e non ci si dice per quali verosimili cause le forme vengon fuori e progrediscono?

I darwinisti hanno un modo tutto loro pro¬ prio d’ intendere il progresso delle forme. Un progresso così all’ ingrosso e nell’ insieme ci sarà ; ma nei diversi casi particolari spesso il progresso si alterna col regresso. Che il regno organico sia una scala graduale di svi¬ luppo quantitativamente progressivo è una finzione, un presupposto, un’ idea astratta e nulla più. Perchè mai il progresso generale delle forme si debbe confondere colla filiazione delle stesse forme ? Gli è che i darwinisti scor¬ gono cause, rapporti, nessi dove in fatto non ce n’ è neppur l’ombra. Perchè a volte, poniamo, certe forme mostrano una somiglianza qualsia¬ si coi primi gradi di sviluppo di un’ altra for¬ ma più alta, per ciò i darwinisti credono di po¬ ter riguardare quelle prime forme come un necessario stadio di passaggio nello sviluppo generale delle specie. Ma coteste non sono in¬ duzioni da naturalisti, bensì congetture e spe¬ culazioni da filosofo meramente idealista.

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Alla teorica della elezione naturale si sono ciati troppi quesiti da sciogliere. Per dirne uno, secondo Darwin dovremmo riferire allo stesso principio così 1’ accordo come la differenza di due forme !

Si faccia pure a fidanza col rigore dei prin- cipii, si trascurino le regole e le esigenze della scienza positiva ; ma alla fin fine il la¬ vorìo delle forze esteriori e prettamente mec¬ caniche non può dar conto della filiazione dei tipi. Un tipo per essere anche mediante lentissime , successive variazioni trasmuta¬ to in un altro tipo, dovrebbe essere sconvolto in tutta la sua economia e costruito di bel nuovo.

Parecchi darwinisti , nell’ intento di salva¬ re il principio del trasformismo , hanno ri¬ gettata la diretta trasformazione dei tipi coor¬ dinati 1’ un 1’ altro, considerando due o più tipi come discendenti da una sola comune forma-stipite.

Ma dove, ma quali sono le comuni for¬ me-stipiti ?

Qui i nostri contraddittori ricorrono ad una comoda scappatoia , ad un curioso attac¬ cagnolo : dicono che le comuni forme-stipiti si spensero , che se ne distrussero persino gli avanzi. Ma io non credo niente affatto che , cotesta gratuita asserzione possa tener luogo

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eli prova. E poi , in che maniera dobbiamo raffigurarci la comune forma-stipite ? Certo doveva avere le egualità e le proprietà di un essere perfettamente concreto: doveva avere la sua propria caratteristica. Or bene, come mai da quest’ essere si svilupparono due di¬ scendenti con contrassegni particolari e spe¬ ciali ? È egli concepibile che 1’ essere stipite andasse sfornito di specifica determinazione ? Una forma-stipite di questa sorta, un essere così vaporoso e così indistinto è una pura astrazione , un fantasma, un mito : non pote¬ va avere alcuna reale esistenza , non poteva vivere.

I fautori del darwinismo tirano fuori il co¬ mune piano di struttura nel regno animale ■come in quello vegetale. Se non che, biso¬ gnerebbe precisamente dimostrare che 1’ ac¬ cordo degli organi omologhi derivi dalla co- ; mime forma-stipite. Ma il darwinismo non è nel caso di offrirci la prova di quest’ altra supposizione. ci si venga a parlare di una forma originariamente rudimentale, tanto ru¬ dimentale, che, per esempio, rispetto alla lo¬ comozione non appariva in essa il carattere del nuoto, quello del volo, quello del cammino mercè le gambe: non possiamo rap¬ presentarci un animale così straordinariamen¬ te e così stranamente rudimentale. E in ogni

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modo resteremmo nel vuoto eli una conget¬ tura arditissima , di una ipotesi che sarà utile a qualche cosa, ma di certo non è buona a gettare le fondamenta di una scienza sulla origine delle specie.

Ciò non è tutto. Largheggiando nelle con¬ cessioni e ammettendo che il piano di strut¬ tura sia comune, la diversità nell’ esecuzione del piano è così rilevante , così spiccata , così straordinariamente grande, che sembra all’ in¬ tutto inimmaginabile la trasmutazione di una forma in un’ altra.

Secondo altri avvertì, è un errore conside¬ rare il tipo organico come un’ informe massa di cera che si possa impastare e modellare a piacere. Se le forme-stipiti non si trovano nel mondo attuale, in quello preistorico* ciò avviene semplicemente perchè non hanno potuto esistere.

Un errore se ne tira dietro un altro. Così, precisare, assegnare il grado dei gruppi siste¬ matici, per i darwinisti gli è un affare di estensione e di quantità. Ma nel vero sistema naturale le diverse categorie non sono sem¬ plici rubriche per dirla colle parole del prof. Wigand bensì tipi concreti, come monete non solo di valore definito, ma anche di conio particolare. Un genere ed una famiglia non si determinano col numero dei loro sottogruppi.

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Il grado dei gruppi sistematici non è stabilito dalla quantità, ma dalla qualità. Dando retta a Darwin, il carattere di un ordine o di una classe a principio si manifestò come una va¬ riazione individuale per poi attraversare i gra¬ di della razza, della specie, del genere, ecc. Ma in realtà noi non vediamo che in natura la fac¬ cenda proceda a cotesto modo. Secondo ciò che in natura osserviamo, non è ammissibile che, per esempio, il carattere dei vertebrati sia mai apparso in un verme, in un mollusco sotto forma di variazione individuale. La paleontolo¬ gia, al contrario, c’insegna che ogni tipo prin¬ cipale, ogni classe , ogni ordine, ecc. sin dal principio portarono l’ impronta del genere e della specie.

Che i fatti riconosciuti dalla geologia e dalla paleontologia non siano d’ accordo colla teoria del darwinismo, lo confessano il papà Darwin e Lyell e Huxley e tutti i naturalisti di conto. Darwin e Lyell se ne consolano col pensare che dell’ immenso librone della na¬ tura a mala pena se ne conosce qualche pagina. Bel conforto in verità ! Dove il ma¬ teriale è completo, come nel mondo attuale, i tempi sono troppo brevi; e dove i tempi sono abbastanza lunghi, come nel mondo preistori¬ co, il materiale è incompleto ! Che si direb¬ be fu chiesto che si direbbe di uno

Di Bernardo. Il Darwinismo e. le specie animali.

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storico il quale volesse sostenere un fatto che si ripete in tutti i tempi, e per provarlo se ne appellasse ai perduti documenti passati ?

Si spera dicono di trovare i fatti che confermino la teoria. Ma la speranza non è un argomento, non è un indizio di prova diretta indiretta, non è un tentativo di sciogliere la quistione. La speranza non è scienza. Non ha diritto di vivere scientifica- mente un’ ipotesi campata sulla speranza, una ipotesi senza fatti concordi o almeno analoghi alla classe dei fatti che ex hypothesi si pre¬ sumano esistere.

Dunque io sostengo che ci mancano i dati di fatto per conoscere il qualcosa di sufficien¬ temente particolare che diede origine alle specie. Ci mancano i dati di fatto per ammet¬ tere rillimitata variabilità degli esseri orga¬ nizzati. Ci mancano i dati di fatto per inco¬ minciare a dipanare 1’ intrigatissima matassa del come sieno venute fuori le specie.

Io sostengo essere inaccettabile una teoria, la quale è in disaccordo ed in contraddizione coi fatti non capricciosi e non arbitrari della morfologia, coi fatti chiari ed accertati della fisiologia e coi fatti constatati e riconosciuti dalla geologia e dalla paleontologia. Non am¬ metto un’ ipotesi che mi vuole far dire il con¬ trario di quel che mi dicono i fatti : non am-

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metto un’ipotesi che pretende di essere naturale e positiva, ma che viceversa si regge sui tram¬ poli delle nebulosità metafisiche, delle teori¬ che ideali, delle frettolose generalizzazioni, della speranza senza fondamento di sorta.

Intanto la scuola darwiniana propugna questa teorica e crede di poterla far vivere scientificamente.

Si possono ridurre a cinque le leggi prin¬ cipali da essa invocate per renderci conto dell’origine delle specie , cioè: la lotta per la esistenza, la elezione, l’eredità, Y influenza delle circostanze esteriori e la legge del tempo.

Andrò esaminando paratamente queste leg¬ gi, per considerarne in ultimo 1’ azione com¬ plessiva rispetto alla formazione ed all’ origine ■degli esseri organizzati.

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CAPO I.

La lotta per Y esistenza

Nel sistema darwiniano la lotta per resi¬ stenza è la condizione sine qua non della elezione naturale.

I mezzi di sussistenza, essendo necessaria¬ mente limitati, gli animali se li dovrebbero disputare, contrastare, contendere con accani¬ mento, con furore, con tutte quante le loro forze.

In conseguenza di questa lotta, una quan¬ tità di animali sparirebbe, e gli altri continue¬ rebbero a sussistere e si moltiplicherebbero. Muorirebbero gli animali più deboli , soprav¬ viverebbero quelli che nella mischia riuscirono vincitori.

Dunque il risultato della lotta per 1’ esi¬ stenza sarebbe di fare sparire gli animali che non poterono sufficientemente battersi, e di •conservare gli animali che si mostrarono superiori.

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CAPO I.

Appunto in grazia di questo fatto, sarebbe possibile la elezione naturale.

Fra i moltissimi individui d’ ogni specie, che nascono periodicamente, pochi soltanto dice Darwin rimangono in vita.

Anche qui si applica il multi vocati , palici

electi.

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E troppo rapida la progressione colla quale tutti gli esseri tendono a moltiplicarsi. Questa progressione è in ragione geometrica , e però « deve inevitabilmente esser frenata da ca¬ gioni distruttrici. » Se mancassero queste, se non ci fosse la lotta per Y esistenza, così i vegetali come gli animali arriverebbero ad un numero tanto enorme, che nessuna esten¬ sione di suolo basterebbe a contenerli.

Calcolo curioso su di un chicco di grano.

Un chicco di granturco fa la pianta e la pannocchia. Supponiamo, per essere discretis¬ simi, che questa abbia solo 50 chicchi. Dopo un anno, seminati, si moltiplicherebbero 50 volte e si avrebbero 50 volte 50 chicchi cioè 2500. Così, seminando di anno in anno, dopo 9 anni si avrebbero 1,703,125,000,000,000 (un quattrolione, settecentotre trilioni e centoven- ti cinque bilioni) i quali nel 10° anno saranno altrettante pianticelle di granturco. Ora sup¬ ponendo che in un metro quadrato stiano co¬ modamente 10 piante, per contenere quelle del

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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IO.0 anno, sarebbero necessari metri quadri 170,312,500,000,000 (centosettanta trilioni, tre- centododici bilioni, cinquecento milioni) egua¬ li a miriametri quadrati 1,703,125 (un mi¬ lione, settecentotremila, centoventicinque). Or bene, la terra solida è di miriam. quadrati 1,400,000 (un milione e quattrocentomila). Per ciò in meno di 10 anni la produzione di un solo chicco di grano coprirebbe più che tutta la Terra !

Darwin cita T elefante che produce un tì¬ glio alla volta e suppone il caso che ogni femmina dia soltanto tre coppie in novanta anni. A capo di cinque secoli, da una sola coppia sarebbero discesi nientemeno che quin¬ dici milioni d’ individui. Si può altri notò citare V esempio di animali di piccolissima taglia, di un moscherino, verbigrazia. Dai dati raccolti in proposito risulta, che se per una sola estate i figli e i nipoti di un solo mosche¬ rino vivessero tutti e si trovassero posti gli uni dappresso agli altri, alla fine della sta¬ gione coprirebbero quattro ettari di terreno.

Se dunque tutt’ intero il mondo non è in¬ vaso dai moscherini, gli è che la cifra dei morti sorpassa a gran pezza la cifra dei so¬ pravvissuti.

È altresì manifesto che se la moltiplica¬ zione, putacaso, dei merluzzi, degli storioni.

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CAPO I

le uova dei quali »i contano a centinaia di migliaia, non si diminuisse in una maniera o nell’ altra, tutti gli oceani ne andrebbero pieni zeppi in meno d’ una vita d’ uomo.

La conseguenza che si trae da tutto ciò si è, che nascendo una quantità d’ individui di gran lunga superiore a quella che può ali¬ mentarsi, è necessario che s’ impegni una spe¬ cie di lotta, diretta o indiretta.

La dottrina di Malthus, molto più che al regno umano si applica al regno animale, per¬ chè in questo caso non è possibile un aumento artificiale di nutrimento se non in piccola pro¬ porzione, e perchè, trattandosi di animali, non agiscono i mezzi preventivi, ma solamente i repressivi.

Io credo vero il fondo della dottrina di Mal¬ thus; quindi non esito ad ammettere, in gene¬ rale e sotto certi aspetti, la lotta per l’ esisten¬ za. Darwin ha avuto una bella idea e ragione da vendere, applicando la legge di Malthus alla flora e alla fauna. Nessun ordine di esseri, che si moltiplichi colla generazione e debba anda¬ re avanti a forza di nutrimento, può sottrarsi alla lotta per la vita, al conflitto più o meno quotidiano, più o meno appariscente, più o meno insistente. E non combatte solamente per procacciarsi i mezzi di sussistenza, ma an¬ che per difendersi dagli agenti esterni quali

LA LOTTA PER L* ESISTENZA

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il caldo, il freddo, 1’ umidità, la siccità, e dai parassiti. D’altronde, raramente la battaglia è battaglia nel senso stretto della parola, cioè violenta e cruenta. Il più delle volte, la è una semplice concorrenza vitale. Negli anni di ab¬ bondanza la concorrenza è più mite, come negli anni di carestia è molto più considere¬ vole, più estesa, più seria.

Queste verità vanno coi loro piedi ; non fanno una grinza ; non possono non accettarsi. Ma non ammetto le conseguenze che i darwi¬ nisti ne traggono ; ed innanzi tutto non am¬ metto il ricamo, il lavorìo di rabeschi, il mo¬ saico di esagerazioni, di iperboli, di rettoricumi che ci si è fatto sopra da certi naturalisti, dal prof. Canestrini, per esempio. Non so se si possano leggere senza restare con tanto di bocca aperta le sue elucubrazioni, le sue « trovate, » le peregrine fantasie ch’egli scio¬ rina, parlando delle armi nella lotta per resi¬ stenza. Se sentiste la descrizione che ci regala a proposito dei tranelli inventati dall’ epeira per salvarsi nella lotta ! È un saggio di lette¬ ratura che tratta di sotto gamba la scienza naturale e fa male ai lettori. Figuratevi un buscherio di periodi infilzati alla rinfusa che 1’ emicrania.

Così, divagando, allo studio della natura si sostituiscono 1’ artifizio e 1’ abilità del presti-

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CAPO I.

giatore. Aperta la via alle supposizioni, non è facile fermarsi ; invece, si Unisce col consegna¬ re alla carta tutto quello che viene sotto la penna. Ma chi ci crede ? Io credo poco, anzi punto che certi animali per vincere nella lotta « facciano il morto, » o, più meravigliosa¬ mente ancora, fingano di « cadere in deliquio. » Penso che il « deliquio artificiale » sia un privilegio della più bella metà del regno umano.

E c’ è dell’ altro : alcuni animali, per pas¬ sarsela liscia, ricorrono alla « civetteria. » Secondo una tale maniera di vedere, le ragaz¬ ze primitive sarebbero andate a scuola da cotesti animali ! Chi ci aveva mai badato ? Il professore va avanti lo stesso ; ci parla di al¬ leanze fra piante ed insetti alleanze che pos¬ sono essere « triplici e magari quadruplici ; »

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ed arrivando ad un certo punto, scrive : « E quindi cosa ben certa (Notate le parole : cosa ben certa) che i fiori non sono fatti per nostro diletto, ma al servizio della pianta (sic) e con quei precisi caratteri, i quali possono procu¬ rare al vegetale il maggior possibile vantag¬ gio dalla visita degli insetti. » (La Teoria del— V Evoluzione, Torino 1877, p. 39). Dunque noi ci godiamo i fiori, ma di contrabbando, furti¬ vamente, per la compiacenza che hanno le piante di non tenerli a loro esclusivo ser-

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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vizio e di tollerare i nostri gusti indiscreti ! Intanto tenete bene a memoria che i fiori olezzano per nient’ altro che per essere visitati dagli insetti !

Quanto alla civetteria adoperata dagli ani¬ mali per difendersi dai loro nemici, pare che il gran gioco venga fatto specialmente dai colori. I cosiddetti colori simpatici secondo il menzionato naturalista « sottraggono gli animali deboli alla vista dei forti. » Ed anche soggiunge immediatamente 1’ autore « anche gli animali robusti hanno biso¬ gno di colori simpatici, perchè possano avvi¬ cinarsi, non veduti , alle loro vittime. E in questo senso va interpretato il colore del leone. » (1. c. p 33). Ma in qual senso? Nel senso che il leone col suo colore simpatico non è veduto ? Ecco, a me pare che bisogna essere totalmente ciechi per non vedere un leone, sia pure del colore più simpatico che esista sotto la cappa del cielo.

Sapete un po’ com’ è ? Con tutte queste in¬ gegnose astruserie, con tutte queste preziose scoperte, con questo putiferio di combinazio¬ ni favolose, io non c’ intendo un acca e , in ogni modo , non ci vorrei pigliare troppa con¬ fidenza. Capisco bensì che, mediante la lotta per 1 esistenza molti animali periscano e quel¬ li che sopravvivono propaghino la loro razza ;

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CAPO I.

ma non comprendo come questo fatto possa contribuire a provare F illimitata mutabilità delle specie. Mi persuado che la limitatezza dello spazio e dei mezzi di sussistenza produca una contesa fra gli esseri organizzati ; ma non so vedere perchè tale contrasto debba cagionare il disordine, il caos delle forme, persino la non esistenza di quelle che , stan¬ do alla realtà, chiamiamo specie.

La lotta per 1 esistenza presuppone la for¬ mazione degli esseri : evidentemente, se gli es¬ seri non esistono, non possono lottare. Quindi la lotta per 1 esistenza non ha nulla che vedere coll origine della vita. La lotta per la esistenza, la concorrenza vitale è un fatto po¬ si eri ore alla esistenza : può giovare alla con¬ servazione delle specie migliori, ma di certo non può esplicarne F origine , non crea spiega la scala regolare e sistematica delle successive, sempre più complicate variazioni.

Ragioniamo ; non ci lasciamo travolgere dal luccichio delle frasi e delle fantasie che piacciono, seducono, solleticano, ma infine non hanno alcun significato, non dànno alcuna cer¬ tezza induttiva deduttiva , non ricostrui¬ scono nulla.

Il fatto innegabile della sproporzione fra i mezzi di sussistenza e F inesauribile potere generativo ci assicurano che la concorrenza

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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vitale esiste in un modo o nell’ altro. Questo fatto però non ha nessun legame, nessuno, co¬ munque lontano, rapporto coll ipotesi che le specie discendano le une dalle altre, mercè un normale perfezionamento ed una progres¬ siva tramutazione di forme.

Chi ben guardi, la concorrenza vitale non può avere per effètto il lento perfezionamen¬ to degli esseri organizzati. Secondo 1’ ipotesi darwiniana , la concorrenza vitale esercitereb¬ be, inconsapevolmente e costantemente , lo ufficio di scrutatore acconcio a levar di mezzo gli esseri deboli ed inferiori. Invece, la concor¬ renza vitale è osserva il trasformista Tre- maux nociva a tutti gli esseri, forti o de¬ boli. Quando due animali si dànno noia e bisticciano e lottano per procurarsi i mezzi di sussistenza , si nuocciono a vicenda. La vit¬ toria non si ottiene senza risentire le conse¬ guenze della lotta; non si vince sol perchè si ha f istinto o il desiderio di vincere ; bisogna prender parte alla zuffa ; uno dei due combat¬ tenti avrà , in ultimo , il sopravvento ; ma anche il vincitore ne tocca e resta malconcio la sua parte; il vittorioso ne uscirà meno mal¬ trattato dell’ altro , ma sempre maltrattato.

La lotta per resistenza nuoce pure in quan¬ to impedisce lo sviluppo di alcune proprietà nelle piante e negli animali , sviluppo che

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CAPO I.

avrebbe avuto luogo, se non ci fosse stata la lotta per la esistenza.

A togliersi d’ impiccio, Darwin dice : « Io non credo ad alcuna legge necessaria di svi¬ luppo . la varietà di ogni specie è una

facoltà indipendente e variabilissima in gra¬ di. » Se è così, tanto peggio per il sistema da lui propugnato. Coteste parole sono una con¬ danna della sua teorica. Se la varietà è fa¬ coltà indipendente e non ha per obbiettivo il progressivo tramutamento delle forme; se la legge del lento quanto inevitabile sviluppo e della varietà in linea necessariamente pro¬ gressiva non si ammette, la dottrina del natu¬ ralista inglese precipita a catafascio.

0 io m’ inganno, o Darwin critica se stesso.

La concorrenza vitale non ha il potere di migliorare le specie. Niente autorizza a sup¬ porre che 1' azione utile, con cui la concorrenza vitale influisce sugli individui di una medesi¬ ma specie , sia maggiore , sia superiore alla azione nociva che si fa risentire su tutti gli individui combattenti. La concorrenza vitale va presa confi è , non va corretta, modificata e accomodata ad uso e consumo del darwi¬ nismo.

Giusta tale sistema , gli esseri si forma¬ rono mediante la lotta per Y esistenza, a poco a poco, grado grado, passando insensibilmente

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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clai protozoi ai polipi , dai polipi ai raggiati , dai raggiati ai molluschi , dai molluschi agli anellidi , agli aracnidi, ecc. ecc. Ma si può sa¬ pere, in grazia, perchè i protozoi venuti a ten¬ zone coi polipi non soccombettero ? perchè non restarono immolati alla forza soverchiante dei polipi? E perchè diteci in carità perchè gli animali più grossi, più elevati, più prepo¬ tenti permettono di vivere agli animali più inabili , più meschini ? Gli è che la lotta per 1’ esistenza non ha per risultato il migliora¬ mento e la graduale perfezione degli esseri organizzati, non si è assunto l’ incarico di annientare gli esseri gracili e piccini , non altera le forze della natura variamente di¬ stribuite negli individui viventi, non rimuta, non trasforma Y aspetto generale del regno vegetale e del regno animale, come non rimu¬ ta e non trasforma l’ aspetto generale del regno umano.

Checché si affermi in contrario, la persi¬ stenza dei tipi inferiori non si concilia colla lotta per la esistenza , quale viene descritta e gabellata dai darwinisti. À questo proposito , Darwin domanda : che vantaggio arreche¬ rebbe ad un animaluccio infusorio , ad un verme intestinale , od anco ad un verme di terra Y essere dotato di una organizzazione elevata? Oh bella ! Il vantaggio sarebbe di

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CAPO I.

poter vivere in una condizione migliore per effetto ed in conseguenza della più elevata organizzazione. D’altronde, la quistione del vantaggio non ha nulla che fare colla con¬ temporanea esistenza delle forme gracili e delle forme vigorose , aitanti , battagliere.

Darwin, per sostenere le sue vedute, fa grandissimo assegnamento sul caso, autore e principale collaboratore di tutte le teoriche meccaniche ed indipendenti dall’ evoluzione interna degli organismi. Ma talora non al caso neppure quello che realmente gli spetta. E, per esempio, un puro caso se alcuni granelli di semi regolarmente sparsi trovarono una natura di terreno che favoriva il loro svilup¬ po. Gli è parimenti per un semplice caso che alcuni individui stanno giusto nei luoghi, dove la loro vita è protetta , poniamo , da una inondazione , ecc. ecc. La natura è riflette¬ va il Wigand troppo ricca , perchè la con¬ correnza vitale sia il solo regolatore che man¬ tenga 1’ equilibrio tra il numero degli individui di una specie e il numero dei germi.

Lo stesso Darwin ci assicura ( Origin ofspe- cies, Londra 1872, p. 96) che variano più le specie sparse in numerose stazioni. Ma ciò con¬ traddice apertamente alla sua dottrina: di fatti, nelle numerose stazioni la concorrenza vitale è meno accanita, e però dovrebbe dare meno

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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variazioni. Quanto più la specie è avvicinata, aggruppata, unita, tanto più forte , incessante, ostinata è la concorrenza vitale , e quindi tan¬ to maggiore dovrebbe essere la variazione.

La logica dei fatti soggioga il celebrato naturalista che, senza volere, in certi momenti di distrazione, rivede le buccie alla sua pro¬ pria teorica.

Secondo lui, la lotta per 1’esistenza ci schiu¬ de i più riposti segreti della natura. Secondo lui, in virtù della lotta per 1’ esistenza, le for¬ me deboli soccombono, mentre le forti preval¬ gono e si riproducono. La sua ipotesi induce a stabilire che i più favoriti nella lotta per la esistenza sono i più forti, come dire i meglio nutriti. In effetto non è concepibile che gli esseri mal nutriti sieno i più forti, cioè i più atti a vincere nella lotta per la esistenza.

La teoria di Darwin, avverte H. How- orth ( Strictures on darwinism, Part. I. Jour¬ nal Anthropol. Institute , voi. II, 1872, p. 21) si riassume nella frase : « Sopravvivenza del più atto. » Questa frase per stessa non dice nulla. Che sopravvivano quelle forme di vita le quali sono più atte a sopravvivere, è un assioma che la filosofia delle scuole più opposte non esita ad ammettere, giacché equi¬ vale a dire che il bianco è bianco e il grigio è grigio. Il tutto sta a sapere quali sono le

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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CAPO I.

forme più atte a sopravvivere e se vi siano forme specifiche non atte a conservarsi. Dar¬ win non si ferma alla frase, ma l’applica ad un gran numero di casi, conchiudendo il capitolo sulla lotta per 1’ esistenza con queste testuali parole : « i vigorosi , i sani, i felici sopravvivo¬ no e si moltiplicano. » (1. c. p. 61.)

Or bene, coteste proposizioni non rispondo¬ no alla esperienza. Non è punto vero che gli animali e le piante relativamente deboli fini¬ scano per soccombere; il fatto prova il contra¬ rio: prova che insetti e pianticelle, combattuti incessantemente da forze naturali, il vento, il freddo, il caldo, e dall’ arte, la vanga del con¬ tadino, e dalla voracità animale, ecc. durano, persistono, continuano a moltiplicarsi ed eter¬ nano le proprie specie. E questo fatto dimostra che ogni specie è per se stessa naturalmente vigorosa, sana, felice, atta a vivere, a durare, a riprodursi. Soccombe l’individuo per ragioni conosciute, la specie mai, per quanto appa¬ rentemente debole e piccola. Non è punto vero che 1’ essere ben nudrito e grasso giovi alla riproduzione.

Tutti sappiamo che il giardiniere è un buon filosofo empirico. Nella sua esperienza di piante coltivate, nel suo intento di procu¬ rarsi quanti più fiori e quante più frutta può, egli ha accumulato una quantità di fatti, che

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non dànno ragione alle vedute di Darwin. Il giardiniere ci dice che quando una pianta sia sterile o faccia poche frutta, in nove su dieci casi la via piu sicura per renderla feconda o per ottenere maggior copia di frutta, si è di limitare la pianta nel cibo e nell’ acqua, di diminuirne la vigoria, di offenderne la salute.

I metodi sono svariati. Uno dei mezzi è hi potare i rami o le barbe. Un altro rimedio, al quale sempre si ricorre nei giardini, consi¬ ste nell’ incidere un cerchio sulla scorza dello albero per fermare il flusso del succo. Uno espediente più in voga per le viti è d’ in¬ curvare e di torcere quanto più si può i tral¬ ci. Un altro mezzo è di esporre le piante per lungo tempo al gelo.

Tutti questi rimedi sono più o meno effi¬ caci ed hanno lo stesso intento : mutilare o indebolire la pianta che sia infeconda o non frutti abbastanza.

Adottando il metodo opposto, qual’ è il re¬ sultato ? Le camelie, per esempio, che hanno centinaia di bottoni in autunno, li getteranno rapidamente, se stimoliamo la pianta, nu¬ trendola e dandole sufficiente calore per farla crescere anche d’ inverno. Le orchidi non fio¬ riscono, se sono un po’ troppo alimentate e annaffiate. Lo stesso avviene dei cactus e di molte altre piante.

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CAPO I.

Il doppio flore è una forma distorta, pro¬ dotta dalla cultura, cioè da abbondante ali¬ mento. Ebbene, nel doppio flore gli organi riproduttivi sono alterati e spesso assenti,, ditalchè non si ottiene semenza.

I fiori selvaggi, portati in serra, crescono il doppio ; ma cessano di produrre semenza. Come pei fiori, così per le frutta. I piccoli e raggrinzati melloni o cocomeri che crescono sopra ramoscelli rachitici, mezzo paralizzati, sono pieni di semenza ; mentre quelli grossi e carnosi, che sono stati curati e ben nutriti, ne hanno poca o punta.

In generale la serra è un cattivo luogo per maturare il seme ; e così è il giardino troppo coltivato. Per esempio, il cavolo selvag¬ gio ha poche foglie, ma, a differenza del ca¬ volo dei giardini, ha un ricco pennacchio di semenza. Le fragole, le edere ed altre piante selvagge e striscianti fioriranno appena, se loro si permetta di stendersi in tutte le direzioni e di mettere radici dappertutto. Frutteranno abbondantemente, se i rampolli si distendono sulle pietre, di guisa che tutta la pianta debba nutrirsi colla radice madre. Fra erbacce, come cardoncini, smaceroni ecc., il più abbondante e fertile seme è dato da quelle che stanno in un suolo poverissimo o sulle pietre. I faggi che crescono in terra coltivata, dànno poco

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frutto. Le querce e gli abeti danno più frutto, quando stanno in punti scoscesi, quando il sotto -suolo è ghiaioso e povero.

Darwin cita qualche esempio in contrario ; il più rimarchevole è quello dei cereali, che notoriamente sono carichi di granelli. E ciò si deve, per Darwin, all’accurata cultura che hanno avuto. Ma la ricca produzione dei ce¬ reali non può citarsi come un fatto favorevole all’ ipotesi darwiniana. Nel grano, nel riso e negli altri cereali, piantati fìtti e profonda¬ mente coltivati, ci dev’ essere una terribile lotta per la luce, 1’ aria e 1’ alimento. Or, come va che, nonostante questa feroce lotta, i cereali producono abbondanza di granelli ? Non si ar¬ guisce da questo fatto che il conflitto spie¬ tato e 1’ accanita concorrenza non hanno gli ef¬ fetti desc riti dalla teorica di Darwin ?

Al tirar dei conti, quello che è vero delle piante selvatiche, è vero delle piante coltivate: generalmente parlando, le piante deboli e poco nutrite sono più feconde,

Il signor Doubleday nel suo libro Lavj of jiopulcition cita due fatti che hanno analogia coi precedenti. Gli innesti presi da un’ albero quasi morente riescono con più sicurezza che quelli presi da un albero il quale è nel suo pieno vigore. I semi che sono stati conservati per qualche tempo, germinano, nella maggio-

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CAPO I.

ranza dei casi, più sicuramente, che i semi fre¬ schi.

Lo stesso autore nota altresì che i peri, e i pomi fruttano più abbondantemente poco prima che muoiano; e che, dopo inverni se¬ veri, i vegetali raddoppiano di forza e di rigoglio.

Tutte queste esperienze mal si conciliano- colla lotta per T esistenza nel senso darwi¬ niano.

Relativamente agli animali, la pratica degli allevatori conferma quella dei giardinieri.

Per gii allevatori è una regola preziosa tenere i loro animali deboli e in uno stato di. fiacchezza, se desiderano che producano suf¬ ficientemente. Le razze troppo nutrite non sono le più feconde. Quando, invece, sono* condotte dove il pascolo è meno abbondevole, le loro rotondità diminuiscono e la produzione aumenta. Doubleday dice che se per esempio le pecore sono troppo nutrite, ne segue la sterilità. Gli inverni miti non sono favorevoli alT aumento delle pecore, perchè in questi inverni, dell’ erba ce n’ è troppa. Il medesimo Doubleday discorre di una cavalla, che per lungo tempo rimase infeconda, e che il pa¬ drone rese fertile, nutrendola scarsamente e tenendola debolissima. Certi allevatori salas¬ sano i cavalli od altre bestie che sono osti--

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natamente sterili, per promuoverne la fe¬ condità.

Se dagli animali domestici si passa a quelli semi-selvaggi, si notano gli stessi fatti. Darwin scrive: « I casi più rimarchevoli ci vengono offerti dagli animali dimoranti nel loro paese natio, i quali , sebbene perfetta¬ mente domati o lasciati in una certa libertà, sono all’ intutto incapaci di fecondarsi. » Ren- ger, che nel Paraguai si occupò particolar¬ mente di questo soggetto, parla di parecchi quadrupedi addomesticati ed infecondi o quasi. Bates nella sua opera sugli Amazoni allega altri esempi e rimarca che il fatto di uccelli ed altri animali che non si riproducono, quan¬ do sono tenuti dagli Indiani, non si può attri¬ buire a negligenza o indifferenza, perchè gli In¬ diani apprezzano moltissimo questi animali. In diverse parti del mondo, per esempio nello interno dell’ Africa e in parecchie delle isole della Polinesia, i nativi amano di rendere do¬ mestici i quadrupedi e gli uccelli indigeni ; ma raramente riescono a farli produrre. Dar¬ win adduce una quantità di fatti in proposito. ( V. Variation of animals and plants under domestication , voi. II, p. 158 e seg. ) e con¬ clude col dire che certi cambiamenti di abi¬ tudini e di vita influenzano in modo inespli¬ cabile i poteri della riproduzione.

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A Darwin imbarazzato conveniva sbrigar¬ sela tirando fuori il modo inesplicabile o , che è lo stesso , il mistero. Ma i naturalisti che col mistero vogliono aver da fare il meno che sia possibile , trovano negli accennati esempi una conferma che gli animali più curati, me¬ glio nutriti e più vigorosi sono meno fecondi degli animali abbandonati a se stessi, mal nu¬ triti e relativamente deboli.

La stessa regola prevale nel regno umano. Dei fenomeni riguardanti 1’ uomo rispetto al darwinismo tratterò nel lavoro intitolato : Il darwinismo e la specie umana. Per ora mi ba¬ sta di avere brevemente provato che nel regno vegetale e nel regno animale gli individui più deboli sono più fecondi degli individui più nutriti e più forti. Perciò la sentenza di Dar¬ win trascritta più sopra è una veduta subbiet- tiva, non è una deduzione da premesse confor¬ tate dall’ esperienza. E quindi si può asseverare che la lotta per l’ esistenza fondata sul mec¬ canismo degli agenti esteriori e sulla preva¬ lenza del più atto non esercita l’influenza che Darwin le attribuisce. Auzi, stando ai fatti suaccennati si dovrebbe concludere che la leg¬ ge per la riproduzione e conservazione delle specie è tanto potente in natura, da non venir meno e da essere costante ad onta che la lotta per resistenza giunga ad indebolire le co-

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stituzioni organiche. Ed aggiungo che la forza di questa legge suppone già la lotta; in guisa che 1* organismo sottratto per cura umana dalla lotta, si sottrae alla legge e diviene infecondo.

Ciò per altro non vuol dire che i darwi¬ nisti non siano al caso di pescare qualche interpretazione che riesca propizia alla loro teorica. Come per la coesistenza di esseri pic¬ colissimi e sprovvisti di armi insieme ad esseri grossi e bene agguerriti, così pei fatti quassù indicati, i darwinisti possono di certo trovare qualche sotterfugio, qualche commento , come si suol dire , tirato coi denti, tanto per mo¬ strare che sugli stessi fatti si può ragionare in diverse maniere. Ma allora essi devono smet¬ tere di vantarsi positivisti e di proclamare che « la religione dell’ avvenire ha da essere il positivismo scientifico ».

Adottiamo la bandiera del positivismo scien¬ tifico e vediamo a che, in fine, si riduce 1’ in¬ fluenza della lotta per Y esistenza.

Laugel, elegante difensore del darwinismo, ha scritto : « La concorrenza delle specie e la battaglia della vita sono un potente mezzo di eliminazione , piuttosto che uno strumento creatore. » ( Revue des deux rnondes, marzo 1868, p. 153).

G. T. Fechner è darwinista di fede dichia¬ rata; tanto vero che nella prefazione del suo

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libro Einige Ideen , zur Scliòpfung und En- tioichelungsgescliichte der Organismen (Li¬ psia 1873) comincia col dire che la teoria di Darwin ha acquistato nuova vita dall’ op¬ posizione che le si è fatta. Ebbene , Fechner sostiene che la lotta per 1’ esistenza rappre¬ senta una parte subordinata e secondaria. Il regno animale si rifa sul regno vegetale, ma limitatamente e sino ad un certo segno. Se. gli animali distruggessero le piante, si toglie¬ rebbero il mezzo di vivere. E viceversa, se le piante distruggessero gli animali , non avreb¬ bero più l’acido carbonico che gli animali emettono, il letame che lasciano cadere , gli aiuti che ritraggono dagli insetti per la fecondazione, ecc. In natura non c’ è una mutua distruzione , bensì un vicendevole com¬ pletamento. E questo vicendevole completa¬ mento non dipende dai casi incerti della lotta per 1’ esistenza, ma dalle interne condizioni di sviluppo. L’ adattamento degli organismi non è abbandonato alla fortuita lotta per Desi¬ stenza, che, tutt’al più, potrebbe produrre va¬ riazioni indipendenti 1’ una dall’ altra.

I darwinisti non vedono che lotta, vittoria del più forte, sopravvivenza del più atto; e cosi credono di avere in mano la chiave del segre¬ to, non curandosi di considerare la . natura nei suoi costanti rapporti , nella sua necessaria

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dipendenza. La realtà poi è tutt’ altra. Gli ani¬ mali assorbono F ossigeno ed esalano dello acido carbonico; le piante si appropriano l’aci- do carbonico ed esalano F ossigeno. Le parti non assimilate dell’ alimento degli animali ri¬ tornano al suolo e lo fertilizzano per la pro¬ duzione vegetale. Il regno animale ha biso¬ gno del regno vegetale , e questo ha bisogno di quello. Gli erbivori preparano F alimento necessario pei carnivori ; se i carnivori fos¬ sero soppressi, la stragrande moltiplicazione degli erbivori cagionerebbe la strage nel re¬ gno vegetale, la distruzione dell’ equilibrio armonico e finalmente la sparizione della vita sul globo.

Dunque in natura c’ è un salutare coordi¬ namento, un’armonica corrispondenza di com¬ pensi , di servigi, per così dire. Attalchè la lotta per la esistenza non può rappresentare che una parte affatto secondaria.

Colla lotta per F esistenza stabilita sul principio dell’ utilità e sulla meccanica combi¬ nazione delle circostanze esteriori si vor¬ rebbe spiegar troppo ; ma più la si studia, più si scorge che la sua azione è subordinata. In¬ tesa nel senso darwiniano, non tien conto della mutua dipendenza dei caratteri dei diversi in¬ dividui, disconosce F evoluzione interna degli organismi , si presenta come troppo generale,

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CAPO I.

troppo estesa, troppo dominante e finisce col ribellarsi ai naturalisti che hanno voluto ad¬ dossarle un peso eh’ essa non può portare.

I darwinisti, fra tante belle qualità, han¬ no conviene confessarlo i loro difetti: spesso prendono la parte pel tutto ; a volte considerano come assoluta un’ idea relativa ; se c è una proposizione vera entro certi limiti, se hanno un principio che sino ad un certo segno dia spiegazioni accettabili, li stirano, li diluiscono, li esagerano nelle conseguenze. E questo non lo dico io , veh ! Lo dice Eduardo Hartmann , il conosciutissimo scienziato te¬ desco, che nella prima edizione della sua Phi- losophie des Unbewustes , pubblicata nel 1868, caratterizzava la teoria della discendenza come la parte assolutamente vera, incrollabile, del darwinismo ; e V ammetteva come parte inte¬ grante del proprio sistema.

Evidentemente 1’ Hartmann non è un au¬ tore sospetto ; e quindi posso, con coscienza tranquilla, servirmi della sua autorità. Nello Hartmann abbiamo un uomo illustre, un am¬ miratore del naturalismo moderno , un amico sincero e convinto del sistema evoluzionista. Farò spesso parlare 1’ Hartmann in mia vece: sarebbe difficile potermi presentare in miglior compagnia ; la sua voce sarà certamente udi¬ ta anche dai darwinisti , i quali amano la

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scienza, non dico di no, lavorano con zelo, noi nego; ma disgraziatamente non stanno ai fatti, hanno una spaventevole facilità d’ im¬ provvisare teorie, si levano il gusto di fabbri¬ care deduzioni che agli antecedenti sono ap¬ pena appiccicate con lo sputo; deduzioni che al menomo urto di un serio esame si infran¬ gono e vanno all’ aria.

In natura la lotta per 1’ esistenza c’ è : tutti lo sappiamo e ne conveniamo. Però i darwinisti si lanciano a carriera nell’ asse¬ gnarle un ufficio che non è in grado di so¬ stenere. Risolutamente movendo dal principio dell’ utilità, ascrivono alla lotta per resisten¬ za non solo le proprietà necessarie alla con¬ servazione della vita, ma benanco le diffe¬ renze secondarie, la cui utilità è dubbia, anzi misteriosa.

A questa latissima, stiracchiata, convenzio¬ nale applicazione della concorrenza vitale dob¬ biamo le surriferite, ghiotte osservazioni del Canestrini, che pur non è a detta del prof. Mantegazza (Archivio per V antropologia, voi. VII, p. 353 un darwinista fanatico come 1’ Hàckel.

1/ ipotesi darwiniana non serve a spiega¬ re i fenomeni dello sviluppo degli esseri , perchè si limita a considerare sovratutto la vita meccanica, la coesione esteriore, e non

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bacia più che tanto alla correlazione, alla concordante evoluzione interna, alla reciproca dipendenza dei caratteri e alla loro mutua azione modificatrice. Qualche volta Darwin in¬ ciampa negli effetti dell’ evoluzione interna ; senza aspettarselo, si trova a tu per tu con leggi che discordano dalla sua dottrina; ed allora s' ingegna di cavarsela alla meglio; ma non ci riesce, s’ imbroglia di più, non ne leva i piedi ; e così, suo malgrado, porge argomen¬ to agli avversari per attaccar Y ipotesi che da lui ha preso il nome.

Tenendo d’occhio T interna evoluzione de¬ gli organismi, vediamo se regga la legge della lotta per T esistenza, fondata unicamente sul principio deir utilità individuale, dell’ utilità dovuta a cause esteriori e meccaniche, dell’uti¬ lità riconosciuta, accertata, conducente alla sopravvivenza del più atto.

Se la modificazione dei caratteri dev’ es¬ sere utile, hanno da svilupparsi parallelamen¬ te. Per esempio, la formazione dei denti di un animale qualunque vuol’ essere determi¬ nata dalla natura dell’ apparecchio digestivo in rapporto agli appetiti istintivi, e viceversa. Giacche poi la formazione dei denti e quella dell’ apparecchio digestivo con analoghi appe¬ titi istintivi avvennero concordemente ed in reciproca dipendenza, se ne inferisce che fu-

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rono gli effetti coordinati di una sola e me¬ desima causa. Ma questa causa non può essere la lotta per F esistenza, la quale, al più, spiega le singole variazioni utili, senza occuparsi del¬ la correlazione dei caratteri. E qui sta F er¬ rore del sistema darwiniano. I caratteri non vanno, no, considerati isolatamente, perocché ognuno di essi è utile nella supposizione che F altro esista. Che spiegazione può dare la lotta per F esistenza di questo vicendevole coordina¬ mento di caratteri ? Non è quistione di utilità del tale o tal altro carattere preso isolatamen¬ te, ma del loro mutuo accordo per raggiun¬ gere lo scopo; ed in cosiffatto armonico indi¬ rizzo la concorrenza vitale non ci ha che vedere.

Non è ammissibile che la lotta per resisten¬ za, modificando un carattere, modifichi contem¬ poraneamente e parallelamente gli altri corri¬ spondenti caratteri. Se poi modificasse un sol carattere, per esempio, la struttura dei denti, lasciando tali quali F apparecchio digestivo e gli appetiti istintivi, la modificazione non sa¬ rebbe utile, ma all’ intutto nociva.

L’ impossibilità di ammettere la lotta per F esistenza, come F intendono i darwinisti, si appalesa ancor più chiaramente nei casi in cui le particolarità che hanno un nesso tra di loro, si trovano non già riunite nel mede¬ simo individuo, ma ripartite fra individui diffe-

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CAPO I.

rentissimi. Un esempio ci porgono i fiori con¬ tenenti succhi gradevoli, fecondati dagli insetti. Le proprietà di questi fiori e di questi insetti non sono utili in se stesse, non sono utili iso¬ latamente considerate, bensì nel presupposto della correlazione e della reciprocità. L’ allun¬ gamento della tromba, poniamo, non è utile agli insetti, che nella ipotesi di un prece¬ dente accrescimento nella profondità del calice dei fiori. D’ altro canto, una maggiore profon¬ dità del calice riesce nociva alla fecondazione, sinché non vi corrisponda l’allungamento della tromba degli insetti. Siamo dunque costretti a riconoscere il cammino rigorosamente paral¬ lelo delle due modificazioni. E su questo cam¬ mino rigorosamente parallelo che parte, che azione può avere la lotta per F esistenza ?

Anche i darwinisti parlano (V. Darwin 1. c. p. 67) di correlazione. Ma ne parlano quando hanno perduto le altre « posizioni » e non sanno che acqua si bere. È F ultima riserva clF essi mandano al fuoco , quando tutte le altre truppe hanno vanamente esaurito le mu¬ nizioni. E non c’ è da far le maraviglie se il darwinismo ha in uggia e guarda con ma¬ lanimo questo principio generale e non mec¬ canico, al quale le così dette leggi darwiniane vengono in aiuto come secondari svolgimenti ^ed espedienti tecnici.

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Per correlazione s’ intende la mutua azione sistematica e morfologica di tutti gli elementi dell’ organismo, tanto sotto il rapporto delle forme tipiche e fondamentali, quanto sotto il rapporto della struttura anatomica e micro¬ scopica dei tessuti. Questa correlazione sfugge totalmente ad ogni spiegazione meccanica ap¬ poggiata sul puro caso, sull' abitudine, sulla utilità individuale.

Il medesimo Darwin riunisce un gran nu¬ mero di esempi, dove una modificazione qua¬ lunque, in qualsiasi parte del corpo, induce una modificazione correlativa. La modificazione iso¬ lata di un sol carattere non entra nella fisio¬ logia normale. Sarebbe, al contrario, un pro¬ cesso anormale, che cade nel dominio della patologia, presa nel senso più largo. Ora a nessuno si può domandare di considerare come puramente fortuito un insieme di modificazio¬ ni, che si producono nelle differenti parti del

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corpo e conservano gli stessi rapporti. E, in¬ vece, evidente che questa legge di evoluzione interna correlativa distrugge, da cima a fon¬ do, 1’ ipotesi del concetto meccanico del mon¬ do, che il darwinismo si è sforzato di costrui¬ re sopra altri principii.

L’ applicazione del principio della lotta per 1’ esistenza vuol essere ristretta ancor più

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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nei casi, in cui una modificazione si manife¬ sta, è vero, come utile, ma solo dopo un considerevole sviluppo. Così, a ino’ d’esempio, i viticci di una pianta arrampicante si mostra¬ no utili solo allora che sono diventati tanto lunghi quanto occorre per arrampicare. Al disotto di questa lunghezza riescono un peso inutile per la pianta, ed in conseguenza nei primi stadi del loro sviluppo non possono dare alcun aiuto nella lotta per 1’ esistenza. Parimenti i fanoni per citare un caso nel regno animale non tornano utili alla ba¬ lena, se non sono abbastanza lunghi per chiu¬ dere 1’ apertura della bocca e filtrare 1’ acqua che entra. Un altro esempio ce V offre la di¬ sposizione nello stesso lato dei due occhi pres¬ so i pesci pleuronettidi. Darwin crede che la abitudine di guardare di traverso ha cagio¬ nato uno spostamento alle flessibili parti ossee dei giovani pleuronettidi. Ma questo sposta¬ mento non poteva essere utile, che dal mo¬ mento in cui P occhio cambiò luogo inte¬ ramente, in modo da non poter più guardare il fondo del mare. D’ altronde, se i pleu¬ ronettidi hanno la facoltà di far deviare gli occhi di un angolo di 70° dalla posizione nor¬ male, sinché più tardi la variazione si fìssa, questa facoltà così rara e così strana ha bisogno di una particolare spiegazione, che di

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certo non può essere fornita dalla lotta per T esistenza.

Ma non sarebbe alcuno chiederà non sarebbe desiderabile che queste proposizioni fossero vere ? Sicuro, sarebbe desiderabile che si conoscessero le cause scientifiche della pro¬ duzione e dello sviluppo degli esseri ; per altro non è bene dare alla filosofia sperimentale una direzione contraria alla sua natura, e, a pro¬ posito di cose naturali, farci ricascare nello apriorismo più vago, più vuoto, piu indigesto. I darwinisti discorrendo della lotta per 1’ esi¬ stenza rimettono in onore cotesto indirizzo; quindi conviene invitarli a non uscire di car¬ reggiata e a studiare la quistione ampiamen¬ te, da tutti i lati, con perfetta imparzialità.

Gli animali meglio che le piante sosten¬ gono la lotta per V esistenza, potendo fuggire il pericolo, emigrare da un paese dove l’ali¬ mentazione diventa troppo scarsa o impossi¬ bile, combattere colla forza, ecc. Ma le pian¬ te, come gli animali, hanno fu osservato risorse immense per riparare le loro per¬ dite e mantenere la bilancia numerica. Chec¬ ché si asserisca, Darwin muove dall’ ipotesi che gli esseri più potenti e più nobili soppri¬ mono quelli deboli e dimessi. Ma in realtà il negozio è regolato diversamente. Le grandi cicadee dei primi tempi, i cui tronchi robu-

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sti si trovano fra il carbon fossile, sono perite, e Fumile gramigna fiorisce sempre nei nostri campi. I giganteschi mammiferi dei periodi preistorici sono spariti , mentre abbiamo sem¬ pre i modestissimi pellicelli. No, la natura non garentisce la sopravvivenza delle specie robuste a scapito delle deboli. Tutt’ altro ! Ai- fi esercizio degli istinti carnivori e alla vitalità invadente si oppongono svariati quanto efficaci mezzi correttivi. L’ ordine del mondo organica non potrebbe essere il risultato della vittoria sul debole. I forti restando soli, avrebbero agito gli uni contro gli altri ; e tutti gli organismi si sarebbero distrutti in virtù del medesimo procedimento,

Ogni pianta diceva il prof. Zittel alla Società antropologica di Monaco, nella tor¬ nata di maggio 1871 esige una determi¬ nata natura di terreno, nutrimento, tempera¬ tura ed altre condizioni, per la sua esistenza. La sua estensione e il suo numero sono tenuti da queste condizioni entro determinati confini. Tutti gli animali che si nutrono di tale pianta dipendono dalla stessa : aumentano o indie¬ treggiano, secondo che la loro nutrice au¬ menti o indietreggi. D’ altronde essi influi¬ scono sull’ esistenza dei loro nemici, dai quali sono sfruttati. E questi, alla loro volta, dipen¬ dono da altri individui. Di modo che nessuna

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forma può varcare il posto assegnatole dallo equilibrio, senza suscitare perturbazioni nella economia della natura.

Questo equilibrio non può essere l’effetto della lotta per 1’ esistenza che, a sentire i darwinisti, si preoccupa solamente di una cosa, cioè di assicurare la sopravvivenza ai più sani, ai più forti, ai più felici. La con¬ nessione del mondo vegetale ed animale non può essere turbata impunemente e durevol¬ mente dai fortuiti, incerti eventi della lotta per 1’ esistenza. Se 1’ equilibrio viene alterato o per 1’ estinzione di un numero di specie, o per 1’ intrusione di stranieri, forti invasori, o per altre cause, lo si ristabilisce ben presto; ma non per opera della lotta, bensì coir in¬ crociamento, coll’ emigrazione, ecc.

Le modificazioni correlative avvertiva l’Hartmann non si restringono alle parti di un medesimo organismo, ma si estendono sui domini dell’organizzazione generale. I dif¬ ferenti domini del regno organico sono con¬ nessi gli uni agli altri, cioè la legge di correla¬ zione abbraccia, direttamente o indirettamente, L insieme della natura organizzata.

Per poco che faccia capolino qualche vellei¬ di squilibrio, la riproduzione e la compensa¬ zione ed altri naturali fenomeni rimettono le <cose a posto. Per poco che un essere, vegetale o

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animale , prenda uno sviluppo straordinario , esagerato, anormale, presto viene osteggiato da resistenze invincibili. Lo stesso Darwin scrive: « Battaglie su battaglie devono continuamente darsi con esito diverso; e ciononostante l’equili¬ brio delle forze è così perfettamente bilanciato nel corso dei tempi, che l’aspetto della natura resta il medesimo per lunghi periodi. » (l.c. p.57)._

Dunque ogni essere ha le sue risorse, le sue armi, le sue attitudini, i suoi contrasti, la sue opposizioni, e nulla si trasforma nel senso in cui L intendono i darwinisti.

La concorrenza vitale mira anzi a conser¬ vare i tipi specifici e non a trasformarli. Più un individuo osserva Burdach porta il contrassegno della sua specie, e più ha pro¬ babilità di arrivare al termine normale as¬ segnato alla vita della specie. Dna taglia mediocre, una struttura proporzionata, ecc.. sono condizioni di longevità, sol perchè non oltrepassano lo sviluppo normale, semplice, ordinario dei caratteri della specie. I giganti e i nani hanno una durata corta. L’ essere che nei limiti della sua individualità non si uniforma al tipo della sua specie, perisce ne¬ cessariamente. Così, la maggior parte dei mo¬ stri muoiono al momento della nascita an¬ che quelli, nella cui organizzazione non si.scuo- pre alcuna causa di morte.

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r-' v DO

Trattandosi poi di lotta pel possesso della femmina, più Y individuo tende a differire dai suoi congeneri, minore è la probabilità che ha di trovare ad appaiarsi.

In generale è un fatto che ogni estrema variazione degenera o diventa sterile; come la mostruosità , essa muore o ritorna al suo tipo.

D’ altro canto è un errore il ritenere che un essere più alto, cioè di organizzazione più complicata, possegga un vantaggio nella lotta per la esistenza, di fronte agli esseri più bassi, cioè di più semplice organizzazione. La fac¬ cenda sta tutta al contrario. L’ organizzazione più semplice, appunto perchè più semplice, è relativamente meno dipendente dalle influenze esterne ; ed in conseguenza è meglio adattata ad una più sicura esistenza e ad una più lar¬ ga diffusione, di quanto lo sia un’individuo con organi e funzioni complicati e quindi con più grandi pretensioni. La maggior diffusione delle più basse piante e degli animali più sempli¬ ci in rapporto alle forme più alte col loro ristretto campo di propagazione, prova la giu¬ stezza di quest’ asserto.

Le specie che, colla imitazione esteriore del Yhabitus delle specie meglio armate, han¬ no ottenuto una maggiore probabilità di suc¬ cesso nella lotta per T esistenza, non si sono

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messe in grado di trarre profitto da questa imitazione, se non dal punto, in cui la ras¬ somiglianza colle specie meglio armate sia divenuta sufficientemente grande per ingan¬ nare i penetranti occhi dei loro nemici.

Ove si ammetta che la modificazione sia tutt’a un tratto venuta al grado in cui essa è utile, si comprende benissimo che abbia po¬ tuto, nella lotta per 1’ esistenza, aiutare alla conservazione e allo sviluppo della forma mo¬ dificata. Ma se, come vuole il darwinismo, non si può parlare che di lente , piccole, quasi impercettibili trasmutazioni, è evidente che la lotta per 1’ esistenza non ispiega le varia¬ zioni, delle quali qui discorriamo.

Oltracciò, in certe circostanze si notano va¬ riazioni che hanno un’ utilità reale senza che si possano attribuire alla lotta per l’ esistenza. Questa nell’ipotesi darwiniana non agi¬ sce, anzi non conta per nulla, dove le con¬ dizioni di vita si presentano con tanta ab¬ bondanza che essa è possibile non soltanto per gli individui meglio organizzati, ma an¬ che per quelli meno bene costituiti. Questo caso si verifica quando, mettiamo, un animale di preda, la cui riproduzione non è rapidissi¬ ma, abbia a sua disposizione senza concor¬ renza nel medesimo luogo di altri animali di preda molta selvaggina che si riproduce

LA LOTTA PER l’ ESISTENZA

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rapidamente. Per addurre un altro esempio, la specie degli insetti fecondatori può essere abbastanza numerosa, per assicurare la fecon¬ dazione dei fiori più brillanti ed anche di quelli meno brillanti.

Dunque i rapporti numerici reclamati dalla teorica darwiniana, nella lotta per resisten¬ za, sono spesso contradetti dalla realtà. Al¬ meno , in ogni caso bisognerebbe constatare se l’ ipotesi, su cui sta la teorica, possa valere.

Le argomentazioni dei darwinisti non han¬ no consistenza, peso, forza, sono spuma, non vanno al fondo della questione, e però non persuadono.

Per conoscere più esattamente gli effetti della lotta per 1’ esistenza, s’ha da por mente alla natura dei caratteri fisiologici e di quelli morfologici. Solamente i primi hanno un’ uti¬ lità, dirò così, essenziale per gli individui, do- vechè i secondi, generalmente,, servono di base per determinare il posto di una specie in un sistema ed il passaggio da un grado in¬ inferiore ad un grado superiore di organiz¬ zazione.

Ora, 1’ esperienza ci attesta che in tutti gli ordini del regno organico, i differenti tipi morfologici si adattano alle diverse condizioni di esistenza e per lo più reggono alla diversità di luogo, di clima, ecc. In altri termini, tutti i

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CAPO I.

principali tipi morfologici che conosciamo, quasi sempre si mostrano egualmente indiffe¬ renti dal punto di vista dell’ adattamento alle condizioni di esistenza. Particolarmente negli animali inferiori e nelle piante si nota una completa indifferenza dei caratteri morfolo¬ gici rispetto ai destini fisiologici. I più im¬ portanti caratteri morfologici nelle piante su¬ periori, per esempio, la disposizione delle foglie opposte o a spirale, il numero di tre , quattro o cinque organi del fiore, il colorito, il dise¬ gno di molti semi non presentano alcuna uti¬ lità per guadagnare la partita nella concor¬ renza vitale.

Ebbene, tale è, in complesso, la sorte dei caratteri sistematicamente importanti, ma fi¬ siologicamente indifferenti. Le modificazioni che accrescono la probabilità di successo nella lotta per 1’ esistenza sono di ordine fisiologi¬ co. In ogni modo, le modificazioni che nascono dall’adattamento alle variabili condizioni della vita, non alterano il tipo morfologico. Nei procedimenti naturali noi non vediamo tra¬ sformazioni morfologiche che vadano al di del tipo specifico. Ed ove cosiffatte trasforma¬ zioni avessero luogo, non le si potrebbero spiegare col principio della lotta per 1* esi¬ stenza; dacché, stando a cotesto principio, tutti i cambiamenti, che non tornano utili nella

LA LOTTA PER L ESISTENZA

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lotta per l’ esistenza, non si dovrebbero ammet¬ tere. E che utilità, che vantaggio offrono nella lotta per 1’ esistenza gli organi nocivi , a principio inadatti ad ogni uso, puta caso ru¬ dimenti di cervello senza funzioni, rudimenti di occhi senza vista, rudimenti di mammelle senza figli da allattare ?

Dunque 1’ utilità e il grado di organizza¬ zione non hanno, sovente, alcun rapporto; e, d’ altra parte, la lotta per l’ esistenza non en¬ tra per nulla, quando si tratta di modificazioni e di alterazioni che non si legano strettamen¬ te col principio utilitario.

Andiamo avanti; seguitiamo a dimostrare con che superficialità ragionano i sostenitori della dottrina darwiniana.

Non solo la mancanza di utilità, ma altre ragioni possono escludere 1’ influenza della concorrenza vitale. Un risultato che in una data circostanza si deve alla lotta per r esi¬ stenza, in altre occasioni è dalla natura rag¬ giunto perfettamente uguale o similissimo sen¬ za il più piccolo intervento della stessa lotta. Il che accade, verbigrazia, per la dimensione e il colorito brillante dei fiori che contengono del nettare qualità che adesca gli insetti fecondatori. Vi sono molte piante che non hanno nettare e non attirano gli insetti; ma purnondimeno producono grandi e brillanti.

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CAPO I.

fiori. Un altro esempio abbiamo nelle suture craniche , che sono utili pei giovani mam¬ miferi (a causa della facilità che danno alle ossa del cranio di spostarsi durante il parto); ma non giovano a nulla per gli uccelli e i ret¬ tili che nascono dalle uova. Yale lo stesso per lo sviluppo spontaneo del colorito all’ estre¬ mità della cicatrice di certi fiori fecondati dal vento, ecc.

I seguaci del caposcuola inglese dichiarano che quanto più diverse sono le forme degli animali viventi sopra un medesimo terreno , tanto maggiore è la probabilità della loro sussistenza; e che la divergenza delle forme è una necessità in natura. Ma questo stesso domando io non prova la piccolissima in¬ fluenza della lotta per resistenza? Ma questo stesso non colpisce a morte il poemetto che essi darwinisti hanno composto intorno alla lotta per 1’ esistenza ? Un po’ alla volta , in¬ direttamente , involontariamente ammettono che la lotta per Y esistenza non esiste in na¬ tura, così come se V immaginavano ; che il numero degli individui viene ridotto a favore dell’ equilibrio, mediante circostanze indipen¬ denti dalle qualità degli stessi individui; che la vigoria, la forza, le dimensioni non possono riguardarsi come caratteri essenziali; e che i contrassegni , con cui due specie o due ge-

LA LOTTA PER L’ ESISTENZA

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neri si distinguono, sono di natura morfologica e non influiscono sulla capacità di esistere.

Tutto sommato, non è vero che gli ani¬ mali, i quali posseggono certi vantaggi su altri animali, presto o tardi finiscano collo schiacciare, col levarsi di fra i piedi questi ul¬ timi. Non è vero che gli animali privilegiati « accumulano, generazione per generazione, un guadagno positivo e felicemente trasmettono i vantaggi acquisiti sino a farne il punto di partenza di un nuovo passo in avanti. » Non è vero che « presso i prodotti successivi dello stesso stipite , una variazione a principio leg¬ giera vada crescendo sino a che la differenza si riduca ad una distinzione specifica. »

Gli animali superiori ripeto con Archiac (' Cours de 'paleontologie stratigraphique, Parigi 1864, p. 96) si sono sviluppati senza danno de¬ gli inferiori i quali sono più numerosi che mai.

Di fatti gli organismi inferiori sono i più sparsi nella natura : nella terra , nell’ acqua , nell’ aria non c’ è un decimetro cubo che ne sia privo.

Molti animali e molte specie di animali sono scomparsi dicono i darwinisti. Ma questa io rispondo non è una prova che gli organismi, i quali sopravvivono, diventi¬ no più forti di quel eh’ erano prima e adatti più di prima alla lotta per Y esistenza.

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CAPO I.

Una quantità eli fatti insistono i miei contradittori fanno fede che le forme si sviluppano sul principio utilitario. Ma mol¬ tissimi altri fatti replico io negano recisamente ogni rapporto fra lo sviluppo del¬ le forme e 1’ utilità. Se 1’ utilità fosse la causa delle forme nuove, dovrebbe dare una soddisfacente spiegazione di tutti i fatti, do¬ vrebbe essere una legge generale.

I darvinisti dovrebbero spiegarmi la pre¬ dilezione della natura per i parassiti che sono tanto nocivi. La natura fu detto ha una predilezione per Y essere parassita; lo favo¬ risce in mille modi, lo aiuta nella sua lenta opera di distruzione, lo protegge contro i suoi nemici, nella sua lotta per 1’ esistenza. La fil¬ lossera è meglio favorita dalla natura, del tigre e del coguaro. Si comprende poco la ragione di queste condizioni eccezionalmente favorevoli agli esseri parassiti; si comprende meno la ragione di essere nel mondo di que¬ sti esseri che vivono alle spese di altri, nello interno dei tessuti, succhiandone gli umori, distruggendone le polpe, il legno e gli organi. La natura protegge i parassiti microscopici meglio delle fiere e degli alberi giganteschi.

mi si rimproveri eh’ io qui non faccio che squinternare obiezioni vecchie con tanto di candida barba. Un obiezione per essere

LA LOTTA PER l’ ESISTENZA

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vecchia non ci rimette nulla del suo valore. Ad un’ obiezione non si risponde col solo rin¬ facciarle la sua vecchiaia.

Sieno le obiezioni vecchie o nuove , re¬ sta a provarsi come facciano le piante e gli animali a perfezionarsi colla lotta per l1 esi¬ stenza e a dare origine a nuove specie. Re¬ sta a vedersi se l’azione utile, con cui la con¬ correnza vitale influisce sugli individui di una medesima specie, sia superiore all’azione no¬ civa. Resta a sapersi in che modo la lotta per 1’ esistenza possa cambiare la natura de¬ gli esseri, e trasformare l’ aspetto generale del regno vegetale e del regno animale, men¬ tre nel regno umano non si osserva nulla di questo sconvolgimento.

Io concludo che il fatto della lotta per la esistenza non ci rivela niente di essenzialmente nuovo, e non ci porge nessun filo d’ Arianna per risolvere fosse pure in qualche parte il problema che abbiamo preso a studiare. Più ci rifletto su, e più mi pare che il fenome¬ no della lotta per 1’ esistenza non abbia nes¬ sun rapporto e non faccia fare nessun passo alla teorica del darwinismo.

CAPO II.

La Elezione.

Il sistema darwiniano è il sistema della illimitata variabilità della specie. È un siste¬ ma che ha riscosso lodi ed applausi a bizzeffe,, ha tirato dalla sua bravi ed illustri naturalisti (alcuni dei quali mi fanno questa sera V ono¬ re di ascoltarmi), ed ha dato moltissimo da lavorare agli stabilimenti tipografici del mon- do colto. E per altro un sistema che non esce dalla cerchia delle ipotesi, più o meno inge¬ gnose, più o meno brillanti, più o meno se¬ ducenti, ma sempre ipotesi.

Ora a nessuno di certo è mai venuto in testa che le ipotesi non s’abbiano a discutere, a vagliare, a pesare colla scorta ed alla luce dei fatti. Le semplici convinzioni perso¬ nali e le semplici possibilità non formano e non sono scienza. Le supposizioni, le con- ghietture, le deduzioni e le conseguenze che si tirano da un’ ipotesi, non hanno valore per

LA ELEZIONE

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la scienza, se non in quanto escono dall’astra¬ zione e si riscontrano colla realtà, Perchè una spiegazione sia ammessa, occorrono dati di fatto bene stabiliti e bene accertati. Quando vogliamo affrontare i problemi della scienza naturale, bisogna che la fantasia stia al suo posto e che le poetiche aspirazioni riman¬ gano inerti. Non siamo al ISSO, non siamo moderni e positivisti per niente. L’ osser¬ vazione , F esperienza, Y esatto e coscienzioso controllo dei fenomeni sono la gran face che deve rischiarare il nostro cammino. Evitiamo di sdrucciolare nel terreno delle facili ma sterili analogie, delle formule quanto co¬ muni altrettanto inconcludenti, delle parole rimbombanti e nello stesso tempo vacue , della loquacità elegante quanto inutile.

Ah che piacere, se la scienza si facesse colla lirica! Si scanserebbe un mondo di fa¬ tiche, di noie, di delusioni. Considerate eslama un darwinista considerate come sarebbe interessante contemplare una distesa di terreno lussureggiante di verde, coperto di numerose piante che appartengono a numero¬ se specie, con uccelli che trillano fra i ce¬ spugli, con variati insetti che saltellano at¬ torno, con lombrici che strisciano attraverso 1’ umido suolo, se potessimo nello stesso tempo pensare che tutte queste forme lavorate

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. fi

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CAPO IL

con tanta cura, con tanta pazienza, con tanta abilità, e dipendenti le ime dalle altre per una serie d’ intrigati rapporti, sieno state prodotte da leggi che continuamente agiscono sotto i nostri occhi !

Questo sarebbe di certo un passatempo interessante. Invece di pensare a scioccherie senza capo coda, sarebbe meglio ingannare la noia contemplando cogli occhi deir intel¬ letto il sopradescritto pezzo di terra. Invece di sguazzare nella prosaccia di tutti i giorni, ci sarebbe più sugo a fare delle capriole, a ballare, a volteggiare sull’ incantato trape¬ zio dei più aerei pensieri.

Ecco perchè non trovo strano che il mio darwinista, il signor Emilio Ferrière ( Le Darwinismi , Parigi 1872, pp. 102-3), si diver¬ ta nel fantasticare e ci prenda gusto di più in più.

Egli accenna rapidamente alle leggi dar¬ winiane con tinte diafane, con impercettibili sfumature, con tocchi fra il ti vedo e il non ti vedo; e nell’ effervescenza della sua visio¬ ne prorompe in queste sentenze : Gli è così che dalla guerra naturale, dalla fame e dalla morte scatta fuori Y effetto più ammirabile che possiamo concepire, cioè dire, la forma¬ zione lenta degli esseri superiori. Vi è della grandezza nel considerare sotto questo punto

LA ELEZIONE

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di vista la vita e le sue diverse potenze, le quali sono, all' origine, animate da alcune forme o da una forma unica....

La girandola continua a mandare razzi e lascia a bocca aperta gli spettatori con que¬ sto magnifico petardo : E mentre che il nostro pianeta ha continuato a descrivere i suoi cicli perpetui, secondo le leggi fisse della gravi¬ tazione, quelle poche forme si sono svilup¬ pate, moltiplicandosi indefinitamente; e sem¬ pre più belle, sempre più meravigliose si svilupperanno per una evoluzione senza fine.

Lo vedete : arriviamo all’ evoluzione infi¬ nita. Andare più in non è possibile. Ma siccome a star fermi non ci acconciamo volen¬ tieri, non abbiamo nulla di meglio a fare che tornare indietro.

Dunque torniamo sui nostri passi e stu¬ diamo 1’ ipotesi darwiniana con mente tran¬ quilla, con serenità, con serietà.

Cedo la parola all’ anzicitato autore. Egli stesso s* incarica di mostrarci che quando si ha 1' estro poetico, si scrive in una maniera; quando si deve discutere intorno ad una quistione di scienza naturale, si scrive in tutt’ altra maniera. Sentite come si esprime nello stesso libro a pagina 317 : « Il concetto di Darwin non ha alcuno dei caratteri che permettono di assimilarlo alle ipotesi del

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CAPO II.

fisico. Non rende conto di tutti i fatti ed inol¬ tre non può ricevere la sanzione dell’ ac¬ certamento sperimentale, poiché le trasforma¬ zioni necessarie per la creazione di una specie esigono migliaia di generazioni. Ag¬ giungete che la previsione dell’ avvenire le è suppergiù chiusa. Il concetto di Darwin è soprattutto un concetto a priori , il quale non parte dai fatti, ma scende ai fatti come avverte l’Agassiz e fra i fatti cerca appoggi per sostenersi. »

Qui il signor Ferrière discorre da natu¬ ralista e fa plauso al giudizio che della dot¬ trina darwiniana diede 1’ Agassiz. Chi avrebbe mai sospettato che da quelle prime note acutissime, stridule , chiassose ei sarebbe ve¬ nuto ad una musica calma, bonacciosa, intelli¬ gibile ?

Dire concetto a priori di Darwin è dire ipotesi tutta soggettiva di Darwin. Non di¬ mentichiamo questa circostanza tanto impor¬ tante e tanto decisiva per la nostra discussione.

Qual’ è il preciso punto di partenza di tale ipotesi ? Non lo sanno neanc'he i darwi¬ nisti. È un’ipotesi che muove non si sa da dove e si appoggia non si sa in che ! La paren¬ tela degli esseri, la filiazione genealogica, la derivazione delle forme da uno o parecchi stipiti comuni sono e restano concetti a priori

LA ELEZIONE

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ideali, finzioni di Darwin. La scienza non ci ha che spartire che vedere.

Qual’ è il campo della scienza ? dove fini¬ sce la scienza e cominciano le tenebre? Parli per me il signor Ferrière, che vien salutato come illustre interprete di Darwin : « Che la scienza stabilisca le sue induzioni sui fatti ; che le sue ipotesi sieno sempre verificabili coll' esperienza e rendano conto dei fenomeni naturali ecco il campo della scienza ; fuori di questo campo, tutto è tenebre. » ( 1. c. p. 403 ).

Ciò posto, ci può esser nulla di comune fra la scienza e il concetto a priori di Dar¬ win ? Questo concetto non ha prove che lo sostengano: è fondato « sopra supposizioni queste parole appartengono al signor Carlo Elam ( The Contemporary Revieio , maggio 1880, p. 713) che sono direttamente op¬ poste a tutto ciò che noi conosciamo con qualche certezza rispetto alla continuità delle specie. » ( iipon suppositions that are directly opposed to all that we know with any cer- tainty as to thè continuance of species ).

Darwin e quanti seguono la sua scuola hanno Y aria del cantoniere di un fiume du¬ rante la piena. Mentre il cantoniere si sforza a tappare una breccia dell’ argine, 1’ acqua gliene apre una seconda, una terza, una quarta

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CAPO II.

e finisce col travolgerlo. I darwinisti can¬ tano allegramente vittoria, non appena hanno conosciuto che le specie variano e che in certi casi queste variazioni si succedono co¬ stantemente. E così riescono a far fronte alla prima breccia. Per chiudere poi tutte le altre che la corrente impetuosa ed irrefrenabile- apre ad ogni momento, ricorrono ad un'astra¬ zione , ad un ipotesi puramente soggettiva , . ad un ideale creato da loro medesimi. Dico¬ no che le specie variano sempre, variano in¬ definitamente, variano con leggi fisse e de¬ terminate. Quest’ ultima zeppa regge 1’ edifizio darwiniano. Ad essa è tutto affidato : senza di essa non sta ritto e si sfascia all’ istante.

Ora io domando : quali sicure e scienti¬ fiche conclusioni si possono inferire dalla par¬ ticolare , soggettiva credenza di uno o più naturalisti ? Questo buttarsi nell’ astrazione, . questo rincantucciarsi nell’ ideale, questo porsi , fuori della verità sperimentale non equivale - a rigettare qualunque discussione scientifica? Andate a parlare di scienza naturale a chi vi parla di miracoli, di mitologia, di spiritismo o di persuasioni intime , personali , extrana¬ turali ! Data questa situazione, scivolando su questo terreno , è egli possibile risolvere o chiarire anche superficialmente i problemi della scienza naturale ? Possiamo accettare *.

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le spiegazioni che si arrischiarono e ven¬ nero presentate da coloro che, ragionando, la pigliano così da lontano e rinunciano alla pro¬ va empirica ?

Conviene evitare che F artifizio rubi il posto alla spontaneità e che il parere soggioghi 1' essere. Pescare cpia e qualche fatto che « sembri » conforme ad un sistema teorico, non è difficile. Accumulare analogie sui po¬ chi fatti provvisti di doppio fondo ed inter¬ pretati molto liberamente, è ugualmente facile. Ma a che servono le analogie vaghe, elastiche, insuscettibili di prova ? a che servono i pochi fatti a gran fatica raccolti, stentatamente cu¬ citi e con gran pena aggiogati ad una teorica, quando la maggioranza dei fatti chiaramente depone contro di essa ?

I darwinisti si diffondono a parlare di nuo¬ ve forme e di nuove specie. Ma dimenticano il più e il meglio: dimenticano di provare la parentela delle forme esistenti; dimenticano di provare che, per esempio, il gambero di fiu¬ me e il gambero marino discendono da un solo e medesimo primitivo gambero; che, putacaso, l’elefante africano proviene dall’ elefante asia¬ tico e tutti due da un primitivo elefante, e va discorrendo. Dove sono i documenti che atte¬ stino la parentela delle specie? Pur troppo la storia delle specie è completamente sconoscili-

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CAPO II.

ta, coni’ è all’ intutto ignota la loro origine. Quancl’ anche si dimostrasse che una forma abbia « in potenza » la proprietà di gene¬ rare un’ altra forma, non restiamo sempre in balia della filosofia astratta ? possiamo dire di saperne più di prima rispetto alla que¬ stione dell’ unità genealogica delle specie ? non inciampiamo in un sistema idealmente bello e grandioso quanto volete, ma effettiva¬ mente arbitrario, ipotetico , capriccioso ? pos¬ siamo vantarci di aver trovata una base più ferma che le solite stiracchiate analogie, le conghietture individuali , le opinioni provviso¬ rie di questo o quel naturalista ?

A studio dico : opinioni provvisorie. Per parecchi importantissimi punti , Darwin ed Huxley hanno modificate le loro opinioni in questi ultimi venti anni, come vedremo par¬ lando della formazione degli organi per mezzo della elezione. Chi ci rassicura che la modifi¬ cazione delle loro opinioni non si spinga più oltre, sino ad abbandonare del tutto la posi¬ zione da loro occupata ?

L’ ipotesi darwiniana è semplicissima , è affascinante , è secondo alcuni naturali¬ sti la migliore di quante se ne sieno im¬ maginate. Ma siamo sempre nel terreno della immaginazione : 1’ ipotesi ha un lato debole che la deprezza , la guasta, la demolisce : è

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tutta abbandonata ad un’ audace induzione, è tutta raccomandata a premesse che non si con¬ ciliano coll’esperienza, è interamente sorretta da deduzioni che partendo da un principio sco¬ nosciuto, ruzzolano nell’ abisso della finzione.

Ad ogni tesi della teorica dei darwiniani agevolmente si contrappone un’ antitesi da altri naturalisti :

Le specie variano indefinitamente.

Le specie non variano al di del tipo. A buon conto, non c’ è nessuna prova della varietà indefinita.

Data la varietà indefinita, tutti gli at¬ tuali organismi devono esser discesi da un tipo o da pochissimi tipi.

Siccome la variazione è limitata, la pa¬ rentela genealogica degli organismi, la loro discendenza da quattro o cinque tipi è una mera e pura asserzione, è un desideratimi per questa o quella teorica , è un « comodino » a disposizione di chi ne abbisogna.

Una varietà può essere fissata.

In certi casi e sino ad un certo punto.

Una specie è una « divergenza fissata. »

Anche questa è un’ aerea suppostone. La nostra esperienza nelle divergenze ci as¬ sicura il contrario: nessuna osservazione ci permette di supporre che, verbigrazia, dalla nigella damascena nacquero per via di di-

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CAPO II.

vergenza la nigella satina , arvensis , hisp ani¬ ce, ecc, ecc.

- La fissazione della divergenza è un fenomeno che , nel variare delle specie, prima o poi succede necessariamente e in forza di determinate leggi. Concerne uno o pochi o molti gruppi di discendenti nello stesso tempo e nella stessa maniera.

Una gran quantità di individui di certe specie si trovano in lontanissime regioni, in continenti divisi dagli oceani ; e così reci¬ samente smentiscono la comune forma-stipite. Il carex canescens e 1’ empetrum si trovano nell’ America settentrionale e nell’ America antartica ; la fagus sylvatica e il blechnum spicant , nel Giappone e nell Europa ; Y acer spicatum , nel Giappone, nella Siberia e nella America del nord ; e va dicendo. La maggior parte delle variazioni delle quali si è osser¬ vata la provenienza, non si possono fissare l pochissime se ne sono potute fissare.

Ogni tesi del darwinismo ha la sua contro tesi. Io verrò schierando le une e le altre in ordine di battaglia; le farò combattere alla presenza degli uditori. Ai quali infine toccherà giudicare da che parte sia la vittoria.

Il più volte mentovato signor Ferrière as¬ severa (1. c. p. 318) che « qualunque sia la sorte del darwinismo , due fatti generali re-

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steranno acquistati alla storia naturale , cioè la lotta per 1’ esistenza e la elezione natu¬ rale. »

Nelle precedenti pagine ho trattato del primo « fatto generale. » In questo capitolo esaminerò il secondo « fatto generale, » del quale il darwinismo avrebbe arricchito la sto¬ ria naturale.

Il potere dell' uomo nella modificazione degli esseri si è mostrato in mille guise. Cal¬ colata ed utilitario coni’ è, 1’ uomo scarta le variazioni che non sono evidentemente utili , sceglie , accumula le variazioni utili , ed ot¬ tiene prodotti modificati o nuove razze che si voglia dire. La combinazione, scriveva Buffon nell’ Histoire du pigeon la succes¬ sione, 1’ unione e la separazione degli esseri dipendono sovente dalla volontà dell’ uomo. Sicuramente, niente impedisce all’ uomo d’ in¬ gegnarsi colla sua industria a forzare la na¬ tura e a fissare le variazioni utili. Di due sin¬ golari individui L uomo farà una razza nuova, donde tirerà altre razze, le quali, senza le sue intelligenti ed assidue premure , non avrebbe¬ ro mai vista la luce. Sottraendo gli animali domestici alle condizioni di esistenza che loro presentava lo stato di natura , sottoponendoli a diverse influenze di abitazione e di mante¬ nimento , spesso cambiando completamente , o

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CAPO IL

quasi , le loro abitudini e contrastando ai loro istinti naturali, 1’ uomo produce nuove ed im¬ portantissime varietà. Sì, di certo, le razze do¬ mestiche , sottoposte a speciali condizioni di esistenza, possono, col volger del tempo, subire rilevanti modificazioni nei loro caratte¬ ri fisici, nei loro costumi , nelle loro abitudini e magari nei loro istinti.

Intorno a ciò nessuna discrepanza di opi¬ nioni. Siamo perfettamente concordi nell’ am¬ mettere che artificialmente si può variare lo ambiente , che 1’ ambiente variato influisce sulle abitudini e giunge sino a modificare la struttura degli individui , modificando sempli¬ cemente l’indirizzo della natura. Negli anima¬ li addomesticati abbiamo la testimonianza più sicura, la prova più chiara che la specie è va¬ riabile. Gli assidui sforzi, le cure amorevoli, 1’ instancabile pazienza degli allevatori otten¬ nero notevolissime modificazioni , variazioni rimarchevoli , risultati meravigliosi. Sta be¬ nissimo. Ne conveniamo tutti. Ma la quistione è di sapere se ci sia un limite ai cambiamen¬ ti e se le modificazioni finiscano col dare ori¬ gine a nuovi tipi.

Ebbene no; i cani, i cavalli, i bovi, ecc. ecc. modificati, variati, riformati quanto volete, non hanno cambiato abbastanza per distaccarsi completamente dal tipo cui appartengono, per

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lasciare i caratteri essenziali delle loro specie, per far nascere nuovi tipi organici. Tutte le varietà, ovverosia tutte le razze di una me¬ desima specie, si informano al tipo primitivo. /

E diffìcile tracciare i limiti che separano le razze; ma certo è che dalle modificazioni delle razze non vennero fuori nuove specie. Il prin¬ cipio che domina le specie è T immutabilità. No, le specie non sono illusioni riprodu¬ co queste righe dall’ Introduci or y Fssay on Flora of Australia del darwinista D.1' Hooker le specie sono generalmente così costanti, le loro forme e i loro caratteri si conservano così fedelmente attraverso migliaia di gene¬ razioni, che a conti fatti hanno il diritto di es¬ sere considerate come immutabili e perma¬ nenti. Si è menato un gran chiasso per la elezione dei piccioni ; ma, dopo tutto, non si è arrivati ad avere un piccione che, ad onta delle più o meno rilevanti modificazioni, non abbia conservato il carattere distintivo della specie a cui appartiene.

La immutabilità della specie è parimente la regola generale per i vegetali. La cultura modifica, sì, i vegetali più che superficialmente. Se non che, a malgrado delle molteplici ed interessanti modificazioni, nemmeno le razze vegetali si sono confuse le une colle altre. Tolte alla cultura e abbandonate a se stesse,

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CAPO II,

le razze vegetali riprendono i loro caratteri antichi e tornano al loro primiero stato. In ogni

modo la cultura non riesce a confondere le specie vegetali, come la maestria e V abilità

dell’ allevatore non arrivano a gettare il caos fra le specie animali.

Neppure nei limiti di certe determinate direzioni, la variabilità è quantitativamente illimitata. Il giardiniere e 1’ allevatore sanno che i primi gradi di modificazione si raggiun¬ gono facilmente, che passare ai gradi susse¬ guenti è tanto più diffìcile, quanto più si allon¬ tanano dal tipo normale, e che le modificazioni hanno un limite, che invano l’uomo tenterebbe oltrepassare.

Questi sono fatti, e sono inesplicabili allor¬ ché si propugna l’ipotesi che la varibilità non si arresta, qualunque sia il grado di modifi¬ cazione già ottenuta. Simili fatti si spiegano solamente ammettendo che la tendenza alla variazione diminuisce in proporzione dell’al¬ lontanamento dal tipo normale, ed in propor¬ zione della tendenza che hanno gli esseri di ritornare al tipo. Simili fatti si spiegano quan¬ do si riconosce che ogni sforzo della elezione artificiale si trova in lotta colla tenacità dei caratteri essenziali del tipo e collo impulso a re¬ trocedere che si appalesa negli esseri organici, ove le modificazioni trascendano certi confini.

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Se in luogo deir elezione artificiale, ed umana si lascia agire 1’ elezione naturale, la variabilità si rigira sempre entro limiti, dal più al meno, angusti. Dal momento che la tendenza a variare diventa così debole da non riuscire ad altro che a combattere e ad eliminare le variazioni regressive da que¬ sto momento la forma non procede oltre, si ferma ad un dato grado di sviluppo , e i tentativi dell’ elezione naturale non sarebbero meno vani di quelli dell’ elezione artificiale. La elezione naturale non può distruggere la propensione che sta negli esseri di conservare T impronta originale e di riprendere i carat¬ teri del tipo, nel caso che se ne siano scostati.

L’ elezione artificiale ha potuto fare poche esperienze, perchè relativamente pochi sono gli animali che si lasciano addomesticare. Ma in tutte le esperienze sinora compiute ha confermato sempre più che la variabilità è limitata. Supponiamo il caso contrario : sup¬ poniamo per un momento che 1’elezione arti¬ ficiale sia buona a produrre illimitata varia¬ bilità e perciò nuove specie. Forse che così si risolverebbe il problema ? Niente affatto : bisognerebbe provare che 1’ elezione naturale possa fare altrettanto.

Insisto sul bisogno, sulla necessità della prova. Anzi copio a questo proposito alcune

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CAPO II.

righe di un libro del prof. Huxley. Parlando dell’ ipotesi darwiniana, aggiunge che la deve essere accompagnata da prove, perchè gli scienziati hanno presa Y abitudine di non cre¬ dere a niente, se non ci sia la prova, e riguar¬ dano la credenza non basata sulla prova, non solo come illogica, ma come immorale, (and they - scientific men - have a way of looking upon belief ichich is not based upon evidence noi only as illogicai , but as immondi. Ame¬ rican Addressesj p. 21).

Ora non essendoci prove in favore della elezione naturale, con che fondamento io chiedo si alla medesima più importanza che alla elezione artificiale? E pure, se sape¬ ste a che lirismo Darwin si lascia andare discorrendo della elezione naturale: « Se l’uo¬ mo può produrre ed ha effettivamente prodot¬ to grandi risultati coi suoi metodici ed inconsapevoli (sic) mezzi di elezione, che cosa non può fare V elezione naturale ? L’ uomo può agire solamente sui caratteri esterni e visibili: ma la Natura (l’enne maiuscolo è di Darwin, il quale più sopra ha scritto la pa¬ rola uomo coH’iniziale minuscola), se è lecito personificare la naturale preservazione o so¬ pravvivenza del più atto, non s’ inquieta delle apparenze , salvo il caso che ad un essere qualunque riescano utili. Essa può agire sopra

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ogni organo interno , sopra ogni piccola dif¬ ferenza di costituzione, sull’intero meccanismo della vita. If uomo sceglie col solo scopo del proprio interesse; la Natura agisce esclusiva- mente pel bene dell’ essere di cui si occupa. » Darwin continua a strapazzare T elezione ar¬ tificiale e a portare allegramente sugli scudi 1’ elezione naturale. Poi aggiunge : « Metafo¬ ricamente può dirsi che Y elezione naturale va scrutando ogni giorno ed ogni ora, attra¬ verso il mondo intero, le più piccole variazioni, rigettando quelle che sono cattive, conservando ed accumulando tutte quelle che sono buone, silenziosamente ed insensibilmente lavorando, ovunque e sempre si offra 1’ opportunità , al miglioramento di ogni essere organico in re¬ lazione alle sue organiche ed inorganiche condizioni di vita. » (1. c. pp. 65-66).

Ebbene , con tutto il rispetto dovuto al sommo caposcuola,- io mi permetto di affer¬ mare che cotesta è rettorica, nient’ altro che rettorica. Tanto vero, che non bastandogli il linguaggio usuale, Darwin ebbe ricorso al lin¬ guaggio figurato, alla metafora. Evidentemente si lasciò prendere la mano dal desiderio di lodare oltre misura T elezione naturale.

La possibilità che succeda questa cosa o quella, non è argomento scientifico. Quando la possibilità non implica contraddizione, l’am-

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 6

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CAPO II.

mettiamo volentieri. Ma forse che la scienza muove un passo innanzi a forza di possi¬ bilità ?

Nelle più recenti edizioni del celebrato li¬ bro sull’ origine delle specie , Darwin fa in¬ tendere di avere esagerato la frequenza e f importanza delle modificazioni risultanti dalla elezione naturale o dalla variabilità spontanea. Ma allora perchè anche nelle ultime ristampe del suo lavoro più ammirato, egli fonda la sua teorica sopratutto sull’ elezione naturale? per¬ chè i darwinisti continuano a discorrere della elezione naturale come della più robusta co¬ lonna che sostiene il loro prediletto sistema?

Esaltano con entusiasmo i poteri della na¬ tura e tengono per indubitato che i poteri dell’ uomo di fronte a quelli della natura fanno una ben misera figura. Ed è certo che la natura dispone di un complesso di forze fìsiche che mancano all’ uomo. Ma le forze fisiche non sono tutto quello che ci vuole per produrre op ere utili e meravigliose. Quanto all’ uomo manca di forze fisiche, è compensato dalla sua alta intelligenza, dalla sua feconda intuizione, dal suo potente genio.

Per produrre interessanti modificazioni nelle specie vegetali ed animali , 1’ uomo si è ser¬ vito, oltre che delle forze fìsiche, di questi suoi tesori intellettuali. Il risultato è stato

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che di buona o malavoglia ha dovuto convin¬ cersi che la variabilità illimitata è un' astra¬ zione, un desiderio, tutt’ al più una possibilità, ma non un fatto.

Che riguardo all’elezione T uomo possa più che la natura, lo confessa implicitamente lo stesso Darwin. Più d’ una volta egli ci fa notare che le razze sono molto più numerose nelle specie domestiche che in quelle selvag- gie. Ognuno vede alla prima che 1’ elezione metodica, razionale, consapevole, umana, vale molto più ed ha maggior probabilità di riuscire che 1' elezione casuale , cieca, inconsapevole, naturale. Ora, se 1’ uomo, nonostante il suc¬ cesso ottenuto nel produrre numerosissime nuo¬ ve razze, non ha saputo dare origine a nessuna nuova specie , tanto meno è nel potere del- 1’ elezione naturale asseguire cotesto intento.

Nei libri degli stessi darwinisti leggo che la natura è governata da un principio di ten¬ denza alla stabilità, e che 1’ indefinita instabi¬ lità è contro le leggi di natura. Il signor Gu¬ stavo Teodoro Fechner, darwinista spaccato, scrive a lungo su tale impulso alla stabilità nel suo lavoro Einige Ideen zur Schòpfungs und Entwickelungsgeschiclite der Organismen. Or bene, il principio d’ impulso alla stabilità e T elezione naturale intesa alla formazione di nuove specie non vanno e non possono an-

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dare d’ accordo. 0 Y uno o 1’ altra. Quest’ ul¬ tima non è al caso di compiere Y ufficio as¬ segnatole senza contraddire ad un principio di natura. Si accontentano i darwinisti di una elezione naturale che agisca in opposizione alle leggi di natura ?

morfologicamente, fisiologicamente può la elezione naturale, mediante lente tra¬ sformazioni, produrre nuove specie. Sarebbe soltanto acconcia a dare variazioni che non alterano 1’ ordine del regno vegetale ed ani¬ male. Se così non fosse, dovremmo incontrare un bizzarro, screziato, caotico miscuglio di forme nel regno vegetale e nel regno ani- male. Dovremmo trovare le specie, a così dire, per metà cessanti e per metà incipienti. Do¬ vremmo credere che non vi siano specie nel senso che tutti annettiamo alla parola: specie. Ma per quanto guardiamo attorno, la natura non ci offre simile spettacolo : nelle piante e negli animali non iscorgiamo una confusissi¬ ma miscèa di forme ; in nessuna specie ve¬ diamo un indizio purchessia del doppio lavo¬ rio di cessare da quella che è per diventare un’ altra ; studiando la natura, non c’ imbat¬ tiamo in quell’ inestricabile trasformismo che insieme vorrebbe essere indefinito perfeziona¬ mento delle specie.

L’ elezione naturale ne1 senso darwiniano

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ci conduce bel bello a non intenderci più, parlando o scrivendo sull’ origine delle specie. L’ elezione naturale, secondo Darwin, è, in sostanza, la sopravvivenza degli individui che per una particolarità qualunque godono di una superiorità relativa. Da ciò s* inferirebbe che 1’ elezione naturale promuova lo sviluppo ■e il progresso delle specie. Ma eccoti che il medesimo scrittore inglese scappa fuori ad affermare che « la elezione naturale non inclu¬ de necessariamente un progressivo sviluppo. » ( Naturai selection does not necessarily inclu¬ de progressive development. 1. c. p. 98). 0 come ? Dalla sopravvivenza dei meglio dotati, dei più atti non dovrebbe necessariamente venir fuori lo sviluppo progressivo ? Chi ci capisce qualcosa nel progresso che non implica progresso ?

L’ elezione naturale, nel sistema darwi¬ niano, ha per missione, per principale scopo, per legge necessaria la formazione delle spe¬ cie. Ma gira e rigira, i darwinisti sono co¬ stretti a supporre che invece di specie c' è in natura un caos inestricabile di forme.

La stessa espressione : elezione naturale si capisce poco. Elezione naturale, vorrebbe significare elezione inconsapevole, ossia ele¬ zione casuale. Ma dire elezione è lo stesso •che escludere l’irriflessione, l’inconsapevolezza,

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il caso. L’ elezione non è più elezione, quando- è abbandonata al giuoco della sorte, alle for¬ ze selvaggie della natura, ai fortuiti eventi, . al cieco fato delle vicissitudini.

E pensare che la formazione delle specie sarebbe sovrattutto il risultato di così fatta elezione ! Se qui non siamo in presenza di un miracolo, bisogna cancellare dal dizionario la parola: miracolo.

Sentite un po’ come va la faccenda del, trasformismo, e decidete se possiamo fare a, meno della parola: miracolo.

Stando ai trasformisti , tutti gli esseri piante ed animali, sono originariamente usciti da un essere unico e semplice, cellula , glo- betto , atomo vivente che voglia dirsi. Il globetto, chiamato progenitore o prototipo, a. poco a poco si è sviluppato per effetto di spe¬ ciali circostanze. Il terreno sul quale si tro¬ vava , qua era secco ; là, umido ; più lungi piano ; dirupato, in quell’ altro punto. Ed in, conseguenza qui gli sono , a poco a poco spuntate delle zampe ; là, delle ali ; altrove , delle pinne ; in un luogo, adagino adagino, si acconciò ad abitare nel mare ; si è fissato sulla terraferma ; altrove si è levato verso il cielo. Di foggia che col volgere del tempo gli esseri viventi non furono più i soli globetti , ma le piante d’ ogni forma e gli animali di.

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ogni specie il muschio e la quercia , la salvia e il palmizio, V insetto e il rettile, 1’ uc¬ cello e il pesce, la formica ed il leone, Y uc¬ cello mosca e la balena , in una parola tutte le piante che vediamo star ferme e tutti gli animali che vediamo muoversi , saltellare , strisciare, volare o nuotare

Tutto ciò era meraviglioso notava Leo¬ poldo Giraud, ma c’ è di più meraviglioso ancora.

Alla prima si è aggiunta un’ altra suppo¬ sizione più stupefacente, più sbalorditoia.

Perchè gli esseri così diversi , usciti non so come da una cellula uniforme , potessero vivere e perfezionarsi, era necessario che ognu¬ no conservasse gli organi che aveva acquista¬ to e li trasmettesse, modificati e migliorati, ai suoi discendenti.

Si è dunque imaginata una forza idonea a soddisfare cotesto bisogno.

Questa forza ha, tra le altre qualità , una grande, straordinaria, eccezionalissima intel¬ ligenza ; esamina gli organi degli individui , pensa , riflette , calcola , giudica e finalmente sceglie gli esseri che sono più abili a vivere. Fatta questa scelta, non si mette a dormire, ma modifica gli eletti, li corregge, li accorcia o li allunga , li « adatta a certi obblighi. » E non si arresta ancora : continua a vigilare

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i suoi protetti, ponendoli in grado di resistere agli ostacoli che incontreranno nel corso della loro esistenza.

Gli esseri che, secondo il suo parere, non sono al caso di adattarsi a certe condizioni, li lascia da parte o meglio li fa disparire.

Brevemente, si sbarazza dei deboli e aiuta i forti a sopravvivere, a svilupparsi, a perfe¬ zionarsi e a formare nuove specie.

Ecco in che consiste la elezione naturale, ed ecco come la elezione naturale è, in defi¬ nitiva, la sopravvivenza degli individui più atti e più acconci a far progredire le specie. È la natura che per ignorati fini impone la progressiva successione degli esseri organiz¬ zati come necessità generale, imprescindibile, assoluta. È insomma la natura che per sua propria iniziativa opera il miracolo dei mi¬ racoli !

Certamente la trovata è ingegnosissima e la si compendia in una sola proposizione : Tutte le specie vegetali ed animali si sono formate colla sopravvivenza degli individui più capaci e più idonei al progresso. Basta questa semplicità per rendere attraente e po¬ polare la teoria di Darwin. Ma la sola sempli¬ cità non mi seduce, non mi persuade ad ac¬ cettare una teorica che finisce col buttarsi nel miracolo.

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I naturalisti devono guardarsi bene dallo entrare in dimestichezza coi miracoli. « La scienza naturale parla il darwinista Dottor Arnold Dodel-Post non riconosce alcun mi¬ racolo ; dal momento che il naturalista comin¬ cia a credere ai fatti miracolosi, cessa di restar fedele ai principii dell’ esatta investigazione. (sobald der Naturforscher beginnt an den Wunderthaten zu glauben, so hórt er auf, den Grundsdtzen der exahten Forschung treu zu bleiben. Wesen und Begrundung der Abs - tammungs und Zuchtwahl Theorie. Zurigo, 1877, p. 8).

I darwinisti si figurano che gli organi de¬ gli animali sono apparsi, si sono sviluppati ed hanno resistito agli ostacoli, perchè la forza intelligente della natura detta elezione na¬ turale li obbligò a nascere, a svilupparsi, a continuare a vivere. E 1’ elezione naturale impose agli organi quest’ obbligo, perchè essi •erano utili. Ma prima che gli organi fossero cresciuti, come potè la natura vedere quali erano gli animali più forti, più aitanti, più degni di continuare a sussistere? In altri ter¬ mini, come potè fare 1’ elezione ? E perchè la natura lascia esistere animalucci con organi incompleti, con organi che si sogliono chia¬ mare rudimentali ?

Alla difficoltà di scernere l’ utilità degli

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organi incipienti, il prof. Canestrini risponde che « in certi casi un organo può essere utile fino dal suo primo apparire. » In certi casi y osservate bene. Ma nel rimanente dei casi a qual santo si voterà V elezione naturale per iscoprire 1’ utilità degli organi incipienti, per risolversi a promuoverne lo sviluppo? Il pro¬ fessore prevede altri casi ; e, senza parere,, rimette in onore la famosa quanto detestata « casistica. »

Se qualche volta esce dalla casistica, non è meno infelice. Noi domandiamo : Come si spiegano nella teoria dell’ elezione naturale i dettagli di forma, le differenze morfologiche, i caratteri che non sono benefìci, dan¬ nosi ? Il Canestrini replica, citando Dodel : « Il Dodel ritiene che alcuni caratteri, che oggi la storia naturale chiama puramente morfologici, domani possono essere riconosciuti di grande importanza fisiologica. Perchè oggi non ne comprendiamo 1’ utilità, non siamo autorizzati a crederli affatto inutili ».

Yi pare che questa sia una replica convin¬ cente ? Certo, profeti non siamo ; non sap¬ piamo quello che succederà. Ma una dottrina che ha la pretesa di basarsi sui fatti, non è autorizzata ad ipotecare per 1’ avvenire, a farsi forte di quello che avverrà e che non sa come avverrà. Altrimenti, chiunque abbia una

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discreta fantasia, può chiederci di credere ad un sistema di sua invenzione, cullandoci intanto nella speranza che col volgere degli anni e dei secoli perverremo a comprenderlo.

Qualcuno disse che 1’ esistenza di organi rudimentali o inutili negli animali è una prova che tali esseri sono passati per delle forme che richiedevano 1’ uso di cotesti organi, ora diventati inutili.

Simili spiegazioni non convengono a nes¬ suno, perchè non si appoggiano a niente di reale, e perchè vanno a cozzare coll’ assurdo. Sarebbe assurdo il supporre, per esempio, che gli esseri i quali hanno mammelle rudimen¬ tali ed inutili passarono per delle forme che esigevano Y uso delle mammelle.

Il Dodel-Post, che è non solo darwinista, ma hackelliano, dice che non c’ è alta pianta ed alto animale che non abbiano organi rudi¬ mentali, « i quali assolutamente non servono più a nessuno scopo. » ( die absolut keinem Zwecke dienen. 1. c. p. 16). Più giù egli scrive che tali organi diventarono rudimentali sotto T influenza dell’ elezione naturale, (die unter dem Einfluss der natuhrlicìien Zuchtwalil verkummerten. 1. c. p. 18}. E dopo a carte 71 proclama che « tutto è organizzato secondo il principio dell’ utilità. » (AUesist nach dem Princip der Nutzliclikeit organisirt).

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Chi ci si raccapezza è bravo : io non me ne capacito; e perciò mi astengo di farci dei commenti e di aggiungere qualcosa di mio.

Hackel sempre pronto a far buon viso a tutte le contraddizioni, trova negli organi ru¬ dimentali una conferma della elezione natu¬ rale. A questo scopo, tira fuori una sua dot¬ trina , battezzata col nome di disteleologia , cioè la dottrina della mancanza di scopo.

Quando Y estro poetico favorisce , da una trovata all’ altra il passo è breve. Ma noi non siamo qui per gingillarci a cercare quante cose ha saputo inventare Y umana fantasia.

L’obiezione è questa : Stando ai darwini¬ sti, 1’ elezione naturale lavora alla formazione delle specie mediante lentissime, minime, quasi impercettibili variazioni ; e lavora sotto la guida del principio di utilità. Ciò posto , si desidera sapere come fa Y elezione naturale a scorgere il vantaggio e 1’ utilità delle mi¬ nime variazioni. Si desidera sapere perchè 1’ elezione naturale, che è fondata sul princi¬ pio dell’utilità, conserva gli organi indifferenti o nocivi.

Il darwinista Du Bois-Reimond s’ illude poco e si limita a mormorare che questa obie¬ zione sussiste solo per certi casi; come se sussi¬ stere soltanto per certi casi sia lo stesso che non sussistere.

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Al tirar della somma , la risposta del Dii Bois-Reimond non vale più della disteleolo¬ gia di Hàckel.

L’ elezione naturale agisce secondo Dar¬ win preservando e perpetuando le minu¬ tissime variazioni che danno un vantaggio ai loro possessori. Ma noi troviamo una quantità di strutture che non potettero essere gradual¬ mente e lentamente accumulate su cotesto principio. Di che vantaggio sarebbe, per esem¬ pio , una minuta bollicina di naso ? A che poteva servire il primo rudimento della gi¬ rella del lophius piscatorius ì Di che giova¬ mento poteva tornare il principio di una follicola cutanea ? Questi esempi potrebbero moltiplicarsi a migliaia. I primi rudimenti dell’ occhio e dell’ orecchio che utilità offri¬ vano a chi ancora non vedeva e non udiva?

Brevemente, la preservazione delle mi¬ nutissime variazioni utili, mediante la scelta naturale, è un ostacolo che scoraggia e spau¬ risce i darwinisti più coraggiosi.

Il Bùchner dice che Y elezione è inerente alla natura degli animali.

Ecco un’ altra frase che per me non ha costrutto- L’ elezione è tanto poco inerente alla natura degli animali, che gli uomini per modificare le specie ricorrono alla loro intel¬ ligenza e alla loro industria.

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Se T elezione fosse inerente alla natura, la stessa natura non combatterebbe gli effetti della elezione artificiale, cioè i risultati otte¬ nuti dai giardinieri e dagli allevatori.

Quanto sia difficile riuscire anche colla elezion e artificiale, ce lo insegna lo stesso Darwin : « Appena un uomo su mille possiede la sicurezza del colpo d’ occhio e il giudizio sufficiente a diventare un eminente allevatore. Se dotato di queste qualità, studia la sua arte e ci dedica tutta la sua vita con indomabile perseveranza, può riuscire ad ottenere grandi miglioramenti. Ma se una qualunque di tali facoltà gli manca, certamente fallirà lo sco¬ po. » (1. c. p. 23). E Vogt, darwiniano entu¬ siasta, ribatte il chiodo : « Per creare una razza nuova , per ^sviluppare i suoi caratteri essenziali e derivati, bisogna avere quel colpo d’ occhio di aquila che distingue la più pic¬ cola gradazione nella struttura dell’ individuo nascente, e deve avere quella qualità divina¬ trice che intravede a bella prima le conse¬ guenze, alle quali quelle modificazioni daranno luogo. » (Prefazione al libro di Darwin sulla variazione degli animali e delle piante, tra¬ dotto in francese, p. 10).

E dopo ciò andate a credere che la ele¬ zione è inerente alla natura degli animali !

Il Canestrini conferma che la elezione na-

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turale non è, in fondo, che la vittoria procu¬ rata dalla natura alle forme più utili. Ma se è così , T immigrazione degli animali è una sorgente di continuo dissesto nel processo della ■elezione naturale. Se è così , D immigrazione guasta gli sforzi della elezione naturale. Se per cagione dell' immigrazione , gli incrocia¬ menti non si possono regolare secondo le esi¬ genze della teoria , come mai si arriverà a formare specie nuove ? Da ciò la conseguenza che allora possono formarsi le specie nuove , quando alcuni individui, avviati alla variazione, sono geograficamente isolati. Certi naturalisti hanno dunque stabilito che Delezione naturale, per raggiungere il suo scopo , ha bisogno dell’ isolamento delle razze.

Il signor Canestrini, rispondendo a questa obbiezione , prima ammette che in generale D isolamento è utile all’ elezione naturale. Poi aggiunge che « non sembra impossibile » che le specie abbiano potuto formarsi , anche senza D isolamento.

Non fo caso della formula : « non sembra impossibile » formula che lascia il tempo tale quale coni era. Ma domando: In che si risolve la decantata elezione naturale che per agire ha bisogno dell’ isolamento delle razze? Wagner e Kòlliker assicurano che 1 isola¬ mento è condizione indispensabile alla elezione

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naturale e alla formazione di nuove specie. Lascio ai miei contradittorì di rispondere ai due naturalisti tedeschi con più serietà di quel che ha fatto il signor Canestrini.

La distribuzione geografica degli animali non depone in favore della dottrina che le forme della vita si sieno manifestate per mezzo di minute e successive variazioni.

In favore del darwinismo, dapprima si di¬ ceva che la medesima specie di pesci non s’ incontra nelle acque fresche di distanti con¬ tinenti. Ma il Dr. Gùnther ha dimostrato che non solo la stessa specie, anzi lo stesso ge¬ nere si trova nelle acque fresche di lontanis¬ simi continenti.

Il genere mastacembelus appartiene ad una famiglia di pesci indiani , e le otto specie di questo genere si estendono da Giava a Borneo da una parte e ad Aleppo dall’altra. L'ophio- cephalus è un vero genere indiano ; eppure una specie di tale genere si trova nel Nilo superiore e nell’ Africa occidentale. I nove generi della famiglia dei labyrinthici sono di¬ stribuiti fra le acque delle Indie orientali e dell’ Africa centrale e meridionale. I ciprinoidi s’ incontrano nell’ India , nell’ Africa e nel Madagascar; i caracinidi si veggono in Africa e nell’America del sud; i generi clarias e he- terobranchus stanno nell’ Africa e nelle Indie

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Orientali; il plotosus, nell’ Africa, nell’ India e nell’ Australia. Il genere galaxias ha una specie comune alla Nuova Zelanda e all’Ame¬ rica meridionale, e un’ altra specie comune all’ America meridionale e alla Tasmania. Le lucertole pleurodontiche sussistono nell’ Ame¬ rica meridionale e nel Madagascar.

Molti altri esempi adduce il Gtinther nel suo Catalogne of acanthoptery gian fìsches in tlie British Museum. Altri ancora ne allega Darwin, il quale aggiunge: « Io sono ben lon¬ tano dal supporre che si sieno rimosse tutte le difficoltà rispetto alla distribuzione e alle affini¬ delle specie identiche e alleate che ora vivo¬ no così separate. » (1. c. p. 338). E più sotto: « Noi non possiamo dire perchè certe specie e non altre hanno emigrato, perchè certe specie sono state modificate e hanno dato origine a nuove forme , mentre altre sono rimaste inalterate. » OVe cannot say tohy certain species and not others ha ve migrated ; why certain species liave been modifìed and have given rise to new forms , whilst others have rernained unaltered. Ibid. p. 341). Poche righe appresso, cita il Dr. Hooker a proposito di certe piante eguali che si trovano « in punti così enorme¬ mente lontani come la terra di Kerguelen , la Nuova Zelanda e Fuegia. » E continua colle seguenti righe: « L’esistenza, in questi ed

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altri distinti punti dell’emisfero meridionale, di specie che, quantunque distinte, appartengono a generi esclusivamente confinati al sud, è un caso ancor piu rimarchevole. Alcune di queste specie sono così distinte , da non po¬ ter supporre che ci sia stato sufficiente tempo, dopo il cominciamento dell’ ultimo periodo glaciale , per la loro emigrazione e susse¬ guente modificazione al grado necassario. »

Tutto ciò non toglie che Darwin si con¬ soli coll’ ipotesi di una ricca flora e fauna antartica in un periodo anteriore all’ ultima epoca glaciale.

Andar brancolando fra le ipotesi non costa niente; ma l’ipotesi trovata per lì, tanto per metter bocca su tutti i problemi , non fa guadagnar niente ciò si capisce. Così l’ipo¬ tesi di un’ immaginaria fauna antartica non farebbe caldo freddo all’ attuale distri¬ buzione geografica dei menzionati animali.

Che alcuni animali hanno V uso di emi¬ grare , è indubitato. Quest’ uso però - dice W. F. A. Zimmermann ha dei limiti che vogliono essere rispettati. Quando per caso o per volontà dell’ uomo, si varcano quei limiti, T animale ci perde la vita. La trota, per esem¬ pio, non discende per i fiumi verso le pianure, ma si trattiene nei ruscelli presso i monti : il soggiorno nei fiumi le sarebbe esiziale. Ebbene,

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poteva da un solo stipite discendere Y incal¬ colabile numero di trote che si trovano nel versante delle Alpi Svizzere , della Svevia , della Foresta Nera , vicino alla Boemia, ai Carpazi, al monte Harz, agli Erzgebirge, nel Nogat e persino nei ruscelli che scendono dal Danzig ? Se sono nate sul versante delle Alpi , come sarebbero arrivate sul versante opposto ? Passando si suppone pel Po nel Mare Adriatico, attraversando il Mare di Marmora, i Dardanelli e il Bosforo, recandosi nel Danubio, di nelle Alpi Stirie per giun¬ gere, ripassando il Danubio , alle Alpi della Svevia , e da queste ridiscendere nel Mare Mediterraneo, entrare nel Rodano e penetrare nella Svizzera per il lago di Ginevra. Non basta. Le trote possono esser nate sul ver¬ sante settentrionale delle Alpi Sveve o sul ver¬ sante orientale della Foresta Nera. In questo caso, per arrivare a Zoppot , sarebbero scese nei piccoli ruscelli vicini, sino al fiume Neckar, dal Neckar nel Reno, dal Reno nel Mare del Nord, donde sarebbero passate nell’ Oceano , poi nel Mare Baltico , traversando gli stretti del Sund e del Belt , per giungere infine a Putziger Wicke e fermarsi nei piccoli ruscelli del Carlsberg e del Johannisberg.

Queste e consimili ipotesi sono semplice- mente assurde.

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Il poltrone abita nelle foreste del Brasile : esso può appena camminare ; ma le sue lun¬ ghe braccia e i suoi artigli fortemente cur¬ vati gli permettono di arrampicarsi sugli al¬ beri. Poniamo che il poltrone, nato in un* paese caldissimo, abbia voluto lasciare la sua patria, per passare in America. Mettiamo che abbia attraversato Y Arabia, Y allora istmo di Suez e tutta Y Africa ; e che dopo questo viaggio di un secolo, sia giunto alle rive del- T Oceano Atlantico. Come fare qui ? Il pol¬ trone non nuota ; e d’ altronde un animale terrestre non compirà mai a nuoto un viaggio dall’ Africa all’ America.

Un altro esempio.

La talpa si trova in Italia , in Germania, in Ungheria, in Polonia, in Siberia, in Russia, cioè al di qua come al di delle Alpi, dei Carpazi e dei Monti Urali. Vive nel nord dell’ Africa, nel sud dell’ Europa e nell’Ame¬ rica settentrionale. Orbene, in che modo riu¬ scì a propagarsi quest’ animale dai piedi poco adatti al cammino , dalla vista debolissima ? Di quali mezzi si valse per attraversare le montagne, valicare i fiumi, correre i mari che gli si paravano davanti ? Aggiungete che la talpa è un animale delicatissimo ; e se casca in un buco secco di quattro piedi, non si rialza più. È inoltre voracissimo, insaziabile. Figli-

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rarsi se poteva intraprendere un viaggio di dieci o quindici mila chilometri !

Sicuramente, certi animali vennero spo¬ stati da un vento impetuoso. Ma da rarissimi ‘Casi nulla si ritrae in prò della dottrina dar¬ winiana. U emigrazione a scopo di propaga¬ mento è spessissimo inattuabile o per la co¬ stituzione e l’indole degli animali, o per invincibili difficoltà materiali.

E tempo perso cercare un intento raziona¬ le nell’emigrazione degli animali.

Nelle isole del Baltico, per esempio, dove i viveri scarseggiano, le quaglie sono il con¬ tinuo bersaglio dei cacciatori. Lo stesso av¬ viene per le lepri e le pernici in autunno. .Nelle pianure della Sassonia le allodole sog¬ giacciono alla medesima sorte; le si uccidono in massa, si spennacchiano e , stipate nelle ‘Casse, si spediscono in paesi stranieri. Or come .avviene che, date queste condizioni, i soprav¬ viventi non si decidono ad emigrare, che ogni .anno tornano a mettersi a disposizione della rete, del bastone e del fucile ? Avrebbero tutte le ragioni per cambiare soggiorno, e pur non- dimanco si ostinano a rimanere dove si loro la caccia più spietata. Gli è che Y emi¬ grazione degli animali non si effettua per fini razionali , e non si piega alle esigenze < delle teoriche astratte.

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I fatti diligentemente raccolti hanno messo in chiaro la permanenza dei caratteri speci¬ fici o essenziali, e la distinzione delle differenti specie indicata da cotesti caratteri. Questo ri¬ sultato non consuona colle vedute dei darwi¬ nisti, i quali non si stancano mai di escogitare ipotesi per raggiungere la méta che si sono prefìssa. Per esempio, secondo loro, Y uso sa¬ rebbe un produttore di forme nuove, un fac¬ totum di nuovo conio. « Il resto sentenzia,, fra gli altri, il prof. Canestrini sarebbe un effetto dell’ uso. »

L’ uso, 1’ esercizio moderato chi ne du¬ bita ? giova, migliora, perfeziona; ma fuso, 1’ esercizio eccessivo guasta, sciupa, distrugge. Non pertanto Y uso sia moderato sia ecces¬ sivo è considerato dai darwinisti come im¬ possente ausiliare dell’elezione naturale. Se dia¬ mo ascolto ad essi, l’uso ne ha fatte di quelle da far drizzare i capelli ad una palla di bigliardo.

L’ animaluccio rudimentale, scaldato dal sole, s* ingrossa ; fa uso dei suoi mezzi di lo¬ comozione, e si muove ; fa uso di una zampilla, e questa batte l’acqua; battendo 1’ acqua, si distende, si allarga, si divide e finisce per di¬ ventare aletta; e così via via . mediante -

1’ uso, dalla pianta si arriva insensibilmente all’ insetto, dall’ insetto al rettile e dal rettile: al mammifero !

f

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Che T uso, tenuto entro la giusta misura, faccia qualcosa , nessuno lo nega ; i trasfor¬ misti però gli hanno chiesto troppo ; lo hanno invocato per uffici troppo alti e troppo supe¬ riori alle sue forze. L’ uso, 1’ esercizio dice Lamarck (Philosopkie Zoolog ique, Parigi 1873, Voi. I.° p. 363 ) il movimento frequente degli organi non solamente sviluppa Y orga¬ nizzazione, distende le parti, ma accresce , anzi moltiplica gli organi.

Un uccello, per esempio, che è spinto nel- l’acqua dalla necessità di procacciarsi il vitto, ha bisogno di muoversi sulla superfìcie della corrente , e perciò stende le sue dita. Ma le

dita troppo sottili non lo sorreggono . non

importa , continui a stenderle e a vibrarle ; in virtù dello sforzo così ostinatamente ripe¬ tuto, in virtù dell’ esercizio e deir uso, la pelle che congiunge le dita alle radici si slargherà e diventerà una membrana acconcia al nuoto. Un altro uccello ha bisogno di gambe lunghe, puta caso , per non affondare nella mota , si sottopone a speciali esercizi , e le gambe un po’alla volta diventeranno lunghe. Le oche, a forza di stendere il collo, diventarono cicogne, e così via.

Dunque non e’ è da meravigliare se il dar¬ winismo un grandissimo valore all’ uso : quello che non può fare V elezione naturale.

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lo fa 1’ uso: V elezione naturale aiutata dallo uso, a furia di modificare, correggere , svilup¬ pare ed ampliare ha se crediamo ai dar¬ winisti resa possibile l’indefinita mutabili¬ delle specie.

Frattanto Darwin stesso si la pena di spe¬ gnere 1’ entusiasmo dei suoi seguaci e di as¬ sestare un colpo mortale al darwinismo. Udite quello eli’ egli dice colla sua solita ammire¬ vole sicurezza : « L’ uomo e tutti gli animali presentano strutture che, per quanto possia¬ mo giudicare colle nostre scarse conoscenze, non tornano ad essi di alcuna utilità , al presente in altro periodo anteriore della loro esistenza, sia in rapporto alle loro condi¬ zioni generali di vita, sia rispetto alle relazioni di un sesso coll’ altro. Simili strutture non possono spiegarsi con alcuna forma di elezione e nemmeno coll’ azione trasmessa dell’ uso e del non uso. » ( The descent of man , Londra

1871. Voi. II.0 p. 387).

\

E Darwin che ha vergato queste righe ; lui stesso manda all’ aria tutti i calcoli fon¬ dati sull’ elezione naturale e sull’ uso ; lui stesso dichiara che colla scelta naturale e col- 1’ uso non si spiega la storia dell’ evoluzione del regno organico.

In un precedente capitolo scrive che, a suo credere , non c’ è bisogno eh invocare alcuna

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forza interna all’ infuori della tendenza alla ordinaria variabilità. » ( there is no ne ed , as it seerns to me > to invohe any internai force beyond thè tendency to ordinary variability .

Ibid. p. 201 ).

Poi a pagina 388 si esprime così : « Nella maggior parte dei casi, noi possiamo soltanto dire che la causa di ogni leggera modifica¬ zione e di ogni mostruosità risiede piuttosto nella natura o costituzione dell’ organismo , ohe nella natura delle condizioni ambienti , benché la modificazione delle condizioni este¬ riori rappresenti certamente una parte impor¬ tante nel promuovere cambiamenti organici di ogni sorta. » (In thè greater number of cases we can only say iliat thè cause of eacli slight variation and of eacli monstrosity lies mudi more in tlie nature or constitution of thè organismi > than in thè nature of thè surro- unding conditions ; though nero and changed conditions certainly play an important part in exciting organic clianges of all kinds ).

Dal momento che Darwin ammette la legge di evoluzione interna, la sua ipotesi va a rotoli. La elezione naturale, che non tien conto delle interne condizioni di sviluppo e si appoggia alle semplici cause meccaniche, ad un proce¬ dimento puramente meccanico, diventa all’ in¬ tutto inammissibile.

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CAPO II.

Per il darwinismo basta che le modificazio¬ ni al tipo attuale risultino da cause fortuite. Ma siccome le variazioni provenienti dal caso sono affatto indeterminate, la variabilità risultante dal caso sarà indeterminata e non già neces¬ sariamente progressiva come vuole il darwi¬ nismo.

E c’ è dell’ altro.

La elezione naturale soltanto allora rag¬ giungerebbe lo scopo , quando nessuna delle variazioni possibili venisse esclusa o insuffi¬ cientemente rappresentata. Se escludiamo una parte delle variazioni possibili, se restringiamo 1' influenza dell’ elezione naturale , siamo in¬ dotti a stabilire che la variabilità ha dei limiti e si appalesa soltanto in alcune direzioni e non in altre.

Sulla limitatezza della variabilità e sulla azione delle forze interne degli organismi, il darwinista Askenasy, collaboratore dell’ An- thropological Review di Londra, fa alcune con¬ siderazioni che feriscono sempre più la dottri¬ na che sto esaminando. La sostanza di queste considerazioni, eccola qui :

La qualità delle possibili variazioni deve essere diversa , perchè dipende dalla costitu¬ zione fìsica propria di ogni specie. La capacità di variare è limitata ; non si muove per dire¬ zioni così divergenti, che la si possa prendere

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come fondamento dell’ origine di nuove specie. La causa delle divergenze s* ha a cercare nel- 1’ interno degli organismi. Noi vediamo che eguali adattamenti si riscontrano nei gruppi più differenti. Nemmeno le differenze sempli¬ cemente morfologiche si spiegano colla ele¬ zione naturale. Certo è che questa non può agire sopra ogni sorta di variazioni. Alcune variazioni non si lasciano portare al punto che si vorrebbe e non si prestano a tutte le combinazioni. E ciò perchè nella costituzione degli organismi c’ è una forza di sviluppo che non dipende dalla elezione naturale ; perchè ci sono molti organismi con costanti proprietà, tendenti a variare soltanto in direzione deter¬ minata. C’ è la variazione spontanea ; ma non si può scientificamente asserire che in gene¬ rale le variazioni siano spontanee e capaci di illimitate combinazioni. Sono spontanee le va¬ riazioni relativamente deboli e più o meno transitorie, quelle cioè che non toccano il fondo della costituzione fisica degli organismi. Le modificazioni più importanti si* verificano nel primissimo stadio embrionale. Solo quelle di poco conto possono effettuarsi negli individui cresciuti.... ecc.

Così la elezione naturale non può dar ra¬ gione delle interne forze di sviluppo, cioè delle forze insite nell’ organismo degli individui, e

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capo ii.

contraddice al principio darwiniano della illi¬ mitata variabilità delle specie.

Darwin ripete più volte che la elezione naturale lavora lentissimamente, che le modi¬ ficazioni si succedono grado a grado , pian pianino , quasi insensibilmente. Invece , si è constatato che la natura talora fa dei salti. Lo stesso Huxley confessa che vi ha modifi¬ cazioni le quali si appalesano improvvisamente ( Lay Sermons , p. 342). Mivart ( On thè ge¬ neris of species ), Galton (Hereditary Genius ), Carpenter ( Comparative physiology) , Murphy ( Habit and intelligence ), Naudin ( Quarterly journal of Science ) adducono una quantità di esempi di trasformazioni improvvise.

Questo fatto è inconciliabile coll’ elezione naturale.

Huxley deplora che Darwin fissò il chiodo sull’ aforismo natura non facit saltum ( 1. c. p. 32G ). Ma come non s’accorse 1’ Huxley che tutta f ipotesi di Darwin è fondata sulle gra¬ duali e lente trasformazioni? Rinunciare a co- testo aforismo «equivaleva a rinunciare alla sua ipotesi.

Per rammendare altri strappi di cotesta ipo¬ tesi, Darwin trovò un altro principio, chiamato « divergenza del carattere. » Dice che nelle produzioni dell’ uomo si fa sentire il principio di divergenza, e conclude così: « Io credo che

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un analogo principio si può efficacissimamente applicare in natura. » (1. c. p. 87). Però non è mancato chi gli ha buttato giù anche tale sup¬ posizione. Si è giustamente osservato che alla divergenza del carattere cioè alla tendenza delle varietà e delle razze ad allontanarsi le une dalle altre si oppone la convergenza del carattere.

Oscar Schmidt, difensore del darwinismo, dimostrò che,' per esempio, certi gruppi di spu¬ gne atlantiche si erano avvicinate sino al punto di confondersi. I generi chalinula e ra¬ merà appartengono a famiglie differenti; non¬ dimeno le specie del chalinula si confondono colle specie del raniera , ecc. ecc. Da molti altri esempi risulta evidente che alla diver genza si contrappone la convergenza del carattere.

Le modificazioni dipendenti da leggi più o meno costanti e che si controbilanciano, da leggi coesistenti o rinascenti costantemente, danno la permanenza e la stabilità delle spe¬ cie. Sarebbe stabilità sopra un piano molto più complesso , ma pur sempre stabilità.

Somma tutto, la causa delle divergenze s’ ha a cercare nella forza di sviluppo inerente agli organismi, nelle costanti proprietà tendenti a variare in direzioni determinate, nella costitu¬ zione degli individui, non già nel principio di utilità e nella elezione naturale.

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CAPO II.

Per vincere le nuove e più gravi opposi¬ zioni, Darwin venne fuori colla cosiddetta « elezione sessuale. »

Sì, è vero, 1’ elezione naturale non risponde alle esigenze della teorica ; ma non importa : all’ insufficienza dell’ elezione naturale viene in aiuto 1’ elezione sessuale. Le due elezioni si avvicinano, si spalleggiano, si rafforzano e da ultimo riescono, secondo Darwin, a conso¬ lidare il principio della illimitata variabilità.

Vediamo in che consiste e come agisce 1’ elezione sessuale.

Oltre la differenza negli organi sessuali, vi ha nel maschio e nella femmina differenze secondarie, le quali sarebbero dirette a con¬ quistare L altrui simpatia, a procurare mag¬ gior successo nelle gare d’ amore, a variare, migliorare, perfezionare, propagare le specie.

Ogni anno, in certe stagioni, i maschi si trattano da rivali, mettono in mostra le qua¬ lità, le attrattive, i pregi estetici del loro corpo per vezzeggiare le femmine, sedurle e goderle. Questa rivalità ora si tradurrebbe in vero combattimento, ora resterebbe allo stato di pacifica gara che determina un concorso.

Le femmine guardano, esaminano e scel¬ gono i maschi, che sono più attraenti o che si distinguono per il coraggio e la bravura.

Dunque i maschi si contenderebbero le ca-

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rezze delle femmine e combatterebbero o colla forza materiale o colla galanteria e le qualità estetiche. Le femmine si manterrebbero pas¬ sive o quasi, limitandosi a prescegliere i ma¬ schi che loro vanno più a genio.

I maschi vincitori trasmetterebbero ai di¬ scendenti quei caratteri di superiorità, mercè dei quali hanno vinto. Questo lavorio conti¬ nuato per una lunga serie di generazioni di¬ venterebbe un importantissimo elemento di sviluppo e di perfezionamento.

Tali sono, per il sistema darwiniano, Y ele¬ zione sessuale e i suoi effetti. Io non ci veggo che un nuovo saggio d’ instancabile fantasia, un nuovo prodotto di conghietture aeree.

Anzitutto, coll’ elezione sessuale si vorrebbe spiegare la trasmissione dei caratteri del ma¬ schio nel proprio sesso.

Invece si sa che anche la femmina sovente eredita i caratteri del padre; come si sa che e maschi e femmine ereditano, il più delle volte, i caratteri riuniti del padre e della madre.

giova replicare che gli errori della elezione sessuale vengono corretti dalla ele¬ zione naturale. Sarebbe come dire che per certi caratteri ha luogo V eredità unisessuale; e per gli altri, quella bisessuale. Ma dove sono le prove delle sedicenti correzioni ? Con

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CAPO II.

quali criteri si compiono, con quali regole e in qual misura ?

D' altro canto, Darwin non può negare la differenza dei gusti. E nondimeno la dottrina,, la teorica dell’ elezione sessuale muove dal presupposto che non ci sia rimarchevole dif¬ ferenza di gusti.

Se poi per un momento riflettiamo sull’ e- spressione : senso del bello, avremo davvero il coraggio di sostenere che gli anfìbi, i pe¬ sci, i raggiati hanno il senso del bello e del nuovo ? A quali animali si applica 1’ ipotesi della elezione sessuale ? Che diventa cotesta ipotesi che lascia fuori la maggior parte degli animali e si restringe ad un piccolo gruppo di privilegiati ?

Non si è addotta nessuna prova per dimo¬ strare che le femmine sono mosse da un « sen¬ timento estetico, » da un « talento musicale » nel dare la preferenza agli animali cantori ; e così via discorrendo. No, non è ragionevole fabbricare un’ ipotesi con simili fantasticherie.. Il benessere provato dalla femmina in pre¬ senza del maschio è conseguenza di un apprez¬ zamento istintivo e deriva soprattutto dalla potenza sessuale. L’ istinto della riproduzione eccita all’ accoppiamento e , trattandosi di animali, non va a cercare se i caratteri ses¬ suali secondari abbiano 1’ impronta della bel-

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lezza. Sieno belli o no, cotesti caratteri, la riproduzione non ne resta compromessa, segue regolarmente il suo corso. Dai soli caratteri sessuali Y animale conclude all’ idoneità della forza riproduttiva. La scelta istintiva non è determinata dalla bellezza o dalla superiorità degli organi sessuali secondari.

Pure ammettendo che 1’ animale abbia dirò così l’ idea inconsapevole di vari tipi di bellezza, questa idea inconsapevole che si manifesta negli atti istintivi, è sostanzialmente differente da ciò che chiamasi il gusto o il senso del bello. La bellezza della natura che è antica quanto la natura ha un va¬ lore indipendente dalle tendenze istintive ses¬ suali, non è stata creata dalla elezione istintiva, inconsapevole, sessuale.

In ogni caso, concedendo per un momento che 1’ elezione sessuale sia un fatto, concedendo che noi conosciamo quale sia V estetica degli animali, quali sieno, per loro, le cause di simpatia e di repulsione, V elezione sessuale potrebbe, tutt’ al più, conservare e favorire la parte semplicemente ornamentale, decora¬ tiva, esteriore degli individui, ma rimane del tutto estranea alle forme tipiche, fondamentali, alle forme che caratterizzano le specie.

Darwin stesso che annette importanza ca¬ pitale all’ elezione sessuale e si strugge di

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. 8

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CAPO II.

provarne l’ esistenza, ogni tanto vien fuo¬ ri con osservazioni e citazioni che lo tra¬ scinano al polo opposto di quello che s* era prefìsso.

Cito alcuni brevi passi del suo libro Tlie Descent of man: « Per alcuni pesci come per molti degli animali più bassi, i colori splen¬ didi possono essere il risultato immediato della natura dei loro tessuti e delle condizioni am¬ bienti, senza alcun aiuto dell’ elezione. » (p. 16).

V

« E impossibile dubitare che il colore sia stato acquistato da molti pesci come mezzo di pro¬ tezione. » (p. 18). « I serpenti hanno qualche facoltà di ragionamento e forti passioni ; ma da ciò non segue che sieno egualmente dotati di sufficiente gusto per ammirare i brillanti colori dei loro compagni, e così promuovere T adornamento delle specie mediante 1’ ele¬ zione sessuale. » (p. 31). È chiaro che a volte r abitudine di cantare (di certi uccelli) è af¬ fatto indipendente dall’ amore. » (p. 53). « Ta¬ lora gli uccelli si accoppiano anche con uc¬ celli adulti che sono diventati ciechi. » (p. 109). « Hewitt, Tegetmeier e Brent, così ben cono¬ sciuti per le loro pubblicazioni, sono diligenti ed esperimentati osservatori. Essi non credono che le femmine preferiscano certi maschi a causa delle bellezze delle penne.» (p. 117). « Ge¬ neralmente sembra che il solo colore abbia

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poca influenza neir accoppiamento dei pic¬ cioni, » (p. 118) ecc. ecc.

Potrei moltiplicare le citazioni, continuando a sfogliare 1’ opera di Darwin. Ma queste ba¬ stano a mostrare eh’ egli stesso sgonfia il palloncino che aveva gonfiato e manda giù la pretesa elezione sessuale.

Già la carta del palloncino era troppo fra¬ gile e dispostissima a rompersi. Figuratevi che per menare a bene questa elezione tocca ai maschi rifulgere per la bellezza, innamorare cogli odori, offrire spettacolo di forme per¬ fette, ammaliare colla simpatia, dare accademia di civetteria, rubare 1’ ufficio delle femmine, le quali modestamente si accontenterebbero di fare i dovuti calcoli, tirar le somme e porsi a disposizione dei maschi che hanno guadagnato più punti nel concorso ! E i ma¬ schi avrebbero la cavalleresca cortesia di aspet¬ tare tranquillamente il verdetto delle femmine prima di accoppiarsi !

Di fattarelli Darwin ne conta moltissimi ; ma più che ai fattarelli egli si appoggia alle vaghe ed innocue espressioni : mi pare, non sembra impossibile, è almeno possibile, è pro¬ babile , e simili.

Decisamente la sullodata carta cede all’urto più leggero. É poco possibile e pochissimo probabile che le femmine si lascino guidare

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CAPO II.

dall’estetica e facciano tante sottili distinzioni quando si tratta di soddisfare gli istinti ses¬ suali. Come notava il signor A. D. Bartlett, membro della società zoologica di Londra, in certi periodi particolarmente, le femmine non badano punto al colore e al canto, ma rice¬ vono con uguale prontezza il maschio che non è ben colorito o che non sa cantare.

0 dove si è mai sentito che i moltissimi maschi brutti o incapaci di cantare non tro¬ vino da accoppiarsi ? E in tanti milioni o mi¬ liardi di secoli, perchè 1’ elezione sessuale non ha fatto scomparire, o non ha, almeno, diminui¬ to i maschi di brutto colore o inetti al canto?

Il vero è che la bellezza dei colori, la soavità del canto, le « decorazioni » non ser¬ vono a nulla nella lotta per resistenza e nel¬ la conservazione degli individui.

In ogni modo, le femmine non sarebbero in grado di scorgere che le bellezze più appa¬ riscenti dei maschi. Ma che spiegazione può dare Y elezione sessuale rispetto ai minuti particolari, ai delicati dettagli di colorito, di disegno, di forma che sfuggono ad occhio nudo?

Diciamola tale e quale : la teoria darwi¬ niana che colla elezione sessuale intendeva sbarazzarsi di una folla di obiezioni, finisce col non vincerne alcuna e col rendersi più problematica, piò oscura, più indecifrabile.

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Il darwinista D.r Arnold Dodel-Post con poche parole somministra alla elezione ses¬ suale una di quelle legnate che lasciano il solco e levano di sensi.

A voi :

« La scienza esatta non conosce nella viva natura nessun misterioso governo di un prin¬ cipio di bellezza : la natura per mille fini crea anche il brutto. » ( die Natur schaft an tausend Enden aneli hassliches. I. c. p. 20).

Anche il prof. Mantegazza si è ribellato contro F ipotesi dell’ elezione sessuale. La femmina egli scrive deve pur sempre subire 1’ amplesso del vincitore ; e quando anche volesse sciegliere fra vari contendenti, non lo potrebbe per la sua forza generalmente minore di quella del maschio. Se è il maschio che combatte, se è il maschio che sceglie e che conquista, a che gli può giovare tutto 1’ apparato di svariatissime bellezze, di cui lo ha fornito la natura? Qual bisogno d’ altronde ha di farsi bello il maschio, quando una volta conquistata la femmina, essa può essere fecon¬ data anche senza la sua annuenza? E se la bellezza o gli altri elementi estetici del canto e di varie manifestazioni psicologiche dove¬ vano servire di eccitamento all’ amore, avreb¬ bero dovuto trovarsi nella femmina, onde ^avessero a produrre nel maschio quell’ estro

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CAPO II.

che poi gli permettesse la battaglia e la vit¬ toria. S' intende come le corna, le unghie, i muscoli, tutte le armi difensive ed offensive possono svilupparsi nel maschio e propagarsi per elezione sessuale; ma non s'intende lo scopo di tutti gli altri caratteri sessuali secondari che sono di ordine estetico. Quanto alle corna poi vi sarebbe molto a dire, dacché spesso la loro intricata struttura ne fa, piuttosto che un’ arma, un ornamento dannoso molte volte più che utile.

Il prof. Canestrini risponde che la fem¬ mina dev’ essere sedotta, gentilmente eccitata ad accoppiarsi, « altrimenti il maschio non giungerà mai a riprodursi. »

Evidentemente il Canestrini ha delle idee false riguardo alla pazienza e alla buona creanza del maschio. In sostanza, il maschio è di natura prepotente e, ove la femmina non ceda alle buone, non si fa scrupolo di ricor¬ rere alla forza. Generalmente pel maschio è quistione di forza, non già di seduzione, di galenteria, di civetteria. É la femmina che ricorre ai suoi pregi estetici, ai suoi vezzi, alle sue maniere graziose per procurarsi la simpatia, la benevolenza e 1’ amore del ma¬ schio. Al quale preme di distinguersi, ed in¬ fatti si distingue, per la virile sua struttura e per la forza, piuttosto che per le muliebri

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manifestazioni estetiche. Non siamo autoriz¬ zati a supporre che fra gli animali il maschio abbia smesso di fare assegnamento sulla sua forza e che per accoppiarsi colla femmina pre¬ ferisca di rubare alla medesima 1’ arte di af¬ fascinare.

L’ olfatto avverte il Mantegazza è in molti mammiferi il senso eccitatore per eccellenza degli organi della generazione e rende perfettamente inutile tutto 1’ apparato estetico di colori e di forme con cui la natu¬ ra adorna la maggior parte degli animali maschi. E se il maschio è quasi sempre quel¬ lo che cerca, che insegue, che conquista, per¬ chè è desso il più ricco di profumi eccitanti? È la femmina pudica, riservata, nascosta, che avrebbe dovuto mandare sulle ale dei venti 1’ aura che additasse al compagno la via del- 1’ amore.

Ma il maschio replica il Canestrini - è ricco di profumi, grati alla femmina, appun¬ to per essere da lei preferito ad altri maschi meno ricchi di profumi o di odore meno grato.

A me pare che il Canestrini c’ intenda a sordo. Il busillis è di sapere se i profumi debbano attribuirsi all’ elezione sessuale. E per certo l'elezione sessuale non ha questo merito. Se essa si fosse impicciata di profumi,

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capo ii.

avrebbe avuto il buon senso di ciarli al ses¬ so gentile, pudico e debole; non mica al sesso forte, che appunto perchè forte, ad asseguire il suo intento può benissimo dispensarsi dei profumi.

La bellezza del maschio è di nuovo il Mantegazza che parla varia troppo anche in ispecie molto vicine di uccelli, per potere ammettere che essa sia la conseguenza della elezione sessuale. Basterebbe citare i fagiani e gli uccelli del paradiso. Ammettiamo pure il sesso più squisito negli animali, ma trovia¬ mo molto diffìcile 1’ ammettere che le forme più svariate, i colori opposti abbiano ad esse¬ re il frutto unico di un gusto speciale di parecchie femmine, che nel resto tanto si as¬ somigliano fra di loro. Ripugna il credere che la penna del pavone sia creata dalla ele¬ zione sessuale della femmina, che la tavolozza iridescente degli uccelli del paradiso sia stata fabbricata dalla elezione sessuale, mentre il maschio che è quasi sempre più intelligente, che ama la femmina e se la conquista come un trofeo di guerra, si accontenta invece nella sua compagna delle tinte più modeste e più volgari.

Il Canestrini ci si riscalda su ed esce in questi termini : La ripugnanza che ha il Mantegazza nel ritenere che la coda del

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pavone sia Y effetto della elezione sessuale è divisa da molti. Ma eguale ripugnanza si può sentire nel credere che un organo così perfetto, com’ è 1’ occhio, sia prodotto dalla elezione naturale : eppure contro queirultima idea, per quanto io sappia, il Mantegazza non ha mai protestato. Anche il cedrone ha una coda assai più sviluppata della sua femmina e questa coda non ha destato la sorpresa di alcuno. Se 1’ elezione sessuale lia prodotto la coda del cedrone, non è ragionevole negare che essa abbia potuto fare un passo più oltre e dare origine alla coda del pavone.

Non sarebbe impossibile che a ila elezione sessuale si fossero aggiunte altre cause per generare quei risultati più meravigliosi che ad essa solamente si attribuiscono.

Il Canestrini lascia tal quale 1’ obiezione del Mantegazza. Se il dotto professore di Pa¬ dova non sente ripugnanza a credere che le code del pavone e del cedrone sieno state create dalla elezione sessuale e che 1’ occhio debba la sua esistenza alla elezione naturale, resti pur servito. Nessuno gli impedirà di fare il suo comodo. Ma cotesta facilità di credere non toglie e non aggiunge nulla alla nostra discussione.

Il quesito è questo : Come riuscirono le femmine che tanto si assomigliano fra di

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CAPO II.

loro a produrre nei maschi di specie molto vicine le forme più svariate ed i colori più opposti ?

Il Canestrini se la sbriga rimettendosene alla possibilità. E veramente siccome nella pos¬ sibilità ci entrano tante cose , ci può entrare eziandio questo portento. Ne convengo ; e spingendomi più oltre , ammetto come nella sfera del possibile c’ è pure che le femmine giungano, colf andare del tempo , a produrre qualcosa di più bello che le sullodate code. Una volta che abbiamo messe le ali e ci siamo dati a volare per gli interminati spazi della possibilità, perchè dobbiamo fermarci ? Nell’ appello alla possibilità c’ é del pari in¬ clusa la scappatoia che alla elezione sessuale forse si sono aggiunte altre cause , così in genere , e senza vuotarsi il capo a cercare quali e quante. Riferendosene alle altre cause generali, generalissime, incognite e più o meno inafferrabili , il Canestrini tiene in mano il segreto per non meravigliarsi di nessun fe¬ nomeno.

La domesticità son parole del Mante- gazza e parecchie altre condizioni esterne di alimento, di colore, ecc. cambiano troppo presto la veste sessuale, mentre se essa fosse il frutto di lunghi secoli di elezione dovrebbe rimanere profondamente scolpita nella specie.

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Non basta forse l’albinismo a fare scomparire negli animali di natura più diversa tutte le tavolozze più ricche e più belle ? E forse l’al¬ binismo non è che una leggiera modifica¬ zione istologica degli organi che producono il pigmento. Come ad un tratto sparisce tutto il frutto accumulato di tanti secoli di elezione sessuale ?

Ed il Canestrini di rimando: Se l’obiezione del Mantegazza fosse giusta , dovremmo ab¬ bandonare anche 1’ ipotesi della elezione na¬ turale, ed anche quella della creazione indi- pendente delle specie. L’obiezione non infirma L elezione sessuale , ma c* insegna che gli effetti della domesticità possono essere este¬ sissimi.

Quest’ altra risposta del Canestrini non è meno infelice delle altre.

Egli non nega che la domesticità cambi profondamente la veste sessuale. Se l’elezione sessuale, con inaudita abilità e mediante un lavorio di secoli e secoli, creasse codeste ve¬ sti, la domesticità non avrebbe il potere di cambiarle facilmente ed in breve tempo. Se la domesticità ha cosiffatto potere, gli è per¬ chè L elezione sessuale è un sogno , un parto d’ immaginazione , un’ invenzione da dilet¬ tante d’ estetica. A che servono i prodigiosi sforzi della elezione sessuale, se, in grazia

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CAPO II.

della domesticità, i suoi effetti sfumano così presto ? Fra gli altri estesissimi effetti, la do¬ mesticità ha anche quello di scoprire sempre più il lato debole della pretesa elezione ses¬ suale.

L’ obiezione del Mantegazza mette in dub¬ bio ed in pericolo anche 1’ ipotesi della ele¬ zione naturale ? E che perciò ? Si può forse ricusare di discutere 1’ obiezione in per il terrore delle conseguenze che ne derivano? Bisogna provare che 1’ obiezione non è giusta, senza lasciarsi impaurire delle conseguenze che per avventura ne verrebbero. Altrimenti è inutile studiare la scienza. Per conto mio, non pavento le conseguenze, e tranquillamente aspetto che un giorno o V altro il Canestrini entri nel merito deir obiezione. Per ora , se non ha altri moccoli , si rassegni ad andare a letto al buio.

Nella maggior parte dei pesci ripiglia il Mantegazza non vi è amplesso. E per quanto si sforzi Darwin per dimostrare che anche senza di esso vi può essere scelta, e che la femmina non partorisce le sue uova che quando si vede vicino un maschio simpatico , pure chiunque ha veduto la fregola tumultuosa e febbrile con cui maschi e femmine s’ inseguono e schizzano fuori dell’ acqua in mezzo al tur¬ bamento e al rimescolamento di sessi che av-

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viene, non potrà persuadersi che sia possibile nei pesci una vera e propria elezione sessuale. Eppure anche in essi esistono caratteri ses¬ suali secondari di molta importanza.

Il Canestrini oppone che alcuni pesci sono nidifìcatori e che in altri ha luogo 1’ accop¬ piamento. « Nondimeno aggiunge l’ illustre professore restano ancora molte specie di pesci, in cui non avviene alcun accoppiamento. Ma sembra che anche in queste specie av¬ venga una scelta, come ha cercato di dimo- stare il Darwin. »

Quest' altra conf utazione del Canestrini non vale un’ acca.

Che Darwin ha cercato inutilmente, ce lo ha, a chiare note, cantato il Mantegazza, in¬ faticabile ammiratore della teoria darwiniana.

In ogni modo , per la grandissima mag¬ gioranza dei pesci che scopo hanno io do¬ mando i caratteri sessuali secondari ? La elezione sessuale creerebbe cotesti caratteri tanto per fare qualche cosa, per darsi un po’ di moto ? Dobbiamo supporre che le femmine dei pesci che non si accoppiano , producano nei maschi scintillanti colori e forme pittoresche per puro e ideale interesse dell' estetica? Chi avrebbe mai immaginato che i pesci appar¬ tengano alla scuola dell’ arte per 1’ arte!

Andiamo avanti.

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CAPO IL

L’ obiezione più seria di tutte all’ elezione sessuale è insiste il Mantegazza quella che nasce dall’ esame degli animali poligami, nei quali i caratteri sessuali secondari sono molto profondi e caratteristici. Se fra tanti maschi, che combattono per il possesso di un harem , un solo rimane vincitore, le femmine non hanno alcun bisogno che sia il più bello, dacché non la bellezza ma la forza gli con- cede i diritti di sultano; e divenutolo, possiede, di diritto e di fatto, i favori di tutte le fem¬ mine che si è saputo conquistare e che con¬ duce al pascolo e al riposo come pastore e come re.

Così il Mantegazza.

Sentite come se la cava perbenino il Ca¬ nestrini : Questa dice egli è la migliore obiezione che si possa fare alla elezione ses¬ suale. Infatti noi conosciamo molti animali po¬ ligami , in cui il maschio è assai più bello della femmina. Ma potrebbe darsi che quei caratteri, che ai nostri occhi costituiscono la bellezza, abbiano in realtà il significato di armi destinate ad atterrire il nemico.

Dopo avere accennato ai galletti e ad un barbagianni che prendevano singolari atteg¬ giamenti per costringere i nemici alla ritirata, il professore di Padova conchiude così : « Me¬ ditando all’ obiezione suddetta, noi ci troviamo

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indotti ad attribuire ai caratteri della bellezza un significato diverso da quello che loro diede il Darwin; ma perciò non è invalidato il prin¬ cipio della elezione sessuale. »

Abbondiamo in generosità; scappa fuori a rimbeccare il Mantegazza ammettiamo pure che la caruncula e la cresta dei galli possano sgomentare Y avversario. Ma la coda del pavone , ma i brillantissimi colori della paradisea e tanti altri pregi estetici di molti maschi possono pretendere al battesimo di armi ? Elezione deriva dal verbo eligere ; e quando le femmine degli animali poligami devono subire 1’ amplesso dei loro sultani , sotto pena di rimanere sterili, la scelta non è più possibile, e la coda del pavone e la ta¬ volozza della paradisea non possono in alcun modo essere il prodotto di una scelta impos¬ sibile.

Il Canestrini tien sodo e non cede nem¬ meno un pollice del suo terreno. Secondo lui, la bellezza in certi casi e precisamente quando è quistione degli animali poligami atterrisce il nemico. Il maschio, fra gli ani¬ mali poligami, è bello per intimorire i rivali ! A respingere i competitori, non bastava la forza, ci voleva la bellezza ! La bellezza dei maschi poligami non si può negare, ma visto eh’ essa non serve per sedurre le femmine ,

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CAPO II.

le quali vengono conquistate, allora si sup¬ pone che la bellezza abbia un effetto repel¬ lente e giovi a fugare 1’ avversario ! Si di¬ rebbe che la bellezza in certi casi dimentica la sua sfera d’ azione ed accetta la penosa incumbenza di coadiuvare la forza e di fare paura ai rivali. La bellezza è una dea leg¬ giera , birichina , incostante : ne ha fatte di tutte le tinte: o perchè non potrebbe fare an¬ che quella di confermare le idee del prof. Ca¬ nestrini ? Il quale, d’ altronde , a scarico di coscienza, ci avverte che non alla bellezza il significato che le Darwin. Lo credo io! a Darwin ad altri passò per la testa di capovolgere il senso delle parole e di con¬ fondere la bellezza colla forza. Il dotto pro¬ fessore non si cura di queste inezie , procede avanti lo stesso e accumula le sue metafore, i suoi poco attendibili sillogismi per difendere la causa che gli sta a cuore, cioè 1’ elezione sessuale. E nel calore della difesa si prende qualche libertà: talora, per esempio, fa ritirare un momento 1’ elezione sessuale perchè anche 1’ elezione naturale si mostri sulla scena ed agisca pure dove si tratta di caratteri ses¬ suali secondari. Verbigrazia, i così chiamati « apparati di violenza » il professore è d’opi¬ nione che possano attribuirsi alla elezione ses¬ suale, ma il debole profumo e i colori smorti

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sono invece da porsi a credito della elezione naturale ; come se il profumo meno forte e i colori meno vivi non fossero caratteri sessuali secondari.

Eppure quanta sapienza e quanta giustizia distributiva nell’ opportuno intervento e nella distribuzione delle parti della elezione natu¬ rale e di quella sessuale ! La elezione natu¬ rale, in vista della importantissima e insieme delicata missione delle femmine, volle proteg¬ gerle dando loro deboli profumi e colori smorti profumi e colori che non attirano 1’ atten¬ zione e non suscitano 1’ appetito dei nemici ! Ai maschi poi come sesso forte, come sesso che prova una specie di voluttà nell’ affrontare e sfidare i pericoli ai maschi 1’ elezione sessuale diede colori più belli e piu brillanti ! I colori dei maschi sono più vivi e più attraen¬ ti; ma questo vantaggio fu loro accordato coll’ annesso pericolo di essere più facilmente veduti, assaliti ed uccisi !

È chiaro, limpido come acqua di fonte, non c’ è che dire: si guarda, si ammira e si passa oltre !

Se poi tutte codeste spiegazioni non vi ba¬ stano, eccovene un’ altra che taglia sino alla radice ogni dubbio e definitivamente tappa la bocca ai brontoloni più impenitenti : Si può anche supporre copio dal libro del prof.

Di Bernardo. Il Danvinismo e le specie animali 9

130

CAPO li.

Canestrini sull’ evoluzione che ci sia nei maschi « una originaria attitudine a produrre colori brillanti, ereditata da un antico proge¬ nitore ( Non importa saper quale ), in cui ap¬ parve come un semplice carattere morfologico. Da questa tendenza, favorita nei maschi dal- T elezione sessuale e naturale (Due, avvertite bene, due elezioni intervennero), contrariata nelle femmine dalla elezione naturale , potè scaturire il risultato complesso che noi oggi osserviamo in natura. »

Dunque intendiamoci non sono le femmine che fabbricano colla loro estetica i colori brillanti dei maschi. Secondo codesta spiegazione , i maschi devono la produzione dei colori brillanti ad un’ attitudine originaria. L’ elezione sessuale -e la sua compagna la elezione naturale si limitano a far capolino per favorire 1’ originaria attitudine. Originaria per modo di dire , giacché , in fin dei conti , fu ereditata da un antico quanto incognito progenitore ! In altri termini , i maschi, stando a questa maniera di vedere, sono belli e mo¬ strano la loro gaia tavolozza non per civet¬ teria, non per insinuarsi soavemente nel cuore delle femmine, ina per necessità di legge mec¬ canica , per fatalità , per un’ attitudine origi¬ naria die gli spinge a produrre colori bril¬ lanti !

LA ELEZIONE

131

Per lo stesso fenomeno, il Canestrini ci ha dato due spiegazioni. Tocca a noi lare reie¬ zione che meglio ci garba. 11 risultato è sem¬ pre lo stesso, sapere cioè come si formarono i colori brillanti dei maschi !

Nella Rassegna Settimanale del 28 aprile 1878, il Mantegazza diceva, che forse neppur Darwin oserebbe oggi difendere la sua ele¬ zione sessuale.

Se Darwin non avesse questo coraggio, il Canestrini di coraggio ne ha per dieci Darwin.

A viemmeglio farci vedere e -toccar con mano che il suo coraggio è inesauribile , il Canestrini pubblicò nel 1880 un nuovo volume: La teoria di Darwin criticamente esposta. Come era da aspettarsi, egli dedica un nuovo capi¬ tolo alla elezione sessuale , prendendo parti¬ colarmente di petto le obbiezioni del Mante- gazza. ConT era anche da aspettarsi, il nuovo capitolo non toglie un ette alla forza degli argomenti addotti dal Mantegazza. Continuando a tener dietro a questa polemica , io rubo e regalo qui ai lettori i passi del nuovo capitolo che più mi fecero impressione, chiudendo fra parentesi qualche mia nota :

« Per parlare dei soli mammiferi, sembra che il maschio conquisti la femmina molto più per la legge di battaglia che non mercè la mostra delle sue attrattive. Gli animali più

132

CAPO II.

timidi , non provvisti di nessuna arma speciale per combattere , impegnano disperate lotte durante la stagione degli amori. I mammiferi forniti di armi , le adoperano contro i loro rivali. Gli effetti di questa lotta non possono, essere essenzialmente diversi da quelli pro¬ dotti dalla lotta per Y esistenza ; si tratta di combattimento in ambedue i casi, con questa, differenza per altro che la lotta per 1’ esistenza deve essere più severa dell altra, perchè l’ in¬ dividuo pensa prima alla propria esistenza e- poi alla riproduzione ; e perchè esso ha assai più competitori nel suo concorso alla vita che non in quello per la femmina. (Dunque si tratta di combattimento e non di premio accordato alla bellezza. Lo stesso Canestrini addosso alla teorica da lui calorosamente difesa. Sen¬ za, pensare a quello ctie aveva scritto, ora ammette che quando è quistione di accop¬ piamenti, i maschi usano violenza se ci sono per lo mezzo dei rivali; e in quanto alle femmine , esse si lasciano segnatamente in certe stagioni coprire dai primi venu¬ ti. Passando alla controversia sui colori, il Canestrini riporta l’esempio delle dafnie ad¬ dotto dal Weismann , e poi aggiugne ): È vero che nelle dafnie generalmente ambe¬ due i sessi sono vagamente colorati , ma il Weismann ritiene che originariamente il co-

LA ELEZIONE

133

lore brillante sia stato acquistato dal maschio per effetto dell’ elezione sessuale e poi tra¬ smesso anche alle feipmine , come sembra essere avvenuto in molti altri casi. ( Lascio : stare la zeppa : « come sembra essere avve¬ nuto in molti altri casi » messa per arro¬ tondare il periodo : e domando : Chi fece al Weismann la rivelazione che originariamente il colore brillante fu acquistato dal maschio? Ed è su questa discutibilissima ipotesi del Weismann che s’ ha da fondare la teorica dell’ elezione sessuale rispetto ai colori bril¬ lanti ? Come fa il Canestrini ad ammettere che

il maschio trasmetta la sua bellezza anche alla \

femmina ? ) Alcuni autori, ad esempio il Baer ed il Mantegazza , non credono possibile 'che gli splendidi colori, come quelli di molti uc¬ celli maschi, sieno dovuti all’ elezione sessuale, perchè se così fosse , bisognerebbe attribuire . alle rispettive femmine uno squisitissimo senso estetico , tanto più che non si tratta di colori uniformi, ma di fascie, screziature, macchie e perfino di disegni a volta complessi ( che ta¬ lora non si scorgono a occhio nudo o che stanno appiattati e non si vedono se non quando sono cercati). Egli è ben possibile che questi autori abbiano una parte di ragione , perchè taluni colori possono essere semplice- mente caratteri morfologici, ossiano caratteri

134

CAPO II.

dipendenti dalla struttura corporea, per esem¬ pio, delle penne. Noi conosciamo nei minerali dei colori splendidissimi , i quali certamente non sono dovuti a nessuna specie di elezione.

( Accordando che gli avversari possano avere una parte di ragione, il Canestrini condan¬ na colle sue stesse parole tutto lo zelo ado¬ perato a tenere ritta Y elezione sessuale. Egli si dichiara mezzo vinto, e tutto al più si sforza di salvare 1’ onore delle armi nel¬ la sua brava ritirata). Ma sussistendo per tal riguardo una differenza fra il maschio e la femmina, conviene almeno ammettere che quel carattere morfologico sia stato accre¬ sciuto nel maschio per effetto della elezione sessuale. ( E quando tale differenza non c’ è ? Pocanzi il professore ha detto che nelle dafnie ambedue i sessi sono vagamente colorati. Ah! ecco, dobbiamo ammettere nel maschio 1’ ac¬ crescimento di « quel carattere morfologico, » perchè il professore possa giustificare almeno in parte la sussistenza dell’ elezione sessuale. Ma prove del preteso accrescimento non ce ne sono ; e, d' altra parte, la ragione e gli argo¬ menti più calzanti ci persuadono che 1’ ele¬ zione sessuale non poteva produrre il sospi¬ rato accrescimento). A rendere la differenza fra i due sessi maggiore, ha forse contribuito * in alcuni casi l’elezione naturale, la quale

LA ELEZIONE 135

deve cercare di dare alla femmina , a prefe¬ renza del maschio, dei colori protettivi, i quali la sottraggano agli occhi de’ suoi nemici. ( Ra¬ gione di più per non tirar fuori la sedicente

elezione sessuale ). Nel mio libro sulla teoria

'

\ dell’ evoluzione, io ho asserito che i maschi i quali hanno colori vivi, attirando T attenzione dei nemici e sacrificandosi per la femmina e pei pulcini, riescono utili alla specie, per cui tale loro carattere potrebbe dirsi carattere patriottico. Il prof. Mantegazza crede che que¬ sta sia pura e semplice poesia, ma non credo eh' egli abbia ragione. »

0 chi dunque ha ragione ? Il Canestrini , colle sue contradizioni, coi suoi peregrini so¬ fismi ? Mi dispenso dal porre qui sotto gli f occhi del lettore il resto della prosa del Ca¬ nestrini. Trascrivo soltanto altre poche righe per dare un saggio dell’ abilità del profes¬ sore nello schermirsi e nell’ aggiustare i fe¬ nomeni a tutto suo comodo : « La forza è im¬ piegata per combattere contro i rivali , la bellezza per trattenere nel seguito le femmine ed impedire che si pongano agli ordini di un altro maschio. » « I colori originariamente erano tutti caratteri morfologici, e furono poi cambiati conforme le esigenze della elezione naturale e della elezione sessuale ; il canto stesso sembra essere stato dapprima al servizio

CAPO IL

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della elezione naturale, ed avere in seguito subito una modificazione nel maschio adulto per le esigenze della elezione sessuale. » (p. 305).

Altro che chiaroveggenza e intuizione di¬ vinatrice e poesia ! Gli è un giuocar di bus¬ solotti bello e buono, è un tentare ogni mezzo per galvanizzare un cadavere, è un dibattersi disperatamente per contrastare all’ evidenza dei fatti.

Presentando al pubblico 1’ ultimo libro del Canestrini sulla teoria darwiniana, il Mante- gazza scrive : « Per noi il Canestrini non ha che un difetto, quello di essere più darwiniano di Darwin. Egli non sa o non vuol vedere i difetti della grande teorica ; e anche dove

10 stesso maestro non intende e lascia aperto

11 problema alle ricerhe dell’ avvenire, egli vede tutto chiaro e inappuntabile, ostinandosi ancora a difendere 1’ elezione sessuale, che è il punto più debole dell’ edilìzio darwiniano e che pochissimi naturalisti hanno osato di¬ fendere. » (Archivio per V antropologia, voi X, p. 140).

Veramente il professore di Padova si tor¬ tura invano il cervello : invece di trovare il bandolo della matassa, s’ impappina e scuopre sempre più « il punto più debole dell’ edilìzio darwiniano. »

La burletta più grossa è questa : che il

LA ELEZIONE

137

Canestrini accetta e difende 1’ elezione sessuale secondo la teorica di Darwin, ma nello stesso tempo attribuisce ai caratteri della bellezza un significato diverso da quello che Darwin ha loro attribuito,

Affastellando citazioni e lasciandosi abba¬ cinare dall’ apparente semplicità di certi fat¬ tarelli, 1’ apostolo del darwinismo s’ impunta a predicare alle turbe Y ipotesi della elezione sessuale, e quasi va in collera contro chi non ci crede. Ha suscitato una burrasca in un bic¬ chier d’ acqua, mentre doveva persuadersi che non valeva il prezzo di pigliarsela colla mag¬ gior parte dei suoi amici darwinisti. Potrà scrivere una serqua di volumoni in folio sul- 1’ elezione sessuale ; ma le parole non fanno la cosa ; e nessuno s’indurrà ad accettare una ipotesi, la quale, come regola generale, sup¬ pone che negli animali i sentimenti estetici abbiano grandissima influenza sugli istinti sessuali.

Il Mantegazza chiama 1’ elezione sessuale « un vero romanzo sientifìco. » Il Canestrini ne fa una « macchietta esilarante. »

Dopo tutto, 1’ elezione sessuale è un cerotto applicato ad una gamba di legno.

E la gamba di legno è 1’ elezione naturale quale principale collaboratrice ed elemento più essenziale nella creazione delle nuove specie.

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CAPO II.

Nel principio della prefazione al libro The Descent of man, Darwin deplora che molti dei più antichi ed onorati capi nella scienza na¬ turale non ammettano il trasformismo. Per farlo accettare dai moderni, egli diede al tra¬ sformismo un indirizzo che in parte può dirsi nuovo. Immaginò che colla variabilità illimi¬ tata e colla elezione avrebbe assicurato al trasformismo Y assenso e il favore dei moderni naturalisti. Ma alla prova non regge la prima la seconda supposizione.

Negli organismi c’è una tendenza alla va¬ riazione, certo sì. Ma cotesta tendenza ha una causa ignorata , ha dei limiti, ed è vaga, inaccessibile al calcolo, incapace di tenere in piedi una teoria così vasta, astrusa ed audace coni’ è il darwinismo.

Pressato dalle obiezioni e messo alle strette, il maestro si lascia indurre a designare certi limiti alla variabilità, sebbene finisca coll’ ar¬ ruffare di più il suo sistema.

Riproduco testualmente:

« C’ è una lotta costante fra la tendenza di ritorno ad uno stato meno perfetto, com¬ plicata d’ un’ altra tendenza innata a nuove variazioni, ed il potere di costante elezione che agisce d’ altra parte per mantenere pura la razza. » ( Origin of species , p. 121).

L’elezione costante e naturale, ecco il punto

LA ELEZIONE

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principale, intorno a cui si rigira il darwi¬ nismo.

Prima di tutto, Y elezione costante e natu¬ rale spiegherebbe le forme realmente esistenti coll ipotesi che oltre quelle realmente esistenti ne potettero esistere altre. Di tutte queste al¬ tre, fra le quali essa scelse, non ci può dare alcuna spiegazione.

If elezione naturale agisce poi per « cieca necessità; » ma tale cieca necessità è, secondo il darwinismo, governata dal principio di uti¬ lità.

Cotesto è un errore di palmare evidenza. Operare ciecamente non è operare utilmente. I due termini : casualità ed utilità non sono sinonimi, non includono la stessa idea,, non hanno Y obbligo di agire nello stesso senso e collo stesso risultato. Chi se ne rimette al caso, deve tener conto dei capricci del caso, deve stare alle conseguenze dell’ imprevisto e dell’ imprevidibile, deve guardarsi di confon¬ dere la legge col caso, deve sapere che l’utile può unirsi al casuale, ma non è necessario che ci si unisca.

Intanto la teorica di Darwin suppone che il caso e f utilità procedano sempre in per¬ fetto accordo.

Per i darwinisti non ci sono che variazioni numerose, piccole ed utili, prodotte da circo-

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CAPO II.

stanze casuali. Se potessero, coteste parole si stupirebbero di trovarsi assieme. La parola numerose è elasticissima, può salire ad altez¬ ze immensurabili e presa alle congetture più ardite. Variazioni piccole . sta bene. Varia¬

zioni utili.... sta ancor meglio. Ma nulla prova che le variazioni utili sieno le più numerose; nulla prova che le variazioni piccole sieno ne¬ cessariamente utili.

Il principio di utilità non si accorda col- L altro principio darwiniano del progresso continuo e della instabilità indefinita, poiché 1’ evoluzione degli organismi in tanto è utile, in quanto conduce ad una condizione stabile.

La quistione si oscura maggiormente, quan¬ do ci. affidiamo al caso il quale, dopo di avere scelto, deve anche conservare e far progre¬ dire la scelta fatta, cioè le variazioni utili. Così avremmo una serie indefinita di circo¬ stanze, sapientemente e metodicamente com¬ binate dal caso, che, viceversa, non è sapiente, non ha metodo e non sa combinar nulla.

Che tutte le piante e tutti gli animali at¬ tuali siano forme di sviluppo da piante e da animali che li hanno preceduto, non è punto dimostrato da Darwin; anzi dice il profes¬ sore Bi scilo ff (TJeber die Verschiedenlieit in der Schàdelbildung des Gorilla , Monaco 1867, p. 87) non è neppure reso verosimile.

LA ELEZIONE

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La trasformazione delle specie mercè 1’ ele¬ zione naturale dovrebbe essere una legge generale del mondo organizzato, un fatto uni¬ versale e continuo ; eppure i darwinisti non possono allegare un solo esempio. Se tentano addurne qualcuno, per provare fosse pure la semplice possibilità della trasformazione delle specie mediante 1’ elezione naturale, chiacchie¬ rano più del bisogno , distraggono 1’ altrui attenzione , si arrampicano per inaccessibili viottoli, s’immergono nell’astratto e fanno ve¬ nire le vertigini a loro stessi e a chi li ascolta. Curioso fenomeno ! le prove positive della tra¬ sformazione prodotta dalla scelta naturale do¬ vrebbero appalesarsi dappertutto, ma disgra¬ ziatamente non si scuoprono in nessun posto!

Un darwinista tedesco dopo di aver dichia¬ rato che la teorica dell' elezione naturale è « solamente probabile, » aggiunge eh’ essa è anche « un postulato del sano intendimento umano. »

Povero intendimento umano ! coni’ è cac¬ ciato per forza e a sproposito dove non può e non deve stare! com’ è maltrattato e torturato !

Se 1’ elezione naturale fosse vera, non ur¬ terebbe così spesso in fenomeni ed in fatti che recisamente la contraddicono, come per esempio le origini delle strutture rudimentali,

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capo ir.

la tendenza irresistibile di ritornare al tipo, la simmetria e la correlazione fra le diverse parti dello stesso organismo, 1’ indipendente origine di strutture similissime, ecc. ecc. Pi- ctet affermò che « la parte attribuita da Dar¬ win all’ elezione naturale è smentita da tutti i fatti. » ( Bibliotlièque Universelle di Ginevra, marzo 1860). Dobbiamo dunque dire che i fatti hanno torto, che non hanno alcun valore, per¬ chè si oppongono ad « un postulato del sano intendimento umano ? »

Il Du Bois-Revmond, a giustificare V ele¬ zione naturale , ricorre magari anche alla metafisica ; ma ne esce ugualmente sconfitto. Secondo questo filosofo, le leggi di formazione della materia e la elezione naturale si com¬ pletano a vicenda. Egli stesso poi afferma, che le leggi di formazione della materia non possono spiegar nulla.

Così, 1’ elezione naturale che è « un po¬ stulato del sano intendimento umano, » si com¬ pleterebbe con leggi che non spiegano nulla !

L' elezione naturale non si completa con nessuna legge e non entra nel sano intendi¬ mento, perchè è un astrazione di nuovo ge¬ nere, un’ astrazione inconsapevole ed insieme intelligente, abbandonata al caso e insieme dotata di un’ attenzione, di una preveggenza e di una perspicacia universale !

LA ELEZIONE

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Data l’ipotesi della trasformazione mecca¬ nica, trovo il Lamarck più conseguente a se stesso, quando scrive : « La natura non è che uno strumento. » (Sy stèrne analytique cles connaissances positives eie V ìiomme). « La natura è dappertutto assoggettata a leggi co¬ stanti, sulle quali non ha alcun potere. » « La natura è un potere limitato e, in certo modo, cieco, un potere che non ha inten¬ zione, scopo, volontà. » (Histoire des animaux sans vertèbres , Voi. 1°, p. 214 e 322).

Darwin invece pone a base deir elezione non so quali leggi naturali, indipendenti, arbi¬ trarie e strapotenti.

Egli si. lascia trasportare e inneggia al¬ la natura previdente, intelligente, sapiente, tutta intenta a raccogliere, scegliere, accumu¬ lare, formare. Ma ecco un darwinista, ecco il D.r Arnold Dodel-Post che, senza metafore e senza circonlocuzioni, dice chiaro e netto che codesto previdente ed intelligente potere nella libera natura non c è. Riproduco le sue testuali pa¬ role: « Nella libera natura, una sostanza in¬ telligente non guida e non può guidare la nuova formazione delle razze e delle varietà, perchè, secondo le esperienze sinora fatte dal¬ le scienze naturali, una tale sostanza nella libera natura non esiste. » ( In der freien Natur ein vernunftbegabtes Wesen die Neu -

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CAPO II.

bildung von Rassen und Varietàten nicht leitet und niclit leiten kann, weil nach den bisherigen Erfahrungen der Natumvissen- scliaften ein solches Wesen in der freien Na- tur nicht existirt 1. c. p. 55).

Sordo al richiamo, Darwin tranquillamen¬ te si affida alla natura che scruta, esamina, elegge con cura, con pazienza, con abilità;

come se le « leggi naturali » fossero « libere volontà, » che sanno servirsi a tempo e luogo del loro potere, e stanno sempre attente a cogliere le buone occasioni per formare nuove specie ; come se i tipi specifici fossero mosaici ed aggregati di caratteri prodotti, isolatamente o 1’ uno dopo 1’ altro, dalla elezione.

Alcuni darwinisti sospirano e mormorano: Non abbiamo altra scappatoia che 1’ elezione naturale : fra annegare e salvarci con questa tavola, preferiamo aggrapparci alla tavola.

Ebbene replica Ermanno Ulrici que¬ sta dichiarazione è, a mio credere, la sentenza di morte del darwinismo come teoria. (Diese Erhldrung ist meines Eraclitens die Todes - erhldrung des Danvinismus als Theorie. Zeitschrift fur Philosophie und philosophi- sclie Kritik, Halle 1877, Voi. 71.° ).

Lo stesso Ulrici diceva (1. c. p. 151) che la teoria darwiniana è un’ ipotesi, la quale, bene esaminata, non ha più valore di tante

LA ELEZIONE

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altre ipotesi (keinen liòlieren Werth liat als so viele andere). Più sotto 1’ autore aggiun¬ geva che « il darwinismo si presenta come una di quelle ipotesi artificiali, alle quali cre¬ de soltanto chi non ne vede le difficoltà e le contradizioni o provvisoriamente le ignora. » ( Der Darwinismus erweist steli als einejener hunstlichen Hypothesen an die nur glaubt wer die Widerspruche und Schwierigheiten niclit sielit oder sie vorldufig ignorirt).

A me non sembra che il giudizio dell’Ulrici sia troppo severo. Penso però che la scien¬ za deve molto a Darwin. Penso col signor Radan (V. Revue des deux mondes , dicembre 1868) che 1’ ipotesi di Darwin ha reso interas- santi servigi all’ umano sapere. Una folla di particolarità che, isolate, non avrebbero atti¬ rata 1’ attenzione, tutt’ a un tratto acquistano grande importanza per il ravvicinamento con altri casi simili. E così, a poco a poco la scien¬ za svela il legame che esiste fra fenomeni in apparenza eterogenei. Qualunque sia la sorte della teoria di Darwin, resterà sempre P im¬ mensa quantità di documenti d’ ogni genere, prodotti per sostenerla. Certamente la scienza profitterà del movimento d’ idee veramente straordinario, di cui cosiffatta teoria è stata il punto di partenza.

Di Bernaii-do. Il Darwinismo e le specie animali

10

146

CAPO II.

Questo è secondo me il merito del darwinismo, non quello di avere arricchito la storia naturale di due fatti generali : la lotta per 1’ esistenza e 1’ elezione naturale.

CAPO III.

P Eredità.

Nessuna teoria scriveva Eugenio Rev ebbe mai la fortuna del darwinismo. Non solo esso penetrò, accarezzato da tanti illu¬ stri studiosi, in ogni ramo dello scibile, ma ormai si può dire che sorpassa le esigenze di un sistema ; il darwinismo si impone , e da molti non si discute più.

Se molti si lasciano imporre dal darwini¬ smo e non intendono discuterlo, si servano ; ma io credo essere nell’ interesse della scien¬ za che lo si discuta. Se il darwinismo fosse una verità scientifica, di certo non lo discute¬ remmo più; l’accetteremmo di buon grado, anzi lo porremmo nei programmi delle scuole. A questo punto non ci siamo. Lo stesso cele¬ bre Dr. Virchow ebbe a concludere che « la teoria della discendenza non è ancora una ve¬ rità, alla quale si possa prestare una fede cer¬ ta. » L Anthropological Revieio, che non può

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CAPO III

essere sospetta di opposizione cocciuta a Dar¬ win, andava più in là, e nel suo numero del gennaio 1869 diceva: « Le conclusioni, alle quali siamo indotti dalla teoria dell' evoluzione, quale d’ ordinario ci vien presentata, sono, co¬ me abbiamo veduto , troppo incompatibili coi fatti della scienza zoologica, per permetterne l’accettazione. (The conclusions to lohich ive are led by thè iheory of development , as it is usually presented, are , as we have seen , too inconsistent voith thè facts of zoological science to permit their ac ceptance).

Dunque la teoria di Darwin va discussa ; ma discuterla non vuol dire criticarla con passione e rigettarla sdegnosamente. E fuori di dubbio che il trasformismo ha avvezzato, ha quasi obbligato gli studiosi ad osservare minutamente tutti i fenomeni, anche quelli che sembravano o troppo insignificanti o trop¬ po complessi e inesplicabili. Non si può ne¬ gare che, prima di Lamarck, in zoologia, in botanica, in paleontologia prevaleva un inco¬ moda rigidità dottrinale. Non si può negare che i vecchi dogmi impedivano molte ricerche e la coordinazione razionale dei fatti raccolti. Non si può negare che oggidì si sa maggior¬ mente valutare l’ importanza e le conseguenze pratiche di molti fenomeni, quali la rassomi¬ glianza fra le primitive condizioni di esistenza

L EREDITA

149

e quelle attuali, la originaria semplicità orga¬ nica, la crescente complicazione e il differen¬ ziarsi degli organismi, Y impronta fondamen¬ tale del tipo che si conserva nei suoi rappre¬ sentanti e nei suoi discendenti, 1’ uniformità generale del mondo organico nel passato e nel presente ad onta del tempo e dello spazio. Così del pari la stretta attenenza che talora unisce in una medesima contrada gli animali vivi e quelli spenti in virtù della legge di succes¬ sione dei tipi, 1’ estinzione di specie isolate o di interi gruppi d’ individui, la simultanea trasformazione di alcune forme organiche, la correlazione fra il globo e gli esseri eh’ esso nutre, Y adattarsi di un medesimo organo al compimento di diverse funzioni questi ed altri fenomeni fanno ai nostri giorni pensare molto più di prima.

Appunto perchè oggi pensiamo più di prima, abbiamo non solo il diritto , ma il dovere di discutere ampiamente Y ipotesi di Darwin.

L’ ipotesi non è il fatto , il possibile non è il reale, 1’ abilità di coordinare arbitraria¬ mente una serie di idee e di fenomeni non è la scienza.

Il valente caposcuola inglese ha per il fàscino dell’apostolo, convinto della bontà della . sua causa, ed ha tutte le seduzioni di una vi¬ vace, spigliata, brillante fantasia. Ma la sua

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CAPO III.

dottrina non si appoggia , in fondo in fondo, che a sospetti ingiustificati , anzi sconfessati dalla regolare e sicura economia che domina nel regno organico.

Le ingegnose supposizioni, presentate con arte, possono piacere; ma i soli fatti hanno il privilegio di convincere. La lettura delle opere di Lamarck, di Etienne Geoffroy Saint-Hilaire e particolarmente di Darwin diletta moltissimo, ma non riesce a convincere. Le teoriche fon¬ date sopra vaghe ipotesi, comunque attraenti, non possono sopprimere oscurare la ve¬ rità che si sprigiona dai fatti.

Niente mi lega ai dogmi del passato; niente mi sta più a cuore del progresso della scienza; niente detesto più dell’ ignoranza che s’ in¬ coccia a rimanere attaccata alle vecchie su¬ perstizioni.

Ma anzitutto mi preme di non sostituire L immaginazione al criterio scientifico, di non barattare un dogma vecchio con un dogma nuovo , una metafisica vecchia con una me¬ tafisica nuova. Per quanto abbia studiato e frugato nelle opere dei darwinisti, non ho tro¬ vato la scienza dell’origine, della formazione e del trasformismo delle specie. Darwin, entusia¬ sta della sua teoria, non si scuote alle obiezioni che gli si fanno : cerca di risolverle; ma è trop¬ po preoccupato per vederne tutta la portata.

l’ eredità

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A volte confessa di non avere sottomano una soluzione soddisfacente; ma subito dichiara eh’ egli resta nondimeno saldo nella sua con¬ vinzione. Se corregge momentaneamente il suo linguaggio sotto la pressione delle difficoltà, la persistenza delle sue idee fìsse non tarda a mostrarsi di nuovo. Egli crede di aver pro¬ vato la sua ipotesi, mentre non ha fatto che svilupparla con molti materiali e con una farraggine di deduzioni. Comprendo 1’ entu- siamo di Darwin e dei suoi discepoli; ma non lo divido. Allora solamente diventerò parti¬ giano del darwinismo, quando lo si accorderà coi dati positivi dell’ osservazione e col metodo induttivo delle scienze naturali.

La disposizione dei fatti nei libri di Dar¬ win non è un’ opera di scienza : « i rav¬ vicinamenti vi tengono il posto dei ragiona¬ menti, e le rassomiglianze parziali o transitorie sono gabellate per prove di filiazione. »

Ecco in che. consiste tutto il suo sistema.

Egli passa con sorprendente facilità dal possibile al verosimile, dal verosimile al pro¬ babile, dal probabile al certo ; e finisce col supporre dimostrato ciò che ancora si deve dimostrare.

Io non so acconciarmi a cotesta manie¬ ra di procedere. E imprima domando che mi si provi il punto più essenziale, il capo

CAPO III.

152

saldo della dottrina darwiniana, cioè 1’ indefi¬ nita trasmutazione degli esseri, Il fatto è4 che vediamo intorno a noi delle razze crescere, svilupparsi e perire, mentre nessuno ci ha potuto mostrare una specie derivata da un’ al¬ tra, un tipo più elevato venuto fuori da un tipo inferiore. Si discorre, si stampano volumi su volumi, si suscitano polemiche, si fanno pubbliche conferenze, magari si fondano clubs o circoli darwi niani ; ma 1’ invocata prova è ancora di da venire.

Ora sinché il darwinismo non risolve que¬ sta quistione capitale, io m’ inchinerò ed of¬ frirò la mia parte d’ incenso al progresso delle scienze naturali ; ma continuerò a soste¬ nere che la teoria dellfinsigne filosofo inglese non è scientifica.

D’ altronde ai darwinisti non si risponde così su due piedi e con quattro parole gene¬ rali, buttate alla svelta..

Continuando nel mio assunto, dopo aver parlato della concorrenza vitale e della ele¬ zione, passo a trattare la non meno grave quistione della eredità.

La parte che tocca all’ eredità nella teorica della elezione naturale è importante non solo, ma preponderante.

Uno dei principali fondamenti dell’ elezione naturale è V accumulazione delle differenze.

L EREDITA

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Ad accumulare le differenze, 1’ eredità è mezzo efficacissimo quanto indispensabile. Soltanto in virtù dell’ eredità gli organismi trasmettono ai discendenti le modificazioni acquistate.

Le variazioni tendono a riprodursi mediante la generazione. Ecco uno dei dati più certi della fisiologia generale ; ecco un fatto che si ripete costantemente e che forse per ciò non richiama sopra di 1’ attenzione che merita.

Che 1’ eredità abbia una certa influenza nella modificazione degli esseri, è incontesta¬ bile. Nego però che 1’ eredità agisca nel sen¬ so, nelle proporzioni e nell’ intento che ai darwinisti piace affermare.

Come di solito, anche qui i darwinisti non sanno fermarsi a tempo. Preso 1’ aire , non badano più ai fatti, si sciolgono dall’ obbligo di rimanere positivisti, si adagiano sull’ astra¬ zione , si mettono a generalizzare e a but¬ tar fuori teoriche con una facilità più che meravigliosa. Così, alcuni darwinisti senten¬ ziano che 1’ eredità si applica anche alle facoltà e alle malattie intellettuali; squattri¬ nano sull’ eredità una quantità di speculazioni che possono servire come ginnastica del pen¬ siero, ma non hanno nessun legame colla filo¬ sofìa sperimentale ; e finiscono col persuadersi di aver trovato un’ eccellente spiegazione per la nobiltà ereditaria , le caste ereditarie , la

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CAPO III.

monarchia ereditaria, e via via per altri feno¬ meni intralciati ed inesplicabili coi soli ma¬ teriali, di cui la filosofia empirica per ora dispone.

Non c’ è bisogno di astruse distinzioni, di calcoli ed equazioni difficili , di complicate divisioni e suddivisioni rispetto al principio di , eredità per capire che la trasmissione delle superiori facoltà intellettuali è sventurata¬ mente un fatto raro ed eccezionale. Non c’ è bisogno di martellarsi il cervello per ricono¬ scere che non pochi padri di limitatissima intelligenza hanno avuto figli di straordinaria abilità e d’ ingegno poderoso ; mentre, vice¬ versa, dei padri ricchi di acuto intendimento, di sapienza e di grandiosi pensieri hanno dato figliuoli inetti a vivere nel mondo della scienza, incapaci di spiccare il più piccolo volo.

Quello che vale per le facoltà intellettuali si applica altresì alle qualità dell’ animo e del cuore.

È dunque pericoloso 1* almanaccare e sta¬ bilire leggi , raccapezzare sistemi e sputare paradossi a spese dell’ esperienza e dei fatti conosciuti.

Secondo i darwinisti , il meccanismo dei- fi eredità contribuisce a rendere più plausibile ed accettabile la teorica del trasformismo. In tanta incertezza, in tanto arruffìo di fatti di-

l’ eredità

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scordanti, in tanto contrasto di disparati feno¬ meni , io , per me , non mi capacito come e perchè 1' eredità sia invocata dai darwinisti in appoggio della lenta , graduale , progressiva trasformazione delle specie. L’ eredità influisce sulla costituzione, sulle attitudini e le inclina¬ zioni degli esseri organizzati ; ma cotesta in¬ fluenza non è così costante, così strapotente, così eccessiva , come ai trasformisti piace e conviene asserire.

Il principio di eredità ha giustamente richia¬ mato f attenzione dei dotti sopra svariatissi¬ me ed interessanti questioni ; ma le eccezioni si presentano a migliaia e non consentono di procedere a rompicollo nel fissare norme universali, nel prendere la parte per il tutto, nello scovare conclusioni che fanno a pugni colle premesse.

A buon conto, V eredità ha, nel suo insieme, un carattere eminentemente conservativo ; e davvero non so per qual motivo i darwinisti s’intestino a vedere in essa un efficace stru¬ mento, un ammirabile ausiliare della sconfi¬ nata mutabilità delle specie , della indefinita instabilità.

L’ eredità, imprimendo un carattere di permanenza alle modificazioni acquistate, giova certamente alla formazione delle razze, tanto che, a ragione, si è potuto asseverare che le

CAPO III.

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razze in ogni specie sono « delle varietà co¬ stanti che si perpetuano colla generazione. » L’ industria umana e 1* opera della natura sono di sicuro riuscite a rendere permanenti certe razze ; ma le razze non sono tipi orga¬ nici, non sono specie ; epperò la permanenza delle modificazioni acquisite delle razze non può essere considerata come una prova della illimitata mutabilità dei tipi e delle specie.

La stessa conservazione dei caratteri co- mecchesia acquistati dalle razze non è costante: a volte invece di andare avanti, si va all’ in¬ dietro ; si perde, in tutto o in parte, il terre¬ no che si era guadagnato ; gli animali modi¬ ficati dalla domesticità ritornano al loro tipo selvaggio, quando ricuperano la libertà e ri¬ prendono il primiero regime di vita.

*

E un fatto universalmente riconosciuto che L organizzazione dei discendenti è simile a quella dei genitori : cambiamenti specifici, metamorfosi, trasformazioni non ne succedono, perchè essendo differenti i due fattori che concorrono alla generazione, le qualità e le proprietà di uno di essi vengono neutralizzate dall’ azione opposta dell’ altro.

Somma tutto, come per le doti intellettuali e morali, così per la forma, i risultati dei- fi eredità sono dubbi, incerti, instabili. Nell’ al¬ levamento delle piante e degli animali si tien

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conto del principio di eredità e se ne cavano vantaggiosi effetti ; ma per quanta buona volontà ci mettano, i darwinisti non possono confondere i risultati semplicemente naturali coi risultati che si ottengono mercè l’intervento e T opera dell' uomo. Si ha un bel ripetere che T eredità , più di ogni altra azione materiale e fisica, si fa valere nell’ imprimere i caratteri corporali che intellettuali. Ma non è men vero che trattandosi di eredità non si sa che pesci si pigliano e quando si è per decife- rare alla meglio una controversia, in molte al¬ tre il velo si fa più fìtto ; 1’ oscurità, più densa.

Certo è che la trasmissione delle buone qualità come quella delle anomalie si effettua in condizioni differentissime. I genitori pos¬ sono trasmettere a tutti i figli le loro ano¬ malie, le loro malattie del pari che le loro buone qualità ; possono trasmetterle soltanto ad alcuni figli ; possono trasmetterle solo in parte ed in gradi diversissimi ; e possono an¬ che non trasmetterle.

Ecco un fatto che Lewes, Thaer, Wagner, Langsdorf, Waitz, Nott, Gliddon, quanti altri eruditi di gran conto hanno approfondito questa materia, possono revocare in dubbio.

Cito Bùchner che passa per uno dei più valenti darwinisti. Attenti :

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« Una particolarità, un’ attitudine, una tendenza corporale o intellettuale del padre, che si sia trasmessa per eredità sotto F egida di circostanze favorevoli, può essere intera¬ mente annullata e soppressa dall’ influenza materna; e così reciprocamente. E d’ altra parte, quel tanto che esiste di sfavorevole nelle esterne circostanze, può anche, in gene¬ rale, impedire frequentemente che le partico¬ larità novellamente prodotte divengano dure¬ voli. »

Giacche siamo con Btichner , riporto un altro brano del suo saggio sulle eredità fisio¬ logiche: « La questione di sapere sino a qual punto F influenza dei due esseri che concor¬ rono ogni volta alla produzione , vengano a contrasto nell* individuo prodotto , è ancora molto oscura ; e noi sappiamo solamente , in modo preciso, che queste influenze ora si con¬ trobilanciano ed ora no; ora predomina U in¬ fluenza del padre, ora quella della madre; ora certe qualità ed ora certe altre si trasmettono di preferenza dal padre oppure dalla madre. In certi casi queste qualità possono svilupparsi senza impedimenti di sorta ; a volte invece s’ incontrano con influenze perturbatrici , che frappongono ostacoli al loro sviluppo. » L’au¬ tore cerca di attenuare F impressione di que¬ sti fatti con dei però , se , tuttavia e simili par-

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ticelle; ma dalli e dalli , sospira e soffia, muta lato e cambia posizione, Btichner torna infine a ripetere che « le leggi naturali le quali eserci¬ tano qui la loro influenza sono ancora troppo poco conosciute. » Egli si augura che in avve¬ nire le cose andranno meglio; l’ignoranza, non foss' altro, diminuirà; le cose oscure divente¬ ranno chiare e la luce si sostituirà al buio. Magari ! dico io : si avveri presto il lieto pronostico e vada in malora chi paventa l’ au¬ mento delle nostre cognizioni e la luce.

Piaccia o no, nel mondo c’è gente che ha una paura matta del sapere ed alla scienza preferisce la sedicente beata ignoranza. Io non ho questo rimorso, non accetto 1’ ignobile opinione di tali codini e ardentemente desidero che la scienza disperda 1’ ignoranza e strappi le cortine, dietro le quali si appiatta Y errore. Nello stesso tempo sono d’avviso che la scienza non si fabbrica coi desideri e coi felici au¬ guri.

I trasformisti sono, prima di tutto, positi¬ visti, e certo non aspirano ad imporre le loro opinioni , appoggiandosi alla speranza che in avvenire le tenebre si diraderanno e al nuvolo succederà il bel tempo. Per ora è nostro do¬ vere constatare e porre a contributo per la scienza i procedimenti rigorosamente osservati dalla natura.

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Rispetto all’eredità, l’esperienza attesta che i prodotti somigliano ai producenti: il lichene ci il lichene e dal mollusco o dal raggiato non vien fuori che il mollusco o il raggiato; i parti degli esseri organizzati, qualunque sia il loro grado nel regno vegetale od animale, sono le immagini viventi dei loro genitori ; la fecondità è il mezzo ordinato dalla na¬ tura alla riproduzione e conservazione dei tipi.

Questo, non c’è che dire , è un assioma, a cui il dotto deve inchinarsi non meno che 1’ uomo volgare. Ma tale assioma sa di ostico ai darwinisti, ai quali preme che i discendenti si trasformino, alterando profondamente l’im- magine dei tipi, e riescano, col succedersi delle generazioni, a creare nuove specie. I darwi¬ nisti hanno il torto di sentire a sordo e di scor¬ gere una sorgente di nuove specie nella va¬ rietà che, se ben si guardi , sta soltanto in ragione di adornamento , non manca mai e non arreca nesssun disordine nell’ economia del regno organico.

Di fronte a queste regole della natura, così chiare, così ovvie, così innegabili, Hàckel si leva il gusto di arzigogolare e d’ imbastire una teorica che risponda alle esigenze del darwinismo. Seguiamolo un po’ ne’ suoi di¬ porti attraverso il vasto campo del principio d’ eredità.

l’ eredità

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Secondo lui, Y eredità si distingue in con¬ servatrice e progressiva (erhaltende und fort - schreitende Vererbung ). All’ eredità con¬ servativa corrisponde la legge della eredità ininterrotta o continua. Questa legge consi¬ sterebbe in ciò, che presso la grandissima maggioranza delle specie vegetali ed animali ogni generazione è uguale all’ altra, e i ge¬ nitori sono uguali così ai nonni come ai figli.

Questa legge si applicherebbe tanto gene¬ ralmente, che il profano ne esagera gli effet¬ ti e la ritiene quale unica e sola legge ere¬ ditaria.

Ma in un certo contrasto con essa starebbe la legge della eredità interrotta o latente, che può anche chiamarsi alternativa ( abwe - cliselnde).

In virtù di cosiffatta legge, i discendenti sarebbero uguali non già agli immediati ge¬ nitori, bensì agli ascendenti ; i nipoti sareb¬ bero uguali ai nonni, ma dissimili dai genitori. Sotto tale legge si comprendono, per Hàckel, i fenomeni dell’ atavismo.

Seguirebbe in terzo luogo la legge della eredità sessuale ( geschlechtliche Vererbung ), in grazia della quale ogni sesso trasmette ai discendenti del proprio sesso certi caratteri che non tramanda ai discendenti dell’ altro sesso.

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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CAPO III.

Una quarta legge ci presenterebbe l’eredità bilaterale o mista, vai come dire i casi in cui il discendente erediti caratteri insieme paterni e materni.

L’ eredità sommaria o semplificata ci da¬ rebbe una quinta legge, la quale, secondo Hàckel, sparge una gran luce sulla storia dello sviluppo degli organismi.

Alle leggi dell’ eredità conservativa l’au¬ tore contrappone le leggi dell’ eredità progres¬ siva.

A capolista è la legge dell’ eredità adat¬ tata ( der angepassten Vererbung). Coll’aiuto di codesta legge, date certe circostanze, l’or- ganismo sarebbe capace di trasmettere ai suoi discendenti tutte le proprietà che duran¬ te la sua vita ha acquistato mercè adat¬ tamento. Così si ereditano molte malattie ed alcune particolarità nella forma esteriore.

Segue la legge della eredità consolidata (befestigten Vererbung). Le proprietà che fu¬ rono aquistate da un organismo nel corso della sua vita individuale, si tramanderebbero ai di¬ scendenti con tanto maggior sicurezza, quanto più a lungo agirono le cause di quelle varia¬ zioni. Le proprietà acquistate coll’ adattamento o colla variazione devono consolidarsi sino ad un certo grado, prima che si tramandino alla posterità.

l’ eredità

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Quando alcune qualità appariscono nei di¬ scendenti alla stessa età in cui sono appar¬ se negli ascendenti, entrerebbe in azione la legge della eredità omocrona.

Finalmente abbiamo la legge dell’ eredità omotopa, ossia dell’ eredità in una data corri¬ spondente parte del corpo. Questa legge si ap¬ paleserebbe allorché le modificazioni trasmesse si riproducono, presso i discendenti, giusto nelle stesse parti del corpo che presso i loro genitori.

Ora domando io: Che cosa si ritrae da que¬ sta enumerazione di fatti ? Dopo di aver di¬ stinto l’eredità conservativa dalla progressiva, 1’ eredità continua dalla discontinua, quella sessuale dalla bilaterale, e poi l’eredità adat¬ tata dalla consolidata e quella omocrona dalla omotopa, ci siamo forse incamminati verso la soluzione del problema ? Che schiarimenti porgono queste diverse maniere di eredità sulla formazione di nuovi organi , di nuovi caratteri, di nuove specie ? Conosciamo per avventura sotto quali condizioni ed in quali circostanze interviene l’ eredità conservativa piuttostochè quella progressiva ? E fra tutte le sedicenti leggi di queste due eredità , sap¬ piamo quando ha da agire 1’ una e quando l’altra? Che ci si guadagna dando il nome di leggi ad una tiritera di fatti ? Si tolgono così la confusione e il ginepraio dei casi di-

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CAPO III.

scordanti e contraddittori ? Fra le diverse leggi che relazione ci corre? Fra tante leggi qual’ è il principio direttivo ? qual’ è il nesso di causa ed effetto che almeno dalla lontana ci lasci indovinare in che modo si vanno formando le nuove specie ?

Le pretese leggi non sono che « modalità di trasmissione ereditaria. » E queste stesse « modalità » sono anche discutibili. È ben facile mettere assieme e snocciolare una rac¬ colta di aneddoti ; ma dagli aneddoti alle leggi ci sta un abisso.

Virchow dice che V eredità è una proprietà fondamentale di ogni essere organico , è la condizione fondamentale di tutti gli esseri viventi. Ci assicura che i discendenti sono i testimoni della forma corporea degli ascen¬ denti. Aggiunge che i naturalisti in generale chiamano specie le serie di esseri viventi, che si propagano con permanenti proprietà e con una certa costanza della costituzione interna e della forma esteriore.

Tutto questo lo ammetto senza la più pic¬ cola esitazione; ma, confesso la mia ignoranza, non capisco perchè il darwinista C. C. R. Hart¬ mann citi codeste innocue proposizioni in ap¬ poggio della teorica darwiniana. È il caso di ripetere che se non ha altro per isfamarsi, morirà d’ inedia.

L* EREDITÀ 165

Darwin confessa che le leggi dell’ eredità per la maggior parte non sono ancora cono¬ sciute ( The laws governing inheritance are for tlie most part unknown. 1. c. p. 10); ma quando non sa dove dar la testa, tira in mezzo le sconosciute leggi dell’eredità, e un po’ colla lotta per 1’ esistenza, un po’ coll’elezione naturale, un po’ colla eredità cerca di sbaraz¬ zarsi delle obiezioni che gli si fanno. Per esempio, egli non può negare in molti ani¬ mali 1’ esistenza di organi inutili. Siccome, stando all’ elezione naturale, codesti organi non si spiegano, ei chiama in soccorso l’ere¬ dità, dicendo che gli organi di poca impor¬ tanza e senza utilità attuale « probabilmente in alcuni casi sono stati di una grande utili¬ a qualche antico progenitore; dopo di es¬ sersi lentamente perfezionati in un’epoca an¬ teriore, si sono trasmessi quasi nello stesso stato, benché diventati di poco uso. » (1. c. p. 157.) Ecco perchè a suo credere 1’ oca di Magellano e la fregata hanno conservato la membrana interdigitale che « senza alcun dubbio » {no doubt. Ibid. p. 160) fu già utile ad un loro antenato sconosciuto. E perchè tanti e tanti rettili hanno la coda? Perchè risponde Darvin discendono da specie aquatiche, presso le quali la coda rappresen¬ ta sovente un organo di locomozione: quan-

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CAPO III.

tunque in disuso, la coda tuttora esiste per trasmissione ereditaria.

Lascio stare che se tutto ciò fosse vero , le leggi che lo stesso Darwin stabilisce là. dove parla di adattamento , in gran parte sfumerebbero. Ma affermo, che chi accetta per buone coteste ragioni tratte da un ipote¬ tica, speculativa ed incontrollabile discendenza ereditaria, dev’ essere di contentatura più che facile. Qui non si tratta più di leggi dell’ ere¬ dità , ma di possibili e punto probabili tra¬ smissioni ereditarie. Le leggi dell’eredità sono sconosciute; tuttavia si cavano da esse le più ardite supposizioni e si gabellano per plau¬ sibili spiegazioni ! E una volta preso questo sdrucciolo , non c’ è motivo per fermarsi più qua più là. Cosi corazzato, Darwin sfida ogni sorta di difficoltà. Volete, per esempio, rendervi conto del contrasto presentato dal picchio ame¬ ricano ? Subito fatto, supponete che un antena¬ to del picchio americano abbia avute abitudini tutte speciali a questa organizzazione. Suppo¬ nete inoltre che i suoi discendenti si modificas¬ sero in quanto ai costumi, ma non in quanto alla forma. E V enimma si scioglie come per incanto ! Negli alveari, nei formicai e società- analoghe ci sono gli individui neutri, cioè ste¬ rili. Davanti a simili fenomeni di sterilità, il tisiologo non si raccapezza. Darwin asso-

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miglia la sterilità « ad ogni altra struttura un poco anormale , » e tira via come se nulla fosse. Gli si fece riflettere che Y esi¬ stenza dei neutri nelle api , nelle formi¬ che, ecc. non ha alcun rapporto colla strut¬ tura anormale. Si tratta,, invece, della produ¬ zione regolare , normale d’ individui infe¬ condi , benché discendano da genitori fecon¬ di. Le leggi dell’eredità continua, discontinua, unisessuale, bisessuale, sommaria , adattata , consolidata , omocrona e omotopa non c en¬ trano per niente. Dal punto di vista della teoria darwiniana il fatto di tanti individui neutri è in contraddizione col principio di ere¬ dità. Ma non vuol dire, ma fa lo stesso: Dar¬ win si salva, invocando il principio generale della sua teorica, come dire il principio del Futi¬ lità: molti animali sono neutri perchè è utile che sieno neutri; e tutti pari !

Poche sono le variazioni che Darwin ese¬ guisce sul tema dell’eredità: son poche e non sono felici; bisogna convenirne. Non meritava il conto di considerare 1’ eredità come una delle colonne del suo edilìzio. I suoi vani sforzi confermano ancora di più che i trasfor¬ misti giuocano troppo a deduzioni, dimenti¬ cando che il loro maggior successo lo devono alla promessa di combattere la filosofìa fon¬ data sulle deduzioni. In sostanza , aneli’ essi

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CAPO III.

sono incappati nei detestati intrugli delle de¬ duzioni che non si riattaccano a nessun fermo appoggio. Ci si sono infangati, ci passano la vita, ci stanno a tutto loro agio, non si rico¬ noscono più; e nondimeno pretendono di aver tenuto la promessa, di aver seguito rigorosa¬ mente il metodo induttivo , di avere rimesso in onore e in voga la filosofìa sperimentale! Allo stringere dei conti , i darwinisti fanno della metafisica piuttosto che della storia na¬ turale ; cercano di abbagliare coll’ arditezza delle ipotesi, anziché persuadere colla fredda dimostrazione; si emancipano dall’ esperienza, lungi dal raccogliere le conseguenze che real¬ mente scaturiscono dai fatti.

Alla teorica darwiniana occorreva che l’e¬ redità agisse lentamente, ma invariabilmente, per seguire, aiutare e portare a buon termine il dirizzone dell’ elezione naturale. I fatti di¬ mostrano che 1’ eredità è incostante , capric¬ ciosa, indecisa, e produce effetti, dai quali non

è stato possibile e non è possibile inferire leggi che al darwinismo farebbero comodo.

Ma non importa rimbeccano i darwinisti quand ménte ; Y umano scibile progredi¬ sce ogni più; per provare una tesi abbiamo sotto mano diverse vie; se una non ci mena all’ agognato fine , 1' altra spunterà di certo. Se 1’ eredità non è docile alle esigenze del

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darwinismo, rivolgiamoci all’embriologia, ten¬ tiamo di sorprenderne i segreti e vediamo quanto sia propizia alla teorica del trasfor¬ mismo.

Le sostanze germinatrici (uova e seme) sa¬ rebbero come chi dicesse una parte integrante degli organismi che le diedero in luce. Svi¬ luppandosi , ci rivelerebbero la storia degli organismi, ai quali devono la loro origine; ci mostrerebbero, quasi come in una miniatura, i due esseri che hanno concorso alla loro pro¬ duzione.

L’ embrione è dice Darwin 1’ ani¬ male nel suo stato meno modificato ; e però ci fa conoscere la struttura dei suoi progeni¬ tori. Allorché due gruppi di animali, comunque differiscano attualmente fra loro nella struttura o nelle abitudini, passano per le medesime o per consimili fasi embrionali , possiamo ri¬ tenere per certo che entrambi sono venuti da uguali o consimili progenitori , e quindi sono nel medesimo grado di affinità. Ecco perchè « la struttura embrionale comune ri¬ vela una comune discendenza. » ( Thus com¬ munity in embryonic structure reveals com¬ munity of descent. 1. c. p. 396).

Ora tutto questo starebbe bene , quante volte si provasse vera una condizione assolu¬ tamente necessaria per decidere la quistione.

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vale a dire quante volte effettivamente ci fosse la struttura embrionale comune. Dalle ana¬ logie che si traggono dalla forma e dall’ ap¬ parenza, non si può argomentare Y identità della struttura embrionale. A parte le analo¬ gie, che facilmente si acconciano ai gusti di chi le adopera, vi sono differenze caratteristi¬ che e fondamentali che escludono la comune discendenza.

Gli studi del signor Coste (V. Hisloire génèrale et particidière clu dèveloppement des curps organisés. Voi. 1) e del signor Van Beneden (V. Bulletin de V Acadèmie rogale de Bruxelles. Seconda Serie, Voi. XI) ribattono vittoriosamente 1’ asserzione che lo sviluppo embrionale degli esseri organizzati mostri la comune discendenza del regno organico.

Chi più si distinse in questo soggetto ed acquistò ovunque incontestata autorità, fu l’illustre naturalista K. C. von Bar,

Egli è molto propenso ad accettare la teo¬ ria del trasformismo. Nelle Zoologische anthro- pologische Untersuchungen (1861) scrisse che « forme oggi affatto differenti possono essere i discendenti di uno stipite comune. » (durch Unibildung aus gemeinsamen Stammformen sich entioichelt hatten. p. 51). Ma ciò non toglie che dietro i suoi profondi lavori in embriologia concluda in modo sfavorevole al darwinismo.

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Per lui è chiaro che non c’ è unica serie di sviluppo dall’ essere più semplice all’ essere più elevato. Sin da principio gli sviluppi del- T ovulo sono differenti.

Si possono distinguere quattro tipi. Primo, il tipo sferico (raggiati): lo sviluppo muove da un centro; le parti sono identiche ed in or¬ dine sferico. Secondo, il tipo massiccio (mol¬ luschi^: le parti identiche d’ ordinario si pie¬ gano intorno ad un corpo conico. Terzo , il tipo longitudinale (articolati): le parti identi¬ che si muovono dai due lati di un asse e si

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richiudono superiormente lungo una linea op¬ posta all’ asse. Quarto, il tipo a doppia sim¬ metria (vertebrati): le parti identiche muovono dai due lati di un asse, si estendono in alto e in basso e si chiudono lungo due linee.

Or bene, dai fatti imparzialmente constatati risulta che T embrione non passa da un tipo ad un altro. L’ embrione di un vertebrato è tale sin dal bel principio e in nessun mo¬ mento corrisponde all’ embrione di un inver¬ tebrato.

L’ embrione del pesce, poniamo, non prende prima il tipo degli articolati e poi quello dei pe¬ sci. Niente affatto. La prima evoluzione dell’em¬ brione indica il tipo; la seconda, la classe; la terza, il genere o T ordine. Così ogni fase si distingue per una differenza caratteristica ,

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CAPO III.

finché 1' individuo si mostri sulla scena este¬ riore.

Il von Bar ha dimostrato che nella fase embrionale , le rassomiglianze fra i diversi embrioni di un medesimo tipo cessano tanto piu presto, quanto più lontani sono i gruppi ai quali gli animali adulti devono appartenere. Le rassomiglianze, all incontro, durano tanto più, quanto più vicini sono i gruppi, dei quali gli animali adulti faranno parte.

Lo stesso diceva con altre parole il prof. Alfonso Milne-Edwards nella Revue d’anthro- pologie (1872, p. 722) : Si è potuto constatare che in generale le rassomiglianze fra i diversi membri di un medesimo gruppo sono tanto più grandi, quanto meno avanzato è il lavoro embrionale; e nei mammiferi ogni divisione naturale è ben presto caratterizzata da un certo numero di particolarità presentate o dal corpo dello stesso embrione o dai suoi organi annessi e transitori.

C' è chi afferma che 1’ embriologia ignora tante cose essenziali e che Y evoluzione em¬ brionale è ancora troppo poco conosciuta. In ogni modo, quello che se ne sa non torna a vantaggio della teorica darwiniana. Quello che si conosce relativamente airembriologia, è ba¬ stato per confutare le asserzioni di Darwin. Questi, per esempio, sostiene che « le larve

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vermiformi delle figliuole, delle mosche, degli scarafaggi, ecc. si rassomigliano molto più che gli insetti adulti. » Tutti gli allevatori d’ in¬ setti lepidotteri devono avvertiva C. R._ Bree (Species noi trasmutable) sapere che ciò non è esatto. Le larve, per esempio, del- L heliothis marginata differiscono tanto l’una dall'altra, che, mettendone assieme tre gruppi, un entornologista le distinguerebbe in tre dif¬ ferenti specie. Ma T insetto adulto non varia mai, eccetto nel volume.

L’ entornologista H. Crewe, conosciutissimo pei suoi studi sulle larve dei lepidotteri, una lunga lista di larve, che differiscono fra loro più degli insetti adulti: A. galatea , T. crai agi, N. dictoea , M. per sicaria, T. cruda , H. dysodea P. meticolosa , 0. bidentata> E. angulariaj A. betularia C. pusaria , E. lina - riata , E. centuriata , E. nanata E. absin- thiata, E. assimilata > E . coronata , ecc.

Darwin fìssa il chiodo sulla generale dif¬ ferenza nella struttura fra Tembrione e Tadulto. Egli dimenticava che, stando al Y apparenza la peggiore di tutte le guide in questo soggetto , è facilissimo incorrere nelT errore. L’ embrione è solamente T abbozzo del futuro animale, è una struttura ancora non finita ; e quindi, prima di emettere un giudizio, biso¬ gna andar cauti e procedere colla massima

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diffidenza. Guardate come sono dissimili un bruco ed una farfalla ! Pure, quando il bruco si cambia in crisalide, potete in esso rintrac¬ ciare tutti gli organi ali, gambe, antenne, occhi del futuro insetto. Come sono dissi¬ mili la crisalide e la farfalla! Nondimeno, bastano quindici giorni perchè dalla crisalide aperta venga fuori un insetto perfetto. Chi dirà che la crisalide non adombrava 1’ in¬ setto ?

Darwin seguita ed osserva che gli embrio¬ ni di differenti specie nella stessa classe si rassomigliano, ma non sempre ; che le parti simili nel primo periodo dell’ embrione non potevano diventare dissimilissime e servire a diversi scopi nell’ animale adulto.

Evidentemente il naturalista inglese cerca di sgusciare fuori della quistione. Quel che maggiormente importa è questo: che in un dato tempo tutte le uova si rassomigliano ; ma, sviluppandosi, non escono dalla classe nella quale è compreso Y animale che ne deriverà. Attalchè 1’ uovo di un rettile, di un pesce o di un uccello si svilupperà sempre in rettile, in pesce, in uccello , non devierà dalla sua classe.

Il Maestro chiede: Perchè non si scorge un nesso stretto fra la struttura dell’ embrio¬ ne e quella dell’ animale adulto ?

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A tale obbiezione si ris ponde : La strut¬ tura dell’ embrione è transitoria; basta per le esigenze del suo stato transitorio ; non interessa vedere F intimo rapporto fra la struttura embrionale e F organizzazione per¬ manente dell' animale adulto.

L’ autore dell’ Origin ofspecies s’impunta come cavallo restio, e scrive: « L' embrione apparentemente ha talora un’ organizzazione più alta dell’ animale adulto, in cui si svi¬ luppa. »

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E facile replicare che i naturalisti non si intendono fra di loro riguardo all’ espressione « più alta organizzazione. » Perciò i giudizii che ne conseguono, hanno dell’ arbitrario.

Non la finirei, se volessi qui imbandire le lunghe pagine che Darwin serve ai suoi lettori. Vi si tratta di sedicenti leggi embrio¬ logiche, di variazioni accidentali, di leggi ere¬ ditarie, di elezione, di possibilità che succeda questa cosa o quest’ altra.

E tutto ciò per sostenere che 1’ embrione è « una pittura più o meno offuscata della madre forma comune ad ogni grande classe di animali. »

Il citato von Bar e Bischoff e il fisiologo Bennet, autore degli Outlines of physiology , combattono le asserzioni di Darwin. Ma que¬ sti non se ne per inteso e, senza voltarsi

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di qua di là, spalanca la porta ad una serie d’ ipotesi: suppone che ogni grado di sviluppo di un animale elevato corrisponda ad una forma la quale apparve da pres¬ so gli antenati dello stesso animale ; che ognuna delle successive modificazioni si sia presentata in un corso di tempo relativamente breve ; che una variazione, apparsa in qua¬ lunque tempo della vita dei genitori, tenda a mostrarsi di nuovo nel tiglio alla stessa età. Armato di queste supposizioni, che non si ap¬ poggiano a dati di fatto, egli si figura di avere rafforzata la sua teorica colla cosid¬ detta « prova embriologica. » Però gli resta ancora a provare il più ed il meglio, cioè che gli stadi delio sviluppo siano immagini della vita dei progenitori.

Il Paumgartner lavora anche lui di fanta¬ sia; dice ( Scliòpfungsgedanhen . Pliysiologi- sclie Studien fur Gebildete) che « gli animali più alti possono derivare da esseri che ven¬ nero da germi di animali inferiori, i quali alla loro volta furono procreati dalle cellule primordiali, o masse destinate a prendere forma comune tanto ai germi degli animali che a quelli dei vegetali. »

Anzitutto conviene rammentare che gli animali e i vegetali sono governati da leggi di evoluzione diametralmente opposte : gli

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animali si sviluppano dalla superficie al cen¬ tro ; e i vegetali, dal centro alla superfìcie o alle estremità.

Ciò premesso, s’ inferisce che due regni, i quali seguono nel loro sviluppo leggi oppo¬ ste, non possono essere il prodotto dell’ evolu¬ zione di una forma comune. D’ altronde, una struttura embrionale comune ad un gruppo di animali non dimostra che tutti gli animali sono prodotti ereditari di uno stipite comune. (V. Du Mortier Recherches sur la structure

et le dèveloppement des animaux et des vè-

gètaux).

Per gli animali a metamorfosi è un non¬ senso riguardare gli stadi della metamorfosi come ripetizione della storia dello stipite. Ri¬ spetto agli altri animali, certo è che quanto più vicini stanno nei gradi di organizzazione, tanto più lo sviluppo embriologico segue lo stesso andamento e tanto più tardi si presen¬ tano i contrassegni distintivi. Da un fatto così semplice i darwinisti trassero nientemeno la conseguenza che tutti gli animali hanno un solo o pochissimi stipiti !

Sulla prova embriologica Hàckel s’ intrat¬ tiene a lungo e con particolare compiacenza. Per lui (V. il Kosmos del aprile 1877. Urkunden der Stammesgeschichte) la storia dell’ embrione è un compendio della storia

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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delle specie. « Questo concetto son sue parole forma il contenuto della nostra legge fondamentale biogenetica, di quella legge che è la vera base dello sviluppo organico e che noi dobbiamo porre a capo della storia dell' evoluzione, considerandola come indispen¬ sabile a comprendere, dal più alto punto di vista, cosiffatta storia. »

Come vedete, si tratta di un affarone da non prendersi a gabbo. La genealogia hàckel- liana del regno vegetale ed animale si appog¬ gia alla « legge biogenetica, » la quale sa¬ rebbe più meno che la chiave per co¬ noscere le cause dell’ intero regno organico. Secondo Hàckel, la storia del germe trova la sua piena spiegazione nella storia dello sti¬ pite, e questa è un prodotto di due fattori : adattamento ed eredità.

Altro è passeggiare negli inesplorati re¬ cessi della « metafisica naturale, » altro è fare della filosofia sperimentale. Atteniamoci a que¬ st’ ultima e discutiamo alla buona.

La massima, che la storia del germe sia una semplice ripetizione della storia dello stipite, non ha alcun fondamento; è una semplice spe¬ culazione; è una massima inventata apposta per ispiegare lo sviluppo individuale nel senso darwiniano.

La cosiddetta legge della trasmissione ere-

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ditaria in corrispondenti eguali età riposa so¬ pra un errore intorno all’ indole dell’ eredità. Questa viene considerata come la sola causa delle fasi che si succedono. Il sopraggiungere di una fase di sviluppo per esempio, lo sbocciare dei fiori nella pianta, lo svilupparsi dei polmoni nella rana non sarebbe che il risultato della trasmissione ereditaria. In¬ vece è il risultato necessario della disposizione naturale, la quale, nella precedente del pari che nell’ ultima generazione, si svolge giusta la stessa legge di evoluzione interna. Quindi è, che la fase di sviluppo nell’ organismo at¬ tuale apparisce alla stessa epoca che nei pre¬ cedenti organismi. Secondo le idee di Darwin e di Hàckel, lo svolgimento di una nuova fase avverrebbe come un atto non già orga¬ nico, bensì all’ intutto esteriore, quasi fosse notava il Wigand un capitale bell’ e fatto, trasmesso ad un erede. In questo modo si disconosce 1’ indole dello sviluppo organico, che consiste nel necessario realizzamento di un’ interna disposizione, con altre parole, in una serie di cambiamenti, ognuno dei quali c determinato da quello che lo precede, e ri¬ monta al germe, ed eventualmente all’ orga¬ nismo dei genitori.

Ammettendo per ipotesi che i tipi attuali sieno gradatamente discesi da antecedenti for-

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me più semplici, da ciò non emerge che que¬ sto sviluppo filogenetico si accordi collo svi¬ luppo individuale delle forme attuali ; da ciò non si può concludere che i tipi abbiano at¬ traversato i diversi stadi di sviluppo quali ora si appalesano nelle diverse loro fasi.

Questo metodo sbrigativo per ricostruire le forme-stipiti si condanna da sè. Ingiustifi¬ cata è 1’ asserzione, che dalla conformità di due forme animali in alcuni stadi giovanili si possa argomentare la comune origine di esse forme. Se gli embrioni ole uova di due forme animali sono in generale più somiglianti delle forme animali adulte, ciò è naturalissimo, poi¬ ché, atteso la maggiore semplicità degli stadi giovanili, le differenze sono meno accentuate. Ma dall’ accordo delle forme giovanili alla comunanza della forma-stipite, ci corre. tale accordo è così grande come Darwin ed Hàckel vorrebbero far credere. I botanici e i zoologi generalmente ci assicurano che gli embrioni e le uova di differenti tipi si lasciano sempre distinguere. Anzi soggiunge il Wi- gand in molti casi le condizioni giovanili di due forme animali o vegetali sono più dif¬ ferenti che le forme adulte. ( In manchen Fai - leu sind sogar die Jugendzustdnde zweier

Thier oder Pfianz formen differenter aìs die ausgebildeten Formen).

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Quando pure le uova di diverse forme ani¬ mali, per esempio, del cane e della scimmia, si rassomigliassero in modo, che microscopica¬ mente o chimicamente non potessero distin¬ guersi, questo non proverebbe niente. Anche allora le uova sarebbero effettivamente, se non apparentemente, tanto diverse quanto sono diversi il cane adulto e la scimmia adulta : infatti da un uovo si è necessariamente svi¬ luppato un cane ; e dall’ altro, una scimmia.

La scuola hackelliana vede uno sviluppo genetico necessario in ogni serie di forme che stanno vicine, benché sieno di differente per¬ fezione. Da questo presupposto cava una quan¬ tità di deduzioni che non hanno che spartire colla realtà. L’ osservazione sperimentale at¬ testa che T accordo si limita solo a qualche •contrassegno, mentre in tutto il resto domina la diversità.

Alla legge biogenetica Hàckel attacca due teorie che fanno sbarrare tanto d’ occhi anche a quelli che di scienze naturali sono conosci¬ tori profondi.

Una si chiama « teoria della gastrula. » Con questa teoria si troverebbe un certo in¬ dizio di forma embrionale comune a tutte le 'Classi animali, eccettuate quelle più basse.

Hàckel identifica le gastrule che non sono punto identiche e fabbrica un sontuoso castello

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sopra un’ omologia che è soltanto nel suo cervello. L ’Archiv fur Naturgeschichte (Anno XL. Fascic. 2.° , p. 237. Bemerhungen uber Hàckels- Gastraea- Theorié) dice che una serie di fatti depone contro tale omologia ( Etne Reihe von Thatsachen spricht gegen diese nomologie) e demolisce il castello.

L’ altra teoria si chiama « cenogenesi , » che, in termini usuali, significa storia della falsificazione. Dati certi casi e in seguito a particolari adattamenti, la filogenesi si sarebbe accorciata o falsificata !

Con questi travi Hàckel ha cercato di pun¬ tellare la legge filogenetica. Ma i rinforzi non hanno servito a nulla. Il Claus dice, che la legge biogenetica di Hàckel è un’ipotesi estre¬ mamente pericolosa. I. W. Spengel, darwinista, fervente, si sottoscrive a siffatto giudizio ed afferma che il Claus ha ragione, qualificando così la legge biogenetica. ( Die Forlschritte des Darwinismus , Colonia e Lipsia, 1875, p. 38 ). Con argomenti calzanti, con prove chiarissime, Alberto Kòlliker butta giù peren¬ toriamente la pretesa prova embriologica di Darwin e di Hàckel. Rimando il lettore all’ope¬ ra di esso Kòlliker, della quale si sta pubbli¬ cando la traduzione in francese. La critica in. parola è alle pagine 408, 9 e 10 della tradu¬ zione francese.

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Dunque la struttura embrionale degli ani¬ mali non dimostra la comune discendenza e la filogenesi.

Riguardo alle deduzioni teratologiche, che i darwinisti vorrebbero sfruttare a vantaggio della loro teorica, le sono troppo elastiche e si lasciano usufruire dai difensori come dagli oppositori del trasformismo.

Per vedere poi in qual modo e sino a qual segno le classi, gli ordini e le specie si avvi¬ cinano gli uni agli altri, non è necessario se¬ guire col microscopio le transizioni della vita embrionale. È più facile e più sicuro chiedere all’ anatomia comparata la rivelazione di que¬ sti rapporti.

A sentire i darwinisti, Y anatomia compa¬ rata avvalora i risultati eh" essi si lusingano di avere ottenuto dall’ embriologia. Tutte e due queste scienze porgerebbero una splen¬ dida riprova della trasmissione ereditaria e della formazione delle specie secondo il siste¬ ma darwiniano.

Per cogliere le somiglianze nella compo¬ sizione degli animali di differenti specie non bisogna avvertono i darwinisti consi¬ derare i gradi estremi della scala zoologica. E d’ uopo tener dietro alla serie zoologica passo passo , grado grado , adagino adagino. Così procedendo , si scuoprirebbero graduali

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decrescimenti , leggiere transizioni , lente e appena percettibili trasformazioni , le quali spiegherebbero le dissomiglianze, avvicinereb¬ bero ciò che sembra lontano e concilierebbero ciò che pareva discordante. Il piano sarebbe comune ed unico. Di analogia in analogia, di somiglianza in somiglianza, di transizione in transizione si seguirebbero i diversi ed appa¬ rentemente divergenti sviluppi di quest’unica composizione. Insomma, i fenomeni anatomici indurrebbero a credere che nel regno animale c è unità di composizione ed unità di piano.

Questo è 1’ ideale del darwinismo. Guardia¬ mo alla realtà.

Relativamente ai tessuti , in certi animali ne mancano parecchi. Il tessuto osseo non esiste che nei vertebrati. Negli animali infe¬ riori tutti i tessuti sono confusi , anzi si può dire che vi sia un solo tessuto ; e così via discorrendo.

Per ciò che concerne il sistema muscolare, in tutti gli animali che non hanno scheletro, esso è unico. In quelli che hanno uno schele¬ tro, cioè un sostegno osseo interno, il sistema muscolare si divide, per lo più, in due parti, delle quali una va al sistema osseo e Y altra alla pelle. Questa seconda parte manca nei pesci, comincia a farsi vedere in certi rettili, si sviluppa negli uccelli, è completa in certi

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animali aquatici , e diminuisce a misura che più si sale nella scala zoologica.

L’ insieme degli organi concorrenti ad una medesima funzione prende il nome di appa¬ recchio. Or bene, troviamo forse in ogni appa¬ recchio il medesimo numero di organi ? tro¬ viamo in ogni organo le stesse parti ? Se si considera, verbigrazia, 1’ apparecchio dei sensi, è chiaro che per Y odorato , la vista, 1’ udito è indispensabile la presenza di una testa ; e però vanamente li cercheremmo negli animali acefali. L’ apparecchio dei sensi degli animali acefali è differente non solo per rapporto al grado di sviluppo , ma anche per 1’ assenza completa di parecchi organi. I sensi degli articolati sono conformi ad un piano tipico che non vediamo riapparire altrove. Fra gli organi dei sensi degli articolati , V occhio sembra più sviluppato. D’ altro canto, Y occhio degli uccelli è più complicato di quello dei mammiferi. Intorno ai sensi dell’ odorato, del gusto e dell’ udito si fanno di molte conget¬ ture , ma non si può in ogni caso appurarne la presenza o Y assenza. I pesci hanno Y orec¬ chio interno ; i rettili e gli uccelli hanno come dei rudimenti di una conca auricolare esterna; ma i cetacei sono senza questa conca ; e ai delfini manca perfino il quadro del timpano. Alcuni sensi degli animali più elevati non

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possono gareggiare coi corrispondenti sensi degli animali sottostanti.

Le vertebre sono complete nei pesci e nei rettili, mai negli uccelli. Ricompariscono nella coda dei mammiferi cetacei ed in un gran numero di animali di questa classe. Nei rettili e nei pesci v’ è un maggior numero di ver¬ tebre che negli altri animali vertebrati. Il numero delle vertebre è variabile non solo da un gruppo all’ altro, ma nello stesso gruppo.

Ci sono scimmie senza coda e scimmie con code lunghissime. Lo stesso avviene pei chirotteri. Negli anfibi , i batraci sono senza coda e le salamandre ne hanno una lunga , quantunque i batraci e le salamandre sieno due ordini della stessa classe di animali.

Non altrimenti va la faccenda relativa¬ mente agli sterni. Negli orsi , mettiamo , lo sterno è composto di nove ossi principali ; nelle tigri e nei leoni, di dieci; nei cani, di nove ; negli elefanti e nei rinoceronti, di cinque o sei ; negli ippopotami, di otto. Negli uccelli lo sterno è saldato in un sol pezzo ; sparisce nella maggior parte dei rettili ; non ce n’ è pur traccia nei pesci.

Se diamo un’ occhiata alle ossa delle mem¬ bra superiori, 1’ unità di composizione si rac¬ capezza meno che meno. Negli orsi e nei cani non troviamo clavicola: i chirotteri e gli in-

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settivori sono forniti di clavicola; la cla¬ vicola riappare nei primi rosicanti per disparire negli ultimi e in tutti gli unguligradi : men¬ tre negli ornitodelfl c’ è la clavicola e un altro osso.

Osservando gli omeri , le ulne o cubiti , i carpi, i metacarpi, le dita, si argomenta sempre più la mancanza di unità di composizione.

No, la struttura anatomica dei tessuti non segue lo stesso piano in tutti gli animali. Il numero dei tessuti, la loro composizione va¬ riano non solo pei grandi gruppi , non solo per alcuni apparecchi , anzi per lo stesso organo esaminato nei diversi gradi della serie. Gli stessi apparecchi non pur differiscono per la propor¬ zione, ma eziandio per il numero degli organi che li compongono. questi stessi organi dif¬ feriscono solamente per il grado di sviluppo : in certi animali a volte mancano certi tes¬ suti e certe parti che si trovano negli orga¬ ni di altri animali.

E dopo tutto ciò si venga a dire che c’ è successione cronologica nella formazione degli organi e rigoroso procedimento evoluzionista e scala perfettamente graduale ! Si venga a dire che « 1’ ordine di successione che si os¬ serva nello sviluppo individuale deve essersi presentato anche nello sviluppo storico degli organi ! »

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Fate attenzione alla parola deve. L’embrio¬ logia doveva mostrare F ordine di successione nello sviluppo individuale. L’ anatomia doveva mostrare F ordine di successione nello svi¬ luppo degli organi. Ma l’embriologia l’a¬ natomia comparata hanno corrisposto ai dise¬ gni e ai desideri dei trasformisti. E che impor¬ ta? Tanto peggio per coteste scienze! Ciò vuol dire che esse hanno trasgredito il loro dovere, non hanno fatto quello che « dovevano » fare. La colpa non è dei trasformisti: la è di quelle scienze che da certe orecchie non ci sentono e con non mai vista, non mai sospettata im¬ pudenza si levano il gusto di rovesciare i piani e di rompere F armonia del sistema trasformista.

Gli organi di estrema perfezione e com¬ plicazione rompono anche le tasche a cosif¬ fatto sistema. Però Darwin e i darwiniani non danno indietro ; chiamano a raccolta le loro forze e si slanciano a rintuzzare tutte le difficoltà, cercando affannosamente la serie graduale non interrotta di tutte le possibili transizioni. Parlando, ad esempio, dell’ occhio, sostengono che al disotto dell’ occhio più per¬ fetto c’ è nel regno animale una serie di organi visuali sempre più semplici.

Bene sta che oltre F occhio più perfetto ce ne sieno altri meno complicati e molto più

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semplici. Ma dov’ è la lenta, progressiva tra¬ sformazione? dov’ è T evoluzione storica? dove sono i gradi di transizione? Si è veduto prima com parire una cellula pigmentaria , poi un filetto nervoso, più tardi un corpo lenticolare o rifrangente , e così via via ? Certo che no. L’ anatomia comparata si limita a constatare nello stesso tempo tutti questi gradi diversi di perfezione nell’ organo visuale. L’ occhio differisce a seconda della condizione dell’ indi¬ viduo che lo possiede , a seconda della posi¬ zione occupata dall’ individuo nella scala della vita, a seconda delle particolari circostanze di esistenza. Ma è contrario al vero 1’ asserire che 1’ anatomia comparata ci mostri tutte le transizioni possibili fra il più semplice organo visuale e 1’ occhio più perfetto.

Darwin dice : « Tra i vertebrati esistenti non troviamo che piccola quantità di grada¬ zioni nella struttura dell’ occhio, e dalle spe¬ cie fossili non possiamo apprendere nulla su questo soggetto ( and from fossil species we can learn notliing on this subject ). Darwin s’ ingannava. Il D.r Buckland, il prof. Owen, il D.r Bree ci accertano coi fatti alla mano che « il più alto animale conosciuto nel più an¬ tico strato geologico possedeva un occhio pre¬ cisamente simile in ogni rispetto agli animali della stessa classe che vivono nei nostri mari.

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( The highest known animai in thè oldest geo¬ logica l stratum possessed an eye precisely similar in every respect to animals of thè same class living in our seas. Bree , 1. c. p. 144 ). Se , poniamo , 1’ occhio del crostaceo , modificandosi, si fosse avanzato di un grado, le specie originali meno favorite dovevano , stando alla teoria darwiniana , sparire. Ma viceversa esistono più numerose che mai e vivono e muoiono come vivevano e morivano milioni e milioni di anni addietro.

Ogni occhio è perfetto in se stesso : ogni forma d’ occhio è adattata alle differenti spe¬ cie animali. Se un animale vive nell' acqua, il suo occhio è formato in modo da permet¬ tere la rifrazione della luce. Se un altro ani¬ male, che sta ugualmente nell’ acqua, ha una limitata sfera di esistenza, la sua vista è limi¬ tata in conformità di tale esistenza. Negli uccelli la vista è più acuta e distinta che nei quadrupedi. Nuttall dice (Man. Introd. p. 5) che uno sparviere vedrà un’ allodola ad una distanza venti volte maggiore di quel che lo stesso oggetto potrebbe esser visto dall’ uomo. Un nibbio discenderà da un’ altezza che supe¬ ra la nostra visuale, difilato sopra una lueer¬ ta, o un sorcio di campagna, o un uccello. L’ aquila ascende alle più alte regioni della atmosfera e di spia la sua preda. Se gli

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uccelli possedessero la vista corta al par dei quadrupedi, non si sarebbero avvantaggiati della meravigliosa agilità onde sono dotati.

Dunque noi non vediamo che il quadrupe¬ de più perfettamente organizzato abbia rocchio più perfetto : è V uccello che ha 1’ occhio più perfetto, 1’ uccello le cui necessità richiedono una vista più squisita e più lunga. Dunque T occhio di una specie animale prende la forma che meglio si adatti all’ esistenza di essa specie.

Darwin dice: « Se si fosse al caso di dimo¬ strare T esistenza di un organo complesso che assolutamente non potesse essere formato da numerose, successive, leggiere modificazioni, la mia teoria andrebbe giù del tutto, (my theory would absolutely break down).

Ora, come mai si può immaginare che 1’ occhio di un animaletto poligastrico abbia la potenza di convertirsi nell’ occhio della aquila? Guardate la libellula coi suoi nu¬ merosissimi occhi , tutti ordinatamente di¬ sposti in due masse convesse. Non è questa una distinta e perfetta organizzazione, che permette all’ insetto di volare a piacere in tutti i sensi e di afferrare la sua preda come un falcone ? Diremo che 1’ occhio della libel¬ lula poteva a poco a poco tramutarsi nel- 1’ occhio di un uccello o di un quadrupede ?

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Darwin crede nondimeno ammissibile lo sviluppo cronologico anche dell’ occhio. Le sue pagine sugli organi estremamente per¬ fetti e complicati furono scritte per rafforzare tale sua opinione. Però ben presto si avvide che mancavano i gradi di transizione, le fasi progressive, le configurazioni intermedie del- 1’ occhio ; e, non sapendo che fare, ricorse al talismano che, secondo lui, apre tutte le ser¬ rature più difficili e più complicate, come dire all’ elezione naturale, segreto sicuro quanto miracoloso per risolvere tutti i problemi e chiarire tutti gli enimmi. Il guaio è che Dar¬ win vuole sovente persuadere con espressioni che persuadono poco : « io confesso libera¬ mente che mi pare.... » « la ragione mi indica che.... » « io non saprei trovare una difficoltà molto grande nel pensare che... » Questi ar¬ gomenti siamo giusti non possono riu¬ scire a convincere.

L’ anatomia comparata non ci addita i gradi di transizione degli organi più compli¬ cati ; e in generale non si chiarisce propizia alla teoria della graduale filiazione nel regno animale.

No, 1’ anatomia comparata non ha sin qui fatto alcuna scoperta conducente a dimostrare che i molluschi provengano dai zoofiti, gli anel- lati dai molluschi, i vertebrati dagli anellati.

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Tre tipi di forma generale ci offre il re¬ gno animale, e cioè T amorfa, la raggiata e la cosiddetta forma pari. Dalla forma amorfa, geometricamente indeterminata, si può far derivare la raggiata o sferica. Ma al di là, non ci è dato intravedere alcuna successione di forme : la forma, poniamo, di un verme di terra non può farsi derivare da quella di una stella di mare o d’ un’ idra, benché fra que¬ sti animali non ci sia troppa distanza relati¬ vamente alle loro funzioni e ai loro atti. Che diremo, quando arriviamo alT uccello, al ret¬ tile, al mammifero ? Che somiglianza di forma vi si può scorgere ?

Nello stesso tipo di forma generale, come mai la forma di un’ ostrica può generare un mollusco univalvo o coeleo, nel quale la testa è distinta, armata di tentacoli, ecc., mentre l’ostrica ha una conchiglia bivalva e manca di testa? Come mai le due valvole diventarono una sola ? Qualche naturalista scappò fuori a dire che l’opercolo può considerarsi come una valva. E sia; ma che diremo delle specie che non hanno opercolo ? I più elevati dei molluschi appartengono allo stesso tipo nel quale si com¬ prendono le ostriche. Ebbene, provino i tra¬ sformisti a sostenere che la forma dei molluschi cefalopodi sia venuta dalla forma dell’ ostrica ! La difficoltà poi crescerebbe, sarebbe insor-

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. 13

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montabile, se si avesse la pretesa di far di¬ scendere dalla forma dell’ ostrica quella ben più complessa di un articolato o di un osteo* zoario.

Va da che la forma si distingue non pur nei tipi e nei gruppi, ma benanco nei generi e nelle specie. Chi confonderà, ad esem¬ pio, il genere elefante col genere cavallo ? Qual fanciullo confonderà il cavallo coll’ asino? La diversità di piano è meno evidente e meno palpabile fra le specie vicine, ma non è meno certa, meno caratteristica. gli uomini gli animali confondono le specie vicine : un cavallo, verbigrazia, non confonderà mai un cane con un lupo.

La forma è così inerente ad ogni specie., che, mettiamo, un mulo, prodotto del cavallo e dell’ asina o della cavalla e dell’ asino, tiene della forma di entrambi.

Gli elementi chimici che compongono i corpi organizzati allo stato gazoso, liquido o solido, non possono essere considerati come aventi una forma, perchè non c’ è una vera e propria combinazione di parti diverse. Ma non appena ha luogo tale combinazione, i tessuti prendono forme speciali che li distin¬ guono gli uni gli altri. Altrettanto succede per gli organi e per gli apparecchi. Le so¬ stanze semplici sfuggono alla nostra appren-

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siva, la quale non conta che sulle forme. Col combinarsi delle forme elementari ne vengono i tessuti ; combinandosi le forme dei tessuti, si costituiscono gli organi; mediante la com¬ binazione degli organi si ottengono gli ap¬ parecchi; e le forme degli apparecchi si com¬ binano alla loro volta e ci fanno vedere il tutto e le parti dell’ animale.

Così, la forma determina i gruppi che hanno struttura comune o quasi comune, essendoché grandi differenze di forma possono coincidere con leggiere differenze di struttura. La strut¬ tura propriamente caratterizza l’ ordine. La forma caratterizza la famiglia. Generalmente, alla modificazione della forma va congiunta una proporzionale modificazione nella natura dell’ organismo.

Ora,, poiché è fuori di dubbio che non c’ è unità di forma, ne seguita che non c’ è unità di composizione generica specifica. Man¬ cando 1’ unità di composizione , non si può parlare di rigorosa successione ereditaria nella costituzione degli organi, non si può ammet¬ tere il lento e necessario svolgimento di un unico piano generale. Vi sono invece tanti piani generali quante forme : alle tre forme generali distinte corrispondono tre grandi pia¬ ni : il primo, nel quale il corpo e le sue parti .sono divisi in due lati eguali lungo un piano ^

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longitudinale ; il secondo, dove le parti del cor¬ po si dispongono a raggio intorno al centro- delio stesso corpo che è circol are ; ed infine il terzo, dove il piano la forma possono,, per mancanza di regolarità, essere definiti.

È geometricamente impossibile che un pia¬ no longitudinale, portante forme varie e ap¬ pendici diverse, derivi da un circolo. Tutto sommato e ponderato, si conclude che non c’ è unità di composizione , unità di forma, unità di piano, unità di succes¬ sione ereditaria. L’ anatomia comparata ha soltanto dimostrato che vi sono certe rela¬ zioni caratteristiche nella posizione e nel- T ordinamento degli organi; ma tali relazio¬ ni non hanno generalmente luogo che fra gli animali che appartengono allo stesso tipo. I trasformisti più sfegatati non mettono in dubbio T esistenza di diversi tipi vegetali ed animali. Nel regno animale come nel regno vegetale, il numero dei tipi è scrive Hàc- kel nel succitato articolo del Kosmos pic¬ colissimo. (Die Zaìil dieser Typen ist im Thierreich loie im Pflanzenreich nur sehr gering. p. SO). La comparazione morfologica continua V autore non si può fare che fra gli animali dello stesso tipo: solo nei li¬ miti dello stesso tipo si può parlare di vera parentela di forme.

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Però, secondo lo stesso Hàckel , i tipi di¬ versi hanno una comune origine, discendono, ‘cioè, da un cespite comune, il quale trasfuse, per mezzo dell’ eredità , le sue essenziali ca¬ ratteristiche ai suoi successori. Ogni tipo poi è diventato, alla sua volta, cespite. La tipica parentela di forme è diventata, in virtù del- F eredità , parentela di sangue. L’ anatomia comparata c insegnerebbe a conoscere la pa¬ rentela delle forme e c’ insegnerebbe a di¬ scernere sino a qual punto cotesta parentela di forme è dovuta alle leggi dell’ eredità.

A passare di sentenza in sentenza si fa presto ; ma per fortuna V analisi calma e spassionata, il buon senso e la logica sanno impedire i passaggi troppo arditi.

« I tipi vengono da un comune cespite ». E qual’ è, in grazia, questo cespite primor¬ diale ? È stato osservato in natura ? Quale filosofia sperimentale può accettare una spe¬ culazione così audace ? Come si per dimo¬ strato quello che ancora deve dimostrarsi? Una volta che non sappiamo se tale cespite primordiale sia esistito , non sappiamo nep¬ pure se abbia tramandato, mediante 1’ eredità, le sue caratteristiche prerogative. Ad un’ ar¬ dita ipotesi si appiccica un’ altra ipotesi non meno infondata.

« Ogni tipo è diventato cespite. »

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Altra gratuita asserzione. Perchè mai fra i discendenti dello stesso cespite dovrebbe¬ ro esistere differenze essenziali e caratteri¬ stiche ? I prodotti della stessa creatura non dovrebbero distinguersi in modo così spiccato e così evidente come in fatto si distinguono.-

« La tipica parentela di forme è diventata,, mercè 1’ eredità, parentela di sangue ».

La quistione non versa sulla parentela di forme e sulla parentela di sangue. Qui si tratta di esaminare se la eredità sia uno dei princi¬ pali fattori nella procreazione di specie nuove.. È vero che 1 eredità stabilisce la parentela delle forme e del sangue; ma stando nei li¬ miti delia parentela, come si arriva alla pro¬ creazione di specie nuove ? Questo miracolo di dare origine a specie nuove, 1’ eredità con tutte le sue leggi non 1’ ha potuto fare. L’e¬ redità diede bensì origine alla parentela di forme e di sangue; ma non andò e non po¬ teva andare più in là, perchè parentela suona dipendenza, relazione, rapporto; e come tale, esclude ogni sostanziale cambiamento, ogni fondamentale innovazione, ogni trasformazione tipica.

Dacché 1’ elezione devia, Y eredità si arre¬ sta o ritorna sui suoi passi. Bisogna, d’altronde,, non perder di vista che Y eredità sarebbe un controsenso, ove potesse, da un canto, tra-

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smettere le somiglianze acquistate e, dall’al¬ tro , far disparire i gradi intermedi. Cotesta sarebbe trasmutazione e non eredità, giacché appunto la trasmutazione ha per distintivo di manifestarsi con salti in avanti e all' indietro. Ifi eredità è fedele alla sua missione conser¬ vatrice. Ciò che tramanda e conserva indele¬ bilmente, non sono le apparenze esteriori, ma l’invariabilità del carattere intimo. In questo senso soltanto T eredità abbraccia fi univer¬ salità di ciò che vive : lascia fluttuanti gli aspetti della superficie, ma preserva da ogni alterazione il principio fondamentale che si nasconde sotto quell' involucro.

L’ elezione non è un agente libero e sem¬ pre attivo. Le deviazioni nello stato di natura sono talmente rare, che vanno considerate come eccezioni, le quali confermano la regola dei- fi elezione limitata e artificiale.

L’ anatomia comparata ci fornisce tante belle ed utili cognizioni sulle forme e sulla eredità. Ciò è inconfutabile ; e venga pure il canchero a chi dice male dell’ anatomia com¬ parata. Trasformisti o non trasformisti, tutti in coro lodiamo i valentuomini che ridussero a scienza fi anatomia comparata. Ma i trasfor¬ misti varcano ogni confine, rompono fi accor¬ do, stuonano maledettamente, quando vogliono prestare all’anatomia comparata intenzioni e

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propositi che non ha, quando vogliono forzarla a proteggere e difendere la teoria del darwinismo con dommatiche sentenze, con argomenti storpi, con elastiche divisioni e suddivisioni. U anatomia comparata non ha preteso di pigliare sotto la sua tutela le leg¬ gi darwiniane sull’ eredità ; non vuole porsi a disposizione di una chiesuola, non vuole farsi settaria, non vuole essere cacciata via dalle sue serene regioni scientifiche per sor¬ reggere alla meglio il crollante edilìzio dar¬ winiano.

Procedendo con questo criterio, invece di diminuire, si aumentano le difficoltà; invece di dipanare, s’ intralcia vieppiù 1’ intricata matassa. Quando si è sbagliata strada, con¬ viene avere il coraggio di retrocedere e cam¬ biare direzione. Non è vantaggioso per la scienza Y incocciarsi a seguire un cammino che non conduce alla meta. Ma pei darwinisti gli è fiato buttato via : a forza di cavilli e di sofismi, essi cercano di dare all’ eredità un significato che non ha; saltando di palo in frasca , vanno divagando per confondere le idee, per finire il discorso col ritornello che le specie si trasformano profondamente e illi¬ mitatamente.

Non badiamo ai ritornelli obbligatori e stiamo alla vera quistione.

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È vero che una prima variazione, trasmes¬ sa ereditariamente, può produrne una seconda; questa, una terza, e così via via ; nondimeno questi spostamenti si riassumono notava Rimbaud in estensioni o riduzioni della forma, in modificazioni che non alterano lo elemento costitutivo della vita propria alla specie.

L’ eredità riunisce, amalgama e conferma, sino ad un certo segno, tutto ciò che può sopraggiungere di perfezionamenti e di ano¬ malie, in seguito a bizzarre e non comuni elezioni ; ma ciò non vuol dire che 1’ eredità abbia la potenza di cogliere, comprendere e porre a servizio del trasformismo progressivo tutti i fatti regolari ed irregolari della gene¬ razione. Forse 1’ eredità partecipa ai capricci della elezione, ma in una misura strettamente limitata.

Così l’alleanza dell’eredità e della elezione [ non hanno altro risultato che quello di pro¬ durre una diversità, non già una trasmuta- [ zione. E però sono indizi ingannevoli quelli, sui quali si è fatta riposare la teoria che gli esseri viventi, collegati da alcuni tratti di somiglianza, discendano gli uni dagli altri e rimontino a un piccol numero di antenati comuni, se non a un solo progenitore.

Anche ammettendo che la somma delle

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somiglianze organiche sia veramente maggio¬ re di quella delle divergenze, non ne consegue necessariamente che la natura si sia ristretta dapprima alla costituzione delle forme ele¬ mentari per successivamente spaziare in una moltiplicità di metamorfosi cromatiche, an¬ dando dal semplice al composto. Certo, esistono rapporti di conformazione tra gli esseri viventi, come ci sono rassomiglianze tra i minerali, tra i liquidi e i fluidi : ma questo non basta per affermare che tante conseguenze differenti derivino da uno stesso principio.

Tutto varia in effetto ; ma tutto varia in sè, senza snaturarsi, senza colpire i caratteri intimi e specifici.

Al vedere, non v’ ha nulla di meno variato che gli individui d’ un medesimo armento , i cervi d’ una medesima contrada , le lepri , le volpi , i lupi , paragonati gli uni cogli altri ; pur nondimeno fin negli animali apparente¬ mente più simili regna la diversità. Ma ciò non toglie che il pastore distingua, senza esi¬ tare, ognuna delle sue bestie, e che gli animali selvaggi si riconoscano fra di loro.

Gli è perchè la variabilità reale, quella di cui i nostri sensi si rendono conto, è inesau¬ ribile senz* essere sovversiva ; e si riepiloga in una diversità specificamente insignificante, benché in ogni individuo sia abbastanza prò-

l’ eredità

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nunziata per potere riconoscere, nella folla che ci circonda, non solo i nostri amici, ma anche le nostre semplici conoscenze.

La variabilità è limitata ; c’ è stata e ci sarà. Ma da questa variabilità al trasmuta¬ mento profondo e radicale , alla perdita dei caratteri vecchi sostituiti con altri nuovi, o al miscuglio , all’ intreccio di questi con quelli , o alla fissazione delle anomalìe , per produrre nuove specie, ci corre un abisso.

L’ eredità non è certamente atta a to¬ gliere, a diminuire questo abisso. Al con¬ trario, essa prova irrecusabilmente la limita¬ tezza delle variazioni. Non ha effetti certi infallibili : come tale, non può collaborare alla graduale , regolare , armonica trasformazione degli organismi.

Ed ora ragioniamo un po’ sulla sterilità degli ibridi.

I trasformisti e Darwin in prima fila si sono moltissimo occupati dell’ ibridismo. Perchè ? Certamente non per . passatempo , o per levarsi il capriccio di passare per eruditi; ma per mostrare che 1 ibridismo rappresenta una parte interessante nella trasformazione dei tipi. Gli ibridi, più che gli esseri prodotti dagli incrociamenti ordinari, sembrano acconci a dare origine a nuove specie e a stabilire il legame che unisca le une alle altre.

204

CAPO III.

Vale dunque il pregio di osservare quali realmente siano gli effetti dell’ ibridismo.

Innanzi tutto, è da avvertire che 1’ ibridi¬ smo non può aver luogo se non fra specie che olirono una grande analogia. Nessuno crede alla fecondità dell’ incrociamento fra animali appartenenti a classi o famiglie differenti. Dagli amori, a ino’ d’ esempio, di una gallina e di un coniglio nessuno si aspetta di veder nascere polli vestiti di peli o conigli coperti di piume, come dagli amori di un cane e di una gatta nessuno attende un essere inter¬ medio fra il gatto e il cane.

Comunque poi vicine sieno le due specie incrociate , per quanto feconda sia la loro unione, 1’ ibrido che ne risulta può raramente riprodursi. Ne porge prova evidente il mulo figlio dell’ asino e della giumenta o del cavallo e dell’ asina. Ad ogni modo, la fecondità di¬ minuisce nei figli dell’ ibrido per finire col disparire a capo di un piccolissimo numero di generazioni. Ciò sanno a menadito gli innu¬ merevoli sperimentatori, scienziati o semplici dilettanti, che hanno tentato l’ incrociamento, putacaso , fra due specie di uccelli.

I naturalisti che si diffondono a parlare della fecondità delle razze ibride, non tengono nessun conto della cosiddetta « variazione di¬ sordinata. » Dimenticano che dopo alcune ge-

l’ eredità

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nerazioni ordinariamente assai poco nume¬ rose gli ibridi perdono i loro caratteri misti e ritornano ad una delle specie parenti o agli stipiti primitivi.

Trattandosi di ibridismo nel regno vege¬ tale, conviene citare il signor Naudin, che in questa materia gode d’ incontestata autorità.

In una memoria coronata dall" Accademia delle scienze, egli scrive, rispetto ai cucurbi- tacei, che le ovaie fecondate diedero bellissimi frutti, ma senza semi o con semi senz'embrione (Rev. hortic. 1864, p. 405). Quando si otten¬ gono semi fertili, fin dalla seconda generazione, nella gran maggioranza dei casi e forse in tutti, incomincia la dissoluzione delle forme ibride.

Lo stesso signor Naudin incrociò la linaria comune colla linaria a fiori porporini, ed ebbe da quest’ unione un certo numero d’ ibridi, dei quali egli seguì sette generazioni su parecchie centinaia di piante. I figli immediati delle spe¬ cie incrociate, gli « ibridi di primo sangue » furono quasi intermediari fra i loro genitori. Ma sin dalla seconda generazione, la faccenda non andò più così : le differenze aumentarono visibilmente. Ad ogni generazione, non po¬ chi individui riproducevano i caratteri della specie paterna o materna, cioè a dire obbedi¬ vano alla « legge di ritorno ai tipi genitori. »

206

CAPO III.

Gli altri non si assomigliavano tra di loro e non assomigliavano neppure agli ibridi di primo sangue. Alla sesta o settima generazione, queste piante presentavano la più strana confusione: si era verificata la « variazione disordinata. »

Le varietà che spontaneamente si manife¬ stano in una specie, che si trasmettono e giun¬ gono a formare razze, non vanno confuse colle forme prodotte dall’ ibridismo. L’ uniformità fra i prodotti dell’ ibridismo non si stabilisce se non alla condizione ch’essi riprendano « la livrea normale delle specie, ovverosia subi¬ scano la legge di ritorno al tipo. » (V. Naudin De V liybridation considèrèe comme cause de variabilità dans les vègètaux . Comptes ren - dus de V Acadèmie des Sciences. Séance du 21 novembre 1864).

A volte il ritorno al tipo si verifica non già nel corso di parecchie generazioni , ma bruscamente. Il ripetuto Naudin incrociò la datura stramonium dal bel gambo arbore¬ scente e la datura ceratocalda dal gambo ser¬ peggiante e per lo più semplice, cioè quello che ha minore affinità colla datura stramo¬ nium. L’esperimento riuscì, e il Naudin raccolse dieci capsule mature; ma nessuno di questi frutti aveva la grossezza normale: i più svi¬ luppati appena arrivavano alla metà del volume ordinario della mela spinosa. Inoltre, lo svi-

l’ eredità

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luppo dei semi era inegualissimo : lina buona metà aveva abortito ; altri, ben conformati esteriormente quantunque più piccoli rispetto ai semi normali , non avevano embrioni e quindi erano infecondi.

Le dieci capsule non fornirono che una sessantina di semi che parevano arrivati ad uno sviluppo completo, invece di parecchie centinaia che si .sarebbero raccolti sull’ una e sull’ altra specie non incrociata,

Questi sessanta granelli prodotti dall’ in¬ crociamento furono tutti seminati e ne germo¬ gliarono soli tre.

Uno degli ibridi così ottenuti, perì ; gli altri due si svilupparono con un vigore supe¬ riore a quello delle due piante genitrici. La fecondità si trovò considerevolmente diminuita. Un gran numero di fiori o non si formarono o abortirono. Quelli che pienamente si svi¬ lupparono, produssero frutti di grandezza nor¬ male e semi benissimo conformati.

Negli anni che seguirono, questi granelli furono seminati due volte. Dalle due semine si ebbero più di cento piante. E « tutte » presentarono, sotto il rapporto dello sviluppo e della fecondità, precisamente gli stessi ca¬ ratteri delle datura stramonium coltivate ac¬ canto ad esse come termine di paragone.

Con un sol salto , tutta questa posterità

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CAPO III.

dei due ibridi era ritornata alla primitiva specie genitrice. (V. Observations concernant quelques plantes hybrides cultivèes au Mu- sèum. Annales des Sciences naturelles . Bo- tanique , 4e sèrie , t. IX).

Ma il ritorno non ha sempre luogo così bruscamente. Talora esige giù generazioni. D’ altronde, tutto sommato , gli ibridi fertili presto o tardi ritornano ai tipi specifici donde derivano. (V. Nouvelles recherches sur Vhybri - ditè. Annales des Sciences naturelles. Botani- que v, 4e sèrie , t. XIX). « Ciò che posso affer¬ mare son parole del Naudin ( Mèm . sur les VariétéSj p. 304, in nota) gli è che nessuno degli ibridi da me ottenuti ha manifestato la più piccola tendenza a diventare stipite. (n’a manifestò la moindre tendance à faire souche d’ espèce).

Il signor Périer, T autore dell’ Essai sur les croisements ethniques , letto alla Società antropologica di Parigi, afferma a sua volta che « le deviazioni ibride dei vegetali non si perpetuano e non hanno posto stabile nella creazione. » [Bull, de la Soc. d’ Anthropologie, t. III,3e fase. 1870).

E lo stesso appunto avviene degli ibridi animali. L’ incrociamento fra le specie animali non ha dato risultato diverso dall’ incrocia¬ mento fra le specie vegetali. Anche per gli

l’ eredità

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animali prevale la legge del ritorno ai tipi progenitori. Questa legge viene a contrabbi¬ lanciare la legge dell’ eredità, nonostante la elezione e malgrado anche la predominanza di uno dei due sangui. I moltissimi esempi addotti dal Naudin, dal Lecoq, dal Flourens, dal Godron, dal Duvernoy provano che il ri¬ torno alle prime specie incrociate è completo.

I leporidi, prodotti della lepre e del coniglio, dei quali si è tanto chiacchierato, non porgono nessuna prova contraria alla legge della ste¬ rilità degli ibridi. Secondo afferma il signor Périer nel menzionato lavoro, cotesto esempio manca di autenticità, di precisione, di autori¬ tà. Ed il signor Samson ultimamente soste¬ neva presso la nominata Società delle scienze, che i leporidi ritornano al lepre o al coniglio. Lo stesso avviene per le capre nate da becco e da pecora : al Chili non si mantengono che mediante Y incrociamento fra pecore ibride e becchi. (V. Gay . Comptes rendus de V Accadè¬ mie des sciencesj * 1855).

II lupo-cane, il bissonte-bove , 1’ alpa-vi- gogna, 1’ alpa-lama, tutti questi incrociamenti non hanno mostrato fecondità continua. I ca¬ ratteri che tendono a scancellarsi, e la fecon¬ dità che inclina ad estinguersi, si mantengono soltanto con nuove infusioni del sangue dei tipi. « Noi non vediamo parla ancora il Périer

Di Bkrnardo. Il Darwinismo e le specie animali H

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CAPO III.

(1. c. p. 274J quest’ ibridi vivere di vita loro propria e interporsi, come un anello in¬ termediario, fra le specie donde traggono la loro origine. »

La natura non favorisce V ibridismo ; ma vi si oppone, rendendolo infecondo.

Darwin schiettamente dichiara « esser dub¬ bio che si conosca qualche esempio autentico di un animale ibrido perfettamente fecondo. »

Madama Royer tenta di spiegare ciò colle leggi darwiniane: « La sterilità degli ibridi non è un vantaggio per gli individui, ma lo è bensì per la specie, della quale mantiene la purezza tipica e gli adattamenti locali.... E sotto questo punto di vista può essere sta¬ ta acquistata per elezione naturale... Le "spe¬ cie ribelli ad ogni mescolanza con delle specie alleate, hanno generalmente dovuto es¬ sere elette a preferenza delle specie folli o polimorfe. »

Ma il mantenimento delle specie pure è contrario al trasformismo darwiniano. Per essere logici, i darwinisti non possono guar¬ dare di buon occhio le specie pure. Nelle teorie che riposano sull’ idea di una lenta trasformazione , ogni nuova specie sarebbe dapprima rappresentata da un individuo aven¬ te qualche carattere che lo distingue dal tipo specifico. Questo carattere appena visibile

l’ eredità

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a principio si affermerebbe eli generazione in generazione. Lamarck più volte ripete che questo solo procedimento eli trasformazione è in armonia colle leggi della natura-. E Darwin non insiste meno per mostrare eh’ esso è la conseguenza forzata della elezione.

In altre parole, entrambi ammettono che •ogni specie trae la sua origine da una varietà e attraversa la condizione di razza prima di isolarsi, cioè prima di prender posto nel qua¬ dro generale del regno animale.

Di a considerare la razza e la specie come due cose identiche o quasi, non c’ è che un passo. Così Lamarck ha pensato che le specie in realtà non sono che razze. Darwin dal canto suo pretende che le razze sono specie in via di formazione, e colla massi¬ ma disinvoltura conclude dalle une alle altre.

Eppure vi sono darwinisti i quali sosten¬ gono che l’ infecondità degli ibridi è necessaria per poter distinguere le specie ! Ma che im¬ porta ai darwinisti la distinzione delle specie ? Per vivere in pace colla loro teorica, essi de¬ vono ripetere col Naudin che « il confine della specie è interamente facoltativo. » (V. Nou- velles reclierches sur V liybridité dans les vègètaux , §. 8. Annales des Sciences naturel- les , 4.e sèrie, t. XIX ).

Meno darwinista di certi darwinisti, Darwin,

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CAPO III.

volendo spiegare l’ infecondità degli ibridi, non ricorre all’ elezione naturale : invece assimila 1’ infecondità degli ibridi a qualunque altra modificazione fisiologica, accidentalmente svi¬ luppata.

Non dico che questa spiegazione sia soddi¬ sfacente, perchè non mi persuade niente affatto che il caso fortuito possa essere 1’ alfa e T omega della formazione di ogni nuova spe¬ cie. Ma dico, che egli sa apprezzare la diffi¬ coltà che 1’ infecondità degli ibridi presenta contro la sua ipotesi, e non sempre abusa dei- fi elezione naturale come fanno alcuni suoi seguaci.

Per chi non ammette la formazione delle specie mediante lenta derivazione, per chi non riguarda le razze come specie in via di for¬ mazione, fi infecondità degli ibridi trova la sua spiegazione nella necessità, che c è in natura, di conservare fi ordine.

Difatti, se sopprimete fi infecondità fra le specie distinte, se supponete che gli accoppia¬ menti fra le specie diverse diventino in tutti i sensi indefinitamente fecondi, che cosa av¬ verrà ? Le barriere fra le specie e i generi sarebbero tolte, dappertutto apparirebbero tipi intermedi , dappertutto si scancellerebbero , un po’ alla volta , le distinzioni attuali. Diffi¬ cilmente si vede dove la confusione si ferme-

L* EREDITÀ

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rebbe. I regni vegetale ed animale presente¬ rebbero, dopo alcune generazioni, un insieme di forme bastarde , a caratteri indecisi , irre¬ golarmente allacciate , dove il disordine an¬ drebbe crescendo di più in più a causa della soverchiante mescolanza.

1/ infecondità fra le specie diverse ha dun¬ que nel mondo organico un ufficio quasi ana¬ logo a quello che rappresenta la gravità nel mondo siderale. Cotesta infecondità mantiene la distanza, per così dire, botanica e zoologica fra le specie , come 1’ attrazione mantiene la distanza fisica tra gli astri. Tutte e due fu molto a proposito notato hanno le loro pas¬ seggere perturbazioni, i loro fenomeni ine¬ splicati. Ma si può perciò mettere in dubbio il gran fatto che fìssa al loro posto il sole e T ultimo dei satelliti ? Ma si può, quantunque la complicazione dei fenomeni sia maggiore in botanica e in zoologia, negare T altro gran fatto che conserva la distinzione delle specie e garantisce V ordine nel mondo organiz¬ zato?

L’ arte umana potrà produrre risultati che a prima vista sembrerà non si pieghino alle regole dell’ ibridismo. Ma con ciò non avrà cambiata la legge naturale e generale , avrà dimostrato che tale legge non esiste; del pari che dominando una forza fisico-chi-

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CAPO III.

mica colle sue proprie o con altre leggi, non proviamo nulla contro di essa forza.

Supponiamo la nascita di una quantità di esseri ibridi. Supponiamo ancora che questi esseri godano di una completa fecondità. Es¬ sendo sempre eccezioni , essi si unirebbero con esseri normali, con individui puri d una delle specie donde sono derivati. E così per la prima , per la seconda e per ciascuna delle susseguenti generazioni. Ora è chiaro che , in seguito a tutte queste mescolanze, i caratteri dell’ ibridità finirebbero collo scom¬ parire e si arriverebbe ad individui che , quantunque avessero fra i loro antenati degli esseri anormali o ibridi, non sarebbero meno rappresentanti completamente normali di una specie pura.

Dunque , dato anche che ci fossero casi particolari in contrario , le semplici eccezioni non potrebbero diventare il punto di partenza di una spiegazione generale ( V. Isidoro Geof- froy Saint-Hilaire. Iiist. gen. des règnes organ. t. Ili, pp. 244-49 ).

Tolgo da una rivista inglese il brano se¬ guente :

L’ ipotesi darwiniana non solo non è ap¬ poggiata dai fatti, ma è con essi in flagrante contradizione. ( The darwinian hypothesis is not only unsopported by facts > bici it is in*

l’ eredità

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flagrant contradiction to tliem). Ci sono circa ventimila specie di animali; e mai animali di differenti specie si sono incrociati senza se¬ guirne sterilità. Sembra una legge di natura il tenere le specie distinte. Darwin per soste¬ nere la sua ipotesi deve supporre che ci possa essere stato un tempo in cui questa legge non sussisteva. Ma che si penserebbe di un astro¬ nomo , il quale pretendesse che , quantunque la legge della gravità sussista ora , ci potè essere stato un tempo in cui una mela gettata all’ aria viaggiava continuamente nello spazio? L’ argomento di Darwin sarebbe press’ a poco

10 stesso, sebbene la sua fallacia non si mostri a bella prima. (Har dioiche ’s Science Gossip , 1879 ).

L’ibridismo, lungi dal mischiare e confonde¬ re le specie, lungi dal dare origine a nuovi tipi permanenti, porge uno degli argomenti più poderosi in favore della limitatezza nella modificazione della specie.

Non è stato possibile far nascere alcuna nuova specie fisiologica mercè le progenie ibride. Questo fatto è uno scoglio contro cui

11 darwinismo vanamente si dibatte. Basta citare il prof. Huxley il quale scrive : « Adotto la teoria di Darwin, purché mi si dia una prova che le specie fisiologiche possano pro¬ dursi coll’ incrociamento elettivo. » Questa

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CAPO III.

prova non la si può dare ; epperò anche la autorità dell’ Huxley va contro il sistema dar¬ winiano.

vale il dire che i prodotti degli ibridi, essendo prodotti strani di accoppiamenti strani, devono perire, e che ciò si accorda colla teo¬ ria darwiniana , giusta la quale gli esseri strani e deboli non possono sopravvivere. La¬ sciamo stare la quistione della debolezza, giacché è provato che gli esseri deboli sono fecondi quanto quelli robusti e spesso anche di più. Ma con qual coraggio i darwini¬ sti possono rinunciare all’ ipotesi che 1’ in¬ crociamento di due specie diverse produca nuove specie ? Se quest’ àncora di salvezza vien loro meno, a che ricorreranno per giu¬ stificare la loro dottrina ? Tutto ciò che sappiamo con certezza, non appoggia le vedu¬ te di Darwin. La storia, T osservazione e la esperienza proclamano la costanza delle for¬ me specifiche. Se i darwinisti convengono che i fenomeni dell’ ibridismo non arrecano nessu¬ no sconvolgimento, anzi nessuna novità, non resta il loro edilizio più scosso che mai?

Se la sterilità degli ibridi fosse indifferente anzi favorevole alla teoria darwiniana, perchè mai Broca, dottissimo apostolo del trasformi¬ smo, si tanto male per mettere in dubbio la sterilità degl’ ibridi? Il Broca si è affannato

l’ eredità

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tanto a questo proposito, perchè comprese che gli ibridi, essendo improlifici. bene in¬ teso che quando pure all’ uomo venisse fatto di conservare qualche razza ibrida, si dovreb¬ be sempre dimostrare che anche la natura sia in grado di assicurare la fecondità dei pro¬ dotti ibridi), vanno a gambe all’aria l’unità di piano, 1’ unità di composizione e la comunità di origine fra gli esseri animali. Mancando la fecondità continua, manca un carattere certo per affermare che due o più esseri apparten¬ gono alla stessa specie, che, cioè, hanno ori¬ gine comune e sottostanno all’ unità di piano e di composizione. La sterilità degli ibridi pro¬ va la distinzione caratteristica, profonda, es¬ senziale fra specie e specie, e prova altresì l’ impossibilità che si formino esseri inter¬ medi e anelli di congiunzione nel regno animale. La mancanza di legame fisiologico, in fatto d* incrociamenti di razze ibride, fe¬ risce nel vivo la pretesa, continua, ininter¬ rotta trasformazione degli esseri orga aizzati. Checché dicano alcuni darwinisti, coll’infecon¬ dità degli ibridi viene a mancare un impor¬ tantissimo mezzo di trasformazione. Colle tras¬ formazioni lente, impercettibili , casuali non arriveremo mai a renderci conto della produ¬ zione delle specie nuove. La possibilità e la probabilità della reale ed effettiva trasforma-

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CAPO III

zione delle specie non avremmo potuto cer¬ carla e trovarla che nella fecondità degli ibridi. Il vero trasformismo, la produzione di specie nuove, derivanti da specie preesistenti potrebbe ammettersi qualora gli ibridi fossero fecondi. La trasformazione progressiva in for¬ za della legge di eredità, senza fecondo in¬ crociamento di specie diverse, sarà un postu¬ lato di una teoria astratta, ma non è un fatto un’ ipotesi plausibile.

Nessuno di certo può negare che 1’ eredità sia un fattore possente per la conservazione delle razze, per il perfezionamento degli incro¬ ciamenti e delle varietà. Ma non si è mai visto che le qualità acquisite, quantunque ri¬ tenute dalle generazioni che si succedono , abbiano per risultato la produzione di una nuova specie.

L’ eredità agisce nella maniera più ca¬ pricciosa e più disordinata. Le qualità, buone e cattive, si perdono e si acquistano con eguale facilità; e V azione ereditaria talora riesce alla degradazione del tipo e alla sopravvivenza di ciò che conviene meno, in preferenza di ciò che parrebbe più utile. In appoggio del tra¬ sformismo si citano le più futili e fantastiche bizzarrie dell’ eredità ; ma non si dice quasi nulla dell’ apparizione subitanea di potenti qua¬ lità, che quasi sempre sorgono come pure

l’ eredità

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creazioni, per disparire con un’epoca o con una generazione. I più nobili doni sono l’appannag- gio di un piccolo numero eccezionale, e rara¬ mente passano ai discendenti. Questo basta per convincerci che la legge di eredità non può spiegare il progressivo perfezionarsi della vita.

La teoria darwiniana presume scrive Alberto Wigand che le variazioni indivi¬ duali si consolidino di generazione in genera¬ zione, finché si fissino e si traducano in una nuova specie. Nel fatto, le variazioni mostrano una tendenza opposta, la tendenza di tor¬ nare, presto o tardi, alla forma primiera. Quello che in realtà è passeggierò, vale a dire la variazione, per la teoria darwiniana diventa co¬ stante. E quello che in realtà è costante, cioè il carattere della specie, per essa teoria diventa passeggierò. La specie si considera come va¬ rietà, e la varietà si tiene in conto di specie. Le nozioni della variabilità e dell’ eredità vengono all’ intutto travisate. (Die Begriffe Variabilitàt und Vererbnng loerden ihrer in der Wirklichkeit bestehenden Bestimmungen entkleidet und in dir Gegentlieil umgepragt). La natura tende a conservare il tipo specifico nonostante tutte le oscillazioni; il sistema dar¬ winiano invece regala agli organismi la ten¬ denza di variare sempre più, di fissare ad ogni

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CAPO III.

passo nuove forme , per così poi conseguire dalla più piccola alterazione, mediante succes¬ sivo accumulamento, una varietà, una specie, un genere.

Secondo Darwin, ogni accordo fra più forme si spiega in virtù della comunanza di stipite ; e due forme sono tanto più somiglianti, quanto più tardi si sono imbastardite nella succes¬ sione genealogica. Questo pensiero, è vero, si appoggia ad una positiva legge ereditaria , mercè della quale i genitori trasmettono le loro qualità ai figli, se ne togli certe leggiere deviazioni.

Finché si vuol far derivare il carattere comune di un gruppo (genere, famiglia) da una comune forma-stipite per opera della eredità, non c’ è nulla a ridire. Ma bisogna rammen¬ tarsi che 1’ accordo in certe qualità non si deve necessariamente verificare per questo solo mezzo dell’ eredità. Due forme possono andar debitrici del loro accordo ad una comune causa che agisce su diversi individui, Y un Y altro indipendenti, e su diversi luoghi. Così , per esempio, nel regno minerale, dove non si può parlare di discendenza e di eredità si verifica lo stesso aggruppamento secondo le specie, i generi, le famiglie, ecc. Così, nel regno orga¬ nico la medesima varietà si presenta contem¬ poraneamente in diversissimi punti della terra.

l’ eredità

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Così, nemmeno per le variazioni dei piccioni è riuscito a Darwin di provarne lo sviluppo ge¬ nealogico in virtù del solo principio di eredità.

La classificazione nel regno animale si può osservava lo stesso Wigand rappre¬ sentare non solo come un albero genealogico, ma anche come un « sistema fluviale; » o come una moltitudine di circoli che s’ intrec¬ ciano T un r altro.

Ora è chiaro che ad ognuna di queste rap¬ presentazioni corrisponderebbe un differente sistema di discendenza.

Nessuna prova positiva ci assicura sotto qual sistema si svolga il principio di eredi¬ tà. Ma supponiamo che prevalga il sistema dell’ albero genealogico. Potremmo con ciò lusingarci di spiegare i complicati rapporti di somiglianza ? No, di certo. Per esempio un membro A sotto un rapporto si accorda con un secondo B, e sotto un’ altro rapporto con un terzo o un quarto C o D. In questi casi la forma A non può essere derivata, cioè non può avere ereditato il suo accordo contempo¬ raneamente da B, da C e da D. E allora si deve trovare un’ altra spiegazione che non sia la semplice eredità, perchè non è presu¬ mibile che le particolari somiglianze si deb¬ bano contemporaneamente alla trasmissione ereditaria di tre stipiti.

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CAPO III.

Dappertutto, nel regno organico, s’incon¬ trano cosiffatte parentele laterali. Darwin ed Hàckel vanno tanto lungi, da vedere in ogni somiglianza, anche nei più piccoli punti, una prova per la comunanza di stipite. Non si ca¬ pacitano che il principio di eredità è insuffi¬ ciente a spiegare i complicati rapporti di so¬ miglianza ; a poco a poco vanno a dar di capo nell’ assurdo. Il fondamento di queste somi¬ glianze deve piuttosto cercarsi ( indipendente¬ mente dall’ eredità e dall’ elezione naturale) in una variazione che ha luogo con determi¬ nate direzioni , cioè secondo un determinato piano di sviluppo , ovverosia in conformità dell’ intima costituzione degli organismi.

Come negli altri capitoli, anche in questo devo far parlare il prof. Canestrini , che in Italia ha fama di darwinista serio, dotto, auto¬ revole , competentissimo. Trascriverò alcuni brani del mentovato suo libro : Teoria della evoluzione( capitolo III, p. 45 e seg. ), permet¬ tendomi di accennare in parentesi il mio mo¬ desto parere. Avverto che taglio fuori i fat¬ tarelli curiosi, talora divertenti, ma sempre inconcludenti, le citazioni e le divagazioni.

Porgete attenti T orecchio; udite il cam¬ pione del darwinismo in Italia: « Niuno dubita che i caratteri si trasmettono di padre in figlio ( I caratteri essenziali si trasmettono ; gli altri

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ora ed ora no ; non vi ha nulla in propo¬ sito di scientificamente certo ) ; se così non fosse , le nostre faune e flore costituirebbero un caos inestricabile. ( Intanto Y autore non pensa al caos che ci sarebbe, se le razze fos¬ sero specie in via di formazione, se le specie fossero concetti astratti, se fosse vera la teorica della indefinita mutabilità delle specie. Per tener lontano il caos , onde il Canestrini si preoccupa, basta la trasmissione dei caratteri essenziali, non è necessaria quella dei carat¬ teri secondari ). L’ ereditabilità non è un fe¬ nomeno così misterioso , inconcepibile , come più volte fu detto. ( Nessuno dice che la tras¬ missione ereditaria sia un fenomeno inconcepi¬ bile. Ma molti, meno istruiti, meno chiaroveg¬ genti, meno svelti del Canestrini, non veggono* ben chiaro in cotesto fenomeno ed affermano che effettivamente c’ è dentro qualcosa di misterioso ). Il figlio , prodotto dalla genera¬ zione agamica o da un individuo ermafrodito, non è che una parte della madre che se ne è staccata per condurre una vita propria ; e quindi è naturale che in questa parte agiscano tutte quelle forze che erano vive nella madre ed agiscano nella stessa maniera come in questa. Se il figlio fu prodotto da individui unisessuali, ossia dal concorso di elementi pa¬ terni e materni , 1’ essenza non è cambiata ;

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CAPO III.

nel figlio noi troveremo attive le forze di ambidue i genitori , e secondo la natura di queste forze , noi le troveremo ora sommate ed ora modificate pel reciproco contatto. (Sic¬ come questo squarcio è, per me, un briciolino misterioso e di molto imbrogliato , io non ci metto becco, e mi limito a raccomandarlo alla attenzione dei dotti nazionali e stranieri ). La legge fondamentale della ereditabilità si è che tutti i caratteri, senza veruna eccezione, sono trasmissibili. Ma quando si tratta del X apparsa dei caratteri specifici o generici, nessuno vi presta attenziono; è’ cosa sottintesa, da tutti preveduta, come il levare del sole ad ogni mattina: noi facciamo invece le maraviglie, quando sono ereditati caratteri meramente individuali. Il nostro stupore non è pienamente giustificabile, riposa per altro sull’ osservazio¬ ne che i caratteri puramente individuali non sono spesso ereditati. Imperocché domina que¬ sta legge, che un carattere è tanto più fe¬ delmente trasmesso, quanto più è vecchio: o con altre parole, i caratteri specifici sono trasmessi più fedelmente degli individuali, i generici più degli specifici, e così di seguito. (Che i caratteri sieno trasmissibili, è indubi¬ tato; ma a volte non si trasmettono, ed è qui per f appunto che fa capolino il mistero. A confessione dello stesso Canestrini, spesso non

L EREDITA

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si trasmettono quei caratteri individuali che sono i più necessari per la formazione di nuove specie. Dunque l’eredità non è un fenomeno così chiaro e limpido come il Canestrini se lo fi¬ gura). Sono generalmente ereditabili i caratteri anomali. Talvolta sono ereditari dei caratteri molto minuziosi ed insignificanti. Come sono ereditarie queste anomalie più o meno pro¬ nunciate, lo sono anche le mostruosità che non differiscono dalle anomalie essenzialmente. Anche le malattie sono trasmissibili (Siccome i caratteri anomali, o minuziosi ed insignifi¬ canti , le mostruosità e le malattie pos¬ sono mettersi a base della formazione di nuove specie vitali e durature , il darwinismo non dovrebbe fare assegnamento su coteste tra¬ smissioni ereditarie). Alcuni fenomeni che si riferiscono alla ereditabilità sono al presente inesplicabili. (Con queste quattro parole, il professore ammette che nell’ « ereditabilità » c è del misterioso .... almeno per ora. , . . quanto all' avvenire, sarà quel che sarà). Le leggi della ereditabilità ci sono forse in mas¬ sima parte ignote; i fenomeni succitati, al presente inesplicabili, sono una prova della nostra ignoy'anza intorno a questo soggetto. (In altri termini, le leggi della « ereditabi¬ lità » le ignoriamo , ma non è certo che le ignoriamo ! forse le conosciamo, ma ignoriamo

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali.

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di conoscerle ! In queste linee si riscontra il « colore locale; » le frasi danno nel misterioso quando si riferiscono a cose misteriose. Così il contenente si uniforma al contenuto ). Tuttavia i recenti studi ci hanno fatto cono¬ scere alcune di queste leggi che noi esporre¬ mo qui brevemente. (Qui l’egregio Canestrini espone la teorica di Hàckel sulla eredità con¬ tinua e discontinua, sessuale e bilaterale, omocrona e omotopa. Non è il caso di parlar¬ ne di nuovo, una volta che ho già detto quel che penso rispetto a questa teorica. Il Cane¬ strini generalizza con gran prosopopea e pren¬ de le ingegnose trovate di Hàckel come fatti certi e sicuri, come leggi positive che rom¬ pono ogni velo e disperdono i misteri della eredi là. Felice lui che ha la vista così acuta e coglie a volo le astruserie della teorica hàckelliana ! Sempre nello stesso capitolo : « ereditabilità dei caratteri, » discorrendo del- T atavismo, il professore ne dice di quelle che, così per la sostanza come per la forma, vanno guardate con tanto d’ occhi sgranati. Ecco per esempio in che modo « pone alcuni casi » di atavismo. Trascrivo testualmente) : Poniamo il caso che un uomo abbia una figlia; e questa un figlio: i caratteri maschili del padre 'passarono certamente alla figlia, in cui rimasero latenti, e divennero manife-

l’ eredità

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sti solamente nel figlio di questa figlia, ossia nel nipote di quell’ uomo. Talvolta però i caratteri maschili prorompono, in età avan¬ zata, nel sesso femminile, in cui per solito restano latenti; così le donne vecchie ricevono una specie di barba, la vecchia gallina mette sproni e canta come il gallo, e la vecchia fagiana indossa la livrea del fagiano. Nei casi prima citati si ha una riversione ai ca¬ ratteri di avi assai vicini ; ma talvolta una specie, in determinate condizioni, ritorna par¬ zialmente al tipo di un avo o progenitore lon¬ tanissimo. Citerò degli esempi. (Cita un esem¬ pio e ci fa conoscere perchè i cavalli hanno talora un’ anomalia nelle dita dei piedi). La anomalia su descritta trova una spiegazione pdausibile nel fatto, che durante T epoca ter¬ ziaria è esistito un cavallo triungulato, il così detto Hipparion , ai cui caratteri i nostri cavalli, per quanto riguarda i piedi, fanno ritorno di tratto in tratto. (I nostri cavalli si ricordano di tanto in tanto dell’ hipparion dell’ epoca terziaria e ne riproducono il piede « in una forma intermediaria e più recente ! ») Un altro esempio di atavismo ci presenta il ca¬ vallo, essendo constatato con numerose osser¬ vazioni che i cavalli di tutte le razze ed in tutte le parti del mondo sono non raramente e sopratutto allo stato giovanile, forniti di

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capo ih.

fascie agli arti ed al tronco. Noi siamo da ciò condotti ad ammettere che il cavallo di¬ scenda da una forma progenitrice rigata e fasciata come lo zebre ed il quagga, alla quale forma i cavalli attuali fanno ritorno di quando in quando. ( Rintracciare 1’ origine degli attuali cavalli sembrava difficile a co¬ loro, i quali non hanno osservato che tut¬ ti i cavalli hanno spesso, massime quando sono giovani, delle fasce agli arti e al tronco.. Il Canestrini fece a tempo per appurare e constatare il fenomeno delle fasce; e in que¬ sto modo, issofatto si dileguarono o diminui¬ rono i dubbi sull’ orgine degli attuali cavalli 1: Ed ecco come da piccoli accidenti, a volte si cavano scoperte grandiose). Noi sappiamo che tutte le nostre razze di colombi discendono dal colombo torraiolo. (Il professore conclude che in certi casi i piccioni perfezionati ritor¬ nano « al tipo del colombo torraiolo, da cui discendono. » Dopo avere accennato all’ ata¬ vismo negli animali, l’ autore adduce un esem¬ pio di atavismo nelle piante. Immediatamente appresso allega due forinole del prof. Mantegaz- za, la confutazione che ne fece il Dott. Enrico Morselli e la replica del Mantegazza. Conclu¬ de colle seguenti righe il paragrafo sull7 ata¬ vismo): Non v’ ha dubbio che ogni specie consti di elementi paterni, di elementi mater-

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ni, e di elementi atavici; questi ultimi appar¬ tengono ad una delle prossime generazioni antecedenti, rarissimamente ad una genera¬ zione antecedente lontana. Quando avviene quest’ ultimo caso, ossia quando apparisce un carattere che era rimasto latente in una lun¬ ga serie di antenati ; oppure quando le tre qualità di elementi succitate si associano tra loro in modo affatto nuovo, noi abbiamo una mostruosità. Ora le mostruosità possono vivere e perpetuarsi sotto Y influenza protettrice del- F uomo, come vediamo nella pecora d’ ancon, nel bue niata e nell’ alano ; ma esse non pos¬ sono vivere allo stato di natura, perchè quel¬ le stesse condizioni, cui sono adattati gli individui normali, non possono, nello stesso tempo, essere favorevoli anche agli individui mostruosi e molto diversi dai normali. Egli è perciò che noi non conosciamo, allo stato sel¬ vaggio, forse nessuna specie che possa consi¬ derarsi come una forma mostruosa resa pe¬ renne dalle leggi della ereditabilità. (Indubitato egli è che per la formazione delle nuove specie non c’ è da contare sulle mostruosità). Quanto ai cambiamenti che la nostra terra ha di certo subito, essi furono parziali, ristret¬ tissimi ; oppure divennero estesi e forti lenta¬ mente , nel corso di migliaia di secoli. Ai primi non possiamo dare veruna importanza

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in ordine alla neogenesi nel senso del Man- tegazza, i secondi le furono direttamente avver¬ si. La teoria quindi del Man tegazza, in quanto vuole spiegare la repentina apparsa di forme affatto nuove e durature, non sembra accet¬ tabile; essa ha però il merito di spiegare, tino ad un certo punto, 1’ apparsa delle leg¬ gere variazioni e di raccogliere in un’ unica forinola generale le cause che le determi¬ nano. »

Così il professore pone fine alle sue osser¬ vazioni sull’ atavismo. Ebbene , a che serve tutto questo chiacchierìo sull’ atavismo o ere¬ dità latente che dir si voglia ? Che frutto ne ha cavato il professore per la tesi da lui di¬ fesa ? Esaminiamo brevemente quale impor¬ tanza abbia l’ atavismo in rapporto alla teorica darwiniana.

Quello che a bella prima salta agli occhi,, si è che 1’ atavismo concorre efficacemente alla conservazione dei caratteri specifici, con¬ trobilanciando la tendenza alla variabilità.. Nell’ atavismo abbiamo una legge di trasmis¬ sione ereditaria, invincibile e fatale , che la scienza non ispiega. A codesta legge è dovuto- il ritorno degli ibridi ai tipi genitori. In virtù della stessa legge, gli animali sottratti alle- cure ed alla vigilanza dell' uomo ritornano al primiero stato

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C’ è chi prende questo ritorno come una prova della variabilità delle specie , invece, il ritorno alla specie tipica è una prova della tenacità dei caratteri specifici che riprendono il disopra, quando gli esseri sono sottratti alla domesticità o alla cultura. L’ atavismo dimo¬ stra incontestabilmente la limitatezza nella variabilità delle specie.

Darwin non ha potuto sconoscere che F ata¬ vismo è sfavorevole al suo sistema ed ha ammesso una « variabilità riversiva , » una « elezione retrograda. » Secondo lui, si è esa¬ gerato questo ritorno al tipo : « se la river- sibilità non ha impedito alF uomo di creare innumerevoli razze , perchè frapporrebbe un ostacolo assoluto ai processi elettivi de? la na¬ tura ? »

A ciò si risponde, che l’uomo non è riuscito a creare le razze domestiche, se non a forza di lottare contro la natura. Dunque la natura resi¬ ste alla elezione artificiale, e così manifesta la sua subordinazione alla legge dell’ atavismo. Le scappatoie e le sottigliezze di Darwin non giovano: la facoltà che hanno gli individui di variare, è controbilanciata, compressa, domi¬ nata dall' atavismo, da questa forza insita nei germi, la quale conserva il tipo originario ed impedisce la confusione e il disordine.

Come dice Rimbaud , il compito dell’ ere-

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dità non è di confermare i risultati dell’ele¬ zione. Quando si getta fuori della via naturale, F eredità agisce a contro-senso , o piuttosto « si ritira, » abbandonando il posto all’ ata¬ vismo, che arresta le deviazioni dal tipo, sof¬ fermando, nei prodotti, la tendenza a variare. L’ atavismo è una di quelle forze misteriose, di cui si vedono gli effetti, senza indovinarne la causa, nelle combinazioni armoniche della natura. Tutto ciò che i fisiologi ne sanno, si è che questa forza produce come un’ azione di ritorno, la quale sembra nascere quasi dalla rivolta dell’ eredità contro la procreazione

V

irregolare. E il contrappeso o la barriera in¬ sormontabile che la natura oppone ai capricci della elezione ed anche alla continuità della trasmissione delle malattie di famiglia, delle qualità , della costituzione fìsica e dei vizii. Quelle indefinite tergiversazioni di generazio¬ ne in generazione , quelle fluttuazioni fanno che il figlio non rassomigli mai com¬ pletamente al padre alla madre ; e se lasciano ricomparire nel figlio o in una parte della sua posterità le qualità o i vizi degli avi , gli è solo per accentuarli o indebolirli , per affermarli di nuovo o infirmarli ancora nel seguito della discendenza. Questo lavorìo, questo complicato procedimento è T antitesi reale del fenomeno immaginario che i tra-

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sformisti chiamano accumulazione di eredità.

Dopo ciò, continuo a riportare il capitolo del Canestrini sulla « ereditabilità dei carat¬ teri. » Al paragrafo sull’ atavismo egli ne fa seguire un altro, intitolato « Sviluppo. » State a sentire, di grazia, il prof. Canestrini e qual¬ che magra riflessione che qua e potrà suggerirmi:

« Tutti sanno che gli animali non nascono eoi loro caratteri definitivi , ma percorrono una serie di cambiamenti, ora più ed ora meno profondi, prima di raggiungerli (Già, gli ani¬ mali non nascono adulti : solamente a Pallade toccò la fortuna d’ uscire a un tratto, bell’ e armata, dal cervello di Gi ove). Perchè questo indugio , o questa preparazione ? Noi siamo tanto abituati a questo andamento delle cose che non vi pensiamo nemmeno, ma saremmo assai sorpresi se in qualche caso lo sviluppo avesse a mancare. L’ argomento è in istretto rapporto coll’ atavismo , anzi è un caso di atavismo ^Dunque gli animali non nascono adulti per un caso di atavismo. Vedete un po’ che significato ampio e che vaste propor¬ zioni acquista così 1’ atavismo !), ma non di atavismo che apparisce a caso, irregolarmente, sibbene di atavismo che apparisce costante- mente e con regolarità. (Se non che , allora non è il caso di parlare di atavismo). Esami-

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marno un caso di metagenesi, e precisamente tolto dall" Aurelia aurita fra le meduse. (Da due pagine che fanno smarrire la bussola e regalano il mal di mare alle costituzioni più insensibili, si deduce che le meduse, secondo Canestrini , discendono dagli infusorii e dai polipi idroidi ; i bratraci , dagli emibatraci e precisamente da forme simili agli attuali pro- tei e tritoni; i brachiuri, dai macrouri. I re¬ moti antenati dei mammiferi sono i pesci. I parassiti prima di diventare parassiti furono animali indipendenti. I pleuronettidi discendono da altri pesci, aventi un occhio in ciascun lato. Dopo una corsa trionfale, l’autore un po'stanco, se vogliamo, ma lieto e soddisfatto dei risul¬ tati quanto insperati altrettanto splendidi , esclama) : Noi possiamo ora comprendere fin- timo significato dello sviluppo. (Si direbbe che il Canestrini ha strappate le cortine ed ha gittato la denudata natura in pasto agli avidi sguardi dei suoi lettori. In quanto a me, « l’in¬ timo significato dello sviluppo » Y ho ancora da comprendere. Proseguendo a leggere e a tra¬ scrivere, forse mi si aprirà la mente): Suppo¬ niamo che la specie D sia discesa dalla specie C, e la C dalla specie B, e la specie B dalla specie A. Gli individui della specie D non na¬ sceranno direttamente coi loro propri carat¬ teri (Invece parrebbe che gli individui della

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specie D dovessero nascere coi caratteri loro propri almeno in germe; altrimenti, codesti non sarebbero caratteri loro propri), perchè i carat¬ teri di Aj B e C, pel principio di ereditabilità cercheranno pure di apparire in quegli individui. (Di modo che gli individui della specie D non hanno nemmeno in germe i caratteri loro propri, ma vengono loro appiccicati dopo. Gli individui della specie D sono considerati come tabulae rasae, tutt’ al più fornite di uncini , ai quali saranno appesi i caratteri di A, B e che per incanto diventano caratteri propri degli individui della specie D). E per la legge della ereditabilità in epoche corrispondenti; i primi caratteri ad apparire saranno quelli di A, poi quelli di B, poi quelli di C, ed infine quelli della forma perfetta D. (Dunque anche la forma D aveva caratteri da fare apparire in fine. Dunque la forma D nasce col germe di caratteri propri. Dunque la forma D non è tabula rasa. Perciò è difficilissimo determi¬ nare quanta parte prenda e che influenza eser¬ citi la legge di ereditabilità. Il problema è troppo complicato ed il Canestrini beve troppo grosso, se davvero crede di conoscere e di farci conoscere la stupenda regolarità che ha luogo nell’ apparizione nell’epifania, direbbe il prof. Trezza dei caratteri). Con altre parole , T individuo dovrà svilupparsi

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ossia percorrere quegli stadi che ha attra¬ versato la specie nel corso dei secoli. (Si è già detto che lo sviluppo embriologico dell’ indi¬ viduo non ha che vedere collo sviluppo che subiscono le specie attraverso i secoli). Senon- chè questo processo di sviluppo non può es¬ sere utile all’ individuo, ed essendo l’embrione, bene come la larva, soggetto alla elezione naturale, questa avrà accelerato lo sviluppo , e spesso soppresso, od almeno modificato, qual¬ che stadio larvale. Se così non fosse, lo svi¬ luppo dell’individuo, ossia l’ontogenesi, sarebbe un’ immagine perfetta della filogenesi , ossia dello sviluppo della specie. Invece , per gli effetti dell’ elezione naturale, Y ontogenesi può dirsi una filogenesi accelerata e nelle varie specie diversamente modificata. (Cioè la filo¬ genesi non è più filogenesi. Dunque l’elezione naturale corregge le stabili leggi dell’ embrio¬ logia! Ma pocanzi non ha detto il professore che l’individuo deve percorrere gli stadi che ha attraversato la specie nel corso dei secoli ? Se interviene 1’ elezione colle sue instabili e casuali leggi , non va a picco 1’ ammirabile , la perfetta e decantata regolarità dello svi¬ luppo ? Che confusione da questo imbrogliato intervento della legge di eredità, della legge embriologica e dell’elezione naturale! Faccio i miei complimenti a chi sa levarne i piedi.

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Già il professore, accorgendosi che il suo lo¬ gogrifo era troppo duro a masticare per la maggioranza dei lettori, si affretta a concre¬ tizzare le sue idee e scende a degli esempi). Veniamo ad alcune applicazioni che in pari tempo chiariranno questo concetto. (Prego a tendere bene gli orecchi e a non perdere un ette dell’ applicazione, che in pari tempo sarà un chiarimento ). Moltissimi crostacei, appar¬ tenenti ad ordini diversi, ad esempio ai cope- podi, parassiti e cirripedi, assumono nel loro sviluppo una forma che fu lungamente consi¬ derata come un genere a parte, cui si aveva dato il nome di Nauplius. E certamente Fritz Mtiller ha trovato che anche un genere più elevato di crostacei, un Penens , percorre lo stadio di Nauplius. Noi dobbiamo quindi ri¬ tenere che una delle più antiche forme pro¬ genitrici dei crostacei somigliasse al Nauplius attuale. In molte specie F elezione naturale avrebbe soppresso quello stadio , ed in altre conservato, per ragioni che non ci fu ancora concesso di scoprire. ( Sono stato attento, ho letto , ho riletto , ho tornato a leggere con attenzione sempre maggiore quest’ « applica¬ zione-schiarimento ; ma la fatica che ci ho spesa, non mi ha fruttato che una delusione. L’ applicazione non mi rischiara; al contrario mi lascia nel desolante buio pesto nel quale

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languivo. Forse non sarà tutta colpa mia: difatti l’autore quasi presentisse che tale applicazione non fosse a tutti intelligibile , ne snocciola un’ altra) : Un altro esempio possiamo togliere dagli echinodermi. In tutte le classi vi hanno delle specie, i cui primi stadi di sviluppo sono concordanti. I piccoli embrioni somigliano agli infusorii, sono rivestiti di cigli vibratili , e si convertono più tardi in larve allungate , più o meno piriformi , nelle quali possiamo di¬ stinguere una faccia dorsale alquanto convessa, due lati simmetrici ed una faccia ventrale , la quale porta una impressione occupante 1’ in¬ tera lunghezza del ventre. Sul margine di questa impressione scorre una fascia di cigli , che serve all’ animale da organo di locomo¬ zione. L’ apparato digerente della larva trovasi nella linea mediana e consta di tre parti ben distinte , che sono la faringe , lo stomaco e F intestino. La bocca apresi sulla faccia ven¬ trale entro la fascia cigliare ; 1’ ano trovasi dietro la citata fascia in prossimità del polo posteriore del corpo. In questa forma larvale convergono delle specie di tutte le classi degli echinodermi : ma poi la larva assume forme diverse a seconda della classe cui appartiene. Noi possiamo quindi concludere che le olotu¬ rie, gli echinidi, le asterie ed i crinoidi con¬ tino fra i loro remotissimi antenati una forma

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L' EREDITÀ 239

simile alla su descritta. E diciamo simile , e non uguale, perchè è assai probabile che, nel lungo corso dei secoli , la elezione naturale abbia, nei discendenti, modificato più o meno i caratteri dell’ antichissimo antenato. (E que¬ sto è un esempio per dimostrare che 1’ onto¬ genesi può dirsi una filogenesi accelerata e nelle varie specie diversamente modificata ? ! Dopo una pagina di citazioni dall’ Huxley, dal Lubbock e dal Rùtimeyer , lo scrittore va innanzi colle seguenti linee): Per far vedere la somiglianza tra loro dei giovani individui di specie diverse d’ uno stesso genere si pre¬ stano gli araneidi più che ogni altro gruppo di animali. Tale e tanta è cotesta somiglianza, che anche all’ aracnologo più esperto riesce spesso impossibile classificare la specie, e molti raccoglitori, quando prendono i giovani indi¬ vidui , li gettano via come inclassificabili ed inutili. ( Ed ecco provato come gli araneidi inclassificabili ed inutili « si prestano per far vedere la somiglianza tra loro dei giovani individui di specie diverse d' uno stesso ge¬ nere ! » ). Dalle considerazioni che precedono, noi concludiamo che i giovani individui delle specie di un genere convergono nei loro ca¬ ratteri verso lo stipite del genere, gli embrioni dei generi di un ordine e di una classe verso la forma progenitrice dell’ ordine o della classe

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stessa. (Un domma questo non è. È una qui- stione disputabile , anzi disputabilissima. Gli argomenti che ne dimostrino 1* ammissibilità, sono di da venire. Le considerazioni del Canestrini sono un centone che rende molto più improbabile lo scoprimento dei veri argo¬ menti ). Ma si potrebbe aspettarsi che almeno le serie animali rimangano separate, e che basti ammettere tante forme stipiti, quante sono quelle serie. Gli studi recenti hanno resa impos- sibite tale supposizione. ( Io dico che gli studi del professore rendono impossibile qualunque supposizione. Ma egli non se ne per inteso; e addentrandosi sempre più nella « ereditabi- lità dei caratteri, » affronta la teoria della gastrula ! Si tratta nientemeno di trovare il ponte che unisce gli invertebrati coi vertebrati: si tratta di provare che i vertebrati sono di¬ scesi dagli invertebrati e che il trasformismo darwiniano non ha più ostacoli da superare. Udite ) : Nelle spugne calcaree ( genere Olyn- thus ) fu scoperta una larva che ebbe il nomo di Gastrula. Essa rappresenta un sacco, e se così si vuole, uno stomaco munito di apertura orale. La parete è formata di due strati di cellule : le cellule esterne portano dei lunghi filamenti , le interne ne sono prive , ed al contorno orale le cellule esterne fanno jjas- saggio alle interne. Questa forma larvale non

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l’ eredità

è limitata alle spugne, ma fu rinvenuta , coi suoi caratteri essenziali, nei celenterati, negli echinodermi, in alcuni vermi ( Sagitta , Pho- ronis , Euaxes , Lumbricus ), nelle ascidie tra i molluschi , e perfino nell’ Amphioxus tra i vertebrati. Specialmente interessante è la larva di questo infimo pesce , scoperta dal Kova- levsky , la quale precede la formazione della corda dorsale , consta di una - cavità interna limitata da un doppio strato cellulare, V uno esterno cigliato e 1’ altro interno sfornito di ciglia, e mette all' estremo con una semplice apertura. Questa larva concorda essenzial¬ mente con quella delle ascidie e delle spugne, chiamata Gcistrula.

Negli antropodi non fu ancora scoperta una vera Gasimela, sibbene una forma embrionale che le sta assai vicina, e può considerarsi come una modificazione di essa. Appoggiato a questi fatti il prof. Hàckel conchiude : La generale diffusione della Gasimela nelle più differenti serie animali, prova la comune di¬ scendenza di tutte queste serie da un’ unica comune forma estinta. Questa forma-stipite doveva essenzialmente concordare nella sua struttura colla Gasimela, noi le abbiamo già dato il nome Gastraea. Secondo le osserva¬ zioni interessantissime del Kowalevsky confer¬ mate ed approfondite dal Ivupffer, da 0. Hertwig

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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e da R. Hertwig, la Gastrula dell’ Ampliioxus e quella delle ascidie subiscono uno sviluppo ulteriore eguale, fino al punto in cui ambe¬ due le forme larvali presentano il tipo dei vertebrati, che è conservato dalla larva del- f Ampliioxus , mentre quella delle ascidie su¬ bisce poi una metamorfosi regressiva. Tanto nell’ Ampliioxus , come nell’ ascidia, la Ga¬ strula ovale si appiattisce in un lato, sul quale si formano due rialzi, costituiti di cel¬ lule, i lembi dei quali più tardi si uniscono per formare un tubo, il tubo midollare, che dapprima è aperto davanti e chiuso posterior¬ mente. Poscia si forma una nuova bocca, quel¬ la che dovrà persistere, convertendosi la bocca della Gastrula nell’ orifizio anale. Mentre ciò avviene, si sviluppa nell’ ascidia un’ appendice caudale, ed in questa una fascia composta di cellule, eh’ è la corda dorsale, caratteristica dei vertebrati. Tale corda si sviluppa anche nell’ Ampliioxus , in cui persiste durante tutta la vita. Giunta a questo punto, la larva del- T ascidia esce dall’ involucro embrionale, per condurre vita libera , nuotando nel mare col mezzo della sua coda. Queste larve, simili ai bottoli 0 girini delle rane, sono conosciute fino dal 1834, epoca in cui furono scoperte dal Darwin. Lo sviluppo progressivo continua an¬ cora : nel tubo midollare si formano due or-

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gani dei sensi (occhio ed udito), ed al lato ■ventrale prende origine il cuore. Così la larva raggiunge 1’ apice del suo sviluppo, percorso al modo dei vertebrati (!); poi cade al fondo, si fìssa sopra un qualsiasi oggetto sommerso ed imprende una metamorfosi regressiva. Essa perde l’ appendice caudale ed insieme la corda dorsale, il tubo midollare si converte per avvizzimento in un piccolo ganglio, gli organi dei sensi vanno perduti., 1’ intestino si ingrandisce dividendosi in due parti all’ uopo della respirazione e della digestione, e tutto il corpo prende la forma di un ampio sacco. Questa concordanza nello sviluppo fra 1’ asci¬ dia e T Ampjhioxus è per noi di grandissimo interesse, imperocché dimostra la consaguinei- fra questi due animali, ed abbatte quel- 1’ alta barriera che molti autori vollero erigere fra gl’ invertebrati e i vertebrati. Noi siamo costretti ad ammettere resistenza, in tempi re¬ motissimi di un vertebrato primitivo, che trasse forse origine dalla classe uniforme dei vermi, e da cui, in due direzioni divergenti, si svi¬ lupparono i tunicati fra i molluschi ed i pesci tra i vertebrati,

Dalle considerazioni esposte in questo pa¬ ragrafo noi possiamo trarre la convizione, che lo sviluppo altro non sia che un effetto delle leggi della ereditabilità, e che ad esso

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noi dobbiamo attingere in parte i materiali, per un futuro albero genealogico degli orga¬ nismi. »

Dunque le leggi della ereditabilità ci spie¬ gano che cosa è lo « sviluppo » e ci spie¬ gano il come e il perchè i vertebrati disce¬ sero dagli invertebrati ! Secondo lo stesso Canestrini, « le leggi della ereditabilità ci sono forse in massima parte ignote; » intor¬ no ad esse, noi non possiamo non ammettere la « nostra ignoranza. » Ma purnondimeno da queste leggi che non conosciamo, si deduce che i vertebrati derivano dagli invertebrati.

Già diversi naturalisti hanno combattuto scientificamente le asserzioni di Kowalevsky e specialmente di coloro che trovano omo¬ logie dove non ce n’ è, e saltando di palo in frasca concludono a sproposito.

Ma dato e non concesso che lo sviluppo fra f ascidia e 1’ amphioxus sia concorde, quali sono le prove che dimostrino la consan¬ guineità fra questi due animali ?

La descrizione che fa il dotto prof. Cane¬ strini, della larva col sacco , di stomaco con apertura orale , di strati di cellule, di con¬ torno orale, di cellule esterne che fanno pas¬ saggio alle interne , di cavità interna , di strato cigliato , e poi di appiattamelo , di rialzi di tubo aperto e chiuso , di bocca che

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si converte in ano , di appendice caudale , di fascia, di corda dorsale, presenta un guaz¬ zabuglio interamente estraneo all’ « alta bar¬ riera che molti autori vollero erigere fra gli invertebrati e i vertebrati. »

La verità è che ignoriamo le leggi del- V eredità e ignoriamo ancor più donde tras¬ sero origine i vertebrati. Non sappiamo neppure se gli animali domestici vennero dagli animali selvaggi. Nathusius che nel suo libro Schwei- neschàdel (Berlino 1864) si dichiarò darwi¬ niano chiamando la teorica di Darwin un forte ed utile fermento ( ein krdftiges und nu- tzliches Fermenti), dice che di nessun animale domestico nello stretto senso della parola, si conosce veramente l’origine ( Von heinem ein - zigen Hausthiere ini engeren Sinne des W or- Jes, sei der Ursprung zuverlàssig bekannt). Ed il ben noto zoologo Sibiel scriveva: « Con¬ fesso la mia crassa ignoranza, io non conosco in tutto il regno degli animali, compiutamente organizzati, neppure una sola osservazione, la quale ci dia anche una lontana probabilità che, per esempio, 1’ elefante africano venga dall’ elefante asiatico, e che entrambi discen¬ dano da un elefante primiero, da un tipo pri¬ mitivo, » ( Zeitschr . f. d. ges. Nat. T Viss., 1866, p. 419). Ma dove sono, in grazia, le ne¬ cessarie, le indispensabili forme di passaggio?

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Trattandosi particolarmente deir origine dei¬ vertebrati, forse che basta allegare la pretesa concordanza di sviluppo fra 1’ ascidia e Yam- phioxus ? Lo stesso Hackel fondava la sua teoria della gastrula sopra una semplice omo¬ logia. Il Wigand mostrò la vacuità di tale omologia e la mancanza assoluta di plausibili prove per ammettere la teoria della gastrula, Carlo Claus, valoroso professore di zoologia, autore di tredici opere fra le quali quella chiamata Grenze des thier-u. pflanz-Lebens (Lipsia 1863) - oltre un gran numero di ar¬ ticoli sparsi nelle riviste di scienze naturali della Germania e dell’ Austria, Carlo Claus combatte (V. Typenlelire und E. Hackel so- gennante Gastraea-Theorie. Vienna 1874J tale teoria; e dopo avere spiegato alla distesa che di gastrule ce n’ è due forme, fa vedere che le lucubrazioni di Hackel lasciano la quistione

al punto dove stava. Il Salensky si professa

*

esplicitamente avversario della teoria in pa¬ rola. Dice che non di rado rintestino si presenta allo stadio di sviluppo in cui già sussistono parecchi cotiledoni. Mostra quali confusioni si fanno per imbastire ed affazzonare alla me¬ glio o alla peggio cotesta teorica della ga¬ strula , e conclude coll’ accertarci che nulla di positivo si è trovato in proposito. C. C. R. Hartmann, darwinista sino alla cima dei

l’ eredità

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capelli, ripete che niente o quasi niente sap¬ piamo di sicuro intorno all' origine degli organismi e quindi, per questo soggetto, si finisce col lasciar correre la speculazione a briglia sciolta (Wir ersehen aus Obigen, wie ivenig Sicheres Thatsàchlìches wir bis jetz iiber die erste Entstehung der Organismen wissen , loie sehr der Speculation in dieser Kinsicht vorlaufig nodi Thor und Unir ge- òffnet bleiben).

Il Mecznikow e il Bar, intrattenendosi sul medesimo argomento di ascidie, di amphioxuSj di diorda dorsaliSj sostengono che 1’ abisso fra gli invertebrati e i vertebrati non è niente affatto colmato.

Il Canestrini nel libro pubblicato a Milano 1’ anno scorso sulla teorica darwiniana, arri¬ vando all’ eredità, talora copia, quasi parola per parola, quello che aveva scritto nella « Teoria dell’evoluzione, » a volte si diffonde , si stempra in un maggior numero di aneddoti, di citazioni, di digressioni. Spende, per esem¬ pio, sedici pagine » sulla causa che determina il sesso, » e stabilisce che « in regola gene¬ rale il sesso potrà prevedersi. » A parte il legame che questa chiacchierata possa avere colla teorica darwiniana , ci vogliono tante condizioni e tante combinazioni per « prevede¬ re il sesso, » che in sostanza non lo si prevede.

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Nell’arruffìo delle storielle e elei moltissimi pareri da lui citati , pare che il Canestrini « fra il e il no si attenga all’opinione con¬ traria. » Ecco un saggio delle formule dall’au¬ tore usate per convincere i lettori: « sem¬ bra prudente attendere ulteriori prove, » « non possiamo trarre un’ induzione precisa, » « non siamo in grado di rispondere con certezza, » « questa regola non ha un valore assoluto, » « quest’ asserzione non è stata sufficientemente dimostrata, » « ammetto che in questa teoria vi sia molto di vero, » « potrebbe darsi che.., » « può succedere che...., » « 1’ idea direttiva sarebbe questa, » « ammesso che quest’ asser¬ zione sia vera, panni che...., » « si potrebbe

temere che . ma tale timore non è fondato,

se è vero che.., » « se questo fatto è vero , esso trova una bacile spiegazione, » « contro l’ idea che... potrebbero sollevarsi obbiezioni, » « ammesso il nostro concetto, conviene confes¬ sare che . , » e via di questo gusto. Ma re¬

lativamente alla teoria della gastrula, il Cane¬ strini si sbarazza d’ ogni impaccio , pone da canto ogni esitanza, e procede franco, disin¬ volto, come se si trattasse d’una cosa da nulla, d’ una verità pressoché evidente : « La teoria della Gastraea avvicina egli scrive (p. 175) i vertebrati a tutti gli invertebrati, eccettuati gli infimi, facendo discendere quelli

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da questi. A torre poi ogni dubbio sulla di¬ scendenza dei vertebrati dagli invertebrati , venne la scoperta eli Kowalevsky, il quale dimostrò che 1’ Amphioxus e le ascidie si svi¬ luppano in modo consimile Ano ad un certo periodo, trascorso il quale, il primo progredi¬ sce ancora fino che tocca la forma perfetta , mentre le seconde regrediscono. »

E in questo modo si fa la storia naturale e si polverizza la barriera che divide i verte¬ brati dagli invertebrati !

Se non che, il negozio non corre così li¬ scio liscio. Fra gli altri , il signor A. Giard dice, che nella teoria della gastrula non si tratta di omologie atavistiche, bensì di omo¬ logie di adattamento. Cosicché non solo siamo nell’elastico terreno dell’omologia, ma non si sa neppure con che razza di omologie qui

r

veramente abbiamo da fare ( Elude critique des travaux d' embryogenie relatives à la parente des vertèbrès et des tuniciers. Ar- cliives de Zoologie generale et exp èrimentale redigèespar Lacaze-Dutliiers. Voi. 1, p. 233).

I. W. Spengel dichiara (1. c. 1874, p. 427) ehe siamo ancora lontanissimi dal poter co¬ struire l’albero genealogico del mondo organiz¬ zato; che abbiamo enormi vuoti, non solo fra gli invertebrati e i vertebrati, non solo fra i generi e le famiglie, ma fra i tipi e le classi principali.

250

CAPO III.

Nel volume della stessa opera, pubblicato nel 1875, il medesimo darwinista, a pag. 27 osserva che nonostante gli sforzi di Hàckel , la teoria della gastrula ha semplicemente il valore di un’ ipotesi, la quale, per giunta, ha perduta la sua importanza dopo la scoperta di C. Semper.

Il Reichert dimostrò (Abhandl. der Beri. Akad. 1876) che la sedicente corda delle asci¬ die non ha nulla di comune colla corda dor¬ sale negli animali vertebrati : « il paragone colla corda dorsale non è giustificato or- ganologicamente istologicamente. » (der Vergleich mit der Ckorda dorsualis ist weder organologish nodi histologish gerechtfertigt).

Il Pfaff, dopo aver parlato della pretesa scoperta di Kowalevsky , aggiunge : « Queste conseguenze mostrano a quali assurdità si arriva, quando ad ogni costo si vuol sostenere una teoria e si vogliono formare leggi gene¬ rali con qualche fatto pescato a casaccio. »

Chi ha tempo e pazienza legga C. Semper Die Stammesverwandschaft der Wìrbeltìiiere und Wirbellosen, Arbeiten aus den Zoologish- zootomisdien Institut in Wilrzburg , Voi. II, pp. 25-75; Th. Gill Synopsis of tlie primary subdivisions of CetaceanSj Proceedings of thè Essex Inst. Voi. VI, pp. 126-131, 1871 On thè genette relations of thè Ceteceans and thè

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l’ eredità

metliods involved in discovery , American Na¬ turalista Voi. VII, p. 19, 1873; W. Kowalevsky Ungulata paridigitata Annals and Ma- gazine of Nat. Hist , N. 68, pp. 164-181 Transaction. Rogai Soc. 1873, pp. 19-94 Mèmoires de V Acadèrnie de St. Pótersbourg, Sez. VII, Voi. XX, N. 5, Pietroburgo 1873; 0. C. Marsh On a new sub-class of fossil birdSj American Journal of Science and arts. Febbraio 1873; B. Th. Lowne - The philo- sophy of evolution Tavole VI-VIII, Londra 1873; À Schulze Zur Pliylo genie der Wir- belthiere , Vorldufige Mittheilung , Centralblatt fiir die medie inischen Wissenschaften , N. 50, 1874; e F. M. Balfour A preliminary account of tlie developrnent of thè elasmobranch fi - shes j Quarterly Journal of microscopical Science , Ottobre N. 56 del 1875, pp. 323-364.

Chi ha dato uiT occhiata a questi lavori , non può fare a meno di deplorare la legge¬ rezza , con cui il Canestrini appiccica fram¬ menti con un pò* di sputo e a modo suo tira su alberi filogenetici ; non può non de¬ plorare la cieca, Finfantile fede, con cui il Ca¬ nestrini, nella sua beata noncuranza, apre le braccia e fortemente si attacca alle specula¬ zioni dell’ Hàckel.

Stia a sentire il prof. Canestrini che cosa scrive Carlo Elarn a proposito di Hàckel e

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CAPO III.

del passaggio dagli invertebrati ai vertebrati: Fra gli animali osserviamo almeno cinque di¬ stinti tipi i Protozoi, i Celenterati, i Mol¬ luschi, gli Anellati, e i Vertebrati. Fra qua¬ lunque coppia di tali tipi non c’ è alcuna , conosciuta o sospettata, forma di transizione. Hackel, in molti punti della serie da lui pa¬ trocinata, inserisce degli ordini interi. Queste inframmesse sono così puramente immagina¬ rie, eh' egli le difende soltanto col dire che sono necessarie a completare la sua teoria. Non varrebbe la pena di parlarne ; ma una di esse è così audace, così strana, così impos¬ sibile, che richiede almeno un accenno fugace.

La connessione dei vertebrati cogli indi¬ vidui più bassi del mondo animale e la diffi¬ coltà della loro derivazione da forme conosciute o immaginabili, hanno sempre presentato un intoppo serio per gli evoluzionisti. Darwin; tracciando l'albero genetico, arriva scivolando sino ai pesci; ma qui sorge una difficoltà più forte : come avvenne che i pesci hanno una colonna vertebrale e donde si svolse siffatta colonna ? Parve che si potesse rispondere colla scoperta che le larve delle ascidie (molluschi marini, invertebrati ed ermafroditi) offrivano qualche analogia coi vertebrati in certi punti della loro struttura e del loro sviluppo. Quindi Darwin si considerò « giustificato nel credere

L EREDITA

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che in un periodo estremamente rimoto esi¬ stette un gruppo di animali rassomiglianti in molti rispetti alle larve delle attuali ascidie , i quali animali si divisero in due grandi rami: uno retrocedette nello sviluppo e produsse Fat¬ tuale classe delle ascidie, F altro si elevò alla cima del regno animale , dando origine ai vertebrati. » (. Descent of Man, Voi. I, p. 206J.

Hàckel non si accontenta di queste timide conghietture. Quando arriva il periodo in cui i vertebrati devono venir fuori , Hàckel non cerca argani per saltare, non ha pusillanimi esitanze. Prende un verme e con un colpo della sua penna gli regala una midolla spi¬ nale ed una corda dorsale, su « principii mec¬ canici. » Avendola migliorata , alla corda il nome di cordonici la madre di tutti i vertebrati, una specie di parente lontana, forse cugina seconda , delle ascidie. E la pone nel suo ordine naturale, come se avesse il diritto di starci. Sembra che all’ autore non sia mai venuto in mente che, se pur fosse vero, que¬ sto procedimento non assomiglia per niente ad un’ evoluzione. Questa è quasi una « mo¬ struosa frode letteraria , » come sarebbe una frode commerciale F inframmettere un biglietto falso in un pacchetto di biglietti veri. Se la scienza dell’ embriologia non è una favola, è così impossibile che le ascidie stiano in tale

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CAPO III

relazione coi vertebrati, come sarebbe impos¬ sibile per qualunque individuo di un albero genealogico Y essere rappresentato come suo proprio avolo e nello stesso tempo suo proprio bisnipote. ( If there be any truth or reality whatever in tlie principles of thè Science of Embryologyj it is as impossible for thè Asci- dian to stand in this relationship to thè Ver¬ tebrata, as it would be for any member of a genealogical iree to be represented ai one and thè sanie Urne as his oion grandfather and his oion grand-nepliew ).

Dunque per mandar giù la barriera fra gli invertebrati e i vertebrati ci vogliono colpi di piccozzo più forti, più gagliardi, più cadenzati di quelli dati dall’ Hàckel. Il Canestrini, a sua volta^ dovendosi accingere ad un’ opera così immane, non si levò i guanti, la lente, il « cilindro, » e si avvicinò alla barriera come se avesse a giuocare una partita a dama. La barriera vedendosi abbordata con tanta spen¬ sieratezza, vedendosi trattata con tanta fami¬ liarità, non solo non si rassegnò ad andarsene via, ma quasi s’ingrandì e si rafforzò a vista d’ occhi.

Nel suo nuovo libro, il Canestrini rese più elegante Y intestazione del capitolo sull’ ere¬ dità, intitolandolo non più « ereditabilità dei caratteri, » bensì « ereditarietà dei caratteri, »

l’ eredità

255

tanto per farne più facile la pronunzia e più armonioso il suono. Speriamo che in un altro libro, il professore , non avendo a preoc¬ cuparsi della forma, penserà a provvedersi di ferri più poderosi , si metterà in maniche di camicia e assesterà botte così mortali, che la sullodata barriera scomparirà una volta per sempre. Attualmente la barriera è a posto, ha la solidità di una muraglia da ciclopi e noi non possiamo fare i conti senza di essa.

Lasciando stare la barriera , giova notare che neanco il Canestrini crede alle ipotesi che si sono costruite sulla « ereditarietà dei ca¬ ratteri. » Dopo di avere sciorinato nientemeno che ottantotto pagine (112-200) sulla « ere¬ ditarietà dei caratteri, » scrive quanto appres¬ so : « I fenomeni della ereditarietà dei carat¬ teri, come si è potuto vedere nelle linee che precedono, sono svariati e molteplici ; quindi non ci reca sorpresa il vedere che alcuni autori hanno cercato di adunarli sotto un unico punto di vista, ed hanno proposto delle ipotesi destinate a spiegarli. Per vero dire , nessuna di queste ipotesi ci soddisfa e contro ognuna di esse si possono sollevare delle obbiezioni più o meno gravi. » ( p. 201 ).

Fatta questa dichiarazione , il Canestrini discorre della pangenesi di Darwin ; ma egli Canestrini combatte la pangenesi dar-

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CAPO III

winiana , e Madama Royer la respinge, e il prof. Hàckel non Y accetta.

Quando la non è ammessa neppure da co- desti darwinisti , io non ho bisogno di occu¬ parmene più che tanto. La pangenesi ideata da Darwin è uno squarcio di filosofìa specu¬ lativa, un volo icariano, un esercizio olimpico. Io non intendo fare concorrenza a coloro che inforcati i focosi destrieri della fantasia, van¬ no scorrazzando attraverso la nera selva delle possibilità. Riproduco invece le ultime righe che il Canestrini, a scanso di equivoci, scrive, come suggello del suo lungo dire, sulla « ere¬ ditarietà dei caratteri. »

« Come si vede, i tentativi fatti per racco¬ gliere sotto un unico punto di vista i fenomeni dell’ eredità, sono parecchi, incominciando da quello del Darwin fino a quello del Lemoigne. Ma allo stato presente dei nostri studi , nes¬ suna delle ipotesi sopra esposte può essere accettata senza riserve. Si può dedurre da ciò che quei tentativi erano precoci, e che la so¬ luzione del problema è riservata all’ avvenire. » Il Canestrini ha dovuto ammettere che i fenomeni dell’ eredità non appoggiano le ipo¬ tesi che vi si erano fabbricate su a comodo del darwinismo. Qualcosa però si rileva dai fenomeni dell’ eredità ; e questo qualcosa non è punto favorevole alla teorica patrocinata dal

l’ eredità

257

Canestrini. L’ eredità infrena i disordini della elezione provocata artificialmente. Ciò che ci è d’ indefinitamente ereditario, si è il carat¬ tere essenziale della specie così nello stato domestico come nello stato selvaggio. Cote¬ sto carattere avverte Rimbaud fi ere¬ dità conserva e trasmette fedelmente. E ne porgono testimonianza la permanenza del ca¬ rattere specifico e fi insuccesso dei tentativi fatti dall’ uomo nello intento di spingere le specie domestiche a sorpassare Y intervallo, talora poco considerevole, per il quale sono separate le une dalle altre. Nella procreazione fra individui della stessa razza , V eredità asseconda 1’ « atto generativo, » e così gli ascendenti possono trasmettere i tratti fisici , a volte quelli morali , il temperamento , le attitudini e sino lo stato patologico o tera¬ tologico. Gli è il mezzo ordinario della natura. Nella procreazione fra individui di razze diffe¬ renti , 1’ eredità modifica le conseguenze dei- fi atto generativo e induce oscillazioni che fan¬ no pencolare i prodotti ora verso la forma di uno degli ascendenti, ora verso la forma dei- fi altro, e moltiplicano le varietà fuggitive. In certi casi, sia alla prima sia in seguito a pa¬ recchie generazioni , fissa una razza nuova. Sono i casi di meticcismo: un’eccezione appena apparente nello stato di selvatichezza, ma che

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 17

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CAPO III

la domesticità fa prevalere sulla regola. Final¬ mente nella procreazione fra individui che non sono della stessa specie, V eredità diventa visibilmente restìa. Se ancora si associa agli effetti dell’ atto generativo, lo fa con esitazione, la quale presto si muta in resistenza ineso¬ rabile. Quindi i discendenti di queste alleanze inassortite sono, a poco a poco o rapidamente,' ricondotte alla forma dei loro antenati. Quindi F infecondità che si appalesa prima o poi dei prodotti venuti da incrociamenti anormali.

L’ eredità non può emanciparsi dalla fissità propria alla disposizione molecolare degli ele¬ menti anatomici, sui quali agisce.

Nella domesticità, colla scelta dei riprodut¬ tori , si preserva una buona razza animale o vegetale, indigena o acclimatata, da ogni va¬ riazione degenerante. Le cure dell’ allevatore proteggono da gravi modificazioni non solo gli elementi immediati dèlia « trama eredi¬ taria, » ma eziandio gli elementi istologici o fisiologici , la cui associazione alla forma organica la sua fisionomia e le sue proprietà distintive. Ma che cosa è la domesticità se non un’ eccezione ? I trasformisti non ignorano che, senza 1’ iniziativa ardita e determinante dell’ uomo, l’opera della natura, così nel regno organico come in quello inorganico, resterebbe in gran parte allo stato di previsione.

l’ eredità

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0 io m’ inganno, o 1’ eredità, presa, stu¬ diata, rigirata come volete , butta all’ aria le previsioni, i calcoli, i piani, i desiderii, i bi¬ sogni del sistema darwiniano.

Quanto più si sviscera questa materia , tanto più appare manifesto che il . sistema dei darwinisti va a naufragare nell’ assurdo.

Se, rispetto alla generazione, c’è una legge che sembri appoggiata ai fatti , la è questa : il simile genera il simile. La quale legge si spiega colla tendenza che hanno gli elementi anatomici dei corpi viventi a formare elementi simili ad essi. Dunque scrive Joly la generazione, o se si vuole , V eredità, lavora a mantenere, propagandolo, ciò che ha rice¬ vuto. Gli sforzi dei naturalisti per infirmare questo principio non hanno fatto che confer¬ marlo di più.

Si dirà: ma donde vengono tante partico¬ lari differenze nell’ organizzazione dei discen¬ denti ? La risposta è facile. Il concorso di due genitori basterebbe di già a spiegare la diver¬ sità nei prodotti.. Ma c’ è dell’ altro. L’ essere vivente non toglie a prestito solamente dal padre e dalla madre: in lui possono riapparire anche certi caratteri degli antenati. Non di rado succede di vedere tal o tal altro carattere, annullato o indebolito in una prima alleanza, riapparire vittoriosamente in un discendente

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CAPO III.

m.

più o meno rimoto. Di certo nella formazione di un essere entrano in azione diverse in¬ fluenze. Epperò, dal momento che diverse in¬ fluenze si combinano nei prodotti, questi differi¬ scono, non potendo mai rinnovarsi uff identica combinazione. Ma il prodotto essendo sempre il risultato della combinazione o piuttosto della cooperazione dei suoi diversi fattori , se ne trae la conseguenza che il simile genera il simile e che cotesta è la legge dell’ eredità.

Il prodotto essendo il risultato di diversi fattori, la natura è sicuramente in grado di provocare delle variazioni. Ma come potrebbe passare da un tipo ad un’ altro ? Diciamo me¬ glio : come ha potuto oltrepassare Y inverte¬ brato, il raggiato , o anche infine la piccola massa primitiva di albume ? A forza di risa¬ lire di forma in forma , dove arriverete ? A fare derivare tutto dall’inconscio, o dal noume¬ no, o come diceva Hegel dal niente!

Ammettiamo pure che il punto di par¬ tenza sia una materia amorfa o un eterno inconscio; ma come spiegate che questo non so che possa oltrepassare successivamente tutti i gradi che lo separano dagli esseri più o meno elevati ?

E poi o ammettete un solo ed unico punto* di partenza, o ne ammettete parecchi.

Ne ammettete un solo ? In questo caso

l’ eredità

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:siete obbligati a gratificare questa prima esi¬ stenza di una forza e di una fecondità affatto miracolosa. Siete obbligati a portare all’ infi¬ nitamente grande il numero delle forme che è capace di produrre nel corso delle età. Siete 'obbligati a diminuire sino all’ infinitamente piccolo la sua natura primitiva e gli attributi che 1’ hanno determinata all’ origine. Ogni determinazione, qualunque sia, proviene da un’ evoluzione anteriore, e quindi la determi¬ nazione piu leggiera, più microscopica, sup¬ pone una precedente evoluzione. Non potete fermarvi : bisogna spingersi sino all' indeter¬ minato assoluto, contenente in tutti i con¬ trari, che non essendo niente per se stesso , può nondimeno passare dallo zero all’ infinito e produrre tutto col niente.

Ammettete più punti di partenza, più evo¬ luzioni indipendenti e parallele ? Allora biso¬ gna riconoscere che ognuno di essi lavora, per così dire, sopra un tipo dato e che ognuno ha il suo ordine; bisogna riconoscere che la matura non si balocca a produrre tipi pas- seggieri; bisogna riconoscere per lo meno la distinzione dei tipi fìssi e duraturi. Ammesso ciò, siamo da capo. Le obiezioni che si fanno al tipo unico, al prototipo, valgono altresì per •ognuno dei quattro o cinque prototipi am¬ messi dai darwinisti. Insomma l’ idea precon-

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CAPO III.

cetta di fare ad ogni costo entrare la natura nel vago e indefinito divenire di un trasfor¬ mismo universale, non è sostenuta dalla scienza positiva.

I darwinisti intendevano avvantaggiarsi della legge di eredità per far trionfare co- desta idea preconcetta; ma la legge di eredità protesta altamente contro simili tentativi. Ai darwinisti non rimane che disingannarsi, ras¬ segnarsi ed accettare, spinte o sponte, la storia naturale così coni’ è, non quale se la raffigu¬ ravano, non quale conveniva al loro sistema.-

CAPO IV.

L’ Influenza degli agenti fìsici

La lettura eli un libro del prof. Trezza, intitolato La Critica Moderna , mi spinse a studiare il darwinismo. Il prof. Trezza accen¬ nava qua e al darwinismo come ad una teoria universalmente accettata. Io invece sapevo che T origine delle specie è una delle quistioni più astruse che dividono i naturalisti. Sapevo che T origine delle specie è una qui- stione ancora aperta, apertissima. Il domma- tismo del Trezza mi fece senso; e, pensandoci su, mi proposi di vedere un po' se T osserva¬ zione, 1’ esperienza e i fatti appoggino real¬ mente il darwinismo.

Lasciamo la filosofìa più o meno tra¬ scendentale; lasciamo ogni sorta di precon¬ cetti, di sistemi bell’ e preparati, di piani prestabititi ; mettiamoci dissi a me stesso sul terreno puramente e semplicemente

264

CAPO IV.

scientifico. Guardiamoci anche dallo studiare i fatti col partito preso di forzarli ad entrare in una teorica abilmente inventata, in un quadro tracciato coll’aiuto della speculazione, in una specie di letto di Pr ocuste. Cerchiamo per trovare e non già come molti usano per provare a diritto e a torto.

Ho sentito a dire che al progresso delle scienze naturali non importa impicciarsi di certi oscuri, complicatissimi problemi. L'ori¬ gine delle specie è per l’ appunto uno di questi problemi: dobbiamo in conseguenza passarci sopra ? Io non sostengo che sia assolutamente necessario lo studio di tale problema ; ma non è men vero che F intelletto umano non si acqueta colla nuda e cruda contemplazione di ciò che è: vuole rendersi conto, vuole tro¬ vare una spiegazione di ciò che è.

Non è guari s’ intavolò, al Circolo Filolo¬ gico di Firenze, una discussione su questo soggetto : la fìsica ha ucciso la metafìsica ? Si è detto, da un canto, che le scienze naturali hanno fatto del progresso, sì, ma non bisogna esagerare e ritenere che con esse si arrivi alla soluzione di quistioni che , col nostro permesso o senza, agitano la mente umana. D’ altro canto, si ò risposto col tessere stupen¬ di quanto ben meritati elogi delle scienze naturali, e col dichiarare che alla fìsica, che

L INFLUENZA DEGLI AGENTI FISICI 265

alle scienze naturali non occorre niente affat¬ to ingolfarsi nei gravi soggetti che escono dalla cerchia elei fatti, dal campo del visibile e del palpabile.

Certo no, alla fìsica non è necessario af¬ frontare questi alti quesiti. Ma la mente umana non si appaga così facilmente ; e i problemi della psicologia, dell’ idealità, della origine degli organismi fanno incessantemente capolino e domandano di essere studiati, con¬ siderati sotto tutti i rapporti, spiegati. Noi cerchiamo di ricacciarli indietro, di rimandarli con malagrazia a quel paese; ma essi, se momentaneamente si ritirano, poco dopo si ripresentano, tornano a seccarci, insistono per cattivarsi la nostra attenzione, per ot¬ tenere un’ esplicazione. La mente umana invocata con tanta premura , pressata con tanta costanza, assediata con tanta pertinacia, non si può dar per vinta, e si mette con al¬ trettanto ardore a cercare, a filosofare, a de¬ cifrare, a rispondere senz’ ombra di paura e con ammirevole coraggio. Anzi quanto più dif¬ fìcile è il problema a risolvere, tanto più lo scienziato diventa ardito e s’ ingegna di ado- prare tutta la sua potenza.

Darwin , che è un’ intelligenza superiore , non disse che alle scienze naturali non im¬ porta, per progredire, di occuparsi dell’origine

266

CAPO IV.

delle specie. Egli pensò che non è lecito al- 1’ uomo ciotto sorvolare sulle questioni che, con nostro piacere o nostro malgrado, si af¬ facciano, quando contempliamo gli esseri ani¬ mati che coprono il globo. Darwin osservò certi importanti fenomeni, per esempio la ten¬ denza che hanno le specie, da un lato, alla stabilità e, dall’ altro, alla variabilità. Ma non si fermò all’ osservazione di questi fenomeni, volle spiegare i fenomeni che lo circondavano, volle rimontare alla causa o , per dir più giusto, alle cause che li producono.

Non era assolutamente necessario che Dar¬ win risalisse alle cause; ma dobbiamo dunque mettere sulla stessa riga gli scienziati e i profani alla scienza ? dobbiamo imporre dei limiti alla scienza ? dobbiamo rinunciare ad ogni tentativo per rispondere ai dubbi che tuttodì ci assalgono ? dobbiamo perdere ogni speranza di uscire dalle incertezze e di al¬ meno avvicinarci alla luce della verità? dob¬ biamo , come fanno certi fanatici , biasimare Darwin per essersi dato ad un’ impresa così vasta e così ardua ?

Io, per me, non lo biasimo di sicuro , lo lodo e lo applaudisco. Egli ha cercato di sod¬ disfare un bisogno dello spirito umano , il quale, checché si dica, anela di rintracciare le cause.

l’influenza degli agenti fisici 267

Certo, prima di Darwin il problema dell’ori¬ gine delle specie se lo proposero molti altri, e segnatamente Lamarck. Ma la dottrina di Lamarck non si propagò , non fece rumore , si mantenne pressoché timida e nascosta. Nel¬ la storia della nuova biologia il nome di Darwin splende su tutti gli altri nomi. Il nome di Darwin è quasi diventato popolare. La sua dottrina si appoggia soprattutto al- F idea della trasformazione considerata come una vis centrifuga, che non è rattenuta nella sua corsa trionfale. Il suo torto, a parer mio, .... sta nel non aver tenuto abbastanza conto del¬ l’impulso alla specificazione, che agisce come vis centripeta. Per lo meno, suppose che la vis centripeta restasse completamente soverchiata dalla vis centrifuga.

Armato di questa ipotesi, egli credette di poter dare una soddisfacente risposta alla quistione, che tanto ci tormenta, sull’ origine delle specie.

A me sembra eh’ egli si sia abbandonato troppo precipitosamente al principio di tra¬ smutazione mediante la modificazione delle va¬ rietà. Più si addentrava nel suo studio e più scorgeva i limiti della trasmutazione. Ma or¬ mai avea preso il suo d irizzone e quindi dove¬ va porre ogni cura per dimostrare che i limiti al principio di trasmutazione, che la vis cen -

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capo iy.

tripeta , si riducono a ben poca cosa; e in ogni evento, non impediscono la formazione di nuo¬ ve specie secondo un sistema da lui minuta¬ mente descritto.

Andando ancora più avanti , inciampava sempre in fatti che contraddicevano alla sua teoria ; ma non si perdeva d’ animo per ciò : il suo ingegno era sempre pronto ad am- mannirgli nuove armi di difesa. « Se per questo tramite non ci arrivo pare dicesse a se stesso ci arriverò battendo quest’ altro sentiero : in un modo o nell’ altro vi proverò come si formarono le specie nuove. »

Che cosa ne è venuto ? Che la scienza na¬ turale diventò per certuni un’ « opinione , » che la teoria darwiniana non esce dalla cer¬ chia di una « convinzione soggettiva, » di una « credenza ; » anzi, se la parola non dispia¬ cesse, direi che la teoria darwiniana ha tutto quello che occorre per assumere 1’ apparenza di un « mito. »

E perchè ? Perchè, al postutto, è costretta a rifugiarsi in rapporti , in pretese relazioni, che non sono confermati , bensì apertamente contradetti dalla testimonianza dei nostri sensi; perchè tenta persuadere con argomenti che non sono scientifici e che perciò non possono essere scientificamente combattuti ; perchè ci con¬ duce bel bello nelle nuvole del sovrasensibile.

l’ influenza degli agenti fisici 269

Gli sperimentalisti volevano sbarazzarsi della metafisica, ma picchia, batti , ripercuoti, se la vedono sempre gironzare dintorno. Ave¬ vano mandato via la metafisica dalla porta , ed essa rientra dalla finestra. Intendevano finirla una buona volta colla fede nel sovra- sensibile , ed ecco la teoria darwiniana che delicatamente li prende con due dita e li fa nuotare nel sovrasensibile !

Quello che fa più brutto senso, si è il ve¬ dere alcuni autorevoli seguaci di Darwin di¬ stinguersi per la loro intolleranza, per il po¬ chissimo garbo verso coloro che non fanno buon viso al sistema da essi patrocinato.

Il prof. Huxley scrive, che i suoi oppositori sono « persone le quali non solo non passa¬ rono pel tirocinio necessario a porle in caso di giudicare, ma non hanno raggiunto nem¬ meno quel grado di dirozzamento che ci vuole per riconoscere la necessità di tale tirocinio. » ( American Addresses , p. 148). Bùchner ci chiama « schiavi intellettuali , » « idioti teoretici, » « botoloni ; » ed annunzia « la liberazione dei suoi simili da vieti e perni¬ ciosi pregiudizi. » ( Kraft und Stoffa prefa¬ zione ). Hàckel divide il mondo in due classi quella che pensa e quella che non pensa: quella che pensa è costituita da coloro che credono alla sua dottrina dell’ evoluzione ;

270

CAPO IV.

tutti gli altri, cioè coloro che non 1’ intendono come lui , formano la classe che non pensa. (Naturliche Schòpfungsgeschichte, p. 577). Più sotto ( p. 638 ) aggiunge che quanti non cre¬ dono alla dottrina dell’ evoluzione esposta da lui, sono , per la maggior parte , o ignoranti o barbogi.

Nell’ ultimo suo lavoro, parlando di Vir- cIioav, Hàckel dice : « Egli dissimula male la sua opposizione sotto questa frase cara ai cle¬ ricali : la teoria della discendenza è un’ ipotesi non provata. È chiaro che questa teoria non sarà mai provata, se non bastano le prove che oggi se ne hanno. »

Ed altrove :

« Virchow non sa quanto è ignorante in

morfologia . Ecco perchè reclama sempre

delle prove certe di questa dottrina della di¬ scendenza, benché sia già un pezzo che queste prove furono date. » ( Revue d' anthropologie , Seconda Serie, Voi. Ili, p. 225). Nella stessa Revue d' anthropologie e nello stesso fascicolo, Letourneau chiama 1’ Hàckel « uno dei più brillanti fondatori del trasformismo scienti¬ fico, » e gli assicura una « gloria duratura. » ( pp. 284-285). Or bene, se i nominati scrit¬ tori serbati o no alla gloria nei secoli av¬ venire godono al presente di molta auto¬ rità , non mi sembra sia questo un buon

l’ influenza degli agenti fisici 271

motivo perchè ne abusino , guardando d’ alto in basso e sprezzando i loro avversari. Dovreb¬ bero rammentare che il soverchio zelo fa va¬ licare i giusti limiti e induce a scambiare la scienza colla quasi scienza , colla scienza da romanzo alla Giulio Venie.

Altro è conoscere alcuni fatti, altro è co¬ noscerne la causa. Noi vediamo che gli orga¬ nismi o si adattano all’ ambiente o periscono. Questo è un fatto. Saltano fuori i darwinisti e ci dicono : Sapete ? la causa di questo fatto è 1’ elezione naturale: per 1’ appunto 1’ elezione naturale alle razze e alle specie quella forma e quella costituzione che per loro sono più adat¬ tate. Chi non ci crede, insulta al buon senso e cade in una « ributtante assurdità. »

Certo non è questa la miglior maniera per uscire dal romanzo , per fare della scienza , strappando il velo all’ Iside e mostrando la verità sotto un fascio di luce piovuta dal po¬ sitivismo.

Pei darwinisti, la rassomiglianza e la suc¬ cessione tipica necessariamente implicano con¬ sanguineità e comune discendenza. Abbacinati dal romanzo che hanno tirato su, quasi vedono e toccano le creature che ne sono i protago¬ nisti, e vanno sino a proclamare necessaria la esistenza di tali creature. Così, il trasformismo darwiniano , le leggi che ne scaturiscono e

CAPO IV.

979

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V albero genealogico che ne vien fuori, sareb¬ bero più meno che necessari. Trasci¬ nati sino a questo punto, hanno ragione di gridare che chi non è con loro , è contro le verità necessarie, è un animale che non pensa, è ignorante, codino, superstizioso, rimbambito. Precipitando di fosso in fosso , i darwinisti finiscono col reputare verità necessaria ciò che è necessario alla loro teoria.

Noi antidarwinisti non abbiamo sottomano una teorica « necessariamente vera » sulla origine delle specie; dobbiamo perciò accettare la teorica darwiniana con o senza « beneficio d’ inventario ? » No, perchè tale teorica è , a nostro vedere, piena di contraddizioni e di impossibilità.

A provare la nostra tesi, abbiamo studiato la lotta per Y esistenza , la scelta naturale e T eredità ; ora imprendiamo ad esaminare un’ altra legge fondamentale del sistema dar¬ winiano, cioè T influenza degli agenti fìsici.

La elezione naturale lavora dice Dar¬ win indefessamente al perfezionamento degli esseri , ma in quanto e per quanto lo con¬ sentano le condizioni di esistenza organiche ed inorganiche. (On thè origin of species > cap. IV).

L’ elezione naturale da sola non è al caso di compiere T opera difficilissima della forma-

l’ influenza degli agenti fisici 273

zione delle specie: essa procede e s’avvia alla meta coll’ aiuto e sotto la protezione della legge di adattamento.

Così , a senno dei darwinisti , 1’ elezione naturale è subordinata all’ azione degli agenti fìsici, dappoiché, secondo loro, il progresso degli esseri dipende precipuamente dalle ester¬ ne condizioni di esistenza, in altri termini, da ciò che si suol chiamare 1’ ambiente.

Quindi l’ importanza che i darwinisti an¬ nettono all’ influenza delle cause esterne. Her¬ bert Spencer, trasformista se altri mai, va più oltre, ed afferma che i successivi cambiamenti delle condizioni esterne produrrebbero diver¬ genti varietà, indipendentemente dalla elezione naturale. Secondo lui, mancando quei succes¬ sivi cambiamenti di condizioni esterne, la

%

elezione naturale farebbe relativamente poco {compar itively little. First Principles , seconda edizione, p. 447). Stando a questo celebrato scrittore, 1’ evoluzione si deve alle « azioni e reazioni fra gli organismi e il loro fluttuante ambiente. » ( Principles of biologi). Volume I, pag. 430 ).

Stabilito in questa maniera il problema, io trovo dapprima che è un controsenso unire la quistione delle forze esterne colla quistione dell1 origine degli esseri organici. Le circo¬ stanze esteriori non possono agire che sugli

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 18

274

CAPO IV

esseri di già formati e vivi. La formazione degli esseri, il piano generale degli organi¬ smi, le diverse complicazioni di struttura, la vita degli individui precedono l’influenza delle cause fisiche. L’ organizzazione animale può bene adattarsi a combinazioni fìsiche ora di¬ verse ed ora identiche ; ma non si può dire che 1’ organizzazione e la vita animale sieno il prodotto delle combinazioni fìsiche.

Dunque V influenza delle cause esteriori si riferisce alla più o meno limitata variabilità, ma non alla formazione delle specie. Lo stesso Darwin ha fatto intendere che V am¬ biente non ha un’ azione plastica. L’ambiente non è che Y insieme delle condizioni , nelle quali si muove 1’ attività delia vita. L’ am¬ biente non ha il potere di dare la vita , di dare origine a nuove forme.

Che le circostanze esteriori la natura del suolo, il nutrimento, il clima, la differenza deH’ambiente, influiscano sulla variabilità delle specie vegetali ed animali, è fuori di discus¬ sione. Stabilire esattamente la parte che ognu¬ na delle circostanze esteriori abbia in questa influenza, non è agevole. Ma è facilissimo ri¬ conoscere, in modo generale, la relazione di tali cause cogli effetti prodotti.

Il clima, il suolo, il metodo di cultura mo¬ dificano le specie vegetali: lo vediamo tutti i

l’ influenza degli agenti fisici 275

giorni. La stessa pianta qui cresce sana e rigogliosa, si tira su a stento, accasciata e malaticcia. Il motivo chi non lo indovina? Nel primo caso , la pianta aveva favorevoli la terra, l'acqua, la luce, la ventilazione, ecc.; mentre nel secondo caso queste propizie cause esteriori mancarono. Di due campi uno dap¬ presso alT altro, il primo allegra i passanti coi suoi freschi, vivaci e ricchi vegetali; il secondo presenta una scena di mestizia e di sconforto. Perchè accade questo contrasto ? Perchè un campo fu coltivato a dovere e Y altro fu tra¬ scurato ed abbandonato a se stesso.

Così nel regno animale: la volpe, per esem¬ pio, che sta in Norvegia, ha una pelliccia piu abbondante e più bella , è di una mole più grande della volpe che vive al sud. Quanto più marcate sono le differenze telluriche, eli— matologiche, topografiche, tanto meno super¬ ficiali e più considerevoli sono le varazioni. Il cervo non è solamente più grande al nord che al sud, ma ha frontali più prolungati e corna più numerose. Il Jaguar si modifica , secondo le località, nella statura, nelle propor¬ zioni, nel pelame. Il coguar, la pantera, il tigre offrono largo campo a simili osserva¬ zioni.

Neppure gli animali che inclinano alTemi- grazione ed amano di andare errando , pos-

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CAPO IV.

sono interamente sottrarsi all’ influenza delle circostanze esteriori. Il Glocer notò come il colore delle rondini che s’ incontrano nelle contrade calde, è più intenso del colore delle rondini che si veggono al settentrione.

Negli uccelli che non viaggiano o viag¬ giano poco, le varazioni spiccano di più. Per¬ sino negli uccelli di paesi limitrofi si rimarcano differenze di non lieve conto. Paragonando le pernici della bassa Olanda con quelle del Belgio, il celebre ornitologo Temminck ha constatato che le prime sono meno grandi e d’ un colore più scuro delle seconde. E si¬ mili differenze soggiunge V autore spesso* si notano negli uccelli che stanno in diverse parti dello stesso paese. Dai moltissimi fatti raccolti relativamente agli uccelli si è, a ra¬ gione, concluso che gli uccelli possono mo¬ dificarsi sotto T influsso delle differenze di clima o delle differenze di suolo.

La legge in parola produce eguali effetti negli altri vertebrati. Da un mare all’ altro, da un lago all’ altro, la stessa specie di pesci varia in dimensione ed in colore. Per gli ar¬ ticolati, le variazioni locali non sono così rare come a certi naturalisti è piaciuto asserire. Ne porgono testimonianza i vermi, le san¬ guisughe ed altri articolati, dei quali si sono ex professo occupati Errard, Moquin-Toudon*

l’ influenza degli agenti fisici 277

Fermond, ecc. I molluschi e gli animali delle classi inferiori variano non solamente da un mare all’ altro, da una regione all’ altra, anzi nelle differenti parti dello stesso mare o della stessa regione e « nelle più vicine località. » (V. Deshayes Mèmoires de la società gèologi- que, 1838, voi III, p. 37). Di rado s’incontrano notò Maupied due conchiglie simili, sai- vocile non sieno nel medesimo luogo. Le con¬ chiglie si differenziano per la grandezza., pel sistema dei colori ed anche per la superficie liscia o grinzosa. Molto tempo prima che si fosse scoperta la natura animale del corallo, si sapeva che i coralli più rossi e più belli sono nelle acque del nostro mediterraneo e in certi punti delle sponde africane del Mar Nero. Chi non sa poi che le spugne variano di qua¬ lità a seconda delle provenienze ?

Dunque l’ imbarazzo comincia quando si tratta di determinare sino a qual segno pos¬ sano estendersi le modificazioni ; quando si tratta di andare intesi sull’ importanza della influenza degli agenti fisici nella formazione delle specie.

Hàckel, che sta in agguato come un cac¬ ciatore aspettando a tiro le difficoltà più forti, vi fabbrica su un ampio sistema spe¬ culativo ed ipotetico. Per lui, il fatto della nutrizione è a ritenersi come la causa prin-

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CAPO IV.

cipale della variabilità delle specie. Egli pi¬ glia ia parola : nutrizione nel senso più lato, - vi comprende l’insieme di tutte le relazioni materiali che un organismo può tenere col- 1’ ambiente, vi comprende l’ influenza del suolo e quella degli altri organismi, dei vicini, degli amici, dei nemici, dei parassiti, dei quali ogni pianta e ogni animale sono circondati, vi comprende T azione dell’ acqua, del cli¬ ma, dell’ atmosfera, della luce solare , della temperatura, dei fenomeni meteorologici.

Siccome la variabilità risulta dalle circo¬ stanze esteriori, essa si confonde coll’ adatta¬ mento. 1’ adattamento seguita a scrivere il lodato professore é solo in atto, ma benanco in potenza. L’ adattamento in poten¬ za consiste in ciò che certi cambiamenti pro¬ dotti dall' influsso delle circostanze esteriori, non si manifestano neH’organismo direttamen¬ te sottoposto a tale influenza, bensì nei di¬ scendenti.

Trovato il gancio dell’ adattamento in po¬ tenza, Hàckel se ne serve per attaccarci altre leggi, che poi combinate assieme daranno frutti inaspettati.

L’ adattamento si collega con tre leggi: la legge di adattamento individuale, la legge di adattamento mostruoso e la legge di adatta¬ mento sessuale.

l’ influenza degli agenti fisici 279

Forse vi figurate che Hàckel si fermi lì. Ma niente affatto : state a sentire. L’ ordinario adattamento in potenza non basta, le comuni leggi dell’ adattamento in potenza non sono sufficienti. Il professore tira fuori un altro adattamento, come chi dicesse 1’ adattamento delle grandi occasioni. E a quest’ultimo adatta¬ mento attribuisce alcuni fatti, dei quali, secon¬ do lo stesso Hàckel, sconosciamo la cagione !

Così si manda al diavolo la filosofìa idea¬ le, fantastica, nebbiosa, misteriosa, la filosofìa che ha la barba troppo bianca, che non ha più denti, che si è perduta nel nulla!

Ne convengo, un zinzino di speculazione ci vuole anche pel trasformismo. Il trasfor¬ mismo è una filosofìa, sperimentale , ma filosofia. E si sa che appena si affaccia la filosofia, la speculazione, volere o volare, esige la sua parte. I fatti non si osservano apati¬ camente, stupidamente, ma si considerano con attenzione, si studiano da tutti i lati, si con¬ frontano , si sottopongono ad un’ analisi fina e giudiziosa , si stringono, si strizzano e se ne cava un succo speculativo e insieme pratico , teorico e sperimentale.

Il male è che i darwinisti non si con¬ tentano di condire il loro sistema con un po¬ chino, con qualche tinta, con qualche sprazzo di filosofia speculativa. A volte, invece, c’in-

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CAPO IV.

vitano a spiccare certi voli che fanno paura, ad accettare certe astrazioni che portano via la testa, ad ingoiare certe pillole, che restano attraverso la gola.

E pazienza , se i darwinisti ci presentas¬ sero le loro astrazioni confessando schietta¬ mente che le sono astrazioni , speculazioni del pensiero umano. Nossignori ; i darwinisti ci acciuffano per i capelli, ci trasportano per r aere , ci fanno salire sino alle stelle, ci fanno oltrepassare i cieli , e poi ci assicu¬ rano che siamo rimasti seduti, che non abbiamo lasciata la terra, che non ci siamo scostati da’ fatti, che abbiamo contato solamente sul- 1’ esperienza, su ciò che è accessibile ai nostri sensi , su ciò che si può conoscere dalla no¬ stra intelligenza !

Seguite ancora un momento le ipotesi del professore Hàckel.

L’ adattamento attuale o diretto va sog¬ getto alla bellezza di cinque leggi : la legge dell’ adattamento universale, quella del- h adattamento cumulato, e poi l’altra dell’ adat¬ tamento correlativo, e poi anche 1’ altra del- 1’ adattamento divergente ; e finalmente , a coronare 1’ edificio, viene la quinta legge di « adattamento illimitato o indefinito, in forza del quale non vi ha alcun limite conosciuto

l’ influenza degli agenti fisici 281

per la modificazione delle forme organiche sotto T influenza delle cause esteriori. »

Come ognun vede , quest’ ultima sarebbe la legge più opportuna , più comoda , più preziosa , più benaccetta ai darwinisti. Con questa legge avrebbero in pugno la vittoria, essendo al caso di parare tutti i colpi e di ri¬ durre al silenzio tutti i loro avversari. Ed in vero, 1‘ armonioso concerto nato per virtù del l’adattamento sarebbe perfetto, se non ci fosse una nota che lacera l’ orecchio e sciupa tutta la musica. Se non mancasse un semplice dato di fatto , avremmo il numero giusto sostituito all’ x dell’ equazione , saremmo fra la luce piena, vivissima, scintillante sfolgorante. Ili- somma tutto andrebbe coi suoi piedi, se 1’ ac¬ cennata quinta legge esistesse.

Celia a parte , la pretesa quinta legge è una creatura dell’ immaginazione hackelliana, è figliuola della prolifica mente del professore di Jena, è una visione, è un’ ombra che apparì nel cielo del sistema darwinista e fu presa per corpo vivo e sano.

Non badiamo alle fantasticherie e discor¬ riamo da uomini che amano la scienza positiva.

Gli animali che stanno sul globo terrestre, si riproducono , su per giù , colle medesime forme e costituiscono tante serie distinte fra di loro. Bisogna farlo apposta, per non vedere che

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CAPO IV.

codeste serie o specie si succedono e vivono senza scambiarsi, senza confondersi ed amalga¬ marsi. Bisogna farlo apposta, per non vedere che tutte si diversificano le une dalle altre con segni certi, con particolari qualità, con caratteri più o meno costanti. Arrestandosi alla nuda e sem¬ plice corteccia , fermandosi all’ esame delle modificazioni meramente estrinseche e super¬ ficiali, è facile prender lucciole per lanterne. Ma quando si ha la pazienza di compiere uno studio comparato di tutti gli organi di un gran numero di specie, allora non c’ è più pericolo di sbagliare; allora si riconosce, da una parte, il limite delle modificazioni onde ogni specie è approssimativamente suscettibile, e, dall’al¬ tra, si riesce a discernere i caratteri morfo¬ logici e quelli fisiologici ed istintivi che non vanno soggetti a cambiamenti individuali , e diventano per ciò stesso caratteri specifici , certi e, dal più al meno, fìssi.

Il signor Trémaux, che è un trasformista convinto, in molti luoghi del suo libro : Hori- gine et transf ormations de V homme et des autres ètres (Parigi, 1865), dimostra che le leggi dalla natura sono intese a mantenere la distinzione delle specie. Il signor Gaudry nella sua opera : Les enchainements du monde ani¬ mai si dichiara trasformista ; ma tuttavia aiferma che, sia studiando gli esseri in mezzo

l’ influenza degli agenti fisici 283

alle differenti fasi della loro evoluzione , sia guardandoli nella permanenza che ora pre¬ sentano , si riconosce la loro gerarchia in classi, famiglie, ordini, generi ; e si fa eziandio manifesto come i caratteri che servirono a determinarli , sono reali e non già semplici concetti dell’ intendimento umano.

Se si esaminano una quantità di animali della medesima specie , si rende chiaro che essi non sono in balìa delle circostanze este¬ riori, come pretende la teorica darwiniana, la quale non si preoccupa delle forze intrinseche e dell’ interna evoluzione degli organismi. Se si studiano gli istinti degli animali , i loro costumi , i loro lavori , le loro abitudini , il loro genere di vita, si acquista la convinzione che gli individui non si trasmutano per opera degli agenti fìsici , messi a servizio di una lotta fatale, il cui esito egualmente fatale di¬ venti un’ elezione non meno fatale.

In sostanza, gli apparecchi degli animali restano gli stessi ; le specie erbivore mangiano le medesime piante che servivano di pascolo ai loro genitori ; i carnivori divorano la me¬ desima preda ; gli insetti e le larve cercano le medesime foglie, i medesimi semi, i mede¬ simi frutti, onde si nutrivano i loro antenati. La loro voce, i loro gridi, l’epoca della fecon¬ dazione, la durata della gestazione o dell’ in-

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CAPO IV.

cubazione , le loro funzioni in complesso si mantengono sempre eguali.

la costanza è soltanto attributo delle specie più elevate nella classificazione zoolo¬ gica. Anche le specie inferiori e più semplici conservano i loro caratteri essenziali.

Tutto ponderato, le modificazioni si limi¬ tano alla mole , alle proporzioni , alT abbon¬ danza e alla lunghezza del pelame , al colore, al numero delle corna di certi erbivori, alla criniera , ad alcune particolarità nella forma del cranio di certi carnivori, alla qualità della carne di certi pesci, alla superficie e allo spessore delle conchiglie di certi molluschi.

Ebbene, tutte queste modificazioni, prodotte nel più lungo tempo possibile e nella maggior possibile variazione degli agenti fisici , non intaccano per nulla le « alte fissità » della specie, del genere, delT ordine, della famiglia, della classe.

Gli antidarwinisti più spinti inclinano a credere che ogni altra idea , all’ infuori di ' quella della specie , è puramente soggettiva. Ma, a parer mio , anche questa è un' esage¬ razione ; ed a barattare un’ esagerazione con un’ altra io non mi vi acconcio.

Altri antidarwinisti, più moderati, pensano che tutte quelle modificazioni non sono da attribuirsi alle circostanze esteriori, ma vanno

l’ influenza degli agenti fisici 285

invece riguardate quali semplici « varietà fìsse.» Non nego che è difficile determinare quanta parte abbiano, nelle accennate varietà, le cir¬ costanze esteriori. Ma è fuori di dubbio che gli agenti fìsici, lungi dal rimanere estranei, influiscono e contribuiscono a tale risultato. Ne conveniva lo stesso Blainville, instancabile difensore della fissità delle specie. Egli faceva delle riserve ; diceva che le variazioni succe¬ dono in modo determinato e non producono tipi specifici distinti , bensì « specie locali. » Ma, in massima, non negava 1’ azione degli agenti fisici lui che accusava Cuvier di troppa partigianeria per il principio della va¬ riabilità delle specie! (Vedi 1’ articolo del Dictionnaire des Sciences naturelleSj Parigi, 1824, Voi. 32, pp. 169-70 ; ed il suo Manuel de malacologie et de conchyliologie , Parigi 1825, p. 205 ). Non è d’ altra parte ammissibile la pretesa di quei trasformisti sfegatati che, ve¬ dendo nei fatti quello che non c’ è, e buttando via ogni ritegno , sentenziano che P azione delle circostanze esteriori è illimitata , stra¬ grande, strapotente ; che le varie e complicate condizioni esterne ci svelano il segreto della formazione delle specie ; che lo studio del- 1* influenza degli agenti fìsici ci scuopre il passato e ci rivela 1’ avvenire.

In queste iperboli si casca, quando lo spi-

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CAPO IY.

rito di sistema rompe le dighe e corre a rotta di collo. Allora si tira un calcio alla realtà e si crea una fantasmagoria dove le meraviglie succedono alle meraviglie , le sorprese alle sorprese, i miracoli ai miracoli..

Ma chi sa stare sulle sue, chi non si lascia spadroneggiare dalla vanità di corrér dietro ai paradossi , a bella prima si accorge che i tipi zoologici non si confondono mai. E ciò vuol dire che le modificazioni prodotte dalle circostanze esteriori non toccano i caratteri fondamentali e specifici degli organismi.

Finche gli animali stanno nello stesso am¬ biente , non si modificano. Il cambiamento dell’ ambiente può determinare delle modifi¬ cazioni e delle variazioni, ma sempre sino al punto da non confondere i tipi.

I casi, per altro, nei quali gli animali sog¬ giacciono all’ influenza di nuove circostanze esteriori , non si ripetono spesso ; sono rari , dappoiché gli animali nel loro stato di natura non amano di lasciare i terreni dove nacquero, F atmosfera che hanno respirata, le abitudini nelle quali sono vissuti ; in una parola ; non amano di mutare il loro ambiente.

E nondimeno ci si vorrebbe far credere che gli animali non facciano altro che modi¬ ficarsi e trasformarsi in virtù del mutamento dell’ ambiente !

l’ influenza deg-li agenti fisici 287

Allo stato di domesticità , gli animali si modificano più o meno ; ma non tanto da cambiare la loro interna costituzione. Per gli animali addomesticati si può ripetere il celebre verso :

Naturam expelles furca, taraen usque recurret.

Gli effetti dell’ ambiente mutato, sia per opera della natura, sia per industria umana si aggirano entro certi confini, che mal si conciliano colla teorica darwiniana , la quale passo passo va sino a negare F esistenza delle specie.

Se F azione degli agenti fìsici fosse così potente e decisiva, come alcuni suppongono , non si troverebbero differentissimi tipi di ani¬ mali sotto r influenza di identiche circostanze esterne. E per converso, non si troverebbero tipi identici sotto F influenza di differentissime circostanze esterne. È un fatto scrive Agas- siz che i tipi più differenti di piante e di animali si trovano sotto identiche circostanze. ( The most diversifled types of animals and plants are found under identical circumstan - ces. L. Agassiz An essay on classi fication, Londra 1859, p. 15). Il più piccolo nappo di acqua dolce, ogni particella della plaga ma¬ rina, ogni angolo di terra contiene una certa

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CAPO IY.

varietà di animali e di piante. Quanto più stretti sono i confini cùe si assegnano alla primitiva abitazione degli esseri , tanto più uniformi devono essere state le condizioni , sotto le quali vennero prodotti ; anzi così uniformi, da inferirne, alla fine, che le stesse cause fisiche possono produrre gli effetti più diversi. Se invece si vuole che gli esseri siano apparsi sopra un’ area più o meno estesa, questa non è una ragione per ritenere le in¬ fluenze fisiche come la causa della formazione delle specie. Ifi azione e .la reazione che esi¬ stono fra gli esseri organizzati e le influenze fisiche sotto le quali vivono , non s’ hanno, à prendere per una connessione genetica, non s’ hanno a riguardare come una prova della filiazione degli esseri.

Bisogna leggere le opere speciali sulla botanica e la zoologia delle diverse contrade, o i trattati particolari sulla distribuzione geo¬ grafica degli esseri animati, per farsi un’idea dell’estrema varietà degli animali e delle piante che vivono insieme in una medesima regione. Le combinazioni organiche si distinguono nelle diverse contrade e sotto i diversi climi ; ma giammai si escludono assolutamente l’una l’ al¬ tra. Ogni provincia botanica o zoologica conser¬ va qualche legame che V unisce a tutte le altre e all’ armonia generale. Il lichene del polo

l’ influenza degli agenti fisici 289

nord si ritrova vivente all’ ombra del palmi- zio ai tropici ; il canto del tordo e il col¬ po di becco del picchio si mescolano ai gri¬ di acuti e discordanti del pappagallo.

Nello stesso tempo che piante ed animali estremamente diversi vivono sotto identiche circostanze, per ogni dove s* incontrano tipi identici sotto le condizioni più diverse. Questi due fatti provano egualmente che la forma¬ zione delle specie è indipendente dall’ am¬ biente nel quale stanno.

Quasi tutto ciò che si attribuisce all’influen¬ za degli agenti fìsici, indica soltanto la correla¬ zione risultante dal piano generale della natura.

Coll’ aiuto del microscopio si scorge l’iden¬ tità perfetta dei particolari più delicati della struttura in animali ed in piante, che vengono dalle parti del mondo più lontane. Da ciò emerge chiaro che 1’ azione delle cause fìsi¬ che non modifica i caratteri essenziali degli animali e delle piante.

1/ impronta d’ ogni specie notava Buf¬ fon è un tipo, i cui principali tratti sono impressi a caratteri indelebili, benché tutti i tratti accessori variino.

I darwinisti ingrandiscono tanto Y influsso delle cause esteriori, da fare , per così dire , scomparire gli animali come individui e come esseri distinti. Ma è pur vero che la parte

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. 19

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CAPO IV.

individuale , soggettiva , caratteristica degli animali non può cancellarsi senza cadere nel nullismo, senza distruggere le distinzioni più ovvie e più evidenti. Gli animali danno la fa¬ coltà di piegarsi, sino ad un certo punto, ai cambiamenti che possono sopravvenire nelle circostanze esteriori. Quando questi cambia¬ menti sono importanti , le specie subiscono delle alterazioni nella forma. Ma le altera¬ zioni così prodotte vanno sottoposte a norme costanti dal più al meno. Di foggia che le specie riescono a porre d’ accordo la facoltà di variare col carattere permanente che loro è proprio.

Considerami o - fu da altri osservato quanta varietà presenta il regno animale an¬ che nelle aree più piccole, si ammira l’unità di piano che si manifesta in tipi così nume¬ rosi e così diversi.

Gli animali e i vegetali del nord dell’ A- merica rassomigliano molto a quelli dell’ Eu¬ ropa e del nord dell’Asia. Quelli dell’Australia, al contrario , sono completamente differenti da quelli dell’ Africa e dell’ America del sud, a latitudini eguali.

Perchè ciò ?

Non c’ è più rassomiglianza fra l’America del nord e 1’ Europa o 1’ Asia settentrionale, di quel che ci sia fra certe parti dell’Australia

l’ influenza degli agenti fisici 291

e certe altre dell’ Africa o dell’ America del sud. E se mai ci fosse, fra queste, una diffe¬ renza più grande che fra quelle , non ci sa¬ rebbe alcuna proporzione fra le somiglianze e le dissomiglianze degli animali di tali con¬ trade.

I mammiferi artici hanno la stessa strut¬ tura generale degli animali di questa classe in qualunque altro luogo del globo. Lo stesso avviene degli uccelli artici,, dei pesci , degli articolati, dei molluschi, dei raggiati artici , paragonati coi rappresentanti dello stesso tipo in una contrada qualunque. L’ identità si esten¬ de a tutti i gradi di affinità nei vegetali come negli animali delle medesime latitudini. Gli ordini , le famiglie , i generi hanno in quei luoghi i caratteri che loro sono propri altrove. Le volpi artiche, per esempio, hanno tutte le qualità specifiche che caratterizzano le vol¬ pi della zona temperata o della zona tro¬ picale, sia che abitino Y America o 1’ Europa, 1’ Africa o 1’ Asia.

La stessa cosa avviene per le balene, per le foche, ecc.

L’ identità va sino alle minime particola¬ rità: denti, peli, scaglie, pieghe del cervello, ramificazioni vascolari, ecc.; nulla vi sfugge.

II naturalista familiare coll’ osservazione microscopica può formarsi un esatto concetto

292

CAPO IY.

della uniformità nei più minuti particolari del¬ la struttura.

Non c’ è classe di animali, che non con¬ tenga parecchie specie più o meno cosmopolite.

Per ciò che concerne le specie, si può af¬ fermare che la maggior parte di esse hanno una distribuzione geografica estremamente va¬ sta. Ora gli animali la cui struttura è identica in questa vasta estensione, si sottraggono evi¬ dentemente all’ influenza degli agenti fìsici, in riguardo alla loro essenza specifica. L’ influ¬ enza del clima è afferma il citato trasfor¬ mista Trémaux secondaria, segnatamente rispetto al regno animale. La fauna del Sahara, per esempio , più di quella dell' Africa cen¬ trale somiglia alla fauna dell’ Europa. Ep¬ pure il clima dell’Africa centrale si assomiglia più al clima dell' Europa. (1. c. pp. 53-54), Il caso, la dispersione fortuita dei semi vege¬ tali , le migrazioni accidentali degli animali non servono a spiegare la complicata distri¬ buzione geografica delle piante e degli animali. Il tipo dei marsupiali , che predomina in Australia, è sconosciuto in quasi tutte le altre contrade del globo. Alla nuova Olanda non si trovano quadrumani, insettivori, veri carnivori, sdentati , pachidermi, rumi¬ nanti. Tuttavia i mammiferi dell’ Australia sono quasi cosi variati , come quelli di ogni altro

l’ influenza degli agenti fisici 293

continente. I marsupiali dell’ Australia hanno infatti una tale diversità di struttura, che la maggior parte degli ordini dei mammiferi vi sono rappresentati con forme analoghe. Ma questi animali hanno in comune certi caratteri che li distinguono da tutti gli altri mam¬ miferi.

Lo stampo così speciale dei mammiferi australiani non è stato impresso dagli agenti fìsici ; dappoiché gli uccelli, i rettili e gli al¬ tri animali della nuova Olanda non si allon¬ tanano dai caratteri ordinari, che hanno i loro rappresentanti in altre parti del mondo. Gli agenti fìsici non sono certamente così liberi, da variare a piacere i loro effetti.

Quasi da per tutto s’ incontra qualche gruppo, più o meno comprensivo, di animali o di piante confinato in limiti particolari, come i mursupiali in Australia , eccetto i pochi di America. Tali sono i quadrumani nel vecchio mondo e nel nuovo. Gli uccelli-mosca , che costituiscono una famiglia numerosa e graziosa, sono confinati in America, come i veri fagiani sono confinati nel vecchio mondo. Ed altri fatti analoghi di stanziamenti si osservano tra i rettili , i pesci , gli insetti , i crostacei , ecc.

Che s’ inferisce da tutto questo? S’inferisce che f organizzazione animale, qualunque sia, .si adatta.ad ambienti ora eguali ed ora diversi,

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CAPO IV.

ma in nessun modo potrebbe essere il pro¬ dotto di questi ambienti.

Fra i sauriani, come fra i batraci, ci sono famiglie, i cui rappresentanti, malgrado la loro diffusione sul globo, formano una serie naturalmente concatenata, ogni termine della quale rappresenta come un grado di sviluppo.

La dispersione di questi animali non ha rapporto di sorta col sistema risultante dai loro caratteri zoologici.

Per converso, i generi idealmente meno vicini possono incontrarsi nello stesso paese. E quelli che hanno tra di loro le relazioni ideali più strette, possono trovarsi a distanze grandissime. Di ciò abbiamo un esempio pal¬ mare nel quadro rappresentante la famiglia degli scincoidi.

Nessuna provincia zoologica mostra una serie perfettamente graduata, o qualche cosa che ci si avvicini. In quasi tutte le faune, la mescolanza di alcuni rappresentanti della com¬ binazione più compiuta con quelli della com¬ binazione più semplice esclude chiaramente ogni idea di un' influenza decisiva degli agenti fìsici sullo sviluppo degli organismi.

E meno che meno gli agenti fìsici influiscono sulla struttura delle specie.

La maggior parte degli esseri cominciano la loro esistenza allo stato di uovo microsco-

l’ influenza degli agenti fisici 295

pico; e, per tutti, la struttura di quest’ ovolo presenta un’ evidente somiglianza . Intanto T uovo piccolissimo , costituito dapprima in una maniera pressoché identica in tutti gli animali, non produce giammai un essere dif¬ ferente dai parenti : dopo una successione di cambiamenti invariabilmente eguali, riesce sempre alla produzione di un nuovo essere uguale ai suoi autori.

Ora se gli agenti fìsici formassero i carat¬ teri degli esseri organizzati , si dovrebbe ve¬ dere per lo meno qualche traccia di questa influenza nei casi innumerevoli, in cui gli ovoli sono abbandonati all’ influenza identica degli agenti fìsici prima di avere preso i caratteri, che più tardi distinguono 1’ animale adulto o la pianta perfetta.

Quanto al volume , i mammiferi acquati¬ ci sono, nel loro insieme, più voluminosi dei mammiferi terrestri. E lo stesso avviene de¬ gli uccelli e dei rettili acquatici; i pesci d’acqua dolce sono veri nani in confronto dei loro rappresentanti marini.

V’ è dunque un certo rapporto fra il vo¬ lume degli animali e gli ambienti in cui vi¬ vono. Ma non c’ è rapporto di causalità fra gli ambienti e i caratteri essenziali degli animali.

Ciò che fa della balena un mammifero, non ha alcun rapporto col mare. Ciò che riuni-

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CAPO IV.

sce nella stessa classe i vermi di terra , le sanguisughe, ecc., non ha alcun legame colla loro abitazione.

E nessun legame coll’ abitazione hanno le particolarità di struttura, in virtù delle quali la scimmia, per esempio, il pipistrello, il leone, la foca, il castoro, il topo, la balena formano una sola classe dal punto di vista organico.

Di più, fra gli animali di tipo differente che vivono nello stesso ambiente, non v’ è alcuna analogia, rispetto alla grandezza.

Non c’ è una media comune sia per gli animali terrestri, sia per gli animali acqua¬ tici delle differenti classi.

Gli esseri organizzati conquistano e si assi¬ milano i materiali del mondo inorganico ; e, ad onta dell’ azione incessante esercitata su di loro dagli agenti fisici , conservano i loro caratteri originari.

I costumi degli animali manifestano più specialmente le relazioni ch'essi animali hanno fra di loro e ^oll’ ambiente.

Senza una profonda conoscenza dei costumi degli animali, sarà impossibile determinare i veri limiti di tutte le specie. Ebbene, chi ha visto la piccola tartaruga del genere chelhydra, mentre è piccina ed ha ancora gli occhi chiusi, abboccare con tanta forza , come se potesse mordere senza uccider se stessa , chi ha as-

l’ influenza degli agenti fisici 297

sistito a questo e simili altri fenomeni non vorrà mai credere che i costumi degli animali siano determinati dall' ambiente.

Lo studio dei costumi degli animali renderà di più in più manifesta la relativa indipendenza fra le forze fìsiche e gli esseri organizzati. Per le differenti specie degli animali, non ci è nulla di più caratteristico che i loro movimenti, le loro affezioni, i loro amori, la cura della loro prole ed anche la durata della vita. Ma tutto ciò non è subordinato alla natura o all' azione delle circostanze fìsiche nelle quali gli animali vivono. Le stesse funzioni organiche non di¬ pendono dall* ambiente, quantunque abbiano con esso stretta attinenza.

Le funzioni identiche non suppongono or¬ gani identici. Gli organi possono essere diffe¬ rentissimi e compiere identiche funzioni.

Un pesce , un ranchio , un mitilo , che vivono nelle stesse acque e respirano alla stessa sorgente , dovrebbero avere gli stessi organi respiratori, se fosse vero che 1’ orga¬ nizzazione si deve all’ ambiente. Il vero è che 1‘ ambiente non ci spiega la varietà che esiste nel piano, nella complicazione, nei particolari della struttura degli animali. Il vero è che organismi diversissimi si adattano a circo¬ stanze uniformi e compiono una stessa fun¬ zione con apparecchi differentissimi.

298

CAPO IV.

Se la vita dei vegetali e degli animali fos¬ se stata determinata dagli agenti fisici, come mai gli stessi vegetali e gli stessi animali si decompongono sotto 1’ azione delle mede¬ sime forze che sono state necessarie al man¬ tenimento della loro vita ?

Lo sviluppo degli animali è indipendente dalle cause esteriori. Tanfi è vero che tutti i mammiferi hanno, nel seno della loro madre, dove subiscono le prime trasformazioni, un involucro da cui sono perfettamente protetti contro T influenza immediata degli agenti esteriori.

E ciò accade per gli animali vivipari tutti quanti.

D* altra parte, le precauzioni prese dagli uccelli, nelle costruzioni che fanno per pro¬ teggere la loro prole, mostrano che fi istinto spinge gli animali a resistere agli agenti fisici. I rettili e i molluschi terrestri seppel¬ liscono le loro uova per sottrarle, più che sia possibile, all’ azione delle circostanze este¬ riori. I pesci le depongono nei luoghi , dove le circostanze variano meno. Gli insetti han¬ no mille maniere di preservare le proprie uova.

Insomma , i procedimenti più diversi sono messi in opera dagli animali, sia per tutelare se stessi , sia per difendere la loro prole dal- T azione delle cause fisiche.

l’influenza degli agenti fisici 299

L’ elettricità, fu osservato il calore, le affinità chimiche agiscono sull’ essere vi¬ vente e non sono certamente stranieri alla produzione del « turbine vitale ». Tuttavia essi non funzionano che dominati e regolati da una forza superiore, cioè dalla vita, la quale modifica le forze brutali e loro fa produrre sangue e muscoli, invece di sali ammoniaci ; ossa , invece di cristalli di fosfato calcareo ; piante ed animali, invece di corpi bruti.

La durata media della vita presenta, nelle differenti specie, la più strana ineguaglian¬ za. Ce n’ è che crescono, si riproducono e muoiono nello spazio di una stagione, per¬ fino d’ un giorno. E ce n è che sembrano sfi¬ dare F azione del tempo.

Intanto si sono cercate e constatate delle regole , la cui diversità sconcerta le genera¬ lizzazioni, e non è punto favorevole ai disegni del darwinismo.

Non vi ha rapporto fra la durata della vita e la statura , la struttura e 1’ abitazione degli animali.

Il sistema, secondo il quale sono regolati i cambiamenti che in certe specie avvengono durante ogni periodo, differisce a un dipresso per ognuna di esse specie.

In molti pesci e rettili F accrescimento è uniforme e continua per tutta la vita. Presso

300

capo iv.

altri animali, invece, l’ accrescimento è rapido in una prima epoca : dopo, avendo raggiunta la sua statura definitiva , Y animale entra in un periodo d’equilibrio, che dura più o meno secondo le specie.

I vertebrati , i molluschi , i raggiati non mostrano, nelle modificazioni che un indivi¬ duo può subire , nulla di così sorprendente confi è ciò che si osserva negli insetti a me¬ tamorfosi complete. Il giovine (la larva) è spesso un essere attivo, vermiforme , vorace, anche carnivoro. All’ età media (la crisalide) diventa simile ad una mummia : è una spe¬ cie di verme quasi destituito di movimento , incapace di prendere alcun nutrimento. Final¬ mente l’ insetto compiuto è attivissimo e prov¬ visto di ali. A volte la larva è aquatica e vo¬ racissima ; F insetto perfetto, viceversa, è aereo e non mangia.

Certi animali sono periodici ; ma molti al¬ tri attraversano tutte le fasi dell’ anno senza dipendere dalle stagioni.

No, gli agenti fìsici, cioè puramente mec¬ canici, non sono i regolatori di tutte queste diversissime combinazioni. Le forze esteriori, inintelligenti, accidentali, non ci spiegano l’an¬ damento di questi fenomeni naturali.

A vedere animali produrre individui che differiscono moltissimo dai loro parenti, a pri-

l’influenza degli agenti fisici 301

ma giunta si direbbe che le condizioni esterne e casuali abbiano un’ influenza decisiva sulla discendenza degli organismi. Ma chi ben guardi si convince che sotto l’apparente arbitrio delle trasformazioni c’ è un piano perfettamente regolare. Le trasformazioni sono i termini intermedii di un ciclo che si chiude ad un dato momento e dentro determinati limiti; in ogni caso, il risultato é lo stesso : i prodotti finiscono per rassomigliare ai loro genitori.

Lo sviluppo riesce sempre ad un medesimo fine normale, per quanto sia lontano il punto di partenza, per quanto sia indiretto il cam¬ mino seguito. Sieno semplici, sieno complessi, i processi dello sviluppo hanno sempre per conseguenza finale un essere eguale ai primi genitori, benché, per arrivarci, sieno state ne¬ cessarie alcune fasi, durante le quali il pro¬ duttore e il prodotto non si rassomigliassero.

E perchè ciò ?

Perchè qui, come ovunque nei regni or¬ ganici , le variazioni non sono che le suc¬ cessive espressioni di un ciclo ben regolato che ognora ritorna al suo proprio tipo.

Da ciò chiaro apparisce a che si risolve 1’ influenza degli agenti fisici sugli esseri or¬ ganizzati.

Vi sono animali che per vivere hanno bi¬ sogno di trovarsi in intima connessione con

302

CAPO IV.

altri esseri animati, dei quali sono i parassiti all’ interno o all’ esterno. (V. Bremser Ue- ber lebende Wurmer im lebenden Menschen , Vienna 1819; Dujordin Hist. Nat. des Hel- minthes; Kuchenmeister Die in und an dem Kòrper des lebenden Menschen vorkom- menden Parasiten , Lipsia 1855).

F ra le piante vi sono altri numerosi esem¬ pi di parassitismo : vi sono parassiti nel vi¬ schio, nell’ orobanche, la rafflesia, il metam- piro , il bisso , 1’ oidio, ecc.

I parassiti del regno animale sono varia¬ tissimi. Le loro relazioni colle piante o cogli animali, dai quali dipende la loro esistenza , sono così diverse come la lord forma e la loro struttura.

Ci vorrebbero volumi per descrivere tali parassiti e la loro storia.

Vi sono parassiti in tutte le branche del regno animale ed in quasi tutte le classi.

II numero dei parassiti è grandissimo so- vratutto fra gli articolati. E appunto in que¬ sta classe si osservano le combinazioni più straordinarie di questo singolare modo di esistenza.

Alcuni vermi, la tenia per esempio, sono costantemente parassiti; altri, il gordio, il di¬ stoma, ecc. lo sono soltanto per un certo pe¬ riodo della loro vita. Certi vermi intestinali ,

l’ influenza degli agenti fisici 303

come la tenia, parecchie filarie e non pochi botrocefali, compiono le loro prime trasfor¬ mazioni nel corpo di un animale di una certa specie, e non possono completare il loro svi¬ luppo che nel corpo di un animale di una specie differente e superiore. Alcuni fanno estese migrazioni, prima di trovare Fambiente convenevole al loro sviluppo. (V. Siebold Ueber die der Vemvandlung der Echinococ- cus-Brut in Taenien, 1853, p. 409; Weinland The pian adopted by nature for thè pre¬ servaticeli of thè various species of helmin - thSj 1880).

Ebbene per tutti questi animali, l’influenza delle forze fìsiche è ancor minore, che per gli animali indipendenti. Dappoiché al fatto della loro esistenza si aggiungono le complicate condizioni del loro particolare modo di vivere e i loro vari rapporti con altri animali.

Si è supposto che i parassiti sieno nati nel corpo degli animali sui quali vivono. Ma che diremo dei parassiti che, come il gordio , en¬ trano nel corpo di altri animali in un grado di crescenza alquanto avanzato ? Che diremo dei parassiti che , come il pidocchio, vivono solamente sopra altri esseri ? Che diremo dei parassiti che dal corpo di un animale infe¬ riore passano , per compiere la loro finale metamorfosi, nel corpo di un animale più

304

CAPO IY.

alto ? Che diremo dei casi, nei quali solamente le femmine sono parassite ?

vale il supporre che siano da conside¬ rare come forze fìsiche gli stessi animali nei quali i parassiti vivono. Non c’ è analogia fra le forze meccaniche, esteriori e gli animali che servono di ricettacolo ai parassiti. Gli animali possono proteggersi dalle forze fìsiche ; ma i parassiti muoiono, se tentano di liberarsi dagli animali, nei quali vivono.

Lo sviluppo della vita è la prevalente ca¬ ratteristica nella storia del nostro globo. Il mondo materiale è stato sempre lo stesso at¬ traverso tutte le età, almeno sin dove le di¬ rette investigazioni possono rintracciare la esistenza. Gli esseri organizzati non fanno che continuamente trasformare, in nuove forme e in nuove combinazioni, sempre gli stessi ma¬ teriali. Il carbonato di calce di qualunque epoca è lo stesso carbonato di calce, cosi per la forma come per la composizione, sino a tanto che è sottoposto all’ azione dei soli agenti fìsici. Ma da che la vita è introdotta sulla terra, di questo carbonato di calce un polipo fabbrica il suo corallo ; e così via discorrendo per ogni famiglia, ogni genere, ogni specie. Il fosfato di calce nelle roccie paleozoiche è identico a quello che 1’ uomo prepara artifi¬ cialmente. Ma i pesci ne fanno le loro spine,

l’ influenza degli agenti fisici 305

e ogni pesce se le fa a suo modo; la tartari! - ga ne costruisce la sua cova; 1’ uccello, le sue ali; il quadrupede, le sue gambe. Ed in ogni successivo periodo della storia del nostro globo, queste strutture sono differenti nelle differenti specie.

Ciò che succede pel carbonato di calce , succede per tutte le sostanze inorganiche. Le quali presentano, in tutte le epoche passate, i medesimi caratteri che hanno ai nostri giorni.

Lo stesso precisamente è a dirsi dell’ in¬ fluenza degli agenti fìsici. Tra questi , il più potente è senza dubbio 1’ elettricità. Ma gli effetti che essa produce ai nostri giorni, li ha prodotti in tutti i tempi, e sempre nella stessa maniera.

Per esempio, i segni di goccie di pioggia nelle rupi carbonifere e triassiche attestano r identità dell’ azione degli agenti fìsici nelle epoche passate ; e ci rammentano che questi agenti fìsici fanno oggi ciò che facevano nelle epoche geologiche più rimote.

Ciò bene assodato, non c’ è da supporre una connessione causale fra due serie di fe¬ nomeni così dissimili, gli uni obbedendo sem¬ pre alle stesse leggi, mentre gli altri in ogni successivo periodo presentano nuove relazioni e cambiamenti diversi.

L’identità costante, in tutte le epoche, della

Di Bernardo. Il Danvinismo e le specie animali 20

306

CAPO IV.

azione degli agenti fisici esclude l’ idea che essi abbiano una preponderante influenza nel cambiamento e nella trasformazione degli or¬ ganismi.

Certe specie sono localizzate, cioè oc¬ cupano abitualmente un’ area ristretta. Ma dalla loro localizzazione non s’ inferisce che si conservarono fedeli al tipo, sol perchè rima¬ sero nello stesso luogo e sotto le medesime influenze. Qui si riaffaccerebbe la quistione dell’ isolamento per fini razionali, vale a dire dell’ isolamento metodico diretto ad uno sco¬ po, dell’ isolamento al quale gli animali ri¬ correrebbero consapevolmente, insomma dei- fi isolamento del quale avrebbe bisogno il darwinismo. Al postutto le specie localizzate non vivono isolate, ma in società di altre spe¬ cie, che spaziano su più larga superficie. Non foss’ altro, 1’ associazione con queste specie vaganti perturba 1’ isolamento e induce delle variazioni nell’ambiente. E purnondimeno noi vediamo che anche le specie localizzate con¬ tinuano a mantenere le loro caratteristiche.

E d’ uopo notare altresì che le specie or¬ ganizzate allo stesso modo appartengono ad epoche geologiche differentissime, a diversissi¬ mi periodi tellurici. Perchè dunque non cam¬ biarono i loro contrassegni essenziali ? V orreb- bero i darwinisti sostenere che durante le

l’ influenza degli agenti fisici 307

diversissime epoche geologiche le condizioni esteriori non subirono rimarchevoli cambia¬ menti? Tale presupposto sarebbe contrario alla loro dottrina. Da ciò, a ragione, si deduce che quantunque le condizioni fìsiche subissero con¬ siderevoli cambiamenti attraverso i periodi geologici, i caratteri della specie non ne ri¬ sentirono alterazione specifica o fisiologica che si voglia dire.

Prima che si stabilisse il presente stato di cose, certe specie animali erano circo- scritte entro determinati limiti; e nel presente periodo noi le vediamo occupare le stesse o simili superfìcie, benché fra loro non ci sia connessione genetica.

In presenza della fissità dei tipi, la sola conseguenza che si può trarre dalla somi¬ glianza della loro composizione, gli è che alcuni elementi sempre eguali bastano a va¬ riare la forme degli animali. Le forme varia¬ no, ma la natura degli elementi, per così dire, di fabbricazione resta la stessa. Per una causa, della quale non si conoscono che i ri¬ sultati, gli animali, benché formati di elementi della stessa natura, variano fra di loro sotto

tanti e tanti rapporti.

\

E fatica sprecata il tentare di rendersi conto di questi fenomeni colla comoda teoria dell’ influenza degli agenti fìsici.

308

CAPO IV.

Ciò nondimeno, badiamo, gli anti darwinisti non negano l’influenza degli agenti fìsici. Blau- din, Audonin, Meckel, Dufour, Guérin, Spren- gel, Méneville, Hensler, Valenciennes, Pallas, Gervais, Doyare, Séiler, Glocer, oltre Tem- minck, Daudin, Dugés e Cuvier, hanno consta¬ tato una tal quantità di fatti, hanno addotta prove così palmari su codesto influsso dell’am¬ biente, che non è possibile opporsi alla forza- di tanta evidenza.

Il prof. Agassiz, dai cui scritti ho spigo- golato in qua e in qualche osservazione,, dice alla sez. XVI del suo Essay on classifica - tion (Londra 1859, p. 84 e seg.) che le rela¬ zioni fra gli animali e V ambiente sono alta¬ mente importanti e « meritano la più diligente attenzione da parte dei naturalisti. » (deserve thè most careful attention on tlie pari of naturalists). Più sotto attribuisce agli agenti fìsici « un’ influenza modificatrice. » Poi ri¬ pete che la condotta d’ ogni specie rispetta alle condizioni di esistenza in cui è posta* costituisce un campo di esame del più alto interesse (constitutes a field of inquiry of thè deepest interest).

Il prof. Mivart, a carte 83-84 della sua opera On thè genesis of species (Londra 1871), porta molti esempi per mostrare gli effetti della influenza locale su diverse specie.

l’ influenza degli agenti fisici 309

Udite il prof. Alberto Wi ganci :

Certo non solo V ambiente influisce sulla vita delle piante e degli animali; ma le piante •e gli animali che non sono adatti all’ am¬ biente non possono sussistere. Nessuno ignora questo fatto tanto ovvio. (Bass Organismen welche den Lébensbedingungen nicht ange- passt sind, nicht existiren hòmnen, weiss Jeder aneli oline Tlieorie. Ber Barwinismus , Heilbronn, 1878, p. 54).

E il prof Pfaff si esprime così :

Le relazioni esterne influiscono in mag¬ giore o minore grado (in hòerem oder gerin - gerem Grade) sulla vita delle piante e degli animali. (Schópfungsgeschichte , Francoforte sul Meno, p. 700).

Le razze estreme dice il Quatrefages non appariscono tutt’ a un tratto. Per lo più sono il frutto di modificazioni successivamente accumulate per un numero indeterminato di generazioni. Le condizioni esteriori agiscono potentemente, in modo diretto o indiretto , e sono da tenersi in gran conto. E evidente che per gli animali come per le piante, le condi¬ zioni di superiorità, e perciò di sopravvivenza, saranno non solo differenti, ma opposte in un deserto o in mezzo alle paludi , sotto il polo <0 sotto 1’ equatore.

Di tutte le cause generali che hanno in-

310

CAPO IY.

fluito ecl influiscono ancora sulla fisionomia del regno animale e vegetale , la temperatura è scrive Rimbaud ( Rèfutation clu transfor - misme , Parigi 1873 , p. 58 e seg. ) quella che fa sentire di più la sua azione. Dovunque si trovi il carbon fossile, in Europa, in Ame¬ rica, in Asia ed anche in Australia si con¬ stata l’omogeneità delle materie vegetali rap¬ presentate dal carbon minerale. Gli animali contemporanei della flora carbonifera hanno lasciato degli avanzi sui punti più opposti. Lo stesso avviene di un gran numero di specie animali e vegetali , la cui apparizione ebbe luogo sui primi strati terziari.

Per ciò che concerne 1* epoca attuale , la variabilità dei corpi viventi è da per tutto così manifesta, che , per avvedersene , basta passare da un terreno all’ altro, dal littorale alla piena terra , da un livello basso ad un livello più elevato ; e basta paragonare fra di loro i prodotti di due corsi d’ acqua che scor¬ rono nella stessa contrada. Ma la scuola tra¬ sformista, non assegnando alcun limite a que¬ sto lavoro modificatore della forma esteriore degli organismi , ne fa derivare un concate¬ namento di metamorfosi progressive che col¬ piscono i caratteri specifici ; mentre la scuola1 opposta non ci vede che un’ azione limitata ,

l’ influenza degli agenti fisici 311

la quale agisce unicamente sui tratti fìsici e produce delle varianti.

In ogni modo soggiunge Y autore non c’ è dubbio che la costituzione degli esseri ha variato e varia sempre, secondo i tempi e i luoghi, cioè secondo le circostanze biologiche dalle quali dipende.

Malbranche nel suo lavoro Le transfor- misme ( Roaen 1874, p. 31 e seg. ) non è meno esplicito e chiaro:

Che esista negli esseri una facoltà di va¬ riare, in certi limiti, sotto le diverse influenze che subiscono , è un fatto che nessuno nega. Ma che queste variazioni sieno così conside¬ revoli, da scancellare i caratteri fondamentali della specie, per acquistarne altri che abbiano, allo stesso titolo, un valore specifico, ecco ciò che ci sembra impossibile ammettere.

Sappiamo per altro apprezzare in molti casi gli effetti dell’ influenza dell’ ambiente , dell’esposizione, del clima. Sappiamo, per esem¬ pio, che i ranuncoli d’ acqua a foglie sottili e capillari prendono, se 1’ acqua abbassa, delle foglie ad orlo allargato e diviso in lobi. La saetta , in una corrente rapida , vede le sue foglie in freccia allungarsi come un nastro stretto. Esposta al sole, in un suolo sabbioso, la grandezza diminuisce , i pungiglioni e le glandule aumentano, rinnervamento si accen-

312

CAPO IV.

tua, la divisione degli organi diventa frequente; mentre che all’ ombra i gambi si allungano, i pungiglioni diminuiscono, le « infiorazioni » si semplificano. Lo studio dei rovi ci mostra tutte queste transizioni ; e se si esita ancora sull’ aggruppamento delle diverse forme , gli è per chè ancora non si sono completamente riconosciuti 1’ estensione e i limiti di tali va¬ riazioni.

Ma d’ altro canto avverte 1’ autore la resistenza delle piante a modificarsi si manifesta visibilmente nelle acclimatazioni che si sono tentate. Il ricino che qui passa per una pianta annuale , è un albero nel suo paese , vegeta sinché la temperatura glielo permette, e muore quando sopraggiunge il freddo. La vigna coi tentativi dell’ acclimata¬ zione ha piuttosto perduto che guadagnato. Le piante non transigono sulle loro esigenze: biso¬ gna ch’esse ritrovino, a un dipresso, le condi¬ zioni della patria. La loro piena naturalizza¬ zione è impossibile o quasi : esse non si rassegnano a diventare altra cosa di quel che erano; restano sparute o soccombono , ma non si arrendono.

La forza, V estensione e le dimensioni delle foglie, il numero ed il colore dei fiori variano ; negli animali i peli sono più o meno abbon¬ danti, le corna più o meno lunghe , la facoltà

l’ influenza degli agenti fisici 313

di produrre del grasso e del latte più o meno sviluppata. Ma la forma generale degli or¬ gani , la loro rispettiva situazione , il modo di nutrizione, la durata della gestazione, le abi¬ tudini della vita ed altri caratteri importanti si conservano, si trasmettono ed obbediscono ad una legge di permanenza , che non ha che vedere coll’ azione degli ambienti.

Tutto sommato, gli antidarwinisti sono dun¬ que ben lontani dal negare T influenza delle circostanze esteriori , rispetto alle variazioni delle specie. Invece, il torto di Darwin e dei darwinisti è di darle troppa importanza, pi¬ gliandola addirittura come fattore o come re¬ golatore della trasformazione delle specie. « In un senso può dirsi scrive Darwin che le condizioni di vita producono diretta- mente o indirettamente la variabilità, ma includono la elezione naturale, poiché le con¬ dizioni di vita determinano se questa o quella varietà sopravviverà. » (1. c., p. 107). E più sotto aggiunge : L’ elezione naturale rende ogni essere organizzato così perfetto o un po’ più perfetto che gli altri abitanti della stessa contrada, i quali « vivono nello stesso ambiente. » L’ elezione naturale non può pro¬ durre che una superiorità relativa, cioè un gra¬ do di perfezione conforme alte risorse locali.

I darwinisti non si sono contentati di così

314

CAPO IV,

poco : hanno rimproverato a Darwin di non essere stato abbastanza audace. Biichner, per esempio, afferma che Y azione degli agenti fì¬ sici fu tenuta da Darwin in poco conto, per¬ chè Darwin era portato a prediligere la teo¬ ria della elezione.

Altri darwinisti, il Dr. Giorgio Seidlitz, ver- bigrazia, considerano l’influenza degli agenti fìsici come una riserva per rispondere alle obie¬ zioni, alle quali non ha potuto rispondere la teo¬ ria dell’ elezione naturale. Si obietta, putacaso, che alcune specie si sono conservate stabili per dei secoli. Non vuol dire replica il Seidlitz ciò significa che per dei secoli non ci fu cambiamento nelle condizioni esterne. Quando non basta allegare la stabilità delle circostanze esteriori, il Seidlitz tira fuori la « mancanza di un progressivo adattamento. » Se 1’ adatta¬ mento progressivo non ispiega altri importanti fenomeni, « niente paura »; c'è bell’e pronto 1’ « adattamento conservativo » che scioglie ogni dubbio. Ove altri fenomeni sollevino al¬ tre difficoltà, si chiamano ad agire successi¬ vamente f adattamento conservativo e quello progressivo. Così non si fa torto all’ uno all’ altro. Può darsi che non arriviamo allo scopo neppure colla cooperazione dei due adat¬ tamenti. Ebbene, o che noi conosciamo a fondo il meccanismo degli agenti fìsici .?

l’ influenza degli agenti fisici 315

Chi, dopo tutto ciò, non si persuade della onnipotenza degli agenti fisici, rinunzi pure a mettere bocca sulla questione dell’ origine e della formazione delle specie !

Udite ora come il darwinista Canestrini difende 1’ onnipotenza degli agenti fìsici sem¬ pre in rapporto alla formazione delle nuove specie.

Egli comincia col dire : « Qui non sarà inutile dichiarare che cosa s’ intende per que¬ ste condizioni di vita, poiché sembra che pa¬ recchi autori non se ne sieno fatti un giusto concetto. » ( Teoria dell evoluzione , Torino 1877, p. 146). Dopo tale esordio vi aspettate che il professore ci dica che cosa s’ intende per condizioni di vita. Invece, non dice niente su questo punto preliminare, ci salta su a piè pari, e dopo la parola concetto , aggiunge : « In ogni caso concreto è assai diffìcile il dire se le condizioni di vita siensi cambiate, o meno. »

Dunque dobbiamo dare somma importanza al cambiamento delle condizioni di vita, men¬ tre s incontra gran difficoltà per sapere nei casi concreti se le condizioni di vita siensi cambiate o no. 0 io non intendo più niente o il professore non ragiona a dovere.

Se non sappiamo nulla di sodo sull’esisten¬ za della causa, come faremo a tirare conse-

316

CAPO IV.

guenze da una causa così incerta e proble¬ matica ?

Comunque sia, 1’ autore non bada a que¬ st’ inezia e subito si slancia a fulminare le obbiezioni dei suoi contradittori :

« A proposito dell’ Egitto , il Mamiani dice :

La storia c’ insegna che 1’ Egitto è sog¬ giaciuto in questi ultimi tremila anni a più mutazioni che parecchie altre contrade. Da nessuno s’ ignora che il Delta tutto quanto è terreno non molto antico; e d’ altra parte , ora sono colà sterminate distese di arena dove sorgevano per addietro ricche e popolose città che senz’ acqua e vegetazione non avrebbero prosperato; e si dica il simile dell’alto Egitto, che al d’ oggi è nuda e sterile roccia. » Trascrivo la replica fatta dal Canestrini. Se fossi stato io nei suoi panni , avrei nel- T interesse della causa tolta a perorare preferito di stare zitto. Ma egli preferisce di rispondere anche a costo di dar piena ragione ai suoi oppositori. Attenti : « L 'Ibis continuan¬ do a prosperare in quelle località, ci dimostra che le sue condizioni di esistenza non si sono per tutto ciò mutate. Noi sappiamo anche che alcuni gasteropodi terrestri si sono estesi da regioni calde in regioni più fredde , senza punto mutarsi; e che nel lago Goktschai del-

L INFLUENZA DEGLI AGENTI FISICI 317

T Armenia il limnaeus stagnalis ha una con¬ chiglia assai sottile , mentre tutti gli altri ca¬ ratteri rimasero costanti. Le condizioni esterne della vita, come il clima, il terreno, il nutri¬ mento ecc. hanno di certo un'azione importan¬ te diretta sugli esseri organici; ma una più im¬ portante ancora è esercitata dai mutui rapporti fra gli organismi. Ed è di quest’ ultima azione che il Mamiani, il Baer ed altri non hanno tenuto il debito conto. Questi mutui rapporti si stabiliscono bensì in seguito alle condizioni esterne, ma una volta stabiliti, costituiscono una potenza che sembra indipendente da quelle condizioni. »

Se non ho male inteso, il professore dice che nonostante il cambiamento delle condi¬ zioni esterne, 1’ ibis e certi gasteropodi resta¬ rono tali e quali ; il limnaeus stagnalis , meno nella conchiglia , restò invariato. Ma allora perchè gli evoluzionisti ci rompono i timpani, esaltando la grandissima influenza delle este¬ riori condizioni di vita ? Perchè ci ripetono che il cambiamento delle condizioni di vita è una delle leggi che grandemente contribui¬ scono alla formazione di nuove specie? I fatti allegati dal professore sono una prova di più contro la teorica da lui sostenuta.

Poi egli confessa che i mutui rapporti fra gli organismi esercitano maggiore influenza

318

CAPO IV.

delle condizioni di vita. Ma soggiunge imme¬ diatamente, che i mutui rapporti furono sta¬ biliti dalle condizioni esterne.

Questa è un’ asserzione affatto erronea. Le condizioni esterne influiscono sui caratteri esterni; ma non so davvero perchè si debba dare ad essi il merito di stabilire i mutui rapporti fra gli organismi. I trasformisti intendono spiegare la formazione delle specie mediante un procedimento meccanico ed esteriore. I mutui rapporti fra gli individui sfuggono a tale procedimento meccanico ed esteriore : suppongono una causa interna di modificazioni, un’ attitudine inerente alla costituzione degli stessi organismi, una legge di variabilità, che non dipende dalle circostanze esteriori.

Cosiffatta legge fa ai pugni col trasformi¬ smo secondo il sistema darwiniano. Ed è per ciò che i darwinisti non ne vogliono sentire a parlare. Il Canestrini si leva d’ imbarazzo col sentenziare che i mutui rapporti fra gli organismi sono fissati dalle condizioni esterne. Se ciò fosse vero , dovremmo concludere che L ibis , alcuni gasteropodi ed il limnaeus sta - gnalis restarono quali erano, perchè le con¬ dizioni esterne avevano già stabilito i sullo- dati mutui rapporti. Se poi altri animali si modificano per effetto del mutamento nelle condizioni esteriori, non faremo le meraviglie,

l’ influenza degli agenti fisici 319

ma semplicemente diremo che in questo caso le condizioni esterne non avevano avuto tempo o agio di fissare quei tali mutui rapporti ! Per me, cotesta è una spiegazione assoluta- mente inaccettabile.

Il Canestrini seguita a scrivere :

« Fu sostenuto da qualche autore che le variazioni appariscano subitanee, grandi e per così dire saltuariamente. Ma tale opinione non sembra corretta. Gli individui devono adattarsi alle condizioni di vita in cui si trovano. Queste condizioni sono soggette a cambiarsi, ma tali cambiamenti, come ci ha fatto cono¬ scere il Lyell , sogliono avvenire lentamente. Quindi anche gli organismi devono mutarsi di pari passo, ossia con estrema lentezza. La tramutazione, disse recentemente il Weismann, deve andare di pari passo col cambiamento delle condizioni di vita, imperocché se queste ultime si mutassero più rapidamente, la specie non potrebbe durare nella lotta colle specie concorrenti, ma dovrebbe perire. E si dica il simile , se la specie subisse dei mutamenti subitanei troppo rapidi e in disaccordo con quelli delle condizioni di vita. »

Prima di tutto, da qualche autore fu so¬ stenuto non già che le variazioni , ma che alcune variazioni appariscono subitanee.

Come più sopra fu avvertito , non c è da

CAPO IY.

320

dubitare che a volte succedono cambiamenti considerevoli e subitanei. Per esempio, le gio¬ vani ostriche prese dalle coste dell’ Inghilterra e portate nel mediterraneo, si alterarono rapi¬ damente. Lo stesso Darwin adduce altri esempi.

( Animals and plants under domestication. Voi. I, pp. 37, 47, 52 e 72). Il Mivart parla di altri animali: gatti, segugi, corvi, cavalli, porchetti, conigli, paro nigripennis , che subi¬ rono subitanee variazioni ( 1. c. pp. 98-101 ). Egli dai molti fatti raccolti conclude che di tanto in tanto sono sorte delle razze mediante subitanei cambiamenti. ( Ibid . p. 112).

Questi sono fatti e non sono opinioni. La opinione non ci entra per niente, e il Cane¬ strini poteva risparmiarsi di avvisarci che « tale opinione non sembra corretta. »

Che i cambiamenti nelle condizioni di vita avvengano sempre lentamente, non si può dire e nessun naturalista lo dice. Dunque non si può dire neppure che « la tramutazione deve andare di pari passo col cambiamento delle condizioni di vita. »

Secondo il Canestrini , le lente mutazioni degli individui dipendono dai lenti cambia¬ menti delle condizioni esteriori. Ma egli stesso ci aveva parlato pocanzi di alcuni animali che non si sono mutati, benché le condizioni esterne avessero subito un cambiamento- Ora, se certi

l’ influenza degli agenti fisici 321

animali restarono inalterati nonostante il mu¬ tamento delle condizioni esterne , se ne infe¬ risce che almeno a cotesti animali non corre

obbligo di adattarsi al mutamento delle con¬ dizioni esterne.

La questione principale è questa :

Adattandosi alle condizioni esterne, gli ani¬ mali si trasformano,^ o no ?

Il Canestrini risponde e no. E in qpesto modo non lascia scontento nessuno.

Egli intanto ha dimenticato di dirci come si fa a conciliare le variazioni subitanee colla teoria darwiniana.

Tiriamo via e seguiamo passo a passo il ragionamento del professore, intercalando quah che parentesi : « Lo Hartmann e più recente¬ mente il Thorell hanno sostenuto che la teoria della elezione naturale esiga una variazione indefinita in tutte le direzioni possibili, perchè possa apparire quel carattere che è necessa¬ rio alla conservazione della specie. Ma il Weis- mann ha dimostrato, che la natura non è un letto di Procuste da lungo tempo preparato , cui 1’ organismo debba forzatamente in un modo preciso adattarsi. Le specie dispongono di molti mezzi per conservarsi in vita ; e se non riesce uno di essi , possono ricorrere ad un altro. Una specie di farfalla sopravvive, perchè raggiunge un colore protettivo, un’altra

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 21

322

CAPO IV.

perchè è assai feconda una terza perchè il bruco sa costituirsi una robusta amaca, un’al¬ tra ancora perchè il bruco prende 1’ abitudine di nascondersi, durante il giorno, nella fessura della corteccia degli alberi od entro la terra. Se una regione si è fatta troppo calda per una specie, questa potrà salvarsi col variare in modo opportuno nella sua struttura. ( Una cosa da niente il variare di struttura una cosa che la specie può compiere come e quando crede opportuno ! ), oppure col migrare verso nord, o coll’ elevarsi sopra il livello del mare ( 0 colf andar sott’acqua per aver più fresco !) Di più all’ apparsa di qualche variazione utile è concesso un certo tempo , perchè i muta¬ menti delle condizioni di vita, come fu detto sopra , si compiono in generale lentamente. Si può quindi dire , metaforicamente , che la specie sceglie quelle condizioni esterne della vita che la fanno prosperare ( Ecco trovata un' altra elezione V elezione metaforica, da aggiungersi alle elezioni artificiale , naturale e sessuale ) ; e quanto ai rapporti tra gli or¬ ganismi, essi sono reciproci, ossia una specie si adatta alle sue compaesane , e queste si adattano a lei. »

Insomma , il Canestrini dichiara che sap¬ piamo poco o nulla intorno ai mezzi dalle specie adoprati per conservarsi in vita.

l’ influenza degli agenti fisici 323

Quando non c’è niente da rispondere, è me¬ glio cavarsela col confessare che noi igno¬ riamo i segreti della natura; è meglio sbri¬ garsela, rivendicando la libertà d'azione delle specie. Ma la pretensione dei darwinisti avan¬ zati, come il Canestrini, è di non ignorare i segreti delle specie e di poterceli spiattellare pari pari. Ed è naturale. Dopo aver tanto ge muto e sudato, dopo aver tanto patito e vo¬ ciato, i darwinisti non devono rassegnarsi a rimanere nell’ incertezza, onde le specie si circondano; non devono sgabellarsela con delle generalità, che lasciano tali quali le nubi che c’ erano ; non devono contentarsi di an¬ nunciarci che le specie sono piene di risorse e in un modo o nell’altro si levano d’ impaccio. Ma non basta conoscere come la natura si governa in questo caso particolare e in que¬ st’ altro. L’ importante è di conoscere a quali principii la natura si attiene nella grande impresa della formazione delle specie. Lf im¬ portante è di conoscere le leggi, mediante le quali le specie nascono, si conservano e si riproducono, perfezionandosi gradatamente e fatalmente.

Dal mistero il Canestrini si salva rifugian¬ dosi in una metafora che vale tant’ oro.

Dapprima i darwinisti ci avevano appreso che le condizioni esterne esercitano un’influen-

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CAPO IV.

za quasi irresistibile sulla conservazione e la formazione delle specie : ora la metafora del professore c insegna che le specie non subi¬ scono, ma scelgono le condizioni esterne. Da attive che erano, le condizioni esterne sono diventate pressoché passive, di fronte alle specie. Sembrava che le condizioni esterne rappresentassero una parte interessantissima, ma ecco che metaforicamente ne assumono un’ altra assai modesta e subordinata.

« Mentre sosteniamo il Canestrini con¬ tinua che la specie possa variare utilmente in più maniere, non intendiamo di dire che la variazione sia illimitata. Tutte le specie non possono variare in tutte le direzioni im¬ maginabili, (Tutte no, ma forse che alcune- specie variano in tutte le direzioni immagi¬ nabili ?) essendo la variabilità limitata dalla natura dell organismo. Noi conosciamo un grandissimo numero di specie estinte , e la loro morte fu determinata ora dall’impossibilità, assoluta dell’organismo di adattarsi alle nuove condizioni , ( Confrontate questa proposizione con quell7 altra metaforica dettata dallo stesso professore: « si può quindi dire metaforicamen¬ te, che la specie sceglie quelle condizioni ester¬ ne della vita che la fanno prosperare ») oppure dal fatto che queste condizioni apparvero trop¬ po rapidamente ( Il professore più sopra ha

l’ influenza degli agenti fisici 325

ripetuto che i mutamenti delle condizioni di vita in generale avvengono lentamente) e la' specie non ebbe il tempo necessario per adat¬ tarvisi. (Per togliersi d’ impiccio , la specie poteva emigrare e andar dove le condi¬ zioni di vita non mutavano troppo rapidamen¬ te !) Il Thorell, seguendo le orme di qualche naturalista , ammette un principio metafisico che spinge le specie a variare in una deter¬ minata direzione, o verso uno scopo prefisso ; ma fra questo modo di vedere e la teoria della creazione diretta della specie, la differenza è piccola. Colla prima ipotesi si ammette, come nella seconda , 1’ ingerenza nella natura di una forza sopranaturale; ammettendo la prima ipotesi, si porta quest’ ingerenza solamente un passo più indietro. Naturalmente, si può diman¬ dare ai partigiani di quelle idee: come va che le specie sono adattate alle condizioni di vita in cui si trovano? E non troverei altra risposta all’in- fuori di questa: fu prestabilito che si cambiasse¬ ro in modo da soddisfare in ogni momento alle esigenze della specie. Anche in questo modo si spiega T armonia che domina nella natura; ma la spiegazione sembra mistica , anziché scientifica. Oltre ciò, questo modo di vedere non rende conto sufficiente delle cause che condussero innumerevoli specie alla estinzio¬ ne. Noi abbiamo detto sopra che, in ultima

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CAPO IV.

analisi , la variazione debba considerarsi co¬ me prodotta dalle condizioni esterne della vita. Anche il Darwin dice essere probabile che la variabilità sia causata direttamente o indirettamente da cangiamenti delle condizioni esteriori, o, per presentare il fatto sotto un’ al¬ tra forma, non vi sarebbe variabilità se fosse possibile mantenere per un grande numero di generazioni tutti gli individui di una specie in condizioni di esistenza assolutamente uni¬ formi. (Darwin - Variazione , p. 597). Il Seidlitz. ed il Weismann hanno recentemente discusso quest argomento più estesamente e più a fondo- Noi abbiamo già detto nel primo capitolo che gli individui di una specie non sono mai identici ; essi possono sembrare tali all’occhio inesperto, ma non lo sono all’ occhio eser¬ citato. »

Segue una pagina per confermare che gli individui di una specie non sono identici. E così il Canestrini termina il capitolo, avendo detto, tutto quello che aveva da dire sulla influenza delle condizioni esterne. Non ho riportato 1’ ultima pagina, perchè non occorre un oc¬ chio di molto esercitato per convincersi che gli individui di una specie non sono identici. Qui 1’ identità è fuori di posto ; qui si parla della influenza delle condizioni esterne sugli organismi. L’ obbligo del professore era dii

l’ influenzargli agenti fisici 327

provarci che le condizioni esterne sono così efficaci ed onnipotenti come i darwinisti cre¬ dono. Era anche obbligo suo di rispondere alla domanda: come va che le specie sono adattate allo condizioni di vita in cui si trovano?

Su questa ultima quistione ei non sa che partito prendere e va innanzi di lungo, lavan¬ dosene le mani. Egli ci lascia senza un bri¬ ciolo di dilucidazione purchessia. E veramente ciò mi ha fatto brutto senso. Il professore, che ha trinciato spiegazioni a destra e a si¬ nistra pei fenomeni più complicati e diffìcili, qui si confessa vinto e si ritira senza osare nulla per rendere più rispettabile la ritirata.

Quanto al primo quesito , il Darwin era stato più guardingo, più moderato , dicendo esser solamente probabile che le condizioni esteriori producano la variabilità degli orga¬ nismi. Il Canestrini, più spicciativo e più lesto, assevera che in ultima analisi le circostanze esteriori producono la variazione degli orga¬ nismi. Ma egli stesso aveva affermato che le specie scelgono le condizioni esterne : aveva affermato che le condizioni esterne non sono libere, bensì limitate ed inceppate nella loro azione : aveva affermato che i mutui rapporti e la natura degli organismi rappresentano una parte più interessante delle condizioni esterne. Ora, quando meno si aspettava, le specie non

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CAPO IV.

scelgono più le condizioni esterne che le fan¬ no prosperare , ma sono le condizioni esterne che producono a piacere la variazione. La forza e V efficacia dei mutui rapporti e del¬ la natura degli organismi spariscono come neve ai raggi sfolgoranti del sole. Il profes¬ sore, secco secco, decreta che al postutto la produzione delle varietà si deve soltanto alle condizioni esterne. L’ elezione « metaforica, » la limitazione degli agenti esteriori, i mutui rapporti e la natura degli organismi avevano ottenuto il loro bravo biglietto d’ ingresso ; ma, ad un tratto, che è che non è, vengono, senza tanti complimenti, messi alla porta !

E poi andate a dire che -la logica del Canestrini non è una logica convincente !

Che la specie « possa » variare , non è disputabile. Chi ciò sostiene ha mille ed una ragioni; ma la teoria o pangenesi darwiniana non si accontenta così presto e così agevol¬ mente. Davvero non francava il prezzo di mettere il mondo a rumore e di parlare di vittoriosa rivoluzione nello scibile umano , se gira, dalli e picchia si doveva finire colla riaf¬ fermazione di un vecchio e notissimo fatto , che cioè le specie possono subire certe varia¬ zioni.

Col semplice dire che la variabilità è li¬ mitata dalla natura degli organismi, il Cane-

l’ influenza degli agenti fisici 329

strini ha fatto un gran torto alla teorica eia lui difesa. La natura degli organismi potendo controbilanciare la potenza delle condizioni esterne, tutti i ragionamenti eli’ egli ci ha re¬ galato sulla influenza delle condizioni esterne rispetto alla variazione delle specie, diventano una chiacchierata, dilettosa se vogliamo , ma affatto inopportuna.

Il trasformismo darwiniano vive di principii prettamente meccanici, di leggi che non vo¬ gliono dipendere da indecifrabili cause interne; e il Canestrini sciupa cotesto trasformismo , se con esso innesta e frammischia leggi non meccaniche, quali sono i mutui rapporti e la forza interna degli organismi.

Che tale forza, tale costituzione interna abbiano massima importanza , non si può mettere in dubbio. Così è certo che le con¬ dizioni di esistenza non si sono tanto dif¬ ferenziate, quanto supporrebbe la differenza, mettiamo, fra 1’ alga e 1* animale vertebrato.

I darwinisti staccano idealmente la forma dalle sue proprietà. Considerano il tipo or¬ ganico come privo di caratteri, come materia formabile mediante una quantità innumere¬ vole d’ indeterminate variazioni. Secondo i darwinisti, il carattere viene impresso nella specie dalla influenza delle circostanze este¬ riori, da un’ impronta meccanica ed esterna.

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CAPO IV.

Cotesta è una mera e semplice astrazione. La causa che determina la forma, è soprat¬ tutto nell’ interno degli organismi, non già nel mondo esteriore. Se non fosse così, i dar¬ winisti dovrebbero spiegarci perchè, ad esem¬ pio, la superficie della terra è costituita in modo, che gli organismi, per adattarvisi, do¬ vevano prendere la forma e 1* organizzazione che noi osserviamo.

È molto più plausibile 1’ opinione che ogni organismo è fatto in guisa, da adattarsi alle condizioni esterne; che sin dal nascere dei- fi organismo, 1 adattamento risponde allo sco¬ po, cui la forma è destinata; e che in generale le forme della natura si adattano al loro scopo.

I darwinisti vorrebbero trovare la causa di questi fenomeni, riducendoli a premesse e conseguenze. Ma sapete che fanno ? Credono di chiuderci la bocca coll’ addurre alcuni casi dai quali risulta la conosciuta ed ammirata concordanza. Essi non pensano che non si spiega nulla quando non si fa che aumentare il numero dei fenomeni da spiegare.

Sicuro , noi ammiriamo la maravigliosa organizzazione di ogni corpo animale ; am¬ miriamo come ogni organo è perfettamente adattato agli altri organi; ammiriamo come l’organismo è, colla sua esteriore ed interna

l’ influenza degli agenti fisici 331

formazione, perfettamente adattato alle con¬ dizioni di vita alle quali è esposto, come si 1’ organismo fosse fatto per tali condizioni di vita ; o queste, per quello. Ma i darwinisti vogliono andare più oltre, vogliono trovar leggi dove la scienza non è penetrata, distin¬ guere i fatti antecedenti dai conseguenti, or¬ dinare i fenomeni in cause ed effetti. Il guaio è che dopo tutto non hanno altre gruccie per tenersi su che la lotta per 1’ esistenza e T elezione.

Anche il corpo terrestre è un organismo con determinata struttura e diverse funzioni, che armonicamente si adattano all' insieme di una vita tellurica: si pensi un po’ alla circo¬ lazione dell’ acqua fra le nubi, alle piogge, alle sorgenti, ai ruscelli, ai fiumi, al mare, al pareggiamento della temperatura per le correnti dell’ aria e del mare, ecc. Trattandosi del corpo terrestre, non si può di certo tirar fuori una lotta per V esistenza di innumere- revoli concorrenti individui terrestri di diver¬ sa perfezione, tampoco un’elezione naturale. Si può dice il Wigand semplicemente parlare di un gran corpo terrestre diventato così com’ è, giusta un determinato piano. Eb¬ bene, non c’è motivo per non ammettere lo stesso principio rispetto all’adattamento e allo scopo dei singoli esseri della natura.

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CAPO IV.

Anche il sistema planetario forma un in¬ sieme coordinato , nel quale i singoli mem¬ bri si muovono pacificamente in via rego¬ lare. Ed anche a proposito di quest’ armonia, Du Prel ha parlato di lotta per 1’ esistenza , supponendo che ci sieno state delle collisioni. Ma, al postutto , dopo le collisioni, ne venne un modus vivendi , ne venne un’ armonia. Si¬ curamente nessuno oserà spiegare 1’ armonia, T adattamento del sistema planetario suppo¬ nendo una continua lotta per 1’ esistenza ed un’ elezione.

Che quello che non è conforme allo scopo, vale a dire che è incapace di esistenza, non può esistere, si capisce da sè. Ma con ciò non si spiega quello che è conforme allo scopo , quello che esiste !

L’ errore principale di Darwin consiste nel separare 1’ esistenza degli organismi e la loro natura conforme allo scopo, mentre poi sup¬ pone organismi che non ancora o solo imper¬ fettamente erano adattati e che in seguito, a poco a poco, si sono sempre più adattati; come se si potesse dividere una cosa dalle sue qua¬ lità ed il contenuto di un essere dalla sua forma ! Gli organismi , quando esistono , per il solo fatto dell’ esistenza, devono essere for¬ niti di una determinata qualità; ora non c’ è assolutamente nessun motivo per ammettere

l’influenza degli agenti fisici 333

che questa qualità originariamente sia il non adattamento. Invece, è naturale ecl è ragione¬ vole pensare che la stessa causa, qualunque sia , che ha fatto nascere gli organismi , ha prodotto altresì la loro qualità , perciò il loro adattamento. Secondo Darwin , la ma¬ teria viene prima in forme non atte allo scopo, grezze e fortuite, le quali a poco alla volta si dirozzano e si adattano. Ma è os¬ servava lo stesso Wigand assai più con¬ forme al buon senso ed alla logica il figurarci l’origine della natura organica, ed in generale della natura, come un unico processo, ordinato in se armonicamente, nel quale 1’ essere e la qualità delle cose hanno un solo e medesimo fondamento. Non è probabile verosimile che ogni stadio della costituzione delle forme sia imperfetto e che 1’ intero sviluppo della natura sia una serie di tentativi e di prove e un’ eterno correggere questi tentativi e queste prove-

Guardando la variabilità come uno di quei caratteri fisiologici di adolescenza, che com¬ prendano più adattabilità di quel che è pos¬ seduta in alcun altro periodo dell’ esistenza , non possiamo leggesi nell’ Antliropological Review (N.° 24, gennaio 1869, p. 19 e seg.) considerare i possibili effetti della variabi¬ lità come eventualmente dipendenti dalle con-

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capo iv.

dizioni esterne. I caratteri tipici di ogni gruppo naturale sono conservati anche da quelle spe¬ cie, la cui decadenza mostra che sono nel più debole e nell’ ultimo periodo della loro esi¬ stenza. Ebbene , questo conservativismo pare incompatibile colla teorica che il tipo si elevi in conseguenza delle mutevoli influenze che lo circondano.

Ci si dice che delle innumerevoli varietà accidentali che ogni tipo può produrre, rie¬ scono solamente quelle che per caso si trovano convenire alle circostanze ambienti. Ma così rotoliamo da casi accidentali a casi acciden¬ tali, ci dibattiamo tra i fenomeni fortuiti, siamo ben lontani dallo scorgere quel nesso di cause ed effetti che i darwinisti credono di avere rintracciato.

La stessa Antbropological Review afferma che la teoria darwiniana si raccomanda molto, ma le difficoltà che crea sono più di quelle che spiega. {The tlieory has many recommen- dations; but it creates more difficulties than it explains). Veramente questo non è un elo¬ gio : quando una teoria crea continuamente delle difficoltà, scuopre il baco che la rode , a vedere che poggia sopra un’ipotesi falsa, che vive a stento, per equivoco, per un ma¬ linteso, a forza di puntelli che un po’alla volta vanno giù.

l’ influenza degli agenti fisici 335

Nel concetto di causalità ci sono notava il signor Luca Burke in un suo discorso, pro¬ nunziato il primo marzo 1864, davanti la so¬ cietà antropologica di Londra due principali idee : 1’ idoneità dello strumento e Ladeguato potere per servirsi dello strumento. Non si può parlare di causalità dove non si scorge 1’ idoneità dello strumento. Or bene, nessuno è riuscito a mostrare che gli agenti acciden¬ tali del clima , del cibo, ecc. sieno idonei a produrre correlativi cambiamenti in un caso qualunque. Questo non essendo provato, nes¬ suno ha il diritto di presumerlo. Nella teorica darwiniana non c’ è concepibile idoneità nella causa assegnata per produrre il previsto ef¬ fetto.

Tutto considerato , tale teorica richiede che noi pigliamo le mosse dalle specie già bell’ e fatte. Ma come nacquero le specie ? Come nacque il primo tipo ? Sorsero per av¬ ventura in seguito ad un lentissimo, progres¬ sivo, quanto casuale trasmutamento, dipendente dalla mutevole azione dei variabili agenti fìsici ? No. E più ammissibile, è più plausibile attribuire V origine e la conservazione delle specie alle leggi inerenti agli organismi, al- 1’ evoluzione interna, all’ adattamento imme¬ desimato colla forma, non già dipendente dal variare delle condizioni esterne. Le leggi della

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CAPO IV.

vita sono sempre le stesse: i tipi nascono , si sviluppano e poi muoiono e spariscono con¬ formemente ad un piano eli natura. La serie progressiva, lo sdrucciolo infinitesimale, 1’ a- dattamento proveniente dall’ influsso delle cir¬ costanze esteriori secondo il sistema darwiniano non sono le leggi della vita. Nell organismo vivente le varie strutture e le varie parti hanno i loro organi: un muscolo non si sviluppa in un polmone o in vasi sanguigni. Non solo ogni muscolo, ma ogni fibra nervosa ha la sua propria origine. Il primo organismo tipico venne in virtù delle leggi sue proprie , in virtù del piano inerente allo stesso organismo. Gli altri organismi tipici apparvero come e quando fu necessario per 1’ armonia della vita nel globo; precisamente come in un partico¬ lare organismo mai apparisce un osso prima di un certo tempo, come il cervello non ap¬ parisce prima di un certo tempo e come nel- L organismo del mondo secondo ci rivela la geologia ci sono periodi nei quali hanno luogo dei cambiamenti e poi ad un tratto sor¬ gono tipi nuovi.

Guardiamoci dal perder di vista i grandi fenomeni per attendere solamente a quelli meno importanti. Guardiamoci dal rimpicci¬ nire le grandi quistioni. Sta bene parlare delle varietà prodotte nel corso ordinario delle

l’ influenza degli agenti fisici 337

cose; ma non dimentichiamo che tali varietà si aggirano entro la razza e non colpiscono la specie. Il grande problema è di sapere qua- 1' è la causa che produce i cambiamenti mec¬ canici ; e quale, quella che produce le specie.

Lo studiare, V esaminare a fondo 1’ influ¬ enza degli agenti fisici ci conduce allo scio¬ glimento di questo problema? No, certamente no. I darwinisti hanno voluto fare una parte troppo smodata a cotesta influenza, senza pre¬ occuparsi delle leggi che ne limitano 1’ azione. Così, gli animali domestici sono sottratti alla lotta per 1’ esistenza ; 1’ uomo li trasporta con e coir addomesticamento crea loro in realtà quasi altrettanti ambienti quanti padroni han¬ no. Pur nondimeno gli animali addomesticati conservano come fu osservato - i loro caratteri originari e tendono a ritornare al tipo. Se 1’ allevatore è riuscito a produrre mo¬ dificazioni che non sono compatibili coll’ am¬ biente, tali modificazioni finiscono collo spa¬ rire. Le condizioni esterne esercitano in questo caso un’ importante influenza , ma nel senso di spingere alla stabilità e all’ armonia delle specie. Per quanto V allevatore si adopri a produrre varietà , non otterrà mai variazioni che varcano i limiti delle specie : fra gli altri ostacoli troverà quello dell’ incompatibilità fra V ambiente e le modificazioni ottenute. Rì¬ di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali.

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capo iv

spetto agli animali selvaggi , anche qui vale quello che dissi altrove, che cioè, giudicando da quello che ci è noto, 1’ uomo è più potente della natura abbandonata a se stessa, quando si tratta di modificare gli organismi viventi.

Non è lecito negare i fatti sol perchè ne ignoriamo la causa. Noi conosciamo alcuni fatti suir estensione e la natura delle modifi¬ cazioni che possono essere cagionate dall' am¬ biente , ma ne ignoriamo la causa. Pallas riferisce che, per esempio, in certe pecore dell’ Asia Centrale la coda sparisce e si riduce ad un semplice coccige , in ciascun lato del quale c’ è una massa emisferica di grasso che pesa venti o trenta libbre. Ma questa singola¬ rità se ne va in poche generazioni, quando gli animali sono condotti in altro clima. I bovi americani sono discesi da bovi europei ; ma in Buenos Aires i discendenti hanno conser¬ vato le corna, mentre nel Messico le hanno perdute. (V. Quatrefages). Una razza di daini córsi si credette , per un certo tempo , una specie nuova, sinché uno di essi fu portato a Parigi, dove gradualmente riprese la sua forma tipica. Anche le appendici traggo queste pa¬ role dal citato articolo di Elam sono variabi¬ lissime, per cause non determinate, senza ne¬ cessariamente indurre alcun cambiamento fi¬ siologico della specie. Per esempio, alcuni cani

l’ influenza degli agenti fisici 339

hanno quattro dita ne’ piedi di dietro, laddove in altri cani il quinto dito è pienamente svi¬ luppato. In alcuni porci si vede sviluppato un terzo dito mediano, mentre il tutto è avvilup¬ pato in una sola unghia , presentando il tipo solidungulato. Si sono trovati bovi con tredici costole e una vertebra addizionale. Ciò nullo- stante quei cani, quei porci e quei bovi restano fisiologicamente cani, porci e bovi.

Quale ne è la conseguenza ? Che noi non sappiamo la causa deir influenza esercitata dagli agenti fisici, e che le modificazioni pro¬ dotte da questi agenti non cagionano cambia¬ menti fisiologici.

A conclusione di un lavoro sui gruppi fi¬ siologici nel regno vegetale , il darwinista Alfonso De Candolle vergava le seguenti righe: « Così , delle due condizioni che spesso sono state messe in opposizione come influenti sulle evoluzioni, cioè il tempo e i cambiamenti di clima, gli è il tempo che ha maggior valore. Niente prova che il tempo sia in se stesso una causa di variazione, ma accumula quelle che succedono, e non nuoce, come i cambia¬ menti fanno sempre , a volte anche in modo disastroso. » (V. Revue S denti fiqne. Seconda Serie, Voi. IX, p. 372).

Come nella lotta per 1’ esistenza, anche qui che si tratta dell’ influenza degli agenti fìsici,

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CAPO IY.

bisogna tener conto dell’ azione nociva che viene esercitata a carico delle forme. I darwi¬ nisti badano soltanto all’ influenza benefica del¬ le condizioni esterne. Ma allora i calcoli da essi ammaniti non possono avere nessuna au¬ torità, perchè la medaglia non è stata osservata che da una sola parte. La stessa Renne Scienti - fique pubblicò un lungo studio di G. De Saporta sulle associazioni vegetali fossili. Da questo stu¬ dio si traggono le seguenti conseguenze: che la vegetazione europea dei primi tempi terziari comprendeva di già elementi diversissimi ; che variava d’ aspetto secondo il suolo e la esposizione ; e che nondimeno certe combina¬ zioni vegetali, che potremmo esser tentati di considerare come recenti , si erano realizzate da tempi remotissimi, « di guisa che allato di certe collezioni locali di affinità quasi al- Lintutto tropicale, esistevano simultaneamentey in altri punti, foreste pochissimo differenti pei loro elementi costitutivi, da quelle che noi abbiamo ancora sotto gli occhi. » (Ibid. Seconda Serie, Voi. XI, p. 68).

Le condizioni fìsiche influiscono sugli or¬ ganismi , ma ora in bene ed ora in male.. Hanno da fare colle tendenze inerenti agli stessi organismi. I darwinisti vanno errando ed innalzando castelli di carta, quando si fi¬ gurano che 1’ azione degli agenti fisici non

l’ influenza degli agenti fisici 341

è punto diversa da quel che conviene alla loro teorica.

Ora cedo la parola ad un darwinista che, a proposito dell' adattamento, rivede le cuci¬ ture e arruffa i calcoli ad un altro darwi¬ nista :

I caratteri acquistati coiradattamento non possono sta parlando Carlo Vogt, profes¬ sore all’ Università di Ginevra essere tra¬ smessi ai discendenti senza 1’ eredità ; e que¬ sta trasmissione sarebbe rigorosa e senza variazione, se non fosse incessantemente mo¬ dificata dall’ adattamento ulteriore dei discen¬ denti.

Ma una volta posti questi principii, si può ben confessare che noi siamo ancora lungi dall’ aver capito le influenze di questi agenti nei loro particolari, che noi siamo lungi dal poter dire, in un dato caso, quale sia la parte che spetti ad ognuna delle cause agenti e in qual ordine si sieno presentati i fenomeni, il cui concatenamento ha prodotto i risultati che abbiamo sotto gli occhi.

Mi sembra che sia venuto il tempo in cui si deve, non già annunziare principii generali Afiie si cerca di sostenere alla meglio o alla peggio con ragionamenti tratti ugualmente da fatti generali spesso dubbii, ma seguire passo a passo i fatti, che, per così dire, si

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CAPO IV.

spiegheranno da se stessi. L’ astrazione e la ipotesi sono certo necessarie nelle scienze d’osservazione ; esse devono condurre a leggi sempre più generali ; ma queste leggi non possono essere considerate come solidamente stabilite, se non quando sono di nuovo corro¬ borate dall’ osservazione e dall' esperienza.

Miro particolarmente all’ adattamento. Cer¬ to, se si un’ occhiata alla lunga lista dei differenti generi di adattamento ammessi da alcuni ferventi discepoli di Darwin, si potreb¬ be credere che non c’ è più nulla a cercare, . che tutto è chiaro e comprensibile, che non esiste può esistere alcun fatto, sulla cui esplicazione e classificazione si potesse esi¬ tare un solo momento. Se vediamo, per esem¬ pio, la nota degli adattamenti dei quali parla Hàckel, si direbbe che qualunque nuovo caso deve trovare immediatamente la sua casella preparata, dove lo si potrà mettere comoda¬ mente, accanto agli altri casi di già cono¬ sciuti.

Ma lo stesso Hàckel ci toglie questa spe¬ ranza e ci disinganna. Dice così: Tutti questi fatti che potremmo comprendere sotto il nome comune di adattamento indiretto o mediato (potenziale), sono ancora imperfettissimamente conosciuti nella loro propria essenza e nella loro profonda etimologia. Però, sin da ora, si

l’ influenza degli agenti fisici 343

può affermare con certezza che numerosissime ed importantissime modificazioni delle forme organizzate devono la loro origine a questo ordine di fatti. ( Histoire de la crèation , p. 205).

Ecco dunque il nostro primo capitolo de¬ gli adattamenti ridotto a fatti imperfettissi¬ mamente conosciuti.

Il secondo non è più felice. La legge di adattamento generale o universale è definita in questi termini: Tutti gli individui organici si differenziano gli uni dagli altri nel corso della loro vita per il fatto dell adattamento alle diverse condizioni di esistenza, comecché gli individui di una sola e medesima specie restino sempre alFiritutto analoghi fra di loro.

(1. c. p. 206).

\

E veramente deplorevole che questa legge si perda nella più assoluta incertezza. Infatti noi leggiamo, dopo gli svolgimenti che vi si riferiscono, la frase seguente: Ma determinare con certezza in questa diversità quale sia la parte dell' adattamento individuale indiretto , quale quella dell’ adattamento diretto univer¬ sale, o, in altre parole , quali sieno le diffe¬ renze originali, quali le differenze acquistate, ciò sarà sempre impossibile. (Ibid. p. 207).

E non c’ è che dire : nessuno è obbligato a fare 1’ impossibile.

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CAPO IV.

Non ci tocca miglior fortuna rispetto al- 1’ adattamento correlativo. Dopo aver citato una folla di casi che devono riferirsi a tale adattamento , Hàckel aggiunge : Ma perchè precisamente tali e tali altre parti sono unite con questa singolare correlazione ? Questo ap¬ punto noi ignoriamo quasi sempre.

Io dico che 1’ ignoriamo completamente e in tutti i casi.

Mi sembra inutile aumentare queste cita¬ zioni. Esse pur troppo dimostrano l’incertezza che ancora esiste nel modo d’ intendere Slat¬ tamento del pari che nei fatti che sembra vi abbiano rapporto. Quasi tutti gli esempi che si ha 1’ abitudine di citare , possono trova¬ re differenti spiegazioni , e si può dire che in nessun caso noi abbiamo la dimostra¬ zione della causa immediata quella della necessità dell’ elfetto prodotto. Tuttavia solo a questa condizione si può pretendere di aver dato perentoriamente la prova dell’ adatta¬ mento. ( On peut dire que, dans aucun cas, nous ne possèdons ni la dèmonstration de la cause immediate, ni celle de la nècessitè de T effet produit. Ce ri est pourtant qid à cette condition eque l on peut prètendre que la preuve de l adaptation soit fournie pèrem - ptoirement. Revue Scientifiquej Seconda Serie, Voi. XIII, pp. 337-338).

l’ influenza degli agenti fisici 345

Così discorre Carlo Vogt. Davanti un dar¬ winista della sua forza , gli altri darwinisti devono levarsi il cappello : io mi tiro da parte e spero che prima o poi questi altri darwinisti la penseranno come il prof. Yogt. Ci vuol poco: basta che si compiacciano di osservare ed ammettere i risultati dell’ espe¬ rienza: basta che non si facciano illusioni e non deducano conseguenze quando mancano le premesse. Sicuro, quando succedono cambia¬ menti nelle forze esterne, la forma e la strut¬ tura degli organismi devono modificarsi, in modo che essi possano adattarsi al loro nuovo ambiente. Se sono incapaci di subire le mo¬ dificazioni necessarie, muoiono; se possono sopportarle, sopravvivono e diventano nuove varietà. Ma niente dimostra che questo potere di modificarsi sia illimitato ; niente dimostra che ci sia una sola alternativa, vale a dire o un cambiamento continuo in una sola dire¬ zione o la morte.

È evidente ripeto col Williamson che le condizioni dell’ ambiente sono suscetti¬ bili di subire un cambiamento continuo ; ma non ne risulta che simili cambiamenti deb¬ bano verificarsi in una sola direzione e in una maniera tanto continua, da produrre ne¬ cessariamente una divergenza sempre cre¬ scente fra 1’ organismo e il suo tipo primitivo,

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CAPO IV.

sia verso una forma più alta, sia verso una forma più bassa. Non c’ è nessuna prova che questi cambiamenti non succedano come una serie illimitata eli oscillazioni fra limiti defi¬ niti, press’ a poco analoghe a quelle di un pendolo che cambia le lunghezze e i piani delle sue oscillazioni, ma non devia dalla sua posizione d' equilibrio.

I fenomeni con osciuti del mondo organico vivente non possono attestare che i cambia¬ menti sieno illimitati ; e però restiamo sempre serrati nella cerchia della formazione di sem¬ plici varietà, di razze. L’ influenza degli agenti fìsici studiata tale qual’ è, non già coll’ob- bligo di favorire il darwinismo non ci autorizza a supporre che la formazione delle varietà sia tutt’una cosa colla formazione delle specie nuove.

alcuno scappi a dire die alla fin fine noi non sappiamo con precisione quale e quanta efficacia abbiano le cause esterne e gli agenti fisici. No, non serve ingarbugliare il discorso, invocando 1’ esattezza matematica , la vera precisione : non serve avvolgere la quistione nel funereo manto dello scetticismo più esa¬ gerato. Capisco che anche il vuoto ha le sue sorprese , ma non conviene sprofondarci nel vuoto come Curzio nella voragine. Se dobbia¬ mo diffidare anche dell’ osservazione speri-

l’ influenza degli agenti fisici 347

mentale ; se, prescindendo dai fatti, dobbiamo dare retta a quanto la fantasia possa sugge¬ rire ; se dobbiamo fabbricare sui chissà, forse , possibilmente , entriamo in un oceano di astra¬ zioni per rimanere miseramante affogati. È davvero curiosa la diffidenza che gli evoluzio¬ nisti hanno per 1’ osservazione , per le teorie fondate sui fatti, per la scienza sperimentale. Un momento essi si presentano pieni di co¬ raggio, bene agguerriti e più o meno padroni dei procedimenti e dei segreti della natura. Poco dopo ci vengono innanzi confusi^ inton¬ titi, abbarbagliati per susurrare che la natura, cioè « T immenso teatro dello spazio ove si compiono tutti i fenomeni » è una colossale , spaventosa icchese. Pare incredibile, ma è vero che i tiri più brutti alla filosofia positiva ven¬ gono appunto da quei naturalisti che dovreb¬ bero più tenerla da conto e rispettarla,

0 io giudico colla testa nel sacco , o la stragrande potenza attribuita alle circostanze esteriori riguardo alla formazione delle specie, è un nuovo buco nell' acqua, è un nuovo in¬ successo, una nuova disillusione per la scuola del darwinismo. Le circostanze esteriori han¬ no di certo un’influenza, ma non così gagliar¬ da, così straordinaria, così decisiva , da far guadagnare terreno all’ ipotesi darwiniana. Per sostenere il contrario , bisogna veder le

348

CAPO IY.

cose a rovescio di quel che sono, mettere le idee preconcette al posto della realtà, costruire maestosi palazzi sulla nuda sabbia, non bada¬ re alle stesse leggi di natura, prendere le om¬ bre per corpi e le macchie per figure , fanta¬ sticare, ingrandire, esagerare, frapporre nuovi ostacoli alla soluzione del problema che è la preoccupazione del nostro secolo.

CAPO V.

La legge del tempo

La scienza non è nuda e cruda descrizione di fenomeni. Bisogna studiare la reciproca dipendenza dei fatti e la loro relazione colle verità generali conosciute e coi principii che sono già nel patrimonio della scienza.

Prima di formulare le leggi è sommamente importante verificare l’ intima corrispondenza fra i fatti conosciuti e le idee che si vogliono far valere. Non dico con ciò che lo studioso non abbia tutto il diritto di stabilire delle ipotesi e di appianarsi così la via per ar¬ rivare alla scienza. Se esaminando i dati di fatto e le testimonianze positive, il naturali¬ sta si accorge che la catena si spezza prima di giungere dove egli immagina che stia la verità, perchè dev' essergli interdetto di ricorrere all’ ipotesi ? Che meraviglia, se con¬ siderando la relazione dei fatti, il pensatore si sente spinto ad oltrepassare i rigorosi limi-

350

CAPO V,

ti dell’ osservazione ? Si comincia coll’ ipotesi per giungere alla dimostrazione : nella storia delle scienze, V ipotesi precede la dimostra¬ zione. Lo scienziato formula 1* ipotesi, perchè sente vivissimo il desiderio di dimostrare una verità lontanamente intraveduta.

Per qual buona ragione s’ ha da condan¬ nare 1’ avidità di spiegare i fenomeni ? Con altre parole, per quale buona ragione si deve respingere 1’ ipotesi, quando la sia fatta con temperanza, con buon fondamento, colle cau¬ tele necessarie per restare nel metodo scien¬ tifico ? L’ ipotesi spesso dei risultati che difficilmente si otterrebbero colla sola e sem¬ plice investigazione dei fenomeni. L’ ipotesi è una guida per lavorare, cercare ed arricchire L umano scibile. È quasi la materia prima di ardite ma felici induzioni. È uno dei modi naturali per arrivare al vero.

Frattanto non perdiamo di vista il rovescio della medaglia; non dimentichiamo che cam¬ minando sulle traccie delle ipotesi nebulose ed astratte, si finisce col cascare nella bigot¬ teria e nel fanatismo, si finisce col giocare a mosca cieca, col frapporre un prisma colorato fra gli occhi e gli oggetti, col fabbricare di sana pianta sistemi che dànno nell’ assurdo o vi girano intorno.

A mio vedere, 1’ ipotesi darwiniana sulla

LA LEGGE DEL TEMPO

351

origine delle specie non si presenta sotto fe¬ lici auspici, e non lascia menomamente sperare che si eleverà alla sfera di quelle che rischia¬ rano vasti spazi nel dominio del pensiero e condannano a morte tutte le ipotesi che fu¬ rono proposte sullo stesso argomento. L’ ipo¬ tesi di Darwin non è neppur comoda men¬ tre se ne attende qualcun’altra migliore per i spiegare i fatti principali ; e non è giusta come semplice teorica, perchè non consente coll’ osservazione , coi principii gene¬ rali che sono ormai riguardati come incon¬ cussi.

L’ esperienza della natura attesta che in mezzo alla distruzione del vecchio e la varia¬ zione del nuovo, la permanenza del tipo resta ferma ed illesa; che la concorrenza vitale, T elezione naturale, la legge di eredità, T influenza degli agent i fìsici tolgono alle specie il potere di estendersi e di ritornare alla loro condizione originaria ; che il pro¬ gresso ed il regresso mantengono F equilibrio ed impediscono F indefinito e progressivo svi¬ luppo degli esseri; e infine che F impossibile può talora raffigurarsi come possibile, ma non può essere considerato come giovevole alla scienza positiva.

La zoologia c’ insegna che la dottrina del¬ le affinità genealogiche, sulla quale il darwi-

352

capo v.

nismo si basa, non ha alcun solido appoggio. Gli organismi non si lasciano aggiustare in quell’ ordine lineare che sarebbe il risultato indispensabile della continua derivazione di

X

una struttura da un’ altra.

L’ anatomia fa vedere che stando agli ele¬ menti anatomici, il vertebrato rudimentale o il vegetale efimero non possono percorrere, ad uno ad uno o per salti più rapidi, i gradi della scala di perfezionamento.

La fisiologia ci apprende che « la tessitura anatomica non rivela sempre il carattere in¬ timo di un animale ; e ci mostra la succes¬ sione normale, 1’ eredità continua della forma tipica, nonostante la differenza degli elementi generatori che s’ incrociano o si confondono. I naturalisti non si accordano nel definire il tipo e la specie ; ma sanno ciò che intendono quando parlano di tipo e di specie; sanno che il tipo non esce dal tipo e la specie non esce dalla specie; e sanno di più che la fecon¬ dità è il carattere dominante della specie, ma che questa fecondità non produce cangiamenti profondi, non metamorfosi, non trasformazioni essenziali, ma semplici gradazioni, limitate varietà, differenze relativamente piccole.

Ciò posto, mi sembra che non ho torto quando affermo che Y ipotesi di Darwin non debba essere annoverata fra le ipotesi scien-

LA LEGGE DEL TEMPO

353

tifiche, perchè fa a pugni coir osservazione e colla scienza.

Ma altri disse che il merito del darwini¬ smo non istà nella sicurezza delle deduzioni e nemmeno nella spiegazione dei fatti parti¬ colari, « bensì nella conformità delle grandi linee e nella presunzione eh’ esso darwinismo ci dia un’ idea generale dell’ evoluzione del mondo. » (V, il discorso di Bertillon nei Bul- letins de la Société d antlvr omologie de Paris , Voi. V, Seconda Serie, 1870, p. 498).

Cotesta fu giustamente risposto è semplicemente letteratura fantasiosa. Una con¬ gettura sintetica senza conformità colle appa¬ renze generali e che, nei particolari, oppone alla realtà visibile una pretesa realtà nascosta, che nega la fissità dei tipi, la quale è atte¬ stata dai fatti, per affermare una mobilità immaginaria, una congettura sintetica che invece di essere basata sulla verisimiglianza dell’ ordine delle cose che intende spiegare, riposa sopra un’ antitesi inverosimile, non è fatta, checché se ne dica, per essere confron¬ tata colle grandi sintesi filosofiche, ancora incerte su alcuni punti secondari, ma almeno improntate di verità nei loro grandi linea¬ menti, come per esempio l’ ipotesi della gra¬ vitazione universale, l’ ipotesi della formazione

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

23

354

CAPO V.

graduale degli strati geologici, l’ ipotesi delle ondulazioni della luce, e via di seguito.

No, T ipotesi di Darwin non va accettata neanco come ipotesi provvisoria. Il celebrato prof. Paolo Broca attaccava, avanti la società (V antropologia di Parigi, cotesta ipotesi e poi aggiungeva: Si dirà che 1’ ipotesi di Darwin, cioè 1’ ipotesi della elezione naturale, può va¬ lere sino a nuovo ordine. Ma se non ispiega i fatti e sovratutto se si trova in contraddi¬ zione con essi, la non è che una brillante fantasmagoria. Ora io credo di aver mostrato con degli esempi precisi clie c' è tutto un’or¬ dine di caratteri, i quali sfuggono alla teoria della elezione e che spesso anche sono affatto incompatibili colla stessa. ( Bulletins de la Société d' anthropologiej Seconda Serie, Voi. V, p. 238).

Più franco e più reciso, A. Sanson chiu¬ deva un lunghissimo suo discorso davanti la medesima società con le seguenti parole: « Cre¬ do di aver sufficientemente provato che nessuno dei fatti invocati in appoggio del darwinismo offre, fosse pure la più debole, probabilità a favore dell’ origine delle specie per via di trasformazione. » {Ibid. p. 348).

E volete che 1’ ipotesi di Darwin si para¬ goni alle grandi ipotesi di Newton, di Galileo, di Laplace! E domandate che si prenda almeno

LA LEGGE DEL TEMPO

355

come provvisoria un’ ipotesi, che lascia asso¬ lutamente fuori un gran numero eli fatti co¬ nosciutissimi e che perciò non ha da fare alcun assegnamento sull’ avvenire !

Quali sono i caratteri di un’ ipotesi scien¬ tifica ? Uditelo da Madama Royer : « Bisogna che abbia fatti reali per base e non ne con¬ traddica alcuno ; che s’ investa della realtà sperimentale , ma che la sorpassi , in modo che, concepita a posteriori secondo i fatti conosciuti, riveli a priori i fatti non ancora

conosciuti, e permetta di prevederli , sia nel

#

tempo passato ed avvenire , sia nello spazio inesplorato e inaccessibile all’ esperienza. » (Bulletins, 1. c. p. 268).

Siamo giusti: forse 1’ ipotesi di Darwin ha i caratteri che un’ ardente sua ammiratrice ci vorrebbe far credere che ha, e che infatti dovrebbe avere, se fosse un’ipotesi scientifica?

La povera Madama Royer, dopo di avere entusiasticamente ammirata, lodata, propugna¬ ta 1’ ipotesi di Darwin, sapete dove finalmente va a dar di capo ? Non vedendosi attorno che spigoli , la testa di Madama si buttò sulle prove morali. Riferisco tali quali le sue pa¬ role : « Dunque le prove di fatto che si pos¬ sono aspettare dall’ avvenire in favore del trasformismo, non sono assolutamente niente di fronte al valore delle prove morali sulle

356

capo y.

quali esso si appoggia. (. Les preuves de fait que V on peut attende e de V avenir en faveur du transf ormisme ne sont dono rien absolu- ment auprès de la valeur des preuves mora- les sur lesquelles il s’ appuie. Ibid. p. 311).

Le prove morali sono una gran bella cosa; non dico eli no; ma non c’entra parlare di prove morali a proposito di una teoria induttiva, di ordine sperimentale, basata sulle realtà osser¬ vate, raccomandata a ragionamenti positivi , estranea alle nostre abitudini, aliena dalle

lotte che si combattono dentro di noi stessi.

%

Altri disse ed io ripeto che è non solo le¬ gittimo , ma necessario Y uso delle ipotesi r quali strumenti per fondare nuove scienze. Sì, è vero, lo scienziato non è come 1’ inge¬ gnere che, quando ha da costruire, mettiamo, un tunnel, ne determina i puuti estremi e sa che i risultati saranno perfettamente d’accordo col piano concepito. Lo scienziato non pos¬ siede alcuna guida esatta per dirigere i suoi sforzi che tendono a penetrare lo sconosciuto. Egli deve contentarsi dell’ aiuto più incerto dell’ ipotesi. Ma bisogna che questo ausiliare sia il suo servitore e non il suo padrone; bi¬ sogna che lo si possa mandar via dal momento che la continuazione dei suoi servigi diventa incompatibile col servizio della verità.

Madama Royer non ha voluto licenziare

LA. LEGGE DEL TEMPO

357

la serva : pretende che questa debba conti¬ nuare a servire a dispetto degli interessi della padrona ; pretende che la signora in¬ dossi il grembiale della fantesca e la fante¬ sca vesta 1’ abito elegante della signora. A colorire tale inversione di parti, scova e po¬ ne in mostra le prove morali. Chi è presente a questa scena rimane un po’sbalordito ; poi, passata la prima impressione, giustamente ed anche rispettosamente si permette far riflet¬ tere a Madama che non conviene esaltarsi ed uscire di chiave; che le prove morali, trattan¬ dosi delfipotesi di Darwin, sono un disinganno, sono un , embrice che precipita sulla nuca degli spettatori , sono un’ ondata furiosa che trascina il povero naufrago nella sterminata pianura dell’ oceano.

Certo non sono io che, discutendo Y ipotesi di Darwin, terrò conto delle prove morali. Io mi restringo al compito piu modesto di studiare se, morale a parte, l’ipotesi di Darwin sia scien¬ tifica. Per essere scientifica, un’ ipotesi deve, fra le altre qualità, aver quella di andare all’unisono coi fatti avvenuti nel tempo passato.

Così, dopo i capitoli sulla lotta per Y esi¬ stenza, sull’elezione, sull’eredità, sull’ in¬ fluenza degli agenti fisici, devo occuparmi della legge del tempo, ossia della geologia e della paleontologia in rapporto al darwinismo.

358

CAPO V,

Il lavoro della elezione naturale si com¬ pie grado grado, « insensibilmente ed in si¬ lenzio. » « Noi non vediamo nulla cosi dice Darwin di queste lente e progressive tra¬ sformazioni.... sinché la mano del tempo le segni colla sua impronta, misurando il corso delle età. » In altri termini, la elezione na¬ turale agisce in modo quasi impercettibile e tocca al tempo svelarcene gli effetti. In con¬ seguenza concludono i darwinisti la teo¬ ria della elezione naturale non si può piena¬ mente intendere, se non quando si tenga nel dovuto conto la legge del tempo.

Qui la quistione versa tutta sulla geologia e sulla paleontologia; e però fa mestieri inter¬ rogare queste scienze ed esaminare se è vero eh’ esse tendano a rivelarci un albero genea¬ logico degli organismi secondo i voti del si¬ stema darwiniano.

Hàckel ha idee tutte sue sulla geologia e sulla paleontologia. Il suo obbiettivo è uno : quello di giustificare, in un modo o nell’ altro, 1’ albero genealogico da lui in¬ ventato. A tale scopo non si fa scrupolo di intercalare nuovi stadi, aggiungere, dividere, acconciare a suo comodo e in barba ai prin- cipii più elementari della geologia e della pa¬ leontologia. Così giunge a costituire una geo¬ logia e una paleontologia che sono una meravi—

LA LEGGE DEL TEMPO

359

glia di logica, di filosofìa e anche di fantasia. La

filosofia, la logica, le scienze di tutti i colori,

ciò che si sa o si può sapere, ciò che non si

sa e non si può sapere hanno da chinarsi alle

esigenze dei principii di Hackel. Gira , dalli ,

pesta , ripicchia , 1’ albero genealogico che si

accorda alla teorica del trasformismo, final-

\

mente vien fuori. E un prodotto di sveltezza e di acrobatica intellettuale , è un parto di ricca vena poetica , è la conseguenza di una vasta teoria astratta , è tutto, fuorché un albero genealogico conforme alla realtà. Per quanto sia dotto , per quanto sia strabocche¬ volmente erudito, Hackel non può lusingarsi d’ esser sommo in tutte le scienze. Nondimeno, a sentirlo , si direbbe che lui solo conosce a fondo la botanica , la zoologia , la fisiologia , 1’ embriologia , la morfologia, la geologia, la paleontologia tutte le scienze passate, pre¬ senti e future. Egli crede di aver fatto delle scoperte più che peregrine, e segnatamente per la geologia e la paleontologia détta lezioni ai maestri che spesero tutta la loro vita nel- lo studio di codeste scienze. Ha voluto far troppo Y enciclopedico, ha creduto magnificare la sua teoria presentandola come la quintes¬ senza delle scienze ; ma le scienze non si sot¬ toposero volenterose a simile giogo : male intese e peggio interpetrate, lasciarono fare,

360

CAPO V.

ma senza rendersi solidali e complici dei conati di Hàckel. Molti degli stessi darwinisti riguar¬ dano il famoso albero di Hackel come un gi¬ gantesco sforzo che abbarbaglia e sbalordisce, ma non persuade assai poco. In Hackel c è più del poeta che dello scienziato , più dell’ idealista che del positivista, più dell'uomo preoccupato e sistematico, che del freddo os¬ servatore, più dell’ autore innamorato perdu¬ tamente della sua dottrina, che dello scrittore imparziale ed arrendevole alla forza dei fatti reali e delle vere scoperte.

Ora, per quanto progresso si sia fatto anche in geologia , non si è scoperto alcun fossile , vegetale o animale, che abbia indotto la ne¬ cessità di riconoscere qualche nuova classe. Invece, tutti i fossili scoperti prendono natu¬ ralmente posto nelle stesse grandi divisioni, che si stabilirono per le specie attualmente esistenti.

Le leggiere differenze nelle minute parti¬ colarità non tolgono le preponderanti ed evi¬ denti rassomiglianze nei punti essenziali. Le piccole e parziali differenze fra gli attuali e i vecchi organismi non possono indurci a credere che le specie d’ una volta non fossero come le specie d’ oggidì. Fra le organizzazioni recenti e le organizzazioni, delle quali si sono scoperti gli avanzi, non corre divario fonda-

LA LEGGE DEL TEMPO

361

mentale. Le forme vegetali ed animali più , antiche corrispondono alle moderne nei carat¬ teri specifici , nella struttura e nell’ intima organizzazione. E appunto per questa identità di struttura organica i paleontologi riuscirò- no a riportare alle famiglie attuali i vege¬ tali e gli animali così delle più remote epo¬ che come delle più recenti.

Alcune piante si sono alquanto dipartite da questa regola generale , ma quasi per prote¬ stare contro la teorìa del trasformismo. Ed in verità le caiamite, i lepidodendron, ecc. depon¬ gono contro la pretesa legge di « trasmuta¬ zione progressiva » : sono di gigantesca di¬ mensione negli antichi periodi , mentre nella flora attuale non hanno che rappresentanti nani. In un certo senso, può dirsi che anche la simultanea presenza delle piante acotile- doni crittogame che non hanno fiori visibili e non producono veri frutti e delle piante di- cotiledoni dal tronco con fasci vascolari, dalle foglie a nervature ramificate o reticolate ecc. una mentita alla teoria che vuole far di¬ scendere, mediante graduale sviluppo, gli es¬ seri più complessi da quelli più semplici e più imperfetti.

La paleontologia ci dice che il preteso tra¬ sformismo delle forme organiche non sussis¬ tette nemmeno nei primordi della vita. Se Levo-

362

CAPO Y.

luzione progressiva fosse vera, negli stadi più antichi si sarebbero trovati soltanto animali rudimentali, ad esclusione degli animali che appartengono alle classi più elevate. Le specie più complesse e più perfette avrebbero dovuto apparire secondo la gerarchia del loro stato organico; ma invece gli esseri che stanno alle due estremità della scala zoologica concorrono a formare il regno animale delle epoche più lontane. fra i mammiferi, fra i rettili, fra i pesci, fra i molluschi apparvero pri¬ ma le specie più piccole e più deboli. Invano cerchiamo oggi i rappresentanti dei gigante¬ schi animali dell’ antica Arenaria Rossa. Sono stati fu chiesto migliorati e conservati nelle meschine razze dei rettili moderni? Dove sono i pesanti mostri che col loro grave pas¬ so scuotevano la terra eocena e miocena? Do- v* è il megaterio? si è forse migliorato nel moderno tardigrado ?

Attenendosi rigorosamente alla teorica dar¬ winiana, non si capisce come mai i zoofiti dei tempi primitivi attraversarono tutti i pe¬ riodi geologici per arrivare all* età nostra senza essere trasformati in molluschi , poi in articolati e finalmente in vertebrati. Stando , spassionatamente e con coraggio, alla logica stringata del darwinismo , i soli vertebrati dovrebbero oggi costituire il regno animale !

LA LEGGE DEL TEMPO

363

È opinione di alcuni naturalisti che le quattro grandi divisioni del regno animale non sono da considerarsi in ordine successivo , giusta la perfezione dei loro organi , bensì come quattro linee parallele e indipendenti. Secondo gli stessi filosofi , persino le diverse classi di animali hanno in generale cammi¬ nato parallelamente e non successivamente attraverso le varie età del mondo.

In ogni modo, nemmeno questo cammino parallelo consente col sistema della discen¬ denza genealogica e dell’ eredità progressiva, dalla prima età geologica verso 1’ epoca at¬ tuale. Si è potuto qualche volta notare due o più stadi che sembrano passaggi dal meno perfetto al più perfetto, dal rudimentale al completo ; ma ciò non ha che veder niente con la storia e la successione delle forme, col- T evoluzione specifica e fisiologica degli esseri. Per altro, appare manifesto che lungi dal per¬ fezionare i loro organi nelle varie epoche geologiche, molti animali o sono rimasti sta¬ zionari, o hanno più perduto che guadagnato.

' Dunque, tolti i ricami e rimosse le frangie, il preteso passaggio dal semplice al composto nel corso dei periodi geologici, si riduce ad un’ astrazione, ad un’ ipotesi che sta bene nel campo del pensiero, ma non è sostenuta dal- 1’ esperienza.

364

CAPO Y.

Certi trasformisti sdrucciolano in conse¬ guenze erronee, perchè non hanno cólto bene il significato del sedicente cammino lento ed immancabile verso la perfezione degli organi¬ smi. Hanno preso per progresso nella per¬ fezione degli organi la gran quantità di mo¬ dificazioni nelle parti dell’ organismo. Ma queste modificazioni sono state piuttosto leg¬ giere che no, si sono limitate al posto e alla forma dei denti, alla dimensione del corpo, alla forma delle piume o delle natatoie dei vertebra¬ ti, alla configurazione e ai particolari riguar¬ danti gli anelli del corpo, le zampe , le antenne degli anellati ; alla forma e alla ripartizione delle diverse parti nelle conchiglie , nei mol¬ luschi e negli echinodermi ; ai particolari di distribuzione relativi alle parti solide dei rag¬ giati ; insomma si sono limitate a caratteri che non hanno un gran valore nell' economia generale delle specie. È stato perciò un abba¬ glio grosso, un errore massiccio il confondere cosiffatte modificazioni colla trasformazione lenta e progressiva del regno animale e colla caotica miscèa di tutte le forme.

La scuola darvinista sostiene che le fasi successive dello sviluppo delle attuali forme viventi sono la riproduzione, nello stesso or¬ dine , dei diversi stadi , pei quali sarebbero passati i loro antenati dei tempi geologici.

LA LEGGE DEL TEMPO

365

A rendere plausibile la sua opinione, la sul- data scuola insiste sul parallelismo, sulla so¬ miglianza fra le antiche forme degli animali fossili e lo sviluppo embrionale dei loro attuali rappresentanti. Ma il medesimo Darwin ebbe la premura di mandare a picco questa pretesa legge. Egli dice che la supposta legge di ras¬ somiglianza tra le antiche forme di vita e le fasi embrionali delle forme recenti « può esser vera , e nondimeno restare per lungo tempo, o per sempre, senza dimostrazione, attesoché le nostre memorie geologiche non sono abba¬ stanza estese nelle epoche trascorse. » (It should also he horn in mind , that thè Imo may he true , hut yetj owing to tlie geological record not extending far enough back in time , may remain for a long perioda or for ever, incapahle of demonstration 1. c. p. 396 ).

Dunque si tratta di una legge supposta , di una legge che semplicemente può esser vera, di una legge che può esser condannata a re¬ star per sempre senza dimostrazione. Andia¬ mo, via, una legge che si presenta con questo po’ po’ di condizioni, non la si accetta, ripugna troppo , fa troppo male al nostro compren¬ donio. Codesta legge non va accettata appunto perchè « le nostre memorie geologiche non sono abbastanza estese nelle epoche trascor¬ se, » appunto perchè « in generale le nostre

366

CAPO V.

conoscenze sopra ravvicinamenti di questo ge¬ nere sono ancora eccessivamente incomplete. » « Io spero scrive Darwin di vedere in seguito confermata la verità di questa leg¬ ge. » Noi speriamo rispondono gli avver¬ sari di vedere in seguito confermata la insussistenza di cosiffatta legge. pare che le speranze di questi ultimi sieno chimeriche. Il Signor Van Beneden ha constatato dei fatti che mal si accordano colla legge in parola. Per esempio, tutti i pesci antichi sono « ete- rocerchi, » hanno cioè i lobi superiori ed in¬ feriori della coda differentemente sviluppati. Secondo la teoria di Darwin, i pesci attuali nel¬ le prime fasi della loro evoluzione dovrebbero essere « eterocerchi ». Eppure il negozio non va così. Il Van Beneden trovò che i plagiostomi i pesci che sono particolarmente caratte¬ rizzati per la loro bocca, la quale forma come una fessura traversale arcuata cominciano coll’ avere due lobi della coda egualmente sviluppati, cominciano coll’ essere omocerchi e solo più tardi diventano eterocerchi. Dunque non si può affermare che « le fasi successive dello sviluppo delle attuali forme viventi sieno la riproduzione dei diversi stadi, pei quali passarono i loro antenati dei tempi geolo¬ gici. » (V. Van Beneden. Rapport sur les Ira- vaux de zoologie , Bruxelles 1872, p. 103).

LA LEGGE DEL TEMPO

367

Se diamo retta ai darwinisti , i diversi organi degli animali antichi si sono profonda¬ mente modificati col cambiare dei mezzi di sussistenza, o, con altre parole, gli animali antichi erano di composizione più semplice degli animali attuali. Ma altro è snocciolare massime e sentenze, altro è stare ai risultati dell’ osservazione e provare con dati di fatto. Ora il perfezionamento successivo degli esseri organizzati non è stato punto provato dalla paleontologia: gli organi delle diverse classi degli animali erano in generale nelle epoche più antiche quali sono nell’epoca attuale.

Le ricerche fisiologiche sugli organi degli animali fossili e , per esempio , sull’ apparato della respirazione, mostrano che Y organizza¬ zione degli animali più antichi non era, in generale, differente dalla organizzazione degli animali moderni. Si sono trovati uccelli e rettili dei primieri terreni che mostrano di aver posseduto un apparato respiratorio molto sviluppato; e da ciò si concluse che l’aria che si respirava allora, era press’ a poco come quella che si respira oggi, e via discorrendo.

I mammiferi, cioè i più perfetti animali, furono replicano i darwinisti gli ul¬ timi ad apparire sulla terra , apparirono nei terreni terziari. Lasciamo da banda la re¬ spirazione mediante i polmoni, la quale co-

368

CAPO V.

minciò sin dalle più vecchie età geologiche ; ma guardando solo all’ apparizione così tar¬ diva dei mammiferi, non sembra che tale fat¬ to sia dovuto al cambiamento dei mezzi di sussistenza ?

Niente affatto ribattono gli oppositori di Darwin. Se il cambiamento dei mezzi di sussistenza fosse stato il vero motivo, per cui i mammiferi apparirono così tardivamente, la medesima causa, vale a dire lo straordinario fenomeno di tale cambiamento , avrebbe do¬ vuto del pari influire su tutte le altre orga¬ nizzazioni. E ciò non avvenne. Invece, le altre organizzazioni restarono precisamente quali erano. Per conseguenza non possiamo credere che il cambiamento dei mezzi di sussistenza abbia effettivamente avuto luogo. Quando ve¬ diamo avverte un naturalista d’oltralpi che trecento e più generi di animali di tutte le

classi e di tutti i modi di respirazione che

\

esistevano nei terreni cretacei , continuarono cogli stessi caratteri zoologici nei terreni ter¬ ziari, ossia nell’ epoca in cui apparirono i mammiferi, è impossibile ammettere che una radicale, una profonda modificazione negli ele¬ menti vitali dell’atmosfera sia la vera causa di codesta tardiva apparizione.

Somma tutto, dall’ insieme dei fatti scatu¬ riscono le seguenti deduzioni: Sia che si guardi

LA LEGGE DEL TEMPO

369

ai periodi di sviluppo e alle fasi embriologi¬ che delle forme animali, sia che si consideri il tempo dell’ apparizione degli ordini zoolo¬ gici e la perfezione dei loro organi , sia che si prendano a base delle nostre ricerche com¬ parative i fenomeni fisiologici del modo di re¬ spirazioni, arriviamo sempre agli stessi risultati negativi per ciò che risguarda il perfeziona¬ mento successivo degli organismi nei periodi geologici. Viceversa, i mezzi di sussisten¬ za essendo rimasti gli stessi , non hanno po¬ tuto influire sulla estinzione e sul rinnova¬ mento degli ordini zoologici; in altri termini, non hanno potuto determinare il progressivo perfezionamento degli esseri organizzati. Co¬ sicché, di tutti i sistemi sull’ origine degli es¬ seri organizzati il meno verosimile è quello che fa nascere successivamente le differenti forme mediante sviluppi e metamorfosi gra¬ duali. Cosicché gli avanzi fossili sono la testi¬ monianza più irrefragabile contro la teoria che intendeva spiegare Y esistenza delle specie attuali, supponendo una graduale evoluzione organica, una lenta quanto incessante trasmu¬ tazione di individui, ed in conseguenza anche di specie, per finire col negare addirittura la realtà delle specie.

Infatti la teoria del cammino progressivo ed immancabile dal semplice al composto, dal

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. 24

370

capo v.

rudimentale al complesso, dall’ incompleto al perfetto rovescia tutto ciò che le si para in¬ nanzi e persino 1’ esistenza della specie.

Se non che , cotesta teoria è sconfessata dall’ osservazione, dalla storia e dalla scienza. La geologia e la paleontologia non le si mo¬ strano più propizie che 1* embriologia, la tisio¬ logia e 1’ anatomia comparata.

È troppo nota, troppo ripetuta la confutazio¬ ne che si trae dalle mummie d’ Egitto. Ma per essere conosciutissima, non è meno efficace e non guasta me) io le uova nel cesto ai darwini¬ sti. Le mummie d’ Egitto ci rivelano in che stato cinque o sei mila anni addietro si tro¬ vavano gli animali. Con o senza il permesso dell’ elezione darwiniana, gli animali attuali non differiscono da quelli d’allora. (V. il Rap¬ porto di Lacépède negli Annales du Museum , Voi. 1. E pei vegetali, V. gli Annales des Scien¬ ces naturelles , Prima Serie, Voi. Vili, poi nel Voi. IX una memoria di Kunth e una lette¬ ra di Roberto Brown).

si dica che non è lecito argomentare dal particolare al generale, e che i caratteri essenziali degli animali si conservarono im¬ mutati in alcuni luoghi, ma non in tutti i luoghi.

Ciò equivarrebbe ad affermare che il tra¬ sformismo non fu la legge universale ; che

LA LEGGE DEL TEMPO

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in certe parti del mondo prevalse la stabilità delle specie; che, lungi dal seguire la stessa sorte, gli esseri organici obbedirono a diverse leggi e furono retti da sistemi affatto opposti !

Ammettendo questa spiegazione, dovremmo altresì supporre che fra regione e regione stavano le colonne d’ Ercole, le quali impedi¬ vano ogni comunicazione ; e però gli animali nati e cresciuti dove prevaleva la stabilità delle specie, non potevano penetrare dove l’e¬ voluzione era il sistema dominante !

Il fatto è che gli animali attuali lavorano, fabbricano , tessono , viaggiano , mangiano , cacciano, combattono oggi nello stesso modo che ai tempi di Aristotile e di Teofrasto. E ciò non doveva avvenire , se il sistema dar¬ winista fosse appoggiato dalla filosofia speri¬ mentale.

Dato che, in seguito ad una serie più o meno lunga di generazioni , il volume, il colore, la forma, per esempio, di un rostro poterono es¬ ser modificati, la proporzione delle membra un poco cambiata, ecc. non ne viene per conse¬ guenza che altre migliaia d’ anni cambieran¬ no una branchia in polmone , produrranno un’ ala, creeranno un occhio o tramuteranno un oviparo in viviparo. Tutti i fatti conosciuti dimostrano al contrario che T influenza prolun¬ gata delle cagioni modificatrici ha effetto co-

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CAPO V.

stan temente racchiuso fra limiti assai ristretti. Mentre vediamo che da migliaia d’ anni una ghianda riproduce costantemente una quercia con tutti i suoi caratteri, mentre osserviamo si¬ mile fenomeno ripetersi in tutti i corpi orga¬ nizzati, l’induzione ci fa dire che la stabilità di

forma è la regola, e la variazione è soltanto

*

1’ accidente. (Y. Pictet nella Bibl. Univers. Ar- cliive de Genève, Voi. VII, N. 27, Marzo 1860 , p. 233).

Ma i partigiani di Darwin s’ impuntano e vengono sempre fuori colla scappatoia che la teoria dell’evoluzione, per dare i suoi risultati, esige milioni e milioni dJ anni. A me sembra che i darwiniani si facciano un gran torto buttandosi per questa china. Un sistema che si pone assolutamente fuori dei tempi acces¬ sibili all' esperienza, e che con questo comodo mezzo si libera d’ogni possibile controllo, sarà una speculazione di prima forza, un’ipotesi coi fiocchi, ma non ha nulla di comune colla scienza. I darwiniani non hanno di certo in¬ teresse a rifugiarsi nello sconosciuto e a dichiarare così che non è piu il caso di di¬ scutere sulla teorica da loro difesa. « Le dot¬ trine di Darwin diceva L. Rùtimeyer mi sembrano come una specie di religione del naturalista : si può essere per o contro tali teorie. Ma, come tutti sanno, è male disputa-

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re sulle cose di credenza. » (Mir erscheinen die Darwin schen Lehren als eine Art Re- ligion des Naturforschers , fìir oder under welclie man sein hann; allein uber Glaubens- sachen ist es bekantlich bòse zu streiten. Ar- chiv fur Anthr omologie , Voi. 2, p. 348).

Io non credo che i darwinisti la pensino allo stesso modo e ricusino di discutere, colla scu¬ sa che la loro teoria è una religione. Se si wuol discutere , non si deve uscire pel rotto della cuffia e fabbricar castelli dove non sappiamo che aria spiri e se ci spiri dell’aria.

Comunque, la teoria del darwinismo non regge neanco quando la durata del mondo si calcoli a milioni e a centinaia di milioni d’anni. Le specie di mammiferi che sopravvissero al periodo glaciale e alle inondazioni che ne fu¬ rono la conseguènza , presentano gli stessi ■caratteri osteologici che distinguono gli attuali individui delle medesime specie. Malgrado l’in¬ fluenza del clima , le specie che vissero nel periodo glaciale e nel periodo quaternario, non mostrano di aver variato nel senso della evoluzione progressiva. Studiando gli animali dei terreni terziari, si deduce che « le specie animali sovente periscono, allorché vengono sottoposte a nuove condizioni, e talora si sal¬ vano mercè 1’ emigrazione. Ma se sopravvi¬ vono pur restando nello stesso paese , non

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CAPO Y.

«perdono, nel corso delle diverse età, i carat¬ teri che le distinguevano sin da principio. » Del pari le ricerche fatte nei terreni secondari non lasciano punto intravedere che a quel tempo sia prevalso il sistema del trasformi¬ smo. Quello che più fa impressione nello studio di codesta fauna, si è « la sua uniformità in tutte le parti della terra che si sono finora esplorate. » I terreni primigenii non entrano in quistione , perchè non contengono alcun avanzo di esseri organizzati.

Insomma esaminando accuratamente gli animali che vissero nei differenti periodi geo¬ logici , nasce la convinzione che la teoria darwinista è inammissibile. I fatti appurati dalla geologia e dalla paleontologia non me¬ nano buona la tesi di Darwin, di Hàckel , di Bùchner, di Yogt. Se gli esseri più semplici avessero , trasformandosi e perfezionandosi , dato origine a specie più complesse durante- una lunga serie di centinaia o migliaia di secoli, se ne sarebbero scoperte le traccio , e a questi lumi di luna se ne avrebbe qualche prova più o meno plausibile, più o meno sod¬ disfacente; più o meno decisiva.

Tale obiezione non colpisce la teorica di Lamarck. Secondo questo celebre naturalista,, ogni modificazione dell’ organismo suppone un nuovo bisogno che si è fatto sentire ed.

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ha prodotto nuove abitudini. Cosifatto biso¬ gno è ordinariamente cagionato da un cam- biamento nelle condizioni di esistenza. Se le condizioni di esistenza restano le stesse, la specie non ha alcun bisogno di modificarsi. Ecco perchè , direbbe egli, le nostre specie non hanno variato dall’ epoca glaciale. Per F autore della Philosophie Zooio que questa spiegazione basta. Ma, come fu avvertito, non avviene altrettanto per 1’ autore dell’ Origin of species il quale fa dipendere 1’ evoluzione dalla « elezione, » che è a sua volta regolata dalla « lotta per 1’ esistenza. » La lotta per 1’esistenza e 1’ elezione, secondo Darwin, de¬ vono lavorare incessantemente alTevoluzione; non è ammissibile che si sieno fermate e non abbiano esercitata la loro azione in questo o quel periodo. E allora come si spiega che, a traverso i periodi geologici, i tipi, in generale, non mutarono i loro caratteri essenziali ?

Pressato da questa obiezione, Darwin gira di bordo e, per un momento ponendo da parte il principio che informa la sua teoria , viene fuori con queste linee : « La elezione naturale, o la sopravvivenza del più atto, non include necessariamente uno sviluppo progressivo, ma solo si avvantaggia delle variazioni acciden¬ talmente prodotte. » (1. c. p. 98 ).

Dunque l’elezione forzatamente incessali-

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CAPO Y.

te ed universale, giacché la battaglia della vita non si ferma mai in nessun luogo eia vit¬ toria dei più forti, dei meglio dotati, che ac¬ cumulano, accrescono, di generazione in gene¬ razione, i caratteri di superiorità, non avrebbero quasi sempre altro effetto che di conservare ciò che è ! L’ azione modificatrice sarebbe, in fin di conto, subordinata ad un accidente! E questo accidente non si sarebbe verificato per centinaia e centinaia di tipi animali o vegetali raccolti sui punti più diversi e che hanno traversato migliaia di anni, forse milioni di secoli !

Darwin sentiva che la lunghezza del tempo non tornava utile alla sua teoria. State attenti a queste sue parole: « La sola lunghezza del tempo non può nulla perse stessane prò, contro 1’ elezione naturale. E importante, anzi grandemente importante, solo in quanto offre maggior probabilità perchè le variazioni van¬ taggiose sorgano e sieno elette, accumulate e fissate. » ( The mere lapse of Urne by itself does nothing, either for or against naturai selection. Lapse of lime is only so far impor¬ tante and its importance in this respect is great , that it gives a better chance of bene¬ ficiai variations arising , and of tlieir being selected , accumulated and fxed. 1. c. p. 82 ).

Dunque con buona pace di chi disse che « il

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tempo è il fattore universale, il gran coefficien¬ te dell’ eterno divenire, » la durata degli es¬ seri non ispiega la loro origine , ma la sup¬ pone ; e , stando alla teorica darwiniana , non ispiega neppure lo sviluppo e l’ordine degli or¬ ganismi. Le variazioni accidentali, qualunque sia il loro numero e qualunque sia la loro età, non seguono alcun piano. L’accidente non può considerarsi come un essere attivo e intelli¬ gente, il quale fa suo prò delle cose che du¬ rano. Come non si avvedeva Darwin che così assaliva e minava la sua stessa teoria ?• Non¬ dimeno , dopo aver detto che la durata del tempo non influisce sulla elezione, egli si affanna a tirar profitto dalla durata del tempo. Impiega a quest’intento una quantità di pa¬ gine e s' ingegna di sbarazzarsi delle obiezioni che gli si sono mosse.

Fra queste obiezioni dice lui ce n’ è una, la cui importanza è manifesta: Più il pro¬ cesso di esterminazione ha dovuto agire su vasta scala, più dev’ essere enorme il numero delle varietà intermedie che esistettero altra volta. Perchè dunque ogni formazione geolo¬ gica ed anche ogni strato non sono pieni di queste forme di transizione? Noi non ci aspet¬ tiamo di assistere all’ intero processo della trasmutazione di una specie in un’ altra ; ma è ragionevole aspettarci che tra gli innume-

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CAPO Y.

/

revoli milioni di variazioni , che si succedono costantemente, ne incontrassimo qualcuna che presentasse un grado intermedio. Chi ha incon¬ trato qualche grado intermedio ? Dove sono le prove della catena graduale ?

Ecco come risponde lo stesso Darwin: « Cer¬ tamente la geologia non ci rivela ancora la esistenza di una catena così perfettamente graduata. E questa è la più ovvia delle obie¬ zioni che possono farsi contro la teoria. » (1. c. p. 408). Ed al capitolo X egli scrive: « Se ci limitiamo a considerare una per una le formazioni, diventa molto più difficile il comprendere perchè non ci troviamo delle varietà strettamente graduate fra le specie alleate, che vissero al cominciamento e alla fine. » ( 1. c. p. 275 ). Più sotto si esprime così : « Parecchi paleontologi e , fra gli al¬ tri, Agassi z , Pictet e Sedgwick , hanno ri¬ guardato T apparizione subitanea di alcuni interi gruppi di specie in certe formazioni come obiezione fatale alla credenza nella tra¬ sformazione delle specie. Se numerose specie, appartenenti agli stessi generi o alle stesse famiglie , fossero realmente apparse ad un tratto, questo fatto sarebbe fatale alla teoria dell’ evoluzione mediante 1’ elezione naturale. ( tlie fact ivould he fatai to tlie theory of evo- lution tlirougli naturai selection. 1. c. p. 282).

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Dopo un mal riuscito tentativo di risposta , Darwin scappa fuori in questi termini : « Mi sembra quasi così temerario il dommatizzare sulla successione delle forme organiche attra¬ verso il mondo , come sarebbe temerario per un naturalista lo sbarcare per cinque minuti sopra una sterile costa dell’ Australia e discu¬ tere intorno al numero e all’ ordine delle produzioni di quel paese » ( 1. c. p. 285 ).

Ma se ciò è vero, che s’ha a pensare dei naturalisti, i quali pretendono di rivelarci scientificamente l’origine e tutta la storia del¬ la formazione delle specie ? Il Darwinismo non è una storia ipotetica della successione delle forme organiche attraverso il mondo intero ? Agassiz , Pictet e Sedgwick certo si mostrano meno audaci, sono di certo meno temerari; e le loro osservazioni, per quanto incomplete, sono abbastanza persuasive ed hanno quanto occorre per dar noia a Darwin , il cui imba¬ razzo si rivela nel suo linguaggio.

Egli è inquieto e torna a ribattere sullo stesso punto come per alleggerirsi di un peso che gli preme sulle spalle. Udite : « Se la teoria ( sua, di Darwin) è vera, è indisputabile che prima che fosse depositato il più basso strato cambriano, scorsero lunghi periodi, così lunghi e probabilmente più lunghi dell’ intero intervallo dal periodo cambriano sino ad oggi ;

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CAPO Y.

e che durante questi vasti periodi il mondo formicolò di creature viventi. Qui incontriamo una formidabile obiezione, perchè sembra in¬ certo che la terra sia durata tanto in uno stato acconcio all’ abitazione di creature viventi. » Annunziata 1’ obiezione, aggiunge : « Alla do¬ manda perchè noi non troviamo ricchi depositi fossili, appartenenti a questi supposti primitivi periodi, anteriori al sistema cambriano, io non posso dare alcuna soddisfacente risposta. (To tlie question ivhy ive do noi find ridi fossili - ferous deposits belonging to these assumed earliest periods prior to tlie Camhrian System, I can give no satisfactory answer ). Parecchi eminenti geologi, con alla testa sir R. Mur- chison, erano sino a poco fa convinti che negli avanzi organici del più basso strato siluriano noi vediamo la prima alba della vita. Altri giudici, altamente competenti , come Lyell ed

E. Forbes , combattono questa opinione .

Nondimeno la difficoltà di allegare una buona ragione per V assenza di vaste masse di strati ricchi di fossili, anteriori al sistema cambriano è grandissima. » Dopo di avere meglio svi¬ luppato perchè la difficoltà è grandissima, pro¬ segue: « Per ora il problema deve restare sen¬ za spiegazione ; e può veramente addursi come un valido argomento contro la mia teoria. » ( Tlie case at present must remain inexplica -

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ble; and may be truly urged as a valid ar- gument against thè views lieve entertained. 1. c. pp. 286-287). Tanto per fare qualche cosa, mette avanti un’ ipotesi senza ciarle più impor¬ tanza di quel che merita e senza illudersi : « Tutte queste obiezioni sono di certo gravis¬ sime, tanto gravi che i paleontologi più emi¬ nenti, come Cuvier, Agassiz, Barrande, Pictet, Falconer, E. Forbes, ecc. e i nostri più grandi geologi, come Lyell, Murchison, Sedgwick, ecc. hanno unanimemente, spesso con forza, soste¬ nuta T immutabilità delle specie. Ma sir Carlo Lyell ora appoggia colla sua alta autorità il lato opposto e la più parte dei geologi e dei paleontologi sono molto scossi nella loro prima credenza. » ( 1. c. p. 289 ).

E sapete perchè Darwin tien duro, e i geologi e i paleontologi, suoi seguaci, si osti¬ nano a difendere il darwinismo? Perchè, a scio¬ gliere le difficoltà, Darwin crede basti allegare « T estrema insufficienza dei documenti zoo¬ logici. »

Non la finirei più, se volessi citare tutti i luoghi in cui Darwin, incalzato ed angustiato dalle obiezioni, se ne appella allo sconosciuto e parla della nostra profonda ignoranza in geologia e in paleontologia. Chi ha tempo ed agio consulti la sua opera Origin of species

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CAPO V.

alle pagine 100, 134, 200, 203, 275, 289, 305, 308, 312, 313, 317, 427.

Ma questa è una scusa che non può avere alcun successo. Secondo un principio univer¬ salmente riconosciuto, dove il materiale permette di trarre regole generali, queste re¬ gole sono da fondarsi sui fatti conosciuti. I fatti non ancora conosciuti vanno se¬ condo altri osservò sottoposti alle stesse regole che i fatti conosciuti. È infinitamente piccola la probabilità che gli avanzi pietrifi¬ cati non ancora trovati per quanto si sup¬ ponga grande il loro numero diano con¬ tinue serie di transizione, mentre gli avanzi finora trovati non presentano nemmeno una di coteste serie.

Si fa presto a supporre compiacenti milioni e miliardi di anni; ma così si mandano a gambe all* aria quei punti di appoggio donde muove la geologia ; e si dimostra che i perio¬ di di tempo, supposti per lo sviluppo delle forme organiche, sono tolti a prestito non dalla geologia, ma dall’ esigenza dell’ elezione na¬ turale. Si fa presto a solfeggiare il ritornello « di tempo non c’ è penuria. » Ma che sugo se ne spreme? L’ ignoranza del passato sareb¬ be la stanga di bilico, con cui il darwinismo passa sopra a tutti i vuoti e tira via come se nulla fosse. Ma a che serve questo appello

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allo sconosciuto e alla nostra ignoranza? Pos¬ siamo credere ad un’ ipotesi che non si accor¬ da nemmeno colle apparenze ?

Di geologia e di paleontologia se ne sa pochino: « Credo che i tempi di un sapere veramente soddisfacente in geologia non sieno ancora arrivati. » (Geoffroy Saint-Hilaire). « Noi non sappiamo qual era la potenza degli elementi e dei fenomeni nei primi tem¬ pi del mondo. » (Maury) « Le nostre cono¬ scenze in geologia sono incompletissime. » (Lobbock) « È certo che oggi ancora le cono¬ scenze paleontologiche sono insufficientissime e ben lungi dal permettere che si scriva con esattezza completa la storia della produ¬ zione delle specie organiche. Si sa da quali difficoltà questo studio è circondato. » « La paleontologia ha fatto certe utili scoperte, ma in sostanza le si troppo peso, {weit uber - schcttz wird .) Il valore di tali scoperte dimi¬ nuisce, se si pone mente alla loro straordina¬ ria imperfezione ( ausserordentliclie Unvollstàn- digkeit ). » « Se intendiamo per genealogia la parte generalizzatrice ipotetica ed indispen¬ sabile della filogenia , e per paleontologia la parte empirica immediatamente fornita dallo studio dei fossili, l’ultima sta di rado al¬ la prima nella proporzione di uno a mille, nella più parte dei casi la proporzione è ap-

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capo y.

pena di lino a centomila o ad un milione. » (In der allermeisten Fclllen kaum wie Eins zn Hunderttausend oder zur Million. Ilackel nel citato Kosrnos e nell’ opera Generelle Morpholocjie der Orqanismen , Berlino, 1866, Voi. 2. p. 307).

Di geologia e di paleontologia non si è molto istruiti. Ma perchè dunque i darwinisti appoggiano la loro teoria anche sulla legge del tempo ? Se la luce non è ancora fatta in¬ torno ai periodi geologici, che giova al dar¬ winismo invocarne le memorie? Se i docu¬ menti geologici sono insufficientissimi, di quali documenti si avvarranno i darwinisti per af¬ fermare la loro teorica? È un ben meschino mezzo di persuasione il rinviare gli uditori ad un passato affatto inaccessibile. Come si fa a sostenere una dottrina con un argomento che non può essere affermato confutato, che resta fuori dell’ esperienza e non può es¬ sere usufruito a vantaggio della scienza ? Carlo Lyell, eminente e conosciutissimo geo¬ logo, riguarda Y imperfezione delle nostre conoscenze in geologia come un argomento contro il trasformismo. « Mi è sempre parso son parole tolte da un suo discorso che gli avvocati dello sviluppo progressivo hanno troppo dimenticata 1’ imperfezione di questi ricordi ; e che, in conseguenza, una gran

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parte delle generalizzazioni che hanno pre¬ sentato rispetto all1 origine delle differenti classi di animali, dovranno essere modificate o abbandonate. » (. Address to tlie British As- sociation, 1859).

Più a lungo sono durati i periodi geolo- logici, più è inconcepibile, dal punto di vista di Darwin, che tutti i vestigi di tali periodi ci offrano solamente 1’ impronta della persi- stenza dei tipi specifici. Dal giorno in cui co¬ minciarono a formarsi i primi terreni paleo¬ zoici, è scorso certamente un tempo immenso, perchè dunque tutti i depositi, accumulati di una maniera così lenta, non offrono alcuno indizio della trasformazione della specie ? È una sventura notava uno scrittore francese per i darwinisti che tanti fatti contrari alla loro teoria si sieno conservati in ciò che ci resta del « gran libro; » mentre i fatti 'che dovevano deporre in loro favore, sarebbero registrati nelle pagine smarrite del gran libro. vale augurarsi che le future scoperte tor¬ neranno a tutto vantaggio del darwinismo. Per quale buona cagione non dovranno le scoperte avvenire contribuire ad infirmare maggiormente tale sistema ? Sinora le geolo¬ gia e la paleontologia non hanno fatto nulla per acquistare credito all" ipotesi del filosofo inglese: dunque su qual fondamento diremo

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 25

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CAPO V.

che d’ ora in poi la scena cambierà e le nuo¬ ve scoperte riusciranno propizie ai darwi¬ nisti ?

Volger nella sua Storia della terra confessa che poco sappiamo, tanto sull* origine degli strati geologici, quanto su quella del mondo organico ; ma confessa anche come qualmente quel che si sa ridondi a danno del darwini¬ smo. Le scoperte che si son fatte e si van facendo, attaccano e rovesciano la credenza in una successione continua , progressiva e genealogica del regno animale. Se talvolta si manifestano dei progressi, è pur innegabile che, dall’altro lato, si osservano dei regressi, giacche il numero delle forme piti elevate diminuisce col tempo , mentre viceversa au¬ menta quello delle forme inferiori.

In fin dei conti ripigliano i darwinisti noi non sappiamo quel che successe un mi¬ lione, cento milioni, o un miliardo di secoli fa. Ne convengo : noi non sappiamo quello che non ci è insegnato dalla storia , dalle tradizioni, dai monumenti , dagli avanzi fossili. Ma domando io se la scienza del darwinismo sia possibile, quando è con¬ dannata ad ondeggiare fra tanta incertezza. Domando se si possa menar buona una teorica, la quale vuol persuadere, svincolandosi dal- 1’ osservazione, spaziando nella speculazione

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ed allegando la nostra ignoranza riguardo alla geologia.

, è vero , i documenti ammassati dai geologi e dai paleontologi, offrono lacune ed oscurità impenetrabili. Ma bastano per com¬ battere il darwinismo. D’ altronde, sono meno incompleti di quel che pensa Darwin. Le ri¬ cerche dei geologi e dei paleontologi non si limitarono a due o tre contrade. I terreni paleozoici vennero esaminati nelle isole Bri¬ tanniche, in Francia, in Germania, nella Spa¬ gna, nel Portogallo, in Sardegna, nelle Alpi, in Boemia, nella Scandinavia, nella Russia, in moltissimi punti dell’ Asia, nell’ America set¬ tentrionale e meridionale, nell’Africa meridio¬ nale e in Australia. Le flore e le faune fos¬ sili raccolte in questi terreni furono descritte; queMe che appartengono ad una contrada , vennero paragonate con quelle delle altre contrade. Le regioni, nelle quali si sono stu¬ diati i terreni secondari, terziari e quaternari, sono ancora più numerose. I fossili di cosif¬ fatti terreni si descrissero e si confrontarono colla stessa cura che i fossili delle formazioni anteriori. Si sono così scoperte più di venti¬ cinque mila specie fossili. E tutte queste specie hanno secondo altri osservava caratteri definiti e simili a quelli delle attuali. Addippiù sono distribuite in un ordine affatto diversa

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CAPO Y.

dall’ ordine che dovrebbero presentare , se il darwinismo fosse ben fondato.

Intanto non è da dire che i darwinisti non adducano fatti veri; ma il male è che ne cavano conseguenze ingiustificate. Per esempio, ogni scoperta di un essere vivo o fossile che viene a mettersi fra due altri, è da essi ri¬ guardata come un argomento in appoggio della loro dottrina. Lamarck parla in questo senso della scoperta, allora recente, dell’ or¬ nitorinco. Yogt ( Vorlesungen uber den Men- schen) e Daily ( Introduzione alla traduzione francese del libro di Huxley intorno al posto dell’ uomo nella natura) tengono lo stesso lin¬ guaggio a proposito dei generi lepidosiren e protoptero , che legano gli anfibi ai pesci. Tutti hanno inoltre citato, con Darwin, lo ricerche di Falconer e di Owen sui mammiferi fossili. A questi fatti già numerosi, Gaudry aggiunge quelli ch’egli stesso ha raccolti a Pikermy; e, quantunque in alcuni punti si allontani dalle idee fondamentali di Darwin, conclude della stessa maniera e per simili ra¬ gioni. Huxley, dal canto suo, discorre con com¬ piacenza doìY arclieopterix di Meyer e del com- psognathus di A. Wagner,, che vengono a collocarsi tra i rettili e gli uccelli. ( On thè animals which are most nearly intermediate between birds and reptiles. Royal Institution

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•of Great Britairij, weehly evening meeting , february 7, 1869 ).

Non sono da mettersi in dubbio le osser¬ vazioni dei sullodati naturalisti. I loro lavori hanno di certo riempito molte lacune nella classe dei mammiferi, come nel quadro gene¬ rale del regno animale. Nnlladimeno questo, altri analoghi risultati propugnano il dar¬ vinismo. Solamente depongono in favore della « legge di continuità, » così in generale e di qualunque maniera la si comprenda. Blan ville, Bonnet , Robinet , le dottrine dei quali sono •opposte al darwinismo, avrebbero tirato partito da codesti fatti, perchè anche loro cercavano di porre in unico quadro gli animali viventi e gli animali fossili. Altro è ammettere alcuni fatti, altro è dimostrarne Y origine e spiegarne la causa. Ammettere la legge di continuità non è ammettere Y intrigata ed affatto ipote¬ tica teorica di Darwin.

Btichner, seguendo Y opinione dell’ Ameri¬ cano Hudson Tuttle , dice che la teoria di una semplice serie di sviluppo delle specie, comin¬ ciando dal minimo e salendo al massimo dei suoi gradi dalle spugne del mare all’ ani¬ male più perfetto è all’ intutto artificiale e convenzionale. Simile teoria non solo contra¬ sta ad una quantità di fatti relativi alla storia della terra e alle specie estinte, ma contrad-

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CAPO V.

dice ad un’ altra essenziale verità , cioè che- molti animali non possono confrontarsi tra loro sotto il rapporto della maggiore o minore perfezione. L’ intelligenza umana, che tende a classificare , ha distinto quattro grandi divi¬ sioni di animali; ma ogni divisione esiste più o meno per se stessa, e tutte rassomigliano ai rami di un albero, che si sviluppano separa¬ tamente. La teoria della scala unica afferma il medesimo Biichner non si accorda colla geologia e la paleontologia ; noi infatti incon¬ triamo nei terreni siluriani le quattro princi¬ pali divisioni zoologiche poste 1’ una accosto all’ altra, la divisione dei vertebrati essendovi rappresentata dalla classe dei pesci. Se poi guardiamo alle forme, alle qualità degli ani¬ mali^ la dottrina della scala unica graduale non corre miglior fortuna. I cefalopodi , per esempio , che formano una suddivisione dei molluschi, nel loro genere sono animali per¬ fetti; e come tali, ben superiori ai pesci, ben¬ ché questi ultimi si trovino collocati in una sfera più elevata nella serie della gradazione generale degli esseri. La complicazione del- 1’ organismo non vuol essere arbitrariamente- considerata come il segno di un maggiore e più completo sviluppo. Al contrario, la forma complicata precede talvolta la forma più sem¬ plice ; e non è raro il caso che certi animali

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di struttura complicatissima sieno posti al gra¬ do più basso della scala zoologica. Verbigrazia, il superbo giglio di mare che visse all’ epoca della formazione permiana e triassica, e la cui conchiglia era composta di oltre tre mila segmenti, disposti in modo da conformarsi a tutti i bisogni dell’ animale che vi stava rin¬ chiuso, il giglio di mare, che è stato spesso citato come prova della perfezione degli anti¬ chissimi animali, qual grado occupa nella sca¬ la zoologica ?

Dunque conchiude 1’ autore abban¬ doniamo una buona volta la strana ipotesi di una semplice serie di tutti gli animali. Egli, per altro, ammette una primitiva, comune ori¬ gine, un « primo punto di partenza. » Or bene con questa teorica, la difficoltà non diminuisce. Non possiamo credere che da un « primo punto » presero le mosse non una, ma parec¬ chie scale zoologiche. Il primo punto, in defi¬ nitiva, non doveva essere che un animale, un elementare, un semplicissimo animale. E que¬ st’ animale piccino , modesto , umilissimo non si limitò a dar principio alla grande ed unica scala degli esseri organizzati, ma ebbe invece la virtù di ramificarsi in diverse serie ! Lo stesso naturalista Buchner dice che le rela¬ zioni oggi esistenti alla superfìcie della terra, non si sono essenzialmente modificate da quel

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CAPO V.

che erano nei tempi antichi. Ma allora per quale arcana forza, per quale buona ragione si compì la progressiva evoluzione delle scale parallele ? A quale causa sono da attribuirsi gli effetti delle scale parallele ?

In ogni modo, anche Fautore del libro Sechs Vorlesungen uber die Darwinische Tlieorie si loda delle scoperte riguardanti F ornitorinco, il lepidosiren , il compsognathus , ecc. come se queste scoperte perorassero la causa delle scale parallele.

Ci sono naturalisti che per ispiegare F ori¬ gine delle specie ricorrono all’ ipotesi di una trasformazione brusca, suppongono cioè il pas¬ saggio improvviso da una specie all’ altra. Questa ipotesi è stata combattuta. I naturalisti che la difendono, si limitano ad allegare, di una maniera generale, la possibilità che le cose sieno avvenute così. Tutt' al più citano alcune analogie ordinariamente tolte dalla storia dello sviluppo individuale. Non parlano della causa prossima, che produce la trasmutazione, e mai le loro esplicazioni su questo soggetto vanno al di del caso accidentale. Si occupano della « moltiplicazione » delle specie; ma non ren¬ dono conto dell’ « ordine » che regna nell’in¬ sieme, « ordine che noi osserviamo sull’ intera superfìcie del globo e che ha attraversato , senz’ essere alterato, la immensità delle epoche

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paleontologiche , tanto che si presenta a noi come indipendente dallo spazio e dal tempo. » Oli esseri si succedono e vengono al loro turno a riempire gli scacchi del quadro della natura organizzata. Per quanto le scoperte si molti¬ plichino nel mondo attuale e nei tempi passati, esse non fanno, dopo tutto, che riempire alcuni bianchi , colmare alcune lacune. Il pensatore meno severo fu giustamente detto non può prendere per base di una scienza il caso senza regola , il caso considerato come causa prossima di questa meravigliosa e permanente regolarità. Si parlò dell’ amblistomiano deri¬ vato dall’ oxolotl ; ma non si sa se i discen¬ denti dell’ amblistomiano ritornino al tipo pri¬ mitivo. Un enimma non può fare scienza. La teoria della trasformazione brusca ha un ca¬ rattere onninamente ipotetico e non soddisfa in nessuna maniera alle prime condizioni di una dottrina destinata a spiegare la natura vivente.

Tuttavia i sostenitori di tale sistema, rico¬ noscendo la legge di continuità, hanno cercato di avvantaggiarsi delle scoperte relative allo ornitorinco, ai lepidosiren, ecc.

Con codesta dottrina non si spiega perchè gli esseri appariti si sono coordinati nello spazio e nel tempo. E frattanto per T appunto questa coordinazione « deve prima d’ogni altro

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capo v.

richiamare 1’ attenzione di chiunque si accin¬ ge a risolvere gli ardui problemi del mondo organico. » Supporre 1* esistenza di un" inde¬ terminata facoltà di trasformazione, poi invo¬ care un piano generale di sviluppo senza dire come potè venir tracciato, discorrere delle leggi della vita senza precisarne il modo di azione, « è evidentemente fondare un’ ipotesi sopra un altra e restare in un vago pochissi¬ mo d’ accordo colle esigenze della scienza moderna. » Ma ciò non toglie che i fautori di simile ipotesi possano parimente giovarsi delle scoperte, alle quali ho più volte accennato.

Il problema rimane imbrogliato ed oscuro come prima. Sicuramente, in virtù delle teorie più differenti e alla sola condizione di ammet¬ tere la legge di continuità, si potè e si può pre¬ vedere la scoperta di numerosi esseri interme- dii. Fuori di ogni teoria e a nome della sola analogia, si può scrive un antropologo francese predire che la scienza non si fer¬ merà dov’ è ai nostri giorni. Nei terreni che non ha ancora esplorato, negli strati fossili che non ha ancora smossi, certo troverà molti termini da intercalare nelle nostre serie or¬ ganiche. Ma con questo non avrà svelata la causa che loro diede origine e ne regolò i rapporti. Constatare la frequenza di un fatto che si era creduto raro o eccezionale, non è

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spiegarlo. Alla fin fine, quando si scuopre un nuovo essere vivente o fossile, e quando lo si vuol classificare secondo i rapporti naturali indicati dai suoi caratteri, fa d’ uopo metterlo fra gli esseri già conosciuti. Così e non altri¬ menti si colma una lacuna e si restringe la rete. Qualunque sia la causa, alla quale si attribuisce 1’ esistenza degli esseri organizzati nel passato e nel presente, questi risultati saranno identicamente gli stessi. Potrebbero essere in disaccordo solo con una dottrina, la quale ammetta cha gli esseri da scoprire non sono per nulla paragonabili agli esseri cono¬ sciuti. Ma si accordano con tutte le altre dot¬ trine. In conseguenza non possono riguardarsi come favorevoli ad alcuna di esse in parti¬ colare.

Il signor Gaudry ha giudicato diversamente. Partigiano delle dottrine darwiniane, egli ha cercato , aggruppando i risultati più sicuri ottenuti dai suoi predecessori ed aggiungendo le sue numerose osservazioni, ha cercato di formare le genealogie di un certo numero di specie viventi. (V. Considèrations gènèrales sur les animaux fossiles de Piliermy). Pren¬ dendo, ad esempio, come distinte cinque spe¬ cie di rinoceronti dell’ Asia e dell’ Africa , risale, a traverso i periodi passati, quasi ai più antichi terreni terziari, e trova nel palo-

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CAPO V.

plotherium di Concy Y antenato comune di quattro generi interamente estinti e di tutti i rinoceronti sia viventi sia fossili. Lo stesso autore fa discendere dall’ hipparion di San Isidro i cavalli e gli asini.

Queste conclusioni muovono a bella prima una difficoltà.

L’ intervallo che separa i diversi mammi¬ feri portati su questi quadri, é ben lungi dal- L essere sempre lo stesso; ed il signor Gaudry espressamente ce lo rammenta. Colla buona fede del vere dotto, e ad imitazione del suo Maestro, egli stesso indica le lacune talora significantissime che presentano quelle genea¬ logie ; parlando, verbicausa, degli hipparion , dichiara averli uniti al genere cavallo « mal¬ grado le differenze assai notevoli. »

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E evidente che queste differenze si saltano senz’ ambagi^ i due generi si uniscono mercè un’ ipotesi finora non giustificata. Supponghia- mo tuttavia che i rapporti indicati fossero tutti di valore eguale a quelli che 1’ autore riguarda come più stretti, ci sarebbe in questo fatto qualcosa che autorizzi a conchiudere che quei rapporti derivino dal principio di filia¬ zione ? La gran maggioranza dei naturalisti e la gran maggioranza dei fatti constatati reci¬ samente rispondono di no.

Chiunque prenderà a caso, in una famiglia

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di animali, quattro o cinque generi vicini, e disporrà questi generi e le loro specie come lia fatto il signor Gaùdry, potrà è stato detto tracciare dei quadri somigliantissimi ai suoi ; ma, sia qualsivoglia la teoria- adottata, nessuno avrà il diritto di pretendere che con ciò si sia provata la filiazione delle specie.

E lo stesso vale quando è quistione dei generi e delle specie fossili. In siffatte mate¬ rie non si può giudicare di due maniere se¬ condo che si tratta di ciò che è o di ciò che fu.

Dunque i quadri delineati dal signor Gau- dry hanno per la scienza un valore reale in quanto che permettono di cogliere , a colpo d’ occhio, i rapporti che appalesano alcuni mammiferi degli antichi periodi fra di loro e cogli attuali rappresentanti ; ma non insegnano nulla in quanto alla causa che ha determinato cotesti rapporti.

D* altronde è da avvertire che i ravvicina¬ menti operati dalle scoperte anche più recenti, non sono così stretti come suppongono alcuni darwinisti. Il porco, per esempio, il cammello, il cavallo e il tapiro sono lontanissimi dal trovare anelli di congiunzione nella moltitu¬ dine di forme transitorie che la teoria esige¬ rebbe. Per ricondurre al loro giusto valore certe esagerazioni, basta gettare un’ occhiata

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CAPO V.

sui quadri mentovati e percorrere i commenti dell’ autore, che sicuramente non si è dato la pena di trascurare ciò che i fatti potevano avere di favorevole perle sue opinioni. Somma tutto, la più larga interpretazione di quei ri¬ sultati non potrebbe mostrarci nulla che dif¬ ferisca da ciò che ci circonda. La natura vivente formicola di generi altrettanto vicini, anzi spesso più vicini di quelli che figurano nei quadri in discorso.

Forse che le specie attuali ci fanno intra¬ vedere la famosa catena genealogica? Non è diffìcile formare dei « quadri, » ma è difficile non intoppare in errori più o meno gravi.

Chi non distingue a prima vista un asino da un cavallo, una zebra da tutti due e da un emione ? Pur nondimeno il medesimo signor Gaudry dichiara che queste specie si rassomi¬ gliano per lo scheletro siffattamente, da non potersi distinguere in forza dei soli caratteri geologici. Se fossero seppellite insieme, i futuri paleontologi non ne farebbero che una sola specie.

Questa è la ripetizione nel genere « ca¬ vallo » di ciò che il D. Lund aveva verificato nel Brasile pel genere « sorcio. » Prima di procurarsi le specie viventi , egli ne aveva riuniti gli avanzi. Confrontando le ossa , non potè distinguere che due o tre specie! (V. Vieto

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of tlie Fauna anterior to thè last geological revolution. Magazin of naturai liistory , 1841).

Dunque lo studio isolato degli scheletri tende a ravvicinare e qualche volta a confondere le specie distinte. E però quando ci mostra « differenze assai notevoli » fra il tipo degli hipparion e quello dei cavalli , è permesso argomentarne che la distanza reale dovette essere assai più grande di quel che possa giudicarsi esaminando i fossili. In sostanza, fra questi due generi esiste una lacuna incom¬ patibile colla teorica di Darwin. Per colmarla, fa mestieri riferirsene allo sconosciuto. Forse questo sconosciuto domani risponderà, facendo scoprire un nuovo termine medio. Ma pren¬ dendo a guida l’insieme dei fatti sino ad oggi constatati , si può prevedere che giammai l’ hipparion sarà riunito al cavallo con un numero di forme sufficienti per fornire alla dottrina della filiazione lenta e progressiva qualcosa che rassomigli ad una prova.

Le precedenti riflessioni si applicano con più ragione agli intermediari posti fra due tipi più lontani. Malgrado l’autorità del nome di Huxley, le conclusioni del citato suo lavoro On thè animals which are most nearly in¬ termediate between birds and reptiles non sono punto ammissibili. L’ archoeopterix di Meyer, il compsognatlius di A. Wagner pre-

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CAPO V.

sentano certamente forme molto singolari , giudicandone dai loro scheletri. In ogni caso, si limitano a rannodare i rettili agli uccelli, quasi come 1’ ornitorinco li rannoda ai mam¬ miferi e il lepidosiren ai pesci. Or bene, da una parte questi tipi di transizione sono ancora lontanissimi di qualsia specie che appartenga ad una delle mentovate tre classi; dall' altra, il fatto della loro esistenza potendo essere invocato da dottrine differentissime, non viene come di sopra si disse in aiuto a nes¬ suno dei tanti modi onde s’intende la legge di continuità.

Che cosa provano chiede Carlo Elam le disposizioni seriali del cavallo, del cocco¬ drillo, del gambero e di molte altre creature? Provano la successione di simili ma, per certi rispetti, anche dissimili forme. E questo fenome¬ no non dirà nulla o equivarrà a dimostrazione, secondo la variante preparazione o il pregiudi¬ zio della mente nella quale entra. A buon conto, quandanche queste successive forme fossero discese da un comune stipite, saremmo sempre lontanissimi da una prova convin¬ cente del darwinismo.

Prendiamo ad esempio il cavallo. Non è necessario entrare in una minuta descrizione delle successive forme trovate fra Y Orohip* pus eoceno e il vero cavallo dell’epoca attuale.

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Basta dire che gli avanzi fossili presentano una serie di modificazioni in certe parti della loro struttura, e segnatamente del piede. Si suppone che queste modificazioni indichino differenze specifiche. E ammettiamo pure che per lo scopo della classificazione possano es¬ sere così considerate. Ma ciò non vuol dire che fisiologicamente rappresentino differenze di specie.

Può affermarsi che tale sia il caso in que¬ sti esempi ? può affermarsi che le loro diffe¬ renze sieno maggiori di quelle che occasio¬ nalmente si osservano nelle specie che noi conosciamo essere fisiologicamente le stesse ? La formazione del piede differisce considere¬ volmente; ma è questa una differenza di specie o solo di razza ? Riguardo ai denti laterali dei- fi hipparion , Huxley ci dice che « essi avreb¬ bero avuta piccolissima importanza funzionale e devono essersi approssimati alla natura delle unghie, come si trovano in molti ruminanti. » [American Addresses , p. 81 ). Così stando la faccenda , si doveva aspettare che questi denti s’ impicciolissero e , dopo molte generazioni , venissero rappresentati da semplici rudimenti. Pertanto non è da meravigliare se simili gra¬ duali diminuzioni e parziali scomparse accad¬ dero in tutte le successive razze senza cam¬ biamento fisiologico della specie.

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 26

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D’ altronde, se ci fosse permesso di seguire il sistema degli evoluzionisti, non sarebbe dif¬ fìcile rispondere recisamente a questa quistio- ne della serie del cavallo. Io soggiunge l’Elam direi che il cavallo, qual'è ai nostri giorni, esisteva contemporaneamente coir Oro- hippus nel periodo mioceno ; e che non c’ è stato nessun cambiamento da quel tempo ai giorni nostri. Se si obiettasse che questa è una semplice asserzione, io me ne appellerei all’ imperfezione dei ricordi geologici, e soster¬ rei che se i ricordi geologici fossero perfetti, deporrebbero in mio favore. Ove alcuno sal¬ tasse fuori a dire che questo modo di argo¬ mentare non è scientifico, io replicherei che, se non è scientifico, è necessario alla mia teoria. ( Hackel , Natùrliche Schòpfungsgeschichte j cap. XXII ).

Quello „che non si può negare, si è che F aspetto generale dei fatti messo in luce dalla geologia e dalla paleontologia , è contrario all’ ipotesi darwiniana. E se si studiano i pe¬ riodi geologici in particolare, tale opposizione diventa più sensibile. Il prof. Van Beneden , per esempio, volle rendersi conto dei risultati prodotti dalla concorrenza vitale nel periodo che ci separa dall’ età del mammutte e del- 1’ orso delle caverne. Nel suo esame, egli ri¬ volse particolarmente 1’ attenzione ai pipi-

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rstrelli. Ecl ecco perchè: Questi insettivori sono tutti sottoposti al medesimo regime ; hanno lo stesso genere di vita; e più d’ogni altro ani¬ male , subiscono 1' influenza dei cambiamenti di temperatura. Se ne togli qualche rarissima eccezione , i pipistrelli danno la caccia agli stessi insetti, quantunque ogni specie conservi una preferenza. Accanita ha dovuto quindi es¬ sere la concorrenza vitale presso questi anima¬ li, che attraversarono periodi di gran freddo e non trovarono insetti per pascolo che all’ epoca dei calori.

Dopo avere esaminato le specie viventi e le specie fossili dei pipistrelli , il prof. Van Beneden venne alla seguente conclusione :

I pipistrelli che vivono oggi nelle grotte, sono esattamente gli stessi di quelli che ci vi¬ vevano all’ epoca dei grandi orsi ; le stesse specie vi hanno mantenuta la loro dimora, le une accanto alle altre, senza il menomo cam¬ biamento. La concorrenza vitale non ha pro¬ dotto alcun effetto sul numero , sul volume. Tutti questi animali sono rimasti pre¬ cisamente ciò che erano all’ epoca in cui l’orso delle caverne calpestava il nostro suolo, allato del mammutte e del renna. Paragonando le ossa delle grandi specie o delle piccole, si vede che tutte si sono conservate nelle stesso condizioni.

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capo v.

Quel che si osserva nei pipistrelli , si con¬ stata egualmente per tutti gli animali che vissero presso di loro : i molluschi antichi y paragonati ai molluschi attuali , non offrono maggior differenza che i pesci , i rettili , gli uccelli o i mammiferi. ( Revue Gènèrale, Brus- selles, novembre 1871, pp. 556-559).

Se dal periodo più recente , si rimonta a quello più antico, si riesce allo stesso risultato. Il signor Barrande , dopo avere studiato 350 specie di trilobiti, concluse che « nessuna delle 350 specie ha prodotto una nuova forma spe¬ cifica distinta e permanente. »

Appunto nel suo libro intitolato Trilobites e pubblicato a Praga nel 1871, Barrande scrive (p. 281 ) : « Lo studio speciale di ognuno degli elementi zoologici che costituiscono le prime fasi della fauna primordiale siluriana, ha di¬ mostrato che le previsioni teoriche sono in completa discordanza coi fatti osservati. Le discordanze sono così numerose e così accen¬ tuate, che la composizione della fauna reale sembrerebbe essere stata fatta apposta per contraddire tutto ciò che c’ insegnano le teorie sulla prima apparizione e sull’ evoluzione pri¬ mitiva delle forme della vita animale. » Considerando diceva a sua volta il prof. Agassiz L insieme degli esseri organizzati «che si rinvengono nella serie delle formazioni

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■geologiche, si riconosce nella loro successione un andamento differente da quello che suppo¬ nevano i trasformisti. 1/ idea di uno sviluppo progressivo di tutto il regno animale , per modo che le classi si sarebbero succedute con¬ formemente al posto che ad ognuna assegna la sua organizzazione, non consuona niente af¬ fatto colle ultime ricerche paleontologiche. L’ osservazione non ha confermato che gli ani¬ mali raggiati abbiano preceduto i molluschi e gli articolati nelle formazioni più antiche. Al contrario, sin dalla prima apparizione degli animali sulla superfìcie del globo , ci furono simultaneamente raggiati, molluschi, articolati ed anche vertebrati ( dei pesci ). E c’è di più. Sappiamo che le tre divisioni degli inverte¬ brati ebbero rappresentanti, sin dai tempi più antichi, nei tipi di tutte le classi, per quanto la natura di cosiffatti animali permise di lasciar traccie della loro presenza. Fra i raggiati ab¬ biamo, sin dall’ origine , grandissimo numero di polipi e di echinodermi. I crinoidi soprat¬ tutto sono svariatissimi. Quanto agli acale fi , non fa meraviglia se non se ne trovino avanzi, giacche il capo di questi animalucci è troppo molle per aver potuto lasciare Y impronta sopra rocce così alterate, come sono ordina¬ riamente nei terreni di transizione. Le tre classi dei molluschi sono rappresentate in tutti i

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capo y.

terreni paleozoici; gli acefali segnatamente ci offrono un tipo preponderante nel gruppo dei brachiopodi ; sono anche abbastanza numerosi i gasteropodi ; i cefalopodi infine contano di * versi generi, come le goniatiti e le ortocera¬ ti ti. Si può quasi dire altrettanto degli arti¬ colati, la classe dei vermi essendo rappresen¬ tata dalle serpole ; e d’ altra parte abbiamo visto quanto sono numerosi nei terreni di tran¬ sizione i trilobiti, che appartengono alla classe dei crostacei.

Questo semplice accenno basta per convin¬ cersi che tutte le classi d’ invertebrati esiste¬ vano simultaneamente sin dal primo svilup¬ parsi della vita sulla terra.

Così T Agassiz nelle sue Recherches sur les poissons fossiles (Neufchatel, 1839-42, 14. a Disp.) Vediamo che cosa egli dice nel suo Essay on classification (. London 1859).

La differenza che gli animali presentano nei diversi periodi, non è per se stessa una prova del cambiamento nella specie. La que¬ stione è se durante uno o più di questi pe¬ riodi, abbiano luogo dei cambiamenti.

Gli avversari ragionano così : « Da un periodo all’altro si sono osservati dei cambia¬ menti ; delle specie che non esistevano in un periodo anteriore, si osservano in un periodo più vicino al nostro, mentre le prime sono-

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sparite. E sebbene ogni specie possa avere avuto le sue particolarità intatte per un lasso di tempo, il fatto che, quando si considerano lunghi periodi, tutte le specie di un periodo antecedente sono sostituite da altre nuove in un periodo posteriore , prova che infine le specie cambiano, purché trascorra un pe¬ riodo di tempo sufficientemente lungo. »

In quanto al fatto, io scrive Y Agassiz non ho nulla da obiettare; ma sostengo che la conclusione non è logica. È vero che le specie sono limitate a particolari epoche geologiche; ed è ugualmente vero che, in tutte le formazioni geologiche, le specie dei periodi successivi sono differenti Y una dall’altra. Ma dal loro differire non emerge ch’esse cambiaro¬ no se stesse. La presunta lunghezza del tempo non ha nulla a fare coll’argomento. Pur con¬ cedendo miriadi d’ anni per ogni periodo, la questione è semplicemente la seguente: Quan¬ do ha luogo il cambiamento, ha luogo spon¬ taneamente, sotto 1’ azione degli agenti fisici e secondo la loro legge ?

I naturalisti considerano le specie come essenzialmente immutabili, non perchè sono durate per un tempo più o meno lungo nelle passate età, ma perchè non si è ancora ad¬ dotta la più piccola prova che le specie effet¬ tivamente si trasformino.

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Noi solamente sappiamo che esse sono differenti nei differenti periodi, come sono le opere d’arte dei differenti secoli e delle diffe¬ renti scuole. Ma sinché noi non abbiamo altri dati per ragionare se non quelli fornitici sino ad oggi dalla geologia, è contrario alla filo¬ sofìa e alla logica 1’ arguire dalla sussistenza di tali differenze, che le specie realmente cam¬ biano o hanno cambiato, cioè si trasformano o si sono trasformate ; come sarebbe contrario alla filosofia e alla logica il sostenere, che le antecedenti opere d’ arte si sono trasformate in quelle di un periodo posteriore. Noi igno¬ riamo come Yennero fuori gli esseri organiz¬ zati , ciò è vero ; e nessun naturalista può esser preparato a render conto della loro comparsa a principio o del loro differenziarsi nei differenti periodi ; ma si sa abbastanza per respingere l’ ipotesi della loro trasmutazione, perch’essa non ispiega i fatti ed esclude gli ul¬ teriori tentativi mediante esatte investigazioni. (We do not know ìiow organized beings have originated , it is true ; and no naturatiti can he prepar ed to account for their appea- rance in tlie beginning , or for tlieir diff erence in different periods ; but enongli is hnown to repudiate te assumption of their trasìnuta- tions , as it does not explain thè facts , and

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shuts out further attempts at proper investi- gations. Ibid. pp. 77-78).

Non voglio entrare aggiunge F autore più sotto (p. 80) a discutere se alcune spe¬ cie si trovino identicamente le stesse in due formazioni successive. Se questa identità fosse dimostrata, ciò proverebbe soltanto in modo più sodisfacente quanto tenaci sono le specie nei loro caratteri, per continuare a conservarli attraverso tutti i cambiamenti fìsici, che eb¬ bero luogo tra due successivi periodi geolo¬ gici.

Se le affinità evidenti di tutti gli animali avessero per causa una discendenza comune, si dovrebbe trovare un parallelismo costante fra l’ordine di successione nella serie geolo¬ gica e la gradazione nella serie zoologica. I tipi di una classe inferiore dovrebbero essere stati dappertutto i più antichi nella storia della terra. Quelli che apparvero in un' poca po¬ steriore, dovrebbero per ogni dove offrire un or¬ ganizzazione più elevata. Di epoca in epoca ci sarebbe sempre stato un crescente differen¬ ziarsi. In nessun luogo si sarebbero veduti sorgere dei tipi nuovi , interamente stranieri a quelli che erano preceduti, e spesso superiori a quelli che seguirono.

Ebbene, la successione cronologica non cor¬ risponde colle affinità della struttura; i carat-

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capo y.

teri successivi dei tipi non sono niente affatto r espressione di modificazioni progressive, re¬ golari e costanti.

Il grandissimo numero dei fossili scoperti ha fatto conoscere non poche forme intermedie; non solo si sono avvicinate le specie fossili le une alle altre , ma le si sono riannodate alle specie attuali. Ne è risultato un conca¬ tenamento più stretto ; i tipi delle epoche anteriori si sono, in certo modo, fusi coi tipi delle epoche moderne.

Ed allora si credette di vedere nella suc¬ cessione delle faune passate un legame genetico colla fauna contemporanea. Si riconobbe che tutti gli esseri animali rientrano, a qualunque epoca appartengano, in un medesimo sistema, il quale abbraccia la vita sotto tutte le forme e in tutti i tempi. Ma nessuno ha segnalato, fra le differenti specie estinte , vere e proprie transizioni dall’una all’ altra. Tutù al contra¬ rio, si sono constatati dei caratteri ben definiti, riconoscibili anche nei frammenti incompleti che si posseggono.

Non è ammissibile che le differenze spe¬ cifiche si sieno avverate collo stesso procedi¬ mento che conserva T uniformità.

. Nell’ ordine cronologico certi tipi antichi riuniscono dei caratteri complessi, che succes¬ sivamente appariscono isolati nei tipi posteriori.

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Altri, invece, sembrano progredire. Altri an¬ cora restano allo stesso punto per riprodursi senza modificazioni. Parecchi rammentano , nella loro successione, le fasi della metamor¬ fosi embrionale individuale , mentre altri sem¬ brano riunire tutte le combinazioni possibili di diversi tipi.

Nella sua opera Scientific resultats of a journey in Brazil (Boston 1870), 1’ Agassiz fa altre importantissime riflessioni nello stes¬ so senso. E ritornò sulla questione nell'ultimo suo lavoro Le type spècifique , son èvolution et sa permanence , pubblicato nel N. 39 della Revue Scienti fique (Parigi 1874). La dottrina darwiniana dice l’autore in questo studio contraddice positivamente a tutto ciò che le forme animali sepolte nelle roccie stratificate del globo c’ insegnano intorno alla loro appa¬ rizione e alla loro successione sulla superficie terrestre. Se è vero che ci sia stata trasfor¬ mazione progressiva di tutto il tipo,, per esem¬ pio, dei vertebrati, elevandosi dalle forme più basse a quelle più perfette, le forme di data più antica hanno dovuto necessariamente es¬ sere inferiori alle recenti, per ciò che concerne la struttura. Qual’ è il più basso di tutti i vertebrati viventi ? Ogni zoologo risponde : E V amphioxus , il vertebrato allungato, ver¬ miforme, la cui organizzazione non è niente

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capo v.

di più che una corda dorsale sormontata da un filetto nervoso e dominante una cavità , nella quale sono gli organi della respirazione, della digestione e della riproduzione, il tutto inviluppato da muscoli.

Frattanto, per quanto basso stia nella scala della vita, 1* amphioxus , secondo alcuni natu¬ ralisti, è, per la sua colonna vertebrale, un rappresentante del tipo, al quale noi stes¬ si apparteniamo. L’ amphioxus è stato da Hàckel considerato come preantenato e come base dell’ albero genealogico dei vertebrati !

Se nella teorica darwinista ci fosse del vero, i vertebrati più antichi , constatati ed inscritti negli inventari geologici, dovrebbero corrispondere ai più bassi. Invece, i più anti¬ chi vertebrati conosciuti , cioè i selacii (pe- scicani ed analoghi) e i ganoidi (i lepido- stei, per esempio) sono i più elevati di tutti i pesci viventi riguardo alla struttura. Si ri¬ sponderà eli’ essi appartengono al periodo si¬ luriano o al periodo devoniano, e che proba¬ bilmente dei vertebrati possono essere esistiti prima di questo tempo. Si obietterà ancora che i mizonti, segnatamente 1’ awphioxus , i mi- xinoidi e le lamprede, constando di parti molli, non potevano esser conservati. Sia pure, ben¬ ché i mizonti abbiano parti solide, per esem¬ pio le mascelle, capaci di conservazione come

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qualunque osso. Accordiamo ancora che pesci analoghi all’ amphioxus possano essere vis¬ suti e spariti prima elei periodo siluriano. Ma i depositi siluriani stanno immediatamente sopra i depositi, dai quali la vita è primiti¬ vamente sparita; e però non dovevano conte¬ nere pesci più elevati, bensì quelli che nella serie vengono dopo i mixinoidi. Frattanto gli animali che nella serie vengono dopo i mixi¬ noidi, non sono certamente i selacii i ga- noi di. L’esistenza dei selacii all’alba della vita è in contraddizione coll’ipotesi di uno sviluppo graduale, continuo, progressivo. Eppure i selacii abbondano nei letti paleozoici; e queste forme fossili sono talmente simili ai rappresentanti attuali del medesimo gruppo, che quanto è vero dell’ organizzazione e dello sviluppo dei selacii attuali è, senza possibile contestazione, ugual¬ mente vero dei selacii antichissimi.

Per tutte le loro caratteristiche, i selacii, più che gli altri pesci, rammentano gli ani¬ mali superiori. Non fanno che un piccolo nu¬ mero di uova, tre, quattro o, al più , cinque alla volta ; mentre i pesci ordinari ne fanno miriadi che lasciano cadere nell’ acqua per svilupparsi a caso.

La limitazione del numero dei figli è cer¬ tamente un segno di superiorità. Più si va in su nella scala della vita animale , più è ri-

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stretto il numero elei figli. E quanto maggiore è questa riduzione , tanto più stretto , tìsica¬ mente e moralmente, diventa il legame tra i discendenti e gli ascendenti.

Fra i pesci , i selacii rammentano a pre¬ ferenza i rapporti sessuali umani. Ebbene, i selacii sono i primi rappresentanti dei verte¬ brati sulla terra, almeno quelli che successe¬ ro ai primissimi. Viceversa i mizonti pesci inferiori nella struttura a tutti gli altri e dei quali Y amphioocus è il più basso si mostra¬ no all’ ultimo periodo della storia del nostro globo.

Ecco sfumata dunque la serie perfettamente concatenata, principiante colle forme più basse per finire alle forme più elevate, attesoché i pesci superiori arrivano i primi , e solo alla fine vengono gli inferiori.

I compagni dei selacii nei ri moti periodi geologici, cioè i ganoidi fanno anche parte dei rappresentanti più elevati nella classe dei pesci. Alcuni hanno 1’ articolazione vertebrale a dop¬ pia curvatura dei rettili e degli uccelli , ciò che loro permette di muovere la testa con più libertà che non fanno i pesci inferiori.

Certi trasformisti riguardano questi tipi sintetici come forme di transizione. Ma come tali non possono considerarsi, perchè, invece di venir dopo, precedettero i pesci inferiori.

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Tutta la storia della serie zoologica mostra che T essere inferiore nella struttura non ha necessariamente la priorità nel tempo, sia che si tratti del tipo vertebrato o di qualunque altro.

I tipi sintetici si trovano assieme ai gruppi primari del regno animale. Con essi s’ incon¬ trarono quelli che possono chiamarsi tipi em¬ brionali, cioè tipi che non si elevano giammai alle forme superiori. Quindi emerge spontanea la conseguenza che sin dall’ origine c’è stata diversità di tipi , e che 1’ ipotesi della scala genetica non ha alcun fondamento.

II problema dell’ origine degli animali è tutt’ altro che risoluto. La teoria di Darwin , come tutti gli altri tentativi per ispiegare 1’ origine della vita, è, sin qui, puramente ipo¬ tetica , e non è forse la migliore delle con¬ getture possibili nello stato attuale del sa¬ pere.

Più. si guarda alla vasta e complessiva or¬ ganizzazione del regno animale, e più si fa forte il convincimento che noi siamo lontani dall’ averne scoperto il nascosto significato ; e più è lamentevole che gli scienziati si abban¬ donino troppo alla speculazione, invece di at¬ tendere alla diligente ed imparziale ricerca dei fatti.

Stando per 1’ appunto ai fatti, si rileva:

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primo , che malgrado le lacune del grande registro della geologia , moltissimi dei suoi fogli stabiliscono 1’ armonica connessione del regno animale; secondo, che visto come alcuno delicatissime strutture e alcune fuggevoli trac- eie dello sviluppo embrionale si sieno conser¬ vate perdilo nei depositi più antichi , non si ha il diritto di supporre la disparizione di certi tipi , sol perchè ciò farebbe comodo ad una ipotesi favorita ; terzo finalmente, che nella successione geologica degli animali manca qualunque prova per affermare che le specie relativamente moderne discendono per legame genealogico da quelle antiche.

Quando si tratta di minerali che cristal¬ lizzano, nessuno avvertiva Eduardo Hart¬ mann a proposito delle forme intermedie e dell albero genetico vi cerca un reale rap¬ porto di discendenza. Ma non appena è qui- stione di animali marini inferiori, si pretende rintracciare le reali transizioni genealogiche di un tipo morfologico che si trasforma in un altro. Siccome la prova diretta, sperimentale, positiva del passaggio genealogico da una for¬ ma ad un’ altra, incontestabilmente manca, i darwinisti, impacciati, hanno perfino ricorso a portare lo sguardo sull’ analogia dei tipi minerali per cercare di scovare forme inter¬ medie concrete.

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Se non che, la stessa possibilità della trasformazione non cambierebbe la quistione. Ove cotesta possibilità fosse considerata come una prova sufficiente deir origine reale, non ci sarebbe motivo per non pretendere che l’i¬ perbole sia nata dalla parabola, e la parabola dall’ellissi, e l’ellissi dal circolo od anche dalla linea retta.

La pluralità delle limitrofe forme interme¬ die può presentarsi o come il risultato di una causa generale interna , o come il segno di una discendenza effettiva e reale. La teoria darwinista che predilige le spiegazioni mec¬ caniche, parla mal volentieri di cause interne, e si attiene con maggior compiacenza alla ef¬ fettiva relazione genetica delle diverse forme.

Ma i fatti non appoggiano la teoria. Così, pogniamo, il pesce dorato della China è giallo con un miscuglio di nero in tutte le grada¬ zioni , tanto che può per una serie di transizioni - passare dal puro giallo al perfet¬ to nero. Sarebbe però impossibile riguardare questa serie di colori intermedii come una serie genetica, dacché 1’ esperienza prova che tutte queste variazioni possono riscontrarsi in una sola generazione , discesa da una sola coppia di parenti.

In questo esempio notisi bene è que¬ stione di varietà semplici ed esteriori; quando

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 27

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si tratta di complicate ed oscure transizioni tra razze o specie, e manca Y autorevole te¬ stimonianza dei fatti , bisogna pensarci non una o due, bensì cento volte, prima di conclu¬ dere air esistenza di transizioni genetiche.

La scoperta di alcune, comunque dubbie, forme intermedie ha una certa importanza per colmare le lacune; ma in ogni modo non prova che la ritrovata forma intermedia sia effetti¬ vamente un anello della supposta catena. Se si vuole, si può certamente supporre una pa¬ rentela ideale fra i tipi ; ma non dobbiamo la¬ sciarci abbacinare sino al punto, da immagi¬ nare che 1’ ideale del filosofo si sia incarnato nel reale. Se si dice, per esempio, che Y ediflzio gotico sia venuto dall’ edilizio romano che questo sia derivato dalla basilica, la quale, a sua volta, sarebbe nata da una specie di mer¬ cato romano, a nessuno verrà Y idea di con¬ cludere che un determinato edilìzio è realmente doventato un ediflzio gotico per effettiva tra¬ sformazione.

In mancanza di tradizioni e di storia, noi abbiamo si legge nella Revue d' antliro- pologie , 15 aprile 1880 delle « medaglie naturali, » secondo Y espresssione del Buffon. Nello studio dei monumenti paleontologici si dovrebbe trovare la ragione fondamentale del trasformismo. Intanto ciò che si conosce di

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tali preziose reliquie, non afferma in nessuna maniera che i tipi degli animali abbiano su¬ bito, dopo i primi sviluppi , modificazioni di natura specifica.

La successione progressiva degli esseri or¬ ganizzati ove pure fosse attestata dalla geologia non trascinerebbe necessariamente con la filiazione degli esseri. D' altronde oggi è riconosciuto che i primi rappresentanti della flora e della fauna non furono gli esseri più semplici. Questa dottrina c’ insegna la stessa Revue d’ anthr omologie (Ibid. p. 218) delle serie genealogiche è ormai general¬ mente abbandonata, perchè non risponde più

alla scienza dei nostri giorni.

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E certo insiste la medesima Rivista che molti generi e molte specie di epoche an¬ tiche generi sopratutto di vertebrati e specie appartenenti ad altre branche hanno attra¬ versato la serie delle età e si sono riprodotti e perpetuati senza cambiamento sino a noi. Testimonio, pei molluschi, il gran numero di conchiglie sia marine, sia fluviali o terre¬ stri -, alcune delle quali sono dell’ epoca secondaria od anche paleozoica, e le cui specie si trovano attualmente su diversi punti del globo. Così , or non è guari , si notò , fra i raggiati, la presenza, in alcuni mari attuali, di certe specie di foraminifere che sarebbe

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CAPO Y.

impossibile distinguere da quelle dei terreni cretacei. Del pari, nei travertini eoceni di Se- zanne conosciuti dai geologi per le loro belle impronte vegetali, e che sembrano appartenere alla base dei terreni terziari si è fatta la scoperta di un tipo di coleottero che ai nostri giorni vive ancora nel Brasile e di un gam¬ bero che differiva da quelli attuali solo per caratteri di un valore zoologico estremamente debole.

Quanto ai vertebrati considerati nel perio¬ do terziario, essi appartengono a generi, alcuni dei quali sono spariti ed altri particolarmen¬ te nei mammiferi esistono ancora, ma so¬ no oggi rappresentati da specie differenti dalle specie antiche ; poiché nessuna di queste è arrivata sino a noi e nemmeno sino ai tempi quaternari. Del resto , tutti i tipi divergono sempre più, a misura che si allontanano dalle formazioni anteriori.

Infine, pei vertebrati dell’ epoca quaterna¬ ria, e segnatamente pei mammiferi, si sa che questa fauna è in generale molto analoga a quella d’ oggi. I generi sono gli stessi nella epoca quaternaria e nella nostra; e se, per alcuni generi, le spe eie antiche , assai distinte dalle specie viventi, sono perdute, quelle di molti altri generi sono vicinissime o non dif¬ feriscono punto dalle specie attuali.

LA. LEGGE DEL TEMPO

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Questi fatti soggiunge la nominata Ri¬ vista attestano la permanenza di un gran numero eli specie per una durata estremamente lunga e depongono contro la teoria delle mo¬ dificazioni o dei perfezionamenti graduali.

Vediamo ciò che ha stampato il prof. Ca¬ nestrini intorno a questa grave questione della legge del tempo.

Al breve preambolo fa seguire due citazioni da Lyell e Lubbock. Poi allega diversi esempi di forme intermedie , come Y archaeopterix , T ornitorinco, ecc. esercitandosi nella ginna¬ stica della fantasia, generalizzando come vien viene e allegramente sentenziando che si è trovato Panello di congiunzione fra i mammi¬ feri e gli uccelli , fra gli uccelli e i rettili.

Nella foga dell’ entusiasmo gli scappa detto •che « non v’ ha gruppo di animali , in cui non si riscontrino delle forme intermediarie. » A giustificare simile proposizione, adduce due esempi, ai quali, in fin di conto , egli stesso crede pochissimo; e però aggiunge: « Questa genealogia potrà essere accolta o meno; certo si è che chi imprende degli studi speciali so¬ pra un qualsiasi gruppo di animali , giunge facilmente alla convinzione profonda che le forme intermediarie non sono rare. » ( La Teoria delV Evoluzione , p. 120 ).

Così quel primo slancio di lirismo si raf-

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CAPO Y.

freddò per brusca, antidarwiniana transizione e si ridusse a rammentarci il desinai in piscem mulier formosa superne.

Segue T esempio dello hoplopus , dal quale il Canestrini rincorato e sollevato a vista d’ occhi, conclude che « delle forme di passag¬ gio esistono tanto tra le specie fossili , come tra le viventi. »

Conforta il suo dire con una citazione di Hàckel, e passa a rispondere alle obiezioni dei- suoi avversari.

Prima obiezione : « Ammesso che le forme- intermediarie sieno esistite, non è probabile che sieno state vantaggiose sulle precedenti , ciò che non concorda colla dottrina dell’ ele¬ zione naturale. »

Il professore risponde non esser vero che le forme intermediarie sono imperfette. « Non è difficile riproduco testualmente com¬ prendere che ad un animale può tornare utile essere formato di organi tali da poter occu¬ pare, secondo le circostanze , parecchi posti nella natura, ad esempio , vivere nell’ acqua, ed in determinate epoche in terraferma , o nell' aria volando ; nella stessa guisa come ad un uomo, in certi tempi ed in certe loca¬ lità, poteva essere di vantaggio esercitare la* professione del farmacista ed insieme quella' del pizzicagnolo » (!)

LA LEGGE DEL TEMPO

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La cosa va coi suoi piedi, è ovvia, è na¬ turale ; i commenti sarebbero un di più , e quindi andiamo avanti.

Un’ altra obiezione mossa dal Bianconi ri¬ guarda i piedi. Secondo Bianconi , il piede ambulatorio e il piede prensile sono due stru¬ menti meccanicamente lontani l’uno dall’altro: un piede che cessa di essere prensile e sta per diventare ambulatorio, non è prensile, ambulatorio.

Il Canestrini replica che coteste sono « idee teoriche. » « Perfino Y uomo , il cui incesso naturale è 1’ eretto , con un po' d' esercizio impara a rampicare con agilità. Non è impos¬ sibile che un animale , il quale possieda due modi di locomozione, coll’ esercizio e coll’ abi¬ tudine si perfezioni in quello che meno pra¬ ticava, ed acquisti gradatamente una struttura diversa negli organi stessi della locomozione. » Giacché con molto o con poco esercizio tutto, o quasi tutto, è possibile, il professore ha ragio¬ ne e non c’ è da guardare tanto per il sottile.

Altra obiezione : « Se le specie derivano da altre specie, per mezzo di graduazioni in¬ termedie , perchè la natura non ci presenta un caos inestricabile di forme ? »

Risposta del Canestrini : « La ragione sta nella breve durata delle forme intermedie per effetto della elezione naturale. »

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CAPO V.

Dunque non è più vero che 1’ elezione na¬ turale agisca passo passo, lentissimamente, e che a compiersi la trasformazione ci vogliono milioni e milioni di secoli. Qui nasce il so¬ spetto che anche i darwinisti predichino bene e razzolino male.

Quarta obiezione : « Coni’ è possibile che da una forma adattata alle sue condizioni di vita ne sorga un’ altra per elezione naturale, senza che la prima scomparisca ? »

Ecco qui come il professore annienta que¬ sta difficoltà : « Ciò è reso possibile dal pas¬ saggio della forma più elevata ad altre abi¬ tudini di vita. Nell’ esempio su citato di un animale acquatico che si fa terrestre ne’ suoi discendenti modificati, la forma genitrice può rimanere per lungo tempo inalterata, perchè non ha da lottare colla sua progenie divenuta terrestre ; e se progredisce , vi è spinta non già dalle sue forme generate, ma da altre che convivono nello stesso elemento. »

Siccome io non mi ci raccapezzo , abban¬ dono questa risposta a quelli che ne sanno cogliere il sugo e addentrarsi nelle segrete cose.

Per quanto qui è profondo, per altrettanto mi sono parse intelligibili ma superficialis¬ sime le risposte date dal professore alle obie¬ zioni di Kòlliker , cioè l.° che non è dimo-

LA LEGGE DEL TEMPO

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strato un graduato passaggio da una specie in un’ altra ; 2.° che la paleontologia non sco¬ perse le forme intermedie tra le varie specie; 3.° che non si conoscono varietà che sieno durevolmente infeconde tra loro come le specie.

Nell’ altro libro del Canestrini : La Teoria di Darwin criticamente esposta non ci sono che poche pagine relativamente alla legge del tem¬ po; ma in compenso vi trovo la scoperta, an¬ nunciata coll’abituale dommatismo, che « la le¬ pida sirena congiunge insieme i pesci e gli anfibi » (p. 260); oltre, beninteso, 1’ amphioxus , il quale « rappresenta un ponte di comunica¬ zione tra i vertebrati e gli invertebrati. » È in¬ credibile come e quanto tutto il problema si chiarisca mediante 1’ intuizione del professore ! Udite quest’ altra proposizione, arrischiata se vogliamo, ma detta con quell’aria di sufficienza, che torna bene a viso di chi vede più degli altri e di chi si crede superiore a quelle piccole miserie delle prove e delle dimostrazioni, ri¬ chieste dai pedanti , cioè da coloro che non hanno ingegno sintetico : « Come nel caso dei pachidermi e dei ruminanti, così anche qui noi non possiamo concludere che gli attuali anfibi discendano dagli odierni pesci, i rettili dei- fi oggi dai loro contemporanei anfìbi , e così di seguito ; ma dobbiamo però ritenere che i pesci antichi abbiano generato gli anfìbi più

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capo v.

recenti, e questi i rettili anche più recenti, i quali alla lor volta produssero gli uccelli ed i mammiferi. »

Dopo questi colpi da maestro, ci vuole un bel coraggio a sostenere che non si sia tro¬ vato il legame genetico dei tipi e che il dar¬ winismo non sia una scienza positiva ! Al termine del capitolo IX, il razzo di grande effetto che rischiara meglio la situazione e conferma di più la base scientifica del darwi¬ nismo , si è il solito ritornello della nostra ignoranza in punto geologia.

Chi non si capacita , chi non è convinto , suo danno! Il professore, per persuaderci, non ha lasciato mezzo intentato : si è servito di quello che sappiamo ed anche di quello che non sappiamo. Esigere di più, sarebbe il mas¬ simo dell’ indiscrezione.

Nel nuovo libro, egli non trascrisse quanto aveva detto nella Teoria dell evoluzione ri¬ guardo all’ « insufficienza del tempo trascorso.» Su questa obiezione 1’ autore pensa che « non conviene oggi insistere lungamente. » Secondo lui , la durata delle epoche geologiche « in generale si ritiene che non possa trovarsi fuori dei limiti estremi segnati dalle due cifre di 20 milioni e 200 milioni di anni. » Armato di questi due estremi , il Canestrini conclude : « Chi voglia considerare attentamente il si-

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gniflcato di queste cifre ( favolosamente ela¬ stiche ) , ben diffìcilmente sosterrà , che sia mancato il tempo al perfezionamento degli organi ed alla produzione di specie » (p. 144).

La durata del tempo è stata lunghissima; va bene; ma il professore che ne sapeva qual¬ cosa, non doveva parlare di breve durata del tempo quando trattò delle forme intermediarie.

Tutto sommato, anche per la legge del tem¬ po, il Canestrini ha da rimproverarsi un gran peccato : quello di aiutare i suoi avversari e di scuotere e far perdere addirittura la fede, che i suoi colleglli darwinisti hanno nella dot¬ trina del Maestro. Per parte mia, non doman¬ davo di meglio : si aggiusti lui coi suoi cor¬ religionari. Sbaglierò, ma a me sembra che gli oppositori di Darwin , quando scrivono , non ottengono un effetto contrario a quello che si erano proposto. Ecco, per darvene un saggio, come il prof. Mivart discorre della legge del tempo nella sua opera On thè genesis of species .

Ammessa la teoria della elezione naturale, due considerazioni si presentano rispetto alla necessaria relazione delle specie col tempo.

La prima riguarda le testimonianze della passata esistenza delle forme intermedie, della loro durata e della loro successione.

La seconda concerne 1’ ammontare totale

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CAPO V.

del tempo richiesto per la evoluzione di tutte le forme organiche da alcune poche originali; e i suggerimenti delle altre scienze su questa quistione del tempo.

In quanto alla prima considerazione, le te¬ stimonianze sono finora contrarie alla modifi¬ cazione delle specie mediante la sola elezione naturale, giacche non solo mancano general¬ mente le forme intermedie , ma sono assenti anche nei casi, nei quali a priori potevamo con certezza aspettarci che fossero presenti.

Darwin tenta di mostrare che le varietà intermedie dovevano esistere in minor numero delle forme estreme. Ma ciò non vuol dire che simile fenomeno doveva accadere general¬ mente ed universalmente. La gran maggio¬ ranza dei fatti si dichiara apertamente con¬ traria alle modificazioni minute e graduali. Se il lento trasformismo agì in tutti i casi, è assolutamente incredibile che non si sia con¬ servata almeno una piccolissima parte di avan¬ zi degli stadi intermedii. Il prof. Huxley qualche dubbio esempio di forme transitorie; ma questi esempi possono essere addotti non pur dai darwinisti, ma eziandio da quelli che credono alla teoria dell’ evoluzione brusca.

E poi F affinità genetica dei pochissimi animali citati dall’Huxley è circondata di sup¬ posizioni e non ha nulla di certo. Invece, il nu-

LA LEGGE DEL TEMPO

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mero delle forme rappresentate da moltissimi individui, senza anelli di transizioni, è cosi gran¬ de, che basta rammentarne due o tre. Così, quei rimarchevoli rettili fossili, chiamati ictiosauri e plesiosauri, si estendevano, durante Y epoca secondaria, probabilmente sulla maggior parte del globo. Eppure non si è incontrata nessuna forma transitoria, non ostante la conservazione di una gran quantità d’ individui. Dicasi lo stesso pei cetacei, dei quali non si è trovata una serie di forme transitorie che indichino la linea di discendenza. Per le balene segna¬ tamente dovevamo aspettarci di trovare gli avanzi delle forme intermedie ; ma Y aspetta¬ tiva non è stata meno delusa.

L’ordine dei chelonii cifre un altro esempio di forme estreme senza stadi transitori ; diversamente va la faccenda per il gruppo delle ranocchie, dei rospi, ecc. ecc.

Anche per Y attuale cavallo che si vuole

derivato dall’ ìiipparion, non c’ è una prova

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qualsia di modificazione lenta e graduale. E inutile vuotarsi la testa a forza di sottigliezze e d immaginari anelli di successione. Una vol¬ ta si credeva che i labirintodonti si fossero a poco a poco, coll’ andare del tempo, comple¬ tati ; ma ora si hanno fondati motivi per ri¬ tenere che il labirintodonte dalla molle co¬ lonna vertebrale 1’ archegosauro , era una

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CAPO V.

forma immatura; mentre fra le più antiche forme si sono scoperti labirintodonti con ver¬ tebre completamente sviluppate ( while Laby- rinthodonts witli completely developed verte¬ brale liave been found to exist amongst thè very earliest forms yet discover ed). Altret¬ tanto vale per gli occhi dei trilobiti, le più vecchie forme essendosi trovate così ben for¬ nite, per questo rispetto, come le ultime del gruppo.

Riguardo all’imperfezione dei ricordi geo¬ logici, la è una scusa, come confessò lo stesso prof. Huxley nella sua conferenza sui dino¬ sauri. è possibile negare la probabilità a priori della preservazione di alcune forme intermedie, posto che secondo il darwinismo ogni specie senza eccezione venne fuori esclu¬ sivamente mediante transizioni minute e gra¬ duali.

Ed ora vediamo , col Thomson e collo stesso Mivart, che cosa c’ è da dire sul to¬ tale ammotare del tempo richiesto per la evo¬ luzione organica.

Il signor Guglielmo Thomson ha concluso dalle sue investigazioni (Transactions of thè Geologica l Society of Glasgow voi, III.0) che l’attuale stato di cose sulla terra dura da cento milioni d' anni.

L’ opinione del Thomson non è stata seria-

LA LEGGE DEL TEMPO

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mente combattuta; Darwin osserva che « mol¬ ti degli elementi nel calcolo sono più o meno dubbii ». Il prof. Huxley non tenta di confu¬ tare gli argomenti del Thomson ; ma dice che i fatti possono essere capaci di altre spiegazioni. Il signor Wallace sembra più disposto ad ac¬ cettare gli argomenti del Thomson (Vedi il discorso alla Società Geologica di Londra, 19 febbraio 1869, e il periodico Nature , Voi. I, p. 399, 17 febbraio 1870).

Ecco le tre prove fisiche addotte dal Thom¬ son contro le supposizioni di Darwin :

La prima prova è tratta dalT osservazione delle temperature sotterranee, che vanno cre¬ scendo a misura che si discende. Le leggi della « conduttibilità » calorifica sono oggi abbastanza conosciute, per permettere di affer¬ mare che tutt’ al più cento milioni di anni fa, la terra era ancora rovente alla sua super¬ fìcie.

La seconda prova è dedotta dalla forma della terra, combinata con quest' altra osser¬ vazione accettata dai fìsici, cioè che Y at¬ trito delle maree fa crescere continuamente la lunghezza del giorno (s’ intende del gior¬ no astronomico^, di ventiquatt’ore). Dunque la terra una volta girava più presto d’ ora; e se era assodata all’ epoca che indicano le teorie di Lyell, avrebbe presa una forma mol-

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CAPO Y.

to più stiacciata di quella che noi conosciamo.

La terza prova è ricavata dal tempo, du¬ rante il quale il sole potè fornire alla terra l’irradiazione necessaria alla vita dei vegetali, che servirono di nutrimento agli animali. An¬ che qui è dimostrato che accordare cento milioni di anni è già passare di molto la lunghezza possibile di questo periodo.

Tutte queste deduzioni si rafforzano l’una coll’ altra ; ma una sola sarebbe sufficiente a rovesciare le pretese dei Lyell e dei Darwin : in conclusione, la filosofia naturale ha dimo¬ strato che il maximum della durata passata della vita animale sul nostro globo può essere approssimativamente valutata ad alcune de¬ cine , forse ad una cinquantina di milioni di anni tutt’ al più ; e che i progressi ulteriori della scienza non eleveranno mai questo cal¬ colo ; viceversa , tenderanno a restringerlo sempre più.

Il Murphy assevera (Eabit and intelligence r Voi. I, p. 344) che il tempo non è stato ab¬ bastanza per T evoluzione di tutte le forme organiche, mediante accidentali e minute va¬ riazioni.

Prendiamo ad esempio il semnopithecus nasalis. Secondo lo stesso Darwin, questa for¬ ma poteva essersi « sensibilmente cambiata » nel corso di due o tre secoli. Quindi ci vor-

LA LEGGE DEL TEMPO

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rebbe almeno un migliaio di anni, perchè essa si sviluppasse in una vera e perfetta specie. Calcoliamo dieci mila anni a rappresentare approssimativamente il periodo delle condi¬ zioni costanti , quando non potè compiersi nessun considerevole cambiamento. Ora, se un migliaio di anni può rappresentare il periodo richiesto per Y evoluzione della specie, si do¬ vrebbe accordare dieci volte più per Y evolu¬ zione del genere , giacché le differenze fra i generi sono certamente più che dieci volte maggiori delle differenze fra le specie. Poi bisogna di nuovo interporre un altro periodo di dieci mila anni di relativo riposo. E un periodo dieci volte ancor più grande conviene

concedere per Y evoluzione delle famiglie .

insomma, per farla corta, si è venuto a sapere che si richiederebbe non meno di due mila milioni di anni per la totalità dello sviluppo animale col solo mezzo delle variazioni mi¬ nute, graduali e fortuite.

Da questo calcolo lungo e giusto , per quanto poco divertente , chiarissimamente si ritrae che il tempo geologico non è bastevole per cosiffatto procedimento.

Sin dall’ epoca della formazione siluriana superiore , non solo c’ erano distintamente e chiaramente differenziati i tipi vertebrati, mol¬ luschi e artropodi ; ma in ognuno di questi

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali.

28

CAPO V.

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sottoregni si erano prodotte forme altamente sviluppate. Così, nei vertebrati c’ erano pesci appartenenti non ai più bassi, ma ai più alti gruppi conosciuti , cioè gli elasmobranchi , i ganoidi ed un gruppo ora poveramente rap¬ presentato , ma per il quale lo storione può passare come un tipo, e che per molti impor¬ tanti rispetti rassomiglia agli alti vertebrati. I pesci, nei quali le pinne ventrali sono poste di fronte alle pinne pettorali (cioè pesci giu¬ gulari), sono stati in generale considerati come forme relativamente moderne. Ma il professor Huxley gentilmente informava il Mivart di avere scoperto un pesce giugulare nei depo¬ siti permiani.

Fra gli animali molluschi , ne abbiamo della più alta classe conosciuta, cioè i cefalo¬ podi, o classe delle seppie; e fra gli animali ar* ticolati troviamo trilobiti ed euripteridi che non appartengono ad alcun incipiente gruppo simile ai vermi, ma sono ben differenziati crostacei di forma non bassa.

In tutti questi animali noi abbiamo sistemi nervosi, abbiamo organi, pienamente formati, di circolazione, digestione, escrezione e gene¬ razione , abbiamo occhi complicatamente co¬ struiti ed altri organi di senso; in una parola abbiamo le più elaborate e complete strutture.

Se dunque così piccolo avanzamento si è

LA LEGGE DEL TEMPO

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fatto pei pesci, pei molluschi e per gli artro¬ podi sin dai depositi siluriani superiori, non è esagerazione il considerare che il periodo precedente a quei depositi (durante il quale tutti questi organi si sarebbero secondo la teoria darwiniana lentamente complicati e perfezionati) occupò un tempo almeno cento volte maggiore. Sarà un calcolo moderato raccordare 25,000,000 di anni per il deposito degli strati sottostanti al terreno siluriano superiore. Ora se 1’ evoluzione fatta duran¬ te questo deposito, rappresenta solo una cen¬ tesima parte della somma totale, noi avremo bisogno di due mila e cinquecento milioni di anni per il completo sviluppo dell’ intero regno animale 'sino al presente stato. Ma anche un quarto di questa somma totale ec¬ cederebbe di molto il tempo, che la fìsica e l’astronomia sembrano potere accordare per il compimento dell’ evoluzione.

Finalmente c’ è un’ altra difficoltà ; ed è 1’ assenza di ricchi depositi fossili nei più an¬ tichi strati, fossili che dovrebbero esistere, se gli organismi si fossero formati e svilup¬ pati secondo la teoria darwiniana. Lo stes¬ so Darwin ammette che questa difficoltà « per ora deve rimanere senza spiegazione e può veramente opporsi come un valido argomento contro le vedute » esposte nel suo libro.

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CAPO V.

Dunque abbiamo una meravigliosa (e coi principii darwiniani affatto inesplicabile) assen¬ za di minute forme di transizione. Tutti i più rimarchevoli gruppi pipistrelli, pterodattili, cheioni ani, ictio sauri, anuri, ecc. apparisco¬ no ad un tratto sulla scena. Anche il cavallo, la cui genealogia è probabilmente la meglio con¬ servata, non depone in favore dell’ evoluzione specifica per mezzo di leggerissime e fortuite variazioni ; mentre altre forme, come i labi- rintodonti e i trilobiti, che sembravano offrire un certo cambiamento graduale, per ulteriori investigazioni si è visto che non confermano niente affatto la successione genetica.

Le conclusioni del Mivart, particolarmente per ciò che concerne il tempo geologico, non sono state confutate dai darwinisti.

Nella Nuova Antologia (maggio 1871) T il¬ lustre prof. Mantegazza, parlando dell’ opera di Mivart, si esprime così :

Il Mivart crede che T elezione naturale non possa spiegare gli stadii incipienti delle modificazioni utili alTorganismo ; di’ essa non si accordi colla coesistenza di strutture simili, ma di diversa origine ; che vi sieno molte ra¬ gioni per credere che le differenze specifiche possano svilupparsi improvvisamente , piutto¬ sto che per gradi ; che le specie in gradi di¬ versi hanno però confini ben definiti di muta-

LA LEGGE DEL TEMPO

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bilità ; che alcune forme fossili intermedie per rannodare gli anelli della gran catena dar¬ winiana ci mancano anche nelle circostanze più favorevoli per essere trovate ; che alcuni fatti di distribuzione geografica dei viventi contraddicono la teoria di Darwin ; che sus¬ siste ancora 1* obiezione desunta dalla diffe¬ renza fisiologica fra specie e razze ; che infi¬ ne parecchi fenomeni notevoli osservati nelle forme organiche non sono punto chiariti dal¬ la elezione naturale. Mivart combatte an¬ che la pangenesi , teoria che trova ancora

più oscura dei fatti che vorrebbe spiegare. \

E arditissimo il calcolo fatto per dimostrare quanto tempo occorrerebbe per trasformare un protoplasma in un uomo attraverso tutta la storia geologica del nostro pianeta, desunto dal passaggio conosciuto di qualche specie fossile nella sua figliazione vivente. William Thomson, studiando 1* azione delle maree sul¬ la rotazione della terra , il tempo probabile durante il quale il sole ha illuminato il no¬ stro pianeta e la temperatura dell’ interno del globo , sarebbe venuto a questa conclusione, che la vita dura sulla terra da cento milioni d’anni circa. Ora il Mivart crede che a trasfor¬ mare un’ ascidia o un verme nematoide in un uomo, occorrebbero almeno 2,000,000,000 d'anni, quando a questo fenomeno non co-

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CAPO V.

spirassero che minute, fortuite e intermittenti variazioni in tutte le direzioni possibili. E un calcolo curioso e audace codesto, ma di troppo trascende l’umana congettura e lo stato della scienza moderna , perchè possa sembrarci un serio argomento contro Darwin.

Come commento di quanto scrive il profes¬ sore Mantegazza, io non ho che a fare una domanda: Forse che non è arditissima conget¬ tura la trasformazione dell’ascidia in una scim¬ mia? Forse che lo stato della scienza moderna mena buona una così audace supposizione? In¬ tanto, discorrendo della legge del tempo, conti¬ nuo ad insistere per dimostrare che lo stato della scienza moderna ragione a Mivart e non ai darwinisti.

E certamente vero che le nostre informa¬ zioni sono incompiute ed imperfette. Epperò ognuno è autorizzato a dubitare della giu¬ stezza delle conclusioni. Ma nessuno è auto¬ rizzato a scovare conseguenze che contrad¬ dicono alle osservazioni già fatte. Sinché al¬ tre osservazioni non conducano ad altre con¬ clusioni, ogni naturalista è tenuto a stare a quelle che possono tirarsi dalle osservazioni ormai compiute.

Lasciamo dunque parlare i fatti che in questa quistione sono decisivi, i fatti che si possono osservare nel mondo attuale. Qui

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vediamo - dice il prof. Pfaff una gran quantità di forme del regno animale e vege¬ tale che, per quanto si estende la nostra co¬ noscenza, hanno ritenuto le loro proprietà e i loro contrassegni attraverso le generazioni ; e in modo che le diversità negli individui ancora viventi non sono maggiori delle diver¬ sità fra gli individui più antichi e quelli at¬ tuali, ben’ inteso nella stessa specie.

I nostri alberi da bosco e altre piante, gli animali di rapina (come orsi, volpi, lupi), i caprioli, i rangiferi, ecc. si trovano tali e quali come sono ora, nei più antichi sedimenti che si formarono prima dell’ epoca glaciale.

I darwinisti, invocando milioni e milioni di secoli, rendono il peggiore dei servizi alla teorica che propugnano. Posto che non ci sono prove di sorta per ammettere la probabilità di simili favolosi spazi di tempo, la teorica viene a mettersi in contradizione coi fatti geologici.

Gli avversari se ne appellano alla difficoltà di determinare ciò che sia da unire ad una specie e ciò che sia da riguardare come una specie a sè. Secondo loro, questa mancanza di rigorosi confini mostra che una specie è deri¬ vata da un’altra. Niente affatto. Noi abbiamo la stessa incertezza nell’ assegnare i limiti a molte specie minerali ; troviamo la stessa differenza di vedute presso i diversi minerà-

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CAPO V.

logisti intorno a sapere che cosa sia da unire ad una specie e che cosa formi una specie; ma da ciò nessuno vorrà dedurre che una specie minerale sia derivata da un’ altra.

Già la circostanza che questa incertezza rispetto alla limitazione della specie ha luogo solo in un numero relativamente piccolo delle medesime, mentre secondo la teoria darwi¬ niana, la quale pretende che la natura si oc¬ cupi continuamente della variazione d’ ogni specie si dovrebbe trovare dappertutto, tale circostanza ci mostra che noi qui abbia¬ mo da fare con individuali particolarità di alcune specie, ma non con una legge gene¬ rale che domina la formazione e lo svolgimen¬ to del regno animale.

La variabilità c’ è in natura; ma è diver¬ sissima nelle diverse specie : essere una specie più o meno soggetta alla variabilità appar¬ tiene alle sue proprietà caratteristiche; Y una è più disposta dell’ altra a costituire delle razze; ma per quanto la variabilità vada lungi, re¬ sta sempre entro certi limiti ; e nessuna espe¬ rienza ci autorizza ad ammetterla illimitata.

Guardando allo sviluppo del regno animale colla scorta della geologia, non ci si presenta un quadro, quale dovrebbe essere secondo la teoria darwiniana.

Questo quadro ci mostra che non ha avuto

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luogo il graduale, successivo salire e perfe¬ zionarsi degli animali. Sin nella formazione siluriana si trovano tutti i tipi del regno ani¬ male, anzi anche tutte le classi, ad eccezione di tre. Nessuna delle classi più basse è spa¬ rita ; codeste classi non solo si conservano in tutte le formazioni accanto alle più alte, ma a volte sommano ad un terzo o ad un quarto di tutti gli animali ; esse, atteso il loro nu¬ mero, non appariscono come appena tollerate; ma invece le classi più alte stanno, quanto al numero, molto indietro, come se appunto le classi più alte fossero appena tollerate. E non solo le classi, bensì i singoli generi delle classi basse, come per esempio, dei coralli, dei bra- chiopodi, ecc. s’ incontrano in tutte le forma¬ zioni fino ai nostri tempi.

Negli strati siluriani inferiori e cambriani vediamo contemporaneamente i principali tipi degli animali invertebrati sino alla più alta classe ; e dei vertebrati, i pesci compariscono già nella formazione siluriana superiore.

Dai darwinisti si risponde che codesti non sono i più vecchi strati che contennero ani¬ mali ; che negli strati più antichi c’ erano ani¬ mali disposti come esige la teoria darwiniana ; e che se disgraziatamente non se ne ha più nessuna traccia, ciò va attribuito al metamor¬ fismo, che consumò le pietrificazioni.

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CAPO V.

Questa replica potrebbe passare, se non vi si opponessero due circostanze.

Il metamorfismo delle roccie è un’ ipotesi cattivissima , cioè senza fondamento di sorta. In secondo luogo , non sono le roccie meta¬ morfiche che formano il regolare letto degli strati forniti di pietrificazioni. Le roccie che portano le prime chiare traccie di animali, non sono diverse da quelle che non contengono simili traccie. Le argille schistose , i quarzi che mostrano pietrificazioni ben conservate , non presentano caratteri particolari , se per poco si confrontino colle argille e coi quarzi dove invano si cercano le pietrificazioni. Se avanzi di animali ci fossero stati negli strati più profondi, si sarebbero certamente conser¬ vati e trovati, una volta che codesti avanzi si trovarono negli strati superiori, i quali erano molto più degli strati inferiori soggetti all’ azione meccanica dell’acqua.

Le singole classi e i singoli ordini animali appariscono ad un tratto e non grado grado, per passaggi impercettibili. Per esempio , il gruppo dei cefalopodi apparisce nella forma¬ zione siluriana inferiore ad un tratto , senza precursori, mentre nella formazione cambriana non s’ incontra nessuna traccia di cefalopodi in Boemia, nella Gran Bretagna, in altra località europea. Anche subitaneamente

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appariscono i trilobiti nella prima fauna silu- riana. Nella terza fauna siluriana si trovano i primi pesci ; e appariscono aneli’ essi senza precursori, con tutti i contrassegni caratteri¬ stici di veri pesci e con più di sessanta spe¬ cie. I primi anfìbi appariscono subitaneamente nella formazione carbonifera; nella formazione triassica s’ incontrano le traccie degli uccelli ; e nel trias superiore già si presentano i mam¬ miferi.

La medesima subitanea comparsa di nuove forme ci si offre persino rispetto ai singoli generi. Belt , profondo conoscitore delle più vecchie formazioni dell’ Inghilterra e sosteni¬ tore dichiarato della teoria darwiniana , de¬ scrivendo la comparsa dei trilobiti, dopo aver constatato il grande e subitaneo cambiamento nel gruppo dei tremadori , rispetto ai nuovi generi di trilobiti che immediatamente appa¬ riscono, si esprime in questi termini : « Essi appariscono come un invadente nemico, e le poche specie di olenidi e di agnostidi che già vi si trovavano, sono cacciate dai nuovi ve¬ nuti. »

Osservando una classe più alta, per esem¬ pio, i sauri del trias e del terreno giurassico, troviamo una rapida sequela di generi ed ordi¬ ni affatto diversi. I sauri marini cominciano nel terreno triassico ; ma nessuno dei generi

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CAPO V.

di cosiffatti animali si riscontra nel terreno giurassico, mentre nel lias si vedono sauri marini e terrestri, diversi V uno dall’ altro e diversi da quelli del trias; e vi si vedono al¬ tresì i pterodattili , che formano un ordine a sè. Negli stessi strati si trovano i tanto differenti teleosauri vicino all’ittiosauro. Quan¬ tunque poi il trias e il giura inferiore siano ricchi di sauri , non offrono nulla che abbia somiglianza coi teleosauri.

E non solo la brusca comparsa, ma anche la subitanea scomparsa d’ interi generi ed or- dini non si accorda colla teoria darwiniana E stata constatata la subitanea scomparsa di specie, che spesso sono straordinariamente ricche di razze; e tanto meno si spiega, in quanto che le specie, loro parenti e povere di razze, si conservano attraverso tutte le for¬ mazioni. Così il gruppo degli ammoniti, ricco di specie, è limitato alle formazioni meso¬ zoiche , e scomparisce all’ intutto nel terre¬ no cretaceo ; mentre il gruppo dei nauti- li , povero di specie, si riscontra in tutte le formazioni e anche oggidì ha un rappre sentante nei nostri mari. Parimenti i belem- niti compariscono bruscamente nel giura e , come gli ammoniti, scompariscono nel terreno cretaceo.

Fra le mesozoiche, la formazione giurassica

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è una delle più profondamente esaminate , e intorno ad essa abbiamo due eccellenti mono¬ grafie di Quenstedt e di Oppel. Per la sola parte inferiore , per il così detto lias , Oppel distinse quindici zone, ognuna delle quali con¬ tiene un gran numero di pietrificazioni , che appaiono bruscamente e bruscamente spari¬ scono. Vi si scorge una grandissima ricchez¬ za di forme, ma in nessun luogo una serie di forme che variano lentamente.

La teoria darwiniana esige ininterrotte serie di passaggi, che dai più profondi conti¬ nuino ai più , alti strati , e in modo che le forme più giovani si lascino riconoscere deri¬ vate dalle forme più vecchie. Ora ognuno può giudicare che la cosa non va così , ove per poco esamini nuli’ altro che una sola for¬ mazione ed anche una sola parte della stessa. Secondo le memorie di Quenstedt e di Oppel, la media della durata d’ ogni formazione si cal¬ cola, approssimativamente, un milione di anni. La formazione del giura, atteso la sua minore potenza , dev’ essere durata meno. Tuttavia , supponghiamo anche per essa la durata d’ un milione d’ anni. Il lias prende circa un quarto dell’ intera potenza; così che il tempo richiesto per la sua formazione possiamo valutarlo circa duecento cinquanta mila anni. Stando ad Oppel, abbiamo in esso lias quindici diverse zone ,

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CAPO V.

ognuna con molti diversi animali ; ma non vi si osserva che gli animali i quali si trovano negli strati più bassi , vadano , per graduali trasmutazioni , negli strati superiori ; eppure ciò dovrebbe verificarsi , se gli animali degli strati inferiori s’ hanno a riguardare come genitori degli animali che dimorano più in alto. Inoltre , giusta 1’ accennato calcolo , la durata media d’ ogni zona del lias non ascende che a sedici mila seicentosessantasei anni ; e questo tempo sarebbe assolutamente insuffi¬ ciente per i mutamenti delle faune che s’ in¬ contrano nelle zone del lias.

Se poi i darwinisti vogliono supporre dura¬ te di tempo molto più lunghe, riescono sempre a conclusioni che contrastano coi fatti. Biso¬ gnerebbe spiegare perchè in così lunghi perio¬ di di tempo si sieno formate tanto poche se¬ zioni. E d’altro conto sarebbe incomprensibile la straordinaria sproporzione fra la quantità degli organismi e il materiale contenuto nelle sezioni.

Quanto più lentamente e scarsamente noi ci figuriamo deposto il materiale, tanto mag¬ giore dovrebbe essere la quantità degli orga¬ nismi compresi in ogni strato. Mettiamo che per la formazione di un solo strato calcareo della potenza di un piede sieno stati necessari cento mila anni, in questo caso le innumere-

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voli generazioni di animali marini si sarebbero dovute accalcare in quantità veramente enormi, ed avremmo dovuto trovare pietrificazioni in massa, fìtte, pigiate, ammonticchiate. Or poi¬ ché tutti gli abitanti del mare forniti di gusci, brachiopodi, conchiglie, lumache, cefalopodi, sono perfettamente adatti alla conservazione delle pietrificazioni, e il materiale, del quale si compone il lias sopratutto argilla e marna contribuisce a conservare le pietri¬ ficazioni, è affatto impossibile ammettere che la maggior parte di questi animali marini siano spariti senza lasciar traccie e che soltanto pochi se ne siano accidentalmente conservati.

Dacché il darwinismo nacque e si diffuse, i suoi sostenitori cercano i punti intermedi o forme di transizione. Ed è ben noto che quando si cerca con troppo zelo , facilmente si trova o si crede di trovare. Ma che la cir¬ cospezione e la diffidenza prima di squattrinar sentenze stiano sempre bene in queste faccende, lo mostra 1’ esempio delle tanto straordinaria¬ mente diverse varietà delle forme carinifex e planorbis, varietà che Ililgendorff, e altri dopo di lui, menzionano come un importante appoggio della teoria darwiniana. Invece, uno dei più profondi conoscitori dei molluschi pie¬ trificati, Fr. Sandberger, ha costatato che tutte queste diverse varietà si trovano in tutti gli

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strati. « In nessun banco dice lui trovai una sola varietà, ma in ogni banco tutte assie¬ me. » (In keìner Bank traf idi eine Varietclt , sondern in jeder alle zusammen). Del pari costantemente si trovano in ogni banco i due genuini planorbi zictenii e costatus ; e si trova¬ no non già con traccie di passaggio tra di loro o col carinifex multiformis, ma in serie ugual¬ mente ricche di varietà, come avviene per lo stesso carinifex multiformis (Ebenso Constant fìndcn sich in jeder Bank die zwei àchte Pia - norben P. zictenii und costatus und zwar sowohl oline Uebergànge unter einander als zu carinifex multiformis , aber in ebenso reidien Vari etàte n -Peihen, wie sie letzere selbst bietet. V. F. Sandberger. Die Steinhei- mer Planorbiden. Vedi. Wiirzb . Med-physik. Ges. 1873. Jahrb. d. deutschen Malakozool. Ges. I, 1. p. 54).

I pochissimi fatti particolari che si allegano in contrario, non autorizzano Filiazione di leggi generali per la formazione di tutte le razze. D’ altronde nemmeno per pochissime razze si è potuto provare il successivo, temporanea¬ mente diverso e lento aumento di certe varia¬ zioni sino alla formazione di nuovi prodotti.

Quando fra individui di due specie o classi, per esempio, fra un sauro e un uccello si trova una forma che ha alcune qualità comuni

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coi sauri ed altre cogli uccelli, questa forma, se si vuole, la si può chiamare forma di pas¬ saggio; ma si può forse dedurre che gli uccelli, per lenti passaggi, si sieno sviluppati dai sauri ? E nondimeno esempi di tal sorta si tirano fuori per provare la giustezza della teoria darwiniana ! Se non che , persino in questo caso, ciò che si presenta come favorevole ad essa teoria, riesce ad un effetto tutto opposto. Una delle più interessanti famiglie dei sauri sono i dinosauri, ai quali appartiene 1’ iguci- nodon. Cosiffatti animali riuniscono in i contrassegni di lucertole , coccodrilli , uccelli e mammiferi , e si dividono in parecchi ge¬ neri straordinariamente diversi l’uno dall’al¬ tro. Ebbene , se si vuole vedere in essi i progenitori degli uccelli e dei mammiferi, si dovrebbe almeno provare che queste due clas¬ si si presentarono più tardi , molto più tardi. Ma viceversa già nel heuper si trovano uc¬ celli e mammiferi belli e compiuti. Dunque non è possibile che sieno derivati dai dinosauri.

Ed ecco che le forme riguardate da certi darwinisti come forme intermedie, finiscono col dichiararsi contro il darwinismo.

Se , dando retta a Darwin , la lotta per 1’esistenza determina l’organizzazione più alta, e per mezzo della stessa lotta le forme inter¬ medie furono cacciate da quelle più alte , la

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 29

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CAPO Y.

continuazione dell’ esistenza di forme inter¬ medie, dopoché si presentarono gli animali di alta organizzazione , è evidentemente una prova contro la teoria darwiniana. Stando alla teorica del filosofo inglese, non si possono ammettere animali che si conservarono tra¬ verso la formazione cretacea con caratteri di sauri, di uccelli e di mammiferi, mentre nel keuper si erano già presentati veri uccelli e veri mammiferi . No, Y esistenza degli esseri intermedii prolungata per secoli e secoli non è conciliabile còl darwinismo.

Cotta nel suo libro Geologie des Gegenwart proclama che 1’ archaeopterix è una forma di passaggio della più alta importanza e un’ in¬ teressantissima testimonianza in favore del trasformismo. Il Cotta si scalda senza moti¬ vo. Neppure 1’ archaepterix passa attraverso la lenta trasformazione darwiniana. Come mai quest’ animale può prendersi per forma inter¬ media fra sauri ed uccelli nel giura superiore, mentre nel keuper , cioè, secondo i conti dei darwinisti, centinaia di milioni d’anni pri¬ ma c erano uccelli ed anche mammiferi ? Dal punto di vista darwiniano, Y archaeopterix è un anacronismo ; poteva giovare al darwi¬ nismo a principio del trias; ma qui viene as¬ solutamente troppo tardi.

Per chi vuole giudicare i fatti senza pre-

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concetti e senza sistemi ideali , bastano un paio di esempi a provare che, nella grandis¬ sima maggioranza dei casi, è impossibile am¬ mettere una nuova formazione di singoli or¬ gani che si compia lentissimamente, mediante piccole ed insignificanti variazioni. Quando, per esempio, paragoniamo gli anfibi del lzeu- per e del giura, noi troviamo, fra tante altre, un’ enorme differenza nel numero delle verte¬ bre del collo. Nessuno vorrà sostenere che da un sauro con sette vertebre al collo sia poco a poco venuto fuori un plesiosauro con trenta vertebre. Qui è giuocoforza ammettere un bru¬ sco sviluppo : la somma delle variazioni infi¬ nitamente piccole e lo sviluppo impercettibil¬ mente graduale, di certo non ci entrano per niente.

Da questo esempio si possono arguire la probabilità, la verisimiglianza e la solidità della pretesa teoria delle somme infinitesimali, che fanno nascere le nuove specie.

Àd eguali assurdità porta codesta ipotesi, quando la si estende alla formazione di deter¬ minati organi, verbigrazia, agli occhi, all’organo dell’ udito , alle glandole mammillari. Come mai un occhio dopo centinaia e centinaia di generazioni si è finalmente ridotto al punto di vedere? Per rispondere, i darwinisti ci fanno osservare gli occhi imperfetti dei bassi anima-

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li e quelli più perfetti degli animali più eleva¬ ti. Ma anche in questo caso il gioco vien fatto dal doppio senso della parola « perfetto ». No, non si tratta di sapere se gli animali più elevati abbiano occhi migliori ; ma si tratta di sapere se occhi che prima non vedevano , a poco a poco sieno diventati occhi che veg¬ gono. Dove sono occhi , anche negli animali bassi, sono occhi atti a vedere , e in questo senso sono « compiuti organi di vista. » Essi si presentano bruscamente; e niente dice che una variazione in un individuo si sia, un po'alla volta, nei lontani discendenti finalmente svi¬ luppata in un organo di vista.

Diamo la parola ad un geologo, che si è dichiarato partigiano del principio di elezione secondo il sistema darwiniano: « Lo sviluppo brusco mal si concilia colla teoria di Darwin, secondo la quale tutte le specie sono venute fuori mercè una lenta ed impercettibile quanto incessante trasformazione. Ma al contrario ge¬ neralmente in una zona geologica noi non osserviamo la più piccola variazione , anche quando la zona presenta, per la potenza dei suoi strati, un’epoca importantissima. (Wir be- merken im Gegentlieil innerhalb eines geoio - gischen Horizontes, selbst loenn derselbe nach der Màclitigheit seiner Schichten einen selir bedeutenden Zeitabsclinitt dcirstellt , in der

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Regel niclit die geringste Verànderung). Nei più bassi e più alti strati noi incontriamo le stes¬ se forme, sinché finalmente, tutt’in una volta, una parte delle specie presenti sparisce, mentre un altra parte è scacciata da altre specie, che esteriormente vi si avvicinano. Tutto ciò ci por¬ ta alla convinzione che anche nel tempo preisto¬ rico il processo di trasformazione si verificava solo periodicamente ed in un termine relativa¬ mente breve; e che fra questi periodi di forma¬ zione ci sono lunghe pause, nelle quali le specie piuttosto invariate persistevano in determinate forme. » (Alles dies fuhrt uns zur Ueberzeu- gungj dass auch in vorhis torischer Zeit der Umwandlungsprocess nur periodisi! und in ■verhaltnissmàssig kurzer Frist erfolgte und dass zwischen diesen TJwprdgungsperioden lange Pausen liegen in vjelclien die Arten ziemlich unverànderl in bestimmten Formen verharrten).

Della stessissima maniera, uno dei primi geologi dell’Austria, von Haner, il quale sta nel campo di Darwin, riconosce questi bruschi tagli, mentre egli, per esempio a proposito delle formazioni terziarie in rapporto alle cretacee dalle quali ultime nessuna specie passa alle prime , dice così ; « Qui si trova un con¬ fine di prinT ordine, che indica una subitanea •e totale trasmutazione della flora e della fau-

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na. » (Fs findet sich hier eine Scheidegrenze erstes Ranges , welche eine plòtzliche und gdnzliche Umdnderung dei ' Flora und Fauna bezeiclmet).

Lesquereux, il più autorevole conoscitore della flora fossile dell’ America settentrionale, il quale nel 1874 descrisse in una memoria la flora del terreno cretaceo di quel paese , scrive : « Un' occhiata alla lista delle pian¬ te della formazione cretacea basta per mo¬ strare 1’ enorme differenza, che divide questa flora da quella che precede. » (Fin Blick auf das Verzeichniss der Pflanzen der kreide- forrnation genugt uni den ungeheuren Un - terschied zu zeigen der diese Flora von jeder vorhergegangenen trennt).

Questi sono fatti che cantano chiaro. I commenti ci sarebbero per un di più. Tocca ai lettori il giudicare se non sia vero che la teoria di Darwin sta nella più decisiva con¬ traddizione coi fatti geologici.

Le condizioni esteriori influiscono in mag¬ gior o minor grado sulla vita delle piante e degli animali. Queste condizioni potevano be¬ nissimo variare nel corso dei tempi. Ma si è troppo inclinati ad attribuire i cambiamenti- nel regno vegetale ed animale alle varia¬ zioni della natura inorganica : si parla troppo* facilmente e troppo superficialmente delle mu

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tate condizioni di vita come sufficiente fonda¬ mento delle nuove organizzazioni. In sostanza poi neppure per pochi casi si può provare la real¬ di tali mutamenti nelle condizioni di vita. Difficilmente si potrebbe provare una differenza nelle condizioni di vita, per esempio, fra il silu¬ riano e il devoniano o fra il cretaceo e il ter¬ ziario; mentre nei primi due terreni appena un decimo per cento e, negli ultimi due, nemmeno una specie è comune ad entrambi. E se una differenza si potesse provare, sarebbe un1 in¬ fluenza locale, passeggierà, che può levar la vita, ma non darla.

Gli improvvisi ‘sollevamenti, le eruzioni sottomarine, le violente ed estese eruzioni di gas, i casi producenti sulla terra brusche va¬ riazioni, possono avere avuto luogo e distrut¬ to una gran quantità di esseri viventi ; ma non ci è lecito ammettere che la loro azione si sia estesa su tutta la terra, e particolarmente non siamo autorizzati ad attribuir loro una forza creatrice. È del pari inammissibile il porre sul conto di siffatti avvenimenti una così straor¬ dinaria combinazione di rapporti climatologici, da spiegare la necessità dell’ origine di nuove specie.

Del resto, l’ intera organizzazione di tutte le formazioni sino alla terziaria ci mostra che su tutta la terra sia prevalso un clima eguale

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press’ a poco; e che in nessun caso da una formazione all’ altra ci sieno stati importanti e repentini mutamenti di clima ; ma intanto sappiamo che nella fauna e nella flora avven¬ nero tali improvvisi cambiamenti. Già il fatto che coralli, echinodermi, brachiopodi, gaste¬ ropodi, acefali, cefalopodi, molti generi dei tempi più antichi continuano sino ai nostri tempi, questo fatto ci vieta di ammettere un così essenziale cambiamento delle esterne condizioni di vita. Però un cambiamento di questa sorta si dovrebbe ammettere, qualora le trasmutazioni nei regni vegetale ed ani¬ male si volessero attribuire ad influssi esterni.

La perfetta rassomiglianza, anzi la com¬ pleta eguaglianza di un buon numero di specie dell’ epoca terziaria con quelle della creazione attuale, non che 1’ ammirabile accordo nei rapporti generali dell’ organizzazione durante il corso di tutti i periodi rendono dice il Prof. Giebel inaccettabile la teoria del darwinismo.

Le spiegazioni che si sono presentate per chiarire i complicatissimi fenomeni, dei quali qui si discorre, non tolgono e nemmeno di¬ minuiscono la difficoltà, ma ne suscitano delle nuove.

Poiché le forme basse e quelle alte come sono esistite nei diversi periodi della storia

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della terra, non accennano, tampoco dalla lontana, alla pretesa grande catena delle suc¬ cessive trasmutazioni, si dovrebbe supporre un numero di processi di sviluppo quantunque analoghi, pur nondimeno diversi e che agiscono indipendentemente 1’ uno dall’altro. Ma allora si andrebbe alla così detta autogonia delle specie, per la quale i darwinisti sentono un vero orrore. E per questa parte hanno ragio¬ ne da vendere. Se non che, tenendosi fedeli alla teorica della elezione naturale e volendo sottostare alle regole della logica, vanno a dar la testa contro le testimonianze della geo¬ logia e della paleontologia.

Ammettendo, giusta la teorica della elezio¬ ne naturale, un principio che spinge verso la perfezione, tale principio doveva rivelarsi in un costante, continuo, rettilineo progresso ; in altri termini, dovevano prima venire le piante e gli animali inferiori per fare successivamen¬ te posto a forme più alte; cosicché in ogni periodo esistesse soltanto un certo grado di perfezione, non essendo venute a piena matu¬ rità le forme più alte succedute a quelle spa¬ rite, cioè a quelle più basse.

Invece, lo sviluppo effettivo e reale ci mo¬ stra notava Wigand una vicenda di pro¬ gressi, di fermate e di regressi colla maggior possibile libertà e versatilità, secondo l’indole

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CAPO Y.

e la disposizione degli organismi. Troviamo che le alghe vengono prima delle felci, e queste prima delle monocotiledoni, le mono- cotiledoni prima delle apetali, le apetali prima delle polipetali, i pesci prima dei rettili, e que¬ sti prima degli uccelli e dei mammiferi. Ma troviamo altresì che nei più vecchi strati esi¬ stevano contemporaneamente vicine T una al- h altra tutte le forme principali del regno vegetale ed animale dalle più basse alle più alte. Troviamo pure che alcuni gruppi rela¬ tivamente più perfetti vengono prima degli imperfetti, per esempio, le felci prima dei muschi; e fra gli animali molli, i cefalopodi prima delle conchiglie e delle lumache; men¬ tre poi se paragoniamo, per esempio, le felci e i rettili delle epoche passate colle felci e i rettili d’ oggigiorno, non abbiamo a consta¬ tare il menomo progresso.

Secondo la logica della teorica darwiniana, di un certo gruppo dovevano prima mostrarsi alcuni rappresentanti per differenziarsi e per¬ fezionarsi coll’ andare del tempo. Ma al con¬ trario spesso appare un tipo, verbigrazia la felce, nella pienezza delle forme per andare gradatamente in decadenza. Giusta il rigoroso sistema di Darwin, una forma che s’ incontra in uno o più periodi geologici, doveva conti¬ nuare senza interruzione da un periodo in un

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altro ; in realtà però ci sono molti gruppi di forme e molti generi che esistettero in questo o quel periodo; e che, dopo essere spariti in uno o parecchi periodi intermedii, quando meno si aspettava, appariscono nuovamente.

Tutto questo, non c’è dubbio, guasta, anzi spietatamente annulla tutti i rosei calcoli del- T elezione naturale e dell’ ipotesi darwiniana.

Il signor I. W. Spengel è, come ho detto, uno dei darwinisti più zelanti e laboriosi che vivono in Germania. Eppure nel citato suo libro Die Fortschritte des Darwinismus (Colo¬ nia e Lipsia 1874) riporta una tavola di Gio- vacchino Barrande, dalla quale a prima vista risalta V enorme contraddizione fra il sistema darwiniano e i fatti.

La tavola è questa:

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Contro questa tavola (Y. Supplemento al volume primo dell’opera elei Barrande Système silurien du centre de la Bohème. V. anche Archives de Zoologie gènèrale et expèrimen- talej Voi. I. p. XXYI - Épreuves des théo- ries paléontologiques par la rèalité) il signor Spengel non ha niente , niente affatto da dire; e mogio mogio, come mortificato dalla scon¬ fìtta, passa a parlare di altre materie attenen¬ ti al darwinismo.

E inutile arrampicarsi agli specchi di una conciliazione fra 1* idea darwiniana e la geo¬ logia. I darwinisti possono appiccicare alla geologia tutte le frangi e possibili e impossi¬ bili, ma è tempo perso. Avranno un bel tirare e stirare « i fatti negativi » o limarli e rosic¬ chiarli e abburattarli, in fin dei conti soltanto i fatti positivi « obbligano; » e di buono o cattivo garbo bisogna rassegnarsi a veder ca¬ pitombolare il sullodato sistema.

È certo che gli organismi hanno lasciato traccie a volte così profonde, che il geologo consulta questi vestigi col medesimo profitto che lo storico può trarre dall’ esame dei mo¬ numenti elevati dalle nazioni sparite e delle quali vuole scrivere la storia.

Infatti scrive Rimbaud la geolo¬ gia è alla storia della formazione del mondo ciò che l’archeologia è alla storia della civiltà

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capo v.

elei popoli. Se quest’ ultima ci mette in grado di apprezzare il grado di cultura delle società umane che hanno preceduto la nostra, la geo¬ logia ci inizia al segreto delle vicende del globo nei tempi in cui 1* uomo incivilito non esisteva ancora.

Ciò che si rileva perentoriamente dagli studi geologici e ciò che a bella prima col¬ pisce 1’ attenzione del botanico e del zoologo, intenti alla ricerca dell’ origine delle specie vegetali ed animali, si è l’assenza, non già di una certa aria di famiglia, bensì di legame ereditario, di parentela immediata, in un gran numero dei generi. E ciò che non manca di destare l’attenzione dello studioso, si è anche la sparizione completa o il rimpiccolimento di tipi caratterizzati, alla loro origine , per una grande ampiezza di forme. Ciò che il bo¬ tanico e il zoologo veggono altresì, con un col¬ po d’occhio su i principali avanzi raccolti in ognuno degli strati della terra, gli è che in generale ogni periodo cosmico ha avuto la sua vegetazione speciale e la sua forma propria.

La paleontologia è lungi dal lasciar pen¬ sare che la stabilità osservata oggi non sia la continuazione di una regola vigente fin dall’ origine degli esseri viventi, regola d’or¬ dine e di armonia, regola per la quale questi esseri sono appropriati al loro scopo.

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Ma se tale è il carattere dei fatti che hanno lasciato le loro impronte nelle sovrapposizioni geologiche, donde si possono fare uscire gli organismi sempre variati ed elevati così fìsica- mente come moralmente ?

L’effetto c’è ed è evidente, ma la causa non s’intravvede nemmeno colle ipotesi dei trasfor¬ misti. D’ altronde, V effetto in parola ha cer¬ tamente delle norme e queste norme vana¬ mente si cercano in un progresso ideale della materia organica , al quale progresso corri¬ sponderebbe un’ elezione dell’ essenza vitale. Simile ipotesi non regge, perchè noi vediamo L invariabilità persistente di tale essenza vi¬ tale, nonostante la variabilità delle apparenze esteriori, sotto le quali attraversa le diverse epoche; e vediamo la confusione , allo stesso livello geologico, di avanzi fossili rappresen¬ tanti classi o generi di vegetali e di animali così distinti fra di loro, che basta constatare la loro contemporaneità per porre da parte , in ciò che li concerne , ogni sospetto di tra¬ smutazione.

L’ enormità della differenza che c’ è fra le forme primitive della vita e quelle che vi si aggiungono , senza transizione apparente , avanti la fine del primo periodo geologico , fa pensare che le forme progredirono in vir¬ delle proprietà intime , inerenti agli or-

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CAPO V.

gallismi , e non per via di una filiazione continua , necessaria, obbligatoria e insieme intermittente, casuale, arbitraria.

L’ acqua, è vero , fu a principio la sede della vita, ma non si ha alcuna ragione plau¬ sibile per supporre che il suolo non abbia avuto anch’esso i suoi principii vivificanti, e che gli organismi creati « dall’esistenza aquatica » si sieno in seguito modificati per adattarsi alla vita terrestre. Niente, nelle indicazioni paleon¬ tologiche che si riferiscono all’ epoca in cui la terra cominciò ad avere i suoi abitanti , c' induce ad ammettere che la popolazione dei continenti abbia avuto le sue origini nel mare.

Prendendo a guida le somigli anze comuni a tutte le divisioni del regno organico, profit¬ tando dell’ oscurità, sotto la quale si nasconde la cronologia delle specie aquatiche e delle specie rettili, è facile imbastirci su una teorica di trasformismo genetico. Ma la teorica va giù, quando uscendo dalle tenebre della prima e della seconda epoca , si studiano i terreni dove i passi della vita sono impressi più profondamente e circondati di maggior chia¬ rezza. Imprima, il tempo relativamente corto che passò tra la sparizione dei grandi rettili e la comparsa dei grandi mammiferi , non permette l'ipotesi che questi derivino da quel-

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li. Il abbondanza poi dei fossili, a comincia¬ re dal devoniano, è tale, che l’ipotesi della trasmutazione delle forme implica la neces¬ sità di trovare nello stesso tempo gli avan¬ zi delle specie modificate e gli avanzi delle specie in via di mutazione. Ma nulla avviene di ciò ; e d’ altro canto i paleontologi che se ne intendono, affermano che nel regno vege¬ tale le dicotiledoni precedettero le monocoti¬ ledoni.

In ogni modo, non è il caso di spiegare i cambiamenti di struttura , immaginando una lunga serie di trasmutazioni individuali , che, continuando attraverso le età del mondo , avrebbero sviluppato, variato e perfezionato , al fìsico ed al morale, i rudimenti delle for¬ me primiere. No, non si può ammettere che la natura se ne sia rimessa ai cambiamenti accidentali, ai casuali miglioramenti, al for¬ tuito esercizio o riposo o regresso degli or¬ gani dell’ individuo.

Se dicono i darwinisti nei fatti os¬ servati , il principio f della vita non sembra seguire il movimento della materia , gli è perchè il tempo e gli ambienti, 3’ abitudine e 1’ eredità agiscono così lentamente , che alla natura occorrono centinaia, migliaia di secoli per compiere la trasmutazione di una specie in un’ altra.

Di Bernardo. Il Darwinismo e. le specie animali. 30

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Ma quando , per cambiare 1’ aspetto della forma, basta un accidente sopravvenuto all’em- brione o al germe , basta un accrescimento preparato artificialmente o cagionato dal caso, non è logico pretendere che per compiersi il passaggio da una forma ad un’ altra debbano trascorrere migliaia di secoli.

I darwinisti farebbero meglio, se non toc¬ cassero punto poco questa quistione della lunghezza del tempo.

La paleontologia, cogli avanzi di un gran numero di specie che hanno attraversato so¬ lamente uno o due periodi, ci mostra gli avan¬ zi di un numero ancora più grande di specie, che , contemporanee o anteriori alle prime , sono arrivate sino a noi. Frattanto fra queste e quelle non vediamo alcun rapporto genea¬ logico, alcuna traccia di quel preteso sistema di t rasformazioni , che le avrebbe sostituite le une alle altre. Da un lato vediamo delle forme che sono sparite per sempre, e dall’al¬ tro, delle forme che variano superficialmente per l’effetto della generazione e delle influen¬ ze climatologiche, senza allontanarsi mai dal tipo specifico.

Da chi e quando si trovarono i rapporti genealogici che rannoderebbero la popola¬ zione palustre della seconda età alla popola¬ zione marina della prima? Come si fa a riag-

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giustare, genealogicamente , i tronchi diver¬ genti di una sola delle famiglie zoologiche ? La geologia c’insegna qualmente ogni strato che si aggiunge al suolo per la lenta azione del tempo , o per il fatto di un’ evoluzione su¬ bitanea, è veramente un nuovo strato e non la trasformazione dello strato che F ha pre¬ ceduto.

Soltanto gli occhi dei darwinisti veggono dappertutto traccie di trasformazione, mentre la geologia, aiutandosi colla fisica , colla chi¬ mica, colla biologia e colla storia naturale, ci mostra: primo, che la differenza di formazione minerale, la quale accentua ogni fase dell’evo- luzio ne del suolo, non è un fenomeno trasfor¬ matore nel senso che la scuola darwiniana a questa parola; secondo, che i rudimenti di vita apparsi nei terreni primitivi si sono ritrovati, più sparsi , nei terreni susseguenti ; terzo , che gli esseri sempre più complessi , venuti in seguito, si sono egualmente propagati attraverso le epoche del mondo, senza che la propagazione di una classe superiore abbia cagionata la sparizione della classe inferiore; quarto, che certe specie si sono spente senza che prima dopo di esse ci sieno traccie di trasformazione.

Prima di deciderci a riconoscere che una specie provenga da un’altra, ai darwinisti cor-

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CAPO V.

re obbligo d* indicarci il punto di concatena¬ mento della specie trasformante colla specie trasformata.

La prova che noi chiediamo dovrebbe for¬ nirsi facilmente, se fosse esatto che 1’ ultima variazione organica ebbe la fortuna di soprav¬ vivere a quella che la precedette. Intanto vana¬ mente si cerca il legame immediato che ranno¬ derebbe, per esempio, Vequus all hipparion, il bove al bos primigenius , e via discorrendo.

Può darsi che il paleotherium, Yanchite - rium , h hipparion e Y equus sieno cugini venuti a distanza gli uni dagli altri ; che lo elef ante dell’ Asia, 1’ elefante dell’ Africa, il mastodonte e il dinotheriuni sieno membri collaterali di una medesima famiglia ; che lo stesso valga per il bove, il bufalo, Yaarochs , il bisonte., il trogontherium ; che le scimmie antropomorfe dei nostri giorni sieno parenti germani dei loro pari delle età passate. Ma ciò che non ci persuade, si è che il trasfor¬ mismo possa ammettere logicamente la spari¬ zione degli uLimi discendenti di un medesimo tipo, quando i loro antenati non sono ancora scomparsi. L’ antenato e l’ultimo termine del¬ la sua linea non possono attraversare insieme i periodi geologici senza mettere in pericolo il principio dell’ adattamento darwiniano fra gli ambienti e le variazioni organiche.

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E poi, forse che la comunanza di caratteri 'fra i generi che per la loro rassomiglianza morfologica e per la conformità elei loro co¬ stumi compongono una medesima famiglia ani¬ male , impliche rebbe a priori non diremo la necessità, ma solamente la possibilità di una scala di trasformazioni che avrebbero agito, successivamente, su tutta 1’ estensione della catena organica dall’essere più semplice a quello più complicato?

E poi ancora non è all’ intutto strano il venire a dirci che gli effetti della trasfor¬ mazione della specie non sono visibili nei regni vegetale ed animale, mentre gli effetti della variazione delle razze sono dovunque frequenti e manifesti ? Perchè si nascondono nella lentezza del tempo? Ognun vedrebbe il movimento circoscritto , ma invece il movi¬ mento generale sfuggirebbe agli occhi di tutti!

Se il principio della fissità dei tipi non lascia sorprendere il segreto dell’ origine de¬ gli esseri viventi, per lo meno ha, di fronte al principio de 11’ elezione naturale, il gran vantaggio di andar d’ accordo coi fatti non pure dell’epoca attuale, ma eziandio di quelle passate.

Certamente le forme non resterebbero tan¬ to tempo stazionarie, se fosse vero che una tendenza alla deviazione trascinasse le specie

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CAPO Y.

a derivare le une dalle altre. 0 il movimento di trasformazione non esiste o, se esiste, deve mostrarsi secondo Y attività degli agenti che lo provocano. La miscèa delle razze e dei temperamenti mercè la generazione, ha effet¬ ti così rapidi nella natura dominata, da non essere ammissibile che agisca lentissimamente, impercettibilmente nella natura libera ; e poi¬ ché alcune generazioni bastano all’ elezione artificiale per modificare più o meno la forma di un vegetale o di un animale, non si può supporre che le conseguenze della elezione naturale si facciano attendere o passino non viste per centinaia e migliaia di secoli. Se fosse vero che la specie cambiasse, dovremmo vederne variare i contrassegni morali nello stesso tempo e nella stessa proporzione che i contrassegni fisici.

Mentre 1’ uomo storico si è così profonda¬ mente trasformato, nel morale, che sembra non avere che una somiglianza fìsica coll'uo¬ mo preistorico, a che si parla della necessità di rimontare più in su di lui per cercare se sia vero che Y elezione natu rale e la tenden¬ za alla deviazione abbiano disposto di un periodo di tempo bastevole alla manifestazione dei loro effetti ?

La paleontologia ricusa di fornire le prove che le si domandano in nome del darwinis-

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ino, d'indicare, non fosse che una volta sola¬ mente , il protogenere e il postgenere. Essa presenta la statura gigantesca o la bizzarria di certe specie o di certi generi di animali che non esistono più; ma non ne indica gli ascendenti approssimativi , i discendenti diretti. Per esempio , essa non dice e non lascia presumere quali siano state la origine e la linea derivativa dei grandi sauri estin¬ ti sin dalla terza epoca , delle ricche tartarughe dallo scudo due o tre volte più grande di quello delle più grosse tartarughe attuali, del pterodattilo, enorme dragone volante di una struttura simile a quella del pipistrello, del megalonix , sorta di tardi¬ grado, il cui volume sorpassa quello del bove, del megatherium, pachiderme coperto di una corazza di scaglie cornute, àoWepior- niSj uccello fenomenale, il cui uovo non con¬ teneva meno di otto litri, del pesante e po¬ tente dinotìierium, di quelle salamandre che misuravano due metri, del cavallo tridat¬ tilo, col quale il nostro solipede non ha che una lontana rassomiglianza quanto alla forma, di quei tapiri, al cui confronto il tapiro ame¬ ricano è una piccola bestia, del mylodon ro- bustuSj, del syvatlieriunij di quegli ele¬ fanti che portavano la loro testa a sei o sette metri di altezza, di quei gatti grandi come le

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CAPO V.

tigri, del leone e dell’orso delle caverne, di quei cervi che portavano sulla loro testa co¬ me degli alberi, infine di tanti altri strani esemplari del regno animale, durante le età passate del pianeta abitato.

La paleontologia confronta le forme spa¬ rite con quelle che sono restate o venute dopo le primiere; ma non c’insegna come lo ambiente e 1’ elezione naturale unita all’ere¬ dità abbiano potuto ora distruggere, ora con¬ servare e rinnovare; non c’insegna come, men¬ tre il loro effetto ordinario si suppone che sarebbe di trasmettere il .vigore fìsico e i van¬ taggi organici acquistati nella lotta per la esistenza, queste cause avrebbero conservato i più deboli organismi e soppresso i più forti. Se la paleontologia fa rimarcare la conformità tipica che riannoda a dei generi estinti molti generi nuovi, non può d’ altronde nascondere che questi si allontanano rapidamente da quel¬ li sia per il volume sia per certe appendici; e quindi esclude il pensiero che discendano gli uni dagli altri.

Raggruppando poi le specie e i generi se¬ condo le loro divisioni geologiche, la paleon¬ tologia mette in evidenza 1’ impossibilità di classificare genealogicamente le forme che non si sono prodotte nell’ ordine successivo che do¬ vrebbe inevitabilmente accompagnare un si-

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stema di trasformazione, il quale va dall’ or¬ ganismo più elementare all’ organismo più complicato , dall’alga al gigante delle foreste e dall’ infusorio alla scimmia antropomorfa.

Se la paleontologia non depone contro la fissità dei tipi, se non è possibile dedurre da questa scienza il sistema del trasformismo, se essa ci mostra i diversi ed innumerevoli rami deliavita differenziarsi, divergere, ravvicinar¬ si, divergere di nuovo, incrociarsi incessante¬ mente, in tutti i sensi, gli uni perfezionandosi, montando sempre in alto , mentre altri si chinano e restano in. basso, su che fondamento si regge la teorica di Darwin ?

Se non mancano i naturalisti audaci che senza aprire il paracadute si lanciano in alto col pallon volante e trinciano spiegazioni a dritta e a manca, in fin dei conti, dopo come avanti queste spiegazioni, si resta nel- 1’ impotenza di sorprendere alcuna transizione non solo fra le diverse branche, ma eziandio fra le differenti classi e i differenti ordini di una medesima branca. Si continua a non sa¬ persi perchè c’ è del zoofito nel mollusco, del mollusco nell’ articolato e nel vertebrato, e così via discorrendo. Non si sa come colmare le lacune che esistono fra i gradi della vita, quando anche si consideri il lavoro organico in una sola delle sue divisioni. Si domanda,

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CAPO V.

senza potere ottenere la menoma risposta sod¬ disfacente, in che maniera la popolazione del suolo ha potuto uscire dalla popolazione delle acque. Vanamente si cerca seguita a scri¬ vere il Rimbaud di riempire gli intervalli con delle creazioni ambigue, senza posto mar¬ cato nella serie animale.

L 'eozoon canadense , questa apparenza or¬ ganica, che a principio s’era presa per il pri¬ mo abitante del primo strato della terra; la co¬ lonna vertebrale , della quale le larve delle ascidie sono provviste alla loro nascita; Yam- phioxus , questo piccolo animale senza cer¬ vello; il lahyrontliodoYij principalmente cono’ sciuto per le traccie che le sue zampe hanno lasciato sulla sabbia eocena; Y archaeopteriXj le cui piume caudali erano legate ad una coda di rettile ; rornitorinco , 1’ echidna e tutte le singolarità del medesimo genere, che s’invo¬ cano per affermare la mobilità della specie , non offrono niente di positivo, assolutamente niente che indebolisca l’energica testimonian¬ za della permanenza dei caratteri specifici.

Noi non sappiamo che si sia data una spiegazione scientifica una ragione plausi¬ bile dell’ inerzia della trasformazione non solo fra le classi, ma ancora fra le specie e a volte fra i generi. Come si spiegano le distanze che allontanano , con una regolarità per lo

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meno meravigliosa, gli ordini dagli ordini e le classi dalle classi ? Come si spiega la molteplicità delle apparizioni specifiche, sem¬ pre più elevate, che vengon fuori simulta¬ neamente o in un breve ordine di succes¬ sione, nella prima metà dell’ epoca terziaria? Qui la lentezza delle trasformazioni non ci ha che vedere. Il darwinismo dovrebbe di¬ mostrare il concatenamento delle rapide tra¬ sformazioni, colle quali si sarebbero costi¬ tuite le divisioni superiori della zoologia. Lasciamo di domandare che ci si indichi come i mammiferi e gli uccelli si rannodino ai ba- traci e ai rettili : supponiamo pure che il tempo abbia distr utto le prove di questa filia¬ zione. Ma chiediamo se anche dalla lontana e in certo qual modo sia provato che i diversi ordini di mammiferi e di uccelli costituitisi con¬ temporaneamente o successivameate nei primi stadi del periodo terziario, si rannodino non già tutti ma almeno due tra essi in modo da potersi affermare che provengano l’uno dal- f altro.

Questa prova, anche indiretta e per indizii, questa necessaria giustificazione del sospetto dei trasformisti, noi non la troviamo in nes¬ sun luogo.

Che la paleontologia sia inabile a mostrare tutti gli intermediari, è ammissibile ; ma che

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capo v.

mostri tutte le lacune senza far vedere un solo mezzo di conciliazione, ciò equivale a ro¬ vesciare F ipotesi darwiniana.

Se, per esempio, Yhipparion venuto prima del cavallo attuale , 1’ anchitherium antenato dell’ hipparion ed infine il paleotherium ap¬ parso senza ante cedente conosciuto, sono al¬ trettanti generi della linea cavallina, pur- nondimeno questi generi differiscono troppo F uno dall’ altro per poterli considerare come provenienti il secondo dal primo e il terzo dal secondo. Per dirsi che c’ è serie genealogica, è necessario farne vedere i punti di legame e la base. I punti di legame mancano nella paleontologia; e quanto alla base i trasfor¬ misti non potrebbero vederla nel paleotherium, senza, per ciò stesso , confessare che la loro ipotesi è un sogno.

Poiché il cavallo, F elefante, il rinoceronte, insomma tutte le specie rappresentate dai grandi fossili, si presentano possentemente or- organizzate ed al di di esse non shncontrano degli analoghi meno perfezionati , dai quali avrebbero potuto discendere, i darwinisti do¬ vrebbero ammettere come più probabile che codeste specie sieno nate provviste di caratteri specifici ed incapaci di metamorfosi.

La diffusione delle specie in razze è il solo movimento, di cui ci rendiamo conto, sia che

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si consulti la paleontologia, sia che si scrutino gli atti della vita, che si svolgono sotto i no¬ stri occhi. Ma da questo ad un’ evoluzione in tutti i sensi, la differenza è enorme; e la ra¬ gione non può piegarsi alle esigenze dei fi¬ losofi che cercano una gran complicazione di fini nella semplicità dei mezzi. Alla stretta dei conti, nessuno scorge i rapporti di filia¬ zione, il legame di parentela genetica, che si asserisce esistere fra i rettili e gli anfìbi car¬ nivori della seconda epoca e i pachidermi er¬ bivori della terza, fra questi ultimi e gli altri ungulati, e via discorrendo.

Quest’ assenza di tratto d’ unione fra le forme che si succedono, mentre che la vita si organizza e si diversifica, e soprattutto questa contemporaneità di un grandissimo numero di specie o di generi che appariscono d’un tratto, non consentono colla teorica del darwinismo.

Intanto i darwinisti s’ impuntano ad affer¬ mare che la trasformazione specifica è un feno¬ meno dello stesso ordine che la trasformazione individuale. Ma invece sono d’ordine differente. La trasformazione individuale, quale la vedia¬ mo nei fatti e quale si manifesta nei vestigi del passato, generalmente si riassume in cambia¬ menti fìsici e di importanza secondaria ; ma la trasformazione della specie, senza esempio nel presente e senza prova nei tempi preisto-

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CAPO V.

rici, implicherebbe non solo modificazioni cor¬ poree, ma eziandio « cambiamenti morali. » Ora quando noi oggi paragoniamo le nume¬ rose varietà di un medesimo tipo, per esempio, di cavallo, di cane, di piccione, colle varietà di un altro tipo, ciò che ci colpisce si è la persi¬ stenza delle « caratteristiche morali. »

Allo stesso risultato si giunge, consultando i documenti paleontolo gici. Le specie viventi differiscono dalle specie fossili solo per poco interessanti particolarità di struttura. Ebbene se questa costanza di contrassegni morali esi¬ ste, se non c’ è traccia di trasmutazioni spe¬ cifiche nell’ immenso spazio di tempo che è trascorso dall’epoca secondaria, non è ammis¬ sibile che gli organismi si sieno trasformati dal semplice al composto, dal rudimentale al complicato. Le specie si estinguono, ma non si trasformano.

Poiché è affatto incontestabile, per quanto lungi si risalga verso le prime età del mondo, che la variazione successiva dei generi non h& cambiato e non ha menomamente cancel¬ lato l’individualità della specie, la sola con¬ clusione che si possa logicamente dedurre dalla somiglianza dei generi attuali coi generi estinti, si è che « le molecole integranti e necessariamente eterogenee che formano la specificità di un essere animato, non sono do-

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tate della facoltà di combinarsi diversamente di come sono per produrre un organismo di un’ altra specie. »

I nostri avversari citano spesso e volen¬ tieri il signor Gaudry. Or bene, supponiamo che il Gaudry potesse dire con certezza come ed in qual misura i membri, per esempio, del¬ la numerosa famiglia dei ruminanti si ranno¬ dino gli uni agli altri. Da queste indicazioni non emerge niente affatto che ogni genere di ruminanti sia stato una modificazione di quel¬ lo che apparve il primo ; e che il problema generale della trasformazione abbia trovato una soluzione. In altri termini, la prova che T ordine dei ruminanti si sarebbe formato col¬ la diversificazione di un solo e medesimo tipo non basta per arguire che in generale sia provata T evoluzione fisica e morale, senza la quale la dottrina trasformista passa per un roseo quanto vuoto sogno. La perfezione or¬ ganica non è minore nel più debole che nel più forte dei ruminanti. In questo gruppo di erbivori, come in ogni altro gruppo zoologico, i più grandi non vincono i più piccoli, quanto al compimento e alla funzione degli organi onde sono forniti in vista di risultati spe¬ ciali.

Del resto, giacche si è appurato che i ve¬ getali e gli animali dei nostri giorni sono gli

CAPO V.

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equivalenti specifici dei vegetali e degli ani¬ mali fossili; giacché coll’aiuto della geologia e dei documenti paleontologici, riportandoci sin verso 1’ epoca in cui il suolo cominciava a separarsi dalle acque, constatiamo che la per¬ manenza dei tipi ha precisamente le sue basi nei terreni inferiori, non è permesso supporre che la diversità delle forme e degli istinti provenga non da differenza nella natura degli esseri, ma da differenza nel loro grado di sviluppo.

Il fatto che la tipica natura degli organi¬ smi non cambia, manda in sfascio la teoria del darwinismo. La mammalogia, l’ornitologia, la botanica e le altre scienze naturali contri¬ buiscono ognuna per la sua parte a togliere al darwinismo ogni plausibile ragione non solo di essere, ma di parere una verità accettabile con o senza « il beneficio dell’in¬ ventario ». La geologia e la paleontologia precipuamente inducono a porre la permanen¬ za dei tipi fra i principii della natura più certi e più giustificati. Due anni dopo che venne fuori il libro più celebrato di Darwin, il prof. Huxley scrisse : « Se le prime roccie fossili, attualmente conosciute, sono coeve al comin- ciamento della vita, e se il loro contenuto ci un giusto concetto della natura e della estensione delle primiere flore e faune, 1’ in-

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significante quantità di modificazione che può dimostrarsi abbia avuto luogo in un gru- po qualunque di piante o di animali, è affatto incompatibile coll ipotesi che tutte le forme viventi sono il risultato di un processo neces¬ sario di sviluppo progressivo , interamente compreso entro il tempo rappresentato dalle roccie fossili (is quite incompatible vitli tlie hypothesis tliat all living forms are tlie re - sults of a necessary process of progressive development entirely comprised within tlie time represented by thè fossiliferous roks. Aniversary Address io tlie Geolog ical Society).

Franz Chlebik, autore dell’ opuscolo Die Frage uber die Entstehung der Arten (Ber¬ lino 1874) non può esser preso per avversario della teorica darwiniana. È partigiano della scuola sperimentale ; sulla copertina ha mes¬ so per motto il detto di Hegel : Niclits wird gewusst was niclit in der Erfahrung ist, e nella prefazione schiettamente dice che « la nostra affinità col cimpanzè è ben fondata ed è naturale ». Ebbene, egli stesso dichiara che il paleontologico mutamento delle forme ha un’ importanza del tutto secondaria , perchè « sussiste fra i singoli individui di una specie e non tocca la nozione di specie » {wie sie unter einzelnen Indio iduen einer Art besteht und die den Artbeg ri ff niclit berulirt. p. VII).

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 31

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CAPO Y.

-

Più sotto aggiunge che ]a teorica della trasformazione del mondo organizzato è un sogno benevolo, ma non confermato da nes¬ suna esperienza, da niente, (ein wolilwollender Traum der durch niclits bestàtigt icird. p. 11). Certo ad un’ epoca geologica son parole dello stesso scrittore appartiene un tempo immenso, e durante questo tempo le specie, poniamo, dei pesci si sono modificate e diversamente sviluppate; ma sono rimasti pesci (sind ctber Fische geblieben. p. 12). Il darwinismo vuole continua il Chlebik indagare 1’ origine delle specie, ma non è au¬ torizzato a rimontare tant’ alto : glie lo vie¬ tano 1’ esperienza riguardante la generazione delle specie e i fatti constatati dalla paleonto¬ logia.

Non la finirei più, se avessi a riprodurre diffusamente le stringenti argomentazioni del dotto filosofo naturalista. Quanto si è fin qui detto sulla legge del tempo mi pare che basti; i ragionamenti e le discussioni degli altri au¬ tori, contrari o favorevoli a Darwin, conferma¬ no sempre più che i legami di parentela fisio¬ logica non hanno da veder niente colle divi¬ sioni gerarchiche, e che il tempo, comunque lungo, non arriverà mai a contentare le esi¬ genze della teorica darwiniana.

Se i darwinisti intendono continuare a

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meditare nel vuoto, nessuno si opporrà a que¬ sto loro innocente divertimento. Se pensano di proseguire a sbirciare paradossi per cor¬ rerci dietro ed affannarsi a raggiungerli, sono padronissimi. Ma la storia naturale, la paleon¬ tologia e la geologia ci hanno ad evidenza rivelato i fatti che occorrono per collocare 1’ ipotesi di Darwin fra le smaglianti rève- ries , colle quali i grandi ingegni, di tanto in tanto, riescono a levare un gran rumore in- torno a loro. E perfettamente assodato che nella lunghezza del tempo i darwinisti non trovano il ponte che li conduca sani e sal¬ vi all’altra riva. Questo ponte che doveva es¬ sere T ultimo loro rifugio, Y appoggiarono ad otri pieni d’ aria. Agli oppositori di Darwin è costato ben poco avvicinarsi agli otri, toc¬ carli, punzecchiarli , sgonfiarli e disperdere ogni traccia del lavoro d’ arte destinato a porre in comunicazione le due lontanissime sponde.

CAPO VI.

Le leggi darwiniane

*

Rispondendo ad una delle mie letture sul darwinismo, il prof. Mantegazza diceva: « For¬ se F egregio Di Bernardo ha isolato artificio¬ samente le diverse parti della teorica dar¬ winiana per combatterle più facilmente. Il trasformismo è un complesso di varie e mol¬ teplici influenze, quali sarebbero la lotta degli individui fra loro, la lotta degli individui con T ambiente che gli circonda o la trasmissione per eredità dei caratteri acquisiti dagli esseri organizzati nell’ esercizio della vita. È solo colla simultanea cooperazione di tutti questi elementi che le specie si spiegano nella loro origine, nella loro conservazione e nelle pos¬ sibili trasformazioni di un progresso indefini¬ to. » ( Archivio per V antropologia , Voi. IX, fase. 3. Firenze 1879, pp. 368-369).

A mia volta replico che in una lettura in due potevo svolgere tutta quanta la

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teoria darwiniana. Era affatto necessario trat¬ tare parte a parte 1’ argomento. Studiando il libro di Darwin sull’origine delle specie, trovai che cinque sono le leggi principali, sulle quali egli innalza la sua ipotesi : la lotta per 1* esi- sistenza, la elezione, l’eredità, l’influenza degli agenti fìsici e la legge del tempo. Dovevo dunque studiare ognuna di queste leggi per vedere se e fino a qual punto favoriva il si¬ stema darwiniano. Il risultato di questo qua¬ lunque siasi studio doveva essere , a parer mio, una dimostrazione contro tutto 1’ edifìcio del darwinismo. Lo stesso prof. Mantegazza diceva che la lotta per 1’ esistenza è « una sola delle colónne che sostengono il grandioso edifìcio dell’ evoluzionismo. » Io cominciai col cercare di buttar giù codesta colonna; poi, mano mano ^ m’ ingegnai di gettare a terra le al¬ tre. Se sono riuscito a demolirle tutte , non è egli evidente che l’edifìcio è andato in rovina?

Non dico questo per attribuirmi un merito che non ho, per dare cioè ad intendere che ho fatto un lavoro originale. Cento autori prima di me impresero a scrollare le sullo- date colonne: io mi sono avvalso di tali autori. Ma ho fatto qualcosa di più : ho fatto con preferenza, anzi quasi sempre, parlare Darwin e gli autori, che con maggiore o minor calore difendono la teorica darwiniana.

486

CAPO VI.

Se dal mio modesto lavoro sono state scosse le colonne in discorso, è necessariamente ca¬ duto l’edificio che i darwinisti vi appoggiavano sopra. Il darwinismo è « un complesso di va¬ rie e molteplici influenze ; » ma se nessuna delle indicate influenze produce 1’ effetto che i darwinisti si aspettavano, non è egli chiaro che il darwinismo non ispiega niente affatto quello che voleva spiegare? Il darwinismo è la somma di « diversi elementi ; » ma se nessuno dei diversi elementi rappresenta la parte che i darwinisti gli avevano assegnata, non è manifesto che la « simultanea coopera¬ zione » dei diversi elementi non giova a nulla?

Quando io combattevo una legge darwinia¬ na, mi proponevo di dire tutto quello che contro- siffatta legge c’era da dire; ma non pensavo, non sognavo di aver provata 1’ inamissibilità dell’intera teorica darwiniana. Ora però che ho, alla men peggio , trattato di tutte le principali leggi darwiniane e mostrato, per quanto stava in me, la loro insufficienza e la loro assoluta incapacità a sostenere l'ipotesi del caposcuola inglese, sono in grado di concludere che Y in¬ tera teorica è sbagliata, non ha nessun fon¬ damento, non risponde ai requisiti di un’ipotesi scientifica.

Nella cennata risposta del prof. Mantegazza si legge anche: « Combattere Darwin con le

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armi della dialettica non è diffìcile , perchè la teorica darwiniana non è semplice , non spiega tutto, lascia aperte molte quistioni, per cui la spada degli avversari trova molte fessure per ferire la teorica dell’ evoluzioni¬ smo. » Io non ho nulla a ridire sulla profes¬ sione di fede dell’ illustre professore che si appalesa darwinista moderato. Devo però ram¬ mentare che per ordire la tela del mio povero lavoro non ho fatto nessun assegnamento sulla dialettica; ma ho mirato sempre ad esser po¬ sitivista e realista più degli stessi darwinisti. La dialettica è invece 1’ arma favorita dei darwinisti, i quali non vedendosi assecondati dai fatti, sono costretti a tuffarsi nella spe¬ culazione e nel ragionamento astratto.

Rispetto alla spada da adoperarsi per ferire il darwinismo , io non mi sono servito di quella che va a cercare le fessure della teo¬ rica da me combattuta. Ho affrontata la grande quistione in tutta la sua ampiezza , ed ho procurato di batterla di fronte, nel suo insieme. Scendere alle particolarità era indispensabile, perchè altrimenti non avrei fatto che un’opera di mera e semplice dialettica, non avrei fatto che un discorso più o meno accademico e più o meno inutile. Ma ora che, bene o male, ho soddisfatto a questo bisogno d’intrattenermi sui particolari, ora che , secondando il pen-

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CAPO VI.

siero dell’ esimio Mantegazza, intendo discor¬ rere dell’ azione simultanea delle leggi darwi¬ niane , posso considerare la quistione del darwinismo dal lato generale, non dando alle particolarità che un’ importanza secondaria.

Come per lo innanzi, continuerò a guardarmi bene dal ricorrere alla dialettica, se dialettica nel caso nostro significhi ragionamento senza basi di fatto ; non baderò soltanto, alle fessure che presenta la teorica darwiniana, e sopra¬ tutto mirerò a meglio esaminare, a maggior¬ mente verificare se è vero quanto asseriva 1’ ottimo prof. Mantegazza, ossia che colla si¬ multanea cooperazione delle leggi darwiniane « le specie si spiegano nella loro origine, nella conservazione, e nelle possibili trasformazioni di un progresso indefinito. »

La lotta per V esistenza è stata fraintesa dai darwinisti : non c’ è metafisica, non c' è fervida immaginazione, non c’ è propensione al fantastico e al romantico che basti a fare intendere come cosiffatta concorrenza vitale contribuisca al perfezionamento, alla trasfor¬ mazione e all' origine degli esseri vivi. Il significato di tale fenomeno si è ampliato, esagerato, travisato ai danni dello stesso dar¬ winismo, che ne esce più malconcio, più inde¬ cifrabile che mai. La lotta, cioè la reciproca violenza, non può non avere effetti nocivi. Chi

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può asseverare che 1’ influenza nociva sia mi¬ nore di quella benefica ? Come si fa ad affer¬ mare che gli esseri vivi si perfezionino e si trasformino in meglio col combattere , col bisticciare, col maltrattarsi scambievolmente e continuamente ?

A sentire i dar winisti , il combattimento per la vita fa dei vincitori come un piccolo mondo appartato, distinto, privilegiato: da una parte i vincitori ; dall’ altra, la massa, la tur¬ ba dei vinti, dei deboli, dei condannati a mo¬ rire prematuramente. Ma dov’ è questo nucleo di animali eletti ? Ma quali sono gli animali che quasi formano un piccolo mondo dentro il gran mondo z oologico ? Qual’è il contrasse¬ gno per con oscere cotesti animali battaglieri, valorosi, vincitori, invidiabili ed invidiati? È egli vero quanto diceva Erasmo Darwin, che, cioè, la prima legge della natura organica è « mangiare o essere mangiati, » e che la na¬ tura sembra « una grande beccheria » ( one great slaughter house), una scena universale di rapacità e d’ ingiustizia ? Ma quand’ anche ciò fosse vero, che cosa ha da vedere col per¬ fezionamento , col progresso e coll’ origine degli esseri ? Gli esseri più elevati e di orga¬ nizzazione più complicata non hanno un van¬ taggio certo e decisivo sugli esseri di più semplice organizzazione.

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CAPO YI.

Gli organismi più semplici, appunto perchè più semplici, sono meno dipendenti dalle in¬ fluenze esterne, e quindi meglio adatti ad una più sicura esistenza e ad una più larga diffu¬ sione. Il fatto è che le piante più basse e gli animali meno elevati sono incomparabilmente più diffusi, che le forme più alte. Non dirò che il risultato della lotta per 1’ esistenza sia la sopravvivenza delle forme più semplici. Non dirò che Y effetto della battaglia per la vita sia il pareggiamento delle differenze siste¬ matiche e la progressiva semplificazione degli organismi. Ma sostengo che la concorrenza vitale fra gli individui non ha effetto sulla specie e che le conseguenze tirate dai dar¬ winisti sono infondate, arbitrarie, cervelloti¬ che. Se non fosse così, le forme più basse o dovevano perire o dovevano innalzarsi fino aLe forme più alte. Darwin risponde alle obbiezioni tanto per rispondere; ma in so¬ stanza finisce col contraddirsi. La verità è che ogni forma ha il suo scopo e il suo posto nelL economia della natura, e l’ organizzazione della forma è adattata a questo scopo e a questo posto.

L’ elezione naturale non cambia la purezza, non produce 1’ alterazione, lenta e silenziosa, dei tipi specifici. L’ istinto che spinge ogni specie al compimento delle sue funzioni, ne

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assicura la conservazione. Il principio della utilità, sul quale si fonderebbe 1’ elezione na¬ turale, nel regno vegetale in quello animale spiega lo sviluppo dal semplice al complicato, dal rudimentale al completo, dal- r imperfetto al perfetto. Come mai colla ele¬ zione naturale, sorretta dal principio della utilità, si spiegherebbe la divergenza delle forme? È egli ammissibile che così 1’ accordo come la differenza delle forme si spieghino con un solo principio, cioè coll’ elezione na¬ turale ?

L’elezione naturale, prettamente meccanica ed emancipata dalla legge di evoluzione in¬ terna, è un errore della teorica darwiniana; la quale, per reggersi , ha bisogno di varia¬ zioni e combinazioni illimitate. La realtà è che 1’ elezione naturale non può lavorare con ogni sorta di variazioni , come esigerebbe il darwinismo. Le variazioni spontanee non sono capaci d’ illimitate combinazioni , e segnata- mente di quelle tali combinazioni che occor¬ rono all' ipotesi di Darwin. L’elezione naturale può aver presa sulle variazioni, che per loro natura sono passeggiere e relativamente deboli, non già su quelle che influenzano 1’ intera forma della pianta o dell’animale, vale a dire sul fondo della costituzione fìsica degli orga¬ nismi.

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CAPO VI

La costanza o la variabilità di una forma dipende non dalla elezione, ma dalla particolare natura della stessa forma. Le combinazioni della natura organica non dipendono dalla elezione naturale , cioè da un fortuito gioco affatto meccanico, bensì dalle leggi interne e dall’ interno rapporto che governano le pro¬ prietà morfologiche e fisiologiche dei diversi organismi. E d’ altro canto, coll’ elezione na¬ turale non si spiega il nascimento di un organo qualunque; giacche reiezione naturale, per po¬ tere agire, suppone già un certo grado di for¬ mazione di quest’organo. L’ elezione naturale sarebbe al caso di agire , tutt’ al più , sugli organi in parte sviluppati, conformandosi al principio deH’jutilità , e talora anche prima che questa stessa utilità possa conoscersi! E dire che il nocciolo e la novità della dottrina darwiniana consistono per V appunto nella teorica della elezione !

In fin dei conti, nessuna prova, nessun esem¬ pio può allegarsi per dimostrare che negli animali selvaggi le variazioni siano più impor¬ tanti, più durature, più profonde di quelle che si osservano negli animali domestici. La ele¬ zione naturale può mostrare che gli organismi variano; ma non già che la variabilità sia libera d’ogni limite. I fenomeni della elezione artifìcia- le, delLibridismo, dell’atavismo, tutti si accorda-

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no nel mostrare la limitatezza della variabilità. Darwin non parla della natura tale qual’ è ; ma quale dovrebbe essere per conciliarsi col sistema del trasformismo. L’elezione naturale, secondo il suo sistema , equivarrebbe ad un « miracolo natu rale, » o giù di lì.

L elezione sessuale, che è Y ipotesi fa¬ vorita del Canestrini, corre miglior fortuna. Contro questa elezione parlò lo stesso Wallace ( Academy 1871, p. 182), che insieme a Darwin è il papà della dottrina della elezione natu¬ rale. In che maniera d iceva segnatamente il Wallace ammetteremo Y elezione ses¬ suale fra gli insetti ? Diremo che, ad esempio, per gli uccelli si applica 1’ elezione sessuale; e per i vermi, no ? Forse che la spegazione dei pregi estetici e delle « armi protettive » cambia secondo che si tratta di questo o di quel genere di animali ? Se le corna , più o meno belle, ed altre armi, che servono alla difesa e sono considerate come caratteri ses¬ suali secondari, dipendono dalla elezione ses¬ suale , perchè le hanno i soli maschi ? Non sarebbero state utilissime anche alle deboli femmine ?

E come si spiegano i colori che ad occhio nudo non si veggono in certe farfalle e in altri uccelli? Come si spiegano i caratteri ses¬ suali secondari negli animali che si fecondano

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da ? Come si spiegano le bellezze ed i van¬ taggi estetici del quieto regno dei vegetali ? Gli è che r elezione sessuale non sussiste. Da brutti produttori talora si generano individui più o meno belli; ed in generale 1’ accoppia¬ mento fra gli animali è conseguenza di una attrattiva, di un’istinto naturale, non dell’este¬ tica e del gusto artistico.

All’ elezione sessuale non crede ne anco il signor W. Spengel, che con amorosa solleci¬ tudine va raccogliendo e ripubblica tutto ciò che anno per anno si stampa in favore del dar¬ winismo. Lo stesso ammiratore di Darwin non importanza all’ ipotesi della protezione me¬ diante i colori simpatici ( mimicry ), che è un soggetto, sul quale il Canestrini s’intrattiene con particolare compiacenza.

A proposito della mimicry , il Koch scris¬ se eli’ essa non ha nulla da vedere colla ele¬ zione naturale, e la chiamò « puerilmente in¬ genua, » aggiungendo che quando per una cosa inesplicabile non si hanno migliori argo¬ menti, il silenzio è oro. ( Wenn mann beine bessern Argumente fiir eine unerkldbare Sa - che vorzubringen weiss j so ist Schweigen Gold. TJeber Darwin' s Descendenz-Theorie nnd die Mimicry. Ausland 1871. N. 28 e 29).

Eppure 1’ ipotesi della mimicry e della elezione sessuale sarebbero per l’elezione na-

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turale come chi dicesse il coronamento dello edilizio !

Pare incredibile , ma la stessa elezione naturale è ben lungi dall’ illudere gli stessi darwinisti! La elezione naturale dice il ci¬ tato Wallace, nel saggio sulla mimicry e le altre rassomiglianze protettrici degli animali risultante dalla concorrenza vitale, non ha potuto, lo confesso, sviluppare le forme e i colori degli esseri organizzati, se non in ra¬ gione dei vantaggi che procuravano ai loro possessori. Ma perchè voler tutto spiegare colla elezione naturale ? Se essa non ispiega i tranquilli splendori della natura, bisogna per¬ ciò disconoscerli ?

Ed ecco come la tanto decantata strapo¬ tenza della elezione naturale s’ impicciolisce, si assottiglia, si ritira, pian piano si confonde coll’ ombra e sfuma nellidealità.

Il caso e il fortuito evento s’ hanno a combinare coll’ utilità; e poi il caso e l’utilità devono essere governati dalla natura, provvi¬ sta, ben’ inteso, delle intenzioni che Darwin le presta. Gli organi furono formati, a poco a poco, insensibilmente, da cause accidentali; ma per un altra serie di felici quanto acci¬ dentali eventi, la formazione degli organi fu sempre accompagnata da un principio utilita¬ rio ! La elezione naturale non ci mette nulla

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di suo : « si lascia fare », si lascia semplice¬ mente dirigere dal caso, il quale per fortuna va di pienissimo accordo colf utilità ! Non è chiaro ? L’ elezione naturale non ha da darsi nessun pensiero, non ha da scomodarsi per nulla, dappoiché si è assicurata che il caso non manca di agire e non esce mai dalla via dell’ utile !

Ecco, se s’ ha a dire confi è, 1’ elezione naturale, al postutto, non elegge nulla, è sot¬ toposta alle leggi di un puro meccanismo, è determinata dagli eventi casuali, è 1’ azzardo abbracciato all’ utilità, è la fatalità che riesce sempre a bene, è una figura della mitologia avvenire , è un’ espressione che non spiega niente e non dice niente.

L’elezione naturale ha, per il darwinismo, massima, strabocchevole importanza ; ma la viene maltrattata e considerata come elemento illusorio, o quasi, dal rinomatissimo Dottor Paolo Broca, che fu sino al 1880 sino a quan¬ do la morte lo rapì alla scienza direttore- dei gabinetto antropologico, della scuola di an¬ tropologia e della Reviie Anthropolog ique di Parigi. Udite: « Io dirò ai darvinisti: la elezione naturale, quale voi la definite, non è imma¬ ginaria ; ma il potere illimitato che voi le attribuite, è ipotetico, è illusorio. Voi ne fate 1’ agente esclusivo di un’ evoluzione, alla quale

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può non essere del tutto estranea ; ma da se sola non può contrabilanciare tutte le altre condizioni più energiche e non meno persi¬ stenti, alle quali gli esseri viventi sono assog¬ gettati. »

Rispetto alla costituzione e alla distribu¬ zione delle specie, il medesimo autore diceva: Per il signor Daily, « le specie sono costituite e distribuite come se fossero state prodotte dalla elezione naturale. Io trovo, al contrario, che se le specie hanno fatto un’ evoluzione, ciò che è probabile, esse sono disposte come se 1’ elezione naturale non fosse stata P agente della loro trasformazione. » {Bulle- tins eie la Société d' antlvropologie^ Seconda Serie, Voi. V, pp. 223, 234).

Così il prof. Broca giudicava 1’ elezione naturale.

Se guardiamo all’ eredità, si può forse dire che la sia agente di trasformazione, secondo il sistema darwiniano ? Vi rammenterete la filza di leggi ereditarie sciorinate dai darwi¬ nisti : continue, discontinue, sessuali, bilate¬ rali, miste, sommarie, omocrone, omotope, e chi più ne ha più ne metta. A malgrado però di tutta questa batteria di sedicenti leggi, nessuno ha potuto provare che le modifica¬ zioni, tramandate per eredità, sieno atte non solo ad oltrepassare i limiti delle razze, ma

Di Bernardo. Il Darwinismo a le specie animali 32

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eziandio a produrre nuove specie. Non fosse altro, 1’ atavismo e la tendenza a riprendere le prime forme impediscono la formazione di nuove specie per mezzo deir eredità. Dato un carattere fìsso anormale, gli allevatori possono farlo riprodurre colla generazione, accoppiando sia i maschi e le femmine che presentano tale carattere, sia uno di questi individui coi suoi più prossimi parenti. Ma cosiffatte razze acci¬ dentali, una volta abbandonate interamente a loro stesse, finirebbero col ritornare al tipo specifico donde sono discese.

A forza di artifizio avverte il signor Périer in un suo discorso alla Società antro¬ pologica di Parigi ( Bulletins eie la Société d’ anthropologiej Seconda Serie, Voi. II, p. 22) 1’ uomo può ben prolungare 1* esistenza di individui anormali; però viene un momento in cui essi perdono non solo le particolarità acqui¬ state , ma anche il potere di riprodursi ; così che se la razza non è assiduamente rinnovata, deperisce e scompare. Ciò succede almeno per le razze che vivono e si propagano mediante le cure dell’ uomo. Le razze domestiche , na¬ turali o artificiali, si assomigliano in questo: sono tutte deviate dal loro primiero tipo ; le une, principalmente per 1’ influenza dell’ am¬ biente ; le altre , più particolarmente per la industria deH’uomo. Ma rimettete anche quelle,

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cioè anche le razze naturali, nelle loro primiere condizioni, rendete loro l’ indipendenza, e non mancheranno di rientrare, o prima o poi, nei caratteri originari della loro specie. Così il porco diventa cinghiale. Così le razze di cani che sono tornati allo stato selvaggio , non differiscono dal cane mastino per la forma del muso , hanno orecchie diritte e mobili , cac¬ ciano per loro conto e presentano colori di tipo uniforme. Nell' America meridionale, il colore degli armenti di vacche selvagge, venute pri¬ mitivamente dall’ Europa , è ugualmente co¬ stante ; i cavalli ridiventano quali erano, e via discorrendo.

Allo stesso modo le razze artificiali e miste venute da razze o da specie vicine, sono de¬ stinate a scomparire come anormali , come formate al di fuori delle condizioni naturali. Dacché 1’ uomo cesserà di vegliare sopra di esse, dopo un numero qualunque di genera¬ zioni, cento, mille, se si vuole , non importa, cesseranno di esistere.

Dunque di veramente ereditari a perpetuità non ci sono che gli elementi di struttura fi¬ siologica e propria del tipo specifico. Le idio¬ sincrasie, gli stessi temperamenti, in ciò che hanno d’ anormale, non si trasmettono inde¬ finitamente. Anzi questi ultimi stati dell’eco¬ nomia non si manifestano sempre nei prodotti,

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quancT anche i due genitori ne sieno affetti nella stessa maniera.

Per farla corta, « in ogni sorta di deviamen¬ to il ritorno alle condizioni normali è una leg¬ ge della natura, la quale per altro attesta 1J ordine costante, che regna nell’ immenso e meraviglioso quadro della vita sul globo. » Nella medesima tornata della Società an¬ tropologica , Martin de Moussy conferma con altri esempi la costanza di cosiffatta legge. Il celebre Gratiolet poi si esprimeva così : « Io penso, come il signor Périer, che le razze persistono indefinitamente coi loro primitivi caratteri. Non credo che si sia osservato un solo esempio di una razza modificata sino a trasformarsi in un’ altra razza. Si può-, con mezzi meccanici , esagerare o alterare certe conformazioni, ma la natura conserva i suoi diritti e riprende il sopravvento , dacché è la¬ sciata libera; allora la razza ritorna presto ai suoi primitivi caratteri. »

Il prof. Broca non si spiega meno chiara¬ mente. Darwin dice l’ autore invoca con¬ tinuamente f esempio dei procedimenti seguiti dagli allevatori o dagli orticoltori per far va¬ riare le razze degli animali domestici o delle piante coltivate. L? analogia , che ha voluto stabilire fra gli effetti dell* arte e quelli della natura , gli hanno costantemente servito di

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guida, e costituisce, per così dire , il cardine della sua argomentazione. Ma questo ravvici¬ namento non è conforme alla realtà , poiché 1’ elezione artificiale si ottiene coll’ intervento di una volontà determinata e non coll’ azione pura e semplice delle leggi naturali. I ripro¬ duttori si scelgono per un determinato scopo; se si vuole soltanto cambiare la statura, si maritano i grossi coi grossi, i piccoli coi pic¬ coli ; e così si finisce coll’ ottenere cani che una signora può portare nel suo manicotto. Se si vuole modificare tale o tal’altro carattere di forma o di colore, tale o tal' altra qualità ri¬ spondente ad un bisogno o ad una semplice fan¬ tasia, ci si arriva nella stessa maniera, vale a \

dire eliminando la maggior parte dei pro¬ dotti e conservando per la generazione sola¬ mente quelli che tendono a variare nel senso voluto. Spesso ancora non una semplice varia¬ zione, ma una vera anomalia è apparsa d’ un tratto sopra un’ individuo nascente; e si cerca di fissare quest’ anomalia nei discendenti con un’ elezione metodica. Ma tutto ciò è di¬ retto , maneggiato da un essere intelligente , che turba 1’ andamento ordinario delle cose , secondo la sua volontà o il suo capriccio. L’ uomo interviene oui, come il Dio dei fina- listi, per provocare risultati che la natura sola non avrebbe prodotti. E a meno di supporre

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nella natura una volontà personale , manife¬ stata colla scelta sistematica dei riproduttori ciò che sarebbe interamente contrario a tutta la filosofia darwiniana, siamo obbligati a riconoscere che il ravvicinamento fra quello che si ottiene colf opera dell’ uomo e quello che produce la libera natura, è affatto arbi¬ trario ed illusorio. ( Bulletins 1. c. p. 220 e 221 ) , E più sopra (p. 188 e 189) il Broca scrive: « Non è un fatto, una legge, ma una semplicè ipotesi lo sviamento indefinito che la elezione naturale farebbe subire ai caratteri anatomici e morfologici. Ed è una semplice ipotesi la persistenza e lo svolgi¬ mento delle variazioni, che l’eredità immedia¬ ta può mantenere in alcuni individui per alcune generazioni, ma che le leggi dell’ eredità ge¬ nerale tendono a ricondurre al tipo ante¬ riore . Tutta T argomentazione di Darwin

ha avuto per iscopo di mostrare che codeste erano conseguenze possibili delle cause , che egli considera come gli agenti del trasformi¬ smo . Ma non basta considerare la possibi¬

lità di una spiegazione ; ciò che la logica esige è la prova diretta che sola ne stabilisce la realtà ; ora questa prova diretta manca sin qui alla dottrina di Darwin. »

Le leggi dell’ eredità non si piegano alle esigenze del darwinismo. Finché non si provi

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che nell’ ordine della generazione diretta possano regolarmente introdursi gravi e so¬ stanziali cambiamenti, conviene attenersi al- 1’ osservazione giornaliera che c' insegna il contrario.

Il darwinismo chiese aiuto all’ embriologia, ma questa non rispose all’appello. Lo sviluppo embrionale non essendo uguale per tutti gli animali, non si può sostenere che gli esseri organizzati sieno eredi di uno stipite comune. E così andò a monte 1’ ipotesi della comune origine del regno animale. L’ anatomia com¬ parata, a sua volta interrogata , non depose in favore della teoria che gli esseri viventi ereditarono la loro forma da uno stipite co¬ mune. Da una rapida analisi dei tessuti e degli organi , agevolmente si rileva che la struttura anatomica degli animali non ob¬ bedisce al principio del graduale, necessario e insieme eventuale perfezionamento delle for¬ me organiche. L’ anatomia comparata non appose il « nulla osta » al darwinismo ; ma lo ferì al cuore, mandando a rotoli Y ipotetica identità di composizione e di struttura. È vero che , come dice Madama Royer , Y anatomia comparata è discesa nelle piccole particolarità degli esseri più infimi, ma certamente non si propose di porgere nuovi argomenti al dar¬ winismo.

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La logge di eredità - dice la stessa si¬ gnora essendo ammessa , tutte le varietà susseguenti si riannodano ad una varietà-sti¬ pite; tutte le specie figlie, ad una specie ma¬ dre. (Bulletins 1. c. p. 295). Ma così non si prova che 1’ eredità coopera alla formazione delle nuove specie. U eredità da se sola, in compagnia delle altre leggi darwiniane, scioglie il gran nodo.

La stessa autrice s' incarica di farci vedere quanto debole, incerta ed arbitraria sia l’azione dell' eredità. [ prodotti di una coppia sono sue parole ( Ibid. p. 29G ) non variano tutti necessariamente. Gli uni ereditano e gli altri non ereditano il nuovo carattere acquisito. Perchè sorga una nuova razza , occorre tut- t’ un insieme di circostanze favorevoli , che non possono presentarsi se non rarissimamente. E però si comprende come questo fatto debba essere rarissimo e non presentarsi con più frequenza che soltanto nelle epoche e nelle località turbate da cataclismi più o meno considerevoli.

Dunque perchè la legge dell’ eredità mo¬ stri con frequenza la sua azione , dev’ essere accompagnata non solamente dalle altre leggi darwiniane, ma benanco da cataclismi !

E dopo tutto questo la legge ereditaria è riguardata dai darwinisti come uno dei fattori

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più efficaci, più possenti, più sicuri nella for¬ mazione delle nuove specie !

State a sentire un momento il prof. Vir- chow che , voglia o non voglia 1’ Hackel , è uno dei più ammirati e rispettati naturalisti deir Europa moderna.

Egli avverte che i darwinisti , mentre a ragione se la pigliano contro la vecchia filo¬ sofìa naturale , mostrano troppa fiducia nel loro sistema. Ora essi devono sapere che « con¬ vertire un problema in un articolo di fede , mutare un motivo d’ investigazione in un principio di sintesi, e invece di stare all’ana¬ lisi scapricciarsi in supposizioni, è quasi più pericoloso che il ragionare a priori della vec¬ chia filosofìa della natura; dappoiché anche i fatti certi che in questo frattempo sono stati messi in chiaro, furono impinzati, ficcati per forza nel nuovo sistema e corsero il pericolo di perdere il loro reale significato. La lotta per l’esistenza sembrò a molti qualche cosa di nuovo e d’ inaudito, come se la dottrina del¬ l’istinto delia propria conservazione non fosse stata da tempo immemorabile il fondamento della biologia. Parimenti la dottrina della tra¬ smissione ereditaria abbagliò, nella sua nuova forma, molti occhi, ma precisamente quegli occhi che non erano avvezzi alla luce della vera scienza; in sostanza poi il tentativo di

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considerare Y eredità patologica da un punto di vista affatto nuovo indusse molti neofiti nella nostra scienza ad uno spreco di erudi¬ zione, alla quale, strano a dirsi , gli archivi della patologia rimasero estranei. Non occorre qui rammentare che io sono con coloro, i quali non ebbero bisogno di questa nuova spinta per riguardare la variabilità delle specie co¬ me una condizione necessaria alla teoria mec¬ canica della vita. In un discorso sul concet¬ to meccanico della vita che pronunziai nel Congresso dei naturalisti a Carlsruhe nel- 1’ anno 1858 cioè un anno prima che si pubblicasse 1' Origin of species di Darwin io constatai ciò nel modo più reciso. » Dunque la lotta per Y esistenza, 1’ istinto della propria conservazione, c’ è ; ma i dar¬ winisti T hanno smontato , accomodato e poi rimontato a modo loro. Parlano di sopravvi¬ venza del più atto, mentre ordinariamente non c’ è che sopravvivenza del più fortunato. Si tratta, per esempio , di semi di piante o di uova di pesci , chi vorrà negare che la so¬ pravvivenza è quistione di fortuna? D’altronde le qualità che conducono alla salvezza, non sono, per lo più, causa, ma conseguenza delle variazioni. Una qualità che da un canto può tornare utilissima, ha, dall’altro, lo svantag¬ gio d’ impedire lo sviluppo di altre qualità

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o variazioni che potrebbero sorgere. Con che fondamento si sostiene che le variazioni utili sono la causa delle altre variazioni ed anche della sopravvivenza del più atto ?

Le variazioni consuete, ordinarie, normali non tendono a dare origine a variazioni d’al¬ tra natura, ma a conservarsi e perpetuarsi mediante la generazione; quindi a torto si pren¬ de F eredità come una delle cause che pro¬ ducono indefinite divergenze.

Così 1’ elezione naturale, alla quale si at¬ tribuisce la sopravvivenza del più atto e la origine delle variazioni tanto utili quanto in¬ definite, non ha un valore scientifico, ma tut- t’ al più un « valore mitologico. » La lotta per 1’ esistenza, fi elezione e Y eredità, per agire secondo i disegni di Darwin, hanno bi¬ sogno dell’ intervento di una quantità di « fatti provvidenziali, » che darebbero al darwinismo 1’ aria di una nuova teologia.

L’ azione simultanea della lotta per Y esi¬ stenza, dell’ elezione e dell’ eredità finirebbe col presentarci un darwinismo ondeggiante fra una mitologia e una teologia di nuova foggia.

Secondo fu osservato, non bastandogli il principio di elezione, Darwin invoca l’influen¬ za dell’ uso e dell’ abitudine, e particolarmente l’azione continua degli agenti esteriori. Spesso

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combina questi tre modi di spiegazione e la¬ scia al lettore la cura di scegliere fra tali principii eterogenei , incapaci di combinar¬ si o di sostituirsi scambievolmente. Dar¬ win ha sotto mano troppi principii, ma il lettore non sa da che parte rifarsi per venire a qualcosa di concludente. In questo caso è ben giusto dire che « 1’ abbondanza di mezzi si riduce a povertà. »

Spiegando lo scuro collo scuro, di certo non ne nasce la luce : si va barcollando alla ventura, tanto per non istar fermi ; ma cote¬ sto non è un movimento progressivo, e somi¬ glia ad uno scalpitio a posto fìsso « come T attacco di un legno padronale fermo davan¬ ti ad un portone. »

Darwin se ne appella all’ influenza modi¬ ficatrice del mondo esteriore, ma tale in¬ fluenza visto F infinita complicazione e il carattere apparentemente fortuito dei suoi fe¬ nomeni è, come osserva il Wigand, ancor più misteriosa dello stesso organismo vivente. Avviene per F influenza del mondo esteriore ciò che notammo per F eredità, la quale ha leggi « per lo più sconosciute, » ma colle sue ombre, coi suoi misteri spiegherebbe la miste¬ riosa formazione delle specie nuove secondo il sistema darwiniano !

Sicuro, fra gli organismi e F ambiente c’ è

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un' azione reciproca. E va bene. Le forme che non sono adattate alle condizioni esterne

periscono . certo sì. Ma Darwin non si può

accontentare di così magri risultati : egli deve dare all’ adattamento delle forme un signifi¬ cato, un' estensione, un’ applicazione che con¬ suonino colla sua teorica. À tale intento con¬ sidera il tipo organico pressoché privo di carat¬ teri, come una « materia formabile » mediante una quantità di casuali variazioni e contem¬ poraneamente mediante Y influenza delle cir¬ costanze esteriori. Secondo il suo concetto, il mondo organico sarebbe come « un cliché meccanico del mondo esteriore. » Questa è un’ idea all’ intutto erronea e proviene dal non tener conto dell’ evoluzione interna de¬ gli organismi e della mutua dipendenza fra le proprietà degli individui e lo scopo della loro vita. È verissimo che gli organismi sono adattati all’ ambiente e questo a quelli ; ma non è vero che le circostanze esteriori ci por¬ gano la spiegazione dell’ adattamento ; non è vero che fra le circostanze esteriori e l’adat¬ tamento ci sia un rapporto, un nesso, un le¬ game di causa ad effetto. Il cibo, il clima, le influenze esterne sono certamente capaci di produrre modificazioni ; ma la quistione non è questa ; qui si tratta di sapere se le influen¬ ze esterne possano produrre le profonde ed

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innovatrici modificazioni che la teorica dar¬ winiana esige. Io recisamente sostengo che no, perchè manca il necessario rapporto fra causa ed effetto. Dal cambiamento delle con¬ dizioni esterne non consegue necessariamente il cambiamento degli organismi. Se le circo¬ stanze esteriori mutano, non perciò le forme di già esistenti devono trasmutarsi. serve il dire che il trasmutamento si compie lentis¬ simamente. In ogni modo, presto o tardi, se¬ condo la toorica darwiniana, da specie vecchie si devono veder derivare specie nuove, da un meccanismo esistente deve venir fuori un nuo¬ vo meccanismo, dal meccanismo lupo, per esempio, deve trarre origine il meccanismo che chiamiamo veltro, bracco, e via discor¬ rendo. Variando le cause, sicuramente varia¬ no gli effetti, ma il difficile sta nel trovare le cause dei dati effetti. Il torto dei darwi¬ nisti è di attribuire all’ adattamento effetti che non può avere, che non deve avere se¬ condo la stessa teorica darwiniana. Se Y evo¬ luzione dei tipi è una legge necessaria, im¬ prescindibile, fatale, come mai la si può far dipendere dall’ eventuale e fortuito cambia¬ mento delle condizioni esterne ?

Possiamo supporre disse qualche dar¬ winista che il potere posseduto in via nor¬ male dalla forma tipica, sia in grado di venire

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occasionalmente aumentato da straordinario vigore o da una particolarità costituzionale. Possiamo supporre altri aggiunse che i germi di più alti, ma affini caratteri, emer¬ gano da un tipo mentre attraversa i suoi pro¬ gressivi quanto regolari stadi di vita. E sia pure. In sostanza, con tali ipotesi si l’ im¬ portanza che meritano alle interne disposizioni dell’ organismo, alle particolari attitudini pro¬ venienti dalla intrinseca costituzione fisica. Ma non capisco la strapotenza dell’ ambiente , il quale, dopo tutto, non impedisce che le specie in decadenza conservino i loro caratteri tipici. Tale fatto mostra quanto piccola e modesta sia 1’ azione delle influenze esterne. L’ elevazione dei tipi rimessa, affidata, abbandonata all’ am¬ biente che varia intorno a loro, è un’ ipotesi vaga, incerta, di nessun valore per lo stesso dar¬ winismo. Le influenze esterne agirebbero even¬ tualmente sulle variazioni accidentali, che per caso sono adattate alle circostanze ambienti! Ognun vede che così affoghiamo in un caos di accidentalità , che non può riuscire utile nemmeno alla teorica darwiniana. Una teorica schiava d’un padrone così capriccioso, com’ è il caso , non si raccomanda e non persuade nessuno.

Dunque non so vedere che cosa infine pro¬ vano i darwinisti che parlano di « adattamenti

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individuali, mostruosi, sessuali, » e si diffon¬ dono a discorrere di « adattamenti cumulativi, correlativi , divergenti , limitati , illimitati ed universali. » Con tutto questo po’ po’ di adat¬ tamenti si smarrisce la tramontana : si tratta nientemeno di adattamenti aiutati e sorretti da forze naturali ed innaturali , da agenti ordinari e straordinari , da leggi possibili ed impossibili. Ma, al tirar delle somme, non sono adattamenti, sono erculei sforzi dei dar¬ winisti più avanzati per fissare sulla carta e descrivere il mondo che hanno nella mente. In quanto a me, non mi lascio prendere dalla scienza affatto soggettiva. Vorrei rappresen¬ tato il mondo com’ è , con tutti i caratteri della sua vita reale , con tutte le condizioni della sua effettiva esistenza , secondo il suo stato attuale, secondo la sua storia e secondo i documenti geologici e paleontologici. Il quadro di quella moltitudine di adattamenti starebbe a capello in un poema che rappresentasse un qualsiasi mondo ideale ; ma non può ficcarsi in un trattato di scienza naturale. Sicuramente, le circostanze esteriori non restano inerti e passive, agiscono, e la loro azione influisce nel modificare gli organismi. Ma da ciò alle fan¬ tastiche deduzioni tirate dai darwinisti, ci corre. Il fatto è che sotto identiche circostanze este¬ riori vivono tipi differenti , e viceversa tipi

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identici sussistono sotto differenti circostanze esteriori. L’ influenza degli agenti fìsici si faccia, quanto si vuole, simultaneamente coo¬ perare con altre leggi darwiniane , questa cooperazione non ci spiega V origine , la conservazione , la trasformazione delle specie. Gli agenti fìsici, benché lavorino d’ ac¬ cordo colla concorrenza vitale, colla elezione e coir eredità , non hanno la potenza di fare subire agli animali cambiamenti profondi e specifici. Le influenze naturali possono cagio¬ nare delle alterazioni nella forma ; ma, da sole, coll’aiuto di altre leggi darwiniane , riescono a trasformare i caratteri individuali ed essenziali , cioè 1’ essere degli animali. Questo c’ insegna la filosofìa sperimentale , e non c’ è ragione di voltare le spalle a cotesta filosofìa per accettare quella che germogliò , nacque e crebbe nella testa dei darwinisti. Lo spirito disse qualcuno nei suoi pre¬ concetti è limitato e produce la maniera , che ti pone innanzi non la cosa , ma il modo di guardarla , cioè la visione. Ebbene , più che agli altri, tocca ai darwinisti muover guerra alla filosofia ammanierata e visionaria.

Io, per parte mia, mi attengo alla scienza positiva e sperimentale. Ecco quello che sul* 1’ influenza dell’ ambiente diceva il signor Sanson alla Società antropologica di Parigi :

Di Bernardo. Il Daricinismo e le specie animali. 33

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Non si pretende di sostenere che lo sviluppo di una o più attitudini , presso gli individui migliorati, non induca alcun cambiamento di forma o di volume negli organi ai quali si riferiscono queste attitudini. Le masse musco¬ lari diventano più voluminose, il petto diventa più ampio, a misura che la facoltà di assimi¬ lazione si sviluppa negli individui. Ma il tipo della razza non resta meno indelebile, perchè i suoi caratteri anatomici non sono in nulla cambiati. E ciò si osserva, per esempio, nelle razze bovine dell’Inghilterra, che sono le più avanzate nella via del miglioramento. Esse sono arrivate ad un’ identica conformazione di corpo ; ma sotto il rapporto del loro tipo sono cosi distinte coni’ erano il primo giorno. Non sarà mai possibile di confondere un bove di Durham con un Hereford o un Devon , o questi due ultimi fra di loro. Gli è perchè tutti hanno conservato i caratteri anatomici della loro razza , la forma tipica della loro testa. Gli altri caratteri, che si trovano nelle descrizioni arbitrarie degli autori, sono affatto accessori. La zootecnia scientifica ripudia que¬ sti pretesi caratteri, che non possono caratte¬ rizzare nulla.

E più sotto :

La mole, la forma del corpo, la precocità, tutto ciò, in una parola, che dipende dall’ am-

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diente, non altera punto i caratteri di razza, non serve a nulla nella caratteristica delle razze. Il bove di Devon o di Hereford, sino il bove del West-Highland che abita nei monti della Scozia, arrivano ad esser precoci come il Durham ; ma conservano la forma anato¬ mica delle ossa del cranio e della faccia che è propria ad ognuna di esse.

Il signor A. Sanson adduce una quantità di altri esempi in proposito (. Bulletins de la Sociètè d’ antlir omologie, Serie Seconda, Voi. IV, p. 258 o seg.). Cosi che è interamente fuori dubbio che V influenza dell’ ambiente non altera , non trasmuta la forma anatomica de¬ gli animali , non toglie e non caratteri scientifici , vale dire caratteri che effettiva¬ mente caratterizzano, quand’ anche si unisca con altre collaboratrici, cioè colla lotta per 1’ esistenza, coll’ elezione e coll’ eredità.

Per il darwinismo, 1’ organizzazione non è, in definitiva, che il prodotto della variabilità e dell’ attitudine all'esistenza. Ora, riferirsene all’ azione reciproca fra P organismo e il mondo esterno, non è rimettere in onore, sotto altre espressioni, la spiegazione teleologica della natura ? Parlare di adattamento degli orga¬ nismi a fini determinati, sostenere che le va¬ riazioni sono governate dal principio d’utilità, non è ritornare alla relazione generale di cau-

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CAPO VI.

sa ad effetto, non è riconoscere ed ammettere la dottrina della teleologia ? Se dopo tanti affanni e tanti sudori, i darwinisti si ridussero’ a fare i conti colla correlazione armonica fra gli organismi e il mondo esterno, in che con¬ siste precisamente la novità del loro sistema? Questo sistema che dopo tanti rigiri e tan¬ ti tentativi, tante deviazioni e tante scappate , va a gettare l’àncora nelle fide acque del prin¬ cipio utilitario, cioè della teleologia var¬ rebbe non solo per la morfologia del mondo darwiniano, ma di tutti i mondi che ci piaces¬ se concepire; non è un risultato d’ induzione, non è un prodotto di scienza sperimentale , è un principio di metafisica, che ben volentieri si lascia sfruttare dalle scuole più opposte.

Madama Royer dice che il gran merito del darwinismo è « di potersi piegare, colla più meravigliosa flessibilità, alla spiegazione di tutti i fenomeni biologici. » (Bulletins de la Sociètè d’ anthropologie , Voi. V, p. 309).

No, questo, per me , non è un merito grande, piccolo. Dire che il darwinismo è troppo pieghevole , troppo flessibile , troppo elastico, è annegarlo nella vacuità più insi¬ gnificante. Che figura ci fanno le sue diverse leggi, se tutto il sistema non ha sapore , odore, colore ? Valeva la pena di de¬ cantare T azione simultanea delle sue di-

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werse leggi , se , dopo tutto, abbiamo da fare con una dottrina, che si accomoda a tutte le spiegazioni e non ha nulla di proprio, di ori¬ ginale, di essenzialmente nuovo?

Eppure la teoria darwiniana è stata para¬ gonata alla teoria della gravitazione univer¬ sale ! Nella teoria di Newton, i corpi si muo¬ vono come se si attirassero ; nella teoria darwiniana, le specie si trasformano come se subissero 1’ azione della lotta per Y esistenza e della elezione ! Ma io non posso diceva il Gaussin alla Società antropologica di Parigi, in data 19 maggio 1870 io non posso ac¬ cettare questo paragone. La teoria di Newton non si riduce al solo principio generale del- T attrazione universale. Se Newton si fosse limitato a dire che i corpi si muovono come se si attirassero, avrebbe ottenuto poche ade¬ sioni; però egli diede la misura di quest’ at¬ trazione , dimostrò le leggi della ragione inversa del quadrato delle distanze e delia proporzionalità delle masse. Voi dite che la elezione spiega la trasformazione delle specie come 1’ attrazione spiega i movimenti plane¬ tari. Ma dove sono a buon diritto si può aggiungere le leggi della concorren¬ za vitale, dell’eredità, dell’influenza degli .agenti fisici ? Voi le ignorate, e nondimeno

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CAPO VI.

pretendete di possedere una teoria paragona¬ bile a quella della gravitazione universale !

La gravitazione universale non si limita a spiegare i movimenti generali dei pianeti , ma spiega tutti i fatti grandi e piccoli. E del resto il metodo che ha permesso di stabilirla, è buono ad imitarsi. Si appoggia alle leggi di Kepler, le quali leggi risultano dall’ osserva¬ zione. Ma dove sono le vostre leggi di Kepler, ossia risultanti dall’osservazione? La lotta per L esistenza voi direte, l’elezione, Y eredi¬ tà, 1’ iufluenza degli agenti fìsici. Ma voi igno¬ rate in quali modi esse agiscono. Le vostre os¬ servazioni si limitano ad alcuni fatti che non comprendono un solo cambiamento di specie !

Il Letourneau rispose al signor Sanson; ma non disse nulla per ribattere le affermazioni del signor Gaussin. E innegabile che i darwi¬ nisti sono a corto di fatti per dimostrare la loro teoria: tanto vero che piu sopra abbiamo visto Madama Royer raccomandarsi persino ai cataclismi. E i cataclismi non bastando , i darwinisti in generale invocano la legge del tempo, cioè danno un sonoro tonfo nella lun¬ ghissima quanto oscura serie delle epoche geologiche.

La ripetuta Madama Royer rimproverava ai naturalisti non darwiniani di essersi co¬ stantemente attenuti alla sola osservazione..

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Per dire la verità , ai darwinisti non si può di certo appioppare quest’ accusa. Essi si sono addirittura messi fuori dell’osservazione, spro¬ fondandosi nella notte di centinaia e migliaia di secoli che forse precedettero 1’ epoca storica.

E non potevano fare altrimenti. « La teoria dell’ elezione naturale parla di nuovo il Broca (1. c. pp. 233-34) non essendo dimo¬ strata dall’ osservazione, non avrebbe potuto sedurre nessuno spirito scientifico , ove non si fosse anticipatamente risposto a coloro che reclamano prove dirette. Questa risposta an¬ ticipata Darwin l’ha fatta, dicendo che i feno¬ meni della elezione naturale sono talmente lenti, che non possono essere constatati diret¬ tamente e che, simili a molti altri fenomeni dovuti ad azioni deboli ma continue, non di¬ ventano sensibili se non a capo .di un lasso di tempo considerevolissimo. La dottrina dar¬ winiana è dunque inseparabile dall’idea che 1’ evoluzione della specie è stata graduale ed eccessivamente lenta. »

Siamo intesi; la teoria darwiniana non es¬ sendo capace di prova diretta, per sedurre gli spiriti scientifici, si diede a correre coll’ im¬ maginazione attraverso secoli ignoti , collo scopo di cercare qualcosa che avesse almeno l’apparenza di una prova indiretta.

« Eppure ripiglia il Broca quando

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applichiamo all’ esempio dell’ orango le re¬ gole dell’ elezione naturale, arriviamo a ri¬ conoscere che il tipo di questo animale non ha potuto prodursi a poco a poco, ma ha do¬ vuto apparire ad un tratto, senza alcuna tran¬ sizione. E questo fatto non è isolato; io V ho scelto, perchè riguarda un gruppo vicino al nostro, ed anche perchè ci presenta un notevole insieme di caratteri semplicissimi e facilissimi a discutere. Ma lo stesso argomento è applicabile se non a tutte le specie , almeno a tutte quelle che sono nettamente limitate e che si distin¬ guono dalle specie a loro più vicine con ca¬ ratteri ben chiari. Aggiungo che analoghe obiezioni per lo più si applicherebbero anche alle specie più indecise, perocché il meccani¬ smo dell’ elezione naturale non può produrre la divergenza dei caratteri se non per una se¬ rie di ramificazioni dicotomiche , e non si presta a quella ripartizione regolare , a quel mutuo incrociamento di caratteri, che si os¬ serva quasi sempre nei gruppi più naturali. » ( Bulletins 1. c. pp. 233 e 234).

E se è così, che soccorso la legge del tempo può porgere all’elezione naturale e alla teorica darwiniana ? In che modo la legge del tempo coopera colle altre leggi darwiniane per Spie¬ garci l’origine e la formazione degli esseri?

Non si è constatato nemmeno un fatto di

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trasformazione lenta nel senso della teorica darwiniana. Ciò è ammesso dallo stesso Dar¬ win e dalla sua ammiratrice, signora Royer. Entrambi spiegano le lacune della scienza a questo proposito colla lunghezza del tempo necessario a compiere le trasformazioni. Ma dov’ è la scienza dei darwinisti, quando non si può determinare niente, appunto perchè il darwinismo si mette fuori dell’ osservazione e dell’ esperienza ? Come si forma la scienza fuori delle combinazioni del sapere umano e dell’ arte che ne risulta?

L’ ipotesi di Darwin giustamente osser¬ vava A. Sanson dinanzi la Società antropologica di Parigi esclude, colle sue condizioni, ogni possibilità di verifica : « Vogliate notare che nel numero di queste condizioni si trova quella della necessità di un tempo indefinito perchè la trasformazione delle specie abbia luogo. Ciò è comodissimo per 1’ argomentazione dei partigiani della dottrina del trasformismo; ciò li pone in grado di sfidarci senza pericolo di provare il contrario delle loro affermazioni ; ma io vi domando se è scientificamente veri¬ ficabile T ipotesi , il cui tempo di verifica è indefinito. »

E che dire della plausibilità la quale sta tanto a cuore dei darwinisti ? 0 non è anche comodissimo il gettarsi a corpo perduto nel

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plausibile ? « Sull’origine delle cose seguita il Sanson intorno alla quale non sappiamo assolutamente niente, che cosa non può sembra¬ re plausibile? Forse che l’ immaginazione non ha per questo riguardo ogni latitudine fuori del metodo scientifico? Coloro che hanno discipli¬ nato il loro spirito a cosiffatto metodo, pensano che quest’apparenza di ricchezza equivalga alla povertà reale. Di un medesimo fatto non ci può essere che una sola buona spiegazione, cioè la vera. La scienza non esiste, sinché questa spiegazione unica non è trovata. Sinché la faccenda va così, il vero dotto, interrogato, non esita a dichiarare la sua ignoranza. Con¬ fessa a se stesso e confèssa agli altri che non ne sa nulla. Ciò Y espone , è vero, a vedersi considerato dai nostri arditi trasformisti dei due sessi come uno spirito di piccola portata, senza elevazione, incapace di filosofia; ma cotesti sono apprezzamenti che non gli fanno gran male e dei quali si consola volentieri. » (Bulletins 1. c. pp. 326-27).

Allegare la legge del tempo è dire, poco su poco giù, che questa o quell’ altra cosa non è impossibile, ma è plausibile. Coloro i quali si acconciano a prendere sul serio simile spiegazione, sarebbero dotti, sapienti, scien¬ ziati !

A questo patto non vorrei essere nelle loro

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file: preferisco star terra terra e discutere così alla buona, sotto la salvaguardia delle dimostrazioni a posteriori.

Accordate le premesse, il sistema regge; ma al menomo urto, va per terra come un castello di carte.

Le premesse del sistema sono le diverse leggi darwiniane. Se le accettate senza guar¬ dare tanto per la sottile, il sistema si tiene diritto che è un piacere a vedere. Se le esa¬ minate dappresso e con grande attenzione , tentenna, cede, si rovescia come una statua di pasta frolla.

Il curioso è che non di rado gli stessi dar¬ winisti sentono il bisogno di smuovere e di mandar sossopra la loro casa di creta. Per esempio, il prof. Huxley ha in diverse occa¬ sioni dichiarato che la geologia non ci rivela nulla intorno alla formazione delle nuove spe¬ cie. Altri darwinisti, messi contro il muro, dicono che il trasformismo è una realtà, ma che veramente le leggi del trasformismo non sono ancora conosciute. E perchè ? Perchè, secondo abbiamo detto, il tempo necessario alle evoluzioni trasformiste ci fa rimontare molto al di non solo dell’ epoca ma anche della scienza attuale.

Io chiedo se si possa assalire più vivamente il darwinismo. Questo è presentato come estra*

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neo non solo all’ epoca, ma anche alla scienza attuale !

E tale è infatti. Le osservazioni sulle quali si fonda la scienza attuale, non depongono a prò della teorica darwiniana. Più si studiano i terreni e le forme animali, più si rende inammissibile la sedicente evoluzione progres¬ siva, graduale, lenta e necessaria.

La maggior parte dei trasformisti di¬ ceva il D.r Sauvage alla Società antropologica di Parigi (Bulletins, Voi. VI, Ser. II, p. 320 e seg.) dimandano un immenso spazio di tempo perchè le modificazioni degli esseri possano aver luogo : i darwinisti non contano per nulla l’ epoca attuale e credono che i cambiamenti si verifichino in una maniera lenta e successiva. Quando contro la loro tesi si oppongono le prove, così le positive come le negative, fornite dalla paleontologia, certi trasformisti rispondono con « un fine di non ricevere, » allegando 1* insufficienza dei no¬ stri documenti geologici e paleontologici. Tut¬ tavia noi oggi conosciamo un insieme di fatti bastevoli per tirare delle deduzioni e discutere adducendo prove. Fatti, e fatti certi, ci sono ogni giorno presentati dallo studio delle flore e delle faune antiche.

Allorché la paleontologia non possedeva l’insieme dei dati che possiede oggi, si poteva

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asserire che tutte le piante e tutti gli animali formassero una serie semplice, a cominciare dai tipi inferiori ed anche più antichi, sino ai più elevati per organizzazione e più moder¬ ni. Ma la paleontologia non dimostra che gli ordini si generano reciprocamente, e che le famiglie derivano le une dalle altre.

Non potendo dimostrare^ neanco coll’aiuto di un’ ipotesi, questa trasformazione, alcuni darwinisti hanno cercato di far credere che una volta cambiate all’ intutto le condizioni dell’ ambiente, Y essere deve trasformarsi ; e così, a forza di modificazioni, i tipi sarebbero derivati Y uno dall' altro, di modo che i tipi di una classe inferiore sarebbero i più antichi nella storia della terra e quelli apparsi in un’ epoca posteriore sarebbero di un’ organiz¬ zazione più elevata. Perciò ai trasformisti oc¬ correrebbe che al punto di partenza, in alcuno dei punti intermedii sorgessero tipi inte¬ ramente diversi da quelli che hanno preceduto, e spesso ben superiori a quelli' che seguono.

Ma è veramente così ? Qual animale faceva presagire 1’ arrivo, alla superfìcie del globo, del dinoterio o del mastodonte, per non citare che questi esempii nella classe dei mammiferi ? Che diventarono i discendenti dei grandi ret¬ tili dell’ epoca secondaria, enaliosauri o dino¬ sauri ? Perchè nella classe dei pesci certe fa*

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miglie, come quelle dei ditteri e degli acantodi, sono limitate all’ Europa e si estinguono com¬ pletamente coll’ epoca carbonifera ? Perchè in certi ordini, in certe famiglie si videro appa¬ rire gruppi superiori a quelli che nacquero più tardi ? Perchè, sin nelle formazioni più antiche, si scorge che vivevano simultanea¬ mente numerose famiglie appartenenti alle quattro divisioni del regno animale?

Sin dai primi terreni fossili, tutte le classi dei zoofiti e degli anellati forse ad ecce¬ zione degli insetti e degli aracnidi, che sem¬ brano datare dal carbonifero sono rappre¬ sentate. Parimente rappresentati sono per lo più gli ordini, almeno pei molluschi.

Nel mondo devoniano coesistono tutte le sotto divisioni , sarcodari e raggiati, mollu- scoidi e molluschi , vermi e artropodi , anal- lantoidi e allantoidi. Sin dal terreno carboni¬ fero , delle cinque classi della divisione dei vertebrati , non mancano che la classe dei mammiferi e quella degli uccelli. Le ultime scoperte dei paleontologi americani ci fanno credere che tutti i grandi tipi siano antichis¬ simi.

Dunque come si fa a concepire che ab¬ biano potuto derivare gli uni dagli altri ? come mai un anallantoideo, batracio o pesce, potè produrre un allantoideo, un rettile? come

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questo potè dar nascita ad un essere, uccello o mammifero , completamente differente ri¬ spetto alla tessitura e alla struttura , total¬ mente dissimile riguardo agli apparecchi, ai sistemi, agli elementi ?

L’ apparenza esteriore sola si modificherà a volte, 1’ elemento istologico giammai: dal- 1’ osteoplaste del rettile non si otterrà mai quello del mammifero. Lf organizzazione, ecco il vero criterio.

Nemmeno se si guarda solamente la for¬ ma esteriore, i fatti sono d’ accordo coir ipo¬ tesi darwiniana. Ci si può fare osservare che quando nel carbonifero constatiamo la pre¬ senza di quasi tutti i grandi tipi, questo fatto non ci deve sorprendere, giacché un immenso spazio di tempo è scorso dall’ apparizione dei primi esseri, cioè dal laurenziano. Ma noi ri¬ spondiamo che attualmente ci mancano i punti intermedii , i termini intercalari , gli anelli della catena degli esseri. Si troveranno un giorno o F altro ? Chi lo sa ? Per ora noi non ragioniamo che sui fatti acquistati alla scienza.

Per ora sappiamo che i mammiferi sono molto più antichi di quel che si credeva. Co¬ nosciuti oggi sin nel trias, sono relativamente ben vecchi; eppure non vediamo che conser¬ vino alcun carattere saurico. Fin dall’ epoca del trias secondo Huxley ( Revue des coitrs

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CAPO VI.

scientiflques , Voi. VII, p. 456) esisteva già una forma ipsiprinnoide accanto ad una forma carnivora.

Se consideriamo la classe degli uccelli , i primi di questi vertebrati si conoscono sol¬ tanto per le impronte di passi che li farebbero almeno così vecchi quanto i mammiferi.

Il primo rappresentante certo della classe, 1’ arclieopterix data dal giurassico superiore. Si pretese trovare in tale uccello un passaggio da una classe all’ altra , dalla classe dei ret¬ tili alla classe degli uccelli. Ma Y arclieopterix possiede alcuni caratteri di rettili sauriani , mentre che , secondo le ricerche dello stesso Huxley ( Afjìnities between thè Dinosaurian Reptiles and Birds. Quart. Journ. of. Geol. Soc., 1870), gli uccelli rassomiglierebbero molto più al tipo dinosauriano. Se gli uccelli fossero derivati dai rettili , il primo uccello dovrebbe piuttosto rammentare 1’ ultimo tipo; ma l’osservazione ci attesta che precisamente il contrario ebbe luogo. Stando al signor Durand, gli uccelli sarebbero derivati dai ret¬ tili enaliosauriani ; e ciò unicamente perchè 1’ omero è in essi ritorto da innanzi in fuori, come se un solo carattere di forma potesse bastare per concludere alla filiazione di due esseri, come se uguali caratteri di adattamento

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all’ ambiente non potessero trovarsi negli ani¬ mali più lontani.

Un’ipotesi per essere verisimile, deve inter- petrare il maggior numero dei fatti.

Si può, per esempio, ammettere che l’em¬ brione di un mammifero qualunque passi pei differenti gradi dell’ animalità prima di essere completamente formato ?

Tale ipotesi è inammissibile così per T in¬ sieme della serie animale , come pei gruppi limitati. Non appena il blastoderma presenta qualche traccia di organizzazione, questa trac¬ cia si manifesta in una maniera differente e tutta speciale per ognuna delle grandi divi¬ sioni. Vi ha soltanto somiglianza in periodi successivi di sviluppo fra gli organismi em¬ brionali delle diverse divisioni , delle diverse classi , dei diversi ordini e generi del regno animale, somiglianza che va sempre dimi¬ nuendo, a misura che le forme organiche di¬ vergono verso la realizzazione definitiva del tipo che devono ricostituire.

Parimente infondato è il parallelo delle serie cronologiche ed embriologiche. Nella stessa epoca noi abbiamo pesci appartenenti alle stesse famiglie, e dei quali alcuni hanno la colonna vertebrale appena protetta, mentre negli altri T endoscheletro è bene sviluppato. I placoidi, sin dall’ epoca siluriana, coesistono

Di Bernardo. Il Darxcinismo e le specie animali 34

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CAPO VI.

allato dei ganoidi più imperfetti ; la separa¬ zione di questi cartilaginosi in olocefali e in plagiostomi ebbe luogo fin dai tempi devoniani.

Yon Bar, per il primo, osservò che la corda dorsale dei pesci ossei non termina, nell’ em¬ brione, in una maniera simmetrica.

Di qui si prese la mossa per tirar fuori una nuova legge. Tale asimmetria o eterocerchia è un carattere embrionale che presentereb¬ bero tutti i pesci anteriori al Giura , mentre che i generi posteriori sarebbero tutti omo- cerchi o provvisti di coda simmetrica ; i pesci più antichi avrebbero quindi « subito perfe¬ zionamenti reiterati, attraverso le diverse epo¬ che geologiche , e questi perfezionamenti cor¬ risponderebbero allo sviluppo embrionale degli esseri dell’ epoca attuale. »

Ma intanto il pesce dipteronotus cyplius è omocerco ; e nelle epoche devoniana e carbo¬ nifera, per non parlar che di queste, vivevano negli stessi mari generi appartenenti alle me¬ desime famiglie, e dei quali alcuni sono omo- cerchi, altri eterocerchi (Huxley Meni, of thè Geol. Survey of thè unit. Kingd. Classifica- tion of devonian fishes). Addippiù, i plagio- stomi, che sono eterocerchi per eccellenza, dovrebbero essere sempre eterocerchi. Invece, allo stato embrionale sono omocerchi. Ora se i pesci delle diverse epoche geologiche corri-

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sponcìessero a gradi diversi di evoluzione, i primi strati dovrebbero contenere non già pesci eterocerchi, ma soltanto pesci a coda omocerca, poiché i pesci eterocerchi per ec¬ cellenza sono primitivamente omocerchi. (Van Beneden).

A questo modo si buttano giù la sedicente prova embriologica, le fantasiose congetture tratte dall’ archeopterix e le elucubrazioni che presero origine dalla corda dorsale di certi pesci. La geologia e la paleontologia non hanno riguardi di sorta e tirano a palle infocate contro l’ipotesi darwiniana.

Insisto col D.r Sauvage sui risultati offerti dalla geologia e dalla paleontologia rispetto al darwinismo. Al mio vedere, è necessario esaminare a fondo la sedicente legge del tempo. Armati di questa legge, i darwinisti si lusingano di potere sfidare ogni difficoltà-; Quando si discute delle altre leggi darwinia¬ ne, i seguaci del caposcuola inglese sono piut¬ tosto disposti a fare delle concessioni a noi avversari. E ciò, perche s’ immaginano che alla fin fine la legge del tempo basta per to¬ glierli da ogni impiccio e per assicurar loro una vittoria completa, definitiva, splendida. I darwinisti hanno 1’ aria di dire ai loro oppo¬ sitori: « Correte a vostro talento, accumulate obiezioni d’ ogni sorta, combattete la teorica

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CA PO VI.

di Darwin secondo vi torna meglio: vi aspet¬ tiamo tranquilli e fiduciosi nel campo chiuso della legge del tempo; allorché sarete di fron¬ te alla legge del tempo, vi darete per vinti e consegnerete armi e bagagli. »

È fuori di dubbio che quando i darwinisti fanno appello all’ azione simultanea delle di¬ verse leggi darwiniane, annettono maggiore e decisiva importanza all’ azione della legge del tempo

Seguitiamo dunque a discutere intorno alla legge del tempo.

I pr imi rappresentanti di una classe non sono sempre i tipi più bassi di questa classe: spesso sono, al contrario, i tipi più elevati. Per esempio, i teleostei che appariscono alla fine dell’ epoca giurassica, lungi d’ essere lo stato embrionale dei melacotterigii, si avvicinano agli alecoidi, che sono quasi l’archetipo della loro classe e ne posseggono i caratteri nor¬ mali al più alto grado.

Dal punto di vista del trasformismo inde¬ finito, che fa derivare tutti gli esseri da alcuni stipiti apparsi sin dall’ origine della vita, tale fatto è in contraddizione coll’ ipotesi.

Se un organo si ripete colla stessa forma e colle stesse funzioni in esseri differenti, da ciò non si può legittimamente concludere alla filiazione di questi esseri.

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Ma si supponga per un momento che tutti gli esseri derivino da un medesimo progeni¬ tore. Sinora questo prototipo sarebbe Yeozoon del laurenziano inferiore.

Le tre serie del laurenziano inferiore, superiore e buri ano presentano (M. W. La¬ gnali. Quart. Journ. febbr. 1865) uno spessore di quasi 50000 piedi. La fauna che visse durante lo spazio di tempo in cui si formarono questi immensi depositi, non è arrivata sino a noi. Ma a partire dalla fauna primordiale, la suc¬ cessione degli esseri ci è conosciuta. Or bene i tre sistemi siluriano, devoniano e carbonifero hanno più di 50000 piedi di spessore negli Appalacbes (Man of Geol. p. 377), di modo che si può qui seguire la vita attraverso un im¬ menso periodo di tempo.

Il più importante corollario della legge dell’ elezione naturale insegna che le forme più ravvicinate nella serie animale hanno do¬ vuto essere anche le più ravvicinate nel tempo e nello spazio.

Per conseguenza i foraminiferi hanno do¬ vuto dapprima svilupparsi come discendenti più prossimi del prototipo eozoon. Poiché du¬ rante le epoche primitive, essi godevano il privilegio di essere esenti d’ ogni concorrenza per L esistenza, il loro sviluppo ha dovuto es¬ sere incomparabilmente superiore a quello di

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CAPO VI.

ogni altra famiglia osservata nelle età poste¬ riori. Dunque i foraminiferi avrebbero dovuto occupare il primo rango.

I protozoi qualunque sieno , spongiarii od altri, derivando dal tronco rappresentato dai foraminiferi, avrebbero dovuto occupare il se¬ condo rango nella medesima epoca, a cagione della loro anzianità relativa, di fronte agli altri tipi della serie.

I polipi, gli echinodermi, i briozoi, i mol¬ luschi, gli aneli idi, i crostacei avrebbero do¬ vuto prodursi in seguito, giacché in questa fauna lo sviluppo delle classi, degli ordini o- delle famiglie ha dovuto essere in ragione di¬ retta della loro anzianità di esistenza e in ragione inversa del loro grado di organizza¬ zione.

Così la teoria secondo il darwinismo.

Ma la teoria risponde alla realtà ?

Niente affatto.

Secondo la teoria, i foraminiferi, conside¬ rati come primi rappresentanti della vita ani¬ male sul globo e originariamente esenti da ogni concorrenza, dovrebbero tenere il primo rango,, per il numero e la varietà delle loro forme, nelle prime fasi della fauna primordiale. I protozoarii dovrebbero mostrarsi a quest’ epoca con uno sviluppo analogo , a causa delle loro, connessioni zoologiche coi foraminiferi.

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In realtà, i foraminiferi non sono stati os¬ servati in nessun luogo nelle prime fasi, e i protozoarii sono unicamente rappresentati a quest’ epoca da due specie costituenti 1’ esi¬ gua proporzione di 0. 008 fra le 241 forme di queste fasi.

Alla stessa conclusione si arriva per tutte le classi, per tutti gli ordini. I trilobiti che, secondo la teoria, dovrebbero essere in mino¬ ranza, costituiscono i tre quarti della fauna.

Lo stesso fatto si osserva nell’ ordine di apparizione delle famiglie.

Perciò possiamo scrivere col Barrande {Tri- lobites p. 268) : « Quanto a noi , persistiamo a pensare che la scienza deve mantenersi strettamente nella sfera dei fatti osservati e restare all’ intutto indipendente da ogni teo¬ ria, che tenderebbe a trascinarla nella sfera dell’ immaginazione. »

Il D.r Sauvage adduce altri fatti che sono inespicabili colla teoria dell’ elezione natu¬ rale.

Colle forme pensatamente non diciamo colle specie, giacché i darwinisti potrebbero obiettare eh’ essi non 1’ intendono alla stessa maniera colle forme comuni a due terreni esistono negli strati di passaggio un numero più o meno grande di forme assolutamente distinte, che non possono riannodarsi alle al-

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CAPO VI.

tre. Ora perchè la specie A di un genere si è conservata per lunghi periodi pur variando leggermente, mentre la specie B vivendo al¬ lato ad essa, assolutamente nelle medesime condizioni, si sarebbe trasformata a segno, da non potersi più ricongiungere alla sua parente?

Il Mortillet sost eneva avanti la stessa So¬ cietà antropologica la filiazione delle terabra- tule. Ma a qual forma si riannoderebbero le te- rebratulae cardium o coarctata , tipi differenti dalle altre specie del genere, che appariscono e spariscono ad un tratto ? Perchè e come ap¬ parve il gruppo della diphya ? Che cosa di¬ ventarono gli orthis e i leptoena che vivevano colle terebratule e le rincolle nei terreni pa¬ leozoici ? Perchè questi due generi si sono estinti colla fine del primo periodo ? Perchè erano men bene organizzati per la concor¬ renza vitale, risponderanno i darwinisti. Ma questa non è che ipotesi, ipotesi non verifi¬ cabile, ipotesi che non ha che spartire colla scienza.

Ciò che si è detto di alcuni brachiopodi , vale egualmente per quasi tutti i generi.

I darwinisti parlano spesso e volentieri di passaggio da una specie, da una forma ad un’al¬ tra, da un grado geologico ad un altro. Ma con- vien pensare che gli animali ci hanno lasciato solamente le loro spoglie ; per esempio, dei

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molluschi noi non conosciamo che la loro con¬ chiglia. Or bene, con forme esteriori quasi identiche questi molluschi non potevano avere altra organizzazione? E la non è una semplice presunzione, ma è un’illazione tratta da osser¬ vazioni positive.

Non basta porre in fila una serie mostrante il passaggio insensibile, verbigrazia, dalla for¬ ma allungata alla forma corta, o viceversa. Per arguire che Y una ha generato Y altra, bisogna studiare anatomicamente le due for¬ me. Se due specie si rassomigliano per la for¬ ma esteriore e si ritrovano in due gradi dif¬ ferenti, i trasformisti argomentano da un grado all’ altro. Ma il vero naturalista c insegnerà che spesso il negozio non va così, che fra due specie, mettiamo, di ammoniti vi hanno diffe¬ renze caratteristiche , e dipendenti dalla di¬ sposizione di un qualche organo importante, per esempio del sifone.

No, la filiazione degli esseri non si prova fondandosi sopra le apparenze esteriori e so¬ pra ipotesi stabilite esclusivamente a priori.

Che alcune specie siano passate da un grado ad un altro, noi lo ammettiamo. Ma in¬ vece di servire ad appoggiare la dottrina del trasformismo, ciò contribuisce ad infirmarla. Perchè difatti tale o tahaltra specie è rimasta la medesima, mentre intorno ad essa tutto si

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CAPO VI.

modifica ? Se 1’ elezione avesse la potenza che i darwinisti le accordano, se le leggi dell’ ere¬ dità agissero secondo il sistema di Darwin, se 1’ azione dell’ ambiente fosse così potente, come il darwinismo ad intendere , quella tale specie avrebbe dovuto cambiarsi colle altre.

Mentre in due regioni, anche vicine, alcune specie sono differenti, altre specie, al con¬ trario , si trovano identiche sopra superfìcie estesissime. Questo fatto è attestato non solo dalle piante più basse come i licheni : lo si osserva anche nelle fanerogame. Così la anagallide nasce in tutta F Europa, s’incontra nella Siberia e all’ Imalaia, al Capo e in Al¬ geria, in California ed al Chili, nel Kamtschatha ed alla Nuova Zelanda: dappertutto rimane la stessa. Il crescione di fontana vegeta, senza modificazioni, nelle acque di Madera e delie Canarie, della Russia e del Giappone. Del pari 1’ airone non cambia dalla Norvegia al Congo, dal Tonkin al Malabar. I giaguar vivono iden¬ tici in America dal quarantesimo grado di la¬ titudine nord al quarantesimo grado di latitu¬ dine sud. (Favre, La variabilitè de V esjjèce et s es UmiteSj p. 89).

Che cosa si risponde a questi fatti, stando all’ ipotesi dell’elezione naturale, dell’ eredità e dell’ influenza dell’ ambiente ad usum Dar- winii ?

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I darwinisti diranno che le ipotesi non sono

/tenute a spiegar tutto. Ma le ipotesi noi

replichiamo non hanno ragione di esistere

quando recisamente si oppongono ad una mas-

sa enorme di fatti.

\

E verissimo che certi tipi non possono piegarsi a nuove condizioni di esistenza e allora muoiono, dove che altri sono più fles¬ sibili ; ma nessuno vorrà sostenere che un tipo si piega alle nuove condizioni di esi¬ stenza, scomparisce. È un fatto che gli esseri variano; ma ciò che s'ha a considerare por la quistione che ci occupa, sono i caratteri generali dei tipi. Ebbene, a detta dello stesso Broca ( Bull. Soc. ctnthrop. Seconda Serie, Voi. V, p. 203), « nell’ osservazione diretta non si trova la prova che le cause naturali possano andare sino a modificare profonda¬ mente questi caratteri. »

Come affermava Lartet (Bull. Soc. anthr.~ Seconda Serie, Voi. I, pag. 437 ), la vera ca¬ ratteristica della specie non è in certe forme variabili, bensì nella struttura anatomica dei tessuti , nella disposizione molecolare degli elementi anatomici. E c’ è qualche cosa di invariabile. Si possono far variare i caratteri esteriori delle razze, ma non si può modificare la struttura dei tessuti.

La struttura ribadisce la medesima idea..

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il Dr. Sauvage è la vera caratteristica del¬ la specie. La specie è costituita da un insieme di esseri che hanno la medesima organizza¬ zione, la medesima tessitura, la medesima struttura. Due animali di due tipi differenti, quantunque vicini, hanno senza dubbio gli stessi elementi istologici disposti quasi della stessa maniera ; ma nell’aggruppamento, nelle dimensioni, nella configurazione di questi ele¬ menti vi ha differenze, che sono partico¬ lari alla specie e che non isfuggono all’ occhio esercitato.

La specie paleontologica sembra in molti casi più facile a studiare che la specie vivente. Il naturalista trovandosi m presenza di essa , nota le differenze e i rapporti che gli offre , e non è, per così dire, influenzato da nulla di esterno. Se, al contrario, studia l’animale at¬ tuale, spesso giudicherà secondo le sole appa¬ renze esterne. Una modificazione nel colorito o negli ornamenti, un cambiamento nelle pro¬ porzioni delle parti potranno parergli sufficienti per la creazione di una specie distinta, crea¬ zione che egli non potrà più giustificare quan¬ do, non più limitandosi all’esame superficiale, studierà l’individuo con lo scalpello e la lente. La dissezione esatta , comparativa, F esame istologico, ecco i veri criteri che debbono gui¬ darci, e che ci permetteranno sempre di tro-

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vare il tipo, nonostante le modificazioni che abbia potuto subire. Vi sono cambiamenti esteriori che sembrano avere una certa impor¬ tanza relativamente alla specificazione e che tuttavia non si riferiscono al vero carattere della specie, perchè 1’ elemento istologico non è punto modificato. Lo studio della composi¬ zione immediata degli elementi anatomici mo¬ stra eh’ essi hanno, in tutti gli animali, sin dall’origine, una data composizione invariabile, cioè non oscillante che fra strettissimi limiti da un periodo all’ altro della loro esistenza. (Robin, Bibl . des se. nat. anat. micros. des tissus et des sècrètions pp. 53, 54).

A sentire certi darwinisti, i tipi più varia¬ bili sono i più recenti. Dovrebbe piuttosto aver luogo il contrario. Cotesta asserzione si oppone pure ad un’ altra ipotesi proposta dai darwinisti, che, cioè, all’ origine le forze della vita erano più attive che ai nostri giorni.

Invece, si avrebbe potuto affermare col rino¬ mato paleontologo, il quale forse ha meglio compreso lo sviluppo della vita alla superfìcie del globo, con Archiac, che « se si considera lo sviluppo nel senso dello spessore degli stra¬ ti, o nel tempo, si vede : primo, che il numero totale delle specie tende ad accrescersi da giù in alto ; secondo, che la progressione è diffe¬ rentissima in ogni ordine e in ogni famiglia,

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e che spesso anche questa progressione è in¬ versa, sia negli stessi ordini di una medesima classe, sia nei diversi generi di un medesimo ordine. »

Il medesimo autore ebbe a notare « 1’ in¬ fluenza completamente nulla dei fenomeni di¬ namici, che hanno alterato la superfìcie della terra, sull’ andamento generale e lo sviluppo dei fenomeni biologici, e conseguentemente l'indipendenza completa degli uni e degli altri. (D’ Archiac, Pai. de la France , p. 657. D’ Archiac et de Verneuil, Mem, of. thè old. dep. in tlie Renish prov. Trans geol. Soc. of London , Serie Seconda, Voi. VI).

A questa stessa conclusione arrivò Barran- de, studiando le faune siluriane.

E chiaro, è incontrovertibile che la geo¬ logia e la paleontologia non difendono la cau¬ sa del darwinismo.

Se alcune piante erano nei periodi antichi di maggiore dimensione, che non sono i loro rappresentanti nell’ odierna flora ; se certi ani¬ mali, invece di perfezionarsi col volger del tempo, o rimasero stazionarii, o magari peg¬ giorarono, come si sostiene la teorica del suc¬ cessivo , generale perfezionarsi degli esseri organizzati? Quando e da chi si è provato che la composizione degli animali più antichi era

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più semplice della composizione degli animali fossili e quelli viventi ?

Si frughi, si raffronti, si almanacchi, si giochi a tira e molla quanto più piace, ma la immensa catena del progressivo sviluppo non si lascia sorprendere. I tipi di tutte le classi sono rappresentati nei tempi più remoti , e non abbiamo nessun segno di regolare quanto generale graduazione. Le elezioni, le leggi che agiscono sulla superficie della terra, sono a un dipresso rimaste le stesse, e fanno andare in fumo la pretesa trasformazione degli esseri or¬ ganici. L’uguaglianza di un grandissimo nume¬ ro di specie dei periodi antichi con quelle di oggigiorno buttano giù 1’ ipotesi dell’ origine delle specie mediante il trasformismo.

Ecco quello che lo studio e V analisi delle scoperte fatte nei terreni di transizione, nei terreni secondari, nei terziari e nei quadernari, ecco quello che la geologia e la paleonto¬ logia hanno messo in sodo con o senza licen¬ za, e buona pace, e rassegnazione dei darwi¬ nisti, sia partigiani della scala unica graduale sia sostenitori della scala a serie parallele.

I darwinisti non fanno della scienza, fanno del dottrinarismo, mettono assieme sillogismi, postulati, conclusioni, corollari ipotetici, fondati nell’ acrobatica delle astrazioni, svolti nel solo ambiente della speculazione. Sorvolano sugli

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ostacoli; trascurano la legge di relatività « che presiede a tutte le cose umane ; » si tengono avvinti alla metafìsica, all' apriorismo, che è « la vela senza la zavorra, 1 aerostatica che non bada all’ esistenza del vento. »

I darwinisti che festanti applaudirono al grido : « Non più metafisica, » e proclamaro¬ no lo sperimentalismo padrone esclusivo del campo scientifico, senza avvedersene piomba¬ rono nell’ anarchia intellettuale, che non co¬ nosce regole, che fa dubitare di tutto, e non ha paura nemmeno delle contraddizioni.

Nessuna delle cause , cioè delle pretese leggi darwiniane, è abbastanza energica per formare nuovi tipi. L' azione comune, fi opera simultanea di tali leggi è ugualmente impo¬ tente a raggiungere 1’ ambito scopo. Implici¬ tamente ne convengono gli stessi darwinisti; tanto è vero che, non sapendo dove battere il capo, finiscono coll’ intrufolare il problema nell'abisso dei secoli, centinaia, migliaia, mi¬ lioni di secoli. Ma così non si disimpacciano* non si liberano dalle obiezioni : per quanto sappiamo, il tempo ha il potere di distruggere dei tipi, ma non di formarne dei nuovi.

Gli stessi darwinisti non possono a meno* di sentirsi venire il mal di mare a forza di avvoltolarsi nelle onde di un passato che non conoscono ; e, senza volerlo, fanno vedere in

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che poco invidiabile ginepraio si sono cacciati. Il darwinista Dumont esce in queste parole (Cours scienti pques , Seconda Serie, N. 10, p. 224): « Noi comprendiamo che molti spiriti provano una certa ripugnanza ad accettare le

vedute audaci di Darwin . La sua non è

ancora che un’ induzione ipotetica, la quale affretta la prova sperimentale ; ma non è men vero che è la più verisimile di tutte le teorie presentate sin oggi sulle forme della vita. »

Sarà la teoria più verisimile neH’avvenire; ma per ora è un’ induzione ipotetica, un’ in¬ duzione d’ induzione, che non fa capo a nulla di accertato e termina coir urtare contro i fatti conosciuti. Quando la vantata induzione ipotetica è contradetta da una quantità di fatti e di leggi assolutamente innegabili, bisogna confessare che la teoria sull’ origine e lo svi¬ luppo degli organismi non è trovata neanco a mezzo, nemmeno per lontani accenni, neppure per indizi! che diano qualche fondato sospetto: è ancora di da trovarsi.

Udite il signor Marcy che è trasformista e professore al Collège de France : « Solo per transizioni lentissime la trasformazione si è potuta effettuare, se pure ha avuto luogo (si tant est qui elle ait eu lieti). Quindi mancan¬ do di soluzione sperimentale, l’ ipotesi del tra-

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali

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sformismo non può essere provata con¬ futata. I dotti, il cui spirito è abituato alle dimostrazioni rigorose, non s’ interessano a simili quistioni. Per loro, tali quistioni non hanno niente di scientifico. » ( Cours scienti- fìques , l.° marzo 1873, p. 814).

La parola al darwinista Ferrière.

A proposito della fecondità degli incrocia¬ menti, egli si esprime così : « Più sono nume¬ rosi, maggiore è la probabilità della comunanza d’ origine. Probabilità, sì, ma ohimè ! solamente probabilità, giacché non pure le trasformazioni possono essere e sono, per lo più, brusche ; ma anche, come inelanconicamente ha detto lo stesso Darwin, vi hanno tanti gruppi identici per la struttura e il cui incrociamento è ste¬ rile. » L’ autore con quell’ ohimè ci dice chia¬ ro che nemmeno lui è contento. Ma ci vuol pazienza. La scienza non si fa colla melanco¬ nia, bensì coll’ osservazione e lo studio dei fatti. I darwinisti studiano sempre la maniera di emanciparsi dai fatti; e anche quando pre¬ dicano bene, poi finiscono coll’agire male.

Per esempio, lo stesso Ferrière dice che lo assioma fondamentale dell’ eredità si è : Il si¬ mile produce il simile . l’eredità dei carat¬

teri è tanto riguardata come la regola, che la loro non trasmissione passa per un’ anomalia. Ma nello stesso tempo alferma che gli es-

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seri tendono a trasmettere la vita con caratteri variati (1. c. p. 9 e ìi).

Darwin è più logico dei suoi seguaci ; bisogna rendergli questa giustizia. Però la signora Royer se V ha quasi per male; scam¬ bia la logica colla prudenza e la caratterizza come un difetto, piuttosto che come un merito. State a sentire : « La sua (di Darwin) prudenza nuoce talvolta alla chiarezza della esposizione- ....Io ho rispettato al possibile questa forma sin¬ cera, ma un poco esitante. » ( Prèface , XXXVIII e XXXIX). Insomma Darwin doveva essere molto più audace e molto meno scrupoloso, meno logico, meno esatto. La elasticità dei principii della scienziata francese si rivolta contro la prudenza di Darwin.

Per vedere corn’ è elastica, spregiudicata e audace la teorica della signora Royer, basta citare questi passi : « Ciò che c’ è di veramen¬ te nuovo, di più personale nella teorica di Darwin si è che le specie progrediscono ge¬ neralmente, ma non universalmente forza¬ tamente ; quelle che non progrediscono sono esposte ad estinguersi in un tempo più o me¬ no lungo senza che perciò questa distruzione

sia di una necessità assoluta. » . « Un

certo concorso di circostanze può occasionare la decadenza di un tipo o la degenerazione di una specie, senza che perciò essa sparisca ;

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bisogna allora che la degenerazione le sia vantaggiosa, cioè che al disotto di tale specie vi sia un posto vuoto nella serie degli esseri viventi. » (Ibid. p. XLIX).

Così tutto si mette al posto, si accomoda e torna bene a viso. Un tantino di abilità, un po’ di talento, un briciolo di destrezza nel ma¬ neggiare e palleggiare le leggi a tempo e luogo. Le leggi vanno e vengono a benepla¬ cito di chi -le comanda ; si ritirano, se occorre ; riappariscono, se se ne sente il bisogno; agisco¬ no, se si vuole; stanno inerti, se la loro inerzia è più gradita. Perizia nell’ ordinare, flessibilità nell’ obbedire, e il gioco è bell’ e fatto. Ma la scienza no. Per esempio, si è sempre supposto che T elezione naturale accumuli le varietà riuscite ; ma alla signora Royer cotesto cu¬ mulo non conviene e scappa a dire: « La ele¬ zione naturale ha più a distruggere che ad accumulare. » (La sèlection naturelle a plus à dètruire qu à accumuler. Ibid. p. 165).

Questa po' po’ di confusione non impedisce che la lodata signora consideri il darwinismo come una scienza di prim’ ordine. Ecco le sue parole : « Oso affermare che nessuna teoria scientifica ha fondamenta così solidamente ap¬ poggiate sull’ evidenza , una base più salda nei fatti, e su questi fatti una costruzione più logica di principii e di leggi. » (Bulletins

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de la Socièté d' anthr omologie, Voi. V, Sez. II, pp. 285-86). E più giù, a carte 311-12: « Il trasformismo non è una credenza, è una se¬ rie di ragionamenti basati sopra realtà os¬ servate, constatate, e che trionfa facilmente della debolezza degli argomenti che gli si op¬ pongono. »

Per far vedere che gli uomini sono, al pari delle donne, capaci di entusiamo per il darwinismo, il signor Bertillon, membro della Società antropologica di Parigi, esclamava con saporosa solennità di parole : « Mi sembra le¬ gittimo e giusto di porre questa ipotesi gran¬ diosa (l’ ipotesi di Darwin) accanto a quella di Laplace. » (. Ibid . p. 528).

Io rispetto 1’ entusiasmo che fa molto bene a chi lo sente e nessun male al prossimo. Ma freddamente seguito a discutere coi naturalisti che sono meno facili ad illudersi e resistono alla tentazione di sorprendere i lettori coi razzi dei periodi rimbombanti, coH’alchimia e coll’ areostatica.

La trasformazione della materia si segue senza ostacoli, sinché si tratta di risultati di valore meccanico. Ma, facendosi un passo di più, s’ inciampa in difficoltà inestricabili.

Se le specie confinano fra di loro per si- miglianze organiche, talora avvicinatissime, •tuttavia dice il Rimbaud non si vede

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il punto d’ intersezione fra la specie compiuta e la specie che comincia ; non si scuopre la giustaposizione che ci dispensi dal cercare la madre capace di allevare 1’ uccello uscito dal- 1' uovo di un rettile o dall’ uovo di un pesce* la nutrice che allatterà il mammifero nato da un uccello per quanto questo sia vicino a non più essere un uccello, ecc. ecc.

No, non riposa sopra solido fondamento- quella specie di metempsicosi, alla quale si ha ricorso per rendersi conto delle progressive divergenze che caratterizzano lo sviluppo del mondo vivente nelle sue diverse fasi. Guar¬ dando cogli occhi del buon senso e della ra¬ gione, non si vedono che pure fantasticherie* in queste idee di trasformazioni lente, le quali farebbero derivare da uno stupido pesce, 1’ uc¬ cello agile e melodioso ; da un greve cocco¬ drillo oviparo , la balena rapida e vivipara; da un carnivoro, un erbivoro; da un animale* a sangue freddo, un animale a sangue cal¬ do, e così di seguito.

I darwinisti non possono dire scientifica¬ mente sotto quali condizioni la vita passa da un grado inferiore ad un grado superiore, o come hanno potuto affazzonarsi 1’ uccello nato da una lucertola e il marsupiale venuto da un batracio o da un uccello. L’ ipotesi della ele¬ zione naturale se ne leva per le spiccie, tiran-

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do, poco a poco, dal protozoo alemanno, o dai prototipi inglesi, o ancora dai germi polige¬ nici , il grandioso svolgimento della catena degli organismi. Però cotesta ipotesi non porta nella quistione il più fioco lumicino, e non ci vediamo ora meno confusamente di quel che ci si vedeva prima.

Pei darwinisti, 1’ elezione naturale, unita all’ eredità, farebbe subire ai caratteri degli animali, cambiamenti di forma che , a lungo andare, li allontanerebbero dai tipi ai quali appartengono. Ma è chiaro che F elezione naturale non può incontrare continuamente, regolarmente il concorso favorevole dell’ere¬ dità, senza della quale resta fortuita, incerta, oscillante.

L’ eredità dovrebbe agire lentamente, con norme fisse, con regole rempre uguali per rafforzare, ribadire e menare a buon fine le conseguenze dell’ elezione. Invece, gli effetti dell’eredità sono incerti, indecisi, tergiversanti. Ed invero come mai F eredità potrebbe eser¬ citare un’ azione regolare ed uniforme, quan¬ do F elezione naturale o artificiale dei ri- produttori F ha fatta agire sopra elementi incessantemente variati sia dalle influenze modificatrici, sia dalla differenza delle cause e delle circostanze che determinano la scelta?'

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Così, il fatto smentisce 1’ ipotesi e il dar¬ vinismo perde ogni verosimiglianza.

Proseguiamo a studiare la contemporanea attività delle leggi di Darwin.

Nelle condizioni incertissime che prepare¬ rebbero e provocherebbero Y elezione natura¬ le, non c' è nulla che rassomigli alla lotta per 1’ esistenza secondo la teorica di Darwin.

I fatti di cui si tratta nella brillante meta¬ fora del filosofo inglese, ci presentano non il quadro di una battaglia, bensì il risultato di conseguenze passivamente subite.

La concorrenza delle forze vitali che si disputano la sopravvivenza, rassomiglia più ad un atto della natura sopra se stessa, che ad un’ azione vera e propria degli esseri fra di loro o contro la natura.

Dunque ragionano male i naturalisti che prendono le metafore per fatti; e scaldandosi la fantasia, sul canovaccio delle metafore si lusingano di ricamare teoriche scientifiche.

I nostri avversari dicono: Ciò che fanno gli allevatori è imitazione di ciò che fa la natura; come la elezione artificiale può, colla scelta dei riproduttori, formare una razza du¬ revole, così la elezione naturale, ravvicinando gli individui dotati di certe qualità, deve pre¬ servare la loro posterità dall'eliminazione che colpisce gli esseri meno bene dotati.

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Ma quand’ anche sia vero che la natura faccia per caso, ciò che 1* allevatore fa meto¬ dicamente, forse che allora abbiamo un com¬ battimento di diverse esistenze ? Niente affatto, perchè il caso, movente delle cause di varia¬ zione nel sistema naturale, e l’allevatore, che assume la direzione di queste cause, nella combinazione artificiale, fanno il loro ufficio ognuno per conto suo , col concorso e la sot- tomessione degli organismi alla legge di ri- produzione.

Dov’ è la lotta della vita per la vita, sia nel fatto della elezione domestica, sia nel fat¬ to della elezione naturale ?

È vero, F esistenza è una continua riven¬ dicazione del diritto di vivere, sempre minac¬ ciato di soppressione ; ma nessuna considera¬ zione fisica giustifica l’ipotesi, secondo la quale l’ istinto si preoccupi e si spinga al di dei bisogni immediati della vita. Per F istinto tutto si racchiude nell’ attualità i suoi moventi, i suoi atti e la direzione alla quale obbedisce.

L’ immagine darwiniana che pone sul ter¬ reno della riproduzione una lotta la quale sa¬ rebbe senza obietto per F istinto, è la vana espressione di un vano concetto.

Non è su questo terreno che la legge di Malthus mette in giuoco gli interessi della battaglia per F esistenza.

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CAPO VI.

La lotta por l’ esistenza non può avere che effetti assolutamente insignificanti dal punto di vista dell’ evoluzione, perchè ora è propizia ed ora nuoce al perfezionamento organico. Da quest' azione intermittente di probabilità favorevoli e di probabilità contrarie non può derivare che un risultato completamente ne¬ gativo rispetto all’ evoluzione del principio della vita.

Non è ammissibile, no, che l’equilibrio fra i due regni vegetale ed animale e fra le specie derivi dall’ azione dell’ istinto, dal combatti¬ mento degli individui per la loro esistenza at¬ tuale. L'influenza degli esseri, gli uni sugli al¬ tri, è una circostanza senza importanza con¬ siderevole fra le cause, che nella corrente della vita generale impediscono l’eccesso della mol¬ tiplicazione degli animali.

La lotta degli animali fra di loro è un piccolissimo incidente framezzo alla formida¬ bile battaglia che la produzione sostiene con¬ tro la distruzione. Si è calcolato che se le uova dell’ aringa riuscissero tutte a bene, in meno di cinque anni la superficie dell’oceano ne sarebbe coperta. D’ altronde tutti i pesci ovi¬ pari, dalle specie più grandi sino alle più picco¬ le, fanno profusione d’uova, tanto che, se pro¬ sperassero tutte, il mare non sarebbe navigabile.

Le facoltà di propagazione sono eccessive

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anche fra le specie terrestri, piante o animali. Molte specie sarebbero capaci di espandersi in tutta la superficie della terra. Ma nessuna arriva a farsi un posto fuori di proporzione. Gli è che sul suolo, come nelle acque, ogni estrema azione della forza espansiva della vita non tarda ad essere arrestata. Gli ele¬ menti cagionano immensi guasti fra le ric¬ chezze appena abbozzate della flora e della fauna. Innumerevoli sono le occulte cause di distruzione che, giorno per giorno, sopprimono la vita senza distinzione del grado di svilup¬ po, al quale è pervenuta.

Ed ecco come diventa piccola, modesta, insignificante la parte rappresentata dalla lot¬ ta fra gli organismi.

E a che si riduce la lotta fra gli individui dello stesso sesso? Andate a parlare di cote- sta lotta quando, per esempio, si tratta della azione cieca delle cause che mescolano il polline di # un fiore a quello di un altro ; o dell’ « irrorazione, » per la quale i pesci ma¬ schi fecondano le uova che le madri hanno prodotto nello stesso punto ; o del vento che trasporta, dagli uni agli altri, la polvere fe¬ condatrice dei vegetali ; o della corrente che pone a contatto le uova sparse dalle femmine col latte dei maschi ! ecc. ecc.

Se la sopravvivenza fosse un vantaggio

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CAPO VI.

inerente alla modificazione organica, prodotta nel senso dell’ evoluzione, questo vantaggio avrebbe dovuto sovratutto giovare ai più avan¬ zati degli intermediari, attraverso i quali un genere è arrivato a fondare un’ altro genere. Ma perchè non sopravvissero questi avanzati intermediari ? perchè non lasciarono traccia di ? perchè invece giunsero fino a noi gli esseri meno avanzati degli intermediari, cioè gli esseri che dovevano definitivamente perire , appunto perchè erano meno avanzati, meno adattati, meno bene riusciti ?

Gli ambienti sono lo stesso campo della lotta, non già fra gli individui, ma fra le forze avverse della natura, vale a dire le forze vitali e le forze che tendono a distruggere. Ne segue un miscuglio che Darwin riguarda come conseguenza di una causa eh’ egli immagina, raffigurandosi gli elementi generatori le simpatie e le antipatie organiche quasi tra¬ scinati inconsapevolmente in una specie di battaglia magnetica, allo scopo di conquistare una particolarità utile.

Claparède racconta, senza risparmio d’iro¬ nia, le peripezie di questo combattimento me¬ tafisico e qualche frecciatina al Wallace, che in certi casi difficili, per soccorrere Dele¬ zione naturale, se ne appella ad un’ incognita, alla così chiamata « forza superiore. »

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Il Wallace parla Claparède ha persino voluto spiegare la graduale formazione del canto delle capinere e dell’usignolo mediante 1’ elezione sessuale. La cosa è semplicissima. Le capinere e le femmine degli usignuoli hanno sempre accordato, con preferenza, i loro favori ai maschi buoni cantanti. Questa era la conseguenza dei loro gusti musicali e delle attitudini armoniche del loro orecchio. Guai ai poveri maschi dal registro poco esteso o dalla voce disarmonica ; le dolcezze della pa¬ ternità sono state loro negate spietatamente; essi sono morti di gelosia, nella tristezza e nell’ isolamento. Così si è formata la razza dei buoni cantanti che popolano i nostri bo¬ schetti !

Perchè non ci sono cantanti femmine ? Per¬ chè 'gli uccelli maschi non hanno mai badato alla voce delle loro spose; o perchè non avevano Porecchio giusto; o piuttosto, perchè i loro gusti musicali erano sufficientemente soddisfatti dai loro concerti personali. Forse anche le femmi¬ ne non avevano attitudine al perfezionamento della voce; forse avevano raggiunto l’estremo limite di sviluppo vocale compatibile coll’ or¬ ganizzazione di un uccello del sesso femminile; ovvero l’ elezione ha misteriosamente estinto la bella voce delle femmine. Comunque, per il signor Wallace è evidente che la elezione ses-

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CAPO VI.

suale, in altre parole il gusto delle capinere per la musica, ha cagionato il gran perfezionamento dei cantanti dell* altro sesso !

Ma nella specie umana il canto armonioso ed ammaliatore di una prima donna avrebbe potuto nascere e perfezionarsi per via di ele¬ zione? Il gusto musicale degli uditori potreb¬ be avere avuto un influenza su questo feno¬ meno ?

No, risponde il Wallace. Soltanto l’ inter¬ vento di una forza superiore potè dare un simile risultato, dacché mai nessun uomo pri¬ mitivo ebbe gusto per la musica.

Il Wallace lo sa ; visse tanto fra i selvaggi che glielo potettero dire. Al contrario, le ca¬ pinere primitive e le femmine primitive dello usignuolo avevano il gusto musicale molto tempo prima che i loro sposi avessero impa¬ rato a cantare !

Come lo sa il signor Wallace? Poh! che importa? Lo sa e basta.

Scherzo a parte, è certo che la elezione non serve a spiegare P immensa gerarchia degli esseri viventi, i legami che gli uniscono, le dissomiglianze che li separano e gli andi¬ rivieni della propagazione specifica alla quale essi attendono.

L’elezione è un’ ipotesi che non ha un sodo punto di partenza e finisce col confondere la te-

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sta di chi ci crede. È inammissibile che l’ idea trasformista, sorretta da simile ipotesi, colle sue infinitesime gradazioni, regolate sopra un’ in¬ calcolabile lunghezza di tempo, sia in grado di accordarsi colle leggi della fisiologia. Niente poi ci rassicura, per esempio, sulla sorte della primogenitura del pesce e dell’ uccello, i quali furono, dall’ azione degli ambienti o degli altri agenti dell’ evoluzione, indirizzati verso un tipo o una classe piuttosto che verso un altro tipo o un’ altra classe.

E d’ altronde ci resterebbe a fare la sco¬ perta del punto medio, dove possono verificarsi la confusione anatomica delle classi e il cam¬ biamento d* istinto e di costumi.

Innamorarsi e preoccuparsi di un’ ombra, vivere di lei e per lei, più che del mondo reale, sarà una gran bella fortuna per i poeti, ma non giova alla scienza

L’ elezione è 1* ombra di cui si sono inna¬ morati i darwinisti ; se ne sono innamorati e preoccupati tanto., da non più brigarsi della realtà.

Non è dunque inutile insistere per invitarli a lasciare ai poeti gli amori e le preoccupa¬ zioni di tal natura.

Certamente dal Rimbaud traggo anche queste riflessioni nella vita sottoposta alla domesticità, gli ambienti, Y alimentazione, la

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CAPO VI.

abitudine che man mano si acquista e sovra- tutto la scelta artificiale esercitano un’influen¬ za modificatrice sopra alcune parti della strut¬ tura dei vegetali e degli animali. Questi agenti che tendono a differenziare , regnano sovra¬ namente, tirannicamente, trattandosi di ele¬ zione artificiale. La pianta e gli animali do¬ mestici devono perire o adattarsi alle condi¬ zioni di esistenza che loro s’impongono.

Tutt’altro avviene nella natura libera. Qui le specie non vengono, per così dire, sover¬ chiate dagli ambienti. Al contrario, questi sono generalmente fatti per quelle. Così gli ambienti trovandosi in perfetto rapporto colle inclina¬ zioni e coi bisogni dei loro ospiti, l’abitudine non ha da prepararvi deviazioni. Forse qual¬ che volta il caso luogo all: imprevisto ; ma l’ imprevisto il caso sono strumenti dell’ armonia della natura.

Per alcuni darwinisti la materia organiz¬ zata sarebbe così malleabile, che basterebbe una corrispondenza avventurosa, un bisogno o una depravazione dell' istinto, un fenomeno embrionale ed anche un semplice cambiamento delle condizioni biologiche, per trascinarla, col- 1’ annuenza dell’ eredità, in metamorfosi im¬ portanti.

Ma questa è un’ altra delle ombre, cui si accennava sopra. Noi per ora ci occupiamo

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della realtà e delle deduzioni che alla stessa fanno capo. Sotto questo punto di vista, la profonda differenza che esiste fra gli ambienti naturali e gli ambienti domestici ci costringe a rigettare le congetture, sulle quali s’è im¬ bastito il darwinismo.

L’ uomo è senza dubbio uno degli agenti indispensabili allo sviluppo di alcune conse¬ guenze racchiuse nelle leggi universali. Sul terreno della domesticità Y uomo fa tutto, tran¬ ne l’ impossibile. Or bene, i nostri contradittori non veggono che è impossibile andare da un termine all’altro della trasformazione senza in¬ contrare ostacoli insormontabili, senza urtare contro F invincibile difficoltà dell’ educazione.

La materia è estensibile e riducibile; può modificarsi in un senso o in un altro , può cambiare di aspetto e di colore, perfezionarsi o degradarsi , abbellirsi o deformarsi. Ma il principio di vita che è in essa, non cambia. L’ involucro che cela la timidità del lepre può estendersi e modificarsi, ma il lepre non avreb¬ be per ciò il coraggio del leone.

Gli è perchè la molteplicità delle forme viventi risulta non da una facoltà di modifi¬ cazione inerente alla materia, ma unicamente dalla diversità propria al principio vivificante. Gli è perchè la variazione della forma non va scambiata colla trasformazione del tipo,

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 36

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capo vi.

L’ idea di tipo non è soltanto un’ idea di similitudine delle fattezze esteriori, ma è sopra¬ tutto un’ idea di similitudine dei caratteri in¬ terni. Così , gli individui dello stesso tipo possono differire estrinsecamente ; ma neces¬ sariamente si rassomigliano per le loro intrin¬ seche caratteristiche.

Se fosse vero che 1’ energia, 1’ intelligenza e il sentimento della vita aumentano colla trasformazione e il perfezionamento del suo involucro, ciò dovrebbe apparire, inoppugna¬ bilmente , da un capo all’ altro della scala ascendente , e dovrebbe rendersi palese nel grado di superiorità che la vita acquisterebbe a misura che 1’ evoluzione organica 1’ allon¬ tana dal suo punto di partenza.

Ora, paragonando 1’ industriosa attività di alcuni imenotteri colla pigrizia dei grandi ret¬ tili ; 1’ abilità che certi molluschi marini mo¬ strano per assalire o difendersi, colla stupidità di molti pesci ossei ; 1’ arte con cui la rondine fabbrica il suo nido e copre di peluria il posto dove deporrà le sue uova, colla mancanza di istinto materno di alcune specie mammalogia che ; la melodiosa voce dell’ usignolo coll' or¬ ribile raucedine dei gridi del corvo ; V abbon¬ danza e il gusto dei frutti di piccoli vegetali cogli insipidi , insignificanti frutti di alberi grandi instituendo tale confronto , ci con-

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vinciamo che, sebbene legata alla forma che riveste, la vita specifica non dipende, non è propriamente caratterizzata dall’ ampiezza, dalla complicazione della forma.

Ciò prova non esser vero che dalla supe¬ riorità fisica di un organismo derivi necessa¬ riamente la sua superiorità morale.

La forza che è V appannaggio di una po¬ tente costituzione, non è superiorità, come non è superiorità la destrezza di vincere o di eludere questa forza. Il gran paehidermo at¬ terrato da un piccolo carnivoro, non è, moral¬ mente, inferiore, superiore a quest'ultimo. Il volatile insettivoro, che fuggendo alla svelta si sottrae agli artigli dello sparviere, non è. al morale, meglio provvisto, più sprov¬ visto dello sparviere. La vespa che costruisce il suo alveare così ingegnosamente e poi lo difende con raro coraggio contro ogni nemico, non ha un’ istinto meno sviluppato della mag¬ gior parte degli animali compresi nelle classi più elevate. Il ragno, brutto, piccolo cacciatore, che tesse 1' insidiosa reticella la quale deve procurargli un’ ecatombe di vittime alate , compie un atto dell’ istinto non meno rimar¬ chevole di quello del tigre, che dalle macchie dov’ è rannicchiato, spia il passaggio di una preda, di cui può impadronirsi solo per sor¬ presa.

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CAPO VI.

Quando vediamo una seppia lasciata a secco dal riflusso del mare scavarsi un rico¬ vero nella sabbia e attendervi il riflusso libe¬ ratore, giustamente pensiamo che l’ istinto del¬ la conservazione non è meno perfezionato in questo mollusco cefalopodo, di quel che sia nel quadrumano trattenuto da una trappola, dove ha introdotto la sua ladra mano. Quando ab¬ biamo sotto gli occhi lo spettacolo deir atti¬ vità, in apparenza preveggente, che la formica adopera a rubare per approvvigionare la sua dimora invernale , dobbiamo dimenticare che ci troviamo in presenza di un fatto inconsa¬ pevole; altrimenti porremmo questo piccolo insetto molto al di sopra degli animali di piti forte, più complicata e più elevata struttura.

Chi oserebbe affermare che il cammino su due o su quattro piedi costituisce una supe¬ riorità sul volo o sul nuoto ? che sotto il rap¬ porto dell’ intelligenza , il regime carnivoro prevale sul regime erbivoro ? che il leone è più intelligente dell’ elefante ?

Ognuno di questi regimi ha le sue divi¬ sioni , le sue particolarità specifiche ; ma la molteplicità delle divergenze mentali non si collega alla molteplicità delle forme e non procede da combinazioni anatomiche.

E se è così nella zoologia, altrettanto avvie¬ ne nella botanica: come nelfanimale, così nel-

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T anatomia della pianta , non c’ è che una -espressione e uno strumento.

Dal punto di vista fisiologico continua il Rimbaud vi ha una considerevole distanza fra una pianta crittogama ed una pianta fa¬ nerogama, fra una monocotiledone ed una dicotiledone; ma, benché differiscano di forma, gli organismi vegetali, come quelli del regno animale, si riassumono in entità paragonabili fra di esse , quanto al loro scopo. Più arte nella costituzione organica equivale a mag¬ giore agglomerazione di forze funzionali, ma non a maggiore perfezione dei loro risultati. Quantunque più consistente e più durevole sotto un’involucro, piuttosto che sotto un’altro, la vita non è meno meravigliosa nella fragi¬ lità di una cucurbitacea , che nella longevità del cedro. La pianta che striscia non ha alcuna rassomiglianza fìsica con quella che porta in alto i suoi rami ; ma questi due vegetali si rassomigliano moralmente e , per questo ri¬ spetto, l'uno è tanto elevato quanto Y altro.

Da tutto ciò non s’ inferisce che pos¬ sano mettersi sulla stessa linea e allo stesso livello di perfezione gli istinti così diversi , dei quali le forme delia vita sono gli inter¬ preti. No di certo. È incontestabile 1’ evidente superiorità, per certi riguardi, del vertebrato .sull’ invertebrato, del pesce sul mollusco, del

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capo vi.

cetaceo sul pesce , dell’ uccello sul rettile e sull’ insetto, del quadrupede viviparo sull’ uc¬ cello ; ma paragonando i più elevati di una classe ai meno elevati della classe susseguente,, ravvicinando, per esempio, l’ ittiologia e l’ en¬ tomologia, certi vertebrati e certi invertebrati, noi vediamo la perfezione meccanica aggiun¬ gere così poco alla perfezione intellettuale, da non potersi dire che 1’ una sia un effetto del- 1’ altra , da non potersi dire che lo sviluppo deH’iiitelligenza sia una necessaria conseguen¬ za della complicazione dell’ organismo.

Il vero in questa quistione degli organismi si è che la loro variabilità sottoposta ad una legge di restrizione così assoluta coma quella che limita in un’ellisse il movimento della terra attorno al sole non è che esteriore, transitoria, fugace. E se si vede questo solamente, dove sono le probabilità che autorizzano e giustificano 1' ipotesi dar¬ winiana ?

Senza dubbio nelle specie naturali c’ è una disposizione a variare; per gli effetti del¬ la cultura e dell’ incrociamento, le specie che noi addomestichiamo, si ramificano in nume¬ rose razze, spesso differentissime le une dalle- altre. Ma variare è tutt’ altro che derivare.. La variazione, proprietà inerente alla forma, è dappertutto manifesta nel regno vegetale e in

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quello animale. Ma la derivazione il cui principio si attribuisce ad una tendenza del carattere specifico, la quale muoverebbe dalla variazione non si lascia pur sospettare o indovinare in un regno, nell'altro. L’in- variabiliià dei caratteri intimi della pianta e dei costumi degli animali, malgrado 1’ insta¬ bilità dei loro caratteri morfologici, è innega¬ bile, perchè si appalesa , dirò cosi , material¬ mente, non solo nel corso dei secoli storici , ma eziandio in quello delle età geologiche.

serve dire che alcuni gruppi di piante o di animali possono ridursi ad un piccolo numero di famiglie o di stipiti principali , « dai quali non è impossibile che tutti gli altri sieno discesi. » Limitare, ristringere , ap¬ piccolire il campo delle metamorfosi, aggrup¬ pandole e ripartendone le conseguenze nel tempo e nello spazio, sotto la riserva che non è impossibile la tale combinazione o la tal’al- tra, non basta per dare un' apparenza di ve¬ rità all’ ipotesi del darwinismo.

Sicuramente, tutto non venne ad un trat¬ to. Nelle acque prima e poi sui continenti la germinazione dovette avere delle fasi e dei gra¬ di diversi; ad ogni apparizione di esseri dif¬ ferenti dovette seguire un completamento o un cambiamento di regime biologico. L’ op¬ portunità della venuta delle cose , nella na-

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C.4P0 VI.

tura, è una delle condizioni della loro armonia. Ma quantunque sia ben possibile che le classi, gdi ordini, i generi e le specie delle piante e degli animali sieno nati successivamente, que¬ sta non è una ragione per supporre che gli ultimi venuti sieno la posterità di quelli che vennero primi. A buon conto, la permanenza, dei caratteri specifici non è incompatibile col- fi opera libera delle leggi naturali e , non foss’ altro , si comprende molto meglio che la variabilità e la trasformazione sconfinata.

Entrando nel dominio dell’ osservazione , si vede a bella prima il limite che, nei due regni vegetale ed animale, separa la natura libera dalla natura dominata, lo stato selvag¬ gio dallo stato domestico.

Nulla infatti è costante come la natura lasciata a se stessa, nulla è mobile come la natura asservita. L’ una rassomiglia così poco all’ altra, da dover cadere necessariamente in errore se con quella si giudichi di questa.

E nell’errore precipitano i darwinisti, -i quali cercano gli indizii della mutabilità delle specie selva gge nelle incessanti modificazioni che subiscono i vegetali e gli animali dome¬ stici. In questi fatti che possiamo dire quasi fuori della fisiologia generale, in questo cu¬ rioso spettacolo delle variazioni che si otten¬ gono giornalmente sotto i nostri occhi e a

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nostra volontà, nella popolazione delle nostre stalle o dei nostri cortili, e fra le specie ve¬ getali che formano la ricchezza dei nostri verzieri o 1’ ornamento delle nostre terrazze, non c’ è nulla che possano invocare a profitto delle loro teorie i partigiani di Darwin , quelli di alcun altro capo della scuola evo¬ luzionista. In tali fatti non si deve vedere se non ciò che ci si trova realmente, ossia alcu¬ ne prove deH’influenza riserbata all’uomo nel trarre certi effetti da certi principii naturali.

Il più sicuro mezzo di apprezzare il valore di una teoria, è di verificare se non ne ven¬ gano fuori conseguenze che discordano dai fatti. Ebbene, la relativa immobilità della na¬ tura vivente sin dai più antichi tempi cono¬ sciuti è uno dei fatti più sicuri. Gli esseri orga¬ nizzati dell' epoca attuale non differiscono da quelli che hanno visto i Romani, i Greci, gli Ebrei , gli Egiziani , gli Assirii; e trovano i loro analoghi specifici, se non la loro perfetta rassomiglianza, nel maggior numero degli or¬ ganismi che esistevano prima dell’epoca mo¬ derna.

Incontestabilmente, le forme non restereb¬ bero per tanto lungo tempo stazionarie, se fos¬ se vero che una tendenza irresistibile alla de¬ viazione trascini le specie a derivare le une dalle altre. 0 il movimento in cotesto senso non

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CAPO VI.

esiste; o, se esiste, deve mostrarsi nella misura dell'attività degli agenti che lo provocano. Il miscuglio delle razze e dei temperamenti me¬ diante la generazione ha effetti così rapidi, nella natura dominata, da non essere possi¬ bile che agisca in modo enormemente, favo- ' losamente lento nella natura libera. Poiché al cune generazioni bastano all’elezione artificia¬ le per modificare la forma di un’animale o di un - vegetale, non si può presumere che le conse¬ guenze dell’ elezione naturale si facciano at¬ tendere o passino inosservate per centinaia o per migliaia di secoli.

Diciamola come va detta. Se l’ elezione artificiale è un fatto, 1’ elezione naturale, nel senso che le danno i darwinisti , è un’ illu¬ sione, un sogno, un’ utopia.

Di sicuro, la natura selvaggia è piuttosto resistente che tratta al movimento che le si attribuisce. L’ istinto al quale obbedisce nella propagazione, non ha niente di comune colle pratiche che determinano 1’ elezione ar¬ tificiale. Imaginare il contrario è supporre il disordine e la confusione in quest’ impero or¬ ganico così meravigliosamente assortito. Fi¬ guratevi un po’ F instabilità e il turbamento' che getterebbe in quest’ armonia una molti¬ plicazione sconfinata, una variabilità indefinita e insieme profonda anche pei caratteri intimi.

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essenziali, specifici. Dov’è nel seno delle acque e nei campi codesta inimmaginabile confu¬ sione ?

giova parlare della immobilità degli ambienti da che sorse la civiltà. La scienza dell’ agricoltura influisce in una maniera sen¬ sibilissima non solo sulle circostanze atmo¬ sferiche, ma ancora sullo stato biologico in generale. L' azione dell' uomo induce nelle circostanze ambienti forse maggior cambia¬ mento di quel che farebbe una rivoluzione convulsiva del globo. E egli presumibile che simili mutazioni di ambienti non bastino a far lavorare gli agenti della trasformazione ?

E quando 1’ uomo storico si è nel morale così profondamente trasformato da quel che era nei tempi preistorici , perchè si crede necessario rimontare ancora più in su ad assi¬ curarsi se sia vero che la elezione naturale e la sconfinata tendenza alla deviazione abbiano disposto di un periodo di tempo bastevole alla manifestazione dei loro effetti?

Per ispiegare gli intervalli che separano o ravvicinano gli esseri viventi , si suppone una tendenza degli organismi a svolgersi sotto l’ impulso condizionale di cause fortuite. Così, la predisposizione a variare resterebbe occulta e inattiva, sinché non incontrasse le circo-' stanze capaci di farla agire. In seguito, agi-

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CAPO VI.

rebbe lentamente o rapidamente , subirebbe delle fermate o ricadrebbe nell’inerzia, secondo 1’ intensità, il rallentamento o la cessazione delle cause determinanti.

Ora un simile sistema, se non fosse chi¬ merico, lascerebbe in cammino, negli sviluppi della vita, tante cose cominciate per restare incompiute, che dovrebbero vedersene per lo meno alcune di quelle abbandonate al quarto., al terzo o alla metà della strada. Chi le ha viste ? La trasformazione condizionale, dipen¬ dente dal caso, non che fondare fiammirabile concatenamento delle divergenze correlative, non avrebbe niente assortito, niente coordi¬ nato, niente ponderato.

È già difficile concepire « la spontaneità di germi specifici pronti a svilupparsi isolata- mente sotto l’impero degli ambienti particola¬ ri che li hanno prodotti. » Ma è ancor più difficile raffigurarsi la derivazione, da un me¬ desimo focolare di vita, delle forme più di¬ sparate e degli istinti pi ù opposti.

Benché, dal punto di vista generale dei- fi organizzazione , gli esseri viventi abbiano una struttura comune, composta di parti solide che assicurano la forma di q uesti esseri e di parti liquide che v'intrattengono il movimento vitale, è tuttavia inoppugnabile che sotto il rapporto particolare ad ogni regno, e , nei

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regni , ad ogni divisione specifica presen¬ tano differenze tali, da non potersi non rico¬ noscere che procedano dall’esecuzione di piani diversi.

Infatti, quantunque composte di principii

organici comuni, la pinna del pesce, per e-

sempio, e la zampa del quadrupede sono dei

membri assolutamente differenti quanto agli

*

usi pei quali si adoperano, E vero che per produrre queste distinzioni speciali, la natu¬ ra deve aggruppare fra di loro, a seconda delle variate proporzioni, le sostanze comu¬ ni che compongono la pinna del pesce e la zampa del quadrupedo. Ma ciò non vuol dire che questi organi sieno derivati da un medesimo piano. È più plausibile pensare che 1’ identità di elementi è per la natura ciò che è per il pittore la miscèa dei colori sopra una medesima tavolozza , o , per il grammatico , 1’ immensa varietà di espressioni, che fa sor¬ gere dalla combinazione del piccolo numero di lettere dell’ alfabeto.

Non è ammissibile, per quanto la ragione possa giudicarne qui non si può invocare che il giudizio della ragione non è ammis¬ sibile che il caso abbia fatto uscire dal fon¬ do comune dell’ unità organica queste vaste cause di differenziamento nei due regni vege¬ tale ed animale, questa moltitudine di mo-

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CAPO VI.

dificazioni della struttura degli organi, che costituiscono altrettanti modi diversi di fun¬ zioni, coi quali la vita provvede alle sue ne¬ cessità.

L’ anatomia tratta un po’ sdegnosamente la fisiologia, allorché, senz’averla consultata, giudica che la struttura di un pesce o di una ranocchia ha potuto diventare, per esempio, quella d’ una lueerta; e che, a sua volta, la struttura della lueerta ha potuto trasformar¬ si in quella di un uccello o di un mammifero. Si è sicuri che una modificazione della strut¬ tura determini una modificazione corrispon¬ dente nella tessitura degli elementi istologici,, degli apparecchi , dei sistemi e delle proprie¬ fisiologiche donde nascono 1’ istinto e le facoltà superiori ?

Forse che la sola differenza esistente fra 1’ osteoplasto , verbigrazia , di un rettile e quello di un uccello, sarebbe capace di pro¬ durre le conseguenze così opposte, per le quali la vita deir uno si distingue dalla vita d el¬ fi altro , in tutto ciò che risguarda fi istinto materno ?

Certo, la natura ci mostra la gradazione nel volume degli organismi. E ciò si scorge sopratutto nel regno animale , dove non c’ è una classe che non abbia il suo minimum e il suo maximum di sviluppo, non c’ è un or-

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dine che non abbia i suoi nani e i suoi colossi. Per rendersi conto di questa divisione fon¬ data sul volume degli animali di una classe, se non di un medesimo ordine, basta fare una rivista, col pensiero, delle differenze di dimen¬ sione che li allontanano gli uni dagli altri , indipendentemente dai caratteri distintivi del genere al quale appartengono. Così, quanti gradi, nella mammalogia, dal più piccolo al più grosso dei rosicanti, dal più debole al più forte dei ruminanti, e poi dal genere più esi¬ guo al genere più grande in ognuno di questi ordini ! Lo stesso avviene nell’ ornitologia, neir ittiologia, nell' entomologia, fra i rettili, fra i crostacei, i molluschi, ecc. Cotesta è una regola generalissima. Ma, dopo tutto, il volume delle specie o dei generi non im¬ porta niente per il problema in quistione ; la diversità dell’ estensione della forma negli esseri viventi non torna a profitto di nessuna delle dottrine trasformiste. A parte le com¬ plicazioni specifiche, per esempio, la graziosa ma debole forma della julis non è inferiore organicamente alla potente struttura del thyn - nus alalonga, e sotto il medesimo rapporto il gubius minutus non la cede alla sciena aquila , che lo divora. Il piccolo organismo del topo non ha minore perfezione anatomica che il grande organismo dell’ elefante, e la forma

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CAPO VI.

dell’ uccello mosca è perfetta quanto quella dello struzzo.

Se la forza fosse, più che la delicatezza corporea, un segno di perfezione, la scimmia nen dovrebbe esser posta al sommo della scala degli animali. D’ altra parte, quando le facoltà mentali sono allo stesso livello, fra le fami¬ glie di un medesimo gruppo di animali , la simultaneità di risultanze organiche di eguale valore contradice alla dottrina del darwinismo. Sia negli acantotterigi o nei malacotterigi , in tale o tal’ altr’ ordine della fauna delle acque o della fauna del suolo, le famiglie di¬ versamente adattate all’esistenza non potreb¬ bero aver cambiato di forme che per cambiare di costumi, se fosse vero che derivano le une dalle altre. E se ciò vale per le specie attua¬ li , non è presumibile che sia altrimenti per le specie fossili.

La realtà non si accorda punto con tali corollari del darwinismo.

Si è potuto veder variare, sino a quasi scancellarsi, la fìsonomia di un organismo ; ma non si è veduto che, perdendo i suoi con¬ torni, abbia anche perduto i suoi istinti, il suo proprio adattamento e la sua conformazione interiore.

Ben sovente si è presa la mobilità degli accessori della forma per trasformazione del-

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la specie ; ma non si è mai constatata una vera evoluzione degli attributi morali, che sono il fondo del carattere distintivo delle specie.

È certo che la variabilità della forma è come racchiusa in un circolo. La cause che la producono cause inerenti al piano stesso dell’ organismo o risultanti dalLinfluenza del- L uomo hanno un bel moltiplicare o diffe¬ renziare i loro effetti, allontanare o ravvici¬ nare i discendenti, perfezionarli o degradarli, marcare infine, con una gradazione più o meno apparente, ogni sviamento che Y eredità imprime ai nuovi prodotti, tutto questo movimento va dal centro alla circonferenza o da questa a quello, ora per migliorare ed ora in senso inverso ; ma, sia che monti sia che discenda, colle sue stesse fluttuazioni preserva d’ ogni rottura il legame, sul quale riposa la con¬ tinuità della famiglia. Insomma la varia¬ zione delle forme estende la specie, V arric¬ chisce di nuove razze ; ma non fa giam¬ mai di una specie un’ altra specie nella natura libera, nella natura soggiogata.

Inutilmente si pretende vedere mezzi o almeno analogie di trasmutazione specifica nelle generazioni alternanti, nella generazio¬ ne fìssipara o gemmipara o nelle metamor-

Di Bernardo. Il Darwinismo e. le specie animali.

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fosi, per le quali un verme diventa una far¬ falla o una falena. Questi fenomeni stretta- mente limitati, come le fasi dello sviluppo embrionale negli animali superiori., non offrono nulla che sia più straordinario della succes¬ sione graduale di tali fasi, non offrono nulla che sia analogo aduna trasformazione speci¬ fica. Le generazioni alternanti, la generazio¬ ne per scissione o per germogliamento, i cangiamenti di forme del verme o della lar- va, tutto ciò non luogo che a ritorni sem¬ pre simili di un medesimo fenomeno ; tutto ciò è così previsto, così regolare, così con¬ forme all’ ordinario procedimento della natura, come le differenze di volume, di consistenza, di forza muscolare, di facoltà che contrasse¬ gnano 1’ evoluzione dell’ età negli individui della medesima specie.

Lasciamo dunque in disparte il polimorfismo del pari che le semplici metamorfosi che subi¬ scono certi anfìbi, o insetti, o pesci, o crostacei, insomma la maggior parte degli animali in¬ feriori. Non parliamo neppure delle differenze di struttura o di colore, che in molti mam¬ miferi, uccelli, pesci ed insetti si riannodano alla condizione stessa degli organismi e dipen¬ dono dall’ età, dalla stagione o dalla fase dello sviluppo individuale. A conti fatti, nessuno di questi fenomeni potrebbe condurci a trovare

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la minima spiegazione del concatenamento genetico degli esseri animati.

Certamente il cavallo, 1’ elefante, il cam¬ mello, F asino, il bove, il cane, il gatto, il coniglio, la gallina, l’anitra, il piccione, ecc., non hanno in tutti i paesi la stessa statura, le stesse appendici cutanee, lo stesso colore e lo stesso portamento; ma non per questo ces¬ sano di avere gli stessi istinti, gli stessi co¬ stumi, le stesse abitudini. Che differenza c’è, sotto il rapporto della specie, fra il piccolo cinghiale africano e il gran cinghiale d’ Eu¬ ropa, fra le pernici che non hanno le stesse penne, perchè non sono nate nella stessa regio¬ ne, fra le lepri diversamente colorate o ineguali di volume ? Al contrario, la voce degli ani¬ mali resta sempre inalterata comunque impor¬ tanti sieno le modificazioni ch’essi subiscano, perchè la voce è una caratteristica specifica. Che 1’ animale ruggisca o miagoli, nitrisca o ragli, ruggisca o beli, urli o mugoli, fac¬ cia sentire dei gridi acuti o fiochi, getti nell’ aria modulazioni vibranti o dolcemente fischianti, si tratta sempre di un attributo specifico. E come tale, non segue le modifi¬ cazioni , per le quali passano gli organismi. Chi affermerà che, per esempio, un genere di ruminanti ha voce migliore di un al¬ tro genere dello stesso ordine o che la fami-

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CAPO VI.

glia, poniamo, degli antropoidi è, sotto que¬ sto riguardo, meglio dotata che una famiglia di scimmie inferiori ?

Rispetto ai vegetali, per quanto profonde sieno le modificazioni che loro imprimono le condizioni climatologiche, l’altitudine, la temperatura, 1’ umidità o 1’ aridità, la luce o 1’ ombra , la natura del suolo , ecc. , la loro stabilità specifica si riconosce all’invariabilità: primo, delle « loro disposizioni florali; » se¬ condo, delle loro forme seminali; terzo, delle loro forme fruttifere ; quarto , della loro in¬ tima costituzione. L’ aster tripolium , citato dal Broca come un esempio di trasformazione botanica, non presenta nulla nelle modi¬ ficazioni che gli fanno subire l’acqua di mare e 1’ acqua salmastra o dolce che permetta di affermare il cambiamento in cotesto vege¬ tale di alcuno dei succitati caratteri.

Di guisa che, nella pianta come nell’ ani¬ male, le condizioni esteriori accelerano o ral¬ lentano le funzioni della vita, ne estendono i risultati, li rimpiccioliscono o li degradano; ma giammai snaturano il « principio economi¬ co, » quel non so che, per cui un susino, ad esempio, non potrebbe, per 1 estensione per la degradazione , produrre un albero che dasse delle mele.

Il susino e il pomo, obietteranno i danvi-

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nisti, non sono vegetali della medesima serie; -e noi pretendiamo che le metamorfosi si ef¬ fettuino nel limite della serie.

Ma dove si vede ciò ? La serie dovunque l’ esaminiamo, sia nel regno vegetale, sia nel regno animale, offre non già una gerarchia graduata, ma una riunione di uguali.

E se le serie non si riannodano fra di loro in virtù di una « derivazione perfezionante , » se il gruppo derivato da un altro gruppo non è «organicamente più avanzato di quello ond’ è disceso, che cosa è la trasformazione secondo le idee di Darwin ?

Dato ancora che la prole di un animale , confinato in un ambiente per il quale non era fatto, finisca coll’ adattarsi a quest’ ambiente, per una modificazione del suo temperamen¬ to, per l’alterazione o l’estensione di parte delle sue membrane esterne, od anche per un cam¬ biamento degli alimenti soltanto la forma¬ zione di una nuova razza può venire da queste deviazioni incapaci di scuotere il carattere specifico. Ed ove pure avvenisse che tale razza differente da quelle sin allora conosciute s’in¬ crociasse con altre razze altrettanto singolari, nemmeno i prodotti di queste unioni compro¬ metterebbero i caratteri fisiologici e scienti¬ fici della specie.

Quand' anche con semenzai successivi ed

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ogni volta combinati con un cambiamento di¬ clima o di stagione , con incrociamenti , con condizioni di cultura che agiscano sui prodotti in maniera, da cancellare o coll’ estensio¬ ne o colla degradazione qualche cosa del¬ l’identità di essi col loro primo progenitore ,. con tutto ciò non si otterrebbe che uno svia¬ mento puramente morfologico.

Un vegetale annuale può diventare bien¬ nale, può modificarsi nelle sue ramificazioni, . nel suo fogliame, nella sua espansione fiori¬ fera, nello sviluppo e nel gusto dei suoi frutti;, è anche possibile che le sue fibre erbacee si trasformino in fibre lignee; ma in ogni modo non gli riesce di sfuggire alla specie o alla, serie, alla quale appartiene.

Per la scienza, che bene a ragione se ne riferisce ai fatti accertati, le influenze naturali quelle artificiali hanno il potere di spingere la specie fuori dei suoi limiti. La scienza constata V esistenza dei caratteri spe¬ cifici; ma non sa come si acquistino come si perdano.

La specificità è inalterabile, perchè le in¬ fluenze che modificano la forma della spe¬ cie, non colpiscono mai la costituzione interna donde deriva la sua fisiologia. I fatti mostrano che le azioni cosmiche , il sistema di vivere e f incrociamento non bastano per distrug—

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gere V unità e la fissità di composizione de¬ gli elementi, ond’ è ordita la « trama spe¬ cifica. »

La scuola darwiniana accettò , senza con¬ trollo, la falsa nozione di un’ opera trasforma¬ trice, incessante, senza limiti. Siccome le con¬ seguenze di questa mobilità immaginaria non si scorgevano e non si potevano scorgere nella natura lasciata a se stessa , si ricorse alla natura dominata. Ma credere che il mezzo, di cui l uomo fa uso per incrociare le razze o le specie sia un procedimento tolto a prestito dalla natura, è un volersi ingannare grosso¬ lanamente. Nello stato selvaggio niente suc¬ cede di uguale all’elezione artifìcial'e: l’istinto della riproduzione non è subordinato alla se¬ duzione alla violenza; i parentadi inassor¬ titi vi sono quasi sconosciuti, quantunque gli animali per ordinario vivano mescolati sul suolo come nelle acque. Ognuno nella sua razza, tale è la regola sociale che regna là. Ora questo, dirò così , trinceramento della procreazione in un circolo così ristretto non può in nessun modo conciliarsi coll’esistenza della legge di variabilità sconfinata, sulla qua¬ le si appoggia il darwinismo.

D’ altro canto, se l’elezione artificiale fosse realmente un’ imitazione dell’ elezione natu¬ rale, sarebbe stranissimo che gli effetti del-

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1’ una possono vedersi, come li vediamo, dal- 1’ oggi al domani , mentre 1’ esperienza di quattromila anni non basterebbe a sorpren¬ dere la menoma traccia dei risultati del- 1’ altra.

Dopo tutto, ove T elezione naturale fosse una verità come 1 elezione artificiale , non ne seguirebbe una conferma dell’ idea darwi¬ niana, perchè l’eredità o si mantiene neutrale o corregge gli sviamenti della produzione ad¬ domesticata e lascia tali quali tutti i salti della produzione libera.

Ammettiamo per un momento che la ten¬ denza all’ atavismo sia un ostacolo che si possa vincere. Da una simile vittoria sulla natura, si potrebbe inferire che la legge di sconfinata variabilità esista realmente ? No , certissima¬ mente no, perchè la legge di trasformazione dovrebbe esistere indipendentemente dall’ in¬ dustria umana. Stando a Darwin, per ragione e per logica bisogna che questa legge pro¬ duca tutti i suoi effetti senza il concorso delle arti, che sviluppano e diversificano le ricchezze della flora e della fauna.

Se, ad esempio, un metallurgico scoprisse il mezzo di fare dell’ oro colla fusione e colla mescolanza di metalli meno preziosi, non per ciò saremmo autorizzati a sostenere che ci dev’ essere una trasformazione naturale dei

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metalli. in metallurgia, in botanica, in zoologia, un fatto artificiale ci assicura la esistenza dello stesso fatto nella natura libera.

1/ idea della variabilità delle razze è ben vecchia. La maggior parte delle pratiche del- L addomesticamento sono forse tanto vecchie quanto 1’ umanità. In tutti i tempi inciviliti e sovratutto dacché gli Europei presero possesso del nuovo mondo e portarono la loro domi¬ nazione sui punti più lontani dell’ Asia e dei- fi Africa, si sono fatte innumerevoli esperienze nell’ intento di ordinare , secondo la fantasia umana, la flora e la fauna di tutti paesi.

Non si saprebbero immaginare rivoluzioni biologiche più intense dei cambiamenti di re¬ gime subiti dalle piante e dagli animali tra¬ sportati da una regione in un’ altra e gettati, senza transizione, in ambienti sfavorevoli alla loro esistenza. Ebbene , la discendenza degli individui spatriati e maritati con altri indi¬ vidui , emigranti involontari o indigeni , ha forse qualche volta lasciato scorgere indizii di deviazione del carattere intimo ? No , sicura¬ mente. Che gli esseri i quali si sono allon¬ tanati poco dalla temperatura che conviene alla loro organizzazione , si risentano anche poco dello spostamento, questo si capisce sino ad un certo punto. Ma quando si tratta di specie condotte in Europa dall’ America me-

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ridionale o dall’ estremo Oriente, o di specie europee trasferite in quelle regioni , è vera¬ mente sorprendente che il loro traslocamelo, troppo al disotto o troppo al disopra della media di calore nella quale sono nate, le lasci intatte, quando non le uccide.

Come mai in questa moltitudine di uccelli e di mammiferi domestici, tolti alle condizioni naturali della loro esistenza e disposti a mo¬ dificarsi per i diversi cambiamenti di condi¬ zione, non ce n' è uno la cui razza devii dai suoi istinti specifici ? Come mai fra tanti ani¬ mali esotici o indigeni, le cui forme vengono, per così dire, modellate dagli allevatori di tutti i paesi, non ce n’ è uno i prodotti del quale accennino ad un cominciamento di « devia¬ zione morale I vegetali non si comportano diversamente degli animali sotto 1’ azione del cambiamento di luogo e dei maritaggi artifi¬ ciali , assortiti o non assortiti. Nella innume¬ revole massa di piante di tutti i punti del globo che 1’ orticoltore sottopone allo stesso regime biologico sopra ristrette superficie, non ce una sia che l’arte rabbia sviluppata il più possibile , sia che 1’ abbia lasciata nella sua semplicità primitiva non ce n’ è una che muti le sue forme fruttifere o le sue forme florali ; non c’ è una gigliacea che minacci di trasformarsi in labbiata o in altro genere ;

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non c’è una monocotiledone che accenni a di¬ ventare dicotiledone.

La razza vegetale non cambia la sua « espressione organica » col perfeziona¬ mento colla degradazione. Gli ambienti artificiali che in una pianta sviluppano un eccesso di funzioni vitali, nello stesso tempo la colpiscono di una certa pletora che la ren¬ de incapace di riprodursi colla germinazione. E il caso della rosa-doppia, della generalità delle piante vivaci, la cui fioritura si è estesa e di tutti gli alberi fruttiferi, ai quali la mol¬ tiplicazione dei petali del fiore ha fatto per¬ dere la proprietà di fruttare.

I nostri peschi, albicocchi, susini, peri, pomi coltivati, per esempio, nel nord dell’ Africa, invece di adattarsi, sotto una forma sviata, alla temperatura di quella regione, s’ imba¬ stardiscono, passano per diversi gradi di de¬ generazione, e si arrestano in uno di essi o ces¬ sano di fruttare. Così il palmizio che una parte delle rive del Mediterraneo invia all'al¬ tra trapiantato sul littorale dell’Italia con¬ tinentale della Provenza o della Spagna me¬ diterranea, vi cresce lentamente ma regolar¬ mente, resiste al freddo, innalza a otto o dieci metri il suo elegante fasce tto di palme e si adorna annualmente di grappoli di frutti che non arrivano a maturanza. L’ insuccesso di

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questa acclimatazione, tentata chi sa da quanto tempo, prova che il cambiamento dell’ambiente non determina la variazione organica, la quale sarebbe il segno dell’ adattamento individuale e aprirebbe la via per giungere alla trasfor¬ mazione specifica mercè la scelta naturale.

Il darwinismo s’ inspirò più ai fatti arti¬ ficiali che a quelli naturali, per fare della elezione la molla principale della sua opera teorica. A torto, con incredibile superficialità, argomentò dai fatti artificiali ai fatti na¬ turali.

Nella natura dominata, i generi e le razze si mescolano e si moltiplicano senza distinzione regionale ; le pratiche dell’ addomesticamento hanno 1’ effetto di differenziare ancor più le razze che sono già diversamente variate dai climi. Ma un simile procedimento non si ve¬ rifica da regione a regione nella natura sel¬ vaggia. Il solo effetto dell’ elezione naturale è di perpetuare le forme regionali.

La trasformazione lenta secondo il siste¬ ma darwiniano è, inoltre, poggiata sull’incon¬ tro e la corrispondenza d'individui della stessa razza di già trascinata verso la deviazione : a questo tengono dietro altri casi fortuiti, per riuscire, a poco a poco, alla trasmutazione del¬ la razza e alla formazione della nuova specie. Chi ben guardi, questo sistema è la natura

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abbandonata alla discrezione d influenze inco¬ stanti ed accidentali. Il caso che fa la costitu¬ zione ordinaria e comune degli esseri, diventa, secondo questo sistema, la legge dell’ ulteriore costituzione degli stessi esseri !

La trasformazione brusca, giusta la teorica di Geoffroy Saint-Hilaire e di altri naturalisti liberata da questo graduale concatena¬ mento di cause accidentali, del quale non può fare a meno la trasformazione lenta, sostenuta da Darwin ha per lo meno su quest’ ul¬ tima il vantaggio di non urtare il buon senso.

I fatti teratologici, sui quali si fonda, cer¬ tamente si prestano all’ illusione ed anche alla riflessione. Non è una stranezza il pen¬ sare che una specie nuova possa uscire da una anormalità nella generazione; mentre la brillante fantasmagoria dell’ evoluzione lenta¬ mente graduale è all’ intutto inamissibile. Ma quale che sia, teoreticamente, la verisimiglian- za dell’ uno o dell’ altro sistema, lo scienziato positivista non accetta in nessuna maniera la idea di una trasformazione generale degli organismi con una perpetua confusione di conseguenze in lotta contro le loro pretese cause.

Variando la forma degli animali e dei ve¬ getali coll’ addomesticamento, la cultura e la

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CAPO VI

acclimatazione, I* uomo non fa che accelerare e moltiplicare, a suo profitto, l’applicazione del principio della variabilità regionale.

Vanamente gli orticultori e gli allevatori di tutte le contrade agricole dell’ Europa ten¬ tano gli sforzi più intelligenti e più assidui nello scopo di spingere la natura al di del limite indicato in cotesta proporzione. Essi non ottengono un successo che non provochi subito una resistenza invincibile, cioè la rea¬ zione della legge primiera ed inalterabile, sulla quale si fonda la continuità della specie. Pervenuti a meravigliosi risultati al di qua di questa barriera, essi non riescono a sor¬ passarla.

Nel regno animale l’ industria dell’alleva¬ tore traendo partito dall’ azione degli am¬ bienti artificiali, dall’ alimentazione, dal rav¬ vicinamento forzato delle razze differenti, dalla loro tendenza a variare, dall’ elezione, il cui effetto è così rapido in mezzo alle influenze do¬ mestiche modifica, affazzona, varia le forme e loro diverse qualità, secondo che vuole renderle acconce a tal uso o a tal altro.

Quest’ arte è spinta oggi tanto lungi, che quanto negli animali è suscettibile di cambia¬ mento il volume, -il pelo, la lana, le pen¬ ne, tutti gli integumenti, tutte le appendici cutanee può essere rimodellato, in un senso

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press* a poco previsto, combinando la direzio¬ ne delle alleanze colla scelta dei soggetti, e poi combinando queste due cose essenziali col regime biologico atto a sviluppare certe parti del corpo a danno di altre.

Con questi mezzi e con queste cure la specie dei cavalli-, già cosi divisa regional¬ mente, di giorno in giorno si accresce ancora di nuove razze ; le quali divergono , alcune essendo più grandi altre più piccole , alcune svelte ed agili, altre robuste, il maggior nu¬ mero adattandosi, in una maniera o nell' altra, ai diversi bisogni industriali. Cosi nella specie bovina si ottengono razze sprovviste di corni, possenti mute di bovi per F agricoltura, masse carnose per il macello, vacche che sono come fontane di latte. Così si ottengono nella specie ovina armenti non meno preziosi, razze tenute in gran conto o per F utilità della lana o per F abbondanza della carne. Così si moltiplicano e si propagano razze di porci, di cani, ecc. ; e si producono in una medesima specie tali dis¬ somiglianze, che a volte non si è più ricono¬ sciuto il legame , al quale si riannodano le razze originarie di uno stipite comune.

Ma in questi risultati così diversi non suc¬ cede niente indipendentemente dalla direzione dell’ allevatore. Tutto è opera dell’ allevatore. La natura non avrebbe, da sola, approdato a

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CAPO YI.

nulla. Ora, se la natura, da se sola, non varia la razza, come avrebbe variato la specie ?

La mano dell’uomo si mostra più meravi¬ gliosamente abile nel regno vegetale. Questo avviene non tanto perchè i mezzi usati in que¬ sto regno differiscano da quelli adoperati nel regno animale, bensì perchè la maggior parte delle specie animali sfuggono all’ addomesti¬ camento, mentre quasi tutte le specie vegetali vi si sottopongono. In altre parole, 1’ arte del- T allevatore giunge a risultati parziali, perchè non abbraccia che una parte del regno ani¬ male; e 1’ arte dell’ orticultore ha effetti quasi generali , perchè si estende a quasi tutto il regno vegetale.

1)’ altra parte bisogna riflettere che, nella cultura delle piante, le influenze le quali de¬ terminano la variazione, sono in un grado più pronunziato , che nell’ allevamento degli ani¬ mali colla stessa azione degli ambienti artifi¬ ciali. Difatti non vi ha frutti, legumi o Uopi, ai quali gli incrociamenti, le sementi intelli¬ gentemente preparate non aggiungano forme nuove o non apportino qualche cambiamento sensibilissimo al gusto o all’ odorato. Ma se i darwinisti traessero da questo fatto una con¬ clusione favorevole alla loro teorica , noi prosegue a scrivere il Rimbaud saremmo così sorpresi , come se sentissimo dire che le

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comunicazioni per effetto dell’ elettricità de¬ vono esistere indipendentemente dagli appa¬ recchi meccanici, che concentrano questa forza misteriosa e le imprimono una direzione de¬ terminata.

Razze estreme hanno potuto prodursi così nella botanica come nella zoologia ; la man¬ canza di rassomiglianza fra gli individui di una medesima specie, e a volte fra i figli di una medesima madre , ha potuto far nascere gravi errori nelle classificazioni della storia naturale ; ma tutto ciò non prova nulla contro T invariabilità dei contrassegni morali , che costituiscono il carattere specifico.

Infatti , se un bove prende la forma sin¬ golare del « gnato » o del « durham, » se la sua testa sfornita di corni arieggia quella del boldog, se il suo corpo quasi disossato, ple¬ torico, presenta una massa muscolare appena sostenuta da membri corti , ciò nonostante il bove resta bove , un erbivoro ruminante e muggente. Se un cavallo è piccolo come un cavallo corso , o alto come un cavallo nor¬ manno , di fine struttura come un elegante cor¬ ridore, o di vigorosa ossatura come un cavallo da soma, appartiene sempre alla specie caval¬ lina. Se avviene che una pecora si distingua per una di quelle particolarità, che hanno dato le razze « merinos , basset, manchamp ,

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 38

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CAPO VI.

ancon , » la specie ovina acquista una razza di più, ma resta specie ovina. Nel grandis¬ simo numero di varietà di cani, che sono state presentate in tutte le esposizioni , non si è vista una razza che realmente accennasse a separarsi dalla specie canina. Fra i piccioni , il messaggero, il gozzuto, il capitombolajo, il pavone, i quali tanto differiscono dagli altri piccioni domestici, sono tuttavia dei piccioni, tubanti, che in una volta non fanno mai più di due uova e che allevano i loro piccoli, de¬ ponendo nel becco di questi un nutrimento antecedentemente macerato nell’ esofago della madre o del padre.

Se esistono da cinque a seicento interme¬ diari fra l’insignificante frutto del biancospino e una saporita pera , se la varietà delle mele non sono meno delle varietà delle pere, se avviene lo stesso o quasi lo stesso per gli altri frutti, la susina, l’uva, ecc., se parimente si contano a centinaia i gradi della progres¬ sione che segue il fiore semplice del rosaio canino per arrivare allo sviluppo della più bella delle rose doppie, o 1’ umile margherita dei campi per diventare un ricco ornamento nelle ajole d’ un giardino ; se infine la cultu¬ re accresce ed amplia i principii alimentari contenuti nei legumi, migliora le polpe nutri¬ tive nello stesso tempo che le rende più ab-

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bondanti, ne modifica il sapore e 1’ aroma, rimaneggia continuamente non già la tessi¬ tura dei tipi vegetali, ma il loro aspetto, va¬ riando di generazione in generazione fi appa¬ renza delle foglie, delle frutta, dei fiori e sopratutto le gradazioni e le screziature di questi ultimi, purtuttavia non succede mai che il granello d’ una pera dia origine ad un altro albero fruttifero, che il seme d’ un ro¬ saio non produca altri rosai, che il seme di

un cocomero non produca altri cocomeri, e

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così via via.

Questa immobilità degli esseri , ognuno nella sua « specificità » originaria, si rivela con evidenza nei fatti della natura organizzata; e non la si può seriamente negare con con¬ siderazioni secondarie, tratte dall’ unità della composizione organica o dalla gradazione delle fasi della vita embrionale. Che importano certe povere minuzie, davanti il fatto di permanenza che spicca maestosamente nel confronto dei- fi inventario attuale delle ricchezze botaniche e zoologiche colle ricchezze trovate nei depo¬ siti geologici ?

L’ acclimatazione è una verità che chia¬ ramente si rileva dai fatti della natura e da quelli dell’ uomo. Ma per la natura come per fi uomo, acclimatare non è se non appropriare

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CAPO VI.

il temperamento degli esseri al cambiamento degli ambienti che loro è imposto.

Non c’ è dubbio scrive ancora il Rim- baud che il cambiamento di ambiente ca¬ giona nel vegetale o nell* animale che lo su¬ bisce , un cambiamento corrispondente della « espressione funzionale » degli organi, ed ha importanza grandissima nella modificazione di alcune parti del vegetale o dell’ animale. Ma per quanto accentuati sieno questi cambia¬ menti , non guastano il piano generale di conformazione propria della specie, alla quale appartiene l’essere modificato per questa causa.

Il succedersi delle caratteristiche delle for¬ me attraverso le differenti epoche ci dice chiaro che 1’ acclimatazione naturale non col¬ pisce il piano generale delle specie.

Nell’ acclimatazione artificiale la perma¬ nenza del piano generale tipico si afferma col- T insuccesso degli sforzi dell’ industria umana, che tenta di « turbare » la natura colla crea¬ zione di tipi nuovi. Si afferma sovratutto con questa considerazione generale : che 1’ uomo non può ragionevolmente sperare di fare usci¬ re dall’ applicazione delle leggi naturali, con¬ seguenze eh’ esse leggi non racchiudono.

1/ acclimatazione naturale o artificiale non è un agente di deviazione , di cui il trasfor¬ mismo possa far valere gli effetti in appoggio

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delle sue dottrine. La vita nei climi ghiacciati dei poli è ben differente dalla vita all’ equa¬ tore : quanto V una è scolorata, stentata, in¬ tristita, altrettanto 1’ altra è piena di vigore, di colorito, di espansione ; ma la estrema povertà di quella la ricchezza di questa compromettono la fissità dei principii specifici così differentemente sviluppati.

La mostruosità, sia naturale sia provocata artificialmente, non è che una variazione ac¬ cidentale , la quale si riduce ad un vizio co¬ stituzionale o ad una stranezza puramente fìsica.

Del resto, la generazione anormale ila generazione regolare frappongono ostacoli alla sostanziale distinzione delle specie. Un si¬ stema di trasformazione non lo si può appog¬ giare sulla frequenza di un accidente, i cui ef¬ fetti sono presto cancellati dall’ atavismo, ossia dalla cosiddetta « legge di ritorno, » colla quale la natura garentisce la costanza del tipo speci¬ fico. Per fissare la mostruosità , prodotto di generazione anormale, bisognerebbe fare inter¬ venire negli ambienti naturali delle alleanze assortite un’ influenza analoga a quella che le cure dell' allevatore esercitano in una stalla o in un cortile.

Ma la natura non fa nulla di simile: al con¬ trario, se per inesplicabili aberrazioni produca

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CAPO VI.

spontaneamente dei mostri, o li fa perire ben presto, o riconduce la loro discendenza nella via regolare. Una razza nuova può sorgere da una di queste anomalìe ; ma ciò non ha per necessaria conseguenza una deviazione dell’ istinto e delle facoltà morali che carat¬ terizzano la specie. In ogni modo , la terato¬ logia non può essere presentata come un agente trasformatore.

Dato che le forze artificiali possano deter¬ minare sopra un embrione qualche anormalità compatibile colla vita e magari conservare la anormalità, a buon conto questa operazione non avrà altro effetto se non di fare sorgere una singolarità puramente esteriore, costi¬ tuente una nuova razza , ma non un essere nuovo. Non è possibile spingere la natura fuori delle vie eli’ essa si è tracciate. Lo stesso Claude Bernard osservò che Y aggruppamento degli elementi istologici « si fa secondo le leggi che regolano le proprietà fisico-chimiche della materia ; » che « 1’ idea direttrice del- r evoluzione vitale appartiene essenzialmente al dominio della vita, non già alla chimica alla fisica ; » e che « in ogni germe vivente c’ è un’ idea la quale si manifesta coll’ or¬ ganizzazione. »

Ove pure si arrivasse ad abborracciare una strana organizzazione animale, ciò nondimeno

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r idea direttrice, la causa motrice, non ver¬ rebbe turbata da questo fatto artificiale , come sinora non è stata manomessa dagli accidenti naturali che producono i mostri , o dalle le¬ sioni, dalle mutilazioni, dalle infermità, o dalle successive e graduali modificazioni.

Riesce impossibile alterare il principio spe¬ cifico , agendo sull' involucro che lo ricopre con « una mutazione graduale delle condi¬ zioni di lavoro meccanico, di alimentazione, di luce o di oscurità , di temperatura o di pressione atmosferica. »

L' ibridismo è parimente una circostanza fortuita e passeggierà come la mostruosità. I fatti dell’ ibridismo non giovano all’ ipotesi darwiniana. La natura replicano i nostri contraddittori deve fare in grande ciò che 1' uomo fa in piccolo , e deve farlo meglio e più completamente dell’ uomo. Ma niente af¬ fatto : la natura non fa realmente se non quello che la si vede fare. Non sono opera sua la cultura, 1’ addomesticamento, alcun’ altra delle arti umane.

Rigirate la quistione come volete, 1’ ibri¬ dismo, naturale o artificiale, non è un mezzo per gettare la specie fuori di se stessa , per indurla a cambiare nello stesso tempo e forma e costumi.

Così nelle piante, delle quali 1’ uomo estende

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sia la fioritura sia la fruttificazione, come negli animali elfi ei sottopone ai suoi bisogni o alle sue fantasie, la specie può dividersi e suddividersi in ramoscelli numerosissimi e dif¬ ferentissimi di aspetto. Ma per quanto diffe¬ renziati sieno gli involucri onde si copre, ciò che è al disotto resta inalterabile.

Insomma le variazioni della razza sul perno della specie giammai colpiscono questa nella sua « specificità , » come dire nel suo carat¬ tere morale.

Così si demolisce irremissibilmente tutto fi edi tìzio darwiniano, per quanto le sue pre¬ tese leggi agiscano simultaneamente. Dico : pretese leggi, perchè le non sono che suppo¬ sizioni o semplici astrazioni , sulle quali non si possono costruire nemmeno delle ipotesi.

Nella natura noi non conosciamo parla Carlo Elam alcun caso di « variazione fa¬ vorevole. » Non sappiamo neppure che cosa sia, o che cosa costituirebbe una variazione fa¬ vorevole in una data specie. Lo stesso Darwin confessa qualmente noi non sappiamo che cosa' potrebbe dare ad una forma un « vantaggio » sopra un' altra.

Dacché la teoria darwiniana fu promul¬ gata, si sono cercati esempi pratici e non se ne sono trovati. Solo nell’ immaginazione esi¬ stono variazioni favorevoli e « razze favorite. »

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In fatto , ignoriamo quali siano le variazioni che sono riuscite o possono riuscire a dare al loro possessore un vantaggio nella supposta lotta per la vita.

Io dico seguita 1’ Elam supposta lotta, perchè in realtà non c’ è la lotta secondo F idea di Darwin, cioè la 'lotta, il cui risultato può dipendere dalle supposte minute varia¬ zioni individuali. Certo, nascono miriadi di creature, la maggior parte delle quali devono •essere distrutte. Un afide può anche produrre 5,904,900,000 individui in cinque generazioni; e quando essi vengono inghiottiti dalle cocci¬ nelle , la minuta variazione individuale non può risparmiar loro questo destino. La produ¬ zione non infrenata di un paio di aringhe in¬ gombrerebbe F Atlantico in pochi anni, finché non ci fosse più spazio per muoversi ; ma quando vengono ingoiate da altri pesci , che lotta per la vita possono fare ? Possono lot¬ tare come 1’ erba contro i bovi che la man¬ giano, o come la vegetazione di una regione contro le locuste devastatrici ! È legge non scritta della natura che una razza debba mo¬ rire e che un’ altra possa vivere; quest’ altra, a sua volta , serve allo stesso scopo ; e così costantemente , finché il ciclo sia completo. Senza questa legge , contro cui non c’ è ap¬ pello, la Natura sarebbe un’impossibilità cao-

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tica. Le influenze distruttrici sono così predomi¬ nanti, che la strage è indistinta, e senza lotta.

Quindi emerge la conclusione che Y ele¬ zione naturale è semplicemente un eufemismo per una negazione, una frase felice per qual¬ che cosa che non esiste. In se stessa è niente; nella sua applicazione per ispiegare lo svi¬ luppo della struttura e della funzione, è piena d* inconciliabili contraddizioni ed incoerenze. ( Naturai selection is merely an euphymism for a negation , a liappy phrase for some - thing that has no existence. In itself is no- thing ; in its application to thè explanation of development of structure and function , it is full of irreconcilable contradictions and incoherences ).

Ecco a che si riduce Y elezione naturale , che per i darwinisti significa « l’ insieme del¬ le cause naturali che sono state il motivo e il principio determinante della trasforma¬ zione di una specie in un’ altra. » ( Y. Revue Scientipque , 17 gennaio 1880, p. 672).

Curiosa 1’ elezione naturale che si fonda sulle variazioni utili, casuali ed insieme obbli¬ gatorie , perchè si devono presentare nella quantità e giusto nel tempo in cui se ne ab¬ bisogni ; e si devono presentare precisamente per quella data specie, cui occorrono, in modo da formare la serie delle nuove specie !

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E dire che sino all’ anno 1880 , il celebre A. R. Wallace difendeva accanitamente , nel Nineteenth Century 1* elezione naturale ! Dopo aver provato che negli animali allo stato selvaggio c’ è un grandissimo numero di va¬ riazioni, esclama : « Dunque ci è facile com¬ prendere come si possono produrre specie nuove » coll’ elezione naturale. Per far vedere come si producano , il Wallace accenna alle condizioni che ci vogliono. Allora il lettore sorride o si limita ad ammirare le buone in¬ tenzioni e la fertilità della fantasia del Wal¬ lace. Il quale per altro vuole che « ogni spie¬ gazione debba appoggiarsi su fatti conosciuti per esplicare i fenomeni oscuri. » Ma da quando in qua e da chi mai si osservò un lento, gra¬ duale, contiuuo miglioramento nelle specie ?

Ora mi sia permesso riprodurre alcune con¬ siderazioni di Carlo Naudin.

Nella mia maniera di vedere scrive lui ( Revue des cours scienti fiques, 6 marzo 1875, Anno IV, N.° 36, p. 847 e seg. ) , i deboli muoiono, perchè sono arrivati al limite delle loro forze, e perirebbero anche senza la con¬ correnza dei più forti. Io respingo anche , e con maggior ragione , quest’ immensi periodi di milioni e di miliardi di secoli , ai quali i trasformisti sono obbligati di ricorrere per ispiegare come , di trasmutazione in trasmu-

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(azione, 1’ animale più perfetto potette uscire da un mollusco degradato ( un’ ascidia ), pas¬ sando per una lunga fila di pesci, di batraci, di rettili, di mammiferi, ecc. Prima di accor¬ darsi così liberalmente questi inimmaginabili periodi di secoli , avrebbero dovuto chiedersi se la terra e il sole, questo rotismo ( ce rou- age) indispensabile allo sviluppo della vita sul nostro pianeta, sieno capaci di fornire una lunga carriera. Ora, gli astronomi e i fìsici, i soli competenti in questa materia, non sem¬ brano punto disposti a far loro tale conces¬ sione.

Qual’ è la causa che induce i trasformisti ad invocare questi milioni e miliardi di secoli per ispiegare le trasmutazioni, delle quali par¬ lano ? È indubbiamente il fatto irrecusabile , in certo modo brutale, della persistenza, della tenacità delle forme organiche attraverso tutte le generazioni e malgrado la differenza degli ambienti; è la stabilità delle specie, che, per quanto si risalga lontano , si mostrano quali noi le vediamo oggidì.

Si sono molto esagerate le influenze del¬ l’ambiente, e particolarmente quelle del clima, al quale si è sempre voluto far rappresentare la prima parte nelle modificazioni degli esseri viventi. Ma io sostengo che il clima ha pic¬ colissima importanza sotto questo rapporto ;

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che quando le specie variano, le variazioni si devono ad lina proprietà intrinseca, la quale è un avanzo della « plasticità primordiale; » e che le condizioni esterne agiscono soltanto determinando la rottura di equilibrio che per¬ mette a questa plasticità di produrre i suoi effetti.

I trasformisti si sono illusi coll' idea pre¬ concetta che le modificazioni delle forme or¬ ganiche non possano effettuarsi se non per gradi impercettibili. Così, occorrono parecchi milioni di anni e di generazioni per far pas¬ sare, ad esempio, una corolla regolare alla for¬ ma irregolare, per fare scomparire uno stame e trasformare una foglia semplice in foglia composta.

Questa supposizione è recisamente smen¬ tita dai fatti. Quando ha luogo un cambia¬ mento, anche notevolissimo, sopravviene. bru¬ scamente nel passaggio da una generazione all’ altra. Fra tutte le modificazioni delle forme specifiche, che V osservazione ha fatto scoprire nelle piante e negli animali, non ce n’ è neppur una che si sia veduta prodursi gradatamente, in una serie qualunque di ge¬ nerazioni. La fissazione di queste varietà col- 1’ elezione artificiale può esigere del tempo, anche molto tempo ; ma la loro comparsa è stata sempre subitanea; e rarissimamente,

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anzi forse mai, si può conoscere con certezza r influenza esteriore che 1’ ha determinata. Credere che una forma, non dico abbozzata ma solamente in potenza, in un meso-orga- nismo, in un uovo se così si vuole, possa mo¬ dificarsi in altra , sarebbe così erroneo come il credere che, arrivata al suo ultimo sviluppo, essa possa trasformarsi in un’ altra forma arrivata parimente al suo ultimo sviluppo. Nulla può cambiare le correnti della forza evolutiva; si possono distruggere i germi de¬ gli esseri o farli deviare in mostruosità; ma anche sotto queste apparenze difformi si rico¬ nosce sempre il tipo della specie. Soltanto l’individuo è degradato; ma la specie la razza restano colpite.

Dunque le forme attualmente viventi, ve¬ getali o animali, non possono derivare le line dalle altre, perchè tutte sono «integrate,» con¬ solidate, invariabili, salvo nella debole misura che più sopra ho indicato e che, a veder mio, è il prolungamento, Y ultimo avanzo della plasticità primitiva. No, una specie, poniamo di vertebrati, non discende da un’altra specie di vertebrati ed entrambi non possono farsi derivare dall’ ascidia, che forse può essere una forma rudimentale o degradata dal tipo vertebrato, ma che è attuale, cioè consolidata ed arrestata allo stesso titolo e allo stesso

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grado, che tutte le altre forme attualmente esistenti; e non ha forza evolutiva, se non per produrre e conservare la sua propria specie.

Se la teoria darwinista fosse vera, se le forme specifiche si concatenassero le une alle altre per crescere in perfezionamento , se nella natura ci fosse sempre la stessa somma di forza organo-plastica disponibile, si vedreb¬ be ancora, dall' alto al basso della scala or¬ ganica, verificarsi il movimento ascensionale, si vedrebbero ascidie produrre altre ascidie più decisamente vertebrate, queste dare ori¬ gine a degli amphioxus , e gli amphioxus ge¬ nerare pesci più perfetti, e così via via. Ma 1’ esperienza universale da una parte e 1’ os¬ servazione scientifica, dal 1’ altra, ugualmente attestano V impossibilità di queste trasmuta¬ zioni. (V espèrience universelle dY une pari , d autre part V observation scientifique atte¬ si ent ègalement V impossibilitò de ces tra- smutations).

Più sotto lo stesso prof. Naudin continua in questi termini:

Mi sembra che i filosofi darwiniani abbiano disconosciuto i due principii del ritmo e della crescenza della forza nella natura. Per Lyell, come per Darwin, l’andamento delle cose è uni¬ forme e le modificazioni sono continue, ma in tutte le epoche si fanno per incrementi infini-

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tesimali. Così, esse hanno bisogno di milioni di secoli, perchè gli effetti ne diventino percet¬ tibili. Quindi, naturalmente, l'idea d’ un’ ele¬ zione inconsapevole, che elimina, senza scosse e senza romore, ogni essere che non può so¬ stenere la concorrenza di un’ altro, ma che, liberato da questa concorrenza, potrebbe du¬ rare indefinitamente.

Io respingo questi due punti della teorica darwiniana, perchè li trovo in contraddizione colla legge dello sviluppo della ripartizione delle forze; e respingo altresì la trasforma¬ zione per quanto lenta si supponga di una forma compiuta in una forma qualunque. Ogni trasformazione, ogni modificazione della forma esige una spesa di forza evolutiva di¬ sponibile. Gli è tanto impossibile concepire il cambiamento di una specie in un’ altra supe¬ riore, coni’ è impossibile concepire il ritorno d’ un adulto allo stato d’ infanzia, o il cam¬ biamento di posa di una statua di bronzo il cui metallo si è raffreddato.

Finalmente, a proposito dell’ eredità, Ales¬ sio Jordan diceva {Remar ques sur le fait de V existence, Lione 1873) che rigettare il crite¬ rio della permanenza ereditaria « è togliersi ogni possibilità di stabilire sode distinzioni, è ridurre tutto a semplici ipotesi, è, in una pa-

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rola, dare per fondamento alla scienza lo scet¬ ticismo, ciò che equivale a distruggerla. »

Ed ora io domando : A che serve l’azione simultanea delle leggi darwiniane ? Si mettano a lavorare insieme le leggi darwiniane ; con¬ tribuisca ognuna di esse con tutta la potenza ond’ è capace; si aiutino fra di loro, si raf¬ forzinoci completino a vicenda, con costanza, con amore, con zelo ; ma che costrutto se ne cava ?

Tutto il sistema darwiniano è sbagliato da cima a fondo. La macchina del darwinismo non va, perchè le ruote che dovrebbero farla andare, non funzionano, ognuna per conto suo, tutte assieme, aiutandosi scambievol¬ mente. A quelli attuali bisognerebbe sostituire nuovi ordigni ; ma allora non è più il mac¬ chinismo darwiniano; sarà tutt’ altra cosa ed esigerà un nuovo e diverso esame.

A me basta aver dimostrato che le leggi darwiniane non sussistono in natura; e però non possono agire, da sole in compa¬ gnia, per produrre gli effetti desiderati dai darwinisti.

Il Darwin si affrettò a dare ad alcuni fatti il nome di leggi; poi idealmente mise in moto queste leggi e ne trasse un’ideale formazione e trasmutazione delle specie. In sostanza, le leggi darwiniane non entrano nell’ordine del-

Di Bernardo II Darwinismo e le specie animali 39

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CAPO VI.

la realtà, e quindi non esercitano alcuna reale azione, isolata concomitante e simul¬ tanea.

Dopo tutto ciò mi pare che la critica gen¬ tilmente mossami dal benemerito e davvero illustre Prof. Mantegazza, non toglie nulla alle considerazioni e alle prove addotte con¬ tro il darwinismo.

CONCLUSIONE

I

Siamo all’ultimo capitolo; siamo al termine del lungo e poco piacevole cammino. Parlia¬ moci un po’ fuori dei denti. L’ apriorismo di Darwin sarà giusto in astratto; ma non si può applicare alla vita degli esseri, alla loro ori¬ gine , alla loro reale produzione e conserva¬ zione. Se la scienza , la storia e magari la preistoria dimostrano che 1’ elezione naturale non si piega alle esigenze dell’ ipotesi darwi¬ niana , anzi non esiste punto poco , a che giova infilzare ipotesi ad ipotesi, lambic¬ carsi il cervello, sottilizzare, sfoggiare elo¬ quenza ? Darwin potrà colla sua eloquenza destare la meraviglia e 1* ammirazione dei suoi lettori ; ma certo non può fare che si presti fede al suo apriorismo più che ai fatti.

Non c’ è che rispondere , non c’ è che al¬ manaccare , non c’ è che inventare di fronte

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CONCLUSIONE

all’eloquenza dei fatti. I darwinisti si lascia¬ rono andare nelle profondità della metafìsica, credettero con soverchia sollecitudine alle leggi darwiniane e diedero nelle secche di un sistema erroneo , incoerente , inaccettabile.

Dalla simultanea azione delle leggi in pa¬ rola vien fuori una musica così stonata, così assordante , così insopportabile , che non può aver nulla a vedere con quella del presente, del passato o dell’ avvenire. Le crome e le semicrome, le biscrome e le semibiscrome sotto forma di leggi producono un frastuono che rompe i timpani e porta via le orecchie. Il Maestro che nel campo dell’ osservazione e della filosofia sperimentale aveva dato stu¬ pende composizioni, si trovò spostato, fu infe¬ riore alla sua rinomanza , incontrò un com¬ pleto insuccesso, quando si arrischiò a lavorare di fantasia. Uscito dalla sua specialità, diede un’ intonazione falsa all’ opera da lui archi - tettata, e ne seguì uno sconcerto che « leva di sentimento. » I professori d’ orchestra pos¬ sono essere bravi, di prim’ ordine, « di car¬ tello ; » è inutile , è tempo perso è fatica buttata : Y opera non regge alle prime prove alla prova generale, tanto che alla rappre¬ sentazione davanti al pubblico, dopo qualche scena il sipario si abbassa fra la disapprova¬ zione e il mormorio degli spettatori.

CONCLUSIONE

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L’ eloquenza ha di certo il suo lato buono; ma dall’ eloquenza alla « verbosità gazosa » è breve passo. Parlando dell’elezione , che è il pernio del suo sistema, Darwin s’ impappina nella verbosità gazosa. Chi va più giù della buccia, chi guarda al fondo delle cose, scopre subito il baco della teorica darwiniana. Un insieme di proposizioni scucite , un cibreo di parole, uno scarrucolio di frasi , un brulicame d’idee stupiscono di sicuro e stordiscono il letto¬ re; ma il nodo della quistione resta tal quale.

Tirato il primo colpo, è forza andare avanti; enunciata la tesi, s’ ha da trovare una dimo¬ strazione purchessia ; fissato il chiodo ad un piano preconcetto, nasce irresistibile il bisogno di arrivare ad una conclusione. Ma allora si bada al valore delle tinte e non si presta nes¬ sun’ attenzione agli effetti che producono ; allora per adombrare un disegno fantasioso, si perde la coscienza del reale; e per condurre tutta la quistione nell’ordine delle ipotesi, si abbandona completamente 1’ ordine dei fatti ; alla dialettica si sostituisce la passione; i sil¬ logismi soverchiano le esperienze ; tutto si fonde e si scioglie in una declamazione pom¬ posa , in una reboante dichiarazione di prin- cipii; di guisa che, quando la corsa è termi¬ nata, ci troviamo al punto donde siamo partiti, con un solenne capogiro per giunta.

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CONCLUSIONE

Seminando ipotesi infondate, non si possono- raccogliere che trionfi ipotetici e chimerici; L’ elezione artificiale e reiezione naturale sono da Darwin voltate e rivoltate in tutti i sensi, stiracchiate e cucinate in mille maniere, tanto che finiscono collo smarrirsi nel più inestri¬ cabile dei laberinti. La loro azione unita, in¬ trecciata , fusa con quella delle altre leggi darwiniane, è assolutamente incapace di dare gli effetti che Darwin e i suoi seguaci (parlo- dei naturalisti che hanno ingegno e studia¬ no, non di quelli che confondono col dar¬ winismo la nota e trita legge generale del progresso, e tanto meno della turba dei sapu¬ telli , che si dice darwiniana senz’ aver mai letto nemmeno un capitolo degli scritti di Darwin o di altri libri importanti a favore e contro la sua ipotesi ) si aspettavano. Che « 1’ organismo più perfetto è legato da catena retrogressiva non interrotta ai più imperfetti » è sempre una supposizione librata, galleggiante,, fluttuante per aria, una supposizione subiettiva ed in conseguenza sfornita di ogni carattere scientifico.

Quando facciamo il bilancio , i calcoli di Darwin e dei darwinisti non tornano, le pre¬ visioni darwiniane falliscono , le partite non corrispondono , il sistema si mostra falso , la bancarotta si appalesa inevitabile.

CONCLUSIONE

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Negli ultimi eli giugno 1880, un professore darwinista mi presentava ad un altro profes¬ sore darwinista, di passaggio a Firenze, spor¬ gendo la mano destra semi-aperta verso di me, e pronunziando queste parole : « Il signor Di Bernardo, anti-darwinista. » Il professore, a cui era fatta la presentazione , s’ inchinò leggermente, come d’ uso; e nell’ istesso tempo diede in questa esclamazione : 0 che ci sono ancora anti- darwinisti ? !

Viceversa, io mi maraviglio che ci sieno an¬ cora dei darwinisti. Io penso che non agli an- ti-darwinisti, ma ai darwinisti tocca « ammai¬ nar le vele e rientrar silenziosamente in porto. »

Sissignori, degli anti-darwinisti ce ne sono ancora , e domandano di essere ascoltati non già da quelli che dividono le medesime opi¬ nioni, ma sovratutto dai darwinisti. Una volta che ci sono gli oppositori di Darwin , a chi può far male starli a sentire ? Alle obiezioni che si fanno al darwinismo, certamente non si può rispondere col meravigliarsi che ancora ci sieno anti-darwinisti.

Un altro professore , che aveva avuto la bontà di assistere alle prime mie letture con¬ tro 1’ ipotesi darwiniana, e che quantunque ne fosse autorizzato non aveva mai presa la parola per difendere il sistema del dotto Inglese, un giorno mi chiedeva:

CONCLUSIONE

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Lei continuerà la sua « campagna » contro Darwin ?

Ove alla Presidenza della Società antro¬ pologica piacesse invitarmi a proseguire le mie letture, io sono pronto.

Così lei si acconcia a lavorare in prò del clericalismo !

Col clericalismo non ci ho che vedere. Io discuto scientificamente un sistema che ha fatto rumore e che moltissimi accettano, cre¬ dendolo appoggiato da sode ragioni, da leggi reali, da fatti irrecusabili.

Oh ! creda pure che i clericali saranno lieti dell’ opera sua.

Ripeto che i clericali non mi hanno dalla loro. Del resto, questa non è la ma¬ niera di rispondere alle solide argomentazioni e alle prove di fatto che assistono i non darwinisti.

Sarà, ma poi i clericali .

Chi le impedisce di buttar giù le ra¬ gioni che io ho addotto e che addurrò contro la dottrina darwiniana ? Non posso farle il torto di supporre che lei abbia paura di discu¬ tere pubblicamente una delle più importanti questioni del mondo scientifico. Lei dovrebbe invece essere lietissimo della bella occasione che le si offre per dimostrare che la scienza appoggia le idee di Darwin.

CONCLUSIONE

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Senza volerlo , lei si è messo a patro¬ cinare la causa dei clericali.

Se mostra eli avere in uggia e di scan¬ sare le pubbliche conferenze sul darwinismo, rende un segnalato servizio ai clericali. Sfidi la pubblicità , si dia a gridare di su i tetti i convincenti argomenti che confermano le ve¬ dute di Darwin. Così si vendicherà del cleri¬ calismo nel più degno e più nobile modo.

Chi avrebbe mai sospettato che , in seno alla Società Antropologica, i clericali .

Ma smetta di battere la stessa solfa. Io non so astenermi dal confutare una dottri¬ na che fa ai pugni colla scienza. Se in questo negozio i clericali sono, per mera e sempli¬ ce combinazione*, del mio parere, io non ci ho colpa.

Noi ci affatichiamo sempre a combat¬ tere i clericali ; ed è doloróso che lei si ado¬ peri in loro vantaggio.

E ancor più doloroso veder lei deviare dalla quistione e rigirarsi sul medesimo ritor¬ nello, come se Darwin non potesse essere di¬ feso altrimenti che tirando in campo lo spettro del clericalismo, come se l’ipotesi darwiniana non avesse altro intento che quello di dare addosso al clericalismo, come se una contro¬ versia scientifica non si potesse guardare sotto altro punto di vista tranne quello dello spirito

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CONCLUSIONE

di partito, come se fossimo obbligati ad inchi¬ narci dinanzi le più strampalate teorie pel solo gusto di far dispetto ai clericali, come se....

Mentre io tiravo avanti coi « come se, » il professore infilò l’nscio, borbottando contro il clericalismo.

Usciamo da queste grettezze, leviamoci di torno queste partigianerie, liberiamoci da que¬ sti pettegolezzi, lasciamo in un canto queste donnicciolate, e ragioniamo con calma, con perfetta serenità intorno ai motivi, per i quali io modestamente sostengo che 1’ ipotesi di Darwin è inaccettabile.

Capisco che i due professori, ai quali so¬ pra alludevo, non siano tenuti a reputare autorevoli le mie povere parole, e possano sentirsi tentati di berteggiare un ignoto scrit- torello come me ; ma anche loro devono fare di cappello al Wigand e agli altri scienziati naturalisti da me citati e che hanno maestre¬ volmente trattata la quistione. Le idee eh’ io espongo, sono state enunciate e discusse con erudizione e con ampiezza da chi ha studiato a fondo il soggetto ed è autorizzato a far co¬ noscere le obiezioni degli anti-darwinisti. I frizzi, i « tratti di spirito » e le punture che con buon successo i darwinisti potrebbero lanciare contro di me, diventano un brodo senza sale, una salsa senza sapore, una scem-

CONCLUSIONE

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piaggine, quando si dirigono contro le auto¬ rità eh’ io invoco.

Il diritto di discussione è sacro ed inviola¬ bile. Chiunque vuol vivere nel mondo della scienza, dev’essere tollerante, deve riconoscere negli altri quella libertà di esame e di ricerca eh* egli ha concesso a se stesso. Darwin per il primo ci 1’ esempio della più benigna tolleranza : non ha mai sognato che la sua dottrina sia un mistero impenetrabile, una rèverie che va rispettata, ma non discussa, una ombra visibile ai soli darwinisti, inaccessibile alla ragione e alla persuasione. Darwin ha fede nella verità ed ascolta volentieri coloro che hanno, come luh fede nella verità.

I veri seguaci di Darvin mi permetteran¬ no dunque eh’ io aggiunga liberamente an¬ cora quattro pagine. Se sapessi scrivere me¬ glio, sarei stato più breve ed avrei già fatto punto. Ma riuscendomi diffìcile chiarire in breve i concetti degli oppositori di Darwin, mi è d’ uopo allungare ancora un po’ la mia pur troppo lunga chiacchierata.

La spiegazione nelle ricerche della natura deve venire dai fatti, dall’osservazione, dalla esperienza. Nel concatenamento delle spiega¬ zioni ci può essere certamente molto dell’ipo¬ tetico. Ma in ogni modo del fatto a spiegarsi bisogna che qualche cosa, per lo meno, sia

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CONCLUSIONE

nota. Or bene, nella natura reale non trovia¬ mo nulla delle supposte leggi di Darwin, per esempio, della variabilità, della lotta per la esistenza, deir eredità nel senso darwiniano. Ci troviamo tutto 1’ opposto, cioè non già una sconfinata e indefinita, bensì una limitata e determinata variabilità ; non già una lotta per 1’ esistenza, nella quale prevalgono e decido¬ no le proprietà, che sono principii di nuove specie, bensì una concorrenza vitale che pro¬ duce del bene e del male e non turba 1’ equi¬ librio; non una certa e sicura, bensì una dubbia, casuale, capricciosa, strana, indecifrabile capa¬ cità di ereditare le variazioni meglio riuscite e più acconce a perfezionare le specie

L’ elezione naturale non ci fa intendere come nacquero le forme conosciute, ed è più che mai imbarazzata nel darci conto del¬ le forme sconosciute, che dovettero esistere come stadi di passaggio nello sviluppo filoge¬ netico. L’ elezione naturale che doveva essere il sostegno più forte e più sicuro della teorica darwiniana, in fin dei conti si appalesa come un principio inutile a cotesta teorica. La va¬ riabilità e 1’ eredità non procedendo secondo i disegni di Darwin, 1’ elezione naturale non può più andare dove il filosofo inglese voleva spingerla.

Lo stesso Darwin, dimenticando il suo a-

CONCLUSIONE

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priorismo o stanco di tenerci dietro, talora di¬ scorre come se la variabilità e Y eredità fos¬ sero impotenti a varcare certi limiti, o non si muovessero nella direzione da lui vagheg¬ giata, ed in conseguenza come se la elezione naturale fosse un principio inutile. Purnondi- ineno attribuisce al medesimo principio gli effetti prodotti dalla variabiltà e dalla eredità che agiscono limitatamente e non si accomo¬ dano coir apriorismo darwiniano.

E c* è dell’ altro.

Non raggiungendo lo scopo colle due leggi della lotta per 1’ esistenza e dell’ eredità, im¬ brogliandosi nel ragionamento, non trovando modo di uscirne sia quando suppone illimitati sia quando suppone limitati gli effetti della variabilità e dell’ eredità, vedendo che non gli conviene contare di molto sulle leggi fìsse, sperimentali, più o meno conosciute, si appi¬ glia ad un altro partito, cioè si raccomanda alle circostanze esteriori, accidentali, instabili, più incerte e problematiche che mai. Ma gli effetti di queste circostanze non dipendono più dallo organismo: dipendono da cause che si svolgo¬ no fuori dell’ organismo, dipendono dal mondo esteriore. Ed allora la quistione di spiegare 1’ origine delle forme della natura organica vien presentata sotto tutt’ altro aspetto, vien portata sopra un campo tutto diverso. Il Dar-

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CONCLUSIONE

win però non si accorge di essere uscito dal suo terreno e pacificamente continua a trar profitto da tutto ciò che gli si para davanti, dispostissimo, per altro, a transigere e a lar¬ gheggiare in concessioni. Adduce diverse spie¬ gazioni per esplicare un medesimo fenome¬ no, tranquillamente rimettendosene alla libera scelta del lettore, senza pensare che certi principii eterogenei non si lasciano combinare secondo il nostro desiderio si possono fare agire a piacere.

Non essendo sufficientemente sostenuto dalla elezione, dalla eredità, dagli agenti esterni, Darwin tira fuori anche la legge del¬ la « correlazione di crescenza ». Vale a dire che nuovamente dimentica come la sua teoria sia appoggiata sulla spiegazione puramente meccanica delle forme organiche.

Manipolando, rimaneggiando, barattando il principio della elezione con altri principii, molti vuoti si riempiono almeno apparente¬ mente. Ma è di lampante evidenza che così Darwin esce di carreggiata, esce dalle pre¬ messe stabilite dalla sua teorica, applica stor¬ tamente i suoi supposti principii e conclude a fantasia.

in questo procedimento avverte il Wigand si tratta solo di alcuni errori più qua più là, bensì di tutto un metodo ilio-

CONCLUSIONE

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gico, di un’ intera serie di massime che domi¬ nano e determinano il modo di dedurre , di un completo sistema di ragionamenti sofìstici.

Per provare un’ asserzione, il darwinismo muove da un’ altra asserzione, la cui giustezza si deve senz’ altro ammettere, per modificarla poi artificiosamente ed arrivare infine ad una conclusione affatto opposta. Questo giuoco rie¬ sce meglio quando 1’ asserzione che fa da pre¬ messa, contiene un’ espressione a doppio senso, così che non occorra altro, se non conoscere F arte di sfruttare quel doppio senso.

In questa maniera il darwinismo talora giunge a dare alle sue premesse un’ apparenza di verità. Per esempio , alla giusta nozione della variabilità limitata ( cioè nei limiti del costante carattere specifico ) si sostituisce la falsa nozione di una variabilità illimitata e indeterminata , di una tendenza irrefrenabile delle forme a mutare il carattere delle specie. Del pari che a proposito della battaglia per la vita, alla lotta eventuale fra gli animali e all’ istinto della propria conservazione si so¬ stituisce 1’ inevitabile quanto incessante con¬ correnza tra individui inegualmente variati della stessa specie , nella quale concorrenza la vittoria resta necessariamente alla forma più adattata. Quando poi è questione dell’ ere¬ dità, alla tendenza di tramandare il carattere

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CONCLUSIONE

specifico si sostituisce la tendenza di trasmet¬ tere ogni variazione che sorse accidentalmente; alla limitata capacità di ereditare le variazioni accidentali si sostituisce un'inclinazione neces¬ saria, di generazione in generazione sempre progrediente, a fissare coteste variazioni.

Così il darwinismo pone ai suoi servizi la indeterminatezza e il doppio senso delle pa¬ role : variabilità, lotta per 1* esistenza, eredità. Così, mediante un’abile manovra di alcune no¬ zioni prese dalla realtà, si fabbrica le leggi di cui abbisogna.

Ed ecco perchè nel « rotismo » della teorica , darwiniana i rocchetti non girano , i perni ciottolano , le mastiettature cigolano , e non c’è unto che basti per far lavorare la macchina.

Una non meno ricca sorgente di pericolose illusioni è 1’ abitudine caratteristica al darwi¬ nismo di volere spiegare un fatto con un'altro, che per lo meno è tanto poco compreso quanto il primo, di volere cioè spiegare 1’ oscuro col- 1’ oscuro. Le conosciute forme delle piante e degli animali si devono spiegare colle scono¬ sciute variazioni impercettibilmente piccole e colla mal nota influenza del mondo esterno che agisce indirettamente , eventualmente , in modo incostante e complicatissimo. Le esistenti forme conosciute si devono spiegare suppo¬ nendo una quantità innumerevole di forme

CONCLUSIONE

sconosciute. Gli organi rudimentari ed inutili si vogliono spiegare con un antico quanto ignoto impiego funzionale di cosiffatti or¬ gani. Il noto sviluppo individuale degli orga¬ nismi si deve spiegare coll’ affatto ignota storia del loro stipite , gratuitamente supponendosi che la storia deH’individuo sia press’a poco la ripetizione della storia della specie e dello stipite. L’ intero regno organico va spiegato colla « cellula primitiva; » il sistema plane¬ tario e 1’ intero universo vanno spiegati col- 1’ « omogeneo stato primitivo della materia, » quantunque non sappiamo assolutamente nulla della cellula, della « nebbia primitiva. »

Fatto il primo passo , i darwinisti arri¬ schiano il secondo più lungo, più frettoloso , più diritto alla mèta. Non sono uomini da rimanere col pie’ sospeso , non sono uomini da non sapere per quale parte bisogna cor¬ rere , da non aver Y audacia necessaria a spiccare la corsa. Ma a stabilire una teoria che si regga ritta sulle gambe, non basta infilare ipotesi una dentro Y altra come i ci¬ lindretti di un telescopio.

I darwinisti hanno per massima di ridurre le differenze qualitative a differenze puramente quantitative : dividono, per esempio, un carat¬ tere in piccoli , innumerevoli gradi , ugual¬ mente differenziati, e presentano il successivo

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali. 40

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CONCLUSIONE

cumulo delle variazioni come una spiegazione del carattere in questione. Dandosi poca o nessuna importanza alla qualità , tutto si ri¬ solve in affar di quantità. Così il darwinismo trova nel tempo 1’ universale ripiego per tutte le difficoltà : ciò che non si può provare colla storia , può essere avvenuto nella preistoria ; ciò che non è possibile in mille anni , può esserlo in milioni o in miliardi d’ anni. « Pic¬ coli passi e immensi spazi di tempo » è la magica forinola colla quale 1’ impossibile vien fatto possibile ! Ammessa l’eternità del mondo, non c’ è paura che s; abbia a patire penuria di tempo. E con questo metodo il tempo, che è una « forma dell’avvenuto, » viene conside¬ rato come un principio creatore.

Al pari del tempo, per Darwin è un mezzo di prova e rappresenta una parte onnipotente « la nostra ignoranza che sorpassa ogni im¬ maginazione. » Con questo rimedio egli s’ in¬ gegna di palliare i vuoti e le contraddizioni della sua teoria. Quando, a cagion d’ esempio, si domanda agli avanzi fossili una prova per il sedicente regolare processo di trasforma¬ zione delle forme organiche, per tutta rispo¬ sta si allega la straordinaria deficienza dei residui fossili. Quando si obietta che le fun¬ zioni e la capacità di esistenza dei singoli individui non hanno che vedere coi caratteri

CONCLUSIONE

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sistematici , che gli effetti dell’ elezione na¬ turale non hanno presa di sorta su cotesti caratteri , si risponde che delle prime forme della vita noi ne sappiamo troppo poco o niente , e però non dobbiamo lasciarci fuor¬ viare dai fatti ancora contraddittori.

Di talché, per Darwin, il materiale di prove è riflette ancora il Wigand quasi sempre non in ciò che sappiamo, ma in ciò che non sappiamo, non in ciò che è reale , ma in ciò che è possibile , non in ciò che è plausibile , ma in ciò che è inverosimile. Il darwinismo non si la bega come fa la scienza delia natura di provare delle necessità , ma si limita ad esporre delle possibilità.

A buon conto, il tempo, che astratta- mente fa tutto possibile, l’inaccessibile buio la del passato, la nostra incredibile ignoranza e semplice possibilità sono invocati dal darwini¬ smo come ricovero per tutte le difficoltà, come sotterfugio, come lustra, come panacea in luogo e vece delle prove dirette o indirette.

Dunque V errore principale e più mador¬ nale del darwinismo proviene dalla mancanza di fatti che realmente comprovino la teoria. Di fatti le opere di Darwin ne contengono un’ enorme quantità ; ma cotesti fatti sono a casaccio intrusi nella teoria, e però mancano di forza probativa. [Essi formano il vivente

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CONCLUSIONE

materiale (li una sterile speculazione , e solo il lettore superficiale si lascia prendere alla illusione che la teorica darwiniana riposi sopra una larga base empirica. Quei fatti corrono vicino, rasentano la teorica, come il Darwin ricercatore di minuzie corre vicino e rasenta il Darwin filosofo teorico- In sostanza però solo di tanfi in tanto il Darwin si sottrae all’ eterogeneo campo della ricerca teorica per andare a prendere una boccata d’aria in quello dell’osservazione, dove egli è davvero sommo, con piacere e con profitto del lettore. Dopo tutto, gli esempi che veramente appartengo¬ no all’argomento e coi quali Darwin procura, se non di fondare, almeno d’illustrare le sue massime, sono puramente supposti.

La teoria darwiniana ondeggia nell’ aria e cosa strana pretende che le sue de¬ duzioni, i suoi risultati come tutta la sua im¬ palcatura non facciano una grinza, stiano in perfetta regola, rispondano completamente alle esigenze della scienza. Dovremmo nientemeno chiamarci soddisfatti di una teoria che non ha bisogno di esser vera , di una teoria le cui spiegazioni si emancipano dalla realtà, mentre solamente la realtà dovrebbe fornire i fatti che spieghino la teoria. No, non basta che una teoria sia interessante ed ingegnosa; prima di tutto fa d’ uopo che sia ben fondata e vera.

CONCLUSIONE

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Pigliando le mosse da false premesse, non si può arrivare neanco all’apparenza di una spie¬ gazione comecchessia.

Nella teoria darwiniana non si tratta sem¬ plicemente di un maggiore o minor numero di errori piccoli o grandi; ma è in questione tutt’ intero il piano dell' edilìzio , la forinola dello stesso problema, il modo della ricerca.

Il compito della investigazione della natura sta nel dedurre leggi generali empiriche da una moltitudine di fatti concreti e nel ridurre le leggi generali empiriche a cause generali. L’ induzione ha da cominciare dai singoli casi e successivamente estendersi ad un nu¬ mero sempre maggiore di fatti simili. Il pro¬ cedimento deve, passo passo, elevarsi dal sin¬ golo al generale. Ogni grande legge induttiva vuol esser basata sopra un importante numero di singole induzioni.

Perciò, affrontando la questione dell’origine del regno organico nell’ipotesi che fosse un tutto sistematicamente concatenato per fi¬ siologica parentela, la spiegazione doveva applicarsi prima ai singoli casi, poscia ai grup¬ pi sistematici e, quando ciò riusciva, finalmen¬ te far valere, con prove di fatto, la stessa spie¬ gazione come una teoria generale per Finterò ■regno organico.

Darwin procede tutto all’incontrario. Invece

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CONCLUSIONE

di dedurre una legge generale dai fatti , che- hanno d’ uopo di una spiegazione, egli si co¬ struisce certe nozioni o assiomi tolti non già dall’ esame della realtà ma dalla speculazione: variabilità illimitata, elezione naturale e ra¬ zionale , eredità progressiva , strapotente in¬ fluenza degli agenti fìsici , legge del tempo- equivalente ad un salto nel buio ; e prende- tali nozioni come forze naturali produttive, e canta vittoria, senza badare a spiegare spe¬ rimentalmente i fatti, considerati prima alla spicciolata , poi a gruppi e infine nel loro insieme.

Questa mancanza di fondamento empirico* non è una semplice omissione , una casuale trascuranza, una passeggierà negligenza, alla quale in qualche modo si poteva riparare in seguito; codesto fondamento empirico la scuo¬ la darwiniana non lo vuole a priori , perchè non lo ritiene necessario , perchè crede di raggiungere lo scopo con nozioni generali manipolate alla bell’ e meglio, forse perchè sentiva che non sarebbe mai riuscita a tirarlo dalla sua.

Quindi non fa neppure il tentativo di pro¬ vare come una determinata forma sia deri¬ vata da un’ altra determinata forma per ele¬ zione naturale. Di addurre un caso concreto,, non parla nemmen per sogno: parla sempli-

CONCLUSIONE

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cernente di un modo tutt’ astratto, secondo il quale in generale si può concepire 1’ origine delle forme.

Darwin coi suoi scritti non mira a spiega¬ re i fatti concreti , ma soltanto i principii ai quali è raccomandato il suo sistema. Da leggi astratte trae corollari ugualmente astratti. Ora questo procedimento sta bene nella matema¬ tica , la quale da formole generali deduce altre formole generali , senza assegnare , in queste deduzioni, determinati valori alle gran¬ dezze. È ammissibile nella filosofìa razionale, la quale da verità generali inferisce altre verità generali. Ma non si addice, ma non può applicarsi all' investigazione della natura.

Dunque colla teoria darwiniana al più al più si spiega il generale , formale, astratto carattere di un possibile mondo organico, ma non resistente , reale, effettivo mondo delle piante e degli animali. Supposto che esistes¬ sero una flora e una fauna ordinate in una certa data maniera, cioè secondo V ideale che Darwin se n’è fatto, la teoria darwiniana ce ne offrirebbe la spiegazione. Padronissimo Darwin di supporre che la sua ipotesi valga anche per gli organismi che ci circondano ; libero a lui e ad altri di pensare che la me¬ desima ipotesi calzi benissimo anche nel caso che gli organismi si sviluppassero in direzio-

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CONCLUSIONE

ne non ascendente, ma discendente, dai più alti ai più bassi, dalla scimmia all* infusorio. Ma tutto questo dimostrerebbe che colle ipotesi, le quali non sono scientifiche, volendosi spie¬ gar troppo, si spiega niente ; che non ab¬ biamo a fare con un procedimento scientifi- co-naturale, ma con un procedimento ideale, metafisico , trascendentale , qualcosa come la teoria atomistica. Nella guisa che la teoria atomistica vuole spiegare la materia, la sua ordinata varietà e le sue leggi cogli atomi « metafisici, » privi di proprietà e di differenza; così la teoria darwiniana, cancellando ogni specifica differenza colla puramente astratta nozione della variabilità, vuol far derivare la molteplicità della natura organica dall’ indi¬ stinta unità per via di una trasformazione parimente campata in aria.

Nel darwinismo rifiorisce la falsa filosofia naturale , che a principio di questo secolo dominò e fuorviò la scienza della natura , e che è stata relegata fra le ciarpe vecchie. Nel darwinismo e nelle sue supposte leggi si scorge sopratutto la smania di costruire la natura a priori , e, ciò che è più curioso, molti di coloro che più avevano in orrore la succennata aberrazione, si lasciarono subito prendere dal nuovo laccio.

Certamente molti dotti, fra i quali Darwin,

CONCLUSIONE

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non hanno coscienza di ciò , non credono di aver messo le ali d’ Icaro e di « chieder forma al paradosso; » pensano invece di cam¬ minare sulla terra e dir cose semplici, natu¬ rali, positive. Ma Hackel, che vuol esser logico sino in fondo, parla chiaro : « Si deve ritor¬ nare egli grida al pubblico dei critici si deve ritornare alla troppo diffamata filoso¬ fìa naturale di un Lamarck , di un Geoffroy St. Hilaire , di un Oken. » E più sotto il me¬ desimo autore afferma che « la storia dello sviluppo degli organismi ha inaugurata una nuova epoca , mentre dall’ empirica investi¬ gazione dei fatti si è elevata alla questione filosofica. » Così si esprime il sommo sacerdote della chiesa darwinista in Germania. E quan¬ tunque altri propugnatori del darwinismo sconfessino tale miscèa o piuttosto tale barat¬ to dell’ investigazione naturale colla questio¬ ne meramente filosofica in modo che questa ultima debba somministrare ciò che la prima non può dare, pure col fatto dimostrano di dividere 1’ opinione dell’ Hackel.

Per il suo procedimento speculativo, il dar¬ winismo non appartiene alla scienza naturale, bensì alla falsa, alla screditata, alla ripudiata filosofia, giacché la vera filosofìa moderna non ambisce, non si propone di spiegare i problemi, che appartengono al dominio della metafisica.

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CONCLUSIONE

La scuola darwiniana pretende far deri¬ vare la varietà del mondo organico da una o poche forme - stipiti ; pretende esplicare il mondo organico, riconducendo tutte le diverse forme ad una forma archetipa e finalmente ad una cellula originaria. Ebbene , se pur fosse possibile seguire 1' albero genealogico del regno organico minuziosamente sino ad una cellula originaria , ciò equivarrebbe ad un’ importante estensione del nostro sapere, ma non ad una spiegazione. Forse che cono¬ scere lo stato embrionale di un individuo è lo stesso che spiegare la causa della sua origi¬ ne ? Si semplicizzerebbe il fenomeno; ma in quanto alla causa originaria resteremmo nel¬ l'ignoranza e nell’incertezza di prima. La for¬ ma-stipite, per quanto semplice s'immagini nella sua apparizione, deve sempre contenere tante cause, quanti sono gli effetti, cioè quante sono le differenti forme che dalla forma-sti¬ pite devono venir fuori. Di talché la semplicità del fenomeno in cui si crede di trovare la chiave per comprendere le infinitamente ric¬ che serie di sviluppo , che si svolgono dalla disposizione naturale della cellula originaria non serve niente affatto a rendere meno dif¬ fìcile, meno imbrogliata, meno astrusa la que¬ stione dell’ origine.

Il darwinismo non spiega nulla, quando

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ammette quella cellula originaria come inde¬ terminata e indifferente riguardo alle forme che ne vengono fuori. Sarebbe egli possibile spiegare i diversi tipi pesci, anfìbi, rettili, uc¬ celli, mammiferi colla forma-stipite di tutti i vertebrati ? No sicuramente, perchè è incon¬ cepibile che i caratteri differenziati di quei tipi fossero racchiusi in un indifferente ani¬ male vertebrato originario.

E quando si tenta spiegare quella cellula originaria del regno organico coll’ accidentale incontro di alcuni elementi sparsi nella libera natura, cioè carbonio, idrogeno, ossigeno, azo¬ to, non se ne fa nulla lo stesso. Perchè nasca una cellula messa assieme da questi ele¬ menti, anzitutto devono verificarsi le condi¬ zioni, in forza delle quali si uniscano in una cellula, in un protoplasma, in una piccola massa informe. Ma noi vediamo che queste condizioni sperimentalmente si trovano solo nell’ interno di un organismo materno. In con¬ seguenza notava il Wigand bisognereb¬ be per la nascita della prima cellula indicare, come equivalente del materno seno, un' altra causa, per la quale gli elementi dapprima li¬ beri siano congiunti in unioni organiche !

Ammesso che una data materia determini una data forma, che Y organo determini la funzione, che la cellula spieghi la vita -

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CONCLUSIONE

cioè nutrimento, crescenza, propagazione, sen¬ sazione e infine la vita psichica dei più alti animali, dato e non concesso tutto questo, non potremo ammettere che una forma alta de¬ rivi da una bassa forma di esistenza, perocché la prima contiene elementi nuovi che manca¬ no all’ ultima. Dalla causa noi possiamo trar¬ re effetti quantitativi, ma non qualitativi. Sap¬ piamo, per esempio, che una data quantità di acqua risulta dalle sue parti costitutive; ma non possiamo dire che le qualità dell’ acqua sieno un effetto delle qualità delle sue parti costitutive : idrogeno ed ossigeno. Sappiamo che certi elementi chimici dànno deH’albume; ma non possiamo dire che le proprietà del- l’albume derivino dalle proprietà degli elemen¬ ti chimici, e via discorrendo. La causa origi¬ naria non ci spiega gli effetti qualitativi : noi non comprendiamo perchè ad una certa miscèa di materia corrisponda una determinata forma cristallina, perchè la combustione o il frega- mento produca caldo, perchè la cellula si di¬ lati, perchè il nervo senta, e così di seguito. Quando anche potessimo spiegare ogni pro¬ prietà per sè; tuttavia non comprenderemmo la legge del riannodamento di queste proprietà in un tipo unico.

Or bene, il darwinismo sorvolando a que¬ ste difficoltà , confondendo gli effetti quan-

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titativi cogli effetti qualitativi , tirando di lungo alla spensierata, non avendo altro obiet¬ tivo che giustificare alla men peggio un’ipo¬ tesi del tutto infondata, si contenta di lasciar nascere le numerose e nello stesso tempo di¬ verse proprietà dell’ organismo con un solo procedimento. Ma in ogni caso così non avrem¬ mo che un casuale, rappezzato, confuso cumu¬ lo di membri e di proprietà. Resterebbe a spiegare il meglio e il più, vale a dire il con¬ catenamento delle diverse parti in un tutto ar¬ monico, risultante dall’ effetto di queste par¬ ti combinate tra di loro e col mondo esterno ; resterebbe a spiegare 1’ accordo dei singo¬ li organismi in un solo scopo del tutto.

È vero che tutti i gusti son gusti e chi si contenta gode ; ma è anche vero che altro è scansare le difficoltà, altro scioglierle.

Noi siamo in grado di analizzare un orga¬ nismo nelle sue singole proprietà , nei suoi elementi chimici, nella sua forma, ecc. ; ma quest’analisi non ci spiega la genealogia e la natura dell’organismo.

Le leggi fisiche ci dicono perchè una mac¬ china debba produrre certi dati effetti; ma que¬ sti effetti non vanno confusi colla struttura della stessa macchina. Le leggi fisiche ci dicono il perchè delle attività di un indi¬ viduo ; ma non ci dicono il perchè della sua

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CONCLUSIONE

esistenza. Dal tutto si possono comprendere le parti in quanto allo scopo ma non in quanto al fondamento. A conoscere il fondamento, la ragion di essere del tutto, non basta il solo esame delle parti.

Per il darwinismo questi sono ostacoli da nulla, tutt’ al più bastoni inutilmente gettati attraverso le ruote del suo meraviglioso carro. Gli oppositori hanno un bel gridare, il carro continua la sua corsa precipitosa. La scuola darwiniana vuole non solamente spiegare le forme organiche tali quali sono, ma anche il loro « divenire, » cioè il loro sviluppo; vuole spiegare, perchè le singole parti si sono for¬ mate per 1’ appunto così e non altrimenti, come e perchè una forma animale potè, a poco a poco, per via di trasformazione, venir fuori da altre forme. Il darwinismo vuole non solo render conto dello sviluppo del regno orga¬ nico, ma provarlo come una « necessità di na¬ tura. » Vana impresa! Quantunque in un pro¬ cedimento di sviluppo organico ogni successivo stadio abbia di certo il suo sufficiente motivo nello stadio che immediatamente precede, pure vi è contenuto in uno stato non realizzato, perciò invisibile ed irriconoscibile. Dunque non è possibile da un primo stadio predirne un secondo, come dalle foglie non sarebbe possi¬ bile indovinare i fiori, se non ci venisse in soc-

CONCLUSIONE

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corso l’esperienza. Dunque da uno stadio po¬ steriore non si può ricostruire uno stadio an¬ teriore e renderci così ragione dell’ intero sviluppo; bisogna riconoscere che ci è all’in- tutto sconosciuta 1’ interna legge della con¬ nessione, del concatenamento dei diversi stadi che si succedono.

Insemina la molteplicità e la varietà degli esseri, 1* aggruppamento dei medesimi secondo la loro somiglianza e diversità , lo specifico stampo di ogni essere di fronte agli altri come di fronte alle qualità generali della materia, la composizione delle parti degli esseri indi¬ viduali , 1’ omogenea reciprocala di queste parti , lo sviluppo conforme alla legge del tutto questi ed altri fenomeni sono empi¬ ricamente conosciuti come fatto compiuto, ma non si spiegano. Nella molteplicità e varietà del mondo dei fenomeni noi possiamo , colla comparazione e coll’ astrazione, trovare delle leggi generali ; possiamo coll’ esperienza ri¬ conoscere la dipendenza dei cambiamenti fra di loro , e la mutua dipendenza dei diversi esseri; possiamo constatare delle leggi negli effetti e nelle reazioni. Ma non abbiamo i mezzi di sapere perchè un essere esiste, perchè è formato così e non diversamente , perchè da una determinata causa segue questo o quel- T effetto.

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CONCLUSIONE

Il darwinismo procede in senso ostile ai- fi investigazione naturale. Mentre l’investiga¬ zione della natura intende per ispiegazione il ricondurre il fenomeno da spiegare a causa ed effetto, il darwinismo a base e motivo del- 1’ elezione naturale pone la conformità allo scopò. Secondo tale teoria , certe date forme di piante o di animali non esisterebbero, se non possedessero una disposizione conforme allo scopo. Così si vogliono spiegare i carat¬ teri degli esseri collo scopo della vita. Per¬ ciò non si spiega come esige la scienza 1’ effetto colla causa : si bada soltanto ad osservare se fi effetto corrisponda allo scopo , lasciando in disparte la vera questione, cioè T assegnare le cause agli .effetti ; si guarda allo scopo , ma non si tien conto dei mezzi. In altri termini, poiché la difficoltà principale non si sa affrontare, ci si gira attorno, o si sopprime addirittura.

Con questo metodo non si alcuna spie¬ gazione naturale. E c’ è di peggio : colla pretesa di ammannire una spiegazione, vice¬ versa si allontana la prova delle cause effi¬ cienti, e la scienza naturale fallisce al suo compito.

L’elezione naturale non fa, secondo Darwin, che vagliare , sceverare e conservare; e però non ha nulla che vedere colle cause, per cui

CONCLUSIONE

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le forme organiche vennero fuori. Per i darwi¬ nisti, le forme organiche sono comparse come variazioni individuali. E su qual fondamento, per quale principio ? In forza ribattono i nostri contradittori in forza della varia¬ bilità indeterminata ed illimitata degli orga¬ nismi.

In questo mare magno della sconfinata variabilità, i darwinisti pescano tutto quello che vogliono , ma senza procurare alla loro teoria la benché minima apparenza di verità.

Se loro domandiamo perchè apparve una certa data variazione, essi non hanno altra risposta da offrire che questa : la variazione apparve perdi' era possibile , solamente per¬ di’ era possibile.

Infatti se la variazione venisse considerata come una necessaria conseguenza delle esterne ed interne circostanze che agirono sugli or¬ ganismi, implicitamente si darebbe al procedi¬ mento una determinata direzione. Ma allora non ci sarebbe più posto, motivo , ap¬ piglio per 1’elezione naturale, la quale esclude 1’ idea di necessità; e non è in grado di sce¬ gliere se non è completamente libera, giac¬ ché i due termini: scelta e necessità si con¬ traddicono.

Or bene, V utilità che deve scaturire dal caso nel vastissimo oceano della variabilità

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 41

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CONCLUSIONE

illimitata , è un’ astrazione che non si fa capire. Questa benedetta elezione naturale che è libera soltanto nei confini dell’ utile, che è indipendente, ma sta soggetta al caso, è una sciarada che scoraggia i più esperti indovini. Quale causa si può assegnare alla variazione che deve verificarsi in un certo senso, ma può seguire un’ altro indirizzo e magari può non presentarsi ? Come mai dalla variabilità , che non ha direzione, limiti, che non ri¬ conosce altra causa all’ infuori del fortuito evento, derivano 1’ ordine e 1’ armonia delle forme ?

Alcuni darwinisti credono far fronte ai- fi obiezione restringendo la variabilità in certi limiti , senza per ciò abbandonare la libertà di scelta. Essi dicono che, sotto date circo¬ stanze, solo un certo numero di variazioni sono possibili.

Prima di tutto, se questi signori intendono essere conseguenti a se stessi, devono ammet¬ tere una sola variazione, quella che si uni¬ forma allo scopo. Ma ammettendo questo , si sfascia la baracca dell’ elezione naturale.

In secondo luogo, malgrado cotesta limi¬ tazione , si rimane sempre sulle braccia del caso. U essere un caso possibile più o meno probabile fra molti altri casi possibili , non cambia la quistione. Anche quando un dadb

CONCLUSIONE

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scrive il Wigand in una nota porti I su cinque lati e VI sul sesto, se cade suir I, è sempre un caso , indubbiamente un caso cinque volte più probabile, ma sempre un caso.' Dunque la nostra obiezione non perde la sua forza.

Questi i fatti; e non credo che i darwinisti diranno: tanto peggio per i fatti.

I darwinisti cercano la verità; e però hanno da interrogare i fatti con imparzialità, con coraggio, col proposito deliberato di non chie¬ dere ad essi che la prova della verità. Quan¬ do questa prova è diffìcile, bisogna che la teorica propugnata sia sorretta, per lo meno, da una grandissima probabilità.

Ma è poi grande la probabilità che un carattere utile si formi per elezione naturale? No, di sicuro. È infinitamente piccola la pro¬ babilità che un individuo varii giusto in una data direzione di fronte agli altri individui, che non variano o variano in altre direzioni. Anche ammettendo 1’ illimitata capacità di ereditare, la variazione utile può soltanto ere¬ ditarsi, quando per caso due individui dell’uno e dell’ altro sesso, variati in modo eguale o analogo, si trovino assieme nella stessa loca¬ lità. E ciò è immensamente improbabile. Poi¬ ché gli individui variati si congiungono coi numerosi individui non variati, la variazione

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CONCLUSIONE

è soffermata nel suo corso, non si tramanda ereditariamente ; abbandonata a se stessa, re¬ sterà paralizzata e non renderà quei servigi che colla sua utilità dovrebbe rendere nella lotta per resistenza. A tutto ciò si aggiun¬ ga che dopo poche generazioni ogni variazione sarà pareggiata per via dell’ incrociamento.

Tutte queste improbabilità rimbeccano i nostri avversari si ripetono della stessa maniera in ogni nuova variazione, fino a tanto che si formi un carattere, il quale deve venir fuori dalla somma dei minimi passi. Ma è già al più alto grado improbabile che una specie varii di nuovo sempre nella stessa direzione. E questa improbabilità aumenta indefinita¬ mente, quando si tratta non di una sola, bensì di una serie di variazioni, cioè quando si tratta della formazione di nuovi caratteri.

Ah! che portentosa immaginazione ci vuole per figurarsi tutte le accidentalità che hanno da concorrere perchè una forma nasca in grazia della battaglia per la vita e dell’ ele¬ zione ! Prendiamo T esempio addotto da Dar- vin: la formazione del lungo collo della giraffa, i cui antecessori da principio avevano colli corti. Poniamo che una volta, a caso, sia sorta una giraffa con un collo allungato di un pol¬ lice. Ammettiamo che questa proprietà si sia trasmessa ad un numero d’individui. Supponia-

CONCLUSIONE

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ino che in un certo tempo abbia avuto luogo una carestia, per la quale soccombettero tutte le giraffe non variate e si conservarono sol¬ tanto quelle dal collo allungato.

A pensarci bene, la carestia non dobbiamo figurarcela cagionata da una generale cattiva annata giacche, in questo caso, sarebbero morte anco le giraffe col collo allungato, ma da una sovrabbondanza di mangiatori di ■vegetali e segnatamente di giraffe. Di modo che sopravvissero solamente le giraffe che potevano, col collo allungato, raggiungere le foglie degli alberi inaccessibili alle altre gi¬ raffe.

i

Mettiamo ora che quelle varietà si sieno propagate e abbiano tramandato il collo allun¬ gato di un pollice ; così che tutte le giraffe -ebbero un collo più lungo di un pollice, sino u quando ritornarono una sovrabbondanza di giraffe ed una carestia. Frattanto erano, per caso,, nati alcuni individui con un collo di nuovo un pollice più lungo, i quali individui potettero sopravvivere pascendosi di foglie che si trovavano un pollice più alte, mentre gli altri morirono per mancanza di nutrimento. E così di seguito. Colle variazioni casuali, coi colli allungati di un pollice sapientemente si combinarono la sovrabbondanza di giraffe e la carestia, nello scopo di sopprimere gli

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CONCLUSIONE

individui non cambiati, sinché, alla fine, si rag¬ giunse 1’ attuale lunghezza del collo delle gi¬ raffe !

Non vogliamo darci pensiero di ciò che, in queste periodiche carestie, avvenne di tutti gli altri piccoli animali, che si pascono di vegetali e che , ancor più delle giraffe , non poterono nutrirsi di foglie. Non vogliamo sapere come si spiega che nei luoghi dove esistono giraffe, anche oggidì si trovano altri ruminanti col collo cortissimo. Non vogliamo indagare sin dove, stando a questo sistema,, saremmo andati col collo della giraffa, non essendoci nessuna ragione perchè non lo si allungasse anche per più di sette pollici.. Domandiamo semplicemente questo: È o non è enormemente inverosimile la supposizione delle carestie, che si succedevano periodi¬ camente e che avevano per risultato 1’ allun¬ gamento di un pollice di collo ? Non siamo sempre nei termini del mero e puro caso ? Evvi forse un legame di causa ed effetto fra le carestie e la variazione del collo delle gi¬ raffe ?

Così, la formazione di un carattere qua¬ lunque mediante l’elezione naturale, presuppo¬ ne ogni tantino la combinazione di circostanze esterne affatto indipendenti dall’ organismo e di eventi all’ intutto inverosimili. Anzi, come-

CONCLUSIONE

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se questo fosse poco, esige anche precisi rap¬ porti numerici fra gli organismi, che si mo¬ strano l’uno dopo l’altro, rapporti numerici dei quali la realtà non c’ indica la più piccola traccia.

Viene il capogiro a pensare che questa serie d’ inverosimilissime accidentalità si do¬ vrebbe secondo la teorica darwiniana ripetere per ognuna delle forme vegetali ed animali !

Oh è troppa ingenuità, è soverchio candore, è fenomenale cecità, è infantile leggerezza credere al caso sino a cotesto punto! Cosiffatta fanciullesca credulità non è pania che possa invischiare i naturalisti, avvezzi a cercare e trovare effetti conformi alle leggi, vale a dire effetti necessari.

Certo sì, il darwinismo pone a capo del mondo la semplice possibilità, cioè l’acciden¬ talità. Secondo la teoria darwiniana, 1’ ordine armonico del mondo reale sarebbe semplice- mente come chi dicesse la scheda premiata, che nella lotteria dello svolgimento dell’ uni¬ verso fu, per caso, tirata fra le innumerevoli schede bianche di mondi non conformi allo scopo.

La teoria dell’ elezione se la leva per le spiccie :

Perchè esiste questa o quella determinata

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CONCLUSIONE

forma di organismi ? Perchè la stessa è pos¬ sibile, come del resto sono possibili innume¬ revoli altre forme ; in altri termini, esiste , perchè il caso dispose così ; esiste perchè esiste.

Ma perchè esiste questa forma come tipo sistematico ? Solamente perchè le forme in¬ termedie che possibilmente esistettero , non poterono continuare a vivere , atteso la mu¬ tata condizione delle circostanze esteriori, le quali, in definitiva, non hanno altro padrone che il caso.

E perchè questa forma possiede la tale de¬ terminata proprietà ? Semplicemente perchè il caso volle che tale proprietà tornasse van¬ taggiosa al mantenimento di cosiffatta forma.

A simili domande la teoria dell’ elezione offre risposte di questo genere ! Ma vi è una qualsiasi apparenza di spiegazione ? Può va¬ lere come principio di spiegazione il caso cu¬ cinato, accomodato e servito in diverse salse? Eppure si continua a discorrere e a scrivere in tutte le lingue per gabellare la teoria dell’elezione come scientifica, come degna dei nuovi tempi!

Se non che, la baracca essendo raccoman¬ data, essendo interamente affidata a questa razza di travicelli, si sfascia e va in terra , per poco che la si tocchi a provarne la soli-

CONCLUSIONE

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dità. Si è ingrandito 1’ edifìcio senza raffor¬ zare le basi, e in conseguenza se ne è affret¬ tato il crollo.

La conformità allo scopo è o non è una legge che presiede alla formazione degli or¬ ganismi ?

Se non è, perchè è invocata anche dal dar¬ winismo ?

Se è, perchè il darwinismo tira fuori tutti i momenti e tiene in grandissimo conto e non

vede altro che il caso ?

\

E egli possibile provare scientificamente 1’ accordo fra la conformità allo scopo e il caso ?

I

A parte tutto ciò , qual’ è ci si dica chiaro e netto e senza restrizioni di sorta qual’ è , secondo il darwinismo , il principio causale? A spiegare 1’ origine degli esseri ba¬ sta questo strano tramestio, questo eterogeneo accozzamento , quest’ insalata composta di conformità allo scopo e di caso ? Se si nega il principio causale, come arriveremo ad in¬ tendere la necessità di natura ? Come si co¬ stituisce la scienza, se si il bando alla legge di causa ed effetto, se non si conosce per quale via, per quale mezzo da una determinata causa derivò un determinato effetto ? Se al posto del principio causale mettiamo il fortuito even¬ to, non corriamo a rotta , non ci perdiamo

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CONCLUSIONE

nello sconosciuto, non caschiamo nel caos, non andiamo a sprofondare nella più inintel¬ ligibile delle filosofìe ?

Dunque il darwinismo fa a cozzi coi più elementari principii della scienza naturale.

Dunque non è un’ esagerazione il dire che tutta la sinfonia del darwinismo si riduce ad una stonatura da stordire gli stessi sordi.

Ai filosofi naturalisti piace concepire il re¬ gno organico come un gran tutto, le cui parti direttamente o indirettamente stanno in reciproca continuità mediante la genera¬ zione.

E sin qui non c’ è da ridire : anzi ; però cotesta non è una spiegazione; è una specu¬ lazione; non è una teoria; è un modo di ve¬ dere tutto soggettivo e appoggiato al bisogno che sentiamo di scorgere nei fenomeni natu¬ rali la mutua dipendenza, la connessione di causa ed effetto, 1’ unità. Ma dall’ ideale al concreto c’ è un abisso. Realmente e concre¬ tamente noi non sappiamo come le forme or¬ ganiche.. si sono modificate nel corso delle epoche geologiche. Ignoriamo se ci sia stata una forma-madre, donde potettero derivare le altre forme. Ci è all’ intutto sconosciuta la causa, per cui, ammettendo una forma-madre, questa poteva generare da due, o più di due, differenti forme.

CONCLUSIONE

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Il darwinismo non ha un sicuro punto di partenza per cominciare le sue indagini rela¬ tive alla formazione delle specie. Non pensa a sfangarsi dall’ idealità, dall’ astrazione, dal- 1 apriorismo. Crede che basti parlare di gra¬ duale trasformazione. Ma la reale dipendenza delle forme si può supporre senza graduale trasformazione: si può supporre che cotesta dipendenza derivi da subitaneo coniamento per usare l’espressione del Wigand, come dall’ informe stelo del cactus scaturisce il geniculato variopinto flore, come la farfalla vien fuori dal bruco.

La teoria di Darwin non va confusa col problema del trasformismo e della dipendenza degli esseri. Si può benissimo ammettere il trasformismo e la mutua dipendenza degli es¬ seri e nello stesso tempo rigettare la teorica darwiniana. Questa ha completamente ed irre¬ missibilmente fallito il suo scopo; non ha po¬ tuto spiegare come da una forma derivi l'altra; non ha potuto ricostruire l’albero genealogico, che è sepolto nelle età geologiche; ed ha ridot¬ to la questione dello sviluppo organico ad un semplice affar di meccanica, ad una pura com¬ binazione casuale.

Il darwinismo cominciò dal prendere per divisa la legge dello sviluppo organico. Se non che, trovandosi in un ambiente poco respira-

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CONCLUSIONE

bile, essendo combattuto da un vento del tutto contrario, girò di bordo e andò barcamenando¬ si tramezzo a ben vecchie generalità, come la classificazione delle specie, l'adattamento degli esseri alle circostanze esteriori, e via discor¬ rendo.

Il darwinismo non muove dai fatti con¬ creti , ma da ipotesi e da finzioni , le quali contraddicono alla realtà. E però non entra nel dominio della scienza naturale. Non se la dice neppure colla filosofia, perchè non ci la spiegazione causale dei fenomeni , perchè trascura interamente il principio di causalità.

Ci sono naturalisti che, tirati da correnti in senso inverso, vorrebbero cavarsela accet¬ tando con riserva : ammettono la teoria di Darwin, salvo il diritto di aggiungere e levare; si uniscono a Darwin, perchè « nella sua teoria c’ è del vero, » senza, per altro , rinunciare alla critica, senza disfarsi della facoltà di sce¬ verare , rimaneggiare , ritoccare , scancellare per colorire a nuovo , raschiare e disegnare diversamente.

Ebbene, no, questa licenza non la si può permettere : per certe quistioni non c’ è via di mezzo ; bisogna « prendere tal quale o lasciare. » Bisogna spiegarsi subito , sulla soglia dell’ uscio, perchè non nascano malin¬ tesi. Senza tergiversare , senza cominciare a

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distinguere e a suddistinguere, senza sfoggiare una batteria di congiunzioni dubitative, biso¬ gna rispondere a questa dimanda : Può l’ ele¬ zione naturale , nel senso in cui Y intende Darwin , spiegare i caratteri sistematici e i caratteri di adattamento degli organismi ?

Qui non si può scappar fuori a dire che la verità sta in mezzo. Lf invocare Y adagio : in medio consista virtus toglierebbe al dar¬ winismo ogni importanza e ogni serietà. Vi sono molti che stanno indecisi fra il ed il no; e questi o vengono in aiuto all' elezione naturale dove questa si mostri insuffi¬ ciente con un rinforzo che in sostanza equivale ad un altro principio di spiegazione, oppure limitano le pretensioni della teorica di Darwin ai caratteri di adattamento. Nel primo caso, il nuovo principio di spiegazione rende, per lo meno, superfluo il principio della scelta naturale. Nel secondo caso, si discono¬ sce che il fondo della quistione sta per l’ap¬ punto nello spiegare la formazione dei ca¬ ratteri sistematici.

Il darwinismo è come un miscuglio in ef¬ fervescenza, dove salgono continue bolle in forma di sempre nuove speculazioni e" si agi¬ tano e stridono e scoppiano. Accanto alle teoria che costituisce il fondo del darwinismo, se ne ammucchiano delle altre, che, presentate dal

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CONCLUSIONE

signor Caio o dal signor Sempronio, vennero acl essa coordinate o in essa incorporate, quan¬ tunque inspirate e sostenute da principii di spiegazioni all’ intutto eterogenei, principii di spiegazione che pel momento possono la¬ sciarsi arti Azi osamente, stentatamente e talora grottescamente combinare ; ma che in so¬ stanza si contraddicono e si escludono Y un 1’ altro.

La dottrina darwiniana, quale si è ita for¬ mando sotto le mani di quelli che passano per suoi padrini e legittimi rappresentanti, non ci offre una determinata, precisa , scien¬ tifica teoria, ma un confuso movimento, una strana ebullizione, un bizzarro mosaico di particolari opinioni, di vedute individuali, di mere e pure fantasie.

Pare incredibile; ma è certo che gli stessi Darwin ed Hackel travolti in quel vertiginoso ondeggiamento,, si sono messi, anche loro, a tergiversare, a rigirare, a volteggiare. Nella ultima edizione della sua grand’ opera, Darwin fa vedere che, almeno in principio, non an¬ nette che una mediocre importanza all’ ele¬ zione naturale. Hackel poi è di una chiarezza meravigliosa. Dice così : « Se le specie siano derivate per elezione naturale, questo si lascia al giudizio dei singoli naturalisti ; intorno a ciò anche oggi le stesse autorità non si accor-

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ciano punto. Ma questo diverso apprezzamento è affatto indipendente dal valore assoluto della discendenza. » (Ob die Arten durch naturliche Zuchtwahl entstanden sind , das bleibt dem Er messeri der einzelnen Naturforsclier uber- lassen , und dariiber gehen selbst die Autori - tdten nodi beute weit anseinander. Diese verschiedene Wertlisdiàtzung ist aber ganz unabhàngig von der absoluten Geltung der Descendenzlelire) .

Nondimeno 1* Hàckel pretende di poter pro¬ vare in concreto la genetica dipendenza delie forme , e cerca di decifrare la storia della specie nella storia dell’ individuo. Ma dopo tutto non fa, che speculare e sottilizzare su ciò che già era conosciuto, usando ed abusan¬ do della frase : principio filogenetico. Al più si tratta scrive il Wigand di un giuoco di parole : invece di dirsi che questa o quella pianta, questo o quell’ animale posseggono o non posseggono una certa qualità, è diven¬ tata moda il dire intorno ad un carattere qualunque eh’ esso è stato acquistato o per¬ duto , senza menomamente provare in che guisa e su qual fondamento ciò sia accaduto.

Così, anche il darwinismo « della seconda maniera » si regge male e minaccia di rovi¬ nare per dar luogo ad un sano realismo. Le illusioni vanno cadendo ; e, se non espressa-

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CONCLUSIONE

mente, si va rinunciando al darwinismo taci¬ tamente, per la muta eloquenza dei fatti. Lo stesso Darwin ha smesso di fare il filosofo, alla parte del filosofo sostituendo quella del naturalista empirico. Le opere che ha pubbli¬ cato in questi ultimi anni, si fanno ammirare per la ricchezza dei fatti e delle osservazioni empiriche. Certo, anche in esse si affaccia la antica teoria, ma solamente come uno spettro dell’ antico sistema, quasi come una remini¬ scenza : in fin dei conti vi prevale la « spie¬ gazione teleologica, » che è per l’appunto il contrario della spiegazione casuale. Le specu¬ lazioni, negli ultimi lavori del Darwin, si ri¬ ducono, chi ben guardi, alla rappresentazione obbiettiva dei fatti, i quali di sicuro formano il principale contenuto , dovechè nei primi suoi scritti, segnatamente nella sua opera più celebrata, la teoria forma il contenuto prin¬ cipale.

Insomma, per dirla come va detta, nel campo scientifico, il darwinismo va, perdendo terreno ogni più; e fra non molto sarà classificato fra i semplici avvenimenti sto¬ rici. Ma intanto qualcosa si è guadagnata ne conviene lo stesso Wigand ; si è dato un nuovo impulso alle ricerche intorno alla nozione della specie organica ; si è imparato ad annettere maggior valore di prima al si-

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stema naturale, e ad apprezzare la conformi¬ allo scopo nel regno degli organismi ; so¬ pratutto si è acquistata maggior chiarezza e maggior sicurezza nel comprendere quale sia il metodo, quale il compito delle investigazioni naturali.

Il bene che ha prodotto il darwinismo, non si può si deve mettere in dubbio. Negargli 1’ incontestabile merito che ha avuto, sarebbe odiosa partigianeria. Abbia ognuno quello che gli spetta. L* opposizione ad oltranza è così biasimevole come Y incondizionata sottomis¬ sione. Le teorica di Darwin è sbagliata ; ma i materiali da lui raccolti sono un prezioso acquisto per la scienza. Egli ha avuto trop¬ pa fiducia in questi materiali e si lanciò a carriera in una corsa precipitosa per andare a finire in quella metafìsica, che ai naturalisti riesce indigesta e per la quale lo stesso Dar¬ win non può nutrire simpatia di sorta.

Riporto un lungo brano dell’ ultimo volu¬ me del prof. Pfaff, che indubbiamente è un naturalista di vaglia.

Egli intende dimostrare che, almeno sino¬ ra , noi non sappiamo scientificamente come si formarono le specie. La scienza naturale non s’ ha da confondere colla fede. La scienza naturale non può spingersi al di dell’ at¬ tuale sapere. Per ciò che riguarda la fede ,

Di Bernardo. Il Darwinismo e. le specie animali. 42

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CONCLUSIONE

non ci sono limiti che tengano. Ma il natu¬ ralista ha F obbligo di arrestarsi, quando non ha più materiali attinti all’osservazione. Coloro che se ne rimettono alla fede , sono liberis¬ simi di correre a loro talento per gli spazi interminati, per le inesplorate profondità, per le provincie nebulose del regno della fanta¬ sia, per le oscure regioni del possibile , per gli agitati gorghi dell’ ignoto , per le impe¬ netrate selve del soprasensibile, per gli inac¬ cessibili recessi del sopranaturale. Ma chi si getta nelle braccia della fede, non deve, nem¬ meno per sogno, figurarsi di spiegare scentifì- camente come si formarono le specie.

Nella storia della terra su per giù dice così il citato scrittore come negli altri corpi celesti noi possiamo provare uno svi¬ luppo, che per altro si lascia studiare sino ad un certo punto , e che diventa sempre più oscuro, a misura che noi ritorniamo al pas¬ sato. La legge universale è questa : che la stessa materia, le stesse forze come calore, attrazione, affinità chimica dappertutto de¬ vono essere presenti ed attive, e dappertutto producono variazioni nel mondo corporeo.

Ogni variazione nel mondo corporeo noi la vediamo accompagnata da movimento, sia che consista di particelle straordinariamente pic¬ cole, come nei fenomeni chimici; sia che con-

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sista di corpi interi , come nei fenomeni fi¬ sici.

Seguendo con attenzione gli avvenimenti più svariati, noi osserviamo che uno dipende dall’ altro ; che ogni qualvolta ha luogo un determinato evento, b, un altro, a , dev’essere accaduto precedentemente. Considerando que¬ sto rapporto temporaneo , noi diciamo che b è la conseguenza di a\ ovvero, per mostrare la dipendenza di b da a , diciamo che b è T effetto di a ed a la causa di b. E poiché sappiamo, per propria e per altrui esperienza, che ogni singolo avvenimento si è dato a co¬ noscere quale effetto di un altro, concludiamo che sempre è stato e sempre sarà così ; concludiamo che ogni avvenimento doveva e dovrà avere una causa.

Frattanto ecco un altro fenomeno appreso coll’osservazione. Se, cioè, seguiamo una serie di eventi aH’insù o, per dir più giusto, all’in- dietro, noi troviamo un movimento che viene da altri movimenti; ma finalmente giungiamo ad un punto, in cui non troviamo alcun mo¬ vimento; e allora non possiamo andare più in là, perchè un limite si oppone alla nostra conoscenza. A cotesta ultima causa diamo il nome di « forza. » Se , per mo’ d’ esempio , seguiamo V andamento dell' ago di un orolo¬ gio a pendolo , prendiamo come causa del

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000

movimento la disposizione delle ruote e l’oscil- lazione del pendolo. Causa di questa oscilla¬ zione diciamo il peso che si muove all’ ingiù. Ma a questo movimento dobbiamo assegnare per causa la « forza » di attrazione della terra.

Di forze attive nel mondo visibile se ne incontrano un’ intera serie.

Le forze fondamentali , clic rappresentano la parte più interessante nello sviluppo del mondo e che forse bastano a produrre i ma¬ teriali avvenimenti, possono ridursi a tre: la forza generale di attrazione indicata an¬

che col nome di gravità, l’ affinità chimica ed il calore. Sappiamo che ognuna di queste forze agisce secondo certe leggi ; ma non siamo in grado di calcolare anticipatamente i fenomeni che ne dipendono, o, viceversa, dai fenomeni clic hanno avuto luogo deter¬ minare la misura della forza operante.

Noi diciamo che un fenomeno sia spiegato, quando ne abbiamo appurata la dipendenza da una o più delle conosciute forze e delle loro leggi.

Sotto la scorta della legge generale di causalità e delle leggi per ogni forza operante, noi possiamo tener dietro anche alla storia dello sviluppo della terra e degli altri corpi ce¬ lesti. Possiamo seguire tale storia più di

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quanto sarebbe possibile colla sola espe¬ rienza. Attenendoci ai risultati della geologia sulla primiera condizione della terra e ai ri¬ sultati che ci forniscono lo studio del sole e 1’ analisi spettrale sulle stelle fisse e sulle stelle nebulose , noi possiamo , con Kant ed Hershel, ammettere che la condizione in forma di gas sia stato uno dei primissimi stadi di tutti i corpi celesti.

Stando ai risultati della scienza, dobbiamo inoltre ammettere che tutte le masse, le quali ora appariscono come particolari corpi celesti, ima volta costituivano una forma gazosa in egual porzione distribuita nello spazio , cioè costituivano una sola enorme stella nebulosa.

Se ciò non si vuole ammettere, si deve a priori rinunciare ad ogni spiegazione dell’ori¬ gine del mondo ed anche al principio dello sviluppo ed al principio di causalità.

Ma pur quando abbiamo ammesso il pri¬ miero stato gazoso dei corpi celesti, noi non possiamo andare più in là: codesto è 1’ estre¬ mo , a cui possiamo spingerci.

Intanto spesso si sente a dire : « La materia è eterna; essa era uniformemente di¬ visa nello spazio con tutte le sue inalienabili forze; ed ha, a poco a poco , coll’ aiuto delle lessai fisiche e chimiche , formato il mondo corporeo, che noi oggi vediamo, e che è sol-

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CONCLUSIONE

tanto uno stadio di passaggio per un ulte¬ riore sviluppo. In tal guisa tutto si lascia, semplicemente e naturalmente spiegare. »

No, niente affatto: così non si spiega l'ori¬ gine del mondo corporeo. Questa materia sola, abbandonata a se stessa , non poteva svilup¬ parsi ; ma doveva sempre restare nello stesso stato. Con altre parole , la fìsica c’ induce ad ammettere lo stato gazoso d’ ogni materia , ma non porge alcun mezzo per uscire da tale stato : le sole forze fìsiche e chimiche non mutano questo gas in separati corpi celesti. Valga un esempio. Dentro un vaso grande se ne pongano due piccoli , 1’ uno con un po’ di acqua e 1’ altro con un po’ d’ alcool. Dopo un certo tempo, i due liquidi si distribuiscono uni¬ formemente nel vaso grande ; ma non si se¬ gregano e non si dividono da per loro in acqua ed alcool. Similmente ogni primiera massa gazosa , abbandonata a se stessa , non potè conformarsi in particolari e diversi corpi celesti.

Noi conosciamo soltanto quattro modi, pei. quali una massa gazosa si può mutare in so¬ lida: primo, con una fortissima pressione; secondo, coll’ affinità chimica ; terzo, colf ab¬ bassamento di temperatura ; e quarto , colla forza generale di attrazione o gravità.

Che non ci sia da pensare alla prima pos-

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sibilità , si capisce da sè. E neanche della terza c’ è da discorrere , giacché un raffred¬ damento può colpire una massa isolata , ma non un’ intera massa divisa egualmente in tutto lo spazio. Ancor meno si può parlare di affinità chimica, quella primiera massa di gas essendo affatto disgregata. Resterebbe la forza generale di attrazione ; ma con un gas egual¬ mente ripartito non è possibile che si formino separati corpi celesti : i gas tendono ad esten¬ dersi sempre più e più ; e poi gli atomi del gas, uniforme e distribuito in tutto lo spazio, vengono attratti con ugual forza in tutti i sensi ; e però nessuno degli atomi può muo¬ versi ed avvicinarsi ad un altro.

La conclusione ? Eccola : In nessuna ma¬ niera colle sole forze naturali conosciute noi usciamo dallo stato , al quale Y andamento dello sviluppo all’ indietro ci riconduce come primo stadio, cioè noi non usciamo dallo stato di una massa di gas ripartita uniformemente nello spazio.

Fin qui arriva 1’ attuale sapere. Il resto , per ora , è affar di fede ; in questo campo , ognuno è libero di credere quello che gli pare e piace .... e quel che è stato è stato !

D’ altronde, io non ho bisogno di guardare alla quistione da questo punto di vista. Per combattere il darwinismo, non occorre pren-

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CONCLUSIONE

der la cosa cosi da lontano. Senza divagare in troppo intricate considerazioni, credo di avere studiato minutamente, quanto im¬ parzialmente il darwinismo della prima e della seconda maniera, quello vecchio e mangiato dalle tignuole e quello risciacqua¬ to , ritinto e riverniciato a nuovo. In que¬ sto lavoro ho talora ristampato roba d’ altri a risparmio di fatica ed anche per salvar¬ mi dalle fischiate , se è vero che tout ce qiC on coupé on ne le siffle pas. Sono sta¬ to manesco ed ho fatto a confidenza col- T altrui proprietà. Ma lasciamo stare i « casi di coscienza; » sono sicuro non me ne vorran¬ no male i molti darwinisti i pochissimi anti-darwinisti che io ho fatto parlare in mia vece. Colle mie deboli forze non avrei certa¬ mente potuto porre a nudo gli erculei e vani tentativi del darwinismo. Chi ha avuto la san¬ tissima pazienza di leggermi , non può non convenire che il darwinismo sembra un sistema scientifico sol quando non si è studiato a fondo.

Il darwinismo si lusingava di comprendere e di formulare la gran legge che regola il rinnovarsi e il continuo mutare delle cose , la ridda confusa , tumultuosa, incessante, as¬ sordante, delle forme contrarie, il meraviglioso lavorìo senza tregua di composizione e di eli¬ minazione e la lotta e gli abbracciamenti e

CONCLUSIONE

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le ire e gii amori delle vecchie forme con le nuove, che ora si maritano ed ora si abbor- rono, ora si attraggono ed ora si respingono. Il darvinismo si lusingava di poter leggere sufficientemente chiaro in tutta quest’ orgia di operosità. Ma le sue conclusioni sono tirate coi denti ; la gran legge non V ha potuta sco¬ var fuori ; F ipotesi annunziata con tanto fra¬ casso non ha coesione esteriore e dentro è arida, è vizza, è all’ intutto vuota.

I darvinisti vivono d’ immaginazione ; si figurano di assistere ad un banchetto sontuoso, e mangiano a denti asciutti le vivande che la fantasia loro imbandisce. Quando stanchi di fantasticare, non hanno altro da mettere sotto il dente, seguitano a rimangiare il solito in¬ tervento del caso.

II caso consapevole, intelligente, preveg¬ gente, sapiente e nello stesso tempo sottoposto a norme fìsse, a leggi certe, a regole inalte¬ rabili ecco il tarlo , ecco il vibrione, ecco il pus die uccide la teoria darwiniana. La trasformazione lentissima ed impercettibile , F affermazione che natura non facit sallum, V impossibilità di spiegare col darwinismo le moltissime trasformazioni brusche , ecco il bacillus che recide sin dalla radice la teorica del filosofo inglese.

La leggerezza di confondere e di far boi-

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CONCLUSIONE

lire nella stessa caldaia il darwinismo e la legge del progresso, V elezione darwiniana e 1’ evoluzionismo in genere , ecco la causa di un grandissimo equivoco che ormai dovrebbe finire.

Alcuni darwinisti degnano di frapporre nelle loro asserzioni qualche forse. Ma quel forse è per se stesso un argomento di meditazio¬ ne. Tali darwinisti credono alle loro asser¬ zioni; ma per compiacenza, per cortesia, per eccesso di scrupolo, danno un po’ di posto an¬ che al forse. D’ ordinario però fìssi cogli occhi al cielo della rettorica , i darwinisti non si accorgono del fosso che è sulla loro strada, e ci cascano dentro.

Avvezzi a trattare il mondo meccanico come cosa loro , trattarono T origine delle specie come un meccanismo : e le leggi della forma¬ zione degli esseri , come pedine . delle quali potessero disporre a loro talento.

A forza di elucubrazioni, pensarono andare in cima senza curarsi della base ; ma la base fece una scrollatala e s’ inghiottì la cima.

Ad enunciare teorie ci vuol poco. Il diffi¬ cile sta nel difenderle in modo, da mostrarne la solidità e la consistenza. Per fare una se¬ ria difesa del darwinismo, bisogna che ridea apparisca chiara , T argomento sia convin¬ cente, il confronto -giunga opportuno, la ci-

CONCLUSIONE

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fazione non caselli fuor del seminato e il ra¬ gionamento proceda a fil di logica. Non basta infilzare frettolosamente i periodi uno dentro fi altro, strozzando la discussione e mandando a male i sillogismi. Non è permesso mettersi a scrivere con un partito preso, con un giu¬ dizio beli’ e fatto , con una consegna data e accettata , con 1’ imbeccata ricevuta da una combriccola, da un’ accademia, da un sodalizio, da un cenacolo, da una chiesuola purchessia. L’ argomentazione sofistica, condotta con tutti gli artifizi del mestiere e sciorinata con pom¬ posa gonfiezza, con forma sonora, con abbon¬ danza di luoghi topici attinti ad una rettorica chiacchierona e pettegola, con dissertazioni cattedratiche, con declamazioni, con tirate, con volate, col tuono oratorio, che fa rimbombare la frase e dissimula la vacuità dell’ idea, non può persuadere e non può approdare a buon termine.

No, non giova girare la questione per di¬ strarre 1’ attenzione e per figurare d’ aver ragione.

I darwinisti vengono fuori con frasi che vogliono parere aforismi e sono logogrifi. Tutto ben considerato, i calcoli di Darwin non tornano, i fatti non corrispondono, la logica va di traverso, e la verità si affonda nel pan¬ tano dei sofismi. Con un po’ di senso pratico,

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CONCLUSIONE

con un po’ di diligente osservazione si riesce a scrollare e rovesciare l’impalcatura , sulla quale il darwinismo si adagia.

I darwinisti si creano un’ ambiente artifi¬ ciale dove stanno a loro agio : non soltanto ; ci vivono come pesci nell’acqua. In sostanza, il darwinismo non esce dal più rigido idea¬ lismo : è il sistema di un uomo o di tre o quattro : è la filosofia dell’ io , che vuole spie¬ gare la formazione degli esseri senza dati sensibili: è il prodotto di un ambiente artifi¬ ciale, dove non entra Y aria reale, dove non penetra la voce dell’ esperienza : è una bella poesia non accompagnata e neanco temperata dalla sapienza positiva.

Colla teorica di Darwin, ingegnosa, sedu¬ cente , brillante quanto volete , la quistione della formazione degli esseri non è uscita dal ciclo poetico. Darwin non ci ha offerto un ponte per passare dal ciclo poetico al ciclo positivo. L' entusiasmo, 1’ ardimento, la fiducia, non servono per far passare una quistione dall’ età poetica all’ età positiva , fuori della quale non è possibile la scienza della natura.

Parimente , le aspirazioni , le disquisizioni nebulose , le astrazioni misteriose , i sistemi metafìsici non sono roba che convenga alla scienza naturale. Tutte coteste belle cose si staccano dalla terra, si levano su, in un’atmo-

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sfera incerta, indistinta, vaporosa, che imbro¬ glia le prospettive e affatica inutilmente i cer¬ velli. Ed ecco come per correre dietro alle ingannevoli parvenze del profeta, si trascurano i vantaggi inerenti alla qualità più modesta, ma più feconda di filosofo sperimentale.

Colla teoria darwiniana si va troppo in alto, si va all’ « ultra artistico, » all’estrasen- sibile, al disopra del reale. Non si vede più la terra, non si ravvisa la realità concreta e vivente. Si affoga nella vacuità : si fa un tonfo nel pozzo delle chimere.

Non dico che sia proibito avere il sentimento dello sconosciuto, desiderare le inaccessibili regioni e i desolati spazi, e sperare « il tutto nel nulla o la realtà nella fantasia, » o per¬ dersi nelle « misteriose irradiazioni dello spi¬ rito umano, » o lasciarsi attrarre dall’ignoto più che da ogni altra cosa. Ma - siamo giusti un’ indirizzo lirico o metafìsico non si può ammettere nella scienza naturale. Questa intende aggirarsi nella « polverosa palestra della vita ; » tende ad allargare e a solidifi¬ care la consistenza intellettuale ; mira a dare la misura ai pensieri e ai desideri.

Io, per me, sono di maniche larghe, faccio ogni sorta di concessioni, prevedo tutte le eventualità , so considerare e compatire il prossimo. Per esempio, posso comprendere che

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CONCLUSIONE

come dice R. De Zerbi in una crisi di soverchia irritabilità, in uno stato morboso, prodotto da esuberanza di fantasia, da troppa forza o da troppa debolezza, da pletora o da anemia, da sovrabbondanza d’ innervazione o da costituzione eccessivamente linfatica posso comprendere che, date certe situazioni patologiche, i buddisti aspirino « all’ impal¬ pabile Nirvana. » Posso capire coloro che « si sentono come 1’ ago magnetico dal setten¬ trione, attratti dal miraggio del vuoto , dai mille fantasmi che ad esso colleghiamo, dal nulla che popola il nulla. » Posso capire co¬ loro che sono punti « dalla febbre di vedere inaccessibili regioni ove, circonfusi da desolati spazi, camminano nel vacuo desiderio rovente della vuota eternità, speranza impaziente di trovare il tutto nel nulla ». Posso capire coloro che, travagliati da un' ansietà incessante, da un’ irrequietezza organizzata nel cervello, dal- l’ incontentabilità fatta natura, obbedendo non si sa a quale necessità, « si tuffano ed affo¬ gano in un oceano fantastico dove, per forza di allucinazione, vedono prospettive sconfinate, colori corruscanti, e da quella vita si sentono serenati o deliziosamente briachi. » Posso ca¬ pire coloro che si ostinano a inseguire 1’ om¬ bra , fermamente credendo che nell' ombra troveranno la luce. Posso capire coloro che

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stanchi e sfiniti dalla lunghissima e vana corsa dietro un’ ideale, fatalmente negato, col cuore spezzato dal disinganno , si sentono amma¬ lati e credono di trovare il chinino nell’ in¬ ventare di pianta tutto un romanzo sulla pro¬ duzione degli esseri, e nel correre alla dispe¬ rata attraverso le insignificanti nuvole delle generalizzazioni metafisiche. Ma via, parlia¬ moci col cuore sulle labbra, è egli lecito agli scienziati naturalisti godersi questo lusso di ef¬ fervescenza mistica, gettarsi, con incredibile leggerezza, nello sconosciuto, ed annegare nella rèverie senza capo e senza fondo? È egli le¬ cito ai naturalisti trattare la scienza come la tratterebbero i poeti, gli apostoli, i pittori di cose mai vedute, i visionari, i malati di patos e di sentimentalismo ? E quando i naturalisti si lasciano guidare, più che dalla ragione e dalla storia, dalla mania di raggiungere lo sconosciuto, dall’ arsura di desideri indefiniti e non soddisfatti, dalla bramosia di attutire quel senso di vuoto che tutti dal più al meno proviamo, che cosa ne trarranno ? forse che riusciranno a dare al fantastico la forza e gli effetti della realtà ? forse che po¬ tranno gabellare per ragionevole teoria una raccolta di luoghi comuni, una congerie di commenti senza testo e di frasi senza idee ?

Le crepe dell’ edifizio darwiniano si sono

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CONCLUSIONE

troppo allargate per lusingarsi cT impedirne o di ritardarne lo sfacelo. Il darwinismo si as¬ somiglia ad un fuoco di paglia che brilla, ma non dura. Era questione di moda ; ma il fiore della sua novità ò già appassito, è ormai ca¬ duto. Restano sul ramo le fronde che fanno da lontano una discreta figura, ma che lascia¬ no scuoprire da vicino l’assoluta mancanza di frutti.

Il darwinismo è una teoria che ha qual¬ cosa di accademico, di convenzionale, di pom¬ poso, di teatrale, e « pretende ad un certo colore paradossale di argomentazione. » Può piacere a chi inclina alle idee vaghe, ai desi¬ deri sconfinati, alle aspirazioni indefinite. Ma, a sipario calato e sbolliti gli entusiasmi, il lettore abbandona le altezze vertiginose della finzione, e si rammenta di quelle laboriose combinazioni come di una visione e di un _ sogno : il lettore si stanca e domanda per grazia di tenere i piedi in terra e la testa al livello delle teste degli altri. La finzione sostenuta da declamazioni cattedratiche, da colpi di scena, da non so quale solennità di linguaggio, non ha colore, non interessa, non ha efficacia , non fa presa , languisce, muore per non più risorgere.

Questa, al mio vedere, è la catastrofe ob¬ bligatoria del darvinismo. Però la sua coni-

CONCLUSIONE

G73

parsa nel mondo della scienza non è stata un male : anch’ io credo che in grazia del darwinismo la scienza zoologica si è levata a straordinaria altezza. In grazia del darwini¬ smo , c’ è stata come una recrudescenza di lavoro , una maggiore asprezza nella lotta , un" immensa attività. Per questi vantaggi in¬ diretti la scienza è riconoscente al darwini¬ smo. In quanto al problema della formazione delle specie, il darwinismo non ha fatto muo¬ vere il più piccolo passo. Tale problema è se¬ polto nelle ombre più profondamente che mai. Il darwinismo in se stesso è una tesi di filosofia, che non prenderà mai posto nella storia na¬ turale; è una tesi di filosofia che si presta a brillanti ghirigori di parole , a sviluppi tra¬ scendenti; ma che non può sedurre e tanto meno convincere il paziente e prosaico osser¬ vatore delle cose della natura.

Colle vedute teoretiche e quasi limitate al dominio delTimmaginazione non si fa la scienza della natura. Ma il darwinismo si dirà fu accolto con festa da moltissimi dotti. E che importa ? È forse questa la prima volta che sia morta una teoria dopo di aver fiorito e regnato per molto tempo ? Il darwinismo ha vissuto sin troppo : ormai è caduto per non più rialzarsi e figurare fra le scienze. Il fluttuare di opinioni vaghe ed elastiche ,

Di Bernardo. Il Darwinismo e le specie animali 43

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CONCLUSIONE

1’ abitudine cerebrale di spremere un pensiero dall’ altro, di dedurre una formula da un con¬ cetto, di fissare un giuoco d’ idee in un giro di parole, non è scienza. È un potpourri di fantasia, di capricciosa interpretazione di fatti, di reminiscenze e di sistemi ideali.

I darwinisti sono stati abilissimi nell’ese- guire, a forza di raziocinii e di ipotesi, « un mulinello a due mani ; » ma ora non hanno più lena per proseguire e gli spettatori sono stanchi di stare a guardare. La teoria di Dar¬ win è ora come una nube che appena s’intra¬ vede. Si direbbe che questa nube è rimasta , per il suo strascico, impigliata nelle ampie e maestose volute della scienza. Si direbbe che la scienza ha messo un piede sulla coda del magnifico abito che veste la teoria darwiniana, la quale, non potendo più andare avanti, si è ritirata « dietro le quinte. » Apparve balda , florida, piena di liete speranze, arditissima; e si spinse molto, molto innanzi ; ma ora spa¬ risce, si dilegua, non si fa più viva. La teo¬ ria darwiniana

C’ est une étoile qui file

Qui file, file et disparati.

Fu un fulgore effìmero. Incalzato dalla scienza, si disperse , si rese invisibile. Dov’ è

CONCLUSIONE

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andato ? Si vede il luogo dove la fulgida me¬ teora apparve ; niente è rimasto nel luogo dove cadde.

Il darwinismo non ha ragion di vivere e non vive : solamente il nome di Darwin re¬ sterà immortale nella storia della scienza e nella filosofia moderna.

o

I

»

APPENDICE

La Generazione Spontanea

In un lavoro dedicato al darwinismo non si può a meno di parlare della generazione spontanea. La dottrina della generazione spon¬ tanea e quella del darwinismo si danno la mano, si sorreggono, si completano. Un dar¬ winista che non ammette la generazione spon¬ tanea, mostra di non aver compreso a fondo la teorica che ha tolto a difendere. Chi si di¬ chiara partigiano del darwinismo, ha da co¬ minciare coir accettare il fondamento , la base, il piedistallo di cosiffatto sistema; deve cioè schierarsi fra gli eterogenisti, come dire tra i fautori della generazione spontanea. Su questa riposa il vasto, complicato, abbagliante edilizio del dottissimo naturalista inglese. In ■conseguenza , i darwinisti non possono sot¬ trarsi all’ obbligo di sostenere tale ipotesi.

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APPENDICE

A conferma di quanto qui asserisco, cedo* la parola ai darwinisti, che sono i principali collaboratori di questo mio libro.

A tout seigneur tout lionneur : parli prima Ernesto Hàckel:

Bisogna prima distinguere due modi di ge¬ nerazione spontanea (generatio spontanea , aequivoca, primaria) } 1’ autogonia e la pia— smagonia. Per autogonia intendo la produzione di un individuo organico semplicissimo in una soluzione generatrice inorganica , cioè in un liquido contenente , allo stato di soluzione e sotto forma di combinazione semplice e sta¬ bile , i materiali necessari alla composizione deir organismo. Chiamo, al contrario, plasma- gonia la generazione spontanea di un orga¬ nismo in un liquido generatore organico, cioè in un liquido che contiene i materiali neces¬ sari sotto forma di composti carbonati, com¬ plessi, instabili.

Sin qui il fenomeno dell’ autogonia, nè- quello della plasmagonia sono stati osservati direttamente ed incontestabilmente. In altri tempi e ai nostri giorni si sono fatti nume¬ rosi ed interessantissimi esperimenti per ve¬ rificare la possibilità e la realtà della gene¬ razione spontanea. Ma questi esperimenti si. riferiscono generalmente non all' autogonia ma alla plasmagonia, alla formazione sponta-

LA GENERAZIONE SPONTANEA

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nea di un organismo a spese di materie già organizzate.

Evidentemente, per la nostra storia della creazione, quest’ ultima categoria di esperi¬ menti non offre che un' interesse secondario.

« L’ autogonia esiste ? » ecco la quistione che sovratutto c’ importa risolvere. « È pos¬ sibile che un organismo nasca spontaneamente da una materia che prima non viveva, da una materia puramente inorganica? » Dunque pos¬ siamo trascurare i tanti esperimenti tentati rispetto alla plasmagonia, e che, d’ altronde, hanno avuto, per la maggior parte (sic), un risultato negativo. Infatti, quand’ anche fosse rigorosamente stabilita la realtà della plasma¬ gonia, ciò non proverebbe niente riguardo alla autogonia.

Sinora nemmeno gli esperimenti di autogo¬ nia hanno dato alcun risultato positivo. Tut¬ tavia abbiamo il diritto di affermare che tali esperimenti non hanno punto dimostrato l’im- possibilità della generazione spontanea .

L’ illustre uomo chiude il capitolo o, per dire più esatto, la lezione tredicesima con le seguenti righe: Spieghiamo l’origine dei primi organismi colla generazione spontanea, ipotesi che appoggiata dagli argomenti precedenti (!) e particolarmente dalla scoperta delle monere, non offre più serie difficoltà (?) ; ed allora noi

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APPENDICE

rannodiamo con un concatenamento ininter¬ rotto e naturale 1’ evoluzione della terra e quella degli esseri organizzati partoriti da essa ; ed anche dove sussistono ancora al¬ cuni punti incerti (sic), noi proclamiamo la unità dell’ intera natura, Y unità delle leggi dei suo sviluppo.

Nella stessa tredicesima lezione della Na - turliche Schòpfungsgeschichte (Berlino 1868 e 1875) l’Hàckel scrive: È nostro dovere inge¬ gnarci di spiegare naturalmente e con una teo¬ ria accettabile l’origine del primo organismo.

L’ eterogenia e la mutabilità delle forme specifiche queste sono parole del D.1' F. Pou- chet si completano l’una l’altra. Esse for¬ niscono un concetto positivo del mondo che spiegano con leggi immanenti alla materia.

La Signora Royer, presentando con una figura lo schema della formazione genealogica degli esseri, mette a capolista V epoca della « creazione spontanea. » (V. Bulletins de la Société d antlir omologie , Ser. Sec., Voi. V, p. 301).

Il signor D. C. Rossi pubblicò nel 1870 un libro intitolato Le Darwinisme et les gènèra- tions spontanèes. Egli dice che i partigiani della mutabiltà delle specie trovano un gran¬ de appoggio nella tesi dell’ eterogenia ; che queste due dottrine si completano a vicenda

LA GENERAZIONE SPONTANEA 681

(p. 243), sono intimamente associate e vanno considerate come compagne indivisibili. L’au¬ tore, darwinista infervorato, assicura sin da principio (p. 31) che la quistione delle gene¬ razioni spontanee domina tutte le altre. Per lui, per il Pennetier, per il Dodel-Post e per altri darwinisti citati dallo stesso Rossi, il darwinismo e la eterogenia vanno di pari passo, camminano all’ unisono , combaciano perfettamente. Andrei troppo per le lunghe , se avessi a riportare tutti i passi, dove lo scrittore darwiniano crede di dimostrare con più eloquenza il suo assunto.

Teodoro Fechner, darwinista senza reti¬ cenze, sostiene che « V odierna dottrina della discendenza è legata all’ opinione che il re¬ gno organico defivò da quello inorganico. » Più sotto ripete che chi crede alla dottrina della dipendenza, deve credere alla generazione spontanea. (Einige Ideen zur Scòpfungs und Entwickelungsg escludile der Organi- smen, Lipsia 1873, p. 41).

Il signor C. Letourneau, noto difensore del darwinismo, scrive le seguenti testuali parole: « La dottrina darwiniana reclama come suo completamento indispensabile la formazione spontanea senza germi parenti dei primi campioni del mondo vivente ». (La Bio¬ logie, Parigi 1876, p. 351).

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APPENDICE

Non serve proseguire a fare sfilare davanti ai lettori altri darwinisti che confermano la stessa idea. Certo è che nessuno mi chiederà

perchè ho aggiunto a questo libro un' appen-

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dice sulla generazione spontanea.

Gli antichi credevano alla generazione spontanea. Per Epicuro , per Aristotile , ecc. questa non era quistione- Durante il corso di quasi venti secoli dopo Aristotile, si ammisero casi di generazione spontanea fenomenali , madornali, veramente sbalorditoi. Questi casi oggi sembrerebbero mostruosi anche ai par¬ tigiani più accaniti dell eterogenia. Le con¬ chiglie si consideravano come formate senza parenti; alle anguille si dava per genitore il fango del Nilo ; si supponeva che le larve fossero il prodotto spontaneo delle foglie onde si nutrivano ; si pensava che gli insetti alati e magari i serpenti e persino i topi potessero esser generati senza commercio sessuale.

La sorgente più ricca di queste pretese nascite spontanee era la carne in putrefazione. Non si poneva in dubbio che la carne avesse ed esercitasse cotesto potere.

E ciò era naturale.

Quando alcuno, ignaro di scienza, vede un pezzo di carne non salata o male salata formicolante di vermi, è naturale che si figuri i vermi essere generati dalla carne. Non che

LA GENERAZIONE SPONTANEA 683

naturale, ciò pareva evidente. E poiché « l’in¬ fanzia dell’ individuo è l’ immagine di quella della razza, » alla credenza in discorso si as¬ sociò il mondo intero per quasi due mila anni.

Il nostro Francesco Redi distrusse la cre¬ denza nella generazione spontanea dei vermi della carne ; e nello stesso tempo scrollò le altre credenze , che derivavano dalla prima. Ma egli non andò sino al fondo della quistione. Vallisnieri , Swammerdam , Réaumur , Har- vey e Dugès assestarono altri e più poderosi colpi all’ ipotesi della generazione spontanea. In seguito, Leuwenhoek, Heedham e Wrisberg tolsero a difenderla. D’ altra parte, gli oppo¬ sitori della generazione spontanea, capitanati da Schwann, nella prima metà di questo se¬ colo, si accinsero a provare che gli infusori sono prodotti da germi portati dall’ aria in forma di polvere e si sviluppano quando si trovano in luoghi, che offrono umidità e nu¬ trimento ; ossia quando avviene la putrefa¬ zione, la quale è dovuta alla decomposizione.

Dunque si cominciò a capire che gli orga¬ nismi microscopici o infusori provengono non dall’ aria, ma da qualcosa che si raggira nel- 1’ aria, e si fanno vedere tutte le volte che con una temperatura sufficientemente elevata non si sono distrutti i germi, che si attaccano-

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APPENDICE

alle materie dell’ infusione. Di guisa che Fin- fusione resta interamente sterile, quando è tenuta all’ intutto lontana da qualunque con¬ tatto coll’ aria e quando è fortemente scal¬ data.

Tuttavia altri non pochi naturalisti , fra i quali Burmeister e Biirdach, mantennero sal¬ da la loro fede nella generazione spontanea. Ebbene, la generazione spontanea si può am¬ mettere ad un sol patto ; cioè dobbiamo es¬ ser certi che nell’ infusione preparata si sia distrutta ogni materia organica e che tale materia non si sia poi introdotta di fuori du¬ rante F esperimento. Intanto è provato che F infusione non nessunissimo animaletto , quando è stata sterilizzata col bollimento , ed è interamente isolata dall’ aria. Allorché distruggete i germi della materia organica che destinate all’ infusione, distillate F acqua e purificate perfettamente F aria che è a con¬ tatto dell’ infusione, avrete un bell’ aspettare,, non nasce niente ; di generazione spontanea non ci è neppure F ombra. Quindi la conse¬ guenza che i germi sono contenuti nelF aria e vengono trasportati dalle correnti atmo¬ sferiche in numero infinito.

Il numero dei germi è affatto sproporzio¬ nato ai loro prodotti : fu osservato che il numero delle spore, per esempio, della reti-

LA GENERAZIONE SPONTANEA

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cularia maxima ammonta alla bellezza di press’ a poco dieci milioni. c è da fare le meraviglie per questa prodigalità di germi. Presso gli animali inferiori , gli insetti e i pesci non v' è proporzione di sorta fra il nu¬ mero delle uova e il numero degli individui, che arrivano a maturità e cooperano alla con¬ tinuazione delle specie. Presso gli animali più alti, presso la stessa specie umana, quan¬ te e quante uova restano infecondate! La na¬ tura è estremamente liberale in punto ger¬ mi per assicurare la continuità delle specie.

I fautori della generazione spontanea ripic¬ chiano e dicono: A volte, e non di rado, vediamo esseri nascere in luoghi dove, da gran tempo, non se n’ erano visti : non è egli chiaro che vi si produssero spontaneamente ?

No, non è chiaro. Il fenomeno si spiega senza tirare in ballo la generazione sponta¬ nea. Molti germi conservano la capacità di svilupparsi, quantunque non diano segni di vita per lunghissimo tempo. Così, verbigrazia, in certe paludi disseccate, e che dopo un se¬ colo si rinnovarono per causa di straordina¬ rie pioggie, nacquero piante le quali parevano rimaste senz' alcuna vitalità, dacché Y acqua aveva abbandonato quei luoghi. Nelle vergini foreste dell’ America, molti anni dopo che furono, bruciate e distrutte, sorsero, come per

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incanto, pioppi e trifoglio. Per esplicare questi e simili fenomeni non occorre 1’ aiuto della generazione spontanea. 0 i germi si trovava- vano lì, ed avendo conservata la loro vitalità, si svilupparono quando cambiarono le circo¬ stanze esteriori ; o i semi delle piante furono quivi depositate da correnti atmosferiche o da altri mezzi di trasporto.

Si è constatato che , senza cambiar di luogo, i semi conservano la loro vitalità e producono frutti, quando si cambia la terra e in generale quando succede qualche fatto, che alteri le condizioni esteriori ossia Y am¬ biente.

Benché in più stretti limiti, consimili feno¬ meni si sono notati nel regno animale. Met¬ tendo, a mo’ d’ esempio, le uova dei bachi ad una temperatura bassa, si riesce a conser¬ varne la vitalità per assai lungo tempo. Si è visto che alcuni fossi, rimasti senz’acqua per più anni, si popolano di mille e mille crostacei, per poco che l’ acqua, tornando, ecciti i germi allo sviluppo, per poco che si ripresentino le circostanze favorevoli al loro svolgimento.

tocca solamente ai germi questo privi¬ legio di conservare la vitalità, quantunque facciano difetto le circostanze necessarie al loro sviluppo. Vi ha certi piccoli animali, det¬ ti rotiferi, che vivono nell’ acqua o nella ter-

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ra umida, e sono di struttura più complicata degli infusori, col corpo trasparente, colla estremità posteriore prolungata a guisa di coda e fornita di tre giunture che vanno una entro l’altra, come i tubi di un cannocchiale. Or bene, i rotiferi disseccati non danno alcun segno di vitalità e somigliano a granelli di polvere; ma se s' inumidiscono, riprendono la vita e cominciano a muoversi con instancabi¬ le irrequietezza. I tardigradi, i vibrioni che soglionsi trovare nei granelli di frumento ra¬ chitico, dànno luogo agli stessi fenomeni ; an¬ zi si trovò che scaldati ad una temperatura di 140°, non perdettero la loro vitalità.

Come si vede, in questi ed innumerevoli altri casi, di generazione spontanea non vi è il più piccolo sentore ; ci si osserva sempli¬ cemente o uno sviluppo di germi che erano rimasti inerti perchè erano mancate le circo¬ stanze propizie alla loro fecondazione; o un ravvivamento di animaletti che, disseccati, ave¬ vano conservato una vita latente.

Bisogna schivare 1* errore di considerare come causa di generazione spontanea ciò che effettivamente non è se non semplice stimolante, inteso a promuovere e favorire la fecondazione.

Più si studiano comparativamente gli es¬ seri organizzati, più si avvicinano col micro¬ scopio gli esseri impercettibili ad occhio nudo,

i

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più si allontana e si sperde l’ipotesi della ge¬ nerazione spontanea; la quale, infine, è come un’ ombra, che non può sopportare la luce di un’ insistente e severa osservazione.

Certo, non di tutti gli infinitamente pic¬ coli bacteri, possiamo spiegarci la generazione, perchè i nostri organi i nostri micro¬ scopi ci permettono di appurare la genera¬ zione di esseri cosiffatti. Ma poiché una gran quantità di esperimenti hanno attestato che la riproduzione dei bacteri non esce dalla legge comune, con qual fondamento si esita a concludere che si propagano allo stesso modo gli infusori e i bacteri dei quali non si è ancora potuta osservare l’origine? Per qua¬ le buona ragione dobbiamo credere che gli infusori e i bacteri sono un’eccezione alla leg¬ ge generale ? Perchè non dobbiamo ammette¬ re che gli infusori e i bacteri derivano dalle uova o dai germi contenuti nei liquidi ado¬ perati per gli esperimenti o provenienti dalla aria, che è in comunicazione con essi liquidi ?

Se ponete un’ infusione sterilizzata entro 1’ acqua distillata e isolata da ogni contatta dell’ aria, forse che vi aspettate il miracolo della generazione spontanea ? No, di sicuro. Dunque non è chiaro che se nell’ infusione germogliano degli esseri, la generazione spon¬ tanea non ci ha che fare niente ?

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Gli infusori si sono distinti in generi e specie: o come va che la generazione spon¬ tanea non ci presenta una nuova specie ogni mese, ogni semestre, ogni anno ? Se la ge¬ nerazione spontanea è vera, perchè nessuno ne vede realmente gli effetti ad occhio nudo col microscopio?

Siccome gli infusori vanno soggetti a delle metamorfosi, non è da stupire se nell’ infusio¬ ne si veggono prima dei semplici corpicini, delle monadi, che poi si agglomerano e for¬ mano animaletti.

Sullo stesso soggetto , è da notare che certe specie degli infusori più semplici si tro¬ vano in tutte le infusioni ; che, modificate le condizioni, possono apparire altre specie di infusori ; ma che pur nondimeno a variare i prodotti non è necessaria la diversità del¬ le condizioni. Nella stessa sostanza e sotto le medesime condizioni, Ehrenberg vide pro¬ dursi infusori di forma diversa. Perciò si può stabilire che la differenza dei risul¬ tati va attribuita non alla differenza delle condizioni, bensì alla differenza delle uova contenute o trasportate nelle materie sot¬ toposte all’ esperimento. Non è poi facile sta¬ bilire a che grado di calore si sterilizza la materia organica, che serve all’ infusione. La materia organica sottoposta ad un alto grado

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di calore ha talora prodotto degli infusori: e ciò vuol dire che o 1’ ebullizione non fu tale da distruggere i germi, o V infusione restò a contatto dell’ aria.

Non occorre ripetere che da un pezzo nes¬ suno crede alla generazione spontanea dei pidocchi, degli acarus_, insomma di tutti i parassiti che, deponendo le loro uova nello spessore della pelle, una volta fecero sospet¬ tare che nascessero spontaneamente.

Del pari nessuno più crede alla generazione spontanea degli entozoi. Se generalmente si rigettò l’ idea della generazione spontanea de¬ gli animaletti che non si vedono ad occhio nudo, cioè degli infusori, tanto meno la è ammissibile per gli entozoi, che vanno prov¬ visti di organizzazione complicata.

Gli entozoi non nascono spontaneamente; sono trasportati dagli alimenti o allo stato di uova o allo stato di larve; nascono in un or¬ gano e si sviluppano in un altro; si sviluppano in una parte dell’ organismo e vanno a mo¬ rire in un’ altra. Si moltiplicano perchè il numero delle uova è stragrande. Spiegata la introduzione nell’ organismo di un solo degli entozoi, si spiega la presenza degli altri. I fatti di cui ancora non sappiamo renderci ra¬ gione, sono pochissimi ed insignificanti. Certo è che gli entozoi non sono prodotti dalle for-

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ze fisiche e chimiche che regolano la materia inerte. Le uova di tali esseri sono sparse con immensa profusione; e generalmente si svi¬ luppano nell’ interno di altri animali, perchè solamente trovano le condizioni necessarie al loro sviluppo. Basta poi riflettere che gli entozoi hanno organi di riproduzione e produ¬ cono un* enorme quantità di uova. Insomma, per gli entozoi, 1’ ipotesi della generazione spontanea è, più che mai, inutile, inapplica¬ bile, inammissibile,

Il microscopio, 1’ esame sperimentale e il ragionamento buttano giù 1’ ipotesi della ge¬ nerazione spontanea.

Il regno vegetale viene dalla molecola organica , dicono i nostri contraddittori. Ma che cosa sia questa pretesa molecola organi¬ ca, nessuno ha potuto dirlo. Di questa mole¬ cola organica non c’ è nel mondo la menoma traccia. Nondimeno ci si discorre su, come se fosse stata una realtà. Si vuole, per esempio, che la misteriosa molecola si sia sviluppata in un « globo di liquido ; » ma non si dice con quali leggi avvenisse cosiffatto sviluppo, perchè della curiosa molecola e delle sue leg¬ gi non si ha vestigia di sorta. E ciò è strano, visto che le leggi della materia vanno anno¬ verate fra le leggi necessarie, imprescindibili ed immutabili. Dunque che idea possiamo for-

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marci della molecola organica, la quale, dopo aver fatto il miracolo di dare origine al re¬ gno vegetale, si rimpiattò dietro le quinte, ostinatamente rifiutandosi di darci il più pic¬ colo segno della sua ineffabile strapotenza?

No, non si capisce come alcune proprietà, così spiccate, caratteristiche ed essenziali, ab¬ biano potuto sparire. Come s7 ha a concepire la molecola organica senza le qualità che do¬ vevano esserle intrinseche, inerenti, inevitabili e potevano rivelarcene il valore ? Aggiungete che T essere venuto su dalla molecola orga¬ nica avrebbe mancato dei mezzi più necessari per salvarsi dagli avversi elementi , per fare le sue prime armi nella lotta dell’ esistenza , per continuare a sussistere. Un essere che abbandonato a se stesso e privo di qualsiasi risorsa, riesce a sopravvivere e a propagarsi, non si comprende più facilmente che la mo¬ lecola organica.

Non trovando rifugio sui continenti, certi darwinisti chiedono soccorso al mare : dicono che i primi esseri organizzati sono usciti dal seno del mare, quando le acque erano ancora calde. Ora, il prof. Donné , decano della Fa¬ coltà delle scienze di Montpellier, dimostrò che nemmeno il mare si è compiaciuto di aiutare i darwinisti. Da sei mesi io ho scrive il Donné nei Comptes rendus des séances de

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V Acad. des Sciences (1872, p. 521 e 523) dei vasi riempiti di acqua di mare con un fondo di sabbia marina ; questi recipienti che nello stesso tempo contengono , gli uni materia albuminosa dell’ uovo : gli altri, fon¬ di gliuoli ; alcuni, rottami di piccoli crostacei marini; parecchi, del latte sono stati espo¬ sti ad una temperatura da 40 a 50 gradi in una stufa o al calore dell’ estate a Montpellier. In tutti questi vasi vidi nascere ( più diffìcil¬ mente che nelle macerazioni d’ acqua dolce , .probabilmente a causa della virtù conserva¬ trice dell’ acqua salata ) gli animaletti propri alle infusioni delle sostanze organiche , ma giammai nulla di nuovo, nulla che rammen¬ tasse le cosiddette monere. Bisogna dunque ancora una volta concludere che, nello stato attuale delle nostre conoscenze , la scienza non può ammettere le generazioni spontanee. '( Ibid. p. 521 e 523).

L’ ipotesi della generazione spontanea è inutile riflette, a sua volta, Milne Edwards per ispiegare la moltiplicazione degli ani¬ maletti microscopici, dei quali le infusioni si popolano così spesso al contatto dell’ aria. La è un’ ipotesi inutile non solo, ma in disaccordo coi fatti ben constatati. Gli esseri organizzati, nello stato attuale del nostro globo, ricevono sempre la vita da corpi già viventi e, grandi

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o piccoli , non nascono senz’ avere predeces¬ sori. In quasi tutte le esperienze invocate dagli eterogenisti , si suppone che la totalità degli esseri viventi o dei germi , che possono con¬ tenere le soluzioni dove si mostrano gli infu¬ sori, era stata distrutta dal calore e che poi non ci è penetrato dal di fuori alcun corpu¬ scolo dello stesso ordine. Ma in certe circo¬ stanze, la potenza vitale non è distrutta dalla azione di temperatura ben superiore a quelle, che ordinariamente s’ impiegano a sbarazzare le infusioni di ogni corpo vivente. Dunque a volte ci sono corpuscoli vitali dove si sup¬ pone non ci sia nulla di vivo. Così i roti feri,, i tardigradi e altri animaletti, trasformati dal- T essiccazione in una specie di polvere inerte, possono sopportare una temperatura di 100 gradi ed anche un calore molto più forte , senza cessare di essere atti a riprendere una vita attiva , qualora trovino la quantità di acqua necessaria per 1’ uso dei loro organL Certi infusori , la cui disseccazione era stata completa , sopportarono una temperatura di 110 gradi senza perdere la facoltà di ritor¬ nare alla vita attiva. Certi animaletti micro¬ scopici lasciano scorrere dal loro corpo una materia coagulabile che, assodandosi , li pro¬ tegge contro la maggior parte delle cause di distruzione eh’ essi avrebbero a temere. Bai-

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biani vide infusori ritornare alla vita attiva dopo di essere stati per sette anni in una con¬ dizione di morte apparente. Questi esseri mi¬ croscopici si trovano in grande abbondanza nelle sostanze adoperate dai difensori delle generazioni dette spontanee.

Molti animaletti infusori , del pari che le loro uova, non sono arrestati dal filtro, come si supponeva ; passano facilmente attraverso la carta. Dunque non si potrebbe considerare come necessariamente esente d’ ogni corpo vivente un liquido, che è stato chiarito con questo mezzo meccanico. Gli animaletti o i loro germi possono così attraversare il mer¬ curio, che si credeva atto ad impedire il loro passaggio. Infine, il potere di resistere alla azione mortale del calore può variare colla natura chimica dei liquidi, nei quali gli ani¬ maletti si trovano immersi. Perciò una mol¬ titudine di esperienze, colle quali si è creduto sottrarre le infusioni all’ influenza di ogni es¬ sere vivente , non devono essere invocate in appoggio delle così chiamate generazioni spon¬ tanee.

Dei lavori di un altro ordine hanno gettato molta luce sulla generazione degli animaletti infusori. Il sunnominato e celebre micrografo Balbiani constatò che questi piccoli esseri sono provvisti di organi speciali di riproduzione

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analoghi a quelli di animali più perfetti. Ep- però gli infusori non fanno eccezione alla legge generale, che regola la riproduzione nei due regni organici. ( V. Milne Edwards. Rcip- port sur les progrès de la zoologie , Parigi 1867, pp. 32-38).

La teoria dei germi la quale ritiene che le basse forme di vita sviluppate nelle infusioni di materia organica , procedono da germi originariamente contenuti nel fluido o che vi ebbero accesso dall atmosfera può , dice Andrea Wilson, riguardarsi come provata. Il dimostrare che alcune forme di vita pote¬ rono esser prodotte de novo o senza 1’esistenza di vita anteriore , non diminuirebbe la verità altererebbe il significato del fatto piena¬ mente provato , che , cioè , i germi i quali stanno nell’ aria o sono contenuti nei fluidi , costituiscono la causa comune dello sviluppo della vita nelle soluzioni di materia putrefatta e decomponente. Non essendoci una prova defini¬ ta dell’eterogenesi, lo scienziato non esiterà a considerare la biogenesi come una spiegazione della genesi della vita. Non foss’ altro, questa spiegazione ha il merito di trovarsi in perfetta armonia ed analogia colle conosciute leggi della natura vivente.

Ci sono scienziati i quali, mentre attual¬ mente sono per la biogenesi e sostengono che

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ai nostri giorni la vita non viene che da vita preesistente, pure ammettono che da principio la vita derivò dalla materia non viva. Ma tali scienziati non si mostrano logici : una volta ammessa la possibilità dello sviluppo della vita de novo , non c’ è ragione per dire che cosif¬ fatto sistema non agisca più presentemente.

Dunque la quistione si aggira tutta nel sapere se ai giorni nostri si possa dar luogo alla generazione spontanea.

Il Dr. H. C. Bastian di Londra è uno dei più ardenti avvocati della generazione spon¬ tanea. La sostanza dei primi esperimenti del Bastian consisteva nel fatto che, quando certi fluidi erano adoperati nell’ esperimento , si producevano esseri viventi, nonostante la pre¬ senza di condizioni, che ordinariamente si sup¬ ponevano sfavorevoli o all’ intutto opposti allo sviluppo della vita.

Le prime due condizioni per gli esperi¬ menti sono : primo , distruggere qualunque uovo o germe contenuto nel fluido ; secondo , escludere completamente dallo stesso fluido in esperimento tutte le influenze atmosferiche o esterne.

Distruzione ed isolamento sono le due con¬ dizioni di tali esperimenti. Ed è certo che se si compiono perfettamente queste due condi¬ zioni, i risultati che se ne ottengono decidono

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la controversia. Ma il gran busilli sta nell’ot- tenere il completo annientamento dei germi ed il perfetto isolamento del fluido. La stessa indole dell’ esperimento rende diffìcilissimo 1’accertarsi che le due condizioni siano adem¬ piute con esattezza superiore ad ogni dubbio. La manipolazione è di natura più che delicata; perciò le sorgenti d'errore sono non solamente numerosissime, ma diffìcili a scoprirsi. Per una fessura o magagna non vista nell’ appa¬ rato , per un momento di disattenzione da parte dello sperimentatore, i risultati di un’in¬ tera serie di esperimenti vengono viziati senza che se ne sappia nulla. Così che, quantunque le condizioni che ci vogliono sieno all’ intutto determinate e chiare, 1’ adempirle con perfe¬ zione è una delle maggiori difficoltà che si pari dinanzi all’ investigatore moderno.

Gli esperimenti del Bastian vennero ripe¬ tuti dal Dr. Burdon Sanderson, il quale concluse così: « Sono contento di avere stabilito qual¬ mente seguendo le istruzioni del Dr. Bastian , si possono preparare infusioni, che non sono private, per un’ ebullizione durante da cinque a dieci minuti , della facoltà di subire quei cambiamenti caratterizzati dalla presenza di sciami di bacteri. »

Ma qui si domanda:

Il limite vitale di questi piccolissimi orga-

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nismi è stato accertato? Si è provato irrefraga- bilmente che 1’ ebullizione per cinque o dieci minuti riesce fatale alle più basse forme eli vita?

Cf è anche da domandare se la comparsa di- corpuscoli viventi nei cristalli chiusi non possa spiegarsi col presumere che la vitalità e lo sviluppo degli organismi contenuti nell’in- fusione erano stati, per un certo tempo, sem¬ plicemente sospesi dall’ ebullizione.

\

E fuori di dubbio che anche gli animali di organizzazione abbastanza alta come certi animalucci sferici, che stanno negli sta¬ gni o nei fossi e posseggono un sistema ner¬ voso e una struttura complessa possono essere disseccati artificialmente, tenuti per dei mesi in una condizione mummificata, arsiccia, ed essere ravvivati mediante l’umidità. Se per¬ tanto animaletti di alta struttura possono essere disseccati e riavvivati molte volte suc¬ cessivamente senza danno, è almeno ragione¬ vole credere che le forme più basse abbiano uguale capacità.

E se questo è vero delle forme adulte de¬ gli infusori e dei bacteri, tanto più 1’ asser¬ zione vale pei semplici germi, i quali posseg¬ gono una vitalità di più bassa natura che gli esseri adulti.

Dunque quando non si prova che 1’ ebulli¬ zione, anche prolungata, assolutamente uccide

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i bacteri e i loro germi , i risultati ottenuti negli esperimenti non intaccano la teoria della biogenesi.

Lo stesso Bastian rammenta che la data dell’ apparenza della vita nelle infusioni è in relazione alla durata e al grado delTebul- lizione. Inoltre la natura specifica o chimica delle soluzioni produce effetti diversi nello svi¬ luppo della vita. Se, per esempio, le infusioni di fieno sono inacidite , gli organismi si svi¬ luppano piu tardi che quando le soluzioni sono rese alcaline o neutre.

Tutto sommato, noi qui abbiamo da fare con condizioni che riguardano piuttosto la vita ordinaria e lo sviluppo usuale di bassi or¬ ganismi, anziché lo sviluppo di tali esseri, in modo misterioso ed inesplicabile, da materiali non vivi.

Uno dei punti controversi è questo : a che grado dev’ essere il calore per distruggere completamente non solo gli organismi adulti che appariscono nelle infusioni , ma i loro germi ? Si chiede altresì : quali sono , dentro e fuori le soluzioni, le condizioni che possono ritardare o favorire la vitalità dei bassi or¬ ganismi ?

Il Bastian dice che quando le soluzioni preparate vennero esposte ad una temperatura di più di 158° F. le soluzioni essendo di

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varia natura, gli organismi ivi stanti non presentarono nessuna vitalità. Se, al contrario, i fluidi erano esposti ad un calore di grado più basso, mettiamo 130° F., essi, raffreddandosi , diventarono sempre torbidi : e questa torbi¬ dezza è dovuta al rapido sviluppo di orga¬ nismi.

Il Bastian perciò domanda ai partigiani della teoria dei germi di spiegare la nascita degli organismi in fluidi, dai quali, mediante B ebullizione, si è rimossa ogni vitalità.

Al Bastian si risponde, che 1’ alta tempe¬ ratura, or ora menzionata, mentre ordinaria¬ mente assicura la sterilità delle infusioni, può nondimeno esser controbilanciata da condi¬ zioni che provengono dalla sostanza infusa ed agiscono su di essa. La disintegrazione e la distruzione dei bacteri può essere reale in un caso e soltanto apparente in un altro.

L’ uso dei microscopi aggiunge il Wil¬ son ha molto giovato a combattere le as¬ serzioni degli eterogenisti.

Un minuto organismo , una monade , che

1

aveva un diametro mo di un pollice, fu

trovato dal microscopista W. H. Dallinger , dopo due mesi e tre giorni, in un' infusione di crescione , che era stata ermeticamente chiusa durante B ebullizione e dopo venne

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esposta ad una temperatura di 270°-275° F. per almeno venti minuti. La monade in parola è ora un organismo ben noto, la storia della sua vita e del suo sviluppo essendo stata ac¬ curatamente studiata dal Dallinger.

Siccome si trovò che queste monadi muo¬ iono quando sono esposte ad una temperatura di 140° F. , gli eterogenisti conclusero che 1’ animaletto dev’ essere nato spontaneamente, poiché il fluido dove apparve, era stato espo¬ sto ad una temperatura di 275° F.

Ma essi non avvertirono che le monadi si moltiplicano mercè piccole spore o germi, che queste spore o germi resistono ad una tem¬ peratura di 300° F., e che in conseguenza le spo¬ re o i germi di tali bassi organismi resistono al calore molto, moltissimo più che gli orga¬ nismi adulti. Perciò il Dallinger, con ragione afferma che « per la logica dei fatti, le mo¬ nadi non furono un risultato di generazione spontanea, ma il seguito naturale di un pro¬ dotto genetico (cioè i germi che resistono al calore) contenuto nell’infusione, e che non potè essere distrutto dal calore adoperato. » (by thè logie of factSj thè monads ivere not a result of spontaneous generation > but t cere thè na¬ turai outeome of a genette produci contained in thè infusion , and which thè heat employed could not destroy).

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L’asserzione che si poterono vedere bassi organismi dare origine a più alte forme di vita, è parimente confutata dall’ osservazione microscopica.

Il naturalista abbisogna di prove molto più sicure che quelle fornite da semplici appa¬ renze, quando si tratta di giustificare la cre¬ denza in trasformazioni troppo meravigliose.

Non c’ è dubbio che presso la maggioranza degli scienziati la teoria della biogenesi vince quella dell’ eterogenia. Infatti per sostenere la prima, noi non dobbiamo opporci ad una legge di natura. La seconda , cioè la teoria della generazione spontanea , comincia dal supporre 1’ esistenza di una legge che per quanto la scienza esatta finora ci abbia in¬ segnato non è rappresentata in tutto il dominio della natura. La perfetta armonia della biogenesi e le sue chiare analogie colle leggi dello sviluppo naturale splendidamente depongono in suo favore; mentre l’ eterogenia che invoca una legge di natura, la quale mal si concilia colle altre leggi naturali, va per¬ dendo ogni più terreno, a misura che più progredisce 1’ analisi microscopica.

Per dieci anni , dal 1859 al 1869 , la mia attenzione parla il dottissimo e rinomato prof. Tyndall fu costantemente occupata dalle ricerche sul calore raggiante nei suoi

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rapporti collo stato gazoso dei corpi. Quando operavo sull’ aria, io badavo a sbarazzarla da ogni materia in sospeso ; e in questo lavoro riconobbi che con una rapidità ordinaria tali materie passano , senza difficoltà , attraverso gli alcali, gli acidi, gli alcooli e gli eteri. Se curavo di conservare ai miei occhi tutta la sensibilità restando al buio, constatavo che un raggio di luce concentrata era T indicatore più sensibile della presenza di materie in so¬ speso nell acqua o nell’ aria, indicatore infinitamente più delicato e più esatto che il microscopio più potente. Con un raggio di luce io esaminavo V aria filtrata attraverso 1’ ovatta^ T aria tenuta per lungo tempo sen- z alcun movimento in modo da lasciar cadere le materie in sospeso, 1’ aria calci¬ nata e 1’ aria filtrata dalle cellule più pro¬ fonde dei polmoni umani.

Trovai sempre un accordo perfetto fra le mie esperienze e quelle di Schroeder, di Pa¬ steur e Lister , sulla generazione spontanea. L’ aria, della quale essi avevano riconosciuto la sterilità , sottoposta ai raggi luminosi , si mostrava otticamente pura e, per conseguenza, esente da ogni germe vivente.

Il Tyndall e il suo assistente poste in una cassetta sessanta fiale, piene di forti in¬ fusioni, e preparate con metodo rigorosamente

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scientifico salirono al Bel-Alp , cioè acl un’ altezza di circa 2,100 metri sopra il livello del mare.

riparla il professore apriamo la nostra cassa e contiamo cinquantaquattro fiale, il cui liquido è limpido come 1’ acqua filtrata. Nelle altre sei fiale 1’ infusione diventò tor¬ bida. Esaminando queste sei fiale , ci accor¬ giamo che la punta affilata del collo , preci¬ samente dove stava il suggello , si era rotta nel viaggio. L’ aria penetrò nelle fiale e in¬ torbidò il liquido.

Se esaminiamo il liquido torbido colla lente od anche con un microscopio debole, noi non distinguiamo assolutamente niente. Ma se pren¬ diamo un microscopio, che un ingrandimento di circa mille diametri , quale sorprendente spettacolo il liquido ci presenta ! Leeuwenhoek valutò a 500,000,000 di esseri viventi la popo¬ lazione di una sola goccia d1 acqua stagnante. Ed è probabile che la popolazione di una goc¬ cia della nostra infusione torbida debba rap¬ presentare un multiplo assai elevato di questo numero. Il campo del microscopio formicola di esseri viventi, dei quali alcuni si trascinano lentamente, mentre altri si slanciano alla lesta da un estremo all’ altro ; spuntano da tutti i lati come una pioggia di piccoli proiettili ; vanno attorno e ballano cosi presto , da far

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quasi dire che la persistenza dell’ impressione luminosa sulla retina trasformi la piccola li¬ nea animata in una ruota che giri turbino¬ samente.

La forma lineare che ordinariamente pren¬ dono , fece dare a tali organismi il nome di bacteri , nome che si applica ad esseri di molte specie differenti.

Questa vita esuberante apparve spontanea¬ mente nelle sei fiale , o provenne da germi viventi introdotti nelle fiale dall’ aria che vi penetrò? Se le infusioni hanno la proprietà della generazione spontanea , come si spiega la sterilità delle cinquantaquattro fiale restate intatte, e la limpidità che ne è la conseguenza? Si dirà che non è necessario supporre 1’ esi¬ stenza di germi, che 1’ aria può essere la sola cosa necessaria per dare la vita alle infusioni, diremo così, assopite.

Il Tyndall fece sul Bel-Alp un altro espe¬ rimento per vedere se 1’ introduzione dell’ aria possa sviluppare nelle infusioni qualche ener¬ gia generatrice. Con un procedimento pretta¬ mente scientifico riempì ventisette fiale dei- fi aria pura e vivificante delle montagne. Queste fiale restarono limpide, affatto pure di orga¬ nismi, quantunque sottoposte alle stessissime condizioni, in virtù delle quali nelle altre fiale si sviluppò una gran quantità di esseri viventi.

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Si è sempre riprende il Tyndall ti¬ rato in campo il nome di Liebig a proposito di generazione spontanea. Liebig ammetteva, è vero, che le materie morte in decomposizione possono determinare la fermentazione. Ma per Liebig la parola fermentazione non era sino- nima di vita. Basta leggere con attenzione le opere del D.r Bastian per constatare qualmente, tutte le volte che egli parla di tale pretesa facoltà della materia in decomposizione , vi associa sempre la parola vaga di fermenta¬ zione. E noi vogliamo qui combattere il vago. Dunque chiediamo : « La vita delle nostre fiale viene da molecole morte? Quale fondamento la natura offre a simile ipotesi ? Dove, tra la moltitudine dei fenomeni vitali, in cui si sono potute chiaramente seguire le operazioni della natura, si scopre qualche cosa-, la quale per¬ metta di affermare che seminando molecole morte si ottiene un raccolto vivente? » Quanto a Liebig, se egli fosse stato informato di ciò che il microscopio ci rivela su queste quistioni, certo non avrebbe sconosciuto il significato dei fatti da lui constatati. Egli trascurò il micro¬ scopio e cadde nell’ errore ; ma non in un errore così grossolano com’ è quello , di cui io si vorrebbe rendere responsabile. Nessuna delle idee di Liebig ci dice che piantando mo¬ lecole morte, ne derivi una messe d’infusori.

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Il Tyndall si diede a studiare la polvere dell’ atmosfera. Con un apparecchio ingegnoso e perfetto consistente in camere o casse di legno e cristallo, senza sottoporre 1* aria alla menoma tortura, trovò il mezzo di puri¬ ficarla , o piuttosto di porla in istato di sba¬ razzarsi delle materie che ci si trovavano in sospeso.

Con camere così costituite , io seguita T autore studiai, durante 1’ autunno e l’ in¬ verno del 1875-76 , le infusioni più variate, fra le quali citerò liquidi naturali d’ origine animale , la carne e le interiora di. animali domestici, di uccelli, di pesci e in line vegetali. Operai su più di cinquanta camere purificate di ogni polvere e contenenti ognuna la sua serie d' infusioni. Sopra un gran numero di esse ripetei parecchie volte le stesse esperienze.

Nessuno dei risultati mi diede fosse pur T ombra dell’ incertezza. In tutti i casi 1’ in¬ terno d’ ogni camera mi presentò limpidità e freschezza perfetta di tutti i liquidi; e ciò, in certi casi, per il corso di tutto un anno. In¬ vece , alla parte esterna , la stessa infusione mi dava lo stato putrido e i suoi odori carat¬ teristici. In nessun caso vidi la più piccola cosa la quale ufi inducesse ad ammettere che un’ infusione privata, col calore , degli orga¬ nismi viventi in essa contenuti , e posta in

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contatto con un’ atmosfera sbarazzata delle visibili materie in sospeso, abbia, in un grado qualunque, il potere di riprodurre la vita.

Noi operammo sulle stesse sostanze, che gli eterogenisti raccomandano per provare la generazione spontanea ; e vi aggiungemmo esperienze sopra un gran numero di altre so¬ stanze scelte da noi. Dopo ciò, se questa pre¬ tesa facoltà generatrice esistesse in realtà, 'doveva sicuramente manifestarsi in qualche parte. Posso dire che le offrimmo, in numero rotondo, almeno cinquecento occasioni; ed essa non si mostrò in nessun luogo.

Ecco un’ altra esperienza che dissipa qua¬ lunque dubbio che possa restare rispetto alla riproduzione della vita mediante le infusioni. Apriamo le porte situate nella parete poste¬ riore delle nostre camere sin’ allora ermeti¬ camente chiuse,, e permettiamo all’ aria ordi¬ naria e alle polveri che tiene in sospeso, di arrivare sino agli elaterometri, che sono di¬ sposti in modo, nel fondo delle camerette, da non lasciare alcun passaggio al l’aria. Per tre mesi i liquidi rimasero limpidi e senza odore; Ticeversa tre giorni di esposizione all’ aria carica di polvere bastano per renderli torbidi, fetidi e formicolanti d’ infusori.

È dunque provato che tutti questi liquidi, senza eccezione, sono pronti a putrefarsi, pur-

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chè si fornisca loro Y agente di corruzione. Invito gli eterogenisti a meditare su questi fatti. Come fanno a spiegare 1’ immunità as¬ soluta di un liquido esposto per più mesi, in una cameretta calda, all’ azione di aria otti¬ camente pura; e la sua putrefazione imman¬ cabile dopo alcuni giorni, dacché lo si espone all’ aria carica di polvere ? Non saranno for¬ zati ad ammettere che le molecole di polvere hanno generato gli organismi della putrefa¬ zione ? E se non si decidono a supporre che queste molecole, le quali erano morte nell’aria, per miracolo diventano, nel liquido, esseri vi¬ venti, bisognerà concludere che la vita osser¬ vata da noi viene da germi o da organismi sparsi nell’ atmosfera.

Si dirà che altri sperimentatori, abili e coscienziosi, i quali studiarono questo sogget¬ to, giunsero a conclusioni differenti dalle mie. Ne convengo ; ma nello stesso tempo chiedo il permesso di ripetere qui quello che scrissi a proposito delle esperienze di Spallanzani r « Se altri non hanno ottenuto gli stessi risul¬ tati di lui, Spallanzani, ciò non toglie per niente il valore di quelli eh’ egli stabilì. »

Supponghiamo, per fissare le idee, che un eterogenista, mio compagno sul Bel-AIp , ven¬ ga al laboratorio dell’Istituto reale, vi ripeta le mie esperienze ed ottenga risultati che-

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confermino i miei; supponghiamo che poi vada all’ University College o al King’s College , e che là, operando sulle stesse infusioni, otten¬ ga risultati opposti ai primi. Sarà egli dispo¬ sto a concludere che la stessa sostanza è ste¬ rile nell' Albermarle Street e feconda nel Gower Street o nello Strand% L’ esperienza che acquistò sulle Alpi gli fece conoscere le differenze letteralmente indefinite, che esistono fra differenti qualità di aria sotto il rapporto della capacità di putrefare. Tenendo presente questo fatto, invece di concludere alla leggiera che un’ infusione organica è sterile in un luo¬ go e spontaneamente feconda in un altro, con più ragione, con più plausibilità concluderà che F aria, appartenente a due località diffe¬ renti, colle quali si è, volta a volta, trovata in contatto, non ha la stessa potenza di con¬ tagi one.

Inoltre, se passiamo alle particolarità ma¬ teriali, T eterogenista si rammenterà che la fecondazione può essere dovuta a qualche sbaglio di manipolazione, mentre la sterilità è per se stessa una presunzione di buona ese¬ cuzione. Un esperimentatore attento può solo arrivare a questa cioè alla sterilità , mentre che un novizio qualunque otterrà la feconda¬ zione. La sterilità è il risultato, al quale deve mirare lo sperimentatore coscienzioso, qualun-

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que sieno le sue convinzioni teoriche: deve far di tutto per ottenerla ; e soltanto quando è assolutamente costretto dai fatti, egli deve ammettere che la presenza di organismi vi¬ venti in un’ infusione non è dovuta ad una causa, che avrebbe potuto essere neutralizzata o evitata da un’ esperienza ben fatta.

Le prove in favore della generazione spon¬ tanea svaniscono, dacché sono controllate tla un abile sperimentatore.

I botanici sanno che non tutti i granelli resistono egualmente all’ azione del calore. Alcuni sono uccisi , esponendoli per pochi momenti alla temperatura dell’ acqua bol¬ lente ; altri possono resistere a questa tem¬ peratura per parecchie ore. La maggior parte dei nostri semi comuni sono uccisi rapidamen¬ te dal calore ; ma Pouchet nel 1866 fece conoscere all’ Accademia delle scienze di Pa¬ rigi che certi semi , portati dal Brasile entro balle di lana , potevano germinare anche dopo avere bollito per quattro ore.

I germi contenuti nell’ aria , sotto questo rapporto, presentano tra di loro le stesse dif¬ ferenze dei semi dei botanici. In certe località i germi in sospeso nell’ aria sono così deli¬ cati , che il bollimento di cinque minuti , ed anche meno , li distrugge immancabilmente tutti. In altre località, i germi contenuti nel-

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r atmosfera sono così ribelli all’ azione del calore, che bisognerebbe farli bollire durante molte ore per privarli della loro facoltà ger- minatrice. L’ assenza o la presenza di un pacco di fieno disseccato basta per produrre differenze tanto grandi quanto quelle testé accennate. La maggior forza di resistenza che io seguita a dire il Tyndall abbia mai osservata, è quella di germi che sono soprav¬ vissuti ad otto ore di bollimento.

Ecco la classificazione che si potrebbe adottare pei germi infusori della nostra atmo¬ sfera, considerati sotto il rapporto della loro resistenza all’ azione del calore: germi che non sopravvivono a cinque minuti di ebulli- zione ; germi che resistono a cinque minuti, ma soccombono a quindici minuti di ebulli- zione ; germi che resistono a quindici mi¬ nuti , ma restano uccisi a trenta minuti di ebullizione ; germi che resistono a trenta minuti, ma non possono sopportare un’ ora di ebullizione ; germi resistenti ad un’ ora , ma che si spengono a due ore di ebullizione; germi resistenti a due ore, ma che muoiono a tre ore di ebullizione ; germi che resi¬ stono a tre ore , ma perdono ogni vitalità a quattro ore di ebullizione.

In parecchi casi io ho visto germi soprav¬ vivere a quattro e cinque ore di ebullizione;

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in alcuni, ne ho visto sopravvivere a sei ore; e in un solo caso, a otto ore di ebullizione.

In presenza di questi fatti, sarebbe puerile parlare della temperatura che fa perire i bac- teri e i loro germi.

Facciamoci a studiare sperimentalmente una delle basi principali della dottrina della generazione spontanea. A quest’ intento , io pongo sotto gli occhi dell* eterogenista due liquidi, che sono stati conservati per sei mesi in una delle nostre camerette ermeticamente chiuse ed esposte ad un’ aria otticamente pura. Uno di questi liquidi è una soluzione mine¬ rale contenente, nelle proporzioni volute, tutte le sostanze che entrano nella composizione dei bacteri. L’ altro è un’ infusione di navone. Avremmo potuto prendere non importa quale di cento altre infusioni , animali o vegetali. I due liquidi sono limpidi come 1’ acqua distil¬ lata, e non presentano assolutamente alcuna traccia di organismi viventi; in una parola , sono affatto sterilizzati.

Una costoletta di montone, sulla quale si è versata un po’ d’ acqua per impedire che si disseccasse, è da tre giorni in un piatto nella nostra camera calda. La costoletta puzza. Se mettiamo una goccia del fetente sugo del montone sotto l’ obbiettivo di un microscopio, la troviamo piena di bacteri, organismi che

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vivono della putrefazione e senza i quali non ci sarebbe putrefazione.

Con una gocciolina infinitesimale del li¬ quido pieno di bacteri, inocolo la soluzione minerale e Y infusione di navone, tutte due, sinora, limpide, come un medico inocule¬ rebbe il vaccino ad un ragazzo. Dopo venti- quattr’ ore i liquidi trasparenti sono diventati torbidi ; ben lungi dall’ essere sterili, ora for¬ micolano di organismi viventi. Si può ripete¬ re mille volte questa esperienza, e si avranno sempre gli stessi risultati. All’ occhio nudo i due liquidi apparivano com’erano a principio, cioè egualmente trasparenti ; e all’ occhio nudo sembravano uguali anche alla fine, quantun¬ que si fossero entrambi intorbidati. Invece di sug'o di montone putrido, potremmo prendere per sorgente d’ infezione uno qualunque di cento altri liquidi putridi, animali o vegetali. Purché il liquido contenga bacteri viventi, una sola di queste goccioline comunicate alla soluzione minerale limpida, o all’ infusione di navone limpido, dà, a capo di ventiquatt’ ore, il menzionato risultato.

Ora possiamo variare 1’ esperienza : apro la porta di un’altra camera che era erme¬ ticamente chiusa ed ha contenuto per parec¬ chi mesi, F una accosto all’altra, la soluzione minerale pura e l’ infusione di navone puro

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e getto in ognuna eli queste soluzioni un pic¬ colo pizzico di polvere di laboratorio.

Questa volta il risultato è meno rapido che colla gocciolina di liquido putrido. Ciò nonostante, tre giorni dopo l’introduzione della polvere, 1’ infusione di navone è diventata torbida e formicola di bacteri. Ma che av¬ viene nella soluzione minerale la quale, nella precedente esperienza, si è comportata esatta¬ mente come il sugo di navone? A capo di tre giorni, ed anche dopo tre settimane, essa non contiene un solo bacterio.

Possiamo ripetere cento volte questa espe¬ rienza sulla soluzione e F infusione, ed otter¬ remo invariabilmente lo stesso risultato. Sem¬ pre, coll’ infusione, la polvere atmosferica una messe di bacteri ; ma, colla soluzione, la materia germinale secca non prende vita.

Da tale esperienza si ritrae che, mentre i due liquidi possono nutrire i bacteri e porli in istato di crescere e di moltiplicarsi una volta che si sono completamente sviluppati, soltanto uno dei liquidi è al caso di svilup¬ pare in bacteri attivi la polvere germinale dell’ atmosfera.

Gli eterogenisti diranno che i bacteri esi¬ stono nell’ aria , non allo stato di germi bensì allo stato di organismi disseccati. E che perciò ? Resta sempre assodato che uno

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dei liquidi può ottenere il passaggio dallo sta¬ to inattivo allo stato attivo ; e 1’ altro, no.

Gli eterogenisti insistono e dicono : La maniera onde si comporta la soluzione mine¬ rale, prova che nell’aria non ci sono bac* teri germi di bacteri; in conseguenza se un’ infusione di navone, completamente steri - rilizzata, una volta esposta all’ aria produce bacteri, questi devono esser nati spontanea¬ mente. Noi concluderemo scrive il dottor Bastian a proposito della stessa esperienza solamente che, mentre la soluzione salina bol¬ lita è assolutamente incapace di generare bac teri, questi organismi possono spontaneamen¬ te generarsi nell’ infusione organica bollita.

Io chiederò al mio eminente collega che cosa pensa ora di questo ragionamento ? La premessa è: « una soluzione minerale, esposta all' aria ordinaria, non isviluppa bacteri; » la conclusione è: « per conseguenza se un’ infu¬ sione di navone, esposta alla stessa aria, svi¬ luppa bacteri , questi devono derivare da una generazione spontanea. »

Tale .conclusione non è certamente legit¬ tima; e se, in buona logica, è illegittima, dal punto di vista dei fatti è chimerica. Io do¬ mando: Perchè quando la vostra infusione organica sterilizzata è in contatto con aria otticamente pura , la generazione cessa af-

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fatto ? Perchè posso conservare il mio sugo di navone accanto alla vostra soluzione salina durante i trecento sessantacinque giorni del- 1’ anno, in libera comunicazione coll’atmosfera otticamente esente di polveri fluttuanti; men¬ tre che tre giorni di contatto colle polveri fluttuanti riempiono di bacteri il medesimo sugo di navone ?

La semplice lettura del succitato argo¬ mento degli eterogenisti basta per farne com¬ prendere 1’ inanità.

Gli eterogenisti fissano specialmente il chiodo sul cosiddetto « punto di morte » dei bacteri, cioè la temperatura necessaria per farli perire. A sentire il Dr. Bastian, « l'acqua bollente esercita incontestabilmente un effetto all’ intutto pernicioso e rapidamente distrut¬ tore sulla materia vivente , qualunque sia il grado della sua organizzazione ».

Per confutare quest’affermazione, rammen¬ tiamo che, otto anni prima di esser fatta, tutti i negozianti in lana di Elbeuf sapevano come i semi di medicago del Brasile sopravvivono a quattr’ ore di ebullizione. Anzi questo fatto era stato pubblicato dal Pouchet nei Comptes rendus de V Académie des Sciences de Paris (Voi. LXIII, p. 939). Lo stesso Pouchet fece bollire tali semi e ne trovò alcuni gonfiati e disgregati , mentre gli altri avevano conser-

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vato la loro durezza e il loro volume primi¬ tivo. Tutti furono messi nella stessa terra : i primi non potettero venir su , ma i secondi germogliarono benissimo.

Così, gli eterogenisti si sono ingannati sui semi ordinari. Vediamo ora se non siano in¬ corsi in errore nelle loro esperienze e nei loro ragionamenti sulla temperatura che fa perire i bacteri.

Gli esperimenti citati sin qui provano chia¬ ramente che c’ è una notevole differenza fra la materia « bacteriale » secca dell’atmosfera e i bacteri inzuppati , molli ed attivi dei li¬ quidi organici in putrefazione. Gli eterogeni¬ sti argomentano dall’ una agli altri, ripetendo così, per la temperatura che uccide i bacteri, T errore, nel quale erano caduti rispetto ai germi dell’ atmosfera.

I bacteri molli e completamente sviluppati dei liquidi in putrefazione , sono uccisi non solo con cinque minuti di ebullizione , anzi anche con meno di un minuto. Ma invece di scegliere per T inoculazione un liquido putre¬ fatto , prepariamo ed impieghiamo la nostra sostanza inoculatrice nel seguente modo : pi¬ gliamo alcuni fili di fieno disseccati dal tempo, laviamoli in un bicchier d’acqua, ed inoculiamo con quest’ acqua un’ infusione di navone per¬ fettamente sterilizzata. Dopo tre ore di bolli-

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mento continuo , 1* infusione così fecondata darà spesso un’ abbondante messe di bacteri viventi. I risultati sono esattamente gli stessi, se si prepara un’ infusione di navone in una atmosfera ben carica di germi di fieno secco. In questo caso , 1’ infusione si feconda senza inoculazione speciale, e allora oppone sovente una grandissima resistenza alla sterilizzazione.

Il primo marzo 1878 , pensatamente io sparsi nell’ aria del nostro laboratorio la pol¬ vere germinale di fieno secco , eh’ era stato raccolto nel 1875. Poi versai in dieci gruppi di fiale un’ infusione di navone preparata nello stesso laboratorio. Poi sottoposi que¬ ste fiale alla temperatura dell’ acqua bol¬ lente per tempi varianti da 15 a 240 minuti. Un solo dei dieci gruppi fu sterilizzato , cioè quello che aveva bollito per quattr’ ore. Tutte le fiale degli altri nove gruppi che avevano bollito per 15, 30, 45, 60, 75, 90, 105, 120 e ISO minuti, generarono organismi viventi.

Le infusioni animali che, nelle circostanze ordinarie , sono immancabilmente sterilizzate con cinque minuti di bollimento, si compor¬ tano come le infusioni vegetali in un’ atmo¬ sfera carica di germi. Per esempio, il 30 marzo del 1878, io versai in cinque fiale un’ infusione limpida di bove, e le feci bollire per 60, 120, 180 , 240 e 300 minuti. Tutte si riempirono

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più tardi di organismi viventi , fatto che si riprodusse egualmente per un’ infusione di montone, assolutamente limpida , che avevo preparato nello stesso tempo. Io conto a cen¬ tinaia i casi, nei quali le infusioni più diverse mostrano la stessa forza di resistenza.

In presenza di tutti questi fatti, è evidente che il mio avversario si è troppo affrettato a dichiarare che ogni materia vivente è uccisa, dacché la si espone per alcuni minuti alla azione dell’ acqua bollente.

Dunque tutto 1’ edifìcio, elevato su questa base, crolla ; ed è sperabile conclude il Tyndall non si verrà più a dire che 1 bac- teri e i loro germi essendo distrutti da una temperatura di 60 gradi, non possono ricom¬ parire dopo che il liquido è stato esposto alla temperatura di 100 gradi, se non per mezzo della generazione spontanea. ( V. Revue Scientifique, Seconda Serie, N.° 51, p. 1198 e seg).

I fisiologi si affannano a cercare e a di¬ struggere i germi. Si affannano a studiare l’acqua, 1’ aria e gli agenti fisico-chimici. Ma il problema delle generazioni spontanee non progredisce.

Sicuramente, vi sono germi aerei, terrestri ed aquatici; ma è impossibile mostrarli dapper¬ tutto e sempre. Un raggio di sole che penetra

Di Bernardo II Darwinismo e le specie animali 40

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nella nostra camera, ci fa vedere sino a qual punto è impura 1’ aria. Contro Y opinione che 1’ aria e 1’ acqua portano germi sotto forma di una materia sottile, trasparente, incolora, capace di sottrarsi agli ambienti più deleteri , non ci sarebbe che un semplice partito a prendere : abbandonare la purificazione del- 1’ aria e fabbricarla interamente con sintesi chimica.

Certo, è grandissima la resistenza dei ger¬ mi alla distruzione. La tenacità vitale ed or¬ ganica delle materie germinative è così po¬ tente, eh’ essa si mantiene, malgrado il trita- mento di tali materie e malgrado un calore vivissimo.

Figurarsi se sia possibile trasformare la molecola inerte in cellula vivente ! I secoli succedono ai secoli e le molecole non gene¬ rano : si aspetta sempre un fatto, una prova convincente o almeno un indizio di vera prova.

Carlo Naudin, dopo aver parlato a lungo di protoplasma, di blastema primordiale, di proto e di meso- organismi plastici, aggiunge (Revue Scientifìque , Seconda Serie, Voi, Vili, p. 847 e seg.):

In tutti i casi, la meno concepibile delle ipotesi, quella che si avvicina di più ai mira¬ colo, che anzi sarebbe un miracolo di primo ordine, è 1’ ipotesi della generazione sponta-

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nea. La stessa parola spontanea implica una cosa impossibile, una soluzione di continuità nella serie elei fenomeni, un movimento orga¬ nico che nascerebbe da se stesso, che non sareb¬ be stato comunicato. L ingegnoso Ilàckel ha adoperato molta erudizione e molto spirito contro questa difficoltà, beninteso senza risol¬ verla. Egli distingue due gradi, due modi diversi nella generazione spontanea : la pia- smagonia , che è la generazione spontanea de¬ gli eterogenisti, cioè quella, per la quale si suppone che degli esseri viventi possano for¬ marsi coll’ aiuto di frantumi organici conte¬ nenti ancora le materie plastiche, che hanno servito, sotto altre forme, alle manifestazioni vitali; e Y autogonia , che sarebbe una gene¬ razione di sana pianta, senza antecedenti or¬ ganizzati, la vita che esce dal non vivente, T organizzato che deriva dall" inorganico.

Rispetto alla plasmagonia o eterogonia, anche ammettendo che monadi, bacteri, cor¬ puscoli viventi quali che sieno , possano na¬ scere nelle infusioni di materie organiche e nei liquidi putrescibili, in ogni modo tali nuove formazioni non vanno mai più lungi e non generano mai alcun organismo più ele¬ vato di se stesse. Cotesto non ò dunque il cominciamento della vita; ma, al contrario, ne ò la line.

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L’ autogonia poi sarebbe il voler cavare qualcosa dal niente.

I trasformisti partigiani dell’ autogonia al¬ legano i prodotti della sintesi chimica, i com¬ posti carbonizzati e sovratutto l’urea, sostanza azotata che, secondo loro , si ravvicinerebbe alle materie albuminoidi, e in virtù della quale sperano che le materie albuminoidi saranno un giorno prodotte artificialmente.

È poco probabile che questa speranza si realizzi; ma, a buon conto , Y autogonia non ci guadagnerebbe nulla. Niente è più facile che estrarre animali e piante dalle materie proteiche e albuminoidi bell’e formate ; ma dacché vengono sottratte all’azione che la vita esercitava sopra di esse , entrano in decom¬ posizione senzaprodurre nulla di vivente, salvo i bacteri degli eterogenisti , ove si accetti la loro ipotesi; e allora non ci sarebbe che l’ul¬ timo sospiro della vita.

Gli è che fra un organismo e un aggre¬ gato chimico quali che sieno la sua com¬ posizione e la sua complessità c’è un abisso. Un organismo è una struttura , una forma , una disposizione di parti che costituiscono un tutto, affatto diverso dall’aggregato chimico : nell’ organismo si agita un elemento di un alti*’ ordine, che regola le trasformazioni della forza, e che ci attesta la sua esistenza con

I

LA GENERAZIONE SPONTANEA 725

quel lungo concatenamento di fenomeni, che noi chiamiamo la vita.

I partigiani dell’ autogonia si sono gettati sulla cristallizzazione per dedurre la possibi¬ lità della formazione spontanea di un orga¬ nismo vivente. Ma anche qui non c’ è alcun possibile legame fra i termini che si vogliono ravvicinare. Che cosa è un cristallo? Nien- t’ altro che un accumulamento geometrico, le cui molecole dello stesso volume e della stessa forma sono tenute vicine dalla coesione , in perfetto equilibrio e in vicendevoli rapporti invariabili, e che dura sinché una forza este¬ riore non venga a turbare tale equilibrio. Tutte queste molecole aggregate sono immo¬ bili, beninteso che qui non si tien conto del movimento di oscillazione comunicato dal ca¬ lore ambiente. Un mucchio di palle della stes¬ sa grossezza e della stessa « sfericità » una idea quasi esatta di un cristallo.

Quale differenza dal cristallo alla struttura di un essere vivente, anche del più semplice ! Nell’ essere vivente non c è da considerare solamente la figura esteriore e la composizio¬ ne eterogenea, ma, prima e più di tutto, la incessante mobilità delle molecole, i cui mu¬ tui rapporti si modificano ad ogni momento. Nell’ essere organizzato e vivente tutto si di¬ mena , tutto cambia di posto , tutte le as-

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sociazioni molecolari si fanno e si disfanno volta a volta. Per la materia che lo compo¬ ne, T essere vivente non è mai identico con se stesso in due momenti consecutivi , è come un turbine che continuamente trascina nelle sue profondità le molecole del mondo esteriore.

Ogni atto vitale è una spesa di forza; ogni movimento molecolare, ogni movimento d’or¬ gani non si fa che a prezzo di una disinte¬ grazione. Il muscolo brucia qualche cosa della sua forza per contrarsi; il cervello , vero de¬ posito di combustibile , è in perpetua confla¬ grazione per trasformare in sensazioni gli urti del mondo esteriore. Tutto ciò che c’ è di ma¬ teriale e di visibile nell’ animale , non è che aggiustamentomeccanico e fisico-chimico: tutto ciò è apparecchio di trasformazione, ma non è T animale. Ciò che il corpo organizzato e vivente rigetta come diventato inutile , sono precisamente queste materie carbonizzate e quest’ urea , che la sintesi chimica arriva a produrre , ma che qui sono soltanto residui inutili, scorie delle quali T essere vivente non ha che fare-

Non c’ è dunque da stabilire alcun para¬ gone fra il cristallo e T organismo vivente. Il primo rappresenta la sintesi geometrica , T inerzia , T immobilità , 1’ equilibrio eterna¬ mente stabile; l’altro, la dosimetria, T atti-

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vita incessante , Y equilibrio perpetuamente rotto e ristabilito, il movimento e i suoi ritmi, la vita e la morte. L’ abisso fra il cristallo e T organismo vivente è insormontabile.

Invocare 1’ atto del differenziarsi per Spie¬ gare che il complesso può uscire dal semplice, T organizzato dall’ inorganico e il più orga¬ nizzato dal meno organizzato, è fare una pe¬ tizione di principio. Il differenziarsi è la stessa evoluzione ed è, per la forza del principio di con¬ tinuità, la conseguenza di fenomeni che egual¬ mente rimontano a cause anteriori. Perciò il ragionamento ci riconduce , sempre da causa seconda a causa seconda, a quel limite di per¬ cettibilità , al di del quale tutto si perde nell’ ignoto.

Il Tissot, dopo di aver parlato di alcune ipotesi sull’ origine delle specie , aggiunge quanto appresso :

Non è meno superficiale ed arbitrario far dipendere 1’ organizzazione da molecole orga¬ niche o da cellule primordiali , che sarebbero come il focolare dell’ azione organizzatrice di ogni individuo in ogni specie. Cosiffatte mo¬ lecole organiche si restituiscano alla fantasia che le concepì ! Le cellule primordiali , poi , sono così lontane dal poter rendere conto del- T organizzazione, eh’ esse stesse sono organiz¬ zate e in conseguenza suppongono ciò che è

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in questione. Darci la cellula organica come principio dell’ organizzazione è rispondere alla domanda colla domanda. Quale sarebbe, d’ al¬ tronde , la ragione della differenza di queste cellule primordiali secondo le specie ? E se la cellula primordiale era la stessa per ogni specie, quale sarebbe la ragione della differen¬ za della sua azione organizzatrice secondo le specie ? Supporre che non c è differenza fra le cellule primordiali e la loro azione, mal¬ grado le differenze specifiche degli esseri or¬ ganizzati che ne provengono, non è ammettere effetti senza cause?

Alle cellule primordiali si riannoda il si¬ stema dell’ eterogenismo assoluto, cioè l’ ipo¬ tesi di una generazione organica dalla materia bruta o dai suoi elementi. E già si è visto che valore abbia quest’ ipotesi.

1/ eterogenismo relativo , che confessa di non potere ottenere i suoi vibrioni, le sue mo¬ nadi, i suoi voi voci, i suoi animaletti se non alla condizione di operare sopra alcuni avanzi di organismi anteriori, non può avere la pre¬ tesa di spiegare in modo soddisfacente Y ori¬ gine della vita, perchè, da un canto, la sup¬ pone e , dall’ altro , non ottiene che infusori. E come li ottiene ? Può affermare che non prende le semplici condizioni per cause , che non c è alcun intervento di una forza orga-

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nizzatrice, la quale agisca in un ambiente e su materiali acconci a dare risultati viventi? Come mai questi risultati potrebbero derivare dalla decomposizione di avanzi organici, col- 1’ azione dell’ acqua ed anche coll’ aiuto della luce, dell’ aria , dell’ elettricità e del calore ? Se questi avanzi sono morti, irrevocabilmente morti, se sono nuli’ altro che principii chimici e senza vita, anche principii detti immediati, non possono dare la vita che non hanno, riceverla dagli agenti , ponderabili o impon¬ derabili, che non 1’ hanno.

Si avanzino i signori darwinisti ; mi aiu¬ tino a scrivere , scrivano essi stessi 1’ ultima pagina di questo libro : faranno cosa gradita ai loro confratelli darwiniani ed anche a me che così mi tolgo d’ impaccio senza metterci nulla di mio.

Pigliatela come volete , la generazione spontanea è un « completamento indispensa- sabile » della dottrina darwiniana. Ma intanto il darwinista Laugel non 1’ ammette : « La generazione spontanea non si verifica giam¬ mai sotto la nostra esperienza, anche quando si tratta di esseri che appena si sanno classi¬ ficare, così sprovvisti di caratteri che non si

sa come descriverli . Niente autorizza ad

ammettere che i primi esseri viventi sieno usciti dall’ inerzia organica mediante Y azione

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delle forze che ci sono conosciute . Nella

teoria di Darvin, il filo della creazione resta sospeso a qualcosa di sconosciuto. ( Revue des deux mondes , marzo 1868, p. 155).

Il Feclmer, darwinista, rigetta la genera¬ zione spontanea, benché proponga un’ altra ipotesi, che non è meno inverosimile della generazione spontanea. (1. c. p. 42-55).

Il Biichner, dopo aver giuocato un pezzo a rimpiattarelli, alla stretta dei conti dice: Dal punto di vista della scienza odierna, sarebbe soverchia temerità il volere attribuire alla generazione spontanea 1’ origine immediata di tutti gli organismi. » ( Kraft und Stoffa, Lipsia 1874, Cap. X).

Il D.r Dodel-Port, entusiasta, laborioso, ze¬ lante darwinista, confessa che « finora l’espe¬ rienza si è certamente dichiarata in favore di quelli che negano la generazione spontanea. » (Das Experiment hat freilich bis jet z zu gun- sten Derjenigen gesprochen welche die Urzeu - gang verneinen. Abstammungs-und Zncìit- ivahl-Tlieorie. Zurigo 1877, p. 8).

Mi dispenso dal citare altri darwinisti, ba¬ standomi di allegare 1’ autorità dello stesso papà Darwin. A carte 425 della sua Origin of species si legge : Tutti gli esseri organici possono essere discesi da qualche forma pri¬ mordiale. Ma questa deduzione è principal-

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mente fondata sull’ analogia. Ed altrove il medesimo caposcuola assevera qualmente la scienza nel suo stato attuale non favorisce la opinione che ai nostri giorni nascano sponta¬ neamente esseri viventi.

L’intercalare l’espessione « ai nostri gior¬ ni » non giova a niente. Gli eterogenisti pen¬ sano che le forze e le proprietà della materia sono eterne. In conseguenza, non c’ è motivo per supporre che le stesse forze operando sulla stessa materia, non abbiano sempre lo stesso effetto, cioè non abbiano a dar luogo alla generazione spontanea anche oggidì.

La generazione spontanea è necessaria alla teorica di Darwin ; ma il medesimo Darwin non ammette la generazione spontanea. Senza averne coscienza, gli stessi darwinisti studia¬ no i mezzi più efficaci e lavorano continua- mente per mandare in rovina il loro si¬ stema. Al professore , cui accennavo nella Conclusione, pareva stranissimo che ancora ci siano anti-darwinisti. Io spero che chi ha avuto la squisita cortesia di leggermi, stupirà nell’ apprendere che ancoraci siano darwini¬ sti, intransigenti o moderati. Io spero che co¬ loro i quali mi hanno tenuto compagnia sin qui, affermeranno con me che il darwinismo è spirato, subendo la sorte dei trionfi a fiato corto, delle vittorie che cascano dopo breve

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durata, dei capolavori che, dopo aver levato un chiasso indiavolato, si ritirano dietro la nube della loro riputazione e sfumano nel silenzio più profondo.

La teorica del grande naturalista inglese è affogata a forza di baci : lo zelo degli incauti suoi adoratori ha dissipato tutte le illusioni ed è riuscito fatale ai credenti nel darwinismo.

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