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IL GABINETTO

DEL GIOVANE NATURALISTA OVVERO Descrizione della natura e de’ costumi dei principali Quadrupedì, Uccelli, Pesci, Amfibj, Rettili e Insetti, disposta in bell’ordine e adorna di 72 incisioni,

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GABINETTO

GIOVANE NATURALISTA

DI

TOMMASO SMITH

CON ELEGANTI FIGURE

La gloria di colui che tutto inove Per l'universo penetra, e risplende

In questa parte più e meno altrove. DANTE.

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TOMO PRIMO.

ITC lano Presso Omosono Manisi Tipografo ne’ Tre Re, N. 4085

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ata SERIO, SUR; Sit PRA gi 1826. Leila Lo

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% Feudi

ne AGLI AMATORI

STORIA NATURALE

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dii varie parti, che compongono la naturale istoria, quella che tratta degli. Animali è meritamente considerata come la più istruttiva e la più dilettevole. Essa fa la strada allo studio dell’uomo; eser- cita lo spirito all’ osservazione, onde na- sce la rettitudine dei giudizj; pasce l' im- maginazione colla moltiplicità e vivacità degli oggetti; interessa il cuore collo spet- tacolo di tante affezioni diverse; conduce alla morale, per ciò solo che desta in noi movimenti imparziali riguardo agli atti giovevoli o nocivi degli esseri in cui

manifesta qualche specie d'intelligenza; e serve alla religione, poichè fa così ben sentire una saggezza e una provvidenza infinita.

Quindi i libri, che ad essa -apparten- gono, sono generalmente accolti con avi- dità, massime dall’adolescenza; la quale con tal istinto par che ci riveli, che di qui e non altronde dovrebbero cominciare i suoi studi. Invano però si vorrebbe se- condare una delle più belle disposizioni della prima età, se mancano i mezzi op- portuni. Poiche le opere voluminose e sistematiche, le troppo succinte e leg- giere servono all'uopo: le prime pel costo e la difficoltà d'essere intese, le altre per la poca sostanza che inganna, anzi che soddisfaccia il desiderio.

Ciò vide il sig. Smith, celebre scien- ziato inglese, e stimo supplire al bisogno col suo Gabinetto del Giovane iNatura- lista, composizione in suo genere perfet- tissima, che unisce la ricchezza all’econo- mia, l'eleganza alla chiarezza, l'ordine ra- gionato alla più grande semplicita. Essa è

in pochi anni divenuta classica e in In- ghilterra e fuori; ed io non dubito far cosa di universale aggradimento, produ- cendola anche nella nostra lingua perchè giovi a tutte le classi della società.

La somma delicatezza dell’ autore nella scelta delle cose e delle espressioni, al- lontanando ogni benchè minimo pericolo per l'innocenza, accresce il suo pregio per l'uso che può farsene nell’ educazione d’ambo i sessi.

L'EDpirore.

INTRODUZIONE

Pooni soggetti nel vasto campo delle umane co: gnizioni sogliono offerirsi con maggiori attrattive, 0 avere in maggior utilità di quelli che apparten- gono all’ Istoria della Natura. Sono essi egualmente proprit a soddisfare una lodecole brama di sapere, a procurarci un perenne diletto, e « porgerci altis- sima idea del sovrano dispensator delle cose, la cui suprema volontà creò l universo , e la cui potenz infinita, congiunta ad ineffabile bontà, conserca la vita di tutti gli esseri e provvede ai loro bisogni. Lo studio degli animali, in ispecie, sembra esser proprio non meno della gioventù che delle altre età, dacchè ogni sua parte è feconda d istruzione, e tende a far più puro il cuor dell’uomo, a ri- schiarare il suo giudizio, ad ispirare il gusto delle utili ricerche e delle meditazioni profonde. Malgrado però tanti suoi pregi è forza il con- venire, che di rado esso fu presentato sotto forme gradecoli, o tali che l’ intelletto, l immaginazione

e la virtù ne asessero egual piacere e giovamento.

Il gentil sesso, in ispecie, venne spesso distolto dalla lettura delle migliori opere di Storia Natu- rale, poichè l’ istruzione non sarebbe stata senza pericolo della modestia. Ma l’ autore del Gabinetto del Giovane Naturalista assicura con piena fiducia non incontrarsi nel suo libro una sola espressione, di cui la verecondia più delicata abbia ad offen= derst.

Questo trattato, senza fondarsi sovra di alcun sistema particolare, è diviso in classi distinte: i quadrupedi, gli uccelli, i pesci e gli animali am- fibj, i rettili e gli insetti, le cui principali specie sono rappresentate per mezzo di belle figure, pro- prie a facilitare la spiegazione de’ fatti è degli anede doti più singolari sparsi nel trattato medesimo.

Esso è compendioso, ma completo. Forma, pro- porzioni, colore, abitudini, costumi, nulla si obblia nelle descrizioni degli animali più noti, o più degni di esserlo. Ogni particolarità che meriti di fissar l’ attenzione vi è riferita; ed ogni particolarità ri- ferita ha per fondamento le più esatte relazioni.

Al pregio delle cose poi aggiugnesi quello di uno stile rapido, chiaro, talvolta pittoresco nella sua semplicità, il quale speriamo che nulla acrà pers duto nella presente versione.

IL LEONE

IL

GABINETTO.

DEL

GIOVANE NATURALISTA

CAPITOLO PRIMO.

Ecco dal suolo liberar la testa, Scuoter le giube e tutto uscir d'un salto Il biondo imperator della foresta: Ecco la tigre e il leopardo in alto Spiccarsi fuora della rotta bica E fuggir nelle selve a salto a salto. Monti.

IL LEONE.

Usy celebre naturalista, il signor di Buffon, già osservò come le forme esteriori di questo qua- drupede corrispondano alle grandi sue interiori qualità. « Il leone, egli scrive, ha figura impo- nente, sguardo sicuro, andamento superbo, voce terribile. La sua corporatura non eccede le giuste proporzioni, come quelle dell’ elefante o del ri-

12 IL LEONE. moceronte; non è di grave peso, come quella dell’ippopotamo o del bufalo; non corta e mena- bruta, come quella dell’ iena o dell'orso, ma tale invece e bene intesa, che sembra essere il mo- dello della «forza. congiunta all’ agilità ». Essa, quantunque in ciò varii, suole estendersi otto in nove piedi dal muso alla radice della coda, la qual pure ne ha di lunghezza quattro all’ incirca.

La testa del leone è tutta coperta di pelo lungo e folto, e il suo collo va adorno di bella ‘criniera che scende a coprire il petto; mentre il resto del corpo è liscio e raso. Il colore di que- sto è intto fulvo, più carico sul dorso, più biau- chiccio sul dinanzi e sui fianchi. -

La lionessa è forse di un quarto più picciola che il lione, e priva di quella criniera che rende 1) altro maestoso.

Cerca in primavera i luoghi più inespiti, ed’ ivi depone quattro © cinque lioncini della gros- sezza di una donnola, che quasi per tutto l’anno restano alla mammella. Nel qual tempo nondi- meno essa gli avvezza a succhiare il sangue e dilaniar le membra degli animali che loro apporta,

Modello di materna affezione, sebben natu- -. ralmente più debole e meno coraggiosa del ma-: schio, quando trattasi de’ figli, si mostra al par di esso formidabile ed anche più. feroce. Agile ugalmente « appena tocca (per usare le eleganti frasi del signer Lacépède) coll’ estre=

IT LEONE. 13 mità de” suoî diti la terra. Le sue gambe ela- stiche e svelte, rassomigliano in certa guisa quattro: suste, pronte sempre ad allentarsi, onde spingerla alta dal suolo e laneiarla a gran di- stanza. Salta essa, balzella., spiccasi non men che il maschio, e varca spazii di dodici in quindici piedi. Ed è di esso più vivace d’ as- sai, più sensitiva, più ardente, di più breve ri- poso, di sbalzo più improvviso, di mossa più

impetuosa ».

Quando ha de’ piccioletti, gran cura si

di nascondere il luogo «del suo ritiro, per tema

d’ esservi sorpresa. Cancella colla coda perfin le traece de’ propri passi; ed ove alcun ‘sospetto la punga, trasporta alirove i parti suoi. Che se mai è d’ uopo difenderli, più non conosce peri- glio, e si getta furibonda sugli uomini egnal- mente e sulle belve.

Quando poi gli ha perduti insegue i rapitori a smisurate distanze, attraversa precipizii, e per qualche iratto fin dentro al mare.

Il ruggito del leone, allorchè cerca la sua preda, rassomiglia al rimbombo del tuono. Ripe- înto assai lungi dall’ eco delle rupi e delle mon- tagne spaventa gli animali del deserto che cer- cano scampo in una fuga precipitosa.

Vuolsi che nella sua libertà esso prenda in una sola volta tanto di cibo, che basti a sostentarlo î Gue e i tre giorni,

14 IL LEONE.

La sua lingua è armata di punte dure, che bastano sole a straziar le carni delle sue vittime. Quando ira o fame lo stimola, agita esso l'ampia criniera, e colla coda si batte i fianchi: allora la morte è certa per chiunque lo incontra. Ma quando tai segni terribili in esso non appariscono, quando si mostra in calma; possono i viaggiatori passargli a lato, e andarne. sicuri. | Il lione non usa alla caccia migliore. stro- mento che il suo occhio, poichè ha 1’ odorato assai men fino che quello della più parte degli altri animali. Ed è a questo difetto, proba- bilmente, che Mungo-Park andò debitore di sua salvezza nel periglioso suo viaggio per l’ interno dell’ A frica.

Riferisce egli, come traversando un deserto vedesse un leone d’ enorme grossezza , sdrajato in sull’ arena, posando il sno muso fra le distese sue zampe, e dormendo sotto. la sferza avvampante del sole con occhi semi-aperti. Seb- bene spaventatissimo per tale incontro fu però avveduto di uscir tosto di cammino, e tornando addietro nascondersi fra gli sterpi. Il che forse non gli valeva a scampo, ove il terribile ani- male fosse stato fornito di quella squisitezza di elfato, che è comune alla più gran parte degli animali quadrupedi.

E naturalisti già hanno fatto osservare, par-

IL LEONE. 15 lando della forza muscular del leone, che un solo colpo della sua zampa basta per fran- gere i reni ad wu cavallo, e una sola per- cossa della sua coda a rovesciare Ì uomo più robusto. Kolben notò, che quando il ieone è giunto ad afferrar la sua preda comincia dall’ at- terrarla, e di rado avventa contr’ essa il dente divoratore, prima di averle dato un colpo mor- tale, cui sempre accompagna d’ orrendo rug- gito.

Si è veduto al Capo di Buona Speranza un lione prendersi in bocca un vitello, e portarlo con quella facilità, che un gatto porterebbesi un sorcio, saltando una fossa larghissima.

Quest’ aliro fatto servirà ancor più a com- provare la forza dell’ animale, di cui si fa- vella; esso fu riferito al dottor Spartman da due coloni, degni di tutta fede.

Andando eglino un giorno a caccia con pa- recchi Ottentoti, videro un leone, che stra- scinava un bufalo dalla campagna al bosco, il qual sorgeva sulla montagna vicina. Accor- rendo allora, e minacciando da lungi ob- bligarono a lasciar la sua preda, che a loro stessi tornava opportuna. E come se ne furono impadroniti, ammirarono la sagacia del leone, che, a trasportarla più facilmente, ne avea le vati tutti gli intestini. Quello intanto da un inacchione del bosco, ove era appiattato, stava

16 IL LEONE. guardando. con occhio eruecioso gli Ottentoti , che trasferivano ad un carriaggio gli avanzi della belva uccisa; e se il gran numero non l’ avesse rattenuto , saria stata ben sanguinosa la vendetta di tale rapina.

La molta forza però non basterebbe at lio» ne, per vincere un animale di quella gros- sezza e di quel vigore ch’ è il bufalo, se non vi aggiugnesse l’ astuzia e l’agilità. Slanciandosi improvviso sulla sua vittima, e cacciandole di tutto impeto le zampe nelle narici e nel mu- so, già l’ ha soffocata: prima che possa difendersi. Di ciò si hanno testimonii altri coloni.

Ma testimonianza più irrefragabile sembra es- ser quella. de’ bufali sfuggiti qualche volta alle sue unghie, che si trovarono profondamente impresse nelle parti che già dicemmo. Assi- curasi però che anche il leone rischia la sua vita in simili assalti, massime se altro bu- falo si trovi. in istato di venire in soccorso dell’ offeso. E da un viaggiatore si narra, come una bufala, seguita dal suo vitello e appostata presso ad una riviera, tenne fronte a cinque leoni, che. l’ aveano, per così dire, circonda- ta, senza mai osare di aggredirla, almeno per quel tempo che il viaggiatore gli stette osser» vando.

Ove il leone non sia spinto dalla fame tieusi in agguato, aceovacciandosi sul ventre

IL LEONE. 17 come gatto o tigre, e aspettando paziente mente la sua preda. Se questa si avvicina + eccolo slanciarsi d’ un salto prodigioso; ma qualora gli sfugge non si ad inseguirla. Bensì gira intorno al luogo, ove si iereva nascosto , e par che misuri l esatia distanza da questo al punto, onde la vittima gli si sottrasse, quasi per meglio calcolare in avve- nire i suoi movimenti. Ciò fecero intendere al già nominato sig. Spartman alcuni Ottentoti.

Egli poi sostiene non essere già si magna- nimo, come si è preteso , il carattere dell’ a- nimale, di cui si favella, ma orgoglioso in- sieme e vigliacco, sebben la fame gli ispiri intrepidezza e coraggio straordinario. « Dalle relazioni raccolte intorno al leone, egli dice , e da quanto vidi io medesimo cogli occhi miei, parmi poter conchiudere ch’ esso non di rado è timido quanto feroce, o almeno che l’ardir suo non corrisponde alle sne forze. Pure di quest ardire si danno prove incredi- bili, ed una io voglio citarne, qual fu rife- rita a me stesso.

Un dione entrò un giorno in un luogo cinto di muro, ove pascean bestiami, e vi fece molta strage. La gente del podere non dubitò ch’ esso ritornerebbe per donde era venuto, cioè per un cancello di legno , at- traverso del quale si era a forza aperto un

Gabinetto Tom. K. 9

10 IL LEONE. passaggio. Però vi tesero innanzi una corda, a cui appoggiarono più .archibugi in modo, che quando l animale T urterebbe col petto , essi gli si scaricherebbere contro. Ma colui giunto prima che annottasse, prendendo sospetto, per ciò che sembra, di tale apparecchio , levò la corda colla sua zampa, nulla intimorito dello scoppio dell’armi da fuoco, andò, come nulla fosse, a gettarsi entro il recinto su gli avanzi ivi lasciati della sua preda ». i

Cosa confermatissima dalla testimonianza de- gli scrittori si è ch’ esso preferisce la carne degli Ottentoti a quella d’ ogn' altra creatura, onde fu veduto scegliere fra gran numero di Olandesi uno di tali selvaggi.

Certo Ottentoto di que di Namaaqua , che hanno la loro dimora circa ad otianta leghe dal settentrione del Capo di Buona Sn volendo condurre | armento del suo padrone a de marazzi posti fra due catene di rupi, s accorse di un lione accovigliato fra i giun- chi e le canne. Quindi preso da spavento diè tosto alla fuga, usando per altro I accor- gimento «di passar per mezzo alle bestie ch'ei conduceva, perchè sperava che la prima, in cui il lione si avvenisse, lo distornerebbe dal- TY inseguirlo, Ma il feroce animale slanciandosi in quel branco, e spregiandolo andaya dritio all’ Ottentota ; che palpitante e qu@lsi senza

an

ÎL LEONE. 19 respiro si diede ad arrampicarsi ad un aloé. sul cui tronco erano per sorie alcune scaifi- ture, per servir di gradini , onde giugnere più facilmente ai nidi posti fra’ suoi rami.

E qui noiterem di passaggio come tai nidi appartenevano ad una specie di uccelli appel laii col nome generico di load, i quali vi- vono socievolmente fra loro, quasi in repubblica, ricoverandosi a più centinaja sotto un mede- simo coperto, in uno spazio che non olire- passa i dieci piedi di diametro.

L' Otientoto si appiattò dietro un gruppo de loro nidi per sottrarsi alla vista del suo implacabile nemico, il quale , mentr egli sali- va, già gli cra alle spalle. Ma non avendo potuto afferrarlo si aggirò intorno all albero nel più cupo silenzio, gettando di tempo in tempo terribili occhiate sul povero Africano. Questi, dopo esser rimasto lungamente immobi- le, s arrischiò alfine a guardare attraverso ai rami, se mai quel crudele si fosse partito; ma quale non fu il suo stupore inconirandosi ap- punto co suoi occhi smarriti in quelli del leone scintillanti di rabbia! L'animale allora si di- stese a piè dell’ albero, ove stette per venti- quatt’ ore, senza mutar di luogo un sol pal- mo. Alfine, costretto dalla sete, mosse verso di una sorgente, ch era indi alquanto disiante. Il quale opportuno momento non volle già

20 IL. LEONE: I Ottentoto lasciarsi sfuggire ; ma sceso pian piano e tutto sospettoso dall’ albero, con quanta maggiore celerità gli fu possibile corse alla volta della sua capanna, che ad un miglio di sincontrava, e vi arrivò sano e salvo. Sua ventura, veramente; poichè il jeone tornato al- albero, e non più ritrovandolo, si pose sul- T orme sue, a di due o al più tre centinaja di passi mancò a raggiungerlo. i Nelle parti settentrionali del continente Afri- cano, ove frequente è tal genere di animali, gran destrezza e grande intrepidezza dimo- strano gh indigeni, che loro. fan guerra. Ciaudio Jannequin ci descrive nel suo Viaggio Ù Sénégal un fierissimo combattimento sulle ponde del Nigro fra un leone ed un capo de negri. Ave questi condotto Jannequin e la sua brigata a certo luogo vicino di una immensa i. tutta piena. di belve feroci , e ajutatolo a salire sovra glu alberi. Indi mon- tato sul suo cavallo, e e presi tre giavellotti ed una scimitarra entrò nel più cupo della. fore- sta medesima, e sconiraio bentosto un leone, il ferì in una coscia. L' animal furibondo si avventà contro | assalitore, che con simulata fuga l'attirò dove dar voleva agli. ospiti. suoi nuove spettacolo. Però volgendo improv-. viso le briglie al destriero , scagliò contro di. quello un dardo, che andò a colpirlo nel petto.

IL LEONE. 21 indi avendo egli messo piede a terra, il leone spumante di rabbia e con aperte fauci si spinse contro di lui, come per divorarlo. Ma il ne- gro aspettandolo impavido, l accolse colla punta del terzo giavellotto., che gli piantò nella go- la, e saltatogli in groppa gli tagliò il capo colla scimitarra. Nella qual pugna diè prova di tanta agilità e destrezza, che ne riportò appena in un fianco lieve graffiatura.

Ogni volta che il leone si ‘è accorto della superiorità deil’ uomo in suo confronto, sem- pre si è perduto di coraggio in modo, che un solo grido di quello è bastato per torgli ogni forza. Addomesticato poi ha pertin temuto di cimentarsi con un becco, siccome risulta dali’ esempio che segue.

. Un leone, ch era del sig. Bruce, governa tore degli stabilimenti della compagnia del 5é- négal sulla costa d' Africa, stava col padron suo, mentre si conduceva in casa un branco di capre novellamente comprato. Le quali fattamente si spaventarono alla vista del feroce animale, che tutte sbandaronsi, eccetto un ar- ditissimo becco, posto loro a capo. Si mise quesito anzi a guardar francamente il leone, «e a battere il piede in aria di minaccia; poi ritraendosi, onde prender le mosse, precipitò sopra di esso e il colpì nella testa, di vio- lenta cornata, che tutto ne rimase stordito,

2a ÎIL: LEONE: E poichè l'assalto del becco baldanzoso si vi- peteva , quello non potendo rinvenire in sé, osando replicargli , stimò suo meglio ripa rarsi dietro il signor suo, come a sicura trincea,

Malgrado la nativa ferocità, spesso il leone si alleva cogli animali domestici, fra cui vedesi trescare e sollazzarsi innocentissimamente. E tale è la generosità dell'’indole sua, che sde- gna più volte de nemici troppo deboli, e loro perdona offese, di cui sarebbe in poter suo il vendicarsi. Il seguente aneddoto ne fornisce esempio ben rimarchevole.

Non sono molti anni che ad un leone, il quale stava in serraglio nella torre di Londra, fu dato un cane, perchè gli servisse di cibo : ma lungi dall esercitare I furor suo sopra di un animale poco temibile, il maestoso ani- male gli risparmiò la. vita, e visse con lui non breve tempo, dandogli segno di non so quale affetto, che potria chiamarsi protezione. Talvolta il cane era impudente da bronto- lare contro il suo benefattore, e disputargli il nodrimento ch era gettato nella chiusa; ma il re degli animali, in luogo di gastigare la folle temerità del suo commensale, lasciavalo giar tranquillamente , prima di cominciar il suo pasto.

Tal magnanima noncuranza, e quasi coma patimento degli inferiori in forza, ha fatte

Man

IL LEONE. 23

narrare di quel quadrupede istorie maravigliose ed ineredibili.

«Un domenicano di Marsiglia, appeliato fra Giuseppe Colombot, accertommi, dice il padre Labat, ch’ essendo schiavo del re di Marocco, e fuor d'ogni speranza d' uscire di quella cat- tività, sl risolvette con uno de’ suoi compagni alla fuga, e alla risoluzione diè eseguimento. Peritissimo nel navigare, come uno de migliori piloti dei suo paese, si confidò di ritrovar pre- sto il cammino della Rocca, luogo appartenente ai Portoghesi, ove ambidue facevano pensiero di recarsi. Essi non andavano che di notte, e riposavansi il giorno o sugli alberi ne’ boschi quando ne ritrovavano, o sepolti nella sabbia con alquanti sterpi in sul viso, per difenderlo dagli ardori del sole. Grandi erano i loro pa- timenti, ma il mancar d'acqua parea loro il più insoffribile di tutti. Già da due giorni li tormentava crudelissima sete, quando una notte alfine si ritrovarono inopinatamente in riva ad una laguna; di che ebbero indicibile conforto. Ma ecco, mentre vogliono appressarsi, un ter- ribil leone, che quasi custode dell’ acque. loro il divieta. Costernati dapprima, indi stretti a consiglio fra loro, si avvisano di porsi innanzi genuflessi al fiero animale, e presi atti e ac- centi di supplichevoli eccitarue la compas- sione. Gli parlano della dolorosa schiavità onde

9A IL LEONE. fuggivano, del bisogno di dissetarsi, per poter continuare la vita non che il cammino, e giu- rano d’essergli in eterno riconoscenti, se tanto beneficio ad essi concede. Il qual discorso parve molto persuadere il leone, che si ritrasse alcun poco, onde provedessero liberamente al loro bisogno, stando intanto a guardarli con occhio più che prima grazioso , per quanto sembrò loro di scorgere al fioco lume di luna. Il più ardito quindi scese allo stagno, e mentre l'altro seguitava la cominciata preghiera, bevve lar- gamente e a pieno agio, ed empiè d acqua alcuni otri che avea con sè. Poi venne al com» pagno, e presone il posto, intanto che andava umilmente ond'egli era tornato, si fece a ringraziare il leone. Al che non avendo man- cato neppur l'altro, tosio che si fu dissetato, l’animale ne parve pago, che per non ri- tardarli più a lungo si ritrasse del tutto; ed eglino all'indomani giunsero alla Rocca ».

Il qual racconto del fraticello dabbene, e di chi il ripete sente abbastanza di ridicolo, in ciò specialmente, che riguarda i. motivi della mansuetudine del feroce animale. Ma la cosa può benissimo spiegarsi, argomentando che il leone ben pasciuto e ben riposato innanzi al loro arrivo, sentisse voglia di nuocer loro, bisogno di rimanere.

Sia qui permesso a chi traduce ricordare

IL ÈEONE. 25 un altro fatto già raccomandato alla storia, e modernamente divenuto soggetto di belle in- cisioni, il quale ha molta affinità col descritto qui sopra. Il recheremo nell’ingenuo stile del nostro Gio. Villani, poichè nessun altro meglio gli converrebbe.

Verso gli anni 1273 « fu al comune (di Firenze) presentato un bellissimo e feroce leone il quale era rinchiuso alla piazza di san Gio- vanni. Avvenne, che per mala guardia di colui che ’1 custodiva, uscio il detto leone della sua stia (lo stanzino) correndo per la terra; onde iutta la terra fu commossa a paura. Avvenne, ch'arrivò in orto san Michele, e quivi prese uno fanciullo e tenealo ira le branche. Udendo ciò la madre del detio fanciullo, che non avea più che lui, e questo l'era timaso in corpo dopo la morte del padre, ch'era stato morto a ghiado (di coltello ), si mosse come dispe- rata, con gran pianto, scapigliata, e andò in- contro al leone, e prese il fanciullo dentro le branche del leone, e menolsene; di che il leone alla madre al fanciullo non fece nulla novità, se non che la raguardò, e stet- tesi fermo nel luogo suo. Onde di questo si fece questione, qual fosse il caso, o la gen- tilezza della natura del leone, o la fortuna ri- serbasse la vita al detto fanciullo, però che poi vivendo facesse la vendeita del padre, come

IR LEONE: egli fece, e fu poi chiamato Orlanduccio del leone ) e

Molti aneddoti van per le bocche e per gli scritti intorno all'attaccamento, ed aila rico- noscenza di quest animale pell'uomo. L'antica istoria d Androcle e del leone, quale ci viene riferita da Dione Cassio, debb' essere troppo nota ai nosiri leggitori; ma nol sarà forse egual mente quest'altra più moderna, che riporieremo.

Sotto il regno di Giacomo primo, l orolo- giere Enrico Archer, il quale abitava a Marocco, avea due lioncelli, già stati rapiti alla. madre loro in vicinanza del monte Auante. Erano essi appajati, eloè maschio e femmina, e stetiero insieme nel parco dell’imperadore, finchè la seconda morì. Allora Archer, sicdliù il primo ‘nella sua camera istessa, ve lo tenne, finchè fu giunto alla grossezza di un gran cane, moito si compiaceva della sua domestichezza e mansueiudine. Ma dovendo ritornare in Inghil- terra, lo diede ad un mercadante di Mosa il qual ne fece presente al re di Francia, onde fu poscia inviato a quello della Gran Bretta- gna, e pol tenuto sette anni nella torre di Londra. Ivi capitò un giorno, per caso, con alcuni amici, a vedervi le fiere, certo uomo, che fu già al servigio di Archer. IL leone to- sto lo riconobbe, e mostrò, a molti segni, grandissima contentezza di rivederlo. Quegli,

tL LEONE 27 pertanto non meno giojoso di tale avventura, pregò il custode che gli aprisse, la stanzetta del leone, e vi entrò. Cosa singolare e com- movente fu il mirare la festa, e le carezze, che fece l’animale all'ospite suo, al partir del quale mandò terribili ruggiti, onde esprimere il suo dolore, e ricusò poi per quattro interi giorni di prendere nutrimento.

Somigliante narrazione leggiamo ne Pensieri: del sig. Hope. Un giorno, ei dice, ch io fui a pranzo colla duchessa Hamilton, all’ uscire di tavola si andò con tutti i commensali a ve- der un lione, ch ella facea nutrire in una sua corte. Or mentre, ammirandone la voracità, l'andavam eccitando colle nostre canne, perchè dalla sua preda si volgesse contro di noi, venne il portinajo a dire, che un sergente, il quale era a’ cancelli con alquante reclute, chiedeva di poter contemplare alcun poco quell animale. La duchessa tutta garbo e afiabilità, doman- datane licenza alla compagnia; fece che il ser- gente s innoltrasse; il quale in approssimarsi alla gabbia, gridò tutto a un tratto: Nerone! Nerone! povero Nerone! dunque non mi co- nosci più? Il leone allora voltò la testa per guardare ; poi si levò e abbandonato il suo pasto venne alla inferriata, e vi si pose di Lra- verso, e l'uomo introdotta la mano gli palpò il dorso carezzevolmente. Ci disse in seguito,

28 î TL LEONÈ: eome egli fu suo custode nel tragitto di Gi- bilterra; «che.da tre anni ei non l'avea veduto, e che gli pareva gran cosa di trovarlo così memore e riconoscente de buoni servigi, che già gli aveva resi. Infatti la povera hestia non sapea finire di mostrar la sua conteniezza; andava, tornava, fregandosi alle sbarre in faccia al suo benefattore, e gli leccava di tempo in tempo la mano, che questi gli tendea con singolar compiacenza. E avrebbe anche voluto entrargli nella stia; se non che tutti il di- stogliemmo di questo pensiero, non iroppo convinti della sua sicurezza.

I Francesi ebbero già al forte S. Luigi una lionessa, che tenevano incatenata; ma che ri- dotta a estrema inagrezza per un’ enfiagione cli mascella, gli abitanti, credendola quasi morta, gettarono sciolta in una campagna vicina. Ivi a caso fu ritrovata dal sig. Compagnon, au- tore de viaggi in Natolia, che passava tornando dalla caccia. Mosso a compassione del sno sof- ferire, dopo averle egli lavata la gola con fresca acqua, le versò per essa alquanto latte, che la ristorasse. E la cura pietosa ebbe buon ef- fetto che la lionessa, ricondotta al forie, ricu- però grado a grado, ma pur prestissimo la sua sanità. } tanto rimase grata al suo benefattore, che da nessun altra mano fuorchè dalla sua volle accettare il nutrimento, sinchè appieno

IL LEONE: 29 fu ristabilita; dopo di che più volte le avvenne di seguirlo per l'isola, non da altro condotta che da un guinzaglio, come il cane più familiare.

Il sig. Brown ci narra, come, durante il suo soggiorno a Darfur in Africa, avea comperati. due lioncelli di quattro mesi, cui addomesticò tanto bene, che presero la più parte delle abi- tudini di quell’animale così amico dell’uomo. Andavano essi due volte ogni settimana a man- giarsi le frattaglie nelle macellerie; e dormivano quindi per più ore. E certo, quando loro: si dava carne, manifestavano una voracità, che li faceva crucciosi l uno verso Y altro, non meno che coniro chi ad' essi avvicinavasi. Ma fuori di questi casi mai il sig. Brown non li vide litigare insieme, 0 minacciare la specie umana. Erano anzi di tal piacevolezza, che un agnello avrebbe potuto passar loro a fianco impune- mente. Anche il sultano di Darfur avea un leone domestico, il quale andava col suo cu- siode in mercato per trovarvi il cibo.

Fa veramente stupore la pazienza, con cui nobile animale lascia a chi. ne: ha la guardia scherzare con esso, trargli di gola la lingua, e infliggergli anche punizioni molto ingiuste. Vi hanno però alcuni esempii di leoni, che ne hanno fatto vendetta, sebben siano. rarissimi. Labat parla di uno, che certo kionore si te- neva. ta sua camera. Come il demestico desti-

30 IL LEONE. nato ad averne cura facca spesso succedere le percosse alle carezze, il leone sopportò per qualche mese tal condotta capricciosa; ma un il padrone svegliato da strepito siraordinario che udì presso di sè, alzando le cortine, vide con ispavento il fiero animale agitar fra le zampe e rotolare quasi a sollazzo una testa d'uomo dispiccata dal busto: era quella del misero, che pagò assai cara la sua indiscretezza. D' indi in poi non fu più lasciata al leone una libertà che potea qualche volta divenire altrui fatale.

Riferisconsi però aneddoti d'altri leoni, i quali si limitarono a castigar quelli ch’ erano loro molesii, senza che gli cubeidelesi Così un Ottentotto del Capo di Buona Speranza rice- vette in volto un'ammaccatura da uno di siffatti animali, che poi prese la fuga; e un piantatore, che da vn altro pareva dovesse esser fatto a brani, n'ebbe appena qualche sgrugnata senza pericolo della vita. E assai dubbio se questa disposizione apparente alia pietà sia nel Îione i d'un qualche sentimento di commise-

‘azione, 0 proceda soltanto da puro capriccio e da mancanza d' appetito,

Sappiamo dal viaggiatore Tavernier, che gli abitanti d' alcune contrade del levante harino una maniera d'addomesticare i leoni, la quale non è usaia in verun altra parte del globo. Perocchè ne uniscono essi tre o quattro, le-

IL LEONE. 31 gandoli per.ie zampe di dietro ad altrettanti pali, separati gli uni dagli altri di ben dodici piedi. Una corda a ricorsojo è posta al loro collo e tenuta da uomini, che rimargono da tergo a que pali che dicemmo; ed una è pur tesa di faccia agli animai!, ma abbastanza ion- tana da essi, a cui si appoggiano varj spetta- tori, che gli irritano, geitando loro pietre e bastoni. Questi si slanciano innanzi con furore; ma appena banno fatto un tal movimento che il canape deli collo potentemenite ritirato li co- strimge a tornare indietro. Per mezzo di questa pratica, di cui Tavernier medesimo fu testi- monio, in poco di tiempo si giunge a renderh più mansueti.

Negli stati del gran Mogol era altra volta prerogativa reale l’andar a caccia del leone; e non vera chi osasse farlo, senza espressa per- - missione del sovrano.

Un lione ed una lionessa condotti d'Africa in Inghilterra, sarà una ventina d'anni, furono posti in una medesima stia a Exeter- -Change. Aveano essi presso a poco diciotto mesi, e il loro custode, il qual gli allevò picciolissimi,

ed indi accompagnolli a Londra, tanto se gli accostumò famigliari, che spesso ei sedeva o mando nella loro stanzuccia, con tavolino e bot- tiglia dinanzi a sè; mentre i due animali tre- scavano e giocavano per ogni verso. Che se il

PA

32 IL. LEONE. loro strepito diveniva soverchio, egli imponeva loro silenzio battendo col piede, e mostrando il suo malcontento. Sceglieva però i suoi mo- menti per trattenersi con tali ospiti; e bene si guardava di farlo, quando fossero stati irri- tati dagli spettatori, ovvero quando prendevano il loro nutrimento. Non sarà vano d’aggiun- gere, che quando il custode lasciò il parco, la lionessa così se ne afflisse che perì di tri- stezza poco tempo appresso.

I leoni, come già abbiam detto, permettono qualche volta ai cani di aver parte al lor do- micilio nello siato di cattività. Io stesso ho ve- duto nella torre di Londra un cane ed una lionessa molto ad esso affezionata, la quale ogni volta che il picciolo animale cercava passare attraverso l'inferriata del suo stanzino; posava- gli pianamente una zampa sul dorso, quasi pre- gandolo a non volerla abbandonare. Era quella belva, sio ben mi ricordo, stata condotta in Inghilterra assai tenera, e parve fin dal tempo del viaggio così bene addomesticata, che i ma- rinai aveano costume di riposarsi sovra il suo corpo, come sopra un capezzale. Giunta a Lon- dra fu condotta alla torre da persona che la tenea al guinzaglio, e senza di cui pareva non poter stare. Infatti allor che questa lasciolla, tanta malinconia ne patì la povera bestia, che ricusò ogni cibo sino al momento che il custode

IL LEONE. 33 entrò col picciolo cane che idicemmo, e con cui essa visse tosto in tanta amicizia.

Il cane sembra l'unico animale, con cui i leoni abbiano voluto famigliarizzarsi. Uno di questi chiamato Ettore, anch'esso rinchiuso alla torre, era giaciuto infermo per più d'una set- timana; e già fatto convalescente si pensò di- vertirlo con un coniglio messogli nella stia. Passò un'intera notte, e passò il giorno ap- presso; il timido animaletto fu appena toc- cato: onde il custode cominciò a sperare che godrebbe piena sicurezza neil'alloggio perico- loso. Ma all'indomani maitina si irovò morto, e trattogli la pelle si conobbero i segni dell'ira dei leone, che esteriormente non apparivano. Altra volta avvenne che una gatta s'introdu- cesse, per caso, presso di lui, nascondendosi per tema nella paglia, che gli serviva di cc- vaccio. Ma appena se ne fu esso accorto la rese vitiima de! suo risentimento, senza cer- care, per altro, di divorarne il corpo nulla più che quello del conigiio.

Cominciava questo leone a ruggire poco in- nanzi il far della notie. Così una bellissima lionessa, chiamata Miss F anny Howe, e raca chiusa nel luogo medesimo, ove il primo giu- gno del 1794 si sgravò, ruggiva anch'essa regolarmente ogni giorno in su le sei della sera , d'estate, come d'inverno. La quale

Gabinetto Tom. I 3

34 “TIGRE. ‘abitudine sembra che dovesse l'origin sua allo strepito de tamburi, che nella stagione inver- nale battono la .ritivata verso quell’ ora: ma pareva cosa alquanto singolare che si mante- nesse per tuito il resto dell’anno, anche quando la ritirata è alcune ore più tardo.

Sogliono 4 leoni mandare particolarmente i lor ruggiti all'avvicinarsi de’ tempi piovosi: a

Londra poi le domeniche più che qualsiasi altro giorno, pvichè lasciai in maggiore abbandone,

sentono più dolorosamente la loro schiavitù. L AGTÀI GPREE

Può «essa, a buon diritto, annoverarsi fra 1 più belli de “quadrupedì. La sua pelle è in tutto il corpo d'un rossiccio vivissimo, salvo che sul petto e sul ventre, ov.è bianca, non Sui fianchi ov è per traverso graziosamente listata. Si alfa tigre il secondo posto fra gli animali carnivori; si osserva, che mentre non bha alcuna delie generose qualità del leone, le più nocive però ie ha tutte. « Aila fierezza, al coraggio, alla forza, per usar delle frasi del sig. di Bufien, aggiugne il lione la nobikà, la clemenza, la magnanimità; menire la tigre è bassamente feroce, crudele senza giustizia, cioè a dire senza necessità. Non teme essa l'aspetto, l'armi dell'uomo; desola il paese

Sw TIGRE. DI

ove abita; scanna gli animali domestici; fa strage de greggi; mette a morie le istesse belve iau s'avventa ai piccioli elefanti, ai giovani rinoceronti; ed osa talvolta assalire il ieone. »

Strazia il corpo della sua vittima, per im- mergervi il grifo, e succhiarne .a lunghi tratti il sangue, di cui s'è aperta una fonte, che sempre si esaurisce, prima che la sua sete si estingua.

Per assicurarsi della sua preda si nasconde essa allo sguardo di tutti; e dal suo nascon- diglio le si slancia sopra con saito improvviso, mandando spavenievoli ruggiti. Preierdesi, che a guisa del ieone, quando fallisce il suo colpo se ne vada senza tentare di rinnovario. Sembra preferire la carne dell'uomo a quella d'ogni altro animale; se non che di rado si espone ad assalire di viva forza un'essere qualunque, ove non sia sicura di irionfarne.

Non sono moltissimi anni che una com- pagnia di persone seduta al rezzo in riva ad un fiume dei Bengala fu spaventata dalla su- biia apparizione di una tigre, che stava per iscagliarsi sovr’ essa. Una signora; però, avendo avuto il coraggio (non ben presaga di ciò che otterrebbe ) di. spiegare il suo parasole i il muso alla belva crudele, quesia iniimorita per la stra» nezza deli’ oggetto, prese la fuga, e lasciò tempo,

iia brigata di mettersi in salvo.

SC TIGRE:

Un trombetta, il qual dormiva la notte presso la tenda del suo generale in una guerra della Russia contro la Persia, essendo stato sorpreso da una tigre, non doverte la. sua salvezza, che al suono dello strumento, onde riceveva il suo appellativo. Questo suono inudito dis- parire immantinenti la perfida assalitrice.

Non sempre però gli aggrediti da essa fu- rono così avventuraii. Ed ancor dura memoria, fra gli altri casi deplorabili, d*uno compassio- nevolissimo avvenuto in Persia, la cui.relazione fu. distesa. da testimonio oculare.

Alcuni. marina} discesero un giorno. suila costa dell'isola. di Sangar, onde cacciarvi dai, di cui aveano vedute numerose peste, egual mente che di tigri.. Avendo continuato fin quasi a tre ore di sera, alfin seduti in fianco ad una giuncaja, onde prendervi qualche ris- stero, intesero de ruggiti. simili allo. strepito del fulmine; e quasi nel tempo istesso un tigre. di enorme. grossezza si precipitò sul giovane. sig. Monro e il rapì, strascinandolo atiraverso . folti rova). Tutio cedeva alla forza del mosiruoso animale, di cui una femina della sua. specie. accompagnava i passi,

Garinei dolore, spavento :s' impadronì degli amici di quella vittima sventurata. Uno di essi scaricò il suo archibugio contro il tigre, che.

Ss ad alcuri segni fidi agitazione parve- colpite

LA MIGRE. ty] ‘Intanto un altro anch egli fece fuoco sopra di ‘esso; e alcuni momenti dopo il giovane infe- lice venne a raggiungere la compagnia, tutto intriso del suo sangue. Quanti soccorsi poteva apprestare l’arte gli furono prodigati ‘invano; egli spivò in ventiquattro ore ; tanto ‘profonde e. "inveparabili ad ogni cura furono le ferite che ei ricevette dai denti ‘e dall''ugne del ‘ferocis- ‘simo animale: ed è a notarsi che un grande fuoco formato dall’ arsione di dieci o dodici ‘interi alberi, era acceso presso il luogo ove se- gui l’orribil caso; e che i cacciatori eonduceane seco ben dodici nativi del paese. Ciò non fu ad cessi di veruna difesa; e appena aveano sciolto dalla viva il lor picciolo legno, che vi sovraggiunse la tigre spumanie di rabbia e vi rimase quanto tempo potè coll’occhio seguirli

Eccessiva è la forza musculare «di questo quadrupede, di che «il seguente aneddoto può darci prove.

Un paesano dell’Indie Orientali avea nn bu- falo, che strada facendo gli cadde in una lama. E mentre correva con alcuni de suoi, che ron erano bastanti per cavarnelo, a cercare soc- corso nel villaggio; un tigre sopravvenuto , fece solo ciò che da parecchi non si potè. E già si portava il bufalo -in groppa verso della sua tana, quando una maggior compagnia di com tadini, .che s'inoltrarono, l’obblisò a deporle.

38 TIGRE: fuggendo al basso. Ma prima lo aveva ucciso; e iizion tutto il sangue. el

AI qual proposito faremo riflettere che alcuni bufali dell'Indie sono di grossezza due volte : i nostri; onde si vegga qual forza necessiti per. caricarsi e andare spedita o con peso enorme. |

Ostinata battaglia sostiene talvolta la tigre coll’ elefante; e il sig. d’ Obsonville ebbe a esserne testimonio nel campo d'Hyder Ai. Un ùgre, non per anco d’ intero vigore, poiché neppur giunto ai quaitro piedi d’ aliezza, fu condotto nell'arena, e attaccato ad un piuolo intorno a cui la sua catena potea girarsi age- volmente. Indi venne un grossissimo e bene addestrato elefante introdottovi anch'esso dal suo cornak, ossia custode, Triplice ordine di lancieri cigneva l'anfiteatro. La pugna a prin- cipio fu acutissima; ma l'elefante, dopo aver ricevute assai gravi ferite ; alfin riportò la. vilioria.

È facile argomentare la forza della tigre nello stato di libertà, quando impedita da i e non per anco giunta all’ intero sviluppo, che è proprio della sua specie, la Veggiamo tener fronte a gran colosso, qual è l' elefanie.

Il sig. d'Obsonville osserva che quand’ anche quattro o cinque di questi nulla abbiano a temere d un pari numero di tigri; un solo

TA' TIGRE. dg però potrebbe soccombere a quella, che fosse nel possesso di. sua libertà e nel vigore di sua gagliardia.

Dicesi che alcuna volta entri la tigre in san- guinosa guerra anche col cocodrillo, terminando col peri» insieme. Allorquando- l'una scende nel- luliime rive di un fiume o di un lago, per dissetarsi, l’altro alza la testa a fior d'acqua, onde prenderla, come fa altri animali. Ma la tigre pianta i suoi artigli negl'occhi del coc- codrillo, sola parte vulnerabile di quest'animale; ed esso iuffandosi nell’acque, suo naturale cle- mento ve la strascina seco, ed. ivi agitandosi e scendendo al fondo ambidue vi affogano.

Presa assai giovane la tigre diviene sino a certo segno mansueta e obbediente a chi l'ha in custodia.

Un tigre Dellissimo vedeasi non. molti anni fa nella onu di Londra, il quale era stato condotto dal Bengala nel 1793 sopra un va- scello della compagnia dell Indie; perchè se ne facesse presente alla maestà del re Britanno. In tutto il tempo del tragitto per | Inghilterra l animale si mostrò dell’ indole più dolce, e parve così innocuo, e così scherzevole come un picciolo gatto. Sofferiva talvolta che due o tre marina} riposassero il loro capo sopra il suo corpo, come sopra un origliere. aggrappava spessissimo agli alberi del vascello in modo che

-40 LA TIGRE. sommamente «divertiva; e un giorno che fu percosso dal carpentiere, perchè rapì un brano ili bue, sopportò questo castigo colla pazienza di un vecchio cane da caccia. Ed è osservabile come quesi’ animale in quindici e più anni di caitività, mai non cangiò di umore, mai non cessò di dar prova di domestichezza, mai non fece male ad alcuno, e sempre si mostrò affe- zionatissimo al suo custode, a cui visse piena» mente soggetto. Esso potea dirsi un eccezione evidenie a quella sentenza del sig. di Buffon che: « la tigre è forse l’unico animale , di cui sia impossibile piegar la natura; egualmente indomabile. alla forza, al timore, alla violenza; irritato così dai buoni che dai cattivi tratta- menti; insensitivo nella ferrea sua indole alla dolce abitudine, che tutto può nei viventi; feroce a segno nei suoi costumi, che il tempo lingi dail’ammollirli o temperarli, non fa che iuacerbirli, e accrescerne la rabbia; tanto furi- bondo insomma, che sirazia egualmente la mano che lo nutre, e quella che lo percuote. »

Nell'anno 1801 il custode del tigre, di cui dicevamo, pose un giorno nelia sua stia, dopo avergli dato il solito nutrimento, un bassotto nero e assai brutto. E il fiero animale non soio non gli fece male veruno; ma tanto af- fetto gli pose in seguito, che mostrava gran rincrescimento, ogni volia che gli si togiieva

TIGRE. ki per dargli a mangiare, e gran gioja quande gli si rendeva: allora esso il leccava in tuite le. parti del corpo con molta soavità. Due :0 tre volte fu lasciato al tigre questo compagne neltempo del suo pasto; il tigre punto si offese di vederlo arditamenie mangiare in sua compagnia. Dopo alcuni mesi alfin gli fu tolto, per sostituirvi una cagnuccia; la quale prima si tenne chiusa due o tre giorni ne°fastelli di paglia, destinati al letto del tigre medesimo, onde farle perdere Podore, che potesse offen- derlo. Il cangiamento fu fatto, poiche il feroce animale ebbe preso il solito cibo; e questo ne parve,sì contento, che si pose a leccar la nuova ospite ben altrimenti che soleva il picciolo cane. Essa dapprima parve costernaia non che spa- ‘ventata di formidabile accarezzatore; ma non prima venne sera che ottimamente vi si avvezzò.

E fu veduta spesso giuocare con.esso, abba- jargli dietro, e fin anche morderlo nelle zampe e nel muso; senza che quelio menomamente se ne risentisse. Nel qual tempo delle sue vi- site .e «dimore giornaliere col tigre, avvenne che la cagnuola partorì, onde fu astretta a sos- penderle. Questa assenza fu ad esso di gran- dissima .noja; e mal volentieri comportava poi dopo ogui ritardo, a cui l'allattamento de' ca- gnuolini cosiringesse la madre. Assicurava il custode di quel tigre, nomato Greenfield, che

#2 ‘PIGRES qualunque spezie di. cane potea. mettersi nella sua gabbia, poi che. aveva mangiato.

Il carpentiere del vascello, che lo portò in Inghilterra, venne un giorno a vederlo .alla torre dopo una lontananza di più di due anni, e fu assai ben riconosciuto. Andava il tigre e ior- nava, fregaadosi all’inferriata. del suo carcere

e parea soddisfittissimo. Sicchè quegli, mal: grado le dissuasioni anzi le preghiere del cla perchè non si esponesse a. qualche pericolo, volie entrare presso il rinchiuso animale, e alfine dopo molto contrasto, gii fu conceduto. Quanto ii tigre aggradisse la. visita non è a dirsi, poichè si fece a leccar le mani del car- pentiere, e a carezzario alla maniera. propria dei gatti, senza dargli alcuna ragione di temere. Questo. poi. che fu rimasto seco per due o tre ore; alfin s'avvide che non senza difficoltà u- scirebbe solo» dalla stanzuccia; standogli il tigre per antico afletio,. sempre. vicino. Se non che giunto a farlo entrare nei passaggio,.che serve di comunicazione a due. stie, e colto destra- mente dal custodc il momento di alzar la sa- racinesca, potè separarsene. Hi

Si fece ultimamente ad Edimburgo l'espe-. rienza, di collocare nella gabbia di una tigre una cagna. Vicina a sgravarsi. Era troppo na- turale il credere che questa debole bestia sa- rebbe all'istante divorata da quella tanto feroce.

. TIGRE 43

Purla cosa andò altrimenti di quanto si divisava. Perocchè la tigre dapprima niun caso mostrò fave della nuova compagna; indi le permise di mangiar seco e: posar sul suo dorso; alcun male cagionò ai partoriti cagnuoletti, i quali rimasero in un degli angoli della stanzuccia. Auzi posando qualche volta. il piede sopra di loro. il faceva con tal leggerezza, da mostrare chiaramente il suo timore di offenderli. Circo-, stanza ben: singolare, la quale ebbe gran nu- mero. di spettatori, e mi venne altestata da chi più particolarmente volle accostarsene.

Alcun tempo appresso tre di que’ piecioli animali essendosi, per loro sventura, allonta- nati dal primo albergo, furono preda. di. altra tigre; e 1 due, che rimanevano, passarono pro- babiilmente in mano di curiosi, che molto li bramarono. Quanto alia madre loro. assicurasi che ancor viva, e sempre nell'antica intrinsi- chezza. colla sua terribile compagna.

La torre di Londra chiude ora un bellissimo animale assai giovane, appellato il tigre a coda ricciuta, che tanto vale il nome di Tipoo. Nel suo tragitto. per I Inghilterra fu esso veduto a correre sulla tolda del vascello, e dar prova di piena domestichezza. Quando l'ammiraglio Reunier ne fece presente al monarca, il do- mestico del lord, che lo condusse alla torre; non chbe ribrezzo a pigliarlo fra le sue brac-

44 TIGRE. | eia onde porlo nella stanzuccia destinatagli, e non potè ‘risolversi a lasciarlo senza i più vivi segni di ‘affetto e di rincrescimento.

Quel tigre, ad istanza dell'ammiraglio, è pa- sciuto di carne bollita; ma d’'ordinario i qua- drupedi della sua specie si mutrono di cruda consumandone almeno sei libbre per giorno, © la loro bevanda è di tre pinte d'acqua.

Niun più dilettevole passatempo conoscono ‘i piancipi orientali, che l’andarne ‘a caccia, seguiti da gran numero d' uomini ben ag- guerriti e armati di lancie. Tosto che hanno fatto avere un tigre l'assalgono d'ogni parte con aste, con giavellotti, con freccie, con sciabole, onde gli portano in un istante il colpo mortale. Sempre, però, corrono qualche periglio, poichè l'animale, che sentesi ferito, di rado ‘ritira senza sacrificare alla sua vendetta al «cuno degli aggressori. Avvi .chi ricoperto di una colta d'armi, o soltanto munito di «uno scudo, di: due pugnali e d'una corta scimi- tarra si arrischia a combattere corpo a corpo animal sanguinoso. T'emerità, di cui non può darsi la più eccessiva, poichè trattasi assolu- tamente o di vincere o di perire.

La tigre depone, ad ogni parto, quattro 0 cinque piccioletti. Essa è furiosa in ogni tempo, ma se questi gli vengon rapiti, la sua rabbia non ha più limiti; ogni periglio è nulla per

, IL TIGRE. 45 essa; 1 rapitori si veggono senza posa inseguiti. Se eglino talvolta. ne depongono alcuno: per tema, onde allentare il suo corso; la madre il raccoglie colla sua bocca, e. il. porta. nel luogo sicuro il più vicino; indi torna su’ passi suoi; rinnova le sue ricerche fino alle- porte. della città e de’ villaggi o sulle coste del mare; e quando ha perduta. ogni speranza di ricu- perar la sua prole, esprime la sua costernazione. cogl urli più spaventosi. Questi urit cominciari dapprima lenti lenti, indi a. un iraiîto. diven- gono aculi; poi si cangiano in gridi pene- tranii, interrotti da ar che strazian l'anima. Non sono essi così propri della femina, che.. nol siano egualmente de’ maschii; e si fanno intendere principalmente nella notte, quando il silenzio. e l'oscurità ne accrescono Y orrore, eli ripetono gli echi delle rupi e delle montagne.

I medici indiani atiribuiscono viriùà sali fere a diverse. partt del corpo delle. tigri: e la loro pelle è assai pregiata ne’ paesi orientali. ove s'impiega spessissimo ad utilità, non .mceae che ad ornamento,

IL LEGPARDO.. - Ha quest'animale. una lunghezza, circa, di

pi» piedi, non contando la coda, che or- È imente. lo. è di due: e il. suo pelo è

en ut ic ta fo A Do

46 IL ‘LEOPARDO. bellissimo, fulvo, a macchie nere di forma anulare. Trovasi principalmente al Sénégal; resso la costa di Guinea, e nelle parti inte- riori dell Africa. .Si compiace nei boschi più densi, nelle foreste più impenetrabili, e fre- quenta le sive de fiumi, per sorprendervi gli animali che ivi si dissetano. Abita pure alcune contrade della Cina e le montagne del Cau- caso dalla Persia all Indo.

L’esterior suo annuncia una grande ferocia; i suoi occhi sono sempre inquieti, il suo guar- dar terribile, i suoi moti violenti. Assale indi- stintamenie tutti gli esseri che incontra, non avendo più rispetto all'uomo che agli animali. E quando non irova nelle selve di che sbra- mar la sua fame, esce in compagnia di molti della sua specie da’ suoi nascondigli, e porta la strage fra i numerosi armenti che pascoiano nella pianura. i

Kolbe ci narra come, nell’anno 1708, due leopardi maschio e femina con tre piccioletti enirarono un giorno in un pecorile al Capo di Buona Speranza, e fatia strage di ben cento montoni s inebbriarono del loro sangue. Indi, spaccato il cadavere di uno in tre parti, le di- visero alla lor prole, e poscia caricatosi cia- scuno di una pecora se ne partirono. La gente del paese avendeli osservati, loro tesero insidie al ritorno, e uccisero la madre co piccioli ;

AL LEOPARDO. Vici mentre il maschio riuscì a fuggirsi. Giusta il ‘medesimo ‘scrittore la loro carne è bianca e succulenta, ed ha più sapore che il miglior de vitelli.

I Negri pigliano sovente siffatti ‘animali in fosse lievemente coperie di cannicci e di fo- gliame, e fan pasto della lor carne. Le donve poi forman collane de'Ioro denti, a cui attri- buiscoro viriù particolari. ‘Delle loro pel ili è fatta in Europa, dove sono inviate, così gran stima, che le più belle si vendono fino a dieci sterlini ciascuna.

Sir Ashton ‘Lever guardò a. 'Leicester<House un leopardo in una gabbia, ove divenne fa- miliarissimo, e sommamente sensitivo alle ca- rezze e a buoni trattamenti. Mussitava ‘come un gatto, e fregavasi contro i ferri che lo chiudevano. Fu in seguito donato al parco reale di Londra; e una persona, che molta domestichezza ebbe seco, esserido ‘andata dopo un anno a visitarlo, fu da esso, malgrado quest intervallo di tempo ‘assai ben riconosciuta e festeggiata.

Trovansi ora (1806) alla torre di Londra due bellissimi leopar di maschio e femina, l'uno dorato alla maestà del re dal 819. Devaynes e Taliro da sir Carlo Mallet. Ma di più singolare è ua Cona nera, che il parco ebbe in re- galo dal sig. Hutelinson, scudiere. Il mirabile

48 IL LEOPARDO.

di quest animale si è, che malgrado la. nerezza’ del pelo, le sue macchie sono di tinta carica, che riescono -visibilissime.

Avvi in questa specie di belve una varietà, cui si il nome di leopardo cacciatore, e la sua grossezza è quella, presso a poco, di un levriero, La pelle sua di color bruno o lieve- mente seuro, è segnata come quella degli al- tri, di macchie nere e rotonde.

Questo animale, che principalmente abita l Indo, s' addomestica. facilmente e s' impiega allora alla caccia deile gazzelle o antilope. Al qual wopo si trasporta in una specie di pic- ciola carriuola incatenato e incapperrucciato , per tema che vedendone il branco non si mo- siri di troppo sollecito, e non faccia cattiva scelta. Quando alfine è lasciato libero, non salta già immediatamente sulla sua preda, ma prende la cosa alla lunga, fa de giri, si ar- vesta ad ‘intervalli, e tiensi avvedutamente in agguato, fino a che si presenti sicura occasione. Lic allg@ra sul gregge con meravigliosa ce- lerità, e in cinque o sei balzi vi è sopra. Che. se nel primo assalto non riesce, fermasi ane- lando, per riprender fiato, e per allora, desi- stendo da nuovo tentativo, ritorna presso il padrone.

49° LA:PBANTPE RA.

La paniera è più forte del lIeopardo,. come quella che ha comunemente cinque o sei più di lunghezza; mentre, siccome già si. OSServÒ, di rado il leopardo ne ha più di quattro. Il color: generale della fiera, che descriviamo, è rossiccio, alquanto più carico sul dorso, e pal lido anzi vicino al bianco sul petto e sul ventre: Dorso e fianchi poi sono generalmente segnati di macchie nere in forma d'anelli e sparse a. gruppi, i in mezzo alle quali è una-nera. pun- teggiatura. Le orecchie dell’animale son. corte e acute; gli occhi arditi e inquieti; tutto l'e- steriore sincolarmente feroce. Credesi il domarlo affatto impossibile; ed è della cattività così in= soflerente,. ehe. manda ruggiti quasi continui. Trovasi principalmente nell’ Africa, dalla Bar-- beria insino alla parte più rimota della Guinea.

Una pantera, che oggi vive alla torre ci: Londra, fu. dono del dey d’Algeri al re della Gran Brettagna..

Fortunatamente per l'umanità, la fiera, di cui si parla, preferisce la carne. de bruti a quella dell'uomo. Ma quando. è stimolata dalla fame assale senza distinzione ogni creatura vi» vente. Assicurasi della sua preda, o strisciando sul proprio. ventre, fin che si trovi a quel punto, onde le giovi slanciarsi sovra di essa;

Gabinetto Tom. L 4

5o LA PANTERA.

o. aggrappandosi agli alberi per sorprendervi le scimmie ed altri animali; di modo che nes- sano è al coperto dalle sue insidie e da’ suoi assalti.

Gli antichi mostrano averne avuta intera conoscenza; e gran numero di pantere sempre compare negli spettacoli pubblici de’ romani. Esse abbondavano allora nelle parti settentrio- nali dell'Africa, come oggi pure abbondano in quelle che più si avvicinano al tropico.

IL LINCE.

. Le strette e lunghe orecchie del lince, 6 lupo cerviere, adorne all’ estremità d’ un fiocco nero e prolisso, lo distinguono da tutti gli animali della specie felina. Estendesi il di lui corpo oltre i quattro piedi, e la sua coda. circa sei pollici. Il suo pelo è lungo e. setoloso, di color vario secondo l'età, e sparso di.macchie che tendono al bruno. Ha basse le gambe, e gli occhi di un giallo pallido. La pelle sua è tanto più pregiata, che nessuna è più ticpida e di maggiore morbidezza. Essa ci viene in gran copia dalle parti settentrionali così del- l'Europa che dell'America. Ma quanto più è settentrionale tanto è più Della: é giova qui il notare che quella del lince preso in inverno

TI LINCE, 5% suol essere più ricca, più lucida, più morbida, che non del lince spogliatone in estate.

Quest animale, allorchè insegue la sua preda, s arrampica sugli alberi i più elevati; le

donnole, gli ermellini, gli scojattoli

possono sfuggirgli.

Ponsi in agguato, onde sorprendere il daino, il lepre ed altre bestie; e quando il momento è opportuno slanciasi dal ramo d'albero o dal macchione ove teneasi ascoso e le preude alla gola. Ma dopo averne succhiato il sangue, e mangiate le cervella, spaccandone la testa, le abbandona per andare in traccia di vittime novelle. Quindi può esso ben dirsi uno de’ più distruttori, sempre anelante la strage, e agli armenti, in ispecie, sommamente fatale. .

Quando il lince è assalito da forte cane, si distende supino, e difendesi colle grife dispe- ralamente; sempre indarno : poichè gli av= viene di nuocer tanto al suo avversario, che alfin lo respinge.

Abita esso le parti più boreali dell’antico e del nuovo mondo. Di rado, almeno, s incontra ne climi caldi o temperaii. I linci “più belli e più robusti par che si aggirino intorno al lago di Balkash in Tartaria; ove la più picciola delle lor pelli si vende ordinariamente una ghinca.

Favole d'ogni specie furono spacciate' dagli entichi intorno al quadrupede di cui si favella

arie eo

59 IL LINCE La sua vista, per esempio, penetrava, secondo essi, attraverso il muro, onde venne l anto nomasia. di occhio linceo; la sua urina diveniva solida, e si cangiava. in una pietra deita lin- cuaria. Oggi fortunatamente basta citare simili assurdità, perchè il riso, che destano, dispensi da una seria confutazione.

L OCELOTO:

Rassomiglia al gatto per la figura, ma gli. prevale. per la forza. Alto. qualche volta due iedi e mezzo, oltrepassa. anche 1 quattro in lunghezza. Bellissima è la sua pelle, nel maschio in ispecie, che Y ha: elegantemente variata. IL suo colore è tutto fulvo, eccetto che la fronte, le gambe, la coda son maculate di nero; e di nero, parimenti, son marmorizzali 1 fianchi, e gli omeri a figure ovali, il cui centro è come amo spruzzo di nere gocciole. Questo s' intenda del maschio; perocchè ia fentina ha colori non vivi, ed è variata di figure meno simmetriche. e men vagamente disposte.

L'oceloto. vive particolarmente. sulle monta- gue; casal naseende tra il fogliame degli alberi, onde si slancia sugli animali che se gli avvi- cinano. Talvolia rimane disteso. attraverso. ai. rami, facendo il morto, fino a. che qualche. scimmia, spiuta da naturale curiosità, gli venga.

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6cELOTO. 53 vicina, e provi i funesti effetti di tale im- prudenza.

Assicurasi che l’astuto animale preferisce il sangue alla carne della sua vittima. Esso è in= digeno deli’ America meridionale.

«Due oceloti un maschio ed una femina,dice- il sig. di Buffon, furono portati vivi a Parigi dal sig. Lescot, ‘e venivano dalle terre vicine a Cartagena, essendo stati ancor teneri tolti alla madre loro nell'ottobre del 1763. Di tre mesi appena, già si mostrarono abbastanza fori e crudeli per divorare una cagna che loro fu data per ‘nutrice. Compiuto un annò, quando ‘videro, fra noi, aveano due piedi, circa, di lunghezza; e certo rimaneva a far loro non picciola cresciuta, poichè non erano forse giunti che a due terzi di essa. »

Uno di tali ‘quadrupedi, «che mostravasi ® Newcastle, dava, sebben vecchissimo, segni ma- nifesti d'indomabile ferocia. Lungi dal soflerire alcuna famigliarità del suo custode, brontolava Ai continuo, e sempre parca oltremodo agitato.

L'LEN Asd

L'iena è presso a poco della grossezza di un cane di bella statura, ha il pelo brumo- grigio, segnato a differenti liste, che incli- nano al nero; la testa larga e schiacciata, e

D4 L'IENA. l espression degli occhi sommamente feroce. E non lo sguardo solo, ma tutto l'aspetto suo è di non so qual sinistro presagio; e i co- stumi troppo si accordano con tale apparenza.

I

HI suo collo è teso, ch'essa, per guardare all'indietro, è costretia volgersi con tutto il corpo, alla guisa de’ porci Intorno al collo, poi, stanno ispidi peli, che rabbuffandosi for- mano un oblunga criniera, la qual le scende in sul dorso.

Abitano le iene, generalmente, nelle caverne e in luoghi dirupati, ond escono a branchi nel cuor della notte, per pascersi di carogne, 0 di animali, come lor si presentano. Chi può dire le stragi che commettono fra gli armenti, di cui giungono talvolta a forzare le stalle ? Violan persino l'asilo de morti, per. divorare i putrefatti cadaveri; ed è per esse delizia quell'indicibile orrore. Ma quando, scrive Poi- ret, non è lor dato di soddisfare il loro ap- petito carnivoro, per necessità diventan fru- givore, nutrendosi principalmente delle radici de rampolli quelle picciole palme, che chia- mansi a ventaglio.

Vuolsi che il lor coraggio ne agguagli la ferocia; difendendosi esse talvolta ostinatamente contro animali assai più forti; e Kempfer at- testa di averne veduto a battaglia coll’oncia e colla pantera. -

L'IENA. 5

Questi quadrupedi, dice il sig. Bruce, sono un vero flagello per Î Abissinia Se ne veggono ovunque, così nelle città come nella campagna; e sono sicuro, che avanzan di nu- mero i monioni. Da mane a sera Gondar è pieno d'iene, che vengono a divorare i cada- veri, cui gli abitanti di quella città, egualzicnte erudeli che sozzi, lasciano senza sepoltura. Sera bran eglino persuasi che questi animali sieno 1 falasha o cattivi genii trasformati per un ma- gico potere, i quali discendano dalie montagne vicine, onde nutrirsi. Spesso la notte, quisido il re mavea ritenuto assai tardo nel suo pa- lagio, io per officio dovea dormirvi; tra- versando , al ritorno, una piazza, la qual non era lontana che di tre in quattrocento verghe. temea di provare alle gambe i morsi di quelle belve feroci. Esse infatti accorrevano in gran numero, e mandavano voci di rabbia intorno a me, sebben fossi accompagnato da uomini agguerriti, che sempre alcuna ne ferivano o ne uccidevano.

Una notte, essendo io nella provincia di Maifsha tutt'inteso ad alcune osservazioni astro- nomiche, sentii a un tratto passar qualche cosa dietro di me, vicino al mio letto; onde mi volsi, ma nulla potei vedere. Terminato ciò ch io-stava facendo uscii dalla-1nia tenda, con intenzione per altro di rientrawi al più presto.

160 L' IENA. Di fatti non indugiai che qualche istatitez e al riporvi dentro il piede mi scontrai in due grossi occhi azzurri, che mi guardavano fiso. Gridai tosto al domestico, perché recasse lume, e come fu giunte scorgemmo al mio -capezzale un'iena, la «qual tenea nella sua bocca due o tre mazzi di candele. Il primo pensiero fu di far fuoco sopra di ‘essa; ma tosto riflettei al pericolo «li spezzar il mio quadrante, od alcun altro istromento. Come però la belva avea la bocca piena e le zampe impedite, non sentii di essa verun iimore, e «con una lanciata la ferit più presso al cuore ‘che mi fu possibile. Essa, che ancor non avea «dato segni di fu- rore, sentendosi ferita, lasciò .-cader le candele, e tentò salire per l'asia della lancia onde giu- gnere sino «a ‘me. Quindi mi vidi costretto di trarre una delle mie pistole dalla mia cintura e spararglicla in ‘muso; se non che nel tempo medesimo il mio servitore le spaccò la tésta con un colpo d’accetta. Le iene formavano il tormento della mia vita e di quella dei miei compagni di viaggio, sgomentandoci nelle no- stre passeggiate notturne, e divorando di con- tinuo aleuno de’ nostri muli, o de nostri asini, che pareano preferire ad ogni altro nudrimento. A Darfur, il qual regno è situato nell’ in- terno dell’Africa, vanno questi quadrupedi a torme di sei, «li cito, e qualche volta anche

L'IENA. bo maggior numero a rapir nella noite entro i vik laggi quanto può lor venire tra le grife. Uc- cidono i -cani ed anche i somari, penetrando le abitazioni; ed ove si getti al ‘mondezzajo qualche bestia morta, radunansi, e la strasci- nano insieme .a distanza considerabile. Non av- vicinarsi d uomini; non rumer d'armi da fuoco; non minaccia alcuna può intimorirle.

E facile oggi il veder iene, poichè ogni serraglio di fiere ne ha qualcuna. In Inghil- terra i loro custodi si accordano a dire, che fatte vecchie sono indocilissime e oltre modo maligne; ma che si ha qualche esempio che giovani furono addomesticate. Il sig. Pennaut dichiara di averne veduta una, che lo era al pari di un cane. H sig. di Buffon parla di un’altra, che mosiravasi a Parigi alla fiera di S. Germano, e a cui si era pervenuto a to- gliere affatto la sua naturale ferocità. E il cu- stode di Exeter-Change mi disse «di averne in sua guardia una siffatta, che di sei mesi mostrava tanta piacevolezza, che spesso lasciavasi correre nelle sale, ove con ‘altre ‘fiere siava esposta. Amava essa allora giuocare con tutti i cani, che v incontrava, e permetteva agli astanti I av- vicimarsele , e il percuoterla col palmo della mano sul dorso, senza manifestarne disdegno. Sin d'allora, però, aggiunse egli, mostrava «certa durezza feroce, che poi si accrebbe coll’ età,

58 L'IENÀ. ond'oggi è forza il tenerla rinchiusa. Questa belva era stata condotta a Londra, quasi sette anni innanzi, sopra un vascello della compa- gnia dell’ Indie.

Il sig. John Hunter avca ad Earle’s-Court un' iena di quasi diciotto mesi, tanto fami- gliare, che sofferiva esser tocca da chi veniva a vederia. Alla morte di Hunter fu essa ven- duta al padrone di un serraglio ambulante. Fin che rimase a Londra, ove fu alloggiata alla torre, continuò ad essere mediocremente trattabile. Ma quando fu messa in una gabbia per viaggiare, diè segni di ferocia simili quelli della più indomabile e selvaggia. Alfin venne uccisa da un tigre rinchiuso in una gabbia vicina, della quale avea rotto il tra- mezzo co denti, la cui forza è incredibile.

Nello stato di cattività l’iena consuma tre in quattro libbre di carne cruda ogni giorno, e beve, circa, tre pinte d'acqua.

Osservasi in essa una particolarità singolare; ed è questa: che all'istante che è forzata a mettersi in moto, essa, come scrive il sig. di Buffon, si trova an della gamba sinistra posteriore. È somigi ja un povero cane a-cul questa gamba fosse stata ferita, e fatto correre ad ogni po' si sentisse in pericolo di cadere. Ma questo barcollamento non dura che un cen- linajo di passi all'incirca; dopo de quali la fiera te » continua più che mai sicura e spedita.

5

5g L’IENA PICCHIETTATA.

Grandissima somiglianzà è tra questa e l'al tra antecedentemente descritta. Ma la sua gros- sezza è maggiore, e il numero delle nere sue macchie assal più copioso. De! resto il colore del suo pelo è un bruno-rossigno; mentre il muso e la parte superiore del capo sono di un bellissimo nero: e nera è pure la criniera che le si arruffa in sul collo. L’iena, di cui parliamo, ha pur ricevuto il cognome di ri- dente, a cagione di un suono somigliante ad uno scoppio di risa, ch essa trae dalla gar- sozza, quando le si porta a mangiare, o la si interrompe frammezzo al suo pasto. (Ro,

Le iene picchiettate ritrovansi in più con- trade dell'Africa; ma in più gran quantità al Capo di Buona Speranza, ove sono anche ol- tremodo crudeli, e formidabilissime. Entrano esse frequentemente nelle. capanne degli Ot- tentoti per ricercarvi la loro preda; e talvolta ne rapiscono i poveri fanciulli. Barbas racconta come una di tali belve penetrata nella casa di un negro sulla costa della Guinea s' impa- dronì d'una fanciulla; malgrado la sua resi- stenza, se la mise in groppa, tenendola per una gamba; e con tal peso era sul punto di aggirsi Se non che le strida della sventurata

tirarono fortunatamente alcuni uomini in sue

60 L'IENA PICCHIETTATA.

i “soccorso. La fiera allora fu costretta a lasciarla, per sottrarsi al proprio pericolo : ma già quella tenera creatura era stata da suoi denti crudeli in più parti del corpo pessimamente trattata.

Branchi :d’ iene aggirano quasi ogni notte ‘intorno alle macellerie ‘del Capo, Se pascersi ‘de’ frastagli degli animali, lasciati loro dagli abitanti, che ‘pur non pensano a discacciarle. I cani istessi, 1 quali in ogni altra occasione sono Toro mortali nemici, in questa si mostrano in- ‘differenti; il che forse proviene dal non ‘aver ‘mai in esse ricevuto dalle iene alcuna offesa.

Mandano queste fiere nelle loro escursioni notturne orribili urli, cercando la loro preda. E l'abitudine «di urlare è ad esse tanto - natu- rale, che anche prigioniere e provvedute di cibo non sanno astenersene. Così una giovine iena allevata al Capo, e assai bene addome- sticata, spesso eontristava il notturno silenzio in maniera spaventevole.

Alcuni abitanii del Capo ‘assicurano che le iene hanno la facoltà -d'imitare il grido degli altri animali; «con che riescono ad ‘attirare dalle loro stalle montoni, vitelli ‘ed ogni sorta di bestiame. Pretendono ancora che ‘panceniao di esse dividansi talvolta in due bande, e mentre Yuna si fa inseguire da cani lungi dal podere, Yaltra vi entri sicura, e rapisca la sua preda, prima che i custodi ritorpino.

L’IENA PICCHIETTATA. 60

Gli abitanti della Guinea uccidono queste belve feroci, piantando fuor de’ loro villaggi degli archibugi fra le carogne in modo, che all’accostarsi delle iene, sparino contro di loro.

La forza muscolare del collo e delle mascelle di tali fiere è grande, chc deve cagionare stupore. -. Il seguente aneddoto ce ne sia. di prova.

Avendo lo. stanzino di quell’ienaz. che. ora ritrovasi alla. torre di Londra, bisogno di qual che ristauro, il legnajuolo ve lo fece, piantanda sul pavimento un asse di quercia assai grosso, e lungo ben. sette o otto piedi, con una mezza dozzina, almeno, di chiodi, che passavano la misura di un dito. À capo dell'asse era un nodo, che il legava a non so che; e l'artiere non avendo stromento atto a tagliarlo, tornò alla sua. bottega onde procacciarselo. In. questo mezzo. vennero alcuni a veder la. belva; e il custode aprì il tramezzo, che la separava da quella parte della stia, ove si faccano i lavori per racconciarla. Appena fu essa entrata; ac- corgendosi del nodo, che sopravanzava al pa- vimento, lo prese co’ denti, e il in pezzi; iodi ad uno ad uno. schiantò i chiodi deil asse. con incredibile facilità.

E da. notarsi che mai TY iena. non (ioni i uomo n e di questa asserzione mi. è mali evadere: il. sig. Greenfield, il qual ne

Bo L' IENA PICCHIEPTATA. fece più volte esperienza nella corte del ‘ser- raglio affidato alla sua direzione.

L'iena picchiettata è più umana che la più parte di quelle dell'altra specie, e chi Yha in guardia può entrarle ad ogni momento nella stanzuccia, senza pericolo alcuno; eccetto quando e affamata, o intesa a trarsi la fame. Bisogna però confessare, che la sua non è altrimenti mansuetudine, ma effetto del terrore; e il cu- stode carezzandola non dimentica di tenersi armato di poderoso bastone.

Alquanto docile verso l’uomo, questa belva non è per nulla piacevole agli altri animali. Un soldato che andò a vedere, sono alcuni anni, l'iena rinchiusa nel parco reale, menò seco un bassotto novello e gliel presentò come per beffa. Lo sciocco incollerito passò la testa attraverso l’inferriata dello stanzino abbajando alla prigioniera; Ja quale avventatasegli con furore lo strappò di mano al padrone, e in am momento sel divorò.

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CAPITOLO I.

Dall’ Apennin, da’ Pirenei, dall’ Alpi Sospinto per digien discende il lupo. Scarno, fallace, al par di morte crudo,

E famelico ognor come le tombe, }

Ratto qual vento che la neve aggiri, E di sangue, di preda e di ruine Spronato dal desio sul pian si spande.

TrHomsom.

LL LUPO.

=

Sin quest animale superare in grossezza e in forza di muscoli il più grosso de cani. Il suo corpo ordinariamente è lungo tre piedi e mezzo, mentre quello del più forte cane eccede di raro i ire piedi. Il color del suo pelo, generalmente, è un misto di nero, di bruno e di grigio ferreo, quantunque nel Ca- nada sia affatto nero, quasi del tutto bianco in alcune altre contrade. Il lupo ha testa lun- ga, naso affilato, denti enormi, orecchie strette ed acute. I suoi occhi obliquamente rialzati sono di un color verde e scintillanti; l'aspetto suo annuncia estrema ferocia. Il melto pelo

64 IL LUPO: accresce l'apparente grossezza del suo corpo; a cui si proporziona la lunghezza di una coda assai folta.

« Il lupo, dice il signor di Buffon, è uno degli animali, la cui avidità di carne è più veseni.: e sebbene abbia ricevuti. dalla na- tura anche i mezzi di soddisfarla, armi, scal- trezza, forza, agilità, quanto in somma è ne-. cessario, per trovare, assaltare, vincere, divorar la sua preda, nondimeno muore spesso di fame. Perchè avendogli l'uomo dichiarata la guerra, avendolo anzi proscritto, e posto a prezzo il suo capo, lo cosiringe a fuggire e rimpiattarsi ne boschi, ove non trota che qualche animale selvaggio, il quale lo elude colla celerità del suo corso, e ch'esso non può sorprendere se on. per caso e con lunga. pazienza, aspettan- dolo. gran lempo e. spesso invano ne luoghi, per cui deve passare. Esso. è naturalmente sciocco e poltrone, ma diviene ingegnoso per bisogno ed ardito per necessità. Stimolato dalla fame affronta. il periglio, e viene ad assalir gli animali, che si trovano sotto la guardia dell’uomo, quelli, in ispecie, che può rapir facilmente, come gli agnelli, i. piccioli cani, i caprioli. »

Ne paesi, ove i lupi sono numerosi, discen- dono essi a branchi dalle montagne, o escon divisi in torme dai. boschi, per commettere.

IL LUPO: 65 orribili devasiazioni. Infestano tuiti i villaggi, prendono a viva forza, oltre gli agnelletti, i montoni, i porci, i vitelli, e que’ cani istessi che stanno a custodirli; chè ogni specie di animal nudrimento conviene del pari alla loro voracità. Il cavallo e il bue, soli quadsupedì domestici, che possono. opporre qualche resi- stenza a tali nemici, anch essi non di rado. soccombono al loro numero e a’ loro assalti ripetuti. L' uemo medesimo sovente cade lor Vittima, o non perviene a cacciarli che dopo averne uccisi parecchi; ancora può- tener- sene sicuro, poichè tornano più arditi e più furiosi che prima. Quelli che han gustato una volta della carne dell’uomo, più non: cessano dall’ assaltarlo., e mostrano chiaramente che più ad essi preme il pastore, che non la greggia.

Sebbene il lupo. sia così avido, ch empie talvolta il ventre di fango o di terra, ed ove cruda fame lo stimoli, divora la propria. spe-. eie; nondimeno ancor maggiore è la. sua ac- coriezza, che la sua ferocia e voracità, Sempre. sospettoso e. diffidente immagina che. quanto, vede sia un agguato onde prenderlo. Se trovai una capra legata a. un trave per trarne latte, non osa avvicinarsele.. temendola ivi posta con. insidioso disegno contro di lui; ma. appena è lasciata. libera, che la insegue, e la fa sua preda. |

(zabinetto Tom. I 5

66 LUPO.

Non sarà senza interesse pe nostri lettori ia singolare avventura occorsa nell America Set- tenirionale al general Putnam con un fiero animale di questa specie. Si era egli da poco tempo ritirato nel Connecticut, quando un giorno parecchi lupi, i quali correvano allora numerosissimi nella provincia, entrarono in un ovile, e uccisero settanta fra pecore e monioni, non contando agnellini e capretti, di cui fe- cero troppo gran strage. Que lupi erano tutti figli di una sola madre venuta da più anni ‘ad infestare il vicinato. Gran parte della sua prole era perita sotto i coipi de’ vigili caccia- lori; ma essa con mirabil sagacia sempre tenea lungi dal tiro degli archibugi, e quando le avveniva d'essere incalzata troppo da vicino solca fuggire nelle foreste cecidentali della con- irada, e ritornar poi alla stagion seguente con ‘un nuovo portato di lupicini.

Ma, alfine, cagionò essa tanti guasti ché il | signor Putnam e i suoi vicini convennero di darle alternativamente la caccia, finchè fosser giunti ad ammazzarla. Nessuno colà ignorava, «che la lupa essendosi azzoppata d'un piede in un trabocchello d'acciajo faceva un passo più corto che l'altro: quindi i cacciatori conosce- xano a tale indizio le sue traccie sulla neve. Dopo averia seguita fino alla riviera del Con- necticut, ed essersi assicurati ch’ era ‘tornata

ÎL LUPO. 6 eolà donde si partì, anch’ essi ritornarono, all'indomani mattina i cani la costrinsero a ri fugiarsi in una caverna, situata a tre miglia, circa, dalla casa del sig. Putnam. Tutti allora di que’ contorni si riunirono accompagnati dai loro cani, armati di fucili e muniti di paglia, di fuoco e di zolfo, per assediare la comune nemica. Diversi mezzi, primieramente, furon tentati, onde farla uscire da quell’antro sel vaggio; ma i cani, che ritornarono o feriti ‘o intimoriti, il fumo della paglia, a cui si era messo fuoco, i vapori del zolfo acceso a nulla valsero. Però, essendo ormai generale la stanchezza d'inutili fatiche, le quali dura- vano da dodici ore, il sig. Putnam propose al suo negro di scender egli nel sotierraneo, tirar contro la belva un colpo di archibugio. Ma ricusando questi di porsi a tanto perigliose cimento, il generale si risolvè d’incontrarlo medesimo, per tema che la fiera non giugnesse ‘a sottrarsi per qualche uscita o fenditura della rupe, che non fosse conosciuta.

Quindi provvedutosi di più striscie di scorza «li betulla, onde aver lume nelle tenebre, fra cui entrava, gettò gli abiti usati, e legatasi alle gambe una corda, per cui venir tratto indietro ad un segno convenuto, si pose colla testa innanzi nel iemuto cammino. La bocca della caverna, che +5 apre sul lato oriertale di

68 IL LUPO un alta catena di rapi, è di circa due piedi quadrati. Indi è una discesa obliqua di quin- dici piedi; poi uno spazio orizzontale, che oltrepassa i dieci; e alfine una gradata eleva- zione di sedici fino all'estremità. I lati di questa grotta consistono in due frammenti di roccia solidissimi, che sembrano esser stati. disgiunti l'uno dall'altro. per forza di tremuoto. Così la volta. e la base sono di pietra, di modo. che l'ingresso, che nell'inverno è coperto di ghiac- cio, riesce sdrucciolevolissimo. Non avvi parte del sotterraneo più larga di tre piedi, o così alta, che luomo star vi possa diritto sulla persona.

Poi che il sig. Putnam: si fu strascinato fino: alla. parte orizzontale, orrida cscurità e silenzio: di morte. soli regnavano interno a: lu. Egli frattanto inoltrandosi cauto pervenne alla parte più. elevata, di cui già si disse, finchè bran-. colando s'inceontrò cogli occhi della. lupa fe- roce, che si era nascosta nell’ uliima. estremità.. Or riscossa dalla face che si approssimava, di- grignò i denti, e mandò un ruggito terribile: per la qual cosa. il generale scosse la corda. come a dare avviso. di trarlo. di, là. Le. per-. sone ch’ erano: all apertura. della, grotta, e che. il credettero in grave periglio, ubbidirono sì. prontamente , che. essendosegli; in quel moto: alzata la camicia sovra del capa, si ne riportò:

ri Luro. 6g

la pelle del ventre crudelmente lacerata. Non per questo volle desistere dall'impresa, ma racconciatosi, e carico di piombo in verga il fucile, discese di nuovo coraggiosissimamenie. AI secondo avvicinarsele la lupa si mise in atto di ferocissima difesa, urlando, volgendo a ruota gli occhi infiammati, battendo i denti, e abbassando la testa fra le gambe; ma nel- l'atto ch'essa già stava per slanciarsi sopra ii generale, questi le scaricò un colpo d’archibugio nel cranio, e fu tosto tratto fuori della caverna. Dopo ‘essersi riposato un istante, e aver dato tempo al fumo di dissiparsi, egli scese per la terza volta. Posta allora la fiaccola al muso della belva, e rinvenutala senza vita, la prese per le «due orecchie, e ajutato all’ uscire. dalla solita corda, presentò il suo trofeo agli atto- niti spettatori.

I lupi cagionavano, giù tempo, grandissimi guasti in Inghilterra, sicchè furono proposti premii, onde distruggerli; al che finalmente si pervenne. Al re Edgar parve ciò di tanta im- portanza, da accordar grazia pe delitti leggieri, a condizione che i colpevoli recherebbero certo numero di lingue di lupi; e nel principato di Galles furono alcune tasse commutate nell’ an- nuo tributo di alquanti capi di quegli animali. Ma essi, varii secoli dopo il regno di Edgar, moltiplicarono a segno, che non parve ab

vi Ti. LUPO. governo un lieve pensiero, onde si mosse & promettere le più valevoli ricompense a chi gli ucciderebbe. Camdan ci narra, come alcune terre affittavano non ad altro patto che di purgare il paese dai lupi che le infestavano. Sotto il regno di Abhelsan, questi abbonda- vano a segno nella contea di Yorch, «ta doversi a Flixton presso di Scorborough costruire ap- posta un edifizio, per servir di rifugio contro; i loro assalti.

E poichè le devastazioni di queste belve feroci si fanno più che mai terribili in in- verno, quando i, campi son coperti di nevi, i Sassoni antenati dei Britanni distinsero il mese di gennajo colla denominazione di mese del lupo. Un proscritto od un condannato fug- giasco portava fra essi il nome di preda del lupo, come uomo, che uscito dalla protezione dell’umana società parea non dovesse aspettarsi che di cader sotto le zanne di quella fiera.

Seguitarono i lupi ad infestare l'Irlanda as- sai tempo dopo, che già erano estirpati d'ln- ghilterra. Ma oggi la lor razza è affatto estinta La in quell isola, e va sensibilmente dimi», nuendo in quasi tutte le contrade d' Europa; natural conseguenza della cresciuta popolazione e della più estesa agricoltura.

La caccia de lupi è in molti paesi un pas-

satempo favorito de’ gran signori; di che la

o

IL LUPO. 71 magione non ha punto a vergognarsi, ma piut- tosto ‘a compiacersi l'umanità, a cui sono così risparmiate delle lagrime. In questa caccia, ove pure ha tanto luogo la forza, si ha ricorso a stratagemmi di ogni specie.

Annoveriamo pel primo quello di tender lacci, fra cui vengono i lupi a cadere da medesimi, quaudo sono inseguiti da’ cacciatori che gli accerchiano, o li fugano mandando alte grida, suonando corni, o battendo tamburi.

Costumasi pure di piantare in luoghi appar- tati fra i rami degli alberi un gran pezzo di carogna, prima CROCI e di. cui per via si lasciano, a convenevoli intervalii, alcuni brani;. perchè i lupi, che sono di odorato acutissimo, li sentono assai da lungi. Così, se all avvicinar della notte ritornano pian piano.i cacciatori , sempre ne ritrovano due o tre, ehe saltano e si sforzano di giugnere al pasto lor preparato, e coltili all'improvviso, gli uccidono colle lor armi.

qui obblierem di notare, che quando il lupo si vede colto in un agguato, da cui non gir è possibite fuggire, perde ogni coraggio, anzi, per alcuni istanti, divien ulfido che si può ucciderlo o prenderlo vivo senza alcuna difficoltà, anzi porgli la musoliera, e condurlo al guinzaglio come un cane. Così l estremo itmore sembra estinguere in lui ogni specie di ferocia @ di risentimento,

n2 IL LUPO.

Si hanno esempii d'un lupo e d'un villano caduti in una fossa, ove l'uno parve così av- Vilito da questa improvvisa cattività, che nulla tentò contro dell'altro, il quale si sarebbe cre- duto fortunato abbastanza di liberarsi da così formidabil compagno.

Nelle parti settentrionali dell'America i lupi vanno talvolta sui ghiacci in cerca dei giovani vitelli marini, che vi rimangono addormentati. Se non che la cosa può divenir loro funesta, poichè distaccandosi i ghiacci dalla riva gli strascinano a gran distanza dalla terra prima ehe se ne siano avvedati. Per tal mezzo molti tratti di paese furono liberati da que’ perni- ciosi animali.

Il tempo della gestazione di una lupa è «i tre mesi e mezzo. « Quando essa (per servirmi delle espressioni del sig. di Buffon) è vicina al parto, cerca in fondo a’ boschi un luogo ben munito e folto, in mezzo a cui appiana primieramente uno spazio abbastanza conside- rabile, troncandone e svellendone gli sterpi coi denti. Indi vi apporta gran quanttà di musco, preparandovi un letto comodo pe’ suoi piccioletti, che sono d’ ordinario cinque o sei, e giungono talvolta agli otto ed anche ai nove; mai sogliono essere meno di tre. Nascono essi cogli occhi chiusi non diversamente dai

5 5 È » cani; la madre gli allatta per alcune settimane;

ÎL LUPO. 73 indi insegha loro a mangiar carne, cui pre- para masticandola. Poco tempo dopo apporta ad essi de topi di campagna , de leprettini , delle pernici, de’ polli vivi. I lupicini comin- ciano dal giuocare con simili bestiuole, e fini- scono collo sirozzarle. In seguito la lupa Ie spiuma, le .scortica, le fa a pezzi, e ne parte a ciascuno. Essi non escono dal covile ove nacquero, che in capo a sci settimane © due mesi. Allora van dietro alla lor madre che li conduce a bere in qualche tronco d'al-. bero, o a qualche laguna vicina. Quindi li rimena al primo Bosh ovvero li fa'naston- dere altrove, quando teme di qualche pericolo. Così essi per più mesi le sono obbedienti. Ove alcuno gli assalga , essa li difende con tuita la forza, anzi con furore, sebbene in ogni altro tempo sia, come tutte le femine, più timida che il maschio. Ma diventa intrepida pe figli, nulla più sembrà temere per stessa, e a tutto si espone per salvarli. Essi non l'ab- bandonano che quando sono interamente alle- vali, e si sentono abbastanza forti per non aver più bisogno di soccorso. Ciò avviene or- dinariamente in capo a dieci mesi.o ad un anno, quando han rifatti i primi denti, che loro cadono verso il sesto mese, e si trovano posseder forza ed industria, che bastino per la rapina ».

vii IL LUPO

Malgrado la lor natura selvaggia possono questi animali, mentre sOnO ancor giovani , essere addomesticati. Noi già ne avemmo sin- golar prova in un lupo, che fu di sir Ashton Levers, e che giunse, mercè le cure usategli, a dispogliar interamente la fiera sua indole e i primi costumi.

e Nella Persia e in diverse contrade orien- tali i lupi sempre compajono negli spettacoli, che si danno al popolo; poih.i quando son giovani si insegna loro a danzare e lottare contro certo numero di persone. Chardin os- serva che un lupo ben addestrato vale cin- quecento scudi di Franeia. Questo fatto, dice il sig. di Buffon, prova almeno, che a forza di tempo e di fatica anche un simile animale è capace di qualche specie d'educazione. Io, egli prosiegue, ho fatti allevare e nutrire al- cuni lupi presso di me. Finché son giovani, cioè a dire nel primo e secondo lor anno, si mostrano assai docili, anzi carezzevoli, ed ove si trovino ben pasciuti non si gettano sul pollame sovra altri animali. Ma a diciotto mesi o a due anni sentono la propria natura, e si è costretti a incatenarli, onde non fug- gano, 0 facciano alcun male. Ne ho veduti di quelli, che allevati in una corte rustica fram- mezzo a polli, per tutto lo spazio che ho detto, mai non furono loro molesti; e poi ad un

IL LUPO: 7A tratto per prima prova gli uccisero tutti in una notte, senza mangiarne alcuno. »

Trovasi ora un lupo alla torre di Londra, il quale fu già spedito da un ammiraglio spa- gunuolo a lord Saint-Vincent sovra un vascello parlamentario, mentre stava questi al blocco di Cadice. Come l'animale era molto giovane, gli si permetteva di correre nella camera del capitano, ove raccoglieva i minuzzoli della ta- vola come un cane. Saranno sei anni che il lord ammiraglio ne fece dono a sua maestà, onde fu. introdotto nel parco reale. Ivi gli si diede in compagnia una cagna, da cui ebbe triplice prole, cioè un maschio e due femine, l'uno e le altre di natura affatto lupesca. lo stesso ne fui testimonio oculare nel 1805, parago- nando molto attentamente i figli col padre, e trovandoli egualmente robusti che selvaggi.

Di rado si veggon lupi nelle parti abitate dell America. Nondimeno il governo della Pen- silvania e quello di Now-Jersey hanno offerto, or sono più anni, una ricompensa di venti scellini a chiunque lor ne portasse un capo. Dicesi che nell’infanzia delle colonie si videro spesso discendere dalle montagne di que’ paesi de lupi attirati dall'odore d'una folla innume- rabile di sgraziati Indiani, che perirono di vajolo. i feroci animali si limitarono ad insultare i morti, chè divorarono altresì gli

76 IL LUPO. infermi, i quali miseramente spiravano nelle loro capanne.

Il giovin lupo dell Alpi, il quale oggi si trova nel parco del sig. Pidcock ad Exeter- Change consumava regolarmente, per ciò che ne intesi dal suo custode, tre o quattro lib- bre di carne cruda ogni giorno.

L'A VOLPE

La volpe è di forme più minute e più svelte che il lupo; ha coda più lunga e più ricca; ma per gli occhi obliqui e l’aguzze orecchie gli è affatto somigliante. La sua testa sembra in proporzione più forte. L’umor suo è lieto, anzi folle; non per questo si può giugnere ad umanizzarla pienamente. Quindi, come tutti gli animali appena mezzo addomesticati, morde alla minima offesa le persone a cui è più fa- migliare. Essa langue, ove si privi di libertà; e tenuta prigione troppo lungo tempo perisce di dispetto.

Non avvi animal di preda più sagace o più scaltrito di essa. « La scelta del luogo del suo domicilio, l'arte di comporselo, di renderlo comodo, di nasconderne l'ingresso (fa osser- vare il sig. di Buffon) sono indizii di un’ e- strema finezza. La volpe tutto volge a suo profitto; si colloca al confine de’ boschi non

LA VOLPK

I

VOLPE de distante da’ villaggi; di Die il canto de e il grido degl’'altri polli; ne assapora da Du le carni; piglia il tempo opportuno; occulta i suoi disegni e i suoi passi, s introduce leg- giera, si strascica col ventre a tevra, giugne al luogo prefisso, e di rado sono inutili i suol tentativi. Se può varcare i muri o le siepi, ovver passarvi dissotto, non perde un’ istante, devasta la bassa corte, metie a morte quanto pollame incontra, si ritira in seguito spedita- mente portandone parte della suà preda, cui nasconde sotto il musco o porta al suo covac- cio. Indi torna e ritorna una seconda, una terza ed una quarta volta, per pigliarne il rimanente, che distribuisce, in luoghi separati; e così prosegue, fino a che il giorno spunti, e il movimento di tutta la casa Pavveria che é tempo di tenersi quieta senza più ricom- parire. »)

Così ella fa ne palmoni e ne boschetti, ove si pigliano i tordi e le beccaccie. Essa pre- viene l’uceellatore, va allo spuntar dell’ alba,. e sovente più d'una volta per giorno a visi tare i lacci ed i panioni, rapisce successiva» mente gli uccelli che vi son presi, li depone in differenti luoghi, soprattutto all orlo. dei. sentieri, nelle rotaje, sotto il musco, sotto un ginepro, ve li lascia talvolta due o tre giorni,. &

i sa otumamente ritrovarli al bisogno. Da la.

galli

78 LA VOLPÉ: caccia ai leprotti per via, sorprende talvolta i lepri nella lor tana, ec mai non gli sfuggono se sono feriti. Cava dalle conigliere i piccioli conigli; scopre i nidi delle quaglie e delle pernici, piglia le madri sull’uova, distrugge gran quanutà di selvaggiume. Il lupo nuoce particolarmente a’ villani; la volpe ai morbidi signori.

film caccia di questa, però, esigé meno ap- parecchio che quella dell'altro; è assai più facile e diverte di più. Tutti i cani han ri- pugnanza ad andar contro a lupi; tutti all'in. contro vanne volentieri contro la volpe. Poiché, sebben mandi odore fortissimo, la preferiscon sovente al cervo, al capriolo ed al lepre. Si può cacciarla con bassotti, con levrieri e’ con cani detti ‘da volpe. Inseguita essa corre al suo nascondiglio; ma i bassotti a gambe siorte Vi insinuano assai facilmente.

Con questi può pigliarsi una intera nidiata di volpi, la madre cioè co’ figli. Mentr' essa difendesi e combatte i bassotti, si cerca disco- prirne la tana dalla parte di sopra, e la uccide con pali di ferro, o si prende viva, Ma come le tane sono spesso nelle rupi; @ sotto gran tronchi d' albero, o talvolta molto addentro terra, non è sempre possibile il riuscire.

La masiera più ordinaria; più aggradevole e più’ sigura di cacciar la volpe è quella di

LA VOLPE. | vis] forar la tana. Si appostano gli archibugieri, si lanciano i cani da volpe in sulla via, la volpe corre al suo nascondiglio; ma ancor non vi è giunta che una scarica l’atterra. Che se non rimane uccisa, si a fuggire con quanta ce- lerità essa può, fa un gran giro, e alfin torna al suo covile, ove altra scarica la colpisce. Non ancor raggiunta da fucili, trovando però chiuso l'ingresso prende il partito di salvarsi lontano, e se ne corre per diritta via, onde non tor- nar più Allora giovano i levrieri ad inseguirla: però si Lil prendere senza averli prima molto stancati, poichè passa a disegno pe "luo- ghi più intricati ed angusti, c quando va per luoghi piani ed aperti corre celerissima senza di mal posa.

Per distruggere le volpi è ancor più comodo il tender loro insidie, attirandole con' esca loro gradita. Io feci un giorno sospeudere sovra un albero a nove piedi d'altezza gli avanzi d una refezion di cacciatori, carne, pane ed ossa; già fin dalla prima notte le volpi s'erano così bene esercitate a saltarvi intorno, che il ter- reno vi pareva battuto come quello di un’ aja. Sono esse ghiotte egualmente di carne, che d'ogn'altra cosa. Mangiano con avidità ova, for- maggio, frutta, e grappoli d'uva soprattutto. Se ico mancano leprotti o pernici, danno a’ sorci, alle serpi, a rospi, alle Incerte, e ne distruggono

$0 LA VOLPE. gran numero : solo bene ch esse faceiano, Go- losissime del mele assalgono l'api silvestri, 1 fachi, le vespe; si ica impaurire dai, lor pungiglioni. Se ritraggonsi talvolta è per sdrajarsi e schiacciar questi insetti; poi tor- nano e non desistono, finchè non abbiano in poter loro l'alveare, e si trangugino col mele anche la cera. Fino i ricci destano il loro ap» petito; e rotolandoli. co' piedi gli sforzano a distendersi. Pesci, gamberi, scarafaggi, cavallette, tutto è buon pasto alla lor buonissima bocca.

Gran sagacia mostran le volpi ne' mezzi che. impiegano, onde trarre i conigli dalle lor tane. Mai non entrano dall apertura, poichè in tal caso. bisogneria scavare a moiti piedi la terra, Seguendo in vece alla superficie le emanazioni,, che escon da loro corpi, giungono al luogo. ove si stanno nascosti, ed: ivi raspando scen- dono facilmente sopra di loro.

Pontoppidam assicura, che quando. una volpe scorge una lontra, la qual si getta all'acqua. per pescare, nascondesi dietro una pietra ;. d'onde si slancia sovr essa che ritorna colla. sua preda, e spaventata. gliel’abbandona.

Ei narra altresì come una volpe avea di-. sposte in ordine, a qualche distanza luna dall’altra, più teste di pesci davanti. alla ca-. panna di un pescatore; di che non sapeva, indovinarsi il fine, quantunque si. sospellasse

LA VOLPE. Si di qualche malizia. Poco tempo appresso scese un corvo, che pensò farsi i pasto di quella vivanda; ma eccogli adosso l’astuta cacciatrice, che lo aspettava, e fece di iui medesimo un’ ottima merenda.

Si è veduto, alcuni anni sono, a Chelmsford nella contea di Essex un singolare esempio dell’ effetto di questo quadrupede per la sua prole. Una velpe fu col suo volpicino cacciata d'un bosco, e vivamente inseguita dalla muta di un signore. La povera bestia, dopo essersi esposta a tutti è rischi, per sotirarlo al furo de’ cani, ultimamente sel prese in bocca, e fuggì con esso per più miglia di seguito, fin- ché, traversando la corte di un podere, fu assaliia da un grosso mastino, e costretta a lasciar cadere il suo lattante, che fa raccolio dal fittajuolo. Aliri fatii consin da non sono rari.

Tra le volpi la femiaa partorisce una volta all'anno, e non più che due o tre figli. Se accorgesi che il luogo del suo ritiro sia sco- perto. gli trasporia i iii in altro più sicuro. Nico questi ciechi anch’ ess di par de cani, ed hanno il pelo di un Duo carico. Crescono fino ai diciotio mesi, e vivono i tredici e 1 TRO anni. Nell'inverno ab. bajano quasi di continuo; ma in estate, e quando mulano i stenno muti, che di loro niun si accorge.

G.binetto Fom. L

(D)

6a LA VOLPE DEL POLO ARTICO.

ID più piccola che quella della specie‘ ordi- naria, e d'un grigio azzurrino, che talvolta non si distingue dal bianco. Assai folto e liscio è il suo pelame: il muso molto aguzzo, le orecchie brevi, e quasi nascoste; la coda più corta anch’ essa e più ricca di quella della volpe comune. Suo domicilio son le regioni situate presso del polo artico, e le isole, particolar- mente, de mari glaciali.

In inverno la volpe, di cui parliamo , si profonda nella neve, ove rimane ascosa finchè la trova alta e spessa. Traversa, dicesi, i fiumi a nuoto con molta facilità. Il sno nudrimento non è sempre lo stesso, variando col variar delle contrade. Nella Nuova Zembla e allo Spitzberga si è osservato ch' essa va in traccia di piccioli quadrupedi; nella Groenlandia sod- disfa alla sua fame colle bacche di differenti alberi, e con ciò che dal mare è gettaio alla xiva; ma nella Laponia e nelle parti seiten- trionali dell'Asia trova di che provvedersi ab- bondantemente negli eserciti di marmotte che ricoprono il paese. I mezzi che adopra, onde aver pesce, annunciano sagacia e intelligenza straordinaria. Perocchè si getta all'acqua, e coi piedi ne commove il fondo, onde turbarne gli abitatori, che così vengono a galla, e sono i.

LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 83

essa divorati con avidità. Mirabile parimenti è la destrezza di cui fa prova, onde prendere gli uccelli acquatici d’ ogni specie. S' ipoltra l’astuta alcun poco nell’onda, indi folleggiando si ritrae alla riva; il selvatico si avvicina, e quando è ben presso, colei s' astiene d'ogni moto violento per non ispaventarlo, solo con- tentandosi di dimenare leggiermente la coda; a cui l'augello troppo semplice viene tal lvolta, per ciò che narrasi, a dar di becco. Allor la cosa è fatta: la volpe si rivolta improvviso, e nulla più lo salva.

Se non che essa pure perisce non di rado soito l’ugne degli animali di preda; e il signor Pennant la dipinge imprudente da venir talvolta a cacciar la testa ne trabocchelli per addentarvi quel po’ d'esca, che vi fu messa onde acchiapparla.

Uno scrittore desno di fede, é testimonio «di ciò che racconta, ne offre una descrizione assai circostanziata e piacevole de costumi delle volpi, di cui qui si tratta. « Durante il mio infelice soggiorno nell’ isola di Bering , dice Steller, non ho avuto che troppe occasioni di studiar la natura di questi animali, la cui sa- gacia sorpassa di tanto quella delle volpi. or- dinarie. Se avessi a dire tutte le loro malizie re comporrei novella di altrettanto sollazzo, che la storia delle scimie d’ Alberto Tulio nel- Tiscla di Saxenbourg.

84 LA VOLPE DEL POLO ARTICO.

« S'introducevano esse, a forza, nelle nostre abitazioni, così di notte come di giorno; ci rubavano quanto potevano, anche ciò che non era loro di alcun utile, come coltelli, canne, vestiti; rotciavan lontano i nostri barili delle provvisioni, e ne traevan in seguito le vivande con tanta destrezza, che a principio non sa- pevamo risolverci a credere, che il furto fosse opera loro. Mentre cravamo intesi a cavar fa pelle ad un animale, onde farcelo cuocere, ci avvenne spesso di dover uccidere due o tre volpi, che con tanta petulanza e voracità ve- nivano a toglierci la carne di mano. Che se, per salvarla, coprivamola sotto terra, eccoti

coloro a raspare, a levar le pietre, a sotto- porvi le spalle, e ajutarsi l'una coll’ altra, onde togliere ogni osta acolo. E quando, per più si- eurezza , collocavamo ai sommo di un palo assai alto le nostre vettovaglie, quelle india- volate gli cavavan la terra d'intorno al piede, iinché Pao fatto cadere; o l'una di esse «i arrampicava, e gettava all'altre quanto vi era appeso con una destrezza da far me- Der

« Spiavano tuili i nostri movimenti, e ci accompagnavano ovunque andassimo. Se il mare gettava, alla riva qualche animale, sel divora- yano prima che avessimo tempo di raccoglierlo; e quando non potean consumarlo tullo ad un

VOLPE DEL POLO ARTICO. 85 tratto, lo strascinavano a brani sulle montagne, o il seppellivano soito pietre in nostra pre senza, correndo qua e finchè nulla più ri- manesse a trasportare. Altre, intanto, si teneano in guardia e ci osservavano. Se vedean qual. cuno approssimarsi a certa distanza, univano tutie insieme gli sforzi loro, onde far nell’ a- rena profondo scavo, che non apparisse traccia del castoro od orso marino, od altro, che vi nascondevano. La notte, quande noi dormivamo ne’ campi, ci venivan esse vicino, e rubavanci le nostre berrette, i guanti che ci eravam posti setto il capo, le coperte e ie pelli sopra o sotto. le quali eravamo sdrajati.

« La qual rapacità era cagione, che noi mai non ci coricassimo senza tener nelle mani un bastone, 0 piutiosto una. mazza, con CUI, se venivano a svegliarci,. potessimo cacciarie ed anche ucciderle,

« Quando facevamo una fermata, onde ri- posarci, anch’ esse trattenevansi giuocando e irescando sotto i nostri occhi, anzi talvolta s inoltravano fino a roderci i cordoni de’ no- stri stivaletti. Che se ci stefidevamo a terra, come per dormire, venivano a sentir il nostro fiato, onde assicurarsi s'eravam morti o vivi.

« taceremo come al nostro arrivo esse vennero a morder naso e diti ai corpi degli

stinti, mentre preparavamo la lor fossa: e in

86 LA VOLPE DEL POLO ARTICO. gran numero si riunirono intorno agli am- malati ed agli infermi, che non si porò allon- tanarle, se non con somma difficoltà.

« Ogni mattina vedevamo queste bestie pe- tulanti vagar per l'arena in mezzo a leoni e agli orsi marini, fiutandoli tutti, per vedere se tra i dormienti alcuno ve ne fosse privo di vita; e trovatolo si ponevano a farlo a pezzi, che poi trasportavano lontano. È come i leoni marini soffocavano ialvolta, dormendo, la loro prole; le volpi, allo spuntar d'ogni giorno, venivano a fare la loro visita, quasi conosces- sero una tal particolarità; tanta diligenza era per esse infruttuosa.

« Ma come davano a noì ostinatissima €. incredibile noja, ci corrucciarono a segno , che dichiarammo loro la più aperia guerra, trucidandoie spietatamente giovani e vecchie, e travagliandole per quante guise potremmo ‘imaginare. Ai nostro risvegliarci ogni mattina, sempre ne vinvenivamo alcuna presso il nostro letto rimasia uccisa nella notte; ed io posso accertare che, durante il mio soggiorno nell'i- sola, ne ho di mia mano accoppate più di ducento. Il soio seguente al mio arrivo, ne stesi a terra col bastone almeno trenta, e coprii la mia capanna delle lor pelli. La loro voracità era quella che più loro nuoceva; peroechè noi potevamo stender ad esse con

LA VOLPE DEL POLO ARTICO. 87 una mano un pezzo di carne, e coll altra am- mazzarle a colpi di randelio.

« Dalle osservazioni, ch ebbimo occasion di fare sopra di esse risulta chiaro, che mai non aveano conosciuta la specie umana. E sembra potersi asserire che il timor dell'uomo non è già innato ne bruti, ma bensì fondato sopra una lunga esperienza.

« Quelle volpi, non diversamente dalle no- stre della specie ordinaria, aveano il pelo ric- chissimo nei mesi di ottobre e di novembre; in aprile e in maggio cominciavano a mutarlo; e nei due mesi seguenti più nen aveano che u:a lana o calugine cortissima, e parceano, se così possiamo esprimerci, in veste da camera. Le femine deponevano i parti loro in giugno entro fori o fenditure di rupi; mai quei parti erano meno di nove o dieci. Tanto poi era l'amor delle madri verso di loro, che per tenereene discosti schiattivano ed abbajavano come cani; la qual cosa serviva, contro il loro avviso, a farcene discoprire il nascondiglio. Ma appena si accorgevano d'essere discoperte prendevansi in bocca i lor piccioletti e li por- tavano altrove, quando non ne fossero impe- dite, studiandosi di occultarli in luogo più appartato e secreto. Uno de nostri avendo un giorno ucciso un volpicino, la madre si diè ad inseguirlo con urli spaventosi, mai ristette ,.

aa

68 LA VOLPE DEL POLO ‘ARTICO. finchè non gli ebbe fatta qualche offesa, ode fu essa medesima irucidata.

Per quanto numerose siano oggi le volpi in quell isola, è a presumersi che vi siano state trasferite dal continente sovra banchi di shiaccio galleggianti, e che l'abbondanza degli ur i quia animali, che il fn marino. loro forniva, ve le abbia di tanto moltiplicate.

Si uccidono tali Bestie, per averne La di che sono di una leggerezza e morbidezza maravigliosa. Ma i Groelandesi ne usan anche le carni, che preferiscono a quella di lepre,

e ne mangiano ‘1 tendini a guisa di pane.

IL CHACAL O LUPO DORATO.

N corpo di quest animale è lungo di trenta pollici, all'incirca, e molto rassomiglia a quello della volpe; se non che la testa è più corta, il naso meno aguzzo e le gambe più alie. Aggiugui coda folta nel mezzo, e spruzzata di nere macchie all'estremo; pelo duro e pro- lisso di un color fulvo misto al bianco sul dorso. e giallognolo sotto il ventre. I costumi del chacal hanno molta analogia con quelli del cane. Quand esso è preso giovane facii- mente si addomestica, si affeziona all'uomo, e distingue il suo padrone da qualunque altro.

IL. CHÀCAL, 0, LUPO, DORATO. 69

Gode se vien carezzato; salia, se lo chiaman per nome, sovra seggiole e tavole; mangia di grande appetito in mano di chi gli porge al- cun cibo, e beve lambendo. Assai differente da molti altri animali della medesima specie, ama esso giuocare voi cani, che quelli fuggono.

< Nello stato selvaggio si fa esso temere, come serive il sig. di Buffon, da chi pure se aliro non fosse, dovrebbe riuscire a lui temi- bile pel numero. Assale ogni specie di bestiame o di pollame, quasi alla vista degli uomini; \ enira insolentemente, e senza inostrar timore, negli ovili, negli armenti, nelle stalle; e se altro non vi trova, divora il cuojo degli ar- nesi, degli stivali, delie scarpe, e porta via il soatto che non ha avuto tempo di trangu- giare. Mancando di prede vive dissotterra i cadaveri de bruti e degli nomini; onde si è obbl: igati di batter la n ra sovra le sepolture, e mischiarvi grosse spine, per impedirgli di raspare e scavare; da che non lo sgomenta la semplice profondità. Non si accinge mai solo a queste disumazioni, cui accompagna di grida lugubii. Avvezzato una volta a' cadaveri umani, .più non cessa di percorrere i cimiterii, di seguire gli eserciti e le caravane. Esso è fra i quadrupedi quello ch' è il corvo tra gli uc- celli. Non carne infetta che gli faccia ri- brezzo. non cuojo che sembri duro > insipido

90 IL CHACAL O LUPO DORATO. al suo veemente appetito, non pelle, non gra- scia, non sozzura animale ch'esso non trovi buona ».

Di giorno il chacal sta silenzioso , ma la notte manda urli orribili e tanto sonori, che le persone, le quali si trovano a poca distan- za, più non s'intendono fra di loro.

Dillon assicura che la sua voce assomiglia alle grida di parecchi fanciulli di differenti età misti insieme; massime che quando uno co- mincia, tutti gli altri della vicinanza gli fan tenore. Gli animali delle foreste ne son risve- gliati; e i leoni, come tutte le belve feroci, gli ascoltano per una specie di istinto, quasi un segnale di caccia, assaltando i iimidi ani- mali a cui gli urli del chacali fanno prendere la fuga. Per questa cagione, probabilmenie, esso fu detto provvigioniere del leone.

Questo quadrupede si fa la sua tana, e non l’abbandona che di notte, per andar in cerca di preda. La sua femmina si sgrava una sola volta a l'anno di cinque o sei figli per volta.

Vive il chacal in tutti i’ climi temperati dell Asia, e nella più parte delle contrade dell'Africa, dalla Barberia sino al Capo di Buona Speranza. Quando non trova nudri- mento animale mangia radiche, frutta; ed al- tre produzioni vegetali. Nello stato di dome- sticità sembra avidissimo del pane.

IL CHACAL O LUPO DORATO. GI

« Puzza esso, al dire di Dumont de la Haic, fuor di modo, che non può posarsi un istante in luogo alcuno, senza che lo infetti. Sommamente feroce ed ardito non teme di enirar nelle case, e quando incontra un uomo, in luogo di fuggirlo a prima giunta, come fan l'altre belve, lo guarda fieramente, come volesse sfidarlo, indi prende il suo corso. È di natura maligno, e pronto sempre a mor- dere, qualunque cura si adoperi onde amman- sario, o carezzandolo, o dandogli a mangiare. Uno io ne vidi, ch'era staio preso assai gio- vane, ed allevato come un cagnoletto, che moltissimo si amasse. Pur mai non si addo- mesticò inieramente. Non poteva soffrire il contatto di alcuno, tutti mordeva, si ar- diva impedirgli di saltar sulla tavola e rubar quanto sapeva. Tutta la campagna della Natolia è piena di simili animali , che fanno ogni notie gran rumore intorno alle ciità, non già abba- jando come i cani, ma gridando di un certo grido acuto che è loro particolare ».

« IL CHACAL DI BARBERIA O L’ADIVO.

È, presso a poco, della grossezza della volpe, e d'un colore alquanto bruno. Dal dissotto di ambedue le orecchie gli parte una nera lista, che si divide in due, e si estende fino ali collo.

Q2% IL CHACAL DI BARBERIA O L'ADIVO.

“La sua coda è come tutta a fiocchi ed accer- chiata d'anelli di bruno colore.

« L’adivo, o thaleb, dice il sig. Sonnini, è di natura più ingegnosa ed astuta che il chacal o deib. Questo allontana la sua preda co suoi attruppamenti, ma l'adivo sempre va solo. Si accosta esso anche in pieno giorno ai luoghi abitati, intorno a cui stabilisce la sua sotterranea dimora frammezzo a folti rova]. Entra senza strepito, sorprende il pollame, ne ruba ! uova, e non lascia altr'orma de’ suoi guasti, che i suoi guasti medesimi. Usa tutta I agilità. tutta l'astuzia possibile nella guerra che fa abitualmente agli uccelli, di cui non avvi aleuno che possa sfuggirgli. I suci occhi sono egualmente vivi che i suoi movimenti; e la sua fisonomia è quella dell’astuzia e della perfidia. Graziosissimo fra i quadrupedì sarebbe, e fors anco, uno de più «mabili, se ne suoi talenti per la picciola guerra non apparisse troppo la furberia e la falsità.

« Parmi ‘che il thaleb egualmente che. il chacal abbia cura di coprire il suo sterco di sabbia o di ierra come fanno i gatti; gli interramenti da me rinvenuti nelle arene. e nei coli di Egitto potevano esser opera d altri che di questi animali. Simile pulitezza ren- derebbe l'adivo ancor più caro, se non fosse tanto Dbriecone.

IL CHACAL DI ‘BARBERIA O L'ADIVO. 03

« L'andar suo molto si assomiglia a quello della volpe. Quando è sorpreso, si allunga, si sirascina piuttosto che non cammini, e sostiene orizzonialmente la sua bella e ricc ‘hissima coda tutia accerchiaia di neri e grigi anelli.

« Al tempo di Carlo IX le dame della corte aveano degli adivi in luogo di cagnolciti.

; E Lai GASST RO:

La lunghezza di questi’ animale suol essere di tre piedi. La sua coda di figura Lina si estende a dodici. pollici, ed è orizzontal- mente compressa nell inferiore sua parte; ma prende forma convessa nella superiore. E sfor- nita di setole, ecccito alla radice, e coperta di scaglie come quella di un pesce. Gli serve di timone per dirigersi nell’ acqua, e diviene per esso un isirumento assai utile in altre opera- zioni. Il suo pelo è molle, liscio ; io ‘di color castagno e talvolta nero. Si sono ancie

Veduti dei castori affatto candidi, altri bianchi «di latte , altri sprizzati di scure macchiette.

Tuiii hanno le orecchie corte e qu asi nasco-=. sie; i piè dinanzi piccioli e press a poco si- mili a quelli di un sorcio; i posteriori lar-

glu, e 1 diti PAGATE per mezzo di una

- %* n e Rea Sela PRE CASS SORA i, 30 Fianno I CUID:1 1liiCISIFI. fo: LISSIIZMI S

94 TL CASTORO. propriissimi a tagliar il legno; e già essi altro nudrimento non usano che foglie d'alberi e seorze.

Nessun animale sembra possedere naturale mente ugual sagacia, come questi quadrupedì. L industria è il loro -carattere distintivo , e l opere loro sembrano il risultato d'una spe- cie di patto sociale formato fra di essi per mu- tua conservazione e sostegno. Essi vivono d'or- dinario in comune, a due a trecenio insie- me, in abitazioni che inalzano sei o otto piedi al dissopra dell’ acqua. Scelgono , se ciò è loro possibile, un grande stagno, ove costrui» scono le loro caseite sovra ii dardo ad esse figura ovale e circolare. Queste casette fi- niseono in volia, che esteriormente all e- dificio forma di una cupola e interiormente quella di un forte. HI numero di esse varia dalle dieci alle trenta.

Se i castori non trovano stagno ; e lore convenga, fanno scelta di un terreno ben fer- ino, traversato da una corrente, e ciò che operano, onde rendere un tal luogo proprio alle foro abitazioni, prova una sagacia, una intel. lisenza, ed una memoria, che molto si avvi- cinano alle facoltà umane.

Quando i castori si sono divisi per tribù o) compagnie, prima lor cura si è di costruire

uva diga, cui sempre stabiliscono nel luogo.

IL CASTORO. 95 più favorevole ai lor disegni , abbattendo al- beri di motabile grossezza, profondando nel terreno pali di cinque o sei piedi di altezza , allineandoli in più file, e intrecciandoli con piccioli rami d' aibero. Empiono quindi gli in- tervalli di pietre, d' arena, di argilla, e fab- bricano con tanta solidità, che sebbene questo rialto abbia sovente cento piedi di lunghezza , può un uomo passeggiarvi sopra sicurissima- mente. Largo alla base dieci in dodici piedi, si restringe esso considerabilmente alla sommi- tà, che di rado ha maggior diametro di due o tre. i La palafitta, composta come dicemmo di più file di pali, è esattamente al medesimo livello da un capo all altro, perpendicolare dal lato dell’acqua ed a scarpa dal lato che sostiene il peso , dimodochè Î' erba vi eresce ben tosto , e rende l opera più compatta e più solida. Dopo aver dato termine a questa gettata, i castori si occupano a costruire le loro capanne. Vi impiegano terra , pietre, e legne, disposte in modo, che ne assicuri la solidità, e rive- stite di un intonaco esteriore.

I muri hanno, circa, due piedi di grossez- za, e il pavimento riesce così elevato al dis- sopra della superficie dell acqua, che mai non corre pericolo di venir sommerso. Alcune di tali capanne sono appena di un piano, altre

96 IL. CASTORO.

di tre, e a ci informa d aver rinvenute in quelle che esaminò quindici cellette, dif- ferenti lune dalle altre. Il numero dei castori che le abitano varia dai dieci ai trenta. Dicesi che ciascuno formi il suo letto di musco, di foglie e d alire sostanze leggieri, e che ogni. famiglia metta in serbo provvigioni d'inverno, le quali consistono principalmente in Iscorze e in rami d albero molto teneri tagliati di certa lunghezza, ec ammucchiati con molto or- dine e proprietà.

Qualunque di queste capanne ha due uscite, Yuna del lato di terra, onde i castori vanno in cerca del loro bisognevole, l' altra. soito l'acqua, ognor più bassa dell’ ordinaria pro- fondità de’ ghiacci ; il che li rassienra dagli effetti del gelo. Quando sono stati tre 0 quat- îro anni nel medesimo luogo, avviene loro Ir essissimo d' innalzare nuovo edificio tanto

cino al primo, che l'uno comunica coll’ al- Lro guil che probabilmente die’ motivo di pen» sare che avessero più appartamenti. Allorchéè le loro casuccie sono compite, si danno ad opere novelle, le interrompono, se anche lo siagno sia interamente ghiacciato. Perocchè si fanno strada attraverso di un foro formato nel ghiaccio , che a tal uopo mantengono aperto. Spesso in estate abbandonano fe loro

capanne, corrono di spiaggia In spiaggia , e

IL CASTORO. 97 passan la. notte, o sotto i rovi o-in riva al-- l acqua. Nel qual caso hanno sentinelle, che con un certo grido di. allarme gli avvisano dell’ avvicinarsi del pericolo. In inverno mai non. escono, se non per andare a' loro ma- gazzini posti sott acqua, onde in. quella sta- gione si fan grassi all’ eccesso. I

Avvien di frequente che alcuni castori ce- libi vivano isolati. entro fosse, che scavano in. riva a’ fiumi molto al dissoito della saperficie dell'acqua, le quali si estendono a più di -cento piedi di lunghezza. I cacciatori li. chia- mano eremili o- ferrajuoli , e si è osservato che la ior pelle sempre. sì. distingue per. una. macchia nera sul dorso.

II sig. Dupratz, in. uno de’ suoi viaggi nella. parte settentrionale della Luigiana, ebbe oc- casione d’osservare i travagli d'una colonia di castori. Avendo trovato. presso la sorgente di un fiume un rialto costruito da questi animali, si pose per qualche tempo a dimora, con quelli che lo accompagnavano, in una capanna che piantarono poco discosto, onde poter esa- minare a lor agio i fatii di quelle industri bestie, senza però esser da esse veduti.

Aspettarono che ia luna. rischiarasse piena- mente l' orizzonte; indi quelli, ch’ erano in prima fila, essendosi muniti di rami d'’ alberi ende coprire la loro marcia, tutti d' accordo

Gabi nello Tom. A i m

d

‘98 ÎT. CASTORO. appross simarono alla diga, e praticatovi colla più g gran diligenza, e col più profondo silen- zio un rivolo o doccia di circa un piede in larghezza, si ritrassero tosto al loro asilo.

Appena l'acqua ebbe cominciato a far stre- pito, correndo a traverso questa doccia , il sig. Dupratz e 1 suoi compagni intesero un castoro uscire d una delle casuccie e tuffarsi nell’ acqua. Lo videro in seguito montar sulla scarpa dell'argine, ed esaminare il guasto che vi si era fatto. Battè allora quattro volte for- tissimamente e distintissimamenie colla sua co- da. A questo segnale l’intera socicià de’ castori si precipitò a un tratto nell acqua , arrivò sul rialto. Quando vi furono riuniti, l' uno d’ essi parve dare certi ordini, poichè tatti abbandonarono all'istante quel luogo, e si di- visere sopra differenti punti sulle rive .di quella specie di stagno, che la diga veniva a for- mare. Î più vicini a viaggiatori, trovandosi fra il luogo occupato da questi e la gettata, da- vano grandissima opportunità di esaminare tutte fe loro operazioni.

Alcuni castori formavano una sostanza, che molto rassomigliava a calcina ; altri la traspor- tarono sulla lor coda, che serviva ad essi come di treggia. Si erano essi distribuiti: due a due

l uno caricava l'altro. Quel cemento condotto nel modo, che dicemmo , sino alla diga, vi

TL CASTORO. 99 era ricevuto da aliri, che lo aspettavano , il deponevano neila doccia, e vel calcavano a gran colpi di coda. Allora il rumor dell'acqua, che giù precipitava dal rialto, essendo cessato; uno dei castori battè colla coda due volte. Tutti si gettarono al fiume quietissimamente e dispar- vero. Quindi il sig. Dupratz e i suoi compagni di viaggio andarono a riposarsi.

All'indomani mattina ritornando alla getta- ta, e osservandone il lavoro , ne abbatterono una parie. L' abbassamento dell’acqua, che ri- sultò da questa operazione, e lo strepito ch'essi fecero, mise i casiori in grande apprensione , e uno di essi venne assai presso a' guastatori, per veder cosa facevasi. Il sig. Dupratz te- mendo che non prendessero la fuga e non si ascondessero nei boschi, se venivano turbati davvantaggio , si ritrasse co’ socii al solito po- sto. Uno de’ castori si arrischiò allora a venir sulla breccia, dopo essersi alternativamente av- vicinato e allontanato più fiate come esplo- ratore. Esaminò i luoghi, batte quattro volte colla coda, come aveva già faito il di innan- zi; tutti, al solito, uscirono, ed uno di quelli, che andavano al lavoro, passo molto presso al sig. Dupraiz. E com egli avea pur bisogno d’ una mostra di ciò che portava, onde esa- minaria, lo uccise. Il fracasso del micidiale ar- hibugio li fece sloggiare più presto, che fatto’

100: IL CASTORO. non lo avrebbero cento colpi di coda del loro ispettore.

Altre fucilate li forzarono in seguito a fug- gir prontamente ne boschi, lasciando a’ loro perturbatori tutto l agio di esaminare le loro abitazioni. Queste erano fatte con pali fissi in terra e appuntati alle superiori estremità. À mezzo di essi era il pavimento solidamente assicurato neile- profonde intaccature, che per- metteva la loro grossezza. Il sig. Dupratz e i suol compagni trovarono scollo I uno de pa- vimenti quindici scheggie, da cui si era le- vata la scorza, e cltfe parevano destinate - al nudrimento de’ castori.

Questi amfibii hanno due specie di pelo: , uno, che è fino al par del velluto, corto «e folto, e riveste immediatamente la pelle ; È altro più raro, più lungo e più forte, che ricopre il primo. Il secondo è di pochissimo valore, laddove il primo serve a fare de’ cap- pelli, delie calze, delle berrette, ed altre cose di abbigliamento. Quindi le pelli di castoro sono oggeito importantissimo di commercio nell'America e nelle contrade settentrionali. dell Europa. Più di dieci mille se ne ven- dettero in un solo mercato dalla compagnia della baja d'Hudson; e nell'anno 1798, ben cento e sei mila ne furono raccolte nel Ca- nadà e mandate in Europa e nella China.

IL ‘CASTORO. 19î Quelle de’:castori presi in inverno son pre feribili, massime se furono portate qualche tempo dagli Indiani, che consumano il pei lungo, e lasciano la lanugine senza mesco- lanza, e propria a varii usi, che può farne l industria de’ manifattori. La sostanza medi cinale , appellata castoreo , si trova in istato liquido nelle glandule inguinali de’ castori , e ciascun d' essi ne produce due once all’ in-

circa. L

Le loro TA partoriscono verso la fine di sipgno» non più di due figli per volta, i quali restano co' genitori fino all'età di tre anni. Allora se ne separano., e costruiscono casuccie per medesimi. Che se nulla l turba, ed hanno abbondanza di provigioni in quella ove son nati, restano col padre e la madre loro e formano doppia famiglia. già sorprende che animali tanto socievoli diano grandi prove -di attaccamento gli uni verso degli altri.

Due giovani ‘castori, ‘che erano stati presi vivi, e condotti ad una fattoria della baja di Hudson, si mantennero sani per alcun tempo, anzi ingrossarono a vista d'occhio, finchè Ì uno di loro per accidente fu ucciso. Quello che SP PIA isse fu tanto sensitivo a questa perdita, che si astenne volontariamente da ogni cibo; e poco appresso morì.

(doc TE CASTORO:

Non spesso, ma qualche volta pur si giunge ad addomesticare simili animali. Il maggiore Roderfort di Nuova York avea un castoro del- l'eià di sei mesi in sua casa, ove correa libe- ‘ramente, non trattenuto da alcun vincolo; e si nutriva di pane e qualche pesce, di cui era avidissimo, usandosi gran cura di mai non lasciargli mancar acqua. Portava esso al luogo, ove costumava dormire, quanti cenci o cose morbide al tatto incontrava per via, e ne com- poneva il suo letto. Una gatta, che aveva poc anzi partorito, ne prese un possesso colla sua famigliuvola; il castoro vi si op- pose. E quando la madre si allontanava, esso preudeva i picciolini fra le sue zampe, e se li stringeva teneramente al seno, come per riscaldarli, restituendoli tosto che quella ritor- nava. Vi fu più d'una volta fra L'uno e l'al tra del brontolio, ma il castoro mai non dié segno di voler mordere.

L'inverno è la stagione che 1 cacciatori pre- feriscono, per andare in cerca delle capanne dei. castori. Essi ne otturano l' uscita dalla

arte dell'acqua, e ingrandiscono quella che riguarda la terra. Dopo di che vi introdu- cono un cane a ciò ammaesirato, di maniera, che s impossessa del castoro co’ denti, e si

lascia in secuito trar fuori "per le gambe di

È Ò dietro.

A,

i

IL CASTORO: rod

Gli Indiani vicini alla baja d’ Hudson co- minciano dal trar l'acqua dalla chiusa, che i castori hanno formata; indi ne coprono di reti le capanne, salvo un foro che lasciano libero alla sommità, e per cui vi perc onde i poveri animali spaventati, cercando fug- gire. per le solite uscite, si trovano presi.

In alcune parti della Laponia i cacciatori pigliano i castori con rami di abete, a cui adattano de’ nodi a ricorsojo. Ma è da osser- varsi, che ogni volta che ne son presi due a poca distanza l'uno dall'altro mettono reciprocamente in libertà. Il castoro è nativo di quasi tutte ie parti settentrionali dell’ Eu- ropa e dell'Asia; ma trovasi principalmente al nord dell'America. Sembra pure ch'esso abbia altre volte abitato la Gran Bretiagna, poiché Girald di Chambrai assicura che frequentava il fiume di Tièvi nel Candiganshire e vhs gli abitanti del principato di Callos gli ave: dato un :nome, il qual significava animale di larga coda.

Trovansi ora (1806) nel parco di Exeter- Change due castori condotti dalla baja d' Hud- son dal capitano. Turner, che aveva pure a bordo un maschio ed una femina delia me- desima specie co’ lor piscine ma essendosi sgraziatamente ‘adoperato. piombo in vece di siagno per foderare. il trogoio ove bevevano,

10/4 IL CASTORO. fureno avvelenati in una notie, che rosero un tal metallo. Gli altri due, che oggi sono in possesso del signor Pidcock, si mostrano singolarmente addomesticati, ed anche si la- @ciano toccar facilmente; ma quando alcuno lor si avvicina mandano un grido lamente- vole, che molto si assomiglia a quello di vn bambino appena nato. Lieti alcuna volta e scherzevoli giuocano l'uno coll’altro, e se loro si porge qualche cosa con cui possano divertirsi sembrano molto contenti, e lo stra- scinano più lungi, che il permettono i limiti, fra cui sono racchiusi. Il loro -castode - mi ha detto che loro avviene spesso di erigere ur pieciol palco «ceci rami di salice, che loro si danno per nutrimento, e colla paglia, che serve loro di leito; e che ove non si .inter- rompessero in tal lavoro, ben presto si fug- girebboro, sormontando il chiuso. Rodono pur con tanta perseveranza il legno delia loro stanzuccia , che si è costretti ricoprirlo con lamine di stagno o di ferro.

Ii Jero edito si compone di rami di salice, di foglie di cavoli e di pane, cui sem- pre ‘omollano nel loro trogolo, prima di man-. giaro, Ai loro pasti i volte sianno in piedi; e veggonsi non di rado lavarsi i piedi e pu ulirsi i denti. In somma la natura loro è mitissima, e la mondezza non ordinaria.

CAPITOLO; III:

Mn come l’orso suol, che per le fiere Menato sia da’ Russi o da’ Lituani, Passando per la via poco temere L’importuno abbajar di picciol cani, Ghe pur non se li degna di vedere.

i Ariosto. ORSO COMUNE.

ki | E animale selvaggio e solitario, che abita le. caverne più inaccessibili de’ monti, o i luoghi più appariati e più impenetrabili delle foreste. Ha gli orecchi brevi e tondeggianti, 50 O . - ° s_os . 3 gli occhi piccioli e forniti di membran@ a guisa di palpebre, il muso aguzzo, f olfato acutissimo, coscie e gambe forti e muscolose, . q: e . } hi n DEE 3 d } piedi assai lunghi e grife adunche da po- tersi arrampicar per gli alberi con facilità. La sua voce è un brontolio cupo, un non so qual fremito grossolano che fa spesso udire alla minima provocazione. Gli orsi nel Kamtschatka sono tanto co- muni, che veggonsi non di rado errare per

le pianure in branchi numerosi; e già da lungo

106 ORSO COMUNE.

tempo avrebbero assai spopolato il paese, se ivi non fossero di natura assai meno fiera, ‘che in tutte l' altre parti del globo. Nell’ in- verno abilano principalmente le uv ma in primavera ne discendono in folla,

recansi verso le bocche de’ fiumi, onde i dervi pesce, che abbonda in tutte 1 acque della penisola. Se ne trovano in gran quan- tità non ne mangiano che la tesia; e ogni

volta che il caso i fa incontrare in qualche rete. o nassa di pescatore, la traggono dal- l acqua con molta destrezza e s' impadroni- scono di ciò che contiene.

Quando un Kamischadale scorge uno di questi animali , cerca guadagnar ul lunga la sua confidenza, accompagnando i suoi ge- sti con parole carezzevoli. E, per verità, gli orsi in quel paese mostransi tanto fl È che le donne ed anche le fanciulletie vanno a cercare erba, radici e torba pel fuoco in mezzo di loro, che mai ad esse non fanno male. Che se alcuno di quegli orsi, talvolta si accosta. alle tranquille raccoglitrici per ricevere dalle lor mani qualche cosa da man- giare. Mai non furono veduti assalire. un uomo, fuor del caso d’esserne svegliati all’im- provviso ; e di rado accade che si- avven- tino ai cacciatori , siano o non siano da loro feriti

ORSO COMUNE. 10%

Quest indole mite dell’ orso del Kamtschaika non val, però , a salvarlo dalla persecuzione. Armato di mazza o di picca l’abitator di quel paese va a ricercarlo ferocemente fin nella calma del suo asilo secreto. orso , ch’ ivi nulla medita di ostile, pensa che alla pro- pria difesa , prende gravemente i fastelli che il nemico gli presenta, e se ne giova a tu- rare l'ingresso della sua spelonca. La quale poi ch'è ben chiusa, il cacciatore ne sfora la sommità, e vi caccia senza pericolo proprio la sua lancia, che va a trapassare il corpo dell'animale. Talvolta egli disiende sulla via , che sa frequentata dall orso, un asse iutto irto di grossi chiodi, e accanto all’ asse qual- che cosa assai greve, che l'animale fa cadere passando. Quindi spaventato del rumore di tale caduta corre attraverso l'asse con mag- gior precipizio, che altrimenti non avrebbe fatto. E sentendo una delle sue zampe infissa ne chiodi si studia liberareela , appoggiandosi fortemente coll’altra. Ma le sue ferite e il do- lor suo non facendo che crescere, si leva esso in sulie gambe di diciro, e si agita in su gli occhi con quelle dinanzi la tavola a cui sono inchiodate. Quesia vista gli è di tanta costernazione, che getiasi a terra, manda urli orribili, e muore fra i più vivi dolori.

In alcune parti della Siberia, i cacciatori

108 È ‘©6850 COMUNE. alzano una specie di palco formato di più pan “coni posti gli uni sopra gli altri, i quali ‘cadono insieme, bian Ì orso; quando posa il piede su d'un tiraboc. chello posto al ‘dissotto. Altro modo di prender gli orsi è quello di scavar fosse, in mezzo a cui si pianta un palo liscio e appuniato all’ estremità superiore , il «quale s' alza un piede circa da terra. Ricopronsi quelie fosse accuratamente di zolle, e disponsi in mezzo del sentiero, ché l orso ha in costume di tenere, una picciola cerda, a cui è appoggiata una figura elastica di legno. Appena l’animale tocca tal corda , la figura si drizza in piedi; e quello, che ne prende paura, cerca salvarsi colla fuga, e pre- cipitando nella fossa è sventrato dalla punta del palo, che si è deseritto. Che' se sfugge a questa prima insidia, dopo incontra pali di ferro aguzzi, simili a quelli che si ‘oppongono alla cavalleria nemica, e collocati a poca di- stanza dalla fossa. In mezzo a questa specie di cavalli di frisa altra figura di legno di nuovo lo spaventa; e me ui fa ogni sforzo per uscir d’ un luogo pieno per esso di so- spetto, il cacciatore, che si tiene in imboscata, gli è sopra e il mette a morte. |

I Koriachi sogliono prenderlo della maniera seguente. Cestio qualche albero bistorto, che abbia presa nascendo una forma arcuata,

ORSO COMUNE. 109) appendono alla cima, che in giù si piega, un: nodo scorritojo. e qualche esca. L’ orso afla- mato vi agogna, e si arrampica ansiosamente al tronco; ma da che tocca 1 rami, il nodo si serra, l animale è soffocato, e- cade dal l albero., a cui resta sospeso.

Nelle parti montuose della Siberia. quelli , che vanno alla caccia dell'orso, attaccano un ceppo pesantissimo ad una corda, l'una delle cui estremità finisce in un nodo parimenti a ricorsojo; e il collocano presso di un precipi- zio sul cammino che l'animale costuma di frequentare. Questo, dopo di aver cacciato il suo collo nel nodo, trovandosi impedito dal- T ostacolo. oppostogli*, lo pr ende con furore , e lo scaglia nel precipizio; ma strascinatovi esso pure dal peso di quello, muore della sua caduta. Che se ciò non gli accade, strascina il ceppo sull alto deila montagna, e ripete i suoi sforzi, fino a che la sua rabbia essendo giunta all esiremo , 0 soccombe di stanchezza, o pon termine al suo soffrire , precipitandosi nell’ abisso. :

L'orso è ghietto del mele, e questa. sua. go- losità ha suggerito ai Russi un mezzo di pren- derlo. Sospendoro eglino ad una correggia un ceppo, lungo il tronco d'un aibero, ove l'api han posto un loro alveare. Quando l'orso vi arrampica per giugngre ai favi, irovandosi

TIO ORSO COMUNE. molestato da quel ceppo, lo spinge da una banda, e cerca di salire. Ma il grosso legno ritornandogli sopra, lo percuote forte, che T animale incollerno lo spinge con più vio- lenza , ond' esso ricade vie più ponderoso; e la cosa va qualche volta tani’ oltre, che l'orso rimane vittima della propria semplicità.

In alcune contrade del nord un sol uomo assale al piano un orso, senz’ altr” arme, che un coltello ben affilato, ed uno sile a doppia punia , attaccato a un guinzaglio. «Si attorce questo al braccio destro, e collo stilo nell'una mano e il coltello neli altra, s' avanza‘ ardita- mente contro l'animale, il qual si rizza sulle sue gambe posieriori a combattere. Ma nell i- stante che apre la gola, il cacciatore vi pro- fonda il suo stilo, e gli fa tal ferita, che più non sente forza di resistere, e può egualmente essere pugnalato, 0 condotto vivo dove piace al suo aggressore.

Non avvi quadrupede, la cui wecisione rie- sca più utile al Ramischadali, di quello che l'orso. Poichè della sua pelle fan letti, coperte, berette, guanu e collari pe cani , che tirano le slitte. Quelli che vanno su’ ghiacci, per cac- ciarvi gli animali marini 9 formano la suola deile loro scarpe con simile cuojo, che mai non scivola. La grascia dell’ orso è tanto più valuiaia , secondo che è più nutriente, e di

ORSO COMUNE: III nn sapore più aegradevole. Fusa poi si ado- pera in luogo dell” olio.

La sua carne, specialmente quella dell’ or- sacchiotto è assai delicata; e gli intestini bene sgrassati e ben puliti servono a preservare il viso deile donne dagli effetti del. sole, che riflesso dalla neve suol annerire Ja pelle. Così le belle del Kamtschaika serbano la freschezza del lor colorito.

Ì Russi di quella contrada fanno cogli in- testini deli’ orso delle impannate da iu non meno trasparenti che i vetri. di Mosca, e i suoi omoplati servono di falce per tagliar l'erba. I nativi del paese sospendono alle loro capanne cosce e teste d' orsi, come tanti tro- fei ed ornamenti.

Sembra che i Kamtschadali siano pur de- bitori a questi quadrupedi di que’ pochi pro- gressi , che sinora hanno fatti nella medicina. Osservando il genere d'erba, che gli orsì ap- plicano alle loro ferite o di cui fanno taste, e tutti gli altri mezzi curativi, che impiegano quando sono ammalati, hanno appreso .a cu- rare stessi. Gli orsi, parimenii, dir si pos- sono i lor maestri di Laiio. In quelia, che chia- mano danza dell'orso, i Kamischadali imitano fedeimenie i gesti e le attitudini dell ani- male; che non rimane dubbio iniorno alla scuola che ne han ricevuta. Perocchè esprimono

12 ORSO COMUNE.

il suo andamento stupido e indolente, le sue differenti posizioni e tutti i moti suoi; figurano i giuochi degli orsacchini colle lor madri, la maniera, onde il maschio e la femina scher- zano insieme , la loro agitazione quando sono inseguiti.

Tutte l altre danze somigliano, a più ri- guardi , ai salti dell'orso, e sono tanto più .. quanto più vi hanno di conformità.

E facilissimo addomesticar quell’ animale, e sidente docile ed obbediente. Gli si insegna ad andar ritto, a tener un bastone melle zampe , a far differenti giri, per divertir la moltitudine, la qual molto ride della. sua gof- fezza nel moversi che fa al suono di rozzo strumento, o alla rustica voce del suo padrone. Ma le crudeltà ch’ esercitano i cacciatori sopra di esso, affin di dargli questa specie di edu- cazione , veramente sono odiosissime. Peroc- chè spesso gli cavan gli occhi, e dopo avergli fatto passare attraverso le. cartilagini del naso un fil di ferro, che curvano in anello onde condurlo, il privano d'ogni nutrimento, e l'op- primono a colpi, sino a che si mostri som- messo alle loro barbare volontà. ‘Talvolta gli insegnano a danzare facendogli posar i piedi sopra verghe di ferro infuocato , suonandogli intanto qualche piva o colascione, che ben corrisponde agli urli, che gli strappa il dolore.

-

ORSO COMUNE. 113

fa punto meraviglia, dice il sig. Bewick, che simili barbarie servano di trastullo a un popolaccio stupido , il qual le paga, e si af- folla intorno al misero animale, per vederlo imitare sgarbatamente le maniere dell’ uomo. Saria però a desiderarsi che i magistrati proi- bissero severamente ogni spettacolo di simil genere, poichè tornano a gran biasimo di una. nazione tutti 1 divertimenti che disonovano È umanità

La femina dell'orso porta in seno i figli circa sei mesi, e ne mette in luce, generalmente, due per volia. Questi, nascendo, sono roton- di, quasi senza alcuna forma, ed hanno :l muso molto aguzzo; ma è falso ciò che gli antichi naturalisti hanno preteso, che la madre «dia loro forma regolare , leccandoli. La loro lunghezza in quel tempo non è più di otto pollici. Per Io spazio di un mese poi resian privi di luce.

Quando gli orsi vanno al lor sogsiorno d'in- verno sogliono esser grassissinii ; ma dacché in tale stagione non prendono quasi alcun nulrmento, escono poi magrissimi in prima- vera. Al qual tempo, trovandosi nello stomaco di siffatti animali che si uccidono una sosianza schiumosa, si è supposto che ne freddi giorni, in luogo di nudrimento, si sostenessero lec- cando le proprie zampe.

Gabinetto Tom. I 83)

s14 GRSO COMUNE.

T cacciatori mai non ardiscono far fuoco

coniro un orsacchiotto in presenza della ma- dre; poichè se quello è ucciso, questa divien furiosa, e cerca vendicarlo o perire. Se poi l{ madre soccombe, T altro le riman vicinoy esprimendo con tutti i segni possibili il suo dolore. Non sono molti anni che un cacciatore in una provincia d' Alemagna fu per perdere la vita, poichè avendo tratto d'archibugio so- pra un orsacchiotto sotto gli occhi della ma- dre, che un rovo gli nascondeva, questa con un colpo improvviso di zampa gli strappò gran parte della pelle del cranio. - Di raro l'orso usa de suoi denti come di arme offensiva; ma percuote ordinariamente il nemico, alla maniera de’ gatti, colle zampe an- teriori, 0, se il può, lo stringe fra esse e lo soffoca.

ORSO D'AMERICA.

In ciò principalmente differisce quest’ orso da quelli d' Europa, che ha il corpo più pic- ciolo, il muso più acuto, l’orecchie più lunghe, il pelo più morbido, più liscio, più lucente, e la Janugine della mascella e del petto d'un bruno rossiccio.

Gli orsi d'America arrivano. nella Luigiana alla fine d'autunno, cacciati dalle nevi dei

«

ORSO D AMERICA. 115 elimi più settentrionali. A quell’ epoca sono tutti magrissimi, attesochè non abbandonano il nord, che quando la ierra è tutta coperta di gelo, e il cibo per conseguenza è molto raro.

Ne” paesi all’ intorno del Mississipì non si allontanano che pochissimo dalle rive di quel gran fiume, nelle quali restano frequentissime orme dei loro passi, che i non pratici pigliano per orme di passi umani.

Dupraiz dice d’esserne un giorno rimasto ingannato, imaginandosi che migliaja d’ uomini fossero passati per un sentiero distanie più di due miglia da ogni abitazione.

« È hede il far osservare, egli aggiunge, che l'orso: non si picca di civiltà, cede il passo ad alcuno. Quindi la prudenza vuole che il viaggiatore non faccia seco il sottile per questo punto di galateo ». -

Verso la fine di dicembre, quando gli orsi son divenuti grassi e indolenti, che ap- pena possono camminare, e che uccisi trovansi in istato di fornire grande quantità d' olio, i selvaggi americani lor danno la caccia. E al cuni osservano in tale circosianza cerimonie tanto singolari, che la relazione di Charlevoix nel suo viaggio per l America Seitentrionale , deve riuscirne assai dilettevole.

« Ecco, dic egli, quanto pur oggi sl pratica in tale caccia dai non cristiani.

116 ORSO D AMERICA.

« Sempre è un capo di guerra quegli che ne indica il tempo e chiama i cacciatori. Al- l’invito, che si fa con gran cerimonia, segue un digiuno di otto giorni, duranti i quali, non è lecito prendere sorso d'acqua: già pe ° sel- vaggi il digiunare è astenersi da ogni cibo e bevanda. Malgrado, però, l'estrema fiacchezza, a cul parrebbe dovessero per. tal cagione esser ridotti, non cessano di cantare per tutto il lungo della giornata. Quel digiuno si osserva onde ottener dagli spiriti che faccian conoscere in qual luogo si troveranno molti orsi. Affine però, di conseguire un simile favore, altri fanno assai più; incidono vive in varie parti del corpo le loro carni con ferita ben dolorosa. Ed è notabile, che mai non chieggono di vin- cere que furiosi animali, ma solo d'incontrarae in gran copia; come Ajace non domandava a Giove, che il rendesse vincitore de’ suoi ne- mici, ma scio che gli concedesse abbastanza di giorno per poterli vincere. Al medesimo intento que selvaggi mandano altresì preghiere ai mani delle beive trucidate nelle cacce antecedenti; e come, vegliando, non sono occupati che di questo pensiero, è naturale che anche nel loro sonno, il quale, con quegli stomachi vuoti, non debb essere molto profondo, sempre veggono i toro orsi. Ma a risolverli bisogna che tutti, o almeno la più gran parte, gli abbian sognati nei

ORSO D AMERICA. 117 medesimo luogo; e quest’accordo è alquanto difficile. Tuttavia, purchè un abile cacciatore abbia creduto vederli due o tre volte di se- guito in un luogo determinato, quasi tulli, sia condiscendenza ( perocchè niuno più con- discendente de nostri selvaggi), sia che a forza di udirne parlare i loro cervelli alfin ne rice- vano l'impressione, tutti, «ico, in breve so- gnan lo stesso o fingono averlo ‘sognato, e più non si dubita ove si debbano” volgere i passi.

« Finito, così, il digiuno, e scelto il luogo della caccia, quegli che n'è scelto capo dona agli altri un gran pasto, a cui nessuno inter= viene, senza aver prima preso il bagno, cioè a dire senz'essersi gettato nel livio, qualun- que tempo faccia, pur che Yacqua ron sia ghiacciata. Quel banchetto non è già come altri molti, in cui è forza mangiar tutto, seb- bene a lungo siasi digiunato; ma forse appunto per ciò ognuno vi si mostra sobrilssimo. Chi ne fa gli onori non assaggia nulla, e, mentre gli altri si cibano, ei racconta le sue passate prodezze alla caccia. Al levarsi da mensa ripe- tonsi le invocazioni ai mani degli orsi defunti. Indi la compagnia tutta maculata di nero e in equipaggio, come di guerra, si mette in marcia fra le acclamazioni di iutto il villaggio. Così la caccia non è fra que popoli nicyte

118 ORSO D'AMERICA. men nobile che l'arte bellica. La parentela di un buon cacciatore è anzi da essi più ricer- cata che quella di un guerriero famoso; poi- chè la caccia fornisce a tutta la famiglia vitto e vestimento; e oltre a ciò non si estendono i desiderii de’ selvaggi. Ma nessuno è da loro riputato gran cacciatore, se non uccide dodici gran belve in un giorno.

« Que popoli hanno per l' esercizio della caccia due notabili avvantaggi sopra di noi. Perciocchè, primieramente, nulla gli arresta; non rovi, non fosse, non burroni, non sta- gni, non fiumi: sempre camminano per la via più diritta. In secondo luogo ben pochi son gli animali, se pur ve n'è alcuno, che essi non raggiungano al corso. Si sono fra essi veduti uomini arrivare ad un villaggio, cacciandosi innanzi con una bacchetta molti orsi da loro presi, come avrebber fatto di un grezge di montoni. Del resto il cacciatore poco deve approfittar per stesso della sua preda, cui è obbligato distribuire con gran liberalità. Se nol fa prontamente, e si lasci prevenire da chi gliela tolga, è forza che il soffra in silenzio, e si contenti dell'onore di aver faticato pel ben comune, Non si biasima però che nella distribuzione Ja sua famiglia abbia la prima parte.

«Il tempo della caccia dell'orso è l'inverno,

ORSO. D' AMERICA» t19

Dacchè l'animale è ucciso, il cacciatore gli mette fra i denti la canna della sua pipa acce- sa, soffia nella pipa medesima, ed empiendo così di fumo la gola e lo stomaco di quello , scongiura il suo spirito a non provare alcuno sdegno di ciò che ha fatto al suo corpo, non essergli contrario in tnite le cacce future. Ma come lo spirito non risponde , il cacciato- re, per sapere se la sua preghiera sarà esau- dita, taglia lo scilinguagnolo dell’ orso, e il serba fino a che sia di ritorno nel villaggio. Allora in gran cerimonia e dopo molte invo- cazioni lo getta nel fuoco; e se crepita e si contrae, come di necessità sempre avviene , lo ha per segno che lo spirito dell’ orso è placato , altrimenti presagisce infelici le cacce dell’anno venturo; ove non si trevi qual che rimedio; poichè alla fine vi è rimedio a tutio.

« I cacciatori fanno buoni pasti finché dura la caccia; e, per mediocre che riesca, sempre ne portan seco di che regalare gli amici e nutrir lungo tempo le loro famiglie. Non è, per verità, un piatto molto voluttuoso questa carne affumata; ma tutto è buono per de selvaggi. Al vedere il ricevimento che si fa a’ cacciatori, l'aria di contentezza e di com- piacenza di stessi, che questi prendono fra le lodi, che loro si tributano, direste cl’ essi

120 È ORSO D AMERICA sitornino da qualche gran spedizione «carichi delle spoglie di un popolo debellato. Convien essere un valent uomo, loro si dice, anzi di-. cono eglino stessi, senza tanta modestia, per combatiere e vincere gli orsi. E un altra coe- sa, che loro acquista non minori encomii, e ond’ essi traggono non minore vanità, si è il non lasciar nulla avanzare cel gran banchetto, che loro imbandisce di nuovo al ritorno della «caccia quegli, che ne fn il condottiere. Pre- sentasi in esso, per prima portata, il più grand orso , che sia stato preso, ancor iuito intero co suoi iniestini, anzi colla pelle , che appena gli si è abbrustolata, come si fa coi porci ».

I selvaggi dell America meridionale addo- meslicano gli Orsi giovani., cui spesso piglian teneri, che ancor non. possono mangiare; nel qual caso obbligano le loro donne ad al- levarli col zampilletto.

Più scrittori d'autorità hanno lia alati assicurato , che nessun europeo o americano ha mai potuto uccidere un’ orsa nel tempo della sua gestazione. In una sola caccia rimaser vittime alia Virginia più di cinquecento indi- vidui della razza orsina, fra cui non si trovarono che due femine, ancor non pregne. Cagione di tal singolarità debb' essere ‘che, menirg i

5 maschi hanno per la loro prole ‘non so qual

‘ORSO D AMERICA. 121 avversione, che mostran pure altri quadrupedi; le femine appena han concepito sl ritirano in fondo alle foreste o alle rupi, onde sottrarsi alle ricerche dei feroci mariti.

ORSO BIANCO.

Differisce dall’ orso comune per ciò che ha | la testa il collo, e, proporzionatamente al suo volume, tutto il corpo più lungo. I suoi orecchi e i suoi occhi son piccioli, 1 suoi demi di singolare grossezza. Il suo pelo è prolisso; duro al tatto, e d’ un bianco gialla- stro; nelle sue membra apparisce gran forza ; l'esiremità del suo muso e le sue unghie son linte di nero.

I quadrupedi della sua specie abitan le parti più iperboree del globo, che ben si accordano col loro carattere selvaggio. Veggonsi nelle icrre polari a torme prodigiose, non solo per terra, ma anche sui ghiacci fluttuanti a più leghe di mare. Di questa guisa sono essi più volte tasporiaii fino in Islanda. Però, dopo il Jungo digiuno necessariamente sofferio in questo tragitto, assalgono indistintamente: il primo essere che loro si presenta. Ma preten- desi che i nativi del paese sfuggano facilmente al loro furore, se gettar possono sul cammine qualche cosa che li diverta.

129 ÒRSO BIANCO.

« Un guanto, dice il sig. Horrabow, è propriissimo a tale effetto ; Da l orso non rocede oltre, che prima non ne abbia corrose tutte le dita, il che esige abbastanza tempo, perchè la persona si metta in salvo. »

Accade assai spesso che quando un Groen- landese e la moglie sua si trovano in una delle lor canoe sul mare, se di troppo si av- vicinano ad un ghiaccio ondeggiante, un orso bianco salta nel loro fragil legno e, se nol rovescia , si asside tranquillamente e si lascia condurre come un passeggiero. Il Groenlandese non è molto contento dell’ ospite mostruoso ; ma fa di necessità virtà e lo conduce carita- tevolmente a riva.

Gli orsi bianchi son naturalmente feroci, e se ne videro nella Nuova-Zembla assaltar dei marinai, prenderli per la gola, portarli via colla più gran speditezza e divorarli alla vista dei lor camerata costevnatissimi. Quando sono ir- ritati 0 provocati, si mostrano i più pertinaci nella vendetta, come potrà giudicarsi dall’ a- neddato seguente.

Non ha molti anni, che l equipaggio di una canoa, che seguiva una nave alla pesca della balena, tirò a picciola distanza sopra un orso e lo ferì. L'animale mandò un urlo ter- ribile, e corse tosto lunge il ghiaccio su cui trovavasi. alla volta del picciol legno, per

ORSO BIANCO. 123 ragoiugnerlo. Si trasse allora un secondo colpo, che parimenti non falli, ma non valse che ad ‘accrescere il suo furore. Poiché gettatosi a nuoto, e presto pervenuto al battello, stese una zampa sul bordo, e l'afferrò. Un mari- naio, ch'avea pronta una picozza, che dicono d'arrembaggio, gliela tagliò. L'orso allora, altro non potendo, seguito a nuotare dietro il le- gnetto , anzi di tanto si accostò al maggior naviglio, che più archibugiate gli furono sca- gliate contro, le quali il piagarono. Ma esso vie più ostinato fe in modo che pervenne ad arrampicarsi fin sopra il ponte, onde iutto l equipaggio fu in iscompiglio , e molti forse rimanevan vittime della sua rabbia feroce, se un nuovo colpo di moschetto nol distendeva a terra. Roberto Boyle ci ha fatta un’assai Bella di- pintura della sagacia, di cui i quadrupedì di questa specie danno prova, cercando la loro preda. « Un vecchio capitano di vascello, egli dice, mi ha assicurato che gli orsi, i quali si trovano in Groenlandia, e ne contorni di quel paese, hanno l'odorato eccellente, malgrado il freddo estremo, ch'ivi regna. Talvolta; quando 1 becca avean gettato al mare qualche carcame di balena, e questo ondeggiando su’ flutti già era a tre o quatiro leghe dalla costa, distanza, a cui era impossibile vederlo , quegli animali )

s24 ORSe BIANCO. scesi pell ultima riva, e riitti sulle posteriori lor gambe respiravano l'aria con quanta forza poteano , e parea che colle zampe davanti la raccogliessero sotto le loro narici. Assicurati , (per ciò che s suppon lo scrittore) delia parte, onde l.odore veniva, scagliavansi all’acque, e navigavano in retta linea verso fa balena; della qual cosa e il capitano e parecchi furono testi- monili , seguendoii . su” loro schifi, onde accer- tarsi che ii naso di questi «animali poteva ser- vir loro di guida, quando l'organo della vista non bastava a tale oflicio ».

Il pasto favorito dell'orso biamco si compone di foche, «di morse, di carcami di balena, e d’ aliri pesci di mare. Assale esso frequenie- mente il walso o caval marino; ma quest’ a- nimate, com'è fornito di zanne d’ una forza prodigiosa. esce quasi. sempre vincitore dal combattimento.

Quando gli orsi trovansi a qualche distanza dal mare, vanno alla caccia di daini, di lepri, e d' uccelli nei loro nidi, e mangiano diverse specie di coccole che incontran per via. Nel Y inverno si tengono principalmente nell isole poste soito la zona glaciale, passando frequenà temente dall’ una all'altra. Secondo il signor Bewick essi far non potrebbero sei in sette leghe continue nuotando; ma il sig. di Buffon dice che ne fanno appena una sola; che in

ORSO: BIANCO. 25

Pregio inseguonsi facilmente su piccioli batelli he ben tosto sono stanchi; che talvolta attuflano nell'acqua, ma non ci restano che alcuni secondi, e che per paura di annegarvi si espongono a farsi uccidere alla superficie.

Quando alcune masse enormi di ghiaccio, o per forza di venti, o per urto delle correnti son distaccate, lasciansi gli orsi trascinare con ‘esse; e come possono: abbandonarle ,, riguadagnare la sponda, avvien loro spesso di perire in alto mare: orsa bianca. partorisce due orsacchiotti ad un tempo; e l'amor che poi regna fra essi e la madre è forte, che preferisce morire, anzichè ne più gran peri- coli separarsi da loro. Il caso, che riferiremo, ne sarà prova singolare. 7

« Veleggiando, pochi anni addietro, un na- viglio inglese per fare alcune discoperte verso il polo settentrionale, e navabidosi impedito da' ghiacci, una mattina il piloto die’ avviso all’ equipaggio, che tre orsi bianchi si avvici- navauo, già erano a poca. distanza. Ceria- ‘mente erano stati attirati dall’ odore dell’ olio d'un vitello marino ucciso da. alcuni giorni , e che ora ardeva sul ghiaccio. I tre animali , intanto, furono riconosciuti essere un orsa e due | orsacchiotti, quasi forti al par della madre, i \quali si precipitarono verso il fuoco, e trassero idi mezzo, alle fiamme parte della carne di una

126 ORSO BIANCO.

“morsa non ancor consumata, e la divorarone. Alcuni dell’ equipaggio allora gettaron sul ghiac- cio altri pezzi della morsa medesima, che lor rimanevano. La madre vénne a prenderli l'un dopo altro, sempre portandoli © dinanzi ai figli, ritenendone per che picciolissima »orzione. Ma intanio, ch essa veniva a pigliarsi È ultimo brano, i marinai trassero d’ archibugio contro gli orsacchiotti, e gli uccisero ambidue; indi anche alla madre diressero i loro colpi , senza per altro ferirla mortalmente. I cuori più insensitivi avrebbero versato lagrime di compassione, vederdo il tenero interesse, che quesia povera bestia prese alla sorte de’ figli suoi ne loro ultimi momenti, sebbere tormen- tata essa medesima da piaga grave, che appena le permise di strascinarsi dov’ essi erano. Apportò loro quanti frusti di carne potè raccogliere all’ intorno, gli invitò con dolci eccitamenti a mangiarre ; e come vide che non li toccavano , distese Ie sue zampe prima sul- uno e poi sull'altro, cercando farli rialzare, e mandando gemiti dolorosi. Quando vide che non potea farii movere , si allontanò da loro; ma poi che fu a certa distanza si guardò ad- dietro, e si mise ad urlare con quanta forza era in essa. Poi ritornò a’ figli, si mise a fiu- tare intorno di loro, e di nuovo ailtentamente li mirò, ripetendo gli urli di prima. Sorpresa

ORSO BIANCO. I di

| che non la seguissero, gran moto si diede in-

torno ad essi, carezzandoli, chiamandoli , ec- citandoli. Convinta alfine ch erano senza ca-

‘lore e senza vita, alzò la testa incontro al

—_—__—

vascello, e fece intendere un fremito di di- sperazione a cui i marinai risposero con una *carica di fucili. Essa cadde allora in mezzo ai figli suoi, e spirò leccando le loro piaghe ».

I maschi, a certo tempo dell’ anno, sono’ affezionati alle femine loro, che il sig. Hearne assicura averne frequentemente veduti stender le zampe sulle proprie compagne state uccise; e fedeli alle loro spoglie preferir la morte al- l’ abbandonarle. i

In inverno questi animali si addormentano nella neve o sotto cumuli di ghiaccio , ove rimangono in uno stato di torpore, fino a che le regioni del polo artico siano avvivate dai raggi del sole. Di tutti i quadrupedì essi pajono quelli che più sfuggano il calore. Il professor Pallas parla di un orso, che rimaver non volle in sua casa, duranti i giorni inver- nali, quantunque abitasse la Siberia, il cui clima è freddo eccessivamente. Un altro, ch'era al giardino delle piante in Parigi, trovavasi così incomodato dal caldo, che i suoi custodi erano in tuito l anno olbligati gettargli adesso ben settanta secchii d’ acqua ogni giorno, per rin- frescarlo.

r28 | FL COATI O RATTONE.

Quest animale è un po’ meno grosso che un tasso; ed ha appena due piedi di lunghezza, non contando la coda, che è presso a poco di undici pollici. H suo dorso è un po'arcato, e le sue zampe posteriori sono più lunghe che quelle davanti. La sua testa li a quella di una volpe; ma colle orecchie al- quanto mea lunghe, e con mascella superiore profilatissima e più grande che l inferiore. Il color del suo pelo è d’ un grigio carico; ma la faccia è bianca, e gli occhi sormontati da una lista nera, che assottigliasi in bruna e si prolunga fino al naso.

‘Il coati trovasi in America, e in differenti. isole dell’ India occidentale.

Suo nudrimento nello stato di natura sono il mais, la canna del zuccaro, e differenti spe- cie di frutta. Si presume, però, che divori gli augelli, e le loro ova. Quando abita presso le coste del mare, mangia gran quantità di pesci con scaglie, e specialmente di ostriche. Dicesi, che spii il momento, in cui il loro guscio si apre, che v introduca destramente le unghie, e ne cavi il pesce a piccioli pezzi. Talvolta, però, l’ostrica si chiude ad un tratto; le zampe dell'animale ci nese prese; esso non può più correre, ed è ben tosto sopraf- fatto dai flutti del mare, ove si annega.

TL COATI O RATTONE. 129

Molia industria parimenti il coatl a ve- «lere nel prendere i granchi marini. Brickwall narra come si tiene iu riva alle paludi, e attuffa nell'acqua la sua coda, che i granchi pigliano per una qualche esca, onde vi si attaccano. Appena l’animal li sente, sollevali d’ una sola scossa, e li trasporta a qualche distanza. Vo- lendo mangiarli, ha gran cura di porli di ira verso nella sua gola, per tema d esser ferito dalle loro punte. Una specie di granchi di terra, che s incontra di frequente in certi sfondi arenosi. della Carolina settentrionale, forma spesso il suo nudrimente. Esso li prende cacciando una delle zampe davanti nella sab- bia, e portandoli così alla superficie del suolo. Quest’ animale si ciba particolarmente nella nolie, attesocchè dorme gran partie del giorno, eccetto ne tempi nuvolosi. E di natura assai allegro e vispo; le sue grife, che sono acutis- sime, gli dan modo di arrampicarsi facilissima- mente per gh alberi, anzi di salire fino alla lor cima. Addomesticato, fa mille graziose paz- zie. E sempre in moto; mostrasi malizioso quanio una scimia; tuito palpa colle sue zam- pe. che gli servon di mani onde pigliare ciò che gli si porge, e mettersi il cibo in bocca. Mangia ritto in piedi, ama molto le ghiottor- nie, ed ove si lasci fare, s inebria di liquori forti.

Gabinetto Tom. IL. 9

130. IL COATI O. RATTONE.

Il sig. Blanquart des Salines scrisse al conte di Buffon in proposito di quest animale. nei. termini seguenti :

« Il mio coati sempre visse: alla. catena prima di passare nelle mie: mani. In tale cat- tività si meostrava assai docile, sebben poco carezzevole. Le persone della casa. gli facean tutte l' istesse dimostrazioni, ma egli le rice- veva. assai differentemente. Ciò che piacevagli dall'una, offendevalo nell'altra; mai prese: scambio. Talvolta la sua catena si ruppe; e allora la libertà lo rendea. insolente. Impadro-. mivasi di una camera, e non soffriva che al cuno se gli avvicinasse, onde riusciva diffici-. lissimo il racconciare i suoi vincoli. Dopo il suo. soggiorno presso di me, la sua prigionia {requentemente sospesa. Senza perderlo. di vista, ic lascio ch' ei s aggiri a. piacere colla. sua catena; e sempre le sue graziose maniere; mi esprimono la sua riconoscenza. Non è però così, quando fugge da medesimo. Allora. esso va errando per tre o quattro giorni di seguito. pei tetti del vicinato , e discende la. notte nelle certi, entra ne' pollaj, strangola i volatili, che vi si trovano, mangia. loro la. aesta, e prende particolarmente di mira le galline di faraone. La sua catena nol rendea già più umano, ma soltanto più circospetto. Esso impiegava allora V astuzia, e famigliarizzava.

IT COATI RATEONE LI seco 1 polli » permettendo loro di venir a di- videre il suo pasto, finchè ne prendeva im- provviso qualcuno , e gli facea pagar cara la sua confidenza. Talvolta anche piccioli gatti ebbero a provare la medesima. sorte.

» Quest animale, sebbene leggierissimo, non ha che de movimenti obliqui; ed. io dubito ehe possa mai raggiugnerne altri in. corso. Apre esso a meraviglia le ostriche , e basta rompergliene la cerniera, che le sue zampe fanno il resto. Deve, sicuramente, avere il tatto squisito in tutte le cose di suo bisogno; poichè di rado servesi. in esse della. vista. o dell’odorato. Riguardo all’ostrica, per esempio, la fa passare sotio le sue zampe di dietro,. poi, senza guardarla, cerca con quelle dinanzi. la parte più fragile, vi caccia l'unghie, ne apre alquanto le scaglie, e pezzo a pezzo ne cava. il pesce, senza lasciarvene vestigio; in ciò i suoi occhi o il suo naso che tien lon- tani gli sono del minimo. uso.

» Se il coaii non è molto riconoscente alle carezze che riceve, è però singolarmente sensitivo ai cattivi trattamenti. Un servitore di casa gli diede un giorno alcuni colpi di scu- riscio; e invano poi cercò riconciliarselo. Ne ova, locuste marine, cibi deliziosi per quell animale, han più potuto calmario. Al l'avvicinarsi del percussore, si agita, infuria, lo

132 IL COATI O RATTONE. investe, 1 suoi occhi scintillano, slanciasi con- tro di lui, manda gridi di dolore; quanto gli si presenta il rifiuta, sino a che il nemico sia scomparso. Gli accenti dell’ ira sua son singo- lari: perocchè or ci sembra di sentire il fi- schio del chiurlo, ora il rauco abbajare d'un vecchio cane. -

» Se alcuno il baite, s è assalito da un animale che crede più forte di sè, non Op- pone alcuna resistenza. Simile a un riccio marino asconde la testa e le zampe fra le sue gambe , e fa del suo corpo un gomitolo, non gli sfugge un sol lamento, "e in tale stato soffrirebbe la morte.

» Ho osservato ch'egli mai non lascia fieno, paglia nel suo covacciolo; ma pre- ferisce di posare sul legno. Quando gli si ‘strame, le sparpaglia in sull’ istante. Mai non potei accorgermi che patisse il freddo; poichè di ire inverni, due ne ha passati esposto a tutti i rigori dell’ aria; ed anche senza tetto, e coperto di neve stava benissimo. Non pare ch'ei cerchi in modo alenno il calore, menire negli ultimi geli avendogli io fatto dare acqua iicpida ed acqua fredda separatamente, que- st ultima ebbe sempre da lui la preferenza. E potendo passar la notte ben guardato. nella senderia, amò spesso dormire in un angolo.

ella ‘mia corte. $ ica

IL COATI O RATTONE. (35

» Per mancanza o scarsezza di saliva, a ciò ch'io suppongo, quest'animale ama che il suo cibo sia inzuppato d’ acqua. Non cerca già di inumidire la carne fresca, che ancor fa san- gue, non una pesca, per esempio 0 un grap- polo d'uva; laddove tutto quel che è secco lo ammolla in fondo alla sua terrina.

» I fanciulli son uno degli oggetti dell'odio suo; i loro pianti lo irritano; esso fa tutti gli sforzi per islanciarsi contro di loro. Una cagnuola , cui molto ama, è da esso corretta severamente, quando si avvisa di abbajar con asprezza. Non so perchè diversi altri animali abborriscono egualmente le grida. Nel 1770 io avea cinque sorci bianchi. Mi entrò il ca- priccio di farne gridare uno: gli altri si get- tarono sopra di esso; e poichè da me pun- zecchiato continuava, quelli lo strangolarono »:

Non si caccia al coati che in grazia del suo pelo, del quale i capellaj fanno uso stima sopra ogni altra specie di feltri dopo quello del castoro. Se ne fanno pur anche fodere agli abiti, e guanti, e tomaje di scarpe. La carne poi di quest’ animale piace molto ai negri, onde ne fanno spesso il lor pasto.

Avvi ora (1806) alla torre di Londra una femina del coati, la qual vi dimora da quat- tordici anni, sicchè | età | ha resa cieca. Il maschio, che divideva altra volta la sua stia ,

134 IL COATI Ò RATTONE. enirò un giorno, per caso, in quella dell'orso di Groenlandia, che lo divorò.

Quanto alla particolarità di sopra riferita; dell’ inzuppare , cioè, che fa il coati le cose dure, che gli si danno a mangiare, il signor Greenfield nega d'aver mai nulla veduto di somigliante. i

Un coati dell'America settentrionale, che ‘oggi è nel parco di Exeter-Change dicesi che consumi circa una mezza libbra di carne cruda per giorno.

IL TASSO:

L' ordinaria lunghezza di quest’ animale è di due piedi e mezzo , all’ incirca, non con- ‘tando la coda, che per sola ‘è sei pollici. Esso ha gli occhi e le orecchie assai picciole, e l unghie delle gambe anteriori lunghe e di- ritte. È d'un color grigio sul dosso, e affatto nero sotto il ventre. Ha la faccia bianca; se non che d'ambidue i lati della sua testa vedesi vna fascia nera piramidale, che s alza sopra gli occhi e le orecchie. Il suo pelo è ruvido , e i suoi denti” non meno che le sue grife sono di molta forza. Abita esso quasi tutte le parti temperate dell'Europa e dell’ Asia.

E animale affatto innocuo, che vive princi- palmente di radici, di frutta, e d'altri cibi

IL TASSO. 135 vegetali; va però fornito «di tali armi, che pochissimi animali assaliar lo potrebbero im- punemente. La destrezza e il coraggio, con cui si difende contro le belve feroci, son cagione, che le battaglie, che sovente gli si danno per mezzo dei cani, diventino un divertimento popolare. In simili circostanze, sebben di na- tura indolente, cppone la più vigorosa resi stenza, e fa talvolta ferite profondissime a’ suoi avversarii. La sua pelle è floscia e ad un tempo dura, che non solo rintuzza i loro denti, ma fa che, ove l'atterrino, esso possa volgersi incontro di loro e ferirli nelle parti più sensitive. Così dura talvolta a lungo contro gli assalti ripetuti dei cani, finchè oppresso dal numero , e lasciato senza forze dalle ferite è costretto di soccombere.

Gli animali della sua specie vivono ordina- riamente .a coppia ; producono quattro in cinque figli tutti gli anni. Amano luoghi bo- scosi, fenditure -di rupi, covili sotterranei ‘ch’ essi medesimi si formano, ed ove stan na- scosti l'intero giorno ; per uscirne poi al ve- nir della notte. In certi tempi la loro inerzia la lunghezza dei loro sonni, li fa coprire d' ec- cessiva pinguedine. |

Duranti i gran freddi dei rigidi inverni, ri- mangonsi essi in una specie di torpore, dor- mon comodamente sovra un letto d’ aridi

138 TL TASSO. i erbaggi. Portano all’ano una specie di borsa, im cui depongono la secrezione di una sostanza fetida e bianca, la qual fluisce continua dal loro orifizio, e manda un odore il più disag- gradevole, ma ove pur essi ficcano il naso, per gustare più soave il riposo.

Aitro male non sembrano fare al mondo, che un po di raspamento di terra e di bu- che, per ritrovare di che nudrirsi; il che sem- pre avviene nelle loro escursioni notturne. E come quesio un po’ di noja a padroni dei luoghi, ove cagionano qualche guasto , fece che si pensasse al modo di prenderli, ché or diremo.

Scoperta che siasi ta loro tana, si pone un sacco al sno ingresso, mentre di notte sono assenti; e un uomo Vi si tiene di guardia ; mentre un altro con cani fa la ronda pci cam- pi. nde sforzare i girovaghi a correre al loro rifugio. Appena la sentinella s'è accorta che il tasso è nel sacco, si fa innanzi e sel porta via; e se l’animale è ancora sul crescere, non è difficile addomesticarlo.

La sua pelle serve a differenti usi, delli sue setole si compongono pennelli. Avvi chi dice che della carne dei tassi ben stagionati e ben pasciuti fanno ottimi presciutti.

137 IL GHIOTTONE.

‘Frae il suo nome dal suo appetito o piut- tosto dalla sua voracità, e si trova in Siberia e nelle parti settentrionali dell Europa e del- I America. -

Il suo corpo è all'incirca lungo tre piedi, senza contar la coda, con cui lo sarebbe di quattro. Il suo color generale è un bruno ros- siccio; ma lungo il dorso è di un nero lu- cente.

Le sue gambe assai corte lo rendono poco atto alla corsa; ma le grife son fatte apposta, per arrampicarsi sugli alberi, ove il ghiottone resta tutto il giorno ad aspettare la preda. Il renne e lalce sono il suo boccon favorito, e quando ne vede venir uno, gli si slancia in groppa , lo piglia per le corna, gli cava gli occhi, gli intollerabil conii , che il povero 0: per mettervi fine, urta il capo in un tronco con quanta forza più può, onde cade morto all’ istante. Che se non ha questa sorte, il suo crudele nemico si fa a succhiar- gli il sangue, indi a mangiarne a crepapelle la carne, finchè addormenta in uno stupor letargico presso alla vittima. Ma poi rivenu- tone, e ricuperato il suo terribile ‘appetito , ricomincia il pasto finchè della preda più nulla avanzi.

1385 TL GHIOTTONE

Ti sig. di Buffon asserisce che appena l'ani- male, su cui il ghiottone si scaglia, è morto , . «costui lo faccia a pezzi, e li nasconda sotter- ra, perchè altra belva non ne mangi; e ch'esso medesimo non cominci le sue grasse merende che quando è ben sicuro del fatto suo.

Lepri, sorci, uccelli e fin carogne tutto È buono alla sua insaziabilità.

TLC

orrori

Ci

CAPITOLO IV.

D.1 biondo Nigro in riva, o presso ai sacri Umor del Gange, in solitaria selva Tranquillo al rezzo di vetuste piante adiposo elefante si riposa;

Avveduto animal, d’ unica forza

Ma dal nuocere alieno. Rinnovarsi

Ei l’età vede, ruinar gli imperi,

Novi apparirne e cangiar volto il mondo. THOMSON,

L ELEFANTE.

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E) desso il più grande di tutti i quadrupedì , e merita, a mille riguardi, la nostra più sin- golare attenzione. Cresciuto ch’ ei sia quanto alla sua natura s' appartiene, tocca i dieci e i dodici piedi d'altezza, prendendolo dai piedi alla parte più elevata del dorso, il quale è ben largo sei o sette, e alquanto protuberanie. Il corpo di quest animale è tozzo e corto, il collo brevissimo , grossa la testa con proboscide o tromba, che scende insino a terra, la bocca picciola e stretta con due zanne sporgenti dalla mascella superiore , senza contare otto grossi denti pur mascellari. I suoi occhi son vivi e penetranti, le orecchie grandi e pendenti; le

140 L'ELEFANTE. gambe cilindriche e massiccie, che gli servone per così dir di pilastri, onde sostenere l e- norme suo peso; i suoi piedi cortissimi, quei dinanzi più larghi e più rotondi che i supe- riori. Esso ha ÎL pelle durissima, principal- mente sulla pancia, di un color bruno carico, il qual si accosta al nero. « La tromba del- T elefante , dice il six. di Buffon, è composta di membrane, di nervi e di muscoli, ed è al tempo stesso un membro capace di movimen- to, e un organo del sentimento. L' animale non solo può muoveria e piegarla , ma può altresì raccorciarla , allungaria, moverla e vol- gerla per tuiti i lati. All estremità di questa tromba è un orlo o escrescenza, che vi si al- lunga al disopra in forma di dito. Con esso Y elefante fa quanto noi facciamo; leva da terra i più piccioli pezzi di moneta; coglie Ì erbe ed i fiori, scegliendoli uno ad uno; snoda un cordone , e chiude le porie, volgendone le chiavi o spingendo il chiavistello. »

Singolare è veramente la facilità con cui l elefante adopera la sua tromba, la quale suol essere di sei o sette piedi di lunghezza, e co- minciando con gran volume alla radice via via si diminuisce fino all’ estremità. La poca esten- sione del collo di questo quadrupede è ben compensata dalla molta di questa tromba, la cui struttura è murabile, e ch’ esso applica con

L'ELEFANTE, 141 tanta agevolezza a’ suoi bisogni, che il dottor De- rham la riguarda come una prova manifesta delia sapienza divina.

I denti mascellari dell'elefante, così gli in» feriori come i superiori, sono di tal grossezza, che contribuiscono a rendere stretta la sua bocca. Ma già gli sarebbe inutile averla più larga, poichè la forza di tuiti i suoi denti è tale, che iita a primo colpo gli alimenti, e per ciò non ha bisogno di portarli quà e per fare subir loro una più lunga masticazione, come gli altri bruti. La sua lingua, per lia ragione medesima, è picciola e corta, di li seia superficie , rotonda non piana e asso- tigliata , a differenza ‘di quel che può dirsi co- munemeéente degli animali d'ogni specie.

Le zanne di questo quadrupede, onde si cava l avorio, variano per la. grossezza e Y estensione: le più lunghe, che siansi por- tate in Inghilterra, sono di sette in otto piedi, e pesano dalle cento libbre alle cento cin- quanta. Di rado se ne veggono nelle femmine, © si veggono assai picciole , e rivolte a terra.

« Nell'uomo e negli altri animali (per ser- virci delie espressioni dei sig. di Bufion, dac- “chè nessun altro stile potrebbe ugguagliarsi a quello di gran naturalista ), l'epidermide è ovanque aderente alla pelle; nell’ elefanie è solianto attaccata ad alcuni iniervalli, come il

145 | L' ELEFANTE: sarebbero due stoffe di un trapunto. Quest'e- pidermide è naturalmente asciutta. e facile ad Hgrossare. Dove non è callosa, negli screpoli,. e- in tutti i luoghi ov è meno dura, il pun- golo delle mosche si fa sentir molesto al- l elefante, che impiega non solo. que’ movi- menti, che posson dirsi involontari, ma quelli pure che dipendono. dall'inteliigenza e dall'in- dustria, per liberarsene. Perocchè si vale della. coda, dell’ orecchie, della proboscide, onde colpire gli imporiuni insetti; ed olire di ciò con rami d'alberi, e fasci di paglie si a: fiagellarli, e se questo ancor non riesce , race coglie polvere , e copre con esse le parti più sensitive del suo corpo: Di questa guisa: è. stato veduto premunirsi più volte in un: giorno ; premunixsi a proposite , cioè all’ u- scire dal bagno ».

Principal nudvimento dell’ elefante è erba; e quando non ne ritrova, dissotterra colle sue zanne tante radici che vi suppliscano: Ha poi così fino odorato, che facilmente giugne a: scoprire il miglior cibo, evitando ogni specie di piante nocive. Addomesticato che sia, man-. gia fieno, avena ed orzo, e beve grande quantità d acqua, cui, aspira: colla sua tromba, e poria in seguito nella sua gola. Sembra che- fosse costume di dargli spiritosi liquori, onde inebbriarlo e sbtaeido furioso, quando spin- gevasi ne’ combattimenti.

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Si è preteso che l’ elefante compia una lun- ghissima carriera, vivendo oltre ai cento, fino ai cento venti e cento trent'anni. Taver- njer , il quale ha viaggiato nell'India, dice di non aver mai potuto assicurarsi della durata. positiva del viver suo, ma che un cornac (con-- dottiere d'elefanti) gli dichiarò di conoscerne uno, ch'era stato: sotto la guardia del padre deli avo di suo avo, onde,, giusta. il suo calcolo, si ri- saliva a cento venii o cento trent anni. È però generalmente attestato, che un tal ani male giugne ad avanzatissima età, sebben .vada soggetto a non poche malaitie.

Gli elefanti prendono la più gran cura dei figli loro, e preferiscono il morire al ve- derli perdere la vita. Secondo il sig. «di Buf- fon « essi per lo più camminano di compagnia. In questa guisa: il più vecchio. conduce ; il secondo in età gli spinge innanzi. onde vien l’ultimo; i giovani e-le femine stanno in mezzo; e le madri portano i loro piccioli , tenendoli in: certa guisa abbracciati colle loro probo-. scidi »,

Quando gli elefanti incontrano: alcuno della. loro specie. morto ne’ boschi, si fanno a ri- copririo di rami d' alberi, di erbaggi, e di Quanto- possono ritrovare. Che se un d'essi è ferito , gli altri ne prendon cura; gli portano di che nudtirsì, e tutti si riuniscono, onde salvarlo dai cacciatori che l' inseguono.

144 I. ELEFANTE. ; Credevasi altre volte che le femine succhias sero esse medesime il proprio latte, onde tra- smetterlo a loro piccioli per mezzo della trom- ba; ma tale asserzione è assolutamente erronea. Poichè J. Corse ne assicura nelle sue Ricerche Asiatiche di aver veduti giovani elefanti di due o tre anni succhiar colla bocca le mam- melle della madre, comprimendole alquanto colle ancor tenere proboscidi. E qui noteremo, come le osservazioni recenti de’ più moderni scrittori distruggono affatto le antiche opinioni intorno alla supposta castità degli eiefanii, e più altre ipotesi, egualmente prive di fonda mento. Certo è penoso, ma la verità vi ci costringe, a relegare fra le bellezze retoriche , e toglier alla storia quanto il sig. di Buffon scrive in- torno all elefante con tanta eleganza: « Pro- vare gli ardori più vivi, e ricusar di soddi sfarli; nel furor dell'amore conservar il pudore sono forse l estremo sforzo dell’umana vir- iù; ma per questo maestoso animale son alti ordinarit, a cui esso giammai non mancò ». « L'elefante, dice altrove questo scrittor medesimo , domato che sia una volta diviene il più mansueto e il più paziente degli ani- mali; si afteziona a chi di esso ha cura, lo accarezza , il previene, e sembra indovinare quello che può piacergli. In poco tempo giugne

L’ELEFANTE, 145 a comprendere i segni, ed anche ad inten- dere 1 espressioni dei suoni; distingue il tuono imperativo, quel della collera , o della soddisfazione, e ne piglia. norma all’ operare. Mai non s inganna neli interpetrare la parola dei padrone; riceve i suoi ordini attentamente; gli eseguisce con sollecitudine insieme e con pradenza ; non con precipizio, ma con giusta misura. Il suo carattere sembra tenere non so che di grave dalla sua massa. Gli si insegna agevolmente a piegare il ginocchio, onde ren der più facile a chi lo voglia il salirvi in groppa. Esso colla proboscide carezza chi gli va a grado, saluta le persone che gli si ad- ditano; se me serve per sollevar pesi, ajuia altri ad addossarglieli; si lascia vestire, e sera- bra pigliar piacere a vedersi coperto di arnesi dorati, e di gualdrappe brillanti. Si attacca con redini a de’ carri, a de navigli, a degli argani , cui egli ira equabilmente e senza stancarsene , purchè non si insulti con per- cosse date mal a proposito, e si mostri anzi d' essergli grati della buona. volontà, con cui impiega le sue forze. IL suo cornac, ossia quegli che d' ordinario il conduce gli sta a cavalcioni in collo, ed usa di una verca di ferro acuminata, con cui pungerlo or sulla tesia or: presso alle orecchie, per avvertirlo © sli volger strada, o di accelerare. Ma spesso

Gabisetto Tom. L 10

146 L'ELEFANTE. la parola asta , soprattutto se ebbe tempo di ben conoscere il suo conduttore, e di fami- liavizzarsi con lui ».

Un elefante addomesticato rende al padron suo altrettanti servigi quanto sei cavalli: ma esige molte cure e veli considerabile di buon nutrimento.

Onde porger idea di que’ servigi basterà l'os- servare col sig. di Buffon « che tutte Je botti, i sacchi, le balle, che si trasportano d'uno in altro iuogo nell India, non si trasportano che da elefanti; ch' essi recar possono fardelli sul loro dorso, sul loro collo, sulle loro zanne, ed anche in loro bocca pel capo di una corda, che lor si serra fra 1 denti; che ag giugnendo l'i in- telligenza alla forza non lupa guastan subi di ia loro si affida; che rotolano e fan passare tali pesi dalle rive dell’'acque in un batello, evitando che bagnino, li posano pian piano, li collocano ove loro si addita, e quando han ciò fatto, provano colle. loro trombe se stanno ben saldi; e trattandosi di botti vanno a cercare essi medesimi delle pie- tre, onde calzarle e farle stare ben ferme ».

Un missionario del secolo decimosettimo., che scrisse un viaggio di Oriente, così espri- mesi, come insiimiinio di veduta: « Vi hanno sempre a Goa degli elefanti. per servire. alla costruzione de’ navigli. Sovra una gran. piazza

L ELEFANTE. î 49 della città piena di travi accumulate a tal uopo , vidi un giorno alcuni womini affidarne di pesantissime ad uno di que’ quadrupedi per mezzo di una fune che gli gettavano , e che esso legava con due o tre nodi alla sua pro- boscide. Indi le strascinava solo, senz’ altra guida , ‘alla riva del fiume, ove si stava fab- . bricando un naviglio grossissimo. Talvolta ne traeva alcuna enorme, che quaranta uo- mini, e forse ancor davvantaggio non sariano riusciti a smuoverla. Ma ciò che mi parve più mirabile si fu, che incontrandone esso in sulla via ‘altre; che gl’impedissero il proceder oltre colla sua, le calcava con un piede, è ne ‘alzava così un estremità , onde farvi più ‘age- volmente scorrere quella al disopra. Che po- tria fare di meglio il più ragionevol uomo «del mondo?

Fouché d' Absonville, mel suo Saggio so- pra i costumi di diversi animali sirarteri, dice che ha veduti nell'India due elefanti eccupali ad abbattere delle ale di muro. il loro gover- natore assegnando ad essi questa falica, ve gli aveva incoraggiti colla promessa di alcumi frutti e d alquanto arrak. I due animali, quindi , combinando in certa guisa le loro forze si diedero a percuotere il muro col grosso della loro tromba ripiegata al dissotio e guernita di duro cuojo; e a forza di colpi reiterati

148 L' ELEFANTE: riuscirono a crollarlo. Alfine, data un'ultima e più forte scossa, si-trassero indietro. pronta- mente e di concerto, onde non esser feriti dalla rovina. ;

Impiegavansi altre volte. nell’ India gli ele- fanti a lanciar vascelli in mare. Uno di tali quadrupedi parve una. volta: cedere per debo- lezza, trattandosi di un bastimento di troppo gran capacità. Il padron suo d'un tuono iro- nico ordinò. al corrac: di conda» via quelli fingardo , sostituendogli un altro. Hl povero animale rinnovò. allora i suoi sforzi con ianta violenza, che: si fracassò. il cranio, e mort sull’ istante.

Prima dell’ uso. delle armi da fuoco quez quadrupedì erano adoperati con molto successo: negli eserciti; ma nell’ odierno sistema di com- battere, non. contribuirebbero che a gettare n un campo il disordine e la confusione. Sono: però utilissimi, per trascinare l artiglierie sulle montagne; e in questi casi la loro cautela e la loro sagacia appajon degne d’ osservazione. Falvolta pure si adoprano, onde trasportar ba- gagli da una sponda all'altra di una riviera. A questo fine, dopo che il lor conduttore gli ha caricati del peso . di più quintali, attacca loro al collo delle corde, a cui 1 soldati si attengono, sia per nuotare, sia per farsi tra- scinarve in mezzo all sc

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Un altro impiego di siffatti animali in tempo di guerra è quello di atterrare le porte di una città o di una piazza ‘assediata; il che fanno essi urtandole a colpi veiterati con tutto il peso del loro corpo, finchè siano giunti a frantumarle, e distaccarne i ferramenti. Contro il quale pericolo la più parte delle fortezze orientali hanno le porte munite di grosse punte «di ferro, che orizzontalmente si sporgono a qualche distanza.

In diverse contrade dell’ Indie, i grandi mantengono degli elefanti più per ostentazione che per bisogno ; il che loro cagiona gravis- simo dispendio. Quegli animali, infatti, con- sumano immensa quantità di foraggi, e tal volta, per soprappiù, di cannella, di cui sone avidissimi. È cosa ordinariissima ai Nabab (i governatori ) ; quando vogliono ruinare un sem- plice privato , il fargli presente di un elefante. Quest uomo è allora costretto ad una spesa di mantenimento, che supera le sue forze; perocchè se cercasse ‘disfarsi dell’ animale, in- correrebbe necessariamente la disgrazia del do- natore, oltre al privarsi di un onore, che vien riputato insignissimo.

Vi hanno alcuni paesi d'oriente, in cui gli elefanti sono sostituiti ai carnefici; peroc- chè spezzano l' ossa ai colpevoli colle loro trombe, gli schiacciano coi loro piedi, ovvero

e 50 E ELEFANTE: gli impalano colle loro zanne , giusta gli or- dini che ricevono.

L'istoria riferisce molti tratti di fedeltà, di ricompensa e di sagacia di questi animali. Eliano ci dice che quando Poro, monarca del- F Indie, fu vinto da Alessandro il Grande, e trovò ferito da più dardi, il stio elefante glieli trasse dal corpo colla sua tromba; e ac- corgendosi ch'egli, per Îa perdita di tanto sangue, già slava per cadergli di groppa , si stese .a terra pian piano, ud non si facesse male a discenderne. Ateneo parla della ricono- scenza di un elefante verso. una donna, che gli avea reso alcuni servigi, ed era accostu- mata di mettergli appresso i suo fanciullo , quand era Dioiolino Alla morte della madre il grosso animale prese tanto amore al povero orfanello , che manifestava il più vivo. dispia- cere se allontanavasi dalla sua presenza; volea prender cibo, se non dopo che la nu- trice gli avea messa lacuna fra le gambe. Allora, mentre il bambolo dormiva, esso. man- giava con grande appetito. Che se quello tal- volta piangeva, questo non lasciava di agitarne mollemente la barchetta di vimini, sino che fosse assopito, e poi curava colla sua tromba, che ne stessero lontane fe mosche e ogni insetto.

A Adsemeer un elefante, che passava spesso in mercato accanto ad una venditrice di legumi

L ELEFANTE. 151 era solito riceverne in dono qualche manata. - Avvenne intanto, che, preso un giorno da un accesso di rabbia periodica , spezzò 1 suol ferri, traversò il mercato correndo, e mise m fuga quanti st ritrovavano sul suo pas- saggio, e fra l'altre persone, anche la donna, che in quel precipizio obliò un fanciullino , che avea seco. L'animale ricordando il luogo, ove stava d' ordinario la sua benefattrice, Li ciò la sua tromba con molta delicatezza intorno a quella picciola ereatura, e I adagiò sana e salva sovra il banco di una bottega vicina.

Un elefante, scrive il sig. di Buffon, si era pur dianzi vendicato di un cornac, ucci- elendolo. La moglie di questo, spettatrice del- Y errida scena, prese i suoi due fanciulli, e li gettò a piedi dell'animale, dicendogli: poiché hai ucciso il mio marito, togli la vita a me ‘pure e a questi due infelici. L'animale si ar- restò immediatamente, si ammansò; e come se fosse tocco da pentimento, prese colla sua tromba il maggior de’ fanciulli, se lo mise sul dorso, lo adottò per suo cornac, altro volle sofirirne. »

Gli ia impiegati nell Indostan a portare i bagagli degli eserciti sogliono avere per cu- fi uno i nativi del paese. Or quest uomo e la donna che lo accompagna, come udì il dotto: Darwin da gente degnissima di fede,

150 L'ELEFANTE. prima d'andar ne boschi a raccoglier foglie e vami d'albero pel nudrimento d’alcuno d' essi, lattaccano ad un palo confitto in ierra, e la- sciano d'ordinario sotto la sua protezione qual che fanciullino, non ancor atto a camminare. L'animale intelligentissimo non sol gli serve di difensore, ma quando il bamabolo strasci- nandosi per terra giugne ai confini del cir- colo, che ‘stando esso clefante alla catena può percorrere colla sua proboscide , lo piglia con essa dolcemente , e lo riporta nei centro.

Tavernier racconta che uno dci re dell In- dia cra un giorno alla caccia con suo figlio sovra di un elefante, allor che questo fu preso da tal accesso di furore, ch'era affatto impos- sibile il governarlo. Il cornac disse allora al \ge., che per calmare il feroce animale, il quale avrebbe dato lor morte frangendoli contro i più gran tronchi d’ alberi, conveniva che al- cuno di loro facesse lo spontaneo sagrificio della sua vita, al che era pronto ei medesimo per la salute de’ suoi signori, solo che il mo- narca degnasse promettergli in ricompensa di provvedere alla sua moglie e ai fi igli suoi. In- iorno a che avendo ricevuto la reale parola . gettò immediatamente sotto i piedi dell e- lefante, che presolo colla sua tromba il soflocò, indi passogli sopra il venire; ma tosto pentito dell’azione crudele si fe tranquillo e sottomesso.

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Se un tal quadrupede è fantastico, non è però meno riconoscente. Ii sig. di Bussi rife- risce che un soldato di Pondichery, il quale avea per costume di portare ad un elefante certa misura d’ arrack ogni volta che toccava la sua paga, avendo un giorno bevuto più del convenevole., e vedendosi ‘inseguito dalla guardia, che il ia condurre in esi si rifugiò sotto quell’ animale, ove alfine si ad- dormentò. Invano la guardia scopertolo tentò di strapparlo al suo asilo, perocchè l'elefante il difese colla sua tromba. All'indomani il sol dato, rivenuto dalla Sua ebbrezza, rabbrividì conoscendo, allo svegliarsi, lo strano luogo in eui si ritrovava sdrajato. Ma T animale, che senza dubbio si accorse del suo spavento , il carezzò colla sua tromba per rassicurarlo, e gli fe intendere, che poteva andarsene.

Il sig. barone di Lauriston si arrischiò, im una delle ultime guerre dell’ India, di an- dare a Lacknaor, ad un epoca in cui una malattia epidemica faceva la più gran strage degli abitanti. La principale strada, che còn- Li al palazzo era coperta di infermi distesi in sul nudo selciato nel momento medesimo , in cui il nabab doveva passare. Pareva inevi- tabile che l’ elefante, il qual lo portava, cal- pestasse i cor pi di quegli infelici e gli schiac- giasse, .se il principe non consentiva a ritardar

154 L'ELEFANTE. la sua marcia, finchè fossero altrove trasportati. Ma egli avea fretta; e un tal segno di uma nità sarebbe stato non degno di un personag- gio di alta imporianza. L'animale, però, pieno di sagacia, senza mostrare di rallentar i suoi passi, e senza che alcuno li regolasse , fe ri tirare gli uni, rialzò gli altri colla sua tromba, e scavalcò il rimanente in modo, che non vi fa chi rimanesse offeso. 1

Sebbene gli elefanti siano rimalchavoli per la loro affezione, la lor riconoscenza, e quasi diremmo, bontà, non lo sono però meno pel lor risentimento. Acostà dice che in Cochin, città della costa del Malabar, avendo un sol dato gettata una noce ad un elefante, questo la raccolse e la nascose, e vedendo poi alcuni. giorni appresso ripassar l’altro, gliela riscagliò, ed indi si pose a camminare quasi danzando.

Un altro militare della stessa città avendo un giorno incontrato un elefante col suo cor- nac, niegò di cedergli il passo. Il cornac si guerciò di quest affronto coll elefante, che alcuni giorni dopo vedendo il soldato in riva al fiume, onde s attraversa la città, corse a lui, il prese colla sua tromba, lo tuffò più volte nell'acqua, indi il levò per abbandonarlo alle risa degii spettatori.

Il capitano Hdicn ci narra; che quando egli era ad Achem nell'isola di Sumatra, vide

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un elefante, che ivi si custodiva da più di cent'anni, e che si diceva averne più di tre- cento. La sua altezza era presso a poco di un- dici piedi; e manifestavasi in esso una iutel- ligenza e sagacia straordinaria. Hamilton ne cita un esempio nella singolare vendetta, che noi siamo per riferire.

Nel 1672, dic egli, un vascello iodio la Dorotea, di cui stava al comando il capi- tano Thwait, s arrestò davanti ad Achem, onde prender de’ viveri; e due inglesi resi- denti nella citià vennero a bordo, per far acquisto di merci europee, delle quali aveano bisogno. Comperarono ,. fra altre cose, del panno di Norwich; e come non vera. ad Achem sartore inglese, adoperarono un uom di Surate, che tenea magazzino nella piazza del mercato, ed occupava ordinariamente più ope rai nella sua bottega. Passava solitamente di un elefante, il quale era uso di allungar la sua tromba alle porte e alle finestre delle case, come Ro domandare frutta guaste radici, che gii abitanti preudeano piacere a «donargli. Una mattina andando al fiume per lavarsi, montato dal suo cornac, presentò Î e- stremità della sua proboscide alla finestra del sarto , il quale in luogo di porgergli nulla di ciò che bramava , lo punse col suo ago. L'a- njmale non parve abbadar per nulla all'insulto,

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ma se n' andò tranquillamente alla riviera si lavò. Dopo di che smosse il limo con uno de suoi piedi anteriori, ed aspirò gran quan- tità d'acqua fangosa cella sua tromba; indi ripassando noncurantemente innanzi «alla bot- tega dell offensore , e accostatosi alla finestra, gliela lanciò con tanta violenza, ch'egli e i suoi garzoni farono rovesciati dal loro Halico: e presi da incredibile spavento.

Un pittore, serive il sig. di Buffon, vo- ica disegnare l'elefante del parco di Versailles in una attitudine straordinaria , ch' era quella di tenere la tromba levata, e la bocca aperta. Il valletto del pittore, per far che 1 animale stesse come bisognava getiavagli frutte, e il più sovente fingea di gettargliene. L' elefante se ne sdegnò; e, come avesse conosciuto che ‘1 desiderio del pittore era la cagione di que- sta importunità, in luogo di pigliarsela col valletto , si volse contro il padrone, gettan- dogli colla sua tromba una quantità d'acqua, con cui guastò la carta, sulla quale dise- gnava ».

AI Cape di Buona Speranza si cacciano e si uccidono gli elefanti per averne le zanne. Tre cavalieri ben montati e armati di lance gli as- salgono in giro e per ordine, soccorrendosi gli uni gli altri, a misura che si veggono incal-

55 zati, e fino a che la vittima sia caduta.

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Tre fratelli olandesi, i quali aveano con questo mestiere adunate ricchezze considerabili, si risolvettero di ritirarsi in Europa, onde godervi il frutto delle loro fatiche, ma prima di partire vollero ancor unta volta andare alla caccia. Inconirarono bentosto un elefante e posero ad inseguirlo alla loro maniera ordina- Fia; se non che sventuratamente uno de lor cavalli incespicò , e trasse d' arcione il cava- liere. Quell’ animale furioso allora s'impadronà tosto del suo nemico, il gettò in aria ad un'al tezza prodigiosa, e il ricevette sopra una delle sue zanne, indi volgendosi ai due fratelli pre- sentò loro quell'infelice così impalato, il quale soffriva tutti gli orrori della più crudele agonia.

Un fazionario esattissimo del museo: di sto- ria naturale di Parigi, non mancava, quando era di guardia presso gli elefanti, di avver- tire il pubblico, perchè nulla desse loro a mangiare; la qual cosa certamente non era propria a renderseli molto amorevoli. La fe- mina, in ispecie, lo riguardava d'occhio affatto avverso, e già gli avea fatti provare gli eftetti del suo. malcontento, guazzandogli la tesia colla sua iromba. Un giorno, fra gli aliri, che l’af- flucuza degli spettatori era più grande che all'ordinario, ei ricevette dapprima uno spruzzo d acqua in sulla faccia; ma eome si ostinava ognor più ad impedire ogni dono di pane 0

158 L'ELEFANTE. d’altro, la bestia irritata, s' impadronì del suo archibugio , lo contorse colla sua tromba, lo calpestò , e nol rese che dopo averlo ridotto come un cavastracci.

Può il lettore formarsi un idea del mu- tuo attaccamento degli elefanti dal fatto, che siamo per raccontare. Due di questi animali , ur maschio ed una femmina, furono nel 1786 mandati. allo stathouder di Olanda dalla com- pagnia, che la sua nazione ba nell India; indi vennero separaîi, per essere condotti dall’ Aja a Parigi, ove si preparò loro un vasto allog- gio , diviso in due stanze, che comunicavano per mezzo di una gran porta levatoja.

Al loro arrivo furono ivi introdotti. Il ma» schio entrò primo con gran Wiffidenza, perlu- strò ogni parte, provò colla sua tromba la forza d' ogni sbarra di ferro che legava insie- me le palizzate del chiuso, e si sforzò di schian- tarne al di fuori i chiodi ma non potè riu- sciIrvi.

I due animali, divisi pal comodo del loro trasporto 5 più non si erano veduti da parec- chi. mesi. L' istante, in cui per la prima volta si trovaron di nuovo, fu per essi quello della più gran gioja, e per I osservatore della più gran dici Quando la femmina pose piede nella loggia ad essa destinaia, gétiò dapprima un grido che esprimeva il piacere di vedersi

è ELEFANTE. 159

in liberià, si accorse del maschio, il quale già era nella propria inteso a mangiare. Que- sto non badò niente più che la sua compa- gna gli fosse tanto vicina; ma avendolo il cor- nac domardaio, e però volgendosi, i due ani- mali corsero all'istante l'uno verso dell’ altro, e si misero a farsi tania festa con tale stre- pito; che tutta la sala ne rimbombaya; man- dando ad un tempo dalle lor trombe un soflio, che somigliava a vento impetuoso. La gioja delia femmina era. più viva; essa la esprimeva so- prattutto con un batter celerissimo di orecchie, cui facca muovere a guisa d'ali d'uccello. Ac- carezzava teneramente il maschio colla sua irom- ba, cui gli applicava all'orecchio specialmente, ove la tenea lungo tempo. Soventi anche, dopo averla portata sovra tutto il suo corpo, la ri- portava alla propria bocca. II maschio intanto stendea pur esso carezzevolmenie ia sua pro- boscide sul dorso deila feramira; ma il suo contento era più concentrato , più che con altro parea esprimerio colie lagrime, che scor- reano da’ suoi ccchi in albondanza.

La maniera di prendere gli elefanti selvatici a Tipury nell Indie orivntali, quale. ci. vien descritta nelle Ricerche Asiatiche di J. Corse, è degnissima dell’atienzione del lettore.

« Nel mese di novembre, quando la sta- gione è rinfrescata e le paludi asciutte, gli

160 L' ELEFANTE:

elefanti maschii escono dai loro silvesiri na- scondigli, e fanno delle escursioni notturne nella pianura, ove distruggono le fatiche del- l agricoltore , divorando o calpestando il riso, le canne del zuccaro ed alive produzioni Vegetali.

e Queste devastazioni obbligano i fictajuol e i ati del paese ad una regolarissima guardia sotto un picciolo coperto, formato al dissopra di alcuni bambou, che s' alzano, circa, quattordici piedi da terra Di facilmente si segno a' villici che gli elefanti sopravven- gono ; ed essi allora con gridi reiterati, op- pure con fuochi qua e accesi s' ingegnana di i.

Onde prendere uno de’ maschii s'° impie- slo gli stessi menzi > che si userebbero per impadronirsi & un’ intera tribù di quegli ani> mali; cioè a dire alcune femmine già addo- mesticate , e predisposte con lungo esercizio. Siccome i cacciatori conoscono. assat bene + luoghi , in cui gli elefanti vengono a cercare la lor pastura, si avanzano verso essi con quattro: di quelle femmine; il qual numero sempre trova in ogni partita di caccia. Quando la notte è più oscura, sogliono discoprirli allo strepito che fanno rimondando le cose onde si nutrono, e percoterdole a tal uopo contro le foro gambe anteriori. Che se risplende la luna; allora è facile scorgerli a considerabile distanza.

L' ELEFANTE 161

a Appena han fissato il goondah o elefante maschio , di cui vogliono impadronirsi, con-. ducono lentissimamente e nel più profondo silenzio tre delle femmine sovraccennate verso il luogo, ove quello si pasce. Se quando le vede approssimare si adombra o n'è malcon= tento , percuote la terra colla sua tromba ue: evidenti segni di dispiacere ; ed ove più si avvicmino, le assale, e le offende colle sue zanne; ma se, come il più delle volte accade, ti disposion all'amore: ;.lascia avvicinare le sue seduttrici; e va loro talvolta all’ incontro. 0

« I cacciatori, intanto, fanno che due di esse ; l'una da un lato e l'altra dall altro si diano’ ad accarezzargli e dorso. e collo, mentre collocan la terza di traverso dietro di esso. Il goondah , niuna insidia sospettando contro: la propria liberià, ricambia loro le carezze colla sua tromba, e scherza e follesgia. In questo. mentre si spinge contro di esso la quarta lor femmina , e gli si lega una debolissima corda 3atorno alle gambe di dietro, passando sotto i ventre della terza. Per poco però che l’'a- nimale -si muova, quella corda si rompe; e allora se esso ancor rimane senza sospetto , gii si legano le gambe tutte con una specie di gomena appellata durndah, la qual gli si ine erocia dall una all’altra alternativamente. Come queste gomene sono assai corte se ne impiegano

» Gabinetto Tom. LI. 1

162 L'ELEFANTE. evdinariamente sei o etto, onde riuscir nel» l'intento con maggiore prontezza, e si fermano con altra corda nel luogo della loro inerocia- tura. Un uliima fune, intanto, con nodo a ri- corsojo si pone a ciascuna delie gambe poste- riori dell animale, e questa pure si ferma, come dicenmo delle prime.

« La disposizione di tatto questo cordame esige circa venti minuii, nel quale spazio di iempo non si ode parola quasi. respiro. Che se avviene che il goondah se ne sviluppi, i cacciatori, al primo indizio che ne hanno, salgono in groppa alle femmine, ed ivi stesi bocconi soito una coperta «di scuro colore sottragonsi a suoi sguardi e al furor suo. Que- sto per altro è accidente assai raro.

« Legato che sia l elefante quant È uopo ond esserne sicuri, 4 cacciatori si ritirano a picciola distanza. L'animale, intanto, cerca na- turalmente di seguir le femine; ma trovandosi le gambe impastojate si accorge tosto della sua condizione, e pensa .a ripararsi nell in- terno del bosco. Quelli allora si danno ad inseguirlo sovra elefanti ammaestrati e con ‘gran numero di persone, le quali al passare che fa il goondal presso di un grosso albero, lesando a «questo più corde cercano di attra- versargli la via. Quindi esso fa ogni sforzo per isbarazzarsi, solcando talvolta profondamente

L'ELEFANTE» 163

colle sue zanne la terra. Che se perviene a fuggire nel folto della boscaglia, non osano inseguirvelo, per tema d'essere assaliti da altri elefanti selvaggi; ma se le corde resistono, e l'animale si consuma in vani tentativi, gli son di nuovo ricondotte le femine, che si ricollo- cano nella situazione già descritta.

« Accostatolo, quindi, vie più all'albero, si giugne a legarlo di maniera più sierra, con- ficcando anche pali o nel suolo o nelle piante, per meglio fermare le corde. E chi in iutto ciò si affatica ha cura di tenersi lungi dalla sua proboscide, ed ove nol possa ed abbia a temerne, si fa schermo delle femine, passando da un fianco all’altro di esse, o salendovi in groppa, per mezzo di corde a quest uopo preparate.

« Quando il goordah in qualche modo calmato, ed ha preso un poco di nutrimento fornitogli da’ cacciatori, mol altre corde si avvolgono d' intorno al suo corpo, due delle quali iraggongli di compagnia due femmine addomesticate, onde condurlo più agevolmente al suo destino. Allora liberategli dalle funi le gambe, ed apertogli un libero passaggio, con elefanti e uomini a ciò esercitati si cerca di spingerlo avanti. Esso però talvolta resiste con ogzi sua forza, vorrebbe rimboscarsi, pro- fonda il suolo colle sue ztinne, e si fa tanto

r64 L ELEFANTE: male, che non sopravive più di due o ire giorni. In generale, però, si rassegna alla sua sorte.

« Condotto che sia al luogo apparecchia- togli vien trattato con un misto. di dolcez- za, e di severità, fin che a capo di alcuni mesi mostri interamente addomesticato. È singo- lar cosa il vedere, come nel furor suo, quando è preso, mentre darebbe morte a chiunque po-. tesse raggiugnere , di rado cerca offendere le. femmine che lo hanno sedotto; ma all’ incon tro par compiacersi della loro vicinanza nella. perdita della sua libertà.

« Le femmine degli elefanti mai non si pren= dono sole, ma unitamente a' branchi, ai quali appartengono; che d’ordinario sono composti di cinquanta o cento animali ambo i sessi,, guidati dalle. più vecchie femmine, e dal più grosso de’ maschili.

‘« Quando una di tali truppe é stata disco= | perta, cento persone si dividono in più gruppi © picciole. squadre, distanti una trentina di tese: Yuna dall’ altra, e formano un. cerchio irrego lare, in cui gli clefanti si trovano rinchiusi. Ognuna. di tali squadre accende de’ fuochi, e. prepara un cammino, il qual conduce alla sta- zione più prossima, che serve di centro a iut- ta la circonferenza, e da eui si possono man- dar rinforzi per tutti i punti. dh,

L'ELFFANTE. 165

* Il resto del primo giorno e la notie in- tera si impiega dai cacciatori a far la scolta, a cuocere le provisioni e in molti altri appa- recchii, i quali credonsi più necessarii.

« All'indomani mattina poi di .buonissima era, un uomo si élistacca da ciascun gruppo per formare un muovo circolo in quella dire- zione, ch è a bramarsi che vengano gli ele= fanti. Dopo di che estinguono questi uomini i loro fuochi, e difilano a dritta ed a manca; lasciando un’ apertura, per cui il branco aspet- tato ‘possa passare. Di «questa guisa il primo ‘circolo e il secondo vengono ad unirsi ed a formare un recinto di figura oblunga.

« Quelli, che sono aile prime estremità del l’evale, fanno dello strepito colle loro stoviglie onde fav avanzare gli elefanti ; e tosto che ‘questi seno giunti al nuovo cerchio, i caccia- tori lo chiudono, prendendo le loro posizioni, e passano la notte, che sopravviene, come già ni l’ antecedente.

< Nella mattina del seguente si rinno- vano le industrie della passata. Gli elefanti al lora .si avanzano lentamente in quella direzio= ne, che loro sembra migliore; per isfuggire ai clamori di chi li iconda e si a cante min facendo di foglie . di bambou, di rami d’ alberi, e di quanto incontrano di loro gusto. | Come la gente impiegata in tali circostanze

166 L' ELEFANTE. procede adagio adagio, & raro che pervenga a farli passare in un giorno al di del primo circolo, a meno che gran necessità non ve la costriuga; nel qual caso. usa di tutto lo sforzo di cui è capace, e riesce speditamenie nel suo tentativo.

I cacciatori non hanno altre tende o ri- coveri che il fogliame dagli alberi, che duran- te il giorno li garantisca degli ardori del sole: Nella notte poi si sdrajano sopra stuoje, av- volti in un drappo grossolano e circondati dai loro fuochi, mantenuti dalle sentinelle e for: mati da legne e particolarmente da verdi bam- bou, i quali crepitando , mentre ardono, ten- gono langi ghi elefanti. Che se questi si ar- rischiassero d' avvicinarsi, i cacciatori pronta- mente risvegliati li forzerebbero con grandis- sino Atala a ritirarsi nel mezzo dèl loro circolo.

I keddah, recinto di pali, il qual ter- mina in una via senza uscita, ove debb' essere preso il branco, consiste in tre chiusi, i quali comunicano l’ uno coll’altro per mezzo di stret- ti sentieri. L' esteriore è il più grande, quel di mezzo, e il terzo vanno restringendosi in proporzione. ‘Putti e tre sono ben promiohi e saldissimi; ma l’ultimo è il più forte; s1| crede aver sicuri gli elefanti, se non quando |

x

vi sono entrati. Questo, come i due altri, è|

£ ELEFANTE. 169 cinto di un fosso profondo, e sul rialto , for- mato colla terra da esso tratta, sorge una pa- lizzata di tronchi mediocri uniti fra loro con traversi; e sostenuti esteriormente da gagliardi puntelli. Il tutto però è artificiosamente co- perto di rami d' albero e di bambou, che pren- de sembianza di naturale boscaglia.

La più gran difficoltà è quella, forse, di far entrare il branco nel primo chiuso; per- ciocchè, malgrado ogni precauzione, l elefante che gli sta a capo quasi sempre manifesta aicun sospetto d’ inganno; ma poi ch' esso vi ha po- sto piede gli altri lo seguono ciecamente. AL lora si accendono fuochi intorno, e ue all ingresso, per impedire che n escano; e i cacciatori fanno uno strepito spaventevole gri- dando e baitendo i loro tamburi appellati eami- tam, e sparando petardi, onde forzarli ad eu- trare nel secondo chiuso.

« Gli elefanti vedendosi caduti in un ag- guato urlano orrendamente, e poi che Î in- gresso onde vennero più non è aperto, sl cac- ciano in quel passaggio che li conduce al sc- condo chiuso, e quindi son forzati ad entrare nell’ ultimo. Privi allora d’ ogni uscita diven- gon furiosi, e si precipitano dalla parte del fosso, onde rovesciarne le palizzate, e mandano gridi acuti come il suono di una tromba, ed uzli che imitano il rimbombo del tuono;

e UN

168 L'ELEFANTE. | ma ogni volta che tentano il varco, ne sono impediti dai fuochi e dal fracasso de’ cacciatori trionfanti. Alfine accorgendosi che ogni loro sforzo è affatto vano, prendono un contegno pensoso, quasi come di chi mediti nuovi mez- zi di evasione. Ma i cacciatori formano un ac- campamento intorno a loro; si distribuiscono in sentinelle contro le ili. e nulla è di- menticato per impedir loro di fuggire.

« Lasciatili così alcuni giorni nel keddah, si aprono le porte di un’ uscita, che si chiama roomea, e si determina un elefante a passarvi gettandogli cibo all’ ingresso, e in seguito lun- go di essa. Quindi le porte si richiudono, ti- rando un cordone, e si ‘assicurano con due sbarre di ferro incrociate, contro di cui si pun- tano da ambe le parti scaglioni orizzontali.

« Intimorito dal rumore, che per ciò viene fatto, l'elefante vnol subito ritirarsi, e irovan- dosi imprigionato si getta contro le palizzate della roomea, cui cerca d'infrangere co’ piedi anteriori, 0 percuotendole a guisa di breccia, colla sua testa. Malgrado però tuiti i suoi sforzi è avvinto di funi, e vien condotto da gue femmine addomesticate, e assistite dai cage ciatori.

Appena ciascun elefante è giunto al luogo destinatogli, si pone in guardia d'un capo, che deve e curarlo ed istruirlo. Quest’ uomo ha

L'ELEFANTE. 169 sotto i snoi ordini tre alire pérsone, che re- can foraggi ed acqua all’ animale, fino a che deposta la selvatichezza e il corruccio vaglia nu- drirsi da medesimo. Molte industrie sono a principio adoperate, onde mansuefarlo; lusinghe e carezze; poi anche minaccie e punture per mezzo di una pertica armata di ferro. Ma più sovente il cornac lo solletica grattandogli la testa e la tromba con un lungo bambou, spac- cato in più parti all’ una delle sue estremità; cacciando le mosche dalle sue piaghe e dalle sue contusioni; spruzzandogli d’ acqua tutto il corpo onde rinfrescarlo; sempre tenendosi in- tanto a prudente distanza, per non essere vit- ima di qualche suo impeto.

. « Indi ad alcuni giorni si appressa cauta mente a suoi fianchi, battendoelo lievemente col palmo della mano, e parlandogli con voce ca- rezzevole. Così l animale comincia a ricono- scere il suo guardiano, e ad obbedire a’ suoi comand:, sinché diviene famigliare, che que- gli si affida a montargli sul dorso, dal dorso d' una delle femmine addomesticate. E la cosa procede in breve tant’ oltre che poi gli siede sul collo ogni volta che gli piace, e può diri- gerne sicuramente tutti 1 movimenti. -

« Mentre che Ì elefante così vien domato, altri, che già ìl sono da un pezzo, il traggon fuori a varii esercizii, dandogli con ciò occasione

yo L ELEFANTE.

di sciorsi dalle corde, che lo offendono, se già non gli furono allontanate o cangiate. Dopo cinque o sei settimane l' animale è ob- bedientissimo a chi lo regge, gli si tolgono grado a grado le catene, e basta la voce per condurlo d'uno ad altro luogo facilissimamente. È prudenza, per altro, il non lasciarlo avvi- cinare a quelli a cui era usato, per tema che la rimembranza della passata liberià nol porti a cercare di ricuperarla ».

La maniera di cacciar l elefante nell’ Abis- sinia è così descritta dal sig. Bruce: « Quelli che di tal caccia fanno un mestiere si tengono costantemente ne boschi, hanno altro cibo che le carni degli animali che uccidono, cioè a dire l elefante o il rinoceronte. Si appellano agageeri dalla parola agar, che signifiea taglia- garretti. Ma, ond' essere precisi, diremo che tal denominazione allude all’ amputazione del tendine o muscolo del tallone, ch'è il modo appunto con cui si uccide | elefante. Due uo- mini moniano a cavallo interamente ignudi È onde non essere rattenuti per le vesti dagli alberi o da’ rami, mentre cercan sottrarsi al loro vigilante nemico. Il primo di essi, il quale qualche volta ha una sella e il più spesso non l’ha, tiene d' una mano una bacchetta o corto bastone, e dali altra la briglia del suo cavallo, ch ei governa con molta cura. Dietro Iui sta

» ELEFANTE: 1977 il suo compagno, il quale impugna colla manca una scimitarra, e colla destra ne tiene la lama, per ben quattordici pollici coperta di ‘spago , e sebbene la inferiore estremità di questa sia tagliente quanto un rasojo, ei sempre la porta senza vagina.

Incontrando l'elefanie quel primo uomo a cavallo gli si avvicina quant è possibile, e men- tre gli vieta il cammino grida: « Io sono il tale de’ iali, ecco il mio cavallo, che porta il tal nome; ho ucciso tuo padre in tal luogo, e tuo nonno in tai aliro; vengo per uccidere. te pure, te, che sei un nulla in paragone di loro. DE “RR

L'elefante, che in Abissinia supponsi iutene dere tutte queste dicerie, furioso per lo stre- pito che si fa intorno di esso cerca di pren-. dere colla sua tromba l' agageero, segue è que- sto fine tutti i suoi passi, si avvolge ne’ suoi giri artifiziosi, e perde così il dritto cammino, per cui solo proveder potrebbe alla sua sicu- rezza. Così, dopo averlo ben disviato e stare cato, il cavaliere gli si avventa e gli cala de- stramente al di dietro. il suo camerata, facen- dolo scendere giù pel fianco destro del cavallo, onde l'elefante specialmente si adombra. Costui gli un colpo di sciabola attraverso il tallone i: quella parie, che nell'uomo appellasi il ten- dine di Achille, c uel momento istesso, chi è

1V2 °l’ ELEFANTE.

il più pericoloso, il cavaliere si rivolge, lo ri»

iglia seco, e corre appresso d'altri elefanti, ‘che talvolta ha veduti, sicchè ‘avviene che ne uccida fin tre in una sola caccia. Se la sciabola era bene affilata, e chi | adoperò di carattere non timido, il tendine rimane interamente troncato. In qualunque modo però il suo stato è sempre tale, che il quadrupede appoggian- dovisi finisce di spezzarlo, può assolutamen» te più muover passo, onde gli agageeri e com» pagni l’opprimono facilmente a: colpi di picche e di lance fin che cada a terra, e spiri tutto bagnato del suo sangue. Morto che sia, ne ta- gliano le carni in liste della grossezza delle redini, e le sospendono a guisa di festoni ai rami degli alberi, onde farle disseccare, e in seguito le mettono in serbo per mangiarle nel la stagione delle pioggie.

I sig. Bruce fu testimonio, in una di que- ste cacce, del singolare attaccamento di un giovane elefante per la madre sua. « Non ri- manevano, dic egli, che due ie di quelli che erano stati scoperti, cioè a dire una fe- mina e il suo elefantino. L'agageer gli avrebbe volentieri lasciati vivere, atteso che le zanne feminee sono cortissime, e | elefante ancor tenero non val nulla; ma i cacciatori niente vollero perdere. ne piacere, che si erano pro- messo. Avendo adunque avvertito il luogo, ove

L'ELEFANTE. 173 la femina erasi ritirata, la trovarono bentosto, e il colpo al garretto le fu dato senza diffi- coltà. Ma quando vennero per assalirla, sic- eome fecero, co loro dardi, il figlio suo, che aveano lasciato fuggire , non curandosi di es- so, si lanciò furioso da un rovo, in cui s'era nascoso , precipitandosi sugli uomini e sui ca- valli con tuita la violenza di cui era. capace. Gran meraviglia e commozione mi cagionarono gli sforzi del giovane animale per did a sua DE, già tuita grondante sangue, senza occuparsi della propria vita. Gridai quindi e supplicai che si desistesse; ma non era più tempo. Intanto quello. ch'io proteggeva, tentò. più volte d'assalirmi, ed io mon ebbi picciola difficoltà a schermirmene; ma ben fui con- tento di non avergli fatto alcun male. Rinno- vando però esso l' assalto contro. di un cac- ciatore, cui ferì leggiermente in una. gamba ,. questi gli passò il ventre con un giavellotto. Gli altri imitarono. tosto. il suo. esempio ; il picciolo elefante cadde estinto a lato alla ma- dre , per cui erasi in certo modo sagrificato. Era esso della grossezza. di un asino, ma ro- tondo , atticciato , e d' una forma assai gros- solana. Il suo trasporto e il furor suo parea tale-, che certamente avria spezzate le gambe # uomini e de’ cavalli, sol che potesse ag- oiust © loro una delle sue trombate.

Li

4:

4 L'ELEFANTE. | Vuolsi da alcuni che l elefante sia’ dotato «di memoria fedele, che quando una volta È stato in servitù, e poi è giunto a fuggirne, più ron si può ripigliario. Fino a qual segno una tale opinione sia erronea 0 giusta, sarà facile giudicarne dai seguenti esempi riferiti per Transazioni filosofiche del 1799. < Fu presa per la prima volia un’elefan> ssa nell’anno 1765 dal Rajah Kishum Mau- i il quale, sci mesì appresso, ne fece un presente ad Abdcor Rajah, persona qualificata nel suo distretto. Nel 1767 poi quel Rajah mardò gente contro il medesimo Abdoor, il quale si era a lui mosirato o rivoltoso o al- men renitente. Questi riparatosi alla montagna lasciò andar usa la belva ne’ boschi, dopo essersene servito per quasi ‘due anni; ma in una motte pio essa Recon in poter d'altri, benchè poi fra poco riuscì a fuggire. Nel 1788, cioè a dire più di dieci anni dope una tal fuga, fu essa attirata dai cacciatori u elefanti del sig. Lecke di Longfordhal Spro- pohire in un chiuso, e quando all'indomani quesio personaggio andò per vedere la preda fatta, eglino gli mostrarono l'elefaniessa, come già da loro conosciuta e particolarmente tran- quilla. Quando la chiamavano per nome, sem- brava ch' essa porgesse non so quale atten- zione, guardando quelli che .il ripetevano. È

L’ELEFANTE. - 195 mentre gli ali elefanti correano perpeiua- mente pel recinto, dando segni di furore, elia sola mostrava pazienza e rassegnazione al pro- prio destino.

« Per lo spazio-di diciotto giorni ricusò di approssimarsi ad una via senza uscita; memore senza dubbio di ciò che per due volte aveva sofferto in simil luogo. Ii signor Leeke entrò mn nel chiuso, mentre non vi si trovava se non essa, un altra femina selvaggia ed ito piccioli elefanti. Assicuratisi i cacciatori della seconda, per mezzo di elefanti addome- sticati, che ie mandarono appresso, ebbero ordine di chiamar l'altra per nome; ed essa venne tosto alla riva del fossato nell’ interno del recinto. Allora taluni di essi ‘avvisarono d'inirodurvi un alberello di banani:; e la belva non solo ne prese dalia lor mano le fogiie colla sua tromba, ma apri la bocca, perchè ve le ponessero entro, il che fecero, paipan- dole la pelle e carezzandola. Allora le si mandò vicino uno degli ciefanti addomesticati, dicendo al cornac di pigliarla per l'orecchia, e ordi- narle di accosciarsi. Cominciò essa dal rieusare, mostrando non so quale corruccio , e alionta- nandosi a ceria distanza. Ma poi il cornac ri- chiamandola, venne a ivi, si lasciò carezzar come prima, e fra pochi minuti permise agli

elefanti, di cui dicemmo, che seco si fami-

176 L ELEFANTE. | gliarizzassero. Un cacciatore allora, stando cavalcione sopra uno di questi, le annodò una corda attraverso il corpo, e le saltò quindi in groppa; della qual cosa parve essa a prima giunta compiacersi poco; ma poi vi si adattò. Un altra corda intanto a guisa di staffa le si dispose al collo, per cui ponendosi il caccia- tore nella foggia ordinaria di chi cavalca, con- dusse la belva tutt'intorno al recinto. Dopo di che le comandò di sedere ; ed essa ubbidi all’ istante, non rialzandosi, che quando le fa permesso. |

« Mangiò in quella posìtura quanto le si diede ; pigliò colla tromba un bastone che le si presentò , sel mise in bocea, il tenne e lo rese, come le fu comandato, im quella guisa che già molti anni prima ebbe costume di fare. Infine .si riaddomesticò tanto bene, che: se nel chiuso si fossero trovati altri elefanti sel+ vaggi avrebbe ottimamente servito a prenderli »..

Nel giugno del 1807 un elefante, fatto captivo: alcun tempo innanzi, viaggiava con alcuni altri sulla strada di Chittigang, carico di bagaglie. Giunto sulle tracce d’ una tigre ; che gli ele- fanti discoprono facilmente all'odore, fu com- preso di sommo spavento, e fuggì ne' boschi, malgrado tutti gli sforzi del suo cornac, il quale non salvò la vita che aggrappardosi dal suo dorso ad un albero, sotto cui passava.

L' ELEFANTE. 97) 0 Liberatosi l'elefante: dal suo conduttore, trovò tosto mezzo di sbarazzarsi anche d'’ ogni altro carico. Gli si. mandò appresso una femina; ma: questa. non. potè raggiungerlo ‘in: tempo d' im= pedire. la sua evasione.

Diciotto mesi dopo, fu preso un branco di elefanti, il qual rimase più giorni nel chiuso; prima che si potesse farlo entrare:nel sentiero senza. uscita, legarlo, e servirsene alla ma-. niera ordinaria;.

Uno: de’ conduttori, considerando attenta- mente certo animale della -frotta, dichiarò che molto somigliava a quello; che avea presa la fuga; le quali parole eccitarono la: curiosità generale ,. sicchè faceasi a. gara per. vederlo, Ma se alcuno approsimavasi, il quadrupede fo minacciava. colla. sua. tromba, e pareva egual- - mente intrattabile, che qualunque degli ele- fanti selvatici Un. vecchio cacciatore, frattanto; . entrato a cavallo nel chiuso, lo esaminò at- tentamente ,. e decise ch’ era. quello stesso , il quale già fuggì. _

Nella quale persuasione corse ad'esso‘a briè - glia sciolta, e gli ordinò di sdrajarsi, tiran- dolo per l orecchio. L’ animale credendosi oa quel che parve, arrestato. per sorpresa obbedì immediatamente, e mandò attraverso la tromba un grido acutissimo ,. com’ era già suo costume, il che lo fece immediatamente riconoscere dalle

Gubinetto Tom. I. 12

<a

198 È ELEFANTE. persone, che si ricordavano di questa par- ticolarità.

Vive tuttora (1806) nel parco di Exeter- Change un’ clefantessa, la quale fu allevata a di e condotta in Inghilterra nell’ an- no 1796 dall onorevole Ugo Lindsey; ed è 0 bellissima, di nove piedi di altezza so- pra venti di grossezza; e del peso di due tonnellate o cinquecento libbre; molto ben famigliare, massime colle donne e co’ fanciulli.

Visitando il parco, or sono alcuni mesi, ebbi gran diletto in ammirar la sagacia e la destrezza veramente singolarissima di questa belva. Avendole domandato il guardiano, quante persone fossero - “presenti, rispose con due forti 501} di tromba, cui teneva in posizione quasi perpendicolare; e quando poi le si chiese il numero de lumi che rischiarava il luogo, poi- chè era notte, ripetè que' soff) sei volte. Risi dapprima, come di supposto errore; ma guar dando più da vicino m' accorsi che ciascuna delle due lampade avea tre lucignoli. Aprì e chiuse quelia bestia le porte e le finestre del suo alloggio colla più gran bravura e prontezza; e finalmente s'inginocchiò al comando del suo custode; per mostrare di qual maniera poteva essere caricata. x

Ma tutto ciò è nulla in paragone di un

altro fatto, che veramente sembrava esigere

le)

L’ELEFANTE. 179

la riflessione e l'intelligenza dell’uomo. Il cu- stode medesimo , ipa” aver getiato uno scel- lino per terra presso la barriera che separava l elefantessa dal pubblico, ma dove non po- tea giugnere colla sua proboscide, le disse di raccorla e di darmela. La bestia, con mio grande stupore, curvando al suolo quella pie- ghevolissima tromba, parve misurare la distanza che passava fra di essa e la moneta; indi emise soffio sopra soffio con tal violenza, e in special direzione, che ciascun d'cssi portava lo scellino dal muro verso la barriera, finché potè prenderlo. Allora mel pose in mano, e a mia richiesta poi nella saccoccia dell'abito del suo custode.

Dopo queste prove di sagacia e di obbe- dienza vuotò in tre sorsi un secchio d’acqua, che le fu apportato, e il rumore del liquido nel passare dalla tromba alla bocca somigliava a quello che farebbe nell’ uscir di un vaso ed eptrar nell’ altro. Avendola alcuno richiesta s era ben dissetata, mostrò a chiari segni che berrebbe di nuovo; e infatti aspirò un altro secchio d’acqua, come la prima volta. Indi, senza che le fosse comandato, prese il secchio medesimo pel manico, e il restituì al suo cor- nac, copio con profonda inclina- zione di testa. Il suo giornaliero nutrimento consiste in un fascio di fieno, un altro di

80 L ELEFANTE. \ paglia; un moggio di farina d’ orzo e di cru- sca insieme mescolata, e trenta libbre di pori di terra, a cui si aggiungono tre e tre secchi d'acqua. per bevanda.

IL RINOCERONTE

« Dopo l' elefante, dice il Plinio francese, il rinoceronte è il più possente dei quadru- pedi. Ha almeno dodici piedi di lunghezza dal- I estremità del muso sino alla radice della coda, e. sei O. sette piedi di altezza: la circonferenza del solo corpo. è presso a poco eguale alla lun- ghezza, che dicemmo. Molto, adunque, si ap- prossima all’elefante pel volume e per la mas- sa; e se appare più piccolo, si è perché le sue gambe sono in. proporzione più corte. Dif ferisce, però, grandemente da esso, per l'in- telligenza e le altre facoltà, non avendo rice- vuto dalla, natura che quelle comunemente compartite- a tutt 1 bruti. Privo di sensitività sella. pelle; mancando di mani e d' organi di- stinti pel tatto; non. avendo, in luogo di trom- ba, che un labbro mobile, con cui solo può industriarsi,, appena è superiore agli altri ani mali per la forza, la grandezza, e l arme. of- fensiva, che porta sopra del naso, e che a lui unicamente appartiene. Quest’ arme è un corno solido e durissimo, piantato più vantaggiosa-

adi, -:-°

MW, RINOCFERONTE

IL RINOCFRONTE! r$r nrente che le corna d' altra bestia qualunque; poi ch’ esse non muniscono che le parù ante- riori del muso, laddove l' altro preserva. d’ ogni offesa ogni parte anteriore del capo ».

Il corno del rinoceronte ha talvolta tre piedi di lunghezza, ed otto di circonferenza alla sua base; e gli serve a difesa contro gli ‘assalti di qualimque specie di belve feroci. È posto e con- formato in modo, che può recare profondissi- me ferite, ‘e allentanare le più leggiere. Peroc- chè ,mentre l'elefante, l'orso, il bufalo, il cin-

hiale sono obbligati a percuotere di traverso colle loro armi, il rinoceronte, che porta Ì ì suol colpi diritti, applica a ciascuno di essi ogni sua forza. Quindi la tigre istessa, malgrado la sua ferocità, si espone di rado ad azzuffarsi con lui, poichè anderebbe a rischio d’ essere sventrata,

Le membra del rinoceronte vengon difese da una pelle nerastra, coperta «li tuberosità , e così dura, che riesce impenetrabile ai pu- gnali e alle lance. Essa è tutta corrugata a grosse pieghe ‘intorno -al collo, sulle spalle e in sulla groppa. Pretendesi ‘che a danno del rinoceronte, quand è giunto alla sua maturità, non valgono che le palle di ferro, poiché quel- Je di piombo si schiacciano contro la sua pelle che, per altro, fra le sue pieghe e sotto il ventre è molle e -d’ un colore di tenera carne. « La mascella superiore dell’ animale, per usar le frasi

182 TL RINOCERONTE: del sig. di Buffon, si sporge sopra l' inferiore, il labbro di sotto è mobile e può allungarsi sino a sei o sette pollici, massime che termina in una appendice acuminata, ond’è più facile al rinoceronte che a tutti gli altri quadrupedì il coglier l'erba e farne manipoli, come pres- so a poco fa l'elefante colla sua tromba. »

Il rinoceronte è ordinariamente dolce e pa- cifico; ma aggredito e provocato divien cru- dele e assai pericoloso, e va talvolta soggetto a tali accessi di furore, che nulla può rimet- ierlo in calma. .

Quello che giunse a Londra nel 1739 ( se- eondo i ragguagli dati dal dottor Parsons al sig. di Buffon, che li riferisce ) era stato in- viato dal Bengala, sebben giovanissimo, poichè non aveva che soli due anni, e. le spese del SUO Viaggio costarono presso a poco un mi- gliajo di lire. sterline. Era nutrito con riso, zuc- caro e fieno, cioè sette libbre di riso per gior- no, miste con tre di zuccaro, che gli si divi- devano in tre porzioni, oltre il molto fieno ed erba verde, che preferiva all’ altro. Non beveva che acqua, ma ogni volta gran quan- vità. Si mostrava d'indole tranquilla, e lascia- vasi toccare in ogni parte del corpo; im- perversava, che quando il battevano o aveva fame; ma nell’ un caso e nell’ altro placavasi egualmente, dandogli a mangiare. Quand’ era

IL -RINOCERONTE: 183 in collera slanciavasi, elevandosi a grande al- tezza e spingendo la sua testa con furia contro de’ muri; il che facea con prodigiosa celerità, malgrado il torpore della sua massa pesante. A dal anni non era più alto una giovenca; ma era a compenso assai lungo e membruio.

Un rinoeeronte condotto d’ Atcham, e che faceasi vedere a Parigi nel 1748, era mansue- tissimo e può dirsi carezzevolissimo. Si nutriva esso principalmente di biade e di fieno, e parea avido, soprattutto, di piante spinose, come la ginestra. Quelli che ne aveano cura gli por- gean sovente rami d albero armati di spine molto acute, cui esso. masticara senza dar se- gno di riceverne noja. Talvolta, per verità, gli traevan sangue dalla gola e dalla lingua; ma appunto allora gli servivano di tornagusto e parean condire ai suo cibo, come il pepe e È altre spezie condiscono i nostri.

Gli occhi del rinoceronte sono piccioli , e situati in maniera, che non può vedere, se non quello che loro è posto davanti in linea retta; ma il dottor Parsons accerta, ch’ esso ne è compensato da un'altra particolar. qua- lità. E questa un udito finissimo onde non gli sfugge il minimo strepito, e anche addormen- tato, 0 inteso a mangiare o a soddisfare altri bisogni, leva sull istante la testa, ascolta con inquicia attenzione, si rassicura, che quando

184 IL "RINOCERONTE. ‘la calma è interamente ristabilita. Malgrado la sua grossezza, e ‘massiccia corpulenza vuoisi ch esso corra molto spedito, e ‘mercè la sva° forza; l'impenetrabilità della sua pelle, e la durezza del suo corno rovesci tutti gli osta- coli che incontra, e faccia piegare al par di verghe i piccioli alberi che incontra in suo «cammino. Nella sua maniera di nutrirsi, e nelle sue generali abitudini molto rassomiglia all’ elefanie, e abita’ com esso i luoghi freschi in vicinanza all'’acque o in mezzo delle foreste; ma imita il majale avvoltolandosi alla sua fog- gia nel fango. È

*Costamiasi in alcune pari dell'Asia di ad- «domesticare i rinoceronti, e covdurli in campo cogli eserciti onde spargere fra i nemici lo spavento. Generalmente però questi quadrupedi sono così intrattebili, che non fanno che nuo- cere alla causa, a cui dovrebbero servire, è raro il vederli nel loro furere volgersi coniro i padroni e farli loro vittime. | Le loro carni, l' unghie, i denti, la pelle, ed anche gli escrementi sono dagli Asiatici adoperati nella medicina. Pretendesi che il cor- no, segato orizzontalmenie ov’ è più grosso, presenti da ciascun lato una rozza immagine d’ uomo, i cui tratti sono indicati da piccioli punti bianchi. Gran numero ‘di principi in- diani beve in coppe formate di questo corno,

IL RINOCERONTE. 185 per fa persuasione che trovandosi in ‘esse qual- che veleno, il liquore fermenterebbe sino ad uscirne spumeggiando. Quelle di corno giovane sono le più. stimate. Hu professore 'Thunberg ebbe la ‘bontà di far diverse esperienze con ogni sorta. di veleni, e in corna vecchie e in corna giovani di rinoceronti, lavorate, e ‘non lavorate ad uso di ciottole; e non vi osservò effervescenza, moto qualunque. Solo, quando vi ebbe versato ‘una soluzione di su- blimato corrosivo, si elevarono alcune bolle,

rodette dall’ aria rinchiusa ne pori del corno, che allora ne uscì. }

1 due soli animali di quiesta ‘specie, che in lungo tratto -di tempo io abbia veduti in In- ghilterra, furone ‘acquistati per le sale d'espo- sizione ad Exeter- Change. L' uno di essi ve niva da Laknaor, mandato in dono nel 17707 Galla compagnia dell’Indie al sig. Dundas, che i ricusò, ed indi comperato dal sig. Pidcok. L'animale non diede, sin dal principio, ve- run segno di ferocia, ma si mostrò all’ incon- tro deeirsino agli ordini del suo padrone, aggirandosi per Ù sala ‘ond’ essere veduto, e lasciandosi anche talvolta toccare sul dorso dai ianti spettatori ch’ erano accorsi. Il suo nutri- mento giornaliero consisteva in vent' otto libre di trifoglio, oltre un egual peso di biscotto di mare, e una prodigiosa quantità d’ erbe verdi.

186 IL RINOCERONTE. Bevea dieci in quindici secchii d'acqua, che gli erano portati a cinque a cinque. Il cibo se lo prendeva col labbro superiore, e con esso quasi con mano se lo poneva in bocca. Amava molto i liquori spiritosi, di cui si iracannava due 0 tre botiiglie in poche ore. La sua voce somi- gliava in qualche modo al muggito di un vi- îello, e la faceva seniire principalmente quando vedeva alcuna persona tenere un frutto © altra vivanda ch'esso appetisse, e di cui in tal modo mosirava il suo desiderio.

Nel mese di ottobre del 1792, alzandosi esso d' improvviso sulle sue gambe, si slogò un gi- nocchio ,. il quale accidente gli cagionò una infiammazione alla rotella, e in capo a nove mesi la morie; ritrovandosi in un albergo. a. Corsham presso di Portsmouth. AI istante che giunse in quel luogo la diligenza pubblica, già esalava dal suo corpo un fetore così insop- portabile, che il podestà ordinò subito di farlo seppellire. Fu dissotterrato undici giorni ap- presso da gente che ne volea la pelle e l ossa più preziose; ma testimonii di vista e di odo- rato assicurano, che vi fu gran difficoltà in . venire a capo di quell operazione, poichè l'incredibile puzza toglieva il senso, e il re- spiro. Quelia pelle impagliata è ora deposta in una delle sale dell'esposizione, di cui già si parlò. ;

è

IL RINOCERONTE. 187

L'altro rinoceronte, ch’ era ad Exeter-Chan- ge, mi parve molto più piccolo. Fu condotto a Londra verso l'anno 1799; il sig. Pidcok lo vendette poi ad un’ agente dell Imperator - di Alemagna. Ma due mesi appresso morì nella corte di una locanda del quartiere di Drury- Lane.

IL, RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO

Questa specie differisce dall’ altra, anche at solo aspetto della pelle; perocchè in luogo di. pieghe immense e regolari somiglianti ad una corazza, non ne ha che una ieggiera attraver-. so le spalle e la parte di dietro, ed alcune an- cor. più lievi sui fianchi, sicchè in confronto del rinoceronte ordinario la. sua pelle sembra liscia. La principal differenza, però, consiste; nell'avere il dinanzi della testa armato di due. corni, di cui l uno è più piccolo dell'altro, e situato al dissopra di. esso.

Levaillant assicura che gli animali di siffatta specie. molto si compiaceiono del vento, por- tano le narici alte, onde scoprire. coll’ odorato che hanno finissimo, l avvicinar de’ nemici, e quando sono. adirati solcano la terra colle loro corna. ,

La descrizione de’ costumi del rinoseronte di cui si tratta, fatta dal sig. Bruce, è troppo

788 iL RINOCERONTE A ‘DOPPID CORNO: «dilettevole a leggersi, perchè si possa tastu- rare d’ inserirla in quest’ opera.

< Oltre gli alberi ‘durissimi, dice questo vaggattio che abbondano nelle vaste foreste dell’ India, altri ve ne hanno di più molle so- stanza, che sembrano particolarmente destinati «al nutrimento di questo quadrupede. Onde giu- gnere ai rami elevati di tali alberi, il suo lab- bro ‘superiore può estendersi di tanto, che nul- la invidiar deve alla tromba dell’ elefante. Al labbro poi aggiugnendosi il soccorso del corno, il rinoceronte abbatte que’ rami, che più sono ricchi di foglie, e -cui divora pei primi. Quan- do ne ha dispogliato l'albero interamente, non perciò lo ‘abbandona, ma cacciando nel trenco le corna più addentro che pessano ‘entrare , apre, e il divide in parti minute come pan- concelli. Come 1 albero è così ridotto, prende colla mostruosa sua bocca quant’ essa può ad- dentare , e il torce con egual facilità, che fa- rebbe un bue d'un fascio d' appio, o di tut- l'altra pianta di questo genere.

Quando è inseguìto o concepisce qualche timore, fa prova di sorprendente celerità, «avuto riguardo alla grossezza, e all’ enorme peso del suo corpo, e alle brevi gambe che il portano. Esso ha una specie di trotto, che in capo ad alcuni minuti diventa precipitoso, e gli fa per- gorrere din poco tempo moltissimo cammino.

IL. RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO. 189

Non è però. vero, come alcuni hanno asserito, che sorpassi un cavallo nel corso, poiché ed. io con un mediocre cavallo l ho - facilmente oltrepassato , ed altri con un peggiore hanno fatto.altrettanto. Il che sebbene avvenga di rado, non è da attribuirsi. alla grande prestezza del rinoceronte,. ma. all astuzia ch’ esso. impiega. Perocchè passa costantemente da bosco a bosco. e si addentra nel più folto,. mentre gli alberi morti e disseccatî, spezzandosi all'urto della colossale sua forza, come a quello di una palla di cannone, cadono intorno di esso da tutte le parti. Gli alberi che sono più flessibili, più forti, più pieni di sugo s incurvano sotto il suo peso e la veloci del. suo. corso, e poi ch' esso è passato, ripigliando per la loro ela- sticità la propria natural posizione; come fa rebbero verdi ramoscelli, i&vano da terra il cacciatore imprudente col suo destriere, e lo schiacciano contro gli alberi circonviecini. »

Picciolissimi sono gli occhi dei rinoceronte; il quale di rado volgendo la testa non vede che queilo che ha dinanzi a sè. Questa par- ticolarità è sovente cagione della sua morte. Mai esso non isfugge al cacciatore, ove si trovi in una pianura abbastanza lunga, che quegli col suo cavalio abbia. tempo di raggiugnerlo. La sua fierezza e il furor suo gli fanno disde-. guare ogni. idea di salvar la sua vita alirimenti

1GO IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. | che trionfando dell'inimico. Si “arresta esso un istante, indi slanciandosi corre diritto al cavallo, non diversamente di un cinghiale, a cui molto rassomiglia ne’ suoi movimenti. Il cavallo però lo schiva facilmente, volgendo a destra e a sinistra con balzi improvvisi, per ‘cui presto giunge il momento che al rinoce-

rante è fatale. L'uomo ignudo, che armato di una sciabola sta in groppa al principal caccia- tore, si cala a terra; e senz essere veduto da quel quadrupede, il qual non cerca e non mira ‘che al solo cavallo, gli un colpo al tendi- ° del tallone, e il rende incapace a fuggire e ad opporre la minima resistenza.

Gran quantità di nudrimento dicemmo ab- bisoenare alla massa enorme del rinoceronte ; ma bisogna pur fare un cenno della sua ne- ‘cessaria bevanda. Non avvi che il paese dei Shangalli, ov esso abita, paese inondato sei mesi dell’anno dalle pioggie, e pieno di larghi e profondi bacini scavati nella roccia dalla na- tura, ombreggiato da folte boscaglie che si op-. pongone all’ evaporazione, o) ni da grandi \riviere, il cui corso mai non vien meno; non avvi, dico, che un tal paese, che fornir possa di che estinguer la sete del mostruoso animale. Ma non per dissetarsi, soltanto, frequenta esso i luoghi umidi e paludosi; perocchè seb- ben così grosso ed ardito è pur uopo che si

IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO. IGI premunisca contro il più debole de’ suoi av- versarii.

Il rinoceronte a doppio corno ha per nemico formidabile una mosca nata dal. nero limo del- le paludi, e quest insetto il perseguita con tanto accanimento, che finirebbe col farlo pe- rire, se esso non avvisasse di ricorrere ad uno stratagemma per la sua propria conservazione. Alla notte, quando la mosca è addormentata , il rinoceronte sceglie un luogo opportuno, ed ivi avvoltolandosi nel fango, si copre d' una specie di crosta, che all'indomani lo fa invul nerabile alle punture della sua avversaria. Le rughe e le tuberosità della sua pelle servono a fissare quesia specie d'inviluppo sovra tutta l estensione del suo corpo, eccetto l anche , le spalle e le gambe, onde i suoi movimenti lo fanno crepolare e cadere; lasciandole espo- ste. I pizzicori, e i dolori, che allor prova, lo forzano a fregarsi contro le scorze degli al- beri; e questa abitudine, secondo tutte le ap- parenze, è la causa delle numerose pustule o tuberosità, come dicemmo, le quali si osservano sulla sua pelle.

Il piacere ch’ esso prova al confricarsi, l oscurità della notie lo privano interamente della sua attenzione e vigilanza; mentre lo strepito ch' esso fa è inteso così da lungi, che ì cacciatori pian piano gli si accostano,

12 IL RINOCERONTE A. DOPPIO CORNO, andando carponi gli pianiano. i lor giavellotti nel ventre, ove la piaga è mortale.

do opinione d’ alcuni, che la pelle del rino- ceronte sia così impeneirabile come un asse di quercia è falsissima. Questo quadrupede nel suo stato selvaggio è sovente ucciso a colpi di dardi lanciati con mano, di cui taluni enirano a grandissima profondità nel suo corpo; ed una palla di moschetto lo traverserebbe da parte a parte se non fosse intercetta da un osso. Gli

bissini. lo mettono a morte con rozzissime chiavarine, ed indi lo tagliano a pezzi con cat- tivissimi coltelli.

Può argomentarsi la forza del rimoceronte, anche dopo essere stato grav emente ferito, dal- la relazione dataci dal sig. Bruce d’ una caccia di quest animale, a cui aveva egli medesimo assistito nell’ Abissinia.

Eravamo a cavallo, dic’ egli, allo spuntar del sole in traccia de rinoceronti cui avevamo tidito più volie mandar profondi sospiri e grida acute. Gran numero d’ agageeri venne a rag- giugnerci, c dopo avere perlusirato per un ora circa il più folto del bosco, uno di que- sti animali si slanciò con grande violenza, e traversò. la pianura, per andarsi a rimpiaitare fra una selva di bambou, loniana forse due miglia. Sebben però trottasse con. una prestezza sorprendente, avuto riguardo alla sua enorme

IL RINOCERONTE A DOPPIO CORNO 193 grossezza, fu giunto da trenta o quaranta gia vellotti che l impaurirono e costernarono in guisa di forzarlo.a nascondersi in un fosso © burrone senza ‘uscita, in cui per langustia dell’ ingresso, non potè entrare senza rompere più di idadici di que dardi, che avea piantati nel corpo. Ivi noi credemmo pigliarlo, come in un trabochello, avendo appena spazio ba- stante per volgersi. Quindi uno de’ nostri, che aveva un archibugio gli trasse alla testa, e l’animale cadde sali istante. Imaginandosi che fosse morto, quanti fra noi erano a poi sal- tarono sopra di esso co' loro coltelli alla mano, onde squartarlo; ma appena ebbero dati i pri- mi colpi, che: quello ricovrò abbastanza di forza onde levarsi in sulle ginocchia. Ben furono av- venturati coloro che si fuggirono, e se uno degli agageeri impegnatosi ei medesimo nella burraja, non: gli avesse tagliato il tendine del tallone, i cacciatori pedestri avriano passato un ben cattivo quarto d' ora. Come il rinoceronte fn messo a morte, io volli vedere la piaga fat- tagli dal colpo d’ archibagio,. la qual produsse effetto violento in enorme animale. Jo già mi figurava ferito il cervello, quando: con mio stupore accorsi che la. palla non avea tocca, se non che la. punta del corno ante- riore, portandone via un pollice all’ incirca. Da. ciò era provenuta una tal commozione @

Gabi.:cito Tom. L 13

- 194 IL RINOCERONTE A DOPPIO. CORNO: stordimento, che ‘il lasciò senza sensi. per cun minuto; ma il sangue sparso glieli avea tosto. fatti. ricuperare ». di i

- Il sig. Sparmann ci narra, che li aperto. un ‘rinoceronte, ritrovò ‘che la lunghezza del. suo stomaco era di quattro piedi sovra due di diametro, e terminava /in-un tubo o canale, il quale era iungo vent’ otto piedi, e largo sei pollici: il cuore poi avea diciotio pollici di. lunghezza, e le-reni altrettanti. H fegato mi- surato a desira e a manca avéa tre piedi e mezzo di diametro, ed era grosso circa trenta pollici, come quando è sospeso nel corpo del- Fanimale, che. sta in piedi. La cavità del cranio; che conteneva il cervello, era molto piccola, presentava che sei pollici di lunghezza sovra quattro. di profondità.

Gli Ottentoti attribuiscono molte virtù me- dicinali al sangue disseccato de’ rinoceronti, ed alcuni di essi mostransi ghiottissimi della sua carne; quantunque dura e fibrosa.

L’IPPOPOTAMO.

Quest’ animale, quand'è sul crescere, è di una mole uguale a quella del-rinoceronte, cvi talvolta, per altro, eccede. Lungo circa undi.i piedi ne ha nove di circonferenza. La sua forma è grossolana e massiccia; le sue gambe

L'IPPOPOTAMO. 190 corte e carnose, la testa quadrata, la bocca larga, gli orecchii e gli occhi piccioli, la coda lunga un piede, e lievemente. crinita: Il:corpo intero dell'animale è coperto di un pelo ru- “ido e breve di color bruno. La sua pelle poi, che molto rassomiglia a quella del ma- jale , ba in alcuni luoghi due pollici di gros- sezza; e il solo suo: peso basta al carico di un camelo. ©

Colle qualità, che abbiam dette, già è fa- cile imaginarsi ch esso non può correre molto rapido in sulla terra, ove si mosra d’ un’ e- strema timidezza. Quando è inseguito si getta all’ acqua, scende al'fondo, ed ivi cammina agevolissimamente; se non che non può ri- manervi a lungo, senza tornare alla superficie. Di giorno ha tanta paura d'essere discoperto, che quando vuole respirar l'aria, appena è possibile accorgersi. in qual luogo s' arrischii ad alzar le narici fuori dell’onde.

Quand’ è ferito solleva con violenza le ca- noe e le barche, rompe co' denti fe loro sponde, e le fa sommergere. Si scava delle buche molto addentro ne fiumi, che non hanno bastante profondità per nascoridere la sua massà sterminata. Quando. abbandona l acque esce ordinariamente con metà del suo corpo , ventila intorno a sè; ma talvolta -si slancia dal mare con grande impetuosità.

196 L’IPPOPOTAMO.

Gli Egizi hanno un singolar. mezzo di li- berarsi da questo. animal distruttore. Spargono una gran quantità di. piselli secchi ne’ luoghi ch’ esso. frequenia: onde venuto. a. terra. ne fa suo. pasto avidamente sino a provarne una sete vorace. Corre allora. ad. estinguerla, e beve acqua in gran copia, che i piselli gonfian- dosi nel suo ventre lo fan perire.

L’ippopotamo , dice il dottor Sparmann, non ha il passo così rapido come la più parte de’ quadrupedi,. ma nemmeno così. pesante e lento, come asserisce il sig. di Buffon. Gli Ottentoti., infatti, riguardano come pericolo- sissimo il suo incontro ;. specialmente. fior d'acqua: essendo recenti gii esempi di loro compatrioti, che inseguiti da siffatto animele, a gran pena poterono. scamparne.

I Cafri dell Africa meridionale prendono talvolta. questo quadrupede. entro fosse: che scavano. in mezzo a’ sentieri. pei quali esso passa;; ma l andar suo, «quando nulla lo agi- ta, è generalmente nei e tanta. è la sua cautela. che spessissimo gli avviene di scoprir l aguato e di evitarlo. Il più sicuro. mezzo di coglierlo è quello di spiarlo alla. sera dietro un rovo presso. alcun luogo, cui. abbia in co- stume di frequentare, e quando passa ferirlò al garreito ;. il che lo fa tosto cadere e gli de impossibile lo sfuggire a numerosi cac- ciatori che lo assalgono. -

L'IPPOPOTAMO. 197

Una persona degna di fede, la qual ‘dimora al Capo di Buona Speranza, narrò al profes- sore Thunberg, come un giorno essendo alla caccia vide cogli altri della ‘compagnia un’ ip- popoiama , che uscì d'un fiume, ed andò a sgravarsi a picciola distanza dalla riva. Tutti allora rimpiattarono fra de rovaj, fino a che fa madre e il nuovo parto venissero a com- parire : e allora lanciati contro di quella più colpi , l' uccisero. Gli Ottentoti, i quali s' i- maginarono , dopo di ciò, di poter prendere vivo il picciolo ippopotamo usciron tosto dalla loro imboscata; ma l'animale, sebbene appena vedesse il giorno, fuggì loro correndo in tutta fretta alla riviera, ove si attuflò e scomparve. Questa circostanza, come osserva il dotto pro- fessore, è una prova singolare dell’ isiinto di simili animali; poichè quello di cui si parla riparò, senza esitare, al fiume, come a luogo di sicurezza, quantunque nessuna istruzione avesse ancor ricevuta da quella ‘che le diede la vita.

La carne dell’ ippopotamo è cibo eccellente per gli Ottentoti, che la mangiano e a lesso ed arrostita. Il sig. Levaillant parla della sua parie gelatinosa, come di cosa squisita. La sua lingua poi, quando è disseccata, si con- sidera al Capo, come boccon raro e pre- libato.

198 L'IPPOPOTAMO..

La pelle sua, tagliata a liste, serve a fare degli scudiscj, al qual uso è, per la. sua fles- Sh , molto. più stimata che quella det ri.

noceronte. Le sue zanne, come quelle che serbano sempre l'originaria purezza, sono vie

più pregiate chie I avorio.

Sembra che P ippopotamo sia capace di qual- che adlomesticamenio , e Belon assicura di averne veduto uno così trattabile, che dalla

scuderia, ove tenevasi, si lasciava condurre ove piaceva al suo custode , senza far male

ad alcuno. |. . Gli ippopotami abitano i fiumi d'Africa, dal

Berg sino al Niger, più miglia al nord del

Capo di Buona "Speranza. Essi abbondavano

altra volta nelle riviere più vicine al. Capo medesimo, ma poi vi furono quasi interamente distrutti.

IL TAPIRO:

Sembra essere | ippopotamo del Nuovo Mon-

do; e spesso infatti fu preso per quell’ amfibio.

È presso a poco della dimensione d'una pic-

ciola giovenca, ed ha il corpo della forma di quello d’ un majale. La sua pelle è .d' un co- lore brunastro; e il suo naso lungo ed affilato

si estende molto al di della mascella infe-.

riore, e forma una specie di tromba, cui può

IL TAPIRO. 199 raccorciare e ‘allungare a suo grado. Ha le orecchie piccole e strette, le gambe corte e grasse, e la coda esilissima.

LI gii fi LI Mansueta è l'indole sua, e così grande la timidezza, che fugge ad ogni aspetto di peri- . . . 2 » glio. Animal solitario dorme nel giorno, e va a cercar nella notie il suo nutrimento , che e 3 >) È » . . DI ° E) si compone d erbaggi di differenti specie, di canne di zuccaro e di frutta. Mai non è ve- duto allontanarsi dai fiumi e dai laghi; e quando è minacciato o inseguito si getta al- l’acqua, vi s' immerge e .vi nuota con eguale facilità che l ippopotamo. Si trova esso prin- cipalmente ne’ boschi e ne’ fimmi sulle coste orientali dell’ America. meridionale dall’ istmo di Darien sino al fiume delle Amazoni. I sel- vaggi fanno scudi colla sua pelle, ch'è alta e dura, che quando è disseccata, i dardi e le frecce non possono penetrarla.

CAPITOLO V.

La forma e gli atti ha d’ uom, gli usi e l’aspetto, Ispida cute e Orang-Outangh è detto,

Ritto su’ piè, quando la notte imbruna, Esce dagli antri, in cui solingo alloggia, Erra pe’ boschi ove più l aria è bruna, Ed armasi del tronco a cui s’ appoggia, Sfida chi incontra arditamente, e Ponge Chiamalo il negro abitator del Congo.

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L'ORANGOTANO.

È fra le seimie 1’ animale più grosso, e avuto riguardo alla sua esierna apparenza, che molto somiglia l umana forma, gli fu talvolta dato nome d uom selvatico, o d’ uom de’ bo- schi. Ha però il naso più schiacciato; la fronte più obliqua, e il mento meno elevato alla sua base, che quello dell’ uomo. I suoi occhi, inoltre, sono più vicini l'uno all’ aliro che nol siano nell’ uomo, e la distanza fra il suo naso e Ja sua bocca è infinitamente più grande. Così nella sua interna conformazione si discoprono differenze essenziali, che malgrado ogni esteriore

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L'ORANGOTANO. 201

“somiglianza dimostrano qual: immenso inter- vallo separi luna specie dall’ altra. Che se la figura, gli organi, 1 moti imta- tivi, che sembrano risuitarne, di nulla più il ravvicinano alla natura dell'uomo; di nulla pa rimenti il sollevano sopra quelle del bruto.

Gli orangotani, che fino ad ora si sono os- servati in Europa, di rado eccedevano l' altez- za di tre piedi. 1 più grandi, che diconsi es- sere di sei, sono vivacissimi e di tal forza che sorpassa quella dell'uomo più muscoloso. Ve- locissimi al corso, non si giugne a sorprenderli che con estrema difficoltà. Il loro pelo è d'un bruno fosco, i loro piedi son rudi, e le loro ‘orecchie, come i loro diti, molto si conformano a quelli della specie umana.

Abitano essi i boschi dell'interno dell’ Africa, ‘e dell isola di Borneo, si nutron di frutta,-e quando si avvicinano al mare mangian del pesce e de’ granchi. Andrca Battel, Viaggiator porto- ghese, il quale dimorò ad Angola presso a diciotto anni, assicura che l’orangotano « è in tutte le sue proporzioni simile all'uomo, ec- cetto ch'è più grande, grande dic’ egli come un gigante, ha faccia umana, liscia e senza peo, occhi incavati, lunghi capelli, che gli scendono giù pei due lati della testa, orecchie e mani ignude, e corpo leggiermente velloso. Dice che non differisce dall'uomo nell’ esterno

202 È ORANGOTANO. che per le gambe, poichè non ha che poco 6 nulla di polpe, e non pertanto cammina seme pre diritto sui due piedi; che dorme sugli al- beri, e si costruisce una capanna, un rico= vero contro il sole e la pioggia; ch' ei vive di frutta e non mangia. carni ; ch ei. non può parlare sebbene abbia più intendimento che gli altri animali; che, quando i negri fan fuoco ne boschi, viene a sedervi e riscaldarsi, ma non saprebbe mantenerlo aggiungendovi legne; ch' esso va-di compagnia con altri animali della sua specie, uccide così i negri ne’ luoghi ap- partati, e si azzuffa perfino coll’ elefante, cui discaccia a colpi di bastone da’ boschi ove l’in- contra, e che finalmente non può mai essere preso vivo, poi ch è si forte, che dieci uo» mini non basterebbero a domarlo. »

Jobson ne dice, che sulle rive del. Gambe in Africa gli orangotani si raccolgono talvolta in truppe di tre 0 quattro mila, divise in varie schiere, avendo il più grande fra loro per ca- pitano, e in simili circostanze si mostrano au- dacissimi e perfidissimi. Quand’ egli passava dinanzi a loro col suo equipaggio, essi arram- picavansi agli alberi, e si mettevano a guar- darlo, oppure talvolta scuotevano gli alberi medesimi con grandissima violenza, e digri- gnavano i denti. Alla sera, quando il naviglio era all’ancora, essi venivano a collocarsi sovra

L ORANGOTANO. 203

le rupi o le alture; che dominavano il mare, ese la sua gente scendeva a terra, coloro le si facevano. calo con strani ceffi; ma sem- pre fuggivano precipitosi, qualora fossero at- taccati. Uno di essi venne un giorno ucciso da un colpo di fucile tiratogli da una canoa; ma prima che questa fosse legata, già i com- pagni lo aveano trasportato. St Airovarono nei boschi le loro abitazioni, che. si. componeane. di piante e. di:rami d'alberi. Lei ini: ecciati:. che offerivano un asilo comodissimo. Gli oran- otani mostrano poco di quella vivezza, anzi follia, che distingue particolarmente le seimmie.. Le loro azioni invece hanno tutte non so qual calma, e sembrano accompagnate dalia rifles- sione. Nemici naturali dell’ elefante, se giun> gono a discoprirlo, l assalgono e È uccidono. Adoprano contra di esso i basioni, ed a respin» gerlo bastan loro anche i soli pugni. Talvolta furon anche veduii lanciar pietre a persone che gl’ insultavano.

: Bosman ci narra, come dietro il forte in- glese di Wimba, sulla costa della Guinea, pa. recchi di questi animali piombarono sopra gli schiavi della compagnia dell Indie, e ne trione farono. E già erano sul punto di cavar loro gli occhi con de’ bastoni acuminati, quando avventuratamente una Luuppa di negri giunse in tempo . «di soccorrere: i vinti. Si sono. pur

204 L'ORANGOTANG: veduti degli orangotani rapir le donne de’ negri, e strascinarle ne’ boschi. Un fanciullo, anch’ esso negro, condetto via da uno di quegli animali visse fra loro per più di un ‘anno; e al ritorno me descrisse alcuni, i quali erano grandi e grossi come un uomo, gli aveano fatto verun male. I teneri orangotani prendono il latte dalle loro madri, tenendosi sospesi alle loro mammelle, e stringendosi colle mani al loro corpo. Se una di tali femmine è uccisa, i lor piccioletti si lascian prendere, senza fare ‘alcuna resi- stenza.

I costumi di simili animali, qualora si alle- vino domesticamente, son docili e pacifici, e nulla hanno di quella ferocia, che tanto di- sgusta ne grossi babbuini e scimiotti. Anzi è piuttosto rimarchevole la loro docilità , e Ja piacevolezza di moltissimi lero ‘atti.

Il dottor Tison, il qual « ha data una molto minuta descrizione d’ un giovane oran- gotano, che faceasi vedere a Londra cent’ anni fa, ne assicura che parea dimostrare molta sa- gacia, e che l'indole ‘sua era mansuetissima. Abbracciava esso con gran tenerezza le per- «sone che avea cenosciute a bordo del vascello, su-cui era venute. Ivi, sebben fossero molte scimmie, sempre ricusò la loro società, evitando il loro avvicinarsi, c dando loro. segni di gran disprezzo. Sembrava compiacersi nelle vesti di

L'ORANGOTANO: 20 cui l avevano. abbigliato, e talvolta ne indos- sava. parte da solo, e: parte ne presentava. alla. gente dell’ equipaggio, perchè l' ajutasse a. metterle. Fi si sdrajava in un letto; posava la: sua testa sopra -un. origliere , e traeva sopra. di la coperta, onde tenersi caldo come avreb- be- fatto»: un. uomo.

Il sig. Vosmaér ci ha daia la relazione se- guente dell’ orangotano condotto in Olanda. nell’anno 1776. Era una femmina. Man-. giando non facea quelle tasche laterali alla. gargozza, che sagliono l'altre specie di scimmie. Era d’ un buon naturale, che mai in essa. non si vide segno di malignità: o. di rancore , e si potea, senza tema, porle la mano in bocca. La sua aria però avea non so che di iriste.... Amava la: compagnia; senza distinzione di sesso,. dando: soltanto la preferenza. alle persone, che aveano cura giornaliera di essa, e le facean del: bene. A queste mostrava singolare affetto, e. spesso, quando se ne andavano, essa, trovan-- dosi alla catena, si gettava per terra come di- sperata, mandando gridi lamentevoli, e. lace- rando, poi ch'era sola, qranti paunilimi: potearn venirle fra mani. H suo custode avendo talvolta ‘in costume sederle vicino per terra, essa pren-. deva del fieno del suo covaccio, il distendeva da un lato, e parea con queste dimostrazioni invitarlo a prender posto al suo fianco.

‘206 L'ORANGOTANO:

« Il suo modo ordinario di camminare era a quattro gambe, come. quello dell’altre scimmie; poteva però andar diritta. sulle due posteriori, e sovr ‘esse’ infaiti, munita di un bastone, si reggea lungo tempo. Non posava però mai i piedi distesamente, alla maniera dell’uomo, ma sempre li tenea un po’ ricurvi, colle dita al di dentro ripiegate; ciò che dinotava V' abi- uadine di arrampicarsi agli alberi .:.. Una mat- tina la trovammo scatenata, che correva con. maravigliosa agilità le travi oblique, e i pan- concelli del tetto, e si ebbe della pena a ri- pigliarla ..., Straordinaria ci parve la forza dei suci muscoli; e. gran fatica ci volle a tenerla distesa sul dorso. Due uomini vigorosi appena bastarono a stringerle i piedi. ‘un terzo a fe» nerle la testa, e il quarto a ripassarlé il col lare e chiuderlo meglio. Nel tempo che si trovò libera, la' bestia: avea, fra l'altre cose, tratto il turacciolo d'una bottiglia che contenea un resto di yin. di Malaga, cui bevve sino. all’ ultima goccia, rimettendo poi il vetro a suo posto.

«. Mangiava quasi: tutto quello, che le si presentava; ma il suo nutrimento ordinario eran pane, radiche, e in particolare: carote gialle, ogni sorta di frutti, e. fragole in ispecie. Parea singolarmente ghiotta delle piante aromatiche, come cel prezzemolo e della sua radice. Assa- porava aitresì le carni lessate o arrostite ed il

L'ORANGOTANO. 207 pesce. Mai non si vedea dar. la caccia agli in- setti, di cui | altre scimmie sono avide..

Le pres sentai un passero vivo, cui essa alici e rigeltò quasi nel medesimo tempo. Quando era dia. Y ho veduta mangiare un po’ di carne cruda, ma senza il minimo appetito. Le porsi un un ovo, parimenti crudo, ch’ essa aprì co’ denti e succiò tutto intero col più gran gusto .... L' arrosio e il pesce erano i suoi alimenti prediletti. Le si era insegnato a mangiare col cucchiajo e. colla. forchetta. Quando. le si davan fragole sopra di un tondo, era un piacere il veder come le infilzava una ad una, e quindi le portava colla. forchetta alla bocca, mentre coll’ altra mano teneva il piattello. , La sua bevanda ordinaria era Y acqua, ma gusiava moltissimo ogni sorta di vimi, spe- cialmenie il malaga. Si porgeva ad essa una bottiglia ? Ne cavava il turacciolo, e poscia beveva colla maggior grazia del mondo..E quello che faceva del vino, facea pur della. birra:

asciugandosi poscia le labbra, come fosse. un uomo. Dopo aver pasteggiato, se le si dava

uno stuzzicadenii, se ne serviva al par di noi. Tracvasi con somma destrezza e pane ed altre cose. dalle saccoccie. E. fui assicurato che, qua: do essa a bordo del naviglio correa libe- ramente fra Î equip aggio, si divertiva co' ma- rinai, e andava com'essi a ‘cercare la sua por- zione alla cueina.

208 L'ORANGOTANO.

« Avvicinandosi la rotte, andava a. ripo- sare .... Non dormiva volentieri nella. sua gab»- bia, per paura, credo, ‘d’ esservi rinchiusa.. Quando volea coricarsi , ‘acconciava: il. fieno: del suo letto, lo scuoteva bene, aggiungevane: all’ alto per formare il suo capezzale, s1 met-. teva il più delle volte sopra di un. fianco, e si copriva ben bene con una. coltre, essendo molto freddolosa:.... Di tempo in tenpo noi l'abbiamo veduta far cosa, che moltissimo ci; sorprese la prima volta, che ne fummo testi- monii. Avendo preparato il suo covacciolo all’or- dinario; prese un pezzo di biancheria, che trovò appresso, lo. distese molio bene sul. pa- vimento, vi mise deutro- del fieno, e levandolo. dai quattro angoli portò il suo fagoito con molta destrezza al letto, onde le servisse di origliere, traendosi poi la coperta sovra il corpo .... Una volta vedendomi aprire colla chiave, e chiuder dii nuovo la sua. catena, prese un pezzettino: di legno, il cacciò nel foro della serratura,. e il. volse e. rivolse in tutti. i. modi, guardando se apriva, come io fatto. ‘. « Al suo arrivo, la bestia. non. aveva. pelo, altro che un po'di nero sulla posterior parte del corpo , sulle braccia, le: cosce , le gambe; Ma all avvicinar dell'inverno si coprì dovun- que di ur lana di color castagno. chiaro , le

doi - (A 4 gia. avea

L'ORANGOTANO.. 209 eui più lunghe setole avean benissimo tre pollici ».

Visse in Olanda circa. sei mesi, e dopo morte fu collocata nel museo del. principe d' Orange. .

Ii sig. di Buffon avea un orangotano , che sempre camminava sui due pied:, anche por-. tando gran pesi: « L'aria sua, dic egli, era assai triste, l'andamento grave, i movimenti misurati, l'indole dolce e differentissima da quella dell’ altre scimie. Non avea Y impa- zienza del bertuccione, la malignità del babbuino, la stravaganza delle monne. Era stato, si dirà, ben educato e ammaestrato. Ma gli altri animali, con cui lo paragono, aveano pur ‘avuta l’ istruzione medesima. Or mentre opel nostro. orangotano bastava. qualche: segno o parola per farlo operare; pel bab- buino bisognava il bastone, e la verga per tutti gli altri che non obbedivano se non alla forza delle percosse. Ho veduto quest’ animale presentar la mano per ricondurre le. persone che venivano a visitarlo ; passeggiar grave- mente. con esse e come di compagnia; sedersi a. tavola , spiegare il suo mantile, asciugarsi con questo. le labbra, usare del suo pupelicio e delia. sua forchetta, onde prender cibo, ver- sare ei medesimo la sua bevanda entro il bic- chiere ,, toccarlo contro quello d'altri, se vi

Gabinetto Tom. I.

: 9 210 L ORANGOTANO.

era invitato, andar a prendere una tazza una sottocoppa , recarla in tavola, mettervi dello zucchero, versarvi del tè, lasciarlo raf- freddare per beverlo,, e tutto ciò senz’ altro eccitamento che di qualche segnale o voce del padrone , e talvolta da stesso. Non facea male ad alcuno, si avvicinava con riguardo , e presentavasi , come per domandar carezze. Appetiva fuor di modo le paste dolci, e tutti gliene davano; ma come era toceo nel pol mone, onde avea tosse frequente, tanta quan- già di cose inzuccherate contribuì, senza dub- bio, ad abbreviargli i giorni. Non visse a Pa- rigi che un estate, morì a Londra l'inverno seguente ». Un orangotano fu pur veduto nell’ arcipe- lago delle Moluche, il qual era di costumi si- milissimi a quello or ora descritto. Cammi- nava su due piedi, e si serviva delle mani e delle braccia come un uomo. Le sue azioni , in generale, si accostavano talmente a quelle dell'umana specie; i suoi movimenti erano vivi e aveano tania espressione , che una per- sona muta difficilmente avrebbe saputo farsi meglio intendere. Batteva il suolo co’ piedi, onde manifestar la sua collera, e talvolta pian- geva come un fanciullo. Gli si era insegnato a danzare; e in tutto quel tempo, che fu a bordo del vascello, trastullavasi esso in arram-

L ORANGOTANO. 211 picarsi per mezzo agli arredi, prendeva ogni sorta di positure grottesche, onde divertire la compagnia; e saltava con sorprendente agilità d'una corda all’ altra, sebbene alla distanza di quindici in venti piedi,

Ii sig. Hamilton, mentr era a Java, vide un orangotano, ch ei ci descrive d’ indole seria e melanconica. Dice ch’esso accendeva il fuoco ; e vi soffiava entro colla sua bocca, e avea pure l' abilità di far cuocere alla grati» cola un pesce per mangiarlo col suo riso bol- lito, ad esempio delle persone, ch’ erano seco.

Francesco Pyrard riferisce in un suo Viaggio

che trovasi nella provincia di Sierra-Lcona una specie d’ animali appellati daris, i quali sono grossi e membruti, ma di tale industria, che se vengono allevati dalla prima gioventù servono come uomini. Camminan essi d' ordi- nario sui due piedi di dieiro solamente ; pe- stano entro i morta) ciò che si vuole; vanno ad attinger acqua al fiume entro piccioli vasi, che portan pieni sul capo; e lasciandoli tal- volia cadere, e vedendoli rotti , si mettono a gridare ed a piangere ».

Barbot asserisce altresì che sulla costa della Guinea si tragga dagli orangotani quel servigio che si trarrebbe da’ garzoni di cucina, inse- gnando loro a menar l'arrosto, il che fanno con desirezza incredibile.

do L'ORANGOTANO:

Il sig. Delabrosse , il quale avea comperati da un, negro due di questi animali dell’ età soltanto: di un anno, non dice se il venditore gli avesse educati; e quasi dalle sue parole si conchiuderebbe che facessero da stessi molte delle cose: da noi sopra accennate.

« Hanno essi l'istinto, egli dice, di sedere a tavola come gli uomini; mangian di tutto senza distinzione; adopran coltello, eucchiajo e forchetta onde tagliare e mettersi in bocca ciò che si. da. loro sul tondo ; e. bevon vino ed: altri liquori. Portati a bordo avveniva, che stando essi a mensa., e abbisognando. di qual- che cosa. cercavano di farsi intendere da’ mozzi. del vascello ; e se talvolta. questi ragazzi nie- gavano loro ciò. che chiedevano , andavan in collera., li pigliavano per le braccia, li. mor- devano, ed anche geitavanli a. terra. e. li. cal- pestavano .... Il maschio fu ammalato in rada, «e si. faceva curare non altrimenti che: uomo. Fu anzi salassato due volte al braccio destro; ed: ogni volta poi che sentivasi di mala voglia, mostrava. il. braccio medesimo., perchè gli si tiraesse sangue, come fosse ben persuaso che ciò gli gioverebbe ».

Due. crangotani furono. inviati. dalle. fore- ste del regno di Carnate. sopra un vascello costiere, che ora. appartiene al governatore

di Bombay. Aveano essi appena due piedi di

L'ORANGOTANO. 9:13

altezza, ma camminavan diritti, e molto assomi= liavano e negli ‘atti e nelle forme ‘alla specie umana. Alla loro tristezza ben si accorgeva, quanto gli affligesse la perdita ‘della loro libertà. Durante il viaggio la femmina cadde ammalata e morì; il maschio, dopo tutte le dimostrazioni possibili del dolor che provava, ricusò ostina- tamente di mangiare, e in capo ad alcuni giorni cessò pur esso di vivere.

< Ho veduto ‘a Java, dice Legnat, una sci- mia vidella specie degli orangotani, come rac- cogliesi dalle parole seguenti ) molto straordi- naria. Era una femmina, alta ‘alta, e cammi- nava spesso molto diritta sulle gambe di dietro; avea il volto, senz’ altro pelo che quello dei sopracigli, e rassomigliava grandemente a quel- le faccie grottesche delle femmine ottentote , ch io incontrai al Capo. Faceva ogni giorno con assai proprietà il suo ieîto, vi si coricava colla testa sull’ origliere, e si traeva sopra il corpo una coperta .... Quando avea male alla testa, se la stringeva in un fazzoletto, ed era uno spasso il vederla così incuffiottata nel letto. Potrei raccontare parecchie altre picciole cose, le quali sembravano molto singolari, ma con- fesso ch'io non poteva averne tanta ammira- zione come la moltitudine, perchè non igno- rando il disegno formato di portar quest’ani- male in Europa, onde mostrarlo alla gente ,

214 L ORANGOTANO. i era inclinatissimo a supporre, che fosse pre- parazione dell arte quello che dalla più parte si credeva natura. Il mio supposto, però, non avea fondamento. L’ animale morì all’ altezza slel Capo di Buona Speranza in un vascello, sul quale io mi ritrovava. »

Gemello Carreri dice aver medita un oran- gotano, il quale mandava lamenti come un bambino, camminava sut piedi posteriori, por- tando una stuoja sotto il braccio, per cori- carvisi al dissopra e dormire. Le scimie della sua specie, egli aggiugne , sembrano, a certi riguardi, avere più intendimento che l’ uomo, poichè quando non trovano più frutti sulle montagne, vanno in riva al mare, ove pigliano granchi, ostriche ed altre’ simili cose. Fra le. ostriche avvene una del peso di più libbre, la qual si chiama taclovo, e che soventi sta col guscio aperto. Ora le brave scimie, temendo che non si chiuda, e serri loro la zampa, quando ve la mettono deniro, per trarne l’o- strica e mangiarla, Vi cacciano prima un sasso, ed indi fanno con sicurezza il loro pasto. »

215 IL BERTUCCIONE.

Quest animale è più sgarbato, più vizioso e più dificile ad addomesticare che tutte l'al- tre scimie. La sua testa è larga; la faccia sua rassomiglia assai più a quella del cane che a quella dell’uomo; e il suo corpo è coperto di un pelo bruno, che per altro inclina al falvo. Quando si tiene sulle sue gambe po- steriori ha, circa, tre piedi d'altezza; e quando sta assiso è come portato da due proeminenti callosità. Le sue gote son fornite di tasche, cui esso riempie di cibo, prima che cominci a mangiare. Preferisce il camminar sulle quat- iro sue gambe all andare diritto. I suoi co- stumi sono rozzissimi; e irritato digrigna 1 denti, ed ha non so che di siranamente di- spiacevole.

I quadrupedi della sua specie sono, in ge- nerale, perfidissimi. Si raccolgono in torme numerose nelle immense pianure dell Indo, e se veggono donne, che vanno al mercato, le assalsono, e loro tolgono le provisioni. Ta- vernier , parlando di essi, dice che certi In- diani hanno una curiosa maniera di prender- sene spasso. Perocchè collocano cinque o sei corbe di riso, alla distanza di quaranta o cin- quanta tese le une dalle altre, in un terreno scoperto , non lungi dal lor covile, e a lato

416 IE BERPUCCIONE.

di ciascuna corba alcuni grossi bastoni, volgare mente detti batacchi o frugoni. Si mettono in seguito poco discosto in imboscata, per ve- dere ciò che avverrà. I bertuccioni non iscor- sendo aleuno presso le corbe, scendono in folla ad esaminarle ; si fanno reciprocamente bruttissimi ceffi; s imoltrano e s.arretrano per intervalli, come se avessero qualche cosa a temere. Alfine le femmine, che sono molto più coraggiose che i maschi, quelle principalmente che hanno de’ piccioletti, si arrischian le prime ad approssimarsi a quelle corbe; e nell'istante che si dispongono a cacciarvi le loro teste per mangiare, i maschi di un partito si avanzano per impedirnele, mentre quelli di un altro anch essi inoliransi per opposto motivo. Allora la guerra si accende; i combattenti s impa- droniscono dei bastoni, e ne nascono fieri scontri, onde i più deboli son ricacciati al bosco colla testa o aliro membro imal concio, e i vincitori poscia si divorano il prezzo del loro trionfo.

Il medesimo scrittore riferisce che in un viag- gio, ch ei fece, nell Indie orientali col presidente della Compagnia Inglese, osservò sugli alberi intorno a un gran numero di biontlcalensi, Il presidente. come stupelatto volle arrestare la sua vettura, e pregò Tavernier a sparare contro alcuno di essi. Gli uomini del suo

TL BERTUCCIONE. 317 seguito, ch'erano in gran parte nativi del pae- se, e conoscevano benissimo 1 costumi di quegli animali, lo pregarono di non arrischiare nes-. sun colino, per tema che i non feriti irrom- pessero contro di lui, onde vendicare i com- pagni. Cedendo però alle istanze del direttore uccise una femina, la qual cadde di ramo in ramo da una pianta co’suoi. piccioletti sospesi al collo. Nell istante medesimo gli altri ber- tuccioni, il cul numero giugneva a più di ses- santa, si precipitarono dagli alberi, si arram- picarono al calesse del presidente, e l'avreb- bero senza fallo strangolato, s' ei non avesse testo chiuso le cortine, e le persone, che lo scortavano, non fossero state tante da forzarli ad allontanarsi; il che però ebbe gran difli- coltà. Per tre miglia infatti vennero esse da quegli animali inseguite e molestate ostinatis- simamenie.

« Noi abbiamo nudrito, scrive il sig. di Buffon, un bertuccione per più anni di se- guito. In estate si compiaceva dell’aria aperta, e d'inverno si poteva tenerlo in una camera senza fuoco. Sebben non fosse delicato era sempre triste, e faceva egualmente le morfie per indicar la sua collera, e mostrare il suo appetito. 1 suoi moti erano violenti, le sue maniere assai ruvide, e la sua fisonomia an- cor più orrida «che ridicola. Amava coricarsi ,

218 IL BERTUCCIONE. per dormire , sopra di un canterano. Veniva quasi sempre tenuto alla catena, poichè , mal. grado la sua lunga. domesticità, mai non si era incivilito, affezionato ai suoi pa- droni ». i

Gli animali di questa specie si trovano, per la più parte, nelle contrade dell’ Africa, dalla Barberia fino al Gapo di Buona Speranza.

IL PITECO.

Cammina ordinariamente sui pie di dietro; è assai più picciolo che il bertuccione; ha la faccia molto schiacciata, e l'orecchie somiglian- tissime a quelle dell’ uomo. I colori ordinarii del suo pelo sono l ulivo bruno sul. dorso e sui fianchi, e il giallo sotto il ventre. Vive esso nei boschi e si nutre principalmente di frutta e d' insetti.

Generalmente gli animali della sua specie. sono di natura assai dolce e facilissima ad ad- domesticarsi. Bevon nel cavo della. mano, imi- tano il ridere e il corrugar de’ sopracigli. del loro padrone, e, secondo Linneo, il modo di salutare usato dai Cafri. Hanno della memoria, e ricordano talvolia per più anni la persona che li benefica. Nelio stato di domesticità seno allegri e scherzevolissimi; ma presi vecchi nel

IL PITECO. 219 loro stato selvaggio mordono fieramente per difendersi.

« Vanno in truppe, dice Marmol, a ru- bare ne’ giardini o ne campi. Prima però di uscire da’ lor nascondigli, uno sale sopra qual- che eminenza, onde scoprire i luoghi tutto all'intorno, e se non vede comparire alcuna persona con un grido ne segno agli altri, i quali fanno la loro sortita, e fin che son fuori, esso non si toglie di là. Ma standosi alla vedetta tosto che scorge venire alcun uomo stride fortissimamente, e :utti saltando d albero in albero si salvano nelle montagne. È cosa mirabile il vederli fuggire , poichè le femine portano sul ioro desse” n o cinque piccioletti, perciò fanno di ramo in ramo salti meno grandi. Quantunque siano animali astutissimi, se ne prendono molti con diverse invenzioni. Allorchè divengon feroci mordono; ma per poco che si carezzino, s' addimestican facilmente. Gran guasto recano a frutti ed alle biade , poichè non badano a verdezza o a maturità, ma tutto egualmente colgono e gei- iano a terra, ed è più quel che consumano di quello che mangino e portin via. Gli addo- mesticati fanno cose incredibili, imitando l’uomo in tutto ciò che veggono da lui «operarsi ».

Pretendesi che in Africa abbiano il loro soggiorno abituale nelle caverne; e così nelle

$20 TL PITECO. fndie orientali e nell'isola di Ceilan. Gli abi- tanti di tali paesi usano una singolar maniera di preuderli ; poichè pongono all'ingresso dei lor covili vasi di liqueri forti, che gli ineb- briano e gli addormentano; onde perdono fa- cilmente la loro libertà.

ll padre Cabausson riferisce un aneddoto assai piacevole d’' una scimia, che ‘avea’ resa domestica, e che gli si era tanto affezionata , che l' accompagnava in tutti i luoghi da lui frequentati. Usava egli chiuderla in camera, quando andava ai sacri officii Un giorno però essa riuscì a fuggire e seguillo nella chiesa. Ki salita cheta cheta sul balluechie del pul- pito vi si tenne inosservata fin ‘che predica incominciò. Faitasi allora all’ orlo, e postasi a considerar il predicatore imitò i suoi gesti d una maniera comica, che tutto l’uditorio si mise a ridere. Cabausson sorpreso di così insolita leggerezza , ne fece parole di rimpro- vero, le quali niun buono effetto avendo pro- dotto, nel trasporto del suo zelo, facile a con- cepirsi , raddoppiò i gesti e l agitazione. Ma la scimia anch'essa vie più infervorando nella sua pantòmina convertì in iscoppi sonori quello che prima era strepito moderato e represso, Alfine un amico di Cabausson a lui salito gli indicò la causa di questa singolarità che tutto lo conturbava, e il buon padre ebbe a durar

iL PITECO., gas troppa fatica a tenersi in contegno, ordinande al sacristano di condur via la scandalosa imi> telrice.

Nella più parte delle contrade dell’ India , le seimie sono oggetto di culto per gli indi- geni, ‘che erigon dei tempii. magnifici. Vengon esse in gran numero dalle città, ed. entrano nelle case liberamente. A Calieut però gli abitanti. si studiano di escluderle; ma a tal uopo sono obbligati di tener persiane a tutte le finestre

IL BABBUINO: PROPRIAMENTE DETTO:.

Ha tre o. quattro piedi d'altezza, e le parti. superiori del suo corpo annunciano una gran. forza musculare: Quando è rinchiuso nella sua. gabbia, ne prende i ferri e gli. scuote con ‘tanta forza, che atterisce gli spettatori. Come tutti gli altri babbuini è assai gracile verso. il mezzo del*corpo. Il suo pelo è in generale d'un grigio che tira. al bruno. e il suo viso. molto lungo. è color di carne.

In ciascuna guancia ha una. taschetta; la sua coda è cortissima; e le sue. natiche sono af. fatto ignude e callose.

Gli animali della. sua. specie: sono tutti. pes matura ferocissimi; e il loro esterno è insiem grollesco e spaventevole. Camminano a truppa;

2992 IL BABBUINO PROPRIAMENTE DETTO.

e, per poco che il loro numero sia grande, riescon nemici pericolosissimi.

In alcune contrade dell’ India vanno ad as- salire i villaggi, mentre gli agricoltori sono a fare la raccolta del riso, e saccheggiano nelle abitazioni di questi tutte le provisioni, che pos- sono ritrovarvi. La frutta, le biade, i grap- poli d’ uva formano il loro principal ‘nutri- mento, ed onde procurarselo cominettono ogni violenza. La loro forza tenace, e, le lor grife acute li rendono terribili. Gran pena duran quindi i cani per vincerli; a meno che l'ec- cesso del cibo non li renda pesanti, e non faccia perder loro ogni energia. Uno di essi, quando sia libero, può facilmente trionfar di tre uomini, a meno che non siano muniti d'armi per difender stessi ed offenderlo.

Di rado le femine danno in luce più d'un babbuinetto , che portano fra le loro braccia. Mai non furono vedute generare in paesi fred- di, anzi nemmeno nei temperati.

Nello stato di captività, i babbuìni sono sel- vatici e mal intenzionati. Uno di questi ani- mali, che faceasi vedere a Londra nel 1779, presen'ava agli spettatori il più triste aspetto, e cercava afierrar pel braccio tutte le persone, ‘a cui la sua catena permettevagli di arrivare.

Ii sig. Pennant vide a Chester un babbuino di terribile forza, il qual mostravasi eccessivamente

IL BATBUINO PROPRIAMENTE DETTO. 225

i feroce. La voce sua era una specie di ruggito

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somigliante a quello del leone, ma un poco più cupo e meno sonoro. Camminava su suoi quattro piedi,. mai volea tenersi diritto sulle gambe di dietro, se non forzatovi dal suo guardiano. Sovente però sedeva sulle sue coscie , alquanto inclinato in avanti, e colle

| braccia incrocicechiate sul ventre. Era bellissimo

animale, e parea quello che il sig. Smellie avea veduto, ad Edimburgo.

Ai babbuini di questa specie non si può fare mangiar carne, se non cotta. Amano essi in singolar maniera le ova; e se n'è osservato uno mettersene fino ad otto nelle tasche delle sue guance , e poi sorbirseli uno ad uno con massima gravità Quello esaminato dal sig. Pennant sembrava ghiottissimo del formaggio; e ogni volta che gli si porgevano spiche di frumento, ne traeva destramente i grani l'un dopo i altro co’ suoi denti, e li mangiava.

li dotior Goldsmiih narra d’ aver veduto uno di iali babbuini rompere apposta un ser- vizio intero di porcellana, senza dar segno di sapere menomamenite qual male facesse. Il na- tara capriccioso di questi animali li porta so- vente a simili atti di malignità.

SI

IL BABBUINO CON MUSO DI CANE.

Quest animale, quando si tien ritto, ha cinque piè di- altezza. Il suo capo, il suo deretano molto somigliano a quei del cane. Il suo pelo è lia chiciso e folto sino alla cintura, ma ia al dissotto.. Ha la fac- cia nuda, le orecchie terminate in punta, quasi ascose entro quel tanto pelo. Ii natural uo è feroce e intrattabile, e la sua forza grande, che gli basta ad atterrare un uomo senza la minima difficoltà.

Ne climi più caldi deli’ Africa e dell Asia i babbuini della sua specie si raccolgono in truppe e devastano i giardini. Sono arditi. e numerosi, che gli abitanti, i quali hanno: delle piantagioni di caffè, sono obbligati di tener sentinelle per opporsi alle loro depredazioni.

Quando taluno passa dinanzi a tali babbuini, quegli impudentissimi s arrampicano agli albe- ri, e ne scuotono i rami, digri

gnando i denti.

IL BABBUINO CORSIVO.

Esso è più piceolo di quello, di cui. pur era abbiamo parlato. Ha una grossa testa, con fronte proeminente e naso assai lungo. Il suo pelo è d'un colore alquanto bai e lun- go, che gli l'apparenza di un orso. I bab-

la orsini si riuniscono in truppe nelle parti

ONISUO

O NTAALSV tI

TL BABBUINO ORSINO. 225 settentrionali dell’Africa. egualmente che sulle montagne del Capo di Buona Speranza; e quando taluno si approssima al lor covile , mandano un grido orribile, che dura un mi- nuto, poi si nascondono nel più interno, e serbano un profondo silenzio. Raro discendono alla pianura, a meno che non sia per met- tere a sacco i giardini, situati presso alle mon- tagne; nel qual caso hanno l avvedimento di collocar sentinelle, onde prevenire ogni sor- presa. Fanno: in pezzi, per poco che siano grossi, i frutti che raccolgono, e se gli stipano entro le tasche delle lor guancie, per poi mangiarli a loro bell’agio. Se quelle sentinelle fratianto veggono un uomo mandano un gri- do, che dura circa un minuto, -e tutta la: truppa si ritira col più gran precipizio; f arrampicarsi, che in quel mentre fanno i piccioletti sul dorso de’ padri e delle madri loro, rende la scena ridicolissima. Si nutrono altresì di più piante polpose; che svelgono di. terra, u.. con molta destrezza. -

Trovansi essi in così gran numero. nelle montagne. dell’ Africa, che diviene talvolta pe- ricolosissimo pe viaggiatori il. passarvi dinanzi; poichè non solo rotolan dali’ alto grosse pietre, ma -aneor le scagliano contro di. loro. Quindi è necessario aver degli. archibugi - per tener tontani i malvagi animali

Gabinetto Tom, L 55

226 IL BABBUINO ORSINO.

Kalbe riferisce che ‘quando questi babbuini discoprono un uomo solo, il qual si riposi o, mangi nella campagna, gli vengono pian piano alle spalle, e gli rubano quanto possono; indi fuggendo a certa distanza, seduti sulle lor co- scie sel divorano in presenza di lui, e gli fanno orridi cefti. Talvolta anche mostran di porgergli colle lor grife ciò che gli han tolto, e accom- pasnano questa finta resiituzione con gesl: comici e burlevoli, che sebbene il .povero diavolo perda il suo desinare, può di raro trat- tenersi dal ridere.

Il sig. Lade ci ha data una descrizione esat- tissima di questi animali: « Traversavamo , ei dice, una gran montagna ne contorni del Capo di Buona Speranza, e prendevamo diletto a cacciare delle grosse scimie , numerosissime in quel paese. Mi sarebbe impossibile il ben espri- mere la loro furberia, l'impudenza, la celerità, con cui ritornavano alla volta nostra, dopo es- sere state messe in fuga. Talvolta ci lasciavano avvicinar di tanto, ch'io mi credeva quasi si- curo di poterne prendere; ma s' io tentava di farlu, si allonianavano d'un solo sbalzo a più di dieci passi, e coll’istessa agilità salivano su degli alberi, onde ci guardavano indil'ercutis- simamente, e parevano schernire il nostro siu- pore. Ve erano da esse di così enormi, che se il nostro interprete non ci avesse assicurati

ÎL BABBUINO ORSINO. 22% che non erano feroci, pericolose, mai non ci saremmo creduti in forze di resistere ad un loro assalto. Come non ne ehbimo bi- sogno, mai non ci servimmo dei mostri fucili. Il capitano però finse di dirigere il proprio contro una scimia, che inseguivamo da lungo tempo, e si era salvata alla sommità di un al- bero. Questa minaccia, di cui forse la bestia ebbe altra volta occasione di conoscere le con- seguenze, ‘la spaventò a segno, che cadde senza moto a’ nosiri piedi, onde non ne fu a pren- derla veruna difficoltà. Ma ben ne fu uopo di gran destrezza e. forza per rileneria, quando si fu riavuta dal suo spavento. Legammo dunque ad essa le zampe: ma come ci mordeva con indi cibil lilode: fummo obbligati a coprirle il viso co’ nostri fazzoletti.

Spesso i babbuini o scimie di cui si fa- vella sono presi assai giovani ed ‘allevati al Capo di Buona Speranza, ove dicesi che sor- veglino le case e i poderi de' loro padroni con e zeio che 1 migliori nostri cani in Europa. Si attaccano d’ ordinario con muia catena ad UIL palo; e l’ agilità loro nell’ arrampicarsi, saltare, ed eludere. gli sforzi di chi volesso prenderli, è quasi incredibile. Ne ho anzi veduto uno, che non si potè cogliere con nta sebben legato e a poche tese di sta O esso pren- deva in aria quelle pietre come si piglian ie

#%

»

228 IL' BABBUINO ORSINO: palle giuocando , oppur le evitava nel modo più lesto e più sorprendente. Gli animali di siffatta specie’ non. sono carnivori : marngian però la carne e il pesce che loro si fan. cuo- cere. »

Thunberg narra che si pigliano talvolta con de’ cani; ma ch’ è necessario impiegarne gran numero. Uno o due cani non bastano per un babbuino; poichè se questo. giugne ad abbran- car loro le zampe -di dietro, li gira a. cerchio intorno a stesso, finchè gli abbia storditi.

Gli animali, di cui parliamo , mordono con gran violenza, e i lunghi lor denti sono per essi un mezzo di difendersi più ostinatamente: Nello stato medesimo di domesticità, quando taluno gl’ irrita, cercano prenderlo per un orecchio; e glielo troncan di netto, come se. vi adoperassero un rasojo.

IL. COAITA.

Ha diciotto pollici, all’ incirca, di lunghezza, dal muso alla radice della. coda, la quale ne ha due piedi. È agilissimo, amabilissimo, sicchè sempre: fa morfie o capriole, e di naturale dolce: e. mansueto.. IE suo colore è: nero per. iutta l'estensione del corpo; eccetto in fac-. cia, ov è di rosa carico,

IL COAITÀ. 230

Può dirsi un quadrumano; se non che manca di pollice nelle mani davanti, ed ha in quella vece delle picciole appendici o projezioni, che ne tengono luogo. Abita le foreste dell’ Ame- rica meridionale, e la sua femmina produce ad ogni pario uno o due piccioletti, che porta sul dorso.

Un coaita addomesticato visse con uno sco» jattolo in perfetta amicizia. Quando agli ani- mali della sua specie si legano le zampe da- vanti, corrono essi su quelie di dietro con egual facilità, e così lungo tempo, come se non aves- sero alcun impedimento. Malgrado la dolcezza della lor indole, non sono esenti del tutto da quella maliziosa sagacia, che distingue la ge- nerazione intera delle scimie. Pretendesi che nel loro paese, quando alcuni di essi è Dat- tuto, si arrampichi prestissimamente ad un cedro o ad un arancio, e inseguito che sia stacchi i frutti di tali alberi, e li getti in.capo agli avversarii con sorprendenie destrezza; che talvolta anche, per respingerli, usi mezzi più disaggradevoli. In simili casi i suoi atteggia- menti variano grandemente e sono tutti ridi- colissimi l uno più che l' altro.

I coaiti si nutrono principalmenie di fruita e di radici, e in mancanza di queste anche di pesce , che alcuni viaggiatori dicono , prender essi colla coda.

230 IL: COASTAS

Non diversamente dalla più parte delle sci mie, quando commetter vogliono delle depre- dazioni, collocan seniinelle sulle alture, in cima aghi alberi, per essere avvertiti. dell’ avvicinar del periglio. -

Ulloa assicura che ne boschi del paese, eh' essi abitano , quando, passar vogliono dalla cima :d’ nn albero a quella d’ un altro, di- stanti però, che un salto non basti, formano una catena, e attaccandosi fra loro per la coda si ten- gono sospesi, fino a che quello, ch'è alla estre- mità inferiore della catena medesima, prender possa un ramo dell’ albero più vicino, e attirar gli altri a sè. Di non diversa maniera, pari- menti, dicesi che traversino i fiumi, le cui rive sono dirupate, e sebben Stedman revochi in dubbio la verità di quest’ asserzione, essa è confermata da' Dampierre e da Acosta.

Il capitano Siedman, trovandosi nei beschi del Surinam, e mancando di provvisioni, uc- cise duc di questi animali, per farne un lesso; ma la morie di uno specialmente fu, per ciò ch’ ci narra, accompagnata da tali circostanze. :da fargli abborrir per sempre la caccia de qua- drumani. Vedendomi, dic egli, presso la riva del fiume in una canoa, rallentò il suo corso e cessò di seguire i compagni; indi si arran= picò ad un albero, i cui rami pendevano sopra l'acqua; mi esaminò attentamente danda.

IL COAITA. 231 segni d una prandisini sapiosità , come se mi avesse preso per wu gisante della sua spe-

cie; digrignò 1 denti, sa ilo per l'albero, e ne scosse ‘i rami con una agilità ed una forza incredibile. Io gli sparai contro, e lo feci ca- dere di Zi, riviera. Il cielo mi preservi

dall'essere mai più testimonio di simile scena! Il misero animale non era già morto, ma mor- talmente ferito. Io lo presi per la coda, e te- nendolo con ambe le mani gli fect fare il mo- linello, percotendogli alfine la testa contro le sponde della canoa onde metter fine al suo tormento. Ma esso ancor respirava , e come ‘guardavami nelia più compassionevole maniera,

5 che immaginar si possa, io. non trovai altro

Mezzo TEAESTE le sue sofferenze che di tenerlo immerso nell'acqua fino a che fosse fogato. Durante tutto questo tempo però, il mio cuore era lacerato dal dolore, poichè i suoi piceioli occhi morenti continuarono a star fissi in me, sa rimproverandomi la mia crudeltà, sino a che la loro luce fu estinta intieramente. ed esso spirò. Io provai tal commozione, che mi fu impossibile assaggiare di quest’ ani- male, del suo compagno, allor che furono cotti, sebbene le persone, ch’ erano meco , li

trovassero piatto delizioso.

LA GARZETTA.

Non è lunga più che due piedi, ed è, presso a poco, del colore del lupo. Ha grossa e brut- tissima la testa, schiacciato il naso, le guatice raggrinzate, le sopraciglia ispide e sporgenti, bifido il labbro superiore, i piedi neri, e in cima al capo un ciuffetto. È d’ indole piuttò- sto dolce e trattabile; ma tanto sporca e scon- cia, che quando fa contorsioni di bocca è im- possibile riguardarla senza provar disgusto, anzi orrore.

Le garzette si raccolgono frequentemente in truppe, onde dar guasto alle piantagioni, Bosman racconta « ch' esse prendono in cia- scuna zampa anteriore uno o due gambi di miglio, altrettanti sotto l’ascelle, ed altrettanti in bocca, e così se ne tornano saliando con- inuamente sulle zampe di dietro. Che se ven- gono inseguite, non ritengono se non quelli che hanno fra denti, e gettano il rimanente onde poter fuggire più celeri sui quattro piedi. Del resto, aggiugne il medesimo viaggiatore, esaminano ogni gambo strappato serupolosissi- mamente, e se loro non piace il rigettano, e ne svelgono altri, sicchè la loro bei deli- catezza cagiona guasti assai maggiori, che pon il loro appetito. »

LA GARZETTA. 233 Abitano esse I Africa meridionale, l Indo e Java. Si prendono spesso con lacci nascosti fra rami d' alberi, su cui saltellano di continuo, e fan capriole assai comiche e buffonesche.

L'OUISTITI

‘Questo picciolo animale è presso a poco della grossezza d'uno scojattolo. Il color del suo corpo è un grigio cenerognolo rossiccio, @ quelio della faccia è carneo. Dai due lati della testa un po dinanzi all’ orecchio ha due fioc- chi di lungo e bianco pelo. Le sue mani vil. lose sono armate d' ugne acutissime; e la sua coda prolissa e folta è segnata d' anelli alter- nativamente neri e bianchi.

Dicesi che quando vive alla foresta si nutre & insetti, di lumache e d’ altri. rettili.

Un ouistiti, il quale era stato condotto in Inghilterra sopra un vascello della compagnia delle Indie, era ghiotto de piccioli ragni e delle loro ova, ma abborriva i grossi, egualmente che le grosse mosche, sebben mangiasse vo- lentieri lc più minute.

Il sig. Edward dice d’ aver « veduto e di- segnato un simile animale, che apparteneva ad una dama, da cui seppe che si nudriva di più cose, come biscotti, frutta, legumi, insetti, lu- imache; e che un giorno, essendo scatenato ,

2534 L QUISTITI.

si gettò sopra un picciolo pesce dorato della China, il quale stava in un bacino, uccise e lo divorò; che in seguito gli si diedero delle anguilleite, le quali a prima giunta lo spaven- tarono, attortigliandosegli al collo, ma che bentosto, cessata Îa paura, se ic mangiò. » Indi aggiugne un fatto, il quale prova che gli ouistiti potrebbero forse moltiplicare nelle con- trade meridionali del’ Europa: « Essi hanno, dic’ egli, generato in Portogallo, ove il clima era Ioia favorevole. I loro piccioletti da prin- cipio sono bruttissimi, non avendo quasi pelo sul corpo, e si attengono fortemente alle mam- meile della lor madre. Quando: poi sono gran- dicelli se le aggrappano al tergo; e ov elle: stanchi di portarli, se ne scioglie fregandosi contro le muraglie. Depostili così , il maschio ne prende cura sull’ istanie, e se li fa esso medesimo salire in ispalla. » La loro voce è una specie di fischio, e la più parte di essi ha un odore che par di muschio.

IL CALLLITRIGE.

È presso a poco della grossezza di un pic- ciol gatto. Ii colore del sio corpo è: un bel verde giallo; il suo peito e il suo ventre è di

un bianco argentato, e la sua faccia è nera. La sua coda ha, circa, diciotto pollici di lunghezza.

IL CALLITRICE. 235

F callitrici son comunissimi nell’isole del Capo Verde, e nell’ Indie Orientali; e si veg- gono sovente anche nella Mauritania e neji terre dell’ antica Cartagine. » Però, dice il sig. di Buffon, avvi ogni ragion di credere che fossero conosciuti da’ Greci e da’ Romani, che chiamarono appunto col nome. di callurix una specie di scomie a lunga coda. Altre ve ne hanno di color biondo nelle terre vicine ail’ Egitto, così dalla parte d'Etiopia, come da 0 dell Arabia, le quiali Lio dagli an tichi appellate parimenti calliricidi.

Il sig. Adanson riferisce che i contorni dei boschi di Podar, lungo il fiume Niger, sono pieni di scimie verdi. « Io non m' accorsi di esse, dice questo scrittore, che pe’ rami. d'al- ‘beri che scavezzavano, e d'onde cadevaro sopra dile , poiché eran. d' altronde molto silen- ziose e così leggiere ne loro salti, che saria stato difficile il sentirie. Ne uccisi da principio. una, poi due, poi tre, senza. che l altre ne sembrassero spaventate. Quando però la più parte si sentirono ferite, cominciarono a met- tersi al ‘coperto, le une ascondendosi dietro grossi rami, altre scendendo. a terra, altre in fine, e queste in più gran numero, slanciandosi da una cima .d albero: ad, un’ altra. ...Io non eessai, intanto, dello sparare contr’ esse , e: ne uceisi sino a ventitre in meno di un' ora

236 IL CALLITRICE. e nello spazio di venti tese, senza che alcuna di esse gettasse un grido, sebben più volte si fossero raccolte in compagnia, movendo le ci- glia, digrignando i denti, e facendo sembiante di volermi assalire.

LA BERRETTA CINESE.

Questa scimia trae il suo nome dalla dispo- sizione particolare del suo pelo, ch’ è separato in mezzo alla testa, e si estende in una dire- zion circolare, prendendo forma consimile alla berretta ‘cinese. Ha coda lunga, ed è presso a poco della grossezza di un gatto. Il color suo è un bruno, che inclina al giallognolo.

Gli animali della sua specie vanno a truppe ne boschi di Ceylan , ove distruggono i giar- dini situati in vicinanza de’ loro nascondigli.

« Derubano 1 frutti, e soprattutto le canne di zuccaro, e sempre uno sta in sentinella so- pra di un albero, mentre gli altri si carican del bottino. Ove esso accorgasi di alcuna per- sona , grida houp, houp, houp, con voce alta e distinta; e nel momento medesimo tutti get- ian le canne, che tenevano nella manca, e fuggono correndo sovra tre piedi. Che se vengono ostinatamente inseguiti, gettano pur ciò che tengono nella destra, e salvansi col- lavrampicarsi agli alberi, ove fanno la lore

LA BERRÉTTÀ CINESE. 23

ordinaria dimora. Saltano dall’ uno all’altro cor ammirabile agilità, e non solo i maschi liberi e sciolti, ma ancor le femmine, cariche dei loro piccioletti , -che le tengono strettamente abbracciate; onde avviene per vero dire, che talvolta in grazia di questi impedimenti esse cadano. Quando mancan loro le frutta, e le piante succulente, mangiano insetti, e talvolta scendono in riva a fiumi ed al mare, onde prendervi pesci e granchi. fra le branche dei quali metton la coda, e com'essi la stringono, gli alzano prontamente, e se. li portan via per mangiarli a loro agio. Colgono altresì noci di coco, e sanno assai bene trarne il liquore per beverlo, e la polpa per cibarsene.

« Di queste noci di coco si fa uso onde pigliarli, facendo in esse una picciola apertura. Come, per l angustia sua, Vi cacciano a gran pena la zarapa, coloro che stanno in aguato-, piombano loro adosso, prima che abbiano potuto liberarsene; onde non hanno modo di fuggire. »

È V animal più forte. fra. iuite. le scimie d' America. La sua grossezza si accosta a quella della volpe: ha. esso la faccia larghissima, le orecchie. corte. e rotonde, e gli occhi neri e. scintillanti. Le sue naziei sono aperte da un

238 | L'OUARINO. lato e non al dissotto del naso, e il'petto suo contiene ‘un grand’ 0ss0 concavo, in cui il suono della voce si gonfia, e acquista estensione. I lunghi peli, che ha sotto il cello, formano una specie di barba rotonda; la sua coda è prolissa e ignuda alla sua estremità, ehe sempre resta aggruppata.

L' ouarino è tanto cattivo e selvaggio, che mai non si può domarlo o ammansarlo. Morde spietatamente, e fa terrore colla sua’ gran bocca. Il suo aspetto è fierissimo, e il. suono spaventevole della sua voce rassomiglia in certo modo lo strepito del tamburo, e pretendesi che si faccia udire ad una lega di distanza;

Maregrave narra che « ogni giorno mattina e sera gli onarini si raccolgono nei boschi, ove un di loro prende posto elevato, e con mano fa segno agli altri di sedersi: intorno di iui e di Lalaé: che indi comincia una spe- cie di discorso a voce alta La precipitata , la qual da lungi erederebBesi di'una moltitudine, mentre tutti osservano il più profondo silenzio; che in seguito, quando cessa, fa nuovo cenno colla Mano , onde i compagni rispondano, “questi all’ istante ‘si mettono a gri id tutt in- sieme, finch' esso loro ordina con altro segno di tacersi, e ripiglia quindi la sua orazione 0 canzone, dopo la quale, ascoltata col raccoli glimento di prima, levano la seduta e si’ di Yidono. »

L' OUARINO. 239) Assicurasi che la carne di questi animali sia un boccone eccellente. « Essa è come quella del lepre, dice Deumelin, ma non del mede- simo gusto, poiché pecca di troppa dolcezza. Quindi bisogna salarla bene, facendola cuocere. La sua grascia è gialla come quella del cap- pone edi anche più, ed ha molto buon sapore. Noi ci nutrimmo per lungo tempo se non di questa carne, poichè altro non ci avca, e ogni giorno quindi i cacciatori faceano che ne fos- simc ben proveduii. Fui curioso d intervenire anch'io alla caccia degli ouarini, e di ammi- rare l'istinto ch' essi hanno, più che tutti gli altri animali, di conoscere chi fa loro ia guer- ra, e di cercare i mezzi quando sono ‘attac- cati, di soccorrersi e difendersi. Quando noi ci avvicinavamo, essi univansi tutti insieme, si mettevano a gridare; e far uno strepito spa- ventevoie, e a gettarci secchi rami, che rom-, pevano dagli alberi. Taluni anche scaricando il ventre nelle lor zampe, ci geitavano in capo gli escrementi. Vidi che mai non si abbando- navano l uno l’altro, che saltavane d' aibero in albero così subitamente D abbagliare lo sguardo, e che sebbene si geitassero, come suol dirsi a corpo perduto, m mai non cadevano a terra; il che proviene dali a aggrapparsi che fanno (@r colle zampe or colta coda, se mai son for- T È

cao) Zali a discendere. © livano quindi, scaricando

e/o L'OUARINO: contr’ essi il fucile, si spera di prenderli, ove non si uccidano. Poichè, anche mortalmente. feriti, rimangon sempre abbracciati agli alberi e spesso anche spirano in tale atteggiamento, nè: cadono se non a pezzi. Quindi è uopo tal volta ammazzarne quindici o sediei, per averne: tre o quattro tutt'al più. Ne ho veduti talvolta di morti da tre o quattro giorni, ehe ancor stavano sospesi. Ma ciò che mi parve più sin- colare si è, che all istante che un di loro è Luo , ghi altri si raccolgono intorno di lui, ini il dito nella sua piaga, e pare che ne vogliano misurare la profondità. Allora, se veg- | gono scorrerne molto. sangue, la tengono chiusa, finchè qualcuno arrechi foglie ,. cui. masticano, e poi introducono in quella destramenie. Tal cosa ho io veduto più volte , e sempre con grandissima ammiraziene.

Dampierre si spiega in. tal guisa intorno a questi animali : « aggirano in compagnia d’ intorno a’ boschi, ove saltano d’ un albero all’ altro, e se trovano. qualche persona che vada. sola, fanno sembiante di volerla divorare. lo non osai far forza contro. di. loro, sopra tutto la prima volta .che. li vidi. Erano una grossa truppa. che: si lanciava .d' albero in. al- bero sopra il mio capo, battevano i denti, e facevano uno strepito arrabbiato. Altri faceano contorsioni di. bocca. e. occhi, e. prendeano

. L'OUARINO. 2/1 mille atteggiamenti grotteschi. Taluni rompe- vano i rami aridi, e me li gettavano., e tali altri mi scagliavano persino le. immondezze. Uno finalmente, più membruto che gli altri, venne sopra un picciolo ramo al dissopra della mia: testa, .e mi. si avvento, il che mi fece rinculare con qualche sgomento; ma esso ay- viticchiossi al ramo stesso coll’ estremità della coda, e vi rimase sospeso a dondolarsi e fari il brutto: cello. La torma degli insolenti animali mi seguì poi fino alle nen capanne, sempre minaccia» doc.

c giovano essi della lor coda egualmente i che delle zampe, e con essa tengonsi fermi. Se eravamo due o pa insieme fuggivano da noi. Le femine par che traggano nuova forza. dallo. stato di maternità: hanno d’ ordi- nario due figli, l'un de quali portano. sotto uno de bracci, mentre È altro, assiso loro sul dorso, si tiene colle zampe anteriori bea avvinto. al loro. collo. Mai non ho veduto in mia vita specie più feroce di scimie; mai ci fa possi ihile addomesticarne alcuna , per quanto vi usassimo d industria. già È più facile il prenderle, dopo che si sono ferite eoll archibugio , poichè. possono attaccarsi. a qualunque ramo lor piaccia o colle zampe colla coda, e quindi non cadono a ierva, finchè rimane lor fiato. Dopo averne colpita

Gibineito Tom. L 10

242 L'OVARINO. alcuna, spezzandole talvolta un braccio o una gamba ebbi compassione di essa, vedendola riguardare attentamente, palparsi la piaga, volserla d'una e d'altra parte. Di rado que- ste scimie scendono dagli alberi, ed avvi -chi dice, che non ne scendono mai ».

L'autore istesso , però , assicura che si ca- lano sovente alle rive del mare, per nutrirsi di conchiglie; e ch’ egli ne ha vedute parec- chie raccoglier ostriche, metterle sopra una pietra, percuoterle con un'altra, finchè ne avesser rotte le scaglie, e in seguito divorarle. Le medesime cose furono osservate da Wafer nell’ isola di Gorgone.

Le femine della specie, di cui parliamo, non depongono che un piccioletto ad ogni parto. Indi sel recano in collo, core fanno de loro bamboli le donne dei negri. Non avvi altro mezzo d'avere un picciolo ocuarino, che di ucciderne la madre; poichè nulla, fin che vive, può costringerla «ad abbandonarlo.

IL SAJOU,. N Tra tutte fe specie di scimie è desso il più vivace, il più destro, quello che più diverte. Ha presso a poco la grossezza di un gatto, il corpo bruno, la faccia e le orecchie, color di carne. Trovasi pr incipalmente nelle

i

IL SAJOU. 243 foreste dell America; ma la sua fisica costitu- zione sembra fatta per un clima più tempe- rato, e se ne sono veduti moltiplicare anche in Europa. Nel 1764 ve n'erano due nel Ga- tinese maschio e femina, che produssero un picciolino. Nulla di più curioso, che il vedere il padre e la madre intorno al figlio loro, cui tormentavano di continuo, o poriandolo o ca- rezzandolo. Del resto questi animali, dice il sig. di Buffon, sono fantastici ne loro gusti e negli affetti loro. Sembran avere gran propen- sione ad alcuni, e grande avversione per al- iri; e ciò costantemente.

Il celebre naturalista parla d'una varietà di queste specie di scimie, appellata sajou grigio: ma essa non dillerisce dall’alira, che pel color del suo pelo. |

IL SAIMIRL

« Questo picciolo animale, dice il sig. di bui , per la gentilezza de’ suoi Moti ; per la sua minuta figura, pel color brillante della sua veste , per SE grandezza e il fuoco de' suoi occhi, pel suo visetiino rotondo, sem- pre ebbe la preferenza sopra gli altri sapa- joù ». Di questo nome st chiama la specie di scimioti più gentile.

244 IL SAIMIRI.

Il suo pelo risplendente ha il color dell’ oro; i suoi piedi quel dell’arancio ; la sua faccia è bianca e segnata nel mezzo da, una macchia bruna, che gli copre la hocca e le. narici, in modo , che par quasi mascherato.

Stedman, nel suo- soggiorno al Surinam, ha vedute di queste scimie , che passavano. tutto il giorno sulle rive del fiume a saltare d’ al bero in albero, seguendosi a le une le altre come un picciolo esercito, portando i loro figliuolini sui dorso. Ecco, sc- condo quello scrittore. la. lor maniera di viag- giare. Chi è a capo degli altri s appende al ? estremità d’ un ramo d'albero, e da. questo salta ad un nuovo, sebbene a distanza notabile, con tale agilità e precisione, che mai non isbaglia. I compagni il seguono in ischiera ; le femine sebben cariche. il dorso de loro por- tati, fanno coll'istessa. facilità dei maschi i medesimi salti, i

Il saimiri è animaletto delicatissimo , può. essere lrapiantato d'uno in altro paese, |

LA DIANA.

Secondo il professor Thumberg,; che la de- scrive, essa è, presso a poco, della grossezza di un picciolo gatto, ha coda lunga e. villosa,

la qual termina in punta, il corpo ben fatto,

LA DIANA 245

la faccia nerastra, ignuda , e pochissimo ‘on breggiata di peli. La barba del suo mento e dle sue guance è bianca, e rivolta all’ indie- tro. Ispido è il pelo della sua fronte, il qual le copre l’ orecchie interamente. Le sue mani e i suoi piedi sono anch essi d'un colore ne- greggiante ed ignudi, e le sue unghie lunghe ed acute. Ha il pollice lungo e staccato, e l'estremità dell’ erecchie nere e rotonde.

In più parti «ell isola di Ceylan si giugne ad addomesticarla. Allora si tien essa diritta colle mani incrociate, «e «quando vede persona di. sua conoscenza, tosto le si fa incontro, mostrando la sua gioja con carezze e con una maniera sua particolare di riso. È di natura

assai dolee, mai avviere che morda alcu-

no, se non irritata. Ove si abbracci, o si fe- steggi un fanciullino in sua presenza, essa

mostra il desiderio di fare ‘altrettanto, e se

il vede battere s'alza sui piedi di dietro, e fa orribili contorsioni, per cui attesta il desiderio che ha di vendicarlo contro colui che il mal- tratta. Il professor Thumbe rg volie condurre uno di questi animali in Europa; ma il mi sero fu presto la viitima di un cangiamento di clima impossibile per esso ‘a sofferire.

Or diciamo una parola delle scimie in generale.

In diverse contrade dell’ India, gli antichi tempii son destinati a servir d'asilo a questi

246 LA\ DIANA.Ù quadrupedi, i quali vi nutrono a o del

ubblico.

Il sig. d' Obsonville riferisce d’ essere ne) suoi viaggi entrato più volte in iali edifizii per ri- posarsi, e che il suo vestito indiano non diede. alle scimie verun sospetto. Ne vide parecchie, le quali si misero dapprima a considerarlo, poi volsero tutta la loro attenzione al uudrimento, ch’ era sul punto di prendere. I loro occhi e gli atti loro esprimevano tutta la loro ghiot- toneria , e il disegno formato di derubargli L comestibili ch avea seco. Onde prendersi un po di spasso in simili circostanze ei si muniva sempre d’ una certa quantità di piselli secchi. Prima ne spargeva un poco d intorno alla seimia che, giusta il loro costume, stava loro: alla testa, e s' avanzava, quindi, cautamente, ma pur con grande avidità, per mangiarsclo. Allora il sig. d' Obsonville gliene presentava un buon pugno, e come quelle scimie erano. avvezze a non vedere che gente pacifica, la loro capitana gli si avvicinava, camminando però di fio. sicconie temesse di qualche inganno. Indi fatta più ardita impadronivasi del pollice della mano, che teneva i piselli, e men- tre colla zampa, che rimaneva libera, li ca- vava'e pasiesgiavali, stava cogli occhi sempre fissi in quelli del sig. d'Obsonville. Se questo. viaggiatore si metteva a ridere, o faceva alcun

LA DIANA. 247 motio, essa cessava di mangiare, agilava le labbra, e faceva intendere una specie di mor- morio, di cui i suoi lunghi denti canini, che mostrava per intervalli, spiegavano abbastanza il significato. Quando il sig. d’Obsonville get- tava Me piselli a qualche distanza, essa parea contenta, che le altre li raccogliessero , ma rimbrottava e percoteva talvolta quelle, che si faceano troppo vicine. Le sue grida e le sue sollecitudini, sebben in parte cagionate dalla sua avidità, indicavano il timor suo, che d' Ob- sonville non profittasse della loro debolezza , per tendere ad esse qualche insidia. Pure non si accostavano che i maschi più fori e già pervenuti a intera maturità; chè i giovani e le femine non lo ardivano menomamenie.

L’ affetto che queste, in uno stato d' tera selvatichezza, dimostrano pe loro piccio- letti è veramente singolare. Gli allattano , li puliscono 3 gli accarezzano incessaniemenie ; 3 prendon piacere a vederli lottare insieme, o inseguirsi g gli uni gli altri. Sembrano però tea nerli in ara suggezione , poichè ogni volia che mescolano un po di cattiveria a questi lor giuochi infantili, Ji pigliano con una mano per la coda, e coll altra li castigano severa- mente. In tal caso i piccioli colpevoli cercano fuggire, e poi che si son messi in salvo, tornano in modo sommesso e carezzevole a

348 TA DIANE sollecitare il lor perdono, sebbene inclimatis= simi a ricadere nel medesimo failo,

Gli animali, di cui parliamo, sembrano molto pacifici nelle foro foreste. Quando alcune torme di questi quadrumani di differente spe- cie vengono ad incontrarsi digrignano i denti, senza mostrarsi con altro alciina ostilità. Tal- volta alcuni avventurieri cercano fortuna nei luoghi, di cui altre compagnie già presero possesso , ma ne son tosto respinti. Il sig. di Maisonpré e sei aliri Europei furono un giorno testimonii di un alterco, nato da simil cagio- ne, nel recinto delle pagode di Cherinam. Una scimia molto grossa e molto forte vi si era introdotta; ma fu tosto scoperta. Ài primi gridi d'allarme un gran numero di maschi riu- nirono e corsero adosso alla siraniera. Questa, sebben grandemente superiore di corporatura e di forza, vide il periglio e si rifugiò alla sommità duna piramide dell’ altezza di sette piani, ove fu tosto inseguita. Ma giunta al- l estremo fastigio del monumento , che termi- nava in picciola cupola vi si aggrappò , indi preso avvantaggio dalla sua posizione; abbran- tre o quattro de più audaci, e precipitolli. Queste prove di valore intimidirono gli altri, che dopo molto strepito giudicarono a propo- sito di ritirarsi. La vincitrice si mantenne in quel posto fino a sera, e poi si ritrasse in luogo di sicurezza. i

lidia

LX DIANA 249 fl è l'inclinazione di questi animali al fard, che lungi dall’ accontentarsi del nudri- mento AA che lor procurano 1 bo- | schi , saccheggiano spesso le case; 1 giardini e i verzieri. Quando alcuni d' essi veggono un fanciullo con pane o frutta nelle mani, accorron testo verso di iui, lo spaventano, e gli rapiscono quel che mangia. E se scorgono alcuna femina indiana, che faccia seccare il suo grano al so- le, vanno a saltarle intorno facendo mostra di | volerie rubare; e all’ istante ch ella corre per batteri, i più scaltri, prevalendosi dell’ occa- sione, si geitano sul grano, e lo portan via. L'estrema accortezza di questi quadrupedi rende impossibile agli abitanti del paese il prenderli con insidie. Il sig. di Obsonville , | però, ne dice d'averne veduto uno, il qual fu pr d'un’ invenzione semplicissima. L'uomo, che per essa riuscì nella sua caccia, scelse un luogo vicino al nascondiglio delle scimie, e depose a piè dun albero un vaso scoperto, il cu orificio avea due pollici di diametro ; indi avendovi sparso un po di grano all in- torno si ritirò a qualche distanza. Quel grano fu bentosto divorato, ed egli ne portò di nuovo e in maggior quantità. ° Ma la terza volta ne fu più prodigo che mai, gettandene e in- torno, e nel vaso medesimo, alla cui superfi- Ge avea disposti cinque o sei i nodi scorrido],

250 LA DIANA.

the | attraversavano in tutte le direzioni, pe

ena s era egli nascosto, che varie scimnije co lor piccioletti accorsero ccleremente vers del vaso, e in un batter d' occhio Y ebbero» vuoiato; ma le zampe loro, quando vollero levarle, si trovarono legate. L' uomo soprag- giunse , prima che avessero tiempo di liberar- sene , disiese un lappeto sovr esse, e così pigliò insieme tre femine co’ figli loro.

Pochi vi sono, che non conéscano le imi- tazioni burlesche, giustamente appellaie sci- miotterie, di questi animali, e i loro tratti di accortezza. Dotati d’ un intelligenza più circo- scritta ncilo stato di domesticità mostrano prin: cipalmente cogli altri quadrupedì la loro astu- zia, e la superiorità del loro istinto. Sembrano essi prender piacere a far contro di loro il folletto; e il dottor Goldsmith assicura d' a- verne veduto uno divertirsi per ore intere a_ turbare la gravità di un gatto. Erasmo ci as- sicura, che una grossa scimmia folleggiando un giorno in un giardino, ove si allevavano: , dei conigli, fece ogni sorta di pazzie in mezzo; ai iimidi animaletti, che non sapeano come comportarsi coll’ ospite novello. Alcuni di ap- presso una donnola, che veniva con altra in- tenzione che di ricrearsi, cercò penetrare nel luogo ove i conigli si teneano chiusi per nutrirli, rimovendo un’ asse, che ne serrava

wi

È LA DIANA. bic # l'ingresso. La scimmia rimase qualche tempo spettatrice pacifica degli sforzi di quella bestia; indi essa medesima aprendosi. con. più vigore quella porta mobile , entrò nel chiùso , e poi la rimise al suo posto. La donnola, ingannata nella sua aspettazione e sianca di rinnovare in- vano i suoi tentativi, Vi rinunciò. Termineremo Î istoria de’ singolari animali, di cui si tratta, racconiando le particolariià di un combattimento , che ebbe luogo a Worce-

ster nell’ anno 1799 fra una scimmia, e un

grosso cane. Si fecero differenti scommesse di tre ghinee contr una, che il cagnaecio uccide- rebbe la scimmia in sei minuti, sebbene &

‘questa fosse conceduio un bastone di circa un ‘piede di lunghezza. Migliaja di spettatori ven-

nero ad assistere a questo curioso spettacolo , e tutit si tenean sicuri del cane, cui si fre- nava a grandissima fatica. Alfine il padron della scimmia si trasse di tasca il corto bastone che dicemmo, e gliel pose nelle zampe ; dicendole: da brava, guarda ai fatti tuoi, che il cane non t'uccida. Come questo fu lasciato in sua balia, st slaneiò contro la scimmia colla ferocia di un tigre; ma la scimmia con incredibile agilità fece un salto di un braccio incirca, e sfuggi all'avversario. Si gettò in seguito.sopra di es- so; e gli addentò il collo, mentre colla manca teneva una deile sue orecchie per impedirgli

952 ‘DIANA: di volgersi e di morderla. Colla destra intanto percosse furiosamente la testa deli animale, che si mise a correre di tanta forza, e a mandar grida le più lamentevoli, potè esser libe- rato, se non a grande stento, e mezzo morto dalle grife della sua nemica.

IL LORI TARDIGRADO.

Gli animali, che ‘compongono la specie dei lori, hanno molta ras somiglianza colle scimie per le abitudini, i costumi, e la conformazione delle lor gambe; differiscon da esse, che per la lunghezza di questa parte del loro n corpo, e per la struitura del capo, che molto. rassomiglia a queilo delia volpe. Il lori tardi grado è presso a poco della grossezza di un picciolo gatto, il suo corpo è di un bruno pallido, e il suo naso un poco affilato. Ha gli occhi molto sporgenti, e cinti di un picciolo cerchio di color bruno carico ; ed una lista del color medesimo gli percorre il filo della schiena. Ha nei suoi movimenti un non so che di lento, che gli fa dare il nome che porta , e per cui fu da alcuni naturalisti collocato fra gli animali detti pigri: sebbene nessuna circo- stanza lo accomuni a tal genere.

Il lori è animal notturno, che resta senza moversi una gran parte del giorne; ed abita

IL LORI TARDIGRADO. 253 Fisola di Ceylan e differenii contrade dell'In- dia Orientale. Una. descrizione dilettevolissima ce ne fu data da sir Guglielmo Jones nel quario volume delie Ricerche Asiatiche, e noi la recheremo per estratto.

L'animale, di cui si parla, è di costumi sempre dolci, eccetto in inverno, stagione , in. cui l'indole sua pare interamente cangiata. Sopporta così difficilmente il freddo, a cui debbe pur esser esposto di spesso. nelle foreste medesime ove nacque, che l' autor della na- tura gli ha dato, senza dubbio per tal motivo, un pelo foltissimo , che di rado si vede nelle contrade vicine al tropico. Il lori da me pos- seduto sempre mi dimostrò molta riconoscenza e attaccamento, porgendogli io: non scio il eibo giornaliero , ma bagnandolo due. volte per settimana in acque iicininodai alle differenti stagioni dell’anno, onde mi distingueva da ogni altra persona. Quando però nell’ inverno 10 so cavava dal luogo suo, sempre dava segni di mal umore, e parea rimproverarmi cIÒ e sofiriva, sebbene io usassi le debite cautele , onde tenerlo in un grado di calore convene-

e) vole. In ogni tempo esso parea compiacersi

‘d'essere dolcemente baituto , o piutiosto pal- ‘pato sulla testa e sul petto, e sovente anche

si lasciava toccar fino i denti, che erano moito acuti. Era però facile ad irritarsi, cd ove io

54 IL LORI TARDIGRADO; lo disagiassi un po’ male a proposito, tosto dava a conoscere il suo risentimento con un mormorio o brontolio , simile a quello d’ uno seojattolo. Talvolta anche esprimeva un mag- gior dispiacere con un grido di rabbia, so- | pratutto nell inverno, in cui mostravasi tal- volta anzi feroce, se veniva importunato, come le bestie, più selvagge della foresta.

« I suo sonno, che cominciava mezz ora dopo il levar del sole, durava regolarmente fino a mezz ora dopo il suo tramonto. Esso dormiva aggomitolato alla guisa dei ricci. Tosto che risvegliavasi si Li e pettinava come un gatto, operazione, che dalla flessibilità del suo igollo: e delle, sue membra era ottima- mente secondata. Faceva allora una legger co- lazione, ed indi prendeva nuovamente un po di riposo. Ma quando il giorno avea intera- mente ceduto alla notte, ripigliava tutta la sua vivacità.

« Il suo nudrimento ordinario componevasi di banani, e la sua bevanda di latte; qualche volta però contentavasi acqua pura. In ge- nerale non era vorace, ma non poteva saziarsi di cavallette, e passava le notti intere a dar loro la caccia. Quando uno di questi, o altro insetto gli appariva dinanzi, i suoi occhi sciutilla- vano fissandosi sulla sua preda, e dopo essersi tirato indietro per meglio slanciarsi la colpiva

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|

IL LORI TARDIGRADO. 255 colle sue zampe anteriori e la teneva in una di queste, finchè Î avesse divorata. Servivasi indistintamente de’ piedi e delle mani, onde prendere il suo nutrimento, e talvolia impu-

nava con una di queste la parte più elevata della sua gabbia, mentre coll’altra, e coi due piedi ne toccava il fondo. Ma la positura, di cui sembrava maggiormente compiacersi, era quella, per cui tenevasi aggrappato colle quat- tro zampe all'alto della gabbia medesima, quindi penzolava col corpo rovescio. La sera si teneva ritto in piedi per alcuni minuti giuocando co’ diti su fili di ferro, e dondo- lande rapidamente il suo corpo dall'una parte e dall’ altra, come avesse trovato che un tale esercizio gli fosse salubre nel suo stato di captività.

« Un po avanti giorno , quando le mie occupazioni del mattino mi davano occasione d’ osservarlo , parea ch’ ei domandasse la mia attenzione. S' io gli presentava i miei diti, esso li leccava e li mordeva con molta deli- catezza; se però io gli offeriva delie fruita le prendeva con molta avidità, quantunque fosse sempre molto sobrio al primo pasto. Leva- to il sole, i suoi occhi pareano perdere la loro splendidezza e vivacità, ed esso ristora= vasi con un sonno il qual durava dieci. in - undici ore. Quand’ io trovai questo picciolo

256 IL. LORI TARDIGRADO.

e grazioso animale già senza vita in quella positura, in cul si poneva ordinariamente > pe dormire, mi consolai persi nadendomi ch’ era morto senza provare alcun dolore, e ch’ era vissuto abbastanza felice , quanto almeno DE, teva esserlo nella sua schiavitù. »

Thévenot ci dice d’ aver veduto simili ani> maletti, ch erano stati condotti da Ceylan. Quando alcuno li considerava, teneansi diritu sui piedi di dietro, colle lor zampe dinanzi incrociate, e giravano 1 loro sguardi sugli spettatori senza dar a vedere il minimo timore.

Il sig. d Obsonville osserva che uno di tali dida animali , il quale fu comperato da un Indiano, era melanconico, silenzioso , e ste- nuaio. I suoi moii procedevano ne che quando voleva andare in maggior fretta, per correva appena sei 0 otto tese in un si La sua voce avea un non so che di sibilante, non per altro. disaggradevole. Quando si cer- cava levargli la sua preda, L.aspetto suo fa- cevasi alquanto cupo e dispettoso, e uscivan da lui alcuni suoni acuti e tremolanti. Dor- miva ordinariamente, durante il giorno, coila testa posata fra le sue mani, e eoi.gomiti piantati fra le coscie. In mezzo al sonno, però, sebbene i suoi occhi fossero chiusi, era eccessivamente sensitivo alle esterne impres- sioni, e mai non trascurava alcuna specie dil

IL LORI TARDIGRADO, 257 preda, che gli si offerisse molto vicina. Sebbene la chiavezza del sole sembrasse molto incomo- darlo , mai non appariva, che le pupille dei suoi occhi provassero la minima contrazione.

Si tenne, pei primi mesi, con un cordone attaccatogli d'intorno al corpo, e sebbene mai non tentasse di sciersene, il sollevava però talvolta, facendo apparire segni di dolore. Il sig. d Obsonville ebbe cura ei medesimo, e ne fn morsicato. quattro o cinque volte, prima che pensasse a raffrenarlo. Un leggier castigo alfine corresse i suoi piccioli furori’, dopo di che gli fu data libertà di correre nella camera da letto. All’ avvicinar della notte il picciol animale si fregava gli occhi, indi: guardando attentamente intorno a sè, s' ar- rampicava. ai mobili, e più spesso a delle corde che si. erano tese espressamente: a. que- si’ uopo.

Talvolta il padron suo appendeva un uecel- lo a quella parete della camera, che gli stava di faccia invitandolo ad approssimarsi. S'avan- zava esso infatti a passo lento, e con diffidenza, come persona che cammini sulla punta de’ piedi, per sorprenderne un' alira. Quando poi si ri- trovava a picciola distanza dalla sua preda, le- vavasi affatto diritto e inoltravasi con leggier strepito , allungando la zampa per prenderla, ciò ‘ch’ esso faceva con notabile destrezza.

Gabinetto Tom. LI 17

258 IL LORI TARDIGRADO:

Mosiravasi grato alle carezze, e. attestava. al sig. d' Obsonville la. sua ‘affezione ,. prenden- done e stringendone, l’ estremità delle dita, e fissando in lui i suoi occhi semichiusi.

«

IL MANICOU.

È presso a poco della lunghezza di un gatto mediocre, ma il suo pelo, che si drizza in luogo -d’ esser disteso, lo fa apparire molto più grosso. Il suo color generale è un bianco smorto. Ha una testa lunga, che termina in punta, e la boeca molto larga. La sua’ coda, lunga quasi un piede, è fatta per pigliare come una mano, e si copre di peli fino a sei. pol lici dalla sua origine, ma poi si riveste di una pelle scagliosa, onde rassomiglia ad un serpe. {Il manicou ha le gambe corte e d' un. grigio cupo. 1 due diti interni de suoi piedi sono piani e rotondi, cd hanno ugne come quelli delle scimie; gli altri sono armati di grife as- sal acute,

Ciò che distingue particolarmente il manicou femmina si è una tasca abdominale, destinata a proteggere e conservare i suoi piccioleiti, Alcune di queste tasche, hanno due o tre ca- vità, da potersi chiudece ed aprire a piacere,

L'animale di cui parliamo, quando è a terra, non sembra aver difesa, poichè la forma delle

TL MANICO. 259 sue mani gl impedisce di correre, anzi di cam: minare con celerità. Malgrado, però, un tal di- fetto, è in grado di salir sugli alberi con al- trettanta facilità, che la più parte degli altri quadrupedi, i quali si arrampicano. esso instancabilmente la caccia agli uccelli e a’loro nidi, ed è un gran distruttore di volatili, di cui succhia il sangue, senza mangiar la carne. Si nutre pure di frutta selvaggie, di radici, e d' altri vegetali. si

Quand’ è inseguito e arrestato, contraffà il morto, sino a che sia passato. per lui: il peri- colo». Dupratz assicura, che quando è preso in questo stato, non porge alcun segno di vita, se anche si collochi sovra un ferro rovente. Che se trattasi di una femmina, la quale abbia

. de piccioletti nella sua tasca; preferisce il farsi

con essi arrostire al rendersi all’ inimico, Ove queste non siasi allontanato. a certa distanza 0 nascosto, il manicou non fa verun moio; ma allora poi fugge con tutta la celerità, di cui è capace, nel primo buco, o nel primo rovajo; che gli oflre un asilo,

. Alcun tempo. innanzi. che .la femmina si sgravi sceglie essa fra dense macchié o spineti al piè di qualche albero un luogo, ove de porre il suo pario. Col soccorso del maschio raduna certa quantità di foglie, di cui si carica il ventre, e quello poi colla sua coda strascina

260. TT MANICOU. essa e il suo fardello insino al nido. Pio- duce ad un tempo quatiro o sei piccioleiti ,. che nascono orbi e senza pelo, e rassomigliano a piccioli feti. Appena son nati, che si ritirano entro la tasca, di cui parlammo,. e si attaccano. fortemente alle mammelline della madre, alle quali continuano di rimanere aderenti, benchè quasi inanimati, sino a che godano della luce. abbiano acquistata forza, e il loro corpo sia coperto di pelo. Da questo punto più non si servono. della borsa, che come di un asilo.. La. madre ve:li porta entro col più grande affetto,. ed' ivi si veggono essi. giuocare; 0 nascondersi, ove. siano. minacciati. Dicesi che quando non hanno tempo di farlo si. attacchino alla coda della madre, e si sforzino di fuggire con essa..

Il manicou sembra aver molto coraggio, @ è: principio vitale è in esso molto tenace, sic- <chè nella Carolina settentrionale è passato in proverbio che: « se. un gatto ha nove vite, il manicou ne ha diciannove. » La carne di que- sto quadrupede. è. bianca; ed ha il gusto di. quella d'un porcellino da latte. I selvaggi fi- lano, tingono il suo pelo, di cui fanno ciu-.

5 tinre ed altri oggetti di ornamento.

204 IL CAYOPOLLINO.

‘Fu descritto, la prima volta, da Sybillas Mérian, artista alemanno, onde alcuni lo ap» .pellarono Opossuna-Mérian. Seba in seguito ce ne ha dato il disegno. Secondo lui, quest'ani- ‘male ha gli occhi brillanti e contornati d un piccolo cerchio ‘di peli neri; i denti molto acuti; e al dissopra della mascella superiore e degli occhi lunghe setole in forma di mustacchi. Le sue orecchie ignude rassomigliano a quelle del gatto. Il suo corpo è coperto d' un pel liscio, il quale è rosso tendente al giallo in sul dorso, e d’un bianco vivo sul muso, la fronte, il ven- tre ed i piedi. Sulla coda del maschio, ch'è ignuda e d'un rosso pallido veggonsi macchie brune, le quali non appariscono sulla coda della femmina. Le zampe davanti rassomigliano a quelle d'una scimia, avendo quattro diti e pol- lice distinti, ‘e picciole unghie rotonde, mentre il dito gresso de! piè di dietro è piano e di forma

“ottusa, e la sua estremità armata di grife acute.

{ piccioletti escono talvolta dalla borsa ma- ierna, sia per giuocare, sia per cercare il lor nutrimento. E quando hanno abbastanza corso, ‘o sono abbastanza saziati, ovvero temono di qualche periglio, aggrappano al dorso della ma- dre, intrecciano la propria alla sua coda, e sono così da essa portati in salvo con tutta celerità.

302 IL KANGURO..

Questo singolar animale abita la Nuova-Galles meridionale, ove fu scoperto P anno 1770 dal capitano Cook. Esso ha talvolta nove piedi, all'incirca, di lunghezza, dall’ estremità del muso a quella della coda; e il suo pesa giu- gne talvolta fino a cinquanta libbre. Il suo pe- lame è corto e morbido, d'un grigio rossiccio che si rischiara sui fianchi e sotto il ventre. Ha la testa picciola ed allungata, le orecchie larghe e diritte, il naso fornito di mustacchi, il collo e le spalle assai ristrette; e cresce gradatamente di volume verso l'anche e il basso-ventre. Le sue gambe anteriori, quando sono più lunghe, giungono circa ai dicioito pollici, e quelle di dietro ai tre piedi e sette pollici. Le prime gli servono a scavar la ter- ra, onde formarvi il suo coviglio e a portarsi gli alimenti alla bocca; sulle seconde. esso sostiensi e fa salti di sette in otto piedi di altezza. Per ciascuno de piedi del suo corpo mon si contano che tre diti, fra cui quel di mezzo eccede considerabilmente per lunghezza e per forza i due altri; esaminandolo da vi- cino trovasi realmente diviso, come da col- tello tagliente.

La coda del kanguro è lunga, grossa, alla radice, e terminata in punta. Se ne vale esso

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“TL KANGURO. 263 eome d'arme, con cui porta colpi violenti, che sariano capaci di romper la gamba ad un uomo. Gli abitanti del suo nativo paese con- siderarorio dapprima questa coda, come suo unico mezzo di difesa; ma avendo poi cac- ciato il kanguro con de' levrieri si accorsero com’ esso usa egualmente le grife ed i denti. Quando è raggiunto e abboccato dai cani, ei si ritorce, e prendendoli colle sue zampe da- vanti, li percuote con quelle di dietro che. sono fortissime, e gli strazia a tal punto, che i cacciatori sono spesso obbligati di ricondurli onde far loro medicar le ferite. I. cani della Nuova-Galles veramente giungono a vincere ed uccidere il kanguro ; 3 ma questo è opp vigoroso e feroce pei nostri levrieri.

Si pasce esso ordinariamente alla maniera degli altri quadrupedi , tenendosi in sulle quat- tro zampe, e beve lamberdo. Nello stato di captività si diverte facendo balzi in avanti, e battendo violentemente la terra coi piè di die- tro; al qual uopo sembra come appoggiato sulla base della sua coda. Una cosa partico- larmente distingue quest animale, ed è la fa- coltà di molto separare i lunghi denti incisivi della sua mascella inferiore. Tale singolarità, per altro, si scorge anche nel. sorcio maritti- mo, animale di specie ‘affatto distinta.

La femina del kanguro ha una tasca abdominale

264 II KANGURO.

‘simile a quella del manicou, e in ‘essa nutre i suoi piccioletti, e li mette al coperto d’ ogni specie di periglio. Nello stato naturale i kan» guri pascolano a torme di trenta o quaranta, e uno di ‘essi suol collocarsi a certa distanza dagli altri, per far loro la sentinella. Secondo iilidico vi ha luogo di credere che siano essi animali notturni. Hanno l'occhio fornito di membrane, che fan l'officio di palpebre potendosi estendere «e coprirne tutta l' orbita. Viveno ritirati entro le tane.

Vuolsi che la carne de kanguri sia molto grossolana ; Banks, però, la paragona all’ ec- cellente montone, sebben confessi che non è così delicata, come quella che spesso vide .al mercato di Leadenhall.

I kanguri possono ora -quasi considerarsi come naturalizzati in Inghilterra. Parecchi ne furono per lungo tempo custoditi. ne’ dominii reali di Richemond, ove le loro femine hanno deposti i loro parti; acquisto, per ciò che sembra , importantissimo per quel paese.

Vedesi ora (1806) nella sala d'esposizione d'Exeter-Change una coppia di bellissimi kan- guri. Furono essi condotti dal porto Tackson nella Nuova-Galles del sud, e già da sci 0 sette anni sono iu possesso del sig. Pidcok. Il maschio, quando sta ritto, ha più di sei piedi d’ altezza, ed è animale di forza prodigiosa.

ÎL KANGURO. 265 ‘Essendo io andato, alcuni mesi addietro, a vedere il parco, vi fui testimonio d'una lotta di questo bel quadrupede col suo guardiano per lo spazio di dieci in quindici minuti. E in verità vi mostrò esso eguale intrepidezza ‘che sagacia. Perocchè si volgeva da ogni lato onde far fronte al suo. avversario, e spiava atientissimo l'occasione di coglierlo; e talvolta il prendeva al collo per mezzo delle sue zampe anteriori, mentre con quelle di dietro gli bat- teva l anche. E poi che fu terminato il com- batuimento , il kanguro si presentò di nuovo per rinfrescarlo, e non ritornò alla sua stia, che quardo gli fu condotia la sua femina, per determinarlo a rientrare. Questa, sebbene assai più piccola del maschio, è anch essa un molto bell’ animale. Ebbe già cinque piccioletti, di cvi alcuni sono imbalsamati e serbati tra l altre rarità del parco.

In questo: vedesi un aliro kanguro detto dal pelo I argento graziosissimo anch’ esso, e di specie assai più piccola dell aliro. Ha quasi tre anni, fu condotto in Inghilterra dal capitano Voodraffe, e dal mese di agosto del 1804 è in possesso del sig. Pidcok.

Uredesi che il nudrimento de’ kanguri, nel loro stato selvaggio, si componga principal- mente di, erbaggi. A quelli, però, del parco suddetto si pane, crusca, fieno, orzo e cavoli.

266 PL BECCO D UCCELLO.

Il ‘quadrupede, che’ porta questo nome, fu recentemente scoperto nella Nuova-Galles me- ridionale. Sir Giuseppe Banks possedè due indi- vidui di questa specie che gli furono inviati dal. governatore Hunter; ed uno o due appena se ne sono fino ad oggi veduti in Inghilterra.

La lunghezza del curioso animale, di cui si parla, dall’ estremità del becco a quella della coda è di tredici pollici; e il becco se ne usurpa solamente per un'ottava parte. Picciola è la sua testa; e il suo muso, che chiamiam becco, ha molta rassomiglianza con quello di certe anitre, sicchè appena dopo un esame diligente possiamo persuaderci di. quello che è. Il suo corpo è depresso, e richiama, in certo modo, l'imagine d'una lontra; copresi di un pelo folto e morbido, il cui colore è alquanto bruno sul dorso, e d'un bianco ar- genteo sui fianchi. Le sue gambe son certe, e terminano con una larga membrana, che si estende a considerevol distanza al di delle grife. I suoi piedi davanti seno muniti, cia- scuno, di cinque ugne fortissime ed acutis- sime; i posteriori ne hanno cinque ricurye; e quel di mezzo è molto più elevato che gli altri, ed ha sembianza di uno sprone molto forte ed acuto.

‘IL BECCO D UCEELLO. 267

Gli individui di questa specie inviati fino ad oggi in Inghilterra, erano stati privi de- gli intestini, e generalmente mal conservati. Il sig. Stome, per altro, ne esaminò uno, che apparteneva a sir Giuseppe Banks, e che es- sendo messo nello spirito di vino, s'era man- tenuto intero; e discoprì che, sebbene il becco, quando si guarda superficialmente, molto rassomigli a quel d'un uccello, sicchè parrebbe destinato all’ istess' uso, nondimeno, considerato meglio, si vede esserne assai dif- ferente. Sembra, infatti, che un tal becco non sia già la bocca dell'animale, ma soltanto un’ appendice, che si esiende al di là. L'in- terno di questa bocca è come quello degli altri quadrupedi; contiene da ciascun lato due denti molari così nella mascella inferiore, che nella superiore; ma non ne ha d incisivi. Le ossa

‘del palato, e del naso di quesi’ amfibio ne

tengon luego. Prolungandosi esse, e allangando così le narici, formano la parte superiore del becco, di cui dicemmo ; e due parti della mascella inferiore, in luogo di terminare, come negli altri quadrupedì , si sporgono innanzi , e così è prodotta l inferior parte del becco medesimo.

Tale ‘struttura è differentissima da quella

del becco di tutti gli uccelli, poichè in questi

la cavità delle narici non si prolunga al di

568 IL BECCO D UCCELLO. Ualla sua origine; e gli orli delle parti più basse, che corrispondono alla mascella inferiore del quadrupede di cui si tratta, sono duri, e fan Tofticio «di denti, mentre avvi nel mezzo uno spazio vuoto per ricever la lingua. Nell ani- male, che chiamiamo becco d’ uccello, le :due lamine picciole e ossee sono nel centro , e le parti che le circondano si compongono di una pelle, e d'una membrana. I denti non hanno #adici, che siano piantate nella mascella, come nella più parte de quadrupedi; ma sono bensì incassati. nelle gengive, e rassodati per lo sporgersi che fanno gli orli mascellari al di fuori. La sua lingua non è lunga che mezzo pollice, anzi la parte mobile di essa non lo è che di un quarto di pollice; e l'animale può ritirarla tutta quanta nella sua bocca. {Quando è distesa si avanza presso a poco un «quarto di pollice nel becco. Questo poi è co- perto d'una pelle morbida e liscia; che, si estende al di Ja degli ossi, lateralmente e di fronte, e forma un labbro mobile forte, che fatto seccare e indurire nello spirito di vino, sembra aflaijò inflessibile. Umettato però d' acqua, diviene flessibilissimo, ed offre tutte le ‘apparenze di una struttura muscolare. La parte inferiore del becco ha un labbro così largo, come la superiore; ma a questa manca un soprabordo, che La quella in forma di

ÎL BECCO, D. UCCELLO. 6g sega, che appena però si scorge ov'è più te- nera e cartilaginosa.

Una piega irasversale della pelle neri che ricopre il becco, forma anello alla sua circon- ferenza propriamente vicino all’ origine.

Questa piega, per ciò che sembra., è de- stinata ad impedire che il becco non s' immerga più oltre di essa nel limo, ove può trovarsi la preda dell’ animale. I nervi, che servono a siffatto becco, sono presso a poco simili que’ degli uccelli ,. e la cavità del cranio si conforma assai più a quella. del capo di un'a- nitra, che di un quadrupede.

L'organo dell’ odoraio dillerisce in esso da quel degli uccelli egualmente che degli altri animali. Perocchè l apertura ne è. collocata. all'estremità del becco, onde partono due cavità, che si estendono lungo il beeco me- desimo..

La larghezza dell’ occhio è assai picciola in paragone della grossezza dell'animale, eil foro esterno dell’ orecchio , è parimente esiguo, che si discopre con molta difficoltà.

Supponsi, guardando alla conformazione del quadrupede , di cui favelliamo, che scavi la sua tana in riva a fiumi, e il suo cibo si componga di piante aequatiehe , e di animali. Non sembra però che il suo becco stringer | possa con molta forza la preda; bensì quando

270 IL BECCO D UCCELLO. le sue labbra si congiungono, succhiar possono vigorosamente, forse in questa guisa attirano alia bocca il nutrimento.

LA FOCA.

Ha il corpo allungato e coperto di pelo bre- vissimo, lucente, e di varii colori; la testa larga e rotonda ; e il collo ristretto. Ciascun lato della sua bocca è munito. di gran mu- stacchi; i suoi occhi sono grandi, la sua lin- gua è bifida e forcuta alla sua estremità, Non ha orecchie esterne, e il senso dell’ udito è in essa ottusissimo. Le sue gambe son corte ; e quelle di dietro poi lontane dal corpo, che non possono esserle di veruna utilità, se non forse nuotando. I suoi piedi hanno mem= brane , e*la sua coda è brevissima. La voce sua, quando sia giunta alla naturale pienezza, può somigliarsi, all’abbajar d'un cane; men- tre, quando è, ancora sul formarsi, meglio paragonerebbesi al miagolar di un gatto.

Le foche, in estate, si collocano ordinaria- mente entro scavi sotierranci, fra grandi fram- menii di rupi; e in tale stagione appunto 1

nostri copapaggioli ne vanno in caccia. Se esse hanno Ja sorte di sfuggir loro, si strascinano al mare, gittando dietro di fango e pietre, e manifestando con lamentevoli gridi il timore che

LA £00A» 271 provano. Quando , però., siano prese. fanne vigorosissima difesa e coi denti e coi piedi. Sono agilissime nell’'acque , le quali abbiano bastante profondità per contenerie ; vi si at- tuffano sino al fondo con estrema rapidità, e tosto ricompajono alla distanza di quaranta 0 cinquanta verghe. Una se ne vide, pochi anni fa, presso la costa di Cornovaglia, inseguire una triglia, per onde, come un cane avria fatto una lepre per terra; e poco mancò non la pigliasse , malgrado le sue fughe, i suoi nascondimenti e i suoi salti.

| Le foche, nuotando, portano sempre la te- sta fuor d’acqua; e quando si tengono al sole sopra gli scogli, sono diffidentissime, mai dormono più d'un minuto senza svegliarsi. Levaro allora il capo, e se nulla veggono, che le adombri, si ricompongon di nuovo per riposare. Assicurasi che molto amino le tem- peste, e che in esse, star sogliono sopra gran sassi contemplando con piacere IESHE convul- sioni della natura.

È un fatto generalmente riconosciuto che la foca, quando si prende giovane "I sia faci= lissima ad addomesiicare, e se le insegni a seguire il suo padrone, come ad un cane. Uno io degno di fede, ce ne assicura par- lando di ciò che vide pochi anni addietro.

« Fu presa; egli dice, a poca distanza dal

x7t "Ebrei ù mare una: foca, e teneasi costantemente in un vaso d'acqua salata. Talvolta, però, le si permet» teva di strascinarsi per la casa, ed anche d'av- vicinarsi al fuoco , e le si procusava regolar- mente il cibo, che le conveniva. Si. gettava anche ogni giorno al mare, ove nuotava' in- torno alla canoa e sempre si lasciava ripren- dere. Visse di questa guisa per più settimane; ed avrebbe fornita una carriera assai più lun- ga, se non fosse stata qualche voita troppo. duramente trattata.

Nell'anno 1759, mostrava a Londra una foca, la quale obbediva al comando del padrone suo, prendeva il pane dalla sua ma- no, si distendeva interamente per terra, al lungava. il collo, quanto le era possibile ; pa- rea salutare gli spettatori , andava al mare e ne ritornava, quante volte le si dava. ordine: di farla ».

Un fittajuolo d'Aberdour essendo andato, alcuni anni sono, a pescar in mare intorno adi ‘alcuni scogli, vide una giovine foca di circa. due piedi e mezzo, che prese e portò a casa. Essa divorava la zuppa nel latte, che le si porgeva , e continuò per tre giorni ad esser. nudrita di questa maniera , in capo a' quali la moglie del fittajuolo , riguardandola come causa Mi spesa inutile, volle disfarsene. Ii ma- rito quindi fattosi ajutare da altri la gittò di

LA FOCA. 279

nuovo al mare: ma essa, malgrado ogni sforzo contrario , gli tornò appresso. Allora fu con- venuto che il più g grande della compagnia en- trerebbe nell’ acqua più innanzi che potesse , onde nuovamente scagliarvela, ed indi si na- sconderebbe dietro gli scogli. Ma la foca; di cui nulla uguagliava i Silezione per gli ospiti suoi; non fu im pedita dallo siratagemma, che non' uscisse per la seconda volta dal salso ele- mento, e non venisse a raggiungere chi la figettava. Una tal cosa determinò il fitiajuolo a ul nella sua protezione, e enni. al suo domicilio ; se non che alfin stancatosi di mutrirla | uccise; per pagarsi dello speso colla sua pelle.

La stagione di prender le foche è general mente il mese di ottobre eil principio di novembre. Î cacciatori, muniti di forche e di bastoni, si fanno verso mezzanotte all'ingresso deile caverne, ove quegli animali si ritirano, penetrano quanto più innanzi possono colle loro barcheite. Indi uscitine, e scelto un posto favorevole si mettono a fare. grande. strepilo , per ispaventarli , e far eh'escano in pieno mare, In tali circosianze è loro cura di evitare la folla, che verrebbe sopra di essi con troppo impeto. Dopo di questa, che prima fugge, an- cor rimane gran numero di picciole foche, le quali vengon più lenie, e che si uccidone

Gubinetto Tom. L 59

ne 74 ATROCE

con ‘Bull! dando loro un | picciol colpo sni naso.

Gii abitanti della Groenlandia iraggono di queste cacce. grandissimo vantaggio, attesoché le foche sono di estrema necessità ‘alla loro sussistenza. La carne di esse fornisce un nu- drimento : gustoso, del pari , che sostanzioso ; e il grasso delle medesime loro olio per la pentola e per la lucerna, nel tempo stesso.che è materia di cambio, per altre cose importanti alla vita. I filamenti de: nervi sono assai migliori per cucire, che nou il refe e la/seta. Le ve- sciche servono di galleggianti ai fiocinieri, onde pescare. Della pelle poi si fanno tende, vesti e coperte per letti, e canoe, non che corregge e soatti d’ ogni specie. Il sangue stesso non va perduio, poichè i nativi del paese lo fanno bollire con altri ingredienti; e ne hanno brodo per la zuppa. Quindi l'arte di prender le fo- che è quasi la prima pei GroenJandesi, che l imparano dalla più tenera ‘età, e per essa pongonsi in istato di condurre vita alquanto men disagiata, mentre si rendono utili alla socielà.

La pesca della foca nella Finlandia .comin- cia allo sciogliersi dei ghiacci. Allor che questi sono ammonticchiati dai flutti, quattro o. cin- e «ani s imbarcano in una canoa sco- oerta , e stanno qualche volta assenti più di

LA FOCA. 275

cinque seltimane dalle lor case; esponendosi a tutti i perigli ,. che s incorrono pei mari del settentrione, non avendo che un picciol fuoco, cui accendono sovra alcuni mattoni, e nutren- dosi della carne delle foche uccise. Il seguente aneddoto porgerà idea di tal mestiere.

Due Finlandesi imbarcaronsi, or sono alcuni anni, in un fragile schifo. Avendo scoperte più foche sopra di un'isoleiia di ghiaccio g val leggiante, uscirono del loro legnetto, e si ag- grapparono a quel gran masso piramidale, camminando sulie mani e sulle ginocchia, per non essere veduti da quelle bestie. Avearo ve- ramenie legata alla picciola isola la picciola barca; ma nel bello della loro caccia un colpo di vento ne ruppe la catena e la disiaccò, onde rotta da ghiacci , sparì subito soito l’onde. I cacciatori si trovarono allora senza mezzi, senza soccorsi, anzi senza il minimo raggio di spe ranza sovra perigliosissimo appoggio , e vi ri \masero quindici giorni. Il calore, che ne ‘di- | minuiva gradatamente. il volume e l'’ eleva- zione della superficie, rendeva di momento in momento la loro situazione più spaventosa. Finalmente, dopo aver sofferti iutii gli orrori di una fame: divoratrice, ed essersi trovati ri- dotti a rodere la carne delle loro braccia, si strinsero gli uni agli altri, e determinarone gi precipitarsi ne fluiti, onde metter fine alia

376 LA FOCA. loro sciagura. E già quesia funestissima riso- luzione ‘era. per compiersi ; quando scÒrsero da lungi una vela. Uno di essi allora si levò la camicia, e la sospese al suo fucile. Il qual segnale fu veduto dall equipaggio del vasceilo, ehe apparieneva ad un pescator di baicne, onde mise tosto in mare un palischermo , per 7cor- rere in loro soccorso. Quest incontro fortunato pose solo salvarii da una morte inevitabile e vicina.

Le femmine delle foche producono doppia © triplice prole per ogni parto , e la depon- gono nelle cavità de’ guiiacci , mentre il ma- schio forma tosto vicino uno sforo, che pronta comunicazione al’ mare. Le picciole foche si gettano all'acqua appena che sl avveg- gono di un cacciatore, talvolta anche di pre rio moto, onde cercarvi il lor nuirimento. Quando quelle femmine escon dal mare, be- lano come agneile, onde chiamare la loro pro- gemie; e sebben passino davanti a migliaja d’ altre giovani foche , mai non ne. prendono alcuna in iscambio. .

Quindici giorni dopo il nascimento le pic- ciole bestie sono “istruite dalle loro madri nuotare e .cercarsi di che vivere; e quando sono stanche vengono da esse, per ciò clie dicesi, prese sul dorso. rapida poi è la loro cresciuta, che in due o ire dì, che sono

FOCA. nom al mondo , divengono egualmente agili che le vecchie. e 3

La carne delle fughe era altre volle ammessa alla tavola de’ grandi, come, fra I altre me- morie , ce ne fa fede la nota dello speso in nno splendido banchetto dell’ arcivescovo Ne-, ville sotto Eduardo IV. La loro pelle è an- ch essa molto pregiata, e una bellissima specie di cuojo.

Gli amfibii, di cui favelliamo, trovansi sulla più parte delle coste della Gran Brettagna e dell’ Irlanda , tuite seminate di scogli. Se ne veggono pure al di quà del circolo artico nei

apiari dell Europa e dell'Asia. L'ORSO MARINO.

Quest animale s'incontra principalmente nelle isole del Kamischatka, dal mese di giugno sino a quello di settembre, intervallo di tempo. durante il quale la femmina depone ed alleva i suoi piccioletti. Indi gli orsi marini tornano,

dicesi, chi alle coste asiatiche, e chi alle ame»

ricane, tenendosi in generale fra il cinquan- tesimo, e il cinquaniesimosesio grado di la- titudine.

La lunghezza ordinaria de’ i chi è di circa otto piedi, ma quella delle femmine è assai minore. Il loro corpo è membruto, e va

278” L ORSO MARINO. diminuendo di grossezza sino alla coda. Il co- lore del loro pelo generalmente è nero, ma ne vecchii è misto di grigio, e nella più parte delle femmine è cenerognolo. Il loro ‘naso si avanza come quello di un giovane alano, e i loro occhi sono iarghi e sporgenti. Le loro gambe anteriori hanno , circa, due piedi di lunghezza, e i loro piedi han dita, coperte -di pelle ignuda, e assomigliano in certo modo a quelle della testuggine. Le gambe di dietro sono più corte, e terminano in cinque diti, separati per: mezzo di una membrana. La voce di questi orsi marini varia in più eircostanze. Allor che stanno a diporto sulla riva del mare , mugolano come gioveache; se sono impegnati in qualche battaglia, mandano urli feroci; se poi sono vinti, od hanno ri- eevuto ui ferita, miagolano come gatti, e 1 loro accenti di trionfo rassomighano in qualche modo ai gridi acuti de’ grilli. esti animali vivono in famiglie separate le une dalle altre, sebben si trovino alle volte a migliaja sulle coste che abitano; e nuotano per tribù, quando sono in mare. Ogni maschio ha un serraglio composto di otto in dieci fem mine, ch'esso custodisce e guarda gelosamente. Affezionatissimo ai suoi piccioleiti , se alcuno cerca rapirli, li difende arditamente,; intanto che ia femmina via si porta nella sua bocca.

L'ORSO MARINO. 279 quello di cui è madre. Se avviene a questa lasciarlo cadere, il maschio abbandona il ne- mico , si getta sovr essa, e la percuote con- tro ai sassi, finchè l'abbia lasciata quasi morta. Rinvenuta, ch’ ella sia, strascinasi suppliche- vole ai suoi piedi, e glieli bagna colle sue la- grime, mentr’ esso la insulta brutalmente, e mena orgoglio della sua umiliazione. Che se il piecioletto gli fu tolto; s' infosca, piange, e a vedere che prova pungentissimo dolore.

Accade talvolta che gli orsi marini vecchii o deboli sono abbandonati dalle femmine; nel qual caso ritiransi da ogni compagnia, diven- gono eccessivamente erudeli, e attaccati al loro posto, che preferiscono il morire all’ ab- bandonarlo. Se aliro animale si avvicina ioro, esecno tosto dal loro stato di indolenza, il provocano e si fanno a combattere. Nella qual lotta occorrendo talvolta che insensibilmente si ‘avanzin sul luogo di qualche loro vicino; que- sto allora vi prende parte; e così via via essa finisce coll’estendersi. a tutta la costa in mezzo ad urli i più spaventevoli.

Il sig. Steller colla gente del suo equipag- gio, volendo provare Î ostinazione di questi animali, ne assalì uno di tutta forza, gli cavò gli occhi, ed irritò quattro o cinque de’ suoi vicini, gettando loro delle pietre. Questi in- seguendolo, il signor Steller si riparò dietro

2800 L ORSO MARINO. l'animale accecato, il quale sentendo avvicinar gli altri orsi, si avvento loro con estremo fu- rore. Il sig. Stelicr allora salvossi ad un'altura vicina , dle stette ad osservare la scena sane guinosa, che durò. per più ore. L’ orso mari- no, privo deila vista, maltrattò egualmente amici e nemici, sinchè tutti alfine si volsero contro di lui, non dandogli tregua sulle coste in mare, onde fu costretto soccombere.

| Allor che due di questi animali si battono insieme , piglian riposo ad intervalli, e si sdra- jano l'uno sull'altro ; indi si levano ambidue a un tratto, rinnovan l'assalto, sempre te- nendo la testa diritta, e' solo distornandola , per evitare 1 colpi. Finchè la vittoria rimane indecisa ,. non adoprano che i piedi anteriori }; ma all istante che Y un d' essi è indebolito , Y altro il prende coi denit, e il gella contra terra. Le ferite, che si fanno, han molta pro- fondità, e pajon quasi di sciabole taglienti: 2 dicesi che nel mese di luglio vi siano pochi fra essi, che non ne portino nel loro corpo. Alla fine d'un combattimento quelli, a cui rimane tanto di forza, si gettano in marg, onde iergere le tracce di sangue, di. cui sono coperti. Non facilmente perdono l ultimo fia- î0, e sopravvivono più d'una quindicina di giorni a delle ferite, che sariano immediata mente mortali. per qualunque altro animale.

; L'ORSO ‘MARINO, 281

Uno di essi, dice Maftens, viveva ancora 5 dopo che gli avevamo levato gran parte del suo grasso; e, malgrado tutte le ferite da noi re- categli, sempre continuava a scagliarsi contro di noi ed a morderci. Passai più volte, egli aggiunge, la sula spa .da attraverso il corpo d'un altro di quesii amfibii, senza ch’ esso facesse pur mostra di avvedersene. Alfine si levò, corse più celere, ch io non potessi, e si precipitò esso medesimo d'un moniicelio di ghiaccio nel

‘mare , ove scese tosto fondo. Quando eli orsi marini si sono attuffati hel albelbicniento , ® vi hanno ripreso un po di lena, fan capriole , alla foggia d'altri animali equorei , si volgono a guisa di ruota; solcano 1 flutti con grandissima rapidità, percorrono , talvolta ,. più di sette o otto miglia per ora; e spesso nuotan sul do: *so, e così a fior d’onda, che i lero piedi. posteriori sono interamente asciutti. Giunti a riva si scuotono e si puli» scono il pelo co piè medesisii, e applicando quindi le loro labbra a quelle delle femmine sembran baciarle. Poi si distendono al ‘sole per | risca!darsi; o si sdra ajano aggomitolati , e re- stano così sepolti in pieno riposo. I lore pic- cioletti sono così scherzevoli come giovani cani; fanno tra loro finte. pugne, e cadono frequen- iemente gli uni sopra gli altri, mentre il pa- dre li riguarda con aria di compiacenza, li lecca

562 L'ORSO MARINO.

e li bacia; mostrando assùi più affetto pel vincitore che pel vinto;

Vuolsi che quesii animali si trovino in gran numero nell isola di Bering, da coprirne interamente la costa. Ì viaggiatori sono allora cosìretti, per propria sicurezza, ad allontanarsi dalle sabbie e dai bassi fondi, e volgersi ine torno alle colline. È però a notarsi che talì amfibii non abitan che quella parte, che si avvicina al Kamtschatka. Nei primi di giugno le femine si ritirano verso il nsèzzogiorno dell’isola, per isgravarsi, e tornano alla fine di agosto.

La carne dei piccioletti è riputata eccellente; ma quella de’ vecchi maschi è d’ odor troppo forîe. Questi animali vanno coperti d'una spe- cie di nera pelliccia di rozze e lunghe seto- le, soîito cui è un feltro morbido, o anzi un velluto Ponsianio, che inclina al bruno,

LA F OCA DAL NASO A BOTTIGLIA,

I maschio di questa specie è assai. grosso ; ed ha talvolta quindici in venti piedi di lun- ghezza. Si distingue pure dalla femina per una grande escrescenza, che avanza di cinque o sei pollici la mascella superiore. I suoi piedi sono assai corti e sì. membranosi, che somigliano a pinne. H color generale del suo pelo è un

grigio ferreo. j

LA -FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA, 283

Il grasso di tal genere di foche alto dieci o dodici pollici fra carne e pelle, poi- chè , quand’ esse camminano , pajono pento» loni d’enorme grossezza, ripieni d'olio. Que- sto infatti si vede fluttuare sotto la superficie della pelle medesima. Ma hanno esse, inoltre, gran quantità di sangue , che, ove si fac- cian loro profonde ferite in dodici luoghi ad un tempo, zampilla da ciascuna a distanza considerabile. La ioro voce solitamente è un forie grugnito , 0 piuitosto una specie di ni» trito, simile a quelo del cavallo ‘nel suo piena vigore.

Sono esse & un naturei letargico; e diffi- cili a risvegliarsi s quardo dormono. Il loro tempo è diviso egualmente fra il soggiorno di mare, ove stanbo in eslnte, e quello di tere Ta, ove si trasportano al principio d'inverno. Si nutrono d'erba e di verdura, che eresce in riva & ruscelli ; e quando non sono intese a mangiare dormono a branelii ne luoghi più fangosi,. che possano ritrovare. Ogruno di Pat branchi è sotto 4. sorveglianza di un grosso maschio, che i marina) appellano per beffa il pacha, vedendolo allontanare con gran cura gli altri maschii da certo numero di femmine , delle quali impadronisce. Questo pacna , però , non giugne a tal grado di superiori tà, senza prima ayer sostenuto ai.

2 hi e

23) LA FOCA DAL NASO A BOTTIGLIA. numero di combattimenti sanguinosi, dei quali rendono testimonianza le sue profonde cica-

trici. Persone dell equipaggio di Lord Anson K

cacciarono un giorno nel isola di Juan Fer- nandez degli animali, che loro parvero dif ferenti da tuiti quelli, che fino allora aveano veduti. Avvicinandosi però conobbero ch' erano tue foche della specie che descriviamo ; le quali si erano « vicenda lacerate co’ denti, sicchè tutie grondavano sangue. ai Non è difiicile I uccidere tali amfibii; poi- chè la loro inclinazione al sonno, la loro in- dolenza, e la lentezza de ior movimenti li ren- ‘dono facile preda pe loro nemici. Non è però che non oppongano talvolta vigorosissima re- sistenza. E si racconta che all istante che un marinajo era un di occupato a trar la pelle ‘ad una giovine foca, la madre a cui T avea rapita, si scagliò sovr esso improvvisa, gli prese la tesia co denti, e gli passò con essi il cranio così profondamente, che fra poco. morì. Secondo la relazion de’ viaggi di lord An- son, la carne della nostra foca rassomiglia quella del bue, e il suo cuore, non men che la lingua, è un cibo eccellente. Trovasi que- sta foca principalmente nella nuova Zélanda, nell isola di Juan Fernandez e in quelle di Falkland. Quando nasce, il che avvien sem- pre in inverno, è della grossezza: della foca comune pervenuta alla sua maturità “0

TL LLON MARINO:

La testa e gli occhi di quest’ anima grandissimi ; il suo naso è rilevato ; ie orec- chie coniche e diritte ; ii collo (parlando del maschio) è coperto di una lunga criniera on- deggianie, simile, presso a poco, a quella del lione; il pelo dell altre parti del corpo è breve ‘e rosso; nella femina però è giallo, e quando sia giunia a certa età st fa alquanto grigio, Credesi che un maschio di giusia grossezza sia lungo sedici in diciotto piedi; e pesi, all'incirca, sei» cento libre. La femina è di molio più picciola.

Se un essere umano qualunque è veduto da questi animali, prendon tosto la fuga; e quando vengono sorpresi nel sonno, grandissimo è il loro spavento allo svegliarsi, onde mandano sospiri profondi, e cercano fuggire. La con- fusione, che in tal caso provano , è. estrema; il ior tremore è forte, che appena possono sostenersi. Ma se vengono incalzati , se veg- gono impossibile ogni via di salvezza, si get- iano sugli assalitori. com impetuoso furore , e si battono da disperati. Quando all’ incontro si accorgono , che non si ha veruna. inten- zione di nuocer loro, par che si rassicurino interamente.

Steller , nel suo soggiorno all’ isola di Bé- ring, Visse in una capanna, circondato da Lioni

255 IL LION MARINO: marini, per lo spazio di sei giorni. Divenutigli essi in poco tempo famigliari, esaminavano con molta calma ciò ch’ ei Wi gli si sdra- javano vicino; e gli permettean finanche di prendere i lor piccioletti e giuocar con loro. Questo viaggiatore ebbe in quel tempo occa- sione di vedere i lor combattimenti, perocchè fu testimonio d’ uno fra due maschili, il qual durò tre giorni, e in cui il più rischioso o il men destro de duellanti ricevette più di cento ferite. Gli orsi marini, che pur si trovavano frammisti a leoni, mai ‘non prendeano parte alle loro gare, anzi aveano gran cura di alb lontanarsi. dal campo, ogni volta ehe ac- cendevano.

Ciascuno de’ maschii ha due o quattro fe- inine, cui tratta con molta dolcezza, e sem- bra gustar molto le loro carezze. Ma è cosa degna di osservazione, ehe il padre e la ma- dre non mostrano verun afletto pe’ figli, cui sovente schiaeciano cò’ piedi, per poca cautela vel camminare, o che uccider si lasciano sotto gli occhi colla più g srande indifferenza. Quesu non trescano già alla foggia di quelli degli altri animali , e par che il sonno gli istupi- dlisca interamente. Il maschio e la femina li portano all’ acqua, e loro. insegnano a nuotare, Quando sono stanchi, montano sul dosso della lor madre; ma il maschio ne li fa cadere,

IL EION MARINO. 287 rome per obblicarli a fortificarsi nell'esercizio del nuoto.

I vecchi lioni marini muggiscono . come tori, e i giovani belano come montoni. Vivono principalmente di pesci e d’altri animali, clre aibergano nel salso elemento; ma per due mesi di estate que vecchi si astengono quasi interamente d’ ogni nudrimento , e, si abban- donano «al riposo e all'indolenza, trangugiando di tempo in tempo grosse pietre, onde man- tenere lo stomaco disteso. Ma alla fine si tro- vano fuor di modo dimagrati.

I Kamtschatkadali riguardano la caccia di que- sti amfibii come occupazione onorevolissima. Quando ne trovano di addormentati , si acco- stano loro camminando contro vento ,; li pere. cuotono in pancia con uno spiedo legato a lunga corda, ed indi fuggono con. gran pre- cipizio. L'altro capo della corda medesima in- tanto , il quale sta legaio ad un trave, impe- disce che gli animali sen vadano lungi; onde i cacciatori hanno agio di ridurli agli estremi, lanciando loro giavellotti e frecce ricette Quegli amfibii, a dir vero, cercan tosto di at- iris nel mare; ma non potendo sofferir il dolore, che lor cagiona l' acqua salmastra , che entra neile lor piaghe, tornano a riva in preda ai più crudeli tormenti. Ivi i nemici o li trapassano con lance, o li lasciano morire deile antecedenti ferite.

2,86 IL LION MARINO. +

Persone degnissime di fede assieurano, che quei semiselvaggi gue rdano come cosa turpe il lasciar ani “i alcuno degli uccisi ani- mali, onde sovente ne caricano a segno le loro canoe,'ehe le fanno andar sossopra; ‘onde vengono inghiottiti dall’ onde colla lor preda,

I lioni marini trovansi in gran numeso sulle coste orientali del Kamischatka, ove albergano tra gli scogli, mai se ne dipartono, sel» bene. sembrino avere soggiorni estivi ed ins vernali,

La carne de giovani è cibo eccellente, e # loro grasso è bio quanto ] la midolla di bue,

IL MORSO:

Le forme di quest animale son poco ele» ganti, però ch esso ha la testa picciola , il iL assai corto, il corpo maccianghero, basse le gambe, le labbra grosse , la superior delle quali è bifida, e guernita di peli semitra- sparenti; gli occhi picciolissimi; in luogo d'o- recchie esterne due orificii semicircolari ; e la mascella supericre armata di due larghe zanue ricurve, e inclinate a terra, le quali pesar so- gliono dieci in trenta libbre, e gli servono a staccar le conchiglie, che si attengono agli scogli in fondo al mare. Alto è il suo cuojo e fornito ad intervalli di pelo corto e bruno.

IL MORSO. 289

À ciascun piede il nostro -amfibio ha cinque diti, che si riuniscono per mezzo di mem- brane ; i posteriori però sono molto più lar- ghi che quei dinanzi. La sua coda è brevis- sima; la total lunghezza però del suo corpo giugne talvolia a dici piedi, e fino a dodici la sua cireonferenza.

E animale di natura molto dolce, quando

non sia assalito o irritato; poichè allora di- vien furioso, ed eccessivamente vendicativo.

Ove le femine delia sua specie vengano sor- prese dormienti sui ghiacci, cominciano dal provedere alla sicurezza de’ lor piceioleiti, cui gettano all’ acqua, o portano a gran distanza nel mare, sicché più nulla abbiano a temere; indi ritornano per vendicar l'insulto ricevutor A questo fine cercano talvolta di piantare le loro zanne ne’ battelli, o di salirvi sopra in gran numero, per rovesciarli, mandando ad un tempo urh orribili, o digrignando i lor denti con gran violenza. Se ne sono anche vedute assalir delle barche per puro capriccio, nia pur con molto pericolo di chi in quelic S1 riirovava.

Nel 1766; alcune persone dell’ equipaggio d'uno sloop, che facea vela verso il setien- trione onde trafficare cogli Esquimesi, furono assaltate in ana scialuppa da gran numero di orsi; e malgi ‘ado tutti gli sforzi per allonta-

E bio Ton. I i9

»90 TL MORSO. narli, uno di questi più ardito che gli altri salì in poppa , vi. si assise, le guardò in fac- cia, indi si ribalzò in mare sd raggiugnere i compagni. Allora un altro di siraordina:ia grossezza tentò di montare. dalla prua; e. poi- chè. ogni altro mezzo di impedirnelo fu vano, il piloia prese un archibugio carico di pallini, e introdottagliene la bocca in gola lo, uccise% e quello cadendo in fondo, all'acqua vi fu se- guito da quanti lo accompagnavano. Le genti della scialuppa si affrettarono allora verso. lo sloop; e il raggiunsero, infatti, mentre altri morsi disponeansi a nuovo assalto, che proba- bilmente saria stato assai più iii poie chè pareano furenti per quello ch’ era, perito.

L'attaccamento, che questi quadrupedi mo- strano. gli uni per gli altri. è fortissimo; e certo fanno ogni sforzo onde liberarsi a vi- cenda, ogni voita che alcun di loro è preso dalle fiocine. de’ pescatori. Si è veduto un morso ferito attuffarsi in fondo al mare, e ri- salir tosto alla superficie, corducendo seco una moltitudine di compagni, per assalire la bar- ca, onde gli era venuta l' offesa. I

All avvicinar della primavera. tali amfibii si recano regolarmente alle isole Maddalene, che sembrano le più proprie ai loro bisogni, poi- chè abbondano di conchiglie , e facilmente vi si approda. 4l loro arrivo salgono ip gran

_ IL MORSO. 2 91 numero sugli scogli della costa, e vi riman- gono per alcuni giorni i) quando il tempo è bello , senza mangiare; ma al primo segno di pioggia sl precipitano in. mare.

Gli abitanti lasciano che si diportino per le rive, fino a che abbiano acquistato certo grado di sicurezza, essendo al primo giugnere molto timidi, sicchè fuggono, ogni volta che alcuno loro si accosti. In stagione opportuna poi, I marina] cercano nella noite di separar quelli, che sono più allontanati dal mare, sbandan- doli in diverse parti; ciò ch'essi chiamano ta- gliar: un gregge. Quest’ assunto è in generale riguardato come pericolosissimo ; poichè im- possibile far prendere a siffatti animali una direzione qualunque, e più diflicile ancora l’e- vitarli. Fra le tenebre notturne, però, non sapendo come: volsersi all acqua, facilmente . si sviano, e i cacciatori gli uccidono a lor grado, talvolta. persino in numero di cinque © seicento. Allora traggon loro la pelle, ne. tol- gono gli strati. d' adipe ,. onde il lor corpo è involto, e il fanno sciogliere. nell’ olio. I loro cuojo , che si taglia in RI pollici di larghezza, vien trasportato in Inghilterra e in America.

Quando i Groenlandesi hanno scoperto un branco di morsi in sui ghiacci, vi si avvici» nano colle loro canoe, e lanciano i lor Tamponi

392 IL MORSO. al momento che quegli animali spaventati si precipitano in mare.

Il qual momento è il più opportuno per ucciderli , poichè distendendo la loro pelle, onde rotolarsi per così dire, con più leggie- rezza e facilità, è anche più agevole il ferirli mortalmente, che quando standosi sdrajati, ia pelle è floscia e caseante,

Il capitano Cook vide un giorno un gregge di morsi sovra un isolotio di ghiacci Suit nelle parti settenirionali del coni d / merica. Eeco ia descrizione ch’ei ce ne da

c S' adagiano, dic’ egli, a centinaja su quei dia premendosi gli uni contro gli aliri, come i majali, e mandaudo lunghi ruggiti, che in tempo di notte o di nebbia ci avver- tono della vicinanza de’ ghiacci medesimi, prima che noi possiamo vederli. Mai non trovammo che un intero gregge fosse addormentato; poiché sempre v era qualcuno d’ essi in sentinella , il quale, approssimandosi alcuna barca, ne dava avviso ai meno lontani, e questi. «di grado in grado agli altri, onde tutti in un istante risvegliavano. Non aflrettavansi però a fug- gire ; fino a che sopra di essi non si facesse fuoco. Allora si scagliavano gli uni sopra gli altri nel mare colla più gran confusione ; se nella prima searica noi non uccidevamo i colpiti. più non potevamo averli, sebben le

IL MORSO. 293 loro ferite fossero mortali. Non ci parvero essi già animali pericolosi sd assalire come al- cu..: autori ce li descrivono; o almeno lo sono più in apparenza che in realtà. C insegui» veno in numero prodigioso, e si affollavano contro i nostri legni; ma bastava dar fuoco a un polverino , per costringerlì a nascondersi in fondo al mare. Le femine difendono la loro prole sino all ultima estremità, sia nell acqua, sia sul ghiaccio, e i piccioletti non sanno ab- bandonare le madri dopo la morte; dimodo- chè, se una di esse è uccisa, questi divengono infallibilmente preda del cacciatore. Le femine, quando sono nell'acqua, stringonsi i figli con- tro le pinne anteriori ».

Si adoprano le zanne dei morsi, come avo- rio d'inferior qualità. Questi animali, poi, sono moltissimo apprezzati pel loro olio, di cui ciascuno produce uno o due barili. Ot- tiensi anche dalle lor pelli un cuojo assaî forte ed elastico, di cui si fanno in America arnesi di carrozze.

Siffatii animali trovansi ne’ mari del setten- irlone, e principalmente sulle coste dell’ isole Maddalene , nel golfo di S. Lamberto. Vivono unicamente di pianie marittime e di conchi- glie. Spesso però furono veduti trarre a a fior d'onda colle lunghe lor zanne il sel- vaggiume di mare, ed indi gettarlo in aria per divertirsi. -

CAPITOLO VI.

Le figlie di Mineo fa cieche al lume, Mu. 2,

E che volan di notte senza piume.

ANGUILLARA»

LA NOTTOLA O PIPISTRELLO.

Questo singolar animale differisce da tutti ‘gli altri quadrupedi per ciò ch’ è fornito di ali, onde può riguardarsi nella catena della

creazione come l'anello che unisce due classi

d' esseri affatto opposte. Alcuni de’ naturalisti han dubitato in quale dovesse collocarsi; ma come appartiene ai quadrupedi per la confor- mazione interna ed esterna del suo corpo, si accosta ai volatili, che per la facoltà di sollevarsi nell’ aria, è chiaro che si abbia da ascrivere alla prima.

Il pipistrello comune è un po’ più picciolo e di color più scuro che il sorcio, con cui ha d'altronde relazioni strettissime di somi- lianza. Le sue ali non sono che membrane simili a pelle sottilissima, le quali. si estendono dai piedi anteriori fino alia coda. Dicesi a ra- gione che l’esteriore suo è d’ animale imper- fetto, poichè quando cammina, i suo! piedi

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OTTIMUISTALI VISSO V'IO

LA NOTTOLÀ 0 PIPISTRELLO. | 299 sono impediti dalle ali; anzi non cammina propriamente, ma strascina sgraziatamente ii suo corpo; ‘e in aria i suoi moti sembrano incerti e mal diretti, che nori volo si chia merebbero, ma svolazzamento.

La nottola, 0 pipistrello ad ogni pario due pipistrellini , che allatta, e porta alcune | fiate alle mammelle volteggiando nella guisa che ‘abbiam detto. Linneo fa ‘osservare ch’ elta non costruisce nido, come fa la più parte degli animali nel rempo della gestazione, ma si con- tenta del primo buco, che incontra, e aggrap- pandosi coil adunche sue unghie alle pareti di questa dimora ; lascia che i stuoi piccioletti le stiano sospesi al seno pel primo e il secondo giorno dopo il lor nascimento. Indi, quando giu- dica necessario andar in cerca di cibo, ne li distacca, e gli appende al muro di quel modo ch essa vi si attenne finora, @ così infatti rimangono fino al suo ritorno. Da principio i bruttissimi animalueci sono senza pelo, ma di un colore affatto nero. o

I pipistrelli vanno attorno di nottè, comin- ciano a volare in sul crepuscolo della sera ; e dormono _il giorno. Frequentan gl’ ingressi de boschi e le allee coperte, ed anche veg- gonsi radere la superficie degli stagni e dei fiumi, per cercarvi insetti. Verso la fine dej- l’ estate si ritirano entro caverne, sotterranei ,

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296 LA NOTTOLA 6 PIPISTRELLO.

«asematte, e tronchi incavali ove rimangone _

tutta la stagione fredda in uno stato di tale intirizzimento, che le funzioni vitali sembrano in essi sospese.

Possono fino a certo grado addomesticarsi , e il sig. White ci narra come fu un giorno sorpreso alla vista di un pipistrello, che prena dea molto famigliarmente le mosche dalle mani di, una persona, portandosi le ali alla bocca, declinando , e piegando il capo alla maniera degli uccelli di preda quando aBgnBA La destrezza, dic egli, che mostrava in dispiccar le alette delle a onde gettarie, mi di- vertiva moltissimo, e pareami degna di special considerazione. Parea che gl’ insetti fossero il suo cibo favorite, sebbea non ricusasse la carne eruda, qualora gli si oileriva; onde ciò che si varra di quesii animali, che scendono giù pei camini a rosiechiare i quarti del lardo, non è probabilmente una capricciosa invenzione. Men- tr io, egli prosegue, mi prendea dileito ad os- servare il singolar quadrupede, ebbi occasione di accorgermi quanto insussistente sia Ia vol- gare opinione, che 1 pipistrelli. ove si trovino sopra una superficie piana, più non possano prender volo. Poichè quello di cui si parla rialzavasi facilissimamente dal pavimento, onde fuggiesi in aria, E motai altresì che correva Ml sue gambe con assai maggiore celerità ,

LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. 207 ch'io non mi sarei aspettato, sebbene il fa- cesse di una maniera ridicola e grottesca.

Dietro le ripetute esperienze dell’ illustre Spallanzani sopra varie specie di questi animali, sembra ch’ essi posseggano qualche senso addi- zionale che gli ajuti, quando sono priva della vista, ad evitare gli ostacoli che incontrano con eguale prontezza, come quando erano provve- duti di quell'organo. Perocchè, coperti o-traiti loro gli occhi nelle esperienze di cui si ragiona, volavano per una camera oscura niente meno che prima, senza urtare contro la muraglia, e sospendeano naturalmente il lor volo, quando inconiravansi in un punto, ove poiessero ap- pendersi e riposare.

In mezzo d’ una chiavica oscura, che for- mava ùn gomito ad angoli retti, facean essi con molta destrezza e precisione un circuito volando, sebbene a notabil distanza dal muro. Che se mai sospendeansi rami d'albero in una camera, gli evilavane con grande cura, e vo- lavano per mezzo ad alcuni fili perpendicolar- mente pendenii dalla soffitta, quantunque in tal vicinanza fra loro, che doveano contrarre le ali, onde traversar gli interstizii.

Il sig. Jurien nel suo giornale di Fisica del 1778 presume che la causa di inesplicabili destrezze risieda nei nervi molto dilatati del naso, ma l'opinion sua è affatto gratuita, Quindi

393 LA NOTTOLA O PIPISTRELLO. altri naturalisti hanno congetturato, che questa facoltà di evitare gli ostacoli nel bujo dipenda principalmente dall’udito, che i pipistrelli hanno finissimo; attesochè turate che fossero le orecchie di quelli, su cui faceansi le esperienze, urta- vano volando contro la camera ov eran chiusi, O più non pareano sapere ove sl andassero. Questi poveri sordi furono in buon numero tenuti per una settimana entro di un bossolo; ove durante il giorno stavano cheti, cer- cavano di uscire. Che se ne venivano tratti e distesi sopra un tappeto, rimanevano immobili per un momento, poi si mettevano a guardare all’ interno, indi si strascinavano lenti lenti in qualche angolo oscuro, 0 in qualche crepacelo della muraglia. Sull' imbranire , però, ciascun d' essi Heva ogni suo sforzo, onde uscir dal bossolo, e appena il coperchio era levato, ne fuggivano sulle lor alì, e correvano via leggier- mente, cercando luogo convenevole a'‘prendele il volo.

Quando questi pipistrelli furono presi, varie delle lor femine avean de’ picciolini sospesi alle mammelle e lattanti, eppure anch esse volava- no, una in ispecie, colla più grande velocità. Si hanno talvolta simili animali, gettando in aria capi di bardana imbiancati di farina. I pi- pistrelli imsdo i calici di questa pianta per un iusetto di loro preda, o urtando contr essi

LA NOTTOLAÀ O PIPISTRELLO. 20g ‘trovansi aggrappati dalle loro scaglie a guisa di uncini, e quindi strascinati a ice Abitano essi la più parte delle contrade d’ Europa.

IL VAMPIRO.

Animale pericolosissimo , anzi flagello degli uomini e degli altri animali ne’ paesi ove ab- bonda. Generalmente non è lungo più di un piede, e dall'una all’ altra punta delle sue ali stese possono contarsene quattro, e qualche volta ancora cinque o sei.

La sua testa ha la forma di quella di una volpe, il suo naso è lungo ed affilato, le sue orecchie son nude, nericcie ed acute, e il color suo quasi tutto un bruno rossiccio assai carico.

Vola questo picciolo animale dal tramonto allo spuntar del sole, ed indi rimane tutto il giorno entro il cavo degli alberi. Rade agilis- simamente la superficie dell’ acqua, giuocando, folleggiando , e talvolta anche atiuffandosi.

Difierenti seriitori assicurano che il gran numero de vampiri somiglia talvolta ad uno sciame d’ api, che trovansi sos spese agli alberi in grappoli o gomitoli le une presso le aitre. Il sig. i'orster ne ha veduti cinquecento aimeno pendenti gli uni pei piedi anteriori, gli altri per quei di dietro, da una gran pianta del- i isola degli li Tr E vuolsi che a Rose-Hill

3:09 IL VAMPIRO. mella Nuova Galles Meridionale se ne siano in* contrati più di ventimila nello spazio di una mezza lega.

Finch en che presso di Surate i valni ‘piri si tengano aggrappati coll unghie ai rami degli alberi in gran moltitudine, e vi fac- ciano un rumore cesì insopportabile, che, se- condo lui, bisogneria purgarne quegli alberi con due o tre pezzi di cannone, se voglia li- berarsi il paese da pesie così pericolosa.

Dampierre riferisce come vide un giorno co suoi compagni di viaggio in una dell’ isole Filippine incredibil numero di vampiri, il cui aprimento d'ali era esteso, che nessuno, per allargare di braccia, potea toccarne l estremità. Quest ale poi aveano il colore del pelo dei sorci, e le giunture armate di grife a guisa di uncini. In sul cader del sole siffaiti animali volavano a sciami dal lato d’' un isola vicina, verso la quale si vedeano far viaggio, sino a che l'oscurità li toglieva del tutto allo sguardo degli spettatori. Ogni giorno poi in quello spa- zio che corre dal crepuscolo mattutino all’ al- zarsi del gran pianeta, ritornavano al punto , onde la sera innanzi eransi dipartiti, e così sempre continuarono quanto tempo il vascello rimase all ancora in faccia all’ isola.

Il vampiro è il più destro flebotomo che sia in natura, atteso che insinua Î acutissima ‘sua

IL VAMPIRO. ; 3of

lingua in una vena, e ne succhia il sangue a sazietà, mentre sventola coll’ ali la sua vittima, ot agita in aria per tal maniera ( a vedersi per altro graziosissima, ove se eparar potesse l’idea di crudeltà), da seppellivia in un sonno profondo. È quindi rischiosissimo il dormire in un paese, ove abbondano gli animali di tal specie; poichè Y uomo che ne venga allora assalito passa facilmente dal momenianeo al- l eterno riposo.

Il capitano Stedman, durante il suo soggiorno a Surinam, fu una volta sorpreso da uu vam- piro, mentre appunto dormiva, come può ve- dersi nella sua relazione. « Svegliandomi , dice egli, in sulle quaitro del mattino entro da mia camera, presi sgomento vedendomi intriso del mio sangue coagulato, senza provare alcun do- lore. Mi levai dunque a sedere, e chiamai il chirurgo, il qual riconobbe ch’ io ero stato fe- rito da un vampiro o spettro della Gujana, ap- pellato cane volanie delia Nuova Spagna, e. dagli Spagnuoli perro-volador. Non è desso altro che un pipistrello di mosiruosa grossezza, che succhia il sangue degli uomini e degli ani mali mentre dormono più profondamente, fino a che taivolia muojano. E come la maniera, end'esso fa questo, è veramente singolare; ve- drò cu di porgerne un esatto ragguaglio. Sa- pendo, eome per istituto, che la persona cui

302- TL VAMPIRO. vuol assalire, è immersa in alto sopore, scende volando presso i suoi piedi, ove sempre con- tinua a batter le ali, per rinfrescarla. Leva in. seguito dall’un de’ pollici un pezzetto di carne, piccolo a dir vero, che appena la testa di una spilla potria penetrarvi; quindi la piaga “non è dolorosa. Da essa nondimeno si fa a. succhiare il sangue, fin che sia costretto di vomitarlo; indi ricomincia e ripete questi atti, con tanta perseveranza, che alfine tuito gonfio sente impedito al volare.

« E costume del vampiro il mordere anche il bestiame. al dito grosso, e sempre ne luoghi ove il sangue scorre più abbondante.

« Applicai alla mia ferita cenere di tabacco, siccome il rimedio migliore ,. che usar si po» iesse in tale circostanza. Indi guardando i grumi di sangue ch' erano in terra d’'iniorno a me, e fattili esaminar dal chirurgo, parve che ne avessi perduto dodici once o quattordici. »

L' odor de vampiri è più disaggradevole che quello della volpe; i selvaggi però assicurano che la sua carne è un boccone eccellente, Nella Nuova Caledonia i nativi del paese ne ado- perano i peli a far cordoni ed ornati delle loro clave, intrecciandovi fila del cipero squar- Toso.

Siflatti animali irovansi nelle differenti part

dell India, nell’isole indiane nella Nuova Galles

‘IL VAMPIRO. 303 meridionale, nell’ isole degli Amici, e nell Ame- rica più posia al meriggio. Sembra che possano essere addomesticati, poichè alcuni, presi in vicinanza del porto Jackson, si avvezzarono ben

resto al loro stato di captività, fino a mangiar carnè bollita ed altri alimenti in mano di chi glieli porgeva. Il governatore Philippes avea una femmina di tale specie, che perzolavasi per una gamba lo spazio di un'intera giornata, in tal posizione, tenendosi la pancia quasi aflatto coperta con una delle sue ali, anch’ essa mangiava in mano ciò ch’ erale presentato.

A e

L’ esterna apparenza e le abitudini partico- lari di quest animale bastano solo per distin- guerlo dagli altri quadrupedi. La sua confor- mazione fu mirabilmente appropriata dall’ au- tore della natura alla sua maniera di viver di Îl corpo suo, che generalmente ha cinque o sei pollici di lunghezza, è sodo e rotondo, e termina in una coda molto breve e molto sot- ‘tile. Il suo muso è lungo ed acuto come quello. del porco; il collo è corto, che la sua iesta si crederebbe attaccata alle spalle. Ha inoltre le gambe basse, che par col ventre rada la térra,

304 TALPÀ.

I suoi picdi anteriori sono affatto nudi, possono anzi chiamarsi larghe mani, quasi si- mili, per la loro forma, a quelle dell’ uomo, fornite ciascuna di cinque diti, i quali son ter- minati da forti unghie. I piedi posteriori sono assai più piccoli.

La pelle di questo quadrupede è coperia di setole brevissime, morbidissime, ed assai lu- centi. Il suo colore d’ordinario è nero; pur se ue trova alcuna maculaia di bianco, o anclie bianca del tutto; ma questo è caso rarissimo.

Gli occhi delia talpa sono si piccioli, che molti scrittori non han saputo decidere, se fos- sero destinati a procurarle una percezion di- stinta degli oggetti, o soltanto a renderle ab- bastanza Sine l avvicinar della luce, onde avvertirla di evitare il pericolo a cui trovasi esposta. Il dottor Derham, però, ha discoperto in quegli occhi, per mezzo di un microscopio, tutte le parti osservate negli occhi degli altri animali. Ed oggi è notissimo che son firniti di muscoli, onde può la talpa ritirarli e adoperarli per la propria sicurezza. Vuoli altresi che sia dotata di udito fino, che non sfuggendole verun picciolo o lontano rumore, può sempre sottrarsi a ciò che menomamenie la minacei.

Le talpe femine danno quattro © 0 cinque piccioleiti ad un parto, che quasi sempre av-

‘viene verso | aprile. « Ti domicilio ove con

LA TALPA. 303 essi adagiansi, dice il sig. di Bufîon, merite- rebbe una particolare descrizione; perocchè fatto con singolare intendimento. Cominciano le picciole bestiuole dal muovere e sollevar la terra, e formarne una volta assai elevata, la- .sciando tramezzi e specie di pilastri di distan- za in distanza. Quella terra poi la calcano è la battono, la mischiano con radici ed erbe,

e la rendono interiormente dura, e si so- lida, che I acqua non può penetrar la volta, così a cagione di questa solidità che della sua convessità. Alzano poi: sotto la volta un pog- getto, in cima al quale apportan erbe e frondi onde fare un letio a’ lor picciolini. Così tre- vansi al dissopra del livello del terreno, e per conseguenza al coperto deile inondazioni ordi» parie, non che della pioggia, in grazia deila volta, di cui già si disse. Il poggetto è è iull'in- torno per fiiuio da buchi in pendìo, i quali scendono più basso, e si estendon d'ogni parte, come tante vie sotterranee, onde la madre talpa uscir può, ed andare in cerca dei nutrimento necessario suoi figli. Queste viuzze son chiuse e baitute, e corron dodici in quindici passi, partendo tutte dal domicilio, come raggi da un centro. In esse, come sotio la volta, ritro- vansi avanzi di bulbi di colchico, -che sono, per ciò che sembra, il primo cibo ch essa a suoi piccioletti. Ben di qui si comprende che

Gabinetto Tom. IL 20

300 LA TALPA\ mal non esce, se non a molta distanza, dal suo domicilio, e che la maniera più semplice di prenderla co suoi piccioletti è di farvi intorno una trincea che interamente il circondi, tronchi tutte le comunicazioni. Ma come la bestiuola fugge al minimo sirepito, e cerca di condur seco i figli, bisognano tre o quattro uomini, che lavorino insieme colla vanga, levin la gleba tutta intera , operino insomma in un mati | e quindi li colgano o gli aspettino alle uscite. »

Di rado la talpa scava a maggiore profon- dità di cinque o sei poliici dalla superficie del suolo. A quest uspo essa raspa la terra da un lato dinanzi a sè, fino a che la materia am- mucchiata non le impedisca di continuare il Javoro con facilità; essa solleva allora la super- ficie, e spingendola colla testa e colle mani nervose produce grado a grado que’ monticelli o mucchi, che s' incontrano spesso ne’ no- stri campi, e ripiglia quindi l' opera sua. Può il numero delle talpe contenute in uno spazio di terreno facilmente argomentarsi dai nuovi mucchi di terra, i quali già non hanno veruna comunicazione gli uni cogli altri.

Vivono questi animali a coppia, e tale è l’ardore del loro mutuo attaccamento, che sem- brano sdegnare ogn’ altra società. Gustan nel lov riuro Te dolcezze del riposo e della tran-

LA TALPA. 30 quillità. La loro abitazione è il frutto della loro industria, che in pochissimo tempo li mette al coperto da ogni specie d’ insulto, e loro da agio di procurarsi un nutrimento abbondante senz essere obbligati ad uscirne. Di questa abi- iazione soglion chiudere diligentemente | in- gresso, mai l abbandonano, che quando vi sono costretti o dalla filtrazione dell’ acque, 0 da accidentale rovina.

Le talpe incontransi principalmente ne' luoghi eve la terra è mobile o coltivata, e abbonda di vermi e d’ insetti. D’ estate scendono esse nelle pianure, per istabilirvi la loro dimora. Se il iempo si manlien sereno, pongonsi In riva a fiumi, presso a’ fossi, ovvero alle siepi. Ivi pigliano vermi, a cui sempre levan la pelle prima di mangiarli, il che fanno con partico- lare destrezza. Se non che, cercandoli la notte, sono di sovente esse medesime prese e divo- rate dai gufi. ;

Al primo sentirsi in preda al nemico man- dano un grido acuto, e si difendono con tutta la forza delle grife e dei denti. Quindi son credute ferocissime, e veramente, per quanto pacifiche possan essere sotterra, quando si tro- vano alla superficie, si siraziano le une le altre fra lor medesime.

Una talpa, ch era stata chiusa sotto una campana di vetro con una botta e una vipera,

308 TALPA. le uccise ambidue, ed in parte anche le divorò.

Il fatto curioso, che siamo per riferire, è citato dal sig. Bruce nel terzo volume delle Transazioni Linneane. « Andandomi io a di- porto, egli dice, sulle rive del lago di Ciuni, «iò ch io facea sovente, scòrsi un'isoletta a cento ottanta verghe, incirca, da terra, ove lord Airly suo proprieiario avea un castello, con un piccolo bosco. Approdatovi m' avvenni in gran numero di cumuli di terra sollevati di fresco; e avendoli per qualche tempo creduti Y opera de’ sorci d’ acqua, ne chiesi al giardi- riere, il qual mi disse ch'erano invece effetto delle talpe, e che due ne erano state prese pochi giorni innanzi. Da quel tempo passarono quasi due anni che più non se ne videro. Ma una volta, com egli sull'imbrunire d'un bel giorno di estate tornava a casa col canovajo di lord Airly, vide, a picciolissima distanza, sulla superficie dell’ acque, ch'eran molto tranquille, certi animali che nuotavano a poche verghe dall’ isola. Avendoli precorsi trovò ch’ erano talpe ordinarie , dirette con mirabile istinto a prender possesso di quel soggiorno abbando- nato. Da un anno, infatti, esse vi son ricom- parse dopo diciotto mesi di assenza; ed io stesso fui testimonio de’ loro travagli. » La pro- fondità del lago tutt’ intorno all’ isoletta è di

LA TALPA. 309 sei, dieci, quindici, e in alcuni luoghi fin di îrenta e quaranta piedi.

Tl danno cagionato da simili animali ne’ campi e ne’ giardini è pressochè incredibile. Nel 174 divennero essi così numerosi in alcune parti dell’ Olanda, che un solo fittajuolo ne prese cingue in sei mila. E fra gli antichi i loro guasti erano temuti, che un tempio fu ele- vato ad Apollo in Sminto, per avere liberato il territorio di quella città dalle talpe, se pur non voglia credersi dai sorci.

Alcuni autori hanno assicurato che la talpa giaccia, l'inverno, in uno siato di torpore; il sig. di Buffon, però , fa osservare che tal as- serzione è affatto priva di fondamento, poichè la gente di campagna suol dire proverbial- mente: La talpa alza la terra, il gelo se ne va. Quest’animale cerca, per vero dire, i luoghi caldi; e i giardinieri ne prendon sovente in- torno a’ proprii letti ne mesi di dicembre, gen- najo e febbrajo.

La descrizion seguente delle abitazioni delle talpe, e il racconto de’ mezzi impiegati onde pigliarle non possono essere senza diletto pei nostri lettori. « Le talpe, dice il dottor Dar- win nella sua Phi ‘ologia. hanno delle città sotterranee cui compongono di case o nidi, ed ivi depongono e allattano i parti - loro. Tali abitazioni comunicano con strade larghe ,

Siro TALPA. necessarie alle corse perpetue de’ maschi e delle femine che hanno prole, e con più altre loggie, passaggi e ingressi cui scavano giornalmente , onde procurar nutrimento a ‘e alla fami- gliuola. Sono le talpe assai più attive in pri- mavera che in qualunque altra stagione. Sebbeng si presuman cieche, sembrano però avere qual che percezion della luce sin ne' loro sotterra- nel, poichè cominciano i lor lavori allo spuntar del giorno, e perciò prima che il calor del sole possa essersi fatto da loro sentire.

« Quindi un mezzo infallibile di distrug- gerle si è lo spiarle di buon’ ora, prima che il grande astro si levi. Si vede in quel tempo la terra o l'erba moversi sopra di esse, onde cacciando lor sotio destramente una picciola vanga si taglia loro la ritirata, e si conducono alla superficie.

« Partorisce la talpa quattro o cinque e tal- volta sei piccioletti, dando loro un asilo assai più

rofondo che le abitazioni ordinarie. Quindi il

cumulo che lo sormonia è più grande, e or- dinariamente d’ un colore differente dagli al- tri. È uopo guastare iutli i nidi di questa specie, e inierrompere le vie che comunica- mo coi vicini, onde non vi sia rifugio per chi gli abita.

« Ciò, che in seguito più importa, si è di sapere quali sono le vie frequentate e 1

LA TALPA. 3s1 passaggi nascosti, che le talpe hanno stabiliti. Il che si fa imprimendo una traccia su ciascun nuovo cumulo di terra, per mezzo di una leggiera pression di piede, che all indomani mattina si va a vedere se sia scomparsa; il che è segno del passaggio della talpa sotterra. Quella traccia non debb' essere profonda, per- chè la bestiuola non ne insospettisca, e si determini piuttosto al suo ritorno a scavarsi nuovo cammino, che ad aprir quello, che irova osirutto.

Depo due o tre mattine di osservazione piantano trappole nelle siradeile, che si sanno frequentate, disponendole in modo che esattamente s adattino alla fenditura. Queste trappole consistono in un semicilindro di le- gno incavato, con due anelli tagliati nel legno medesimo ail'estremità, ove son disposti nodi scorrevoli di crini di cavallo, moliemente fer- mati da una caviglia ch'è nel centro, e tesi per terra da un bastone curvato. Quando i talpa è mezzo passala attraverso que’ nodi , camminando ha smossa la caviglia dal dr il baston curvo si rialza per 1a sua elasticità , e la strozza ».

Agricola ne dice di aver veduti cappelli bel- lissimi e finissimi fatii di pelli di talpe; e il sig. Bewik assicura nella sua eccellente istoria de quadrupedi « che certo Burn cappellajo di

312 LA TALPA. Newcasile-sur-Tyne ba recentemente. scoperto un metodo, pel quale quelle pelli si fine per tanto tempo trascurate diverranno di grande importanza ed utilità. Perocchè incorporate con altre materie formano una stoffa d’ una bele lezza, e d'una fortezza tutta particolare, e se ne formano, tra l'altre cose, cappelli migliori di quanti finora se ne siano fabbricati. Per questa discoperta il sig. Burn ha ottenuto bre- vetto d’ invenzione ».

Esistono più specie di talpe, fra cui Îe principali sono quelle di Siberia di un color verde e dorato, e quindi cangiantissimo alla luce; quella di Virginia, ch è ali un color nero misto ad un purpureo cupo; e quella del Ca- nadà, il cui muso è guernito di muscoli car- nosi e sottilissini, che sembrano tante spine, e si allargano, e resiringono insieme, come il calice di un fiore.

L’ALT

È detto latinamente dai naturalisti Bradipo ignavo, e volgarmente il pigro. Le sue forme sono grossolanissime , Il suo corpo rotondo , le gambe anteriori corte, e le posteriori più lunghe. Ha piedi assai piccioli, ma armati d' unghie adunclie , onde può arrampicarsi per gli alberi, di cui mangia voracemente e

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ti Ai 313 frutti e foglie. Breve è la sua faccia e senza pelo ; ha gli occhi neri; piccioli e languidi; o tutto | aspetto suo è d' animal miserabile che soffra. Le setole irte della sominità del capo gli danno aria grotiesca. Nel resto del corpo , e principalme:-:.e sul dorso e sulle co- scie il suo pelo è lungo e folto e d'un bruno che tende al grigio.

La femina della sua specie, non dà, ad ogni parto, che un solo piccioletio, cui talora porta in ispalla.

Vi banno due varietà di bradipi ignavi pigri che vogliamo appellarii; e possono fa- cilmente distinguersi dal numero de' loro diti; l una avendone tre molto lunghi a ciascun piede; e l’altra due soltanto. Kircher ci ha dati ragguagli curiosissimi della prima, chia- mata propriamente aî, dietro i ragguagli d'un missionario gesuita dell America dio che ne possedeva qualche individuo... Secondo esso, adunque, siffatto animale è presso a poco della grossezza di un gatto, ha le sembianze assai brutte, e le grife che rassomigliano alle dita. Strisciasi camminando, e si muove len- tamente, che appena in quindici giorni per- correrebbe il tratto di una balestra, onde gli è venuto il cognome di pigro. Trovasi prin- «cipalmente sopra gli alberi, in cima dei quali non monia che in due giorni, ed altrettanti

314 HAL ne impiega a discenderne. La natura lo. ha doppiamente armato. contro i suoi nemici ; dandogli primieramente una tal forza ne piedi, che Liu: tenacissimamente colle sne grife a checchè si aggrappi, mai se ne dia. dovesse pur morire di fame; in secondo luogo facendo pietoso il guardar suo, che Lul fissa gli occhi in alcuno, che voglia nuocer- gli, mai non può essere che nol commova. Talvolia pure versa lagrime, onde chiunque il mira sente cadere ogni fierezza contro chi par debole e tormentato.

Il gesuita avea un giorno portato uno dei suoi bradipi al collegio di Cartagena, onde farne alcune sperienze. Gli mise adunque sotto i piedi una pertica lunga, cui esso più. non volie lasciare. Collocata, infatti, questa pertica orizzontalmente su due pilastri, l'animale vi si tenne volontariamente sospeso per quaranta giorni, senza mangiare, guardando ognor fisso le persone che gli eran d’intorno e non poicano che commiserare la sua condizione. Aifine fu posto in terra, e aizzatogli un cane adosso; ma lai lo prese fra le sue grife, e il tenne serrato lungo tempo, che ambidue morirono di fame.

Arrampicandosi ad un albero, quest animale stende lauguidamente una zampa e pianta le sue lunghe grife in quel più alto punto, a

L' af. 315 cui possono giugnere. Indi solleva pesantemente il suo corpo, e grado a grado si aggrappa anche colle grife dell altra zampa continuando così a salire con movimenti di un’ estrema lentezza. Quando ha presa possesso di un al- bero, più non lo abbandona, che non ne ab- bia prima divorate tutte le foglie ed i germo- gli. E vuolsi, che per non si dare la penosa faiica di scenderne, si lasci cadere a terra nel che, in grazia del suo duro cuojo e dei suo folto pelame, non vi ha per esso alcun pericolo.

I bradipi son più aitivi di notte, che di giorno. Mandano allora un grido lamentevole, che sembra percorrere salendo e scendendo sei note della zolfa. Woodes Rogers, riferisce che la prima volia che gli Spagnuoli sbarca- rono in America, e intesero questo suono straordinario s imaginarono essere fra un po- olo che avesse appresa la musica d' Europa.

Nello siato di captività , lai par che non possa rimanere un istante a terra; poichè sempre si aggrappa a qualche pertica o palo. Ove questo o quella gli si presenti, mentre giace al suolo, tosto l’afferra colle sue grife, sale alla cima, e vi rimane appeso, senza che mai si possa distaccarnelo.

316 IL PORCO SPINO.

Non ha che due piedi e mezzo, all’ incirca, di lunghezza dalla testa all'estremità della sua coda. Il suo corpo è coperto di spine assai dure ed'acute, varie delle quali sono di nove in quindici pollici. Si colorano esse alternati- vamente d'anelii bianchi e neri, e la più parte non si attengono alla pelle che per un filo o peduncolo sottilissimo, e cadono facilmente. L'animale, che n’ è fornito, le drizza o ab- bassa a suo grado, e quando cammina, le fa suonare le une contro le altre. La testa, il ventre e le gambe sue sono anch'esse coperte di spine ma d'un color bruno, a cui si fram- mischiano peli setolosi. Quelle della tesia ec- cedono le altre in lunghezza e si ricurvano al- l indietro.

Il porco spino stabilisce ordinariamente il suo soggiorno in sotterranei ridotti, ch’ esso divide in più scompartimenti, lasciandovi, a disegno , due aperture , l una per uscire rientrare, e l'altra, in caso di necessità, per fuggire. Dorme esso nel giorno, e all'avvicinar della notte si trae fuori dal suo nascondiglio , per andare in cerca di frutti, di radici, e di piante ortensi. Sebbene possa facilmente sopportar la fame per un tempo considera- bile e senza mostrar di sofirirne, mangia però

IL PORCO SPINO. 317 sempre con un appetito, che non è diverso dalla voracità.

Gran guasto fanno gli animali di questa specie ne’ giardini ali’ intorno del capo di Buona Speranza. Ma come passano sempre per la medesima apertura, gli abitanti hanno fre- quente occasione di assalirli e distruggerh. Quando ne veggono alcuna fatta in una siepe, collocano un archibugio in maniera, che Îa bocca della canna miri giusto al ventre d' al- cuno di siffatti animali, intanto’ che si divora una carota o un navone, a cui è legata una cordicella, che comunica coll’ acciarino del- l arme da fuoco.

Il porco spino non è già d' indole cattiva, mai è aggressore. E quando è inseguito S arrampica al primo albero, in cui si avviene, e vi rimane fino a chc il suo nemico si sian- chi di aspettario.

Nello stato di captività mangia pane O ra- dici nella mano di chi gliele porge, e si la- scia condurre al guinzagiio. Un porco spino , ch'era nel parco della Torre sofleriva che il custode lo pigliasse sotto il suo braccio. Per farlo, però, senza pericolo era questi obbli- gato di ripiegarne le spine, attraversandogli il braccio al corpo. Morì quel quadrupede nel 1802; ed è ora imbalsamato presso il custode medesimo.

318 IL PORCO SPINO. |

Ii fu sir Ashton Lever ne aveva uno, che lasciava giuocar sovente sopra l erba con un leopardo addomesticato ed un grosso cane di Terra Nuova. Tosto che questi animali erano liberi, il leopardo ed il cane si mettevano ad inseguire il porco spino, che cercava dapprima sottrarsi colla fuga; ma, non potendolo, cac- ciava la testa in qualche buco, grugnendo forte e rizzando i suoi dardi. Gli avversarii, che volean prenderlo , si pungevano il muso, si istizzivano, finivan coll entrar in lite fra loro, e davano così occasione al porco spina di mettersi in salvo.

Quest animale ;} quand’ è offeso o irritato, baite co’ piedi, e vien tutto gonfio a presen- tar le sue spine cui drizza o scuote. Ma la sua maniera più ordinaria di difendersi è di piegarsi da un lato, e «quando il nemico gli è molto vicino rialzarsi improvviso e pungerlo coll altro. Se incontra serpenti, con cui sem- pre è in guerra, si aggomiiola, nasconde piedi e testa, e si rotola contro di essi colle sue spine, fino a che abbia loro tolta la vita, senza alcun suo pericolo di rimaner ferito.

Sembra che i dardi del porco-spino abbiano una qualità velenosa; poichè il sig. Vaillant assicura che uno de’ suoi Otientoti, il quale ne fu piagato in una gamba, stette infermo più di sei mesi; ed un uomo del Capo per

IL PORCO SPINO. 319 Un caso simile corse rischio di perdere una tal parte del suo corpo; e sebben curato di- ligentissimamente dolorò per quattro Mesi , T uno de quali passò a leito.

Nella stagione di mutar le spine l’animale, che ne trae il nome, le scuote con tanta vio- lenza, che volano a più verghe di distanza e penetrano quanti corpi colpiscono. Questa cir- costanza può aver dato luogo alla supposizione che lanci i suoi dardi coniro il primo nemi- co, che incontra.

Il ‘professor Thumberg, nel suo secondo viaggio all’ isola Matura nell Oceano indiano, ci dice che i porci spini hanno una singolar maniera di andare a cercar acqua per la lor prole. Le punte o tubi della lor coda, dic egli, son vuoti e perforati all'estremità, e si pie- gano a grado degli animali che li portano e li riempiono d’acqua, scaricandoli in seguito nella lor tana in mezzo a' lor piccioletti.

Trovansi spesso nel loro stomaco dei bel- zuar, che si compongono di peli finissimi, formano una concrezione coi sughi gastrici , presentano strali disposti gli uni sopra gli al- tri, e sembrano consistere in più eerchii di differenti colori. Thumberg nella descrizione che fa di questi belzuar dice che hanno in zenerale la fovma d'un uovo ordinario , e si rotondano in fine; assicura però di averne

320 IL PORCO SPINO. veduto uno della grossezza d’ un novo d' cca, affatto rotondo e di bruno colore.

La 'femina del porco spino depone uno due figli ad un tempo, gli allatta per lo spa- zio, circa, di un mese, li difende contro ogni assalto col più grande coraggio, e si lascia piuttosto uccidere di quel che soffra che le si tolgano.

Dici che la carne de’ porci spini sia deli- calissima, e si presenti alle migliori tavole del capo di Buona Speranza. I loro dardi sono adoperati da selvaggi a diversi ornamenti, la cui eleganza gareggia con quella dell opere degli artisti più distinti. Perocchè li tingono in difierenti colori, li fendono in più parti i e se ne servono a ricamare 1 loro panieri, le lor cinture, i loro baltei, e più altri og- getti di bella comparsa.

I quadrupedì, di cui si parla, abitano l'In- dia, la Persia, la Falestina e Yisole dell’ O- ceano pacifico. Sono pur comunissimi in tutte le parti dell'Africa, e si trovano talvolta in Italia e nella Sicilia.

32% TL RICCIO.

Sembra, al primo aspetto, aver pienissima rassomiglianza col porco spino, ma quando si esamina attentamente, ritrovasi. fra ambidue una differenza estrema, così per la struttura de’ loro denti, che per la grandezza e le forme: delle loro spine. La lunghezza. del riccio varia. dai sei ai dieci pollici: ha la. testa e i fianchi. ricoperti di dardi, e il naso, la pancia e il ventre rivestiti. di un. pelo morbidissimo e finissimo. Le sue gambe sono quasi ignude;.e i suoi diti, non in minor numero di cinque per ciascun: piede lunghi e separati. La sua. coda, lunga un pollice all'incirca, è talmente ascosa fra le spine, che a. fatica si. distingue.

Abita questo quadrupede ordinariamente. fra. gli umili rovis e si nutre di fruita cadute,-di. radici, e di scarafaggi; ma pur molto appe- tisce la carne eotta. così. lessata- che arrostita. Esce d'ordinario- la notte, e tiensi occulto nel giorno entro il suo: nascondiglio.

Il sig. White dice che la. maniera: onde questo animale mangia la radice delia pian- lagsine è curiosissima. Perocchè col suo ‘albro superiore, molto. più lungo dell'altro, scava quell’ erba ,, e ne rode il piede, lasciando. in- tatto il resto delle foglie. Con ciò esso. rende un buon. servigio ,. distruggendo una. radice.

rea

(OXS)

Gabineso Fom. LL QI

3522 IL RICCIO. incomodissima; se non che i piccioli buchi rotondi, ch esso viene a fare, deteriorano non poco i sentieri de’ giardini.

Si è detto che se i ricci giugner possono ad entrare in un verziere, si arrampicano agli alberi, e ne discendono con pere, mele, prugne infisse nella punta de ior dardi; ma il sig. di Buffon assicura ch'è loro impossibile il Lilo ove accennammo. Così male a propo- sito si accusano di mugnere le pecore, e fe- rirne le poppe; dacchè la picciolezza della lor bocca rende tal cosa impraticabile.

Il riccio, dice il Piinio francese, sa di- fendersi senza combattere e ferire senza assa- dire. Non avendo che poca forza e nessuna agilità per fuggire, ha ricevuto dalla natura una spinosa armatura colla facilità di avvol- gersi in gomitolo, e presentar d' ogni lato armi difensive e pungetti, atte a respingere i nemici. Più questi il tormentano, più esso vestringesi e si fa irto. La paura istessa. il rende più gagliardo al difendersi. Rilascia la sua urina, la cui umidità e il cui odore spar- gendosi in tutto il suo corpo finisce di disgu- starli. Quindi la più parte de’ cani s’ accon- ientano di abbajargli adosso, ma si guardano dal toccarlo. Ve ne hanno però alcuni, i quali irovan mezzo, come la volpe, d’impadscunirsi di esso, pungendosi le zampe e insanguinandosi

IL RICCIO. 323 la_ bocca. Esso però non teme la faina, la martora, la puzzola, il furetto, la donnola, gli uccelli di preda ».

Può quest’ animale, fino a certo segno; es- sere addomesticato, e fu sovente introdotto nella dimora: dell'uomo, per cacciarne i grilli, inseiti importuni , di cui è persecutore acca= nito. Fra i Tartari calmucchi esso tien luogo di gatto; e ognuno ha inteso par rlare in Inghilterra di un riccio, appartenente già ad un locandiere di Northumberland, che correa per ia casa fa- migliarissimamente ; e facea sin le parti del cane volgendo lo spiedo dell’ arrosto.

Il sig. pi Buflon, per altro, ascrive a' ricci tali atti, che non sariansi dovuti aspettare dalla loro indole e dalle ioro abitudini. « Ne ho voluto , dic egli, allevare alcuni, al quale ef- fetto ho più volte fatta mettere la madre e i suoi piccioletti in un tino, con abbondanti provvisioni; ma in luogo di allattarli gli ha tutti divorati l'uno dopo l'altro. questo il facea già per bisogno di nutrimento , poichè mangiava carne cotta, pane, crusca e frutta, si sarebbe imaginato che un animale lento, pigro, a cui nulla mancava fuorchè ia libertà, fosse di cattive wmore e tanto sdegnato di ritrovarsi in prigione. Molta. ma- lizia altresì il riccio a vedere, e della spe- cie medesima che quella della scimmia. So d'uno

324 IL RICCIO. infatti, che introdoitosi una volta in cucina, e vedutavi una marmitta, ne trasse il bollito, e vi depose le sue immondezze ». Nell'inverno i ricci si ‘avvolgono in un nido di musco, d’erbe e di foglie disseccate, e vi passano dormendo i rigori della stagione. Essi stessi in tanto inviluppo rassomigliano un muc- chio d'aride frondi. Che se vengono di tolti e posti al fuoco, escono tosto dal loro stato di torpore.

Le loro femmine producono a ciascun parto ì tre e i cinque piccioleiti, che a principio son bianchi, e sulla cui pelle veggonsi appena spuntar le spine.

Oltre la specie de’ ricci, che qui abbiamo descritta, sei altre se. ne conoscono , di cui messuna appartiene all Europa. Il riccio della Gujana ha le sue spine più corte, più pic- ciole e più ritte. che quelli finor ricordati. È d’ un color pallidissimo, apparisce in esso esterior. segno di orecchi. Quelio della Siberia, invece , ha orecchie tunghe , ovali, ignude e erlate di bruno; le sue: narici sono distagliate, H riccio di Malaga si distingue perle sue lun, ghe spine e le sue orecchie pendenii. Quello, elie dicesi tendrac, è presso a poco della gros- sezza di un sorcio e coperto di picciole spine su tutto il corpo , eccetto il naso e il ventre guerniti d’ una specie di pelo fino di colore

IL RICCIO. 325 bianchiccio. Ii tanrec di Madagascar ha cinque liste longitudinali di nero e di bianco sul cor> po, le prime coperte di un pelo irto, e le altre di spine. Così il tanrec come il tendrae sono in generale grassissimi, e la lor carne, sebbene insipida, è mangiata dai selvaggi.

LA DONNOLA.

La linghezza di questo picciolo animale pieno di vivacità è di sette pollici dal muso all’ in- serzion della coda; e Î altezza sua non più di due pollici e mezzo. Il colore del suo dor- so, dei fianchi e delle gambe è un rosso bruno alquanto pallido; ma il ventre e il petto suo son bianchi. Osservasi al dissopra delle due parti, del muso di questo quadrupede una mac- chia bruna. Le sue orecchie son picciole e ro- tonde, e la sua bocca è guernita di mustac- chi, come quella del gatto. Quand' esso dor- me, i suoi muscoli sono pieghevoli e flosci, che si può prenderlo per la testa, e farlo o- sciliar come un pendolo cinque o sei volte, prima che si desi Stanzia principalmente en- tro buchi, sotto radici d'erbe, e in riva a ruscelli, Lu slanciasi sulla sua preda.

È di grande utilità pel fittajuolo, cui li- bera da sorci ed anche dalle talpe, che spesso giugne a disiruggere nelle loro soticrranee

326 DONNOLA abitazioni. È però, ad un tempo, il flagello del pollame, dei piccioni, dei conigli. e d’ altri animali della corte rustica. Si getta pure sul. l’ova avidissimamente, e comincia dal fare all’ una delle loro estremità un picciol foro , d'onde sugge il torlo , e lascia il chiaro; di- versamente dai ratii e da altri animali, che vi fanno un gran buco, se pur non li rom- pono , traendoli fuori del nido. Siffatta circo- stanza serve come di tesiimonio , che nel po- dere vi è qualche donnola.

Dicesi che l’ aspetto di questo picciolo ani- male spaventi il lepre siffattamente, che perde tutte le forze, e. gli si abbandona senza re- sistenza ;\mandando grida lamentevoli.

Le donnole sono così feroci e selvagge, che il sig. di Buffon riguardava siccome cosa im- possibile I addomesticarle. Molti esempii, non- dimeno , provano ch'è facile il renderle trat- tabili.

Madamigella Delaistre , in una lettera su tale argomento , riferisce particolarità piacevo- lissime intorno all educazione e a’ costumi di una donnola, di cui ella avea preso cura, che sovente mangiava in sua mano, e preferiva questa maniera di nutrirsi a qualunque altra.

« Il caso , ella dice, mi procurò una gio- vane donnola di picciola specie. Pregata da ta- luno. a cui facca pietà, e impietosita io stessa

DONNOLA. 327 dalla sua debolezza, non le niegai le mie sol- lecitudini. Nei due primi giorni la nutrii di latte caldo ; ma giudicando che le abbisognas- sero alimenti più sostanziosi, le presentai carne eruda , ch'essa mangiò con piacere. Indi sem- pre. si è cibata indiffcrentemente di bue, e di vitello, o di montone, e addomesticata a segno > che non vi è cane più familiare.

« Non ama punto le vettovaglie guaste; e neppur le stantie, ma sempre le vuol fresche. Mangia per veré dire con avidità e appar- tata; ma spesso anche in mia mano e sulle mie ginocchia, ove pare che si trovi assai bene. Gusta molto il latte: s'io gliei presento in un Vaso , essa vi si pone vicino e mi guarda; 10 allora ne verso a poco a poco nella mia mano, ove ne beve in buona quantità: ma se non le uso questa amorevolezza, appena suol assag- giarne. Quando è ben pinza va d'ordinario a dormire; i suoi pasti, però, soglion essere leg- gieri, le turbano i piaceri successivi.

« Il luogo ch'essa abita è la mia camera, dalla quale ho trovato modo di cacciare il cat- tivo cdore con dei profumi. Dorme durante il giorno in uno dei miei materassi, ove per una scucitura ha potuto introdursi. Alla notte poi io la metto in una gabbia, dove sempre entra con. rincrescimento, come ne esce con gioja, Se le si dona la libertà prima ch'io sia alzata,

328 LA DONNOLA.

«iopo mille gentilezze, che fa sul mio ‘let- ‘to, vi entra, e viene a dormire nella mia mano o sovra il mio seno. Ove poi io mi levi la prima, per una buona mezz’ ora mi fa ca- \rezze , giuoca co’ miei diti come .un cagnoli- no, mi salta sul capo, sul collo., si aggira intorno alle mie braccia e al mio corpo con una leggerezza ‘e una grazia, «che mai non ho veduto in alcun quadrupede. E s'io le presento le mie mani a più di tre’ piedi di distanza, vi salta dentro senza sbagliare giammai.

« Ha molta accortezza, singolarmente per giugnere a’ suoi fini, e sembra non voler fare ciò che le si proibisce , se non per impazien- tare: quando più non la guardate, cessa la sua mala volonià. Come non par che giuochi, se non per dar piacere, mai non giuoca sola; «e ad ogni salto che fa, ad ogni giro guarda se voi l osservate: ove non vi curiate di essa va a dormire. Se quando è più sepolta nel sonno, la risvegliate , si scuote allegramente , e scherza e tresca con tanta grazia, come non le aveste disturbato ‘il riposo. Non a veder mal umore che quando la vinchiudete; e lo esprime con piccioli grugniti differentissimi da quelli, che fa intendere nella sua gioja.

« In mezzo a venti persone questo picciolo animale distingue la mia voce, cerca di ve- dermi, e salta sopra quanti può, per venire

LA DONNOLA. 329 insine a me. I suoi giuochi meco sono più gai, ie sue carezze più amorevoli. Colle sue zampetie mi paipa il mento; e il garbo, e il tripudio , che meco «dimostra, dipingono il suo interno piacere. lo sono la sola, con cui usi tania domesticità; e mille altre. picciole pre- ferenze mi provano, che mi è realmente af- fezionata. Quando vede, ch'io mi vesto per uscire, non mi abbandona; ma poi che alfine me ne sone sbarazzata va a nascondersi in un picciol ‘mobile, che ho presso la porta; e quando ripasso mi salta adosso così desiramente , che spesso non me ne accorgo,

« Sembra tener molto dello scojattolo per la vivacità, la pieghevolezza, la voce, il lieve grugnito: Nelle notti d' estate gridava corren- do, ed era in continuo moto. Ma poi ch & cominciato a far freddo, più non l'ho udita. Talvolta nel giorno, quando è sereno, s' .ag- gira, si capovolge. grugnisce e corre sul mio letto per alcuni istanti. Dal gusto che prende a bere nella mia mano , ovio metto pochissi- mo latte per volta, cui essa sorbisce guccia a goccia, parrebbe che fosse dalla naiura disposta a ber la rugiada. Di rado, però, beve acqua, e solo in caso di gran bisogno, mancando il latte; ma allora non fa che rinfrescar la sua lingua una o due volte. Nei maggiori caldi si spelazzava molto ; ond io le preseniai acqua

330 LA DONNOLA. f in un tondo, eccitandola ad entrarvi, mai vi potei riuscire. Ma fattovi inzuppare un pan nolino ; e postogliciona io , essa vi si rotolò dentro con piacere infinito.

« Singolar distintivo di questo graziosissimo animale è la sua curiosità. Io non posso aprire un armadio, una scatola, o guardare una car- ta, che tosto non venga a guardarvi con me. Se insoientendo si sHontans od entra in alcuni luoghi, ov io non ho piacere di vederlo, pi- gliando una carta o un libro, e fissandovi gli ‘ecchi con attenzione; esso tosio mi corre i mano, e par che faccia quel ch'io fo con sua molta soddisfazione.

Spesso gioca, pure, con un gattuccio ed. un cagnuolo, ambidue già allevatelli, cinge loro il collo, prende loro le zampe, salta sul dorso, egli mai loro, essi a lui fanno alcun male. »

La miglior maniera di domare le donnole è di toccarle pianamente sul dorso, minacciar- le, ed anche batterle, quando cercan di mor- dere.

Esse vanno a salti, a balzi ineguali e al- l nopo s' innalzano parecchi piedi” da terra, strisciano O si arrampicano lungo i muri con tanta facilità, che non v è luogo, ove giun-. ger non possano. Il loro morso è fatale alla. loro. vittima , perocchè la prendono alla testa,

LA DONSNOLA. 394

e piantano i denti, ove la ferita non ha ri- medio. Questa è si picciola, che appena è vi- sibile; pur mai lepre coniglio o altro “animale fu fortunato, che non ne morisse.

Assicurasi che un' aquila avendo un giorno presa una donnola, e trasportatala neli' alto dell’ aria, ne fu in molto imbarazzo. Perocchè la bestiuola si sviluppò da suoi artigli tanto da poterle mordere il collo. Onde | aquila dolo- rando fu costretta scendere a terra, e qui la donno!a le fuggì.

Quest animaie par che abbia grande predi- lezione per tutte le sostanze putride. » Un paesano della mia campagna , dice il sig. di Buffon, prese un di tre donnole appena nate nel carcame di un lupo, sospeso ad un al- bero per le gambe di dietro, e già tutto im- putridito. La donnola madre, però, vi avea apportate erbe , paglie, e fronde, onde farvi un letto alla sua prole nella cavità del to- race. »

Le donnole son conosciutissime in Inghil- terra, e comuni a tutti 1 paesi temperati dEu- ropa. Di rado però si veggono nei climi set- tentrionali , ove il freddo è insopportabile. Il tempo. dei loro parti è in primavera; e questi parti sono ordinariamente di quattro o cinque piccioletti. La madre fa loro un letto di mu: sco , di foglie e d'erbaggi, e quando teme

Z8ao LA DONNOLA: per la loro. sicurezza; Si porta di luego in luogo nelia sua bocca, finchè abbia trovato loro un asilo più tranquillo.

L'ICTI O IL BOCAMELE.

È della specie delle donnole, si nutre, di mele, ha circa due piedi di lunghezza dalla punta del muso alla coda, il dorso d'un cole grigio di cenere , i fianchi segnati d'una lista del color medesimo, il ventre nero, le gambe corte ; le grife proprie a scavar il terreno per farsi le iane., ed è di un. odor fetidissimo, onde fu anche nominato tasso puzzolente.

L'icti sembra essere dalla natura formato, per far la guerra alle api. S'introduce esso ostilmente nelle loro Nera: , come gliene dia pienissimo diritto | abilità somma che ha nel discoprirle, e sforzarne, all'uopo, i irinciera- menti. Vuolsi che in sul cader del sole si. dia esso ad inseguirle, onde si mette in sentinella seduto in sull'anche , e tiensi una zampa agli occhi, per temperare lo splendor dei raggi del gran pianeta. Se vede volare alcune api; persuaso che si avviano alie loro dimore, tien loro. dietro. sollecitamente, più si disvia dal lor cammino. Così ha Y accortezza di prendere a guida un picciolo augello, che trasvola ‘lento

L ICTI O IL BOCAMELE; 333 lento- e modulando arie melodiose, e il conduce ove } api hanno posto i loro alveari.

Quanto a sciami , che albergan nei tronchi degli alberi, possono dirsi in preda a questo animale. E come nei primi trasporti di. sua rabbia, pianta furioso il dente in quei trore chi, un tal segno, e le traccie, ehe lascia dopo di sè, additano agli abitanti del pacse ove possono trovare il Guele!

La pelle di questo quadrupede è così grossa e dura che riesce quasi impossibile il torlo di vita, senza dargli gran numero di colpi sul naso. Perciò gli Ottentoti gli sparan contro archibugi, o gli ficcano un coltello. nel corpo. Le sue gambe son corte, gli permettono di sfuggire ai cani, che l' inseguono; ma-ben si toglie qualche. volta alle lor zampe, mor- dendoli. e graffiandoli in modo crudele. D’ al- tra parte la sua pelle. è si poco tesa e- flo- scia ; che non teme i lor denti; peroechè la parte della pelle. medesima ,. che questi pren, dono, facilmenie si distacca dalla carne. Ed ove sia abbrancato al collo, ed anche molto presso alla testa, si volge, se così posso espri- mermi, entro la. propria. pelle, e morde il brac- cio che il fa captivo.

Accertasi che le mute di. cani, che valgon insieme a mettere in pezzi un lione di media forza, son più volte obbligate ad abbandonare

334 © L'ICTI O-IL BOCAMELE. il bocamele , il qual non è morto che in ap- parenza. Ed è possibile che la natura, che sembra averlo destinato alla distruzione delle api, gli abbia conceduta pelle più dura che a tutte le altre specie di donnole, onde fosse difeso delle punture di quegli insetti.

Questo quadrupede abiia } Affrica, esi trova particolarmente al Capo di Buona Speranza.

IL. /Z4BEIT:DO;

Ha poco più di due piedi di lunghezza, non compresa la coda, che ne avrà uno al- l incirca. Il suo pelo è sul dorso così rozzo ed ispido , che forma una specie di criniera. Il color suo è un fulvo con macchie brunic- cie. Da ciascuno degli orecchi poi si partono tre nere liste, le dual vengono a terminare sul petto e sulle spalle.

Il zibetto si nutre di piccioli animali, par- ticolarmente d' uccelli , che piglia per sorpre- sa, e quando può introdursi furtivamente nella corte di una cascina, Vi grandissimo guasto al pollame. E naturalmente vorace; pur tal- volta si rotola per uno o due minuti sul suo

nutrimento prima di pascersene.

Uno di questi quadrupedi , che il sig. Bar- bot avea alla Guadaiuppa, fu un giorno la- sciato, per negligenza del domestico, senza

| nulla da man

|

IL ZIBETTO. 35.0 giare. All indomani mattina Va- nimale. spezzò coi denti i ferri della sua. stia, entrò nella camera ove il sig. Barbot era a scrivere; e, dopo aver portati quà e i suoi sguardi, un salto di cinque o sei piedi, e preso un pappagallo che stavasi appollajato sovra un pezzo di legno, gli spiccò la testa e si mise a divorario.

Il profumo che appelliamo zibeito , si pro- duce da quest animale, di cui porta il nome; ed è una secrezione, che formasi in un dop- pio serbatojo inguinale, situato poco sotto la coda, e dal quadrupede vuotato spontanea- mente.

Gran numero di simili animali, scrive Buffon, si nutre in Olanda, ove si fa com- mercio. del loro profumo. Per raccoglierlo, gli

abitanti del paese pongoro ciascuno di que-

gli animali in una stretta gabbia, ove non può

volgersi. Indi aprono la gabbia medesima al-

l'estremità, tirano l'animale per la ceda, e il costringono a stare così, mettendo un ba- stone attraverso ai ferri, onde gli impediscono le gambe di dietro. Fanno poscia entrare un picciolo cucchiajo nel sacco , il qual contiene il profumo, cui raccolgono diligentemente, raschiando intorno alle pareti del sacco mede- simo, e il pongono entro wn vaso, che chiu- dono con gran cura. Questa operazione si

% 336 IL ZIBETTO:

ripete due-o tre volte per settimana; e la quane tità dell'umore odorifero dipende molto dalla qualità del cibo e dell appetito dell’ animale , solito darne più copiosamente, a misura ch' è meglio e più delicatamente nudrito. Carne cruda e tagliuzzata., ova, riso, animaieiti, augelli, teneri polli, ed in ispecie pesci son le vivande ch'è uopo offerirgli, variandole 11° modo di mantenere la sua- sanità., stuzzieando il suo. gusto.

| « E odore del profumo, di cui parliamo, è forte, che si comunica a tutte le parti del suo corpo, Il pelo n'è imbevuto e la pelle a segno penetrata, che vi si conserva. a fungo anche dopo morte; e mentre vive è im-. possibile sostenerlo, ove si. stia. chiusi coll’ a- mimale- in un medesimo luogo. Scaldandolo - o irritandolo, l’odor si esala ancor davvantaggio; e tormentandolo poi sino a- farlo sudare; se ne raccoglie questa traspirazione, clie anch' essa è profumata, e serve a falsificare. il vero pro- fumo, o almeno ad: aumentarne il volume.

- Gli abitanti di Dorfan. usano di un singolar mezzo , onde aumentare il prodotio del zibetto. Perocehè pongono nel sacco picciola quantità di burro o di grasso; indi scuciono. violente- mente l animale, o anche l ivritan battendolo. Cuesto aceelera a meraviglia la secrezione;. e il-burro o. il grasso dei sacco s impregna.di

IL ZIBETTO. 337 tanto profumo, che appena distingue da - esso, e le femmine se ne servono pei loro capegli.

Quantunque naturalmente feroce, il zibetto può addomesticarsi e divenir famigliare. Dorme esso aggomitolato, né, durante il sonno, o sia

giorno o sia notie, mai non cangia posizione,

LA MARTORA.

È la più bella fra tutta la razza delle don- nole. Ha circa diciotto pollici di lunghezza non contando la coda, la qual d' ordinario è di dieci essa sola. La sua testa è picciola e di forma elegante; le orecchie son larghe, ro- tonde ed aperte, gli occhi singolarmente vi- vaci. Foltissimo pelo d’ un color bruno carico ricopre il suo corpo. Il color della testa, in- vece è un bruno rossigno ; e quello del petio e della pancia è bianco. Sul ventre il suo pelo è ancor più ricco e più scuro che non sul dorso. L’ unghie sue sono acute, e proprie a facilitarle il mezzo di arrampicarsi.

La martora vive nei boschi, ed ha il suo ordinario domicilio nei cavi degli alberi, a tal altezza però e in tal guisa, che può tenervisi pienamente sicura. Preferisce in generale, quasi a risparmio di prime fatiche , il nido di uno scojattolo , cui poscia dilata, e guernisce di

Gabinetto Tom. L 22

339 LA MARTORA. sostanze morbide e leggieri, su cui depone i suoi piccioletti. E poco sarebbe quell’ atto di usurpazione, se anche non uccidesse l’ingegnoso architetto.

ti coraggio della martora è tanto, che assale animali assai più forti e più grossi ch' ella non sia, fino lepri e montoni; ed,’ ove necessità la costringe, anche i gatti selvaggi, che sem- pre ne La la peggio, se pure nel combat- timento non perdono la vita. Malgrado però gran fierezza non sembra impossibile il man- suefarla; poichè Gesner ne dice d' averne ad- domesticata una, la qual riusciva molto gra» ziosa e molto piacevole. Molto si era affezionata ad un cane cor cui si allevò, e con esso giuocava non diversamenie da un gatto , co- ricandosi in ischiena, e fingendo volerlo mor- dere. Visitava le case del vicinato, e tornava regolarmente alla sua, quando sentiva boo di mangiare.

La alba ha un odor di muschio, che a molti diletta, ed è affatto immune da quelle fetide emanazioni, che tanto disgustano negli altri animali della sua specie. Il suo grido è lento e penetrante; ma nol fa intendere, che quando prova dolore, o trovasi in estremo pericolo. Il suo nutrimento ordinario si com- pone principalmenie di ratti, di sorci, e d'altri piccioli quadrupedì , non meno che di pollame

LA MARTORA. 339

di selvaggiume. Del mele poi è singolarmenie golosa.

La femmina di questa specie produce ire 0 quattro figli ad un parto, e gli alimenta d’uova e di vivi augellini, ES così di buon ora alla strage e alla depredazione. Appena sono essi in istato di lasciare il nido, che li mena al bosco, ove proveggono da medesimi alla lor sussistenza.

Si va nel settenirione a caccia delle marto- re, per averne le pelliccie, che sono di gran pregio, e forman quindi un oggetto di com- mercio assai riguardevole.

IL ZIBELLINO

La lunghezza di questo animaletto agile e petulante è di circa dicioito pollici. La sua te- sta è sottile, e il suo pelame d'un bruno carico lucentissimo , e sempre morbido, co- munque si prema, a differenza di quello di tutti gli altri animali. che preso a rovescio fa sentire qualche asprezza per la sua resistenza.

Il zibellino frequenta le rive de fiumi, e i luoghi più ombrosi delle foreste; e fa d' or- dinario il suo mido sotterra, o nel cavo de- gli alberi. In estate si nuire di carne d'uc- celli, di scojattoli e di lepri; ma in inverno è ridotto a rosicchiare il legno di differenti

340 IL ZIBELLINO. arbusti. La femina della sua specie partorisce 1 primav era dai tre ai a piccioletti per volia.

I nativi del Kamtschatka usan d'un metodo semplicissimo, onde prendere l’animale, di cui si tratta. I seguono eglino con certe loro scarpe a rete sinché abbian discoper ta la sua tana. Esso scorgendoli si nasconde in qualclie iron- con d albero, che i cacciatori circondan tosto di una ragna, se. pur nol troncano. ‘Talvolta forzano il zibellino con fuoco e con fumo a lasciare il suo asilo; c prima gli pongono guardia di cani a ciò ammaestrati ; 0 appre- stano una corda con nodo a ricorsojo, in cui viene a dar di capo, o piantano trappole ; in ogni caso il povero animaletto diviene fa- citmente loro preda. La stagione di dargli cac- cia è dal novembre sino al febbrajo.

Le pelli de zibellini son pregiatissime sopra quelle di tutti gli altri animali, perocchè a!- cune si vendono fin dieci e quindici sterlini. 1 loro ventricoli, che saran lunghi due diti ciascuno, si vendono in pacchetti, a quaranta per volta; le code al cento. |

Sappiamo d' alcuri zibellini passati im certo modo allo stato di domesticità. Ul sig. Gonélin ne ha veduti due, che, quando scorgevano un cane , si alzavano sulle lor zampe di dietro, onde prepararsi al combattimento.

IL ZIBELLINO. 34i

Nella notie sono inquietissimi ed attivissimi. Di giorno , all'inconiro, e soprattutto dopo aver mangiato , dormono per una mezz ora, nel qual tempo si possono prendere e scuotere senza che si risveglino.

Trovansi questi animali nel settentrione del- ? America, nella Siberia, nel Kamstchatka e nella Russia asiatica.

L'ICNEUMONE.

È ordinariamente della grossezza di un gat- to, ma un po più lungo di corpo e più corto di gambe. I suoi occhi son rossi e scintillanti; le crecchie quasi ignude e rotonde; il naso anch’ esso rotondo e assai picciolo; la coda grossa assai alla sua base, donde via via si sminuisce fino all esiremità. Il color suo è un rossiccio pallido, che riesce grigio; poichè cia- scun pelo è spruzzato di bruno. Ha voce esile e dolce, che somiglia un mormorio, si fa aspra, che quando è battuto o irritato.

Era esso una delle divinità dell’antico Egit- to; dal moderno ancor si riguarda come il più utile e il più prezioso fra gli animali,

cichè si mostra nemico implacabile de’ serpi, e d'altri rettili venefici, che infestano la zona torrida. Assale intrepidoi più terribili, e vuolsi che morsicato da loro abbia ricorso ad una

342 L'ICNEUMONE. pianta, che gli serve d'antidoto al lor veleno; dopo di che torna al combattimento , e quasi sempre ne esce vittorioso. È migliore del gat to, onde purgar la casa da’ ratti e da’ sorci, grandissime disiruttere d’ uova di colli cui va a dissotterar dalie arene.

Fouché d’ Obsonville avea allevato nell’ In- dia un icneumone o mangouste che voglia ehiamarsi , nutrendolo a principio di latie, poichè era tenero che appena apriva gli occhi; indi con carne cotta mescolata con riso. Castrato all’ età di quattro mesi divenne più familiare di un gatto, obbediva alla voce del padrone , e il seguiva alla campagna. Gli si apportò un giorno un serpentello d’ acqua ancor vivo. Il primo suo moto al vederlo fu di meraviglia mista a corruccio, onde tutti si rizzarono i suoi peli. Ma un istante appresso, insinuandosi destramente dietro il rettile, gli saltò d’ un tratto alla testa con singolare pre- stezza, gliela prese, gliela franse co’ denti. Questo primo saggio di medesimo, destò in lui il gusto della carnificina, ch' è innato nella sua specie. Fino allora avea vissuto in una corte rustica frammezzo a’ polli, senza dar loro molestia. Ma un gli scannò quasi tutti, mangiandone, è vero assai poco, ma succiando il sangue di parecchi.

Quest animale si trova nella Barberia , al

L'ICNEUMONE. 345 Capo di Buona Sperauza e in Egitto, ove fre=

. »- . - . MT quenta le rive de’ fiumi; e quando il Nilo straripa, si rifugia in terreni alti e disabitati, ove cercar la sua preda. Assicurasi che quando nuota, s attuffi alternativamente ne fiumi come la lontra; e rimanga sott'acqua DI un tempo considerabile.

Trovasi ora (1806) un inclini nel parco d' Exeter-Change, ove fu condotto, già son due anni, al sig. Pidcok dal gran Cairo. li suo cusiode mi disse che non si nutriva he di fr lie di polli b d coe di Ivaltague di poll, e ne Dasiavano due o ire oncie per sua pietanza giornaliera.

CAPITOLO VII.

Questi sottili e negri animaletti Scojattoli chiamati, Perchè si trae da lor molti diletti, Per voi gli abbiam portati, et e SINO

Questi animal sono a scherzar molto alti Con gentilezza umana; E benché sian di selve e boschi tratti, Non son cosa villana.

CANTI CARNASCIALESCHI.

LO SCOJATTOLO.

()crsro animaletto si fa ammirare per Lele- panza delle sue forme e la sua vivacità. Sebben naturalmente selvaggio, è facile addimesticarlo, e malgrado la sua estrema timidezza, in breve divien familiare. Ecco di qual guisa. ne parla il sig. di Buffon. i da

& ud cibi ordinarii son frutta, mantorle, mociuole , farina e ghiande. “Esso è pulito, le- sto, Vivace, pronto, accortissimo;: industrioso al maggior segno. Ha gli occhi pieni di fuo-

55 co, le fisonomia furbetta, il corpo nervoso,

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LO .SCOJATTOLO. 345

È): membra assai ben disposte. Alla sua graziosa figura aggiugne nuovo ornamento un’ assal bella coda in forma di pennacchio, ch’ esso alza fino al dissopra della sua testa, e sotto cui si pone all’ ombra. Esso è, per così dire, “meno quadrupede degli altri animali a quattro gambe. Si tiene ordinariamente assiso , anzi quasi diritto, ed usa de’ piedi anteriori, come si farebbe delle mani, per recarsi le cose alla bocca. In luogo di nascondersi sotterra è sem-

re in aria; tien quasi della natura degli au- gelli per la sua leggerezza ; dimora com’ essi, in cima agli alberi; saltando d' uno in altro 6 le foreste; fa in essi il suo nido, ne ‘coglie i grani, vi beve la rugiada , enon ud Va ara. che quando sono agitati dalla violenza ‘de venti. Teme l'acqua più di tutto, e assi- ‘curasi che, quando gli è uopo passarla, servesi d una scorza per vascello, e della. sua coda per vela e per timone. Non istupidisce già come il ghiro, nell’ inverno, ma in ogni sta- gione è svegliatissimo, e per poco che si toc- chi il piè dell’ albero, su cui riposa, esce dal suo covo; fugge sovr altra pianta, o si ripara sotto qualche ramo. In estate raccoglie nociuo- le, ne empie i tronchi e le fenditure di qual- che ceppo antico, e ne’ rigidi giorni ha poi ricorso a queste provvisioni, cercandole anche sotto la neve, cui distrae raspando.

346 LO SCOJATTOLO.

Sentonsi gli scojattoli neile beile notii d'estate gridar correndo sugli alberi, gli uni dietro gli altri. Par ch' essi .temano l'ardor del sole, onde si stanno il giorno al coperto en- tro il lor domicilio, da cui poi escono la sera per muoversi, giuocare , far l’ amore e man- giare. Quel domicilio è assai pulito, caldo, impenetrabile alla pioggia. /Si collocano essi d' ordinario nell inforcatura ‘di un albero, e cominciano dal trasportarvi ramuscelli, cui me- scolan con musco. Indi calcan questa mesco-. lanza, empiono i vacui, danno capacità e fer- mezza alla fabbrica loro, onde trovarvisi con agio e sicuri insieme a' lor piccioletti. Non vi lasciano che un'apertura verso l'alto, propor- zionala, ma stretta e che appena basta a pas- sarvi. AI dissopra deil apertura è una specie di coperto fatto a cono, che difende il iutto, e fa che la pioggia scorra pe lati, senza pe- netrare. La stagione degli amori per gli sco- | jattoli è la primavera; e alla fine di maggio poi o al principio di giugno vengon in luce i lor piccioleiti, che d ordinario son ire 0

uattro ».

Pare che lo scojattolo sempre stia in ascolto o in agguato. Assicurasi che sol che si tocchi il piè dell’albero ove posa, non sol lo abban- doni saltando sopra di un altro, come dice il celebre naiuralista pur or citato, ma percorra

LO SCOJATTOLO. 347 grande estensione delia sua foresta, fino a che si creda affatto fuor di periglio. Aliontanatosi di questa maniera , per alcune ore a distanza considerabile, quando il suo timore è cessato, ritorna al proprio nido, per vie impraticabili a tutt'altro quadrupede. In generale salta esso di ramo in ramo, varcando grandi intervalii , e se talvolta è costretto scender da un albero, si arrampica al più prossimo e il fa con pro- digiosa facilità.

Ne” paesi settentrionali lo scojattolo cangia colore all’ avvicinar dell'inverno, e diviene affatto grigio. E a notarsi che tal cangiamento colà si effettua, anche quando | animale è te- nuto in luoghi riscaldati dalle stufe» Si trova esso quasi dovunque, ma è più frequente che per tutto altrove nelle conirade del Nord me paesi temperati.

LO SCOJATTOLO GRIGIO

E, all’incirca, della grossezza del coniglio , e molto rassomiglia per la forma e per le ma- niere, allo scojattolo ordinario. Il suo pelo è grigio, con qualche mistura. di nero; ma ciascun fianco è segnato d'una rossa lista, che si stende per tutta la sua lunghezza.

Gli animali di questa specie cangiano spesso dimora durante tutto l'inverno; e spesso non

348 10 SCOTATTOLO GRIGIO. ne compare un solo in que luoghi ove nell'anno antecedente ne erano migliaja. Nelle lor migra- zioni d'uno in altro paese trovansi talvolta obbli- gati a traversar un lago od una riviera; e quando il tempo è sereno lo fanno con piera sicu- rezza. Ma se il vento è forte, e s alzano l’ onde, ne periscono talora tre o quattro mila in una volta. i

Questi scojattoli, dice il sig. di Buffon, cagionano gran guasto nell’ America settentrio- nale, e sopratutto fra le piantagioni di maîs. Montano essi sopra le -spiche, e le troncano in due per mangiarne il midollo; e siccome gettansi talvolta in un campo a centinaja, ba- sta una notte perchè il distruggano ».

Nello stato di Maryland ciascun degli abi- tanti, e non sono molti anni, era obbligato ad apportare ogni anno quattro scojattoli, le cui îieste, a scanso d'ogni specie di frode, venivano deposte in mano dell'ispettor generale del paese. In altre provincie chiunque uccidesse uno di tali quadrupedi, ne ricevea certa moneta dal pubblico tesoro.

La sola Pensilvania pagò dal gennajo 1749 al gennajo 1750 una somma di otto mila lire ster- line in ricompense date per la loro distruzione.

Fanno essi ordinariamente i lor nidi in tronchi d' alberi con paglia, musco ed altre sostanze leggiere, e si nutron di ghiande, di pignuoli,

LO SCOJATTOLO GRIGIO. 349

di maîs e d'altre specie di frutti, che depon- gono entro buchi sotto le radici delle querce e in altri luoghi. Difficilissimo è I ucciderli , poichè cangiano prontamente di posto sugli alberi, che eludono i colpi d' archibugio del | più destro cacciatore. Vi ha chi ne mangia la carne, e la ritrova molto delicata. Le loro pelli servono in America a far scarpe per le si- gnore, e si portano talvolta in Inghilterra, ove si usano per fodere e rovesci di manti.

LO SCOJATTOLO VOLANTE.

Quest animale si distingue particolarmente per una membrana vellosa, che stendesi quasi tutt intorno al suo corpo, e lo ajuta a saltare da un albero all’altro, talvolta alla distanza di venii o trenta verghe. La sua testa è pic- cola e rotonda, il suo labbro superiore bifido o fesso; i suoi occhi sono sporgenti e neri; le sue srecchie piccole e nude ; ia parte più alta dei suo collo d'un color bruno cenerognolo, e il venire di un color bianco misto di fulvo.

Gli scojattoli volanti sempre si riuniscono a bande. Se ne vedono parecchi sopra di un solo albero, che mai non abbandonano volon- tariamente per correre ad un altro; e si ten- gon costanti sul ramo istesso, ove dapprima si posero. Dormon nel giorno, e all’ avvicinar

350 LO SCOJATTOLO VOLANTE. della notte si fan vivissimi e petulantissimi. Saltando a distanze considerabili allargan le loro gambe di dietro ed estendono la loro membrana laterale, la qual fa che presentando all'aria maggior superficie riescono più leggieri. Malgrado questo sostegno sempre han bisogno dei rami inferiori dell’ albero su cui saltano , atteso che il loro peso toglie ad essi di man- tenersi in una linea orizzontale. Istrutti quindi di quest’effetto della gravitazione del loro corpo gran cura si danno di salir molto alto ne!- Y albero, su cui si trovano, onde preservarsi dal cadere a terra saltando. Le loro membrane, quando sono distese, agiscono sull’ aria presso a poco dell istessa maniera che il cervo vo- lante, e non a colpi ripetuti, come le ale d' un uccello. E poi che sentonsi naturalmente più pesanti che il fluido atmosferico, sono dalla necessità costretti a discendere. La distanza, quin- di, a cui possono saltare, dipende interamente dall’ altezza dell’ albero, su cui si tengono.

Catesby ne dice come la prima volta ch' ei vide una torma di questi quadrupedi, imaginò che fossero foglie d’alberi trasportate dal vento; dal qual inganno lo trasse ben tosto I osser- varne in gran numero che seguivansi gli uni gli altri nella stessa direzione.

La femina di questa specie, di cui favellia- mo; produce due o quattro piccioletti, cui

SCOIATTOLO VOLANTE. 3DI nutre colla più gran tenerezza e li ripara dal freddo coprendoli colle sue membrane volanti.

Facilissimo è il nostro scojattolo ad essere addomesticato. Ama esso il calore, e si caccia vo= lentieri nella manica o nella saccoccia del suo padrone. Se questi il depone a terra, l ani- maletto segno di molto dispiacere, e tosto risale per accovigliarsi fra gli abiti di lui. Si nutre degli stessi alimenti, e si purga del lor soverchio alla guisa stessa dell’altre qualità di scojattoli, de’ quali già dicemmo.

Trovasi in tutte le regioni settentrionali e dell’ antico e del nuovo continente, ma più ancora in America che in Europa.

IL GERBO

È un po più picciolo che il ratto, ed he molta rassomiglianza col coniglio. Parmi singo- larmente osservabile, perla conformazione delle sue gambe: poichè le anteriori non hanno che un pollice di altezza, e gli servon di mani, onde recarsi il cibo alla bocca, e le posteriori son lunghe, ignude, e come quelle di un uc- cello, non avendo ciascuna che tre diti. La sua coda è molto più lunga che il suo cor- po, e termina in un bel fiocco e assai grande. I suo pelo è lungo e setoloso, d'un color

352 IL GERBO: rossigno nelle parti superiori del corpo s bianco sotto il ventre.

Trovasi il gerbo nell’ Egitto, in Barberia, nella Palestina e ne’ deserti orientali della Si- beria. E suo costume di scavarsi la tana in terreni duri ed argillosi, il che fa con pre- stezza grandissima, non solo adoperando i piè dinnanzi, ma anche i denti, mentre co’ piedi posteriori getta la terra scavata, e ne forma quasi trincea all ingresso. Simili tane hanno più braccia di lunghezza, sono serpeggianti , poco più profonde sd due piedi sotto la su- perficie del suolo, e finiscono in un gran spazio c nido, ove l’ animale depone erbe elette. Da questo nido, con mirabile sagacia, si forma esso un secondo passaggio pei casi di necessità onde potersi, con facile apertura , sfuggire sicura- mente.

Le arene e le materie che circondano la moderna Alessandria, dice il sig. Sonnini, sono frequentatissime dai gerbi, i quali vi soglion vivere a truppe, e si fanno tane, cui scavano con unghie e con denti. Mi si è pure assicu- rato ché trapassino la pietra non dura, la qual si trova sotto lo strato di sabbia. Senz' essere precisamente feroci, sono inquietissimi ; e il minimo strepito, il minimo oggetto nuovo li fa ritirare ne’ loro cavi pei i Non si può ucciderli che sorprendendoli. Gli Arabi

IL GERBO. 353

sanno pigliarli vivi, turando le uscite delle d'- verse gallerie de’ loro nascondigli, eccetto una per cui li forzano a sortire. Io. mai non ho mangiato della lot carne, che so non aver lode di troppo buona vivanda; pure il popolo d’ Egitto non l'ha a schifo. La loro pelic, che è coperta di un vello morbido e lucente, si adopera in usi ordinarii.

« Ho nudrito per qualche tempo in Egitto sei di questi animali in una gran gabbia di fil di ferro. Nella prima notte essi ne minuz- zarono interamente i regoli e i traversi di legno, onde fui costretto di far guernire l' interno di latta. Mangiavano frumento, riso, noci ed ogni sorta di frutti; molto godevano del sole; e tosto ch’ erano messi all’ ombra, stringevansi gli uni contro gli altri, e parean soffrire della privazion del calore.

E stato detto che i gerbi dormono di giorno; e di notte giammai. Per me ho veduto tutto il contrario: nello stato di libertà s' incontrano in piena luce d’intorno alle lor abitazioni sotterranee; e quelli, ch io ho nutriti, non erano mai più vivi o risveglia, che quando trovavano esposti alla ferza,del sole. Sebbene siano molto agili ne lor movimenti, par non- dimeno che la dolcezza e la tranquiliità for- mino il lor carattere. I miei si lasciavano toccar facilmente ; non v'era mai tra essi

Gabinetto Tom. I 23

35, 4 iL G ERDO.

strepito. litigi, neppure irattandosi del nt-: trimento. Del resto non mostravano gioja, timore, riconoscenza. La loro dolcezza non era punto amabile; e parea piuttosio P ef- fetto di una fredda indifferenza, che accostavasi alla stupidità. Tre di questi gerbi perirono: successivamente prima della mia partenza da Alessandria; due altri ne perdettt in un tra- verso un po’ disastroso fino all'isola di Rodi, ove uno, per negligenza di chi lo avea in cu- stodia, uscì dalla sua gabbia e disparve. Lo feci ricercare con gran sollecitudine , quando il vascello si scarico, ma indarno ; chè certa- tamente era staio divorato dai gatti.

« Î piccioli animali di cui parliamo , sem- brano difficili a conservarsi in cattività,- e ancor più a trasportarsi ne nostri climi. Del resto è bene l'avvertir quelli, che il tentassero, delle cautele necessarie a quest’ uopo, e sono le stesse che si usano cogli agouti, ed altri quadrupedi roditori dell’ America ; chiudendo-. gli in gabbie o dogli, onde non possano uscire. Portndoli la lor natura a iuîtto divo- rare, cagionerebbero nel corso del viaggio danni considerabili; se forse, rosicchiando essi’ il legno più duro, non mettessero la nave in pericolo.

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IL LEPRE.

Timido animale e senza malizia, il quale trovasi in intie le parti settentrionali del glo- bo, ed è generalmente conosciuto, che possiam dispensarci dall’ offerirne qui particolar descrizione. È però bene l' osservare, come, poichè si trova sprovveduto di mezzi di di- fesa, la natura gli ha dato altri sussidi, onde sottrarsi a’ pericoli, e forme convenienti al suo genere di vita. Però la grandezza ed acutezza de’ suoi occhi lo pongono in istato di guardar gli oggetti da ogni parte; le sue orecchie lunghe e tubulose possono moversi per ogni guisa con molta facilità e raccogliere i suoni più lontani; e la forza mus sculare delle sue gambe posteriori gli dona di poier sopravan- zare tutilt 1 SUO! NEMICI,

Il color del suo corpo non dissimile da quello delle stoppie e di un terreno col- tivato contribuisce anch’ esso evidentemente alla. sua sicurezza. Assicurasi che nelle contrade settentrionali diventa candidissimo, allorchè le nevi cominciano a cadere}; la qual singolarità, È cagione che possa, in qualche modo, illu- dere i cacciatori che il perseguono. Si sono veduti lepri bianchi nel mezzogiorno dell’ In- ghilterra, e pretendesi, che nel 1797 siasene

356 IL. LEPRE. ucciso uno nella contea di Shrop, il qual pe- sava nove libre.

La femina ha meno forza e agilità che il maschio, e in conseguenza è più timida: ma dicesi che sappia moltiplicar d' avvantaggio gli accorgimenti e le industrie.

Come i lepri si tengono il più spesso in rasa campagna , i loro piedi sono guerniti di pelo e al dissopra e al dissotto. Alla sera ; quando splende la luna, è un piacere il ve- derli a correre, giuocare, folleggiare insieme, e inseguirsi gli uni gli altri. Ma facilmente prendono sospetto , e al minimo strepito fug- gono da diverse parti. Il loro passo è una specie di galoppo o una rapida successione di salti.

In generale prendono essi il loro cibo dopo il tramonto del sole, e di giorno dormono nella lor tana, cui d'inverno scelgono per istinto ai raggi del sole, onde raccogliervi tutto il calor possibile della stagione. D' estate poi, per un motivo contrario, si trasferiscono a tramontana; ma in ambedue i casi cercano sempre tal luogo, ove gli oggetti circostanti conforminsi pei colore al loro pelo.

I lepri variano considerabilmente di gros- sezza e di peso. Vuolsi che i più piccoli abi- tino l'isola d Hai, e i più grossi quelia di Man. Il sig. di Bufion assicura, che più i

IL LEPRE. pai paesi , ove si trovano , son freddi; più sono essi membruti e pesanti. La loro estrema ti- midezza , e il perpetuo timor de’ pericoli im- pedisce loro d' ingrassare; ma nello stato di domesticità avviene altrimenti. « Si nutrono essi principalmente, dice il Plinio francese, d' erbe, di radici, di foglie, di frutti, di grani, e preferiscon le piante il cui suco è lattiginoso. D'inverno rodono anche le scorze degli alberi, avvi che l'alno e il tiglio, che lascino intatti. » i |

Osservasi che questi animali generano in ogni tempo, eccetto soltanto ne’ due più freddi mesi della rigida stagione. La gestazione della femina non dura oltre un mese, ed ogni suo parto è di due o tre piccioleiti , cui allatta per tre settimane. Indi lascia che vadano in eerca essi medesimi del loro nutrimento, e si formino proprie tane, le quali sempre rie- scono distanti sessanta o ottanta passi le une dalle altre.

Il padre Daniel cita in esempio della loro fecondità quello di un pajo di lepri maschio e femina, che rinchiusi in un giardino per lo spazio di un anno diedero al termine di esso il frutto di cinquantacinque leprotti.

La puzzola, le donnole e differenti uccelli di preda sono i naturali nimici del lepre. Il cane anch’ esso lo persegue per istinto,

358 IL LEPRE. l'itomo , assai più formidabile per lui che tutti quegli altri. animali, usa ogni sorta di insidie per impadronirsene.. Talvolta usa, a questi! uopo ; il falcone, massime quello d’ I slanda. Nel ‘qual caso il povero lepre , che troppo è convinto delia superiorità dell’'avver- «sario, non si muove dal suo nascondiglio, ove un levriere nol faccia alzare; e allora è ine | witabilmente preda del rapace augello.

I Druidi e i Brettoni antichissimi tassavano d’ empietà il mangiar la carne di quest’ ani- male. J Romani per altro riguardavanla, come noi, cibo delicatissimo. Oggi gli Europei tanto più la pregiano quanto più sa di selvatico. .

I giri e rigiri che fa il lepre quando è in- seguito son curiosissimi e sorprendenti, e l'arti ehe usa onde sfuggire al nemico indicano in esso una sagacia senza pari. Incalzato da vicino per ‘lungo tempo, gli avviene tal- «volta. di cacciare qualch' altro lepre dal. suo nascondiglio e di prenderne il posto. Qualche volta si fimescoli ad un brarico di agnel- .Je, o s' arrampica ad un vecchio muro, e si nasconde fra l erbe delia sua sommità; ov- ‘vero traversa una riviera a più riprese, e a piccole distanze l' una dall altra. « Ho veduto, dice Fonilloux, un lepre malizioso, che, appena udiva il suono del corno, si. alzava slal suo covaceio, e andava a gettarsi in uno

IL LEPRE, 3IG stagno , fosse anche stato un quarto di lega L0no, riposandosi , cioè a dire SERA tratto tratto fra giunchi, senz’ essere in aleun modo cacciato dai cani. »

« E questo è appunto, scrive il sig. di Buffon, il più mirabile dell’ istinto dei lepri, poichè le loro industrie ordinarie sono assai meno esquisite. Si contentano essi, quando son fatti levare ed inseguiti, di correr rapida mente e volgersi quindi e ritornare su’ loro passi. In generale i lepri nati nel luogo stesso, ove si loro la caccia, mai non si dilungano c_ sempre lornano alla lor tana. »

Questi animali sono mansuetissimi e di fa- cile educazione. Talvolta, però , avviene che non si riesce ad addomesticarli. Spesso anche, dopo averli presi assai teneri, allevati in casa, usate loro tutte le cure, giunti che siano a certa età, colgono la prima occasione di ricu- perare la loro libertà.

Il dottor Townson, essendo a Gottinga , pose tanto studio nell’ educarsi un leprottino, che riuscì a renderlo familiare olire il consueto deila sua specie. Scherzava esso, arrampi- cava e correva or pel letto o pel sofà del pa- drone ; talvolta ne suoi giuochi gli saltava addosso , il batteva colle sue zampette anteriori, o se stava leggendo g cli faceva cadere il libro di mano. Qualora però entrasse nella. camera

RE esc Ga

360 IL LEPRE. alcun straniero, sempre dava segni di moltis- simo timore. i

Il sig. Borlase assicura di aver veduto un lepre familiare, che mangiava nelle mani delle persone , riposava sovra una seggiola nella camera, ove veniva chiunque, e parea in tal luogo egualmente sicuro, che il più domestico de cani. Talvolta andava in giardino; ma dopo aver mangiato, ritornava alla camera che dicemmo , e ripigliava il suo posto usato.” Suoi compagni ordinarii erano un levriere ed un can di Spagna, ambidue pazzi per la caccia, che talvolta vi andavano senz’ esservi condotti. Pure il lepre passava le notti con loro, dormiva sull’ istesso tappeto, e persino sul corpo o dell'uno o dell’ altro.

Scrittori 1 più credibili hanno citato esempi di lepri allattati c nudriti dal lor naturale ni- mico , il gatto.

« Un mio amico, dice il sig. White, avea un leprotto, che gli fu portato assai giovane, e che quei di casa nutrivano, dandogli il latte nel cucchiajo. La sua gatta frattanto partorì; e i gattini da essa nati furono uccisi e sepolti nel giardino. Or avvenne che ad un tratto il leprotto sparì, e si credette 0 ucciso anch’ esso o ru- bato. Quindici giorni appresso, però, stando il padrone seduto in giardino, vide la gatta venirgli all'incontro, con la coda alzata e

iL LEPRE. 361 miagolando in quel modo che le gatte soglion fare, quando chiamano i loro figli. Un mo» mento dopo scorge un non so che di saltel- lante dietro di essa; era il leprottino cui già avea preso ad aliattare , e a cui avea posto il più grande afletio.

« E questo per quanto strano ci sembri, proveniva naturalissimamente da un sentimento di tenerezza materna , che la perdita de’ suoi piccioletti avea in essa risvegliato; dal sollievo che provò lasciando succhiare al leprottino le sue mammelle gonfie di latte; e infine dall’ a- bitudine, che le inspirò in favore dell’anima- letto straniero ciò che l'istinto dettavale pei proprii figli ».

Riferisce il dottor Darwin nella sua Zoono- mia, che un ecclesiastico d' Elford presso di Lichifield, avendo rapiti i picciolini d'una iepre da lui uccisa, gli affidò ad una gatta, di cui pur dianzi si erano gettati via i figli. La bestia se li raccoise, diè loro il latte, e li trattò come fosse stata la propria loro madre.

Può recarsi in prova della docilità del lepre l'esempio di quello che vedeasi pochi anni addietro a Saddier's Wells (luogo ad una lega da Londra celebre pel suo teatro popolare » e suonava il tamburo colle sue zampe ante- riori; mentire un uomo con altro tamburo facea il giro del teatro. È veramente cosa

362 IL LEPRE. inconcepibile che un’animale timido abbia po- tuto essere avvezzato a sostener la presenza di numerosa assemblea, che gli dava cento ap- piausi, ed uno splendor di lumiere fatie per abbagliarlo; pure non può mettersi in dubbio.

I. singolarità vedeasi a Parigi nel 1810 sugli spettacolosi bastioni ).

Le pelli di lepre sono di grandissimo uso, per la fabbricazion de’ cappelli ; e però molte migliaja se ne asso ogn anno di Rus- sia in Inghilterra.

IL CONIGLIO.

est animale, sebben somigliantissimo per indole e’ per forme a quello che lo precede, è però di una specie distinta; ed ove si chiuda insieme col lepre, ne nasce fierissimo com- battimento , nel quale Ì' uno de due è uopo che soccomba.

La fecondità del coniglio è ancor più no- tabile che quella del lepre, poichè Ja femina del primo si grava sette volte all'anno, e per ciascuna sette in otto piccioletti. Suppo- nendo, adunque, i suoi parti regolari; nello spazio di quattr’'anni la progenie di una cop- pia di conigli giugnerà quasi ad un milione e. mezzo di capi.

IL: CONIGLIO: 363

I loro nemici però sono così numerosi, che impediscono al loro accrescimento di divenir nocevole alla specie umana. Poichè , oltre il servire che fanno i conigli al nostro nutri- mento, sono ancor divorati da animali di preda d’ogni specie. Malgrado, però, tutti gli ostacoli alia loro propagazione divennero , al tempo de Romani, un terribile flagello nell’ isole Baleari, che gli abitanti furono co- stretti chiamare il soccorso della forza mili- iare, e servirsi de furetii, onde porvi rimedio.

« Alcuni giorn prima dei parto, scrive il sig. di Buffon, le femine de conigli scavano una nuova tana, non già in linea retia ma serpeggiante , in fondo alla quale, strappan- dosi dal venire bastevol quaniità di pelo, for- mano una specie di letto per accogliervi i figli che nasceranno. Ne primi due giorni, poi che sono venuti in luce, mai non gli abbando- nano: escono appena, quando il bisogno le stimola, e ritornano tosto che hanno preso il loro nutrimento, il qual, sebbene allora sia più copioso del solito, pur toglie loro po- chissimo tempo. Le cure dell’ allattamento du- rano per più di sei settimane; e in questo spazio il padre non conosce la sua prole. Esso non entra nella tana scavata dalla madre, che spesso, quando esce, ne tura l ingresso con terra impastata nella propria urina. Ma quando

364 IL CONIGLIO. i piccioletti cominciano ad ‘affacciarsi al buco di quella tana, e a mangiare delia spelliciosa e d' altre erbe, che la madre loro presenta, anche il padre mostra di riconoscerli per suoi; li piglia tra le sue zampe, ne lustra il pelo, ne lecca gli occhi, e tutti egualmente l' uno dopo l’ altro gli accarezza. La femina intanto non si mostra meno amorosa verso il marito, e spesso fra pochi giorni si trova di nuovo feconda ».

Il pelo de’ conigli è la principal materia, che si adopera a fabbricar cappelli, mescolan- ‘dola con certa quantità di pel di castoro.

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TI, CAMEO

CAPITOLO VIII.

Del deserto Figlio il camelo, alla fatica usato Ed alla sete, dalla ria bufera Arse le fauci sente, oppresso il petto.

TuHomson,

IL CAMELO.

Le differenti qualità del cavallo, della gio- venca e della pecora sembrano esser riunite in quest animale. « Gli Arabi (dice il sig. di Bufion con quella vivezza di stile, che non sembra appartenere che a lui solo) riguar- dano il camelo come un dono prezioso del cielo, come un animale sacro, onde possono subi giorno mettere cinquanta leghe di deserto fra e i loro nemici. Tutti gli eser- citi del mondo perirebbero tenendo dietro ad una truppa di Arabi, i quali, perciò, non sono soggetti, che quanto lor piace di esserlo. Si figuri un paese senz erba e senz acqua , un sole ardente, un cielo sempre asciutto , sabbiose pianure , montagne ancor più ari- de, su cui l’occhio si Lied e il guardo si

366 IL CAMELO. perde, senza potersi arresiare sovra nulla che viva, una terra moria, e per così dire sco- riata da’ venti, la qual non presenia che ossa, ciottoli accumulati, rupi o sorgenti o rovesciate, un deserto affatto ignudo, ove il viaggiatore mai non respira soito ombra veruna, ove nulla lo accompagna, nulia gii richiama la natura vivente. Solitudine assoluta, mille volte più spaventosa che quella delle foreste; poichè gli alberi sono pur esseri in «qualche modo sen- zienti per chi si rilrova senza veruna comu-' uicazione con altri. Smarrito affatto in quegli spazii vuoti, e senza limite, ei vede in ogni luogo la sua tomba. La luce del giorno più trista che Tl ombra delia notte non rinasce che per illuminare la sua nudità, la sua impoten- za, e presentargli l' orrore della sua situazio- ne , allargando al suo sguardo i confini del vuoto , stendendo intorno a lui Y abisso del- ? immensità che lo separa daila terra abitata , immensità che invano ei tenterebbe di per- correre ; poichè la fame, la sete e 1 ardente calore gli assediano gli istanti, che gli riman- gono fra la disperazione e la morte ».

I nomi di camelo e di dromedario non in- dicano già due specie differenti, ma specificano due varietà, di cui la prima ha due protube- ranze sul dorso, menire l’altra non ne ha che una. L' altezza del camelo è di circa sei

IL. CAMELO. 367 piedi, il suo corpo è coperto d'un pelo bruno o castagno; la sua testa è corta, le orecchie picciole , il collo lungo e inclinato. Questo quadrupede è pur rimarchevole per una grande callosità all’ inferior parte del petto, una a ciascun ginocchio, ed un altra nell'interno di ciascuna gamba. suoi piedi sono schiacciati e rivestiti d'una suola, il cui intervallo da’ piedi istessi non è segnato che da un solco poco profondo; il che all animale ia facoltà di percorrere, le sabbie ardenti dell'Arabia, senza che gli screpolin I unghie.

I cameli son domestici in diverse contrade del Levante, e servono a portare pesanti far- delli, e a traversar deserti arenosi; ciò che 1 cavalli non potrebbero. Le sabbie sembrano es- sere il loro naturale elemento, poichè appena le lasciano, per camminare sovra solido ter- reno, più non possono tenersi in piedi, e le frequenti cadute; che vi fanno, loro divengono funestissime. i

II potersi astener dal bere, che loro è dalla matura conceduto, fa che procedano senza in- terruzione i setie, gli otto ed anche i quindici giorni per grandi spazii afiaito senz’ acqua. Ove però alcuna sorgente vi scaturisca , essi la discoprono a mezza lega di distanza, e ad essa volgono desiderosi il passo lungo tempo pri- ma, che i loro conduttori possano accorgersi

368 IL CAMELO. del luogo ove si ritrova. Viaggiano essi pil giornate , altro nutrimento non avendo che datteri secchi, o poche palle di farina d'orzo, o infine alcune misere piante spinoses che in- contrano ne’ deserti. Il sig. Denon ci dice che in tutto il corso del suo viaggio in Egitto , i cameli della caravana non aveano per giorno che una semplice razione di piselli , cui ma- sticavano , sia camminando, sia restando sdra- jati in sull’ arena ardente, senza mostrare il minimo malcontento. La meravigliosa possibi- lità, ch'è in essi, di far senza bevanda sem- bra, a ben riflettervi, l’effetto della loro in- terna struttura.

Perocchè hanno questi animali un secondo stomaco , formato di numerose cellette di più pollici di profondità, e il cui orifizio par capace d’ una contrazion muscolare. Quindi è probabile , che quando bevono, possano diri- gere l’acqua in queste cellette o trogoli, e impedirle di passare nel primo stomaco. Per tal mezzo se ne trova certa quantità seprrala dagli alimenti, e serve all’ uopo , ad inumi- dirli nel lor passaggio allo stomaco vero.

Quando le persone, che viaggiano in Ara- bia, provano gran mancanza d'acqua, pren- dono il partito d' uccidere un camelo per ot- tener quella, che è contenuta nel suo sto- maco, e la qual sempre è dolce e salubre.

- IL CAMELO. 369”

Ml carico ordinario de’ cameli è di milio G mille ducento libre, e con esso traversano il deserto, facendo dieci o dodici leghe per giorno. Quando si è sul punto di loro addossarlo, essì piegan tosio il ginocchio al comando del conduttore. Che se avviene che si mostrino restii, sono castigati a colpi di bastone, o ti rati pel collo. Allora, come sentendosi op- pressi, mandano un’ gemito cupo, s' acco- sciano. contro terra, e rimangono in questa positura fino a che loro si ordini di rialzarsi. Traversano essi, malgrado ogni peso, le ri- viere più profonde e più rapide; ed è ben raro, che a loro,nè a quelli che lor sono in groppa avvenga nulla di sinistro. Quando sopracaricano ‘Had di cozzo in chi gli op- prime, e fan talvolta. udire le. grida più. la» mentevoli. -

Gli animali, di cui parliamo, sebben molte: mansueti e molto trattabili, sono eccessivamente sensitivi: alle ingiustizie. e a' mali. trattamenti., e ne conservano il risentimento , fino a che trovino occasione di vendicarsi. Talvolta anche loro basta aver creduto di: soddisfare. la. pro-. pria vendetta, perchè più non vi pensino. ‘Qualora adunque un Arabo ha eccitato il fu- rore di un camelo, getta a terra le proprie vesti dove crede che l'animale debba: passare s Gisponendole in. modo, che sembrino coprire-

Gabine:ro Fom. E 24

370 iL TAMEL® «in uomo addormentato. Quello, che le rico- nosce , le piglia coi denti, le scuote violente- mente , e le calpesta con rabbioso trasporto. Quindi calmato le abbandona, e il lor padrone può allora moslrarsegii con tutta sicurezza.

« I dromedari, altra specie di cameli, stanchi dell’ impazienza dei loro cavalieri si arrestano talvolta di corto, dice il sig. Son- nini, e si volgono per morderli, gettando gridi di rabbia. In tale circostanza unico buon par- tito a prendersi è il lusingarli , e dar loro tempo di ritornare in sè.

Come gli elefanti, questi animali han degli accessi di furore periodici, in cui più volte furono veduti addentare un uomo, rovesciarlo al suolo, e calcarlo coi piedi. Quando si la- sciano errare su pingui pascoli, mangiano nello spazio d' un ora di che ruminare tutta la notte e nutrirsi all'indomani: ciò per altro loro non accade se non di rado. Più che le molli erbe , però, sembra che gustino le spine, le ortiche, le ginestre , la cassia, ed altri vege- tali pungenti.

Ma si ascolti un'altra volta il signor di Buffon. « Il camelo è fra tutti gli animali domestici il più antico, il più sommesso, il più laborioso degli schiavi. Il più antico, poi- chè abita i climi in cui gli uomini si sono dai più rimoti tempi condotti a viver civile; il più

IL CAMELO» 371 sommesso , dacchè fra 1 altre specie di: dome- stici animali, come il cavallo, il cane, il bue, la pecora, il majale si trovano tuttavia degli individui nello stato di natura, la cui selvati- chezza ancor non è stata dall’ uomo assogget= tata; laddove la razza dei cameli in niun iuogo più si incontra nella primitiva indipendenza; finalmente il più laborioso, poichè mai non fu nudrito pel fasto, come la più parte dei ca- valli; pel divertimento come quasi tutti i cani; per l'uso delle mense, come il bue, il majale, il montone. Di esso non si che nna bestia da soma, cui non si pensò neppure ad aggiogare ad un carro; guardando lui stesso - come una vettura vivente, che si potea tener ‘carica e sopracarica, anche durante il sonno. Quando infatti si ha fretta, obliasi di trargh da dosso il peso, ond' è oppresso , e sotto il quale ci si distende per TRA colle gambe piegate , il corpo appoggiato sullo stomaco. Quindi può ben dirsi ch esso porti tutte le impronte della servitù e ie stimate del dolore.»

Aicuni giorni dopo la nascita d' un camelo Y Arabo a cui appartiene piega le sue membra sotto il suo ventre, lo costringe a rimanere per terra, e lo carica in questa situazione di un fardello molto pesante, da cui mai nol li- bera, che per onerarlo di uno più forte. In luogo di dargli a mangiare, quando ha fame,

3ma IL CAMELO. © a bere quando ha sete, regola sottilmente i suoi pasti, e lo costringe grado a grado a contentarsi di minor cibo quanto sono più lunghi i viaggi.

Quando. l'animale ha acquistato un poco di forza, lo esercita al corso, e la sua emula- zione eccitata dell'esempio dei cavalli il rende col tempo molto agile, e assai più che senza di essa nol sarebbe divenuto.

L'andatura del camelo essendo. il gran irot= to, chi lo monta è obbligato servirsi d’ una sella vuota nel mezzo e munita ad ogni ar- cione d'un pezzo di legno in linea retta © orizzontale. Il sig. Denon dice, che la prima volta ch'ei cavalcò un simile animale, temè che îl suo barcollamento nol rovesciasse; ma fu ben tosto rassicurato. Poichè postosi in sella vide di non avere che a secondarne i movimenti, e che non v era, per un lungo. viaggio; più gradevol cosa, che il sedergli in groppa, mas- sime non bisognando altra cura, che di fargli, quando. occorre, cangiar direzione, i

I conduttori dei cameli hanno ciascuno un bastone, di cui non usano che sobriissimamen- te, e solo quando il voglia necessità. Caval- candoli gli eccitan piuttosto con una lunga correggia, gli. stimolano nel tempo stesso con un sibilo leggiero, siccome fanno gli Europei coi loro cavalli.

IL CAMELO. 373

Si è tentato più volte d introdurre questi quadrupedi nelle nostre isole occidentali, ma sempre con niun successo, forse perchè di chi doveva averne cura si ignoravano affatto le loro ‘abitudiri e la ‘maviera di nutrirli. A questo inconveniente si aggiunsero le punture di certi insetti appellati chigo , i quali ins» nuandosi nelle piante dei piedi ai poveri ani+ mali, e cagionandovi ulceri e infiammazioni, li resero del tutio inutili nelle contrade, che abbiam detto.

La carne dei cameli, sebben arida e dura,.

BARI

è talmente stimata dagli abitanti dell’ Egitto, che, non è molto tempo, fu al Cairo e in Ales- sandria proibito di venderne ‘ai cristiani. Nella. Barberia suole salarsene e affumicarsene la line gua, onde trasportarla in Italia e in altri paesi. Si fa traffico del loro pelo non che del cuojo della loro pelle; e tutte le parti del suo corpo.

tengono qualche posto nella farmacopea della Cina.

IL BISSONTE

È detto anche toro o bue selvatico, ha corna brevi e rotonde, la cui punta si ricurva al di fuori; fronte larga; occhio fiero e scintillante, schiena protuberante come quella del camelo;, lunga e ondosa criniera, che forma una specie

374 FL BISSONTE,

di barba sotto il suo mento; le part inferiori del corpo assai massiccie; e quelle di dietro .in paragone assai deboli.

Errano i bissonti in numerosi armenti e pa- seolano nelle praterie, che diciamo savane. da mattina e la sera, durante i grandi calori, ri- posano in riva a' fiumi ed a’ ruscelli, lasciando ‘un’ impronta profonda de’ loro piedi negli umidi terreni, che gl’ Indiani seguono facil- mente le loro tracce e giungono ad ucciderli. Il farne caccia, però, esige la più gran cautela, avendo essi l odorato fino, che senton da lungi il nimico e pr rendon la fuga, e ogni lieve . ferita metteli in tanto furore, che schiacciano a colpi di corna e di piedi chi loro I arrecò. Es- sendo però quasi acciecati dai lunghi crini, che loro coprono gli occhi, è facile ai eaccia- tori l’andar ad essi molto vicini. Gli Indiani coll’ archibugio, mirando. loro alla groppa, g gli uccidono di primo colpo.

La caccia dei bissonti è la costante occupa- zione de’ selvaggi. Formano questi un gran battaglione quadrato, e cominciano dal metter Buco all’erba che in certe stagioni è lunghis- sima e aridissima. A misura che il fuoco pro- pagasi, avanzano essi, restringendo le loro. file; e quegli animali spaventati dallo splendor delle fiamme fuggono in disordine da tutte le

bande, un solo ne sfugge,

v_pr IL BISSONTE. : 979

Nella Luigiana i cacciatori de’ bissonti vanno a cavallo armati di lunghe lance, il ‘cui ferro ha la forma di una mezza luna. Si accostano sotto vento; ma appena quei quadrupedì li sen- tono si danno a fuggire con gran precipizio. Se non che la vista de cavalli calma la loro paura; e come la più parte di essi, in cerl tempi dell’ anno specialmente, sono per lab bondanza de’ pascoli molto impinguati, rallen- tano volentieri il corso. I cacciatori, fattisi in- tanto più vicini, cercano portar loro un colpo al dissoito del garretto, in modo di dividerne il tendine, e averli più facilmente in proprio potere.

In varie parti dell’ America meridionale la caccia dei bissonti comincia da una specie di festa, e termina in un banchetto, a cui il più grosso di quegli animali serve d’ imbandigione. Appena un branco di essi è stato vedato neita

oianura, i migliori cavalieri si dispongon ad assalirlo, il che fanno disiendendosi in lar ‘go se-- micircolo, e inoltrandosi quindi i chel

Fra qualche tempo gl'inseguiti animali si mo- strano stanchissimi, e i cacciatori vie più in-

calzando e mandando grida orribili costringonli a fuggire; e quelli, che non sono presti ab- bastanza rimangono uccisi.

Onde porgere idea della forza prodigiosa de’ bissonti basti l' osservare, che fuggendo

376 IL “BISSONTE. pei boschi, abbattono alberi assai più grossi «che il braccio d'un uomo, e corrono Sr verso la neve più alta con più rapidità che an Indiano traversar non potrebbe la sua con- gelata superficie con scarpe a racchetia.

< Fui testimonio un giorno di questa par- ticolarità, dice il sig. :Hearne, ed ebbi la. va- mità di credere che potrei emulare i bissonti. To era allora riputato destrissimo a correre per la neve colle mie scarpe a rete; ma ben presto dovetti convincermi di non aver forza da se- guire ‘quegli animali, sebbene la loro corpu- lenza sia così grande, che vi lasciano orme pro- fonde, come farebbero sacchi di enorme gros» Sezza. »

Molta sagacia mostrano i bissonti nel di- fendersi contro de’ lupi. Quando ne hanno sco- perto alcun branco, si dispongono in circolo, collocando al centro i più deboli, mentre i forti tengono la circonferenza, e presentano una selva di corna impenetrabile. Se però 1 lupi giungono per sorpresa ad assalirli; allora molti così de’ più deboli come de’ più vigorosi rimangon vittime de’ voraci animali.

Le differenti parti del corpo de bissonti si impiegano a differenti usi e tutti utilissimi. Colle loro corna si fanno fornimenti; la pelle serve agli Indiani per vesti e scarpe; e col loro pelo si formano guanti, giarrettiere e calze.

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L -BISSONTE. 379

A sego di questi animali è anch esso ma» ‘teria di traffico molto valutata, e la carne deile loro spalle dicesi esser delicatissima.

Si è tentato addomesticarne alcuni, pren- dendoli giovani, e mescoiandok con buoi della specie ordicaria; ma quand’ erano più adulti disenivano sempre intrattabili, ed usando di quella irresisiibiite forza ch'-è in essi, rompe- vano le più saide sbarre de’ loro «chiusi, pren» devano la fuga, ed ecciiavano il resto del be- stiame, «hh era con essi, a fare alirettanto. Il sig. Pidcok d'Exeter-Change ebbe per due anni uno di questi animali, il quale, dicesi, conservò sempre ia sua naturale ferocia. La sua pelle imbalsamata conservasi ora nel museo del luogo «già nominato.

IL BUFALO.

Moltissima rassomiglianza ha esso col bue, da cui per aliro differisce ed esternamente per la carne, e nell’ inierna struttura per molte altre particolarità. La sua lunghezza, secondo Spart- mann, è di circa otto piedi, e di cinque e mezzo l’ altezza sua. Le sue membra propor- zionale a queste misure sono assai più grosse e robuste che quelle del bue; la sua giogaja «discende assai più basso ; le sue orecchie pen- denti e lunghe, circa, un piede, sono in gran

378 IL BUFALO. parte coperte dalla inferior parte delle sue corna , che descrivono una curva, il cui con- vesso guarda la terra, mentre le estremità si. rialzano. Queste corna sono veramente singo- lari per la forma e per la posizione. La loro. base ha tredici pollici di larghezza ; non si al- lontanano che ‘di un pollice le une dalle altre per un canale o solco, il qual le divide, indi prendono una forma sferica e si estendono per gran parte della testa.

Il pelo del bufalo è d'un colur bruno oscu- ro, la sua coda è corta e fioccosa ali’ estremo. Ama esso avvoltolarsi nel fango, e passa a nuoto i più gran fiumi con tutia facilità. La sua gobba non è già, come alcuni hanno pre- teso, un grosso tumor carnoso, ma è cagio= naia da aicune ossa, che obbligano le artico- lazioni della pelle ad allungarsi, più che non facciano in altri animali. o

Trovansi i bufali più ordinariamente nelle ardenti contrade dell’ Indo e dell’ Affrica ; ma sono stati introdotti in alcune parti d’ Europa, & in esse naturalizzati. Quindi sono molto co- muni al mezzo-giorno dell’ Italia, e a tuite le contrade orientali del globo; onde se ne veg= gono ogni mattina numerosi armenti varcare il Tigri e l Eufrate. Marciano ben ristretti, e il bifolco , il qual li conduce e cavalca uno di essi, or si tiene diritto, or coricato ; e se

IL BUFALO. 379 taluno di quelli, che, van di fianco, sbandasi qualche poco, ei passa leggermente di’ dorso in dorso, per farlo rientrare in ischiera.

Degno d' aitenzione in proposito degli ani- mali, di cui parliamo, mi par ciò che si narra avvenuto agli Inglesi, che compirono il viaggio intorno all’ Oceano pacifico, incominciato dal capitano Cook. Quand eglino furono giunti a Pulo Condore, si procacciarono otto bufali , che doveano condursi ai vascelli con delle corde fatte passare attraverso le loro. narici e intorno alle loro corna. Se non che, appena furono in vista dell'equipaggio, divennero furiosi, che alcuni si di dalle corde e si misero in libertà ; altri schiantarono i rovi, a cui si era creduto bene di legarli. Tuiti i mezzi, insomma, impiegati pel luo imbarco , sariano riusciti inutili, senza il soccorso d’ al- cuni fanciulli, da cui si lasciarono avvicinare, e appoco appoco calmare. Giunti poi nella rada bisognarono i fanciulli stessi per allacciar loro le gambe, stenderli a terra, e in seguito al- zarli onde meiterli in mare. Ed è pur osser- vabile , come ventiquattr'ore dopo che furono a bordo, lasciata ogni ferocia e ripugnanza , cominciarono a mostrarsi addomesticati,

I bufali sono tanto comuni nelle pianure della Cafreria, ch’ ivi sovente se ne veggon passare ceniocinquantg e. dagento alli approssimar

380 IL BUFALO. della notte. Nel giorno poi si ritirano fra le boscaglie.

Il carattere di questi animali è selvatico e perfido. Perocchè sogliono appiattarsi tra scuri macchioni, ed ivi attendere il passaggio di qualche sventurato , che non ha altro mezzo di sottrarsi fuorchè il salire sopra di un al- bero, se alcun se ne trova vicino, mentre la fuga gli sarebbe inutile. Non paghi i bufali di atterrare ‘ed uccidere la loro vittima, si com- piacciono a rimaner lungo tempo sovra il suò corpo , calcandola coi -piedi, e schiacciandola coi ginocchi. La straziano poi colle corna e coi denti, e‘a forza di leccarla, le strappano la pelle : già esercitano questi aiti crudeli , senza intervallo; ma si allontanano di tratto in tratto a certa distanza , indi ritornano con barbara insistenza, per soddisfar di nuovo la loro ferocità.

Il professor Thumberg ci narra, come al momento ch'egli e i suoi compagni di viaggio entrarono ne’ boschi della Cafreria videro un grosso bufalo sdrajato solo sovra un ignudo terreno. Appena quest animale si fu accorto di chi li guidava, si slanciò, sopra di esso, mandando un orribile muggito. L'uomo pie- gando tosto col suo cavallo, si rifugiò dietro un grande albero. Però il bufalo gettossi so-. vra quello ch’ era più prossimo al fuggito e

IL BUFALO: 381 diede. una furiosa cornata nel ventre del suo palafreno, che quasi subito ne morì. Il cavaliere allora arrampicossi ad una pianta; e l animal feroce corse. contro il restio della compagnia, che s' innoltrava a certa distanza , ed era preceduta da un cavallo , su cui nes: suno sedeva AI? aspetto ‘di questo il bufalo ‘divenuto più che mai terribile, gli piantò nel petto le corna con tanto impeto, che riusci» rono fuor della schiena trapassando la sella.; e il cavallo cadde con più ossa infrante, tosto spirò. Sopraggiunse in questo punto il professore ; ; e come il sentiero. non dava’ spa- zio bastante: per volger addietro, parve a lui gran ventura: il none un albero abbastanza elevato , che gli desse rifugio. Il bufalo però, senz’ altre minacce , dopo aver ucciso il se- condo cavalio , prese la fuga.

Alcun tempo dopo il sig. Thumberg e la sua brigata discoprirono un grande armento di bufali, che pasceva nella pianura. Cone» scendone allora, quanto bastava , l'indole e i costumi , e sapendo che in luogo aperto mai non ne sarebbero aggrediti , si avanzarono a quaranta passi, e scaricarono contr” essi gli archibugi , di. cui andavano muniti. I bufali spaventati dallo. scoppio e dal fuoco improv- viso si ripararono alla foresta; se non che aleuni più gravemenie feriti, mon potende

Su. TL BUFÀLO. camminar cogli altri, sbrancaronsi Yimasero addietro. Fra questi ne era uno più vecchio, che si slanciò furioso sui viaggiatori. Ma questi che sapean bene, come gli occhi di simili animali mirar non possono che in linea retta, e che ove in aprica pianura Y uomo da loro inseguito esca un po di mano e si getti boc- cone al suolo, quelli passan oltre senza avve- dersene, poterono facilmente scampare il pe- ricolo. Tanta però era la forza del quadrupede, che sebbene la palla fossegli dal petto pene- trata molto addentro nel corpo, galoppo per più centinaja di passi senza cadere.

Nella Cafreria i bufali sono ordinariamente uccisi a colpi di giavellotti, che gli abitanu sanno lanciare con molta destrezza. Quando un Cafro ha discoperio .un luogo, ove. più bufali son riuniti, si da a soffiare in un zu- folo , il quale è udito a molta distanza. A questo segno i compagni, che stanno attenti, accorrono a tutti i passaggi, formando per gradi un cerchio intorno a quei quadrupediì , cortro de’ quali lanciano i loro dardi con tanta destrezza , che di rado ne sfugge uno solo. Talvolta, però, questi fuggendo storpiate od uccidono alcuni de’ cacciatori; il quale pe- ricolo punio non gli sgomenta. Terminata. la caccia fanno essi a brani ie carni della preda, dividendole fra in uguali porzioni,

IL BUFALO. 333

Kolbe riferisce che un bufalo essendo inse- guito da alcuni Europei al Capo di Buona Speranza, si avventò contro quelli fra essi , ch avea un abito ‘rosso; onde, per salvarsi, fu costretto di enirar nel fiume, e fuggire nuo- tando. L’ animale però gli tenne dietro, e in un momento gli si trovò dappresso, ch'egli aiiro rimedio non vide, che di attuff&rsi pro-

fondamente , sicchè quello gli. passò sovra il

capo; e avendolo ‘affatto perduto di vista si rivolse all’ opposta riva. ciò ancora avrebbe fatto sicuro il ruotatore, se il bufalo non fosse alfin stato ucciso da un colpo d' archi- bugio trattogli da un vascello che si trovò le- gato a poca distanza. La gente dell’ equipaggio fe dono della sua pelle al governatore, che la depose imbalsamata nel suo museo.

Oltre la pelle, anche le corna del bufalo sono molto pregiate. Queste, come di sostanza saldissima, ricevono la miglior pulitura; quella, come fortissima, s' adopera in molti usi, come in far corazze e scudi, che reggono alla prova degli stessi fucili. Se non che, essendo essa di tanta durezza, ende uccidere il bufalo è uopo di palle, in cui entri un misto di sta- gro; sempre ciò basta, poichè spesso ca- dono ammaccate dalla resistenza che incontrano.

Vuolsi che la carne de’ bufali, quella dei giovani in ispecie, sia boccone eccellente. {Gli

384 IE BUFALO. Ottentoti, che non conoscono grande: squisi- tezza di cucina, la tagliano a fette, l'affumi- cano, e poi l'arrostiscono per metà sovra car- boni. Talvolta anche la mangiano affatto imac putridita.

e. IL ZEBRO..

Ha testa assai dura e orecchie-presso a poco somiglianti a quelle del mulo. Il suo corpo è rotondo e ben formato ; le sue gambe sone fine e delicate. Alla bellezza del suo ester- no, poi, nuovo lusiro la lucentezza della sua pelle, e la mirabile regolarità delle. liste ,. end’ essa si adorna. Nel maschio queste: liste son brune, sopra un fondo bianco giallognolo; e nella femmina son nere sopra fondo bianco.

Abitano i zebri. le contrade meridionali del- I Affrica, ove i loro greggi numerosissimi ri creano piacevolmente. I ocehio del Viaggiatore. Si raccolgono essi di giorno nelle pianure dell’ interno del paese; e la: loro bellezza forma ornamento di quelle. solitudini. ‘Tale, però, è la loro diffidenza, che mai. non si lasciano avvi-inare da chicchessia.

Tutti: i tentativi finora usi att, onde addo- mesticarli e renderii utili all uomo, riuscirono infruttuosi. Feroci e- poriati all'indipendenza,

IL ZEBRO. "SM sembra che assolutamente soffrir - non possano alcun vincolo di servitù. Ove, però, piglian- doli giovani, -si avesse più particolar cura della. loro educazione, penso che a qualche cosa si riuscirebbe.

Un zebro bellissimo che mostravasi , tempo fa, al liceo nello Strand era mansueto, che. spesso il suo custode metteagli de faneiulli sul dorso, senza ch'esso mostrasse di risentirsene anzi vi fu un giorno chi lo cavalcò dal liceo sino a Pimlico. La quale siraordinaria docilità. in. un quadrupede naturalmente indocile si spiega facilmente, pensando che. quello, di cui parliamo, era nato in Portogallo da padre e da madre captivi, e quindi alcun peco addimesticati.

Il buon zebro, che, dicesi, era costato trecento ghinee a chi lo facea vedere, morì arso nella sua stia pel fuoco, il qual gli si accese nel letto.

Ordinario. nutrimento dei zebri è il fieno,

La loro voce sembrò a taluno aver qualche somiglianza: col suono del corno de’ postiglioni in certi paesi; veramente essa è ianto singo- lare, che riesce. impossibile il darne precisa idea. Il sig. Vaillant la paragona allo strepito, che fanno le pietre, lanciate violentemente sul ghiaccio. Si ode più frequente, a misura che

i zebri sono in ma: ggior compagnia.

Gabinetto {om.. L. 25

386 IL ZEBRO.

| Quella zebra che vedeasi, or sono alcuni ‘anni, alla Torre di Londra vi era stata con- ‘dotta dal capo di Buona Speranza -sovra un vascello del luogotenente generale Dundas, e comperata dal sig. Bullok direttore dei parco reale. Permetieva essa talvolta al suo guardiano di montarle in groppa, e per qualche mo- mento vel sofferiva ; ma poi mostravasi rical- citranie , e il forzava a discenderne. Gran fa- tica egli aveva a durare per governarla, non solo a cagione del suo. naturale irritabile, ma altresì della distanza, a cui potea raggiungerlo co suoi calci. Mai persone straniere non po- teano approssimarsele, senza esporsi ad immi- nente pericolo ; anzi un il custode istesso fu da lei preso per un lembo dell’ abito , e gettato a terra; e se non fosse stato pronts- simo a rialzarsi e fuggire, infallibilmenie ne” rimaneva ucciso. Morì poi essa nel mese di

giugno del 1809. LA GIRAFFA.

Questo quadrupede straordinario non tro- vasi che nei deserti dell'Etiopia, e in alire parti molto interne dell'Africa; ove pure è stato così di raro veduto dai viaggiatori di Europa, che più volte si mise in dubbio la sua esistenza, prima che se ne avessero, come

LA GIRAFFA. 38% oggi, più sicuri più cir costanziati ragguagli. La sua testa rassomiglia, presso a poco, a quella di un camelo, ma va munita di due sottili corna lunghe, circa, sei pollici, e iron- che, in certa guisa, all'estremità, ove si ri- coprono d’ una specie di vello, che termina in un rozzo fiocco di nero pelo. Le sue orec-, chie sono lunghissime, i suoi occhi grandi, vivaci e assai belli. L'altezza sua, quando va ben diritto, è di sedici in diciotto piedi dal- lugne all'alto di quelle corna, che dicemmo; e la sua lunghezza è di ven dalla fronte alla punta della coda. Il colore del maschio è un bianco sporco, picchiettato di diverse macchie rugginose, onde gli viene anche l'altro. nome di camelopardo; le macchie della femina sono di un fulvo pallido.

Le giraffe dan segno d'esser timide e man- suete. Quando sono ine seguite pigliano un trotto rapido, che ap pera un buon cavallo riesce a seguirle; e continvano lungo tempo a core rere dell istessa guisa, senza mai aver bisogno di riposo. Quando saltano, levano insieme i due piedi anteriori, e quindi quelli di dietro, come un cavallo che avesse le due gambe at- iaccate. Si nutrono particolarmenie di foglie d aiberi, soprattutto di quelle d’ una specie particolare di mimosa, assai comune a’ paesi ch' esse abiiano, d’ un’ altezza appropriata a

336 LA GIRAFFA. quella delle loro gambe e del loro corpo. Si ascono, però, con molta difficoltà, essendo . obbligate, a quest'uopo, di allargar le gambe a distanza notabile.

Credevasi. altra volta che la giraffa non avesse mezzi, intenzione di difendersi contro gli assaliù degli altri animali. Ma il sig. le Vaillant ci assicura che co’ suoi calei precipitosi stanca, scoraggisce, e alfin per- viene ad allontanare il lione. Essa però non si serve delle sue corna, come d armi of- fensive.

Secondo varie memorie sino a noi pervenute sembra che la giraffa sia stata ben conosciuta dagli antichi. Fra tutte le loro descrizioni, però, quella che ce ne porge Eliodoro greco, vescovo di Sicca, sembra la più fedele.

« Gli ambasciadori di Etiopia , dic’ egli , condussero un animale della grandezza di un camelo , la cui pelle era segnata di macchie d'un color vivo e brillante, e le posteriori parti del cui corpo eran bassissime in proporzion delle anteriori così alte. Sottile era il suo collo, sebbene si spiccasse da un corpo assai mem- bruto. La sua testa era simile , per la forma, a quella del camelo, ma per la grandezza non era che il doppio di quella dello struzzo ; e gli occhi pareano tinti a differenti colori. L’an- dio dell’ animale era differentissimo da

GIRAFFA. 389 quello di tuti gli altri quadrupedì , che por= tano, camminando, i lor piedi diagonalmente, cioè a dire il destro anteriore col posteriore sinistro; laddove la natural ambiadura della giraffa è di portare i due sinistri o 1 due destri insieme. E poi animale mansueto, che può guidarsi ovunque piaccia sol per mezzo di una corda, che gli si annodi al capo ».

Sembra che una giraffa sia stata condotta T anno 1507 al Gran Cairo in Egitto; poi» ‘chè Baugmarten ci dice che il 26 d' ottobre, guardando dalla sua finestra, vide questo grande animale, il maggiore che mai si fosse presen= tato a' suoi occhi. La sua pelle era tutta d'un ‘color bianco e bruno, il suo collo avea un cubito di lunghezza, e la testa altrettanto; gli occhi eran vivi e scintillanti; il ventre diritto, e il dorso concavo. Mangiava pane e frutta , e quanto gli si presentava.

Gli Ottentoti fanno la caccia alle giraffe principalmente a cagion del midollo delie loro ‘ossa, eui riguardano qual cibo delicatissimo. Anche la loro carne si vuol che sia un ec- cellente vivanda.

390 IL NIL-GHAU

Sembra tenere un di mezzo fra il cervo ed il bue; ma è molto più grosso dell’ uno , e molto più piccolo dell’ altro. Ha quattro piedi di altezza da terra alle spalle; e le sue corna, le quali van per gradi sminuendosi di gros- sezza, e sono smussate ell’ estremità, pajono ben lunghe sette pollici.

Ecco la descrizione, che abbiamo di quest’ ani- male dal sig. di Buffon: « Il d: dietro del ma- schio è più basso che il davanti, e vedesi una specie. di gobba o. di preminenza snlie sue spalle. Queste sono guernite d'una picciola cri- miera, che comincia alla sommità del capo e finisce a mezzo il dorso. Sulla. pancia irovasi quasi un gran fiocco di lunghi peli. neri. I pelame poi di tutto il corpo è d'un color gri- gio d' ardesia; ma quel della testa è di un fulvo misto a un grigio chiaro, e intorno agli occhi un fulvo. chiaro con picciola macchia bianca all’ angolo: di ciascuno degli occhi stessi. Le orecchie son molto grandi e larghe, se-

nate. di tre liste nere verso le loro estremità. Il sommo della testa è guernito di un negro pelo misto di bruno; il quale forma sull’ alto della fronte una specie di ferro di cavallo. Sotto il collo, molto presso al petto, vedesi wua gran macchia bianca. Il ventre è d un

îL NIL-GHAU. 391 color grigio di ardesia, come il resto del corpo. Le gambe davanti e le cosce son nere nella parte anteriore che apparisce, e nell’ interno di un grigio più cupo. I piedi son corti e ras somigliano a quelli del cervo, e l' unghie son nere. L’ esterno poi de’ piedi. anteriori porta una macchia bianca, e nell interno se ne di- scoprono due dello stesso colore. Le gambe di dietro sono molto più forti che quelle davanti; : coprono tutte di peli nericci, mentre i piedi così al di dentro che al di fuori hanno due grandi macchie bianche. Al basso di esse cadono lunghi peli castagni, che formano una cioeca arricciata. La eoda è verso il mezzo di un color grigio di ardesia, ignuda al disotto, e munita dai lati di lunghi peli bianchi, i quali già non si distendone sopra di essa, ma stanno ritti ritti, come lance sottili. »

Il dottor Hunser così favella nelle Transa- zioni filosofiche dell’ animale di cui trattiamo: « Sebbene il nil-ghau sia generalmente creduto di difficilissimo governo, quello però che mi si era dato in guardia mostravasi assai docile. Parea molto soddisfatto della famigliarità, ch'io seco usava; leccavami la mano, sia che il toc- cassi leggermente, sia che gli dessi a mangiare, mai tentò recarmi offesa colle sue corna.

« Molto, per ciò che appariva, confidavasi esso nell organo dell’ odorato; perocchè fiutava

ts:

_ 09 IL -NIL-GHAU,

forte e facendo grande strepito ‘ogni ‘volta che alcuno gli si oflriva allo sguardo, ovvero gli si arrecava cibo o bevanda; e tanto abborriva ogni odore straniero, che rigettava quel tozzo di pane, il qual gli venisse da una mano, che me- mnomamente avesse toccato essenza di tremen- tina o spirito di vino. »

« Singolarissima è la sua maniera di battersi, dice il sig. di Buffon. Milord Clive ebbe agio di osservarla in due maschi, i quali erano stati. chiusi in un piccolo recinto, e così me la rac- contò.

« Essendo tuttavia a molta distanza l uno dell altro , si prepararono al combattimento cadendo sulle ginocchia anteriori; e in tal guisa sirisciarono rapidissimi questo all’ incon- tro di quello per affrontarsi. Come finalmente furono vicini spiccarono un salto e si assali- rono ‘a vicenda.

« Questo andare sulle ginocchia davanti lo notai per vero dire ogni volta, che si voleva toccare i due da me posseduti, e talora anche solo che mi presentassi ai loro sguardi. Ma come non si slanciavano mai contro di me, era ben lungi dal pensarmi che simile posi- tura indicasse collera o disposizione a combat- tere. Che anzi io la riguardava come un segno di timidezza, anzi di umile docilità. »

La forza e l'intrepidezza, con cui simili

| IL NIL=GHAU. 393 ‘animali slanciansi contro un oggetto a loro inviso può argomentarsi da ciò che sono per riferire.

Un nil- - ghau di vagguardev ole grossezza pas- sava in un chiuso non lungi di un povero giornaliero, il quale non sapendo che l' ani- male gli era vicino montò sopra la palizzata. Il nii- ghau colla rapidità del fulmine lanciossi ‘contro la palafiita istessa, cul mise in pezzi rompendosi lun de corni sin presso alla sua origine, il «che fu probabilmente .cagion della ‘sua morte, che poco appresso avvenne.

Si trae sovente il nil-ghau dalle parti in- terne dell Asia, per farne presente ai Nabab o altri grandi personaggi degli stabilimenti eu- ropei neli’ India. In alcune contrade dell’ Oriente ‘esso è riguardato come selvatico reale, e solo il principe o i magnati han privilegio di an- darne alla caccia.

U::0 se ne vede oggi (1806) nel parco di Exe:er- Change, che ha circa sei anni, e da più «di tre è in possesso del sig. Pidcock. È vera mente bell'animale, ma nessuno degli stranieri può ad esso accostarsi. Quando si prepara ad alcuna specie di contrasto suole, siccome quelli già descritti, inginocchiarsi, ed urtare col capo fortissimamente. Il suo custode mi disse che non Viveva se non di fieno e di frumento.

FINE DEL TOMO PRIMO.

INDICE DEL TOMO PRIMO.

Mino dell’ Editore i i Jatroduzione

CariroLzo I

Il Leone ; A È :

La Tigre . È - . è

Il Leopardo .

La Pantera È A L. È N Lince i 5 È i E A L’ Oceloto L’ Iena *

L’Tena Lucia ; i,

CapiroLo II ; i ; Il Lupo : ; : ; E = La Volpe .

La Volpe del Polo Alica.

Il Chacal o Lupo Dorato

Il Chacal di Barberia o l’ Adivo

Il Castoro

CapitoLo HI

"L'Orso comune

L’ Orso. d’ America

‘396 INDICE DEL TOMO L'Orso Bianco . TI Coati o Rattone ;

Il Tasso. È ; ; Il Ghiottone i ; ‘CApitoLo IV

IL’ :Ele fante i 4

Tl Rinoceronie . Tl Rimoceronte a doppio corno

L’Ippopotamo . ;

Il Tapiro . L

CaritoLo V 2 STILI L’ Orangotano

IM Bertuccione . ,

Il Piteco . ; .

Il Babbuino propriamente detto fl Babbuino con muso di cane Il Babbuino Orsino

Il Coaita

La Garzetta -

L’ Quistiti

Il Callitrice

La Berretta Cinese i ° L'Ouarino . 4

Il Sajou Il Saimiri . i È La Diana . ; .

ll Lori Tardigrado Il Manicou

200 Ivi 215 218 221 224 ivi 228 DI 253 254 256 257 242 245 244

252.

258

INDICE DEL TOMO PRIMO.

Il Cayopollino . ; i Il Kanguro i , ; Il Becco d’ Uccello ; ; La Foca

Orso Marino

La Foca dal naso a baia Il Lion Marino

Il Morso —. ; CapirtoLo VI . ;

La Nottola o Pipistrello

Il Vampiro ì

La Talpa

L’Ai

Il Porco Spino

Il Riccio .

La Donnola

L’Icti o il Bocamele . - Il Zibetto La Martora ; ; : Il Zibellino

LI’ icneumone . -. CapitoLo VII

Lo Scojattolo ; i

Lo Scojattolo Grigio. .

Lo Scojattolo Volante .

Il Gerbo . . i

TH Lepre Il Coniglio

397°

Pag.

3”

261 262 266 270 200] 2,82 285

288 294

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398 INDICE DEL TOMO PRIMO.

CapitoLo VII . - Pag. 565 Il Camelo . c i : È » ivi Il Bissonte . 3 . S iran » 393 Il Bufalo . . . Sg i », 577 Il Zebro . i i » 364 Ta Giraffa . _ , i 1) 386

1 Nil-Ghau 2 > 3 : ì 590

REGISTRO DELLE TAVOLE INCISE

CONTENUTE IN QUESTO TOMO.

Roe...

Il Leone

La Tigre

1 Iena

ll Lupo

La Volpe

L’ Orso

L’Flefanie .

Il Rinocerente I'Ocangotano .

I Babbuino Orsino . I. Alano e la Scimia

Il Kanguro

La Noitola e Pipistrello Lo Scojattolo i i H Lepre . î

Il Camelo . n

IH Bufalo

ANTOLOGIA

MORALE, ASCETICA, CRATORIA

CHE SI PUBBLICA PER ASSOCIAZIONE.

IN. QUESTA STAMPERIA.

I diciassette tomi usciti sono :

Tomo 1.° e 2.° Lettere scelte di S. Girolamo ritradotte sul testo originale, con rame. Lim Tom. 3,9 Orazioni di S. Gregorio Nazianzeno fatte toscane da Annibal Cu: con rame. ‘> Tom. 4.0 5.° e 6.° Caratteri dei più celebri dae tori Sacri, descritti dal Cardinale Siffredo Maury , col suo ritratto . Tom. 7.° e 8.9 Gli Uffici di S. Ambrogio coll l aggiunta del Trattato della fuga. dal mon-

do , con rame. +. ”» Tom. 9.9 Orazioni di S. Giai Grisostomo , con rame . -

Tom. 10. Pensieri Ri Pal al religione , ricorretti e forniti d’ importanti note, con ritratto . . ; i 9”

Tom. 11.9 Sermoni di S. Agostino recente mente scoperti, col testo a fronte, e rame

Tom. 12.° Sermoni ed Omelie del medesimo S. Agostino, volzarizzati da Monsignor Flori-

mo nie . Tom. 13.° e 14.° Opere scelte di Tertulliano , con rame . 9)

Tom. 15.2 e 16. o Or azioni Fanehri a Bossuet ricorrctte ed accresciute dell’ Orazione reci- tata per la professione religiosa della Du- chessa della Vallière, con rame . s9

Tom. 17.° Della Dottrina Cristiana, libri quat- tro di S. Agostino, versione del Bersantini. D)

Tom. 18.9 ( sotto. ‘i torchii ). Discerso sopra unità della Chiesa di Bossuet suddetto.

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