—_—_ ———— (=== E —_ — = —_ | —_— ni —_- _-__ ao r—=«—«—a« (°)) 102) (fe) N (©) == —__ lm de N LA, de lan e de a E be ra n. Mo si Ra “i bS Mi rai er 4 COLLEZIONE OPERE INEDITE O RARE — © DELLA R. COMMISSIONE PE TESTI DI LINGUA = | NELLE PROVINCIE DI BOLOGNA a — _ DI | GIO. VETTORIO SODERINI | | VOLUME IV. IL TRATTATO DEGLI ANIMALI DOMESTICI DI GIOVANVETTORIO SODERINI INEDITO A CURA DI ALBERTO BACCHI DELLA LEGA BOLOGNA ROMAGNOLI DALL’ ACQUA 1907 Si 3A ep v mita sio EL. e £ Bologna 1907 — Coop . Tip. Mareggiani gi an » (OLA R. COMMISSIONE PE' TESTI DI LINGUA E I SUOI PRESIDENTI FRANCESCO ZAMBRINI E GIOSUÈ CARDUCCI Della via Toschi, di quella via celebrata dal Guerrini nelle Memorie di Bologna : ma il rigagnolo mio com’ è più bello che passa per via Toschi! di quella via già. polverosa nell’estate, fangosa nel- l'inverno, senza riparo di portici, mal selciata e peggio tenuta in tutto l’anno, non rimane ora in piedi che la metà meno brutta fino ai vecchi pa- lazzi Pepoli, la metà che guarda colle sue finestre e colle sue porte il sol levante. Il giardino Minghetti prima, il palazzo delle Poste adesso, furono i demo- litori dell’ altra metà. Dove era scarso transito di cittadini a giorno, dolce susurro di innamorati a vespro, canto di ebbri o fretta di ritardanti a notte, ivi picchia il martello, cigola l’argano, gira la car- riuola, risuonano le voci e l’opere di cento muratori. Ma vent’ anni or sono e ancor meno, a mezzo di quella via Toschi, allora nella sua meschina inte- rezza, si vedeva una modesta bottega, aperta da EAT dii si A ei, fa XII mattina a sera in ogni stagione, sormontata da una modesta. insegna, su cui leggevasi: Gaetano Roma- gnoli libraio -editore della RE. Commissione pe’ Testi di Lingua. i In quella modesta bottega, dopo la rivoluzione del 1859, germogliò, crebbe e si allargò per molti anni una pianta robusta della vita intellettuale emi- liana; dal 1863 e da quella modesta bottega usci- rono in luce tanti volumi, che soli basterebbero a | formare una doviziosa biblioteca; da quella modesta . bottega cominciò a spargersi per il mondo dei dotti, patrocinata dal governo, la Collezione di Opere îne- dite o rare dei primi tre secoli della lingua; poi, come corredo o appendice, la Scelta di Curiosità let- terarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII; poi, come illustrazione di entrambe, il Propugnatore, gior- nale di studi filologici, storici e bibliografici; morte adesso e appendice e illustrazione; ma viva e florida ancora, nella sua veste ufficiale, la. Collezione, della quale soltanto intendo parlare. Gaetano Romagnoli fu figliuolo delle proprie opere e delle proprie fatiche. Per lui, come per tanti altri, furono duri i principi, quando dall’arte laboriosa e poco proficua del legatore da libri passò all'arte migliore di libraio antiquario, cumulandovi più tardi il carico di libraio editore. Dodici ore al giorno di assiduo lavoro, un’ onestà a tutta prova, sotto ruvide apparenze un carattere aperto e leale, gli cattivarono la fiducia dei corrispondenti, gli XII moltiplicarono le ordinazioni, gli spianarono in- nanzi la via ad imprese maggiori; si legò frattanto in intimità con un galantuomo ed un valentuomo, Francesco Zambrini, il quale studiosissimo dei clas- sici, anelante a grandi letterarie speculazioni, in quel primo fervore del Risorgimento riuscì a per- suadere il dittatore Luigi Carlo Farini di fondare a Bologna una R. Commissione pe’ Testi di Lingua coll’ incarico di studiare e pubblicare i Codici Emi- liani dei secoli XIV e XV; fondata, vi chiamò edi- tore Gaetano Romagnoli; ed uniti insieme comin- ciarono, con veste e dotazione ufficiali, la prima delle tre collezioni mentovate; alla quale ben presto ag- giunsero, di loro propria iniziativa, le altre due, quasi compimento e corredo. Vista quella buona e rubiconda faccia di vero petroniano, conosciuta quella pacifica natura di Gae- tano Romagnoli, pare a me oggi ancora impossibile che egli sia potuto andare d'accordo per tanti anni con quell’ uomo tutto nervi, tutta fretta, tutto fuoco ed impeto giovanile, che fu Francesco Zambrini. Eppure accadde così: la vecchia lega ed amicizia ebbe _ radici tanto tenaci e profonde quanto quelle di una robusta quercia. Non che ad essi non capitasse mai di bisticciarsi: anzi spesso. Ma le loro liti, originate da zelo diverso o da diversa intenzione or per questa or per quella nuova impresa letteraria, erano come i temporali di estate: con molto ed innocuo rumore finivano in brevissimo tempo, E l’ufficiosità di co- XIV i î muni amici, che talvolta correvano ad interporsi, non trovava mai nulla da fare; gli avversari, data' giù la collera, s'erano stretta la mano, avevano concordate le idee, e amici più di prima. Intanto dalla modesta bottega usciva in luce un fiore trecentistico di roba; Francesco Zambrini, rac- colti intorno a sé parecchi letterati e filologi d’ogni parte d’ Italia, assunta la presidenza della nuova istituzione per decreto di Luigi Carlo Farini, Fran- cesco Zambrini si era subito accinto al lavoro. Dopo due esigui volumi stampati come saggio a Torino, abbandonata quella stamperia, quella forma, quella direzione, presidente ed editore formarono definitivi accordi colle tipografie di Bologna. Vanto della modesta bottega, nella Collezione di Opere inedite 0 rare dei primi tre secoli della lingua, Leone Del Preto, Luigi Filippo Polidori, Luciano Banchi, Carlo Mi-. nutoli pubblicavano rinomati romanzi di cavalleria, Aiolfo del Barbicone, la Tavola Ritonda, la Storia di Rinaldino da Montalbano; Pio Rajna stampava le sue Ricerche sui Reali di Francia; Pietro Fan- fani il Commento d’ Anonimo Fiorentino alla Divina Commedia, uno dei migliori conosciuti, originale per l’ Inferno e per quasi mezzo il Purgatorio, cui intanto, servendosi delle stesse forme tipografiche, ma fuori della Collezione, Luciano Scarabelli, come geloso, contrapponeva una seconda edizione del Lando. Carlo Baudi di Vesme risanava dalle pecche della edizione romana del Manzi il Reggimento e Costumi XV di Donna di Francesco da Barberino; e mentre Ales- sandro D'Ancona e Domenico Comparetti attende- vano alla stampa delle Antiche Rime Volgari secondo il Codice Vaticano 3793, Giacomo Manzoni rimetteva in essere le Donne famose di Giovanni Boccacci tra- dotte da Donato degli Albanzani, dal monaco cassi- nese Luigi Tosti straziate; Luigi Gaiter s’affaticava intorno al Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni; l’ illustre Luigi Calori, deposto per un poco il coltello anatomico, trattava le Guerre Giudaiche di Giuseppe Ebreo; Francesco Selmi, il chimico di fama europea, ridonava al pubblico i Trattati morali di Albertano da Brescia. E chiudeva questo primo periodo di utile ed incessante lavoro la grande impresa della Bibbia Volgare, secondo la: edizione Jensoniana del 1471, col testo latino a piedi, in dieci grossi volumi, cominciata e condotta a fine da Carlo Negroni. Oh le dotte e vivaci conversazioni tenute in quella bottega, oh la frequenza di tanti valentuo-- mini, sui quali oggi pesano il gelo del sepolcro e dell'oblio! Oh quante memorie di quei signori dei punti e virgole, come li chiamava l’ arguto. libraio Ramazzotti, di coloro che per rotondare un periodo non badano a lanciare un’ insolenza, come diceva il prefetto Bardesono; ma che in realtà resero belli e buoni servigi alla lingua e alla letteratura nazio- nale! Accanto a Francesco Zambrini, a Giosué Car- ducci, il primo segretario della R. Commissione Teo- XVI dorico Landoni, tanto dotto quanto poltrone; Anicio Bonucci, che sé stesso chiamava il Vetterataccio, edi- tore di certe Delizie dei Bibliofili Toscani, che diedero idea più tardi della Scelta di Curiosità; il maggior. conoscitore di libri che abbia avuto d’ ogni tempo l’Italia, Giacomo Manzoni, mordace e cinico; Amico Ricci, storico dell’ architettura italiana; finissimi bibliofili e cercatori di libri rari e creatori di biblio- teche famose, Giovanni Ghinassi, Giuliano Vanzolini, Leone Del Prete, Francesco Pianesani, Giulio Cesare Battaglini, Carlo Negroni; scienziati di fama mon- diale, Francesco Selmi, Giovanni Battista Ercolani, Luigi Calori, Alfonso Corradi, venuti a riposarsi della chimica, della veterinaria, dell'anatomia, della medicina, fra libri, librai e letterati; da Firenze Pietro Fanfani, cercante invano di farsi perdonare dal Carducci le acerbe e dissennate critiche della gioventù; da Pisa Alessandro D’ Ancona, ospite gradito egualmente a Valscura dallo Zambrini, a via Toschi dal Romagnoli; da Padova Emilio Teza, assiduo indagatore di novità poliglotte; ed altri tanti ancora, dei quali mi sfuggono i nomi. Ma sul finire del 1884 moriva Gaetano Roma- gnoli e la ditta passava immutata nella discendenza di lui; soltanto da via Toschi si trasferiva poi nella via del Luzzo. Ancora, a mezzo del 1887, Francesco Zambrini cedeva al fato comune. Allora il Ministro della Pubblica Istruzione chiamava a reggere la , R. Commissione il prof. Giosué Carducci, il quale ue XVII dei soci residenti in Bologna era il più anziano, nominato con lettera ministeriale del 24 ottobre 1862. E mi piace, ritornando indietro, di recare qui la preziosa lettera di ringraziamento, che, traendo mo- tivo dalla sua nomina, il prof. Carducci indirizzava in quella occasione al cav. Zambrini. « Chiariss. Sig. Cav. Presidente » Quanto inaspettata, pel difetto ch’ io conosco % in me d’ogni merito, altrettanto gradita per la illustre compagnia dalla quale non posso se non v » acquistare di pregio, mi giunse, con la gentilissima w sua del quattordici, la notizia dell’ onore che ha » voluto farmi il Signor Ministro dell’ Istruzione » pubblica, aggregandomi in qualità di socio corri- > spondente alla R. Commissione per la pubblica- » zione dei testi di lingua. E ne rendo le debite ‘» grazie cosi al Signor Ministro come alla Signoria » Vostra, dalla quale mi penso che venisse la graziosa Mi e onorevol proposta. Poco sono e nulla valgo: ma » sotto la direzione di Lei mi adoprerò quanto è da v me per questi studi, dei quali tanto è benemerita x la Commissione e il suo Presidente singolarmente. » E con pienissima stima mi profferisco alla 1% Signoria Vostra Ill.ma » Dev.mo Obb.mo servitore » (osué CARDUCCI ». Alle promesse del nuovo socio eran seguite ben tosto le opere. E le /Mustrazioni della Scelta di PRO: ROVINE PARE RETTA Ti, $ XVIII Curiosità Letterarie, raccolte di sui giornali ove prima erano impresse, e riunite in un elegante opuscolo da Gaetano Romagnoli nel 1863, meglio quindi lette e ponderate, apparvero subito un modello di critica, non solo per l’erudizione profonda, per l’ ampia dottrina filologica, ma anche per l’ urbanità, mo- destia e cortesia poste nel rilevare le mende degli editori: né finora ricomparvero nelle ristampe Car- ducciane. Ma torniamo alla R. Commissione. Il nuovo, presidente volle con sé a segretario lo scrivente, nel posto tenuto già da Teodorico Lan- doni; e subito, per riguardo all’ impegno preso dal suo predecessore, tollerò la ristampa dell’ostico Libro d'Amore di Carità del B. Giovanni Dominici ad un socio, ma nel tempo istesso si oppose a che un altro collega aggiungesse un suo voluminoso studio delle lingue e letterature romanze alle Storie Nerbonesi; e della opposizione diè conto al Ministro della Pub- blica Istruzione con una. lettera magistrale, le cui considerazioni dovrebbero tenersi sempre innanzi dagli editori di testi antichi. « Eccellenza — egli scriveva — la Commissione % pei Testi di Lingua, fino dalla sua fondazione, e » per il corso di una lunga prospera e non inglo- » riosa esistenza, ebbe per ufficio d’ indagare nelle biblioteche pubbliche dell’ Emilia e di cercare dalle MM » private i codici e le edizioni rare dei testi di lingua > spettanti aî due secoli XIV e XV, procurare la » collazione con manoscritti e-stampe di altre biblio- w xv % ZIx: teche fuori delle nostre provincie e promuoverne la stampa, cui il Governo avrebbe sovvenuto a norma del bisogno. Questo si rileva, cominciando dal decreto che le diè vita, del 16 marzo 1860, di cui sono le parole sopra riferite, arrivando fino alle circolari e agli avvisi a stampa con cui il benemerito presidente Zambrini volta per volta sollecitava la collaborazione dei colleghi o annun- ziava al pubblico la comparsa di nuovi lavori. Né mai si permise ad alcuno dei soci della R. Com- missione, per quanto dotto e famoso, di alternare agli antichi testi che si andavano mettendo in luce, volumi intieri di opere proprie, i quali, per la natura e per il fine medesimo della istituzione, non potevano farne parte. » Fu dunque un atto di condiscendenza, forse soverchia, del benemerito presidente d’ allora, quello di permettere al signor..... di unire alla Collezione dei Testi di Lingua, e precisamente ai libri delle Storie Nerbonesi un suo voluminoso studio sulla storia delle lingue e letterature ro- manze, di cui fu già pubblicato il primo volume; ma forse lo Zambrini fu tratto ad ammetterlo dal titolo con cui il..... gli presentò il suo lavoro, di una generale illustrazione, cioè, dei volumi pubblicati dalla Commissione: titolo che non si può più assolu- tamente sostenere, tanto diverso è riuscito nel suo insieme il lavoro del..... da quello che dovrebbe essere una vera e generale illustrazione.... ». XX Intanto, per il vigoroso impulso del nuovo pre- sidente, i volumi che a mano a mano uscivano in luce dal 1889 al 1895, mantenevano, se non accre- scevano, tutto l’antico lustro della Collezione. E sotto la pristina copertina gialla, Lodovico Frati ripub- blicava di su un codice della nostra biblioteca uni- versitaria le Vite di uomini illustri di Vespasiano da Bisticci; Giuseppe Vandelli faceva seguire il testo critico dei Reali di Francia al classico libro dal Rajna già messo in luce; Mario Pelaez traeva un bel volume di Rime Italiane da due codici Casanatense e Vaticano, ed Angelo Solerti, testè mancato ai vivi, riuniva in un solo corpo le Poesie volgari e latine di Matteo Maria Boiardo. Ma nel marzo del 1896 il ministro della pubblica istruzione rimoveva dall’ ufficio di segretario lo scri- vente, per asserita incompatibilità; e la piccola questione, portata avanti la Corte dei Conti, forniva motivo al presidente di dettare nel maggio succes- sivo una magnifica lettera e di vincere con ragioni filologiche (che în fondo, egli scriveva, sono le più vere) le argomentazioni ministeriali. Non riporto quella lettera, perché è già stampata nel vol. unde- cimo delle Opere Carducciane; né richiamo la parte filologica di essa, alla quale fu attribuita la vittoria, perché non fu sola a vincere; ma ricordo come a me, turbato di quel contrasto, non tanto per il danno materiale, quanto per il timore di perdere la dolce intimità quotidiana col Maestro, ricordo come egli. XXI con infinita bontà si degnasse di far coraggio; e nel dettarmi la famosa lettera, di su la mala copia che conservai gran tempo fra le mie cose più care, e nel vedermi commosso fino alle lagrime per la calorosa difesa dell’ opera mia, mi dicesse: < e se » questa non basterà, minaccerò le dimissioni e » finalmente le darò: e anderemo via tutti due » insieme »; e le dimissioni in verità minacciate valsero quanto la eloquente lettera. La Corte dei Conti diede ragione in tutto e per tutto al presidente, e le cose si ricomposero nell’ assetto di prima. Dopo questa scaramuccia un’altra. Pur nello stesso 1896, del mese di luglio, il ministro della pubblica istruzione rimandava a Bologna i conti non approvati, con diverse osservazioni minute e fiscali, alle quali il professore, finalmente e vera- mente seccato, restituendo a Roma il resoconto rive- duto e corretto secondo le norme ministeriali, rispon- deva, sul finir del medesimo luglio, una abbondante giustificazione, e finiva così: « ..... Io che fui sollecitato più volte da un >» antecessore dell’ E. V. di accettare l’ ufficio che » tengo gratuito, mi son dato e mi do ogni pen- » siero per rinnovarlo e farlo rispondente a ciò che » si richiede oggi giorno in questi studi. Capisco » le esigenze della burocrazia, ma le sue osserva- » zioni vengono a cadere in faccia al reale. Stia > certa V. E. che non una lira dello Stato anderà » male in questa Commissione; finché ci sarò 10 », XXII Ma queste piccole miserie non rallentavano in- tanto i lavori della R. Commissione, e la stampa. di nuovi volumi, ai quali il programma tacitamente allargato fino al secolo decimosesto e la nuova coper- tina azzurra davano aspetto e realtà di seconda serie. E il programma ampliato permise di aggiungere al Tristano Riccardiano di E. G. Parodi, alle Rime di Serafino Aquilano curate dal Menghini, all’ Amabile di Continentia dato dal Cesari, al Canzoniere Lauren- ziano Rediano 9 ripubblicato dal Casini, alla conti- nuazione dei Realî di Francia, al primo volume del Canzoniere Guittoniano sudato vittoriosamente da Flaminio Pellegrini, di aggiungere, dico, a tutti questi volumi, la edizione compiuta delle Rime di Torquato Tasso condotta dal Solerti, le Piacevoli Notti dello Straparola presentate dal Rua, le Lettere di Alessandro Tassoni riunite da Giorgio Rossi, e l'Agricoltura di Gio. Vittorio Soderini pubblicata dallo scrivente; a proposito della quale il prof. Carducci ebbe a scrivergli la seguente lettera da Firenze, che attesta una volta di più la sua fede immutata, i suoi vigorosi propositi e la sua vigilanza: « Firenze, 81 ottobre 1899. » Caro dottor Bacchi Lega » Ho inteso tutto e tutto va bene, ma ciò su » cui mi preme spiegarmi è questo. » Che la tipografia Garagnani sia passata ad XXIII » una società intieramente ecclesiastica, lo sapevo; » e volevo appunto interrogare il consiglio diret- tivo su quello che fosse da farsi per conto nostro, perché insomma a me ripugna che il denaro dello Stato vada, per quanto per piccoli rivi, a I RIOT den, PT, ingrassare quelli che fanno e che sono contro lo » Stato. Sentito il parere del consiglio, avrei ope- » rato in proposito. Lasciar compiere i lavori finora » impresi è necessario; ma darne di nuovi, no; » onde il mio avviso è che ella ritiri il manoscritto » del Soderini, e se non si può affidare ad altri, stia » per ora in sospeso. Per ciò la prego a provvedere » in proposito ». E in proposito fu provveduto. Il manoscritto del Soderini, tolto alla tipografia Fava e Garagnani, fu affidato alla Cooperativa Tipografica Mareggiani, che ne ha condotto e compito con questo quarto volume, sempre alacremente e accuratamente, la stampa. Correva il luglio del 1900; ed egli, il presidente nostro, salito a Madesimo in cerca di quella vigoria che sentiva mancarsi ad oncia ad oncia per il male ond’ era frescamente invaso, ebbe lassù, dolorosa quanto a nessuno mai, la notizia del regicidio di Monza. Io che fui testimonio delle collere, degli scatti, degli sconforti provocati in lui dai tristi fatti del maggio 1898, quando pareva che metà d’ Italia sì precipitasse alla guerra civile, io immagino facil- mente quale dovesse egli trovarsi nella prima XXIV impressione dell’infame attentato; e la stupenda . lettera che trascrivo è lo specchio. FiFaigonta del- l’anima sua di quei giorni. « Madesimo 2 agosto 1900. » Caro Bacchi Lega. » Ho pensato di scrivere alla Regina, come » presidente della Commissione dei Testi di Lingua, » la lettera che ti acchiudo. » Trascrivila e mandala subito. Salve. » Grosuk CARDUCCI ». » A S. E. la Marchesa di Villamarina » Dama d’ Onore di S. M. la Regina. » Signora Marchesa » Non volevo turbare il santo dolore della Re- » gina con recarle innanzi i miei sentimenti parti- » colari; ma il silenzio poteva parere ingratitudine, » e dovendo pure, come officiale pubblico, prender » parte nella manifestazione del lutto nazionale, » prego la E. V. di far presenti all Augusta dolo- » rosa questi miei sensi. i >» — Maestà! È vero, fu il più grande e atroce » delitto del secolo. I Principe che nel fiore degli » anni, avvolto dal nembo di guerra e assorto în | » quella che allora era poesia della patria, sostenne » l’urto dei battaglioni stranieri: it Re che sempre » osservò con fedeltà cavalleresca la. volontà nazio- » male, e affrontò intrepido î freddi pericoli della o XXV » morte dovunque il suo popolo pativa, e volle essere » re del popolo e abbracciare nel provrido pensiero » gli umili: il Re forte semplice e buono, esserVi ‘» condotto fra le braccia morto come un tiranno da » mano italiana, da mano di popolo: Maestà, che » orrore, che pietà, che desolazione! I conforti, che » non possono venirLe da oziose parole, voglia Ella » attingerli negli alti ideali a cui è usato aprirsi il » Suo cuore magnanimo: e voglia anche pregare a » Dio giorni migliori per questa povera Italia. — » Signora Marchesa, sia buona di dir questo a >» Sua Maestà da parte mia, e presentarle da parte » di questa modesta società di studiosi le significa- » zioni di profondo cordoglio e le proteste di devo- » zione e fede. » Ossequiosissimo * » Grosté CARDUCCI ». Fu, per il presidente della R. Commissione, questo il canto del cigno: benché l’uomo grande durasse ancora alcuni anni, genio tutelare e simbolo insieme della patria. Ma fino al luttuoso febbraio del 1907, l’esistenza e i lavori della R. Commis- sione, sempre da lui gelosamente invigilati, progre- dirono tranquilli e regolari, né diedero altro motivo a dispute o a richiami. | ‘Così, fino all’ ultimo di sua vita, nonostante il progressivo decadimento della salute, nonostante la volontaria rinuncia quasi ad ognuna delle cariche XXVI e cure che furono la sua gloria, Giosué Carducci. ritenne ed esercitò la presidenza della R. Commis- sione. E pochi giorni ancora prima: di morire, egli si compiaceva di farmi ripetere i titoli dei volumi nuovamente stampati, di quelli in corso di stampa, di quelli testè citati dall'Accademia della Crusca nel suo Vocabolario. E se ne mostrava contento, anzi orgoglioso, ripetendo spesso, durante la mia enume- razione: « vedranno che non abbiamo lavorato inu- tilmente! ». ALBERTO BACCHI DELLA LEGA PREFAZIONE ——_*_-0+__ Ecco la descrizione del codice donde questo volume, quarto ed ultimo dell’ Agricoltura So- deriniana e tutto inedito, è tratto. - Infol, rilegatura moderna in cuoio e assi- celle odorose di cipresso; nella prima guardia interna è la collocazione di biblioteca, in un biglietto incollatovi col timbro della Nazionale di Firenze: 11. Iv. 77. Provenienza Strozzi (in f° n. 1179). Vecchia Collocazione Magliab. xIv, n. 45. 1896. L'antico manoscritto è numerato da 1 a 265 sul retto di ogni carta da mano recente, e preceduto da tre carte non num., la prima scrittovi sul retto il ». 1179 antico Strozziano, e la collocazione Strozziana ». 4. 5., poi a matita: xrv. Soderini V. 4.; la seconda bianca, la terza più piccola, sul cui retto è il num. 934 corretto in 1179 e il timbro della Nazionale. Ma la numerazione tutta comples- siva è poco regolare, giacchè si salta dal XXVIII o ; num. 119 al num. 130, vi sono le carte 151 bis, 220 bis: perciò le carte dell’ antico manoscritto. da 265 discendono a 259. Il testo originale del Soderini comincia a car. 4 retto, termina a car. 263 verso. Le carte 1-3 sono occupate da un rifacimento pur antico di altra mano, la stessa che ricostrui l'introduzione del vol. primo, per buona fortuna fermatisi entrambi sul prin- cipio. Le carte 264-265 contengono due lettere dirette al Soderini: la prima di Antonio Sol- dani, la seconda di Benedetto Mozzi. 1 singoli trattati degli animali domestici sono divisi da carte bianche, fin due o tre alla volta, ma comprese sempre nella numerazione. Quanto alle due lettere, la prima è scritta in un foglio di carta della grandezza e somiglianza del ms. Soderiniano, la seconda in un piccolo biglietto inquadrato in un foglio di carta. più grande e simile agli altri. Eccole nella loro integrità, quantunque non abbiano alcuna importanza. I. < Molto Ill" Sig. mio. >» Non ò mancato di non legere la lettera >» a dua bombardieri alla presenzia del servi- tore di V. S., e loro mandono i loro conti, e » dice delle lenzuola, dice che detono tutte le » polizie a voi con la camiciuola e calsini di » seta, e la camiciuola perché l hanno portate » a di lungo che vengono a essere logre, e io x. ii ate XXIX » non Òò voluto riscuoterli altrimenti; e d’ uno » paio di calsini che restano a Mantino dice » che ve li pagherà, ma dice avere speso mezzo » scudo in riscuoterli, però a apagare quest’ altri » a V. S. potrete mandare aviso che ve li pa- > gherà, e vi si manda uno paio di calsini e > tre coltelli; e la ringrazio delli sparagi e >» delle cose mandatemi di nuovo, e le raco- » mandazione l'ho fatte al Busino; e bevete » del vino, ma anaquatelo un poco; e l’arbrello » à fatto guarire Ilario. a vederlo; e bacio le » mane di V. S. » Di Castello di Volterra » il di 27 di Aprile 1593. » Di V. S. Ire Se i » ANT. SOLDANI > e i danari li riporta il servitore tutti che » non gl’ ò tochi >. [A_ tergo:] < Al Molto IllL”® Sig.”* mio » Il Sig.” GrovanvETTORIO >» Soperini. A Celleri ». II. « Ill.mo° Sig." mio. » Arivato qui ò trovato dua poponi venuti > da Pisa, li altri sino a n.° cinque sono di > qui, che né mando uno alla padrona di casa, > tanto diligente et amorevole; V. S. acetti il Mena a a rad DS Pia rt e a rie E talia XXX » buono animo, se non sono cosa degna de lei, >» e per ogni suo comodo mandi per essi; et » volendo conservare detti, metteteli nel pozzo » rasente l’ aqua subito, che vano in là dua » giorni più. OT » Aff.r° per servirla I » Beneperto Mozzi », [A tergo:] . < All IL Sig. Gro, V. » SopERINI Sig."° mio. >» A Cedri ». Mano recente aggiunse davanti all’ antico manoscritto sei carte non numerate. Sul retto della prima, in alto: 1yv | Soderini (Gio. Vettorio) | Agricoltura | T.1v.| E in basso: Cod. 77. Nel verso è bianca. Sul retto della seconda, in alto: Ex Biblio- theca Stroctiana Cod. 1179. Petri Leo-| poldi M. E. D. munificentia nonis Julii. | 1786. | Catalogus M. S. Codd. Stroctian. de. nostrae | Bibliothecae Ferdinandi Fossii. | Il verso è bianco. Sul retto della terza, in alto: In Catalogo primo mnostrae Bibliothecae deside-|ratur, quod ipso iam absoluto Bibliothe-|cae additus sit. In Catalogo Codd. Stro-|ctian. de. nostrae Biblio- thecae Ferdinandi | Fossii et Indice gener. Codd. CI. xIv. P. 3. | Cod. 45. Soderini (Gio. Vettorio) Agricoltu-|ra Vol. Iv. | 11 verso è bianco. XXXI Sul retto della quarta carta: Soderini (Gio. Vettorio) Agricoltura T. rv. | Cod. in fol. chart. autogr. Saec. XVI. foll. 264 | scriptus in Cedria Villa ubi et T. I. II. et III.| quos vide. Haec pars omnino inedita. Tria | priora folia eiusdem manus sunt quae duo | priora T. I. eraravit. Id postremum continet | epistolam autogr. Antonii Soldani ad Jo. Vi-|ctorium Soderinium diei 27. Aprilis 1593. ex | Castro Volaterrano missam A Celleri (sie pro | Cedri vulgo loci nomen expressum.) Alia | item sequitur Benedicti Mozzii ad eumdem. | Fuit | Joannis Victorii Soderinii Auctoris et Scriptoris. | Philippi Junctae Typo- graphi Florentini ex dono Auctoris. v. Cod. 74. P. iv. | Caroli Strozzae Senatoris Thomae fili qui Num. |.1179. proprio calamo Codici praeno- tavit. | Il verso è bianco. Sul retto della quinta carta, in alto: Ope- rum Series | Alphabetica. | Soderini (Gio. Vettorio) Agricoltura | T. Iv. Num. unic. | Sol- dani (Antonio) Lettera a Gio. Vet-|torio Sode- rini. N. unic. | Mozzi (Benedetto) Lettera a Gio. Vet-!torio Soderini. N. nic. | Il verso è bianco. Sul retto della sesta carta: Soderini (Gio. Vettorio) | Agricoltura | T.1v.|Il verso è bianco. Questo quarto volume è in condizione mi- gliore di tutti i precedenti; la lettura e la interpretazione non mi hanno presentato serie e, LI XXXII e difficoltà, eccetto che in pochi punti, nonostante che carta ed inchiostro fossero pessimi e fre- quentissime le abbreviazioni. La materia stessa, . più varia e più dilettevole a mio gusto che nei precedenti volumi, mi ha fatto parer brevi le ore altrimenti noiose della trascrizione. i E. perchè nulla manchi, ho posto qui appresso, in principio del volume come è in principio del codice, quel saggio di rifacimento, subito tralasciato, del capitolo delle pecore; Saggio o tentativo di colui medesimo, chiunque fosse, che incominciò, ma ruppe tosto ancora il proemio dell’opera, del quale ci manca l' ori- ginale dettato soderiniano, nella grande lacuna del primo volume. ALBERTO BACCHI DELLA LEGA Della Pecora cap..... Si divisa il frutto che in buona quantità e qualità si può trarre dalle pecore et del modo del ben governarle; si dà certa regola per condurre i parti e sostentare gli allievi loro, con alcuni medicamenti proporzionati alle infermità degl’ animali. Oltre alla mansuetudine delle pecore et agevol governo loro, se ne cavano diversi pro- fitti et utilità; et primieramente il latte, quale producersi nero rasente il fiume Astace in Ponto sì trova scritto. Del latte si fanno caci, che del puro latte loro son buoni, et mescolato con- tempera tutti gl’ altri, facendogli diventar mi- gliori; a canto a questo se ne cava la carne degl’ agnelli generati da loro et de’ castrati, . commendata per sanità e buon sapore sopra la carne di tutti gl’ altri quadrupedi; di poi se ne trae la lana, et talora con la lana la pelle, che ben concia ripara dal freddo et è sanissima a portare; dilicata è quella delli agnelli lattenti, et delicatissima riesce quella delli agnelli non cite ona eee ene Frutto che si può trarre dalle pecore. IRTPRZE pur dii sr Lane fini di varie regioni. Grossezza e grandezza delle pecore secondo i paesi. Varie spezie di pecore, XXXIV nati usciti di corpo alle lor madri, con un pelo gentilissimo nero lustrante come velluto. Finis- sima lana di pecore è quella dell’ Indie, di Spagna, d’ Inghilterra, di Sardigna, di Sicilia, di Corsica et quasi tutte l’isolane et quelle che si pascolano intorno alle marine, per la commodità di farle bagnare nel mare, del quale l’acqua le abbonisce oltre a modo; come che d’ egual bontà diverrà la lana, se dove non sia commodezza della marina, avanti che le pecore sì tosino, si strofineranno col sugo del lupin cotto et con la feccia del vino vecchio, mesco- lata con morchia di pari misura, e dopo l’ averle bene stropicciate per tutto, lavarle con l’acqua salata piovana; et così governandole si manter- ranno sane, e se ne trarrà la lana più fine e delicata. Molti hanno auto per opinione che per lo medesimo rispetto le pecore tosate unte d’ olio d’ oliva si debbano tenere tre giorni al sole. Di finissima lana naturalmente sono le pecore d’ Alemagna intorno al Reno e le Fran- zesi per tutto ’1 paese di Francia; son buone le lane Milesie, le Pugliesi et le Calavresi, e tra queste ottime son quelle di Taranto; ancora le Modonesi e Parmigiane ‘$’ apprezzano, et in Asia lodatissime sono a Laodicea. Il. campo grasso et alla pianura nutrisce le pecore più grandi e più grosse: le spiaggie, i colli e le colline le nutricano gracili e quadrate; l’ Alpe, i monti aspri e salvatichi, piccolette, ma di più sottil lana. Cosî come si ritruovano montoni di quattro corna, cosi si ritruovano ancora delle pecore, delle quali sono più spezie fra le nostrali XXXV senza corna; chiamate Mosine, Bastarde e Gen- tili. In alcuni paesi, dove lo stato del cielo è umido e ventoso, sì desiderano i montoni e becchi con ampissime corna et coda, con la quale distesa si difendano dall’ acqua rovinosa e con tempesta. In Arabia hanno la coda lunga e larga a smisura; e di coda altrettale si legge essersi trovati montoni in Egitto. I montoni che hanno le corna piegate verso il muso et ritorte (ancor che quelli che son senza non sien cattivi) son tenuti migliori, come ancora quelli che hanno le corna bene svolte, anzi che diritte, s accettano ove sia l’invernata aspra, che reg- gono meglio i ben cornuti, ma nell’aere più benigno senza corna i maschi. De’ non cornuti ne segue questo inconveniente, che questi si stanno più pacifichi e quieti; quelli, sentendosi armati, son parati sempre ad urtarsi e sono più pronti a investire le femmine; assalta e perse- guita il rivale, e se ben solo non può bastare a coprir tutte, con tutto ciò non permette che un altro ammonti, finchè non ne sia stracco egli. Volendo i pastori. accorti rimediare a questa lor tanta furia e smania, legangli alla testa una tavola, che per gl'aguti confittivi, cavanti fuor le punte, volendo urtare ferischino la lor testa medesima. Alcuni scrivono, che bucate le corna nel torto da banda a banda con un succhiello, si mitighi questa lor vio- lente furia et s° ammansino. Le pecore nostrali ordinarie fan più grossa lana, se si tosano di marzo la prima volta, poi al giugno et all’ ottobre: queste, non essendo la terra coperta di neve, si cavan fuori d’ ogni Qualità dei montoni. Peccra nostrali ordinarie. pati e ot ii nti Dre NAT RAT AITAR (E Ai 7 ; SERE ISS Pe RT XXXVI tempo a pascere; ne’ luoghi caldi durano 4 mugnersi ben sei e sette mesi, et ne’ freddi e gelati ben quattro o cinque. Quelle che sono Pecore Mosin. senza corna, dette Mosine, pur che non sia la neve stesa in terra, si mandano a pascere tutto l’anno: fanno lana assai, tosandole di marzo e settembre, et perché son buone le femmine per razza et i maschi per castrati, si sogliono alle- vare tutti i lor parti; mungonsi solamente il giugno et il luglio, et così l’ altre, delle quali Pecore Bastarde. si serbano gl allievi. Le Bastarde si tosano due ‘volte, ma nella tosatura variano i tempi, con- ciossiache non sia in tutti i lati la medesima temperatura del cielo, né l’istessa ragione di pascolare. Perché merita il pregio dell’ opera considerare lo stato del cielo in che clima si truovi, acciò per lo freddo tose et per lo caldo non tose, elle non restino offese. In alcuni luoghi elle si tosano due volte, al principio di maggio et al fine d’ aprile, e di nuovo al principio di settembre, nel qual tempo quelli che tosano due volte le pecore, tosano anche gl’ agnelli. Pecore Genti Le pecore Gentili si tosano una volta l’ anno, nel solstizio di state, per lasciar crescere la delicatezza e morbidezza della lana loro: et queste son quelle che gl’ antichi tenevano co- perte ne’ freddi con pelli concie delle loro, per mantenerle, conservarne la razza, et cavar più valuta della lana et de’ loro allievi. Non si deono mugner mai et lasciar loro tutti i figliuoli, et se bene elle comportano d’ esser mandate a pascere d'ogni stagione, tuttavolta, perché elle ne potriano divenire inferme, è loro salutifero il riguardarle da’ tempi tristi d’umido e d’acqua. XXXVII Ma quando si conosce voler nevicare et far burrasca, si deono rimenare al coperto per difen- derle: a tal che è meglio tenerle il più del tempo alle stanze delle loro stalle, le quali per ogni sorte di pecore deono esser fabbricate in lato asciutto, basse da terra, ben copertate, lunghe anzi che larghe, perché siano calde nel verno, et urtandosi non ammazzino gl’ agnelli, per essere scarse e strette. Sieno volte più verso oriente che verso mezzodi, benchè ancora verso mezzodi giusto stanno bene. Avanti alle loro stalle dee essere un andito da potere intratte- nersi; et affine che elle possino esalare e pigliare recreazione, secondo la qualità dell’ aere per li tempi, starà bene che abbino una porta da oriente et da mezzogiorno un’ altra; et è da procurare che dovunche elle stien ferme vi sia sotto il suolo spianato, pari e pulito et un poco pendente per poterlo più facilmente nettare, e possa scorrere l’orina, perciocchéè quella mol- liccia umidezza non solamente danneggia l’ugne, ma ancora guasta la lana, e Je rende ruvide. Per questo si stendano di asciutto. strame et siano graticci nettissimi, perché quanto più pulitamente si riposano, più di buona voglia pascono. Tengonsi sotto delle frasche che spesso si mutano, acciocche giacciano soffici, morbide et non molli, et massimamente le gravide e quelle che han partorito; et la pastura si dia loro abbondantemente, perché un picciol nu- mero con la pastura larga si sazia, et più è di rendita al padrone, che un grandissimo gregge che talor patendo sia mal nutricato. Deonsi dalla larga campagna di pianure e valli richia- È Te) È, ATI TT in fr ey PR ETREIRSRIROMA LEE RERO RIP, PES Ten nn : La A set Ia RA % L > A b \ vr ai Stalle delle pecore, dove et come si deb- bano edificare. . Fattezze per conoscere le pe- core di miglior qualità, XXXVIII mare agli stabbii all’otta del mugnere, et quivi procurare il latte; e dentro a quelli in alcuni luoghi al benigno aere la notte si riducano, et | vi stanno la state, come anche in Germania e Polonia. Ma le pecore Greche, Asiane et le Taren- tine che chiamano nere, che son ben coperte di lana, si tenghino dentro alle stalle; et deonsi fare i chiusi separati l’ uno dall’ altro, per poter dividere le gagliarde e sane dalle deboli e scadute; ma tuttavia siano volte « mezzogiorno, come s'è detto, perché se bene questo animale è ben. vestito, con tutto ciò teme il freddo e ’1 caldo, et perciò ama la state la montagna, l’ Alpe e’ lati freschi, e ’1 verno sta bene cansato a’ luoghi di maremma et alle campagne calde. Perciò ne’ cortili avanti le stalle staran bene piantati olmi, platani, lecci, quercie et simili, per soggiornarvi a meriggiare, tenendo sotto più asciutto e spazzato che si possa. Ma conciossiacosaché e’ si trovino di tutte le sopradette sorti di pecore et d’ altre fatte ancora, et che elle sieno tutte d’ assai sicura sanità per lor natura, tuttavia si deono eleggere conforme alla natura del luogo, et secondo la considerazione di questo introdurle ne paesi più d’una che d’un'altra razza; et le loro più lodate fattezze hanno a essere di questo garbo: che elle sieno di buona e feconda razza, che producano belli, vegnenti et fazio- nati agnelli di gran corporatura e ventre, co’ velli delicati per tutto ’1 corpo, et maggior- mente in su la collottola et sotto ’1 collo, sa- pendo che la lana bianca e sottile più s apprezza, i ‘in bigia meno, n manco la pendii: cosi avviene | 0 Sw delle paeore che la fanno. RE 3: uri Fifucimento è è qui, in Fai della car. 33 | verso, bruscamente interrotto; e a car. 4.* recto, Gao | senz » altro, si rifà da capo il» testo autografo del Rs si oderint.] RA i re È ; dt: Li EG esa «ER. Ca) IN Se iii Di Le Pecore. Oltre alla mansuetudine, quiete et piacevo- lezza delle pecore et agevol governo loro, se ne cavano diversi profitti et utilità; et prima- mente il latte, quale prodursi nero rasente il fiume Astace in Ponto si truova scritto. Del latte si fanno i caci, che del puro latte loro son buoni, et mescolato contempera tutti gli altri, facendogli diventar migliori. Accanto a questo se ne cava la carne degl agnelli gene- rati da loro et dei castrati, commendata per sanità et buon sapore sopra tutti gl’ altri dome- stichi quadrupedi. Di poi se ne trae la lana et con essa la pelle ben concia che ripara dal freddo, sanissima a portare; la quale è delicata degl’agnelli lattanti ne’ primi di, ben concia, et delicatissima riesce degl’agnelli non nati usciti di corpo alle lor madri, con un pelo gentilissimo nero lustrante come velluto. Finissima lana di pecore è quella delle Indie, di Spagna, d’ Inghil- terra, di Sardigna, Sicilia et Corsica et quasi tutte l’isolane, et quelle che si pascolano intorno 4 alle marine, per la comodità di farle bagnare nel mare, del quale l’aqqua le abbonisce oltr’ a modo, così che, avanti che le sì tosino, strofinarle . co "1 sugo del lupin cotto et con la feccia del vin vecchio, mescolata con morchia di pari mi- sura, et fatto tutto un corpo stropicciar forte tutta persona, poi lavarle con l’acqua salata piovana, se non vi sia comodezza della marina. Di questa maniera governandole si manterranno sane tutto l anno, per lo spazio del quale si facci sempre questa operazione che elle si tosano, et sarà la lana più sottile, morbida et delicata. Molti tengono per openione che le pecore to- sate si debbino per tre di unte d'olio d° oliva tenere al sole. Di finissima lana naturalmente sono le pecore d’ Alemagna ‘intorno al Reno, et le Franzesi per tutto ’1 paese di Francia; sono buone lane le Milesie, le Pugliesi et le Calavresi, et tra queste ottime quelle di Taranto. Ancora le Modonesi et Parmigiane s’ apprezzano. In Asia sono lodatissime a Laodicea. Il campo grasso et alla pianura nutrisce le pecore più grandi et più grosse, le spiaggie, i colli e le colline le nutricano gracili et qua- drate, l alpe, i monti aspri et salvatichi picco- lette, ma di più sottil lana. Così come si ritruo- vano montoni di quattro corna, così si ritruo- vano ancora delle pecore; delle quali sono più spezie tra le nostrali senza corna, chiamate Mosine, Bastarde e Gentili. In alcuni paesi dove lo stato del cielo è umido (') et ventoso sì desi- (1) Sopra umido è scritto uvido della stessa mano autografa; che vale quanto xmido e manca ai vocabolari. «derano i becchi et i montoni con ampissime corna et coda, con la quale distesa si difendono dall’ aqqua rovinosa et con tempesta. In Arabia hanno le code lunghe un cubito et tre talvolta, et larghe assai, et talora di tanta lunghezza, che i pastori le tengono legate loro sopra la schiena, poi che strascinandole per terra riceverebbono dei tagli che gli farebbero gran danno. Leggesi che in Egitto si sono ritrovati montoni (') a cui pendono venti libbre di coda. I montoni che hanno le corna piegate vers il muso et ritorte, ancor che quelli che son senza non sieno cattivi, sono tenuti migliori; come quelli che hanno le corna bene svolte anzi che diritte s accettano ove sia l’invernata aspra, chè reg- gono meglio i ben cornuti; et nell’ aere più benigno senza corne i maschi. Dei non cornuti ne segue questo inconveniente, che questi si stanno più pacifichi et quieti; quelli, sentendosi armati, stanno sempre parati a urtarsi, et sono | più pronti a investir le femmine; et assalta et perseguita il rivale, se ben solo non può bastare a coprir tutte, né permette che un altro am- monti, sin che sia stracco egli del troppo am- montare. I pastori accorti (*), volendo rimediare a questa lor tanta furia e smania, legangli alla testa una tavola che per gl'aguti confittivi, cavate fuor le punte, volendo urtare ferischino la lor testa medesima. Alcuni scrivono che bu- cate le corna nel torto da banda a banda con un succhiello, si mitighi lor questa violenta lor (1) vervex, scritto sopra montoni. — (%) petulci, scritto sopra accorti. li furia et s ammansino. Ora le nostrali ordinarie fan più grossa lana; et si tosano di marzo la prima volta, poi a giugno et all'ottobre; et non essendo la terra coperta di neve, si cavan fuori d’ogni tempo a pascere; et nei luoghi caldi durano a mugnersi ben sei e sette mesi, et nei freddi et gelati ben quattro o cinque. Quelle che sono senza corna, dette Mosine, pur che non sia la neve stesa per terra, si mandono a pascere tutto l’anno, fanno lana assai, tosan- dole di marzo et settembre; et perché sono buone le femmine per razza et i maschi per castrati, allievano tutti i lor parti. Mungonsi solamente il giugno et il luglio; et tanto sì può fare alle altre delle quali si desidera ser- virsi della loro [lana], femmine e maschi, si come delle Bastarde, che si tosano due volte et sì menano a pascer fuori, eccetto che quando la neve cuopre il terreno. Ma della tosatura variano i tempi, perché non è in tutti i lati la medesima temperatura del cielo, né l’istessa ragione di pascolare. Imperciò merita il pregio dell’ opera conside- rare lo stato del cielo in che clima si truovi, ove per il freddo tosa e per il caldo non tosa elle restino offese. In alcuni luoghi elle si tosano due volte, al principio di maggio o al fine d’ aprile, et di nuovo al principio di settembre, nel qual tempo quelli che tosono due volte le pecore, tosono anco gl’ agnelli. Le pecore Gen- tili si tosano una volta l’anno nel solstizio di state, per far crescere et lasciare abbondante la delicatezza della lana e la lor morbidezza; et queste sono quelle che gl’ antichi tenevono RETTE PORRE MMAFIANO CI RENEE TTI PORT IT e 1 coperte nei freddi con pelli concie delle loro per conservarle; et per conservarne la razza et cavarne più valuta della lana e del loro allievamento, non si deono mugner mai et lasciar loro tutti i figliuoli. Et se bene le com- portano d'essere mandate a pascere: d’ ogni stagione, pur che non sia di neve coperta la terra, tuttavolta, perché elle potrian divenire inferme, è lor salutifero il riguardarle dai tempi tristi, d’ umido et aqqua; et non solo quando si vede intorbidare il tempo per l’aqqua, ma quando si cognosce voler nevicare et far burrasca, si deono ritornare al coperto per di- fendernele. A tal che è meglio tenerle il più del tempo alle stanze delle loro stalle, le quali non pur per queste sorte di pecore, ma per tutte l altre deono essere fabbricate in lato asciutto, basse da terra, copertate di giunco o paglia o tegole o lastre, secondo porti il com- modo del paese, lunghe anzi che larghe, perché siano calde nel verno, né urtandosi ammazzino gl agnelli, per essere scarse et strette; et siano volte più verso oriente che verso mezzodi, benchè ancora a mezzodi‘giusto stanno bene; et dee essere avanti alle loro stalle uno andito da poter trattenersi; et affinché quivi le pos- sino esalare et pigliare ricreazione secondo la qualità dell’ aere per i tempi, starà bene che abbino una porta da oriente et da mezzogiorno un’ altra. Et è da procurare che dovunche elle stieno ferme vi sia sotto il suolo spianato pari et pulito et un poco pendente, per poterlo più facilmente nettare et farsi spazzato et scevero; et di modo sia il calo, che l’orina scorra et e) non si possi fermare in lato alcuno; perciocché quella molliccia umidezza non solamente dan- neggia l ugne, ma ancora guasta la lana et le rende ruvide (*); per questo si stendano d’ a- sciutto strame et siano graticci nettissimi, per- che quanto più pulitamente si riposano, più di buona voglia pascono. Tenghinsi sotto delle frasche che spesso si mutino, perche giacino soffici, morbide et non molli, et massime. le gravide et le che han partorito; et la pastura si dia loro abbondantemente, perchè un piccol mumero con la pastura larga si sazia et più è di rendita al padrone, che un grandissimo gregge che talora patendo sia mal nutricato. Deonsi dalla larga campagna di pianure e valli richiamare agli stalli al tempò (*) del mugnersi, et quivi proccurare il latte; et dentro a quelli in alcuni luoghi al benigno aere la notte si riducono et stanno la estate, come anche in Germania et Polonia. Ma le pecore Greche Asiane et le Tarentine che chiamono Nere, che sono ben coperte di lana, si tenghino dentro alle stalle. Et si deono farvi i. chiusi separati l'un dall altro per potere dividere le gagliarde pecore et sane dalle deboli et dalle scadute; et tuttavia più che altro siano volte a mezzo .giorno come s' è detto; perché, se ben questo animale è ben vestito, tuttavia teme il freddo e ’1 caldo: imperciò ama la estate la montagna e l’alpe e i lati freschi, e ’1 verno sta bene cansato ai luoghi di maremma et alle campa- gne calde. Perciò nei cortili avanti le stalle 1) scabre, sopra ruvide. — (?) otta, sopra tempo. » SOPp P ia sti ;x” SOI ati ji? 9 staranno bene piantati olmi, platani, lecci, querce et simili per soggiornarvi a meriggiare, tenendo sotto più asciutto, spazzato, pulito et netto che si può. Ma con ciò sia cosa che e’ sì truovino di tutte le sopradette sorte di pecore et d’ altre fatte ancora, et che le sieno tutte d’ assai sicura sanità per lor natura, tuttavia elle deono eleggersi conformi alla natura del luogo, et secondo la considerazione di questo intro- ‘ durle nei paesi più d'una che d'un’ altra razza. Et le loro più lodate fattezze hanno a essere di questo garbo, che elle si elegghino di buona et feconda razza, che produchino belle, vegnenti et fazionate agnelle di gran corpora- tura et ventre, di folta e fine lana, massime intorno alla pancia d’un colore unito; con i villi delicati per tutto il corpo, et maggior- mente in su la collottola et sotto il collo; sa- pendo che la [lana] bianca et sottile più di tutte le altre s' apprezza, la bigia meno et manco la pezzata; et così avviene delle pecore che la fanno; basse di gambe et di gran coda vogliono essere; et se la tepidità dell’ aere le patisca et sia il paese caldo, s° elegghino senza corna, che fan meglior razza, et cosi i montoni; et se il paese sia freddo, con le corne ritorte, erte et larghe; perché queste dai cattivi tem- porali et tempeste si difendono più acconcia- mente. Hannosi a comperare di marzo, et quelle che all’ invernata abbino fatta resistenza, le quali si cognoscono per pratica da’ pastori, È superstizione, come di molte altre cose, de’ Gen- tili, voler tenere il numero delle pecore in caffo. 10 Ciascheduno anno s'ha a far la scelta, et in luogo delle morte o malate s' ha a mettere altrettante delle buone et sane; né si dee far si che ’1 gregge invecchiato da l'età lasci ab- bandonato il padrone. Spesse volte l asprezza del verno inganna il pastore et ammazza tutte quelle pecore che egli si credeva che fossero da comportarsi nell’ autunno, né perciò aveva rimosse; per il che non è bene darle al montone di meno che di quattro anni, né si deono cam- biare prima che ne abbino otto, per rifar la razza et metter lor sotto gl’ allievi, si perché ne luna né l’altra età è sufficiente ad allevarle, si ancora perché quella che si genera di vecchia materia rattiene sempre il vecchio germe del padre e diviene o sterile o debole; benché di vero dai due anni in là si possono le femmine metter sott’ il montone. Hannosi per gioveni quelle di cinque anni; et doppo sette anni so- gliono dare a dietro (') et allentare. S' è conosciuto per esperienza che molte han durato a generare dai due anni sin a nove, cosî le femmine come i maschi; et se ben d'un anno possono comportare il montone et gene- rare, tuttavia baston più a cominciare a darlo loro da due anni in là et fanno gli allievi maggiori. Si sbigottisce il montone dal coprir le pecore, se intoppi alla natura in fuscelli o giunchi o altra cosa che vi sia legata; ma meglio si conservano, facendole pascere scevere al segreto, ma talora si lasciono ammontare alla rinfusa. Et da poi che tutti li fatti delle (1) fatescunt scritto sopra dare a dietro. Il pecore si ristringono a queste due sorte, o che elle fanno lana grossa, folta, soda et serrata, o che elle la fan fine, delegine, serrata o sottile, quelle si tenghino per i luoghi freddi et queste per i temperati et più caldi. Così si segue con le senza corna, come con esse; et le Bastarde si proccuri di avvezzarle con l'altre et stare per tutto. Delle Indie, ove le sono pelosissime, vengono lunghissime lane. Non si comprin) mai che lavate et non tose, perché così appa- risce più l unità del lor colore. I montoni buoni per far simili allievi s hanno a eleggere di lunga fronte che sia ben folta di lana, occhi ben neri et laidi (°), gl orecchi grandi, di petto, spalle (*) e natiche larghe, di grandi et grossi granelli con molta lana attorno sottile e fine, grossi di persona, di ventre folto di lana, larghi di corpo, di gambe alti, ampii di lombi, di coda lunga et larga; le corne. sieno ritorte all’ ins, perché le lunghe, volte con la punta in giù vers il muso, impedendo loro il pascere, gli fa star deboli et magri: conviene o lor segarle, o am- mazzargli per cavarle. Avvertiscasi ancora, ca- vata lor fuori la lingua, scorgere se sia pezzata di varie macchie, pérché così farà gl’ allievi; né dee essere nera, ma colorita d’ unito colore, et non sbiancato e smorto. Sia sopratutto grande, grosso et bene informato di persona; et di questa fatta s elegghino ancora quelli che sono senza corna, i quali sempre sono più pla- (1) ravis scritto sopra Zaidi: color tané o lionato. — (*) scapulis scritto sopra spalle. 12 cidi, come s'è detto, mansueti e temperati, Se aprendo ben gli occhi ai montoni et alle pe-. core gli ritroverai le vene rosse et sottili, ti sarà segno di sanità, et se le saranno bianche, rossiccie e grosse, saranno inferme; et se prese con mano strignendo. o aggravando press’ al- l’anche su le schiene, con fatica si tireranno indi innanzi, saranno sane e forti; et tali sa- ranno, se prese nella pelle del collo e stirac- chiatala innanzi, a pena si potrà smuovere, stando soda et attaccata forte; così se ande- ranno arditamente per la via; ma se cammine- ranno co 1 capo basso et chinato, e se si lascie- ranno tirare innanzi agevolmente, saranno mal disposte et inferme. Talvolta così fatta qualità di lor mala abitudine procede dall’ aver dentro il fegato guasto, il che si chiarirà con l' am- mazzarne una 0 due, et se si riscontra, ingras- sinsì per ammazzare, o si contrattino in ‘altro maschio; che con quello guasto non possono durare a vivere più che tanto, et. questo mal in essere; ma sopra tutto facendo elle gl allievi vigorosi, daranno manifesto segno di buona sanità. La piccola fazione degl’ allievi per lo più vien causata da ammettere il. montone d’ un anno alle pecore di meno che di due. I montoni vecchi che abbino otto anni si possono ingrassare per carne; et quando non s' ammet- tono alla monta, si tenghino di per sé dalle pecore tra i castrati o tra le sterili o tra le pregne che non l'accettano più, ché altramente continuerebbe, stando fra esse, di far nuova razza: il che si dee concedere ne’ paesi caldi ove grandemente si ricerchino et abbino spac- siria a Tr i e < Ne Rel dor patti ii at CINE SA STTE bo 13 cio gl’ agnelli, che è dove le lor carne sono buone come de’ capretti, come avviene nell'isola di Malta et nei simili a quella; et se prima a caso per straccuraggine avvenisse loro, vendinsi quelli agnelli, né mai s’ allevino per farne razza le femmine della prima partoritura loro, per- chè saranno fievoli; et nell’ età approvata di sopra et nei tempi debiti sopradetti sì man- terranno sempre gagliarde et robuste. I denti delle pecore si mutano doppo un anno et mezzo, ciò è i due dinanzi, et poi doppo sei mesi sì mutano i due prossimi, et poi tutti gl’ altri, a tal che in tre anni pareg- giano o in quattro al più; allora son fatti; poi quando se gli discalzono, cascono; et quanda si guastano, sono vecchie, et diventano di muso basso e grosso. Con buon governo dureranno sane et senza alcun patimento otto o dieci anni. Legando ai montoni i testicoli avviene come sì dirà de’ cavalli, se bene questa tal regola è più tosto per gl’ animali di grande [corporatura] che di piccola. Nei tempi che i montoni sogliono montare le pecore, se i vecchi cominciono a saltare loro addosso, è segno di dover essere buono annuale, rimostrando che multiplicheranno assai. Ma se i gioveni saranno i primi loro a far questo tal segno, avverrà per contrario, et saran sempre infermati tra loro. Et chi avesse fantasia di impiccinire la razza, più di quello che sieno le pecore et i montoni, et che tuttavia s impregnino di maschio, facci la monta in di sereno et che tiri vento tramontano ('), poscia mandi a pascerle (1) aquilo, scritto sopra tramontano. 14 volte al medesimo vento; et bramandole fem- mine, operi che le sieno congiunte a vento caldo, come ostro o austro, et che vadin pascendo verso mezzodi. Sono ancora certi, che per due mesi innanzi alla monta tengono i montoni serrati et ristretti in modo, che non abbin comodità di poter montare, sendo egli poi ammessi alle pecore, per aver più possa, valore et vigore. Altri gli lasciono andar tuttavia con le pecore insieme. Ma più utile è contenergli i due mesì riguardati, et. massime verso’ l in- verno; che sono poche l’erbe, et si deono pascere di cibo buono et gagliardo, come ottimo orzo, perche dà più ferma et soda forza alla monta. . S impaurisce dalla monta il montone, se si leghi qualche fuscello o giunco intorno alla natura delle pecore, et va più a rilento, come s'è detto di sopra, perche gli faccin più ga- gliardi i figliuoli; et massime se a’ lor pascoli si mescoli cipolla trita con le sue foglie, et si mescoli il poligono: et però volentieri ande- ranno addosso alle vecchie et alle gioveni, et loro vecchi son megliori et più utili. Et le pecore, in quel tempo che elle vengono a mon- tone, deono essere tutte condotte a bere una medesima aqqua, perche la varietà dell’ aqqua fa lor male al ventre et fa variare il colore alla lana; la quale anche nascerà di diverso colore nelle pecore che saran state coperte da montone quantunche bianchissimo, se essendo cosi averà qualche sprazzo di macchia nera sotto la lingua o nel palato, o nera tutta la bocca attorno, o ’1 muso, facendo gl’ agnelli o pezzati o bigi o neri; ma se averà tutto ’l 15 ceffo bianco et senza macchie, gli genererà tutti bianchi; et essendo il montone nero tutto, per certo che o non mai o di raro farà gl’ agnelli altro che neri. Appresso questo, si truova scritto appresso gl’ antichi che un montone ben qualificato [basta] a cento pecore; altri di loro ha detto a cinquanta. Conviene far differenza da paese a paese, et sapere che nei freddi potrà sempre meno: et si vede che in Lombardia, che è la più fredda regione d’ Italia, non passa da ven- ticinque a trenta o quaranta; et quando nei luoghi dolci temperati et buoni gl arrivi a venti, sarà assai. Di più, non portando le pecore il lor parto più di cinque mesi, partorendo per il più dentro al termine di centocinquanta di, si deono tenere tutto l’anno i montoni in compagnia de’ castrati, ma in altre pasture e sterpi, eccetto che il mese di luglio et d’ agosto, che è il tempo commodo che le s' accompagnino, per far poi che partorendo al gennaio e al febbraio elle truovino l’ erbe stagionate e rigo- gliose ('), per trarne assai latte per nutricare abbondantemente gl’ agnelli, o sia per ammaz- zargli o per allevargli; perchè eglino si man- tengono et vanno innanzi benissimo con le fresche e tenere erbe, sin che vadino poi ai monti et all’ alpi al fin di maggio. Et facendo accompagnarli anco al principio d'aprile e tutto maggio, nasceranno gl’ agnelli innanzi che venga il freddo dell’ inverno; et saranno assai grandi per ammazzare o allevare, come (1) floride, scritto sopra rigogliose. 16 più facci a proposito. Et dando loro il montone d'ottobre, nasceranno di primavera, per trovar ben da pascere; et ciò è bene nei paesi dove nevica assai, se non si dia loro da mangiare dentro nelle stalle, chè vengono a partorire quando è abbondanza d’erba. Ma se sia luogo ove possino avere ben da mangiare nell’ inverno, e per questo dare assai latte agl’agnelli, et ancora esse possin pascere alquanto, aràn gran vantaggio quelle da maschi, nell’ autunno in- torno all ultimo di settembre o principio di ottobre; et sono megliori et più sani. Ma come ‘ sì sia, non s impregnino mai dopp’ il mese di maggio, perché nascendo poi nel verno, come s è detto, saran deboli et minuti gl’ allievi per il poco latte; ma nel paese caldo si van com- portando [cosi], che vengon bene innanzi. Se le pecore per alquanti di innanzi alla monta abbino beuta acqua cotta con sale, di poi raffreddata, s' impregneranno più agevol- mente: et questa farà buono anco ai montoni; ne si dia poi, preso che abbin da bere, acqua salata ma ordinaria tanto alle pecore quanto al montone, il quale in tre o quattro volte al più che egli la cuopre la farà restar pregna. I tuoni, quando l’armento è sparso et sono le pecore a pascere separate l una dall’ altra, son causa di farle sperdere; perciò bisogna rimet- terle et accozzarle insieme, affinche con la compagnia piglin ardire, scacciando da lor la paura. Avvengono loro ancora: gl’ aborti per la ‘pioggia et gran freddi, al che si ripara con tenergli in luoghi caldi et asciutti. Temono ancora i tuoni i piccoli agnelli, il che avve- 17 nendo, stringhinsi insieme et tenghinsi come le pecore fra loro serrati et ristretti. Ancora man- giando ghiande mentre son gravide (') portan pericolo di sconciarsi, ma daranno latte in abbondanza. [Le più] volte partoriscono un solo, talora due et tre, se abbino [cibo] in abbondanza, ove sieno ben satolle; et s' è tro- vato ne'...... , cinque averne fatti venticinque. Al partorire dee il pastore [usar] gran dili- genza, che non s attraversi dentro la creatura; et se alcuna s' intraversasse, si che si cognosca che da per sè non possi rep[arare], taglisi la natura; et non si potendo cavar salvo il parto, minuzzisi dentro con i ferri taglienti, et si tragghi fuori in pezzi, si che non muoino le madri, le quali hanno la partoritura simile all’ umana et con gl istessi dolori. Le ferite si sanano con cenere calda et olio appiastratovi sopra. Faccinsi in questo tempo camminar poco, et paschinsi in corto spazio; et dee il pastore seguitar lor dietro con diligenza, avvertendo di raccogliere subito tutti quelli che di mano in mano nascono, proccurando che non sieno scalpicciati dal branco; et tosto nato, si dee fare star ritto in piedi et accostarlo alle poppe delle madri, et pigliata lor la poppa, far colar loro il latte in bocca; ma prima se ne sprema un poco quel primo, che si chiama colostra, et gettisi via, perché nuoce agl’ agnelli; et se la madre morisse, se gli dia d'un’ altra latte, e s allievi facendoglielo colare in gola per (1) Le carte 13.* e 14.°, offese nel margine esterno, furono racconciate, ma con qualche perdita di scrittura. 18 un corno bucato in punta; et se non vadi da per se alle poppe della madre, bisogna acco- starvelo, et untare le labbra dell’ agnello col ‘burro o col grasso di porco, et dare a fiutare a questi parti minori le labbra di quella che sia stata la prima a partorire; et sappian di latte, avendole spruzzate d’esso d'ogni intorno. Et quando han passato dieci di, alcuni ficcano certi pali in terra, et con qualche cosa mor- bida et dilicata destramente ve gli legano, perche non si sbuccin le membra, scorticando la pelle nel strofinarvisi o stropicciarvisi; et perche troppo scherzando et saltellando non si smagrischino, sono ancora da essi spartati i più gagliardi dai più teneri, perché non restino scalpicciati et morti da quelli; et la mattina di buon’ ora, avanti eschino in pastura, s° acco- stino a’ capezzoli delle madri ad allattarsi; et fatti alquanto più forzosi, si dia loro dentro alle stalle del trifoglio et dell’ erba tenera et della crusca, poi rassodati un po’ meglio et rinvigoriti, si conduchino ne’ pascoli che sien volti a solatio intorno al mezzodi con le madri; et così faran più begli allievi. Et gl’ agnelli che dal pastore son raccolti quando nel cammi- nare al pascolo le pecore gli fanno (nel qual cammino, quando da luogo a luogo le si van tramutando, non s hanno mai a far andar ratte, ma adagio secondo la lor natura), tenghinsi nei primi due di rinserrati e ristretti con le madri, affinchè meglio cognoscendole più sicuri vadin con esse a pascere; et assai più grassetti si fanno et ancora più sani, se son tenuti nelle loro stalle; et la mattina et al tardi la sera si 19 tornerà a rimetterli dentro, et ciò affinché le pecore non gl affoghino. Et perché il correr fa lor gran danno, stieno in luogo stretto caldo et oscuro, et in di chiaro o sole a qualche volta sì cavano fuori; et mentre stan così serrati, diasi fra settimana loro un po’ di sale et qualche erba teneretta, come foglie di gramigna et di citiso, d’ avena, semola e saggina o veramente un poco di farina d'orzo; poi sì mandino pasturare ai prati. Et se a sorte elle partori- ranno in luoghi dove elle non si possino lasciare andare a pascere, o che sia in tempo del gran freddo, per il che occorri far loro il parto . dentro alle stalle, conviene tenerle ben chiuse et serrate, et non mancare alle madri di dar loro del meglior fieno che si ritruovi, o paglia minuzzata trita et tagliata in pezzuoli con la falce; et affinché la mangino, vi si dee mesco- lare un po’ di sale, che fa che non venghino a questi animali a noia i pascoli frequentati da loro, et che non invecchino l’erbe o gl’ infasti- dischino; et ponsi nei canali dell’'aqqua dove ell’ hanno a bere l’ estate, quando le ritornano da pasturarsi di fuori; et quivi leccando, sa lor megliore il bere et il mangiare; benché ’1 vero pascolo delle pecore è 1’ erba, che dà fuori dai solchi ove primamente si rompano le terre ne campi con l’aratro, poi nei prati ove non manchi l umidità; l erbe palustri sono oltre a modo da esse rifuggite, perchè l infermano, et massime quelle che nascono oltre agli stagni et paludi. I luoghi alpestri salvatichi pieni di pruni, perche questi strappano la lana, son cattivi. I campi grassi et di pianura fan le 20 pecore grandi et coperte di lana, di colli qua- drati; il silvestre et montuoso, piccole. Ne’ prati ordinarii et nelle terre che si riposano all’ anno a venire per seminare, fanno benissimo et s’ em- piono di lana; et ciò non solo giova alle madri, ma a colorir la lana ancora; insomma dovunche sia gramigna è megliore il pascolo per loro. Fa il bere in abbondanza ingrassare le pecore; perciò il sale è lor conveniente, a ogni cento uno staio, ciò è cinquanta libbre ogni di; così si manterranno più grasse et faranno più . copia di latte; et d’ inverno si soccorre loro con le frasche trite che sieno passe, et con le vitalbe et teneri sarmenti minuzzati, con il che sì man- tengono ancora i cavalli ove sia carestia di strame; et con paglia di grano, di vecciuoli secchi, piselli et favaruli scossi et frastagli di cime di legni, mezzi rami d’ ulivi, sambuchi, foglie di pioppo et d’' olmo, farina d'orzo et semola di grano mesticato sempre con sale; non le lasciando uscire, come s’ è detto, dal di del pasto per dieci giorni; et si porti lor da bere dentro alle stalle l aqqua che sia tiepida dal fuoco; et mettendovi dentro un po’ di farina di miglio con alquanto di sale, sarà loro un beverone in sanità d’ ottimo benefizio. Nè si dee risparmiare l’ accarezzarle, e mas- sime allora che elle sono come malate; imperciò non si manchi, tosto che è seguito il parto di esse, di spremer le lor poppe et gettar via quella colostra, che cosi si chiama il primo latte che elle spruzzan fuori, come di sopra s' è detto; et avvezze ad accostarsi alle mammelle, lasciar lor tutto l altro succiare dai capezzoli a dilungo. Et se per sorte nei di buoni le madri mandate fuori a pascere in ritornando non ricognosceranno gl’ allievi loro, restinsi questi fra tavole con esse per.tre o quattro di, che di questa maniera ripiglieranno la cognoscenza loro. Ma ciò si dee fare quando avviene che le partorischino nel mese di marzo, perché le possono pascolare in campagna; et mentre che gl’ agnelli stan così riserbati fra le tavole, diasi loro del fieno tritissimo, che quello che non averanno mangiato, al ritorno delle madri ser- virà per esse. Hanno a seguir di allattarsi quattro mesi, et. perche talora di quel tempo sì sogliono empiere di pidocchi, s' hanno a tranquillare con condurgli qualche volta fuori : sin a primavera, che cosi sì spegneranno. Vivono questi animali di lor natura volentieri, si come le pulci, tra i lor vellij; ond’ è che mandati in una stanza ove ne sia copia, tutti in un istante «gli raccogliono et’ se gli recoverano addosso. Per svezzargli poi appartinsi dalle madri et “mantenghinsi con quelle che non son pregne, con i montoni et con i castrati, con i quali vivono et vanno volentieri, credendosi che sieno le loro istesse madri, le quali poi se gli sdimen- ticheranno affatto in breve tempo, crescendo et amandosi fra loro. Hannosi ad allevare i più belli o per castrati o per montoni, gl’ altri dar via, avvertendo quelli che sono i più grossi et fatticci ripieni di folta lana sottile fine et bianca, trattenendone pur fra ogni quattro o cinque uno de’ neri, che serve poi la lana me- scolata per fare i panni meschi. Cosi si facci la cappata dell’ agnelle per la razza, alle quali 22 sono poi molto dannosi i pascoli oltre a modo montuosi et folti di macchie, perché si strappa la lana: dove sono colline spaziose et spiaggie aperte fan meglio quelle della lana fine. Et è ottima per loro l erba ben netta et massime di polvere et arena, che nuoce loro assai; come il luogo che sia fangoso, motoso et aquidrinoso, quantunque fosse pieno d’ erba, si dee in tutti i modi fuggire. Nei luoghi larghi si lascin pascere insieme con le madri nel branco del gregge; et lasciandogli allora poppare le madri . sin a che si mieta, gli mandono via et gli dismettono da per loro. Di poi restano a pasco- larsi fra le stoppie, rifacendosi assai delle spighe che vi sieno rimaste nel segare il grano. Il lor dormire, massime a l’aere, sia in luogo asciutto esposto al sole d’ ogn’ intorno, ciò è scoperto et non uggioso, et in modo serrato et difeso, che non le possino danneggiare i lupi. Non deono essere i lor pascoli troppo mor- bidi et umidi et ripieni di trista erbaccia grossa et palustre, si ben di delicato palèo et sermol- lino; et se pur occorra servirsi ancora di quelli, intrattenghinvinsi poco, scorringli et ritornino a’ buoni. Non conversino ne’ pascoli dell’ oche, perché queste con il loro sterco abbrucion l’ erbe, et mangiate fanno infermare le pecore o dimagrare. Se i luoghi sien temperati, s' in- tratterranno nei pascoli ordinarii il verno e l’estate; se sian gran freddi, se gli procaccino alla campagna a questi contrarii, o vero si tenghino racchiuse dentro alle stalle, ove sia buona provvisione di fieni et foglie secche, dette di sopra, in abbondanza, come di lupini et altri 23 legumi; e tenghinsi a miti spruzzuli di sale, il che fa il latte in maggior quantità et più saporito. Et se nell'autunno, quando non hanno da pascere, si pigliano assai zucche verdi ta- gliate minutamente et saleggiate, gli faranno profitto al latte et alla vita. D'inverno è utile talora abbruciare dentro alle: stalle rosmarino, timo e foglie di cedro et di ginepro, capelli di donne, corna di cervio et nepitella et ori- gano; così saranno i latti sicuri dal pigliare veleno, et esse ancora si sanificheranno. Nei luoghi temperati et caldi si cavino ben da mattino a pascere ogni di quando sia cascata la rugiada o vi sia } erba fresca di sua natura; et perché le pecore sono tenere di capo e l sole fa lor danno, avvertiscasi ai di canicolari, che sono quaranta fra ’1 luglio e l’ agosto, che le si paschino la mattina per tempo, avanti -che ’1 sole abbi presa forza a poter loro offen- dere il capo o la fronte; et paschinsi ancora innanzi al mezzodi vers îl tramontar del sole, nella sferza del caldo al meriggio, sotto arbori ombrosi, valli coperte et grotte cupe; et paschi- nosì doppo mezzogiorno verso oriente. Et ciò si dee osservare dalla levata delle Vergilie et della Canicola all’ equinozio autunnale ; et tanto più ciò sì dee osservare in quelle di lana grossa, che sono più tenere di testa di tutte l’ altre; et se vi sia grandissimo caldo, sarà convene- vole il pascolarle di notte; et del tempo d’ in- verno et dell’ autunno et di primavera nei luoghi freddi non si cavano mai fuori, se non sono disfatte le gelate et sia scolato dall’ erbe tutto 1 destrutto ghiaccio et rasciutta la bri- eh PIAN ER ca PIA dirti iii rie RITO i ei ci ni GIRI AA DOVE III RRSSAA MNRAOIE I IR ARP RIN SIRIO O nata et la guazza; et quando si vegghino pregne d’aqqua le tele degl’ aragni, non si cavin fuori. Che se sia grandissimo caldo, senza ‘lasciarle giacere le conduca il pastore ai monti più alti, dove tiri vento buono, abile a rinfre- scarle, come ancora a qualche collina che sboc- chi alla frescura. Ma di maggio, giugno, luglio et agosto non sì lascino molto pascere, che le non si faccin troppo grasse; et di settembre, ottobre et novembre, doppo passata un po’ terza, si lascin tutto ’1 giorno nella pastura, si che il verno le truovi ben grasse da resistere al freddo; il quale, dove sia grandissimo, costringerà tutto il tempo a tenerle nelle stalle. Ma se sieno alcuni giorni quieti et sereni, cavinsi fuori in essi a pascere a ore debite, et a queste si ritor- nino alle stalle, che non patischino; et. nei tempi umidi et freddi una volta sola il giorno sha a far loro podestà dell’ aqqua. Et allora è conveniente che ’1 pastore sia circunspetto et ‘considerato a dar loro tutti gl aiuti et conforti, et usi ogni rispetto di benignità verso loro, trastullandole con i suoni et i canti di zufoli et zampogne et cornamuse et scacciapensieri, et così vadi moderandosi, che nel farle andare innanzi o voltare e farle ritornare in dietro, senza adoprare il bastone, solo con alzar la mazza minacciando, co ’1 gridare et far romore et con l esclamare et fischiare si facci del tutto obbedire. Non si parta mai da esse troppo lontano, né per dor- mire, né per sedere, o altro fare ; et non facendo camminare il gregge, dee stare in piedi, perciò che l’armento, come un altissimo specchio et ti & VANNA TITTI LE ANT INI a Di re ee i = er e 0 ra Lo I AR ape a eta w pater Pi 25 da ogni parte rilevato, desidera l' officio del suo pastore, che scorga in esso attorno attorno il tutto, perchè provvegga che le più *infin- garde, gravi et tarde, et le gravide mentre sì sforzano (*) camminare, nè le adatte et leggiere e le che han partorito quattro metri scorrono innanzi, consentisca che le sieno spartite et separate dall’ altre; et affinché né qualche ani- male o ladro inganni il pastore, che sia balocco e smemorato. Deonsi d'inverno ridurre a casa d’avanti un'ora che sia per ‘andar sotto il sole, et la mattina cavarsi fuori come sia sco- lato dall’ erbe ogni nocente umore, come la guazza, rugiada, brinata e nevischio [i quali] l’inducono a incorrere nel male detto morbi- dino. Portino i diligenti pastori con loro le trabacche, le tende, i graticci et altre stoviglie che loro possiho occorrere ovunque. voglino -stabbiare et posarsi, secondo che ritruovino più deboli o gagliardi i loro armenti a poter camminare et andare innanzi. Gl’ agnelli né minori di cinque mesi né innanzi che i caldi et i freddi dien fuori si deono castrare, avendo l’esperienza rimostro che i di minore età si castran sicuri et gl’ attem- pati con pericolo grande. Fassi questa opera- zione dal dicembre al gennaio sin al principio di marzo; così gl’ altri che sieno in altro tempo nati sì castrono sempre doppo la nascita di due o tre mesi et non più; et la maniera vera è, con una corda rinforzata strignere, serrare et arrandellare i tendini che reggono attaccati i (1) dum enictabunt è scritto sopra di farle, cancellato. 26 testicoli, et ancora avendo fatto di fuori un cappio scorsoio avvolto alle sommità dei testi- coli ove è l’attaccatura et legatura loro, et presolo il castratore con la schiena riverscio sopr’ il petto di sé stesso, et posto di quel laccio fatto - scorsoio un capo sott’ il piede, avendo l’altro capo in mano, tirandolo bene in alto, et facendo le corde viviradici dei testi- coli crepar solamente; et ciò si fa con agevo- lezza, senza staccarglieli loro. Di questo modo rimangono impotenti alla generazione; ma bisogna ugner bene l’ammaccatura con la sugna vecchia scaldata che coli di ‘porco maschio. I castrati poi che e’ voglion metter sotto, gl’ elegghino da quelle madri che ne sogliono far due a un parto: et volendo i castrati in eccellente sovranità, che rieschino buoni come nei lodatissimi piani di Pistoia et per le pasture di quel paese (et non per altra cagione sono per tutta la Toscana predi- cati) conviene come quelli allogargli in grasse et folte pasture di vantaggiatissima erba, et dar loro in quel mezzo tempo della crusca tiepidata con acqua et un po’ di sale et farina di miglio, et riguardare che non paschino o assenzio o malva o ruta, perchè sanno sempre le carni l'odore dell’ erbe che e’ mangiono. Alcuni altri tagliano con rasoio rasente il corpo del castrato le corde a che sono attaccati i testicoli e la pelle che gli fascia all’ intorno; et legato con spago serrato sopra la tagliatura, et datogli fuoco con paletta rovente, strofina- tovi della cenere spenta con olio caldo, et lega- tavela sopra senza pericolo et con guadagno SR te > BI RREGE: RIT N A cia” È ia 7 VA et Tear x di a NA dina r SIA 27 de' testicoli, che fritti con grasso, tagliati in pezzi minuti et infarinati nella padella, son cibo ottimo, si castrono; et senza tanta pena del camminare, privi di quel peso tra le coscie di dentro van camminando et s'ingrassono più ‘facilmente ne’ pascoli. Il tosar la lana che si fa alle pecore, a’ mon- toni, agl' agnelli et ai castrati giova loro alla vita per la politezza, et se ne cava la lana, fatto che si sia. a luna scema, nei paesi caldi di aprile et al fine di marzo, nei lati rigorosi et abbrivi- dati.di maggio et giugno, et in alcuni paesi temperati et un po’ freddi quando ritornano di montagna all’ agosto, avvertendo sempre di non intaccare in tosando la carne; et se avviene, è remedio presentaneo impiastrare quell’ intacca- ture con cenere intinta in olio caldo o filiggine di fabbro; la sugna ancora e l'olio puro ripara - da questo e dalle mosche. Et perché sono diversi i paesi, sarà assai che quel di che si destina a questo affare, ove che si sia, s' elegga chiaro, quieto, placido e sereno, et. sopratutto caldo et senza vento, doppo mezzogiorno, sfogato ’1 ca- lore. Le pecore di lana grossa si tosano più tardi che non quelle di lana fine, et si possono nei lati di temperie tosar d’ aprile et di settembre, et nei freddi una sol volta per il solstizio: nel qual tempo, quelli che costumano tosar due volte, tosano ancora gli agnelli. Avanti di tre di s' hanno a lavar bene, poscia rasciugate s hanno a tosare. Ma non in tutti i luoghi si tosano le pecore; perché in alcuni tirando si sbarbicono lor d’ addosso i lor velli, pigliandone pochi per volta et sbarbandogli: et cosi non 28 i tosano, ma svellono la lana. Tosate che elle sono, abbiasi aqqua che vi sien cotti dentro i lupini et feccia di buon vino et altrettanto di morchia d’ olio et zolfo pesto et crusca mescolati insieme, et con essa si freghin bene le pecore; et doppo tre o quattro di che ell’abbino ben succiato questo liquore impiastrato, si conduchino a la- vare nell’ aqqua marina, se non sia lontana; se non, in aqqua piovana o che sia fatta artificio- samente salata; et lavinsi in di caldo di modo che le restino nette et pulite per tutta la per- sona in giorno tiepido. Di questa maniera fa- cendo più fine et lunga la lana, si manterranno sane tutto l’anno, senza pidocchi, pulci o altra nola. Il tempo del lavar le pecore è quando le viti si sfrondano; et nei luoghi caldi si tosano sempre più d’ una volta l’anno. La rogna per lo più nasce loro da patir freddo o fame, o se doppo l’ averle tosate non sieno con diligenza state lavate, o per lo stare a pascere in luoghi lotosi et sporchi et dove sieno luoghi aspri con spini pungenti et pruni, o veramente essendo state in stalle ove conversino muli, cavalli o asini; ma sopratutto il poco mangiare et lo stento generano la scabbia. Et si cognosce che elle ne patiscono, se le si scarpellino et grattino con l ugna per la vita, et si pestino et s’ instri- ghino co ’l corno, et si soffreghino, strofinino et stropiccino aglarbori o ai muri. Il che avendo scorto proverrai a tosarle, et ti sì scoprirà sotto una pelle ruvida et aspra et alcune bollicole, che daranno segnale espresso di continuo pizzi- core. Il rimedio è questo: che quelle che l hanno, 29 che son li che si grattono spesso, sieno tosto appartate dall’ altre, perché non s' appicchi quel malore a tutte l altre; et poscia lavate, come di sopra si disse, s aggiunga belimio et elleboro bianco et mina buona, tutto mesticato insieme e fatto impiastro. È buono ancora il sugo della morchia che cola, quando la sta ammonticata, bollita al fuoco sin che sia scemata i due terzi, e l’ orina statavi dentro pece stemperata, o pezzi di creta nell’aqqua calda, fatta liquida, con zolfo trito incorporato insieme al fuoco; l’ erba della cicuta, avanti gitti la semenza di prima- vera, pestisi et si cavi il sugo, mescolandovi sal duro in copia; et posto in vaso di terra inve- triato si conserva per a tempo un anno intiero et si cuopre sotto un monte di letame marcio; ungasi con questo la rogna et guarirà, adoprato caldo. I diligenti et avveduti pastori, quando veggono una pecora che si soffrega et si gratta, toson la lana ove sia il luogo affetto, et con pece liquida lo medicano sicuramente; et se la fosse in alcuna parte aspra et ronchiosa, soffreghisi tanto che n’ esca quel sanguaccio, poi s° unga con olio caldo. Al morbo loro et pestilenza, et massime quando battono spesso le palpebre degl’occhi, si remedia con l’appartarle; et a quelle che non l’ han presa, si dia del sale me- scolato con la quarta parte di zolfo, il che le purga et sana. Pascendole in cattivo pascolo et dove sia erba molle et d’aqquitrini, o sia stata aqqua morta, viene lor la gocciola: non v'è altro remedio che avvertire innanzi a questi pascoli. Quando vien lor la febbre (e quando cresce loro il fegato l’acqua del bagno a aqqua, 30 come s' è detto, le sanerà d’ aprile et d’ altro tempo) cavisi sangue dalla vena dell’ occhio destro o dall’ ugne o da quella delle ciglia, né si lascino immollare, et si dia loro a mangiare foglie di salcio, di pioppi, d’olmo, di frassino et di pampani, et trasmutarle in luogo più fresco: et ancora si cava lor sangue sotto ’1 tallone fra le due ugne prime. L'intertrigo si cava con allume, zolfo, pece liquida et aceto mesticato insieme o con la ruggine del bronzo. Per gras- sezza et caldo intorno ai rognoni si muoiono soffocandosi, et massime i castrati, di giugno et di luglio; et mutinsi ai luoghi. freschi e si rattenghino chiuse a mangiar poco; come a settembre poi et d’ agosto rinfreschi il tempo, si ritornino a pasturare al solito. Il tuberculo è da esse risegato intorno con diligenza, sî che il vermicello che vi alloggia vi sia ferito et tratto fuori, perché fa generarvi marcia che l’offende, si che fa insanabili le ferite. Se per il gran caldo elle strafelino et caschino a terra, faccisi lor mangiare delle bietole salvatiche, ciò è piantaggine detta petacciuola, et diasigli del sugo d'esse; et se ella rifiati difficilmente, se gli taglino l’ orecchie con ferro. Quanto all’ allu- pato, il meglio è ammazzare tutte quelle. che . han questo male, prima che l’ attacchino a l’ altre. Alla loro idropisia, ciò è al ritropico, che altro non è che aqqua generata tra la cotica della prima et seconda tunica et interiore, se gli cavi sangue del naso per di dentro et sotto la lingua con un ferro puntato et tagliente. Se fa schiuma grande alla bocca et gl’enfia il ventre et sì scontorce, è segnale d'aver mangiato l'erba COS MPS NOR 1 DINE Ue Te È POESIA A sanguinaria: cavisegli sangue sotto la coda. Si fa giudizio che talora per aver mangiate can- neggie o erbe velenose, possin perire; faccisi loro tracannare, per un corno bucato, stemperata con vino la terra lemnia. Se per aver troppo calpestato il lor proprio sterco, se gl’ inteneris- sero l’ ugne, si che andassero zoppe, taglinsi con prestezza tutti i cerchi, ponendovi sopra calcina viva secca fasciatavi con un cencio; poi si ten- ghino a stare sopra il pacciame verde. Presentaneo rimedio è et approvatissimo per mantenere in continua sanità le pecore, di dar loro a mangiare delle coccole di ginepro pestate minutissimamente et sparse d’ aqqua, cottavi dentro della vena, con la vena istessa, insalata, tre o quattro volte l’anno; et se bene elle ricu- seranno di mangiare il ginepro da per sé, con la leccornia et del sale et dell’ ingordigia della vena divoreranno tutto ’1 mescuglio non punto gravatamente. Pestinsi le radici dell’ acero, et trite et peste, cotto nell’ aqqua, levata via la lana, si sparghino sopra il luogo affetto delle pecore dai pidocchi et ricini ('), et sia quel liquore tiepido, et di modo sparso, che coli dal fil della schiena per tutta la persona. Alcuni acconciono le barbe della mandragora in quella medesima maniera et l’ adoprono a questo, av- vertendo che non la sorbischino. Se una pecora abbi inghiottita una sanguisuga, gettagli giù per la gola aceto forte mesticato con olio. E (1) pedicelli scritto sopra ricini. Ma veramente è la zecca, come risulta da questo esempio del Redi, Oss. Vip. « Ricino stomacoso e sordido animale, livido e pieno di nero sangue, che noi chiamiamo zecca, il quale veggiamo spesso addosso a’ cani ». 32 superstizione a credere, se alla guida dell’ ar- mento sia legata una cipolla squilla, che egli si difenda da’ lupi: più sicuro è essere fornito di mordaci e buoni cani. Se per disgrazia se gli troverrà rotta una gamba, ungasi con ragia mollificata con sputo, acconcia sopra un fardel- letto di lana, che succiato et sia zuppo d'’ olio — et vino, ponendolo in sul male, dentro alle stecche che tengon la gamba a suo luogo; et così andrà a pascere et guarirà. Accade loro ancora il cimurro et l’infreddatura et la tosse, et a tutto si soccorre come si fa a’ cavalli e buoi, et ancora con pestar delle mandorle et mescolate co ’1 vino, questo liquore con un cor- netto infonderlo nelle narici che passi dentro. Et per mantenere in ordine le pecore, se gli diano dei frutti secchi di lauro co ’1 gambo, da quando han partorito a che si ridà loro il mon- tone, ché ciò le farà essere grasse, sane et con latte assai; ma quando son pregne si resti di darli loro, perche agevolmente le farebbero sperdere. Patiscono ancora del male della mentigine gl'agnelli mandati fuori a pascere et l'altre pecore nei lati d’ erbe rugiadose, et la bocca et le labbra si scalficcano di piaghe et d’ ulceri s'empiono: una mestura fatta d’isopo et di sale trito per ugual porzione, avendo untate le ferite di aceto et pece liquida, contemperata con sugna di porco, con che se gli freghino le labbra, la bocca et il palato, le sanerà. Et di nuovo, se per aver mangiato erba velenosa 0 qualche verme simile gl’ enfi il ventre, fatte pugnere sopra le labbra le vene et sotto la coda intorno al sesso, gl'infonderai dell’ orina 33 dell’uomo. Per ultimo dirò quello che ho tro- vato scritto: la ferocità dei montoni mitigarsi co ’1 bucar loro il corno rasente l’ orecchio. Il meglior butiro è il fresco et dolcissimo; et quello di pecora schietto è più lodato, e si cava dalle ricotte peste nel mortaio di marmo pulito con aqqua tiepida, et poi gittato da altr aqqua fresca, et di sopra viene a galla il butiro, quale si mette ne’ pampani, et tiensi a congelare in cantina; poi sì conserva mutan- dogli l’aqqua d’ attorno ogni di.. Fatta ribollir poi quell’aqqua con che s'è rilavata et rime- stata con mestolini; che si gitta giù di mano in mano in un bigonciuolo, se ne ricava la ricotta, aggiugnendovi prima un poco di sale. [Così, lasciato uno spazio di circa tre righe bianco in fondo alla pagina, nel verso della carta 13 fa finisce il capitolo delle Pecore. Le carte 22.° e 23. sono bianche. A car. 24. recto comincia il capitolo delle Capre.) - TELE N VETTE ur AGE BL: Le Capre. Hanno le capre assai più che molta con- formità con le pecore, si come in molto più et assai cose elle se gli rassomigliono; et le più belle fattezze loro et dei becchi (che becchi s addomandano, perché tosto che hanno am- montata una capra, annasono gl’ altri becchi per scoprirgli l' adultera et sé per becco, sì come fu Vulcano fatto da Marte et gl’ altri uguali a lui) si ritruovano in quelli che sono dall’ Indie stati trasportati, di dove vengono più grandi di statura che i nostrali, et di ne- grissimo pelame, come velluto lustrante et netto; se bene ne hanno ancora essì delle pezzate, delle bigie e bianche lattate, come nelle parti del- l'Oriente, ove sono di corna grandi et d’ un pelo lungo, lucido et risplendente più che la seta et candido più che la neve, traversati di vita et alti di gambe. Fannosene otri capacis- simi, si come delle nostrali se ne fanno cordo- vani et cuoi bonissimi, et dei capretti, secondo l’età, cartapecore fine. Ma i corami eccellenti si conciano dei becchi di Lituania, i quali sono poco minori di quelli delle Indie, et gl’ asset- tano in perfezione co ’1 grasso di pesce in Mo- gora da riparare, non che alle continue pioggie, allo star nell’aqqua parecchi di alla fila, avendo d’ essi stivali in gamba. Dei becchi non si fanno otri rispetto al cattivo fetente lor odore, ma. se ne fanno perfetti somacchi in Spagna; et dei caproni di là finissime pelli da guanti da profumarsi o d’assettar con olio di fiori di Eee teso a ER 35 gensomino di Catalogna, ottimi a far stringhe, coprir libri, cuoi stampati da stendere per or- namento delle mure, dorati o innargentati, si come degl’ agnelli et dei montoni. A fare un otro di capra conviene che ella sia giovine, perché delle vecchie fatti riescono oltre a modo sottili, et perciò deboli et inutili; tagliasi per farli comodi la testa dal collo et di tutti i piedi sin al secondo nodello, et poscia scorticato il resto dalle gambe sino alla natura si rovescia tutto l’avanzo della pelle co ’1 pelo di fuori, et poi si getta due libbre di sale di dentro, il quale fregatolo bene et stropicciatovelo tra nervo et nervo con le mani, si fa tutta la pelle in un rotoletto ben serrato insieme, lasciandola così per tre o quattro di. Poi si risala di nuovo per di dentro per sei o sette altri di, fregan- dola benissimo et rivolgendola similmente dal- l’altro lato in ruotolo bene stretto. Dipoi cosi lasciato per tre o quattro di si può legare con gli spaghi, con cappio a bombere, come si dice; et tiensi attaccato, gonfiato con l’ alito, in luogo dove non arrivi caldo di fuoco che lo farebbe aggrinzire et ritirare, et poi rompere et crepare; et in quella maniera sì conserverà per portarvi dentro l’ olio a tutti i tempi. Sono ‘ ancora nei paesi di mezzogiorno bellissime capre et becchi uguali a quelli delle Indie et massime nella Natalia detta il regno del To- canto, di vello bianco, lungo, liscio, argentato, lustro et folto, delli quali si fa il ciambellotto, si come delle più elette di Calavria il cano- vaccio, et nelle parti di Levante il dimito; si che questi animali rendon guadagno per la 36 carne, per il latte et per il cacio, per le pelli et per il pelo; perciò che tosata rasente ’1 car- nezzo se n’ attorce funi et se ne fanno sacchi et gabbie et sarte grosse et agumene per la marinaresca, avendo due particolarità buone, che non marciscono per l’ umido et difficilmente il fuoco vi s' appiglia. Com'io dissi, hanno le capre molte cose comuni con le pecore, perché le si fanno ammontare ai medesimi tempi, et portano il parto tanti mesi quanto le pecore; solo mangiono sterpi et pruni et pastura aspra, et in luoghi più foresti et alpestri si nutricano che non le pecore, vegliano di notte come di giorno, giaciono a rovescio (') e nel pasturare non si guardano fra loro. Fa nocimento loro il freddo, massime alle pregne; nuoce loro ancora il caldo. La sottigliezza dell’ acume naturale delle capre si vidde in due, le quali incontra- tesi in un ponte strettissimo, et urtatesi l’ una con l'altra co ’1 capo, et cognosciuto di non poter passare, non avendo spazio di far lato l'una all altra, si prostese una spianata bene in su lo stretto del ponte et l’ altra passò di sopra. . E cosa miracolosa et stupenda delle capre, che tutti gl altri animali raccogliono et attraggono l’aere spiritale con la bocca, et queste sole si pigliano il fiato con l’ orecchie. Nel comprar le capre non si può osservare la regola che nelle pecore, delle quali si può stare et far patto della lor sanità; a queste bisogna dir solo che le mangiono et beono questo di -di questo giorno d'oggi, perche le (1) aversi è scritto sopra rovescio. 3T capre non si ritruovano mai senza febbre. Ma più utile è comperare un gregge intero che di parecchi branchi farne uno: et di meglior razza sono quelle che partoriscono due volte, et di queste s' ha a cercare d'avere et far coprire. Non dee passar il gregge cento capi, perchè quanto è maggiore, tanto. è peggio | rispetto al ben governarle et guidarle; sendo più giovevole avere un picciolo armento ben custodito, che un grande che patisce mal in assetto. Pende a tutte, così femmine come ai maschi, una barba lunga di velli al mento, per la quale se uno l’afferri et la tiri in alcuna parte, tutte l'altre stupide la guardano, et mo- vendola, gli vanno dietro seguitandola. Così avviene del becco, il quale o per istinto natu- rale o per la fidanza che egli ha più bella et lunga barba o che perciò si tenga da più che le femmine, tuttavia vuole andare innanzi al gregge. Gl' antichi sacrificavano a Bacco le capre et i becchi, perché_il lor morso è mor- tale alle viti, e tutto quello che scapezza non rimette a dove l’ ha morso con i denti, et diffi- cilmente et per un pezzo non. rinvigorisce, risurgendo li accanto. ‘ Sono. le capre di due ragioni, con corna et senza, salvatiche et domestiche; et con quelle mescolati i domestichi becchi fanno mesticata la razza, il che si può fare per pruova, ma non per utile. I becchi simil- mente sono senza corna alcuni, alcuni con esse, et di questi sono i migliori senza corna, men sazievoli et fastidiosi degl’ altri, ma tutti con un lezzo fetido et puzzolente; quelli si 38 deono fare ammontare ne’ giorni sereni, lucidi et quieti, questi nei torbidi, foschi et tempestosi, come che il bestiame di questi regge nei luoghi freddosi et più aspri, et ancora nei sottoposti all’aqqua, et quelli nei caldi profittano et nei temperati, come anco le capre fan sempre più in copia latte. Così s' andrà altrui fornendo di quelle che s’ affaccino al suo paese, perché le straniere non campan bene nelle nostre parti : et i becchi eletti sono, ai quali pendono al collo dalle mascelle due barbette. Deono avere testa | piccola, nera di pelo spesso e lungo, le gambe grosse e non troppo alte, il collo grosso et corto, il gorgozzule largo et lungo, le orecchie grandi floscie (*) et pendenti, la barba lunga et . folta, il corpo tondo et largo et traversato tutto; né sia egli troppo grande di statura. Deesi talvolta tosare loro il pelo, massime. nei tempi del caldo. I becchi senza corna sono più comportabili fra le capre che han le corna; et siano tutti i becchi d’ un pelame unito et non variato, folto, lungo, liscio et chiaro, o sia bianco, bigio o nero. Delle capre il colore più appro- vato è il bianco, così ancora dei maschi i bianchi sono i più lodati. Et alle capre ancora l’avere pendente assai dal collo quelle barbette è buon segnale, et massime che abbino sotto ’l mento sommessa carne pendente in particelle minute, divisa come poppette, perché danno indizio d’ avere a essere più feconde, et tanto più avendo le poppe grandi et il latte grasso, et che a quel ragguaglio ne rendino buon dato. (1) Alaccide scritto sopra /loscie. xt 39 Sono alcune capre piene di peli et alcune co ’l pel rado et quasi senza ('); l une et l'altre nel lor genere s' hanno per buone, pur che abbino le lor fattezze simili ai becchi, di ben largo ventre et discoste le gambe di dietro sotto la coda, se il paese è freddo con assai pelo, se è temperato o caldo tutte vi s' affanno. Le capre tutte bianche rendono copia maggiore di latte, ma le rossiccie sono più gagliarde et robuste; et accompagnate dal buon pascolo et dal solli- cito governo, che abbin tuttavia al lor ritorno dal bosco delle frasche d’ogni sorte alla stanza, faranno sempre i parti doppi; si che faccisi procaccio d’ aver di queste, et massime che una capra fa sempre ordinariamente latte d’ avanzo per un capretto; imperciò, volendo un capretto oltre a modo grasso et grosso, faccisi allattare da due capre. ; Il becco di sette mesi è abile a generare, perche è di natura lussuriosissimo, et mentre che la madre l’ allatta si-crede che ammontan- dola gli renda il latte: et perciò presto et in- nanzi ai sei anni diventa vecchio, perchè egli sì consuma troppo et distrugge, montando così da giovane; et perciò quando egli è arrivato ai cinque anni si tiene che sia poco atto a ingra- vidare le femmine, le quali non si deono am- mettere al becco prima che elle abbino un anno finito, et esso anco sia sopr’ anno; et si cambii ogni quattro anni. Possonsi in quel tempo ca- strare et s ingrassano per mangiare, et è carne ragionevole secondo i luoghi de’ pascoli, buona (') glabre scritto sopra quasi senza. ORE AP RETE AIRONE 40 | come nell’ Elba, dove e perché, essendo ’1 pascolo simile. Si castrono i capretti quando sono di- vezzi dall’ allattarsi, e diventano castrabecchi ; si fanno grassissimi, et freschi et salati si man- giono dagl’ uomini che s'affaticano et stanno nei continui lavori. Le capre anch’ esse deono doppo sei anni o al più sette rinnovarsi, et anch’ esse si mangiono dalle persone montanare, ma è carne non punto lodevole et che ristucca; et la razza che s' ha a conservare sia del parto di quelle di due anni o tre. Deono essere le ‘capre tutte d’ una sorte, che chi l'ha mescolate di più razze mal volentisi l’ accompagna et mal volentieri camminano insieme. Se la pastura sia abbondante, si potrà lasciare due capretti alla capra che gl’ abbi fatti, se non, faccisi aiutare da chi non ne ha, o s'ammazzi o si dia lor da succiare del latte munto, benchè ancora facil- mente l'altre capre l’ aiuteranno et ammette- ranno, poichè da per loro ai caprettini sono in tenerezza, et massime sentendogli belare e pia- gnere dan la poppa. Le capre quando sono ben grasse non s' im- pregnano così attamente, come quelle che sono tra magre e grasse, et per il soverchio man- giare talora fatte troppo corpulente et: carnac- ciute s' infermano; et mentre che elle son gra- vide, abbisi a mente che non si lascino azzuffare insieme, che talvolta urtandosi nel. ventre si disperdono, nè si lascino mangiare in quel. tempo ghiande, che nuoce a loro come alle pecore, né manco si dia loro in quel tempo del sale, o se pur per aumentare il latte se ne vogli dar loro, se gli porga temperatamente; et da che SC» i” de' Fid AI CR RATIO Pa PT a i ea I rr rta ai eni pica re G: FE oe fl VETO aa CIME, Pi perens di + a 41 elle sieno state col becco per quindici o venti di, et perché elle fanno i capretti alla campagna et in andando da luogo a luogo, mentre camminano ancora nei luoghi aspri et erti, conviene secondo la quantità loro avere il numero de’ pastori che gli possin raccogliere et portino alle capanne 0 stalle secondo i tempi, consegnandoli poi alle madri, secondo che si disse degl’ agnelli, avvez- zandoli da piccoli, affinchè più s'ingrassino e creschino, dando loro da mangiare della saggina, crusca et fogliame di ellera et rame di olivi et altre frasche verdi, dolci e saporite, facendogli ancora uscire in lati di semente di buon’ erbe e prati simili; et a quel tempo bisogna aver più cura che mai da tutti gl’ animali rapaci et dalle volpi, che più che in altro tempo seguon gl’ armenti, come i lupi, per divorare i lor teneri parti. Dove sia la commodezza di ricom- perare nuove capre, o gravide o no, basta d’ un anno, è meglio et più utile vendere cosi le fem- mine come i maschi, et se pur elle si voglin salvare per razza, tirinsi innanzi quelle del se- condo parto et delle megliori et più belle madri, et si faccino allattare per tre mesi; ma come ‘possino camminare dietro le madri, se bene ancor poppano, mandinsi con esso loro, perché s avvezzino a pascere come quelle et accompa- gnarsi pur tuttavia, se sia il paese tiepido, riti- randole alle loro stalle et capanne, le quali siano fatte alla foggia né più né meno in tutto di quelle delle pecore, nei tempi nevosi, pascen- dole l’ estate all’ Alpi et ai luoghi freschi et ombrosi, et il verno alle marine in lati caldii; et volendo multiplicare per vendergli poi 42 grandi et castrati, gl’ allattino sin in tre mesi, poi avvezzi a pascere si stiano con le capre, come anco i becchi quando han finito di mon- tare. Il primo di della monta non restan gra- vide, il secondo più efficace, il terzo concepisce. Et volendo castrargli, castrati che sono, tornisi loro a dare il latte munto, che tanto più poi s ingrasseranno e diventeranno più grossi. Deesi far quest’ opera quando sono di cinque o sei mesi, onde si potranno castrare di marzo quelli che son nati di settembre, et nel mese d'aprile et maggio quelli che sien nati di di- cembre et quelli che sien nati di marzo. Nel fine di settembre et ottobre, se il paese sia caldo et caldo assai, o che si vadi lor cambiando la pastura di tempo in tempo, secondo i luoghi appropriati continuamente, si potrà fra. loro lasciare stare i beechi, per aver giornalmente dei capretti; et anco di tutte le stagioni ca- strargli, pur che s' osservi che la giornata sia fresca nello scemar della luna, et che non abbin mangiato il di innanzi. Puossi dare una stretta ai testicoli, come si disse degl’ agnelli, con una corda rafforzata sottile, et ciò dà lor men do- lore, avendogli perciò rivoltati a rovescio et dato loro una storta senza tagliargli; altri legan bene i nervi o tendini ove stanno attac- cati, et serrati et stretti bene aprono la borsa et tagliano, et in questo modo è miglior carne; et si rettificherà ancora quello dei becchi; al- cuni, quando son piccoli, strappato loro il ner- vetto da che pendono et strappato con essi, gli castrono, medicando la percossa come li agnelli; altri gli schiacciano con un legno ammaccan- 43 dogli, et questo modo dà lor più dolore, et gli fanno smagrire; altri gli taglion rasente ogni cosa par pari, avendo legato stretto e forte, dando fuoco alla ferita, poi ugnendo con sugna et butiro. Tenghinsi allora per qualche di fermi alle loro stalle o portici o cortili, et dall’ ope- razione fatta non si dia loro da mangiare sin a sera. Le caprette femmine si castrano come le troie. In questa maniera saranno i capretti grassi et massime i castrati da piccolini. Il più comodo tempo di dare il becco si è di novembre, un poco avanti dicembre, perché portando [le capre] quanto le pecore, nasce il capretto a marzo per allevarsi alla nuova buon’ erba; solo si guardino dal freddo che non gl’ offenda, che ne patiscono grandemente; et se è luogo caldo, si dia loro da mezzo settembre a mezzo ottobre, et dove sono abbondanti pascoli di li a sei mesi ‘si dia loro un’altra volta. Né mai si dia fieno alle capre, perché sien buone et delicate; ma quando se gl’ è dato il becco; massime la prima volta, subito se gli dia non solamente del fieno, ma della semmola; et presi che n’ abbi otto o dieci bocconi, si facci ritornare a dar su un’ al- tra volta alla medesima capra: et anche, se- guendo l’ ordine di ristorarlo con fieno trito et semmola, si può tornare a farlo ammontare la terza volta, et di poi non più, anzi si lega su- bito, affinché non si sfacesse con danno anco di quelle che fossero state ingravidate da lui, slegandolo poi et pascendolo di fieno et semmola, dandogline più et meno secondo che egl’ avesse anco a servire nei medesimi giorni, mentre che elle sono disposte a riceverlo, perché possi essere di forte et gagliardo, bisognando affaticarlo di nuovo; poichè egli è allora con questo governo talmente valevole, che in quelli mesi supplirebbe a cento et anco a centocinquanta. Et finita la monta, si cavino i becchi dal gregge et si ten- ghino nei caprili, dove egli non patisca et vi sia netto dal suo proprio sterco che gli nuoce assai. Alle capre non occorre altro refrigerio doppo il parto, né meno importa che s' osservi cosi come alle pecore che le venghino a fare il parto nelle stalle; et levando poi lor via i ca- pretti ai tempi, si potrà durare a mugnerle quattro o cinque mesi a dilungo ciaschedun giorno con tre o quattro libbre di latte. | Dilettansi et amano le capre più tosto di pascere nei boschi salvatichi et nei greppi, nei monti alpestri, nelle grotte, ne’ dirupi et lati scoscesi et sassosi, per le prode, coste, ripe, balze, greti, botri, luoghi scoscesi et inarpicabili et inaccessibili, onde è che dai monti di Narsinga, ove sono nelle maggiori asprezze loro impermea- bili all'uomo con carichi addosso, le capre por- tono al piano due mattoni d’argento da cave copiosissime di questo preziosissimo metallo, condotto che egli è coppellato a perfezione. Quivi in somma più volentieri si pascono, anzi che nelle pianure, prati et domestici luoghi, et per lor pascolo appropriato e fresco dove sono zabolleres, che ne sono ghiotte oltr’ a modo et ne mangiono assai et le nettano dalla rogna; et tanto fa alle pecore, alle bufole et alle vacche. Mangiono ancora senza nocimento ogn’erba yve- lenosa, come aconito, nappello, cicuta, gichero, solatro et simili, et ogni cattivo et pungente ite ie a a A a I 45 spino; imperciò ancora esse fanno miglior latte delle buone et delle cattive pasture, et nell’ in- verno rifrustano le cime delle novelle piante et di tutti gli arbori selvaggi, a tal che bene è vero che niuna d'esse s' è veduta mai morir di fame. Pasconsi volentieri di citiso, di susini salvatichi et di tutte le sorte di foglie et cime di pruni et tutti sterpi. Si cacciono il più delle volte a pascere nel far del giorno quando è tempo che caschi la rugiada, perciò che pascendo l'erba con quella, ritornano a casa all’ ora di terza con le poppe pinze di latte. Rimandinsi poi fuori doppo vespro et seguino di pascere sino a sera et anco sino a quinta ora di notte, di estate et primavera; et mentre di estate et quando cascono le brinate si mandono a pascere dopo terza et si fanno ritornare a casa la sera tardi doppo il tramontar del sole. Il sale gusta loro assai et le mantiene nette et grasse et fa lor crescere il latte, dandolo loro in tempo che non piova, quando elle escono a pascere; ma diasegli loro quando han cominciato a pascere alquanto; né nel finir di bere, ma doppo che ell’ hanno mangiato il sale si rimettino a pascere prima che beino, a tal che sia sempre un poco di spazio di tempo da che hanno mangiato sale et che beano, pascendo in quel mezzo; et sia tuttavia avanti al bere, affinché pasciuto poi un poco, abbino a bere di meglior voglia; et se ben non fosse l’ aqqua molto buona, è assai che ella non sia fetida et marcia, et non farà lor male, tanto sono di gagliarda et valida natura; tuttavia la limpida, chiara e netta è lor salutifera, et massime la corrente, che la 46 beono più volentieri et le mantiene meglio. Se siano in luogo dove di varo possino cavarsi fuori di inverno, facciasi provvisione di strame di lupini, veccie et lenti et d'ogni sorta frasche secche per darle loro nelle stalle. Le quali sieno basse come quelle delle pecore, e così le capanne, lastricate di pietre o ammattonati con un po’ di scolo o tufo acconcio pendente, si che stieno asciutte, pulite et nette, spazzandole et rascian- dole ogni di dallo sterco et altre brutture che vi concorressino; né sì facci lor sotto altro letto, se non se quando alloggiono fuori, che allora si dee far di vermene, perché dentro amano di dormire in sul sodo, ct più tosto in strane atti- tudini che riposatamente; e perciò di qui son detti i capricciosi. Non ricerca il latte di capra quel quaglio o agra che quel di vacca, bufale o pecore, se bene ancora con quello si rappiglia; ma per far d’esso schietto formaggio, raviggiuolo, giuncata et ricotta buona, s' adopra il presame di cardo a rappigliarlo o il quaglio di capretto, et si fa aggiugnendo altrettanta aqqua, et rimestando insieme, come si faria d’agra, mettendovelo così in freddo come in tiepido. Ma per fare buon formaggio è di bisogno mesticare il latte di pecora per metà o almeno un terzo, che schietto riesce asciutto, né si tien bene insieme, né s' usa far altramente che per qualche accidente di male. Ma la giuncata fatta di solo latte di capra si tien meglio insieme che non d'altro latte. Salando la giuncata et tenuta sospesa ne’ giun- chi in lato asciutto et rivoltandola ogpi giorno due volte, piglierà il savor di raveggiuolo o di = st - E a 47 formaggio a mangiar piacevole; imperciò sono buoni ancora i raviggiuoli fatti interamente di latte di capra. Alle capre talora si suzzano tal- mente le poppe, che non rendono più una sol gocciola di latte, seccandosi et diventando sode, come se elle fossero d’osso; o procede dal- l'eccessivo caldo, o che il caprimulgo, passero o altro uccello o le lucertole l’ abbin succiate: sì rimedia con lo strofinarvi intorno et le poppe istesse con la panna di latte, et s' ungano con l’olio comune più volte il di, si che ritornino nella loro delicatezza et morbidezza primiera. Soffocandosi per grassezza di pascolo, tosto. avvedutosene si sovviene co ’1 cavar lor sangue dell’ orecchie o di qualche vena dalle gambe dinanzi o fra l’ugne, lasciandole mangiare poco la mattina et meno al tardi. Sendovene dell’ in- ferme per rogna o altro lor male, tenghinsi separate l'una dall'altra, perché non s infettino tutte, et si curino come sì disse delle pecore; et anco guariscono della rogna ugnendola con aqqua di sommacco, sugo di cipolle, et lavando con acqua di torresca; et sendo rogna secca et asciutta, lavisi due volte il di con aqqua che vi si cuoca dentro malva, feccia di vino et morchia d'olio; tenghinsi in lato caldo et calde; et se co ’1 coprirle di qualche coperta di lana sudassero, saria meglio. Scoprendosi loro apo- steme o lupata, cavisegli sangue, come di sopra. Mutando loro le stanze da dormire, le allegge- rirà da quella continua febbre che hanno et da molti lor mali; et avendo male di ripienezza, sale datogli con pece liquida una volta la setti- mana le purgherà et ritornerà sane. gta ddt ie a ii SE CRE OI TT UDO 3414 48 Quando le capre o capretti si mandono fuori a pascere avanti che ’1 sole abbi rasciutta la guazza, diventano ritropiche, multiplicando lor l’aqqua fra carne e pelle: piglisi un po’ di cardonello et sugna ben mescolati insieme, et; s'unga con esso los heros. Alcuni prese le frondi dell’ arcipresso et bollite in aqqua gli lavan la vita ('); et è bene ancora con essa lavargli le piaghe et appresso con sugo di madreselva. Per l’iterizia diasi loro il sale, che sempre le purga. Sogliono l’ estate, causato dalla collera, patir .del mal caduco (*); diasegli da bere dell’ orina con un corno; et a berla senz’ altro da piccole, et anco i capretti, s' avvezzeranno, oltr’ a che è salata, di nuovo insaleggiandola. Se per per- cossa ne’ sassi restan ferite, fascivisi sopra olio con lana sudicia; et se sia morsa dal lupo, che non sia mortale, perché allora conviene finirla, medichisi con aqqua o vino, et poi vi si ponga una tasta con mele, lavandovi tuttavia che ella. si medica, mettendovi sopra calcina viva; et se ella avesse generati vermi, pongavisi dentro foglie di persico pestate leggermente, o olio di mallo verde di noci. Il grano mollificato con l'olio et di poi asciutto, dato lor bere due volte la settimana, le sanerà dai vermi che elle aves- sero in corpo. Quando elle hanno gl’ occhi rossi et sanguinosi, pungendole con una punta di giunco, o cavando lor sangue quivi intorno, ne guariscono; et si può anco loro levare con gettarvi dentro allume di rocca spolverizzato. (1) Bocca è scritto sopra vita. (*) regio scritto sopra mal caduco, RE TOT TA PI Gg ET Vee AI CRON 49 Hanno alcuna volta una vescica piena d’aqqua sopra la testa a dirittura del cervello, aprendo loro il male, che è segno di modo che van pazze, inserrate et balorde; a questo non c'’ è remedio che cansare l’ altre, perche questo male non s' attacchi loro, conducendole in pa- scoli più sani et più asciutti. Se talora d’in- verno elle restino senza latte per il freddo o come si sia, accanto all’ averle fatte ben man- giare punghinsi bene con l’ortica le lor poppe, strofinandovisi con essa che vi concotti il sangue; et la prima volta getteranno un po’ d’ aqqua, la seconda tornisi a ripugnerle et spremasi il sangue, et ritornerà loro il latte. Quando si gonfiano et infermano i membri ge- nitali della capra che ha partorito, o vero per- ché non ne sia uscita la secondina, che suole co’l parto o immediate doppo venirne, lavisi «quivi con sapa calda e con un poco di buon vino, empiendo i. membri genitali con. una supposta intinta in ésso. Quando la peste co- mincia a far gran fiacco di loro, è necessario di separarle, et veggendosi morire è da cavare lor sangue, ne si dia loro da mangiare per tutto ’1 di, ma di quattro ore in quattro ore s hanno a racchiudere. Et assaltandole altra malattia, medichinsi co ’1 dar loro da mangiare o bere radice di canna trita bene o pesta con mazza di ferro, et di spina bianca mescolatavi aqqua di pioggia; et non servando ciò, vendinsi o s'ammazzino, insalandole o facendono otri, i quali ancor essi s' insalano, poi si legono rivol- tandogli; et se l’ annuale sia di morbo o d’ altra malattia fra loro, vadisi temporeggiando et 4 50 rifaccisi alla fine il gregge, o mutisi dall’ au- tunno in primavera, o dall’ inverno nell’ estate, per cambiare et mutare ancora l’ influenza loro. È chi dice che tritandosi il ventriglio della cicogna fra l’acqua et dandone loro una cuc- chiaiata a bere, così le capre come le pecore non si moriranno di peste; et ‘all’idropico di più taglisi lor la pelle destramente sotto le spalle et manderassi fuori quell’ aqqua, curando le ferite con pece strutta. In somma nei mali particolari medichinsi come le. pecore, che sani- ficheranno. Sono i latti differenziati tra loro secondo la diversità degli animali che lo fanno, et secondo questo ancora varia la qualità della loro natura. L’ umano che grandissimamente nutrisce, tiene, come è di dovere, il primo luogo; accanto a questo s' annovera quello delle camele, che è dolcissimo, s1' eome efficacissimo et di perfetto grande l’ asinino et più d’ogn’ altro medicinale, poichè continuato a ‘bersi guarisce del tisico; et l’ asine pregne tuttavia han latte, et le vacche non hanno latte, se non doppo l’aver partorito. Grandissimamente s' affà allo stomaco nostro il caprino; et appresso il peco- rino, si come l'umano predetto è nutritivo. Ma quel della capra ancora è valido et più. sapo- rito, perché si nutricano di fronde, foglie d’ ar- bori et sterpi più che d’ erbe. Quello di pecora per la sua grassezza è molto utile allo stomaco et è più dolce et più da nutrimento di quello di capra; et ogni latte di primavera è più aqquoso che di estate et delle bestie gioveni ('); (1) pare che dica mo/les sopra gioveni. MICI FISESPNTIO SES LNNIEIO, CRE Vee i 51 et cosi generalmente ogni latte è di buon suc- chio, se ben dà fastidio allo stomaco per la sua ventosità et enfiagione. Di primavera è più dilavato, et rinfresca et umetta più il ventre. Prende: ancora differenza e si varia il latte dalla diversa qualità delle pasture et dalla comples- sione delle pecore et dalla maniera del mugnerle. Quello che vien generato dell’ aversi cibato d’orzo et di stipule, et al tutto di cosa secca et di sodo cibo essendosi cibata la pecora, è più nutritivo, et a ben purgare quello è megliore che vien prodotto da verde pastura, et più muove, se sia cibata di quell’ erbe con le quali noi siamo soliti purgarci l anno. Gl’' animali da latte usato, pasciuti della corteccia del salcio rendono il latte più acerbo ('), ma più buono, et tanto più se si siano satollati di citiso. I Todeschi appruovano quello che sia prodotto dalla sporia et dal trifoglio, et di pastura che abbondi di fiori di. color di loto. Il latte delle pecore di ragionevole o mezzana età è più approvato, et delle sane et gagliarde che non delle deboli et inferme, et cosî di tutte; et dal mugnere si piglia per ottimo quello che non molto è discosto dal mulso (°) quando è munto, né tosto preso che abbi partorito, come è la colostra, che è quella prima scolatura doppo che ha partorito, ciò è quella spugnosa spes- sezza (*) del latte. Se tuffato un giunco nel latte et scolata la punta in sur un’ ugna, se subito (1) sopra acerbo è scritto crudo. (2) siele scritto sopra mulso. — (3) densitas scritto sopra spessezza. 52 casca e scorre, è segno che è aqquoso assai; se stia saldo et fermo senza scolare su l’ugna, dimostra che sia puro e semplice latte. Si fa una sorte di latte detto schiston, dividendolo dal latte rappreso et aggiungendovi una goc- ciola di mulso o d'aceto. Il grasso del latte, detto capo di latte, che viene da per sé in cima del latte nel vaso pieno di quel di vacca, del quale si fa il butiro, come d’ogni ricotta si può cavare, mescolata prima con l’aqqua tiepida, di poi continuamente fredda, dimenandola col . pestello, girandolo attorno, aggravandolo nel vaso di legno concavo cupo, ove si fa simil- mente, dibattendo il latte conquagliato, il bu- tiro; l’uso del quale è a. proposito per cacciar: la fame et per conservar le forze. Si costuma di fare il butiro a dove sia grande abbondanza di vacche, et il modo è questo: prendesi buona quantità di latte ca- vato subito che è munto dalle biconce dove si mugne, et raddotto insieme in conche o vasi grandi, ma meglio sono di terra cotta et larghi anzi che profondi; quivi si riposi; poscia il secondo di o terzo riposatosi, quel grasso detto cremore che nuota nella sommità del latte et lo cuopre, cavatolo raccogliendolo insieme si mette in un vaso più tosto lungo et cupo che largo, in forma di un curro (*) (et alcuni sono che lo pongono in vasi piani et che s’ allargano a giacere in terra) et quivi con uno spesso dimenare con un legno tornito in tondo di sopra et di sotto et attorno attorno (*) cylindrus scritto sopra curro. n° ni rit) ANI del Pigi Miei sita ii tie si Pea i" — idee L° la 53 dibattendolo lo raggirano tanto, che si separi quel più grasso et denso da quel più liquido et sparso. Primamente si ristringa in minuzzoli; di poi con la continua agitazione se ne facci. - una massa; di poi cavato di li o fresco si man- gia o salato si ripone. Ma quel sottile del latte, diviso dal butiro come lo schiston, o si dà alla famiglia in cibo, o ai porci o ai vitelli: et a tutti non riuscirà né malsano, né ingrato al gusto. E ’l butiro si conserva cocendolo et poi insalandolo et riponendolo in vasi invetriati di terra cotta, tenendolo in luogo asciutto et fresco, perché non riscaldi ; et avanti vi si metta sia ben rimescolato et se gli levi il grasso et co ’l grasso consumisi presto, mentre manda fuori certe gocciole che par aqqua, il che mostra sia fresco, et allora è megliore al cibo ; et nei me- desimi vasi postovi dentro, tagliato in fette come di pane sottili, prima tenuti spianati due di sopra panni lini bianchi et sottili, ricoprendo et asciugando con i medesimi, et compostovi dentro, si finisce d’ empiere il vaso d’ olio puro, o si vi facci un suolo sino in cima di zucchero liquefatto o di giulebbo fresco, et basterà sei mesi. Ma posto il butiro in qualunche forma in un vaso impeciato di sopra et cacciato nel fondo del pozzo, si conserverà meglio che in altro modo. Ancora, mettendolo in un vaso pu- lito invetriato, tagliato in varii pezzi un po’ grossetti, pieno d’aqqua fresca, si che vi sia dall’ aqqua ricoperto dentro, mutando l’ aqqua due volte il di, si conserverà buono più d’ un mese d’ogni tempo. L'inverno non accade fargli diligenza alcuna, perchè ’1 freddo lo mantiene D4 da per sé. Quando anco il butiro lasciato stare da per sé, senza alcuna diligenza o cura di conservarlo, invieti, lavato poi a pro aqque. incandidisce et è medicinale. A fare il formaggio si pone nella cola o grande o piccola, secondo la quantità che se ne ha, il latte più fresco che si possi mettere insieme, tanto che la sia piena, et si scalda alquanto, non l’ avvicinando perciò troppo alla fiamma; basta che temperatamente senta .il calore. Così, postovi sopra il presame a discre-. zione, si rappiglia, et tosto che è rassodato si preme anco con le mani rivoltolandolo et rime- sticandolo forte, cavandone il siele, et con le mani, sendo piccoli, o con la forma se son grandi, se gli dia quella figura che l’' uomo vuole; e se sia schiacciata si metta fra i cerchi sopr’ una asse pulita e ben netta a scolare; se tonda, o abbi preso altra forma, pongasi dentro a un cestino di vimini a far il medesimo; et all'uno et all’altro si dia il sale che. Facci sudare quell’ acre umore che vi è attorno attorno, et si seguiti a darne ogni quattro di tanto che l' inzuppi, et sopra le formette ponen- dovi tavole, vi si caccino sopra pesi gravi; et ogni due di si rivolti sotto e sopra saleggian- dolo, et mentre che ’1 sale ancora ,l’ indurisce si segui di premere di nuovo, et con sale arro- stito al fuoco o brustolato si rinsala. Cosi non sarà sbucheracchiato né secco; le quali cose sogliono avvenire dall’ essere salati poco et manco premuti. Tiensi, mentre si fa, in lato ombroso et fresco, sopra pulitissima tavola; di poi nove giorni lavisi con aqqua dolce et si Poi dr n PRE Pa luisa ne i ate FRPU AI CAR i et DD ponga sopra graticci ad asciugare et suzzare; più appresso secco s' unga con olio, bene rivol- tandolo ogni tanti di; et così si conserva negli orci, pur mattina et sera .rivoltolando gl orci, et si ripone in lato non umido, ma fresco et asciutto; ma quello che s'ha a mangiare di subito non accade .che sia premuto più che tanto, basta che un poco con.le mani sia sop- pressato; et presa la forma che ha ad avere, vi sì ponga sopra un po’ di sale, messo dentro a panieri di vimini sospesi da terra a scolare. Fassi il cacio d’ ogni sorte latte di animali quadrupedi: et quanto è più fresco il latte et puro et schietto, tanto fa il cacio migliore et più saporito ;. perche del latte mescolato, al quale sia stato tolto via il grasso, in poco tempo inforza, diventa duro, né può conservarsi: molle; imperciò si dee dar via. o. mangiare presta- mente. Del latte che è fresco et grasso si fa il cacio da: bastar assai, et rattiene la tenerezza, la morbidezza et la sugosa grassezza tempo assal; due o tre ore da che sia messo il presame nel latte, rigonfia et cresce insieme, et il più grosso et più denso si. mette nelle cestelle fatte. di vimini, spremuto nelle stamegne (*); et se siano i caci piccoletti, spremisi colle mani, se grandi, come 8 è ‘detto, pongavisi sopra del peso assai; ma importa assai scolare tutto ’l siele, che così si chiama quella materia grassa liquida che da per sé gitta fuori, il che si dee separare dalla rappigliata materia, a fin che da per sé scorra via quel pigro umore; et cacio (*) Tyrocneste, scritto sopra stamegne. v Leitigiiac:. VU D6 ottimo riesce quello che ha avuto poco caglio. o presame. Di grandissimo pasto è il cacio di vacca et di bufola: accanto a questo, di pe- cora passa più presto et si digerisce più age- volmente, come di capra, di cavallo et di bu- fole s' affanno insieme; fannosi et di cammello et d'asino assai delicati. Scrivono che degl’ ani- mali che hanno dente sotto et sopra, non si rappiglia il latte, né si può far cacio; imperciò delle cavalle si mescola con quel di vacca o di bufola. Ancora dicono non potersi far cacio di quegli animali che abbino più di quattro poppe, perché questo ancora non rappiglia et è inutile a far cacio. I caci teneri et morbidi son più di nutrimento che non i secchi et bucherati, et allo stomaco sono più utili, né tanto stanno a smaltirsi nel ventre come i caci vecchi: e ’1 cacio tutto si tiene per cattivo che non sia fresco. I caci che invecchiano, tenuti a macerare nel vino, e che vi sia del timo nel- l'aceto, ritornano al sapore di mosto. Se per la vecchiezza il cacio diventi sodo et amaro, tenghisi a inzuppare nella farina d'orzo. non abbrustolato, di poi si cacci nell’ aqqua, et indi qnello che scorre in cima si cavi et sarà guste- vole. È cosa provata che i caci un po’ duretti rinvolti in un panno lino inzuppato nell’ aceto o nel vino, et spesso spruzzati con esso et bagnati per il tessuto d’ esso, ammorbidiranno, ripigliando grato sapore; alcuni vi aggiungono un po’ di lievito, et con quello chiudono il luogo aperto dove si mette, poi cavatolo dicono diventare megliore del fresco. Torvaste visse venti anni co ’1 cacio, temperato di modo che Te: te 57 non sentiva vecchiezza. Sono commendati oltre a modo in Lombardia e per tutta Italia i caci Piacentini et di Parma, che per esservi gran copia di bestiame vaccino tenuto in gran nu- mero insieme, talora han passato di peso cento- cinquanta libbre, et ne van mandati in pregio per tutte le provincie ancora fuor d’Italia. I caci Inghilesi, d’Overnia, di Maiorica et Mino- rica sono apprezzati: già erano tali i Vestini, i Tribolesi, i Velabrensi et Tribolani; e in Ale- magna i Batavici passano tutti gl’ altri di bontà. Ma i marzolini in Toscana sono traspor- tati per tutto, tenuti d’ottimo gusto et sapore, et massime quelli che sono fatti in Valdelsa et accanto al paese di Lucardo, per le pasture che vi {sono di sermollino, timo, selbastrella, nepitella et altre. erbe d’odore acuto et sapo- rite. Fassi come l’altro formaggio, solamente «sì gli dà quella forma-del cucuzzolo da una delle bande con un legno incavato; tutto il rimanente mantiene la forma aovata. Di latte di pecora ancora come di capra si fanno ricotte delicate al modo che quelle delle vacche, et dibattendole con aqqua in un vaso cupo strettoTet tondo, con un bastone medesi- mamente rotondo, se ne cava gentilissimo butiro che viene a galla, et ripremuto quello che esce del latte,"si fa la ricotta a non troppo lento fuoco riscaldandolo, per fino a che la grassezza del cacio venga a galla; et la fiorita si cava dal fiore di latte di vacca che viene a galla, cavatone pur prima il butiro; et il capo di latte che da per sè viene come la schiuma in cima al latte d'una gran quantità d’esso, et si raccoglie con 58 mestola bucata di legno per scolarlo, et è cibo deliziosissimo, come anco non è da dispiacere la melica: et fassi mettendo in un vaso di terra nuovo dell’ aceto a fuoco a scaldare et bollire tanto lentamente che sia succiato dal vaso l’ aceto, et in quel vaso metterai il latte et lo riporrai in un luogo dove stia saldo et fermo, et di li a poco averai la melica fatta, divenuta eccellente. Le giuncate si sogliono fare di due solte, o grosse o sottili: volendo di queste, si pone il latte fresco rappreso, schiac- ciatovelo a uso di cofaccia tra le foglie della felce et dentro un panno lino bianco sottile, netto et pulito, facendo di mano in mano un suolo di felce et un suolo di latte, acconcian- dolo in un vaso che scoli, o sospeso in aere che goccioli il siele; et avendo caro di farne tut- tavia una et che sia grossa e lunga, poni la... +4) del latte fresco et rappreso tutto insieme fra le foglie stese et rametti di faggio, et messo che vi è, ristrigni il fascetto delle foglie et rametti che era spianato et aperto, insieme l’un lato con l'altro; legalo un poco et attaccalo si che scoli; et assodato che sia, componi a modo et portalo.a dove lo vuoi, per mangiarlo presto perché inforza; et volendo farne cacio. che sappi di raviggiuolo, insalalo sotto e sopra et. rivoltalo ogni di, tenendolo pur in quelle foglie. et rametti, ma aperto; et vuole essere ogni di due fiate rivolto et insaleggiato. Impiccolisce e prende quel sapore e meglio verrà fatta che nelle frasche d’olmo, di faggio, carpine o ontano, (1) Una parola cancellata che non sono riuscito a leggere. ì 59 nei giunchi grossi cuciti insieme stesi l uno presso all’altro, et dentro a questi si pone il latte pur rappreso per fare i raviggiuoli, dando lor. quella forma lunga et. sottile et un poco larghetta che s usa, o vero altra forma; et si fanno doppo le prime aqque nell’ ultimo del- l'estate, et al principio dell’ autunno sin al verno, cominciato d’un mese et più secondo i paesi; perciocché quel sapore procede dalle pasture buone in quella stagione, mediante le pioggie; et si fanno di pecora schietta et di capra et mescolati come l’uomo vuole; et è opinione che aqquistino quel gusto dalla nuova messa dell’ erbe, causata dalla nuova pioggia. In Toscana sono eccellenti nel Chianti et in Arezzo. Fatti che sono, il che è quando sono assodati ne’ giunchi, o nella paglia di grano cucita al medesimo modo che i giunchi, con- viene rivoltargli almeno una volta il di tanto che fermentino, il che si cognosce quando sono soffici et rilevati, che sotto la corteccia fanno com’ un latteficcio o capo di latte, et quando generano certi verminetti bianchi grati al gusto, generati dell’istessa materia del raviggiuolo co ’1 quale si mangiono; et questo bisogna fare per tempo, perché riseccano, lasciati nascon- «dere. Quella generazione di vermini nasce da grassezza et butirosità untuosa, come avviene nei formaggi oltramontani: et la buona pastura ‘et aqque gli fanno buoni. Sonoci le presenziuole Genovesi, con le quali fanno le gattafue ('); queste si fanno co ’1 latte di vacche rosse Tren- (1) Non sono certo d’ aver letto bene questa parola. 60 tine, delle quali ne nutriscono quantità per cavarne ricotte et cavi di latte et queste pre- senziuole, che sono cacetti piccoli fatti alla foggia del cacio, schiacciati, ma senza salarli. Quanto poi al rappigliare il latte, sono molti i quali avanti che si acconcino a mugnere met- tono nelle secchie da latte i pinocchi freschi pestati a discrezione et incorporati co ’1 latte che vi mungono dentro, [i quali] lo rappigliano; et i pinocchi vecchi, pur che non siano si stantii che siano vieti, tenuti nell’'aqqua mutata ogni di per due o tre di, poi rasciutti et pestati, serviranno a questo uso medesimo; et alcuni, tritando minutamente il timo, stacciandolo, così spolverezzandolo, messo fra ’1 latte spesse volte, freddo lo rappigliano. Il latte ancora si rap- piglia con li fili di fiore di cardo salvatico postovi un po’ dentro, intiepidendolo al fuoco; seccasi quel fiore all’ uggia et serbasi a quel- l’uso. Il latteficcio rappiglia il latte, et dà gentilissimo sapore al cacio; raccogliesi il lat- teficcio con lana fresca et con una spugna, si come la rugiada, dai rametti di fico fresco tagliati di estate quando è ben in umore, 0 ‘vero dai rametti ove è attaccato il fico acerbo, staccandolo et raccogliendolo al modo mede- simo; di poi si conserva a questo affare in un vaso invetriato, ponendone tra ’l latte riscal- dato lentamente al fuoco una picciola porzione. Altri lavano con latte il fico pien di latteficcio, - mettendolo in quel latte che s° ha a rappigliare. Rappigliando il latte co ’1 quaglio degl’ ani- mali, s averà più cacio, ma non di così buon sapore, come quello dell’ erbe, et massime co ’l 61 cardo, che è di tutti il migliore. I quagli ca- vati dai cervi piccoli (i cervi non nati sono bocconi da re et similmente le zampe dell’ orso) et dai capretti son molto buoni; in Alemagna gl usano assai di vitelli. Alcuni aggiungono il latteficcio et dell’ aceto, altri si servono di quelle pellicine che sono attaccate ai ventri degl’ uccelli; ancora le pellicine attaccate ai ventri dei polli fanno questo effetto medesimo. Ora quella porzione di quaglio o pellicino che si giudichi che sia per bastare a rappigliare il latte che tu vuoi, che sarà secondo la quantità d’ esso, sì lega in un cencio bianco pulito et si pone a macerare per un poco in un bicchiere del latte medesimo; et quando si sente che è zuppo bene, si spreme quel legato in quel bic- chiere di latte, di poi questo latte si getta in quello che s' ha a rappigliare. Altri senza ma- — cerarlo lo mettono nel latte al fuoco, et quivi senz’ altro lo rappigliano. I fiori di cardo si possono lasciare andar nel latte sparsi, che vi sì perdono e rappiglionlo; ma meglio è met- terlo a inzuppare, legato come di sopra, nel latte in vaso piccolo; di poi spremuto che sia quivi, tutto porlo nel latte tiepidato al fuoco. Il lattificcio del fico raccolto con lana bianca, con l' istessa lana si pone nel latte tiepidato et si ben rappiglia. Pigliansi otto o dieci ricotte di capra et pecora, o schiette dell’ una et del- l’altra, et cacciate in un mortaio di pietra pulita, girando il pestello intorno, si disfanno; disfatte, liquide che elle sono, vi si mette dentro aqqua tiepida a proporzione, et sì torna a liquefare tutto insieme co ’1 pestello, et squaq- 62 querate che elle sono, si scola tutto in un gran vaso pulito, che vi sia dentro aqqua chiara fresca a proporzione, et fra questa con esso s'ammacca et si radduce insieme tutto quello che si sparpaglia, rimenandolo bene; et muta-. tavi l’aqqua, rimenando sempre con quello, tanto che resta chiara, s ammassa il burro che n’ esce, che si conserva coperto d’acqua in catino; ‘et così si fa alle ricotte di vacche, et n’ esce assai. . [2 capitolo delle Capre termina in fondo al verso della carta 39.° Le carte 40. e 41.° sono bianche. Il capitolo dei Porci comincia sul recto della carta 42.°] 63 I Porci. Sono i porci di tre sorte; o domestichi, o sal- vatichi, o domestichi che a questi si assomi- gliano, come in Boemia dove appariscono et alle setole et alla fazione tutti salvatichi, di carne megliore di tutti gl’ altri, manco umida et più suzza et asciutta degl interamente dome- stichi, uguale a quella degl’ interamente bosche- recci et salvatichi. Mangiono i Boemi'in Praga et' per tutta la provincia tutto l’anno la carne del porco, et tanto fanno nelle Indie, dove porci sorio, nascendovi alquanto maggiori dei nostri; se bene dei maiali in Parma se ne vedde uno che passò di peso novecento libbre, tanto grasso et grosso, che ricoprendogli le zampe la sterminata sua pancia, a fatica calpestava la ‘terra con l’ugne scoperte dei suoi piedi. È age- volissima cosa introdurre la razza dei porci sal- vatichi là dove non sono, et alla campagna u’abbondi la pastura, con lasciare andare per le selve una troia salvatica gravida d'un verro domestico, e una troia domestica gravida di un verro salvatico. Di così fatta maniera sono stati introdotti in Toscana a caso per la guerra di Fiorenza, essendosi impacciati i domestichi verri con le troie salvatiche o per contrario. Sono i porci domestici di più fatte di pe- lame, perchè o son neri tutti, o neri pezzati di bianco, o rossi tutti, o rossi pezzati di bianco et nero, o neri brizzolati di bianco; e talora candidi tutti. Et a questi si dee provvedere di stalla calda et di letto così alto di paglia, che CE IA PINS TITRES RI A A E (LR RISI "sel RA da i freni dito bia, {ef a Li 64 vi sì possino seppellire dentro; et se sieno porci maschi castrati, abbiasi per loro nelle stalle diversi appartamenti, affinché ristringendosi insieme et ammontandosi non si soffochino lun l’altro; et siano provvisti bene da cibarsi, per- ché sono i più famelici di tutti gl’ altri. Si ha per meglior carne quella dei neri, massime che sieno nutricati di ghianda o castagne; appresso i rossi, satollati del medesimo; et tale 8’ elegga il verro, o nero o rosso, et non mai divisato, che abbia sopratutto le poppe grandi come il becco; deono essere più tosto grandi e quadrati che rotondi o lunghi, se ben questi che sono lunghi producono la razza anch’ essi grande, et ‘ n’ escano eccellenti prosciutti; sia di muso corto et largo; il collo lungo et grosso si richiede et che sia pien di noccioli tra la cotica; di ventre sia largo e basso, ampia groppa e distesa cet così i fianchi, gambe lunghe et ugne col no- dello corto del piede, la coda larga et nodosa; siano di gran vità e per tutta di unito colore; le setole spesse, dure et ben nere se sia in paese freddo, se in temperato rosse ('); le setole che s' arricciano a contrario, com’ avviene ne’ ci- gnali feriti, si fugghino. Molti non dislodano i bianchi et gl’ appruovano per fare maggiori figli et di meglior carne, né daranno altro disturbo che l’ essere fastidiosi et noiosi agl’ altri verri, per riuscire eglino tanto bizzarri et bravi che : s' azzuffano per poco, né lasciono assaltare da- gl altri le troie. Tali adunque deono eleggersi le fattezze d’ un verro buono, o più accosto (') glabre è scritto sopra rosse. VET ATE STIio arane e e te dirai pi "e vee t, si ve vi E ,, si Uicealoicti 65 che sia possibile; et guidando così questo come gl'altri verri con i porci sanati, in quel tempo che e’ non hanno a montare, si manterrà il sal- vatico domestico et pacifico, raffrenando assai il suo natio furore, maggiormente [se] avvezzo con essi da piccolo et allattato da domestiche troie. Alcuni tengono di continuo i verri con le troie, e se siano di lor natura salaci et lus- suriosi, non hanno più che tanto risguardo ad altra lor fazione. In questa maniera hanno con- tinuamente razza nuova; et ciò si dee osservare nei paesi temperati o più caldi che non nei freddi, si come in questi s' hanno a scerre di folto pelo, et in quelli non importa come che ne siano rossi o bianchi. | Deono per tutto le troie essere di colore uguale ai maschi et dell’ istessa fazione, perciò che le si deono eleggere lunghissime ne’ fianchi et in tutta la corporatura, di ventre largo e lungo da distendersi agevolmente ('), di ampia schiena, gran natiche, corte gambe et ugne, di poppe grandi e lunghe, d'ampio et noccioloso collo, muso corto et rivoltato in su (*), et la coda ben ritorta; sieno numerose di poppe, delle quali le buone sono fornite sino in dodici, et sogliono sempre partorire altrettanti allievi, ciascheduno dei quali cognosce la sua poppa, secondo l'ordine con che è generato, né vuole nutrirsi con altra; et mancando dell'allievo si secca, né più rende latte. Et si cognosce la lor (') dopo agevolmente vi è uno spazio bianco e sopra di esso sta scritto: sucerdias longas patiens. (?) resupino è scritto sopra rivoltato în su. ot 66 i fertilità nel primo parto, poscia che nei susse- quenti arrivano a partorire la medesima quan- tità, partorendone tuttavia quante ha poppe: se non, ella non s' appruova per buona et reci- piente. E ben vero che quanto ell’è più fertile, tanto più presto invecchia, et quanto più presto comincia a far figli, tanto più fa la sua razza minuta et di men vigore. Imperciò non si dee ammettere il verro alle femmine che siano di meno d’ un anno, se bene d’otto mesi sono abili a montare i verri, et anco di sei, et questi son detti maiali. Ma cominciando d’ uno anno, egli durerà buono sin in tre o quattro anni, massime ove non stringa la necessità di dargliene più di dieci; che dove n’abbi ad ammontare quin- dici, basterà meno; et passato quel tempo torna indietro la lor lussuria, tanto che s' ammorza et diventa impotente: ma perché smagriscono è bene castrargli, et rifatti con il satollargli di cibo vendergli, cercando di spacciargli in ogni modo, tutto che la lor carne di gran lunga è inferiore a quella dei castrati da piccoli che non hanno montato. Cavinsi i verri di paesi dove ne faccino assai e grandi. Le troie anco deono aver finito l’anno, et di venti mesi sa- ranno i parti megliori et più vegnenti, et di due anni ottimi gli partoriranno, come che siano per essere più gagliardi et fermi: se ben la prima volta gli farà più piccoli; ond’è che per serbare sarà meglio la seconda. Manten- gonsi buone a partorire sino in sette anni, et quanto più saranno feconde, tanto più presto invecchieranno; dopo quel tempo non è più buona razza, quando bene si fossero mantenute RITO E RIETI NEI PRESE PARTI TIE LA ’ 67 fiere et vigorose; deonsi castrare, rifare et dar via; et perché le partoriscono due volte l’anno, che quattro mesi stan. pregne e due allattano, è bene ordinar si che ambedue le volte le figlino a modo (sapendosi che quelli a chi tocca a nascer di maggio n’ han sempre il meglio). Diasi loro il verro al principio di febbraio et anco un mese prima, affinché truovino poi oppor- tuna pastura dei residui ricascati dei legumi sparsi et delle spighe per le stoppie; così rin- gagliardite, potranno di nuovo coperte sotto l'autunno ripartorire. Si dà loro il verro otti- mamente dal febbraio sino a mezzo marzo, et dalla bruma sino all’ equinozio di primavera, dalla quale anco passati due mesi si possono mettere sotto il verro, et se ben partoriranno d'inverno e più minuti, tuttavia si può usàre dove per natura sia larga pasciona o vicino alla ‘città, di dove se gli possi procacciare conve- niente ristoro. Non'si lascino fuor delle stalle le troie quando hanno partorito per dieci di se [non] per beverare, perché troppo ne pati- scono, sî come tutti i porci più della sete che d’ altro, onde sono sempre amati da loro i rivi, le pozzanghere, i fiumi, i paduli, i laghi, il fango, la mota et la belletta. Nella campagna per far buone razze diasi loro il verro di feb- braio, poi si lasci allattare et pascere; et mas- sime che nell'inverno partorendo, dogliono lor le poppe per il frequente allattare, cagionato anco dal freddo; onde è che i paesi temperati si comportono meglio pur che vi sia da cibarsi. Ancora quelli che nascono d'inverno riescono sempre più piccoli et minuti, si per la freddura ite 68 che fa patirgli, come per le madri che gli com- battono per il poco latte che hanno, et perché eglino con i denti feriscono i capezzoli delle lor poppe. Di qui nasce che talora instizzite divorano i lor proprii parti, et ancora talvolta perche sono impazientissime della fame, che perciò bezzicano ancora a morte i polli i suoi. Ora, come altrui s avvegga di tal difetto, le- vinsegli tutti d’ attorno, et portinsi così tene- retti a vendere alla città, per arrostirgli con buono ordine, sendo cibo appetitoso et fuor di modo saporito. Ammettasi la troia sott'il verro quando averà l’orecchie ben calde, molto penzoloni, vizze et passe; et per potere aver così fatto segnale, non si taglino nè sfendino gl’ orecchi alle troie di razza; che per fin che ella non rimostri essere così, ammontandola ‘si stanca et non concepisce, perchè la non rattiene; o se pur afferra, è la razza fievole e minuta. Ora, quando s accosta il tempo d’ essere coperta enfia lor la natura et vengono in gelosia, et sendo mezz’ arrabbiate et infuriate, è di pericolo andar lor attorno. Nei tempi che son pregne le troie si separino dai verri, i quali si daranno loto per due volte, porgendo loro fra luna volta e l altra un pugno di fave mescolato con ghiande; et quando averanno partorito, le troie governinsi bene con orzo cotto: 0 tenuto in molle luna volta per l'altra, dalla. mattina alla sera, et del rimanente del suo mangiare abbi abbondanza, et diasi loro da bere due volte il di per cagion del latte, il quale se gli scemasse, sì dia loro del grano cotto e simil- 69 mente dell’ orzo bagnato, sin ch'egli abbino tre mesi; o veramente si. diano ad allattare ad un’ altra che n’ abbondi. Cibinsi la mattina avanti il levar del sole o innanzi al caldo d’esso et in lato ombroso abbondante d’ aqqua, et poi si cavin fuori a pascere in compagnia; sostenghinsi con i viveri riposti, perchè non si smuova loro il corpo con la frescura et tene- rezza dell’ erbe nuove verdi et immature, sendo ciò cagione di farle smagrire; doppo mezzo giorno, passato ’1 caldo, da capo si dia lor da mangiare. Et d'inverno, a qual ora sia disfatta la rugiada et rintenerito il ghiaccio, si dia loro il cibo, il quale si dee dar loro da lontano, perché ne vadi men male, et perchè i minori abbin tempo di non essere oppressati dai maggiori. Si risentono al suono del corno, et van dietro secon- dando quello; tanto che quelli che furono già rubati da certi corsali, sentito il lor corno, fe- cero traboccar la nave, movendosi verso il carico d’essa più grave; se bene è dai porci sicuro il barchereccio, aggravandosi sempre et volgendosi sempre verso quella parte dove è di bisogno con- trappesarla. Avvertiscasi ancora, che quando le troie hanno a partorire, le non siano troppo gravi et piene di carne, perchè mancano di latte; et come s'è detto, in.questo tempo si deono ap- partare lune dall’ altre. Lascinsi alla troia che ha partorito (') da principio tutti i figli per otto (1) Qui a fin di pagina (della 44 verso) si legge come nota, nello stesso carattere del testo, ma rimpiccolito: « Dicono una troia d’Enea Lavino aver partoriti trenta porcelli bianchi, ma prodigiosa- mente, come naturalmente il porcellino fiorentino, però cosi detto, ebbe sette figli tra maschi e femmine ». ‘ 70 o dieci di, passati questi se gli ne rattenghino solamente otto; altri hanno openione di sei; non che ella non sia bastante a nutrirne più, ma perche troppo presto allatta et così vien meno affaticata et più fiate può oltre condurre i suoi parti; ma se la pastura sia gagliarda, può anco per due mesi intrattenergli tutti, et da qui in là allogar si deono a’ particolari che gl'ingrassino in casa; et ciò si potrà comoda- mente fare, dandogli orzo cotto o bagnato. Osservi il guardiano tutti quelli che egli pasce, . et giovani et vecchie madri, et le gravide da partorire lune dall’ altre da per sè racchiugga, perche nella sua casella partorisca; et allora ponga mente ai porcellini, quali et di che se- gnale sien nati, affinchè niuno d’ essi sia da altra troia allattato, perché se i porchetti tra- passando la propria casella si mescolino, le troie daranno il latte ai loro et agl’ altri, et pati ranno. Di questa maniera mettendogli fra essi si possono allevare i salvatichi; segnansi per ricognoscergli con pece distruttà o con un marchio di ferro affocato, imprimendolo leg- germente. Ora, lasciandone solamente sei alle madri, queste patiranno manco, et i figliuoli saranno più gagliardi; et sendo le madri deboli, | non s' aggravino più che di quattro. Ai porcellini sin che venghino grandi diasi da mangiare gran cotto con aqqua bollita, che ’1 freddo fa lor male et ingenera loro flusso et dolori; saggina ancora et le castagne secche similmente cotte sono lor buone, come la crusca impastata con aqqua calda; et sendo la stagione accomodata, cavinsi a pascere con le madri in VENERE A ESRI II SRP METTA PIE E SO VIGNATE i ST AN E NT RE TT sl SR so ped pas - 71 pascoli buoni et a proposito, et contrassegninsi per non scambiargli; et come siano alquanto più grandi et di tre mesi finiti, appartinsi da esse, pascolando et reggendosi da per loro; che a chi lasciasse fare, come si dice, alla natura, poppe- rebbero sino in sei mesi; et a quel modo si asciu- gheranno le madri e torneranno a impregnarsi. Ma di primavera tuttavia, avanti che e’ vadino a pascere, diasi loro qualche cosa di casa, e tanto più quanto sia molle l’ erba dalla guazza, dalla quale ricevono nocumento grande come l'inverno dalla brinata, che fa loro la milza grossa, et s' infermano. E lor buona la poltiglia fatta di saggina cotta o di farina di fava o fava cotta; et il lor guardiano che gli guida co ’l corno o altro instrumento o con la propria voce, nell’ uscio della stalla o mandra si lasci cascare a giumelle a giumelle di mano o gra- nelle d’ orzo o ghiande; perché poi a quel lecco tutti lo seguiranno'in pastura. Si possono di state lasciar pascere di notte per le stoppie et la mattina per il fresco, ma nella sferza del caldo meninsi agl ombrii et a spassarsi intorno alle ripe dei fiumi o laghi o fonti o fossi, si che possino abbeverarsi et rivoltolarsi per la mota et per il fango; et dove non sono alberi, si guidino in pasture aqquidrinose per poter con- tinuamente bere et rimenare nella fanghiglia, cavare i vermi, grufolare a lor voglia, trar fuori radici d’ erbe et sguazzare nello più tempo nell’ aqqua, che così come i cignali van volto- landosi nel loto; ma questi ove sia belletta si rivoltolano di maniera tante e tante volte, che fan crosta co ’l loto soda et forte contro al- 72 l’ arme dei cacciatori. Similmente i domestici presi dal lupo corrono sempre all’ aqque, riscal- dati dalla ferita, per rinfrescarsi. Doppo che sia vendemmiato, si può lasciargli entrare nelle vigne, sin a presso a che le vogli muovere, perchè van rimuginando tutto quel terreno che è attorno alle viti, cavandone le barbe dell’ erbe triste co ’1 grifo; sotto selve di castagni, quer- cie, farnie, cerri et lecci sguazzano, se sia tempo del cadere o sieno cascati i lor frutti; ove sieno peri et meli d'ogni sorte, ulivi sal- .vatichi e faggi, si godono assai, come in quei lati ove sieno corili, spine bianche, carrobbi, ginepri, sugheri, loti, cornioli, corbezzoli, paliuri et roghi di more nere, che hanno per proprietà di difendergli dalla squinanzia, difetto loro solito. La ghianda fa la carne redutta e leg- giera (') et più facile a digerirsi; la di quercia et castagne dura et grave, et gl'altri arbori vicino a questa la rendono, et più sempre che non la crusca, brodi e poltiglie, se bene queste ingrassono assai. I porci satollati di ghiande di quercia riusciranno sani, non così grossi, ma di buon sapore; et di cattivo saran quelli che siano pasturati da quelle di rovero (*) [ma] saran grandi et d’assai peso. Quando si comincia a dar loro la ghianda, faccisi a poco a poco, né se ne sazino affatto la prima volta. E lor cosa utile mutar pascoli, et i verdi fan lor male, se non si sia dato loro prima qualche cosa di cotto o di biade o d’ erbe per aiutarla (1) frola è scritto sopra leggiera. (2) cerro è scritto sopra rovero. 73 digestione; et quando di verno manchi che dar fuori, diasi loro dentro delle ghiande o castagne conservate a questo uso nelle cisterne fresche o al fummo seccate, o orzo cotto 0 in beverone di farina; et nel colmo del verno et forze del freddo fan lor bene i vinacciuoli triti et lavati, perciò che co ’1 guscio generano loro la squi- nanzia et il guscio ammostato gl imbriaca. Castrinsi i porci tuttavia nello scemare della luna, che così meglio s' ingrasseranno, con carne di bontà maggiore, in giorno chiaro, quieto et sereno, di primavera o nel fine di settembre. Quanto più piccoli si castrano, miglior carne fanno, né sono tanto pericolosi; da grandi cre- scono ben più, ma con men buona carne; da otto di in là né temono né sentono la pena del taglio della castratura. Né perciò s' indugi vo- lendogli grandi et grandi di quà dall’ anno, che non lo passino se v' arrivino, che d’otto mesi posson montare; et avendo a sorte! montato o altramente, s' incattivisce la carne, si come dei verri et domestici et salvatichi, o salata o fresca, la carne tristissima è; et s osservi loro la luna et il di asciutto, et che non siano a troia, né abbin mangiato, ma digiuni. Et in questa ope- razione non va altra manifattura che tirar lor la pelle dei testicoli, tagliargli et cavargli et poscia cucire il taglio con refe ed ago ordinario, et ungere con olio d’ ulivi caldo, ponendovi similmente sopra impiastrata con esso cenere calda. Ancora si può tagliare a dirittura per traverso la pelle che cuopre il testicolo, et cavatolo, se è d’ otto di, rompere quella pelle con le dita che è fra l’un granello et l'altro, 14 et cavar l’ altro; et se è di sei mesi, tagliarlo con uno scalpello et cavar l’ altro per la me- desima ferita con i diti, avendo rotto per quella pellicina che Vl uno dall’ altro testicolo intramezza; et la ferita si proccura et sana come s' è detto. Se sono piccoli, di poi che ca- strati sieno si tengono dentro a poppare nella stalla, perche all’ aere scoperto talora si mor- rebbero; et ancora se sieno grandi, mantenghinsi per un poco fermi, dando loro beveroni con aqqua calda et farina, rifacendosi spesso a ridarli; et se sieno grandi, stiano separati dalle femmine, perche da loro stando, l’ appetito del montare travaglierebbe lor di modo la persona, che strappata la ferita si morrebbero: e questo maggiormente si de’ osservare ne’ verri che per natura et per uso sono all’ atto venereo più volonterosi et proclivi. Le femmine non sì ca- strono acconciamente se non arrivino all’ età da potersi impregnare non solo, ma che abbino partorito due volte, et si devono sempre ca- strare che non vi sia rimasto pascolo da pastu- rare le troie fatte, avanzando di numero i ma- schi, et avendole tenute due di interi prima senza mangiare e bere, che ciò canserà briga a castrarle e fatica ancora. È buono castrarle tre o quattro volte, e un poco più difficile a castrarle giovini; e riescon minori con miglior carne, della quale s' empiono presto quelle che si castrono grandi. Alle femmine le lor matrici si feriscono con ferro, et si ricongiungono le lor cicatrici, perché ingrassin meglio et s° assi- curino di non ingravidare; et ricucite s unghino con burro fresco. Tenendole ritte con i piè EZRA RI E CIO IO TOA ETRO MIR ACI LITIO TE SIN SERRANO PRA, SOI CRE IN O la io Le " Ù S. 19 15 dinanzi si castreranno più accomodatamente, tagliandoli le matrici; et di nove mesi si ca- strano sicure, pur che a tutte, castrate che elle sono, si facci far lor dieta. Il tempo atto a ca- strare è da aprile fino a settembre, di fresco montate, che subito si spediranno, o spregnate di quindici di; così gl alleveranno bene et du- rerà loro più tempo il latte; in quell’ altro modo ingrasseranno più tosto con meglior carne. Quando s’' hanno a castrare non siano ne grasse né magre; et si può ancora, appese per le gambe. Quivi, dove hanno i maschi i testi coli, ritroverannosi certi bottacciuoli che sono come piccole uova insieme: cavisi upo di questi et ricuciasi la ferita, ugnendo come ai maschi, tenendole in luogo caldo; et si fa ancora apren- dole per il fianco, et di quel taglio ‘si cava uno di quegl’ uovi, poi si ricuce con ferro affocato, et unto bene si pone sopra cenere di sarmento: accanto se gli dà da mangiare per rinfrescarle. 1 porci che si scegliono per ingrassare ab- bino la fattezza dei verri, et sopratutto co ’l muso et niffolo spianato et non mai aguzzo; dando loro dovizia di mangiare s' ingrasseranno in sessanta di, et maggiormente, [se] avanti che si mettino per ingrassare siano stati tenuti tre di senza mangiare et bere; poi si cominci a dar loro orzo o grano cotto o legumi, interi o macinati. Ingrassano assai più le ghiande di quercia che non quelle di farnia, di faggio, cerro, 0 le castagne; et meglio ingrassano di due anni et di tre, come s'è detto, perché i più gioveni, che non sieno condotti a pieno aumento nel cascare della foglia, ritardono 76 l’ingrassare. Il grano et la crivellatura d’ esso fa bonissima carne; con beveroni di farina fanno molta carne et ingrassano assai, ma con manco sugna: et se quando si mettono a ingras- sare sono deboli, si cacciono a mangiare con più voglia, et fa loro più profitto, riempien- dosi di carne migliore: et se talora si ristuc- chino, cavinsi fuori del chiuso per un poco, et si muti loro variato cibo. Gli avanzi dei brodi della cucina et altre regaglie agevolissimamente gl'ingrassano, et cosi i frutti mezzi dei giar- dini et marci; tutte le sorte d’erbe, rape cotte, et sopratutto il riso cotto fa loro impor carne a maraviglia, dato a misura di di in di; tanto fa la crusca cotta con le rape et senza, la farina della saggina, il farinaccio dei pellicciai, ma non già quello dei mulinari, che questo fa ab- bondare di schiuma la carne nel cuocersi. Né è ogni porco buono ad ingrassare, venendo ciò dalla buona o cattiva razza loro. Vogliono essere nati a luna nuova, et a questa sì comincino a ingrassare, perche così più agevolmente cresce- ranno et sì cocerà la lor carne meglio: siano ‘sempre maschi et non mai femmine, delle quali la carne sminuisce tuttavia a cuocersi, per non essere cosî soda e densa come quella del maschio, il callo del quale si condensa et constipa, indu- risce l’altra et ingrossa di modo, che diviene quasi un quarto di braccio italiano; et ciò si fa alla foggia d'Inghilterra, dove si chiama bravone. Ficcansi in terra quattro legni alti un braccio et sette ottavi, sopr’ essi sì compone un piano di tavole un po’ rade, et a uso d’aguglie et comignolo s' attestano le bande augnate, et TI il parapetto dinanzi si fa aperto tanto, che egli possi cavar fuori tutta la testa per mangiare et bere, et di dietro si lascia una luce per gl’ escrementi; il tutto sia fatto a misura del porco, et le tavole tanto accosto, che ogni po’ che si muova vi percuota dentro con le spalle e schiena da ogni banda, nel maneggiarsi ‘a mangiare assai copia di grano cotto o erudo, per sei o otto mesi, racchiudendovelo dentro di settembre et a maggio cavandolo; et ammaz- zato insalandolo si conserva. Condisce cotto in pezzetti l altra carne e da per sé lesso è van- taggiato buono. Per insalare la carne, ammazzisi il porco @ luna nuova, ferendolo con un punteruolo dalla banda a dirittura del core, così si salverà il sangue a far migliacci et biroldi; et ciò sì dee osservare nell’ ammazzare le porche gioveni quando le son pregne la prima volta, per fare soppressate o sommate, come si costuma a Napoli in perfezione. Ammazzansi in quel tempo che elle sono abbondanti et copiose di latte le poppe loro, avanti che le partorischino; tagliasi per questo affare tutta quella parte un po’ rilevata che è attorno alle poppe in tondo, battesi bene, poi s' insala; et è perfettissimo cibo, come le poppe delle porche gioveni, fresche arrostite. Et a voler far di quella parte che si può insa- lare tutte sommate, conviene farle morire tenen- dole legate, con le bacchette percotendole tanto, che venuto il sangue in pelle, abbandonando per la maggior parte il di dentro, manchino di vita. Medesimamente, perché la carne mantenga il peso, insalisi a luna crescente, che così talora 78 anco ricresceranno, ma saranno più facili a corrompersi dai vermini o tarme et a invietare; et facendosi insalare a luna scema, diminuiranno di peso, ma saranno più durabili per le fortezze : ma per queste ancora è meglio rinnovarle ogni anno. Come si sia, d’ un di innanzi che e’ s' am- mazzino, tenghinsi interamente senza mangiare e bere, che così sarà la carne più suzza et pi- glierà meglio il sale, perchè beendo averà più umore; et peggiorerà anco la salsiccia, che non asciugherà si bene ne nel fornello né al fummo. Avvertiscasi che mai siano quando s ammazzano ‘per ciò in amore. Facciasi l’ opra dell’ insalare in di asciutto, chiaro et sereno, ma che non facci punto caldo, più tosto tiri tramontana et sia freddo, di dicembre se non sia aqquoso, se non di gennaio et sino a mezzo febbraio, più innanzi o dietro secondo i paesi. Ammazzato il. porco nella sopradetta maniera, spelisi con l’ aqqua bollita, o s' abbruci il pelo con paglia et pac- ciame, appiccatovi fuoco sotto, poi raschisi bene con il coltello la cotica et si strofini con una pietra spugna, et lavato bene s' appicchi sospeso da terra quanto basti a entrarvi sotto un catino per ricevere l’interiore, le quali tutte si cavino, sparandolo per il diritto del ventre; et riposato due o tre giorni, sfendasi in due parti, levandone la testa et l’ariste dal filo della schiena, la quale si può anco insalare da per sé, o attaccata al pezzo, senza cavarne gl’ ossi; ma conviene poi cousumarla presto, che non basta a un pezzo quanto l’altra carne salata senz’ osso. Più ap- presso, cavatone con un coltello, staccando ra- sente la carne tutti gl’ossi principali et mezzani tassa iii ae 19 et minuti et anco le costole, lasciandovi solo dal ginocchio in su le gambe con l’ossa, et alla carne senza ossa facendo alcuni tagli che pene- trino dentro per ricevervi il sale, piglisi del sale ben pestato minuto, ma prima grosso bru- stolato al fuoco, a ragione di dieci libbre di sale per cento libbre di carne, si cacci sotto e sopra e nei luoghi voti d’ essa; cosi da ogni banda bene insaleggiato il pezzo, si componga spianato in sur un desco asperso di sale; poi si soprapponghino di modo insieme; che la cotica tocchi la carne l’ uno dell’ altro; et avanti che s insalino tali pezzi, spreminsi bene da ogni sanguaccio o bruttura che vi fosse, sì che resti suzzo et asciutto; et avvertiscasi che mai tocchi la carne la carne, ma sî bene la cotenna. Così ne sopporrai sette, otto o dieci pezzi al più lun sopra l’altro, et quando sarà fatta la ca- tasta, pongavisi sopra delle tavole, et queste si carichino di gravi et grossi sassi, che le ten- ghino aggravate et strette insieme; et passati dieci di, si rivoltino i pezzi et rinfreschisi il sale fra l uno et l’altro, avvertendo che non stiano più ammontati l’ uno sopra l'altro, ma stesi su spazio più largo di tavole, chè non riscaldino. Rivegghinsi ogni giorno, rimettendo sale a dove egli mancasse et stropicciando in quei lati forte con le mani; et se vadi tempo asciutto et sereno, lascinsi stare distesi per molti di co ’1 sale in su quelle tavole; ma se andasse il temporale umido e piovoso, perche la carne si guasta dal sale inumidito, disfacendosi egli in aqqua, passati venti di che siano stati in sale, scuotinsi bene da quello; alcuni gli lavano REPEAT MN ect ep ARRE PE NNO A Cepiete a SIE 80 da esso nell’’aqqua corrente in di sereno et che tiri tramontana; tenghinsi all’ aere per due di, et indi s' attacchino con una corda legata al palco in una stanza vicina al fummo, o vero affummicata et fummosa sempre, come il fondo. Volterrano dove consumai quindici mesi della | mia vita, solo per la ragione del sic volo (*); così piglierà color dentro bello et rosso. E ben vero chel grasso piglia più presto il rancido al fondo, che in stanza aerosa et fredda al gelo; imperciò, per vietar questo et perché la carnesecca salata non invieti, intarmi o si corrompa, preso che - ella averà il fummo et sia assodata bene, la mettono in bottini d’ olio, né si guasta per ciò; ove, volendola conservare per tempo assai, si lascia stare; altramente, come ella vi sia stata in molle o ben unta per due di, s' appicchi al palco d'inverno in lato asciutto, di state si cambi in luogo fresco, ma non umido. Si può ancora porre in molle per due di in olio mesti- cato con l'aceto, [o] per sei di, poi appiccate si difenderanno da tutte le corruzioni. Ancora, senz’ altra manifattura, semplicemente appiccata, pur che sia netta, asciutta et stagionata, in stanze volte a Borea et ad Austro: et diventa carne megliore et più suave, se attorno alla carne metterai della neve, ponendovi sopra della pa- glia; sono buoni per conservarla i coppi da olio (1) È noto come per la lettera mordacissima da lui scritta in occasione della morte di Francesco I de’ Medici e di Bianca Cap- pello, l’autore nostro incorresse nella condanna capitale e confisca dei beni, commutate per grazia sovrana prima nella prigionia del fondo. Volterraho (nella torre di Volterra), poi nella perpetua relegazione in una villa del contado medesimo. La lettera fu stam- pata compiutamente nell’ Arch. Stor. Ital., n. s., vol. XVIII. PT IRR RS RO, VII RO RALE To PRES A N RT APE ITRETEN ali 3 sE 1 TE È Li 81 et quelli ancora d'aceto. Et questo che s' è detto è il vero modo di salare i porci dimezzati o interi; ma ancora ottimamente s’ insalano in conconi di terra, ponendo un suolo di sale et uno di carne; et dove è copia di sale, non è meglio che accatastato l’ un pezzo sopra l’ altro a suolo a suolo sotterrargli nel sale ammonto- nato, ponendo tra l'uno et l’altro quantità di sale, senza numero et misura, perche la carne piglia quel sale che se le richiede et non punto più; e quel sale serve bene a risalarla per cen- toventi anni alla fila. In questa maniera tornerà meglio spartire il porco in sei pezzi soli; et volendo servirsi della testa, ancora questa spar- tita per il mezzo, trattone il cervello, si può insalare; ma bisogna poi, preso il sale, pigliarne partito presto, come dell’ arista, perché l’ ossa la guastano; et a quelle conviene cavare dili- gentemente l’ossa, et le buche che e’ lasciono riempiere tutte di sale; et si dee ne’ vasi di legno o tinozze aggravar sopra con pietre, che la piglierà cosi meglio il sale. Appresso a questo tornerà ancora bene insalare la carne del porco, et manterrassi, minuzzandola in pezzi d'una libbra l’ uno, senz’ alcun osso, et in un vaso di legno in terra cotta, composto l’ un pezzo sopra l’altro, intramezzato di sale et coperto bene, acconciandolo si che l’ un pezzetto non tocchi l’altro, et quando il vaso è in sommo, finiscasi d’empiere tutto di sale; et di mano in mano che ella si vuol mangiare, cavisi, lasciando il resto copertato di sale. Finalmente sì può ancora fare la salamoia d’ aqqua, mettendo dodici libbre di sale per cento libbre d’ aqqua, et get- 6 a pre PR OA 2 }, #3 CLOAI VELE ita vt ” Ei nere 82 tarvi dentro la carne che vi stia sempre sotto l’aqqua, et quivi tuttavia lasciarla stare; et in questa foggia s' insalano bene le lingue, avver- tendo che la salamoia si lasci freddare avanti che vi si cacci la carne, e nella salamoia co ‘1 far bollire bene l’aqqua sia incorporato il sale. La carne di vacca giovine et di bue, di castrato, di capra, di porco, di cervo et cignale, che s' insala ancora co ’1 pelo, copertandolo doviziosamente di sale, doppo due di si insala nei modi detti del porco domestico. Per fare la salsiccia, tutti i pezzetti et - regaglie che si staccono dai pezzi grossi che s insalano, et rimasugli et ancora di tutte le parti del porco, eccetto che delle troppo lardose et grasse, s ammontano in sur un desco sodo, et con coltello grande et pesante si battono, sin che venghino tritati minutissimamente; et po- nendovi dentro sette libbre per cento di sale, con un imbuto si mette nelle budelle del porco salate, legandola fresca a rocchio a rocchio, et incorporandovi bene, mentre si batte et trita, gran quantità di cannella, garofani et pepe et tutte sorte spezierie, per ogni dieci libbre tante dramme d’ essi; di poi in un fornello fatto a posta per ciò si pone pendente dalle mazze, che la non si possi toccare insieme, sì pone ad asciugare a lentissimo fuoco di fiamma sotto. Et con la medesima carne trita, ponendovi. dentro mescolato il cervello di porco, si fa la cervellata, mettendola in budelli salati. un po’ più grossi et dando loro un po’ di color. giallo co ’1 zafferano, et facendo i rocchi più grossi et lunghi della salsiccia; la quale poi sì con- | 83 serva ricoperta nel lardo e nell’ olio, ma meglio nel lardo. Per far poi salami et mortadelle alla Bolognese si batte ben la carne, et fatta ben trita, minuta et sottilizzata, fatta una caldaia di perfetta salamoia vi si caccia dentro senza lasciarvela punto stare, et imbudellata nei più grossi budelli pur salati et tenuti in molle, legati i salami et spartiti l'un dall’ altro, si dà loro un tuffo in quella medesima salamoia, et di poi s appiccono all’ aere, et doppo dieci o dodici giorni al fummo, et tanto si fa a’ salsic- cioni; et i medesimi si possono fare in qua- lunche tempo et di qualunche carne, purché sia ben battuta et minuzzata et bene assodata dentro ai budelli; et faccinsi i più piccoli della più trita et minuzzata, et i più grossi della men trita et minuzzata, ponendo nell’ una et nel- l’altra la miglior parte del porco, come gote, lingue et ceppi dell’ orecchio, et questi non molto minuzzandogli et talora ponendovegli interi, con le spezierie sopràdette et aglio pesto bene, incorporatovi dentro. Cosifatti salami con- viene riporgli in stanze ove non arrivi spiraglio alcuno della luna, perché penetrandovi gli guasta, et tanto di danno fa alla carne salata; la quale appresso a questo ottimamente sì con- serva, ben sotterrata in monte di cenere. Tutta quella salamoia bollendola con aqqua si ritorna puro sale a tutti gli usi di casa. Si fa della carne del porco più di cinquanta conditure et sì cuoce in più modi, come che sia ottima, massime l’ arista, cotta in stufa in una pignatta con aggiugnervi in voltando di molti centellini di vin greco; et le polpette, gi et i li ANO, Phat RR Bi it 84 fatte di carne di porco battute bene, o crude o cotte prima, ciò è di carne prima cotta et poi battuta, riescono eccellentissime più che di qual altra carne si sia. È la carne di porco di tal profitto et bontà et condizione che non solo ella da per sè è vantaggiata a mangiare, ma mescolata, ancora che con picciola porzione, con tutte l'altre carni, gl’ accresce bontà et sapore, facendo ancora il brodo più di sustanza et grazioso al gusto, ponendovi della salata con debita discrezione; et d’essa la più pregiata parte et buona a ciò sono le gote et le coscie. I piedi soli non s’ insalano; et il budello maestro, ripieno di budelle. jstosso tagliate in pezzi et trite con certi pezzetti di lingue salate, bene fanno con le carni buone cotte lesse grazioso condimento, et essi ancora si mangiono con buon gusto. La sugna del porco diventata vieta è medicinale. Il lardo, perche duri tutto l’anno, strugghisi a lento fuoco, tritando i lar- doni del porco in pezzi minuti dentro un vaso di terra cotta invetriata nuova, et di mano in mano che egli disfa, abbisi ‘posto un pannolino sopra un altro vaso simile et colivisi dentro, facendolo. passare per quel pannolino. Alewni vi pongono un po’ di sale, ma questo lo fa diventar vieto presto; altri lo lasciano stare tome è; et cosî si conserverà più tempo et megliore. Basta tutto l’ anno, appendendo que- sto vaso da terra all'altezza d’ un uomo, in stanza asciutta ove sia aere assai d'inverno, et di state al fresco di cantina; et quando si passa per quel pannolino, avvertiscasi che non vadi giù parte alcuna d’esso che non sia ben distrutta MERE MRO A AE 55 o liquefatta. Turando un vaso di lardo con pece et ponendolo nel fondo del pozzo si manterrà come fresco, et .il simile farà la :.sugna et il lardone. Ancora si taglia il lardone o il sugnac- ‘cio del porco in pezzetti piccoli come castagne, et entrovi un poco di sale si pesti in un mor; . taio con un poco d' acqua; tengasi così per un giorno, poi a fuoco lento distrutto si coli con un pannolino sopra un altro vaso, et quello che starà a galla si serbi posto in un vaso invetriato, turato bene, posto in lato fresco, ma non umido. I ciccioli sono quelli rimasugli che si cavano dalla scolatura del lardo; si possono mangiare rifritti co 1 pane, ma impastati nella schiacciata sono migliori, insiememente mangiati. Ora, tuttoché i porci comportino di stare in tutti i luoghi, et campino in capanne di poca manifattura, fatte alla foresta con poca spesa, : nulladimeno per defendergli dalle malattie in che spesso per stare in cattive stanze et allo scoperto incorrono, è bene ‘fabbricare loro di muraglia le stalle, le quali, o-riducendosi a portici o a capanne sostenute da muri, diano lor capacità di starvi dentro agiatamente; l’ al- tezza sarà assai di due braccia et mezzo; ma vi siano divisati dentro tanti spartamenti di picciole stanzette quante saranno le troie, ove esse con i lor porchetti standovi agiatamente abbino da poter coricarsi et voltolarsi; et da una banda vi sia l'uscita per la troia sola, tanto alta che non vi possino arrivare gl allievi, quando partorito che ell’ abbi eschi a pascere, perché quelli, patiscono nel camminare, et più si rifanno dell’ aspettarla dentro, che lo fa ben 56 presto per amor dei figlioli. Queste tali stanze, et qualunche stalle s'ordinino per i porci, deono avere in sul piano della terra gran travi di castagno o quercia o cipresso; conficchivisi sopra con tavole ‘del medesimo legname un tavolato piano, si che l’ una tavola con l’altra non si tocchi a un dito, et sotto non vi sia il terreno appresso a un braccio, affinché la loro orina scoli per quei fessi, et stiano maggior- mente asciutte; et dove non si possi o far que- sta spesa o aver questa comodezza, sia il suolo _ d’arena tanto alta che l’inzuppi, o vero lastri- chisi con pietre a pendio, o si spiani la terra soda ben battuta con le mazzeranghe, simil- mente pendente, et si netti poi et spazzi ogni settimana; et di estate non importa che siano queste stanze coperte; et siano volte a mezzodi, facendo loro in quel tempo il letto di paglia pulita, et cosi di verno ancora. Perciocché que- sto animale, per altro lordo et sporco, ama la stanza netta et pulita, altramente incorre in varie malattie, et talora di sua natura è incli- nato a certi mali, tra i quali è sua peculiare la rogna, o per fame patita o per freddo; a questa si rimedia col dar loro abbondantemente da mangiare et tenergli caldi. Se gl’ ingrossa la milza o ’1 fegato per cagione di seguir troppo la dolcezza del pascolo, essendo egli insaziabile, l’aqque dei bagni, che agli uomini in questo giovano, ancora i porci saneranno, beendone, come l’aqqua del bagno a aqqua la quale guari i castroni che la bevvero. Avendo la milza grossa, o faccisi bere in vaso di legno scavato di tamarigia, et non avendo questa infezione x EE UE i Re I SIE e PETE PRON o o Len NPI I gn TOI, ERE IE RI nl 5 9 mite si za DI a gl , e - s& ù ai a gl > : è 87 et seguitando di bervi un anno a dilungo, si scemerà lor la milza per affatto; et si saneranno della grossezza della milza, continuando per alquanto di bere aqqua nella quale siano stati spenti i carboni accesi di tamarigia, et in quella dove il ferro rovente sia stato messo, mesco- landovi dello aceto et dandola a bere. Quando portano torto ’1 collo et la testa piegata, et che correndo gl’ assale il capogirlo et cascono, et barcollando da’ lati danno innanzi, avverti- scasi a cavar loro sangue dalla parte opposta ove sì piegano, dalla vena auricolare, et anco si tagli la coda sotto due diti dalla groppa lontana che vè più larga, avendola prima battuta destramente con una bacchetta di san- guine, ch’ uscirà meglio, indi si leghi con salcio o buccia d’ olmo; et dee essere cavato di quivi il sangue a discrezione, anzi che no piegando nel più; tengasi poi tre o quattro di a riguardo con beveroni caldi di farina d’ orzo. La coda del porco bene attòrtigliata dà indizio di sanità, così per contrario. Se hanno inghiot- tite molte pietre, come spesso loro avviene, si soccorrerà con aver legato loro un randello di noce a traverso alla bocca, et fatta lor cavar fuor la lingua, cavar lor sangue sotto in buona quantità, stropicciato con sale il taglio, mesco- latavi farina d'orzo; et se patiranno di scrofole o bottacciuoli emfiati, diasi loro a bere tre bicchieri di garo, dipoi se gli leghino al collo parecchi pezzi di mazze, si che lo tocchino. Venendo loro le vertigini, che si gettono in terra come balordi addormentandosi al sole, facendosi per ciò magri et senza fame, tenuti 88 in casa a dieta per un di, si dia loro a man- giare barbe di cocomero asinino peste nel- l’aqqua, ben dibattute et stemperatevi dentro, che moveranno tutte le collere, et risolverà loro il male; seguasi poi di cibargli con fave et cicerchie condite con la salamoia. Gli rende infermi oltr’ a modo la sete di state: imperò provveggasi con pozzanghere fatte a mano, 0 aqqua condottavi per canali, si che non ne patischino, tenendogli intorno ai fiumi o paduli o laghi o lati pantanosi ove sia del fango, non si contentando dell’ aqqua sola, se non vi sia. ‘belletta, fango o poltiglia. È buona alla nausea la limatura dell’avorio mescolata con sale arro- stito et fava infranta minutamente, dandola a digiuno, ciò è avanti eschino a pascolare. Alle vivole, taglinsi gl’ orecchi si che sanguinino, o forinsi con ferro, poi si tenghino a soggiornargi in luogo caldo. A” lupacciuoli, diasigli fuoco fregando prima bene; et non si ponghino @ giacere sopra viva calce, che consuma la trista carne et fa lor danno. Se fra loro entra la peste, appartinsi i sani dagl infermi, et questi s' am- mazzino. Le mignatte beute da loro se gl’ in- carnono dentro et nel capo: deesi soccorrere loro co ’1 remedio detto de’ buoi, et non va- ‘lendo, con stile di ferro s' ammazzino. Non si bastoni alcun porco, né se gli diano picchiate con grave mazza, perché le loro carni sono fuor di modo tenere, et massime dei piccioli, et più tosto guariscono delle ferite che del- l’infranto. Diasi la terra Lemnia loro quando sono arrabbiati, et quando hanno alcuna apo- stema taglisi con ferro; alcuni vi pongono sopra | senz’ altro l’ erba detta lupata; et. non valendo né questa né il taglio, si deono ammazzare. Le more nere dei pruni, quando sono malati che non possono inghiottire, gli guariscono: et ba- gnisi spesso la gola con aqqua calda, cavando loro sangue sotto la lingua. È openione che i porci. rimasti con un occhio solo si muoino presto; in altra maniera per quindici anni durar lor la vita. Ancora è vero che ’1 porco, per altro sano, grasso et gagliardo, diventa con la carne piena di gangole minute et dentro di bollicole minute come panico, onde panicato si domanda. Credesi che sia lor morbo naturale, et è rimedio che non s'infetti e guasti di così fatto male, se posta nel fondo del truogolo o vaso dove bee si conficchi spianata una lama di piombo, et massime se doppo si dia lor bere la radice della brionia spolverezzata. Generale rimedio et ottimo è loro, se preso del zolfo, dell’ allume et delle coccole d’ alloro per ugual porzione, aggiuntovi un pugno di filiggine et pesto tutto insieme et colato in un sacchetto, si mescoli con il lor bere, et che due volte l’anno si rinuovi loro cosifatta bevanda; et ai malati di questo male si dia loro a bere del- l’aqqua ove sia stato dentro quel sacchetto con che si sono colate quelle materie. La botta spolverizzata et mescolata con ciò che si li dia a bere lo sana del male che ha. Diventano i porci co ’1 polmone guasto, se non abbino aqqua lotosa a sufficienza; et si cureranno con l'aver bucate lor l’ orecchie da banda a banda con una lesina, et ancora dando loro nell’ aqqua che e beono elleboro nero spolverizzato. È segno di porco non sano, se avegliaoti Is se tole, n’ eschi fuore il din da ciascheduna setola. [A put sive in capua ‘alla carta 56. ui recto, s’ interrompe il testo, e seguono due pagine bianche, la carta 56. verso e la carta 57. recto. È Nel verso di quest’ ultima: continua.) | © ° i 9I Scrive Plutarco che gl’ antichi ammazza- vano il porco domestico con lo spillo rovente di fuoco, affinché il sangue facesse megliore effetto nel lor corpo; et alcuni altri infragne- vano la pancia d'una troia pregna di poco mentre era viva, a ciò a che mesticati i porcel- lini e ’1 sangue facesse meglior manicaretto. Ma meglio è ammazzare una troia pregna con le bacchettate, et come si disse di sopra, far sommata napoletana. Et quando si mettono per ingrassare alla ghianda o altro, diasi loro prima un beverone con ranno, calce e crusca che gl’ allarga le budelle. Per ultimo è da sapere che i porci che s'ingrassono con la ghianda, talora, o ristucchi o per desiderio di rufolare, la dismettono et non la mangiano. Dassi loro un taglio per traverso al niffolo et si lascia cosi la ferita, a tal che per il cociore che sen- tono rufolando lasciano stare questo et atten- dono a mangiare ('). Scrive Plutarco che i porci ammazzati con lo spillo àffocato rovente, oltre a che non uscirà fuori punto di sangue, ne daranno inspremendolo copia maggiore a mi- gliacci, mortadelle et biroldi (?). I porcellini che sono stati trasportati nei nostri paesi dell’ Indie vennero da principio, credo io per la novità, in credito et riputazione; di poi, cognosciuta bene et venuta a noia la lor (1) Sostituisco mangiare a rufolare del testo che non darebbe senso. (?) Cominciando. dal capoverso e venendo finqui, tutti questi periodi sono scritti in giro alla pagina con carattere più piccolo e inchiostro diverso, come note buttate giù in fretta e a mano a mano che giungevano in mente allo scrittore. 92 carne, ristucchevole come quella del tasso et di ghiro, sono scemati di condizione. Tuttavia, per abbondare nella varietà degl’ animali che si possono nutricare nella villa, è bene ancora di questi procacciare; et a entrarne in razza basta avere il maschio et la femmina, i quali, a dar loro da mangiare sufficientemente, multi- plicheranno in abbondanza, con partorire ogni tre mesi di nuovo, e da capo facendone conti- nuamente tre, cinque e sette. Non accade lor molta cura; vogliono stare a piana terra, se ben vivono ancora et si mantengono bene, poi- ché mangiono tutte sorte erbaggi et ingrasson bene con cavolo trito cotto’ con crusca. Cuocesi arrosto et in stufa, nè sono disgustevoli per una volta. Sono animaletti di colore et fattezze dei porci grandi, simili in tutto a questi, come i gatti a Lione. Se stieno alla campagna in lato chiuso, ove possino pascolare et bere aqqua cor- rente, produrranno più in lungo la vita loro, et meglio si manterranno et di meglior carne, meno untuosa e più saporita. [Finisce il capitolo dei Porci. Le carte num. 58. e 59. sono bianche. A car. 60. recto riprende il testo). 93 Il Cavallo. Io ho per constante et non mi fugge, che tra tutti gl’ animali quadrupedi creati dalla Di- vina Bontà a servigio dell’ uomo, niuno sia più utile e più accomodato a sollevarlo dalla fatica per tutti gl’ usi di quello che gl’ occorre, alla conservazione et diporto della vita et bisogno d’essa, che ’1 cavallo, il quale in una cosa sola è al bue inferiore; et questa è che la sua carne, per essere oltr” a modo molliccia, umida et dolce, è recusata in cibo da lui, se bene riesce di nu- trimento solo buono a cacciar la fame, per la quale alle estreme necessità si richiede et s’ a- dopra, et non altramente; et il bue a tutti i - tempi, oltre a’ monti et in Italia, per lo più delle stagioni dell’ anno continuamente si mangia, sendo in Francia, in Ungheria, in Alemagna et Inghilterra di perfettissimo gusto et sapore. Nel rimanente niuna cosa è che possa fare il bue che non anco il cavallo non facci, tuttoché egli non arrivi a quella possibilità di forza; l’ avanza non di meno nella bellezza delle fattezze sue, et in fargli una commodità della quale non può essere la maggiore né con più grande et venustà et garbo, fatta da altro animale, et questo si è di portare sopra di sé obbedientissimamente l’uomo, et con tale unione et conformità, che alla prima vista che alcuni Indiani veddero un uomo a cavallo, stupendo a maraviglia, ebbero openione et fecero giudizio, non si saziando di guardarlo, che fosse l’ uomo attaccato con esso et tutto una istessa bestia; et dimorarono 94 in cosifatta credenza perfin a tanto che scen- dendo l uomo da cavallo et smontato in piana terra, cognobbero la disunione et la differenza dall’ uno all’ altro, causate dal considerare con quanta grazia et commodità, grandezza et gra- vità vi risegga su l’uomo, et tanto condecen- temente, che vi pare inserto sopra, et veramente tutto d’un pezzo nel muoversi e nello star fermo, correre, saltare, voltarsi piano et forte; et vera- mente che allora viene lodato il cavallerizzo di tutta provanza, quando st forte in su la sella si mantiene a tutti i movimenti del cavallo, che senza crollarsi punto o dimenarsi apparisce un corpo istesso d’ una medesima persona. Ancora è cosa manifesta et non è dubbio che la natura amica dell’ umane commodità et ‘ per lo più matre et non matrigna all’ uomo, studiosa di compiacerlo, aggradirlo et dilettarlo in quelle cose tutte ch’ ella ha solertissimamente compreso che egli era più di tutte l'altre per appetire, ha voluto contentarlo per varie vie et diverse maniere in quello medesimo subbietto, con indicibile varietà et inespressibile diversità formandolo; come che negl istessi colori del verde, tanto differenti l’uno dall'altro in infi- nito, che niuno è che si confacci per appunto di pari; et niuna cosa dei colori è più vaga et dilettosa alla vista dell’uomo. In questi si com- puta quello delle lucidissime stelle, dello splen- dentissimo sole, il rarissimo azzurro del cielo, o turchino che si possi chiamare, se ben celeste colore a nome più di tutti altri se gl’ addice. Appresso a questo, perché niuna cosa attrae più lo sguardo corporale et quello dell’ animo del- 95 l’uomo che la bellezza della donna, che se bene quella è sola perfetta bellezza che a sé sola s'assimiglia et null’ altra ha che la pareggi, tuttavolta ha creato et crea in essa tutto di tante diverse maniere et tanto varie qualità di bellezza, che ciascheduno si può accappare et. eleggere quella che più gli vadi a grado et gli piacci, et quella seguire, desiderare, amare et cercar di fruire; ond’è che secondo gl’ appetiti dei mortali ciascheduno s' accomoda a quella che più a gusto gli va, o più o meno o mezza- namente o in eccedente sovranità che bella ella sì sia. ; Somigliantemente ancora, per soddisfare alle diverse volontà degl uomini nei cavalli, quali ella ha preveduto che tanto grandemente dovevano aggradire agl uomini, perchè qua- lunche si sia, secondo ’1 grado et poter suo se _ne possi fornire et accomodare per i suoi biso- gni, o a utile o a ornamento; perche ’1 cavallo nell’ uno et nell’ altro sopta modo è atto e vale; n’ ha con il suo ‘infallibile ordine creati et crea di tante varie et diverse sorti, puossi quasi dire, quante sono le varietà et diversità delle regioni. Niente di meno alcuni di questi ha dotati di maggior perfezione. Sono i cavalli Indiani in alcune parti delle Indie sopra modo belli et buoni; et la razza dei Giannetti et Villani di Spagna, introdotta nell'isola di San Domingo, è riuscita là di tanta eccellenza et v ha fatto tanta vantaggiata pruova, che devono loro in molti canti; gl uni et gl altri natii di Spagna. I cavalli poi Persiani, che di grandezza di corpo agguagliono i maggiori Corsieri di Regno, et 96 di bellezza di persona et fattezze pareggiano i Ginetti più pronti di Spagna, et di sostenimento di fatica son pari a’ Turchi, et di velocità ai Barbari, et di docilità superano i più assetiti et spiritosi che si ritruovino, sono estremamente lodati et tengono SOVI & tutti gl altri dell’ uni- verso il primo grado di perfezione, di bellezza et bontà. I cavalli di Regno di Napoli et di Spagna non hanno pari: in questa sono van- taggiatissimi i Villani et i Ginetti, et in quello questi et i Corsieri di Calavria. Sono i cavalli Turchi pazientissimi della fatica et come i so- pradetti accomodatissimi alla guerra. Cammi- nano appresso a questi per questo medesimo esercizio et per tirare gravissimi traini et car- rette i cavalli Franzesi et d’ Alemagna; et a questo uso non cedono a troppi gl’ Ungheri et i Transilvani, di Frisia et di Croazia, et i Pol- lacchi et di Danismarca della maggiore statura; et in queste due parti per cavalcare sono Acchi- nee elettissime come in Inghilterra, et per ca- valli andanti gl’ Ubini d'Irlanda (i quali per. lo più si mantengono interi et non come gl’altri. di portante, che son quelli tutti castrati et per questo ombrosi et talvolta restii; et gli castrano perchè gli tengono insieme con le cavalle a pascere in tutti i loro pascoli) non hanno para- gone, dei quali si mantiene la razza a Ferrara et non traligna, come a Mantova i Turchi et i Barbari, et questi per correre non hanno pari ‘come gl’ Alarbi et i Tartari, i quali sono tanto sofferenti dei disagi, che senza fermarsi faranno un cammino e speditamente di ottanta o cento miglia. Sono accanto a questi i Ronzini di RIIRETA CRT NE NO OA 97 Samoizia, piccoli ma di tutta bontà, ma andanti fuor di modo con naturale portante, come i Pollacchi, gl Inghilesi et in Irlanda. Ma l’ Ac- chinee di Brettagna per questo affare et di bontà et bellezza ottengono il primo grado, come di varietà di colori et di varie pezze i cavalli di Prusia et della Svezia maggiore et minore, nella Norvegia et in Engrovelath et in Polonia me- desima, ma non così frequentemente, e si ‘addo- mandono Pie; et tutte queste come quelle sono divisate di pezze bianche et baie o nere. Na- scono alcuni cavalli di color topino, che è più raro che buono, et a Napoli a questi anni pas- sati ne fu veduto uno che era quasi di color turchino, con meraviglia et stupore di tutti quelli che s incontrarono a vederlo, de’ quali . uno l’ha a me relazionato. Sono ancora i cavalli Valacchi, all’ uso del tirar carrette e pesi acco- modatissimi; et similemente a carri et carrozze molto utili sono i cavalli dell’ Epiro et d’ Alba- nia, ma questi più atti al còrso et alla guerra che non quelli sono; e i cavalli Turchi di Na-: tolia superano et di bontà et di bellezza gl’ altri tutti di quei paesi, come di fortezza et di fat- tezze d’ andare a cammino in luoghi inaccessi- bili quelli delle montagne dell’ Adulia. Sono ancora simili a questi in ciò quelli del Carso in Italia. I cavalli Arabi sono assai più di stima che non gl'Armeni, accostandosi quegli alla fazione dei Turchi più che non questi. Ha dotato ancora la Natura di supremo onore di cavalli i luoghi dell’ isole, tra le quali il primo grado tiene quella d’ Inghilterra, detta di sopra, come l’ Irlanda; ancora di Scozia se . 7 4 PETIT di NEO Le 98 ne cavano buoni cavalli, et essi guerreggiano con essi, et riescono forti alla fatica. In Sar- dignia è riusgita bene la razza dei Giannetti condottavi di Spagna, oltre a che i cavalli Sardi, di velocità d’ andare et di fazione di vita vaga, sono molto vantaggiati, come in Corsica atti ad ogni sorte di fatica. Nè meno quelli di Sicilia sono da essere apprezzati, et sopratutto della razza Belbonese. Ma per ca- valli piccoli isolani sono da essere accettati quelli dell'Elba, et più di questi quelli di Malta, che per essere così sassosa hanno il ‘ piede destrissimo. Et ordinariamente tutti i ca- valli isolani riescono per lo più minori di quelli di terra ferma, si come in Italia fuor delli di Regno riescono meglio et durano più le cavalle che non i maschi, come per sperienza si vede nelle razze che vi sono; et nel Regno sono di uguale bontà, per quello che occorre far loro, ai maschi; ma così questi come quelle per lo più sono di grande statura, si come nelle cam- pagne di Roma, di dove riescono Corsieri d’ al- tezza et traversati come nel Regno, dove ancora se ne ritruova di razza di mezzana statura, i quali per essere sempre cavalli foggiati ben fatti et quadrati, s usa tagliar loro l’ orecchie, e sì chiamano Bertoni e Cortaldi, perchè rie- scono più raccolti et annodati, quasi cortaldi, della vita accortati. Di questa qualità sì ritruo- vano in Batavia et in Moravia, atti a sofferire la fatica più che non quelli di Polonia, i quali per lo più non sono di vita grande, se dbiso di natura quasi tutti portanti. Sono, come s' è detto, in Svezia et ancora 99 in tutte le provincie volte a tramontana molti cavalli et cavalle pezzati, i quali per causa di questo colore disunito sono" tenuti meno forti; et è openione d’alcuni che questo tal colore si possi far loro aqquistare da nascita, facendo montare allo stallone le cavalle tutte capovolte a fonti, intorno alle quali siano salci o altri arbori variati, l ombra dei quali risponda nell’ aqqua, et essi ancora si contrag- guardino di vario colore diventati nell’ aqqua, valendo in ciò la forza dell’'immaginazione; come quella donna, che avendo a capo del letto [un quadro] con un moro dipintovi dentro, che spesso lo guardava, quivi in concependo par- torì un moro ('), sendo ella e ’1 marito di car- nato bianco; benchè ai cavalli. ancora secondo i climi si van mutando i pelami, se vero è quello che raccontano i geografi, che i cavalli di Cel- tiberia, provincia di Spagna che è tra i regni di Mursia e di Toledo, nascono biancheggianti, ma trasportati nelle parti più di fuori che sono in essa Spagna, diventano d’ altro colore, benché talora lo cambia l'età et i mali, et talvolta gl impensati accidenti agl uomini, come a Ja- copo settimo di Piombino che per un suo pro- fondissimo et penosissimo pensiero, essendo in fresca età, si ritruovò dalla sera alla mattina fatto canuto. Questa mutazione avviene ancora per grandissimo sospetto di temenza di paura, come a ’1 Mori di Fiorenza, che per simil causa (1) Per un intralcio di carte fatto dal numeratore e non riordi- nato dal rilegatore, il seguito del testo a questo punto dalla presente carta 63.* si deve andar a cercare nel codice alle carte 70.* e 71, 100 incanuti la barba e ’1 capo di tratto. Si sono ritrovati dei cani et cavalli che per la vecchiezza sono diventati canuti, come talora nascono i cigni neri, et corbi et i tordi et merli bianchi; di questi se ne sono veduti in Toscana, et quello fu conservato et visse per un pezzo a Eneth in Francia. L'India tutti gl’ animali produce più grandi di qual si sia altro paese, eccetto che i cavalli che sono avanzati da quei di Media, et mossi a salto et a corso se non da un bene addisciplinato maestro: et appo gli Pselli Indiani nascono cavalli che sono non punto maggiori ° dei Corseschi castroni. I cavalli Tartareschi sono sofferentissimi delle fatiche, stenti et fame, et si maneggiono senza briglia con una sem- plice bacchetta paratagli alla fronte; tiene il lor re in grandissimo pregio i cavalli bianchi, come che ne tenghi razza di diecimila, et ogni capo d’ anno gli ne sono donati dai suoi vassalli cento, pur tutti bianchi, e a loro sono tenuti più durabili et men suggetti ai mali; altri gli tengono per più fievoli. Il gran Can del Cattaio, al quale parla ciascheduno inginocchiato, né mai risponde ad altrui che per mezza bocca ('), et s intitola nel suo sigillo così: « Iddio in cielo (1) Dalle parole I cavalli Tartareschi fin qui, è scritto nel codice fra le linee, a guisa di aggiunta o nota, questo brano: « Intorno al casal di Alcaro in Asia e di Calactel in quelle campagne nascono cavalli verdi di colore et pelo, et con gl’occhi gialli. Ma nella selva d’ Ardenna in Francia si nutricano assai razze di cavalli che sotto quegl’ arbori selvaggi nelle praterie copiosissime d’erbe si pastu- rano. Quivi avviene talora che vagando le mandre una cavalla smarrisce il puledro, il quale va da per sé pascendosi alla foresta senza guida della madre, diventando molto ferrigno et rubesto, tanto che questa sorte di puledri smarriti fanno buonissima riuscita _ | E SE: AR QD e NEI | x 101 et Caicut Can in terra, fortezza d’ Iddio et im- perador di tutti gl’ uomini », tiene diecimila cavalle del cui latte si nutrisce egli con i suoi prossimani, avendo nei suoi paesi cavalli innu- merabili et di si poco pregio che vagliono poco più che le pecore, ma ve ne sono di tal lena che fanno venti leghe in un di. I Turchi ancora sono quasi tutti leardi per la proprietà del clima, bai et sauri talora; et perché la lor razza derivò di Scizia, dove fanno cavalli ferocissimi, ma di vita minore, per avergli più mansueti per lo più sempre gli castrono. I Ginetti di- cono essere così derivati da una parola greca. simile che denota leggerezza, essendo loro al corso veloci; altri affermano essere così detti perche bisogna valersi delle ginocchia a fer- margli, se ben non corrono quanto i cavalli Moreschi, i quali sono velocissimi et pazientis- simi della fatica et della sete: quelli di gentil fazione si assomigliono alla donnola, questi alle serpi o lucciole. Il durare della vita dei cavalli non è in tutti i luoghi simile; i Persiani, i Turchi et tutti gl oltramontani più dei nostrali producono l’età. Dormono i cavalli di Regno sino in sette anni; poi si risveglia et sta in vigore sino in quattordici et sedici; poi invecchiato trapassa gli anni sin oltre ai venti; l'altre razze d’Italia sono di minor durata come bontà. Generalmente et per lo più arrivano a venti anni, alcuni a robusta, et si pigliano con le reti, poi si domano e addisciplinano come gli altri. Ne ha uno il signor Curzio Lanfranco, gentiluomo pisano, che è cosi bello et ben fatto quanto si possi vedere, et ottimo et forte ». “» x % % 102 trenta et quaranta’ et sino in’ cinquanta; si truova scritto che uno vivesse settantun anni; et settantun anni visse il cavallo famosissimo di Solimano, nato il di natale di lui, et così mori. (Gli stalloni vivono meno dei cavalli che ordinariamente s' adoprano; i castrati tra questi baston più; le cavalle di tutte le sorti meno dei maschi. Questi finiscono di crescere et ammontarsi di sei anni in sette, quelle di cinque; et in alcuni paesi si muovono tanto a lussuria, che immaginandosi d’ essere al fatto si come le galline ('), per quella intensa voglia talora concepiscono di vento; ma questo parto non passa sette anni. È chi scrive che tosan- dogli la crinatura non avverrà tanta furia di libidine, la quale, proibita d’estinguersi et nega- tali, fa un veleno detto ippomane, che agl’ uo- mini accende una furia d’ amore simile a quella delle cavalle. Ciò è una escrescenza di carne quanto un fico secco, il quale gli nasce in fronte al figliuolo di color nero, che subito la madre gli stacca con i denti; et se si cavi prima, o la non ama ’1 parto o non lo lascia che poppi. Nascono alcuni cavalli ancora, che delle naturali razze sien generati, anfibii, o vogliamo dire ermafroditi, con due nature, luna del maschio, l’altra della femmina, ma. restano Im poksHa a poter rigenerare. Sono addunque per certo le sorti de’ ca- valli quante i paesi, ne di loro avviene come degli uomini, perciocché questi, nati in una regione et trasportati in un’ altra, non dege- (!) cohortantur scritto sopra galline. Dara lil e o le ato , dr VIRTELT e la Tdgi 103 nerano per un pezzo, et assai sì mantengono simili a lor ‘medesimi, come saria a dire uno Spagnuolo et una Spagnuola, venendo a generare in Francia o in Italia, ivi faranno sempre simili Spagnuoli come nell’ istessa Spagna et di fazione di vita, colore et costumi. Ma se si cavi di Spa- gna un cavallo Ginetto et una cavalla Ginetta, et si conduca in Italia o in Francia, quantunche si eleggesse un luogo eguale a quello di dove s'è cavata, o per l’aere differente, o disegualità del pascolo, o come si sia, non ne nascerà già mai cavalli come quelli natii a un pezzo, né di valore, né di bontà, se per altro se gli assomi- gliasse; et se talora riusciranno in qualche bontà, come avviene in Sardigna et nell’ isola di San Domingo, saranno tuttavia differenti in qualche parte e di gran lunga avanzati da quegli. Addunque degenerando le razze natie, dai proprii paesi trasmutate negl’ altrui, si dee procurar di ben governare et trattare le proprie, assuefatte a essere nel paese che elle si truovano et che l’uomo ha; et se bene per alquanto di similitudine del paese, dei luoghi particolari o delle pasture, rappresentano la bontà dei cavalli di Regno di Napoli, i tenuti di questi nelle largure delle campagne di Roma non vi fanno pruova poi tutti, et in qualche parte non va- riando da quelli; come quelli di Mantova non rifanno o rare volte la generosità dei loro stal- loni; dove la bontà et rara elezione di quelli et delle cavalle operano il tutto in bonificar quella razza. Ma non è pur questo quivi, ma in tutte le altre razze di cavalli oltramontani condotti in Italia; et il bonificamento non è tanto per quella 104 scelta, che i l'urchi et i Barberi agguaglino la bontà dei Turchi et Barberi di Turchia et di Bar- beria; et se pur talora sia, è diviso a sorte. Somi- gliantemente avviene degl’ Ubini (la cui natural razza, come s' è detto, è in Irlanda) a Ferrara; et così avviene a chiunque cerchi di alterare la razza del suo paese. È ben la verità, che talvolta facendo la razza bastarda, porehi si consideri che vi sia quella conformità del padre con la madre, come saria a dire cavalle Todesche con stalloni Franzesi, et cosi per contrario Acchinee d'Inghilterra con quelli di Brettagna o d’ Ir- ‘landa, facendo così razza mista simile, faranno | buona riuscita d’ allievi, pigliando forza, valore et vigore dalla bontà dell’ uno ‘et dell’ altro, et massime se siano aggiovati et fomentati da pascoli buoni che non siano troppo umidi et aqquidrinosi, il che causa loro le gambe sottili et cattive ugne; perciò si deono far pascolare in luoghi erbosi, ma pieni di sassi; ond’è che quelli del Carso, dell’ isola dell’ Elba, della Corsica et simili hanno sî buon piede, per esser questi, et massime quello, luoghi sasso- sissimi, né perciò mancar d’ erba. Per queste sopradette ragioni adunque è assai meglio proccurare le proprie natie razze del suo paese, che essere curioso d’addurvene delle nuove; et se pur alcuno sia vago di questo, sia ancora studioso di cavare dai luoghi proprii et: cavalle et cavalli perfettissimi tanto di bellezza quanto ‘di bontà, come sono quelli reservati, che dicono essere più di quattrocento, . per la persona pro- pria del Signore, volendoli Turchi, che tutti arrivano uno per uno al pregio di mille zec- + n n e Enit Rei ago dai coi et Diet ARIA ia Sa viali SIE TRZANT LEI E ME ponte 105 chini et di passo, come i Persiani, che non sono meno, per la persona d’ Ismael. Et nei paesi di quà, primieramente il Re Cattolico n’ ha copia per tutto d’ elettissimi, et quello di Francia Cri- stianissimo quando era in florido, e il Duca di Sassonia che è il più denaroso principe che sia, come quello che ha ne’ suoi tesori tuttavia più di sessanta milioni di talari, et preme più ch’ al- tro in bellezza et bontà di cavalli, de’ quali è abbondante copia nel suo paese, et egli ne pos- siede un numero completo dei megliori che si ‘ ritruovino d'ogni sorte. In somma i ben trascelti et perfettamente eletti et cavalli et cavalle sem- pre nella lor discendenza raffermeranno in ogni tempo, se non in tutto, in parte, del valore et fattezze dei padri; et appresso questo, siti et qualità di pascoli simili il più si può a dove essi sì cavino, perciò che così facendo, anco per due o tre discendenze durebanno di generarsi buoni; di poi, non rinnovando quei primi capi di dove prima vennero, degenereranno et imba- stardiranno, et di quanto più lontano si procac- cino tanto più presto traligneranno, et massime se tanto meno si confacci a di dove si partino la natura et qualità del paese ove si destini a stare. Hassi relazione che per la bontà dell’ aere, benignità et amenità del paese et conguaglianza del cielo et perfezione delle pasture, la razza dei Ginetti di Spagna trasportata nell’ Indie et sopratutto nell’ isola Spagnuola, che è di cir- cuito ben quattromila miglia, profitta meglio che quivi; et stata trasmessa in Sardigna, ove sono i cavalli per natura focosi et presti a ogni movimento, aggiugnendosi loro per questo una 106 certa vivacità, da così fatto luogo gl agguaglia et talora supera in megliore. La diligenza, la cura, lo studio e ’1 buon governo et vigilanza possono assai, come si vede in quella di Mantova, quando vi s' attende con tutte queste cose, con le quali avendo la pastura appropriata, non è da sbigottirsi di poter introdurre d’ altronde nei suoi paesi qual si vogli nuova razza et oltra- montana, tutto che sia malagevolissimo poter torre con l'arte i privilegii della natura, et massime in questo affare dei cavalli. I quali anco, desiderandosi d’ avergli piccioli e quasi nani (quali a’ tempi nostri fu uno chiamato Strappacatina del signor Principe di Massa, prin- cipe di massa di virtù et creanze buone, questo nelle sue. fattezze tutte ritratte in sé a perfe- zione di perfettissimo corsiero, tale lo rappre- sentava nella sua picciolissima persona come che non fosse più alto di sei ottavi, quadrato, ben fatto et forte), elegghinsi addunque in tutta perfezione di piccolezza ben fatti cosi le madri come i padri, che tali saranno i figliuoli; et scegliendogli similmente che vadino di portante naturale, non degenereranno; et se ben l'asino, che naturalmente va di portante, mescolato con cavalli non fa allievi che vadino di portante come va lui, nasce che son bastardi; ma nella razza dei cavalli et cavalle uguali non trali- gneranno, et se uno abbi il portante naturale et l’altro no, il più delle volte averanno il portante i figli più tosto che ne manchino, somigliando sempre tra ol’ animali bruti i figli i padri, et i padri i figli; il che avviene a con- trario degl uomini, che il più delle volte vanno RA Sitia RENI ACE ESITI RRA ORI Di NL RARE Sp peo ap INS TgO 107 i figli deteriorando dai padri, et talora i padri dai figli. Ma che maraviglia è, se tutte l' altre cose create nell’ universo mondo tutte riescono sempre al peso, al numero et alla misura, l’uomo solo a tutte queste medesime cose riesce sempre meno? Quindi occorre che si pruovi, talora anche riesce a. tutto, ma quello” s'in- tende per il più. Ma l’eletta et buona razza di cavalli, padri et madri, per lo più, anzi quasi sempre, farà i figli somiglianti di loro; imperciò, a voler avere perfetta razza di cavalli et cavalle, fa di bisogno di possedere largura grande di pastura in monte et in piano, et da principio più in monte che in piano, per far lor buon piede et forte et sana gamba: imperciò siano anco un po’ sassosi, et i piani asciutti con l’arte o da natura. Et affinché sia forte, gagliarda et soda l’ ugna, converrebbe che. da prima na- scessero nel monte, et quivi avessero da pascere per un anno, nel tempo che si può, alla cam- pagna, et fosse anco, come s'è detto, pietroso per assodare il piede et far la lena dello scen- dere et. salire con facilità, et per snodare et disciorre le spalle et alleggerirsi dinanzi, che non s aggraverebbero poi si tosto alla fatica, et massime se vi potessero soggiornare due anni con le madri, con le quali possono stare insieme ‘a pascere; sendo che questo animale da natura si crede che abbi la conoscenza del parentado, poichè con i calci le madri scacciono i figliuoli da loro per non essere ammontate da quelli, i quali difficilmente anch’ essi si ridurranno a ammontare le madre: et si truova scritto, che 108 uno con inganno di aver copertogli il capo avendo addotto il figliuolo ad ammontare la madre, levato ’1 sacco, con i morsi ammazzò il cavallerizzo, che in ciò gl’ aveva fatto fare cosifatto fallo. Con tutto ciò perché in ogni modo vengono i maschi incitati, veggendo le femmine, a lussuria, sarà meglio tenere gl’ uni e l'altre spartiti a pascere in quei luoghi che sieno copiosi di buon erbe et a proposito per loro, avvertendo di ritirargli l’invernata alle staldo; con dar loro buon fieno et. abbondan- temente; et avendo modo d'’ intrattenergli con questa comodezza, si dee cercare d’ eleggere la razza che si desidera, la quale riuscirà sempre meglio, et più buona pruova sempre farà, che ella sia conforme et s affacci alla qualità del paese natio più che straniero; et cappare cavalli et cavalle dei più belli, buoni et meglio fatti che si ritruovino. Dell’ età del generare i cavalli et cavalle sono varie le opinioni; alcuni affermano che i maschi sono ordinariamente atti a poter gene- rare di due anni, ma di tre è pi saldo et fermo da poter durare sino in venti anni; et scrivono essersene trovati di quelli che bastono ad ammontare sino in quaranta anni, ma essendo stati aiutati dinanzi a salire addosso alle ca- valle, sendo che l’ ingegno et non il tempo toglie ai cavalli l'ammontare. Alcuni altri ten- gono per meglio assai lasciare fortificare i cavalli che hanno ad ammontare, con aver finiti di fare et perfezionati tutti i lor membri, perché cosi faranno più fermi et forti gl allievi, et in altra maniera più deboli; il che sarà quando - dr SA sta SITA = o Nu: dò era ghi TS ver Ù PO x gin > 109 averanno compiuti i quattro anni et sieno en- trati nei cinque, che cosi saranno più gagliardi a quell’ effetto, et dureranno sino in sedici, et - ancora venti; ma più lodata cosa è che da sedici in là dismettino. Le femmine ancor loro, se ben possino di due anni concepire, sono da eleggere a ciò di non meno che tre anni finiti, et più presto di quattro, perché di questo tempo alleverà i figliuoli con più gagliardia et potrà meglio comportargli. Né sono da essere adope- rate a ciò più che sino in dieci anni o undici, perchè le madri vecchie fanno gl’ allievi dap- pochi, deboli et pigri; et i nati di bestie vecchie si cognoscono che hanno sopra ‘1 ciglio nel cranio della testa una gran concavità; et in tutti i denti dimostrano l’ età certa sino in sette o otto anni, ma come hanno pareggiato, è difficile il poter cognoscerla; et conviene con una certa discrezione di giudizio osservare la lunghezza dei denti, i quali anco molte volte sono stati segati et non si cognoscono; cascano loro all’ ultimo, arrivati alla decrepità, et allora non sono più buoni a cosa alcuna, che a conciar la pelle per varii usi, come la groppa per sagri, e "1 resto a coprire valigie e forzieri. Hanno i cavalli secondo alcuni da trenta in quaranta denti, dei quali quattro in capo a trenta mesi si mutano, due di sotto et due di sopra, et entrando nel principio del quarto anno ne get- tano similmente due altri dalla parte della ma- scella di sotto et due da quella di sopra, et venendo nel quint’ anno mandan fuore (*) tutto (1) eicit è scritto sopra mandan fuore. 110 il resto de’ denti di sotto et di sopra; et quelli che nascono tutti sono concavi, entrati poi nel sest’ anno quelli primi scavati si riempiono, nel settimo tutti gl’ han ripieni, et perciò si dice - ch’han pareggiato; ne vi resta in essi alcuna concavità; ond’ è che sendo tutti equali, non si può trarre cognizione alcuna più della sua età da’ denti, et bisogna comprendere dalle giunture de’ nodi della coda. Ma ai cavalli più attempati diventano concave et infossate le tem- pie, i denti lunghi et che molte volte si dime- nano et radi, et i sopraccigli diventano canuti, et i denti scalzi danno in fuori. Ancora è segno espresso di fresca età, quando tirata la pelle in qualunche luogo forte con la mano et che staccatasi quasi dall’ osso, lasciata ritorna al suo luogo, et così per contrario; et massime quando è grinzosa è indizio d’ anni assai. Le cavalle vivono manco che i maschi, et di questi meno gli stalloni, rispetto all’ ammontare; le femmine finiscono di crescere all’ ultimo di cinque anni, i maschi del sesto et del settimo, nel quale si suole dire che i cavalli del Regno si risvegliano, che sino a quel di dormono. Il tempo della monta è buono dall’ equinozio di primavera durando un mese intero; nel resto del tempo dell’anno non è da lasciargli montare, perche non si faccin danno alla vita; et le cavalle, quando si senton piene, accostandoseli il maschio, lo scacciono con i calci. Ma in molti luoghi si lascia andare nei pascoli alla rinfusa gli stalloni con le ‘cavalle per tutta la state, che così son pronti sempre alle cavalle, mentre vengono in caldo, benche non sogliono mai 11l essere pronte a ciò prima che ad agosto; et quelli che nascono d'agosto fanno buona riu- scita, se non che hanno per natura, nati in quel mese, al passare dell’ aqqua di gittarvisi volen- tieri dentro. Ma quelli che sono nati di prima- vera par che sieno più da desiderare, poiché tutta l'estate possono andar fuori a. pascere con le madri nelle campagne copiose d’ erbe, et le madri in questi, dall’ anno in che han conceputo manderanno fuori il parto più facil- mente et con manco fatica, perche elleno in capo ai dodici mesi partoriscono; et sempre è da osservare che quando vengono in caldo le possino essere montate, perché cosi non entre- ranno in furia, né patiranno dell’ ippomane, che tanto è a dire quanto pazzia di cavalli; e se alcuna cavalla non vogli aspettare lo stallone, se gli ne farà venir voglia con strofinare et fregare intorno alle parti della lor natura con la squilla, con l’ortica o con l'erba eritonia, et l’ornarla con tutti i suoi palafreni, et farla vedere allo stallone, poi trovarlo in stalla, poi dargliela. Talora una cavalla di poco pregio ignobile et brutta l’ ecciterà a libidine; perché, quando cavato fuor lo stallone comincierà a fargli carezze et a voler montare, se gli leva di sotto la femmina, et a quella che è più paziente si dà un più generoso stallone; et se il maschio sia pigro et tardo et renitente al salire, si commoverà prendendo una spugna, soffregare alla natura della cavalla, et con essa si strofinerà il naso del cavallo; al quale, desi- derando che s' ingeneri maschio, conviene con una cordicella legargli il sinistro testicolo, et 112 volendo femmina, il destro. Non restano gravide sempre alla prima volta che sono coperte, ma qualche volta a due et talvolta a più; ma non comporta la cavalla d’ essere montata più che quindici volte in un anno, spesse fiate conten- tandosi di quattro o cinque et in manco. Si dee dar loro lo stallone due volte il di, la mattina di buon’ ora e la sera innanzi al tra- montar del sole. Affermano la cavalla sola tra tutti gl’ animali, doppo che la sia stata coperta et abbi preso correre verso Aquilone o Austro, secondo che ell’ abbi concepito maschio o fem- mina, mutare il colore subito in più rosso pe- lame o qualunche sia più pieno; et con questo segnale si ferma di dargli lo stallone. Se si generi il cavallo ermafrodito, è così defetto, come opera varia della natura: nascono di rado, et sono a cavalcare più mansueti degl’ altri, ma inabili in tutto alla generazione. Talora nascono cavalli detti Jeroftalmi, che sono quelli che hanno un ocehio dissimile all’ altro, come saria a dire unito all’altro con alcuni cerchi bianchi et la luce simile attorno; s' addoman- dono Agazzini, veggono meglio lume di notte, ma per lo più riescono viziosi et di lor testa, ma animosi et bizzarri; tale dicono che fosse Bucefalo d’ Alessandro Magno. Hanno le cavalle questo di più dei cavalli, che nel tempo della monta elle si radducono et restringono insieme, s' allegrano et giostrano, più della campagna et della compagnia che prima dilettandosi e di star ben serrate nel branco, dimenano la coda più spesso et mu-. tano la voce del rigno, orinano più spesso 113 del solito et fra loro scherzano, saltano et si fan festa luna con l’altra; infia lor la na- tura et cola; et in guisa delle donne sogliono molto insuperbire et arricciare le chiome et la coda, di modo che per niente patiscono che l'asino le monti; et è cosa esperimentata che subito tagliatogli i crini et le setole della coda et condotta alla fonte d’onde la possi scorgere la sua bruttezza, la non recuserà. d’ essere coperta dall’ asino, dal quale et dalla cavalla si genera il mulo, et così per contra, sì come anco scrivono che dal mulo et dalla cavalla, ma di raro appigliano, nascono quelli ronzini che si chiamano Inni. Le cavalle è openione che, come le donne, tutto l’ anno e a tutte l’ ore appetischino il coito. Dicono ancora alcuni che se una cavalla gravida sia tocca da una donna che abbi i suoi mesi, si disperderà; et è chi scrive che se sieno i suoi primi parti, alla vista sola di lei farà aborto, si come se porrà, andando, i piedi nelle pedate del lupo. Tosto che sia stata la cavalla coperta, si dee dargli leggermente dodici o tredici vincastrate in su la groppa, perché si rintuzzerà e si ran- nicchierà insieme, rientrando il seme. È propria natura delle cavalle inghiottirsi dopo il parto le secondine, le quali sono le membrane con che sta involto il parto; et le cavalle gravide è meglio leggermente affaticarle et destramente muovere, anzi che tenerle ferme et oziose; et gli Sciti usano cavalcarle, et come prima sen- tono nel ventre muoversi il parto, allentano il cavalcarle cosi spesso, pensando di questa ma- niera facilitare loro il partorire; et volendo 8 114 seguir quest’ usanza, faccisi con destrezza, né se gli stringa il ventre o aggravi. Nei più dei luoghi la grande avarizia dei padroni delle razze è causa di deteriorare in cambio di boni- ficare et megliorare gl’ allievi; perciocchè per farne maggior guadagno danno lo stallone ogn’ anno alle cavalle, le quali fortificheranno et faranno più gagliardi gl’ allievi, sendo dato loro un anno si et l’altro no. Si truova scritto che le cavalle d’ Affrica e Misie, per andare co ’1 suono alla monta, generavano i puledri più mansueti et domestichi, i quali seguitavano il canto dei lor pastori; così è da secondare nel tempo della monta le cavalle et gli stalloni con qualche melodia di canto et suoni, come s° ac- costuma nell’Abruzzo et in Puglia et Calabria, qui per i Corsieri, quivi per i Ginetti, co ’1 suono della cornamusa et zampogna. Di questa ma- niera e loro et gl’ allievi 8 ammanseranno, diven- tando più agevoli a maneggiarsi. Saranno ancora più facili a essere insegnati, nel che io gli ho veduti a’ miei tempi, tanto fatti docili et addi- sciplinati, a obbedire alla mano del cavalcatore et all’ intelletto d’ esso, che quattro Ginetti di Regno da una banda et quattro di Spagna dal- l’altra, uniti poi insieme, ballarono al suono dei pifferi et tromboni quattro o cinque danze romanesche et napolitane, concordando mira- bilmente al tuono musicale il movimento del saltellare dei lor piedi, ora più ratti ora più adagio, camminando secondo la qualità del moto dei balli; et di qui è che s' insegna loro l'in- ginocchiarsi con i piedi dinanzi, et il battere una porta con i piedi di dietro, tirando calci n 115 a voglia del cavallerizzo o padrone, dei quali hanno tal cognoscimento talora et paura, che l’intendono al grido et cognoscono al fiuto et gli vanno dietro alla seconda imbrigliati et senza freno, andando egli piano o ratto come gli pare; et camminando in cerchio fra molti, annasando et senza, ritroverrà il cavallerizzo, il padrone, o chi lo governa. Ma non è questa poco men che umana ac- cortezza nei cavalli di vile et abbietta razza, ma si bene dei più nobili et generosi et meglio fatti; et di così fatta condizione et qualità si deono eleggere gli stalloni per cavarne di loro somigliante la razza. Dee addunque essere, in quel genere del quale egli si trasceglie, grande, grosso, pieno d’ossa, et buon mantello, baio castagno o Ieardo scuro o ben segnato morello, che abbi l’ ugne nere morate, piane, delicate, - liscie e scavate, grandi, rotonde, concave, ben aperte, alte et rilevate ne’ calcagni, et di maniera scodellate che quel voto che l’ hanno non si ficchi, quando va, in terra né resti offeso, et che ’1 segno della bontà del piede lo dimostri con il rimbombo et suono di esse in ribattendo la terra, perche quelli che hanno l’ugne piene et carnose, che si chiamano con le casse piene, sono dislodati. Imperciò quelle dell’ asino, sode et dure come deono essere queste, sono appro- vate. L’ ossa sopra l ugne non sieno smisurate come quelle delle capre, perchè quelle con lo scuotere molte volte travagliano il cavalcatore, . et le gambe di questi tali facilmente s’ enfiano; né sieno troppo spianate, perche nei luoghi ina Sl MEA EE Papi SPUTO, Pegi LEN & sa ‘al + 116 sassosi non si ferischino. Le gambe (') e gli stinchi, perche reggono et vi si posa su tutto il corpo, sieno asciutte, nervose, non grosse né sottili, ma proporzionate alla sua statura; siano uguali, diritte, spaccate (*), senz’ enfiagione o grassezza o pienezza di carne, perché così nei viaggi enfiano et di facile van zoppicando. Dicono che le gambe del sodo dei piedi, tosto che nasce ’1 parto, nascono con la debita lor misura che hanno ad avere, tuttavia sporgendosi sempre più tosto in fuori et ingrossando che crescendo: onde è che volendosi cognoscere innanzi da piccolo quanto abbi da essere grande in altezza poledro, si misura dai piè dinanzi lo spazio che è dal nodello alla punta dell’ at- taccatura della gamba sott’ il petto; et di quivi misurando all’ insù tanto s' alzerà il cavallo, quanto quella misura avanza sopra la croce della spalla rasente il collo. Sia il nodello et tallone tondo e ben fatto, le giunte corte et diritte et non lunghe che s incalchino et pie- ghino a terra, facili all’incastellarsi et cadere; per il che s' osservi che abbi le gambe ben compartite l una dall’ altra che non si cuopri, ciò è in andando le soprapponga l’ una all’ altra, che è difetto grande inremediabile; le ginocchia pari, uguali, arrendevoli, pieghevoli, nodose, ro- tonde (3), piccole che rientrino in dentro, che fa l andatura buina; et l’intirizzate sono da fuggire; i lombi sotto le spalle siano grossi et (1) grosse et corte come quelle del bue è scritto sopra gambe. (2) scisse è scritto sopra spaccate. (3) un po’ spianate sta scritto sopra rotonde. RON ROE IT Luci AR tl edi dard ian 117 rotondi, il petto abbi assai musculi rilevati, et sia largo et ampio rilevato, il che lo renderà più bello et più atto a distendere i passi lunghi; sia carnoso et pien di nervi; il collo lungo, inarcato, et che sia sottile verso l’ attaccatura del capo, come quel del gallo: sia delicato e morbido, non tanto volto verso terra come al becco, ma in guisa di gallo ardito et a voltarsi in quà et in là agevole. I crini siano pochi et quasi crespi et piegati alla destra mano: altri amono alla sinistra; benchè con attaccarvi del piombo a’ crinì in cima si piegono da ogni banda che altrui si vogli. Il capo piccolo, asciutto, magro et secco, con sottil pelle appiccatavi al- l'osso, et rappresentante quella fazione che sia la propria naturale più bella che ritrovar si possi del suo natio paese; il capo grande et grosso deforme denota pigrizia et tardità, il - breve può far riuscir più tosto buono che cat- tivo; la bocca ugualmente da ogni banda squar- ciata et sfessa, grande, lacera, fresca, et che come mangiando si ravvolga il morso in bocca et mandi fuori di molta schiuma; i cavalli che hanno la bocca asciutta et secca sono da essere rifuggiti. Le mascelle siano uguali et piccole, sottili et asciutte; et se le sieno diseguali et di- stanti Vl una dall’ altra daranno difficultà all in- frenarlo; et similmente l’inegualità delle bocche dei labbri fanno che contrastano al morso et di lor capo, né rimetton bene il collo sotto, ma sozzamente distendono il capo. Gl’ occhi sono da essere desiderati grandi, posti in fuori co ’1 sopracciglio pari, pien di carne et non ben incavato, che ciò è indizio d’ essere nato 118 di bestia vecchia, che non tanto s' appruova; siano sanguigni che schizzin fuoco et guardin fieramente, svegliati, desti et allegri (') et spor- genti in fuori: i piccoli che s' addomandano porcini son disprovati, et massime qnando son concavi et fuor di modo minuti, si come ancora le stelle negl’ occhi nere et pallide si sfuggano; alcuni lodano gl’ occhi ben morati et neri, et ancora gl’ agazzini non sono che lodati; tanto più sarà animoso et migliore, quanto sarà minor spazio tra l'uno e l’altro (*); et abbi l’ orecchie corte, diritte che brillino, aguzze e ristrette insieme; perciocche l’ orecchie danno indizio dello spirito del cavallo, et le basse, aperte et grandi sono da essere rifiutate. Le narici aperte, sfogate, gonfie et grandi et. larghe, perché cosi sono più accomodate che quelle strette a poter respirare, et danno significazione dello spirito et della ferocità del cavallo. Gl’ armi grandi et diritti, i fianchi piegati, la spina, ciò è il fil della schiena sopra gl armi, più alzata et rilevata, dà commodità maggiore a chi lo ca- valca di starvi su più accomodatamente a se- dere; et gl’ armi et tutto ’1 rimanente del corpo più saldamente s’ aggavignano, se sia il fil della schiena doppio. I fianchi siano più profondi et bassi et ritirati vers il ventre; et un poco gon- fiatetti riceveranno meglio chi lo cavalca; et (') Qui fra le linee in carattere minuto e a modo di nota si legge : « Questi difetti degl’ occhi si scorgono meglio di notte al lume della lucerna, vedendoli. » (2) Sta scritto di traverso in una linea sola a cart. 73.* verso: « Le labbra sottili et rivolte in fuori, che cosi. non sono piro come certe labbra grosse sconcertate. » î - 119 | cosifatti si stimano dover riuscire di forza maggiore; così la schiena con la spina che abbi i nodi doppii, corta e larga, rilevata al- l’insù et piana, è da essere commendata. I lombi, quanto più saranno ampii et larghi, tanto più agevolmente alzerà i piedi dinanzi et seguirà con quelli di dietro, et le coscie appariranno minori; le quali con la sconcia grandezza loro fanno il cavallo brutto et lo rendon debole et che s' aggravi dinanzi. Il ventre sia raccolto et ritirato e stretto, con che s’ allarghi in qualche parte che mostri d’ aver buon budello; le na- tiche sieno ampie et piene di carne, di maniera che elle corrispondino al petto et ai fianchi; perciocche se gl’ averà le coscie et i fianchi spaziosi et larghi di maniera che egl’ appari- schino di svariare (') poco da quelli di dietro, averanno il passo più saldo, più forte et più fermo; la qual cosa si comprenderà quando raccogliamo qualche cosa di terra, che con le gambe aperte (°) et non ristrette et aggravate insieme più fermamente et con maggior ga- gliardia l’alziamo. I testicoli sieno piccoli, ro- tondi et pari. La coda dee essere piena di setole et lunghe, et il carnezzo, dove stanno attaccate et nascon le setole, corto; et di qui nasce che essendo lungo, per fortificargli la schiena è bene tagliargliene un nodo o due, secondo che sì truova più o men lungo, poi dargli fuoco et medicarlo con butiro che sia lavato; et la lunghezza delle setole della coda fa non solo (1) e aprirsi è scritto sopra svariare. (*) divaricatis è scritto sopra aperte. 120 bellezza al cavallo, ma fa che facilmente scacci le mosche cavalline et gl altri animali infetti che lo noiano a’ caldi; et quell’ essere corta di carnezzo gli dà anco a ciò più forza. Sono an- cora alcuni che si dilettono che le sien corte et le mozzano, et massime se abbino le mele sfossate (') et minute. Le coscie sieno carnose et piene di musculi, si come le gambe asciutte, diritte, nerbose et nette. Et in somma si ri- cerca che sia tutta la sua fazione della vita talmente disposta, che sia grande, alto, diritto, levato et che dalla vista mostri d’ essere agile et si cognosca arrendevole, et del lungo che gl abbi da essere più rotondo che sia possi- bile, ciò è quanto la figura et fazione d'’ esso lo permette, ciò è traversato et quadrato, corto et raddoppiato, più pendente che in altra forma al rotondo. Sia sano et senza vizii et difetti, non pauroso, non restio, non ritroso, non lunatico, sciatico, sottoposto al cimurro o vero che si gitti volen- tieri nell’aqqua, senza formelle, galle o schie- nelle, giardoni, incordati, o da umori, granchi, cappelletti, traverse, dall’ essere troppo corbi, coprirsi, toccarsi, bolsi, il mal del vermo, inca- stellati, cerchi all’ ugne, luschi, guerci, deboli di dietro, gambe troppo sottili, restii, caparbi, viziosi, di cattiva bocca; né meno abbi vizii dell'animo; ma che siano lieti et feroci, di placida et mansueta maniera, s infuochino et. si risentino all'ira volonterosi, et che doppo una fatica non gl’ incresca affaticarsi di nuovo; (1) obese è scritto sopra sfossate. MIEI ET RE TE POTE SMI TI IIa VE RENO E a RAT, NR E e i È 2 121 et i più valenti più profondamente si pin- gono sotto l’acqua et cacciono sotto le na- rici bevendo; et se bene solo i quadrupedìi ch’ hanno l’ugne sfesse sanno per natura no- tare, tuttavia per la gagliardia co ’1 pontare ristretti i piedi di dietro nell’ aqqua, a lanci. et salti et per via del forte spignere et non sì sbigottire, i cavalli superono le profonde aqque e i correnti fiumi. Non importerà già che fosse stato ferito, o che abbi manco un occhio o altra stroppiatura che impedisca il montare: basta non abbi mali che passono ai figli ereditarii. Affermano i pratichi dei ca- valli (') che il generoso stallone dee essere fatto di più parti di membri degl’ altri animali, come che avere il capo et le gambe di cervio, la testa montanina, orecchi et coda di golpe, collo di cigno, petto di lione, natiche di donna -et piedi d’ asino, et in furore come il colombo, che così andrà più compartito et maggior passo. Quanto ai colori, molti detestano il bianco, ma i candidissimi per bellezza si sogliono lodare, et massime l’Acchinee di Brettagna, gli ermel- lini di Spagna, i lattati di Regno et d’altrove; et perché in ogni colore talora si può ritrovare anco la bontà, et oltr' alla bellezza vi può essere la virtù, se per altro questa per i segnali buoni risponda, non importerà più che tanto il colore, nel quale anco si richiede e ’1 bello et il buono. Sono i principali colori quelli uguali al pome granato, baio scuro, baio chiaro e mezzano, (1) Sopra pratichi dei cavalli sta scritta una parola quasi illeggibile: forse equitiarius. 122 rossigno, biancheggiante, leardo scuro e chiaro, topino ('), cerviatto, falbo (*), falago, sdonnino, lattato, ermellino, argentino, moscato (*), can- dido, nero, morello, sauro bruciato (*), lasano, cavezza di moro, pezzato et roano; gl’ altri rossi schietti o sbiadati, cangianti, et simili colori scoloriti non sono in pregio, e massime gl’ asi- ninì et di color cangiante o sbiadati; gli stor- nellini alcuna volta fanno men cattiva riuscita. Ma sopratutto è da attenersi a’ bai scuri, bai castagna, leardi scuri et chiari, roani, cavezza di moro, sauri scuri et simili, che tutti sono buoni et approvati mantelli; i quali, con tutto che si sceglino d’ una qualità et simili in tutto, la cavalla e ’1 cavallo, la natura, che è tanto vaga di variare nelle sue operazioni, in ogni modo gli farà nascere d'altri colori et non tuttavia di quel manto medesimo; ma sempre più nasce- ranno simili di questi eletti tali che non d'’ altri, Sono assai commendati i cavalli di mantello detto spadice et punicio, et questo i Francesi l'hanno per un cavallo fidatissimo et di buona pruova; et più da essere commendati sono quelli che hanno nella testa un segno di stella bianca, o nel sinistro piè, qual chiamano il piè della staffa, segnato in sul nodello del tallone di pezzetta bianca, o che n’ abbi tre o che sia se- gnato di .cinque, contandovi quella di testa, non mai da due sole o in pari, et si chiamano balzani; onde.i balzani sfacciati in fronte non (1) murinus è scritto sopra topinò. (2) gilvus è scritto sopra falbo. (3) guttatus è scritto sopra moscato. (4) pressus è scritto sopra sauro bruciato. L'ASIA eee ai 123 sono da fuggire. Ancora sono in stima i leardi rotati (') o macchiati di goccie (*), i falaghi (3), i leardi moscati, i talasci et i bianchi grigi (*), et tutti quelli che hanno i colori mescolati di questi, o con bianchezza, rossezza o negrezza 0 mucidi (*); i tutti morelli, i tutti bai castagna, e che non hanno segnale alcuno, anch’ essi sono tutti lodati, quali domandono Taini; ma i mo- relli sono del tutto apprezzati, avendo una stella in fronte, un segno, una linea biancheggiante, o un dei due piedi segnato di segno bianco; alcuni sono ancora [che] tutti d’ un colore, mo- relli o altri, gli biasimano, I brizzolati di bianco et nero anch’ essi sono da essere lodati, et mas- sime quelli che sono sparsi per tutta la vita di mosche pendenti in color rosso o nero, i quali s hanno per molto sopportanti la fatica et per gagliardi. I gilvi et di diverso colore son quelli che s'è detto si chiamano Pie (°); son cavalli fiacchi, et fuor di quella bellezza che porta la varietà del colore, vaga et dilettevole alla vista, sono da essere rifiutati; ma talora anco se s abbattino riescono buoni, massime se, essendo gilvi (7), abbino una linea nera che si distenda dal collo su per il fil delle rene sino alla coda diritta et apparente: et quelli di diverso colore, ai quali è maggiore che altra la pezza bianca, , (1) pomatii scutulati sta scritto sopra leardi rotati. (2) guttati è scritto sopra macchiati di goccie. (3) cerxlos scritto sopra falaghi. (4) canos scritto sopra bianchi grigi. (5) scoloriti scritto sopra mucidi. (5) picas scritto sopra Pie. (7) falbi scritto sopra gilvi. a dal FARI mp È 124 non sono da essere accettati per dover mai riuscir buoni. Et in tutti i modi gli stalloni sono da essere eletti tutti uniti d'un colore, se non se balzani in non pari da qualche parte et stellati in fronte, tutto ’1 resto d’un mantello con le fattezze sopradette: et di questa mede= sima fatta s' hanno per la razza a trascierre le cavalle, et più simili di tutto ’1 mantello et se- gnali a loro, chi desideri d’ aver poi gl’ allievi che di bontà et valore et pelame gli rappre- senti et rassomigli. Et quantunche nei buoni pascoli di per sè dalle cavalle si possino conti- nuamente intrattenere gli stalloni, tuttavia, per essere eglino nutriti in sul buono governo della biada et fieno o paglia, in sul medesimo et me- glio si deono mantenere, appresso all’ essere stre- gliati et ben netti, tenuti puliti, come quando si cavalcavano; ché poi cavalcando essi, s' ha a restare di cavalcar loro. Et maggiormente nel tempo della monta s' hanno a ben trattare con buon fieno, orzo, ceci et paglia d’orzo trita et di grano; è lor buono il grano schietto, o ver ervo, brustolato insieme con l'orzo; ancora se gli richeggono le spelde, l’avene et le veccie et robiglie, affinchè siano gagliardi a poter salire due volte il di. Non si dee cavar sangue allo stallone doppo la monta, ma nell’anno che egli non s adopra a montare se gli dee far una buona purga et sanguinarlo a ragione; et quando han montato, è bene dar loro beveroni di farina di grano mescolata con sale, et così s' ha a segui- tare per dieci di doppo la monta, per ristorarli; et nei mesi che e’ non montano, che e’ si ten-. 125 gono nelle stalle, vi stiano ben divisi con stan- ghe et palancati l’ uno dall’ altro; perchè non impigrischino, sin al tempo vicino a quindici di o un mese, nel quale si deono tener benissimo pasciuti, la mattina innanzi bere s° hanno a ca- valcare et esercitare destramente, ma mentre operano nella monta si lascino in riposo, et mon- tato che hanno, rimessi nella stalla, sì ricreino con fave et ceci inteneriti con l’ aqqua tiepida, di poi si dia lor bere aqqua non gelata. Et es- sendo pigri al salire, nè risentendosi alla vista delle cavalle, strofinisi la natura a queste con cipolla rotta et quasi pesta; et gl’ uni e gl’ altri si risveglieranno; et allo stallone si dee con una mano alzare la coda et con l’altra addirizzargli il membro, perchè non stenti a ritrovare la congiuntura et non si consumi per la voglia di fuori. Ancora, è da avvertire che tuttoché le -‘cavalle sieno somiglianti dello stallone, bisogna che le sieno di giusta grandezza, di buona et agiata grandezza nelle parti del ventre, et so- pratutto liete d’ aspetto, et, come s è detto, non mai minori ma sopra tre anni. Così fatte cavalle si deono di continuo lasciare in buone pasture, perciocché queste molto più alla cam- pagna appetiscono, che non i buon fieni o biade nelle stalle, dove quando i freddi stringhino et le nevi et ghiacci ricuoprino il pascolo, o sieno grosse pioggie, s' hanno a ritirare al buon fieno trito et stagionato; et la estate hanno a essere tenute in lati freschi et ombrosi, pieni di buon’ erbe et bene accomodati di sane aqque limpide e chiare; et se nel parto ella patisca o stia per fare aborto, la silicula trita et con aqqua TT sog CARE II ii gie ante STAI RIA Ai vile 4 mb, lie e. ci 126 tiepida datagli in beverone la raffermerà; tenen- dola il verno in luoghi difesi dal vento et a ridosso dei freddi, non paludosi, né di cattive aqque, ma ripieni di buona pastura et sani; et cosi come elle deono essere quando si mettono sotto la monta, più tosto magre che grasse, per- che meglio pigliano, et si deono mantenere di continuo in stato di mezzano essere, né troppo magre né troppo grasse, et che quella magrezza ‘non sia causata da difetto di pascoli, ma proc- curata con la diligenza et con lo studio del- l’arti nell’'abbondanza d’ essi. Né meno si ten- ghino in monti troppo aspri et troppo difficili a salire, perché (o) gravide non durino tanta fatica o non si spregnino; ma siano lati medio- cremente posti alti et situati non di meno ac- canto a luoghi più erti, per mandarvele doppo che ell’ abbin partorito. Nel qual tempo anch'esse siano ristorate nelle stalle con buon beveroni d’aqqua tiepida temperati con sale et con buona farina, dandogli loro sera et mattina per tre di continui, et appresso buon fieni et biade, tenen- dole ben nette sotto con -bonissimo letto di strame, fieno o paglia, non le mandando nelle pasture né tenendovele che a’ buoni tempi, et a’ cattivi ritornandole alle stalle, così seguendo, mentre che siano gl’ allievi allattati da loro, che non gl’ abbandonino mai, sin che non sieno condotti dagl’ altri alle mandrie, sin che abbino tre anni. Il medesimo ordine, et di trascerre gli stal- loni et le cavalle delli più belli et migliori che si truovino della lor razza, nel volere allevare cavalli portanti si dee tenere; ma in 127 quelli che giornalmente s' adoperano per por- tare la soma o a altri esercizi della villa, non fa di mestieri attendere a questi avvertimenti, né meno osservare più che tanto il tempo della monta di quelli; et partoriranno et alleveranno et anderanno innanzi senza altra cura più che tanto. Ma nelle razze ordinate con i cavalli che sono di riguardo, o per cavalcare nelle città, o da maneggio o per la guerra o altro nobile esercizio, conviene osservare tutto l ordine so- pradetto precisamente, per fin che si manten- ghino le razze elette et buone et non abbin causa di tralignare, sopratutto avvertendo, come s' è detto, di reservarle per un anno in riposo, perche diano il latte più gagliardo et elle si mantenghino più forti; et similmente di non l ammettere allo stallone, che quando natu- ralmente si vede che elle venghino in caldo et n’ abbin voglia; perché osservato questo solo non saranno già mai per il più ammontate in fallo; et patendo vengono in tale smania, che pare che elle diventino furiose et ammattischino. Imperciò sfoghinsi in tempo che appiglieranno al sicuro, potendo tanto in questo atto la voglia che l'immaginazione spesse volte far caso, si come è scritto che avvenne a una donna, che postasi in un bagno a sedere sopra .certa por- zione che v'era stata sparsa di semenza umana, come con spugna succiandola con la natura, restò gravida senz’ uomo, solo per il disio et immaginazione; così avviene alle eavalle, che per la medesima immaginazione, desio et voglia s' impregnano, secondo alcuni, al vento Aquilone. Ma queste sono favole poetiche et narrazioni 128 vane, composte per aderire alle cose vere; et appropriano che sia nel sacro monte di Spagna, che si stende a occidente ver l’ Oceano, ciò av- venuto et vi si sia nutricato il poledro. Ma inu- tile; et quando comincia a venir loro cosî fatta rabbia, oltr’ a come s' è detto gonfiar lor la na- tura, gettano un umore fuori per essa con con- tinuo colo, stando accidiose et impenserite, man- giando meno; et quando in tal termine recusas- sero anche lo stallone, stiasi dieci di a ridarglielo, doppo che si sia provato il primo et sequente giorno; et se si cognosce che ell’ abbino patito . per partorire, gioverà lor la: felce trita mesco- lata con aqqua et datagli per un corno. Come è nato il poledro, non si tocchi con mano, per- ciocché si offende, toccandolo ancora legger- mente; attendasi solamente che stia al largo et in caldo luogo, che non patischino, stando con le madri, con le quali deono stare due anni al più, senza passargli né finirgli d’ un mese ap- presso, et allattati sempre da loro; et ciò s' in- tende per gl’ eletti; gl’ altri, ignobili più et meno, allacciargli et adoperargli a’ bisogni. Et quando si cognosce essere le cavalle a pochi di vicine al parto, si deono tirare alle stalle, usandogli meglior governo del solito, con far lor sotto un buon letto di paglia trita, fieno o strame; di poi conduchinsi fuori a poco a poco [i figliuoli], avendo avvertenza che non s abbrucino lor l’ugne tenerissime, calpestando lo sterco della stalla; imperciò si tenghino netti sotto, sempre spazzati et puliti, avvertendo ancora che non vi si fermi l’orina, perché questa medesima- mente li rovinerebbe. RE BE VANI ROSATI AI TI II OTT GP RR RR E STI I LETI META TON e a td sa; fe Aa vanta ae - sat De uf Pt AMS La CEI DAI , >» 129 Ma a quelli che nascono di padri et madri naturali di portante, che così conviene eleg- gergli per avere i figli che gli sien somi- glianti, tosto che siano nati et rasciutti dal parto, per levare l'occasione che non abbino ad avere il portante dirotto, ma riposato et quieto et più andante, pigliando la punta dell’ ugna della gamba di dietro, [si deve] tirarla in su ra- sente la pancia et spalla dinanzi, e farla arrivare con destrezza sopra ’1 ceppo dell’orecchia prima da destra poi da sinistra, così l'una come l’altra, due o tre volte in altrettanti di, una volta il di; alcuni si contentano d’ una volta sola, pur che si tenga per alquanto spazio ferma sopra l'orecchio quella gamba così distesa, tanto che si dirompa, come si accostuma di fare a’ cani delle orecchie grandi perchè le tenghino basse, [che] tirando si dirompe loro il ceppo dell’ orec- chie all’ingiù. Di questa maniera allungheranno il portante; ma se non si sentino snodate in distendendo le gambe, bisogna rifarsi da capo @ tirarle, pur senza loro offesa et discretamente. Dassi ancora il portante a quelli di mezzana taglia che non l’abbino, accomodando ai lor quattro piedi due corde che intraversino dal- l’un tallone all’altro nelle ultime giunture, con un nodo aperto in mezzo che le ripigli in an- dando, con allentarle o restrignerle, secondo che fa di bisogno per far maggiore o minore il passo et trapasso del portante. Alcuni ancora nascono naturalmente con una traina, che è un trapasso un poco minore del portante; et altri hanno naturale un gran passo, distendendosi | con. esso lungamente in sul terreno; et questi 9 Tn PARLI, è CANTI 130 reggono più a cammino degl’ altri. Quelli ancora a chi si siano tirate le gambe nella maniera che s'è detto, fornita che sia questa operazione, la quale si dee fare dentro alle stalle tenendo- vegli a riposo, doppo quattro o cinque di man- dinsi con le madri nella pastura, dove stati due anni (tirandogli però sempre con esse a’ tristi tempi alle stalle) o tre, se sieno massime di Regno (Barbarossa usava di quattro et non pri- ma, perché riuscissero più saldi et più fermi alle fatiche delle guerre et a correre), si possono, cosi in portante, come tutti, gl’ allacciare, et allacciati condurgli alle stalle, et cominciare a adoperare quelli et queste esercitare, potendosi in questo tempo attamente domare. Ma quelli ignobili, cavati per uso delle case et per eser- cizii dell’ altre occorrenze, di trenta mesi sì pos- sono destramente cominciare a porgli sotto le fatiche del portare o tirare. Ma deesi sapere che tutte le sorti dei puledri, prima che egli sieno levati dalla cam- pagna et tradotti alla stalla, ch’ egl è da approvare di dar loro il fuoco alle gambe, facendo questa operazione con rame o argento, che così non si scorgerà ’1 segno del fuoco; et ciò si dee fare ancora che non si cognoscesse che n’ avessero di bisogno, perché il fuoco, dato rovente in questo modo alle gambe, in tutte le carni lasse e molli e aperte astrigne, constipa, assoda et indura, l’ enfiate assottiglia, attenua e svanisce, le materie umide disecca, le ragunate et ammassate insieme risolve, le marcie et putrefatte ritaglia, sana le doglie vecchie et vieta che di nuovo non ne ven- 131 ghino, proibisce che non calino umori alle giunture, tiene le gambe asciutte, suzze et nette, guarisce le parti del corpo alienate o che han presa cattiva via o complessione, risana l’ulceri et tutte le carni che son magagnate per qual si sia cagione, et le ritorna al suo essere di prima, et le cose cresciute dalla na- tura oltre al dovere leva via et le parti aduste non lascia di poi crescere. Diasi addunque ’1 fuoco, et di poi si lasci andare libero alla cam- pagna, acciò che la rugiada ('), che la fa meglio che tutt’ altro, levi via il segno d’ esso. Facciasi fare questa utilissima operazione dal più famoso maestro di mascalcia che si ritruovi, perito et bene esperimentato nell’ arte, facendoli dar sem- pre un bottone .di fuoco vivo et un morto nel principio dell’ autunno o di primavera tuttavia, nello scemar della luna, più basso che si possi -dal nodello, et sanisi il luogo affetto con bituro lavato et con foglie di capperi peste bene in- trise in esso et fasciatovi su; et per far rina- scere il pelo, adoprisi aqqua lambiccata di mele, o olio di tartaro, stropicciando prima il luogo spelato; et opererà anco quando non fosse stato per cagion del fuoco senza peli, bagnandovi con quell’ aqqua; et rasciutto da per sé, s unga con quell’ olio due o tre volte il di. Il puledro eletto si dee cominciare ad acca- rezzare et toccare, ligiandolo per la vita con la mano, et con essa se gli dia a leccare qualche poco di sale, insegnandogli di non s' adirare co ’1 vezzeggiarlo, et amar non sola- (1) guazza è scritto sopra rugiada. 132 mente gl’ uomini, ma desiderargli, facendogli vedere diverse vedute, et sentire varie sorti di romori et strepiti, et grandi; di questa ma- niera avendolo alquanto assicurato, se gli getti con destrezza il capresto al collo, poi al capo la cavezza di corda di lana, l’uno et l’altra che sia più morbida et delicata, ponendogli tutto et accomodando gentilmente, et quasi non se n’ accorgendo fermarlo alla mangiatoia con.due redini di canapa o di cuoio di soatto morbido et arrendevole, facendolo. stare nella sua posta della stalla rasente ai poledri domati et legati, perché s' avvezzino a vedergli, et con le pastoie ai piedi, fatte di delicata lana o di buon lino, in stalla netta et pulita, con rifargli il di se occorra, ma ogni sera, il letto di paglia, quale si dee ogni mattina rassettare sotto ’1 concavo della mangiatoia fatta sopra archetti di mattone, compartendo che ogni posta abbi il suo archetto voto dinanzi et tanto indentro che non si raspi: Deonsi subito, al primo entrar nelle stalle, da. chi gl’ has governo et poi dai cavallerizzi, piacevolmente soffregargli. le mani per il dosso et per il capo, et alle volte sott’ il corpo et in su la groppa sino alle gambe et piedi premergli. dinanzi il petto, vezzeggiandolo et accarezzan- dolo con i più dolci modi che si possi, come alzandogli qualche volta i piedi, nettandogli et . battendogli spesso, et in modo lusingandogli che cognoschino non pur chi li governa, ma il caval- catore. Devesegli parimenti con. destrezza et a poco a poco porgli quivi sopra la schiena un fanciullo, perché s' avvezzi di mano in mano a 133 sostener poi l’uomo; mettasi loro innanzi a man- giare buone erbe et fieni, all’ ore debite et poco per volta, perché non facci loro afa et gli ristuc- chi; et non lo strazino et gittin per terra, per- che il caduto et calpesto sempre poi aborri- scono et rifiutano. Di poi mangiatone alquanto in compagnia d’ un puledro fatto, a pian passo si conduca all’ aqqua a mano, et come abbi beuto et statovi alquanto di più (perché non è dubbio che l’ aqqua corrente dolce et la salata di marina, dando loro sotto la pancia per due o tre et anco quattro ore gli si diseccano, ristrignendo et consumando la calata degl’ umori, et gli rimuove l’infermità, quella per la sua freddezza et questa per la sua secchezza) si | ritorna al luogo suo; cosi si vanno addestrando a lasciarsi governare et maneggiare. Ma quando si tiene a star nell’aqqua, il che gli confe- -risce sempre nella state a’ gran caldi, non si riponga nella stalla prima che gl’abbi rasciutte le gambe dall’ aqqua, perché ’1 caldo della stalla ribollendole gli nocerebbe; si deono ancora di poi sfregare forte et stropieciare con le mani a riverso del pelo in su la pelle mattina et sera; et tuttavia che i nobili tornino da cavalcarsi et gl ignobili dal lavoro, si facci loro delle freghe, cominciando dal capo et venendo ingiti dal collo per tutta la vita et poi dalla coda all insù, con aggravar forte la palma della mano in sul pelo; saragli ancora di grande utilità fargli mangiare in terra, si che lo allunghi et distenda il collo per arrivare quello che se gli porge da mangiare, assottigliandosi per questa via et facendosi più bello, et in oltre s' alleggerirà et scaricherà ir dit ei L a RAI 134 dinanzi. Deesi la mattina dargli due o tre bran- cate di fien buono secco et asciutto; fatto di buon’ erbe secondo pur che si ritruova e s' usa nel paese, o paglia trita d’ orzo, che ha più so- stanza et gusta loro più che di grano; et tritisi con l’instrumento alemanno, che la farà più minuzzata che la falce ferma ai fessi dell’ uscio, et n’averà più profitto; d'inverno dandogli biada di spelda o orzo, di state vena et a mez- zodi del fieno o paglia, secondo ch’ egli sia av- vezzo et secondo ’1 paese; perchè in molti luoghi nuoce il fieno a’ cavalli stallii, et massime il polveroso che gli fa bolsi; et però si dee sempre scuotere che si dà loro. Di primavera poi se gli dia dell’ erba per un mese, solamente un poco’ di crusca la mattina, et poi tutta erba fresca verde et buona, o d’ orzo cresciuto et seminato per tempo, perciò che s' addomanda /raina; et hassi a dare o dell’ una o dell’ altro, a quattro o sei menate per volta et non più, si che n’ abbi sempre innanzi. Deesegli avanti cavar sangue per la vena maestra, et perché ben si purghi et s' assicuri dalle malattie, abbi da bere in quel tempo aqqua salata, o soavemente corrente et un po’ turbata, tenendolo coperto con panno grosso di lana, ché ciò mantiene il lustro del pelo, et fa che non infreddi et gli facci l’ erba maggior operazione; et ricondotti da bere, si ponga loro innanzi tant’ erba che abbi da pastu- rarsi sino a mezza notte, et poi si rifacci tanto che duri sin all’ altro bere della vegnente mat- tina, senza dar loro altra biada fuor di quel mese che s’ è data lor l erba. Perciocché questi poledri è bene mantenergli non troppo grassi 135 né troppo magri, ma mezzanamente, che cosi dalla grassezza straordinaria non calando loro umori, staran più sani, più agili et più da ma- neggiarsi et atti a reggere nelle fatiche. In alcuni lati d’ Inghilterra si fanno pani di legumi, come piselli, fave et fagiuoli, et li danno ai lor cavalli; et d’ inverno le fave cotte ingrassano come i vecciuli, massime mescolan- dovi olio o grasso o untume di carne; i ceci ancora son buoni a questo effetto, ma più si conviene agli stalloni. Il bere che si dà al cavallo sia sempre netto, pulito e puro, che non renda mai alcun cattivo odore; così il mangiare se gli dia pulitamente, et che non sappi mai d’alcun sito cattivo. In alcuni luoghi si dan loro le castagne secche; ma conviene vi sieno avvezzi da piccoli, ché altramente nuoce. In caso di bisogno si son nutriti i «cavalli di sermenti triti minuzzati, ben pesti. Il letto, che si fa loro o di fieno o di paglia, sia sempre alto sino a ginocchio, perché riposi comodamente la notte; et la mattina se gli levi di sotto, strigliandolo con streglia di ferro stagnato che abbi i denti corti et minuti spessi, poi si meni a bere. Dee essere ferrato con ferro leggiero et che vadi secondando l’ ugne, largo et agiato sempre di dietro et non mai stretto, perché non gli stringa i calcagni del- l’ugna, la quale si deve mantenere diritta et non piegata, ma tuttavia alquanto a sdrucciolo. Non mangi che finito di sudare, né anco stra- meggi, ma in quel mezzo tempo si facci passeg- giare lentamente in luogo fuor del vento, ben coperto di sue schiavine e coperte lane. Il disu- TEN ER ri PETRI PRA PIA I CRE € VE I INDOTTE ; PR TAR TA NAR LI LA E PRA it ste Et. pu Tnt I 136 sato cavalcar nella notte gli nuoce, la mattina per tempo è lodato. Di estate se gli tenga addosso una coperta lina. Et per conservare. sani i cavalli, si dee trar lor sangue in ogni stagione dei quattro tempi dell’ anno, et deono. essere sempre con riguardo et riparatamente adoperati, sapendo che il maneggio ristretto è forzato et gli danneggia, si come l'alto raddoppiato, et i ruppolotti et salti in aere et salto del montone gli dirompe la vita, come il raddoppiare basso et alto; et il rimettere . moderatamente et- non con furia, et usando. discrezione, senza scalmanargli in questi eser- cizii, basteranno gli oltramontani sino in venti anni, benché di trentasei, di quaranta et di più di cinquanta n°’ ebbe il sig. Passero V.° Ma in Italia possono a qual si vogli fazione ser- vire, sendo di buona tempera et sani, sino in sedici et diciotto anni et venti, et quelli. che passono sono rarissimi; et da quivi in là non sono mai di quel valore, possa et virtù. Il governo sopradetto si appartiene ai cavalli nobili et di rispetto, ai quali molti sono d’ ope- nione di non dar loro il ‘verde, con tutto che gli rinfreschi et ricrei per tempo alcuno, addu- cendo ragioni, che sempre l’ erbe sono genera- trici di varii umori, et che i cavalli da fazione sì conservano meglio senz’ esse, governandogli tuttavia con buono strame et biada. Con tutto ciò, quando son gioveni, sino in sette o otto anni, sempre si ricrieranno et rifaranno del fresco, né sarà loro in alcun modo di nocimento, et; massime ai cavalli di complessione calda, il che si comprende dalla qualità dei mantelli et dal- 137 l’osservare il suo mangiare et bere. Ma a quelli da carretta et da lavori va manco studio, et; lor utile è che sieno sempre accoppiati con cavalli di forze uguali, perché non abbino a essere soffocati dai più potenti i più deboli: et sono da essere destramente da prima gridati et bravati et esercitati con leggier pesi, poi con più gravi, sentendo egli maggior pena del por- tare che del tirare; ma quanto maggior fatica durano, tanto più ricercano il governo esquisito del mangiare, se ben questi tali si mantengono solo con crusca et strame et erba verde, tuttavia che se ne truova; ma meglio sono le paglie, se ben pare che per la loro secchezza non se ne possi trar sugo 0 poco, ma dall’ abbondanza et frequenza ne caveranno, et più del fieno, che è più sostanzievole et di più sugo, et con essi lun- gamente si manterranno. Ma quelli da cocchio - nobile vogliono il governo de’ migliori, et più et manco, secondo la fatica che si dia loro. Ma per prolungare a tutti la vita et tenergli conservati del continuo in buona tempera, si dee dare loro, come s'è detto, il fuoco; et ancora castrargli; et questo fuor d’Italia si costuma assai, si per defensargli dalle malattie, come perche gli mandano in campagna a pascere tut- tavia con le cavalle; et in Inghilterra lo fanno non solo per questo, ma perché non cosi di facile possino essere trasportati via i maschi interi a rubar lor la razza; et così ancora per questo come per quello usano i Turchi per lo più di castrarli. Or questa operazione non si dee fare, come quella del fuoco a tutte quattro le gambe, prima che abbin compiuto l’anno, perciò che 138 allora possono meglio resistere a questo dolore et mostrare benissimo i testicoli; et il tempo che si ricerca è di marzo, ancora nell’ autunno et d’estate, di maggio et quando soffia Aqui- lone. Cavisi una fossa et quivi per forza di legami si facci distendere il puledro, avvertendo che nel dar giù non si direnasse, co ’l ventre in su, legatogli i piedi in modo che non si possi muovere; et nel serrar dei testicoli abbiasi cura che non si stroppino le lor radici; empiasi la ferita subito di sale et s’ alzi in piè; e 1 secondo di, non si veggendo uscir più sangue, lavisi la ferita con vin caldo, et s' unghino le reni, la testa et le narici di pece et olio, non lo facendo . andar molto sin che egli sia sano; gli gioverà ancora doppo ’1 terzo di ugnere la ferita con pece distrutta e cenere mescolata con olio caldo. Deesi tenere in luogo caldo con buona coperta, bagnandogli tutto ’1 corpo con vino, infusovi dentro incenso in polvere, bollitavi dentro; et se la ferita ancora getti sangue, soccorrasi co ’l sugo di marobbio, mescolatovi dentro sale am- moniaco infuso con mele. Ancora d'aprile sem- pre a luna scema si può castrare il cavallo, postolo senza fossa in terra a giacere, et lega- tigli bene i piedi, fattolo star rovescio, poi tolta una tavoletta piana, grossetta et forte, con i canti tondi e piani, et essa tanto larga che vi si possi distendere su la borsa dei testicoli, di modo che l'uno d'’ essi rimanghi fuori della tavoletta, che è quanto una palma di mano; sia pertusata da ambi i capi, distante un palmo dall’ un pertuso all’ altro, et similmente sia pertusato un bastone ben tondo, quanto una lancia o pestello; et passi 139 per i pertusi d’ essa tavoletta et d’ esso bastone una corda rinforzata di canapa o di seta, si che l'una con l’altro si venga a strignere; et ben maneggiata et stesa la borsa dei testicoli, si met- terà quivi dentro, serrandogli con un tortoio 0 randello, et tosto si batta forte con un mazzuolo di legno, ma con annodar la cordella. sott’ il bastone, in modo che i nervi dei testicoli si . rompino o tutti o parte; di poi s unga con olio ben caldo, et faccisi muovere con riguardo, sino a tanto che si cognosca che egli sia sanificato. Deonsi sopratutto castrare i cavalli Barberi et corridori et veloci, destinati a correre ai palii, affinchè non s' indurino [né] s' intirizzino loro i nervi, per il gran calore del rapido corso; et se bene i cavalli castrati mantengono i denti, che non cosî tosto caschino, et fortificansi loro i nervi, tuttavia diventano timidi, spaventosi et più deboli. Adunque i cavalli da guerra, cocchi et carrette, non si deono castrare; nè meno i corridori, et massime Sardi et Barberi ('), perché si tempera loro quella furia et fuoco che gli rende al correr precipitosamente più volonterosi et più forti. Deonsi bene, avanti dieci o quindici di che abbino a correre, ben imbarberescare con dar loro da mangiare orzo mondo, paglia trita, et ogni mattina spruzzar loro nel muso della malvagia o greco, et ogni di da mattina et da sera fargli lentamente passeggiare nel corso in che hanno a correre con il ragazzo addosso, et quelli che non portano, con la bastina sola o pimacciuolo; et il di del corso attaccare alla (1) Ha detto poco prima il contrario. 140 bastina con certe cordicelle sottili una palla in cima di legno con punte di ferro, che correndo s alzino et abbassino dai lati a percuotergli nei fianchi come se fosse lo sperone et quello che porta. Se gli ponga il ragazzo sopra con aver sotto un pimacciuolo piccolo cignato, et egli le sue calze di tela impeciate sul pelo del cavallo; al quale si dia una zuppa di pane intinto in malvagia; et così si procuri ben coperto et pas- . seggiato, avanti si riponghi nella stalla, quando ritorna dal corso. Cosi si rinvigorirà per l’ altre volte, governandolo a modo, et dandogli sempre la biada a mezzana misura. Nei luoghi freddi di montagna et d'’ alpi, di maggio et settembre; et in luoghi caldi marittimi, d’ aprile o di ottobre, pur a luna scema et che non tiri scirocco, leghisi il ca- vallo come le pecore quando si tosano con corda grossa di lana, et con un legno attra- verso fasciato di cuscini morbidi, et caccia- togli sotto il capo un fascio di paglia, se gli faccin stare senz’ offesa le gambe aperte prese da due persone; prendasi poi un bastone di rosaio bianco salvatico tagliato di subito, lungo un palmo et mezzo et grosso quanto un pestello, et sfesso per il mezzo si leghi da una banda; di poi legati sotto i testicoli con una corda rinfor- zata stringasi la lor borsa co ’1 detto bastone accosto al ventre, et distesa la pelle che non stia grinzosa dentro al bastone, et separando ancora i nervi di dentro dai quali pendono i testicoli, si che non si soprapponghino, si disleghi la corda rinforzata, et si stringa il bastone di verso i testicoli, in modo che tutto vadi steso, tirando Reati LC» tar «bei 14l la pelle vers’ il ventre, senza offendere i testi- coli, il più si può; allora serrisi forte il bastone da ogni lato, ma si che non tagli la pelle. Faccisi appresso star ritto il cavallo et diasi un’ altra stretta al bastone, se può compor- tarlo, et si metta in stalla calda ugnendo ac- canto le coscie e ’1 ventre con olio di camomilla et rosato mescolati insieme, et sia tiepido; levisi poi il bastone in capo a sedici o diciotto ore; cosi rimarrà castrato senza penzolargli i testi- coli o la borsa; et volendo che si perdino, vi si lasci stare il bastone otto o dieci di, et a questo fine non si facci tondo, ma tagliente il lato da che si strigne del bastone. Ancora, stretti i testicoli con la corda, si conguagliono come hanno a stare, poi gentilmente si tagli la pelle, cansando le vene et facendo piccola apertura, tanto che se ne cavino co ’1 nervo; et legatovi destramente con un tricafilo da balestra, si tagli ‘ il nervo et si incenda con un ferro sottile ro- ventato; et sciolto il tricafilo, si cavi l’altro per il medesimo taglio, et ritocco con ferro affocato, si riempia la buca della borsa loro con la cenere vagliata mescolata con olio; cavisigli poi san- gue et sì governi con buona cura sino alla sanità. A me piace assai che per due di sì ritenga il cavallo dal bere; et d’ aprile o di maggio a luna scema (et è sicuro mezzo) attorcere i testicoli come sì fa ai tori, rompendo loro tutti i nervi; et chi volesse non castrarli affatto, potrebbe rom- perne un solo da una parte. Accanto poi s' unga bene con olio comune tiepido le cosce et i luo- ghi trassinati ogni di, si che si sgonfino, riguar- dandogli bene dal vento; et cominciare ad ado- 142 perargli adagio. Ma questa operazione non fa effetto nell'età adulta: conviene dentro all’ anno, che poi prima si romperebbe la pelle di fuori, che dentro alla borsa altra cosa. Gettato an- cora il cavallo in terra, legatigli i piedi, alcuni gli serrano con una cintura i testicoli, attorno ai quali fanno un taglio tanto grande o piccolo, secondo la qualità loro, che ne possano uscir l’uova; et i nervi dai quali esse pendono taglia- no con un coltello roventato, da quella parte onde stavano attaccati con quelle, tirando. il coltello dalla parte di dietro innanzi, non al contrario; et tal coltello sia ben roventato, che così si rimoverà l infiammazione; poi affibbiata la piaga, vi mettono sopra fili di tela o bioccoli di lana intinti in olio di pece; et il terzo di gli slegono, continuando ogni di di ugnere con una penna intinta in detto olio, tanto che si vi facci ‘ la cicatrice. Nel di che s' è castrat> è da farlo stare senza mangiare et bere; l’altro di se gli dia un poco da bere et destramente mangiare, crescendo tutto a poco a poco, nell’ ore fresche facendolo lentamente passeggiare, tenendolo nel caldo dentro alla stalla; et se gl’enfiasse la ferita per infiammagione, pongavisi sopra disfatta con aceto la pietra Cimolia; et avvertiscasi che i cavalli che sono con un testicol solo, non sì castrino da quello, perché porterebbero gran pericolo di perire. Et se’1 cavallo doppo l’ essere castrato si mettesse ad anitrire, è mal segno per lui di non camparne, et conviene governarlo con tanto più cura. Dei poledrini è difficile a discernere i testicoli, ma è chi afferma che se ’1 cavallo nel mettere dei secondi denti sarà pri fiati eo nei ii Re ea 143 castrato, non metterà gl’ altri et getterà i denti canini men lunghi dell’ ordinario, nè sarà sog- getto a discese o umori che gli calino nelle gambe. Ora, perchè il castrare lascia il cavallo in quell’ essere che egli lo truova, avvertiscasi che ’1 cavallo da castrarsi sia ben fazionato di corpo, et ben informato di persona quando si castra. Le cavalle ancora si castrano, ma più di raro et con maggior pericolo, et è meglio ficcare ne’ labbri della natura anelletti di rame dorato o d’argento, afferrandogli ambedui, non impedendo il serrare l’ orina, et con essi inanellarle. Ma volendo che i cavalli non ani- trischino, si tagli loro il filetto della lingua da piccolini; così facevano i Sardi anticamente, et ancora legandogli la lingua non anitrivano, se per qualche effetto di stratagemma conve- nesse così fare ; et l’ anitrire acuto è indizio di "valore nel cavallo, et il grave et grosso darà segno di non essere valoroso et agile, ma pol- trone e freddo. Sappiasi ancora che certi ca- valli feroci et furiosi che non si possono do- mare, volendo castrargli in qualunche maniera delle dette, et massime con levar loro affatto i testicoli, se ne muoiono di dolore; più sicuro sarà attanagliargli che spiccargli interamente ; et ancora, perché così sì conservano più vivaci et gagliardi, non sì estinguendo loro tutta la libidine, per quella parte dei nervi o cordoni che gli reggono et altre reliquie che rimangon loro; et in quegl altri modi vien levata via tutta, et si indeboliscono. Ancora, lo sfendere loro ne’ narici, quando si cognoscano stretti di 144 petto, gli fa meglio respirare et più resistere alle fatiche; et questo grandemente giova a quelli che sono diventati bolsi. Si può ancora, a chi ha piccola bocca, che è gran difetto et tristo segnale, sfendella et squarciarla con taglio, curando la ferita con cenere vagliata bollita nell’ olio. Ma la cura dei cavalli, tanto dei castrati come degl altri di rispetto, si dee allogare a persone discrete, diligenti, fidate et amo- revoli, che con un tenore d’ ordine consueto gli stiano continuamente d’attorno, sî come i Turchi, che stanno quasi di continuo a vagheg- giargli et vezzeggiargli nelle stalle; onde è trito il proverbio che l occhio del padrone ingrassa i cavalli e ’1 campo; et quell’ordine che si prende da principio bisogna che si seguiti, perche alterandolo non pigliassero qualche vizio, che malagevolmente si possi poi levare; et perche meglio gli ricognoschino et amino, et più volentieri si lascin trassinare et palpeg- giare, stregliare, stropicciare et toccare et la- sciarsi mettere addosso le coperte cinte destra- mente, levar lor sotto il letto, con scerre la paglia o strame pulito et riporlo sotto la man- giatoia, la quale dee essere piuttosto bassa che. alta, et tanto lunga, che senza rastelliera vi stia agiato lo strame, accomodandovi di per sé . una cassetta di legname o murata per la biada. Et tenghinsi nette et bene spazzate tutte le stalle, che stieno fresche di estate et calde d'inverno, con le loro impannate d’ aprire a’ soli et serrare ai venti, accomodate con tramezze di colonne di pietra o di legname che tenghino 145 diviso l’ uno dall’ altro, si che non possino azzuffarsi insieme o trarsi dei calci; et di tale spazio, che vi possi stare il cavallo capovolto co ’l filetto, con la testa alta, in quella medesima posta, a strigliarsi et ripulirsi la vita et tutte le gambe et nodelli con l’ appannatoi, line et lane come fa di bisogno; et fatti certi strofi- naccioli di fieno o paglia bagnata et poi asciutta, non avendo dei girelli di sottili giun- RAEE STRIP RO NE SEPPE ATIC LI et NETTO POSI A RR RE E go e E t) RN PROTO s* Li va È NT *4 n alert Li lecita chi di Levante, soffregargli per tutta la persona ‘ et ben nettargli dalla forfora o dal sucidume o polvere che avesse addosso, et similmente stropicciargli ben la testa et fra l orecchie, et quelle nettarli et il naso, et accanto con la spugna un po bagnata ritrovarlo tutto, et pet- tinarlo con pettine di bossolo i crini, addiriz- zandogli et conguagliandogli, et la coda, avver- tendo di non strappar loro le setole che vi hanno; si stropiccino ancora ben le gambe, soffregando con un covone di paglia i ginocchi, gli stinchi, i nodelli et tutto. Et se bene si costuma dire che lo strigliar la groppa ai ca- valli gli fa belli et grassi con la biada, sap- piasi che ai cavalli la streglia è la seconda biada, et doppo ’1 cibo non è cosa di che i cavalli piglino maggiore ricreazione o conforto. Imperciò non bisogna abborracciare questo go- verno et pensare di spedirsi in manco di due ore; et si dimori assai intorno a’ talloni et; giunture de’ piedi, che cosi non gli verranno i ‘ ricciuoli, la rogna ‘et altri mali, lavandogli bene i piedi et stropicciando l’ugne, le quali, asciutte che sieno, si tenghino di continuo. unte con la sugna vecchia. Tiransi sotto i portici a 10 iv 146 far questo, legati in luogo che chi gli governa se gli possi raggirare d’ attorno, l’ estate per il fresco et l'inverno nelle stalle. Ordinati et spuliti i cavalli di questa ma- niera, ricondotti alla mangiatoia, dato loro un po’ di fieno e paglia, mangiata che l’ abbino, si dia lor bere dentro o fuori, come si possi per il tempo, et si comparta lor la biada ben vagliata et netta, scossa dalla polvere, terra, o altre brut- - ture che vi fossero. Allora da chi è sopra la stalla si vadi origliando chi maciulli bene et chi male, crescendolo a quelli, a questi diminuen- dolo, avendo per avvertenza che ciò non avve- nisse da alcuno impedimento che egl’ avessero in bocca, il che si proccuri, che sendo ciò da complessione di cavallo cosi naturata, non v' è riparo. Nè si combattino i poledri, né si atter- rino co ’l gridare mentre che si governano, anzi s ammansino con piacevolezza, ligiandogli con la destra mano per tutto ’1 corpo; et con voce dolce et piacevole, chiamandolo per il nome che è piaciuto porgli, s ammansi, piace- volmente appacificandolo, porgendogli o un tozzetto di pane o sale, o quello insalato, et sempre più pane che sale; perciocche quello non solo rinvigorisce gl uomini stanchi dalle fatiche affamati et indeboliti, come fe’ a Bruto, ma ritorna anco le forze ai cavalli stracchi et scalmanati; et quelli da basto si tiene che allora diventino fuor di modo lassi, quando accade [che portino o fichi o mele. Addun- que stricato bene il puledro, il valente cozzone con ogni destrezza gl’ avventa il cavezzone senza catenella al muso dinanzi, lasciando- i TV e n a ANIA: A Sent rela IE a ra, SL Ò MLA 147 glielo senza far altro, con le due redine rette in su la croce pur di corda, per due o tre ore nella sua posta della stalla; poi levatoglilo, il giorno seguente per amorevolezza pur gli lo ritorni, et tengalo con esso al suo lato al- quanto più; indi presolo per le redine lo con- duca quietamente sott’ il portico, guardando a non spaventarlo in cosa alcuna, et secondo lo truova duro lo segue di passeggiare, prendendo le redine in mano un poco lunghette; et rimes- solo poi alla sua posta, il famiglio gliel leva destramente et gli mette la sua cavezza ordi- naria; et all’ ora solita, avendo prima strameg- giato, gli dà bere, et accanto la biada ordinata. Il terzo giorno, rimessogli il cavezzone, ma con la catenella dinanzi al ceffo, gentilmente il cozzone di soppiatto gli pone addosso la bar- della di tela ripiena di borra, fatta con gl’ ar- ‘cioni alti et ben stretti et serrati per starvi dentro ben forte, et ben cignata con larga cigna, ma da prima stretta leggermente; et lo (*) con- duca senz’ altro sotto ’1 portico per il cavezzone; et poi assecurato, gli conduce attorno ai luoghi piani et. senza sassi agevolmente et nei campi arati, con una bacchetta pianamente avvezzan- dolo et percotendolo alquanto, che appena si tocchi con essa lo facci andare adagio, guidato a mano. Di poi lo sollicita che cammini un poco più ratto, et di prima giunta gl insegna l an- dare innanzi con i passi et ritirarsi indietro, (1) Qui, dove termina la car. 88 recto, è scritto minutamente, come in nota: « Et se siano rubesti et miscredenti, conduchinsi a » far tutto, tenendo lor gl’ occhiali, et poi cavandoli quando vi è su ». pro? i. e ele : \ 148 | talora gli fa veder la bacchetta, la quale sia di vincastri d’olmo o vette più che d'altro, et non mai canna o sanguine che son dannosi, tenendolo un poco fermo, et poi movendolo, et parecchie volte tornando a fare questo medesimo con piacevol voce, con la mano sempre stri- sciandolo et vezzeggiandolo con amorevolezza,. lo rimetta nella (') stalla; et consegnato al gar- zone, comandi che segua di governarlo al solito, levandogli da dosso la bardella destramente et il cavezzone, et porgli la cavezza; rimettendogli poi quelli il quarto di, accarezzandolo sempre più et festeggiandolo, vi facci salir sopra un ardito ragazzo, et osservato che non facci mo- tivo alcuno, lo levi della posta et lo guidi nel portico a mano, guidato co ’1 putto sopra; et stando quieto, lo facci dare a quel modo due passeggiate sotto. Di poi brancicandolo dinanzi al collo et petto con la mano, ligiandolo, maneg- giandolo, palpandolo, lo conduca al muricciuolo fatto di tre scalini, che serva a ogni età et grandezza o piccolezza di persona a scendere 0 montare da cavallo, fatto a posta; e fatto scen- dere il putto, sottentri il cozzone nella bardella, leggermente traendo le redini giuste e pari; et acconcisi i panni come vuole, perchè s' avvezzi prima a essere quieto et fermo, fattasi porgere | di dietro assentitamente una bacchetta, con la quale a pena l’ accenni in su ’1 collo, lo muova a passeggiare sott’ il portico, o quivi vicino. Ma se per sorte egli facci qualche atto contra- rio et non sia così manso, addomesticato et (1) verso la è scritto sopra nella. e Sti e N REL! x _ è « Ò 149 obbediente, et si gitti o innalberi o salti a tra- verso et a diritto, fermilo co ’1 cavezzone, et chiamilo con la voce mansueta et con gesti umani et piacevoli; et seguendo, se non vuole aqquietarsi et star riposato, muovalo di nuovo prima pian piano, poi crescendo tanto che formi il passo o trotto, et badatovi su a così fare per giusto spazio di tempo, lo ritorni alla stalla, et consegnilo al garzone, il quale dee coprirlo legato per la redine alla mangiatoia, tanto che s’ asciughi; et tenutolo con la coperta più d’ un’ ora, gli levi tutto et lo strofini co ’1 batuf- folo di paglia attorto, massime essendo sudato, gli riponga accanto la coperta medesima, et freghigli le gambe con l’appannatoia, i nodelli et i piedi con canovaccio grosso lino, o con uno straccio di tela ruvida; et governilo a modo, facendogli buon letto. Il quinto giorno da mattina ben assettato lo presenti il garzone al cozzone, che gli metta il cavezzone et la bardella ben cignata, et montandovi sopra con l'aver salitovi dal muricciuolo, lo fa andare piano et forte per le vie vicine et campi et prati, et poi trottar gagliardo sin che cominci a. riscaldarsi; et segua di fargli il simile ogni di, osservando di crescergli di giorno in giorno la fatica, mas- sime per alleggerirlo et scaricarlo dinanzi nei "campi et per l’ uguali et ineguali vie, parandolo nelle chine et lati scoscesi, tirando forte quelle redine del cavezzone; et lo facci andare per le strade. delle città per assicurarlo, che non aom- bri nella veduta delle cose nuove, poi lo ritorni ai campi arati et arenosi et quivi lo facci trot- 150 tare alla larga, volteggiandolo in sur ogni mano, et massime più volte alla sinistra, ché vi sono male inclinati da natura; et si duri tanto a far così che cominci a straccarsi, che così si alleg- gerirà et solleverassi alto con i piedi et snoderà et sciorrà le spalle. Di poi lo ritorni volto alla stalla per diritto, pian piano, ove arrivato si facci passeggiare con le redini in mano al fami- glio, tanto che resti asciutto; cosi segua tuttavia di cavalcarlo quell’ ora più; et come sia fatto domestico et piacevole, lo facci ferrare da tutti . quattro i piedi; et non volendo accomodarvisi agevolmente, caccisi nel travaglio, o fuori se gli leghi la gamba dinanzi lunga, perché stia fermo da quei di dietro, poi per contrario: e cosi starà fermo a ferrarsi, avvertendo poi sem- pre ch'egli abbi tutti i chiodi et che si man- tenghi sempre ben ferrato, riordinandogli et rassettandogli ogni diciotto o venti di, et ogni trenta rimutandogli o rimettendogli secondo il bisogno, con ferri leggieri da prima, poi cre- scendo la gravezza per fargli andare più volen- tieri per i luoghi montuosi et pietrosi con la sola bacchetta et cavezzone, per farlo andare piano et forte, secondo gli pare, a trottare, ga- loppare, piè giuntare et correre a tutta carriera e rattenuto, atteggiare, saltare, tirar calci, cor- vettare, rivoltare, urtare con la testa et spalle come esso vogli, opporlo ai mulini, fabbriche, carri, fucine, dove si battono biade di tutte sorte, da carri, carrette, botti, some, porci, vac- che, pecore, capre et tutti animali, facendolo loro passare innanzi, rasente, dai lati, franca- mente et senza paura et senza far segno alcuno 151 d’aombrare; et talora correre a tutta briglia e passata, et in questo tenendo bassa la redine in su ‘1 collo rasente il dosso, si che chini il capo tanto che porti la bocca accanto al petto, per- ciocché a questo modo vede meglio il suo an- dare et tutto quello che egli fa, et così correrà più sicuro, saldo et diritto. Non sarebbe che bene ancora, che nel muro della mangiatoia avanti ai cavalli fossero dipinti degl uomini armati a piedi et a cavallo, et non ch' altro dei folgori et archibaleni, se ben questi non hanno mai valuto a bene esprimere i pittori, per le varietà dei colori che non si possono così natu- ralmente figurare; et di poi assicurargli con l’attaccarvi dei corsaletti, morioni, archibusi, picche, targhe, rotelle, padiglioni et altri arma- menti da guerra, et similmente dipignervi car- rette, ruote et carri, et avvezzarlo a guardare _con ogni sicurtà maggiore tutto che sia bastante a potere impaurirlo et spaventarlo, perché non diventi vizioso et aombri. Et se egli facesse re- sistenza di non volere passare innanzi ai soprad- detti impedimenti, non si sforzi aspramente o con gli sproni o con lo scuriscio, ma si bene lusingandolo con percosse et battiture leggiere. Domato sin qui et con questa sopradetta regola il poledro, se gli dee porre in bocca un cannone semplice o una schiaccia, strofinandolo con mele et lasciandoglielo masticare sino al- l ora solita del cavalcare; et avendolo attaccato a testiera di cuoio, sopra vi metta il cavezzone et gli cinga quanto più si può serrata la bar- della, non mancando d'’ instruirlo et addirizzarlo a quella maniera di maneggio, alla quale lo 152 cognosce volto di essere per apprendere; petr- ciocchè altra disciplina. ricercano i Ginetti, altra i Barberi, et altra i cavalli di Regno, et altra i cavalli riposati per cavalcare, et quelli da guerra et da diverse fazioni, dando: loro quelli documenti che se gl’ appartengono a poter bene essequirgli; et principalmente con galoppo gagliardo, trottare sciolto, correr trito et veloce, saltare spiccato et animoso, aggruppato et rac- colto, il maneggio sicuro, leggieri alla mano, sollecito, presto et facile a volgersi da ogni banda, facendogli portar la testa diritta et ' ferma, senza sdegnarsi della briglia o sperone, né sbatterla o scuoterla o tenerla tropp’ alta; et insomma ridurlo obbediente ai cenni di chi gl’ è sopra, il quale dee cognoscere la morbi- dezza della bocca del cavallo o durezza, et se- condo quella accomodargli il morso, essendone di più fatte; et cosi le selle et i fornimenti accomodargli alla forma et qualità dell’ essere del cavallo: il quale da principio, quando è po- ledro in termini da poter cominciare a eserci- tarsi, si potrà cognoscere se sia da riuscire et fare onore alla fatica che ricerca la cura et di- ligenza sopradetta. Comprendesi addunque se sia da porvi. certa speranza dall’ aspetto della composizione del suo corpo, se abbi le parti corrispondenti a proporzione a quello, et quello alle parti, et che al primo affronto della vista riesca gra- Gio, zioso et ben fatto; et in ciò si deono atten- — dere gl’ occhi istessi più che altra cosa, perché gl’ occhi sono le finestre del core, et da essi si cognosce l’ affetto di tutto il corpo et anco 153 dell’ animo. Ora quei cavalli che gl’ hanno bianchi et di colore di gatto, che chiamano gazzuoli o agazzini, di di non veggono lume bene, ma di notte più degl’ altri; se ben talora riescono ('), non è da porvi molta fede, ché sono segno di manifesta malizia. Vogliono addunque essere tutti d’ un colore vivo, florido, lucido e splendente; et i concavi, scoloriti et squallidi non significano altro che forze de- boli et inferme, et quelli robustezza et animo grande; se il color dell’ occhio sarà glauco o cesio, et sarà d’ onesta grandezza posto in fuori, sarà buon segnale; et quando averanno il color del fuoco o sanguigno, darà segno di furioso cavallo; et se saranno piccoli et belli et ben proporzionati all’ altre parti, saranno lodevoli, ma non quanto i grandi; et gl’ occhi grossi non incassati dimostrano il cavallo do- vere essere valoroso e forte; simile indizio dà ‘ l'avere poco spazio dall’ un orecchio all’ altro, et destro lo dimostreranno le più aguzze et corte; et quanto più si troverà aver la barba al mento piccola, asciutta e non piena d'’ osso, né dura né bassa, tanto più il barbazzale arri- verà il freno a far migliore effetto; et le narici grandi et vermiglie e gonfie, che con esse sbuffi, sarà segno di gran vivezza di spirito et di larghi meati di fiato, et lo farà tuttavia ap- parire terribile. Guardisi ancora che l’appicca- tura del collo et la sua volta sia ascendente dal petto vers’ il capo come quella del gallo, (1) corron pronti et presti è scritto sopra talora, invece di riescono. PO ERE I NR PETER I BT EI A I E II E E I LOTTI MATTEI 154 piegando perciò talmente che ’1 capo venga a stare d’ avanti al cavaliere, e. gl occhi riguar- dino ai suoi piedi. Né sia troppo lungo né troppo corto, ma elevato, scarico di carne et incurvato, sendo che per contrario male sempre s' imbocca, | et riesce duro di.mascella; et che sia di petto largo, delicato et bene in fuori a guisa di co- lombo, perchè andrà ben compartito et di mag- gior passo, avendo in qnesto stato poi le spalle lunghe et più forti; et lo stretto ha sempre. tutto debole. Pongasi mente ancora alle ma- scelle che sieno sottili, scariche di carne et equali, perchè sendone una tenera et l’altra dura, si potrà mal imbrigliare et far stare il morso al luogo suo. Cosî fatte avvertenze da- ranno il pronostico vero del futuro cavallo, il quale s' ha a condurre ai perfetti documenti di tutti gl ammaestramenti dai principi o signori principali et re padroni delle razze eccellenti et elette. Gli altri che per incetta et per utilità le hanno et vogliono con profitto mantenere, non comporta il pregio dell’opera a volere del tutto perfezionare nella disciplina intera i ca- valli, ma condotti sin a un certo che, che mostri che possino riuscire totalmente buoni i poledri di nome di buona razza, dargli via, fattane la cappata; et la ragione è, che non è mai o di raro bene nell’imprese voler vedere l’ ultimo guadagno. L’abitazioni delle stanze che si fabbricono per i cavalli s' addomandono stalle, perchè vi stanno dentro al lor riposo e governo; et con- ‘viene che siano fatte con tutte l’ appartenenze et commodi che vi sì ricercano, per fare che i 155 cavalli vi stieno con ordine pulito et netto agiatamente.: Faccinsi addunque o piccole o grandi secondo che si cognosce dovere essere maggiore o minore il numero dei cavalli che v' hanno a stare; et il sito dove elle si desti- nano, o sia attaccato alla casa della villa, o sia di per se lontano, ma non troppo, da essa, perche conviene che ’1 padrone abbi sempre in faccia la vista loro, ha a essere in luogo asciutto, volto a oriente et mezzo giorno; la pianta sia due filari di colonne o di pietra o di legname, o pilastri, lontane l’ una dall’ altra braccia sei per il diritto della stalla; et lo spazio del mezzo, che riscontra nella porta dell’ entrata et va a trovare quella dell'uscita dalla banda di sotto, dee essere, tra l’ una colonna et l’altra, braccia otto. Sopra queste colonne gettisi una volta, che sarà sempre più sicura dal fuoco che non a tetto, che abbracci tutto lo spazio della stalla, sopra facendo stanze per i garzoni delle stalle, et per abitazione dei maestri et governatori d’ esse; benché dei garzoni sempre ne ha a stare qualcheduno nei letti, accomodativi pensili o in altra maniera da capo alle stalle, per tutte l’ occorrenze che possino accidentalmente inter- venire a’ cavalli, et per ridar loro dello strame a tutte lotte, quando ne hanno bisogno; et sopra quelle, con travamenti che arrivino dal- l'una cortina di muro all’ altra, che ha a essere addirizzato di qua et di là dall'ordine delle colonne, lontane altre cinque braccia, s ha a accomodare il tetto. Ora dentro fra le due colonne s'ha a ficcar forte in terra un legno diritto, riquadrato et acconcio, che regga una 156 stanga posta a giacere, alta da terra un braccio e un quarto, legata da una banda al primo legno et dall’altra alla mangiatoia; et l’altra stanga ha a stare attaccata alla colonna da una parte et dall altra alla mangiatoia; et queste stanghe s' hanno a legare con corde perchè per comodità del cavallo et di chi gli governa possino agitarsi in qua et in là. Così tra luna colonna et l’altra saranno divisate et compartite due poste di cavallo. La man- giatoia ha a murarsi rasente il muro sopra certi pilastretti che lascino sotto un archetto della volticciuola a ogni cavallo per riporre il letto dello strame dentrovi netto; et perché non percuota il cavallo le ginocchie dentrovi, essendo massiccio, arà a essere la mangiatoia alta da terra un braccio e mezzo, et larga un braccio et un ottavo; et le sponde di fuori si faccino o di muretto forte o di tavoloni di olmo o noce o altro legname buono, attaccando di qua et di là, lontana l’ una dall’ altra due braccia et due ottavi, due campanelle per le- garvi i capi delle cavezze del cavallo. La rastel- liera poi si dee far di legname, intramezzata un po’ radetta di cerchi tagliati o d’altre mazze piegate in cerchio. Et sia la mangiatoia di dentro murata a truogolo, ammattonata di mat- toni spianati et commessi bene, tramezzando con un tramezzo il lato della biada, che stia a foggia di cassetta; il resto della mangiatoia stia libero et capace da ricevere lo strame che casca dalla rastelliera, la quale è sempre meglio che vi sia, che far senz’ essa, mangiandosi così lo strame o paglia più pulita et netta, che a va ae De Tatto e rt i RARE ict di SING Re 1 LE RP I UTI 2° i 157 tenerla nella mangiatoia. Sotto ai ‘piedi poi dei cavalli sia ammattonato con mattoni per . coltello o con lastre di pietra grandi murate che suggellin bene insieme. Altri tengono che stiano bene ciottoli tondi. Io tengo buoni, per assodar l’ugne et tener ben netto sotto, tavoloni grossi di quercia o d’olmo. Et in tutti i modi, diasi, da dove comincia la mangiatoia a dove tiene i piedi di dietro il cavallo, di pendio un quarto di braccio, perché scoli ben l’ orina et calin presto le fecce del cavallo; et starà bene un canale che secondi tutto ’1 corso della stalla, et sendovi comodezza d’aqqua, farvela correre per nettare a’ bisogni; se non, spazzisi spesso et si portin via le brutture con le barelle. La corsia poi, tra l’ una colonna d'un lato et del- l’altro, sia piana, ammattonata per coltello, o ver lastricata per tutta la stalla: la quale et - dall’ uscita et dall’ entrata delle porte abbi gran portici innanzi, capaci et larghi, per ogni verso riquadrati, fatti sopra colonne in volta o a tetto come si possi, pur che sieno ampi et chiusi da ogni parte da muri, rispetto al freddo; et da una parte si potrà lasciare aperto il muro o. far loggie sfogate per l'estate. Le finestre, che hanno a essere accomodate di qua et di là alle mura della stalla, siano grandi per dar gran lume, et d'inverno vi si faccino da poter tener chiuse l’impannate di carta o tela o in- vetriate, rispetto ai venti et freddi che non noino, et di estate si levino et tenghinsi il di et la notte aperte. Et se vi sia comodezza d’ aq- qua, siavi un condotto che la porti in testa alla stalla in un truogolo fattovi a posta per 158 abbeverarvi, se non si attinga il verno, et l'estate, dal pozzo o cisterna che vi sia, subito che si vogli dar lor bere, che così sarà calda il verno et fresca l’ estate, se bene è più lor sempre sana la tiepida, né mai la ghiacciata. Faccinsi le capanne per tenere i fieni et le paglie et altri strami appartati dalla stalla, rispetto ai fuochi et altri inconvenienti che | possino accadere, et rispetto a quelli si faccino murate d'ogni intorno, eccetto che dalla parte del comignolo su da alto rasente il tetto, che ha a essere retto da cavalletti, con la trave sotto che tenga la muraglia insieme; et si facci nella capanna alto una debita altezza un palco che serva per tramezzare i fieni et dividere l’uno strame da l’altro ('), perché meglio si mantenghi et conservi. Sono ancora alcuni che lastricano a dove che ha a stare il cavallo sotto di ciot- toli non troppo grandi, ben commessi insieme; altri amano che vi si facci un getto di ghiaia et calcina. Desiderano [i cavalli] stando in piè aver sotto cosi duro, et quando giaciono, mor- bido et delicato; et perchè non abbacinino gl’ occhi quando escon fuori all’ aere [conviene] far le stalle alluminate. Et ancora è chi stima che e’ si faccino più mansueti et pacifichi, et più lustranti et netti si strameggino, verso la levata del sole da mattino d’ inverno, et l'estate allo scoperto dell’aere. Et il verno deono essere . le stalle più tosto tiepide che calde; imperciò riguardino, come s' è detto, verso mezzodi, in (1) È scritto sopra a questo punto: « salandogli o spargendo i sali quivi », a ei ere ei - ser dita = 3. n % T s, x af A 159 “modo che abbino anco il lume da tramontana; et d'inverno si tenghino ben serrate, et l'estate tutte spalancate et aperte. Ancora è chi crede che assai profitti loro accomodare in modo le mangiatoie nelle stalle, che arrivino alla biada et allo strame con qualche difficultà, stimando che ciò giovi a fare che con più agevolezza ristringhino et raggruppino insieme la persona, et che con questo esercizio cresca loro il collo e 1 capo, et più abili si rendino all’imbrigliare, et che diventino più robusti per il continuo muovere et picchiar dei piedi; et perciò in alcuni luoghi si fanno le mangiatoie assai alte; ma qualunche elle si sieno, mantenghinsi sempre pulite, spazzate bene e nette, avanti che si ponga loro innanzi il mangiare. Sono alcuni, che per fare i cavalli più ven- derecci, gli cibano di segala cotta o di farina di fave; ciò è buono per rifare i cavalli, ma cattivo per far durar loro fatica. Ottimo cibo, come s'è detto, per loro è la vena, dove non sia dell’orzo. È da guardarsi di non dar loro ne segala, né grano, ne legumi che sien secchi; et diasi lor lo strame sempre di quando in quando et poco per volta, che non s infastidi- schino. Cinque volte sogliono alcuni cibargli il di, quando si rattengono nelle stalle, avendo scompartiti giusti gli spazii dell’ ore. Quando duron fatica, cibinsi più di rado, ma più abbon- dantemente; et durando gran fatica a cammino, diasi loro assai da mangiare di notte. Dargli lo strame mentre è sudato non importa: ma la biada nuoce il dargliela prima che sia raffreddo bene. Vorrebbono i fieni essere odorati et bene 160 scossi et secchi et asciutti. Il cibo duro più diffi- cilmente si risolve, et è loro migliore quando duron fatica. Se i cavalli pasceranno ove sia la gramigna et l’altre erbe corte, consumeranno più presto i denti dinanzi, et rimarranno senza denti avanti che invecchino; ma essendo ogni animale per sua natura umido, il cavallo parimenti, o gio- vine o vecchio, si debbe nutrire d’erbe più umide, perché egli si conservi nel suo essere conforme alla sua natura. Molti sono d’openione che non sì dieno a’ cavalli ne l’erbe né la gramigna a tempo di primavera, ma nell'autunno con la sua guazza (') di giorno: di notte doversigli dare la vena o l'orzo e ’l fieno. Ma nei luoghi più freddi, come in Alemagna, Francia et Inghilterra, dove sono teneri i pascoli più ch’ altrove, non è dubbio che si possono purgare i cavalli con il verde pascolo segato et con l’erbe de’ prati, il che si fa con la fraina ne luoghi più caldi. Al- cuni per purgargli dan loro dei pomi tritati et delle buccie di popone minuzzate, mescolate con la crusca. Generalmente, chi vuole mantenere i cavalli sani, minuzzato lo strame, lo dia loro mesticato con la crusca et vena, et crescendogli la fatica, se gli dia la biada pura d'avena o di orzo d'inverno, e spelda la estate. Il cavallo affa- ticato non è da menarlo subito a bere, perché è pericoloso di rappigliarsi; conviene addunque lasciarlo raffreddare prima et riposare, et poi non darglielo freddo, ma tiepido. Se ’1 cavallo non vogli mangiare et paia che abbi a fastidio il cibo, gli si stropicciano i denti co ’1 sale, et (1) rugiada è scritto sopra guazza. 161 diasegli dell’aglio pesto co ’1 pepe, tanto che gli ritorni l'appetito del mangiare: alcuni gli cac- cion giù per la gola una pezza di panno lino tuffata nell’aqqua salmastra o a posta insalata. Ma se i denti che e’ chiamono lupini gli daranno noia a mangiare, quando nascano, conviene ca- vargli fuori o segargli. Truovasi scritto che le bestie secondo che ell’ hanno da bere si pascono, perché con più appetito o con più nausea et fastidio piglino il pascolo et si nutrischino; i cavalli et i cammelli con maggior bramosia et con più suavità beono l’aqqua torbida che non la chiara, et perciò con i lor piedi sbattendo l’intorbidano; i buoi per contra l’amano che corra et limpida. È chi afferma i cavalli per quattro di comportare la sete pazientemente. Sono alcuni che d’estate pensono far bene a dar lor bere una volta avanti mezzogiorno et una altra doppo; ma d'inverno può essere assai il dar lor bere una volta sola. Il cavallo macilento si ricrierà con essere tenuto nell’aqqua a bagnarsi sino a ginocchio, et al grasso non nocerà che vi stia sino a mezzo della pancia et più. Alcuni altri affermano che non sieno da essere tenuti così sotto i cavalli, che si immollino i testicoli, et massime se sien giovini; et il bagnarsi di marzo et di primavera nell’aqqua corrente, gli renderà più agili dei piedi et sarà lor buon esercizio, durandovi a stare, perchè conferisca, tre ore al- meno et quattro al più, perché così l’aqqua rin- fresca dentro et di fuori disecca le gambe, rat- tenendo gl umori che non calino abbasso alle gambe, et reprime le galle e l’ enfiagione. Ridotti i cavalli dall’aqqua, si deono asciugar loro le 11 162 gambe con fieno attorto o paglia, perche la fum- mosità delle stalle suole indurre alle gambe molli l’infiammagione. L’aqqua è da essere approvata limpida e perenne; altri loda più che la sia aqqua lentamente corrente, delicata, morbida et torba, massimamente nata fra terra argigliosa, perciocchè questa dicono per la sua grossezza maggiormente nutrire et rifare i cavalli, che i fiumi rapidi di velocissimo corso. Niente di manco i cavalli avvezzi all’aqque chiare, limpide et furiose et più dure, si fanno più affaticati et più robusti; imperciò bisogna considerare in qual parte sia nutricato il cavallo, et secondare la sua natura, sapendo che l’aqque, quanto son più fredde, minor nutrimento danno ai cavalli, et quanto più largamente s'abbevererà il cavallo, si farà più abile ('): et perché s'inciti a bere et a mangiar volentieri et con più appetito, si dee con sale bagnato nell’ aqqua lavar lor la bocca et fregarla di sale; così ne verrà loro anco voglia et desiderio maggiore. Et perché egl è assai di gran lunga più utile prevenire i mali et riparare innanzi che e giunghino, che sopravvenuti cercare dei rimedii, per preservare la sanità et la buona temperatura a’ cavalli, osservinsi infallante- mente nel lor governo della vita le regole sopradette nel bere et mangiare et nel resto della lor cura, circa alle stalle et gl’ altri eser- cizii. Et chi vuole ch’ e cavalli si mantenghino senza pericoli di malattie et trabocco d’influenze che sogliono avvenir loro, conviene che chi è (') habilior scritto sopra più abile. ol e dr cri i a a i > 163 padrone o n’ ha la cura gli rivegga et guardi diligentemente ogni di, palpargli, maneggiargli et trassinargli tuttavia, che così sammanseranno, et si procaccerà antivedendo che non incorrino in male alcuno, stando così vicini che più presto possino soccorrerlo dei loro armadii, che non porgergli' sî tosto il fieno alla mangiatoia; perché chi dispregia et non tien conto del cavallo, disprezza et non tien conto di sè medesimo. Saragli cosa utile che ogni di moderatamente se gli dia fatica, se non sia cattivo tempo, per- ciocchè il non durar fatica et essergli negato, nuoce cosi al cavallo come ’1 dargli fatica straor- dinaria et immoderata; et più utile è affaticarlo da mattina che non da sera; nè di inverno né di estate è da dar fatica al cavallo oltre a modo, perciocchèé ne’ sudori troppo agitato et com- mosso, raffreddando di poi agevolmente s' am- mala, come avendo precipitosamente corso et indi fermarsi; per il che dopp’ il furioso correre si dee a pian passo fare andare, et non sforzarlo mai nell’affaticarsi o correre o maneggiare o tirare o portar pesi più del dovere, il che sì cognosce quando strafelano, mandon fuor la lingua penzo- lone ansando et non potendo raccorre il fiato; ond’ è che i cavalli. bolsi, sforzati a correre, cascon morti. Et in tutti i modi, quando sì ritruovano i cavalli caldi scalmanati, cuopransi bene con buone coperte, si che raffreddi a poco a poco; di poi, come s' è detto, si proccuri, che con queste osservazioni si preserverà lungamente da tutti i mali. Al cavallo stracco niun rimedio è migliore del riposo et della quiete; et del sudore, se sia gran caldo, un beverone d’aqqua 164 con semolello (') gli farà bene. Se sia d’ inverno, sarà lor utile spruzzargli la bocca con la sala- moia. Spesse volte, non si apprezzando queste diligenze et straccurandosi questi ripari, vanno a male cavalli di pregio e di rispetto. Ancora il vino e l’olio mesticati insieme, cacciatigli giù per la gola con un corno, se non voglia da per se altramente berlo, la state fresco et l'inverno caldo o tiepido, al cavallo affaticato ha rimostro l’esperienza che gli sia di gran giovamento a farlo del tutto rinvigorire; et se occorra far lungo cammino più del solito, et che si cognosca ‘che si stanchi, et paia si ch'egli non possi alzare i piedi et andare strafelando et ansando più dell'ordinario, le zuppe di pane fatte co "1 vino o con la malvagia, e "1 vino istesso da lui beuto lo ricreerà, fortificandolo et assodandolo nelle sue primiere forze. Ma avvertiscasi che al cavallo riscaldato ne ’1 viaggio o sudato non è da dar bere, ma se non sudi, et di poi si torni di nuovo a cavalcare, non gli sarà nocivo il dargli bere; ma è meglio lasciargli patir la sete che dargli bere quando è strambasciato di caldo. Se ’l cavallo sarà stallio di buon pezzo et sia stato tuttavia in riposo, non è da stimolarlo di subito a correre, nè meno cosi subito da metterlo a lunghi cammini; ma a quello et a questo è a poco a poco da dare et crescere di mano in mano la fatica. Il cavallo grandemente affaticato maravi- gliosamente prenderà ricreazione, et di modo che apparirà fresco et non adoperato, se posto in lato pulito et fuori del vento o pioggia, gli sia (1) posca scritto sopra agqua con semolello. 165 data commodità che possa voltolarsi spontanea- mente et di sua propria fantasia; et per questa cagione sarà ben fatto d’ordinare un luogo piano d’un debito spazio, copertato di terra leggieri et solla dinanzi alla stalla, che non si calpesti o guasti, ma serva per quel solo, da potersi per i cavalli subito dissellati rivoltolarsi, perciocché facendo di lor moto questo esercizio, dimostrano di star bene et del. tutto rinfrancarsi; et è da far opera che la sera i cavalli si governin bene et si nettino dal sudore et dalla forfora che egl’ hanno addosso, perchè eglino si possino quietamente riposare la notte. E ancora da av- vertire che nei cammini più lunghi et fatiche di gran travaglio non si nieghi loro di potere a lor voglia orinare, ma poco più che da un’ ora in là che si sia cominciato il cammino o la fatica, faccisi fermare, che possi scaricarsi del- l’orina, et di poi si seguiti il camminare; et perché glie ne venghi voglia, conduchisi fuor della strada, et se si possi, sopr' il litameto, et massime sopra quel degl’ ovili delle pecore; che se e’ si triboli per aver qualche impedimento di non poter orinare, bisogna fargli i medesimi fomenti che quando patiscono di freddo; et di più s’ infonda dell’ olio mescolato con vino caldo sopra le cosce (') et sopra le rene. Ancora è cosa esperimentata che giova cacciargli un pidocchio nel membro; et mettergli una cura (*) nel sesso, gli darà per farlo orinare grandissimo aiuto; le quali cose se non gioveranno, si fa un collirio (1) ilia è scritto sopra cosce. (2) smegma scritto sopra cura. 166 con sale et mele bollito insieme, liquido et sottile, et se li sospigne con lo schizzetto nella verga per i forami dei meati dell’ orina, et così s' aiu- terà a mandar fuori l urina; causerà ancora questo effetto medesimo il dargli bere del ranno fatto con la cenere delle scope, ben colato et netto. Sono alcuni che hanno per buono a ciò il cacciargli una candela di cera sottile per i meati dell’ orina nel membro; et altri gli fanno un collirio di bitume inserto a’ luoghi naturali; et molti tengono che ferendo la faccia del cavallo con un colpo della cigna che egli porta ('), non più Moneta, se gli disciorrà l’orina. La maggior cura che s' abbi ad avere al cavallo è di conservargli sani, netti et ben in ordine i piedi; questo primamente si farà con l'aver lastricato sotto nella stalla, a dove egli gli tiene, con pietre di fiume rotonde 0 puntate (*) diligentemente; accanto a questo, di chelidono, o se questo manchi, sterco di bue se gli cacci ai piedi o se gli metta del suo medesimo nelle piante, et gli stinchi delle gambe insieme se gli stropiccino con fieno et paglia attorta. Ma per far che l ugne che sien corte gli creschino, o magagnate se gli rassettino et gli ritornino al suo essere, pigliasi due oncie di capi d’agli, tre manipuli di ruta, d’ allume pesto et vagliato due oncie, di sugna vecchia due libbre a peso (#) et due menate di (1) virgozona scritto sopra cigna che egli porta. (2) aguzze è scritto sopra puntate, con un’ altra parola abbre- viata e inintelligibile. (3) pondere scritto sopra @ peso. SIDE 7 MLN ER E (I E e e go eg tO al a i = a SSR i 167 sterco asinino, et tutto sì mescola et cocendo s incorpora insieme; et con tal poltiglia s' im- piastrano l’ ugne continuamente. Avendo i ca- valli fatto viaggio, se gli deono ben nettare i piedi et in modo lavargli che e’ non vi riman- ghi loro attaccato loto né sporcizia alcuna; l’ugne si rimettono et si rifanno con l'un- guento sopraddetto, le congiunture de’ nervi (*) ancora, et l’incalcature (*) fatte dopp' il viaggio vadinsi. fomentando co ’1 vino che sia caldo; o veramente si ponga uno uovo o una coppia schiacciati nella pianta de’ piedi, et gli stinchi et le gambe si gli confortino et fomentino con la cervosa calda, o con bagnuolo fatto con bollitura in aqqua di rosmarino, salvia, timo, nepitella, isopo et foglie di rose domestiche secche. Se ’1 cavallo tenga uno de’ due piedi steso all’innanzi, et non gli tenga fermi pari in | terra, è segnale di qualche difetto o di malattia : conviene riparare co 1 medesimo bagnuolo, et se non giovi, pigliare barbe di malvalistio cotte et. pestate con sugna vecchia, et appiastrarvele sopra. Accade il zoppicare a’ cavalli o perché l’ugne per il viaggio -si son logore, avendo du- rata soverchia fatica in esso, o veramente per essere stato ferrato male, o veramente per essere stato troppo stallio, ragunatevisi masse d’ umori o generatevisi galle o per qualche altra offesa avvenutagli nelle gambe; or se egli zoppichi per mancamento della ferratura, sbatti col martello et percuoti forte con esso tutti i chiodi a un per uno, et osservando tutti i colpi a chiodo (1) articuli è scritto sopra nervi. (2) suffragines è scritto sopra incalcature. e È Sao, Asi 168 per chiodo, in quello che egli scansa il piede et rifugge d’ esser picchiatovi col martello, quivi prese le tanaglie cava ’1 chiodo fuori; o vera- mente, senza cavarlo, infondivi dell’aqqua fredda o favvi stare il piede dentro, et il primo chiodo che tu vedi che rimanga asciutto, e quel tu cavi, che sarà segno espresso che gl’ è la magagna quivi et che ivi è l’inchiodatura, et quivi con- vien medicare; et se v'è concorsa marcia in "quantità, spremasi forte et faccisi uscir fuori; et avendo fatto cuocere insieme con pece della sugna vecchia che sia ben calda, vi si coli dentro et vi si appiastri sopra; et sopratutto bisogna sovvenire prestamente et aprire con l’incastro il suolo dell’ugna, affinchè per le parti di sotto, se vi sia apostema, si smaltisca et consumi, acciocche non facci rottura per le coronette del piede, la qual cosa poi ricerche- rebbe assai più lunga et più difficil curazione. Et questo con un segnale si può comprendere, per- ciocché egli poserà forte in terra il piede di- nanzi; ma se egli lo terrà sospeso in alto, bisogna radere il pelo; et premerrai et batterai co ’l dito il luogo che tu vedi essere più trito di tutti gl altri; et se vi si cognosca fermato il dolore, et sia maturatavi la marcia raccolta, tagliavi, dandovi una puntata con la lancetta, et spremi et manda fuora tutta la ribalderia concorsavi, poi cura et sana la piaga, ponendovi sopra, fasciata, cenere, sale et olio fatti bollire bene insieme; poi, come cicatrizzi, con butiro lavato ugnere intorno et sanarlo affatto. Se ’1 cavallo zoppichi dalla banda di dentro (') et (1) in dentro è scritto sopra banda di dentro. ”. IT SG MATTO PR LT e RR, 0, RAR pt nn i ala ei Di z i 169 non s'aggravi se non in su l'estremità, è segno che gl’ ha male nell’ ugna; ma se con tutt’ il piede equalmente calchi la terra, è segno che egli ha male altrove che nell’ ugna; et zoppi- cando senza piegare le giunture, dimostra che e’ vi sia l'offesa intorno alle congiunture. Gene- ralmente, se ’1 cavallo va zoppo, piglisi della canapa con l'albume dell’ uovo et fascisi in- torno al piede, et di poi si ferri. Se ’1 cavallo, in qualche modo percotendo o incontrando cosa che tagli, resti ferito, prendasi fuliggine bene abbrustolata, di quella che resta attaccata ai paiuoli di rame, posta a seccare et mescolata con polvere di scorza d’ostriche, et mettavisi sopra, che risanerà il taglio; o veramente vi si ponga sopra dell’ albume dell’ uova con filiggine et aceto mescolato, et questo risalderà ogni ma- scalcia che vi resti. Alle crepature che vengono al piedi dei cavalli, o per causa del freddo patito o per qual si vogli cagione e difetto, et è un vizio che accade tra le giunture e l ugna, a similitudine della scabbia, e nasce per cagione del fummo dei litami della stalla e da umori che procedono dalle gambe bagnate, a questo s appartiene la cura medesima che alle grappe, che quest’ ancora è un vizio che rompe le carni nelle giunture dei piedi, generando marcia. Addunque sbarbati con le mollette dalla radice i peli, lavisi il luogo con la cervosa tiepida o bagnuolo fatto di buon’ erbe, o aqqua semplice di decozione di malva, o la malva mescolata co ’l zolfo et sepi (') di castrato, bollita insieme la (1) del sevo scritto sopra sepi. 170 qual sustanza, sì leghi et fasci alle giunture mattina e sera; o veramente col sepo (') di castrato o di becco, con della sugna e verde rame (*) o zolfo vivo, bolo, sapone, o vero con lo smegmate cotti et incorporati, fatto un un- guento, si dee ugnere due volte il di, et lavare con il vino tiepido; di poi asciutto ’1 luogo affetto bisogna untare di nuovo; et si tenga guardato che non tocchi l aqqua. Ancora le feccie del vino si mettano a guarir le crepac- ciuole; l’ enfiagioni delle galle e dei loro ingros- samenti nelle gambe con il taglio e con i cau- terii si curano ; alcuni sono che credono che se ’l cavallo spesso si conduca ,et facci stare nel- l’aqqua fredda et corrente, le si ristringhino o rientrino in dentro; ancora il lavare con sale, aceto, sugna e olio incorporati insieme, legan- dovi su questo impiastro, suole guarirle, o vera- mente avendovi tagliato con il raschiare (*); ma sopratutto co ’1 dar loro il fuoco di fuori con . argento roventato o rame si curano. Se gl’ averà fatto la sella un guidalesco o qualche enfiato, o che in qualunche modo se l’ abbi offeso, piglinsi delle cipolle cotte. nell’aqqua bollita, et così scottanti, quanto può sostenere il caldo quella pelle, si ponghino sopra l’ enfiato, et lascinvisi stare, che 'in una notte leverà quella enfiagione; ancora lo stropicciare et strignervi sopra il rosso dell'uovo con sale stritolato et aceto le dissec- cheranno; di più, l’ erba piperitide pestata, se ne (1) sevo scritto sopra sepo. (2) ere viridi scritto sopra verde di rame. (3) scarificare scritto sopra tagliato con il raschiare. I trae il succhio et con essa impiastrando a dove è l’enfiato, lo ritorna indietro al suo essere.. La spalla che gl’abbi ferita, vi s' aggiunga al burro lavato della cervosa et si medichi, che guarirà; et se fosse stato morso dal lupo, il che è bonissimo segno per il cavallo, non andando egli mai al più tristo, vi s' aggiunga un poco di pelo del lupo et con quello si curi. Avviene ancora ai cavalli una malattia chiamata stena- coriasis, altri la chiamano sincopa, la quale se gl’avvenga, si gli strigne con una morsa l’ orec- chio, et dove finisce l’ estremità dell’ orecchio si taglia con la lancetta da cavar sangue o con uno scarpelletto accomodato a ciò; ma bisogna avvertire, in facendo questa operazione, che una vena che è un poco sopra, un po’ grossetta, non si tagli. Se il cavallo sudato et riscaldato venga offeso dal bere et dal mangiare, si che divenghi rappreso (altri domandono questo male infusti- gazione o. distensione), gli sarà a rimedio d’ una donnola (') minutamente tagliuzzata la pelle, aggiungendovi butiro fresco et un uovo guasto ‘con aceto; et ogni cosa incorporata insieme se gli cacci in gola con un corno; et poi gettargli addosso una coperta bagnata e lasciarvela stare tanto che si riscaldi. Credesi che ai cavalli et ai muli sì sani il dolor del ventre et degli inte- stini con la sola veduta dell’anitra, et di veder che nuoti. In mezzo all’ estate, quando fiocca il caldo et le mosche assediano i quadrupedì, bagnisi loro il pelo co ’1 succhio delle foglie della zucca, et non gli daranno noia. (1) mustella scritto sopra donnola. 5 1 Ò dro Ù Ù Aa E Tg ri p 59 172 Sogliono i lombrichi affliggere l’ interiore dei cavalli; il segno manifesto di questo è, se scontorcendo il collo si guardino il ventre, et se spesso si scrollino et se lo mandino et git- tino in quà et in là; presentaneo riparo a questo sarà il corno del cervio trito o ver la savina, et tutto mescolato con aceto mandargli con un corno in gola; ancora gli gioverà fargli cacciare una mano nel sesso et cavarne fuor gl’ escrementi, et appresso a questo lavargli il forame con l’ aqqua marina o con la salamoia. La reuma o ’1 catarro fa ’1 cavallo pigro, acci- dioso et languido, maninconoso et. dolente; bisogna sovvenirlo (sebbene con questo malore sopporta d'essere cavalcato, e ’1 durar fatica mediocremente gl’ è più tosto d’ utile che di danno) con dargli continuamente da bere aqqua calda mescolata con crusca, cavata dalla farina di grano; et quanto più manderà fuori di quelli sornacchi et sputerà dei mocci, tanto più n’ arà di meglio. O | i Sono certi mali incurabili,. ch’ avendogli i cavalli et apparendo manifesti, le leggi han provvisto che la lor vendita storni; et questi sono: quando hanno l’asima, quando abbon- dano di fiato assai, rifiatando (') più del do- vere, quando sono lunatichi, quando hanno il male del verme; et questo, quando ser- pendo arriva per fino ai testicoli, non può medi- carsi. Aggiungesi a questi quel della formica, le galle intrinseche et di dentro corse. Affer- mano molti, che non possi curarsi l’asmatico, (1) Ralitando scritto sopra rifiatando. side ‘173 per essere un male simile a quel del tisico che avviene all’ uomo; ma se da principio con tutto . ciò altrui se n’ accorga, se gli sovverrà, sapendo che nei malori che dependono da secchezza è cosa contraria il cavar sangue. Deesi addunque ugnere tutto '1 corpo co ’1 vino et olio mescolato insieme ben caldo, et stropicciando al contrario il pelo si sfreghi per tutto, et dal primo di se gli dia da sorbire questa bevanda: succhio d’ or- zata (*), grasso di porco rimesso et amido cavato di passo (°) delicato; et cotto insieme tutto et incorporato se gli dia, spingendolo giù per le canne della gola per un corno, affinché dalle canne della gola et dalle mascelle quella massa collegata insieme si discioglia et dilati; il che fatto, si dia ordine di fermarlo in lato caldo, et quivi governandolo al solito, si potrà sperare che guarisca. Ancora gli gioverà l'orzo in erba, et erba verde che contemperi la secchezza; et facendo una bevanda di passo et d’ uova crude et burro, incenso et gruogo, et di cose dolci che mitighin l’ asprezza, gli gioverà assai; in que- sto mezzo tempo ancora conviene ugnerlo, come si disse. Il lunatico si cava lor dalla testa, ca- vandogli sangue da una parte delle tempie, et a questo effetto ancora ciascheduno di sì cura dalla banda di fuor l'occhio con un fomento caldo; et per dentro curisi con un collirio ter- matico agrissimo (*), ugnendovi per parecchi di. Alla scabbia et al pizzicore, si mescola delle (1) ptisana scritto sopra orzata. (9) amilum (cosi per amythum) ex molli passo scritto sopra amido cavato di passo, (3) acerrimo scritto sopra agrissimo, ca ini VRSCE vo n î su 174 canterelle con la ruggine, et s'ugne; più ap- presso, con un ferro roventato o padella si riscalda il corpo del cavallo. Altri due volte il di lo lavano con l aqqua calda, et poco doppo, avendo cotto con sale trito della sugna o grasso di porco o lardo, attendono a soffregare tanto che duri a uscirne la marcia; ma nel principio gl è di salutar rimedio untarlo co ’1 grasso di vitel marino. Ma se la sia invecchiata, bisogna fargli rimedii assai più gagliardi; et si compone insieme bitume, zolfo, pece liquida, sugna vec- chia, per ugual porzione, cocendo tutto et fa- cendo incorporare, si mette in su la rogna, la quale secca, vi si strofina sopra pece liquida e olio; et dove sia fatta piaga, vi si soffrega con la filiggine cavata dal paiuolo. A molti più che assai mali dei cavalli e dei buoi porge salutar rinedio la radicula chiamata cosilegine et pul- monaria, inserta alla pelle del petto, avendovi fatto prima un pertuso con un punteruolo; et a tuttii mali dei cavalli fa approvatissima cura et remedio la centaurea, l’ assenzio, il peuce- . dano, il sermollino, il sagapino, la bettonica, la sassifragia, l’ aristologia rotonda, di pari misura peste tutte insieme: et guarda se’l1 cavallo ha febbre, e se ha febbre daglile con aqqua, se non ha febbre diasigli a bere con ottimo vino; et a ciascheduno se n’ ha a dare un boccale (') con aqqua o con vino, cocendovele dentro, mesti- cando ne’ maggior vasi di terra che s' abbino; et si mescoli di nuovo bene, et se gli cacci con «un corno per le canne della gola. (1) sextarius è scritto sopra boccale, 175 Gl antichi non appruovano che sì cavi sangue (') agli animali quadrupedi senza ne- cessità, affinché la consuetudine di scemargli sangue, dimessa per un tratto, non gli facesse di subito venire qualche malattia. Più diritta- mente addunque agl’ animali della minore età et che siano sani non è da essere cavato sangue, se non dal palato, e a quelli che sono di matura età non è cosa sconveniente cavarlo loro, quando si mandono fuora a pascere ne’ lor pascoli; ma bisogna avvertire che nel fare questa operazione (°) non s' aggravi troppo la mano et si sospinga la lancetta troppo profonda. Omninamente ai cavalli castrati non sì dee sminuire il sangue; ai cavalli barberi affermano non essere già mai da fare medicina alcuna. Al cimurro sì rimedia con il fare una coperta al capo del cavallo che lo cuopra bene per tutto, lasciando apertura dagl occhi et sfesso dalla bocca; appresso a questo tengasi in lato caldo, danilogli a mangiare cose dalia: et si lasci qualche volta pascere erbe corte, perché stando chinato con la testa gli scoli l' umore per le narici; ancora un suffumigio di bambagia per le narici gli gioverà. Aiutano questi rimedii a andare in là con meno molestia, ma non sa- nano dell’ intero. Ai giardoni che vengono ai cavalli, cagionati da più occasioni, si rimedia co ’1 dar lor fuoco, curando la scottatura con butiro lavato, et confortandolo con bagnuoli; (1) deplere è scritto sopra si cavi sangue. (2) Sauro bruciato chiaro scuro è scritto, senza nessuna relazione col testo, sopra le parole avvertire che nel fare questa ecc, LETALI 176 et subito inceso con rame o argento rovente, vi si ponga sopra della bovina mesticata con aglio pesto. Finalmente assai più che molti altri mali si ritruovano, dai quali sono infestati i cavalli, et in tanto numero, che alcuni sono che hanno . scritto che ai cavalli vengono tanti mali quanti agl uomini, eccetto che le gotte; a tal che alla più parte d' essi sì possono applicare i medesimi rimedii, triplicando sempre et qualche volta quadriplicando la dose, facendo buono il dettato commune, quando si dico: medicine da cavalli. [Così in fondo alla carta 103. verso finisce questo Lungo capitolo dei Cavalli. Le carte 104. e 105.* sono bianche. Riprende il testo a car. 106.* recto.|] Il Mulo. Quanto sia desiderosa et vaga la Natura di variare, oltre a infinite diversità di cose, lo di- mostra chiaramente la nascita che ella ha ordi- «nato per i muli; et ancora nella loro generazione ha voluto vicendevolmente essere varia, quando che e’ gl’ è piaciuto che di cavalla et d’asino nasca il mulo; et così per contra di cavallo et d’asina naschi il medesimo mulo; et non pur .d’ asino domestico ordinario, ma di salvatico ancora; che nelle selve di Polonia se ne ritruova quan- tità, et per saporita carne si mangia, in caccia ammazzato; ammansato poi lascia quella fierezza, et i di lui nati muli mantengono quella fortezza et gagliardia et prestezza che hanno più dei domestichi. Quelli che son natj di cavallo et —d’asina rappresentano più la somiglianza della madre che del padre; et quelli che nascono d’ asino et cavalla, come che somiglino più nei costumi et valore la madre, sono più pregiati di quelli; et i dependenti dai salvatichi nella terza o quarta generazione s affanno coi più lodati, et sempre sono più veloci dei nati dei domestichi, et. massime per correre le mule, et tuttavia di più soda ugna et più dura, et d’ a- nimo indomito, ma generoso. I muli poi et le mule congiunti insieme non generano, per la contrarietà del seme genitale, che non s' affà l’uno a l’altro; se ben si truova scritto che in Siria et in Affrica le generano, come gl’ altri animali fanno per tutto. Dicono altri che elle non partoriscono né tampoco possono partorire, 12 178 | perchè gl’ animali razionali generati di due diverse spezie sono mostri: et questi participano della natura dell’ asino et del cavallo, perché rassomigliano di fortezza il padre, di statura le madri, poiché è più largo di petto e di schiena et di groppa, et più grosso di collo, di gambe et di tutta l ossatura più dell’ asino; l’ orecchie dell'uno et dell'altro rattengono, chè non l’ han così lunghe come l'asino, né sî corte come la cavalla: dalla quale assomiglia in tutto agl’ oc- chi tondi et rilevati, come all’ asino che gl’ ha altrettanti. Ora, per far buona et bella razza di muli et mule, è da eleggere il meglio fazionato asino che si ritruovi, di valore et forza appro- vato per molt’ uso; et tale sarà quello che sarà - di grande et foggiata statura, d’ ampio corpo, di colla sodo, di coste robuste e larghe, di petto pien di musculi et grande et traversato, di fianchi musculosi, di gambe diritte ben anno- date insieme, di giunte corte, piè rotondo, ugna soda et densa, di coda forte et salda, che a fatica volendo con la mano alzarla si possi, et di testa et occhi grandi, et di mantello nero et macchiato, perché ’1 topino bigio è negl a- sini troppo ordinario et più fiacco, et i muli di tal colore da tutti sono biasimati. Non man- cono chi dica, che voler averlo di quel colore che altrui desidera, si cuopra lo stallone con un mantello che se gli stenda addosso per tutto di quella fatta. L'asino, come si disegni che abbi a riuscir per stallone, tosto che sia nato conviene levarlo di sotto alla madre, et metterlo sotto a una cavalla che non lo cognoschi; et 19 la cavalla s' inganna in un lato scuro et buio, tolto via il proprio parto, et un altro, quasi che sia nato di quella, si nutrica; al quale di poi, quando di dieci di si sia avvezza la cavalla sin prima, da quivi innanzi a questo che gli sarà destinato darà la poppa. Di questa maniera nutricato lo stallone, s avvezzerà a innamorarsi et voler bene alle cavalle. Talora, benché sia nutrito co ’1 latte materno, può da piccolo, con- versato con le cavalle, pigliare familiarmente la pratica di quelle et appetirle. Ma gl asini nostrali non hanno bisogno di questa manifat- tura, perche da loro istessi sono appetentissimi del coito, et volonterosi vanno ad ammontare le cavalle, avendo egli più parte del membro genitale che non si gli viene, alla proporzione della vita; ma non si mandi alla monta prima che abbi finiti tre anni; et ciò si dee fare alla primavera, quando si abbi a poter poi confer- marlo con la verde pasciona abbondante, ta- gliata d'orzo et di vena. Nè s' ammetta alla tenera femmina, se prima la non si sia assue- fatta a cognoscer lo stallone, ch’ altramente la lo ributta con i calci, et da sé scacciato ingiu- riosamente lo rende inimico all’ altre cavalle; et affinché questo non segua, se gli mette ac- canto un asino ordinario di poco pregio, che vadi a’ versi della cavalla, et lo vezzeggi; et come si vede che e’ se gl’ accosti per ammon- tarla et lei stia ferma, subito levatolo, si pone in suo luogo il vero stallone, et si lasci ammon- tare, in luogo fabbricato a questo effetto. Fan- nosì due muri aperti dall’ entrata et uscita quasi lun dall altro, tanto stretti, quanto sia IRPTTÀ Se; 130 la capacità degl animali, perché non possino urtarsi insieme, e ritirarsi la femmina di sotto lo stallone, o rivoltarsi per rifuggirlo; il piano del terreno vi si fa a pendio, et dalla parte dinanzi più bassa si mettono certi traversi di legno, congegnativi di modo che non possi la femmina dare innanzi; et quivi incaprestata si tiene la cavalla ferma et bassa, perché meglio riceva il seme genitale del maschio, et dia la salita più agevole dalla parte più bassa nella più alta allo stallone; benchè in ogni luogo che cali, dove lo stallone abbi un po’ di van- taggio, senza questo travaglio alla campagna si fa montare lo stallone, et fa bene. Da che è conceputo il parto, lo portano dodici mesi et talvolta sino in tredici, et si lascia il sequente anno vota, perche meglio possi allattare l’ al- lievo, sendo più utile questo che dargli ogn’ anno lo stallone. Il mulo è più atto a portar la soma, la mula a questo è buona et più agile et più espedita a far cammino, et l’ uno et l’altra va bene et tira l’arato, come i cavalli ove s usi o non son buoi. Ma perché i muletti et mulette, passati sei mesi (altri tengono sia meglio in capo al- l’anno, non guardando a quello) per il dolore che danno alle madri nelle poppe non gli deono lasciare lattar più, è bene mandargli con esse sempre, affinchè entrando in pastura l’ avvezzino a pascere come loro, et acciocché, veggendosi negare il latte, possino mangiare ben l’ erbe. Mandinsi adunque così insieme a pascere in montagne sassose et erte, et maggiormente per- ché in questi luoghi, pur che vi sia pastura, 181 non temeranno l’ essere ritirati dal latte, et di- verranno più fatticci et gagliardi, mangieranno ‘con appetito maggiore, et più tosto si potranno sottomettere alla fatica; alla quale, o sia per essere di cavalcare, di tirare o di portare, indu- gisi sin che sia finito il terzo anno, et poi si dia loro a poco a poco sin che passino i quattro, che cosi comportandogli si faranno migliori et più dureranno, e a quel tempo potranno, qualun- che ella sia, sostenere. Le mule sono più paci- fiche et più manse che non i muli, et men viziose et di noia, ma tutti sogliono serbare i calci al padrone doppo venti anni; perciò si dee loro star sempre avvertito d’attorno, senza mai assì- curarsi di dietro, comparendo tuttavia loro dai lati o dinanzi. Il difetto di tirar calci si leva loro, dicono, con il dar loro del vino a bere, che tanto è a dire, et così credo s' abbi a inten- dere, quanto far loro carezze; et ciò si dee fare da piccoli, et questo è il rimedio; come quando si domano si vadi con le buone, et si vezzeggino nel por loro il basto o sella, dando lor la fatica e ’1 peso a poco a poco; et in mettendo loro il basto da prima o un sacco ‘a traverso pieno, leghisi un piè dinanzi alla coscia di dietro, ma a contrario, come è legare il destro dinanzi al sinistro di dietro, et così l altro. Possonsi usare i muli et le mule in tutti i paesi, perche vanno bene per il piano et non rifuggono il monte, et a girare argani, come quella che [dà] tanto aiuto al palazzo de’ Pitti; et prima fu celebrata dagl’ Ateniesi, che in loro onorate fabbriche tanto s° adoperò. 182 Visse, si truova scritto, un mulo ‘ottanta anni; di settantacinque s’' è veduta la. mula di Papa Sisto m portar con le coppelle l’ aqqua del Tevere per Roma; et in guerra sì servi d'un mulo Pietro Farnese. Tirono il cocchio et s' a- dattano acconciamente a correr le poste. La statura della mula bella et buona conviene che s assomigli al granchio, ciò è grossa et tonda di corpo, di gambe sottili, piè piccolo, groppa larga et piana, petto delicato et ampio; di collo lungo et arcato, di testa asciutta et piccola; gl orecchi sieno proporzionati, la coda lunga, grossa et attaccata forte; grande et alta di sta- tura ('), grossa et informata bene. Il mulo dee avere le gambe grosse et tonde, il corpo ristretto et sodo et la groppa che penda verso la coda; questa attaccata forte; la schiena sia nel mezzo alta et arcata all’insi et non mai piegata in selletta. Il colore cosi di quella come di questo morello bene; ancora il castagno e ’1 leardo scuro non si disloda. Desiderano quelli da ca- valcare il governo dei cavalli, et quelli da portare, come i cavalli, d’ essere tenuti netti et puliti et qualche volta stregliati et sempre stropicciati. L’orzo et le fave si danno per cibo ai muli di fatica di viaggio, una volta il di, la sera, finito quello; et tuttavia buona paglia da strameggiare. L’ugne dei muli trite, poste ad abbruciare sopra ad un caldano di brace dove sien topi, con l’ odore gl’ ammazzano, morendo mentre fuggono. Se l’ asino infuriato (1) Sopra statura è scritta una parola che non sono riuscito a leggere. ° 183 si mettesse a mordere le cavalle quando l’ha a montare, affatichisi alquanto et ammanse-. rassi, fatto tosto piacevole per alla monta. Sono in Italia lodatissimi i muli del contado di Narò in Regno, et i Savoini; degl’ oltramon- tani i Franzesi; et in Spagna sono vantaggiati i muli e le mule, et queste perfette in Sicilia, fuori che quelle che essi domandano Scantole. Sono in Piemonte et altrove muletti piccoli di gran forza, la quale razza si fa dalla piccolezza dei padri et madri del paese; i quali quando sa- ranno o grandi o piecoli eletti, rati in bontà et fazione, per tutto riusciranno a far razza nobile et bella et buona. Non lascierò in dietro di dire, che facendo coprire a un toro ben fatto una cavalla o una asina, nascerà un mulo non di gran vita ma di gran forza, come il cane lupino. Ingannansi le madri sotto il toro con coprirle con una pelle di vacca fresca scorti- cata, congegnandovi anco dritte le corna; et talora senz’ altro a cavalla che aspetti va il toro volonteroso a coprirla; et concependo, sì chiama poi quello muletto torino, che di fat- tezze et forza riesce sempre più bello et migliore dei nati ordinariamente. [Finisce il capitolo dei Muli a cart. 109. verso, în fondo. Le car. 110. e 111.° sono bian- che. Il testo riprende a car. 112. recto.] 184 Il Cammello. Non è dubbio che tutte le sorte degl’ ani- mali sono state create da Dio a vario uso et commodità dell’ uomo, et il cammello fra questi, per servire a trasportarlo da luogo a luogo, con robe di gran peso, come avviene nelle parti d’O- riente, ove nascono et s'adoprano senza uguali, . portando et loro et lor pesi et carichi estraordi- narii; et perchè sono bene di lor natura dome- stichi et agevoli, ma che con la altezza della vita ‘superano la statura dell’uomo, perché a caricarsi et salirvi su sieno agevoli, ad un cenno s'inginoc- chiano, ripiegandosi sotto verso la parte dinanzi . le ginocchie di dietro, le quali da questa banda hanno doppie, dove l’asino e ’1 cavallo e gl’ altri animali n’ hanno solamente due; et queste a uso dell’uomo le raccogliono et ritirano come le gambe umane. Per ricevere ’l peso del carico facil- mente, et per tenerlo da ogni banda eguale, [la Natuta] ha generato nella vita dalla parte di sopra della schiena una gobba assai ben alta; hannone i Battriani due in su la schiena, et li d’Arabia un solo, et nel petto un rilevato, ove s appoggiano, urtano et sospingono et s'aggra- vano, et gli uni et gl’altri con i denti soli di sopra come i buoi; et tutti in queste terre si servono delle spalle dei giumenti, et cosi ancora nel salirvi su a cavallo nelle guerre. La velocità è compartita secondo la sua mi- sura tra loro et i cavalli, si come la gagliardia delle forze; né camminan più spazio di quello che e’ sono avvezzi, nè più del solito vogliono ER EER TRO VECTOR PIENE, ST NI O PORTO ME NI N I 185 essere aggravati della soma. Portano a' cavalli odio naturalmente. Per quattro giorni interi. comportono la sete, et quando del bere hanno l'occasione, beono per la sete del tempo pas- sato et di bere si forniscono per l’ avvenire, avendo prima, co ’1 calpestare il letto del- l’aqqua, intorbidatala; in altra maniera non giova loro, né s' allegran del bere. Oltre a quello che dan loro le pasture et quello che traggono da’ boschi, si satollono volentieri d’orzo et di vena mesticati co ’1 sale. Usano il coito come i lio- fanti, tigri, leoni et conigli, voltandosi le natiche l'uno all’altro, avendo come loro i membri geni- tali volti al contrario. Cercano le foreste solinghe per ammontare, né ciò può vedersi senza peri- colo. Portano ’1 parto dodici mesi, ingravidan- dosi non prima che di tre anni, et alla prima- vera dan fuori l’allievo, facendone un solo come - tutti gl animali della maggior statura, allat- tando mentre di nuovo son pregne. Il cammello, per instinto naturale, come i cavalli, né con la madre né con la sorella, quasi cognoscendo la strettezza del parentado, s impaccia. Pascendo ne’ monti Battriani in compagnia dei porci salvatichi, la cammella coperta da essi concepisce, et si genera il cammello che ha due gobbe in su la schiena. Così viene a crearsi una terza specie, come dei muli che mascono d’asina et cavallo, e cavalla et asino; ma il cammello nato di cignale rappresenta in molte fattezze la somiglianza del padre, come al pelame et alla gagliardia delle forze, et al non sdrucciolare cosi agevol- mente ne ’l loto, ma da per sé stesso con la 186 sua robustezza drizzarsi in piè; et a compa- razione dell’altre sorte cammelli.... sono doppio peso. Le cammelle che si disegnano per l’uso della guerra si castrano, diventando più forti, levato che sia loro l'essere montate; ma in qual- che modo sono sottoposte alla rabbia. Vivono cinquanta et cento anni, et in Italia comoda- mente si comportono, come le giraffe che di lor razza [sono]; e ancora il camelopardalo, con i piedi et gambe di dietro simili al bue, quelle dinanzi et il capo simili al cammello, il collo ha di cavallo, con bianche macchie divise da ‘rosse ('); altri dicono ch’ egli ha il color varie- gato come i poledri (*), con il pelo vergato briz- zolato, con il collo diritto che lo porta alto come lo struzzolo, co ’1 cucuzzolo del capo un poco più alto del cammello. In Etiopia gl’ Abis- sini con le lor moglie che seggono in su le ceste (*) et figliuoli, gli caricano a molto sconcio peso nei lor cammini, mutandosi da luogo a luogo. Il Bufalo. I bufoli, cosi i maschi come le femmine, tirano grandissimi pesi a par dei buoi, et d’av- vantaggio, ma non resistono a durar fatica come loro, et massime ne’ caldi, perché si strafelano, et vien loro l’assillo come a quelli. Dilettansi di pascere in lati umidi et pantanosi, ove spesso (1) rutilus, scritto sopra rosse. (2) hinnuli, scritto sopra poledri. (3) clitellas scritto sopra ceste. RO e Vit TREE e po e n e AE }, ei 3 ° È : 187 possino attuffarsi nell’aqque, per il che pare che tenghino della natura del porco. Gl’antichi gli. addomandavano bisonti. Sono di color nero, pelo rado e minuto, di gran corporatura, di gambe raccolte ('); robuste e corte, se si riguarda il resto della lor proporzione, gran corne et scan- nellate per traverso; maneggiansi con l'aver passata loro una campanella di ferro per il naso; non possono patir la sete; temono i fuochi, si spaventano agli strepiti et rumori; partoriscono et si montano, come s'è detto delle vacche e tori, et similmente si castrono; son buoni et si affanno alle colline, spiaggie, luoghi bassi et piani più che al monte. La lor carne è umidis- sima, usasi mangiar arrosto et per lo più in polpette, dei gioveni, come a Velletri, dove si condussero certi medici per i malati da questo cattivo cibo, pensando d’aver quivi a far bene - i fatti loro; ma scorto che lo componevano et preparavano con assai quantità d’aglio, dieder volta a dietro, dicendo che quegli abitatori avevano ritrovato la teriaca. Con tutto ciò è malissimo sana, generante cattivi umori. Com- porta nel governo la straccuratezza dell’ asino. S'adoprano per Italia nei luoghi di mare et di là da’ monti. Il Cane. Si come a tutte le fatiche dell’ operazioni della villa conviene eleggere uomini assuefatti a quelle insin dai teneri anni, con esse indurati (1) compactis è scritto sopra raccolte. 188 nel crescere, et per esperienza cognosciuti buoni lavoranti, accostumandosi sopratutto di dire che s hanno a pigliare i medici vecchi et l’ opere gioveni, cosi per guidare alla pastura et gover- nare, ben guardare et tener difesa et sicura tutta la generazione delle mandrie, greggi et armenti grossi et minuti, vaccini, cavallini, pecorini et caprini, conviene similmente eleg- gere uomini ferrigni, possenti et gagliardi, indu- rati et assodati nelle fatiche et disagi, a guisa dei martalossi che dormono in su la neve, avvezzi notte et giorno, verno et estate, di dimorare alla campagna, I pastori Svizzeri et Alamanni sono di robustità et pazienza tali. Deono eleggere per lor vestito le pelli bianche et anco i cani bian- chi, essere gioveni anzi che vecchi; et quello rispetto alle nevate. Fassi la polenta per i pastori di farina di miglio, tre libbre insin in quattro per la mattina et altrettanto per la sera; di grano si digerisce più tosto et fa minore ope- razione. Ponsi nel calderotto che bolla con sei libbre di aqqua, facendovi tre tagli in croce con un bastone tondo, affinché più agevolmente passi in cima; et come per il bollore rigonfi et si distacchi dal fondo, levata dal fuoco si dimena intorno benissimo, sin che sia detta rotta et assonata; di poi cavatane si tagli in pezzi sottili com’ il burro con un filo, poscia si mangi calda con cacio et ricotta salata. Accanto a questo, poi che i cani usciti di buona razza et paese fan più sicura la guardia della casa della villa et degl’ armenti, sono da eleggersi di quelle parti dove son soliti gene- rarsi di questa maniera, et di così fatti tener 189 forniti i buoni et valenti pastori per difendere il lor bestiame dagl insulti de’ ladri et dall’ af- fronto degl orsi et dei lupi. Tali addunque sa- ranno di Corsica, d’ Inghilterra, et gl Alani et di simil luoghi di donde esca la spezie dei Ma- stini, i quali talora sono interamente di questa spezie et talora bastardi; et quelli et questi pare che per guardia della villa et del bestiame et per più gagliarda difesa sieno da essere a tutti gl’ altri anteposti, et massime quando sieno av- vezzi da piccoli a non si partire dall’ armento, che sempre seguiranno le bestie et le guarde- ranno, si come i destinati alla guardia di casa et delle possessioni, instituiti dalla culla a questa cura (perché il cane d’ogni sorte è il più docile, obbediente et timoroso animale che sia) già mai non l abbandoneranno, et tutta notte vegliando et scorrendo faranno segno d’ ogni minimo mo- tivo, perseguitando chi volesse offendere o assal- tare la casa o attraversare la possessione. Eleggasi addunque per questo affare della guardia della casa tutto di color nero, affinché possino offendere senz’ essere offesi, il che av- viene, non essendo veduti per il colore del buio; sia di gran corpo, di forma quadrata anzi che lunga o corta, di bassissima voce et chiarissima, affinché con l’ abbaiar forte scuopra et con la vista atterrisca chi tenda insidie; perciò abbi gran capo con occhi infocati et sfavillanti ('), o ravi o gialli (*), muso nero et che quel labbro di sotto sia coperto et soprapposto (*) da quel di (1) radiantes scritto sopra sfavillanti. (?) glaucis scritto sopra gialli. (3) neque resimes superius, è scritto sopra soprapposto, WEPSRIAP A PIBRIERITY SISTER TI RO EE IMA pe INTERI rieti tà ta FAT PIE 190 sopra, nè che si riversino pendendo all’ingiù; palato nero, ricto ampio, mento schiacciato (') et da quello due denti nati dalla destra et sini- stra che eschino un poco infuori, et quei di sopra diritti più tosto che piegati (°), et aguzzi i corti ricoperti dal labbro; aspetto di lione; petto pieno di velli (8) et ampio, spalle larghe, gambe grosse et la zampa ampissima. I costumi suoi non sieno nè di troppo crudele né di troppo benigno, affinche non sia adulatore a’ ladri et morda quei di casa, massime quando è desto a vegliare; né vadi discostandosi dalla villa, ma “circondando all’ intorno ricerchi tutto senza partirsi da’ confini; nè sia temerario, ma cir- cumspetto, affinche non abbai vanamente et per niente. Ne importa che sieno corridori i cani da villa, perché più d’' appresso che da lontano hanno a far pruova et prevalersi delle lor forze; et si deono tener nel lor ristretto, che con sa- gacia et con bravura assalti chi viene, et con l’abbaiar fortemente gli scuopra et impaurisca. Mantengasi tuttavia in buono essere, né troppo vecchio né troppo giovine, maschio più che femmina, perchè queste si perdono dietro la seguenza dei cani, et castrate son buone a legare di notte, et di di sciolte. Per le pecore poi et capre et altri armenti scegliasi di color bianco il Mastino, affinché di notte si scorga più agevolmente et facci differenza alle pecore del color del lupo, il quale, anco meglio cogno- (1) suppresso scritto sopra schiacciato. (?) brochis scritto sopra piegati. (3) villoso scritto sopra pieno di velli, e pile ia de gear a aerea n a È pag SC Lei a e 1 PE i da Lh- x De 9 00 é e. 191 sciutolo di questo colore, più facilmente lo fug- girà o canserassi dal fargli offesa, sapendo che - questi si lasciono sempre sciolti, et quelli di guardia di casa il di legati e la notte liberi. Siano i Mastini di gran capo et grosso, che col collo occupi quasi la terza parte di sua persona, gran bocca e larga, le ciglia grandi, arcate, pelose et arricciate, orecchie grandi et stiano penzoloni, gl’ occhi rossi rilucenti et vivaci, di penetrevole et corruccioso abbaiare, largo petto et peloso et larghe spalle, il collo grosso, le giunture dei membri lunghe, i piedi e l’ugne larghe, grandi e dure, con li diti lunghi ben compartiti et che posin bene in terra; di corpo grosso et raccolto, ben disposto et. conguagliato, quadro et non lungo, le gambe dinanzi grosse et pelose, le anche di dietro muscolose et spor- tanti in fuori, con larga groppa forte et diritta, - schiena annodata, le gambe grosse; la coda grossa e corta è segno di gran forza, la sottile e lunga è segnale di più agile e leggiero. Le cagne abbino le fattezze uguali a’ cani; ma le mam- melle in loro et i capezzoli sieno uguali et numerosi. Gl' altri cani da pecorai che non sieno Mastini vogliono avere questa fazione, perché sia robusto et valente a combattere et anco al corso, per poter rincorrere et affrontare il lupo: che sia di corpo più tosto un poco lungo che quadrato, che abbi il capo grande, leggieri, ve- noso, con l’ orecchie grandi e larghe, lunghe et che pendino all’ ingiù; i nodelli delle giunture dall’ uno all’ altro lunghi, basso coi piè dinanzi, alto con quelli di dietro, ma tutti diritti et 192 grandi che entrando in un luogo si snodino ('); l’ugna dura; i talloni delicati, non troppo duri, nè molto pieni di carne, in sommo dei membri genitali, co ’1 corpo (*) ristretto, e ’1 filo della schiena ne troppo rilevata. in alto né troppo bassa; i fianchi non così concavi et sfossati, ma che si combacino per traverso (*); l’ intervallo delle spalle lontano l’ uno dall’ altro, le natiche rilevate (‘) et sopra la coda larghe; il resto delle fattezze abbi come il cane di guardia di casa. Il colore qual egli si sia, purchè non sia pezzato, basta; i neri sono approvati, ancora i gilvi et giallicci (*) et rossicci o di cclore di cenere o bigi non sono da dispiacere, se gl altri segnali con la virtù corrispondino. Per fargli aspri et mor- daci, bisogna da piccoli aizzargli, tirando loro l’ orecchie, et con l' allettargli et batter delle mani incitargli a combattere l'uno con l’ altro; et quando son ferocemente attaccati insieme alla zuffa, si spartischino perchè non s' ammazzino. Cosi non temeranno fatica, né cognosceranno paura et si faran più arditi. A star legati pri- mieramente s’ avvezzano se un bastone (*) © sferza con la briglia (*) se gli leghi al collo, et che talora se gli lasci tirar dietro; di poi con questa regola si mena legato o si rattiene (1) displodati scritto sopra si snodino. (?) a foeminis summis corpore suppressi è scritto sopra în sommo dei membri genitali. (3) coeuntia in obliquum scritto sopra si combacino per tra- verso. (4) obesis scritto sopra rilevate. (5) Aavescentes (abbreviato) è scritto sopra giallicci. (6) fustis scritto sopra bastone. (7) Sopra briglia è scritto Zoro, che non trova posto nel discorso, 193 in casa. Tenuti legati di di, diventono, sciolti la notte, più feroci; et facendo loro un collare con punte in fuori di ferro si faran più animosi. Sopratutto è da procurare d’aver cani di buona razza, et se è possibile, quegli cani che s° hanno a tenere per questi effetti, ch’ egli sieno tutti discendenti da una medesima progenie, perché cognoscendosi eglino d’ essere tutti d’ un seme, s' aiutano lun l'altro, et sono per ferma difesa intra di loro le madri a’ pupilli che sono eguali. L’ età lor giusta da partorire è quando sono d’un anno, et possono partorire ciascheduno anno per fino a nove anni; né sono più utili doppo dieci anni, perche dei cani vecchi sono gl allievi tardi et pigri. È cosa di miracolo quando arrivano a vivere sino a venti anni, et pur si truova scritto che sieno stati alcuni che vi sien giunti, ma diventati inutili et da niente. Di primavera cominciano a venire a cane: por- tano il parto nel ventre sessanta di o al più sessantatre, alcune tre mesi, et le Laconiche si truova scritto che doppo otto mesi mandono fuora gl allievi. Gl’ altri cani ancora di sei mesi patiscono il coito. A una sola volta che siano co- perte le cagne pigliano. Partoriscono intorno al solstizio et gli fanno ciechi; et quanto maggior- mente, poi che nati sono, è data loro abbondanza di latte, tanto più penano ad aprirli i lor occhi, ma non sogliono mai passare ventun di, né mai gl aprono avanti al settimo. Alcuni dicono che se la cagna s abbatte a farne un solo, che egli aprirà gl occhi il nono giorno, et se la ne partorirà una coppia, il di decimo, et il mede- simo s' ha ad aggiugnere a ciascheduno più 13 194 che ella ne facci, perche tanto sarà l’ indugio della tardanza ad aprire il coperchio degl occhi; et quella che sia generata della femmina che la prima volta abbi partorito, più presto essere veduta. Ottimo riesce quello che è il primo nel parto ad aver la vista, o quel primo che riporta nel covile la cagna spregnata. Subito che sono usciti fuori i cagnuoli, quelli che non sieno della razza buona si gettan via; di sette se ne ratten- gon tre in quattro, di tre due. Nei primi mesi, sin tanto che le lor membra s' assodino, lascinsi stare con le madri a scherzare; poi sono da . essere addottrinati all’ esercizio loro, di di legati, di notte sciolti; né mai lascieremo allattargli da altre madri, volendo conservare la razza no- bile, generosa et buona, perche il latte materno giova a ben nutrire et a dar forza e ’ngegno all’ allievo; et se alla spregnata manchi il latte, sovvengasi sin in quattro mesi co 1 latte di capra. Il cane patisce molto il freddo, et mas- sime tenero d'età; imperciò se gli rifacci il letto spesso di strame. soffice, perche dorma e riposi morbido et si riscaldi. Le code dei cagno- letti doppo quaranta di che son nati si deono castrare di questa maniera: egl’ è un nervo che per i nodi della spina va secondando dentro la coda; questo, preso con i morsi o. in qualche altro modo, si strappi; cosi avendo fatto, non crescerà la coda in lunghezza. disordinata, et riparerassi, come vogliono alcuni, che non ar- rabbieranno per alcun tempo. Il segno d’ aver cresciuto abbastanza nelle lor forze è quando alzon la gamba per orinare, intorno ai sei mesi finiti; et nelle femmine il medesimo appare 195 quando si fermano a sedere. Il cibo del cane è quell’ istesso dell’uomo, o pane asciutto, o con qualche cosa; et quello fatto di semola o semo- lello gli purga et mantiene sani et gagliardi, con un poco tuttavia d’untume che tragghin dalla cucina. Né si dee lasciar lor patir la fame, perché per questa cagione si sviano et dall’ ovile et da casa a andare alla cerca per esso. Non si ammetta il maschio alla femmina prima che egli abbi trapassato un anno et lei due, et sia a primavera quando vengono a cane et poi all'autunno quando vi ritornano. Portano, come s' è detto, tre mesi e ’1 quarto partoriscono; ora le gravide sieno benissimo trattate con dar loro da mangiare quanto vogliono, ma la prima lor partoritura non si lasci andare innanzi, gettinsi via tutti, perché non riusciranno di buona razza, «né meno lei gli alleverà a modo, perdendo anco -di forza et di crescer per l’ avvenire. Addunque s' accetti per buona et si tiri innanzi la seconda, nella quale si vadin decimando come s'è detto. Affermano che quegl’ allievi riescano migliori, i quali, tirando lor gl orecchi, faranno men ro- more. Quando sono un poco grandetti, diasi loro a rosicar delle ossa, perché così fortificheranno più le mascelle, ingagliardendo i denti e la bocca, avvertendo sopratutto di non mai dargli carne del bestiame che egli ha a guardia e custodisce, perché non vi s' avvezzino; et per questo si dia lor da mangiare tre volte il di, la mattina, a mezzodi et dove dormano. Di questa maniera seguiranno sempre il bestiame. Et se convenghi pur di dar loro di cosifatte carni, siano scorticate con diligenza et tagliate 196 in pezzi minuti, perché sendo strafigurate non le ricognoschino. È buono per essi il pane d’orzo, o di saggina, o di semola di formento. I denti loro spuntati, neri e guasti sono segno chiaro della vecchiaia, come dell’esser giovini i bianchi, forti et aguzzi. Ugnendo loro con olio di noce caldo gl’ orecchi et fra le dite, non gl’ offende- ranno né le zecche, né le mosche. Tenendogli a dormire la notte sopra la camicia che si sia portata in dosso il di, preso quel seto, non t' abbandoneranno mai. Cosi fatta cura di nutri- _ carsi si deve osservare ai levrieri, ai bracchi et ai grossi cani, i quali per la caccia s' hanno a eleggere di paesi naturali a ciò, et di buonissima razza. Fao La più cattiva e pericolosa malattia in che incorrino i cani sono i ricciuoli, le piaghe che fanno lor le mosche e la scabbia. Contro a queste cose, strofinerai intorno agl’ orecchi et: ai diti dei piedi i cagnolini che ne patischino, man- dorle amare con l’ aqqua trite; et se l’ offesa abbi fatta piaga, sovverrai con la sugna instil- latavi, mescolata con la pece distrutta; con questo medicamento tocchi ancora i ricciuoli cascono, perché con mano non si deono strappare o svellere. Ai cani pien di pulci si rimedia con il comino, mescolato di pari co’l veratro (') et con aqqua, strofinatovi, et vecchia morchia per tutt’ il corpo impiastrata. Alla scabbia mesco- lisi altrettanto di citiso, sesamo et pece liquida, et ungasi; giova ancora questo alla rogna de- gl’ uomini. Ancora si medica con lo strofinare (1) oritrum.par scritto sopra. veratro, 197 la cotica con una grattugia (') o con un pun- teruolo, aprendo le bolle et ponendovi sopra polvere d’ archibuso. La rabbia gl infesta assai nella canicola, et tutto quello che egli morde arrabbia come lui, ma l’uomo non sempre; et tutti quelli animali che son morsi dal cane arrabbiato si muoiono, eccetto che l’ uomo. Quando sono arrabbiati temono grandemente di bere dell’ aqqua, per il che si continua a dar loro mesticato co’l cibo sterco di gallina o gallo; et si prevenga il male con l’orina. Un verme è detto /ytta, il quale, cavato a’ ca- gnolini dalla lingua ove nasce, non sentono rabbia. I cani arrabbiati aborriscono il cibo e ’l bere, mandando fuori gran quantità di bava et saliva spugnosa, guardano con occhio torvo, fanno il corpo stregoso et più raccorciato di prima, ritirando ancora la coda fra l anche sotto le natiche; fanno festa ad altrui senza abbaiare, così a’ cognoscenti come agl ignoti, agl uomini come alle bestie. Ugnendo bene con olio comune i cani infestati da pulci le si fa- ranno morire o tutte fu&gire; così farà l’ aqqua della Torvesca (*), ma subito si lavi con aqqua dolce, perché se s’ arrivassero a leccarsi con la lingua si morrebbero. Ancora se ne libereranno, lavati con la cocitura delle sementi del belogno o del rame, cavatoli il sugo quando è ’1 tempo. Le foglie di persico trite date loro con la be- vanda ammazzano i lor vermini. Se sono am- malati, il siero di capra gli purga; il medesimo (?) grattugia poi grafio scritti sopra grattugia. (*?) Leggo così, ma non so spiegare che acqua sia. SRREI ATEI IRR. 198 fa il brodo d’ una testa disfatta al fuoco caldo, datoli a bere. Se si mantenghino bene netti et puliti et ben proccurati di buon governo, non saranno mai oppressi dalla rogna; è buono im- piastro per loro et per gl’ uomini a questo, fatto di gesso, seme d’ allegretto pesto bene insieme, incorporato con pece greca distrutta; ancora, impiastrati di sangue caldo e fresco di vitel vaccino et di latte di vacca lasciato lor seccare addosso, di poi lavati con liscia fatta di cenere di sermenti; et ancora, gettati nei tinacci dove i | conciatori di pelli tengono il sommacco, et quivi lavargli bene. Altri gli curano con la morchia. Et dai vermi ancora si guariranno, dando loro a mangiare il gengiovo con farina di lupini. Dalla squinanzia gli libera il taglio, dalle gotte il lavargli i piedi con la cottura di malvalischio. Co 1 verderame impiastrandogli tutti si. sane- ranno dalla stizza; et guariti si lavino. Essendo le cagne a’ cani, talora si lasciono coprirle da lupi, tigri et lioni, et nascono ferocis- ‘simi, ma nimici ai padri loro. Hanno a essere i nomi dei cani cortissimi; et se possibil fia, di due lettere sole. La sagacità et fedeltà del cane è incredibile; in Inghilterra certi lazzerosi avendo ammazzato un principale di Londra et sotter- ratolo fondo, un cane amantissimo di quello lo scopri al seto, et fu causa del lor meritato ga- stigo. Hanno combattuto spesso per i padroni, et per il dolore della morte loro si sono lasciati morir di fame. Onde è che i prezzi dei cani sono stati in gran numero di danari, come che Alcibiade ne comprasse uno settemila dramme; et quelli delicatissimi di Lione, piccioli, sì sono 199 venduti a’ nostri tempi sino in settanta scudi, apprezzati dai signori e principi Romani grandi. Il Gatto. Appresso ai cani sono utilissimi per le case non solo villereccie ma delle città i gatti, ani- male che sempre in sé rattiene alquanto del salvatico, né già mai affatto s addomestica, come i polli. Questi non solo tengono netti i fieni, le biade et le frutte et ogni sorte di mas- serizie dai topi, lor capitali inimici dalla Natura ordinati, ma tutte le altre cose di casa, massime quelle che si tengono ‘al largo et non serrate o racchiuse, alle quali rodendo con gl’ acutis- simi denti i legnami et pertusandoli, non restano di fare offesa. Imperciò è da cercare con ogni studio di averne per casa di bonissime razze, _tra le quali la migliore è tenuta la Soriana. Et di vero che si come questi appariscono più belli di vita, di manto, di pelo et grata disposi- zione et più grandi, così ancora riescono mi- gliori, più destri et più forti et avveduti a pigliare i topi. Si tiene per openione che quel gatto sia di lodata fattezza che più sia somigliante d’ un picciolo lione, dal quale egli ritrae tutte le sem- bianze fuor che nella sottigliezza del collo et nelle jube. Addunque faremo eletta di cosifatti per cavarne buona stirpe, accompagnandoli quando vanno in amore, che è dalla bruma in là a febbraio. Portano tre mesi come i cani et simil- mente partoriscono, quando più e quando meno, insino in cinque o sette; lascinsigline due in tre 200 ad allevare, et se gli dia allora in cibo carne assai, che possi sostentare i figli mentre gl’ al- latta. Di poi se gli faccin cognoscere et guer- reggino coi topi, et ancora le serpi, le quali ammazza di pari naturalmente, si come con silenzio et con leggieri andatura et con occulto et sagace avvedimento ammazza, carpendogli pian piano, i piccioli uccelletti, lucertole et altri animaletti, dormendo fra giorno et di notte vegliando, vedendo con la sottil veduta degli occhi che ha lucidi e sfavillanti. Concepisce il più delle volte, stando in piedi il maschio et la femmina a giacere. Partoriscegli ciechi; né più va al maschio come abbi preso; ma il maschio per desiderio di montare infestandole, et resistendo loro, ammazza i parti; per il che ritornano per amor della razza a, lasciarsi di nuovo montare. I maschi castrati con più ay- vertenza custodiscono le case, non se ne par- tendo, come i non castrati che vanno in diliquo in gestro. Sotterrano i loro escrementi, perché non gli scuoprino; orinano dove è più netto. Impazzono o si sconturbano per l' odor del- l’unguento. Si dilettono assai i gatti dell’ odore della valeriana et nepitella. Il Bue. Per la considerazione che esquisitamente sì è potuta avere sopra i lavori della terra che fanno gl’ uomini (il numero dei quali affermano mantenersi tuttavia il medesimo, poco dal più al meno, et essere circa a secento sessantasei milioni tra maschi et femine tuttavia) in quella 201 parte che ella s' esercita et coltiva per cavarne il frutto del vivere col sudore della fatica loro, non ponendo in questo conto quelle regioni dell’ Indie, nelle quali è somministrato natural- mente da quella, per divina ordinazione, quello che basta per la vita, producendo da per sé frutti, erbe, radici et biade sufficienti a ciò; né meno mettendoci quelli paesi pur di quelle bande, dove con poca fatica et in su la terra soda, con picciol foro fatto con un piuolo, semi- . natovi il mahiz, in breve raccogliono quella barba che fa per entro ’l terreno, et postala a seccare la spolverizzano, et impastatala con aqqua, con poca et qualche volta niuna cottura ne fanno pane; né anco appresso questi com- . putando quei luoghi dove fa quell’ arbore che volgarmente si chiama noce d’ India, il quale presta agl’ uomini che quivi nascono tutte que- | ste commodità entro un liquore di grandissimo nutrimento che serve per cibo e per bere, et di più fa vaso di sé stesso a questo effetto, inoltre come lino produce dentro di sé un filo . stopposo atto a far tele, et l ultima scorza di fuori, del tutto densa et legnosa, serve loro per legne da abbruciare; né anco ponendo in questo calculo coloro che avendo il sole per lor zenith et massime nell’ ore del mezzogiorno, non po- tendo sofferire l’ immoderato calore, strafelanti di caldo si stanno a giacere con la bocca su ’l terreno per non essere soffocati da quello; et quando vogliono mangiare sedendo bassi, i più ricchi da’ loro schiavi, i più poveri l'un l’altro si fanno gettare dell’ aqqua addosso ignudi, per cansare la grandissima afa, et mangiono ét 202 beono a un tratto, sorbendo et succiando con una canna vota la vivanda che in un catino pongono in mezzo fra loro, fatta d'una com- posizione liquida di parecchio latte et farina di mahiz; né meno quel luogo annoverandoci, dove la Natura ha provvisto di due miracoli, prima la copia dell’ aqqua bisognevole a quella stanza, con una nuvola sopra a un arbore, che conti- nuamente pregna di quella la stilla giù per le foglie dell’ arbore a sufficienza delle loro occor- renze, et l’altra seconda è, che seminando loro in su la terra ben anco poco lavorata una semente che è simile a un seme delle nostre zucche lunghe nostrali, ne nasce prima come un fungo, poi pigliando vigore cresce all’ in- nanzi et diventa come un agnello, prendendo spirito et moto vivo, il quale si pasce:l’ erba in giro che gl’ ha d’attorno, non cercando punto altrove di pasturarsi, et non essendo mangiato da quei paesani, quivi si muore et marcisce, ritornando all’ antica madre, come tutti i mor- tali; si che questi non si computando con i disopra detti tra gl’ affaticantisi per il procaccio del vivere, così consueti a sostentarsi, non oc- correndo far sopra di loro il calculo, s' è fatto conto di tutto ’1 rimanente, che per otto per- sone che si stieno oziose o in altri mestieri d’arti manuali occupate, s' affatica colui solo che la lavora: a tal che questo, che continua- mente maneggiandosi a trassinarla ne cava frutto, viene a far le spese a otto che si stieno a vedere. | Ma conviene in questa sottile disamina- zione et coppellata discussione annoverare il RE I INTRA PRI e alert en A MARA Sii n RO AT DA MICA OTTO R e k Ra RI Sasa Pa sv : de FL'AAON n x K 203 sudore et l’ esercitamento dei quadrupedi, che tirando l’aratro ne levano di fatica a quest’ uno i tre quarti o forse i quattro quinti, arando tanto in un giorno con l’aiuto di questi, quanto non potriano lavorare da per sé soli venticinque o trenta uomini, destituti dell’ aiuto loro. Per- ciocché anco si ritruova per esperienza che nove uomini reggono et comportano la fatica d’ un caval solo, ciò è che tirando un peso un cavallo dalla mattina alla sera, a tirar questo mede- simo peso: reggeranno lo spazio medesimo et l’istesso peso nove uomini; et non punto di questi meno. Onde è che s' abbi in tanta stima il bestiame vaccino, et che e’ bisogni per la coltivazione della terra con ogni diligenza et studio di procurarlo, fornirsi di quello, cercando insieme di mantenerlo non solo ma ampliarlo, non tanto per i lavori della terra, ma per gli altri usi che egli presta all’ uomo, della carne di sè stesso, del formaggio, butiro e del latte. È stato lasciato scritto che una casa si addo- manda bene instituita, ordinata et finita, quando vi è il marito, la moglie e ’1 bue, essendo di più commodo questo all’ uomo, che non il cavallo o qual si vogli altro quadrupede, come com- pagno di Cerere et ministro. Varia la condi- zione dell’ esser suo, nell’ essere prima vitello, poi giovenco, appresso bue, et d’indi vecchio: et il padre toro, et vacca la madre. Sono da essere lodati i buoi più et meno, secondo la diversità dei paesi; gl'antichi commendavano assai gl’ Epirotici, i di Campagna gli Etrusci, et oltr’ ai monti i Pollacchi, i di Borgogna, d’ Avernia, di Frisia, di Danimarca, di Cimbria; 204 gl Inghilesi et di Brettagna et d’ Ungheria sono per carne eccellentissimi, come che non lavo- rano, rispetto a questo’ et alle buone pasture. Et per tutte le cose s° hanno a eleggere sempre gioveni, o per ingrassare o per lavorare, et cosi le vacche per questo et per mugnere; et più atte sono a portare il frutto le novelle Mico che le provate (1). i Imperciò, volendo far razza di buoni buoi, conviene scierre i tori et le vacche con più avvertenza et di più lodata forma, che non per fare cascine et mandrie di vacche per cà- varne vitelli da mangiare et latte et butiro et formaggio; al che sogliono servire ancora le . vacche minori; et alcuna volta in più d’ un paese le rosse del paese di Trento, delle quali se ne scegliono le meglio fatte, alcune casalinghe, facendosi accarezzare una sola per casa di con- tadino, che come allevata a mano si fa dome- stica; et serve, ammazzato di corto che è nato il vitello per carne, a tener fornita la casa del padrone di latte, formaggio e butiro; et queste in terra di Genova, tenute fuori la maggior parte dell’ anno, provviste poi d'inverno dentro di fieni et erbe secche al bisogno, ne sogliono dar tanto, che a qual si voglia altra opera messe non fruttano a gran pezza; et di queste tali si formano le cascine ogn’ anno, facendole ingra- vidare ai tori della sua razza; et in queste cascine si tengono, governano et. custodiscono. Et deonsi a questo effetto eleggere luoghi piani (1) integrae potius quam expertae, è scritto sopra vergini che le provate. 205 o colline o spiaggie di buona pastura ripiene, et ancor montagne grasse et erbose, et talora. anco in mezzo all’alpi, purche il verno sì cam- bino loro i pascoli ai luoghi marittimi, et quivi a.star la state si ritirino; et per tutto sì tenghino sempre sicure, ove sia grandissima abbondanza d’aqqua et non manchi il pascersi. Ma se sarà in paese temperato, et che vi sia attorno larga pastura et spaziosi prati da poter ragunarvi gran copia di fieno nell'inverno, si potrà, voltandosi a. mezzogiorno in cosi fatta campagna, ove sia da poter avere più commo- dità d’ aqqua o corrente o stagnante che non vi manchi, edificare loro stalle in foggia di capanne, non più alto di cinque braccia il comi- gnolo, et dalle bande tre et un quarto; lunghe quanto sia il numero delle vacche che bastino a nutrirvisi, et larghe quanto occorre, re- stando nel mezzo uno spazio di tre o quattro braccia, per far loro intorno i servigi che gli bisognino all'inverno; et terminata una debita lunghezza, si rifacci un altro ordine di capanne rasente all’ altro, del medesimo garbo. Siano queste tali capanne di sopra copertate di giun- chi, d'erba secca, di calami o di grossa paglia; stia delle vacche una di quà et una di là di quello spazio; et dalle bande, non essendo il muro, come s' è detto, più alto di quattro bra- cia, vi s intessa a questa altezza un palco da sostenere il fieno sotto al tetto, che vi sia sopra fatto a comignolo, a cagione che ve ne stia maggior quantità et renda l’invernata caldo maggiore; et se non si possi ripor dentro tutto il fieno che possi bastare, se ne facci fuori 206 dell’ altra provvisione, disposto in pagliai alla campagna, quali si manomettono passati i gran freddi, accostandosi la primavera; nella quale, finito il rigore della gelata stagione, si cavin fuori a pascere giorno e notte, rimanendo al sereno sino al primo di novembre in circa; fac- ciansi in queste stalle larghi i serragli dall’ una all’ altra, perché l'una non prema il figliuolo dall’ altra, et la debole possa schivare i colpi. della più gagliarda; siano lastricate sotto di buon gitto di ghiaia, o di lastre o mattoni con buon pendio, che le lordure' scolino in un solco o canale fattovi nel basso, accomodati si che si possino tener netti et puliti con il calo di scorrer l’aqqua a lavargli; le mangiatoie sieno murate, o di buon legname di castagno, olmo, quercia o ontano, larghe et agiate da potervi star fieno assai; et sendovi aqqua corrente, sì potrà dar loro bere a quei canali, se non si cavino ai truogoli murati di fuori a questo effetto; et vi si faccino anco da una parte di fuori peschiere grandi d’aqqua pulita et netta, ove le si possin lavare et rinfrescare nei di dei soli et tempi buoni. Siano ancora attaccate alle stalle, murate le case dei pastori et guardiani, “con spaziose stanze a terreno da poter commo- damente maneggiarvisi per fare i formaggi, dispensare i latti, et più appresso, in luoghi di mezzana temperatura fra’1 caldo e ’1 freddo, da conservare, tenere, scolare et rivoltare i for- maggi et i butiri. Nei luoghi per natura caldi non farà biso- gno di tali manifatture, et sarà assai che vi sieno alcune poche capanne da poter sotto Afef Aa (0 Arai Va a rt n 207 maneggiare i latti per tutti gl’usi et conser- varvegli per un poco; che del resto i bestiami potranno commodamente mantenersi alla cam- pagna, osservando con tutto ciò di tenerli l’ in- verno nei luoghi caldi et la estate ai freddi, con il medesimo modo et ordine; et i tori po- tranno lasciarsi scorrere appartatamente, eccetto ‘ che nel tempo della monta, alla quale si richia- meranno; et alcuni gl’ avvezzano a ritornare al suon del corno; ma meglio è mandare in volta delle vacche, che con più facilità sempre ove si vogli gli guideranno. Sono in alcune parti d’ Europa, come nell isola d’ Irlanda et nel- l’ Indie, in quella di San Domingo et altrove, i pascoli di tanta abbondanza et tanta amenità d’aere, che tutto il bestiame vaccino vi si lascia stare senza cura alla rinfusa, et vi sì tengono solo per cavarne le quoia, che è l’ultima uti- lità che si cava da questi animali; oltre a che le corne servono a molti usi di manichi di coltelli, ossi di lanterne, archi et le lor punte; a questi massimamente sono di grandissimo uso, et per ciò proibite d’ uscire d’ Inghilterra, per espressa pragmatica, per questo effetto; ove elle sono grandissime, si come le vacche et buoi più che in altra parte. La cura dei pascoli è di poca briga, perche basta ardergli nella fine dell’estate, affinché l'erba esca poi più bella a primavera; et questo abbrucia- mento recria i più teneri pascoli; et arse le spine, non sì lascia poi più ricrescere. Le vacche che si tengono per averne razza di vitelli da farne buoi atti al lavor della terra, si possono nei luoghi temperati tener di con- 208 tinuo in pastura alla campagna, et nelle istesse alpi et montagne cambiando i luoghi si man- tengono; solo è assai che vi sieno capanne adattate per le stalle, che nei maggiori ghiadi dell'inverno le possino ricoverare. Né si tiene loro intorno il toro, perché tuttavia le mole- sterebbe, se già non se n’ avesse quantità grande; et conviene, tenendolo fra esse, proibire che non sì congiunga con esso loro, se non se nel tempo debito, con appartargli in luogo separato. Et dei tori s' aranno sempre per buoni quelli che saran corti di corpo, traversati et quadrati, con larga et spaziosa fronte folta di peli, di faccia spaventevole e aspetto torvo, di diritte orecchie et di dentro pelose, occhi neri et grandi, lunghi sopraccigli et morati, il corpo corto et grosso et più nero che d’ altro manto, il collo che lo tenga altiero et elevato, superbo e grande; deono essere larghi di petto et spaziosi di lombi et di coda, corti di..... ('), le spalle ampie, le gambe grosse, nervose et ben fatte, con ginoc- chio rotondo et rilevato, la coda lunga, sottile et ben pelosa, la testa corta et la fronte larga, di corpo stretto et tondo, diritto e sciutto, abile a poter salire addosso alle femmine; non ventroso, ché quelli che hanno grande trippa non possono comodamente montare le vacche; largo d’anche, non nano; largo petto, grinzoso e crespo; sono ancora approvati quelli che sieno lunghi, ma non troppo alti. Il pelame sia pen- dente in rosso o oscuro, o che più s' appressi ad ambedue. Se saranno mansueti et placidi, (1) Qui una parola che non ho saputo leggere: VENT ORRORE SO EPRICE ROIO 209 saranno più agevoli a andare alle vacche, et si lasceranno torre le femmine l'un l'altro: i bravi et feroci sempre fra loro per esse com- battono. Dei primi nascono i buoi un po’ dap- pochi, ma forti; et di questi sempre men pigri, e tuttavia gagliardi. Se bene il toro si può porre alla monta di quattordici mesi, più utile et migliore assai sarà che egli incominci a mon- tare di due anni finiti o tre, infino in sette, et poi si lasci; et. facendolo principiare di quat- tordici mesi, faccisi durare sino in quattro anni, et farà con tutto ciò buona et forte razza; poi si dia via; et facendo risoluzione di servirsi di buon’ ora di quello dei quattordici mesi sino in quattro anni, se gli potrà far montare dalle trenta alle quaranta vacche: et a quello di tre anni o due, venticinque et non più. Diasi loro da mangiare avanti la monta della paglia et del fieno ben trito per fortificarlo, separan- dolo dalle femmine: né si dee ammettere alla monta avanti al solstizio. Alcuni gli tengono separati sin alla nascita della Lira; altri vo- gliono che i tori al tempo della lor monta paschino continuamente con i tori. Sono ancora certi che per meno briga, spesa, pericolo, et per più prestezza di possedere, amano di com- perare le vacche gravide; et a questo bisogna intendersi bene delle lor fattezze, perché se ne possi sperare razza buona. Ma queste gravide o quelle che si comperino per farle essere, sceglinsi che sieno nate et allevate in luoghi aprichi, aspri et foresti, anzi che vaghi et do- mestichi, perciocché si come in quelli elle rie- scono di tal fatta, che elle durano i dodici, 14 Le # 210 quattordici et sedici anni, così in questi reston deboli et durano poco tempo. Et in ciò si dee avvertire che quelle dei monti a solatio hanno la testa piccola, le corne corte et i peli spessi, delicati, morbidi et lisci, et 1’ altre delle valli o luoghi di verso tramontana hanno la testa grossa, le corna lunghe, i peli rari, duri e lun- ghi, che son buone vaccine per far carne più che da razza; et il tempo buono a capparle è quando elle patiscono più del vivere, che è quando sono consumati i fieni, tardando 1’ erbe nuove, perché magre meglio si cognoscono @ ‘muoversi, et se sono gravide; et l’ età a’ denti meglio si discerne; et quando pur le sieno di testa lieta et corta, di occhi grandi e neri, le corne non lunghe, ma graziose et delicate, le narici larghe, l orecchie piene di peli, la vita tutta lunga e grossa, le poppe ampie, distese et non raccolte; et questo è della maggior im- portanza del tutto; il pelame abbi morbido, corto et rosseggiante, o che penda in scuro; et tali sono da eleggersi le vacche, quando non si desideri di tenerne molta gran quantità. Ma volendo farne grande impresa, si deono eleggere che sieno altissime di persona e lunga, grandi e larghe di corpo, spaziose ne’ fianchi, ampie di ventre, così la fronte e gl’ occhi lar- ghissimi et ampissimi et neri, le corne non | ritorte, aggraziate e leggiere, né piccole né sot- tilette, ma di buona disposizione et fattura; et le ciglie inarcate et nere, l’orecchie pelose, di gran naso e bocca, collo grosso, larga groppa, simil corpo, feconde, sane et gagliarde; abbino due anni finiti o in su l’entrare dei tre, et piani se SENTE ant Re e E ai 211 non manco; et se prima le si ritruovin gravide, bisogna levar loro l'allievo, et per tre di durare - a spremergli le poppe, e non le poi lasciar mu- gnere ('); ché quanto più stanno chel toro non se gl accosti, più crescono; et quando le passono dodici anni, sono inutili a partorire. Dureranno ben più quand’ elle abbino la pastura in abbondanza, et non sieno inferme, ma sane. È ben vero che le vecchie danno più latte che le gioveni, approvandosi il proverbio che dice: le vacche vecchie il latte, et le galline gioveni l’ uova. Tengono alcuni che d’un anno elle sieno atte alla fecondità, ma così presto ingravidate non crescano, come interviene a tutti gl’ ani- mali che presto s' ingravidano. Deesi fare ogni anno la scelta, per cansar via le vecchie non più atte a generare; et quelle vacche che _ occupano il luogo delle gravide sono da essere sequestrate, destinandole all’ aratro o a tirare, non sendo elle manco dei buoi pazienti della fatica et del lavoro. In Alemagna et anco in altri luoghi si costuma di ingrassarle per carne. L’età loro si cognosce et si raccoglie dai nodi o cerchi che l’ hanno nelle corne, come si scorge anco nelle capre. Alcuni a mezzo di primavera gli danno il toro, altri di luglio, che così verrà in dieci mesi il parto condotto a fine, onde sì suol dire: le vacche et le regine hanno del parto un medesimo tempo; et innanzi si tiene per inutile ogni lor partoritura. In molti luoghi vogliono che s' ammonti tre o quattro di dopo (') muletra è scritto sopra mugnere. 212 il solstizio, si che al vegnente marzo poi o al- l’aprile mandino fuori il parto; et quelli che vogliono il latte così dispensano la monta ('), affinche ogni tempo dell’anno avanzi la pa- sciona, et dalla primavera alla bruma l’ammet- tono. Con una monta sola si perfeziona (?) il concetto; che se per sorte fallisse (*), rifaccisi doppo venti di. Dicono che se i tori in coprendo la vacca s'aggravino su "1 destro lato, sarà maschio, se in sul sinistro, femmina; et è ope- nione che legando il sinistro testicolo al toro si generi maschio, et il destro femmina, et che ‘di tratto cavati i testicoli, ammettendogli alla vacca, possin concepire. Il colore delle vacche dee essere come nel toro, sapendo che i negreggianti in alcuni luo- ghi, i negreggianti o i rossigni.... (‘), perché i bianchi non son, di poi domati, di si buona carne et hanno il cuoio più tenero, come quelli altri più duro; et tanto avviene delle vacche, le quali essendo della fatta che s' è detto, saranno van- taggiate per la razza et ancora per tirare et lavorar la terra, per latte et per ogni affare, purché non si manchi loro del debito governo nei buoni pascoli. Et è da sapere che quanto più si dia loro del buon fieno, delle buone erbe, del panello di linosa et del sale, tanto più sa- ranno copiose di latte, et si mantengono bene a prepararsi al toro in termine di due mesì 0 poco più; et il far loro carestia di queste cose (1) fetum è scritto sopra monta. (2) appiglia scritto sopra perfeziona. (3) pererraret par scritto sopra fallisse. (4) Manca qualche cosa a compir senso e discorso, . 213 nuoce loro grandemente et le ritarda assai; et perché questo non segua loro, diasigli in abbondanza di quei viveri, et ogni giorno del sale. Et si dee ancora avvertire che quando le si fan rigenerare l’invernata, dopo che le sono state il maggio e ’1 giugno et anco doppo San Lorenzo alla campagna, alle stalle delle cascine si dia sempre loro buon fieno asciutto e di buon’ erba in quantità, si che n’ avanzi sempre loro; nè si racchiugghino di maniera al caldo in esse che ne patischino, ma sia mezzanamente lasciata sfogata, perché più mangeranno et vi staranno meglio. Et perché il freddo è molto lor nimico, conviene tenergli l'inverno a pasco- lare in paesi caldi, et massime di monte, colline o coste di mare, dove siano pascoli d’ erba verde, più che di fieno o paglia o altro cibo, et sieno luoghi spessi d’alberi che gli difendin dal _ freddo e vento, et l'estate si provvegghino di luoghi freschi di verdura, di piante di bassi pruni di roghi o altri, et di quelle pascono volentieri le foglie et le cime; et così lieti s' intrattengono alle ripe dei fiumi che sieno erbose; et meglio ancora si soggiorneranno dove l’ aqque piovane faccin paduli fermi, et maggiormente d’aqque che non sien fredde, perciocche con la beuta dell’aqque tiepide s’ aiutano i lor parti; et se di inverno sia mancamento di viveri, facciasi provisione di foglie secche di quercia, d’ olmo o d'altri ramacci soppassi. Mangiono volentieri, più ch’ altro, di quelli d’ olivo, perciò si deono riservare dei superflui et tagliare in quei tempi; et sopratutto piacciono alli vitelli teneri, che grandemente li ingrassono. Tra le paglie, fuor 214 del fieno, sono le migliori quelle di fave, del miglio, dell’ orzo, di panico et lupini; di men nutrimento è quella del grano, se già la non si tritasse minutissimamente; ancora i sagginali soppassi serviranno loro, i gambi di miglio et panico nelle necessità, et così tutte le sorte d’ erbe che se gli secchino, purchè quando si danno loro a mangiare si spruzzino ben di sale o d’aqqua calda. Nel tempo dell’ autunno si può dar loro l’erbe che rimangono nei luoghi più caldi, et le frasche più verdi, di man in mano che elle cascono; le foglie de’ sambuchi non sono rifiu- tate da loro, quelle di pioppo, albero et salcio fuor di modo gustan loro, frassino, olmo e pampani sopratutto gli pasce et nutrisce accon- ciamente. Et le vacche et buoi, quando hanno a durar fatica straordinaria, si fortificano con le ghiande mescolate con fieno et castagne, et con ogni sorta di farina di biade et di grano; vinacciuoli con i lor gusci, se vi s' avvezzino, gli gioveranno, così lavati come asciutti, pesti fra la paglia. Diasi loro il cibo in tre volte o quattro il di, et la notte lascinsi stare a riposo. Se gli possono anco per tempo seminare i suoi. «viveri di vena, orzo, grano et sagginella dal gambo piccolo, di quella primaticcia, che semi- nata quando l’altra sempre viene innanzi et fa la pannocchietta prima; il cavolo fa lor male. Alle vacche o buoi che arano o tirano il carro, quando hanno il collo infranto dal giogo, spruzzisi con vin caldo et tirisi quella pelle che avanza loro in fuori, riposandogli un poco prima che mangino; di poi si dia loro del PASTE IT sa vi 215 fieno et accanto da bere, et ricondotti alle stalle, — cibo per tutta notte; e se pur s hanno a man- dare a pascere, abbin prima mangiato et beuto; et quando beano il zufolare gl’ aiuta. L' aqqua che hanno a bere sia chiara, netta, più tosto fredda che calda; nell'inverno basta dar lor bere una volta, l’ estate due; ma alle vacche è molto a proposito l’aqqua de’ paduli o di fossi fermi, sendo più calda; le fredde sono sempre da fuggire, perchè impediscono loro l’ impre- gnare; et son megliori quelle dei gran fiumi che non quelle dei più piccoli, che s' augumen- tano per le nevi dalle montagne. I buoi di lavoro et le vacche hanno di bisogno d’ essere tenuti ne’ tempi freddi et tutta l’invernata nelle stalle ben turate, ma dentro larghe et capaci, difese dai venti tra- montani, volte a mezzodi, situate in lato - asciutto; o se non. sia tale, faccisi con le ghiaie o pietre grosse o getto d’ arena grossa et calcina; et stia tutto a pendio nel mezzo, che vi scorrino et si possino ragunare le lor brut- ture con facilità; con le finestre che non abbino bisogno di lume da oriente et tramontana, che d'inverno si tenghin chiuse, perché riscaldino, et di estate aperte perchè rinfreschino: et più utile sarà assai ai buoi edificar loro le stalle doppie per il verno et estate. Accomodinsi in maniera che sieno volte a oriente e che possino vedere il fuoco che si fa, che cosi non saranno spiacevoli et grandemente s’ addomesticheranno: oltre a che il fuoco fa lor consumare i cattivi umori, scacciare il freddo che hanno causato dalla fatica e dal mangiare, raccogliendo il 216 caldo della fiamma con il lor alito. Le. stalle abbino distinte le lor mangiatoie, et tramezzate di modo l’ une dall’ altre, che non possin torre lo strame che dalla sua, et tanto da terra alte, che bastino ad arrivarvi stando in piedi. Ten- gonsi legati con le funi di canapa, perché non s' offendino, et quando tornano di fuori, lavinsi loro i piedi bene che non faccin l’ugna tenera o piaghe, et di estate non si sollecitino a fargli andare ratti, perche ne patiscono. Giova loro assai quando tornano dalla fatica stropicciargli forte e strofinargli con lo strame attrito, sin che si stacchi lor la pelle. Proccurinsi sopra- tutto di primavera, et massime le vacche gra- vide, che allora è tempo più facile a incorrere in malattie. Rimuovinsi da dove egli stanno nelle stalle le galline et i porci; questi con i loro escrementi putrefatti sogliono ingenerar la peste; et. quelli con questi et con lor penne cascate, inghiottite da loro, gli nuocono assai. Ancora le carogne et tutti i corpi morti fan loro con l’odor corrotto nocimento grande. Imperciò si tenghin loro le stalle sotto nette et pulite, et non v' essendo modo di lastri- carle, mutisi loro spesso la postavi sabbia o arena, facendo lor ogni sera il lor letto di paglia o fieno asciutto; et nei tempi freddi non si lascin mai dormire al sereno, che fa lor troppo danno. Si possono ancora in queste stalle tenere i tori, in luoghi di esse che sieno dagl’ altri separati da tramezzi et chiusi ben serrati. Se sieno buoi mansi da fatica o per ingrassare, 0 vacche, è bene condurgli alle stalle ai tempi crudi ancora di giorno, legandogli alle lor man- te iaia ire ati at I Tee de ci ae lr SERIO, ARI LI 3 x 9 Ù * da 217 giatoie, et così la estate in su la sferza del caldo, per cansare i tafani e le mosche ‘cavalline; et vi dimoreranno volentieri, mettendo del sale nelle lor mangiatoie. Piaceragli ancora assai, che la verzura che si dà loro si dia loro al coperto, et se le stalle sien lontane, diasi lor all’ ombra; et avvertiscasi a non dar loro bere quando sono grandemente sudati, scalmanati dal lavoro. Ma essendo che ’1 toro ingrassato et pien di carne è più gagliardo et forte a montare, che magro et fiacco, si dee per due mesi avanti la monta dargli larga pasciona appartata dalle vacche, alle quali s' ha a fare il contrario; perché se elle sieno ben in carne et grasse, per due mesi innanzi che elle abbino a essere sotto al toro, si deono con lo scemargli cibo immagrire, affin- chè allentandogli la pasciona, alleggerite di carne et ridotte scarse et smunte, più agevol- - mente s' impregnino; et il segnale che elle sieno disposte a ciò è che enfia lor la natura, et che elle istesse come infuriate vanno cercando dei tori, et incontrate non ch’'altro ne’ buoi saglion loro addosso. Questo cognosciutosi dal capo vaccaro, con cura et riguardo di non essere of- feso da loro, il che gl’ avverrà fatto con qualche vacca delle manse, in compagnia dee introdurgli loro, et ad una ad una farle coprire due volte per una in due mattinate, avvertendo poi di cansarle in luogo appartato et tenerle legate, si che le non possin ritornare dal toro, e ’1 toro ritrovar più quelle; perché se ben resta gravida, la non si sazia sî come lui, et si disfarebbe in poco spazio di tempo. È difficile a cognoscere se restan gravide, perché se ben sono restate, in 218 ogni modo ritornano ai tori ancora, come s'è detto, doppo venti di instantissimamente. Dove è grasso il pascolo possono ogni anno allevare un vitello, massime quando sia erba abbondante di prati; et dove sia magro, uno si et l’altro no; il che si dee fare ne luoghi buoni a quelle che lavorano, et perché i vitelli lattino un anno, et non sia la gravida dalla fatica aggravata, anzi ben tenuta, pasciuta et munita di buon pascolo, lasciando loro il latte per ristoro anche quando han partorito. Giova loro il citiso, orzo abbru- stolato e robiglie messe in molle, o tenere erbe, mescolandovi miglio arrostito, macerato nel latte con sale assai, perché le fa bere et beendo cre- sce il latte; di ellera et viti songli buone le frondi, saggina, gramigna, vena verde, fave ba- gnate, fave trite molli. Et se le vacche non aspettino il toro, bisogna pestare la midolla della squilla, mescolando con aqqua, et soffre- ghisi con quella la natura; et se sieno i tori pigri et renitenti a questo atto, abbrustolisi una coda di cervio et tritisi stemperandola con vino, et strofininsi i testicoli del toro; et questa ricetta non pur farà effetto ne’ tori, ma in tutti gl’ altri animali. Se ne fa anche lor venir voglia, stro- picciando loro intorno al naso e’l naso istesso. con un panno, con che prima si sieno soffregati i lor testicoli, di modo che rappresenti a essi l’incorporato lor odore. Può il toro montare più di due volte il giorno, se ben è l’uso non lo far montare più di due. In molti luoghi hanno i tori et i verri bannali, che così come egli a tutte le vacche sopperisce, così egli a tutte le troie. Scrivono che i tori pendenti in rr dA fr REA ARI Fei PIA E lg + C n » n n 219 rosso diventono al tutto fieri et selvaggi, da non sì potere in modo alcuno maneggiare o addo- mesticare, come i liofanti co ’1 bianco et i lioni con gl’occhi limi avere il guardo ('). I vitelli nati alcuni gli lasciono poppar le madri; ma di poi si facci in modo che non restino a dormire con esse, perche si tritano et infrangono; altri gli levono dalla poppa delle madri, et in disparte sin che sieno da poter pascer l’ erbe gli nutricano et allievano con il sielo del latte mescolato con la crusca o farina cacciatavi dentro; ma, o si ratten- ghino per arare et lavorare, o tirare o per razza, in tutti gl’ affari è di bisogno di pascoli erbosi, perciocche ancor che sieno di bella et nobil razza, abbandonati dalle buone pasture non prenderanno giusta grandezza del crescere et augumentare, perché il buon pascolo fa tutte - queste cose a perfezione. Conduchinsi poi i vi- telli nati alla campagna con le madri, ove sia erba fresca et tenera, in giorni quieti, sereni et senza vento. Fa lor bene qualche zuppa di miglio duro, trito nel latte; la saggina cotta et la sem- mola pura anco gli giova, et fregargli la bocca co ’1 sale; et fatti grandicelli, che non hanno più di bisogno di latte, seguino le madri per i pascoli buoni di giorno et non di notte, sin che s'addrizzin senza esse a star con i maschi; et le femmine allevate al medesimo modo si lascino star con esse; et anco quelli con i buoi fatti cavandogli a pascere, lascieranno il desi- derio del poppare; et se sia caldo di estate, è (1) Dice cosi, né so che cosa voglia dire. 220 bene che stiano in luogo sicuro et tutta la notte a pascere; et i vitelli si tenghino racchiusi nelle stalle, affinchè ritornando poi [le vacche] ben pasciute gli allattino più abbondantemente, né gli noino di ciò mentre pascono, et tanto più, se siano aiutati di latte da alcune che non siano restate gravide: et i così fatti sono i migliori che capitino ai beccai per mangiare. Et sono alcuni che a ciò gl ammazzono di venticinque o trenta giorni; ma sono più delicati et migliori, come di più sustanza, di cinquanta o sessanta, se durin così a essere tuttavia piene di latte le madri]. Ingrassonsi anco, dando loro nel latte pane stritolato et sale in quantità: et aggiu- gnendovi zucchero saranno delicatissimi. Et le vacche vecchie ancora, dimesse dalla monta, s’ in- grassano con questo latte, che vi siano intrisi dentro minuzzoli di pane et molto sale, dando poi loro delle fave et rape, tagliandogli la pelle per il fianco intercedendola, et fra pelle et carne l’ empiono, dandogli poi da mangiare in abbondanza, et bacchettandola ogni giorno 0 scamatandola in su la pelle da mattina, poi . seguitare di nutricarla di latte, minuzzoli di pane et sale, farà la carne soffice, lattata et grassa, come si fa la sommata. I buoi come quelli d’ Ungheria et d’ Inghilterra et Polonia che non lavorano, affaticandosi per tutti questi luoghi i cavalli come gl’ asini in Savoia, [s' in- grassano] con dar loro semmola in quantità mescolata con rape, navoni et poponi et cetriuoli minuzzati, sapendosi che il lavorar la terra rende la carne suzza et men saporita. I lupini cotti, prima fatti dolci, grandemente gl’ ingras- Parte li dai cri e nt MR AS SIL ERE NE sn ar, LO ag” i 991 sano; et così le vitelle et vitelli, dando loro con crusca tutte l’ erbe degl’ orti mescolate, et lavan- dole con l aqqua calda al sole, poi mettendole calde a dar lor mangiare nelle loro stalle pur calde. Deonsi comperare i buoi distrutti, ciò è quando non sieno ancora ben pieni di carne, di marzo; et utile è comperargli dai luoghi vicini che da altri, perchè quelli dei paesi vi- cini sono megliori dei forestieri, che non hanno a provare diverso cielo; et per tirare si com- perino conguagliati, perche superando l uno le forze dell’ altro non abbatta il compagno. Cerchisi che sieno mansueti, arguti, et che temino le grida et le busse, et che non abbin ‘paura né dei ponti, né del passare dei fiumi, et che sieno appetitosi di molto cibo, ma nel trangugiarlo tardi e lenti, perché questi meglio digeriranno et da vecchi meglio s'ingrasseranno, et massimamente co ’1 cavolo minuzzato mace- rato in aceto forte, di poi paglie scosse et trite mescolate con farina d'orzo o grano, per cinque o sei di, che dilati et allarghi il ventre et la pelle per ingrassare, et massime dandogli a bere aqqua tiepida, il che alle vacche fa ancora utile alla partoritura. Di poi se gli dia il suo mangiare solito, ampliandolo dî per di, secondo che ne consumino. D’ inverno al primo canto del gallo, poi all’ alba, d’ estate avanti il levar del sole, sia la prima prebenda, poi a mezzodi, et d’indi a sera, dando lor bere, come s'è detto agl’altri, una volta il di; et se bene appetiscono ‘l aqqua torbida, è meglio la netta et pulita, purché sia di fossi ferma. 222 Delle vacche vecchie la vendita è d'agosto o di settembre, et dar via si deono anco le ste- rili, le quali tutte ingrasseranno anco da per loro, nei grassi pascoli abbondanti di tutte sorte erbe. È la carne di tutto ’1 bestiame vaccino et vitelle et vitelli sino ai tre anni molto di buon sapore, et stagionata più che in altra età sino ai tre anni, pur che non abbin faticato, che questo è. sempre meglio, come si vede nei detti di sopra et ne’ fenchi di Sicilia che non hanno lavorato, e sono bonissima carne, sani et delicati in quella giovinezza, poi diventano carne melancolica, ma al gusto sempre saporita; come quelli d’ Inghilterra, che ancora che sieno di bestie vecchie, sono eccellentissime per la bontà della pastura di quel paese et dell’aere. che se li confà, È cosa certa che una vacca pasciuta bene, in buon paese, et di buon’ erbe et fieni, darà più di duecento libbre di latte l’anno, che farà più di duecento di formaggio, capi di latte, fuor di questo, butiro, agre, ricotte et altre cose; et i formaggi fatti di vacca, che non passino cinquanta oncie, si tengono meglio insieme, riescono più pastosi et megliori di quelli che sono cento, centoventi, centoquaranta et più, pur che siano ben tenuti, il verno in luoghi caldi, ben unti con olio d’ uliva, et in luogo fresco ma non umido la estate, et simil- mente ben unti, et non mai, perchè non riscal- dino, l’ uno sopra l’altro, ma distesi, et non essendo tanto alti quanto quelli, che talvolta sono un palmo, et questi quattro o sei diti, ricevendo meglio di loro il sale e l’ unto, Ma differenziatamente bisogna governare il latte nelle tre stagioni dell’anno, perché essendo luna fredda del verno, l’altra calda dell’ estate, et temperata l’ altra dell’ autunno che alla primavera corrisponde, si può cavare dalla prima butiro assai, il che non si dee fare nel- l’altre due, perché allora il latte s' appanna più facilmente, e non è tanto danno a smagrire quel formaggio, per non essere di molta stima quanto l’altro della primavera, estate et au- tunno, poiché questi sono i più delicati, butirosi et migliori. Lodasi adunque il cavar butiro assai nel tempo dell’ inverno, perché quel for- maggio che si fa allora non è in conto et se ne fa poco, rispetto alle vacche che si truovan pregne o che lattano i loro vitelli; et anco perché, rispetto al freddo che non lascia infor- zarlo, si serba il latte di tre o quattro volte _che le si mungono, perché nel caldo tenuto più d’un giorno si guasta; et ancora perché non si doverebbe mai cavare più di due libbre o due e mezza di butiro per libbre duecento di latte in circa. Ma meglio è ancora non ne cavar niente, perche il formaggio si fa più delicato et gentile et più acconciamente sì man- tiene, et a ragguaglio l’ un dell’ altro è di peso megliore. Sarebbe ben più pericoloso di guastarsi quando si mancasse di rompere la giuncata benissimo, ma chi è ben pratico, un solo la rompe co ’1 bastone, di modo che non appa- risca d’esservi stata; ma ancora, come ell’ è ridotta al fondo, se gli dia un po’ più di fuoco del solito, affinché quel formaggio non si gua- stasse, sendo si morbido; come faria se non Tsui ssadi tà lee pet it RT oe RT E ti POS) RE USE Lita i n 224 fosse perciò un poco più cotto dell’ altro. Poste addunque cento libbre di latte nella caldaia, colate al fuoco finche è tanto caldo che si possi sofferire co ’1 braccio ignudo, vi si pone anco dentro tanto zafferano pesto che stia sopr’ una ugna; et come è ben rappreso il'latte, si rompe co ’1 bastone rotondo et ben bianco quanto sì conosce bisogna; per il che sendo la giuncata ridotta al fondo della caldaia, co ’1 braccio pulito si caccian le mani nette fino al fondo, volgendo et rivolgendo quella massa, finché si ‘cognosce essere ugualmente cotta et alquanto soda et tonda, di modo che la levi fuori, cac- ciandovi sotto un panno ben bianco o un ma- stello, pala o mestolone, et la poni nella cer- chiatura sopra la tavola a premere carica di sassi, alquanto pendente perché esca fuori et scoli il brodo tutto del latte superfluo ; la quale, cinta e stretta quanto occorre alla grandezza del formaggio che si vede dover riuscire, cuo- presi appresso con un’ asse rotonda, mettendovi sopra pietre di buon peso; et meglio sarà una pietra sola che arrivi a tutta; né vi si fa altro sino alla mattina seguente; la qual massa, per essersi ridotta in bel formaggio, si porta alle stanze della cascina fatte per ciò a terreno et ordinata a simili formaggi, con l’asse sopra le scalee di mano in mano, non facendovi altro che rivolgerlo ogni di, fin che ’1 quarto o ?l quinto cominci a fiorire come farina; et allora vi si dà un po’ di sale minuto, et il simile si fa il seguente giorno dall’ altra banda; il terzo di si pone sopra l’asse dove si tengono i formaggi, et levatagli la fascia non se gli fa altro che è ESSO) CERCA Pa RI 9 los ea A a sla 6 "TL $ id LEA ta delta 225 nettarlo, stropicciandolo con uno straccio; et così netto si lascia sino al seguente di, affinché egli asciughi et indurisca. Di poi rimessagli la cerchiatura et salatolo alquanto di più da quel lato dove fu prima salato, si ripone sotto a quattro o cinque formaggi fatti prima, che pur sì salano; i quali un di si nettano senza fascia separati, et l’ altro seguente di si salano con quella, ponendoli in fila sotto l’ uno a l’altro, sino a cinque diritti a piombo; et vadasi cre- scendo ’1 sale ogni terzo giorno, et negl’ altri si mettano al modo detto, sin che pigliono del sale, levandogli et rimettendogli le fascie, sinché in venticinque o trenta di o poco più, sì cogno- sca alcuno essere più duro et l’altro più tenero, come più fatto o men fatto o fatto; si come i sieli son diversi, i quali o per poco fuoco 0 per troppo restano ben disposti o male a rice- vere il sale; o secondo la differenza dei tempi variando, massime i settembrini, i quali vogliono sempre di volta in volta poco sale et minutis- simo; altramente si fa si duro, che non accet- tano poi il lor bisogno. Levati poi del sale, com’ eglino non ne ricevono più, per quattro o sei di sì segue di rivolgergli ogni di, sin che sieno asciutti, di poi si raspano et puliscono da tutti i lati et attorno, con il coltello fatto a posta co 1 taglio grosso, et allora portati nell’ altra stanza della cascina, fatta per ciò in palco, pur fornita d’asse sopra scalee, si volgono ancora per quindici di o venti, et si nettono ogni volta con le mani o con una stamegna, et s’ un- gono con olio di lin seme o d'’ ulivi, fregandogli benissimo con le mani, né proccurandogli altra- 15 (TÀ) AVE FI IO PPARI VA I VNE 226 mente che con il rivolgergli ogni quattro o sei giorni sottosopra, stropicciandogli pur con le mani ogni volta, tenendo bene spazzate l’ asse dove stan su, osservando tutto questo, sin che abbino passato sei o otto mesi, et anco risguar- dando se rimostrino qualche difetto di fessura, crepatura o schianto, o di tarlo che lo rodesse, o che si gonfiassero; et a questo non è meglio che dar loro espedizione et mangiarsegli; et gettando fessura o tarlo, s' unga con olio quivi, perchè si sanificheranno et conserverannosi in ogni modo, et anco con butiro marcio o olio ‘di uliva, et con questo si ungono da principio; ma meglio è quel di lino o la sua morchia, la quale è meglio, per stare più tosto a matu- rargli; et questi due sono più a proposito per conservare simili formaggi et per dargli più bel colore, che pende alquanto nel vermiglio; et l’oglio d’uliva et butiro gli fan pallidi e scoloriti. Et passato l’anno, trovandosi netti, non occorre loro altro che rivedergli ogni mese o due et rivoltargli, avendo lor cura da’ topi, et a tener pulito et spazzato dove stanno. Et chi brama di lasciargli bene invecchiare et che bastino assai, gli cacci in un gran monte di miglio o nel seme del lino, bene unti; et quello gli mantiene nel freddo caldi, et quello tut- tavia gli conserva freschi, et quello gli giova a fargli maturare; ma nell’ oglio d’ uliva o di lino sì conservano unicamente morbidi, grassi, buoni et teneri. Et chi gli desidera avere di prima qualità, tenga per ogni trentacinque o quaranta vacche cento pecore, et mescoli quel latte insieme, che riuscirà al certo più saporito 227 et delicato, et di miglior peso si manterrà; né v'è altra differenza se non che n’ esce un poco bianco, ma dandogli quel poco di zafferano resta colorito. Ancora le ricotte salate che si fanno di questi due latti mescolatamente son megliori che di latte di vacca puro, et si ca- vano, fatto ’1 formaggio, con la mestola di legno forata al fuoco; dandogli quella forma et gran- dezza che si vuole. Di quello appannamento che fa da per sé il latte in cima, o panna che vogliamo dire, oltre a che si può dire che sia capo di latte naturale, se ne può servire in più mesticanze di cibi, et quanto è più di latte fresco, tanto è megliore, et massime per fare della rosata con i rossi d’uovi freschi, et torte di latte; et quelli vi si sbattono dentro al fuoco, et dimenando sin che appigli et assodi, con aqqua - rosa et zucchero a fuoco lento, et a poco a poco. Fassene ancora diverse sorte di paste et ravioli; et messa questa panna in un bacile netto con aqqua rosa, si sbatti et si rivolga con un mazzo di bacchettine legate fitte dal manico et rade nel resto, riducendola in schiuma, la quale si va levando con una mestola forata di mano in mano secondo che sì fa (ponendovi sopra del zucchero grattugiato) et sì pone nei piatti, seguitando però’ di rivolgere, sin che tutta sia ridotta in schiuma; et così si fa il lattismelle, che par giusto schiuma di nevi. Et la panna raccolta con mestola di legno, et con le mani pulite diligentemente, sì pone a fuoco in un caldarino ben netto, la quale; movendosi con un bastone bianco di continuo 228 fin che la si gonfia, et levata allora dal fuoco, et messevi due oncie di zucchero per libbra di quella, non mancando a muoverla col mede- simo bastone, finché vi si possi tener dentro il dito mignolo, facendola poi passare per lo stac- cio o pezza di lino rada; et fatto ciò, ponen- dovi il caglio distemperato con l’aqqua fresca o rosa, et ponendo tutto in gran piatti o tazze a raffreddare et pigliar corpo, cosi si fa il capo di latte migliore di tutti gli altri; et con questo . . mescolando i due terzi della ricotta, et facendo un corpo, rimestando bene, si fa la fiorita. Et ‘per far l’agra, che ordinariamente s' adopra per fare che ’l fiorito divenga poina o ricotta, s' ha tuttavia un vassello, del quale ogni di si cava quell’ agra che ne bisogna, et altrettanto brodo vi ritorniamo, tolto subito dalla caldaia della ricotta, a ciò che non manchi mai. Della quale, di vacca et di pecora o capra, volendo estrarre il butiro che vi è dentro, fa che sia fresca et ponla in un mortaio di marmo bianco et col pestello di legno sfalla, girando intorno finché diventi liquidissima; et tutta raccolta, gittala in una catinella pulita d’ aqqua chiara, dove subito fra l aqqua si disbatta con una mestola o mestolone di legno, con prestezza frequentis- simamente; il che fatto un poco, raccogli la materia che viene a galla, et poni in un piatto di terra, et torna a sbatter come prima, finché di nuovo venga a galla, et metti in quel piatto, che sarà la metà butiro e ’l rimanente ricotta gentilissima et delicata. Ma volendo far del- l’agra nuova di nuovo, et in nuovo vassello, si piglia per l ordinario d'una bigoncia di 229 latte, facendovi il buco di dove si cava l’ agra, non appresso al fondo, ma alto da quello quattro o cinque dita, affinchè vi resti la feccia e si cavi solamente quella che fa di mestiero; et poi tolto il vasello, acconcio come s' è detto, et posto dentro il detto brodo puro semplice e netto, vi si mette un pane di lievito rotto in più parti et un pugno di sale et dell’ ortica; così si fa perfetta in tre o quattro giorni, che non si guasta mai. Il gaglio poi si piglia da- gl interiori dei vitelli maschi et femmine, il quale è tanto megliore, quanto si cava da questi animali che sieno molto ben grassi; et subito che s' è spiccato dalle budella si sala et si ri- chiude con cucitura d'uno stecco aguzzo, come se fosse la borsa dei testicoli, et poi s’ attacca a dove sia fummo, lontano dal fuoco, perché s asciughi et secchisi. Quanto poi al tempo del far andare le vac- . che alla monta dei tori, è idoneo del mese di maggio, giugno et luglio, perchè vengono poi a partorire in tempo accomodato alle pascione, et per far molto latte, stando elle gravide nove mesi et partorendo nel decimo, sî che 1’ impre- gnate di giugno vengono a partorire il vegnente _ aprile, di maggio al marzo, di luglio al maggio. Con tutto ciò è chi stima chè il tempo solo di dar loro il toro sia del mese di febbraio et di marzo, et non d’ altri mesi innanzi né doppo, ancora che elle fossero in amore (sendo che ordinariamente le ritornano al toro più volte luna doppo l’ altra nella primavera) perciocché elle partoriscono poi di novembre o dicembre a venire, onde sono appunto a tempo di dare 2390 il latte ai loro allievi quando mangiono i fieni; il nutrimento che si cava dai quali non è così buono per far formaggio delicato, come quando si pascono l' erbe doppo mezzo febbraio sino a tutto ottobre; et questa si tiene la vera di tenere le vacche affilate, come si dice, et non fare come avviene agl altri, che non tenendo questo ordine et dando il toro in diverse sta- gioni senz’ ordine, variono i latti; la qual cosa è cagione di fare i formaggi cattivi. Ancora, - scelti i vitelli ben fatti et di buona sorte, sì allattano poco più di sessanta di; imperciò si ‘comincia a dar loro fien buono o ver dell’ erba secondo i tempi, quando hanno passato quaranta giorni, affinché a poco a poco s avvezzino a mangiarne; et i vitelli che per il lavoro si trascegliono a castrare, et a tirare il carro et traini, et similmente fatti buoi, vogliono essere più appresso che si può alle fattezze del toro che altro; et primamente sopratutto, che abbino ampio et spazioso ventre; et deono essere tolti di quel paese ove s' hanno ad adoprare, et quelli di piano eleggergli dei luoghi piani, et quelli del monte per il monte; et se occorra pigliargli di luogo forestiero et assai lontano, sian più simili et si confaccino il più che si può al luogo dove eglino si conduchino a stare, et caccinsi sempre di paese freddo per stare nel caldo, anzi che di caldo per dimorare nel freddo; et quelli che si comperono si procaccino che sieno da’ quattro agl otto anni, siano agevoli, vivi, non brutti né macilenti, che sempre si risve- glino et si risentino al grido, che a questo modo non occorrerà tanto il pungolo; et quelli a” BIFRSOT PRESS RFI MURE o ite i vir ei a sii a pi Ria: Copra. Pete e pri # PISTA RCN o Li +7 231 che hanno a ire in coppia a una carretta o aratro deono essere uguali di statura, di corpo, d’ altezza et colore et fazione et di pareggiata forza; così tireranno d’ accordo et s' ameranno insieme; siano membruti, sani et scarichi, au- daci et animosi, che non abbiano paura né di fiumi, né di ponti, et che non aombrino in cosa alcuna, mangino bene et siano ben mantenuti, nè troppo grassi né troppo magri, per poter ben reggere alla fatica, l’invernata come l'estate. Così, essendo presi dal paese proprio o vicino o somigliante, non temeranno la mutazione del- l’aere né dei terreni. Quelli di pelo nero son buoni ma un po’ duri, i bianchi sono delicati et perciò deboli, i rossi sono forti et gagliardi et perciò da essere eletti. L’aqqua fangosa e sporca è lor molto nimica et nociva; imperciò diasi loro sempre chiara et limpida; et intorno alle loro stalle et mangiatoie non bazzichino mai né polli né | porci, perchè lo sterco di questi mescolatosi co ’l fieno nuoce loro alla vita, come le penne di quelli. Tenghinsi netti et si faccino ripo- sare sopra la paglia asciutta, fregandogli, come s'è detto, et anco mattina e sera streglian- doli, che ne piglieranno grandissimo gusto et conforto, et gioverà loro assai; et utile ave- ranno a non essere affaticati oltre alle lor forze, con lasciargli la notte riposare et ruminare agiatamente. Ancora s' ha a sapere, che si come i galli si castrano per ingrassare, et di questa maniera megliorano la lor carne, così i tori, per questo et per ammansargli a poter essere maneggiatigli, et rendergli più obbedienti al > 232 lavoro, si castrano, et castrandosi da piccoli la lor carne si fa megliore, et loro non son tanto pericolosi et fieri, ma riescon più deboli; a tal che, castrandogli di cinque o sei mesi, non riescon tanto, né han tanta forza. Imperciò per questo tempo sia per mangiargli gioveni; ma volen- dogli per questo et che rieschino di buona fatta, si castrano d’un anno; et avendo a ser- virsene a tirare o al lavoro, perché riuscirà più forte et indurato, faccisi questa ‘operazione quando egli ha due anni. Eleggasi, quando s ha a fare ciò, la giornata quieta, che non sia né fredda né calda, ma queta et temperata, sia luna scema et nel tempo del- l'autunno; se si castron piccoli et teneri, sì possono anco castrar di primavera, tagliando loro i testicoli affatto et ugnendo la ferita ricu- cita co ’1 butiro fresco, et così alle femmine, avendo tagliato le matrici loro. Puossi ancora adoperare a far ciò ai maschi una mazza di legno sfessa, et strette le corde dei testicoli con essa ben serrata insieme, vi si tenghi tanto che ammortischino et dirompinsi; così in breve per- dono il senso et si seccono; et avverrà questo meglio fatto, strignendo con quel legno a poco a poco et non tutto in un tratto. Se sieno di due anni, et voglisi fare a questo modo, gettinsi in terra, legati loro tutti quattro i piedi, ma sia prima stesa sopra la terra qualche cosa morbida d’ erbe o di fieno, o si cacci in quello instru- mento che si addomanda travaglio; et tenuto fermo si che non possi muoversi, si leghino strette le corde dei testicoli sopra loro con due bastoni, et come sien ferme, serrate bene insie- 20:10 ORRORI 233 me, con prestezza si taglia sotto rasente il ba- stone la corda del testicolo, lasciando l ultima parte loro attaccata ai nervi; così non perico- lerà il vitello, né perderà in tutto la forza genitale, ma si ben di generare, et manterrà la forma del maschio; et è cosa certa, che ammesso subito a montare, farebbe l’opera in ogni modo; ma non è da lasciarlo far ciò, perché se gli diromperebbe il sangue et facilmente se ne morrebbe. Questo taglio di ferita si sana con cenere di sarmenti calda et schiuma d’ argento, stemperate nell’ olio d’ uliva. Avvertiscasi d’ un di innanzi a non dar lor bere, et poco cibo et .bere doppo per tre di. Son lor buon cibo in. questo termine le cime degl’ alberi fresche et l’erba tenera, sempre con parco bere. Ancora si può medicare quella piaga con pece distrutta, cenere et olio d’ uliva tutto caldo, avvertendo - che non la danneggi il succio delle mosche et che non si strofini. Oltre a questo, si può ancora pigliare la borsa del toro et ritorcergli le punte dei testicoli, si che si rivoltino sottosopra, et alzargli et stringerli dall'alto della borsa; et si leghi la borsa dei testicoli di sotto con un buon nastro. Ma la più diritta et breve è strignere i testicoli con una morsa da maniscalco ben ser- rata, et tosto tagliargli affatto, et con un ferro affocato incendere il taglio; et anco si può ta- gliargli con un coltello affocato che tagli bene, et di poi ugnere con olio d’uliva caldo; si può ancora fargli spiccare dal fuoco morto, posto di sotto a dove si stringono con la morsa, et medicare quel cauterio, bagnando con vino o con pece liquida mescolata con olio, 234 gettandovi sopra ancora cenere di sarmenti calda bene. Castrati che sono, è di mestieri trattargli bene del mangiare, con pascergli secondo le sta- gioni; ma non si lascino ber molto, giovando loro in questo stato patir la sete. Accarezzinsi talora, con il dargli alquanto di sale, stropicciando lor ben la testa, fregando loro il corpo, et tenen- dogli legati mentre stanno nelle stalle; et scelti poi i compagni d’ altezza et fattezze uguali et forza, s accoppino et si tenghino similmente legati alla mangiatoia, che sia sempre agiata et larga nelle stalle simili, accosto l’ uno all altro; et così, quando si mettono a pascere, siano legati “a due per due con una corda insieme, mostran- dogli alcuna volta quelli che arano o tirano il carro, conducendogli ancora qualche volta dove sia concorso di gente assai, romore di mulini, di pescaie, gualtiere, et di diversi animali. Et come s’ approssima il tempo di farli trainare 0 arare, che sia quando hanno trenta mesi in tren- tasei, che non facci caldo o pioggia, si farà loro portare il giogo qualificato alla loro età, et dopo quattro o sei di vi s' attacchi un legnotto con la catena trasciconi, perchè non si spaventino, et doppo altrettanti si attacchi a quella catena "un peso magg giore di legno o altro; mettansegli innanzi i buoi che tirano il carro et l'aratro; pruovisi finalmente ancora a loro, et s' affatichino da prima con destrezza, et con ogni sorte di discrezione et avvertenza il primo anno. Giova ancora da prima ammansargli con mano, trassì- nandogli per tutta la vita, spruzzare loro del vino nel viso, et stropicciargli tutta la persona rev Pala ge ST: er e tore ATA A ai A ee prot x Ù 5) 235 di sotto et di sopra con la palma della mano, ligiandolo per tutto; et se entrassero a essere furiosi et fuggitivi, leghinsi a un forte palo nella stalla et quivi si lascino stare un di et una notte stretti, senza mangiare et bere, poi s' at- tacchino in compagnia d’ un bue gagliardo pra- tico d’arare; et si facci prima tirare una pertica lunga, poi l’aratro, provando in campo d’arena o terra sottile agevole, et poi di mano in mano più pura et soda, punzecchiandogli da principio con bacchetta et non con il pungolo, perché con esso da, prima troppo s' esasperano et di poi non lo stimano. Et se qualche volta alcuno rieschi cosi spiacevole o caparbio che non vogli tirare, gettandosi per terra, facendo altre pazzie, fab- brichisi un giogo capace di tre buoi, et mettasi. il miscredente in mezzo a quelli due pratichi et provati, et si ridurrà; et se pur segna di gettarsi in terra senz’ altro, leghivisi forte da tutti i quattro piedi et vi si lasci stare per un di et per una notte senza cibo, et rinsavirà. Et chiunche l' indirizza all’ ammaestramento, lo facci con piacevoli gridi et con le parole et destramente piaggiandogli con le mani, avver- tendo che non cozzi o calceggi; et a carro o aratro che si metta, mutisi sempre dall’ una all’ altra banda, che così comporton meglio né senton tanto la fatica; tenghinsi di poi sempre insieme che altramenti se ne scompiacciono et s' attristano. Et avendolo ammansato, conviene mettergli in bocca et strofinargli il palato co ’l sale, et cacciargli in gola una cofaccia di lardo insalata bene d’ una libbra, con infondergli per ciascheduno di un boccale di vino giù per un 236 corno, la qual cosa si durerà a fare per tre di, et leverassegli tutta la fierezza restatali. Se si possi dar del verde ai buoi, sempre che ’1 paese lo comporti, è sempre meglio. Nei paesi magri et massime di verno si cibino den- tro alle stalle, et secondo che comporta il luogo gli si dia la pasciona. Dove è abbondanza di veccie, queste a manne se gli dieno, che saranno ottime. È buono il fieno de’ prati; la paglia, i gambali del cavolo, mescolati con paglia e fieno e strame ('), cotti nell’aqqua, se gli dieno d’in- verno. In alcuni luoghi si dà lor lo strame solo, scossone il grano, quando è fresco; in più luoghi i lupini macerati nell’aqqua o le cicerchie o gli ervi mesticati con le paglie, che grandemente gli piacciono. Accanto a questi, i fiocini con le vinaccie et pampani, foglie d’olmo, di frassino, di pioppo, di leccio; et doppo l’ estate, mancando l’altre cose, si. può dar loro delle foglie di fico, se ve ne sia abbondanza; et di quercia et cerro faran lor bene. i I buoi diventano grassi ne’ pascoli erbosi et con dar loro del grano, delle rape, dei pomi, delle radici di più erbe; et le vacche et i buoi ottimamente si ingrassano, se manchino pascoli buoni, dando loro dentro nelle stalle farina: mescolata con le rape et paglia minuzzata di grano; et con gl’ escrementi che avanzano della cervosa fatta gl’ ingrassano in Alemagna. Scrivono ingrassarsi assai più presto, se tagliata la pelle si soffi con una canna dentro alle sue interiore; et se ritornando dai pascoli il primo (1) e stipule è scritto sopra e strame. ar e gia ea i ia STU RIE E | a À. 5 ° ì Re RE Cai” È 237 di, si dia loro del cavolo trito macerato nel- l'aceto forte, di poi seguitar di dar loro per quattro o sei di paglia di grano minuzzata con . la crusca, seguendo poi di crescergli questo cibo ogni di; ancora tutte l erbe degl’ orti, ciò è gl avanzumi d’ esse mescolati con crusca, gran- demente et presto, aggiuntevi delle rape trite, gl ingrassano; ancora la saggina cotta e 1 miglio gl ingrassano fuor di modo. I tori qualche volta s ammalano per essere troppo satolli, [per aver] pasciuto et poppato troppo, né poter digerire, il che avviene quando cacciono l' indigesto sopra l’indigesto; la qual cosa si dee avvertire; et seguendo, si faccin o pastelli di farina di lupini, o se gli dia qualche cibo ove sia mesticata del- l’erba sala, o sugo di porri et assenzio, 0 cosa che occida i vermini. È segno che i buoi sono sani quando sono allegri, leggieri, mangion bene _ e lustra loro 1 pelo; quando stan male, segni per contrario; et quando e’ patiscono di vomito et non digeriscono, facciasegli inghiottire un uovo di gallina co ’1 guscio, et il di sequente se gli cacci nel naso vino, entrovi macerati agli bianchi pesti; porre del sale in tutto quello che e’ mangiono serve a questo, et cosi dar loro assai sale schietto, pece trita, marrobbio con olio et vino, et mangiar porri. Alcuni gli danno delle granella d’ incenso peste a bere in vino, caccian- dogliele in gola per un corno; altri una spoglia di serpe pesta con vino, facendo ciò ogni tre di, due o tre volte, et in buona quantità sopratutto, perchè son grandi. Gioverà ancora il dar loro aqqua mesticata con morchia d’ olive, dando- gliela poca per volta, et se bisogni, tanta l’ aqqua 238 ì quanto morchia, spruzzando anco con essa il fieno o paglia che mangiano. Non si deono né i buoi, né le vacche, né i vitelli far correre già mai molto, perché nuoce. Avendo mangiate erbe velenose, s' ap- partino prima da questa pastura, et a canto diasi loro con vino la terra Lemnia spolveriz- zata, detta di San Pagolo; faragli bene, non avendo questa, una gran beuta di aqqua fredda, una gran sorbita d’ olio o di butiro. Dall’ an- dare o stare in luoghi umidi, mangiare troppo fresche erbe et molli, bever molto et riposare, patiscono gravezza di testa et sì muoiono; ma sì soccorrono con cavargli sangue in quantità di sotto la lingua, et profumargli dentro alle narici con incenso o altro che gli facci star- nutire. Ai vermi cavallini o altro, che talora gl’ entrano per il sesso, et s incarnano nelle lor budelle, facendo lor renelle et conducendoli a morte, si rimedi con mettergli dentro al sesso unto il pugno con tutto il braccio, et aperta poi la mano cavargli tutti, avanti che s' incar- nino; et si provvederà che non avvenghi, pi- gliando grano ben netto et tenendolo in molle nell’ olio sin che se ’1 succi, et diasegli a man- giare del mese una volta con il suo cibo solito, et gli getterà fuori, avendogli; et non gl’ avendo, non gli rende. Avvenendo fra essi la peste, mutisi aere, luogo et pascolo, et se non sono tutti infermi, separinsi questi dai sani, et a questi et a quelli si cavi sangue dal ceppo degl’ orecchi in copia. Giova dar loro qualche beveraggio di olio o di morchia, di qualche erba salvatica et lupini macerati; et se alcuno ad pih k; É ) Meu Cibi A IS Re a È dd 239 ne morisse, levalo via che no 1 vegghino, che se n’attristono et se n’ addolorano; et si sot- terrino profondissimamente. La peste è un mal comune, ma n'è di più sorte: a alcuni distilla per la bocca e per le narici un continuo umore; altri hanno la bocca e ’1 naso asciutto et secco, si che di tratto immagriscono; è ancora arti- colare, quando zoppicano dinanzi o di dietro, quando è il male alle reni, che si crede ne patischino i lombi; e dogliono, gl inchinano, et sì piegano nelle schiene. Pieni d’ enfiagione (*) ‘ sono, quando ’1 corpo loro tutto è pieno di fignoli (*), et di nuovo, svenendo, dan fuori in un altro lato; fra pelle et pelle ancora cola fuor un umor acqueo. Patiscon di lebbra, quando per tutta la vita bollicole come lenticchie si scuopron fuori. Hanno una sorte di pazzia (*), quando non sentono né odono né veggono come - eran soliti, sebbene appariscano allegri et fe- stanti (‘). Et tutti questi mali vanno insinuando la peste. Delle quali cose sentendo il gregge, subito è da spartirlo, perché non s’ attacchi agl altri; allora sono da essere mescolate la panacea e ’1 fringio (*) al seme del finocchio, et con la sapa et farina di grano sparsi tutti nell’'aqqua calda; et con questo medicamento sì deono medicare (°). Ancora è utile adoperare la lesina; et fatto prima un foro con una sub- (1) farcimenosi, scritto sopra pieni d' enfiagione. (2) tuberculi, scritto sopra fignoli. (3) mania, scritto sopra pazzia. (') rilucenti, nitidi, scritto sopra festanti. (5) È la frigia, pianta del gen. Centaurea. (5) salinondum par scritto sopra si deono medicare. 240 bia (') nell’ orecchie et cavato fuori tutto ’l sangue, l’inseriscono, sin a tanto che la parte compresa dalla lesina caschi, che quando la fresca piaga la piglia, cosi la tiene, che la non può scappare; di quivi si cava et n’ esce tutta la forza del malore, et dà fuori tutto ’1 veleno; et quando s’ è ragunato tutto l’ enfiato pien di marcia, si trae fuor con la lesina o da per sé si cava. I suffumigii ancora giovano, fatti co ’l zolfo, co ’1 bitume, con l'aglio, origano, seme di coriandoli, messi sopra i carboni, et coperta messa sopra i buoi, ché non esali et vadi per le narici et bocca del bue dal vaso ove si pon- gono, durando a far salire quel vapor del fumo per qualche spazio di tempo; così arriverà @ purgare la testa, il cervello et l’intime parti, et sanerallo. Gioverà anco a far profumo a tutto ’1 corpo con essi, per levar via la catti- vità, e a far che all’ altre pecore non s' attacchi. Segni di crudità di stomaco sono gli spessi rutti, avere a noia il mangiare, tenere intiriz- zati i nervi et aver gl occhi abbacinati, per il che il bue non-rumina, né si lecca con la lingua; il rimedio sarà un mezzo barile (*) d’ aqqua calda, et più appresso trenta gambi di cavolo un poco cotti, datigli conditi in aceto, ma non se gli dia per un di mangiare altri cibi; et se si sia straccurata questa crudezza et enfiagione del ventre, che ne segua maggior dolore di ventre, et che mugli et non possi stare fermo, sarà buon remedio, legata forte quella parte (1) subula, scritto sopra subbia. (2) dimidium congii, scritto abbreviato sopra mezzo barile. 241 di coda che è press’ alle natiche con un legame stretto, et dargli infusa, con di vino un boccale ('), una mezzetta (°) d’ olio, et darglila a bere, fa- cendolo camminar forte tremila braccia (8); et se 1 dolore non si parte, segargli attorno at- torno l’ ugne, et con la mano unta cavargli lo sterco dal sesso et di nuovo farlo andar ratto. Alcuni gli cavon sangue dall’ attaccatura della coda a quattro diti, et come ne sia uscito assai, con legarvi con un giunco si ferma. Hanno una malattia chiamata lupo, che è quando nella punta della coda se gli scuopre l'osso dalla carne; convien tagliarlo et sanar la piaga con filiggine e sale. Il dolore del ventre et degl in- teriori gli cesserà, facendogli veder notare anitre e oche. Gl’ escrementi suoi sanguinosi et pieni di muscilaggine daranno segno di bachi; bi- sogna tenere che non beino per tre di, e 1 primo di anco non mangino; ancora due libbre di vinacciuoli brustolati, et altrettanti boccali di vino forte (‘) datogli a bere, rimedierà; né se gli dia altra cosa liquida, si bene delle cime di lentisco et d’ olivo salvatico; et se nè l uno ne l’altro cessi, et gli lagrimin più del solito gl occhi, et gl’ esca dal naso materia assai, abbrucisigli il fronte sin all’ossa et si gli taglin l’ orecchie, sfendendole con ferro, et finché si sani la piaga, si bagni con orina dell’ istesso bue. Ma meglio tutti i tagli del bue sì sane- ranno con la pece et con l'olio. (1) sextarius, scritto sopra boccale. (2) emina, scritto sopra mezzetta. (3) 1500 passus, scritto sopra tremila braccia. (4) austero, scritto sopra forte. 16 Se abbin tossa di fresco, si rimedierà co ’l dargli un boccale di farina d’ orzo e un uovo crudo e una mezzetta di vin colato (') per un corno, a stomaco digiuno; ancora, se gli cacci in gola per un corno granello pesto con la farina di fava infranta et semmola di lenti, mescolato tutto con un boccale d’aqqua calda, avendo tritato bene insieme il tutto; et la fava infranta con la gramigna trita gli gio- verà, et ancora le lenti monde, macinate minutamente et mescolate con l’aqqua. Tre boccali d’aqqua, entrovi macerate due libbre d’ isopo, ch’ infusovi si pesta con due terzi di farina, datigli a bevere, lo saneranno della tossa vecchia. Ancora l’ervo con l’orzata, mesticando con lo strame che se li dà con aqqua tiepida o melata, cacciato giù per la gola gli gioverà. Quando han guasto il pol- mone et che diventan tisichi, la radice del corilo (*) abbronzata se gli caccia nell’ orecchie bucate, di poi se gli dà a bere per parecchi di sugo di porro con del vino mescolato, in tutto un boccale, di pari misura lun dell’ altro. Il tenere aggravato ’1 capo con grande influenza di lacrime dimostra febbre, et massime con molta bava alla bocca; bisogna tenerlo un di senza mangiare, l’ altro di cavargli sangue dalla coda, non però molto, et di quivi a un'ora pigliar trenta gambi di cavoli piccoletti, cotti nel garo et nell'olio, et cacciargli tutto giù per la gola; et per cinque di dargli questo sol (1) passi, scritto sopra vîn colato. (*?) nocciuolo, scritto sopra corilo. 243 cibo. Oltre a questo, le vette delle lenti et le cime dell'olivo et tutte l’ altre verdi et i pam- pani gli gioveranno; et con una spugna se gli netti la bocca, et tre volte il di se gli dia aqqua fresca a bere. Il sangue che cala lor vers i piedi gli fa zoppicare; guardisi se ha calde l ugne, et toccando, non patirà che se gl’ aggravino; et se sì ritruovi il sangue calato fermo sopra l’ ugna, co ’l fregarvi forte si soc- corre; et non valendo questo, si scarifichi il. luogo affetto; et sendo nell’ ugne, aprasi con un coltello fra le due ugne dei piedi, et con fascie zuppe nel sale et nell’aceto vi medicherai, et vestirai il piè con una sporta di giunchi, avvertendo che non vi si bagni et che stia asciutto nella stalla. Quest’ istesso sangue, se non sia cavato fuori, marcisce, et rottovi da per sé n’ esce, et bisogna fasciarvi sopra, untovi prima con la sugna vecchia, un pannolino tenuto in molle nell’aceto, olio e sale; et più appresso, sevo di becco e sugna cotta insieme vi sì ponga, et sanerassi; et se sia corso il sangue nell’ estrema parte dell’ ugna, quivi si taglia et si cura come di sopra, coprendo il piè con un pezzo di sporta; il mezzo dell’ ugna non è bene di aprire, se già in quel lato non abbi fatto capo la marcia. Se per dolor dei nervi nelle giunture vadi zoppo, bisogna stropicciargli le gambe, le ginocchia e le polpe con olio e sale fin che si sani. Se abbi le ginocchia gonfie, con lin seme o miglio acciaccato e trito, nell’ aqqua melata (') messo, sì sovvenga; le spugne ancora, piene d’aqqua (') musa (mulsa), scritto sopra agqua melata. 244 calda, poi spremute et zuppe nel mele, fasciate alle ginocchie, è buon rimedio. Se a quel gonfio vi sia sotto marcia, vi si facci un impiastro di formento o di farina d'orzo, cotto con passo o aqqua melata, et come sia matura quella marcia taglisi con ferro, et spremuta bene vi: sì cacci sopra et tenga legato con fascie. Ogni dolor che abbi del corpo, se gl’ è di fresco senza taglio, facilmente si cura con i fomenti. Al vecchio dolore si dà fuoco, et vi s ugne co "1 butiro o vi si cola grasso di capra. Se abbi offeso il tallone o l’ugna, tocchisi con ferro rovente, et sopra la ferita sì fasci con pece soda, solfo et sugna et lana sucida; così sì sane- ranno le punture di spine, o d'uno stecco che gli sia entrato in qualche parte o altra cosa acuta o sasso o altra cosa che l'abbia ferito. Se alle vacche enfino le poppe, l ellera cotta nella cer- vosa le aggioveranno, et fattovi un suffumigio di fave et camomilla. All’ incalcamento dei piedi si sovviene con il lavargli con l’orina calda del bue; di poi, abbruciato un fastelletto di sar- menti et quando il fuoco lo ritorna in faville, a quella cenere bollente s' accosti et si fermi, et con l’ assungia e olio si strofinano (') le sue corne o cerchi dell’ugne. Manco zoppicheranno, se disgiunti dal lavoro gli laverai i piedi con l’aqqua fredda; et di poi le suffragine della co- rona et la drizzatura (*) con che è divisa l’ ugna del bue si soffreghi con la sugna vecchia et si stropicci forte. Con l'aglio trito fritto, messovi (1) Zincti, scritto sopra strofinano. (2) discrimen, scritto abbreviato sopra diriszatura. 245 sopra, s' assottiglia la scabbia, et con questo ri- medio se gli sana il morso del cane arrabbiato; et postovi sopra salsume vecchio ancor si sana. Ancora la cunila con il zolfo, mescolato olio aqqua et aceto, cottavi dentro trita, et poi fatta tiepida, cacciatovi dentro dell’ allume, cavandolo fuora al sol caldo, et impiastrato il bue, lo sana. La coriagine è un male quando la pelle sta attaccata di modo alle spalle (*), che presa con le mani non si può distaccare dalle coste; ciò avviene se sudando sia strafelato dalla fatica, o veramente se mentre sia nel lavoro gl abbi piovuta l’ aqqua addosso, o se per essere stato mal trattato sia diventato magro; le quali cose tutte, perché le sono oltre a modo dannevoli, bisogna avvertire, che quando ritornano da la- vorare et ancora stracchi et rifiatando, si spruz- zino di vino, et pallottole di lardo se gli caccin - giù per la gola; et se questo difetto duri a seguire, gioverà cuocere l’ alloro et con quel- l’aqqua .fomentare le spalle, cacciandovi sopra molto olio et vino, et per tutte le parti del corpo pigliare la pelle, staccarla et tirarla; et ciò si fa bene all’aere, nella sferza del sole. Se tagliata la vena non si possi ristagnare il san- gue, sarà di rimedio appiastrarvi la sua bovina. A tutti i mali dei buoi è rimedio universale la radice della squilla, la barba del pioppo che si chiama ramno, et sal commune quanto basti; mettinsi a sfare nell’aqqua, et diasi da bere al bue sin che si sani; et questa bevanda, datagli (*) spalle corregge coste cassato; e sopra spalle ancora è scritta una parola illeggibile. 246 per quattordici di dal comincio della primavera, gli terrà per tutto ’1 tempo sani da ogni malore. Al dolore che viene lor talvolta nell’ ugne et ne’ piedi, è buon rimedio fregargli forte la co- rona dell’ugne con olio puro o pece disfatta con olio. Se per i dolori si gitti in terra, rav- viluppi et rattorchi la coda, né mai tenga salda la testa, leghisegli forte la coda presso all’ anca, et se gli dia da bere un gran vaso di buon vino bianco con olio mescolato, pintogli in gola con un. corno, et accanto si facci correre mezzo miglio senza posa; ancora i fichi salvatichi, sec- ‘chi pesti, se gli diano a bere con aqqua calda, et questa entrovi con vette di foglie di mortella nera gli gioverà, et le cipolle co ’l sale: et anco ciò gli farà bene quando abbi la peste. Alle carni (') che gitton sangue e si putrefanno, è buono dodici cavoli et cimette di cipresso peste bene insieme con buon vin nero, et dar- glili in quattro volte in quattro di, facendogli pigliare ancora rami di lentischio, cedro et mortella, et fuor di questo due libbre di pol vere di vinacciuoli abbrustolati che sieno ben pesti, dati a bergli in vin bianco che non sia dolce, gli gioverà, tenendolo poi alquanto senza mangiare, et poi dargli cime di salci et d’ altre piante calde. Sotto il palato, lingua, o in altra parte della bocca, vien loro un malore che gl’ enfia tutto et ingrossa; a ciò è buono tagliare nel luogo enfiato, tanto che n’ esca sangue, et con aglio pesto et sale stropicciar la ferita lavata prima con vin buono, dandogli appresso (1) Sopra carni è scritta una parola illeggibile; forse cattive. tm SP ti I artt ant a ne tia dA ne } È Ng 6 È vena da n APNEA > 241 da mangiare erba fresca tenera, o semola. Se non mangino talvolta, né si cognosca la causa, ficchisigli su per il naso assai sale con un corno, soffregandogline anco forte la bocca e la lingua. Se se gl’ appannino gli occhi, il sal gemma gitta- tovi gli guarrà. S'ovvierà a molte loro infer- mità et si faran lustranti et belli, dando lor sempre di molto sale a mangiare. I sanguinacci generatigli negl intestini, con una mano unta cavandogli gl’ escrementi dal sesso, verranno fuori, et si sanificherà; et se non apparischi bene il male di questa qualità, faccisigli questo re- medio in ogni modo che gli gioverà, come anco alle gran ventosità, per le quali cose se gli fanno ancora clisteri che purghino, et si cava sangue per le vene gonfiate intorno al sesso o della coda. Se si spallasse o si rompesse un’ anca, meglio è ammazzargli subito; et volendo pro- vare a rassettarla, cavisegli sangue dalla con- traria parte, et tengasi fermo in lato caldo. Alle volte, per sforzarsi a tirare qualche gran peso, si feriscono le corone rasente il pelo o si sbrana loro il collo; è bene lavarvi con aqqua salata et tenervi su una pezza bagnata della medesima; così sì segua per tre di, di poi s' ado- peri, ungendolo con sugna ammaccata, con pece trita et polvere di mortella; et se facesse mar- cia, mettavisi filiggine pesta di cammino; et così sì facci, se sieno le ferite in fronte. Et se ’l giogo gl avesse scarificato ’1 collo, et vi ricre- scesse la carne, sovvengasi con porvi sopra pol- vere d’allume di rocca abbruciato, et con tutte altre polveri corrosive, con calcina, con mele, et lavarvi con aqqua fredda; et con questa si 248 dee lavare, quando v' inverminasse; et se ciò non giovasse, pongavisi sopra sugo di mar- robbio, foglie di persichi o succhio di porri, tutto con alquanto di sale; et cavati che ne sieno i vermini, medichisi con sugna vecchia et pece distrutta et olio, fasciando, et a causa delle mosche ugnendo bene con olio all’ intorno. Quando i buoi e le vacche diventano rossi et infiammati nella lingua infocata, per superab- bondanza di sangue o di flemma, e gli diventa nera, sopravvenendogli male chiamato le darbe, che è che certi pizzi che gl’ hanno dalla banda di dentro in bocca se gl’ ingrossano; il che si scerne chiaro et viene da quello; et nascendo da sangue o da flemma, è bene tagliargli con le forbici, et riuscirà quel sangue ragunato; il quale uscito, lavivisi con aceto et sale. Al mal del vermo è ben tenerlo in riposo, et farlo pa- scere in lato asciutto et abbondante d’ erba buona, gettandogli un poco di polvere d’ elleboro con un cannello nel naso, o d’ euforbio o senapa, et di questa verde fargli mangiare, o pesta bere; et sanificheranno. I beveroni d’aqqua tiepida, entrovi farina d’ orzo o gramigna, con farina di fava o di lenticchie peste et sfarinate, datigli con un corno, gli saneranno dalla tossa nuova, et l’aqqua d'’isopo, con farina di feros (') mesco- lata con farina d’ orzo, datali in beveraggio, 0 dandogli a mangiare assai porri dalla vecchia. Alcuna volta si dà lor bere ove sono mignatte, che se gl attaccano dentro, il che si vede, che filan sangue in cambio di bava; il remedio (1) Cosi è scritto; e se non è farro; non so che cosa sia. AT Ti e ER ta ate are n Se n crei Marat 3 p MST FISIO BUCO cage I gp SACRE se , e Ae 249 è, non v' arrivando con mano avvolta a un panno ruvido grosso lino, colarvi con una canna olio caldo che le tocchi, che subito si staccherà; et ancora caderà, fregandola con stoppa avvolta a un bastone intinto in olio caldo, così farà l’aceto forte, pigliare una noce abbronzata et profumarla; et se la sia penetrata in corpo, se gli farà scolare addosso aceto forte con un corno, che subito tocca morrà. Et se si scorga che gl’ abbi succiato la mignatta, non se li dia né bere né mangiare, perchè mangiando la penetra più a dentro; tengasi addunque digiuno et fac- ciasigli aprire la bocca sopra la sponda d'un pozzo fresco, che subito vi cascherà, et sopra una caldaia d’aqqua fredda farà l’ effetto mede- simo; et questo giova a tutti gl’ animali di quattro piedi. Et scoprendoseli alcuna piaga o morsicatura occulta, se gli sovviene, et massime - se sia nel petto o nel ventre, con il tenergli in lato freddo et ove ne’ rii d’ aqqua gelata si possi lavare et vi dimori assai; cavisegli sangue et lavisi con aceto. Ancora punteggisi dentro tutto malore, et vi si ponga sopra solimato trito. Avviene assai ne’ porci che ’1 solimato gli gua- risce. Enfiandogli la bocca et il palato, taglisi con rasoio, et si strofini con sale et origano et aceto. Per cavargli le spine, taglisi gentilmente la pelle et cavisegli; cavata, si fasci con lana sucida, et vi si stemperi sopra calda pece et lardo di porco incorporato. E loro utile lavar lor ben l’ugne con l aqqua fredda sempre che sì disgiungono; et se gli unghi le corone del- l’ugne con sugna vecchia. Avendo male negl’ oc- chi, vi sì cacci sopra del mele; et enfiandogli, ei UTI vela VI E RE a AT RM Ae 1 rg LUTTO NT TT PE E ve RE Cai * See HA * e tt È SAZO Pes 250 se gli metta sopra uno impiastro di farina di grano impastata d’aqqua melata calda et postavi sopra; et avendo maglie sugl’ occhi bene appan- nati, facciasi polvere di sale chiamato compasso, che usano i pelacani, o vero di coccie di nicchi marini, et se gli spolverizzi negli occhi su la luce, che roderà et le consumerà, ugnendo sopra gl’ occhi di fuori con pece et. olio. Truovasi qualche bue che fa molto più del dovere sterco, il che l indebolisce fuor di modo: soccorresi con dargli a mangiare cime di olivastro, di lentisco, coccole di mortella (et canne; poi si lasci bere. Et se gl’ averà il pisciasangue, primamente non si lasci bere, cosi quando viene per troppa scalmatura, come per aver mangiate erbe cattive nella secchezza o con la rugiada; et si cognosce che non si quietano, scontorcendosi et avvoltolandosi, or ritti, ora coricandosi in terra. Pigliasi dramme tre di sementa di canapa, tre di miglio, peste insieme, et una di triaca con due boccali di vin bianco, et bollitevi queste cose insieme in un calderotto, et poi freddate, vi si mette dentro due oncie di zafferano, et si pigne tutto giù per la gola al bue. Ancora vale a questo un bicchiere di sugo di piantaggine, mezzo di aceto forte, mezzo di aceto commune, et quanto due noci di polvere di zucca salvatica et altrettanti gusci di uovi pesti et la metà pur di polvere di greppola; et tutto incorporato insieme se gli facci inghiottire; et in oltre è buono dargli una scodella della propria orina, una et mezza d'olio, sei uovi freschi, et una mano piena. di scaglia di ferro; et incorporati insieme sì 251 danno al bue, cacciando giù per la gola con un corno. All’inchiodatura, si pone in sul luogo offeso trementina bollita con olio comune, poi postovi dentro un poco di sevo disfatto co ’l mele, si ferra di nuovo, ponendo tra’l ferro e l’ugna del pelo del medesimo bue. Una dramma di trementina, una di mele, una di cera nuova, fa unguento perfetto per l’ugna caduta, ugnendo con esso per quindici di; poi lavata con vin tiepido bollito co ’1 mele, si medica ancora con l’aloè patico, mel rosato e mezz’ oncia di allume di rocca polverizzato, sin che sia guarito, non gli dando in quel mezzo tempo fatica. Al flusso tengasi senza bere et mangiare erba un di, diasegli foglie d’ olivastro et canne salvatiche per quattro di, poi semi di mortella, una libbra di origano tenero, una di abrotano domestico, cotte in due boccali d’acqua, et diasegli a bere; et per mangiare cimette d’ alloro tenere. L’ altre malattie et le più di queste si guariscono al bue come a’ cavalli. Per ultimo è da sapere che risciaqquandosi altrui la bocca con l’orina del bue sano fatta allora, tenuta un poco et rimu- tata spesso, sempre calda, guarisce all’ uomo la tempestosa doglia dei denti. [Finisce il testo in fondo alla carta 157. verso, La carta 158.° è bianca. Riprende a carta - 159% recto.] 252 Galli e Galline: Pavoni e Pavonesse d' India. Da poi che tra tutti i cibi di che si nutri- sce l’uomo, niuni sono d’alimento maggiore et di più utile al corpo et valevole sustanza di questi tre, la carne, l’uova, il cacio; sendo gl’ altri tutti, come pesce et erbaggi et civaie et frutte, di poco aiuto et di minima possa, come le radiche et i bulbi; e’ merita ’1 pregio dell’ opera e s' appartiene, tener gran conto delle galline et galli, et ancora avere in considera- zione le sorti et maniere dell’ uova, delle quali nascono i polli et le galline, avendo io per qui- stione risoluta quella triviale et abietta disputa, che volgare et ignobile tanto si tratta et agita nella bocca delle popolaresche vociferazioni et plebe, la quale è quella trita et ogni giorno replicata, chi nascesse prima o la gallina o l’uovo: sopra ’l che nessuno dee dubitare, se ben anco fosse di meno che mediocre intelletto et discorso, che cominciando sempre la Natura le sue operazioni dalle cose più nobili, et per con- seguente dal generante e non dall'atto fatto da lei a rigenerare, sia stato prima creato il gallo et la gallina, fabbricatori et facitori dell’ uova, delle quali nascono successivamente di poi essi, ma per virtù loro; nel che, doppo averli fatti, concorre il covarle, gallate che elle sieno, che altramente non nascerebbero, et più appresso covate et nate, l’ allevarle; il che fanno le gal- line; ché l uove da per sé sole, senz’ essere fo- mentate dal lor calore, non le potriano altri- ATELIER ano tt Rae e n TA 253 menti condursi al far nascimento. È ben vero che in Alessandria d’ Egitto et in molti altri luoghi dell’ Affrica si fan nascere dell’ uova, a cento, duecento et trecento per volta, altrettanti pulcini; et questo si manda a effetto con l’aver fabbricato un forno, et in quello istesso dove cuocono il pane, tenendole per di sotto al suolo del suo piano, in una concavità fatta per ciò, pieno di legnetti che ardono con una medesima temperatura di fiamma appiccatavi, che ugual- mente dura in sin all’ ultimo che dan fuori del guscio. Così nascono et s’allievano poi, cavato loro il guscio di capo, dando loro da beccare senza le chioccie facilissimamente; ond’è che per la quantità del pollame di quel paese gli vendono a staia, empiendo lo staio d’ essi, et radendolo di sopra, come si fa alle biade et al grano, la qual cosa pare et è grandissima stra- - vaganza, si come il vendersi in Francia le cipolle a peso et la»carne a vista. Si contempera la qualità dell’ aere di quelle regioni co' 1] caldo moderato del fuoco, che agguagliando la tepi- dità del calor naturale della chioccia, viene a fare il medesimo effetto di lei a far nascere i pulcini. Ma quelle uova, chi l’ averia potute procacciare et avere, se prima le galline con l’aiuto del gallo non l'avessero fatte? Certo niuno. Addunque è cosa chiara che fosse prima la gallina che l'uovo. Questa maniera di far nascere l’ uova ne’ forni è riuscita ancora a Malta, che ha qualche conformità con l’ aere affricano, si come ell’è a confine nel mare di quella pro- vincia; ma noi che siamo privi di quella tem- 254 peratura d’'aere che si possi confare al calor moderato di quell’ unita tiepidità naturale, de- viamo con ogni studio proccurare d’ aver luoghi appropriati a ben governare i polli, state et verno, et mantenergli quivi, si che né del troppo caldo ne del troppo freddo non patischino, et rice- vutone danno, non sì possino conservare et lun- gamente vivere. Ora e’ si disse che ogni casa di lavoratori et podere dee avere la capanna da riporre gli strami et i fieni appartata da quella un giusto spazio, in luogo accomo- dato, volto a mezzogiorno, per salvar meglio: le paglie et quella et i fieni dall’umido, et rispiar- mare il tempo, la spesa et la fatica al conta- dino, et conservare et custodir meglio maggior quantità di quelli; anzi, quando se n’ abbino, perché ne’ pagliai, o sieno rotondi fatti con lo stile in mezzo, o siano a capanna col comi- gnolo nel mezzo a tettuccio, sempre ne va male assai, guasto dalla pioggia, et maggiore strazio se ne fa, similmente adunque ogni lavoratore abbi non rasente la sua casa, ma attaccato da una banda della capanna, che è quella che sia volta a mezzogiorno, il suo pollaio grande o piccolo secondo la qualità del podere, ricinto in quadro, se non si possi di muro, di folta e forte siepe di roghi o pruni bianchi o paliuri, piantati o tessutivi a mano come più si possì, d’una debita altezza, tanto che sia assai a non vi poter così agevolmente volar sopra i polli; fatto in simil luogo, con le stanze dentro da poter ricoverarsi chiusi di notte, e davanti a quelle con un portico volto a mezzogiorno, ca- pace, da star al sole; massime l'inverno con EA N AO PINE SIC PRI RCA EI EI FONT PRON iL a O Ea AR E dl Giù bai EPA nt Poet TE at‘ * ft a Wa I a Ù 255 l’aiuto del caldo che renderà la capanna vi sta- ranno più acconciamente; et fuggirassi lo star presso alle stalle de’ buoi et altri animali, ai quali tutti sono nocentissime le loro inghiottite penne (1). Ma nelle case delle ville et palagi dei padroni si deono fabbricare i pollai, o accanto all’ ultimo cortile d’ essi, o veramente, et sarà meglio et più onorevole, separati da quelli et lontani dalla casa o palazzo principale; et si deono ancora avere spartati (*) et divisi i pollai delle galline e polli da quelli degl altri animali che si multiplicano in villa, come anitre, oche, pavoni, polli d’ India et simili, che sì stanno meglio di per sé che insieme, amandosi più fra loro istessi et mantenendosi più volen- tieri tra loro che mescolati con altra sorte. Ét quantunche non siamo più in quelle ricchezze _et felicità dei Romani, con le quali alcuni di loro, i più ricchi et possenti, si fabbricavano le ville quadriplicate per le quattro stagioni dell’anno; et come l’' Orsino, che non potendo fare un anfiteatro di pietra, lo fece di tavole di legname; facciamo almeno d’avere.i pollai doppi, ciò è uno per il verno, l’ altro per l'estate; (') Finqui, fra le righe, sono aggiunte di minutissimo carattere medesimo le seguenti notizie: « sono alcuni che appruovano che le » galline si tenghino racchiuse in un gran circuito, volto a levante; » ma quelle che si tengono per avere dell’ uova et dei pulcini, si » come elle sono più liete per la luce, cosi anco sono più feconde; » et l’uova nate allo oscuro sono più sciocche et men saporite ». (2) E di nuovo finqui, fra le righe: « Altri gl’amano rasente » le case che s’ abitano, da quella parte dove si facci fuoco et che » vi trascorra il fummo come accanto alle cucine et al forno, per » éssere il fummo loro utile », NOR ETA SITE MEF ERI PEGI N RT MUNE 7 BIpA TIRROoe LUITTA VI FIERA POSATO SETE pro II ILTTTO SENI I È PRI LE 4 TRL GI Pia È SEAL Tk FASI TATO STERRO peg - a ATA fe Ta E rpgeò M 256 et così in piano come in poggio, monte o col- lina, eleggasi il sito per il pollaio di tutti i so- pradetti animali che sia opposto a’1 vento di tramontana l’ inverno; sia addunque volto a mezzogiorno et l'estate a tramontana; tutte le finestrette dell’ uscita dei polli siano a levante d'inverno; e se vi sia copia d’aqque, a dove corrino o scaturischino quelle, per accomodarle poi a’ diversi rii, canali et truogoli pieni d'’ esse; et se siano oche et anitre, per poter far lor pelaghi et fosse da poter bagnarsi et sguazzar- sene dentro; et se non s abbino aqque vive, ‘procaccinsi con l’arte, da poter far questo me- desimo; et non volendo far due pollai, o non potendo, in due diversi lati, uno per l’ inverno, l’altro per l'estate, facciasene un solo che abbi le stanze, come s'è detto, volte per il verno et per l'estate. Deesi fabbricare una casetta per il guardiano et governatore dei polli, et in quella o rasente essa far diverse stanze ter- rene asciutte et non umide, eccetto che per le oche et anitre, che cosi le ricercono per lor natura, solo per ricoverarle a dormire la notte, che 1 giorno a’ cattivi tempi hanno a star sotto il portico, che ha a essere fabbricato avanti a queste stanze; et innanzi al portico, ha a es- sere un cortile chiuso con muri alti cinque braccia da ogni banda, nel quale s' hanno a pian- tare mori più che altro, perche le more che caschino servono loro in cibo, et hanno ombra sufficiente per il tempo che e’ tengono et rin- nuovono. la foglia, tanto i neri quanto i bianchi, et quelli di Spagna, che fanno le more come quelli bianchi di grandezza et qualità, ma rosse, = SII CC “6g SI YI ì Ste dai pie i dira 257 et crescono in maggior ampiezza che gl altri. Altri amano piantarvi fichi, oppii, olmi, peri cotogni et meli granati; et altri, volendo che abbino perpetua verdura, allori, agrifogli et gi- nepri et cipressi, et tutti fondi, che faccino loro ombra per il fresco et gli difendino da’ nibbii, naturali persecutori dèi pulcini. Nella state; poi che si ripongono per dormire la notte, siano accomodati certi pali pendenti verso i quattro muri della stanza, confitti in terra nel mezzo d’ essa, che pontino nel muro; et dall'uno all’ al- tro a dove son fitti non vi sia più che due braccia, ma allargandosi poi verso il muro si aprano sino in quattro, et siano quattro traverse l'una doppo l'altra, da l uno all’altro, accomo- dandosi in modo, che standovi su non possino mandare gl’ escrementi addosso l'un l’ altro, che farebbe nocimento loro e gli generan le gotte, ma vadino in terra; insomma questi legni hanno ‘a essere acconci di modo che rappresentino quel luogo ove si accostumono (*) far le notomie, o ver quelli di Londra dove stanno gl Inghi- lesi a vedere, non si togliendo la vista né oc- cupandosi lun l’altro, il circo dei galli, di quei galli che sono avvezzi l’ un l'altro a bez- zicarsi come le quaglie et combattere si fero- cemente, che molte volte l'uno degl’ avversari resta abbattuto in terra dalle morsicature del becco et dai colpi dei loro speroni de’ piedi; et (1) Finqui fra le righe nel solito carattere minuto: « che sieno - » rotondi, perché in su le tavole in legni quadri non stan bene a » dormire alcune sorte d’ uccelli, rispetto allo sterco loro che vi si » ferma sopra. » 17 298 giuocano in digrosso quelle genti che son giù basse in su ’1 tavolino che è in terra fornito d’ un tappeto, perché tenghino più fermi gl’ ar- tigli et l ugne a combattere; et gl’ altri circum- stanti più alti tengono ancora essi da questo o da quello di contraria parte, di molta somma. Danno loro, perché sien fieri a beccare, del pepe, . et così [diventan] calidi, onde instizziti nel bat- tagliare alcuna volta si finiscono, et contendono a morte. Così fatta stanza addunque si dee as- settare per lor dormire, che abbi un’ entrata di porta che si chiugga et serri bene, rispetto < alle faine, golpi, topi et altri animali che gli perseguitano; sia sopratutto all’intorno et dentro et sotto a quelle piante il paese asciutto ('), et vi si tenga spesso spazzato et netto. In questa stanza medesima sieno ordinati i loro nidii, o fatti di mattoni nello spazio della grossezza del muro, distanti due braccia l’ uno dall’ altro, alti da terra due altre; o si vero confitti nel muro cestini, entrovi della paglia trita o fieno che si rimuti qualche volta; et si tenghino netti dai pidocchi pollini o altre brutture (*); et que- sti ancora stieno alti da terra due braccia. Pos- sonsi ancora far rasente terra, o murari o cor- (1) Fra le ultime due righe sta scritto: « et perciò sarà bene » che i muri del pollaio et le stanze istesse de’ polli sieno intonacate » di bianco, et quelli di dentro et di fuori intonacati et imbiancati. » (?) A questo punto fra le linee, del solito minutissimo carattere sta scritto: « 0 vero si faccino far vasì di terra cotta, dentro capaci » da potervi stare due galline, et in bocca tanto spazio che ve ne entri una. Questi vasi si murino a giacere dentro alla grossezza del muro, lontani due braccia, in ordine quincunce: et dallo sterco loro [si nettino] ogni otto di, cosi si libereranno da’ pidocchi pollini, » i % % % % 259 belli; et tanto ove dormono, quanto nell’ altre stanze ('). Sono i polli di gran profitto in tutti i paesi dove se n’ abbi. Il re Muliasin, doppo l aver perduto il regno di Tunisi, ritiratosi a vivere a Palermo, nutriva due o trecento polli d’ India, dal provento dei quali, governandogli bene et tuttavia multiplicandogli, cavava il vitto (*). Il Cra del Nero (*) in Napoli con tremila galline diede principio a una grossa facultà, che e’ lasciò poi ai suoi eredi; e ’1 primo fondamento fu quel gran numero di polli custodito per ordine suo. Perciocche da loro non pur si cava la carne che è ottima, ma v'è ancora il profitto del- l’uova et della penna; et di loro stessi in di- versi tempi si cava guadagno, pulcini, capponi, galline et polli fatti; et proccurando d'aver pulcini d'ogni tempo, come con l’arte si può, se ne caverà guadagno continuo. Et sono luoghi appropriati a questi animali più degli altri, ma universalmente fanno per tutto et vi- vono in tutte l’ aere et paesi, et dove nascono più grandi, et dove più piccoli. Nell'isola di With et in Bruges in Fiandra sono polli maggiori assai di tutti gl altri luoghi; et anticamente possedevano i Romani l'isola Gallinaria piena di polli, la quale è vicina a Porto Venere. Ora in Sicilia a Mazzara et Marsalla n'è gran copia, come in tutti i paesi levantini et a Malta et (1) Fra le righe: « con certe tavolette o scale addrizzatevi da » poter salirvi commodamente. » (2?) Sempre fra le.righe: « uguale a Avidio Lurcone che del suo » pollaio cavava l’anno seatertivm seraginta millia nummim. » (3) Leggo cosi, ma io non so chi sia stato questo signore. 260 a Rodi, et insomma tutta l’ Affrica è fornitissima di polli, la Spagna e’1 regno di Portogallo; l’Italia ancor essa communemente n’ abbonda, et sopratutto il Regno n'è copioso et la Ro- magna, dove fanno le più feconde di tutti i luoghi, se ben di statura di vita più piccole dell’ altre, si come i polli Padovani sono i più grossi et grandi che si ritruovino, ma non pro- fittevoli et manco profittevoli come fallaci. Quelli di Natolia multiplicano grandemente et ve n'è grandissima quantità, come nel rima- nente della Turchia, dove in Costantinopoli son bellissimi di fattezze et di tutta la fazione della vita, con un collo tutti alto et rilevato, et con un andare et portatura d’ esso con molta grazia, et massime i galli, arditi et oltre a modo lus- suriosi; et la lor razza trasportata in Italia pro- fitta bene, massime pasciuta di quello che là gli pascono loro, che è con abbondanza di gra- nelli di frumento, oltr’ a quello che buscano alla campagna. Ma dagl’ antichi di quell’ isola posta nel mar Ligustico, come di sopra si disse, detta Gallinaria, si poteva far gran procaccio di galline che erano in quelli tempi quivi natie, come ora in quella di With del mare Oceano d’ Inghilterra. : Imperciò sono i polli principalmente di due sorte, salvatichi et domestichi. Quelli abbondano in quantità nella selva d’ Eudon, detta anticamente Ericinia, et in molte altre dell’ Europa, nelle quali ancora, ma di raro, s' è veduto il basalisco, quale è di razza di gallo et fatto com’ esso, con l'occhio mortale allo sguardo, se sia il primo esso a. vedere l uomo 261 con quell'infocato et sfavillante et velenoso che ha; et agl anni passati fu trovato et veduto in alcuni boschi vicini a Arezzo, ove fece danno non piccolo a quelli che egli scoperse prima; et per contrario si scansa ’1 danno e ’l pericolo. Questi polli salvatichi presi vivi non patiscono d’ addomesticarsi, et così si mangiono, avendo la carne somigliante ai domestichi, ma con al- quanto di seto di sapor di salvatico, et tuttavia è carne più dura che mal volentieri infrollisce a essere tenera et delicata come quelli. Ma al cune sorte vi sono, che prese alla foresta s' ad- domesticano, et sono quelle che gl’antichi addo- mandavano rusticane, le quali non riescono poi punto differenti dall’ ordinarie domestiche che essi dicevano di cortile; le Numidiche che sono alle Meleagridi (sebbene a queste dicono altri essere simili i pavoni d’ India), ciò è Affricane, simili; et tutte quelle d’ Affrica sono di bonis- sima stirpe, facendo uova in quantità, et i polli assai grandi, si come quelle di solito dette di Faraone, che sono bianche et nere brizzolate et picchierate tutte, con la groppa alta et rile- vata di forma rotonda, co ’1 capo piccolo bellis- simo et grazioso alla vista, et in quel paese sono copiosissime; et trasportate nei paesi d’ I- talia, tenute in luoghi caldii fanno, ma un poco meno; et richieggono il governo dell’ altre, solo essere tenute ben difese dal freddo, conservan- dosi acconciamente l'inverno nelle stalle ove sieno stati o stieno molti cavalli, ripiene di li- tame, godendo di quel fummo che egli svapora. I più belli d’Italia di disposizione di vita et altezza rilevata sono quelli di Sicilia, in Mazzara 262 et Marsalla, con collo lungo et diritto; accanto a questi i Padovani, che superano di grandezza et grossezza tutti gl’ altri d’Italia et di Lom- bardia istessa, dove ordinariamente sono grandi, ma trasportati in altro paese né sono di tanta fertilità, nè tampoco mantengono la disposizione della fattura della loro persona, si come quelli d’ Ungheria dove n’ è abbondanza, et di Spagna et di Brugges il simile, dove ne sono alcuni di maggior eccellenza degl’ altri, di color bigio argentino, che fanno una piuma che è attissima .a pescare a lenza. Sono le galline tutte nella lor qualità di natura di mirabilissima considerazione, prima perchè per far l’uovi et mandarli fuori pati- scono con gran sofferenza gran dolore, né dubi- tano, appresso a questo, di mettere la lor vita . a ogni ripentaglio per salvare i suoi allievi, straccurando il proprio bere et mangiare per amor della loro covatura, stando prima a’ patti di voler morire, anzi che levarsi d’in su l uova; ultimamente gl’ ammalati raccogliono sotto le lor ali, fomentandogli et riscaldandogli, non tenendo conto di loro istesse per loro. . Volendo entrar in razze forestiere et di lontan paese, non potendo o non avendo commodità di trasportare nelle gabbie i polli vivi maschi et femmine, procurisi di aver dell’ uove gallate; et quelle, accomodate in una scatola, ponendo arena fra l una e l'altra, ovvero semola di grano, si trasporteranno a dove ‘altrui vogli, et pur che non si sbattino per cammino, nasce- ranno sotto le chioccie naturali felicemente, rappresentando per tre o quattro descendenze f DI LETI 263 la medesima stirpe; di poi tralignano, et con- viene rifarsi da capo a rimandare al lor natio paese. Marco Lelio Strabone fu il primo tra i Romani che racchiudesse in Brindizi tutte le sorte d’ animali, ai quali era il cielo per carcere assegnato, et gl’ uccelli exotici et peregrini, i quali né meno d’alcuna sorte conviene tener tarpati o vero marchiare su la giuntura del- l’ali con ferro affocato perché non volino, per- che tutti si sdegnano d'essere così trattati, et non profittano, come quando han l'ali libere et piene di penna. Tengasi sparsa per il pollaio, in certe cantonate d’esso a dove batta ’1 sole più che in altra parte, della polvere asciutta et della cenere, perché così come ’l porco si diletta del fango a tuffarvisi dentro et volto- larsi, questi amano di raspare nella polvere minuta et starnazzarvi, sbattendo l’ ali et ri- criandosi con essa; et se sotto all’ aia dove hanno a spaziare vi fosse terreno sterile, faccisi sopra una rete di spago o altri spaventacchi o intrec- ciature di vitalbe, si che si spaventino i nibbi, quando volessino offendergli; ne vi passi altra acqua che quella che si dà loro a bere, né vi si fermi o facci fango; et sia tutta volta al sole et massime d'inverno, ché niente più gli fa acchiocciare che ’1 caldo et dischiocciare che ’l freddo, et così smagrire et ‘ingrassare. Questo medesimo effetto causeranno le stanze, che hanno a essere edificate in testa del covile, da quella banda che sia volta a oriente verso mezzogiorno, come s'è detto, due, una per dormirvi, l' altra per farvi l’ uove; tutte, come s' è detto, da poter chiudersi, et imbiancate con diligente intonaco, ia Ta ala IN it i e N PE ae i e e e a a a i RETE AO 264 che né lucertole, né donnole, né topi possin salire ai nidii et dar lor molestia, et con alcune finestrette per la banda che entra ’1 sole, che s'aprino et serrino con facilità, più piccole dei polli; et se sia in paese caldo, è assai che siano ingraticolate di ferro o di fil di rame. Fabbri cano i Maltesi i pollai di grandissimo spazio et agiatissimi, et così per pruova si cognosce che vi profittano oltre a modo bene. Deonsi ancora tenere per le cantonate di queste stanze, cosi in quella del dormire come nell’ altra da ‘far l’uove, alcuni cestini grandi in su la piana terra, per esperimentare le galline quando vo- gliono chiocciare, benché si scorgerà ancora ne- gl altri nidii, ma non si facilmente. Il portico ancora che $' è detto sia capacis- simo et volto al levar del sole verso mezzo- giorno, da potervi stanziare quando piove et l'inverno, nel qual tempo è bene talora avanti giorno 0 da mezzanotte in là tener loro acceso un lume, perchè con questo beccano più volen- tieri; et. se hanno gran largo, lascinsi stare a pascer tutto ’1 di; se sia ristretto il chiuso et non molto da pascervi, si dee dar loro da bec- care la mattina al cominciar del giorno, a mez- zogiorno, et avanti la sera, perché più volentieri se ne tornino al letto; et s' avvezzino a venire a beccare con viva voce, che così camminino verso il suono come la sentano? aguzzando « quello il loro appetito da mangiare. L' entrate loro nelle stanze d’ andare a dormire, di sotto le loggie o portico, deono essere da certe fine- strette, da terra alte un braccio, et con piuoli fitti nel muro o scaletta appoggiatavi, per faci- 265 litar loro la salita; o veramente si faccino alte da terra non più d’un palmo sott' il portico 0 loggia dalla banda di fuori, et dentro arrivino al piano della stanza, la quale ha a essere am- mattonata più che lastricata, per più sanità et pulitezza, et massime che tutti i polli amano ’l secco et l’asciutto, che così più volentieri vi si ritireranno, et le galline et i galli, i quali talora per essere assai non si comporteranno bene in- sieme, se il chiuso et portico non sia tanto grande, che e’ possino ivi agiatamente appartati dagl’ altri spaziare con alcune poche galline. Et sarà similmente utile che egl’ abbino molti ap- partamenti che abbino molte uscite da un capo all’ altro, et il medesimo sia nella stanza, come "è detto, dove hanno a dormire, se ella non sia molto grande; et se il chiuso abbi qualche ap- partamento, se ne possono seminare alcuni, et seminarvi grano o orzo; et quando comincierà a nascere, che sia un po’ fuor della terra gran- detto, sì cavino quivi fuori a pascolare, et non pascendo si semini l'altro; et questo sì dee fare dove non è erba naturale e dove non hanno spazio da rivoltolarsi et spassarsi. D' in- verno fa lor bene, sotto al largo, letame secco et asciutto da raspare et stuzzicare et sollazzare et razzolare dentro; et nell’ estate se gli cavi la terra in luogo asciutto che sia stata adaqquata, ben zuppa d’.aqqua, et cavisi la terra perché s immollino; et così si cavon loro dal dosso i pidocchi, si rinfrescano e si baloccano più sua- vemente, bagnandosi volentieri, svolazzando so- pra l’aqqua chiara et diguazzando et sbattendo l’ali, se vi sia qualche gora d’ aqqua o rigoletto corrente. 266 Gl'abbeveratoi così di dentro come di fuori nelle loggie et per tutto allo scoperto, se non vi sia fonte naturale, vogliono essere di lame di piombo accomodati in foggia d’ una cassetta quadra lunga che di sopra si possi em- piere, et poi mandato giù il coperto che v ha a essere si chiugga; et dai lati, alto dal fondo un palmo, per la lunghezza, vi siano certi pertusi rotondi, tanto che v' entri il capo del pollo con poter distendere il collo, affinché volendo bere possino distendergli là senza imbrattare l’aqqua, la quale se non sia d’aqqua viva si muti loro in ogni modo ogni quattro di; et non si avendo piombo, facciasi di legno di castagno, cipresso, quercia o olmo, che tutti sono legnami che l’aqqua non gli corrompe o infracida, in quella medesima foggia, perche ella vi si mantenga pulita et netta. Et la cassetta dei polli per bec- care sia ben lunga secondo la qualità dei polli, perché assai ve ne possino stare a beccare ad un tempo; et perchè non imbrattino il beccare, sianvi dallo scoperto di sopra confitti certi asse- relli, tanto distanti l’ uno dall'altro, che vi cap- pia il pollo il collo, senza introdursi con i piedi; puossi ancora porvi di sopra un'asse per lo lungo, tanto scoperta et sollevata dall’ altre tre, che retta in su le teste et nei mezzi dia luogo al becco del pollo, che cosi non ne manderanno male tanta et si manterrà più pulita. Ora di qualunche sorte di polli si cerchi di far razza, eccetto che di quella di Soria di Fa- raone, nella quale è di mistiero eleggere della lor fatta i maggiori et i più belli e ben fatti, conviene primamente accappare il gallo che sia pre n a delle dar i Ri I E I anice DI ; 267 di perfezione, importando sempre assai più un buon gallo che buone galline, perché il buon gallo fa buone galline et non esse lui. Sia addun- que il gallo che s' ha a eleggere perfin da pic- colo cognosciuto per cantatore (se ben fattogli un cerchio di sermenti al collo si tien che non cantino), salacissimo, orgoglioso, altiero et ardito et vivace e fiero, che si scorga che combatta con gl altri ancora maggiori di lui che voglino montar le galline; abbi principalmente il capo che gli stia diritto, alto, elevato e feroce, con cresta rosata, diritta, bene increspata, con una corona; sia la cresta alta, elevata, et non mai torta o piegata o piana, che ciò lo denota d’ ani- mo vile, et le parti di lui in questo deono essere di animoso, cortese et liberale; abbiala grande, grossa et patente, colorita, sanguigna, infocata, et la testa ancora, et il becco corto et grosso et a uncino et bene aguzzo, gl orecchi grandi et bianchi, i pendagli sotto la gola, domandati bargigli, lunghi, traversati di bianco e rosso et rilucenti d’ ambedue questi colori, et come attaccate a una bianca barba le sue crinature (') del collo, quale sia alto, orgoglioso, disteso et ben fondo di piume variate, o veramente ingial- late di color d’oro e rilucenti di verde, sparse per la collottola, collo et rene (*); gl’ occhi ne- greggianti et radi, ciò è con assai spazio dal- l’uno all’ altro, sfavillanti et che buttin fuoco, con la luce infocata rossigna; il petto largo et (1) sopra crinature è scritto jubae. E in canam par scritto sopra bianca, della quale parola son poco sicuro, e propenderei a legger vecchia che mi sembra correttovi sopra. (2) spalle è scritto sopra rene. 268 traversato et pien di muscoli, i fianchi (') robu- sti et gagliardi, l’ali piene di penne et grandi et spaziose; la coda sia di doppio ordine di quà et di là, con le penne alte et rilucenti, piegata in dentro di sopra le schiene, et si lunga che la si gli rivolti sin al capo; i lombi con le nati- che ruvide (*), con fonde piume, le gambe e gli stinchi robusti et gagliardi, armato di cattivi nocenti speroni. I costumi, sebben questi come quelli d’ Inghilterra non si richieggano per combattere, tuttavia sien generosi, allegri, vigi- lanti et pronti a cantare spesso et a vegliare, ‘nè che di facile si spaventino o abbin paura, perché talvolta conviene che difendino le gal line da animali velenosi, ammazzando et serpi et lucertole et altri animali che le volessino op- primere. Niente di manco i contenziosi et troppo vaghi di combattere et ferire gl altri non s' ap- pruovano, perché vietan che gl’ altri non cuo- prino le galline et gli perseguitano, avendo una lussuria da gareggiare. Et di fazione di vita sia piuttosto quadrato che lungo, raccolto bene in- sieme et traversato, d’ appiccatura di coscie et gambe a proporzione, non gobbo, non nano, non punto malfatto o stroppiato, nè piccolo sia né grande sconsertato; sia un poco più di mezzana statura rispetto agl altri polli, et più alto et elevato delle galline; et se non si può trovare di color nero pendente in rossigno o rossigno focoso dorato (benché essendo così tali faranno gl allievi maschi et le femmine nere) piglisi (1) Zacertis è scritto sopra fianchi. (?) hRirti è scritto sopra ruvide. ‘269 nero morato bene; altri appruovano che egli si confacci nel colore e fattezze delle galline et co ’1 medesimo numero d’ugne nei piedi, et questo dee esser sempre caffo. Riesca innamo- rato delle sue galline, et quanto più canta a buon’ ora, tanto più si può presumere che sia per riuscir megliore, purché non sia in sul farsi notte, ma verso la mezzanotte, che è quando canta un po’ roco: et quanto più apparisce et s approssima il di, tanto più se gl assottiglia la voce, la diminuisce, et la fa più squillante et penetrativa. Ancora conviene osservare, vo- lendo far pruova della sua perfezione, quando ponendolo a combattere si rallegri vincendo, canti et si pavoneggi et si inglorii,, sarà segno di vantaggi al gallo; et perdendo s' attristi, tacci et nascondi. Et quella rissosa libidine, che talora hanno, si raffrena et si modera con aver . forato un cuoio in giro et fattivi mettere i piedi, quasi in pastoie come a’ cavalli. Tutti i polli bianchi sono da essere fuggiti, come quelli che biancheggiano o che pur hanno una sol penna bianca, né sono da essere commen- dati i cosi grandi, perciocché tutti questi non fanno tant’ uova, et i nati di loro non ingrassano tanto né ingrossano, vivono manco tempo, et più sono veduti dai nibbii et scoperti dall’ aquile; et sono di cattiva ragione, e ’1 gallo di malissima condizione et dappoco. Et io agl altri d'altro colore ho sperimentato in Malta [uno] che non fuggi al lione a rincontro del quale lo messi, né s'asterri punto; anzi fieramente risguardatolo, ristette alquanto un po’ sospeso il lione, di poi acciuffatolo l’ammazzò; riserbando agl altri a 270 far pruova in questo del bianco gallo, quale dicono essere quello solo che fa paura et fa ritornare indietro il lione; ben è vero che questo regio animale s’ arriccia et sente un certo che d’omore alla voce del cantante gallo. Le galline bianche ancora si dislodano per esser troppo delicate et più sore et addormentate. Le galline addunque più generose son quelle che hanno la piuma rosseggiante e le dite dei piedi dispari, o nere, o rosseggianti in nero, o brizzolate in nero e rosso, et è bene che tutte siano d’ un colore et d’una razza, il che è agevole a conse- ‘guire, avendo dei galli sopradetti. La statura dell’ esser loro dee essere di mezzana grandezza, perchè le grandi non sono tanto feconde, come si vede nelle Padovane ancora nel lor natio paese; quadrate et traversate, di buon corpo, gran testa et grossa, con cresta levata et ampia, ben colorita et rossa rilucente; il collo grosso, le dite sottili et che non concorrino l’ une sopra l’ altre, et siano cinque piuttosto che quattro; orecchie bianche; et di queste fattezze grandis- sime, riusciranno meglior chioccie et faran più uove. Deono aver le gambe che non vi siano per traverso gli sproni, perciocché queste avendo questo segno virile di gallo, repugnano all’ atto venereo, conducendovisi mal volentieri, et an- cora quando covano percuotono con i calci l’uova et le guastano ; hanno ad avere grand’ ali, grandi penne et fonda piuma, e massime quelle che hanno a covare uova, foltissima; et ne sa- ranno vaghe, standovi sopra più volentieri. Le galline nane (') non sono approvate, sebbene in (1) pumiliones è scritto sopra galline nane. ao e te) Pitta A ae e ESA Re Ra AIR NIE E REN CRATERI IRE I METE CITI "ag par. = ea n 4 : Tua 271 molti luoghi, come in Romagna, fanno uova assai et sono feconde; i Romani le stimavano assai per più saporite in cibo d'inverno, ma sono sempre di poca carne et stanno magre. Le mez- zane son laudate, et le grandi si deono trascerre per ingrassare; et per far dell’uova assai deono essere d’ uno anno o di due, et così le chioccie per covar uova, perché attendono a star più pazienti in sul covo a covare che le vecchie, le quali s hanno a tenere per allevare, et da quat- tro anni in là al più s hanno a dar via, perché non faran poi più tant’ uova, sebben sono più grandi, non covono più bene et son dure. Quelle che si mangiono l uova, quelle che cantano come i galli o uccelli, le nate tardi et di galline e gallo assai vecchi, non s' hanno a serbare o tenere, perché son più facili a morire l'inver- nata seguente et perchè non riescono bene. Il fummo sanifica le galline dalla ciecagione et dalla cispa, et tiene lor purgata la testa. Abbru- ciando intorno al pollaio corna di cervio, le terrà difese dagl’ animali velenosi et opereranno che non s accostino; et non succedendo ciò, abbrucivisi ginepro, rosmarino, tignamica o pa- glia molle o qualche altra cosa che facci gran fummo, purché sia odorifera. 1 polli si lascino andar fuori dopo un’ ora che ’1 sole sia stato levato; et se sia il tempo tristo, rattenghinsi dentro sin a che schiarischi, purché ogni giorno si lascino scorrere alquanto; et avanti che 1 sole vadi sotto, si mandino a letto. Scompartiscansi di modo i polli, che a ogni quindici galline et non più tocchi un gallo; altri hanno openione che cinque o sei galline 272 et non più s alluoghino a un gallo. Niente di meno, secondo la valentigia et ferocità del gallo, se ne dia più numero o manco. Ma a una chioc- cia non si sottoponga già più che diciassette o diciannove uova. Se le galline chioccie fossero pavonesse Indiane, pongasene lor sotto delle nostrali sin in venticinque. Se le galline che si tengono non chiuse, ma alla campagna, scorres- sero all’ uve, si dia loro mescolata la lambrusca, cioè il fiore della vite salvatica, et questa gli infastidirà che non ne mangieranno; somiglian- temente, se elle perseverassero, si dia loro a bec- care del fior che caschi dall’ uve di prima na- scita loro. Ma per continuo et buon cibo si dia loro da mangiare orzo cotto alquanto caldo 0 macinato, cicerchie vecchie, miglio, panico, loglio cotto, semola leggermente dalla farina separata, mescolata con farro; le foglie del citiso et le sementi gli son buone, i minuzzoli del pane le recreano assai, et mangiono volentieri ogni pane stritolato, così tutte le mondature del grano et delle biade gl’ intrattengono, et di qualunche di queste beccate che se gli dieno, siengli date in più volte et poco per volta, così farà più lor prò, non empiendo il gozzo con furia, et lo smaltiranno assai meglio; ché tal- volta, avendo assai roba, si scalcheggiano lun l’altro et s ammazzano trangugiandolo, il che dà loro dolor di ventre, et molte fiate se ne muoiono, et massime i pulcini; et sebbene i polli sono così abboccati che mangion tutto che è posto loro innanzi, non perciò è lor tutto sano; per il che si dee attendere a dar loro i meglior cibi, i più caldi l'inverno, et l’ estate per con- such - ina Se È 273 trario; et il simile si facci del lato, d’ inverno asciutto e caldo; et d'estate se gli cuoca dell’ orzo netto et spolverato nell’ aqqua netta sin che si sfracelli, gettando via l' aqqua della sua cocitura, et presane dell’ altra, mettasi di nuovo a cuocere con un poco d’ allume di rocca nella caldaia, accanto s' impoltigli con la crusca, et mesturati cosi insieme diasegli la mattina di buon’ ora per il freddo, et faranno uova. assai et chioccieranno per tempo; et fra ’l di, poco per volta, panico, miglio o grano. Ancora un pu- gnello di ciccioli, di quelli che avanzano a far le candele di sevo, dato loro la mattina innanzi beccare, gli manterrà in buon essere et faranno il medesimo effetto: ma vivono meno. Con tutto ciò sono molti che gl’ usono per cavarne in breve tempo maggior profitto, così per la: gras- sezza, come per la quantità dell’ uove che fanno; et il miglio, grano et panico, dato in altra ma- niera che in quella, gl ingrassa bensi, ma non gli lascia chiocciare, et nuoce loro. Non è da satollarli con i vinacciuoli, perché fanno far loro poche et piccole uove, et tanto più ne’ freddi maggiori; fugghinsi ancora per loro le ghiande ‘trite et le castagne minuzzate, né si diano loro che per intrattenerle quando son vecchie, per ingrassarle ai tempi, nei quali poi ancora con i vinacciuoli si prepari lor tutti quei beccari, mescolandovene la terza parte; et faccisi questo ne maggior freddi. Co 1 miglio covon l uova molto, et è cibo peri pulcini et pollastri singu- lare, et ottimo nutrimento per loro di tutti i tempi; l'estate si può dargli l'orzo non cotto; et sia di erba o foglia, se non han dove pascer- 18 c'IRENTA del ui, a OA E I ae Rae ee OR De 7a NERA Son ERA A E } ia è qu È ci gp ù AA ri 274 ne, dovendosegli dare la verdura più per raffre- scare, che per cibo di nutrimento; ma per il caldo dell'estate chiocciano in ogni modo. Dove è quantità di poponi, minuzzinsi triti et mesticati con semola, similmente i cetrioli et i cocomeri; di più nell'autunno l’ortica fresca cruda o cotta, tagliuzzata bene, gioverà mescolata con crusca a darsi loro. A quelle che stanno al largo al campo et a’ pascoli o intorno a’ pagliai, basta il cibo ordinario due volte il di, la mattina a levata di sole et la sera un'ora avanti che le vadino a dormire; et dove elle non hanno que- ° sta commodezza, una volta più, che sia dopp' il mezzogiorno. Et dove van lontane a buscare, et massime d'inverno, [siano] avvezze a tornare a casa co "1 suono d’ un campanello che dee star accomodato sopra alla porta del pollaio, et tor- nate che le sieno, gettisegli sopr il letame qual- che cosa da beccare, et. se gl’ assetti quivi oltre aella polvere asciutta o cenere o ceneracciolo non bagnato, perche vi scavino et lo rivoltino raspando; et la estate nella polvere di terra scavata se gli getti da mangiare; profumandosi la notte co ’1 zolfo a dove le stanno a dormire, quattro o sei volte il mese, faranno l’ uove assai più grandi et si manterranno più sane. Tenghinsi sempre i polli sceveri da ogni altro animale, et massime oche o anitre, che imbratton loro il beccare et il bere, il che i polli amano tuttavia netto et pulito; et perché questo av- venga in meglior modo che non con le cassette dette di sopra, faccisi fare una gran campana di terra cotta, la quale abbi il fondo di sotto appiccato intorno all’ orlo del giro di tutta la > SEA RIRTA Pi Rit 7 TT de SI ai i O 3 LR ARE LU 5 > : SSA III MONTARE DEA Lt 275 campana, et quivi sopra a un sommesso siano certe fenestrelle di mezzo aovate che la rigirino intorno, et sia scommessa dalla parte di sopra, di dove sì getti dentro il beccare; et un’ altra simile se ne facci fare per dar lor bere; così non potranno imporcare né l’ uno né l’ altro. La semola semplice nutrisce i polli, ma genera loro i pidocchi; imperciò sempre si mescoli, avver- tendo che tra essa o in altro modo non siano mai gusci d’ uova, perché essendovene s’ assue- faranno poi a beccar l uove. Le galline vecchie s hanno a riserbare per covare et le gioveni per fare uova; et quelle hanno a essere di due anni sino in tre et che non passin quattro, sce- gliendole larghe di corpo, di grand’ ali, piene di piume, brave et ardite per poter difendere i pulcini da cagnuoli, gatti et nibbi, lucertole et altri animali, senza speroni et con l ugne rintuzzate; sappin chiamare, cantare et gridare sopra l uove quando le covano, si come l’ altre galline, quando fanno l’uove nel nidio, schiamaz- zare; le mute et le nane non covan bene et non cuopron l’ uove et ne rompono assai. Il tempo di porre l uove sotto le chioccie nei paesi temperati o caldi sia di gennaio sin a mezzo febbraio, et nei ben caldi può comin- ciarsi sin di dicembre, et nei più freddi al fine di febbraio et di marzo, intendendosi ciò per i polli che s' hanno ad allevare a mantener la razza; che per aver pollastri da mangiare, se ne possono continuamente porre così di estate come d'inverno, purché s’ accomodi la stanza al tem- porale; perciocché nelle stufe faranno ancora ne’ maggior freddi. Ma quelli che di quel tempo SAVA, SRI II I PARE E RP ra, SETA PR DIE I OMIATN 276 detto nasceranno, diverranno sempre più vigo- rosi et gagliardi, et come fortificati dal freddo sempre più sani, et negl altri tempi saranno più sottoposti a pipite et ad altri mali. Ma le galline ordinariamente come elle finiscono a far dell’ uove, cominciono a bramar di covare; ma non è da lasciare che tutte covino, imperocché nell'inverno le son più atte che a covare, a far dell’ uove; et si ferma lor quella voglia con cacciargli una penna travers’ al naso. Le vecchie et attempate son meglio per covare. Alcune _calpestando le sue uove le guastano, altre rom- pendole le divorano, molte hanno il becco troppo aguzzo e le forano, et ne sono di quelle che per aver l ugne troppo appuntate le bucano; tutte queste tali si serbino a far uove, né mai s' ado- prino a covare. Puossi ancora provare con i cibi a proposito di procacciare più per tempo la fecondità, et a questo conviene di buon’ ora cominciare a dar loro dell’orzo mezzo cotto, che farà loro aumento d’ uova et i parti più facili et spessi, et tanto più condendolo con foglie di citiso e co ’1 suo seme, le quali due cose le fanno più fertili; et dove non sien queste, cosi suppliscasi con la sposina ('). Et gioverà nei luoghi freddi tener calde le chioccie, et nati i pulcini, operare che abbino i luoghi da dor- mire puliti et netti, distesi di paglia, la quale si rivolga loro et rimuti spesso, perchè s° em- piono di pulci; et perciò sien pulite le stanze dove stan le chioccie a covare, perche le pulici et altri animali non le lasciono riposare, per (1) semmolillo è scritto sopra sposina. POR ZIE RIE Pi ZETA Le ri UA i Tribe e ai 1534 ita de i ER, x ° à% $ ; : SES Se (LE il che l’uove dan fuorii pulcini disegualmente, o invecchiano et guastandosi non fanno. Le quali uove per covare s' hanno a scerre delle più fresche, perché più presto mandan fuori il pulcino che le stantie; et perciò sien uove che non passino dieci di dalla nascita, et siano nate di galline ben satolle, et tutte sien d’una sorte et razza, perche quelle di due son meglio da mangiare che da serbare, et massime che di quelle talora [nascono] pulcini mostruosi con due capi o stroppiati, et di queste più forti e sani. A tal che, volendo far covare uova grandi, siano di gallina solita fargli così, né si mescolino, et per quelle si sceglia la chioccia maggiore. L’uove buone a essere covate primamente dimenate forte bisogna che non diguazzino, et sperate alla lucerna nel tralucere mostrino una _ nuvola appannata dentro oscura; si cognoscono a dimenarle nell aqqua, perché le piene vanno al fondo et le vane a galla; et quelle delle galline ove di continuo sia stato il gallo non sono da accettare, perche le non saranno né gallate né: buone. Volendo assai galletti per capponare o pollastri ancora, si può innanzi preparare et sapere, osservandolo dal gallo, se sia solito far più maschi che femmine, o per contrario, et dalla fazione delle uova si scor- gerà che quando tira al tondo da ogni banda grossetto sarà femmina, et quando sarà lun- ghetto assottigliandosi dalle bande sarà maschio, come i lunghissimi et acutissimi; et questa re- gola vale a ciò, quando son nati tutti d'una gallina. Altri gli guardono al sole ponendogli 278 i dritti sopra la palma della mano che gl’ ad- dombri, et se una macchia che suole apparire verso la punta è ugualmente in mezzo alla punta, sarà di maschio, et se pende da uno dei lati, femmina. Trascelte l’ uova, si dee accomodare il nidio in un cestino capace, fermo, di paglie trite minuzzate bene o di fieno sottile non impacciato d’altre erbaccie, netto et pulito, mescolato con foglie d’assenzio et di ruta secche; stia 71 nidio non più alto da terra d’ un palmo, affinche la chioccia non scommuova 0 ‘spezzi uova, le quali non hanno mai a essere scrollate o smosse quando si cavano; et perché le galline che talora hanno mostro di voler covar bene non si svaghino, et partendosi dal nidio freddin l’ uova, assettisi il nidio in stanza appartata et che si serri, per levar loro l’ occa- sione di abbandonarle et che non s'abbino a levar d’in su l uove, se non per pigliare il cibo, et perche l'altre galline non vadino a distur- barle per voler far quivi l'uovo o bezzicarle; et se avvenisse che non si potesse tenere a co- vare la chioccia in luogo chiuso, segninsi con un carbone quelle che si covono, et se più non sien buone si cavino. Et bisogna osservare quando si pongon l uova, che quelle che han dato fuori si raccoglino et si segnino quelle che di per di sien nate, affinche freschissime alle chioccianti (') si sopponghino in cambio, mentre che le non sieno più vecchie che di dieci di et riposate. Mettasi intorno al nidio dell’ alloro et vi s' ab- (1) glocientibus è scritto sopra chioccianti. PASTI CRAL N era One le don et Aa RARE ALA ROSA e a eni dA ie DAR et REPAIR RAZ RE EP ERO NRE RIT OLO TIE ISEE I INTRO, Ra [Aste rn n SEA A % APRE ri Ù + ‘ Fb » e 279 bruci vicino delle corna di cervio o galbano o capelli di donna o peli di capra, per far fuggire gli animali velenosi o altri. Fatto questo et cognosciuta la chioccia, la quale si conosce all’ andatura, che va chiocciando, et al non si saper partire dal suo nidio, standovi ferma fatto che ha l'uovo, si deono accomodare a giacere nel nidio il numero dell’ uovi detto di sopra, che si tocchino l’ un l’altro, nel crescere della luna, nei dieci o quindici di della nuova, perché tocchi parte del crescere al principio e parte anco all’ uscire; et la luna nuova gl’ aiuta a disarmargli meglio dal guscio et più presto. Altri affermano che pur sempre si ponghino in numero dispari, ma tuttavia il medesimo nu- mero, di gennaio, febbraio e marzo, ma non più di quindici, di poi tutta l’ estate sin a settembre il medesimo; da quivi le muoiono per il freddo, se non si riscaldi la stanza o vi sieno stufe; et certi credono che i polli dal solstizio in là non diventino grandi, et che l'ottima postura sia dall’ equinozio di primavera. Del tempo del mandar fuori il pulcino non sì riscontra di tutti l’ openione; alcuni in quat- tordici di, altri in ventuno, et in venti sono vedutisi dar fuori i pulcini; è ben vero che di estate penon sempre manco a dar fuori che di inverno. Alle sue ore debite s' apparecchi quivi nella stanza il suo mangiare, et sia grano, perché in quel tempo hanno bisogno per il disagio di nutrimento gagliardo et riscaldarsi con esso; et. sì rinnuovi ogni di in su mezzogiorno. Visitisi ancora ogni di il nidio, mentre che elle beccano, levando via le [uova] spezzate, et per i primi 280 quindici di, se paresse occorrere, si possono rivoltare ogni di una volta, affinché le sentino il caldo da ogni banda; benché la gallina. gli circonda meglio tutti et gli gira da sé. Et se elle tardin troppo a mangiare et rientrare nel nidio, si ponga sopra l’uova una pelle calda, et massime se stringa il freddo; et ne’ primi quattro di si sperano tutti alla candela, et tro- vando che sien mossi, avendo sparpagliata la torbidezza, si lasciono stare, et i chiari et tralu- centi si levano via, perché non nascerebbero a tempo con gli altri, È openione d’ alcuni che qualunche cosa di ferro posta nel nidio, o foglie d’ alloro, o strame, o gramigna, operino che non gli noino le saette; altri vi pongono dei capi d’agli, fittivi dentro dei chiodi; similmente gio- verà far dei profumi di ramerino, et nel nidio. fra la paglia por del puleggio secco per ovviare ai pidocchi. Nei calori grandissimi dell’ estate è bene talvolta spruzzar l’ uova con l'aqqua. fresca destramente et con leggerezza, perché quelle non si disecchino: et massime s' osservi questo nei pavoni d’ India e naturali. Se tu vorrai rivoltare et rifare et nettare il nidio, poni pian piàno in una cassetta di legno con mano l’uove cavate dal nidio a una a una, et di poi rimettile nel nidio, rassettate come prima. Il lor mangiare si metta appresso al nidio. Et se bene le chioccie rivoltino l’ uova da per loro, tuttavia è da voltarle con mano, . perché ugualmente piglino il caldo a mandar fuori il pulcino; et se ve ne sia delle rotte, se ne rimetta. Passati i ventun di, allo scorcio d'’ essi abbisi l occhio et avvertiscasi che nell’ uscire ei Ei e EVITO IE ATTESE SI SA) EN ta & 7 N et. î 281 non affoghino i pulcini, e si ponga l’ orecchio a sentire se con le rostelle abbino rotta la scorza del guscio et se pigolano, perché qualche volta per la durezza del guscio non possono romper fuori, et quando vi stan sodi bisogna cavargli fuori con le mani et mettergli sotto alle madri che gli covino; et ciò non è da fare che per tre di, perché dopo ventun di l uova che son salde (') non han pulcino dentro, et s' hanno a levar via perché non covino invano; perché il vigesimo giorno, se si muova l’ uovo, si sente dentro al coccio la voce del pulcino ch'è vivo; et se gli mancasse caldo per difetto della gal- lina che non n’ avesse quanto bisogna, mettinsi l’uova in una caldaia co ’1 nidio della paglia netto, et sotto se gli metta'di quando in quando alquanto di bracie, si che la paglia lentamente riscaldi; o vero si riscaldi la paglia da per sé, et scaldata si ponga sotto et sopra all’ uova non le movendo del nidio, che ciò aiuterà di farle nascere affatto et uscir fuori. In capo a tre di [il pulcino] mette la piuma, disposto di questa maniera, che tiene il capo sopr il destro piè et l ala destra sopr il capo, a poco a poco mancando il rosso dell’ uovo. I pulcini tosto che sien nati ‘non si deono levare ad uno per uno come si truovino nati, ma si hanno a lasciare stare per un di sotto la madre, senza dar loro né mangiar né bere, per sin a tanto che tutti sien usciti fuori. É cosa di meraviglia a dire et pur si chiarisce essere così, che non s' ammazzano cascando da (1) silentia è scritto sopra salde. (EN gg EB. 282 alto avanti che egl’ abbino cominciato a beccare. L'altro di che tutti saranno fuor del. guscio è bene mettergli in un graticcio o vaglio, et far lor fummo sotto con puleggio, o ver cacciatigli in un cofano appiccargli al fummo, proibendo ciò la pipita che gli suole far morire: di poi s' hanno a racchiudere nella stanza, et per un poco dar loro cotta in aqqua farina d’ orzo, spruzzatovi sopra un poco di vino. Grandemente è da guardargli dalla crudità, et perciò si ten- ghino per tre di sotto la cesta con la madre, .et dando lor poi di nuovo cibo fresco da man- ‘giare, avvertire che non abbino punto del crudo del di dinanzi; e perché se non hanno voto il gozzo è segno di crudezza, s' hanno a tenere senza mangiare tanto che smaltischino; né sì lascin discostare dalla cesta, dando lor tuttavia farina d’orzo, tanto che si fortifichino; cavin- segli appresso le penne intorno al forame et sotto la coda, et se si riserri loro il sesso, aprasi con il sodo d’una penna unta: et se fossero troppo sviati di li a qualche giorno in andar raminghi, prillinsegli l’'ali. È bene ancora i pulcini porre al sole, nati che sieno, in su ’1 litame, affinchè vi si rivoltolin sopra, che cosi crescon meglio et tengonsi caldi, se è d’ inverno, con un pan- nolino steso sopra la cesta. Beccano volentieri minuzzoli di pane stritolati minutissimamente et semmolillo, e *n sul terreno bagnato e molle, o vero che vi sia sparsa della polvere, perchè non si faccin male al tenero becco et ugna, panico et zuppa di pane in vino et pasta im- pastata con sementa di nasturcio, che gli difende dall’ accecare, et carne tagliuzzata minuta non pa e (Di rata AA de A si SLI | LOTTA AES tI (TESTI e 3 ps nà 5 STATI da $30% pci 4 283 salata et piccoli lombrichi della terra. Avver- tiscasi che per i primi venti di non s' immollino né dentro né fuori del nidio. Quando la chioccia avesse pidocchi, se gli metta nel nidio mar- robbio o nasturcio fra la paglia, et venendo innanzi unghisi con un poco d'olio sotto le ali, ‘intinto caldo, sin che lo succi il luogo unto et asciughi prima che ritorni sopra i pulcini; et se la chioccia n’ è piena, ungasi tutta et se gli muti la paglia, né si rimetta in sui pulcini che asciutta, et quando s’ ugne avvertiscasi che non gl’ entri l'olio negl orecchi; i pulcini, se quell’ olio gli toccasse, prima si morrebbero che s' impidocchissero. Se ne siano assai d'una età di diverse chioccie, si posson mettere tutti in- sieme, che sien guardati da una o da un’ altra gallina che vi s' avvezzi, perché quella torni a covare, o da un cappone, ma che sien tutti uguali, che altrimenti gli bezzicherebbono; come abbino quaranta o cinquanta di, possono andare da per loro con gl’'altri polli, et ancora prima. Et volendo far multiplico di polli senza l’aiuto del covare delle galline, scegliasi il paese caldo et caldo il sito, et quivi si faccino molti fornelli a uso dei nostri forni, ma con il cielo un poco più basso in volta et arcati ancora di sotto, con gl’archi alti da terra un braccio e mezzo; et doppo che ei sieno asciugati et secchi, si stenda tutto ’l piano di piuma di collo di polli minuta, mettanvisi stesi per ordine tanti quanti vi cappiano uovi, et sarà assai capace di cento o duecento; cuoprinsi poi l uove d'un altro suolo di penne; sotto poi al forno con bracie si dia il fuoco temperatamente uguale continuo, 284 che sia tiepidamente unito et unitamente tie- pido, di quella qualità che è quello della chioc- cia. Cosi seguendo, in ventun di incirca nasce- ranno; et alcuni in cambio di penna pigliono litame trito minuto et netto et ben secco, con un suolo di sopra et sotto et l’ uova in mezzo; et a questi che così son nati senza madre si possono dare per chioccia i capponi, i quali se non sì muovono ad accarezzargli, piglisi la pecchaigas (') et pungansi con l’ortica et met- tinsi in una cesta con i pulcini di sotto, che per la morbidezza delle lor piume sentendo conforto gl’ adameranno. Diasegli largamente poi da mangiare perché possino averne per loro e sparnazzarne ai pulcini, i quali di poi ame- ranno cordialmente. È cosa esperimentata che dibattendosi le uove da porre, faranno i pulcini Zoppi e stroppiati, et massime quando sien di già sotto la chioccia, scomponendoli le fibre vitali incominciate. Ancora è scritto che se si metterà nei ventricoli (*) dell’ uova sottilmente vagliato lo sterco delle galline, et d’ intorno a loro s accomodino le piume delle galline, et sopra queste si disponghino l uove messe per diritto, la parte più acuta rivoltata all'insù, et che sopra si riponga dell’ altro sterco criviel: lato, tanto che da ogni banda elle sieno rico- perte; il che fatto, i primi due di o tre si lascino stare, et di poi ogni di si rivoltino, con questa avvertenza che l’ uova tra loro non si percuo- (1) Questa pecchaigas non so dir che sia: ma è voce certo derivante dallo spagnolo, come ghalpitos, beruguello, ceguera ecc. che si leggono più avanti. (2) panni è scritto sopra ventricoli. 255 tino et ugualmente siano covate; doppo venti di si troveranno l’ uova rotte ne’ lor panni. Addunque il vigesimo di se gli lievi il coccio, et cavati fuori i pulcini, si diano al governo delle galline. Truovasi ancora scritto che una donna; che aveva grandissime poppe, avendo «messo fra esse un uovo et tenutovelo senza mai cavarlo venti di, in capo a quelli naqque il pulcino; né falsamente è scritto che Augusta, presone buono augurio, riuscisse gravida del- l’imperadore. Ancora è scritto, che mettendo spontaneamente dell’uova in un vaso tepido, nascerà il pulcino. Si truovano alcune galline, et massime delle pavonesse indiane, che stanno attaccate in su ’l nidio senza saper finire di levarsene, né anco per andare a beccare, et se si levano con mano, subito vi toni durando in questa pertinacia tre di interi et di passo; a così fatte bisogna spesso porgere da mangiare quivi dal nidio et andar mutando lor cibo, tanto che una volta si risolvino a beccare; et ancora si dee provare a invitarle co ’1 verdume; se covato poi ch’ ell’ abbino le non voglino par- tirsi del nidio, è di mestiero bagnarle sotto con aqqua fredda spesso, levar via tutti i nidii, tenerle legate per un piede in altra parte; et alcuni per farle dischiocciare affatto: gl’ attra- versano una penna per mezzo il naso: così tor- nano a far uova, dismettendo il chiocciare. Ma il cappone che s’ elegge a fare l'offizio della chioccia dee esser sano, forte et gagliardo; et pelatolo tutto sotto ’1 corpo et puntolo con ortica maschia, s imbriaca con una zuppa di pane 286 in buon vino, et così ubbriaco si mette in un vaso coperto d’ asse che fugga e possi sfiatare; et fatto questo, per tre di continui si pone sotto a una cesta grande di vimini con un pulcino ‘di venti di almeno, al quale per l’amore che gli piglia se gli dà il di seguente quanti pul- cini si vogli, et gli procuran con maraviglia, vezzeggiandogli né abbandonandogli mai né di ne notte, sin che le pollastre faccino uova et i galletti siano da essere capponati; e in questo . termine saranno quando averanno preso tanto augumento che cantino et grandemente alte- randosi fra loro combattino per amore, sapendo che quelli che riescono buoni capponi riescono buoni galli, che i 9gha/pitos non vaglion nulla né per capponi ne per galli. Ve ne sono alcuni galletti mogi tiepidi addormentati et effemmi- nati, che non si risentono con le galline né fanno tra esse motivo alcuno; questi riescono eccellenti per capponi et per chioccie. Ma si dee cercare tra ì galletti di quelli che abbin grossa la pelle del capo per capponare, perche ingrassan più et diventan più grossi et pesanti, dilatandosi per la vita. Il galletto che ha a essere castrato tengasi per un di innanzi senza mangiare allo stretto, affinche essendo voto patisca del taglio meno, et meglio in quella magrezza se gli possino ritrovare i granelli, i quali tagliando in tra- verso quanto è grossa una costola di coltello, sotto verso terra, presso al sesso due dita, et un dito di taglio facendo, con li diti della mano sottili ben lavati che non abbino tocco ne agli né cipolle, si cercheranno et trove- 287 ranno ambedue i testicoli et si taglino con forbici arrotate taglienti; si ricucirà di poi la ferita con filo di refe et ago grosso tondo, et vi si ponga sopra cenere rovente et olio che scotti, o veramente delicato butiro vecchio lavato; et molti, cucita la ferita, vi strofinan su la palletta rovente affocata, et di poi ungono con olio caldo commune. Di poi si tenga due di senza bere racchiuso, più appresso ripo- sato di parecchi di se gli tagli la cresta, fer- mando il sangue con ferro affocato ‘et ugnendo come s' è detto di sopra. Il segno che sia ben castrato il galletto si è quando resta di cantare et se gli ritira da per se la cresta et i bargigli sott'il mento scoloriti et sbiancati in gialliccio, et quando non cerca più di montare le galline; et a quelli che non si rintuzza né la barba ne la cresta et segue di star loro intirizzata et colorita, per essere loro rimaste le corde dei testicoli gagliarde, se bene essi sono stati tratti fuori, è segno che non sono né ben castrati, né buoni capponi, et conviene mangiargli avanti che egli invecchino, che poi sarebbono troppo duri né ingrasserebbero. Piglionsi ancora i gal- letti et con un ferro roventato se gli abbru- ciono gli speroni, si che rasente la gamba se gli rompino et aprino i nervetti, et subito si impiastrano con creta stemperata di pentolai et si lascion stare. Alcuni gli fanno un rottorio nei lombi et vi pongono su di questa creta; ancora, abbruciando con un cauterio ben caldo un deruguello (*) che han sopra la coda, tengono (') A Bologna vive ancora bruguel, che significa pustola o bollicina della pelle. Ma qui è detto per il coccige o codione dei volatili. STRESS ESE FRE RIE CI EIA PPT) OE OE e GERE PET e ETA e A ‘288 che capponati sieno. Imperciò per far capponi s' hanno a trascerre polli della meglior razza che si ritruovi et s' hanno a capponare nello sminuir della luna, et in questo medesimo . tempo si capponino ancora le femmine, et si . scegliano pollastre della medesima qualità che i galletti, sapendo che le galline ‘ingrassono meglio che non i capponi; et il modo di capponarle non è altro che tagliando sotto al sesso metter dentro l'indice e ’1 medio et cavar lor fuori quella prima pelle et membrana che si ritruova là dentro, et trar fuori loro la sede ‘dell’ uove, ciò è Vl ovaia; di poi s' incenda la ferita con appiastrarvi una paletta roventata, et ricucito il taglio si sani con cenere calda unta; et capponate che elle sono, s° astenghino dal bere per un di, poi si dia loro zuppa di pane con vino, o del grano o della vena. Ma a volere che le galline faccino dell’ uova assai, bisogna dar loro d’ inverno del seme di canapa che le riscaldi; et avanti che le sien grandi, pestisi un coccio di pentola greca o un pezzo di mattone ben cotto alla fornace, et mescolata quella polvere con crusca impastata co "1 vino, si dia loro a mangiare; o veramente mescolare un orcioletto di quel coccio o matton pesto con due metadelle di crusca, et darlo lor per. cibo. L’ uova delle galline, dell’ oche, del- l’anitre, dei pavoni, delle testuggini, delle lu- certole et dei colombi tutte son candide ; agl' a- nimali aquatici son verdrognole con certa pal- lidezza; delle pavonesse d’ India sono in tutto di color simile a quello dei pavoni ordinari, se non che hanno certe punte distinte minute, 289 come delle meleagridi; a’ fagiani et chascridi di color rosseggiante. Ogni uovo ha il tuorlo in mezzo circondato dall’ albume, et questo è agli aquatici di color di loto, et il rosso più livido ch’ agl’ altri. I pesci gl’ han dentro, tutto d’ un colore, nel quale non vi è punto di bianco; l’uove degl uccelli per il calore son fragili, dei serpenti per il freddo lente, dei pesci per il liquore tenere. Escono fuori l’uove dalla parte che in loro è più rotonda, accanto si par- toriscono con il coccio tenero, ma tosto tosto diventa dura di mano in mano quella porzione che esce fuori; l’ uove lunghe sono le migliori. Le galline alcuna volta le fanno con due tuorli, con il mezzo del guscio quasi cinto da un cerchio, alcune gli fanno raddoppiati, et doppi nascono d’ alcune. Tanta è la fertilità, che durano a farne sin in sessanta, et alcune ogni di uno; et certe son tanto feconde, che avendo finito di partorirle si muoiono. Quella gocciola di sangue simile che in tutte si ritruova, dicono essere il core dell’ uovo che è il primo a na- scere dentro. Il pulcino prende il corpo dal- l’ albume, il cibo lor dentro nel color che v’ è di loto; a tutti dentro è il capo maggiore di tutto ’1 resto del corpo; gl’ occhi simili, chiusi, maggiori del capo; nel crescer del pulcino il «bianco si trasforma nel mezzo, e ’1 color del loto si sparge intorno intorno; nei venti di, se si muove l uovo, si sente pigolare il pulcino dentro, nel medesimo tempo comincia ad aver la piuma, et dentro sta come di sopra si disse. L’uova vane si crede che sieno ingenerate dalla vicendevole immaginazione del coito delle gal- 19 290 line. L' uove bastano gran tempo ricoperte nel grano, nella paglia, nella crusca. Alcuni le ten- gono prima quattro ore nel sale ben pesto, poi le lavano et così le cacciono nella paglia o nella crusca; alcuni le mettono fra le fave dure et altri nell’ infrante; altri le cacciono nel sale interamente, ma questo così come non le lascia putrefare, cosi le consuma dentro et diminuisce. Quanto all’ingrassare i polli, i pulcini pri- mamente s' ingrassano con il dar loro a beccare in cambio di panico e miglio della pizzicata di ° Fuligno et della cannellina minuta coperta di zucchero, che questo gli fa diventare al gusto più suavi et delicati: si come le vitelle di latte, dando loro a ber il latte dove sian mesticati et intrisi minuzzoli di pane largamente; s' in- grassono bene et la carne è più pregiata. I polli grandi poi et le galline et capponi, pol- lastre et galletti, tutti s ingrassano bene con il cavol cotto condito con olio, tagliato minuto, et anco cotto semplicemente con l’aqqua, me- scolato con la crusca, et-con dar loro nel mede- simo tempo certi fardelletti di farina impastata, ficcandogli lor giù per la gola. Ma innanzi a tutte le cose, si dee accomodar un luogo fatto a proposito di ciò; sì dee addunque per ingras- sargli bene eleggere un luogo che sia caldis- simo et sopratutto di poco lume, et dove pos- sino star ristretti, fermi se non legati, che non possino andar troppo in quà et in là, perché il muoversi e ’1 veder lume assai è nimico all’ in- grassare; et desiderando che aqquistino la gras- sezza in venticinque di, conviene aver una cas- a en ee ge ro sil'ala 3 xi Ve Ù A n Lon et È sia) UR 1 gd 291 setta fatta d’asserelli, che vi stia dentro un cappone o una gallina sola, castrata o intera, et che abbi due pertusi, uno dinanzi di dove possi cavar fuori il capo, et l altro di dietro da tener fuor la coda e ’1 codrione, affinché possi pigliare il cibo et mandar via gl’ escre- menti; mettavisi sotto distesa della paglia o fieno duro ('), perché quanto più giaciono sodo, tanto più presto s' ingrasseranno; et pelisi loro bene la testa, sotto le ali, et nelle chiappe di dietro, al sesso, perché non creino a star a quel modo pidocchi in quelle parti, et quivi perché non si riserri loro il forame. Queste cas- . sette s' appicchino sospese al palco o tetto, alte. da terra due braccia, ma fetminsi con un legno fitto in terra che non si scuotino; et diasi loro da mangiare farina d'orzo intrisa con l’aqqua o senza. Altri l’impastano e gli danno bocconi -di quella, da prima poco, di mano in mano si cresce quanto si vede ne smaltischino, né se dia di nuovo, se non si vede digerita; altri con aqqua melata (*) intridono la farina, tre parti d’aqqua aggiugnendo al mele et una di vino, et tutto zuppo v’intingon del pane di grano e il dan loro; altri con il latte, inzuppatovi dentro molliche di pane, delectissimamente gl’ ingras- sano. Ma per ingrassare. sono megliori i capponi che passono l’anno et similmente le galline; et generalmente divengono grassi nella corte e pollaio, dove stanno senz’ altra diligenza, solo con il dar loro da mangiare assai in processo di tempo. (1) cordus scritto sopra duro. (2) mulsa seritto sopra agqua melata. 292 Ma volendo bene ingrassargli et più presto, facciasi una stia di asserelli di legno o tra- verse di bastoni tondi alti un braccio e mezzo, e la lunghezza sia braccia cinque, et stia alta da terra, retta in su le cantonate da quattro piedi di legno quadri, grandi et grossi a suffi- cienza; et stando rasente il muro da quella banda, non occorreranno né bastoni confitti né asserelli, i quali hanno a essere tre dita et non più discosti l'uno dall’ altro, eccetto che quelli del fondo che hanno a essere un poco più ra- detti et tondi, perché s' imbrattino il meno che sia possibile con i loro escrementi; et di fuori a piè del fondo della stia s' accomodi una. cas- setta lunga, alta un sommesso, che arrivi a tutta la stia; et nelle teste 8’ accomodino due vasi da bere, tuttavia mantenuti pieni d’ aqqua pulita et netta, mutata loro spesso, perché la beino non punto imbrattata et chiara. Questa stia, coperta di sopra con tavole, dee essere collocata in una stanza più tosto in palco che a terreno, che sia con poco lume et volta a mezzogiorno, rasente la cucina o in essa, che sentino il caldo e ’1 fummo et vegghino il fuoco; et in questa stia, quanto più staranno stivati et fitti, tanto meglio ingrasseranno, ponendo da beccar loro in quella cassetta cavoli triti mescolati con crusca, cotti più che crudi, et con i ciccioli che avanzano ai candelai a fare le candele mesco- lati con quella et tritati minuti; et megliori ancora sono quelli che avanzano ai pizzicagnoli a fare il lardo. Ancora si fanno grassi con dar loro pastelletti di farina d'orzo impastata et intrisa co ’1 formento, perche ‘ lievita. opererà 293 più che altramente, et massimamente se con essa si mescolerà seme di lino cotto et crudo. Alle galline, tenendole di per sè in un’ altra simile stia, pur nel medesimo lato, si dia loro per ingrassarle della saggina cotta, la quale le farà grasse et tanto più perché ella opererà che le non faccino uove; et l’ invernata, che per ordinario non ne fanno troppe, l ingrasserà bene quando la sia mescolata con crusca; an- ‘cora la crusca o semolello, intrisa con i brodi che avanzano alla cucina, et qualunche carne cotta trita, mescolata con essa, farà il medesimo; et le galline per ingrassare, medesimamente si hanno a eleggere quelle che tastandole si truovi che abbino in su ’1 collo la pelle grossa, et que- ste diventeranno grassissime, dando loro pane stritolato nel latte, dando loro a bere del siele che cola dall’ istesso latte. Et così ai capponi -che si tengono per ingrassare s' ha ad avvertire di non dar loro il beccare tutto a un tratto, ma a poco a poco, e non mai il secondo, che avendo palpeggiato il gozzo, non si truovi abbino smaltito il datoli innanzi, et ciò si cognosce quando hanno il gozzo voto. Il bere ha a essere con moderazione, et il mangiare di quelli intrisi. più presto sodetto che molto liquido; et la saggina macinata et di poi intrisa farà lor megliore operazione, et i cibi più i cotti che crudi. Ancora mettendo i capponi o galline in sporte agiate, ripiene sin a mezzo di buon fieno soffice et morbido, cucite di sopra et sparate dinanzi et di dietro, che possino cavar fuori il capo et il codrione, quale si tenghi spelato intorno al sesso, in N t ‘"M - ASTRA IN RIETI DIC" a n 2 15 906 294 luogo al buio, tenendovi la lucerna accesa, et ponendo dinanzi a ciascheduna sporta un vaso da bere et un altro da beccare, rasente l’ uno all’altro, sospesi da terra attaccati a chiodi fitti nel solaio, legati con una corda, et una nel fondo della sporta confitta in terra, che non ballino a beccare o a bere, dando loro dei cibi sopradetti; et se si cognosce venir loro in fasti- dio lo star legati, si mutin loro i cibi con dar lor del grano, cavinsi di quivi et faccinsi cam- minare un poco, dipoi tornino all’ usato, dando loro zuppa di pan di grano fatta in vino. Met- | tinsi ancora in una gabbia grande trenta quaranta galline o capponi, et dentro facciasi divisa da tavolette, si che ne stiano quattro per appartamento, da poterli cavare et rimet- tere a posta sua. Cosifatta gabbia, o sia di asse- relli composta o di vimini tessuta, s' appicchi alta da terra un braccio e mezzo, ponendosi in lato caldo non troppo alluminato, dipoi cavinsi fuori a quattro a quattro, et s' ingozzi lor con imbuto pastelli fatti di farina di panico, poi si dia lor bere aqqua chiara et pulita; così si fa a tutti, riponendoli di mano in mano al luogo loro, et come hanno smaltito si torna a fare il medesimo, et in quindici o venti di saranno ingrassati; ma in quelle sporte o gabbie acco- modate come di sopra ingrasseranno bene, ma un po’ più tardi, ma faranno il grasso più sa- porito, durabile et sodo. Come di sopra si disse, le galline fanno talora l’uove senza maschio, le quali sono mi- nori dell’altre et non generano; si dee sapere che elle non sono ancora cosi buone. Le buone: N DI PA VAIE i 295 a mangiare et da razza sono le nate di gallina et gallo neri: et si deono per le megliori di queste eleggere le lunghette et non le rotonde et nate di galline colorate o bianche, sendo quelle più saporite et di gusto megliori; et siano fresche; et non essendo, ponghinsi per due ore a star nell’aqqua fresca o fredda; et siano le uove di gallina grassa nutrita di cibo buono; et queste sì mangino o si mettino a ser- bare di estate nella farina di centino o nell’a- rena, et d'inverno come di sopra dissesi, o tut- tavia: nell’ olio. Ma cavando dieci o dodici chiari et rossi d’ uovo separati gl’ uni dagl’ altri, et i tuorli mescolati in una vescica gli porrai leg- germente, et con il legarvegli dentro ne formerai una palla rotonda, la quale così acconcia met- terai in una pentola piena d’aqqua a fuoco; et quando tu vedi che ella comincia a bollire per - modo che ella gonfi assai, che sarà segnale che ella sia assodata, cavala fuori et aggiugnivi attorno attorno le chiare, facendo che ’1 giallo stia nel mezzo, et che la vescica accomodata a forma d’ uovo la tenga insieme, per rimetterle a cuocere in una pignatta maggiore, ove, asso- date «che sieno, leva la vescica et averai l’ uovo mondo. Accanto a questo gli farai il guscio in questa maniera: piglia delle guscie dell’ uove bianche et pulite, et pestandole fanne polvere, ovvero falle macinare ‘et vagliale a un vaglio fitto, come se se n’ avesse a fare polvere da oro- logi; lascia poi stare nell’ aceto fortissimo, tanto che le diventino tenere come di pasta, et rime- nandole ben insieme, preso un pennello, impia- stra quella materia liquida su l uovo mondo, a A ii 296 et bagnato con l’ aqqua chiara s assodi et facci duro; et sarà un uovo fatto come gl’ altri, ma grossissimo. Ancora, il guscio dell’ uovo intenerisce se tenuto nell’aceto, che s' assottiglia un uovo a entrare per il collo d’ un’ inguistada; et pigliando allume et aceto, pestando insieme, et con questo scrivendo nel guscio dell’ uovo quello ti pare, poi asciuga l’ uovo al sole quando è ben caldo, mettilo appresso nella salamoia per tre o quattro di, et come di nuovo egli sia rasciutto cuocilo sinché s' assodi, poi mondalo con diligenza et troverai nella chiara assodata le lettere scritte. Ancora, cuopri l’ uovo di cera impiastrato per tutto ugualmente, più appresso con un bolinetto di acciaio incava sopra quella cera lettere che dichino a tuo senno, et riempi quelle canalette con aqqua arzente, ciò è aqqua da spartire, et lasciale stare per un giorno in infusione nell’ aceto; et quando tu leverai la cera, scorticherai quella prima scorza et leggerai nella chiara le lettere fatte. Di più, preso il guscio dell’ uovo fatto far vuoto con un pertoso di sotto et di sopra soffiando, et del mese di maggio ripieno di rugiada, la quale si raccoglie dalle foglie dove ella casca con spugna o taf- fettà, spremendo in un vaso invetriato, et di quà empiendo l’ uovo con un imbutino et turan- dolo bene da ambe le bande et ponendolo al mezzodi al sole, si solleverà in aere da per sé, movendolo prima un po’ da terra con la mano; ma meglio farà su per un bastone scannellato, dandogli un po’ d’atto all’ insi. Ancora, presa una sanguisuga viva et cacciatala in un uovo, 297 turando bene il pertuso con cera stemperata con trementina, et postolo in terra su l’ammat- tonato, et in su lo spazio di terreno piano te- nendo lontano due picche un vaso pien d’ aqqua et dibattendolo con un bastone, quella mignatta, sentendo il percuoterla dentro a quell’ uovo, rivoltolandolo vi correrà. Nascerà una gallina con quattro ali, scegliendo un uovo che tu scorga che abbi due tuorli, il quale lo suol fare la più feconda gallina del pollaio, il che si co- gnosce dalla lor maggior grandezza; et speran- dolo al sole, porre questo fra gl’ altri a covare, che lo farà di quattro ali e quattro piedi; ma conviene avvertire che fra un rosso e l’altro s interponga una pellicina' che spartisca l'un tuorlo dall’ altro, et che la chiara sia tutta unita insieme, perché se si romperà la membrana, nasceranno due pulcini senza membra raddop- piate. È voce comune, ma falsa openione del volgo, che di certi ovettini piccoli che talora fa un gallo, per via di quell’immaginazione gagliarda che si disse di sopra ritrovarsi nelle galline, ponendogli sotto la chioccia a covare, ne naschi il basalisco. Sono per certo state trasportate dall’ Indie, ritrovate dal poco men che divino ingegno di Cristofano Colombo cittadino della Repubblica Genovese, per celeste retta miracolo, assai più che molte cose utilissime all’ umana generazione, non solo per l’uso de’ bisogni medicinali, ma a ornamento della lautezza et delicato gusto degli splendidi banchetti et a ripieno della bontà dei cibi; tra le quali cose le più pregiate et di maggior stima et di più prezioso sapore sono 298 senza dubbio state le pavonesse et i pavoni In- diani, così veramente da essere chiamati, et non polli, facendo la ruota alla coda, alzando all’ insù le penne come loro. Et sebbene alcuni conten- dono essere nel numero delle meleagride, perché ell abbino i bargigli et le creste di color ce- ‘ruleo ('), ma l’ Indiane hanno solo i bargigli ma non le creste, et dal 1530 indietro non sono stati veduti ne’ nostri paesi, et subito, come nei loro natii, spiegan la coda come i pavoni, incitati dalla voglia del coito, et hanno la polpa doppia nel petto ben carnacciuta;, come i pavoni istessi et anitre d’ India istesse. Il sapore della carne non è poi tanto saporito quanto dei polli nostrali, ma se gl accosta, agguagliandosi più a quello dei pavoni quando sieno frolli con arte, la quale [giova] più di tutte le altre cose che si fanno per intenerire le carni tanto dei polli quanto di tutti gl’ uccellami: come subito morti lasciargli penzoloni co ’1 capo all’ingiù a un fico, cacciar subito loro in gola sale et aceto, morti che sono, o subito sotterrargli in fossa ricoperta di terra, torto loro il collo, o tenergli attaccati al cammino affocato, o morti racchiuderli in una pentola vota con le penne stufandogli, get- targli nell aqqua fredda, sommergergli nella cenere calda, romper lor subito gli stinchi, le ali, le coscie et dovunche abbino le osse intere; cacciar loro una noce in bocca quando non sieno ancor bene affogati; mozzar loro il collo di netto come i Giudei, perche la carne si mantenga, scolando di quivi il sangue, tutta bianca et (1) gialliccio sta scritto sopra ceruleo. bea cat Sint nt nti id nale ee ran nd atrata TA cho i FI dI re RE FRI LIT SAI Spi — ut î Pot 299 infrolischi, tenuto di poi nell’ aqqua fredda; pigliare il pollo o uccello che si sia per la vita sotto il braccio manco, tenendolo stretto fermo, et con ambedue le mani apertagli la bocca, cacciare la punta d'un coltello alle radici della lingua et sbarbarglila affatto, et tenerlo capo piè tanto quanto dura a sgocciolar sangue; o vero naturalmente infrolliti, con lasciargli star morti di estate un di et mezzo o due, et l’ in- verno sette o otto di al sereno. Ma come si sia, per la grandezza et grossezza loro compariscono più d'altra sorte d’ animali di penna per vi- vanda onorevole et di tutta bontà, o se egli è arrosto o lesso o in pasticcio o in stufa, otti- mamente preparato; et sono tanto piaciuti, così in universale come in particolare, che ogni paese, perchè per tutto si nodriscono e vivono ancora nei freddissimi et nei loro oppositi, cia- scheduno che ha punto il modo se n'è voluto fornire et averne. Sono per lo più di piuma bianca o nera, et alcuno di color ceruleo (') et nero mesticato insieme; i piedi interamente di pavone, la coda corta, la quale i maschi l aprono come. loro, massime quando e’ sono in appetito delle fem- . mine; hanno il capo e 1 collo senza piuma, con la pelle ronchiosa, et quasi ricoperto con un cappuccio, la qual pelle loro raccorciano et allungano in quà et in là, in giù et in sh a loro arbitrio, et massime i maschi, quando vo- gliono beccare, quella del capo rincrespano. Sono al maschio quei bargigli più sparti et dal (1) gialliccio sta nuovamente scritto sopra ceruleo. 300 petto più quasi piene di crini le piume; il co- lore della ronchiosa pelle intorno al capo (la quale sî come i bargigli calano in giù sopr’ il becco et intorno al collo, somiglianti a bolle gonfie) di quando in quando in guisa del cama- leonte si va mutando, avendo imitati i colori dell'arcobaleno, or pallida, or sanguigna, or abbacinata (*), or bigia si dimostra, et in un tempo mutati tutti questi colori per miracol della natura in rosso carico, .si fa vedere un volatile meraviglioso. Questa sorte di pavoni et pavonesse Indiani amano luoghi larghi, spaziosi et grandi, da poter abbondantemente pascersi dell’ erbe nei prati, nei quali per questo et per andare a spasso grandemente si dilettano; et perché si sicurino dai nocenti animali et se n’abbi libero et sicuro il dominio, è bene circondare il luogo dove s' hanno a tenere tutto di muro, et che sia com’ un verziere tutto ripieno di fruttiferi arbori, piantativi fitti rispetto all’ ombra, et sotto, se non vi naschi naturalmente, seminare buon’ erba. Et in qualunche modo. bramano l’aere libero et aperto, da poter talora pascersi d’animaletti et bachi che ritruovano entro al terreno, oltre a quello che si dia loro da bec- care continuamente, grano per il più et più appresso il medesimo che all’ altre domestiche galline et galli, avvertendo che sono men pa- zienti dell’ umido et del caldo; però si godono dell’ aere temperato, sebbene ancora in quelli allignino; ma sopratutto vogliono di lor natura (1) casia è scritto sopra abbacinata. 301 luogo secco et asciutto, et per il lor dormire et riposo, in pertiche alte da terra otto piedi o dieci al più, accomodandovi certe scalinate di legno da poter salire, perché non volano molto, non si potendo da terra alzare più che tanto. I pavoni d’ India et le pavonesse s'° hanno a eleggere di penne più nere che sia possibile ritrovare, et le brizzolate sono da fuggire come le bianche; siano quelli grossi et grandi, ben fatti et informati, et così le femmine, et tanto più da covare, un po’ lunghette et piene di piuma, et le lor creste et pelle del capo colo- rite di rosso sanguigno, non mai smorto né ce- nericcio, se non quando si.fa di diversi colori, intendendosi di prima faccia quel primo; et di più sia il pavone gagliardo et ardito, et vuole aver più di uno anno; così le galline per far uove; e ’1 pavone durerà buono a salir le fem- mine due anni. Covansi le uove sotto le lor pavonesse o sotto le nostre galline trentuno di, et.nate si tengono in lato non freddo, né si lasciono ir fuori che le copertate di piuma, o che sia caldo. Nutrisconsi da principio di uove sode cotte, fredde, trite minuzzate, imbeccan- dogli d’ esse con un imbutino; puossi ancor dar loro pane inzuppato nell’ aqqua o minuzzoli di pane stritolati; et poi si dia loro del semolello intriso con aqqua o erbe trite et cotte, o che le becchino da loro, o empiendogli il gozzo con mano et con l’imbutino, tanto che becchino da sè; poi di continuo si dà lor da beccare come a’ polli nostrali, fuor di quello che stanno pascolando; si come all’ enfiagione del capo, pipita e altri mali similmente si rimedia, 302 Vogliono i pavoni d'India la medesima cura de’ pavoni nostrali et governo, se non se son manco pazienti dell’ umido et del freddo et del caldo; più sono anche ‘maliziosi et mor- daci. Partoriscono avanti che i nostri pavoni et molto prima cominciono a far l’ uove, perché d'uno anno, o se tardi, di due partoriscono, cominciando a far l’uove di marzo; et nei luoghi caldi ancora prima. Assai uove sì pongono, se si toglino loro et diensi alle nostre galline a ‘covare; et se non si levin loro, tosto le comin- ciono a covare, stando intensissime a ciò, tanto che cavando lor l’ uove di sotto, covano una pietra o qual altra si sia cosa, né si parton chioccie dal nidio voto. Ma con il remedio di sopra detto delle galline si vieterà loro il co- vare, ovvero immollando loro il ventre con aqqua fredda. Si sottopongono loro l uova come ai pavoni, covando dai ventisette di a trentuno il più; chi ne ha cura le rivolta, segnandole, et leggermente vi spruzza aqqua, guardando che ’1 maschio non v' arrivi, che le disturba et guasta l’uove. Le pavonesse alla campagna gli allievano da per loro con quelli che hanno .da beccare. Dassi a ogni cinque un pavone; et se l’uove sieno covate dalle pavonesse, mettinvisi venticinque uove, e sotto le galline ventidue. Pongonsi dagl’ otto di della luna nata, perché nasceranno al detto tempo. Dicesi che le faine non ammazzano quelle pavonesse o galline o altre che abbin sotto l’ ali accomodato un maz- zetto di ruta salvatica. S' allievano ancora con il gran cotto et lombrichi tagliuzzati; et tenendo questi pavoni et pavonesse ferme, et in lato che SS 303 elle si possin muovere, poco stretto, asciutto et sano, dando loro da mangiare gran cotto et da bere aqqua tiepida, s ingrasseranno oltr a modo, et talora i maschi arriveranno al peso. di trenta libbre et di passo, et massime se siano capponati, il che si fa alla foggia sopradetta de’ polli, et così le galline; et in questa ma- niera diventerà miglior carne. Sono ancora buone l’ Indiane pavonesse ad aver dei pulcini per tempo, ciò è a mezzo dicembre, ponendo lor sotto l uove dei. polli nostrali, purche la abbi incominciato a chiocciare et sia sana; et si pone in luogo caldo con venticinque o ven- tisette uove sotto; la quale, essendo ben trattata, li darà fuori in diciannove o ventun di; et nati pongonsi sott’ essa per sei o otto di, non mancando di proccurargli di buon governo sin che vadin sotto la lor custodia, sotto la quale si possono finir d’ allevare, o si vero sotto una nostrale. Et a fare che le galline et pavonesse di tutte le sorte faccino uove assai et spesso, piglisi saggina, vinacciuoli, poche fave, vaglia- tura di avanzumi di grano, ghiande acciaccate et fior di terra alta due diti, et faccisi a suolo a suolo un suolo di quelle materie mescolate insieme et uno di quella terra, tant’ alta quanto l’uomo la vuole, et sempre la terra spicinata per mezzo, et lasciarla stare ammontata tanto quanto altrui la vuole adoperare, purché prima l’abbi cominciato a inverminare, et poi darne loro a beccare, tagliandone per volta dalla massa quello che l’uomo vuole; et la massa s ha a tenere ammontata come il monte del letame, ma al coperto sempre, 304 Le principali malattie di questa sorte pa- voni et pavonesse et polli ordinari sono la pituita et la ceguera (*), e l'una et l’altra pro- cede da frigidità et umidità, et talora da siccità et dal bere aqqua calda et lorda, et s' attacca a tutti beendone; viene ancora dal patir fame, dal fango et mota del luogo ove stanno, et dal- l’acqua corrotta e stantia; assalta per fin ai grandi et più gagliardi, né rispiarma i gioveni dalle chioccie usciti, massime fra ’1 tempo della vendemmia et ricolta; et si cognosce che ell’ è una pellicina bianca che cuopre e veste l' ul- tima parte della lingua. Questa, apertogli il becco e tiratagli fuor la lingua, sì strappa con l’ugne, et la ferita si tocca con cenere calda et con aglio trito mescolato insieme, spruzzatala bene. Questo male si sfugge con tenere i lor vasi da bere nettissimi et pulitissimi, et co ’l tenere i pollai con questa medesima diligenza, et con farvi fummo, et che ’1 covare sia in lato di fummo d'alloro e sabina. I più sogliono rimediarvi con una penna fitta loro a traverso al naso, mandandole in qui et in li ogni giorno, et fare che il lor cibo sia ruta strofinata co ’l burro, o veramente aglio infuso con aqqua et farro, o finalmente con cacciar loro nella gola le spighe dell’ aglio inzuppate nell'olio. Alcuni con l’orina tiepida gli bagnano la bocca, te- nendola lor serrata tanto, che l’ amarezza gli costringhi a mandar fuori la pituita per il naso. Sono ancora alcuni che tagliati in pezzi gli spicchi dell’aglio et messigli nell’ olio bol- (1) infreddatura è scritto sopra ceguera, 305 lito et lasciatolo raffreddare, gli lavon la bocca con esso. Proccurisi ancora, per ovviare a questo male, et massime ai gioveni che son più pronti a incontrarvi, che ove hanno a bere non vi siano oche o anitre che lo guastin loro, nulla sendo remedio megliore, che il lor bere sia netto, chiaro et mutato spesso, et che la estate abbin luogo fresco, netto e benè spazzato, et nell’in- verno asciutto et caldo. Ma se la pituita affron- terà gl occhi, et di già rifiutin di voler man- giare, taglinsi le gote col ferro, et la marcia raccolta sotto gl’ occhi si sprema fuori, et vi si strofini sal trito; et questo suol accadere quando di estate beano l aqqua stagnante delle corti, quando d'inverno son tempestati dal freddo et talora patiscono del mangiare. Se taluno di questo male o d’ altro s° am- malassi, et massime d’intera cecagione, appar- tisi dagl'altri et facciasi dormire ove sia forza di fummo; et agl'altri, perchè s' assicurino, si facci la notte fummo d’ alloro, di ginepro, di rosmarino, ruta, timo, isopo et spigo, et. nel- l’aqqua che le beano ponghinsi radici di tama- rici, o vi si cuochi con l aqqua et con questa s intrida la crusca. Se abbino mangiati lupini, soglion dar fuori i grani d’ essi sotto gl’ occhi, et se con diligenza aperta loro quella pellicina e’ sì levon via, sì muoiono di tratto. Avendo cispa, enfiagione, abbacinamento o: altro male agl’ occhi, si sovvengono con il succhio della porcellana spremutovi dentro, o con il latte di donna bagnando di fuore all’ intorno, o con comino, mele et sale armoniaco. Enfia loro per umidezza presa o altra cagione molte volte la PO 306 testa; a questo si dee cavar lor sangue sotto gli occhi con destrezza et sottilmente, et a far uscir fuori quell’ aqquaccia o con un ferro caldo se gli rompa la pelle sopra la nucca, attraversando con una penna i due fori del naso, nettandogli ogni di, ovvero si passi con un chiodo caldo due o tre volte, et se gli diano a mangiare agli minutissimamente tritati; et alcuni sono che gl’ impinzano di foglie d’ agli verdi tagliate, con olio, o di porro; o impastare con orina la semmola, o dar l orina semplice; ma sopratutto è loro utile il fummo. La pipita è proprio come una. volatica bianca in sulla punta della lingua, la quale, levata via con l’ugna, s' impiastra con aglio trito et cenere; se gli mette anco al gozzo aglio trito con olio, et giova la strafizzaca pesta fra ’1 loro mangiare; giova ancora all’ enfiagione degl’ occhi et della testa spelargli la gota, et al basso del capo passare la punta d’ uno stidione sottile infocato tra carne et pelle, et per questo buco fare un’ allacciatura con un filo, ugner la piaga con cotica di porco, poi legata 1’ atlaccia- tura riguardarla dal freddo; et si può ancora fare questo pertuso con un ago grosso rovente; et è remedio che servirà ancora ai pulcini grossi che lo possono comportare. Dicono anche gio- vare alla ceguera pungere loro alquanto certe vene che hanno sotto le ali, come per la pipita che facci tener loro la bocca aperta, enfiata che non possono inghiottire, et pare che non sì saziin mai di pigliar aere in bocca. Patiscono talora di idropisia, alla qual remedia il dar loro a bere le radici di tamarici disfatte nell’aqqua con 307 essa. Da’ pidocchi pollini si liberano interamente con pestare la vite salvatica (') con comino brustolato di pari misura, inzuppato con vino dato loro a bere; ancora, il lavargli con la deco- zione d’aqqua di lupini salvatichi. Ancora giova all idropisia far loro ingozzare di molto olio perchè li muova: ancora due o tre pillole d’ aloè delle communi, un po’ più piccole dell’ ordinarie. Si può anco votargli lo stomaco, tagliando di fuori, et votato ricucire. Se le galline o pavo- nesse mangino le nuove, cavato l’ albume dal guscio, vi si cacci del gesso liquido o qualche altra materia liquida, che s assodi come un coccio duro. Cogliendo dalle macchie l uva lam- brusca non matura et con granelli di grano cotto datagli a mangiare, le divertirà da toccar l’uove, et così faranno, dandogli a mangiare del fior dell’ uve. Se se gli attraversassino l’uove in mandandole fuori, ammazzinsi, che | non campano; ma prima si pruovi a ugnerli bene il sesso con olio come si fa alle pollastre da prima, et se convenghi, spacchi il sesso, per far grand’ uove; dianseli a mangiare vinacciuoli, et se gli lavi quivi con vino, cottovi dentro il sommacco, ramerino et coccole di arcipresso, et poi vi si ponga sopra polvere di mortine, fatta di foglie o di seme, lavandogli bene per tutto che penetri con succo di strafizzaca, con vino, o con aqqua di lupini o cocomeri salvatichi cottivi dentro. Se sieno i pidocchi ampliati per la stanza, abbrucinsi con scope secche. Si sparge (!) tabe pidocchiosa, stafides (staphis) agria, scritti sopra vite salvatica, 308 ancora alle galline il fiele, et diventano gialle, enfiando; è ben dar loro così asciutte, stropic- ciandogli forte il codrione, tre prese di pil- lole d’ aloè. Se avessero ingozzati serpi o taran- tole, scorpioni o simili, unghinsegli le congiun- ture con utriaca, o si dia da bere loro dell’olio. Le cose calde date loro da mangiare le faran rimanere da fare l uove senza guscio. I pulcini patiscono qualche volta di trascicare l'ali, che si chiama portare i frasconi; rimediasi con dar loro buon cibi, tenergli al sole, et che non pati- schino freddo. Ma sopratutto le terrà difese da qualunche infermità che possi lor sopravvenire il tener netto il pollaio, sempre spazzato et pulito, et aver avvertenza che non becchino il lor proprio sterco o qual si voglia altra sorte, che questo nuoce loro grandemente et causa loro quasi tutte le sopradette infermità, dalle quali ancora le preserverà nei luoghi temperati pelargli sotto le ali et.le ali et il collo e ’l codrione; et nei freddi le ali solamente, et non mai tagliarle, che s' incrudiscono et sdegnano. Le uove delle galline, avanti che le si pon- ghino sotto la chioccia le gallate, unte tutte bene d’olio d’ oliva, faran nascere i polli bianchi. [Cosî, in fine alla carta 187. verso, lasciato un piccolo spazio bianco, terminano polli e tac- chini. Le carte 188, 189,190, sono bianche. Il testo riprende a car. 191. recto]. I Colombi. Computando nel numero dei domestichi co- lombi (che terraioli si chiamono, perchè hanno per natura di volare et stare terra terra, né mai curarsi di salire in arbori per lor riposo, se non necessitati per mancamento di tetti vicini o aie di campi, dove volentieri dimorano) i più dome- stichi colombi che grossi s' addomandano, per essere di fattezze di persona assai maggiori di quelli, si troverrà per esperienza che sono cosi di profitto et di supplimento al vivere le colom- baie ripiene di colombi, come i pollai ove non manchino polli, se ben questi vengono vantag- giati nell’ utilità dell’ uove; ma è tanto di gran : lunga maggiore la quantità dei colombi, pi- gliando di tutte le sorti, ancora mettendoci i -salvatichi, che non dei polli, che possono al sicuro supplire, et anco con avanzo, per l’ uove loro. Come si sia, egli sono d’un gran ripieno et fanno una gran superabbondanza di vivanda alla vita dell’ uomo, poi che fanno rispiarmo alle carni degl’animali quadrupedi, servendo per esse et con meglior bontà ai servigii della cucina casalinga; onde è che s° ha a tener conto d’ averne buondati et di buona ragione; il che s otterrà con il cavargli di paese buono et dove faccino di loro stessi gran moltiplicazione, et operando che non solo alla casa principale della villa, se sia grande capace d'ogni intorno, s' ac- comodi una. colombaia per ciascheduno angolo d’essa, ma a tutte le case delle particolari pos- sessioni, sopra il tetto, alta et eminente fabbri- Ce Se ee a e e Ta Nr n de e dei eta RR 5A a, 310 | carne una. Ora, poiché tutti i colombi accop- piati colla lor consorte generano di loro istessi lor medesimi, più d’una volta l’anno i terraiuoli, et i grossi assai più volte rifacendosi a covare, sì può credere indubitatamente che restino di numero ai polli superiori, le galline dei quali, se bene covando fanno nascere gran quantità di pulcini in un tratto solo, i colombi, non facendo più che due uove per volta, fanno na- scere quelle sole. Tuttavia ogni gallina non si serba a covare, né tampoco diventando chioccia multiplica la sua generazione, perciocchè per | diverse occasioni in più usi pollastre si consu- mano, et oltre a che per questo non arrivano a quell’ età di poter stare nel nidio a covare et far crescere tutta la razza sua; i galli ancora sì castrano, et castrati diventati capponi, se bene un gallo solo può bastare a molte galline, danno occasione et causano di scemare assai il numero dei polli, i quali anco vogliono più cura et più spesa nel lor governo per il beccare et saturarsi che non i colombi, che fuori del tempo freddo dell'inverno si buscano il vivere di ratto nei campi et alla campagna; et quelli bisogna tener provvisti del lor cibo tutto l’anno, se ben per l'estate al tempo delle ricolte ancora essi vivano di rapina. In qualunche modo, et l’ uno et l’altro germe è utilissimo al vivere umano, et se ne trae grandissima commodità. Sono addunque principalmente due sorte di colombi, domestichi et salvatichi, et questi sono alquanto più grossi dei domestichi terraiuoli et in tanto, che sono pari ai colombi grossi dome- stichi. Ma fra i salvatichi sono ancora di quelli M parer CARI Lia la 311 che appellati per nome co’l diminutivo di co- lombelle, agguagliono l’ essere dei colombi do- mestichi ordinarii. Ma qualunche si sia sorte dei salvatichi, appostando i loro nidii, che così come i domestichi nelle case covano, quelli negl arbori fanno i lor nidii, et più senza com- parazione nelle piante come loro, et non o di raro in altre, et cavandogli d’ essi in quel ter- mine ch’abbino mandato via le caluggini et anco con esse ridotti in casa, et dando loro da beccare quello che a’ domestichi, se ben loro alla campagna si nutriscono ancora di ghiande, sì possono addomesticare, tenendogli prima sotto una cesta et imbeccandogli con un imbuto o senza, sino a tanto che becchino da per loro, gettando sparso il beccare per terra (qual sia di grano, che lo beccheranno di miglior voglia et più con esso s ammanseranno) manterrannosi poi in una stanza serrati lungamente, et insieme avvezzandogli con i domestichi a beccare. Ma se avanti che i pippioni salvatichi si cavin dal nidio, s userà diligenza di far prigioni la madre e 1 padre, soliti a venire a portar da beccare ai loro allievi, o con aver teso loro un laccio, che tenutili ligati per i piedi, si piglin vivi, o con una rete sottile di seta accomodatavi di color bigio, in modo appannata, che vi riman- ghin dentro presi senza offesa, o con pania, spaniando di poi lor le penne con l'olio, pur che altrui gl’ abbi nelle mani sani et salvi, senza danno alcuno della lor vita; et appresso questo senza perder tempo si piglino i figliuoli; doppo non molti giorni che sia fatto lor imbec- care, con tutto lo sbattere et opporsi che da NR RR ae i ti tia el ice A 312 i principio faranno, assuefandosi ancor questi a beccar da per loro (quando contrastassero da prima, abbiasi pazienza né si percuotino) perciò anderanno loro istessi a portare il beccare ai lor medesimi figliuoli, imbeccandogli come alla foresta, et ponendo loro amore come se fossero fuori allo scoperto; et questo tanto meglio verrà fatto, quanto più copia di loro si tenghino a stare di compagnia. Ma è di bisogno sempre cercare d’ avere il maschio et la femmina, per- ché cosi questi salvatichi come tutta la gene- razione degl’ altri colombi covano le loro uova vicendevolmente, quando il maschio et quando la femmina ('), et così si scambiono l’ un l’ altro a portar loro il cibo et imbeccargli; in questa medesima maniera s' accordono ancora a fare i nidii, portando la materia per ciò fare or l’ uno or l’altro. Ora i primi che si sieno con questo modo d’ allevargli nutriti et addomesticati in casa, lasciandogli volar fuore, s' andrebbon via: ma quelli che di questi saranno nati, tenendo a mente l'alloggiamento loro, vi ritorneranno ogni sera et vi stanzieranno. A tal che chi fosse desideroso di aver razza in quantità di questi salvatichi, con lo studio della diligenza et del procaccio sopradetto lo potrà fare, avvertendo che le colombaie che si mureranno peri salva- tichi vogliono essere alte più il doppio delle colombaie per i domestichi, considerato che loro si dilettano continuamente di volar alti, et che nel più alto dell albero alla foresta si po- (1) questa il giorno, quello la notte, è scritto sopra in carattere più piccolo. Sai e e er e e e O VE aa i Tate een et pal ag de ARI Ae > a LI à, î 5 Ta A a AI n° i PE 313 sono sempre a dormire. Ma non volendo questa briga di far loro colombaie apparenti, et fuggir la noia con tanto studio di diligente pazienza di allevarvegli, si può d’ essi fare un serbatoio, che vi beccheranno, fatti un po’ grandetti, da per loro; ma bisogna, cavati con le caluggini dai nidii, imbeccargli a mano, sin che becchino da per loro, tutti quelli tanti che si vogliono racchiudere insieme, i quali, di compagnia ve- nendo, beccheranno allegramente; et ancora, dando loro da beccare in abbondanza, et mas- sime grano, quivi s' ingrasseranno. Et questa sia la cura e "1 governo dei salvatichi colombi. I domestichi poi ricercano un altro modo di custodia, et massime i grossi, tra i quali gros- sissimi sono quelli di Candia et di Cipri che di grandezza et grossezza agguagliano un cap- pon mezzano; i Turcheschi accanto a questi - sono grossi quanto i nostrali grossi ordinarii, et son quasi tutti d’ un color bigio, ma con gli occhi rossi infocati; et tra i nostrali grossi ne sono di più spezie, perché alcuni hanno i piedi pelosi, et altri alcune penne ne’ piedi, giù basso a’ nodelli ultimi vicini, o tra le dite istesse dei piedi; et altri ne sono che hanno le gambe tutte pulite senza impaccio alcuno, et questi sono gl ordinarii. Ne sono ancora stati trasportati dall’ Indie di Portogallo alcuni, che per la mor- bidezza della penna et per la fazione della vita et portatura della persona si possono annove- rare tra i grossi, et massime che sono intera- mente domestichi come i grossi che s' allievono in casa, stanno per casa et per casa covano; et facendo loro una colombaia spartata per loro I TRL ee aa gi Sari Bagni ir urta tai: DE Ù. Pare È i i sno 314 in cima della casa della città o villa che si sia, non si allontanano mai troppo da quella; et così fanno questi Indiani, i quali, come io ho detto, hanno tutto quel garbo, eccetto sono un poco più piccoli, ma tanto graziosi et belli che non si può vedere i più gentili et amorevoli, che si lasciono toccare et trassinare. I domestichi an- cora grossi si mescolano talora con i terraiuoli domestichi et fanno una razza mescolata et si domandano bastardi. Ma meglio è mantenere tutta una razza, perché in ogni modo quelli degenerano, et questi si mantengono sempre in «su l'andare et in su la grandezza medesima. Ora per i domestichi terraiuoli conviene edificar le colombaie, volendole spartate da per se alla campagna et spiccate dagl’ altri edifizii della villa, non in piano, ma in cominciar di monte o spiaggia o collina, così a mezza costa [come] al rilevato. Così profitteranno bene et meglio che in alto lato poste et battute dai venti allo scoperto da ogni parte; et siano alla vista dell’aqqua corrente o stagnante, et non si elevin troppo in alto; et siano lontane dalle strade pubbliche, fuori dello strepito et rumore delle genti et dalla frequenza degli alberi, in luoghi spaziosi, larghi et aperti, ma coltivati; et non siano mai in schietto piano né in altura di monte, ma, come s’ è detto, nella calata delle colline et quasi. al fine di esse, o nella schiena delle spiaggie. Questi sono i lati dove le pro- fittano unicamente; et in così fatti siti sì dee fare un edifizio murato in foggia di torretta quadra, dirizzata da’ fondamenti in tutti quattro i muri, o fondata sopra quattro colonne o pila- NATI. ROTAIA (YI. perte tari SRI SE EVENT a ER “Bel I ia) dd A Pali ie aa TETRA MR AL, Fr epr ca ° s z mE: " 3 HEBn 315 stri,-per poter riporvi sotto strami, et avanzarsi della muraglia; et se sia tutta piena, faccivisi stanze a commodezza della villa per riporvi robe diverse, o da abitare per garzoni o altri servigi, come accade; et avendo commodità di farne assai, sì ponghino lontane luna dal- l’altra un mezzo miglio, et massime sendo il paese copioso et abbondante. Et tutto l edi- fizio d'altezza non passi quindici o sedici braccia, perche nelle torri et luoghi alti fanno poco bene et vi ritornano mal volentieri, et tanto più i grossi che hanno il volato diffi- cile et si dilettano assai d’ essere nutricati nei primi solai delle case o al primo piano; et la larghezza sia secondo la quantità dei colombi che vi s hanno a tenere; et l ultima stanza a tetto si dedichi loro, quadrata et co ’1 tetto sol- levato verso il sole al mezzodi l'inverno, per poterlo ricevere, sportante tanto in fuori, che sotto al coperto lo possino avere et starvi an- cora al mal tempo, et di quivi sotto sia nel muro, dal quale s'alza il tetto a uso d'una tromba o mostra di fondaco per infuori, un’ a- pertura di finestra che possi con una corda et carrucola bisognando chiudersi, da potere en- trare nella stanza da covare et dormire, dovendo questa aver sopra questo tetto; et dall’ un muro all’altro sianovi fitte stanghe da riposarsi per quelli che non stieno a posare in sul tetto della stanza loro, che ha a giacere sotto quello. Et dove comincia il piano della colombaia di fuori sì cinga il muro di lastre che avanzino in fuori un mezzo di braccio, a difesa dei nocenti ani- mali che salir non vi possino; et sia medesi- 316 mamente da ogni banda di fuori, per questa medesima cagione, tutta intonacata, a impedire le donnole, i sorci, lucertole et simili ; et sopra quella fascia o andare di pietre siano buche piccole alla capacità d'un colombo, lontane luna dall’ altra, da tutte quattro le facciate rigirando, mezzo braccio, per l’ entrare et uscire dei colombi a’ buoni tempi et ai cattivi; et d'inverno si tenghin chiuse le volte a tramon- tana, l'altre lasciando aperte, come quelle l’estate. Et sotto a quel tetto, che ha a essere sollevato quattro o cinque braccia dalla parte di mezzodi, vi sia un altro gran finestrone che di fuori abbi certe scale a bastoni che servino a potersi sollazzare al sole; e ’1 finestrone come l’altra finestra con una corda dentro a una carrucola possi serrarsi et aprirsi con facilità per i tempi buoni et tristi, et ripararsi dagl’ uc- celli rapaci et dalle gazzere marine, dalle mu- lacchie, faine, donnole, topi et altri animali, dai quali conviene tener difese le colombaie, perché sviano i colombi et gl’impauriscono, et massime il salvatico falco; ma del tinnuncolo chiamato in greco checrida (noi gheppio), s han- no a pigliare i suoi figli piccoli et serrargli cia- scheduno in una pentola ben turata con gesso, et collocargli in qualunche angolo della colom- baia, sospesi e pendenti da un filo; ciò concilia l'amor dei colombi al luogo, che vi staranno più volentieri, si come egl’ è animale defensore nelle colombaie dagl’altri uccelli dal becco torto. Ma contro a tutti i nocenti animali giova spargere all’ entrata per terra frutici aspri senza foglie, ma con le spine, come pugnitopi o agri- Pe rai pp e o tr | RE TRE SET 517 fogli, paliuri et pruni bianchi, dai quali rincal- ciati ritornino indietro; et i colombi spruzzati di sugo di ruta se ne difenderanno, o legato lor sotto l’ali un poco di ruta salvatica. Di dentro ancora sia la stanza tutta liscia, pulita, intonacata, per impedire il medesimo. Et perché alcune colombe si dilettano di covare sopra le travi fra l'uno travicello et l altro senza nidio, alcune in questo ordinato di vimini, alcune in ceste chiuse di sopra, altre in aperte, et altre nel concavo del muro, si faccino nidi d’ ogni sorte, et cominciandogli a fare alti da terra un mezzo braccio, lontani l’ uno dall’ altro un altro mezzo braccio e non più, et poi un altro ordine sopra questo. discosto un braccio, et così seguire sin al tetto a un braccio, perchè ancora sotto il tetto fra l’ uno e l'altro travicello ne faranno; et a tutti quelli che sì faranno in murando la - colombaia nella grossezza del muro, si muri innanzi alla buca un mattone per lo lungo che eschi mezzo in fuori, per commodità del colombo all’entrare et uscire dal nidio; et in quelli mezzi dell’ altezza del muro a piuoli et in su stanghe se n’appicchin di tutte le sorte, mezzo braccio l'uno dall’ altro distanti, et che non si riscontrino con quelli murati; i quali murati, o siano condotti quadri dentro nel murare, o si vero sì muri con calcina un vasetto a giacere, rotondo, largo dentro et stretto in bocca alla capacità d’ un colombo; et così si faccino intessere quelli di vermene di castagno o vimini o di vetrice di forma rotonda, con una paletta che sporti in fuori quattro dita per ogni verso all’ entrare della bocca, uno per paio et non più, et sempre 318 piuttosto di sopra coperti che scoperti, il che avverrà, facendogli, come s’ è detto, rotondi et a giacere. Il tetto vorrebbe essere di sotto di tavole imbiancate, perché han cara questa can- didezza per ogni banda. Et così, fermando dei nidi d’ ogni sorte nel mezzo et per tutto il piano della colombaia, un poco più lontani l'un dal- l’altro che i detti, et accomodandovene ancora di quelli fatti di terra a uso di vasi a giacere, affinché ritruovino da covare per tutto a gusto loro, nettando poi più volte quei nidi dallo sterco et altre brutture, et mutando loro il fieno o paglia trita minuta, che piacci talora di porvi dentro o stoppa o capecchio, et massime nel gran caldo, perché allora abbondano talmente di pidocchi, pulici et tarme, che gli conducono a morte; oltre a che di nulla più si godono che della nettezza et pulitezza, sendosi trovato che per la sporchezza hanno abbandonato le colom- baie; et il tempo di ben forbire le colombaie et i nidii è di marzo et di novembre. Et il pa- vimento delle colombaie dee essere di creta et dee bagnarsi et ribagnarsi spesso con l' orina dell’ uomo. Et la ragione perché non s hanno a fare le colombaie troppo alte, è che i colombi stracchi dal volare con l’ali, scherzando lieti s' allegrino sdrucciolandovi a ali chiuse. Ma sono alcuni che affermano, le colombaie alla campagna quanto più fatica daranno ai colombi per ricoverarvisi et per portare il cibo ai lor figliuoli, tanto più gli faranno grossi: et ciò perche i semi portati nel gozzo per nutri- care i figliuoli, con lo starvi assai diventeranno mezzo cotti; et per questo pongono le colom- | SSIPRO CA SSA ugo £ ); Filigo 319 baie in luoghi ardui; et forse pensono che giovi assai che le colombaie sieno discoste dall’ aqqua, affinché con i piedi molli non rendin freddo al- l’uove. Et nascondendo sopra la colombaia un capo di lupo, gettatovi sopra del comino rac- chiuso in un orcio fesso, si che la puzza si senta fuori, vi multiplicheranno oltre a modo i colombi, i quali ancora multiplicheranno a mio giudizio molto più, se per entro la colombaia vi si terrà di continuo un teschio di cavallo pieno di veccie o ricoperto da esse; et accomo- dando del sale in qualche cosa posta di sopra che coli sopra l imbeccatoio, , mangeranno con tanta voracità, che bezzicheranno l ammatto- nato. Il loro abbeveratoio si assetti come quello dei polli, et da beccare una tramoggia, la quale si fabbrica di tavole, di modo che senza andare in colombaia, sempre con una corda trillandola, si fa calare il cibo pulito et netto per il lor bisogno; ma sia et l’uno et l'altro tanto più stretto che non vi possino distendere il collo, et; solo vi cappia il capo a bere, in modo che non vi sì possino bagnare. Mettasi il cibo rasente al muro ancora; ma. meglio è far quell’ordigno di le- gname che sta a uso della tramoggia del mu- lino, et tanto stretto da piè dove bevono, che non possino salirvi con i piedi a imbrattarvi; poi s acconcino dentro per tutto nel voto stanghe, da potervisi riposare et dimorar sopra. Et si dee avvertire di non entrare mai, ito sotto il sole, in colombaia, perché si spaventono, ricevendone gran patimento, non pigliando mai di quel pezzo quiete o posa; proccurisi ancora che non sen- tino romor d’archibusi o bombarde, che fa lor DR Ti Mo ae Mid eee Ri e e AT lena re da LET r. i e e a e ei i A ae ESITARE SE ce N Li A | fia 320 gran danno et massime quando covano; et in questo tempo vadivisi il manco si può, et di giorno quando sono fuori al procaccio del bec- care; et se per qualche occasione facci di me- stiero l’andarvi, vadivisi di mezzogiorno quando sono fuori, così di inverno come di estate. Et da che questa sorte di animali si spassa assai et si diletta di raspare et razzolare nel suo pro- prio sterco, si può tener netta, spazzata et pu- lita la stanza nel solaio da un canto, et da una banda lasciarvi una parte imbrattata, ma che sia minuzzato et ben trito; o veramente dira- - dare il pulirla. Et volendo accomodare le colombaie alle piccole et non troppo alte case dei contadini, elevisi la muraglia per ciò spiccata sopra esse et isolata da ogni banda, opposta a tramontana, non s alzando mai troppo, perche i colombi abbino facile discesa et salita in quanto all’ aere; ma le finestre delle colombaie o buche sien poste alte, perche abbino a calare dentro bene a basso, il che faccino per scale; et i nidii sieno situati nel più basso della colombaia, che così più profitteranno, facendo più uove i colombi et più spesso, et massime bagnando spesso il solaio, che sia di smalto o ammattonato, di orina fetida d’ uomo; per il che lasceranno le antiche loro abitazioni et verranno a ricrescere in questa senza fine. Alle finestre o buche che riescono fuori, faccisi che vi sieno risighinette di pietra o tavole d’arcipresso o castagno, che sportino in fuori un terzo di braccio, per le quali i colombi abbino da posarsi all’ arrivare, et dalle quali abbino a pigliare il volo nel par- 321 tirsi. Conviene ancora all’ intorno delle colom- baie aver circuito alquanto con siepi o muro di terreno, da gittargli quivi da mangiare et tenervi da bere. Le colombaie da colombi grossi s' hanno ad accomodare un poco più minori, tenendosi di questi sempre manco numero nella più remota ma alta parte della casa della città o della villa, perchè possano spaziare sopra i soggetti tetti, nei quali si dilettano di stanziare; et si possono lasciare scorrere et spassarsi per casa, perche non s' allontanano mai molto. Ma se la colombaia si sporgerà bene sopra il tetto, non sporcheranno la casa; et sia da tre bande scoperta, difesa solo da tramontana; et sian date lor da beccare tuttavia veccie, et di primavera et d’ autunno diasi loro matton pesto minuto a beccare avanti a tutto da mattino, per purgar- gli, et del sale; et questo anco ai terraiuoli, che si vedono bezzicare volentieri le muraglie volte a vento marino, stuzzicando ancora co ’1 becco i calcinacci che sono ne’ conventi dei sassi o mattoni, et inghiottendone qualcheduno; et di questa maniera se ne restono talora nella sta- gione più fredda, nella bruma, che è il core del verno. Fruttificheranno una volta il mese o almeno dieci volte l’ anno, et così di questi come degl’ altri gl’ agostini sono da essere allevati et tirati innanzi; et le stanze per questi s° hanno a ordinare in quel modo medesimo che s'è detto de’ terraiuoli et con le medesime commodità. Ma se si facci pensiero di non lasciargli andar fuori, bisogna che quell’ apertura dell’ altro tetto che si fa sopra il tetto della colombaia si chiuda dinanzi con una rete di corda o rame, sì che 21 322 possino avere il sole et goder l’ aere ai buoni tempi in ogni modo: et massime se s' avesse di quelli di Cipro et di Candia che sono più grossi, o dei grossissimi dell’ Indie di Portogallo, che di grandezza agguagliono i nostrali, perché que- sti si governano meglio tutti rinserrati. Ma facciasi loro la stanza un po’ più larga et i nidii più capaci, alla salita dei quali si facci una scala con scalini bassi l’ un sopra l’ altro, coper- tati di panno grosso lano di color rosso più che altro, et i nidii stesi di bambagia o lana fine, accomodando sopra le loro uove certi fuscelli che pontino nel nidio di quà et di là a reg- gergli un po’ sospesi, perché non s' aggravino troppo in covando a acciaccare l' uova. Così alligneranno nei nostri paesi, governandogli del continuo con veccie et favette piccole, et che non manchi loro da bere. Tanto si farà a quelli ricciuti grossi et ai piccoli di Cipri delicatis- simi et vezzosissimi. Ancora bisogna da piccoli avvertire di spazzare loro il nidio spesso, tenen- dolo pulito dal loro sterco, che non offenda i piccioncini nati, et sopratutto rassettargli nel nidio, se si vedessero sconvolti i mutari dell’ es- sere loro. Ora, a volere fornire da principio la colom- baia et riempierla bene, cappinsi i pippioni di buona sorte, nati del mese d’ agosto o di maggio, et tanto questi quanto le femmine di buona razza, che abbino gli uni et gl’ altri gran corpo, formosi et ben fatti; et non volendo pippioni, elegghinsi colombi fatti pur agostini, né troppo vecchi né troppo giovini. I pippioni maschi et femmine si ponghino dentro alla colombaia, in 323 quel numero sia il sito capace, et quivi s' imbec- chino con l’ imbuto due volte il di, tanto che becchino da per loro, et cavando poi loro le penne maestre quando son da poter volare, affinché vi stiano così almeno per quaranta di o cinquanta; che uscendo allora, rimesse le penne, non manchino di ritornare et perseverare come se vi fossero allevati dai padri loro, pi- gliando sempre, come s'è detto, di quelli che son nati di maggio et d’ agosto, perché non sono offesi dal freddo et sono di più prosperità per crescere et per francarsi il vitto; et ancora si possono pigliare un po’ maggioretti, et metter- vegli d'agosto et di settembre et ancora di luglio, perciò che allora troveranno meglio da mangiare per i campi vicini, che così non si dileguano et perdono; et questi maggioretti che beccan da loro non vi si mettino né di marzo, né di aprile, né di maggio, perche avverrebbe. in contrario. Tenghinsi chiusi trenta o quaranta di, et diasi da beccare lor bene, perché più si ricorderanno del luogo; di poi s' apra loro, o sia nuvolo o sereno, ma meglio è in di di piog- gia, perche non si dilegueranno lontano, et faran ritorno con prestezza. Et pigliando co- lombi fatti, pur agostini, tenghinvisi tanto rac- chiusi che vi covino una volta, et nati gl’ allievi s apra loro, tenendo pur sempre da beccare dentro, che tuttavia poi vi ritorneranno. Alcuni hanno openione che non s’ abbino a cominciare le colombaie dai pippioni giovini, ma si bene dalle chioccie primaticcie, et è da procacciarne tanti de’ maschi quanti delle femmine, affinché di questa maniera maritati non si separino f SEPE NI REST, OVADA IAC ESRI SIEDE) CAIPIaaO AR RFC GONNE RE regio ffenida n Li 324 d'insieme et mandin fuori assai allievi, parto- rendo quasi tuttavia [in numero eguale] il ma- schio et la femmina. Di marzo in qualche parte fanno i pippioni; et se sia il cielo più tiepido, innanzi marzo. Niuno volatile è più Wivado di questo; in quaranta di concepisce, cova et manda fuori il parto et l' allieva; et ciò seguono per tutto l’anno, eccetto che nella bruma, intramezzando sino all’ equinozio di primavera; partorisce due uove et talvolta tre, ma di raro; et quando ha fatto il primo uovo, perchè di vero infraposto un di manda fuori il maschio, secondariamente quella che è femmina, et quel terzo il più delle volte è vano, gli uni et gli altri covano, la notte la femmina, il maschio il di. Mandon fuori i piccioncini in venti di. Partoriscono dal quinto coito. L'estate talvolta in' sessanta di ne fan tre paia, perché mandon fuore dall’ùovo il piccion- cino in diciannove di, et subito di nuovo con- cepiscono. Onde è che tra i pippioni sempre vi son delle uova, et altri cominciono a volare et altri rompono il guscio; et esse colombe mede- sime, se non vi sia il maschio, Y una all’ altra si sagliono addosso et si montano, ma l’' uove riescon vane. Et perché i pippioni di cinque mesi cominciono a far frutto, si lasciono andar fuori a volare i parti del presente anno innanzi a partorire, a tal che quelli che han dato fuori di marzo, fanno frutti di luglio o d'agosto. Ma quelli che si destinano per mangiare o per vendere si deono pigliare dall’ ultime partori- ture, perche al verno riescono più deboli et son più pronti a essere assaltati da’ rapaci animali; 325 et è openione che in tutti i volatili domestichi sien megliori da serbare i nati di marzo. Ma per ampliare tutte le colombaie per l’anno se- quente si lasciono andare tutti i pippioni che nascono da maggio sino a settembre, ma gl’ altri anni poi solo quelli di giugno, perché truovono da beccare sin a novembre; dicembre, gennaio, febbraio, marzo et aprile bisogna dar loro da beccare; et si può dar loro dei vinacciuoli pieni posti nella corte o altro luogo vicino, a piè della colombaia, verso il sole; et d’ aprile et di maggio si dee dar loro del miglio et del panico o va- gliatura di grano e vigliuolo, perche han sotto . l’uove et i piccioncelli con le caluggine; perciò non se li dia a quel tempo né vena, né orzo, ne spelda né saggina che non li potrebbono inghiottire, ma dando i vinaccioli, come s' è detto, non solo con poca briga et spesa si sosten- teranno, ma non coveranno sin passato marzo; a tal che, passato il gran freddo, tutti i pippioni poi camperanno ancora nei lati freddissimi. Ét perciò all’ ottobre si ponghino le vinaccie con i lor gusci vicino alle colombaie, non si tro- vando da beccare alla foresta; et se più oltre nevasse, si seuoprino tanto, che e beccare et razzolare vi possino. comodissimo cibo a loro l’ ervo, il grano, la robiglia, la veccia, le lenti e ’l loglio, perché .con queste sementi piccole si vengono a muo- vere assai et scaldarsi; se queste cose manchino, supplirà la spotia; et tutto si dia d'inverno rasente il muro della colombaia, perché quivi è luogo netto non imbrattato dal loro sterco. Ma se sì dia loro orzo abbrustolato o robiglia o BRR TOMICA OTEE tig. VISO VIRPATO MESI SRL RODE ONORE AZIO PAM NEON ROSETTA CP pa VANI PINETO GO GITTIONAACI + : Leti e dal pat de "SIR TOI ra «té 3 Toe CNC RA " 326 | i fava minuta, sapendo che non appetiscono più che l'estate, nella quale molto s’ ingrassano, et massime mangiando panico o miglio macerato in aqqua melata, et ogni altro granello acconcio cosi, dandolo a quelli che si tengono nel serba- toio ('); al che serve ogni stanza di poco lume volta a mezzogiorno che si possi aprire et ser- rare con facilità. Puossi dare ancora a quelli della colombaia, perchè sendo acconcio il lor beccare, così non se ne partiranno, anzi vi sta- ranno volentieri, conducendovene a quel seto degl altri; et perciò il cibo così preparato sì dia loro la sera al ritorno, perché il di si pro- cacciono alla campagna il vivere buona parte dell’anno. Così ne faranno sette o otto volte l’anno dei pippioni, et più ne farebbero et diventerebbero assai più grossi, se sì cambiassero loro le colombe grosse casalinghe con quelle terraiuole delle colombaie, come sono nati d’ otto giorni, affinché le si congiungessero con i loro, ma fare con destro modo, che i padri et madri non se n’'accorgessero, con quelli della lor sorte; et ritornerebbero di compagnia ad abitare da loro. Ancora, mettendo nelle colom- baie dei terraiuoli tutti maschi con le colombe femmine dei grossi a vivere insieme, s' imbastar- diranno, come faranno ancora le salvatiche co- lombe con i nostrali domestichi, et saranno tutti più foggiati et grossi, come ancora per contra- rio, dando i colombi grossi alle colombe ter- Ù (1) A questo punto fra le righe si trova scritto: « Et sopratutto gl’ingrassa bene il semmolello del grano et bere ». 327 raiuole. Ma la diritta è tener divise et separate le razze di per sé. Sogliono i colombi nutricare i lor piccioli piccioncini con la roba che hanno lor portata in gozzo, mezzo digestita, porgendo becco a becco et con esso facendola ingozzar loro; et per ogni dieci o dodici ore che covano le colombe, co- vano quattro i colombi maschi. Di questa ma- niera covando a vicenda, come s’ è detto, non gl abbandonano mai. La qualità del colore dei colombi ha a essere unita e. non varia, et la più eligibile è che sia tutta bigia, più pendente in oscuro che chiaro. I brizzolati} se ben son più vaghi, né son buoni per razza, et manco di que- sti i bianchi, et massime che sono evidente bersaglio ai rapaci uccelli et a essere appostati. I grossi sono da eleggere con le penne più nere et anco bigie che sia possibile, et manco pez- zati che si può, et i bianchi tutti in questo genere s accettano per assai buoni. I salvatichi sono tutti d’ un colore, che è bigio scuro o bigio chiaro, et lo scuro è megliore. Si deono eleggere per ingrassare quei co- lombi che sieno sterili, et di sozza et goffa fa- zione et di proibiti colori, come i brizzolati, ‘pezzati et bianchi; et riusciranno grassi gover- nandogli nella maniera che dissi delle galline. Tuttavia il modo particolare è questo: mettinsi in una stanza che sia volta a mezzogiorno, in luogo asciutto et caldo di verno, et di estate sia volta a tramontana fresca, senza vento et; non umida; et si ve ne tenghino molti insieme, secondo la capacità della stanza, non la spaz- zando in tutto ’1 tempo che vi stanno a ingras- cme eta i e rt I agi de Act lea e te SA TASTE AA ai e LR A e ee Wa 328 sarsi più che due volte; et per questo affare ponghinvisi più tosto che vi stiano stretti insie- me che larghi; et diasi loro in due o tre volte et anco quattro volte il di abbondantemente delle veccie, secondo che si vede che le vadin consumando ; et il bere similmente sia netto et pulito, il che si fa con far far loro un catino di terra a rovescio, che abbi il piano che si chiugghi con gl'orli, et tre dita da terra vi siano fatti certi semicircoli attorno attorno per la capacità della testa del colombo. Et quelli di prima penna meglio s’ingrassano sotto le ‘colombe, cavandogli, poi che siano ben fermi, alquante penne, che paino loro ritornare di pri- ma penna, prima che volin fuori; et perchè non scorrino per la colombaia, ma stiano in su lo spazzo, si rompe loro le gambe, et questo duolo non gli molesta più di tre o quattro di, che durando impedirebbe l’ ingrassare; allora si dia alle colombe cibo a doppio dell’ ordinario, con il quale se beccando et loro imbeccando possino bene empiere. Alcuni in cambio di franger loro le gambe, rompon loro l’ ali in su la congiun- tura, ma cosi si sbattono et sdivincolano in ogni modo et vanno a pericolo di saltar dalle buche a terra della colombaia et perdersi. Altri gli tengono legati, ma questo non è bene fatto, perche mentre che e’ si sforzano di disciogliersi dalla legatura si crollano et non ingrassono. Meglio di questo è tarpar loro l’ ali, mozzando le penne, ovvero in su la congiuntura dell’ ali con ferro affocato marchiargli, et staran saldi poco più di quattro di o cinque, durando il dolore dello scottamento; et quanto al cibo per 329 ingrassargli, fuor di modo il granello del grano e di veccie profitta loro. I pippioni che doman- dono di sotto banca, sono quelli che si cavano del nidio con le caluggini per mangiargli subito, et massime dei grossi, o arrosto o in stufa; 0 veramente, per fargli del tutto gustevoli, am- mazzati che sieno con tirare loro il collo, o tagliar loro la testa come ai polli et lasciare sgocciolar loro il sangue, perché siano più bianchi di carne, et subito mettergli nell’ aceto et lasciarvegli stare ricoperti per ventiquattro ore; poi cotti in qualunche si sia modo, soddi- sfaranno alla gola. Conviene ancora nelle colombaie tenere in vasi fatti fare a posta, lunghi un braccio e mezzo et due terzi larghi, di terra cotta, dell’ aqqua che si possin bagnare, et massime di estate, ma è di bisogno mutarla spesso, perché la vi si mantenga netta, pulita et chiara come vi s ha a mettere; et questo giova et recrea così i ter- raiuoli come gl’ altri di tutte le sorte. Siavi poi una cassetta di legname, similmente larga et lunga, dove continuamente si tenga del mattone pesto intriso con l' orina, la quale diasi loro da bere alcuna volta, che piace loro et gli purga; et quando da piccoli danno ai figliuoli il patito, faccivisi abbondare il mangiare. Piglisi ancora grasso di porco o lardo, matton pesto et orina, -et fattone pane co ’1 cuocerlo, stritolisi di poi et diasi a beccare di questo a tutti i colombi; tutti gl altri vi concorreranno di fuori, tanto 1 grossi quanto gl’ altri. Se i colombi o pippioni siano infestati da’ pidocchi, gettisi via il nidio et vi se ne ponghi un altro. Nascono talora so, RI no dite DETTA SI EB NO EIA) GE A IONI DITEMI TOR MEIN dp 330 intorno agl’ occhi de’ colombi i varuoli che gl’acciecano, et massime d'agosto, né sono per questo peggio per sani, ché si taglia loro il collo et si mangiano. I rami di ruta attaccati sospesi nei cantoni della colombaia gli confortano et; difendon da’ veleni. Quando rimangono i co- lombi giovani nelle colombaie a svernare me- scolatamente, per mangiare i vecchi soli, che vecchi sono doppo tre, quattro o cinque anni, per rinnovare le colombaie, che sempre è bene rinnovarle in quelli tempi, abbiasi tante ma- gliette aperte quanti i vecchi, et mettinsi loro ai piedi, et i nuovi sì lascino senza. Così quelli presi di mano in mano si mangeranno, et ì gio- vini vi rimarranno a far la razza nuova ('). [Finiscono i Colombi in fine della carta 202°: verso. Le carte 203. e 204* sono bianche. Ri- prende il testo coi Pavoni a carta 205. recto]. (1) Sta scritto fra le ultime quattro righe in carattere eguale, ma più minuto, quanto segue: « è da sapere ancora che alcuni mer- - canti che hanno corrispondenza da Balsara in Babillonia nuova, si fanno, stando in Balsara, portare alcuni colombi di Babillonia nuova, et cosi per contra, et tenendogli chiusì in gabbie turate dall’un luogo all’altro, legando loro lettere sotto l’ ali, danno avvisi del caso d' ambedue luoghi in un giorno, dando poi loro il volo fuor di quelle gabbie, lontano dalla terra un miglio; et cosi si fa da Ormus ». , * SU 8 Lv I Pavoni. Sono i pavoni et per bontà di carne et per bellezza della composizione della vita loro tra gl’animali volatili di cosi ingegnosa manifattura, che mal volentieri si può arrivare con l’ artificio «umano il nobil lavoro della varietà delle penne et diversità dei colori che portano indosso, pavoneggiandosi continuamente nel loro andare et volare da luogo et luogo, con meraviglia e stupore dei risguardanti, et. massime. quando spargendo in alto la lor miracolosa coda fanno con essa un'ampissima ruota; a tal che sendo ragguardevoli da ogni parte sopra tutti gl’ altri dell’ essere loro, s' hanno da apprezzare da tutti gl’ amatori della villa, et dee ciascheduno d’ essi essere studioso d’ averne, et maggiormente dove sia campagna larga, la quale è da quelli amata sopra modo, se ben volentieri stanno tra le rovine delle muraglie et sopra i tetti dell’ abi- tazioni, ma smuovono, scompongono et talvolta rompono i tegoli et gl’ embrici con i piedi; i quali soli dispareggiano la bellezza del rima- nente della lor persona, essendo brutti, mal fatti et sproporzionati, a comparazione della rarità di quella; et con openione che s' attristino et prendino maninconoso regretto a tutta ora che torcendo il collo e ’1 capo chinando a terra, con vergognosa stizza mirandogli se n’ addolorano. Questo medesimo fanno avendo gettata la coda, la quale casca loro quando la foglia degl’ arbori; di poi comincia a rimettere quando la comincia a muovere, massime la primaticcia. 332 Vennero primamente questi animali traspor- tati dall’ Indie Orientali, et M. Aufidio Lurcone fu il primo che ordinassi d’ ingrassargli a Roma, et ne soleva cavar di profitto l’anno sessanta- mila sesterzi; il che avendo seguito molti, alzo- rono assai il prezzo dei pavoni, di maniera che l’uove furono vendute cinque giuli l'una, et i pavoni cinquanta l uno. E animale malevolo come loca et vergognoso, come che avendo persa la coda, cerca di non esser veduto et riti- rarsi nei luoghi ascosi; et quasi invidiando per la sua malignità all’ utile dell’uomo, risorbisce il suo istesso sterco. Vivono da venticinque anni et più. Sono di due sorte pavoni, i bianchi et i Hrizzolati che 8 addomandon neri; dei bianchi se ne truovono in Fiandra molti, et è openione che si possin generare del maschio et della fem- mina ordinaria, edificando una stanza che sia bianca sotto, dalle bande et sopra, et quivi lasciandogli stare a montare, a covare et far nascere le loro uove, le quali per virtù dell’im- maginazione vedendo ‘tutto bianco, faranno i pavoncini bianchi. Così veramente si truova scritto. Io di certo posso affermare et affermo, che avendo tenuti insieme in una stanza un STRA SaA TI PMO l 230° METRICO pavone grigiolato con una pavonessa bianca, et. per contra una pavonessa nera con un pavon bianco di per sè in un’altra stanza, perché si congiungessero insieme, et avendolo fatto gl’ uni et gl’ altri, fra molte uove delle loro poste lor sotto, esserne nati tra esse due o tre dei bianchi; i quali nati son più difficili a allevare degl’ altri, se non s' abbi largura da lasciargli covare da loro alla campagna, perchè sogliono far l’uova 333 in qualche riposto luogo, et da per loro fattele tutte insieme, in un lato medesimo covarle, et. nate allevare i lor pavoncini senza altra briga; basta dar loro da beccare abbondantemente grano 0 orzo. Ma volendo senza le madri allevargli da per se, nati che sono bisogna diligentemente asciugargli dall’ umidità che portin seco, usciti fuori dei lor gusci, et di poi dar loro a bec- care, senza maneggiargli o toccargli molto, che beccheranno subito da per loro, ponendogli innanzi semolello senza intriderlo, lombrichi triti o carne sminuzzata, et anco uova sode stri- tolate, non mancando loro del bere, usando questo governo per dieci o quindici di; di poi orzo acciaccato et grano; di poi altri dieci di intero l'uno et l altro. Ma perché queste sorte di pavoni fanno luove per tutto ove le si ritruovono d’ aver voglia di farle, occorre spesse volte che postesi a dormire in alto, come è l’ordinario anco di tutti gl’ altri, et non solo starvi loro, ma condurvi i loro pavoncini, tenen- dogli sotto le loro ali aperte, posandosi in sul medesimo ferro o stanga dove posan loro, di modo che di quivi facendo l’ uove et cascando in terra si rompano, conviene sotto a essi acco- modare lenzuola stese sospese da terra due braccia che senza offesa le ricevino, et in questa maniera si salveranno per metterle poi lor sotto tutte insieme a covare; et perché vengono meglio a farle nascere sotto galline, scegliasi a ciò la maggior chioccia che si possi avere, et mettinsi sotto nel nidio accomodate come si disse dei polli, dieci di innanzi l’uove dei pavoni 334 a quelle dei polli, affinchè tutti a un tempo dien fuori; né sono da essere poste sotto alle galline più di cinque uove di pavone o d’oche ancora, et il resto di galline. Sieno l’ uove freschissime: le quali se le covi la pavonessa sieno nove, eti lo facci dal primo crescer della luna di febbraio ‘0 marzo, et ancora di gennaio, secondo che comincino di buon'ora a farne, perchè sogliono fare uove tre volte l’anno, all’ uscir dell'inverno, di primavera et un pezzo dell'estate; et se sia gallina, cinque di pavone et quattro delle sue; et il decimo di levinsegli di sotto quelle di gal- lina che vi sono state, et in lor cambio vi se ne ponga dell’ altre fresche quanto quelle, rivol- gendole tuttavia et segnandole da una banda; et attenda chi le mette in covo che non di- sponga l’ uove ad una per una con la mano nel nidio, ma preso tutto ’1 numero dell’ uove in un vaso di legno lo riversi con esso, dandogli la volta leggermente nel nidio dove hanno a stare; et così si facci anco alle galline et alle pavo- nesse; et essendo la gallina piccola, se gli pon- ghino sotto tre uove di pavone et sei di gallina. Nati che sieno i pavoncini, non si lievino via il primo di, come si fa a quelli di gallina, ma il di doppo nati; s' asciughino con diligenza dall umidità et sudore, et si portino con la chioccia sott’ una cesta capace di salcio, et se gli diano a beccare granelle .d’ orzo spezzate et frante in tre ‘o quattro parti, spargendole che siano alquanto state inzuppate nel vino; o vera- mente diasi loro semolello di grano impastricato col vino, o poltiglia di farina intrisa con aqqua calda cotta. et. di poi lasciata raffreddare; LIE CR aio a ai Lea ai Ante cib) Mi RA RT i LR ONE 3 ati I a ee ira s La adi a ‘ re s. 335 aggiungasi a questo cibo dei porri di Taranto o d’ altrove minuzzati, ma in poca quantità, et trito minuto cacio fresco et spremuto, o latte sodo mescolato con minuzzoli di pane o ricotta, avvertendo a tutti i latticinii di cavar loro il siele, perche fa lor male; fatti un po’ grandetti diasegli zuppa di pane con vino, o gamberi senza scorza, o grilli dimezzati, o carne cotta minùz- zata et stritolata sottilmente, un poco saleggiata; mangiono volentieri ancora perfino ai bruchi e locuste, cavati loro i piedi. Con questo governo sì proccurano per un mese, da quivi in là sì dà loro orzo o mondiglia di grano continuamente, et in capo a trentun di si possono lasciare an- dare in campagna dietro alla chioccia, con la quale se ne può guidare quindici, diciannove, sino in ventuno. Et prima nei di chiari si posson lasciare andare all’ aere, al sole, a spasso nei prati, avendo lor cura dai nibbi, golpe et altri nocenti animali; et perché non gli dilegui la chioccia troppo lontani, si può legar la chioccia con una corda lunga quanto si vuole che si discostino all’ intorno. Sotterrandosi ventri di vacche nel campo o pecore, come sono pieni a inverminare, et darli a beccare loro con i vermi et trippe et lombrichi, s' alleveranno con facilità; et finché siano grandi non si sforzino a cammi- .nare troppo, che nuoce loro, né si lascino spa- ziare in parte dove ne siano dei maggiori di loro, che le chioccie per invidia s azzufferebbero. Poi che abbin finito il sesto o settimo mese, racchiugghinsi con gl’ altri, lasciate le chioccie, a dormire nelle loggie, capanne o stalle, dove s avvezzino a alloggiare alti da terra, et massime 336 quelli che sono allevati dalle pavonesse, quali loro istesse sollevano (come s'è detto) da picco- lissimi in alto, tenendogli in su le stanghe sotto le loro ali, né patiscono che dormino in terra, perche fa lor male, et patiscon troppo dal freddo; imperciò dove hanno a dormire vi s' accomodi delle pertiche che sien alte, perocche fatti mag- giori volentieri s assettano a stare nei cam- mini et nei comignoli dei tetti, et i maschi vi sono buone sentinelle et così vigilanti come l’oche. Con tutto ciò è più utile avvezzargli nei lor pollai; et non si lascino pascere o si dia a beccare alle galline fra loro, perché le galline, veduta la razza delle pavonesse maggiore et più bella, disamano la loro, et abbandoneranno poi i loro pulcini senz’ allevargli. I. maschi per desiderio delle pavonesse rompon lor le uova, perciò hon vi si lascino appressare et sì ten- ghino segregati da quelle; onde è cosa utile che le pavonesse covino et partorischino nelle grotte, siepi riposte e lati occulti, così per se- guitare poi i loro pavoncini come forestieri, avanti che quella cresta di penne che han sopra il capo naschi loro, nélla nascita della quale patiscono, come quando i bambini mettono i denti; onde è necessario allora avergli riguardo grande et governargli bene. Se il pavone usasse spesso con una che sia gravida d’ uove, a fatica concepute nel ventre, le guasta, nè le lascia condurre a dar fuori. Vanno i pavoni volentieri attorno come i polli, stando sempre appassionati come sì sen- tono mancare o cavare una penna, et massime della coda. Quando sono in amore, di che è 337 segno lo spesseggiar della ruota, pigliano gran- dissimi voli: però nell’ isole s’ allievon sicuri. Io ho veduto in Sicilia branchi d’ essi di duecen- tocinquanta et trecento, solo co ’1 pascolare nutricarsi bene. Nei luoghi caldi sogliono co- | minciare a risentirsi dell’ appetito venereo al principio et al mezzo di febbraio, quando sé medesimo mirando, si ricuopre con le penne della coda piena di gemme, rivesciata verso la persona di sé stesso arcata. Imperciò in questo tempo, incitandogli a libidine i cibi, è da dar loro da mangiare largamente, et massime con fava leggermente abbrustolata, con darla loro tiepida ogni cinque di. I pavoni che fra di loro volentieri combattono, sono da essere rattenuti o separati, affinché i più deboli non sien rimossi dall’ammontare et dal cibo. Dopp' il tempo della monta è da guardar spesso lor sotto la -natura, attastando con li diti l uova che ven- ghino in pelle, perché non le faccino altrove che nelle loro aie. Non sono animali che con più studio, vigilanza et arte allievino i loro figliuoli, i quali mandono fuori in trenta di, et talora in ventidue in circa; et come l’oca si ricomincia a far uove, se si ponghino sotto le galline, né patiamo che i primi dien fuori. Et perché ancora questi bigi, o neri o grigiolati che chiamar gli vogliamo, fanno talvolta l’uove da alto, et non vi sendo sotto alcun rattegno cascono in terra et sì rompono, conviene stender sotto fieno trito o altre cose morbide, che dandovi su si conser- vino. Cominciono a far dell’ uova le pavonesse quando sono sopra V anno, ma le migliori sono 22 338 le nate da due anni. Diasi a ogni pavone cinque pavonesse in sette a montare. Sono molti che, perchè i pavoni con i piedi andando tempestosamente disfanno, rovinano et guastano i tetti, rifuggono di volerne avere; et non sanno che alla campagna si nutriscono et fanno meglio che nei luoghi chiusi o al ri- stretto; et ancora ai tetti non faranno: danno, se i tegoli et gl’ embrici si conficcheranno con chiodi, o ben si fortificheranno con calcina. S' ingrassono i pavoni con dar loro a mangiare abbondantemente del gran cotto tiepido, et dar ° lor bere quanto vogliono; et froli si fanno, per- chè è carne dura et suzza asciutta, con strappar lor la lingua di netto et lasciargli penzoloni scolare il sangue loro, più il doppio di loro. Le lor piume sono si buone et meglio a far colcitre che quelle delle galline, et le lor penne sono richieste a far roste tanto della coda quanto le altre; usasi ancora il sodo delle penne della coda adoperare a far cappelli, i quali resistono all’’aqqua, coperti di qualche drappo o densa - ‘ materia; l uove loro son buone per mangiare quanto quelle delle galline. I pavoni s' ammaz- zono bene per mangiargli senza cavar lor san- gue, ficcandogli un ago o altro ferro nel capo, et voltandoli di sotto co ’l capo all’ingiù che il sangue corra al basso; ma è meglio con un bastone rompergli all’ improvviso la testa. I pa- voni cotti in stufa con assai lardo son megliori che in altro modo. Non è dubbio che il medesimo luogo. dei pollai, destinato con ordine alle galline et a’ galli, può servire ancora alle pavonesse et ai pavoni, 4 si ea STA ere n ate AT e SE. > », Met S| # "% IH ile | 339 stare et nutricarsi tra loro mescolatamente, man- giando del medesimo beccare che s' aftà all una et all’ altra razza; et come i polli ordinaria- mente amano di dormire al coperto, et questi all’aere et fuori, possono sollazzarsi sopra i tetti del pollaio et la notte stanziare nelle loggie loro, sopra stanghe postevi a posta per loro affare, avendo poi avvertenza di fare che dove e’ fanno l’ uova, sparse fra loro né sempre in un lato, si rassettino per covarsi dalle galline ovvero dalle pavonesse acchiocciate. in quel tempo, da accomodarsi in luogo separato da quelli. Ma disegnando di voler allevarne gran quantità, conviene far loro una stanza appar- tata la quale abbi dinanzi uno spazio grande proporzionato al numero di quelli, ove possino spaziare ne’ prati, recinto di muro alto si che sopra non vi possin volare, et basterà che sia _di diciassette o diciotto braccia; ma se sarà la largura spaziosa et grande, sì potrà turare at- torno attorno con siepe, perché avendo loro agiato campo d’ andare a spasso et da. beccar bene, non cercheranno d’ uscire di quei contorni; et dinanzi a questo muro o siepe volto a mez- zogiorno si facci murare una loggia grande, ficcando per i muri da ogni parte diverse stan- ghe alte da terra cinque o sei braccia; et dietro alla loggia sia uno stanzone corrispondente alla grandezza della loggia, che abbi il tetto un poco più alto di quel della loggia, tanto che gli facci parapetto sopra, da poter quando tira vento star sopra la loggia, et quando sia quieto ‘ il tempo sopra quello del tetto. Dentro poi la stanza abbi accomodate le stanghe di maniera, 340 che non rincontrando l’ una sotto l’ altra, stando di sopra alcuni d’essi, non possino noiare quelli di sotto con i loro escrementi et imbrattargli. Spazzisi questa stanza sotto ogni mese una volta, perchè non si empino di pidocchi anch’ essi, et al tempo del covare vi sieno. i nidii spazzati et puliti; et se si vede a quel tempo che le pavo- nesse si piglin verso di covargli da per loro, ‘ lascisi fare a esse, che senza fare altra diligenza, co ’1 dar loro abbondante beccare, gl’ alleveranno da per se. 1 mali de’ pavoni son simili a quelli dei polli et ricercano l' istessa cura, ma ordina- ‘ riamente sono più sani di tutti gl altri volatili, et se abbino stanza asciutta et sana, da mante- nersi senza malattie continuamente. Lo sterco loro mescolato con quello de’ colombi et polli è buono a’ campi, purché bene smaltito et di- sfatto. S' addomesticano i pavoni con i minuz- zoli del pane intorno alle tavole; vengono et stanno familiarmente intorno altrui; ma a poco a poco pigliono tanto ardire et presunzione, che a fatica co ’1 bastone si fanno star discosto; et più sono presentuosi i bianchi che i briz- zolati. [Finiscono i Pavoni in fondo alla car. 210% recto; il verso della stessa, le carte 211% e 212. sono bianchi. A car. 213.* recto cominciano le Oche.] RARA TOT TR TEO RT IO NN LIST Ae Stai 93 K E PE i hi ris S4I Le Oche. L’oche sono animali impuri, lordi, sporchi, et d’inesplebile voracità, come che ell’ abbino per entro la vita il budello diritto con una estrema calidità, che non prima inghiottito hanno smaltito, piombinando da basso et man- dando fuori; con tutto ciò, traendosene frutto et dalla piuma et dalla carne, è da fare opera di tenerne, et se sia il luogo accomodato, in quantità; et massime che le sono vigilantissime, et servono la notte per sentinelle come i cani, avendo già campato il Campidoglio di Roma dall’ agguato dei Franzesi. Ritruovansi oche di due fatte, alcune salvatiche et alcune dome- stiche. Le salvatiche vengono di lontani paesi, come del regno di Natolia et delle montagne dell’ Aladula, volando altissime et calando ai nostri contorni, dove s' assidono nei lati panta- nosi et paludosi, et in tutti gl’ umidi luoghi et aqquidrinosi. Quivi si stanno, covano et sguaz- zano, et prese vive con lacci si traducono tra le domestiche et tarpate vivono fra esse; fanno dell’ uove, le covano, et producono all’ innanzi con profitto la razza, la quale, anco tenute a sola a sola, con quelle la mescolano, et così imbastardite meglio si risolvono a vivere in- sieme, rattenendo sempre un poco del sapore di salvaticina; et le uove loro sono d’ assai miglior gusto delle domestiche. Mangiano delli medesimi cibi et non rifiutano verdura alcuna che sia sopra la terra. Covano et allievano da per loro i paperini salvatichi come le dome- SERI EEA SEIT CRI CIAOO RAR narra DREND 4 Seli E 342 stiche, ma meglio è l’uove che da quelle si raccogliono sottoporre alle galline, che più sicuramente nasceranno in Togo lr senza essere guaste da ‘maschi. Et il luogo da tenere oche dee essere mu- rato alla foggia del pollaio, con le sue stanze appartate et il portico dinanzi, ma sia tutto a terra et non più alto d'un uomo e mezzo; abbino nella stanza che le riceve altre stan- zette da dormire, o spazzi d’ aie di tre braccia o quattro per ogni verso, dove elle possino ritirarsi a stare quattro o cinque insieme, et far l’ uova nei nidi accomodati alla guisa dei polli, ma un po’ più grandi; et questi spazii d’ aie deono essere dentro alla corte al coperto, et essere senza umore o marciume distesi sotto. strame o paglia dove le si ricoverino, et da potersi racchiudere contro ai nocenti animali; quivi abitino per lo più et vi stieno a poter covare. Et vogliono alcuni che da per sé cia- scheduna abbi la sua aia, altri tenerle in una piazza comune dove si mantenghino insieme tutte a potersi sollazzare, avvertendo di rac- corre l uove che le fanno; o se da per sé in qualche cantonata o luogo riposto l’ accozzino, lasciarle covare. Alcuni amano che non si gli lascino fare nel lato dove stiano a commune, ma nelle loro stanzette divise l'una dall’ altra come s’ è detto, et questo è meglio per assicu- .rare che le non ‘vadino male, et più volentieri si disponghino a volerle covare. Sia dinanzi al portico o nel mezzo del loro chiuso d’ aqqua viva un pelago spazioso et profondo, accomo- dato in modo che per una fossa sotto con zaffi 343 si possa chiudere et sturare, per dar la strada al puzzore, rinettarlo et rimettervi nuova aqqua; et di poi fuori s' elegga un campo paludoso pieno d’erbe, et in alcune parti sia di modo sano, che vi si possi sementare veccie, trifoglio, fien greco et cicoria, et per i paperi piccoli da un cantone la lattuga; et questi amerebbero talora essere cavati fuori a lavarsi et sguazzare insieme, o in aqqua corrente o ferma, perché non meno amano questa che il pascere o bec- care; et questo sia di inverno di semola, di vagliatura di biade et grano et di saggina cotta, non si potendo condurre a pascolare; et se si cavono fuori a pasturarsi in prati, dividinsi in più parti, una per volta, affinché si dia tempo di riposo alle pasciute, perche dove tocca il becco dell’ oca vuol tempo a rimettere, sendo il suo morso velenoso non meno di quello della capra; et il suo sterco ancora abbrucia il ver- dume et le nascenti erbe, et da per sè non è buono, ma digestito, mesticato con altri o con litame, è utile al campo. Amano il cibo umido, et rifuggono et nuocon loro le foglie del rodo- dendro et dell’ alloro. Eleggansi da far razza oche grandissime così femmine come maschi, et tutte d’ uno unito color bianco lattato candido; le bianche et nere per essere di somiglianza pari alle salvatiche si deono riserbare a far razza mista per con- giungersi con esso loro. Montano per la bruma, ciò è al solstizio del verno, a far uova, et co- vano da calen di marzo al solstizio dell’ estate sin al fine di giugno; né, le lasciando covare, si rimettono a far uove; et cosi ne fanno tre 344 volte in dodici mesi, nella bruma, di mezza state et all'autunno; et è meglio vietare loro. il covare, perché le loro uove fanno meglio sotto le galline nostrali. Partoriscono la prima volta cinque uova, la seconda quattro, la terza tre, le quali molti lasciono covare alle madri, perche da quella volta in là non ne fanno più, et quando le madri covano all’ ultimo parto, riescono bene. Né importa al far l uove più che tanto che abbino nidio, perche basta che truovin sotto il terreno sollo e smosso. Addun- que, quando parrà che le voglino fermarsi et ‘accoccolarsi a terra per far l’ uove, smuovinsi et racconcinsi, cercando con un dito dell’ uovo, et sentendosi, pinghinsi alle loro stanze; et fatto così una 0 duò volte, vi s° avvezzeranno da per loro a irvi sempre. Ma quando si vuole che elle covino, nel- l’ultimo del far l’ uove s’ acconci loro un gran- dissimo nidio in una cesta con fieno buono o paglia trita sotto; e perché le non amano covar l uove fatte dall’ altre oche, segninsi le sue proprie, et così di tutte con caratteri si contrassegnino, et ponghinsi sopra quelle, met- tendogli accosto il mangiare, perché elle co- vano con tanto amore, che più tosto si lascie- riano morir di fame che abbandonare il covo. Osservisi la luna come a’ polli, et alle galline se ne metta cinque almeno et sette al più; all’ oche istesse undici in quindici. Nelle ceste de’ loro nidii sì pongano radici d’ortiche, il che opererà che poi nati non noceran loro le punture dell’ ortiche, che alcuna volta ammaz- zono i paperini. Covano ventun di quando è 345 freddo; ai caldo escon fuor del guscio in ven- ticinque et ventisette; et è chi dà loro mentre che elle covano orzo tenuto in macero. I pape- rinì nati si paschino nelle loro aie nei primi dieci di, et si nutrischino di ortiche tenere tagliuzzate minutamente et mescolate con fa- rina di miglio; allora si lascino pascere lattu- ghe, maicole o simili; et cresciuti si dia loro dentro dell’ orzo, il quale beccano volentieri. Non sì mescolino i paperi piccoli con i grandi, perche questi non sopraffaccino quelli, che s azzuffano et sviano. Avvertiscasi che lo sterco secco non s' attacchi loro ai piedi o altrove, che nuoce loro et massime alle tenere et deli- cate piume. Alle chioccie giova ancora l'orzo macerato nell’aqqua, et ai paperini farina impa- stata o farro macinato con aqqua. Alcuni dan loro il nasturzio minuzzato nell’ aqqua. Come poi sono di quattro mesi, in luogo chiuso et buio che non possin troppo stendersi, con l’andar dando lor semmola o farina intrisa s ingrassino, dando lor da bere copiosissima- mente; in venti di, et i paperi teneri in qua- ranta, s' ingrassano. Ma le oche, fatte che sieno d’ un anno in circa, s ingrassano con il conficcar loro i piedi in terra(') o in sur una tavola ferma sopra terra, in luogo chiuso caldo e buio, con due buchette, et si che di dietro caschi lo sterco in terra, et dinanzi vi si possi porgere il beccare e ’l bere; il che sia prima di orzo cotto, poi di fichi secchi tritati misti con semmola. Ma le oche (') A questo punto fra le righe è scritto: « con una buca di dietro per lo sterco. » 346 giovani più agevolmente s'ingrassano con dar loro della polenta, della crusca, et largamente da bere in luogo caldo et tenebroso; et siano due parti di polenta, quattro di crusca, tempe- rate con aqqua calda, tanto dandone, quanto ne voglino a saziarsi, dando lor da bere tre volte il di et. una a mezzanotte; et perché le faccino il fegato grande et tenero, si faccino alcune schiacciatette o pallottole di fichi secchi triti con aqqua macerati, et si caccino loro in gola per diciassette o venti di continui. I Giudei che sono maestri di ingrassarle et far gran fegati, ‘fascian le oche, cavati le gambe, il collo e la coda fuori, et l’attatcono alte due braccia da terra in luogo buio, turando lor gl’ orecchi con pece o piselli, e gl’ occhi cuoprono, perché né per udire né: per vedere si muovino o scuotin punto, dando loro schiacciatine inzuppate nel- l’aqqua di farina d’ orzo tre volte il di, et po- stogli accanto da bere et del sabbione, in pochi di fanno un fegato di quattro o cinque libbre, et subito cavato di corpo all’ oca et posto nel latte, crescerà un’altra libbra. Ma ordinaria- mente poste in un luogo stretto e oscuro, posto loro innanzi orzo o gran faggino, messo loro un po’ discosto l’ aqqua et del sabbione nei loro abbeveratoi ('), in quindici di si fanno grasse. Per la ricolta si fanno grasse con le spighe che cascono quando si portono dal campo. Ma volendosi porre in tavola un’ oca cotta usuale, eleggasi un’oca maschia grande elevata di buon nerbo et vigorosa et vivace, questa (1) Zoculis è scritto sopra abbeveratoi. 347 si peli con diligenza per tutto eccetto che nella testa, di poi avendo fatto uno stanzino a posta di larghezza di due braccia et mezzo, et di lunghezza di quattro, ammattonato di sotto et a tetto di sopra, alto tre braccia, con una porta piccola da entrare, che alzi all’ en- trarvi quanto è l’ altezza della persona dell'oca sino all’attaccatura del collo: et a quel pari, si ponghino attorno attorno dei carboni accesi- et bene infocati, l'un sopra l'altro di larghezza d’un sommesso: et visto che mantenga il fuoco et arda da ogni banda ugualmente, si pigli l’oca et se gl’ acconci dalla banda del cuore una pit- tima d’impiastro stesa in sur un poco di panno lino o tela grossa, fatta della medesima mestura che si fa il frigidante di galline, et basta che la circondi quattro diti per ogni verso; il lato del core facciasi appiccare ben per tutto alla - pelle di fuori; et da quella via posto di sotto et di sopra della stanzetta due vasi da bere, si lasci passeggiare là dentro a sua fantasia, si che fuggendo il fuoco da una banda v' incappi dall’ altra; berà loca assai sfuggendo il fuoco, et tuttavia accostandovisi si scotterà et farà una crosta di fuori bene abbronzata; et mas- sime se da. una fenestretta, che sia lasciata in pruova da una banda della stanza, distendendo il braccio per essa, la si possi pillottare et regolare per la stanza a modo, che non si fermando mai più in sur un lato che in su l’altro, la venghi a sentire il calore ugual- mente ('); et quando poi bene arrostita portisi ì (1) Sta seritto fra le righe: « et se gli bagni il capo con spugna inzuppata nell’ aqqua. » HI Matti e e, e via | VV RE Li RN E n TE CI e PI TRENTO PES VISO PE e LT. E RETE tà a DEE fui pa Tee xa “Pane AGI ar get TIRTITOTE LES SERI a l Pe a MIE * a ee I DAT e fas DI No ARAN de in tavola, allora tagliandola a pezzuoli si tro- verà penetrata dentro la cocitura, et sì sen- tirà di mano in mano, smembrandone una par- ticella, gridare, sin che, toccando ella qualche. colpo mortale, finirà di vivere loca cotta viva. Ancora, senza altra manifattura, si farà lor crescere il fegato fuor di modo con il dar loro solamente fichi secchi triti da mangiare, et da bere aqqua tiepida quanta ne voglino, mutan- dola loro qualche volta, perché la sia chiara, pulita et netta. Il grasso dell’oche si pigli intorno all’arnione et si cavi ancora quello ‘che hanno intorno all’ interiore, et fatto bollire adagio si coli con un panno lino fitto, et si ponga senza insalare in un vaso invetriato ben. coperto, che senz’ altro servirà ai medesimi usi di quello del porco, riuscendo più delicato; et delicatissimo oltre a modo sarà quello che sarà cavato d’attorno alle mole, conservandolo al medesimo modo. L’'oche si pelano per il sol stizio, levando lor tutta la piuma et le penne delle ali. _ [Finisce il testo alla fine della car. 216. verso. Le carte 217. e 218. sono bianche. Ri- prende a car. 219. recto.] 349 I Cigni, le Gru, gli Struzzi, le Cicogne, le Anitre, ecc. Le oche viveranno volentieri in compagnia dei cigni, i quali ancora essi faranno l’ uova, le coveranno et daranno fuori del guscio, atten- dendogli con la medesima diligenza che loro, et dei medesimi cibi si pasceranno; ma più volentieri sì ciberanno di erbe et bacherozzoli, pasturando ne’ prati; imperciò faranno meglio ne’ luoghi larghi et spaziosi, come nei varchi degl’ animali salvatichi grossi, dove meglio si manterranno. Sono i cigni combattitori gagliardi, facendo contrasto con l’ aquile, et talora si fero- cemente attaccandosi et ferendosi, che. alcuno d’essi si muore, et talora laquila perdente s' arrende et fa il simile. Amano ancora essi gli stagni et l’aqqua che corre pianamente, et nei vivai pieni di pesci ancora si godono, vivendo dei pesci che vi sano, tenendo sempre netto il vivaio da tutti i fuscelli o altra materia che imbratti o impedisca Vl aqqua. La lor piuma è più gentile et delicata dell’ oche, ma non tanto quanto quella degl’ avvoltoi, che passa tutti. Sono alcuna sorta di cigni che si comportano nei fossi delle città pieni d’aqqua, et quivi si stanno, facendo la sentinella come 1’ oche. Co- vano trenta di come loro, né più di sette o otto [uova] ne dan fuori, et di poi scemano, cinque qualche volta covandone, et alcuna volta sola- mente sette. Si fabbricano i nidii da per loro, ammassando insieme degli sterpi et del paccia- me; allievano i figli nell’aqqua, la quale se nelle 350 | paludi o stagni ghiacci, si ritirino alle stalle. Vivono oltre a venti anni, et muoiono mentre mandan fuori un dolcissimo canto. La carne loro è saporita con molta polpa, et vogliono essi cotti arrostiti. Si conciono ancora per pelli come gl’ avvoltori, per riparo dei freddi grandi et per tener su lo stomaco a far digerire, et più questo che quello. Le grughe ancora nel medesimo lato che l’oche viveranno; et avendo presi con lacci dei giovani, facilmente stando frà loro si addome- sticheranno, et avendo largamente da pascersi vi fruttificheranno, massime dando loro del grano assai, quale fuor di modo appetiscono. Ancora gli struzzoli ci s' avvezzeranno, con provveder loro alcuni monticelli di arena mi- nuta, ordinati lontani lun dall’altro a’ caldii, affinchè su per quella arena possino disporre - l’uova et quivi covarle, avendo di bisogno di gran riverberazione del sole et suo aiuto, perché si rompa il duro guscio che hanno a | dar fuori i loro allievi, quali dati fuori, con . l’aiuto di chi gli governa, sono nutricati da lor medesimi, mangiando grano, orzo et tutte biade, et più volentieri pascendo, inghiottendo talora i chiodi ed altri ferri che se gli porgono alla bocca; i quali, se non smaltiscono affatto, per certo gli consumano in modo, che sì co- gnosce chiaro che li digeriscono in parte, te- nendoli per qualche di nel lor ventriglio; et io ho avuto degl’ aguti stati nel loro stomaco, che per essere quasi mezzi patiti apparivano trasfi- gurati dalla gran lor caldezza che rosi gl’ aveva. Gettano le penne da per loro ne’ tempi del- 351 l'estate; et per il solstizio si possono cavare tutte le penne che hanno delle buone, lascian- dogli spelati a rimetterle, come fanno all’ anno a venire. Et di. primavera, levando le penne maestre a tutti tre questi, non potranno alzarsi molto né fuggiranno, si come ancora le cicogne, le quali erano tenute cibo eletto di buona carne appresso gl’ antichi. Vengono volando altissime come le grughe di vers oriente, et se ne pigliano di raro, perché è uccello vigilantissimo et sospet- toso, non si lasciando accostare né raggirare troppo d’intorno alcuno che vegghino o muo- versi o star fermo. Hanno un collo lungo et sottile, ma non tanto perciò lungo quanto i cigni; pende il lor colore nel bigiccio; et la lor piuma è buona a tutti gl’ usi che s' adopra quella delle galline, per empier coltrici et fare mor- bidissimi coltroni, come quella del collo de’ ci- ceri et dei cigni. Vivono anch'esse cibandosi di pesci volentieri in su l’ aqque. Da poi che la carne di qual si vogli sorte d’anitre è assai più eligibile che non dell’ oche, per essere più asciutta et più saporita et al gusto megliore, si dee far procaccio d’ averne di tutte le sorti; et se ne ritruovano di due, le nostrali et le mutole, trasportate dall’ Indie quando i pavoni; et delle nostrali ne sono di due maniere, delle bianche et delle grigiolate. Queste talora nascono pezzate o nella vita o nel collo, ma tutte sono d’ una fatta nel capo. Ma le bianche, che sono al tutto d’un colore candidissimo, hanno ancora la testa simile, et sono più gentili assai et più delicate dell’ altre. Et più sono di tutte vaghe et belle a vedere 352 quelle d’ India, mutole dette, perché non han voce alcuna, e stando sempre chete e tacite, son chiamate con quel nome; et sono alquanto più grosse delle nostrali, anzi senza compara- zione, et massime i maschi; et così queste come quelle, a modo dei pavoni et pavonesse d’ India hanno le polpe doppie del petto, et vantaggiono alquanto di bontà di carne le nostrali, et con queste accozzate a vivere non si mescolano né s' accompagnano insieme a imbastardire la razza, perché non convengono di natura, se ben tutte ricercano l’istesso governo et lato. Per tutte queste due sorti addunque et per i germani ('), che tutte s' assimigliano, si dee ordinare un luogo in piano, murato attorno, ove sia dell’aqqua o artificiale o naturale, della quale, come della largura della campagna, si dilettano et si satollano; et perche dalle sponde ls non intridino l aqqua, così alla prima farà bene far certi scalini, che d'uno in uno pos- sino scendere et salire nel lor pelago; sarà anco utile far ciò all’oche che sono meno agili et più disadatte nel loro muoversi. Abbino prateria assai, et in mezzo d’essa si scavi il lago, et se non vi sia aqqua viva, procurisiì di riempirlo con la piovana; et a questo vuole essere lastricato sotto, perché si mantenghi più pulito et netto, con far sotto da sturare un zaffo, per risciaqquare et mutarla; et se sarà tanto fondo quanto l’anitre attuffandosi possino toccare il terreno o ’l lastricato con i piedi, vi staranno più volentieri et più liete scherzeranno (1) querqueduli è scritto sopra germani. 393 et vezzeggieranno fra loro, et massime essen- dovi piantati giunchi assai, calami et erba sala, et sia fuor della ripa per venticinque o trenta braccia piantata tutta gramigna. Per lo spazio poi dei campi et prati corrino certi rivetti et ruscelli d’ aqque vive o mendicate, per le quali si mandi giù et si facci notare il lor cibo, per- ciocche il proprio loro è di stare a notare et pascersi nell’ aqqua, et massime nelle correnti et basse che siano fangose, et alle ripe erbose, intorno alle quali si getti il lor beccare, il quale sia panico, miglio o orzo, ghiande et vinaccie. Et non si potendo loro ordinare comodamente tutto ’1 sopradetto, almeno dove elle si desti- nano a stare abbino una fossa larga più tosto che profonda et sempre piena, et dalla ritirata dei lor portici bassi abbino gran cortili, di dove possino discendere nei campi et prati, seminati di trifoglio, fien greco, radicchio e lattuga, et da questi nell’aqqua; et quivi nel cortile, et per tutto ove si possi chiudere l’ uscita, si get- tino per terra da ogni lato et nel mezzo fra- scole et legnetti spezzati a monte per i lor nidii, ove faranno l’ uova et da per loro le co- veranno; ovvero s' acconcino loro certi pianetti di tre piedi per ogni lato, con buona chiusura all’ entrare, che si vi possi serrare. Ma, come ho detto, avvertiscasi di ordinargli ciò in luogo ove elle sieno proibite di poter calarsi nel lago, nella fossa o rigoletto loro, perché bagnandosi, bagnate danneggierebbero a nascere l’ uova; imperciò s ordini lor da bere in vasi o canaletti piccoli, che elle non vi si possino attuffare o guazzar dentro; et ad assicurarsi di ciò et potere 8 354 lasciarle andare sempre libere, si mettino più tosto a covar le loro uove sotto le galline, quin- dici, diciannove o ventuno. Ma loro amano di fare i nidi di nascosto in qualche occulto et riposto luogo; ma è bene vietarlo loro et intesser loro i nidi di vermene alla foresta o ne’ portici, con un rigoletto d’aqqua che passi loro rasente, ponendovi dentro i lor cibi, si che v' arrivino con poco disconcio. Ai nati in trenta di con l’aiuto delle galline si dia loro per un mese a beccare del semolello intriso nell’ aqqua, poi si lascino scorrere senza la chioccia a vivere con ‘ l’ altre et scorrere per tutto. Si congiungono quando gl’ altri uccelli, di marzo et d'aprile; fanno uove assai, se non buone per i malati come dei polli, per i sani di gusto. Covando l’uove loro le galline, lascieranno gl’ anitrini nati assai di quel lor salvatico, et quelli che dall’anitre proprie sien covati, subito anderanno a star con le lor madri nell’ aqqua, ove con esse viveranno senz’ altra cura e spesa; ma non sono da essere lasciate star fuori sempre, se ben tal- volta ritornano doppo molti di cariche di figliuoli a casa; è meglio avvezzarle, et massime perché le s' addomestichino, a ritornare a casa ogni sera, chiamate ad alta voce, qual ricognosce- ranno da chi l’ha in custodia et governo. La piuma loro si spiuma (') di maggio et giugno, come all’ oche, sendo meglior della loro. Et sendo l’ anitre così ben trattate et governate, assai più che i polli et con assai men briga multiplicheranno. (1) spela è scritto sopra spiuma. FORI ni Ù) iam Pi 355 Quelle anitre poi che dell’ Indie state con- dotte sono, che di sopra si menzionorono, per lo più hanno la piuma et penne per tutta la vita. nere, con un cerchio rosso che circonda loro gl occhi; et alcune fra esse si ritruovano che hanno nell’ ali qualche piuma o penna bianca et nella coda; et tutte sono più grosse assai delle nostrali, con polpe nel petto, come i pa- voni et pavonesse d’ India, doppie. Non man- dono fuori voce alcuna, et perciò si chiamano anitre mutole; covano l uove da per loro, fa- cendo i nidii alla foresta, ma più sicure daran fuori covate dalle galline nostrali, le quali con- viene che le covino più dieci di che le loro. Ai nati bisogna dar loro del semolello impa- stato con buona farina di grano et del pane stritolato o suoi minuzzoli, con aqqua assai li appresso ne’ vasi, per quindici di; di poi si cavin "fuori a pascere con quelle della lor razza, affin- ché s' avvezzino a pascere con esse dell’ erbe come l’ altre; la lattuga et bietole trite è loro cibo conveniente quando son piccole. I maschi di queste, i quali sono sconciamente più grandi et grossi delle femmine, non sono atti a gene- rare se non passato l anno, et le loro fem- mine son poco salaci; ma a voler procacciarne copia grande et fornirsene in quantità, si può di loro et delle nostrali fare una razza mesco- lata; ma quelle che nasceranno non rigenere- ranno, come avviene dei muli et delle mule, ma nella prima generazione benissimo si man- terranno, et la prima volta faranno dell’ uove in quantità, et gl’anitrini che nasceranno sa- ranno più grossi dei nostrali, et s' alleveranno ee een cit ARRE STA EOR NA i 356 più agevolmente, ma non s assomiglieranno a quegli Indiani, né meno ai nostri, et saranno in quel mezzo; et a ciò fare si dà a ogni ma- schio Indiano due anitre nostrali, delle quali cinque ne può coprire un anitrone nostrale. Pigliano i maschi Indiani talvolta, quando viene il tempo di montare le femmine, tanto gran volo che si perdono; imperciò bisogna in quel. tempo o osservargli bene o levar loro le penne maestre con taglio o cavarle, et così in quel tempo tenergli tarpati; et bisogna avvertire, se covano in campagna et qualche volta lascino l’uove abbandonate, che le non sien guaste dalle cornacchie et dalle gazzere. S'ingrassano tutte le sorti dell’ anitre con dar loro abbondantemente più del solito i lor cibi ordinarii, et le fanno ancora grasse le ghiande minuzzate mescolate con la crusca; et dando loro, come all’ oche, dei fichi secchi triti a mangiare, et a bere dell’aqqua tiepida, sì farà crescere il fegato a proporzione di quegli del- l’oche; delle quali fu tanto amatore Lacide filosofo, che n’ ebbe sempre appresso di sé una. A me, in una gita che feci già a veder l' In- ghilterra, sendo a desinare né mangiandosi a quella tavola altro che volatili, mi fu posta in- nanzi da ser Ani Nivel un’ anitra nata d'un arbore che fa a piè del monte Clebiota, divisore dell’isola di Scozia da quella. Genera questo arbore, simile al salice, nelle punte dei rami come un fiore, che tosto diventa duro, pigliando la forma del becco da prima di un’ anitra, da quello in brevissimo tempo si genera il capo, poi il collo, et in un baleno tutta la vita con 357 le ali et piume d’ una anitra, la quale, d’indi cascata nell’aqqua, vive ristandosi quivi intorno. Alcuni scrivono questo non in quel luogo essere, ma intervenire nell'isola d’ Ibernia, detta Irlanda, et che gl è un arbore marittimo, il quale fa un frutto, che come egl è maturo, cascando nel- l’aqqua marina, tosto diventa un uccello come anitra. Aggiusta fede a questo che si trova scritto, appresso al Bosforo Cimmerio essere un ‘fiume, che nel solstizio dell’ estate porta certe bocce (') un po’ maggiori d’un acino d’ uva, delle quali escon fuora uccelli che hanno quattro piedi. Vi viveranno ancora et vi si nutricheranno, governandogli alla foggia medesima et insieme- mente tenendovegli, i germani non solo, come s è detto, ma le folaghe ancora (purché vi sia abbondanza d’ aqqua, se non altramente, in di- «versi pelaghi grandi che raccoglino dal cielo con le calate vicine l’ aqqua piovana, disposti in diversi lati delle praterie, in piano o in colle o in vallate che situati sì ritruovino) et tutti gl altri volatili che aquatici sieno, da principio tarpandogli o veramente facendogli destra- mente un marchio affocato in sulla congiuntura della commettitura del gomito delle loro ali, che così potranno andare et svolazzare quanto loro occorra al bisogno di prendere il cibo et di muoversi all’ intorno. Quelli poi che di loro nasceranno, avvezzi a stare in quel luogo dalle madri, seguendole dietro da piccoli, da grandi faranno il medesimo; vivendovi insieme, né pi- (1) folliculos è scritto sopra docce. ie AA RI AAT i pr ORA e. 358 gliando fuga. Cosi si facci ancora, volendovegli, ai leverzeni, alle pitane, et all’aolbe ('), ai ger- mani detti et folaghe et altri che si desiderano aquatici animali; tra i quali merrebbe la vita anco il castoro, che è mezzo pesce et. mezzo quadrupede, avendo la testa et la coda di pesce, il rimanente con pelle rossiccia coperto, di gran- dezza un poco più d'una golpe nostrale, ma con i piedi più corti, poichè ’1 di si sta nel- l’aqqua et la notte uscendone va a pascer nei luoghi vicini, dentrovi ritornando all’ alba del di; perciocché ne vivono altrove et golosi ne ‘ sono, non si tenghino vicini alle peschiere che s' hanno dèi pesci. Et volendo tutte queste sorti d’ animali sopradetti aver grassi, nulla è più a proposito che dar loro abbondantissimamente tutte quelle sorti cibi che loro naturalmente appetiscono. In simili luoghi, del. medesimo . garbo et maniera accomodati, si possono nutri- care le coturnici dal becco rosso, uccelli più tosto che volano a terra che per aere, beccano senza nocimento il veleno, et sopratutto la ci- cuta e ’1 veretro, ma ordinariamente appetiscono il grano, et con questo Ingrassano et sì man- tengono; ma da piccole s'allievano con dar loro delle formiche et molto più con le loro uove et con i grilli; covano l uove da per loro, se bene ancora sotto le galline dan fuori bene in ventidue di; et facilmente si pigliano alla cam- pagna con avere una di loro femmina, andando lor dietro l’ altre sentendo cantarla, che la sia (1) Sono uccelli acquatici senza dubbio, ma difficili da ricono- scere, perché questi nomi soderiniani si sono perduti. SS 359 in gabbia addomesticata. Sono frequenti nel- l'isola di Scio et domestichissime, come che le bazzichino per casa come gl istessi polli; et an- cora in queste parti al medesimo modo libere s' alleveranno, diventando domestiche, con il dar loro di mano il ‘beccare et avvezzarle a . mangiare nella frequenza delle genti, conver- sare, vivere et stare tuttavia tra le persone, et massime la sera per due o tre ore doppo il sole andato sotto, dando lor da beccare al lume di lucerna. S' ingrassano assai con il dar loro da beccare del grano assai; et quando si dà lor bere, sia l aqqua tiepida. _ [Termina il testo in calce della car. 223* verso. Seguono due carte, la 224. e la 225, bianche. Riprende a car. 226. recto.] 360 I Francolini, le Acceggie, le Starne, le Quaglie ecc. Si possono e deono giustamente computarsi nel numero delle starne, coturnici et fagiani i francolini, poi che alla fazione della vita si rassomigliano a quelli, se bene hanno la per- sona maggiore e di tal qualità che ell’è mezzana tra i fagiani, le coturnici et loro; hanno però la medesima piuma et penne et la medesima + maniera di volare; la bontà poi della carne è tutta una beccana delle medesime cose, et sì possono allevare et addomesticare al medesimo modo, come anco pigliare, che quelle. Questi così fatti volatili et così detti fanno bene et sono propriamente natii in Sicilia, dove, non ostante le prese che se ne fanno, moltiplicano senza numero, covando quattr’ uova come le starne et ancora più ('). Sono stati chi gl’ ha trasportati di quà dal mare, et lasciati i maschi et le femmine dilatarsi in campagna in compe- tente numero, et hanno allignato; ma per non essere poi stati attesi, proccurati et riguardati come conveniva, sì sono spenti. Ma volendo averne razza et tenergli sicuri, sempre è meglio che nutricargli ristretti [mettergli] in un chiuso largo, copertato di sopra di rete di fil di rame, ma che dentro vi siano arbori piantati da ver- dura, come lauri, agrifogli, lecci, lecciastrelli (1) Come dal resto d’Italia, cosi pure dalla Sicilia i francolini sono spariti, per la caccia insensata e sfrenata fattane in ogni tempo e in ogni luogo. ERETO N DE TVE LI METILOIO SEIOITA VI AE VOCE CIRIE ENTRA, MRO MESSA RE EYE MAR (5 a PE a ta e NR A RE. PORGe O pigra Lg Ieri by - 361 o sfiocini, scope et ginestre per rimpiattarsi, essendo di natura foresti et amanti del salva- tico; quivi faranno l’ uove et le coveranno; ma avendo dell’ uove loro trovate alla campagna, si possono far covare alle domestiche starne. IL’ acceggie sono di razza delle starne, somi- gliandole nel colore; il becco è differente, sendo si lungo, che serve loro a pigliar bacherozzoli et lombrichi di dentro al terreno, oltre a quello che si dia loro da beccare ordinariamente, che sia grano, orzo, segala et crusca, mescolata con una di queste giomella ('). In questa maniera lascieranno assai del salvatico et s° addomesti- cheranno ragionevolmente, covando le lor uove come le coturnici; et tenendo sparsi degli stecchi et vermene su 1 terreno dove elle bazzicano, nidificheranno da per loro. In Francia, nel paese del Duca d’ Eu et di Niversa vi è un passo generale che le riceve a torme, venendo elleno di Soria, et vi si pigliano con le pantere, che sono antenne che reggono una rete altissima, dentro alla quale appannata rimangono prese come le quaglie. Hanno la carne saporitissima et la polpa del petto doppia, come le pavonesse et anitre d’ India: hanno il becco lunghissimo senza comparazione di quello dei picchi, con il quale razzolano la terra ‘et rifrugandola con esso scavano bacherozzoli di più sorte, et di quelli volentieri si pascono. Di questo uccello solo si mangiono gli escrementi, i quali, cocen- (!) Fra le linee, in carattere più piccolo, a questo punto si trova scritto: « Tengansi ove stanno diversi monti di letame, ove possino » razzolare et procacciarsi de’ vermini ». Va Di fi 9 AA A ea e A anzi Tie ea, a, n oi E rog de gs (a SPARSI II ELSA SE io dei ie Sovetra Sr VORO, 362 dola arrosto come s' usa, scolano nel voltargli al fuoco sur una fetta di pane, arrostita prima alle bracie. Le starne sono natie in Italia; et in queste: provincie s’ alleficorono trasportate di Francia, se bene ancora in Spagna et in Portogallo n° è una qualità, ma più assai delle coturnioi dal piede e becco rosso. È la starna di sua natura salvatico uccello; imperciò da principio prese alla campagna co ’1 bucine o in altra maniera ‘vive, racchiuse che elle sieno smagriscono fuor di modo, patendo della prigionia ; di poi avvezze ‘co ’1 dar loro da beccare del grano, si staranno quiete, posate et ferme, et si faranno ancora esse piene et grasse. Et volendo allevarle da piccole, che le stien per casa come le coturnici et i polli, conviene aver buono appostatore, che tosto che elle son fuori del guscio le raccoglia, perche le accostumano da natura di volar con esso in capo e correr via, di modo che le non si possono fuor della prima mossa più giugnere; a tal che se elle non si carpiscono tosto che elle sono per uscir del guscio, non si lasciono ac- chiappare di poi. Bisogna addunque star lesto et corle in quel punto. Or così piccoli presi, gli starnottini sì cacciono sotto una cesta di salci minutamente tessuta, sotto la quale di prima giunta si porge loro uova di formiche et grilli piccoli o. locuste, ragnateli et mosche, et di ‘così fatto cibo saturati si addomesticano tanto, che fatti grandicelli è bel vedere in una stanza, gettando per terra di molti grilli, combattere fra loro per carpirgli et con essì arrostarsi per beccargli, pigliandogli di rilancio per aere, a Pres TE TESTE ee ipa UE (e e pito Rs toi SIR TR Ca arti ua uh alia 363 mentre saltano. Sotto la rete poi di rame, se sia gran luogo et largo spazio, et che quando si porge loro da beccare non vegghino chi lo dà loro, calandolo nell’imbeccatoio o cassetta per qualche condotto di canale o canna vota di rame, faranno dell’ uova per qualche lato co- perto, si come fuora alla campagna libere, sotto qualche siepe o cespuglio o solco di campi. Sono le starne cibo delicatissimo, et nei conviti d’ im- portanza tengono il primo luogo tra le vivande buone, arrostite nello spiedo o cotte in stufa con garofani, et d’indi marinate con aceto rosato et zucchero et succhio di limone premutovi. Ancora le uove delle starne prese alla cam- pagna, tolte alla starna madre et poste sotto una. gallina chioccia nostrale, nasceranno in ventun di; et dati fuori del guscio s' alleveranno et verranno innanzi alla foggia detta, et s' in- grasseranno, dando loro del grano a beccare in abbondanza. Le starne gioveni, che starnotti s'addomandono, si ricercano più che non le vecchie, le quali lesse; cotte nel lor brodo con cavolo, sono molto gustevoli. Le quaglie anch’ esse fanno l’ anno di pri- mavera passaggio d’ oltre al mare, venendo di Soria, trasportate come gli stornelli a branchi, et tanto fitti per aere, che al valico che si tende loro alla marina, con reti stese su altis- sime pertiche, talora vi dan dentro con tal furia che le rompono. In Regno di Napoli vi sono molti passi su ’l1 mare che vi giungono abbondantemente, et: nel medesimo Regno v° è un vescovado che non ha altro provento che dal passo delle quaglie, delle quali trae una 364 rendita di più che mille scudi. Ora se bene elle vengano di lontano nelle nostre parti, cosî come restate alla campagna fanno dell’'uova et allie- vano i lor quagliotti, così racchiuse nei luoghi ordinati per le starne vi vivono et vi fruttifi- . cano grandemente, dando loro del grano, miglio et panico a beccare. Ma quando le s' hanno @ ingrassare, è di bisogno racchiuderle in stanze serrate et strette o sotto ceste, raddoppiando loro il medesimo beccare et dando loro da bere aqqua che sia tiepida; et aqquisteranno assai in grassezza, dando loro del miglio che sia cotto disfatto, avvertendo che abbino smaltito l’ uno prima che si dia l'altro. Gli stornelli ancora essi vengono fitti et ristretti insieme per aere, di modo che offu- scano in passando sotto la splendente luce del sole, scendendo ai nostri paesi dalle parti del- l Affrica a depredar gl’ ulivi et del lor frutto pascersi, con grandissimo danno dei possidenti. Piglionsi all’ esca con le paratelle et con le reti a’ passi, et racchiusi beccano et vivono, dando loro dell’ olive massimamente mature et ogni biada; ma con quelle ingrassono; et è il lor brodo non insuave et la lor carne di molto sapore; ma non merita il pregio dell’ opera ad alleficargli, che è assai presi dispensargli subito alla cucina, come tutti gl’ uccelletti oltramon- tani che si pigliono al paretaio, come i frin- quelli, i zigoli, i capineri, i fanelli, i calderugi, le cutrettole, le pispole, i forasiepe e scriccioli, i lusignoli, i calenzuoli et simili, che per lo più son buoni a salvare in gabbie per cantare, come le passere di Canaria. Ma i frusoni che e ca e i a ET ee 0) Vit x RS, Ro BRR PUPA ; STO si pigliano per lo più all uccellare dei tordi, son buoni ancor essi a mangiarsi tosto che. son presi, senza pigliarsene altra cura d’alle- vargli, che per pigliarne degl altri, messi in gabbia. Et gl uccelli tutti del becco torto son buoni a mangiare, che si pascono di buon cibi, né occorre che si perda a allevargli. Di questa maniera et in simili luoghi sì possono et deono ingrassare i cuculi, se bene il più delle volte, quando sono riposati nei nostri paesi per un mese solo, si pigliono alla ragna o in altro modo, sempre molto grassi. Vengono di verso le parti orientali, et pochi ‘passandone se ne ritruovano rari, et presi vivi, se ben di lor natura sono salvatichissimi, dando loro dei lombrichi triti et minuzzati s' avvezze- ranno a beccare da per loro, et in qualche parte s' addomesticheranno. Questi hanno una iniqua et ingiusta condizione, però che eglino vanno a far l uove negl’ altrui nidii et quivi le co- vano, et talora s'è trovato che sendo messisi a covare in un nidio d’ altro uccello, come gaz- zera, ghiandaia et simili, hanno con i piedi fatto sbalzar l’uove che v’ han trovato, et fatto covare le loro, facendo con i piedi et co ‘1 becco quelle cascar a terra. Dà quest’ uccello indizio del tempo buono, che ne viene la pri- mavera. Le allodole facilmente si mantengono rac- chiuse assai tempo vive, dando loro da beccare ogni sorte di biada. È la lor carne saporitis- sima; et è uccello terragnolo, se non se perse- guitato dallo smerlo fa bella caccia, ritirandosi in alto fuor della vista delle persone, vi fa Reano Cogne A = te SA” rh Ve: pr aa pg it 366 resistenza; et talora accapigliati insieme, lo smerlo con la lodola sotto se ne venne a Probo rotoloni in terra; et tanto fanno con lo spar- viere le mattolinie, È la lor carne saporitissima come quella dei gheppii e degl’assiuoli, i quali ‘cotti lessi fanno gustevolissimo brodo, ‘et arro- stiti sono ancor buoni. I rigogoli vengono ancor essi di lontan paese al tempo della vendemmia, ingrassando a’ fichi, et grassi tuttavia sì pigliano, et racchiusi vivono et si mantengono, ma amano la largura. I rondoni sono ancora loro spezie di rondini, se non che questi hanno cortissimi piedi, et dalla mattina alla sera girando per aere prendono mosche, moscherini et moscioni, di quegli in- grassandosi fuor di modo. Covano nell’ altissime torri, alle buche che vi truovano, et quivi appostati, legando penzolone con corda che v'arrivi colui che va a pigliargli, s' hanno, et di subito arrostiti si mangiono, nidificando l'estate; et tanto i gioveni quanto i vecchi, presi in sul covo, si ritruovano raggiunti come i più gioveni; il lor sapore agguaglia gl in- grassati ortolani; et nelle mure alte et terrazze similmente covan l’ uova; et bisogna appostargli osservando i giorni, per avergli quando spun- tano le caluggini fuori, che allora sì ritruovano per eletto cibo in perfezione da mangiare. L’avelie sono quasi grosse quanto l' allo- dole, et hanno per natura di ingrassare più di loro; restano prese alla ragna, come quelle a frugnuolo, et come loro bazzicano nelle pianure et luoghi aperti, ma più nelle macchie delle colline et dei monti si ritruovano. ORAZIO RO SRI e a TR Sg LTT EE RR 1° I dr PRIA, SEPA POPS dre SIR SE pae rat cesta a) LEN) ) NOZIO agi LI att n) I i e Le 2 gs Rea a Lie E pra? "n x (ei, NE ae Ni sasa : ie <; Me # ‘cda, 367 I pettirossi ancora essi compariscono nelle nostre parti di fuora via, né sono mai troppo grassi. Sono indicatori del freddo, et significano la partenza di tutti gl’ altri uccelletti minori. Essi restano nell’ inverno nelle nostre parti; et sendo animale semplicissimo et pien di paura, alla vista della civetta facilmente restando in- gannato, si piglia co’ panioni. Le passere solitarie amano di star sopra le muraglie delle fortezze et delle città, diportan- dosi volentieri, come i pavoni, sopra le rovi- nate. E cibo ristecchito, e sempre son magre. Servono per canto, come son buone le calandre et i capineri, che si pascono di uova sode trite, di farina di grano, di fichi secchi e freschi et di farina di castagne. Sono a proposito per allevare, per cantare o per vaghezza, come ancora i pappagalli, i quali beccano volentieri, - vivono et si pascono di semi di canapa. Le passere di Canaria amano il medesimo cibo. Questi uccelletti per allevare vogliono essere cappati nidiaci per il canto, come i tordi et i merli, gli storni, le gazzere, ghiandaie, cornac- chie e corbi, dei quali ne veddi un bianco a Enith in sur..... Alle tortole, cosi per ingrassarle come per nutrirle, s assetta loro un chiuso di muraglia o di rete di fil di rame, et quello con finestre pur graticolate di maglie minute di fil di rame dalla banda del sole da ogni lato, dentro con piuoli fitti nel muro che sportino in fuori due. terzi di braccio, che servino a appollaiare di notte et a reggere i nidi delle tortole bianche, perche: delle bigie o tanè non va la razza 368 innanzi o han di bisogno di gran largura da potere scorrazzare, volando in quà et in là, perche altramente non fanno nei luoghi stretti et serrati, si come le pernici, che al largo frut- tificano et al chiuso non allignano a multipli- care. Addunque le tortole sono da essere prese all’escato o in altro modo, intorno alla ricolta, quando han confermata la penna da poter vo- lare, perché le vecchie non sono di proposito per ingrassarsi, come anco i colombi, che co ’l semolello come queste et con aqqua fresca mu- tata s ingrassono a meraviglia: et rinserrate ‘nel luogo ordinato come s'è detto di sopra et in quel tempo, perchè d'inverno difficilmente , s ingrassano et di estate pigliano la grassezza da per loro, pur che elle abbino il lor cibo in copia, che sia granello di grano asciutto et secco, et aqqua attinta di fresco et netta. Non sia più che tanto grande la stanza dove le s' ingrassano, perche non avendo occasione di volare, tanto più staran ferme ad ingrassarsi; et si dia loro fuor di quello, ma non mesco- lando, o dell'uno sempre o dell’ altro, del miglio, ponendolo in cassette coperte alla foggia che si disse dei polli, perché ell’ abbino, si come elle l’amano, il beccare pulito et netto, rinno- vandolo loro spesso; et quando si rinnuova; cavisi via tutto il vecchio restato di prima. Come le sieno poi fatte grasse, conviene pi- gliarne compensa, il che è quando le si veggano per tutto raggiunte et di grassezza coperte. Et questo è quanto all’ osservazione che si dee avere alle bigie, perche le bianche men volen- tieri et più difficilmente ingrassano, et sono da dei ui lil a bilie idee ecu x > 369 essere tenute più per bellezza che per altro et per delicatezza et delizia, et anco perché queste fruttificano covando le lor uove et allevando i tortolini: et queste per razza si conservano bene in luoghi, come s' è detto, accomodati con rete di fil di rame volta al sole, et se siano su 1 terreno, con rami dentro a loro piantati naturalmente, se non rami del medesimo rin- novati spesso, sospesi per la stanza. Tenghinvisi ordinati i loro nidii, parte in terra e parte alti sopra i piuoli, fatti di vitalbe o vimini, scoperti di sopra, dando loro aqqua chiara, et non sendo di fonte, mutandola spesso, ciò è di tre di l'uno, pulendo la stanza dove stanno; et se sia luogo scoperto, seminisi dentro, difendendole tanto che naschino, lattuga et simil erbe, che fra esse sguazzano et godonsi. Le tortole, cosi queste come quelle, avendo preso il primo ma- rito, non ne cercono più altro. I tordi fu costume degl’ antichi Romani di conservare et ingrassare per l'estate, poiché si legge che in questa stagione essendo Pompeo Magno aggravato di gran febbre, et attestandogli il medico che gli bisognava cibarsi di carne leggiera, della quale niuna è più agevole allo smaltirsi del tordo, et per questo gli conferiva averne, domandando ove in Roma ritrovar se ne potesse, gli fu detto: in casa di L. Lucullo; onde egli, sdegnato della burbanza di Lucullo, disse, ricusando di voler avergli da lui che gli concitava ira et faceva stomaco: adunque se Lucullo non fosse, Pompeo non viverebbe! Ne gli volle in modo alcuno. Piglionsi quasi tutti d’ inverno al principio d’esso; né scatta | 4 370 mai che non passino in Italia, come in Germa- nia et altre provincie, venendo di Soria et di Schiavonia ai boschetti fatti per ciò, all’inganno del fischio et co ’1 zimbello di lor medesimi, et a frugnolo et con le ragne et con gl’ ar- chetti. Imperciò, volendo serbargli all’ estate et che sieno grassi, conviene aver dei tordi vecchi allevati in gabbia, con questi che si- pigliano mescolandogli, perché s' avvezzeranno, vedendo i domestichi cavati di gabbia beccare, a farlo ancor loro. Desiderano il luogo fabbri- cato ugualmente et esposto al sole, come dalla banda dinanzi il solatio delle colombaie; ma questo dee essere turato con reti di fil di rame; et dentro vi si ponghino pertiche per traverso sottili, fitte nelle mure dall’ un lato all’ altro, ma in modo che le non si riscontrino quelle che si pongono sopra l'una all’ altra, né siano più alte che l’ altezza d’ un uomo, perché non s' affatichino a volarvi su, et vi si possino doppo il cibo preso con facilità riposare. Mettasi il lor mangiare sotto per terra fra luna pertica et l’altra, perché non l’'imbrattino d’in su le per- tiche, et in quello spazio si pone il bere in pic- coli catinetti, mutando loro spesso l aqqua, chiara e netta. Altri gli mettono a ingrassare nell’ ultimo solaio della casa a tetti, disponen- dovi assai verzura fitta nell ammattonato, come alloro, ginepri con le lor coccole, et l’ ellere con. i loro corimbi, et d’ essi spicciolati per la stanza, et ben maturi neri, perche così gli beccano tanto più volentieri; et quelle piante verdi si mantenghino fresche co ’1 mutarle- spesso, et assai ben fitte. In questa maniera, ma che sia 371 il palco grande et capace, parrà loro quasi d’ es- sere alla campagna, vi staranno lieti et s’ in- | grasseranno, et ingrassati così per un pezzo si manterranno. Stannovi bene ancora dei corbez- zoli co ’1 loro frutto attaccato; et che vi siano i loro abbeveratoi acconci come quelli dei polli; et le finestre sopratutto siano piccole et abba- cinate, perché versin poco lume. Come sieno avvezzi a mangiare da per loro, si ciberanno volentieri di coccole di mortella, d’ ulivi, sal- vatiche et domestiche, et di quelle di lentischio; ma da principio si dia loro dei fichi freschi non troppo maturi, pestati et mescolati con la crusca, et prima ancora (') masticati assai gli piaceranno; di poi si dia loro di quelli che gustano loro et se ne pascono quando son liberi, i quali ne’ serbatoi saziano il lor desio et fan che non bramano più di volare. Et perché s' in- grassano più che altro con abbondanza di cibo, empiasegli i canaletti di miglio, che è sodis- simo et fermissimo pasto per loro, perché gl’ altri si dan per condimento di questo; ma l’uve secche et gl’abrostini freschi o soppassi gli mantengono bene et ingrassono. Mangionsi i tordi interi, et gl’intestini si cuocono con essi senza sventrargli, perché trovandosi pieni di quello che e’ vivono, morti ne sanno e son buoni, dicendo il poeta lirico: nd melivs turdo, mil vulva pulcrius ampla. E stato guardato in Toscana per meraviglia un tordo bianco, si come un merlo, et in Francia un corbo, et non meno è stato meraviglioso il veder passare in Italia (') primitus è scritto sopra prima ancora. RE III I MIE Mi NR ARIA LOT N A 372 a tempi nostri i picchi marini, uccello nuovo et vago quanto quel detto santamaria, che morto rinnova le piume et tenuto fra’ panni gli difende dalle tignuole ('). Sono anticamente appo i Romani valuti i tordi cinque giuli. Et dei serbatoi dei tordi, facendone gran procaccio, si cava grande utilità, avendo l’ istesso buon sapore in ogni stagione. I merli et merle ancora essi talvolta per il più si pigliano grassi alle ragnaie, nelle siepi, macchie e boschi folti delle maremme, et. nel domestico nelle ragnaie fatte però, o macchie naturali; et pigliandosi magri et volendo in- grassarli, elegghinsi merle femmine et non merli, perché questi difficilmente ingrassano et quelle agevolissimamente; et si cognoscono be- nissimo, perché [i maschi] son neri morati co ’l becco ranciato, et quelle sono di piuma bigia co 1 becco scolorito. I merli per allevare in gabbia alla delicatezza del canto si deono eleg- gere nidiaci, allevandogli con lombrichi, con fichi secchi triti et uve secche o fresche et bacherozzoli cavati di sottoterra. Si possono le imerle racchiudere con i tordi medesimi, et quivi con la medesima regola del beccare et del go- verno loro ingrasseranno, et come sono grasse pigliandone partito, perche di quivi a poco di- magriranno ; et queste, di qualunche tempo prese et racchiuse, co ’1 dar loro da mangiare gagliardo aqquisteranno in grassezza notabile, raggiu- (1) I picchi marini sono le bellissime ghiandaie marine (coracias garrulus) non cosi rare né cosi sconosciute oggi come ai tempi del Soderini; e il santamaria è la notissima e pur bellissima a/cedo ispida dei nostri fiumi, torrenti e canali, po dona a re ME E ERNIA Rat 373 gnendosi su’ fianchi et nel codrione et dentro di maniera, che avendone quantità sì potrà ca- varne il grasso per adoperarlo in cambio di lardo su le vivande degl arrosti più sottili, si come faceva il... ('). È la carne delle merle et dei tordi digestibilissima (*), ma quelle sono un poco più dure sempre al dente (*) et allo smaltire: ma volendo frolare bene lune et gl’ altri, riducendoli ambedui a un istesso sa- pore, bisogna mangiarli cotti in insalata, et in questa riescono massimamente i tordi. Piglia addunque i tordi et siano non meno che di- ciotto, infilzandogli nello stidione, ma senza salvia (‘); et così cotti bene all’ ordinario, fanne con prestezza quattro parti dell’ uno, cavandone l’osse et gli scamozzoli dell’ alia, et così squar- tati caldi che scottino, pongli in un piatto grande cupo, nel quale sia un intinto di questa qualità (5): olio principalmente buono, aceto similmente perfetto, sale, spezierie d'ogni sorte, massime pepe, aqqua rosa debitamente et sugo - di tre limoni (°); et mesticati questi liquori insieme (*) et bene dibattendogli in una pignatta nuova con un mestolone bianco, avendolo pre- parato a questo modo avanti che si sfilzino (!) Pare che dica: Gn.re detto Caneg.ni, ma non son certo. (?) Qui sopra merde ecc. par scritto, in carattere minuto: « le aqquaiole non bastano punto » e poco più oltre « sottili et leggieri per natura ». (3) tiranti è scritto sopra al dente. (4) A questo punto fra le righe è scritto: « dà loro da prima un fuoco caldo et rovente, poi infondi sopra olio ». (5) Fra le righe è scritto: « ch' abbi bollito et bolla ». (5) Fra le righe al solito: « pulito cacciatovi da ultimo ». (7) Fra le righe: » bolliti insieme a lento fuoco ». PSI A RE TRATTI SSN CIG PRIPIORA IRON ER o gt TIRA (0 ro” NI CIFRE POLE, he I 374 dallo stidione, diguazzato bene, infondilo sopra quelli tordi spezzati in quel piatto cupo, et. subito inzuccherando i tordi sopra, di modo che apparischino come coperti di farina, coperti sopra con un altro piatto comune, si dimenino a scosse et sbattino forte fra quei due piatti parecchie volte. Fatto questo, metti sino all’ ora di porre in tavola quei due piatti coperti con tovaglie in più doppii sotto ’1 materasso ‘et colcitra, che quivi si stagioneranno et confette- ranno. Sono chi spruzza loro, dato l’ olio addosso mentre volgono, farina di grano o castagnaccio senz’ altro. Altri pongono fra la salvia et tordi una fetta di pane scrostato. Quegl' uccelletti che sono più di tutti gl’altri che sieno atti a ingrassarsi (') si che non appa- risca un pelo di magrezza sopra la lor persona, et di modo che assai volte per mera grassezza raggiunti si muoiono, si pigliano alle paretelle et all’ aiuole in molti lati d’Italia, et princi- palmente in Toscana; et per poter comoda- mente et senza fallo pigliargli, perchè sono uccelletti anch’ essi di passaggio et che vengono di fuora via, accomodando lo spazzato: dell’ aie nei luoghi convessi dei colli o nei colli istessi o pianure ove passano, di modo che con frasche posticcie si possi coprire l’ uccellatore, et ‘indi stendere le gabbie, almeno otto, piene di lor medesimi, di quelli che sieno stati presi l anno dinanzi et mantenuti quivi dentro per questo effetto, or in quel luogo al canto d’essi si (1) Quantunque l’ autore non li nomini subito, qui tratta degli ortolani. aan A RO E E IT AIN RT c°, roma " n aaa si” ME FIN È < i PA e ipa À lat; dia n, LA, gn REA "È (a i x dr" rante Figi i Ari ‘ o "pi < 375 caleranno, et tirate le reti, rimarranno dentrovi presi. Et perché i passi di questi animaletti si vanno continuamente mutando, conviene andar osservando quei valichi dove la mattina di buon'ora si senta passarne più frequentemente; et questi saranno in quei luoghi che intera- mente non sieno alla foresta et senza coltiva- zione, ma più tosto pieni di frutti et fra semi- nati di biade di più sorte; et la vera uccella- gione a questi animaletti si è nel fine di pri- mavera al principio dell’ estate, et si può durare a tendere mentre durano a passare, che suol essere per tutto ’1 mese d’ agosto. La fazione di questi uccelletti è che sono del colore delle passere, della vita un po’ più lunghetti et le penne di color più chiaro, quasi come le pispole, la coda un po’ più lunga delle passere e ’l becco e ’1 capo più sottile. Pigliasene ancora -di primavera et segato il grano, con retette, lacci et archetti, et presi si racchiuggono in una stanza grande, luminosa et tiepida, ma fuor d’ ogni qualità d’ umido. Quivi si ficcano dei rami di qualsisia che duri più verdura, come alloro, corbezzolo, agrifoglio, leccio e gi- nepro, et quanti più se ne vi tengono insieme, meglio vi stanno et sì comportano. Dassi loro da beccare della spelda, che la beccano volen- tieri, et questa gl intrattiene (che co ’1 becco la van votando, lasciando la scorza sola) sino a che sì voglino ingrassare affatto; il che quando si risolva, sì dee levar via tutta la spelda, spaz- zare l’ammattonato, et sopra spandervi del pa- nico, che questo gl’'ingrassa per affatto; avver- tendo di mutar loro spesso il bere, tenendo 376 puliti et netti i vasi dove si pone dentro l’aqqua, sempre limpida et chiara, chè è animaletto gen- tile et delicato et patisce delle brutture. Altri pigliandone quella parte che e’ vogliono ingras- sare, gli pongono dentro a una stia di legno, larga per testa due braccia et tre et mezzo lunga, fatta di asserelli stretti di legno, fitti bene insieme che non possino uscire, et conviene porvene tanti che e’ vi stien fitti et calcati in- sieme più tosto che radi. Cuopresi questa stia di tela, lasciandovi uno sportello da dar loro il beccare, et mettervi il bere in canaletti piccoli di terra cotta. Alcuni altri quella quantità che e’ vogliono ingrassare pongono dentro a una gabbia grande fatta di vimini fitti, che di sopra abbi due tasche di tela che si chiugghino re- strignendo la bocca insieme; et questa gabbia di sotto non dee aver fondo, ponendosi il lor beccare et bere per quelle tasche, per le quali stendendo giù la mano si possono anco pigliare quando son grassi, et per quelle senza alzare la gabbia si metta lor da beccare et da bere; et perché giova loro di beccare in su ’1 sodo, perciò non si fa a queste gabbie il fondo, et ancora perchè non imbrattino i fuscelli co ’l loro sterco, ma possino aver netto sotto et. pu- lito ogni cosa, spazzandovi spesso et pulendovi quando occorre, non lasciando mai mancar loro né l'uno né l'altro; et qualche volta di notte acconciarvi una lucerna appresso, che dentro risplendendo facci loro apparire tal lume, che al lampo d’ essa possino seguitar di mangiare, et questo sia sempre di panico et non d'altro, ben vagliato et scevero; questo solo gl’ ingrassa PETE . tip me ce 9 Vttt Pa; Bid a maraviglia. Temperando poi che son fatti grassi loro il beccare, si mantengono un certo che, di poi danno a dietro; et la loro stagione è per questo effetto nell’ autunno sin a mezzo l'inverno. È grasso un po’ ristucchevole pit che dei beccafichi, ma in tutti i modi come il loro; et come essi fatti grassi, sì possono insa- lare, mettendo un suolo di sale et un suolo di loro in un bariglione o altro vaso di legno, o veramente sparandogli, pelati che sono, et ad un per uno circondandogli di sale et di sale empiendo quel cavo, perché questa carne, come quella del porco, piglia tanto sale quanto l'ha di bisogno, e non punto più. Conviene poi te- nergli in lato asciutto, et anco pigliarne com- pensa presto, perché diventano rancidi, si come anco le quaglie et tordi che s'assettano per conservar in questo modo. Altri i tordi, le qua- - glie, i beccafichi et questi conservano nell’ aceto et nell’ olio puro; et alcuni, fatta loro una sala- moia; ma perché come del porco le parti più grasse si possono insalare et le più magre con- dire in salamoia, non facendo carestia di sale, si deono più presto insalare che mettergli in quella. Ma il vantaggio è di tutti mangiare le carni fresche, et questo si fa a’ beccafichi, mas- sime ove n’ è abbondanza, come in Candia, ma non sono buoni. Solo i pippioni, tenuti nell’ aceto per un di o due et poi cotti all’ ordinario, 0 lessi o arrosto, aqquistano un certo che, che dà lor grazia. Et se bene i beccafichi insalati fan ‘ l’ossa tenere et trite, che si possono con age- volezza masticare, tuttavia avviene questo an- cora quando son freschi, et stantii non vagliono; 378 pur morti li conservano alquanto con la pancia all’insî nella farina; et i sopradetti uccelletti, detti ortolani, isla Agl'ortolani (') vecchi di gabbia che si ser- bano per zimbello a pigliar poi i nuovi, se li dà per lor vitto ordinariamente panico vecchio. buono et mandorle nuove mesticate con pane in su la cassetta della gabbia, et non dentro; et ai nuovi presi si dà spelda, con la quale senz’ altro ingrassano. Ma volendo fargli grassi più presto, fa di bisogno un gabbione, lungo tre braccia e largo uno e mezzo ‘et alto mezzo ‘braccio da terra, fatto di tavole attorno, et la parte di sopra copertata di tela grossa, solo lasciandovi due sacchetti o buche, uno di sotto et l’altro di sopra sulle teste, che si possino serrare a modo di sacchetto o buche, un di sotto et l’altro di sopra, come è detto, dalle quali si ‘possino cavare et mettere tutta la quantità che volta per volta si vuole ingrassare. Dalla parte di sotto sull’ammattonato vi dee essere due aperture, una per testa, la quale ha a essere capace dell’ entratura d'una cassetta stretta ‘lunga un braccio, da empiersi di panico per vitto loro, et l altra ha a essere per lo lungo del gabbione, di. rame, per abbeverargli, mu- tando l’aqqua due volte il giorno; et tutte queste aperture hanno a venir serrate dalle medesime cassette. Et in questa cassa hanno a (1) Nel codice questa aggiunta al capitolo degli ortolani viene dopo il capitolo dei fagiani, ed occupa tre pagine, dal verso della carta 243.° a tutta compresa la carta 244% Ma l’autore vi ha scritto.in testa: « Questo trattatetto va inserto a dove si' fa men- zione degl’ ortolani ». Ed io l’ho trasferito al suo posto. essere congegnate certe bacchette a traverso per lor posatoio et per appollaiarsi, et vi deono essere ancora alcuni buchi, in detto gabbione o cassa, per veder lume. Pongasi in stanza am- mattonata, pari, luminosa; et spazzisi sotto ogni di dalla lordura, tirandola in quà et in là, ri- mettendola nel pulito dell’ ammattonato, ché ciò giova loro, quanto a’ cavalli la streglia per la biada; et più presto ingrasseranno, tenendo di notte il lume. La stanza dee essere di gran- dezza mediocre, bene alluminata, piena di fra- sche verdi et rami che spesso si cambino, d’ al- bero, quercia, olmo et alloro, per dormirvi. In questa stanza si manterranno grassi per alquan- to; et ingrasseranno adagio, dando loro miglio o panico, bianco o ordinario non importa, pur- chè non abbi seto. Ma. la vera è, volendogli grassi et bene et presto raggiunti; porgli nei gabbioni o ‘cassetta detta; et saranno, quanto più si tenghino puliti, boffici et pacciardi, av- vertendo, quando si pigliano in campagna con l’aiuto dei vecchi alla fraschetta, di aver una. cassetta piccola coperta sopra di tela per por- targli da luogo a luogo, et poter tenervegli agiati dentro. Il chiuso che dee ristrignere et tener ser- rati i sopradetti uccelletti, ct ancora della sorte alquanto maggiore innanzi a quelli detta, dee ‘essere spazioso, largo et capace, secondo la mi- sura del poter di colui che l ordinerà. È ben vero che quanto più egli sia ampio, tanto più vi staranno volentieri, meglio vi si nutriche- ranno et viveranno. La forma dee essere di due quadri perfetti, et se possibile sia edificarlo in 380 lato dove sia sotto verde prateria, starà meglio, ma che vi siano piantati arbori non troppo fondi, di queste sorti, allori, lauri massimi, cor- bezzoli, ginepri, agrifogli, mortelle e lecci. An- cora conviene appostare il sito che vi sia aqqua corrente, o vero fonte viva; questa si tenga del continuo pulita et netta, et quella si facci pas- sare per il mezzo con quanta più si possi lar- ghezza della copia che vi sia dell’'aqqua, con le sue sponde erbose tenute ‘nette. La foggia poi del sito sia disposta così: faccisi un muro attorno attorno, alto quattro braccia sole, et sopra quello siano a ogni cinque braccia elevati pilastri quadri con le sue basi et capitelli di mattone o di pietra, alti nove braccia, sopra i quali siano ferri quadrati che arrivino dall’ un pilastro all’ altro, fermati sopra i capitelli, et poi a traverso altrettanti dall’ un lato all’ altro, che regghino; et vi sia intessuta una rete di maglie minute che cuopra tutto lo spazio di sotto, et questa sia fatta di fil di rame un poco | grossetto, perchè possi tirarsi che stia ben teso, et distendersi ugualmente sopra tutto lo spazio del luogo. Per abbeveratoio servirà quell’ aqqua viva che passi correndo per il mezzo, et se non vi sia quella, il pelago senz’ altro, tenuto pulito et netto, o vero diversi vasi di terra sparsa- mente posti per il luogo; et ancora in vece loro potran servire trogoletti murati fra ’l ter- reno, che sorghino al pari d’esso, non molto grandi, ma in più luoghi posti, tenuti tuttavia pieni d’aqqua chiara, la quale si muti loro spesso, perche la non sia fetida mai o puzzo- lente. Degl arbori che vi sono piantati dentro 381 bisogna avvertire che nel crescere non sfondas- sino la rete posta sopra di loro, imperciò ten- ghinsi truciolati a quel pari che non la possino rompere, ma che l’agguaglino. Siavi una porta che si tenga serrata o due, per le quali chi n’ ha la custodia v'entri a governargli, o la mattina di buon’ ora alla levata del sole, o la sera al tramontar d’ esso; et vi siano sul ter- reno disposti dei nidii per gl’ uccelli più terra- gnoli et che a terra sogliono far l uove; ché gl altri che volino a mezza o intera aere nidi- ‘ficheranno su per gl arbori, fabbricando i lor nidii di quei fuscelli o pacciame che ritrove- ranno sotto le piante che vi sono. Il beccare si ponga in diversi luoghi, sparso in terra l’ estate et il verno posto in cassette di tavole, che sieno disposte in maniera che stiano sotto tettucci, per cagione dell’aqqua che non le guasti et infradici. - 1 beccafichi sono anch’ essi uccelli che nelle nostre parti vengono di paesi lontani, come di Soria, di Candia dove n’ è grandissima quantità, et di Schiavonia; et comincia a vedersene a mezza estate, ma grassi non si pigliano che per ‘l'autunno, quando essi han commodità di bec- care et fichi et uve; et da quelli sono beccafichi addomandati, benchè per lo più si pascono, si nutriscono et ingrassono delle more di roghi, degl aponi et altre more che truovano, bec- cando di queste assai più volentieri. Fermansi per le macchie, siepi et boschi, dove ne sieno, et si pigliano alla ragna nelle ragnaie fatte a posta per questo, et con gl’ archetti, et come i pettirossi talvolta a’ panioni; ma quelli son ENER ESISTE CEDE E VISSE RISE I) REA VERSO SOCI SONE RI ANPE N ROOT ato N DI LE era ipod IR penan 7 NO eo bi Ù bs; ai. 382 tanto puri et semplici, che avendone uno ingab- biato et accanto alla gabbia avendo posta una bacchetta impaniata, senz’ altro lecco di civetta vi si poson sopra. Cuoconsi i beccafichi nello spiede sottile, volgendogli a fuoco di fiamma lentamente, come gl’ ortolani; et questi et quelli si cuocono in un fiasco di vetro, rivoltandogli al fuoco destramente. Sono ancora chi postone uno o due al più in un bicchiere di vino besso, coperto sopra con carta, dando bracie sotto, quivi gli fan cuocere. Alcuni gli rinvolgono in una carta unta ad un per uno con olio com- mune, et poi infilzati nello stidione gl’ arrosti- scono alla fiamma; et altri, rinvolgendogli in un pampano di vite, infilzati nello stidione gl arrostiscono a quella foggia. I beccafichi, gl ortolani, le quaglie, i rigo- goli, l’acceggie, et la più parte degl uccelletti piccoli detti di sopra se ne vanno al fine del- l'autunno, et i tordi ancora spariscono et si ritirano alle maremme, ove qualche volta, ma rari, vi dimorano anco in estate; et nell’ Alpi ancora alcuna voltà fan nidio et conducono a buon porto gl’ allievi. I beccafichi sono tanto gentili, che ristretti patiscono, né possono com- portare la prigionia et recusano il beccare stando serrati; pur mettendone vivi assai insie- me, comincieranno a beccare dei lor cibi della campagna, ma vi camperanno poco et dimagre- ranno; il vantaggio è, presi che sieno, così freschi ammazzargli et mangiargli. Gl ortolani, quando è freddo, morti per la loro grassezza, sì conservano per parecchi di: et volendo man- dargli in alcuna parte lontana, sì mandono vivi puoicra a SIOE ROSEE ainni e tata FETTA AT, ARI NRE NITTI groo la POL, MES VIN VOTI Le SELE SLI gle ai aa 383 nelle gabbie coperte di pannolino, perché non si svaghino et badino a beccare per il cammino; et ghiacciati nei paesi freddi bastano come le starne due mesi interi. Le passere anch’ esse si mangiono, ma i passerotti giovinetti, cavati con le caluggine dai nidiij sono oltr’ a modo buoni, cotti in stufa in un pignatto co ’l lardo, man- giandosi a quel modo teneri tutti interi; di maniera che e’ merita il pregio dell’ opera,. quando si murano le colombaie, lasciar su da alto sotto la cima le buche quadre dei travicelli con che si fanno i palchi da murare, o vero con certi orcioletti a giacere murare i lor nidii. I sopradetti uccelli per il più si pigliano alle pareti et paretelle, agl’ escati et alle aiuole et alle fraschette, et cosi quelle come questi all'aperto s'assettano, ma più di tutti le fra- schette, le quali cosî s acconciano: o in un luogo di collina spazzata et aperta, o in un lato di piano scoperto et non impacciato da macchia 0 da arbore che sia, si piantano in quadro alcune piante di rami fronzuti ficcandogli in terra, sopra i quali s’ assettano alcune pertichette ° da il lato di fuori, piene di fuscelli coperti di panie, et lontano venticinque braccia in circa si fa un capannello di frasche verdi, dentro il quale si sta aqquattato a sollecitare i zimbelli attaccati a’ fili, et di quivi si tirano a far calare i passeggieri che tuttavia per l’aere s’ appre- sentano, incitati, invitati et allettati ancora dalle gabbie che attorno all’ aia dei festoni piantati si tengono da frasche ricoperte, che gli fanno . calare, restando in quelle panie attaccati; et cosi da quello che sta ascoso nel capannello sì . 384 pigliano; et ancora alle paniuzze accomodate su per le macchie rimangono presi. Et questi sono le passere, se ben più che ad altro negl escati si giungano; et queste ancora si pigliano, quando poste a dormire in aranci o altri arbori presenti alle case, lasciata aperta la finestra, lasciatavi accesa una lucerna, tutte concorrono a quel lume, et serrate reston prese. Ma i frusoni più che ad altro restan presi alle paniuzze dell'uccelliera; si come i pettirossi alla civetta et agl archetti, et con aver dei pettirossi in una gabbia, alla quale impaniata ‘corrano gl’ altri et vi rimanghino presi; et dei frusoni che di Frisia vengono si fa gran presa, con averne uno o due in gabbia i quali allet- tano gl’'altri; si come con il cigolar con la bocca; imitando il lor canto; si pigliano le cin- gallegre, i zigoli et i forasiepi et simili. Ma con l’aver gl uccelli in gabbia allevati da piccoli et tenuti in conserva al tempo dell’ uccellare, si pigliano tutti i simili da quel canto allettati, et sopratutto alle buone ragnaie tutti riman- gono presi, et massime i tordi et merli, avendo sopra alla ragnaia lasciato andare un falcone di quella sorte che si chiamano da girare, i quali son di natura di stare su l’ali, girando sopra la ragna et sopra tutta la ragnaia a tener sotto in paura tutti gl uccelli che vi sono, i quali stando bassi danno nella ragna facilissi- mamente, impauriti da quello. Ma i beccafichi senz’ altro alla ragna si pigliano, come gl’ ortolani all’ aiuole, et ancora alle fraschette, con le gabbie dei vecchi; et ingrassati che sieno con la regola detta, oltre BE NETTE Va e Me It] Ae : «a E EVEOSRTE VII 385 al modo raccontato di sopra, sì posson cuocere ad un per uno in un bicchiere basso, rivol- tandoli spesso dentro a quello con lo scuo- terlo, et se il bicchiere per il gran calore scoppi, non importa quel fesso, basta si tenga insieme, che nel fonde il grasso che egli cola vi sì manterrà, per poterne far crescentine su ’1 pane arrostito et mangiarlo suavemente. Ancora, messi nello stidione l’ uno per l'altro, copertato di foglio bianco unto di lardo, voltato a lento fuoco non si perderà punto del suo grasso et stagionatamente si cocerà, come rin- voltandolo ancora dentro a un pampano di vite. Ancora in un pignatto invetriato, avendovi posto dentro prima grasso di merla, di cappone o di capretto, si cocerà et sarà ottimo et deli- cato. Stagionerassi ancora fra due teglie di terra, una di sopra affocata, l’altra di sotto con fuoco fatto adagio et poco cocente. Sono alcuni, che avendo fatto fare al loro cammino di cucina una fiamma di fuoco che si mantenga continua, con fascine o veramente con accesi carboni o viva brace, avendo attaccato un filo di spago alla risighenetta del cammino et lega- tovi il beccafico per i piedi, passeggiano all in- torno, et ad ogni passeggiata danno una strisciata al filo, con le palme della mano attorcendolo, et gira; poi all'altra danno un'altra girata, et così di mano in mano, tanto che si cognoschi che cotti sieno. (Xli cuocono alcuni altri, come sì disse, in un fiasco, avendo congegnato nella bocca del fiasco un bastone di legno gentile, come nocciolo o albero, vetrice, salcio o tiglio, avvoltovi attorno attorno alquanto di stoppa 8 386 perche suggelli bene et tenga forte, rivoltandolo al fuoco sì che tenga caldo temperato, et dentro senza perdersi vi coli l unto. Ma il più bello et sottil modo che sia, è di cuocere i beccafichi invetriati, il che si fa così: s' infilzano i becca- fichi in una cannuccia secca o fuscello sottile, il quale 8 accomanda di quà et di là, da un capo all’altro, legato allo stidione, et si volta gentilmente al fuoco d'una baldoria continua temperata; et in cambio di ungergli con olio d’ oliva, come accostumano molti, si infardano con un cencio attuffato in chiara d’ uovo che | sia stata prima bene sbattuta; questa fa un invetriamento di crosta sottile et rilucente sopra la pelle sua, che opera che non cola e non va male punto di untume d°’ esso, anzi tutto vi resta sopra, facendo quella crosta dilettevole, gioconda, vaga et saporita al gusto; et questo medesimo modo si può usare agl’ ortolani et ai ghiri, alle grassissime merle, tordi et a’ rondoni, perche non si getti via punto del lor grassume. Le tartarughe, bizzughe, botte scodellare et testuggini dette, in un chiuso di muraglia, prese nelle boscaglie delle maremme o altrove dove ne sia, si mantengono, vivono, s’ alleficano, alli- gnano et vanno innanzi, facendovi l uove, quali covano, et nascono i testugginini al fine della primavera, vers’ il principio dell’ estate; et le loro uove sono saporitissime quanto d’ altro animale che si ritruovi sopra la terra, et buone. Pascono dell’ erbe che vi truovono, et non ve ne essendo, si soccorrono con la crusca; né sì curono, né hanno più che tanto di bisogno di bere, ma trovando aqqua, ne beono. La loro l4 387 carne è di buon gusto cotta in qualunche modo, ma arrostita riesce migliore. Le aquatiche che fanno ne’ paduli riescono men buone delle bosca- reccie, et ancora quelle vivono fra terra, pur che vi sia qualche rigoletto d’ aqqua, nel quale incontrino quando vanno attorno. Puossi a tutte por loro innanzi delle lattughe, cavoli et altre erbe dell’ orto, che le rosicchieranno, nu- trendosi d'esse la primavera et l’ estate, date fuori dal terreno; il resto del tempo si stanno sotto terra, in forami scavati da loro, dove si mantengono con la lor propria flemma, come le lumache, dormendo la più parte. Le marine sono grandi fuor di modo, né così buone per cibo; et nell’ Indie sono di tal grandezza che ne cuopron le case, et della loro scorza si fanno a tornio bellissimi vasi et tazze sottili. I ricci spinosi sono della natura degl istrici, - che somigliantemente ancora essi spinosi sono; et alla lor carne somiglia quella del porco domestico. Pigliansi per i boschi et al tempo dell'uva, perché la mangiono; et racchiusi nel lato delle testuggini vi vivono, dando loro da beccare di tutte le sorte erbe da mangiare et della crusca; et se vi sia un po di largura, ma che non possino uscir fuori, vi fruttificheranno multiplicandovi, et dandone fuori il più delle volte cinque infino in sette. I ghiri s' ingrassano di ghiande tanto che sono raggiunti di grassezza. Fanno per i boschi di quercie et cerri, lecci et d’ ogni ghiandifera arbore, standosi per le buche d’ essi aqquattati il giorno, et la notte divorando le lor ghiande, saltando dall’'un ramo all altro destrissima- OTTIENI ZONE RENI ALZI AI SRO PUPA TINI TGA RETTO NE AI RT IPUt-4 n ‘ ps - TN RT IS e SEO I RAI == _ F d'art 3 1 o Li AA, PT a pioer* 388 mente, et questo nel tempo che non dormono, perche dormono sei mesi dell’ anno, nasconden- dosi a dormire da mezzo ottobre in circa, et risvegliati doppo quello non dormono più, attendendo sempre a mangiare et ingrassare. Sono simili ai topi grossi, differenti solamente nel colore, et si pigliano con certi ferri sottili auncinati, cacciati dentro alle lor buche, et aspettandogli o facendogli uscire in cima ‘alle bocche d’esse, percossi s' ammazzano. Son buoni a mangiare, arrostiti lentamente, et vogliono essere unti con la chiara dell’'uove dibattute bene, perche non coli il lor grasso che è dilet- tevole et non molto ristucca, mangiato insieme con altra carne buona magra, et massime con quella che sia stata messa in addobbo, la quale si mette cosi: piglia carne di bue o d'altra sorte, et fanne fette, et insala queste fette, et lasciala star così ventiquattro ore, di poi scuoti quel sale et dagli un poco di bollore; accanto mettila in un vaso con aceto forte, salvia, ramerino et origano, tutto spolverizzato, et lasciala stare quanto vuoi; et quando la vuoi usare mettila a lavare in aqqua calda, di poi REN e friggila nella padella con lardo et con guaz- zetto di zucchero et aceto, fanne fette et mettila nella pignatta; et così si può acconciare ogni carne; et questa è buona semplicemente a man- . giare con i ghiri. [Finisce dl lost in calce della car. 239 verso. Le carte 240° e 241* sono bianche. Riprende in capo alla car, 242, recto.] | SEEN fi gi sia a ae gl ir Te canine de Vieri Fb dr et ci iosa ai pa gn ZII INA Ri Rie suit eat "Arm 9 da x CO È Se uu "TA ° PLe SET 389 I Fagiani. Tra i salvatichi volanti tengono senza con- traddizione il primo luogo i fagiani, et di bel- lezza superano ancora i francolini, le coturnici et le starne, et di grandezza et grossezza sono da essere collocati in quel mezzo tra i francolini et i polli nostrali. Avanzano anco di bellezza tutte le tre sorti dette, et di vaghezza ancora vengono anteriori, sendo ornati di color rosso vivo in testa d’intorno ai destissimi occhi, et di color la persona taneiccio lustrante, pendente in chiaro sauro, con bella coda i maschi di lunghe penne, quali tengono diritte ristrette insieme, Nascono, si nutricano, vivono et si _mantengono nelle più salvatiche macchie dei foltissimi boschi, et vivi con le reti, lacci et pania si pigliano. Le femmine sono quelle senza coda del color medesimo et con quel rosso ben colorito intorno agl occhi: et al tempo di primavera con una di queste che ingabbiano, facilmente ingannate dalla voce, sendo fatte gridare il lor stridere, si pigliano. Truovasi déi fagiani di due sorte, degl ordinarii detti co- muni per tutta Italia, et dei neri fuor d'’ essa et in Savoia, della medesima grandezza et fa- zione, et come ho detto, neri, di colore piena- mente morato; et così questi come quelli na- scono alla foresta. Et è animale salvatico che mal volentieri s' addomestica, pauroso et temente l’aspetto et presenza dell’uomo; tuttavia ri- AA 390 dotto alle strette et in suo potere, francamente . vive, perche dandogli da beccare in stanze se- parate dai polli et altri volatili, che abbino il terreno sotto per poter razzolare, si manten- gono acconciamente. Menano ancora la lor vita tra i polli non punto gravatamente, poichè in Francia si fa razza, di quella maniera che si è detto dell’ anitre mutole, a un fagiano ma- schio sottoponendo due galline femmine, il che servirà ancora ad addomesticargli et amman- sarli, ma bisogna tenergli in stanze separate, di modo che ogni fagiano abbi le sue galline, quivi dando loro il beccare senza altri impacci. Farassi ancora razza mischia fra lor medesimi, fra i neri et i grigiolati, et accompagnandoli insieme, poco o nulla, cosi gl’ uni come gl’ altri, smarriranno del natio colore, partecipando del- l'una et dell’ altra razza; alla qual fare d’ am- bedue conviene eleggere i maschi che sieno nati dell’anno dinanzi, perché i vecchi non sono fecondi. È assai dare due femmine a un maschio; una volta l’anno et non più fa i fagianini; et al più si metton sotto le femmine diciannove uove, cominciando a covar d°’ aprile et in alcuni luoghi di marzo. Sotto le galline | più felicemente vengono fuor del guscio, ac- conciandovi sotto l’ uove di modo che una chioccia (') ne covi solamente quindici, osser- vando l’ ordine della luna crescente nel porle sotto la chioccia, et segnandole et rivolgendole come alle galline, in trenta di dan fuori come (1) mater è scritto sopra chioccia. 391 i pavoni. Et per quindici di diasi lor da man- giare farro spezzato cotto et raffreddato, o fa- rina d’orzo, spruzzatovi entro un poco di vino, di poi diasi loro del grano acciaccato, de’ grilli et uove di formica; riguardinsi che non zam- pettino per l’aqqua, affinché non naschi loro la pipita; et quando v’ incorrino, si rimedia con strofinargli il becco con aglio pesto, mesticato con pece distrutta. S' ingrassono ristringendogli in lato chiuso con poco lume, dando loro pa- stelli di farina intrisa leggermente con l' olio, et con tal destrezza se gli caccino giù per la gola, che non se gl attacchino all’ ultima parte della lingua, perché s' ammazzerebbero; né si dia lor nuovo cibo, se non abbino digerito in- nanzi quel di prima. Vivono i fagiani quanto i pavoni. Et non volendo altra briga del fatto loro che metter loro da bere et da beccare, è necessario murar loro una stanza a posta che sia quadra et lunga di due quadri o più, se- condo la qualità che ne abbisi; et vi siano dentro degl’ arbori di continua verzura, come lauro regio, ginepri, lauri ordinari, arcipressi scapezzati, agrifogli, ellera, lentaggine, mor- tella et simili; chiusa et riserrata di sopra et dalle bande fra lun pilastro et l’altro con una rete di ferro o rame, o sia dalle bande tutta muraglia et di sopra la rete, perché si spaventano et hanno per male d'esser ve- duti; et sianovi dentro accomodati i suoi abbe- veratoi di rio corrente, o in vasi da potere spesso mutargli; et con alcuni portichetti da una banda, dei quali una parte ne siano liberi et una parte chiusi di per tutto, che faccino 392 caselletti riserrati, entrovi i lor nidii, ordi- nati come alle galline; et così la stanza da .dormire. [Seguono tre pagine piene di scrittura, la 243. verso e la carta 244.*, recto e verso. Ma per riferirsi agli Ortolani e: per la volontà espressa dell’ autore sì sono portate in coda al capitolo dei medesimi. Viene appresso la carta 2452, bianca. Riprende il testo sul recto della carta 246.) L 393 Le Chiocciole. Volendo ancora nella villa fare un luogo appartato da conservare le chiocciole, facciasi un muro a secco, o si vero murato a fresco attorno a uno spazio quadro o d’ altra forma, della grandezza che si ricerchi al numero delle lumache che v’ hanno a star dentro, avendo piantato in esso timo assai, nepitella, origano, sermollino et menta, per loro qualche volta pascolare et purgarsi; et sia nel mezzo un monte di sassi, ove le si possino talora attac- care et ricoverare; et oltre a quell’ erbe diasi loro della crusca et di tutte le sorte d’ erbe mangiareccie che fanno negl orti, rinfrescan- dole di quattro in quattro di di estate, et d’in- verno ogni quindici, perché consumano et si - pasturano ai gran freddi della loro istessa flemma. Et il luogo sia in «asciutto et non umido; e ’1 muro dee essere alto un braccio et; mezzo, avvertendo che quando si sia alto da terra un mezzo braccio dalla banda di dentro, s inserischino nel muro embrici che sportino in fuori i due terzi di loro, poi si lasci il muro che va di sopra agl’ embrici appena scoperto ; et rasente il muro a terra vi s ammattoni un mezzo braccio, mettendovi sopra cenere o cal- cina viva che tocchi sparsa rasente il muro; questa le terrà che non eschino, più che se vi fosse attorno un corrente fiumicello che in isola le torniasse, che v’ affogherebbero dentro, et in questo, arrivando al seto della cenere o calcina, ritorneranno indietro, et si staranno quivi, 394 mangiando di quello si darà loro, et vi ingras- seranno et vi si manterranno bene, così quelle di Alemagna che sono le più grosse et di più sustanza, et quelle di terra de’ Grigioni et Svizzeri che son simili, et le minori che son del paese di Roma et le più saporite et mi- gliori, et le grandi di Lombardia, et le mediocri di Toscana; tra le quali sono alcune tenute per maschi, dette marzinoni, dure a smaltire et di assai men buon gusto. Ancora in questo lato viveranno comodamente i porcellini spinosi et le tartarughe, dando loro di quell’ erbe o crusca a mangiare, perchè non è vero che le vivino di mangiar terra come fanno le botte, che per questa cagione si figurano per l’avarizia ('). Sono l uove delle tartarughe eccellentissime, cotte in qualunche modo, gustose et saporite; né è vero che le covino con la vista, come è fuori la popolaresca vociferazione, ma si bene ai caldii, nella terra, con l’aiuto del sole et del caldo, come lo struzzolo. [Finisce in calce della car. 2464 verso, lasciandone una piccola parte bianca. Seguono bianche le carte ‘247, 248.*, 249 Riprende a car. 250 recto. ] (1) Qui sta scritto fra le righe: « a cagione che dubitando che non gli ne manchi, tuttavia ne rispiarmano, non se ne cavando mai la fame, come l’avaro in ammassar del danaro ». 395: I Bachi da seta. L’ opere et l operazioni della Natura sono tutte stupende et d’infinita meraviglia ripiene, et tuttoché l'intelletto nostro intenda et di- scorra in infinito, avendo egli l'origine e ’l fomento dall’ anima che è immortale, niente di manco non apprende né ritruova la causa prin- cipale il più delle volte (') di quelle, restando perplesso et confuso nella considerazion loro; et maggiormente, che la parte di quelle cose che si sanno è la minima di quelle che non si sanno, tanto resta offuscata dalle tenebre del- l'ignoranza, in questa terrestre salma involta, la nostra mente; et perché non solo spesse volte, ma ogni di ci si parono innanzi agl occhi miracolosissimi miracoli di quella, non gl’ at- tendiamo per tali et senza badarvi ne par cosa troppo solita et ordinaria (*) il vedergli. Ma quando poi rivoltiamo l’intero, sano e puro et accorto sentimento verso la deità di (*) quella eterna mente del Supremo Motore, la quale è più tosto da essere con somma venerazione adorata et reverita con fede (‘) et con la certa, ferma e vera credenza, che da essere ricercata (?) et voluta intendere indarno, chente, dove et (') A questo punto fra le righe è scritto: « se non per altra ragione, perché ogni cosa si corrompe et vien meno dal suo con- trario; « l’anima non ha opposito alcuno che possi corromperla, addunque necessitatur che ella è immortale ». (2) familiare è scritto sopra ordinaria. (3) et consiglio è scritto sopra deità di quella. (4) et con silenzio è scritto sopra et con la certa. (5) con dispute et argumenti è scritto sopra et voluta intendere. 396 come ella si stia, risguardando, per dir cosi, l’onnipotentissima onnipotenza sua, con la quale di niente in un attimo creò tutte le cose che sono et l universo istesso, assoluto rettore, disponi- tore et comandatore di quella, con un ordine (') che mai si vede mancare o venir meno, non deviamo più che tanto maravigliarci di quelle, ma ringraziandola del cumulo di tanti benefici, attendere a secondare in tutto et per tutto le sue ordinazioni, con il cognoscimento concessoci da quella, senza arrogare di ritrovare quello che rinvenir non si può; come avviene adesso ° nel voler trattare dei bachi che fanno la seta, animaletti collocati nel numero degl’ insetti di oltre a modo stupendo et miracoloso effetto, i quali così fanno la seta come s'attragghi il ferro la calamita, essendo così statuita dall’ ori- gine del mondo la lor natura, la quale chi ben speculando considererà et disaminerà, intenderà per certissima cosa che niuna fra le create è di più mirabile artifizio et più stupenda mani- fattura; et è ben di dovere, che poiché il lor. nobilissimo magistero è tale, sia principalmente destinata la lor fatica in terra agl’ ornamenti (') Da questo punto fino al termine della pagina (250 x.) si legge fra le righe del testo, in carattere minuto: « non essendo al- cuna cosa più degna, per la sua forza et constanza, della dispen- sazione celeste di tutte le cose, et niuna più oscura a compren- dersi per la bassezza dell'umano ingegno, nondimeno per quanto s' estende il nostro potere a considerare con la tardanza umana solo dagl’ eventi d’essa le cose che sono, la ragione della divina provvidenza par che cosi proceda, che delle grandissime opere che ella vuole effettuare, molto innanzi sotto i fondamenti, per occulte cause et incrementi latenti, a poco a poco allo scoperto et all’ sui tezza conduce », % yu YS Yv 0 6 % » % 397 . delle cose sacre, degnamente intessuta con l'oro, et molte volte da esso copertata et guernita. Serve più appresso all’ orrevolezza, splendidezza et lautezza dei mortali, se bene tra essi di lei è tanto trasandato l abuso, che è passato in tritissimo proverbio che ’1 baco che fa la seta a bella pruova si racchiude dentro al suo boz- zolo, morendo anco in esso, se ben risurge poi a far la sementa, per non veder talora chi la porta, et essere tanto avvilita la nobilezza sua. Sono addunque dei bachi che fanno la seta dei salvatichi et dei domestichi. Quelli si truo- vano rari ; et fanno da lor medesimi il bozzolo, con la medesima arte, industria et modo, ma alla campagna di, lor natura, fra le siepi, fra le ginestre, sui pruni et altre erbaccie, con sot- tile et morbido filo, ma inutile quanto al po- terlo trarre et cavarne la seta, se ben fanno il - bozzolo simile et vi periscono dentro ancor essi. Con tutto ciò la Natura, che nulla cosa ha creato invano et a qualunche ha dato qualche virtù, lo straccio di questo ha dotato di rista- gnare il sangue, perché postone dentro al naso, quando non si possi altramente fermare, lo salda, et similmente fa, posto su ’1 taglio d’ una ferita. Questi sono frequentissimi in molti paesi, et se ne fa procaccio grandissimo et imprese in Regno di Napoli et fuori d’ Italia in tutte le provincie dove sia al tempo debito qualche moderata temperatura, amando questi anima- letti il caldo, l aere ameno, quieto et senza vento, più ch’ altra cosa; a tal che in Aleppo, in Baruti et in Alessandria, dove è tale, ve n’ è gran copia et gli pongono a piè dei mori allo 398 scoperto, sui quali saliti et mangiata la foglia che vi è nelle vette et punte dei rami, creano il bozzolo; tanta è la benignità dell’ aere et morbidezza in quelle parti; et nell’ Indie et massimamente nel Giapan fanno il medesimo, dove i lor bozzoli sono grandi quanto un uovo d’oca, et n’ esce materia et hanno i bachi più grossi a proporzione. Ma in quelli paesi del- l’ Indie et massime nella costa della China ove si è abbondanza senza pari, è stata la Natura cosi larga et liberale della seta et vaga, che vi generano erbe che fanno un filo con che si | tessono drappi di seta molto simile al taffettà cangiante de’ nostri paesi, et un poco più gros- setto dei veli sottili che si fanno a Milano et a Bologna di seta, talora tanto sottili, che con lo spartimento d’ un sottilissimo ago diviso lo stesso filo, si conducono; et senza questo, sce- gliendo sottilissimo filo, si come si cava da’ boz- zoli, nel trarli a sottilissima sottigliezza. Ma quali lavori sono, che miracolosi non sieno quelli che si fanno con la seta? Poiché si come nelle Indie quella gente, trascelte le più mi- nute (') morbide et lustranti penne et le meglio colorite di vivo colore che si ritruovino nei più vaghi et rari uccelli del paese, attestandole e unendole insieme, secondo che occorra loro per rappresentare le figure che e’ vogliono pittu- rare, le divisano in modo, annestando l'una con l’altra con fine colla, in su legname o tela, che imitano qual sì sia buona pittura con orna- menti varii di festoni et fregi attorno, et di (1) corte è scritto sopra piv minute. tin Vetta PT ER Len RR i DU NN LR rt: DA dr a RE ar Ie SIG et è 399 ‘più l’ intessono per coperte di letti o. altri guer- nimenti di stanze, di vario o d'un sol colore. Somigliantemente di seta con l'ago si fanno esquisite figure d’ animali et d’uomini, et s' in- tessono panni d’arazzoy quelle col ricamo et trapunto, questi al telaio, minute l' une et. grandi l’ altri, tutti rappresentati in perfezione di pittura, accomodando i varii colori d’ essa, la vivacità naturale dei moti che bisognano per esprimere ogni minuzia che si vogli fare, non punto meno che si facesse o si potesse fare con l’istessa pittura libera di colori. Ora di questo grazioso et mirabile et utile animaletto, conservato, per le mani degl uomini con il suo solito cibo dal principio del mondo in quà, non è stata tuttavia negl’ antichi tempi appresso agl’ uomini in uso et in pregio la sua operazione, né meno tuttavia continuata - appresso tutti la sua notizia, perciò che fu ammirata come cosa di miracolo una vesta di seta che fu addotta a Caligula imperadore. Ma conviene che da quella cognoscenza in questo si cominciasse a studiare di servirsi dell’ artifizio suo, et massime che poco innanzi all’ età mia fu ritrovata in Roma la sepultura di Teodosia moglie di Onorio imperadore, co ’1 quale anco era sepolto Arcadio suo fratello, et lei vestita d’ una veste di broccato tessuto con filo di seta coperto d’oro; oltre a che quelli antichi et santi profeti avevano i lor vestimenti da sacri- ficare et esercitare i divini offizii nel tempio fatti di seta et d’oro; et nella chiesa di Prato di Toscana si conserva la cintura della celeste Genitrice Santissima, che espeditissimamente si 400 | | vede essere di seta vellutata; il che manifesta. che non solo i popoli se n’ avessero la seta et i bachi che la fanno, ma che fossero ancora appo molte altre nazioni. Si ritruovano in assaissimi luoghi del cristianismo antichissimi paramenti di seta et d’oro et di più intes- suti ancora di perle minutissime orientali, ve- «nuti d’ Etiopia, come si vede nella sacrestia della Madonna del Popolo in Roma; ma in . quelli regni degl Abissinij sì come nell’ isole Filippine, è frequentissimo 1’ uso della seta, et ‘in quelli della Cina, come s'è detto, d’ anti- chissimo tempo più che più. Io dissi conservato per mano degl uomini, perché questo anima- letto maschio non genera, nemmeno la femmina concepisce, ma ha sempre vita seco, quando in uova, quando in vermi et quando in farfalla, dalla quale si raccogliono i suoi semi, et è tanto utile che di lui niuna cosa si getta via; perche perfino quei vermini che si ritruovono dentro al bozzolo, svoltone la seta, ingrassono gl’ animali impuri che gli mangiono, come oche, anitre, polli et simili, et posti intorno alle piante fan lor giovamento et buon grassume. Scrivono alcuni che Panfila figlia di Plati, donna ‘greca, fosse la prima inventrice della seta, raccogliendola dagl alberi et poi filandola; et molti vogliono che quel bombice di che fa ‘menzione Plinio sia il baco che fa la seta, se . bene non conviene al modo et manifattura d’oggi accostumata per tutta Italia; dove è chi scrive che il primo che la conducesse fosse Sero di Scizia nel paese di Sericana, ond’ è detta sericum la seta, Altri tengono per ope- 401 nione che la seta et il modo del farla fosse trasportata in Italia a tempi di Giustiniano ; et fosse Sero o altri che la recasse dal paese dei Seri o di Sericana, per certo addotta fu; dove con tanta agevolezza la fanno i bachi, che seminando per l’anno a venire l’anno dinanzi le more ne’ solchi de’ campi, strofinando la sementa alle corde sottili fatte di giunchi et leggermente ricoperte di terreno stritolato, ne nascono i polloni dei mori, a piè dei quali posto il baco, comincia salendo a mangiare le | prime foglie, seguitando sino alla cima, alla quale arrivato, non gli sendo bastato per intero cibo sino al tempo di fare il bozzolo un virgulto - solo, si pone a piè d' un altro, tanto che satollo et maturo in cima della vermena lo fa et di quivi fatto si stacca; et sendovi l’ aere benigno comportono di stare al sereno, come in Baruti; et ancora nella Puglia et Calavria non si guar- don tanto dall’ aere, come nei luoghi meno tiepidi d’ Italia, nella quale fa grandissime im- | prese il Regno di Napoli, dove si cavono danari assai di tal mercanzia, rendendo le gabelle sole allo stato di Bisignano più di centomila ducati; et poi per altri paesi d’esso si esercita con frequenza il cercar di condurre a bene i bachi della seta. I quali per lo più fanno i bozzoli gialli, bianchi, ranciati et verdi chiari; et alcuna volta s'accozzano due bachi a. fare un bozzolo solo, et questi si chiamono doppi, che sono men buoni degl’altri; et di tutti si cavano primamente filacci, filaticci, stracci et seta. Gli animaletti poi che nascono di fuori dei bozzoli, rompendoli di sopra o di sotto co ’l farvi un 26 402 foro, 8 addomandono farfalle, che in queste si trasmuta naturalmente il baco della seta per far poi rimanere attaccato, d'onde e’ si rac- coglie l’ uove con la loro semente per conti- nuare la loro generazione, la quale in niun altro modo si mantiene, sì come e’ non si nutricano d’ altra verdura che della foglia dei mori o bianchi o neri o vermigli di Spagna, se bene per una necessità et anco per breve tempo si posson cibare di foglie tenere di roghi ('). Mangiarebbero ancora qual si vogli altra sorte di foglie d’arbori et d’erbe per vivere; ma il moro solo è stato dalla Divina ‘ Bontà dotato di questa qualità di natura, che null altro che esso può dar sostanza et virtù di generare la seta, et quasi incorporandosi di quei fili o fibre simili alla seta, di che si veggono essere state composte le foglie dei mori, che squarciandole si veggono sfilaccicare. Et questo si vede in tutte le sorti dei mori, et massima- mente in quelli che si domandono mori neri, che hanno la foglia più grande degl’ altri, et è più gagliarda et di maggior nutrimento di quella dei mori bianchi o di quelli vermigli di Spagna, et si dà loro quando son vicini all’ an- dare alla frasca per fare il bozzolo, affinché siano più forti; et non avendo di questa, si dà loro perfino all’ ultimo continuamente della bianca o di quella vermiglia. di Spagna, di dove anco viene la sementa dei bachi di gran perfezione. Ma la buona sementa dei bachi (1) Fra le righe, in carattere più piccolo: « et avvezzi da prima alle foglie d’ ortica, conducono il lavoro, sebbene non cosi fino », erat ivi i SEE gta ade ELad Leal sita; dd EE Sai Pet 1 ì . 403 approvata si cava tuttavia dai luoghi circum- vicini, et di quella sorte che si cognosce per esperienza aver in paese fatta buona pruova; et è cosa sperimentata, che la sementa dei bachi da seta buona in uh luogo, trasportata in un altro, mantiene la finezza che hanno in quel luogo di dove. sono stati tolti. Le sementi cavate dal Regno di Napoli s' addicono in tutti gl'altri paesi d’Italia et di altrove, che siano più simili si può alla temperatura di quella; et perciò quelli che si fanno venir di Sicilia hanno la medesima proprietà, pur che si con- formi quanto è possibile la qualità del paese, perché allora profitteranno come nel proprio natio luogo, facendo più del quinto che non i nostrali, per essere di vita et fazione assai maggiori. È ben vero che in capo di tre anni tralignano et diventano come i paesani: imperciò bisogna rifarsi da capo a mandare per essi. Quando ss. hanno a porre l uove ovver sementi dei bachi, è di mestiero avere avver- ‘ tenza se i mori han cominciato a muovere et date fuori le punte delle foglie piccole, perché il moro rimostra la stagione vera del porre la sementa a covare; perché senza questa avver- tenza sendo nati, converrebbe cibargli di foglie di roghi, ortica, lattuga o simili. Né si deono porre in covo queste semenze, se la luna non abbi almeno almeno cinque o sei di crescente, che gli farà venire innanzi secondo il suo am- pliare; et s'è osservato ancora questo, che quanto più s indugia a porgli, tanto riescono i bachi più forti et megliori, accostandosi tanto più al caldo, essendo loro freddissimi, come a PORRPTMA ECO. LISTINI CON GIRO EIZAIO,BO NE NTOF RE IRTESARERO ORE TIC VOS PO ERIN de } Sin! 5 pa E 81 a ES dal 404 palpargli si chiarisce; che fa che fan meglio sempre nei paesi caldi, come Spagna, Soria, Damasco, Puglia, Calabria et Sicilia. Le sementi che s' hanno a adoperare conviene tenerle fuor del caldio del sole et fuoco, in casse pur di lato asciutto, messe in ogni altra. compagnia che di panni lini, che tirano troppo a sé et fanno lor danno; ma le farfalle uscite dai boz- zoli, avendogli stesi a un muro o tavolato asciutto per diritto, vi fanno bene sopra le loro uova o semenze; et megliori ancora sono a ciò le carte azzurre et più che le bianche ('), per potere spiccarle con un coltello, raschiando nel tempo che si pongono. Le sementi vecchie non son buone e ne nascono vermi senza altra cal- dura. Le sementi appiccate al panno lino si staccano co’l bagnare co ’1 vino a dove elle non sono, et accostandole a intiepidire al fuoco len- tamente, et fregandole con scopetta di setole o saggina destramente; spiccate lentamente, pon- gonsi in un bicchiere pieno di malvagia, se non di vin bianco buono, trebbiano o vernaccia; quivi le si rimestan bene, et quelle che stanno a galla si gittan via et le rimaste al fondo si gittano sopra a un panno lino bianco pulito, allarganosi sopra et mettonsi al sole, stesevi con un altro mantile postovi sopra alto un palmo, che non l offenda, sin che s' asciughino; di poi se ne faccino gruppi di pannolino, ma non di donne; o di ermisino doppio d'ogni colore, eccetto che nero. Non deono stare nel vino più (1) Sta scritto fra le righe, in carattere minuto: « fatte di pan- nolino tinto cosi di guado », 405 d’un credo, che ciò basta a ingagliardirgli; il che giova ancora ai putti, nati che sieno, come dargli vino tosto che possin gustarlo, contro all’ openione antica; che gli fa forti, né nuoce poi loro. Può ancora tanto il vino dar forza ai bachi della seta, che mezza dramma di sementa genererà sei libbre di seta et più. Le sementi poi si pongono a covare o fra due guanciali di piuma fine, fatti caldi temperata mente al fuoco, tenendogli il giorno cosi, et poi la notte sotto il capo o nel seno delle donne fra le mammelle, ma donne che siano pure et nette dei ritorni dei mesi loro, perché le me- struate gl’ uccidono o mal conducono; addunque vergini sicuramente le coveranno; et i bachi che naturalmente nascono in altro modo in due giorni, in questo nasceranno dieci ore prima. Et come s’avvegghi che naschino o tutti 0 parte, aperto il gruppo, si ponghino i nati sopra una tavoletta asciutta, strofinata di erba odori- . fera, come maggiorana, finocchio, abrotano et nepitella scaldata un poco, et tenendogli in stanza calda, dando lor sopra quella foglia tenera di moro. Altri, secondo che si veggono nascere, gli mettono in una scatola che sia bene asciutta et tiepidata; et faccisi una carta bianca grande che entri nella scatola appunto, forando la carta con un puntale di stringa o spillettone grosso di Spagna, che facci buco che vi passi agevolmente un granello di miglio, si che i bachi sentino le foglie dei mori poste nel fondo sopra le carte, perché loro passeranno per detti buchi netti et senza scorze, et allora con le medesime carte si riponghino come s'è detto. RTRT DOME PARINI SE AR VERITIERO ONE SP SR PER CE LTT 5 Largo PE FTA) Co Ù i Vattt SI 406 Compartischinsi poi di mano in mano in tavole maggiori, sapendo che quanto più stan larghi, n’ hanno di meglio, pregando sempre il Creatore d’ essi che gli ben conduca et secondi, guardan- dogli dai caldi eccessivi et freddi, attaccando al ‘tempio lor primizie. Le stanze dove s' hanno a tenere siano all’ ultimo palco et non mai a terreno, siano volte a tramontana, et abbino le finestre da mezzogiorno; et tirando ostro o garbino, venti caldi lor malsani, si chiugghino, tenendo allora aperte quelle di tramontana, la quale quando tira, stieno chiuse queste, e aperte quelle di mezzogiorno; siano invetriate o incartate di carta o panno lino, né siano nelle muraglie buchi o aperture per dove facci offesa il sole, quale ancora per riflesso da uno specchio gl’ offende et ammazza. Et per riparare ai sorci, topi, formiche, grilli et lucertole, non siano ne’ muri fessure alcune, et perciò s' acconcino le tavole in modo che stiano lontane dal muro, ritte in su bastoni fittivi dentro, ovvero sì fac- cino graticci di canne monde, ritti in su castelli fatti a posta, perciò in mezzo alle stanze, l’ uno ponendo sopra l’altro di distanza di due terzi di braccio, movendoli et poi riponendoli ai luoghi loro quando si governano et son gover- nati; le tavole sien nette, secche, così i graticci o stuoie, fatti di modo che i bachi non possino cadere ne ’l lor rado, ma si bene i loro escre- menti, desiderando di star puliti et senza fetore; et stiano rasente il solaio un braccio, facendo di mano in mano le tavole più strette, perché cascando caschino nelle più larghe, avanzando 407 di mano in mano l’ una l’altra. Quando sono i bachi piccoli, dianseli le foglie tenere dei mori che siano bene asciutte; et di mano in mano che loro crescono, s' augumenti loro il cibo; et quando saranno cresciuti et fatti grandi, il che sarà la quinta settimana o al suo principio, diasi loro da mangiare da mattino, da mezzo- giorno et da sera, cavando lor di sotto la foglia rosa, cambiandola nella nuova. Quando saranno poi condotti alla lor giusta crescenza, porghinsi loro le foglie la mattina, a ora di desinare a mezzodi, et la sera, et ancora più una volta, ma non tanta quantità, ma secondo che si vede che divorandola la digerischino; et quando sono in procinto di andare alla frasca, conviene dar loro la foglia con parsimonia. Naturalmente i bachi si mutano quattro volte, avanti vadino a fare la seta; nelle quali mute conviene essere accorto et diligente, per- ché dopo la muta ovver sonno, perché dormendo come la serpe mutano lo scoglio, lasciandolo con dolore, si che rimangono fiacchi et deboli; et mentre stanno in tal travaglio non s' hanno a cibare, che non possono la vita ('), cognoscen- dosi chiaramente che questi bachi stanno am- malati o dormono due giorni; et si denotano, per essere allora d'un certo color livido che pende in bigio scolorito fuor del lor solito, et dal mezzo in su stanno diritti co ’1 capo elevato senza muoversi punto, et dimostrano di star stupidi ed attoniti; allora non conviene accre- scer lor molestia co ’1 trassinargli. Passato (') Leggo cosi, ma deve mancar qualche parola. 408 questo termine, pruovisi a gettar fra essi delle foglie, et se gareggiano a mangiarle, è segnale che sono guariti ; et sì segua di dar loro il vitto usato, che si sentirà un mormorio di rosicare alla distosa. Il primo di doppo la muta si dia della foglia manco del solito, di di in di accre- scendo sempre un poco più. Doppo la quarta muta, che è l’ ultima, vanno affrettando il man- giare, sollecitandosene sette o otto giorni, poi van mancando, badando solo co’l poco cibo a purgarsi per lavorare, mandando fuori ogni lor corruzione, cavalcando or questo or quello, et cercando luogo ove riporre l’ opere sue pulite et nette, non sì ritrovando mai o di raro escre- mento nei lor bozzoli. Di questo modo o novero di mutargli non si dà regola alcuna, perché ’1 discreto giudizio fa palese quanto ciò fa lor di bisogno, per il molto sterco che han sotto et foglie rose; et quando si muta loro il letto, ristropiccinsi le tavole di foglie di finocchio o d’assenzio o d’abrotano o menta o nepitella; et se siano stuoie 0 graticci di canne sottili, soffreghinsi con le medesime erbe; 1’ abrotano dee essere di quello nato alla campagna et non dell’ addomesticato negl’ orti. Farà ancora lor bene et gioverà loro spruzzargli con la bocca stretta greco o malvagia sparsa, sottile come la rugiada; ancora l'aceto gli conforta, bagnan- doli nel medesimo modo ('). Et si deono in mutandogli toccare destra- et discretamente, (1) Fra le righe, in carattere più piccolo, è scritto a questo punto: « et veggendosi travagliati, si spruzzi la foglia d’ un bianco buono, » È 409 restando offesi dall'essere maneggiati co ’l tocco: et s ovvierà a questo, pigliando tante reti quante tavole s' hanno di bachi, all’ istessa misura et con le maglie si rade, che vi possi trapassare il dito grosso, che i bachi facilmente vi vadino, ma ve ne sia sempre una di più per tutti i casi; et così senza trassinargli con le mani si mutino, quando sieno del tempo d’un mese; et ciò si facci ponendo sopra i bachi la rete di fil di spago sottile, mettendovi sopra le foglie, alle quali passeranno per le maglie della rete; et quando sono saliti sopr’ esse, portinsi sopra un letto netto, ovvero si tenghin sospesi per ritor- nargli nel medesimo lato; et cascandone, si rac- coglino con una carta sopra quella rete che s ha a avere d’ avanzo. Le foglie di quei mori son più condizionate megliori, che sono d’ arbori piantati lontani da - fossi o fiumi, et di terreni piuttosto mediocri che grassi, perchè questi generano gran foglie et di poca sustanza; quando sieno anco di lato magro, sassoso et sterile, saranno più giovevoli, et più di monte che di piano, di colle che di spiaggia; et siano mori fatti et non giovinetti. Le foglie dei mori neri sono più grosse et grandi et più nervose, et perciò di più sustanza et nutrimento megliore; imperciò chi n° ha dia sempre di queste, che faran più seta et più forte; quelle de’ mori bianchi sono più aqqui- drinose et di succhio men buono, fanno più la seta bianca, ma più delegine; quelle dei mori vermigli di Spagna sono assai megliori di queste bianche ordinarie.. Diasi sempre d'una sorte foglia, non la mutando loro di nera in bianca; TRN PTC E TIRI NIRO VE DARI VERE ISTE TINTI PR RIOLO VI PRTETE NEO E I n NOTTI ca NEL n Ta mid di nf sh at n ara S. aL e nd 410 et per essere questa la prima a spuntare, se glie ne può dare da principio per tre o quattro o sei giorni, poi nera, et nera si può dare anco da ultimo, come s è detto, per altri quattro ‘o sei di, quando vogliono salire alla frasca. Non si facci cogliere la foglia che doppo tre ore di sole, et quando è piovuto si lasci stare, se la necessità non astringa, all’ altro di doppo mezzogiorno. Avvertiscasi ancora a non torre i picciuoli in cogliendola, o le cime, che tutto gli danneggia; imperciò nettisi bene, et levinsi via quei tenerumi che fan crepare i bachi, tanto se n’ empiono; così se vi fossero le more attac- cate. I mori vecchi intarlati sono da fuggire, sendo pieni di formiche che gl’ ammazzano, ma le si possono spegnere con far sotto fummo senza fuoco che non guasti la foglia, o fargli un cerchio di pania da piè che circondi tutto il tronco, o sbatterle in terra con straccio o gra- nata. Colta che sia la foglia, ripongasi in stanza fresca ma asciutta, come in cantine o terreni non umidi, dove non penetri il sole, et tengasi stesa e sparsa sopra tavole secche, perché la non riscaldi o ribolla, come farebbe se la fosse ammontata et stretta insieme. Questa servirà ai tempi piovosi, quando non si può ire a co- glierla; et allora conviene star vigilante et accorto a scuotere i rami dei mori, se non si abbi conserva d’ essa; et sendo pur ancor molli, si sventoli sur un lenzuolo bianco scaldato, tanto che la s' asciughi, et se ciò non basti, asciughisi rasente il fuoco di fiamma et con altri panni lini; et questa o altra che sia asciutta si dia loro sempre l’altro di da che sia colta, 411 che così sarà più stagionata et migliore; o al- meno sia stata colta da dodici o*quattordici ore; et di quella asciutta con artifizio, perché non sarà mai così naturale, se ne dia lor meno del solito, per cansare il nocumento che la molta potria apportar loro. Ancora sarà bene adoprar la foglia dei mori lontani da prima, et consu- mata questa, servirsi della commoda et vicina, coprendo et stivando da ogni lato et sopra con panni 0 tele a tettaccio, in luogo tiepido et temperato. I mori vi sì possono porre sopra i rami quanti possin sostener bachi, che da per loro senz’ altra briga di governargli si pa- sceranno et vi faranno poi da ultimo i bozzoli sopra; così sì fa in Damasco senza coprirgli, et in Baruti et molti altri luoghi caldi. Questi bachi da seta non s’ addormentano tutti a un tratto in quei due giorni sopradetti; imperciò bisogna [stare] avvertendo all’ essere di tutti: et quando una parte di loro dormono et sono per mutarsi, et ve ne sono altri che non dormono et mangiono tra loro, come si vede che abbino mangiato una volta o due al più, separinsi da quelli che dormono senza dar loro più da mangiare, sin che ancora quelli venghino alla sua muta, perché altramente tutti morirebbero; imperciò mutinsi presto di luogo, et ciò s'intende quando son cresciuti quello che hanno a crescere; et se fra quelli che dormono ve ne siano ancora dei piccoli (*), levinsi quelli, dando lor poca foglia. Il troppo freddo o di (') Fra le righe, in carattere più piccolo: « causati che non devettero star nel vino ». 412 vento o d'aere passato per finestra o altra apertura gli fa ammalare, la foglia troppo te- nera fa lor danno et causa malore, così l umida; il cattivo fetore, le stanze imbrattate, il troppo sole et repentina mutazione del tempo sono lor cagione di malattia, si che quando si cognosce che sono infermati per l umido o pioggia et freddo, chiugghinsi le finestre et faccivisi da un canto, se non v'è cammino, fuoco di ginepro, pino et cipresso, et se ciò non giovi, faccinsi d’ un caldano di brace profummi d’ incenso, ov- vero vi si ponghino sopra ossa di prosciutti, cotenne di porco, salsicciotti, laldano, bengioi, storace et mirra, et tutto si facci senz’ altro fummo che di queste cose; spruzzivisi ancora sopra di loro dell’aqquavite; et quando venghi lor male da soverchio caldo, allora si spruzzi loro addosso aqqua rosa o di viole mammole (*). Avendo color giallo, o che fossero scoloriti et umidicci, bagnati come se orinassero, questi così infetti si sequestrino dagl’ altri, et portinsi la mattina fuori all’ aere per il buon tempo, per spazio di un quinto d’ora fuor del sole, stropicciando le tavole dell’ erbe dette, dove s' hanno a rimettere; né gli potendo portar fuori, aprinsi le finestre da tramontana, senza che ’l sole gli tocchi mai. Mangiano più dell'usato doppo la quarta muta, avvedendosi che hanno a lasciare il cibo et entrare nel chiuso; imperciò, avanti che mostrino la seta per la bocca, che speran- dogli tralucono, et di quivi ne pende un filo, (1) Zotte, scritto sopra mammole. 413 et cominciono da per loro a lavorare, mezzo dimenandosi, stando a capo alto, purgandosi per raffinare la seta che han dentro, rilucono dal mezzo innanzi nel ventre, mostrandolo come d’oro quelli che hanno a far la seta gialla, et d’argento quelli della bianca, et cosi d’ altro colore, traversando sopra gl’ altri, è segnale tutto espresso che sono in perfezione di volere an- dare alla frasca. La quale, perché abbino a poter fare l opera loro, dee essere conforme a quello desidera la lor natura, compresa dalla lunga esperienza che ha rimostro che gli stanno bene et operano volentieri sulla tignamica, ginestre, scope, felci, sarmenti, rametti di quercie et. di castagni, et questi due rendono i bozzoli senz’ intrigo et ve gli fanno su acconciamente, come sulle schiavine pelose et in sugl’abrotani, se bene si spiccano poi mal volentieri, rispetto a quella sua foglia intagliuzzata. Tutta questa qualità di frasche non pur doverria essere secca d’ allora, ma colta perfin dall’ anno passato et; conservata a questo effetto. Accostinsi allora le tavole o graticci o stuoie rasente ai muri che sieno spazzati da ogni bruttura, che v’ an- deranno a lavorare da per sé, come a salir sulle frasche, accomodandole accosto a loro; et quelli che non v' arrivassero così commodi, presi de- stramente con mano, quando si vede che abbino la bava di seta, la quale van vomitando a poco a poco, raggrovigliandovela su, ma con tale ordine, che ritrovato poi il capo, mediante l’ aq- qua calda in che si pongono a trarre, si disfanno come un gomitol di refe. Et così come con di- screta mano si posson metter sulle frasche lon- 414 tane, cosi ancora, quando eglino sono a questo termine, si possono trasportare in una altra stanza vicina, non essendo quella dove sono stati capace al lavoro; et ancora quando i bachi sono rimasti radi in sui lor letti, ponghinsi a questi, destramente appoggiandovele, le frasche sopra, che senza scomodo possino adagiarsi a farvi i bozzoli; et quanto più stanno radi sulle frasche, meglio vi lavorano; imperciò, riuscendo troppo spesse, diradinsi subito, spiccandogli pia- namente. Né s abbandonino mentre lavorano, ma .8' aiutino di quello che può loro occorrere, come che cascando raccoglierli et raccattargli, et andando temporale, freddo o di piova, aiu- tinsi con profummi, et si procacci loro senza fummo temperato calore, nulla più amando loro che ’1 caldo, massime essendo di natura freddi; et allora diventati freddissimi, per avere spur- gati tutti gl’ escrementi et senza cibo, pare che per lor riparo di schermirsi dal freddo, per non essere da quello offesi, si racchiugghino nel bozzolo, mutandovi poi dentro natura et diventandovi bachi d'un’ altra sorte con le ali per conservar la razza, forandolo in capo a dieci giorni in circa, lasciando nel bozzolo una certa scorza sottile e negra. Et la farfalla è bianchis- sima, pelosa, con ali doppie, con due corna so- lamente, ritenendo le tre gambe dinanzi; la quale bagnando prima il bozzolo lo va rodendo, et esce fuori da quella cartilagine fortissima, vario da sè medesimo; et se lè femmina fa subito 1’ uova senza il maschio vane, si che non ne nascono poi i bachi, per non v'esser la virtù NOFERINI BAIE A IMRE NE STRO RE La E IRE e SE ORO GET e SN MEI TRI. SETA IO SIE REI IAT, SPARI MONTE RIT e SI n gti A x "a N 415 generativa. Per l’ osservazione che s'è auta, che giornalmente si può comprendere et vedere, eglino penano due giorni interi, più o meno, secondo passa la stagione di troppo caldo o freddo, che ritarda loro o sollecita il lavorare; et quando di dentro et per tutto gl’ han forniti, si cognosce a sperargli alla lucerna, ché sendo diafani si vedrà il baco star fermo, come tes- sere, non avendo terminato il lavoro. Et l’ in- dugiare poi più o meno dei dieci giorni detti a dar fuora le lor farfalle, viene dalla fievolezza o gagliardia del baco, cagionatagli in pro 0 contra dalla stagione che corre. ‘ Deonsi lasciare stare sulle frasche i bozzoli, ‘da che si cognosce che abbin finito, quattro o sei giorni, per assicurarsi di spiccarnegli fatti, non essendo ragionevole a credere che gl’ ab- bino condotti tutti a un tratto. Nello staccargli ponghinsi da parte i meglio fatti più grandi, forti, sodi, gialli et ranciati; et togliendo dei doppi, si saperrà di certezza doverne nascere due farfalle maschio et femmina, così compor- tando l’ amor coniugale fra loro, di racchiudersi insiememente; ma la seta che si cava di questi non è in stima agran pezza quanto degli scempi; et di tutti si può separare i più bianchi, che essendo di seta debole e floscia serviranno a far dei veli. Quelli che si vogliono per seme, infilinsi con l'ago in una gugliata di refe, guar- ‘ dando nel passargli per diritto o per traverso di non offendere bucando il baco che v'è den- tro; et ponghinsi in lato fresco ove non batta il sole o gli scaldi il fuoco: et simile stanza 8 elegga per quelli che si conservano a far la Magi Md a a 416 seta. Ma prima che vi si riponghino, sì tenghino stesi su lenzuoli al sole per quattro o cinque di; et quando fosse per pioggia o altro tempo- rale contrario, in su graticci o sacchi ponghinsi dentro al forno che sia scaldato tiepidamente, et rimescolinsi qualche volta, perché sentendo tutti il caldo, senza offesa del bozzolo v’ abbino a morire dentro tutti. Vivono i bachi della seta venticinque di avanti si mettino a fare il boz- zolo, nel quale stan due giorni a farlo; et doppo dieci o quindici diventano nell’ uscirne, foran- dolo, farfalle, le quali vivono da nove o dieci © giorni et non più; et subito nati, congiungen- dosi il maschio con la femmina, usando visibil- mente il coito, nel termine d'un giorno o poco spazio più, manda fuori l’ uove. Ma tosto che elle sono nate, pigliandole co ’1 toccarle legger- mente s° hanno a porre sopra panni lini netti, puliti et bianchi, o su carte di colore azzurro, in luogo fresco come quello dove si sono tenuti i bozzoli bucati attaccati a chiodi in quella stanza penzolone, sapendo che in quella carta azzurra daranno sempre più sementa; et cogno- scendo che di numero sieno avanzati i maschi dalle femmine, accozzinsi i maschi a mano con esse, avvertendo che un solo basta a due et non più. Cognosconsi che il maschio è più piccolo et più sgarzo et magro della femmina; et avendo operato, diventano di colore scuro et in otto di si muoiono. I bozzoli tenuti al sole accanto si deono spelare di quella lanuia che hanno addosso, sti- randola forte con le mani, che è materia buona, pettinata et acconcia ricsirdata, a far tele di Y 417 filaticcio et bozzima, per riempire altri drappi che si fanno di sete; et spogliati s° hanno a dare a buone et perfette maestre: di trame, avver- tendo che elle non sieno nuove nell’ arte et poco pratiche, et che le adoprino per trarla aqqua di fonte, fiumi o rii che corrino, et non di pozzo et cisterna, facendo l’ aqque ferme et stagnanti non mai la seta tanto fine et buona, quanto quella. Le legne ancora che s' ardono nel for- nello sotto la caldaia di ,rame sottile et non molto grande, muratavi sopra con lo sfiatatoio di doccioni fuori della stanza, che dee essere a terreno et luminosa, siano secche. Queste sono tutte osservazioni necessarie, né è da farsi me- raviglia dell’ aqqua che si ricerchi dovere essere della qualità sopradetta, poiché è cosa manife- sta et che s'ha ad avere per constante, che l’aqqua dei fiumi che volta le ruote dei mulini, -sendo torbida et fangosa, fa il pane più nero assai dell’aqqua limpida et chiara. La seta tratta, riavuta dalle maestre, si dee legare a guindolata per guindolata in matasse, ben stretta e ser- rata, et riporre in iato dove non sia polvere, che questa l’ offende et abbruttisce fuor di modo, si come la danneggia assai il tenerla in luogo umido et che sia sporco et mal netto. Nelle casse addunque di legname asciutto si conser- verà al giusto peso benissimo, sino a che la si vogli o vendere, ovvero per si adoperare. Et della seta che si può cavare dai bachi della seta sia detto a bastanza, come del go- verno, custodia et riparo dei lor malori. Adesso mi sovviene di dire si come si ritruova scritto appresso alcuni, che gl’ antichi cavavano la seta 27 418 dalle foglie d’ arbori particolari della Sera 0 Sericana, della Scizia, dell'Asia maggiore, et cosi dell’ Etiopia, dalle frondi del nardo, petti- . . nandola et riducendola da potersi filare et poi tessere, così d’ uniti come di variati colori, nella maniera che continuamente se ne vesti Elioga- balo. È ben da credere che la non fosse di quella bontà che fanno i bachi d’essa, per essere le foglie piccole et corte, et così la lor seta dover riuscire grossa, snervata et di tristo colore et ancor disuguale et senza comparazione non tanto lunga, sendo che pigliando un bozzolo solo et trovato il capo, svolgendolo sopr' il guin- dolo dalla caldaia, tirerà più centocinquanta braccia, se sia punto bozzolo da vedere; et quella cavata dalle foglie conviene che la sia spezzata et rotta et più mal comoda a lavorare. Con tutto ciò gl’ antichi avevano espressa co- gnizione del bombice, che è il baco della seta, sebbene si truova descritto un poco differen- ziato dal nostro in Plinio che dice così: « Il ‘bombice è un verme peloso che lo colgono nel- l'isola di Coo da cipressi, trementini, frassini et quercie di quel paese, i quali cadendo dal- l alito della terra sono animati; et prima di- ventano farfalle piccole e nude, di poi, non potendo patire il freddo, si vestono contro l' in- verno; imperciò con i piedi, quali hanno aspri, radono la lana dalle foglie et ne fanno quasi velli, et con le ugnie la scardassono et petti- nano, di poi la tirano fra’ rami et l' assotti- gliano con pettinarla, e dopo molti doppii si rivolgono dentro; allora gl uomini gli pigliano — et tengono caldi in vasi di terra, nutricandogli 419 di crusca, tanto che nasca in loro nuova et natural piuma, della quale vestiti si rimandano a far nuovi velli; et le lane che da questi si tolgono diventano morbide con l’ umido, et più appresso si filano con un fuso di giunco ». Sin qui Plinio; et Pausania scrive così: « Nasce nella terra di Sera un verme che è due volte maggiore dello scarafaggio, nel resto somiglian- tissimo del ragnatelo; quivi i Seri lo nutricano con gran cura, fabbricandogli stanze così per l’inverno come per l'estate. Ha otto piedi come il ragnatelo; fa l’opra sua da tessere sotto gl’ arbori; vive quattro anni di panico, et il quinto, che è l’ ultimo della sua età, avanti che egli muoia, gli pongono innanzi una canna verde, della quale si ciba volentieri; et sazio se gli rompe il ventre, et gli cavono fuori un batuf- folo di seta >. Strabone, trattando della fecon- dità dell’ Indie, scrive esservi alcuni arbori pie- | ghevoli, nei quali però nasce una certa lana, della quale dice Nearco tessersi vesti, et i Ma- cedoni, usando quella per filare, farne vesti di seta. Et Virgilio ancora disse i Seri pettinar la seta dalle foglie d’ arbori. Però il nostro baco non è di questi ('). pri rs *" Dai {1) Trasversalmente, sul margine di quest’ultima pagina che è la car. 263 verso, si trova scritto in carattere più piccolo: « Tratta » la seta dal bozzolo quanta se ne può, si pone il resto a infradi- » ciare al sole, poi si lava cavandone il baco et si straccia per » filaticcio fino ». Oggi 28 agosto 1907 ho stampe di ASSO bel testo : a s) INDICE. ap Ò Preliminari La R. Commissione pe’ Testi di Lingua e i suoi presidenti Francesco Zambrini e Giosué Car- MMM i e e Meneghel ian E Della Pecora cap... [Frammento del Rifacimento). »XxXxlI Trattato degli animali domestici Medel a Pe Le ee AR E E e AGO ee MEM e MRO a a Me LE “canale i n a morale lu lare RE RO MICOnDA Sn a e IE RE LIO A O >, SIE n I Francolini, le Acceggie, le Starne, le Quagie, I Fagiani . Le Chiocciole . I Bachi da seta Conclusione. x di Vi Da 13 Da PA E SF Soderini, Giovanvettorio i aly Il trattato degli animali S6 domestici 1907 Biological & Medical PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY resa. se xe SA c LIES È 3 HE GS Lia vi di ho Leo pRI DIcLndià S04 HIGRON ii VITRO (1 (e Hiegiiize PORIZEATIORI (ETtA N Sacotiahie TE 5 - î Ten prmpreata i III = eri "=; SR i Er Satte caenice E: 753 i a nat splre dà ff Ho È Vira (hi AELEREATIG TE MCRRROO tissinì Ver Sg Ito dI tia LAOS ‘nen resi mo anta Des ne Ias ricor cai 5 & teso x sei ae? =prsecpepa daga mae DI fin pat Tagged SIR AERINAI hi; LAT pate DELE Qi LIMA IU } Ran MORCERTRRALA Ate } ARTAVEIA CI TIRIR A iS AIR EIA Ù oh DIS DS Sea [EtDso ene DELE pap 49 i MIR IaEAvere kN i n ” LAP Ù De LAtTraiI => POL i de IWA IRRATTIAI th sn Mu trat; FORTRERTO Di HR, { } east Ì (au teste (3 don CIRAPIN RAI PIE POCA pi tg SIEM 1 MERLO SPA ATRIA IC Tn tig dI AMAMI TIGRE SIATE o gin 0) In] ti JRPNCRRATALILI, ci nori È i ma RAUTE { sul: dii È ibi PICsaata “i DIE MESIA SeVglitot die se data Ri: re So ZH