Tf fev # SRL "evi | À RSS #4 E i " ; A d me | gary P PIU ULI di ULM E id dg: ous d "m fal a T o | té if 1° cn i pi“ "Ww Sa " De "nig une aS ESSE NN | en ai Sam À eee "e PENIS À id cm Internationale Monatssehrift für Anatomie und Physiologie. Herausgegeben von R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan, Ed van Beneden in Lüttich, S. Ramon y Cajal in Madrid, J. H. Chievitz in Kopenhagen, J. Curnow in London, H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, G. Guldberg in Christiania, H. Hoyer in Warschau, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm E. A. Schäfer L. Testut in Edinburg in Lyon und Fr. Kopsch in Berlin. Band XVIII. Mit Tafel I—XXIII. LEIPZIG Verlag von Georg Thieme Rabensteinplatz 2 1901. Printed in Germany 0 qi es mu ; e oe 1 m ow sti nie) id. i l È + ni " Mii En LINCE AE IVO FILA Sa ac thi } e + AU : Inhalt, D. Carazzi, Studi sui molluschi. (Con Tav. I, IT) W. Adler, Die Entwicklung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulgaris. (Mit Tafel III, IV) . Fr. Kopseh, Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. (Mit 34 Abbildungen im Text) Fr. Kopsch, Referate STO E LE eras F. Mazza, Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. (Con Tav. V) IE Co RA iro TES I A. Leontowitsch, Die Innervation der menschlichen Haut. (Mit Tafel VI—XI) . W. Krause, Referate 3 G. Sperino, Descrizione no dell’ SCA del Prof. Carlo Giacomini. (Con Tav. XIL—XIV) . Po à N. Muchin, Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. (Mit Taf. XV u. XVI) W. Krause, Referate drea paese A. Giardina, Orieine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. (Con Tav. XVII—XXIII) Seite Il 1$ allo 387 414 417 Studi sui molluschi N di Dav. Carazzi. (Con Tav. I, IL) Sommario: . L'organo amebocitogeno nelle Aplysie. . Glandule sanguigne di alcuni nudibranchi. . l corpi bianchi dei Cefalopodi: a) struttura, b) istogenesi. . I gangli nervosi viscerali delle Aplysie. . Sugli amebociti e sul significato dell'amitosi. H> co DID m Qt lr Quando si esamina, anche a piccolo ingrandimento, una sezione traversa del cingolo nervoso esofageo di una delle tre comuni specie di Aplysia (A. limacina, A. depilans e A. punctata) Yattenzione & subito richiamata da un fitto gruppo di piccoli nuclei nel tessuto connettivo che riveste i due gangli cerebrali. Infatti mentre intorno ai gangli pleurali e ai pedali il connettivo mostra i soliti nuclei allun- gati e sottili, sparsi qua e là in piccolo numero nello stroma fibrillare, nei gangli cerebrali, invece, una parte del tessuto perde l'aspetto a trama o a fibrille e i nuclei diventano più grandi, tondeggianti e molto più numerosi, cosi da essere vicinissimi fra di loro. Siccome questa modi- fieazione è più cospicua nell’A. punctata, ed è un poco diversa da quella delle altre due specie (limacina e depilans), cosi comincerò dal descriverla nella prima specie. In una sezione trasversale complessiva dei gangli nervosi lispessi- mento appare, come si vede nella fig. 18 (fa), nella parte interna dei due gangli cerebrali (gc), e ne ricopre anche la parte superiore. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 1 2 D. Carazzi, Naturalmente a livello della commessura lispessimento & interrotto nella parte percorsa dalla commessura stessa, ma continua sopra e sotto di essa. In una sezione frontale i nuclei formano come un cappello sulla parte dorsale delle cellule nervose, ricoprendole tutte; e cosi nelle sezioni più dorsali tutto il campo è occupato dai nuclei (fig. 1) del tessuto ispessito, mentre quando. si scende verso l’esofago i nuclei con- tornano soltanto le cellule nervose. Questa speciale modificazione del connettivo pericerebrale non é stata finora notata da coloro che hanno studiato le Aplysie, ed io credo che appunto quell’ispessimento nucleare costituisca lorgano amebocitogeno. Mi permetto di adoperare questo neologismo per pre- cisare ció che voglio dire; infatti le espressioni: organi linfoidi (Cué- not etc.) glandule sanguigne (blood-gland del Bergh e altri), organi fagocitari etc. sono tutte poco precise e furono adoperate per organi di funzione diversissima e spesso ignota. Nella fig. 5 si scorge già meglio, a maggior ingrandimento, la dif- ferenza che passa fra il solito tessuto connettivo pericerebrale e lo speciale ispessimento nucleare del quale sto trattando. Non solo l'aspetto e il numero dei nuclei, ma anche quello della sostanza so- matica circostante ai nuclei è molto diversa dall’aspetto del connettivo ordinario. Infatti, nel tessuto amebocitogeno scompare la struttura fibrillare e con forti ingrandimenti si riconosce una struttura più o meno granulare o vacuolare. Inoltre, allontanandosi dal solito connettivo e avvicinandosi verso l'interno, cioè dove sono le cellule nervose, si trova una distinta disposizione cellulare, vale a dire che la sostanza somatica si raccoglie intorno al nucleo per formare una cellula, benchè non esista mai un ispessimento periferico del citoplasma, cioè una mem- brana. Ciò si può vedere nelle fig. 6 e 10, che rappresentano ap- punto le cellule appena formatesi o ancora in via di formazione del- l'organo amebocitogeno dell’A. punctata. Finalmente nella fig. 11 le cellule prese proprio nella cavità del ganglio cerebrale, hanno una forma sferica, o subsferica. Non di rado il citoplasma ha dei vacuoli distinti (fig. 10 e 11), che probabilmente stanno a rappresentare il posto occupato da granuli di- sciolti dai reagenti, come accade del pigmento contenuto nelle cellule Studi sui molluschi. 8 nervose. Quando si misurano cellule distaccatesi dal tessuto (fig. 11), Si trova che hanno un diametro di 8—10 e anche 12 «. Guardando il tessuto che dà indubbiamente origine a queste cellule si scorge in esso un'attiva proliferazione cellulare (fig. 6 e 10) e i nuclei assumono le forme irregolari caratteristiche della divisione diretta, le quali non hanno niente di comune con altre irregolarità di forma del nucleo degli amebociti, delle quali dirò più avanti. Che qui si tratti di una vera divisione cellulare è mostrato in a della fig. 1 e si vede pur chiaramente nelle fig. 6 e 10, nelle quali son disegnate cellule con due nuclei, cellule allungate che stanno sdoppiandosi etc. Lo studio del nucleo é interessante perché piü d'una volta m'ha mostrato la divisione amitotica tipica, cio@ secondo lo schema Rema- kiano. Infatti il nucleolo precede la divisione del nucleo, come quella del nucleo precede la divisione della parte somatica (fig. 10). La proliferazione amitotica non & continua, ma abbiamo delle fasi di ri- poso, nelle quali tutti i nuclei sono tondeggianti e isolati gli uni dagli altri; a queste seguono delle fasi in cui tutti, o quasi, i nuclei e le cellule stanno moltiplicandosi. La fig. 6 e 1 mostrano appunto una di queste fasi nell’A. punctata, mentre nella fig. 2 i nuclei del tessuto amebocitogeno dell’A. depilans sono tutti in riposo. È noto che anche nella divisione indiretta i tessuti mostrano non di rado queste alter- native di un'epidemia mitotica dopo una lunga pausa. L’osservatore deve tener conto di queste differenze, perché potrebbe darsi che il preparato venisse colto in una fase di riposo facendo cosi erroneamente credere che il tessuto amebocitogeno non é proliferante. Nelle sezioni colorate col metodo Heidenhain all'ematossilina fer- rica non è raro vedere dei corpuscoli siderofili nella parte somatica della cellula e in vicinanza della membrana nucleare; si potrebbe ri- tenere che si tratti di centrosomi. Quale significato abbiano nella di- visione diretta io non saprei dire. Dalle dimensioni si resta subito persuasi che non v'é differenza fra le cellule a completo sviluppo del tessuto amebocitogeno e gli amebociti liberamente circolanti nel sangue (10—12 u). E per tutti gli altri caratteri vi è una completa corrispondenza fra le due sorta di elementi, cosi che non mi pare possa esser dubbio che gli amebociti [iS 4 D. Carazzi, discendano dalle cellule sviluppatesi nel tessuto amebocitogeno peri- cerebrale. Una sola differenza & quella presentata dal nucleo, il quale negli amebociti del sangue circolante é di forma irregolare, cioè a bis- cotto, a ferro di cavallo, oppure diviso in 2—3 pezzi. Queste forme non hanno niente di comune con quelle dei nuclei in divisione diretta, ed é un errore credere che sieno il preludio di una amitosi. Nella altre due specie di Aplisia (limacina e depilans) le cose vanno su per giü nello stesso modo. Esiste anche in queste forme un tessuto amebocitogeno che si differenzia dal connettivo pericerebrale; ma siccome i gangli cerebrali della limacina e della depilans adulte sono strettamente ravvicinati fra di loro, cosi che non si riesce tal- volta di vederli distintamente separati, succede che il tessuto amebo- citogeno invece di formare una massa unica e quindi piü vistosa, s'in- sinua e si ramifica fra le cellule nervose. Quindi nelle sezioni longi- tudinali frontali più dorsali, i gangli cerebrali sembrano suddivisi in parecchi gruppi cellulari da tale inframettenza e penetrazione del tes- suto amebocitogeno. In queste due specie poi non si vedono così distintamente le cellule sanguigne separate, come nella pwnctata (fig. 11), ma del resto quello che ho detto per l'una vale per le altre. Devo aggiungere soltanto che nell’A. depilans anche i gangli viscerali hanno qualche- volta il tessuto connettivo involgente modificato, come quello dei gangli cerebrali. Che il tessuto descritto debba avere il significato di un organo amebocitogeno mi pare dimostrato da quanto sono andato dicendo. E difficile sarebbe altrimenti spiegarsene la ragion d’essere. Non può essere considerato come un semplice connettivo di rivestimento e non ha la struttura di una glandula secernente. Si potrebbe contro la mia ipotesi fare una congettura: che invece d’essere amebocito- geno quel tessuto rappresenti semplicemente il blastema proliferante del connettivo. Ma la ‘supposizione non regge alla critica; prima di tutto anche negli altri gangli, anzi ovunque si sviluppa una sostanza connettivale, si dovrebbe trovare tale blastema proliferante, ciò che non è. Inoltre nello sviluppo dell’animale prima dovrebbe comparire questo speciale tessuto e poi il solito connettivo, ciò che neppure si vede; Studi sui molluschi. 5 anzi, proprio al contrario, il blastema proliferante si sviluppa, in un periodo postembrionale, dal preesistente connettivo. Una sezione traversa di una piccola Aplysia limacina lunga in tutto da 4 a 6 mm. (non é possibile dare una misura esatta perché la lunghezza del corpo varia col variare continuo del piede), fatta a livello dei gangli cerebrali (fig. 15) mostra chiaramente che a questa età non esiste ancora un tessuto amebocitogeno, ma soltanto un sotti- lissimo rivestimento connettivale, formato da scarsissime fibrille con nuclei quasi filiformi, simile in tutto a qualunque altra membrana mesodermale; e questo è sempre l'aspetto dei tessuti mesenchimatici al loro inizio. Un reperto identico ho avuto dall’esame di un’A. de- pans di circa 5 mm. Non è dunque un tessuto embrionale, anzi neppure larvale quello che io ho chiamato amebocitogeno, e quindi esso non può essere inter- pretato come il tessuto d’origine del connettivo perigangliare. Con ciò ho anche dimostrato, e su questo tornerò più avanti, che il tessuto amebocitogeno deve considerarsi come una proliferazione, un differenzia- mento postlarvale del tessuto mesenchimatico. II. Nel suo secondo lavoro!) sui globuli sanguigni e sugli organi linfoidi degli invertebrati, scritto specialmente col lodevole intento di correggere parte almeno dei tanti errori commessi nel primo’), il Cuénot accenna alla glandola tipica dei Dorididi (blood-gland del Bergh), collocata sopra i gangli cerebrali, e a quella dei Bullidei e dei Pleuro- branchididi, situata in prossimità del cuore. E queste glandule che nel primo lavoro aveva detto tutte globuligene, nel secondo asserisce non esser tali, e le chiama fagocitarie. Senza entrare in discussione sul significato di questa espressione, e senza imprendere la critica di quelle ricerche tanto facili quanto (a mio modo di vedere) poco conclu- denti sulle quali gode intrattenersi il Cuénot, seguendo l'esempio del Kowalesky, io mi limiteró ad accennare ai risultati delle mie osser- vazioni istologiche. Ho esaminato la cosi detta ,blood-gland* in due 1) m Archives Anat. microsc. 1897. t. I. p. 153. | 3) in Arch. Z. expér. 1891. t. IX. 6 D. Carazzi, Dorididi (Doris tuberculata e Chromodoris elegans) e in un Pleuro- branchidide (Pleurobranchoea Meckeli) e mi son persuaso che il Cuénot sé ingannato tanto la prima volta, quando ha creduto che quelle glan- dule fossero tutte amebocitogene, come la seconda, quando a tutte ha negato quest’officio. Dalla struttura appare invece che quelle dei Dorididi, collocate sui gangli cerebrali, sono veramente globuligene, mentre le altre dei Pleurobranchididi, situate in prossimità del cuore, sono glandule vascolari chiuse. Alla differente posizione corrisponde infatti una notevole differenza strutturale, indice di una funzione di- versa. Nella „blood-gland“ della Doris e della Chromodoris troviamo una cosi stretta somiglianza di struttura con la glandula amebocito- gena dell'A. limacına e della depilans, che riesce molto difficile di- stinguerle. Anche i nuclei si presentano sovente in divisione diretta identicamente nei due nudibranchi e nei due tectibranchi. Infine anche lorigine & la stessa, perché se facciamo una sezione trasversale nei sangli cerebrali della Doris o della Chromodoris troveremo il tessuto amebocitogeno differenziarsi dal connettivo pericerebrale nella parte interna, cioè fra i due gangli, e poi allontanarsi verso la parte supe- riore per svilupparsi (ciò che non succede nelle Aplysie) a ciuffo, spor- gendo nella cavità del corpo col suo colore caratteristico. Inutile dopo ció aggiungere che la fig. 11 della tav. I del primo lavoro del Cuénot rende inesattamente l'aspetto del tessuto amebocitogeno. Tuttaltra si dimostra la struttura della glandula posta vicino al cuore della Pleurobranchoea Meckeli!). Qui troviamo un tessuto di- stintamente glandulare, con epitelio disposto a grappoli e con vasi grossi robusti e numerosi. Qui troviamo anche spazi lacunari con numerosi amebociti, ma questi.non sono appena formati, anzi dall'aspetto del nucleo, dalla maggior tingibilità del citoplasma, dalla frequenza dei lobopodi si é certi di avere a che fare con amebociti portati qui nella slandula col sangue spintovi dal cuore. Non si tratta dunque di tes- suto amebocitogeno, ma di una vera glandula vascolare chiusa d'ignota funzione; né il Cuénot ci dice niente di più sul suo officio chiamandola glandula fagocitaria. ') E lo stesso dicasi per l’Oscanius tuberculatus. Studi sui molluschi. T II. E merito del Faussek di averci fatto conoscere la funzione ame- bocitogena dei singolari ,corpi bianchi“ o „corpi grassi“ scoperti dall’Hensen nel seno dell'occhio dei Cefalopodi. I corpi bianchi non sono stati finora disegnati nel loro insieme, solo il Cuénot') figura l'occhio di Eledone che mostra in parte il corpo bianco; per cid rappresento nella figura 17 l’occhio di Octopus vulgaris per far vedere lo sviluppo e la posizione dei corpi bianchi. Essi sono aderenti alla parte posteriore dell'occhio e circondano il ganglio ottico, occupando una parte del seno oculare, specialmente vistoso negli Octopodi. I corpi bianchi non formano un anello continuo intorno al ganglio, in realtà sono costituiti da due porzioni, ben separate negli animali gio- vani; una parte più estesa è dorsale, un'altra più piccola è ventrale.?) Quando l’animale cresce aumentano anche i corpi bianchi e si avvici- nano fino a toccarsi o quasi, suddividendosi contemporaneamente in di- versi lobi, mediante incisure più o meno profonde; così nell’animale adulto i corpi bianchi sembrano formare un anello continuo, ma frasta- gliato, tutto intorno al ganglio ottico. Nella Sepia officinale i corpi bianchi sono meno sviluppati, ma a cagione della maggior dimensione dell’occhio riempiono quasi tutto lo spazio del seno oculare, insieme eol ganglio ottico. In un primo lavoro il Faussek si occupa della struttura micro- scopica e dello sviluppo dei corpi bianchi, ed in un secondo, recentis- simo, torna a studiare l'embriologia di questi organi.?) Ho fatto uno studio su diverse forme di Cefalopodi (Octopus vulgaris e O. De Filippi, Sepia officinale ed elegans, Sepiola Rondeletu) e ho trovato qualche cosa da aggiungere e da modificare al lavoro del Faussek; anche le ricerche sullembriologia dei corpi bianchi nella Sepia officinale e nell'Octopus vulgaris mi conducono a conclusioni diverse da quelle dell'autore russo. Tratteró separatamente prima dellistologia e poi dell'istogenesi. 1) Nel lavoro già citato del 1897. *) Supposto l'Octopodo con le braccia avanti e l'imbuto sotto. 3) Mém. Ac. Sc. St. Petersburg. 1393. XLI. — Mitth. Z. St. Neapel. 1900. XIV. 8 D. Carazzi, A. Struttura dei corpi bianchi. — Furono detti anche corpi grassi, perchè effettivamento allaspetto e al tatto appaiono come un tessuto molle e adiposo. Il Faussek a pagina 2 del suo primo lavoro dice: ,Beim ersten Blick, makroskopisch betrachtet, erinnert der weisse Kórper wirklieh an ein Fettgewebe, z. B. an den Fettkórper der Insekten; aber sein Gewebe ist nicht reich an Fett, wenigstens enthàlt es keine merklichen Fettvacuolen.“ Sta di fatto che nel tessuto dei corpi bianchi vi sono numero- sissime goccioline di grasso, le più grandi arrivano a 3 u, ma di solito sono da 1 a 2 u. Si scorgono più facilmente nel tessuto fissato con miscele osmiche e anche con sublimato (fig. 8 e 13); sono disciolte, e quindi non piü visibili, quando si fissa con la formalina o con l'alcool nitrico. L’ematossilina ferrica le colora intensamente in nero, ma assu- mono anche i soliti colori basici (saffranina, tionina, emallume). Nelle sezioni di pezzi fissati con liquido del Flemming e colorate con ema- tossilina ferrica secondo Heidenhain si puó vedere anche l'origine di queste goccioline grasse. Esse si formano in alcune cellule riunite a gruppi e abbondanti specialmente alla periferia del corpo bianco. Le cellule subiscono delle profonde modificazioni nel loro contenuto; la membrana rimane visibile, ma il contenuto citoplasmatico è quasi nullo e tutta la parte somatica è vacuolizzata. Il nucleo si vede in alcune cellule molto grande e poi in altre si trova in disgregazione dando così origine a due o tre goccette grasse.^) Le cellule del corpo bianco sono molto piccole e scarso é in gene- rale il loro contenuto citoplasmatico, le solite dimensioni sono di 8—10 w. I] nucleo é relativamente grande (da 6 a 7 u), e quanto alla forma si possono considerare due tipi ben distinti. Nel primo tipo (fig. 4,8 e 13) il nucleo è sferico od ovale, con scarso contenuto, la cromatina è pure in piccola quantità. Il secondo tipo si può suddividere in due varietà: una mostra un nucleo contratto, intensamente tingibile con i colori basici, e rappresenta il nucleo in divisione amitotica (fig. 4, fig. 13); l’altra mostra le fasi della mitosi, cioè cromosomi allungati fili- 1) Potrebbe darsi che ad esse alluda nella nota a pag. 4 il Faussek quando dice di aver trovato dei granuli che forse sono prodotti artificiali, o forse porzioni di nuclei o di cellule degenerate. Studi sui molluschi. 9 formi, fortemente tingibili e le solite figure caratteristiche della divi- sione indiretta (fig. 8 e 13). Idue tipi di nuclei non sono isolati e sparsi qua e là per il tessuto, ma formano dei gruppi o delle isole più scure (secondo tipo) e tratti piü chiari (primo tipo). A queste differenze & più specialmente dovuto l'aspetto a noduli (fig. 3) presentato da una sezione di corpo bianco vista a piccolo ingrandimento, piuttosto che a divisioni formate dal tessuto connettivo indifferente, come crede e figura (Tav. I, fig. 1) il Faussek. In realtà le fibre di connettivo esi- stono (col loro aspetto fibrillare caratteristico e i nuclei sottili allun- gati quasi lineari), ma sono scarsissime e non formano delle maglie nella quali sarebbero compresi i noduli (Knoten) dei nuclei amebo- citogeni. In alcuni spazi irregolari e in vere e proprie vistose lacune (sfuggite al Faussek) si raccolgono gli amebociti già formati. Qui esiste un corpo protoplasmatico ben distinto, che il colore acido mette in evidenza, e un nucleo di forma irregolare. Dapprima il nucleo appare appena con una strozzatura mediana e con una gibbosità alla parte opposta (fig. 7), ma più tardi assume le solite forme a biscotto, a ferro di cavallo etc., o si divide in due o tre pezzi (fig. 9). Così appunto sono i nuclei degli amebociti circolanti nel sangue. Il Faussek erra quando dice „dass die unregelmässige Form der Kerne dabei nur Artefact aufzufassen ist.“!) Credere che la irregolarità del nucleo sia dovuta all’azione dei fissativi non può essere esatto, perchè nei corpi bianchi si vedono contemporaneamente gruppi di nuclei rego- larissimi, e sono appunto quelli delle cellule non ancora trasformate in amebociti. E d'altronde anche nel sangue circolante gli amebociti con nucleo regolare costituiscono l’eccezione, e l’aspetto irregolare la maggioranza; ciò che si vede bene quando si prepara il sangue ac- curatamente servendosi di animali ben vivi e ricorrendo a buone fissa- zioni. Il Cattaneo”) descrive tutte le forme di nuclei surricordati (a biscotto, a ferro di cavallo, doppi etc.) come se fossero quasi l’ecce- zione. Ma mi sono convinto del contrario dalle mie osservazioni fatte sempre su cefalopodi ben vivi ed esaminando il sangue versato nel 1) Op. citata 1 pag. 3. 2) Mem. Univ. Genova. 1891. 10 D. Carazzi, sublimato osmico nel momento stesso che tagliavo l'arteria cefalica, oppure quello che trovavo nelle sezioni delle branchie messe nel fissa- tivo appena escisse dall’animale vivente. Reputo questi metodi più sicuri e capaci di dare risultati piü attendibili che non quelli, ancora molto in voga, che consistono nellesame a fresco, oppure dopo essica- mento della goccia di sangue sul vetrino. Ora appunto queste forme irregolari del nucleo, cosi frequenti negli amebociti appena formatisi nel corpo bianco, come in quelli del sangue circolante, si debbono ritenere come forme definitive e normali. Simili irregolorità furono descritte negli amebociti anche dei vertebrati, ed esse non stanno mai a rappresentare né una divisione, né una frammentazione degenerativa (Cuénot, Cattaneo ete.) Ciò che del resto avevo sostenuto altrove"), studiando gli amebociti dei lamellibranchi. Il Faussek vide per il primo, ed esattamente descrisse, le mitosi nei nuclei dei corpi bianchi, ma egli non s’accorse delle divisioni di- rette, più difficili a scorgersi, ma molto più frequenti delle prime. Nelle mitosi quando i cromosomi formano la placca equatoriale si puó vedere abbastanza bene la forma del fuso acromatico (fig. 8), ma per quante ricerche abbia fatte non ho mai visto una sfera d'attrazione o un centrosoma. La ricerca & senza dubbio difficile, trattandosi di nuclei cosi piccoli, ma neanche con la fissazione nella miscela del Flemming e la colorazione delle sezioni con l'ematossilina ferrica di Heidenhain ho potuto vedere dei centrosomi nella figura cinetica. Tuttavia non é raro osservare dei corpuscoli siderofili nel citoplasma degli amebociti in riposo, contenuti nelle piccole lacune del corpo bianco, corpuscoli che potrebbero essere interpretati come centrosomi. E notevole la somiglianza del fuso acromatico di queste cinesi con quello di molti protozol. Ho detto che la divisione diretta è molto più frequente di quella indiretta e nelle cellule amebocitogene del corpo bianco dei Cefalopodi essa si compie come nei gasteropodi dei quali ho pit sopra parlato. Nella fig. 13 al disopra di due amebociti in riposo se ne vedono altri due col protoplasma piü oscuro e i nuclei che stanno dividendosi; anzi 1) Mitth. Z. St. Neapel, 1896. XII. Studi sui molluschi. 11 in uno anche la parte somatica della cellula ha cominciato à separarsi. In quella figura é disegnato inoltre un nucleo, tolto dalla stessa se- zione, in divisione mitotica. Anche qui nei corpi bianchi tutto un gruppo di nuclei mostra essere in divisione (fig. 4). Il Faussek non è riescito a trovare nelle sue sezioni vasi con pareti proprie. Eiffettiva- mente, benché in piccolo numero, si trovano dei capillari e dei piccoli vasi con pareti proprie e ben distinte (fig. 3v e fig. 7 V). Sarebbe stato poco probabile trovare un organo non vascolarizzato in animali che possiedono un sistema circolatorio cosi riccamente distribuito, come i Cefalopodi; e infatti tutti gli altri organi vicini ai corpi bianchi (occhio, ganglio ottico), cervello) sono provvisti di una fitta rete vas- colare. Come si vede da quanto sono andato dicendo la struttura dei corpi bianchi è molto più complicata di quel che il Faussek aveva creduto. Tuttavia non può esservi dubbio ch’egli ha pienamente ra- gione quando assegna a questi corpi la funzione di glandula ameboci- togena; e in questa opinione ci si conferma se si confronta la fina struttura di questi organi con quella di altre supposte glandule ame- bocitogene dei Cefalopodi, come l’appendice del cuore branchiale (Cué- not 91) o la glandula branchiale (Joubin). DB. Istogenesi dei corpi bianchi. Nel suo primo lavoro il Faussek studiando lo sviluppo dei corpi bianchi aveva creduto che si formassero a spese dell’ectoderma che sta intorno all'occhio e al ganglio ottico; e questo tessuto ectodermico è da lui segnato nelle figure indifferente- mente zb (Zellenbrücke) e wk (weisse Körper). Nella conclusione del lavoro sostiene (p. 26) tale maniera di origine, citando in appoggio lo Schäffer che credette (e certo, dico io, erroneamente) vedere negli insetti l'origine degli amebociti dall'ipoderma. Tuttavia il Faussek, non nascondendosi la gravità della sua affermazione, finisce con l’accennare alla congettura che nel periodo postembrionale le cellule ectodermiche vengano sostituite da quelle mesodermiche. Ma soltanto (conclude 1) Le cellule della nevroglia scoperte e descritte dal von Lenhossék (Z. w. Z. 58. 1894) nello strato reticolare del ganglio ottico sono molto probabilmente dei capillari sanguigni impregnati dal cromato d'argento. Capillari che ho trovato in abbondanza in quello strato. Ricordo che il Kopsch non poté vedere quelle cellule di glia descritte dal v. L. (Questo Monatsschr. 1899. XVI). 19 D. Carazzi, lautore) ,künftige Untersuchungen werden zeigen, inwiefern diese Ver- mutung der Wahrheit entspricht.“ Si poteva dunque ragionevolmente aspettarsi che nel secondo e più esteso e più importante lavoro sull'embriologia dei Cefalopodi l'autore sciogliesse il voto e dimostrasse che la sua congettura era una verità e che anche nei Cefalopodi, come in tutti gli altri Metazoi oli amebociti sono d'origine mesodermale. Ma neanche questa volta il Faussek decide la questione; certo è che egli ha cura di mettere molt'acqua nel suo vino, e afferma che gli sembra più sostenibile lopinione (p. 168) che il tessuto mesodermico sostituisca l'ectoderma. E poco piü sotto aggiunge (e nella tav. 10, fig. 93 disegna) di aver trovato negli embrioni di Sepia tra l'occhio e il corpo bianco degli abbozzi mesodermici che ,unzweifelhaft einen Bestandteil des weissen Kórpers bilden.^ Ma dopo aver ripetuto che eli sembra esatta lidea che le cellule mesenchimatiche sostituiscano gli ultimi residui degli abbozzi ectodermici, conclude (p. 169): „Diese Frage kann aber durch Untersuchung der postembryonalen Histo- genese entschieden werden, und so muss ich sie leider in der Schwebe lassen!“ Senza aspettare che il Faussek si decida a non lasciar piü in sospeso questa questione, posso dare chiaramente e brevemente una risposta decisiva: Gl abbozzi dei corpi bianchi sono esclusivamente mesodermici, e l’ectoderma nè in tutto nè in parte vi è associato. Questa risposta non si fonda su una ,opinione* o su una „idea“, ma è basata su fatti, facili a constatarsi quando si disponga del materiale opportuno. i Quelli che il Faussek ha creduto abbozzi ectodermici dei corpi bianchi sono semplicemente i peduncoli oculari, molto sviluppati. negli embrioni dei decapodi, i soli studiati dal Faussek, e che in seguito vanno via via riducendosi, fino a scomparire del tutto. Negli Octo- podi, dove i peduncoli sono già ridotti nel periodo embrionale e del tutto scomparsi quando l’animale schiude dall’uovo, è ancora più evi- dente che i corpi bianchi niente hanno di comune con l’ectoderma. Ciò che si vede con tutta chiarezza in un Octopus appena schiuso, perchè in questo allora soltanto si accenna l’abbozzo del corpo bianco, Studi sui molluschi. 13 mentre di abbozzo ectodermico non v'é traccia. La fig. 12 rappresenta una porzione di una sezione sagittale di Octopus vwlgaris appena schiuso dalluovo (lunghezza totale del corpo millim. 1,5); e epider- mide, r retina, go ganglio ottico. Nel triangolo lasciato da questi tre organi vi € un abbozzo mesodermico: dietro alla retina e sotto la pelle stanno delle file di sottilissimi nuclei allungati e uniti da fibrille; nel centro son pochi nuclei grandetti di forma ovale. Questi, mentre son ben diversi per l’aspetto e per il colore dai nuclei ectodermici del ganglio ottico della retina e dell’epidermide, somigliano invece ai piccoli nuclei surricordati che daranno origine al tessuto muscolare del mantello e ai muscoli e al connettivo dell’occhio. Essi si vedono in- granditi nella fig. 14 (cb). Non puó esservi dubbio che questi pochi nuclei rappresentano l'abbozzo del corpo bianco. Nei Decapodi (ho esaminato Sepa officinale) i ponti ectodermici, ossia i peduncoli dell’occhio sono molto sviluppati durante il periodo embrionale. Se per es. guardiamo una Sepia della lunghezza di 3—4 mm., e quindi con un sacco vitellino ancora vistoso, vediamo il peduncolo dell’occhio bene sviluppato. Tuttavia si scorge anche un piccolo abbozzo mesodermico situato fra l'occhio il ganglio ottico e il peduncolo oculare, abbozzo facilmente distingibile, per l'aspetto dei nuclei, dalle masse ectodermiche che formano i tre organi ora men- zionati. Se leviamo dall’uovo una Sepia prossima a schiudere, cioè di circa un centim. di lunghezza e con un sacco vitellino piccolissimo, scorgiamo il peduncolo dell'occhio molto ridotto (come il Faussek ha giustamente già fatto rilevare), e qui poi l'abbozzo mesodermico s'è notevolmente accresciuto. Finalmente in una Sepia già nata e lunga 2 centim. si trova, e questo non ha visto l’autore russo, che l'abbozzo mesodermico accenna chiaramente a separarsi in una massa centrale, il corpo bianco, e in masse periferiche: i muscoli; e che intanto il pe- dunculo oculare, ridotto a 2—3 strati di nuclei, è stato spinto al difuori dal tessuto muscolare in via di sviluppo; esso peduncolo non ha dunque più niente di comune con l’abbozzo del corpo bianco. Per conseguenza i corpi bianchi non sono di origine. ectodermica (Faussek 1893) e neanche in parte ectodermici e in parte mesodermici (Faussek 1900), ma sono esclusivamente formati dal mesoderma. Così 14 D. Carazzı, anche per i Cefalopodi si rientra nella regola generale, che io ritengo comune a tutti i Metazoi, malgrado osservazioni in contrario, cioè che gli amebociti si originano dal mesoblasto. Inoltre, anche per i Cefalo- podi, come per le Aplysie, resta provato che l'organo amebocitogeno si sviluppa soltanto nel periodo postembrionale. IV. Un breve cenno su di una vecchia questione che, benché risolta da lungo tempo, è ogni tanto rimessa in discussione. In due recen- - tissimi lavori si torna a domandarsi se i gangli viscerali delle Aplysie sono due o tre, pari od impari. Il Bottazzit) esaminando due specie di Aplysia (la imacina e la depilans) è condotto alla conclusione che „la massa gangliare viscerale é molto probabile risulti da due gangli distinti addossati.^ Il Guiart?) tratta anche lui dei gangli viscerali di un'Aplysia. Di quale specie non sappiamo, perché il Guiart nomina sempre l'Aplysia al singolare e senz'altra aggiunta, come a dire „il gatto“ o „il cavallo“; evidentemente egli ignora che di Aplisie in senso stretto ve ne sono tre specie, tutte e tre comunissime; ma nel- l'Aplysia sua il Guiart, previa fissazione disidratamento e rischiara- mento, trova che la massa nervosa viscerale, osservata in toto per trasparenza, consta di tre gangli. Ora ci sarebbe forse da meravigliarsi di questo: che i due autori citino il lavoro del Mazzarelli, e pur tuttavia dimentichino che questi a pag. 105 dice chiaramente che i gangli viscerali sono sempre due e che nella tavola VII. fig. 4 dà una chiarissima sezione trasversa della massa viscerale dell’A. punctata e dalla quale risulta senza dubbio che i gangli sono due, proprio due e solamente due. Ma forse la questione, chiusa per A. punctata, pud restar aperta per A. limacina o per A. depilans? Di queste due dice esplicitamente il Bottazzi che ha fatto lesame, e una di queste due dev'essere lAplysia per antonomasia del Guiart. Infatti negli adulti di queste specie i gangli viscerali sono molto ravvicinati fra di loro, di modo che anche sulle sezioni si puó restare in dubbio se si ha da fare con 1) Rivista Scienze Biologiche. 1899. 2) €. R. Soc. Biol. 1900. LII. Studi sui molluschi. 15 un sol ganglio o con due, specialmente se la conservazione non & stata buona. E questo dev'essere il caso per il Bottazzi, a giudicare dalle non belle figure sue. Per tórre ogni ragion d'essere al vecchio dibattito pongo qui (fig. 16) una figura che rappresenta una sezione attraverso la metà circa dei gangli viscerali di un’Aplysia limacina piccolissima, cioè della lunghezza totale di circa 5 mm. (lo stesso esemplare che ha servito per la fig. 15). Non può esservi dubbio che qui vi sono due gangli; e quindi è una conseguenza del successivo accrescersi del tessuto connettivo perigangliare se nell’adulto i due gangli non si distinguono più bene. Anche nelle giovanissime A. depilans i gangli viscerali sono chiara- mente separati, e sono in numero di due soltanto. Dunque in tutte le specie del genere Aplysia i gangli viscerali non sono impari (nè uno nè tre) ma pari, e precisamente due soltanto. V. Con queste mie ricerche, che hanno avuto specialmente lo scopo di precisare le nostre conoscenze sull’origine e la struttura degli ame- bociti di alcuni Molluschi, ho potuto lumeggiare qualche problema che interessa la morfologia in generale. È notevole intanto la grande somiglianza di queste antichissime cellule sanguigne nei diversi gruppi di Metazoi. Nella forma complessiva, nei movimenti ameboidi con emissione di lobopodi (i sottili filamenti compaiono nell’amebocito solo quando sono alterate le sue condizioni vitali), nella strana irregolarità di forma del nucleo, nelle dimensioni su per giù sempre le stesse in tutti gli animali fino all'uomo (dai 10 fino ai 12—15 4), nel doppio modo di riproduzione diretta e indiretta, infine per l'origine embrio- logica gli amebociti si conservano con gli stessi caratteri su per i di- versi rami dell'albero zoologico. Ho già detto che le forme speciali del nucleo degli amebociti non rappresentano una divisione, ma bensì un atteggiamento funzionale dell'elemento. E come quelle forme non preludiano a una citodieresi non indicano neppure la prossima degenerazione della cellula. L’ami- tosi invece, cioè la vera divisione di un amebocito in due, e forse anche in più, avviene con caratteri che in parte rammentano lo schema 16 D. Carazzi, Studi sui molluschi. Remakiano, in parte accennano ad una transizione alla divisione in- diretta, in quanto mostrano una contrazione e una maggior tingibilità della sostanza cromatica, e forse non escludono l'intervento (qualunque ne sia lo scopo) di un centrosoma. L’amitosi, ad ogni modo, non ha certo nessun carattere degenera- tivo. ma é una vera e propria moltiplicazione cellulare, altrimenti non si capirebbe perché essa avvenga negli elementi giovani degli organi amebocitogeni. Del resto, contro tale modo di vedere, che ho già altra volta combattuto*), stanno anche altre ricerche recenti, quali per es. quelle del Plate sui tuboli respiratori di alcuni gasteropodi polmonati”). Forse noi dovremmo anche togliere quella distinzione fra la mitosi e l'amitosi secondo la quale questa sarebbe in certo modo un fenomeno di poca importanza in confronto di quella. Cosi come vediamo nei corpi bianchi dei Cefalopodi alternarsi, senza che sia possibile scorgere nessuna differenza nel risultato, i due modi di moltiplicazione, vediamo del pari in molti protozoi avvenire nella . stessa specie, e con effetto eguale, ora l'una e ora l'altra maniera di divisione. E se ha valore una vecchia osservazione del Meves?), con- fermata dal Flemming, tale alternanza della mitosi con la divisione diretta si avrebbe regolarmente, e a seconda della stagione nelle sper- matogonie della Salamandra. Tenendo conto di questi fatti e di altri che tralascio per brevità^), e senza esagerarne la portata, mi pare di poter concludere che l'amitosi non é un processo cosi raro come una volta si credeva, e che in parecchi casi ha certamente il significato di una moltiplicazione rigenerativa, come l’ha la mitosi, e non già di de- generazione nè di indice della prossima morte della cellula). Napoli, Stazione Zoologica. DM Ojos (iE ?) Vedi sull'argomento: Meves, in Ergebnisse. 1898. VIII. ?) Anat. Anz. 1891. ^) Vedi il mio lavoro già citato, e l'Ergebnisse del Meves. ?) Il Cuénot a pag. 174 del suo secondo lavoro (97) già citato mi attribuisce lopinione che gh amebociti delle ostriche si dividano per amitosi solo. Cid é inesatto: nel mio lavoro mi ero occupato della frammentazione nucleare dal punto di vista della funzione dell’amebocito, ma della divisione cellulare non avevo detto niente. Sta infatto che gli amebociti delle ostriche si dividono in tutti e due i modi, e che non & raro trovarne per i tessuti del corpo anche in mitosi. Spiegazione delle tavole. Le sezioni sono sempre disegnate con la camera chiara Abbe, fin dove & possibile. Gli ingrandimenti di 600 diametri e di 1100, circa, sono ottenuti con l’obbietivo apocromatico Zeiss 2 mm, 1.30 e con l'ocul. comp. 4 od 8. La fissazione in formalina é ottenuta con una soluzione di formalina del commercio parti 1, acqua di mare parti 3—4, ció che corrisponde ad una soluzione 8—10 °/, di formalina nell'acqua di mare. Il pezzo è tenuto nel fissativo per 48 ore e poi passato nell'aleool forte 95 °/). La fissazione in sublimato è fatta con una soluzione satura di sublimato | nell’acqua con 0.75 °/, di cloruro sodico. Nel sublimato acetico a quella soluzione è aggiunto 2.5 ?/, di acido acetico glaciale. Tavola I. Fig. 1. Sezione frontale molto dorsale dei gangli cerebrali di Aplysia punctata ; nella sezione si scorgono i nuclei del tessuto amebocitogeno, e solo questi sono figurati per maggior semplicità. Le cellule nervose non si vedono appunto perché la sezione é molto dorsale, e quindi interessa soltanto il connettivo perigangliare. In a due amebociti appena forma- tisi. Formalina; emallume e orange. x 600 d. circa. Fig. 2. Tessuto connettivo pericerebrale (a) e tessuto amebocitogeno (5) di un' A. depilans. Sublimato; emallume; x 600 d. circa. 9. Sezione di corpo bianco (5 w) di Octopus vulgaris. Formalina; emall. e orange; / lacuna, v vaso sanguigno; x 65 d. circa. Fig. 4. Sezione di corpo bianco (5 uw) di 0. vulgaris giovine. Formalina; emall. e orange; x 1100 d. circa. Fig. 5. Dallo stesso preparato della fig. 18. Porzione mediana dei gangli cere- bral di A. punctata in sezione trasversa. ta tessuto amebocitogeno; € connettivo non modificato; gn cellule nervose. x 50 d. circa. Fig. 6. Cellule del tessuto amebocitogeno di A. punctata in proliferazione. Su- blimato; carmallume; x 1100 d. circa. Fig. 7. Corpo bianco di 0. vulgaris juv. (5 u). Miscela forte del Flemming; ematoss. ferrica Heid. e orange; x 1100 d.circa. V vaso. Fig. 8. Lo stesso preparato e lo stesso ingrandimento. $4 gocce di grasso. Fig. 9. Sepiola Rondeletii. Sezione di corpo bianco. Sublimato acetico; miscela del Biondi; x 1100 d. circa. Fig. 10. Cellule. del tessuto amebocitogeno di 4. punctata con nuclei in divi- sione. Formalina; ematossilina ferrica secondo Heidenhain; x 1100 d. circa. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 2 18 Fig. 3s Fig. int io. 12. ia LL), . 14. 17. 13. D. Carazzi, Studi sui molluschi. Tre cellule del tessuto amebocitogeno nello spazio fra le cellule nervose del ganglio cerebrale di A. punctata. Formalina; ematoss. ferrica Heiden- hain; x 1100 d. circa. Sezione sagittale di 0. vulgaris appena sgusciato dall'uovo (lungh. totale del corpo mm. 1.5) Sublimato acetico; emallume e orange; e epidei- mide; 7 retina, go ganglio ottico, cb abbozzo mesodermico dei corpi bianchi, m tessuto mesodermico, cr cromatoforo x 600 d. circa. Sezione di corpo bianco (6 u) di 0. vulgaris ad. Sublimato e acido osmio-acetico: Tionina. $4 gocciole di grasso; x 1100 d. circa. Parte centrale del preparato della figura 12. x 1100 d. circa. Tavola IL. Sezione (un poco obliqua) di A. “macina giovane (lunghezza di tutto l’animale circa 5 mm.), attraverso i gangli cerebrali. Formalina 24 ore, poi sublimato 24 ore; 5 u. Emallume e orange. Superiormente si vede il mantello. x 130 d. circa. Sezione trasversale ai gangli viscerali dello stesso animale. x 300 d. circa. Occhio destro in grandezza naturale di Octopus vulgaris. A visto da sopra; £ da sotto; D dalla parte interna; 4 ganglio ottico. I corpi bianchi sono punteggiati. Sezione trasversa (un poco obliqua) di tutto il cingolo nervoso esofageo di A. punctata; Formalina; emallume e fucsina. x 50 d. circa, ta tes- suto amebocitogeno; gc ganglio cerebrale; gp g. pleurale; pd g. pedale; ot otocisti. (Aus dem Anatomischen Institut zu Berlin.) Die Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulgaris. Von Wilhelm Adler. (Mit Tafel III, IV.) Inhalts-Uebersicht. I. Einleitung S. 19—20. II. Material und Methode S. 20—21. III. Die Entwickelung der äusseren Kórperform. A. Beschreibender Teil S. 21— 30. B. Vergleichender Teil S. 30—34. IV. Ueber das Verhalten der Keimblätter, insbesondere des Mesoderms, auf jüngeren und älteren Gastrulastadien S. 34—41. I. Einleitung. Die Embryonalentwickelung der Amphibien ist infolge ihres primi- tiven Charakters von grossem Interesse. Besondere Beachtung ver- dienen die Unterschiede, welche die jungen Entwickelungsstadien der einzelnen Arten auszeichnen, wenn auch im allgemeinen der Grund- typus gewahrt wird. Zur Begründung dieser Ansicht sei hier nur verwiesen auf die Entwickelung von Rhacophorus Schlegelii, bei wel- chem nach Ikeda die Furchung ähnlich derjenigen der Ganoiden ist, und ferner auf die im letzten Jahre erschienene Arbeit von Budgett an den Fröschen aus dem Paraguayan Chako. Die Larvenstadien der verschiedenen Froscharten sind, wie die wertvolle Zusammenstellung von Boulenger zeigt, an der Zahl und 2% 20 W. Adler, Anordnung der Zahnreihen leicht von einander zu unterscheiden. Die Unterschiede der jüngeren Entwickelungsstadien sind von diesem Autor nicht behandelt worden, dieselben bieten aber, abgesehen von der Eigrösse, der Art der Eihüllen und deren Zusammenhang, sowie von der Art der Eiablage, auch in ihrer äusseren Gestalt charakteristische Unterscheidungsmerkmale dar, welche wohl verdienen, ausführlich dar- gestellt zu werden. Die Entwickelung einiger Arten von einheimischen Anuren hat schon systematische Bearbeitung gefunden. So die Unke (Bombinator igneus) durch Gótte; von Rana temporaria und esculenta und den ein- heimischen Króten sind jedoch nur Bruchstücke vorhanden. Unter letzteren sind namentlich die frühen Entwickelungsstadien von Bufo vulgaris sehr eigenartig, vornehmlich mit Rücksicht auf die Bildung des Medullarrohres, auf die Krümmung des Kórpers, Entstehung und Ausbildung des Haftapparates, so dass es wünschenswert erschien, in systematischer Weise die Entwickelung dieser Form zu untersuchen und sie mit den entsprechenden Stadien anderer Anuren zu vergleichen. Die Anregung zu dieser Arbeit verdanke ich Herrn Privatdocent Dr. Kopsch, dem ich hierfür sowie für die Ueberlassung des gesam- melten Materials und die freundliche Unterstützung mit Rat und That bei dieser Arbeit meinen innigsten Dank sage. II. Material und Methode. Das zu dieser Untersuchung verwendete Material stammt von einem Männchen und einem Weibchen von Bufo vulgaris aus der Um- gebung von Berlin, welche im gepaarten Zustande gefangen waren und die befruchteten Eier im Laufe des nächsten Tages in einem Aquarium ablegten. Fast alle Eier entwickelten sich gleichmässig weiter. Die Conservierung geschah in 0,5 ?/, Chromsäurelösung, 100 + cone. wüsserige Sublimatlósung 100. In dieser Flüssigkeit blieben die Eier samt der Gallerthülle 24 Stunden. Alsdann wurden sie 24 Stunden lang in fliessendem Wasser ausgewaschen, durch Eau de Javelle von den Eihüllen befreit, dann wieder kurze Zeit mit Wasser ausgewaschen (zur Entfernung des etwa noch anhaftenden unterchlorigsauren Natron) Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 91 und sofort mit einer frischbereiteten Alaun-Cochenillelösung gefärbt. Aeltere Stadien wurden mit Pikrinsublimat conserviert. | Die Einbettung geschah in Paraffin nach Behandlung mit Alkohol, steigend von 709/, bis 995/,,9/,, Chloroform, Chloroform-Paraffin. Im 995/,, 9/, Alkohol und im Chloroform bezw. Chloroform-Paraffin können die Eier tagelang bleiben, ohne dass sie brüchig werden. Wesentlich ist ein möglichst kurzdauerndes Verweilen im Paraffin (15—30 Min.). So behandelte Eier haben eine ausgezeichnete Schnittconsistenz; sie sind weder hart noch brüchig. Als Unterlage zur Herstellung der Oberflächenbilder dienten Mikro- photographien, welche bei genau 10- resp. 5facher Vergrösserung ge- macht wurden, so dass die abgebildeten Figuren direct zur Abnahme von Maassen benutzt werden können. Deshalb wurde darauf ver- zichtet, eine besondere Maasstabelle anzulegen. III. Die Entwickelung der äusseren Kórperform. A. Beschreibender Teil.) Die jüngeren Stadien (Furchung und Gastrulation) finden hier keine Berücksichtigung. Die Furchung und Gastrulation verläuft in ihren Grundzügen ähnlich derjenigen von Rana temporaria und escu- lenta. Nur auf den Pigmentreichtum der Eier soll hingewiesen werden. Ein helles Feld am unteren Eipol ist auf Furchungsstadien kaum vor- handen, erst zur Zeit der Gastrulation findet eine Aufhellung der- jenigen Zellen statt, welche später den Rusconischen Dotterpfropf bilden. Stadium I (Fig. 1). Wir beginnen mit einem Stadium, in welchem die Gastrulation vollkommen abgeschlossen ist, und eine von dem Urmund ausgehende, in der Medianlinie verlaufende scharfe und tiefe Rinne (Medullarrinne) als äusseres Zeichen der auf die Gastrulation folgenden Entwickelungs- phase, welche mit der Bildung des Medullarrohres abschliesst, vor- handen ist. Diese Rinne (s. Fig. 1, 1«) erstreckt sich von der punkt- förmigen Oeffnung aus, welche den letzten Rest des Urmundes darstellt, 1) Abbildungen und Beschreibungen von einzelnen Stadien sind nach Bou- lenger gegeben von Rósel, Lataste, Héron, Royer, van Bambecke, Bedriaga. 99 W. Adler, ungefähr 140°, wie die Ausmessung von Sagittalschnitten ergiebt, über die Oberfläche des noch vollkommen kugeligen Embryos. In einiger Entfernung von ihrem vorderen Ende findet sich auf der Oberfläche des Kies eine hufeisenfórmig gekrümmte flache Rinne, welche, wie spätere Stadien zeigen, die erste Anlage der Saugnäpfe (cement glands) darstellt. Sagittalschnitte zeigen, dass der After geschlossen, ein enger Canalis neurantericus vorhanden ist. Auf dem Medianschnitt beträgt die Entfernung der Saugnapfanlage von der Gegend des Afters gegen 210°, von dem Canalis neurentericus 180°. Stadium II (Fig 2). Die nächste Veränderung an dem Ei besteht in einer Streckung, wodurch aus der Kugelgestalt des Embryos aus Stadium I eine Walzen- form hervorgeht. Diese Gestaltveränderung ist augenscheinlich weniger bedingt durch das Auswachsen des hinteren Körperendes, welches wie bekannt (vergl. Fr. Kopsch) in erster Linie das Längenwachstum ver- ursacht, sondern scheint der Hauptsache nach hervorgerufen zu sein durch Lagerungsveränderung der gesamten Zellenmasse, wobei jedoch betont werden soll, dass bei dieser Umordnung das gegenseitige Lage- verhältnis der einzelnen Zellen sich nur in ganz geringem Maasse ver- schoben hat, und demnach von einer directen Ortsveränderung der einzelnen Zellen wohl kaum die Rede sein kann. Wir stellen uns vielmehr die Art dieser Umordnung in derselben Weise vor, wie man durch einen leichten Druck auf eine Kugel plastischen Materials einen walzenförmigen Körper entstehen lassen kann. Neben der Medullarrinne erheben sich zwei flache, niedrige Me- dullarwülste (s. Fig. 25), welche nach dem hinteren Körperende niedriger werden, nach dem vorderen Kórperende sich vielleicht auf das Doppelte zur Gehirnanlage verbreitern und die hier ebenfalls etwas breitere Medullarrinne begrenzen. Die zwischen den Wülsten gelegene Medullarrinne bietet insofern eine erhebliche Abweichung von dem Verhalten der Medullarrinne bei Rana temporaria, esculenta, Bombinator, Triton, Siredon dar, insofern sie nicht wie bei den genannten urodelen und anuren Amphibien eine Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 93 tiefe und breite Rinne darstellt, sondern ein schmaler rinnenförmiger Spalt ist. Auch die Entstehung der Medullarwülste zu beiden Seiten dieser Rinne erfolgt in anderer Weise wie bei den genannten Amphibien. Während bei den letzteren die erste Anlage von Gehirn und Rückenmark in Form einer mehr oder weniger breiten Platte auftritt (s. Fig. 1b Rana fusca), deren seitliche Teile sich als Medullarwülste erheben und unter Höherwerden und gegenseitiger Annäherung die Medullarrinne (s. Fig. 1c Rana fusca) und schliesslich durch gegen- seitige Verschmelzung das Medullarrohr bilden (s. Fig. 2 & Rana fusca), entsteht bei Bufo vulgaris auf dem noch kugelförmigen Embryo (vergl. Fig. 1, 14) eine in der Medianlinie gelegene Rinne, deren Ränder auf dem nächsten Stadium sich in Form niedriger Wülste (Medullarwülste) um ein Geringes über die Oberfläche erheben und demnach schon von ihrer ersten Entstehung an, nur durch die spaltförmige Medullarrinne getrennt, dicht neben einander verlaufen. Am vorderen Körperende ist auch schon die Anlage der Kiemen- bögen in Gestalt eines flachen, schräg rostral und ventral verlaufenden Wulstes zu erkennen. Aus der Rinne, welche im Stadium I als erste Anlage der Saug- näpfe gedeutet wurde, ist eine breite und tiefe Grube geworden (s. Fig.2 a), deren Ränder etwas aufgewulstet sind. Diese aufgewulsteten Ränder wiederholen natürlich die Hufeisenform der Rinne, verlaufen einander parallel und hängen an den freien Schenkeln der Rinne zusammen. Die Zahl der abgegliederten Mesodermsegmente beträgt — wie Schnitte zeigen — vier. Der Canalis neurentericus ist als enger Canal noch vorhanden, die Afteröffnung ist noch verschlossen. Stadium III (Fig. 3). Dieses Stadium ist charakterisiert durch die Umbildung der Me- dullarrinne zum Medullarrohr, ferner durch den ersten Beginn der „Kopfkrümmung“, welche sich in so starkem Maasse nur noch bei Triton findet. Diese ventrale Kopfkrümmung ist für die jüngeren Stadien von Bufo vulgaris ganz besonders charakteristisch. Durch dieselbe können die nächstfolgenden beiden Stadien leicht von entsprechenden Stadien der zum Vergleich herangezogenen Amphibien unterschieden werden. 24 W. Adler, Zu gleicher Zeit findet eine geringe Verlängerung des Embryos statt, wobei das Kopfende desselben schmaler wird als der hintere Teil des Embryos, so dass bei Betrachtung des Embryos von der ventralen oder dorsalen Fläche aus die Gesamtform eine birnförmige wird. Das Medullarrohr erhebt sich nur wenig über die Fläche. An der Kiemenbogenanlage sind keine wesentlichen Veränderungen festzustellen. Sie erscheint wie beim vorigen Stadium in Gestalt einer niedrigen, vom vorderen Teil des Medullarrohres ausgehenden Leiste. ° Dagegen ist die Anlage der Saugnäpfe erheblich stärker differenciert, insofern als die hufeisenförmige Grube bedeutend tiefer geworden ist und die Ränder sich stärker aufgewulstet haben. Zugleich ist die Huf- eisenkrümmung etwas stärker geworden, was wohl durch die Ver- schmälerung des vorderen Kopfendes bedingt ist. Der zwischen den Hufeisenschenkeln gelegene Abschnitt des Eies bietet das Ansehen einer erhabenen Platte, auf der bei manchen Em- bryonen einige kleine Grübchen beobachtet werden. Eine Constanz derselben nach Lage und Auftreten ist jedoch nicht festzustellen. Die Afteröffnung ist am hinteren Ende des Medullarrohres als punktförmige Oeffnung sichtbar. Die Betrachtung der Schnitte ergiebt sieben abgegliederte Meso- dermsegmente. Die Afteröffnung ist durchgebrochen, der Canalis neu- rentericus ist als Canal nicht mehr vorhanden. Stadium IV (Fig. 4, 4a). In diesem Stadium ist in einer grossen Anzahl von Fällen die | Kopfbiegung, deren Beginn auf dem vorigen Stadium bemerkt wurde, am stärksten ausgesprochen. Es wurde deswegen zur bildlichen Dar- stellung dieses Zustandes ein besonders ausgeprägter Fall gewählt. Die Kopfbiegung (s. Fig. 4) wird bedingt durch eine Art Ein- schnürung, welche an der caudalen Grenze der Saugnäpfe sich befindet, dort am tiefsten ist und, allmählich flacher werdend, dorsalwärts ver- läuft. Dabei bildet sie an den Seiten des Körpers die Grenze der Kiemenbogenregion gegen den hinteren Körperabschnitt. Letzterer ist ventralwärts stark vorgebuchtet. Die Gegend des Afters ist nunmehr auch am Profilbilde deutlich Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 25 zu erkennen, dadurch dass das Medullarrohr in der dem After be- nachbarten Region sich auch über die Fläche erhebt. | Am Kopfabschnitt sind drei Kiemenbogenanlagen zu sehen in Gestalt von drei niedrigen, hinter einander gelegenen Wülsten, deren erster am längsten ist. Das Aussehen dieser Region variiert sehr bedeutend, und zwar nicht allein bei verschiedenen Embryonen, sondern auch an den beiden Seiten desselben Embryos. Die Anlage der drei Kiemenbogen er- scheint bald in der Gestalt einer einheitlichen Platte, bald unter dem Bilde von zwei oder drei parallelen Wülsten von verschiedener Länge (in dorso-ventraler Richtung), von denen jedoch der am meisten rostral gelegene stets der längste ist. Die Saugnäpfe (Fig. 4a) haben durch das Eintreten der Kopf- biegung eine geringe Verlagerung erfahren, so dass sie nunmehr voll- kommen ventralwärts gerichtet sind, während sie auf den früheren Stadien mehr nach vorn gerichtet waren, d. h. mit anderen Worten: die Saugnäpfe sind durch die Bildungsvorgänge am anderen Körper- ende aus ihrer ursprünglichen Lage am vorderen Ende der Neurula (Stadium I) in die ventrale Lage, welche sie bei älteren Embryonen einnehmen, erst secundär gebracht worden. Die Ränder der Saug- näpfe sind hohe erhabene Wülste geworden. Auf der zwischen ihnen gelegenen Platte ist im der Medianlinie eine Rinne aufgetreten, welche dorsalwärts in einer kleinen punkt- förmigen Vertiefung endigt. Diese Vertiefung ist die erste Anlage der Mundöffnung. Sie ist am Profilbilde (Fig. 4) in einer kleinen Knickung der Contourlinie zu erkennen. Bei der Beobachtung von der ventralen Seite her ist sie erst auf dem nächsten Stadium deutlich zu sehen. Stadium V (Fig. 5, 5a). Nunmehr beginnen auch am hinteren Körperabschnitt charakteri- stische Umwandlungen (Fig. 5). Derselbe fängt an sich in die Länge zu strecken, wodurch nicht allein eine relative, sondern auch eine absolute Verjüngung dieses Körperabschnittes herbeigeführt wird, welche sich in der Verringerung sowohl des transversalen als auch des dorsoventralen Durchmessers 96 W. Adler, ausprägt, eine Verjüngung, welche noch bis zum Stadium IX anhält. Aus dieser Feststellung dürfte mit einer gewissen Sicherheit der Schluss zu ziehen sein, dass bei denjenigen Entwickelungsstadien, die auf die Gastrulation folgen (für unser Material Stadium I—VI), die Verände- rungen der äusseren Form weniger durch Neubildung als durch Um- formung schon vorhandenen Materials bedingt sind. Eine Neubildung findet natürlich an der Wachstumszone statt. Der Kopfabschnitt dieses Stadiums ist nur in geringem Maasse von demjenigen des vorhergehenden Stadiums unterschieden. Die Kiemenregion und die Saugnäpfe (Fig. 5a) verhalten sich ebenso, wie es vorher beschrieben worden ist. Nur ist die kleine Grube, welche die Anlage der Mundóffnung darstellt, bei Betrachtung des Embryos auch von der Ventralseite her deutlich zu erkennen. Stadium VI (Fig. 6, 6a). Die Verlängerung des Körpers durch Umbildung des hinteren Körperabschnittes und durch Auswachsen der Wachstumszone wird be- sonders deutlich. Letztere springt höckerartig über die Aftergegend hinaus, genau in der Verlängerung des Rumpfes nach hinten vor (s. Fig. 6), während bei Rana temporaria (s. Fig. 65), esculenta und Bombinator die Wachstumszone nicht nach hinten, sondern schrág nach hinten und oben vorspringt. Der vor dem After gelegene Teil des hinteren Körperabschnittes ist ventral am stärksten ausgebaucht. Die Umbildungen am Kopfe zeigen nur unwesentliche Fortschritte gegenüber den beiden früheren Stadien. Die wesentlichste Erscheinung ist die stärkere Umwölbung des vorderen Kopfendes nach der ventralen Seite hin, welche sich besonders deutlich bei der Betrachtung von der ventralen Seite zeigt. Besonders zu vermerken ist auch noch der immer spitzer werdende Winkel zwischen der Richtung der beiden Saugnäpfe (s. Fig. 64). Stadium VII (Fig. 7, 74). Der präanale und der postanale Körperabschnitt des Embryos sind länger geworden, bei ersterem hat die Verminderung des transversalen Durchmessers, von welchem schon weiter oben die Rede war, so er- Entwickelung der äusseren Kórperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 97 heblich zugenommen, dass der Embryo von der Ventralansicht schmal und schlank erscheint. Der postanale Kórperabschnitt ist ebenfalls länger geworden. Er setzt sich von dem präanalen Abschnitt scharf und deutlich ab, einmal bei Profilansicht (Fig. 7) durch seine geringere Hóhe, zweitens bei der Ansicht von der Dorsal- oder Ventralseite her durch geringere Breite (Fig. 74). An seinem ganzen freien Rande setzt sich ein Flossensaum deut- lich ab. Der Kopfabschnitt bietet fast gar keine Unterschiede von dem Zustande der früheren Stadien. Nur ist die kleine Grube an der Stelle des spáteren Mundes etwas tiefer geworden. Die Schnittuntersuchung ergiebt, dass gegen 13 Mesodermsegmente abgegliedert sind. Die Anlage des Gehórorgans ist als hohles Bläschen vorhanden. Die Augenanlage ist auf dem Stadium des Augenbechers; von der Linsenanlage ist noch nichts zu erkennen. Stadium VILI (Fig. 8, 8a). Der Embryo ist in allen seinen einzelnen Kórperabschnitten in die Lànge gewachsen, wobei jedoch die relativ und absolut grósste Zu- nahme auf Rechnung des postanalen Kórperabschnittes kommt. Der Flossensaum ist an der dorsalen Fläche auch schon eine Strecke weit vom hinteren Ende des präanalen Körperabschnittes ausgebildet, welcher im übrigen von ziemlich ausdrucksloser Form ist. Dagegen beginnen in der Kiemenregion nunmehr wichtige Verän- derungen aufzutreten. Dieselbe springt stärker nach der Seite hin vor und ist durch eine tiefe scharfe Furche von dem dahinterliegenden Rumpfe abgegrenzt. Dies wird besonders deutlich bei Betrachtung des Embryos von der ventralen Seite her (Fig. 8a). Die Mundgrube ist tiefer ge- worden. Etwas oberhalb derselben treten an den seitlichen Teilen des Kopfes zwei kleine Gruben auf, welche die erste Anlage der Riech- srübchen sind. Stadium IX (Fig. 9, 9a). Zwischen diesem Stadium und den vorhergehenden ist leider ein etwas grösserer Zwischenraum (wir hatten gehofft, denselben in diesem Frühjahr ausfüllen zu können, doch gelang es infolge der ungünstigen Witterung nicht, das nötige Material zu erhalten). 98 W. Adler, Der postanale Körperabschnitt ist erheblich in die Länge ge- wachsen und bildet mit dem breiten Flossensaum einen richtigen Ruder- schwanz, dessen hinteres Ende nicht zugespitzt, sondern abgerundet endigt (Fig. 9). Der präanale Rumpfabschnitt ist verglichen mit dem vorhergehenden Stadium nur um ein Geringes lànger geworden. Dagegen hat der trans- versale Durchmesser eine erhebliche Zunahme erfahren, so dass der Leib der Larve wieder anfängt, sich mehr der Kugelform zu nähern. In der Kiemenregion hat der transversale Durchmesser erheblich zu- genommen und die Kiemenblättchen beginnen in Form kleiner finger- förmiger Höckerchen aufzutreten. Der Mund ist durchgebrochen, so dass eine Mundóffnung mit Ober- und Unterlippe vorhanden ist. Die Ober- lippe verläuft convex und springt stärker vor als die Unterlippe. Saug- näpfe und Riechgrübchen zeigen keine bemerkenswerten Veränderungen. Stadium X (Fig. 10). Die Veränderungen, welche in diesem Stadium auftreten, betreffen hauptsächlich den Kopf und die Kiemenregion. Die Veränderungen am übrigen Körper sind dem gegenüber nur geringfügig. Sie bestehen in der Verlängerung des postanalen Körperabschnittes (des Ruder- schwanzes) und in dem Dickerwerden des präanalen Körperabschnittes. Dieser beginnt die für Bufo charakteristische, annähernd kugelige Form anzunehmen. Die Kiemenblättchen sind etwas grösser und zahlreicher geworden. Der Kiemendeckel beginnt sich über dieselben hinüber zu schieben. An den Saugnäpfen beginnen Zeichen der Rückbildung sichtbar zu werden. Die Mundóffnung ist etwas breiter geworden. Die Riechgrübchen sind etwas tiefer. Stadium XI (Fig. 11). In diesem Stadium sind die Kiemen zum grossen Teil vom Kiemen- deckel überwachsen. Doch ist noch auf beiden Seiten eine spaltförmige Verbindung des Kiemenraumes nach aussen vorhanden, welche auf der rechten Seite allerdings geringer als auf der linken ist. Die Reduction der Saugnäpfe beginnt nunmehr sehr deutlich zu werden. Sonstige wesentliche Veränderungen am Körper sind nicht zu vermerken. | Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 99 Stadium XII (Fig. 12, 12a). Von jetzt an beginnt ein neuer Abschnitt in der Entwickelung. Die Kiemendeckel sind bis auf eine in der linken Kórperseite ge- legene Oeffnung vollkommen verwachsen. Am Mund beginnt die Ausbildung des Hornschnabels und die hinteren Extremitäten sprossen in Form kleiner Höckerchen vor. Die Saugnäpfe sind bis auf spär- liche Reste (Fig. 12a) zurückgebildet. Stadium XIII (Fig. 13, 13a). Die Larve ist (nach den linearen Maassen) beinahe um das Doppelte erüsser geworden, ohne dass im äusseren Aussehen erhebliche Aende- rungen eingetreten wären, Der Leib ist noch blasiger und kugeliger geworden. Die Anlage der hinteren Extremität ist nicht über den Zustand der kleinen Höcker- chen hinausgekommen, welche sie auf dem früheren Stadium hatte. Die Saugnápfe sind gánzlich geschwunden. Die Stelle, an welcher sie sich ursprünglich befanden, wird durch eine etwas stärkere Pig- mentierung aus der Umgebung hervorgehoben. Die Augen sind voll- ständig ausgebildet. Es ist eine grosse vorgewölbte Hornhaut vor- handen. Iris und Linse sind deutlich zu erkennen. Am Mund befindet sich der Hornschnabel und die Zähnchenreihen in der von Boulenger beschriebenen Weise. Die dorsale Körperfläche der Larve ist tief schwarz pigmentiert. Die Bauchfläche ist etwas heller. Der Ruderschwanz ist im Vergleich zum Pigmentgehalt des Rumpfes nur wenig pigmentiert. Seine obere freie Kante verläuft annähernd geradlinig, die untere ist im geringen Maasse ausgebogen, und zwar ventralwärts. Die Schwanzspitze ist abgerundet. Die axialen Teile erreichen nicht die hintere Schwanzspitze. Der After mündet genau in der Mittellinie aus (vergl. Boulenger S. 612). Stadium XIV (Fig. 14). In der nun folgenden Zeit findet die Ausbildung der hinteren Ex- tremitäten statt. Der Grad ihrer Entwickelung ist das sicherste 30 W. Adler, Kriterium für das Alter der Kaulquappe Zu sehen sind bei äusserer Betrachtung nur die hinteren Extremitäten, da die vorderen Extremi- täten erst zur Zeit der Metamorphose durchbrechen. Zugleich mit der stärkeren Ausbildung der hinteren Extremitäten findet eine Verschmälerung des Beckenabschnittes des Rumpfes statt, während der vordere Rumpfabschnitt durch die im Kiemenraum vor- handenen vorderen Extremitäten eine erhebliche Zunahme seines trans- versalen Durchmessers erfährt, wodurch die Gesamtform des Körpers eine Aenderung erleidet. Die hinteren Extremitäten haben ungemein charakteristische Züge, welche nur schwer zu definieren sind und besser im Bilde erkannt werden können. Es prägen sich an ihnen schon die charakteristischen Merkmale der hinteren Extremitäten der erwachsenen Króte aus. Im Vergleich zu den hinteren Extremitäten von Rana esculenta und fusca sind sie als schwächliche, kümmerliche Gebilde zu bezeichnen. Der Leib der Larve ist, soweit sich das aus dem conservierten Material beurteilen lässt, dunkel pigmentiert; die ventrale Seite ist heller. Stadium XV (Fig. 15). Als letztes Stadium bilden wir eine Larve mit beinahe vollendeter Metamorphose ab. | Der Schwanz ist bis auf ein kurzes Stummelchen resorbiert und die vorderen Extremitäten sind durchgebrochen. Besonders auffällig ist die mit der Umbildung des Maules zu- sammenhängende Veränderung der Schnauze, durch welche die Nasen- öffnungen an die Schnauzenspitze gerückt werden, und die Augen, welche erheblich grösser geworden sind und mehr über die Oberfläche hervorragen, mehr nach vorn und seitwärts gelangen (vergl. Fig. 14 u. 15). B. Vergleichender Teil. Bei der Entwickelung der einheimischen Anuren können wir zwei grosse Perioden unterscheiden. Die erste Periode, welche als Embryonalperiode bezeichnet werden soll, können wir rechnen von der Befruchtung bis zur Ueberdeckung der äusseren Kiemen. Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 31 Die zweite Periode, die Larvenperiode, erstreckt sich von letzterem Zeitpunkt an bis zur Metamorphose. Die Grenze zwischen diesen beiden Hauptperioden, welche natürlich als keine absolute zu bezeichnen ist, kann in verschiedener Beziehung als eine natürliche genannt werden, insofern als zu dieser Zeit die wichtigsten Organe differenciert sind, der Mund durchgebrochen, die Kiemen in das Innere des Körpers eingezogen sind und die Rück- bildung der Saugnäpfe anfängt. Zugleich mit letzterer beginnen die Larven, welche bis dahin, an irgend einer Stelle mittelst der Haft- apparate befestigt, sich ruhig verhalten, lebhafter umherzuschwimmen und auf Nahrung auszugehen. Innerhalb der ersten Hauptperiode kónnen wir als weitere Unter- abteilung a) die Entwickelung innerhalb der Eihüllen und b) diejenige nach dem Ausschlüpfen unterscheiden. Letzteres erfolgt ungefähr zur Zeit unseres Stadiums IX. Wenn wir nun die von uns im Vorhergehenden beschriebenen Sta- dien in diese Gruppen einordnen, so haben wir folgende Einteilung zu treffen: 1. Embryonalentwickelung (die Stadien bis zum Ende der Gastru- lation sind hier nicht beschrieben). a) Entwickelung innerhalb der Eihüllen: Stadien I—VIII, b) Entwickelung ausserhalb der Eihüllen: Stadien IX—XII; 2. Larvenperiode: Stadien XIII—XVI. Die charakteristischen Merkmale der Embryonen resp. Larven von Bufo vulgaris sind im Vergleich zu den entsprechenden Stadien von Rana fusca, welche mit denjenigen von Rana esculenta in hohem Maasse übereinstimmen, nach unserer oben gegebenen Darstellung kurz wie folet zu bezeichnen: la) Für die Zeit 1a) ist besonders charakteristisch die Art, in weleher das Centralnervensystem entsteht, ferner das frühe Auftreten der Saugnapfanlage, die Ausbildung der Kopfbeuge und das geradlinige Auswachsen des hinteren Rumpfabschnittes. Diese typischen Merkmale ermöglichen eine leichte und sichere Unterscheidung der Bufoembryonen von den entsprechenden Stadien von Rana esculenta und Rana fusca. 39 W. Adler, Zur bequemen Vergleichung sind entsprechende Entwickelungs- stadien von Rana fusca in Contourzeichnungen bei genau der- selben Vergrösserung neben die Oberflächenbilder von Bufo vulgaris gestellt. «) Während bei Rana fusea und Rana esculenta eine breite Me- dullarplatte (s. Fig. 10) mit aufgewulsteten Rändern sich zur Medullar- rinne (s. Fig. 1c) und zum Medullarrohr (s. Fig. 24) umbildet, ist bei Bufo vulgaris (s. Fig. 1, 10) eine Medullarplatte nicht vorhanden, sondern eine tiefe schmale Rinne vermittelt die Verbindung des in der Tiefe gelegenen Medullarrohres mit der Aussenwelt. 8) Die Anlage der Saugnápfe ist schon auf dem Stadium unserer Figur 1 als bogenförmige Rinne zu erkennen und erlangt schon wäh- rend der Stadien, in denen eben erst die Làngsstreckung des Kórpers beginnt, und die sogenannte Schwanzknospe nach hinten noch micht vorspringt, eine solche Ausbildung, wie sie bei Rana fusca erst be- deutend später (s. Fig. 6c) erreicht wird. Bei letzterer entstehen die Saugnäpfe auf einem Stadium, welches seiner allgemeinen Entwickelung nach dem Stadium IV entspricht (s. Fig. 4). y) Die Kopfbeuge ist für bestimmte Stadien (IV, V und in ge- ringerem Maasse auch noch VI) ganz besonders stark ausgebildet. Ihr Wert für die Unterscheidung der Bufoembryonen von denjenigen der Rana temporaria und Rana esculenta ist besonders deswegen so gross, weil bei letzteren auf entsprechenden Stadien eine Krümmung des Körpers nach der dorsalen Seite hin (s. Fig. 4c, 65) vorhanden ist. 0) Das geradlinige Auswachsen der Schwanzknospe nach hinten hin unterscheidet ebenfalls die Embryonen der Stadien VI, VII und VIII von den entsprechenden Stadien von Rana esculenta und fusca. 1b) Für die Entwickelung 1b) ist das Verhalten der Kiemen- bogen und der Saugnäpfe von Bedeutung. Bei Rana fusca sind schon auf Entwickelungsstadien, welche un- gefähr den Stadien VIII und IX von Bufo vulgaris entsprechen, die Saugnäpfe vollkommen von einander getrennt, während sie bei Bufo vulgaris noch bis zum Stadium XI mit einander zusammenhängen und bei Ventralansicht eine V-fórmige Figur bilden. Dagegen stehen bei den unseren Stadien IX, X und XI entsprechenden Stadien von Rana Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 33 fusca die beiden Saugnäpfe relativ weit von einander entfernt, und ihre Längsaxen verlaufen der Medianlinie des Körpers parallel. Der zweite Hauptunterschied dieser Periode liegt im "Verhalten der Kiemenregion. Die Verschiedenheit ist schon am Ende des vorigen Abschnittes erkennbar (vergl. Fig. 6a mit 6c, 8a mit 8b). Bei Rana fusca erfahren die Kiemen eine relativ und absolut viel stárkere Ent- wickelung als bei Bufo vulgaris, was sich namentlich an den bei Rana fusca ausserordentlich stark entwickelten Kiemenbógen ausprägt, welche bei Bufo vulgaris viel schwácher sind. Der dritte Unterschied ist vorhanden in der Form des Leibes, welche bei Bufo vulgaris in viel höherem Maasse blasig und aufge- trieben erscheint, als es bei Rana fusca und auch esculenta der Fall ist. Der letzte Unterschied, derjenige, welcher am meisten in die Augen fällt, ist die Form des Schwanzes. Die Schwanzspitze bei Bufo vulgaris ist viel mehr abgerundet (bei Profilansicht), während sie bei Rana fusca mehr zugespitzt erscheint. Ferner verlaufen der obere und untere Contour des Schwanzes auf dem vorliegenden Abschnitte der Ent- | wickelung beinahe parallel mit einander, während der dorsale Contour bei Rana fusca einen Verlauf aufweist, ähnlich der dorsalen Rumpf- contour eines Rodeus amarus. 2. Die Unterscheidungsmerkmale der ZLarvenperiode sind abge- sehen von der Pigmentierung, welche wir leider bei dem in erster Linie für histologische Zwecke conservierten Material nicht mehr genau feststellen können, hauptsächlich die Mundbezahnung, welche von Bou- lenger in so ausgezeichneter Weise zur Unterscheidung der Kaul- quappen Europas verwendet worden ist, zweitens aber auch die schon oben beschriebene Form des Schwanzes und das Aussehen der hinteren Extremitäten. Daneben spielen die allgemeinen Grössenverhältnisse eine beträcht- liche Rolle, insofern als eine der Metamorphose nahe Kaulquappe von Bufo vulgaris um ein ganz Bedeutendes kleiner ist, als ein entsprechendes Stadium von Rana fusca und Rana esculenta. Der Schwanz der Krötenlarven zeichnet sich aus durch einen dor- salen geradlinigen, im grossen und ganzen der Körperaxe parallel verlaufenden Contour. Der ventrale Contour zeigt auf den Larven- a Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVII. D) 34 | W. Adler, stadien eine nach der Spitze allmählich zunehmende Krümmung nach oben (s. Fig. 13). Die hinteren Extremitäten der Krötenlarven bieten, sobald sie etwas grösser geworden sind, schon das charakteristische Aussehen der Krötenextremitäten. Sie sind verglichen mit den hinteren Extremitäten von Ranalarven verhältnismässig schwach. IV. Ueber das Verhalten der Keimblätter, insbesondere des Mesoderms, auf jüngeren und älteren Gastrulastadien. Hinsichtlich der Entstehung des Mesoderms der Amphibien ist trotz der ausgezeichneten Darstellung, welche Oscar Schultze gegeben hat, noch immer keine Uebereinstimmung erzielt worden, so dass es nicht unangebracht scheint, noch neues Material zur Klärung dieser Frage beizubringen. Es handelt sich hier bekanntlich um die Frage, ob die Zustände am Mesoderm der Amphibien sich verwerten lassen zu Gunsten seiner Entstehung aus Coelomdivertikeln oder ob ein anderer Modus der Mesodermbildung Platz greift. Nach O. Hertwig geht der Mesoblast bei Rana und Triton aus zwei Quellen hervor, erstens aus einer nach vorn vor dem Urmund gelegenen paarigen Anlage, zweitens aus einer an der ventralen Blasto- poruslippe entstehenden und mit den paarigen Teilen lateralwärts und nach oben im Zusammenhang stehenden unpaaren Anlage (1883, S. 262). Alle Verhältnisse sollen sowohl bei Tritonen als auch bei den Anuren dafür sprechen, dass der Mesoblast ,nicht von einem der pri- mären Keimblätter durch Abspaltung gebildet worden sein kann.“ Es kann „nur von den Stellen aus entstanden sein, wo es mit den übrigen Keimblättern zusammenhängt, in der Umgebung des Blasto- porus und zu beiden Seiten des Chordaentoblast, und er muss von hier aus zwischen die primären Keimblätter hineingewachsen sein, sich allmählich nach allen Seiten ausbreitend.“ Als Beweise für die Unmöglichkeit seiner Entstehung durch Ab- spaltung wird angeführt, erstens, „dass er vom Ektoblast stets durch einen schmalen Spaltraum getrennt ist, folglich von demselben nicht abgespalten sein kann.“ Zweitens, „gegen eine Abspaltung vom Ekto- Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 35 blast spricht aber die abweichende Natur der Zellen, der Pigmentgehalt auf der einen und der Pigmentmangel auf der anderen Seite.“ Diese Anschauungen wurden bei Rana temporaria gewonnen durch das Studium von Eiern erstens mit weitem kreisförmigen, zweitens mit engem Blastoporus. Bei der Untersuchung der Gastrulae mit weitem kreisformigen Blastoporus soll nach diesem Autor die dorsale Urdarmwand in ihrem mittleren Teile „aus zwei Blättern kleiner pigmentierter Zellen (S. 256) bestehen, während sie zu beiden Seiten davon dreiblätterig wird durch eine neu hinzutretende Lage grösserer wenig pigmentierter Dotterzellen.“ Dieser Darstellung gegenüber betont Oscar Schultze, dass „weder dorsale paarige Anlagen, noch eine zu diesen in gewissem Gegensatz stehende unpaare ventrale Anlage des Mesoblast existieren. Derselbe stellt vielmehr vom Beginne der Gastrulation eine einheitliche Anlage dar, welche aus ihrer zunächst sphärisch dreieckigen Form in eine ring- formige und endlich in eine hohlkugelfórmige sich umbildet^ (S. 344/45). Den thatsáchlichen Angaben Hertwigs gegenüber zeigt Schultze an der Hand genau orientierter Schnitte durch jüngere und ältere Gastrulae, „dass schon auf dem Stadium der beginnenden Gastrulation in der dorsalen Urdarmwand drei Keimblätter existieren“ (S. 328), ein einschichtiges inneres, ein mehrschichtiges mittleres und ein äusseres Keimblatt, welche an der dorsalen Urmundlippe ohne jede Grenze in einander übergehen. Einen freien Rand besitzt auf diesem Stadium das mittlere Blatt an keiner Stelle. Einerseits steht es in Verbindung mit der hufeisenförmigen Blastoporuslippe und mit dem Ektoblast; vorn und zu beiden Seiten hängt es continuierlich zusammen mit den Dotter- zellen. Von diesem Zustande auf dem Stadium der beginnenden Ga- strulation werden die Zustände, wie sie das Mesoderm beim ersten Auftreten des Dotterpfropfs zeigt, dadurch erklärt, dass die Uebergangs- stellen des Mesoblasts in die Dotterzellen immer weiter ventralwärts rücken, was sich dadurch ergiebt, dass die vorher vierfache Lage der Mesodermzellen später nur eine Zusammensetzung von zwei bis drei Zellschichten aufweist. Wenden wir uns nunmehr zur Betrachtung der Bilder, welche Durchschnitte an den Gastrulastadien von Bufo vulgaris darbieten. BE 36 © W. Adler, Dabei soll vorweg bemerkt werden, dass die Bezeichnung der animalen Zellen als Ektoderm, und die Bezeichnung der vegetativen Zellen als Entoderm durchaus unzulässig ist. Von Ektoderm- und Entodermzellen zu sprechen, ist erst nach Beendigung der Gastrulation zulässig. Vorher kann man wohl von denjenigen Zellen sprechen, welche dazu bestimmt sind, Ektoderm- resp. Entodermzellen zu werden. Doch ist die genaue Abgrenzung von einander nicht möglich. Zu welchen Ungereimtheiten es führt, schon auf dem Blastula- stadium oder gar schon auf frühen Furchungsstadien Ektoderm und Entoderm zu unterscheiden, lehrt am eindringlichsten die Anschauung Lwoffs von der ektoblastogenen Entstehung der Chorda und eines Teils des Mesoderms. Eine Anschauung, zu welcher dieser Autor nicht hätte kommen können, wenn er nicht der Meinung wäre, dass die animalen Zellen, welche bei der Gastrulation um die dorsale Blastoporuslippe herum invaginiert werden, als Ektodermzellen anzusehen sind, während er einen zweiten Teil des Mesoderms durch Differencierung von den Entodermzellen aus entstehen lässt, indem er die vegetativen Zellen der Keimblase als Entodermzellen bezeichnet. Bei einer Beschreibung ist es deswegen richtiger, von Makromeren und Mikromeren zu sprechen und die Bezeichnung der Zellen als Ektoderm bezw. Entoderm und Mesoderm erst anzuwenden, sobald diese Formationen als solche kenntlich sind. Dies ist der Fall am Anfang der Gastrulation, zu welcher Zeit die Grenzen des Ektoderms einigermaassen bestimmt sind. Freilich müssen wir hier daran denken, dass im Verlaufe der Gastrulation nach der Darstellung, welche Kopsch gegeben hat, noch fortdauernd Zellen von der Oberfläche um die Blasto- poruslippe herum in das Innere des Embryos gelangen (Fr. Kopsch) und dadurch an der Begrenzung der Urdarmhöhle teilnehmen, also Entoderm werden. Das berechtigt uns aber nicht davon zu sprechen, dass aus Ektoderm- Entodermzellen geworden sind, vielmehr müssen wir daraus den Schluss ziehen, dass auf dem Stadium der beginnenden Gastrulation die in der Nähe der dorsalen Blastoporuslippe befindlichen Zellen ihrer prospectiven Bedeutung nach nicht dem Ektoderm, sondern dem Entoderm angehören. Für die Darstellung der Mesodermbildung ist es in mancher Be- Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 37 ziehung vorteilhafter, von den älteren mehr differencierten Zuständen ausgehend, die Zustände der jüngeren Stadien zu erklären, und so soll hier der Anfang gemacht werden mit der Schilderung einer Gastrula mit engem Blastoporus, an welche sich die nächstjüngeren Stadien an- schliessen sollen. 1. Gastrula mit engem Blastoporus (Taf. IV. Fig. 18). Da es wegen des Mangels äusserer Marken kaum möglich ist, genaue Sagittalschnitte von einer Gastrula mit engem Blastoporus zu erhalten, so beschränke ich mich hier auf die Schilderung eines Frontal- schnittes. Diese Gastrula wurde so geschnitten, dass die Schnitt- richtung parallel zur Oberfläche des kleinen Dotterpfropfes verläuft. Der abgebildete Schnitt ist der mittelste der erhaltenen Schnitte, durchschneidet also die dorsale Urdarmwand in genau senkrechter | Richtung. | Die Urdarmhöhle ist an dieser Stelle von erheblicher Weite. Das Ektoderm ist ringsherum (auch in der dorsalen Mittellinie) scharf gegen die darunter gelegenen Zellschichten abgegrenzt. Am Boden der Urdarmhöhle liegt die Masse der grossen ,,Dotterzellen“ (um einen in- differenten Ausdruck zu gebrauchen), deren obere an die Urdarmhöhle erenzende Schicht eine Art von Epithel bildet. Dieses Epithel hängt zusammen mit einer wohlcharakterisierten, scharf abgegrenzten ein- schichtigen Zellenlage, welche die seitliche und dorsale Wand der Ur- darmhöhle bildet. Die Urdarmhöhle ist also allseitig von einer zusammen- hängenden Zellenlage ausgekleidet, welche als Entoderm bezeichnet werden darf. Die Zellen des Entoderms sind charakterisiert durch eine stärkere Pigmentierung, welche in den peripheren Abschnitten der Zellen und vornehmlich nach dem Lumen der Urdarmhöhle sich befindet. Ganz besondere Beachtung erfordert mit Rücksicht auf die Darstellung von Oscar Hertwig das Verhalten des Entoderms an der dorsalen Ur- darmwand. Es muss hier in Uebereinstimmung mit Oscar Schultze hervorgehoben werden, dass auch im Bereiche der Mittellinie das Ento- derm als ununterbrochene, geschlossene Lage vorhanden ist. In der dorsalen und seitlichen Wand der Urdarmhöhle befindet sich zwischen dem Ektoderm und Entoderm eine Zellenlage, welche 38 W. Adler, in der dorsalen Mittellinie zwei- bis dreischichtig, in den seitlichen dorsalen Partien zweischichtig ist, in der seitlichen ventralen Gegend mehrschichtig wird und im Gebiete der Dotterzellen nicht mehr von letzteren abzugrenzen ist. Diese Zellenlage ist, wie noch ältere Stadien zeigen, die Anlage von Chorda und Mesoderm. Von einer Entstehung dieser Zellenlage auf dem Wege von Coelom- divertikeln oder auch nur von irgend welchen Resten eines solchen Vorganges ist nicht das Geringste zu erkennen. Diese Zellenlage ist vielmehr im Bereiche der dorsalen und seitlichen Urdarmwand voll- kommen selbständig und sowohl vom Ektoderm wie vom Entoderm deutlich abgegrenzt. In der dorsalen Mittellinie ist der Zusammenhang der drei Keim- blätter auch auf diesem genau senkrecht durch sie hindurchgehenden Schnitte ein besonders fester, was sich daraus ergiebt, dass die (arti- ficielle) Trennung der drei Keimblätter, welche in den seitlichen Teilen der Urdarmwand sich findet, hier nicht vorhanden ist. Wenn wir von diesem Mittelschnitt aus die Serie nach dem Dotter- pfropfe zu verfolgen, so ist trotz der schrägen Schnittrichtung Meso- derm und Entoderm deutlich von einander abgegrenzt. Je näher man allerdings zum Blastoporus kommt, desto undeutlicher werden nament- lich in der dorsalen Mittellinie die Grenzen, um schliesslich beinahe vollkommen zu verschwinden. Auf die Trugschlüsse, welche aus solchen Bildern entstehen, hat C. Rabl des öfteren hingewiesen. Es soll darum hier noch einmal darauf aufmerksam gemacht werden, dass der ab- gebildete Schnitt ein genauer Mittelschnitt ist und die drei Keimblätter in senkrechter Richtung durchschneidet. Trotzdem braucht man auf die Verwertung der Schiefschnitte nicht vollkommen zu verzichten, und es geht aus ihrer Betrachtung hervor, dass das Mesoderm nach dem Blastoporus zu mächtiger wird und in dessen Nähe auch in der Gegend der Dotterzellen deutlicher abgegrenzt ist. Betrachten wir nun die Zustände einer Gastrula mit weitem Dotter- pfropf, so soll auch hier die Uebereinstimmung der thatsächlichen Be- funde mit der Darstellung von Oscar Schultze hervorgehoben werden. Entwickelung der äusseren Kórperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 39 2. Gastrula mit grossem Dotterpfropf (Fig. 16, 17). "Schliessen wir hier zunächst die Betrachtung eines Frontalschnittes an (Fig. 17). Der Schnitt ist kein genauer Mittelschnitt (seine Lage siebt der Pfeil in Fig. 16 an). Das Ektoderm ist als eine gesonderte Zellenlage deutlich von den tieferen Schichten abgegrenzt. Es ist in seiner Gesamtheit auch am genauen Mittelschnitt dieker als an dem vorher beschriebenen Stadium. Die Urdarmhöhle ist ein schmaler Spalt, die ihr Lumen begren- zenden Zellen enthalten bedeutend mehr Pigment, als die Entoderm- zellen des vorher beschriebenen älteren Stadiums. Das Pigment liegt in den Zellen wesentlich an der die Urdarmwand begrenzenden Fläche angehäuft. Die einzelnen Zellen sind nicht so abgeplattet und aus- gezogen wie auf dem älteren Stadium, sondern rundlicher und, wie es bei einem jüngeren Stadium natürlich ist, auch grösser. Die Zellen, welche die dorsale Wand der Urdarmhöhle bilden, sind nicht abzu- grenzen von einer darüber gelegenen drei bis vier Lagen dicken Schicht von Zellen, welche als besonders charakterisierte Lage dicht gedrängt liegender kleinerer Zellen weit über das Gebiet der spaltfórmigen Ur- darmhóhle hinaus ventralwärts verfolgt werden können. Sie sind freilich von den übrigen ,Dotterzellen^ nicht durch eine scharfe Grenz- linie abgesetzt. Die Vergleichung mit dem Bilde des vorhergehenden . Stadiums lässt es jedoch als unzweifelhaft erscheinen, dass diese Zellen- lage dem mittleren Keimblatte des àlteren entspricht. Ein genauer Sagittalschnitt (Fig. 16) durch eine gleichalterige und eine gleich weit entwickelte Gastrula zeigt uns eine viel deutlichere Ab- erenzung der die dorsale Wand der Urdarmhóhle begrenzenden Zellen- lage, welche auch auf diesem Stadium als wohlgesondertes Entoderm erscheint. Die Unterscheidung beruht vornehmlich in der Grösse und dem Pigmentgehalt der Zellen. Zwischen dieser entodermen Lage und der tiefen Schicht des Ektoderms liegt das schon oben beschriebene mittlere Keimblatt, dessen Abgrenzung von den Dotterzellen in dem Gebiete vor dem Bereiche der Urdarmhöhle nicht mehr moóglich ist. An der dorsalen Blastoporuslippe ist ein directer Uebergang des Ektoderms in das Mesoderm und Entoderm vorhanden. 40 W. Adler, Ein ähnlicher Umschlag findet sich auch an der ventralen Blasto- poruslippe. An den Dotterzellen, welche vor der ventralen Blasto- poruslippe liegen, sind die dem Ektoderm benachbarten Zellenlagen durch dichtere Aneinanderlagerung und eine gewisse concentrische La- gerung, ferner geringere Grösse und geringeren Pigmentgehalt von den mehr nach dem Centrum zu gelegenen Dotterzellen unterschieden. Die Vergleichung dieser Gegend mit den späteren Stadien zeigt, dass diese Zellen zum Mesoderm werden. Dieselben Bilder erhält man bei allen Schnitten, welche in irgend einem Meridian verlaufend die seitlichen Blastoporuslippen senkrecht durchschneiden. Auf noch jüngeren Gastrulastadien wird die Abgrenzung der später zum Mesoderm werdenden Zellen von den übrigen Dotterzellen immer schwieriger. Die Verfolgung einer fortlaufenden Reihe verschieden alter Gastrulae zeigt jedoch, dass im Beginn der Gastrulation die zum mittleren Keimblatt werdenden Zellen ein Teil der Dotterzellen sind, und dass sie durch die complicierten, während der Gastrulation statt- findenden Zellenbewegungen dorthin gebracht werden, wo wir sie auf den älteren Gastrulastadien finden. Aus den oben gegebenen Auseinandersetzungen über die Unzu- lässigkeit schon bei Beginn der Gastrulation zwischen Ektoderm und Entoderm zu unterscheiden, folgt, dass weder die. Ansicht von der ektoblastogenen Entstehung des mittleren Keimblattes noch die An- schauung von der Entstehung desselben aus dem Entoderm gerecht- fertigt ist. Während aber diese Differenz nur auf verschiedener Deu- tung übereinstimmend beobachteter Thatsachen beruht, hat sich für die Entstehung des mittleren Keimblattes aus Coelomdivertikeln nicht der geringste Anhaltspunkt ergeben. Hier ist besonders zu betonen, dass, wie in Uebereinstimmung mit Oscar Schultze hervorgehoben werden soll, schon auf dem Stadium des weiten Dotterpfropfes, d. h. vier Stunden nach Beginn der Gastrulation (bei 20° C) und bei einer engen spaltförmigen Urdarmhöhle der grösste Teil des mittleren Keimblattes schon vorhanden ist. Eine Thatsache, welche der Entstehung desselben aus Coelomdivertikeln nicht gerade günstig ist. Entwickelung der äusseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulg. 41 Die Betrachtung der aufeinanderfolgenden Stadien zeigt vielmehr, dass die das mittlere Keimblatt bildenden Zellen ein Teil der Dotter- zellen der Blastula sind, und dass sie durch die bei der Gastrulation stattfindenden Zellenumlagerungen an die richtige Stelle gebracht werden. Trotzdem darf hier nicht von einer Entstehung des Mesoderms durch Abspaltung vom Entoderm (s. Lwoff) gesprochen werden, da die Dotterzellen des Blastulastadiums nicht als Entoderm bezeichnet werden dürfen. Vielmehr steckt in der Masse der Dotterzellen jüngerer Stadien ein verschiedenes Bildungsmaterial, und zwar für ectodermale, ento- dermale und mesodermale Organe, deren Differencierung zu verschie- denen Zeiten der Embryonalentwickelung eintritt. Naehtrag. Ich habe noch aufmerksam zu machen auf zwei Arbeiten, welche mir bei der Ausarbeitung des Manuscripts entgangen sind. Die wertvolle Arbeit von Thiele!) über die verschiedene Form des Haftapparats der Batrachierlarven enthält eine Schilderung dieses Organs bei Bufo vulgaris, mit welcher meine Darstellung völlig überein- stimmt. Die Arbeit von Héron-Royer?) behandelt die Unterschiede zwischen den Embryonen und Larven von Rana fusca und Rana agilis. 1) Thiele, Johannes, Der Haftapparat der Batrachierlarven. Zeitschr. f. wiss. Zool. 1888. Bd. XLVI. S. 67—79. Tafel X. 1 Fig. ?) Héron-Royer, Rana fusca et Rana agilis et les principaux charactéres, qui les différencient à la période embryonnaire et branchiale. Bull. de la Soc. zoolog. d. France. 1886. Litteratur. 1. Boulenger, G. A. A., Synopsis of the Tadpoles of the European Batrachians. Proceedings of the Zool. Soc. London 1891. S.598—627. T. XLV—XLVII. 2. Budgett, J. S., Notes on the batrachians of the Paraguagan Chaco, with Ob- servations upon their Breeding habits and Development especially with regard to Phyllomedusa hypochondrialis Cope. Also a Description of a New Genus. Quart. Journ. micr. Science N. S. 1899. Vol. XLII. S. 305 bis 333. T. XXVIII—XXXII. 3. Goette, Alexander, Die Entwickelungsgeschichte der Unke (Bombinator igneus). Leipzig 1875. 4. Hertwig, Oscar, Die Entwickelung des mittleren Keimblattes der Wirbeltiere. Jenaische Zeitschrift 1882. Bd. XV. S. 286—340. T. XII—XYV. 1883. Bd. XVI. S. 247—328. T. XIV—XVIII. 5. Houssay, Frederic, Etudes d’embriologie sur les Vertebrés. Arch. d. Zool. exper. et générale. Serie II. 1890. Tom. VIII. S. 148—244. T. X—XIV. 6. Ikeda, S., Notes on the Breedings habit and development of Rhacophorus Schlegelii Günther. Annot. Zool. Japonenses. 1897. Vol. I. pag. 113—122. fig. 2. 7. Kopsch, Friedrich, Beiträge zur Gastrulation beim Axolotl- und Froschei. Verhandl. Anat. Ges. Basel 1895. S. 181—189. 4 Fig. 8. — Gemeinsame Entwicklungsformen bei Wirbeltieren und Wirbellosen. Verh. ; Anat. Ges. Kiel 1898. S. 67—79. 13 Fig. 9. Schultze, O., Zur ersten Entwickelung des braunen Grasfrosches. Festschrift. Albert von Kölliker zur Feier seines siebzigsten Geburtstags gewidmet von semen Schülern. Leipzig 1887. S. 265—280. T. XI—XII. 10. — Die Entwickelung der Keimblätter und der Chorda dorsalis von Rana fusca. Zeitschr. wiss. Zool. 1888. Bd. XLVII. S. 325—350. T. XXVIII, XXIX. 11. Schwink, Ueber die Entwickelung des mittleren Keimblattes und der Chorda dorsalis der Amphibien. München 1889. 54 S. 2 Taf. Figurenerklärung Tafel III, IV. Die Figuren sind nach Mikrophotographien bei genau zehnfacher (Fig. 1—12) bezw. fünffacher (Fig. 13—15) Vergrösserung angefertigt worden. Sie können direct zur Abnahme von Maassen benutzt werden. Die Contourzeichnungen von Rana fusca sind nach Oberflächenbildern aus dem Besitze von Fr. Kopsch bei ebenfalls genau zehnfacher Vergrósserung hergestellt. Als Unterlage zur Herstellung der Figuren 16—18 dienten Mikrophotographien bei genau vierzigfacher Vergrósserung. i Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die VII. VIII. IX. Furchung bei Belone acus. Von Fr. Kopseh. (Mit 34 Abbildungen im Text.) Inhaltsübersicht. . Einleitung. . Material und Methode. . Bezeichnungen. . Beschreibender Teil. l. Die drei ersten Teilungsvorgänge bei Crenilabrüs pavo. 2. Der IIL.—XIIL Teilungsvorgang bei Belone acus. A. B. C. D. E. an Vorbemerkungen. Uebersicht des conservierten Materials. Beschreibung des IIL — X. Teilungsvorgangs (nach conserviertem Material). Entstehung des Dottersackentoblasts nach Beobachtungen am leben- den Ei. Beschreibung des XI.—XIII. Teilungsvorgangs (nach conserviertem Material). . Zusammenfassung der Ergebnisse. . Vergleichung der Untersuchungsergebnisse mit den Befunden anderer Autoren Belone. Vergleichung der Untersuchungsergebnisse mit den Befunden der Autoren an A. iB: C. anderen Knochenfischeiern. Furchung. Einheitlichkeit der Protoplasmahülle des Eies und syncytischer Zu- stand der ersten Blastomeren. Entstehung des Dottersackentoblasts. Vergleichung der Belone- und Selachierfurchung. Litteraturverzeichnis. 44 Fr. Kopsch, I. Einleitung. Der Dottersackentoblast der Knochenfischembryonen besteht aus einer einheitlichen Protoplasmamasse und darin befindlichen Kernen. Die Kerne stammen, wie die Untersuchungen der letzten beiden Jahrzehnte mit Sicherheit ergeben haben, vom Furchungskern ab; die Ansicht von ihrer Entstehung auf dem Wege „freier Kernbildung“ [v. Kupffer, 6], welche schon aus allgemeinen Gründen unwahrschein- lich war, sowie die Lehre, dass sie von einer besonderen Anlage (Para- blast, His) stammen, sind endgültig aufgegeben. Die Zustände am Protoplasma des Dottersackentoblasts sind da- gegen meist nur beiläufig behandelt worden. Neuerdings hat sich hier ein schon lange vorhandener Gegensatz schärfer ausgebildet, welcher seiner principiellen Bedeutung halber der Erledigung dringend bedarf. Es handelt sich um die Art der Entstehung des Dottersackento- blasts, ob er als Syncytium durch Verschmelzung vorher getrennter Zellen des zelligen Keims mit dem die Dotterkugel überziehenden Protoplasmahäutchen entsteht, oder ob ein primärer Zusammenhang zwischen letzterem und dem Keime besteht und der plasmodische bezw. syncytische Zustand des Dottersackentoblasts durch unterbliebene Bil- dung von Zellmembranen bedingt ist. Ausser dieser Frage nach der Art der Entstehung des Dottersack- entoblasts sind noch Ort und Zeit seiner Bildung festzustellen. Auch in betreff der beiden letzteren Punkte weichen die Angaben der Autoren von einander ab. — Wie weit die Verschiedenheiten be- dingt sind durch das verschiedene untersuchte Material, wie weit sie durch Lücken der Beobachtung und falsche Deutungen hervorgerufen sind, müssen erneute, besonders auf die Feststellung dieser Punkte ge- richtete Untersuchungen lehren. Den Weg, auf welchem dies zu erreichen ist, hoffe ich in der folgenden Darstellung zu weisen. Am unwesentlichsten von den drei genannten Fragen dürfte zur Zeit die Verschiedenheit im zeitlichen Auftreten des Dottersackento- blasts gelten. Die vorhandene Litteratur ist mit Rücksicht auf diesen Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 45 Punkt kaum zu benutzen. Dies liegt vor allem an der meist mangel- haften Bestimmung der Entwickelungsstadien: Altersbezeichnungen der Keimscheiben nach Stunden und Minuten sind ohne Temperaturangaben beinahe wertlos!) und selbst bei vorhandenen Temperaturangaben nur dann einigermaassen benutzbar, wenn die Zeitdauer einer Zellteilung angegeben ist. Dabei muss freilich berücksichtigt werden, dass nach einer Anzahl von Teilungen die Gleichzeitigkeit der Teilungen sámt- licher Kerne bezw. Zellen aufhört und, wie His [48, S. 9] für den Lachs festgestellt hat und ich es für Belone bestätigen kann, bei fortschreitender Entwickelung, die Teilungen in grósseren Zwischen- räumen auf einander folgen. Es liegt mir fern, den früheren Untersuchern einen Vorwurf aus den genannten Mängeln zu machen, wenngleich es gesagt sein muss, dass gerade eine Anzahl Arbeiten aus früherer Zeit sich durch be- sondere Sorgfalt in den Zeit, Maass- und Temperaturangaben vorteil- haft auszeichnen. Für spátere Untersuchungen müssen jedoch dringend genaue Stadienbestimmungen verlangt werden (vergl. dazu weiter unten S. 52, 53). Grüssere Bedeutung hat die Frage nach dem Ort der Entstehung des Dottersackentoblasts: ob er 1. am Rande oder 2. an der Grund- fläche oder 3. am Rande und an der Grundfläche des zelligen Keims entsteht. (Wenckebach [24, S. 229], Kowalewsky |25, S. 459], Fusari [22, S. 215], H. E. Ziegler [55, S. 360], H. Virchow [58, S. 601].) | Die Entstehung am Rande der Keimscheibe scheint am weitesten verbreitet zu sein, sie ist fast bei allen untersuchten Knochenfischeiern des Meeres gefunden worden. Die Entstehung an der Grundfläche ist ausser bei Salmoniden, bisher nur beschrieben worden von Wencke- bach [24, S. 228] bei einem unbestimmten pelagischen Ei von 1,9 mm Durchmesser, von M. v. Kowalewsky [25] bei Carassius auratus und ist von Lwoff [35, S. 188] für Julis behauptet worden. Nach Samassa [57, S. 195] findet bei den Salmoniden die Bildung des Dottersack- 1) Der Entwicklungszustand ist bei gleichen anderen Factoren (Wasser und Sauerstoffzufuhr etc.) das Product aus Zeit und Temperatur. — Für die jüngeren Stadien stimmt dies verháltnismüssig sehr genau, bei ülteren macht die individuelle Variation sich mehr und mehr geltend, deren Grund vielleicht in inneren Ver- schiedenheiten der Eier zu suchen ist (vergl. Fr. Kopsch [60]). 46 Fr. Kopsch, entoblasts sowohl am Rande wie an der Grundfläche des zelligen Keims statt. Am wichtigsten scheint — wenigstens mit Rücksicht auf phylo- genetische Betrachtungen — die Art und Weise der Entstehung des Dottersackentoblasts zu sein. In dieser Frage stehen die Ansichten der Autoren vor allem bei den Salmoniden unvermittelt einander gegen- über. Dieselben Bilder werden von den einen als Beweis für Ver- schmelzung vorher getrennter Zellen, von anderen als Abfurchung ge- deutet. Von keinem der Autoren, welche bisher über Salmoniden gearbeitet haben, ist ein zwingender Beweis weder für die eine noch für die andere Meinung erbracht worden, denn die directe Beobachtung der Entwickelung am lebenden Ei ist bei Lachs und Forelle infolge der undurchsichtigen Eischale nicht gut möglich und würde bei der Ent- stehung des Dottersackentoblasts an der Grundfläche auch nicht viel Aufschluss geben; die Schnittbilder allein können beiden Ansichten zur Stütze dienen. Die Entscheidung werden hier nur genaue Zählungen der Kerne bringen (vergl. dazu unten S. 53). Grössere Uebereinstimmung ist bei den der directen Beobachtung zugängigen Eiern erzielt worden. Abweichende Ansichten sind zwar auch hier vorhanden; dass aber eine erhebliche Uebereinstimmung der Entstehung des Dottersackentoblasts bei einer Anzahl pelagischer Knochenfischeier vorhanden ist, zeigen die Untersuchungen von Rauber [16] an Gobius, von Agassiz und Whitman [79] an Cteno- labrus coeruleus, von H. V. Wilson [50] an Serranus atrarius, von Fusari [22] an Cristiceps argentatus, von H. E. US [25] und Raf- faele [28] an Labrax lupus zur Genüge. Nach den Schilderungen dieser Autoren hängen die Randsegmente der jungen Keimscheibe mit dem peripheren Protoplasma, dem „Peri- blast“ von Agassiz und Whitman, breit zusammen. Sie sind nur an dem centralen (in Bezug auf die Keimscheibe) Teil ihrer Oberfläche von einer Zellmembran bekleidet, welche in einem späteren Entwicke- lungsstadium verschwindet, so dass die Abkömmlinge der Kerne dieser Randsegmente in einer gemeinsamen Protoplasmamasse liegen. Eine weitere, sehr beachtenswerte Uebereinstimmung zeigt sich Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 47 bei den genannten Knochenfischeiern ferner noch darin, dass nur eine Reihe von Randsegmenten nebst ihren Kernen in die Bildung des Dottersackentoblasts eingeht. Bei Belone acus dagegen beteiligen sich nach Wenckebach [24] zwei bis drei Reihen von Blastodermzellen, nach Sobotta [24] gar noch mehr Reihen an der Bildung des Dottersackentoblasts. j Nach Sobottas Darstellung [57] ist zudem das Protoplasma des noch ungefurchten Keims durch eine Grenzlinie, welche sich wie eine Zellmembran verhält, von dem übrigen die Dotterkugel umhüllenden Protoplasma getrennt. Diese Trennung wird erst zur Zeit der Bildung des Dottersackentoblasts aufgehoben, dadurch dass die Randzellem des zelligen Keims ihre Zellgrenzen verlieren und mit dem die Dotterkugel umhüllenden Protoplasma verschmelzen. Ein solches Verhalten wäre mit Rücksicht auf das gegenseitige Verhältnis zwischen Kern und Protoplasma von hohem physiologischen Interesse und würde allein schon einer Nachprüfung wert sein. Eine Nachuntersuchung erscheint aber auch deshalb notwendig, weil sich aus Sobottas eigener Darstellung Zweifel an der Richtigkeit seiner Beobachtungen und seiner Schlüsse ergeben. Berechnet man nämlich an der Hand der Abbildungen und der Angaben dieses Autors die Zahl der Kerne des Dottersackentoblasts, so kommt man auf eine unverhältnismässig hohe Zahl schon auf frühen Entwickelungsstadien. Die Gelegenheit, die Entwickelung von Belone acus zu unter- suchen, wurde mir im Jahre 1899 während eines Aufenthaltes in der Zoologischen Station zu Neapel geboten. Dem preussischen Cultusministerium, von welchem mir ein Arbeits- platz auf der Station zur Verfügung gestellt wurde und dem hohen Curatorium der Gräfin Louise Bose-Stiftung, von welchem mir ein heise- stipendium gewährt wurde, danke ich ganz ergebenst. Dem Director und den Herren der Zoologischen Station fühle ich mich ganz besonders verpflichtet. Ihre freundliche Gesinnung und ihre Unterstützung sind mir angenehm und äusserst förderlich gewesen. 48 Fr. Kopsch, II. Material und Methode. Die jüngsten Stadien von Belone (bis zum Achtzellenstadium) sind nicht leicht zu erhalten, da die Fischer, welche die Belone in der Nähe von Ischia fangen, an Ort und Stelle die künstliche Befruchtung vor- nehmen und die befruchteten Eier erst nach längerer oder kürzerer Zeit in die Zoologische Station gelangen. Herr Dr. Lo Bianco verschaffte mir dreimal frische befruchtete Eier: am 4. Mai 1899 Belone A, am 12. Mai 1899 Belone 5, am 19. Mai 1899 Belone C. Die jüngsten Stadien, welche ich erhielt, waren Achtteilungen. Zur Beobachtung jüngerer Entwickelungsstadien dienten deshalb Eier von Crenilabrus pavo, welche ich auch schon früher in Rovigno untersucht hatte. Als Untersuchungsmethoden kommen in Betracht: 1. die Unter- suchung des lebenden, 2. die Untersuchung des conservierten Materials. 1. Zur Untersuchung im lebenden Zustand ist das glashelle durch- sichtige Belone-Ei ganz ausserordentlich geeignet, sobald die Fäden, welche von der Eihülle entspringen, durch Abschneiden entfernt sind. Erschwerend und störend ist dagegen, dass bei normaler Stellung des Eies die Keimscheibe unten liest. Dadurch wird der Untersucher ge- zwungen, die Keimscheibe in eine unnatürliche Lage und unter einen geringen Druck zu bringen, wenn er sich nicht dazu entschliesst, das Mikroskop umzukehren und das in seiner natürlichen Stellung be- findliche Ei von unten her zu betrachten, wie ich es seiner Zeit zur Untersuchung der Gastrulation bei Froscheiern gethan habe. Doch wäre in diesem Falle auch damit nicht viel gewonnen, da bei der Grösse und Wölbung der Keimscheibe die Randsegmente, um deren Beobachtung es sich hier handelt, soweit von dem Mittelpunkt der Keimscheibe entfernt liegen, dass sie 1. in der Verkürzung erscheinen und 2. mit stärkeren Linsen wie Zeiss C oder D nicht beobachtet werden können. Ich entschloss mich deshalb, das Ei zu drehen, so dass ein Stück des Keimscheibenrandes den höchsten Punkt einnimmt, und es durch einen leichten Druck zu verhindern, seine natürliche Lage wieder an- zunehmen, wie es Wenckebach und Sobotta gethan haben. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 49 Hierzu ist das Ziegler'sehe Compressorium [66] ganz ausserordent- lich geeignet. Ohne diesen Apparat würde es wohl kaum möglich sein, ein und dasselbe Ei zwölf Stunden hindurch zu beobachten. Die Brauchbarkeit dieses Instrumentes wird wohl am besten dadurch be- wiesen, dass drei Belone-Eier, welche ich fünf Tage lang in demselben gelassen habe, sich in vollkommen normaler Weise entwickelten. Der auf die Eier ausgeübte Druck muss so gering wie möglich sein. Schon bei mässigem Druck können, wie ich bei Belone B beob- achtete, an den am stärksten gedrückten Blastomeren Störungen ein- treten, welche sich in dem Unterbleiben der Membranbildung an den abgefurchten Blastomeren äussern. Ob diese Wirkung durch den Druck (vergl. H. E. Ziegler [65, S. 144]) oder durch Sauerstoffmangel (vergl. J. Loeb [65]) oder durch beides zusammen erzielt wird, vermag ich nicht anzugeben, weil mir zu einer systematischen Verfolgung dieser Erscheinungen die Zeit mangelte, so wertvoll auch eine solche Feststellung aus kritischen und methodologi- schen Gründen wäre. Der kritische Wert einer solchen Feststellung würde bestehen in der Erkennung einer Fehlerquelle, welche die von Wenckebach und vielleicht auch die von Sobotta beschriebenen Zustände hervorgerufen haben könnte. Wenckebach [24, S. 226] untersuchte die Belone-Eier in Object- trägern mit tiefem Hohlschliff, unter Auflegung eines Deckglases. Die Wahrscheinlichkeit, bei einer solchen Art der Untersuchung auf die Keimscheibe einen zu starken Druck auszuüben, ist hier aus ver- schiedenen Gründen sehr gross und die von Wenckebach beschriebene Auflösung der Wände der zweiten bezw. dritten Randzellenreihe und das Verfliessen mit der „Periblastmasse“ kann wohl auf diesem Wege entstanden sein. Zur Verfolgung dieser Erscheinung fehlte mir, wie gesagt, die Zeit und es kann sich hier ja auch um einen zufälligen Befund gehandelt haben; ich möchte aber auf diesen Punkt aufmerksam machen, welcher vielleicht in mancher Beziehung fruchtbringend zu verwerten sein dürfte. Bei der Untersuchung im lebenden Zustande ist es nach dem Vorgang von H. E. Ziegler ([35] bei Labrax) nötig, die a Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 50 Fr. Kopsch, einer und derselben Stelle des Keimscheibenrandes fortdauernd zu beobachten, um den Veränderungen der Zellen und Kerne folgen zu können. Bei Belone ist es nach dem vierten Furchungsvorgang nicht mehr möglich, die ganze Peripherie der Keimscheibe zu beobachten. Hierzu reichen weder die optischen Hülfsmittel noch die Fähigkeiten des Unter- suchers aus. Die Zellen der jüngeren Keimscheiben sind freilich so gross, dass ein schwaches Objectiv, welches die ganze Keimscheibe zu beobachten gestattet, zur Verfolgung der Teilungen ausreicht. Je mehr aber die Furchung fortschreitet, je kleiner die Zellen und die Randsegmente werden, desto stärkere Vergrösserungen müssen angewendet werden. Dann ist es aber nicht mehr móglich, die ganze Peripherie der Keim- scheibe zu beobachten, weil das stárkere Objectiv ein kleineres Gesichts- feld hat. Aber selbst wenn es ein genügend stark vergrósserndes Objectiv mit genügend grossem Gesichtsfeld gäbe, so würde der Unter- sucher nicht im stande sein, den Veränderungen an den Randsegmenten zu folgen, deren Zahl zur Zeit der Entstehung des Dottersackentoblasts gegen dreissig bis vierzig beträgt. Hier könnte allein die Photographie helfen. Die Anwendung dieses Hülfsmittels hat jedoch grosse Schwierigkeiten. Es genügt hier nicht, die Membranen der Randsegmente auf der Platte festzuhalten, es ist auch dringend notwendig, die Plasmochoren und Diasteme sowie die Kerne, welche im Ruhestadium und bei Beginn der Kernteilung mit Zeiss B deutlich zu erkennen sind, ebenfalls im Bilde zu haben. Dies dürfte allein schon auf grosse Schwierigkeiten stossen. Ferner wäre es notwendig, von einem und demselben Ei die Entstehung des Dottersack- entoblasts wenigstens durch drei Furchungen hindurch, und zwar mit mehreren Aufnahmen für jede Teilung festzulegen. Dabei wird denn der Erfolg der ganzen Arbeit womöglich durch das Misslingen einer Platte in Frage gestellt. Alle diese Schwierigkeiten sind sicherlich zu überwinden; davon bin ich überzeugt. Die Erreichung des Zieles erfordert aber in erster Linie viel Material, und das ist selbst bei den vorzüglichen Zuständen in Neapel nicht so oft zu haben, wie es die Vorversuche erfordern. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 51 Ich entschloss mich deshalb, den von H. E. Ziegler eingeschlagenen Weg zu benutzen, einige wenige Randsegmente fortdauernd zu beob- achten und soviel wie möglich Skizzen von jedem einzelnen Teilungs- vorgang anzufertigen. Hierbei ging ich von der Voraussetzung aus, dass die Entstehung des Dottersackentoblasts bei Belone in der regel- mässigen Weise vor sich geht, wie es nach H. E. Ziegler bei Labrax der Fall ist. — Dies hat sich freilich nicht bestätigt. Die Vorbereitung zur Untersuchung geschieht in folgender Weise: Unter den Eiern werden mehrere gleichgrosse ausgesucht. Die Haft- fäden werden an der Stelle, an welcher sich die Keimscheibe befindet, sorgfáltig abgeschnitten. Darnach werden drei von den Eiern in regel- mässiger Entfernung so auf den unteren Teil des Compressoriums gelegt, dass eine Stelle des Keimscheibenrandes den höchsten Punkt einnimmt. Nun wird die Deckplatte des Apparates aufgelegt und die drei Schrauben langsam und gleichmässig angezogen. Sowie das Deck- gläschen die Eier berührt, bildet das den letzteren áusserlich anhaftende Seewasser eine runde Figur. Aus der Grósse derselben kann man den stärkeren oder schwächeren Druck, welcher durch das Anziehen oder Lockern der Schrauben erreicht wird, leicht erkennen. Alsdann wird die Durchströmung in Gang gesetzt, womit die Vorbereitungen er- ledigt sind, Die Temperatur des durchgeleiteten Wassers wird abgelesen an einem Thermometer, welches sich im Wasserbehälter befindet. Die Durch- strömung muss nicht zu stark sein, um Bewegungen der Fäden und der Eier zu verhindern. Infolgedessen fliesst das Wasser aus dem Compressorium um Bruchteile eines Centigrades wärmer ab, als es hineinfliesst. Die Folge davon ist eine schnellere Entwickelung, welche schon bei den ersten Teilungen merkbar ist und im Laufe der Tage eine bedeutende Grösse erreicht. Viel einfacher gestaltet sich die Beschickung des Compressoriums mit Crenilabruseiern dadurch, dass diese Eier ankleben. Man hat nur nötig, die untere Hälfte des Apparates in eine Schale mit Seewasser zu legen, welches Sperma enthält, und die Eier hineinfallen zu lassen. Bei geringer Uebung gelingt es, dieselben dünn gesäet und einzeln liegend auf der Platte zu verteilen. Die Befruchtung und Festheftung 4* 59 Fr. Kopsch, tritt alsbald ein, so dass man wenige Minuten später die Deckplatte auflegen und den fertig beschickten Apparat auf den Mikroskoptisch bringen kann. Bei diesem Material wird die Deckplatte nicht so weit senähert, dass sie die Eier berührt. Dadurch werden Störungen, welche auch der schwächste Druck mit sich bringen kann, vermieden. Will man Profilansichten des Eies untersuchen, so wird das Mikro- skop umgelegt und das Compressorium sofort nach der Beschickung an dem senkrecht stehenden Objecttisch befestigt. Die Verteilung des Protoplasmas geht dann in der Zeit, welche bis zum Erscheinen der ersten Furche verstreicht, in vielen Eiern so vor sich, dass man genaue Profilbilder der Keimscheibe erhält. . 2. Die Untersuchung des conservierten Materials dient zur Er- weiterung und Sicherung der am lebenden Ei gemachten Beobachtungen. Dies leistet für die vorliegende Frage in ausreichendem Maasse nur eine fortlaufende lückenlose Reihe, welche man sich am leichtesten in folgender Weise verschafft: 1. Es werden nur Eier von derselben Zucht conserviert, da bei diesen der Entwickelungsgrad sämtlicher zu gleicher Zeit conservierter Keimscheiben bis zum elften Teilungsvorgang fast ganz genau übereinstimmt. 2. Es werden während jedes Teilungs- vorgangs wenigstens zweimal, besser dreimal oder viermal eine Anzahl von Keimscheiben conserviert. i ! Eine derartige fortlaufende Reihe kann auch auf anderem Wege erhalten werden, wie die mühevolle treffliche Arbeit von Rückert [64] zeigt, doch ist die Sicherheit der Stadienbestimmung bei einem wie angegeben gewonnenen Material grósser und die Durcharbeitung leichter. Dafür ist freilich die Arbeit, welche während des Conservierens zu leisten ist, anstrengend und erfordert eine gewisse Uebung in den Hand- griffen, denn man muss bei zweimaliger Conservierung in einer halben Stunde die Vorfixierung, Schälung und Nachfixierung bei einer gewissen Zahl von Eiern beendigen, da die Dauer eines Teilungsvorgangs bei Belone bei 18—19? C ungefáhr eine Stunde betrügt. Ausserdem muss bei Belone das Conservieren zehn Stunden hindurch stattfinden, wenn man die Furchung und die ersten Stadien der Entwickelung des Dottersackentoblasts erhalten will. In späteren Untersuchungen über denselben Vorgang bei anderen Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 53 Knochenfischeiern muss durchaus der Nachweis einer fortlaufenden Entwickelungsreihe geführt werden, sei es dass derselbe, wie bei Rückerts Untersuchung der Selachierfurchung, durch Zählung der Zellen bezw. der Kerne geführt wird, sei es dass er in der oben beschriebenen Weise der Materialgewinnung besteht. Im letzterem Fall ist dann noch erforderlich, durch Beobachtung und Zählung der Zellen bezw. Kerne den Anfang und das Ende jedes einzelnen Furchungsvorgangs festzustellen. Nur in dieser Weise wird 2. B. bei Lachs und Forelle eine beweiskräftige endgültige Entscheidung über die Vorgänge bei der Entstehung des Dottersackentoblasts zu erhalten sein. Die in dieser Arbeit verwertete Reihe von Keimscheiben stammt von Belone ©. Die Fixierung geschah in der von H. Virchow ange- gebenen Weise (s. Fr. Kopsch [61, S. 184]). Die Aufbewahrung nach Färbung in Hämacaleium und Carmin in der von mir (s. Fr. Kopsch [62, S. 223]) angegebenen Weise in Canadabalsam. Bei der Durch- arbeitung des Materials ist die Bestimmung der Zellen- bezw. Kern- zahl des ganzen Keimes und einzelner Teile desselben von hoher Be- deutung. Bis zum Stadium von 16 Blastomeren reicht die Betrachtung der Flächenpräparate aus. Vom fünften Teilungsvorgang an, bei welchem der Keim beginnt mehrschichtig zu werden, muss die Fest- stellung der Kernzahl durch Zählung mit Hülfe der Schnittserien er- folgen. Zur Bestimmung der Zahl der Randsegmente und der Zahl der Kerne des in Bildung begriffenen Dottersackentoblasts genügen wieder die Flächenpräparate. Die Zählungen werden an Prismazeichnungen der Keimscheiben und der Schnitte vorgenommen. Schnittdicke: 5 bezw. 10 «. Färbung: Eisenhämatoxylin mit Orange G. oder Bordeaux R. III. Bezeichnungen. Der von mir gewählte Ausdruck Dottersackentoblast ist die mor- phologische Bezeichnung desjenigen Teils des Knochenfischembryos, für welchen am häufigsten die Namen Parablast, couche intermediaire, Peri- blast, Dottersyncytium verwendet sind. Am meisten benutzt ist die durch Agassiz und Whitman [19] eingeführte Bezeichnung Periblust. Dieselbe gründet sich auf die Anschauung, dass diese Formation ab- 54 Fr. Kopsch, stammt von demjenigen Protoplasma, welches um die Keimscheibe herum gelegen ist. Dies entspricht aber, wie aus den früheren Untersuchungen und aus der folgenden Darstellung hervorgeht, nicht den Thatsachen und hat zu der widersinnigen Unterscheidung eines centralen und eines peripheren Periblast geführt (H. V. Wilson [50], His [59] u. a.). Ferner wird der Ausdruck Periblast für zwei verschiedene Dinge ge- braucht: erstens auf jungen Stadien zur Bezeichnung des nicht zur eigent- lichen Keimscheibe gehörigen Protoplasmas, welches von His wohl mit Rücksicht auf diese zweifache Bedeutung als „Properiblast“ bezeichnet worden ist, zweitens zur Bezeichnung des in Bildung begriffenen und des fertigen aus Protoplasma und Kernen bestehenden Dottersackento- blasts. Der von H. Virchow eingeführte Name Dottersyncytium und die von Raffaele vorgenommene Aenderung in Sincizio perilecitico geben, wie die folgende Schilderung zeigen wird, die Entstehung der so bezeichneten Formation bei Belone und auch wohl noch bei anderen Knochenfischen nicht richtig wieder. Der Dottersackentoblast entsteht bei Belone nicht als Syneytium durch Vereinigung vorher getrennter Zellen, sondern dadurch, dass keine Zellmembranen gebildet werden. — Selbst wenn man zur Kennzeichnung einer Gewebsformation als Syneytium nicht die Art der Entstehung, sondern den vorhandenen Zustand ansieht und unter Syncytium eine Gewebsformation versteht, in welcher zwar ab- gegrenzte Zellenterritorien vorhanden, aber von einander nicht durch Membranen geschieden sind, so ist der fertige Dottersackentoblast kein Syncytium, da keinerlei abgegrenzte oder abgrenzbare Territorien mehr vorhanden sind, sondern eher ein Plasmodium, wenn auch die Kerne desselben nicht ganz willkürlich und regellos ihre gegenseitige Lage zu einander (s. Raffaele [58]) und zu dem zelligen Keim verändern. Da ich nun nicht gesonnen bin, die Zahl der vorhandenen Namen zu vermehren, so habe ich mich entschlossen, die morphologische Be- zeichnung Dottersackentoblast anzuwenden. Das Protoplasma des Dottersackentoblasts und das Protoplasma des zelligen Keims bilden Teile der die Dotterkugel umgebenden Proto- plasmahülle. Die Scheidung dieser beiden Teile von einander ist bei Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 55 Belone erst am Ende des neunten Furchungsvorgangs im wesentlichen vollendet. Auf den früheren Entwickelungsstadien kann man eine Grenze wohl nach den späteren Zuständen construieren, in Wirklichkeit ist sie nicht vorhanden. Es empfiehlt sich indessen aus praktischen Gründen, auch schon in den früheren Stadien Bezeichnungen für die einzelnen Abschnitte der Protoplasmahülle zu haben und ich werde darum folgende Namen anwenden: Der dicke Abschnitt der Proto- plasmahülle, welche den Furchungskern enthält, ist die Keimscheibe. Dieselbe geht unter plötzlicher Verdünnung über in das periphere (peri- pher mit Rücksicht auf die Keimscheibe) Protoplasma des Dottersack- entoblasts (= Periblast) Die unterste Schicht der Keimscheibe bildet das centrale Protoplasma des Dottersackentoblasts (— subgerminaler Periblast von Agassiz und Whitman, centraler Periblast H. V. Wilson, . His u. à). Die Kerne werde ich kurz als Dotterkerne oder als Kerne des Dottersackentoblasts bezeichnen. In Bezug auf den Ausdruck Merocyten (Rückert) habe ich der Kritik von H. Virchow [58, S. 600] auch nach der neuesten Veröffentlichung von Rückert [64] nichts hinzuzufügen. Die durch die Furchung gebildeten Teilstücke sind die Blastomeren Eine Anzahl von diesen wird allseitig von einer Zellmembran umgrenzt. Nur diese verdienen den Namen Furchungszellen. Die am Rande der Keimscheibe gelegenen Blastomeren, welche sowohl unter einander als mit dem peripheren und centralen Protoplasma des Dottersack- entoblasts zusammenhängen, können nur als Randsegmente, nicht als Randzellen bezeichnet werden. In den frühen Stadien des Dottersackentoblasts sind die zu den einzelnen Kernen gehörigen Territorien deutlich von einander abge- grenzt. Die von His [59, S. 414] eingeführten Bezeichnungen Plasmo- choren für die Territorien und Diasteme für die sie trennenden Zwischen- strassen scheinen mir sehr bezeichnend und brauchbar zu sein. IV. Beschreibender Teil. 1. Die drei ersten Teilungsvorgänge bei Crenilabrus pavo. Die Eier befinden sich im Durchstrimungscompressorium. Die Anordnung ist eine derartige, dass die Eier durch das umgelegte Mi- 56 Fr. Kopsch, kroskop im Profil betrachtet werden (Versuchsanordnung s. S. 52). In der Beschreibung soll nur das Verhältnis der Keimscheibe zum Proto- plasma des Dottersackentoblasts berücksichtigt werden. I. Teilungsvorgang. Das Protoplasma der Keimscheibe bildet einen hoch gewölbten Hügel, dessen Wölbung und steiler Abfall während des Auftretens der ersten Furche noch zu- nimmt. Der erste Furchungsvorgang ist Fig. 1. ; Denen an durchden Zwei Stunden nach der Befruchtung voll- Keim eines in natürlicher Stell. endet. Die helle Grenzlinie schneidet ung befindlichen lebenden Bies nicht bis zum Dotter durch; eine dünne von Crenilabrus pavo kurz vor 9 : Beendigung des ersten Teilungs- Schicht von Protoplasma verbindet die vorgangs. a cr = der m basalen Abschnitte der beiden Blastomeren tung der ersten Teilungsebene. ANC i ; S mit einander. Der directe Zusammenhang der Blastomeren mit dem peripheren Protoplasma ist am optischen Durchschnitt deutlich zu sehen (Fig. 1). Fig. 2. Fig. 8. Fig. 2, 3. Dasselbe Ei am Ende des zweiten bezw. dritten Teilungsvorgangs. Ge- sehen in der Richtung der ersten Teilungsebene. Fig. 1—3 nach Freihandskizzen. Vergr. daher nicht genau bestimmt. IT. Teilungsvorgang. Die zweite Furche beginnt 7 Minuten nach Beendigung des I. Teilungsvorgangs sichtbar zu werden; weitere fünf Minuten später (2° 12 nach Befr.) sind die bläschenförmigen Kerne innerhalb der zwei dem Objectiv zugewandten Blastomeren zu erkennen. Auch die Grenzmembran dieses Furchungsvorgangs schneidet nicht bis auf den Dotter durch, sondern lässt eine dünne Lage von Protoplasma, welches die centralen Teile der vier Blastomeren unter einander ver- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 57 bindet, undurchschnitten. Der Zusammenhang der vier Blastomeren mit dem peripheren Protoplasma ist ebenso deutlich wie beim Ti Teilungs- vorgang. An dem unteren Ende der ersten Furche treten helle, in der Rich- tung nach der Keimscheibenperipherie sich allmählich verlängernde Linien (s. Fig. 2) auf, welche genau das Aussehen der Grenzlinien zwischen den vier ersten Blastomeren haben, und wohl als Membran- bildungen an der unteren Fläche der Blastomeren angesprochen werden dürfen. Unter dieser hellen Linie befindet sich die dünne, von den beiden ersten Furchen nicht durchschnittene Protoplasmalage, welche die vier Blastomeren verbindet und den zuerst abgegrenzten Teil des centralen Protoplasmas des Dottersackentoblasts (des centralen Periblastes) darstellt. Bevor diese unteren Zellmembranen eine irgendwie erhebliche Länge erreicht haben, beginnt der III. Teilungsvorgang. Die Bildung der Zellmembranen beginnt 35 Minuten nach Be- endigung des ersten Furchungsvorgangs (2° 35 nach Befr.), weitere fünf Minuten später sind die bläschenförmigen Kerne sichtbar. Die neugebil- deten Zellmembranen beginnen wie die Zellmembranen der beiden vorher- gehenden Teilungsvorgänge in der Nähe der Keimscheibenoberfläche und dringen langsam bis in die tieferen Schichten vor. — Mit der Verwendung des Ausdrucks „vordringen“ soll lediglich der Eindruck beschrieben werden, welchen die von oben nach unten fortschreitende Ausbildung der Zellmembranen macht. — Auch die neu entstandenen Membranen schneiden nicht durch die ganze Dicke der Keimscheibe durch (Fig. 3), sondern lassen die unterste dünne Lage des Protoplasmas undurch- schnitten. Einige Zeit später erscheinen auch an den unteren Enden der neuen Membranen die parallel zur Keimbasis verlaufenden hellen Grenzlinien in derselben Weise, wie wir sie beim II. Teilungsvorgang an der ersten Grenzmembran auftreten sahen. Hierdurch werden die cen- tralen Abschnitte der acht Blastomeren von dem centralen Protoplasma 58 Fr. Kopsch, des Dottersackentoblasts getrennt; die peripheren Teile der acht Blasto- meren hängen dagegen noch breit unter einander durch Vermittelung des noch in ihren basalen Teilen enthaltenen centralen Protoplasmas des Dottersackentoblasts zusammen. Ausserdem hängen sie mit dem peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts zusammen (Fig. 4). II. Weiter soll hier die Furch- ung von Crenilabrus nicht ver- folgt werden, da sich hier die Stadien von Belone anschliessen, deren Zustände auf dem vierten Teilungsvorgang durch die an Cre- nilabrus gemachten Beobachtun- gen erklärt werden. 2. Der III.—XIII. Teilungs- vorgang bei Belone acus. A. Vorbemerkungen. Die im folgenden beschrie- benen Ergebnisse sind teils am Fig. 4. lebenden, teils am conservierten Schematische Darstellung von der Los- Material gewonnen. Die Schilde- lösung der centralen Abschnitte der rung des III. Teilungsvorgangs er- Blastomeren während der ersten drei RE Teilungsvorgänge. Die punktierten Linien folgt ausschliesslich nach Beobach- deuten die Ausdehnung der unteren Zell- tungen am lebenden Material, die br Zeit des dritten Tei- : SV UN n lonesvermante an. Die dunkel schalten), des vierten. berücksichtigt sowohl ungsvorgangs an. Die dunkel gehaltenen i Felder bezeichnen die noch nicht vom die Zustände am lebenden Ei wie centralen Protoplasma gelósten periphe- am conservierten Material: vom rischen Abschnitte der acht Blastomeren. : ; : V. Teilungsvorgang an beruht die Beschreibung fast ausschliesslich auf der Durcharbeitung conservierten Materials; die Beobachtungen am lebenden beziehen sich hier nur auf die Zustände der Randsegmente. Die Entstehung des Dottersack- entoblasts, welche auf dem X. Teilungsvorgang einsetzt, wird so- wohl nach directen Beobachtungen am lebenden Ei geschildert, wie Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 59 nach den Zustànden der conservierten Keimscheiben zusammengestellt werden. | Bei der Verarbeitung des conservierten Materials ist es, wie schon eingangs gesagt wurde, erforderlich, die einzelnen Teilungsstadien von einander abzugrenzen, d. h. Anfang und Ende jedes Teilungsvorgangs zu bestimmen. Dabei ergeben sich gewisse Schwierigkeiten, welche besprochen werden müssen. Bei der Conservierung der Keimscheiben von Belone C war von den früheren Beobachtungen her bekannt, dass jeder Teilungsvorgang bei einer Temperatur von 18—19? C ungefähr eine Stunde in An- spruch nimmt. Bei zweimaliger Conservierung für jeden Teilungs- vorgang hätten also die einzelnen Portionen mit je 30 Minuten Abstand conserviert werden müssen. Da nun aber ein geringer Temperaturunterschied, wie bekannt, die Entwickelung verlangsamt bezw. beschleunigt, und ausserdem der Abstand zwischen den ein- zelnen Conservierungen trotz bester Vorsätze nicht immer innegehalten werden kann, so muss am conservierten Material noch die Kernzahl und das Teilungsstadium ermittelt und darnach die Einteilung vor- senommen werden. Als Kriterium für die Abgrenzung der einzelnen Teilungsvorgänge dient das Stadium der Kernteilung, nicht die Protoplasmateilung und Zellmembranbildung, weil letztere im Dottersackentoblast nicht auf- tritt und, wie wir schon gesehen haben, nicht gleichen Schritt hält mit der Kernteilung. Der Teilungsvorgang wird also gerechnet von der Vorbereitung des Kerns zur Mitose an und ist beendet, sobald die Tochterkerne im bläschenförmigen Zustand vorhanden sind. In dieser Weise können die einzelnen Teilungsstadien von einander abgegrenzt werden, so lange die Synchronie sämtlicher Kernteilungen besteht. Sobald dies nicht mehr der Fall ist (nach der X. Teilung), sind die noch längere Zeit nahezu synchron verlaufenden Teilungen der Dotterkerne maassgebend für die Stadienbestimmung. In folgender Zusammenstellung gebe ich eine Uebersicht über die Reihe der von Belone C conservierten Keimscheiben, welche der Dar- stellung zu Grunde liegen, nach den Teilungsstadien geordnet. 60 Fr. Kopsch, B. Uebersicht des conservierten Materials. be Be- ae Tempera- Stadium Zahl Zahl der 3% |) zeich- | Conser- tur des Kerns der | Randsegmente | Bemerkungen È È nung | vierung Kerne Belone iOS o^ a 9h 35 18,759 C Ruhe 16 72«jel2 Beginn der Abfurch- ung, bei Bel. B lebend. 2x12 und 211 Rand- segm. V. C2 | 10h 30 — Ruhe 32 14 Keim — zwei | schichtig. Wh i CS 18$ -— Prophase 32 16, 16 bezw. Metaphase C4 |11h31) 1839? C | Anaphase = 21, 19, 25 C5 12h5 — Rule ea) 64 21 VII. | C6 12h 80) 18,5? C | Anaphase — 23, 25 GI | dm — Ruhe = 29, 31 Vil. | C8 | 1h 36| 186? C | Anaphase = 28 C9 | 2h4 = Ruhe — 30, 31 Keim drei- schichtig. DX Gr m2 31 — Meta- und | 256 134,35,36,32,32 Anaphase | Cll | 3n4 187759 C Ruhe — 45 |Keim —vier- i schichtig. xe C12) 3h 34 — Metaphase — (986,40,41, 42,45 Kerne des | Entstehung Dottersack-| der Deck- entoblasts schicht, des C13| 4n 6 E Ruhe I Hiro NAT 16 Me. 2 : h T i AL entoblasts; XI. || C14| 4h 33 Prophase 76 iwibnsnch nd Abfurch Metaphase 5: Clo | 5h5 — Ruhe = 131 XG WG MG] Bu WG — Prophase — — C17| 5h40 = Metaphase — | 131, 132, 137 C18, 5h 58 — 5 — 151 C19 | 6h 11 — Anaphase — | 161, 203, 265 C20 | 6h22 _ Ruhe — 208, 232 XIII. | C21 | 6h 40 = Prophase — — C22| 7h 5 — | Metaphase 205, 215 Leider musste mit C 22 abgeschlossen hundert Eier, welche ich bei diesem Mal erhalten hatte, verbraucht waren. Ich war auch nicht im Stande, eine neue Serie zur Fortsetzung werden, da die wenigen der vorliegenden anzufertigen, da ich kein Material mehr erhielt. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 61 €. Beschreibung des III.— X. Teilungsvorgangs (nach conserviertem Material). III. Teilungsvorgang (Fig. 5). Das jüngste Teilungsstadium des Belone-Eies, welches ich zu Ge- sicht bekommen habe, ist vom Ende des III. Teilungsvorgangs. Die acht Blastomeren liegen in zwei parallelen Reihen neben ein- ander. Bei Einstellung auf die Oberfläche schliessen (bei Betrachtung von der Fläche) die Ränder der = Blastomeren dicht an einander; bei Pa press tiefer Einstellung erscheint zwischen den von einander entfernten centralen abgerundeten Enden der acht Blasto- meren ein Raum von unregelmässiger Gestalt (Fig. 5). Vom peripheren Protoplasma scheinen, bei Ansicht der lebenden Keimscheibe von der Fläche her, die Blastomeren voll- ständig getrennt zu sein. Schnittbilder dieses Stadiums konnte ich nicht untersuchen, da ich aus dieser Zeit kein Material con- Fig. 5. serviert habe, und ich bin somit Flächenansicht von oben. Nach dem darauf angewiesen, die geschilderten lebenden Ei gezeichnet. Vergr. E Beobachtungen aus den Zuständen des nächsten Teilungsvorgangs, aus den oben bei Crenilabrus festge- stellten Thatsachen und den dort gezogenen Folgerungen sowie aus den Angaben anderer Forscher über denselben Teilungsvorgang zu er- klären. Nach der oben gegebenen Darstellung von der Loslösung des centralen Abschnittes der bei den drei ersten Teilungsvorgängen ge- bildeten Segmente vom centralen Protoplasma, ist das Zustandekommen des bei tiefer Einstellung sichtbaren Raumes leicht dadurch zu erklären, dass die centralen Enden der acht Segmente in der Tiefe der Keim- scheibe sich von einander und vom centralen Protopiasma entfernen. 62 Fr. Kopsch, Die Vorstellung von der Trennung der Blastomeren vom peri- pheren Protoplasma wird vorgetäuscht durch den steilen Abfall ihrer die Keimscheibenperipherie bildenden Fläche, denn wir haben bei Creni- labrus den directen Zusammenhang gesehen, welcher bei Belone an allen Randsegmenten des folgenden Teilungsvorgangs nachgewiesen werden wird, welcher von Agassiz und Whitman [19, S. 49] bei Ctenolabrus besonders betont, von Wilson [30] bei Serranus durch Schnittbilder be- legt worden ist. Die Abbildung, welche Wilson (auf Taf. LXXXVIII Fig. 3) von einem Stadium mit acht Blastomeren giebt, deckt. sich mit unserer Figur 5; und die Schnitte, welche er von diesem Stadium abbildet (Ta£ LXXXIX. Fig. 14, 15), zeigen, dass die erste und dritte Furche in den peripherischen Teilen der Keimscheibe hóchstens drei Viertel der Keimscheibendicke durchschnitten haben, die Grundflächen der Segmente also unter einander zusammenhàngen, dass nur der centrale Teil der Segmente vom centralen Protoplasma losgelóst und durch einen Spalt von ihnen getrennt ist, und dass ein directer Zusammen- hang zwischen Blastomeren und peripherem Protoplasma besteht. IV. Teilungsvorgang (Fig. 6a, 6, 7). Von den 16 hierbei entstehenden Blastomeren bilden in der Regel vier den centralen, zwölf den peripherischen Teil der Keimscheibe. Ein solches Verhalten ist seit der ersten Beobachtung von. Rus- coni [2] fast bei allen bisher darauf untersuchten Knochenfischeiern beobachtet und gezeichnet worden. Ausnahmen von der regelmässigen Anordnung kommen nach den Angaben der Autoren bei der einen Art seltener, bei der anderen Art (Salmoniden) hàufiger vor. Bei Belone habe ich zweimal fünf centrale und elf peripherische Blastomeren ge- sehen. Dieses Verhalten ist, wie in einem dieser Fälle beobachtet wurde, nicht hervorgerufen durch eine andere Lage der Teilungsfurchen, sondern durch ein aussergewóhnliches Vergleiten eines Randsegmentes gegen Ende der Teilung. Es wurde direct beobachtet, wie das eine Randsegment aus seiner ursprünglich peripherischen in eine centrale Lage gelangte. Die Bedingungen, auf Grund deren ein solcher Vorgang einsetzt und die hierbei wirksamen Kráfte müssen von ganz besonderer Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 63 Art sein, da, wie wir sehen werden, in der Regel die zwölf Rand- segmente mit einem grossen Teil ihrer Basis fest unter einander und mit dem centralen sowie peripheren Protoplasma des Dottersackento- blasts zusammenhängen. Bei der typischen Anordnung ist die Lage der Blastomeren zu einander sehr regelmässig (schachbrettartig, Fusari [22]) und wiederholt dieselben Grundzüge: 1. ist der Durchmesser des Keims in einer Rich- tung, welche der zweiten Teilungsebene entspricht, länger als in der- jenigen Richtung, welche der ersten Teilungsebene entspricht. Diese längliche Form bewahrt die Keimscheibe (vergl. die Flächenbilder weiter unten) oft noch bis in späte Furchungsstadien in höherem oder ge- ringerem Maasse, sie verschwindet vollkommen erst zur Zeit, in welcher die Kerne des Dottersackentoblasts beginnen, sich unter die Keim- scheibe herunterzuschieben und sich amitotisch zu teilen, 2. liegen die 16 Blastomeren zu vier neben einander bezw. hinter einander in vier Reihen; 3. sind die beiden mittleren Randsegmente an den Schmal- seiten der Keimscheibe lànger und schmaler als die mehr vierseitigen beiden mittleren Randsegmente an den Längsseiten. Diese drei Grundzüge sind bald mehr bald weniger deutlich aus- gebildet; sie finden ihre Erklärung durch die Zustände der vorher- gehenden Stadien und durch die Richtung der Teilungsebenen des IV. Teilungsvorgangs, welche schon so oft in übereinstimmender Weise dargestellt sind, dass es mir unnótig erscheint, dieselben hier noch einmal zu wiederholen. Meine Ansicht von der gegenseitigen Richtung und Lage der vier ersten Teilungsrichtungen wird man aus Figuren 4 u. 6 ersehen; sie deckt sich mit den entsprechenden Bildern von Rauber, Agassiz und Whitman, Wilson und vielen anderen (vergl. weiter unten S. 110). Nur auf einen Punkt soll besonders aufmerksam gemacht werden, dass der oben erwähnte Formunterschied zwischen den mitt- leren Randsegmenten der Schmal- und Längsseite eine nachträgliche Feststellung der ersten beiden Teilungsebenen erlaubt, auch wenn die Keimscheibe, wie es bei Belone vorkommt und nach den Abbildungen der Autoren bei anderen Knochenfischen häufig ist, nicht einem Paral- lelogramm ähnelt, sondern eine fast genau quadratische Form zeigt. Entwicklungsphysiologisch von Interesse sind die beträchtlichen 64 Fr. Kopsch, Vergleitungen der vier centralen Blastomeren gegen einander. Ob die Richtung einer der beiden ersten Teilungsebenen der Medianlinie des Embryos entspricht, vermag ich nicht anzugeben, da ich keine Unter- suchungen mit Rücksicht auf diesen Punkt angestellt habe. Ich weise aber darauf hin, dass das Belone-Ei zu einer solchen Untersuchung recht geeignet erscheint, da einmal auf dem IV. Teilungsvorgang die Richtung der ersten Furchen noch genau festgestellt werden kann, zweitens durch Verfolgung einer Randstelle an einem im Ziegler’schen Compressorium liegenden Ei die Ruhelage des Eies bewiesen werden und dasselbe Ei bis zum Erscheinen der Embryonalanlage und noch er- heblich weiter gezüchtet werden kann. Nur eine auf solchem Wege angestellte Untersuchung bietet ge- nügende Sicherheit. Alle bisher über diesen Punkt bei Knochenfisch- eiern gemachten Angaben ermangeln des Beweises der absoluten Ruhe- lage des Eies innerhalb seiner Schale. Die zwölf Randsegmente scheinen auch auf diesem Stadium bei Betrachtung der lebenden Keimscheibe von oben her abgegrenzt zu sein vom peripheren Protoplasma. Totalpräparate und Schnitte be- weisen jedoch den directen Zusammenhang der Randsegmente unter einander sowie mit dem centralen und peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts. Ganz besonders beweisend ist das Verhalten der Protoplasma- strahlen. Man sieht dieselben am Totalpräparat nicht etwa am äusseren Contour, welcher dem steilen peripheren Abhang der Randsegmente entspricht, aufhören, sondern sieht sie ununterbrochen eine grössere oder geringere Strecke weit in das periphere Protoplasma sich erstrecken. Man kann ferner an besonders günstigen Stellen die Strahlen benach- barter Randsegmente einander überkreuzen sehen. Solche günstigen Stellen sind die peripherischen Teile der ersten Teilungsfurche. Hier weichen die beiden aneinander liegenden Randsegmente oft etwas weiter auseinander (s. Fig. 6a*), und in dem Protoplasma, welches den Boden der erweiterten Furche bildet, sieht man die aus den be- nachbarten Segmenten kommenden Strahlen einander überkreuzen und noch weiter in das periphere Protoplasma ausstrahlen. Der directe Uebergang der Protoplasmastrahlen in das periphere Protoplasma ist Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 65 an den Flächenpräparaten nicht immer an allen zwölf Randsegmenten festzustellen und ist auch nicht an allen zwölf gleich deutlich zu sehen. Dies hängt vornehmlich ab von der Höhe und der Art des Abfalls der peripher gerichteten Oberfläche der Randsegmente Ist der Abfall sehr steil und hängt die Wand etwa über, so wird von der Ueber- gangsstelle der Randsegmente in das periphere Protoplasma des Dotter- sackentoblasts wenig A oder gar nichts zu sehen sein, während bei we- niger steilem Abfall der Zusammenhang mit grosser Deutlichkeit festzustellen ist. In dieser Bezieh- ung zeigen die einzelnen Keimscheiben und die einzelnen Randsegmen- te derselben Keim- scheibe bedeutende Ver- schiedenheiten. Bei manchen Präparaten ist am Flàchenbilde der Fig. 6a. Zusammenhang an kei- Flächenansicht von oben. Typische Lage der Blasto- nem der Randsegmente meren. Nach einem Canadabalsam-Präparat ge- zu sehen, an anderen zeichnet. Vergr. E Keimscheiben ist er an mehr oder weniger Randsegmenten vorhanden, sogar dasselbe Rand- segment kann an einer Stelle den Zusammenhang zeigen, an einer anderen nicht. Die Schnittuntersuchung ergiebt jedoch, dass sämtliche Randseg- mente sowohl mit dem centralen wie mit dem peripheren Protoplasma zusammenhängen. Die vier centralen Blastomeren dagegen sind selbständige allseitig von Zellmembranen umgebene Zellen, welche nur noch mit ihrer Schwesterblastomere zusammenhängen (Fig. 7 a—e). Unter diesen Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. S 66 Fr. Kopsch, Zellen liegt eine dünne, die Dotterkugel bedeckende Lage von Proto- plasma, welche mit der Grundfläche der Randsegmente in Verbindung steht. Diese Lage ist das centrale Protoplasma des Dottersackentoblasts (subgerminaler Periblast von Agassiz und Whitman, centraler Periblast von Wilson, His). Sie bildet vor Beginn der Furchung mit dem nun- mehr in den vier centralen Zellen enthaltenen Protoplasma eine zu- sammenhängende Masse. Die in dieser Teilung vollzogene Sonderung der vier centralen Zellen wird auf den jüngeren Stadien eingeleitet durch die Entstehung der basalen Zellmembranen, wie es oben für die ersten drei Teilungsvorgänge nach Beobachtungen an Crenilabrus in Fig. 4 schematisch dargestellt ist. Da die Ausbildung der basalen Zellmembranen langsamer vor- schreitet als die Kernteilungen, so sind beim III. Teilungsvorgang (s. Fig. 4) erst die centralen Teile der acht Blastomeren auf eine kurze Strecke auch an der Unterfläche mit Zellmembranen versehen. Wenn nun die Teilungsebenen des IV. Teilungsvorgangs, welche der zweiten Teilungsebene parallel verlaufen, die zweimal zwei an den Längsseiten liegenden Blastomeren des dritten Teilungsstadiums in je ein centrales und ein peripherisches Stück zerlegen, während die zweimal zwei an den Schmalseiten des dritten Teilungsstadiums liegenden Seg- mente je in zwei neben einander gelegene Randsegmente geteilt werden, so werden von den 16 Blastomeren des IV. Teilungsvorgangs vier centrale und zwölf peripherische sein müssen. Da nun ausserdem die vier centralen Blastomeren die abgeschnittenen centralen, schon auf dem III. Teilungsvorgang vom centralen Protoplasma getrennten Enden von vier Segmenten des dritten Teilungsstadiums sind, so werden sie durch den IV. Teilungsvorgang zu selbständigen, allseitig von Mem- branen umschlossenen Zellen. Auf diesem Stadium findet somit die erste Abfurchung statt; von den acht in einem syncytischen Zustande befindlichen Blastomeren des dritten Teilungsvorgangs werden bei der vierten Teilung vier selb- ständige Zellen abgefurcht, während die anderen zwölf Teilungsproducte in dem syneytischen Zustande verbleiben. | Diese Thatsache ist von erheblicher Tragweite, insofern als sie zeigt, dass bei der Knochenfischfurchung die Bildung: der Zellmembranen Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 67 gegenüber den Kernteilungen im Rückstande ist. Demnach erscheint es unter der Voraussetzung, dass dieses Verhältnis auch in den folgen- den Teilungsstadien noch andauert, viel wahrscheinlicher, die, nament- lich bei der Salmonidenentwickelung so verschieden gedeuteten, mit dem Dottersackentoblast zusammenhängenden Segmente auf jüngeren LE IV. Fig. 6. Fláchenansicht von oben. Mehr eR e Form der Keimscheibe. Zeichnerische | Reconstruction der „Verbindungszonen“ der Randsegmente. Vergr. e Stadien eher im Sinne einer Abfurchung wie einer Verschmelzung zu deuten. Die zwölf Randsegmente dieses Teilungsstadiums hängen sowohl mit einander als auch mit dem centralen und dem peripheren Proto- plasma des Dottersackentoblasts zusammen; nur ihre centralen Ab- schnitte sind durch die Ausbildung basaler Zellmembranen in geringer Ausdehnung vom centralen Protoplasma losgelóst. Sie wiederholen damit den Zustand, in welchem sich die acht Segmente des dritten und die vier Segmente des zweiten, welche noch sämtlich Randsegmente sind, befanden. | 5* 68 Fr. Kopsch, Centrales und peripheres Protoplasma des Dottersackentoblasts stehen durch die basalen Teile der Randsegmente in Verbindung. Eine graphische Darstellung dieser Verbindung haben für dieses Stadium Agassiz und Whitman [19, Fig. 1] gegeben; sie stimmt im US UC; Schnittbilder von der in Fig. 6 abgebildeten Keim- scheibe. Lage und Richtung der einzelnen Schnitte sind in Fig. 6 durch entsprechende Linien bezeichnet. 10 1 Vergr. = Der geringere (im Vergleich zu den Flächen- präparaten) Durchmesser dieser und der noch folgenden Schnittbilder erklärt sich durch die Paraffinverkürzung. wesentlichen überein mit der in Fig. 6 ge- gebenen, welche nach einer Schnittserie von Belone zeichnerisch, allerdings ohne Defi- nierlinien aber unter Controlle durch die vorher angefertigte Flächenzeichnung der Keimscheibe, recon- struiert ist. Hierbei hat sich herausgestellt, dass die Loslösung der Randsegmente vom centralen Protoplasma des Dottersackento- blasts am weitesten gediehen ist in der Nähe der zweiten und der ersten Teilungs- ebene, während sie im Bereich der dritten und vierten Teilungsebene am geringsten ist. Letztere ist im Bereich der Randsegmente erst wenig in die Tiefe gedrungen (s. Fig. 7a u. 7b), so dass die zusammen- gehörigen Paarlinge in der Tiefe noch breit mit einander zusammen- hängen, und die Protoplasmastrahlen aus einem Segment in das andere herübergreifen. Im Bereich der ersten und zweiten Furche, welche ihre definitive Tiefe besitzen, hat die Bildung der basalen Zellmembranen nicht allein Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 69 im Bereiche der vier centralen Zellen stattgefunden, sondern auch im Gebiet der an die Furche angrenzenden Randsegmente. Dadurch sind die an diese Furchen grenzenden Seitenteile der betreffenden Rand- segmente auch eine Strecke weit vom Protoplasma des Dottersack- entoblasts losgelóst. Am Querschnitt durch eine dieser Furchen (z. B. der zweiten in Fig. 7b) zeigt sich diese Loslösung dadurch, dass die Spalte zwischen den mittleren beiden Segmenten die Form eines auf dem Kopfe stehenden T hat. Wird dagegen eins der an die erste bezw. zweite Furche grenzenden Randsegmente parallel zu der Teilungs- fläche gerade angeschnitten (z. B. parallel zur ersten Furche Fig. 7e, die rechte Blastomere), so scheint sie von dem darunter liegenden Protoplasma durch das Stück der basalen Zellmembran vollstándig ge- trennt, ein Zustand, welcher die Ursache irrtümlicher Deutungen sein kann. Einen Schnitt weiter ist jedoch schon wieder der directe Zu- sammenhang des Randsegments mit dem centralen und peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts festzustellen. Der basale Abschnitt der Randsegmente, an welchem die Bildung der basalen Zellmembran noch nicht stattgefunden hat (in der Fig. 6, dunkel gehalten), soll nach dem Vorgang von Agassiz und Whitman als „Verbindungszone“ bezeichnet werden, weil diese Zone des Rand- segments das centrale und periphere Protoplasma mit einander ver- bindet. Die peripherischen Abschnitte der Randsegmente, das periphere und centrale Protoplasma nehmen eine dunklere Färbung an, welche ganz allmählich sich abtönend nach dem centralen Teil des Rand- segments heller wird. Die Kerne der Randsegmente liegen nicht in dem geometrischen Mittelpunkt des Segments, sondern näher der Peripherie. V. Teilungsvorgang (Fig. 8, 9). Mit dem vorhergehenden Teilungsvorgang hört, wie die meisten Autoren übereinstimmend angeben, die Regelmässigkeit auf, die Ab- weichungen mehren sich in erheblichem Maasse. Nur H. V. Wilson [50] hat bei Serranus noch in der Hälfte der Fälle einen regelmässigen Typus feststellen können (s. darüber weiter unten S. 112). 70 i Fr. Kopsch, Bei Belone teilen sich in manchen Fällen die vier centralen Zellen des IV. Teilungsvorgangs durch meist horizontal verlaufende Teilungs- ebenen, wodurch der centrale Teil der Keimscheibe zweischichtig wird; an den Randsegmenten aber verlaufen die Teilungsebenen in ganz verschiedenen Richtungen, meridional, äquatorial, schräg. Im ersteren Fall liegen die durch die Teilung gebildeten Paarlinge neben einander und behalten beide die Verbindung mit dem peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts; im zweiten Fall wird das centrale Teilstück in derselben Weise, wie die vier centralen Zellen des vorhergehenden Teilungsvorgangs abgefurcht und damit eine allseitig abgegrenzte Zelle, während das peripherische Stück die Eigenschaften des Randsegments bewahrt. Im dritten Fall endlich bleiben beide Teilstücke mit dem peripheren Protoplasma in Zusammenhang, doch ist die Verbindung des einen Teilstücks breiter als die des anderen. In extremen Fällen behält das eine Teilstück nur eine schmale dünne Verbindung und verliert dieselbe im Laufe der weiteren Teilungen entweder ganz oder sewinnt wieder eine breitere Verbindung. Am lebenden Ei sind diese Vorgänge kaum mehr an allen Blasto- meren gleichzeitig zu verfolgen, einmal wegen der Zahl derselben, zweitens, weil die Vorgänge an den vier centralen Zellen des IV. Tei- lungsvorgangs in den mittleren Schichten der Keimscheibe vor sich gehen, was die Beobachtung ausserordentlich erschwert. Hier tritt dann die Betrachtung des conservierten in Schnittserien zerlegten Materials in den Vordergrund, auf welche diese und die folgenden Angaben beruhen. Die Teilung der Kerne und der Blastomeren verläuft völlig syn- chron, so dass am Ende dieses Teilungsvorgangs 32 Kerne und Blasto- meren vorhanden sind. Von diesen bilden 14, in anderen Keimscheiben 16 den Rand der Keimscheibe; im Durchschnitt 15. Hieraus folgt, dass 1. von den 24 aus der Teilung der zwölf Randsegmente des vorhergehenden Stadiums entstandenen Teilstücken acht bezw. zehn, d. h. '/, bezw. ?/,, an den zelligen Keim abgegeben, „abgefurcht“ sind; 2. dass die zwölf Randsegmente des IV. Teilungs- vorgangs sich in verschiedener Richtung geteilt haben. Die Mehrzahl hat sich zwar durch eine äquatoriale Furche in ein centrales und ein peripherisches Stück geteilt, doch müssen wenigstens vier bezw. zwei Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 7] derselben durch meridionale oder schräg verlaufende Teilungsebenen sich in zwei Randsegmente geteilt haben (vergl. hierzu H. V. Wilson [30, S. 219, 213]). Die Thatsache, dass zweimal 16, einmal 14 Randsegmente gezählt werden, zeigt ausserdem, dass eine Regelmässigkeit der Teilungsrichtung der Randsegmente schon bei diesem Furchungsvorgang nicht mehr besteht. Daraus folgt dann, dass die Furchung des Knochenfischeies vom IV. Teilungsvorgang an keine strenge Mosaikarbeit mehr sein kann — selbst wenn sie es bis dahin gewesen ist —, eine Mosaikarbeit, bei welcher den einzelnen Blastomeren bestimmte Fähigkeiten zugeteilt werden bezw. abhanden kommen, sondern dass benachbarte Blasto- meren derselben Gegend dieselben Fähigkeiten enthalten, sich also Fig. 8. Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 2. 40. Schnitt von 68. à 10 w. Vergr. E gegenseitig ersetzen können. Dabei ist es denn von untergeordneter Bedeutung, ob die einzelnen Teilstücke der Blastomeren diese oder jene Lage zu einander annehmen. Nach Ausschliessung einer strengen Mosaikarbeit, bei welcher jede einzelne Veränderung, wie Teilungs- richtung, Grösse der Teilstücke, Lageänderungen u. a. m. wohl in erster Linie durch Vererbung erklärt werden müssen, sind die einzelnen Vor- gänge mehr einer mechanischen Betrachtung zugängig, welche von manchen Autoren unter Vernachlässigung der Vererbung in zu hohem Maasse zur Erklärung der Entwickelungsvorgänge in Anspruch genommen ist. Würde der Ablauf der Entwickelung nur nach mechanischen Prin- cipien vor sich gehen, so würde es ein Leichtes sein, die mannigfachsten und zugleich bedeutungsvollsten Umänderungen vorzunehmen. Der Zusammenhang der Randsegmente mit dem peripheren Proto- plasma ist schon am Flächenbilde fast überall festzustellen. Die Schnitt- bilder bestätigen dies (Fig. 8). Die Keimscheibe ist, abgesehen von den Randsegmenten, schon 72 Fr. Kopsch, zweischichtig; freilich nicht an allen Stellen, da einzelne Zellen noch durch die ganze Dicke des Keims durchgehen. Ueberhaupt beruht die Zweischichtigkeit in diesem Stadium mehr darauf, dass sich die ein- zelnen Abschnitte benachbarter Zellen über und unter einander schieben, als dass wirklich zwei Zellenlagen über einander liegen. Die dunklere Färbung der Randsegmente tritt nunmehr deutlich hervor. Die Verbindungszone der Randsegmente ist noch sehr breit, wie eine zeichnerische Reconstruction eines Randsegments zeigt (s. Fig. 9). Im Vergleich zu der Verbindungszone der Randsegmente des vorher- gehenden Teilungsvorgangs (s. Fig. 6) ist sie sowohl absolut, was ja zu erwarten ist, wie auch relativ schmaler. Letzteres Verhalten zeigt, dass das ursprüngliche Zurückbleiben der Zell- membranbildung anfängt geringer zu werden. 4 Ausserdem beginnt nunmehr an allen Rand- Fig. 9. segmenten die Loslösung auch von den Seiten, ZeichnerischeRecon- So dass Bilder, wie sie das rechte Randsegment struction einesRand- jin Figur 7e bietet, häufiger werden. segments und seiner (dunkel gehaltenen) Verbindungszone. VI. Teilungsvorgang (Fig. 10—13). Vergr. A Die Keimscheibe wird während der vorher- gehenden Stadien um ein Geringes grösser. Dabei nimmt die Höhe ab und das centrale Protoplasma wird dünner (vergl. Fig. 7, 8, 12, 15). Die Teilung der Blastomeren und der Kerne ist synchron; sie liefert 64 Blastomeren und Kerne. Von diesen 64 Teilstücken sind in zwei Fällen je 19, in einem Fall 21, in einem anderen 25 Randsegmente. Ferner kónnen zur Bestimmung der Durchschnittszahl der Randsegmente auch noch die Randsegmente von C 6 (s. Tabelle S. 60) herangezogen werden, deren Kerne sich im Stadium der Anaphase befinden, deren Protoplasma aber die neue Teilung noch nicht begonnen hat. Hier werden 23 und 25 Randsegmente gezählt. Die Durchschnittszahl beträgt also 22. Da nun beim vorhergehenden Teilungsvorgang 14 bezw. 16 Randsegmente vorhanden sind, so kann die bei der vorliegenden Teilung gebildete Zahl der Randsegmente auch nur dadurch entstanden sein, dass die Teilungsrichtung der einzelnen Randsegmente verschieden ist, wie es Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 73 schon beim vorhergehenden Teilungsstadium aus der Zahl der Teilstücke geschlossen wurde. Der Beweis für die Richtigkeit dieses Schlusses wird durch die Betrachtung der Kernteilungsfiguren der Figur 10 (Ende des VI. Teilungs- vorgangs) geliefert, aus deren Richtung sich die spätere Lage der Teil- stücke ergiebt (die Verlagerungen, welche nach vollendeter Teilung des Fig. 10. 100 US Belone € 4. Vergr. "e An denjenigen Randsegmenten, deren äussere Contour durch eine ausgezogene Linie bezeichnet ist, war der Zusammenhang auf dem peripheren Protoplasma nicht zu sehen. Protoplasmas manchmal eintreten, kónnen dabei ausser acht gelassen werden). In sieben Randsegmenten (1, 3, 8, 9, 11, 12, 15) liegt die Kern- spindel in áquatorialer Richtung, so dass die 14 durch die Teilung ge- bildeten Tochtersegmente den Zusammenhang mit dem peripheren Pro- toplasma behalten werden. In sieben anderen Randsegmenten (4, 5, 6, 7, 18, 14, 16) wird je ein centrales und ein peripherischss Teilstück ent- stehen. In den noch verbleibenden Randsegmenten (2, 10) verläuft die Teilungsebene schräg; in dem einen (2) werden beide Teilstücke den Zu- sammenhang mit dem peripheren Protoplasma behalten, wáhrend bei dem 74 Fr. Kopsch, anderen Segment (10) die Teilungsrichtung so schräg verläuft, dass das central gelegene Teilstück wahrscheinlich den Zusammenhang mit dem peripheren Protoplasma ganz verlieren oder doch nur keilförmig gegen den Keimscheibenrand vorspringen wird wie die Blastomere bei X, welche den Raum zwischen den beiden Randsegmenten acht und neun einnimmt. Nach vollendeter Protoplasmabildung werden also die 16 Randsegmente Belone C 5.. Vergr. d Die punktierten äusseren Contouren der Randsegmente bezeichnen diejenigen Stellen, an denen der Zusammenhang mit dem peripheren Protoplasma festgestellt ist. dieser Keimscheibe nur 24 Randsegmente liefern, wáhrend die anderen . acht Teilstücke (d. h. */,) als Zellen an den zelligen Keim abgegeben, „abgefurcht“ sind. Die gleiche Berechnung an einer anderen Keim- scheibe ergiebt 23 Randsegmente. Hierdurch wird der thatsáchliche Beweis für die beim vorher- gehenden Teilungsvorgang nur erschlossene Verschiedenartigkeit der Teilungsrichtungen in den einzelnen Randsegmenten erbracht. Der centrale Teil der Keimscheibe ist jetzt teilweise zweischichtig durch zwei über einander liegende Zellenlagen, deren einzelne Elemente Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 75 entweder nur an die freie Oberfläche oder an das centrale Protoplasma grenzen, doch giebt es noch einzelne Zellen, welche durch die ganze Dicke des Keims durchgehen (s. Fig. 19). Die centralen Zellen sind, wie das Flächenbild (Fig. 11), an welchem die tiefe Zellenschicht eingetragen ist, und die Schnitte (s. Fig. 12) zeigen, grösser als die in der Nähe der Randsegmente gelegenen Zellen, i und sind auch grösser als die Mehrzahl der Randsegmente. Fig. 12. Der Zusammen- Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 5. hang der letzteren 37. Schnitt von 78. Vergr. ru i mit dem periphe- ren Protoplasma ist am Flächenpräparat noch nicht an allen Segmenten deutlich zu sehen, wie es erklärlich ist nach dem Schnitt (Fig. 12), woselbst in dem linken Randsegment bei Betrachtung des Flächenbildes . von oben her der Zusammenhang infolge des steilen Abfalls der äusseren Oberfläche nicht festgestellt werden konnte, während dies an dem rechten Segment mit Leichtigkeit gelang. Die Verbindungszone der Rand- dem vorhergehenden Teilungsstadium Fig. 18. Zeichnerische Reconstruction der Ver- (vergl. Fig. 9) ab, wie die zeichne- bindungszonen von vier Randsegmen- rische Reconstruction (Fig. 13) eines ten einer Keimscheibe von Belone C3. segmente nimmt im Vergleich zu Randbezirks einer Keimscheibe von Vergr. 100 lC Kerne in Metaphase. Belone C 3 zeigt, deren Kerne sich im Spindelstadium befinden. In der Figur fällt die ungleiche Breite der Verbindungszonen und zugleich eine gewisse Symmetrie derselben an den einzelnen Randsegmenten auf. Dies kommt daher, dass diese Segmente aus der Gegend der zweiten Teilungsebene sind, welche der Grenze der mittleren beiden Segmente entspricht, wo an derselben Stelle ein ähnliches Verhalten auch schon auf dem IV. Teilungsvorgang (s. Fig. 6) vorhanden ist. 76 Fr. Kopsch, Die Kerne der Randsegmente liegen, wie es schon beim IV. Tei- lungsvorgang bemerkt wurde und auch beim V. der Fall ist, näher Von Belone C 7. Vergr. = zum Keimscheibenrande. Auch die Betrachtung der Anaphasen der Figur 10 zeigt, dass die centralen Teilstücke der Randsegmente 6, 7, 13, 14 meist grösser sein werden, als die am Rande verbleibenden peripherischen Teilstücke. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 77 VII. Teilungsvorgang (Fig. 14, 15). Die Teilung der Kerne und der Blastomeren ist völlig synchron. Von den 128 Blastomeren sind 29, 31 (Belone C 7) und zweimal je 28 (Belone C 8), im Durchschnitt also 29 Randsegmente. Bei der Ver- gleichung dieser Durchschnittszahl mit derjenigen des vorhergehenden Teilungsvorgangs, welche 22 ist, ergiebt sich, dass bei diesem VII. Tei- lungsvorgang ungefähr !/, der aus der Furchung der 22 Randsegmente des VI. Teilungsvorgangs hervorgehenden Blastomeren „abgefurcht“ werden und als Zellen die Zahl der Zellen des zelligen Keims ver- mehren. Der Zusammenhang der Randsegmente mit dem peripheren Proto- plasma ist jetzt sehr leicht festzustellen (Fig. 14). Dagegen macht Fig. 15. Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 7. Vergr. 100 89. Schnitt von 153 à 5 y. : sich von jetzt an eine andere Schwierigkeit geltend, insofern als am Flächenpräparat der Zusammenhang einzelner Randsegmente (bei den vier hellen Blastomeren der Fig. 14) mit dem peripheren Protoplasma weder mit Sicherheit festgestellt noch ausgeschlossen werden kann. Die Zahl dieser zweifelhaften Blastomeren wird in den späteren Sta- dien immer grösser. Ob man dieselben als Randsegmente rechnet oder zum zelligen Keim zählt, bedingt keinen Fehler von erheblicher Be- deutung, da durch die Zählungen auf den älteren Stadien die Irrtümer bei den jüngeren Stadien auf ein geringes Maass herabgedrückt werden. Ich habe mich entschlossen, alle zweifelhaften Blastomeren als Rand- segmente zu zählen. Die Schnittbilder (Fig. 15) zeigen, dass der zellige Keim mit Ausnahme der Schicht der Randsegmente aus zwei über einander liegenden Zellenlagen besteht. Die untere Lage enthält grössere Zellen als die obere. An Schnitten ist der Flächeninhalt der centralen Zellen 78 Fr. Kopsch, grösser als derjenige der Randsegmente, an den Flächenbildern ist es gerade umgekehrt, wenngleich auch hier einzelne Randsegmente eine geringere Fläche haben als die centralen Zellen. Das Volumen der centralen Zellen ist jedoch grösser als das der Randsegmente. Die Verbindungszonen der einzelnen Randsegmente sind sehr ver- Fig. 16. Von Belone C 8. Vergr. E schieden breit. Es giebt Segmente, deren ganze Basis zugleich Ver- bindungszone ist, bei anderen beträgt sie nur !/, oder '/, der Basis- breite. Ausserdem hat die Loslósung der Randsegmente von den Seiten her, welche am Flächenpräparat durch die kleinen Thore (s. Fig. 14) an den peripheren Enden der die Segmente trennenden Furchen erkennbar ist, noch weitere Fortschritte gemacht, so dass Bilder, welche zwischen Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 79 Randsegment und Protoplasma des Dottersackentoblasts eine deutliche Zellmembran zeigen, sehr zahlreich sind. Die Verfolgung eines Rand- segments innerhalb der Schnittserie beweist aber jedesmal das Vor- handensein einer mehr oder weniger breiten Verbindungszone. Das centrale Protoplasma des Dottersackentoblasts ist noch dünner wie auf den vorhergehenden Stadien. VIII. Teilungsvorgang (Fig. 16, 17). Die Teilung sämtlicher Kerne und Blastomeren verläuft noch voll- kommen synchron. Unter allen auf Schnitten untersuchten Keimscheiben dieses Stadiums wurde nicht ein Kern gefunden, dessen Stadium nicht genau mit demjenigen der anderen Kerne übereinstimmte. Die Zählung der Kerne einer Schnittserie von Belone C 10 hat bei der ersten Záhlung 259, bei der zweiten 256 ergeben. Die Zahl der Rand- Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 9. segmente beträgt 30, 31 (bei Belone C 9) und 34, 35, 36 sowie zweimal je 32 (bei Belone C 10); im Durchschnitt also 33. Die Entscheidung, ob am Keimscheibenrande liegende Blastomeren mit dem peripheren Protoplasma zusammenhàngen, ist namentlich im Stadium der Anaphase schwierig, leichter dagegen in der Metaphase (s.Fig.18). Dies erklärt sich wahrscheinlich aus den von H. E. Ziegler [35] und Raffaele [55] gebührend gewürdigten Contractions- und Expansions- erscheinungen der Blastomeren auf den einzelnen Phasen der Kern- Vergr. x 60. Schnitt von 128 à 5 u. teilung. Diese Schwierigkeit wird erläutert durch den Schnitt (Fig. 17) dureh eine Keimscheibe vom Ende dieses Teilungsvorgangs, in welehem die am linken Rande liegende Zelle vollstàndig vom Protoplasma des Dottersackentoblasts getrennt ist. Diese Zelle ist, wie die Durchsicht der Schnittserie zeigt, kein Randsegment, wogegen auch die hellere Färbung spricht, sondern ist eine (vielleicht auf dem vorhergehenden oder auf diesem Teilungsstadium) abgefurchte Zelle, welche zwischen 80 Fr. Kopsch, zwei Randsegmenten liegt und mit einem Teil ihrer Oberfläche an der Bildung des Keimscheibenrandes teilnimmt. Der zellige Keim beginnt dreischichtig zu werden. Die Verbindungszone ist an einzelnen Randsegmenten so schmal, dass sie gewissermaassen nur noch durch die peripherische Kante des IN CANIN 7 = GD i N We 2 Fig. 18. Von Belone € 10. Vergr. =e Im Innern der Keimscheibe sind die untersten Zellen eingetragen, die oberen Zellenlagen sind nicht gezeichnet. Segments gebildet wird. Andere Randsegmente haben aber eine breite Verbindungszone, welche oftmals, wie schon beim vorhergehenden Stadium bemerkt wurde, durch die ganze Basis gebildet sein kann. IX. Teilungsvorgang (Fig. 18—21). Die Teilungsphasen sämtlicher Kerne stimmen unter einander nicht mehr vollkommen überein. Der Unterschied zwischen den einzelnen Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 8] Kernen ist jedoch sehr gering und kommt noch nicht wesentlich in Betracht, denn die Ungleichheiten, welche innerhalb der Metaphase am deutliehsten hervortreten, werden bis zum Schluss der Teilung wieder eingeholt. Die Teilungsfiguren in den Randsegmenten stimmen unter Fig. 19. Von Belone C 10. Vergr. TE einander ganz genau überein (s. Fig. 18, 19); in den Zellen des zelligen Keims aber sind einzelne an verschiedenen Stellen liegende Kerne noch in der Vorbereitung zur Teilung, indes die Mehrzahl im Stadium der Aequatorialplatte sich befindet. (Diese Angaben beziehen sich auf eine Serie von Belone C 10, an welcher die beim vorhergehenden Teilungsstadium erwähnte Bestimmung der Kernzahl vorgenommen worden ist.) Internationale Monatsschritt für Anat. u. Phys. XVIII. 6 89 Fr. Kopsch, Die Zahl der Randsegmente beträgt (nach C 11) 45; (nach C 12) 36, 40, 41, 42, 43, im Durchschnitt 41. Es findet also auch bei diesem Teilungsvorgang noch eine beträchtliche Abfurchung statt. Dies ist besonders deutlich in Figur 19, in welcher eine Menge von neben einander liegenden Randsegmenten je ein centrales und ein peripheri- sches Teilstück liefern. Die Teilungsrichtung der Randsegmente ist ganz verschieden, nur bei einzelnen Keim- scheiben teilen sich eine Anzahl neben ein- ander gelegener Rand- d Fig. 20. 2 segmente in derselben Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 10. Richtung entweder Vergr. i 76. Schnitt von 148 à 5 u. meridional oder äqua- torial (s. Fig. 19). Der Keim wird durch diesen (IX.) Teilungsvorgang vierschichtig (s. Fig. 21). Der Grössenunterschied zwischen den oberflächlichen und den tiefen Zellen, welcher schon im III. Teilungsvorgang be- merkt wurde, tritt noch deutlicher in die Erscheinung. Die Verkleine- rung der Verbind- ungszone der Rand- segmente hat keine weiteren Fort- Querschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 11. schritte gemacht, Vergr. =. 73. Schnitt von 145 a 5 u. vielmehr sind die- jenigen Randseg- mente, deren gesamte Basis zugleich Verbindungszone ist, in der Mehrzahl. Somit bildet dieser (IX.) Teilungsvorgang einen Wendepunkt in der Entwickelung der Verbindungszonen. Während vom I.—VIII. Teilungsvorgang die Breite der Sure dungszone sowohl absolut wie im Verhàltnis zur Breite der Randsegment- basis abnimmt, tritt nunmehr ein Stillstand dieses Vorgangs ein. Die Verbindungszone wird sogar in der Mehrzahl der Randsegmente von Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 83 der ganzen Basis gebildet (s. Fig. 20, rechts), ja, es kommen sogar Fälle vor (Fig. 21, rechts), in denen das Randsegment nur noch eine Verdickung des Protoplasmas des Dottersackentoblasts darstellt. Es findet also schon in einzelnen Randsegmenten eine der früheren Los- Von Belone C 12. Vergr. en lösungstendenz entgegengesetzte breitere Verbindung des Protoplasmas der Randsegmente mit dem peripheren bezw. centralen Protoplasma des Dottersackentoblasts statt. X. Teilungsvorgang (Fig. 22—25). Mit diesem Teilungsvorgang beginnt ein besonderer Abschnitt der Keimesentwickelung, insofern als die Abfurchung von den Randseg- 6* 84 Fr. Kopsch, menten (der Hauptsache nach) aufhört und die Bildung des Dottersack- entoblasts anfängt. Ganz besonders auffällig ist ferner, dass in diesem Zeitpunkt die Deckschicht entsteht. Die bei dieser (X.) Teilung in den Randsegmenten entstehenden Von Belone C 13. Vergr. E Territorien, Plasmochoren von His [59], bilden keine vollständigen Zell- membranen mehr aus (Fig. 23). Zwar versuchen die centralen Stücke noch sich abzufurchen; bevor aber die Membranbildung beendet ist, beginnt schon eine neue Kernteilung und die eben entstandenen Mem- branen bilden sich zurück. Die einzelnen Plasmochoren sind von einander durch helle Zwischen- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 85 strassen, Diasteme, getrennt, durch welche von Plasmochor zu Plasmochor die Strahlen hindurchtreten. Die unterbliebene Abfurchung findet ihren zahlenmässigen Aus- druck in der plötzlichen Zunahme der Kernzahl im Protoplasma der Randsegmente. Die Kerne der letzteren sollen von jetzt an Dotter- kerne genannt werden. Ihre Zahl beträgt 72, 74, 76 (bei Belone C 13), Durchschnitt durch eine Keimscheibe von Belone € 12. Vergr. 200; 87. Schnitt von 155 a 5 u. 76 (bei Belone C 14); im Durchschnitt also 74. Die Zahl der an der Peripherie des zelligen Keims liegenden Zellen beträgt im Durchschnitt annähernd 51. | Die Randsegmente des vorhergehenden (IX.) Teilungsstadiums sind am Flächenpräparat im Verlauf und nach Beendigung der Kernteilung dieses (X.) Teilungsvorgangs an dem Contour ihrer central gerichteten Fig. 95. Durchschnitt durch eme Keimscheibe von Belone C 13. Vergr. aM 44. Schnitt von 98 à 10 p. i Flàchen sowie an den Resten der die benachbarten Segmente trennenden Membranen noch zu erkennen. .Der Contour an der centralen Seite entspricht dem steilen Abfall des Randsegments nach dem Keim zu (s. Fig. 24 u. 25). Spáter wird diese Grenzlinie immer undeutlicher, weil das Protopläsma des Randsegments im Dottersackentoblast aufgeht. Die Teilungsphasen der Kerne der Randsegmente stimmen unter einander genau und mit der Mehrzahl der Kerne im zelligen Keim überein. In letzterem sind die beim vorhergehenden Teilungsvorgang 86 Fr. Kopsch, festgestellten Ungleichheiten, welche im Zwrückbleiben einzelner Kerne bestehen, noch deutlicher geworden (Fig. 24), doch holen bis zum Ende dieser Teilung die zurückgebliebenen Kerne die anderen wieder ein, so dass alsdann im ganzen Keim und im Dottersackentoblast nur ruhende Kerne vorhanden sind. Am zelligen Keim schliesst sich die oberste, aus den kleinsten Zellen des Keims bestehende Lage als Deckschicht zusammen. Die Zellen derselben gewinnen einen festeren Zusammenhalt sowohl unter einander, wie auch mit der inneren oberen Kante der Randsegmente (Fig. 25), welche scharf vorspringt. Die Höhe der Randsegmente nimmt ab, wobei der in der Nähe befindliche Teil des centralen Protoplasmas an Dicke zunimmt (Fig. 25, rechts). Beide Erscheinungen stehen augenscheinlich in einem ursäch- lichen Zusammenhang, welchen man so ausdrücken kann, dass das im Randsegment des IDE Teilungsstadiums vorhandene Protoplasma zur Verstärkung des angrenzenden centralen und peripheren Protoplasmas des Dottersackentoblasts beiträgt, indem das im Randsegment hügel- artig angehäufte Protoplasma gewissermaassen wie eine Welle verflacht. Gegen Ende der Teilung nimmt in jeder Plasmochore des Dotter- sackentoblasts das Protoplasma die Gestalt eines flachen Hügels an, dessen Kuppe über das Niveau des Dottersackentoblasts emporragt (Fig. 25). Der quere Durchmesser des zelligen Keims erreicht auf diesem Stadium die grösste Höhe. D. Entstehung des Dottersaekentoblasts naeh Beobachtungen am lebenden Ei (Fig. 26). Hier unterbreche ich die Schilderung der Beobachtungen am con- servierten Material und beschreibe zunächst die Entstehung des Dotter- sackentoblasts nach Beobachtungen am lebenden Material. Dreimal hatte ich Gelegenheit (Belone A, D, C), diesen Vorgang an lebenden Eiern zu verfolgen. Die vollständigste und klarste Reihe wurde bei Belone A erreicht, welche der folgenden Schilderung zu Grunde liegt. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 87 Die Bildung des Dottersackentoblasts erfolgt bei Belone nicht in der fast mathematisch regelmässigen Weise, wie (nach H. E. Ziegler) -bei Labrax. Dadurch wird die Beobachtung erheblich erschwert und Veranlassung zu irrtümlichen Deutungen gegeben. Wir haben schon vorher gesehen, dass die Teilungsrichtungen der einzelnen Randsegmente ganz verschieden sind. Freilich kommen an manchen Keimscheiben Strecken vor, in denen die Teilungsebenen einer grösseren oder geringeren Anzahl neben einander gelegener Rand- segmente gleich gerichtet sind (s. Fig. 19), doch hält diese Regelmässig- keit nicht während einer Anzahl auf einander folgender Teilungen an. Bei Belone A hatte ich zufällig — denn ich wusste von diesen Thatsachen noch nichts — eine solche regelmässige Stelle gewählt und war trotzdem über eine gewisse Unregelmässigkeit im weiteren Verlauf erstaunt, welche ich mir bis zur Durcharbeitung des conser- vierten Materials nur durch die Art der Behandlung bedingt vor- stellen konnte. Von den ca. 40 Skizzen, welche ich von der beobachteten Rand- stelle angefertigt habe, gebe ich hier nur die notwendigsten. Bei der Beobachtung kann man nicht Skizzen genug anfertigen, da die Gestalt- änderungen der Zellen bezw. der Randsegmente während der einzelnen Phasen der Kern- und Zellteilung so erheblich sein können, dass bei einer geringen Anzahl von Skizzen die Beziehung der einzelnen Ele- mente bezw. ihrer Abkömmlinge auf einander nicht mit Sicherheit gelingt. Drei Randsegmente I, IL, III und die an dieselben grenzenden Zellen der Keimscheibe werden beobachtet (Fig. 26.4 11° 43) Es ist die Zeit des IX. Teilungsvorgangs. Die Zellen des zelligen Keims haben sich schon geteilt; innerhalb der Randsegmente I und II, sowie etwas spáter auch in III treten helle, meridional verlaufende Streifen auf, die Diasteme von His. 12^ 19 sind die Kerne der Zellen und der Randsegmente als kleine helle Bläschen von blassroter Farbe!) zu erkennen, die Diasteme sind breiter geworden und der centrale Contour 7) Dieser rote Ton ist eine optische Erscheinung, wie sie z. B. die Lócher innerhalb der elastischen Membranen am ungefärbten Präparat bei Betrachtung mit gewöhnlichen Objectiven zeigen. WIM WNL nct z S Fig. 26. Skizzen derselben Randstelle einer lebenden Keimscheibe von Belone 4. — A um 11h 43; B um 12h 12; C um 12h23; D um 1h; Z um 1515; F um 1h 52; ( um 2h 4; H um 2h 23; J um 2h 31; X um 2h 45; Z um 3h 34; M um 3h 46; 120 N um 4h 19; 0 um 5h; P um 6h 7. Vergr. ca. Ae Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 89 der Randsegmente ist den Diastemen entsprechend winkelig eingeknickt (Fig. 26 B). Von dieser Einbiegungsstelle beginnt eine Grenzmembran sich zu bilden. Von den Randzellen der Keimscheibe lenken zwei (x u. y Fig. 26 B) den Blick dadurch auf sich, dass sie einen dünnen, peripher verlaufenden Fortsatz besitzen, welcher aus stärker gekörntem Protoplasma besteht. 19h 23 beginnt der X. Teilungsvorgang, bei welchem, wie wir wissen, die Bildung des Dottersackentoblasts stattfindet. Während die Zellkerne nicht mehr sichtbar sind, werden die Grenzen zwischen den durch die vorhergegangene Teilung an den Segmenten I, II, III ent- standenen Segmente a, a, B, B, c, C fortdauernd deutlicher, indem die sie trennenden Zwischenräume breiter und die Grenzmembranen länger werden. Mit dem Protoplasma, welches in den Zwischenräumen zwischen b und 8, c und & liegt, hängen die Fortsátze der Zellen X und Y zusammen (s. Fig. 26 C). 12544 beginnt an den Zellen des zelligen Keims die Protoplasma- teilung. Sie ist schon völlig beendet zu der Zeit, in welcher in den Segmenten a, b, B, c die Diasteme auftreten. (Die Segmente « und È werden nicht weiter beobachtet. In a, 5, 8 verlaufen die Diasteme áquatorial in c dagegen schräg. Die Zwischenräume zwischen den Segmenten a und b, b und ß, er- halten eine eigenartige Form (s. Fig. 26 D) dadurch, dass den Diastemen entsprechend der Contour sich einknickt. Zugleich werden die Zwischen- räume breiter, ganz besonders derjenige zwischen b und f, mit welchem der Fortsatz der Blastomere X zusammenhängt. 1515 sind in den Rand- segmenten je zwei bläschenförmige Kerne sichtbar (Fig. 26 E). In den Segmenten a, b, 8 liegt der eine central, der andere peripher, im Segment c liegen beide neben einander. Während also an einer Stelle des Dottersackentoblasts zwei concentrische Lagen von Kernen vor- handen sind, ist daneben erst eine einschichtige Lage vorhanden. Die- selbe Thatsache ist auch am conservierten Material beobachtet (vergl. dazu Fig. 23). Am centralen Stück der Segmente a, b, 9 schreitet die Zellmembranbildung noch etwas weiter vor, trennt aber dieses Stück nicht von dem peripher gelegenen ab, vielmehr tritt mit dem Beginn des XI. Teilungsvorgangs eine Rückbildung der zuletzt gebildeten Zell- 90 Fr. Kopsch, membranen ein (Fig. 26 F), so dass wieder ein Bild ähnlich demjenigen bei Figur 26 D entsteht. Die peripheren Stücke der Segmente a, b, B erscheinen am frischen Präparat von leicht gelblicher Farbe, sie ragen hügelförmig empor, besitzen jedoch keine seitlichen Zellmembranen. 2h 4 ist die Protoplasmateilung der Zellen des zelligen Keims be- endigt. Die Blastomere X giebt ihr centrales Teilstück an den zelligen Keim ab, das periphere Stück wird dadurch kleiner und liegt nunmehr beinahe vollständig zwischen den Segmenten 5 und %. Zugleich bilden die Membranen zwischen den Randsegmenten sich mehr und mehr zurück, so dass zur Zeit, in welcher die Kerne des Dottersackento- blasts wieder sichtbar werden (Fig. 26 77), das periphere Stück der Blastomere X sich nach Lage und Aussehen verhält wie die centralen Abschnitte der benachbarten Segmente. In dem Gebiete der früheren Segmente a, b, 9 werden drei Kerne, im Gebiet von c zwei Kerne gezählt. Letzteres entspricht den Er- wartungen, da an dieser Stelle beim vorigen Teilungsvorgang nur eine Kernreihe vorhanden ist (vergl. Fig. 26 E). Dagegen ist es nur schwer verständlich, warum in a, b, B nicht vier Kerne beobachtet werden. Angesichts der regelmässigen Teilungen, welche am conservierten Ma- terial der entsprechenden Stadien vorhanden sind, bin ich geneigt an- zunehmen, dass mir hier Kerne entgangen sind, doch ist es anderer- seits nicht ausgeschlossen, dass die am meisten peripher gelegenen Kerne sich nicht geteilt haben, denn die zu ihnen gehörigen Territorien sind in ähnlicher Lage und Grösse wie beim vorhergehenden Teilungs- vorgang wieder aufgetreten und dasselbe ist auch beim folgenden Teilungs- vorgang der Fall. Vielleicht steht dies in einem ursächlichen Ver- hältnis zu dem Aussehen dieser Territorien. In der Weise wie bei Belone A habe ich sie weder bei Belone B noch bei Belone C ge- funden. Bei letzterer nur in einer Keimscheibe in grösserer Zahl; sie bildeten hier auch die äusserste Lage. In anderen Keimscheiben von Belone C fand sich hier und da ein einzelnes Territorium, welches den hier besprochenen dem Aussehen und der Lage nach entspricht (Fig. 23 unten und rechts je eins). Welche von diesen Möglichkeiten den Thatsachen entspricht, kann ich hier mit Bestimmtheit nicht entscheiden. Jedenfalls kann aber, Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 9] das muss besonders betont werden, aus dem Vorhandensein von drei Kernreihen im Dottersackentoblast nicht geschlossen werden, dass sie geliefert werden durch eine Teilung der Kerne der Randsegmente und eine Verschmelzung von benachbarten Zellen des zelligen Keims. Eine solche Entstehung ist nach der vorliegenden Beobachtungsreihe voll- ständig ausgeschlossen. Während des Ruhestadiums der Kerne (Fig. 26 Z und K) werden die noch vorhandenen Reste der Membranen, welche die centralen Abschnitte der früheren Randsegmente von einander trennen, vollständig zurück- gebildet. An ihrer Stelle erscheint das Protoplasma gröber gekörnt (Fig. 26 X). Später verschwindet auch diese Körnung an den meisten Stellen. An einigen Stellen aber bleibt sie bestehen (Fig. 26 L) und erfährt im Laufe der weiteren Entwickelung Umwandlungen nach Lage und Grösse (s. Fig. 26 L—P). Diese stärker gekórnten Stellen sind wertvolle Orientierungsmarken. Bei den folgenden Teilungen XII (Fig. 26 L) und XIII (Fig. 26 P) teilen sich die Kerne des Dottersackentoblasts mit Ausnahme der äussersten Lage synchron weiter. Gleichzeitig treten an der Grenze der früheren Segmente gegen den zelligen Kern Umwandlungen auf, deren Ergebnis eine mehr gestreckte Richtung dieser Grenzen ist (Fig. 26 P). Es dauert jedoch noch làngere Zeit, bis eine ganz glatte Grenzlinie zwischen zelligem Keim und Dottersackentoblast gebildet ist. E. Beschreibung des XI.— XIII. Teilungsvorgangs (naeh conserviertem Material). Wir nehmen die unterbrochene Schilderung der Befunde am con- servierten Material wieder auf. Dieselben bestätigen und erweitern die am lebenden Ei erhobenen Befunde. XI. Teilungsvorgang (Fig. 27—29). Die Teilung der Kerne des zelligem Keims zeigt noch grössere Unterschiede wie im X. Teilungsstadium. In derselben Keimscheibe finden sich neben Zellkernen, deren geringe Grösse anzeigt, dass die Teilung schon vor einiger Zeit abgelaufen ist, was auch an dem Aus- 99 Fr. Kopsch, sehen der Zellplatte erkannt wird, noch nicht völlig getrennte Tochter- zellen. In anderen Zellen beginnt eben die Anaphase, in anderen ist erst die Metaphase vorhanden. Kurz, es finden sich alle Zwischen- stadien von der Metaphase bis zur vollendeten Zellteilung (Fig. 99). Von Belone C 14. Vergr. = Regionäre Anordnung der verschiedenen Teilungsstadien ist nicht vorhanden, dieselben finden sich regellos in der Keimscheibe zerstreut. Die Teilung der Dotterkerne verläuft dagegen noch annähernd gleichzeitig (Fig. 27). Einzelne Kerne (Fig. 28) sind um ein Weniges hinter der Mehrzahl zurück, doch liegen solche zurückgebliebenen Mi- tosen fast immer in der Nähe des zelligen Keims, und gehören viel- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 93 leicht zu den Zellen desselben, da es an der peripheren Grenze des . zelligen Keims immer schwieriger wird, zu entscheiden, welche Kerne noch zum zelligen Keim gehören. Dm ZA PR IN | oe Fig. 28. Von Belone € 15. Vergy. E Die Zahl der durch diesen Teilungsvorgang entstehenden Dotter- kerne beträgt 131 (bei Belone C 15); 131, 132, 137 (bei Belone C 17); 151 (bei Belone C 18); 161 (bei Belone C 19); im Durchschnitt 140. Die Zahl der an den Dottersackentoblast grenzenden Zellen des 94 Fr. Kopsch, zeligen Keims beträgt ungefähr 74 (bei Belone C 15); 71, 69, 67 (bei Belone C 17); 73 (bei Belone C 18); 82 (bei Belone C 19); im Durch- schnitt 72. Die Bestimmung der Zahl dieser Zellen, bei welcher eher weniger wie mehr gezählt wurden, wird von Wichtigkeit sein bei der Kritik der Angaben von Sobotta über die Bildung des Dottersack- entoblasts. Die Zahl der Dotterkerne (140 Stück) ist geringer, als man nach der beim vorhergehenden Teilungsstadium festgestellten Durchschnitts- zahl der Dotterkerne (73 Stück) erwarten sollte. Zur Erklärung dieser Erscheinung liegen drei Möglichkeiten vor: entweder sind beim vorhergehenden Stadium zu viel Dotterkerne ge- 100 Durchschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 15. Vergr. NES 80. Schnitt von 175 à 5 u. zàhlt worden, was übrigens auch bei diesem Stadium der Fall sein kann, oder es hat noch eine geringe Abfurchung stattgefunden , was nach den Befunden am lebenden Ei ganz gut möglich ist, oder beides zusammen kann vorliegen, d. h. es können im X. Teilungsvorgang etliche Kerne zu viel gezählt sein und es kann ausserdem noch Abfurchung stattgefunden haben. Eine sichere Entscheidung zwischen diesen drei Möglichkeiten zu treffen, ist mir zur Zeit nicht möglich. Die seitlichen Grenzen, welche die Randsegmente des IX. Teilungs- vorgangs von einander trennten, und welche schon im X. Teilungs- stadium (Fig. 22, 23) etwas verschwanden, gehen bei diesem (XL) Teilungsvorgang beinahe vollständig verloren. Die Grenzen der Rand- segmente des IX. Teilungsstadiums können am Flächenpräparat an manchen Stellen des Keimscheibenrandes noch an seitlichen Einkerbungen erkannt werden, an anderen Stellen sind auch diese geringen Reste der ehemaligen Randsegmentgrenzen nicht mehr zu erkennen. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 95 Auch die centralen Grenzen der ehemaligen Randsegmente des IX. Teilungsvorgangs sind stellenweise am Flàchenpráparate nicht mehr zu erkennen, weil das Protoplasma des ehemaligen Randsegments im Dottersackentoblast aufgegangen, gleichsam auseinander geflossen ist. An anderen Stellen des Randes aber sind sie noch deutlich zu erkennen. Die Schnittbilder (s. Fig. 29) erläutern diese Zustände. Ein steiler Abfall der central gerichteten Fläche des Dottersackentoblasts, wie er rechts vorhanden ist, wird am Flächenpräparat der Keimscheibe als Schwelle unter dem Bilde einer scharfen Grenze erscheinen, während bei einem Verhalten des Dottersackentoblasts, wie es in Figur 29 links vorhanden ist, eine solche Grenze nicht zu sehen sein wird. Besonders auffällig ist an den Schnitten durch Keimscheiben vom Ende dieses Teilungsvorgangs die plötzlich eingetretene hügelartige Gestalt der Keimscheibe (vergl. Fig. 29 mit Fig. 25). Dieselbe ist der Ausdruck einer Concentration der Zellenmasse, welche sich am Flächenpräparat durch eine geringe Verkleinerung des Keimscheiben- durchmessers ausspricht. | Die Deckschicht hebt sich noch schärfer ab, wie im X. Teilungs- stadium. XII. Teilungsvorgang (Fig. 30—32). Die Synchronie zwischen den Teilungen der Dotterkerne und der Kerne des zelligen Keims ist vollständig verschwunden; und zwar bleiben die Teilungen des zelligen Keims hinter den Kernteilungen der Dotterkerne zurück. Während die letzteren sich meist in der Ana- phase befinden, sind im zelligen Keim meist Prophasen und Spindeln vorhanden (Fig. 31, 32). Allerdings finden sich hier auch eine Anzahl abgelaufener Teilungen. Auch bei den Dotterkernen hört die Synchronie mehr und mehr auf. Dies macht sich, ebenso wie früher am zelligen Keim, zuerst an den Pro- und Metaphasen bemerkbar (s. Fig. 30). In der Anaphase holt die grosse Mehrzahl der zurückgebliebenen Kerne die anderen wieder ein (Fig. 31). Ausserdem kommen an den Dotterkernen die ersten multipolaren Mitosen zur Beobachtung (in Fig. 31 durch Pfeile bezeichnet) Dieselben sind hier besonders wertvoll, da die bekannten Vorgänge auf den 96 Fr. Kopsch, früheren Teilungsstadien eine sichere Basis für die Beurteilung ihrer Entstehung abgeben. Die Zahl der Dotterkerne beträgt 203, 265 (bei Belone C 19); Fig. 30. Von Belone C 17. Vergr. 208, 232 (bei Belone C 20); 205, 215 (bei Belone C 22); im Durch- schnitt 221. Nach der Durchschnittszahl der Dotterkerne des vorhergehenden Stadiums wären 280 zu erwarten, hinter welcher auch die höchste Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 97 gefundene Zahl bedeutend zurückbleibt. Daraus darf wohl, unter Be- rücksichtigung der Thatsache, dass an den untersuchten Keimscheiben Fig. 31. Die Pfeile bezeichnen zwei multipolare Mitosen. Von Belone € 19. Vergr. = Abfurchungserscheinungen nur in äusserst geringem Maasse vorkommen, geschlossen werden, dass die Durchschnittszahl von 140 Dotterkernen fir das vorhergehende Teilungsstadium zu gross ist. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 7 98 Fr. Kopsch, Die Zahl der an den Dottersackentoblast grenzenden Zellen des zelligen Keims beträgt 82, 82 (bei Belone C 19); 84, 88 (bei Belone C 20); 92, 85 (bei Belone C 22); im Durchschnitt 85. XIII. Teilungsvorgang (Fig. 33, 34). Mit diesem Teilungsvorgang schliesst meine Beobachtungsreihe, da, wie schon gesagt, das mir zur Verfügung stehende Material voll- ständig aufgearbeitet war. Ich besitze von diesem Teilungsvorgang auch nur den Anfang, in welchem die Dotterkerne sich im Stadium der Pro- und Metaphase befinden, während die Kerne des zelligen Keims (s. Fig. 33) alle möglichen Stadien zeigen. Im Schnittbild (Fig. 34) durch eine andere : : : : 1 Durchschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 18. Vergr. 198 104. Schnitt von 181 à 5 u. gleichalterige Keimscheibe sind die Zellkerne des zelligen Keims fast sämtlich im Ruhestadium. Die verschiedene Grösse derselben und der verschiedene Zustand des Chromatingerüstes zeigt jedoch, dass eine Anzahl schon wieder dicht vor der neuen Teilung stehen, während andere soeben die Teilung beendet haben. Dieser Befund lehrt dreierlei: Erstens, dass die Variation in der Entwickelung der einzelnen Eier sich geltend zu machen beginnt, denn die Keimscheibe, von welcher Figur 34 stammt, ist der in Figur 33 abgebildeten in der Entwickelung etwas voraus, obwohl beide unter denselben Bedingungen gezüchtet sind. Zweitens zeigt sich, dass trotz des starken Zurück- bleibens einer Anzahl von Kernen des zelligen Keims am Ende der Anaphase die zurückgebliebenen Kerne die anderen einholen. Drittens, dass die Teilungen der Kerne des Dottersackentoblasts den Kernen des zelligen Keims um eine halbe Teilung voraus sind. Die Zahl der Dotterkerne beträgt 205, 215 (bei Belone C 22). Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 99 V. Zusammenfassung der Ergebnisse. Die Furchung von Belone acus kann in zwei grosse Abschnitte geschieden werden: der erste ist derjenige der synchronen Teilungen, Von Belone C 22. Verer. n welcher von dem I.—X. Teilungsvorgang (einschliesslich) dauert, der zweite umfasst die folgende Zeit vom Ende des X. Teilungsvor- gangs an. TES 100 Fr. Kopsch, In der vorhergegangenen Beschreibung sind vom ersten Abschnitt der L—II. Teilungsvorgang bei Belone nicht dargestellt. Vom zweiten Abschnitt sind nur die drei ersten Teilungsvorgänge (XI—XHI) beschrieben worden, deren gegenseitige Abgrenzung durch die noch annähernd synchronen Teilungen der Dotterkerne bestimmt wurde. Die Synchronie der Teilungen im zelligen Keim hórt mit dem X. Teilungsvorgang auf und kann nicht mehr zur Stadienbestimmung benutzt werden; da aber die Dotterkerne sich noch einige Zeit hindurch im wesentlichen synchron teilen, so kónnen diese alsdann zur Stadien- bestimmung benutzt werden. Der erste Abschnitt umfasst drei besondere Phasen, welche nicht scharf gegen einander abgegrenzt sind, sondern ineinander greifen: Fig. 34. 1 Durchschnitt durch eine Keimscheibe von Belone C 22. Vergr. = 68. Schnitt. von 151 à 5 u. — Die rechte Seite des Schnittes ist abgebrochen. 1. Die Zeit der regelmässigen Teilungsrichtungen; vom I.—IV. Tei- lungsvorgang (einschliesslich). 2. Die Zeit der Abfurchung vom IV. (einschliesslich) bis IX. (ein- schliesslich) Teilungsvorgang (in äusserst geringem Maasse findet die Abfurchung noch bis zum XIII. Teilungsvorgang und viel- leicht auch noch darüber hinaus statt). 3. Die Entstehung des Dottersackentoblasts und der Deckschicht im X. Teilungsvorgang. In den folgenden Zeilen soll in kurzen Zügen eine gedrängte Ueber- sicht über die oben im einzelnen geschilderten Vorgänge während der ersten 13 Teilungsstadien gegeben werden: Der I. und II. Teilungsvorgang ist bei Belone acus nicht beob- achtet worden. Sie verlaufen nach den Befunden am III. und IV. Teilungsvorgang wohl in derselben Weise, wie sie bei anderen Knochen- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 101 fischen von der Mehrzahl der Autoren übereinstimmend beschrieben worden sind. | Die erste Furche würde darnach meridional verlaufen und den Keim quer zur Làngsaxe schneiden. Die zweite Furche würde eben- falls meridional, und zwar senkrecht zur ersten Teilungsebene verlaufen. Die zwei Furchen des III. Teilungsvorgangs sind parallel zur ersten Teilungsebene, die beiden Furchen des IV. Teilungsvorgangs parallel zur zweiten Teilungsebene. Die acht Blastomeren des III. Teilungsvorgangs liegen zu je vier in zwei Längsreihen neben einander; die 16 Blastomeren des IV. Tei- lungsvorgangs zeigen in der Regel eine schachbrettartige Anordnung. Variationen sind bis hierher selten und wohl als Abnormitäten zu deuten. Keine der in dieser Zeit gebildeten Furchen durchschneidet die gesamte Dicke der Keimscheibe, eine dünne basale Schicht bleibt als zusammenhängende Lage zwischen dem Dotter und den unteren Enden der Furchen übrig. Sie ist das centrale Protoplasma des Dottersack- entoblasts. Sämtliche Blastomeren der drei ersten Teilungsvorgänge bilden ein Syncytium; sie hängen sowohl unter einander und mit dem centralen Protoplasma des Dottersackentoblasts, wie mit dem peripher von der Keimscheibe gelegenen peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts zusammen. Erst beim IV. Teilungsvorgang werden vier centrale Zellen von den zwölf im syncytischen Zustand verbleibenden Randsegmenten ge- sondert. Damit beginnt zugleich die Abfwrchwng, das ist die bei den fol- senden Teilungsvorgängen bis einschliesslich zum IX. in beträchtlichem Maasse stattfindende Abgabe von Zellen an den zelligen Keim seitens der bis zum X. Teilungsvorgang im syncytischen Zustande verbleibenden Randsegmente. | Die Zahl der letzteren beträgt beim IV. Teilungsvorgang zwölt, also dreimal so viel als die Zahl der Zellen des zelligen Keims; sie nimmt bis zum IX. Teilungsvorgang nur langsam bis auf 41 zu. Ihr Verhältnis zu den Zellen des zelligen Keims aber geht bis auf ungefähr lg zurück. 102 Fr. Kopsch, Abfurchungs-Tabelle. i Gesamtzahl Zellen Ab- Vereine Per Band; Vorgang | der Blasto- | ment | deszelligen | gefurchte zahl der Hlastonoren 1 9 2 zi ih ii IT. 4 4 — — — III. 8 8 — — — I. 16 12 4 4 a), (12:16) eh ee 17 9 1}, (15:32) VL 64 29 42 8 il, (22:64) VIL. 128 29 99 15 1], (29: 128) Vir. 256 $e Wt s 25 1}, (38:256) IX. 512 41 471 25 1}, (41 : 512) Vom V. Teilungsvorgang hört die Regelmässigkeit und Ueber- einstimmung der Teilungsebenen nach Lage und Richtung auf. Dagegen teilen sich bis zum Ende des X. Teilungsvorgangs ein- schliesslich sämtliche Kerne und Blastomeren synchron, wenn auch schon im IX. Teilungsvorgang geringe Ungleichheiten der Kernteilung vorhanden sind. Der quere Durchmesser der Keimscheibe nimmt bis zum IX. Tei- lungsvorgang allmählich zu, vom X. an tritt im Zusammenhang mit einer erheblichen Zunahme des senkrechten Durchmessers eine Ver- kürzung des queren Durchmessers ein. Im V. Teilungsvorgang wird der Keim zweischichtig, im VIII. drei- schichtig, im IX. vierschichtig. Die Randsegmente vermitteln durch das Protoplasma ihrer Grund- fläche, die Verbindungszone, den Zusammenhang zwischen centralem und peripherem Protoplasma des Dottersackentoblasts. Die Verbin- dungszone ist auf den ersten Teilungsvorgängen sowohl absolut wie im Verhältnis zum Durchmesser des Randsegments am breitesten. Die absolute Breite nimmt bis zum VIII. Teilungsvorgang immer mehr ab. Auf dem IX. Teilungsvorgang hört dies auf, die Verbindungszone wird meist durch die gesamte Grundfläche des Randsegments gebildet. Mit dem X. Teilungsvorgang beginnt die Bildung des Dottersack- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 103 entoblasts dadurch, dass die beiden durch diese Teilung gebildeten Kerne der Randsegmente in letzteren bleiben. Dadurch findet denn auch die Abgabe von Zellen an den zelligen Keim im wesentlichen ihr Ende. Sie findet zwar vereinzelt noch hier und dort statt, tritt jedoch gegenüber der Abfurchung auf den vorhergehenden Stadien völlig zurück und hat als typischer Vorgang keine Bedeutung mehr, sondern ist wohl nur als Variation anzusehen. Der Dottersackentoblast entsteht demnach als directe Folge der Furchung. Er setzt sich zusammen aus drei Quellen: 1. aus dem centralen, 2. aus dem peripheren Protoplasma, 5. aus dem Proto- plasma und den Kernen der Randsegmente des X. Teilungsvorgangs. Die Kerne des Dottersackentoblasts, die Dotterkerne, bewahren die Gleichzeitigkeit der Teilungen länger als die Zellen des zelligen Keims. Während die Synchronie der letzteren schon am Ende des XI. Teilungsvorgangs nicht mehr vorhanden ist, zeigen die Dotterkerne in ihrer überwiegenden Zahl noch gleichzeitige Teilungen bis zum XII. Teilungsvorgang und wahrscheinlich noch um etliche Teilungen weiter, da die am Anfang des letzteren Teilungsvorgangs vorhandene Ungleichheit so gering ist, wie an den Kernen des zelligen Keims beim VIII. Teilungsvorgang. Gegenüber den Kernteilungen der Dotterkerne bleiben die Tei- lungen der Zellen des zelligen Keims zurück. Ganz besonders hervorgehoben zu werden verdient die Gleich- zeitigkeit folgender beider Vorgänge: 1. der Entstehung des Dotter- sackentoblasts, 2. der Deckschicht. Das Höherwerden des zelligen Keims und die damit verbundene Verkürzung des queren Durchmessers tritt erst auf dem XI. Teilungs- vorgang ein. Die Zahl der Dotterkerne beträgt am Ende des X. Teilungs- vorgangs im Durchschnitt 73, am Ende des XI. 140, am Ende des XII. und bis zur Mitte des XIII. 221. Die Zahl der Randzellen des zelligen Keims beträgt im X. Tei- lungsstadium ungefähr 51, im XI. 72, im XII. 85. 104 Fr. Kopsch, \ VI. Vergleichung der Untersuchungsergebnisse mit den Befunden anderer Autoren an Belone. Frühe Entwickelungsstadien von Belone sind untersucht worden von Kupffer [6], Ryder [14], Wenckebach [24], Sobotta [24] und Raffaele [55]. Kupffer [6, S. 212] hat an Eiern von Belone vulgaris nur die erste und zweite Furche, welche erst nach 18 Stunden auftraten, beobachtet. Ryder [14] giebt von Belone longirostris Zeichnungen von Stadien mit 8 und 16 Blastomeren, sowie eine Keimscheibe, deren Entwicke- lungsgrad ungefähr dem XIL—XII Teilungsstadium entspricht. Das Stadium von acht Blastomeren (Taf. XIX. Fig. 1) ist in Seitenansicht dargestellt und bietet nichts Erwähnenswertes; das Stadium von 16 Bla- stomeren (Taf. XIX. Fig. 2) zeigt das typische Bild. Bei der älteren Keimscheibe (Taf. XIX. Fig. 3) hat Ryder die hügelartig emporragenden und von einander durch die Diasteme abgegrenzten Territorien des Dottersackentoblasts gesehen und als Zellen bezeichnet. Ueber die Art ihrer Entstehung kann er nichts aussagen, betont aber, dass sie vom Rande des eigentlichen Keims abstammen, indem er (S. 287) sagt: „Besides the development of superimposed layers of cells (sc. des zelligen Keims) by another process, which I do not clearly understand, a por- tion of the germinal matter of the disk has been segmented off at its margin to form a wreath of much depressed cells, which seem to be severed from the edge of the disk proper by a slight interval all the way round.“ Die Untersuchungen von Wenckebach und Sobotta sind in Neapel an Eiern derselben Species (Belone acus) angestellt worden, welche auch ich untersucht habe: Die Darstellung beider Autoren bietet insofern Gemeinsames, als beide die Kerne des Dottersackentoblasts von den Randsegmenten und von den benachbarten Zellen des zelligen Keims ableiten; im einzelnen aber sind erhebliche Unterschiede vorhanden. Wenckebach [24, S. 226] hat am lebenden Ei den Zusammenhang der ,Randzellen^, welche ,nur an drei Seiten von ihrer Umgebung ge- trennt“ sind, mit dem peripheren Protoplasma, „der Protoplasmamasse“, Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 105 gesehen. Er hat ferner beobachtet, dass auch „in älteren Stadien“ der Kern der „Randzelle“ sich teilt, und dass der eine Tochterkern in der ,Randzelle* bleibt, der andere aber als „freier Kern“ im Periblast ein wenig ausserhalb des Blastoderms liegt. Hier ist zunächst die Bezeichnung , Randzelle^ zu bemängeln. Diese Ungenauigkeit im Ausdruck ist zu einem Teil die Ursache von Wenckebachs abweichender Darstellung der folgenden Vorgänge, denn indem er das centrale Stück des Randsegments, in welchem der eine Kern zurückbleibt, als Blastodermzelle betrachtet, und in einen Gegen- satz zu den „freien Kernen“ bringt, aus dessen weiteren Teilungen die Hauptmasse der freien Kerne späterer Stadien entsteht, kommt er dazu, die Rückbildung der Zellmembranen am centralen Stück des Rand- segments als einen zweiten Vorgang, als Abbruch am Rande des Blastoderms anzusehen. Hierdurch erklärt sich das behauptete Ver- schwinden der Zellgrenzen wenigstens für die äusserste der zwei oder drei Zellreihen, welche nach diesem Autor mit der Periblastmasse ver- fliessen sollen. Darnach bleibt nur noch das Verschmelzen von einer oder zwei Zellenreihen zu erklären. Dies kann nach meinen Beob- achtungen in verschiedener Weise erklärt werden. Erstens könnte Wenckebach eine Stelle vor sich gehabt haben, an welcher einzelne den Randsegmenten benachbarte Blastomeren wieder eine breitere Verbindung mit dem peripherischen Protoplasma gewonnen haben, wie ich es oben nach Beobachtungen am lebenden Ei geschildert habe, zweitens, und das ist mir das Wahrscheinlichere, sind infolge des Druckes (W. unter- suchte die Eier im Objectträger mit tiefem Hohlschliff und aufgelegtem Deckglas) von seiten des Deckglases oder infolge Sauerstoffmangels oder durch das Zusammenwirken beider Factoren die vorhandenen Zell- membranen aufgelöst, wie ich es ebenfalls einmal beobachtet habe. Die Angabe Wenckebachs, dass die Eier, an welchen er diesen Process beobachtet hat, sich später normal weiter entwickelt haben, kann nicht als Beweis dafür angesehen werden, dass die an der beobachteten Randstelle gesehenen Zustände völlig der Norm entsprechen, denn bei der Aequipotenz benachbarter Zellen junger Entwickelungsstadien und bei der etwa eintretenden Regulation wird diese für die Gesamt- entwickelung immerhin geringfügige Abweichung entweder gar keine 106 Fr. Kopsch, Veränderung oder eine so geringe gesetzt haben, dass sie unbemerkt . bleibt. Während somit Wenckebachs Angaben in mancher Beziehung den thatsächlichen Verhältnissen entsprechen, muss die Schilderung, welche Sobotta [24] auf der Versammlung der Anatomischen Gesell- schaft in Berlin gegeben hat, in fast allen thatsáchlichen Angaben als unrichtig bezeichnet werden. Es ist unrichtig: 1. Dass der , Rand des Keims vollständig gegen das umliegende, den Dotter in Gestalt eines feinen Häutchens umgebende Protoplasma abgegrenzt“ ist. Dieser Angabe stehen die positiven Angaben zahlreicher Autoren und meine Befunde direct gegenüber (s. auch weiter unten S. 112 ff). . Dass Stadien von ca. 50 und ca. 80 Blastomeren vorhanden sind — denn, wie oben nachgewiesen ist, teilen sich Kerne und Bla- stomeren bis zum X. Teilungsstadium völlig synchron. . Wenn Sobotta sagt, „die Teilung der um diese Zeit (sc. bei ca. 50 Zellen) noch einschichtig angeordneten Furchungszellen“ — denn der Keim ist schon bei 32 Blastomeren zweischichtig. . Dass die Furchung im Centrum des Keims schneller als in der Peripherie verläuft, wenn ca. 80 Zellen gebildet sind — denn bei der bis zum X. Teilungsvorgang vorhandenen Synchronie der Teilungen ist so etwas unmöglich. . Dass die Grösse der centralen Blastomeren geringer ist, als die der peripherischen. Dagegen sehe man sich die in dieser Arbeit mitgeteilten Figuren an. . Dass die Randzellen auf dem von Sobotta in Figur 4 abgebildeten Stadium „gänzlich unter einander verschmelzen und im umliegenden Protoplasma aufgehen“, denn die abgebildete Keimscheibe hat ca. 33 Randsegmente, befindet sich also im VIII. oder IX. Tei- lungsvorgang, d. h. noch vor der Zeit, in welcher die Bildung des Dottersackentoblasts beginnt. . Dass in der in Figur 5 abgebildeten Keimscheibe „die nächst- folgende Reihe der Randzellen des Keimes“ verschmilzt, denn diese Keimscheibe hat ca. 37—40 Randsegmente, befindet sich also auf dem X. Teilungsstadium, in welchem der Dottersackentoblast Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 107 eben entsteht. (Ein späteres Teilungsstadium wie das X. kann es wegen der deutlichen seitlichen Grenzen der Randsegmente nicht sein.) 8. Unrichtig ist demnach auch das ganze Bild, welches Sobotta von der Entstehung des Dottersackentoblasts entwirft. Dieselbe geht nach diesem Autor so vor sich, dass durch die erste Randver- schmelzung die Kerne der verschmolzenen Zellen in eine gemein- schaftliche Protoplasmamasse gelangen. „Hier teilen sich die Kerne mitotisch, während eine neue Reihe von Zellen am Rande des Keims verschmilzt“ [54 S. 95]. Derselbe Vorgang wiederholt sich „mehrmals, am Rande des Keimes, ja sogar vielmals* [57, S. 551], wobei die verschmelzenden Zellen meist ruhende Kerne enthalten. Hier ist zunächst, wenigstens für den Anfang der Bildung des Dottersackentoblasts, die Angabe unrichtig, dass die Kerne der ver- schmolzenen Randzellen sich mitotisch teilen, während eine neue Reihe von Randzellen, welche um diese Zeit meist ruhende Kerne enthalten, verschmilzt. Zur Zeit der ersten Teilung der Dotterkerne besteht nämlich noch eine recht beträchtliche Synchronie in den Teilungen der Dotter- kerne und Kerne der Zellen des zelligen Keims. Andererseits lässt sich die Unrichtigkeit von Sobottas Anschauung auch zahlenmässig feststellen, wie folgende Gegenüberstellung zeigen wird. Es sind im Durchschnitt vorhanden nach den oben angeführten Zählungen: Randsegmente Randzellen des bezw. Dotterkerne zelligen Keims Am Ende des IX. Teilungsvorgangs . . . 41 = TR IRA IR X È Yen 74 51 AN Xu È seria 140 72 ES WT. NX XII. à DN 221 85 In der Mitte des XIII. CTE 210 = Wenn nun die Bildung des Dottersackentoblasts in der von So- botta vertretenen Weise vor sich ginge, so würde unter der Voraus- setzung, dass der Process mit dem X. Teilungsvorgang beginnt, durch folgende Berechnung die Zahl der Dotterkerne ermittelt werden können. Es verschmelzen am Ende des IX. oder am Anfang des X. Teilungs- vorgangs die Randsegmente, teilen sich und liefern die 74 Dotterkerne, welche nach meinen Zählungen im Durchschnitt vorhanden sind. 108 | Fr. Kopsch, Während sie sich teilen, verschmelzen die 51 nächsten Randzellen, so dass am Ende des X. Teilungsvorgangs 74 + 51 — 125 Dotterkerne vorhanden sind. Dieselben teilen sich im XI. Teilungsvorgang und ergeben 250 Dotterkerne. Mit diesen verschmelzen die 72 nächsten Randzellen der Keimscheibe, so dass vorhanden sind am Ende des XI. Teilungsvorgangs 250 + 72 — 322 Dotterkerne. Diese teilen sich im XII. Teilungsvorgang und verschmelzen mit den 85 nächsten Randzellen, giebt 644 + 85 = 729 Dotterkerne, welche am Anfang des XIII. Teilungsvorgangs im Dottersackentoblast vor- handen sein müssen, während der zellige Keim 3367 Zellen enthält. Dies entspricht aber nicht der festgestellten Durchschnittszahl von 221 Dotterkernen des XII. und 210 des XIII. Teilungsvorgangs. Noch viel grösser wird aber die Zahl der Dotterkerne, wenn man sich an die Angaben Sobottas hält, welcher, wie seine Figur 4 lehrt, die erste Verschmelzung schon in den IX. Teilungsvorgang legt, den Verschmelzungsprocess „mehrmals, ja sogar vielmals“ vor sich gehen lässt und ihn über 20 Stunden bei warmer Temperatur verfolgt hat. Nun weiss man zwar nicht, was mehrmals und was vielmals ist, das ist aber auch nicht notwendig, denn einmal folgt schon aus der vorher angestellten Berechnung die Unrichtigkeit der von Sobotta be- haupteten Art und Weise der Entstehung des Dottersackentoblasts und ferner spricht dagegen die Zahl der Dotterkerne, die ich gezählt habe bei einer Keimscheibe, an welcher schon Dotterkerne unter den peripherischen Teilen der Keimscheibe liegen. Hier zählte ich die ausserhalb der Keimscheibe vorhandenen Dotterkerne und. bestimmte ihre Zahl zu 1437. Ich will für diejenigen, welche ich etwa zu wenig gezählt haben könnte und diejenigen, welche unterhalb der peripherischen Abschnitte der Keimscheibe sich befinden, gern mehrere Hundert hinzurechnen und die Zahl der bei der Keimscheibe vorhandenen Dotterkerne zu 2000 annehmen, eine Zahl, welche bei Sobottas Modus der Dottersackentoblastbildung viel zu gering ist, denn nach unserer oben gegebenen Berechnung wären unter Zugrundelegung von Sobottas Angaben schon beim XII. Teilungsvorgang 729 Dotterkerne vor- handen. Die Keimscheibe, an welcher aber die Zählung der Dotter- Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 109 kerne vorgenommen wurde, ist aber ungefähr zwölf Stunden nach dem XIII. Teilungsvorgang conserviert worden. Die Abnahme des queren Durchmessers des zelligen Keims, welche zur Zeit der Entstehung des Dottersackentoblasts stattfindet, und von Sobotta als wichtiger Nachweis für die Abgabe von Zellen seitens des zelligen Keims hervorgehoben wird, kann auch von anderen Ursachen abhängen, sie braucht nicht die Folge der Verschmelzung mehrerer Zellenreihen am Rande des zelligen Keims zu sein, sondern wird eher eine Folge der Concentrierung des Zellenmaterials des zelligen Keims sein, welche oben auf Grund der Schnittbilder des XI. Teilungsstadiums festgestellt worden ist. Worauf diese Concentrierung zurückzuführen ist, ist eine andere Frage, man kann sie durch Cytotaxis erklären oder mechanisch, dadurch dass die bei jeder Teilung sich verdoppelnde Zahl der Kerne und Plasmochoren des Dottersackentoblasts bei der geringen Dicke des Dottersackentoblasts trotz der infolge der Teilungen eintretenden Verkleinerung der einzelnen Plasmochoren mehr Flächen- raum in Anspruch nehmen. VII. Vergleichung der Untersuchungsergebnisse mit den Be- funden der Autoren an anderen Knochenfischeiern. Von 45 im Litteraturverzeichnis aufgeführten Autoren, in deren Arbeiten sich Angaben über die ersten Entwickelungsstadien von Knochenfischeiern finden, haben 15 (ungefähr ein Drittel) ihre Untersuchungen an Salmonideneiern angestellt. Die übrigen haben andere Knochenfischeier untersucht. Die Arbeiten der Autoren der ersten Gruppe sollen zur folgenden Vergleichung nicht herangezogen werden, weil die Salmoniden, soweit sich dies nach der vorhandenen Litteratur beurteilen lässt, hinsichtlich der Furchung und hinsichtlich der Entstehung des Dottersackentoblasts eine besondere Stellung einnehmen. Ausserdem fehlt bis heute für eine solche Vergleichung die sichere Grundlage, welche erst durch eine systematische Untersuchung, wie sie von Rückert für Selachier und von mir für Belone geliefert ist, geschaffen werden kann. Bei der Vergleichung mit den Angaben der Autoren der zweiten Gruppe sind Furchung und Entstehung des Dottersackentoblasts im Interesse einer geordneten Darstellung gesondert zu betrachten. 110 Fr. Kopsch, A. Furchung. I—IV. Teilungsvorgang: Hier ist vorauszuschicken, dass bisher keiner der Autoren in der Stadienbestimmung über den V., höchstens den VI. (Wilson [30], S. 211) Teilungsvorgang hinausgekommen ist, und dass selbst die ersten vier Teilungsvorgänge nur bei einer geringen Zahl der untersuchten Knochenfischeier beschrieben und abgebildet worden sind. Was aber seit Rusconi [2] über diesen Abschnitt der Knochenfischentwickelung an Angaben und Abbildungen vorliegt, steht in seltener Uebereinstimmung, wenigstens mit Rücksicht auf die äussere Gestaltung der Furchungsbilder. Die erste und zweite Furche sind meridional und kreuzen sich unter rechtem Winkel; die Furchen des III. Teilungsvorgangs ver- laufen parallel zur ersten, diejenigen des IV. parallel zur zweiten Furche. Die acht Blastomeren des III. Teilungsvorgangs liegen zu je vier in zwei Längsreihen neben einander; die 16 Blastomeren des IV. Teilungsvorgangs sind schachbrettartig zu je 4 in vier Längsreihen angeordnet, sodass vier centrale und zwölf peripherische Blastomeren vorhanden sind. (So beschrieben und zum Teil auch abgebildet bei Ctenolabrus coeruleus von Kingsley und Conn [75], sowie von Agassiz und Whitman [79]; Trachinus vipera Brook [27]; Labriden List [26]; Serranus atrarius Wilson [30]; Batrachus tau Clapp [37]; Cristiceps argentatus Fusari [32]; Labrax lupus Raffaele [55]; Crenilabrus rostra- tus, Belone acus Sobotta [57]; Crenilabrus pavo, Belone acus Kopsch.) Die anderen Autoren machen entweder keine Angaben über die Richtung der Furchen zu einander oder berichten nur über die ersten beiden (van Beneden Gadoid? [11]; Cunningham Gadus morrhua, aeglefinus, merlangus [22]) oder über die ersten drei Teilungen (Kupffer Clupea harengus [70]; Rauber Gobius [/6]; Janosik Crenilabrus pavo, rostratus, Tinca vulg. [75]), deren Richtung indessen der angegebenen Norm entspricht. Abweichende Angaben sind 1. Die Angabe von Janosik [16], dass bei Crenilabrus nach der dritten Teilung Furchen auftreten, welche parallel zur Oberfläche verlaufen. Dies ist nach List [26], Sobotta [87] und meinen eigenen Erfahrungen bei Crenilabrus nicht Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 111 der Fall. 2. Die durch Kupffer bei Clupea [10] und List [26] bei + Labriden beschriebene Aequatorialfurche, welche nach der ersten Furche auftreten und den Keim vom Dotter trennen soll. Mit dieser Angabe stehen die beiden Autoren ganz allein da; sie haben keine Schnitte untersucht und die tiefe ringfórmige Einschnürung, welche beim lebenden Ei an der Keimbasis zu beobachten ist, als Ausdruck der Bildung einer Teilungsebene gehalten. 3. Die von C. K. Hoffmann [12] gemachte Angabe über die aequatoriale Richtung der ersten Teilungsebene hat nach ihrer Zurückziehung von Seiten des Autors [52] nur noch histo- rischen Wert. 4. Ist nach Kupffer beim Häring die dritte Furche parallel zur zweiten, was, ausser bei Salmoniden (Henneguy [54]), weder vorher noch nachher beobachtet worden ist. Danach dürfte es wohl gerechtfertigt sein, die oben gegebene Richtung und Lage der Furchen zu einander als das typische Ver- halten zu betrachten. Varianten der einzelnen Furchungsstadien sind von verschiedener Seite beobachtet und beschrieben worden (so von Kingsley und Conn [15], Rauber [16], Agassiz und Whitman [19, S. 59], Wilson [20], Clapp [31], Sobotta [27], Kopsch). Sie sind im allgemeinen nicht sehr häufig (nach Wilson [50] S. 212 bei „mackerel eggs“ verhältnismässig gemein). Ich bin geneigt, dieselben im Hinblick auf die mathematische Regelmässigkeit der ersten vier Teilungsstadien mehr als Missbildungen wie als Varianten zu deuten. V. Teilungsvorgang: Ueber den IV. Teilungsvorgang hinaus hat nur noch H. V. Wilson [20] die Teilungsrichtungen der einzelnen Blastomeren verfolgt, alle anderen Autoren begnügen sich mit der An- gabe, dass vom V. Teilungsvorgang an die Furchung unregelmässig verlàuft. Es ist nicht unmöglich, dass bei H. V. Wilsons Material (Serranus atrarius) die Regelmässigkeit der Teilungsrichtungen entsprechender Blastomeren länger gewahrt bleibt, als bei den anderen bisher unter- suchten Knochenfischeiern, andererseits kann diese Regelmässigkeit aber auch weiter verbreitet sein, als man nach den bisher gemachten Beobachtungen annehmen darf. Auf diesen Punkt sollte bei spáteren Untersuchungen geachtet werden. Nach H. V. Wilson [20, S. 219] teilt sich ungefähr die Hälfte 112 Fr. Kopsch, der Eier auf dem V. Teilungsvorgang in folgender Weise: Die an den vier Ecken befindlichen Randsegmente des 16-Blastomerenstadiums : teilen sich in meridionaler, die übrigen acht Randsegmente in aequa- torialer, die vier centralen Zellen in horizontaler Richtung. Die andere Hälfte der Eier zeigt Abweichungen von diesem typischen Vorgang. Für Belone bin ich nicht im Stande zu sagen, ob eine solche Regelmässigkeit überhaupt und in einem so hohen Prozentsatz (50 9/,) vorkommt, weil mir diejenigen Stadien, welche zur Feststellung dieses Punktes nótig sind (Anaphasen vom V. Teilungsvorgang), fehlen. Auch bei Fusari [52, S. 208] finden sich einige Angaben über dieses Stadium. Von den 32 Blastomeren liegen bei Cristiceps argen- tatus meist 16 am Rande und 16 in der Mitte. Diese Angaben stimmen mit den Beobachtungen von H. V. Wilson und mit den meinigen überein; dagegen steht die Beobachtung Fusaris, dass die Zellen dieses Stadiums in einer Schicht angeordnet sind, was auch Sobotta [57, S. 552] beschreibt, nicht im Einklang mit den Be- funden bei den anderen Knochenfischeiern, wie der Autor selber her- vorhebt [32, S. 213]. Vom VI. Teilungsvorgang an herrscht auch am Material H. V. Wilsons ebenso wie bei den anderen Knochenfischeiern die Variation der Teilungsrichtungen. H. V. Wilson [30, S. 213] hat zwar noch ein ideales Furchungsschema dieses Stadiums aufgestellt, doch stimmt es, nach seiner eigenen Aussage, mit den thatsáchlichen Befunden niemals vóllig überein. B. Einheitlichkeit der Protoplasmahülle des Eies und syneytischer Zustand der ersten Blastomeren. Die Einheitlichkeit der Protoplasmahülle des Eies vor Beginn der Teilungen ist von zahlreichen (vielleicht allen) Autoren hervorgehoben worden. Nun hat Sobotta [57, S. 543] gesagt: „Eine haarscharfe Linie trennt auch bei den gróssten bisher untersuchten T'eleostiereiern (Sal- moniden) den Keim unten und seitlich von einer dünnen Lage Proto- plasma ab, das die ganze Dotterkugel umgiebt. ... Niemals — bereits gegen Ende der Befruchtung nicht mehr — hängt der Teleostierkeim Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 113 im Beginn der Furchung mit diesem Protoplasma noch zusammen. Die gegenteiligen Angaben anderer Autoren (z. B. C. K. Hoffmanns u. a.) können nur auf mangelhaft conservierte Präparate zurückgeführt werden.“ Ferner schreibt dieser Autor [37, S. 547]: „Die ersten Furchen des Teleostierkeims durchschneiden ihn seiner ganzen Dicke nach, bis zur Trennungslinie vom Dotter.“ Gegen diese Darstellung sind hervorzuheben 1. die zahlreichen positiven Angaben der Autoren, dass die ersten Furchen den Keim nicht seiner ganzen Dicke nach durchschneiden (C. K. Hoffmann [12, S. 105—109]; Ryder [/7, S. 489]; Janosik [18, S. 473]; Kowalewsky [25, S. 443]; Wilson [30, S. 211]; Fusari [52, S. 206]; Raffaele [38, S. 36]; Golovine [59, Fig. 1, 2]. Kingsley und Conn [15, S. 198] sagen zwar, die ersten Furchen schneiden ganz durch, setzten dann aber hinzu, dass die darunter liegende Schicht des „intermediary layer“ undurchschnitten ist, womit sie nur das bestätigen, was andere Autoren klarer ausgedrückt haben. Die von Kupffer [/0] und List [26] behauptete Abtrennung des Keims durch eine Aequatorialfurche, welche auch in diesem Zusammen- hang erwähnt werden muss, ist weiter oben schon gewürdigt worden. Ganz besondere Beachtung verdient die Auseinandersetzung von Raffaele über Labrax lupus, welche nach dem Erscheinen von Sobottas Arbeit erschienen ist und in welcher mit Rücksicht auf Sobottas Dar- stellung besonders hervorgehoben wird, dass die ersten Furchen den Keim nicht in seiner ganzen Dicke durchschneiden: „ma lasciano alla base di questo un sottile strato di protoplasma indiviso che, sui mar- gini è, naturalmente, in continuazione col protoplasma corticale peri- blastodermico. I primi blastomeri sono dapprincipio alla loro base in continuità col detto protoplasma, ma ben presto se ne distaccano, isolandosi completamente“ [38, S. 36; s. auch Taf. II. Fig. 1, 2]. Aus den Untersuchungen von Agassiz und Whitman [79], Wilson [50], Fusari [32], denen sich die Untersuchungen von Raffaele [28] und mir anschliessen, geht mit Bestimmtheit hervor, dass die ersten Furchen nicht durch die ganze Dicke des Keims durchschneiden, und die ersten Blastomeren ein Syneytium bilden, indem sie anfangs Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 8 114 Fr. Kopsch, durch Vermittlung des ihre Grundflächen bildenden, später zum Teil als centrales Protoplasma des Dottersackentoblasts abgeschmürten Pro- toplasmas unter einander zusammenhängen, dass ferner die ersten Zellen erst beim IV. Teilungsvorgang aus dem syncytischen Verbande gelöst werden, und nur die Randsegmente den syneytischen Zu- stand bewahren, welcher bei der weiteren Ausbildung des Dottersack- entoblasts in den plasmodischen des fertigen Dottersackentoblasts übergeht. | Um mich gegen den Vorwurf mangelhaft conservierter Práparate zu schützen, mache ich darauf aufmerksam, dass ich den Uebergang von Protoplamastrahlen aus einem Randsegmente in das andere und in das periphere Protoplasma des Dottersackentoblasts schon für den IV. Teilungsvorgang festgestellt habe und denselben jederzeit an meinen Flächenpräparaten und Schnitten vorzeigen kann. Mangelhafte Conser- vierung kann solche Bilder nicht hervorrufen; sie wird sich eher in der Zerstörung dieser Structuren äussern. Ausserdem zeigt die Beobachtung des lebenden Materials bei stärkerer Vergrösserung (Zeiss D) das Fehlen jeder Grenzmembran an den peripherischen Teilen der Randsegmente. C. Entstehung des Dottersackentoblasts. Die historische Betrachtung dieser Frage zeigt uns zwei grosse Abschnitte, deren Grenze durch die Arbeit von Agassiz und Whit- man [19] gegeben wird. Der erste dieser Abschnitte beginnt mit C. Vogt [42] und endigt mit Rauber [16], welcher als Vorläufer der von Agassiz und Whitman gegebenen Darstellung betrachtet werden kann (s. Agassiz und Wit: man [19] S. 63, Rauber [16] S. 288). Der erste Abschnitt ist gekennzeichnet durch eine grosse Ver- schiedenheit der thatsáchlichen Befunde und der theoretischen Vor- stellungen. Dies ist bedingt durch das verschiedene Untersuchungs- material durch die ungleichen Entwickelungsstadien, welche verglichen werden, durch die (für diese Frage) mangelhafte Technik und nicht in letzter Linie durch die alleemeinen histologischen Anschauungen dieser Zeit. Nur so ist es zu verstehen, dass Lereboullet die Membrane Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 115 sousjacente aus dem Dotter hervorgehen lässt, Kupffer [6] für freie Kernbildung eintritt, His die Parablastlehre schafft und endlich C. K. Hoffmann [12] Dinge beschreibt, welche in Wirklichkeit nicht vorhanden sind. Letzteres ist allerdings keine Erscheinung des ge- nannten Zeitabschnitts allein; von solchen Erscheinungen ist keine Zeit frei. Ihre Ursachen liegen nicht in der allgemeinen Richtung einer Periode, sondern sind in der Person begründet. Hierfür bietet die Litteratur aller Zeiten und aller Gebiete Beispiele zur Genüge. Die allmähligen Wandlungen, welche die Frage des Dottersack- entoblasts innerhalb dieses ersten Abschnitts erlitten hat, sollen hier nicht dargestellt werden. Ich verweise hierfür auf van Bambecke [9, S. 22—31] und Kupffer [10, S. 200—206] und beginne mit Rauber, dessen Darstellung zu dem zweiten Abschnitt überleitet. Da die Art der Entstehung des Dottersackentoblasts bedingt ist durch bestimmte Zustände der Furchungsstadien, so wird es sich nicht umgehen lassen, auf die Gefahr etlicher Wiederholungen hin, die zur Beurteilung notwendigen Daten aus der Furchung hier nochmals kurz zu berühren. Rauber sagt [16, S. 288] bei Beschreibung der Zustände des IV. Teilungsvorgangs nach conservierten Eiern von Gobius, dass die Zahl der Centralzellen in den späteren Teilungen grösser wird. Diese Centralzellen „aber sind ihrerseits immer umsäumt von einer flachen Randschicht, als einem Rest der ursprünglichen Randschicht, von der sich neue Zellen abgeschnürt und den vier ersten Centralzellen bei- gesellt haben. Auf diese Weise kommt es bei Gobius . .. zur Bildung jener Schicht, die als Plasmodium, Couche intermédiaire, secundäres Entoderm etc. bekannt ist.“ Unter Randschicht versteht Rauber hier die Schicht der Randsegmente. Agassiz und Whitman [19, S. 63] erkennen an, dass Rauber mit dieser Darstellung sich am meisten von allen früberen Autoren dem wahren Ursprung der Periblastzellen genähert hat. Freilich ist er nicht zur Klarheit über die Entstehung des Dottersackentoblasts ge- langt, wie aus den folgenden Abschnitten seiner Arbeit hervorgeht. Dies gelang erst Agassiz und Whitman, deren Darstellung auch noch nicht in allen Punkten richtig ist, und welche durch die RF 116 Fr. Kopsch, späteren Untersuchungen teils bestätigt, verbessert, erweitert und durch meine Mitteilung, wie ich glaube, zu einem gewissen Abschluss ge- bracht ist. Die Arbeit der beiden amerikanischen Forscher bildet somit den Ausgangspunkt der späteren Arbeiten und muss darum etwas ausführ- licher behandelt werden: Die Autoren betonen, dass der „blastodisc“, das ist der dicke Teil der einheitlichen Protoplasmahülle des Eies, und der ,periblast^, der dünnere Teil, direct mit einander zusammenhängen und nur Teile einer und derselben Hülle sind. ,,Blastodisc and peri- blast are simply names for two portions of one and the same envelope, which invests the vitelline sphere“ [19, S. 49]. Beide Teile bewahren ihren Zusammenhang durch die ganze Furchung hindurch bis zur Ent- stehung der Periblastzellen, wie mehrfach an verschiedenen Stellen betont wird. Die scheinbare Grenze zwischen Blastodisc und Periblast, welche schon in dem I. Teilungsvorgang bei Oberansicht der Keim- scheibe in die Erscheinung tritt, ist hervorgerufen durch den steilen Abfall oder gar das Ueberhängen des Keimscheibenrandes [19, S. 48, 49, 55]. Die Continuität beider Teile ist jedoch ununterbrochen, wie Profilbilder und Schnitte beweisen (Fig. 2—5). Eine besondere Beachtung widmen die Autoren dem 16-Blasto- merenstadium, welches „marks an epoch in the history of the teleostean development“. In diesem Stadium werden zuerst centrale und peri- pherische Blastomeren unterschieden. Letztere werden, wie es bei allen folgenden Autoren noch der Fall ist, als Zellen bezeichnet. Die peripherischen Blastomeren färben sich dunkler und berühren mit einem grossen Teil ihrer Basis den Dotter, während unterhalb der centralen Zellen und einem kleineren centralen Abschnitt der Randsegmente eine dünne Schicht von Protoplasma liegt. Dies ist der subgerminale Periblast, er stammt vom peripheren Periblast, er „is a portion of the periblastic material which works its way under the blastodisc“ (S. 50) und ist nicht, wie es C. K. Hoffmann beschrieben hat, durch eine horizontale Teilung abgegrenzt. Von jetzt an ist die Geschichte des Periblast gleichbedeutend mit der Geschichte der Teilungen der Randsegmente: Letztere werden für den V. Teilungsvorgang, und für Stadien, welche 1, 2, 3 Stunden nach Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 117 dem IV. Teilungsstadium alt sind, geschildert. Beim V. Teilungs- vorgang teilen sich die Randsegmente durch schräge Teilungen in je eine centrale Zelle und ein peripherisches Segment, welches mit dem Periblast im Zusammenhang bleibt. Eine Stunde später sind die Rand- segmente niedriger; sie sind mit ihrer inneren und äusseren Kante im Zusammenhang mit dem subgerminalen und dem peripheren Periblast. *) Zwei Stunden nach dem IV. Teilungsvorgang ist die Deckschicht aus- gebildet und eine oder zwei Randzellen sind im Zusammenhang mit dem Periblast. Drei Stunden nach dem IV. Teilungsvorgang sind zwei concentrische Reihen von ,periblastic cells“ am ganzen Keimscheiben- rande vorhanden. Die innere Reihe liegt unterhalb des Keimscheiben- randes und steht mit dem subgerminalen Periblast im Zusammenhang, die äussere hängt mit dem „external periblast^ (S. 56) zusammen. Nur der letztere ist am lebenden Ei deutlich zu sehen. Aus der mitotischen Teilung dieser beiden Zellenlagen gehen nun im weiteren Verlauf der Entwickelung die Zellen hervor, ,forming the syncytial layer described by Kupffer, van Beneden, Ryder, Hoffmann and others“. Diese Darstellung ist in der folgenden Zeit fast von allen Autoren, mit Ausnahme von Brook [20, 21] und Prince [27], in den wesent- lichen Punkten bestátigt und verbessert und erweitert worden.?) So hat Cunningham [22] für Gadus morrhua der Beschreibung von Agassiz und Whitman vollkommen zugestimmt und [22, Taf II. Fig.12] die Randsegmente eines älteren Furchungsstadiums abgebildet. Wenckebach weicht, wie oben gezeigt wurde, in manchen Einzel- heiten ab; er erweitert jedoch. die Angaben über den Ort der Ent- 1) Sobotta citiert also die beiden amerikanischen Forscher unrichtig, wenn er (37, S. 549) schreibt, dass Agassiz und Whitman beim Uebergang vom 16zelligen in das 32zellige Stadium beobachtet haben, dass „die peripherischen Zellen des Keims durch schráge Teilung so von einander getrennt werden, dass das eine Teil- stück im Keim verbleibt, das andere mit der Protoplasmarinde des Dotters ver- schmilzt“ (von mir gesperrt). Die Autoren sagen gerade das Gegenteil, und heben besonders hervor, dass die Randsegmente von Anfang an mit dem Periblast zu- sammenhängen und die abgefurchten Zellen an den zelligen Keim abgeben. ?) Ich hebe hier nochmals hervor, dass diese Schilderung sich nicht auf die Zustánde der Salmoniden bezieht, welche eine besondere Stellung einnehmen (vergl. C. K. Hoffmann [53], H. Virchow [55, 58], Samassa [57]), für deren sichere Be- urteilung aber das zur Zeit vorliegende Thatsachenmaterial nicht genügend ist. 118 Fr. Kopsch, stehung des Dottersackentoblasts dahin, dass es sowohl am Rande wie an der Unterfläche und vielleicht auch gleichzeitig sowohl am Rande wie an der Unterfläche der Keimscheibe entstehen kann. Diese Einteilung wird durch die Untersuchung Miecz. v. Kowa- lewskys [25] in hohem Maasse gestützt, nach welchem bei Carassius auratus die Entstehung des Dottersackentoblasts an der Keimbasis, bei Polyacanthus viridiauratus aber nur am Rande stattfindet. Beim Gold- fisch findet die Abfurchung von Zellen von den ersten Furchungs- stadien bis zur Entstehung der intermediären Schicht fortdauernd statt (S. 449, 451). Die Darstellung von List [26] an Labriden ist nicht zu genügender Klarheit durchgearbeitet. Dieser Autor übergeht die zur Beurteilung der Abfurchung notwendigen Furchungsstadien und beschreibt, dass von den Randzellen der Keimscheibe eine oder auch zwei Kernreihen an das periphere Protoplasma abgegeben werden. Die umfangreiche Arbeit von M'Intosh und Prince [28] enthält nichts Neues; die Richtigstellung der Ungenauigkeiten und Unrichtig- keiten, welche über unseren Gegenstand in dieser Arbeit enthalten sind, würde zu viel Raum einnehmen und soll unterbleiben. Grosse Bedeutung hat die treffliche Arbeit von H. V. Wilson [50]. Dieselbe erweitert die Angaben von Agassiz und Whitman über das Verháltnis zwischen Periblast und Keimscheibe durch Beibringung von Schnitten durch das Stadium von acht Blastomeren. Dabei wird aller- dings der Ausdruck ,centraler Periblast“ für den subgerminalen Peri- blast eingeführt. Weiter geht aus Wilsons Beschreibung die fort- dauernde Abfurchung von Zellen seitens der Randsegmente hervor. Dagegen geht nur eine Reihe von Randsegmenten in die Bildung des Dottersackentoblasts ein. Die ungleiche Zahl der Dotterkerne an ver- schiedenen Randstellen derselben Keimscheibe, welche Wilson auf- gefallen ist, stimmt überein mit den hier mitgeteilten Befunden an Belone. Sie findet bei Serranus wie bei Belone ihre Erklärung in der verschiedenen Teilungsrichtung der Randsegmentkerne zur Zeit der Bildung des Dottersackentoblasts. Die Zustände am Ei von Cristiceps argentatus decken sich nach Fusaris Darstellung [32] mit den von Agassiz und Whitman, Wilson Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 119 und mir beschriebenen, sowohl mit Rücksicht auf den Zusammenhang der Blastomeren der ersten Teilungsstadien untereinander, als auch in Bezug auf die Abfurchung und in Bezug auf den primären Zu- sammenhang der Randsegmente mit dem peripheren Protoplasma des Dottersackentoblasts. Die Fassung des Vorgangs bei der Abfurchung und der Entstehung des Dottersackentoblasts scheint mir so gut ge- lungen, dass ich es mir nicht versagen kann, die betreffende Stelle wörtlich zu citieren (S. 215): „Les éléments périphériques, uni au jaune et entre eux, avec la progression de la segmentation, conti- nuent à fournir d'autres cellules à la masse blastomérique centrale; en raison de cette provision continue de matérial, leur volume se réduit peu à peu et ils deviennent toujours moins distincts jusqu'à ce que, ayant perdu les limites latérales par lequelles, seulement, ils étaient encore différenciables, leur individualité disparait et la partie périphérique du blastodisque, en connexion avec la couche intermédiaire et avec toute l'écorce protoplasmatique du jaune, forme une partie bien distinete du blastodisque, un organe plasmodique entourant le jaune, la membrane périvitelline.“ An der Arbeit Lwoffs [25] gehen wir am besten mit Stillschweigen vorüber. Dagegen ist die Mitteilung H. E. Zieglers [55], welcher die Ent- stehung des Dottersackentoblasts bei Labrax lupus zum erstenmal am lebenden Ei an einigen Randsegmenten direct verfolgt und skizziert hat, eine wertvolle Ergänzung des bisher vorhandenen Thatsachen- materials. Den Vorzügen seines Compressoriums, welches ihm diese Beobachtung ermöglichte, bin ich oben schon gerecht geworden. Ziegler beschreibt die letzte Abfurchung von Zellen seitens der Randsegmente und zeigt, wie alsdann die seitlichen und centralen Grenzen der Randsegmente verschwinden, während die Kerne sich synchron mit den Blastodermzellen teilen. Aus seinen Figuren hebe ich noch folgende Thatsachen hervor, welche sich mit den von mir gefundenen decken. Während der ersten Teilung der Randsegmente, welche auf die letzte Abfurchung folgt, werden centralwärts noch Zell- grenzen der Tochtersegmente gebildet (Fig. 2 E). Dieselben ver- schwinden bei der nächsten Teilung vollständig wieder, so dass bei der 120 Fr. Kopsch, zweiten auf die letzte Abfurchung folgenden Teilung der Dotterkerne nur die Reste der centralen Grenzen der Randsegmente aus der Zeit der letzten Abfurchung vorhanden sind (Fig. 2 GH), welche auch noch zur Zeit der dritten Teilung der Dotterkerne vorhanden sind (Fig. 2 K). Dies stimmt mit den von mir am lebenden und conser- vierten Belonematerial gefundenen Zuständen überein. Die Angaben Sobottas, welche von allen bis dahin vorliegenden Beobachtungen vollkommen abweichen, sind oben schon eingehend ge- würdigt worden. Schwere Bedenken gegen Sobottas Darstellung hatte schon Raffaele [25], dessen Befunde an Labrax lupus sich mit der Darstellung von H. E. Ziegler, sowie von Agassiz und Whitman u. a. decken, erhoben und eine Nachuntersuchung von Belone für notwendig erachtet, da er sich nicht getraute, auf Grund seines conservierten Materials von Belone gegen die mit grosser Bestimmtheit vertretene Anschauung Sobottas aufzutreten. Raffaele bezeichnet die Bildung des Dottersack- entoblasts als directe Folge der Furchung. Die Arbeiten von Golovine [39] und Bergh [47] kann ich leider nicht verwerten, weil sie russisch geschrieben sind; die Mitteilungen von Reinhard [40] entziehen sich der Discussion. Aus dem Mitgeteilten zeigt sich deutlich, wenn wir von einigen ganz unzulànglichen Arbeiten absehen, dass eine weitgehende Ueber- einstimmung in Bezug auf die Entstehung des Dottersackentoblasts bei den untersuchten pelagischen Knochenfischeiern vorhanden ist. Er entsteht, wie ich mit Raffaele sagen will, als directe Folge der Furch- ung, indem die von Anfang an unter einander und mit dem Proto- plasma des Dottersackentoblasts zusammenhàngenden Randsegmente nach Abgabe zahlreicher Zellen an den zelligen Keim (Abfurchung) ihre Individualität verlieren und, miteinander völlig verschmelzend, erst ein Syncytium, dann ein Plasmodium bilden. Für Belone ist Zeit und Ort der Entstehung des Dottersack- entoblasts genau festgestellt und die Einzelheiten der Furchung zahlen- A Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 191 mässig belegt. Ein Gleiches ist für alle der Untersuchung zugängigen Knochenfischeier anzustreben, da es von grösstem Interesse für ver- gleichende Betrachtungen wäre, den Zeitpunkt der Entstehung des Dottersackentoblasts, die Beziehungen zwischen letzterem, der Synchronie der Teilungen und der Ausbildung der Deckschicht bei den einzelnen Arten genau kennen zu lernen. VIII. Vergleichung der Belone- und Selachierfurchung. Hier ist zunächst hervorzuheben, dass Rückert [63], welchem alle Angaben über die Selachierfurchung entnommen sind, bei Torpedo bis zum IX. Teilungsvorgang die Synchronie der Teilungen festgestellt hat, welche im X. Teilungsvorgang wahrscheinlich nicht mehr vor- handen ist. Bei Belone ist jedoch die Synchronie bis Ende des X. Teilungsvorgangs vorhanden. Beim Stadium von 256 Furchungskernen zählt Rückert 31, 33, 28 Randsegmente, im Durchschnitt also ca. 32, bei Belone wurden für dasselbe Stadium im Durchschnitt 33 festgestellt. Weiter wird die Abfurchung tiefer Segmente und Randsegmente beschrieben. Es scheint sich hierbei um die Ablösung ganzer Blasto- meren mit ihren ruhenden Kernen vom Dotter zu handeln, wie ich es bei Belone nicht gesehen habe. Bei Belone wird von der Abfurchung nicht das ganze Randsegment, sondern nur die eine Hälfte betroffen, während die andere Hälfte den Zusammenhang bewahrt. Es würde lohnend sein, Rückerts Serien mit Rücksicht auf diesen Punkt durch- zusehen, wenn auch eine sichere Entscheidung bei den weniger regel- mässigen Zuständen des Selachiermaterials nur schwer, vielleicht auch gar nicht zu erreichen sein wird. Nach der Feststellung, dass die Entstehung des Dottersack- entoblasts bei Belone erst zur Zeit des X. Teilungsvorgangs auftritt, wird verständlich, dass Rückert bei Torpedo bis zum X. Teilungs- stadium keine Entstehung von Dotterkernen aus Furchungskernen ge- funden hat. Wenn er trotzdem eine solche Entstehung nicht leugnet, so spricht das für seine grosse Zurückhaltung. Es wäre auch hier von Wert, nachzusehen, ob etwa bei Torpedo in den mit dem Dotter 122 Fr. Kopsch, Die Entstehung des Dottersackentoblasts ete. zusammenhängenden Blastomeren am Ende des X. Teilungsvorgangs oder späterer Teilungen etwa zwei Kerne vorhanden sind. Diese Thatsache würde unter Berücksichtigung der von Rückert an den jüngeren Teilungsstadien gefundenen Zustände für ein Eintreten ähn- licher Vorgänge sich verwerten lassen, wie sie bei Belone zur Ent- stehung des Dottersackentoblasts führen. In Bezug auf die Wieder- verschmelzung abgefurchter Blastómeren mit dem Dotter teile ich auch für andere Teleosteer bis auf weiteres ganz den skeptischen Standpunkt von Rückert (s. 64, S. 674 Anm. 2). Charlottenburg-Berlin, am 15. November 1900. IX. Litteratur-Verzeichnis. In den beiden ersten Abschnitten dieser Litteratur-Uebersicht sind nur diejenigen Arbeiten über Knochenfisch-Entwicklung aufgenommen worden, welche Angaben über Furchung und Entstehung des Dottersackentoblasts enthalten. Die mit einem * bezeichneten Arbeiten haben mir im Original nicht vorgelegen. 1836. 1. Arbeiten, welche nicht von Salmoniden handeln. I: Rusconi, Mauro, Erwiderung auf einige kritische Bemerkungen des Herrn von Baer über Rusconis Entwickelungsgeschichte des Froscheies. Archiv für Anat, Phys. u. wissensch. Medicin. 1836. S. 205—224. Taf. VII u. VIII. Perca fluviatilis. — Ueber die Metamorphosen des Eies der Fische vor der Bildung des Embryo. Ebenda. S. 278—288. Taf. XIIL Cyprinus tinca, alburnus, gobio L. 1847/59. 3*. Coste, Histoire générale et particuliere du développement des corps 1854. 1862. 1868. 1878. 4. 10. organisés. Paris 1847—59. Gasterosteus. Lereboullet, Résumé d'un travail d'embryologie comparée. Sur le Développement du brochet, de la perche, et de l'écrevisse. Annales des Sciences naturelles. 1854. IV. Ser. T. I. Zoologie. S. 287—289. — Recherches d'Embryologie comparée sur le développement du brochet, de la perche et de l'écrevisse. Mémoires des Savants étrangers. 1862. HEX 359 p: 6 Taf, Kupffer, C. Beobachtungen über die Entwicklung der Knochenfische. Archiv für mikroskop. Anatomie. 1868. Bd. IV. S. 209—272. Taf. XVI bis XVIII. . Romiti, Studi di embriologia. Rivista clinica di Bologna 1873. . Haeckel, Ernst, Die Gastrula und die Eifurchung der Tiere. Jenaer Zeitschr. 1875. Bd. IX. N. F. Bd. IL. S. 402—508. Taf. XIX—XXV. . Bambeke, Ch. van, Recherches sur l'embryologie des poissons osseux. Mémoires couronnés et Mémoires des Savants étrangers publiés par l’Acad. Royale des Sciences des Lettres et des beaux-arts de Belgique. Brüssel 1875. Tome XL. IV u. 66 S. 3 Taf. Kupffer, C., Ueber Laichen und Entwicklung des Ostsee-Herings. Jahresbericht der Commission zur wissenschaftlichen Untersuchung der deutschen Meere in Kiel für die Jahre 1874, 1875, 1876. IV., V., VI. Jahrgang. Berlin 1878. S. 25—35, 177—226. 4 Taf. 124 1881. 1882. 1883. 1884. 1885. 1886. ine 12. 18. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23*, 24. Fr. Kopsch, Van Beneden, Edouard, A Contribution to the History of the Em- bryonic Development of the Teleosteans. Quarterly Journal of micro- scopical Science. 1878. New Series. Vol XVIII. p. 41—57. Taf. IV. Hoffmann, C. K., Zur Ontogenie der Knochenfische. Verhandelingen der Koninklijke Akademie van Wetenschappen. 1881. Deel. XXI. 168 S. 7 Ate Ryder, John A., Development of the Spanish Mackerel (Cybium ma- culatum). Bulletin of the United States Fish Commission. For 1881, ersch. 1882. Vol. I. S. 185—172. Taf. XIII—X VI. — Development of the Silver Gar (Belone longirostris), with Obser- vations on the Genesis of the Blood in Embryo Fishes, and a Com- parison of Fish Ova with those of other Vertebrates. Bulletin of the United States Fish Commission. For 1881, ersch. 1882. Vol. I. S. 283 bis 301. Taf. XIX —XXI. Kingsley, J. S., and Conn, H. W., Some Observations on the Em- bryology of the Teleosts. Memoirs read before the Boston Society of Natural History. 1883. Vol. III. p. 188—212. Taf. XIV—XVI. Rauber, A., Neue Grundlegungen zur Kenntnis der Zelle. Morpho- logisches Jahrbuch. 1883. Bd. VIII. S. 238—338. Taf. XI—XIV. Ryder, John A., A Contribution to the embryography of osseous fishes with special reference to the development of the Cod (Gadus morrhua). Report of the Commissioner of Fish and Fisheries. For 1882, ersch. 1884. S. 455—606. 12 Taf. u. 1 Textfig. Janosik, J., Partielle Furchung bei den Knochenfischen. Archiv für mikroskop. Anatomie. 1884. Bd. XXIV. S. 472—474. Agassiz, Alexander, and Whitman, C. O., On the Development of Some Pelagie Fish Eggs. Preliminary Notice. Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. 1885. New Series. Vol. XII. p. 23—75. 1 Taf. 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Die Entstehung des Dottersackentoblasts und die Furchung bei Belone acus. 195 1887. 1890. 1891. 1893. 1894. 1896. 1897. 1898. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 38. 34. 35. 36. 37. 38. 99. 40. Kowalewski, Miecz. von, Ueber die ersten Entwicklungsprocesse der Knochenfische. Zeitschrift für wissenschaftl. Zoologie. 1886. Bd. XLIII. S. 494—480. Taf. XVII. List, Joseph Heinrich, Zur Entwicklungsgeschichte der Knochenfische (Labriden). Zeitschrift für wissenschaftl Zoologie. 1887. Bd. XLV. S. 595—645. Taf. XXXI—XXXIII. 9 Textfig. Prince, Edward E., The significance of the Yolk in the Eggs of Osseous Fishes. Annals and Mag. of Natural History. 1887. V. Ser. Vol. XX. S. 1—8. Taf. IL. M'Intosh, W. C., and Prince, E. E., On the Development and Life- Histories of the Teleostean Food- and other Fishes. Trans. R. Soc. Edinbourgh. 1890. Vol XXXV. p. 665—946. Taf. I—XXVIII. Cunningham, J. T., On Some Disputed Points in Teleostean Embryo- logy. Ann. and Mag. of Natural. History. 1891. 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XXXV, XXXVI. 126 1899. 1842. 1865. 1869. 1872. 1873. 1874. 1876. 1882. 1885. 1887. 1888. ATX. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 91. 92. 53. 54. Fr. Kopsch, Berg, L., Furchung und Parablastbildung bei Esox lucius. Aus den Nachrichten der k. Gesellschaft d. Freunde der Naturkunde, Anthropol. u. Ethnolog. a. d. Univ. Moskau. Bd. LXXXVI. S. 29—52. 22 Textfig. — Arbeiten der Zool. Section. Bd. X. — Tagebuch der Section, redi- giert von G. A. Koshewnikoff. Moskau 1899. Bd. IL N. 9, 10. 2. Arbeiten über Salmomiden- Entwicklung. Vogt, C., Embryologie des Salmones. Neuchâtel 1842. VI u. 328 S. und Atlas mit 7 Taf. Stricker, S. Untersuchungen über die Entwickelung der Bachforelle. Sitzungsberichte der mathem.-naturw. Classe der k. Akad. der Wiss. Wien 1865. Bd. LI. Abt. IL. S. 546—554. 2 Taf. Rieneck, Ueber die Schichtung des Forellenkeims. Archiv für mikro- skop. Anatomie. 1869. Bd. V. S. 356—306. Taf. XXI. Fig. 1, 2. Weil, Karl, Beitráge zur Kenntnis der Entwicklung der Knochenfische. Sitzungsberichte der mathem.-naturw. Classe der k. Akad. d. Wiss. Wien. Jahrg. 1872. Bd. LXV. Abt. III. S. 171—179. 2 Taf. Oellacher, Joseph, Beiträge zur Entwickelungsgeschichte der Knochen- fische nach Beobachtungen am Bachforellenei. Zeitschrift für wissen- schaftl. Zoologie. 1872. Bd. XXII. Cap. I, II. S. 373—421. Taf. XXXII, XXXII und 1873. Bd. XXIII. Cap. II—V. S. 1—115. Taf. I—IV. 1 Textfig. Owsiannikow, Ph., Ueber die ersten Vorgänge der Entwickelung in den Eiern des Coregonus lavaretus. Bulletin de l'Académie imp. des Sciences de St.-Petersburg. 1874. Tome XIX. p. 225—285. 1 Taf. His, Wilhelm, Untersuchungen über die Entwickelung von Knochen- fischen, besonders über diejenige des Salmens. Zeitschrift f. Anat. u. Entwickelungsgesch. 1876. Bd. I. S. 1—40. Taf. I, II. 14 Fig. Klein, E., Observations on the Early Development of the Common Trout (Salmo fario) Quarterly Journal of microscopial Science. New Series. Vol XVI. 1876. p. 113—131. Taf. VI. 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Virchow, H., Ueber das Dottersyncytium und den Keimhautrand der 1896. 1897. 1898. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. ©> or Salmoniden. Verhandl. der Anat. Gesellschaft Strassburg. 1894. S. 66 bis 77. 8 Textfig. Berent, Waclaw, Zur Kenntnis des Parablastes und der Keimblätter- differencierung im Ei der Knochenfische. Jenaische Zeitschrift für Naturwissenschaft. 1896. Bd. XXX. N. F. Bd. XXIIL S. 291—349. Taf. XVI—XVIII. 4 Textfig. i Samassa, Paul, Studien über den Einfluss des Dotters auf die Gastru- lation und die Bildung der primären Keimblitter der Wirbeltiere. III. Teleosteer. Archiv für Entwickelungs-Mechanik. 1896. Bd. II. S. 191—218. Taf. XII, XIII. Virchow, H., Dottersyncytium, Keimhautrand und Beziehungen zur Conerescenzlehre. Ergebnisse der Anatomie und Entwickelungsgeschichte. 1897. Bd. VI. S. 594—651. His, Wilhelm, Ueber Zellen- und Syncytienbildung. Studien am Sal- monidenkeim. Des XXIV. Bandes der Abh. d. math.-phys. Cl. Kgl. sáchs. Ges. Wiss. No. V. 1898. S. 401—408. 41 Textfig. 3. Ausserdem certe Litteratur. Fr. Kopsch, Ueber di Ei-Ablage von Scyllium canicula in dem Aqua- rium der zoologischen Station zu Rovigno. Biolog. Centralblatt. 1897. Bd. XVII. S. 885—893. 3 Fig. — Die Entwicklung der äusseren Form des Forellen-Embryo. Archiv für mikroskop. Anatomie. 1898. Bd. LI. S. 181—213. Taf. X, XL — Die Organisation der Hermididymi und Anadidymi der Knochen- fische und ihre Bedeutung für die Theorien über Bildung und Wachstum des Knochenfischembryos. Intern. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. 1899. Bd. XVI. S. 221—267. Taf. XV—XVIL 4 Textfig. Loeb, J. Untersuchungen über die physiologischen Wirkungen des Sauerstoffmangels. Pflügers Archiv. 1895. Bd. LXII. Rückert, Johannes, Die erste Entwickelung des Eies der Elasmo- branchier. Festschrift zum 70. Geburtstag von Karl von Kupffer. 1899. S. 581—704. Taf. LII—LIX. 7 Textfig. . Ziegler, H. E., Ueber Furchung unter Pressung. Verhandl. der Anat. Gesellschaft Strassburg. 1894. S. 132—156. 13 Fig. . — Ein Compressorium mit Durchstrómung. Zool. Anz. 1894. Bd. XVII. S. 330—332, 345—347, 471. Referate Von Fr. Kopsch. E d Breus, Karl, und Kolisko, Alexander, Die pathologischen Becken- formen. Leipzig und Wien. Franz Deuticke. 1900. Bd. I. Teil I. Allgemeines, Missbildungs-, Assimilations- und Zwergbecken. 366 S. 116 Fig. Preis 12 Mk. — Bd. III. Teil I. Spondylolisthesis-, Kyphosen-, Skoliosen- und Kyphoskoliosen-Becken. 359 S. 96 Fig. Preis 14 Mk. Das vorliegende Unternehmen, in welchem ausschliesslich die Anomalien des knöchernen Beckens in 3 Bänden behandelt werden sollen, kann als ein Beweis gelten, wie ungeheuer das Thatsachenmaterial in der Biologie sich angehäuft hat, da es möglich ist, über dieses verhältnismässig kleine Gebiet ein so umfangreiches Werk zu verfassen. Das untersuchte Material stammt aus der Beckensammlung des pathologisch-anatomischen Museums in Wien, sowie aus den Sammlungen von : Prag und Graz, und wurde noch durch neue Eingänge vermehrt. In der Darstellung werden nicht die krankhaften Vorgánge, welche das Becken befallen können, erörtert, sondern das Produkt dieser Vorgänge, das veränderte Becken, wird anatomisch mit Rücksicht auf seine Entstehung geschildert. Dabei ist hauptsächlich das weibliche Becken behandelt worden. Sehr beachtenswert ist ein Abschnitt aus der Einleitung, welcher von der Kritik handelt. Hier sagen die Autoren: „Die Bestimmtheit des Urteils, die Ent- schiedenheit des Ausdrucks durfte nicht persönlichen Interessen und Rücksichten zum Opfer fallen. Wo man in der wissenschaftlichen Fachlitteratur einem der- artigen conventionellen Zuge begegnet, wird er zum Dung für wucherndes Unkraut und spriesst aus ihm die Duldung und Verschleppung des Falschen.* Die Abbildungen sind im Netzverfahren und meist in sehr geschickter Weise reproduciert worden. Bei der Bearbeitung des ersten Bandes hatte sich gezeigt, dass der Entwick- lung und dem Wachstum der Knochen eine viel gróssere Bedeutung für die Aus- bildung der'verschiedenen Beckenformen zukommt, als man bisher annahm, und dass die Belastungstheorie von Meyer-Litzmann eine zu weitgehende Anwen- dung findet. Aus diesem Grunde haben die Autoren es vorgezogen, zunächst diejenigen Beckenformen zu bearbeiten, bei welchen der Einfluss der Rumpflast am klarsten zum Ausdruck kommt, die Beckenformen, welche bei Anomalien der Wirbelsäule vorhanden sind. Demnach ist auf den I. Teil des I. Bandes der I. Teil des III. Bandes gefolst, welcher die Spondylolisthesis-, Kyphosen-, Skoliosen- und Kyphoskoliosen-Becken enthält. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. Istituto di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Cagliari. (Anno scolastico 1896 —97.) Note sull’apparato digerente del Aega/ecus glesne Asc. di (Con la Tav. V.) Con questa nota intendo di richiamare l'attenzione dei Naturalisti sul particolare modo di comportarsi dello stomaco, rispetto alla cavità addominale, nei Regalecus, che ho potuto constatare in un esemplare di AR. glesne') trovato da alcuni pescatori nel Golfo di Cagliari nel Maggio del 1897?) L’accennata particolarità di disposizione ana- 1) Quest'esemplare (2) rassomiglierebbe molto più al À. telum, stando alla de- scrizione ed alle figure del Cuv. Val, che al À. giadius. Specie queste, pertanto, che molti ittiologi ridurrebbero ad una sola al R. glesne Asc., ritenendo essi il À. telum come forma giovanile dell'altro (A. gladius). D'altra parte esso rassomiglierebbe anche, per molti caratteri, come per la netta distinzione di 4 ossa opercolari e per la formula della pinna impari, al À. argenteus di Parker. Ma io non ho creduto di entrare nella questione di sistematica per la insufficienza del materiale da me esaminato, e perché ancora, basta dare uno sguardo alla larga bibliografia, specialmente di questi ultimi tempi — che ho potuto consultare — per rendersi conto del disaccordo che esiste fra gli ittiologi circa la esatta determinazione ed il valore della specie di questo genere comospolita: del quale, finora, come ho potuto rica- vare dagli A, non si conosce il maschio (confr. in proposito la recente letteratura sui Regalecus, specialmente della N. Zelanda) Ad ogni modo dó, im appendice alla presente, una notizia sommaria dell’esemplare di Cagliari e delle misure di questo per identificarlo (vedi appendice). *) E questa una rara forma di Trachitteride per la fauna italiana — perchè di Regalecus, raccolti nel Mediterraneo, si conoscono finora pochi esemplari — e non prima trovata nelle acque della Sardegna. Di essa fu data subito notizia in una seduta del Maggio dello stesso anno alla Società fra i Cultori di Scienze Mediche e Naturali di Cagliari dal Prof. Monticelli. L'esemplare si conserva nella collezione faunistica sarda del Museo Zoologico di Cagliari. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 9 130 F. Mazza, tomica descritta e figurata da Hancok ed Embleton fin dal 1849 in un Regalecus (Banksü?), & sfuggita al Cuvier e Valenciennes, e, come pare, anche al Jourdain (1872), a giudicare dal suo testo. Essa è stata solamente ricordata nel A. Bancksw dal Lutken, il quale nel 1881, in una nota, a p. 221, ricordando come Valenciennes e Jourdain non ne facciano cenno nel A. gladius, pare voglia attri- buire notevole importanza a questa caratteristica anatomica, che piü tardi (1883) ha poi invocata come differenziale fra Regalecus e Trachypterus. Per quante ricerche bibliografiche speciali abbia fatte sui Regalecus, non ho trovato autore che si sia più occupato da vicino dell’argomento, se si eccettua il Powell (1878) che ne ha data una imperfetta e sommaria descrizione ed il Parker (1883) che dà una figura, in sezione trasversa, del modo come & allogato il fondo cieco dello stomaco fra i muscoli della regione postanale. Né di questa particolarità di struttura si trova, per altro, fatto cenno in alcun trattato di Zoologia e di Anatomia comparata, anche fra i più recenti, né nei trattati speciali di Ittiologia come quelli del Günther (1880) e del Dean (1895). Nemmeno l'Oppel (1896) ricorda questa caratteristica anatomica dello stomaco dei Zegalecus. —— Ho creduto, perció, opportuno, avendo potuto farne uno studio particolareggiato, di completare quanto in proposito si conosceva, accom- paenando la descrizione con figure che meglio valgono ad illustrarla. E sono grato alla cortesia del Prof. D. Vinciguerra che mi ha con- cesso in esame un giovane Zegalecus di Messina’), ed al Prof. Giglioli che mi ha fornito le notizie di cui aveva bisogno sugli esemplari di Regalecus del R. Museo dei Vertebrati italiani di Firenze. L'aspetto generale della disposizione anatomica e dei rapporti del- lapparato digerente di Regalecus (glesne) & messo in evidenza dalla fig. 16. Questa, ricavata dal giovane individuo di Messina innanzi ri- 1) Quest'esemplare, quautunque mutilato nella regione caudale per un buon iratto, tuttavia corrisponderebbe, per le dimensioni, al giovane esemplare (pure di Messina) posseduto dal R. Museo dei Vertebrati di Firenze del quale il Prof. Giglioli mi ha cortesemente fornite le misure. Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. 131 cordato, completa le fig. 1 e 2 che rappresentano (di molto impicco- lito) lo stomaco e l'intestino del Regalecus di Cagliari. La porzione faringea ed esofagea del tratto anteriore del tubo digerente del Regalecus si continua gradatamente nello stomaco. Questo ha, nel suo insieme, l'aspetto di un lungo e stretto imbuto a collo molto allungato, che va gradatamente restringendosi verso il suo fondo cieco. A metà circa della sua parte allargata, inferiormente ed a sinistra, si trova una piecola sporgenza delle pareti dello stomaco, che rappre- senta la regione pilorica. Da questo punto lo stomaco comincia gradata- mente a restringersi per costituire il lungo fondo cieco, che, decorrendo parallelamente e di sopra all’intestino, lo accompagna fino all'altezza del suo sbocco nell’apertura anale. E, prolungandosi nella cavità ad- dominale — che si continua per qualche centimetro ancora posterior- mente oltre l'apertura anale — si intromette fra le masse muscolari della regione post-addominale, fra le quali decorre, verso la parte codale, per 72 cm. in lunghezza. Tl peritoneo parietale accompagna il fondo cieco dello stomaco per tutto il suo decorso addossandosi alle pareti di questo, che vi aderiscono per brevi briglie connettivali. L'estremo del fondo cieco dello stomaco contrae aderenze connettivali colle fibre muscolari vicinali. Dal piloro si diparte un esile intestino che conserva pressoche lo stesso calibro per tutta la sua lunghezza ed ha pareti assai sottili. Dalla sua origine esso si rivolge innanzi contro le pareti dello stomaco e risale, questo costeggiando, inferiormente e lateralmente, fino a livello della parte anteriore del fegato in corrispondenza della base delle pettorali (fig. 16). Qui si ripiega ad ansa rivolgendosi obliqua- mente da sinistra verso destra e da avanti in dietro per ridiscendere verso l'ano. Dal suo inizio questo tratto ricorrente dell'intestino, & rivestito da numerose appendici piloriche esili, sottili e fittissime fra loro che lo circondano per ogni verso, quasi nascondendolo. Esse sono rag- gruppate in maggior numero lungo le pareti laterali, assumendo, per questa loro caratteristica disposizione, l'aspetto di barbe di una penna; e, nella loro massa, aderiscono all’intestino riecorrente, che invol- 0 * DPI F. Mazza, gono, ed alle pareti dello stomaco, investendo pure le pareti del tratto corrispondente dell’intestino discendente. Il tratto discendente dell'intestino decorre parallelamente al riccorrente, inferiormente ed a destra dello stomaco ed un poco pit indietro del riccorrente fino al piloro. In questo punto, insinuandosi di sotto il tratto iniziale del- l'intestino ricorrente dal piloro, si rivolge da destra verso sinistra e si dispone sublateramente, a sinistra, e di sotto il fondo cieco dello stomaco; e, addossandosi a questo, l’accompagna fino all'altezza. del- l'apertura anale, dove si ripiega descrivendo una caratteristica curva ad L prima di sboccarvi. Al di sotto del piloro ed a destra dell'intestino, incuneata fra questo e quello, trovasi la piecola milza. L'appareechio digerente dei Trachitteri, dallo studio comparativo che ho fatto su più individui di 7. (aemia!), contrariamente a quanto ha notato il Carruccio (1895) cirea l'intestino del 7. taenia, & identico a quello testé descritto nei Regalecus, come già, peraltro, aveva osser- vato il Reid (1849). La sola differenza importante sta in ció che, come si rileva dalle figure 6 e 7, nei Trachitteri il eieco stomacale e, invece, brevissimo prolungandosi esso solo per breve tratto oltre il piloro. Descritta cosi la forma esterna e la disposizione caratteristica dello stomaco e del suo fondo cieco e dei relativi suoi rapporti nel Regalecus, accennerò alla struttura dello stomaco. Per comodità di esposizione divideró tutto il tratto gastrico in tre parti (fie. 1). La 1%, prepilorica, decorre dall'esofago al piloro (4), la seconda, postpilorica, dal piloro all'altezza dell'ano (2), e l'ultima, postanale, che é quella che si approfonda nei muscoli (2): in questa distinguerò ancora tre porzioni (a, b, c fig. cit.). Le pareti del primo tratto dello stomaco (preprilorico, fig. 1,) mostrano poco pronunciati i rilievi longitudinali della mucosa a forma di creste poco elevate, e queste si accentuano proprio in vici- nanza dellapertura pilorica (fig. 3, 14, 15). Si osservano pertanto sparse quà e là, nella mucosa, delle piccole cripte irregolari. 1) A Cagliari nello spazio di sei anni (1894—1900) ne sono occorsi tre, che trovansi nella collezione faunistica sarda del Museo Zoologico (Nota aggiunta). Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. 133 Le glandole sono numerose in questo tratto (fig. 4) e la mucosa si mostra di mediocre spessore, ma si ispessisce molto verso il piloro. Le zone muscolari sono bene distinte, peró la potenza del muscoli circolari supera di tre volte circa, in alcuni punti, quella dei muscoli longitudinali; la muscolaris mucosae è pochissimo sviluppata. Le duplicature longitudinali della mucosa vanno accentuandosi gra- datamente nel secondo tratto (postpilorico) dello stomaco. Le creste sono maggiori e talune biforcate, specialmente nell’ultima porzione, aumen- tando cosi la superficie dello stomaco che é già molto piü ristretto in questo tratto postpilorico. La mucosa conserva lo stesso spessore, e le elandole sono numerose e piccole. Le zone muscolari e la muscolaris mucosae si comportano come nel tratto precedente (fig. 1, e fig. 15). La mucosa della porzione postanale dello stomaco (fig. 11 e fig. 10) mostra, nel primo tratto, (fig. 1, a) le duplicature longitudinali ancora più fitte e numerose: essa ha uno spessore maggiore e le glandole hanno assunto maggiore volume, sono più lunghe e con un epitelio a cellule più grandi che in quelle precedentemente descritte. Ancora maggiormente accentuate sono le duplicature della mu- cosa nel secondo tratto (fig. 1,0) della porzione postanale, formando creste molto fitte fra loro, alte e numerose più che nel tratto prece- dente. La mucosa, é spessa e le glandole sono numerosissime e fitte (fig. 15b, fig. 5; fig. 12, fig. 13). Cominciano, invece, gradatamente a diminuire in numero ed a diradarsi le creste della mucosa nell'ultimo tratto (fig. 1,c) della porzione postanale dello stomaco, e scompaiono del tutto nel fondo cieco (fig. 15). La mucosa ha uno spessore gra- datamente minore e le glandole vanno diminuendo di numero; i tubi glandolari si fanno sempre più stretti e più brevi (fig. 8 e fig. 9). La muscolatura mantiene nel tratto postpilorico dello stomaco pressa poco il medesimo rapporto nella potenza dello spessore dei suoi strati già descritto nelle altre porzioni. Solo la zona dei muscoli longitudinali si ispessisce alquanto nel tratto medio di esso. Anche la muscolaris mucosae è poco sviluppata in questa porzione dello sto- maco; ma essa acquista uno sviluppo maggiore solo nell'ultimo tratto, e segue anche i rilievi della mucosa interponendosi, come pare, iu molti punti, fra le pareti esterne dei tubi glandolari. 134 F. Mazza, L'aumentata superficie del tratto postanale dello stomaco per le numerose creste testé descritte e la presenza di cosi fitte glandole piü sviluppate ancora che nei tratti precedenti, mostra evidente la sua au- mentata funzione glandolare. Cid che lascierebbe supporre una possi- bile localizzazione funzionale in rapporto alla sua speciale struttura anatomica descritta. Al che darebbe ragione il fatto di aver trovato principalmente in questo tratto dello stomaco dei residui alimentari. Tutto lo stomaco del A. di Cagliari conteneva della sabbia fina nella quale si trovavano, verso il fondo cieco, numerosi gusci dei seguenti molluschi determinati dal Sig", Arbanasich (Fra Piero) di Cagliari. 1° Cerithiolum Jadertinum Brus. 2° Hyalea vitrea Mont. 39 Car- dium tuberculatum Lin. 4° Neverita Josephinae Risso. 5° Serrula trunculus Lin. 6° Pyrgostelis rufus Monts. 7° Arca Noae Lin. 8° Ceri- thiolum lacteum Brus. A differenza di quanto ho teste descritto, nel Regulecus, nei Trachypterus, le pliche longitudinali della mucosa sono numerose per tutta la lunghezza dello stomaco e specialmente verso il fonde. cieco. Comparando ora Vapparato digerente del Zreyalecus adulto del golfo di Cagliari, con le forme giovanili di Messina (fig. 16) e del Museo di Firenze, si nota un fatto, non privo di una certa importanza e sul quale va richiamata l’attenzione per ulteriori ricerche. Difatti dal calcolo proporzionale fra la lunghezza del corpo e la distanza che intercede fra la punta del mascellare e l'apertura anale, tanto negli esemplari giovani, quanto nell’adulto di Cagliari, risulta che questo tratto rappresenta i ”/, della lunghezza totale del corpo, mentre nelle forme giovani rappresenta i ?|.. Ciò che riprova quanto dimostra già losservazione diretta, che, cioè, l'apertura anale nelle forme giovani trovasi collocata piü indietro che nelle forme adulte. Mancano osser- vazioni sulle larve di Zegalecus, e quelle fatte sulle larve dei Tra- chitteri non ci forniscono elementi sufficienti sul modo di comportarsi dell'apparecchio digerente in rapporto alla cavità addominale nello sviluppo di queste larve. Non si puó, conseguentemente, assegnare un giusto valore a questa differenza di posizione dell’ano, per quanto lieve, fra i giovani e gli adulti. Ma questo fatto, per quanto sap- piamo dagli studii e ricerche fatte sui pesci (confr. Raffaele), potrebbe Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. 135 fornirci un'indizio, che varrebbe anche a rendere ragione della peculiare condizione anatomica del cieco stomacale dei Regalecus. Perché esso darebbe ragione di pensare, che nelle larve dei Trachitteridi, l'ano si trovi collocato posteriormente verso l'estremo codale, come dimostre- rebbero le figure (3 e 4) dell'Emery (1879) che illustrano giovani larve di Trachypterus. E che, gradatamente, col crescere dell'animale e lo svilupparsi della regione caudale, o per correlativo spostamento ante- riore della cavità addominale, l'ano si trasporti definitivamente (pas- sivamente, od attivamente) innanzi nelle forme adulte a completo svi- luppo; del quale ridursi in avanti dell'ano, restano ultime tracce nelle più giovani forme postlarvali. E mentre nei Trachypterus, come è da supporre, lo stomaco se- guendo le sorti di tutto l'apparato digerente, con lo spostamento ante- riore della cavità addominale, ha subito una riduzione, nei Regalecus, invece, la sua porzione terminale (cieco) è rimasta inclusa, rivestita da un residuo di peritoneo parietale della primitiva cavità addominale, nelle masse muscolari in via di sviluppo della regione codale. Ciò che, probabilmente, è dovuto al fattore meccanico di una distenzione (per contenuto alimentare) di tutto il sacco stomacale, che ha impe- dita la riduzione della sua regione postpilorica, lasciando così deter- minarsi il lungo cieco postanale. Il quale, molto probabilmente, potrà avere ancora, in linea secondaria, subito un ulteriore allungamento, dovuto ai nuovi rapporti contratti, in relazione all’accrescersi della regione da esso occupata. E conseguentemente, come dimostrano le osservazioni isto-morfo- logiche comparative innanzi riportate, sembra essersi più specialmente localizzata in questo cieco stomacale (postanale) l'attività funzionale che rimane, invece, diffusa in tutto il sacco stomacale dei Trachitteri. Prima di finire sento il dovere di ringraziare il Prof. Monticelli Direttore di questo Istituto Zoologico che mi ha permesso lo studio del Regalecus in esame. Cagliari, Istituto Zoologico, Luglio 1897. 136 F. Mazza, Appendice. Breve notizia descrittiva del Regalecus glesne di Cagliari. Questo individuo era, come al solito, alquanto mutilato, ma non cosi da non permettere lo studio di tutte le sue caratteristiche esterne che qui riassumo solamente per individualizzare l'esemplare da me esaminato. L'altezza del corpo è contenuta circa 23 volte nella lunghezza totale del corpo (m. 2,20). Raggi dorsali complessivamente 421: primo gruppo (mutilati nella parte distale) 4 raggi, di cui il primo assai più robusto degli altri che sono esili; secondo gruppo raggi 6 egualmente robusti; raggi del terzo gruppo 411. I raggi della dorsale a 68 cm. dal capo cominciano a mostrare sporgenti le apofisi laterali della loro estremità prossimale cogli interspinosi (interneural spines, Owen) e vanno gradatamente aumentando coll’avvicinarsi alla porzione termi- nale della pinna dorsale. Raggi caudali (spine) 4. Distinte assai le ossa opercolari. Raggi branchiostegi 5. Lamine branchiali 4, con numerosissimi „gill rakers“ (Owen). Pelle con piccole verruche più accentuate verso la carena ventrale a cominciare da cm. 90 dalla testa e che si fanno sempre più evidenti verso l'estremità caudale. Misure relative delle parti. Lunghezza totale dall’estremità distale dell’intermascellare alla pinna caudale (meno i raggi) m. 2,20. Altezza massima m. 0,10. Altezza del corpo posteriormente all’opercolo m. 0,09. Altezza del corpo alla metà m. 0,085. Altezza del corpo all’estremo caudale, dove si arresta la mem- brana interradiale m. 0,03. Diametro dell'occhio mm. 19. Distanza dell’ano dal capo m. 0.57. Lunghezza della linea laterale che comincia verso l'opercolo in, Label, Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. 137 Distanza della linea laterale (a livello dell’apertura anale) dal ventre mm. 24. Distanza della linea laterale (a livello dell’apertura anale) dal dorso mm. 67. Distanza della linea laterale (a livello della pettorale) dal dorso mm. 42. Distanza della linea laterale (a livello della pettorale) dall'addome mm. 43. Distanza della linea laterale (a livello della pinna caudale) dal dorso mm. 5. Distanza della linea laterale (a livello della pinna caudale) dall'ad- > dome mm. 3. Letteratura consultata. Brov-Goode, G. Tarleton, H. Bean, Oceanic ichthyology. A treatise of the deepsea and pelagic fishes of the world, based chiefly upon the collec- tions made by the Steamers Blak Albatross and fish hansk in the North-Western atlantic, with an atlas containing. 417 figures. Smith- sonian Institut. U. S. National Museum. Washington 1895. Clarke, J. F., Trans. and Proceeding New Zealand Inst. 1897. Vol. XXX. p. 254 e Notes on occurrence of Regalecus argenteus on the Taranaki Coast. l. c. p. 264. Carruccio, A., Osservazioni anatomiche e zoologiche sopra due specie rare di pesci (Trachypterus Gouan) del mare di Civitavecchia. Boll. Soc. Rom. Studii Zoologici. 1895. N. I-II. Vol. IV. p. 1—22. Con tavola. Collet, R., Forhandl. 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Tutte le figure meno la 62 e 72 riguardano il Regalecus g!esne. Lettere comuni alle figure. apertura anale. m milza. appendici piloriche. mc muscoli circolari. cavità addominale (postanale). ml muscoli longitudinali. colletto delle glandole gastriche. mm muscolaris mucosae. cieco gastrico. mu mucosa. epitelio. p piloro. intestino (tratto discendente). $ sierosa. intestino (tratto riccorrente). sm submucosa. glandole gastriche. st stomaco. 1. Apparecchio digerente; !/ della grandezza naturale, visto dal lato sinistro. Lo stomaco è stato tagliato dopo la porzione faringo-esofagea. 2. Il medesimo visto dal lato destro. 3. Spaccato dello stomaco per mostrare l'apertura pilorica; un poco in- grandito (corrisponde al tratto « della fig. 15). 4. Sezione longitudinale di un pezzo di stomaco in prossimità del piloro; — x 25. (Sist. Zeiss, Camera chiara Dumaige.) Me 5. Spaccato del cieco stomacale corrispondente al tratto 5 della fig. 15; alquanto ingrandito. 6. | Apparecchio digerente del Trachypterus taenia; 1], della f lato sinistro. { grand. natur. Lo stomaco é tagliato al disotto della por- 7. ) zione faringo-esofagea. Ins destro. 8. Sezione macroscopica del cieco stomacale (postanale), corrispondente alla metà circa del tratto c della fig. 1; >< 1!J,. 6 9. Sezione di un pezzo della detta porzione più ingrandita; >< 95, par- 2 ticolari zDe 270. (Sist. Zeiss, Camera chiara Dumaige.) 10. Figura pitt ingrandita di un pezzo della sezione rappresentata nella fig. 11; 2 ; nie : : : ‘ TAIN) 55, particolari pe 270. (Sist. Zeiss, Camera chiara Dumaige.) 11. Sezione macroscopica del cieco stomacale (tratto postpilorico), corrispon- dente alla metà del tratto 2 della fig. 1; >< 10. Fig. Fig. . 12. 15. 16. F. Mazza, Note sull'apparato digerente del Regalecus glesne Asc. 141 Sezione piü ingrandita di un pezzo della sezione fig. 18 (ingrandimento come nelle fig. 9—10). Sezione macroscopica del cieco gastrico (tratto postanale); >< 8 circa. Corrisponde preso a poco allinizio della porzione b del tratto 5 della fio T. Sezione macroscopica schematizzata a livello della linea 4— 7 della figura 1; alquanto ingrandita. Spaccato longitudinale dello stomaco; '!/, della grandezza naturale. Giovane Regalecus (glesne) di Messina. E stato aperto lateralmente, a destra, per mettere in evidenza l'insieme dell'apparato digerente col cieco stomacale. Aus dem ply rolopiselicn Laboratorium des Herrn Prof. Dr. S. J. Tschirjew an der Universität zu Kiew. Die Innervation der menschlichen Haut. Von A. Leontowitseh. (Mit Tafel VI—XI.) Inhaltsübersicht. I. Einleitung. II. Untersuchungsmethoden. A. Färbung (mit Methylenblau). B. Fixierung der Färbung. C. Einbetten. D. Nachfärben. III. Die einzelnen Arten der Hautnerven und der peripherischen sensiblen Appa- rate der Haut. Morphologie der Hautnerven. A. Die Remak’schen Hautnerven. B. Die markhaltigen Hautnerven. Nerven des Corium. Intraepitheliale Nerven. Merkel’sche Zellen. Meissner'sche Kórperchen. Innervation der Haare. 6. Nervenzellen. C ha p RO IV. Allgemeine Prineipien des Baues der nervösen Apparate der Haut. V. Absolute und relative Nervenzahl in den verschiedenen Extremitätenbezirken. VI. Erklärung der Abbildungen. VII. Litteratur. A. Leontowitsch, Die Innervation der menschlichen Haut. 143 I. Einleitung. Meine Arbeit wurde unternommen, um die Ansichten von Blix, Goldscheider, M. v. Frey und einigen anderen Forschern über den Hautsinn einer Prüfung zu unterwerfen. Gleichzeitig mit Blix stellte Goldscheider bei der Prüfung der Sensibilität der menschlichen Haut mit feinen, an einem Ende abge- rundeten Kupferstäbchen verschiedener Temperatur die Existenz scharf umschriebener Hautbezirke fest, die allein die specifischen Empfindungen der Wärme, Kälte und des Druckes geben. Es sind das die sogenannten „Wärme-, Kälte- und Druckpunkte“. Nach M. v. Frey giebt es auch analoge „Schmerzpunkte“. Diese Haut- bezirke stellen, nach den genannten Autoren, im höchsten Grade specialisierte Organe dar, die auf jeden richtig angewandten Reiz nur in einer ihrer specifischen Energie entsprechenden Weise reagieren. Die zwischen denselben liegende Haut giebt, nach Goldscheider, nur unbestimmte, schwer zu localisierende Empfindungen und muss daher als Apparat für die allgemeinen Empfindungen angesehen werden, im Gegensatz zu den specifischen, in den „Punkten“ gelegenen Appa- raten, die einen sehr guten „Ortssinn“ besitzen. Herr Professor S. J. Tschirjew, dem das Vorhandensein solcher Thatsachen schon seit langer Zeit zweifelhaft erscheint, schlug mir vor, eine Unter- suchung über den Hautsinn gleich Goldscheider vom physiologischen und histologischen Gesichtspunkte vorzunehmen. Der vorliegende Artikel bildet nur den ersten, anatomischen Teil meiner Arbeit, der zweite, schon gleichfalls ausgearbeitete Teil be- schäftigt sich mit der physiologischen Seite der Frage. In Anbetracht dessen, dass die auf jeden dieser Teile sich beziehende Litteratur äusserst umfangreich ist, bringe ich hier nur die notwendigsten Hin- ‚weise auf die physiologischen Arbeiten. Im histologischen Teile meiner Arbeit machte ich mir die Er- forschung folgender Fragen zur Aufgabe: 1. Wieviel verschiedene Arten von Apparaten finden sich in der menschlichen Haut vor, mit Hülfe derer verschiedene Thatsachen aus dem Gebiete des Hautsinnes 144 A. Leontowitsch, zu erklüren sind? 2. Wie gross ist die Zahl jeder dieser Arten und wie ist ihre Lagerung in der Haut? Es ist mir eine angenehme Pflicht, meinem hochverehrten Lehrer, Herrn Professor S. J. Tschirjew, meinen aufrichtigen Dank auszu- sprechen sowohl für die Anregung zur Erforschung einer so interessan- ten Frage, als auch für sein liebenswürdiges Verhalten und den mir durch Wort und That während meiner Arbeit erwiesenen Beistand. Auch sage ich herzlichen Dank den Herren Chirurgen M. A. Galin, G. S. Iwanitzky, M. A. Kulischer, Professor L. A. Malinowsky, L. E. Mandelberg, Professor P. J. Morosow, W. M. Polasow, K. W. Prosheiko, J. G. Reishewsky, Privatdocent K. M. Sapjeshko, T. A. Sew, A. W. Sergy, S. G. Schalita, W. A. Towbin, Privatdocent N. M. Wolkowitsch, W. A. Worobjew für die Ueberlassung der operierten Patienten und danke allen den zahlreichen Collegen, die mir auf diese oder jene Weise bei der Herbeischaffung des Materials behülflich gewesen sind. II. Untersuchungsmethoden. A. Färbung. Zur Untersuchung der Nerven benutzte ich amputierte Extremi- täten. Ich pflegte sie unmittelbar nach der Operation zu mir zu nehmen, um sie ungesäumt mit Reagentien zu bearbeiten. Zur Färbung der Nerven bediente ich mich des Chlorgoldes, Chromsilbers (schnelle Methode nach Golgi) und des Methylenblaus nach Ehrlich. Die ersten zwei Methoden ergaben trotz zahlreicher Versuche nichts Positives und erwiesen sich deshalb als ungeeignet für meine Zwecke, was ich nach Sammlung von mehr Thatsachen besser zu beweisen versuchen werde Als Resultat meiner Arbeit habe ich nur das zu beschreiben, was das Methylenblau gab. Die Methylenblaufärbung hat noch lange nicht diejenige Ver- breitung gefunden, welche sie sowohl der Resultate wegen, die sie liefert, als auch wegen der Leichtigkeit des Verfahrens verdient. Dieses und der Umstand, dass ich bei meiner Arbeit das übliche Verfahren in vielen Einzelheiten abändern musste, veranlassen mich, über die technische Seite der Methylenblaufärbung etwas ausführ- Die Innervation der menschlichen Haut. 145 lieher zu sprechen, als das auf den ersten Blick notwendig erscheinen kónnte. Bei dieser Fárbung ist es vor allen Dingen wichtig, eine gute Farbe zu besitzen (Methylenblau rectificatum nach Ehrlich für vitale Fárbung). Ich benutzte das Grüblersche Präparat, für dessen Anwendung zwei Methoden in Betracht kommen. Die erste von Ehrlich [54] besteht bekanntlich darin, dass in das Blutgefäss eines lebendigen oder eben getöteten Tieres physiologische Kochsalzlósung mit einem Methylen- blaugehalt von 1—4°/, injiciert wird. Im Gewebe findet eine Re- duction des Methylenblaus statt, es geht in eine farblose Verbindung (Leukoproduct) über, die sich beinahe ausschliesslich in den Nerven concentriert. Wird nach einem gewissen, je nach der Tierart ver- schiedenen Zeitabstand ein feiner Schnitt aus diesem Gewebe der Wirkung des Sauerstoffs der Luft ausgesetzt, so geht dieses Leuko- product wieder in eine farbige Verbindung über und wird mit dem (Gewebe in später auseinander zu setzender Weise für die weitere Be- arbeitung fixiert; Die zweite Methode, die richtiger als eine Modi- fieation der ersten bezeichnet werden könnte, stammt von Dogiel!) (S. 551) und Apathy [4, S. 15—37] her. Eine feine !/, mm dicke Scheibe wird auf dem Objectglüschen mit einer schwach methylen- blauhaltigen (1:500—1:5000) physiologischen Kochsalzlósung gefärbt. Die Färbung wird unter dem Mikroskop überwacht und beim Optimum erfolgt die Fixation nach einer beliebigen Methode. Meiner Ansicht nach ist Blutserum (das Blut selbst eignet sich des Gerinnens wegen nicht) die Transsudat- und Cerebrospinalflüssigkeit (ich benutzte die vom Kalb), namentlich für die Remak'schen Fasern der Kochsalzlósung vorzuziehen. Von diesen beiden Methoden gab mir die Ehrlich'sche unver- gleichlich bessere Resultate. Ich kann derselben folgende Vorzüge nachrühmen: So fein auch der zu färbende Schnitt sein mag, nie kann doch die Farbe durch Befeuchtung oder auf irgend eine andere Weise so schnell und so gleichmässig das Gewebe durchtränken, wie es 1) S. Arnstein, Die Methylenblaufärbung als histologische Methode. Ana- tomischer Anzeiger. 1887. Bd. II. Ebensogut ist diese Methode in fast allen Arbeiten Dogiels beschrieben (37— 49). Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 10 146 À. Leontowitsch, durch das Arteriensystem geschieht. Die Dogiel’sche Färbung ist un- gleichmässig: es färben sich viel weniger Nerven, als bei der Gefàss- injection, andererseits haftet die Farbe sehr häufig nicht nur an den Nerven, sondern auch an den elastischen Fasern und dem Bindegewebe, was natürlich unser Urteil über das vorliegende Bild stark trübt. Immer- hin eignen sich solche Präparate zum Studium der Nervenendigungen als bestimmter histologischer Einheiten ganz gut. Wenn wir uns aber ausserdem eine Vorstellung von der Quantität verschiedenartiger Nerven an einer bestimmten Körperstelle machen wollen, so geben dazu solche Präparate nichts Feststehendes. Das haben mich folgende Thatsachen gelehrt: ich machte es mir zuerst zur Aufgabe, soweit das angine, Nervenendigungen in der Haut des ganzen Körpers zu untersuchen, allein nach vielen unbefriedigenden Versuchen stellte es sich heraus, dass gute Resultate nur mit Hülfe von Einspritzung von Methylenblau in die Arterien zu erzielen sind. Ich beschloss daher, mich auf die Untersuchung der Extremitäteninnervation zu beschränken, wobei die Ehrlich'sehe Methode anwendbar ist. Das Dogiel'sche Ver- fahren hat noch den Nachteil, dass es beständige intensive Aufmerk- samkeit, Hinzufügung immer neuer Farbenmengen fordert. Aus diesem Grunde macht jedes Stück sehr viel zu schaffen, und die Menge des zu untersuchenden Gewebes aus dem nach der Operation zur Ver- fügung stehenden Material muss stark beschränkt werden, während Amputationen bei der conservativen Richtung der modernen Chirurgie auch ohnehin selten vorgenommen werden. Es ist aber durchaus not- wendig, möglichst viel Haut zu färben, denn während nur die ge- lungensten Präparate wertvolle Resultate geben, bleibt auch unter günstigen Verhältnissen ein bedeutender Teil der Nerven ungefärbt und nur die Durchsicht eines grossen Materials lässt einen Schluss auf die quantitative Seite der Frage zu. Die Färbung gelingt wäh- rend mindestens 12 Stunden nach der Operation, häufig aber auch noch später. Der Zeitpunkt, an dem das Material untauglich wird, tritt recht scharf ein; das Bindegewebe wird dabei weniger durchsichtig und man gewinnt den Eindruck, als ob im den Bindegewebsfasern irgend eine Substanz gerinnt. Zur Einspritzung in die Arterien dienten Glascanülen mit kurzen Gummischläuchen zur Verbindung Die Innervation der menschlichen Haut. 147 mit der Spritze. Die Einspritzung in die Venen ist wegen der vielen Klappen ungeeignet. Um das Material voll auszunutzen, bediente ich mich häufig elastischer Gummischnüre. So pflegte ich vor dem Ein- führen der Canüle in die Arteria poplitea eine Schnur um die Mitte des Unterschenkels zu legen, um nach der Untersuchung der in der oberen Hälfte desselben befindlichen Nerven die Schnur weiter nach unten zu verschieben und immer neue Beinbezirke der Untersuchung zugänglich zu machen. Dank diesem Verfahren ging mir — soweit es natürlich die Zeit zuliess — kein Stück Material, vom Knie bis zu den Fingerspitzen, verloren. Man soll sich nie auf eine Canüle beschränken: dabei wird viel Arbeit vergeudet. Je mehr Canülen, desto besser: der durch ihre Einschiebung verursachte Zeitverlust wird reichlich durch die Leichtigkeit der Manipulierung und bessere Färbungserfolge aufgewogen. Es müssen daher am Unterschenkel Canülen in die Arteria poplitea, tibialis anterior und posterior etwas oberhalb der Maleolen in zwei Richtungen eingeschoben werden, um die Farbe nach oben und nach unten einspritzen zu kónnen. Àm Arm muss man dasselbe mit den Art. ulnaris und radialis und wo möglich mit der brachialis machen. Als beste Lösung erwies sich die ein- procentige Methylenblaulösung in 0,6?/, NaCl. Die Einspritzung muss bis zum gleichmässigen, nicht allzustarken Blauwerden der Haut fort- gesetzt werden. Da ein Ueberfluss der Farbe das Material gänzlich unbrauchbar macht und daher sehr schádlich wirkt, so ist es ratsam, zuerst etwas weniger Farbe als erforderlich einzuspritzen. Am wichtigsten ist es dabei, auf die in den verschiedenen Extremitäten verschiedene Reductionsfáhigkeit des Gewebes Rücksicht zu nehmen: zuweilen erlangt die Extremität schon 5 Minuten nach einer von einem intensiven Blauwerden begleiteten Einspritzung ihre ursprüng- liche weisse Farbe — dann bedarf es keiner besonderen Vorsicht — zuweilen aber geht auch eine geringfügige Bläue der Haut gar nicht zurück; hier ist ganz besondere Vorsicht geboten. Eine einmalige Einspritzung ergiebt eine zu unvollständige Nerven- färbung; ein viel besseres Resultat erzielt man, wenn man die Ein- spritzung mit Pausen von etwa 5 Minuten drei- oder viermal wieder- holt. Höchst wichtig für das Gelingen der Färbung ist die Wahl des 10* 148 A. Leontowitsch, Moments zum Ausschneiden des Stückes und Aussetzung desselben der Wirkung des Sauerstoffs. Für die Markfasern (des Menschen und der Warmblüter) ist bei einmaliger Einspritzung diese Procedur 12 bis 20 Minuten nach der Einspritzung vorzunehmen; bei vielmaliger Ein- spritzung erzielt man eine gute Fárbung sowohl unmittelbar nach der dritten Einspritzung als auch 5, 10, 15 ja sogar 30 Minuten später, da dabei eine Art Sättigung der Nerven mit Farbe eintritt, die bei viel- . maliger Einspritzung, anhaltender, als bei einmaliger ist. Für die mark- losen Fasern ist die zur Verfügung stehende Zeit grösser. Es scheint, als ob ein sofortiges Aussetzen der Sauerstoffwirkung das Bequemste wäre, doch kann man auch die zur Untersuchung der Markfasern dienenden Stücke benutzen. Eine gute Färbung erfordert eine mehr- malige Einspritzung. Es gelang mir aber nie, mehr als vier Ein- spritzungen zu machen: es trat gewöhnlich eine Ueberfärbung ein und das Material ging verloren. Ich versuchte eine schwächere Lösung einzuspritzen, das ging aber auch nicht, da man dann zur Erreichung derselben Intensität der Färbung zu viel Flüssigkeit braucht, was wiederum die Güte der Färbung beeinflusst. Eine Ver- bindung der Dogiel’schen und Ehrlich'schen Verfahren, d. h. eine er- ginzende Färbung auf dem Objectträger der nach der Gefässinjection ausgeschnittenen Stücke, ist zuweilen, namentlich zur guten gleich- mässigen Färbung der möglichst grössten Menge von marklosen Fasern, von Nutzen. Bei solcher Combination tritt für die markhaltigen Fasern und ihre Verzweigungen das Optimum der Oxydation 30, 45 oder 60 Minuten nach dem Aussetzen der Luftwirkung ein, für die marklosen bedeutend später, manchmal sogar erst nach 3 Stunden. Die Stücke sind in eine feuchte Kammer zu setzen, die sich am besten aus einer niedrigen Glocke und einer Glasplatte herstellen lässt. Letztere wird an einigen Stellen mit einer Kochsalzlösung (0,6°/,) be- gossen; diese Lösung ziehe ich dem destillierten Wasser vor, denn selbst wenn sie sich verdickt und dann mit dem zu färbenden Gewebe in Berührung kommt, so ist das doch weniger misslich, als wenn eine Berührung mit Wasser stattfindet. Diese Kammer hält am besten auf einem Thermostat, den man soweit erwärmt, das die Temperatur der Feuchtkammer 19° beträgt. Ich benutzte gewöhnlich Tempera- Die Innervation der menschlichen Haut. 149 turen von 32—35°, manchmal sogar bis 37° C.; solche Temperaturen sind aber nicht notwendig. Nach Dogiel darf die Temperatur der Feuchtkammer für Warmblüter nur nicht unter 19° sein, da eine weitere Erwärmung die Färbung wenig beeinflusst. Die Temperaturen von 32—37° bieten nur den Vorteil, dass das Gewebe, das bei weiterer Temperaturerhòhung sich wieder trübt, dabei am durchsichtigsten ist. Befeuchtet wird am besten alle 7 Minuten mit Hülfe einer feinen Pipette in dünner Schicht, da sonst der Sauerstoffzugang erschwert wird. Bei jeder weiteren Befeuchtung muss mehr Flüssigkeit ge- nommen werden, um mit der neuen Portion die frühere eingetrocknete zu entfernen. Die Concentration der hinzuzufügenden Farbenlösung hängt von der Reductionsfähigkeit des Objectes ab: je grösser die- selbe ist, desto grösser kann der Farbengehalt der Lösung sein (von 1:5000 oder 10000 bis 1:500); es gehórt eine gewisse Kunst dazu, das Optimum zu treffen. Bei der ergänzenden Färbung der Remak- schen Faser wird das Stück nach 11/,—2 Stunden vollständig blau, dies hat aber nichts zu bedeuten, die Färbung kann trotzdem fort- gesetzt werden. Nach einiger Zeit erblasst das Gewebe doch und nur die gefärbten Nerven ragen hervor. Viel vergebliche Mühe kostete es mich, bis ich herausfand, wie Markfasern an den Stellen mit dünner Epidermis, d. h. beinahe an der ganzen Ausdehnung der sogenannten behaarten Haut, zu färben sind. Es stellte sich heraus, dass der Sauerstoff durch die Epidermis sehr leicht diffundiert und daher die Nerven des Corium unmittelbar nach der Farbeninjection der oxy- dierenden Wirkung des Sauerstoffs ausgesetzt werden. Wenn man indessen ein unmittelbar nach der Injection aus gutem Material aus- geschnittenes Stück Gewebe mit gut färbbaren Nerven der Luft aus- setzt, so gelingt — wie sich Jedermann überzeugen kann — unter solchen Bedingungen die Färbung nicht. Es ist also dazu notwendig, dass die Reaction zwischen den Nerven und dem Methylenblau einige Zeit ohne Sauerstoffzugang vor sich geht. Wenn Ploschko auch mit Umgehung dieser Bedingung eine gute Färbung der Epiglottis ver- schiedener Tiere erhielt, so ist dies nur der von ihm angewandten Nachfärbung auf dem Objecttráger zuzuschreiben; für die Färbung der menschlichen Haut aber muss ich ganz besonders die Wichtigkeit 150 A. Leontowitsch, dieses Umstandes betonen: es wird sich jeder, der meine Arbeit nach- prüfen sollte, davon überzeugen müssen. Thatsächlich färben sich auch an diesen Stellen die Nerven ebenso leicht wie etwa an den Handflächen oder Fingerkuppen, wenn man die Haut des zu er- forschenden Bezirks während der Zeit von der Injection bis zur Aus- schneidung mit einem Gummiband, oder auch mit einer mit Wasser oder physiologischer Kochsalzlösung, am besten etwas erwärmter, be- feuchteten, Watteschicht bedeckt. Dieser Umstand ist nicht nur in technischer Beziehung, sondern auch für die Physiologie des Epithel- gewebes interessant, da er Licht auf eine der Ursachen wirft, die es ermöglichen, dass in diesem Gewebe trotz der manchmal bedeutenden Dicke desselben Blutgefässe fehlen. Wie setzt man die Nerven am besten der Wirkung des Sauer- stoffs aus? Es ist am vorteilhaftesten, die dieselben enthaltenden Ge- webeschnitte nicht auf Objecttràger zu legen, sondern auf von Ramón y Cajal vorgeschlagene Netze aus feiner dichter Seidengaze, die auf 2—3 mm dicken Holz- oder Metallrahmen von der Grösse eines grossen Objectträgers gespannt wird. Der Vorteil, den sie bieten, besteht darin, dass die Gaze dem beiderseitigen Luftzugang nicht hinderlieh ist; die Stücke kónnen dann dicker sein (1—1!/, mm) und die Färbung geht gleichmässiger vor sich. Wenn die Gewebestücke die Neigung zum Einschrumpfen zeigen'), so können sie zwischen zwei solche Netze eingeklemmt und so betrachtet werden. Zur Oxy- dation des Leukoproductes bedient man sich entweder des Sauerstoffes der Luft oder aber nach Bethe des Ammonium molybdaenicum mit Hinzufügung von 4,0, (Details s. unten), wobei wir nicht sehen und controllieren können, wie sich die Verbindung unter dem Einfluss der fixierenden Flüssigkeit färbt. Die Luft wirkt nur langsam, und um das Stück vor Austrocknung zu bewahren, ist es nötig — wie wir schon hervorhoben — dasselbe mit verschiedenen Flüssigkeiten zu be- feuchten. Allein damit ist eine ganze Reihe von Unzuträglichkeiten verbunden; weder kann die physiologische Kochsalzlösung, noch das Serum, noch die Cerebrospinalflüssigkeit als ganz indifferent gelten, 7) Solches Material lässt sich übrigens überhaupt sehr schwer färben. Die Innervation der menschlichen Haut. 151 namentlich auch deshalb, weil es trotz aller Vorsicht nicht immer gelingt, die Austrocknung und Eindichtung der Flüssigkeit zu ver- meiden; ausserdem vermindert die Zusatzflüssigkeitsschicht um ihre Dicke die Tiefe des Eindringens des Sauerstoffs in das (Gewebe. Schliesslich hindert der zur Ueberwachung der Färbung unumgäng- liche Zeitverlust, das ganze zur Verfügung stehende Material aus- zunutzen. Die 4,0,-Methode hat den Nachteil, dass sich dabei der ganze Process sozusagen im Dunkeln vollzieht; wir fixieren ohne zu wissen, was wir erhalten. Ausserdem färben sich nur wenige Nerven. 5. Meyer hat auch nicht unrecht, wenn er dieser Methode den Nachteil einer Bleichung der Färbung nachsagt. Ich erfand daher ein anderes Ver- fahren, das, ohne die Nachteile der erwáhnten Methode zu bieten, die Vorzüge derselben besitzt. Die Oxydation der Leukoproducte ge- schieht bei mir nicht mittelst des in der Luft enthaltenen. sondern mittelst des reinen Sauerstofis. Das Verfahren gestaltet sich dann folgendermaassen: eine 2—3 cm hohe Glocke, die als feuchte Kammer dient, wird auf eine mit physiologischer Kochsalzlósung begossene Glasplatte gestellt, wodurch ein genügender Abschluss vor der üusseren Luft zu Stande kommt. Nachdem ich unter die Glocke das Netz mit den Gewebestücken gelegt habe, schiebe ich dieselbe in der Weise über den Rand der Glasplatte, dass nur eine kleine Oeffnung für den Sauerstoff aus dem Gasometer leitenden Schlauch übrige bleibt, und öffne den mit diesem Gasometer verbundenen Hahn. Wenn ich aus der Menge des den Gasometer füllenden Wassers schliesse, dass die ganze Luft durch den Sauerstoff bereits verdrängt ist, schliesse ich den Hahn, schiebe wiederum die Glocke auf die Mitte der Glas- platte und schliesse damit seinen Inhalt von der äusseren Luft ab. Das Gewebe beginnt dann schnell blau zu werden, und nach circa * Minuten ist die Oxydation der Markfasern vollzogen. Dieser Zeit- abschnitt ist etwas grösser oder kleiner, je nach den Eigenschaften des Materials; man muss sich daher an jede Extremität besonders an- passen. Bevor man die individuellen Eigenschaften des Objectes kennt, ist es vorteilhafter, dasselbe nicht sofort für 7 Minuten unter die b] Glocke zu setzen, sondern diese Zeit in 2 oder 3 Abschnitte zu zer- 152 A. Leontowitsch, legen, zwischen denen man sich das Bild bei schwacher Vergrösserung (z. B. mit IV Object. Hartnak) ansehen und es controllieren kann. Zunächst färben sich ausser den Nerven auch andere Teile (Binde- gewebe, Blutkörperchen), bei längerem Verweilen in Sauerstoff aber wird die Färbung schwächer und verschwindet schliesslich ganz. Dieses Verschwinden tritt aber in den Nerven zuletzt ein; zur Zeit, wo alles übrige Gewebe schon ganz bleich ist, scheinen die Nerven für einige Augenblicke noch blauer zu werden; dieses Optimum ist eben abzupassen. Gelingt das, so erhalten wir eine sehr elective Fär- bung, gefärbt bleiben nur die Nervenelemente, und nur wenn zu viel Farbe injiciert worden ist, treten auch andere Bestandteile des Ge- webes hervor. Wie überhaupt bei Methylenblaufärbung, färben sich auch bei diesem Verfahren manchmal nur die Meissner'schen Körperchen, manch- mal nur die übrigen Endigungen der Markfasern, manchmal diese und jene, manchmal auch ein Teil der Remak’schen Fasern. Um die Färbung dieser letzteren zu erzielen, muss man die Oxy- 15 Minuten. Die Vorteile dieses Ver- dation länger dauern lassen: 10 fahrens sind bedeutend und meine besten Präparate gelangen nur bei dessen Anwendung. Ich halte es daher für angebracht, in Kürze alle V orzüge desselben aufzuzählen: 1. Werden sehr häufig viel mehr Nerven als bei der Luftwirkung gefärbt; 2. sind alle Zusatzflüssigeiten entbehr- lich und ihre schádlichen Seiten fallen fort; 3. wird dank der Kürze der zur Bearbeitung erforderlichen Zeit das Gewebe nicht verändert, während es bei der Bearbeitung durch die Luft zuweilen schwer fällt, die Markfasern von den marklosen zu unterscheiden; 4. dringt der reine Sauerstoff viel tiefer als die Luft ein. Dies hängt teils von der Abwesenheit der Zusatzflüssigkeitsschicht, teils von grósserer Sáttigung des Gewebes durch Sauerstoff ab. Bei längerer Einwirkung lassen sich viele Nerven in der Tiefe eines Stückchens von etwa 3—4 mm Dicke färben. An den Stellen mit feiner Epidermis, d. h. an der ganzen behaarten Körperfläche von Hand- und Fussrücken an, kann die Oxydation an Ort und Stelle, ohne dass Stücke ausgeschnitten werden müssen, durch Einwirkung des Sauerstoffs durch die Haut durchgeführt werden. Ich benutzte dazu kleine Glastrichter, deren Die Innervation der menschlichen Haut. 153 schmales Ende durch einen Schlauch mit dem Gasometer verbunden ist, während das entgegengesetzte Ende die Haut berührt. Die Oxydation pflegte ich auf diese Weise nicht bis zu Ende zu führen; schnell schnitt ich nach 3—4 Minuten das blaugewordene Stück aus und beendete die Oxydation auf dem Netze, indem ich unter dem Mikroskop auf oben geschilderte Weise das Optimum abpasste. Dabei findet keine irgendwie bemerkbare Austrocknung an der Oberfläche der ausgeschnittenen Teile statt und Zusatzflüssigkeiten sind daher entbehrlich; 5. studieren wir die Färbung „lebender“ Nerven; wir sehen das Bild vor und nach der Fixation und können die Fixage wählen, die der Wahrheit am meisten entsprechende Bilder giebt; 6. ist die Bearbeitung schneller und das Material kann daher besser ausgenutzt werden; 7. verlaufen alle Färbungsprocesse schneller und sind daher besser bemerkbar; das ermöglicht eine Anpassung an die Bedingungen der bestmöglichen Färbung dieses oder jenes Materials (s. unten über die Färbungskunst) und ein besseres Eindringen in das Wesen der Färbung; nur durch die Anwendung des reinen Sauerstotts wurde es mir klar, warum sich die Nerven an den Stellen mit feiner Epidermis auf gewöhnliche Weise nicht färben lassen; 8. gelingt die Färbung am reinsten, zuweilen sind nur die Nerven gefärbt; 9. ist ein gewisser Nachteil dieses Verfahrens darin zu sehen, dass sich da- bei nur der Axencylinder färbt: das Mark bleibt farblos und die Ranvier’schen Schnürringe sind nur an den von den Zwischenscheiben gebildeteten Querstrichen (Fig. 16, bei a) und an der intensiveren Färbung zu unterscheiden, während das Mark bei der Oxydation durch die Luft ein wenig verändert und darum (wenigstens bei den Schnürringen) leicht gefärbt wird, der Axencylinder ist dafür aber schlechter zu sehen; 10. tritt bei unserem Verfahren, ebenso wie bei der Oxydation durch die Luft, das Optimum für verschiedene Nerven verschieden schnell ein, wir kónnen also in jedem beliebigen Moment die Oxydation sistieren und nach Wunsch diese oder jene Nerven färben; darin liegen die Vorzüge dieses Verfahrens vor dem Bethe’schen (mit H, O,), bei dem wir nicht im Stande sind, die Färbung unter dem Mikroskop zu leiten und zu überwachen und uns damit begnügen müssen, was der blinde Zufall bringt. Uebrigens besitzt der reine Sauerstoff Vor- 154 A. Leontowitsch, züge nur beim Studium der Warmblüter, die Kaltblüter bieten gewisse von mir nur wenig erforschte Besonderheiten. Namentlich eignet sich dieses Verfahren zur Färbung der grösstmöglichen Menge von mark- haltigen Fasern und zum Studium der Morphologie aller Arten von Nerven. Zur Betrachtung der allgemeinen Verteilung der marklosen Fasern ist es ungeeignet, da die Färbung zu ungleichmässig gerät. Trotzdem das Material, das mir zur Verfügung stand, beinahe ganz gleichmässig war (amputierte, nach Esmarch blutleere Extremi- täten), und die Verschiedenheit der Todesart, welcher die Autoren so oft das Misslingen der Methylenblaufärbung zuschreiben, auf diese Weise von keiner Bedeutung war, spielten doch andere unbekannte Eigen- schaften dieser oder jener Extremität bei der Färbung die Hauptrolle. In gutem Material ist es geradezu schwer, die Nerven nicht zu färben (ob gut, hängt natürlich von der Kunstfertigkeit ab), dafür aber blieben in anderen Fällen alle meine Bemühungen, eine Farbung zu erzielen, trotz meiner ziemlich reichen Erfahrung erfolglos. Im allge- meinen gaben !/, oder !/. aller Extremitäten ganz gute Bilder. Als Zeichen, aus denen man mit einer gewissen Voraussicht auf ein Gelingen der Färbung schliessen kann, kann ich folgende angeben: 1. Bedeutende Reductionsfähigkeit des Gewebes, die, wie schon her- vorgehoben wurde, bei verschiedenen Extremitäten verschieden ist. Die Haut mancher Extremitäten wird schon 5 Minuten nach einer einmaligen Injection ganz weiss, manchmal geschieht es erst nach 10 Minuten, zuweilen aber tritt die Reduction gar nicht ein. Man könnte darum denken, dass die Nerven sich um so besser färben, je mehr reducierende Stoffe das Gewebe enthält; das ist aber nicht ganz richtig. Das beste Resultat bekam ich bei Extremitäten mittlerer Re- ductionsfähigkeit. 2. Das Oedem, das die Färbung zu begünstigen scheint. Auch hier ist der mittlere Grad vorzuziehen. Wahrschein- lich ist dabei einerseits der Gehalt an reducierenden Substanzen be- deutend, andererseits stellt das Eiweiss enthaltende Exsudat eine gute Zusatzflüssigkeit für das Methylenblau dar. Wenn man sich dieses Exudats statt der physiologischen Lösung bei der Dogiel’schen Färbung bedient, so muss es mit dem Blau unmittelbar vor jeder Befeuchtung vermischt. werden, sonst verändert sich das letztere und hört ent- Die Innervation der menschlichen Hant. 155 weder ganz auf, die Nerven zu fárben, oder es fürbt das Gewebe diffus. | Wir sehen daraus, dass die Methylenblaufärbung ebenso launen- haft ist, wie alle Färbungsmethoden der Nerven. Von den anderen Momenten, von denen man einen Einfluss auf die Färbung voraussetzen kann, will ich nur auf zwei hinweisen: 1. Das Alter; ich hatte aber sowohl junge (12 und 14 Jahre) als alte (60—70 Jahre) Extremitäten und konnte keinen Einfluss des Alters bemerken. 2. Die ungleich schnelle Unterbrechung der Blutcirculation | und der damit verbundene qualitative und quantitative Unterschied in den Stoffwechselproducten der Extremität. 3. Eine gewisse — um einen starken Ausdruck zu gebrauchen — Nekrobiose scheint die Färbung zu begünstigen; Extremitäten, die bei complicierten Brüchen infolge von beginnender Gangrän amputiert waren, gaben mir vorzügliche Resultate. Doch war ein specifischer Einfluss des einen oder des anderen pathologischen Processes nicht wahrzunehmen. Ebenso gelang die Färbung häufig am besten in der Nähe von tuberkulösen Herden. Durch für die gegebene Extremität geltende allgemeine Ursachen allein lassen sich diese Besonderheiten nicht erklären, denn es bleibt un- verständlich, warum sich bei schlechtem Material ein kleiner Teil der Nerven färbt, die Hauptmasse aber ungefärbt bleibt. Man muss daher annehmen, dass sowohl ein gewisser Zustand der Lebensthatigkeit der Nerven, als auch ein gewisser allgemeiner Status des Organismus hier die Hauptrolle spiele; worum es sich aber dabei eigentlich handelt, ist nicht mit Bestimmtheit zu sagen. (Durch Chloroform getótete Tiere caben mir keine guten Resultate, der Verblutungstod scheint aber für die Färbung am günstigsten zu sein.) Zur Ausschneidung der Querscheiben aus dem Gewebe bedarf man eines gewöhnlichen Valentin’schen Doppelmessers. Man soll da- bei von besonderer Feinheit der Schnitte absehen, da die oberfläch- lich gelegenen Zellen, namentlich die des Epithels, häufig einer Meta- morphose verfallen und es dann nötig ist, darunter einen Vorrat von Gewebe zu haben, das ein besseres Bild geben könnte. Dasselbe Messer ist auch für die Haare zu brauchen; das Aus- schneiden derselben ist schwer und gelingt nicht immer. Man muss 156 A. Leontowitsch, das Messer in einer der Haarneigung entsprechenden Richtung führen, indem man die Spitze desselben mit der Hand stützt. Für Flächenpräparate aus behaarten Körperteilen eignet sich am besten ein sehr scharfes (!) Rasiermesser mit einer ebenen Seite (wie für mikroskopische Schnitte mit der Hand). Ein Assistent achtet darauf, dass das Messer ganz glatte Oberfläche treffe, indem er ver- schiedene Hautgebiete anzieht oder eindrückt. Das gelingt mit ein wenig Uebung recht leicht. An Stellen mit dicker Epidermis, an der Hand- und Fussfläche oder an der inneren Fläche der Phalangen, kommt man besser und schneller zum Ziel bei Benutzung eines von mir erfundenen „Doppel- messers“ !), dessen eine Schneide durch ein stumpfes Lineal ersetzt ist. Das letztere hat die Aufgabe, an der Hautoberfläche gleitend, zu ver- hindern, dass die schneidende Klinge zu tief in das Gewebe eindringe, und letztere, nachdem sie eine gewisse Tiefe erreicht hat, eine der Körperoberfläche parallele Scheibe ausschneiden zu lassen, deren Dicke dem Abstand zwischen der scharfen und der stumpfen Klinge ent- spricht. Dieser Abstand und folglich auch die Dicke des Haut- schnittes wird durch eine Schraube reguliert. Beim Schneiden soll die Messerfläche einen sehr kleinen Winkel mit der Epithelfläche bilden, ja sie beinahe berühren, wie beim Hobeln. Die Kunst des Färbens besteht in der richtigen Lösung folgender Aufgaben: 1. Wieviel Farbe ist zu injicieren? Gewóhnlich wird angeraten: bis zum deutlichen gleichmässigen Blauwerden. Dieses Kriterium ist aber unzuverlässig. Man soll sich nach der Reductionsfähigkeit des Materials richten und immer daran denken, dass es vorteilhafter ist, etwas weniger zu injicieren (die Färbung wird dann nur weniger intensiv), als sich der Möglichkeit aussetzen, sofort alles durch zuviel Farbe zu verderben. Geht die Reduction gut, so ist es besser, mehr zu injicieren, das nützliche Maximum muss aber erraten werden. Die Anwendung elastischer Schnüre giebt uns auch den Vorteil, 7) Zu haben bei Klug, Geschäft für chirurgische Instrumente in Kiew (Russland). -— - ———————— I I Die Innervation der menschlichen Haut. 157 dass wir die Möglichkeit haben, einen Teil des Materials zur Be- stimmung seiner Färbungsfähiekeit zu opfern. Geht die Reduction schlecht. so kommt dabei nichts heraus. Man kann dann die vielfache Injection nicht anwenden. 2. Ist die Zeit zwischen der Injection und dem zu erfolgenden Sauerstoffzutritt zu bestimmen. Im Durchschnitt ist sie auf 12—15 Minuten nach einmaliger Injection zu bemessen; bei vielfacher Injection eelingt sie auch nach 12—15 Minuten nach der ersten Portion, es ist aber besser, 25—-30 Minuten danach zu warten. Uebrigens geben zu- weilen unmittelbar nach der letzten Injection ausgeschnittene Stücke eine gute Färbung der Nervenzellen. An Stellen mit feiner Epidermis ist es bei vielfachen Injectionen ratsam, um die Intensität des Blauwerdens verfolgen zu können, nach jeder Wiederholung das Gummiband abzunehmen und es sofort wieder anzulegen. Zuweilen schien es mir vorteilhaft, die Extremität un- mittelbar nach der Amputation zu verbinden und das Band nur für die Zeit der Injection abzunehmen. Ob das sehr wichtig ist, vermag ich nicht zu sagen, aber mir gelang es gerade bei solcher Bearbeitung, die Meissnerschen Kórperchen am Unterschenkel zum Vorschein zu bringen. Abweichungen von den angegebenen Thatsachen sind zwar selten, kommen aber doch vor; so färbten sich an einem Bein die Markfasern nur bei unmittelbar nach der Injection erfolgtem Sauerstofizutritt. Es ist daher ratsam, eine Reihe Probeschnitte zu machen, um auch hier das Beste zu treffen. Die Geschwindigkeit der Oxydation durch reinen Sauerstoff lässt darüber in kurzer Zeit ins Klare kommen. Seltener er- weist sich die langsame Luftwirkung ohne ergänzende Färbung frucht- bringender, als die schnelle Oxydation durch reinen Sauerstoff. In solchen Fällen ist es gut, die Schnitte mit den schon hervorgetretenen Nerven vor der Fixierung nur auf ganz kurze Zeit der Wirkung des reinen Sauerstoffs auszusetzen. Ich setzte sie gewöhnlich dazu nicht unter die Glocke, sondern richtete auf sie während !/,—1 Minute einen O-Strahl. Dabei erzielt man teils eine bessere Election, teils treten auch neue Nervenelemente hervor; man muss nur darauf achten, dass der Sauer- stoff nicht zu stark wirke und keine Bleichung hervorrufe. Sollte 158 A. Leontowitsch, ein solches Verfahren keine Resultate geben, so versuche man eine Nachfärbung. Die Dogiel’sche Methode, die schlechtere Resultate giebt, bietet den Vorteil, dass sie weniger von den Eigenschaften des Materials abhängt; wenn man daher irgend etwas unbedingt erhalten will, so wende man bei schlechtem Material diese Methode an. Nicht immer übrigens sind die Extremitäten, deren markhaltige Fasern sich nicht färben lassen, zu nichts zu gebrauchen; zuweilen lassen sich dann ihre marklosen Nervenfasern um so besser färben. Man muss dabei ebenso verfahren, wie bei den markhaltigen Fasern, nur dauert es hier länger bis zum Eintritt der Färbung; der reine Sauerstoff bringt sie nach 10—20—30 Minuten, die Nachfärbung, die, wie gesagt, für die Gleich- mässigkeit des Bildes erforderlich ist, nach 1'/,—2—2'/, und sogar 5 Stunden zum Vorschein. Zur Erlangung eines allgemeinen Bildes der Remak’schen Fasern eignen sich besser feine Schnitte, wenngleich die Färbung bei sehr gutem Material auch an Schnitten von 1 mm Dicke gelingt. .Uebergangsformen* sind dann zu sehen, wenn die markhaltigen und marklosen Fasern sich zugleich färben lassen. Leider gelang es mir nicht, die Bedingungen ihrer Färbbarkeit vollständig zu erforschen: sie bildeten stets nur zufällige Befunde. Intraepitheliale Remak'sche Zellen sind sehr schwer zu färben; an gutem Material erhielt ich sie bei längerer Nachfärbung. Die Langerhans'schen Zellen lassen sich bei mehrfacher Injection leicht färben, im Gegensatz zur Verbindung dieser Zellen mit den grossen Nerven, die mir nur auf solchen Präparaten gelang, auf denen. sich sowohl die markhaltigen als die marklosen Fasern färben liessen. B. Fixierung der Färbung. Zur Fixierung der Färbung sind viele Methoden vorgeschlagen, aber nur zwei derselben werden gewöhnlich angewendet: die von Dogiel [8] und die von Bethe’) [14, 15, 17]. Die Dogiel'sche Methode besteht darin, dass man das Gewebe 7 Stunden lang mit einer in 1) Die übrigen haben nur ein historisches Interesse. So wurden AJ (Arnstein, Anat. Anz. Bd. II) Palladium chloratum (Buchalow [27], Sublimat und manches andere vorgeschlagen. Gummisyrup (Apathy [4], habe ich nicht geprüft. Die Innervation der menschlichen Haut. 159 Kälte gesättigten Ammoniumpikronitricumlösung bearbeitet; dann werden die Objecte in eine Mischung von 12 Teilen Glycerin, 12 Teilen Wasser und 8 Teilen einer gesättigten Lösung von pikrinsaurem Am- monium hineingethan. Von den zwei Varietäten des Amm. picronitr., dem gelben und dem orangeroten, ist nach Timofejew [205, S. 46] und Ploschko [155, S. 43] stets die letztere vorzuziehen, was ich auch gewöhnlich that." Ein gewisser Vorteil dieser Fixation ist darin zu sehen, dass sich dabei alle Bestandteile des Axencylinders recht intensiv färben, während bei den meisten anderen Verfahren seine Teile zwischen der intensiv blauen oder violetten Kernsubstanz und den Fibrillen kaum bemerkbar sind. Doch bietet dieses Verfahren den bedeutenden Nachteil, dass die Präparate nur in Glycerin ein- geschlossen werden dürfen, das sie nicht genügend lange conserviert, und dass Einbettung in Paraffin dabei nicht zu gebrauchen ist. Die Nach- färbung mit Pikrocarmin, welche Smirnow noch vor der Publication der Dogiel’schen Methode zur Fixierung vorschlug, hat mir trotz aller Be- mühungen nichts Beachtenswertes gegeben. Uebrigens war dies auch zu erwarten, da in den zahlreichen Arbeiten Dogiels über Histologie der Nerven beweisende und klare Zeichnungen der Nachfärbung nervöser Apparate durchaus fehlen; zu diesem Zwecke halte ich nur einige von den später zu beschreibenden Mischungen mit Molybdänsäure für geeignet. Eine zweckmässige Aenderung dieser Methode gab Ploschko an [155, S. 46 u. 47. Nach der Fixation in Amm. pier. wird das Gewebe für 6—48 Stunden (je nach der Grósse) bis zur erfolgten Hartung in eine 5procentige Formalinlósung gebracht. Die Schnitte werden mit Hülfe des Rasiermessers mit der Hand nach Einklemmung in Hollunder gemacht (ich ziehe für diesen Zweck das Gefriermikrotom vor) Die Untersuchung geschieht auch hier wie bei der Dogiel'schen Fixage in Glycerin. Auch hier übrigens klárt die Nachfárbung mit Pikrocarmin über die Einzelheiten wenig auf, da die Färbung sehr !) Diese Verbindung ist — worauf mich Herr Prof. Paul Meyer hinwies — die an Ammoniakgehalt reichere. Die verschiedenen Modificationen derselben von orangerot zu rot erhált man leicht bei der Crystallisation des gelben Am. picro- nitric. im Ueberschuss von Ammoniak. Nach wiederholten, unter dem Mikroskop überwachten Fixagen ist es leicht zu bestimmen, welche von diesen Modificationen am geeignetesten ist. 160 A. Leontowitsch, wenig electiv ist; ihr Nutzen ist also sehr gering. Nur mit grosser Mühe gelang es mir, nach solcher Formalinbearbeitung ein ziemlich eutes — allerdings bald entfärbtes — Präparat der Meissner’schen Körperchen mit deutlich gefärbten Kernen der Merkel’schen Zellen zu erhalten. Ich benutzte dazu nach folgender Formel zubereitetes Alauncarmin: In Kälte gesättigte Lösung von pikrinsauerem Ammonium 100,0 Ammoniumalaun. 22.0 COUT NEUE UN MORT CARMAN T RE e NT SURE ees OR N ER) Käufliches Schermne’sches- OMAN x D Die Carminfárbung dauerte 4 Minuten. Der Vorzug der beiden eben beschriebenen Methoden soll darin bestehen, dass sich die Nerven dabei electiv färben und dass man sie daher von anderem (Gewebe gut unterscheiden kann. Die Election ist aber thatsáchlich nicht sehr scharf, die Bindegewebszellen fárben sich auf stark gefärbten Präparaten ebenso intensiv wie die Nerven. Besser ist aber die Election, welche die unten beschriebenen Misch- ungen des Cyangoldes oder des Na, PdCl, mit PéCl, und molybdän- saurem Ammonium geben. Viel einfacher und zuverlässiger ist die Bethe’sche Methode der Fixierung und Aufbewahrung der Práparate. In seiner letzten Arbeit über diesen Gegenstand empfiehlt dieser Autor folgende Formeln: das zu bearbeitende Material wird in kleine Stücke zerschnitten in die erwähnte Ammoniumpikronitricumlósung gelegt, damit diese schnell diffundierende Fixage die Färbung in den Nerven provisorisch so lange festhalte, bis eine der folgenden besser wirkenden Mischungen in die Tiefe des Gewebes eindringt. Diese Mischungen sind: 1.4 Am molyibdaenici wis ra Er) Aides tilatae d Para 297200 "Ac hydeochlonie na qM MSIE IT. Am: molybüaenigu 2 e IO Aq destillatae" eh. Seel obi 100 OR move (An) el‘ Ary hlorici ee mee eee Die Innervation der menschlichen Haut. 161 III. Ammon. molybdaenici . . . . . 1,0 Aq destillatde ^ tuas dimelott 10,0 Ne: OS EN. So) ee T EM RO Neidehydrochloriei 10.0 5b whinsgte E IV. Na. phospho-molybdaen. . . . . 1,0 Au destillataeri isviensint door 112010 Ae /hydnochlorierad. bg enter god. V. Na. phospho-molybdaen. . . . . 1,0 Aq» destillataeut ouate 10)0 Aexichromicr(2? |e nni 0515100 Ard dao chioricilaio. a. wurde nib grt VI. Na. phospho-molybdaen. . . . . 1,0 Aqudestillatae.s 252194 vob. ut stl Acaosmereiy (Han yoils oso nev rre Ae iuhydrgehlorieml aie. 56] anse etai In den Osmiumsäure enthaltenden Mischungen dauert die Fixie- rung 4—12 Stunden, in den anderen (bei 2—3 mm dicken Stücken) ca. */, Stunde. Zu jeder der angegebenen Mischungen kann man noch 1,0 7,0, hinzufügen. Dann wird das Aussetzen des Gewebes der oxydierenden Sauerstoffwirkung entbehrlich, da sich eine sauerstoffreiche Substanz: Ammon. hypermolybdaenicum bildet, die in den Nerven bei der Fixation mit den Leukoproducten des Methylenblaus eine gefärbte Verbindung giebt. Bethe empfiehlt daher, das Material in Stücken à 1 ccm un- mittelbar nach der Blaueinspritzung in diese Mischungen zu legen. Dieser Autor behauptet auch, dass, falls man die Mischungen auf das Material nach der erfolgten Luftwirkung, d. h. zu einer Zeit, wo die Nerven schon blau gefärbt sind, einwirken lässt, nachträglich da, wo das Leukoproduct noch nicht oxydiert war, eine neue Anzahl von Nerven hervortritt. Die H,0,-Fixage muss bis auf 0°—2° abgekühlt werden, sonst spaltet sich gasférmiges O ab, das das Gewebe be- schädigt. Ich sah von der Anwendung des 4,0, keinen besonderen Nutzen; manchmal traten zwar solche Nerven hervor, die vor der Fixage nicht zu sehen waren, dafür aber verschwanden manche von Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 11 162 A. Leontowitsch, den vorher bemerkten. Diese Eigenschaft der H,O,-Fixage war der Gegenstand einer Polemik zwischen S. Meyer |188, Bd. XLVI] und Bethe [15, S. 439 u. ff]. S. Meyer behauptet, dass H,O, häufig eine Bleichung der Färbung verursache, Bethe leugnet dies und versichert, dass die Färbung da- durch im Gegenteil noch intensiver wird. Meiner Ansicht nach haben sie bis zu einem gewissen Grade beide recht. Wie schon oben aus- einandergesetzt wurde, muss man zwischen der Farbeninjection und dem Anfang der Sauerstoffwirkung eine bestimmte Zeit verstreichen lassen. Beginnt diese Wirkung vor oder nach einem gewissen Zeit- punkt, so gelingt die Färbung in einigen Elementen schlecht oder gar nicht. Das lässt sich, glaube ich, am besten durch die Annahme er- klären, dass das Blau in den Nerven einen ganzen Cyclus von Meta- morphosen hervorruft, von denen die einen gefärbte, die anderen farb- lose Verbindungen geben. Da ein Teil der Nerven (hauptsächlich die markhaltigen) sich schneller, der andere langsamer färbt, so werden wir bei der Wirkung des reinen Sauerstoffs auf einen Gewebsschnitt an einem Teil der Nerven an dem günstigsten Zeitpunkt — sagen wir nach 3 Minuten — die intensivste Färbung erlangen; lassen wir den Sauerstoff weitere 3 Minuten wirken, so färbt sich eine weitere Anzahl von Nerven intensiv, dafür beginnen die ersten zu erblassen. Bei weiterer Wirkung färben sich neue Nerven, der zweite Teil erblasst und der erste entfärbt sich ganz und gar. Aehnlich steht die Sache bei der Wirkung von H,0,; zur Färbung ist das Oxyda- tionsoptimum nötig, während es sich bei der Fixierung mit einem oxydierungsfähigen Salze so treffen kann, dass verschiedene Nerven die Stadien unserer hypothetischen drei Gruppen durchmachen müssen. Alles hängt davon, ab, in welchem Momente des Farbungscyclus sie betroffen werden. Ich kann mich daher — wenigstens was die Warm- blüter anbetrifft — mit Bethe nicht darin einverstanden erklären, dass die Färbung bei H,0,-Anwendung intensiver gerät: das ist ver- schieden. Bethe stützt sich bei Begründung seiner Ansicht darauf, dass die fixierende Mischung gar kein H,0,, sondern nur hypermolybdänsaures Ammonium enthält: während 4,0, das Pentamolybdat des Methylen- Die Innervation der menschlichen Haut. 163 blaus (das bei der Wirkung des letzteren auf das Amm. molybd. entsteht) schnell zerlegt, greift das hypermolybdänsaure Ammonium diese Verbindung auch bei einer Dauer von 48 Stunden nicht an. Bei Fixierung von Präparaten mit bereits gefärbten Nerven durch hypermolybdánsaures Ammonium, beobachtete ich aber trotz sorg- fältiger Abkühlung auf 0° eine unzweifelhafte Entfärbung vieler Nerven zugleich mit der Färbung neuer, früher ungefärbter. Es ist anzunehmen, dass wir in den Nerven nicht mit denselben Verbin- dungen, die wir im Probierglas entstehen lassen, sondern nur mit nahen Derivaten derselben arbeiten; damit liessen sich die Resultate der Bethe’schen Versuche erklären. — Dieser Unbequemlichkeiten wegen hörte ich ganz auf H,O, anzuwenden; indes sollte man bei der Mannig- faltigkeit der Einzelheiten, die einem bei der Nervenfärbung begegnen können, an die Möglichkeit eines solchen Versuches denken: es können Fälle vorkommen, wo 4,0, doch unersetzlich ist. Ein Hinzuthun von Säuren zu Am. mol. erwies sich für mein Material als bedeu- tungslos. Die Mischungen III und VI fixieren sehr gut, für die Haut aber sind sie ungeeignet, indem sie die äussere Epithelschicht und das Stratum lucidum schwarz färben, machen sie die Betrachtung von Hautflächenpräparaten, die sich als besonders fruchtbringend er- wies, unmöglich. Die Farbe der Nerven ist dunkelblau, die Meissner- schen Kórperchen bekommen ein dunkles einförmiges kórniges Aus- sehen, das keine Orientierung über ihren inneren Bau zulässt; ich benutzte sie daher nur zur Controle anderer Fixagen und zur Myelin- färbung. Das Na. phosphomolybdänicum zieht Bethe dem Amm. mo- lybdaenic. deshalb vor, weil beim Na. die Blaukörnchen in den Nerven kleiner sind und die Färbung im Canadabalsam haltbarer ist. Ersterer Behauptung kann ich voll beistimmen, vom Canadabalsam aber sind mir noch nie Nachteile erwachsen. Ein weiterer Vorzug des Na. be- steht darin, dass dabei die Nervenschnitte zwischen den dunklen Kernen auch recht intensiv gefärbt sind, während ihre schwache Fär- bung bei Am. mol. häufig als grosser Mangel des Präparats empfunden wird, namentlich wenn der Schnitt diek ist. Ein Nachteil des Na. ist es, dass dabei der Alkohol trotz seiner Abkühlung bei der Be- arbeitung doch nicht selten die Farbe extrahiert. 11* 164 A. Leontowitsch, Die Mischungen I und IV fixieren sehr schlecht, viel schlechter als z. B. die Müller’sche Flüssigkeit; die Begrenzung der Zellen ist unklar, die Einzelheiten des Präparats verunstaltet, die Nervenendi- eungen, namentlich die nackten Fibrillen und grossen Scheibenvari- cositäten verzerrt, und man kann sich beim Vergleich des Bildes der lebenden mit den fixierten Nerven eines Gefühls des Aergers nicht erwehren, wenn man sieht, wie das frühere wundervolle Bild ver- dorben ist. Ich halte daher diese Formeln für durchaus unbrauchbar. Die Fixagen II und V sind besser und bieten den Vorteil, dass die Ranvierschen Schnürringe deutlich hervortreten, da der Axen- cylinder an diesen Schnürringen intensiver gefärbt ist und sowohl dieser als das Myelin häufig eine violette Farbe zeigt. Uebrigens ist das nur der Fall bei der Fixierung in einem bestimmten Moment, dem gewöhnlich bei der Nachfärbung auf dem Objeetträger das Maxi- mum der Färbung entspricht, wenngleich es mir auf nichtfixierten Präparaten nie gelang, die Schnürringe zu sehen. Auf mit reinem Sauerstoff bearbeiteten Präparaten waren die Schnürringe nur an der intensiveren Färbung der benachbarten Nervenabschnitte und manchmal an den gefärbten Zwischenscheiben zu bemerken, so dass sich ein Bild von der Art des Ranvier’schen Kreuzes ergab. Der Wunsch, mir über die Frage der sogenannten Merkel’schen Zellen Klarheit zu schaffen, liess mich nach einer Methode suchen, die einerseits bei voller Durchsichtigkeit des Gewebes (was beim Osmium fehlt) eine dem Bilde des lebenden Zustandes am meisten entsprechende Fixation der Nerven geben und folglich die Betrachtung grosser und dicker Hautflächenpräparate ermöglichen sollte; andererseits sollte sie gleichzeitig die Merkel’schen Zellen hervorheben und eine supple- mentüre Fürbung des Gewebes mit Anilinfarben oder Carmin zulassen. Einen diesbezüglichen Anstoss gab mir ein zufällig vorzüglich ge- lungenes Osmiumpräparat der Merkel’schen Zellen. Da die Fixation nach A. Dogiel, bei der eine Election der Nerven stattfindet, in mancher Beziehung bessere Bilder giebt, als die mit Am. molybd. so kam ich zunächst auf den Gedanken, in die Fixage Pikrinsäure in folgender Formel einzuführen: Die Innervation der menschlichen Haut. 165 Ammonii molybdaenici; i abitato e ULO In Kälte gesättigter Lösung von Acid. pieronitr. 5,0 Miasseniing/44b Moselle Gad stt OP bsp pr 5, Am nächsten Tage scheiden nadelförmige Krystalle aus; sie werden abfiltriert, und die Flüssigkeit kann dann lange Zeit ohne Schaden aufbewahrt werden. Der Kürze halber werde ich solche Lösung Ammonium picro-molybdaenicum (oder Natr. picro-phospho-molybdae- nicum) nennen. Wenn ich von einer 5 ?/, Lösung spreche, so verstehe ich darunter, dass die angegebene Mischung mit der gleichen Portion Wasser verdünnt ist. Diese Fixage, die einen dunkleren Färbungston giebt, ist mit gleicher Menge von 2°/, Chromsäure anzuwenden. Die Remak'schen Fasern waren dabei recht gut fixiert, so dass ihre zwi- schen den dunklen Protoplasmakernen liegenden Abschnitte genügend intensiv und gleichmässig gefärbt sind. Man darf nur nicht länger als 1'/, Stunden fixieren, sonst bilden sich dem Laufe des Nerven ent- lang Niederschläge von Krystallen, die das Bild ganz verunstalten. Die Anwendung einer analogen Lösung von Na. phospho-molybd. musste wegen zu leichter Lösbarkeit in Weingeist aufgegeben werden. Combinationen mit Formalin sind nür bei Na. phospho-molybd. möglich (Am. molybd. giebt einen Niederschlag). Als vorteilhaft er- wies sich folgende Mischung: Na. phospho-molybdaenici 20,0 Formalin Schering . . . 10 Die Fixierung gelingt zwar gut, unangenehm aber ist die leichte Lósbarkeit der Färbung in Weingeist und ganz besonders (!) in Benzol, Xylol, Terpentin, Chloroform und ätherischen Oelen; ich benutzte deshalb auch diese Formel nur selten. Im in Xylol gelösten Canada- balsam lässt sich diese Färbung gut aufbewahren: ich besitze Prä- parate, die vor 2 Jahren angefertigt worden sind. Bei weiteren Forschungen lenkte ich meine Aufmerksamkeit auf Chlorgold, dieses längst erprobte Nervenfixationsmittel, umsomehr als ich bemerkte, das sich im Epithel bei der Goldfärbung der Haut manchmal sonderbare, den aufgequollenen Merkel'schen Zellen ähnlich sehende Vacuolen bilden. Wenn man Chlorgold zum Amm. molyb- 166 A. Leontowitsch, daenic. und Na. phospho-molybdaen. hinzufügt, so bildet sich kein Niederschlag, die Fixierung ist ebenso gut wie bei den Bethe’schen Mischungen III und IV. Da aber Chlorgold den Nachteil bietet, dass die Präparate nach 2—3 Wochen (manchmal auch später) nach- dunkeln, so ersetzte ich es durch Auro-Kalium cyanatum, das diese Eigenschaft nicht besitzt. Die Vorzüge dieser Combinationen sind so gross, dass ich nunmehr ausser den Bethe’schen Mischungen III und IV nur folgende Fixagen für genügend halte: 1. 5°/, wässrige Lösung der Amm. molybdaen. oder picro- molybd. pleat E RARO 32,0 1|,9|, wässrige Lösung Auro-Kalii eyanati . . . . 10 Bon h »m Blatinıs chloratı (ECO) een EMEN Die Merkel’schen Zellen haben dabei das Aussehen deutlich wahr- nehmbarer Blasen. Die Zwischenzellenfortsátze sind zwar etwas er- weitert, aber doch schón zu sehen. Je weniger Gold man nimmt, desto weniger sind die Zwischenzellenräume gedehnt und die Merkel- schen Zellen gequollen; bei Hinzufügung von 3 ccm Gold unterscheidet sich das Bild der Qualität nach durch nichts von denen, die bei Mi- schungen mit Osmiumsäure,. z. B. wie in den Bethe'schen Formeln III und IV erhältlich sind. Die Färbung der Nerven ist graublau, die Durchsichtigkeit ist sogar bei 2 mm dicken Stücken erhalten. Das Myelin ist farblos, das hat aber nichts zu bedeuten; das Aussehen der markhaltigen Fasern ist so charakteristisch, dass sie nur an den Ueber- gangsformen mit den marklosen zu verwechseln sind. Schon der Zusatz von PtCl, allein zum Amm. molybd. ist für die Fixation sehr vorteilhaft. Von den drei Bestandteilen der Mischung dringt am schnellsten in das Gewebe PéCl, ein, dann Amm. molybd. und am spätesten das Chlorgold. Bei dicken Schnitten ist daher die Wirkung des Goldes allein ohne PtCl, ungenügend, denn das Amm. molybd. fixiert das Gewebe noch vor dieser Einwirkung auf eigene Weise. Ausserdem bewirkt auch der Zusatz von P£Cl, und Pikrinsäure eine bessere „Election“ sowohl der Kerne der Schwann’schen Scheide, als auch anderer Kerne verschiedener Nerven. Bei den marklosen Fasern kann dieser Umstand zum Nachteil der Fixage werden, da ihr Bild dadurch weniger ausgeprägt gerät. Die Innervation der menschlichen Haut. 167 2. Statt Amm. molybd. — Na. phospho-molybd. Die Färbung geràt ein klein wenig dunkler, die Election schlechter; zur Fixation der Merkel’schen Zellen ist PtOl, nicht hinzuzusetzen. 3. 10°/, wässrige Lösung des Am. molybd. oder picro- molybd. . oti ME sic in de Me 15,0 Jeg wasstige Wosung, von Na, puer c cT y) IN, " a OR in Uis ROL TONE à Rd CN VOLO Die Na, PdOl,-Lösung ist ex tempore anzufertigen: sonst bilden sich in der Mischung Niederschläge von Krystallen. Diese Mischung bietet grosse Vorteile, aber auch bedeutende Nachteile. Zu den Vorzügen dieser Mischung gehört, dass sie eine dunkel- blaue Färbung giebt, dass dabei die marklosen Fasern sehr gut zu sehen sind, dass nur dabei eine Nachfärbung des Gewebes mit Carmin möglich ist, dass die Intercellularbrücken Epithel gut hervortreten. Die Nachteile sind: Vacuolenbildung im Protoplasma der Epithel- zellen; die Unmöglichkeit, durch Aenderung der Quantitäten der Be- standteile verschiedene Grade der Ausscheidung der Merkel’schen Zellen — wie es bei Mischung I möglich ist — zu erreichen; die Kerne des Epithels sind immer gleich deformiert; eine gewisse Deformation der Kerne der Bindegewebszellen, die allerdings keine „Merkel’sche Re- action“ ergeben; schliesslich dringt diese Mischung nur schwer und langsam in das Gewebe (schlechter als Osmium). Beim Anfertigen der Flüssigkeiten darf man nicht P{CI, un- mittelbar mit KAu(CN), oder Na, Pd Cl, vermischen, weil sich dabei Krystalldrusen bilden würden, man soll vielmehr einen Bestandteil, z. B. PtCl, in die Lösung von Amm. molybdaen. oder Na. phospho- molybdaen. hineinthun, dann umschütteln und dann den folgenden Be- standteil zusetzen. Mit den Ammoniumhaltigen Mischungen hat man */,—1—2 Stunden, mit den Natriumhaltigen halb solange zu fixieren. Soll die Nachfärbung gelingen, so darf diese Zeit nicht überschritten werden, sonst färbt sich das Gewebe diffus. Ist das Material nur zur Betrachtung der vom Blau gefärbten Nervenelemente bestimmt, so kann es für 24 Stunden in der Mischung verweilen. Was die Dicke 168 A. Leontowitsch, der Scheiben anbetrifft, so werden solche von 2 mm Dicke von den Mischungen No. 1 und 2 fixiert, für No. 3 dürfen sie nicht dicker als 1 mm sein, noch besser ist es, wenn sie feiner sind. Wenn die Flächenschnitte der Haut eine Neigung zur Schrumpfung zeigen (was für die Fixage recht schädlich ist), so muss man sie mit einem Faden so zusammennähen, dass sie einen Hohlcylinder bilden, dessen innere Fläche die epitheliale ist. Den Faden bindet man dann so an, dass der Flüssigkeit Zutritt zur unteren Bindegewebsseite der Schnitte ge- währt wird. Zur besseren Differencierung der Merkel'schen Zellen durch das Osmium ist die Bethe'sche Formel zu modificieren. Entweder 4. 5°, wässrige Lösung von Amm. molybd. . . . . 32,0 BE NC T x EU VOR IURE Ioa Mex dc IL oder 5. 5°/, wässrige Lösung von Na. phospho-molybd. . . 40,0 0 © ie) ’ AE I RE h DER AGOSTA EN, SAUER HTC ai Die Fixierungszeit betrágt 24 Stunden; ebeuso lange sind die Stücke in vier- bis fünfmal zu erneuerndem Wasser auszuwaschen. Eine Election verschiedener Elemente findet nicht statt; die Färbung der Nerven ist dunkelblau, beinahe schwarz. Das Myelin ist dunkel- blau. Das Gewebe ist hart und lässt sich sehr gut auch mit einem Gefriermikrotom schneiden. In alle diese Flüssigkeiten wurden die gefärbten Stückchen erst nach vorheriger Bearbeitung mit kalt gesättigter wässriger Am- moniumpikronitricumlósung, wie es Bethe empfiehlt, für die Dauer von 15 Minuten bis 24 Stunden gelegt; an meinem Material sah ich keinerlei Nachteile von solch andauernder Einwirkung des Ammoniums. Nicht immer ist es móglich, das ganze zur Verfügung stehende Material zu verarbeiten; in solchen Fällen soll man das im Amm. picro- nitric. Fixierte einfrieren lassen und es während eines Monats (oder sogar etwas länger, bei zu langer Dauer tritt eine Entfärbung ein), ohne um die Resultate besorgt sein zu müssen, in einen Eisschrank bei einer Temperatur von — 3? oder 4° C aufbewahren, von wo aus es nach Bedürfnis stückweise herausgenommen und weiter bearbeitet werden kann. Durch Molybdän- und Phosphormolybdänmischungen fixiertes Material hielt sich bei mir auf diese Weise während 3—4 Sommermonate. Die Innervation der menschliehen Haut. 169 C. Das Einbetten der Objecte in Paraffın und das Ein- schliessen in Canadabalsam. Die Amm. molybdaen. enthaltenden Mischungen sind in Weingeist schwer zu lösen; sind aber die Stücke gross, handelt es sich z. B. um ] mm dicke Flächenpräparate der Haut, so ist es doch notwendig — will man einen Misserfolg vermeiden — bis auf 0° abgekühlten Spiritus zu benutzen; solchen Spiritus kann man 6—7 Stunden einwirken lassen, längere Dauer ist gefährlich. Für die Na. phospho-molybdaen. ent- haltenden Mischungen ist die Abkühlung des Alkohols absolut not- wendig; noch besser ist es, einem Vorschlage von Ramón y Cajal [158] folgend, die Entwässerung in kaltem Spiritus, mit einem Zusatz von, die Lösbarkeit des Methylenblau verminderndem, PéCl, (!/,9/,) vor- zunehmen. Es ist aber daran zu denken, dass solch ein Spiritus schnell verdirbt, und dass er dann noch leichter als gewöhnlicher Spiritus die Fárbung lóst; er soll daher an einem dunklen, kühlen Orte aufbewahrt oder frisch zubereitet werden. Am schwersten ist das Stratum corneum proprium zu entwässern; ich behielt daher diese Schicht nur an den Präparaten, die zum Studium der Beziehungen der äusseren Furchen des Epithels zu seiner unteren Fläche dienen sollten, an allen anderen Práparaten entfernte ich sie; am bequemsten ist diese Schicht mit dem Rasiermesser mit Hülfe der Hand abzu- schneiden, nachdem man das betreffende Stück mit dem Epithel nach oben am Objecthalter des Gefriermikrotoms befestigt hat. Wann man damit aufzuhören hat, ist leicht zu bestimmen, wenn man auf das Aussehen der fallenden Schnitte achtet; im Strat. corn. prop. sind sie farblos und durchsichtig, am Strat. granulos. werden sie weisslich. Vor der Bearbeitung durch den Spiritus sind die Stücke für Fláchen- prüparate ordentlich zwischen zwei Objectträgern auszubreiten, auf denen eine entsprechende Aufschrift gemacht ist. Der obere Object- träger wird mit einem kleinen Gewichte (einigen Bleikugeln) beladen, und alles zusammen wird für etwa 20 Minuten (bis der Spiritus die Sehnitte in ausgebreiteter Form fixiert) in eine Schale mit Spiritus gelegt; erst dann kommen die Gewebstücke in Gläser mit Spiritus, der zweimal nach je einer Stunde gewechselt wird. Man kann sofort 170 A. Leontowitsch, absoluten Alkohol nehmen, ohne besondere Nachteile erwarten zu müssen. Die Haut darf nicht über 3 Stunden darin liegen bleiben, sonst wird sie im Paraffin zu hart und lässt sich nicht mit dem Messer schneiden. Der Weingeist wird von dem zweimal zu wechselnden Benzol ersetzt; das Benzol bietet den Vorteil, dass es schnell in das Gewebe eindringt und sich schnell verflüchtigt; man kann aber auch statt seiner Xylol, Cederól oder Terpentinöl verwenden. Für kleinere Stücke eignet sich auch Nelkenöl, das allerdings schneller als andere Oele die Färbung extrahiert; es ist überhaupt gefährlich, in allen diesen Reagentien Präparate für längere Zeit, z. B. für 24 Stunden, zu lassen. Für Práparate mittlerer Grósse bediente ich mich des Gefrier- mükrotoms. Stücke für Flächenpräparate werden in ein Glas mit Xylol-Canadabalsam gelegt, welcher sie in 2—3 Wochen (an dunklem Orte!) durchtränkt, dann werden sie auf einem Objectträger ausge- breitet und mit einem Deckgläschen bedeckt, das mit einem leichten Gewicht (Bleikugeln) beladen wird. An den Stellen mit dickem Stratum corneum gelingt dies nur nach Entfernung des letzteren. Eine vollständige Durchsichtigkeit des Präparats wird nicht sofort, sondern: erst nach 2—3 Monaten, je nach der Dicke des Stückes erreicht. Die Präparate lassen sich für die Dauer von 2—3 Jahren, mitunter auch lànger conservieren. Wollen wir die Objecte zur Anfertigung von Schnitten in Paraffin einbetten, so ist ein Einlegen zwischen zwei Objectträger ungeeignet, da hierbei die Kämme der Epithelfurchen zusammengedrückt werden; die Stücke sind dann an ein Korkstück anzunähen und so in den ersten Alkohol einzutauchen. Die Entwässerung und die Durchtränk- ung mit Benzol für das Paraffin muss schnell durchgeführt werden, die ganze Procedur darf nicht über 3 Stunden dauern; das Gewebe wird sonst zu hart. Es ist daher ratsam kleine Stücke zu nehmen: am besten bettet man in Paraffin grobe Schnitte ein, die man am Gefriermikrotom erhält. Ueberträgt man die Stücke aus dem Benzol unmittelbar in das heisse Paraffin, so löst sich die Färbung der Nerven. Das Benzol muss daher vorher vom flüssigen Paraffin oder Paraffinöl (sogenannt: Die Innervation der menschlichen Haut. 171 Paraffinum liquidum album prima) extrahiert werden. Zu diesem Zwecke werden die Gewebsstücke für die Dauer von 3 Stunden in ein offenes, diese Substanz enthaltendes Gefäss gelegt, das Benzol verflüchtigt sich und wird vom Paraffin ersetzt. Erst dann werden die Objecte in das heisse Paraffin übertragen. Anzuwenden ist Pa- raffin mit einem Schmelzpunkt von 47°—50° C; bei höherer Tempe- ratur (NB!) wird die Haut so hart, dass sie mit dem Messer nicht geschnitten werden kann. In solchem Paraffin verbleibt das Gewebe 2 Stunden, dann muss das Paraffin gewechselt werden (sonst bróckelt die Masse beim Schneiden) und im Thermostat weitere 2 Stunden bleiben, dann folgt das gewöhnliche Eingiessen in Formen. Zur Ver- meidung des Misserfolges muss die Temperatur unbedingt vermittelst des Regulators unter 50? gehalten werden. Die vorteilhafteste Dicke der Schnitte ist meistens die von 24 u, für die Betrachtung der Merkel- schen Zellen und ihrer gegenseitigen Beziehungen müssen die Schnitte feiner sein: 5 & bis 6 x. Auf dem Objectträger befestigte ich ge- wöhnlich die Schnitte mittelst Wasser oder Eiweiss. Ausgezogen wird das Paraffin gleichfalls in einem Paraffinthermo- stat durch ebenfalls zweimal (nach je '/, Stunde) gewechseltes Paraffi- num liquidum; dann werden die Präparate in dreimal zu wechselndes Terpentin oder Benzol gelegt. Sollen die Schnitte in Balsam ohne Nach- färbung eingeschlossen werden, so sind sie in einen auf dem Object- träger befindlichen Tropfen desselben zu bringen, andernfalls kommen sie in dreimal (nach je 5 Minuten) zu wechselnden Alkohol und dann in Wasser. D. Nachfärbung der Objecte. Bethe behauptet zwar, dass seine Fixagen (T, III, IV und VI) eine Nachfärbung mit Alauncarmin zulassen, das stimmt aber nicht ganz. Als ich mir über die Ursachen der vielen Misserfolge klar zu werden suchte, fand ich, dass die letzteren von folgenden Eigenschaften der Reagentien abhängen: die Molybdänsäure dieser Mischungen wird bei doppelter Zersetzung mit der Schwefelsäure des Alauns von der 1) Will man aus alten, in Canadabalsam eingebetteten Paraffinpräparaten Schnitte erhalten, so hat man sie in flüssigem Paraffin 24 Stunden bei Zimmer- temperatur und 3 Stunden im Thermostat bei 47° zu halten. 172 A. Leontowitsch, letzteren aus ihren Verbindungen verdrängt, daher verschwindet auch im Gewebe die Nervenfärbung bereits nach einer halben Minute voll- ständig, wovon man sich leicht überzeugen kann, wenn man das, was bei der Nachfärbung der durch molybdänsaures Ammonium (Bethe’sche Formel I) allein fixierten Schnitte vorgeht, mit Hülfe des Mikroskops verfolgt. Diese unangenehme Erscheinung kommt bei den Combina- tionen mit Gold und Platina zum Vorschein, etwas weniger allerdings bei den Combinationen mit Osmium und fast gar nicht bei den mit Palladium. Die Phospho-molybdänsäure besitzt diese Eigenschaft nicht, und ihre Verbindungen wären daher für Alauncarminfärbung sehr ge- eignet, wenn nicht die leichte Lösbarkeit aller ihrer Combinationen in Alkohol das Erhalten von Paraffinschnitten unmöglich machte und uns nur darauf beschränken liesse, was das Gefriermikrotom giebt, was also häufige gar nicht ausreicht. Man hat aber nicht nur mit dieser, sondern auch mit einer anderen unerwarteten Schwierigkeit zu kämpfen; nach Bearbeitung mit Alaun bleibt die Löslichkeit des Methylenblaus in Alkohol unverändert — die Molybdänverbindungen sind schwer löslich, die Phosphomolybdänverbindungen leicht, was aber als ganz neu hinzukommt, ist die äusserst leichte Lösbarkeit des Methylen- blaus in Benzol, Xylol, Terpentin, Nelken- und Cederòl. Diese Un- bequemlichkeit beseitigte ich durch den Zusatz von molybdänsaurem Ammonium zum Terpentin: in ein Glas mit Terpentin lege ich einige Stückchen der ersteren Verbindung und stelle es für die Dauer von ca. 3 Tagen in den auf 40? erwärmten Thermostat. Eine sichtbare Auflösung des Ammoniums findet nicht statt, dafür aber können die Stückchen ca. 10 Minuten in Terpentin bleiben. — Der geschilderten Umstände halber ist eine Färbung in toto unbrauchbar, da das Me- thylenblau sich beim Einbetten in Paraffin auflöst. Soll die Färbung gelingen, so muss zur Fixierung das früher angegebene Minimum der Zeit genommen werden und das Auswaschen in Wasser darf nicht unter 24 Stunden dauern, sonst erhalten wir eine diffuse Färbung. Damit das Alauncarmin eine kräftigere Rosafarbe giebt, sind Salmiak- alaun und Cochenille zuzusetzen, am besten folgendermaassen: Die Innervation der menschlichen Haut. 173 alme Tas HÀ. dia nié ton 9,0 Cochenille: magus si ein. vits 3,0 Nasser vmi al. doti. dom, 2 OOO Mehr Alaun darf nicht genommen werden, wenn man eine stärkere Entfärbung des Methylenblaus vermeiden will. Meine Formel I ist für Nachfärbung ganz unbrauchbar, die Nerven- färbung verschwindet ganz, und wir haben dann Präparate, die nur von Carmin gefärbt sind, aber auch diese Färbung ist schlecht, weil sie etwas diffus ist. Dagegen eignet sich die Formel II ganz gut. Ich färbe 4—5, selten 10 Minuten; der Spiritus ist mit Zusatz von einigen Krystallen von Am. picronitr. (nach Bethe) zu nehmen; der Aufenthalt in den aufhellenden Flüssigkeiten ist sehr kurz (4 Minuten) zu bemessen. Als Nachteil ist die leichte Lösbarkeit in Alkohol und Oelen nach der Färbung anzusehen. In toto (für Gefriermikrotom- schnitte) kann man wohl färben, doch hat man mit der Möglichkeit eines Misserfolges durch Entfärbung zu rechnen. Am geeignetsten ist meine Formel III; den Präparaten ist ein längerer Aufenthalt in Alauncarmin ungefährlich, und sie zeigen sich bei Beachtung der vor- geschlagenen Vorsichtsmaassregeln genügend resistent gegen Alkohol und Oele. Die Kerne färben sich schmutzigrot, das Protoplasma der meisten Epithelzellen rotgelb, die Bindegewebsfasern rosa, so dass die Election einzelner Elemente auf diese Weise ganz befriedigend aus- fällt. Von den Osmiummischungen ist die IV. doch wenig resistent gegen Alaun und lässt einen Teil der Färbung verschwinden, es ist daher vorteilhafter, Mischung V anzuwenden, welche dieselben Unbe- quemlichkeiten wie Mischung VI besitzt. Zur Entwässerung gebrauche ich dann Alkohol mit Am. picronitric. und ziehe die Schnitte schnell durch das Molybdatterpentin. Zur Anilinfärbung eignen sich die Mischungen III und IV, die übrigen anzuwenden lohnt nicht, wenngleich es bei längerer Bemühung gelingt, eine Färbung zu erhalten. Bethe [76], Szymonowitz [200] und Kopsch') gelang es auch bei Fixierung durch molybdänsaures Am- 7) siehe Roeske, H., Ueber die Nervenendigungen in den Papillae fungiformes der Kaninchenzunge. Internat. Monatsschrift f. Anat. u. Phys. 1897. Bd. XIV. S. 247 - 260. Taf. XIX. 174 A. Leontowitsch, monium allein eine Nachfärbung mit Alauncarmin zu erhalten. Bei der erwähnten Fixierung bekam ich einigemal Nachfärbung an den Haaren, es handelte sich aber dabei immer um Präparate, die nach A. Dogiel gefärbt und dazu noch von Methylenblau überfärbt waren, und die mich daher über nichts Neues aufklärten. Bei reiner zarter Färbung lediglich von Nerven (solches. Material ist natürlich am wertvollsten) konnte ich mich nie eines Erfolges rühmen. Bei Betrachtung dicker Stücke ist der Abbé'sche Beleuchtungs- Apparat (Aperture 1,4) weit zu öffnen; häufig ist es auch nützlich, ihn ein wenig zu senken. In zweifelhaften Fällen ist es ratsam, eine bestimmte Nüance von einfarbigem Licht auszuwählen. Ich bediente mich eines Auer’schen Brenners, dessen Strahlen ich durch verschieden- farbige Gläser fallen liess. Für Präparate ohne Nachfärbung ist ein gewöhnliches Lichtfilter aus Kupfervitriol am geeignetsten; bei supplementärer Carminfärbung ist ein grüner Ton mehr am Platze. 1—1'/, mm dicke Scheiben können mit Immersion bei grosser Brennweite (ich z. B. brauchte eine von 2,5 mm) betrachtet werden. III. Die einzelnen Arten der Hautnerven und der peripherischen sensiblen Apparate der Haut. Morphologie der Hautnerven. Bei Beginn meiner Arbeit war ich ganz sicher, dass ich nur die quantitativen Verhältnisse der Nerven an den verschiedenen Körper- teilen zu untersuchen haben würde, da über ihren Bau volle Klarheit und Sicherheit zu herrschen schien. Bevor ich mit den Combinationen meiner fixierenden Flüssigkeiten fertig wurde und Markfasern an den Stellen, wo sie nur spärlich vorhanden sind, d. h. am Unterschenkel und am Oberarm, fárben gelernt hatte, arbeitete ich fast volle 2 Jahre an meinem Thema, ohne an der Richtigkeit dieser Ansicht zu zweifeln. Allein die Zahl der für mich neuen Thatsachen, die sich mir später erüffneten, ist so gross, dass ich mich gezwungen sehe, bevor ich auf Die Innervation der menschlichen Haut. 175 den eigentlichen Gegenstand meiner Arbeit eingehe, gerade die Nerven- morphologie einer kurzen Erörterung zu unterziehen. Bevor Cohnheim die Eigenschaft des Goldes, Nerven zu färben, entdeckte, waren die Methoden, die bei der Untersuchung des peri- pherischen Nervensystems in Anwendung kamen, recht mannigfaltig; sie bestanden gewöhnlich in einer Aufhellung durch Natronlauge oder Säuren, wobei die gegen diese Reagentien resistenteren Nerven sichtbar wurden. Da die Resultate aller dieser Methoden keineswegs gross sind, so werde ich nicht immer einzeln von jeder ihrer in dem einen oder anderen Falle angewandten Modification sprechen; in solchen Fällen werde ich die Zeit bis zu der Cohnheim'schen Entdeckung als die erste Periode der Nervenuntersuchung bezeichnen. Die später zur Anwendung gekommenen Methoden: die Gold-, Methylenblau- und die Golgi’sche Methode werde ich entweder die „Methoden der zweiten Periode“ nennen oder von jeder einzeln sprechen. A. Die Remak’schen Hautnerven. Die Remak’schen, im eigentlichen Sinne „marklosen“ oder „grauen“ Nerven bilden, wie wir aus den Litteraturangaben ersehen werden, ein Gebiet, das bis jetzt noch gar nicht studiert ist und sowohl in den Monographien als in den Lehrbüchern arg vernachlässigt wird. Das rührt daher, dass es an einer Untersuchungsmethodik fehlte, diese Nerven von den andern Zellbildungen unseres Organismus differenzieren könnte. Nur dadurch ist ihr sonderbares Schicksal zu erklären. | Remak [165], der im Jahre 1838 die Existenz dieser Nervenart feststellte, hat ganz richtig auf ihr Vorhandensein auch in der Haut des Menschen und der Tiere hingewiesen; er nahm an, dass sie mit den sympathischen und Intervertebralganglien zusammenhängen. Be- kanntlich rief die Behauptung von dem Vorhandensein dieser Nerven- art im Tierkörper vielen Wiederspruch hervor, und solche gründliche Gelehrte wie z. B. Valentin [278, 219] hielten diese Nerven für nichts anderes, als Bindegewebszellen. Es ist für das Schicksal unserer Kenntnis der Remak'schen Nerven bezeichnend, das diese Ansicht eine Zeit lang die herrschende war. 176 A. Leontowitsch, Die ersten Untersuchungen dieser Nerven mit den Verfahren der ersten Periode wurden im Jahre 1846 von Kölliker vorgenommen: er beschrieb sie in der Haut der Maus und des Schwanzes der Frosch- larve; Axmann bestätigte diese Befunde beim erwachsenen Frosch ebenso wie Hessling bei der Spitzmaus; Arnold fand diese -Fasern in der Conjunctiva des Menschen, des Ochsen, des Kalbes und des Schweins. Auf diese Arbeiten fussend, macht schon Biesiadecki [20] in Strickers Lehre von den Geweben (im Jahre 1871) meiner Meinung nach ganz richtige Angaben über diese Art von Hautnerven: „Bis vor nieht langer Zeit kannte man in der Haut bloss markhaltige Nerven- fasern mit ihren besonderen Endigungen, den Pacini'schen und Meissner- schen Kórperchen. Die neueren Untersuchungen haben ausser den schon bekannten Nerven noch ein reiches markloses Nervengeflecht mit freien Endigungen zwischen den Zellen der Schleimschicht nachgewiesen. Die subeutanen Nervenstämme zerfallen an der unteren Coriumfläche in mehrere, die grösseren Blutgefässe begleitende Aeste, welche aus markhaltigen und marklosen Nervenfasern bestehen“ (S. 592). „Die marklosen Nervenfasern bilden längs des Gefässnetzes der pars reticularis corii ein Nervengeflecht, welches aus einzelnen dickeren, als auch sehr feinen, glatten und varicósen Nervenfäden besteht, längs welcher zahlreiche Kerne verlaufen. Von diesem Geflechte er- heben sich einzelne Nervenfasern gegen die Schleimschicht, verlaufen manchmal eine Strecke weit unterhalb derselben und treten nach einer raschen Umbiegung in die Schleimschicht hinein“ (S. 595). Allein die damaligen Methoden gaben eine zu ungenügende Differencierung der Nerven, um eine Einbürgerung dieser meiner Meinung nach richtigen Ansicht zu ermöglichen. Dieselben Nerven wurden auch von Schöbl [181] (im Jahre 1871) gesehen, der sie in der Flügelhaut der Fledermaus fand. (Er mace- rierte sie in einer Mischung von gleichen Teilen Holzessig, Wasser und Glycerin). Schöbl äusserte sich dahin, dass diese Fasern den gleichen Ursprung wie die markhaltigen haben, dass aber, während die letzteren in verschiedenen ,Kórperchen* endigen, das zwischen diesen liegende Epithel von den Remak'schen Nerven versorgt wird. Inzwischen (gegen 1870) begannen Arbeiten zu erscheinen, die Die Innervation der menschlichen Haut. 177% nach der Cohnheim'schen Methode gemacht waren; Lawdowski [117, 118] beschreibt fast gleichzeitig mit Klein [92] (im Jahre 1870) im Froschlarvenschwanz ein wahres Netz kernhaltiger markloser Nerven- fasern mit stellenweise eingeschlossenen Ganglienzellen (Lawdowski zweifelt übrigens an ihrem gangliösen Charakter), das mit feinsten Verzweigungen im Epithel endet. Beim Menschen sind ähnliche Nerven von Langerhans [115, Fig. 1 u. 2], allerdings nicht als ein besonderes System von Nerven, beschrieben. Später hat das Gold, das so viel für die Kenntnis der markhaltigen Fasern geleistet hat, das Studium der Remak’schen Fasern nicht gefördert, es hat vielmehr den Schimmer der Wahrheit, der in den Resultaten der früheren Untersuchungsmethoden hie und da aufleuchtete, völlig verdunkelt. Zur Lösung der Frage über den Ursprung der Nerven — ob gemein- schaftlich, oder gesondert — bedurfte es einer vollständigen Färbung in grosser Ausdehnung, bald des Remak’schen Systems allein, bald des Marksystems allein, bald beider zugleich. Gold aber färbt beinahe immer alle Nerven und zwar in so winziger Ausdehnung, dass man sich über viele ihrer Beziehungen gar kein Urteil bilden kann. Der letztere Mangel haftet hauptsächlich den Querschnitten und ganzen Serien derselben an. Aus diesem Grunde sind von den danach folgenden Arbeiten nur wenige zu erwähnen: Arnstein [7] beschreibt im Ohre der Maus ein auf Flächenpräparaten sichtbares Netz von marklosen Fasern, denen er aber denselben Ursprung wie den Markfasern der Haare zuschreibt, und er wiederholt auf diese Weise — wie wir später sehen werden — den Fehler der früheren Forscher. Diese Ansicht wurde also die herrschende, die Remak’schen Nerven gerieten in Vergessenheit, so dass sogar eine so sorgfältige und vollständige Monographie wie die Merkel’sche [138], die eine Zusammenfassung alles dessen, was uns die Cohnheim’sche Methode gab, enthält, ihrer keine Erwähnung thut. So steht es auch noch heute, und mit Recht kann man jetzt das, was Lawdowski im Jahre 1884 über die Remak’schen Nerven überhaupt sagte, auf die Hautnerven anwenden: „Durchblättern Sie verschiedene Monographien und Dissertationen, in denen es sich um Nerven über- haupt, um ihre Degeneration und Regeneration etc. handelt, und Sie Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 12 178 A, Leontowitsch, werden finden, dass das Schicksal der in Frage kommenden Nerven in diesen Werken äusserst seltsam ist; diese Fasern werden entweder gar nicht beschrieben, oder sie werden verkannt und mit feinen, ohne Zweifel mit Mark bedeckten Nerven verwechselt.“ Dieser Wirrwarr in der Würdigung der Thatsachen äusserte sich auch in der Vernachlässigung der richtigen Terminologie: die nackten Endstücke der markhaltigen Nerven werden ebenso wie die Remak- schen „die marklosen* genannt, nur selten findet man die gleichfalls unbestimmten Benennungen „blass“ oder „grau“. Ich werde daher immer die Bezeichnung „die Remak'schen* gebrauchen und hoffe da- durch meinen Lesern die Schwierigkeiten, auf die ich bei der Lectüre fremder Monographien stiess, zu ersparen. Die Golgische Methode hat zu unseren Kenntnissen in dieser Frage nichts hinzugefügt. Dagegen hat das moderne vielversprechende Verfahren von Ehrlich schon einige Resultate gezeitigt und A. Dogiel 143] hat bereits als erster diese Fasern als ein besonderes System von Nerven beschrieben. Nach den Ergebnissen seiner Forschungen ziehen die marklosen Nerven in den Schleimhäuten und der Haut der Ge- schlechtsorgane des Menschen und der Tiere entweder zusammen mit den markhaltigen, oder sie bilden besondere, mehr oder minder dicke Stämmehen. Im ersten Falle trennen sie sich bald von den mark- haltigen und bilden in der tiefen, lockeren Hautschicht ein breit- maschiges Geflecht, das auch ausschliesslich aus marklosen Nerven besteht, und von dem zwei Arten von Ausläufern abgehen; die einen gehen zu den Blutgefüssen, die anderen treten nach oben in die com- pactere Hautschicht und bilden dort, immer feiner werdend, ein dichtes Geflecht. Die Maschen der letzteren haben eine unregelmässige polygonale Form, einige liegen unmittelbar unter dem Epithel und treten auf den Flächenpräparaten deutlich zugleich mit den tieferen Schichten hervor. An den Kreuzungen liegen grosse ovale Kerne, die dem Geflechte ein besonderes charakteristisches Aussehen verleihen. Ebensolche Kerne sind längs der Aestchen dieser Nerven zu sehen. Von den Maschen des marklosen Subepithelialgeflechts gehen in die Tiefe des Epithels feine Ausläufer ab und zerfallen dort in eine An- zahl feinster Nervenfasern, die, aller Wahrscheinlichkeit nach, zu- Die Innervation der menschlichen Haut. 179 sammen mit den aus der Teilung der markhaltigen Stämmchen hervor- eegangenen Fasern an der Bildung des Interepithelialgeflechtes teil- nehmen. Die zu den Gefássen ziehenden Ausläufer umschlingen die Adven- titia der Arterien und Venen und haben das Aussehen eines dichten Nervengeflechts, von dem feinste Aestchen und Fasern zur Bildung eines Terminalnervennetzes in der Tunica media der Arterien abgehen. Dieselben Nerven sind auch von Bethe [16] als ein nur mit den mark- losen perivasculären Nervengeflechten, nicht aber mit dem allgemeinen Hautsystem der markhaltigen Nerven communicierendes System be- schrieben. Es giebt noch eine Art von Gebilden, die als Nerven resp. Nervenendigungen beschrieben worden sind und seitdem mehrfach zum Gegenstand von Controversen vieler Autoren, die mit Gold gearbeitet haben, wurden. Ich meine die sogenannten „Langerhans’schen Zellen“. Sie wurden von Langerhans [175] im Jahre 1868 in der Menschen- haut bemerkt. Noch früher aber sah Kölliker [100, S. 171] in den unteren Teilen des Strat. Malpighii des Epithels in regelmässigen Ab- ständen sternförmige Zellen mit undeutlichen Kernen; nach der spä- teren Meinung dieses Autors sind diese Zellen mit den von Langer- hans nachher beschriebenen und nach ihm benannten „sternförmigen Zellen“ identisch. Die Zweifel, die bei der Erörterung des Charakters dieser Zellen zu litterarischen Controversen Anlass gaben, waren schon vom Entdecker selbst in Betracht gezogen. Er sagt nämlich folgendes: diese Zellen sind entweder 1. binde- gewebeartiger, oder 2. nervöser Natur. Die starke an die Nerven- elemente erinnernde Färbbarkeit durch Gold kann weder für noch gegen diesen oder jenen Charakter dieser Zellen als überzeugendes Argument angeführt werden, da es möglich ist, dass die Gewebs- elemente sich innerhalb des Epithels anders färben. Würden sie in der pigmentierten Haut des Menschen Pigment enthalten, so könnte man sie für den Pigmentzellen des Bindegewebes analoge Gebilde halten, Langerhans konnte das am Menschen nicht constatieren und sieht darin eine gegen den Bindegewebscharakter sprechende That- sache. Schliesslich brachten ihn ihr Aussehen, und das wahrschein- lich zwecks einer Vereinigung mit den tiefen Hautnerven regelmässige 12* 180 A. Leontowitsch, Abgehen eines Centralfortsatzes nach unten, zur Ueberzeugung, dass es sich um organoide Elemente nervöser Natur handelt. Die späteren Autoren schätzten diese Argumente verschieden, und manche brachten zur Stütze ihrer Ansichten neue Thatsachen. Als erster sprach sich darüber Biesiadecky aus. Er machte von Neuem darauf aufmerksam, dass die Kerne dieser Zellen im Gegen- satz zu den Epithelzellen von Carmin blassrot gefärbt werden. Da aber, nach seiner Meinung, ähnliche Zellen im Unterhautzellgewebe, namentlich in der Nähe der Gefässe zu finden sind, so kam er auf den Gedanken, dass es sich um wandernde Zellen handelt, was auch darin seine Bestátigung zu finden schien, dass diese Zellen bei pathologischen Zuständen der Haut, wie z. B. bei Ekzema und spitzen Condylomen, bei denen ein Eindringen von Leukocyten in das Epithel wahrschein- lich ist, viel häufiger anzutreffen sind. Lawdowski [118] leugnete im Jahre 1872 in seinen Arbeiten über Froschlarven ganz entschieden die nervöse Natur dieser Gebilde und verharrt auch jetzt auf diesem Standpunkte. Der Biesiadecky'schen Ansicht schloss sich im Jahre 1876 Arn- stein |7] auf Grund eines zu analogen Gewebsveränderungen führen- den Versuches an Kaninchen an. Er rasierte einem Kaninchen das Haar von einem Ohre ab, bearbeitete 24 Stunden später die Haut sowohl des rasierten als des unrasierten Ohres mit Gold, und fand in der ersteren eine bedeutend grössere Anzahl dieser „Körperchen“. Das erklärt er dadurch, dass unter dem Einfluss der Verletzung in das Epithel der einen Seite eine stärkere Emigration von Leukocyten stattfand. Allein seine Zeichnungen 12 und 13, von denen die ersten „die Langerhans’schen Zellen“, die zweite die Zellen des rasierten Ohres darstellen, ähneln einander sehr wenig, auch haben die letzeren nach Arnsteins eigener Behauptung keine so langen Fortsätze wie die ersteren. Arnstein vermutete auch, dass die Fortsätze dadurch entstehen, dass sich ausser den Leukocyten entweder die Kittsubstanz oder die Interepithelialnerven färben. Eine zweite Ansicht, die sich übrigens nur wenig von der ersten unterscheidet, wurde von Merkel [154] lanciert; im Jahre 1875 wurde er bei der Untersuchung eines in einem Teile weissen, im anderen Die Innervation der menschlichen Haut. 181 Teile schwarzen Schweinerüssels von der Aehnlichkeit der durch Gold gefärbten Langerhans’schen Zellen mit den intraepithelialen Binde- gewebspigmentelementen frappiert, und er erklärte daher die ersteren für „pigmentlose Pigmentzellen“. Bis auf den heutigen Tag sind auch diese beiden Ansichten, von denen die eine die Langerhans’schen Zellen mit den Leukocyten, die andere mit den Bindegewebszellen identificiert, die herrschenden geblieben. Manche Autoren scheinen jedoch von diesen Erklärungen nicht ganz befriedigt und nehmen in dieser Frage einen anderen Standpunkt ein. Hierher gehört z. B. Stöhr [199], der diese Zellen für eigenartig veränderte Epithelzellen hält, oder Kromayer'), nach dessen Ansicht ihr Körper eine Epithelialzelle ist, ihre Fortsätze aber nur aus Farben- niederschlag im Stachelpanzer der Epithelialzellen bestehen. Ganz besonders wertvoll ist die Ansicht eines so gründlichen Forschers wie Kölliker, der alle auf den vorigen Seiten aufgezählten Perioden der Entwickelung der Methodik des Nervensystems mitmachte und uns eine Reihe wertvoller, mit Benutzung aller Methoden (ausser der mit Methylenblau) gewonnener Arbeiten gab. In einer Anmerkung der letzten Auflage seines Lehrbuches weist er darauf hin, dass die Langerhans'schen Zellen mit den von ihm im Epithel vor langer Zeit beschriebenen sternförmigen Elementen, die „vielleicht zu den Nerven- endigungen gehören“ [100, Bd. I S. 171], identisch sind. Im Gegensatze zu denen, die der Langerhans'schen Ansicht ab- lehnend oder skeptisch gegenüberstanden, bestätigten eine Reihe von Autoren rückhaltslos die Meinung von der nervósen Natur dieser Zellen. Unter diesen stützt sich Eberth [52] (im Jahre 1870) auf ihr regel- mässiges organartiges Aussehen in der menschlichen Haut, andere, wie Podkopajew [756] und Ditlevsen [56], bestätigen die Verbindung dieser Zellen mit den Subepithelialnerven. Die Arbeiten dieser Autoren sind von ganz besonderem Interesse, denn diese Autoren haben gar nicht die Nerven gezeichnet, welche von den Forschern gesehen worden sind, die das Vorhandensein einer Verbindung der Langerhans'schen Zellen mit diesen Nerven leugneten. Die Podkopajew' schen Nerven sind zweifellos *) Kromayer, Einige epitheliale Gebilde in neuer Auffassung. Dermatologische Zeitschrift. Juni 1897. Bd. IV. H. 9. 182 A. Leontowitsch, die Remak’schen. Dem entspricht sowohl die Zeichnung als auch die von ihm gegebene Beschreibung: so haben seine dickeren Nerven sonderbare .knotenfórmige Anschwellungen“. Die hierher gehörende Arnstein'sche Zeichnung 12 [7] stellt sie in einer (nach seiner Meinung zufälligen) Verbindung mit kernförmige Verdickungen enthaltenden Nerven dar. Nach den Beobachtungen von Ditlevsen enden in der Epidermis des Frosches „kernführende marklose* Nerven in Endzellen nervóser Natur. (Er hält sie für periphere Apparate des Gemeingefühls) Sie wurden auch von Ribbert in der Haut verschiedener Tiere gefunden. Cybulski [35] zeigt durch Vergoldung, dass die Enden kernhaltiger Nerven in der Zunge des Ochsen in besondere verzweigte Figuren übergehen. Meine Untersuchungen, die Remak’schen Fasern betreffend. In der Haut fand sich eine sehr grosse Menge Remak’scher Nerven. Nach einigen wesentlichen Merkmalen unterscheide ich gleich Pflüger zwei Arten derselben; beide lassen sich ihrem Aussehen nach leicht und scharf von den markhaltigen Nerven trennen und bilden echte Netze. Aus diesem letzten Grunde muss die Benennung Remak’sche „Faser“ als äusserst unvollkommen bezeichnet werden. 1 Die erste Art giebt vier Netze: ein tiefes im Corium, ein mittleres und ein subepitheliales im Stratum papillare und ein viertes intra- epitheliales. Zur Beschreibung ist es am bequemsten, sie als eine grosse Menge kerniger, untereinander durch Fortsätze verbundener Zellen von sehr verschiedenem Aussehen darzustellen. Sie sind von einander durch nichts abgegrenzt, können aber mühelos durch imagi- naire Linien in zellenähnliche, 60 x lange Bezirke eingeteilt werden. Einen Begriff von diesen Zellen geben die meisten auf der Fig. 9 (Taf. VI) oder Fig. 36 (Taf. IX) dargestellten. Ihr Kern ist oval, 13—16 u lang und 5—6 u dick; bei Fixierung mit Ammonium picronitricum oder mit meinen Modificationen des Bethe'schen Verfahrens (namentlich mit I) hat er eine deutlich violette Nuance und tritt im Körper der feineren (1—3 u dicken) Zellen als Anschwellung hervor. Die Fortsätze der „Zellen“, Die Innervation der menschlichen Haut. 183 die die letzteren mit einander verbinden, gehen bald vom Kernteil ab, (wie an vielen Stellen der Fig. 8) und dann nimmt der Kern häufig die Form eines Dreiecks mit abgerundeten Ecken oder die eines Coeur-Ass an, bald entspringen sie von irgend einer anderen Stelle. Der Bau des Zellkörpers — so weit derselbe bei alleiniger Methylen- blaufärbung zu sehen ist — stellt sich folgendermaassen dar: zwischen. sehr feinen, blaugefärbten Fibrillen liegen dunkelblaue Körner von unregelmässiger, eckiger Form, die den Zellen ein varicöses Aussehen verleihen. In den feinsten Zellen scheint es unmöglich Fibrillen zu unterscheiden (das Protoplasma ist also entweder garnicht oder in irgend einer anderen Weise differenciert), Körner aber sind immer vorhanden. Das vitale Bild dieser Zellen unterscheidet sich wesent- lich von dem, was man nach der Fixierung der Nerven zu sehen be- kommt. Die lebenden feinsten Zellen besitzen eine unregelmässige Form, eine ungleiche Breite und — wegen der in ihrem Körper auf- tretenden Körner — ein varicöses Aussehen. Die dickeren Zellen dagegen sind so regelmässig gebaut, dass man den Eindruck hat; als ob sie eine Membran besássen. Ihr Körper hat ein vollständig homogenes Aussehen; nur nach der Fixierung und namentlich ‚nach dem Einbetten in Canadabalsam kommt die oben beschriebene fibril- läre Differencierung zum Vorschein. Der Färbungsprocess dieser Zellen seht folgendermaassen vor sich: zunächst färben sich die Kerne, dann treten allmählich die Körner hervor, später kommen gleich- zeitig in der ganzen Ausdehnung die übrigen Teile zum Vorschein. Der Färbungsprocess, die Bedingungen der Färbung dieser Gebilde und die Bilder, die dabei zu Stande kommen unterscheiden sich so wesentlich von der Färbung aller Bindegewebezellen — über die wir übrigens spáter bei der Erórterung der Frage der Langerhans'schen Zellen noch sprechen werden —, dass diese Gebilde unter einander unmöglich — sogar von einem minder erfahrenen — verwechselt werden können! | Diese Zellen sind derart übereinander gelegen, dass man drei mehr oder minder scharfe abgegrenzte Netze unterscheiden Kann: 1. ein tiefes Netz im Corium, 2. ein mittleres Netz und 3. ein sub- epitheliales Netz im Stratum papillare. Das subepitheliale Netz ist 184 A. Leontowitsch, häufig recht gut zu sehen, und besteht zum grössten Teil aus wenig differencierten, zum kleinsten aus ziemlich gut differencierten Zellen. Die Zellfortsätze breiten sich teilweise an den Grenzen des Epithels aus, teils dringen sie in dasselbe ein. Das mittlere Netz (Taf. VI. Fig. 8) liegt hauptsächlich an der irenze des Stratum papillare und des Stratum reticulare, und besteht aus Zellen, die ebenso lang, wie die vorigen, aber etwas dicker (13 Die grosse Mehrzahl der Kerne hat die früher angegebenen Maasse (13—16 u Länge und 5—6 w Breite), die Minderzahl ist mehr oder 16 1), scharf geformt sind und wohl eine Membran besitzen. weniger vergrössert, wodurch sich eine Art von allmählichen Ueber- gingen zu den zuweilen in den Netzen vorkommenden echten Nerven- zellen (35—40 « Länge und 18—25 u Breite) mit Nissl’schen Körn- chen bildet (Taf. VII. Fig. 10). Das Protoplasma dieser Zellen besitzt dieselben Eigenschaften wie das der vorigen, nur sind die Fibrillen dicker und in grösserer Anzahl vorhanden. Es ist anzunehmen, dass eben diese Bilder von Klein und Lawdowsky im Jahre 1870 gesehen wurden, als diese Forscher sich darüber stritten, ob es sich um Nervenzellen handelt oder nicht (siehe oben S. 177). Das tiefe Netz im Corium ist aus einer ganzen Reihe paralleler, mit schrägen Anastomosen verbundener Remak’scher „Fasern“ (Taf. VI. Fig. 5a) gebildet, die übrigens aus ebensolchen Zellen, wie die übrigen Netze, entstanden sind. Solche Stämmchen treffen sich unter ver- schiedenen Winkeln und bilden ein ungleichmässiges, mehr gross- maschiges Netz, dessen Teile bald den Blutgefässen und markhaltigen Nerven entlang, bald selbständig hinziehen. Die Fibrillen sind hier noch besser als im mittleren Netz ausgeprägt und gehen auf ver- schiedenartige Weise aus einer Zelle in die andere über; bald laufen sie zusammen, bald gehen sie auseinander, bald kreuzen sie sich wieder in den verschiedenen Teilen der Zellkörper. Von den Remak’schen Fasern gehen Aestchen zu den Gefässen ab. Den Verlauf der Fasern im Panniculus adiposus zu verfolgen, ist mir nie gelungen.!) ı) Zur erfolgreichen Färbung dieser Remak'schen Nerven ist es vorteilhafter, die Extremität nach der Injection nicht zu schnüren; erforderlich sind vielfache Die Innervation der menschlichen Haut. 185 I Die zweite Art der Remak’schen Fasern erinnert zwar in ihrem Aussehen an die erste, unterscheidet sich jedoch von derselben in den prägnanten Formen beträchtlich (Fig. 1). , Bei der Untersuchung dieser Nervenart fällt folgendes auf: die Netzteile sind hier höchst eigenartig differenciert und zwar betrifft diese Differencierung sowohl den Zellkörper, als die Kerne, als auch die gegenseitige Beziehung der Zellkórper und Kerne (Taf. VI. Fig. 1). Die subepithelialen Zellen (einige davon sind auf der Taf. VI. Fig. 1d und der Taf. IX. Fig. 40d zu sehen) zeigen häufig ein höchst eigen- artiges Aussehen; ihr 3—4 « dicker Körper besitzt keine scharfen Contouren und scheint aus einer ganzen Reihe zusammengeklebter, nebeneinander in Gruppen zu je 2—3 liegender, ungleich gefärbter Zapfen zusammengesetzt zu sein; die Kerne hängen eng mit dem Zellkörper zusammen. Es ist anzunehmen, dass diese Zellen wenig differenciert sind und keine Membran besitzen. Die tiefer liegenden Zellen zeigen stellenweise eine scharfe fibrilläre Differencierung, zu- weilen aber scheinen sie ausserdem direct der Längsrichtung nach in einige feine Nervenfäserchen zu zerfallen, innerhalb derer sich ein mit denselben eng verbundener Kern befindet (Taf. IX. Fig. 40e). Zuweilen finden wir auch hier Zellen, die den oben beschriebenen, auf der Figur 1d abgebildeten ähnlich sind. Die Ungleichmässigkeit der Kerne ist sehr ausgesprochen: meistens sind sie oval, länglich, in selteneren Fällen rund; ihre Grösse ist — wie das auf Figur 1 gut zu sehen ist — sehr verschieden: ein Kern kann doppelt, ja drei- und viermal so gross sein, als der andere. Ihr Zusammenhang mit den entsprechenden Zellkórpern ist gleichfalls sehr verschieden: bald ist dieser Zusammenhang sehr eng, bald kann man nur erraten, dass der Kern sich auf den danebenliegenden Nerven bezieht. Zuweilen sind diese letzteren Kerne auch drei- oder viermal so gross, als die Injectionen, sorgfältige Nachfärbung und gute Ueberwachung der feuchten Kammer. Zufällig erhält man zuweilen sehr gute, namentlich zum Studium der Eigenschaften des Protoplasmas — soweit es überhaupt bei einem so unbequemen Object, wie die menschliche Haut, möglich ist — geeignete Präparate auch bei der Färbung der markhaltigen Nerven. 186 A. Leontowitsch, danebenliegenden und dieser Umstand lässt ihren nervösen Charakter erkennen. Im Stratum reticulare gehen diese Nerven zu Fasern, die den Remak’schen nur wenig ähneln; diese Fasern sind schlank, cylinder- fórmig und lassen sich stellenweise — gleich den markhaltigen Nerven an den Ranvier'schen Schnürungen — stärker mit Methylenblau färben; der Zusammenhang zwischen den Kernen und Fäserchen ist sehr lose, die Kerne lassen sich schwer fárben. Nach allen diesen Eigenschaften sind diese Nerven den feinen markhaltigen ähnlich. Die im Corium liegenden Abschnitte dieses Systems lassen sich recht schwer färben; nur bei Oxydation mit reinem Sauerstoff erhält man ein charakteristisches Bild, die Nachfärbung verändert sie bis zur Unkenntlichkeit. Häufig trifft man Nerven, von denen es unmöglich ist zu sagen, ob sie den Remak’schen erster oder zweiter Art zuzuzählen sind. Das Vorhandensein dieser Zwischenformen und solcher mit einander ver- bundener Netze, von denen ein Teil eher der I. Art, der andere Teil der IL zuzurechnen ist, spricht, ebenso wie die beständige Variabilität der Kerngrössen am entschiedensten dafür, dass wir es hier mit Nerven und nicht mit zufällig gefärbten Bindegewebezellen zu thun haben. Es ist ja überhaupt auch für einen wenig Geübten nicht schwer, bei richtig gemachten Injectionen, Nervenzellen von Bindegewebe- zellen nach folgenden Merkmalen zu unterscheiden. Während die Kórnchensubstanz der nervösen Gebilde ein charakteristisches Aus- sehen darbietet, kann man das von den Bindegewebszellen nicht be- haupten, die Körnchen sind in den letzteren beinahe rund (in den Nerven unregelmässig), im farblosen oder schwach gefärbten Proto- plasma ungleich verteilt und scheinen daher im Präparat zu schweben (was bei den Nerven nicht der Fall ist), ihre Kerne färben sich recht schwer (während sie sich in den Remak’schen Nerven zuerst färben). Alle diese Kigentiimlichkeiten lassen sogar bei geringer Uebung er- kennen, warum es sich handelt. Zur Unterstützung seiner Ansicht über den Uebergang der Bindegewebszellen in Elemente der Remak- schen Nerven bringt Korybuth-Daszkiewitz eine Abbildung beider Zellarten in Methylviolett gefärbt. Wenn man sich aber die Ab- Die Innervation der menschlichen Haut. 187 bildungen näher ansieht, so findet man denselben Unterschied, den Methylenblaufärbung giebt. Nur ist hier der Unterschied schwächer ausgeprägt und das führte Korybuth-Daszkiewitz irre. B. Die markhaltigen Hautnerven. In der menschlichen Haut ist das Vorhandensein von Nerven- endigungen im Panniculus adiposus, im Corium und im Epithel fest- gestellt. Im Panniculus adiposus sind namentlich Pacmrsche Körper- chen verschiedener Art, d. h. solche mit einem geraden und mit einem im inneren Kolben verzweigten Axencylinder beschrieben worden. Ueber diese Körperchen besitzen wir eine sehr sorgfältige Monographie von Hartenstein [78], der die Haut von zwölf Leichen untersucht, 27699 Schnitte gemacht und die relative Zahl dieser Endigungen in verschiedenen Hautbezirken ausgerechnet hat. Er kommt zu dem Schluss, dass man bei der Art der Ausbreitung der Vater-Pacini’schen Körperchen in der menschlichen Haut sie nur schwer von den im Unterhautzellgewebe und an den Hautnervenstämmen liegenden Kör- perchen trennen kann.') Uebrigens ist der grösste Teil von ihnen an Grenze des Strat. reticular. und des Pannicul. adipos. gelegen. Eine Uebersicht der hierauf bezüglichen Litteratur ist bei Hartenstein und auch (namentlich der älteren) bei Merkel [138] zu finden. Da diese Litteratur zu der mich beschäftigenden Frage nichts beiträgt, und da diese Körperchen andererseits bei den von den erwähnten Autoren angewandten Methoden so leicht bemerkbar sind, dass man an der Richtigkeit ihrer Schlüsse nicht zweifeln darf, so brauche ich mich hierüber nicht ausführlicher auszulassen. Dasselbe bezieht sich auf die von Ruffini beschriebenen, den Golgi’schen Sehnenspindeln ähnlichen Apparate, die sich an denselben Stellen, wo die Pacini’schen Körper liegen, befinden. Trotz wiederholter diesbezüglicher Versuche ergaben sich bei meinen Untersuchungen keine dieser beiden Arten von End- apparaten betreffende nennenswerte Resultate. *) Von den neueren Arbeiten über die Pacini'schen und ähnlichen Kórperchen siehe Untersuchungen von Kerschner [91], Sfameni [189], Ruffini [178, 180), Retzius, Timofejew, Smirnow [190, 194, 202, 205]. Siehe auch Zeitschrift f. angewandte Mikroskopie. Bd. IV. H. 2. S. 38. Siehe auch [49 B u. 66 B]. 188 A. Leontowitsch, Ueber die Verhältnisse im Corium geben die Autoren, die mit Gold gearbeitet haben und ebenfalls die früheren folgende Aufschlüsse: abgesehen von den erwähnten Pacini'schen Kórperchen enden hier die Nerven teils frei an den unteren Lagen des Strat. Malpighii mit Ver- zweigungen nackter Axencylinder (Goldscheider [74, 75], teils inner- halb der Meissner'schen und der ihnen ähnlichen Körperchen (sie werden spáter besprochen werden), teils innerhalb der Krause'schen Kolben (die gleichfalls später besprochen werden) Besonders gute Bilder von freien Nervenendigungen im Corium sind von Ruffini im Jahre 1898 [179], dureh Vergoldung beschrieben. Er unterscheidet folgende Arten: 1. Die Nerven der Gefässpapillen, die von dem oberflächlichen Geflecht markhaltiger Nervenfasern in der Cutis oder von dem mark- losen subpapillaren Geflecht stammen. Die Markhülle verschwindet vor dem Eintritt des Nerven in die Papille und der nackte Axen-. cylinder verfällt in feine Fibrillen, von denen nur ein kleiner Teil bis in die Tiefe der Papillen eindringt. Diese Nerven umschlingen mit spiralfórmigen Aestchen die Capillaren der Papillen und sind an ihren Enden mit plattenfórmigen Verdickungen (Piastrina) versehen. Diese Verdickungen können auch an den feinsten Endverzweigungen sitzen (baumartige Form) oder an den Fasern rosenkranzartige Reihen (forma di coroncina) bilden. Ruffini hält diese Nerven für Vaso- motoren. 2. Das marklose subpapillare (Geflecht, das von wenigen mark- haltigen Ausläufern des gleichen Nervengeflechts der Cutis stammt und aus varicósen Fibrillen besteht, die entweder mit Endverdickungen im Stratum subpapillare enden oder in die Papillen eintreten. Auch diese Nerven sind nach Ruffini Vasomotoren des oberflächlichen Gefäss- geflechts der Haut. Besonders zahlreiche Nerven dieser Art sind aber nicht beim Menschen, sondern bei Tieren beschrieben und zwar in den oberen Teilen des Corium unmittelbar unter dem Epithel in den Teilen der Haut, die man für tactile Organe hielt (beim Schwein — Mojsiso- witz |147|, Ranvier [165, 167], Lawdowski [119, 120], beim Maulwurf — Eimer [55], Mojsisowitz [147], Ranvier [165, 167], Lawdowski [119] und andere). Hier fanden sich so viele dieser Nerven, dass man immer Die Innervation der menschlichen Haut. 189 wegen der Unmöglichkeit, die Frage über die einzelnen Verzweigungen zu lösen, den Ausdruck „Geflecht“ gebrauchte. Die Golgi’sche Me- thode hat sich für das Corium als wenig geeignet erwiesen, sie hat nur zur Färbung der Nervenverästelungen in den Pacini'schen und Meissner- schen Körperchen und in den Krause’schen Kolben gedient — und diese Färbung ergab nichts Neues. Im Epithel hat man mit Hülfe des Vergoldungsverfahrens schon längst das Vorhandensein zweier Arten von Intraepithelialendigungen festgestellt, die von markhaltigen Nerven herstammen. Die erste Art — freie Intraepithelialendigungen — ist häufig in Form von knopf- förmigen Verdickungen an vielen Tierhautstellen beschrieben worden. Besonders bevorzugte Untersuchungsobjecte waren: die Hornhaut verschiedener Tiere (Cohnheim [55], Kölliker, Engelmann [an un- gefärbtem Material im Humor aqueus], Petermöller, Nikolajew, Rollet, Möseley, Lawdowsky, Klein, Tolotschinew, Hoyer, Durante, Ran- vier, Izgierdo |55], Waldeyer [215], Ciaccio und einige mehr), die Schnauze des Maulwurfs (Eimer, Mojsisowitz, Lawdowsky, Huss [56] und andere), Euter der Kuh (Eimer [55]), empfindlichere Teile der Haut, wie z. B. Fingerkuppen des Menschen (Langerhans, Izquierdo, Merkel [154, 159], Ranvier [160], Fischer [59], Kölliker [99]. Jantschitz [89)), nackte Teile von Pfoten, Lippen, Schleimhaut der Zunge und der Ge- schlechtsorgane, Ohren von Kaninchen und anderen Tieren (Arn- stein [7|.') Ausserdem findet man in vielen Lehrbüchern Abbildungen von den Präparaten, die das Vorhandensein dieser Nerven bestätigen. Vielfach wurde man auf einige Besonderheiten der Intraepithelial- endungen aufmerksam gemacht; ausser den beschriebenen freien, d.h. mit den Endverzweigungen nicht anastomosierenden Nerven, wurden auch solche gesehen, die echte intraepitheliale Netze bilden (Klein [93, 94| in der Cornea, Jantschiz in verschiedenen Teilen der menschlichen Haut, Arnstein [7] in der Haut der Maus, Lawdowsky [117, 118] in der Haut der Froschlarven). Cohnheim [33] und Hoyer ([85] in vergoldeter Hornhaut), sahen bereits zwei Arten von intraepithe- 1) Ausführliche Litteratur bei Timofejew [203]. Wo nähere Angaben über die Quellen fehlen sind dieselben bei Merkel [238] zu finden. 190 A. Leontowitsch, lialen Fasern: dünne und dicke, sie erklärten aber diese Erscheinung durch den ungleichen Grad des Goldniederschlages, im Gegensatz zu Ranvier, der den Unterschied für wesentlich hält und der Meinung ist, dass diese Fasern von ganz verschiedenen Nerven stammen. Für das Vorhandensein einer dritten Nervenart, die Ansas terminales geben soll, treten unter anderen Lawdowsky (in der Cornea) und Hoggan ein, allein, wie schon Waldeyer [215] mit Recht bemerkte, ist es schwer zu leugnen, dass es sich nur um mangelhaft gefärbte terminale intra- epitheliale Netze handelt. Andere beobachteten schliesslich solche intraepitheliale Fasern, die, nachdem sie die oberen Schichten des Strat. Malp. passierten, nach unten abbogen (Lawdowsky [119]) in der Cornea und den Tasthärchen.') Eine zweite Art von intraepithelialen Endigungen in der Form der sogenannten Ranvier'schen Tastdises wurde in der Nähe der blasen- förmigen „Merkel’schen“ Epithelzellen in den tiefen Teilen des Strat. Malpighii in dem Rüssel des Schweins und des Maulwurfs, in der Fingerkuppe des Kindes und in der Scheide der Tasthaare verschiedener Tiere beschrieben. Allein die Methodik der Färbung dieser Gebilde ist so unsicher, dass es nur wenigen, wie z. B. Ranvier [16/, 162], Lawdowsky [119, 120], Botezat [26] gelang, sie mit Gold zu färben und es daher unmöglich war, ihre Verbreitung und ihren Bau zu erforschen und die Frage zu beantworten, ob mehrere dieser Gebilde einem Nerven angehören oder jeder Nerv mit einem derselben ver- bunden ist. Das Hauptverdienst der Golgischen Methode liegt in der Be- seitigung der Zweifel an dem Vorhandensein intraepithelialer Endig- ungen, welche Zweifel trotz der Ueberzeugungskraft zahlreicher Unter- suchungsergebnisse doch bestanden (Krause [/00], Wolf [215, 216], Goldscheider [75, 74]. Auf die breiteste Basis ist diese Frage von Retzius [175] gestellt, der das Vorhandensein der erwähnten Endig- ungen in der Haut der Rundmäuler, der Knochenfische, der Amphi- bien, in den Lippen der Säuger und in der Schleimhaut des Mundes, !) Bei der Golgi’schen Färbung wurden sie von Retzius [173] im Harnblasen- epithel, bei der Methylenblaufärbung von Arnstein [6] in der Hornhaut und von Szymonowitz [207] im Schweinsrüssel beobachtet. Die Innervation der menschlichen Haut. 191 der Trachea, des Oesophagus, der Harnblase ete. bewiesen hat. Beim erwachsenen Menschen gelang ihm die Färbung nicht, er musste sich damit begnügen, was er bei einem 23,5 em langen Embryo in der Schleimhaut der Lippen, Geschlechtsorgane, der Urethra und Harn- blase etc. fand. Noch früher wurden dieselben Befunde von Gawronski [71] in der Haut der Geschlechtsorgane der Frau, und gleichzeitig mit Retzius von van Gehuchten [69] im Kopfhautepithel der weissen Maus (hier in so grosser Anzahl, dass der Autor von einem „Wald der Endigungen“ spricht) und von Fusari und Panasci [64] in der Zungenschleimhaut nachgewiesen. Später veröffentlichte Fusari [65] von ihm gemachte ähnliche Befunde im Epithel verschiedener Körperteile und in den Geschlechtsorganen verschiedener Tiere.') Viel schlechter kamen aber dabei die 'lTastmenisken weg, sie liessen sich mit Silber nicht färben und daher begannen viele (z. B. Retzius) an ihrer Existenz zu zweifeln und die „freien“ Endigungen für die einzigen zu halten. An vielen der früher erwähnten bevorzugten Objeete wurde schon die Ehrlich’sche Methylenblaumethode angewandt, wobei die besten Resultate von russischen Autoren, Arnstein und seinen Schülern A. Dogiel, Timofejew und namentlich Ploschko, erzielt wurden.') Das Methylenblau hat viel klarer als alle anderen Verfahren dargethan, dass die meisten Nervenendigungen der Haut sich im Ge- biete des Strat. papillar. und im Epithel befinden und zwar in weit erösserer Anzahl als es gewöhnlich angenommen wird. Nach der Form der nackten varicósen Teile der Nerven unterscheiden sich die Endigungen im Corium durch nichts von den Endigungen in anderen Bindegewebshüllen. Es entstand daher die Neigung, verschiedene „nackte“ Endigungen markhaltiger Nerven mit einander zu identi- fieieren. Am ausgesprochensten finden wir dies bei Dogiel. Dieser Autor [40, 42], der von den Resultaten, die bei der Untersuchung der Meissnerschen Körperchen und des Epithels mit Hülfe der Osmium- säure erzielt wurden (s. unten), keine Notiz nimmt, nimmt auch an, dass diese Körperchen mit den runden Krause'schen Kolben |/705, 106], die bekanntlich auch in den Sehnen vorkommen, identisch sind. An 1) Siehe hierfür auch H. Roeske, Internat. Monatsschrift für Anat. u. Phys. Bd. XIV. S. 247—259. Taf. XIX. 192 A. Leontowitsch, a den Endteilen der Nerven ergaben sich viele neue Besonderheiten (grosse Pláttchen, sehr prägnante Netzbildungen, kernhaltige Teile etc.), die Frage nach der leitenden Idee der Construction dieser Teile wurde aber, im Grunde genommen, gar nicht erórtert, und es wurden daher viele Details im Bau der peripheren Verzweigungen der Nerven nicht mit einander in Verbindung gebracht, sondern nur auf Zeichnungen dargestellt. | | In vielen Arbeiten wird auch auf eine andere Besonderheit der peripheren Endigungen, auf das Vorhandensein von kernhaltigen Nervenabschnitten in einigen Telodendrien hingewiesen. Sie wurden gewöhnlich als feine markhaltige Schaltstücke an der Grenze der markhaltigen und nackten Nervenendigungen behandelt. Beim Menschen wurde von Dogiel [38—47] (einmalige Injection, Nachfärbung auf dem Objectträger) die Haut der Geschlechtsorgane, die Conjunetiva oculi et palpebrarum und die Hornhaut untersucht; an den Extremitüten unternahm er nur die Untersuchung der Meissner- schen Kórperchen. Mit Hülfe seiner Färbung und Fixierung gelang ihm die Nervenfärbung im Strat. papillar. und im Epithel nur schlecht, und er achtete hauptsächlich auf verschiedene Endkórper. Eine Aus- nahme bildete nur die Hornhaut. Trotzdem ergab sich die Thatsache, dass nackte periphere Nerven stellenweise knopffórmige Verdickungen oder ovale, oder auch eckige plattenfórmige Erweiterungen besitzen, die ausser von Dogiel auch von Iwanow [87] in Sehnen und anderen Bindegewebsgebilden verschiedener Tiere, von Fajerstayn [56] in der Froschzunge (Taf. XX. Fig. 24), von Timofejew (Taf. IV. Fig. 11) und einigen anderen mit stark gefärbten rundlichen Bezirken an einem Pol oder an irgend einer Stelle der Peripherie (s. unten meine Be- schreibungen und Fig. 18 u. 31) richtig abgebildet wurden. Besonders grosse Platten dieser Art sind von Dogiel [561 in der Figur 11 (Nerven und Kórperchen in der Cornea und Conjunctiva bulbi des Menschen) abgebildet. Timofejew [265], der mit Ammon. picronitr. fixierte, beschreibt, nachdem er auf die sehr grosse Mannigfaltigkeit der Nerven hinweist, in der Haut der Geschlechtsorgane der Menschen und verschiedener Tiere neben den im Corium erwähnten und neben den freien intra- Die Innervation der ‚menschlichen Haut. 193 epithelialen Endigungen noch um die Zellen des unteren Teils des Strat. Malpig. besondere intraepitheliale Geflechte aus feinen, nackten, von markhaltigen Nerven stammenden Fäserchen. Doch waren die erwähnten Autoren nicht im Stande, solche Zeichnungen zu bringen, nach denen man sich ein einheitliches voll- ständiges Bild über die Innervation der erforschten Bezirke (ausser der Hornhaut) hätte machen können. Das gelang aber in bedeutendem Maasse Ploschko. In der Tiefe der Epiglottis verschiedener Tiere beschreibt er ein dichtes markhaltiges Geflecht. Von diesem Geflecht gehen Ausläufer ab, die unter dem Epithel auf dreierlei Weise enden: 1. Als Endbáumchen. Sobald der Nerv sich der Epithelschicht nähert verliert er das Mark und zerfällt meistens in zwei kurze marklose Fasern, die sich dichotomisch teilen und in feinste Fibrillen zerfallen, die entweder frei oder mit einem Knöpfchen oder auch mit einer mehr oder minder ausgesprochenen Platte endigen, welche eine un- regelmässige, polygonale Form, meistens mit etwas zugespitzten oder auch angeschwollenen Ecken, haben; zuweilen sind an den Ecken der Platten Ausschnitte zu sehen. Die Platten sitzen auf kurzem Stiel, zuweilen aber ist dieser Stiel so kurz, dass sie mit einer ihrer Ecken an die Fibrillen angeheftet scheinen. An der Peripherie sowohl in den Knópfchen als in den Platten (namentlich an den Ecken) ist ein intensiv gefürbter Punkt zu sehen. Die Grösse der Knópfchen und Platten ist sogar an ein und derselben Fibrille äusserst verschieden. Ploschko nimmt daher an, dass sich die Platten aus den Knöpfchen entwickeln. Der Verästelungswinkel der nackten Nerven ist ver- schieden; je grösser derselbe ist, desto breiter und voller ist das Bäumchen. Ploschko identificiert das letztere mit Pinselchen, Bäum- chen etc. die andere Autoren in Bindegewebslagen verschiedener Körperteile gefunden haben. 2. Als Endknäuelchen. Ein knäuelchenförmiges Körperchen wird durch Zusammenwickeln von zwei oder drei der vorher geschilderten Nerven gebildet. 3. Die „subepitheliale pericellulare Form“, als Gruppe kugel- fürmiger Zellen mit grossem runden Kern, von Verüstelungen mark- loser Ausläufer der markhaltigen Nerven umgeben, die traubenförmig Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 13 194 A. Leontowitsch, (wie bei Ranvier [165, 160, S. 708 Fig. 340]) mit Knópfchen enden. Von diesen gehen auch Aeste ins Epithel ab und bilden hier ein intraepitheliales Endbäumchen aus dicken Fasern, die frei zwischen den Zellen mit Verdickungen, Anschwellungen und Häkchen endigen. Ausser diesen 3 Formen sah er auch (nur bei vollständigerer Färbung) etwas anders geartete Nerven, die unmittelbar unter dem Epithel ein Geflecht von einer sehr grossen Anzahl der Oberfláche parallel ziehender feiner markloser Fäden bilden. Eine Verbindung desselben mit dem früher erwähnten markhaltigen Geflecht hat Ploschko nie gesehen. Diese Fäden enden im Epithel mit feinen intraepithelialen Aestchen. Die dritte Art der Intraepithelialendigungen entspricht den schon von Timofejew beschriebenen intraepithelialen pericellularen, und zwar nicht nur in den unteren Zellreihen des Strat. Malpighii, sondern auch etwas höher. Er hat auch keine Verbindung derselben fest- gestellt, weder mit den markhaltigen, noch mit den marklosen Fasern. Die Zahl der freien Verzweigungen verschiedener Art ist so gross, dass er sie als „Wald“ bezeichnet. Ammon. picronitr. und Formalin differencieren keine Merkel’sche Zellen, daher werden sie von den Autoren nicht erwähnt. Die nichtrussischen Autoren arbeiteten mit dem Bethe'schen Ver- fahren. Bethe selbst [76] beschreibt an Zellen verschiedener Epithel- schichten des Gaumens und der Zunge des Frosches freie Endigungen in der Form von Endplatten. Die Merkel’schen Zellen erwähnt auch er nicht. Szymonowitz [201] untersuchte den Rüssel des Schweines (des erwachsenen und des Embryo) und beschreibt folgende Veräste- lung der markhaltigen Nerven: l. Gewöhnliche freie intraepitheliale. 2. Endigungen an Merkel’schen Zellen (Menisci). 3. Zwei Arten von Endkolben: eine einfache und eine aus einigen Kolben zusammengesetzte. 4. Freie dendritische, die an der Grenze der Epidermis und Cutis enden. Bei der Untersuchung der Menisken beim Schweinsembryo durch denselben Autor stellte es sich heraus, dass zuerst ins Epithel „freie“ Endigungen einwachsen, die sich später zu Menisken erweitern. Ebenso Die Innervation der menschlichen Haut. 195 bilden sich beim Entenembryo zunächst Nervenbäumchen, die frei zwischen den im subepithelialen Bindegewebe liegenden Zellen enden. (Szymonowitz [200] zählt sie im Gegensatz zu Izquierdo [88] und Asp [10] dem Bindegewebe zu.) Erst später bilden sich darauf Erwei- terungen, die sich in Tastmenisken verwandeln, und zusammen mit den Tastzellen zu Grandry’schen Körperchen werden. Wo enden die Nerven, zwischen den Epithelzellen oder in ihrem ‘Protoplasma? Diese Frage zu lösen war jeder, der sich mit der Er- forschung der intraepithelialen Endigungen beschäftigte, bemüht. In der neueren Zeit traten nur drei Autoren für intracellulare Endung ein: Pfitzner [155] (Vergoldung; Salamander- und Froschlarven). Unna [207| (Osmiumsäure, Photogramme; menschliche Haut) und Hayeraft [79] (Alkohol, Hämatoxilin; Schildkröte), alle anderen Forscher be- haupten mit voller Entschiedenheit, dass es keine solche Verbindung giebt, und dass die Fasern immer zwischen den Zellen enden (siehe das die herrschenden Ansichten über die Nervenendigungen behandelnde Kapitel) An den ,Tastmenisken* hat Ranvier [165] gleichzeitig mit Izquierdo [88] im Jahre 1879 zuerst eine einfache Berührung mit den Epithelialzellen der Grandry'schen Kórperchen im Entenschnabel fest- ‘ gestellt. Das wurde von Hesse [57] später von Kultschitzky [111], Dostojewsky [50], Lawdowsky [779], und mit Hülfe der Methylenblau- färbung von Dogiel und Szymonowitz |200] bestätigt. Aehnliche Be- ziehungen der Tastmenisken zu den Merkel'schen Zellen sind auch im Epithel des Schweinerüssels und in den Tasthaaren zuerst gleichfalls von Ranvier constatiert, wodurch die Ansicht von Merkel, nach der seine Zellen als „Endnervenzellen“ im Epithel betrachtet werden sollten, widerlegt wurde. Lawdowsky [719] bestätigt ganz die Richtig- keit der Ranvier'schen Ansichten, wenn er auch die Möglichkeit der Thatsache, das Nervenfibrillen durch das Protoplasma der Epithelzellen passieren, zulässt. Die wirklich überzeugenden Gründe für die Lage der Menisken sind jedoch eher in vergleichend-anatomischen, auf den Bau der Grandry'schen und zum Teil der Meissner’schen Kórperchen basierten Betrachtungen zu suchen, als darin, was auf den sie ent- haltenden Präparaten unmittelbar zu sehen ist, denn, wie wir sehen werden, ist das Bild der „Merkel’schen Zelle“ selbst noch lange nicht 13* 196 A. Leontowitsch, hinreichend festgestellt. Unter den vergleichend anatomischen Be- weisen müssen die Isolationspräparate von Arnstein [9] und Dogiel [44], die nur eine Berührung der Nerven mit den Drüsenzellen beweisen, auch als triftiger Grund zu Gunsten des analogen Verhaltens der Intraepithelialnerven angeführt werden. Meine Untersuchungen. 1. Die Nerven des Corium. Die markhaltigen Hautnerven zeichnen sich durch ihre Ver- schiedenartigkeit aus. Es ist sehr schwer, die Nerven des Corium und die des Epithels gesondert zu beschreiben; die Verbindung dieser mit jenen ist so eng, eine irgendwie scharfe Grenze zwischen ihnen ist so unmöglich zu führen, dass man nur methodologisch von. jeder Art einzeln sprechen kann. Ich werde also demzufolge die Nerven des Corium beschreiben, ohne Rücksicht darauf, dass von denselben Nerven vielleicht Zweige auch nach dem Epithel abgehen. Eine Orientierung wurde nur möglich als ich darauf kam, wie man markhaltige Nerven an Stellen mit dünner Epidermis, wie z. B. am Unterschenkel, wo diese Nerven in relativ geringer Anzahl vorkommen, zu färben hat (s. S. 149). Die markhaltigen Nerven unterscheiden sich ihrem Aussehen nach sehr scharf von den oben beschriebenen Remak’schen. Die sich hier färbenden Axencylinder stellen regelmässig geformte Fasern verschie- dener Dicke dar, längs derer keinerlei mit ihnen unmittelbar ver- bundene Kernbildungen zu sehen sind. Auch ist keine fibrilläre Differencierung wahrnehmbar. Abgesehen davon ist ihr markhaltiger Charakter entweder an den sich im Methylenblau färbenden „Zwischen- scheiben“, wie in der Figur 16, oder an dem leicht gefärbten Mark, das die Ranvier’schen Schnürungen hervorhebt, oder aber — wie man das beim Dogiel’schen Verfahren bei leicht verändertem Mark erhält — an der intensiveren Färbung des Axencylinders in der Nähe der Schnürungen zu erkennen. Für alle markhaltigen Nerven gilt der Satz, dass das Methylenblau sowohl in der Haut als auch an anderen Stellen weit dichtere und auf einem grösseren Raum verzweigte Telo- dendrien zum Vorschein bringt, als Gold oder Silber; aus Platzmangel Die Innervation der menschlichen Haut. 197 giebt keine meiner Abbildungen ave Verzweigungen wieder: immer waren sie in viel grösserer Anzahl vorhanden. Ich unterscheide in den Endigungen der markhaltigen Nerven drei Typen, die im Bau ihrer marklosen Teile differieren. I. Den ersten Typus, diejenigen Nerven, die bereits von Ploschko (Taf. I. Fig. 6 seiner Arbeit) und Iwanow (Taf. I. Fig. ©) beschrieben wurden, fand auch ich an empfindlichen Körperstellen im Corium (Fingerkuppen ete. in grosser Anzahl. Die dickeren markhaltigen Fasern, die das Corium mehr oder minder schräg zur Hautober- fläche durchziehen, geben auf dem Wege von den Schnürungen eine ganze Reihe (zuweilen 6—7) zumeist markhaltiger, manchmal aber auch nackter Collateralen ab, deren Durchmesser viel geringer, als der des Hauptstämmchens ist. Die Collateralen laufen entweder zu- sammen mit der Mutterfaser, oder sie beschreiben Windungen nach der einen oder anderen Seite derselben (und bilden, sozusagen, „nervi aberrantes“), zuweilen verzweigen sie sich seitlich von der Mutter- faser, zuweilen enden sie zusammen mit derselben, nachdem sie, wie auf dem auf der Figur 31 abgebildeten Präparate, eine Schlinge ge- bildet haben. Nachdem die Fasern das Mark verloren haben, zerfallen sie in „nackte“ feinere varicóse Fäserchen, die in der weitaus über- wiegenden Mehrzahl eine ganz regelmässige Form besitzen. Diese Varieositáten sind keineswegs zufällige „Neuroplasmaanhäufungen“, wir haben es vielmehr mit ganz ausgesprochen differencierten Gebilden zu thun. Jedes derselben bildet eine Platte von meist ovaler Form. Ihre Grösse ist verschieden: die kleinsten betragen 2 >< 1 u, die grössten erreichen 9><6 u, am häufigsten findet man Grössen, die in der Mitte zwischen den angegebenen Grenzen liegen, also gegen 53 w. Ich nenne diese Gebilde Plattenvaricositäten und unterscheide grosse, kleine und mittlere Plattenvaricositäten, je nachdem welcher der drei angeführten Kategorien sie angehören. Selbstverständlich sind auch alle denkbaren Uebergänge zwischen den angegebenen Grössen vor- handen. Die Dicke der Platten ist verschieden, jedoch im Vergleich zur Flächenausdehnung stets gering. So sehr aber die Grössen diffe- rieren mögen, ihr Bau ist meistenteils derselbe; an einem Pole oder auch an beiden sind sie stärker gefärbt, der Uebergang vom intensiv 198 A. Leontowitsch, gefärbten Pol zur breitesten Stelle ist sehr selten ein allmählicher, gewöhnlich ist er ganz scharf (Taf. VIII. Fig. 304) und erinnert an die Beziehungen zwischen dem etwa mit Karmin gefärbten Zellkerne und dem Zellkörper. Nur selten finden sich einige gefärbte Körner, die nicht an den Polen, sondern in anderen Teilen der Platte liegen. Je grösser die Platte, desto grösser ist der gefärbte Kern, so dass man für die überwiegende Mehrzahl der Fälle von einer directen Proportionalität zwischen der Grösse der Platte und der Grösse des Kerns sprechen kann. Das Vorhandensein dieser Proportionalität ver- anlasst mich, die Frage aufzuwerfen, ob wir es hier wirklich mit zufälligen, von Methylenblau gefärbten Klümpchen irgend einer Sub- stanz, mit einem echten Artefact zu thun haben, ob es sich hier nicht eher um präexistierende morphologische Bestandteile der Platten, oder doch mindestens um beständige, sich nach einem bestimmten Gesetze bildende Produkte der Veränderung dieser präexistierenden Teile handelt. In den grössten Platten ist eine Ungleichheit der Färbung ihrer Substanz wahrzunehmen, so dass ihr Bau, wie es scheint, netz- förmig ist (Fig. 30.0). Das Vorhandensein so grosser und im höchsten Grade regel- mässiger Platten, wie die von der Figur 30a, spricht gegen die Möglichkeit der Identificierung derselben mit den Varicositäten, die nach Bethe [17] an einem lebenden Nerven nicht existieren und die sich nur beim Absterben desselben bilden. Aus den angeführten Gründen sind sie meiner Meinung nach im Gegenteil den „nackten“ Teilen des lebenden markhaltigen Nerven zugehörig. Die „nackten“ Endigungen derartiger Nerven bestehen aus langen Reihen von Platten- varicositäten, die mit einander durch kurze, dünne Nervenabschnitte verbunden sind. Aus solchen Fasern kónnen Telodendrien auf ver- schiedenste Weise gebildet werden: entweder divergieren diese Fasern, indem sie alle von einem etwas dickeren Nervenstämmchen abgehen und so eine Art Pinsel bilden, oder aber jede Faser zerfállt unter- wegs an der breitesten oder schmalsten Stelle in zwei andere, von denen jede denselben Bau wie die Mutterfaser besitzt. Je nachdem, in welchem Grade diese Zweige dicht sind, unter welchem Winkel sie divergieren, welche Lànge sie erreichen, kommen diese oder jene Die Innervation der menschlichen Haut. 199 Art Telodendrien zu Stande. Einige dieser Formen sind offenbar von anderen Autoren als „Endbüschel“, .Bàumchen" ete. beschrieben worden. Zu jeder einzelnen Faser gehören hauptsächlich Varicositäten derselben Grösse, die gewöhnlich gegen das Ende immer kleiner werden, doch finden sich dann und wann kleine Platten auch zwischen den grossen. Nach der vorherrschenden Grösse der Platten werde ich diese Gebilde Gross-, Mittel- oder Kleinplattenfasern oder Gross-, Mittel- oder Kleinplattennerven nennen. Ein und dieselbe Nerven- faser kann sowohl gross-, als auch mittel- und kleinplattenvaricösen Fasern den Ursprung geben. Im Laufe dieser Fasern findet man bisweilen (ich fand sie meistens an Grossplattennerven) eylinderförmige Abschnitte leicht körniger Substanz, ähnlich den auf der Tafel VII Figur 17 bei c, e abgebildeten. Die von den Autoren, welche mit Gold oder Silber gearbeitet haben, als „freie Endigungen* beschriebenen Formen gehören gewöhnlich hierher und sind meistens namentlich mit Kleinplattenfasern identisch. Die Bethe'schen Fixierungen (die Combination mit Osmiumsäure aus- senommen) entstellen sie bis zur Unkenntlichkeit, die Osmium- mischungen differencieren sie zwar gut, doch tritt dabei (wegen der Kleinheit der Stücke, die mit Osmium bearbeitet werden kónnen) das Bild nicht so deutlich hervor, wie bei der Bearbeitung mit meinen Fixagen. Von anderen Fixagen conserviert das Amm. picronitricum diese Gebilde am besten. Die russischen Autoren (Dogiel, Arnstein, Timofejew, Ploschko) brachten ganz richtige Abbildungen derselben. IL Für den II. Typus ist folgendes charakteristisch: Der mark- haltige Nerv geht nicht unmittelbar in Endverzweigungen, sondern zuerst in Teile über, die man am besten mit den an den Remak’schen Nerven beschriebenen Zellen vergleichen kann, wir haben also ein kernhaltiges markloses Stàmmchen, und erst dieses giebt Verzweig- ungen, die den früher beschriebenen analog sind. III. Im III. Typus (Taf. VII. Fig. 16), zu dem sowohl dünne als dicke markhaltige Nerven gehóren, finden sich — und darin besteht das für diesen Typus Charakteristische — so viel marklose kernhaltige Teile, dass man das Bild der Remak'schen Nerven vor sich zu haben 200 A. Leontowitsch, glaubt, nur bilden diese „Remak’schen Zellen“ keine echten Netze und zeigen im allgemeinen die für die markhaltigen Nerven charakteristische baumartige Verzweigung. Die Kerne dieser Zellen erhalten bei Fixie- rung durch meine Mischungen I und II gleich den Kernen der Schwann- schen Scheiden der markhaltigen Nervenendteile dieselbe violette Nüance wie die Kerne der echten Remak’schen Fasern. Wie in den Elementen der Remak’schen Netze ist auch hier die fibrillàre Diffe- rencierung des Zellprotoplasmas sehr schön zu sehen; sie ist gewöhn- lich an den Enden der „Faser“ am wenigsten bemerkbar, aber auch an den kernhaltigen Teilen der Faser sehr ungleichmässig; auf einen sehr gut differencierten Abschnitt folgt häufig ein sehr schwach differencierter und umgekehrt (Abbildungen solcher Nerven giebt auch Iwanow — Taf. III. Fig. 1, 2, 3 — er unterscheidet aber nicht ge- nügend die Kerne). An den Stellen, wo die fibrilläre Differencierung besonders aus- geprägt ist (wie z. B. in der Figur 16 bei c), scheint der Kern häufig an allen Seiten von einem Netz von Fibrillen umgeben zu sein. Die Grösse der Kerne unterliegt ganz bedeutenden Schwankungen: von 13 u Länge bei 5 « Breite bis zu 20 u Länge bei 6—7 u Breite; die Länge der Bezirke, die man als eine Zelle betrachten kónnte, unterliegt noch bedeutenderen Schwankungen und beträgt zuweilen 300 u. Diese beiden letzten Formen bildeten für mich lange ein Rätsel. Viel Zeit verbrachte ich in der Betrachtung der Präparate, unentschlossen, welcher Kategorie ich diese Nerven zuzuzählen habe und ungewiss, ob ich es mit Remak’schen oder mit den Enden markhaltiger Fasern zu thun habe. Nur das Studium einer bedeutenden Anzahl in grosser Aus- dehnung gefürbter Präparate liess mich die Lósung in der Vermutung suchen, dass ich es hier mit Endabschnitten der markhaltigen Nerven zu thun habe, deren Bau aber dem der Remak'schen gleicht. Telodendrien des eben beschriebenen Nerventypus geben eben Bilder, an denen die Bildung echter Terminalnetze gut zu sehen ist. Diese Netze ent- stehen dadurch, dass die varicösen Fasern des Typus I sich nicht vollständig von einander abspalten. Die Netzart ist verschieden je nachdem, ob der Nerv Neigung zur Bildung von Klein-, Mittel- oder Grossplattenvaricositäten zeigt. Die Varicositäten zeichnen sich hier Die Innervation der menschlichen Haut. 201 — wohl wegen der gegenseitigen Verbindungen — durch ziemliche Unregelmässigkeit aus und sind nur da gut ausgebildet, wo keine Be- rührung mit benachbarten Varicositäten stattfindet. Derartige Bildungen sind namentlich an jungen Haaren deutlich zu sehen, hier haben die Telodendrien stellenweise ein Aussehen, das an die Varicositäten der Zelle d der Figur 1 erinnert. Dann giebt es noch einen vierten (Taf. IX. Fig. 37) Nerventypus. Diese Nerven haben im allgemeinen die Form eines Netzes, das man erhalten würde, wenn man die einzelnen markhaltigen Fasern des I. Typus mit ihren kleinplatten-varicésen Telodendrien in ein Netz zusammenlegen würde, das seinem ganzen Bilde nach den Netzen der Remak’schen Nerven entspricht, dessen jede Masche aber aus einzelnen, neben einander liegenden, teils markhaltigen dicken oder dünnen, teils „nackten“ Fasern mit kleinen Plattenvaricositäten besteht; jeder dieser Teile geht in wunderlichsten Windungen ohne jede Regelmässigkeit aus einem Netzabschnitt in den anderen, im allgemeinen sind sie aber so gelagert, dass die einzelnen „Fäden“, d. h. Fäserchenbündel (wenn wir den Vergleich mit dem Fischernetz weiter verfolgen) ziemlich dieselbe Dicke besitzen. An der Peripherie der Bündel, seltener inner- halb derselben, liegen länglich ovale Kerne, die in Bezug auf Methylen- blaufärbung genau dasselbe Verhalten wie die Kerne der Remak’schen Fasern oder der Schwann’schen Scheide zeigen; an den vom Mark entblössten Fäserchen scheinen sie zuweilen mit dem Nerven verbunden zu sein. Wenn wir uns das Präparat eines solchen Netzes genauer an- sehen, so ist es schwer zu sagen, ob wir es mit einem echten oder mit einem falschen Netze zu thun haben, das aus in seltsamen Reihen gelegenen Verzweigungen genau derselben Stämmchen besteht, die überhaupt den markhaltigen Nerven eigen sind. (Siehe auch Taf. IX. Fig. 39, 40; Taf. X.) Unterhalb des Epithels steht dieses Netz mit kurzen Nervenabschnitten im Zusammenhang, die einen nicht ganz ausgesprochenen Charakter eines Remak’schen Netzes tragen. Keine der beschriebenen Formen — ob sie zu den Remak’schen oder markhaltigen Nerven gehört — bildet etwas scharf Abgesondertes: auf ein und demselben Präparate sieht man häufig eine ganze Reihe 202 A. Leontowitcsh, Zwischenformen. Man muss daher zugeben, dass das Nervensystem in der Haut des erwachsenen Menschen eine Reihe von Veränderungen durchmacht, die auf das Vorhandensein einer beständigen recht leb- haften Regeneration hinweisen. Die Untersuchung analoger Körper- abschnitte bei verschiedenen Tieren führte mich zur Ueberzeugung, dass dieselben Erscheinungen in ganz normalen Organismen stattfinden und keineswegs daher den Krankheitsprocessen, die eine Amputation notwendig gemacht haben, zugeschrieben werden können. Dem Verständnis aller Einzelheiten und aller Entstehungsbe- dingungen der geschilderten Bilder stellen sich vom Standpunkte der herrschenden Bidder-Kupfer’schen [72], von Max Schultze [186] formu- lierten Theorie des Baues der Nervenzellen unüberwindliche Schwierig- keiten entgegen. Nach dieser Theorie ist bekanntlich der Axencylinder als ein in die Länge gewachsener Fortsatz einer Ganglienzelle und die Schwann’sche Scheide (wie auch die anderen Nervenscheiden) als Product membranöser Zellen, aller Wahrscheinlichkeit nach binde- gewebiger Natur, anzusehen.*) Wenn wir aber im Gegenteil die Ansicht von Schwann, Sigmund Meyer [150], Apathy [3, 5], Bethe [/7, 18], Beard [72], Lawdowsky [719] (zum Teil wenigstens) und anderen acceptieren, nach welcher der Nerv als Product einer ganzen Reihe von Zellen nervöser Natur „Nerven- zellen“ zur Ausübung einer gemeinsamen Function erscheint, so er- klärt sich die Sache sehr einfach; ich halte daher. diese letztere Ansicht für die richtige. Wir werden dann sagen müssen, dass wir in der Haut jene Ent- wickelungsstadien der Nervenzelle finden, von denen viele bereits vor zehn Jahren von Apáthy vortrefflich beschrieben worden sind. Es ist zweckmässig, von der Darstellung der Anschauungen dieses Autors auszugehen, Anschauungen, die noch nicht das allgemeine Interesse in genügendem Maasse erregt und keine entsprechende Verbreitung gefunden haben. Apathy unterscheidet die Nervenzelle als Bestand- 1) Vergl. z. B. Waldeyer, Ueber einige neuere Forschungen auf dem Gebiete der Anatomie des Centralnervensystems. Deutsche med. Wochenschrift. 17. Jahrg. Nr. 44 ff. Siehe auch Litteraturverzeichnis Nr. 65, 66, 98, 101, 102, 123, 124. Die Innervation der menschlichen Haut. 203 teil des Nerven, von der eigentlichen Ganglienzelle Zur besseren Beleuchtung seiner Ansichten benutzt er die Analogie der Nerven- zellen und der glatten Muskelspindel. Sowohl die eine als die andere Zellart besteht aus Protoplasma, Hyaloplasma, aus primären Fibrillen, aus perifibrillärer Substanz und einem Kern. Was die Lage des Kerns anbetrifft, so kann sie in den Muskelspindeln sehr verschieden sein. In einigen für uns besonders interessanten Fällen sondern sich die Muskelfibrillen vollständig ab, werden von einer besonderen Hülle umgeben, so dass die eigentliche Zelle zu einem ebensolchen An- hängsel des Fibrillengebildes wird, wie der sogenannte „Kern der Schwann’schen Scheide* am markhaltigen Nerven. Gegenüber diesen Thatsachen kann auch eine so starke Entwickelung der Schwann’schen Scheide, durch welche — wie das Boveri [26a] beim Hechte nachwies — das Mark vollständig vom Axencylinder (den Fibrillen) isoliert ist, durchaus nicht als Beweis dafür angeführt werden, dass die Mark- und Schwann’sche Scheide von Zellen gebildet sind, die sich ihrer Natur und Herkunft nach von den den Axencylinder bildenden Zellen unter- scheiden. Apäthy geht sodann zur vergleichend anatomischen Seite des Baues der „Nervenspindel“ über und weist darauf hin, dass man bei manchen Tieren nervöse Gebilde findet, die den gewöhnlichen Formen der Nerven durchaus unähnlich sind. So liegen bei Squilla und Palinurus die Kerne der Schwann’schen Scheide zuweilen so, dass sie allseitig von Fibrillen umgeben sind, die Kerne sind also vom Fibrillenbündel eingeschlossen; die interfibrilläre Substanz enthält dabei einige Marktropfen. Die Bilder solcher Zellen entkräften jene Argumentation der Apáthy'schen Gegner, die sich auf die scheinbare Isolierung der Nervenzellen infolge ihrer Seitenlage zur Nervenfaser stützen. Wie Apáthy richtig bemerkt, könnte mit demselben Recht jeder Kern, der peripher von der glatten Muskelfaser oder von der Drüsenzelle lieet, zum Bindegewebe gezählt werden. Jene peripheren Verzweigungen der Nervenzellen, die M. Schultze für varicöse Fibrillen hält, bestehen nach Apätlıy aus Primitivfibrillen und perifibrillärer Substanz. Die Primitivfibrillen sind glatt und eylindrisch und die Varicositäten werden von der perifibrillären Sub- stanz gebildet. Das Mark, welches eine solche Faser bei ihrer weiteren 204 A. Leontowitsch, Entwickelung umhüllt, besteht aus Veränderungen dieser perifibrillären Substanz. In der onto- und phylogenetischen Tierreihe zeichnen sich diese Fibrillen nach Apäthy durch folgende Besonderheiten aus: 1. Embryonale Nervenzellen enthalten noch keine ausgesprochenen Primitivfibrillen; 2. bei sehr jungen Individuen sind diese Fibrillen beträchtlich dünner, als bei erwachsenen Tieren derselben Art; 3. in den Remak’schen Nerven der Wirbeltiere sind sie dicker, als in den markhaltigen; 4. ihre Dicke ist in den gleichen Nerven verschiedener Tiere sehr verschieden; 5. ebenso bei verschiedenen Individuen der- selben Art; 6. dagegen sind diese Fibrillen in verschiedenen Nerven eim und desselben Tieres von gleicher Dicke. Es kann daher als festgestellt betrachtet werden, dass das, was M. Sehultze als Fibrillen beschrieben hat, nicht nur Fibrillen, sondern Fibrillen perifibrillàrer Substanz sind, man soll daher nicht aus dem Auge lassen, dass die Schultze'schen Ansichten über diesen Gegen- stand als speculative Hypothese, keineswegs aber als Ausdruck einer aus einer ganzen Reihe von Untersuchungen hervorgegangenen all- gemeinen Thatsache aufzufassen sind. Ausserdem geht meiner An- sicht nach aus dem Geschilderten hervor, dass die Fibrillen ein onto- und phylogenetisch zu unbeständiges Element bilden, als dass sie zur morphologischen Classification aller Nerven benutzt werden könnten. Betrachten wir die entwickelungsgeschichtlichen Thatsachen oder Theorien, so stossen wir auf grosse Widersprüche: Finerseits be- haupten Bidder (1857), ferner in neuerer Zeit His und einige andere Autoren, dass der periphere Nerv nach der Peripherie hin als Fort- satz der centralen Ganglienzelle wächst; andererseits aber weist im Jahre 1890 derselbe Bidder, ebenso wie Balfour und andere Forscher, darauf hin, dass der periphere Nerv sich ursprünglich aus kettenartig an einander gelagerten Epithelzellen bildet. Wir sehen also, dass weder die morphologischen, noch die ent- wickelungsgeschichtlichen Thatsachen eindeutig genug sind, um uns zu veranlassen, für diese oder jene Hypothese über den Bau der peripheren Nerven Stellung zu nehmen. Dieser Umstand ermutigt mich, meine hypothetischen Constructionen, die ich mir während der gegenwürtigen Arbeit gebildet habe, gelten zu lassen. In einigen Die Innervation der menschlichen Haut. 205 Punkten unterscheiden sie sich von den Apäthy’schen: offenbar konnte man mit dem Verfahren dieses Forschers eine geringere Zahl der Nervenvarietäten färben, als sie das Methylenblau in meinen Prä- paraten zum Vorschein brachte. Ich halte noch aus dem Grunde für erlaubt, meine Anschauungen kurz darzulegen, weil sie die Móglichkeit gewähren, alle Varietäten der Nerven im Gedächtnis zu behalten, sie werden also allenfalls den Wert einer empirischen Hypo- these besitzen. Zum Ausgangspunkt nehme ich die am wenigsten differencierte Nervenzelle. Hierher gehören sowohl die Gebilde, die ich Remak’sche Zellen erster Arten nenne, also auch die Zellen d der Figur 1; durch die vitale Färbung dieser Gebilde überzeugen wir uns, dass hier ein ebenso enger Zusammenhang dieser Zellen mit den Kernen vorliegt, wie in jeder anderen unzweifelhaften Zelle des Organismus. Die Betrachtung der von solchen Zellen gebildeten Netze lässt keinen Zweifel darüber, dass sie nur gegen die übliche Neuronenlehre ge- deutet werden können. Solche Zellen bilden keine Plattenvaricositäten, ihr „varicöses Aussehen“ rührt von den darin eingeschlossenen un- regelmässigen körnigen Massen, die vom Methylenblau intensiver ge- färbt werden. Schon das vitale Bild der dickeren Remak’schen Zellen der eben erwähnten Art zeugt von einer gewissen Differencierung: die Zellen erhalten einen feinen Umriss und differencieren wohl eine Membran. Ein Beispiel einer weiteren Differencierung aber geben die Bilder der meisten Remak’schen Zellen zweiter Art. Der Kern ist hier häufig viel loser mit der Zelle verbunden, namentlich am fixierten Material merkt man zuweilen eine scharfe Differencierung primärer Fibrillen (Fig. 1); in anderen Fällen geht die Differencierung des Protoplasmas so weit, dass sich die Zelle in der Längsrichtung in einige feine, ein- ander parallele, wenn auch stellenweise zusammenhängende Fibrillen (im Sinne von M. Schultze) spaltet (Taf. IX. Fig. 40 rechts). Wenig- stens gelingt es weder mit Osmium noch mit Carmin, das Vorhanden- sein irgend einer Substanz zwischen den Fibrillen nachzuweisen. Unsere Auffassung über Einzelheiten der Structur einiger anderen Nerven wird so lange mangelhaft bleiben, als wir einen von Apáthy 206 A. Leontowitsch, nicht genügend berücksichtigten Umstand nicht in Betracht ziehen. Da das Nervensystem einen Teil desjenigen Körpersystems bildet, das hauptsächlich zur functionellen Verbindung vieler Elemente dient, so zeigt es in noch grösserem Maasse als andere Gewebe eine Neigung zur Bildung von Syncytien, die etwa mit einzelnen Muskelfasern zu vergleichen sind; für solche Syncytien ist es notwendig, den Namen .Neuron* beizubehalten. Es besteht aber zwischen einem Neuron und einer Muskelfaser folgender Unterschied: In der quergestreiften Muskelfaser lassen sich die einzelnen, den Bestand derselben bildenden Zellen von einander in nichts unterscheiden, etwas ganz anderes finden wir im Neuron: die verschiedenen Teile des letzteren sind wohl der verschiedenen Function wegen verschieden differenciert. Das centrale Glied des Neurons, die eigentliche Ganglienzelle, die vielleicht auch anderen Ursprungs als die übrigen Teile des Neurons ist, stellt ein sehr grosses Gebilde dar, das — wie die Untersuchungen von Apathy [5], Bethe [77, 18] und anderer Autoren zeigen — sowohl in der Verteilung der primären Fibrillen und der Nissl’schen kórnigen Massen, als in den Einzelheiten der Structur des Zellkörpers ganz eigenartige Verhältnisse aufweist; die auf die Ganglienzelle folgenden Abschnitte des Neurons bestehen — soweit das bekannt ist — aus Nervenzellen, die den Axencylinder mit den Scheiden differencierten; dieser Structur begegnen wir im ganzen Syncytium bis zu dessen periphersten Teilen. Hier beginnt eine andere Differencierung: es ent- wickeln sich entweder Remak’sche Endzellen, die zu plattenvaricösen Telodendrien werden, oder aber es finden sich hier Zellen vom embryo- nalen Typus, deren Protoplasma einen verschiedenen Grad von Differencierung aufweist, je nach dem Alter der Zelle und ihrer Lage (am Endpunkte der Nervenfaser oder irgend anderswo). Also: I) Die am wenigsten entwickelte, spindelförmige Nervenzelle be- sitzt nur ein körniges Protoplasma; II) dann bildet diese Zelle Nerven- fibrillen ebenso, wie die Myoblasten Muskelfibrillen ausscheiden. Schreitet dieser Process weiter fort, so scheint der Kern bei unseren Bearbeitungs- methoden nicht selten nur sehr lose mit den Fäserchen verbunden neben denselben zu liegen. Dadurch wird es zweifelhaft, ob der Kern den Fibrillen oder der Scheide angehört. Da dieses sehr deutlich zu Die Innervation der menschlichen Haut. 207 sehen ist, so halte ich die alte Vermutung von Lawdowsky, nach der der Axencylinder aus dem Kern der peripheren Nervenzellen hervor- seht, für unzutreffend. Die weitere Entwickelung ist verschieden, je nachdem die Zelle eine oder mehrere Fasern abgiebt. Im ersten Fall (III a), differenciert das Protoplasma aus sich den Axencylinder mit seinen Hüllen, dem Axolemma, der Mark- und Schwann’schen Scheide (ähnlich der Sarcolemmabildung um die zur Muskelfaser gewordenen Gruppen von Myoblasten); die Kerne werden zu Kernen der Schwann- schen Scheide. Im zweiten Fall (IIId) bilden sich mehrere Fasern zugleich, dabei teilen sich die Zellen in der Weise, dass der Kern innerhalb eines Fibrillenbündels zu liegen kommt. In der weiteren Entwickelung bildet sich aus jeder Faser, nach ihrer Abspaltung von der benachbarten, ein Teil einer markhaltigen Faser. Im frühesten (I) Stadium dieses Processes befinden sich nach meiner Meinung die Zellen des subepithelialen Geflechts der Remak’schen Fasern; namentlich ist das in ihrer zweiten Form (Taf. VI. Fig. 1d) bemerkbar, wo der niederen fibrillären Differencierung das Fehlen der Membran bei den Zellen entspricht; dafür spricht ihre unregelmässige, oft zackig scheinende Gestalt. Im subepithelialen und mittleren Netz scheinen die Zellen sich zu Nervenfibrillen zu differencieren und Mem- branen zu erhalten. Das macht das II. Stadium aus. IITa kann man sich leicht vorstellen. III ist auf der Fig. 40 a, b, c (Taf. IX) sichtbar. Dieser Process kann sowohl in markhaltigen Fasern mit deutlich zu unterscheidenden „Neuronen“, als auch im Remak’schen System, in dem es unmöglich ist, Neurone abzusondern, vor sich gehen. Die primitivsten Telodendrien erblicke ich in den markhaltigen Nerven, die ich dem Il. Typus zuzähle: hier geht der markhaltige Nerv, d. h. die Kette vollständig entwickelter Nervenzellen, in eine Zelle oder viel häufiger in eine ganze Kette minder entwickelter Nervenzellen über, die den Remak’schen ähnlich sind. Diesen Uebergang finden wir in den markhaltigen Nerven, die intensiv in die Länge wachsen. Hört das intensive Längswachstum auf, so beginnt der Nerv, in seinem Bestreben sich an die neuen Existenzbedingungen anzupassen, seine peripheren Apparate in einer für seine Function geeigneten Weise zu differencieren; dabei entwickeln sich seine Telodendrien nach 208 A. Leontowitsch, dem eben geschilderten Princip der Differencierung der Nervenzellen: der proximale Teil derselben verwandelt sich wohl dabei in Teile markhaltiger Fasern, während der distale zu mehr oder minder zahlreichen feinen Fäserchen wird und entweder solche Gebilde, wie die auf der Tafel VII. Figur 16 abgebildeten, oder typische Terminal- netze liefert; es entsteht also das, was ich als dritten Typus mark- haltiger Nerven beschrieben habe. In diesem sind die Nervenkerne noch häufig sichtbar. In der weiteren Entwickelung spalten sich die Fäserchen an den Enden vollständig von einander ab und bilden Telodendrien mit — je nach dem Alter — Klein-, Mittel-, oder Grossplattenvaricositäten, also das, was ich als markhaltige Nerven ersten Typus bezeichne (Taf. VII. Fig. 17). Hier sind auf den nackten Teilen bereits keine Kerne sichtbar: sie sind entweder zu Kernen der Schwann’schen Scheide geworden oder der Degeneration verfallen; aus diesem Nerventypus entstehen unter speciellen Entwickelungsbedingungen „Endkörperchen“. So stelle ich mir den principiellen Zusammenhang der mark- haltigen Nerven unter einander vor. Dieselbe Deutung kann auch auf die Gebilde angewandt werden, die wir in den Remak’schen Netzen beobachtet. Doch ist hier der Process viel verworrener, da hier die „Zellen“ zu eng mit einander verknüpft sind und wegen der grösseren Entwickelung der Primitiv- fibrillen, welche verschiedene Netzabschnitte mehr oder minder eng ver- binden, zu sehr von einander abhängen. Auch zeigen diese „Zellen“ eine zu geringe Neigung zu den höheren Stadien der Differencierung, d. h. zur Entwickelung der Markscheide Daneben kommt hier stark der Umstand in Betracht, dass einige Netzabschnitte nach der Grösse des Kerns und der Menge der denselben umgebenden körnigen Sub- stanz eher kleinen Ganglienzellen als Nervenzellen ähneln und es bei manchen Gebilden geradezu unmöglich ist zu sagen, ob wir es mit Nerven- oder Ganglienzellen zu thun haben. Diese beiden Umstände sind es, die mich auf den Gedanken bringen, dass einige dieser Nervenzellen zu eigenartigen Ganglien- zellen mit nur wenig scharf abgegrenzten Kinflusssphären werden können. Die Innervation der menschlichen Haut. 209 Die primitivste Form bildet die „Remak’sche 1. Art“ (Taf. VI. Fig. 8 oder Taf. VII. Fig. 18). Die weitere Differencierung führt hier zur Bildung der Remak’schen II. Art (Taf. VI. Fig. 1). Schliesslich giebt es noch Gebilde, die als morphologische und functionelle Uebergänge des Remak'schen Systems in markhaltige Telodendrien gedeutet werden können, ich meine diejenigen Gebilde, die ich als IV. Typus markhaltiger Nerven beschrieben habe: hier entwickelt sich ein echtes Netz allmählich zu einem falschen, wie es für die unter einander verflochtenen Telodendrien markhaltiger Nerven charakteristisch ist. Dank der ungleichmässigen Entwickelung einzelner Fibrillen geraten einige derselben unter den stärkeren trophischen Einfluss einzelner Kerne; «daher beginnen die Fasern der Remak’schen Netze sich in der Längsrichtung zu spalten, und es entsteht ein Netz, dessen Abschnitte aus einigen parallel verlaufenden Fasern bestehen, zwischen denen stellenweise Kerne liegen, wobei ein Teil der Fibrillen in nähere Beziehung zu einem bestimmten Kerne des Netzes tritt, der andere Teil zum nächsten Kerne (s. Taf. IX. Fig. 39) ete.; weiter wird allerdings dieser Zusammenhang schwer verfolgbar. Diesen der Längs- richtung nach sich hinziehenden Bezirken der Faser wird eine sehr ungleiche Entwickelung zu Teil: die einen sind zwar sehr fein und schlank (besitzen aber eine Hülle), die anderen aber färben sich bei etwa demselben Aussehen nur hie und da etwas stärker (Andeutung von der Segmentation und Bildung Ranvier'scher Schnürungen '), die dritten schliesslich bleiben nackt und bilden eine ganze Reihe Platten- varicositäten. Ein Teil dieser Fasern wird, Dank dem Zusammenhang mit verschiedenen Kernen, zur Verzweigung eines Nervs, ein anderer Teil zu der eines anderen, und auf diese Weise verwandelt sich einer- seits das echte Netz in ein falsches, indem es zu einem Geflecht der in gegenseitige benachbarte Gebiete eindringenden baumartigen Nerven- verzweigungen wird’), andererseits bilden sich jene , Nervi aberrantes* !) Das Osmium bringt das Mark nicht zum Vorschein, ebensowenig zeigt es die vorhandene Segmentation. 2) Diese Art der Entwickelung aus einem echten Netze erklärt sehr gut die wunderbare Thatsache, dass jeder markhaltige Nerv auf zweckmässigste Weise in der Richtung des peripheren Endes wächst. Hensen nahm zur Erklärung dieser Internationale Monatsschrift für Anat. n. Phys. XVIII. 14 210 A. Leontowitsch. (um einen bekannten anatomischen Namen zu gebrauchen), die auf Seite 200 bei „Typus I* beschrieben sind. Ich nehme an, dass der Process bei der Entwickelung des Organismus in der Weise vor sich geht, dass zuerst die Remak'schen Netze erster Art, dann dieselben. Netze zweiter Art, dann die markhaltigen Nerven des IV. Typus (d. h. eieentlich die Uebergangsformen zwischen den Remak'schen und mark- haltigen), dann nach einander die markhaltigen Nerven des IL, III. und I. Typus entstehen. Diese Auffassung entspricht vollständig dem allgemein anerkannten Regenerationsgesetz, nach dem jede Geweberegeneration nach dem embryonalen Typus verläuft: an den Enden der Faser entwickeln sich junge Nervenzellen. Der Umstand. dass im erwachsenen Organismus (der mir ja als Untersuchungsobject diente) alle denkbaren Entwicke- lungsstadien der Nerven vorhanden sind, weist darauf hin, dass das periphere Nervensystem auch in der Haut einen beständigen regene- rativen — und natürlich auch degenerativen — Entwickelumgseyelus durchmacht. An den Zweigen der markhaltigen Fasern ist häufig eine Neigung zur Bildung mehr oder minder lockerer Knäuel (s. Fig. 21e) bemerk- bar; geht dieser Process weit vor sich, so bilden sich die Meissner- schen Terminalkörperchen oder die Krause'schen „runden Kolben“, Bei einzelnen Tierarten, ja bei verschiedenen Individuen einer und derselben Tierart finden sich bedeutende Unterschiede in den Einzel- heiten der Morphologie der Nerven; bei der Durchsicht der Arbeiten von Dogiel |37—49], Smirnow [791—195]. Timofejew [205], Ploschko [155], Fajerstayn |56] (vom Frosch), und meiner eigenen Präparate von Kaninchen und Fledermaus überzeugte ich mich, dass die gróssten plattenfórmigen Erweiterungen beim Menschen zu finden sind; bei Dogiel [Cornea 58, Taf. XXXIV. Fig. 11] finden sich Erweiterungen, Thatsache an, dass die Zellen des Organismus sich bei dessen Wachstum nicht ganz von einander trennen, dass sie vielmehr in einer für uns unsichtbaren Ver- bindung mit einander bleiben, an der sich die Nerven bei ihrer Entwickelung halten. Die von mir festgestellten Thatsachen liefern eine einfache Erklärung für diese Eigenschaft der Nerven: jedes Neurit und Telodendrium des Neurons entsteht anfangs aus den Transformationen der Remak' schen Netze in genauer Ueberein- stimmung mit. den functionellen Bedürfnissen. Die Innervation der menschlichen Haut. 211 die doppelt so gross sind, als die gróssten, die ich beobachtete. Allein auch hier sind grosse Unterschiede sowohl bei verschiedenen Indivi- duen, als auch bei einem und demselben Menschen zu verzeichnen, und zwar betreffen sie sowohl die freien Endigungen als auch die ver- schiedenen .Kürperchen“. Die Plattenform ist am meisten an den grossten (ältesten), mit einer deutlichen Membran versehenen Meissner- schen Körperchen ausgeprägt, an den jüngsten (s. unten) finden wir nur feine varicöse Fäden. Die individuellen Unterschiede äussern sich auch recht deutlich in der Neigung der Nerven zur Knäuelbildung, in der grösseren oder kleineren „Kräuselung“ der Nerven; bei manchen ist diese Eigen- schaft stark ausgeprägt!), bei anderen nur angedeutet, bei manchem Menschen finden wir viel Meissnersche Kórperchen und zwar solche von bedeutender Grósse, beim andern sind nur wenige kleine zu finden. Ueber den Bau der peripheren Nerventeile sind noch einige De- tails zu erwähnen: die nackten Nerventeile sind manchmal sehr dick und kórnig, entweder in ihrer ganzen Ausdehnung (Fig. 21) oder aber nur stellenweise. Da andere periphere Apparate von zweifel- los derselben physiologischen Bedeutung, wie z. B. die motorischen Platten, diese Körnchensubstanz bald besitzen, bald nicht, so kann den sie enthaltenden Endigungen keine functionelle Rolle zugeschrieben werden. Vielleicht sind diese — degenerierende Telodendrien. Längs des Laufes der Nerven findet man häufig runde Kerne, die der Form und den Färbungsverhältnissen nach den Nervenzellen der jungen Haare*) ähnlich sind. Die Kerne der marklosen Teile unter- scheiden sich manchmal der Grösse nach nicht unbeträchtlich von einander; diese Eigentümlichkeit, welche ich für analog der ähnlichen Eigenschaft der Remak’schen Netze halte, erkläre ich durch irgend welche locale trophische Besonderheiten der Entwickelung der Bezirke der neuen Fasern, da der Kern als trophisches Centrum der Zelle zu betrachten ist. Die Form des Kerns ist auch verschieden; bald ist 1) Interessant wäre es, nachzuforschen, ob ein Zusammenhang zwischen diesen individuellen Schwankungen und analogen Eigenschaften, wie z. B. Kräuselung der Haare, Gewundenheit der Epithelialkämme existiert. *) Siehe z. B. auch bei Dogiel (28, Taf. XXXIII. Fig. 5]. 14* 212 A. Leontowitsch, er rund, bald oval Zuweilen sind solche Nervenzellen sehr lang (z. B. bis zu 300 1), in diesen Fällen sind ihre Contouren — falls das Protoplasma nicht differenciert ist — sehr scharf, was wohl durch die Existenz irgend einer Membran zu erklären ist; der Kern tritt dann gewöhnlich als eine deutlich abgegrenzte Anschwellung am Zell- körper hervor. Ich hatte einigemal Gelegenheit den Uebergang des Axencylinders in eine Verdickung zu sehen (Fie. 19), an der eine Längsstreifung hervortrat. Ich vermag nicht zu sagen, ob das als ein irgendwie degenerierter Kern der Nervenzelle oder als einfache Verdickung: des Axencylinders anzusehen ist, eine Verdickung, wie man sie an einem Bündel paralleler Fäden erhalten kann, wenn man zuerst die Enden des Bündels auseinanderzieht und dann wiederum einander so nähert, dass die Fäden auseinandergehen. Ein ebenso dunkles Gebilde blieb für mich der Anhang zum End- körperchen der Figur 24 (Taf. VIII). Leider sind diese beiden Gebilde so selten, dass es hierbei nicht gelang, die Nachfärbung anzuwenden. Es scheint, dass alen Hautnerven eine regenerative und evolutio- näre Thatigkeit eigen ist, und wir können daher häufig an den Enden einer sehr dicken — wie man daher annehmen muss — alten Faser beliebige Entwickelungsstadien der Nervenzellen antreffen. Das Vor- handensein des umgekehrten Processes der Verwandlung der differen- cierten Zellen in weniger differencierte (Verschwinden der Fibrillarität, einförmige, in Bezug auf das Protoplasma nicht elective Kernfärbung), des Verjüngungsprocesses der Nervenenden, kann ich auch nicht leugnen. Beachten wir alle geschilderten Entwickelungsstadien der Nerven- zellen und alle möglichen Combinationen derselben, so erhalten wir ein Bild, das alles, was ich in der Haut zu sehen Gelegenheit hatte, erschöpft. Das Neuron ist also nach meiner Ansicht keine einzige Nerven- zelle, es ist vielmehr, gleich der quergestreiften Muskelfaser, eine höchst eigenartig differencierte Colonie von Nervenzellen. Besitzen die Nerven des Coriums irgend welche morphologische Besonderheiten, die sie von den Nerven anderer Körperteile aus- zeichnen oder nicht? Wegen der schlechteren Fixation ist es auf den von anderen Die Innervation der menschlichen Haut. 213 Autoren in ihren Arbeiten gelieferten Zeichnungen nicht immer mög- lich, die charakteristischen Eigentümlichkeiten der in Frage stehenden (Gebilde zu erkennen. Allein in vielen Dogiel’schen Arbeiten, wie z. B. in seiner Ab- handlung „Die Retina der Vögel“ kann man (namentlich auf der Taf. XXXVIII. Fig. 8) längs des Laufes der Fasern des Central- nervensystems dieselben Plattenvaricositäten, wie bei mir in den Nerven des Corium, sehen. Noch besser sind dieselben in den Pericellulargeflechten der Nerven- zellen des sympathischen (Smirnow [797]) und des Intervertebralgang- lions (Dogiel [49], Taf. III. Fig. 10) sichtbar. In den Drüsenzellen der Prostata der Katze (Timofejew [2051 Taf. HI. Fig. 9) und in den quergestreiften Muskeln (ibid. Taf. I. Fig. 10) sind ebensolche plattenfórmige Erweiterungen zu sehen. Daraus halte ich mich für berechtigt zu schliessen, dass die plattenfórmigen Varicositäten im tierischen Organismus sehr verbreitet sind, dass sie an den markhaltigen Fasern der verschiedensten Teile unseres Körpers angetroffen werden und daher als beständige, ihren Telodendrien eigene Eigentümlichkeit des Baues anzusehen sind. Ich erinnere daran, dass ein analoger (Gedanke über die Identität des Baues der Endverzweigungen verschiedener sensibler und motorischer Nervenendigungen bereits 1885 in bestimmter Weise von Lawdowsky [119] ausgesprochen worden ist. Wenn dieser Gedanke auch von den mit der Golgi’schen Methode arbeitenden Forschern allgemein accep- tiert ist, konnte man doch wegen der stark schematischen Färbung, die diese Methode giebt und der mit Hülfe des Methylenblaus fest- gestellten Mannigfaltigkeit der Nerven an der Richtigkeit der von diesen Forschern vertretenden Ansicht zweifeln. 2. Die intraepithelialen Nerven. Die menschliche Haut erweist sich wenig geeienet zur Färbung der intraepithelialen Endigungen der markhaltigen Nerven mit Methylen- blau. Trotzdem ich sehr viele Verfahren ausprobiert hatte, gelang es mir nur in wenigen Fällen und in unvollständiger Weise. eine Färbung dieser Nerven zu erzielen, und dieses auch meist nur auf 214. A. Leontowitsch, — gelungenen Flächenpräparaten, auf denen der Eintritt der Nerven in die unteren Schichten des Epithels zu sehen war. Hier haben alle im Corium beschriebenen Nerven ihre Repräsentanten. In meinen am meisten gelungenen Präparaten der markhaltigen Nerven befanden sich eine Menge gefärbter Nerven in den zwei, manch- mal auch in den drei untersten Zellreihen der Malpighi'schen Schicht. Am auffallendsten sind die auf den Figuren 12 (Flächenpräparat), 13 (ein wenig schräg, beinahe quer) und 14 (Taf. VII) abgebildeten Nerven. Der markhaltige Nerv verliert häufig das Mark erst unmittelbar unter dem Epithel, und da er im Stratum papillare fast gar keine marklosen Teile besitzt, so zerfällt er im Epithel in eine Menge plattenförmiger, mit einander durch varicóse Fäden anastomosierender Endigungen, deren Form auf Figur 14 deutlich zu sehen ist. Diese Endigungen sind eben nichts anderes, als die sogenannten „Tastmenisken*“. Da wir schon wissen, dass die plattenförmigen Varicositäten in den verschiedensten Teilen unseres Organismus vorhanden sind, so wäre es sonderbar, wenn sie im Epithel fehlten. Jedenfalls wäre es nötig gewesen, sie darin zu suchen. Ich halte eben die „Tastmenisken“ der Autoren für nichts anderes als für „grossplattenförmige Varicositàten“. Die Form der letzteren ist hier zweifellos höchst eigenartig und bietet folgende Eigentümlichkeiten dar: unregelmässige fleckige Färbung, Eckigkeit und Zackigkeit der Ränder und das gleichzeitige Eindringen in. verschiedene Ebenen. Alles dieses aber lässt sich durch die An- passung der Form an die besonderen Existenzbedingungen erklären: sie liegen zwischen den Epithelzellen und ihren Ritfen, ihre Form muss daher verunstaltet werden. Ist diese Ansicht richtig, so muss man erwarten, dass sich auch Uebergangsformen zwischen den regelmässigen Platten des Coriums und den unregelmässigen des Epithels finden. Thatsächlich existieren auch solche, wenn auch nicht in der ganzen Extremität; eine ähnliche Form ist auf Figur 22 (s. Beschreibung) dargestellt.) ') Ich fand diese Formen an einer Extremität, in deren Strat. papillare sich viele vom Strat. Malpighii stammende Epithelzellen befanden, leider erhielt ich an diesem Material keine Práparate, in denen gleichzeitig die Nerven mit Methylenblau und die Zellen mit Carmin gefärbt waren, auf meinen Präparaten waren nur ent- weder die einen oder die anderen gefärbt. Die Innervation der menschlichen Haut. 215 Wie tief sie überhaupt in das Epithel eindringen, vermag ich nicht zu bestimmen. Die auf Figur 14 dargestellten 12x12 «u grossen Platten gehören zu den grössten, die ich je gesehen habe. Wie bei den platten- förmigen Varicositàten des Coriums, schwankt ihre Grösse sowohl bei verschiedenen Individuen als auch bei einem und demselben Menschen recht bedeutend. Man kann sich davon überzeugen beim Vergleich der unter derselben Vergrösserung abgebildeten Figuren 20, 27 u. 34. Auf der Figur 20 ist ihr Aussehen ungewöhnlich, sie sind hier ebenso kórnig, wie die an sie hier herantretenden Nerven. Andere Nerven zerfallen, nachdem sie das Mark verloren haben, in recht lange nackte Teile mit kleineren plattenfórmigen Varicositäten, deren Form die für das Corium gewöhnliche ist. ein Teil der letzteren verzweigt sich im Strat. papillare, wo sie frei enden, ein anderer Teil geht in veränderter Gestalt ins Epithel über und bildet gewöhnliche „freie“ intraepitheliale Nerven. Auch hier sind Nervenzweige mit kernhaltigen marklosen Teilen in verschiedenen Entwickelungsstufen vorhanden, auch Aeste von den Uebergangsformen zwischen den markhaltigen und Remak- schen Nerven (IV. Typus mielinhaltiger Nerven) fehlen nicht.) Beim Studium der Remak’schen Nerven fiel es mir auf, dass das Methylenblau im Epithel gewisse .Zellen* färbt, die den Elementen der subepithelialen Remak’schen Netze im höchsten Grade ähnlich sind. Sollte man diese Gebilde als Bindegewebeelemente betrachten, so würde man dadurch den Thatsachen viel eher Gewalt anthun, als wenn man sie für nervös erklärt hätte: ich zähle daher diese „Zellen“ den nervösen Elementen zu. Manche von diesen Gebilden lassen sich gewöhnlich unter denselben Bedingungen färben, unter denen sich im Corium die Remak’schen Netze erster Art färben lassen, ich betrachte sie daher als intraepitheliale Elemente der letzteren. Diese Zellen ?) ') Diese Ansicht stützt sich auf Flächenpräparate der Unterschenkelhaut, auf denen diese Nerven in gleichem Niveau mit Epithelzellen erscheinen, an Quer- schnitten überzeugte ich mich, dass ich es da mit Intraepithelialnerven zu thun habe. ?) Sie lassen sich nur sehr schwer färben. Die Bedingungen, die eine Färb- ung ermöglichen, sind: 1. sehr gutes Material; 2. eine gelungene Nachfärbung — man muss das Optimum der zu injicierenden Farbenlösung finden, was deshalb sehr schwer ist, weil sie dabei in grosser Menge angewandt wird, und auch der zur Nachfürbung zu verwendenden; 3. muss man sehr sorgfältig auf die feuchte 216 | A. Leontowitsch, (Taf. VI. Fig. 2«) sind ebensowenig differenciert, wie die feinen sub- epithelialen und unterscheiden sich von den letzteren nur durch die erosse Anzahl von Fortsätzen, deren Lauf, da sie die Epithelzellen- zwischenräume passieren, notgedrungen eckig ist. Ihre Varicositàt hängt von denselben Körnchen ab, von denen die des „Neuroplasmas“ abhängt. Fibrillen sind darin nicht zu sehen. Die Grösse ihrer Kerne beträgt auch 5—13 u, das Verbreitungsgebiet der Fortsätze gegen 50 m. dine solche intraepitheliale Zelle ist auf Tatel VI. Figur 6 ab- gebildet: an dem schräg abgeschnittenen Hautstück sieht man, dass die in Verbindung mit dem Subepithelialgeflecht stehende Zelle « sich innerhalb des Epithels befindet, da am Präparat bei den Bewegungen der mikrometrischen Schraube unterhalb und oberhalb des Kernes einige Reihen von Epithelzellen hervortreten. Nur selten gelingt es. die Verbindung mit dem Subepithelialgeflecht zu verfolgen. die Aehn- lichkeit der Intraepithelialzellen mit den subepithelialen ist aber so eross, dass man sie nur als nervöse (Gebilde betrachten kann. Be- sonders gross ist diese Aehnlichkeit dann, wenn, wie das häufig ge- schieht, die Subepithelialzelle neben der Intraepithelialzelle, unmittel- bar an der Grenze des Epithels liegt und in letzteres Fortsätze sendet (Fig. 24 u. b). Innerhalb des Epithels gelang es mir nie, ein vollständiges Netz zu sehen, ich sah nur einzelne Zellen; das erklärt sich aber wohl durch Unvollkommenheit der Färbung. Ausser diesen Gebilden kommen hier noch andere sich ver- ästelnde Zellen mit sich wenig electiv färbenden Kernen vor: an passendem Material lassen sie sich unschwer mit Methylenblau färben. Einen Begriff von ihnen geben die Zellen der Figur 11. Nach dem allgemeinen Bilde müssen sie als sogenannte „Langerhans’sche Zellen“ gelten: ihr Verhältnis zum Epithel ist aus der Figur 11 zu ersehen: sie liegen in den Zwischenräumen der Epithelzellen, häufig liegen sie einer Vacuole an, ich konnte mir aber darüber nicht klar werden, Kammer sehen, damit das Präparat nicht vertrockne. An Stellen mit dickem Epithel findet man diese Zellen auch beim besten Erfolg in nur geringer Anzahl; wo die Epidermis feiner ist, findet man zuweilen mehr, und zwar zuweilen ohne jede Nachfärbung. Die Innervation der menschlichen Haut. 217 ob das nur vom Einschrumpfen ihres Protoplasmas oder davon ab- hängt, dass die Zelle einer ,Merkelschen* Zelle (s. unten) anliegt. Sie lagern in der ganzen Dicke des Strat. germinativum. Die meisten ihrer Fortsätze gehen, wie das schon Langerhans bemerkt hatte; nach oben. Durch die Gleichmässigkeit ihrer Lagerung und durch ihr ganzes Aussehen, erinnern sie so sehr an etwas Organoides, dass es ganz unmöglich ist, sie für Bindegewebezellen, geschweige denn Leukocyten zu halten. Gegen diese Annahme spricht auch der Um- stand, dass ich eine vollständige Färbung der Langerhans'schen Zellen dort erreichte, wo von einer Färbung der Bindegewebsgebilde keine Rede sein konnte Am meisten aber spricht für die nervöse Natur und gegen den Bindegewebscharakter dieser Zellen diejenige Art der- selben, die an der Grenze des Stratum eranulosum lieet: hier er- halten sie ein sonderbares homogenes Aussehen, ihre Fortsätze machen den Eindruck, als ob sie eingetrocknet wären, die Vacuolengebilde hören auf, die Varicositàt wird gróber, die Körner werden eckiger, so dass ich diese Zellen für zufällige Blauniederschläge an der Grenze des Strat. lucid. und des Strat. corn. proprium hielt, bis ich ihre Nachfárbung mit Carmin erzielte und dadurch eines besseren be- lehrt wurde. Ich überzeugte mich dadurch, dass ich es mit degene- rierten, parallel den Veränderungen des umgebenden Epithels ab- sterbenden Langerhans'schen Zellen, d. h. mit Erscheinungen zu thun habe, die mit den von Ranvier in den freien intraepithelialen Endigungen des Schweinerüssels beobachteten analog sind. Es wäre sonderbar, wenn Wanderzellen einem solchen Lose verfielen, in solchem Falle hätten sie zunächst ihre Fortsätze verloren oder an sich gezogen. Die den Zusammenhang der Langerhans’schen Zellen mit den subepithelialen Nerven demonstrierenden Präparate lassen in dieser Beziehung zu wünschen übrie. Es können nur Flächenpräparate be- nutzt werden: wir haben es mit sehr grossen Gebilden zu thun, von denen es mir, bei der Seltenheit ihrer vollständigen Färbung, nicht gelang, einen unverletzten Querschnitt zu erhalten. Auf einem Flächenpräparat ist aber das Verbindungsstück deshalb schwer zu erkennen, weil es scharf nach unten gegen das Epithel umbiegt, und 218 A. Leontowitsch. will man ihren Lauf verfolgen, so muss man viel mit der mikro- metrischen Schraube arbeiten, wobei man nicht den Verdacht los wird, dass man eine einfache Nachbarschaft für einen Uebergang ge- halten hat. Die auf der Figur 1 abgebildete Zelle liegt jedoch im unteren Teil des Stratum Malpighii so. dass am Vorhandensein einer Verbindung nicht gezweifelt werden kann. ln anderen Fällen konnte ich allerdings nie sicher sein, ob eine Verbindung dieser Zellen mit den Remak’schen „Nerven (IL Art) vorliegt oder nicht. Im betreff anderer Nerven entstanden aber keine ähnliche Zweifel. Ich nehme daher an, dass die Langerhans’schen Zellen intra- epitheliale Endigungen des II. Typus Remak’scher Nerven darstellen. die sich nur durch eigenartige Differencierung ihres Protoplasmas von anderen Elementen Remak’scher Nerven unterscheiden. Die vorher darüber angeführten kritischen Bemerkungen sind that- sächlich durchaus nicht so überzeugend, wie es auf den ersten Blick scheinen mag. Warum soll das häufigere Antreffen dieser Zellen in den spitzen Condylomen oder bei Ekzema nicht von ihrer grösseren Menge oder ihrer besseren Färbbarkeit in diesen krankhaften Gebilden ab- hängen? Wir haben schon eine hieraufbezügliche Arbeit von Vollmer [220]. der die Condylomata sowohl nach der Golgi’schen Methode als nach den allgemein üblichen Fixierungs- und Färbungsverfahren unter- sucht hatte. Er fand hier eine grosse Anzahl von Langerhans'schen Zellen und stellte sogar einmal eine Verbindung mit den Nerven fest. Es fanden sich im Epithel auch Bindegewebspigmentzellen, sie hatten aber ein anderes Aussehen und liessen sich mit Silber nicht färben. Die Leukocyten sind so viel kleiner, dass Volhner es für überflüssig hält. sie in die Erörterung hineinzuziehen. Die angeführten Merkel’schen Ausführungen (die Aehnlichkeit mit den intraepithelialen Pigmentzellen) sind gleichfalls wenig überzeugend. Wenn die Zellen des Centralnervensystems pigmenthaltig sein können, warum soll man nicht mit Ribbert [275] annehmen, dass auch die peripheren Zellen, falls sie mit den ersteren verwandt sind, unter solehen ungewöhnlichen Bedingungen, wie z. B. in spitzen Condylomen oder im stark pigmentierten Epithel, Pigmentkórnchen enthalten? Zu eunsten ihrer nervósen Natur spricht auch ihr Verhalten gegen Farb- Die Innervatiorr der menschlichen Haut. 219 stoffe; einerseits lassen sie sich von allen solchen Reagentien färben, die Nerven hervorheben (Gold, Methylenblau, nach Golgi), anderer- seits — und das ist vielleicht das Wichtigste — identificieren sie Külliker [700], Ranvier |/60, S. 693] und andere mit den Zellen im Epithel, deren Kerne sich schwach färben, während eine geringe Chromatinmenge für viele nervose Gewebegebilde geradezu charakte- ristisch ist, so dass z. B. die grosse Menge dieser letzteren im Stratum papilare der Fingerkuppen durch diese Eigenschaft ganz unsicht- bar ist. Zu Gunsten meiner Meinung spricht auch ferner eine Thatsache, die ich erst spáter constatierte, als ich nach Beendigung meiner La- boratoriumsarbeiten, die mir schon von früher her bekannte Litteratur durchsah. Wie ich schon oben bemerkte, fand ich dabei, dass die Autoren, die den Langerhans'schen Befund bestätigen, thatsächlich die Verbindung der Langerhans'schen Zellen mit den subepithelialen kernhaltigen, dem System der Remak’schen Fasern entsprechenden Nerven beschreiben und abbilden, dass sie sich aber, wegen der Grob- heit der Goldfärbung und der Verwechselung der Remak’schen Nerven mit den Endbezirken der markhaltigen, dessen nicht bewusst sind. (Podkopoyen [156], Dietlevsen [56], Chrzonowitz [21], vielleicht Cy- bulski [55]. Schliesslich widersprechen allgemeine Betrachtungen über den Bau des Geruch- und Geschmacksorgans!) meinen Ansichten durchaus nicht; vielleicht bestätigen sie sie sogar; es ist nämlich sehr möglich, dass die Riechzellen und ein Teil der Zellen der Geschmacksknospen als Varietäten dieses Systems von Nerven anzusehen sind. um so mehr als Langerhans [775] beim Amphioxus Lanceolatus auf unge- färbtem Material in besonderen sensiblen Epithelzellen Endigungen sah, die, wie es scheint, den von mir beschriebenen analog sind. Wir sehen also, dass das Corium und das Epithel entgegen den herrschenden Ansichten sehr verschiedenartige Nerven resp. End- verzweigungen derselben enthalten, und zwar: !) Ebensowenig wie die Betrachtungen über den Bau des sechsten Sinnes- organs. Mitrofanow [/42]. Leidig, Ueber Organe eines sechsten Sinnes in Nov. Act. Acad. Leop. Carol. germ. naturae curiosorum. 1868. Bd. XXXIV. 220 A. Leontowitsch. 1. Remak'sche Nerven I. und II. Typus. Sie bilden echte Netze, die aus vielen mit einander verbundenen, verschieden differencierten Zellen bestehen. Am wenigsten weit scheint die Differencierung in den subepithelialen und teilweise in den intraepithelialen Zellen vor sich gegangen zu sem. Zuwelen findet man in diesen Netzen auch kleine Ganglienzellen. | 2. Markhaltige Nerven IV. Typus, die einen morphologischen — und man darf auch wohl annehmen evolutionären — Uebergang von den Remak’schen Netzen zw den peripheren Teilen der Neurite und zu deren eigentlichen Telodendrien bilden. Auch hier finden sich zuweden kleine Ganglienzellen vor. 3. Markhaltige Telodendrien, und zwar: a) II. Typus. Mit den in den marklosen Abschnitten gelegenen Gebilden, die den Remak’schen Zellen ähnlich sind. b) III. Typus. Mit Gebilden, die sich von den eben beschriebenen insofern unterscheiden, als sie Längsspaltungen und terminale netzartige Telodendrien aufweisen. Die letzteren kommen wohl durch unvollständige Abspaltung einzelner Fäserchen von einander zu Stande. €) I. Typus. Die Telodendrien besitzen an den nackten Ab- schnitten keinerlei zellige Gebilde und entsprechen vollständig den mit Hilfe der Golgischen Methode demonstrierbaren peripheren Teilen der „Neurone“. Diese Abschnitte sind varieös und zwar besitzen die Varicositäten entgegen der allgemein verbreitelen Ansicht eine regelmässige Piattenform, thre Grösse ist in verschiedenen Fäserchen verschieden (gross-, nuttel- und kleinplattenvaricóse Telodendrien, je nach der vorherrschenden Grösse der Varicositdten). Diese Varicosi- tdten sind keine Kunstproducte und hängen mit dem Bau der Nerven zusammen. Die sogenannten „Tastmenisken“ sind in der That nichts anderes als Grossplattenvaricositäten, deren Form durch die Lage zwischen Epithelzellen eine Ver- änderung erlitten hat. Die gewöhnlichen sogenannten freien intraepithelialen Endigungen sind kleine „plattenförmige“ intraepitheliale Telodendrien. Die Innervation der menschlichen Haut. 291 Das Vorhandensein so verschiedenartiger Nerven weist auf einen sehr lebhaften Process steter physiologischer Regeneration der Haut- nerven hin (s. Mayer). Dieser Process besteht: I. Aus einer Differencierung der Remak’schen Zellennetze im peripheren Abschnitte‘ des „Neurite“ der centralen Ganglienzelle. Diese Differencierung steht in engem Zusammenhang mit den functionellen Bedürfnissen des betreffenden Teils des Organismus, und darin ist die Erklärung des Umstandes zu finden, dass der „Fort- satz“ der centralen Ganglienzelle immer zweckmässig in der mötigen Teichtung wächst. 2. Aus einer weiteren Entwickelung, die eine bessere Anpassung der neugebildeten Telodendrien des Neurons an ihre Function be- zweckt, was durch Bildung von Zellen, die den Remak’schen ähnlich sind, und ihre oben beschriebene Differencierung erreicht wird. Die alte Hypothese von Kupffer, die zur Grundlage der Ansicht gelegt wird, nach der das Neuron als eine Nervenzelle und die Kerne der ,Schwann'schen Scheide“ als dem Bindegewebe zugehörig auf- gefasst wird, ist nicht im Stande, die oben geschilderte Mannigfaltig- keit der Nerven zu erklären, sie muss daher durch die andere Auf- jassung, für die Schwann, Kupffer selbst 1887, Apathy und andere eintreten, ersetzt werden. 5. Die Merkel’schen Zellen. Da die Nervenendigungen sehr häufig in irgend einer Verbindung bald mit Epithelzellen, bald mit Bindegewebebildungen (in den Pacini- schen Körperchen, in den Golgi-Mazzoni’schen Sehnenkörperchen etc.) stehen, so hat man sich schon lange auch mit diesen accessorischen oder terminalen (im eigentlichen Sinne des Wortes), Teilen der peri- pheren Endigungen beschäftigt, indem man auch auf diese Weise eine vollständigere und umfassendere Vorstellung von ihnen, als Sinnes- organen, zu erlangen hoffte. Im Strat. Malpighii des Epithels ist der interessanteste frucht- bringende Versuch dieser Art im Jahre 1875 von Merkel [134] ge- macht worden. Bei semen sehr breit angelegten vergleichend-anatomischen Unter- 9299 A. Leontowitsch. suchungen über die Organe des Hautsinns entdeckte er mit Hülfe von Osmiumsäure im Epithel sehr vieler Tiere besondere bläschenförmige Gebilde, die er für „terminale Ganglienzellen* hielt. Durch die Wirk- ung der Osmiumsäure werden die Epithelzellen dunkel, dagegen treten die Tastzellen als ganz helle Blasen mit unverändertem blassen Kern hervor; die Zellen besitzen eine scharf contourierte Membran; an jede von ihnen tritt eine markhaltige Faser heran, deren Schwann’sche Scheide in die Membran der „Ganglienzelle* übergeht. Die zackigen Contouren der Epithelzellen sind nach Merkel bei diesen Zellen nicht anzutreffen, was für ihren eigenartigen Charakter spricht. Merkel [154] giebt aber zu, dass das Osmium nicht immer, nament- lich nicht an dicken Schnitten, die gewünschte Wirkung zeigt. dann bilden sich in vielen Zellen Vacuolen, und diese Zellen ühneln dann ziemlich den Merkel’schen. Eine Verwechselung ist allerdings auch dann unmóglich, denn es fehlt der Kern im hellen Raum. Zuweilen liegen diese terminalen Tastzellen auch in der Tiefe des Coriums im Bindegewebe. Dann ist ihr Bau ebenso wie ihre Bezieh- ungen zur Nervenfaser besonders gut zu sehen: hier sammeln sie sich in Gruppen von je 2—3 und mehr, und bilden bei den Schwimm- vógeln die sogenannten Grandry'schen Kórperchen. Bei vielen anderen Vögeln findet man ebenso wie bei manchen Säugetieren ähnliche Ge- bilde. Bonnet [25], der sich mit diesem Gegenstand beschäftigt hat, zeigte, dass sie durch Osmium nicht so gut zum Vorschein kommen, wie durch das Gold. Dieser Autor wünscht, dass der Name „Tast- zelen* durch .Endknospen* ersetzt wird, und nimmt an, dass der Axencylinder in ihrem Kern endet. ; Izquierdo [99] widerlegte gleichzeitig mit Ranvier [165] die An- sieht über die Verbindung der Nerven mit diesen Zellen und wies vermittelst Goldfärbung an den Tastkörperchen der Ente die Ver- bindung der Nerven mit besonderen „Tastscheiben“ nach, die den .lastzellen* nur anliegen. Dieses Verhalten beschrieb Ranvier auch im Strat. Malpighii des Kindes, und ohne sich definitiv über die Natur der intraepithelialen Tastmenisken zu äussern, zeigte er dabei, dass an den Verzweigungen eines Nervs viele Tastmenisken liegen, die mit einander durch nackte Fäserchen verbunden sind. Solche » Die Innervation der menschlichen Hant. 22: Endigungen nennt er „terminaisons hérédiformes* — ephenförmige Endungen. Auf diese Weise entstanden in der Litteratur zunächst zwei An- sichten über die Natur der „Tastzellen“: die erste, die von Merkel, der ihnen die Bedeutung von Nervenzellen beilegt, ist jetzt widerlegt, nach der zweiten von Ranvier vertretenen Ansicht, sind diese Zellen den mesodermalen Elementen zuzuzählen. Izquierdo [88] und Waldeyer brachten aber eine dritte Ansicht vor: auf Grund der Entwickelungs- weise der Grandry'schen Körperchen der Ente halten sie die Zellen dieser Kórperchen für eine Abart der Zpithelzellen, deren Zusammen- hang mit dem Strat. Malpighii gelöst worden ist. Mit diesen beiden letzten Ansichten hat man bis jetzt zw rechnen. Die Untersuchungen über den Bau der Grandry’schen Körperchen wurde von Hesse [57], Kultschitzky [771], Dostojewsky [50] und einigen anderen bestätigt. Die „Merkel’schen Zellen“ des eigentlichen Epithels wurden von Bonnet [22] im Jahre 1884 von neuem in Hämatoxylin mit Blutlaugen- salz oder Gold untersucht. Er hielt früher eme Verbindung der Nerven mit den beschriebenen Merkel’schen Zellen für bestehend, nur waren diese Zellen seiner Ansicht nach nur .Endknospen*. Die neuen An- sichten interessierten ihn deshalb und er fand nun, dass die von ihm früher als „Endknospen* beschriebenen Gebilde doch Zellen sind. Die Nerven treten einzeln an jede dieser Zellen heran und enden in Tast- menisken zwischen dem Kern und der Zellmembran. Weder existiert. seiner Meinung nach, eine Verbindung mit den Intraepithelialnerven. noch sind die Menisken mit einander durch feine marklose Fasern verbunden. Zu gleicher Zeit beschäftigte sich auch Lawdowsky mit diesen Gebilden [179, 1201. Nach Bearbeitung mit Osmiumsäure beschrieb er sie als runde oder eifórmige Köperchen mit glatter Oberfläche und grossem Kern, oder Kernkürperchen: die daneben liegenden gewöhn- lichen Epithelzellen seien zackige oder polygonale Elemente. Beson- ders charakteristisch für die Merkel’schen Zellen ist nach Lawdowsky ihr bläschenförmiges Aussehen, heller Inhalt und eigentümliche, wie in einem 0, verdickte Ränder. 294 A. Leontowitsch, Diese Verdickungen hält er für den Ausdruck der einige Zellen umfassenden Ranvier’schen Menisken, die also, entgegen der Ranvier- schen Ansicht, nach seiner Meinung, gleich den Discs der zusammen- gesetzten Körperchen, bis zu einem gewissen Grade auch an Osmium- präparaten sichtbar sind. Bei Vergoldung erhält man dasselbe Bild, die Nerven enden in Menisken, welche „zweifellos“ terminale Erweite- rungen der Nervenfasern sind; häufig erscheinen die Menisken als recht dicke Halbmonde; betrachtet man sie en face, so sehen sie wie unregelmässig runde Plaques aus, oder nehmen die Form eines Sternes an. Dieser Stern ist dann gewöhnlich concav, selten flach und trägt oder verdeckt das zarte Körperchen der Tastzelle. Werden die ver- goldeten Objecte mit Kalilauge bearbeitet, so tritt nach Lawdowsky die Differencierung der Zellen von den Discs „wunderbar deutlich“ zum Vorschein; zuweilen stellen die Meniske nur eine leichte knopf- förmige Verdickung am Ende des Nerven dar — der Contrast zwischen dieser Verdickung und dem verhältnismässig grossen Zellkórper ist dann besonders ausgesprochen. Die Merkel'schen Zellen liegen in Reihen oder Gruppen meist an den Spitzen der Epithelialpapillen. Die markhaltigen Nerven zerfallen in einzelne Aestchen, die an die Meniske gehen, so dass das allgemeine Bild der Verästelung, je nach der Lage der Meniske, wie ein Strauch oder wie ein Stengel einer Schlingpflanze, mit den darauf an Stielen sitzenden Knospen und Blättern aussieht. Die Ursache dieser, wie auch der früher erwähnten Vera di heit, in den Ansichten der hervorragenden Forscher, die im wesent- lichen fast mit ganz gleicher Methode arbeiteten, sieht Szymonowicz [200] in dem Umstande, dass Gold nur in seltenen Fällen alle Nerven- elemente differenciert, meist aber gleichzeitig mehr oder weniger intensiv auch andere Bestandteile des Gewebes färbt, im Gegensatz zum Methylenblau, das nur alle Nervenelemente färbt, während es den Kern und das Protoplasma ungefärbt lässt. Da wir nach seiner Meinung im Ammon. molybdaen. eine Substanz besitzen, die die Nerven und die Merkel’schen Zellen sehr gut fixiert, so hoffte er die strittigen Fragen über den Charakter der Tastzellen durch die Bethe’sche Methode befriedigend zu lösen. Zu diesem Zwecke studierte er ihre Die Innervation der menschlichen Haut. 295 Entwickelungsgeschichte an klassischen Objecten — Rüssel eines Schweineembryo und Schnabel eines Entenembryo — und kam zum Schlusse, dass die „Merkel’schen“ Zellen des Strat. Malpighii-Gebilde epithelialen, während die „Tastzellen* der Grandry’schen Körperchen mesodermalen Ursprungs sind, so dass es unstatthaft ist, sie in eine Gruppe zu verbinden. Angesichts dieser Meinungsverschiedenheiten über die Identität der Tastzellen des Epithels mit den Grandry'schen Kórperchen, haben wir für unsere Zwecke vorläufig nur die mtraepithelialen Merkel'schen Zellen zu berücksichtigen. Man kann aber nicht behaupten, dass das Bild der letzteren durch die erwähnten Untersuchungen ganz festgestellt worden ist. Es finden sich kaum zwei Lehrbücher, in denen die Merkmale dieser Gebilde — falls sie überhaupt erwähnt sind — ganz gleich ge- schildert wären. Ein eigenartiges, helles, bläschenförmiges Gebilde im Epithel, häufig einen deutlichen Kern enthaltend, das ist die Schilderung, die man gewóhnlich findet. Das Verhalten der Nerven gegenüber irgend welchen Zellen der Malpighi’schen Schicht ist gleich- falls ein zu unverlüssiges Kriterium, als dass danach „Merkel’sche“ Zellen von anderen unterschieden werden könnten. So weisen Ranvier [160, S. 701], Arnstein |/50] und Bothezat einstimmig darauf hin, dass die Zahl der ,'lastmenisken* der Zahl der .'Tastzellen* nicht entspricht: Meniske liegen danach auch anderen als Merkel’schen Zellen an. Ueberhaupt lässt die Technik der gleichzeitigen Dar- stellung der Merkel’schen Zellen und der Tastmenisken noch zu viel zu wünschen übrig. Zur befriedigenden Lósung dieser Frage brauchen wir eine Me- thode, welche folgende Kigenschaften besitzen muss: 1. die Nerven müssten dabei deutlich gefärbt sein, 2. die Zellenzwischenräume müssten klar zu sehen sein, 3. das Protoplasma und der Kern der Zellen müssten ganz deutlich, aber anders als die Nerven gefärbt sein. Bis jetzt besassen wir kein solches Verfahren. Osmiumsiiure, dieses für gewisse Fälle ganz vorzügliche Mittel, färbt die Nerven entweder gar nicht oder so schwach, dass viel Raum für willkürliche Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVII, 15 296 A. Leontowitsch. anticipierte Ausleeungen übrig bleibt. Dieser Umstand beeinflusste auch die Merkel’schen Resultate, und darum hat schon Ranvier längst auf die Unbrauchbarkeit dieses Reagens hingewiesen. Das Gold färbt die Nerven zwar grob, zuweilen aber doch nicht schlecht, dafür aber sind die übrigen (xewebeelemente ungenügend differenciert. Es kann daher geschehen, dass man an den feinen Schnitten, die für unsere Aufgabe unerlásslich sind, das für Nerv hált. was gar nicht Nerv ist, und umgekehrt. Aus diesen Gründen bleibt die Frage über die Beziehung des Nerven zur Zelle bis jetzt im wesentlichen dunkel, und was die Lage der Dises zwischen den Zellen betrifft, so schliesst man darauf, trotz der allgemeinen Verbreitung der Ansicht über die Contacte, eher aus Analogien mit andern Nervenendigungen und mit dem mit Hülfe der Golgi'schen Methode festgestellten Neuronencontact, namentlich aber mit den Grandry'sehen Körperchen, als nach dem, was man un- mittelbar unter dem Mikroskop beobachtet. Auch die Arbeit von Szymonowitz brachte in dieser Beziehung nichts Neues, da Ammon. molybdaen. die Grenzen der Zellen nicht hervortreten lásst. Auch mit seiner methodischen Behauptung kann ich mieh nicht einverstanden erklären: 1. erhalten wir mit Methylen- blau — auch in den günstigsten Fällen, keineswegs eine vollständige Färbung aller Nerven: 2. genügt es — worauf wir schon hinwiesen — nicht, wenn die Nerven allein gefärbt sind, das umgebende Gewebe muss gefürbt sein, und das eben ermóglichen unsere Methoden nicht. Versuchen wir die Frage über die .Merkelschen* Zellen des Epithels der menschlichen Haut einer Erörterung zu unterziehen, so stossen wir auf ein sehr spärliches und wenig eindeutiges litterarisches Material. (ewöhnlich wird darauf hin nur der Rüssel des Schweines untersucht, die menschliche Haut wird für ungeeignet «gehalten: die Merkel’schen Zellen sind hier wenig scharf und schwer sichtbar. Resumieren wir diese der Litteratur entnommenen Angaben, so ergiebt es sich, dass die Thatsachen, die dafür sprechen sollten. dass die Merkel’schen Zellen zu Nerven gehörende Zellen sui generis sind, sehr schwankend sind, und dass es viel wahrscheinlicher ist an- Die Innervation der menschlichen Haut. 297 zunehmen, dass wir es hier mit Epithelzellen zu thun haben, die viel- leicht eigenartig differenciert sind. Bei der besten Fixation, wie z. B. bei der durch die Flüssigkeiten von Fol und Flemming, sind sie gar nicht zu erkennen, nur in einigen Zellen sieht man schärfer umschriebene, bläschenartige Kerne; man kann sich aber leicht davon überzeugen, dass alle Zellen mit Riffen versehen sind; wie soll man nun damit die Behauptung der Autoren in Einklang bringen, nach welcher die Merkel’schen Zellen, falls sie überhaupt sichtbar sind, keine Riffe besitzen? Meine Untersuchungen begannen natürlich mit dem Osmium. Doch gab mir die Anwendung der reinen Osmiumsäure nichts Neues, nur die Modification der Bethe'schen Mischung mit Osmium- säure brachte Thatsachen, die mir den Anstoss zu weiteren Unter- suchungen gaben. An demselben Material erhielt ich, je nach der Menge des Osmium, zwei verschiedene Arten von Bildern; im Epithel gewisser Schnitte waren in der ganzen Dicke des Strat. Malpighii sehr deutlich sichtbare, bläschenförmige Zellen verstreut, welche alle anderen an Grösse überragten; in den anderen Schnitten waren statt Blasen nur zusammengefallene Fragmente der letzteren vorhanden, die, wie es scheint, dadurch zu Stande gekommen waren, dass diese Blasen sich noch mehr erweitert hatten und platzten. Dabei erhält man meistens solche Gebilde, wie die von der Tafel VIL Figur 29a, b und e; am meisten Interesse beanspruchen die mit e bezeichneten, da sie am ehesten in die von Merkel für seine Zellen gegebene Definition passen. Doch ist in denselben — je nachdem ob die Osmiummenge die auf Seite 168 angegebene über- steigt oder nicht erreicht — das helle Feld um den Kern bald grösser, bald kleiner, und daraus folgt, dass dieses Feld eine ebenso eigen- artige, durch Diffusion von Flüssigkeit zwischen dem Kern und dem Protoplasma zu Stande gekommene Deformation der Zelle ist, wie das, was in d—< derselben Figur abgebildet ist, und was nach Merkel mit seinen Zellen nicht verwechselt werden soll. Nach einiger Zeit bemerkte ich bei Betrachtung des nach dem Ranvier’schen Verfahren mit Gold (und Ameisensäure) gefärbten Ge- webes, dass sich dabei im Epithel gleichfalls gewisse Blasen bilden. 15* 298 A. Leontowitsch, Da wir im Chlorgold ein fixierendes Agens für Nerven haben, das sich längst bewährt hat, so kam ich auf den Gedanken, dessen Combinationen mit den molybdänsaueren Verbindungen daraufhin zu prüfen, und auf diese Weise einige ausgezeichnete Eigenschaften dieses von Bethe gegebenen Reagens mit besserer Gewebefixation zu verbinden. Ich that es um so lieber, als ich hoffte. dadurch eleich- zeitig eine Nachfürbung zu erzielen. Diese letztere Ewartung ging nicht in Erfüllung. Zur besseren Fixation setzte ich noch PéCl, hinzu (s. S. 166). Das Chlorgold wird nach einiger Zeit schwärzlich, ich ersetzte es da- her durch Auro-Kalium-Cyanatum. Meine Erwartungen haben sich vollständig erfüllt. Nimmt man 10°, Ammon. molybdaenici . . . . . 15,0 Tos PlatimehlogatiuM qd Dona n omma 1°}, Auro-Kali-Cyanati . . - . . . 290 Aquae destillatae . . . . . . . 17,0 so ist die Fixation ebenso gut, wie bei den Bethe'schen Osmium- mischungen, man hat aber noch ausserdem den Vorteil, dass das Ge- webe sogar in dicken (bis 1 mm) Scheiben durchsichtig ist, und die Riffe zwischen den Zellen im hóchsten Grade deutlich sind; wohl ist die Carminfärbung etwas diffus, doch können alle Verhältnisse sehr eut erkannt werden. Dabei haben — ebenso wie z. B. bei der Flemming'schen Flüssigkeit — alle Zellen des Epithels Riffe; „Merkel- sche Zellen“ sieht man nicht. Verringern wir nun die Goldmenge, so bleibt das Bild, wenn wir nur nicht unter 1 ccm gehen, dasselbe, gehen wir aber noch weiter herunter, so entstehen Deformationen, welche um so grösser sind, je weniger Gold wir nehmen. Diese De- formationen bestehen darin, dass die Kernmembran der Epithelzellen infolge von Bildung einer gewissen Substanz mit niedrigem endosmo- tischen Aequivalent (oder, anders ausgedrückt, mit hohem osmotischen Druck) sich vom Kern zurückzieht; daher diffundiert in die von der Membran begrenzte Hóhle Wasser und dehnt dieselbe aus; was die anderen Kernteile betrifft, so schälen sie sich entweder von der Membran ab, behalten ihre Form und machen dann den Eindruck eines Kerns einer „Merkel’schen Zelle*, oder aber sie bleiben an Die Innervation der menschlichen Haut. 229 irgend einem Teile der Membran befestigt, werden verdiekt und tragen dann zur Verdickung der Contour der Blasenwand bei, welche dann wahrscheinlich häufig als „tassenförmiger Meniscus“ oder als „charakte- ristisch verdickte Ränder“ beschrieben wird; selten ragt der Kern als mit einem Rande an der Blasenwand befestigte Platte in die Blasen- höhle hinein. Zwischen dieser ausgesprochenen Form und dem gewöhnlichen Zellbilde giebt es eine ganze Reihe Uebergänge: die niedrigsten Stadien bestehen entweder darin, dass an irgend einer Stelle zwischen Kern und Hülle eine Vacuole entsteht, oder darin, dass sich um den ganzen Kern herum eine kaum bemerkbare Spalte bildet; dann folgen die anderen Formen, die sich der Merkel’schen Zelle nähern (s. Fig. 30). Das beste Bild erhält man. wenn man 6—7 Tropfen Gold nimmt, d. h.: 025, Ammon molybdaenen 2 3.7.2 150 I ela ehlorats Weser sen: en 20 Ie Auro-Bali-Cyanat. o CNT MOT AGERE STARACE SA e TI) Beim Zusatz von etwa 3 Tropfen Gold beginnt das Bild allmählich zu verschwinden, bei 4—5 Tropfen ist die Verunstaltung so stark, dass man eine ebenso schlechtes Bild erhält, wie bei Szymonowitz (Taf. XXXIIL Fig. 12) durch Fixierung mit einer Mischung ge- sättigtes Sublimatlösung und 1°/, Osmiumsäure aa (der sogenannten Kostanetzky’schen Flüssigkeit); zuweilen ist das Bild noch schlechter, so dass es ganz unmöglich wird, sich über das Präparat zu orientieren. Alle diese Zellen besitzen Riffe; die letzteren verschwinden nur dann, wenn der Zellkörper sich weit über seine normale Grösse aus- dehnt und sich an die benachbarten Zellen anschmiegt, wodurch die Riffe unsichtbar werden. ; Verschiedene Zellen besitzen in verschiedenem Maasse die Fähig- keit, diese Reaction zu liefern; am schwierigsten ist diese Reaction an den Mündungen der Schweissdrüsen zu erhalten. Vielleicht hängt das mit dem Alter der Zelle zusammen und ist diese Reaction daher bei den jüngeren Zellen nicht hervorzurufen, vielleicht wirken hierbei auch irgend welche temporären Bedingungen ihres Lebens mit. 230 A. Leontowitsch. Im allgemeinen kann. man behaupten, dass mehr als die Hälfte aller Zellen des Strat. germinativ. aus jedem beliebigen Körperteile, die Haarscheide nicht ausgenommen, die erwähnte Reaction geben. Es versteht sich von selbst, dass falls eine solche Zelle der- maassen aufquillt, dass sie auf die umgebenden Zellen einen Druck ausübt, ihre Riffe zusammengedrückt werden und verschwinden, und so entsteht eine, der Form nach von den anderen verschiedene, „glatte“ Zelle. Auch die Combination des molybdänsaueren Ammoniums mit Palladium giebt die besprochene Reaction. Letztere ist also einigen Metallen derselben chemischen Gruppe, zu der Osmium gehórt, eigen. Palladium ist in derselben Combination, die ich in der Methodik als Formel Nr. 3 bezeichnete, zu nehmen. Palladium bietet aber den Nachteil, dass man dabei keine solche Abstufung der Wirkung wie bei Gold erzielen kann; immer ist die elective Wirkung auf die „Merkel’schen Zellen“ eine sehr starke; ausserdem dringt dieses Metall nur sehr langsam in das Gewebe ein. so dass man kleine Stückchen zu nehmen gezwungen ist. Die Quantität des Goldes oder des Palladiums kann in weiten Grenzen variiert werden, ohne dass dadurch das Bild der Nerven- verzweieung irgendwie bedeutend verändert wird. Die Kerne färben sich mit Carmin sehr electiv, das Protoplasma ist rosig, die Riffe sind deutlich zu sehen. | Ob die grossplattenfórmigen Varicositäten gerade an diejenigen Zellen herangehen, die der beschriebenen Deformation am leichtesten unterliegen, d. h. an diejenigen, die gewöhnlich als Merkel’sche Zellen betrachtet werden, oder ob sie, wie Ostrooumow [150] und Botezat |.26] auf Grund des Studiums der Innervation der Tasthaare meinen, auch den zu diesen Veränderungen weniger neigenden, den nicht Merkel- schen Zellen anliegen können, ob ferner auch die anderen früher be- schriebenen Nervenarten zu den Zellen dieser oder jener Art in irgend welcher Beziehung stehen — das vermochte ich nicht festzustellen; die Variationen meiner Flüssigkeit No. III lassen (worauf schon hin- gewiesen worden ist) keine verschiedenen Abstufungen der Differen- Die Innervation der menschlichen Haut: 931 eierung der „Merkel’schen Zellen“ zu; aus demselben Grunde ist es unmöglich, unmittelbar nach dem sich uns darbietenden Bilde über die Frage, ob die Varicositäten innerhalb oder zwischen den Epithel- zellen liegen, zu entscheiden; das ganze Epithelgewebe wird durch die beschriebene Reaction dermaassen deformiert, dass es nur zu leicht ist, die Nervenplatten mit den tassenförmigen „Deformations- producten des zufällig gefärbten Kerns der Epithelzelle* zu ver- wechseln oder in Fehler zu verfallen, wie sie von einem so erfahrenen Forscher, wie Bonnet (s. Litteraturübersicht), gemacht worden sind. Doch denke ich auf Grund dessen, was in der Litteraturübersicht angeführt worden ist, dass die Menisci, gleich den anderen intra- epithelialen Nerven, zwischen den Epithelzellen liegen. Bindegewebezellen zeigen nicht die geschilderten Deformationen. Wenn wir daher mit Rücksicht auf das oben Gesagte die Frage, welche von den auf der Figur 29 abgebildeten Zellen den engsten Zusammenhang mit den Nerven besitzen, offen lassen, so müssen wir doch anerkennen, dass die beschriebenen Deformationen den besten Anhalt zur Lösung der Zweifel über den epithelialen oder Binde- gewebecharakter irgend welcher Zellen bietet und darin liegt eigent- lich die Bedeutung, die den Merkel’schen Arbeiten für immer ge- sichert ist. \ 4. Die Meissner'schen Kórperchen. Das Schicksal der Meissner’schen Körper bietet in vielen Be- ziehungen Aehnlichkeit mit dem Schicksal der Frage der Grandry’schen Kórperehen und der Merkel’schen Zellen. In der ersten Periode, im Jahre 1852, entdeckten Wagner und Meissner [272] in der Haut des Menschen bei Bearbeitung derselben mit Kalilauge diejenigen „Tastkörperchen“, die später den Namen der Meissnerschen erhielten. Den Bau dieser Körperchen stellten sie sich folgendermaassen vor: beim Eintritt in die Binde- gewebskapsel zerfallen die Nerven in einige Teile und bilden eine an ausgestreckte Finger erinnernde Figur. Die von ihnen angewandte Methode war sehr unvollkommen, so dass Merkel meinte, dass sie die Contouren der zu den Hüllen der Körperchen gehörenden Platten für 289 A. Leontowitsch, Nervenendigungen - gehalten hätten. Im Jahre 1853 machte Kölliker 196, 97] auf die an den Kórperchen vorhandene Querstreifung auf- merksam. Um das Jahr 1860 beschrieb Krause [/05, 106] seine „Kolben“, er zählte zwei Formen: runde und cylindrische Kolben. Beim Herantreten an dieselben endet der markhaltige Nerv in dem kórnigen, von einer Bindegewebshülle umgebenen „inneren Kolben“. Einen ähnlichen Bau schrieb er auch den Meissner’schen Körper- chen zu. Die weiteren Arbeiten der Forscher bezweckten die Lösung fol- gender Fragen: 1. wovon hängt die Querstreifung der Körperchen ab? 2. was stellt der innere Kolben dar, sind innerhalb des Körperchens Zellen vorhanden und was für welche? 3. welche Beziehungen exi- stieren zwischen den Nerven innerhalb der Körperchen zu den Zellen und welche Morphologie ist ihnen eigen? Eine partielle Lösung dieser Fragen, so weit eine solche ohne Nachfärbung möglich war, gab Tomsa im Jahre 1865; durch das Kochen der menschlichen Haut mit einer Mischung von Alkohol und Salzsäure erhielt er Präparate, deren Zeichnungen den mit Osmiumsáure erhaltenen Bildern durchaus nicht nachstehen, ja sie vielleicht übertreffen, sie erinnern am meisten an die meinigen. Auf Grund dieser Bearbeitung unterschied Tomsa zwei Arten der Meissnerschen Kórperchen: eine ausschliesslich aus Zellen bestehende, die andere ausserdem eine bedeutende Quantität irgend einer faserigen (fast quer über das Körperchen verlaufenden) Sub- stanz enthaltende Tomsa hält diese letztere für Bindegewebe, das um das Körperchen eine Hülle bildet und nach innen quer zur Axe Fortsätze entsendet. Die Zellen sind nach Tomsa Bindegewebezellen. Die Ansichten von Tomsa über den Zellbestand der Körperchen wurden von Langerhans [114] teils bei Bearbeitung mit Kalilauge, teils an Osmiumpräparaten bestätigt. Langerhans bestätigt alle An- gaben von Tomsa, nur erkennt er die Existenz zweier Arten von Meissner’schen Körperchen nicht an. Nach seiner Meinung bestehen sie alle aus Zellen, zwischen denen durch das Osmium schwarz werdende, also markhaltige, mit Verzweigungen versehene Nerven liegen; die Querstreifung hängt nach seiner Annahme teilweise auch von diesen Nerven ab. Die Innervation der menschlichen Haut. 235 Allein über die eigentlichen Nervenendigungen blieb man im Un- klaren, bis Fischer [59] im Jahre 1876 durch Vergoldung zeigte, dass innerhalb der Meissner’schen Körperchen viel mehr Verzweigungen von marklosen Nerven enthalten sind, als man erwarten konnte: sie enden entweder mit knopfförmigen Verdickungen oder Erweiterungen. Diese vortrefiliche Arbeit zeichnet sich durch die namentlich bei der Erforschung des Nervensystems so selten anzutreffende Eigenschaft aus, dass darin nicht nur die besser als irgendwo zusammengestellten ‚litterarischen Angaben (die ich zur näheren Bekanntschaft mit dem Stande der Frage bis zum Jahre 1876 empfehle) in Betracht gezogen worden sind, sondern dass auch andere Versuche der Vorgänger, sich über den Bau der Meissnerschen Kórperchen mit Hülfe von Osmium- säure, Essigsäure und anderen Verfahren, die zwar die Nerven nicht fárben, aber gewisse Besonderheiten derselben in helleres Licht setzen, zu orientieren, einer vielseitigen Nachprüfung unterworfen wurden. Schliesslich erhielt Fischer an vergoldeten Präparaten auch eine Nach- färbung der zwischen den Nerven liegenden Zellen mit Anilin (Taf. XVII. Fig. 12); dieselbe hat ihm allerdings nur wenig Neues gegeben, da dabei die Zellkórper nicht zu sehen sind, und es also unmöglich ist, ihre Beziehungen zu den Nerven zu verfolgen. Als Ursachen der Querstreifung nahm er an: 1. eine in Querrichtung vor sich gehende Nervenverzweigung, 2. eine Querrichtung der Bindegewebegebilde, die teilweise denselben Ursprung wie die Nervenhüllen haben. Das Vor- handensein von elastischen Fasern schliesst er mit Recht aus, da die Querstreifung bei Bearbeitung mit Kssigsäure verschwindet, 3. den Umstand, dass die Grundsubstanz der Kórperchen entweder dem Laufe der Nerven entlang zusammenschrumpft oder von vorneherein diese Faserung besitzt. Das Vorhandensein einer besonderen Hülle an den Meissner’schen Kórperchen leugnet dieser Forscher. Während des Druckes dieser Arbeit teilte Merkel [134] die ersten Resultate seiner Arbeit mit. Danach wäre der innere Kolben der Meissner’schen Körperchen nichts anderes als ein Conglomerat der- selben Endnervenzellen, dessen einfachste Formen er in den von ihm entdeckten und nach ihm benannten Elementen des Strat. Malpighii, in 284 A. Leontowitsch, den Grandry'sehen Körperchen der Ente und anderer Wasservögel gefunden hat. Zur besseren Beweisführung verfolgte er die allmäh- liche phylogenetische Evolution derselben bei sehr verschiedenen Tieren, von den Amphibien an bis zum Menschen. Allein noch hat das Gold nicht das letzte Wort gesprochen; Ranvier [765] gelang es, die früher bei der Vorbearbeitung an- gewandte ,Ameisen- und andere Säuren durch Citronensaft zu er- setzen, dabei unterlag das Gewebe geringeren Veränderungen als bei anderen Vergoldungsmethoden, und er konnte auf diese Weise zeigen, dass die Meissnerschen Körperchen (gleich den Grandry’schen) aus einer Reihe von Zellen, die er für Abarten von Bindegewebezellen hielt, und aus zwischen denselben „frei“ endenden „Tastdises“, den letzten Endigungen der sensiblen Nerven, bestehen. Die Zahl dieser Körperchen soll noch grösser sein, als es Fischer annahm. Im Gegen- satz dazu halten Izquierdo und Waldeyer diese Zellen für Epithelzellen. Später arbeiteten noch mit Gold Kraus [104] und Tafani. Letzterer leugnet das Vorhandensein einer Membran; nach ihm wird das Gerüst des Körperchens durch die in das letztere eindringende Henle’sche Scheide des Nerven gebildet. Dieser Ansicht schliesst sich auch Ruffini [780] in seiner im Jahre 1898 nach der Ranvier’schen Methode ausgeführten Arbeit an. Weder die Golgische Methode, noch das Methylenblauverfahren brachten etwas wesentlich Neues zu dieser Frage; mit Hülfe derselben wurde bloss constatiert, dass die Zahl der nackten Nervenverzweigungen. die sich innerhalb des Kórperchens in Spiralwindungen hinziehen, un- gemein gross ist. Hierauf beziehen sich die Arbeiten von A. Dogiel [38, 40, 41, 42, 461 (mit Methylenblau ohne Nachfärbung der Zellen). in denen er einen Unterschied zwischen den Meissnerschen Kórper- chen und den von ihm in der Cornea und Conjunetiva beschriebenen sogenannten runden Krause'schen Kolben leugnet, nur ist nach seiner Meinung der Verlauf der Nerven in den Meissnerschen Körperchen einförmiger, als in den „Kolben“, in denen sie sich in allen möglichen Richtungen kreuzen; an verschiedenen Stellen des Nervenverlaufs sah er, gleich mir, kórnige Bezirke. Timofejew [203], der mit der Golgi- schen Methode arbeitete, bestütigte die von Dogiel beschriebene Ver- Die Innervation der menschlichen Haut. 235 teilung der Nerven in den Meissner’schen Kórperchen, dagegen kann er auf Grund des Vergleiches mit den Bildern, die die € )smiumsáure- präparate geben, seine Ansicht über die Krause’schen Kolben nicht teilen. Als charakteristisch für die letzteren sieht er das Vorhanden- sein der Merkel’schen Zellen an. Langerhans [774], Krause [/08, 109], Merkel [154, 156]. Flem- ming [60], Kölliker [700] beschreiben an den Querschnitten um jede Verzweigung innerhalb des Axencylinders einen hellen Umriss, den sie durch das Vorhandensein einer besonderen Hülle erklären; Kölliker weiss nicht, ob die letztere mit der Schwann'schen oder mit der Henle’schen Scheide oder mit beiden zu identificieren ist. Eine ganz besondere Stellung zu dieser Frage nimmt Krause ein. Zuletzt formulierte er seine Ansicht im Jahre 1885 folgender- maassen: Die Nervenfaser verliert das Mark und endet mit kleinen knopfförmigen Verdickungen innerhalb der Terminalkérperchen, deren Hülle aus den veränderten und stärker entwickelten Henle'schen und Schwann’schen Scheiden bestehen. Die Endfaser liegt in einem be- sonderen „inneren Kolben“, der im frischen Zustande ein durchsichtiges, kleinkörniges Aussehen besitzt; er besteht aus abgeflachten, häufig kernhaltigen, länglich polygonalen, an den Enden meist zugespitzten Zellen, die entweder parallel oder quer zu der Axe des Körperchens liegen. Krause nennt sie Kolbenzellen, vergleicht sie mit den Endothel- zellen und unterscheidet zwei Arten derselben: Querkolbenzellen und Längskolbenzellen. Zu den Gebilden, die die Zellen erster Art enthalten, zählt er die Meissner’schen Körperchen, zu den Gebilden mit den Zellen zweiter Art die verschiedenen Pacini’schen Körperchen, die Krause’schen Kolben und andere mehr. Das Vorhandensein „freier“ intraepithelialer Endungen in der Haut (ausser der Cornea) ist ihm ebenso zweifelhaft, wie die Endig- ungen in Merkel’schen oder Langerhans'schen Zellen. Den Krauseschen Ansichten nähert sich Schwalbe |/57]. doch lässt dieser die Frage über den epithelialen Charakter oder Binde- gewebecharakter und folglich auch über die Identität oder Verschieden- heit der Meissnerschen und der Grandry'schen Körperchen unent- 236 A. Leontowitsch. schieden. Kölliker [700] schliesslich findet, dass die „Zellen“ immer an der Peripherie des Meissner’schen Körperchens liegen und hält sie teils für Zellen der Henle’schen und teils für Zellen der Schwann- schen Scheide. Bei dem Neuen, das ich bringen kann, stütze ich mich auf Prä- parate mit Carminnachfärbung; man erhält dieselbe ohne Schwierigkeit an in Palladiummischungen fixierten Objecten. Diese Mischungen ermóglichten die Orientierung über das Ver- halten der Nerven zu den Zellen innerhalb der Meissner'schen Kórper- chen und die Lósung — nach dem Vorhandensein oder Fehlen der Merkel’schen Zelldeformationen — der bis dahin strittigen Frage über den Charakter der in diesen Körperchen enthaltenen Zellen. Die Zahl der an das Körperchen herantretenden Stämmchen ist sehr unbeständig und hängt von der Grösse desselben ab. Von den kleinsten werden mehrere zusammen von einer markhaltigen Faser versehen, von den erósseren bekommt jedes mehrere Fasern. Es giebt zwei Arten der Meissnerschen Kórperchen: Die erste (Taf. VIII. Fig. 26) besteht aus einer grossen Zahl von Zellgebilden, zwischen denen in feinen Schichten plattenfórmige varicóse Nervenendigungen in Verbindung mit irgend einer faserigen, in Carmin gleich Bindegewebe fárbbaren Masse liegen. Stellenweise sind die kleineren Varicositäten etwas dicker und lassen sich sowohl mit Carmin, als mit Methylenblau färben und er- innern dann stark an fast violette, kleine 3— 2!/, uw lange und 1'/,—2 u dicke Kerne (s. Fig. 32 bei c). Teilweise geben die Zellen die Merkel'sche Reaction, teilweise nicht, mehrere von ihnen sind folg- lich zweifellos epithelialer Natur, und Merkel hatte recht, als er sie mit seinen Tastzellen im Epithel identificierte, falsch war nur seine Ansicht, nach der es sich um Nervenzellen handelt. Sie besitzen keine Riffe, bei manchen ist der Rand facettenartig. Solch einen Rand sieht man in der Figur 32a, b. Hier sind die Facetten frei, da die Nerven ungefärbt blieben, in anderen Fällen finden sich darin kern- fórmige Varicositäten, die, von keinerlei Hüllen umgeben, den Zellen Die Innervation der menschlichen Haut. 237 eng anliegen. Der andere Teil der Zellen gehört wohl der Henle'schen Scheide und ist demnach bindegewebiger Natur. Man kann sich unschwer davon überzeugen, dass — wie es auch zu erwarten ist — ein unmittelbarer Uebergang des Nerven in die Merkel’sche Zelle nicht existiert, da sich alle Nervenbiegungen sehr leicht zwischen den Zellen verfolgen lassen. Ob die Nerven frei oder — wie Dogiel meint — in Terminalmaschen enden, ist schwer zu sagen, da aber manchmal „freie Enden“ aus dem Körperchen ins Epithel hineinragen, so nehme ich an, dass sie auch innerhalb des Körper- chens existieren. Die zweite Art (Fig. 25. Taf. VIII. Fig. 32) unterscheidet sich von der ersten durch starke Entwickelung des „inneren Kolben“; die eben beschriebenen Zellarten liegen nur an der Peripherie des Körperchens; der innere Kolben besteht aus einer faserigen Substanz, die mit der- jenigen Substanz, welche die Zellzwischenräume der ersten Körperchen- art ausfüllt, identisch ist; die Nervenwindungen liegen sowohl im inneren Kolben, als auch zwischen den Zellen; die kernförmigen Bezirke der Nerven sind sowohl hier als dort zu finden. Ich hatte Gelegenheit aller Wahrscheinlichkeit nach, auch Ent- wickelungsbilder dieser ,Kórperchen* zu beobachten (Fig. 51): Es bildet sich aus der Epithellage ein eigenartiger feiner, aus hóchstens zwei Zellreihen bestehender, nach unten gerichteter Auswuchs; die Zellen desselben geben keine Merkel’sche Reaction; der Auswuchs enthält viele Nerven, die sich — wie in den Meissner’schen Körper- chen überhaupt — sehr leicht färben und sich dadurch von den eigentlichen Intraepithelialnerven unterscheiden; sie stammen aus den markhaltigen Stämmchen, sind fein, varicós und besitzen keine platten- förmigen Erweiterungen; am Stratum Malpighii sind Andeutungen von Zwischenzellenriffen zu finden. Zuweilen sind solche Auswüchse auch tiefer, im Corium zu finden. Der allgemeine Charakter kann den Meissner’schen Kórperchen beider Arten entsprechen. Eine Membran ist nicht zu entdecken. Es scheint, dass Ruffini die von ihm ge- färbten Nerven dieser Gebilde als „fiochetti papillari (Fig. 54—57) bezeichnete, das Epithel aber war bei ihm abmaceriert. er konnte daher dessen Zusammenhang mit den Nerven nicht wahrnehmen. Ent- 238 A. Leontowitsch, sprechende Bilder erhielten Izquierdo [8S] und Asp [/0] bei der Ent- wickelung der Grandry'schen Kórperchen: Entwickelung der Epithelial- papille, die sich später vom Epithel abschnürte. (Szymonowitz [200] ist mit diesen Forschern nicht einverstanden, ich glaube aber, dass er durch schlechte Fixation irregeführt worden ist.) . Im Widerspruch mit meinen Bildern steht die Ranvier’sche Vor- stellung [165, 160] über diesen Gegenstand; er meint, dass sich im Bindegewebe zuerst ein von Nerven umgebenes Häufchen von Zellen entwickelt (seine Figur 340), die sich später so lagern, dass aus ihnen ein Körperchen wird. Möglich ist es, dass auch solch ein Entwicke- lungsmodus neben dem von mir beschriebenen existiert, wahrschein- licher aber scheint mir folgende Erklärung. Beim Färben verschiedener jxtremitüten merkte ich, dass in denselben die Zahl der Meissner- schen Kórperchen sehr verschieden ist. Zuweilen ist diese Zahl sehr gering, dafür lassen sich dann die intraepithelialen Nerven gut färben; bei misslungenen Versuchen der Nachfärbung nach Färbungen mit Goldmischungen fanden sich in solchen Fällen in den Papillen viele einzelne Häufchen von Zellen, die den Epithelzellen glichen. Nun denke ich, dass eben diese Endigungsform der von Ranvier [160, Fig. 340] und Ploschko [152, Taf. I. Fig. 4] (unter der Bezeichnung der pericellular-subepithelialen) beschriebenen entspricht, sie stellt aber kein Entwickelungsstadium, sondern eine eigenartige reife Form dar; man kann sagen, dass das Meissner’sche Körperchen sich daraus nicht ontogenetisch, sondern phylogenetisch entwickelt. Diese Vermutung findet eine Stütze in der Thatsache, dass es beim Menschen sehr empfindliche Stellen (z. B. die Lippen) giebt, in denen nur wenige Meissnersche Körperchen vorhanden sind. Schliesslich sind auch, namentlich von Merkel, viele Beobachtungen gesammelt, welche besagen, dass solche Tastzellen im Corium der Wirbeltiere weit verbreitet sind. Ich besass leider kein geeignetes Material, an dem ich in solchen Fällen gleichzeitig die Nerven mit Methylenblau und das Gewebe mit Carmin hätte färben können, ich muss mir also vorbehalten, das später zu machen, um diesen Gegenstand endgültig zu erledigen. Das Vorhandensein einer Bindegewebsmembran wird von den Die Innervation der menschlichen Haut. 239 meisten Forschern angenommen; nur wenige, darunter Tafani, bezweifeln dieses. Meiner Ansicht nach existiert eine Membran zweifellos nur an den erösseren, alten Kórperchen, an den kleineren ist eine sache nicht zu sehen. Wenn ich das Gesagte zusammenfassen soll, so stelle ich mir den Bau der Meissnerschen Kórperchen als ein eigenartiges Conglomerat der Grandry’schen vor; die Rolle der Tastmeniske spielen hier die plattenförmigen Varicositàten und vielleicht auch die „kernförmigen“ Varicositäten, die, gleich den erwähnten Menisken, die epithelialen Zellen eng berühren; den beschriebenen Apparat umfasst die mehr oder minder entwickelte, allen Nervenbiegungen folgende Henle’sche . Scheide mit ihren Kernen, die auf diese Weise das Stroma des Körper- chens bildet. Das gleichzeitige Vorhandensein vieler Verschieden- heiten in der Grösse der Membranentwickelung und dem Grade der Varicositàtenentwickelung der Meissner'schen Körperchen spricht dafür, dass auch diese Körperchen, gleich anderen Nerven, einem beständigen evolutionären Process unterworfen sind. Ebenso wie die Grösse der plattenförmigen Erweiterungen der Nerven, variiert auch bei verschiedenen Individuen die Grösse dieser Erweiterungen an den Meissner’schen Körperchen. Ueberhaupt aber sind die Erweiterungen an den kleineren und wohl jüngeren Körper- chen kleiner als an den älteren. Der Windungsreichtum der Körper- chen ist bei verschiedenen Menschen ebenfalls ungleich; bei einem ist er grösser als bei dem anderen. Gleich Dogiel [42, 45 u. a.) und Timofejew [205] beobachtete auch ich mehrfach, dass Aestchen von Meissner’schen Körperchen in das Epithel übergingen; erklären lässt sich das natürlich durch die genetische und anatomische Verwandtschaft dieser Körperchen mit der Malpighi'schen Schicht. Was wird für den Organismus durch die Einschiebung der Epithel- zellen in die Tiefe des Gewebes erreicht? Am wahrscheinlichsten ist für mich hierfür die Erklärung, dass dabei das Epithel in günstigere Ernáhrungsbedingungen gestellt und seine Differencierung in der für den Organismus erforderlichen Rich- tung eine vollkommenere wird; so ruft das z. B. in den Grandry' schen 240 A. Leontowitsch, Kórperchen eine sehr grosse Zellvermehrung hervor. Andererseits bleibt den Nerven für ihre Entwickelung mehr Raum. "Was die runden Krause'schen Kolben betrifft, so sind irgend welche deutliche Zeichen derselben nicht beschrieben und auch ich konnte keine neuen Merkmale für ihre Unterscheidung wahrnehmen, ich werde daher diese Kolben nicht besprechen. 5. Die Haare. Wie bekannt, sind die Wurzelteile gewisser Haare von bluthaltigen Räumen umgeben; diese Räume liegen zwischen der längsfaserigen und der querfaserigen Schicht des Balges des unteren Haarwurzelteiles unterhalb der Mündung der Talgdrüsen; hierher gehören namentlich jene grossen starren Haare, die vielfach als Tasthaare gelten. Schon längst zogen sie durch ihren Nervenreichtum die Aufmerk- samkeit der Forscher auf sich und wurden zu einem der beliebtesten Forschungsobjecte. Obeleich sie beim Menschen nicht vorkommen, will ich sie doch aus später anzugebenden Gründen kurz besprechen. Die Nervenanzahl ist hier so gross und überhaupt die ganze Innervation so compliciert, dass diese Frage schon eine lange Ge- schiehte hinter sich hat. Seit der Entdeckung dieser Haare durch (segenbauer beschäftigten sich mit der Erforschung ihrer Innervation Leydig, Odenius [148], Burkhardt, Diet], Sertoli, Jobert, Redtel, Schöbl, Bonnet, Löwe u. a. m. Einzelheiten über diese frühe Periode, die für mich von nur geringer Bedeutung ist, sind bei Merkel [755] oder 3onnet [25] zu finden. Die umfangreichsten Arbeiten der letzten Zeit sind von Ostrooumow [4/50], Szymonowitz [201] und Botezat [26] aus- gefiihrt worden. Die beiden letzteren Arbeiten sind namentlich da- durch interessant, dass sowohl mit Gold als Methylenblau die gleichen Resultate erzielt wurden. Bis jetzt gestalten sich unsere Kenntnisse über diese Haare folgendermaassen: Bluträume umgeben die Haarscheiden von dem Halse, d. h. der unmittelbar unter der Mündung der Talgdrüse liegenden Stelle ab. Sie befinden sich zwischen der äusseren und inneren Schicht des Haarbalges, d. h. da, wo bei gewöhnlichen Haaren ein Blutgefässgeflecht liegt. Zwischen dem Zwiebelende des Haares Die Innervation der menschliehen Haut. 241 - und seinem Halse, d. h. der unmittelbar unter den Talgdrüsenmün- dungen liegenden Stelle, befindet sich gewóhnlich ein zweiter verengter Abschnitt der Haarscheide. Bei manchen Tieren. wird hier die Scheide von einem im Bindegewebe des inneren Teils des Balges frei liegenden hufeisenartigen sogenannten „schildförmigen Körper“ oder „Ringwulst“ (Dietl), oder „bourrelet annulaire“ (Ranvier [160]), umfasst. Zwischen dem Haarhalse und diesem Körper oder der oben beschriebenen Ein- schnürung der äusseren Scheide ist der Blutsinus ununterbrochen, mehr nach unten wird er von zahlreichen Bindegewebssträngen durchkreuzt. Nach übereinstimmenden Ansichten von Lawdowsky [119, 120], Ostrooumow, Szymonowitz und Botezat werden alle Teile des Haar- balges und der äusseren Wurzelscheide von Nerven versorgt, am reichlichsten der Abschnitt zwischen dem Halse und dem schildfórmigen Körper. Gegen die Haarpapile hin vermindert sich die Zahl der Nerven, in der Papille selbst ist ihre Anzahl wiederum sehr bedeutend (nach Orrü [149], Golgi, Ostrooumow), doch sind die Beziehungen der Nerven zum Epithel der Papille nicht bekannt. Oberhalb der Talgdrüsen hat man es schon mit gewöhnlichen Hautnerven zu thun, es wird daher ihrer in nur sehr unbestimmter Weise erwähnt und es ist anzunehmen, dass sie nur wenig gesehen wurden. — — Plattenfórmige Varicositäten wurden von diesen Autoren nicht bemerkt. Arnstein unterscheidet folgende Nervenarten: 1. epitheliale, 2. hypo- lemmale. Die ersteren liegen im inneren Teile des Haarbalges und zerfallen in a) gerade terminale (,,nackte“) mit löffelartigen Erwei- terungen an-den Enden, die parallel dem Haarhalse verlaufen, b) baum- artige („nackte“) Verzweigungen an der glasartigen Membran vom Halse bis zur Papille (diese Nerven wurden von Ranvier, Ricchiardi') gesehen, aber nicht in Zusammenhang mit den grésseren Stämmchen gebracht) und c) freie Endigungen an den Balken des cavernósen Gewebes. Am Halse bilden zuweilen die quer verlaufenden Nerven !) Riechiardi, Sur la distribution des nerfs dans la follicule des poils tactil à l'appareil vasculaire érectile chez le boeuf. Arch. ital. de biol. Bd. IV. S. 280 bis 282. Internationale Monatssehrift für Anat. u. Phys. XVIII. 16 949 A: Leontowitsch, im Gewebe des inneren Teiles des Haarbalges einen ganzen Ring aus teils markhaltigen, teils marklosen Nervenfasern. Ostrooumow, Arn- stein, Szymonowitz und Botezat halten diesen Ring für ein Gebilde. das aus den unter a, b und c bezeichneten Nervenarten besteht. Soweit man aus den Abbildungen urteilen kann, gehören die er- wühnten Nerven zu denen, die teils mittlere, teils kleine Plattenvari- cositüten besitzen. Die hypolemmalen Nerven verlieren das Mark unmittelbar vor oder während des Durchtritts durch die glasartige Membran und gehen dann in Netze oder Reihen von Menisken über, die den von mir auf der Figur 13, meist im der Nähe der Merkel’schen Epithelzellen ab- gebildeten ähnlich sind. Ihre Zahl entspricht der früher angegebenen Innervationsdichtiekeit des betreffenden Scheidenabschnitts, in der Papille scheinen sie gar nicht, oberhalb der Talgdrüsen in nur geringer Anzahl vorhanden zu sein. Retzius [277] und van Gehuchten [67, 68], die nach Golgi arbeiteten, haben nur einen kleinen Teil dieser Nerven beschrieben. Diese Netze und Meniske sind aber keineswegs als die letzten Nervenendigungen zu betrachten. Lawdowsky und Botezat weisen darauf hin, dass von den Menisken zwischen den Epithelzellen der äusseren Wurzelscheide feine varicöse Aestchen abgehen, die als wirk- liche Nervenenden anzusehen sind, sie enden entweder frei (Botezat) in der Tiefe der äusseren Wurzelscheide oder unter Bildung von Maschen, indem sie an die glasartige Membran zurückkehren (Lawdowsky). Was die Selbststándigkeit der einzelnen Netze betrifft, so wagt sie auch Szymonowitz nicht zu verfechten, Botezat aber erklärt kategorisch, dass alle Haarnerven in Tastmenisken enden. Man sieht, dass die Autoren hier mit denselben Schwierigkeiten bei der Unterscheidung des subepithelialen Nervensystems von dem intraepithelialen zu kämpfen hatten, die sich mir bei der Erforschung der menschlichen Haut ent- gegenstellten. Die kürzlich erschienene Arbeit von Ksünin [770 A|, die als vor- läufiger Bericht abgefasst ist, beschäftigt sich nur mit der Nachprüfung und Beurteilung der Angaben von früheren Autoren, sie bringt nichts Originelles und ich werde mich daher mit ihr nicht weiter beschäftigen. Die Innervation der menschlichen Haut. 243 In noch einer Beziehung bietet die Geschichte der „Tasthaare“ grosse Aehnlichkeit mit den Fragen der Hautinnervation. Merkel [158] beschrieb im Bindegewebe des Haarhalses Epithelzellen, die sich von der Malpighi’schen Schicht abtrennen (und die er für „Endnerven- zellen“ hält). Da hier ebenso wie in der Haut die Untersuchungs- methoden (Osmium, Gold) der Forscher unvollkommen sind, so ist die Frage über Existenz und Bedeutung dieser Gebilde unaufgeklürt ge- blieben und die Autoren verschweigen die letzteren ganz, in jedem Falle aber sind sie sich über ihre Rolle unklar. Zu diesen Gebilden kann vielleicht auch der „schildförmige Körper“ gezählt werden, dessen Charakter und Beziehungen zu den Nerven trotz einzelner Versuche unbekannt bleiben. Wenn wir dieses alles zusammenfassen, so kónnen wir sagen, dass die Nerven der Tasthaare in den intraepithelialen Menisken haupt- sächlich „frei“ enden. Die Beobachtungen von Sertoli'), welcher im Epithel der äusseren Wurzelscheide die Nerven in (vielleicht) Langer- hans’schen Zellen enden sah, blieben mir leider unzugänglich, und so kann ich nicht darüber urteilen, was er eigentlich gesehen hat. Die dickeren markhaltigen Stämmchen können nach übereinstimmender Ansicht aller Autoren an diese Haare von oben, von unten her, von der Seite und in verschiedenen Richtungen herantreten, und diesem Umstande kann keine besondere Bedeutung beigelegt werden. Was die gewöhnlichen Haare betrifft, so sah Schöbl [454—165] vor der Anwendung der Vergoldungsmethode in der Flügelhaut der Fledermaus, im Rüssel des Igels, im Ohr der Maus, dass an jedes der dort befindlichen Haare je 1—4—9 markhaltiger Nervenfasern heran- treten. Dank der Kritik von Stieda [197, 198] ist nach Beseitigung mancher falschen Vorstellungen festgestellt worden, dass die Nerven in jedem Haar unter den Talgdrüsen enden und es an dieser Stelle mit einem Ringe, der aus einigen Windungen von markhaltigen Fasern gebildet wird, umfassen. Beil und Jobert bestätigten diese Angaben. Als erster untersuchte Welikij [214] die Haare nach der Ver- eoldungsmethode; er stellte fest, dass die Nerven nach Durchtritt der !) Sertoli, Sulla terminazione dei nervi nei peli tattili. Gazetta medico- veterinaria. 1872, 16* 244 A. Leontowitsch, glasartigen Membran der Haarscheide in geschlossenem Terminalnetze zwischen den Epithelzellen der Wurzelscheide enden; übrigens sind seine Zeichnungen sehr wenig überzeugend. Chronologisch ist an zweiter DA Stelle Arnstein [7 eine weisse Maus und fand, dass die markhaltigen Nerven eines jeden | zu nennen. Er wählte für seine Untersuchungen Haares sich an seinem Halse, d. h. unmittelbar unter den Taledrüsen verzweigen. Dann verlieren die Nerven ihr Mark und enden teils an der glasartigen Membran, teils zwischen den Epithelzellen der Wurzel- scheide (unweit der Ausführungsgänge der Talgdrüsen) in löffelartigen Verüstelungen; dasselbe sah er auch an den menschlichen Haaren. Auch Jantscitz [S9 scheide enden. Hohe Vollkommenheit der Nervenfärbung mit Gold, eine sah die Nerven innerhalb des Epithels der Wurzel- Färbung, die eigentlich alles gab, was diese Methode geben konnte, erreichte Bonnet [25] Am Halse des Haares fand er eine Schicht, dem Haarschaft parallel verlaufender, lancettenartig erweiterter Axen- cylinder, die in den Längsfalten der Glasmembran liegen; die letzteren umwindend liegt nach aussen in den Querfalten dieser Membran oder oberbalb derselben (Merkel) ein Ring aus runden nackten Axencylin- dern. Weitere Nervenendigungen hat Bonnet nicht verfolgt. Er fasst seine Resultate folgendermaassen zusammen: 1. Alle nicht sinuóse Haarbälge besitzen einen Endnervenapparat, der sich an allen Haaren an derselben Stelle befindet und nach dem- selben Princip eingerichtet ist; nur die Grósse und die Anzahl der Fasern dieses Apparates schwankt je nach der Grósse des Haares. Dieser Apparat besteht: a) aus einer gewissen Anzahl markhaltiger Nerven, die entweder dem Haare entlang Maschen, oder um den Haarbalg Kreislinien, oder beides bilden (sie liegen an der Glasmembran): b) aus nackten Verzweigungen beider Systeme: die «) entweder ein System von in den Längsfalten der Glasmembran liegenden Terminalzweigen bilden, die lancettenartige Erweiterungen nackter Axencylinder darstellen (ihre Länge hángt von der Länge des Trichters ab, der aus der Glasmembran infolge der Verengung der Haarscheide unterhalb der Taledrüsen entsteht, am peri- pheren Ende dieses Trichters enden sie alle im gleichen Niveau) Die Innervation der menschlichen Haut. 245 oder >) sich zu einem Ring nackter Axencylinder gestalten, die das System der geraden Endfasern umwinden und nach aussen von den letzteren in den Querfalten der Glasmembran zu liegen kommen; ihre Endigungen sind noch ganz unerforscht. 2. Die Haarpapille besitzt keine Nerven und bildet nur einen Keimabschnitt des Haares; irrtümlicherweise wurden ihr die Nerven, die in ihrer Nähe verlaufen, zugeschrieben. Merkel [158] bestätigte die Angaben von Bonnet und wies nur darauf hin, dass im Gebiete des Nervenringes — sowohl im Binde- gewebe als im Epithel — „Merkel’sche Zellen“ liegen. Er vermochte aber hier noch weniger, als an anderen Hautstellen, das Vorhanden- sein dieser Zellen und ihre Beziehungen zu den Nerven überzeugend zu beweisen, sie werden hier daher «ewöhnlich ienoriert. Indem Merkel viel zu sehr der Nervenfürbung mit Gold und Osmium (mit letzterem in den markhaltigen Teilen) vertraut, behauptet er, dass nicht alle Haare von Nerven versorgt sind. Die Golgi’sche Methode wurde von van Gehuchten [67, 66]. - Orrü [749] und Retzius |/71, 172] angewandt. Die genannten Autoren stellten die Behauptung auf, dass jedes Haar nur eine Nervenfaser erhält (vielleicht ist der Grund dieser Be- hauptung darin zu sehen, dass der Färbung meist Haare von Embryonen zugänglich sind); die nackten Verzweigungen dieser Faser haben im allgemeinen das Aussehen des von früheren Autoren beschriebenen Nervenrings, da sie aus Längs- und Querabschnitten bestehen, und liegen mit dem grössten Teile ihrer Masse im inneren Teile des Haar- balges, wie man das an den den ,Biologischen Untersuchungen von Retzius (N. F. Bd. IV u. VI)* beigelegten Abbildungen sehen kann. Der Ring umfasst haufig nur die Hälfte oder zwei Drittel des Haares. Orrù machte eine sehr interessante Beobachtung. an Meer- schweinchenembryonen: Ér wies daselbst in der Papille eine grosse Menge „freier Nervenendigungen* nach, es stellte sich weiter heraus, dass auch die Haarzwiebel von einem echten Nervenfasernetze um- geben war. Ein ähnliches Verhalten fand Retzius bei einem 19,5 em langen Menschenembryo, nur trat hier der Nerv nicht von unten her heran, sondern bog von oben aus dem Haarbalge um, so dass man 246 A. Leontowitsch. denken konnte, dass er von dem ungefärbt gebliebenen allgemeinen System der Nerven des betreffenden Haares herstammte. Eine in physiologischer Beziehung wichtigere Beobachtung ist von van Gehuchten beschrieben worden. Er stellte bei der Maus fest, dass die Haarnerven nicht etwas selbstándiges, sondern nur Collate- ralen der allgemeinen Hautnerven darstellen. Das ist insofern wichtig, als diesen und jenen auch die gleiche Function zuzuschreiben ist. Es stellte sich auf diese Weise heraus, dass die Haare grosse Mannigfaltigkeit bieten; — ausser den angegebenen Unterschieden in der Localisation der Nervenástelung, äussert sich dieselbe auch in dem Herantreten der dickeren markhaltigen Nerven bald aus der Tiefe, bald von oben, bald von der Hautseite, dann in der verschiedenen Configuration der Haarzwiebel und in dergleichen mehr. Diese Mannigfaltigkeit wollen Bonnet, Retzius und Kallius [90] durch die Verschiedenheit der Arten der Tiere, deren Haare zur Fär: bung gelangten, erklären. Meine Untersuchungen brachten auch hier Thatsachen zum Vor- schein, die den von mir an den anderen Hautteilen beschriebenen analog sind. Ich will folgendes hervorheben: Die Haare bieten eine recht grosse Mannigfaltigkeit sowohl nach ihrer Grösse, als nach solchen Besonderheiten, die nur auf ihr vers schiedenes Alter zurückzuführen sind. Wie schon Hesse und Kölliker [100| zeigten, giebt es Individuen, bei denen die Haarentwickelung nicht nur auf dem Wege des Ersatzes durch Bildung von , Kolben- haaren“, sondern auch nach dem embryonalen Typus durch Hinein- wachsen der Epithelialpapille in die Tiefe des Bindegewebes der Haut vor sich geht (I. Stadium). Solche Anlagen hatte ich Gelegenheit nur an Flächenpräparaten der Haut zu sehen, da sie nur selten vor- kommen. Von diesem frühesten Stadium sind alle móglichen Ueber- eänge zu beobachten: bald haben wir Haarbälge vor uns, die ein kleines kaum bemerkbares Haar enthalten und an denen keine Talg- drüsen wahrzunehmen sind (IT. Stadium); in anderen Fällen ist das Haar grösser, zuweilen ist die Grösse schon ziemlich bedeutend (wie auf Fig. 34, in der die Haarlànge 580 «, die mittlere Breite 80 « beträgt). Das jugendliche Alter solcher Haare verrät sich nur durch Die Innervation der menschlichen Haut. 241 die sehr schwache Entwickelung der Talgdrüsen und teilweise auch durch die Innervation, von der später die Rede sein wird (III. Sta- dium). Neben diesen letzteren kommen ganz reife Haare mit regel- mässiger Proportionalität der Drüsen und vollständig entwickelter Papille vor (IV. Stadium). Schliesslich kommen auch Kolbenhaare vor, in denen die alte Papille obliteriert ist, und an deren Stelle sich aus der alten Scheide durch Knospung nach dem zuerst von Ebner [53] beschriebenen Typus eine neue bildet (V. Stadium). Die Mannig- faltigkeit der Bilder wird noch durch sehr bedeutende Grössenunter- schiede der Haare vermehrt; neben sehr erossen Haaren trifft man durchgängig einen für das Auge kaum bemerkbaren Flaum, der jedoch jedem der geschilderten Stadien entsprechen kann. Im IV. und V. Stadium sah ich — ohne irgend welche Abhängig- keit von der Grósse des Haares — in der ganzen Ausdehnung. des Haarbalges, von der Papille bis zum Hautepithel, eine sehr bedeutende Anzahl Remak'scher Nerven erster Art (Taf. IX. Fig. 36); eben solche Fasern waren im V. Stadium am Laute der jungen Haarknospe zu sehen. Im I. und IL Stadium konnte ich diese Fasern nicht sehen, doch erkläre ich das durch Unzulänglichkeit der Färbung und nehme an, dass sie auch hier vorhanden sind. Ebenso wenig sah ich in den Haaren intraepitheliale Remak'sche Zellen und auch dieses schreibe ich dem gleichen Umstande zu. Langerhans'sche Zellen traf ich an der ganzen Ausdehnung der Haarscheide im IV. und V. Stadium (darauf wiesen schon Langer- hans [2/5], Eberth [52] und einige andere hin); subepitheliale Remak- sche Fasern zweiter Art bekam ich nicht zu sehen, was allerdings durchaus natürlich ist, da sie sich überhaupt nur schwer färben lassen. Das meiste Interesse bieten die markhaltigen Hauptnervenfasern: sie sind in allen Stadien anzutreffen, und zu meiner Verwunderung merkte ich, dass vor der Entwickelung des I. Stadiums (Taf. XI. Fig. 42 u. 43) oder spätestens gleichzeitig mit derselben am ent- sprechenden Orte eine grosse Anzahl von Nerven erscheint, welche die junge Epithelanlage umfassen. Sie stammen von zuweilen sehr dicken markhaltigen Nervenfasern her, die in eine grosse Anzahl markloser Verzweieungen zerfallen; «diese Verzweigungen bestehen aus recht bo Ag A. Leontowitsch, dicken und kurzen, keine scharfe fibrilläre Differencierung aufweisen- den Remak’schen Zellen mit runden Kernen. Ohne Nachfärbung ist es schwer, die Zweifel los zu werden, ob man es nicht mit in der Nähe der Nerven liegenden, gefärbten Epithelzellen zu thun habe. Doch spricht dafür ihre enge Nachbarschaft mit den Nerven ebenso wie ihre Lage zu je zwei oder drei. Zuweilen liegen sie mitten in einem Fibrillenbündel (wenn eine faserige Differencierung der Zelle begonnen hat) dort, wo eine Vermehrung der Fasern in die Länge oder in die Breite stattzufinden scheint, und schliesslich spricht ihr den Nervenkernen eigentümlicher violetter Farbenton zu Gunsten ihrer nervösen Natur. Sie lagern in der Form einer recht dichten Mütze um die ganze Haaranlage. Die Lagerung der Nerven unterscheidet sich im II. Stadium (Taf. XI. Fig. 44) durch nichts von der soeben geschilderten. Schon im I. und II. Stadium sind Unterschiede in der Art des Herantretens der markhaltigen Fasern zu constatieren; zuweilen stellen sie (worauf schon van Gehuchten hinwies) Collateralen der Haut- stämmchen dar, ein anderes Mal treten sie beinahe senkrecht aus der Tiefe der Haut heran. Ebenso sind schon früh Unterschiede in der Zahl der herantretenden Stämmchen bemerkbar. Das Wachstum des Haares ist auch an den Teilen, die den Charakter der Remak'schen Zellen tragen, zu erkennen; die Zellkerne vermehren sich (was man daraus schliessen kann, dass sie neben einander liegen), dann gehen sie auseinander, das Protoplasma wird zu langen Fibrillen differenciert. kurz es findet der bereits beschriebene Process statt. Von einem Nervenring ist nicht einmal eine Andeutung vorhanden. Im III. Stadium (Taf. IX. Fig. 33) beginnt jedoch die Bildung eines Ringes, wobei zu sehen ist, dass an dieser Bildung nicht ein, sondern mehrere markhaltige Stämmchen teilnehmen. Man sieht auch, dass diese Stämmchen nach Verlust ihres Marks in kernhaltige, den Remak’schen ähnliche Zellen übergelien, deren zahlreiche Verzweigungen ein echtes Netz bilden; am Halse des Haares sind an diesen nackten Fasern Verdickungen vorhanden, welche den auf den Figuren 17¢ und 20€ ab- gebildeten analog sind. Sie sind unter einander durch dünnere Quer- fasern verbunden. Auf der Abbildung (nach links und unten von den- selben, allem Anschein nach in der Wurzelscheide) sind zwei Kerne, Die Innervation der menschlichen Haut. ; 249 vielleicht ,Nervenkerne* zu sehen. Ob die Haarpapille in diesem Stadium Nerven besitzt, vermag ich nicht mit Bestimmtheit zu sagen, halte es aber für wahrscheinlich. Das IV. Stadium entspricht ungefähr der Figur 36 (Taf. IX), deren in der Làngsrichtung verlaufende Ringabschnitte übrigens etwas un- regelmässig sind, wahrscheinlich infolge der Anomalie des Haares, das eine doppelte Structur zu besitzen scheint; zwei Hälse, zwei Nervenringe und je eine Talgdrüse über jeden der letzteren.) In diesem Stadium bekam ich die Nerven gewöhnlich am Halse zu sehen; nur ganz geringfügige Aestchen gehen nach unten ab. Hier sind im allgemeinen die in der Längsrichtung verlaufenden Teile des Ringes „lancetten- fórmig*, die Querteile sind gleichfalls gut ausgeprägt, und ihr Bild entspricht den Abbildungen von Bonnet und anderen Autoren, die in viele Lehrbücher Eingang fanden. Nur manchmal gehen vom Ringe kleine varicöse Aestchen nach unten ab. Es ist anzunehmen, dass Gold nur die Nerven dieses Stadiums färbt. Die Retzius’schen Abbildungen gehören ebenfalls hierher, teilweise allerdings vielleicht auch zum vorhergehenden Stadium; doch konnte ich mich beim Vergleich seiner Präparate mit den meinigen über- zeugen, dass bei ihm, wie es bei der Golgi’schen Methode geschieht, nur ein sehr kleiner Teil der Nerven gefärbt ist. An Präparaten mit vollständiger Färbung sah ich nie, dass der Nervenring, wie das van Gehuchten beschreibt, nur zwei Drittel (oder ungefáhr so viel) des Halses umfasst, und halte auch das für ein Product der unvollständigen Färbung. Vom II. Stadium an wird die charakteristische Klein- plattenvaricositàt der Nerven (Fig. 33 rechts, im unteren Drittel des Haares) bemerkbar. Im IV. Stadium ist dieselbe schon gut ausge- prägt; die „lancettenförmigen“ Abschnitte entsprechen den oben er- wähnten localen Erweiterungen der „nackten“ Nervenabschnitte (Fig. 17c u. 20c) und besitzen natürlich diese Varicositàt nicht. Im V. Stadium (Taf. XI. Fig. 45) ist die Varicosität noch besser ausgepràgt, dafür aber geht der Charakter des Nervenringes voll- ständig verloren, und wir haben eine ganze Reihe kleinplattenförmiger ) Ich hatte noch einige Haare von derselben Extremität, und alle besassen dieselbe Anomalie. 250 A. Leontowitsch. Verzweieungen vor uns, die bald schrág, bald quer zur Richtung des Haarschaftes verlaufen. Ihr Verbreitungsgebiet ist sehr gross und reicht fast bis zur obliterierenden Haarpapille; die Nervenfasern kónnen sich an beliebiger Stelle der Haarwurzel von den grösseren Stämmchen abzweigen und eine beliebige Richtung im Haarbalg einschlagen. Das manchmal recht bedeutende Nervenbündel kann an das Haar von unten, von oben, von der Haut, von der Seite her herantreten, es kann, sich im Balge befindend, eine Strecke des Haares umwinden, es kann vor der Verästelung um die Insertionsstelle des Errector pili umbiegen, irgend eine Regelmássigkeit ist hier nicht wahrzunehmen. Die Anzahl der herantretenden Stämmchen ist wegen der grossen Verschiedenheit schwer festzustellen, doch beträgt sie immer mehr als eins; Retzius war durch zu grosses Vertrauen zur Golgi’schen Methode irregeführt, die nur einen geringen Teil der vorhandenen Nerven färbt und daher für irgend welche Schlüsse über die Zahl derselben un- anwendbar ist. Die Endabschnitte der markhaltigen Fasern und ihre marklosen Teile liegen, wie man aus den Retzius’schen Abbildungen schliessen kann und wie ich mich an der Hand meiner Práparate überzeugte, in dem den Haarbalg bildenden Bindegewebe analog der Lage der ent- sprechenden Hautverzweigungen im Stratum papillare. Die Beziehungen zur Glasmembran konnte ich nicht MEE da die letztere ohne Nachfürbung unsichtbar bleibt. Dringen nun die Nerven tiefer in das Epithel der Wurzelscheide ein? Enden sie zwischen dessen Zellen? Arnstein [7] giebt eine gute Abbildung einer solchen Endigung (Taf. II. Fig. 7). Mir gelang es nicht, ähnliche Bilder auf dem Quer- schnitt zu erhalten; wenn ich jedoch in Betracht ziehe. l. dass die sinuósen Haare zweifellos Intraepithelialnerven besitzen, 2. dass die geringe Fürbbarkeit der letzteren als schwáchster Punkt unserer Methoden anzusehen ist und 3. dass die Färbung dieser Nerven an manchen Stellen mit schwach entwickelter Sensibilität, an denen sie zweifellos vorhanden sind, wie z. B. am Unterschenkel, sehr selten gelingt, at DIE a u a en ee ee n serre air n e ore (a f Die Innervation der menschlichen Haut. 1 251 bin ich durchaus nicht geneigt. ihre Existenz zu leugnen; ich nehme im Gegenteil an, dass die echten Nervenendigungen in den Haaren meist intraepithelial sind. Van Gehuchten und namentlich Retzius leugnen dieses auf Grund ihrer Práparate (nach Golgi); mir scheint aber eine solche Ansicht unbegründet, da die Glasmembran der Haare das Eindringen der Reagentien ins Epithel aufs Aeusserste erschwert. Retzius selbst hat in der äusseren Scheide der sinuósen Haare, in denen doch zweifellos eine grosse Anzahl solcher Endigungen vorhanden ist, nur einmal ein entsprechendes Bild erhalten, und auch dieses war sehr unvollständig und unzureichend. Was das Bild des Wurzelscheidenepithels bei Carminfárbung be- trifit (eine eleichzeitige Färbung der Nerven mit Methylenblau und des übrigen Gewebes mit Carmin nahm ich nicht vor), so verfüge ich nur über Beobachtungen des IV. und V. Stadiums. Unterhalb der Talg- drüsen geben viele Zellen die „Merkel’sche“ Deformation. Dasselbe findet auch oberhalb derselben statt, bis die Zellen, wie das zuweilen geschieht, zu flach und leblos werden. Wenn wir uns jetzt die Frage vorlegen, ob nicht die ganze Wurzelscheide von den Nervenverzweieungen umfasst wird und der Hals nur als Stelle ihrer gróssten Anháufung gelten muss, so kann ich diese Frage durchaus nicht verneinen, da im L, IL, III. und V. Stadium meine Präparate fast eanz danach aussahen, ich bin im Gegenteil geneigt, diese Vermutung als sehr wahrscheinlich anzusehen und anzunehmen, dass es vielleicht nur in den absterbenden Haaren Scheidenabschnitte giebt, die mit Aestchen markhaltiger Nerven nicht versehen sind. Da auch Merkel die Existenz einzelner „Merkel’scher Zellen“ in den Abschnitten des Haarbalges, die in der Nàhe des Scheidenhalses liegen, entdeckt hat, so müssen wir sagen, dass die Innervation der Haare sich im wesentlichen durch nichts von der Innervation anderer Epithelteile unterscheidet; hier wie dort verzweigen sich die Nerven im dichten subepithelialen Bindegewebe (dort Stratum papillare, hier Haarbalg). wo sie teils frei, vielleicht auch neben den vom Epithel abgetrennten „Merkel’schen Zellen“ enden, die Hauptmasse der Nerven 252 : A. Leontowitsch, tritt jedoch ins Epithel ein und endet zwischen seinen Zellen. Ueber- haupt ist jedes Haar unbedingt mit Nerven versehen. Das Verhalten der gewöhnlichen, nicht sinuósen Haare zu den sinuösen, stelle ich mir folgendermaassen vor: Dieselben unter- scheiden sich von einander nur durch die Zahl der Nerven, und da die Nervenendigungen mit dem Epithel eng verbunden sind, so ist das- selbe in der Scheide der sinuósen Haare reichlicher vorhanden. Die intensivere Innervation äussert sich auch darin, dass in den sub- epithelialen und intraepithelialen Nervenendigungen die Plattenform sehr ausgeprägt ist, analog der Hautinnervation im eigentlichen Sinne. Am meisten ist diese Form an den Fingerkuppen und anderen Teilen der sogenannten ,nichtbehaarten* Haut der Extremitäten ausgeprägt. während die „behaarte“ Haut, namentlich an der Schulter und am Unterschenkel, meist intraepitheliale Nerven mit Varicositäten in Kleinplattenform besitzt (es ist übrigens möglich, dass dieses Bild von der schweren Färbbarkeit der Varicositäten an diesen Stellen abhängt.) Der Umstand, dass wir beim Erwachsenen Haare in sehr verschiedenen Entwickelungsstadien finden, zeigt, dass auch hier ebensolche lebhafte Regenerations- und Degenerationsprocesse vor sich gehen, wie in den Nerven überhaupt und den Meissner’schen Körperchen. b. Die Ganglienzellen. Den tieferen Nervenstämmchen entlang sowie auch im Stratum papillare und im Corium findet man nicht ganz selten kleine multi- polare ca. 40 « lange und 15 « breite Ganglienzellen (Fig. 9 und 10), welche in das System der Remak'schen oder markhaltigen Nerven ein- geschlossen sind; irgend welche Beziehungen derselben zu den Gefässen oder Schweissdrüsen, auf die Prus [157], welcher diese Zellen durch Safraninfärbung (nach Adamkiewitz) zum Vorschein brachte und be- schrieb, hinweist, konnte ich nicht feststellen. Diese Zellen scheinen nur in geringer Zahl vorhanden zu sein, und ihre physiologische Be- deutung ist nicht klar. Einerseits scheint es mir nicht unwahrschein- lich, dass ihr Vorhandensein mit irgend welchen trophischen Existenz- bedingungen einiger Teile des Systems der Hautnerven zu thun hat; möglich z. B. ist es, dass sie sich in den Abschnitten entwickeln, wo - Die Innervation der menschlichen Haut. 253 irgend eine Verletzung stattfand, die für die Erhaltung der früheren functionellen Leistungsfáhigkeit das Walten eines stärkeren trophischen Centrums, als die Kerne gewöhnlicher oder centraler Ganglienzellen es sind, erforderlich machte, und dass der Organismus dann, gleich- sam diesen Centren zur Hülfe, an der entsprechenden Stelle eine Ganglienzelle zur Entwickelung brachte. Andererseits aber sprechen manche vereleichend-anatomische Gründe dafür, dass diese Zellen eine erosse Rolle für den Hautsinn spielen. So giebt Retzius [777] für die Haut einiger wirbelloser Tiere (Oligochaetae, Polychaetae, Limacineae) folgendes Schema: im Unterhautbindegewebe liegen Ganglienzellen, deren Dendrite zum Epithel und deren Neurite zu den Spinalganglien ab- oehen. Mein Material, welches ich wegen der Schwierigkeit der Erforschung peripherer Nerven gezwungen war ausschliesslich auf die menschliche Haut zu beschränken, giebt mir kein Recht, dieses Schema auch auf höhere Wirbeltiere und den Menschen auszudehnen. Die von den früheren Autoren gesammelten vergleichend-anatomischen Thatsachen geben auch hier, wie in vielen anderen Fällen (wegen Unzulänglichkeit der Methodik) gar keine Antwort auf viele Fragen, die sich aus meinen Untersuchungen ergaben. Aus diesem Grunde und auch deshalb, weil die trophischen Functionen der Ganglienzellen beinahe immer mit irgend einer anderen Function derselben verbunden sind, schliessen. meine beiden Vermutungen einander keineswegs aus, und das von Retzius aufgestellte Schema muss auch für die Wirbel- tiere in einigen Beziehungen als das Wahrscheinlichste angesehen werden. Vielleicht lässt sich gerade durch das Vorhandensein der Ganglienzellen in der Haut die Möglichkeit der Leitung der Haut- sinnempfindungen verschiedener Qualität durch dieselben peripheren Fasern erklären. IV. Allgemeine Principien des Baues der nervósen Apparate der Haut. Bevor ich an die Beurteilung der in diesem Titel benannten Frage gehe, halte ich eine Besprechung des Wertes derjenigen Untersuchungs- methoden für angebracht, deren Resultate den Autoren zur Begründung der von ihnen aufgestellten Behauptungen dienten. Es schien mir 254 A. Leontowitsch, pe ceeigneter, das an dieser Stelle zu thun, nachdem ich einen Teil des thatsächlichen Materials meiner Arbeit bereits gebracht habe, als am Anfang derselben, wo einige meiner Behauptungen allzu unbegründet hätten erscheinen können. Die Anwendung von Laugen und Säuren (namentlich der Essig- säure) gab für das Studium der Nervenendigungen in unserem modernen Sinne nichts Positives; die Säuren boten nur den Vorzug, dass sie die Election der Remak’schen Nerven und — wie der oben citierten Arbeit von Tomsa [205] zu entnehmen ist — die Beurteilung des Zellbestandes der Meissner’schen Körperchen ermöglichten. Ueber- haupt aber mussten die gewonnenen Resultate so viele Zweifel hervor- rufen, die nicht beseitigt werden konnten, dass schliesslich mit diesen Methoden nichts Gründliches erzielt werden konnte. Ihr einziger un- bestrittener Vorzug bestand darin, dass man bei ihrer Anwendung orosse Hautstücke betrachten und dadurch über die quantitativen Verhältnisse der Nerven ein Urteil gewinnen konnte. Bei einigen derartigen Fragen, z. B. bei der Bestimmung der Quantität der Meissner’schen Körperchen, benutzte man in der Wissenschaft noch bis jetzt die mit Hülfe jener Methode gewonnenen Zahlen. Das Gold erweiterte ganz bedeutend unsere Kenntnisse über die „nackten“ Teile der markhaltigen Nervenfasern, es hat auch beson- ders gut ihre markhaltigen Abschnitte abgegrenzt und begann daher als specifisches Mittel für die Darstellung aller Nervenarten zu gelten. Wir sind aber jetzt im Stande, die volle Bedeutung der Mängel dieses Mittels zu ermessen. Die zu bearbeitenden Stückchen müssen sehr klein sein, da das Gold sehr schwer und ungleichmässig in das Gewebe eindringt; man erhält wenig durchsichtige Präparate und sie müssen in verhältnismässig feine Schnitte zerlegt werden. Die Bearbeitung der Gewebsstücke erfordert viel Zeit, und so ist die Menge des Materials, die der Einzelne bearbeiten kann, sehr gering, um so mehr, als die Fárbung sehr unsicher ist und nur von wenigen beherrscht wurde. Aus diesem Grunde wurden hauptsächlich die empfind- lichsten und nervenreichsten Hautbezirke zur Erforschung heran- gezogen, dort aber erhielt man gewöhnlich bei gelungener Färbung eine so grosse Anzahl von Nerven, dass ihre Darstellung als Ver- Die Annervation der menschlichen Haut. 255 zweigungen einzelner Fasern unmöglich war, und man sich daher ge- wöhnte, meist nur von „Nervengeflechten“ zu sprechen. An Stellen mit geringer Nervenanzahl verzweigen sich, wie ich mich überzeugen konnte, zuweilen einzelne Fasern auf Strecken von 1'/,—2 mm. Um sie zu sehen, musste man also Stücke von solcher Grösse nehmen, dass das Gold sie nicht im erforderlichen Maasse durchtränken konnte, und dabei erhielt man daher Resultate, die namentlich im Vergleich mit dem, was das Methylenblau giebt, äusserst gering waren. Bei dieser Färbung giebt es ausserdem kein Verfahren, das dieses oder jenes System von Nerven nach Wunsch hervorheben könnte; neben den markhaltigen Nerven färben sich auch die Remak’schen. Das führte dazu, dass man da, wo die Endigungen dicht neben einander gelagert sind, die marklosen kernhaltigen Endabschnitte der Nerven mit den Remak’schen Nerven zu verwechseln und die letzteren dafür ganz zu ienorieren begann. Zu gleicher Zeit verhielt man sich sonderbarer Weise zur Methodik der Nervenfärbung ganz anders, als zur übrigen histologischen Methodik; während man sonst auf die Zartheit der Fixierung des Gewebes sehr bedacht ist und daher mit allen chemi- schen Reagentien äusserst vorsichtig umgeht, machte man bei den Nerven eine Ausnahme. Man fand, dass eine der Goldwirkung vor- hergehende oder gleichzeitige Maceration des Bindegewebes in manch- mal ziemlich concentrierten (10—20°;,) Säuren für die Nervenfärbung eünstig sei, und achtete daher mit wenigen Ausnahmen gar nicht | darauf, dass Ameisen- oder Salzsäure durchaus keine indifferente Mittel sind und dass sie das (Gewebe ganz bedeutend verändern können. Eine andere Unbequemlichkeit der Säuren besteht darin, dass der Zusammenhang einiger Elemente gelést wird, was nament- lich für die Haut, deren Epithel sich abschält, schädlich ist. Aller dieser Umstände wegen sind viele schöne Abbildungen — wie z. B. die von Ruffini — nach so verunstalteten Nerven gemacht. dass ich kaum im Stande bin zu sagen, in welche Kategorie meiner Classi- fication sie unterzubringen wären. Es lassen sich ausserdem manche Nerven, wie z. B. die Ueber- eangsformen zwischen den Remak’schen und den markhaltigen, mit Hülfe dieser Methode nicht färben. Die intraepitelialen Nerven liessen 256 A. Leontowitsch, sich so schwer färben, dass Krause und Goldscheider (worauf schon hingewiesen wurde) noch ziemlich vor kurzem überhaupt an ihrer Existenz zweifelten. Mit der Vergoldungsmethode wurde die Endigung der Nerven in den Tastdisken der Grandry’schen Körperchen nachgewiesen und eine feste Basis zur Beurteilung des Baues eine ganze Reihe ähn- licher Apparate gefunden. Im allgemeinen lässt sich sagen, dass durch das Gold folgende Resultate erzielt wurden: es brachte einen bedeutenden Fortschritt in das Studium einiger Einzelheiten der peri- pheren Nervenapparate, die Kenntnisse der Beziehungen dieser Teile zu einander und zu den umgebenden Elementen blieben jedoch sehr schwankend, da viele Untersuchungen wegen der mangelhaften Elec- tion dieser Teile zu widersprechenden Resultaten führen; die Auf- fassung über die Zahl der Nerven in den verschiedenen Körperteilen wurde sogar, wie wir unten sehen werden, enger. Das Golgi'sche Verfahren lässt. wie es scheint, nur eine Färbung der kleinplattenförmigen Nerven (mit seltenen Ausnahmen) zu und zwar hauptsächlich bei jungen Tieren, die vielleicht mit ihrem Alter zusammenhängende Eigentiimlichkeiten besitzen. Dafür ist aber die Färbung einzelner Nervenstimmchen, wenn sie überhaupt gelingt, sehr vollständig, das Bild ist sehr charakteristisch und als Beweis der Existenz gewisser Nerven entscheidend. Auch an sehr dicht inner- vierten Stellen wurde es möglich, solche Bilder zu erhalten. Da die Nervenverzweigungen baumartig sind, so sah man bald die Mangel- haftigkeit der früheren Beschreibungen von „Nervengeflechten“ ein; man Konnte nun durch Combination der Resultate einzelner Färbungen nach der neuen Methode in den Geflechten einzelne „Telodendrien* unterscheiden. Zur Beurteilung der Zahl der Nerven eignet sich auch diese Methode nicht (Arnstein [150)), da sich dabei nur wenige von den vorhandenen Nerven färben. Das umgebende Gewebe bleibt bei- nahe farblos, man kann daher über die Beziehungen der Nerven zu den anderen Gewebeelementen nur aus Combinationen und nicht aus dem, was man unmittelbar sieht, schliessen. Da sich die Ueber- zeugung einbürgerte, dass es gelungen sei, ein allgemeines Princip des .Contactes® der Neurone festzustellen. so wurde dieser Contact auch Die Innervation der menschlichen Haut. 957 für die Verbindung der Nerven mit dem Epithel wahrscheinlich, um so mehr, als das für die Grandry’schen Körperchen bereits früher durch die Vergoldungsmethode nachgewiesen worden war. Die Exi- stenz der intraepithelialen Telodendrien wurde nun fest begründet. Gleichzeitig mit der Färbung der Hautnerven nach diesen Ver- fahren wurden auch Versuche gemacht, über die Eigentümlichkeiten einzelner Nervenendigungen mit Hülfe der sonstigen feinsten Unter- suchungsmethoden klar zu werden, um auf diese Weise durch Synthese dieser parallelen Resultate richtigere und umfassendere Prineipien des Baues der Nervenendigungen zu gewinnen. Allein, nur die Osmium- säure leistete, wie aus der historischen Skizze zu ersehen ist, etwas Positives, indem sie die Existenz der „Merkel’schen“ Zellen und des teils faserigen, teils aus Zellen bestehenden „inneren Kolbens“ in den Meissner'schen Körperchen feststellte Aber auch die Osmiumsäure giebt einen zu dunkeln Farbenton und — worauf schon längst Ranvier [165] hingewiesen hat — differenciert nicht genügend scharf einen Teil des Gewebes vom anderen; sie täuscht einen unmittelbaren Uebergang der Nerven ins Epithel sogar da vor, wo, wie in den Grandry'schen Körperchen, die Bedingungen für eim richtiges Urteil die allerbesten sind. Es ist nur natürlich, dass dieser Nachteil der Osmiumsäure sich im Epithel und den „Merkel’schen Zellen“ noch fühlbarer macht. Wenn wir bedenken, wie verbreitet diese Zellen in der Haut sind, und dass gerade in ihnen der Schwerpunkt der Lösung der uns interessierenden Frage (über die nervösen Apparate der Haut) zu suchen ist, so wird uns die ganze Bedeutung solcher Vortäuschung klar werden. Ein anderer Mangel dieser Säure, von dem auch ich mich mehrmals überzeugen musste, besteht darin, dass sie das Bild verdunkelnde kórnige Schichten da giebt, wo sie, wie z. B. im „inneren Kolben* der Meissnerschen Kórperchen, bei Anwendung anderer Ver- fahren gar nicht vorhanden sind. Die Resultate der Fixierung mit Alkohol, Müller'scher Flüssigkeit u. a. kónnen wir unerwáhnt lassen, ohne dadurch die Lösung unserer Fragen zu beeinträchtigen. Was das Methylenblau anbetrifft, so standen bis jetzt die mit demselben erzielten Resultate unter starkem Einfluss der Resultate früherer Färbungsmethoden. Als interessanter Beweis dafür kann Internationale Monatssehrift für Anat. u. Phys. XVIII. 17 258 A. Leontowitsch, unter anderem das Bestreben Dogiels (bei der Eròrterung der Frage der Nervenendigungen im Herzen der Säugetiere [45], S. 45) dienen, auch für die Gefässe die Abstammung aller Nerven von den mark- haltigen zu beweisen, während es ihm doch nur gelang, einen kleinen Teil jener Nerventypen zu färben. die in der Haut vorhanden sind, andererseits habe ich kemen Grund anzunehmen, dass die Nerven in den Gefüssen nicht in derselben Verschiedenartigkeit, wie in der Haut. auftreten, um so weniger, als die eanze Litteratur der Hautinnervation (mit wenigen dazu noch zweifelhaften Ausnahmen, in der Art der Hoggan’schen Arbeiten) als Illustration dafür gelten kann. dass alle von den Autoren gesehenen Bilder nur einzelnen, nicht immer eut fixierten Arten der thatsächlich existierenden Nerven entsprechen. Als Ursache dieser Unterwerfung unter die früheren Ansichten muss die Unvollkommenheit der bisherigen Methylenblaufärbungsverfahren an- gesehen werden. Die Nachfärbung mit Pikrocarmin (nach Smirnow [5]) hat hierin nichts geändert. Die Bethe’schen Verfahren sind bei allen ihren unbestrittenen Vorzügen, eigentlich schlechter als die Dogiel'schen (s. „Methodik*). Trotz aller dieser dunkeln Seiten bewiesen doch die Arbeiten von Arnstein, Dogiel u. a., dass das Methylenblau eine Nervenanzahl zum Vorschein brachte, die das, was man bis jetzt annahm, stark über- traf; auch ihr Formenreichtum stellte sich als ein viel grósserer heraus und doch konnten — nach Annahme der Forscher — alle diese Formen in die früher aufgestellten Rahmen untergebracht werden. Der ganze ungeheuer grosse Wert dieser Methode wurde mir namentlich dank den von mir eingeführten oben beschriebenen Verbesserungen klar. Es treten dabei folgende Vorzüge in die Erscheinung: 1. Die Färbung kann nach Wunsch individualisiert werden, d.h. man kann bald dieses, bald jenes System von Nerven fürben, wenn man einerseits den Zeitabschnitt zwischen der Injection und Oxydation oder auch die Oxydationsdauer selbst verlängert oder verkürzt, anderer- seits mehrmalige Injectionen — in bestimmter Anzahl — anwendet; durch diese Manipulationen wird das Gewebe natürlich nicht beschädiet. Ich bin anzunehmen geneigt, dass vielleicht alle Teile des Nervensystems — das Centralnervensystem, welches sich mit diesem Verfahren am Die Innervation der menschlichen Haut. 259 schwersten färben lässt, nicht ausgenommen — allein dureh die Ver- änderung dieser Bedingungen differenciert werden können. 2. Der zweite wichtige Vorzug besteht darin, dass wir die Fär- bung am lebenden Material studieren können und daher im Stande sind, die Richtiekeit der Resultate, die man auf den Dauerpräparaten nach gewöhnlicher complicierter Bearbeitung erzielt, zu controllieren. 3. Bei vorsichtiger mehrmaliger Injection und Oxydation mit reinem Sauerstoff ist die Färbung vollständig electiv und lässt keine Ver- wechslung von Nerven mit anderen Gewebeelementen zu. 4. Die zu erforschenden Stücke können sehr gross (z. B. 5—6 cm lang, 9 cm breit und 1 mm dick) sein, es wird dadurch die in der Untersuchung sehr kleiner Gewebestückchen wurzelnde Enge des Ge- sichtspunktes vermieden; man geniesst also alle Vorzüge der früheren Verfahren mit Essigsäure u. a. ohne ihre Mängel in Kauf nehmen zu müssen. 5. Ein Urteil über die Zugehörigkeit der Faser zu den mark- haltigen oder Remak’schen ist ebenso möglich und zuverlässig, wie bei der Differencierung mit Osmiumsäure, Safranin oder Hämatoxylin. 6. Aus den Objecten kann man die feinsten Paraffinschnitte er- halten, die recht gut fixiert und gefärbt werden können, so dass es möglich wird, sich unmittelbar an den Präparaten über die Be- ziehungen der Nerven zu dem umgebenden mit Carmin gefärbten Ge- webe zu orientieren. 7. Die Präparate sind genügend dauerhaft: viele Präparate ohne Nachfärbung, die bei mir schon länger als zwei Jahre lagen, und solche mit Nachfärbung, die schon fast 1'/, Jahre in meinem Besitze sind, haben sich noch sehr gut erhalten. Meine fixierenden Flüssig- keiten, die die Nerven ebenso gut wie die Osmiumsäure fixieren, be- sitzen nicht die Mängel derselben, da sie keine Verdunkelung des Gewebes hervorrufen und keine kórnigen Schichten vortäuschen. 8. Wie schon oben gesagt wurde, hängt die Methylenblaufärbung der Nerven, gleich dem Cohnheim’schen und dem Golgi’schen Verfahren von gewissen, bis jetzt unbekannten Kigentiimlichkeiten des Mate- rials ab und ist daher sehr kapriciós. Dieser unbequeme Umstand bietet aber eleichzeitie einen Vorzug, da verschiedene Nervensysteme 17 260 A. Leontowitsch, und verschiedene Nerven desselben Systems diese Eigenschaft auch im verschiedenen Grade zeigen. Man kann sich daher an den am dich- testen innervierten Stellen von dem baumartigen Charakter der Ver- zweigung der am meisten differencierten Nerven überzeugen, ein Vor- zug, der dem Golgi'schen Verfahren mit Recht nachgerühmt wird. Es ist also möglich, an einer Reihe mehr oder minder gelungener Prä- parate unmittelbar das allmähliche Entstehen der von Gold gefärbten falschen Netze zu verfolgen. Die Methodik lässt hier natürlich ausser den von mir angegebenen Verbesserungen, weitere und grössere Vervollkommnungen zu, und dieses Verfahren kann allen Histologen schon seiner leichten Ausführ- barkeit wegen warm empfohlen werden. Färbt das Methylenblau in den günstigsten Fällen sämtliche Nerven? Szymonowitz [20], der den ungeheueren Formenreichtum der Hautnerven nicht ahnte, erklärt sehr bestimmt, dass „bei Anwen- dung der Methylenblaumethode sich sämtliche vorhandenen Nerven- elemente färben.“ Auf Grund fremder Untersuchungen und meiner eigenen Erfahrung glaube ich umgekehrt, dass sämtliche Nerven sich nie färben und dass die Zahl derselben viel grösser ist, als man aus den gelungensten Präparaten schliessen könnte; namentlich bezieht sich das auf die sogenannten intraepithelialen Endigungen. Um die Zahl der Nerven richtig zu schätzen, ist meiner Ansicht nach eine Synthese der- eigenen Resultate mit den Resultaten anderer Autoren, sowohl derer, die mit Methylenblau, als auch derer, die mit anderen Methoden arbeiteten und andere Körperteile an anderen Tieren untersuchten, notwendig. Diesen methodologischen Bemerkungen, die den relativen Wert der Thatsachen, die den verschiedenen Autoren als Grundlage ihrer Theorien dienten, beleuchten sollten, lasse ich eine historische Skizze der allgemeinen Vorstellungen über die leitenden Principien des Baues peripherer Nervenendigungen der Haut folgen. Bei derartigen Ver- suchen hat man es mit einem so bunten Material zu thun, dass es sich unmöglieh systematisch nach verschiedenen Auffassungen unter- scheiden lässt, ich werde es daher in chronologischer Reihenfolge vor- bringen. Die Innervation der menschlichen Haut. 261 Der erste Versuch auf diesem Gebiete wurde von Krause!) unter- nommen, der die Nerven mit Hülfe von Essigsäure und Laugen untersuchte und sich die gewonnenen Resultate folgendermaassen zu- rechtlegte: Indem er die Existenz freier Endigungen im Epithel leugnet, hält er seinen „eylindrischen Kolben“ für die Grundform, aus der er einerseits alle Endgebilde vom Typus der Pacini'schen Körper- chen, andererseits die Meissner’schen Körperchen, „runde Kolben“ u. a. ableitet. Wie noch Waldeyer [275] bemerkte, waren schon die da- mals bereits festgestellten Thatsachen über den Bau der Grandry- schen, Meissner’schen und anderen Körperchen mit diesen Vorstellungen unvereinbar. Ditlevsen [56], der sich auf seine hier citierten Unter- suchungen über die Froschhaut stützt, und Langerhans [775], der sich auf seine Untersuchungen der Haut des Amphiaxus lanceolatus beruft, nehmen die von ihnen entdeckten zellartigen Nervenendigungen als Grundformen des Baues der sensiblen Endigungen bei Vertebraten an; der letztere Forscher hält die freien Endigungen für reducierte Zellenden. Im Jahre 1879 war schon die Unzulänglichkeit der früheren Ver- alleemeinerungen ohne weiteres klar, und so machte Grühnhagen [77, S. 28 u. 29] den Versuch, die angehäuften neueren Thatsachen unter einen einheitlicheren Gesichtspunkt zu bringen. Hauptsächlich auf die Merkel’schen Arbeiten, die meist mit Osmiumsäure gemacht wurden, fussend, unterscheidet er in der Haut zweierlei Apparate: Endigungen in Zellen (d. h. in Merkel’schen „Tastnervenzellen“) für specifische Empfindungen und freie Endigungen im Epithel oder im Corium für allgemeine Empfindungen; zugleich weist er aber selbst auf die Un- zulänglichkeit der bekannten Thatsachen für die Aufstellung allge- meiner Principien hin, da die Meissnerschen und die Pacini'schen Kórperchen überhaupt schwer unterzubringen seien. Im selben Jahre unterscheidet Waldeyer [273], auf die mit Hülfe der Vergoldungsmethode geschaffenen Arbeiten Izquierdos [88] fussend, zwei Arten von peripheren Endigungen: freie und zellartige; doch sind die letzteren nach seiner Meinung nicht mit den „Merkel’schen Zellen“, sondern mit den als modificierte Zellen nervöser Natur auf- 7) W. Krause, Endigungen sensibler Nerven. Handbuch der menschlichen Anatomie. Hannover 1876. Bd. I. S. 501. 262 A. Leontowitsch, zufassenden „Tastdises“ der Grandry’schen Körperchen zu identi- ficieren. Die jenen anliegenden Zellen der Grandry’schen Körperchen hält er für Epithelzellen und formuliert auf diese Weise zuerst — soweit es ihm das damalige Thatsachenmaterial erlaubte — dieselbe Ansicht, die ich hier vertrete. Die ‘Endigungen beider Arten können sowohl einfach, als auch innerhalb irgend eines ,Kórperchens* auf- treten. Im übrigen ist er mit Grühnhagen einverstanden. Die Unter- scheidung verschiedener Endigungstypen, je nachdem die Endverzwei- gungen „freie Endigungen*, „knopfförmige Verdickungen“, „Terminal- netze* oder ,Endmaschen* bilden, Unterscheidungen, wie sie manche Autoren bei der Beurteilung verschiedener Resultate machten, die sie beim Studium der Innervation dieses oder jenes Sinnesorganes erhielten. hält Waldeyer für haltlos, da diese „Netze“, „Maschen“ etc. seiner Meinung nach nur durch nicht genügend elective Färbung der Nerven entstehen; die zahlreichen Versuche, den knopffórmigen Endverdick- ungen eine ganz besondere Wichtigkeit beizulegen, hält er für verfehlt. Im Jahre 1880 veröffentlichte Merkel [158] seine umfassenden histologischen Untersuchungen (die hauptsächlich mit Osmiumsáure ausgeführt waren) über die Haut der Wirbeltiere (vom Amphiaxus lanceolatus bis zum Menschen) und gab zu gleicher Zeit die vollstän- digste Litteraturübersicht über diesen Gegenstand. Merkel stellt folgendes allgemeines Princip des Baues peripherer Apparate der höheren Sinnesorgane, d. h. des Geschmacks, des Ge- ruchs, des Gehörs und des Gesichts auf: der Nerv geht in eine peri- phere Ganglienzelle, diese letztere aber in eine stäbchenförmige peri- phere „sensible“ Zelle epithelialen Ursprungs über. Die Haut aller Wirbeltiere enthält dreierlei Apparate: A. Die Haut der Wasserbewohner enthält stäbchenförmige sensible Zellen epithelialer Natur, die teils nach dem Typus der Geruchsorgane, teils nach dem der Geschmacksorgane höherer Tiere gebaut sind. B. Die Haut vieler Wasserbewohner und aller luftlebenden Tiere enthält: | 1. die vom Verfasser beschriebenen Endganglienzellen (d. h. Merkel- sche Zellen), 2. freie Endigungen ohne oder mit Kórperchenbildung. Die Innervation der menschlichen Haut. 263 Die Haut der in der Luft lebenden Tiere ist demnach nach einem Plan folgendermaassen innerviert: terminale Ganglienzellen und freie Endigungen sind im Epithel und Stratum papillare verschiedener Körperstellen in der Form von Meissner’schen Körperchen oder als einzelne Zellen zerstreut, ausser diesen giebt es im Corium freie Endi- sungen in Endkörperchen vom Typus der Pacini’schen. Vergleichend anatomische Untersuchungen zeigten ihm jedoch, dass alle möglichen Arten von Nervenendigungen in der phylogene- tischen Reihe einander ersetzen können, er sagt daher: „Die Nerven- endigungen in der Haut der luftlebenden Tiere sind verschieden gebaut nach der topographischen Lage, aber nicht nach «der physiologischen Function, und es sind augenscheinlich nur entwickelungsgeschicht- liche, niemals physiologische Ursachen, welche die Form der Nerven- endieungen bedingen.“ Es ist also in denselben kein physiologischer Unterschied zu finden, jede kann als Quelle verschiedener „specifischer Empfindungsenergie* dienen. Uebrigens hält Merkel | 157, 758] die freien Endigungen im Epithel für Vermittler der Temperaturempfindungen und nennt seine Zellen .lastzellen*, wodurch er in Widerspruch mit sich selbst gerát. Doch muss seine Zusammenstellung als die vollständigste und begründetste angesehen werden, denn kein Autor hat eine so grosse Anzahl ver- schiedenster Tierarten untersucht. 1 Nach Merkel trat wiederum Krause |/05—110| (in den Jahren 1881—1885) mit einer ganzen Reihe von Artikeln hervor, die eine sehr lebhafte Polemik hervorgerufen haben. Hauptsächlich auf die Arbeiten der ersten Periode bezugnehmend. entwarf er folgendes Bild: der Axencylinder verliert das Mark und endet „frei“ in einer knopfförmigen Verdickung, wobei eine der chirurgischen Sonde ähnliche Figur entsteht. Alle Nerven enden innerhalb irgend welcher Kérperchen, die entweder von Querkolben- zellen oder von Längskolbenzellen gebildet werden. Zu den ersteren gehören die Meissner’schen und die Grandry’schen Körperchen, zu den letzteren verschiedene Abarten der Pacini’schen. Die nackten Nerven- enden halt er für gefärbte elastische Fasern (so kategorisch drückt 264 A. Leontowitsch, er sich allerdings nicht in allen Artikeln aus), intraepitheliale Endungen leugnet er. Gegen ihn traten auf Merkel [136], der ihm vorwarf, viele un- bestrittene, teils von ihm (Merkel) teils von anderen Forschern festgestellte Thatsachen ohne jeden Grund ignoriert zu haben und Flemming [60], der namentlich auf die Unvereinbarkeit der Krause- schen theoretischen Constructionen mit den von Fischer unter seiner Leitung entdeckten Thatsachen hinwies. Auch Leydig [129] legt den Endknöpfen eine ausserordentliche Wichtigkeit bei und hält sie für die einzige Form der Nerven- endigungen, ohne allerdings zur Unterstützung dieser Ansicht neue Thatsachen vorbringen zu können. Schwalbe [187] hält auch gleich Krause den Endknopf des seines Markes verlustig gegangenen Axencylinders für die einzige Form der Nervenendigungen. Im Bestreben, das vor ihm gesammelte Material besser zu klassificieren, unterscheidet er in den „Körperchen“ zwei Formen: 1. Solche, die aus einer Bindegewebsmembran und aus Epithel- zellen, deren Zusammenhang mit der Malpighi'schen Schicht gelóst ist, bestehen (Grandry’sche Kórperchen und „Tastkolben“). 2. Solche, die nur aus einer Bindegewebsmembran bestehen und ihrerseits eingeteilt werden in a) Körperchen mit einfachem oder gabelförmig verzweigten inneren Kolben; die Nerven enden hier mit einem oder einigen Stämm- chen, jedenfalls aber mit wenigen Zweigen. Das Aussehen der Körperchen ist je nach der grösseren oder geringeren Entwicke- lung der Membran verschieden. Hierher gehören verschiedene Arten der Krause’schen Kolben und der Pacini’schen Körperchen. -b) Endkörperchen mit sehr verzweigtem, stark gewundenem inneren Kolben, zu denen «. die zusammengesetzten Kolben beim Menschen, 6. die Geschlechtskórperchen, 7. die Meissner’schen Körperchen gehóren. Im Epithel erkennt er nur Endigungen in Gestalt von knopf- fürmigen Verdickungen an, er setzt dabei. voraus, dass die Merkel- schen Zellen terminale sensible Epithelzellen des von Merkel für die Die Innervation der menschlichen Haut. 265 höheren Sinnesorgane aufgestellten Schemas sind und Analogie mit den Stäbchen- und Zapfenzellen der Retina bieten. Haare sind nach diesem Forscher nur örtliche Vorstülpungen des Epithels. Schwalbe betont also noch mehr als Waldeyer die Bedeutung der Epithelzellen sowohl im Strat. Malpighii als in den verschiedenen Kórperchen. Lawdowsky weist nur darauf hin, dass man nach der oder jener Configuration der Nervenendigungen keineswegs einzelne Formen der Endapparate aufstellen darf. Er nimmt an, dass die Lösung des Ge- heimnisses der Specifität der Endigungen in ihrer physisch-chemischen Construction zu suchen ist. Die im Jahre 1886 erschienene Arbeit von Goldscheider ist, wenn man den allgemeinen Stand der Frage berücksichtigt, als Rückschritt zu bezeichnen. Auch er leugnet [74, 75] das Vorhandensein intra- epithelialer Endigungen und rechnet überhaupt gar nicht mit den hier gebrachten Litteraturangaben. Nach seiner Meinung enden die Nerven frei in nackten Büschelchen. Die dickeren marklosen Enden eines Teiles der Nerven verzweigen sich in einer Ebene an der unteren Reihe der Malpighi’schen Schicht, die anderen Nerven liefern eine Enddolde aus feinen marklosen Fasern, die zwischen dem Epithel und den Hautgefässen unterhalb der vorigen Schicht zu liegen kommt. Die ersteren hält er für specifische Organe des Temperatursinns, da er sie an den sogenannten „Temperaturpunkten“ fand, die letzteren für Organe des Drucksinns.) Die Meissnerschen Körperchen sind seiner Meinung nach nur Schutzvorrichtungen der Nerven, die an besonders empfindlichen und beweglichen, also den Verletzungen am meisten ausgesetzten Stellen localisiert sind. Dann folgt eine Reihe von Arbeiten von Mitrofanow [740—146], die der Feststellung der Thatsache gewidmet sind, dass die Nerven in der Amphibienhaut stets „frei“ zwischen den Epithelzellen enden. Seit dem Ende der achtziger Jahre arbeitet eine ganze Reihe der 7) Die Untersuchung stellte er so an, dass er nach der Bestimmung dieses oder jenes Punktes denselben ausschnitt, vergoldete und Serien von Schnitten verfertigte. Interessant wäre es zu wissen, wie viele Stückchen er auf diese Weise untersuchte. 266 A. Leontowitsch, ] besten Histologen an der Wiederuntersuchung des Baues der Sinnes- organe nach der Golgi’schen Methode. An dieser Arbeit nehmen u. a. teil Kölliker, Waldeyer, v. Lenhossek, Ramón y Cajal und van Gehuchten. Retzius [169, 170], der 1892 die teils von den genannten Autoren, teils von ihm selbst erhaltenen Resultate zusammenfasste, stellte fol- gendes Schema der Nervenendigungen in der Haut auf: Die sensible Zelle der Spinalganglien sendet ihr Neurit der Haut zu. Die Telo- dendrien desselben verzweigen sich mit ihren freien Enden zwischen den Epithelzellen, die letzteren berührend, ohne aber mit ihnen in Verbindung zu treten. Echte Terminalnetze oder Maschen sah Retzius nie und legt ihnen auch, als seltenen Ausnahmen, keime Bedeutung bei. Golgi bestätigte auf diese Weise das, was mit grósserer oder geringerer Klarheit und Consequenz in den Arbeiten vieler Autoren hervortrat, d. h. das Merkel'sche Schema — eine Endigung einer be- deutenden Anzahl von Nerven in Verbindung mit einer Zelle — er- wies sich als richtig, wenn es dahin corrigiert wurde, dass der Nerv nicht in die Zelle eintritt, sondern nur derselben anliegt, und dass die Zelle selbst epithelialer und nicht nervóser Natur ist. Wie aber aus den entsprechenden Capiteln meiner Arbeit zu er- sehen ist, wurden diese Verhältnisse nicht überzeugend genug für alle Apparate des Hautsinns bewiesen. Meine Ansichten entwickeln weiter und vereinigen die von Waldeyer, Merkel und Schwalbe ausgesprochenen und lassen sich folgendermaassen formulieren: Sowohl die markhaltigen, wie die Remak’schen Nerven (und folg- lich auch die mit ihnen genetisch verwandten und Uebergangsformen) verzweigen sich beinahe ausschliesslich im Epithel und im Stratum papillare. j Solchen Eigentümlichkeiten der Nervenendigungen, wie knopt- förmige Verdickungen (die ich beim Menschen fast nur in den Pacini- schen Körperchen sah), echte oder falsche Netze und Maschen, grössere oder geringere Entwickelung der Plattenvaricosität der Endigungen lege ich keimerlei Bedeutung bei. Alle diese Eigentümlichkeiten der nackten Nervenverzweigungen existieren thatsächlich, sie hängen aber entweder von localen Bedingungen oder von grösserer oder geringerer PR EE CT S Die Innervation der menschlichen Haut. 267 Abspaltung der Fibrillen von einander ab und bilden eine Ueber- gangserscheinung, die in gewisser Beziehung zu dem Alter der Endi- eungen steht. ‚Jedenfalls kann ich auf nichts hinweisen, was mich veranlassen könnte, diese Eigentümlichkeiten ernster zu nehmen. Die kernhaltigen marklosen Verzweigungen markhaltiger Nerven kónnen ebenso wenig zu einer Aufstellung einer besonderen Form von Nervenendigungen benutzt werden; die Zahl der Remak'schen Endzellen ist hier so verschieden, sie kommen an den Nerven, die junge Haare mit Zweigen versehen, so oft vor, dass ich diese Endi- gungen zu den Uebergangsformen, d. h. zu solchen, die wenig differen- ciert sind und nur zeitliche, keine scharf ausgesprochene functionelle Bedeutung besitzen, rechne. Ich vereinige also in einer Gruppe alle drei Typen der markhaltigen Nerven (vergl. das Kapitel, in dem von diesen und den intraepithelialen Endigungen die Rede ist). Alle Endigungen markhaltiger Nerven teile ich daher in zwei Gruppen ein: l. im freie, worunter ich nach Waldeyer diejenigen Endigungen verstehe, welche die Epithelzellen nicht berühren (hierher gehören ein- fache Verzweigungen der Telodendrien im Bindegewebe und corpus- culäre Pacinische Körperchen an der Grenze des Coriums und des Pannicul. adipos.) und 2. in solche, welche Epithelzellen berühren. Hierher gehören: a) die Endigungen, welche zwischen den Zellen des Strat. Malpighii und in der Haarscheide liegen; b) Endigungen, die Zellen des Strat. papillure berühren, wie die jungen Meissner'schen Körperchen Ranviers (Traité Fig. 340), oder pericellulare | subepitheliale Endigungen Plaschkos; c) Endigungen innerhalb der Meissner’schen Körperchen. a) und b) sind den einfachen Endigungen Waldeyers, c) den corpusculären zuzuzählen. Bei solcher Auffassung ist leicht zw verstehen, wie das oben er- wähnte Eindringen von Aestchen der Nerven Meissner’scher Körper- chen in das Epithel möglich ist und warum ihre Zahl in sehr weiten srenzen bei verschiedenen Individuen und an verschiedenen Körper- stellen ein und desselben Menschen schwanken kann, warum die Haare in Bezug auf den Hautsinn als den Meissner’schen Körperchen analoge 268 A. Leontowitsch, Gebilde anzusehen sind: beide Endigungsarten stellen im Grunde ge- nommen dasselbe dar und können einander ersetzen. Die Zahl der „freien“ epithellosen Endigungen ist im Vergleich zur Zahl der epithelialen gering, gleich den Pacini’schen Körperchen existieren sie hier nur so weit, als sie überhaupt allen Bindegewebs- membranen eigen sind. Zwei Arten der Remak’schen Nerven sind so eng mit dem Epi- thel verbunden, dass bei ihnen keine Einteilung in epitheliale und epithellose möglich ist und jede Erregung, die vermittelst des Epithels entsteht, muss gleichzeitig mit den markhaltigen Nerven auch dieses System erregen; es ist anzunehmen, dass die Verschiedenheit ihrer Function von der der markhaltigen Nerven nur mit den anatomisch- physiologischen Verschiedenheiten der Leitungsbedingungen der Er- regungen in diesen und jenen Nerven in engem Zusammenhange steht. Am meisten Grund haben wir zu der Annahme, dass eine der Haupt- bedingungen in der besseren Fähigkeit der markhaltigen Nerven zur isolierten Leitung von Erregungen zu suchen ist. Alle verschiedenen Arten der Hautempfindung bestehen ja aus 1. Nervenerregung, bei deren Entstehung dem Epithel irgend eine Rolle zukommt und 2. aus der Fortleitung der Erregung vermittelst zweier Systeme, und zwar «) des markhaltigen Systems, das sich isoliert verzweigt und isoliert die Erregung gegen das Centrum hinleitet und B) des Remak’schen Systems, das netzförmig gebaut ist und das daher die Erregung nicht isoliert aufnimmt, und wahrscheinlich nicht isoliert zum Centrum leitet. Vermittelst « kommen die sogenannten speci- fischen, vermittelst 8 die allgemeinen Empfindungen zu Stande. V. Absolute und relative Nervenzahl in den verschiedenen Extremitätenbezirken. Die diesbezüglichen Thatsachen, die sich mir während meiner Untersuchungen ergaben, entsprechen vollständig den obigen all- gemeinen Schlussfolgerungen. Die Nervenverzweigungen stehen in engem Zusammenhang mit denjenigen Furchen und Leisten des Epithels, die zusammen die so- genannten epithelialen Papillen bilden. Die Innervation der menschlichen Haut. 269 Wir haben uns also vor der Erörterung der Frage über die Nervenzahl, über die Configuration und Dicke des Epithels an den verschiedenen Stellen der Extremitäten zu orientieren. Extremitätenepithel, dessen Dicke, Furchen, Leisten und Papillen. Nach den Ergebnissen der Arbeiten von Blaschko [27—25], Phi- lippson [/5/, 152] und Loewy [125] scheint es uns für unsere Be- trachtungen zweckmässig, die ganze Haut in ,unbehaarte* und „be- haarte“ einzuteilen. An den Extremitäten gehört zur ersteren die Palmar- resp. Plantarseite der Finger und Zehen; ihre Seitenteile bilden den Uebergang zu der behaarten Haut, zu der auch die ganze übrige Oberfläche der Extremitäten gehört. Die erwähnten Autoren benutzten Hautflächenpräparate von der Leiche, Blaschko von im Uterus verstorbenen und macerierten Früchten, Philippson und Loewy von erwachsenen Leichen, deren Epidermis durch verschiedene Säuren entfernt wurde. An den unbehaarten Teilen lassen sich ihre An- gaben mit Leichtigkeit nachprüfen, das Epithel ist hier zu mächtig, daher conserviert sich das allgemeine Bild auch an ausgeschnittenen Scheiben recht gut. An den behaarten Teilen ist die Aufgabe be- deutend erschwert; hier krümmt sich häufig die Haut nach dem Aus- schneiden und wird auch sonst verunstaltet, doch trifft man auch hier zuweilen ein Material, das eine nicht schwierige und recht gute Nach- prüfung der Angaben der genannten Autoren zulässt. Am geeignet- sten sind zu diesem Zwecke Extremitäten mit ganz leichtem Oedem, das wohl noch nicht im Stande war, das Epithel zu dehnen und da- durch das Bild zu verunstalten, und doch zur selben Zeit aus irgend einem Grunde die Elasticitàt des Gewebes vernichtete; die Form und Grösse der Stücke bleibt dann nach dem Ausschneiden sogar bei 5—6 em langen und 3—4 cm breiten Stücken unverändert. Furchen und Leisten des Epithels unbehaarter Extremitätenteile. Mit unbewaffnetem Auge sehen wir an unbehaarten Extremitäten- teilen eine ganze Reihe regelmässig auf einander folgender, einander 270 A. Leontowitsch, ziemlich parallel verlaufender Furchen und Leisten, die man der An- schaulichkeit halber mit analogen Teilen der Hirnoberfläche vergleichen kann. Wenn wir uns das Hautflächenpräparat von unten her besehen, so bemerken wir gleichfalls eine ganze Reihe Leisten und Furchen, nur ist hier ihre Zahl doppelt so gross. Das kommt daher, dass ein Teil derselben bei der Bildung der nach aussen sichtbaren Furchen durch eine Einstülpung des Epithels in die Tiefe entsteht, sie ent- halten keine Schweissdrüsenmündungen und Blaschko bezeichnet sie deshalb als „Falten“; ich werde sie „drüsenlose Leisten“ nennen. Die anderen aber entstehen dadurch, dass von.der Mitte der unteren Flüche der nach aussen sichtbaren Leiste das Epithel in die Tiefe des Coriums proliferiert; in diesem Gebiete befinden sich die Schweissdrüsen- mündungen und Blaschko nennt daher diese Leisten , Drüsenleisten*. Die Schweissdrüsen münden demnach an der Oberfläche der „Haut- windungen*. Die Leisten verlaufen unten (ich werde von hier ab überall das als Leiste bezeichnen, was als solche bei der Betrachtung von unten her erscheint) nicht geradlinig, sondern gewunden, in Gestalt eines mehr oder minder unregelmässigen Ziekzacks mit abgerundeten Ecken; der Schweissdrüsentrichter passiert gewöhnlich nieht die Leiste selbst, die letztere tritt zurück und bildet dadurch eine kesselförmige Bucht, durch welche die Ausführungsgänge der Drüsen auch eindringen. An dem zwischen dem Objectträger und Deckgläschen eingedrückten Flächenpräparat erscheinen die Drüsenleisten bedeutend höher, die drüsenlosen Leisten niedriger; an der lebendigen Haut gleicht sich dieser Unterschied aus, da sich die letzteren nach unten senken und Furchen bilden, während die ersteren sich in die Höhe ziehen; im allgemeinen ist die Zahl der Drüsenleisten vorwiegend. Blaschko und Loewy halten die letzteren für einfache Einstülpungen alter Epidermis- schichten, während Unna [205] annimmt, dass auch an ihnen Epithel- proliferationen vorhanden sind. Ich glaube, dass beide Teile recht haben — alles hängt von der Individualität des untersuchten Subjectes ab. Die drüsenlosen und Drüsenleisten werden durch secundäre, nie- drigere Fortsätze mit einander verbunden, diese letzteren werden (bei Personen mit dicker, gut entwickelter Epidermis) ihrerseits durch den Die Innervation der menschlichen Haut. 271 Drüsenleisten parallele Leisten mit einander verbunden; es entsteht auf diese Weise eine Art Reliefbild parallele Gebirgsketten, die mit einander durch Ausläufer verbunden sind. Die Leisten verlaufen ge- wöhnlich nach innen zu nicht senkrecht zur Oberfläche, sondern mehr oder minder schräg und da die Papillen des Coriums einen genauen umgekehrten Abklatsch der unteren Epithelseite darstellen, so bietet das Bild das Aussehen einer Reliefkarte von Gebirgsketten, deren Gipfel bald eine längliche Gestalt, bald die Gestalt eines Kegelstumpfes, bald die eines Pyramidenstumpfes mit vier oder fünf Flächen tragen. An den primären Gipfeln treten kleinere secundäre und zuweilen auch tertiäre auf. Die Axe der Papillen steht gewöhnlich nicht senkrecht, sondern schräg zur Hautoberfläche. Die Hautspaltungsebenen (Langer [712]), die von der Richtung der Bindegewebsfasern abhängen, ver- laufen den Leisten entlang und machen eine Windung um die Tale- drüsenmündungen. Nach meinen Messungen schwankt die Entfernung der Drüsenleisten von den drüsenlosen für em und dieselbe Stelle bei derselben Person ganz bedeutend — von 80 u bis 200 «. Ihr Maximum erreichen diese Entfernungen dann, wenn Leisten dritter Ordnung vorhanden sind, dafür beträgt aber in diesem Falle die Ent- fernung zwischen den letzteren und den primären Leisten (den drüsen- haltigen und drüsenlosen) gegen 50 u bis 70 u. Der Durchmesser der Basis der Papille beträgt eleichfalls gegen 70 «, ihre Höhe schwankt bedeutend, je nach den individuellen Unterschieden in der Dicke des Epithels. Ausser den Leisten existieren noch an der unbehaarten Haut grössere „Knickungs- und Spannungsfurchen* (Lewinski |/26]), welche in verschiedenen Richtungen verlaufen und unregelmássige, mit unbe- waltnetem Auge sichtbare Felder begrenzen. Sie entstehen durch Muskelwirkung; ihre Bedeutung liegt darin, dass die Haut dank ihnen an den beweglichen Stellen eine bestimmte functionelle Ausdehnunes- norm besitzt, die ihr Ausdehnung und Verkürzung ermöglicht. Wirkt der Muskel so, dass seine Contraction eine Ausdehnung der Haut des betreffenden Bezirks hervorruft, so glätten sich dabei die Falten, die quer zur Muskelwirkungslinie verlaufen und die als „Knickunes- furchen* bezeichnet werden. und es treten die parallel dieser Linie 272 A. Leontowitsch, verlaufenden ,Spannungsfurchen* hervor; wenn aber die Spannung der Haut aus irgend welchem Grunde verringert werden soll, so ver- tiefen sich die Knickungsfurchen. Die Richtung der Falten hängt von der Bewegungsfreiheit in den benachbarten Gelenken ab; bei Charniergelenken sind am wenigsten Falten vorhanden, sie verlaufen parallel (Knickungsfurchen) und quer (Spannungsfurchen) zur Drehungs- axe des Gelenkes. Je freier die Bewegung im Gelenk ist, desto com- plicierter sind die Entwickelungsbedingungen der Falten und desto verwirrter wird das Bild. In betreff weiterer Einzelheiten verweise ich auf die Lewinski'sche Arbeit. Ob diese Falten in irgend welchem Zusammenhange mit den drüsenlosen und drüsenhaltigen Leisten und mit der Configuration der Malpighi'schen Schicht überhaupt stehen, und ob die Beziehungen der Leisten zu den Falten nicht eine gewisse Analogie zur Beziehung der Obertóne zu den Tönen bieten, darüber giebt die Litteratur weder für die behaarten Teile noch für die unbehaarten irgend welche be- friedigende Antwort. Es ist unmóglich, an einem Material die Nerven. zu färben und gleichzeitig Präparate zu erhalten, die geeignet wären, irgend einen Einblick in diese complicierten Verhältnisse zu gewähren, ich kann also deshalb nicht über eigene Ansichten sprechen. Und doch wäre die ausführliche Erforschung dieser Frage an verschiedenen Stellen für die Hautinnervation von grosser Wichtigkeit. Wie dem auch sei, sicher ist, dass das Epithel in diesen Falten stark verdünnt ist (Druckatrophie). Am regelmässigsten sind die Leisten und, natürlich nur relativ, die Papillen an den Fingerkuppen gelagert, je entfernter die Stelle von den Fingern ist, desto niedriger ist die Epidermis und desto un- regelmässiger sind die Papillen. Zuweilen, namentlich bei Personen mit feiner Epidermis, tritt die Unregelmässigkeit schon an der Hand- fläche ganz deutlich hervor. Furchen und Leisten des Epithels behaarter Extremitätenteile. Auch in den behaarten Teilen ist die eben erwähnte Anordnung vorhanden. Hier lässt sich aber eine Einteilung im drüsenhaltige und PER URN RATINGS Die Innervation der menschlichen Haut. 273 drüsenlose Leisten nicht durchführen, und die Versuche von Blaschko und Loewy, Unterschiede der beiden Arten zu statuieren, können als verfehlt bezeichnet werden. Am Fussrücken bilden Leisten verschiedener Art ein Netz mit ziemlich regelmässigen Maschen, Doch wird ihre Regelmässigkeit in der Nähe der Haare und Schweissdrüsenmündungen oft gestört; neben einer kleinen Masche sehen wir häufig eine sehr grosse, so neben einer von 420 & eine von 260 u, 150 u; die Höhe der Papillen ist an solchen Stellen bald gleich der Höhe der benachbarten, bald zwei oder dreimal höher; es bilden sich in solchen Fällen aus dem Epithel selbst tiefe „Gewölbe“, die die sehr hohen Coriumpapillen wie mit einer Mütze bedecken. Wenn wir dazu noch bedenken, dass an den Knickungs- und Spannungsfurchen Papillen beinahe ganz fehlen, und dass die Zahl soleher Falten an der behaarten Haut viel grósser, als an der unbehaarten ist, so werden wir einsehen, dass das Stratum Malpighii der behaarten Bezirke viel ungleichmässiger, als das der unbehaarten verteilt ist. Bei einigen Personen finden wir an dem Ober- und Unterschenkel, zuweilen auch am Vorderarm, noch eine andere Ursache der Ungleichmässigkeit — es kommen nämlich Bezirke vor, an denen die Papillen ganz fehlen. Bei Personen mit dickerer Epidermis tritt die Ungleichmässigkeit nur am Unter- und Ober- schenkel. und am Vorder- und Oberarm deutlich auf. Wo die Haut feiner ist, sind diese Beziehungen schon am Fuss- und Handrücken zu erkennen. Im allgemeinen halten, wie das auch Blaschko annimmt, die meisten Leisten die Längsrichtung ein; das sieht man ganz deutlich z. B. an den Fussrücken. Eine Ausnahme bilden 1. die Seitenteile des Fusses, der Hand und der Phalangen, d. h. die Uebergangsstellen der behaarten zu den unbehaarten Teilen; 2. die Beugefalten mancher Gelenke — hier finden wir dicht gelegene, gleichmässige Papillen von verschiedener Hóhe (je nach dem Gelenk, je weiter vom Rumpf, desto hóher die Papille) in Gestalt von stumpfen Zuckerhüten; das Bild ähnelt dann einer Chagrinfläche. Die Haare sind am ganzen Kórper spiralartig verteilt und bilden eine Reihe zusammenlaufender Ströme und auseinander gehender Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 18 274 A. Leontowitsch, Centra; die Leisten der Malpighi'sehen Schicht unterliegen demselben Gesetz. Zuweilen (Loewy) stimmt der Lauf der einen und der anderen überein, in anderen Fällen sind ihre Centra verschieden, manchmal wiederum sind Centra überhaupt nicht zu finden. Mit seltenen Aus- nahmen gehen die ,Spaltungsflchen* der Haut (Langer) mit der Richtung der Epidermisleisten parallel. Im allgemeinen halten auch die Haarströme dieselbe Richtung ein. Eine Ausnahme bildet die Haut über der Patella, wo die Haare unabhäneig sind. In der Configuration und Entwickelung der Papillenschicht findet man grosse Unterschiede: 1. je nach dem Alter — im mittleren Alter sind die Papillen besser als im jungen und sehr vorgeschrittenen aus- geprägt — und 2. je nach dem Individuum. Ueberhaupt ist die Frage über die individuellen Schwankungen der Leisten noch nieht genügend studiert") und dadurch ist meiner Ansicht nach die Meinungsver- schiedenheit Blaschko’s und Loewy’s zu erklären; der erstere hält für die Extremitäten eine solche Lagerung der Leisten für typisch, bei der sie ein fast geschlossenes Netz mit in der Richtung der Haar- ströme etwas gezogenen Maschen bilden. Loewy giebt mannigfaltigere Abbildungen; so sind einmal vorzugsweise die (secundàren) Querleisten entwickelt, das andere Mal die (primären) Längsleisten, wodurch das Aussehen sich auffallend ändert. Ich machte die Wahrnehmung, dass bei manchen Personen die Leisten sehr stark, bei anderen nur un- bedeutend gewunden sind, was, wie wir sehen werden, auf die Inner- vation von Einfluss ist. Nach der Gesamtmasse des Stratum Malpighii, nach der Menge der Leisten und nach der Gleichmässigkeit der Papillen, kann man an den Extremitäten folgende absteigende Graduierung aufstellen: Finger- 1) Es scheint, dass man dazu die Haut absolut gesunder Personen (z. B. in gerichtlich medicinischen Fällen) in gleichem Alter untersuchen muss, um mögliche pathologische und Altersunterschiede auszuschliessen. Solche Untersuchungen sind um so wünschenswerter, als wir in Formalin ein vorzügliches Mittel zur Be- arbeitung ganzer Leichen und zur Fixierung der gegenseitigen Beziehungen der Hautelemente besitzen. Das von mir vorgeschlagene Doppelmesser ermóglicht es, leicht und schnell grosse und feine Hautbezirke abzuschneiden, die zur Lósung dieser für Dermatologen und Erforscher des Hautsinnes gleich interessanten Frage verwendet werden kónnen. Die Innervation der menschlichen Haut. 275 kuppen (Maximum); Palmar- resp. Plantarfläche der IT. und T. Phalanx; Handfläche und Sohle; Rückenfläche der IIL, II. und I. Phalanx der Hände und Füsse; Handrücken; Fussrücken und Vorderarm (beinahe gleich); Arm, Unterschenkel, Oberschenkel. Zur besseren Illustrierung der genaueren Zahlenverhältnisse bringe ich aus der Arbeit von Drosdow [57] eine Tabelle der Epidermisdicke, die den anderen Zahlen proportional ist: ie M Strat. Strat. Gesamt- A : . Die Messung corneum mucosum epidermis Kórperteil ist vorgenommen worden an _ || Mini- | Maxi- || Mini- | Maxi- | Mini- | Maxi- mum mum mum mum mum mum mm mm mm mm mm mm Innenseite Papilen. . . . 0,0252 | 0,0420 || 0,0252 | 0,0420 || 0,0504 | 0,0840 des Papillenzwischen- Oberschenkels raum . . . . |0,0252 | 0,0460 | 0,0504 | 0,1050 | 0,0756 | 0,1510 Aussenseite | Papillen . . . 0,0252 | 0,0294 | 0,0210 | 0,0398 | 0,0462 | 0.0692 des l Papillenzwischen- Oberschenkels raum. . . . |0,0274 | 0,0420 | 0,0630 | 0,0656 | 0,0904 | 0,1176 Aussenseite | Papillen . . . 0,0252 | 0,0420 | 0,0210 | 0,0588 | 0,0462 | 0,1008 des l Papillenzwischen- Unterschenkels raum. . . . | 0,0836 | 0,0504 | 0,0336 | 0,0882 | 0,0672 | 0,1386 Papillen . . . 0,0294 | 0,0336 | 0,0252 | 0,0420 | 0,0546 | 0,0750 Fussrücken Papillenzwischen- | raum. . . . 0,0336 | 0,0630 | 0,0242 | 0,1300 | 0,0878 | 0,1930 f Papillen . . . 0,5250 | 0,6000 | 0,0750 | 0,1250 10,6000 0,7250 Sohle | Papillenzwischen- raum. . . . (0,5750 | 0,6250 | 0,1250 | 0,1625 || 0,7000 | 0,7875 Zweite Finger- Papillen pitta 0,9375 | 1,0825 | 0,0750 | 0,1250 || 1,0128 | 1,2075 kuppe Papillenzwischen- raum. . . . 1,0500 | 1,1750 | 0,0875 | 0,2500 | 1,1375 | 1,4250 ens ores Papillen DE 0,0215 | 0,0294 | 0,0294 | 0,0504 | 0,0509 | 0,0798 Schultergebiet Papillenzwischen- raum. . . . 0,0222 | 0,0336 | 0,0714 | 0,1050 | 0,0936 | 0,1386 [ER Papillen . . . |0,0230 0,0294 | 0,0252 | 0,0588 || 0,0482 | 0,0882 Schultergebiet ) | Papillenzwischen- | raum. . . . |0,0240 | 0,0235 || 0,0504. | 0,1008 || 0,0744 | 0,1333 Mardutastlá: Papillen b. tts 0,0210 | 0,0256 || 0,0294 | 0,0620 | 1,0504 | 1,0966 Flexionsseite Papillenzwischen- raum. . . . |0,0252 | 0,0336 | 0,0672 | 0,0966 || 0,0924 | 0,1302 Vorderarm: J Papillen . . . 0,0294 | 0,0404 0,0252 | 0,0714 | 0,0546 | 0,1118 Extensions- | Papillenzwischen- seite raum. . . . 0,0336 | 0,0526 | 0,0656 | 0,0924 | 0,0992 | 0,1450 18* 276 A. Leontowitsch, Die M Strat. | Strat. Gesamt- UE i hene ur > UNE corneum mucosum epidermis Körperteil ist vorgenommen worden an Mini- | Maxi- || Mini- | Maxi- || Mini- ES mum ie mum mum mum mum mum PH pu acie ren mm mm mm mm | mm fi Papillen . . . || 0,0378 | 0,0588 | 0,0504 | 0,0564 | 0,0882 | 0,1152 Handrücken l Papillenzwischen- raum. . . . 0,0420 | 0,0588 | 0,0730 | 0,0730 || 0,1150 | 0,1318 Papillen . . . |0,4250 | 0,5000 0,0625 | 0,1505 0,4875 | 0,6508 Handfläche Papillenzwischen- | raum. . . . 0,4375 | 0,5650 || 0,1000 | 0,1650 ‚0,5375 | 0,7300 Zeigefinger- f Papillen "de 0,6875 | 0,7250 || 0,0750 | 0,1500 | 0,7625 | 0,8750 kuppe | Papillenzwischen- raum. . . . 0,7165 | 0,7250 | 0,1000 | 0,1750 | 0,8165 | 0,9000 Die Haut ist der Leiche eines an den Folgen eines apoplec- tischen Insults verstorbenen 56 jährigen Mannes am Tage nach dem Tode entnommen. Die Innervation verschiedener Extremitätenteile. Unsere bisherigen Kenntnisse über die Nervenzahl sind merkwürdig gering. Das Gold giebt in dieser Beziehung so wenig, und die er- haltenen neuen Thatsachen lassen sich so schwer mit einander ver- einbaren, dass die Autoren es bis jetzt meistens vorziehen, sich an den Nachklängen der Meinungen zu halten, die während der ersten Periode des Stadiums der Nervenuntersuchung herrschten. Wie hier schon er- wühnt wurde, herrschte damals die auch schon für jene Zeit — nach dem Hinweise von Kólliker [96, 97] — falsche Ansicht, dass die Nerven ausschliesslich in Endkórperchen verschiedener Art (Meissner und Wagner 1852) enden, und so wurden auch die Hautpapillen in „nervöse“ (d. h. mit Meissner’schen Körperchen und ohne Gefässe) und „gefässhaltige“ eingeteilt Und als v. Frey [62] im Jahre 1896 die Meissner’schen Körperchen für die alleinigen Druckapparate er- klärte, stützte er sich dabei gerade auf die eben erwähnte alte, falsche Ansicht, obgleich er andererseits bei der Identificierung der Haare mit den Meissner’schen Körperchen mit den neuen Thatsachen rechnet. Die Angaben über die Zahl der Nerven in der menschlichen Die Innervation der menschlichen Haut. Pin Haut, die in der Litteratur zu finden sind, beschränken sich auf folgendes: Meissner, und nach ihm auch andere Autoren, fanden seine Körperchen an der Palmar- resp. Plantarfläche der Finger und Zehen, am Handrücken und an der Handfláche, am Fussrücken und der Fussohle. Merkel fand sie auch in der Unterschenkelhaut, wenngleich Krause, der diese Gebilde für seine Kolben hält, das bestreitet. Ihre Zahl giebt Meissner!) folgendermaassen an: Emm Papillen Meissner'sche Kórperchen An der Zeigefingerkuppe . . 2,2 400 108 An der II. Phalanx der Finger 2,2 400 40 An der I. Phalanx der Finger. 2,2 400 15 Ueber den V. Metacarpus . . 22 400 8 Wie von Frey [62] richtig bemerkte, bedeuten 2,2 die Länge der Quadratseite, folglich beträgt die Fläche dieses Quadrats 4,84; in einem Quadratmillimeter der Haut finden wir also (die Reihenfolge der obigen Tabelle eingehalten) 21, 8, 3, 1 oder 2 Meissner’sche Körperchen. An der Plantarseite der Nagelphalanx finden wir (in einem Quadratmillimeter) gegen 34, in der Mitte der Sohle 7—8 (d. h. * und 1—2) solcher Kórperchen. An der Beugefläche des Vorderarms zählte Krause je 1 Meissner- sches Kórperchen auf 35 qem; sie sind hier klein und erinnern an einige Formen der von diesem Autor beschriebenen Kolben. Ein besseres Verfahren zur Záhlung aller Kórperchen war nicht vorhanden, und so ist M. von Frey im Jahre 1896 gezwungen, dieselben Zahlen zu bringen. Die Zahl der Pacini’schen Körperchen ist von Hartenstein [78] festzustellen versucht worden. Um zu zeigen, dass ihre Zahl nicht nur mit der Zahl der anderen Endigungen, sondern auch mit der der Meissner'schen Kórperchen verglichen, sehr gering ist, genügt es, die von diesem Autor zusammengestellte Tabelle über ihre Zahl an der ' Haut, zu bringen. *) Die Originalarbeit blieb mir leider unzugänglich. Ich citiere nach Kölliker, Handbuch der Gewebelehre. VI. Aufl. Bd. I. S. 189. 278 A. Leontowitsch, . Pd cm ct ied Wee en | Pacini’schen D A Kórperchen | gem Arm. | - [.Beugeseitex "fee c Oe mE 10,0 — Oberee Drittel lExtensionsseite . . . . . s . 7,0 E : [.Beugeseite;t- citare. ado s 40. - — Mittler : à È : ACER lExtensionsseite . . . . . . 3,0 — Re [Beugeseite «co MBPS 3,0 2 Unteres Drtiel \Extensionsseite . . . . . . . 2,0 2 Vorderarm. | i f Bengeseite ^... 4-6 enu us 10,0 — "oc D . » ? peret lGEStenstonsseite LN NE D nl 5,0 — ER. LA ARE jBeugeseiter uu Ser a PERLE MN 3,0 — Me DER \Extensionsseite . . 2.2... | 3,0 = ER. (Beugeseiten yuu erp Penn) 4,0 2 ten E D lExtensionsseite . . . . . . . 4,0 — Handfiachet $e TU LA M, S E ees T ORE 8,5 5) Han ALU CKEN 6 wars UE PA AIN meen eto UT 12,0 — ipM f':Palmarsekesruc I it Ina: onm 12,0 8 WELT Rückenssite wor NS TCR DLE | 5,0 — Die Richtigkeit der oben angeführten Hartenstein’schen Folgerung — dass diese Kórperchen für den Hautsinn ohne Bedeutung sind — ist nach diesen Zahlen ohne weiteres klar. Versuche, die Zahl anderer Nerven an verschiedenen Stellen des menschlichen Kórpers zu erforschen, wurden von Langerhans, Eberth, Jantschitsch und Goldscheider unternommen. Langerhans [715] beschrieb nur die Endigungen seiner Zellen, seine Arbeit konnte daher in keinen Zusammenhang mit den anderen damals bekannten Thatsachen gebracht werden und wird bis jetzt als widerlegt angesehen. Er nahm an, dass diese Endigungen gleich- mässig an allen Kórperteilen zu je 24—30 pro Quadratmillimeter (eine Zahl, die er am Vorderarm festgestellt hatte) verteilt sind. Eberth [52], der 1870 gute Abbildungen der intrapapillaren Nerven gab, wies darauf hin, dass alle Papillen als Nervenpapillen anzu- sehen sind. Jantschitsch [89] untersuchte nur die intraepithelialen Endigungen und nahm — so weit man aus seiner sehr vorsichtigen Ausdrucksweise Die Innervation der menschlichen Haut. 279 sehliessen kann — an, dass die von ihm beschriebenen Nerven in der Haut weit verbreitet sind; mit verschiedenen Körperchen beschäftigte er sich gar nicht und da seine Beschreibung der intraepithelialen Nerven!) den Befunden anderer Autoren nicht entspricht, so teilte seine Arbeit das Schicksal der Langerhans’schen. Goldscheider [73—75] versuchte später an dieselbe Frage auf anderem Wege heranzutreten. Auf experimentalem Wege bestimmte er an sich selbst „Wärme- und Druckpunkte*, schnitt sie dann aus, vergoldete sie, bettete sie in Paraffin ein und fertigte Serien von der Hautoberfläche in senkrechten Schnitten an (parallele gelangen ihm nicht) Er behauptet, dass solche Schnitte immer Nerven ent- halten; grössere markhaltige Stämmchen laufen zusammen mit den Gefüssen; in der Mitte jedes Hautstückchens, ihrem „Empfindungs- punkt“ entsprechend, ist die Zahl der Nerven am gróssten. Nerven- endigungen sind, wie schon erwähnt wurde, in zweierlei Gestalt vor- handen; bald handelt es sich um feine marklose Verzweigungen, die zwischen dem Epithel und den Gefássmaschen einen Schirm bilden (.l'emperaturpunkt*), bald um solche Verzweigungen, die sich scharf, unabhángig von den Gefässen, in einer Ebene an der Grenze des Epithels und des Coriums ausdehnen („Druckpunkt“). Es hat sich dabei herausgestellt, dass die feinen Nervenverzweigungen an den Prä- paraten in Längsrichtung hervortreten, wenn die Schnitte in der Rich- tung der Haarströme oder der ihnen parallelen Hautspaltungsfláchen geführt werden. Zwischen den „Punkten“ trifft man zwar auch mark- lose Aestchen, aber nur äusserst selten. Manchmal färbte sich eine grosse Zahl derjenigen Gebilde, die man als Intraepithelialnerven zu bezeichnen pflegte. Goldscheider konnte weder eine Verbindung der- selben mit den grösseren Stämmchen noch mit den ,Empfindungs- punkten“ feststellen und hielt sie daher für zufällige Goldniederschláge. Wie dicht seine Punkte sind, das kann man aus seinen hier folgenden Tabellen entnehmen. 1) Er beschrieb zweierlei Verzweigungen, die von den markhaltigen Nerven abstammen: intraepitheliale Netze in Verbindung mit den Langerhans'schen Zellen und Nervenendigungen nach fester Verbindung mit Epithelzellen. Die Arbeit ist nieht mit Zeichnungen versehen, und bloss nach der Beschreibung ist es schwer zu sagen, was Jantschitsch gesehen hat. 280 A. Leontowitsch, Die Minimalentfernung zwischen denselben beträgt: Kälte- Wärme- Druck- punkte in punkte ın punkte in mm mm mm Beugeseite . 1,5 2—3 0,6 —0,8 Meran N 2 ,2—8 — | Beugeseite . 2 2 0,5 Norderuin Dis 3 3 10 Handfläche 0,8 2 0,1—0,5 Handrücken 2—3 3—4 0,3—0,6 Daumenkuppe — — 0,2—0,3 Kleinfingerkuppe — — 0,1—0,2 Oberschenkel . 2—3 3-4 — Unterschenkel —3 9—4 — — Fuss . 3 resultatlos — Die Punkte liegen sehr unregelmässig in Ketten oder Kreisen, deren Mittelpunkt der Austrittsstelle des Haares aus der Haut ent- spricht. Goldscheiders Verdienst besteht darin, dass er in neuester Zeit den kühnsten Versuch gemacht hat, die Thatsachen der Physiologie und der Histologie zu verbinden, und die zweifellos richtige Thatsache betonte, dass gleich empfindliche Stellen auch gleich innerviert sein müssen; seine Befunde aber sind nur durch unvollständige Nerven- färbung zu Stande gekommen, und Kélliker!) hält es für möglich (nachdem er in der Anmerkung darauf hinweist, wie unbegründet das Leugnen des Vorhandenseins der Intraepithelialendigungen ist), die von Goldscheider [75] gewonnenen Resultate anders zu deuten und sagt folgendes: „Allem zufolge, und da auch Goldscheider an seinem eigenen Vorder- arme die Nerven in der Epidermis gesehen hat (Fig. 22), nehme ich an, dass beim Menschen alle Hautgegenden über und zwischen den Papillen Nerven in der Oberhaut enthalten. Bei weiteren Unter- suchungen wird es sich vor allem empfehlen, die Druck- und Temperatur- punkte auch an Flächenschnitten zu studieren, und hierbei sowohl die Verbreitung der Epidermisnerven als der Tastzellen zu prüfen.“ Doch 1) Handbuch. IV. Aufl. Bd. I. S. 173. i si, Die Innervation der menschlichen Haut. 281 spricht Kölliker das alles nur als Vermutung aus und bringt es daher nur in der Anmerkung. Ueberhaupt liegt in den Goldscheider’schen Ansichten so viel Zweifelhaft-Speculatives, dass z. B. ein solcher Anhänger seiner Auf- fassung des Hautsinnes wie von Frey [62] im Jahre 1896!) bei der Be- trachtung der Verrichtungen peripherer Nervenapparate mit denselben gar nicht rechnet. Die eben citierten Vermutungen Köllikers wurden, dank der Unzulànglichkeit der vorhandenen Methoden, weder be- státiet noch widerlegt. Was die Nerven, die für Subepithelialnerven gehalten wurden, betrifft, so verhielt es sich mit ihnen ganz ebenso, und da musste Ruffini [150] im Jahre 1898 mit einer Arbeit hervortreten, die zur Aufgabe hatte, das Vorhandensein von Nerven in Gefässpapillen zu beweisen. Das sind die wenigen Angaben, die man in der Litteratur finden kann, und man kann daher mit Recht behaupten, dass diese Frage bis jetzt noch kaum berührt ist. Ich untersuchte 36 Extremitäten und wenn sich die Extremität als für meine Zwecke geeignet erwies, so wurde nicht weniger als 1/0 oder '/, ihrer Haut zu Präparaten verwendet. Einer Nachfärbung der markhaltigen Nerven an den behaarten Körperteilen bediente ich mich nicht, da ich dieses Verfahren nur vor kurzem erdachte. Für alle Nerven eilt ein und dasselbe Gesetz; ihre Zahl ist dem Volumen der Malpighi’schen Schicht des betreffenden Hautbezirks und . der mit ihm in Zusammenhang stehenden Papillenhóhe?) (Papillen- 1) Früher [61] gab von Frey folgendes Schema für die physiologische Bedeutung der Hautapparate: 1. Endkolben — Organe des Kältesinnes; 2. Nervenknäuel — Organe des Wärmesinnes; 3. Tastkörperchen und Endigungen an den Haarwurzeln — Organe des Drucksinnes. Meiner Ansicht nach sind die Vermutungen un- begründet und finden keine Stütze in irgend welchen litterarischen Angaben. Das erkennt wohl jetzt auch von Frey selbst an, wenn er in seiner neueren Arbeit ihrer gar nicht erwähnt. Ich hätte es nicht angeführt, wenn ich nicht in einem Artikel von Rollet [176] eine Berufung auf dieses Schema, als auf etwas, was als Stütze zu irgend welchen Constructionen dienen kann, gefunden hätte. ?) Es ist daran zu denken, dass die Volumina sich zu einander wie die dritten Potenzen der betreffenden Lineardimensionen verhalten. 282 A. Leontowitsch, tiefe) proportional. Die Richtung der Nervenverzweigungen hängt in bedeutendem Maasse von der Richtung der Epithelialleisten ab. Einige Einzelheiten der Innervation bieten bedeutende individuelle Schwan- kungen. Die Remak'schen Nerven erster Art.!) Die Remak’schen Nerven erster Art durchdringen in der ganzen Haut der Extremitäten in dichtem Netz das Stratum papillare und versehen sowohl sämtliche Leisten als auch alle Papillen. Ihre rela- tive Zahl an verschiedenen Körperstellen ist aus den Figuren 7 (Mitte der Sohle) und 9 (Mitte des Unterschenkels) zu ersehen. Ein ähnliches ermüdend-einförmiges Bild war in beiden Fällen in einer Ausdehnung von etwa 10 qcm zu sehen, ich halte daher diesen Verteilungsmodus der Nerven für zweifellos typisch. Ich hatte ausserdem noch mehr- mals Gelegenheit, mich davon am lebenden Material zu überzeugen. Beim Verfolgen der Färbung konnte ich sehen, wie ein und dasselbe Bild successive erscheint und verschwindet an verschiedenen Stellen des untersuchten Hautstückes. An den Schweissdrüsenmündungen bilden die Nerven einen mehr oder minder ausgesprochenen Bogen um dieselben. Die Netze senken sich in die Papillen; ihre Elemente, die sich in unmittelbarer Nàhe zum Epithel lagern, verlaufen in mehr oder minder — je nach dem Individuum — regelmássiger Spirale (Fig. 4, 5 u. 6). Bei denjenigen Personen, deren Epithelleisten keine ausgesprochenen Spiralwindungen beschreiben, sind die Maschen des von diesen Leisten gebildeten Netzes lànglich, sonst sind diese Maschen von rundlicher Form. Sind die Maschen rund, so sind die Nervenwindungen scharf ausgeprägt, bei länglichen Maschen nur schwach angedeutet und die einzelnen Nervenzellen lagern sich mit Vorliebe, wie in Figur 9, in der vor- herrschenden Richtung der erwähnten Leisten. Die Einteilung in ?) Die Remak'schen Nerven dieser Art lassen sich schwerer und seltener gut färben, als die markhaltigen, dafür erhält man aber in gelungenen Fällen eine viel gleichmässigere Färbung; dazu ist es nur nötig, die Extremitäten nach der In- jection nicht, wie ich es für markhaltige Nerven empfehle, zu schnüren. Am öftersten und leichtesten lassen sie sich an Stellen mit feiner Epidermis färben; an der Sohle gelang es mir nur einmal sie zu färben, an den Fingerkuppen sah ich nur einzelne Fäserchen. Die Innervation der menschlichen Haut. 283 vier Netz» ist am Unterschenkel schwach, am Fussrücken (Fig. 8) sehr gut, an der Sohle am besten ausgedrückt. Zum bequemeren Vergleichen sind die Figuren 7, 8 und 9 (Taf. VI) in derselben Länge — 260 « — gegeben. Ein Teil der Nervenzellen liegt — wie ich mich an Querschnitten solcher Stellen überzeugen konnte — in den Präparaten, von denen diese Abbildungen angefertigt wurden, innerhalb des Epithels. Die Remak’schen Nerven zweiter Art. Diese Fasern lassen sich viel schwerer färben, doch sah ich, dass ihre Endigungen, d. h. die Langerhans'schen Zellen, im Epithel ebenso gleichmässig wie die vorigen verbreitet sind. Die von Langerhans angegebene Zahl dieser Endigungen, 24—30 pro Quadratmillimeter, entspricht meiner Ansicht nach ziemlich der Wirklichkeit. Ihrer schwereren Färbbarkeit wegen sah ich an der Sohle nur einzelne „Zellen“, am Unterschenkel etwas mehr, und eine recht grosse Anzahl am Hand- und Fussrücken; ich nehme daher an, dass ihre Zahl der Zahl der Remak'schen Nerven erster Art proportional ist. Die markhaltigen Nerven. A. Unbehaarte Teile. Noch deutlicher als an den Remak'schen Fasern ist der Zusammen- hang der Innervation mit den Epithelleisten an den markhaltigen Nerven zu sehen), die Endverzweigungen zeigen eine stark ausge- sprochene Neigung sich den drüsenhaltigen und drüsenlosen Leisten entlang auszubreiten; an den secundáren und tertiären Leisten findet man, ihrem geringerem Maasse entsprechend, weniger Nerven, ihr morphologischer Charakter bleibt aber doch derselbe, da sie nichts anderes als Abzweigungen von Nerven der drüsenhaltigen und drüsen- losen Leisten darstellen. Je náher zu den Fingerkuppen, desto grósser wird die Nervenzahl, entsprechend dem oben formulierten Gesetze der Proportionalität dieser Zahl zur Gesamtmasse der Malpighi- schen Schicht, auch wird die Gruppierung der meisten Verzweigungen 1) Man erhält hier leicht gute Präparate (namentlich Flächenpräparate), ich schildere hier also das, was ich mehrfach zu sehen Gelegenheit hatte. 284 A. Leontowitsch, in drüsenhaltigen oder drüsenlosen Leisten immer ausgesprochener. Eine der typischen Stellen an den Fingerkuppen. in denen ich mit Methylenblau die Maximalzahl der gross-plattenförmigen intraepithe- lialen Nerven zum Vorschein brachte, ist in der Figur 36 abgebildet. Um sich eimen Begriff über die ganze Menge Nerven einer solchen Stelle zu machen, muss man den Umstand in Betracht ziehen, dass hier neben den abgebildeten Nerven zweifellos eine grosse Anzahl kleinplattenförmiger und anderer zu den Uebergangsformen zuzu- zählenden Nerven vorhanden sind, die sich nicht gleichzeitig färben liessen. Ausserdem muss auch die entsprechende Zahl der intra- epithelialen Nerven in Betracht gezogen werden. Es ist daher an- zunehmen, dass die Zahl der Nerven thatsächlich das, was man bisher dafür hielt, vielfach übertrifft; meiner Ansicht nach kann zum Vergleich mit diesen Stellen am besten das sogenannte Eimer’sche Organ herangezogen werden, das wohl mehr Nerven enthält als man gewöhnlich annimmt. Nicht ,nervése“ Papillen giebt es nicht, sie sind alle „nervös“. Die Nerven ähneln den von Ruffini beschriebenen, indem hier von ihren nackten Verzweigungen Aestchen zum Epithel und ins Epithel ab- gehen; man kann sie daher nicht, wie es Ruffini thut, zu den Vaso- motoren zählen; sie bilden einen Teil des allgemeinen sensiblen Systems der Haut. In den Figuren 25 und 24 sind sie von oben und von der Seite her abgebildet. (Uebrigens ist hier die Haut vom Hand- und Fingerrücken abgebildet; an der Palmarseite der betreifenden Stellen sind sie höher und ist die Innervation dichter.) An der Figur 27 sieht man intraepitheliale Aestchen, wie es scheint (ich drücke mich so aus, weil die Figur einem nach Bethe fixierten Präparate abgebildet ist, und man bei solcher Fixation keine richtige Morphologie der Vari- cositäten erhält) grossplattenförmiger Art. Am ôftesten findet man diese Nerven in Papillen, die keine Meissnerschen Körperchen ent- halten; zuweilen aber wird ein Meissner’sches Kórperchen von solchen Verzweigungen wie von einem Futteral umfasst. Die Papillarnerven stammen bald von Uebergangsformen, bald von echten kleinplatten- förmigen markhaltigen Nerven ab. An ganz gelungenen Präparaten ist die Zahl der Nerven, die an die Meissner’schen Körperchen herangehen, Die Innervation der menschlichen Haut. 285 sanz gering im Vergleich mit der Zahl aller anderen Arten mark- haltiger Fasern. Die sehr häufig anzutreffenden, scharf ausgesprochenen individuellen Schwankungen bestehen in folgendem: 1. die Zahl der Meissner’schen Körperchen unterliegt starken Veränderungen; sind sie in geringer Anzahl vorhanden, so finden sich besonders viele Intrapapillarnerven, anderenfalls sind diese Nerven in geringer Anzahl vorhanden, und viele klein- oder grossplattenfórmige Nerven im Stratum papillare’); die letzteren verlaufen ebenfalls den Leisten entlang, da sie aber tiefer als die Intraepithelialen liegen, so ziehen sie unter den Basen der Papillen, d. h. etwas tiefer in der Richtung von einer secundären Leiste zur anderen.) 2. Bei manchen Personen trifft man häufiger srossplattenförmige, bei anderen kleinplattenförmige Varicositäten. Diese Besonderheit ist auch an den Nerven der Meissner’schen Körper- chen deutlich zu beobachten. 3. Schliesslich sind die marklosen Nervenverzweigungen bei einigen Personen mehr, bei anderen we- niger „kraus“. ‘An der Handfläche wird die Verteilung der Nerven unregel- mässiger, die Aestchen eines Stämmchens gehen an zwei bis drei be- nachbarte Leisten heran, die Zahl der Nerven wird etwas geringer, doch bleibt der allgemeine Charakter der Innervation derselbe. B. Behaarte Teile. Die Nervenendigungen bieten bald das Aussehen Meissner’scher Körperchen, bald das intrapapillarer Stämmchen (Fig. 23, 24 u. 35) mit ihren subepithelialen und intraepithelialen Verästelungen, bald haben sie die Form verschiedener nach Grösse und Localisation plattenförmiger Verzweigungen in den Epithelialleisten. Ebenso wie an den behaarten Teilen kann hier keineswegs jede dieser Nerven- !) Wiederum eine Thatsache, die deutlich gegen eine selbständige Bedeutung der Meissner’schen Körperchen spricht. *) Carmin färbt in solchen Fällen im Stratum papillare eine grosse Menge einzelner Epithelzellen; wir haben es hier augenscheinlich mit einer „diffusen Form“ der Meissnerschen Körperchen zu thun, bei der die Nerven nicht in massiven Körperchen, sondern in Verbindung mit einzelnen im Stratum papillare zerstreuten Epithelzellen enden. 286 A. Leontowitsch, arten als etwas Selbständiges gelten, denn alle diese Arten können mitunter von denselben markhaltigen Fasern abstammen. An der „behaarten“ Haut kann die Ungleichmässigkeit der Inner- vation als allgemeines Princip gelten; die Dichtigkeit derselben ent- spricht ganz der Entwickelungsstufe, d. h. der Breite und Tiefe der Papillen: je breiter und tiefer die letzteren sind, desto mehr Nerven enthalten sie (vergl. die Configuration des Epithels der behaarten Haut). Die Stellen um den Austritt der Haare und um die Schweiss- drüsenmündungen haben, wie schon oben erwähnt wurde, die tiefsten und ungleichmässigsten Papillen, zeichnen sich aus diesem Grunde durch dichtere und uneleichmässieere Lage aller aufgezählten Nerven- endigungen aus, und tragen am meisten zur Buntheit der Inner- vation. bei. Haare ohne Nerven giebt es nicht; je jünger das Haar ist, desto grösser ist relativ die Zahl der es versorgenden Nerven. Doch geht es nicht an, die Haarkeime für besondere empfindliche Apparate zu erklären, denn sie kommen erstens zu selten vor (nur in einer Extre- mität fand ich eine bedeutende Menge derselben, obgleich die Färbung der verschiedenen Nerven erwachsener Haare doch recht häufig ge- lingt) und werden zweitens von den Verzweigungen derselben Fasern versorgt, die die umliegende Haut innervieren. Die Zahl der an die Haare herantretenden Fasern ist sehr unbeständig und schwankt in sehr weiten Grenzen. Die verschiedenen Gebiete der behaarten Haut bieten so deutliche Verschiedenheiten der Innervation, dass ich es für nötig halte. die extremen Typen derselben, als deren Beispiele einerseits der Hand- rücken und andererseits die Unterschenkelhaut betrachtet werden können, gesondert abzuhandeln. Eigentümlicherweise kommt eine gelungene Nervenfärbung am Handrücken (trotz aller Vorsichtsmaassregeln) ganz besonders selten vor; doch sah ich mehrfach eine vollkommen gleichmässige Färbung intraepithelialer plattenfórmiger Varicositäten in recht grosser Aus- dehnung und kann daher mit voller Besimmtheit behaupten, dass auch hier alle Leisten und Papillen mit diesen Varicositäten versehen sind. Die Innervation der menschlichen Haut. 287 a Sie haben dieselbe Form und sind ebenso gross, wie an der unbe- haarten Haut. Ihr Zusammenhang mit den zugehörigen Fasern tritt hier seltener zu Tage, als z. B. an der Handfläche, doch halte ich es, auf Grund mehrfacher Beobachtungen, für zweifellos, dass es hier un- möglich ist, eine solche Regelmässigkeit in der Innervation zu ent- decken, wie an den Fingerkuppen (ebenso wie es schwer ist, drüsen- haltige Leisten von drüsenlosen zu untercheiden). Je niedriger die Leisten sind, desto weniger halten sich die Nervenverzweigungen an die Richtung derselben und desto mehr Zweige gehen nach allen Seiten zu den benachbarten Leisten ab.') Sehr auffallend ist hier die Ungleichmässigkeit der Meissner'schen Körperchen; neben kleinen mit einem Durchmesser von 20—30 u und noch weniger, trifft man sehr grosse (z. B. mit einem Durchmesser von 100 w und mehr) wobei die Nerven darin oft in einen äusserst lockeren Knäuel geballt sind. Häufig liegt die Axe des Meissner'schen Kórperchens der Hautoberfläche parallel. In der Nähe der Haare und teilweise auch der Schweissdrüsen ist sowohl die Zahl der intra- papillaren Knäuel als auch die der Meissnerschen Kórperchen grösser. Unterschenkel. Ich hatte keine Gelegenheit, hier eine so eleich- mässige Färbung intraepithelialer plattenfórmiger Varicositäten, wie auf dem Handrücken, zu sehen; noch schwerer simd solche Bilder zu erhalten, auf denen der Nerv mit allen seinen Verzweigungen gefürbt wäre; auch in den gelungensten Fällen erhält man gewöhnlich nicht die letzten Verzweigungen, sondern nur die tieferen nackten Ab- schnitte der Telodendrien. Solche Bilder sah ich in ziemlich grosser Anzahl; se z. B. auf einem Flächenschnitt von 6—7 qcm konnte ich (bei Durchsicht mit Zeiss Apochromat bei 8,0 mm Brennweite und Comp. Oc. 4, also bei einer Vergrösserung von 128 und Gesichtsfeld gegen 0,5 mm) ausser wenigen Stellen, von denen man aus ihrem Aussehen sofort schliessen musste, dass hier die Färbung gänzlich misslang, in jedem Gesichtsfelde einige davon sehen. Die Grösse der 7) Zur Erklärung dieser Thatsache ist anzunehmen, dass jeder reife Nerv eine ziemlich gleiche Anzahl Endverzweigungen und plattenförmiger Varicositäten giebt; je dicker das Epithel ist, desto kleinerer Hautstücke bedürfen sie, um Platz zu finden. 988 A. Leontowitsch, intraepithelialen plattenfórmigen Varicositäten ist hier gewöhnlich ge- ringer als an anderen früher beschriebenen Kórperstellen. Was die Verteilung der Nerven anbetrifft, so herrschen hier am Unterschenkel dieselben Regeln wie am Handrücken, jedoch sind die Schwankungen der Zahl der Nerven nach verschiedenen Abschnitten, die in verschiedener Entfernung von den Haaren und Schweissdrüsen- mündungen liegen, sehr bedeutend. Figur 35 (Taf. IX) kann als sehr gute Illustration dazu dienen. Hier bildete sich zwischen drei Schweissdrüsen eine ungeheuer grosse Papille von 390 4 Länge und 200 x Breite, die wie eine Mütze aus Epithel aussieht, das mit zahlreichen bald klein-, bald grossplatten- varicösen Verzweigungen von Nervenfasern versehen ist, während das benachbarte Epithel (ausser zwei links liegenden kleinen, aber tiefen Papillen) in recht weiter Ausdehnung fast gar keine Papillen und nur wenige Nervenendigungen zeigt. Compacte Nervenknäuel, d. h. Meissner’sche Körperchen, sind in den Papillen manchmal gar nicht, manchmal aber in bedeutender An- zahl vorhanden. So sah ich einmal am Unterschenkel gegen 20 solcher Körperchen auf einem Hautflächenschnitt von 90 qmm, also beinahe 1 qem; in diesem Falle waren sie teils sehr klein, teils war ihre Grósse die für die Meissner’schen Kórperchen normale. An den Beuge- falten und an papillenlosen Abschnitten sah ich gleichfalls Nerven, sie sind hier aber in geringerer Anzahl als àn den papillenhaltigen Teilen vorhanden. Am Fingerrücken liegen die Verhältnisse ebenso wie am Hand- rücken, nur sind da die Leisten hóher und die Nerven in grósserer Anzahl vorhanden. Der Fussrücken und die Vorderarmhaut stellen Uebergangsstufen dar, die sich je nach der Individualität bald dem Innervationsbild des Handrückens, bald dem des Unterschenkels nähern. Am Bilde, das die Haut des Oberarms und Oberschenkels bot, konnte ich keine Abweichung von dem, was am Unterschenkel beschrieben worden ist, entdecken. Die individuellen Eigentümlichkeiten, die schon an den unbe- haarten Teilen existieren, sind an den behaarten besser ausgeprägt. Sie bestehen in folgendem: 1. Trotz der vollständig gelungenen Die Innervation der menschlichen Haut. 289: Färbung fehlen die Meissnerschen Körperchen zuweilen ganz; ich erkläre das durch ihren Uebergang in eine latente Form, bei der die Nerven keine compacten „Körper“, sondern lockere ausgedehnte Ver- zweigungen im Epithel, oder unter demselben in Verbindung mit Epithel- zellen, bilden. 2. Die Ungleichmässigkeit der Papillen und folglich auch die Buntheit der Innervation ist bald mehr, bald weniger aus- geprägt; bei manchen Personen ist sie gar nicht vorhanden. 3. So- wohl in den Papillen als auch ausserhalb derselben zeigen die Nerven bald grössere, bald geringere Neigung zur Bildung gewundener .krauser*^ Endigungen. Was die markhaltigen Nerven mit Remak'schen Zellen an ihren Endverzweigungen anbetrifft, so nehmen sie nicht ausschliesslich oder auch nur vorzugsweise einen bestimmten Hautabschnitt ein, sondern verzweigen sich — ihrer Rolle der Organe der physiologischen Nerven- Tegeneration gemäss — zusammen mit verschiedenen anderen Nerven- abarten. Es geht also nicht an, sie als besondere Nervenart auf- zufassen. Einen Bau der Endapparate, wie ihn Goldscheider beschreibt, giebt es überhaupt nicht. Man sieht also aus den Práparaten ganz deutlich, dass die ganze Haut der Extremitáten gleich innerviert ist und dass Unterschiede nur in der relativen Zahl der Nerven und in der Grösse des von ihnen versorgten Gebietes zu finden sind. Während manche Nerven, die in einem grösseren Meissner'schen Kórperchen enden, an dasselbe in Bündeln zu je 3—4 herantreten und ein einige Dutzend u grosses Gebiet versorgen, verzweigen sich andere Nerven in einigen, zuweilen auf einer Strecke von 0,5—1,0 zerstreuten, kleineren Meissner'schen Kórperchen, manche Nerven wiederum enden teilweise in Meissner'schen Kórperchen und teilweise in den gewöhnlichen gross- oder kleinplatten- förmigen Verzweigungen; es giebt auch solche Nerven, die ihre keinerlei Kórperchen besitzende Endigungen auf verschiedene Entfernungen — ich verfolgte sie manchmal auf einer Strecke von 1,5 mm — bald in die Papillen, bald in die Leisten, bald in die beiden Gebilde entsenden. Jeder Hautabschnitt wird jedoch keineswegs nur von einem einzelnen - Stàmmchen innerviert; immer durchflechten Verzweigungen jedes Nerven Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 19 290 A. Leontowitsch, auf bizarrste Weise die Verzweigungsgebiete der benachbarten Nerven und schaffen damit einen Bau, dessen Sinn ich später erläutern werde. Ich war mehrfach bemüht festzustellen, ob die Nerven nicht der langen Extremitätenaxe entlang verlaufen, das gelang mir aber nicht, dagegen ist es manchmal auch hier zu constatieren, dass sie — wenn auch nicht ganz genau — in der Richtung der epithelialen Leisten verlaufen. | Die Erfahrungen, die ich in betreff der Innervation der mensch- lichen Haut gesammelt habe, geben mir das Recht, die bei verschie- denen Färbungsverfahren erhaltenen Bilder in Combination zu bringen und die Frage, wie dicht die Nerven in der Wirklichkeit liegen, zu erórtern. Präparate mit vollständig gleichmässiger Nervenfärbung, an denen jeder sehen könnte, dass alle Papillen und Leisten in Bezug auf Inner- vation gleichbedeutend sind und nur quantitative Unterschiede bieten, erhielt ich nur in der unbehaarten Haut, am Handrücken und etwas unvollkommener am Fussrücken. An den anderen Teilen enthalten meine am besten gelungenen Präparate eine solche Anzahl mark- haltiger Teile der Nerven, dass alle ihre Verzweigungen, die man bei vollständiger Färbung der Telodendrien sehen könnte, thatsäch- lich zu einer Versorgung der ganzen Malpighi'schen Schicht mit einem dichten Filz mehr als ausreichend wären. Die „Merkel’schen“ Deformationen sind, auch in der ganzen Haut, sowohl in den Leisten als in dem den Papillenüberzug und die Haar- scheide bildenden Epithel, verbreitet. Wenn wir daher annehmen, dass sie thatsächlich mit den Nerven eng verbunden sind, so muss man sagen, dass das eben erwähnte Innervationsprincip der nicht behaarten Teile auch in Bezug auf die behaarten vollständig an- wendbar ist; der Unterschied ist nur quantitativer Natur. Auch an den Stellen, wo Papillen fehlen, sind sowohl Nerven (in ge- ringerer Anzahl) als Merkel’sche Zellen vorhanden. Wenn man mich daher — nach der Zusammenstellung aller dieser Thatsachen — fragen würde, ob ich nicht jenes Stückchen mit den intraepithelialen klein- plattenförmigen Nerven, das auf Figur 28 abgebildet ist, als für die Die Innervation der menschlichen Haut. 291 Leisteninnervation typisch ansehe, und ob die Nerven in den Epithel- gewolben über den Papillen nicht ebenso dicht liegen, so könnte ich mich nicht dazu entschliessen, diese Frage zu verneinen. Ich kann jeden Abschnitt unserer Haut mit dem mehr oder minder mächtigen „Eimer’schen Organ“ oder dem Rüssel des Schweines vergleichen und die ganze menschliche Haut kann, meiner Ansicht nach, als eine echte nervöse Membran angesehen werden. Es wird nach dem Gesagten begreiflich, warum bei normalen Personen jedes einzelne Hautstückchen empfindlich ist. 132 VI. Erklärung der Abbildungen. Das unten erwähnte Semi-Apochromat 2,5 ist ein Immersions-Apoehromat (Reichert). Stets wurden mehrmalige Injectionen angewandt. Die Epithelleisten sind an den Flächenpräparaten um so dunkler dargestellt, je hóher sie sind. Die helleren Abschnitte entsprechen den Papillen des Coriums. Tafel VI. Fig. 1. Remak'sche Fasern des II. Typus. Vorderseite des Unterschenkels (Mitte). a Langerhans'sche Zelle; d Verbindungszelle zwischen der letzteren und den dickeren Nervenstimmchen; die übrigen d enden frei, weil die ihnen entsprechenden Langerhans'schen Zellen ungefárbt blieben; e ein dickes hemak'sches Stämmchen, das am Präparat (weiter, als die Zeichnung reicht) gerade und vielfaserig wird. Eine Segmentation desselben ist durch die schwach ausgesprochene, ungleiche Fürbung angedeutet; das Remak’sche Netz dehnt sich noch weit über die Grenzen des hier ab- gebildeten aus. Die Länge der Zelle « beträgt 70 w. Fixiert durch die Mischung: 10?/, Ammon. molybd. — 15,0, 1% Pr Cl, — 2,0, 1% Au Cl, — 0,5. Aquae 17,0. Oxydation durch reinen Sauerstoff. Semi-Apochromat Reichert 2,5. Compens. Oc. 4. Vergrösserung 300. Fig. 2. Fingerkuppe. Nur das Str. granulosum und das Str. germinativum ist abgebildet. ) Remak’sche Zelle an der Grenze des Epithels; ihre Fort- sätze dringen in das Epithel ein und treten so nahe an die intraepitheliale Zelle « heran, dass man den Eindruck einer Verbindung derselben ge- winnt; € eine ebenfalls intraepitheliale Remak'sche Zelle. Die Fortsätze einer jeden von ihnen liegen in verschiedenen Ebenen und treten nur bei verschiedener Einstellung der Mikrometerschraube deutlich hervor; d ge- färbte Epithelzellen. Die Grösse des Kernes in « 13ux5 pw. Fixiert nach Bethe (109/, Amm. mol. und 2°}, Ac. chrom.) aber ohne A, 0, und ohne Nachfärbung. Schräge Querscheibe. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrösserung 150. Die Fortsätze erstrecken sich über 52 u. Fig. 3. Mitte des Unterschenkels. Querschnitt durch das Präparat der Langer- hans'schen Zellen. Str. corn. propr. fiel ab und ist nicht abgebildet. a Langerhans’sche Zelle; c subepitheliale Faser; b eine ebensolche Faser, wie es scheint, mit Fortsátzen ins Epithel, wenngleich die Verbindung der Fasern mit den Zellen durchschnitten ist. Bearbeitung wie in der Figur 2. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. Vergrösserung 150. Fig. 5. Fig. 6. Fig. 7. Fig. 8. Fig. 9. Fig. 10. Fig. 11. Fig. 12. A. Leontowitsch, Die Innervation der meuschlichen Haut. 293 Fingerrücken. Eine von Remak’schen Fasern in der Papille gebildete Windung. «a Grenze des Str. lucid.; b Grenze der Malpighi’schen Schicht. Breite der Papille 70 w, Höhe 40 u. Nachfárbung. Fixiert nach Ploschko. Apochr. Ob. 8,0. Comp. Oc. 4. Vergrösserung 128. Handrücken. Remak’sche Windung in der Papille in der Windungsebene. a dickes Remak'sches Stämmchen. Breite der Papille 50 u. Bearbeitet wie bei Figur 2. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrösserung 150. Rücken der III. Zehenphalanx; 0,5 mm dicke, etwas schräg gegen die Oberfläche mit einem Doppelmesser ausgeschnittene Scheibe. Nur das Str. granul. und germin. sind abgebildet. 4 intraepitheliale Remak'sche Zelle, c 3 Zellen an der Epithelgrenze; subepitheliale Zelle; d ein dickerer Remak’scher Nerv mit faserigem Protoplasma. Nachfärbung. Fixation wie bei Figur 7. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Mitte der Sohle (aus einem Flächenpräparat); ein für diese Stelle typisches subepitheliales Geflecht; wie ich mich an Querschnitten überzeugen konnte, liegt nur ein geringer Teil der Nerven im Epithel. Die Entfernung der Schweissdrüsen (44) von einander beträgt 260 u. Breite des abgebildeten Abschnittes 60 uw. Fixiert mit 10?/, Amm. mol. + ac. picronitr. (wässerige Lösung). S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrösserung 150. Fussrücken. Hauptsächlich mittleres Netz der Remak'schen Nerven. b einzelne (schematisch) Langerhans'sche Zellen. Länge der abgebildeten Stelle 260 u, Breite 200 w. Bearbeitung wie bei Figur 7. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrósserung 150. Eine Stelle aus der Mitte des Unterschenkels mit vorherrschender Lángs- richtung (parallel der Axe der Extremität und dem langen Rand der Zeichnung) der Leisten. «4 dickeres Remak’sches Stámmchen (aus dem mittleren Netz) mit einem Teil seines Verzweigungsgebietes. Alles übrige Subepithelialgeflecht (mit geringer Anzahl intraépithelialer Zellen). Breite der unteren Leiste 36,5 w und 24 w (nach der Biegung nach oben). ‚Grösse der Kerne 14 u, 3, 6,7 u. Bearbeitung wie in Figur 7. Länge 260 u, Breite 180 u. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrösserung 150. Tafel VII. Fussrücken. Ganglienzelle am Stämmchen eines mittleren Remak’schen Geflechts (I. Art) Grösse 40x18 u. « Nervenkerne. Nachfärbung. Bearbeitung wie in Figur 7. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vergrösse- rung 150. Fingerkuppe. Langerhans'sche Zellen an einem der Hautoberfläche paral- lelen Schnitte. Hie und da ,Merkel'sche. Zellen“. Ihr Verbreitungsgebiet beträgt 45 u. Fixation mit 10°, Amm. mol. + !/,9/, Na, Pd Cl, aa. Nachfärbung mit Alaun-Cochenille. Reines O. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 4. Vergrósserung 900. Handfläche an der I. Phalanx. Eine Stelle mit unregelmässigem Verlauf der Leisten. Die drüsenhaltige Leiste entspricht der Richtung des Nervs «. Der markhaltige Nerv « endet nach Verlust des Marks mit Tastmenisken 294 Fig. 13. Fig. 14. Fig. 15. A. Leontowitsch, resp. grossen Plattenvaricositäten in den unteren Teilen der Malpighi'schen Schicht. Länge des Verzweigungsgebietes des Nervs 560 x, Breite 240 u. Reines O. Fixation mit 10°/ Amm. mol.-|-2?/, Ac. chrom. aa. Ver- grósserung Hartnack Ob. 5, Oc. 3. Fingerkuppe. Querschnitt (etwas schräg, mit Doppelmesser) Unterer Teil der Malpighi'schen Schicht. Der markhaltige Nerv zerfällt im Str. papill. in kurze marklose Aestchen, die in den unteren Teilen des Str. Malpighii in ,Menisci^ resp. grosse Plattenvaricositäten zerfallen. Oxy- dation durch reines O. Fixiert mit 109/, Natr. phosph. mol., 10°/, ge- süttigte wässerige Lösung von Ac. picron. aa 20,0 + 2,0 (d. h. 5°/) For- malin. Ob. Apochr. 8,0. Comp. Oc. 4. Vergrösserung 128. Flächenpräparat aus der Fingerkuppe (aus einer ganzen Serie) Die Formen einzelner Meniske resp. grossen Plattenvaricositäten, die zwischen den Zellen der unteren Teile des Str. Malpighii liegen. @ einem mark- haltigen Stämmchen entspringender markloser varicóser Nerv; b, b,, c und €, vier der zahlreichen, mit diesem Nerven verbundenen Varicositäten, deren einzelne Abschnitte in verschiedenen Ebenen liegen; b und è, en face und c und c, von der Seite; b und D, sind 12 >< 12 u gross, c und c, gegen 8 w hoch. Oxydation durch reinen Sauerstoff. Fixiert mit einer Mischung von 10°, Amm. mol. und '/,?/, Na, Pd Ci, aa. Vergrösserung Apochr. Hartnack 1,33 mm. Comp. Oc. 2 (gegen 400). Vorderseite des Unterschenkels (Mitte). Wenig ausgeprägte Epithelleisten. Der markhaltige Nerv @ (die dunklen Stellen sind Ranvier'sche Schnü- rungen) zerfällt in Endigungen, in denen Meniske teils (wie bei d und c) zu erkennen sind, teils (bei b) nicht; e wenig tiefe Papille. Länge seines Verbreitungsgebietes 320 w. Oxydation durch reines O. Fixiert mit Amm. mol. (5°/,) + Ac. picron. (mit gleicher Wassermenge verdünnte ge- sättigte Lösung). Apochr. 8 mm. Comp. Oc. 4. Vergrösserung 128. Vorderseite des Unterschenkels (unterhalb der Patella). Das Epithel enthält Pigmentkórner in bedeutender Anzahl. Der markhaltige Nerv III. Typus a (mit gefärbten Zwischenscheiben und dunklen Ranvier'schen Schnürungen) zerfällt in eine grosse Anzahl nackter Fasern, die ovale Kerne mit violettem Farbenton enthalten; in der Nähe der Peripherie (bei è) werden diese Kerne rundlich. In den nackten Abschnitten zerfällt der Nerv an vielen Stellen in eine Menge paralleler Fäserchen, deren Bündel bei c einen rundlichen Kern einschliessen. Dieselbe violette Nüance haben die Kerne der Schwann'schen Scheide (wenn sie überhaupt gefürbt sind) ausserhalb der Grenzen des abgebildeten Abschnittes. Die Länge des Verzweigungs- gebietes dieses Nerven beträgt 500 u. Bearbeitung wie bei Fieuny 1. Apochr. 8 mm. Comp. Oc. 3. Vergrösserung 96. Oberer Teil des Unterschenkels. Zweig einer dicken, markhaltigen Faser I. Typus, die ausserhalb des abgebildeten Abschnittes liegt. / Kern der Schwannschen Scheide; bei e scheint das Mark zu verschwinden; die nackten Nerventeile enthalten kórnige (c und e) Verdickungen, die in Bezirke mit plattenfórmigen grossen Plattenvaricositáten übergehen; dieselben liegen unmittelbar unter den untersten Zellen des Str. Malpighii und sind bei Fig. 18. Fig. 19. Fig. 20. Fig. 21. Fig. 22. Fig. 23. Die Innervation der menschlichen Haut. 205 «t 52«2 n, bei b 5,2><3 u gross. Die Entfernung von 5 bis h beträgt 300 p. Bearbeitung wie bei Figur 1. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 4. Ver- grösserung 300. Vergl. Fig. 31. Ein von subepithelialen Remak'schen Nerven (I. Art) gebildetes echtes Netz. Comp. Oc. 4. Apochr. 8,0. Aus dem Vorderarm. Bearbeitung mit Amm. molybd. (10°/,) + Chromsäure (nach Bethe). Die Verdickungen auf den Knoten des Netzes sind Kerne. 39 u lange und (in der breitesten Stelle) 15 » breite Ganglienzelle an der Grenze des Str. papill. und Str. reticul. Die Fortsätze a und b ver- schwinden im Str. papill.; 5 scheint eine Uebergangsform von markloser zur markhaltigen Faser (wie Taf. IX. Fig. 37). Der Centralfortsatz (Neurit ?) verläuft in der Tiefe der Haut und geht in einen markhaltigen Nerv über. c ein von den Fasern differencierter Kern des Nerven b. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Tafel VII. Circa 0,5 mm dickes Flächenpräparat aus der Mitte der Sohle (mein Doppelmesser). Von der ausserhalb des Gesichtsfeldes liegenden mark- haltigen Faser gehen, an einer drüsenhaltigen Leiste verlaufend, mark- haltige Zweige « ab, die bei b in nackte Fäserchen zerfallen, welche in den unteren Teilen der Malpighi’schen Schicht mit plattenförmigen Vari- cositäten (wie in Fig. 14) enden. Die nackten Fasern besitzen stellenweise Verdickungen (c, d) und sind überall körnig, wie in der Figur 18 bei v. Die Endvaricositäten sind gleichfalls kórnig; bei e bilden die Fortsátze der Fasern einen lockeren Knáuel, der an die Meissner'schen Kórperchen erinnert. f Schweissdrüse. Die Länge des Verzweigungsgebietes des Nerven, das zum Teil abgebildet ist, beträgt 0,5 mm. Grösse des abgebildeten Abschnittes 220 > 125 u. Bearbeitung wie bei Figur 1. S.-Apochr. 2.5. Comp. Oc. 2. Ein Teil der drüsenhaltigen Leiste. Vom dicken markhaltigen Nerven 4 geht an der Schnürung ein Fortsatz ab, der in ein Conglomerat von plattenfórmigen Erweiterungen zerfállt, die teils wie die von der Figur 17 aussehen, teils bei e etwas deformiert sind, teils bei d in intraepitheliale grosse Varicositáten (wie auf Fig. 14) übergehen. Das Conglomerat liegt nient in einer Ebene, so dass man darin eine Analogie mit der Bildung eines Endkórperchens sehen kann. Die übrigen Zweige dieses Nerven ee zerfallen in eine Menge ebensolcher Endigungen, die in analogen Ver- zweigungen benachbarter markhaltiger Nerven verschwinden. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Bearbeitung wie für Figur 1. Rücken der I. Fingerphalanx. Papille mit Nerven von der Seite. Schráger Schnitt mit dem Doppelmesser. Die Gewölbe a und b, die aus Ver- ástelungen der feinen markhaltigen Nerven der Cutis c entstehen, liegen in benachbarten Papillen derart, dass 4 dem Auge näher als b ist, welch letzteres durch eine Bindegewebeschicht durchschimmert. Bearbeitung wie Figur 1. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Rücken der L Fingerphalanx. Das Epithel liegt im Práparat nach oben, sodass die Nerven durch die Epidermis durchschimmern. 4 Mündung 296 Fig. 24. Fig. 25. Fig. 26. Fig. 27. Fig. 29. Fig. 30. A. Leontowitsch, der Schweissdrüse; 0 markhaltiger Nerv, der in den Papillen in nackte Fasern zerfällt, die teils kernhaltig, teils zerfasert sind. Ein Teil der Nerven geht bei @ in intraepitheliale, wie sagt man gewöhnlich, „freie“ Endigungen über, ein anderer Teil giebt Meniske (bei c). Fixiert nach Bethe. Apochr. 8 mm. Comp. Oc. 2. Aus einem Flächenpräparat des oberen Teils des Unterschenkels. Der markhaltige Nerv D giebt im Str. papill. in einer wenig tiefen Papille ein Endkórperchen (Krause'scher Kolben?) das in ein dunkeles kórniges, flaches Gebilde 4 übergeht, welches der plattenfórmigen Erweiterung der Figur 31 analog zu sein scheint. Seine Länge beträgt 14 x zusammen mit dem verdickten Teil, der mit dem Nerven in Verbindung steht, 27 u. Bearbeitung wie bei Figur 1. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 4. Vergrósse- rung 300. Kuppe der Zehen. 24 x dicker Paraffinschnitt. Meissner'sches Körperchen (II. Typus). Gelblicher „innerer Kolben“, « eine nach einem anderen Präparat abgebildete Merkel'sche Zelle. Fixiert mit einer Mischung aus 10%, Amm. mol. und Na, Pd Cl, aa. Gefärbt mit Alauncochenille. S.-Apochr. Comp. Oc. 2. Meissner'sches Körperchen (I. Typus) aus einem gleichen Präparat wie das vorige. Bei @ sieht man zwei, bei b eine „Merkel’sche Zelle“. Damit ist ihre Zahl nicht erschöpft, die meisten Zellen dieses Körperchens besitzen denselben Charakter, nur sind sie schlechter zu sehen und darum nicht abgebildet. c Beginn einer Bildung eines inneren Kolbens. Bearbeitung und Vergrösserung wie bei der Figur 25. Flächenpräparat aus der hinteren Seite des Unterschenkels unterhalb der Fossa poplitea. Kleinplattenfórmige Endigung eines markhaltigen Nerven im Epithel, 200 « von Haaren entfernt. Das Verzweigungsgebiet ist 700 x lang und 250 « breit. Abgebildet ist nur 150 x 100 v. Wegen der Dichtigkeit der Verzweigungen ist es unmöglich, zu bestimmen, wie- viel markhaltige Nerven diese Verzweigungen geben. Bearbeitung wie bei Figur 1. S.-Apochr. 2,5. Oc. 2. Flächenpräparat aus der Mitte des Unterschenkels. Das markhaltige Stàmmchen geht in Endkórperchen über. Innerhalb eines jeden ein Nervenkern (?). Verschiedene — Entwickelungsstadien Merkel’scher — Zellendeformationen (Schnitte). a, b, c, d, e, f nach Bearbeitung mit einer Mischung aus 10°/, Amm. mol. und '!/, Ac. osm. aa (nach Bethe) und Färbung mit Safranin; g, h, à ausgeprägte Formen dieser Zellen nach Bearbeitung mit 109/, Amm. mol und '/,9/, Na, Pd Cl, und Färbung mit Alaun- cochenille. Bei « ist innerhalb des Zellkörpers ein dunkler runder Con- tour zu sehen, der der Kernhülle entspricht; bei e entspricht ein Contour der Kernhülle, der andere der Protoplasmahülle oder dem verdichteten Teile des Protoplasmas. Vergr. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Aus demselben Präparat wie Figur 17. è Bündel aus vier markhaltigen Fasern, die Zweige eines Stämmchens sind und denselben Ursprung wie € haben; nur beschreibt c vorher einige grössere Windungen und tritt Fig. 31. - Fig. 82. Fig. 33. Fig. 34. Fig. 35. Die Innervation der menschlichen Haut. 207 dahef an den dicken Nerven unter rechtem Winkel heran. Alle enden sie im Str. papill. recht nahe vom Epithel: der dicke — in einem Körper- chen aus plattenförmigen Varicositäten, die feinen — in den varicösen Teilen d und rechte obere Zweige; a 7 w breite, 9 x lange, platten- formige Endigung eines der feinen Stümmchen; a, und a, ebensolche „Varicositäten“ ohne Zusammenhang mit den Nerven. Vergr. Apochr. 1,98 mm. Comp. Oc. 2. Aus der Kuppe einer Zehe. Ein eigenartiges, in Verbindung mit der Malpighi'schen Schicht stehendes Meissner'sches Körperchen (I. Typus), das sich meiner Meinung nach im Stadium der Abspaltung von dieser Schicht befindet. Fixiert mit 10°, Amm. mol. + !/,9/y Na, Pd Cl aa. 6 « dicker Paraffinschnitt. Nachfürbung mit Alauncochenille. Apochr. 1,93. Comp. Oc. 2. Fingerkuppe. Aus einer Serie der Hautoberfläche paralleler Schnitte. Meissner’sches Körperchen (Typus II) mit scharfer Bindegewebehülle. Die in dasselbe eintretenden Nerven geben teils gewöhnliche Varicositäten (z. B. d), teils sehen sie wie 4 >< 2 w grosse kernähnliche Gebilde aus, die sich sowohl mit Methylenblau, als mit Carmin fárben lassen (c). Zwischen den Zellen a, b und b sieht man helle Stellen (von den hier anliegenden Erweiterungen), derselben Natur wie bei c. Bearbeitung wie Figur 31. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 4. Tafel IX. Junges Haar (III. Stadium) aus einem dicken Hautflächenpräparat von der Mitte des Unterschenkels (Vorderseite). Die Talgdrüsen @ sind noch kaum entwickelt, ein Bündel markhaltiger Fáserchen 0 zerfällt in varicose, kernhaltige Nerven, die in den Nervenring übergehen, der aus verdickten Abschnitten ,nackter^ Nerventeile entsteht. Links liegen im Ringe zwei Kerne, die ihrem Aussehen nach Nervenkerne sein können. Unten links sind kleinplattenfórmige Varicositäten bemerkbar. Bearbeitung wie Figur 1. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Vorderseite des oberen Teil des Unterschenkels. Sehr grosse, von Ver- zweigungen markhaltiger Nerven ausgefüllte Papille zwischen drei Schweiss- drüsen. Um das richtige Bild derselben zu erhalten, hat man sich an der punktierten Linie eine Epithelplatte vorzustellen, und die Nerven innerhalb einer aus Epithel auf diese Weise entstandenen Mütze liegend zu denken. Um sie zu sehen, muss man bei der Einstellung des Mikro- skops eine Wand derselben passieren. Nervenendigungen meist in der Form von Menisken, was namentlich bei @ gut zu sehen ist; b kleinere, wenn auch tiefere Papillen, als die der Umgebung. Die grosse Papille ist 390 w lang, 200 « breit. Das Relief des Abgebildeten hat um die Papille die Configuration der Figur 16, es ist fast ganz eben, so dass die Papille durch die Hóhe seines Epithels scharf in die Augen springt. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Fláchenpráparat aus der Fingerkuppe. Die am meisten (in quantitativer Beziehung) gelungene Färbung der intraepithelialen Meniske resp. grossen Plattenvaricositäten an drüsenhaltiger Leiste. « Schweissdrüsen. Ent- 298 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 43. DIRO 39. 40. . 41. A. Leontowitsch, fernung zwischen denselben 360 «. Fixiert mit Mischung gleicher Teile 10?/, Amm. mol. (in halbgesättigter Lösung von Ac. picronitr.) und 2% Ac. chrom. Apochr. 8 mm. Comp. Oc. 4. Rücken erster Fingerphalanx. Querschnitt durch die Haut. Charakte- ristische Remak'sche Innervation des Haares etwa IV. Stadium (4, @,, 4,,), a,, nach einem anderen Präparat. Die wenigen Haare, die ich von dieser Amputation erhielt, besassen alle die gleiche Anomalie: doppelter (über einander gelegen) Nervenring, von den Verzweigungen der markhaltigen Nerven b und b, gebildet, und zwei (gleichfalls über einander gelegene) Talgdrüsenseiten c und c, an einer Seite des Haares. Fixation wie bei Figur 35. Apochr. 8 mm. Comp. Oc. 2. Der Kreisdurchmesser beträgt 700 u. Apertur 8,0. Comp. Oc. 4. Aus der Mitte der Vorderseite des Unterschenkels. Das Bild (bei schwacher Vergrósserung) eines Netzes aus den typischeren Uebergangsformen zwischen den Remak'schen und markhaltigen Nerven (IV. Typus der markhaltigen). Die Varicositäten sind stark schematisiert. Dreimalige Injection. Sauer- stoffoxydation. Meine Flüssigkeit 3. Canadabalsam. Ein Abschnitt desselben Netzes mit 3 Kernen. Apochr. 2,». Comp. Oc. 2. Zeichenapparat nach Abbé. Das Fäserchen b und dessen Fortsetzung liegt nur oberhalb des Kernes 4, ohne mit demselben verbunden zu sein. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Links gewöhnliche subepitheliale, rechts etwas tiefer liegende Zellen. Dieselbe Vergrösserung wie Fig. 39. Zeichen- apparat nach Abbé. Tafel X. Ein Teil des vorhin abgebildeten Netzes bei starker Vergrösserung. Zeichenapparat nach Abbe. Netzabschnitte, die aus verschiedenen vari- cösen und glatten Nervenfäserchen bestehen und hie und da den Nerven entlang Kerne enthalten. Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Ganglienzelle a der Fig. 38 bei Vergr. S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc. 2. Länge des Kerns 51 u, Breite 8 uw. Zeichenapparat nach Abbe. Tafel X1. I. Stadium des sich nach dem embryonalen Typus entwickelnden Haares. Haarschaft noch nicht sichtbar. Markhaltige Nerven fast ohne Ent- wickelung von Plattenvaricositáten. Längs dieser Nerven gefärbte Kerne (Nervenkerne!) S.-Apochr. 2,5. Comp. Oc 2. d Krone aus Pigment- epithel, die dem Anfang des Haartrichters entspricht. Hie und da bei « und e eine auf der Zeichnung schwer wiederzugebende Spaltung der Nerven in parallel verlaufende Fasern, die sich nachher wieder zu einem Stämmchen vereinigen. Oxydation mit reinem Sauerstoff. Bearbeitung wie bei Figur 1. Ebensolche Haaranlage eines und desselben „Haares“. I stellt den dem Objectiv näher liegenden, II den unten liegenden Teil derselben dar. Um die vollständige Innervation zu erhalten, muss man I über II legen; Fig. 45. Die Innervation der menschlichen Haut. 299 a Anfang der Ausstülpung der Epithelschicht der Haut bei Einstellung auf den obersten Punkt derselben; b Pigmentkrone um ein glänzendes Centrum, der Abschnitt, aus dem der Haarschaft wachsen wird. Bearbei- tung wie bei Figur 1, II. Stadium der Haarentwickelung. Haarschaft bereits sichtbar. Talg- drüsen bei keiner Verdunkelung des Gesichtsfeldes sichtbar. Der mark- haltige Nerv e zerfällt in Zweige; ein Teil derselben geht zur Haut (zu b) und besitzt an einigen Zweigen ovale Kerne, der andere Teil geht zum Haare. Hier wurde auch ein Teil der Epithelzellen der Anlage gefärbt. Links von e kleiner Haarschaft, rechts ein abgeschnittenes Stück eines anderen Haares. Die Leisten sind um so deutlicher, je näher zu den Haaren. Apochr. 8. Comp. Oc. 2. Das älteste von den von mir gesehenen Kolbenhaare (,V. Stadium“). Die kleinplattenvaricösen Nerven befinden sich unter einer Talgdrüse (4) und nehmen hier einen bedeutenden Raum ein. Hie und da liegen Zellen. 6 arrector pili. Bearbeitung wie bei Figur 35. os Litteratur. Adamkiewicz, Ueber die Nervenkörperchen des Menschen. Sitzungsber. der Wiener Acad. Wien 1888. Bd. XCVII. Mit 3 Taf. . Alrutz Sydney, Bidrag till Kännedomen om hudens Kall- och warm- punkter. Upsala läkarefören. fórhandl. N.S. II. 4. S. 246. 1897. Referiert in: Fortschr. der Medicin. 1897. Bd. XV. No. 16. 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Ramón y Cajal, Die Seitendornen der Hirnzellen nach Methylenblaufárbung. Rev. trimest. micrografica. 1896. Vol. I. Fasc. 2, 3. Zeitschr.f. wissensch. Mikroskopie.. Bd. XIV. Nr. 1. 20 * a 164. 165. 169. 170. 172. A. Leontowitsch, . Ranvier, Traité technique d'histologie. II. edition. Paris 1889. . — Ueber die Tastorgane. Gazette med. de Paris. 1881. Nr. 2. p. 20. . — De la terminaisons des nerfs dans les corpuscules du tact. Compt.- Rend. T. LXXXV. Nr. 22. p. 1020 - 1023. . — De la regeneration des nerfs de l'epithélium anterieur de la cornée et de la théorie du développement continu du systéme nerveux. Compt.-Rend. T. LXXXVIII. p. 979—981. — Recherches experimentales sur la signification physiologique du plexus nerveux terminal de la cornée. Compt.-Rend. T. LXXXVIII p. 1087 bis 1089. ; — Nouvelles recherches sur les organes du tact. Compt.-Rend. T. XCI. Nr. 26. p. 1087—1089. . — Des premiérs modifications des nerfs dans les plaies simples de la cornée. Compt.-Rend. Acad. Sciences. Paris. T. CXXV. Nr. 24. p. 1004— 1008. . — On the terminations of nerves in the Epidermis. Quarterly Journal of microscop science. Vol. XX. p. 456—458. 1 Tav. . Remak, Observationes anatomicae et microscopicae de systematis nervosi structura. Berlin 1838. Müllers Archiv. 1844. Monatsber. d. Berl. Acad. 1853, 12. Mai. Retzius, Ueber die neuen Principien in der Lehre von der Einrichtung des sensiblen Nervensystems. Stockholm 1892. Biol. Unters. N. F. Bd. IV. — Die peripherische Endigungsweise des Gehórnerven. Verhandl. der VII. Versamml. d. deutsch. anatom. Gesellsch. Discussion: Waldeyer, Claus, v. Kólliker, Merkel, Retzius, His sen., Merkel, v. Ebner. S. 79— 82. — Ueber die sensiblen Nervenendigungen in dem Epithel bei den Haaren. Stockholm 1892. N. F. Bd. IV. — Ueber die Endigungsweise der Nerven an den Haaren des Menschen. Biol. Untersuch. N. F. Bd. IV u. VI. . — Einige Beiträge zur Kenntnis der intraepithelialen Endigungsweise der Nervenfasern. Biol. Untersuch. 1894. N. F. Bd. VI. — Die Pacini’schen Körperchen in Golgi’scher Färbung. Biol. Unters. N. F. Bd. VI. . Ribbert, Beiträge zur Anatomie der Hautdecke bei Säugetieren. Arch. f. Naturgeschichte. 44. Jahrg. S. 321—349. Mit 1 Taf. . Rollet, Beitráge zur Physiologie des Geruchs, des Geschmacks, der Haut- sinne etc. Pflügers Archiv. Bd. LXXIV. H. 9/10. S. 446. . Rossi, Sur la distribution des nerfs dans la follicule des poils tactils à l'ap- pareil vasculaire erectil chez les boeufs. Arch. ital. de biologie. T. IV. F. 3. p. 280—282. . Ruffini, Sur un nouvel organe nerveux terminal et sur la présence des corpuscules Golgi-Mazzoni dans le conjunctiv souscoutané de la pulpe des doigts de l'homme. Arch. itab. de Biol. T. XXI. Tsc. 2. p. 249—265. . — Sur la présence des nerfs dans les papilles vasculaires de la peau de l'homme. ‘Arch. ital de biologie. T. XVIII. F. 8. p. 495—438. (Vor- läufige Mitteilung.) 180. 181. 182. 183. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. . 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. Die Innervation der menschlichen Haut. 309 Ruffini, Sulla presenza di nuove forme di terminazioni nervose nello strato papillare, e subpapillare della cute dell'uomo. Siena 1898. Schóbl, Die Flughaut der Fledermäuse. Arch. f. mikr. Anat. 1870. Bd. VII. — Das äussere Ohr der Mäuse als Tastorgan. Arch. f. mikr. Anat. 1870. Bd. VII. — Das äussere Ohr des Igels als Tastorgan. Arch. f. mikr. Anat. 1872. Bd. VIII. — Die angeblichen Terminalkórperchen an den Haaren einiger Sáugetiere. Arch. f. mikr. Anat. 1872. Bd. VIII. — Ueber die Nervenendigung au den Tasthaaren der Sáugetiere sowie über die feinere Structur derselben. Arch. f. mikr. Anat. Bd. IX. Max Schultze, Allgemeines über die Structurelemente des Nervensystems. Strickers Lehre von den Geweben. 1870—1871. S. 108. Schwalbe, Tastorgane und Nervenendigung in der Haut. 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X. H. 6. S. 241 bis 251. — Ueber die Nerven der Sehnen bei Rana temporaria, Rana esculenta und Bufo vulgaris. 112. Beilage zu Protokoli kazan. Obsch. estestwoispit. 1889. S. 1—6. Sokolow, Ueber die Entwickelung peripherer Nerven bei Neugeborenen. Wratsch 1890. Nr. 17. (Russisch.) Stieda, Die angeblichen Terminalkérperchen an den Haaren einiger Säuge- tiere. Arch. f. mikr. Anat. 1872. Bd. VIII. — Zur Kritik der Untersuchungen Schöbls über die Haare. Arch. f. mikr. Anat. Bd. IX. Stöhr, Lehrbuch der Histologie. 1898. VIII. Aufl. Szymonowicz, Ueber den Bau und die Entwickelung der Nervenendigungen im Entenschnabel. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XLVIII. Heft 2. S. 329—258. — Beiträge zur Kenntnis der Nervenendigungen in Hautgebilden. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XLV. Heft 4. Timofeew, Ueber eine besondere Art von eingekapselten Nervenendigungen in den männlichen Geschlechtsorganen der Wirbeltiere. S.44—49. Mit 5 Abb. | A. Leontowitsch, Die Innervation der menschlichen Haut. . Timofeew, Ueber Nervenendigungen in den männlichen Geschlechtsorganen , 8 des Menschen und der Tiere. Kasan 1896. (Russisch.) . Thin, Ueber den Bau der Tastkörperchen. Sitzungsber. der Wiener Acad. 1873. Bd. LXVII. . Tomsa, Zur Kenntnis der Nervenenden in der Haut der menschlichen Hand. Wiener med. Wochenschr. 1865. No. 53. ). Tucket, J. L., On the structure and degeneration of non medullated nerve tissues. Journ. of physiol. XIX. No. 4. p. 267—311. Mit 4 Taf. . Unna, Die Nervenendigungen in der menschlichen Haut. Monatshefte f. prakt. Dermatol. Bd. I. Nr. 8. S. 225—235. — Die Fortschritte der Hautanatomie in den letzten 5 Jahren. 1. Die Archi- tectur der Oberhaut und des Papillarkórpers. Monatsschr. f. prakt. Dermatol. 1888. . — — 4. Der Nagel. Monatshefte f. prakt. Dermatol. Bd. VIII. Nr. 2. S. 79—92 u Nr. 3. S. 129—134. — — Monatshefte f. prakt. Dermatol. 1888 r. Nr. 8, 16, 17, 18, 19, 21, 22. . — Die Nerven der Haut. Monatshefte f. prakt. Dermatol. Bd. VIII. Nr. 5. S. 210—224. . Wagner, Müllers Archiv. 1852. . Waldeyer, Ueber die Endigungsweise der sensiblen Nerven. (Nach Unter- suchungen von Izqnierdo mitgeteilt.) Arch. f. mikr. Anatomie. Bd. XVII. S. 367—382. . Weliki, Ueber Nervenendigungen in den Haarscheiden der Sáugetiere. Pro- tokolli S. Peterburg. Obschestwa estestwoispitatelej. 1872. Bd. III. . Wolff, Die Nerven der Cornea. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XX. S. 373—376. — Ueber freie sensible Nervenendigungen. Arch. f. mikr. Anat. S. 377—981. Mit 5 Fig. . W. Wolff, Die Tastkórperchen. Monatshefte f. prakt. Dermatol. Bd.II. Nr. 1. S. 9—14 u Nr. 2. S. 51—58. Mit 1 Taf. . Valentin, Hirn- und Nervenlehre. Leipzig 1841. . — Müllers Archiv. 1839. S. 189. 1840. S. 218. . Vollmer, Nerven und Nervenendigungen in spitzen Condylomen. Arch. f. Dermatol. u. Syphilis. Bd. XXX. H. 3. S. 363—380. Mit 3 Taf. Referate. Von W. Krause. Kölliker, A. von, Kurzer Bericht über den anatomischen Congress zu Pavia. 1900. 8. Würzburg. A. Stuber. 29 S. Mit 6 Fig. Der Verfasser hat sich der grossen und sehr dankenswerten Mühe unterzogen, einen summarischen Bericht über die wissenschaftlichen Leistungen des Anatomen- congresses, der diesmal zu Pavia abgehalten wurde, zu veröffentlichen. Dieser Bericht wurde sehr bald nach dem Schlusse des Congresses, lange vor dem Er- schemen des officiellen Berichtes über den letzteren ausgegeben. Zugleich sind die wichtigsten Nova durch Holzschnitte erläutert, wodurch das Verständnis natur- gemäss in hohem Grade erleichtert wird. Entsprechend dem Orte, wo der Congress versammelt war, wurden sehr viele Vorträge italienisch gehalten und auch diese sind vom Verfasser in deutscher Sprache ausführlich berücksichtigt. Auf die Einzel- heiten einzugehen, ist hier nicht mehr nótig, weil unterdessen, wie gesagt, der ausführliche Bericht erschienen ist; es kann diese Aufgabe wohl den Jahres- berichten überlassen bleiben. Ref. hebt nur die Abbildung (S. 12. Fig. 5, nach Marenghi) der schönen sternfórmigen Zellen in der sog. Zwischenkórnerschicht der Retina von Sáugern hervor, die einer Membrana fenestrata entsprechen, aber seit M. Schultze von fast allen Beobachtern für eine feingranulierte Masse erklärt worden sind. Stieda, L., Grundriss der Anatomie des Menschen. 4. mit Berück- sichtigung der neuen anatomischen Nomenclatur bearbeitete Auf- lage des Grundrisses der Anatomie von A. Pansch. 1900. 8. Hannover. A. Jänecke. IX u. 573 S. Mit 10 Taf. u. 446 Holzschn. Man findet hier und da ein anatomisches Buch, auf dessen Titel zwar die neue anatomische Nomenclatur als Aushängeschild figuriert, dessen Inhalt aber dieser Ankündigung durchaus nicht durchgehends entspricht. In diesem Falle ist es anders und der Verf. wird durch diese vierte Auflage ohne Zweifel zur Ver- breitung der Baseler anatomischen Nomenclatur sehr wesentlich beitragen. Vermehrt ist das vorliegende Werk zunächst um 47 Abbildungen, von welchen einige Originalpräparate darstellen, andere dem anatomischen Atlas von Spalte- holz entnommen sind. Wie der Verf. bemerkt, ist das Buch dazu bestimmt, die 312 ì W. Krause, Referate. Jünger der Medicin mit den Anfangsgründen der descriptiven und topographischen Anatomie in wissenschaftlicher Weise bekannt zu machen. Histologische und embryologische Thatsachen wurden nur soweit herbeigezogen, als sie zum Ver- ständnis einzelner Organe und Regionen notwendig waren. In dieser neuen Form wird der Grundriss, zumal er neben jedem anatomischen Atlas gebraucht werden kann, ohne Zweifel weitere Verbreitung in den medicinischen Kreisen finden. C. Toldt, Anatomischer Atlas für Studierende und Aerzte unter Mit- wirkung von A. Dalla Rosa. Gr.-Octav. 1900. Wien u. Leipzig. Urban & Schwarzenberg. IX. Lief. Hirnnerven, sympathisches Nervensystem. Sinneswerkzeuge. VI u. S. 113—250. Mit Fig. 169—378 u. Register. — 8 Mk. Mit dieser Schlusslieferung ist das Werk endlich abgeschlossen, die früheren Lieferungen sind bereits früher ausführlich besprochen (vergl. diese Monatsschr. 1899. Bd. XVI. Heft 10. S. 268). In der Vorrede hebt der Verf. die Vorzüge des Holzschnittes hervor und diese wird jeder anerkennen, insofern die Ausführung in künstlerischer Weise möglich und auf den Preis nicht viel Rücksicht zu nehmen ist, welche beiden Bedingungen leider nicht immer zutreffen. Die Darstellungen des peripheren und insbesondere des sympathischen Nervensystems sind eine Zierde des Werkes; auch auf die Sinnesorgane ist sehr viel Sorgfalt verwendet. Das aus- führliche Register ist von Dr. A. Toldt bearbeitet. Sonach kann man zur end- lichen Vollendung des seit 1895 erscheinenden Werkes nur alles Glück wünschen; übrigens sind die ersten sieben Lieferungen jetzt bereits in zweiter Auflage er- schienen. Der Gesamtpreis beträgt jetzt 55 Mk. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig, (Istituto di Anatomia umana normale di Modena.) Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. Per il Prof. Giuseppe Sperino, : Direttore dell'Istituto di Anatomia umana normale della R. Università di Modena. (Con Tav. XII—XIV.) . « . desidero che le mie ossa abbiano riposo nell' Istituto anatomico, dove ho passato i più bei anni della mia gioventu ed al quale ho consacrato tutte le mie forze . . . desidererei ancora che il mio cervello venisse conservato col mio processo e posto nel Museo insieme cogli altri. (Dal testamento del Prof. Carlo Giacomini in data 22 giugno 1898.) Queste, le testuali parole colle quali lillustre e compianto mio Maestro esprimeva le sue ultime volontà. Quanta nobiltà di sentimento, quanto amore di verità, quanta filosofia in queste sue frasi! Ai profani ed ai meno fervidi cultori dell'Anatomia potrà forse parer strano questo desiderio della conservazione dell’organo del pen- siero. A noi, l’avere innanzi agli occhi, conservare religiosamente quel complesso di materia, che con tanta genialità concepi e condusse a soluzione numerosi ed ardui problemi scientifici, appare come un culto reso ad una alta idealità scientifica. Ma il voto del Giacomini non sarebbe completamente esaudito se l’opera nostra si limitasse a conservare il cervello come un oggetto 914 G. Sperino, prezioso; é pur necessario illustrarlo nei minuti particolari colla descrizione e col disegno e tramandarlo ai posteri onde serva di in- segnamento e di confronto. Sarà così anche reso un omaggio alla Société mutuelle d’autopsie (di cui il Giacomini conosceva l'esistenza, condividendone lo scopo altamente scientifico) sorta a Parigi nella Société d'Anthropologie, tra i membri che si obbligano di lasciare il loro- cadavere all'esame ed a studi scientifici per il progresso della scienza. i Mi reco quindi a sommo onore, quale allievo di tanto Maestro, laccingermi, non senza trepidazione e grande affetto, alla descrizione dell'encefalo di Colui che mi fu ammaestramento e guida nelle anato- miche discipline. L’illustre e compianto Professore Carlo Giacomini mori il 5 luglio 1898 alle ore 8,45 in seguito a grave insulto apoplettico. Il cadavere venne sottoposto ad un'iniezione di liquido conservatore e trasportato all’Istituto Anatomico il giorno 7 luglio; la mattina del giorno se- guente alle ore 8, per suo ordine espresso testamentario, se ne praticò l'autopsia in forma privatissima.') Estratto lencefalo dalla cavità craniana ed esaminatane la base, non si riscontrò nulla che si allontanasse dalla norma riguardo alla costituzione del circolo del Willis. Sono evidenti i segni di artero- sclerosi specialmente in alcuni punti del decorso delle vertebrali, del tronco basilare e delle due silviane. L'origine apparente dei nervi cerebrali non offre nulla di notevole. Separati il ponte, il cervelletto ed il midollo allungato dai pedun- coli e dal cervello per mezzo di una sezione fatta subito al davanti del margine superiore del ponte e diviso il cervello nei due emisferi, le tre parti furono pesate separatamente allo stato fresco e coperte ancora dalle meningi molli, ottenendo il seguente risultato: ') Il reperto necroscopico dettato dal Chiarissimo Prof. Pio Foa è conser- vato, unitamente al cuore, nel Museo di Anatomia patologica di Torino. — Lo scheletro artificiale, la maschera facciale cutanea ed alcuni visceri furono chiusi in apposita vetrina e questa fu collocata il giorno anniversario della sua morte (5 luglio 1899) nella sala Rolando del Museo di Anatomia normale di Torino, diretto dal Chiar.mo Prof. R. Fusari. Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 315 Emisfero destro er. 695 » sinistro » 614 Cervelletto, ponte, midollo allungato 20115586 Peso totale dell'encefalo gr. 1495 con una differenza in piü dell'emisfero destro di gr. 81. Devo peró subito avvertire che l'emisfero destro era colpito da un'abbondante emorragia ed il sangue stravasato in parte ancora li- quido, in parte aggrumato, occupava tutta la cavità del ventricolo laterale destro dal corno frontale al corno occipitale; il quale fatto ci dà ragione della grande differenza di peso dei due emisferi sopra notati. L'emorragia inoltre si protendeva assai abbondante lungo il pe- duncolo cerebrale destro, distruggendone parzialmente il piede, e giun- geva fino al triangolo protuberanziale corrispondente del pavimento del quarto ventricolo. | L'encefalo cosi diviso venne conservato e preparato col processo Giacomini, come Egli aveva espressamente disposto nel suo testamento. Dopo il soggiorno di alcuni mesi nei differenti liquidi conser- vatori, le diverse parti dell'encefalo vennero riprodotte colla foto- grafia!) e successivamente colla litografia, rimanendo comprese in tre tavole con sei figure, delle quali quattro rappresentano le rispettive faccie mediale e laterale dei singoli emisferi cerebrali e due le faccie superiore ed inferiore del cervelletto. La superficie esterna dell'emisfero destro, causa l’enorme sacca cui era ridotto il corrispondente ventricolo laterale, si presenta alquanto appianata, relativamente a quella dell’emisfero sinistro. Le due labbra, che limitano il ramo posteriore della scissura di Silvio di destra, appaiono alquanto divaricate, per modo da lasciar scorgere parzialmente il lobo dell’insula; però tale fatto non si di- mostrò allorquando esaminai il cervello allo stato fresco appena tolto dalla cavità craniana, poichè da ambo i lati la scissura di Silvio era perfettamente chiusa ed il lobo dell'msula completamente coperto. Quindi ciò devesi pure indubbiamente riferire all'enorme stravaso di sangue sopra ricordato che produsse un certo sfiancamento ed assot- 1) Le fotografie delle varie parti dell'encefalo furono gentilmente eseguite dal mio ottimo amico Annibale Ercole Cominetti di Torino. 316 : G. Sperino, tigliamento del mantello, tanto che l’emisfero destro devesi maneggiare con molto riguardo. Riporto ora alcune misure, prese sui due emisferi!) dopo il lungo soggiorno nei liquidi conservatori, cui farò seguire le principali misure del cranio, che devo alla cortesia del dottore Alfonso Bovero, settore capo all'Istituto Anatomico di Torino. Lunghezza dell'emisfero cerebrale destro dal polo frontale al polo occipitale: mm. 163. Lunghezza dell'emisfero cerebrale sinistro dal polo frontale al polo oceipitale: mm. 161. | Altezza massima dell’emisfero destro: mm. 98. Altezza massima dell’emisfero sinistro: mm. 99. Dal polo temporale al polo occipitale a destra: mm. 122 Dal polo temporale al polo occipitale a sinistra: mm. 122. Lunghezza totale del corpo calloso: mm. 66. Dallo splenium del corpo calloso al polo occipitale a destra: mm. 59. Dallo splenium del corpo calloso al polo occipitale a sinistra: mm. 60. Dal ginocchio del corpo calloso al polo frontale a destra: mm. 38. Dal ginocchio del corpo calloso al polo frontale a sinistra: mm. 35. Larghezza massima del cervelletto: mm. 99. Altezza del verme cerebellare: mm. 27. Lunghezza del verme cerebellare: mm. 37. Lunghezza dell'oblungata dall’incrociamento delle piramidi al mar- eine posteriore del ponte: mm. 16. Larghezza massima dell'oblungata: mm. 18. Lunghezza del ponte: mm. 23. Larghezza del ponte fra le origini del V? paio: mm. 35. Principali misure del cranio. Capacità ;cranianayf ser San ni adu Bus eae OE 29 Capacità orbitaria ” 1) Le dimensioni dell’emisfero destro, quali risulterebbero dalle fotografie riprodotte nelle figure 1 e 2, non corrispondono esattamente alle misure riferite, perché detto emisfero prima che venisse fotografato aveva subito una rottura in corrispondenza del corpo calloso e del Gyrus cinguli. Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 317 Diametro antero-posteriore massimo del cranio . mm. 182 : trasverso massimo del cranio . . . . i25 qur IROJOS SEU e MIS MM 5 80,76 Iii ue EROS DIANIICOlATe. ws... 20 2 RR 220 bitemporale SP MEN NES ROME EEE ML CNN VP! À SUCEAMIC OD ah.” RE past 3. UU frontale minimo n 92 QSPEENCOMN VH DUT PTS DUM mi) ibe Un d E T julia basılo-bresmaticor mm ea Dr ann, scd biorbiralegestenor. = a LU 28106 E 3 MIDEM: RI eR PI E P HE x 96 à bimaldtoat Sr AN, A ci all 2 DIZIONARIO a reor NU qun . 144 Altezza totale della faccia (ofirion punto alveolare) Y 89,5 Spnozalyeolarenkrtein ns; cele ote Curva sottocerebrale (radice del naso-ofirion) . T 22 „ front. totale (radice del naso al bregma) ZI parietale (bregma-lambda) . . . . . . ZUM . Occipitale totale (lamba-opistion) . . . em DDS) oceipito-frontale (radice naso-opistion). . 2150322 SOPRARAUBICONALE ei urere STONE 22590206 "E trasversale/ totaler «Mts Wesen cr DATE PEC AMICO TARE US RUE Lia 02094290 "EODoSt-auricolare o: V CT SEIS oe » 240 "Exorzzontale" totale: ans Peto ues |) He) Fneolostacciale di Jacquart f: EN DTI TU 67° à 3 das loque: au BR poe dee vue T, 60? 2 CUVE ESI cte ern SE Sama dello scheletro artificiale 2.2.2... 2... m» 1,63 Riferisco ora nella seguente tabella il peso di una serie di ence- fali appartenenti a uomini illustri e di elevata prestazione intellettuale, studiati da vari autori, che ho potuto raccogliere dalla letteratura, aggiungendovi quello del mio compianto Maestro Carlo Giacomini. 318 G. Sperino, Grado accademico o pro- Età Nome e Cognome ; fessione | Dupuytrenseo meta se IA TAN RU Chirurgo 58 Gr ICUMler caosa E ACT MUS Te E Naturalista 63 Cromwell puer dedi m, cer M ee eee Uomo di Stato 59 ord Byron iGeorcen u ee Poeta 36 CAUSES aria. DR Or toto er Matematico 78 Diviehlet ERE a Bas Da N APUD Matematico 54 GS Er jHermanng an Be ne Filologo 51 L'IM SANS ANNEES SE Geologo di GE Erb s mr N TEE MN Clinico 62 JO NI VITO Medico 63 lucanzasschubert au Musicista 70 IWernengvoSlenrenss ea er Fisico 68 Harleyasıı 7 SE Asp BITRATE LE TARE, Fisiologo 67 | LoumiseAsselimew m epee er Avvocato, Pubblicista 49 Jules Assezatın cca ee Medico, etterato, Rilosofo, 45 | Antropologo Auguste Coudereau see Medico e Antropologo | 50 Eugène Neon PAPE Re e REG cl retorica, Pubblicista 64 Adolphe Louis Bertillon . . . . . . | Medico, Botanico e Demografo 62 Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 319 Nome degli autori che pesarono l'encefalo o ne diedero la descrizione accompagnata o non da figure illustrative Osservazioni 1390 (1378) rue — 1398 P. Bernard Baldinger R. Wagner | M. Duval, Chudzinski ed Hervé Id. Id. Id. Id. Manouvrier Chudzinski e Manouvrier Fu in gioventü idrocefalico. gerati e, non esistendo alcuna esatta de- scrizione dei cervelli, osserva che non vi è garanzia sufficiente. | Sappey ritiene questi due pesi alquanto esa- | Veduta parietale ('/, grandezza naturale), ve- duta frontale e veduta laterale sinistra (grandezza naturale). Vedute parietali (!/; grandezza). Vedute parietali (!/, grandezza). Veduta parietale (grandezza naturale). | Cervello molto edematoso. Apparteneva alla Société d'autopsie. Mori per rottura del cuore. L’autopsia venne fatta da Thullie 39 ore dopo morte ed il cervello venne pesato allo stato fresco. | Apparteneva alla Societe d’autopsic. Mori per affezione cardiaca. Il cervello venne pesato due ore dopo l’estrazione dalla ca- vità craniana. Apparteneva alla Societe d’autopsie. Morì per traumatismo intestinale. L’autopsia venne fatta da Laborde, assistito da Hervé, Ron- deau e Chudzinski. Il primo peso si riferisce a quello ottenuto subito dopo l’estrazione dalla cavità cra- niana, il secondo a quello ottenuto mez- z’ora dopo la prima pesata per lo scolo di sierosità; e dei 1378 gr., 1183 rappresen- tano il peso del cervello propriamente detto. e 195 quello del cervelletto. Apparteneva alla Societe d'autopsié, morì di malattia cancerosa come il padre. -1l cervello allo stato fresco non venne pesato, fu deposto nell’alcool per parecchi annt. | Apparteneva alla Société d’autopsie. Mori in seguito a malattia lunga. L’autopsia venne fatta da M. Duval, Chudzinski, La- borde ed Hervé, che raccolsero il cervello e lo pesarono (gr. 1398). Dopo il sog- giorno di quattro anni e sei mesi nell’al- 320 G. Sperino, Nome e Cognome | Grado accademico o pro- | fessione Léon Gambetta Hermann Karl Pfeufer Ch. H. E. Bischoff . Melchior Mayer J. Huber Fallmereyer J. v. Liebig | Uomo di Stato ed Oratore Economista Medico Medico Poeta-Letterato Filosofo Storiografo Chimico Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 321 Nome degli autori da figure illustrative che pesarono l'encefalo o ne diedero la descrizione accompagnata o non Osservazioni 1246 1590 1448 1452 1415 1409 1349 1352 v. Bischoff Id. Id. Id. Id. Id. Id. Chudzinski e M. Duval cool a 90°, la pesatura diede il seguente risultato: Emisfero destro gr. 406, emisfero sinistro grammi 434, cervelletto, ponte, ob- lungata gr. 117,8; totale gr. 957. L'emi- sfero destro per quattro giorni prima di questa seconda pesata fu immerso in una debole soluzione di cloruro di zinco, ció che ha potuto far perdere alcuni grammi del suo peso e ci impedisce di conoscere se l’emisfero sinistro era realmente piü pesante del destro (Bull. de la Soc. d'An- thropol. de Paris, t. X, 1887, serie 44, pag. 558—591). | EC il 31 dicembre 1882 per ferita da re- volver alla mano destra e per peritiflite, il cadavere venne conservato con iniezione a base di cloruro di zinco. L'autopsia venne fatta da Cornil il 25 gennaio 1883; il cervello appena estratto venne pesato ed il peso risultó di gr. 1160. P. Bert, Laborde e Fienzel furono sorpresi di un cosi piccolo peso e dubitando di un errore lo pesarono una seconda volta ed il peso risultö di gr. 1150. Il cervello venne in seguito trasportato con tutti i riguardi dalla Ville d'Avray al laboratorio di Antro- pologia di Parigi e pesato una terza volta ed il risultato fu di 1090 grammi, quindi il cervello fu immerso nell’alcool. Tutte queste variazioni in meno di peso sono dovute al sale di zinco impiegato per l'im- balsamazione del cadavere, quindi per ri- costruire il peso reale di questo cervello quale risulta nella tabella, oltre al tener calcolo della perdita di peso dovuta al sale di zinco Mathias Duval stabili dei rapporti fra la capacità craniana, il volume cere- brale e la densità cerebrale (Bull. de la Soc. d'Anthrop. de Paris, t. IX, serie 38, 1883, pag. 399—416. Per l'andamento della malattia ed il resoconto della autopsia vedi Progrés médicale, Paris 1883, pagine 76, 94. 115, 152, 177, 195, 213). Di alcune parti di questi cervelli Rüdinger diede poi una descrizione ed in modo speciale dei caratteri della terza circon- voluzione frontale. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 21 322 G. Sperino, Grado accademico o pro- ie Stat ra | Nome e Cognome 3 fessione } Fr. Tiedemann Anatomico e Fisiologo 79 — E. Harless . 3 Fisiologo 40 — Ignatz v. Dóllinger . Anatomico e Fisiologo 71 — Chauncey Wright Matematico e Poeta = = J. E. Oliver Matematico = = George Grote . Storiografo 75 — Thackeray William . Letterato 52 ^3 De Morgan Auguste Matematico 65 — Babbage Charles . Matematico 79 == Grant James Letterato 80 = Hugo Gyldén . Astronomo 55 — | Sofia Kovalevsky ! Professoressa di Matema- 41 piccola | tiche e Letterata costituzi- | one - gracile È Hermann v. Helmholtz Medico e Fisiologo 73 1,69 Carlo Giacomini . Anatomico 58 1,67 In Monaco (Baviera), a quanto riferisce G. Retzius, vennero conservati da Bischoff è Liebig, del giurista Wiilfert, del medico Bischoff senior, dell’anatomo - patologo Buhl. 1) È il primo cervello di donna di elevata cultura che siasi fino ad ora studiato. dei fisiologi ed anatomici Döllinger, Fino ad ora non venne pubblicata una descrizione completa di Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 323 Nome degli autori che pesarono l'encefalo o ne diedero la descrizione accompagnata o non da figure illustrative Osservazioni Id. Id. | Pesato da Wilder B. G. e descr. da Thomas Dwight Thomas Dwight John Marshall | v. Bischoff | | Id. Id. Ta mes Id. Gustavo Retzius Pesato da Retzius tre giorni dopo la morte ed in seguito indurito colla formalina al 2?/,. Id. Sofia Kovalevsky apparteneva alla antica fa- miglia magnate, russa, Corvin-Kronkovsky. Nacque a Mosca il 3 (15) Gennaio 1850, mori a Stoccolma il 10 Febbrajo 1891 in seguito a pleurite violenta, che era probabilmente una forma di influenza. Era professoressa di analisi superiore alla facolta di matema- tica nella Universita di Stoccolma. Il cer- vello appartiene al Museo di Anatomia Pato- logica di quella Università e per gentilezza del Prof. Curt Wallis ne venne concesso lo studio al Prof. Gustavo Retzius. Il cervello dopo il soggiorno di quattro anni nell'alcool pesava 1108 grammi, secondo Bischoff il cer- vello nell'aleool perde circa il 42°/, del pro- prio peso; secondo Marshall sarebbe da 1}, ad !/,: ora, accettando questi ultima vari- azione, il cervello della Kovalevsky avrebbe pesato allo stato fresco 1350 gr. Hansemann Ebbe nella sua giovinezza un leggero idro- cefalo; mori di apoplessia. Il cervello fu pesato da David Hansemann, che praticò l'autopsia, 24 ore dopo morte; l'emisfero cerebrale sinistro venne riprodotto con getto in gesso e trovasi raffigurato nel lavoro - di Hansemann; dell’emisfero destro non si potè eseguire il getto causa lo stato d’este- sa distruzione in cui si trovava. G. Sperino Il cadavere fu sottoposto ad un'iniezione di liquido conservatore e l’encefalo venne pe- sato tre giorni dopo la morte. “da Rüdinger i cervelli di parecchi uomini illustri, fra gli altri quello del rinomato chimico Tiedemann e Harless, dello storico Fallmereyer, dell’avvocato Harter, del filosofo Huber e questi cervelli. 21* 324 G. Sperino, Dalla suesposta tabella dei pesi degli encefali studiati dai vari autori risulta che, ritenuto il peso medio del cervello europeo nel maschio da 1350 a 1360 gr. (Bischoff), 1362, esclusi eli Italiani (Vie- rordt) alcuni pesi di cervelli pure appartenenti a spiccate personalità | e di ingegno elevato sono inferiori alla media, la maggior parte perd è assai superiore. Tuttavia non possiamo trarre conclusioni assolute e di grande valore, attese anche le diverse condizioni in cui vennero pesati i singoli encefali e la mancanza del dato della statura dell'in- dividuo non riferito da tutti gli autori; anzi, dalle ricerche di R. Wagner, il quale con Bischoff validamente si oppose allopposta teoria di Welcker, queste conclusioni sarebbero in complesso quasi negative. Stabilendo il confronto col cervello di altri individui normali, ma non d’ingegno abbastanza spiccato, si può dimostrare che né il peso del cervello, né la ricchezza e la complicatezza delle circonvoluzioni corrispondono sempre a grandi prestazioni intellettuali e che individui di capacità intellettuale insignificante possono talora presentare un cervello di peso assai superiore; valga l'esempio, studiato da Rudolphi e riferito da Hansemann, del cervello di Rustan, individuo di medio- cre levatura, il quale cervello pesava gr. 2222, costituendo cosi il cervello piü pesante sino ad ora conosciuto; al quale segue quello di un bambino di tre anni con 1911 gr. rilevato da Virchow e spiegato con un'iperplasia della glia. Tutti gli osservatori sono oggidi d'aecordo nell’ammettere che il peso del cervello non é in rapporto colla capacità intellettuale dell'in- dividuo. Secondo un'altra teoria, escogitata da Perls ed ammessa condi- Zionatamente da Edinger, un idrocefalo nella prima giovinezza dila- terebbe siffattamente il cranio, che guarito l'idrocefalo il cervello verrebbe ad avere uno spazio adatto ad uno speciale sviluppo. Edinger a tal proposito cita Rubinstein e Cuvier che sarebbero stati entrambi idrocefalici, il primo come si puó dedurre dalla forma del capo, il secondo ‘da rapporti autentici. Notiamo però che non si può attri- buire un grande valore, almeno nel senso di Perls, allidrocefalia pre- gressa, poichè le fondamenta dello sviluppo intellettuale all'epoca, in Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 395 cui un tale idrocefalo suole guarire, sono già complete e ció che si ritrova in un idrocefalo guarito non é una grande massa encefalica, ma bensi, ventricoli facilmente dilatati e sintomi di aderenze al plesso coroideo, come pure profonde impressioni digitate del cranio. Si potrebbe forse ammettere, come Hansemann per Helmholtz, che’ una leggiera idrocefalia pregressa possa mettersi in rapporto con una spe- ciale capacità intellettuale pel fatto che i suoi residui ultimi in limiti moderatissimi aumentando la pressione cerebrale inducano nel cervello uno stato irritativo promuovendone un particolare sviluppo, special- mente nelle sfere d’associazione. Astraendo da tutte queste considerazioni speculative noi potremmo ricercare la base di uno speciale sviluppo intellettuale nel numero degli elementi nervosi cerebrali, nei loro prolungamenti protoplasmatici e cilindrassili, i quali si estendono e si complicano a misura che il cer- vello si sviluppa e l’intelligenza si matura; e questa base troverebbe la sua espressione anatomica grossolana, per quanto sino ad ora si sa, nella conformazione delle circonvoluzioni. Ora per quanto queste sieno state in generale esattamente studiate pur tuttavia mancano quasi completamente ricerche intorno ai cervelli. di uomini di nota capacità mentale, avendosi cosi un cattivo materiale di confronto. Fu- rono veramente esaminati con esattezza i cervelli di Hermann, Gauss, Dirichlet, Hausmann, Fuchs, Asseline, Assezat, Condereau, Veron, Ber- tillon, Gambetta, Bischoff, Tiedemann, Dóllinger, Wright, Grote, Gylden, Sofia Kovalevsky e di altre personalità meno note, ma pur sempre di considerevole levatura intellettuale. Gli altri dati sono molto vaghi ed incompleti, tali cioé da non dare serio affidamento. D'altra parte anche questo lato della questione é ancora, contro- verso, infatti, come già affermava Wagner ed è sostenuto da altri, comparirebbe elevata intelligenza tanto in cervelli ricchi di circon- voluzioni (complicati) come in cervelli poveri (semplici); però egli am- mise che al cervello a prestazione normale è sempre necessario un minimum di peso e di ricchezza di circonvoluzioni; i. Microcefali non raggiungono questo minimum, ma si arrestarono ad un grado inferiore di sviluppo. La Microcefalia consiste in un arresto di sviluppo del 326 | G. Sperino, sistema nervoso centrale, avvenuto a diverse epoche della vita em- brionale (Giacomini). Il cervello del Giacomini ad un esame generale si presenta nel complesso assai ricco in circonvoluzioni e queste sono robuste ed al- cune assai larghe: esso potrebbe quindi designarsi piuttosto come eurigyrencefalo che come stenogyrencefalo; inoltre è provvisto di numerosi solchi secondari e terziari, il che ne complica la costituzione anatomica. Nella seguente descrizione tratteró ciascun emisfero a sé, comin- ciando dal destro. Emisfero destro. 1. Rinencefalo (Figura 2). Nulla di notevole riscontrasi nel bulbus e nel tractus olfactorius, come pure nel trigonum olfactorium, nella substantia perforata ante- rior e nei Gyri olfactorii medialis et lateralis. Il tuberculum olfac- torium e la benderella diagonalis di Broca sono ben evidenti. Gyrus hippocampi. La circonvoluzione dell'ippocampo (G. H.) ha la sua forma consueta: al suo lato esterno notasi in avanti una ben marcata fissura rhinica (f. r.), M cui estremo posteriore presentasi biforcato e l'estremo anteriore non raggiunge il polo temporale. Fra l’estremo posteriore della fissura rhinica e lestremo ante- riore della fissura collateralis (e. 0.) esiste una circonvoluzione di pas- saggio (Gyrus rhinencephalo-fusiformis G. ER. F.), che congiunge il Gyrus hippocampi col Gyrus fusiformis. Il truncus fissurae calca- rinae (t. f. ec.) penetra profondamente, intaccando superficialmente col suo estremo anteriore la circonvoluzione dell'ippocampo. Il Gyrus hippocampi, mediante listmo, circondando lo splenio si continua nella circonvoluzione del corpo calloso, Gyrus cinguli. Questa circonvoluzione é in complesso, specialmente in avanti, molto robusta e sulla sua superficie notasi nella metà un piccolo solco sagittale ed uno verticale pure piccolo. Il Gyrus hippocampi è con- nesso al Gyrus lingualis mediante una robusta piega di passaggio, il Gyrus rhinencephalo-linguahs (R. L.). Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 327 La fissura hippocampı non offre nulla di speciale, come pure l'Uncus. La fimbria, la fascia dentata, la benderella dell’uncus (Giacomini) (fasciola uncinalis), la fasciola cinerea pare abbiano uno sviluppo nor- male, ma non ho potuto esaminare minutamente, né allo stato fresco, né dopo lindurimento, tutte queste formazioni attese le gravi condi- zioni in cui si trova questo emisfero, che, per le ragioni sopra enun- ciate, deve essere maneggiato con molto riguardo. Suleus subparietalis (s. p.). Questo soleo & assai ben marcato e concavo in basso, non si congiunge direttamente colla scissura fronto- parietale interna (sulcus cinguli), esistendo in avanti una piccola piega di passaggio, che interrompe un solco comunicante colla pars margi- nalis del sulcus cinguli intaccando parzialmente la circonvoluzione. Il suleus subparietalis (s. p.) colla sua branca posteriore ed interna volge verso lo splenio penetrando profondamente nella circonvoluzione senza però dividerla del tutto, e forma così dietro a questa branca posteriore interna una circonvoluzione di passaggio (P. P.) abbastanza robusta fra il Precuneo e l’istmo (Gyrus praecunei posterior) Dalla convessità del sulcus subparietalis partono due rami divergenti, sale praecunei, diretti in alto e terminanti a fondo cieco. Sulcus cinguli. Il sulcus cinguli (s. c.) 0 scissura fronto-parietale interna o calloso-marginale, è per così dire unico essendo la porzione posteriore, (p.) (pars marginalis), decorrente nell'incisura sule cinguli (4. e.), connessa per mezzo di un solco di passaggio poco profondo colla porzione intermedia (2) e questa in rapporto diretto colla por- zione anteriore (a) (pars subfrontalis). Non vi è traccia di sulcus ro- stralis transversus, per modo che il suleus eingul? non è in rapporto col sulcus rostralis proprius (Eberstaller) che descriveremo più tardi. Dal suleus cinguli partono in avanti alcuni solchi secondari trasver- sali e sagittali, che interessano più o meno profondamente la faccia mediale della circonvoluzione frontale superiore; verso la parte me- diana si distacca un ramo laterale trasverso, il suleus paracentralis (Schwalbe), praecentralis medialis (Eberstaller) (p. m.), il quale deli- mita in avanti ed in alto il lobulo paracentrale. 328 G. Sperino, 2. Pallium. Lobus frontalis (fig. 1 e 2). A. Solchi. Il limite posteriore del lobo frontale alla sua faccia laterale è dato dal sulcus eentralis; il suleus cinguli ne forma il limite alla sua faccia mediale. Di questo già abbiamo detto a proposito del rinence- falo; ora prima di passare al sulcus centralis diremo della fissura Sylvii, quantunque questa non costituisca un limite proprio del lobo frontale. Fissura cerebri lateralis (Sylvii) La scissura laterale o di Sil- vio (f. sy.), in entrambi gli emisferi, osservata nel cervello appena tolto dalla sua cavità, era completamente chiusa. Nella fig. 1 rap- presentante l'emisfero destro, fotografato dopo un lungo soggiorno nei liquidi conservatori, le due labbra della silviana pit non combaciano e lasciano scorgere una piccola porzione dell’insula. Questa dispo- sizione, come già si & detto, é in rapporto colle speciali condizioni patologiche in cui si trova l'emisfero destro. La porzione basilare della scissura di Silvio non offre differenze dalla norma mella sua disposizione in ambo gli emisferi; invece la cosi detta porzione esterna, e specialmente il ramo posteriore, si presenta diversamente a sinistra ed a destra. Ramus: posterior. Il ramo posteriore della silviana 0 truncus fissurae Sylvii in questo emisfero volge in alto ed all'indietro e dopo il decorso di 47 mm. arriva all'estremo inferiore del Gyrus centralis posterior, quivi si biforca quasi ad angolo retto; un ramo superiore, ramus posterior ascendens (v. p. a.) volge verticalmente in alto de- correndo per l'estensione di 17 mm. nello spessore del Gyrus supra- marginalis; l'altro ramo, inferiore, ramus posterior descendens (r. p. d.), più breve, lungo cioè 10 mm., volge alquanto in basso ed all’indietro interessando il Gyrus temporalis superior. Allontanando alquanto le due labbra che limitano il ramo poste- riore della silviana ed in principal modo il labbro inferiore o la cir- convoluzione temporale superiore, oltre al mettere allo scoperto l’insula nella sua estensione, si nota, ben evidente, la piega temporo-parietale Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 399 descritta dallo stesso Giacomini come costante nell'uomo e dimenticata dagli altri autori, la quale mette in comunicazione nella profondità della scissura di Silvio 1 due lobi parietale e temporale. È noto come dal truncus fissurae Sylvii o ramo posteriore della silviana si distaccano come varietà alcuni rami, i quali in molte circo- stanze terminano nello spessore delle circonvoluzioni limitrofe, ma non raramente si estendono oltre le medesime, andando a congiungersi con altre scissure (scissura di Rolando, postrolandica, intraparietale e tem- porale superiore) (Giacomini). Nel easo nostro si osservano delle semplici intaccature, delle quali una prima lunga 5 mm. riscontrasi sul decorso della circonvoluzione temporale superiore alla distanza di 41 mm. dalla sua origine e ter- mina biforcandosi ad angolo retto: una seconda intaccatura piü breve della precedente notasi sull'estremo inferiore del Gyrus Rolandicus (Giacomini). Lo stesso Giacomini afferma come tutte queste diverse intaccature non sieno altro che rudimenti di quei rami, che sviluppandosi maggior- mente avrebbero prodotto le anastomosi colle scissure sopra ricordate. Egli riscontró una o piü di queste anastomosi in piü della metà degli emisferi da lui esaminati (336) e negli altri, nei quali non os- servó tale particolarità, le circonvoluzioni limitrofe presentavano di- verse intaccature. Ramus anterior ascendens (r. a.).., Il ramo anteriore ascendente della silviana in questo emisfero del Giacomini si origina come 2 ramus anterior horizontals, isolatamente dalla scissura di Silvio per modo che questi due rami circoscrivono un V, fra le cui branche é compreso il cosi detto capo o promontorio della circonvoluzione fron- tale inferiore o di Broca. Il ramus anterior ascendens si porta ver- ticalmente in alto nello spessore della circonvoluzione di Broca, pa- rallelamente all’estremo inferiore del sulcus praecentralis inferior e si estende per 2 cm. terminando senza anastomosi. Ramus anterior horizontalis (r. h.) Il ramo anteriore orizzon- tale della scissura di Silvio si dirige in avanti nello spessore della circonvoluzione di Broca e misura 18 mm. in lunghezza. Sulcus centralis (Rolandi) (s. r). Come è noto, la scissura di 330 G. Sperino, Rolando forma il confine posteriore del lobo frontale. In questo emi- sfero esiste la duplicita della scissura di Rolando, disposizione assai rara ad osservarsi (Giacomini) e nel caso nostro é veramente tipica, quale venne descritta per la prima volta dallo stesso Giacomini. Ab- biamo quindi una scissura rolandica anteriore ed una scissura rolan- dica posteriore, le quali limitano un Gyrus rolandicus (Giacomini). Riesce facile in questo emisfero il distinguere, per la costanza dei rapporti, quale sia la vera rolandica, che nel caso nostro é quella anteriore. Esamineremo da prima la vera scissura di Rolando o anteriore. Essa si origina in corrispondenza della metà circa del decorso del ramo posteriore della silviana, da cui é divisa da una robusta piega di passaggio che misura 13 mm. di spessore, volge in alto ed all'in- dietro, con decorso flessuoso, verso il margine interemisferico formando tre ginocchi e termina alla faccia mediale dell'emisfero con una sem- plice intaccatura volta in alto ed allo indietro, abbracciata dall'estremo terminale della pars marginalis della scissura callosa marginale (n- cisura sulci cinguli). Questa terminazione superiore della scissura di Rolando é nel caso nostro assai importante per poter stabilire l'iden- tità della scissura e delle parti circostanti. La sua maggiore profon- dità, riscontrata nella metà del suo decorso, é di 15 mm.; la sua lunghezza relativa presa sul preparato conservato è di 83 mm., quella assoluta di 111 mm. Queste cifre concordano abbastanza con quelle riferite dallo stesso Giacomini sopra 12 emisferi destri di uomo, nei quali trovó che la lunghezza media relativa era di 86 mm. e quella media assoluta di 117 mm., mentre in 10 emisferi destri di donna, la prima era di mm. 82,6 e la seconda di mm. 1095. Passet avrebbe trovato che la lunghezza relativa nell'uomo è di mm. 96, e solo di mm. 90 nella donna; la lunghezza assoluta di mm. 113 nell'uomo, di mm. 103 nella donna. | Cunningham, anche tenendo conto dello spessore di corteccia cere- brale posta sopra la scissura di Silvio, del grado di flessuosità della scissura rolandica e della sua unione o non col solco trasverso infe- riore di Eberstaller, trovó sopra 30 emisferi di adulto (uomini e donne) come lunghezza media relativa 39,9; cioé in 14 emisferi di uomo Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 331 adulto 38,6, in 16 emisferi di donna 40,1. Questi risultati sono al- quanto diversi da quelli ottenuti dal Giacomini e dal Passet, e dimo- strano come le variazioni individuali siano abbastanza pronunciate e per poter stabilire le differenze sessuali sia ancora necessario un maggior numero di osservazioni. La distanza, nel caso nostro, dell'estremità superiore della vera scissura di Rolando dal polo frontale presa col compasso è di mm. 105. La distanza dell’estremità superiore della vera scissura di Ro- lando dal polo occipitale è di mm. 94. La distanza dell’estremità inferiore della vera scissura di Rolando dal polo frontale è di mm. 76. La distanza dell'estremità inferiore della vera scissura di Rolando dal polo occipitale è di mm. 100. Dal fondo della vera scissura di Rolando o anteriore nel punto in eui il terzo inferiore si congiunge col terzo medio sorge una piega di passaggio ben evidente, che si connette colla circonvoluzione fron- tale ascendente. Tale piega è limitata da due solchi, che comunicano colla scissura di Rolando ed interessano più o meno lo spessore del Gyrus centralis anterior e che descriveremo a suo tempo. Ho detto poc'anzi che nell'emisfero destro esiste la duplicità della scissura di Rolando e quindi un vero Gyrus Rolandicus (Giacomini) interposto fra le due scissure rolandiche. Infatti in questo emisfero posteriormente alla vera scissura di Rolando, che è anteriore e che per tale dobbiamo ritenere giusta i suoi caratteri ed i suoi rapporti sopra indicati, esiste una seconda scissura (s. r. 2?) perfettamente parallela a quello di Rolando. Essa si origina in basso alla distanza di 16 mm. dalla biforca- zione del ramo posteriore della silviana, da cui & divisa per mezzo di una sottile e poco profonda piega di passaggio, che connette il Gyrus rolandicus col Gyrus centralis posterior e sulla quale piega notasi un soleo vascolare che simula la comunicazione colla silviana. Da questo punto volge in alto ed all'indietro, parallelamente alla scissura di Ro- lando, seguendone esattamente le inflessioni, verso il margine inter- emisferico e prima di raggiungerlo si divide in due rami, del quali uno, anteriore, misura in lunghezza mm. 14; l'altro posteriore mm. 15. 332 G. Sperino, La profondità di tale scissura è di 7 mm.: la sua lunghezza re- lativa, presa dalla sua origine al punto di biforcazione misura 61 mm., la lunghezza assoluta 92 mm. La distanza dell'estremità superiore del secondo solco rolandico dal polo frontale misura mm. 120. La distanza dell'estremità superiore del secondo solco rolandico dal polo oceipitale mm. 87. La distanza dell'estremità inferiore dal polo frontale misura mm. 82. La distanza dell'estremità inferiore dal polo occipitale misura mm. 80. Nel suo decorso la seconda scissura di Rolando al punto di unione dei due terzi inferiori col terzo superiore invia un solco che incide abbastanza profondamente il Gyrus Rolandicus. Sulcus praecentralis. La porzione superiore di questo solco, Sulcus praecentralis superior (p. vr. s.), rappresenta un solco parallelo alla porzione superiore del solco centrale e comunica direttamente col Sulcus frontalis superior; la porzione inferiore, Sulcus praecentralis inferior (p. r. 4), spinge come di consueto il suo estremo superiore alquanto avanti l'estremo inferiore del solco precentrale superiore e manda il suo cosidetto ramus horizontalis (h.), (ramus superior an- terior del Suleus praecentralis inferior, G. Retzius) in avanti e legger- mente in alto, ove esso si congiunge coll'estremo anteriore del Sulcus frontalis superior e indirettamente col Sulcus frontalis medius. Il solco precentrale inferiore comunica inoltre col Sulcus frontalis in- ferior, ma in basso non interessa la scissura di Silvio distandone di * millimetri. Sulcus frontalis superior (f. s). Il soleo frontale superiore si origina in modo tipico dalla metà circa del soleo precentrale superiore, decorre sagittalmente in avanti, interrotto a metà circa del suo de- corso da due pieghe di passaggio superficiali che connettono la circon- voluzione frontale superiore alla media, divise tali pieghe da un solco trasverso (¢.) abbastanza profondo, che incide parzialmente le due cir- convoluzioni dianzi accennate e quindi termina in avanti biforcato, il ramo mediale raggiungendo il margine interemisferico. Un po' prima della sua interruzione il solco frontale superiore comunica, come si é Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 333 detto, eol ramo orizzontale o superior-anterior del Sulcus praecentralis inferior ed in avanti comunica pure col Sulcus frontalis medius. Sulcus frontalis medius. In questo emisfero notasi la presenza di un soleo frontale medio abbastanza ben evidente (f. m.), il quale non si origina direttamente dal solco precentrale inferiore, ma com- pare nei due terzi anteriori della faccia dorsale della circonvoluzione frontale media, dividendola in due tratti circonvoluti, uno superiore, inferiore l'altro e termina in corrispondenza della porzione orbitaria. Nel suo decorso comunica col soleo frontale superiore. Suleus frontalis inferior. Il soleo frontale inferiore (f. 7.) parte a.metà circa del solco precentrale inferiore, si dirige in avanti ed in basso incontrando nel suo decorso il sulcus radiatus. Quest’ultimo solco (r.) è assai sviluppato e decorre obliquamente dall’alto al basso e dall’avanti all'indietro penetrando profondamente nella circonvolu- zione frontale inferiore. L’estremo anteriore del solco frontale infe- riore termina biforcato ed è interrotto da una piega di passaggio superficiale che connette fra loro le circonvoluzioni frontale media e frontale inferiore. Riguardo alla faccia mediale del lobo frontale destro abbiamo già descritta la disposizione del sulcus cinguli ed abbiamo accennato alla mancanza del sulcus rostralis transversus, il quale, quando esiste, ta- lora congiunge il sulcus cinguli al sulcus rostralis proprius (Eber- staller) o solco sopraorbitario. Questo solco (r. o.) decorre parallelo al margine interemisferico, raggiungendolo col suo estremo anteriore. Inferiormente e parallelamente alla porzione anteriore del sulcus rostralis proprius (Eberstaller) notasi un sulcus rostralis inferior od accessorio (7. o. ?.),'che interessa il polo frontale. Dal suleus cinguli, come abbiamo veduto, si distaccano parecchi solchi laterali trasversi, che si portano in avanti ed in alto nel Gyrus frontalis superior ed alcuni interessano il margine interemisferico. Fra questi merita di essere ricordato il suleus paracentralis (Schwalbe) o sulcus praecentralis medialis (Kberstaller) (p. m.) che, come si è detto, delimita in avanti ed in alto il lobulus paracentralis. La faccia inferiore del lobo frontale di destra presenta un swleus olfactorius (0.) ben sviluppato che si spinge in avanti verso il polo 394 G. Sperino. frontale; medialmente ed in avanti di questo solco non osservasi, come d’ordinario, il piccolo solco trasverso. à Sulcus orbitalis. Il soleo orbitario (or.) ha una disposizione molto irregolare; esso risulta di un soleo sagittale piü profondo nella parte mediana ed occupa tutta l’estensione della superficie orbitaria del lobo, decussato nel suo terzo posteriore da un profondo soleo diretto tras- versalmente e con una leggiera concavità all'imdietro e nel suo terzo anteriore attraversato pure da un altro soleo meno profondo del pre- cedente, alquanto concavo in avanti. Nella profondità della porzione mediana del soleo diretto sagittalmente sorge una piccola piega, la quale peró non raggiunge completamente la superficie del mantello. Tra questo complesso di solchi costituenti il suleus orbitalis ed il soleo olfattorio esiste ancora un piccolo solco disposto a mo' d'in- taccatura, che tenderebbe a suddividere la porzione orbitaria della circonvoluzione frontale media. Nell’operculum frontale in corrispondenza dell'estremo inferiore del solco centrale in basso ed in avanti notasi un solco abbastanza profondo che corrisponde al sulcus subcentralis anterior (s. c. a.), il quale interessa l'estremo inferiore dal Gyrus centralis anterior. Dietro a questo soleo e alquanto posteriormente all'estremo infe- riore del soleo centrale esiste un secondo solco che intacca appena il margine del mantello in corrispondenza del Gyrus Rolandicus (Giaco- mini) e che già venne descritto come una varietà della scissura sil- viana (pag. 329) a mo’ di intaccatura e che potrebbe anche rappre- sentare il sulcus subcentralis posterior (s. c. p.) di alcuni autori (G. Retzius). DB. Circonvoluzion del lobo frontale dell'emisfero destro. (Tav. I e IL) Gyrus centralis anterior. Il Gyrus centralis anterior 0 circon- voluzione frontale ascendente (G. C. A.), presenta inflessioni corrispon- denti a quelle del soleo centrale; nei due terzi inferiori é molto ro- busta e larga, alquanto più stretta nel suo terzo superiore dopo l'origine della circonvoluzione frontale media e della frontale superiore. Nei due terzi inferiori, dove mostrasi più larga, essa è intaccata da due Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 335 solchi dei quali l'inferiore, più esteso, è diretto obliquamente in alto ed in avanti; essi comunicano entrambi col solco centrale anteriore (vera scissura di Rolando) In corrispondenza dell'estremo inferiore di questa circonvoluzione notasi la presenza del sulcus subcentralis anterior sopra ricordato (s. c. a.) lungo 18 mm. La porzione mediale della corteccia in rapporto colla circonvolu- zione frontale ascendente, corrispondente al lobulus paracentralis (P. A. R.) o pararolandico, & diretta sagittalmente, ha forma quadri- latera allungata. Questo lobulo posteriormente è limitato dalla pars marginalis della scissura calloso-marginale o suleus cinguli e dalla sua incisura, contrae inoltre rapporto coll’estremo superiore del Gyrus Rolandicus; anteriormente è limitato dal sulcus praecentralis medialis (Eberstaller) ramo laterale trasverso del sulcus cinguli, ed è in rap- porto col Gyrus frontalis superior. | La superficie del lobulo pararolandico presenta un sulcus para- centralis proprius (p. r.) abbastanza profondo che dal margine inter- emisferico si dirige obliquamente in basso ed all’indietro. Gyrus frontalis superior. La circonvoluzione frontale superiore (G. F. S.) si presenta abbastanza sviluppata nella maggior parte della sua superficie dorsale e va restringendosi solo molto in avanti. Essa si origina con due radici dalla cireonvoluzione frontale ascendente, delle quali una prossima al margine interemisferico, l'altra in corri- spondenza della faccia mediale in continuazione del suo estremo su- periore. Nel suo decorso contrae rapporto, mediante tre pieghe di passaggio superficiali, colla circonvoluzione frontale media ed in corri- spondenza del margine interemisferico notansi su di essa cinque intac- cature trasversali. Dopo essere stata incisa profondamente dall'estremo interno del soleo fronto-marginale od orbitario esterno essa piega nel Gyrus vectus (G. R.) e decorre fino al limite del lobo olfattorio. La faecia mediale della circonvoluzione frontale superiore (circon- voluzione frontale interna di alcuni autori) è relativamente estesa e percorsa da alcuni solchi secondari a direzione trasversale e sagittale. Già si è accennato alla presenza del sulcus rostralis (Eberstaller) e del solco accessorio o rostralis inferior; il primo dei quali divide la porzione mediale di questa circonvoluzione in due piani. 330 G. Sperino, Gyrus frontalis medius. La circonvoluzione frontale media (G. F. M.) ha una disposizione assai complessa per la presenza del ramus hori- zontalis del sulcus praecentralis inferior e del sulcus frontalis me- dius. Essa si origina con una radice superficiale e superiore dalla circonvoluzione frontale ascendente e con un'altra profonda ed inferiore dal Gyrus frontalis inferior, separate queste radici dal decorso del ramus horizontalis del suleus praecentralis inferior. La circonvolu- zione frontale media portandosi in avanti aumenta del doppio ed è divisa in due tratti circonvoluti dal decorso del solco frontale medio. Per mezzo di aleune pieghe di passaggio ben evidenti essa si connette colle eirconvoluzioni frontale superiore, frontale inferiore e colla por- zione orbitaria. Gyrus frontalis inferior. La circonvoluzione frontale inferiore (G. F. L) per mezzo del suo piede nasce con un'unica radice dalla circonvoluzione frontale ascendente, si porta in alto (pars ascendens) sotto forma di una circonvoluzione stretta, poscia inflettendosi passa nella radice posteriore dell’operculum frontale intermedium, pars tri- angularis (Schwalbe, Eberstaller) caput, promontorium (Broca). Il piede della circonvoluzione frontale inferiore è assai ben circoscritto posteriormente dal solco precentrale o prerolandico inferiore, anterior- mente dal ramus anterior ascendens della silviana, in alto dal solco frontale inferiore, in basso dall’origine del ramo posteriore della sil- viana. L’estremo superiore del piede corrisponde all’origine del solco frontale inferiore dal precentrale inferiore, e quivi notasi la radice in- feriore e profonda della circonvoluzione frontale media. Il promontorio rappresenta una porzione triangolare ad apice in basso, assai larga, compresa tra i due rami ‘anteriori, ascendente ed orizzontale, della silviana che la separano all'indietro dal piede, in avanti dalla porzione orbitaria. Il promontorio è inciso abbastanza - profondamente dal sulcus radiatus (r.) (Eberstaller) che comunica col soleo frontale inferiore, e mediante una robusta piega di passaggio è connesso alla circonvoluzione frontale media. Innanzi a questo caput e separato da esso mediante il robusto ramo anteriore orizzontale della silviana si trova la porzione orbitaria della circonvoluzione frontale inferiore distinta in due pieghe, una Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 337 esterna, interna l'altra. La prima diretta sagittalmente è connessa mediante una piega di passaggio alla circonvoluzione frontale media ed é compresa tra il ramo anteriore orizzontale della silviana ed il soleo orbito-frontale o suleus orbitalis externus ben evidente (s. o. e.). La seconda od interna, con direzione trasversale, forma il margine posteriore della faccia orbitaria ed è compresa tra il suleus orbitalis in avanti, molto complesso come si è detto, e lo spazio perforato al- l’indietro; essa si prolunga fino all’angolo orbitario interno in corri- spondenza del trigono olfattorio, confondendosi in questo punto colle circonvoluzioni frontale superiore e frontale media (polo frontale, Hervé). Lobo parietale, lobo occipitale e lobo temporale dell’emisfero destro (Tav. I e IL). A. Solchi. Descriveremo insieme questi tre lobi, che hanno dei nessi cosi stretti fra loro, trattando prima i solchi o le scissure e poscia le circonvoluzioni. Il sulcus retrocentralis o postrolandico ed il sulcus intraparietalis costituiscono un sistema di solchi fra loro connessi. Nel sulcus retro- centralis dobbiamo distinguere due porzioni, una superiore, s. retro- centralis superior (r. c. s.), e l’altra inferiore, s. retrocentralis inferior (r. e. è... Il ramo o porzione superiore volge in alto ed all’indietro e prima di raggiungere il margine interemisferico si biforca in un ramo anteriore breve, che intacca l'estremo superiore della eirconvolu- zione parietale ascendente ed in un ramo posteriore, che raggiunge il margine interemisferico terminando dietro il sulcus parietalis superior (p. s.) (transversus di Brisaud), situato sulla superficie del Precuneo fra 1 suoi due solchi divergenti. Il ramo o porzione inferiore in diretta continuazione di quello superiore, si dirige in basso e termina biforcandosi nel Gyrus supra- marginalis. Nel punto di convegno delle due porzioni del sulcus retrocentralis parte un soleo («) abbastanza profondo, diretto in alto ed in avanti, che incide quasi completamente la circonvoluzione parietale ascendente. Nello stesso punto di convegno, corrispondente circa alla metà Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 22 338 G. Sperino, del sulcus retrocentralis, questo è riunito col sulcus intraparietalis (à. p.), il quale decorre in modo tipico incurvato in dietro, in dentro ed in basso e termina dietro il Gyrus arcuatus posterior in un ben marcato sulcus occipitalis transversus (0. t.). La scissura interparietale nel suo decorso resta interrotta da una piccola piega anastomotica relativamente superficiale che connette il Gyrus arcuatus anterior del lobulo parietale superiore col Gyrus angularıs. Ancora nello stesso punto di convegno dei vari solchi ora accen- nati notasi la terminazione del ramus anterior ascendens (a. a. t. s.) del soleo temporale superiore o scissura parallela (Gratiolet), ramo che rappresenterebbe un sulcus intermedius (G. Retzius). In tal modo dalla confluenza di tutti questi solchi risulta una vera stella a cinque raggi. Nel Praecuneus, come già abbiamo detto, sonvi due sale: prae- cunei divergenti dal sulcus subparietalis (s. p.), diretti in alto e ter- minanti a fondo cieco; nell'intervallo compreso fra i loro estremi superiori esiste un altro solco assai profondo, il quale, incidendo il margine interemisferico al davanti del ramo posteriore di biforcazione del sulcus retrocentralis superior, decorre trasversalmente nello spes- sore del Gyrus praecunei medius. Questo solco trasverso rappresenta il sulcus parietalis superior (p. s.) e nel caso nostro merita vera- mente il nome di transversus datogli da Brisaud. Fissura parieto-occipitalis. La scissura parieto-occipitale (f.p. 0.) ha un decorso che si avvicina alquanto all’orizzontale, col suo estremo interno incide alquanto profondamente il Gyrus Ayppocampi e colla sua estremità esterna assai profondamente il margine interemisferico, riuscendo sulla faccia esterna dell’emisfero per un’estensione di 15 mm. (porzione esterna), arrestata in questo punto da una piega di pas- saggio che connette il Gyrus arcuatus posterior col Gyrus occipitalis superior. Nel fondo della scissura in corrispondenza dell'estremo esterno notansi ben evidenti le due pieghe di passaggio, superiore in- terna ed inferiore interna (Gratiolet) che connettono il lobo quadri- latero al lobo occipitale. Fissura calcarına. La fissura calcarina (f. c.) corre dal polo Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini 339 occipitale, ove presentasi biforcata, all’incontro della fissura parieto- occipitale colla quale si congiunge per formare il suo truncus (t. f. c), che, come gia si è detto, intacca superficialmente la circonvoluzione dell'ippocampo. | Suleus temporalis superior. La scissura temporale superiore o parallela (£. s.) si origina a breve distanza dal polo temporale, decorre autonoma, parallelamente al ramo posteriore della silviana ed in corri- spondenza del punto di biforeazione di questo ramo piega in alto de- scrivendo una curva colla concavità in alto ed in avanti, dividendosi in due rami ascendenti, uno anteriore (a. a. f. s.), l’altro posteriore; il primo, che rappresenterebbe un sulcus intermedius (?) (Retzius), in- cide verticalmente il Gyrus angularis e sbocca nel solco intraparietale; il ramo posteriore (a. p. 6. s.), continuando il decorso primitivo della scissura, termina nel Gyrus angularis. Suleus temporalis inferior (Giacomini) medius di alcuni autori (t. 2). Questo solco nei due terzi anteriori si presenta interrotto da due pieghe anastomotiche, le quali connettono il Gyrus temporalis medius collinferior e nel terzo posteriore, oltrepassata la seconda piega anastomotica, si bipartisce; il ramo superiore, obliquando in alto ed all’indietro, costituisce la continuazione del Swleus temporalis in- ferior ed arriva in prossimità del solco intraparietale a breve distanza dalla sua terminazione nel solco occipitalis tramsversus; il ramo in- feriore (g) o laterale volge in basso incidendo profondamente il de- corso del Gurus temporalis inferior e giunge fino al margine laterale dell'emisfero. La porzione anteriore del Sulcus temporalis inferior, però, subito al davanti della prima piega anastomotica invia un ramo (7) abbastanza profondo, il quale circonda il margine laterale dell'emisfero e, riuscito sulla faccia inferiore del lobo temporale, volge in alto ed all'indietro congiungendosi colla fissura collaterali. Sulcus occipito-temporalis lateralis, sulcus temporalis inferior di alcuni autori, scissura occipito-temporale esterna (Giacomini). Questo soleo (o. t. J.) è interrotto nel suo decorso da una piega anastomotica che connette il Gyrus fusiformis col Gyrus temporalis inferior. Questo solco (o. ¢. J.) occupa la parte mediana della faccia inferiore 22% 340 G. Spenrino, del lobo temporale, esso è abbastanza ben marcato e descrive nel suo complesso una concavità rivolta in alto, lateralmente invia un piccolo ramo, che incide il Gyrus temporalis inferior verso il suo terzo medio. Fissura collateralis. Scissura oceipito-temporale mediale, interna (Giacomini). La fissura collateralis (c. o.) è molto profonda, la sua estremità anteriore é divisa da quella posteriore della fissura rhinica mediante il Gyrus rhinencephalo-fusiformis; nel suo decorso riceve il profondo solco lingualis sagittalis (l. s.). Suleus occipitalis transversus. La scissura occipitale trasversa (o. t.) è ben evidente, chiude l'estremo posteriore del solco intraparie- tale e dal suo estremo mediale parte un solco poco profondo, che in- cide la eirconvoluzione occipitale superiore. Sulcus occipitalis superior (0. s.) e suleus occipitalis inferior (o. 2.) sono fra loro connessi da un tratto verticale: il primo di essi é ben marcato ed incide il margine interemisferico, il secondo è appena accennato. Sulla faccia esterna di questo emisfero ed in corrispondenza della porzione affatto posteriore del lobo temporale notasi un solco pro- fondo (x), foggiato a mò di freccia coll'apice volto in alto, che, però, non comunica coll'estremo posteriore della scissura temporale inferiore. Esso si dirige in basso, alquanto flessuoso, e dopo avere inciso il mar- gine laterale dell'emisfero passa sulla sua faccia inferiore, ove si bi- forca, continuandosi il ramo anteriore di biforcazione nella fissura collateralis. Nel suo decorso limita nettamente allindietro le circon- voluzioni temporali e l'estremo posteriore del Gyrus fusiformis. Si resta alquanto dubbiosi sulla interpretazione di questo solco, che limita posteriormente il lobo temporale. Lo stesso Giacomini nelle sue Varietà delle circonvoluzioni cerebrali dell'uomo non accenna ad una simile disposizione. Egli, trattando delle varietà della scissura temporale superiore (pag. 164), riferisce che questa scissura manda talora un ramo inferiore, il quale distaccatosi dalla sua metà posteriore va non solo a mettersi in rapporto con la scissura temporale media, ma taglia, con decorso talora obliquo e tal’altra verticale, tutte e due le circonvoluzioni sottostanti, per riescire alla faccia inferiore dove, o termina nello spessore della circonvoluzione temporo-occipitale esterna Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 341 (Gyrus fusiformis), ovvero si unisce colla scissura omonima; in un caso lo vide protendersi fino alla fissura collateralis: osservó 23 volte questo ramo inferiore, 12 volte a destra ed 11 a sinistra. Peró, Egli soggiunge: questo solco non presenta l'aspetto degli altri, ma general- mente é poco profondo e piuttosto ampio e sembra fatto dal decorso di un cospicuo ramo delle arterie cerebrali; 1 margini sono general- mente arrotondati ed allontanati. Nel caso nostro il soleo in questione (x) né per la natura, né per la disposizione, né per i rapporti puó essere paragonato alla varietà riscontrata e descritta dallo stesso Giacomini, poiché é assai profondo e non contrae alcun rapporto diretto né col soleo temporale superiore né con quello inferiore. É ancora dubbio se possa venire considerato quale un sulcus occipitalis anterior di Wernicke, quale si osserva alla parte affatto posteriore del lobo temporale e che rappresenterebbe l'estremità po- steriore della scissura temporale media, che nella grandissima mag- gioranza dei casi non esiste nella sua parte più anteriore. Nel nostro emisfero abbiamo poc'anzi descritto la disposizione dell'estremo posteriore del solco temporale inferiore (medio di alcuni autori), indicando il comportamento del suo ramo inferiore. Il solco in questione (x) parmi si possa ritenere come l’esagerazione dell’inci- sura praeoceipitalis (Schwalbe), la quale osservasi talvolta in questa regione ed intacca precisamente il margine laterale dell'emisfero, se- gnando nettamente il confine fra il lobo occipitale ed il lobo temporale. DB. Circonvoluzioni dei lobi parietalis, occipitalis e temporalis. (Tav. I e ID. Gyrus Rolandicus (Giacomini). La circonvoluzione rolandica (G. R.), compresa fra le due scissure rolandiche, é molto robusta specialmente nel suo estremo inferiore, ha un decorso ondulato, presentando tre inflessioni delle quali due volte in avanti, la terza, in prossimità del margine interemisferico, volta all'indietro. L'estremo inferiore, molto robusto e largo, offre un'intaccatura che parte dalla scissura di Silvio, di cui già si & detto a proposito di questo solco, e che rap- presenterebbe il suleus subcentralis posterior di alcuni autori (s. c. p.), 342 G. Sperino, per mezzo della quale l'estremo inferiore del Gyrus Rolandicus si continua, in avanti col Gyrus centralis anterior, all'indietro col Gyrus centralis posterior. L'estremo superiore si risolve pure in due pieghe, delle quali lanteriore, circondando l'estremità superiore della vera scissura di Rolando, si continua nel Gyrus centralis anterior, Valtra, posteriore, chiudendo l'estremità superiore della seconda scissura di Rolando passa nel Gyrus centralis posterior. Gyrus centralis posterior. La circonvoluzione parietale ascen- dente (G. C. P.) é molto irregolare nella sua disposizione, più robusta nella metà inferiore, essa forma nella sua parte media una forte in- flessione in avanti, spinta dal ramo anteriore («) del Sulcus retro- centralis superior ed in questo punto si presenta assai sottile. Anche il suo estremo superiore, verso il margine interemisferico, forma una seconda inflessione in avanti e in dentro spinta dal ramo anteriore di biforcazione dell'estremo superiore del Suleus retrocentralis superior. Nel raggiungere il margine interemisferico il Gyrus centralis posterior si risolve in due branche, delle quali, l'una volge in avanti e si con- tinua direttamente nel Gyrus Rolandieus (Giacomini), chiudendo in alto la seconda scissura di Rolando; l'altra, circondando il ramo po- steriore di biforcazione dell'estremo superiore del solco retro-centrale, si continua direttamente nel Gyrus arcuatus anterior del lobulo pa- rietale superiore. L’estremitä inferiore della circonvoluzione parietale ascendente si continua mediante una sottile piega di passaggio col Gyrus Rolandicus, spingendosi la seconda scissura di Rolando molto in prossimità della Silviana. Sulla superficie della circonvoluzione in questione notansi due piecole intaccature poco profonde. Lobulus parietalis superior. In questo lobulo sulla sua faccia dorsale si possono riconoscere le tre circonvoluzioni arcuate del Gyrus parietalis superior e sulla faccia mediale il Praecuneus. Il Gyrus arcuatus anterior (A. A.), assai piccolo e ben delimitato, riceve in avanti lincisura sulei cinguli; posteriormente l'estremo su- periore del Sulcus parietalis superior lo divide dal Gyrus arcuatus medius. Il Gyrus arcuatus medius (A. M.), il più sviluppato dei tre, Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini 343 riceve nel suo spessore il ramo posteriore di biforcazione del Swleus retrocentralis superior e con una piega di passaggio, che interrompe il decorso del Suleus intraparietalis, si connette col Lobulus parie- lalis inferior. Il Gyrus arcuatus posterior (A. P.) è assai piccolo, però ben delimitato specialmente all'indietro dalla scissura parieto-occipitalis. Nel Praecuneus, per la disposizione dei solchi che già abbiamo descritto, si possono distinguere un Gyrus praecunei anterior (P. A.), un Gyrus praecunei medius (P. M.) ed un Gyrus praecunei. poste- Kors P.). Lobulus parietals inferior. Questo lobulo è assai sviluppato e per la disposizione dei solchi sopra ricordata si presenta anche molto complicato; in esso possiamo distinguere il Gyrus supra marginali, il Gyrus angularis ed il Gyrus parietalis inferior posterior. Gyrus supra marginalis. Questa circonvoluzione (S. M.) circonda il ramus posterior ascendens della Silviana ed è limitata posterior- mente ed in alto dal Sulcus retro centralis inferior, anteriormente si confonde col Gyrus centralis posterior; il limite inferiore è dato dal ramus posterior descendens fissurae Sylvw, nel qual punto essa si continua col Gyrus temporalis superior. Gyrus angularis. Questa circonvoluzione (A. N. G.) è molto estesa e contiene nel suo spessore il Sulcus intermedius (?) ed il ramo ascen- dente del Sulcus temporalis superior. In avanti è limitata dal Suleus retrocentralis inferior, in dietro dal ramo superiore del Sulcus tempo- ralis inferior (medius di alcuni autori) in alto dal Sulcus intrapa- rietalis, in basso si continua col Gyrus temporalis superior in avanti, in dietro col Gyrus temporalis medius. Il ramo ascendente anteriore del Sulcus temporalis superior, 0 ramus intermedius (i) come si è detto, incide profondamente il Gyrus angularis e si apre nel solco intraparietale, divide perciò questo Gyrus in due porzioni, una ante- riore piecola e costituita da un unico tratto di circonvoluzione, l'altra posteriore, di figura triangolare ad apice in basso, incisa dal ramo ascendente posteriore del solco temporale superiore. Sulla superficie del Gyrus angularis notasi ancora un solco sagittale poco profondo. Gyrus parietalis inferior posterior (P. I. P.). Questo rappresenta 344 G. Sperino, una piccola circonvoluzione ben delimitata in avanti ed in alto dal decorso del ramo superiore del sulcus temporalis inferior, posterior- mente dalla terminazione del soleo intraparietale nel suleus occipitalis transversus, in basso si continua colla circonvoluzione occipitale media e temporale inferiore e riceve nel suo spessore l'apice della freccia del soleo x (incisura praeoccipitalis). Gyrus occipitalis superior. La circonvoluzione occipitale superiore (G. O. S.) decorre parallelamente al margine interemisferico, in basso è limitata dal solco occipitale trasverso, lateralmente dal solco intra- parietale, in alto dalla scissura parieto-occipitalis (porzione esterna), nel qual punto si unisce al Gyrus arcuatus posterior del lobulo parietale superiore. La sua superficie è incisa da un solco che comu- nica col solco trasverso. Gyrus occipitalis medius. Questa circonvoluzione (G. O. M.) è anch'essa ben delimitata in alto dal solco trasverso, in hasso dal solco occipitale superiore; ha un decorso trasversale alquanto ondulato, in avanti si continua col Gyrus parietalis inferior posterior e coll’occi- pitalis inferior; all'indietro termina al polo occipitale. Gyrus occipitalis inferior (G. O. I). Situata al disotto della precedente, questa circonvoluzione costeggia il margine esterno del- l'emisfero, il suo estremo posteriore si confonde col polo occipitale, coll’estremo anteriore si connette col Gyrus occipitalis medius e col Gyrus parietalis inferior posterior. Al davanti notasi il solco x (in- cisura praeoccipitalis). Il Cuneus (C. U.), ha la sua forma tipica, però è molto piccolo per la disposizione della fissura calcarina e della fissura parieto- occipitalis, è soleato da una scissura biforcata poco profonda, perpen- dicolare alla calcarina che lo divide in due Gyr? cunei. Gyrus temporalis superior. La circonvoluzione temporale supe- riore (G. T. S.) è assai ben circoscritta dalla silviana e dalla scissura parallela, incomincia in avanti in corrispondenza del polo temporale, ove si continua col Gyrus temporalis medius e col temporalis inferior formando un Gyrus temporalis polaris (G. T. P.), poscia si dirige al- lindietro ed in alto con decorso alquanto arcuato, sempre più in- grossando finchè termina nel Gyrus supramarginalis e nel Gyrus Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 345 amgularıs. Sulla sua superficie, oltre le intaccature della silviana, notansi alcuni solchi terziari (solchi intermedi di Jensen). Gyrus temporalis medius (G. T. M.). Anche questa circonvolu- zione è ben distinta e con decorso flessuoso si dirige all'indietro, divi- dendosi poscia in due pieghe per la biforcazione del sulcus temporalis inferior (medius di alcuni autori) La piega superiore volge in alto ed allindietro e si continua col Gyrus angularis, la piega inferiore chiude in basso il ramo inferiore di biforcazione del sulcus temporalis inferior (medius di aleuni autori) connettendosi quivi col Gyrus tem- poralis inferior, e, riplegandosi poscia in alto, si unisce al Gyrus parietalis inferior posterior. Essa per mezzo di due pieghe anasto- motiche si connette col Gyrus temporalis inferior. Gyrus temporalis inferior (G. T. L). La circonvoluzione temporale inferiore decorre lungo il margine laterale dell'emisfero, invadendo alquanto la faccia inferiore del lobo temporale, essa è connessa in avanti mediante una robusta piega di passaggio col Gyrus fusiformis ed all'indietro col Gyrus temporalis medius. In corrispondenza del polo temporale notasi una circonvoluzione anteriore anastomotica delle circonvoluzioni temporali, che costituisce il Gyrus temporalis polaris (G. T. P.). Gyrus fusiformis. ll Gyrus fusiformis (F.) limitato dalla fissura collateralis e dalla scissura occipito-temporale esterna & connesso al Gyrus hippocampi mediante una robusta piega di passaggio, super- ficiale, Gyrus rhinencephalo-fusiformis (G. R. F.), ed all'indietro, me- diante un'altra piega di passaggio, superficiale, colla circonvoluzione temporale inferiore. Gyrus lingualis. Il Gyrus lingualis (L.) si presenta di forma pressoché normale, si origina dal Gyrus hippocampi mediante un robusto e largo Gyrus rhinencephalo-lingualis (R. L.) ed è percorso da un sulcus sagittalis abbastanza largo, parallelo al truncus della calcarina, che in avanti comunica colla fissura collateralis, Ànteressando alquanto il Gyrus hippocampi. 346 G. Sperino, Emisfero sinistro. 1. Rinencefalo (Fig. 4). Nel bulbus e nel tractus olfactorius, nel trigomwm olfactorium, nella substantia perforata anterior e nei Gyri olfactorii medialis et lateralis, come nell'emisfero destro, non vi é nulla di notevole. Il tuberculum olfactorium e la benderella diagonalis di Broca, come dal lato destro, sono abbastanza ben evidenti. Il Gyrus hippocampi (G. H.) si presenta come nelle condizioni ordinarie, la sua estremità anteriore è separata da una fissura rhinica ben evidente (f. r.) il cui estremo posteriore è biforcato, dietro ad essa si trova una circonvoluzione di passaggio abbastanza robusta, il Gyrus rhinencephalo fusiformis (G. R. F.), il quale stabilisce un rap- porto, in avanti, coll’estremo anteriore del Gyrus temporalis inferior, ed all’indietro, però alquanto profondamente, coll’estremo anteriore del Gyrus fusiformis. Dietro questa circonvoluzione di passaggio si ori- gina la fissura collateralıs‘(c. 0.), che decorre normalmente tra il Gyrus lingualis ed il Gyrus fusiformis. Il Gyrus fusiformis (F.) colla sua porzione anteriore è situato a guisa di opercolo sopra il Gyrus hippocampi e colla sua porzione posteriore è in rapporto col Gyrus lingualis, da questo diviso mediante la fissura collateralis. Il truncus fissurae calcarimae (t. f. c.) intacca molto profonda- mente il Gyrus hippocampi formando così un istmo molto stretto. Il Gyrus hippocampi, in dietro, passa collo stretto istmo nel Gyrus cinguli, il quale riceve il Gyrus praecunei posterior (P. P.); in avanti del sulcus subparietalis, il suleus cinguli si allarga per subito restringersi alquanto fino in corrispondenza dell’origine della piega di passaggio al Gyrus frontalis superior ed al lobulo para- rolandico e poscia di nuovo si allarga, terminando pol piü ristretto sotto il ginocchio del corpo calloso. Il Gyrus hippocampi si connette col Gyrus lingualis per mezzo del Gyrus rhinencephalo-lingualis (R. L.). La fissura hippocampi non presenta nulla di notevole, come pure Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 347 l'Uncus; la fimbria, la fascia dentata, la benderella dell'uncus (Gia- comini), la fasciola cinerea sono normali. Il sulcus subparietalis (s. p.) anche nell’emisfero sinistro è ben marcato, concavo in basso e dalla sua porzione anteriore si origina un breve solco (n), mediante il quale comunica colla pars marginals del swleus cingulà, come una delimitazione regolare in avanti del Gyrus cinguli continuante il Gyrus hippocampi attorno allo splenio; a differenza di quanto si é osservato nell'emisfero destro in cui, per la presenza di una sottile piega di passaggio, tale delimitazione & in- completa. Il rapporto predetto, secondo i calcoli di G. Retzius, esiste- rebbe circa in un terzo degli emisferi cerebrali (349/)). Il suleus subparietalis cola sua porzione posteriore volge in basso verso lo splenio, penetrando profondamente nella circonvoluzione, e forma cosi una piega di passaggio (P. P.), relativamente robusta fra il Precuneo e listmo (Gyrus praecunei posterior) Dalla porzione mediana del suleus subparietalis parte un solco profondo diretto verticalmente in alto nello spessore del precuneo (sulcus praecuner) (p. c.), il quale termina a fondo cieco prima del margine interemisferico. Il suleus cinguli (s. c.) decorre profondamente dal suo punto di riunione col sulcus subparietalis in parte verso l'alto ed allo indietro nell’incisura sulci cinguli (i. c.), che incide profondamente il margine interemisferico, in parte in avanti continuandosi colla porzione inter- media (2). Questa poi non si continua direttamente colla porzione anteriore pars subfrontalis (a), ma & interrotta da una piega di pas- saggio obliqua in alto ed all’indietro, che connette il Gyrus cinguli col lobulo paracentrale e colla circonvoluzione frontale superiore. La porzione anteriore del sulcus cinguli (pars subfrontalis) (a) circonda poscia il ginocchio del corpo calloso terminando sotto di esso. Anche in questo emisfero manca ogni traccia di sulcus rostralis transversus. Dal suleus cinguli partono in avanti alcuni rami trasversali che in- cidono più o meno profondamente la faccia mediale del Gyrus fron- talis superior e verso la parte mediana si distacca, come nell'emisfero destro, il sulcus praecentralis medialis (p. m.) (Eberstaller), il quale delimita in avanti ed in alto il lobulo pararolandico. 348 G. Sperino, 2. Pallium. Lobus frontalis (Fig. 3 e 4). A. Solchi. Fissura cerebri. lateralis (Sylvii) (f. sy.). Ramus posterior. ll ramo posteriore della silviana o truncus fissurae Sylvi in questo emisfero decorre orizzontalmente all’indietro per una estensione di 42 mm. e, giunto in corrispondenza del punto in cui la circonvoluzione parietale ascendente si continua colla circonvoluzione parietale in- feriore, volge in alto ed all’indietro per un'estensione di 2 cm., descri- vendo una curva colla concavità m avanti ed in alto, che abbraccia l'origine della circonvoluzione parietale inferiore e colla sua estremità termina, senza biforcarsi, nello spessore del Gyrus supramarginalis. La piega temporoparietale del Giacomini in questo emisfero tende a farsi superficiale e si dimostra in corrispondenza del punto in cui il ramo posteriore della silviana piega in alto. | È d’uopo intanto che io richiami l’attenzione sopra una partico- larità che a prima vista potrebbe far cadere in errore chi osservi il disegno di questo emisfero (Taf. III) Nel punto in cui il ramo posteriore della silviana cambia direzione, notasi un leggiero solco che taglia dall’avanti all'indietro l'estremo posteriore del Gyrus temporalis superior e che parrebbe stabilire un’anastomosi tra la silviana e la scissura parallela, come venne notato in qualche esemplare dallo stesso Giacomini. Nel caso nostro questo è un semplice solco vascolare (v.) dovuto al decorso di una cospicua arteria, la quale costantemente (Giacomini, loc. citato, pag. 48) sorgendo dalla scissura di Silvio si porta all'indietro attraversando ad angolo retto la circonvoluzione temporale superiore, lasciando quivi un'impronta più o meno marcata. Nell'emisfero destro abbiamo riscontrato, come varietà, delle sem- plici intaccature del ramo posteriore della silviana interessanti le cir- convoluzioni limitrofe; in questo emisfero troviamo un ramo assai profondo e cospicuo, il quale rappresenterebbe il sulcus subcentralis posterior (s. c. p.) (G. Retzius). Questo ramo, partendo dalla silviana nel momento che sta per cambiare direzione, si dirige verticalmente in alto per un’estensione di 3 cm. nello spessore della circonvoluzione Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 349 parietale ascendente e termina biforcandosi quasi ad angolo retto in un ramo anteriore, lungo 7 mm., il quale non raggiunge la scissura di Rolando, ed in un altro posteriore, lungo 13 mm., il quale non raggiunge la scissura intraparietale. Per questa disposizione la circonvoluzione parietale ascendente é molto robusta e suddivisa in due pieghe, delle quali l'una, anteriore, in rapporto colla seissura di Rolando, chiude l'estremità inferiore di questa scissura continuandosi colla circonvoluzione frontale ascendente; l’altra, posteriore, si continua in basso colla circonvoluzione parietale inferiore lobulus supra marginalis. Lo stesso Giacomini avrebbe riscontrato questa disposizione, come varietà della silviana, col seguente grado di frequenza: Ramo nello spessore della circonvoluzione parietale ascendente: 18 volte in ambo i lati. . . . . . emisferi 36 OPA Mestre Ug 2959 21, a sinistra . 21 Totale emisferi 76 I piü brevi oltrepassavano di poco il mezzo centimetro; la grande maggioranza oscillava fra 1 e 2 cm. di lunghezza. Inoltre lo stesso autore osserva che fra i rami, forniti dalla silviana, i quali rimangono generalmente chiusi, due meritano di essere ricordati per la loro posizione e per la proporzione che talora assu- mono. Questi rami sono quelli che si insinuano nello spessore della estremità inferiore delle due circonvoluzioni limitrofe alla scissura di Rolando. Quando si verifiea questo fatto, allora le estremità inferiori di dette circonvoluzioni sono molto robuste. La piena conferma di questa affermazione del Giacomini la offre il suo cervello (circon- voluzioni frontale ascendente, parietale ascendente di sinistra, circon- voluzione frontale ascendente di destra ed il Gyrus Rolandicus). Suleus centralis (Rolandi) In questo emisfero la scissura di Rolando (s. 7.) si origina a metà circa del decorso del ramo posteriore della silviana, da cui é divisa per mezzo di una robusta piega di passageio dello spessore di 12 mm., essa quindi volge in alto ed al- Vindietro, con decorso flessuoso solo nei due terzi superiori, verso il margine interemisferico e termina alla faccia mediale dell'emisfero 350 G. Sperino, PA interessandola per l'estensione di 10 mm. e contraendo rapporti nor- mali colla encisura sulci cinguli. La sua maggiore profondità è di 14 mm., la sua lunghezza rela- tiva di 70 mm., quella assoluta di 95 mm. La distanza della sua estremità superiore dal polo frontale misura 116 mm. La distanza della sua estremità superiore dal polo occipitale misura 100 mm. La distanza della sua estremità inferiore dal polo frontale misura 69 mm. La distanza della sua estremità inferiore dal polo occipitale misura 97 mm. Sulcus praecentralis. In questo emisfero il sulcus praecentralis è perfettamente distinto in due porzioni superiore ed inferiore per la presenza del piede della circonvoluzione frontale media, che sorge circa al terzo medio dal Gyrus centralis anterior. La porzione supe- riore, suleus praecentralis superior (p. v. s.), decorre parallelamente alla scissura di Rolando seguendone le flessuosità, misura in lunghezza 46 mm. e nel raggiungere il margine interemisferico si bipartisce ad angolo retto, il ramo posteriore, lungo 8 mm., termina a fondo cieco nello spessore dell’estremo superiore molto robusto del Gyrus centralis anterior, il ramo anteriore, dopo il decorso di 8 mm., incide trasver- salmente il margine interemisferico e compare cosi sulla faccia me- diale dell'emisfero, ove si continua col suleus paracentralis (p. r.) ben evidente. Il sulcus praecentralis superior nel suo decorso comunica col suleus frontalis superior ed in basso & chiuso dal piede del Gyrus frontalis medius. La porzione inferiore, sulcus praecentralis inferior (p. v. 2.) spinge, come normalmente e come si osserva nell'emisfero destro, il suo estremo superiore al davanti dell’estremo inferiore del sulcus prae- centralis superior, decorre quasi verticalmente in basso e colla sua estremità inferiore non comunica colla silviana, essendo chiuso dal piede del Gyrus fromtalis inferior, che si continua col Gyrus cen- tralis anterior, molto robusto. Dall’estremo superiore del suleus prae- Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 351 centralis inferior parte il suo ramus horizontalis (h.) o superior- anterior, il quale dopo un decorso di 10 mm. si continua con un solco che incide trasversalmente il Gyrus frontalis medius e si apre nel sulcus frontalis superior, stabilendo così una comunicazione fra questo soleo ed il praecentralis inferior. Circa al terzo superiore del sulcus praecentralis inferior si ori- gina il sulcus frontalis inferior. Sulcus frontalis superior. In questo emisfero il soleo frontale superiore (f. s.) originasi dal sulcus praecentralis superior e decor- rendo sagittalmente in avanti comunica, come si è detto poc'anzi, per mezzo di un solco trasverso che incide il Gyrus frontalis medius col ramus horizontalis (h.) e quindi coll'estremo superiore del sulcus praecentrals superior. La sua estremità anteriore è interrotta da due pieghe di passaggio, che connettono il Gyrus frontalis superior col Gyrus frontalis medius, e termina biforcandosi. Sulcus frontalis medius. Di questo solco (f. m.) abbiamo in questo emisfero un semplice accenno, che compare nello spessore della metà anteriore del Gyrus frontalis medius, dividendolo in due tratti di circonvoluzione fra loro congiunti agli estremi del solco frontale medio e costituenti due pieghe di passaggio, che connettono il Gyrus frontalis medius al Gyrus frontalis inferior. Sulcus frontalis inferior. Il solco frontale inferiore (f. è.) si origina verso il terzo superiore del swleus praecentralis inferior ed & distinto in due porzioni essendo interrotto nel suo decorso in avanti ed in basso da una piccola piega di passaggio che unisce il Gyrus frontalis medius al Gyrus frontalis inferior. L’estremo anteriore delle due porzioni termina biforcandosi e l'estremo posteriore della seconda porzione comunica col sulcus radiatus (r.). Questo solco non è cosi pronunciato come nell’emisfero destro, ne presenta perd la stessa disposizione ed i medesimi rapporti. Riguardo alla faccia mediale del lobo frontale abbiamo già detto del comportamento del sulcus cinguli e del sulcus praecentralis. me- dialis (Eberstaller, Schwalbe) ed abbiamo pure notato la mancanza del sulcus rostralis transversus, solo ci resta a dire del sulcus rostralis proprius (Eberstaller) (r. o.), il quale, quasi equidistante dal margine 352 G. Sperino, interemisferico e dalla porzione anteriore del sulcus einguli, decorre parallelamente. a questa, comunicandovi colla sua estremità anteriore- superiore. Dal suleus rostralis (Eberstaller) partono alcuni solchi secondari sagittali e trasversali, che intaccano la porzione mediale del Gyrus frontalis swperior fino al margine interemisferico. Anche in questo emisfero notasi la presenza di un leggiero accenno ad un sulcus rostralis inferior (vr. 0. è.) che incide il polo frontale. Al limite della faccia esterna colla faccia inferiore od orbitaria del lobo frontale si osserva il suleus orbitalis externus od orbito- frontale (Giacomini) (s. o. e.), assai ben marcato in questo emisfero, il quale comunica colla silviana nel punto in cui da questa si distac- cano 1 due rami anteriori ascendente ed orizzontale. Sulla faccia inferiore od orbitaria del lobo frontale notasi il suleus olfactorius (o. ben evidente, diretto in avanti ed alquanto medialmente. Il suleus orbitalis (o. r.) è profondo, risulta di un unico solco diretto sagittalmente dall’indietro in avanti verso il polo frontale, ed a metà circa del suo decorso manda lateralmente un breve ramo trasversale. Tra il sulcus orbitalis e l’olfactorius notansi altri piccoli solchi disposti a guisa di una stella a tre raggi. B. Circonvoluzioni del lobo frontale dell'emisfero sinistro (Fig. 3 e 4). Gyrus centralis anterior. La circonvoluzione frontale ascendente (G. C. A.) decorre parallelamente alle due porzioni del solco precen- trale e del solco centrale seguendone le inflessioni. Nel suo terzo inferiore si presenta molto robusta e nello spessore di questa porzione notasi la presenza del sulcus subcentralis anterior (s. c. a.), lungo 15 mm., che peró non comunica colla silviana. L'estremo inferiore di questo Gyrus si continua in avanti col piede della circonvoluzione frontale inferiore, chiudendo il suleus prae- centralis inferior ed all’indietro col Gyrus centralis posterior, chiu- dendo la scissura di Rolando, allo stesso modo che l'estremo superiore dello stesso Gyrus ne chiude l'estremità superiore, sulla faceia mediale Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 353 dell’emisfero, continuandosi col Gyrus centralis posterior per costituire il lobulus paracentralis. Dal Gyrus centralis anterior in corrispondenza del margine inter- emisferico si origina il Gyrus frontalis superior e nel punto di unione del terzo medio col terzo inferiore, dove la circonvoluzione si presenta più robusta, sorge il piede del Gyrus frontalis medius. Il lobulus paracentralis o pararolandico, normale nella sua di- sposizione generale, molto più esteso di quello dell'emisfero destro, ha forma irregolarmente rettangolare (P. A. R.), è diretto sagittalmente, limitato all’indietro dalla pars marginalis del sulcus cinguli e dalla incisura sulei cinguli, in avanti dal sulcus praecentralis medialis (Eberstaller) ramo laterale trasverso del sulcus cinguli. La superficie del lobulo pararolandico è percorsa dal suleus paracentralis proprius (p. r.), profondo, che dal margine interemisferico, dove, come già si è detto, si continua coll’estremo superiore del sulcus praecentralis su- perior, si dirige obliquamente in basso ed all’indietro. Gyrus frontalis superior. La circonvoluzione frontale superiore (G. F. S.), è molto sviluppata alla superficie dorsale e va restringen- dosi in avanti; essa si origina con una piega profonda dall’estremo superiore del Gyrus centralis anterior, a metà circa del suo decorso riceve una robusta piega superficiale, che la connette col Gyrus fron- talis medius ed alquanto in avanti, mediante una seconda piega super- ficiale più piccola, si unisce allo stesso Gyrus. Sulla sua superficie dorsale in corrispondenza del margine inter- emisferico sonvi alcune intaccature trasversali ed altre sagittali, che la interessano più o meno profondamente. Il Gyrus frontalis superior poi piega nel Gyrus rectus (G. R.), e così decorre sino al limite del lobo olfattorio. La faccia mediale della circonvoluzione frontale superiore (circon- voluzione frontale interna di alcuni autori) è molto estesa e percorsa da solchi secondarî trasversali, che si diramano dal suleus cinguli e dal sulcus rostralis proprius, il quale divide questa circonvoluzione in due piani: il ramo rappresentante il sulcus rostralis inferior la incide pure verso il polo frontale. Gyrus frontalis medius. La circonvoluzione frontale media (G.F.M.), Internationale Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. XVIII. 23 354 G. Sperino, assal robusta e circonvoluta, si inizia con due radici, delle quali una superficiale, l'altra profonda: la prima si stacca dal Gyrus centralis anterior nel punto di unione del suo terzo medio col terzo inferiore, la profonda si origina dall'estremo superiore del piede del Gyrus frontalis inferior. Queste due radici sono divise dal decorso del sulcus prae- centralis inferior e più in alto dal ramus horizontalis di questo solco. I] Gyrus frontahs medius nel suo decorso é attraversato da un solco diretto frontalmente e più in avanti si presenta distinto in due tratti di circonvoluzione fra loro divisi dal sulcus frontalis medius, che abbiamo detto essere in questo emisfero appena accennato ed il cui estremo anteriore resta chiuso in seguito alla riunione dei due tratti di circonvoluzione ora accennati. Il Gyrus frontalis medius, poi, decorre in avanti e con una piega profonda si continua colla porzione orbitaria; l’estremo mediale del solco orbito-frontale incide leggermente questo Gyrus, dove appunto sorge la piega anastomotica. Due pieghe di passaggio superficiali connettono la circonvoluzione frontale media colla inferiore e due altre pieghe pure superficiali la uniscono alla superiore. Gyrus frontalis inferior. La circonvoluzione frontale inferiore (G. F. L), dell'emisfero sinistro non presenta nella sua disposizione generale alcuna differenza da quella dell’emisfero destro, solo la por- Zione anteriore od orbitaria € piü chiaramente divisa in due pieghe, esterna ed interna dall'estremo laterale del solco orbito-frontale o fronto-marginale, il quale si apre direttamente nella silviana. La cir- convoluzione frontale inferiore é connessa alla circonvoluzione frontale media per mezzo di tre pieghe di passaggio, delle quali due sono superficiali, l'altra, profonda, trovasi in corrispondenza dell'origine del suleus frontalis inferior dal suleus praecentralis inferior. Lobus parietalis, lobus occipitalis e lobus temporalis delPemisfero sinistro (Fig. 3 e 4). A. Solchi. Il sulcus retrocentralis o postrolandico ed il sulcus intraparietalis rappresentano, come già si è detto, un sistema di solchi connessi fra di loro. | Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 355 Il suleus retrocentralis superior (v. c. s.) volge in alto ed allo indietro senza raggiungere il margine interemisferico circondando il Gurus arcuatus anterior del lobulus parietalis superior, in basso si continua direttamente col suleus retrocentralis inferior (r.c.2.). Questo soleo va parallelamente al ramo (sulcus subcentralis posterior) che abbiamo descritto come varietà a proposito della silviana decorrente nello spessore del Gyrus centralis posterior, e giunge in basso fino in prossimità della fissura Sylvu. Per la presenza del ramo (sulcus sub- centralis posterior) che decorre nello spessore del Gyrus centralis posterior dividendolo in due pieghe abbastanza robuste, il sulcus retro- centralis inferior viene spostato alquanto indietro (come nell’emisfero sinistro di Gyldén). Nel punto di unione dei due solchi retrocentrali superiore ed inferiore si distacca un ramo profondo (0), diretto in alto ed in avanti, il quale ben tosto si biforca, terminando nello spessore della circon- voluzione centrale posteriore ed intaecandola piü o meno profonda- mente. Sulcus intraparietalis. Questo soleo (i. p.) corre, dal punto di riunione dei tre solchi ora descritti, curvilineo all'indietro ed in basso in modo tipico, terminando dietro il Gyrus arcuatus posterior nel suleus occipitalis transversus (o. t.). Nel suo decorso il soleo intra- parietale manda un piccolo ramo laterale, che intacca superiormente il lobulus parietalis inferior. Il punto di convegno del solco retrocentrale, dell’intraparietale e del ramo anteriore, che si distacca dal retrocentrale, forma una stella a quattro raggi. Il suleus parietalis superior, transversus (Brisaud) costituisce un tratto di solco (p. s.), che col suo estremo mediale percorre per breve tratto la faecia mediale dell'emisfero, insinuandosi nel precuneo poste- riormente all’incisura sulci eimguli e coll'estremo laterale termina bi- forcato ad angolo retto alla superficie dorsale, nel suo complesso assumendo la forma di una T. Il sulcus praecunei (p. c.) parte dal sulcus subparietalis (s. p.) e si dirige verticalmente in alto ed un po’ all'indietro, non raggiun- gendo il margine interemisferico. Gia si è accennato alla presenza 23 * 356 | G. Sperino, di un piccolo solco anastomotico (y) fra il suleus. subparietalis e la pars marginalis del suleus cinguli, nel qual punto esiste una piega di passaggio profonda fra il Praecuneus ed il Gyrus cinguli. Fissura parieto-occipitalis. La scissura parieto-occipitale (f. p. o.) ha decorso normale, col suo estremo interno intacca leggermente il Gyrus hippocampi e col suo estremo esterno riesce alla faecia dorsale dell'emisfero per una estensione di Y mm. Nel fondo della seissura si scorgono le due pieghe di passaggio interne, superiore ed inferiore (Gratiolet) tra il Precuneo ed il Cuneo. La fissura calcarına (f. c.) incide col suo truncus (t. f. c.) molto profondamente l'istmo dell'ippocampo ed è connessa colla fissura parieto- occipitalis; il suo estremo posteriore termina leggermente bipartito al polo oceipitale. Sulcus temporalis superior. La scissura temporale superiore o parallela (7. s.) si origina a breve distanza dal polo temporale e de- corre parallelamente al ramo posteriore della silviana; giunta in corri- spondenza dell'estremo inferiore del Gyrus supramarginalis volge verticalmente in alto (ramus ascendens) e termina biforcandosi nello spessore del Gyrus angularis. Da questo ramo ascendente, a breve distanza dalla. sua origine, parte un altro solco poco profondo diretto in alto ed allo indietro, che dividerebbe il Gyrus angularis dal Gyrus parietalis inferior- posterior e rappresenterebbe un sulcus intermedius (2.). Suleus temporalis inferior, medius di alcuni autori (7. 2.). Il solco temporale inferiore, che si origina dal polo temporale, risulta di piü tratti distinti, perció é interrotto nel suo decorso da due robuste pieghe di passaggio connettenti fra loro i Gri temporalis medius et inferior, delle quali pieghe la posteriore assai più cospicua è soleata da una incisura trasversale e poco profonda. Il solco temporale in- feriore giunto in rapporto del punto in cui la scissura parallela manda il suo ramo ascendente in alto ed all'indietro nello spessore del Gyrus angularis, invia esso pure un ramo ascendente posteriore, il quale, dopo avere spostato alquanto in alto ed all'indietro il Gyrws parie- talis inferior-posterior, si continua sagittalmente all’indietro nel sulcus occipitalis inferior (o. è.) fino al polo occipitale. Nel punto dianzi Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 351 accennato notasi un soleo abbastanza profondo (u) che fa comunicare la seissura parallela col soleo temporale inferiore. Per la presenza di questo tratto anastomotico fra i due solchi noi abbiamo sulla faccia esterna dei lobi temporale ed occipitale un profondo solco esteso dal polo temporale al polo occipitale e costituito da tre porzioni, una anteriore, rappresentata dalla porzione anteriore della scissura parallela, una intermedia, fatta dal tratto (u) anasto- motico ora descritto ed una posteriore, data dal ramo posteriore ascendente del solco temporale inferiore e dal solco occipitale in- feriore. Sulcus occipito-temporalis lateralis, sulcus temporalis inferior di alcuni autori. Questo solco (o. £. L) risulta di due porzioni, una an- teriore, che decorre internamente al margine inferiore dell'emisfero, l'altra posteriore, leggermente concava in alto, decorrente al limite inferiore della faccia esterna dell'emisfero, divise queste due porzioni da una robusta circonvoluzione di passaggio, che va dal Gyrws tem- poralis inferior al Gyrus fusiformis. . Fissura collateralis. La fissura collateralis (c. 0.) decorre tipica- mente fra il Gyrus fusiformis ed il Gyrus lingualis, in avanti comu- nica colla porzione anteriore del solco occipito-temporale laterale, al- l'indietro termina nell'incisura praeoccipitalis (Schwalbe) (x) e nel suo decorso riceve il sulcus lingualis sagittalis (l. s.), biforcato. Sulcus occipitalis transversus. La scissura occipitale trasversa (o. t.) chiude l'estremo posteriore del solco intraparietale, colla sua porzione laterale comunica col tratto posteriore del solco temporale inferiore, colla porzione mediale intacca profondamente la circonvolu- zione occipitale superiore. Sulcus occipitalis superior. Il solco occipitale superiore (o. s.) in- teressa poco la,faccia dorsale dell'emisfero e divide nettamente il Gyrus occipitalis superior dal medius. Sulcus occipitalis inferior. — Il solco occipitale inferiore (o. è.) è diretto sagittalmente, continua allindietro, fino al polo oceipitale, il ramo posteriore ascendente del soleo temporale inferiore. Anche sulla faccia esterna di questo emisfero notasi un'imeisura praeoccipitalis (Schwalbe) (x), ben evidente. 358 | G. Sperino, B. Circonvoluzioni dei lobi parietalis, occipitalis e temporalis. (Fig. 3 e 4.) Gyrus centralis posterior. La circonvoluzione parietale ascen- dente (G. C. P.) é molto sviluppata, forma verso la sua parte supe- riore una forte inflessione in avanti, spinta dal ramo anteriore (0) del suleus retrocentralis swperior, presentandosi in questo punto molto assottigliata. Nei suoi due terzi inferiori é divisa dal ramo laterale della silviana, che abbiamo detto rappresentare un sulcus subcentralis posterior (G. Retzius) (s. c. p.), in due robuste pieghe, delle quali lanteriore chiudendo in basso la scissura di Rolando si continua nel Gyrus centralis anterior; la posteriore arrestando inferiormente il suleus retrocentralis inferior si continua nel Gyrus supramarginalis. L’estremità superiore del Gyrus centralis posterior, in corrispondenza del margine interemisferico per la presenza del sulcus parietalis su- perior (p. s.) foggiato a T, e dell'incisura swle? einguli (i. c.), si con- tinua, in avanti, col Gyrus centralis anterior, circondando l'estremo superiore del solco rolandico, all'indietro, col Gyrus areuatus anterior e col medius del lobulo parietale superiore, chiudendo l'estremo supe- riore del suleus retrocentralis superior. Lobulus parietalis superior. Sulla faecia dorsale di questo lobulo si distinguono pure in questo emisfero le tre circonvoluzioni arcuate e sulla faceia mediale il Praeewneus. Il Gyrus arcuatus anterior (A. A.) è piccolissimo sotto forma di una linguette assai sottile compresa fra l’incisura sulci cinguli in avanti ed il sulcus parietalis superior posteriormente. Il Gyrus arcuatus medius (A. M.) & il più cospicuo dei tre, esso è limitato all’indietro da una incisura trasversa, profonda, che intacca la faccia dorsale del lobulo parietale superiore, esso si connette, in avanti, col piccolissimo Gyrus arcuatus anterior e collestremo supe- riore del Gyrus centralis posterior, all'indietro, mediante due piccole pieghe di passaggio situate agli estremi dell’incisura trasversa ora accennata col Gyrus arcuatus posterior (A.P.) alquanto piccolo, però ben delimitato posteriormente dalla fissura parieto-occipitalis (f. p. 0.). Nel Praecuneus per la disposizione del suleus praecunei (p. c.) Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 959 Si possono distinguere due robuste circonvoluzioni parallele: Gyrus praecunei anterior (P. A.) e Gyrus praecunei posterior (P. P.), il primo dei quali leggermente suddiviso dal decorso del sulcus parietalis su- perior. Lobulus parietalis inferior. Anche in questo emisfero il lobulo parietale inferiore é assai sviluppato e, per la disposizione dei solchi che abbiamo descritto, offre una certa complessità, tuttavia possiamo in esso distinguere il Gyrus supramarginalis (S. M.), il Gyrus angu- laris (ANG.) ed il Gyrus parietalis inferior posterior (P. I. P.). Gyrus supramarginalis. Sulla superficie di questo Gyrus notasi un solco speciale, che potremo chiamare suleus supramarginalis (s. m.), bipartito i basso, che penetra abbastanza profondamente nello spessore di questa circonvoluzione, per modo che in essa possiamo distinguere due porzioni connesse fra loro, cioè una inferiore (S. M.) che abbrac- cia il ramus posterior ascendens sylvii, una superiore (S. M’.) arcuata e diretta in alto, adiacente al sulcus retrocentralis inferior ed al suleus intraparietalis; nel suo spessore decorre il soleo speciale, supra- marginalis (s. m.), il quale essendo bipartito delimita superiormente la porzione inferiore. La porzione superiore si continua in basso colla inferiore e questa in basso ed in avanti col Gyrus centralis posterior, indietro, direttamente in basso, mediante una piega di passaggio poco profonda col Gyrus temporalis superior; questa piega inoltre é attra- versata da un soleo vascolare (v.). Gyrus angularis. Il Gyrus angularis (ANG.) è meno esteso di quello dell’emisfero destro, contiene nel suo spessore il ramo ascen- dente, biforcato alla sua terminazione, del sulcus temporalis superior, in alto é limitato dal sulcus intraparietalis e dall'incisura laterale di questo solco, all’indietro dal sulcus intermedius (1.) che lo separa dal Gyrus parietalis inferior posterior, col quale il Gyrus angularis si continua. Gyrus parietalis inferior posterior. Questa circonvoluzione (P.I. P.) è relativamente estesa, limitata anteriormente dal sulcus intermedius (2.), in alto ed all’indietro dal sulcus intraparietalis e dal ramo laterale del sulcus occipitalis tramsversus, in basso dal ramo ascendente del suleus temporalis inferior, il quale, come si é detto, si continua sagit- 360 G. Sperino, talmente nel sulcus occipitalis inferior. Essa è connessa, in avanti, mediante due pieghe di passaggio col Gyrus angularis e col Gyrus temporalis medius; all'indietro ed in basso, con una piega di passaggio poco profonda col Gyrus occipitalis medius. Gyrus occipitalis superior. La circonvoluzione occipitale superiore (G. O. S.) si presenta alquanto arcuata, in alto si continua col Gyrus arcuatus posterior, in basso col Gyrus occipitalis medius, in avanti è ben limitata dalla terminazione del sulcus intraparietalis, che si apre nel sulcus occipitalis transversus. Gyrus occipitalis medius. Questa circonvoluzione (G. O. M.) è rap- presentata da una robusta piega, sulla cui superficie notasi una in- cisura trasversale poco profonda. Essa è compresa fra le due scissure occipitali superiore ed inferiore ed in avanti è limitata dal ramo laterale del sulcus oceipitalıs transversus, il quale, come si è detto, comunica col solco occipitale inferiore; in alto si connette col Gyrus occipitalts superior, in basso col Gyrus occipitalis inferior, in avanti col Gyrus parietalis inferior posterior per mezzo di una profonda piega di passaggio. Gyrus occipitalis inferior. La circonvoluzione occipitale inferiore (G. O. L), ben delimitata in avanti dall’incisura praeoccipitalis di Schwalbe (x), in alto dal sulcus occipitalis inferior, forma in gran parte il polo occipitale e con due pieghe di passaggio si connette col Gyrus temporalis inferior in avanti e col Gyrus occipitalis medius in alto ed all’indietro. Cumeus. Anche in questo emisfero il Cuneo (C. U.) è relativa- mente piccolo, maggiore, però, di quello dell'emisfero destro e di forma tipica. La sua superficie è percorsa da due solchi sagittali superior e inferior, dei quali il primo si apre nella fissura parieto-occipitalis. Questi due solchi dividono il Cuneo in tre piccole circonvoluzioni, Gyrus cunei superior, medius e inferior. Già si è accennato alle pieghe di passaggio interne di Gratiolet. Gyrus temporalis superior. La circonvoluzione temporale supe- riore (G. T. S), limitata in alto dalla silviana, in basso dal solco temporale superiore, decorre dal polo temporale sino al Gyrus supra- marginalis, col quale è connessa mediante una larga piega di pas- Deserizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 361 saggio, sulla quale, come già si è detto, notasi un solco vascolare ben evidente. In tutto il suo decorso presenta un’ampiezza quasi uguale, solo è alquanto pit ristretta nel suo mezzo, ove forma una leggera curva concava in basso per l’inflessione del solco temporale superiore; sulla sua superficie si osservano alcuni piccoli solchi terziari, solchi intermedi di Jensen. In corrispondenza del polo temporale essa si continua col Gyrus temporalis medius e col Gyrus temporalis inferior, formando un Gyrus temporalis polaris (G.T. P.). " Gyrus temporalis medius. Questa circonvoluzione (G. T. M.) è pure in questo emisfero ben distinta e con decorso flessuoso, inter- rotta verso la sua estremità posteriore dal profondo solco anastomotico del solco temporale superiore col solco temporale inferiore. Due larghe pieghe anastomotiche la connettono col Gyrus temporalis inferior ed in avanti è pure connessa col Gyrus temporalis superior e coll’inferior. Nel suo decorso è percorsa da alcuni solchi terziari diretti trasver- salmente. Gyrus temporalis inferior. La circonvoluzione temporale inferiore (G.'T. L) è anch'essa molto flessuosa e robusta, è connessa al Gyrus fusiformis mediante due cospicue pieghe di passaggio e verso il suo estremo posteriore è solcata da un’incisura assai profonda (7), che raggiunge in basso il margine inferiore o laterale dell'emisfero ed in alto penetra nello spessore della circonvoluzione sospingendola al- quanto superiormente. Inoltre all'indietro si continua col Gyrus occi- pitalis inferior, circondando in alto l'incisura preoccipitale, e mediante due sottili pieghe di passaggio si connette col Gyrus fusiformis. Gia si è accennato alle pieghe che la connettono al Gyrus temporalis medius. Il Gyrus temporalis polaris (G. T. P.) rappresenta semplicemente la circonvoluzione, che riunisce in avanti le tre circonvoluzioni tem- porali ora descritte. Gyrus fusiformis. Il Gyrus fusiformis (F.) offre una conforma- zione normale, è connesso in avanti col Gyrus hippocampi per mezzo di una piega di passaggio profonda, Gyrus rhinencephalo-fusiformis (G.R. F. e mediante un'altra piega superficiale, che interrompe la. seissura oceipito-temporale laterale, col Gyrus temporalis inferior ed 362 G. Sperino, all'indietro collo stesso Gyrus per mezzo delle due sottili pieghe sopra menzionate. Sulla superficie del Gyrus fusiformis esiste un piccolo soleo triradiato come rappresentante del sulcus sagittalis di questo Gyrus. Gyrus lingualis. Il Gyrus lingualis (L.) si origina per mezzo del Gyrus rhinencephalo-lingualis (R. L.) dal Gyrus hippocampi; esternamente esso è separato dal Gyrus fusiformis per mezzo della fissura collaterals. La superficie del Gyrus lingualis è percorsa da due solchi sagittali, uno posteriore, che comunica coll'estremo posteriore della fissura collateralis, l'altro anteriore che si dirama in tre raggi. Insula Reili. Non posso dire molto intorno all’insula, destra e e sinistra, poichè per esaminarle occore demolire il cervello e questo per espressa disposizione testamentaria del Giacomini deve essere con- servato nel Museo Anatomico di Torino. Però da un rapido sguardo dato allo stato fresco, quando si spogliò il cervello della pia meninge, ho potuto ben distinguere le due porzioni anteriore e posteriore divise dal sulcus centralis insulae. Tralascio di descrivere l’istmo dell’encefalo, il cervelletto e l’ob- lungata non presentando queste parti dell'encefalo, dal punto di vista puramente anatomico, nulla di notevole. Dello stravaso sanguigno notato nell’oblungata già si è detto in principio (p. 315). | Dopo avere minutamente descritti i solchi e le circonvoluzioni di questo cervello rileveremo ora la particolarità più importante riscon- trata nell’emisfero destro, cioé l'esistenza della duplicità della scissura di Rolando e conseguentemente del Gyrus Rolandicus (Giacomini), compreso fra le due scissure rolandiche. Di tutte le altre particolarità, sia riguardanti gli altri solchi che le circonvoluzioni, già si é detto nel corso della descrizione, solo ora possiamo aggiungere che il cer- vello del Giacomini, che presentava un peso abbastanza rilevante (gr. 1495), aveva per molti rapporti forma tipica. E abbastanza singolare il fatto della presenza della duplicità della scissura. di Rolando nel cervello del Giacomini, il quale per è Descrizione morfologiea dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 563 primo appunto descrisse tale varieta*). Egli, a proposito della scis- sura di Rolando cosi si esprimeva: „In opposizione alla mancanza totale od alla sua interruzione, possiamo avere la duplicita della scissura di Rolando, interponendosi fra le due scissure una circon- voluzione gracile, non molto tortuosa nel suo decorso e semplice nella sua costituzione, che va dalla scissura silviana alla interemisferica, e che fu da me distinta col nome di circonvoluzione rolandica (Gyrus Rolandicus). Questa duplicità della scissura di Rolando è uno dei fatti piü singolari ed interessanti che possa presentare la superficie cerebrale. Esso non fu fino ad ora osservato da alcun anatomico, e malgrado io sia convinto che si debba procedere con grande prudenza e cautela nello stabilire nuove varietà, tanto più quando queste inter- essano una regione così importante, tuttavia non posso a meno che cedere all’evidenza dei fatti; l’unico caso fu da me descritto nelle Varietà delle circonvoluzioni cerebrali, esisteva in ambedue gli emisferi ed apparteneva ad un individuo nel quale le facoltà intellettuali si mostrarono deficienti.“ Il caso del Giacomini si riferisce ad un individuo (Alb..... Bat- lista) di anni 20, morto all’ospedale Cottolengo (osservaz. 120). Il peso totale del corpo era di kg. 23; la statura m. 1,35. Il peso del- lencefalo era minore del normale, l’emisfero destro pesava gr. 442, il sinistro gr. 440; il cervelletto, il ponte di Varolio ed il midollo allungato gr. 159, in totale gr. 1021. Le due scissure di Rolando, in entrambi gli emisferi, erano ugual- mente profonde ed ugualmente estese, parallele nella massima parte del loro decorso; la circonvoluzione compresa fra queste due scissure, dal Giacomini stesso denominata Gyrus Rolandicus, era semplice, regolare e si estendeva dalla silviana al margine interemisferico, alle !) Le due osservazioni riferite dal Calobi, le quali si avvicinano alquanto a questa varietà, dall’esame della descrizione e dei disegni, furono dal Giacomini stesso interpretate non già come una vera duplicità della scissura di Rolando, ma bensi un raddoppiamento della circonvoluzione parietale ascendente per mezzo dellesagerazione di uno di quei rami, che non raramente si insinuano dalla scis- sura di Silvio nello spessore della circonvoluzione parietale ascendente e si pro- lungano pià o meno in alto per l'estensione di parecchi centimetri. A quest'ultima disposizione abbiamo già accennato. 364 G. Sperino, due estremità ingrossava d'alquanto, in modo però più marcato al- l'estremo inferiore, nel qual punto essa era intaccata da una solcatura superficiale. Non esistevano pieghe anastomotiche nel fondo delle due scissure. Nello emisfero sinistro la scissura anteriore, in basso, non era chiusa, ma comunicava, peró superficialmente, colla prerolandica; nell’emisfero destro la scissura anteriore terminava inferiormente a breve distanza dalla silviana. La scissura posteriore in ambo i lati comunicava colla silviana con un tratto superficiale. L’estremo superiore delle due seissure rolandiche non apparivano alla faccia mediale degli emisferi e, malgrado il Giacomini non abbia potuto stabilire il rapporto tipico colla pars marginalis del Suleus cinguli per la determinazione della vera scissura di Rolando, causa lanomala disposizione dello stesso Sulcus cinguli, tuttavia le due scissure rolandiche terminavano in corrispondenza della parte affatto posteriore del lobulo pararolandico. Le scissure prerolandica e post- rolandica erano ben distinte. Dopo l'osservazione descritta dal Giacomini (1882), P. Funaioli nel 1883 pubblicó il suo caso di duplicità della scissura di Rolando, riscontrato in ambedue gli emisferi cerebrali di un individuo di anni 37, di bassa statura, claudicante, coniugato, maestro di scuola, la cui vita fu esempio continuo di onestà e di bontà; due soli elementi assorbi- vano la sua attività, la sua mente: lo studio e la famiglia. Questo individuo divenne lipemaniaco in seguito a dispiacere prodotto dal fatto della diminuzione del suo stipendio. I due emisferi cerebrali pesavano 1140 gr.; il cervelletto, il ponte e l'oblungata er. 165 e cosi tutto l’encefalo 1305 grammi. | Le due scissure rolandiche, in entrambi gli emisferi, erano paral- lele tra loro, profonde; l'estremo superiore, raggiungendo il margine interemisferico, era abbraceiato dal lobulo pararolandico; l'estremo in- feriore si avvicinava molto alla silviana. Nel complesso presentavano i caratteri descritti dal Giacomini, i due casi sono quindi veramente tipici, però la duplicità è più chiara a sinistra. Nel 1884 il Legge ne pubblicò un caso riscontrato nell'emisfero sinistro di una berbera, la quale, a detta dell’A., se non era intelli- gentissima, tuttavia lo era in quel grado, che alla sua razza, alla sua Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 365 [1 condizione ed al suo sesso si conviene. Nulla é detto riguardo al peso di questo cervello. I due solchi di Rolando osservati in questo emisfero, ugualmente profondi, comunicavano ampiamente colla scissura di Silvio, né divaricandoli si scorgeva alcuna piega di passaggio se non a grande profondità. L'estremo superiore del solco anteriore non raggiungeva la faccia mediale dell'emisfero, il. posteriore invece si metteva in rapporto con uno dei due rami inviati, in questo caso, dalla seissura fronto-parietale interna, per modo che riusciva impossi- bile il dire quale dei due solchi rappresentasse veramente il soleo di Rolando. I due solehi pre-rolandico e post-rolandico, a quanto riferisce l’A., non facevano difetto; però, dall'esame della figura sorge qualche dubbio sull'interpretazione del solco post-rolandico. Le tre circon- voluzioni ascendenti, frontale ascendente, Gyrus Rolandicus e parie- tale ascendente erano press'a poco di eguale volume. L. Tenchini nel 1885, nei suoi Cervelli di delinquenti, ne riportò tm caso osservato nellemisfero sinistro di un individuo di Cosenza, di anni 37, alto m. 1,70, condannato a tre anni di reclusione per seiente compera di oggetti furtivi. Era un uomo di pessima condotta, manifestó nondimeno un'intelligenza discreta, certo non inferiore alla comune. Il peso totale dell'encefalo era di gr. 1310. G. Valenti nel 1890 ne descrisse due casi, riscontrati nei due emisferi del cervello di un individuo di Pisa, di anni 49, alto m. 1,65, aleoolista e suicida. Il peso dell’encefalo, spoglio delle meningi, era di gr. 1270, il cranio era brachicefalo. Nellemisfero sinistro le due scissure rolandiche erano ugualmente profonde e la circonvoluzione interposta fra loro era bene sviluppata e regolare per tutta la sua estensione. La scissura anteriore, flessu- osa, si prolungava fino al solco interemisferico ed in basso fino alla silviana; la posteriore non arrivava con le sue estremità fino a queste scissure, era meno tortuosa ed in alto si continuava con un breve solco diretto parallelamente alla scissura interemisferica. Il solco precentrale era unico ed il ramo inferiore del postcentrale si continuava coll’intraparietale. Nell'emisfero destro le due scissure rolandiche erano pure egualmente profonde, l’anteriore non giungeva sino alla scissura interemisferica nè fino alla silviana; la posteriore era attraversata nel 366 . ..G. Sperino, suo fondo da una piccola piega anastomotica; la circonvoluzione inter- posta fra le due scissure si presentava divisa in basso da un solco che si diramava dalla silviana. Il soleo prerolandico era diviso nelle sue due porzioni ed il postrolandico offriva press’a poco la stessa disposizione di quello di sinistra. C. Debierre (1893) riferisce pure un caso riscontrato a sinistra sopra duecento esemplari esaminati. Mondio (1895) ne riscontró due casi, uno a destra, l'altro a sinistra in due cervelli di delinquenti. Il primo caso riguarda l’emisfero destro del cervello (secondo della serie studiata dall'autore) appartenente ad un individuo di 62 anni della provincia di Messina, analfabeta, omicida. 1l peso totale del- lencefalo era di gr. 1350. I due solchi rolandici erano egualmente estesi, profondi e paralleli in tutto il loro decorso; presentavano inoltre gli identici rapporti coll'estremo posteriore della scissura fronto- parietale, il quale era perció diviso in due rami, che si prolungavano per alcuni millimetri sulla superficie esterna dell'emisfero, abbracciando separatamente l'estremità superiore dei due solchi rolandiei. Di questi due solchi, solo il posteriore comunicava in basso colla silviana; essi poi non si estendevano oltre il margine interemisferico, ma si arresta- vano per la congiunzione delle due circonvoluzioni frontale e parietale ascendenti col Gyrus rolandicus. Il secondo caso si riferisce all'emisfero sinistro del cervello (terzo della serie studiata) di un individuo di anni 33, di Messina, che appena sapeva leggere e scrivere, celibe, delinquente. Il peso totale dell'encefalo era di gr. 1255. I due solchi rolandiei erano chiusi tanto in basso che in alto, l’anteriore però più lungo di quello poste- riore. Esisteva inoltre in questo emisfero un ramo anomalo lungo 32 mm., interposto dal basso in alto tra la circonvoluzione frontale ascendente, cui decorreva parallelo, ed il Gyrus rolandicus. Vanherseke, a quanto ne riferisce P. Poirier (1895), nel suo trattato di Anatomia umana, avrebbe riscontrato tale duplicità della scissura di Rolando due volte sopra 116 osservazioni. Nel 1898 F. Saporito ne pubblicó cinque casi, in quattro osser- vazioni, sopra 100 cervelli di alienati esistenti nel manicomio di Aversa. Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 367 Nella -prima osservazione si tratta di un contadino della pro- vineia di Caserta, celibe, 36 a., analfabeta, condannato per furto e porto d’armi, epilettico. Esisteva duplicità nell’emisfero sinistro. L/osservazione seconda riguarda un calzolaio, di anni 40, della provincia di Lecce, celibe, analfabeta, affetto da monomania impulsiva. Anche in questo individuo la duplicità della scissura di Rolando esisteva nell'emisfero sinistro. L'osservazione terza appartiene ad una giovane di 19 anni, della provincia di Molise, cucitrice, analfabeta, isterica, sifilitica, affetta da mania furiosa. La duplicità della scissura di Rolando presentavasi in entrambi gli emisferi. L’osservazione quarta concerne un giovane di anni 18, della pro- vincia di Potenza, affetto da paranoia ascetica. La duplicità della scissura di Rolando notavasi nell'emisfero destro. Recentemente (1900) G. Trigomi-Allegra ne riferisce due casi. Il primo lo riscontró nell’emisfero sinistro del cervello di un individuo di Messina, di anni 26, celibe, condannato per furto. I due solchi rolandici paralleli comunicavano fra di loro in modo da dare come risultante una figura a forma di H. Il peso totale dell'encefalo era di gr. 1414, l'indice cranico 869,36, l'indice cerebrale 839,69. Il secondo caso è offerto dall'emisfero destro del cervello di una giovane di 18 anni, da Racalmuto, non maritata, condannata per vio- lenza carnale. Il peso totale dell'encefalo era di gr. 1080, l'indice cranico 79,38, l'indice cerebrale 799,87. Queste due osservazioni non sono corredate da alcuna figura illustrativa. Varaglia e Lecgiadri-Laura nell'aprile di quest'anno resero di pub- blica ragione un caso tipico di duplicita riscontrato nell'emisfero sinistro dell'osservazione 498 (raccolta Giacomini del Museo Anatomico di Torino), appartenente ad una donna di 64 anni, brachicefala, da Bagno a Ripoli in provincia di Firenze, condannata a 7 anni di reclusione per omicidio. Il peso dell’encefalo, allo stato fresco, era di 1208 gr. Le due scissure rolandiche sono ugualmente profonde e tortuose, non interrotte da alcuna piega nel loro decorso ed il loro estremo superiore sta allinnanzi del ramo ascendente della scissura fronto-parietale 368 G. Sperino, interna, pars marginalis ed incisura sulci cinguli; la scissura anteriore peró non raggiunge il solco interemisferico essendone separato da una sottile piega, mentre la posteriore raggiunge la faccia mediale del- l'emisfero, contraendo coll'imeisura sulei cinguli il rapporto tipico della scissura di Rolando. La circonvoluzione compresa fra le due seissure, Girus Rolundicus (Giacomini) è abbastanza semplice, sebbene divisa in rapporto dell’unione del terzo superiore coi due terzi inferiori da un solco terziario che mette in comunicazione i due solchi rolandici. La scissure pre-rolandica, post-rolandica e la intraparietale sono ben evidenti. A questi casi di duplicità della scissura di Rolando, finora pub- blicati dai vari autori, sono lieto di poter aggiungere quello da me ancora riscontrato il 18 giugno di quest'anno, prima di licenziare definitivamente le bozze del presente lavoro. Il caso è veramente tipico e lo osservai nell'emisfero destro (osservazione XX della mia raccolta di cervelli di delinquenti iniziata quest'anno nell'Istituto Ana- tomico da me diretto) di un individuo di Oneglia, brachicefalo, di anni 36, alto m. 1,72, del peso di kg. 55, il quale già aveva avuto sei condanne, precedenti a quella di sette anni di reclusione, per furti e truffa; che stava scontando in questi giorni, quando venne a morte per tubercolosi. L’individuo era abbastanza intelligente, di professione: scritturale, condotta in carcere buona. L’encefalo, pesato allo stato fresco, risultava di 590 gr. per l'emisfero destro, per il sinistro 599 er. e.di 165 gr. per il cervelletto, ponte ed oblungata, in totale 1354 er. Le due scissure rolandiche sono ugualmente profonde (prof. massima 16 mm.) parallele e tortuose, nel loro decorso non sono interrotte da alcuna piega. L'estremo inferiore della scissura anteriore è diviso dalla silviana mediante una sottile piega, quello della scissura poste- riore invece vi comunica liberamente. L’estremo superiore della scis- sura anteriore raggiunge appena il margine interemisferico e contrae rapporto col suleus praecentralis medialis Eberstaller, ramo laterale del sulcus cinguli; l'estremo superiore della scissura posteriore per- corre, volgendo all’indietro, per l’estensione di 10 mm., il margine interemisferico ed appena compare sulla faccia mediale dell'emisfero, ove è abbracciato dalla pars marginalis e dall’incisura del sulcus Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 369 cinguli; la scissura posteriore rappresenta quindi la vera scissura di Rolando. Il Gyrus Rolandicus & perfettamente identico nella sua disposizione e conformazione a quello riscontrato e descritto per la prima volta dal Giacomini nell Alb... Battista, risulta, cioè, di una circonvoluzione semplice e regolare, assai sottile nella sua porzione mediana, più ingrossata ai due estremi, specialmente a quello inferiore in cui si accenna ad un raddoppiamento per la presenza di uno di quei rami della silviana, nel caso nostro lungo 11 mm., poco profondo, che come è noto, non di rado si insinuano nello spessore delle circon- voluzioni limitrofe. L'estremo superiore del Gyrus rolandicus in avanti si continua col Gyrus centralis anterior, chiudendo la scissura rolan- dica anteriore; in dietro col Gyrus centralis posterior chiudendo la scissura rolandica posteriore. I solchi praecentralis, retrocentralis e intraparietalis sono chiaramente distinti e disposti normalmente. Il Praecuneus in questo emisfero si presenta alquanto meno esteso di quello dell’emisfero sinistro normale. Non è privo d'interesse anche il caso osservato nello scorso aprile dal mio settore dott. M. Focacci nell'emisfero destro di certa B. M. Caterina, di anni 77, nata a Rivara-Finale, provincia di Modena, brachicefala, campagnuola, massaia, analfabeta di mediocre intelligenza, donna normale. Riassumeremo brevemente questo caso in cui la dupli- cità non è tipica e ne riesce quindi difficile la giusta interpretazione per la variata disposizione del sulcus retrocentralis. L'encefalo di questa donna pesato allo stato fresco risultó di 1130 gr. Le due scissure rolandiche sono ugualmente profonde (prof. massima 17 mm.), non interrotte nel loro decorso da alcuna piega; l'anteriore, più estesa, è assai flessuosa, la posteriore invece decorre rettilinea e col loro estremo inferiore non comunicano colla silviana. L’estremo superiore della scissura anteriore raggiunge appena il margine interemisferico ed è abbracciato dal sulcus praecentralis medialis (Eberstaller), ramo laterale del sulcus cinguli; l'estremo superiore della scissura posteriore raggiunge la faccia mediale dell'emisfero per l'estensione di 10 mm. ed è abbracciato dall'Umeisura sulci cinguli. La circonvoluzione com- presa fra queste due scissure è alquanto flessuosa e sottile verso Internationale Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. XVIII. 24 370 G. Sperino, lestremo superiore, dove pol ingrossa leggermente per continuarsi rispettivamente colle circonvoluzioni vicine chiudendo le scissure ora descritte: l'estremo inferiore invece più ingrossato è diviso in due pieghe da un soleo abbastanza profondo lungo 22 mm., il quale é semplicemente uno di quei rami, che come si é già detto, si insinuano dalla silviana nello spessore delle circonvoluzioni limitrofe. Il suleus praecentralis & disposto normalmente, il retrocentralis non è ben distinto come nelle condizioni ordinarie e potrebbe anche essere interpretato per un soleo trasverso anomalo del lobo parietale; inoltre é interrotto verso la metà del suo decorso da una piega (quarta varietà di disposizione, Giacomini). Il sulcus imtraparietalis ha un decorso sagittale per lo spingersi della scissura parieto-occipi- talis sulla faccia esterna dell'emisfero per l'estensione di 33 mm. dal margine interemisferico. Il Praecuneus è assai ridotto in estensione per il protendersi molto indietro della pars marginalis e dellineisura sulci cinguli. Questi due ultimi cervelli saranno studiati nei loro minuti particolari del dottore Focacci, dalla descrizione e dai disegni annessi al lavoro apparirà chiaro quanto ora abbiamo semplicemente accennato. Senza voler infirmare i reperti del Mondio (secondo caso), del. Saporito, del Legge, ecc., dalle figure annesse ai loro lavori, mi sorge qualche dubbio sulla esistenza della vera duplicita della seis- sura di Rolando in taluna delle loro osservazioni. Alcune delle figure ilustrative.non sono troppo chiare e d'altra parte mancano completa- mente le figure rappresentanti la faccia mediale dei vari emisferi, le quali avrebbero certo portato luce per la dimostrazione dei rapporti dell'estremità superiore delle scissure stesse, specialmente coll'encisura marginalıs. In ogni modo, volendo raccogliere, in forma sinottica, i casi di duplicità della scissura di Rolando offertici come tali dalla letteratura, potremo wiassumerli nel seguente specchietto, aggiungendovi due casi da me osservati, cioé quello riscontrato nel cervello del Giacomini, oggetto del presente lavoro, e quello dianzi accennato. Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 371 Elenco dei casi di duplicità della scissura di Rolando. 5 Numero Qualità ro Totale Osservatori delle osser-| Sesso | o stato morboso tor dei casi di vazioni dell'individuo SUOLI duplicità Giacomini . I M. . incolto D-S 2 Funaioli I È epilettico D-S 2 Legge I F. |(berbera)normale| S 1 Tenchini I 5 delinquente S 1 Debierre I — — IS 1 Valenti . È I P alcoolista D-S | 2 x I 5 delinquente D 1 Mondio . 3 | I ; ; 5 | 1 Vanherseke , — 5 — — | 2 I È delinquente SSA 1 S it I ) » S | 1 r : ni fem] ‘ BPP ine III F h DS | 2 IV M bu 1 È à. : J I È S 1 Tricomi-Allegra . 2 IT F D 1 Varaglia, Leggiadri-Laura . | I 3 i S | 1 Sperino | I M. |prestaz. intellet. | elevata D 1 eee a | I È delinquente D 1 23 In complesso la scienza registra a tutt'oggi 23 casi di duplicità della scissura di Rolando (16 nell'uomo e 5 nella donna), dei quali 4 riscontrati in entrambi gli emisferi, e quindi 8, 8 solo a sinistra, 5 solo a destra. Riguardo ai due casi di Vanherseke, riferiti da Poirier, non e detto se siensi trovati in ambedue gli emisferi, oppure solo nel destro o nel sinistro, nè se in uomo o in donna. Venendo ora al significato della varietà in discorso ci troviamo di fronte a una questione assai dibattuta e non ancora risolta, vaghiamo tuttora nel campo delle ipotesi, perchè qui non ci soccorre l'anatomia comparata e non ci basta quanto ci apprende la storia dello sviluppo. È risaputo come sieno state proposte parecchie ipotesi per spiegare la formazione delle scissure e delle circonvoluzioni cerebrali; le quali tutte possono ricondursi alle tre seguenti: 1° l'azione vascolare; 2? la sproporzione di accrescimento tra cranio e cervello; 3° l’ineguale accrescimento della superficie cerebrale. 24 * D 372 G. Sperino, Riguardo alla prima teoria, secondo Boerhaave, sarebbe la pia madre che, insinuandosi nella sostanza degli emisferi, produce i solchi da cui sono percorsi; dello stesso avviso é Reichert, il quale ammette. inoltre per parte dei grossi vasi decorrenti sulla superficie cerebrale una pressione, che obbligherebbe il cervello ad inflettersi nei punti corrispondenti. Mihalkowichs ritiene che influenza vascolare si esplichi soltanto per parte di alcune grosse diramazioni arteriose e venose nella produzione di alcune scissure principali (silviana, soleo d’Ammone, occipito-parietale). Romiti attribuisce a questa causa un'im- portanza limitata alla produzione della sola scissura di Silvio ed avendo riscontrato, dopo aver aperto cautamente crani di embrioni umani di 3 mesi che la meninge di contro il punto corrispondente allarteria silviana è come fortemente stirata in basso, crede che da ció nasca la fossa di Silvio, la quale appunto ha dapprima una dire- Zione quasi perpendicolare. Poggi coll'azione vascolare, associata al- l'anomalo decorso o all'aumento di calibro di qualche vaso, spiegherebbe l'origine di molte fra le varietà che si riscontrano nelle seissure e nelle circonvoluzioni. i La seconda teoria colla quale si tentó di spiegare la genesi delle scissure e delle circonvoluzioni da una sproporzione di accrescimento tra cranio e cervello, feoria detta anche dei panneggiamenti, venne per la prima volta proposta da Baer ed accettata poi da Henle, Bischoff, Hyrtl, in parte da Mihalkowichs e da Romiti. In seguito a tale sproporzione che inibisce il libero svolgimento della superficie encefalica, questa sarebbe obbligata a pieghettarsi anziché a restringersi. Monselise, partendo dallo stesso concetto, attribuisce inoltre la quasi costante disposizione dei principali solchi alla identica natura ed al costante numero delle cause meccaniche che li hanno prodotti. La terza teoria, che si fonda sull’ineguale accrescimento della superficie cerebrale ebbe varie interpretazioni. Wundt, presupponendo nella superficie cerebrale del feto un pit rapido accrescimento in di- rezione sagittale e quindi una maggiore tensione in senso trasversale, spiega cosi la formazione delle scissure in questa direzione. Secondo Serres, Calori, Heschl la genesi delle scissure e delle circonvoluzioni dovrebbe riferirsi ad un ineguale accrescimento della sostanza bianca Descrizione morfologica dell’encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 373 del mantello, che per difetto di sviluppo darebbe origine alla scissura, per eccesso alla circonvoluzione. His ammette questa teoria solo per le scissure secondarie e terziarie in dipendenza di un maggiore sviluppo della sostanza corti- cale. Nel diverso accrescimento della sostanza grigia di fronte a quello minore della sostanza bianca sottoposta Hoffmann e Rauber ricercano la causa della formazione delle scissure e delle circonvoluzioni. Chiarugi nel suo lavoro sulla forma del cervello umano e sulla genesi delle circonvoluzioni cerebrali espone ditfusamente le obbiezioni elevate contro le predette teorie e, pur riconoscendo che la spropor- zione fra contenente e contenuto e l'influenza reciproca delle varie parti del cervello esplichino un'azione nella produzione dei solchi e delle eirconvoluzioni, nota peró che questa azione si effettuerebbe durante la filogenesi in periodi difficili a determinarsi e forse anche sarebbe continua, lenta e poco avvertibile. Egli, partendo dal principio enunciato da Kölliker, secondo il quale ,quando si tratta di spiegare le forme organiche il primo e piü naturale pensiero che si presenti e possa presentarsi é di sapere se la configurazione in questione puó essere riportata all’azione di fenomeni che hanno sede nell'interno del corpo considerato“, esamina da questo punto di vista la questione della senesi delle circonvoluzioni cerebrali e conchiude che le circon- voluzioni cerebrali hanno la loro principale origine nella sproporzione del cervello di fronte alla cavità del cranio e nella influenza meccanica reciproca delle varie parti dell’encefalo; ed è per credità che le modi- ficazioni così prodotte nello stato della superficie cerebrale in seguito alla minore attività proliferativa in corrispondenza delle scissure, maggiore in rapporto delle circonvoluzioni, si trasmettono, si sommano, divengono costanti e indipendenti dalla causa determinante prima. Ri- tiene bensì che influenze meccaniche speciali non manchino di presen- tarsi in qualsiasi soggetto, ma non determinino che variazioni indivi- duali e non costanti. Valenti, studiando i rapporti che, durante la formazione delle scissure, la pia madre ha con la superficie cerebrale, conferma le osservazioni di Chiarugi, dimostrando colle sue ricerche sullo sviluppo dei prolungamenti della pia madre, che le scissure si producono indi- 374 G. Sperino, pendentemente da questo invoglio, e che esso passivamente, cioe in conseguenza delle modificazioni della superficie cerebrale, per la sua uniforme attività di accrescimento, si insinua nelle scissure. Infine più recentemente, Jelgersma spiega l’origine delle scissure e circonvoluzioni ritornando sopra i rapporti statici che possono veri- ficarsi nell’accrescimento di un corpo sferico; qui la superficie cresce colla seconda potenza del raggio, il contenuto colla terza. Ora quando la corteccia ha raggiunto il suo spessore definitivo per ogni specie, si deve, quando esso non si faccia più spessa ed il cervello intiero continui a crescere, venire ad un’incongruenza fra superficie e con- tenuto. Perciò si formano le pieghe della superficie, diminuendo queste il contenuto ed aiutando ad aumentare la superficie stessa. In caso di mancanza parziale di sostanza bianca, come ad esempio si verifica nei casi di assenza del corpo calloso, noi ci dovremmo perciò attendere ad un aumento delle pieghe superficiali. Jelgersma, infatti, riscontrò un tale aumento nei cervelli privi di corpo calloso e, com'è naturale, contemporaneamente una dilatazione dei ventricoli cerebrali, specialmente di quelli laterali. Delle ipotesi sino ad ora emesse su questa difficile questione della genesi dei solchi e delle circonvoluzioni cerebrali, se alcune ci dànno ragione sufficiente, riferite a condizioni normali, pur tuttavia per nessuna abbiamo sicuro argomento o dato di fatto onde valercene nella spiegazione del caso speciale di varietà da noi considerato. Il Giacomini, il quale portò un così valido contributo alla morfo- logia cerebrale, sollevò per la prima volta la questione del significato della varietà in discorso, a proposito del caso da lui illustrato. Egli si domanda, se una tale disposizione sarebbe segno di maggiore complicatezza nella superficie cerebrale e se indicherebbe forse un grado superiore di sviluppo e di perfezionamento. Se si considera la cosa in astratto, costituendo un’esagerazione di un carattere, il quale è proprio dei cervelli affatto superiori, ed essendo una delle poche varietà che non possono perciò trovare il loro riscontro nel cervello degli animali, questa disposizione ci dovrebbe indicare un grado maggiore di perfezione della superficie cerebrale. Però se consideriamo il caso concreto dell’Alb...... Egli dice, siamo Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 375 costretti a negare questa maggiore perfezione, poichè si tratta qui d'un encefalo il quale, ancora coperto dalle meningi molli, supera di poco i mille grammi; peso il quale, evidentemente, non solo non si trova in rapporto con l'età dell'individuo, ma è molto al disotto della media: riguardo poi alle sue facoltà intellettuali, queste erano grande- mente deficienti. Intorno alla causa probabile che ha potuto cagionare una simile conformazione del cervello dell’Alb..... il Giacomini afferma che se le pieghe trasversali, che si riscontrano nei cervelli più complicati, di- pendono da connessioni speciali di questa parte della corteccia cere- brale con gli organi centrali e si producono nel mentre gli emisferi si espandono secondo la loro lunghezza, si comprende facilmente come non debba essere costante la produzione di una sola scissura trasver- sale,.ma che talora, quando gli emisferi incontrano serî ostacoli allo sviluppo nel senso antero-posteriore, si debbono produrre altri solchi paralleli a quello di Rolando. ! Nel cervello dellAlb... questo ostacolo sarebbesi verificato, in- quantoché il cranio di questo individuo presentava una depressione marcatissima in corrispondenza della sutura lambdoidea. Il margine posteriore dell'osso parietale sarebbe fortemente depresso in avanti, mentre la squama dell’occipitale sporgerebbe all'indietro. Per questo fatto i margini delle due ossa non avrebbero potuto congiungersi fra di loro se non si fossero sviluppate tutto lungo la sutura lambdoidea delle ossa wormiane in numero di nove, delle quali le pitt voluminose si trovano in corrispondenza della fontanella posteriore. La depres- sione del cranio corrispondeva alla parte posteriore del lobo parietale, dove lasciava un’impronta sensibilissima sugli emisferi. Ora senza ricercare per il momento la causa prima che ha prodotto le due aplasie, cerebrale e craniana, egli é evidente che si corrispondono e si puó quindi stabilire un rapporto intimo tra il contenente ed il contenuto e ció senza pregiudicare per nulla la questione della prima formazione delle circonvoluzioni, la quale realmente è indipendente dal eranio, solo questo potrebbe esercitare un'influenza sulla direzione in special modo dei solchi e delle circonvoluzioni, la qual cosa, se fosse ben stabilita, costituirebbe un reale progresso nella topografia cerebrale. 376 G. Sperino, Il Valenti, senza stabilire se alla varietà da lui riscontrata deb- basi o no dare il nome di duplicità della scissura di Rolando e, pur riconoscendo col Giacomini che debba distinguersi da quella più sem- plice disposizione consistente nell'unione dei due rami della scissura post-rolandica, gli sembra che non sia necessario di attribuire ad essa una grande importanza considerandola come una disposizione assoluta- mente indipendente dalla normale. Ammettendo che per una più sen- tita compressione esercitata dal lobo frontale sul lobo parietale si possa avere la fusione dei due rami verticali componenti la scissura post-rolandiea; seguitando quella compressione ad agire in senso an- tero-posteriore, si avrà la formazione dei due solchi trasversali che simulano la disposizione della scissura post-rolandica stessa per un maggiore sviluppo di due di quei numerosi solchi trasversali poco profondi che si riscontrano specialmente negli individui di elevata in- telligenza (Rudinger). | | Il Valenti, tanto nella varietà da lui descritta quanto in quella di Giacomini, crede dover ritenere il soleo anomalo, posteriore alla vera scissura di Rolando, come rappresentante della scissura post- rolandica ed i due solchi aventi la disposizione dei due rami che com- pongono ordinariamente il soleo post-rolandico, come due solchi terziari più sviluppati del consueto. In favore di questa sua spiegazione in- voca la piccolezza del lobo parietale riscontrata nel suo caso, mal- grado vi fosse compresa la eirconvoluzione posta in mezzo ai due solchi trasversali; la compressione che il lobo parietale stesso mostrava di aver subito nella sua parte posteriore, trovandosi completamente nascoste le due pieghe di passaggio esterne; e finalmente la brachi- cefalia insieme alla quale si nota sempre una certa tendenza a disporsi trasversalmente in tutti 1 solchi cerebrali. Saporito, in quanto alla causa della varietà in questione, osserva che se la produzione di scissure trasversali soprannumerarie dipende da ostacoli incontrati dal cervello nel suo sviluppo antero-posteriore, quale é ammessa dal Giacomini, l'anomalia dovrebbe trovarsi almeno di preferenza, se non esclusivamente, in cervelli corrispondenti a erani brachicefalici. Ora egli riferendosi ai crani appartenenti alle sue quattro osser- Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. 377 vazioni, nota che solo il terzo era brachicefalo (indice cefalico 86), il primo era mesaticefalo (indice cefalico 78), il secondo subdolico- cefalo (ind. cef. 77) e del quarto mancavano le relative misure. Riguardo al significato della varietà cosi interessante, il Saporito crede non si possa far altro che interrogare la biologia dei soggetti, nei quali l'anomalia fu rinvenuta, ed una rassegna in proposito certo riesce poco confortante per ritenere l’anomalia come carattere di su- periorità. Egli, basandosi sul principio oramai inconcusso che de linquenza e pazzia si incontrano spesso sul talamo della degenerazione e ritenuta una certa quale frequenza dell’anomalia in forme psico- patiche, le quali, per quanto apparentemente diverse, tendono oggi a confondersi tutte nel tpo epilettico, nel più largo senso della parola; confortato dall'affermazione del Roncoroni, il quale annovera la du- plicità della scissura di Rolando fra le non rare anomalie morfologiche del cervello degli epilettici, si domanda, se mai la maggior estensione dell’area motrice del cervello, nella quale, in sostanza, si risolve l’ano- malia, non sia in qualche rapporto con quella irruzione accessuale di atti disordinati, che formano il corteggio più cospicuo ‘delle psicosi onde erano affetti quasi tutti i soggetti, nei quali era stato fino allora osservata questa varietà della zona rolandica. Egli ritiene inoltre non senza significato di sorta il fatto che tutti questi casi sieno scaturiti dalle sole fonti del manicomio e del carcere, vale a dire da ambienti nei quali si raccolgono due classi molto* affini di rappresentanti dell'umana degenerazione: pazzi e delin- quenti; la qual cosa, già per se stessa, depone poco a favore di un significato evolutivo dell'anomalia. La considerazione poi che l'ano- malia stessa raramente si trova isolata, ma d’ordinario si associa ad altre note morfologiche, alcune delle quali avendo schietto valore re- versivo, come ebbe a riscontrare nei suoi casi, quasi per analogia si sarebbe indotti a vedere nella duplicità della scissura di Rolando un carattere di inferiorità piuttosto che di una più avanzata evoluzione. Il caso di duplicità della scissura di Rolando presentato dal cer- vello del Giacomini si distingue da tutti quelli finora conosciuti e che abbiamo fedelmente riportati nel presente lavoro non tanto per Ja varietà in sè, poichè essa è veramente tipica, quale la descrisse pel 318 G. Sperino, primo lo stesso Giacomini, ma per essere offerta da un individuo per- fettamente normale non solo, ma di prestazione intellettuale non co- mune. | Quale causa di tale varietà non possiamo invocare aleuna atipia craniana, come venne trovata nel caso descritto dallo stesso Giacomini; riguardo al rapporto fra contenente e contenuto cotanto discusso solo possiamo dire che il cranio del Giacomini é subbrachicefalo (indice cefalico 80, 76). Per quanto concerne il significato non possiamo accettare la teoria di coloro, che vorrebbero tale varietà caratteristica del cervello dei delinquenti, malgrado fino ad ora siasi riscontrata quasi sempre negli epilettici e nei delinquenti. Nessuno potrà dire che il Giacomini fosse un epilettico o un delinquente, ma bensi un uomo normale e di genio. Nella seduta della R. Accademia di Medicina di Torino del 7 luglio 1899, in cui presentai agli onorevoli colleghi il cervello del Giacomini, il Lombroso, riferendo un caso di duplicità della scissura di Rolando, riscontrato in criminali dai dottori Varaglia e Leggiadri-Laura, so- stenne che „non contraddice, anzi conferma la osservazione del tipo criminale il fatto notevolissimo che questa anomalia siasi trovata in Giacomini, perchè questi era un uomo geniale; ed egli ha trovato che la base organica tanto del delitto come del genio è l’epilessia. È una nuova dimostrazione, insomma, che ambedue queste manifestazioni sono anomale ed hanno una base originale comune, benchè le branche siano così divergenti, e pare fatale, allo stesso modo come avvenne del Bichat per l’assimetria cerebrale, che chi così vigorosamente com- batteva questa teoria abbia dovuto riconfermarla col proprio corpo. Questa è la marcia delle grandi verità che gli avversari stessi finis- cono per favorire“. Pur rispettando le teorie geniali del Lombroso, per le ragioni sopra enunciate ci troviamo in accordo perfetto nel caso speciale sol- tanto nel ritenere il Giacomini come un uomo di ingegno elevato, un paziente ed acuto investigatore, dotato di grande profondità di vedute, ma ne dissentiamo per altra parte, essendo accertato che il Giacomini non era un epilettico; viene cosi tolta la principale base alle con- siderazioni del Lombroso per riferire la varietà in discorso alle qualità Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini, 379 geniali della sua intelligenza e non piuttosto ad una fortuita coin- cidenza. Un certo rapporto, che ha base anatomica, parmi si possa vedere tra il maggiore sviluppo della zona sensitivo-motoria del cervello del Giacomini e lo sviluppo dei muscoli che determinarono delle impronte d’inserzione più accentuate del normale, quali si riscontrano nel suo scheletro. Anche nell'emisfero sinistro (Tav. XIII), malgrado non esista la duplieita della scissura di Rolando, la zona sensitivo motoria à assai estesa. Il sistema muscolare del Giacomini, in ispecie quello degli arti era assai bene sviluppato. Egli fu un camminatore, un alpinista; solo nei due ultimi anni di sua vita dovette rinunciare, dolendosene non poco, alle escursioni alpine che era solito fare nelle vacanze pasquali ed autunnali, perché già un po' sofferente di salute. Questa é una semplice ipotesi che studi ulteriori potranno avva- lorare. Del resto la questione del significato della duplicita della scissura di Rolando non puó ora certamente essere risolta anche perche le osservazioni a questo riguardo non sono ancora molto numerose. Lasciando ora da parte la varietà estesamente trattata nelle pagine precedenti e volendo riassumere quelle altre particolarità man mano considerate nelle parte descrittiva, rileveremo ancora che nel cervello del Giacomini, come già si è detto, le circonvoluzioni sono in complesso robuste, larghe e regolari e che uno speciale sviluppo riscontrasi nel lobo frontale di entrambi gli emisferi, le cui circon- voluzioni sono suddivise da solchi secondari e terziari, più 0 meno profondi. Un particolare sviluppo è presentato poi dalla regione del Gyrus supramarginalis ed adiacenze, specialmente nell'emisfero sinistro, mentre nel destro è molto spiccato il Gyrus angularis. Ciò ha uno speciale interesse, quando si consideri che detta regione è attigua al grande centro di associazione parietale-psichico di Flechsig ed anche in parte lo racchiude. Questa particolarità, riscontrata già nel cervello 380 G. Sperino, Descrizione morfologica dell'encefalo etc. di altre personalità eminenti, potrebbe forse offrire una prima spie- gazione anatomica ed un carattere riferibile all'elevata intelligenza; diciamo forse, perché a questo riguardo, di fronte alla delicata strut- tura di questo organo, le nostre cognizioni sono ancora molto primi- tive ed estremamente vaghe. Per raggiungere in questo campo una base sicura occorrera ancora esaminare possibilmente molti cervelli di tali individualità, la cui attività mentale sia conosciuta, e saranno veramente benemeriti della scienza coloro che, vincendo i pregiudizi dei piü, affideranno ad essa l'organo delicato, che loro aveva servito in vita ad elevate prestazioni intellettuali. Il cervello di un pensatore illustre, che venga dato all'oblio senza essere studiato è come un'opera d'arte classica ridotta in frantumi da mano malaccorta, che si getti via senza tentare, almeno fino ad un certo grado, di ricostruirla. Cosi valesse l'esempio del mio compianto Maestro a promuovere anche in questa nostra Italia la costituzione di una società di autopsie, analoga a quelle che gia da vari anni esistono presso le altre nazioni civili, fra le persone di elevata cultura, le quali, dopo aver nobil- mente per il progresso spesa la loro vita, proseguirebbero in tal modo anche dopo morte le alte idealità della scienza. Corrigenda. Auf Seite 334, 357, 341 lies statt Tav.: Fig. Spiegazione delle Tavole. Lobi Frontali. Fissura Sylvii o cerebri lateralis. Ramus anterior horizontalis fissurae Sylvi. Ramus anterior ascendens fissurae Sylvii. Ramus posterior ascendens fissurae Svlvii. Ramus posterior descendens fissurae Sylvn. Sulcus Rolandi o sulcus centralis. Sulcus Rolandi secundus. Sulcus praecentralis superior. Sulcus praecentralis inferior. Ramus horizontalis sulci praecentralis inferior. Sulcus frontalis superior (t. solco trasverso). Sulcus frontalis medius. Sulcus frontalis inferior. Suleus radiatus. Sulcus subcentralis anterior. Sulcus cinguli. Pars anterior sulci cinguli. Pars intermedia sulei cinguli. Pars posterior sulci cinguli. Incisura sulci einguli. Suleus paracentralis. Sulcus praecentralis medialis. Sulcus rostralis proprius o solco sopraorbitario. Sulcus. rostralis inferior. Sulcus olfactorius. Sulcus orbitalis. Sulcus orbitalis externus (orbito-frontale, Giacomini) o fronto- marginale. Solco vascolare. Nervo olfattario. Nervo ottico. Circonvoluzioni del lobi frontali. Gyrus centralis anterior. Lobulus paracentralis Gyrus frontalis superior. à le G. Sperino, Gyrus frontalis medius. Gyrus frontalis inferior. Gyrus rectus. Lobi parietali, occipitali e temporali. Sulcus retrocentralis superior. Sulcus retrocentralis inferior. Sulcus intraparietalis. Sulcus occipitalis transversus. Suleus parietalis superior. Sulcus subcentralis posterior. Sulcus temporalis superior. Ramo anteriore ascendente del solco temporale superiore o solco intermedio (1). Ramo ascendente posteriore del solco temp. sup. Sulcus temporalis inferior. Sulcus occipito-temporalis lateralis. Fissura collateralis. Sulcus occipitalis superior. Sulcus occipitalis inferior. Sulcus subparietalis. Sulci praecunei. Fissura parieto-occipitalis. Fissura calcarina. Truncus fissurae calcarinae. Fissura rhinica. Sulcus lingualis sagittalis. Sulcus supramarginalis. Incisura praeoccipitalis. Incisura del G. temporalis inferior. Ramo del sulcus retrocentralis superior. Ramo inferiore o laterale del sulcus temporalis inferior. Ramo del sulcus temporalis inferiore che circonda il margine laterale dell'emisfero. Ramo anteriore del sulcus retrocentralis superior. Ramo anastomotico fra il sulcus subparietalis ed il sulcus cinguli. Ramo comunicante fra la scissura parallela ed il sulcus temporalis inferior. Circonvoluzioni del lobi parietali, occipitali e temporali. Gyrus Rolandicus (Giacomini). Gyrus centralis posterior. Gyrus arcuatus anterior lobuli parietalis superior. Gyrus arcuatus medius lobuli parietalis superior. Gyrus arcuatus posterior lobuli parietalis superior. Gyrus praecunei anterior. Gyrus praecunei medius. Gyrus praecunei posterior. Q Descrizione morfologica dell'encefalo del Prof. Carlo Giacomini. S. M ANG USER G.0.S S = G. 0.1 nm f tm puc Ses SQ M a es RE p. ^y ob ROC DK EAS Gyrus supramarginalis; S. M' porzione superiore del gyrus marginalis. Gyrus angularis. Gyrus parietalis inferior posterior. Gyrus occipitalis superior. Gyrus occipitalis medius. Gyrus occipitalis inferior. Cuneus. : Gyrus temporalis superior. Gyrus temporalis medius. Gyrus temporalis inferior. Gyrus temporalis polaris. Gyrus fustformis. Gyrus lingualis. Gyrus rhinencephalo-fusiformis. Gyrus rhinencephalo-lingualis. Gyrus hippocampi. 389 supra- Letteratura. Baer, Ueber Entwickelung der Tiere. Königsberg 1828—1836. E. R. A. Serres, Précis d’Anatomie trascendente appliquée à la physiologie: I. Prin- cipes d'organogénie. Paris 1842. Bischoff, Die Grossgehirnwindungen. 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Anno XVI. No. 28. S. Varaglia, e G. Leggiadri-Laura, Contributo allo studio delle varietà delle circonvoluzioni cerebrali nei delinquenti. Rivista di Scienze Biologiche. Aprile e maggio 1900. Vol. II. Fasc. 4. 5. Con una tavola. Fr. Merkel, Trattato di Anatomia topografica etc. Traduzione italiana di G. Sperino colla*collabarazione del Dr. Carlo Calza. Vol. I. Fasc. 1. Unione tipografico editrice torinese. 1900. G. Retzius, Das Gehirn des Matem. Prof. Sofia Kowalewsky, Biol. Unters. von Prof. G. Retzius. 1900. Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns, Von Prof. Dr. N. Muchin, Warschau. (Mit Taf. XV, XVI) Vorliegende Arbeit bildet die Fortsetzung meiner bereits im Jahre 1892 veröffentlichten Untersuchungen über die Structur des Bodens des IV. Ventrikels. Damals beschrieb ich in der grauen Substanz des Bodens eine Zellensäule, die bis zu der Zeit nicht ge- nügend beachtet worden war, obgleich schon die ersten Forscher dieser Gegend auf sie hingewiesen hatten. Schon im Jahre 1868 beschrieb Clarke”) hinter dem Kern des Hypoglossus, zwischen ihm und dem Ependym des Ventrikelbodens eine Säule von Zellen und Längsfasern, bestehend aus einem äusseren grösseren und einem inneren kleineren, ovalen, an der Raphe an- liegenden Teil. Clarke nannte diese ganze Säule „Fasciculus teres“. Oberhalb des Kernes des Hypoglossus, gleich über seinem oberen Ende, vereinigt sich der äussere Teil des Fasciculus teres mit dem inneren Kern des N. acusticus; noch höher geht er in die Zellen- gruppe über, die jetzt als Kern des VI. Nervenpaares betrachtet wird. Aller Wahrscheinlichkeit nach meinte auch Stilling?), als er noch vor Clarke von einer oberen Fortsetzung des Kernes des N. hypo- 7) Zur Lehre vom histologischen Bau des verlängerten Marks. Aus dem Laboratorium des Herrn Prof. Dr. Kultschitzky. Charkow 1892. (Russisch.) ?) J. Clarke, Researches on the intimate structur of the brain. Philosoph. Transactions. London 1868. (Second series.) 3) Stilling, Ueber die Medulla oblongata. Erlangen 1843. Vergleiche besonders Seite 46. ravi 25* 388 N. Muchin, glossus sprach, ganz dasselbe Gebilde. Das obere Ende des Kerns dieses Nerven ist nämlich, nach der Meinung von Stilling, mit einer fibrósen Masse verbunden, welche nicht mehr grosse, dem Kern des N. XII angehörende Zellen, sondern nur noch kleine Zellen enthält. Diese Masse grenzt oberhalb des Vaguskernes an jene sich im Quer- schnitt dreieckig darstellende Bildung, welche Stilling für den Kern des N. glossopharyngeus ansah und die jetzt für den inneren oder dreieckigen Kern des N. acusticus gehalten wird. In der Höhe, wo auf dem Boden des IV. Ventrikels die Querfasern des N. acusticus (Striae medullares) liegen, hört der Kern des N. glossopharyngeus auf. In derselben Gegend befindet sich die obere Grenze des Kernes des N. hypoglossus. | Hieraus folgt, dass Stilling nur den oberen Teil derjenigen Bildung bemerkt und beschrieben hatte, welche späterhin von Clarke unter dem Namen ,,Fasciculus teres“ behandelt wurde, indem. er sie für das obere Ende des Hypoglossuskerns hielt und auf das Factum hinwies, dass diese Bildung oberhalb des Kernes des N. vagus an den dreieckigen Kern des Acusticus angrenzt. Andere Forscher, die nach Clarke die graue Substanz des Bodens studierten, bescháftigten sich wenig mit seinem Fasciculus teres. Von ihnen sonderte Meynert!) aus der ganzen Masse dieser Bildung den inneren, sich im Querschnitt spindelfórmig oder oval darstellenden Teil (den inneren- Teil. Clarkes) ab und gab ihm den. besonderen Namen Nucleus medialis; den äusseren Teil benannte er Eminentia teres. Beide Bildungen bezeichnete er als Anfangsmassen seines „lateralen gemischten Systems“. Später beschrieb Schwalbe?) hinter dem Kern des N XII Fasern und Zellen, deren Complex er „Nucleus funiculi teretis“ benannte, und äusserte dabei, dass er meistenteils in zwei Teile, einen äusseren grösseren und einen inneren kleineren zerfällt. Neuere Forscher halten sich gewöhnlich in ihren Beschreibungen an Schwalbes Benennung, beziehen sie jedoch nur auf die innere, dem 1) Meynert, Vom Gehirne der Säugetiere. Strickers Handbuch der Lehre von den Geweben. 1872. Bd. IL 8. 772. *) Schwalbe, Lehrbuch der Neurologie. 1881. S. 65 f. 4 Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 389 Rand der Raphe anliegende Zellengruppe, so dass in den modernen Handbüchern unter dem Namen „Nucleus funiculi teretis*. der Medial- kern Meynerts verstanden wird (Kölliker, Obersteiner, Edinger u. a.). Von dem äusseren Teile des , Fasciculus teres“ Clarkes sprach bis zu meinen ersten Untersuchungen niemand von den neueren Autoren, obgleich einige, wie Wernicke, Kahler auf eine Zellengruppe hinwiesen, die medial vom Kern des Vagus, zwischen ihm und dem Kern des N. hypoglossus liegt, indem sie diese Gruppe ,.Eminentia teres“ (nach Meynert) nannten. Im Jahre 1890 erschien eine Arbeit von Schütz), in der er die zu Clarkes. Fasciculus teres gehörende Fasern genau untersucht. Diese Fasern bilden ein besonderes Bündel, welches gleich oberhalb der. Pyramidenkreuzung beginnt, zuerst sich hinter dem Kern des Hypoglossus hinzieht und in Querschnitten eine Art Mütze über dem hinteren Teil dieses Kernes bildet. Nimmt man einen Schnitt etwas höher, so ist dieses Bündel über dem Kern des N, hypoglossus dünner, verdickt sich aber kolbenfórmig zu beiden Seiten desselben. In der Hóhe, wo der Kern des N. acusticus die ganze Breite des Bodens einnimmt, wird dieses Bündel bedeutend breiter und erstreckt sich nun seinerseits über den ganzen Boden, wobei seine Fasern weniger fest aneinander liegen und sich nach den Seiten hin ausbreiten. Noch weiter nach oben, in der Richtung zum aquaeductus Sylvii, sammeln sie sich wieder und ziehen als ein Bündel Làngsfasern durch die centrale graue Substanz. In der Gegend des aditus ad aquaeductum zerfällt dieses Bündel in drei Teile, von denen zwei zum "Thalamus, der eine zum Hauptkern und zum Gel. habenulae, der andere zu den ‘ mehr cerebral und ventral liegenden Teilen des Thalamus, der dritte zum ‘Tuber cinereum gehen. Dieses Bündel dient, wie Schütz meint, zur Verbindung verschiedener Teile der centralen grauen Substanz, die in verschiedenen Höhen des Gehirns gelegen sind. Besonders bemerkenswert ist hierbei, dass dieses Bündel nach den Unter- suchungen von Schütz bei progressiver Paralyse zugleich mit den !) Schütz, Anatomische Untersuchungen über den Faserverlauf im centralen Höhlengrau, und den Nervenfaserschwund in denselben bei der progress. Paralyse der Irren. Archiv f. Psychiatrie. Bd. XXII. H. 3, 390 N. Muchin, Elementen der Rinde emer Degeneration unterliegt. Schütz nannte das von ihm beschriebene Bündel „dorsales Längsbündel“. Die Arbeit von Schütz löst also augenscheinlich die Frage über den Charakter der zu Clarkes Fasciculus teres gehörenden Fasern. Meine Arbeit vom Jahre 1892 macht den Anfang zur Lösung der Frage über den Charakter der zum äusseren grösseren Teile dieser Bildung gehórenden Zellen. Die mediale Gruppe, eine meiner Meinung nach selbständige Bildung (Nucleus medialis seu N. funiculi teretis), unbeachtet lassend, beschrieb ich damals die Gruppe, die in der Gegend des Kernes des N. hypoglossus hinter und nach aussen von ihm, zwischen ihm und dem Kern des N. vagus liegt. Meine Beschreibung basierte auf dem Studium von vier vollen Serien aus den Gehirnen erwachsener Menschen. Die Präparate waren nach verschiedenen Modificationen der Weigert’schen Methode (hauptsächlich nach der Modification von Kultschitzky) gefärbt. Diese Zellengruppe oder richtiger Zellensäule zeigt sich auf den Querschnitten aus den untersten Regionen der Oblongata (unterhalb der Spitze des Calamus) als ein sehr kleines Häufchen von Zellen, die hauptsächlich zwischen den Fasern des „dorsalen“ Bündels von Schütz liegen (Taf. XV. Fig. 1). Mit diesem Bündel bleibt die von mir beschriebene Zellensäule in der ganzen Länge ihres weiteren Verlaufes in Verbindung, weswegen es mir auch am geeignetsten schien, sie „Dorsalkern“ der Oblongata zu benennen. In der proximalen Richtung wird der Durchmesser der Zellen- säule immer grösser. Dabei liegt sie so, dass Stillings Kern des N. XII nach innen und nach vorn und das dorsale Längsbündel nach aussen und nach hinten von ihr zu stehen kommen. Gerade von aussen wird sie dagegen in der ganzen Länge des Kernes des N. XII vom hinteren Kern des Vagus (Vagoglossopharyngeuskern der Autoren) begrenzt (Taf. XV. Fig. 2). In der Hóhe des mittleren Drittels des Kernes des Hypoglossus erscheint diese Sáule im Querschnitt bereits als scharf begrenzte Zellengruppe, die nach oben sich immer mehr vergrössert, jemehr sich der Hypoglossuskern verkleinert (Taf. XV. Fig. 3. In der Gegend des oberen Drittels des letzteren beginnt die genannte Zellensáule, nachdem sie im Durchmesser ihre maximale Zum Bau des centralen Hóhlengraues des Gehirns. 39] Grösse erreicht hat, den Platz des sich stets verkleinernden Hypo- elossuskerns in dem medialen Teile der grauen Substanz des Bodens einzunehmen. Hier befindet sich medial von ihr nur eine einzige, von ihr deutlich abgegrenzte, sich im Querschnitt oval darstellende Bildung — der Medialkern (Nucleus medialis, Nucleus funiculi teretis (Taf. XV. Fig. 4). Gleichzeitig mit der Verkleinerung des Durchmessers des Hypo- glossuskernes im mittleren Teil der grauen Substanz des Bodens, und eleichzeitig mit der Vergrösserung der zu beschreibenden Säule treten auch gewisse Veränderungen in dem lateralen Teile dieser Substanz nach aussen vom Vagoglossopharyngeuskern auf. Hier vergrössert sich der Durchmesser der bisher begrenzten Nervenzellengruppe, die im äussersten Teile der centralen grauen Substanz liegt und von Meynerts Zeit an unter dem Namen des inneren Kernes des Acustieus bekannt ist. In der Höhe, wo der Glossopharyngeuskern abzunehmen beginnt, nähert sich dieser Kern des Acusticus mit seinem inneren Rande immer mehr der Mittellinie (vergl. Taf. XV. Fig. 2, 3.7, VIII und 4). | In dieser Hóhe sieht man, dass die von mir Dorsalkern benannte Zellengruppe mit dem inneren Kern des Acusticus durch ein dünnes Bündel zarter markhaltiger Fasern verbunden wird, das sich in leicht nach vorn gewólbten Bogen quer durch den Kern des Glossopharyngeus hinzieht (Taf. XV. Fig. 3/.t). Diese kurzen Verbindungsfasern gehen gewóhnlich durch den Kern des N. IX. zusammen mit làngeren Fasern vom Acusticusfelde zur Raphe. Die letzteren nehmen den ventralen Teil des Bündels ein, machen am äusseren Rande des Dorsalkernes eine recht bedeutende Wendung nach vorn zur netzartigen Formation und ziehen durch deren hinteren Teil zur Raphe. Dagegen treten die Fasern des hinteren Teiles des Bündels in den äusseren Rand des Dorsalkernes ein. Gleich über dem oberen Ende des Glossopharyngeuskerns wird der innere Kern des Acusticus bedeutend breiter und legt sich mit seinem inneren Rande fest an den äusseren des Dorsalkerns an, wobei von einem zum anderen zahlreiche Fasern übertreten. Ein 392 N. Muchin, vollständiges Zusammenfliessen beider Kerne findet, wie ich in meiner ersten Arbeit behauptete, nicht statt, da man auf Haematoxylinpräpa- raten immer die Grenze zwischen ihnen feststellen kann, die haupt- sächlich durch die auf dieser Höhe bogenförmige Linie gebildet wird, welche aus eng an einander anliegenden Längsfasern des dorsalen Làngsbündels besteht (Taf. XV. Fig. 5). In den meisten Handbüchern wird, wie bekannt, angenommen, dass in dieser Höhe die ganze graue Substanz des Ventrikelbodens mit Ausnahme des kleinen mittleren Teiles, in dem der Medialkern (N. funiculi teretis) liegt, allein von dem inneren, oder wie wir ihn auch nennen, dem dreieckigen Kerne des Acusticus eingenommen wird. Solch ein Aussehen behält die graue Substanz des Bodens des IV. Ventrikels bis zu der Höhe, in welcher der Kern des Abducens erscheint. Ihr innerer Teil, der nahe der Raphe liegt, wird von dem Medialkern eingenommen, und der ganze übrige Raum vom dreieckigen Kern des Acusticus nach der Meinung der meisten Autoren, oder, meiner Meinung nach, von dem Dorsal- und dem Acusticuskern, die eng an einander liegen. Durch die äusserste hintere Peripherie des Ventrikelbodens ziehen ausserdem die Striae medullares und durch die graue Substanz selbst die Fasern des „dorsalen Längsbündels“. Der Kern des VI. Nerves erscheint nun in seiner typischen, auf den Querschnitten runden Form und drängt sich von vorne beinahe in die Grenze zwischen der Fortsetzung des Dorsalkernes und dem inneren Acusticuskerne, indem er den ersten nach hinten und zur Mitte hin verdrängt. So wird von mir in der eitierten Arbeit die Zellensäule beschrieben, die den Seitenteil des Fasciculus teres von Clarke bildet. Ich be- schrieb auch damals verschiedene Fasern, die von dieser Zellengruppe in die sie umgebenden Teile des Gehirns übertreten, doch von diesen werde ich später sprechen. Meine Arbeit wurde in russischer Sprache veröffentlicht, nur ein kurzes Referat derselben publicierte ich in der deutschen periodischen Litteratur.!) ') Muchin, Der Nucleus dorsalis und der sensor. Kern des N. glossopharyngeus. Centralblatt f. Nervenheilkunde u. Psychiatrie. 1893. Mai-Heft. Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 393 Im Jahre 1894 erschien eine vorläufige Mitteilung des Privat- docenten der Anatomie in Florenz, Dr. Staderini'), über die Entdeckung einer Zellensäule, die er Nucleus intercalatus — Schaltkern benannte. Staderini beschreibt sie folgendermaassen: Der Schaltkern beginnt in dem unteren Teile des IV. Ventrikels als eine kleine (im Querschnitte) Gruppe der Zellen, die zwischen den Kernen des XII. und X. Nerven liegt. In der Richtung zum Gross- hirn vergrössert sich diese Zellengruppe im Durchmesser und nimmt eine dreieckige Form an, ihre Stellung zwischen den genannten Kernen immer behaltend. Höher, wo der Hypoglossuskern sich verkleinert, beginnt der Schaltkern den Platz dieses Kernes einzunehmen, indem er sich allmählich im Querschnitt vergróssert. Ueber dem oberen Ende des Hypoglossuskernes gehört die ganze innere Hälfte der grauen Substanz des Ventrikelbodens dem Schaltkern, der mit seiner Aussenseite an den Vagoglossopharyngeuskerne grenzt. Lateral von dem letzten Kerne sieht man auf den Querschnitten eine kleine eraue Masse, die sich nach oben hin immer mehr ausbreitet und oberhalb des Vagoglossopharyngeuskernes sich vollständig an den äusseren Rand des Schaltkernes anlegt und mit ihm ganz zusammen- fliesst. Vor diesem Zusammenfliessen in den Ebenen, wo noch das obere Ende des Kernes IX. vorhanden ist, sieht man feine Fasern, die vom Schaltkern zur äusseren grauen Masse ziehen. Nach dem Zusammenfliessen bilden beide Kerne einen gemeinsamen Kern, den N. triangularis acustici, der die ganze graue Substanz des Bodens einnimmt. Die Benennung „Schaltkern“ rechtfertigt sich dadurch, dass die beschriebene Säule zwischen den Kernen des Hypoglossus und des Vagus eingeschaltet ist und ausserdem mit den Wurzelfasern dieser Nerven eng zusammenhängt. Die Untersuchungen wurden am Kaninchengehirn gemacht. Es ist also klar, dass Staderini im Jahre 1894 im Gehirn des Kaninchens ganz dieselbe Bildung beschrieb, wie ich im Jahre 1892 im Gehirn des Menschen. 1) Staderini, Sur un noyau de cellules nerveuses intercalé entre les noyaux d'origine du Vagus et de l'Hypoglesse. Archive italienne de Biologie. T. XXIII. 394 ; N. Muchin, Noch zwei Jahre später, 1896, erschien die ausführliche Arbeit von Staderini,') | Jedoch im Jahre 1895 veröffentlichte De Sanctis seine Unter- suchungen über den Nucleus funiculi teretis, in denen er sowohl meinen Doppelkern als auch Staderinis Schaltkern erwähnt.) De Sanctis ist der Meinung, dass in meiner Arbeit der mediale Teil des Fasciculus teres Clarkes (N. funiculi teretis) beschrieben wurde, und wundert sich natürlich darüber, dass ich mir für diese bekannte Zellengruppe einen besonderen Namen ausdenke. Seiner Meinung nach beschrieb auch Staderini nichts anderes, als dieselbe Zellengruppe, die schon làngst unter dem Namen des Nucleus funiculi teretis bekannt ist. De Sanctis hatte also sowohl meine, als auch Staderinis Arbeit nicht genau verstanden. Dieses Umstandes wegen brach zwischen Staderini und De Sanctis ein Streit aus, der meist in der italienischen Litteratur geführt wurde und bei dem ich mich gar nicht beteiligte. Der Streit endete mit dem Erscheinen der vollstindigen Arbeit von Staderini, in der er den Unterschied zwischen dem Schaltkern und dem Nucleus funiculi teretis cenügend deutlich erklärt hat. In dieser Arbeit teilt Staderini die Ergebnisse seiner Untersuchungen von je zwei Präparatserien aus den Gehirnen erwachsener Menschen und neugeborener Kinder und je einer Serie aus den Gehirnen eines sechs Monate alten Embryos des Menschen, eines Kaninchens, einer Maus und eines Hundes mit. Es wurde hierbei sowohl der Nucleus funiculi teretis als auch der Nucleus intercalatus untersucht. Da mich in dieser Arbeit der Nucleus funiculi teretis nicht interessiert, so werde ich die Ausführungen Staderinis, die sich auf denselben beziehen, nur ganz kurz wiedergeben. Diese Bildung, die sich auf den meisten Querschnitten als ovale Zellen- eruppe darstellt, die gleich unter dem Ependym in der Nähe der Raphe liegt, ist unbestándig, variiert in Form, Umfang und Aus- dehnung und ist vollständig unabhängig vom Nucleus intercalatus. 1) Staderini, Ubicazione e rapporti di alcuni Nuclei di Sostanza grigia della midolla allungata. Intern. Monatsschrift f. Anat. u. Phys. 1896. Bd. XIII. H. 9—10. ?) De Sanctis, Ricerche anatomiche sul nucleus funiculi teretis. Rivista speriment di freniatria e di med. lig. 1895. Vol. XXI. F. 4. Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 395 Letzterer zeichnet sich dagegen durch Beständigkeit und Regelmässig- keit aus. Diese. Bildung beschreibt Staderini hier eigentlich ganz ebenso wie in seiner ersten Mitteilung, und weist darauf hin, dass sein Schaltkern oberhalb des Glossopharyngeuskernes mit einer ähnlichen (?) mehr lateral gelegenen Gruppe zusammenfliesst, wodurch der dreieckige Kern des Hórnervs entsteht. Obgleich die beiden genannten Zellengruppen vollständig mit einander zusammenfliessen, beobachtete Staderini beim Menschen, dass der innere Teil des dadurch gebildeten dreieckigen Kernes, der in tieferen Regionen dem Schaltkern entspricht, sich auch nach dem Zusammenfliessen auf eine gewisse Entfernung hin vom äusseren Teile durch eine dichtere Färbung des Fasernetzes unterscheidet. Ungeachtet dessen betrachtet Staderini den Schaltkern als eines der zwei distalen Enden des dreieckigen Kernes. In dieser Arbeit berührt Staderini auch meine Untersuchungen, jedoch sehr unbestimmt und ungenau, so dass man aus seiner Wieder- gabe unmöglich folgern kann, welche Zellengruppe ich eigentlich unter dem Namen Dorsalkern beschrieben habe. Er sagt nämlich, dass ich in einer sehr kurzen Notiz (es war auch wirklich nur ein kurzer Auszug aus meiner Arbeit) von dem lateralen Teile des Funiculus teres Clarkes gesprochen und gar nicht seines medialen Teiles erwähnt hätte. Das ist auch ganz richtie. Ich habe mich niemals für den Medialkern oder Nucleus funiculi teretis interessiert und mich auch nie mit ihm besonders beschäftigt. Jedoch weiterhin behauptet Staderini schon unrichtig, dass ich in meiner Beschreibung fast nichts Neues zu dem hinzugefügt hätte, was schon längst von Clarke mitgeteilt worden war. Schon aus dem Inhalte meines deutschen Referates kann man sehen, dass ich zu Clarkes Be- schreibung genau ebensoviel wie auch Staderini hinzugefügt habe. Unsere (d. h. meine und Staderinis) Beschreibungen beziehen sich, wie man aus dem oben Angeführten deutlich sehen kann, genau auf eine und dieselbe Zellengruppe. und sind mit Ausnahme einiger Punkte sehr ähnlich. Der wichtigste Unterschied zwischen ihnen ist meiner Meinung nach der, dass meine Beschreibung zwei Jahre vor derjenigen 396 N. Muchin, Staderinis gemacht wurde. Indem Staderini mein Referat citierte, überging er vollständig die Stelle, in der meine Beobachtungen über die Form des Dorsalkernes, über seine Stellung und sein Verhältnis zu den benachbarten Teilen, besonders zu dem dreieckigen Acusticus- kerne deutlich dargelegt werden, und bewirkt dadurch natürlich, dass ein mit meinem Referat unbekannter Leser seiner Arbeit un- móglich erraten kann, dass sowohl bei mir, als auch bei Staderini von ein und derselben Zellengruppe, ein und demselben „Kerne“ die Rede ist. i Ich bin überzeugt, dass dieser Modus agendi des geehrten Herrn Kollegen ein zufälliger und vollständig unbeabsichtigter war, doch kann ich diesen Umstand nicht unerwähnt lassen, da ich mich jetzt eben darum bemühe, dass mein Dorsalkern endlich richtig verstanden werde. Die Arbeit Staderinis, die von ihm in der einen oder der anderen Art in einer Reihe periodischer Ausgaben veröffentlicht wurde, wurde bald in der modernen Litteratur allgemein bekannt. Sie wurden z. B. von Marinesco in seinen bekannten Briefen!) erwähnt; auch einige Verfasser der modernen Handbücher der Anatomie des Centralnerven- systems (Oberstemer, Van Gehuchten) weisen auf die Entdeckung Staderinis hin. Meine Untersuchungen blieben jedoch nur wenigen bekannt und wurden ausserdem stellenweise nach der Wiedergabe Staderinis und folglich unrichtig wiedergegeben. In demselben Jahre, 1896, veröffentlichte ich einen kurzen Artikel”), in dem ich darauf hinwies, dass der Kern, welchen Staderini Schaltkern benannte, von mir schon früher unter dem Namen Dorsalkern be- schrieben worden sei. Als ich diese Notiz einschickte, wusste ich wirklich nicht, dass schon ungefähr ein Monat vorher die vollständige Arbeit von Staderini gedruckt worden sei. Darin beging ich einen Fehler. Während ich auf die Aeusserungen Staderinis einging, hatte ich nur seine erste Mitteilung im Auge, und musste daher sowohl darauf, dass von Staderini meine Arbeit ignoriert worden sei, als 1) Marinesco, La semaine médicale. 1896. Nr. 59. ?) Muchin, Ueber die Entdeckung des Schaltkernes von Staderini. Deutsche Zeitschrift f. Nervenheilkunde. Bd. X. Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 397 auch darauf hinweisen, dass die Zellengruppe, die sein Schaltkern darstellt, bereits Clarke, Meynert und Schwalbe bekannt war, wovon Staderini in seiner vorläufigen Mitteilung nichts erwähnte. Indem ich den Namen von Schwalbe anführte, bemerkte ich, dass er die von mir und Staderini beschriebene Zellengruppe „Nucleus funiculi teretis^ genannt habe. Diese Worte verursachten weitere Irrtümer in Bezug auf meine Arbeit. Wie allgemein bekannt, be- trachtete Schwalbe, wie auch Clarke, die Zellengruppe, welche ich und Staderini beschrieben haben, und den Medialkern von Meynert, als ein (Gebilde, und teilte dasselbe in zwei Hälften, eine äussere grössere, die dem Dorsal- oder Schaltkern entspricht, und eine innere kleinere — den Medialkern. Für beide Gruppen benutzte er eine und dieselbe Benennung — Nucleus funiculi teretis. Späterhin wurde jedoch mit dieser Benennung nur noch der Medialkern bezeichnet. Daher konnte man auch annehmen, dass ich, als ich in meiner Notiz vom Nucleus funiculi teretis sprach, den Medialkern meinte. So wurde es denn auch von Staderini und einigen anderen Referenten meines Artikels (in den Jahresberichten) verstanden. Bald nach dem Erscheinen dieser meiner Notiz erschien eine Erwiderung von Staderini.!) Hier bescháftigt er sich fast ausschliesslich mit den eben an- ceführten zwei Punkten. Erstens weist er auf meinen Fehler hin, dass ich nämlich das Erscheinen seiner vollständigen Arbeit übersehen habe, in der er sowohl Clarkes, Meynerts und Schwalbes Untersuch- ungen, als auch meine Arbeit erwähnt. Zweitens spricht er wieder seine Ueberzeugung aus, dass ich seinen Schaltkern mit dem Medial- kern verwechselte. Wieweit diese Behauptung berechtigt ist, kann man aus dem weiter oben Angeführten beurteilen. Ich erinnere nur nochmals daran, dass Staderini, obgleich er in seiner vollständigen Arbeit meine Untersuchungen erwähnt, es doch nicht mit der Ge- nauigkeit und Vollkommenheit thut, wie das, meiner Meinung nach, in seiner Lage hätte geschehen müssen. Wie dem auch sein mag, nach dem Erscheinen der Arbeit von Staderini und nachdem ich mich überzeugt hatte, dass meine erste 1) Staderini, Per una questione di priorita sul nucleo intercalato. Anat. Anzeiger. Bd. XIV. Nr. 12. 398 N. Muchin, Arbeit nicht richtig verstanden worden war, sah ich mich veranlasst, mich wieder an das alte Untersuchungsthema zu machen. Ausserdem glaubte ich dieses auch schon wegen der Unfertigkeit meiner ersten Arbeit thun zu müssen. Ich verfolgte nämlich damals den Dorsalkern in proximaler Richtung bis zur Höhe des Kernes des Abducens; was mit ihm weiter oben geschieht, blieb für mich un- bekannt. Auch Staderini beschränkte sich darauf, festzustellen, dass sein Schaltkern in den dreieckigen Kern des Acusticus übergeht. Meine vorliegenden Untersuchungen beginnen eben mit dem Studium des weiteren Verlaufes und der Form der Zellensäule, die von mir Dorsalkern benannt wurde, wozu ich Präparate aus dem Gehirn erwachsener und neugeborener Menschen, die nach Weigerts Methode gefärbt waren, benutzte. Beim Studieren der Serien dieser Präparate war es nicht schwer zu erkennen, dass der Dorsalkern sich selbständig, oder in irgend einem Zusammenhange mit dem dreieckigen Acusticuskerne sich auch ober- halb des Kernes des Abducens weiter “erstreckt, wobei er im proxi- malen Winkel der Rautengrube die ganze graue Substanz des Bodens einnimmt und darauf in die centrale graue Substanz des aquaeductus Sylvii übergeht. Auf Querschnitten des Tegmentum pontis in der Gegend des Kernes des VI. Nervs kann man nämlich sehen, dass hinter diesem Kern und lateral von ihm noch eine bemerkbare Schicht grauer Substanz des Bodens des IV. Ventrikels existiert (vergl. Obersteiner, Ausgabe 1896. S. 305. Fig. 134). Diese Schicht wird in proximaler Richtung anfangs etwas schmäler, in dem Maasse wie die Wurzelfasern- bündel des N. facialis grösser werden (Obersteiner, S. 307. Fig. 135). Später jedoch, oberhalb der Austrittsstelle der oberen Wurzel- fasern dieses Nervs wird ihr Durchmesser wieder grösser, und zwar in der Richtung von vorne nach hinten, nimmt aber in seitlicher Richtung ab gemäss dem, wie die Rautengrube in den Aquaeductus übergeht (Obersteiner, Fig. 137—142). Aus diesem Grunde kann man auch annehmen, dass die dünne Schicht grauer Substanz, die nach hinten vom Kern des Abducens und vom Knie und den Wurzelfasern des Facialis, sowie auch seit- Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 399 wärts von diesen Teilen lieet, die direkte Fortsetzung der grauen Masse bildet, die als dreieckiger Kern bekannt ist, und dass dieselbe Masse durch den Boden des oberen Winkels der Rautengrube in die centrale graue Substanz des Aquaeductus übergeht. In den neueren speciellen Handbüchern (Obersteiner, Kölliker, Edinger, van Gehuchten, Monakow) wird diese Schicht auf den Ab- bildungen entweder nicht vermerkt (es wird hier entweder eine freie oder auch eine ganz übertuschte Stelle gelassen), oder als centrale graue Substanz bezeichnet und gewöhnlich gar nicht beschrieben. Die soeben ausgesprochene Voraussetzung, dass die centrale graue Substanz des oberen Winkels der Rautengrube sich in ununter- brochenem Zusammenhang mit dem dreieckigen Kern des Acusticus befinde, die sich beim Studium Weigert’scher Präparate so zu sagen von selbst aufdrängt, widerspricht jedoch den jetzigen Anschauungen über die obere Grenze des dreieckigen Kernes. Jetzt nimmt man an, dass dieser Kern mit dem Erscheinen des Kernes des Abducens auf- hört (siehe darüber z. B. Köllikers Handbuch. 1896. S. 252). Der dreieckige Kern, der, wie gewöhnlich gelehrt wird, in der Gegend der Striae acusticae die ganze graue Substanz des Bodens, mit Aus- nahme einer kleinen und unbeständigen Zellengruppe, die sich im Querschnitt oval darstellt und hart an der Mittellinie liegt (Nucleus medialis s. N. funiculi teretis), einnimmt, muss jetzt, nach meinen und Staderinis Untersuchungen, für eine zusammengesetzte Bildung an- gesehen werden, die aus zwei Complexen nervóser Elemente, welche in mehr distal gelegener Gegend gesondert sind, besteht: aus dem Dorsal-(Schalt-) Kern und dem Gebilde, das von allen für das distale Ende des dreieckigen Kernes gehalten wird und von innen an der Radix descendens acustici anliegt. Bisher wusste ich nicht in welchem Verhültnis zu einander die Elemente, d. h. die Nervenzellen dieser Gebilde nach ihrer Vereinigung sich befinden, ob die genannten Bil- dungen wirklich in eine gemeinsame Masse zusammenfliessen und so den dreieckigen Kern bilden, wie Staderini meint, oder ob sie nur in enge Berührung mit einander treten, wobei zahlreiche Fasern aus- gewechselt werden, wobei sie jedoch selber getrennt bleiben, wie es mir während meiner ersten Untersuchungen schien. 400 N. Muchin, Durch das Studium von Haematoxylinpräparaten erreichte ich dieses Mal eigentlich auch weiter nichts, als die Formulierung folgender zwei Fragen: 1. Bildet die graue Substanz im oberen Winkel des Bodens der Rautengrube, die augenscheinlich eine Menge von Nervenzellen enthält, die Fortsetzung des sogenannten dreieckigen Kernes des VIII. Nervs oder des Dorsalkernes (Schaltkernes), oder stellt sie eine selbständige Bildung dar, die oberhalb des proximalen Endes des Abducenskerns und der Austrittsstelle der Wurzelfasern des Facialis beginnt? 2. Bildet sich der Complex grauer Substanz im Boden des IV. Ventrikels, der unter dem Namen Nucleus triangularis acustici bekannt ist, durch das Zusammenfliessen oder nur durch die enge Berührung des Dorsalkernes (Schaltkernes) und des distalen Endes des dreieckigen Kernes? Zur Lösung dieser Fragen erwies sich die Haematoxylinfärbung als ungenügend, weswegen ich zur Methode der schwarzen Impräg- nation greifen und Präparate studieren musste, die nach einer Modi- fication der Methode von Golgi bearbeitet worden waren. Als ich mich an die Arbeit machte, stiess ich gleich auf be- deutende Schwierigkeiten, die durch die Eigenschaften der Methode bedingt wurden. Die verschiedenen Modificationen der Methode Golgis zeichnen sich bekanntlich durch grosse Unbestándigkeit und so zu sagen Launenhaftigkeit in betreff der Resultate aus. Dazu erwiesen sie sich gerade für die von mir studierte Gegend besonders schwer verwendbar. Gerade hier, in der Gegend der centralen grauen Sub- stanz, im Boden des IV. Ventrikels, erhielt ich die bedeutendsten be- kannten dicken schwarzen Silberniederschläge, die das grösste und beinahe unvermeidliche Uebel der Golgi-Methode bilden. Ausserdem zeigte es sich, dass besonders die Elemente der grauen Substanz des Bodens auf meinen Präparaten schwer zu imprägnieren waren. Das hing aller Wahrscheinlichkeit nach mit der verhältnismässig be- deutenden Grösse meiner Objecte zusammen. Ich benutzte zu meinen Untersuchungen Gehirne von erwachsenen Kaninchen (5 Exemplare), einer ausgewachsenen Katze (1 Exemplar) und hauptsáchlieh vom neu- geborenen Menschen (über 10 Exemplare) Benutzt wurde möglichst Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 401 frisches Gehirn. Von Tieren wurde es gleich nach der Tötung, von Menschen nicht später als 6 Stunden nach dem Tode, manchmal noch aus warmen Leichen genommen. Gleich nach dem Herausnehmen wurde schnell das Kleinhirn durch Durchschneiden der Pedunculi ent- fernt, ebenso wie die beiden Hemisphären mit dem Corpus callosum und dem Fornix bis zu den Thalami. Darauf wurde mit einem flachen Messer die graue Substanz des Bodens des IV. Ventrikels zusammen mit einem Teile der Formatio reticularis der Oblongata und der Brücke ausgeschnitten, so dass die Dicke des ausgeschnittenen Plätt- chens nicht mehr als 0,5 cm. betrug. Dieses Plättchen wurde auf der Grenze der hinteren Hügel der Corpora quadrigemina beschnitten und darauf in drei Teile geteilt, die sofort in die Fixierungsflüssigkeit gelegt wurden. Weiter wurden die Corpora quadrigemina auf der oberen Seite etwas beschnitten und aus ihrer Substanz ein Cylinder mit dem Aquaeductus im Centrum ausgeschnitten, dessen Wände nicht dicker als 0,5 em waren. Dieser Cylinder, entsprechend dem Sulcus transversus der Corpora quadrigemina in zwei Teile durchgeschnitten wurde ebenfalls in die Fixierflüssigkeit gelegt. Schliesslich wurden auch aus den Thalami optici, da wo sie die verticalen Wände des III. Ventrikels bilden, schmale Streifen ausgeschnitten, die in zwei Teile gleich vor oder hinter der Commissura media geteilt und auch in die Fixierungsflüssigkeit gelegt wurden. Nachdem ich alle bekannten Modificationen der Golgi’schen Methode ausprobiert hatte, blieb ich bei der sogenannten doppelten Impräg- nation von Ramón y Cajal, durch die ich allmáhlich brauchbare Re- sultate zu erzielen begann. Auf diese Weise gelang es mir, folgendes Material zur Lósung der gestellten Fragen zu erhalten. Wenn man die graue Substanz aus dem unteren (distalen) Winkel des Bodens des IV. Ventrikels gleich beim Calamus an Präparaten der doppelten schwarzen Imprägnation studiert, so sieht man, dass gleich dorsal- und lateralwärts vom Kern des Hypoglossus, also gerade in der Gegend des Dorsalkernes (Schaltkernes) sich ein Complex sehr kleiner spindelfórmiger oder seltener dreieckiger Zellen befindet (Taf. XVI. Fig. 1d und Z.d). Die Ausläufer dieser Zellen, die Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 26 402 N. Muchin, scheinbar alle verzweigt sind, verbreiten sich nach verschiedenen Richtungen hin, in der Regel gehen die einen von ihnen nach vorn zu der netzartigen Formation, wobei sie mehr oder weniger zur Mitte oder auch nach aussen hin abweichen, die anderen rückwärts in die Substanz des Kernes selbst. Ich konnte niemals die Imprägnation vieler Zellen auf einem Präparate erzielen, aber meine Präparate sind dennoch, wie ich hoffen darf, genügend beweiskraftig. Da auf dem Gebiete des Doppelkernes (Schaltkernes) in allen Höhen, selbst bis zu seinem Zusammenfliessen mit dem dreieckigen Kerne, keine anderen Nervenzellen anzutreffen waren, so kann ich behaupten, dass zu dem Bestande dieses Kernes nur diese kleinen spindelfórmigen und dreieckigen Nervenzellen gehören. Ihre Länge schwankt zwischen 20 und 29 w, ihre Breite zwischen 9 und 15 u. | Beim Untersuchen von Querschnitten, die nach einander von der Spitze des Calamus aus in aufsteigender Richtung gemacht werden, stösst man in dem äusseren Teile der grauen Substanz des Bodens bald auf das distale Ende des dreieckigen Kernes des Acusticus. Hier fällt es gleich auf, dass die Zellen dieses Kernes vollständig anders gestaltet sind, als die des Doppelkernes (Schaltkernes). Sie sind bedeutend grösser, ihre Länge schwankt zwischen 35 und 47 u, ihre Breite zwischen 18 und 26 « (Taf. XVI. Fig. 2 und Z.A.t.). Die Form der meisten Zellen ist unregelmässig, bald drei- eckig, bald birnenfórmig oder unregelmässig vieleckig mit vielen Aus- läufern. Solch eine Form und Grösse behalten die Zellen auf der ganzen Ausdehnung des distalen Endes des dreieckigen Kernes bis zu seiner Vereinigung mit dem Dorsalkerne (Schaltkerne). In der Hóhe der Striae medullares stellen sich diese beiden Kerne, wie es auf Grund des Studiums von Haematoxilinpräparaten bekannt ist, als bereits vereinigt dar. Wenn wir Präparate der schwarzen Imprágnation aus dieser Gegend untersuchen, so sehen wir in ihnen zweierlei Zellen: grössere, die sowohl der Form, als auch der Grósse nach denen des distalen Endes des dreieckigen Kernes ähnlich sind (Taf. XVI. Fig. 35) und bedeutend kleinere, die dem Dorsalkern (Schaltkern) angehören (Taf. XVI. Fig. 3a). Nur selten treffen sich besonders grosse Zellen, die eine vieleckige Form haben, Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 403 den Deiters’schen Zellen ähnlich sind und deren Durchmesser 45 bis 55 u beträgt (Taf. XVI. Fig. 3c). Beim Studium auf einander folgender Schnitte aus der Gegend, wo der dreieckige Kern die ganze graue Substanz des Bodens ein- nimmt, kann man beobachten, dass in den mehr distalen Teilen dieses gemeinsamen Kerns die grösseren Zellen sich vorwiegend in seinem äusseren Teile, der unmittelbar in sein distales Ende über- geht, die kleineren dagegen im inneren Teile, der die unmittelbare Fortsetzung des Dorsalkerns (Schaltkerns) bildet, gruppieren. In mittlerer Höhe des gemeinsamen Kerns sind sowohl die einen, als auch die anderen Zellen ohne jede wahrnehmbare Ordnung über die ganze Fläche seines Querschnittes verstreut, so dass die grösseren Zellen auch im mittleren und die kleineren im äusseren Teile anzutreffen sind. Aus diesem Grunde muss man unbedingt schliessen, dass die beiden beschriebenen Complexe der grauen Substanz in der Gegend, wo sie sich einander nähern, völlig mit einander zusammenfliessen, wie Staderini richtig versichert, und sich nicht nur berühren, wie ich annahm. Von grosser Wichtigkeit für meine jetzigen Untersuchungen musste ferner das Studium von Präparaten aus der Gegend des Kernes des Abducens sein. Es handelt sich eben darum, mit Hülfe dieser Präparate zu entscheiden, ob dasjenige Gebilde, das, wie wir jetzt wissen, ein zusammengesetztes ist und den Namen „dreieckiger Kern“ führt, eine weitere proximale Fortsetzung hat, oder hier in der Höhe des Abducenskernes sein oberes Ende ist. Auf Präparaten aus dieser Höhe kann man hinter dem Kern des Abducens und den seine Rückseite umgebenden Fasern des Facialis in einer kleinen Schicht grauer Substanz gleich unter dem Ependym kleine Zellen von dreieckiger oder spindelförmiger Form sehen, die der Grösse nach ganz genau den Zellen des Dorsalkerns (Schalt- kerns) entsprechen (Taf. XVI. Fig. 4). Ebensolche Zellen beobachtet man auch im lateralen Teile der grauen Substanz, dessen Durchmesser in der dorso-ventralen Richtung grösser ist, der ungefähr eine drei- eckige Form hat und dorsal von den Wurzelfasern des Facialis liegt (Taf. XVI. Fig. 5). Zellen, die für den distalen Teil des dreieckigen | 26* 404 N. Muchin, Kernes typisch wären, giebt es hier nicht. Oberhalb des Kernes des N. abducens wird die Rautengrube wie bekannt in der Richtung nach oben hin immer schmaler und hier beginnt schon ihr oberer Winkel. Wie man auf Haematoxylinpräparaten sehen kann, wird die Schicht grauer Substanz des Bodens dieses Winkels in proximaler Richtung immer dicker und erreicht in der Höhe des distalen Randes des Velum medullare anterius auf Querschnitten einen beträchtlichen Durchmesser von hinten nach vorn. Beim Untersuchen von Präpa- raten in dieser Höhe finden wir auf ihnen in der centralen grauen Substanz nur Zellen einer Art, die sowohl der Grösse, als auch der Form nach den Zellen des Dorsalkernes (Schaltkernes) ähnlich sind (Taf. 16. Fig. 6). Auf Grund des beschriebenen Materials kann man also auf die gestellten zwei Fragen folgende Antworten geben. 1. Die graue Substanz des Bodens des oberen (proximalen) Winkels der Rautengrube bildet die unmittelbare Fortsetzung einer von den beiden Kernmassen, aus denen der sogenannte dreieckige Kern besteht: nämlich der Masse des Dorsal-(Schalt-)Kernes. 2. Der sogenannte dreieckige Kern des Acusticus stellt ein zu- sammengesetztes Gebilde dar, das durch das vollständige Zusammen- fliessen zweier Kernmassen entsteht: der lateralen, der absteigenden Wurzel des Acusticus anliegenden, dem distalen Ende des drei- eckigen Kernes, und der medialen des Dorsalkernes (Schaltkernes). In der Höhe des Kernes des IV. Nerven hört der Teil dieser Gesamt- masse, der aus den grösseren Zellen besteht und die Fortsetzung des distalen Endes des dreieckigen Kerns bildet, auf, während der andere Teil, die Fortsetzung des Dorsalkerns, sich ununterbrochen weiter aufwärts zieht, wobei er hinter dem Kern des Abducens und den Wurzelfasern des Facialis liegt und oberhalb derselben den Hauptteil der grauen Substanz des Bodens des oberen Winkels der Rautengrube bildet. Diese graue Substanz geht, wie bekannt, unmittelbar in die centrale graue Substanz des Aquaeductus über. Auf Grund des oben Gesagten muss man also a priori erwarten, in der centralen grauen Substanz des aquaeductus Sylvii dieselben kleinen spindelförmigen oder dreieckigen Zellen, d. h. die Zellen des Dorsal- Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 405 kerns (Schaltkerns), anzutreffen. Solche Zellen befinden sich auch wirklich in der centralen grauen Substanz des Aquaeductus und ihr Vorhandensein war schon sieben Jahre vor der ersten Beschrei- bung des Dorsalkernes bekannt. Im Jahre 1885 nämlich beschrieb Tartuferi!), später auch Kölliker?) im Gehirn der Katze und des Kaninchens kleine Zellen, die in der centralen grauen Substanz des Aquaeductus hauptsächlich seitlich von ihm und hinter den Kernen des Trochlearis und Oculomotorius liegen. Ich erhielt auf meinen Prä- paraten ebenfalls diese Zellen hauptsächlich in den lateralen Teilen der centralen grauen Substanz des Aquaeductus. Beim neugeborenen Menschen haben sie meist eine spindelförmige, seltener eine dreieckige Form und ganz dieselben Grössenverhältnisse, wie die Zellen des Dorsalkerns (Schaltkerns). Ihre Ausläufer sind ebenfalls verzweigt, wobei die einen von ihnen in der Richtung zum Aquaeductus gehen und sich im Fasernetz der centralen grauen Substanz verlieren, die anderen sich zur Seite, zur netzartigen Formation der Corpora quadri- gemina (ihrem Tegmentum) begeben (Taf. XVI. Fig. 7). Solche Zellen fand ich im ganzen Gebiete des Aquaeductus, sowohl in der Gegend der hinteren, als auch der vorderen Vierhügel bis zum Uebergange des Aquaeductus in den III. Ventrikel. In letzterem untersuchte ich den verticalen Teil, der unmittelbar mit dem Aquaeductus verbunden ist. In der centralen grauen Substanz dieses Teiles befinden sich Zellen anderer Structur. In der hinteren Hälfte des III. Ventrikels (distal von der Commissura media) haben sie auch eine spindelförmige oder dreieckige Form, sind aber ungefähr dreimal so gross, als die Zellen des Dorsalkernes (Schaltkernes) (Taf. XVI. Z. v HI a, 0). In der vorderen Hälfte dagegen sind sie vieleckig und schicken nach allen Richtungen zahlreiche Ausläufer, die so nahe von einander gelegen sind, dass diese Zellen in gewisser Hinsicht an die spinnenfórmigen Zellen der Neuroglia erinnern (Taf. XVI. Z. v. He). Stellenweise jedoch gelingt es, namentlich dicht am Ependym, aber bisweilen auch zwischen den grossen Zellen, auch hier kleine spindelförmige Zellen 1) Tartuferi, Sull’anatomia minuta delle eminenze bigemine anteriori dell'uomo. Arch. italiano per le malattie nervose. Milano 1885. 2) Kólliker, Handbuch der Gewebelehre. 1896. Bd. II. S. 336, 424. 406 N. Muchin, zu beobachten, die vollständig denen des Dorsalkernes oder der cen- tralen Substanz des Aquaeductus gleichen (Taf. XVI. Fig. 8 und Z. v. II a). Auch Kölliker beobachtete im Gehirn der Katze und des Kanin- chens bei dem Ependym des III. Ventrikels wahrscheinlich ebensolche Zellen, wie in der centralen Substanz des Aquaetuctus.’) Die angeführten Ergebnisse meiner Untersuchungen erklären, wie ich glaube, bis zu einem gewissen Grade erstens die bisher einiger- maassen rätselhafte Natur desjenigen Zellencomplexes, der in letzter Zeit von mir unter dem Namen „Nucleus dorsalis‘ und von Staderini als „Nucleus intercalatus“ beschrieben wurde, und zweitens auch die Structur der centralen grauen Substanz des Gehirns. Bis zu den Untersuchungen von Tartuferi, Kölliker und Schütz wurde die letztere als indifferente gelatinöse Substanz von unbe- stimmter Bedeutung betrachtet, die am wahrscheinlichsten den in ihr befindlichen Kernen des Hirnnerven einfach als Grundlage dient. Tartuferi und Kölliker beschrieben zu den Bestandteilen dieser grauen Substanz gehörende Zellen, Schütz ein Faserbündel, das eine bestimmte Richtung einhält und zu bestimmten Zwecken dient. Nach diesen Entdeckungen konnte man schon nicht mehr die centrale graue Sub- stanz als vollständig indifferente Masse betrachten, dennoch wurde ihr Hauptteil, der, wie es schien, keine bestimmte Structur hat, auch noch später bloss als Grundlage für die Nervenkerne angesehen. Jetzt kann man erwarten, dass so eine Anschauung sich wesent- lich verändern muss. Jedenfalls hat die centrale graue Substanz des Gehirns, wenigstens in ihrem distalen Teile, in dem Gebiete der Medulla oblongata, bestimmte Grenzen und bestimmte Structur. Diese graue Substanz, die unzweifelhaft die Fortsetzung der cen- tralen grauen Substanz des Aquaeductus sylvii bildet, enthält in ihrer ganzen Ausdehnung gleichartige Zellenelemente, nämlich kleine spindel- förmige oder dreieckige Zellen. In der Gegend des oberen Winkels der Rautengrube nimmt sie, da sie hier von keinen anderen Zellen- anhäufungen verdrängt wird, den ganzen Raum zwischen dem Ependym 1) Kölliker, op. cit. S. 336. Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 407 von hinten und dem Fasciculus longitudinalis posterior und dem Locus coeruleus von vorn ein. Weiter in distaler Richtung wird der Durchmesser der centralen erauen Substanz von vorne nach hinten bedeutend geringer, da sie hier zuerst von den Wurzelfasern des Facialis, darauf von diesen und dem Kern des Abducens und zuletzt von dem Kerne des VI. Nerven an das Ependym gedrückt wird. Im Querschnitt hat sie hier das Aussehen eines schmalen Streifens zwischen dem Ependym und den angeführten Gebilden. Unterhalb des Kernes des Abducens nimmt die centrale graue Substanz wieder den ganzen grauen Boden des IV. Ventrikels ein, ihre Structur aber erleidet hier eine wesentliche Veränderung. Zu ihren eigenen Zellelementen gesellt sich eime Menge von Zellen, die einen vollständig anderen Charakter haben und ohne jede Ordnung zwischen den ersteren liegen. Letztere sind bedeutend grösser, viel- eckig, dreieckig oder birnenförmig und haben viele Ausläufer. Dabei liegen beide Zellenarten in einem gemeinsamen dichten Geflechte aus dünnen markhaltigen und marklosen Nervenfasern. In dieser Gestalt ist die Bildung, zu deren Bestandteilen die centrale graue Substanz gehört, unter dem Namen des dreieckigen Kernes bekannt. Der Zusammenhang dieses Kernes mit dem Hórnerv wurde, wie bekannt, durch die Untersuchungen von Forel und Onufrowicz!) und spáter auch von Baginsky?), Bechterew?) und Sala*) stark erschüttert. Ungeachtet dessen záhlen die meisten Anatomen der Gegenwart, wie Kölliker, Edinger, Ramón y Cajal, Monakow, Van Gehuchten, Ober- steiner, den dreieckigen Kern zu den centralen Endpunkten des 1) Forel, Vorläufige Mitteilung über den Ursprung des N. acusticus. Neurol. Centralblatt. 1885. Nr. 5. — Forel und Onufrowicz, Weitere Mitteilung über den Ursprung des N. acusticus. Ibidem. Nr. 9. — Onufrowicz, Experimenteller Beitrag zur Kenntnis des Ursprungs des N. acusticus. Arch. f. Psychiatrie. 1885. Bd. XVI. Heft 3. ?) Baginsky, Ueber den Ursprung und den centralen Verlauf des N. acusticus bei Kaninchen. Virchows Arch. 1886. Bd. CV. 3) Bechterew, Zur Frage von der centralen Endigung des Hörnervs etc. Neurolog. Centralblatt. 1887. Nr. 9. *) Sala, Ueber den Ursprung des N. acusticus. Arch. f. mikroskop. Anatomie. 1893. Bd XLII. Hi. 408 N. Muchin, N. acusticus, wobei einige von ihnen diese Annahme als feststehende Thatsache, andere jedoch, wie Monakow, als einer Bestätigung be- dürftig ansehen. Auf meinen Präparaten erhielt ich anch immer den Eindruck, dass ein Teil der Fasern des N. acusticus, wenn auch wahr- scheinlich nur ein kleiner, auf die eine oder die andere Weise mit dem dreieckigen Kern verbunden sei. In der beschriebenen Form erstreckt sich der dreieckige Kern nicht weit, kaum über die Breite der Striae medullares hinaus. Gleich unterhalb des unteren Randes derselben beginnt die graue Substanz des Bodens sich in zwei Teile zu teilen, da sich hier in ihrer Mitte: das proximale Ende des Kernes des IX. Nerven hineindrängt. Sie zerfällt in eine laterale und eine mediale Hälfte: die erste liegt zwischen dem Kerne des Glossopharyngeus und der absteigenden Wurzel des Acusticus, die zweite zwischen demselben Kerne und dem Medialkern. Zu gleicher Zeit mit dieser Teilung und ihr entsprechend zerfallen auch die den Kern bildenden Zellenelemente in zwei Gruppen. Die kleinen, d. h. die eigenen Zellen der centralen grauen Substanz trennen sich von den Bestandteilen des gemeinsamen dreieckigen Kerns und bilden die innere Gruppe, die grossen die äussere. Beide Gruppen oder beide Säulen grauer Substanz sind noch auf einige Entfernung nach unten hin durch ein Bündel sehr feiner markhaltiger Fasern verbunden, teilen sich aber bald vollständige. Die innere Gruppe ist der Dorsal- kern (Schaltkern), die äussere das distale Ende des dreieckigen Kernes des Acusticus. Beide Bildungen haben eine bestimmte Ausdehnung und eine bestimmte Form und bestimmte Verbindungen. Es zeigt sich also, dass die Zellensäule, die ich Dorsalkern und Staderini Schaltkern benannte, keine selbständige Bildung darstellt, wie ich früher glaubte, und auch nicht eines der distalen Enden des dreieckigen Kernes des Acusticus, wie Staderini annahm, sondern den verhältnismässig kleinen distalen Teil des seiner Grösse nach be- deutenden Nervenzellencomplexes, der unter dem Namen der centralen grauen Substanz bekannt ist, bildet. Es zeigt sich ausserdem, dass die centrale graue Substanz an und für sich eine ziemlich genau begrenzte, der Ausdehnung nach sehr grosse graue Masse darstellt, zu deren Bestande in ihrer ganzen Aus- Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 409 dehnung gleichartige Zellenelemente gehören und welche bestimmte und zahlreiche Verbindungen sowohl mit bestimmten Kernen der Hirn- nerven, als auch mit anderen Teilen des Gehirns hat. Aus der centralen grauen Substanz treten nämlich eine Reihe von Fasern in die sie umgebenden Teile über, die man in folgende Gruppen zusammenfassen kann: — 1. Die radiären Fasern, die zur netzartigen Formation gehen. Diese Fasern entspringen augenscheinlich auf dem ganzen Gebiete der centralen grauen Substanz. Stellenweise in grösserer, stellenweise in geringerer Zahl. Besonders zahlreich sind sie in der Gegend des dreieckigen Kernes. Diese markhaltigen Fasern sind sehr dünn, entspringen auf der vor- deren (ventralen) Fläche der centralen grauen Substanz in der Form von sehr feinen gewundenen Fasern und dringen tief in die graue netzartige Formation der Oblongata, der Brücke und der Vierhügel ein. Ob sie jedoch hier mit den Elementen derselben Formation in irgend eine Verbindung treten, oder vielleicht im rechten Winkel ab- schwenken und eine Längsrichtung annehmen, konnte ich nicht fest- stellen’ (were. Taf. XV. Fig. 2, 3, 4 u. 5). 2. Die Fasern der Raphe, die sich in der Raphe mit ebensolchen der entgegengesetzten Seite kreuzen. Diese Fasern entspringen meistenteils einzeln und lassen sich schwer verfolgen. Nur in der Höhe des Kerns des Hypoglossus, wo sie gleichfalls auf der vorderen Seite der centralen grauen Substanz (des Dorsal-Schaltkernes) entspringen, vereinigen sie sich gleich in ein Bündel, das von vorn den Kern des Hypoglossus umzieht und zwischen ihm und dem Fasciculus longitud. posterior die Raphe erreicht. Dieses Bündel wurde zuerst von Gerlach!) be- schrieben, der annahm, dass diese Fasern aus der äusseren Peripherie des Kernes des Hypoglossus und teilweise aus dem Kerne des Vagus entspringen. Obgleich man auch die Móglichkeit, dass einige Fasern dieses Bündels aus dem Kern des Hypoglossus und dem Kern oder vielleicht auch aus den Wurzeln des Vagus entspringen, nicht abstreiten kann, 1) Gerlach, Ueber die Kreuzungsverhältnisse in dem centralen Verlaufe des N. hypoglossus. Zeitschrift f. ration. Medicin. Bd. XXXIV. 410 N. Muchin, entspringt jedenfalls der Hauptteil derselben in Form einer zierlichen Quaste aus dem distalen Teile der centralen grauen Substanz, was man auf meinen Präparaten sehen kann. 3. Die Fasern des Bündels von Schütz. Bei der engen Berührung, die unzweifelhaft zwischen diesem Bündel und der centralen grauen Substanz auf ihrer ganzen Ausdehnung vorhanden ist, ist ein faseriger Zusammenhang zwischen beiden a priori wahrscheinlich. Er lässt sich schon daraus folgern, dass das Bündel von Schütz nicht nur in seiner eanzen Ausdehnung innerhalb der centralen grauen Substanz hinzieht, sondern auch seinen Durchmesser vollständig zugleich mit den Ver- änderungen des Durchmessers des centralen Höhlengraues verändert. Aus diesem Grunde müsste es am passendsten erscheinen, dieses Bündel als ein speciell der centralen grauen Substanz gehöriges an- zusehen und es auch dementsprechend zu benennen. (Fasciculus pro- prius substantiae cinereae centralis cerebri), wenn es nur gelingen würde, seinen Zusammenhang mit derselben durch directes Verfolgen seiner Fasern unstreitbar festzustellen. Ich kann jedoch nicht be- haupten, dass mir dieser auf meinen Präparaten vollkommen ge- lungen wäre. 4. Ausserdem nimmt Staderini an, dass die vorderen und hinteren Teile seines Schaltkernes mit den Wurzeln des N. hypoglossus ver- bunden seien, während aus den lateralen Teilen Fasern entspringen, die teilweise die Stämme der Nn. vagus und glossopharygeus bilden. Obgleich ich bemerken muss, dass ich auf meinen Präparaten solch einen Zusammenhang nicht beobachten konnte, so lasse ich doch in Anbetracht der kategorischen Aeusserung des Herrn Staderini sein Vorhandensein zu. Dann wird aber das Verhältnis der centralen grauen Substanz zu den sie umgebenden Teilen ein noch verschiedeneres. Weiter zeigen meine und Staderinis Untersuchungen deutlich, dass die centrale graue Substanz in bestimmter Ausdehnung mit dem sogenannten dorsalen, oder dreieckigen, oder inneren, oder Hauptkern des Acusticus in engem Zusammenhang steht. Dieser Zusammenhang ist, wie meine Untersuchungen zeigen, ein so enger, dass die Zellen des centralen Hóhlengraues und die des Acusticuskerns sich voll- ständig vermischen und über die ganze Breite des Bodens ohne jede Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 411 Ordnung verteilen, wobei sie in einem gemeinsamen dichten Fasernetz liegen. Unterhalb des Zusammenflusses wird die Verbindung noch auf eine gewisse Entfernung hin durch ein besonderes Bündel dünner transversaler Fasern zusammengehalten und erst hierauf trennen sich die beiden Zellengruppen vollständige. Man muss auch schliesslich nicht vergessen, dass im centralen Höhlengrau auch die Kerne anderer Hirnnerven liegen, die von ihr von allen oder auch nur von den meisten Seiten umgeben werden. Es sind nämlich (was vielleicht eine Bedeutung für die Erklärung der physiologischen Function des cen- tralen Höhlengraues haben könne) die Kerne der motorischen Nerven des Auges: des Abducens, des Trochlearis, des Oculomotorius. Die obere (proximale) Grenze des centralen Höhlengraues konnte ich bisher nicht feststellen. Seine Zellen erstrecken sich jedenfalls weit nach vorn in den Wänden des verticalen Teiles des III. Ventrikels. Auf Grund des Beschriebenen muss man zu dem Schlusse kommen, dass das centrale Höhlengrau des Gehirns eine seiner Grösse nach bedeutende und ziemlich genau begrenzte graue Masse darstellt, welche wesentlich aus bestimmten kleinen spindelförmigen und dreieckigen Nervenzellen gebildet wird und bestimmte, zahlreiche Verbindungen mit vielen der umgebenden Teile hat. Der Dorsalkern (Schaltkern) ist nur das distale Ende dieser grauen Substanz. Role Ho? Fig. 4. Fig. 5. Erklärung der Abbildungen. Mann, 20%, Weigert-Präparate der Medulla oblongata des Menschen. Querschnitt der Medulla oblongata zwischen der Pyramidenkreuzung und der Spitze des Calamus. f.S Dorsales Längsbündel von Schütz. n. X nucleus n. vagi. n. XII nucleus n. hypoglossi. n.f.g nucleus funiculi gracilis. n.f.c nucleus funiculi cuneati. Querschnitt der Medulla oblongata in der Gegend des distalen Abschnittes der Fossa rhomboidea. n.d.i nucleus dorsalis (intercalatus). f.S Dorsales Längsbündel von Schütz. f.s fasciculus solitarius. V.a spinale Quintuswurzel. Querschnitt der Medulla oblongata in der Gegend des mittleren Drittels des Hypoglossuskernes. (Ungefàhr an der Grenze zwischen dem mittleren und oberen Drittel desselben. n.m nucleus medialis (n. funiculi teretis). n.d.i nucleus dorsalis (intercalatus). f.r Fasern vom centralen Höhlengrau zur Raphe, hier in ein Bündel gesammelt. f.¢ Transversale Bündel vom inneren Acusticuskerne zum Nucleus dorsalis (intercalatus). n.i. VIII Der innere Acusticuskern. (Clarke-Meynert’sche Nomenclatur.) Gegend des oberen Endes des Nucleus IX. n. IX nucleus glossopharyngei. (Andere Bezeichnungen wie oben.) Gegend der Striae medullares. n.tr. VIII Der dreieckige Kern. si.m Striae medullares. Meine Weigert'schen Präparate aus den mehr proximalwärts liegenden Ab- schnitten der Brücke und aus der Vierhügelgegend zeigen keine Eigentümlidhkeiten. Deswegen verweise ich, um den Verlag nicht mit den überflüssigen Abbildungen zu belasten, auf die Abbildungen eines der gebräuchlichsten Handbücher, nämlich des von Obersteiner. — Die Abbildungen dieser Tafel sind mit Hülfe des Apparates von Edinger gezeichnet. N. Muchin, Zum Bau des centralen Höhlengraues des Gehirns. 413 Taf. XVI. Präparate der schwarzen Imprágnation (nach der doppelten Cajal'schen Methode) des Gehirns des neugeborenen Menschen. Fig. 1. Gegend des mittleren Drittels des Hypoglossuskernes. H Eine Zelle des Kernes XII. d Zellen des centralen Höhlengraues (des „dorsalen Kernes“ oder des ,Schaltkernes“). Fig. 2. Der laterale Teil des Bodens des IV. Ventrikels ungefähr in derselben Gegend; linke Seite, Raphe rechts. Das distale Ende des inneren Acusticus- kernes. Z.d Zellen aus verschiedenen Ebenen des „Nucleus dorsalis“ (intercalatus). Z. A.i Zellen des distalen Endes des inneren (dreieckigen) Acusticus- kernes. Fig. 3. Gegend des dreieckigen Kernes (wo dieser Kern den ganzen grauen Boden einnimmt). Mittleres Drittel des Querschnittes des Bodens; die Raphe befindet sich rechts. a Zellen des centralen Höhlengraues. b Gewöhnliche Zellen des inneren Acusticuskernes. c Zelle desselben Kernes nach ihrer Form und Grösse an die des Deiters’schen Kernes erinnernd. Fig. 4. Gegend des Abducenskernes. f. F Fasern des N. facialis. Nach oben (dorsal) von ihnen die schmale Schicht der grauen Substanz, typische kleine Zellen des centralen Höhlengraues enthaltend. Fig. 5. Der laterale Teil desselben Práparates. Lateral und dorsal vom Kerne des N. VI (dieser Kern ist nicht gezeichnet) befinden sich auch die kleinen Zellen des centralen Hóhlengraues. Fig. 6. Die graue Substanz des Bodens des oberen Winkels der Rautengrube, kleine Zellen des centralen Höhlengraues enthaltend. Fig. 7. Das centrale Höhlengrau des Aquaeductus sylvii. Z. Aq Zellen dieses centralen Höhlengraues aus verschiedenen Ebenen des Aquaeductus. Fig. 8. Ein Teil des centralen Höhlengraues des vorderen Abschnittes der verti- calen Abteilung des III. Ventrikels. Alle Abbildungen dieser Tafel sind mit Hülfe des Apparates von Abbé-Zeiss bei Ocular 3, Objectiv 4 von Hartnack gezeichnet. Die dunkelschwarzen Streifen bezeichnen die Silberniederschläge am Ependym. Referate. Von W. Krause. Zuckerkandl, E., Atlas der topographischen Anatomie des Menschen. Heft II. Brust. In 48 Fig. mit erläuterndem Text. 8. 1900. Wien u. Leipzig. W. Braumüller. S. 221—288. Die erste Lieferung dieses schónen Atlas, welche Kopf und Hals enthilt, wurde bereits (diese Monatsschr., 1899. Bd. XVI. S. 322) angezeigt. Diesmal handelt es sich um die in praktischer Hinsicht so wichtige Lage der Brustorgane. Die Ausführung ist wie die früher ausführlich erórterte des ersten Heftes. Die Ter- minologie folgt der in Basel vereinbarten neuen anatomischen Nomenclatur; als Ausnahme ist dem Ref. in Fig. 249 die V. marginalis ventriculi sinistri aufgefallen. Dieser ganz unbedeutende Ast der V. cordis magna ist von Gruber so benannt worden, er fehlt in der Baseler anatomischen Nomenclatur. Will man ihn durchaus besonders bezeichnen, so sollte wenigstens ein passenderer Name dafür geschaffen werden. Besonders wertvoll sind die topographischen Abbildungen der Achselhóhle und der vorderen Halspartie, die bei Unterbindungen gute Dienste leisten können. Den N. recurrens nennt der Verf. nach alter Sitte N. laryngeus inferior, obgleich die Kehlkopfsärzte ausschliesslich die erstere Bezeichnung gebrauchen. Hiervon abgesehen, kann man dem Werke nur den besten Erfolg wünschen. Bernstein, J., Lehrbuch der Physiologie des tierischen Organismus, im speciellen des Menschen. 2. Aufl. 8. 1900. Stuttgart. F. Enke. XVI u. 692 S. Mit 294 Holzschn. Die erste Auflage dieses Lehrbuches erschien 1894 und bildete einen Band der Bibliothek des Arztes, nämlich eines Sammelwerkes, welches in demselben Verlage erscheint. Das Werk ist nicht nur für den praktischen Arzt, sondern auch für Studierende bestimmt. Von den früher erschienenen Bänden sind hier bei- spielsweise zu nennen: Bürkner, Ohrenheilkunde, 1892; Seydel, Kriegschirurgie, 1893; Strassmann, Gerichtliche Medicin, 1895 u. a. Die Darstellung beschäftigt sich nicht nur mit der Physiologie in engerem Sinne, sondern berücksichtigt nach hergebrachter Weise auch die Histologie, zu- nächst die allgemeine Histologie, die Lehre von der Zelle, den Bau der Muskel- W. Krause, Referate. 415 fasern, aber auch die Structur der nervósen Centralorgane, ausserdem endlich die Entwickelungsgeschichte (S. 627—660). Bemerkenswert ist die Auseinandersetzung, welche der Verf. über die Conception beim Menschen giebt. Nach Beendigung der Menstruation ist die Wahrscheinlichkeit für die Conception am gróssten, sinkt nach 10—14 Tagen ziemlich schnell auf ein Minimum, das bis zum Eintritt der nächsten Menstruation bestehen bleibt, Im rein physiologischen Teil ist die Dar- stellung klar und übersichtlich, so dass für das Werk ein fernerer und ausge- dehnterer Erfolg vorauszusehen ist. Szymonowiez, L., Lehrbuch der Histologie und der mikroskopischen Anatomie mit besonderer Berücksichtigung der mikroskopischen Technik. 1900. Liefe. III. S. 129—192. Mit 11 Taf. u. 47 Textfig. — Liefg. IV. S. 195—256. Mit 10 Taf. u. 40 Textfig. — Liefg. V. S. 251—320. Mit 8 Taf. u. 52 Textfig. — 8. Würzburg. A. Stuber. — à Liefg. 3 Mk. Den beiden ersten vor Jahresfrist angezeigten (diese Monatsschr., 1899. Bd. XVI. H. 11/12. S. 323) Lieferungen haben sich die folgenden mit erfreulicher Raschheit angeschlossen und die Schlusslieferung wird in nahe Aussicht gestellt. Die Einrichtung des Werkes ist dieselbe geblieben; sie wurde seiner Zeit ausführ- lich besprochen. Das Autotypie-Verfahren hat gehalten, was von ihm erwartet wurde, die Figuren sind schön und instructiv, dabei sehr billig herzustellen. Gerade bei mikroskopischen Präparaten wird in betreff des Totaleindruckes öfters mehr Naturwahrheit durch die Autotypie erreicht, als es bei den immer etwas härteren Holzschnittfiguren zu geschehen pflegt. Auch die farbigen Figuren sind zumeist gut wiedergegeben und geschmackvoll. Der Text beschränkt sich auf eine kurze Wiedergabe des Bekannten; auf eine Kritik der Einzelheiten kann hier nicht ein- gegangen werden. Die Numerierung der Figuren ist eine fortlaufende für die in den Text eingedruckten und für die auf den Tafeln enthaltenen; an diese Ein- richtung wird sich der Leser erst gewöhnen müssen und einfacher wäre es wohl gewesen, die Ziffern durch den Druck im Text zu unterscheiden, wenn z. B. die No. der Tafelfiguren cursiv gedruckt worden wären. A. Böhm und A. Oppel, Taschenbuch der mikroskopischen Technik. 4. Aufl. 1900. 8. München. Oldenbourg. 240 $5. Die dritte Auflage dieses beliebten Lehrbuches erschien 1896 und dem damals Gesagten (diese Monatsschrift. 1897. Bd. XIV. H. 1. S. 27) ist nichts besonderes hinzuzufügen. Die Seitenzahl ist um 16 gestiegen, wobei, abgesehen von vielen kleinen Zusätzen und Verbesserungen, namentlich die sehr dankenswerte Mitteilung des Reconstructionsverfahrens von Born beteiligt ist (S. 70—80). Das Litteratur- verzeichnis ist bis auf die neueste Zeit durchgetührt und umfasst 16 enggedruckte Seiten. 416 W. Krause, Referate. Spalteholz, W., Handatlas der Anatomie des Menschen. ‘Mit Unter- stützung: von W. His. Bd. II. Dritte Auflage. Regionen, Muskeln, Fascien, Herz, Blutgefässe 8. Leipzig. S. Hirzel. 1901. S. 237 bis 475. Pig. 2817511. Der beliebte Atlas liegt hier in dritter, sehr wenig veränderter Auflage vor, der das 7-10. Tausend von Exemplaren entspricht. Dem früher über das Werk Gesagten (diese Monatsschrift. 1899. Bd. XVI. S. 28) braucht wohl nichts weiter hinzugefügt zu werden. Toldt, C., Anatomischer Atlas für Studierende und Aerzte unter Mitwirkung von A. Dalla Rosa. Wien u. Leipzig. 8. 1900, Urban & Schwarzenberg. VII. Lieferung. Gefässlehre: Venen und Lymph- cefüsse. S. 644—718. Fig. 1026—1085. (6 Mk.) — IX. Lieferung. Nerven: Hirnnerven, sympathisches Nervensystem, Sinneswerkzeuge. VI S. u. S. 114—230. Fig. 169—378. — 8 Mk. Die erste Lieferung des jetzt vollendeten Atlas erschien 1896; sie und die folgenden sind bereits in dieser Monatsschrift (1896. Bd. XII. H. 11. S. 407—408. — 1898. Bd. XV. H. 2. S. 80 u. 402. — 1899. Bd. XVI. H. 12. S. 268) aus- führlich angezeigt worden. Mit den vorliegenden beiden Lieferungen ist das Werk vollendet und unterdessen sind von den früheren Lieferungen, die I.— VI. und die VIII. bereits in zweiter Auflage erschienen (der Gesamtpreis beträgt jetzt 55 Mk.). Unter diesen Umständen ist es unnötig, zur Empfehlung des bereits sehr ver- breiteten Atlas etwas weiteres hinzuzufügen, als die Bemerkung, dass auch das Register, und zwar zufolge der Anlage des Werkes im Register über die Baseler anatomische Nomenclatur (abgesehen von einigen Abweichungen von derselben), damit vollendet ist. Nach Originalpräparaten sind selbstverständlich die Abbildungen aus der descriptiven Anatomie dargestellt. Hervorzuheben ist, dass bei den Venen, wo es thunlich erschien, ohne die Bilder zu überladen, auch die begleitenden Arterien angegeben sind: eine für den Studierenden sehr nützliche Einrichtung. Ferner sind hervorzuheben die Lymphgefässe, die Abbildungen des inneren Gehórorganes und manche von den peripheren Nerven. Als sehr instructiv ist auch die Dar- stellung der Insertionen der Augapfelmuskeln anzuführen. Für eine neue Auflage dürfte sich eme Nachprüfung z. B. der Fig. 1052 empfehlen, der Sinus spheno- parietalis ist nicht recht verständlich und nicht ganz in Uebereinstimmung mit Told (Lehrbuch der Anatomie. 1897. S. 672). Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. Istituto di Anat. Compta- — Università di Palermo. Origine delloocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. Primo contributo allo studio dell'oogenesi. Del Dr. Andrea Giardina. (Con Tav. XVII—XXIIL) Indice. KG RDA EEE MI ons ERP MERS see I es o AS Nas Oriemendellloocite e delle cellule nutrici ci ate un. ey Ds INEO DImionipdeelteautori gi oo cale b dem Tap Eon De er eto. 418 Nit Ossenvaziomusule Dytiscuse T se ch ON EN v499 DURE DO RON ATIC ON ced b Svid LI PN o ao EN Er det LM O, b) Il filamento terminale . . . ARE MTS PU CR ENT 200) c) Le oogonie nel periodo di moltiplicazione #0 cp d) Differenziamento dell’oocite e delle cellule een ee eA) eyMarrosetia.. :5 707 TRO NUS N eos Sed SUM oM Uer AS III. Discussioni dei risultati a xs quio i les ne in a dae CE lE divisione differenziale A on. vovv xo s AAD a) Sulla meccanica della mitosi . . . SIRIA peii Re a SAA) b) Sul significato della divisione diaz Ii ths. CP by FS EXE ENS dellaccreseimmento, ns. ee 000 ee 8 I. Costituzione del tubo ovarico . . . ARI ic debe ql Maui cosi cae DEUS Il. Le tetradi nei nuclei delle cellule abita ERD OSA oc Med 1750 WI. Costituzione della vescicola germinativa . . . . 2 . . ... 454 ME Sulla mmdividualiadel-cromosomd -. 4 . 0.0. 20.02.22 460 NeSiitormo! ai rapporti tratbooerte"e l'oreamsmo è. LM MN 1462 a) Rapporti anatomici tra l’oocite e le cellule nutrici . . . . . 462 b) Rapporti anatomici dell'oocite cop le cellule follicolari . . . 465 OST DO rita delluovo e ser. iu oem ch EN A7 un uem MEMO NOTES EX LUE ALES adii e rc odio t cod aea a e 177 Lavori citati Ne ee EM AIUTI] LETALI Es Rat Sqesseuusue Glo purent ee e Se NETTE SUE Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. DI ANS MEN A. Giardina, Introduzione. Iniziando le presenti ricerche, non avevo altro scopo che di studiare quei processi di accrescimento dell’oocite, che hanno reso classico l'ovario del Dytiscus, dal punto di vista della fisiologia cellulare. A poco a poco però la mia attenzione fu chiamata sopra un altro argomento, cioè sulla origine de’ varii elementi dell’ovario, quistione che credo avere, in gran parte risoluta. Questo studio é stato fatto su ovarit tolti dagli animali nei mesi da settembre a dicembre, ed osservati parte sul vivo, parte su materiale conservato e colorito sulle sezioni. Per non ripertermi accennerö poi man mano ai varii metodi usati; ma debbo dire fin da ora che quello di cui mi sono generalmente servito, e che per la maggior parte delle questioni mi ha dato risultati migliori & il seguente: fissazione con liquido di Hermann, colorazione doppia delle sezioni con safranina e verde luce. Da preparati cosi ottenuti son tratte la maggior parte delle figure. Con piacere manifesto la mia gratitudine al prof. Fed. Raffaele, direttore di questo laboratorio, per il suo aiuto affettuoso. A. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici. I. Opinioni degli autori. Non é il caso di esporre tutta la storia dell’argomento, tanto piü, che é stata narrata fino al 1885 da Eugenio Korschelt nel suo lavoro del 1886. Mi limiterò quindi a ricordare solo alcuni dei dati antichi e ad esporre qual’é lo stato attuale della quistione. La quasi totalità dei ricercatori antecedenti al Korschelt, quali Stein, Lubbock, Weis- mann, Claus, Leuckart, Metschnikoff, Ludwig, Bessels, Waldeyer, v. Siebold, Brandt, Tichomiroff, Palmen, Schneider era concorde nel ritenere che i tre elementi del tubo ovarico degli insetti, cellule epi- teliali, cellule nutrici e uova, si originassero per il differenziarsi in vario senso di alcune cellule indifferenti situate per lo piü nella parte ante- riore della camera terminale, la quale perció era chiamata anche, camera germinativa. Spesso anche si poneva nel così detto filamento terminale la sede di tali elementi indifferenti. Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 419 Le voci discordi erano poche. Meyer nel 1849 distingueva nell’accenno dell'ovario delle cellule superficiali piccole e altre cellule interne piü grosse. Queste ultime generano per endogenia nuove cellule che poscia diventano libere e forniscono i nuclei dell'uovo vero e delle uova abortive (cellule nutriei. Metschnikoff (1866) con le sue ben note ricerche embriologiche, stabili che nella Cecidomya non tutti gli elementi hanno la medesima origine: le cellule nutrici e luovo sola- mente derivano dalle cellule polari (genitali), mentre le epiteliali pro- vengono da altre piccole cellule embrionali (mesodermiche) che rive- stono le cellule polari quando queste passano nell’interno dell'embrione. Parecchi dei precedenti autori, inoltre, solo per supposizione am- mettono quella derivazione comune, poiché in effetti dalle loro descri- zioni risulta che essi, negli ovarii adulti studiati, trovano già differenziate da un canto le cellule epiteliali, dall'altro delle cellule più grosse che poi diventano o uova o cellule nutrici. Tuttavia l'accordo era notevole, tanto che il Korschelt considerava eccessivo il giudizio del Balfour, il quale nell’,, Embriologia comparata“ giudica il problema come non risoluto. L'incertezza si fece però evidente, quando il Will publicó le sue ricerche sugli emitteri acquatici (1885), poichè, secondo lui i nuclei dei diversi elementi derivano dalla frammentazione di alcuni nuclei primi- tivi o ooblasti. Poco prima lo Schneider (1883) aveva asserito che in alcuni insetti il nucleo dell’oogonia (Ureikern) si divide in 2 porzioni di volume ineguale: il più grosso diventa la vescicola germinativa, il più piccolo si divide ancora e produce i nuclei delle cellule nutrici e delle cellule follicolari, con un processo paragonabile alla segmentazione e formazione del blastoderma nelle uova degli insetti. In seguito (1885) Schneider si riavvicina all’opinione generalmente adottata, ma nota che in una forficula (Labidura) l'uovo e la cellula nutrice formano dapprima un'unica cellula con due nuclei. La quistione non era piü tanto limpida, e l'opinione prevalente aveva bisogno di un nuovo sostegno; che fu apportato dal Korschelt con la sua nota preliminare (1885). Ma subito dopo il Will ribadiva la sua tesi con un lavoro sul Colymbetes (1886) un insetto molto vicino al Dytiscus. Nelle ,Primordialeier* si osserva un graduale aumento della cromatina e una diminuzione del succo, finché il nucleo 27% 420 A. Giardina, assume l'aspetto di una sfera solida omogenea di sostanza cromatica. Successive gemmazioni del nucleo danno dei nuclei figli, i più grossi dei quali diventano 1 nuclei delle cellule nutrici, che Will chiama peró cellule epiteliali giganti (Riesenepithelzellen), non riconoscendo loro aleuna funzione nutritiva. Cosi l'uovo primordiale diventa una cellula plurinucleata, ma quando i nuclei figli son presso che tutti costituiti, si delimita intorno ad essi un sottile corpo cellulare, cosicchè l'uovo definitivo non è equivalente all’uovo primitivo, ma rappresenta una parte soltanto di questo. Nello stesso tempo, in Francia, s'iniziava tra il Sabatier e il Pérez, un'interessante polemica che stava in relazione con le idee del Will. Il Sabatier (1886, e 1886,) crede che nella Forficula e nel Dytiscus, Yovulo dia origine per via endogena e senza però che sia intaccata l'autonomia della vescicola germinativa, ai nuclei delle cellule follicolari, e poi ai grossi nuclei delle cellule nutrici. Queste ultime sono dunque come le prime e allo stesso titolo, degli elementi eliminati dall'uovo. Il Pérez (1886), fondandosi sui lepidotteri, obietta che l'uovo primor- diale dà origine invece per via endogena a un certo numero di cellule, che diventano libere, non per espulsione, ma per rottura della cellula madre, che cessa di esistere e non persiste perciò come uovo. Una di queste cellule, l'inferiore, diventa l'uovo; le altre le cellule vitellogene. Queste sono dunque sorelle e non figlie dell'uovo: sono uova abortive. Il numero definitivo delle cellule nutrici è raggiunto nellinterno della cellula madre, ed & costante per ogni specie, e inoltre negli insetti questo numero non è arbitrario, ma, come egli dice d'aver verificato in circa 300 specie, 22 —1. L'unità che manca è l’uovo. Tutte queste opinioni, unite alle prime dello Schneider (1883) e a quelle già antiche del Meyer (1849), quantunque non tutte identiche fra loro, formavano un complesso piuttosto omogeneo, sostenendo tutte lorigine comune de’ varii elementi, o per lo meno delle cellule nutrici e dell'uovo, dalle uova primordiali. E, sebbene oggidì talune di queste affermazioni sembrerebbero strane, a quell'epoca avrebbero senza dubbio richiamato maggiormente l’attenzione se il Korschelt, col suo lavoro in extenso, non avesse dato loro, per così dire, il colpo di grazia. L’estensione delle sue ricerche, Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 491 la copia delle figure e il fatto stesso ch'egli difendeva la tesi già sostenuta da numerosi e valenti autori, assicurarono alla medesima un tal quale trionfo, e cagionarono un certo ristagno nello studio dell'ar- comento. Il Korschelt venne alla conclusione che durante la vita post-embrionale e imaginale ha luogo una continua formazione di uova, cellule nutrici ed epiteliali, a spese di taluni elementi indifferenti della camera terminale, i quali evolvono nell’una o nell'altra di quelle tre specie di cellule. Questa opinione ha ottenuto più o meno tacito il consentimento di quasi tutti i susseguenti ricercatori, fra i quali ci bastera menzionare il Leydig (1888), il Lécaillon (1900), (Culex) e il Rabes (1900) (Rhizotrogus). Però Richard Heymons (1891) studiando lo sviluppo embrionale degli organi genitali femminili della blatta, stabili che le cellule genitali compariscono assai per tempo in diversi punti dell'embrione e che solo secondariamente alcune cellule dei seg- menti primitivi (mesodermiche) s'intromettono tra le cellule genitali e diventano le cellule epiteliali dell'abbozzo genitale, e che da quel momento le due sorta di cellule si distinguono le une dalle altre durante l’intero corso dello sviluppo. Il contenuto della camera termi- nale della blatta rappresenta un residuo dell'abbozzo embrionale: esso consiste ancora di cellule genitali e di cellule epiteliali, senza che si possa mai parlare di elementi indifferenti. Di fronte a quella del Korschelt, tratta dall’esame di individui adulti, la conclusione dell’Heymons ha molto peso, tanto più che coin- cide con quella del Metschnikoff (1866). E se la blatta, come tutti gli ortotteri, è priva di cellule nutrici, pure, riunendo questi dati a quelli ancora piü probanti forniti in seguito (1895) dallo stesso Heymons, e a quelli assai vaghi e spesso forniti inconsapevolmente da alcuni altri, credo che si possa stabilire una netta distinzione tra cellule epi- teliali da un canto e cellule nutrici e oocite dall'altro. Ma resta sempre aperta la quistione del come queste cellule geni- tali diventino oociti o cellule nutrici A questo proposito ben poco si & fatto: Henking (1832) afferma che nel Pyrrhocoris i varii elementi si originano dagli elementi della camera terminale non per diretta tra- sformazione (Korschelt e altri) ma per divisione degli stessi. E cid perché nella camera terminale vide delle cariocinesi, le quali poi furono 422 A. Giardina, (per la Nepa) negate e riconfermate rispettivamente dal Preusse (1895) e dal De Bruyne (1899). Ma giusto gli ovarii degli emitteri, non avendo che una sola camera nutrice per tutte le uova di un tubo, sono poco favorevoli per lo studio della quistione. Infine Valentin Hácker nel suo recente trattato (1899), accennando ad uno studio inedito del Dr. Paulcke nell’ape dice che ad una fase paragonabile alla fase di synapsis dei copepodi, succede nell’ovario il primo differenziamento delle uova e delle cellule nutrici. E che, dato il caso nella fase di synapsis si avveri in effetti un'altra divisione cellulare, i prodotti di questa divisione si trasformano probabilmente alcuni in oociti, altri in cellule nutrici. II. Osservazioni sul Dytiscus. a) Il tubo ovarico. L/ovario del Dytiscus è oramai tanto conosciuto da rendere super- flua qualsiasi grossolana descrizione. Rammenteró solo che gli ovarii hanno, nel mese di settembre, una forma allungata, e son composti da un fascio di pochi, brevi e sottili tubi ovarici, avvolto da un man- tello bianchiccio di un tessuto ricco di grasso, noto col nome di simcizio. Ogni tubo ovarico è costituito da un lungo filamento terminale, da una camera terminale e dal tubo ovarıco prop. detto, il quale contiene un certo numero di oociti alternantisi con gruppi di cellule nutrici. Ad ogni oocite appartiene il gruppo di cellule nutrici che lo precede. Intorno agli oociti, intorno e fra le cellule nutrici si trovano altre cellule più piccole, che costituiscono l'epitelio follicolare. Questi sono i soli elementi cellulari del tubo ovarico. Ma nella camera termi- nale si trovano altri elementi cui presto rivolgeremo la nostra atten- zione. Ogni tubo è avvolto in tutta la sua lunghezza da una tunica ialina, anista, trasparentissima, che si adagia strettamente sulle cellule epiteliali delle quali è una secrezione. Si può facilmente isolare me- diante la potassa caustica che scioglie subito il citoplasma e lascia intatti i nuclei e il grasso che li circonda, i quali poi escono fuori dalla tunica per la larga apertura posteriore. Anche la pancreatina e la pepsina mettono in evidenza la tunica propia, poichè questa, Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 493 prima di essere disciolta, è gonfiata e allontanata dagli elementi cellu- lari. Ma mentre la pancreatina scioglie prima le cellule, la pepsina distrugge più rapidamente la tunica. Con questi metodi, adoperati su materiale fresco, si può constatare che la tunica è perfettamente anista e non possiede affatto quella striatura che per la tunica del filamento terminale è stata descritta da varii autori e principalmente dal Korschelt (1886) e dal Leydig (1888). b) IL filamento terminale. Tutti gli autori e fra gli altri Will (1886), Korschelt (1886), Leydig (1888), Henking (1892), De Bruyne (1898) sono concordi nel ritenere il filo terminale costituito da una massa protoplasmatica unica nella quale sono sparsi dei nuclei, nel considerarlo perciò quale sincizio. Ciò è del tutto inesatto, poichè qui esiste come altrove la struttura cellulare ordinaria. Bisogna però confessare che essa è molto difficile ad esser posta in evidenza, il che è in rapporto con la funzione del filamento. Molto si è discusso su questa funzione, ma oramai sembra che sia quella di un organo di sospensione, poichè, essendo fissato con un estremo (insieme con gli altri filamenti di un ovario) alla parete late- rale del cuore, ed essendo inoltre estensibile ed elastico, garentisce all'ovario l'integrità e la posizione normale nei movimenti troppo accen- tuati dell'addome. In rapporto a questa funzione, le cellule della mag- gior parte del filamento si sono allungate a guisa di fibre orientate secondo l’asse del filamento, e inoltre hanno acquistato una struttura fibrillare del protoplasma. Queste fibrille, percorrendo le cellule per il lungo, danno luogo a quella fine striatura longitudinale del filamento osservato da parecchi autori e attribuita dagli uni al protoplasma del sincizio (Will 1885, 1886) dagli altri alla tunica propria (Korschelt, Leydig). Ora i limiti cellulari presentando il medesimo aspetto delle fibrille, si lasciano distinguere assai difficilmente. Però spesso, essendo le varie cellule colorite con differente intensità, si riesce a distinguerli, e si vedono poi nettamente quando, forse per effetto della fissazione, la struttura fibrillare del protoplasma è poco accentuata (fig. 86). 494 À. Giardina, Man mano che ci si avvicina al punto di unione del filamento con la camera terminale, le cellule vanno prendendo delle forme meno allungate, finché diventano poliedriche e infine addirittura schiacciate a guisa di dischi, e poiché corrispondentemente il protoplasma va per- dendo la struttura fibrillare, i limiti si vedono benissimo anche sul vivo (fig. 1). In questa regione le cellule sono disposte in un sol giro intorno ad un asse centrale, che sporge per un buon tratto nell’interno della camera terminale, e che deve avere la funzione di sostegno. Per quel che riguarda altri insetti, suppongo che lo stesso Korschelt abbia dovuto vedere i limiti cellulari nella regione prossima alla camera terminale ove le cellule sono trasformate a guisa di dischi, come può rilevarsi dalle figure che dà per I!’ Aydrophilus, la Notonecta, la Nepa, limiti che egli interpetra come fibre che attraversano tras- versalmente il filamento. Dal canto mio posso asserire che in molti insetti & tanto facile scorgere la struttura cellulare alla base del fila- mento, per quanto è difficile osservarla nella regione distale. Ma anche qui, nei casi più difficili, come ad esempio nella Mantis, ove si crederebbe.di aver propio da fare con un sincizio, si vedono benissimo i limiti delle cellule figlie subito dopo la mitosi, durante la quale, la cellula ingrandisce e il contenuto cellulare si rischiara (fig. 87). Non posso qui estendermi oltre su questo proposito, credo peró poter conchiudere che 27 filamento terminale è formato non da un sincizio, ma da wn insieme di cellule, le quali sono di aspetto e struttura differente nelle varie regioni del filamento. Il nucleo delle cellule è piccolo, ovale (u 5><8) con poche granulazioni cromatiche periferiche, un pallido reticolo e nel centro un granulo rifrangente, che e un nucleolo cromatinico. | L'uniformità di struttura del nucleo in tutte le cellule, come pure il graduale passaggio dall'una all'altra delle varie forme di cellule del filamento, rende evidente che sz tratta di cellule originariamente iden- tiche che hanno assunto varie forme. Il tutto costituisce un organo già ben stabilito, che non subisce in seguito altre trasformazioni, cosicchè nel Dytiscus il differenzia- mento delle cellule nutrici e degli oociti non accade nel filamento terminale. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 495 c) Le oogonie nel periodo di moltiplicazione. Non esistono neanco nella camera terminale quegli elementi in- differenti che diventano, secondo Korschelt, l'uno o l'altro dei tre elementi del tubo ovarico.') Durante i mesi da settembre a dicembre, all'estremità anteriore della camera, ove questa si continua col filamento, trovansi due sorta di cellule. Le une piccole, sembrano essere, sopratutto per l’aspetto dei nuclei e per varie forme di passaggio dalle une alle altre, della stessa natura di quelle del filamento terminale. Sono le cellule epi- teliali e formano un rivestimento non solo a tutta la camera, ma anche a ciuscuna delle altre cellule. Queste sono più grosse (u 9—11) di forma sferica o poliedrica, con grosso nucleo sferico, molto ricco di granulazioni cromatiche sparse lungo un reticolo, e privo di nucleolo. Esse sono le oogonie, non solo già distinte dalle cellule epiteliali, ma, come si può vedere dall’accenno storico che ho premesso [Metschnikoff, (1886) e Heymons (1891 e 1895)], anche qui, secondo ogni probabilità di origine differente. Son queste le cellule che il Korschelt indica come ,, Kezmzellen“ e che diventano, secondo lui, alcune cellule nutrici, altre uova. Im realtà esse generano tanto le une che le altre, ma per un processo molto diverso da quello indicato dal Korschelt. Le oogonie crescono in dimensioni, non per trasformarsi in oociti, ma per apparecchiarsi alla divisione. Negli ovarii da me studiati, specialmente in quelli del mese di settembre, ho osservato almeno 2 e forse 3 generazioni di tali cellule, delle quali le fig. 88, 89, 2, 3, 4 rap- presentano varie fasi della mitosi. Per distinguere gli elementi di ogni singola generazione, e le rispettive mitosi, non vi è altro criterio che la grandezza che cresce di generazione in generazione. I cromosomi hanno la forma di piccole anse e sono in numero di circa 40 (fig. 4); di profilo si mostrano spesso come due granuli che farebbero credere ad una strozzatura trasversale de’ cromosomi (fig. 2 e 3) ma rappre- 7) Neanco per la camera terminale è il caso di parlare di nuclei immersi in una massa protoplasmatica comune; in tutta la camera si osservano distinte le varie cellule, salvo che nei preparati poco buoni. 426 A. Giardina, sentano i due bracci dellansa vista di fronte. Fissando in sublimato e colorando con ematossilina ferrica o meglio ancora con cloruro d'oro secondo Apáthy, si mettono in evidenza ai poli del fuso dei centrosomi di mediocre grandezza (fig. 88, 89). La porzione riunente del fuso si trasforma in un doppio cono di fibre, i cui vertici non si toccano peró nel piano di divisione, ma sono invece riuniti da un sottile bastoncello, che va da una cellula all'altra, e che presenta ad ogni estremo (cioé ad ogni vertice) una capoechietta fortemente colorata dal eloruro d'oro (fig. 90, 91). Questa figura si disfa, le fibre e la capocchina si ridu- cono in granuli, che possono talvolta venir trasmessi alla generazione successiva, ma che finiscono sempre con essere riassorbiti dal cito- plasma. Dallultima divisione di moltiplicazione originano delle oogonie differenti dalle altre, ma neppur esse si trasformano direttamente in oociti e in cellule nutrici. "Tuttavia con queste s'inizia il periodo del d) Differenziamento dell'oocite e delle cellule mutrici. Questo consiste in una serie di 4 divisioni successive dell'ultima oogonia, le quali conducono alla costituzione di un gruppo di 16 cellule, di eui una (conformemente alla legge di Pérez) é l'oocite e 15 sono le cellule nutrici corrispondenti. Senonche un fatto interessante che accade in queste divisioni rende necessaria una meno sommaria esposizione. Siccome esiste un perfetto sincronismo delle divisioni potremo dividere il processo in 5 stadii: di una, di 2, di 4, di 8 e di 16 cellule. 1° Stadio. L'ultima oogonia. L’oogonia dell'ultima generazione differisce dalle precedenti per varii caratteri. In primo luogo per la maggiore grandezza, e poi per un differenziamento speciale del cito- plasma. In questo esiste un grosso corpo elissoidale, che si colora omogeneamente e con molta intensità con i colori plasmatici (eosina, fucsina acida, blu di Lyon, verde luce) (fig. 9). Intorno ad esso si osserva spesso una radiazione citoplasmatica (fig. 7, 10, 12). Ha tutte le apparenze di un idiozoma, ma non è altro che un derivato delle fibre riunienti del fuso dell'ultima mitosi. Questa porzione del fuso si restringe all'equatore, finché prende l'aspetto di un doppio cono col Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 497 vertice all’equatore (fig. 5, 6) ove le due oogonie figlie comunicano l'una con l'altra. A partire dal vertice le fibre e il citoplasma compreso tra di esse si trasformano in una massa omogenea, avida di colori plasmatici, e questa trasformazione procede a poco a poco verso l'aper- tura del cono (fig. 92, 93, 7). Il ponte riuniente alla fine si rompe, peró i resti fusoriali delle due oogonie figlie restano come segno della posizione del fuso. Si comprende adunque come il citoplasma sembri irradiarsi dal corpo residuale (fig. 7, 12, 92, 93), le irradiazioni essendo lultimo vestigio della porzione centrale del fuso. Questo corpo che chiameremo d'ora innanzi residuo fusoriale si puó dunque paragonare a quellorgamte assai frequente nelle spermatogonie, spermatociti e spermatidi, ove è stato dai più descritto, e secondo il Meves (1900) a torto, sotto il nome di Nebenkern. Non è solo per la sua origine che si deve negare a questo corpo il significato di idiozoma, ma perchè seguendone il destino non si scorge alcuna relazione tra di esso e i centrosomi delle prossime mitosi. Il protoplasma presenta spesso una o due vacuole adiacenti al nucleo. La cromatina del nucleo, ripartita dapprima uniformemente lungo un reticolo acromatico, si scinde a poco a poco in due parti: una parte costituita di minutissimi granuli vien trasportata ad un emisfero del nucleo, l'altra parte si concentra in una quarantina di grossi granuli di forma quadrata, sparsi nell’altro emisfero. Il nucleo presenta dunque un emisfero colorato con cromatina fittamente am- massata, e un emisfero chiaro che contiene i grossi granuli che sono i cromosomi della piastra equatoriale della prossima mitosi (fig. 5—11, 13). Peró dall’emisfero cromatico si parte e corre lungo la parete nucleare un leggero strato di cromatina granulare che avvolge tutto intorno la porzione chiara in cui stanno i cromosomi (fig. 94). Quando si orga- nizza il fuso mitotico, questi cromosomi si dispongono nella piastra equatoriale, mentre il rimanente della cromatina si trasforma da una massa granulosa in una omogenea ricca di vacuole e poi in una massa compatta. Condensandosi diminuisce di volume, cosicché occupa una parte minore del nucleo, il quale ora ha l'aspetto di una grande vacuola (fig. 14, 95a). La membrana nucleare sparisce e la massa 428 A. Giardina, cromatica si dispone in un anello continuo nel piano equatoriale, at- torno al fuso (fig. 15).') La figura mitotica è dunque costituita cosi: la piastra equatoriale con circa 40 piecoli cromosomi, che intanto han preso la forma di anse, il fuso acromatico, gli aster, l'anello cromatico. Siccome tutte le tras- formazioni ora descritte accadono contemporaneamente nelle due oogonie figlie prodotte dell'ultima divisione, abbiamo sempre due cellule adia- centi allo stesso stadio. I due fusi nelle due cellule figlie sono normali tra loro, e il residuo fusoriale in ognuna di esse è spesso quasi nel piano equatoriale ma sempre più vicino ad uno dei due poli (fig. 14, 16). L’anello cromatico è spinto man mano verso uno dei poli, e precisa- mente verso il polo piü prossimo al residuo fusoriale (fig. 17), oltre- passa il polo, e si ferma ad una certa distanza da esso, e quivi di- venta sempre più stretto e si vacuolizza sempre più. Durante tutto il processo di mitosi, la massa cromatica trasformata poi in anello cromatico è sempre circondata da una zona chiara che dà l’impres- sione di una vacuola che rivesta a guisa di manicotto la massa stessa. È probabile che questa vacuola rappresenti lo spazio occupato prima dal nucleo, soltanto che la membrana è stata riassorbita. Ma non si può dire se il suo contenuto sia ancora del succo nucleare o un li- quido diverso. La vacuola segue l’anello nel suo spostamento verso il polo e alla fine della mitosi circonda non solo l'anello ma anche il nucleo costituito a spese della piastra polare (fig. 18). 2° Stadio. Due cellule. Importa notare subito che i prodotti della divisione sono differenti tra loro. L'una N, contiene una por- zione del citoplasma e metà della cromatina che ha preso parte alla mitosi: essa darà origine ad otto cellule nutrici. L'altra O, gli ele- menti della prima, il residuo fusoriale dell’ultima divisione di molti- plicazione, e l'anello cromatico. Perciò questa è una divisione differen- ziale, e propiamente è la prima di una serie di tali divisioni. È interessante seguire le metamorfosi della parte cromatica della 1) Solo veduta da un polo presenta questa forma, di profilo presenta varii aspetti secondo la porzione che capita nella sezione: si può incontrare come 2 corpi colo- rati a destra e a sinistra del fuso, come un arco, e cambiando il foco, si può in certi casi seguire al di sopra e al disotto del fuso in un anello continuo. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 499 cellula O, In sul principio Tanello eromatico e il nucleo figlio rico- stituitosi dalla piastra polare sono distinti l'un dall’altro, quantunque il nucleo sia per cosi dire raccolto in parte nella concavità della massa cromatica e situato per consequenza anch'esso nella vacuola che circonda lanello. Ma a poco a poco le due parti vengono a più in- timo contatto. L’anello, restringendosi sempre più, finisce col trasfor- marsi in una cappa cromatica a vacuole sempre piü grosse, e irradia tutto intorno dei raggi i quali attraversando la vacuola arrivano alla parete esterna di questa (fig. 18, 19), ove si ricostituisce una nuova membrana che segue esattamente la parete della vacuola stessa. D’altro canto il nucleo s'ingradisce in modo da occupare tutto il rimanente della vacuola, e perde il suo contorno dalla parte della cappa cromatica. Cosi a poco a poco si e ricostituito il vero nucleo della cellula O, (fig. 19, 20, 21) e il volume della vacuola è ritornato ad essere lo spazio nucleare. Il nuovo nucleo si puó rassomigliare ai nuclei in synapsis degli spermatociti di Rana, che ho potuto esaminare su alcuni preparati del prof. Raffaele: Come in questi, la cromatina & concentrata in massima parte in un emisfero, mentre una parte minore forma un reticolo nell’altro emisfero. La porzione che forma un reticolo si ap- parecchia alla mitosi contemporaneamente al nucleo di N,, comportan- dosi come se la massa cromatica non fosse presente la cromatina, ridotta in cromosomi quadrati e poi in anse passa nella piastra equa- toriale della 2? divisione differenziale (fig. 21, 22 a e b, 23, 24, 25). La massa cromatica dell'altro emisfero frattanto si vacuolizza sempre piü ed alla fine si riduce ad una massa finemente granulosa che occupa tutto intero un emisfero. A questo stadio O, somiglia tanto all'ultima oogonia che chiameremo O, che si confonde facilmente con essa (con- fronta la fig. 23 con la 13.) Io stesso non saprei distinguerla se non fosse accompagnata da N, con cui forma il gruppo caratteristico del quale dà un'idea approssimata la fig. 23. La nuova mitosi succede simultaneamente in O, e in N,: in questa nel modo ordinario; in quella si ripete esattamente il medesimo pro- cesso della divisione di O,, il che mi permette di risparmiare parole e figure. Rammento solo che la massa cromatica si trasforma in una 430 A. Giardina, ınassa compatta, e si dispone in un anello continuo intorno alla piastra equatoriale (fig. 25, 26 a e b). Ciò accade contemporaneamente nei due gruppi contigui originati dalle due O, sorelle; e cosi la fig. 25 rappresenta soltanto le O, nei due gruppi contigui, mentre la fig. 26 a e b e 27a e b contengono ciascuna per intero i 2 gruppi allo stato di metafasi. Durante la divisione di O, lanello cromatico passa solo in una delle cellule figlie, proprio come nella mitosi di O, cosicche si arriva al 5° stadio, di 4 cellule, delle quali due provengono dalla divisione di N, e le due altre dalla divisione differenziale di O,. 1l risultato dunque é un gruppo di 4 cellule composto di tre N, e di una O,, la quale soltanto possiede gli elementi cromatici dell'eogonia. Anche in O, lanello cromatico si trasforma in una cappa con vacuole sempre piü larghe divise da pareti sempre piü sottili, e anche qui come in O, il nucleo definitivo si origina da 2 porzioni differenti: dalla cappa cromatica e dal nucleo costituitosi a spese della piastra polare, ma per non ripetermi, rimando a quanto dissi per O, e alle fig. 28—31, che segnano il graduale costituirsi del nucleo definitivo. Il quale consta in fine di un emisfero occupato dalla massa cromatica e ri- dotta ad un rado tessuto spugnoso e di un emisfero contenente la cromatina proveniente dalla mitosi (fig. 29). La massa cromatica dopo essersi polverizzata e poi di nuovo rifusa in una massa compatta, si trasforma nell’anello equatoriale della 32 divisione differenziale (fig. 233—930); l'altra porzione del nucleo subisce di pari passo al nucleo delle N, le trasformazioni solite: la cromatina cioè si concentra in cromosomi che passano nella piastra equatoriale. Esiste dunque uno stadio di 4 cellule in metafasi, che serve di passaggio al 4° stadio, di 8 cellule. Le tre N, generano sei N,, la O, per una divisione differenziale simile alle due precedenti genera un'altra N, ed una O; nella quale passa l'anello cromatico (fig. 96, O,; 37—39). Il 4° stadio è dunque costituito da sette N,-|-O,. Le N, ripassano per le stesse fasi delle N, e N,; e così pure nella O, si ripete esatta- mente ció che abbiamo visto in O,, O,, O,. "Tutte le cellule passano in mitosi e le fig. 40 e 41 mostrano l'intero gruppo in metafasi: la prima solo il contorno delle 8 cellule, la seconda anche il fuso e l'anello Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 43] cromatico di O,. Mentre le fig. 37, 38, 40, 41 sono ricostruite da 2 sezioni, la fig. 42 rappresenta il contenuto di una sola sezione e offre meglio i particolari nelle varie cellule. In questa divisione non sempre la massa cromatica assume l'aspetto di anello: spesso si limita a piegarsi a guisa di sella (fig. 43, 52, 53) rimanendo molto più larga; ma questi sono casi eccezionali. 5? ed ultimo stadio, di 16 cellule. Anche mella divisione di O, lanello cromatico passa soltanto in una delle cellule figlie (fig. 46), la quale non è altro che l’oocite. L’altra cellula figlia, insieme ai pro- dotti della divisione delle N, formano 15 cellule N,, che sono le cellule nutrici di O,, (fig. 47a eb e 48). Il nucleo dell'oocite, ossia la vesci- cola germinativa, & costituito anche qui da due parti diverse: dall'anello cromatico e dalla cromatina della piastra polare, nel modo già descritto per il nucleo di O,, O,, O, (vedi le fig. 46, 47 a e b, 48). Considerazioni sulle mitosi. In tutte queste divisioni la figura mitotica propiamente detta (astrazion fatta cioè dall’anello cromatico) non offre nulla di caratteristico: i fusi son ben centrati ai poli, ove convergono inoltre degli aster assai sviluppati, e ove esistono dei centro- somi abbastanza considerevoli che si mettono in evidenza con l'ema- tossilina ferrica e meglio ancora con il cloruro d’oro secondo Apáthy (fig. 95, 97). Durante la profasi ho sempre veduto 2 aster distinti nel cito- plasma, senza fuso centrale (fig. 14, 25); immagini come quella delle fig. 34, 88, 95a, che potrebbero far credere alla presenza di un fuso centrale, non denotano altro che sezioni oblique non parallele .all'asse del fuso. Gli aster sono in principio piuttosto vicini fra loro, pol si allontanano, girando attorno al nucleo e disponendosi agli estremi di un diametro nucleare (fig. 14, 25, 95). In prossimità dei centri degli aster si stabiliscono delle soluzioni di continuità nella parete nucleare, mentre nel rimanente la membrana del nucleo rimane intatta. Cosicche nell'interno stesso del nucleo, per via delle due soluzioni di continuità, si forma il fuso, le cui fibre sembrano perció esser formate a spese del nucleo (fig. 14, 25, 95). Durante la mitosi i poli del fuso conti- nuano ad allontanarsi l'uno dall'altro, e il fuso si allunga considere- volmente; durante l'anafase si stabiliscono delle fibre riunienti tra le 432 A. Giardina, ud piastre polari, e per ispessimento equatoriale di esse origina sempre una piastra cellulare (fig. 18 e 19, 29 e 30, 37, 46, 47 e 48). I cromo- somi dapprima di forma quadrata assumono poi la forma di anse (fig. 15, 16, 26a e b, 35, 44) che, viste di fronte, si presentano spesso come due granuli adiacenti (fig. 15, 16, 17, 27, 34, 40—43). In tutte le mitosi, sia in quelle di moltiplicazione delle oogonie, sia in quelle delle cellule N, che nelle mitosi differenziali, il numero dei cromosomi, quantunque non si possa contare con precisione, sembra rimanere co- stante, quaranta all'incirca. Non è privo d'interesse il fatto che, data la sua posizione, il centro- somo della figura mitotica rimane incluso nell'interno del nucleo defini- tivo delle cellule O. Ma ciò che avviene di esso è impossibile dire. Infine tra le due parti costituenti del nucleo definitivo delle cellule O,, O,, O, e cioè tra la massa cromatica d'un emisfero e il reticolo dell’altro, non si può scoprire nessuno scambio di sostanza figurata, e il caso di un gruppo del 3° stadio, disegnato nella fig. 32, mostra che le due parti cromatiche del nucleo delle cellule O possono subire le solite evoluzioni senza venire in alcun modo in contatto, e rafforza l'opinione, già acquistata indipendentemente, che l’unione delle due parti non è essenziale e che si limita a dei rapporti puramente topo- grafici. La massa cromatica originata da un anello cromatico, genera a sua volta l’anello della divisione seguente; cosicchè la massa croma- tica differenziatisi nell’oogonia O, è trasmessa, presentando una serie di cicli di variazioni costanti di forma e struttura, integralmente (salvo le possibili modificazioni dovute al chimismo cellulare) all’ooeite.') L'altra parte di cromatina viene invece trasmessa ugualmente a tutte !) Guardando le figure, salterà subito agli occhi che il colorito della massa cromatica e dell’anello cromatico, oltre differenze di intensità, dovute alle esigenze del disegno, presenta differenze di tono: in alcune figure è rosso, in altre rosso- verdastro. Queste differenze non sono dovute a corrispondenti modificazioni chi- miche, ma all’ineguale comportamento del verde luce, che ora si attacca di più ora di meno. Però questa circostanza serve a mettere in luce la somiglianza di comportamento dell’anello cromatico con la cromatina in riposo delle oogonie: in ogni sezione tanto l'uno che l'altra presentano la medesima tinta, mentre la cro- matina della piastra mitotica si presenta costantemente tinta dalla sola safranina. Cosi la cromatina dell’anello deve possedere alcune delle propietà della cromatina in riposo, come, ad esempio, un maggiore contenuto di albuminoidi. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 433 le cellule, sia all'oocite che alle cellule nutrici. Possiamo perció rias- sumere il contenuto di questo capitolo nello schema seguente: L’oocite e le 15 cellule nutrici che le appartengono si originano nel Dytiseus per una serie di quattro divisioni successive della mede- sima oogonia. Ad og- Dogonia 0, ni stadio, cominciando E da quello con due cel- lule, una sola cellula appartiene alla genea- logia dell’oocite, tutte le altre invece alla ge- nealogia delle cellule nutrici. Il significato prospettico della prima è differente da quello ! f d Oocite Cellule nulrict che à comune a tutte Fig. I. le altre, cosicchè s’im- pone l'idea che il significato prospettico di questi vari elementi sia funzione del retaggio cromatico pervenuto a ciascuno di essi. e) La rosetta. Le 16 cellule così originate si dispongono in una rosetta regolare, concorrendo, mediante brevi peduncoli, verso un centro comune. Per comprendere l'origine di tale disposizione bisogna risalire alla prima divisione differenziale, dalla quale provengono O, ed N,. Sappiamo già che il residuo fusoriale spetta in eredità ad O, (v. pag. 428); ma mentre l’anello cromatico si sposta verso il polo, il residuo si spinge verso l’equatore (fig. 18 e 19) e si addossa infine alla piastra | cellulare costituita a spese delle fibre riunienti. Queste fibre si trasformano anch’esse e il prodotto della loro regressione dà luogo ad un piccolo residuo in ciascuna delle cellule figlie. Quello di O, si fonde con il residuo preesistente, costituendo un solo corpo addossato alla piastra cellulare. Da questo momento il residuo fusoriale non abbandona più il suo posto e passa anch’esso nella discendenza delle cellule O fino all'oocite, accrescendosi però ad ogni divisione a spese Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 28 434 A. Giardina, dei residui dei nuovi fusi. Alla fine della 2? divisione il residuo infatti si trova in O, non all’equatore, ma adiacente ad una delle cellule figlie di N, (fig. 28—30). Durante lo stadio di riposo la posizione rispettiva delle 4 cellule si modifica notevolmente, poiché si dispongono a rosetta attorno al residuo fusoriale che occupa quasi il centro della rosetta (fig. 31). Mentre ha luogo questo ordinamento vengono rias- sorbite le due piastre cellulari che separano O, da due delle cellule N,, formate una alla prima divisione e l'altra adesso alla 2? divisione diffe- renziale — e inoltre, mediante formazione di uno solco si restringe e nello stesso tempo si allunga il tratto d'unione tra O, e le due N,. Cosicche alla fine la coppia delle N, figlie della N,, e l'altra N, sembrano riunite ad O, rispettivamente per mezzo di un breve peduncolo. Il luogo d’inserzione de’ due peduncoli si viene alla fine a trovare in prossi- mità del residuo fusoriale il quale si fonde col residuo del nuovo fuso della divisione differenziale (fig. 31—35). Quantunque queste condizioni topografiche si mantengano durante la 3° divisione, basta uno sguardo alla fig. 36 per convincersi che, durante la mitosi, la forma e la disposizione delle cellule vengono alterate, dimo- docchè alla fine della mitosi l’ordine sembra del tutto scamparso (fig. 37). Ma anche questa volta (4° stadio) sopravviene un riordinamento generale, e si costituisce una rosetta di 8 cellule, in cui le N, formano come un cappuccio ad O, (fig. 38). In comunicazione con O, stanno ora 3 cel- lule: due sono, ciascuna rispettivamente, una delle cellule figlie delle due N, già riunite ad O,, ed hanno conservato quella connessione; la terza è nata dalla divisione differenziale di O,. Anche questa volta le piastre cellulari tra O, e le tre N, sono riassorbite, il tratto di unione è ristretto e allungato, cosicchè alla fine i tre gruppi di cellule nutrici sembrano riuniti all’oocite per mezzo di tre peduncoli: Dentro i peduncoli si prolunga il residuo fusoriale, poichè il modo di ac-. crescimento del residuo a spese de’ nuovi fusi, porta come conseguenza che il residuo, conservando limiti netti verso il citoplasma delle cellule O, si perde insensibilmente nel citoplasma delle cellule N, lungo i peduncoli, quasi facesse parte piuttosto delle N che della cellula O (fig. 38,41). Una connessione così intima con le cellule N è forse la causa che impedisce al residuo fusoriale di spostarsi verso l'equatore come alla 1? divisione. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 435 Questa connessione non è alterata nemmeno durante l'ultima divi- sione (fig. 41—45) e si riconosce ancora alla fine della mitosi. ll gruppo rappresentato nelle due sezioni della fig. 47 (a e ^») mostra in alto tre coppie di cellule N, attaccate all'oocite che sono le coppie di cellule figlie delle tre N, che comunicavono con O,. In basso si scorge la cellula nutrice prodotta dall'ultima divisione differenziale e anch'essa in connessione con l'oocite. Dunque alla fine dell'ultima divisione l'oocite è in rapporto diretto con 4 cellule nutrici, e le 4 connessioni corrispondono alle 4 divisioni differenziali. Anche questa volta sopravviene un riordinamento, e le cellule si dispongono in quella posizione d'equilibro che hanno assunto negli stadii precedenti, in una rosetta, il cui centro è approssimativamente occupato dal residuo fusoriale. Perö nella rosetta non sono soltanto quattro le cellule nutrici riunite con l'oocite, ma tutte quante, per la ragione che ora vedremo. A partire dallo stadio di 4 cellule fino a quello di 16 le cellule AN sorelle, nell’ordinarsi a rosetta tendono ad allontanarsi fra loro; tuttavia ciascun solco di divisione, procedendo dalla periferia verso il centro della rosetta, si arresta ad un certo punto. Talché le cellule d'ugual provenienza, libere per gran parte della loro superficie, restano unite per brevi tratti verso il centro della rosetta, verso il punto dinserzione con l'oocite. Ripetendosi questo procedimento di stadio in stadio, alla fine del 5°, il gruppo di cellule nutrici, è costituito, per la sua origine, come si può comprendere esaminando lo schema della pag. 433, da 4 gruppi minori, rispettivamente composti di 1, 2, 4, 8 cellule, ognuno dei quali è legato per mezzo di un breve peduncolo con loocite. E inoltre le cellule nutrici di ogni gruppo, libere per quasi tutto il loro contorno, son riunite insieme da un peduncolo comune che le unisce poi tutte all’oocite. Contemporaneamente, de’ processi di fusione riducono i quattro gruppi a due soli, formati uno dalle discendenti di N, e l’altro dalle cellule nutrici generate da O,, e per queste la rosetta sembra costituita, in principio, di due gruppi, ciascuno fornito di un peduncolo, il quale si riunisce con l’altro in un asse principale comune (v. la sezione rappresentata dalla fig. 54). Ma presto quest'indice del vario grado di parentela sparisce, o per lo 28% 456 A. Giardina, meno diventa irriconoscibile, e la rosetta assume la forma definitiva, rappresentata ad un ingrandimento minore nelle fig. 55—60. L'aspetto definitivo della rosetta varia secondo che essa ha avuto agio di svilupparsi in lunghezza o pur no: e infatti vi sono casi in cui il giovine oocite sembra sormontato da un grappolo di cellule nutrici, poiché il loro peduncolo si inserisce lungo uno stelo che parte dal- l'oocite (fig. 57) e s'incontrano delle rosette in cui l’oocite è sprovvisto di stelo e tutte le cellule nutrici si inseriscono direttamente su di esso (fig. 60). Parimenti s'incontrano tutti i passaggi tra rosette a cellule nutrici distribuiti sur uno stelo e rosette con cellule nutrici quasi sessili (fig. 58 e 59). In tutti i casi la regione ove concorrono tutte le cellule nutriei è occupata dal residuo fusoriale, il quale è ben delimitato dal cito- plasma dell’oocite, ma si continua, perdendosi gradatamente nello stelo e nei peduncoli delle cellule nutrici. La rosetta possiede perciò un’orientazione ben definita, e la retta che passa attraverso il nucleo e il ‘residuo fusoriale ne rappresenta l’asse di polarità, e coincide, come vedremo, con il futuro asse longitudinale dell’oocite. Le cellule epiteliali che in sul principio separavano le oogonie una dall’altra, separano adesso una rosetta dall’altra, costituendo dei tramezzi sottilissimi con qualche raro nucleo qua e là. Per divisione mitotica di queste poche cellule si originano tutte le cellule epiteliali del tubo ovarico, le quali geneticamente non hanno legame di sorta con le oogonie. III. Discussioni dei risultati di altri autori. Chi ha letto la precedente descrizione potrebbe esser sorpreso dal fatto che una schiera di valenti istologi abbia potuto ingannarsi, ma ció sembrerà naturale a chi considera le difficoltà proprie di questa ricerca. Il differenziamento si compie nella regione superiore e media della camera terminale, cosicché la ricerca sarebbe facilitata se la succes- sione degli stadii procedesse dal filamento terminale verso il tubo ovarico, se cioè si potessero stabilire delle zone. All’ingrosso, è vero, si possono distinguere nella camera tre zone: di moltiplicazione, di differenziamento e di accrescimento, ma l'una passa nell'altra insensibil- mente. Inoltre il limite di separazione dell'una con l’altra invece di Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 437 essere un piano trasversale, è una superficie curva con la concavità verso il filamento terminale, cosi come con grossolana approsimazione è indicato nella fig. II. Perciò in una sezione trasversale della camera si possono trovare ‘in mezzo a rosette in accrescimento gruppi di 8, di 4, di 2 cellule e financo oogonie indivise, poichè come si scorge dallo schema, proce- dendo dall’esterno verso il centro s'incontrano stadii meno avanzati. A ciò si aggiunga che la costanza con cui i particolari citologici si ripetono periodicamente dal 1° al 5° stadio rende facile scambiare uno stadio M MERE per un altro, e rende anzi difficile aecorgersi dell'esistenza stessa de' varii stadii se non si contano i singoli elementi di ogni gruppo. Ma se questa difficoltà puó essere \\___ moltiplicazione superata a forza di pazienza, altre sono proprio insuperabili. E invero non tutti \ z I. differenziamento i tubi ovarici, né tutti gli ovarli presen- tano stadii di mitosi, che, com'é facile e ..-- Accrescımento capire, attirano dapprima l'attenzione, e mettono sulla giusta via. Con l'avvi- cinarsi della maturità poi cessano del 2 esed ees DO Ovarico tutto, cosicchè sarebbe impossibile venire a Capo della quistione limitandosi allo Fig. IL studio di un simile materiale. E per questo son convinto che buona parte degli autori i quali han sostenuto una tesi identica a quella del Korschelt, saranno stati tratti in inganno piuttosto che da superfieiale osservazione, da mancanza di stadii con- venienti. | Si puó dire, ad esempio, con sicurezza, a giudicarne dalle figure, che il Korschelt non ebbe sotto gli occhi alcun caso di mitosi, forse per aver studiato ovarii troppo maturi per questo scopo. Tuttavia egli stesso descrive in alcune giovani oociti di Dytiscus un accumulo di sostanza cromatica in sfere e in altre forme strane, la cul origine malgrado tutta la fatica impiegatavi£ non ha potuto chiarire. Le 438 A. Giardina, figure mostrano però che si tratta delle masse monens dei nuclei in riposo delle cellule O (0, —0,,). Dall'attenta lettura del lavoro del Will (1886) e dall'esame delle sue figure non rimane aleun dubbio che questo autore vide nel Co- lymbetes, un insetto affine al Dytiscus, alcuni degli stadii da me ora descritti, interpetrandoli, è vero, malamente sotto l'influenza di idee preconcette. I fenomeni da lui descritti nel nucleo dell'ooblasto, la scomparsa del succo nucleare, la trasformazione del nucleo in una massa omogenea di cromatina si riferiscono evidentemente alla massa cromatica del nucleo delle cellule O. Le fasi di ricostituzione del nucleo di queste cellule sono state da Will scambiate per fasi di gem- mazione. Per convincersene basta uno sguardo alle figure; per esempio alle fig. 5, 12, 14 ch'io riproduco nella fig. 98a, b, c. | Ciö che egli crede una gemma ha un aspetto granuloso, mentre il rimanente del nucleo ha un aspetto omogeneo, e rappresentano ri- spettivamente le due parti cromatiche di quei nuclei. Le successive gemmazioni descritte dal Will sono invece le successive ricostituzioni del nucleo delle varie cellule O. E quegli stadii di synapsis, ossia di cromatina concentrata ad un polo del nucleo, visti dal Paulcke nell'ape (citati da Häcker 1899) e precedenti il differenziamento dell'oocite e delle cellule nutrici non si possono riferire ad altro che agli stadii di riposo dei nuclei di O,, O,, OOO Anche le descrizioni del Meyer (1849), dello Schneider (1883), del Sabatier (1886) e del Pérez (1886) possono essere ora rettamente inter- petrate. Le rosette, circondate come sono da un rivestinento epiteliale danno sovente l'impressione, viste su preparati in toto, o a fresco, che sia avvenuta una divisione del nucleo senza quella protoplasmatica. Non mancano però di casi in cui lo stadio 5° è rappresentato da 16 nuclei in una massa citoplasmatica unica, da una specie di morula di cui la fig. 49 rappresenta una sezione che passa per l’oocite. Questa rosetta anormale, destinata ad una pronta degenerazione, non può essere prodotta che da divisioni successive del solo nucleo, attraverso una serie di stadii rappresentati nella fig. 50—53. La fig. 50, rap- presenta una cellula binucleata i cui nuclei corrispondono, come si Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 439 vede confrontando la fig. 50 con la fig. 23, a quelli di O, ed N,; la fig. 51 uno stadio di 4 cellule, in cui i nuclei presentano già delle alterazioni nella struttura, e il nucleo in synapsis di O, è indicato nella figura col solo contorno. La fig. 52 rappresenta uno stadio di 8 cellule al principio della mitosi: il fuso rappresentante la mitosi di O, è già formato, mentre gli altri non sono ancora accennati. La fig. 53a e b rappresenta uno stadio poco diverso e mostra un singolare aggruppamento dei fusi mitotici, poiché varii poli appartengono cia- scuno a due fusi!) La massa cromatica in questi casi si piega a guisa di sella, ma non giunge a formare un'anello continuo. Questi casi anormali sono rarissimi, cosicché, quantunque potreb- bero convenire in certo modo alla descrizione data dal Pérez nella sua piccola ma interessante nota, ritengo più probabile che quest’ultimo si sia proprio occupato delle rosette normali. Da tutto ció nasce spontanea la presunzione che in tutti gli insetti il differenziamento delle cellule nutrici e dell'oocite debba essere simile a quello descritto adesso nel Dytiscus. Non son poche le osservazioni sparse qua e là che inducono a credere che il processo descritto adesso nel Dytiscus abbia luogo anche in altri gruppi animali. Non mi fermo su tutti quegli accenni piü o meno probanti, di un origine comune delle uova e delle cellule nutrici; vorrei piuttosto prendere in considerazione quei casi di synapsis che sono stati de- seritti talvolta nei nuclei degli oociti. E noto come la fase di synapsis sia molto comune negli sperma- tociti, ove precede immediatamente la riduzione numerica dei cromo- somi, e in alcuni anfibi ad esempio precede la comparsa degli anelli 1) Quantunque questa, a mio modo di vedere, non dovrebbe essere ascritta alle mitosi multipolari, poiché le singole piastre equatoriali sano distinte, pure essa può servire di passaggio tra le mitosi bipolari multiple, che come nella spermatogenesi dell'Helix (Godlewski 1897) si compiono talvolta indipendenti entro una cellula unica, e le mitosi multipolari vere. E ció avvalora sempre piü l'idea che le mitosi multipolari siano sempre in rapporto con nuclei multipli o con nuclei composti dalla fusione di più nuclei, com’ è stato ammesso, fra gli altri, dal Raffaele (1898) per le mitosi multipolari dei nuclei giganti del sincizio peri- lecitico de pesci ossei, e dai fratelh Hertwig (1887) nella polispermia artificiale degli echini. i 440 A. Giardina, equivalenti alle tetradi. Cosicche si è dai più attribuito a questo stadio il fine di facilitare il riordinamento della cromatina e la ridu- zione dei cromosomi. Questa interpetrazione però non può affatto convenire alle synapsis degli oociti. V. Hácker (1895), avendo osservato delle synapsis negli ovarii del copepodo Canthocamptus, miste a fasi mitotiche, crede che la synapsis rappresenti lo stadio di dispirema dell'ultima divisione delle oogonie, i cui prodotti sono l'oocite e la rispettiva cellula nutrice. Anche Woltereck (1898) descrive negli ostracodi degli stadii di synapsis e l’interpetra perd non come una mitosi compiutasi, ma come una mitosi che doveva accadere ed è rimasta incompiuta. Ma giusto dopo questo stadio succede anche qui il differenziamento tra cellule nutrici ed oocite (nel rapporto 1:1). È da notare che le synapsis dell’ovario dell’ape, scoperte dal Paulcke, sono state paragonate dall’Häcker, il quale ne avrà forse osservato i preparati, alle synapsis dei copepodi (v. Häcker 1899). Ora nellape non possono avere significato differente di quelle del Dytiscus, cosicchè non mi pare molto ardito il supporre che la synapsis degli ovarii indichi dappertutto una scissione della cromatina dell'oogonia in due parti: una delle quali va ripartita per via mitotica all’oocite e alle cellule (o alla cellula) nutrici, e l'altra, che costituisce appunto la cromatina in synapsıs, passa alla sola oocite. La fase di synapsis nellovario è connessa non ad una mitosi ordinaria (Hacker) ma ad una mitosi differenziale. IV. La divisione differenziale. a) Sulla meccamica della mitosi. Il fatto che ad ogni divisione delle cellule O, cioè ad ogni divi- sione differenziale, la cromatina in synapsis del nucleo in riposo, da una massa informe si trasforma regolarmente in un anello, il quale sì dispone esattamente nel piano equatoriale, attorno alla piastra, di- mostra che le forze che le imprimono la nuova forma e la nuova posizione, sono quelle stesse che mutano la forma e la posizione dell’altra parte di cromatina, di quella che ridotta in cromosomi si dispone nella piastra equatoriale. L'anello cromatico dunque forma parte Origme dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 441 integrante della figura mitotica, e la divisione differenziale che ne segue e una mitosi differenziale. E perció questa mitosi, quantunque si allontani dallo schema ordi- nario, anzi appunto per questo, potrà forse dare qualche luce sul mec- canismo della mitosi; in questo momento peró dobbiamo limitarci ad un rapido esame de’ suoi rapporti con le teorie prevalenti. La teoria la cui insufficienza riesce tosto evidente & la teoria fibrillare: se lo spostamento dell’anello cromatico dall'equatore verso uno de' poli fosse dovuto alla contrazione delle fibre del fuso, l'anello dovrebbe fermarsi in una posizione situata tra il polo e l'equatore; invece la posizione di fermata è, come può scorgersi dalle fig. 17, 18, 29, 46, sempre al di là del piano normale su cui giace il polo. L’anello oltrepassa dunque la posizione limite compatibile con questa teoria. Ugualmente insufficiente è la teoria dell'espansione fibrillare, poiché lanello cromatico non è in rapporto nè con le fibre che partono dal polo opposto né con le fibre riunienti. | La teoria dei centri, ossia quella che considera i poli del fuso come centri di forza, è nell'opinione comune, poco attendibile, poichè si crede, secondo l'obiezione del Meves, che le radiazioni e le fibre del fuso, rappresentando delle traiettorie, non dovrebbero mai incrociarsi, come fanno sovente. Ma questa obiezione & rimossa dagli esperimenti del Bütschli e sopratutto da una recente nota del Reinke (1900), il quale, fondandosi sui lavori del Maxwel intorno ai campi magnetici, mostra che se due centri di segno contrario agissero in tempi diversi, le traiettorie (e per conseguenza le fibre) dovrebbero incrociarsi. La teoria de’ centri merita dunque pur essa d'esser discussa. Sarebbe facile spiegare la migrazione dell'anello cromatico verso il polo, qualora si verificasse una delle due ipotesi: o che l’anello fosse fin dal principio situato non all’equatore, ma più vicino ad un polo, o che 1 centri di forza fossero d'intensità disuguali. Un attento esame dei preparati mi permette d'escludere la prima ipotesi; d'altro canto se i centri esercitassero azioni d'ineguale intensità, la superficie di equilibrio sulla quale dovrebbero esser disposti i cromosomi durante la metafase, dovrebbe essere una superficie curva (Reinke 1900) il che non è propio il caso. 442. t A. Giardina, Dunque neanco l'ipotesi dei centri di forza è sufficiente da sola a splegare la mitosi differenziale del Dytiscus, poiché comunque si con- cepisca l'azione di questi centri, elettrica, magnetica, di trazione o di pressione, o come un'azione chemotattica, esercitata per via di correnti di diffusione, la difficoltà sta sempre mel render conto dello sposta- mento unilaterale verso un polo. | Non mi fermo a discutere le varie altre teorie, perchè fondate sur una base ancora piü incerta. | Forse meritano maggiore considerazione quelle teorie, del resto assai vaghe, che vogliono trovare la base meccanica della mitosi nelle condizioni di pressione osmotica della cellula. Consideriamo infatti nel caso nostro, quel differenziamento cito- plasmatico, che abbiamo detto essere un residuo fusoriale e che, origi- nandosi nell’oogonia O, è trasmesso alla discendenza delle cellule O cioè di quelle cellule in cui avviene la divisione differenziale. Abbiamo veduto che l’anello cromatico migra sempre verso quel polo che è più vicino al residuo fusoriale, così che la direzione del moto dell’anello sembra prestabilita già fin dall'inizio dalla posizione del residuo fuso- riale. Ora questo residuo rende molto verosimilmente diverse le condi- zioni di pressione osmotica di quella regione della cellula in cui esso si trova, e può, per questo solo, esercitare davvero un'influenza sulla di- rezione del moto dell’anello. Una simile relazione, per quanto vero- simile, è sempre ipotetica, ma, fosse pur vera, non si vede come po- trebbe connettersi ad una teoria completa della mitosi. Qualcuno infine, potrebbe attribuire all’anello cromatico la facoltà di muoversi spontaneamente, per attività propia; ma la lunga serie di variazioni che si ripetono costantemente ad ogni divisione, dà lim- pressione invece che la massa cromatica obbedisca a delle forze este- riori che senza cessa la plasmino. Però tutto ciò ci permette d’intuire la complicazione del sistema di forze messo in gioco durante il processo mitotico, e ci indica l’insufficienza degli schemi che ne sono stati presentati. Ciò posto, come ogni fatto vitale si mostra, per così dire sotto due aspetti: l'uno meccanico, l'altro finalistico, dobbiamo adesso ricer- care il fine della mitosi differenziale. Ma quale searso frutto puo dare questa ricerca si vedrà nel paragrafo seguente. Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 443 b) Sul significato della divisione differenziale. La teoria del differenziamento organico, esposta dal Roux nel 1883 ed elaborata poscia del Weismann è così nota che forse potrei risparmiarmi di ricordare che a fondamento di questa teoria stanno due ipotesi principali. Una, accolta anche dalla maggior parte degli avversarii della teoria, è l'ipotesi, che la sostanza cromatica del nucleo sia il substrato morfologico dell'eredità, rappresenti cioè, come ha mo- strato il Weismann (1885), qualehe cosa di molto simile all'idioplasma del Nägeli. L'altra ipotesi è quella della divisione qualitativa o differenziale del Roux per la quale l’idioplasma (= cromatina) è scisso in parti qualitativamente diverse che, passando nei nuclei delle diverse cellule, determina così il vario destino di queste cellule. È noto anzi che il Roux vedeva nella divisione indiretta del nucleo il mezzo atto a rendere possibile l'ineguale ripartizione qualitativa della cromatina. Finora però gli studii più accurati sulla mitosi non hanno portato alcun appoggio di fatto all'ipotesi della divisione qualitativa, e d’altro canto parecchi esperimenti sui blastomeri isolati e sulla trasposizione dei blastomeri dimostrano che molte divisioni cellulari sono semplici divisioni quantitative, non qualitative. La divisione differenziale del Dytiscus però rappresenta un caso concreto in cui la cromatina è ripartita inegualmente alle cellule figlie, e in cui non si tratta soltanto di ineguaglianze invisibili di struttura molecolare, ma di ineguaglianze notevolissime anche nella quantità. Inoltre la divisione differenziale del Dytiscus si presenta in un certo rapporto di spazio e di tempo con il differenziamento di due sorta di elementi, e, tutto ben considerato, si può presumere che tra i due fatti esista anche un certo nesso causale; che le cellule nutrici, cioè, non diventino uova perchè, a prescindere da altre possibili cause, di- fettano di alcune sostanze cromatiche forse necessarie per compiere questa evoluzione, sostanze che son da ricercare nell’anello cromatico della mitosi differenziale. Questa mitosi perciò, quantunque proceda con modalità non pre- viste dal Roux, sembra presentare tutti i caratteri essenziali di una mitosi qualitativa; e poichè non sembrano possibili, almeno per ora, 444 A. Giardina, esperimenti che dimostrino quel nesso causale, dobbiamo limitarci ad ammettere come molto probabile che la divisione differenziale della cromatina sia tra le cause di differenziamento. Ciò ammesso, avrebbe la divisione differenziale tutto il significato e tutta l'estensione attribuiti ad essa dal Weismann e in origine anche dal Roux? Io credo di no. Non ne avrebbe l'estensione perchè esistono molti casi in cui la divisione è puramente quantitativa, oppure è diffe- renziale rispetto al citoplasma e non rispetto alla cromatina. D'altra parte questi casi non sono più sufficienti per far accettare le teorie fondate, come quella di O. Hertwig (1898), sul postulato che tutte le cellule del corpo contengano la totalità dell'idioplasma, identificando l'idioplasma con la cromatina dei nuclei! Inoltre difficilmente si può ammettere che la divisione differenziale della cromatina abbia il significato di divisione ineguale dell’idioplasma, poiché appunto lipotesi dell'identità della cromatina con l’idioplasma, è tutt'altro che dimostrata. Non è il luogo di fare una critica esau- riente di questa ipotesi; pel nostro scopo basta ricordare che gli esperi- menti del Delage (1899) le tolgono buona parte della base sulla quale poggiava. L'ipotesi stessa di un idioplasma, sia pure non specialmente localizzato, ci sembra, pel momento, non giustificata. Ma siamo costretti ad ammettere come fondamento dell’eredità un’organizzazione specifica degli elementi sessuali. In che cosa consista questa organizzazione non è possibile dire; ma si può credere che essa spetti insieme al nucleo e al citoplasma, non ad un solo di essi. Anche lo stesso Roux ha man mano ammesso che il citoplasma possa essere un fattore diretto di differenziamento (v. Roux 1896); e d’altro canto il Driesch che sembrava propenso a limitare al citoplasma solo, ad esclusione del nucleo, quella propietà, adesso, in considerazione dei casi di precoce specificità nucleare come quello dell’Ascaris, pur continuando a negare al nucleo un significato fondamentale nel diffe- renziamento, ammette però che il nucleo si debba considerare alla pari di qualsiasi altra parte costitutiva della cellula. Io credo che si possa accettare questa veduta, nel senso, di con- Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 445 siderare il nucleo (e per conseguenza la cromatina) come facente parte essenziale dell’organizzazione tipica della cellula, senza pregiudicare la quistione del posto da esso occupato nella gerarchia dei costituenti cellulari. Ammessa perd una simile organizzazione degli elementi sessuali e dell'uovo fecondato, non si puó escludere la possibilità che la divisione cellulare (e nucleare!) possa essere per sé stessa, ossia direttamente, cagione, talvolta, d'ineguale ripartizione delle potenze, e in questo caso ognun vede che si tratterebbe di divisioni qualitative nel senso del Roux. L/organizzazione può esser tale che secondo i casi, la divisione differenziale invece di manifestarsi ugualmente nel nucleo e nel cito- plasma, si presenti in prevalenza nell'uno o nell'altro, senza che per questo si possa arguire che uno dei due elementi sia escluso dall'orga- nizzazione, e non contribuisca al differenziamento. La divisione differenziale, intesa a questo modo, é a priori pos- sibile, perció non sarebbe affatto strano che, come nel caso dei blastomeri dei Ctenofori, il differenziamento e direttamente connesso ad una speci- fieità citoplasmatica, cosi nel caso nostro il differenziamento delle cellule nutrici fosse legato prevalentemente ad una specificità nucleare. Ma non bisogna dimenticare che la divisione differenziale del Dy- tiscus è, sebbene forse in piccol grado, differenziale anche rispetto al eitoplasma, poiché abbiamo veduto come alla discendenza delle cellule O sia trasmesso, insieme con l’anello cromatico, anche il residuo fu- soriale. Le divisioni qualitative dunque, ?ntese a questo modo, abbracciano l'antiea divisione qualitativa del Roux, e quella del Weismann come un caso particolare, non la escludono, poichè esse im luogo d’impli- care esclusivamente il nucleo, possono abbracciare anche il citoplasma, e anzi che al concetto di idioplasma, sono legate invece a quello più largo di orgamizzazione. La divisione differenziale del Dytiscus presenta inoltre una parti- colarità molto notevole che merita speciale attenzione. La cromatina non è ripartita alle cellule figlie, cosi che ciò che va nell’una non va nell'altra; accade invece che la cromatina è costituita di due parti, di cui una viene trasmessa ugualmente alle due cellule figlie, l’altra passa 446 | Anh, in retageio ad una sola, a quella cioè che fa parte della genealogia del- loocite. Cosicché per via di questo modo speciale di divisione della cromatina, arrivano al solo oocite tutti gli elementi cromatici contenuti nell oogonia. Per lumeggiare questo interessante processo, giova richiamare alcuni altri fatti relativi all’origine delle cellule germinative. In questi ultimi anni è andata prevalendo l’idea che le cellule genitali siano elementi sui generis, da mettere in opposizione a tutte le altre cellule deil’organismo, alle cellule somatiche. E andato aumentando il numero dei casi in cui si è potuto ricondurre le cellule genitali ad alcuni ele- menti differenziatisi nei primi stadii dello sviluppo, prima ancora dei foglietti germinativi. Basta infatti ricordare i casi della Sagitta (O. Hertwig), del Cyclops (Häcker) di molti insetti (cellula polare dei ditteri e cellule genitali degli ortotteri |Heymons 1895]) e specialmente dell'Ascaris (Boveri). Anche nei vertebrati (Raja) recentemente il Beard (1900) pote far risalire le cellule genitali fino alla 5? divisione dell'uovo; cosi da rendere molto probabile che questo sia un fatto generale. È noto come questo precoce differenziamento sia accompagnato da una differenza tra 1 nuclei delle cellule somatiche e quelli delle cellule genitali; e come per l'Ascaris sia stato dimostrato dal Boveri (1887) e poi confermato da altri, che solamente le cellule germinali conser- vano la totalità della cromatina contenuta nell'uovo fecondato, mentre alle cellule somatiche ne perviene una porzione soltanto. Poiché mentre la cromatina subisce una diminuzione nelle cellule madri delle cellule somatiche, essa è trasmessa integralmente, dall'uovo fecondato, alla cellula genitale primitiva attraverso una sola discendenza di 5 gene- razioni di blastomeri, di Keimbahnzellen, per una via che si può chia- mare benissimo wa germinativa (Keimbahn). Tutti i fatti or ricordati e specialmente questo dell Ascaris, indu- cono a credere che le cellule genitali abbiano bisogno della totalità degli elementi cromatici dell'uovo, in opposizione alle cellule somatiche, alle quali ne occorre solo una parte. Che loogonia del Dytiscus differisca dalle cellule somatiche per | questa proprietà nessuno, per ora può affermare; ma è solo ammettendo questa ipotesi che si può dare un significato adequato alla Keimbahn Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 447 da noi studiata. Per ora il solo modo d'interpetrare logicamente la Keimbahn del Dytiseus è di raffrontarla con la Keimbahn dell Ascaris talché si puó presumere che l'oogonia si comporti nel produrre le cellule nutrici, come si comporta l'uovo fecondato nel produrre le cellule soma- tiche ordinarie e che scopo di quella divisione differenziale sia di assicurare all'oocite e ad esso solo la totalità di cromatina proveniente dall’uovo. Cosieche, se veramente la cromatina rappresentasse il substrato morfologico dell’eredità, la Keimbahn del Dytiscus potrebbe essere invocata in favore della teoria della continuità del plasma germinativo. Bisogna constatare con ammirazione in qual grado i singoli particolari del processo sembrano dar ragione a quella geniale concezione del Weismann, fondata dapprima su ragioni puramente teoriche e che solo più tardi ha avuto lappoggio dei fatti. Sembra che, per ció che riguarda il differenziamento delle cellule somatiche dalle genitali, il nucleo sia interessato in modo affato speciale, che quel differenziamento sia funzione di una specificità nucleare. Non intendo con ció asserire che il citoplasma non sia impegnato in questo processo: a parte ogni considerazione teorica, vi sono dei casi di fatto che rendono probabile la partecipazione diretta del citoplasma. Nel Cyclops, ad esempio, la discendenza delle , Keimbahnzellen" oltre che per l'eterotipia della mitosi, si distingue per la comparsa di granuli citoplasmatici (Aussenkörnchen. Hacker 1897), i quali, migrando ad ogni mitosi ad un solo dei poli della figura, sono trasmessi soltanto alla cellula figlia che fa parte della via germinativa. E nel Dytiscus, insieme con lanello cromatico, & trasmesso alla discendenza delle cellule O anche il residuo fusoriale, un organite puramente cito- plasmatico. Ma questi fatti non distruggono limpressione che la cromatina sia impegnata in un modo molto piü spiecato e piü notevole del cito- plasma in quel processo di differenziamento. Cosicché, pur dovendo per gli stessi motivi, che poco prima ci han fatto escludere l'identità tra cromatina e idioplasma, concepire, alméno per ora, la continuità postulata dal Weismann come semplice continuità di organizzazione, non possiamo non riconoscere che questa continuità sembra implicare 448 A. Giardina, la continuità della sostanza cromatica; che l'organizzazione tipica del plasma germinativo, quellincognita cioè che gode della continuità, sembra spettare in modo essenziale alla totalità della sostanza cromatica. Aggiungere dell'altro, anche a titolo di semplice supposizione, ci sembra prematuro. Possiamo concludere perö che l’antica veduta del Weismann, che ,le cellule germinali sono da considerare come qualche cosa da opporre all’insieme delle cellule somatiche“ e che „esse non provengono nella loro sostanza essenziale e determinante dal corpo dell’individuo, ma dalla cellula germinale ancestrale“ (Weismann 1885) acquista sempre maggiore verosimiglianza. B. Prime fasi dell'aeerescimento. Nel quadro di questo lavoro non entra lo studio dell’accrescimento, del quale mi intratterró in una prossima pubblicazione. "Tuttavia credo utile esporre qui brevemente quei processi che mostrano una evidente relazione col modo di origine degli elementi dell'ovario, e che servono in certo modo a completare l'opera di differenziamento. . Lasciando dunque da parte tutto ciò che si riferisce ai fenomeni di nutrizione dell'oocite, mi occuperò dei rapporti anatomici tra i varii elementi dell'ovario, e del primo sviluppo dei nuclei delle cellule nutrici e del- l'oocite, premettendo dapprima un breve cenno sulla I. Costituzione del tubo ovarieo. La regione posteriore della camera terminale é occupata da rosette : in varii stadii di accrescimento: naturalmente verso il tubo ovarico le dimensioni delle rosette vanno aumentando, cosicchè ogni rosetta va occupando uno spazio sempre maggiore della camera, finché poi occupa per intero la cavità del tubo ovarico. Il tubo ovarico per con- seguenza è costituito da una sola serie di rosette. Queste rosette sono tutte orientate secondo l'asse longitudinale del tubo, con le cellule nutriei in avanti, cosicché gli oociti si alternano con gruppi di cellule nutrici. È molto interessante il modo come quest'ordine vien stabilito. Abbiamo veduto come dall’ultima divisione di moltiplicazione del- l'oogonia provengano due oogonie sorelle O,, che formano una coppia, caratterizzata dalla contiguità dei residui fusoriali. L’orientazione delle Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 449 coppie rispetto all'asse longitudinale dell'ovario è però molto variabile. Abbiamo veduto inoltre che, quando le due oogonie si dividono, il fuso mitotico dell'una è normale a quello dell'altra. Ora, siccome la dire- zione del primo fuso coincide approssimativamente con l'asse di polarità della rosetta, come si puó constatare riferendoci alla posizione del residuo fusoriale, e siccome d'altro canto il processo di formazione procede contemporaneamente nei due gruppi, ne viene per conseguenza che le orientazioni delle due rosette sorelle sono all’incirca normali luna eon l'altra. Questo fatto, messo in relazione con la varia orien- tazione delle coppie O, fa prevedere che, alle fine del processo, le rosette debbono avere tutte le possibili orientazioni rispetto all'ovario. E cosi é in effetti: le rosette sono orientate in tutti i sensi, e sono messe alla rinfusa nel piü completo disordine. L'ordinamento regolare che si trova poi nel tubo ovarico non è dovuto, come potrebbe credersi, ad una rotazione delle rosette, bensi alla completa distruzione di quelle rosette la cui orientazione iniziale è diversa dalla definitiva. Nella porzione posteriore della camera esiste una larga zona, in cui buona parte delle rosette, sono in vario stadio di digenerazione. Le cellule della rosetta si fondono insieme: i nuclei si trasformano in altrettante masse omogenee, e finalmente il tutto si frammenta in sferette albuminoidi ricche di grasso e di luteina, che sono riassorbite. Valga questo vago cenno per un processo, che, se non fosse fuor d'opera, meriterebbe una descrizione a parte. Cosieché ha luogo una specie di selezione, per la quale troviamo nel tubo ovarico una sola serie di gruppi orientati nel modo che già sappiamo. Frattanto tra una rosetta e l'altra si forma un tramezzo di tes- suto epiteliale; moltiplicandosi per mitosi, le cellule epiteliali si insi- nuano anche fra le varie cellule della rosetta, formando una specie di impalcatura alle cellule stesse. Lateralmente, sotto la tunica propria, il rivestimento epiteliale conserva il carattere primitivo a cellule piatte e rade, intorno alle cellule nutrici; intorno all'oocite invece esso costituisce un vero epitelio prismatico, che cresce rapidamente in altezza, finché, raggiunto un massimo, decresce poi lentamente. Procedendo dalle parte anteriore alla posteriore di ogni tubo ovarico, Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XVIII. 29 450 A. Giardina, si; trovano oociti (e cellule nutrici), sempre pit grandi, in uno stadio di sviluppo sempre più avanzato. Le uova più giovani del tubo si distinguono per un accumulo di grasso al polo anteriore, che poi gra- datamente sparisce, emulsionato nel citoplasma. Siccome mi sono gia occupato di questa massa di grasso in una precedente nota (1900), e poiché ho in animo di ritornarvi sopra in seguito, mi limito per ora a questo semplice cenno rimandando alle fig. 74, 75, 76, 78. II. Le tetradi nei nuclei delle cellule nutrici. I primi processi che si osservano nei nuclei delle cellule nutrici definitive sono identici a quelli corrispondenti dei nuclei di N,, N,, Ng, vale a dire che si arriva alla formazione di un certo numero di cromo- somi di forma quadrata (fig. 57—61). Questi perö, invece di trasformarsi in anse, diventano ciascuno una piccola tetrade, come è indicato in una delle cellule nutrici della fig. 61. I quattro granuli di ogni tetrade rimangono si puó dire a contatto, poichè non si osserva per solito un distacco che nel centro della tetrade. Subito dopo le tetradi si rifondono, e si ripassa per uno stadio di cromatina a gomitolo, come se si preparasse una mitosi (fig. 62 e 63). Da questo stadio, per uno spezzettamento del gomitolo in varii segmenti e per il concentramento della cromatina di ogni segmento si originano ancora una volta dei cromosomi di forma quadrata (fig. 64), i quali sono disposti alla periferia del nucleo. Ogni cromosomo si trasforma dapprima in una diade (fig. 65) e questa a sua volta in una tetrade tipica (fig. 66). La formazione di queste tetradi sembra accadere dunque per un processo che ha qualche analogia con quello che è stato osservato tra gli altri, nei copepodi. Non è facile con- tare il numero delle tetradi che si formano in ogni nucleo, tuttavia credo che esso sia approssimativamente 40. Questo processo accade quasi contemporaneamente in tutte le cellule nutrici di una rosetta (fig. 69, 70, 71), anzi contemporaneamente in varie rosette, sicchè alla zona con rosette degenerate, segue una regione che segna il limite tra la camera terminale e il tubo e che possiamo chiamare zona a tetradi (fig. 72, fig. II, pag. 437). Origme dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 451 Queste tetradi sono situate alla periferia del nucleo, e sono riunite fra loro da un reticolo acromatico, il quale occupa anche l'interno del nucleo. Anche gli stessi granuli di ogni tetrade sono cementati fra loro dalla sostanza acromatica, cosicché, con una colorazione poco diffe- renziata, facilmente in luogo di tetradi si vedono dei grossi granuli di forma quadrata. Il metodo migliore, e piü facile, per mettere in evi- denza le tetradi è colorire con safranina o con ematossilina ferrica, dopo aver fissato in liquido di Hermann. Anche questa seconda gene- razione di tetradi svanisce, poiché i singoli granuli di ogni tetrade, spostandosi lungo il reticolo acromatico, si allontanano gli uni dagli altri e si spargono irregolarmente in tutto il nucleo (fig. 70, 71, 72). Non si ripassa piü per quello stadio con cromatina a gomitolo che succede alla 1? generazione di tetradi. Ma da questo momento fino a che le cellule nutrici raggiungono il massimo del loro sviluppo, i nuclei presentano senza interruzione un aspetto finemente granuloso, mostran- dosi ricchi di granuli cromatinici (fig. 74, 76, 718—832). Ciò vuol dire che il numero dei granuli di cromatina si accresce man mano. Si accresce in effetti per successive moltiplicazioni dei granuli pre- esistenti. Difatti 1 granuli provenienti dal disfacimento delle tetradi tipiche, che abbiamo or ora studiato, aumentano gradatamente di volume, e prendono una forma quadrata. Accanto a tali cellule si trovano altre cellule con granuli cromatinici minutissimi e molto più numerosi, in modo da dare l'impressione che in esse sia avvenuta una molti- plicazione dei granuli. Questo processo si ripete parecchie volte anche in uno stesso tubo ovarico, ed ho potuto stabilire che, prima che sia raggiunto un diametro nucleare di « 72 avviene per lo meno altre 4 volte. Ho cercato di riprodurre nelle fig. 81 e 80 due di queste immagini suggestive, le quali peró non danno alcuna indicazione sul modo di moltiplicazione dei granuli. Tenuto conto che già per due volte è avvenuta una formazione di tetradi, tenuto conto che i granuli di ogni generazione prima di moltiplicarsi si accrescono e assumono una forma quadrata e spesso addirittura l'aspetto di piccole tetradi a granuli molto vicini, è da presumere che ogni volta avvenga una moltiplicazione per 4 del numero dei granuli. = 29* 452 A. Giardina, Spesso si può sorprendere l'allontanarsi. dei granuli figli, poichè troviamo dei gruppetti irregolari di 3 o 4 granuli, cosicchè, anche ammesso questo modo di moltiplicazione, si deve escludere perd in modo reciso che si rinnovino quelle tetradi tipiche che abbiamo incontrate in principio. Ammesso un tal modo di moltiplicazione e fissando a 40 il numero delle tetradi tipiche, ne verrebbe come conseguenza che il numero delle successive generazioni di granuli dovrebbe essere rispettivamente, 160, 360 210021 QN Alla 6? generazione di granuli dovrebbero trovarsi 160 = 4° — 16384 granuli entro un nucleo del diametro di u 72. E poiché questo numero di generazioni di granuli, comprese tra un nucleo di « 12, e uno di « 72 di diametro è, per quanto ho detto un minimo, ne risulta che questo numero di granuli è molto probabil- mente inferiore al vero. E perció potrebbe forse sembrare esagerato, tanto piü che il numero dei granuli non crescerebbe in proporzione al volume dei nuclei. Infatti mentre il rapporto dei volumi sarebbe Vin Ima Tae | 2 nalen i s il rapporto dei numeri dei granuli rispettivi sarebbe invece: NEU ti = == sd == 2 n 160 ; i cosicchè il numero dei granuli crescerebbe almeno 5 volte più rapida- mente del volume nucleare. | E in effetti esiste una forte differenza tra i due rapporti, consta- tabile direttamente. Mentre in principio i granuli stanno largamente nel nucleo; man mano diventano piü fitti, e, a partire da un certo stadio, si riuniscono in mucchi compatti che danno alla cromatina dei nuclei quell’aspetto fioccoso riconosciuto già dal Korschelt (1886) come caratteristico per le cellule nutrici. l'impressione che si riceve anzi è tale da doversi ritenere come inferiore al vero il numero di generazioni di granuli che ha servito di base al calcolo precedente. Durante questo processo i granuli di cromatina non sono mai sospesi liberamente nel nucleo, ma stanno sempre su di un reticolo Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 453 acromatico, cosicché spesso sono orientati in lunghe serie lineari come si puó rilevare ad esempio dalla fig. 82. Varii autori hanno osservato la struttura finemente granulosa dei nuclei delle cellule nutrici, e recentemente A. Lécaillon (1900,) osservò che il nucleo delle cellule nutrici della Campodea, da lui scoperte, subisce di buon' ora una specie di pulvérisation chromatique, dovuta alla frammentazione dei cromosomi in un numero considerevole di piecoli granuli che si colorano fortemente. | L’espressione del Lécaillon denota assai bene l'impressione che si riceve ed è da supporre che anche nella Campodea e negli altri insetti, avvengano fenomeni analoghi a quelli ora descritti. Non solo, ma si puó fin da ora asserire che la comparsa delle tetradi nelle cellule nutrici dev'essere un fatto generale per tutti gli animali. Infatti Woltereck (1898) nella Cypris osservó, subito dopo il differenziamento, la trasformazione dei cromosomi della cellula nutrice in diadi e poi in tetradi simili a quelle della 2? generazione nel Dytiscus. E ciò, riunito al fatto dell’occorrenza delle fasi di symaps?s nel- Toogenesi delle Cypris, rende molto probabile l'idea, espressa già prima, dell'origine comune dell'oocite e della cellula nutrice dall'oogonia. La comparsa delle tetradi nelle cellule nutrici, in elementi cioè che non hanno alcun rapporto diretto con la riproduzione, e che sono destinati anzi ad una completa atrofia, potrebbe far nascere il dubbio che le tetradi stesse non avessero nei processi di maturazione tutta quella importanza che negli ultimi tempi si é loro attribuita. Ma & da osservare che la conoscenza dell'origine delle cellule nutrici sembra offrire adesso un punto di partenza per un apprezzamento, di questo fatto armonizzante con le idee generalmente ammesse. In con- siderazione appunto della provenienza delle cellule nutrici sorge spontaneo il pensiero che quella comparsa delle tetradi sia una manifestazione del fatto che le cellule nutrici conservino qualcosa della loro stirpe e siano ancora delle cellule di natura germinale. Cosicché la seguente osservazione del Meves (1895) potrebbe forse servire di base per un'ulteriore discussione. Il Meves vide iniziarsi la degenerazione di alcuni giovani oociti di Salamandra con la com- parsa di tetradi, ch’egli chiama pseudotetradi, insieme con un aster cito- 454 A. Giardina, plasmatico proprio come se fosse per avvenire una mitosi. Il Meves con- sideró questi processi come fasi iniziali troppo precoci delle divisioni di maturazione; talehé in base alle di lui osservazioni si potrebbero forse in un certo senso paragonare le cellule nutrici a quegli oociti della Salamandra. Si potrebbe credere che normalmente, nell'oocite, Vimpulso alla divisione fosse neutralizzato dalla presenza di alcune sostanze che rendono cosi possibile l’accrescimento, e che queste sostanze fossero, almeno in parte, rappresentate da quella porzione di cromatina che nel Dytiscus passa in retaggio esclusivamente al- loocite. Cosicchè le cellule nutrici prive di queste sostanze, senti- rebbero e seguirebbero l'impulso alla divisione che, se compiuta, avrebbe i caratteri di divisione di maturazione; e le varie genera- zioni di tetradi (2 almeno) si potrebbero interpretare come segni di attrettanti tentativi di divisione, abortiti per un complesso di altre cause. Fra queste cause dovrebbe porsi in prima linea l'influenza diretta dell’oocite, che, unitamente alle altre cause, indirizzerebbe in altro senso quel processo, diretto dapprima ad uno scopo che non sarebbe stato possibile raggiungere. Ma tutto cid è così ipotetico, che è forse superfluo dichiarare che lo esprimo con la massima riserva ed esitazione. \ III. Costituzione della vescicola germinativa. La veseicola germinativa, simile ai nuclei di O,, O,, O,, è costituita da due parti di provenienza diversa: dal piccolo nucleo ricostituitosi dalla piastra polare dell'ultima mitosi e dall'anello cromatico (fig. 46, 47a) In sul principio si distingue perció, come nei nuclei della wa germinativa, un emisfero occupato dalla massa cromatica vacuolata (equivalente all'anello) e un emisfero occupato da un reticolo rappre- sentante il nucleo ricostituitosi a spese della piastra polare (fig. 48).!) Le due parti dapprima sembrano modificarsi indipendentemente l'una dall'altra. La porzione a reticolo si trasforma in principio similmente al ') Accade talvolta che le due parti cromatiche costituiscano ciascuna per proprio conto un nucleo. E questa deve essere l'origine di oociti binucleati come quello disegnato nella fig. 77, in cui ciascun nucleo presenta già il carattere che come vedremo, è proprio della vescicola germinativa, di colorirsi cioè con i colori plasmatici. Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 455 nucleo delle cellule nutrici. Infatti, quando in queste ultime comparisce la 1? generazione di tetradi, in quella porzione della vescicola germi- nativa si trovano dei cromosomi di forma quadrata, che peró non si trasformano in tetradi (fig. 61). E poi durante lo stadio con cromatina a gomitolo delle cellule nutrici, anche nella vescicola germinativa si osserva una calotta occupata da un gomitolo cromatinico, abbastanza spesso. Il parallelismo non va più oltre, poiché nella vescicola germi- nativa il gomitolo cromatinico si trasforma in un reticolo che ben presto va perdendo laffinità per i colori nucleinici; cosicchè quando nelle cellule nutrici si formano le tetradi tipiche, l'emisfero a reticolo della vescicola germinativa, presenta solo pochi granuli cromatici sparsi qua e là, e alla periferia aleune sferette di cromatina, situate lungo un reticolo acromatico (fig. 69—73). Proseguendo nell’accrescimento, questo reticolo diventa sempre più avido di colori plasmatici finchè non è più possibile rinvenirvi alcuna particella cromatica (fig. 74, 75, 76). La massa cromatica dell'altro emisfero, nel frattempo si vacuo- lizza sempre più, e si riduce ad un tessuto spugnoso molto delicato (fig. 61). Ma subito dopo avviene una specie di condensazione della parte più interna della massa cromatica, mentre la parte periferica si riduce a sottilissimi e delicatissimi raggi, che vanno dalla porzione centrale alla periferia del nucleo. Veduta da un polo la massa cro- matica si presenta formata appunto da una massa centrale dalla quale sirradiano innumerovoli ed esili raggi, come si scorge dalla fig. 64 e dalle 59, 60, 67, 68, disegnate ad un minore ingrandimento. La massa centrale diminuisce di volume sia per la continua concentrazione, che per il continuo fluire lungo i raggi, i quali finiscono con l’anastomiz- zarsi fra loro. Così si arriva ad uno stadio molto caratteristico, rap- presentato dalla fig. 57 e che corrisponde allo stadio con cromatina a gomitolo dell’altro emisfero e delle cellule nutrici. Però ben presto la massa cromatica è tutta impiegata nella costituzione di questo reti- colo caratteristico, il quale occupa ora la maggior parte della vescicola germinativa, lasciando libera solo una calotta ove è situata la croma- tina a gomitolo. Subito dopo succede un’altra concentrazione della massa di cromatina entro uno spazio più ristetto, cosicchè allo stadio delle tetradi, si hanno immagini come quelle delle fig. 69—72, 456 mou Giardana, in cui la massa cromatica, consistente in un tessuto reticolare abba- stanza fitto, occupa solo un emisfero della vescicola germinativa. L/ul- teriore sviluppo si può riassumere in ciò che mentre la vescicola ger- minativa cresce di volume, la massa cromatica rimane costante, occupando per conseguenza una parte sempre più piccola del nucleo, a guisa di un crescente situato alla periferia, d'ordinario al polo opposto alle cellule nutriei (fig. 71, 72, 14). Anche questo crescente diventa, man mano, similmente al reticolo del rimamente del nucleo, meno avido di colori nucleinici, cosicché viene spesso colorito dai colori plasmatici (fig. 75). Intanto il reticolo del crescente va diventando sempre piü rado e a poco a poco si confonde con l'altro in un reticolo unico. La fig. 76 mostra chiaramente questa fusione, poiché la parte del reticolo appartenente al crescente è ancora colorita dalla safranina. Ma in seguito non se ne vede piü alcuna traccia, e, tranne qualche tratto del reticolo colorito in roseo, non si vede più traccia alcuna di cromatina, ne alcun segno che indichi quale parte del reticolo provenga dal crescente e quale dal reticolo preesistente (fig. 79, 80). Così si è costituita la vescicola germinativa tipica del Dytiscus e in questo stato si conserva lungamente, aumentando molto in volume. Il reticolo è costituito da una parte filamentosa plastinica e da numero- sissimi e minuti granuli che prendono pur essi i colori plasmatici e che sono situati lungo il reticolo plastinico. È questo lo stadio che ha fatto credere a molti autori che durante l’accrescimento, scompaia dalla vescicola germinativa tutta la cromatina. Per ciò che riguarda il Dytiscus ricorderò solamente Korschelt e. Koujawski. Anzi è giusto ricordare che il Koujawski (1898) ha dato una descrizione dell’evoluzione della massa cromatica. Egli trova nella camera terminale alcune cellule con dei grandi ammassi di cro- matina, che considera giustamente (quantunque senza darne la prova, e malgrado si tratti probabilmente anche delle cellule O,, O,, O,, O,) come le uova future. Egli dice che in queste cellule gli ammassi di cromatina sono spinti verso la superficie del nucleo, prendendo così in rapporto a quest'ultimo la forma di un cappello di fungo. Questa massa cromatica diminuisce sempre più e infine sembra sparire, perchè, secondo l'A., la cromatina passa dal nucleo nel citoplasma. Koujawski Origine dell’oocite e delle cellule nütrici nel Dytiscus. 457 dunque segui all’ingrosso l'evoluzione della massa cromatica, scambian- dola per tutta la cromatina dell'uovo. In quanto alla sua afferma- zione del passaggio della cromatina del nucleo nel citoplasma, credo che sia poco giustificata, e che le figure ch'egli adduce a sostegno si riferiscano a materiale alterato dai reagenti.") 1) Il Koujawski vede infatti, dopo la scomparsa del crescente cromatico, disegnarsi alla periferia del nucleo una zona a guisa di cornice, che si colora intensamente con l’ematossilina ferrica; in seguito questo cerchio scompare e mentre nel nucleo non si osservano più elementi suscettibili di esser colorati, il proto- plasma dell'uovo comincia a colorirsi intensamente, cosicché l'A. suppone che la cromatina passi nel citoplasma. Intanto io non ho mai potuto scoprire questa cornice cromatinica, e ciò è tanto più strano in quanto che il De Bruyne (1898) contemporaneamente al Koujawski descrisse questa zona cromatica, interpretandola peró non piü come cromatina che esca, ma come cromatina che entri nella vescicola germinativa. Il De Bruyne crede infatti che l'oocite si nutra a spese delle cellule nutrici per fagocitosi, e più propriamente il citoplasma a spese del citoplasma, e il nucleo a spese dei nuclei delle cellule nutrici. Questi nuclei penetrando nell’oocite si disfanno e la loro sostanza va ad accumularsi intorno alla vescicola germinativa, costituendo quella zona cromatica di cui parliamo. La vescicola germinativa intanto che é divenuta povera di sostanza cromatica, se ne riformisce mangiando a guisa di un'ameba, questa cromatina che la circonda. E in effetti mentre ester- namente la zona cromatica ha un contorno ovale assai netto, internamente si presenta molto accidentata con prolungamenti e insenature, che corrispondono al contorno ameboide della vescicola germinativa. Lo stesso aspetto presenta la cornice cromatica veduta dal Koujawski. Per interpretare con qualche verosimiglianza questi strani fenomeni giova un raffronto fatto dallo stesso De Bruyne. Il Korschelt (ed anche il Will nel Colymbetes) descrive intorno alla vesc. germ. una zona speciale di plasma, entro la quale il nucleo stesso manda i suoi pseudopodi, paragonandola alla cosi detta zona palleale del Leydig. Il De Bruyne crede che la zona palleale descritta dal Korschelt si debba interpretare come rappresentante la zona cromatica da lui stesso descritta. Ora questa zona palleale non & altro che un prodotto artificiale, dovuto ai reagenti. E necessario anzitutto che ricordi le mie esperienze, le quali dimostrano che i prolungamenti nucleari della vescicola germinativa del Dytiscus descritti dal Korschelt e interpretati da lui come espressione di movimenti ameboidi, non sono altro che l'espressione di un raggrinzamento del nucleo, dovuto all'uscita del succo nucleare fuori del nucleo, quando per la graduale concentrazione della soluzione salina in cui si fanno le osservazioni, viene a crescere la pressione osmotica della soluzione stessa. Se in luogo di limitarsi ad eseguire quelle esperienze sul vivo, si ricorre all'ausilio della susseguente fissazione e del sezionamento, si riconoscerebbe tosto che la zona palleale menzionata dal Korschelt non é altro che lo spazio occupato dal nucleo prima di raggrinzarsi, e nel quale non sempre fluisce il cito- plasma circostante. Questa zona intorno al nucleo raggrinzato viene occupata da 458 A. Giardina, Neppure entra nel quadro di questo lavoro lo esaminare le varie affermazioni venute da diverse parti, sulla migrazione della cromatina dal nucleo nel citoplasma. Pel momento m’interessa rilevare che nel Dytiscus la cromatina della vescicola germinativa sembra trasformarsi chimicamente in sito, senza migrare come sostanza figurata, nel cito- plasma. Ma, poiché contemporaneamente il citoplasma si colora con la maggior parte dei colori nucleari, si deve ammettere che la cromatina passi per via osmotica nel citoplasma? Questa supposizione merita maggiore considerazione, tuttavia non credo che si debba accettare. Infatti basta eseguire delle semplicissime esperienze microchimiche: sostanze penetrate, sia dal nucleo, che dal citoplasma, e quasi sempre si colora coi colori nucleari, mentre il nucleo assorbe i colori plasmatici! La fig. 85, quantunque si riferisca ad uno stadio un poco più avanzato, può servire per dare un'idea di quel che ho adesso fugacemente descritto. E si comprende, come data una simile immagine, sia stata possibile l’interpretazione del Koujawski, poichè lo spazio perinucleare potrebbe sembrare parte integrante della vescicola germinativa. La differenza tra le figure di quegli autori e la fig. 35 consiste, per quel che riguarda questa zona perinucleare, in ciò, che, mentre in quelle la zona circonda tutto il nucleo, qui è unilaterale. Ma ciò si deve al trattamento subito dall’ovario da cui è presa la fig. 85, trattamento usato per provocare le alterazioni amebiformi della superficie nucleare da un solo lato, poichè la comparsa di quei prolungamenti in un sol senso aveva servito di argomento per affermarne la natura ameboide. A questo scopo, in luogo di sperimentare su tubi ovarici isolati, ho immerso l’ovario, nella soluzione salina, per intero, circondato dal mantello di tessuto adiposo, e dopo breve tempo di evaporazione ho portato l’ovario diretta- mente, per intero, in liquido di Hermann. Solamento la vescicola germinativa delle uova più grosse della periferia dell’ovario presenta forma ameboide, e sola- mente dal lato rivolto verso la superficie esterna dell'ovario. Questa digressione ci ha fornito dunque l’occasione di dimostrare ancora meglio che /a forma ameboide dei nuclei è dovuta in realtà ad un raggrinzamento, e che Zunilateralità degli apparenti pseudopodi è dovuta ad un’azione osmotica unilaterale. È questo anche il luogo di notare come questi esperimenti presuppongano e dimostrino insieme l’esistenza di una vera e propria membrana nucleare. Per ciò che riguarda il Dytiscus ed altri insetti le varie descrizioni di fusione temporanea del nucleo col citoplasma per assorbimento, totale o parziale, della membrana sono dovute a casi d'incipiente degenerazione. E cosi pure non mi sembra accettabile l’opinione del Fick (1899) che la membrana della vescicola germinativa sia da considerare più come uno strato limite tra due liquidi di diverse proprietà fisiche, anziché come vera e propria membrana. Poiché i casi di aspetto ameboide della vescicola germinativa osservati del Fick negli anfibi, interpretati rettamente, piuttosto che di appoggio, sono assolutamente contrari a questa veduta. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 459 1° Il verde.di metile, pur colorando pochissimo o quasi affatto la vescicola germinativa, giunta a quello stadio, colora il citoplasma in azzurro-violaceo, non in verde, come dovrebbe se il citoplasma avesse ricevuto la cromatina del nucleo. 2° Il reattivo di Millon, usato su ovarii freschi, mostra che il cito- plasma di tutte le cellule & di natura essenzialmente albuminoide, mentre il nucleo non contiene nessuna parte che mostri questa reazione, poiché mentre il citoplasma si colora intensamente, la vescicola germi- nativa, come gli altri nuclei, rimane incolore. 3? Mediante digestione artificiale si puó sciogliere completamente il eitoplasma, salvo il grasso in esso contenuto; mentre i nuclei, com- presa la vescicola germinativa, rimangono inalterati. 4? Infine l’acido cloridrico scioglie completamente il contenuto nucleare, compreso quello della vescicola germinativa. Queste poche esperienze mostrano come, fondandosi sulle sole colo- razioni si rischia di venire a delle conclusioni sbagliate, poichè, mal- grado le colorazioni osservate da me e da altri autori, il citoplasma conserva la sua natura essenzialmente albuminoide, e il nucleo non perde quella di uu corpo composto essenzialmente di nucleine.') Ma resta sempre da spiegare il comportamento del nucleo e del citoplasma di fronte alle sostanze coloranti. Gli esperimenti del Mathews (1898) rendono probabile che basti la presenza di un acido organico qualunque nel citoplasma per determinarne la colorazione con i colori nucleari, per conseguenza nel caso nostro non vi è bisogno di ammettere la presenza dell'acido mucleinico nè lu migrazione di questo dal nucleo nel citoplasma. Riguardo alla vescicola germinativa, si deve ammettere piuttosto una combinazione della cromatina originaria con quantità sempre mag- giore di albumine, e che questa combinazione possa mutare la colora- bilità della cromatina, senza mutarne però la natura nucleinica è già stato ammesso da parecchi istologi tra cui Heidenhain, Wilson, Fick (vedi Wilson 1900, pag. 337—340 e Fick 1899). 1) E forse superfluo il dire che in tutto il corso del lavoro, quando parlo di cromatina, intendo riferirmi alla cromatina vera e propria, non intendo dare delle semplici indicazioni sulla colorabilità. 460 A. Giardina, L'ulteriore sviluppo della vescicola germinativa del Dytiscus è in armonia con questa ipotesi. Infatti, a poco a poco il reticolo nucleare subisce profonde modificazioni, i granuli scompariscono e tutto il contenuto nucleare diventa apparentemente omogeno, ma che è in realtà fine- mente alveolare. Ma adesso, nel seno di questa sostanza, compariscono dei minutissimi granuli cromatinici a guisa di mieroscopiche goccie che si depositino nel seno della sostanza nucleare (vedi la fig. 84). Si puó dire che assistiamo alla messa in libertà della cromatina, per via di un processo, che potrebbe considerarsi come una secrezione interna. Io non ho seguito piü oltre l'evoluzione della vescicola germinativa, poiché le uova piü grosse del mese di dicembre sono, ancora a questo stadio, sebbene abbiano assunto una forma allungata (come é indicato nella fig. 85), e sieno molto cresciute in volume. Ma quanto precede credo sia sufficiente a d?mostrare che le tra- sformazioni strutturali e chimiche dell'elemento cromatico avvengono nell'interno medesimo della vescicola germinativa, senza che vi sia scambio alcuno di elementi figurati tra nucleo e citoplasma. IV. Sulla individualità dei cromosomi. Quel poco che abbiamo esposto sul comportamento della sostanza cromatica della vescicola germinativa, e cioè la duplice provenienza, le trasformazioni fino alla apparente totale scomparsa, e la ricomparsa in forma di molte centinaia e forse di più che un migliaio di piccoli nucleoli, è completamente in antagonismo con l'ipotesi della continuità e dell'individualità dei cromosomi originariamente pervenuti all'oocite. Quantunque si ignori l'ulteriore destino della vescicola germinativa del Dytiscus, si può affermare fin da ora che una continuità tra i futuri cro- mosomi della figura di maturazione e quelli pervenuti all’oocite è per- fettamente insostenibile. Ed è forse inutile mostrare che questa conclusione è identica a quella che Carnoy e Lebrun (1897 e 1898) e poi il Fick (1899) trassero dallo studio accurato della vescicola germinativa degli an- fibi, dando tutt'altra interpretazione alle ben note osservazioni del Rilckert e del Born che avevano servito di considerevole appoggio all'ipotesi della continuità individuale dei cromosomi. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 461 Ma come spiegare, senza ricorrere all’ipotesi della individualità, la costanza del numero dei cromosomi nelle figure mitotiche di un dato organismo, costanza che sembra sufficientemente stabilita? L’oogenesi del Dytiscus presenta un fatto che può servire di punto di partenza per una risposta a questo quesito, e nello stesso tempo di prova contro lipotesi dell'individualità. Consideriamo infatti la mitosi differenziale: nell'anello cromatico & compresa la maggior parte della sostanza cromatica della cellula, cosicchè, se i cromosomi conservassero, malgrado l'apparente compattezza della massa cromatica, la loro individualità, ne verrebbe: come con- seguenza, anche non ammettendo una stretta proporzionalità tra il volume della massa cromatica e il numero dei cromosomi che sono in essa compresi, ne verrebbe come conseguenza che nella piastra equa- toriale della mitosi differenziale si dovrebbe trovare un numero di cromosomi considerevolmente minore di quello che si trova nelle oogonie, dovendo mancare auelli appunto che han servito a mettere in- sieme l'anello cromatico. Che cosa accade invece?. Accade invece, come abbiamo veduto a pag. 432, che in tutte le mitosi dell'oogenesi, sia delle oogonie, sia delle cellule N, sia nelle divisioni differenziali, il numero di eromosomi della piastra equatoriale rimane costante. E vero che non é possibile contare con precisione e in tutti i casi questo numero, ma, poiche esso oscilla sempre tra 38 e 40, & lecito ammettere che la lieve differenza rientri nei limiti degli errori di osservazione, ed è possibile escludere che avvenga una ridu- zione del numero dei cromosomi. Questa semplice constatazione & sufficiente, credo, a far rigettare, almeno in questo caso, lipotesi della continuità. Non si puó fare a meno, inoltre, di notare che il numero dei eromosomi & indipendente dalla quantità di sostanza cromatica che partecipa alla costituzione della piastra, rappresenti essa una parte o la totalità della cromatina nucleare. Sembra che esistano delle altre ragioni per cui, la cromatina che piglia parte alla costituzione della piastra cromatica, debba disporsi in un certo numero di segmenti, costante per ogni specie. 462 A. Giardina. Cosieché la costanza del numero dei cromosomi non dipende ne dalla permanenza dell'individualità dei cromosomi me dalla quantita di sostanza, eromatica che si dispone nella piastra mitotica; dipende piuttosto dalla costanza con cui si riproducono ad ogni mitosi alcune condizioni indipendenti dalle due prime, e caratterestiche per ogmi specie di orgamismi. Y. Intorno ai rapporti tra l’oocite e l'organismo, Dopo questo fugace esame della prima evoluzione dei nuclei, dob- biamo adesso, in quest'ultimo capitolo, esporre brevemente alcuni fatti, che si riferiscono ad un altro interessante argomento dell’oogenesi, e cioè ai rapporti che, durante l'accrescimento, si stabiliscono tra l'oocite e l'organismo materno. Fra i tanti fatti relativi a tale argomento, in questo luogo non debbon venir considerati che quelli che mostrano uno stretto legame con l’origine dell’oocite e delle cellule nutrici, in modo che possano servire di completamento e d’illustrazione al già detto. a) Rapporti anatomici tra loocite e le cellule nutrice. Abbiamo già veduto che nel tubo ovarico, esiste un’alternanza di gruppi di cellule nutrici con oociti, e che ogni oocite è preceduto dal gruppo di cellule nutrici corrispondente. Le cellule nutrici sono situate in tre o più ordini, e, d’ordinario, quattro di esse sono adiacenti al- loocite, toccandolo per una delle loro faece. Ma anche fra l'oocite e le cellule nutrici esiste un sottile tramezzo di cellule epiteliali. L’attenta osservazione di tubi ovarici viventi mostra che tra Yoocite e le 4 cellule nutrici adiacenti esiste una continuità cito- plasmatica. La fig. 99 rappresenta appunto una di tali comunicazioni viste sul vivo. Dal nucleo della cellula nutrice (N) parte come un cono di citoplasma differenziato, che si introduce per una larga aper- tura nel citoplasma ovulare, in direzione della vescicola germinativa. Questo cono citoplasmatico presenta una struttura fibrillare evidentis- sima, quantunque sembri che le fibrille sieno costituite da serie di minutissimi granuli; e possiede un aspetto da far credere che una corrente penetri dalla cellula nutrice nell’oocite, con un leggero movi- mento vorticoso. Però non si scorge, o per lo meno io non ho scorto, Origine dell'oocite e delle cellule nutriei nel Dytiscus. 463 movimento alcuno nei granuli sospesi nell'interno del cono, cosicche se questa corrente esiste realmente dev'essere lentissima. Esistono perció 4 coni diretti verso la vescicola germinativa, concorrendo in quella regione che, in oociti meno avanzati di quello disegnato nella fig. 99, è oceupata dalla massa di grasso. Queste notevoli comunicazioni si ritrovano sulle sezioni e presen- tano anche qui un aspetto interessante. È necessario premettere che il citoplasma delle cellule nutrici e dell'oocite possiede una struttura alveolare che nelle sezioni si presenta reticolare; spesso quello delle cellule nutrici si mostra fibrillare con lunghe fibrille su per giü con- centriche alla superficie del nucleo (fig. 80). In ogni modo 6 interessante notare che di buon ora il eitoplasma di questi due elementi si colora intensamente con la safranina, mentre il nucleo, come si é visto, va perdendo l'affinità per questo colore. d Ebbene, sulle sezioni quei coni di penetrazione spiccano in modo evidentissimo perché, a differenza del rimanente citoplasma, sono coloriti intensamente dai colori plasmatici. Le immagini piü belle le ho otte- nute con la doppia colorazione di safranina e verde luce, e alcune di esse sono riprodotte nelle fig. 78, 79, 80, 82. L’aspetto fibrillare della sostanza del cono, la forma stessa del cono e il suo intimo rapporto con il nucleo della cellula nutrice, suggeriscono lidea che proprio sotto la diretta influenza del nucleo, quella sostanza speciale venga elaborata e poi trasmessa alloocite. Che in realtà il citoplasma della cellula nutrice penetri nell'oocite, lo dimostra l’immagine che si ottiene quando per una causa meccanica la cellula nutrice viene allontanata dall’oocite, così la fig. 79 mostra che lo zaffo fibrillare penetrato nel- l’oocite è in diretta continuità con la cellula nutrice, che è parte piut- tosto di essa che dell'oocite. Però questa indipendenza è solo relativa, perchè le fibrille del cono si continuano poi con il reticolo generale del citoplasma ovulare. Non mi sembra ora il momento di discutere l’importanza fisiologica di queste connessioni; ma bisogna rilevare che esse forniscono una prova indiscutibile della funzione nutritiva, tante volte messa in dubbio, delle cellule nutrici. x E giustizia notare che, già nel 1880, Tichomiroff descrisse nel 464 A. Giardina, Bombyx mori un'apertura centrale di comunicazione nella parete divisoria tra l'uovo e la camera nutrice, e che da questa apertura vedeva penetrare nell’uovo una sostanza granulosa, simile alla sostanza delle cellule vitellogene. Quantunque la descrizione non sia perfettamente corrispon- dente alla realtà, pure non vi puó esser dubbio che essa si riferisca alle comunicazioni protoplasmatiche ora descritte. Anche il Korschelt (1889) non dubitava che delle comunicazioni tra l'oocite e le cellule nutrici doves- sero esistere, ma gli argomenti da lui addotti non erano molto convincenti. Simili connessioni dimostrano che le cellule nutrici partecipano attivamente alla nutrizione dell'uovo, e rendono poco verosimile l'opi- nione del De Bruyne (1898), che esse vi partecipino solo passivamente, lasciandosi divorare dall’oocite per via di fagocitosi. A questo pro- posito & interessante un particolare che si osserva nei gruppi piü avanzati. Esso consiste in un sottile anello cromatico che abbraceia strettamente il cono di penetrazione nella regione corrispondente al piano divisore tra cellula nutrice ed oocite. Questo anello é disegnato nella fig. 82, a destra per intero, e in sezione a sinistra, ove si scorge sotto forma di granuli colorati in rosso ai due lati del cono. Visto con piü forte ingrandimento esso si mostra costituito da una serie di granuli cromatici, come & disegnato nella fig. 83. Questo curioso anello molto verosimilmente è formato a spese dei granuli cromatici del nucleo della cellula nutrice. In effetti, in corrispondenza della base del cono, il nucleo sembra aver perduto la sua membrana, poiché spesso non si puó decidere se i granuli sieno dentro o fuori di esso, e so- vente si vedono alcuni granuli penetrati già nel cono ove spiccano per il loro colore (fig. (9 e 82) quasi che fossero trascinati dalla cor- rente che dal nucleo va all'oocite. Se la corrente fosse veramente animata da un moto vorticoso, per quanto lieve, il risultato della discesa di granuli dovrebbe essere la costituzione di quell'anello. In- fatti i granuli appena penetrano del cono sarebbero centrifugati, spostati verso la superficie nel cono, lungo la quale poi scivolerebbero descrivendo una traiettoria elicoide. E così verrebbero ad urtare contro il tramezzo epiteliale esistente tra la cellula nutrice e l’oocite, e sarebbero costretti a fermarsi, limitandosi tutt'al più a rotare intorno al cono, senza poter mai penetrare nell’oocite. La discesa di nuovi Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 465 eranuli porterebbe cosi naturalmente alla costituzione dell'anello. Io credo che questo processo accada realmente, e che sia interessante appunto perché mostra come la cromatina delle cellule nutrici, an- ziché essere inglobata come crede il De Bruyne, dalla vescicola germi- nativa, non giunge, nei casi normali, nemmeno a penetrare nell'oocite. I granuli cromatinici, anche nei casi più favorevoli, anche quando essi sono già avviati verso l'oocite, rimangono esclusi dall'ingresso, relegati in permanenza alla porta d'ingresso, a cui costruiscono un'elegante cormice. L'origine delle connessioni tra l'oocite e le cellule nutrici é da ricercarsi nella già nota origine delle rosette. Dallo stadio di rosetta si arriva à quello con le connessioni tipiche per gradi insensibili. Il processo consiste essenzialmente in ció, che il residuo fusoriale, che allo stadio di rosetta forma ancora una parte distinta e ben delimitata del citoplasma ovulare, a poco a poco sparisce, lasciando come ricordo una maggiore affinità per i colori plasmatici di quella regione citoplasma- tica ov'esso era situato, cioé verso il luogo di concorso dei varii ele- menti (fig. 64, 69, 70, 71). Inoltre, col graduale accrescimento, la maggior parte delle cellule nutrici, spinte indietro dalle altre, perdono man mano la loro connessione con l'oocite, e solo quattro, d'ordinario, rimanendo a contatto con l'oocite, conservano le primitive connessioni. Queste connessioni poi, a poco a poco, assumono la forma e la strut- tura tipica definitiva. Descrivere più minutamente questo processo ci porterebbe molto piü in lungo di quel che non sia conveniente, tanto più che, con l’aiuto delle fig. 61, 64, 69, 70, 71, 72, 74, 76, esso può essere facilmente capito. b) Rapporti anatomici dell'oocite con le cellule follicolari. Gli altri elementi con cui l'oocite puó avere rapporti diretti (esi- stano o no cellule nutrici) sono le cellule follicolari. Moltissimi autori eredono che esista una continuità protoplasmatica dell'oocite con queste cellule, e il caso piü noto, dopo le publicazioni del Paladino e del Retzius, & appunto quello dei vertebrati, ove le cellule follicolari sono riunite all'uovo mediante sottili ponti eitoplasmatici. Anche per gli insetti è stata spesse volte descritta una diretta continuità del protoplasma dell'oocite con quello dell'epitelio follicolare, Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XIII. 30 466 | A. Giardina, e aleuni autori, fra cui Brandt (1885), Korschelt (1884) e Leydig (1888), hanno anche descritto dei ponti che legano le cellule follicolari all’oocite. Queste osservazioni non sono da mettere in dubbio; tuttavia vanno interpretate differentemente. D’ordinario l’epitelio combacia perfetta- mente con l'oocite, senza che vi sia aleuna membrana interposta, co- sicché facilmente puó sembrare che vi sia una continuità dei proto- plasmi, mentre non vi è che semplice contatto. Basta una buona colorazione per distinguere nettamente il protoplasma dell'oocite da quello delle cellule epiteliali poiché queste hanno, a differenza del primo, grande affinità per i colori plasmatici, dimodochè una doppia colo- razione non lascia poi aleun dubbio sul riguardo, come si puó vedere anche dalle fig. 76, 78, 80, 81 di questo lavoro. I ponti, che spesso si osservano, sono dei prodotti artificiali, dovuti alla contrazione del citoplasma ovulare, che si puó provocare sotto il microscopio con una soluzione salina un poco pit forte della fisiologica, 0 con una soluzione di zucchero, e che spesso anzi si puó vedere senza causa apparente. A causa della contrazione dell'oocite, si filano, per così dire, numerosi e sottili ponti che da ogni cellula follicolare vanno all'oocite, cosi come sono rappresentati nelle fig. 100 e 101 prese dal vivo. La fig. 100 si riferisce al Dytiseus, la 101 all’Ameles brevipennis, un ortottero, sprovvisto, come si sa, di cellule nutrici. Mentre la prima figura parla in favore di una continuità di struttura, la seconda sembra invece indicare una semplice adesione, poiché si distingue il contorno dell'oocite indipendente dai ponti, e le protuberanze che stanno alla base dei ponti sembrano appartenere alle cellule del follicolo anziechè all’oocite. La quistione si risolve sulle sezioni; però prima ancora di parlarne, & interessante riferire un esperimento eseguito a fresco. Lasciando per molte ore degli ovarii di Ameles in soluzione fisiologica di sale, si possono osservare dei fenomeni mortali fra cui l'imbrunirsi del citoplasma ovulare, il quale, per questo colorito bruno, si puó distinguere nettamente dal protoplasma delle cellule follicolari, che resta chiaro. Ebbene, di frequente il citoplasma delle cellule epiteliali fluisce attra- verso i ponti verso l'oocite e forma intorno ad esso una spessa zona protoplasmatica che, per la sua tinta chiara, si distingue dall'oocite. Questo esperimento, il cui risultato & indicato nella fig. 102, esclude la ^r Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 467 continuità protoplasmatica tra i due elementi. E allo stesso risultato si giunge dall’esame delle sezioni di ovarii in cui si è prima provocata la formazione dei ponti, poiché la differenza di colorabilità dei due citoplasmi permette sempre di segnare tra di loro un limite netto. In- oltre si vede che la contrazione dell'uovo procede regolarmente finchè l'estensibilità e l'elasticità delle cellule epiteliali lo permettono; superato questo limite, piuttosto che vincere l'adesione tra le due specie di protoplasmi, l'ulteriore contrazione rompe invece il citoplasma dell'oocite in due parti, una interna e l'altra esterna, che a guisa di zona rimane attaccata all'epitelio. Se esistesse la continuità di struttura dovrebbe invece prodursi la rottura degli esili ponti. Tutto ciò permette di asserire che le cellule follicolari e Toocite degli insetti hanno fra loro rapporti di semplice contatto, non di con- tinuità di struttura. Questa convinzione riguardo agli insetti, può far sorgere dei dubbii riguardo agli altri animali. Nei vertebrati, ad esempio, nessuno può mettere in dubbio l’esistenza dei ponti allo stato normale: ma si può essere in forse sul loro significato: se sono espressione di continuità strutturale o di una forte adesione. Alcuni preparati di ovarii di Mus decumanus, messi a mia disposizione dal D" G. Fiore, dimostrano che la formazione dei ponti è paragonabile a ciò che abbiamo veduto per gli insetti. Nei follicoli giovani le cellule della granulosa stanno a contatto con l’oocite, distinguendosene anche qui, per la loro maggiore affinità per i colori plasmatici. L’accumularsi poi del liquor follieuli obliga le cellule della granulosa ad allontanarsi le une dalle altre e dall’oocite, e poichè esse non si distaccano completamente, ma riman- gono a contatto per breve tratto con le cellule circostanti, ne risulta quel tessuto spugnoso (in sezione, reticolare) che è caratteristico della granulosa dei follicoli adulti. Anche nell'essere allontanate dall'oocite, le cellule della granulosa rimangono aderenti a quest’ultimo, filando per così dire dei ponti, paragonabili a quelle che legano le varie cellule fra loro. Alla superficie dell’oocite il protoplasma dei ponti tende a formare per adesione uno strato continuo, ma con l’accrescersi in volume dell'uovo, questo strato, invece di costituire un rivestimento completo, piglia l'aspetto di un reticolo a maglie più o meno larghe, aderente 30 * 468 A. Giardina, alla superficie dell’oocite. I ponti delle cellule della granulosa immet- tono esclusivamente nelle trabecole di questo reticolo, mai diretta- mente nell'oocite. Cid si vede benissimo nelle sezioni tangenziali del- loocite, di cui la fig. 103 offre un esempio. Essa è presa da un preparato di ovario colorito con emallume ed eosina. Mentre la piccola calottina dell'oocite ha un colorito violaceo che dà nel blu, il reticolo e i ponti spiccano per la loro tinta rossastra. Questo reticolo, che è il primo accenno della zona pellucida, offre perciò il mezzo di escludere che i ponti intercellulari servano a mantenere la continuità strutturale dell'oocite con le cellule circostanti. Forse parecchi dei varii ponti intercellulari che si trovano in diversi tessuti mirano piuttosto ad assicurare il contatto diretto dei protoplasmi delle diverse cellule, anziché la loro continuità proto- plasmatica; ma comunque sia, per quanto riguarda gli oociti credo molto piü probabile che ció che ha luogo per gli insetti e i mammiferi sia generale. Prendendo poi in esame le ragioni teoriche per cui si & disposti generalmente ad ammettere a priori l'esistenza di tali vie di comuni- . cazioni, si vede come rispetto all'oocite esse non abbiano più alcun valore. Alcuni infatti credono ad una trasmissione di sostanze figurate come granuli di tuorlo o di grasso dalle cellule follicolari all'oocite, il che é possibile solo ammettendo una continuità dei protoplasmi. Ma questo modo di nutrizione & tutt'altro che dimostrato, ed io credo anzi che sia completamente da escludersi. Altri credono che tali vie di comunicazioni sieno destinate a rendere possibile la trasmissione dei caratteri ereditarii, ma questa ipotesi è legata ad una concezione troppo grossolana e oramai poco sostenibile del meccanismo dell'eredità; e, se si tien presente ció che abbiamo detto sulla teoria della continuità del plasma germinativo e sull'origine dell'oocite, sembrerà sempre meno verosimile che si stabi- liscano tali rapporti diretti tra l'oocite e il soma. E infine se si crede necessaria quella continuità strutturale perché si vuol considerare l’organismo come wn tutto anzichè come una colonia d’individui cellulari, basta considerare che la coordinazione delle varie parti dell’organismo in un tutto si puó raggiungere per altri mezzi, e Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 469 che in ogni caso, ammessa pure la necessità della continuità organica come conseguenza di questa concezione dell’organismo, non bisognerà dimenticare che le cellule sessuali sembrano appunto emancipate da questa subordinazione. L’oocite gode di una vita personale molto più accentuata di qualsiasi altra parte dell’organismo; è, si può dire, eman- cipato della necessità di coordinare la sua vita a quella dell’intero, ed è, in un certo senso, fine a sè stesso. E d’altro canto, quasi in ri- cambio, l'organismo non gli offre quell’aiuto e quel controllo continuo di cui godono le altre cellule somatiche; cosicchè facilmente, vivendo ognuno per sé, accade che l'uno non offra più all'altro le condizioni normali di vita, e che specialmente l'oocite non trovi più nell’organismo le eondizioni che gli son necessarie. In qual tessuto in effetti sono cosi frequenti gli arresti di accrescimento, le alterazioni, le degenera- zioni, l'inadempimento del proprio destino, come negli organi genitali e specialmente negli ovarii? Tutte queste considerazioni, che potrebbero ancora facilmente moltiplicarsi, rendono già a priori poco probabile la continuità organica dell'oocite col soma; cosicche non é da stupirsi se i fatti surriferiti, assodati senza aleun preconcetto, anzi malgrado il preconcetto opposto, vengono ancor essi ad escludere questa connessione. E le connessioni con le cellule nutrici? Le cellule nutrici le quali, sia detto per incidenza, non hanno neppur esse rapporti di con- tinuità con le cellule epiteliali, non sono da considerarsi come facenti parte del soma. Le loro connessioni con l'oocite sono da riguardarsi come primitive, poichè rimontano all’origine stessa di questi elementi, mentre una connessione con l’epitelio sarebbe del tutto secondaria; inoltre le cellule nutrici, derivando dell’oogonia, conservano, ciò che abbiamo desunto anche dell'evoluzione dei nuclei, qualcosa dei caratteri speciali della loro stirpe; insieme all’oocite di medesima provenienza esse costituiscono un tutto organico, armonicamente connesso. E come in altri easi il solo oocite, qui tutto il gruppo dell'oocite cen le sue cellule nutrici, è da oppore a tutto linsieme del soma, cosicchè le connessioni di continuità tra cellule nutrici ed oocite non contraddicono le superiori considerazioni. Questa asserzione sembra legittima; tuttavia per mostrarne ancora 470 A. Giardina, meglio la validità ci gioveremo di alcuni casi di degenerazione osser- vati nell’ovario del Dytiscus. Sovente l'ultimo oocite dei tubi ovarici, quello cioè situato poste- riormente, verso l’ovidutto, subisce insieme con le rispettive cellule nutrici una caratteristica degenerazione. La minuta descrizione del processo richiederebbe un lavoro speciale, cosicché bisogna qui limi- tarci ad un semplice cenno. Le cellule nutrici si frammentano, sul posto, in sfere di differente grandezza, di varia struttura e di differente composizione chimica, le quali vengono man mano riassorbite. L’oocite, invece di frammentarsi, subisce una vacuolizzazione del citoplasma, che diventa largamente reticolato. La vescicola germinativa si riempie di granuli e sfere vitelline, perde la sua membrana e assume una forma molto irregolare. Il reticolo del carioplasma si salda e diventa tut- t'uno con quello del citoplasma, distinguendosene solo per la maggiore tingibilità con i colori plasmatici, il che permette di constatare come il reticolo di provenienza nucleare si estenda man mano a spese del citoplasma, occupando una parte considerevole dell'oocite.') Ciò che vi è di notevole si è che la degenerazione non è mai limitata alle sole cellule nutrici o al solo oocite, procedendo invece di pari passo nelle une e nell’altro, così che la distruzione di un ele- mento trascina con sè quella degli altri. Ma è ancora più interessante il fatto che le cellule follicolari sembrano rimanere estranee alla rovina delle altre cellule. Infatti questo processo degenerativo permette di constatare l'esistenza di una vera impalcatura epiteliale fra le cellule nutrici, poichè questa rimane, nella degenerazione di quelle, inalterata. 1) È molto probabile che processi degenerativi simili a questo siano stati scambiati dal Will per normali, a giudicarne almeno dalle figure del suo lavoro sul Colymbetes, il quale si può considererare piuttosto come una storia della patologia anzicchè dell’accrescimento dell'oocite. E parimente ritengo probabile che un altro modo di degenerazione, meno frequente di questo, ma che, quando appare, abbraccia varii oociti consecutivi del tubo ovarico, anzi varii tubi insieme, abbia servito di base al lavoro del De Bruyne sull’accrescimento dell’oocite del Dytiscus per fagocitosi. In questo caso le cellule nutrici, invece di frammentarsi, si fondono in una specie di sincizio con il rispettivo oocite, e i loro nuclei, che per un certo tempo sussistono, per quanto modificati nella struttura, penetrano anche nella regione di pertinenza dell’oocite, ove si disfanno gradatamente. I fenomeni di apparente fagocitosi, non indicano altro che la rovina generale, sia delle cellule nutrici, che dell’oocite! EJ Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 471 E cosi l'epitelio prismatico che circonda lateralmente l'oocite si ispessisce in modo notevole, per allungamento delle singole cellule a spese del volume dell’oocite, il quale per conseguenza diventa sempre pitt piccolo. Inoltre nel eitoplasma di queste cellule, cosi stranamente cresciute, si precipitano dei granuli e delle sfere vitelline, quasi che esse, nella rovina degli altri elementi, trovino condizioni favorevoli per la loro personale esistenza. Questo processo dimostra l'assoluta indipendenza reciproca tra le cellule somatiche e le cellule germinali e indica inoltre, che l'insieme delle cellule nutrici e del rispettivo oocite costituiscono un gruppo armonico, quasi un organismo dentro l’organismo; un gruppo che possiamo chia- mare gruppo germinale. La nostra supposizione, desunta della comparsa delle tetradi, che le cellule nutrici conservino in parte la natura di cellule germinali, ne riceve un appoggio e infine la mancanza di continuità organica tra il gruppo germinale e le cellule del soma è indirettamente riconfermata. €) Sulla polarità dell'uovo. È noto che le uova degli insetti presentano una predeterminazione notevolissima rispetto all'organismo cui esse danno origine, presentando sovente una simmetria bilaterale che corrisponde a quella dell'embrione e dell’adulto (Hallez 1886, Wheeler 1895, Giardina 1897). Hallez pel primo stabili la così detta legge di orientazione degli embrioni degli insetti con queste parole: „L’uovo possiede la medesima orientazione dell’orga- nismo materno che l’ha prodotto: esso ha un polo cefalico e un polo caudale, un fianco destro ed un fianco sinistro, una faccia dorsale e una ventrale, e queste differenti faccie dell'uovo coincidono con le facce corrispondenti dell'embrione. Questa legge che lega tra loro l’orien- tazione del corpo materno con quella dell’uovo, è stata accolta da molti autori. Ciò non ostante ritengo che essa ha bisogno di molte restrizioni. In primo luogo, avendo ricercato gli ovarii di molti insetti, da questo punto di vista, ho potuto convincermi che in realtà le uova son tutte rivolte col futuro polo cefalico verso la regione anteriore dell’ovario, non dell'animale, e col futuro polo posteriore verso l'ovidutto, ma che non esiste alcuna altra stabile relazione tra l'orientazione dell'uovo e 472 A. Giardina, quella dell'organismo materno. Infatti mai ho potuto verificare quella relazione postulata da Hallez di una coincidenza dell’orientazione dell’uovo nell’ovario con quello dell'organismo rispetto alle facce laterali e a quella dorsale e ventrale; tutt'al più si vede che l’asse longitudinale è parallelo all’asse longitudinale della madre. Ma anche questo pa- rallelismo in molti casi si cercherebbe invano: nella Mantispa ad esempio, i tubi ovarici corrono trasversalmente all’asse del corpo, cosicchè anche l’asse longitudinale delle uova è perpendicolare a quello del corpo materno. L'errore dello Hallez proviene dal modo come egli consta- tava l’orientazione dell'uovo ovarico: egli la constatava al momento della deposizione, nell’atto che uscivano dell’armatura genitale, nel momento appunto in cui l'uovo, per ragioni di un altro ordine, ha assunto un’orientazione identica a quella del corpo materno, come ho potuto verificare io stesso nelle mantidi. Ciò è una conseguenza diretta di rotazioni che avvengono nell’ovidutto durante la stessa deposizione; mentre ciò che importa nel caso nostro è constatare l’orientazione del- l'uovo nell’ovario, durante l’accrescimento. Questa orientazione non ha dunque, contrariamente alla legge di Hallez, rapporti ben definiti con lorientazione del corpo materno. Le legge di Hallez dovrebbe ridursi in questi termini: ?/ piano di simmetria dell'embrione e dell'adulto è giù prestabilito nell'uovo ovarico; il futuro polo cefalico dell'uovo è rivolto verso la regione superiore del tubo ovarico, il polo caudale verso Vovidutto. Se l’organismo materno abbia una parte diretta e quale nello stabilirsi di quella predeterminazione, o per lo meno di quella polarità, è impossibile dire senza esperimenti, i quali finora non sembrano nem- meno possibili. Tuttavia qualche considerazione in proposito non è fuor di luogo. Nel caso degli insetti a cellule nutrici, come il Dytiscus, la regione dell'oocite adiacente alle cellule nutrici corrisponde al futuro polo cefa- lico dell'uovo, e la regione opposta al polo caudale. Si sospetta perciò da taluni che la polarità dell'uovo sia conseguenza della polarità esi- stente nelle condizioni esteriori, della situazione, cioè, delle cellule nutrici rispetto all'oocite. Contro una simile supposizione parla in primo luogo l’esistenza di un gran numero di insetti, privi di cellule Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 473 nutrici, in cui si stabilisce ugualmente la polarità e poi, anche ció che abbiamo osservato nel Dytiscus, che 1 rapporti topografici, cioë, tra oocite e cellule nutrici sono per cosi dire predeterminate già ad uno stadio molto precoce, prima ancora del differenziamento. Infatti nell’ultima oogonia O, è stabilita la direzione del fuso mitotico e per conseguenza quella del piano di divisione e la posizione definitiva del residuo fusoriale. Nel capitolo riguardante la formazione della rosetta abbiamo insistito sul fatto che il residuo fusoriale contrae rapporti Strettissimi con le cellule N, e che esso conserva sino alla fine del processo una posizione costante, che coincide col futuro polo anteriore dell’oocite. La polarità dell'oocite ha rapporti fissi con la organizza- zione dell'oogonia, rapporti che non sono poi mutati durante il diffe- renziamento, cosicché il problema dell'origine della polarità dell'oocite si confonde con quello dell'origine della polarità della rosetta. La polarità della rosetta & essa determinata dalle condizioni esterne, ossia dell’organismo materno? Un esperimento offertoci naturalmente dalla storia dello accresci- mento puó servirci, quale. debole luce, per rischiarare l'oscura questione. Abbiamo accennata nel primo capitolo di questa seconda parte della memoria, che l’accrescimento s'inizia con una interessante sele- zione naturale tra le rosette. Abbiamo assistito cioè alla degenerazione di tutte quelle rosette la cui orientazione e molto diversa da quella che è l’orientazione definitiva dei gruppi nel tubo ovarico, e alla sopravvivenza di quelle sole che hanno già questa orientazione, con le cellule nutrici, ossia col futuro polo anteriore dell'oocite, in avanti. Cosicchè la relazione tra l'orientazione della rosetta e il tubo ovarico è ol risultato di una precoce selezione, non il prodotto di una graduale azione dell’organismo sul gruppo, durante lacerescimento. Inoltre siccome, a giudicarne dalle apparenze, la sola differenza tra le rosette destinate alla degenerazione e quelle destinate a sopravvivere sta appunto nell'orientazione; le prime si possono, senza forzare le cose, considerare come rosette normali alle quali si è solo mutata l'orienta- zione, e che questo mutamento d'orientazione sia la causa diretta della loro rovina. Cosicchè il processo degenerativo ha probabilmente il valore di un esperimento analitico, il quale dimostra la preesistenza 474 A. Giardina, reale di una polarità della rosetta e dell'oocite, cioè che l’oocite nasce dotato già di una polarità; poiché quale scopo puó avere questa sele- zione se non quello di regolare l'orientazione dell'oocite nel modo pit conveniente per determinati fini?!) Inoltre il fatto che vi è bisogno di questa regolazione tardiva (per via di selezione) della orientazione dell’oocite rispetto all’organismo materno, fa supporre che la polarità preesistente al periodo di accresci- mento si stabilisca indipendentemente dell'azione diretta dell'organismo materno, poichè in tal caso sarebbe regolata fin dall'origine. La pola- rità dell’oocite del Dytiscus, ha dunque, se questo esperimento è stato giustamente interpretato, delle cause più recondite che non i rapporti che l’oocite contrae con gli altri tessuti durante l'accrescimento. E non è chi non vede come l’argomento, a questo punto, si connetta con le idee che abbiamo sostenuto in un precedente capitolo sulla conti- nuità dell’organizzazione del plasma germinativo. In base a quelle considerazioni e a queste succintamente esposte or ora è lecito forse esprimere l’idea che /a polarità, la simmetria bilaterale e le altre pre- determinazioni dell'uovo sono, come è stato gia mostrato specialmente dal Whitman (1893) delle manifestazioni di una organizzazione speci- fica dell'uovo la quale esiste, quantunque invisibile, fin dal principio della esistenza di quello. La polarità, e in generale l’organizzazione dell'uovo, è da ricondursi direttamente alla stessa sorgente a cui si deve far rimontare la struttura e l'organizzazione della parte somatica del- l'organismo, all'organizzazione dell'uovo fecondato. Cosicchè l'influenza dell’orgamismo sull'oocite non è quella di de- terminarne l'organizzazione e la polarità, che già preesistono, ma piut- tosto di assicurare, mediante uma severa selezione, certi rapporti tra sè e quella organizzazione ovulare, rapporti che sono mecessarii o utili per la conservazione della specie. 1) Questa finalità risulta evidente in casi in cui le uova son deposte in involucri o in nidamenti speciali. Bellissimo è il caso delle mantidi da me studiato (1899): l'orientazione delle uova nell’ovario, l’orientazione dell'embrione nell'uovo, la struttura del complicato nido, la schiusa e la metamorfosi della larvetta, insomma tutte le condizioni del ciclo vitale dell’animale sono connesse così bene, che, mutata una sola di esse, ad esempio l’orientamento dell’asse principale di polarità dell’uovo nell’ovario, rimanendo costanti le altre condizioni, ne risulterebbe l’estinzione della specie nel giro di un solo anno! Origine dell’ooeite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 475 C. Aggiunta. Durante la correzione delle bozze di questo lavoro son comparse le ricerche del Paulcke sull’oogenesi dell’ape e una memoria di J. Gross sugli ovarii degli emitteri, che volentieri avrei discusse nel testo, se questo non fosse stato già impaginato. Mi sia permesso perciò di prenderle, qui, brevemente in esame, e solamente per ció che si riferisce al differenziamento propr. detto. | I Gross conferma il risultato del Korschelt solo per quel che riguarda l'origine degli oociti e delle cellule nutrici, che si originano per la trasformazione in vario senso di cellule indifferenti situate nella parte anteriore della camera terminale. Ma, quantunque lovario degli emitteri dev'essere poco adatto per la soluzione del problema, già nella descrizione del Gross vi & qualche elemento per ritenere che l’origine delle cellule nutrici e dell'oocite non differisce da quella del Dytiscus. Gross infatti dice che „tutta la cromatina delle piü giovani vescicole serminative e addensata nel centro del nucleo“, proprio come la croma- tina in synapsis delle cellule O. I lavori del Will, del Korschelt, del De Bruyne, del Gross, in- tanto, mostrano come le cellule nutriei degli emitteri (e di alcuni coleotteri) siano circoscritte nella parte superiore della camera termi- nale, ove si fondono in un sincizio, subendo poi profondi processi de- generativi, e costituendo cosi una massa amorfa che riempe la camera nutrice. Questa é perció unica per tutti gli oociti, i quali rimangono in connessione col sincizio della camera nutrice mediante lunghi pro- lungamenti, la cui vera natura fu stabilita dal Will. Si potrebbe supporre perció che, dopo la formazione delle rosette, il picciuolo che unisce il gruppo di cellule nutrici all'oocite si allunghi di molto, cosi che l'oocite venga allontanato dalle cellule nutrici, e queste rimangano confinate nella camera terminale, ove si disfanno in gran parte. Se questa supposizione è esatta, il prolungamento dell'uovo degli emitteri rappresenterebbe la connessione primitiva tra l’oocite e il gruppo di elementi nutrici. Già nel testo ho preso in molta considerazione ciò che del lavoro del Paulcke era stato comunicato dall’Häcker. E non trovo nulla da 476 A. Giardina, modificare in ciò che ho scritto a suo luogo. Paulcke però dichiara che i propri risultati coincidono con quelli del Korschelt, almeno per ciò che riguarda l'origine comune dei varii elementi da cellule in- differenti del filo terminale. L’A. mi permetterà di osservare che tale conferma & piuttosto verbale che sostanziale. In primo luogo egli trova già differenziate da un canto le elle epiteliali, dall'altro le cellule germinali, che si differenziano poi in cellule nutrici ed ooeiti. Talché far derivare le cellule germinali e le epiteliali da elementi indifferenti del filo terminale è una semplice ipotesi, contradetta del resto dagli studii embriologici dell’Heymons. Rispetto poi al differenziamento delle cellule nutrici e dell’oocite, Paulcke giustamente crede che esso avvenga nella camera terminale e propriamente nella zona a synapsis, ma non dà una interpretazione soddisfacente delle synapsis. Riconosce che in questa zona ha luogo una attiva moltiplicazione cellulare, ma suppone che essa avvenga per via amitotica, il che è da escludersi senza alcun dubbio. L'esistenza di cellule binucleate e l’assenza completa di mitosi, per cui egli suppone l’esistenza di divisioni amitotiche, sono state discusse nel corso del mio lavoro, così che non insisto oltre su questo punto, tanto più che lo stesso Paulcke si esprime con molta riserva, riconoscendo la natura ipotetica delle sue affermazioni. Ma è proprio interessante notare come, pur senza alcun fonda- mento, il Paulcke abbia supposto che l’oogonia generi per successive divisioni l’oocite con le rispettive cellule nutrici, abbia emesso, cioè, una veduta cui il mio lavoro dà piena ragione. È vero che il Paulcke non ammette per l’ape il sincronismo delle divisioni successive, non segue cioè lo schema che io ho dato nella fig. I, ma ciò nella nostra quistione ha poco valore. Egli crede che, nell'ape, l'oocite si origini per 2 divisioni successive, mentre le cellule nutrici derivano dall’oogonia per 6 divisioni, secondo uno schema che può essere intuito supponendo, nel mio schema della fig. 1, soppresse le divisioni ulteriori di O,, il quale rappresenterebbe l’oocite, e facendo derivare da ciascuna delle tre N,, non 4, ma 16 cellule nutrici, cosicchè alla fine del processo avremmo 48 cellule nutriei per ogni oocite invece di 63 — 25 — 1, quale dovrebbe essere secondo le osservazioni del Pérez e le mie. Ma bisogna tener Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. all presente, per non esagerare la portata di quello schema, che il Paulcke lo ha costruito per rendersi conto della costanza del numero delle cellule in ogni camera nutrice, numero che egli fa ammontare a 48. Ma appunto questo calcolo & molto difficile, quando il numero & cosi grande, e quando si vuol eseguire il calcolo in base al numero di cellule comprese in una sezione della camera nutrice. Comunque sia, non mi sembra che idee simili sieno proprio quelle manifestate dal Korschelt; tanto pit che Paulcke, rendendosi conto della grande difficoltà di far dipendere il differenziamento dalle con- dizioni esteriori, ammette l'esistenza di divisioni differenziali nel senso di Weismann, e per conseguenza, deve credere che i varii elementi sian già differenti fin dalla loro origine, il che & proprio contrario allo spirito delle vedute del Korschelt e di tanti altri. | Non v'ha dubbio che anche nell’ape, le synapsis si riferiscano a divisioni differenziali, e ciò è in certo modo avvalorato dal fatto che la vescicola germinativa in principio si distingue dai nuclei delle cellule nutrici per una „stark excentrisch liegendes, geballtes Chromatin‘. L’interessante lavoro del Paulcke viene dunque anch'esso piena- mente spiegato, ammettendo i fatti descritti nel presente lavoro. Lavori citati. J. Beard (1900), The morphological continuity of the germ-cells in Raja batis. Anat. Anzeiger. Bd. XVIII. Th. Boveri (1887), Ueber Differenzierung der Zellkerne während der Furchung des Eies von Ascaris meg. Anat. Anzeiger. 1887. A. Brandt (1885), Die Ernährung und das Wachstum des Dotters im Insectenei. Zool. Anz. Bd. VIII. J. B. Carnoy et H. Lebrun (1897 e 1898), La vésicule gérminative et les globules polaires chez les batraciens. La cellule XII, XIV. C. De Bruyne (1898), Sur l'intervention de la phagocytose dans le développement des invertébrés. Memoires couronnés publiés par l'Acad. roy. de Belgique. — (1899), Contribution à l'étude physiologique de l'amitose. Livre jubilaire dédié à Charles Van Bambeke. Bruxelles, H. Lamertin 1899. Yves Delage (1899), Études sur la mérogonie. Arch. Zool. Expér. (3). 7. Hans Driesch (1899), Resultate und Probleme der Entwickelungsphysiologie der Tiere. Ergebnisse der Anat. und Entw. 1898. VII. R. Fick (1899), Mitteilungen über die Eireifung bei Amphibien. Verh. d. Anat. Gesellsch. Vers. in Tübingen. Anat. Anzeiger. Ergünzungsheft zum XVI. Bande. A. Giardina (1897), Primi stadi embrionali della Mantis religiosa. Monit. zool. italiano. VIII. — (1899), Sulla biologia delle Mantidi. Giorn. Soc. Sc. Nat. Palermo. XXII. — (1900), Sui pretesi movimenti ameboidi della vescicola germinativa. Rivista Sc. biologiche. Il. | E. Godlewski (1897), Ueber mehrfach bipolare Mitose bei der Spermatogenese von Helix. Anz. Acad. Cracov. J. Gross (1901), Untersuchungen über das Ovarium der Hemipteren, zugleich ein Beitrag zur Amitosenfrage. Zeitschr. f. wissensch. Zoologie. 15. Febr. 1901. Bd XEDX NH? V. Häcker (1895), Die Vorstadien der Eireifung. Arch. f. mikr. Anat. Bd. XLV. — (1897) Die Keimbahn von Cyclops. Arch. f. mikr. Anat. Bd. 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Spiegazione delle figure. Tutte le figure, eccetto la fig. 85, sono state eseguite con l’obiettivo ad immersione Fig Fig Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. semiapocromatico — e con gli oculari 4 o 6 comp. Koristka. gut. . 2—4. 5—1. 8—11. 12. 18. 14—18. 19—20. . 21—24. . 25. . 26. NON 15 Tav. XVII. Unione del filamento terminale con la camera. >< 600 ca. Moltiplicazione delle oogonie. >< 1200 ca. Le oogonie 0,, per mostrare la formazione del residuo fusoriale. ‘>< 1200 ca. Fasi di accrescimento dell'oogonia 0,. >< 1200 ca. Un’oogonia 0,; in a si vede il residuo fusoriale con le irradiazioni citoplasmatiche, in d il nucleo. >< 1200 ca. Due oogonie 0, sorelle, che mostrano la separazione delle due parti di cromatina. >< 1200 ca. Prima divisione differenziale delle oogonie 0,. >< 1200 ca. 14. Profase. 15. Metafase. Veduta da un polo; a destra si scorge il residuo fusoriale. 16. Metafase, di profilo. I fusi delle due oogonie sono normali fra loro. l7. Metafase. L'anello cromatico é già migrato ad un polo. ll residuo fusoriale & segnato col solo contorno. 18. Anafase. Stadio di due cellule 0, ed M. Ricostituzione del nucleo di 0,. >< 1200 ca. Rag XVID Stadio di due cellule. >< 1200 ca. La fig. 22« mostra la cellula O,, la 225, la N, e inoltre la 0, con una calotta nucleare. La 22 divisione differenziale delle cellule 0, de’ due gruppi originati dalla coppia 0,. = 1200 ca. Divisione delle 0, e delle N, nei due gruppi. Metafase. Nel gruppo di sinistra la cellula 0, comparisce tanto m @ che in 5b. = 1200 ca. Divisione delle 0, e delle N, nei due gruppi. Metafase. Le 0, com- pariscono anche in b. >< 1200 ca. Internationale Monatsschrift für Anat. u, Phys. XIII. 31 482 A. Giardina, Fig. 28—36. Stadio di 4 cellule; 0, e tre N. >< 1200 ca. 28— 30. Anafase; Ricostituzione del nucleo di 0. 31. La 12 rosetta. 32. Mostra l'indipendenza reciproca delle due parti cromatiche di 0,. Tav. XIX. 34. Profase della 32 divisione. Il residuo fusoriale in O0, è indicato dal solo contorno. 935—396. La 34 divisione; metafase. Fig. 37—45. Stadio di otto cellule; Og e sette M. >< 1200 ca. ig. 46. . 48. g. 49. . 960—259. . 04. . 909—096. . 94 — 60. „Bil, . 62— 63. . 64. . 65. . 66. . 617—968. 69— 70. 37. Gruppo appena costituito. 38. La 24 rosetta. Di quattro cellule N, & indicato appena il contorno. Ricostruzione da due sezioni. 39. La 22 rosetta: 4 soltanto delle M sono disegnate. 40. La 42 divisione, tutte le cellule sono allo stadio di metafase; ma la maggior parte sono indicate col solo contorno. Ricostru- zione da due sezioni. 41. Il gruppo di 8 cellule in metafase. La cellula 0; mostra l'anello cromatico all'equatore della figura. Ricostruzione da due sezioni. 42. Sezione attraverso una rosetta di 8 cellule in metafasi. 49. a e b. Sezioni di una rosetta per mostrare la forma a sella della massa cromatica nella mitosi di Og. e Stadio di 16 cellule, l'oocite e le 15 cellule nutrici (Ricostruzione da due sezioni. -- 1200. Nell'oocite si vedono ancora distinte la piastra polare e la massa cromatica in forma di anello. . 47 ae b. Stadio di 16 cellule, l'oocite e le cellule nutrici. Costituzione della vescicola germinativa. >< 1200 ca. INS KON L'oocite con le rispettive cellule nutrici. >< 1200 ca. Sezione attraverso un gruppo anormale allo statio di 16 cellule. >< 1200 ca. Varie fasi di divisioni nucleari non seguite della divisione del cito- plasma, per mostrare la formazione del gruppo precedente. >< 1200 ca. Sezione attraverso le cellule nutrici durante la formazione delle rosette. >< 600 ca. Sezioni della rosetta attraverso il gruppo di cellule nutrici. >< 600 ca. Sezioni della rosetta, passanti per l'oocite. >< 600 ca. Sezione di una rosetta alla fase della 12 formazione di tetradi. >< 1200. Cellule nutrici alla fase con cromatina a gomitolo. >< 1200. Passaggio dallo stadio con cromatina a gomitolo alla 2? generazione di tetradi. >< 1200. Formazione delle diadi nelle cellule nutrici. >< 1200 ca. Le tetradi tipiche nelle cellule nutrici. >< 1200 ca. Vedute polari di oociti. Confronta la fig. 59 e 60. >< 600 ca. Sezioni delle rosette durante il periodo delle tetradi. Nella fig. 70 è avvenuto già in alcune cellule nutrici il disfacimento delle tetradi. »« 600 ca. Fig. 7 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig B Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 14—'16. Colle 78—79. 80. 81. 82. 88. 84. 85. 86. 87. 88—91. 92— 98. 94. 95. 96. 97. Origine dell'oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 483 Tav. XXI. Sezione di una rosetta durante ıl disfacimento delle tetradi. >< 600. Sezione attraverso la porzione posteriore della camera terminale, nella zona a tetradi. Nel gruppo di destra, in basso, le tetradi sono già scomparse. >< 600. Sez. tangenz. della vescicola germinativa, allo stadio delle fig. 69—72 per mostrare le sperette periferiche di cromatina. >< 600. Sezioni attraverso gruppi più avanzati per mostrare la fusione del crescente cromatico col reticolo generale della vescicola germinativa, e moltre la formazione delle comunicazioni citoplasmatiche tra l’oocite e le cellule nutrici. >< 600. Oocite binucleato. >< 600. Sezioni attraverso oociti più avanzate per mostrare i rapporti con le cellule circostanti, e specialmente il cono di penetrazione delle cellule nutrici. >< 600. Tav. XXL. Sezione long. di un oocite con due delle cellule nutrici comunicanti. Una delle cellule nutrici mostra la risoluzione granulare della croma- tina. >< 600 ca. 1 Gruppo di cellule nutrici per mostrare una delle moltiplicazioni dei granuli. > 600 ca. Sezioni per mostrare i coni di penetrazione con l’anello cromatico. >< 600 ca. Veduta superficiale di un anello cromatico. >< 1200 ca. Vescicola germinativa ad uno stadio più avanzato. La direzione della freccia corrisponde all’asse longitudinale del tubo ovarico. > 600 ca. Sezione dell’oocite più avanzato del.mese di dicembre; disegnata a piccolissimo ingrandimento per mostrare la forma allungata, già assunta dell’oocite, e corrispondente ad un identico allungamento della vescicola germinativa che è disegnata ad ingrandimento più forte. Mar RACE, Dytiseus. Sezione longit. di un filamento terminale. Ematossilina ferrica. > 600 ca. I Mantis religiosa. Sezione long. di un filamento terminale. Carmallume. >< 400 ca. Dytiscus. Moltiplicazione delle oogonie Cloruro d'oro. >< 1200 ca. Dytiscus. Le coppie 0, per mostrare la regressione del fuso. Cloruro d'oro. -« 1200 ca. Dytiscus. L'oogonia O0, con la caratteristica scissione della cromatina. Cloruro d'oro. >< 1200 ca. Dytiscus. Prima divisione differenziale. In db si scorge uno degli aster e il residuo fusoriale. Cloruro d'oro. >< 1200 ca. Dytiscus. La cellula O, con Vanello cromatico delle figura polare. Ematossilina ferrica. Cloruro d'oro. >< 1200 ca. Dytiscus. Una dalle divisioni differenziali, per mostrare 1 centrosomi. Cloruro d'oro. >< 1200 ca. 31* 484 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. A. Giardina, Origine dell’oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. 98 a, b, c. Formazione delle cellule nutrici del Colymbetes, secondo Will. 99. 100. 101. 102. 103. Dytiscus. Comunicazione citoplasmatica tra una cellule nutrice (N) e l’oocite (0), vista sul vivo. Intorno alla vescicola germinativa vi è una zona di plasma più chiara, non menzionata nel testo, e di cui mi occu- però in un lavoro seguente. >< 600 ca. Dytiscus. Ponti tra l'epitelio e l’oocite. Dal vivo. >< 600 ca. Ameles brevipennis. Ponti tra le cellule follicolari e l'oocite. Dal vivo. x 600 ca. (Sezione ottica. >< 600 ca. Ameles. Ponti tra cellule follicolari e l'oocite (0,), in seguito alla morte. (Sezione ottica.) >< 600 ca. Mus decumanus. Sezione attraverso un follicolo, tangenziale per l'oocite. Mostra 1 ponti e il reticolo periovulare della granulosa. >< 600 ca. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. Internal. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVII. T — ————. (o \ Tith Anst y EA Funke, Leip Bi Internat. Monatsschrift für Anat .u. Phys. Bd.XVII. Taf. IL. Dav.Carazzi: Studi sui molluschi. Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. E Ta TIT. r 4 b 2. 6 b AK SETTER RITI DI Sokolowski del. Wilhelm Adler: Die Entwicklung der äulseren Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd.NVII. ; De: a n: RN : ; 7 "at. IV. Qa [pa 13a | | e » del. wsl Wilhelm Adler: Die Entwicklung der äulseren Körperform und des Mesoderms bei Bufo vulgaris, x t Taf. V. Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. Bd. XVIII. p I) 10. ' Meo PE Sm IN V. Mazza: Note sull' apparato nen: del Regalecus glesne Asc. | | 4 | \ XS 4 5 iv , | à . E i \ : i 4 1 D , D " E x : m " p - , ! i , | i x x "n i 12 E y Wee » i ; " È 1 ' i 1 È i, I E fv Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. Taf Vir i enschlichen Haut. i ATUM D» A QM È "ia yerum Vt D voi r ow 1^4 ¢ j i =) ; Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. BA.XVII. Taf. VIT. = Lith Ansty BA Ent 7 i ] E "D ] ‘ r AT x Y i die say i ql I Hut 5 M s ue F È Am? T" D» 1 C IT , 1 ö P i Lf E x e i , , Ly 4 EN : a fl T x X TESS ae 2 ™ Aen - 2 nm | i Lo j O ü | | | i FILI I 7 ENT n u EH AV / | i EN a : Le i | ZEN Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. AN ES = ? a ALiaontowitsch. del. ; : | A L TE ; ; E, i E Y) Tith Anstv.F. A Funke, .Leontowitsch: Die Jnnervalion der menschlichen Haut. EVI : Li Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Ba.XVI. 33. Tic Ansty E Acres Leip di TNNT De PE sato; oh 1L e Internat. RG siti ì tfü i M | Taf. XI. Internat. Monätsschrift für Anat.u.] hvs. Bd. XVIII. : stv E A Funke, T ANeontowitach. del. LI * bg Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. Taf. XII. A È i S S = È ^ IN x (N IN n N S M N m i È IS 3 P i È à : : S S m x | : S 3 n | = = —— Giuseppe Sperino: Mnefalo di Carlo Giacomini. Ku T Ü LA un me En u WAX PE SAN peuy any jprayosspeuony ELU] Emisfero sinistro, faccia laterale. ourıaodg oddosnro t) opIe) IP Ofegaaug : "IUTUIOOPT dio] xung y g 7 38uy HT Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. TaEXM Cervelletto, faccia superiore. 6. Cervellelto, faccia inferiore. Giuseppe Sperino: Encefalo di Carlo Giacomini. ED - Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. N.Muchin: Zum Bau des centralen Hohlengraues des Gehirns. Taf. XVI. | | | Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVII. | fith Anstv EA Funke, Leipzig N.Muchin: Zum Bau des eentralen Höhlengraues des Gehims. ca Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys. Bd.XVIII : | Taf. XVII. Fig. # Fig.d. Fig.6. Fig.7. Fig.16. Ji we +) SICA ] A Giardina : Origine del’ oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. "Taf. XVII Internat. Monatsschrift für Anat.u. Phys. Bd XVIII ra. b n Fig.22. Fig.2% Fig.26. 0, E ' E a * i = D Fi 9.26. de E oc È e ESO SS KIN 55) 2v Kl KAN & =) DI} A.Giardina : Origine del’ oocite e delle cellule nutrici nel Dyliscus. D C" DO pM M Ù Oh n n - Internat. Monatsschrift für Anat. u.Phvs. Bd. XVIII. i i Taf. XIX. 34. / He : 35. WO ] x D | ree IMS | 2M DE 227 DATA CALI M N N = > bo ( S2 YN Sie BER | mmu ] 34 fe N xs É » 5 < N ar == t TI | / a MESE | \ ¥ Se Le / | RE / | = / «o i D pA Ud } \ 13a, kr. (JE es 7] | LT Je , ee È = ^ ZT ¢ e \ 4 — z 1 Ec gU #0. = > / c i | / E NI 9 P ndti se | sant C ji | | È | 43h. | Hr 2 | Í MIN 145. Ne ^t6. SN UN M + », a! + ex wo.‘ Î 5 * ] ] S { D A. ef *, SAAS . EX 3 BE, Arm a f Mu t >. f ~ 3: | | | MEL \ | \ | \ ME ww || \ nn duo » } Mauer Tfl. AusG E A Funke, Leipzig. A Giardina : Origine del’ oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. PW Pi ro T uo APT 2 0 " 4 i b i i | ® in ee | 7 . ty = * BE 2.1 ‘he i A 5 =" 5 n ni fr. EE x CASS j i € 2 UL va J 2 n dub HELP TE M | . NU EN i ar up ve T in, EOL NM 5 Pi DEA ET E Na E i i u VADA ” E n a H "x NE UA rr CSS pL u L Ó Dm D | NY p 5 LE a J i EN E ^ B Y de = x i) QU » Bs ya J A ke M T, mU nn (up ZI A oe n L m = E ULL P - v f » 3 Le A | j D = A } Pali 7 i "n Internat. Monatsschrift für An at.u. Phys. Ba.XVII Taf XX. i (27, Fig. 57. ie i A.Giardina : Origine del’ oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. Lith.Ansty E.A Funke, M m by b doa TAM 3 Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs. Bd. XVIII. | i Gas 4 | | "no LAGE Aan Le A.6iardina: Origine del’ oocite e de cellule nutrici nel Dytiscus. SES Phys. BA.XVII, | : Taf XXII. s = a Internat. Monatsschrift für Anat.u. a ie 2 = ys} FR [2 D e = $ Tif Austy. E ATunke, Leipzig. A.Giardina : Origine del’ oocite e delle cellule nutrici nel Dytiscus. ds * "n fut BE e Rane a i eS "snosuÁ( [ou rorrnu opng32 aifop o 011900 ,19P oujfrat : euet v Lun gos aper "001 ‘LG AU An ]enpossjuuo]y LIO] U] TIAN DA SAT "XX JUL BL WHO! Library - Serials 5 WHS af 4 È : : PO ur ; LITT * : wu I uU i fr i Y à à 2 " dI pur + à 4 | i e " i Ww nd hy "T a 3 ip,“ Le fen: a a Pe d e uw e i 5 «La a a SPE AS b MELA ALIA