\ NS 74 N \ N At HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. \2A80 CE dad, feto ZEN. | T . "N > PS ER x zy i Ter he Peat 4 RU Internationale Monatsschriit fiir Anatomie und Physiologie. Herausgegeben von R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan, Ed. van Beneden in Liittich, S. Ramon y Cajal in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm E. A. Schafer L. Testut — in Edinburg in Lyon und Fr. Kopsch in Berlin. Band XXVII. " LEIPZIG 1910 Verlag von Georg Thieme. Inhalt. Prof. Dr. Wilhelm Krause T. Dott. Camillo Mobilio, Contributo allo studio dell’organo chera- togeno nei mammiferi domestici. (Con. Tav. I) Dr. Emerico Luna, Lo sviluppo della circolazione sinusoidale nelle glandole soprarenali dell'uomo. (Con. Tav. II). Prof. R. J. Anderson (Galway), The occipital bone in Primates. (With 14 Fig.) . NS A A Re Richard J. Anderson (Galway), The Races on the West Coast of Ireland . MOM e e ra Dott. Domenico con Binzehl e Coutriluts A conoscenza della anatomia e della fisiopatologia renale. (Con. Tav. III, IV) Kurt Schmidt, Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. (Mit Tafel V und 3 Textfiguren) bee CPAS A. Ruffini, Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo della pars periotico-mastoidea del temporale e sul significato dell’apofisi mastoide. (Con Tav. VI—IX). Fr. Kopsch, Referat . ARRE ee on Dott. Giuseppe Favaro, Il miocardio polmonare. Contributi al- Vistologia umana e comparata dei vasi polmonari. (Con Maver XIE SRI Dr. Carlo Besta, Sul reticolo foren a della allie nervosa nei mammiferi. (Con Tav. XII, XIII) . Fr. Kopsch, Referate RE PR MUT TO ee Francesco Maecabruni, I Megacariociti. (Con Tav. XIV) Seite 187 265 313 375 402 445 447 Alex. Vinogradoff, Développement de l'articulation temporo- maxillaire chez l'homme dans la période intra-utérine. (Avec Planches XV ed XVI) Prof. Richard J. Anderson, M. D., Remark and Spinal Fr. Kopsch, Referate s on Impulses Cerebral Seite 490 524 541 Prof. Dr. Wilhelm Krause |. Am 2. Februar 1910 starb im Alter von 76 Jahren Professor Dr. Wilhelm Krause. Er begründete im Jahre 1883 diese Zeitschrift und gab sie bis zum Jahre 1897 heraus. Dem ausdrücklichen Wunsche des Verstorbenen gemäss soll kein Nekrolog verfasst werden, deshalb müssen wir uns auf diese kurze Anzeige beschränken. Professor Anderson hat ohne Kenntnis dieser Be- stimmung einen warm empfundenen Nachruf im British Medieal Journal (26. Febr. 1910) veróffentlicht. Eine Zusammenstellung der zahlreichen Veróffent- lichungen Krauses wird Professor Waldeyer besorgen. a r Veit V a RE à eu Vs SA tie mol Lt LOT A. Schafer in Edinburg Fr Ji in Ber ‘lin. x “LEIPZIG 1910. _ Verlag von Georg Thieme Band XXVII. Heft 1/3 FE a in Lyon é eat ar ; E oe Inhalt. po Seite | Prof. Dr. Wilhelm Krause +) | | | Dott. Camillo Mobilios \Contriputo allo studio dell’organo Mera nei mammiferi domestici. (Con. Tav: D SUUM 11 Dr. Emerico Luna, Lo. stiluppo! della, circolazione sinusoidM “lle alandote soprarenali delluomo. (Con. Tav. II) RR . 52 iM Prof. R. J. Anderson (Galway), The occipital bone in Pirate “(With 14 Fig.) 73 | Yichard J. Anderson (Galway), The Races on the West Coast of Ireland . 8) "Dott. Domenico Cesa-Bianchi, Contributo alla conoscenza della anatomia e della fisiopatologias renale.: (Con. Tav. IM, IV) . lee .2.2,.8 1 Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, eine grössere Anzeul liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. Frankierte Einsendangen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder deutscher Spraohe für die b niGonalo Monatssehrift für Anatomie und Physio- | logie“ werde; direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, Prinzregentenstr. 59, erbeten. Reprints. Contributors desir ing more than 50 extra copies of their articles | can obtain them at reasonable rates by application to e publisher Georg Thieme, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- regentenstr. 59. Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant | à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. i Les articles éerits en allemand, en anglais, en français, en italien ou en latin 1 doivent étre adressés à l'un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopsch | à Wilmersdorf prés de Berlin, Prinzregentenstr. 59. Die bisher erschienenen Bande kosten: bd (0 0 be MOOD Be xiv o ru v uc. COT a QUA ie co Mae lo go MN uei DD. RNC E Ie cou us qusc e iot de Ce) Ge I iii, I Ner e c coo Rec XB T c Ux et Pic LUND Uu I e Mc Ghee AAO CRN hats au ror c ME] iM. ur ui i cose mig MN EE SME AN msi ut NN DICK OX HEU eam ih NIE UII E OMIM ST oe DOTI Bee MM cio nee ORT C tr EUR ER Une xo ps Uns ER ASIE dur e roD Me ORT. 2i ra CMe aa UA eval N co E RL i RA M a PNT NUO SUA 5 SX VI 2 c eee Ba. Li XXV statt M. 1706. 30 nur M. 1200. — har, (Istituto di Anatomia Normale della R. Scuola Superiore Veterinaria di Torino diretto’ dal Prof. U. Zimmer.) Contributo allo studio dell’organo cheratogeno nei mammiferi domestici. !) Dott. Camillo Mobilio, Aiuto e Libero Docente. (Con Tav. I.) L'organo cheratogeno del piede degli equini, a differenza di quello degli altri animali domestici, è stato oggetto, come a tutti è noto, di numerose osservazioni, per cui si può dire essere una delle parti che maggiormente ha richiamato l’attenzione degli studiosi. E tale in- teressamento è giustificato sia dalla sua grande importanza funzionale sia dai molti processi morbosi di cui può essere la sede e per i quali si richiede spesso l'intervento medico e chirurgico. Nel leggere però le pregevoli memorie che sono state scritte intorno a questo argomento, facilmente ci si può convincere come non tutte le parti siano state studiate esaurientemente, e come alcune siano State trascurate rispetto ad altre di non maggiore importanza. E ciò riguardo all’organo cheratogeno degli equini, senza parlare 1) Dei risultati delle presenti ricerche ho potuto riferire, presentato gentilmente dal Prof. A. Bovero al quale mi è grato rendere qui pubblicamente sentiti ringra- ziamenti, alla R. Accademia di Medicina di Torino, nella seduta del 18 giugno 1909. (Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino. Vol. XV, a. LXXII, fasc. 6—8, 1909). Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 1 DI Camillo Mobilio, dl degli altri animali domestici, per i quali gli anatomici si sono limitati a riportare senz'altro le nozioni che si avevano nel primi. Contribuire pertanto a colmare le lacune che ancora si hanno su questo interessantissimo organo negli equini ed estendere le osserva- zioni anche nei rimanenti mammiferi domestici è lo scopo del presente lavoro. Le presenti ricerche riguardano: la distribuzione topografica del tessuto elastico, dei vasi sanguigni e linfatici: a queste ho creduto conveniente aggiungere qualche delucidazione sulla disposizione dei fasci connettivi, poichè le descrizioni che ne vengono date in alcuni casi non mi son sembrate sufficienti e talvolta neanche corrispondenti a quanto io ho osservato, mentre un concetto esatto di essa ho stimato fosse necessario per poter meglio comprendere il modo di comportarsi delle fibre elastiche. Gli animali studiati sono: Perzssodactyla: equus caballus, eq. asi- nus, eq. mulus, eq. bardottus; artiodactyla: bos taurus, ovis aries, capra hireus, sus scropha (var. domestica); carnivora: canis familiaris, felis domestica; rodentia: lepus cuniculus. A questi, per le fibre elastiche, si deve aggiungere il cinghiale, che ho voluto esaminare, poichè ne ho avuto l’opportunità, per vedere se mai vi fossero variazioni rispetto all’animale affine che mena vita domestica. Riguardo alla tecnica, devo dire che per la colorazione del tessuto elastico mi son servito del metodo Unna-Taenzer modificato dal Livini ed a scopo di controllo ho pure usato il metodo alla fucsina di Weigert, ottenendo coll’uno e coll’altro eguali risultati. Per lo studio dei vasi sanguigni ho praticato l’iniezione con le comuni masse di gelatina al bleu di Prussia ed al carminio. Per i linfatici mi son servito dell'inchiostro di china, praticando l'iniezione nello spessore del derma, con una siringa di Pravaz, in piedi in cui già erano stati previamente iniettati i vasi sanguigni, e ciò allo scopo di evitare facili errori d'interpretazione. Devo però subito ag- giungere che l'iniezione dei linfatici riesce sempre molto difficile, per cui il numero dei preparati veramente dimostrativi è stato piccolo relativamente a quello grande delle iniezioni praticate. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 3 Tessuto elastico. Tutti i trattatisti e ricercatori che si sono occupati del tessuto chera- togeno accennano alla presenza di tessuto elastico in esso, ma o non ne danno alcuna descrizione oppure questa, che di solito si limita ad alcune parti soltanto, è molto sommaria. Io passo a trattare delle diverse parti dell’organo cheratogeno, facendo precedere sempre un riassunto che indichi quanto gli studiosi fino ad oggi hanno detto a proposito dell'argomento di cui mi occupo e citando soltanto quelli che hanno portato qualche contributo perso- nale, onde tralascerò tutti gli altri che si son limitati semplicemente ad ammettere la presenza degli elementi che ora c’interessano, perchè altrimenti si avrebbe una maggiore lunghezza del lavoro senza alcun vantaggio. Perissodactyla. Equus caballus — eq. asinus — eq. mulus — eq. bardottus. Cercine coronario. Di questa parte dell'organo cheratogeno nessuno tratta la distribu- zione topografica del tessuto elastico, tutti limitandosi semplicemente a rilevarne l'abbondanza. Nel tessuto connettivo lasso che unisce lo strato profondo del corion sottungueale coronario alle parti sottostanti trovansi molte fibre elastiche di diametro variabilissimo: alcune molto esili, altre, molto abbondanti, di volume medio, alcune altre infine poco numerose ma molto grosse. Tutte hanno un decorso molto ondulato e contorto, si ripiegano di qua e di là, corrono in tutti i sensi; si vedono delle aree in cui esse sono abbondanti ed altre in cui scarseggiano. Ogni tanto poi s'incontrano delle zone in cui tali elementi, di solito sottili, formano una fitta rete, intersecandosi in ogni modo. Lo strato profondo del corion sottungueale coronario si può dividere in due strati: uno centrale, l’altro periferico. Nel primo le fibre connettive hanno una direzione determinata, sono raccolte cioè in fasci aventi direzione parallela alla curva del cercine, vale a dire che son diretti dall’alto al basso con una curva a convessità esterna, alter- nati da altri, ed in maggior numero, che corrono circolarmente, e gli 1* 4 Camillo Mobili. uni e gli altri intersecati da nuovi fasci che hanno direzione differente. Questi incominciano da uno dei fasci circolari o verticali e poi si ripiegano, con angolo più o meno acuto, per dirigersi obliquamente in senso circo- lare, verticale ed antero-posteriore, unirsi qua e là con altri fasci simili ed abbracciare quelli da cui derivano. Nello strato periferico questi ultimi fasci sono diventati numerosi; le fibre parallele alla curva del cercine sono scarse o mancanti ed i fasci circolari sono frammentati, per cui, in una sezione verticale del cercine, appaiono ad aree molto meno sviluppate di quelle dello strato centrale e contenuti nelle areole che formano i fasci predetti. Le fibre elastiche nello strato centrale corrono nel connettivo lasso che unisce i diversi fasci connettivi, sono piutosto esili, molto flessuose ed in poco numero. Esse seguono prevalentemente la direzione dei fasci stessi. — Ve ne sono altre poi che corrono tra le fibre connettive, sono sempre relativamente scarse, ma non nella stessa misura in tutti i fasci, e seguono ordinariamente la direzione di questi; ve n'é però qualcuna che corre in direzione obliqua, come si rileva dal fatto che, in sezioni trasversali ai fasci, si vedono delle fibre elastiche tagliate a becco di clarino, e nelle sezioni longitudinali se ne osservano dei seg- menti che si dispongono ad X sui fasci stessi. Nello strato periferico, le fibre elastiche dei fasci circolari sono ridotte a poche, mentre sono aumentate nei fasci areolari. In questi, conservandosi sempre sottili, corrono parallele tra loro ed alle fibre connettive, solo di rado si passano l'una sull'altra, e, poichè i fasci s'incontrano e si compenetrano continuamente, nelle aree d’incrocio le fibre elastiche formano delle bellissime reti a maglie più o meno ser- rate, talvolta regolari, dove s'incontrano due soli fasci, tal'altra irrego- lari, dove se ne incontrano più di due. Tali maglie appariscono regolari ed eleganti anche nei casi in cui convergono tra loro tre fasci, di cui due trovansi nello stesso piano e l’altro viene presso che perpendicolare ad essi: allora tra le maglie elastiche dei due primi fasci appaiono dei punticini, rappresentanti quelle del terzo, tagliate trasversal- mente. Questa tessitura appare sempre più netta a misura che ci si avvi- cina allo strato superficiale del corion sottungueale, e nel limite tra Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 5 lo strato profondo ed il superficiale le fibre elastiche formano uno straterello più denso ed un intreccio più complicato. Da questo straterello, che distingueremo con la denominazione di sottopapillare, ed anche direttamente dai fasci areolari, le fibre elasti- che risalgono nelle papille e nei villi. Nello strato superficiale del corion sottungueale coronario le fibre elastiche sono dunque una continuazione di quelle dello strato profondo; sono esili e, relativamente, non molto abbondanti. Le fibre elastiche dai fasci areolari, quando sono giunte a breve distanza dalla base dei villi, si dirigono decisamente verso questi, con leggere ondulazioni, e vi penetrano frammischiandosi con quelle che si ripiegano, per passare nei villi stessi, dallo straterello sottopapillare. Tutti questi elementi elastici si dispongono nel connettivo che forma la base del villo e sono più accumulate nella parte periferica, cioè presso la membrana basale. Alcune fibre, in scarso numero, s'innalzano nel villo correndo per tutta la sua lunghezza, e, salvo le lievi ondulazioni, si può dire paral- lele a questo; le altre invece, dopo un tragitto più o meno lungo, sinclinano di lato, s'incrociano ad angolo più o meno acuto con le vicine, per terminarsi infine, a diversa altezza, presso la membrana basale. Alcune fibre elastiche si possono talvolta seguire in modo da vedere come scorrano da un lato del villo all'altro, in senso obliquo dalla base verso lestremità, girando sulla periferia del con- nettivo e quindi con cammino ellissoidale. Se ne vede ancora qualcuna che passa nella parte centrale del villo, tra il connettivo interposto al vasi. Nelle papille secondarie del villo, studiate da! Bossi, si ripiegano anche esili e brevi fibre elastiche, le quali vi si disperdono correndo obliquamente dalla base verso l'estremità ed incrociandosi variamente con le altre. Anche nelle papilie le fibre elastiche sono in buon numero ed il loro insieme, osservando una sezione verticale di quelle, raffigura un triangolo con la base molto larga guardante il corion e con l'apice rivolto alla periferia. Tali fibre, piuttosto esili, sono anch'esse varia- 6 Camillo Mobilio, mente intrecciate, principalmente verso la base della papilla, dove sono più numerose, e vanno poi man mano terminando, allo stesso modo di quelle dei villi. La disposizione delle fibre elastiche nel cercine coronario, quale finora l'abbiamo descritta, si mantiene eguale in tutte le regioni. Dob- biamo solo notare che la quantità degli elementi elastici, come anche il loro diametro, va aumentando a misura che si procede verso le mammelle, i quarti, i talloni e gli angoli d'inflessione. Però questa progressione si verifica per lievi gradi, per modo che guardando due preparati di regioni vicine difficilmente si nota subito la differenza, mentre ciò avviene qualora si esaminino l’un dopo l’altro un preparato della regione della punta del piede ed uno degli angoli d’inflessione. Nella porzione plantare del cercine coronario la tessitura che abbiamo finora vista nelle precedenti parti ha delle variazioni, onde la descriviamo a parte. i Nello strato profondo del corion sottungueale coronario della faccia plantare vi è una grandissima quantità di fibre elastiche, le quali, oltre ad essere in numero maggiore, hanno uno spessore più grande di quelle delle altre regioni del cercine stesso. Esse sono così variamente di- sposte ed aggrovigliate fra di loro, corrispondentemente al complicato intrecciarsi dei fasci connettivi, che riesce difficilissimo poterne indicare la disposizione. Ve ne sono di quelle che corrono tra le fibre componenti i fasci fibrosi e paralleli a questi, altre che scorrono nel connettivo lasso, si dirigono da un lato all'altro, dall’avanti all'indietro, dall'alto al basso, si ripiegano in ogni direzione, s'intersecano, s'incrociano in tutti i modi con le altre, in maniera che tutto il loro insieme assume un aspetto spugnoso. Anche lo strato elastico sottopapillare è più ampio e l’intreccio è più serrato. Nelle papille e nei villi si nota lo stesso aumento e di numero e di dimensione, sono anche in maggiore quantità le fibre elastiche che sì portano nelle papille secondarie di quest'ultimi; l’intreccio che si forma in queste parti è ben evidente e l'insieme degli elementi elastici, sia in sezioni circolari che in quelle oblique delle papille e dei villi, ricorda un po’ la caratteristica disposizione che si osserva dello stesso tessuto nelle arteriole. Contributo allo studio dell'organo cheratogeno etc. 7 Cercine perioplico. A proposito della distribuzione del tessuto elastico in questo cer- cine non si trova scritto nulla di più di quanto si è visto per il cer- cine coronario. Nel cercine perioplico si ha la stessa disposizione delle fibre elasti- che quale si è vista nell’altro cercine, vi è da notare però che in quello tali elementi sono in numero molto maggiore ed hanno anche uno spessore leggermente più grande, quindi l’intreccio a cui danno luogo nel cercine perioplico è più serrato. (Tav. Fig. I.) Dobbiamo osservare ancora che nella porzione posteriore del cer- cine perioplico, là dove ricopre i bulbi, in alcuni villi si vedono le fibre elastiche salire in questi senza incrociarsi, ma a fascetti che cam- minano a zig-zag e l’ondulazione aumenta presso l'estremità del villo. Nel solco tra i due cercine non vi è, com'é naturale, interruzione alcuna di tessuto elastico, le fibre si continuano dal perioplico al coro- nario intrecciate nello stesso modo di quanto si verifica nelle altre parti di essi. Tessuto vellutato. Anche qui non si trova alcuna descrizione. Nella zona periferica del tessuto vellutato (Chauveau - Arloing- Lesbre) o cheratogeno della suola (Bossi) il modo di comportarsi delle fibre elastiche ricorda molto quello della porzione plantare del cercine coronario. Nella zona centrale (Chauveau-Arloing-Lesbre) ossia nel cheratogeno del fettone (Bossi), si riproduce rispetto allo strato superficiale, quanto si è osservato nell'ultimo tratto del cercine perioplico. (Tav. Fig. III.) Lo strato profondo, rappresentato dal cuscinetto plantare, verrà descritto a parte. Tessuto podofilloso. Tutto quello che è stato detto a proposito del tessuto elastico in questa parte è completamente compreso nelle parole di Chauveau- Arloing-Lesbre, i quali nel loro classico trattato scrivono: „Vi si nota un gran numero di fibre elastiche.“ | Lo strato profondo del corion sottungueale podofilloso, ossia il 9 Camillo Mobilio, reticulum processigerum del Bracy Clark, stratum periostale e vascu- losum del Möller, appare formato da un insieme di grossi fasci con- nettivi diretti in vario modo: alcuni corrono dall'alto al basso, per un tratto più o meno lungo, secondo la direzione delle lamine del tessuto podofilloso stesso nelle diverse regioni e nelle sezioni trasversali ap- pariscono come tante aree rotonde o più o meno ovalari; altri si por- tano dalla superficie ossea verso l’esterno, piegano da un lato o dal- l’altro, s'incrociano e s'ingranano con altri simili, dando luogo così a degli spazî areolari, di varia forma, in cui son compresi i fasci precedenti. Tutti questi fasci fibrosi, il cui insieme forma una membrana 2 canevaccio, restano uniti tra loro da tessuto connettivo lasso. Nei fasci fibrosi e paralleli a questi corrono delle fibre elastiche; in alcuni di essi queste sono piuttosto in scarso numero, in altri invece se ne trovano moltissime, di modo che in una sezione trasver- sale di uno di tali fasci si vedono numerosi punti colorati, che egua- gliano quasi il numero delle fibre connettive. Nelle sezioni longitudinali dei fasci, le fibre elastiche si vedono correre ondulate ma secondo la direzione dei fasci stessi e quasi parallele tra loro, solamente qualche volta due fibre si passano luna sull'altra. Nel connettivo lasso trovasi anche un discreto numero di fibre elastiche, le quali si volgono in tutte le direzioni e s'incrociano in tutti i modi tra loro. Da questo strato profondo del connettivo sottungueale podofilloso, in vicinanza della base delle lamine, partono diversi fasci fibrosi che penetrano in queste per formarne lo stroma, unitamente ad altri fasci che scendono dal cercine coronario. Quest/ultimi hanno decorso longi- tudinale, parallelo cioè alla direzione della lamina, corrono ora diritti ora leggermente flessuosi e sono in numero prevalente in corrispondenza della parte periferica della lamina, cioè verso la metà che corrisponde al margine libero; gli altri, che derivano dal reticulwm processigerum, piegano dalla base della lamina su ciascuna faccia di questa ed alcuni vi penetrano anche dalla parte centrale. I primi hanno un decorso leggermente obliquo, ora rettilineo ora un po’ arcuato, dall’alto al basso e dalla parte centrale verso la parte cornea, cioè dalla base verso il margine libero della lamina, s'incrociano e s'intrecciano con i fasci pro- Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. (0) venienti dal cercine coronario, mandano qua e là, tra i vasi, delle pro- paggini che si portano da una faccia all’altra o si uniscono con altri che provengono dalla faccia opposta ed altre che vanno a formare lo stroma delle lamelle secondarie e delle villo-papille terminali; i secondi dalla parte centrale della base della lamina si spingono in questa e, appena incontrano un vaso, si biforcano, si diramano e le loro suddi- visioni in gran parte volgono di lato per confondersi con i fasci che trovansi sulle facce deila lamina, in parte circondano i vasi per seguire poco dopo la stessa sorte dei precedenti. Nelle lamelle secondarie vedonsi alcune fibre che corrono parallele alla direzione delle lamelle stesse, dalla base verso l’apice, altre, dopo breve decorso, s’incurvano verso l’epitelio, altre si piegano verso la parte centrale e tutte sincrociano e si frammischiano fra loro. Nelle villo-papille terminali, com'é noto, il tessuto connettivo si comporta allo stesso modo di quello dei villi. Stabilito così il modo di comportasi dei fasci di tessuto connettivo fibroso nelle lamine podofillose, veniamo ora ad esaminare il modo di distribuzione dell'elemento elastico: Guardando una sezione di lamina podofillosa si rileva subito l’abbon- danza delle fibre elastiche. Esaminando una sezione trasversale, si osserva che la maggior parte delle fibre elastiche ha un decorso parallelo a quello delle fibre connettive; così si vedono dei segmenti di linee elastiche più o meno lunghi che scorrono tra i fasci connettivi provenienti dal reticulum processigerum, quasi paralleli fra loro; altre fibre sono tagliate a sbieco, e, movendo la vite micrometrica, si osserva facilmente come esse siano dirette in senso obliquo, e tutte sono talvolta rivolte diretta- mente dalla base verso l'orlo anteriore della lamina, ma più spesso sono più o meno inclinate lateralmente ossia sono dirette dalla base verso il margine libero e da una faccia verso la parte centrale o vice- versa; ve ne sono altre infine che appariscono come tanti punticini colo- rati, raccolti in aree ovalari od ellissoidali ed anche lineari, ed appar- tengono, come facilmente si comprende, ai fasci connettivi derivanti dal cercine coronario. (Tav. Fig. IL.) Tra tutte queste fibre a decorso parallelo fra loro, se ne nota un 10 Camillo Mobilio, certo numero, relativamente scarso, che si scostano dalla direzione comune. Alcune di queste si vedono, sul piano della sezione, piegare verso la parte centrale della lamina, tra i vasi, seguire un cammino ora regolare, diritto, ora tortuoso, incrociarsi con altre provenienti dalle parti vicine e dar così luogo ad un reticolo a maglie molto irregolari ed ordinariamente molto ampie. Tra queste maglie e tra le altre fibre, che abbiamo poco fa descritte come appartenenti ai fasci fibrosi deri- vanti dal reticulum processigerum, si vedono ogni tanto dei punti colo- rati, alcuni rotondi altri ovalari, che stanno a rappresentare fibre elastiche a decorso parallelo alla direzione della lamina o che percorrono questa in senso obliquo. Anche tra le aree punteggiate, le cui fibre elastiche appartengono cioè ai fasci fibrosi diramati dal cercine coronario, si osservano delle sezioni allungate, che dimostrano come alcune fibre, data la loro obli- quità, siano state tagliate a sbieco. Nelle lamelle podofillose trovansi anche molte fibre elastiche. Queste nelle lamelle maggiori sono distribuite in modo che in ciascuna di esse si possono distinguere due zone: una centrale e l’altra peri- ferica. Nella zona centrale le fibre elastiche si mostrano come tanti segmenti di linea più o meno lunghi, alcuni in piano orizzontale lungo tutto il loro decorso, altri un po’ obliqui; talvolta si può seguire qualche fibra lungo tutta la lamella, dalla base all’apice, ed allora la si vede descrivere delle piccole ondulazioni, principalmente verso la sua parte terminale. Tra tutte queste linee, che ora son parallele tra loro ora sincrociano in vario senso, vedonsi di tratto in tratto dei punti rotondi e qualcuno ellissoidale. Nella zona periferica, ossia in quella che è in rapporto coll’epitelio, invece osservasi una quantità relativamente grande di fibre sezionate trasversalmente le quali son disposte lungo una linea, più o meno spessa ed irregolare, tutta punteggiata, intramezzata soltanto qua e là da qualche lineetta che si fa strada tra i punti. Anche nelle lamelline, ossia nelle diramazioni che si osservano spesso nelle lamine secondarie, si osservano poche fibre elastiche, quasi in eguale misura sotto forma di linee e punti. Devo però far notare che la disposizione ora descritta, quale si Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 11 osserva frequentemente nelle sezioni trasverse delle lamelle podofillose più sviluppate, non appare netta in ciascuna di esse e tanto meno nelle altre più piccole, perchè spesso le due zone si confondono, di modo che si può vedere tutto uno strato punteggiato, intramezzato qua e là di qualche lineetta più o meno lunga e tortuosa, o viceversa tra molte linee variamente tra loro intrecciate si possono osservare dei punti sparsi. Talvolta accade anche di osservare la zona periferica solamente. Esaminando ora una sezione longitudinale di una lamina, ossia una sezione condotta parallelamente allo superficie di essa, vediamo proiet- tarsi sia dal cercine coronario che dal reticulum processigerum una grande quantità di fibre elastiche, le quali si possono seguire per lungo tratto. Molte di queste fibre elastiche hanno un decorso rettilineo e parallelo ai fasci fibrosi e tra loro, altre invece restano parallele soltanto per un certo tratto e poi cambiano direzione; ve ne sono an- cora di quelle che hanno un decorso irregolare, a zig-zag, si rivolgono in ogni senso, s'incrociano e s'intersecano con altre simili, dando cosi luogo ad un vasto reticolato, a maglie ora fitte ora ampie, ma sempre irregolari, sia per la forma che per la disposizione. Fra tutte queste fibre che in tal modo si osservano per gran parte del loro *decorso e che hanno dimensioni presso che eguali, di medio diametro, si osservano di tanto in tanto delle aree di lineette brevi ed oblique, come anche dei punti qua e là sparsi o isolatamente od a piccoli gruppetti. | Nelle lamelle secondarie si osservano molte fibre che si possono seguire per lungo tratto: alcune percorrono tutta la lamella, descrivendo delle ondulazioni ora molto ampie ora brevi, altre camminano diritte per un certo tratto e poi s'incurvano, dirigendosi verso la periferia, e quasi tutte si accavallano e s'intersecano con le altre. Solo di tanto in tanto si vede qualche punto che indica la sezione trasversa di qualche fibra. Ho esaminato ancora qualche lamina intiera, guardandola da una faccia, sia perfettamente intatta che dopo la raschiatura dell'epitelio, ed ho potuto vedere come presso la faccia stessa vi siano molte fibre, dirette longitudinalmente, parallele fra di loro ed ondulate, molte altre dirette obliquamente, come i fasci provenienti dal reticulum processi- Jua Camillo Mobilio, gerum, altre correnti per un certo tratto orizzontalmente alla lamina ed altre ancora ripiegate in tutti i modi, in maniera che dall'insieme risulta un reticolato molto irregolare e fitto. Cosi che, riassumendo, possiamo conchiudere che nelle lamine podo- fillose si trova abbondante tessuto elastico; che questo è una dipen- denza di quello che trovasi nel cercine coronario e nel reficulum pro- cessigerum; che molte fibre elastiche sono parallele ai fasci fibrosi, altre sì rivolgono in vario senso, di modo che nell'insieme si ha un retico- lato elastico molto complesso, con alcune fibre che corrono parallele alla direzione della lamina e tra loro e descrivono delle ondulazioni, con altre che sono dirette obliquamente dall'alto al basso e dalla base della lamina verso l'orlo periferico, oppure verso le facce, ora diritte ora arcuate a convessità rivolta eccentricamente, con alcune ancora dirette per un certo tratto orizzontalmente ed altre infine a decorso molto vario. Nelle lamine secondarie trovasi anche molto tessuto elastico, le cui fibre sono dirette dal margine aderente verso l’opposto, presso il quale alcune arrivano, altre invece piegano man mano sulle facce, fer- mandosi presso l’epitelio e qualcuna si spinge nelle lamelline, quando queste esistono. Ve ne sono ancora di quelle che si ripiegano e si rivol- gono da una parte ail’altra, incrociano variamente le altre, di modo che dall'insieme risulta un'impalcatura elastica, le cui fibre sono molto e variamente intricate fra loro. Nelle villo-papille terminali le fibre elastiche si dispongono come nei villi del cercine coronario. Devo ora ricordare che le fibre elastiche, in grandissima quantità e con un intreccio inestricabile, contornano l'orlo preplantare del triangolare e si continuano direttamente con quelle della suola. La stessa continuità si verifica, com'è naturale, tra il podofilloso alle barre e la suola stessa. Riguardo alla quantità del tessuto elastico nel podofilloso delle diverse regioni possiamo dire che non si notano differenze. Artiodactyla. Bos taurus. I fasci di tessuto connettivo del cercine coronario del bue ricor- dano, per la loro disposizione, molto quelli degli equini. E da notare * Contributo allo studio dell'organo cheratogeno etc. 13 soltanto che essi, in generale, sono più grossi e che nella zona peri- ferica dello strato profondo del corion, zona che si presenta anche nel bue più areolata di quella che non sia la profonda, si vedono molti fasci i quali sono diretti verticalmente, ma non sono paralleli alla curva del cercine; invece, a misura che si portano in basso, si vanno dividendo e ciascuna diramazione s'insinua tra gli altri fasci a direzione circolare ed irregolare. Anche riguardo alle fibre elastiche, nel suddetto strato profondo, poco si nota di differente da quanto abbiamo visto negli equini, ad eccezione del numero il quale nel bue è molto superiore a quello dei predetti animali. Nello strato superficiale del corion si nota anche la stessa disposi- zione del tessuto elastico quale l'abbiamo descritta in quello degli equini; anche qui peró dobbiamo notare un aumento di numero ed inoltre si osserva un decorso più ondulato delle fibre stesse. Riguardo alla quantità dell'elemento in discorso nelle diverse regioni del cercine coronario, devo fare osservare che essa va legger- mente aumentando dal margine anteriore della terza falange verso le facce e raggiunge il suo massimo in corrispondenza della faccia esterna. Riguardo al cercine perioplico del bue non vi è da notare altro che l'aumento quantitativo dell’elemento elastico rispetto al coronario è molto meno sentito di quanto sia negli equini, trovandosi nei due cer- cini presso a poco lo stesso numero di fibre. Nel tessuto vellutato si ha un lieve aumento di fibre elastiche rispetto a quelle dei cercini, ma la disposizione è la stessa. 2 Nello strato profondo del corion sottungueale podofilloso trovasi una grandissima quantità di fibre elastiche, molto superiore a quella degli equini. ‘Tali fibre, di medio spessore, formano un intricatissimo intreccio, il quale diviene sempre piu serrato a misura che ci si avvi- cina allo strato superficiale. Nelle lamine podofillose invece il numero delle fibre è inferiore a quello degli equini. La maggior parte delle fibre elastiche corre in senso trasversale alla lamina, alcune dalla base verso l'apice con de- corso fortemente ondulato, come i fasci connettivi, altre tortuose e ripiegate da una faccia verso l'altra, dalla parte centrale verso una è 14 Camillo Mobilio, delle facce o viceversa. Ve ne sono poche dirette verticalmente ed altre, in quantità media, hanno direzione obliqua. Le stesse fibre sono raccolte in quantità maggiore presso le facce della lamina, in vicinanza dell'epitelio, e quivi, guardando a piccolo ingrandimento, si osserva uno straterello lineare, costituito dal succedersi di tanti piccoli segmenti di fibre elastiche, diretti alcuni obliquamente dalla base della lamina verso l'orlo anteriore e dalla parte centrale verso le facce, altri incrociano la direzione dei precedenti e tra tutti notansi dei punti. Queste stesse fibre si spingono poi nelle piccolissime lamelle secondarie che trovansi talvolta ogni tanto nelle lamine podofillose. Nel tessuto cheratogeno delle piccole dita del bue si nota la stessa disposizione del tessuto elastico quale l’abbiamo descritta nelle grandi, ed è caratteristico il fatto che la quantità di tale tessuto, rela- tivamente alle dimensioni delle dita, nel cheratogeno delle piccole non è inferiore a quella delle grandi e solo si osserva una lieve riduzione di spessore delle fibre elastiche. Nell’ovis aries e capra hircus, il tessuto elastico si comporta come nel bue. Sus scropha. La disposizione del tessuto elastico nel cheratogeno delle grandi dita del maiale ricorda molto quella del bue. Anche nel maiale l'aumento in quantità di fibre elastiche non è molto accentuato nel cercine perioplico rispetto al coronario; è da no- tare però che sia nelluno che nell'altro cercine le fibre elastiche sono un po’ più abbondanti relativamente a quelle del bue ed hanno anche uno spessore leggermente maggiore. Lo straterello sottopapillare è nel maiale molto ben delineato. Nessuna differenza degna di rilievo notasi nelle altre parti del che- ratogeno del maiale in rapporto al bue. Nell’organo cheratogeno delle piccole dita il tessuto elastico si comporta allo stesso modo che nelle grandi ed è degno di nota il fatto che la quantità dell'elemento in discorso, come del resto anche lo spessore delle fibre, è in generale quasi eguale nelle diverse dita, non ostante l’uso continuo delle une ed il riposo delle altre. Contributo allo studio dell'organo cheratogeno etc. 15 Cinghiale. Poichè ne ho avuto l’opportunità, ho voluto esaminare anche il cheratogeno del cinghiale, pur non essendo esso compreso tra i nostri animali domestici, allo scopo di vedere se la vita di moto che mena questo animale, in contrapposto a quella di quiete che conducono i maiali di allevamento domestico, che io a tal uopo ho potuto studiare, abbia influenza sulla quantità dell'elemento elastico. In realtà pare che l'uso sul tessuto elastico dell’organo cheratogeno non abbia alcuna influenza oppure questa è lievissima. Difatti anche nel cinghiale la quantità delle fibre elastiche, come il loro spessore, è eguale a quella del maiale, e solo talvolta si nota una leggerissima prevalenza nel primo, principalmente nella suola, allo stesso modo di quanto abbiamo osservato nelle piccole dita, sia del maiale che del cinghiale, in cui l'elemento elastico è nello stesso rap- porto di quello delle grandi e soltanto talvolta si nota una lieve dimi- nuzione nelle prime. Carnivora. Canis familiaris. Data la difficoltà di poter isolare la membrana cheratogena del cane in modo da poterla studiare opportunamente, io ho creduto bene fare delle sezioni in serie, sia in senso trasversale che verticale, di tutta la terza falange, dopo aver tolta l'unghia e dopo aver decalcificato il rimanente, trattandolo col noto metodo della fluoroglucina preparata col- l'acido nitrico. In seguito le sezioni sono state trattate nel solito modo. Lo stesso procedimento ho poi usato per le osservazioni del che- ratogeno del gatto e del coniglio. In riguardo al tessuto elastico, il corion dell’organo cheratogeno dell'unghia del cane si può dividere in tre zone: una centrale, una media e l’ultima periferica. Nella zona centrale, la quale occupa circa un quarto dello spessore del corion, le fibre elastiche trovansi in numero piuttosto considere- vole. La maggior parte di esse, con un decorso ondulato, corre in dire- zione longitudinale, cioè dalla scissura circolare della falangetta verso la punta; alcune compiono un cammino quasi circolare, altre, in numero medio, corrono obliquamente. 16 Camillo Mobili, Nella zona media, che occupa i due quarti dello spessore, l'ele- mento elastico è scarso e le poche fibre corrono tra i fasci connettivi, serpentine e dirette trasversalmente ed obliquamente; qualcuna soltanto ha un decorso longitudinale. Tali fibre elastiche, come i fasci connet- tivi tra cui son comprese, limitano col loro intrecciarsi tante piccole areole, in cui trovasi dell’adipe. La zona periferica, che potremo chiamare anche sottoepitehale, ha su per giù la stessa estensione della centrale e come questa è ricca di fibre elastiche, le quali son disposte anche presso a poco nello stesso modo. Nella zona periferica però le fibre elastiche formano un intreccio un po’ più serrato e complicato e si terminano poi alla base dello strato epiteliale. La disposizione che abbiamo ora descritta si osserva nella maggior parte dell'estensione dell’organo cheratogeno. Dobbiamo però notare che in corrispondenza delle facce laterali si osservano delle esili e brevi fibre elastiche le quali si spingono nelle piccole papille che quivi trovansi, ed ancora si osserva una diversa distribuzione topografica del tessuto elastico nel cheratogeno della suola ed in quello che trovasi nella scissura circolare della falangetta. Nello strato profondo di queste parti le fibre elastiche sono intrec- ciate in tutti 1 sensi e non danno luogo a zone distinte; nello strato superficiale, dove trovansi villi e papille, l’elemento elastico si dispone come negli equini. Nel gatto, felis domestica, e, tra i Rodentia, nel coniglio, lepus cuniculus, si notano le stesse particolarità osservate nel cane. Cuscinetto plantare. È ammessa da tutti la natura fibrosa-elastica del cuscinetto plan- tare negli equini, ma quelli che ne hanno veramente descritto la di- sposizione del tessuto elastico sono due: il Bossi ed il Richter. Molti si sono occupati della natura della polpa giallastra contenuta nelle areole formate dai fasci fibrosi, ma di questa diremo in seguito. Il Bossi, nella sua pregevolissima memoria ,Dell'apparecchio tegu- mentario del piede del cavallo 1891“ scrive, a pag. 7: „Qualche autore ritiene che il cuscinetto plantare risulti formato esclusivamente da Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 17 tessuto elastico, ma ciò non è assolutamente esatto. Esso risulta costi- tuito da tessuto connettivo fasciforme, mescolato a tessuto elastico ed a tessuto adiposo. Le fibrille connettive elementari munite di corpuscoli con esilissimi processi danno luogo alla formazione di grossi fasci tra i quali, come nel tessuto tendineo, si trovano canali di varia dimensione o spazi interfascicolari. Mescolate a questi fasci si trovano fibre di tessuto elastico le quali, generalmente, nelle sezioni presentano una elegante disposizione formando una trama a larghe maglie regolarissime“. Il Richter ne da, nella sua bella memoria ,,Les prétendus organes élastiques du pied“ una più estesa descrizione: „Il cuscinetto plantare si compone di fasci di tessuto connettivo fibroso misti con numerose fibre elastiche. Queste sono in maggior parte disposte parallelamente le une accanto alle altre, in modo che alternano con i fascetti di tes- suto connettivo, cosichè si vedono in certa maniera strisce dei due tessuti le une accanto alle altre, oppure stanno più o meno fittamente serrate nel connettivo, vicine tra loro e mostrano in tal caso un corso più o meno serpeggiante, ed in parte spirale ed in apparenza con molteplici inflessioni e simili. Per l’incrociamento e l’intreccio vario di tali fasci e fascetti di tessuto connettivo nasce un'impalcatura d'intrec- cio con spazi, i quali sono pieni di grasso. Mentre le fibre elastiche appariscono nei glomi piü numerose e insieme piü lunghe, piü sottili e fine, sono al contrario nella forchetta più grosse, più brevi e meno abbondanti. Parimenti non si puó fare a meno di riconoscere una manifesta diminuzione del tessuto adiposo della forchetta in confronto a quello dei glomi.“ Ma prima di venire a trattare della disposizione del tessuto elastico nel cuscinetto plantare, credo necessario premettere poche parole in riguardo al modo di comportarsi dei fasci fibrosi, perché dalle mie osservazioni non risulta proprio corrispondente al vero la classica distinzione, a tutti nota, in fasci inferiori, mediani verti- cali e fasci lateral accettata generalmente ed in ispecial modo dai podologi. Nel cuscinetto plantare, in relazione al modo di disporsi dei fasci fibrosi, dobbiamo distinguere due strati: uno periferico, che sostiene il Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 2 18 Camillo Mobilio, tessuto vellutato, compatto, ed uno centrale, posto al disopra del prece- dente e meno uniformemente denso. Lo strato periferico od anche inferiore raggiunge il suo massimo spessore, di mezzo centimetro, un poco più un poco meno secondo olindividui, in corrispondenza del margine inferiore del corpo del cu- scinetto, presso la lacuna mediana Da questo punto va diminuendo leggermente portandosi verso la punta dell’organo, sul margine inferiore dei rami e sul bulbo. Dal detto margine inferiore, sia del corpo che dei rami, lo spessore dello strato superficiale va poi maggiormente di- minuendo a misura che si sale sulle facce e ci si avvicina alla suola ed al tessuto vellutato delle lacune laterali ed al fondo della lacuna mediana. In quest'ultima parte peró esso riprende un forte sviluppo. Tale strato risulta formato essenzialmente di fibre connettive, rae- colte in fasci e molto stipate fra loro. Tali fasci non hanno assoluta- mente una direzione determinata, ma si ripiegano, a brevi tratti, in tutti i modi, s'inerociano, s'ingranano con gli altri, in maniera da costi- tuire un reticolato intricatissimo, come fitto alveolare, tra le cui maglie trovan posto: una piccola quantita di tessuto connettivo lasso, vasi nervi e ghiandole. Lo strato centrale o swperiore risulta di tante lamine connettivali che, a guisa di tavole, sono estese da una faccia laterale all'altra del corpo, come pure da una faccia all'altra di ciascun ramo e di ciascun bulbo. Al di sopra della lacuna mediana notansi dei tavolati che uni- scono le faece estreme dei due rami del cuscinetto. Queste lamine fibrose, di spessore molto vario, aleune sottilissime altre di 3—4 mm, non si trovano aderenti tra loro ma lasciano degli spazi, tra cui trovasi la sostanza giallastra, di cui ci dovremo piü in là occupare. Alcune di esse sono tese orizzontalmente, altre sono legger- mente arcuate, a guisa di ponte, con la convessità rivolta in basso, aleune hanno direzione un po’ obliqua da una faccia verso l'altra e quasi sempre dall'alto al basso, e tutte possono presentare dei restrin- gimenti e degl'ingrossamenti. Dalle facce di tali lamine partono di tratto in tratto, sempre però in modo irregolare, dei fasci fibrosi che si frammischiano e s'intrecciano, formando spesso un tutto solo, con altri fasci simili e cosi le areole Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 19 primarie vengono ad essere suddivise in altre minori. Le areole, viste in sezione trasversa, hanno una forma molto varia, spesso ellissoidale od ovalare, talvolta triangolare od irregolare; tra esse, oltre la sostanza giallastra, corrono dei cordoni fibrosi. Tra le dette areole merita speciale menzione una molto grande e di forma quasi circolare, in sezione trasversa, un po’ appiattita superio- mente, la quale trovasi nel corpo del cuscinetto. Essa nell'insieme ha la forma di un cono con la base rivolta posteriormente, a breve di- stanza dall’origine della lacuna mediana, con l’apice che si perde verso la punta del cuscinetto stesso. Trovasi limitata dallo strato superficiale del corpo del cuscinetto ed in alto da una robusta lamina orizzontale. Tutte le lamine che trovansi nello strato superiore o profondo risultano formate di fibre connettive, le quali provengono dallo strato periferico o superficiale. Questo, mentre dalla sua faccia eccentrica si prolunga nelle papille e nei villi, dalla sua faccia concentrica manda tante branche le quali vanno a continuarsi nelle lamine. Le fibre connettivali di queste lamine sono fortemente serrate fra di loro ed hanno varia direzione: una parte di esse forma un reticolato a maglie irregolari, tese da una parete all'altra e le rimanenti, rag- gruppate in fascetti, corrono dall’avanti all'indietro nelle areole costi- tuite dalle precedenti. Le lamine che trovansi più in alto, vicino alla tunica propria del cuscinetto, restano unite a questa mediante numerose fibre e fascetti intersecati od intrecciati in ogni modo; e cosi l'unione con il margine inferiore e faccia interna delle cartilagini alari si compie mediante grossi fasci e lamine, disposte anche in modo da formare un tessuto areolare, in cui trovasi più abbondantemente accumulata la così detta polpa giallastra. In quest'ultimi fasci e lamine trovansi frequentemente nuclei carti- laginei, i quali talvolta possono anche rinvenirsi sulle lamine dei rami e del corpo del cuscinetto, ma in questi casi sono sempre molto meno sviluppati. Stabilito così il modo di comportarsi dei fasci connettivi, possiamo venire a parlare del tessuto elastico: Nello strato superficiale o periferico del cuscinetto plantare si 2% 20 Camillo Mobilio, osservano molte fibre elastiche, le quali corrono nei fasci fibrosi, paral- leli a questi e leggermente ondulate. In una sezione trasversa di una parte qualsiasi del cuscinetto si può osservare in tutti i modi la maniera di comportarsi di tali fibre, perchè essendo i fasci connettivi disposti per la formazione delle areole, come avanti si è detto, se ne vedono sezionati in ogni senso. (Tav. Fig. IIT.) Nei fasci sezionati trasversalmente si vedono le fibre elastiche sotto forma di punti colorati, alcuni piccoli altri molto grossi. Talvolta tali punti formano una corona all’intorno dei fascetti fibrosi di primo ordine, tal’altra invece contornano una breve parte di tali fascetti e spesso non se ne vede che una o due oppure nessuna. Questa è la prova migliore che l'elemento elastico nei fasci in discorso non solo non è in prevalenza ma è in quantità molto inferiore a quella del tessuto connettivo fibroso. Nei fasci sezionati obliquamente le fibre elastiche si mostrano come tante lineette, alcune parallele tra loro altre che tendono ad incon- trarsi. Nei fasci sezionati longitudinalmente si osservano molte fibre ela- stiche le quali corrono, descrivendo delle lievi e brevi ondulazioni, se- condo la direzione dei fasci; alcune perd incrociano la direzione delle precedenti, abbandonano il fascio a cui appartengono e si ripiegano ‘ nei vicini. All’incontro di due o più fasci fibrosi osservasi quella disposizione che abbiamo descritta parlando del cercine coronario, si nota cioè come le fibre elastiche s'incrocino e s'intersichino in modo da formare un reticolato a maglie più o meno irregolari di forma e di volume, in mezzo alle quali si distinguono dei punti colorati od anche delle line- ette, rappresentanti fibre in sezione trasversa od obliqua. Qualche fibra elastica si osserva anche nel connettivo lasso inter- posto ai vasi ed ai nervi ed allora ognuna di esse compie un cammino molto irregolare, ora diritto ora serpentino, cambiando qua e là direzione. Dallo strato periferico le fibre elastiche si portano, in quantità relativamente grande, nelle papille e nei villi, dove già le abbiamo descritte, e dalla parte opposta vanno diminuendo di numero a misura che si procede verso lo strato centrale o superiore. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 21 Nelle lamine, che trovansi a guisa di ponti nella zona centrale o profonda, l'elemento elastico è in generale molto scarso ed è rappresen- tato da fibre molto esili, e tale scarsità si accentua a misura che le lamine si trovano più in alto presso la tunica propria del cuscinetto, nella quale se ne osserva solo qualcuna ed esilissima. Anche in queste lamine le fibre elastiche sono parallele ai fascetti fibrosi e come questi s'intrecciano. Riguardo alla diversa quantità di tessuto elastico nelle varie parti in cui si suol distinguere il cuscinetto plantare, devo osservare che si notano differenze lievissime. Un’appena sensibile prevalenza si nota nel corpo del cuscinetto, presso l’origine della lacuna mediana, dove le fibre sono anche leggermente più spesse di quelle delle altre parti. Nei bulbi del cuscinetto le dette fibre sono realmente un po’ più sottili, come afferma il Richter. Nell’asino e nel mulo si nota che tra i fasci fibrosi del cuscinetto plantare la quantità delle fibre elastiche è minore di quella del cavallo. Lo stesso Richter dice, a proposito delle ghiandole sudoripare che si trovano nel cuscinetto plantare del cavallo, del quale solo egli si occupa, che ,il sistema delle capsule e quello delle trabecole risultano composte di tessuto connettivo che è abbondantemente commisto di fibre elastiche“. Io ho potuto osservare che nel tessuto connettivo avvolgente i glomeruli ghiandolari e che forma intorno a questi una capsula trovansi, nel cavallo, scarse fibre elastiche ed esilissime. Sono in numero un po’ maggiore negli altri equini. Queste fibre, guardate in sezioni del cor- picciuolo ghiandolare, si vedono correre in senso circolare ed ondulate, qualcuna si presenta sotto forma di punticini e qualche altra di lineetta. Evidentemente dunque le fibre elastiche formano nella capsula avvol- gente i lobuletti ghiandolari una reticella a maglie larghe, i cui fili componenti s’incrociano ad angolo retto o vicino al retto ed anche ad X. Vie ancora qualche sottilissima fibra che corre nello spessore della capsula dalla superficie esterna alla profonda e viceversa, seguendo un cammino più o meno obliquo. Nei prolungamenti che tale capsula manda tra le ripiegature dei tubi ghiandolari, ossia nelle trabecole, il tessuto elastico è scarsissimo e spesso nelle diverse sezioni si vede mancare del tutto. 22 Camillo Mobilio, Delle esilissime fibre elastiche si vedono circondare il tubo ghiando- lare, disponendosi quasi tutte in senso circolare; solamente qualcuna ha un decorso a spira. A proposito-delle ghiandole del cuscinetto plantare, devo confermare che realmente nel cavallo esse si trovano soltanto sui rami di tale organo ed in corrispondenza della lacuna mediana, e mancano, contrariamente a quanto credeva l’Ercolani che le vide per primo e che le ammetteva anche nel tessuto vellutato corrispondente alla suola, nel corpo del cuscinetto stesso, come giustamente hanno affermato il Franck, il Vachetta, 11 Fogliata ed il Bossi. Mancano ancora nei bulbi, giusta l'affermazione del Richter. Devo ancora dire che tali ghiandole sono realmente piü abbon- danti e più grossolane, data la grande quantità del tessuto connettivo che le circonda, nellasino anzicché nel cavallo, e nel primo sono distribuite anche nel corpo del cuscinetto, come aveva già osservato il Piana e poi il Bossi. Io le ho potuto vedere in tutta lestensione del detto corpo, anche in corrispondenza della punta, e ne ho trovate molte anche nei bulbi. Tale abbondanza di ghiandole in tutta l'estensione del cuscinetto plantare oltre che nell'asino si osserva anche nel mulo e nel bardotto. Sulla struttura di queste ghiandole io non mi fermo perché già abbastanza è stato detto dai sullodati studiosi. Anche all’intorno dei corpuscoli del Pacini e dei loro gruppi tro- vansi delle fibre elastiche, in quantità piuttosto scarsa e molto sottili, a decorso serpentino ed incrociantesi spesso tra loro. Dei corpuscoli del Pacini, oltre che nei bulbi del cuscinetto, ne ho trovato qualcuno anche nei rami, sia isolato che raccolti in gruppi. Veniamo ora a vedere qual'è la struttura della così detta polpa giallastra che occupa le areole formate dai fasci fibrosi. Tale polpa ha dato continuamente luogo ad interpretazioni diverse, per cui ho creduto opportuno occuparmene in ispecial modo, onde cercare di risolvere la questione. Dallo Chauveau-Arloing-Lesbre viene osservato che essa fu ,presa a torto da Coleman per grasso*. Lo stesso Chauveau ed Arloing, nella terza edizione del loro testo 1879, dicono che ,è formata da una mescolanza di fibre elastiche fine Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 23 e di fibre connettive nel mezzo delle quali si riscontrano delle cellule adipose“. Nella 5? edizione del 1905 i tre sullodati autori ammettono in- vece, dopo le ricerche del Lesbre e Peuch, che ,in realtà questa polpa è formata essenzialmente da gomitoli di fine fibre elastiche in- trecciate, che si possono distendere in membrane sotto l’azione disso- ciante degli aghi. Nell'Asino e nel Mulo, vi si trovano anche dei lo- buli adiposi, di modo che i cuscinetti plantari di questi animali fanno transizione tra 1 cuscinetti fibro-adiposi dei Carnivori, dei Ruminanti, del Porco, ed i cuscinetti fibro-elastici del Cavallo“. Il Lesbre ed il Peuch, nel loro lavoro sull'anatomia e fisiologia del piede, scrivono propriamente così: „ll cuscinetto plantare del cavallo, di cui la forchetta rappresenta l'epidermide, è meglio adatto ancora alle forti pressioni di quello dei carnivori, dei ruminanti e del porco, poichè i lobuli adiposi qui sono rimpiazzati da gomitoli di fibre elastiche in- trecciate estremamente deformabili, agenti come tante piccole masse di caoutchouc che sarebbero contenute nelle maglie di una rete fibrosa.“ A proposito dei caratteri differenziali tra il cavallo e l'asino e mulo poi aggiungono: ,Nel cavallo quest’organo (il cuscinetto plantare) non presenta affatto dei lobuli adiposi; la polpa giallastra che riempie le sue maglie è costituita da agglomerati di fibre elastiche intrecciate. Chauveau ed Arloing menzionano l’esistenza di qualche cellula adiposa nel mezzo di queste fibre elastiche, ma noi non ne abbiamo trovato traccia su tutte le preparazioni che abbiamo fatte. Nell'asino e nel mulo, al contrario, il cuscinetto plantare è grassoso, esso si macula di nero per l'acido osmico; dei lobuli adiposi riempiono le sue areole in- sieme con degli ammassi di fibre elastiche, in modo che esso fa transi- zione tra i cuscinetti fibro-adiposi dei carnivori, dei ruminanti e del porco, ed 1 cuscinetti fibro elastici del cavallo. Così si spiegano le divergenze degli autori sulla natura grassosa o non dei cuscinetti plantari dei solipedi; essi avevano senza dubbio tutti ragione, Coleman come pure H. Bouley.“ Il Vachetta invece ammette che le areole contengono grasso. Il Fogliata, nel suo trattato d'Ippopodologia, scrive: „La struttura di queste areole é molto interessante, poiché sono riempite da una 24 Camillo Mobilio, forma di connettivo molto lasso, essenzialmente elastico, taloltò fece pensare al Bouley che ciascuna areola fosse costituita da una finissima membranella strettamente ripiegata sopra se stessa. Questo fatto però non appare in sezioni esaminate al microscopio, poichè le areole pre- sentano perfetta continuità di struttura, ciò che non avverrebbe ove reale fosse la disposizione immaginata dal Bouley. La grande esten- sibilita del tessuto delle areole è intieramente dovuta alla natura ela- stica del tessuto che le costituisce. Difatti se se ne fa una preparazione microscopica col metodo della lacerazione, si vedono manifeste fibre elastiche, lunghissime ed attorcigliate in mille giri sopra se stesse. È anche troppo esclusiva l’opinione negativa di Bouley circa la presenza di cumuli di grasso nel cuscinetto. In parecchie areole ve lo si trova accumulato; ma sempre sostenuto da stroma di tessuto connettivo, come ammette anche il Pillwax. Sbaglia per le stesse ragioni però anche il Pillwax nel ritenere che nelle areole sudescritte si contenga della sostanza gelatinosa. Quasi sempre vi riscontrai dei centri cartilaginei, ai quali mette- vano capo molti fasci fibrosi, e bene dice il Leisering che spesse volte le cartilagini alari ed il cuscinetto plantare vicendevolmente si compenetrano.“ Il Bossi dice che nelle dette areole „si trovano cellule adipose e gocciolette di grasso“. Il Chiari scrive che le areole sono ,riempite da gomitoli di tessuto elastico od anche di grasso“. | Il Thary afferma che ,l'esame microscopico mostra che questa polpa giallastra è formata da una mescolanza di fibre connettive alle quali si trova associata qualche cellula adiposa“. Il Franck ed il Martin dicono che ,sono ripiene di grasso“: Ammettono che vi sia del tessuto elastico e del tessuto adiposo l'Ellemberger ed il Baum. Il Richter dice che gli spazi formati dall’intrecciarsi dei fasci connettivi e dalle fibre elastiche ,sono pieni di grasso*. Il Barpi afferma che in queste areole ,trovasi una polpa costituita da una mescolanza di fine fibre elastiche e di fibre connettivali*. Il Mongiardino ammette la presenza di ,numerose cellule adipose“. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 25 Per stabilire la natura di detta polpa giallastra io ho isolato, in animali appena uccisi, dei pezzettini spessi 2—4 mm. e di questi alcuni li ho fissati col liquido di Mueller, altri con la soluzione satura di sublimato corrosivo ed altri li ho sottoposti alle varie colorazioni immediatamente, freschi. Ho colorato poi delle sezioni col metodo di Van Gieson, altre. con i due soliti metodi di colorazione delle fibre elastiche ossia di Unna-Taenzer-Livini e di Weigert, altre sono state trattate prima col metodo di Unna-Taenzer-Livini e poi con quello di Van Gieson. Per stabilire la presenza o meno del grasso mi son servito del metodo dell’acido osmico e del Sudan terzo. La polpa giallastra che riempie le areole formate dai fasci fibrosi del cuscinetto plantare nel cavallo e negli altri equini è costituita da connettivo lasso, con tutti gli elementi di questo, ricchissimo di fibre elastiche e contenente anche, come al solito, cellule adipose. Le fibre elastiche formano l’elemento preponderante di detta polpa, e la natura eminentemente elastica di questa s'intuisce già dai caratteri macroscopici e dai fatti che subito è dato di osservare.‘ Così, ad esem- pio, tirando con una pinzetta, in una sezione trasversa del cuscinetto, un lembo di tale polpa, si vede che questo si allunga, difficilmente si rompe, e, lasciato, ritorna a suo posto. Un altro fatto, che richiama lattenzione, é il seguente: i pezzettini di tale polpa, messi a fresco nella soluzione di acido osmico al !|,9/|,, od anche negli altri liquidi, quando si cerca di prenderli dalla boccettina o dalle vaschette con una piccola pinzetta, facilmente per la loro elasticità sfuggono dalle branche di questa, di modo che per afferrarli bisogna spesso provarsi più volte. Le fibre elastiche sono di tutte le dimensioni: aleune, in poco numero, sono esili; una grande quantità ha dimensioni medie, e molte sono straordinariamente grosse. La loro forma ordinaria é la cilindrica, ma le più grosse si mostrano anche appiattite. Esse corrono in tutti i sensi, s’intrecciano in ogni modo continuandosi sempre con quelle delle parti vicine, e tra esse corrono dei vasi e dei nervi, alla stessa maniera di quanto osservasi nel tessuto connettivo elastico delle altre parti del corpo. Non vi è nulla quindi che possa far credere al raggrupparsi di tali fibre elastiche in gomitoli intrecciati isolati, che si possano distendere 26 Camillo Mobilio, in membrane, onde giustamente osserva il Fogliata che le areole presen- tano perfetta continuita di struttura. Le cellule adipose sono, nello stesso soggetto, in alcuni punti molto scarse in altri più o meno abbondanti. Nei cavalli ben nutriti molte vedonsi sparse in modo irregolare, altre trovansi in fila di 2—3 sino a 10—20, e spesso si osservano dei gruppetti, dei lobi adiposi più o meno sviluppati, senza che raggiungano però grandi dimensioni, come si osserva in altre parti del corpo. Negl'individui deperiti invece si trovano soltanto qua e la delle piccole cellule adipose isolate. Come si vede dunque nel cuscinetto plantare il tessuto adiposo non sfugge alla regola generale, esso è abbondante nei soggetti ben nu- triti ed è più o meno scarso negli altri, in relazione al loro stato di deperimento. Nessuna influenza esercita sulla quantita l’età dell'animale. Nessuna differenza esiste tra il cavallo l'asino ed i loro ibridi. A proposito dei centri cartilaginei di cui parla il Fogliata, devo osservare che questi non appartengono mai alla polpa giallastra, di cui ora trattiamo, ma quando esistono appartengono sempre ai fasci fibrosi che formano le areole, sia le grandi areole che le piccole o secondarie, di cui avanti ho tenuto parola. Nel due, nella pecora e nella capra la disposizione dei fasci fibrosi del cuscinetto plantare è meno complicata di quella che abbiamo vista negli equini. Vi possiamo però distinguere anche due strati: l’inferiore o periferico o superficiale ed il superiore o centrale o profondo. Nello strato periferico i fasci fibrosi sono ordinariamente grandi e s'incrociano e s'intersecano a lunghi tratti cogli altri, per formare anche qui un tessuto areolare, nei cui spazi trovansi vasi, nervi e lobuletti adiposi. Nello strato profondo o centrale i fasci fibrosi sono ancora più grandi, meno lassamente uniti fra loro e con direzione meglio determinata, diretti dall'avanti all'indietro e da un lato all'altro. Non è a credere però che il loro decorso sia rettilineo, essi invece corrono compiendo delle ondulazioni ora lunghe ora brevi, per adattarsi tra i fasci che hanno direzione opposta, e spesso mandano delle diramazioni, come delle anastomosi longitudinali, con cui abbracciano un altro fascio. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 27 Tali diramazioni, anziche riunirsi al fascio da cui derivano, molte volte si riuniscono ai fasci vicini o ad altre branche diramate da questi, per dar poi luogo così ad un nuovo fascio. Solamente per un tratto di 3 cm. circa, nel bue, molto meno nella pecora e capra, esteso in parte nella suola ed in parte nel cuscinetto plantare, trovasi un sistema di areole molto ampie, sotto forma di ca- verne, occupate intieramente da tessuto adiposo. Il tessuto elastico è molto scarso, in confronto di quanto abbiamo visto negli equini; le fibre sono esili, corrono nei fasci fibrosi, seguen- done la direzione. Sono un po’ più abbondanti nella zona periferica anzichè nella centrale. Nel connettivo lasso che circonda i lobuli adiposi trovansi anche delle fibre elastiche, ordinariamente in poco numero. Talvolta però sono abbondanti, principalmente nella zona che si avvicina alla suola, ed allora formano dei tratti di membrana elastica o dei nastri; inoltre si distinguono dalle precedenti per il loro spessore, perchè oltre alle sottili se ne trovano di quelle molto grosse. À Nel maiale la disposizione dei fasci connettivi nel cuscinetto plan- tare, sia delle grandi che delle piccole dita, è presso a poco come nei ruminanti, le fibre elastiche però sono un po’ più spesse e nello stroma connettivale areolare racchiudente l’adipe sono abbondanti, spesse e di- sposte in modo da formare dei bei reticoli a maglie tondeggianti o poliedriche. Nel cane, rispetto alla disposizione dei fasci connettivi che for- mano lo stroma del cuscinetto plantare, si distinguono anche i soliti due strati. Nel periferico od inferiore, che può raggiungere il massimo spessore di 1—1!/, mm. nel grande cuscinetto, tali fasci sono piuttosto serrati fra loro e lasciano solamente pochi spazi per i vasi, i nervi, i dotti escretori delle ghiandole sudoripare ed alcune cellule adipose. Da questo strato poi partono forti lamine che si portano in alto, seguendo un cammino ordinariamente quasi verticale e talvolta obliquo, mandano delle diramazioni che si uniscono alle lamine vicine od alle altre dira- mazioni provenienti da queste e vanno poi, dopo aver dato luogo allo strato centrale o superiore, che presentasi molto areolare, ad una mem- brana fibrosa che riveste la faccia superiore del cuscinetto. Nelle areole formate dai fasci fibrosi, areole che hanno grandi di- 28 Camillo Mobilio, mensioni, trovasi accumulato, com’é noto, moltissimo adipe e vi si tro- vano poi le ghiandole sudoripare ed i corpuscoli del Pacini. Riguardo al tessuto elastico si pud dire che in complesso è piut- tosto scarso. Le fibre corrono, lunghe e sottili, tra i fasci connettivi, leggermente ondulate, e sono anche qui in numero maggiore nello strato inferiore che nelle lamine dello strato superiore. Solamente in qualcuna di queste lamine talvolta si vedono abbondanti ed anche piuttosto spesse. Nel tessuto connettivo lasso che sostiene l’adipe, le fibre elastiche sono molto scarse ed esilissime. Attorno ai tubi ghiandolari si vedono poche fibre elastiche estre- mamente esili, disposte circolarmente. Nel gatto si osservano le stesse particolarità notate nel cane, con la differenza però che i fasci connettivi sono più spessi, e le fibre elastiche sono anche un po’ più grosse ed in maggiore quantità. Nel coniglio, non si notano differenze degne di essere rilevate rispetto al gatto. Vasi sanguigni. Tutti sono di accordo nell'ammettere che l’organo cheratogeno ha un'abbondante vascolarizzazione, ma pochi solamente descrivono la fine distribuzione dei vasi sanguigni. Tra i differenti testi di anatomia, la descrizione più ampia si trova in quello dello Chauveau-Arloing-Lesbre, e tra le diverse memorie speciali all'organo cheratogeno le notizie più diffuse si trovano nell’accurato lavoro del Müller ,,Zur Anatomie und Physiologie der Huflederhaut“ e nelle pregevoli due memorie del Bossi „Sull’apparato tegumentario del piede del cavallo“. Lo Chauveau-Arloing-Lesbre dicono che nel cercine coronario tro- vas] „un numero considerevole di vasi e di nervi di cui si possono seguire le ramificazioni fino all’estremità dei prolungamenti villosi. Il cercine co- ronario deve alla sua grande vascolarizzazione il suo colore rosso vivo che presenta alla sua superficie, colore che è ordinariamente dissimu- lato, verso il bordo superiore, da pigmento nero appartenente al corpo mucoso di Malpighi che lo ricopre.“ Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 29 Nulla di più dicono a proposito del tessuto vellutato, e riguardo al podofilloso scrivono che ,i vasi sono molto numerosi e rimarche- volmente ordinati nelle lamine del podofilloso; lungo il bordo aderente di ciascuna di esse, si vede un ramo arterioso ed uno venoso, lanciante di distanza in distanza, nel piano mediano della lamina, delle branche che si espandono in capillari e vanno .sino nelle creste secondarie“. Il Müller scrive, a proposito del podofilloso: „I vasi, almeno i più grossi, giaciono quasi esclusivamente nel mezzo del foglio ed hanno la direzione del medesimo dall’alto al basso. Non mancano però altri pic- coli vasi che hanno direzione trasversale ai fogli. I capillari formano un fine reticolo al disotto della superficie di ciascuna lamina.“ Poi aggiunge che ,nei villi della suola vi è ordinariamente un’arteriola e due vene”. Il Bossi, nella sua memoria del 1890, fa un capitolo speciale, in- titolato — vasi del cheratogeno della muraglia — in cui così scrive: „Il cercine coronario come il tessuto podofilloso sono organi eminente- mente vascolarizzati. Nei villi del cercine coronario ho osservato che generalmente esiste un’arteriuzza afferente la quale si risolve in una o due anse capillari dalle quali ha origine una venuzza efferente. Le cellule endoteliali, che nella porzione terminale del villo for- mano la parete di questi vasi minimi, sono separate dall’epitelio del villo dalla sola membrana basilare, perciò è da ritenersi che questa struttura particolare faciliti la nutrizione degli elementi costituenti la sostanza midollare del tubo corneo corrispondente. Nelle altre parti del cercine abbiamo pure una rete capillare, dalla quale si elevano delle anse distribuendosi alle papille. Giova notare, che mentre alcune papille degli spazî intervillosi sono vascolarizzate, altre non lo appaiono. Una distinzione però di papille vascolari e di papille nervose, per ora non può farsi non conoscendosi ancora nulla di ben determinato circa al modo di terminazione dei nervi nel cer- cine coronario. Il tessuto podofilloso presenta un sistema vascolare più complicato. Lo strato profondo del corion sottungueale è attraversato da numerose vene ed arterie le quali alcune hanno un andamento pressochè paral- lelo alle lamine podofillose, altre decorrono più o meno in senso circo- 30 Camillo Mobilio, lare. La lamina nel suo interno è alla sua volta percorsa da vasi paralleli al suo andamento, vasi i quali trovansi pure nelle lamelle secondarie e di preferenza nelle lamelle della porzione anteriore. Da questi rami maggiori emanano numerosi ramuscoli dai quali ha origine il sistema capillare. Dai vasi del reticulum del Clarck si staccano quindi i vasi mediani delle lamine podofillose. Questi vasi sono for- mati da un’arteriola e da una venuzza decorrenti lungo l’altezza della lamina dalle quali si partono ed adducono tanti altri numerosissimi vasi minimi distribuentisi o provenienti dalle lamine secondarie. Tanto nei vasi venosi, come negli arteriosi sono numerosissime le anastomosi che avvengono lungo il loro decorso; infatti le arterie mediane fre- quentemente giunte alla parte più anteriore della lamina, si immettono in altri ramuscoli ascendenti, lo stesso avviene nelle lamelle secondarie. In cotesto modo, fatta pure astrazione del sistema capillare, si costi- tuisce un sistema anastomotico di vasi il quale ci porge la ragione delle violenti flogosi a cui va soggetto il tessuto podofilloso. Nelle villo-papille terminali i vasi sanguigni presentano una disposizione come nei villi coronarii.“ Nella memoria del 1891, fa un altro capitolo — vasi e nervi del cheratogeno perioplico, del fettone e della suola carnea — in cui, a pro- posito dei vasi, scrive: ,, Nel tessuto cheratogeno del cercine perioplico, come in quello del fettone e della suola, si distingue una zona nerveo-vas- colare situata negli strati dermici profondi, sede di numerosi vasi sanguigni e di tronchi nervosi. Da questi vasi maggiori ha origine il reticolo capillare, le cui anse si distribuiscono agli spazî intervillosi. I villi, come nel cercine coronario, sono percorsi da una piccolissima arteriuzza, la quale forma alcune anse capillari, dalle quali ha origine una piccola vena.“ Equi. Cercine coronario. Al cercine coronario le arterie vengono for- nite, come a tutti è noto, dai rami che formano il circolo coronario, dall'arteria circonflessa del cercine, formata dall’anastomosi di due rami provenienti dal predetto circolo e da altri due rami cutigerali, forniti rispettivamente dalle arterie del cuscinetto plantare e dall’arteria pre- plantare. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. oil I rami arteriosi che si distribuiscono nel cercine coronario hanno in generale un decorso serpentino, si vanno man mano suddividendo ed assottigliando e le loro ramificazioni pit esili si anastomizzano con quelle provenienti dalle arteriole vicine, di modo che si viene a formare in tutta la spessezza del corion coronario una rete continua, le cui maglie hanno una forma varia e più o meno irregolare ed i rami che le formano hanno dimensioni anche diverse. Oltre le dette arteriole, trovasi nel cercine coronario un ricco plesso venoso, che, per essere già troppo noto, io non starò a de- scrivere. A me preme di accennare alla presenza ed alla disposizione di numerosi capillari anche nello strato profondo del cercine coronario, che fu giustamente detto dal Möller strato dei grossi vasi, appunto per la presenza delle suddette arterie e vene, e poi tratteró piü diffu- samente dello strato superficiale. Nello strato profondo del corion i capillari sono numerosi; essi corrono tra i fasci connettivi, attorno ai quali spesso si vedono formare delle reticelle più o meno serrate. Alcuni capillari hanno, per un certo tratto, un decorso parallelo ai fasci fibrosi, altri incrociano la direzione di questi; alcuni corrono più o meno ondulati o compiono delle linee spezzate, e tutti si anastomizzano mediante rami trasversi, che talvolta seguono un cammino diritto, ma più frequentemente s’incurvano ad ansa o si ritorcono in vario modo. Dallo strato profondo del corion le arteriole si portano verso lo strato superficiale, e, giunte presso la base delle papille, si ramificano ancora e le diramazioni si anastomizzano con altre simili, provviste da altre arterie, di modo che alla base delle papille viene a formarsi una rete arteriosa, che distingueremo da ora in avanti con la denominazione di rete arteriosa sottopapillare del cercine coronario. Tale rete sintravede gia anche nelle sezioni fatte in senso verti- cale e circolare del cercine, perché si vedono le arteriole che a misura che si avvicinano allo strato superficiale del corion si dividono, uni- scono i loro rami e sia esse che questi si mettono ancora in anasto- mosi mediante branche trasverse, talvolta rettilinee ma ordinariamente ripiegate, per adattarsi ai fasci connettivi tra cui corrono, e da questo 32 Camillo Mobilio, lasso reticolo si vedono poi partire i rami che immettono nelle papille e nei villi. Ma per avere l’idea precisa della rete arteriosa sotto- papillare, bisogna condurre delle sezioni parallele alla superficie del cercine. Io ho proceduto in questo modo: fatta l'iniezione, ho isolato dei pezzi di cereine coronario di forma rettangolare, del diametro di '/, cm. circa, e dopo le solite pratiche di fissazione ecc., ho fatto delle sezioni in serie del pezzo incluso procedendo dall’estremità libera dei villi verso il corion. In questo modo non solo si ottiene una quantità di villi sezionati trasversalmente, ma ancora molti in sezione obliqua ed altri, data la superficie curva del cercine, distesi per intiero o quasi sui tagli più profondi. Si ottiene ancora una sezione od un pezzo di sezione che corrisponde, come con molta facilità si riconosce all'esame microscopico, alla base delle papille e nella quale la rete arteriosa di cui ora ci occupiamo appare chiara e bellissima. Tale rete risulta formata da tante maglie poligonali, più o meno irregolari, con un numero di lati vario da tre a sei. Tali maglie hanno dimensioni varie, alcune sono piccole quanto potrebbe bastare per racchiudere un villo, altre invece sono 2—3 volte più grandi. Bisogna ancora notare che i lati che le formano raramente sono rettili- nei, ma il più delle volte sono arcate regolarmente, oppure ad un certo punto cambiano direzione e da curvi si fanno diritti o viceversa e tal- volta compiono una curva in senso opposto a quella del tratto precedente. Lungo il suo percorso ogni ramo della rete abbandona dei capil- lari, che si ripiegano in vario modo, si anastomizzano tra di loro e si distribuiscono tra i fasci fibrosi vicini. Alcuni dei più superficiali poi si portano nelle papille e nei villi. | Lo strato superficiale del corion sottungueale coronario è abbon- dantemente irrorato di sangue, in proporzione di gran lunga superiore allo strato profondo. Devo innanzi tutto premettere che, contrariamente a quanto ne dice il Bossi, tutte le papille sono vascolarizzate. La disposizione dei vasi nei villi e nelle papille del cercine coro- nario non è costante né eguale per tutte. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 33 Il fatto che più di frequente si osserva è il seguente: dalla rete arteriosa sottopapillare parte un’arteriola, la quale si porta nella pa- pilla o nel villo, correndo in corrispondenza dell’asse centrale di queste parti, sin presso l'estremità, dove giunge molto assottigliata, e si con- tinua poi con un capillare che piega ad ansa e forma l'origine di una venuzza. Lungo tutto il suo cammino l'arteriuzza della papilla e del villo abbandona dei capillari, in numero più o meno grande secondo la grandezza della parte, i quali corrono serpentini ed obliqui verso l’epitelio, si biforcano, si anastomizzano con gli altri e si continuano con capillari venosi, che si portano alla venuzza o isolatamente o rac- colti in tronchicini. Questa va poi a concorrere alla formazione di una rete venosa sottopapillare. Così che, conchiudendo, spesso nella parte centrale delle papille e dei villi (Tav. fig. IV) del cercine coronario si ha un’arteriola ed ac- canto a questa una venuzza; tutto attorno, nel connettivo che limita coll’epitelio, una reticella capillare formata dalla suddivisione ed ana- stomosi di molti capillari provenienti dall’arteria, dal centro alla peri- feria e da altri che si portano alla vena, dalla periferia al centro. Le maglie della reticella capillare sono poligonali e più o meno irregolari e frequentemente sono allungate secondo la direzione del villo e della papilla, principalmente nel terzo prossimale di queste parti. Devo ricordare ancora che l’arteriola anzichè nascere da un punto qualsiasi della rete sottopapillare, frequentemente sembra la diretta continuazione di un ramo arterioso che, giunto presso la base delle papille, manda con angolo di vario grado uno o più rami concorrenti alla formazione della detta rete e, assottigliata, si prolunga in una papilla od in un villo. Molto spesso, specialmente nei villi maggiori, oltre l’arteria e la vena si vedono anche i capillari dello strato superficiale continuarsi direttamente con le reti sottopapillari. Alcune papille, e talvolta i piccoli villi, non hanno l'arteria e la vena, ma sono percorse soltanto da una reticella capillare, il cui in- sieme riproduce la forma della parte a cui è destinata e trovasi in continuità con la rete arteriosa e venosa sottopapillare. Talvolta si può osservare che sia in una papilla come in un villo Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII, 3 34 Camillo Mobilio, si trova un'arteriola fiancheggiata da due venuzze, tutte circondate dal solito sistema capillare. Le due vene possono avere origine ciascuna da un ramo terminale dell’arteria, oppure una incomincia dalla parte terminale di questa, come al solito, e l’altra si forma dal riunirsi di vari capillari, a diversa altezza del villo e della papilla. Come già avanti ho accennato, le venuzze provenienti dalle papille e dai villi formano una rete venosa sottopapillare, intramezzata all'ar- teriosa. Le vene che formano le maglie di questa rete riproducono presso a poco la disposizione delle arterie; sono un poco più spesse e talvolta ad un ramo arterioso corrispondono due venosi. | Dalla detta rete partono poi i tronchi che arrivano nello strato profondo del corion, dove concorrono alla formazione del forte plesso venoso che quivi trovasi. Cercine perioplico. Nello strato profondo del corion sottungueale perioplico la disposizione dei vasi non differisce essenzialmente da quella del cercine coronario. La reticella sottopapillare arteriosa, come anche la venosa, è un po’ più serrata, più ricca di rami di quella dell’altro cercine. La disposizione quasi costante dei vasi nelle papille e nei villi è quella che abbiamo descritta come frequente nel cercine coronario, vi si trova cioè un’arteriola che abbandona lungo il suo percorso dei capillari, dai quali origma una venuzza. Questa corre più vicina al- l'arteria. A proposito dei capillari dello strato superficiale del cercine perio- plico devo notare che essi sono meno numerosi dei corrispondenti del cercine coronario, offrono meno anastomosi e formano delle maglie più allungate. In qualche villo si trova un’arteriuzza e due vene, in questo caso talvolta si osserva come l’arteria si sia biforcata e da ciascuno dei rami abbia preso origine una vena. Talvolta mi è occorso di osservare in qualche villo la presenza di due piccole arterie, accompagnate ciascuna da una vena. È degno di nota che verso l'estremità dei villi, in corrispondenza dei quarti e dei talloni, tali vasi hanno un cammino fortemente ser- pentino. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 35 Tessuto vellutato. Lo strato profondo del corion sottungueale del cheratogeno della suola è percorso da numerose arterie e da un ric- chissimo plesso venoso, com'é già aveva descritto il Bouley ed io non ho nulla da aggiungere. Nello strato superficiale dello stesso corion la vascolarizzazione è anche abbondantissima: trovasi anche qui la reticella arteriosa sotto- papillare, da cui partono le arteriuzze per le papille ed i villi, e la rete venosa omonima, a cui arrivano le vene provenienti dalle stesse parti. i Ordinariamente per ciascuna papilla e villo esiste un’arteriola ed una vena, come afferma il Bossi, non è raro però il caso in cui all’u- nica arteria corrispondono due vene, come asserisce il Moller. Quello che è degno di nota è il fatto che i capillari di queste papille e di questi villi sono numerosi, come nel cercine coronario, e che quasi costantemente alcuni di essi sono in diretto rapporto con le reti sottopapillari. i Un altro fatto che richiama l’attenzione è il grande diametro delle vene dello strato superficiale di questa parte in rapporto a quelle di tutte le altre parti del cheratogeno. Nel cheratogeno del fettone la rete arteriosa sottopapillare è più ricca di quella di tutte le altre parti: le maglie sono più serrate, i capillari che partono da ciascun ramo o che derivano da piccole arterie emanate da questi sono abbondantissimi, si biforcano, si dividono an- cora, si ripiegano in mille modi, si anastomizzano in ogni maniera con gli altri, onde si forma un'altra reticella che circonda, a guisa di co- rona, ogni ramo delle maglie. Tali capillari conferiscono alla rete in discorso un aspetto caratteristico e molto elegante. Essi si distribui- cono ai fasci fibrosi compresi nella maglia ed a quelli vicini al di- fuori di questa. Devo far rilevare che la maggior ricchezza di tale rete si osserva in corrispondenza dei bulbi del cuscinetto plantare e che poi va legger- mente diminuendo a misura che si passa sui rami e sul corpo. La rete sottopapillare venosa ripete la disposizione dell’arteriosa, però molto frequentemente ad ogni ramo arterioso corrispondono due venosi. 3 * 36 Camillo Mobilio, Nelle papille e nei villi si trova più frequentemente un'arteria ed una vena, con la solita rete capillare, non mancano i casi però in cui ad un'arteria corrispondono due vene, ed anche qui mi è accorso, prin- cipalmente in corrispondenza dei bulbi, di vedere due arteriole e due venuzze nella stessa papilla e nello stesso villo. Un'altra particolarità da ricordare, a proposito delle papille e villi, è il decorso fortemente serpentino che i loro vasi hanno in corrispon- denza del bulbo e spesso anche nei rami del cuscinetto, come si è visto verso le parti posteriori del cercine perioplico. Tessuto podofilloso. Tutte le arterie che arrivano al tessuto podo- filloso, e cioè, come è noto, dal circolo coronario, dalla preplantare e plantare, dividendosi e suddividendosi finiscono col contrarre numero- sissime anastomosi, in modo da formare nello strato profondo del co- rion una rete continua. I vasi che tale rete compongono sono diretti in gran parte dall'alto al basso e provengono dal circolo coronario e dall'a. circonflessa del cercine,; altri sono rappresentati dalle dirama- zioni della preplantare e sono in parte a direzione discendente in parte ascendente ed altre corrono quasi in senso circolare, seguento la scis- sura preplantare. Vi sono poi i ramuscoli che vengono dal seno semi- lunare e che appena usciti dai fori della superficie preplantare del triangolare si volgono in un senso o nell’altro per anastomizzarsi con i rami vicini. Dalle arterie originano molti capillari che si comportano come nello strato profondo del corion del cercine coronario. Nello strato profondo del corion sottungueale podofilloso trovasi una ricca rete venosa di cui il Bouley ha fatto una descrizione com- pleta e su di essa quindi non ci tratteniamo. Le lamine del tessuto podofilloso hanno una vascolarizzazione straordinariamente abbondante. Le arterie che ad esse giungono pro- vengono dallo strato profondo del corion podofilloso ed anche da quello del cercine coronario. i Di tratto in tratto, a distanza ineguale ma breve, penetra nella lamina un’arteria che si dirige talvolta quasi orizzontalmente dal mar- gine aderente verso il libero, tal’altra obliquamente in basso od in alto, restando nel mezzo della lamina stessa. Dopo un percorso più o Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc, 37 meno breve nello spessore di questa, si divide ordinariamente in due rami di cui uno volge obliquamente verso l'alto e verso l'orlo anteriore, l’altro verso il basso. Ognuno di questi rami si divide ancora e manda altre branche dai suoi lati e tutte queste diramazioni si anastomizzano in ogni modo con quelle delle arterie vicine, in maniera che nella parte centrale della lamina viene a formarsi una rete di piccole arterie (Tav. Fig. V). Le maglie di tale rete sono poligonali e più o meno irregolari; essa è più fitta nella metà della lamina rivolta verso il margine libero e trovasi in continuità con i vasi del cercine coronario; qualche arteria scende dallo strato profondo del cercine, ma la maggior parte viene dalla rete sottopapillare di questo. Presso il margine libero delle lamine frequentemente osservasi un'arteriola che corre quasi parallela ad esso. Questo vaso cammina diritto solamente a tratti pit o meno lunghi e poi ogni tanto diviene ondulato; esso rappresenta il filo estremo a cui si saldano, per cosi dire, tutti i fili della rete. Dai rami di questa partono piccole arteriole che lasciano dei capillari, i quali si distribuiscono in tutto lo spessore del connettivo della lamina e poi si volgono, ramificandosi, verso le facce della stessa ed a breve distanza dall'epitelio che le riveste abbandonano numerosi capillari. Questi si anastomizzano tra di loro e con quelli derivanti dalle arte- riole vicine e formano lungo tutta la faccia della lamina un reticolo elegantissimo continuo, come mostra la figura V. Le stesse arteriuzze. poi si dividono in rami più sottili che pene- trano nelle lamelle secondarie e se queste sono provviste di lamelline si suddividono ancora per arrivare anche a quest'ultime. Ogni ramuscolo arterioso si risolve infine in una o più anse capillari, da cui traggono origine le vene, che sono satelliti delle arterie (Tav. Fig. VIII). Nelle villo-papille terminali penetra un’arteria, relativamente grossa, la quale si dirama e si risolve in un reticolo capillare, sparso in tutto il connettivo di esse. Da questi capillari nasce poi una vena che con- corre alla formazione della rete venosa della parte centrale della lamina. Solo in qualche villo-papilla ho potuto osservare la presenza di due arteriole e di due venuzze. 38 Camillo Mobilio, Le vene delle lamine podofillose ripetono quasi esattamente la stessa disposizione delle arterie, e ad ognuna di queste corrisponde una di quelle, che è di volume più grande. È piuttosto raro il caso in cui si vedono due rami venosi che tengono in mezzo un’arteria. Il Lesbre ed il Peuch dicono che le lamine podofillose dell’asino e del mulo sono molto più vascolarizzate di quelle del cavallo. A me non è parso che ci sia differenza di quantità nei vasi dei diversi equini: in qualche asino e mulo vecchio ho notato una grande dilata- zione dei vasi venosi, in modo da far sembrare che le lamine fossero occupate più estesamente da vasi, ciò che non è in realtà riguardo al numero. Piccole differenze si notano in tutti gl'individui della stessa specie, onde facendo la media, io, dai miei preparati, posso venire alla conclusione che in tutti gli equini, a parte le differenze individuali, la vascolarizzazione nelle lamine podofillose è, s'intende relativamente allo sviluppo delle parti, eguale. Nell’asino e nel mulo ho notato però questa particolarità, cioè che l'arteria e la vena che corrono presso il margine libero delle lamine, e quasi parallelamente ad esse, sono più grosse e più spiccate che nel ca- vallo e più spesso doppie. Nel due, in generale, il tessuto cheratogeno ha una vascolarizza- zione più abbondante di quello degli equini. I vasi, oltre ad essere più numerosi, hanno diametro anche maggiore. Nello strato profondo del corion sottungueale coronario, come anche in quello perioplico, trovasi una ricca rete vasale, a maglie molto strette e di forma poligonale. La reticella sottopapillare arteriosa è anche molto più densa di quella degli equini. i Nelle papille e nei villi penetrano ordinariamente, oltre l’arteriola, parecchi vasi capillari che si staccano dalla rete sottopapillare e vanno pol ad anastomizzarsi con i capillari derivanti dall'arteria propria della parte, onde tutto il connettivo che forma la base della papilla e del villo è attraversato da un reticolo vasale. In alcune papille e villi penetra talvolta un’arteriola principale ed una o due più piccole. Dai capillari traggono origine uno o due e talvolta persino tre Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 39 rami venosi, i quali si anastomizzano variamente fra loro e, portan- dosi verso la base della parte, finiscono coll’unirsi ed arrivare così alla rete venosa sottopapillare con un sol tronco oppure, meno fre- quentemente, con due. Nel cercine perioplico si nota un maggior diametro dei vasi ri- spetto a quelli del coronario. Nel cheratogeno della suola si notano le stesse particolarità del cercine coronario, solamente è da osservare che i vasi dello strato superficiale sono di calibro minore, mentre sono relativamente spessi nel tessuto vellutato che riveste il cuscinetto plantare. Nello strato profondo del corion sottungueale podofilloso si trova una rete vascolare straordinariamente ricca, e nelle lamine la disposi- zione dei vasi non varia da quella degli equini, salvo naturalmente quanto riguarda i rami delle papille secondarie, essendo queste nel bue rare e piccolissime. Anche nel cheratogeno delle dita rudimentali la vascolarizzazione è grande e la disposizione dei vasi non varia da quella’ descritta nelle grandi dita. Nella pecora e capra, non si notano differenze da quanto verifi- casi nel bue. Nel mazale si trova una minore quantità di vasi rispetto ai rumi- nanti ma la disposizione di essi non presenta differenze. L'unica parti- colarità é rappresentata dal decorso fortemente serpentino che hanno tutti i vasi nelle papille e nei villi del cercine perioplico e quelli che si trovano sul cuscinetto plantare, principalmente verso l'estremità delle papille e dei villi stessi, dove talvolta sembra che formino un gomitolo. Nel cane in tutto il corion del cheratogeno scendono delle arterie, alcune verticali altre inclinate dall’alto al basso e dallindietro in avanti; le loro ramificazioni s'incrociano e si anastomizzano in ogni modo. Le arteriole ed i capillari formano poi in tutto lo spessore del corion una bella rete continua, a maglie molto irregolari. Al disotto dell’epitelio i capillari formano un distinto reticolo, da cui partono rami che si spingono nelle piccolissime lamelle che si trovano sulle facce laterali della terza falange. 40 Camillo Mobilio, Nei villi della scissura circolare della terza falange ed in quelle della suola trovasi un'arteriola che si risolve in tanti capillari, che percorrono tutto il connettivo del villo stesso e danno poi luogo ad una venuzza, la quale si porta ad una reticella venosa sottopapillare, frammista all’arteriosa. Queste reti nel cane, mentre sono a maglie larghe, hanno, relativamente allo sviluppo del cheratogeno, i rami di grosso calibro. Nel gatto la disposizione dei vasi nel cheratogeno è la stessa di quella del cane, solamente che essi sono un po’ più abbondanti. Nel coniglio non vi sono differenze rispetto al gatto. Cuscinetto plantare. Equi. Il modo di comportarsi dei vasi, dal punto di vista microscopico, nel cuscinetto plantare non viene, per quanto io mi sappia, indicato da alcuno e riguardo alla quantità di essi i pareri sono discordi. Lo Chauveau-Arloing-Lesbre dicono: ,In tutte le specie, i cusci- netti plantari sono degli organi molto vascolari, dotati di una nutrizione energica che rende loro facile la riparazione delle loro lesioni.“ Ammettono una grande quantità di vasi anche il Bouley, il Va- chetta, il Thary, il Barpi. D'altra parte invece altri affermano che nel cuscinetto plantare i vasi sono scarsi, e tra questi trovasi il Leyh, il quale dice che lo strato inferiore, quello di cui noi abbiamo parlato come cheratogeno del fettone, »è ricco di vasi“, mentre il superiore, di cui noi ora ci occupiamo, „e povero di vasi”. Lo stesso asserisce il Richter. Nello strato inferiore del cuscinetto plantare (Leyh) o per dir meglio nel cheratogeno del fettone abbiamo visti come realmente i vasi siano abbondantissimi e ne abbiamo descritto il modo di comportarsi. Ora ci resta a parlare dello strato superiore (Leyh) di quella parte che più comunemente ora va compreso sotto il nome di cuscinetto plantare. Nello strato periferico (v. pag. 17) i vasi sono numerosi e formano Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 41 in tutto lo spessore di esso una rete continua, tra le cui maglie, ampie ed irregolari, son contenuti i fasci fibrosi. Le arterie sono di piccolo calibro, corrono tortuose per adattarsi aglinterspazi dei detti fasci, si ramificano e si anastomizzano in vario modo. Dalle arterie hanno origine numerosi capillari, che circondano spesso a guisa di corona i rami arteriosi e si prolungano poi tra i fasci connettivi. Le vene ripetono la stessa disposizione delle arterie e talvolta sono doppie. Nello strato centrale i vasi sanguigni sono meno abbondanti, anzi in alcuni punti sono molto scarsi. Essi corrono nelle areole e, dividen- dosi e suddividendosi, si distribuiscono nel tessuto connettivo lasso che tali areole riempie, a somiglianza di quanto avviene nelle altre parti del corpo, dove trovasi connettivo della stessa natura. Sulle facce delle lamine fibrose che dividono in grandi areole il cuscinetto plantare i vasi formano spesso anche delle reti, come quelle descritte nello strato periferico, però, mentre sono molte le diramazioni che sinsinuano nella polpa giallastra, scarsissimi sono i capillari che penetrano nello spessore delle lamine. Devo ora far notare che vi è un sensibile aumento della quantità dei vasi dalla punta del cuscinetto plantare verso i bulbi, di modo che a chi osservasse semplicemente il corpo del cuscinetto, verso la punta, sembrerebbe che esso non sia abbondantemente irrorato, mentre lo direbbe di una vascolarizzazione ricchissima chi ne osservasse i bulbi, e se ne farebbe un concetto intermedio chi esaminasse solamente i rami. Ancora è degno di nota che nei cavalli di età avanzata i vasi sono anche ridotti di numero. Forse le divergenze di opinioni dipendono da queste particolarità. Devo ancora far notare che nell’asino, nel mulo e nel bardotto, la vascolarizzazione sembra molto più abbondante di quella del ca- vallo, ma questa è una condizione semplicemente apparente, perchè tale prevalenza è dovuta solamente al fatto che nei primi le ghiandole sono molto più numerose, e queste sono abbondantissimamente irrorate di sangue, e più ancora nell’asino e negli ibridi che nel cavallo, come ora verrò a dire. 49 Camillo Mobilio, Dalle arterie che corrono tra i fasci connettivi si staccano dei rami, in numero vario, che si portano allintorno del glomerulo ghian- dolare, e quivi si ramiticano formando nella capsula connettiva una bella rete di arteriole e di capillari, a maglie talvolta regolarmente poligonali ma spesso irregolari. Da questa rete partono numerosi rami che scorrono nei fasci con- nettivi interposti alle anse tubulari, le quali restano poi rivestite da una reticella capillare. Anche il tubo escretore è tutto avvolto da capillari: di questi alcuni, per la sua prima porzione, provengono dalla rete periglomeru- lare, altre derivano dalle arteriole che il tubo stesso incontra lungo il suo cammino e possono essere in numero vario, e verso la sua parte terminale derivano dalla rete sottopapillare. Tutti questi capillari che avvolgono il tubo escretore sono anastomizzati tra loro e formano un sistema continuo. Ho voluto accennare a questa particolarità, perchè tale fatto non corrisponde a quanto pare si verifichi nelle ghiandole sudoripare della pelle dell'uomo, secondo asserisce l'Heynold (Virchows Archiv LXI, 1874, pag. 72), che cioè i due sistemi capillari, quello periglomerulare e quello sottopapillare sarebbero indipendenti. Nel nostro caso essi sono messi in continuità mediante i capillari che provengono dai rami intermedi, ed anche nei casi in cui questi mancano dallo strato sotto- papillare scendono una o due arteriole che compiono il cammino in- verso del tubo, addossate alla parete di questo, mandano da un lato e dall'altro dei capillari, fino ad incontrare quelli che derivano dalla rete periglomerulare. Nelle ghiandole del cuscinetto plantare dell’asino e del mulo, come ho già avanti detto, i vasi, corrispondentemente alla maggiore quan- tità di tessuto connettivo, sono più numerosi ed anche di calibro maggiore. A proposito dei corpuscoli di Pacini devo dire che i vasi formano una reticella, a maglie ampie ed irregolari, nel tessuto connettivo lasso che circonda i gruppi di essi, oppure il corpuscolo quando è isolato. Da tale rete le arteriole s'insinuano nel connettivo che trovasi interposto ai vari corpuscoli e si risolvano poi in capillari, che circon- Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. A3 dano questi. Ho potuto vedere come i capillari corrono, tra le lamelle concentriche superficiali, spesso in senso circolare od obliquo, che si anastomizzano tra di loro mediante rami verticali ed obliqui e danno luogo, giusta l'affermazione del Paladino e del Ranvier, a delle reticelle le quali hanno le maglie molto ampie. Tra le lamine centrali solo talvolta ho visto qualche capillare che correva in senso circolare od obliquo. Devo però ora ricordare che in un corpuscolo di Pacini isolato, visto in un ramo del cuscinetto plantare di un cavallo di 12 anni, ho potuto osservare un capillare che penetrava dalla periferia del corpu- scolo, attraversava tutte le lamelle, compiendo un arco, e giunto nella clava centrale si divideva in tre piccolissimi rami. Nella clava centrale mi è capitato di vedere un capillare sezionato trasversalmente in un altro corpuscolo dello stesso animale e nello stesso posto. Nel bulbo del cuscinetto plantare di un mulo di 17 anni, ho visto nella clava di un corpuscolo di Pacini due capillari sezionati trasver- salmente. Non saprei ora dire se nella clava centrale la presenza di capil- Tari sanguigni sia costante, dato lo scarso numero di volte che li ho potuti riscontrare. Nel bwe i vasi del cuscinetto plantare sono più abbondanti che negli equini. Le arterie corrono con cammino irregolare tra i fasci fibrosi, si diramano, si anastomizzano ed abbandonano numerosi capil- lari, che formano dei fitti reticoli accanto ad esse e si distribuiscono poi nel connettivo lasso che riempie le areole. Nei lobi adiposi penetra un’arteria, la quale, come al solito, si risolve in un elegante reticolo capillare, a maglie poligonali, in cui son contenute una o più cellule adipose. | Dai capillari traggono origine una o due vene, che affluiscono ad altre maggiori, satelliti delle arterie. In alcuni lobuli adiposi talvolta penetrano due arterie. Nei cuscinetti plantari della pecora e della capra, i vasi sono an- cora più abbondanti che nel bue; i capillari sono numerosissimi e for- mano dei fini reticoli. 44 Camillo Mobilio, Il maiale ricorda molto i piccoli ruminanti. Nel cane i cuscinetti plantari sono provvisti di una grandissima quantità di vasi, i quali si distribuiscono in piccola parte tra i fasci fibrosi dello strato superficiale od inferiore, e moltissimi alle ghiandole, dove si comportano come in quelle del cavallo, ed al connettivo adi- poso, in cui si distribuiscono come nel maiale. Lo stesso avviene nel gatto e nel conigho. Linfatici. Dei linfatici non parla che il Müller, il quale dice di averli iniet- tati con la massa Hyrtl-Teichmann. Egli ne dà queste notizie: ,,Nelle papille e nei villi stanno di solito al centro, alla base di queste i lin- fatici passano in un ricco plesso della suola e del vellutato del cusci- netto plantare. Si trovano anche linfatici nel tessuto podofilloso, tanto nelle pa- pille secondarie che nelle primarie. In queste ultime corrono principal- mente dal margine libero dei fogli alla base, e questi linfatici mettono in vasi più grossi che si trovano nel centro delle lamine e si riuniscono poi fra di loro in un tronco il quale alla base dei fogli mette capo in una sviluppata rete linfatica. Nello strato vascoloso i linfatici corrono negli spazi connettivi unitamente ai vasi sanguigni.“ Come si vede chiaramente le indicazioni date dal Möller, le uniche, sono incomplete per il tessuto podofilloso e molto vaghe per le altre parti del cheratogeno. Esse, a parte il podofilloso, non dimostrano, si può dire, di più delle espressioni che a tale riguardo s'incontrano nei vari testi e nelle varie memorie, in cui spesso si afferma che nel che- ratogeno debbano esistere certamente linfatici, ma non se ne conosce la disposizione. Ora vengo senz'altro a dire quanto ho potuto rilevare dai miei numerosi preparati, di cui, ripeto, soltanto una parte relativamente piccola ho potuto utilizzare, date le grandi difficoltà che presenta l’inie- zione dei linfati del cheratogeno, cosa che forse giustifica la mancanza di ricerche al riguardo. Contributo allo studio dell’organo cheratogeno etc. 45 Equi. Cercine coronario. Nei villi e nelle papille del cercine coronario degli equini trovasi ordinariamente un solo vaso linfatico, il quale corre frequentemente tra larteria e la vena, e talvolta a fianco di quest'ul- tima in tal modo che la stessa resta in mezzo, oppure i tre diversi vasi sono disposti in maniera da formare un triangolo, in sezione tra- sversa cioè si vedono presso a poco come mostrano i seguenti tre punti: 5:95 Il suddetto vaso linfatico origina da un capillare che in comincia nel terzo terminale del villo o della papilla, con un'estremità assotti- gliata oppure simile all'estremità di un dito di guanto, corre parallelo ai vasi sanguigni e viene ingrossato qua e la da qualche capillare col- laterale. Di questi se ne trovano alcuni nel terzo prossimale e quivi sì possono scambiare delle anastomasi trasverse od oblique, di modo che talvolta a lato del linfatico centrale si formano delle maglie di capillari, a forma presso che rettangolare od ovalare. _ In qualche caso i capillari linfatici collaterali arrivano nel loro collettore biforcati, e quindi a lato di questo si osserva una maglia triangolare o presso a poco. Frequentemente poi sì osserva solamente il linfatico centrale, senza collaterali, e talvolta il detto linfatico mostra un occhiello circolare od ovalare, attraverso cui può passare un vaso sanguigno. Il linfatico della papilla e dél villo affluisce poi ad una rete, che distingueramo col nome di vete hinfatica sottopapillare del cercine coronarto, 0 con un tronco unico oppure diviso in reticolo. In alcuni villi e papille si vedono due linfatici (v. Tav. fig. VI) che costeggiano la vena, quando è unica, oppure ognuno accompagna una vena, quando ve ne sono due. In questo caso i due linfatici si scambiano, principalmente verso la base della parte, delle anastomosi trasverse ed oblique più o meno grosse. La rete linfatica sottopapillare del cercine coronario trovasi fram- mista alla rete sottopapillare arteriosa e venosa, e come quest'ultime è ricca di vasi. Le maglie di questa rete assumono gli aspetti più svariati: alcune sono quasi circolari, altre quasi regolarmente triangolari o quadrilatere, 46 Camillo Mobilio, altre hanno più lati, più o meno tortuosi ed assumono forme poligonali più o meno irregolari (Tav. Fig. VII). I rami di tali maglie sono ancora più variabili: accanto ad uno grosso, variamente tortuoso e varicoso, se ne può vedere un altro metà spessore o tre-quattro volte più piccolo, anch’esso ordinariamente boz- zelluto e ritorto. Tra queste maglie di tronchi maggiori se ne osservano altri di tronchiolini e di capillari linfatici, dei quali alcuni provengono dallo strato superficiale del corion ed in maggior numero dal connettivo in cui è contenuta la rete stessa. Questi tronchiolini e capillari formano anch'essi un reticolo, le cui maglie racchiudono uno spazio ora molto stretto, inferiore alla dimensione dei vasi stessi, ed ora più o meno ampio. | Tutti questi linfatici corrono accanto alle vene, tra queste e le arterie, e spesso alcuni dei rami sanguigni passano ottraverso le maglie linfatiche. Dalla rete sottopapillare partono dei tronchicini linfatici che si portano nello strato profondo del corion, seguendo le vene che quivi trovansi, ricevono altri affluenti che originano dal connettivo e formano anche qui tna rete, che ripete presso a poco la disposizione di quella venosa. Da quest'ultima rete, come da quella corrispondente del cercine perioplico, traggono origine poi i rami che si portano ai linfatici del pastorale. A questo punto occorre ricordare che il Bossi e lo Spampani, in una loro pregevole memoria sui linfatici degli arti, accennano alla pre- senza di una rete linfatica nel tessuto cheratogeno e ne indicano le vie di scarico. Il Bossi poi, nel trattato di anatomia veterinaria in corso di pubblicazione per cura della C. E. Vallardi, da anche una figura in cui si vede una rete linfatica del corion sottungueale podo- filloso, che egli chiama rete superficiale. Cercine perioplico. Nel cercine perioplico i vasi linfatici, sia per il modo di origine che per il modo di comportarsi, non differiscono da quelli del cercine coronario; dobbiamo solamente notare che difficil- mente si trovano due linfatici nello stesso villo ed in una medesima Contributo allo studio dell’organo cheratogeno ete. 47 papilla e che i capillari linfatici collaterali, cioè quelli che man mano affiuiscono al linfatico gia formato, sono più rari dei corrispondenti dell’altro cercine. Tessuto vellutato. Nel cheratogeno della suola i linfatici si com- portano allo stesso modo di quelli del cercine coronario; si nota sol- tanto che sono un po’ più sviluppati e più frequentemente s'incontrano due linfatici nella stessa papilla e nello stesso villo (Tav. Fig. VI). Nel cheratogeno del fettone si ripete quanto si è visto nel cer- cine perioplico. La rete sottopapillare di questa parte, molto sviluppata, trovasi in comunicazione con i linfatici del cuscinetto plantare, i quali seguono 1 vasi sanguigni dello stesso organo, e da essa traggono poi origine dei canalini, che si portano ai linfatici del pastorale. Tessuto podofilloso. Nelle lamine del tessuto podofilloso i linfatici sono abbondanti ed incominciano dalle lamine secondarie, mediante capillari, alcuni dei quali piccolissimi si possono seguire talvolta anche nelle lamelline. Tali capillari linfatici si portano sulle facce delle lamine principali, quivi, unendosi con altri capillari che nascono dal connettivo vicino, formano una reticella a larghe maglie irregolari, frammista al reticolo capillare dei vasi sanguigni. Da questa reticella partono dei tronchiolini, anch’essi anastomizzati in modo irregolare con i vicini e diretti dalle facce verso la parte centrale e verso la base delle lamine. In questo punto immettono in linfatici più grossi che seguono i vasi sanguigni, si dirigono ora orizzontalmente ora obliquamente in alto e talvolta in basso, verso la base delle lamine e si gettano infine in una ricca rete, che potremo distinguere col nome di rete linfatica. sottolaminare. I grossi rami che da ciascuna lamina arrivano alla rete sotto- laminare sono in gran numero e si trovano uno al disopra dell'altro a breve distanza, talvolta quasi eguale altre volte invece se ne vedono due o tre molto vicini ed altri a distanza relativamente grande. Questi stessi rami arrivano frequentemente alla rete suddetta divisi in reti- colo, vale a dire che prima della loro terminazione si dividono in due o più branche le quali si anastomizzano in vario modo. La rete sottolaminare ricorda per la sua disposizione quella sotto- papillare delle altre parti del cheratogeno, solamente che i vasi di cui è formata hanno in gran parte dimensioni maggiori. 48 Camillo Mobilio, Da questa rete traggono origine numerosi rami che vanno a co- stituire un altro reticolo nello strato profondo del corion sottungueale podofilloso, insieme con le arterie e con il plesso venoso, come già il Müller, il Bossi e lo Spampani avevano osservato. Nelle villo-papille terminali delle lamine podofillose i linfatici si comportano come nei villi del cercine coronario. Nel due i linfatici si comportano su per giù come negli equini, onde non mi resta di osservare altro che in questo ruminante i vasi linfatici sono più sviluppati, ad eccezione di quelli delle lamine del tes- suto podofilloso, dove invece sono meno numerosi e più piccoli. Negli altri animali domestici non ho ottenuto dei preparati buoni che si prestassero allo studio accurato dei linfatici, onde non posso dire altro che anche nel cheratogeno di questi animali esistono, com'è na- turale, i linfatici ma non ne ho potuto stabilire il modo di comportarsi. Spiegazione della tavola. I contorni delle figure sono state disegnate con la camera lucida di Nachet. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. i: 1 i IT. IV. We VI. VIT. VIII. Cavallo. Cercine perioplico; sez. verticale. Fibre elastiche. Ingrandi- mento di 70 diametri. v v = villi; p p — papille; st p — strato peri- ferico dello strato profondo del corion sottungueale perioplico; st c = strato centrale dello stesso. Cavallo. Una lamina podofillosa sezionata trasversalmente. Fibre ela- stiche. Ingrandimento 42 diametri. / = lamina; c = strato profondo del corion sottungueale podofilloso o reticulum processigerum. Cavallo. Un pezzo del ramo sinistro del cuscinetto plantare, a metà lunghezza e sul margine inferiore. Ingrandimento 15 diametri. g = ghiandola sudoripara; c P = un gruppo di corpuscoli del Pacini; v = villi; p = papille. Cavallo. Un villo del cercine coronario. Ingrandimento 45 diametri. a = arteria; v = vena. Cavallo. Lamina podofillosa guardata da una delle sue facce. Ingrandi- mento 10 diametri. Le arterie e le vene sono situate in un piano pro- fondo e si vedono rispettivamente colorate in rosso pallido ed in bleu chiaro, esse sono colorate più intensamente in un tratto che corrisponde al reticulum processigerum. Süperficialmente trovasi il reticolo capillare della faccia stessa, colorato in rosso vivo. Cavallo. Un villo del cheratogeno della suola. Ingrandimento 43 dia- metri. L’arteria rossa; la vena bleu; / 2 = linfatici. Cavallo. Rete linfatica sottopapillare del cheratogeno della suola. In- grandimento 46 diametri. V. V. Villi-P. papilla. : Cavallo. Lamina podofillosa sezionata trasversalmente. Ingrandimento 35 diametri. Le arterie sono colorate in rosso, le vene in bleu, i linfa- tici in nero. Alla base della lamina si vede l'origine della rete linfatica sottolammare. Internationale Monatsschrift f, Anat. u. Phys. XXVII. 4 Bibliografia. Girard, Traité du pied consideré dans les animaux domestiques. Paris 1825. Bracy-Clarck, Hippodomia or the true structure, laws and economies of the horse foot. London 1829. i Girard, Traité d’anatomie vétérinaire. Troisième édition. Tome premier. Paris 1830. Gurlt, Über die hornigen Gebilde des Menschen und der Haussäugetiere. Müllers Archiv 1836. | Savi, Sunto sulla struttura e formazione dello zoccolo del cavallo. Atti della terza riunione degli Scienziati italiani. Firenze 1841. Spooner, On the foot of the horse. 1842. Fuchs, Mitteilungen aus dem Gebiete der Tierarzneikunde. 1847. Bouley, M. H., Traité de l’organisation du pied du cheval. Paris 1851. —, Atlas de 34 planches lithographiés. 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Il primo tipo è rappresentato dalla circolazione capillare, e quindi dai vasi capillari; l’altro tipo è rappresentato da ampî spazî lacunari, a parete endoteliale, detti sinusoidi, intercalati tra un territorio arte- rioso ed un territorio venoso. Questi due tipi di vasi si distinguono l'uno dall'altro per una serie di caratteri morfologici ed embriologici che riassumo brevemente. 1. Dimensioni e forma: I capillari sanguigni hanno generalmente un diametro molto piccolo, tanto da non permettere a due globuli rossi, messi l’uno di fianco all’altro, di muoversi attraverso al loro lume. Al contrario i sinusoidi sono molto ampî e rappresentano delle vere e proprie lacune sanguigne, scavate in mezzo al parenchima. Talvolta però essi hanno un lume molto stretto, che ricorda quello di un comune capillare; ciò si ri- Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 53 scontra, p. es., nel fegato, nel quale, per una modificazione secondaria, i primitivi spazi lacunari, molto ampi, si riducono in dimensioni fino a rassomigliare a veri capillari sanguigni. Quanto alla forma, i sinusoidi hanno generalmente una forma molto irregolare e si ana- stomizzano ampiamente tra di loro, mentre i capillari conservano per tutto il loro decorso una forma cilindrica o sotto-cilindrica e presen- tano un intreccio anastomotico molto meno complesso. 2. Rapporto con à tessuti vicini: I vasi capillari sono avvolti da tessuto connettivo, il quale può essere più o meno sviluppato, ma esiste sempre e limita il vaso dal parenchima circostante. Al contrario, gli spazi lacunari della circo- lazione sinusoidale sono provvisti solamente di una esile membrana endoteliale od endoteloide, la quale riposa direttamente sulle cellule del parenchima. Sicchè, mentre i vasi capillari seguono un tragitto indipendente dalla disposizione del parenchima, i sinusoidi debbono adattare la loro forma a quella del parenchima nel quale decorrono. Ma se questa è la legge generale, non sono rare le eccezioni; e così in alcuni organi i sinusoidi si rivestono, in una fase ulteriore dello sviluppo, di una guaina più o meno spessa di tessuto connettivo, la quale separa le cellule endoteliali dalle cellule del parenchima. 3. Endotelio. Le lacune sinusoidali, come i capillari sanguigni, sono tappezzate da una esile membrana endoteliale, costituita da cellule con scarso proto- plasma. I nuclei di queste cellule nei capillari sanguigni sono molto più ravvicinati di quel che non sia nei sinusoidi. Quanto al significato embriologico delle cellule che tappezzano i sinusoidi, il Minot dubita che esse rappresentino vere e proprie cellule endoteliali; almeno pei sinusoidi del fegato, egli sospetta che tali cellule siano di origine mesenchimale. 4. Sviluppo: Lo sviluppo dei capillari differisce notevolmente, secondo Minot, da quello dei sinusoidi. I primi si originano da serie di cellule, dette cellule vaso-formative, le quali formano prima un cordone compatto, che diviene secondariamente cavo, e si mette in connessione con i vasi vicini per le sue estremità, I sinusoidi invece non si formano da 54 Emerico Luna, cellule vasoformative, ma risultano dall'acerescimento della parete endo- teliale di un vaso preesistente e dal corrispondente adattamento delle cellule del parenchima in via di sviluppo. "Tale processo formativo é ben descritto dal Lewis con parole che qui trascrivo: “A sinusoid may be defined as a subdivision of a vessel produced by interescence between its endothelium and the parenchyma of an adjacent organ. The proliferating tubules or trabeculae of an organ encounter a large vessel and invade its lumen, pushing the endothelium before them. The vessel, on the other hand, sends out branches to circumvent the tubules. By the convolution or anastomosis of the tubules or trabe- culae, the large vessel becomes subdivided into small ones. This is the process of intercrescence which produces sinusoids. It follows that a sinusoidal circulation is either purely venous or purely arterial.” Da quel che si é detto, appare chiaramente che le differenze mor- fologiche ed embriologiche che intercedono tra i capillari sanguigni ed i sinusoidi sono molto notevoli. Evidentemente i processi fisiologici connessi con la funzione sanguigna debbono presentarsi nei sinusoidi in condizioni molto diverse da quelle dei capillari sanguigni, ma non sappiamo ancora quali siano queste differenze. I sinusoidi sono stati studiati dal Minot nel fegato, nelle glandole soprarenali, nelle parati- roidi, nelle glandole carotidea e coccigea, nel cuore, nel pronefro e nel mesonefro; il loro sviluppo è stato studiato solo nel pronefro, nel meso- nefro, nel cuore e nel fegato. Lo stesso osservatore si è preoccupato di studiarne l’importanza del punto di vista filogenetico. Nel corso dell'evoluzione dei vertebrati, i sinusoidi diventano sempre meno impor- tanti; essi rappresentano quindi la prima forma di circolazione, desti- nata, nel corso del processo filogenetico, a ridursi sempre più ed a trasformarsi nella circolazione capillare. Alle varie fasi di questa evoluzione noi possiamo assistere, stu- diando la circolazione nell’organo urinario; e di fatti, mentre nel pro- nefro esiste una circolazione lacunare, nel rene definitivo si ha una vera e propria circolazione capillare. Così pure nel fegato, i primitivi sinusoidi si trasformano in vasi capillariformi, e nel cuore, quando le arterie coronarie sono sviluppate, la circolazione lacunare è completata da quella capillare. Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 55 Dopo gli studi del Minot, altri osservatori si sono interessati dell’argomento. Atkinson, nel 1901, ha studiato il primo sviluppo della circolazione sanguigna nelle glandole soprarenali del coniglio. L’abbozzo di quest’organo appare per la prima volta nell’embrione di coniglio di circa dodici giorni e consta di poche travate di cellule situate anteriormente al mesonefro; le travate sono separate l'una dall’altra da ampî spazi lacunari, i quali comunicano liberamente con la vena principale e con gli spazi sinusoidali del vicino mesonefro. Verso il quattordicesimo giorno l'abbozzo dell’organo soprarenale è più grande, le cellule giacciono ancora piu vicine le une alle altre, ed il numero dei sinusoidi è maggiore; essi comunicano ancora liberamente con la vena principale, ma, a differenza di quel che si osserva nell’em- brione di 12 giorni, il loro lume è molto ridotto, probabilmente a causa del rapido sviluppo del parenchima surrenale. In questo stadio si riconosce un’arteria proveniente dall’aorta; essa passa immediatamente al di sopra dell’organo soprarenale e si perde nel mesonefro; da essa si origina un ramoscello che comunica con i sinusoidi surrenali. In una fase ulteriore, la cellule del parenchima surrenale si avvicinano tra di loro, diminuisce il calibro dei sinusoidi, fino a che essi rassomigliano a dei veri capillari. Le loro connessioni con la vena principale sono ridotte di numero. Lewis, nel 1904, ha descritto lo sviluppo dei sinusoidi nel fegato, nel corpo di Wolff e nel cuore di alcuni vertebrati (coniglio, Tor- pedo ...) Egli ha confermato pienamente i risultati ottenuti del Minot, riconoscendo con questo osservatore l’importanza filogenetica della circolazione sinusoidale. Contro l'ipotesi del Minot si é levato il von Ebner, il quale non vuole ammettere la esistenza di due tipi di vasi sanguigni a parete endoteliale od endotelioide, diversi l'uno dall'altro per caratteri morto- logici ed embriologici. Per quel che riguarda in special modo la supposta differenza genetica tra i capillari ed i sinusoidi, von Ebner afferma che, contrariamente a quanto sostiene il Minot, il quale riserva ai soli vasi -sinusoidali la proprietà di accrescersi per gemmazione, tale forma di accrescimento é un attributo di tutti i vasi sanguigni. I capillari, considerati dapprima come dovuti alla trasformazione di 56 Emerico Luna, cellule vasoformative, si debbono oggi considerare come originati per un processo di gemmazione da vasi preesistenti, la cui origine primi- tiva ci sfugge. Cade quindi, per von Ebner, la differenza genetica tra capillari e sinusoidi, sostenuta validamente dal Minot. Comunque si voglia spiegare la genesi dei più piccoli vasi san- suigni, è certo che tra sinusoidi e veri capillari esistono notevoli differenze morfologiche, e se i caratteri morfologici sono (e tali debbono essere) espressione di funzione, a tali differenze di forma debbono corrispondere differenze di funzione. Sicché, pur riconoscendo che nella ipotesi del Minot possa esservi qualche esagerazione, bisogna anche riconoscere che egualmente esagerata 6 la critica demolitrice del von Ebner. Il Vastarini-Cresi, al quale dobbiamo un importante lavoro sulle anastomosi artero-venose, ricorda, a proposito degli spazi intervillosi della placenta, il lavoro del Minot, ma non si pronunzia sull’ipotesi di quell'A., e si limita ad accennare alle obiezioni del von Ebner. D'altro lato però riconosce che gli spazi intervillosi della placenta, considerati dal Minot come vasi sinusoidali e dal Vastarini stesso come appartenenti alla categoria delle anastomosi arterovenose, differiscono notevolmente dalla maggior parte delle altre anastomosi artero-venose descritte in altri tessuti od in altri organi. Scopo del mio lavoro è stato quello di studiare lo sviluppo della circolazione sanguigna nelle glandole soprarenali dell’uomo e di seguire le modificazioni che essa subisce nel corso dello sviluppo ontogenetico. Questo studio é stato tentato dall’Atkinson nel coniglio, ma in modo molto succinto; anche il Flint ha studiato nel maiale le modificazioni che subisce la circolazione intima dell’organo soprarenale, ma questo Autore si é preoccupato principalmente dello sviluppo delle arteriae perforantes; onde, come ben dice il Lewis, “in some important organs, such as the suprarenal gland, the early development of the vessels is unknown.” Le mie ricerche si propongono appunto di. colmare tale lacuna. Prima di passare all'esposizione di queste ricerche, credo oppor- Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 57 tuno premettere alcune nozioni sulla disposizione del tessuto connettivo nell'interno della glandola soprarenale dell’adulto, e sulla fine struttura dei vasi sanguigni che formano nell’interno dell’organo un intreccio così complicato. La glandola soprarenale è avvolta da una capsula connettivale la quale invia dentro il parenchima dei sepimenti a direzione radiale; man mano che procedono verso l'interno, questi sepimenti diventano sempre più sottili e s'intrecciano fra di loro, formando una complica- tissima rete. Alla formazione di questa rete concorrono fibre connet- tivali provenienti dalla robusta guaina connettivale che forma lavven- tizia della grande vena centrale. Il primo accenno di questo tessuto di sostegno è stato fatto dall’Ecker nel 1846; più tardi Kölliker sta- bili che le trabecole della sostanza midollare sono in connessione con i setti della sostanza corticale, fatto questo confermato dal Leydig. Harley invece non riscontrò tessuto di sostegno nella zona midollare. Arnold, Grandy, von Brun, Henle, Stilling hanno in seguito studiato l'argomento, convenendo tutti nell’ammettere l'impalcatura connettivale della glandola soprarenale. M. Pfaundler ha dimostrato che la cap- sula connettivale in certi mammiferi adulti manda dentro l’organo surrenale prolungamenti in senso raggiato, ma questi setti sono cosi debolmente sviluppati che anche nelle zone più corticali si ha scar- sissima quantità di tessuto connettivo tra l’endotelio dei vasi e le cellule del parenchima; alle volte tale connettivo manca addirittura. Ma lo studio più importante sull’argomento é indubbiamente quello del Flint il quale ha dato del reticulum della glandola soprarenale una de- scrizione molto dettagliata. Più recentemente il Moschini, studiando il connettivo della glandola surrenale col metodo Golgi e con quello del Cajal, ha confermato l’esistenza di fasci connettivali che par- tono dalla capsula fibrosa esterna e penetrano nell'interno dell'organo; i più robusti fra questi raggiungono la sostanza midollare, abban- donando nel loro tragitto fibre molto esili; i fasci più sottili al contrario si dividono in fascetti ed in fibrille nella sostanza corti- cale. Tutte queste fibrille formano attorno ai vasi una rete, dalla quale partono sottili fasci di finissime fibrille che si insinuano tra cellula e cellula. Secondo l'A. esistono fasci connettivali anche dentro 58 Emerico Luna, la sostanza midollare. E ricordo finalmente il recente lavoro di Comolli sulla struttura ed istogenesi del connettivo della glandola surre- nale, nel quale l'A. descrive attorno alle arterie, alle piccole vene ed ai capillari una rete più o meno sottile di fibre collagene le quali separano i vasi dagli elementi specifici dell’organo. Sui rapporti tra i più piccoli vasi dell'organo soprarenale e le cellule proprie del parenchima abbiamo pure le ricerche di numerosi osservatori. Com’ è noto, le arterie surrenali, che hanno punti diversi di origine, vanno alla capsula fibrosa, ove formano un ricco plesso intracapsulare, dal quale partono due ordini di vasi arteriosi: gli uni, come pel primo ha dimostrato il Grandry, sono le arterie nutritive e vanno direttamente alla sostanza midollare, seguendo le trabe- cole fibrose provenienti dalla capsula connettivale; gli altri si risol- vono subito in larghi capillari, che a livello della zona reticolare im- mettono nei capillari venosi: questi capillari sboccano alla loro volta nelle più piccole vene colletrici le quali, riunendosi più lontano, sboccano nella vena centrale. La struttura dei vasi della glandola soprarenale è stata studiata da numerosi osservatori. Moers, Stilling, Carlie hanno dimostrato che tra i capillari e le cellule surrenali si ha un rapporto molto intimo, e di fatti tra l’uno e l’altro si ha appena un sottile endotelio. Secondo Guarnieri e Magini i sottili vasi sono avvolti da un finissimo plesso di fibre connettive il quale sostiene l'endotelio: questo plesso apparisce sotta forma di caratteristiche figure alate. Secondo Srdinko le pareti delle cavità sanguigne si arricchiscono sempre più di tessuto connettivo e muscolare, man mano che si pro- cede verso la vena centrale. E ricordo in ultimo i lavori recenti di Moschini e Comolli i quali ammettono attorno ai capillari dell’organo soprarenale l’esistenza di un sottile strato connettivale, per mezzo del quale l’endotelio vasale è separato dalle cellule del parenchima. Ricerche personali. Per le ricerche, che formano l'oggetto di questa nota, mi sono servito di glandole soprarenali umane in fasi varie dello sviluppo. Alcune di queste glandole, iniettate al bleu di Prussia, furono prele- vate dalla ricca collezione di embrioni e feti umani, appartenente al Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 59 prof. Versari; altre invece, possedendo vasi fortemente iperemici, si potevano considerare come in stato di iniezione naturale. 1. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 7 (28 giorno) (Tav Wy fig. 1): La glandola soprarenale é rappresentata in questo stadio da un accumulo di elementi cellulari, il quale, nelle sezioni orizzontali, assume una forma regolarmente ovoidale, col grande asse diretto dall'indietro in avanti e dall'esterno all’interno. L'abbozzo surrenale è in rapporto: anteriormente con l’epitelio germinativo, dal quale non è separato da un limite netto; posteriormente con gli elementi mesenchimali che lo separano dall’abbozzo del rachide; medialmente con l’aorta; lateral- mente con la vena cardinale inferiore. Esso è costituito da elementi cellulari a nucleo grosso, vescicolare e reticolo cromatico bene evidente; è avvolto da una esile capsula formata da elementi connettivali gio- vani. I rapporti tra l'abbozzo surrenale e la vena cardinale sono molto intimi: i due organi sono separati solo dall’esile capsula ora accennata e dall’endotelio di rivestimento della vena cardinale. In alcune sezioni, che interessano la parte mediana dell’abbozzo surrenale, la vena cardi- nale si spinge nel interno dell'abbozzo surrenale stesso cc. una evagi- nazione a dita di guanto, rivestita quà e là di elementi » .d oteliali, che sono addossati direttamente alla cellule del parenchima. Tale evagi- nazione si segue per breve tratto: verso l'interno si assottiglia sempre più. Qua e là nell’abbozzo surrenale si notano esili lacune vascolari, tappezzate da cellule endoteliali. In questo stadio dello sviluppo embrionale non si ha accenno alcuno di arterie surrenali. Tra l’aorta e l'abbozzo surrenale si notano scarsi cumuli di ele- menti cellulari appartenenti al sistema del gran simpatico, i quali restano separati dal parenchima glandolare a mezzo delle capsula connettivale che riveste tutto l’organo. 2. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 20 (prima metà del 2. mese lunare) (Tav. II, fig. 2). L’abbozzo surrenale in sezione orizzontale presenta la forma di un ovoide, col grande asse diretto dall’indietro in avanti e dall’esterno all’in- terno. Esso è in rapporto: anteriormente con gli organi della cavità addo- 60 Emerico Luna, minale, posteriormente con la parete addominale posteriore, medialmente con l'aorta, lateralmente col fegato e là parete laterale dell'addome. L'organo surrenale è rivestito da una esile capsula connettivale ed è formato da elementi cellulari a nucleo grosso, con reticolo cro- matico bene evidente, disposti in modo diverso, sia che noi conside- riamo labbozzo surrenale nelle zone più centrali, sia che lo conside- riamo nella parte corticale. Qui le cellule sono strettamente avvi- cinate tra di loro e formano uno strato corticale abbastanza compatto, nel quale si riconoscono brevi lacune vascolari tappezzate da cellule endoteliali. Verso la zona centrale invece si riscontrano ampie lacune vascolari, le quali comunicano tra di loro ed immettono verso l’imterno in un grande vaso venoso che sbocca a destra nella vena cava, a sinistra nella vena renale. Questo grosso vaso venoso rap- presenta il primo abbozzo della vena surrenale: il suo punto di sbocco nella vena cava (a destra) è molto ampio. Le lacune vascolari della zona centrale, come quelle della zona corticale, sono rivestite da un esilissimo strato di cellule endoteliali, le quali riposano sulle cellule parenchimali senza interposizione di connettivo. Tra le lacune vasco- lari della zona corticale, dipendenti dalle aa. surrenali e le lacune della zona centrale, che sboccano ampiamente nella vena cava e nella vena renale, non si ha nessuna comunicazione (Tav. II, fig. 3 e 4). Medial- mente all’abbozzo surrenale, tra questo e l’aorta, si notano accumuli di elementi cellulari simpatici, alcuni dei quali hanno già incominciato il processo di immigrazione nell’abbozzo surrenale stesso. 3. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 22 (seconda metà del 2. mese lunare) (Tav. II, fig. 5). In sezione trasversale la glandola soprarenale appare di forma ovoidale, col maggior asse diretto obliquamente dall’esterno all’interno e da dietro in avanti. I rapporti sono quelli già ricordati negli em- brioni precedenti. L'organo surrenale appare costituito da elementi cellulari a nucleo grosso, vescicolare e reticolo cromatico bene evidente. Come nell’em- brione di mm. 20, possiamo anche qui distinguere una zona corticale, costituita da elementi cellulari strettamente avvicinati tra di loro, ed una zona centrale, la quale è solcata da ampie lacune vascolari. Tutto Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 61 lorgano è avvolto da una capsula connettivale nella quale decorrono esili ramoscelli arteriosi, dipendenti dalle arterie surrenali; questi ramoscelli penetrano nella zona corticale scavandosi un letto tra le cellule del parenchima; essi in qualche punto sono in comunicazione con le lacune vascolari della zona centrale. Tanto nella zona corti- cale che in quella centrale, tali spazî vascolari sono rivestiti da un esilissimo strato endoteliale il quale riposa sulle cellule del parenchima, senza interposizione di tessuto connettivo. L'immigrazione di elementi simpatici nell'interno dell’organo sur- renale è in questo stadio molto attiva, ma è solamente limitata alle parti più periferiche. 4. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 38 (principio del 3. mese lunare) (Tav. II, fig. 6). La forma, la direzione ed i rapporti della glandola soprarenale sono come negli embrioni già descritti. La glandola è avvolta da una capsula connettivale già discretamente robusta; le cellule parenchimali, situate immediatamente al di sotto di essa, sono molto ravvicinate tra di loro, formando uno strato compatto, che si può considerare come l’inizio della zona glomerulare. Ad essa seguono lunghi cordoni cellulari, con direzione radiale, separati da lacune sanguigne di esile calibro, che si anastomizzano in vario modo: è questo il primo abbozzo della zona fascicolata. A tale zona segue la zona reticolare, formata da cordoni cellulari a direzione prevalentemente perpendicolare rispetto alle travate cellulari della zona fascicolata; questi cordoni cellulari sono separati da ampie lacune sinusoidali le quali sboccano nella vena centrale. Nella zona glomerulare si riscontrano stretti spazî vascolari i quali sono diramazioni delle arterie surrenali; essi decorrono radialmente, si continuano con le lacune vascolari o spazi sinusoidali della zona fascicolata, i quali a loro volta si continuano con quelle della zona reticolare. Si ha dunque tutto un sistema di spazi vascolari, più o meno ampî, interposti tra le arterie surrenali e la vena surre- nale. Essi offrono nelle varie sezioni dell’organo le stesse particola- rità di struttura. Sono infatti costituiti da una esile parete endo- teliale, la quale riposa sulle cellule del parenchima senza interposizione 62 Emerico Luna, di connettivo; inoltre si anastomizzano ampiamente tra di loro, special- mente nella zona reticolare. Per quel che riguarda poi la zona glomerulare, v'è da notare che alcuni fra i più ampi spazî vascolari che l’attraversano, sono avvolti da una esile lamina di tessuto connettivo, dipendente dalla capsula che avvolge tutto l’organo. L'immigrazione di elementi del simpatico continua ancora; alcuni di essi hanno già raggiunto la zona più centrale dell'organo. 5. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 42 (2. settimana del 3. mese lunare). L'organo soprarenale presenta le stesse particolarità ricordate nell’embrione precedente; solo v'è da notare che i gruppi di cellule midollari tendono sempre più a disporsi attorno alla vena centrale. 6. Embrione umano. Lunghezza vert.-cocc. mm. 75 (fine del 3. mese lunare) (Tav. II, fig. 7). | Nella glandola soprarenale si distingue chiaramente una zona glomerulare, una zona fasciculata ed una zona reticolare. Nella zona glomerulare si riscontrano numerosi spazi vascolari, di calibro molto ridotto, i quali rappresentano la continuazione delle arterie sur- renali. Essi hanno un decorso prevalentemente radiale e si scam- biano rare anastomosi: sono costituiti da una esile parete endoteliale, la quale è separata dalle cellule parenchimali a mezzo di una sotti- lissima trama connettivale, dipendente dalla capsula connettivale che avvolge tutto l'organo. Questi vasi capillariformi della zona glomeru- lare passano insensibilmente nelle lacune vascolari della zona fasci- colata, le quali a loro volta si continuano con gli spazî sinusoidali o lacune vascolari della zona reticolare. A differenza di quel che si osserva negli embrioni precedenti, gli spazi sinusoidali della zona fasci- colata e della zona reticolare sono molto ampi; l'ampiezza del loro lume contrasta con il calibro ristretto dei vasi della zona glomerulare, dai quali essi differiscono anche per la minuta struttura istologica; e di- fatti, mentre nei vasi della zona glomerulare le cellule endoteliali sono separate dalle cellule parenchimali per mezzo di una esile strato connettivale, in quelli della zona reticolare e della zona fascicolata non si ha traccia di tessuto connettivo interposto. Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 63 Le lacune vascolari della zona reticolare sboccano ampiamente nella vena centrale, la quale, in questo stadio dello sviluppo, è prov- vista di una robusta parete connettivale; attorno ad essa si trovano in grande quantità mucchi di cellule simpatiche. 7. Feto umano. Lunghezza vert.-cocc. cm. 12 (fine del 4. mese lunare). La struttura della glandola soprarenale ricorda quella dell'embrione precedente; qui però riesce molto più netta la distinzione nel paren- chima delle tre zone, glomerulare, fascicolata, reticolare. I vasi san- guigni, piuttosto esili, e rivestiti da una leggere trama connettivale a livelio della zona glomerulare, si slargano a livello della zona fasci- colata e della zona reticolare in ampie lacune sinusoidali, le quali hanno un calibro minore di quello che si riscontra nell’embrione di mm. 75. Solo in qualche punto si hanno lacune vascolari molto ampie, e special- mente a livello della zona reticolare; esse rappresentano i canali col- lettori destinati a raccogliere il sangue che, dopo di avere attraversato le varie zone della glandola, si versa per molteplici affluenti nell'ampia vena centrale. Tutto l'organo è avvolto da una spessa capsula connettivale, la quale manda sepimenti molto esili nell’interno dell'organo. Anche la vena centrale ha una spessa guaina connettivale. Sparsi per tutto l’organo, ma specialmente ammucchiati attorno alla vena, si riscontrano grossi cumuli di cellule simpatiche. Negli stadî successivi dello sviluppo la glandola soprarenale, per quel che riguarda la struttura della sostanza corticale, riproduce nelle sue linee fondamentali la disposizione ricordata nel feto di cm. 12. È da notare però che, man mano si procede nello sviluppo, la capsula connettivale che avvolge tutto l’organo diviene sempre più spessa, ed invia nell'interno dell'organo setti connettivali più o meno esili (i più spessi sono quelli che formano l’avventizia delle arteriae perforantes), i quali si spingono fin nelle zone più centrali, ove si fondono con altri setti connettivali provenienti dalla guaina avventizia della vena cen- trale. Tale reticolo di esili fibre connettive fa sì che i vasi delle varie 64 Emerico Luna, zone delle sostanza corticale e della sostanza midollare non siano più costituiti da una semplice parete endoteliale, ma che tra questa e le cellule del parenchima si trovi una esile trama connettivale (Tav. II, fig. 8). In conseguenza di ciò, i vasi assumono un aspetto che li avvi- cina a quello di veri capillari, tanto più che il loro calibro si riduce notevolmente, e solo in qualche punto si ha un accenno delle ampie lacune sinusoidali descritte nelle prime fasi della vita embrionale. Altro particolare degno di nota è questo, che mentre nelle prime fasi dello sviluppo le cellule appartenenti al simpatico si trovano disposte a mucchi, isolati gli uni dagli altri, attorno alla vena cen- trale, a partire dal 5. mese lunare esse incominciano a disporsi in forma di cordoni cellulari, in modo da avvicinarsi sempre più a quella disposizione propria della sostanza midollare nella glandola soprarenale dell'adulto. | Riassunto e conclusioni. Prima di riassumere lo sviluppo della circolazione sinusoidale nel- la glandola soprarenale, credo opportuno soffermarmi sopra alcune parti- colarità riguardanti lo sviluppo delle glandole soprarenali in genere. E questo un argomento sul quale hanno lavorato numerosi osser- vatori; cid non pertanto, se alcuni fatti restano in modo assoluto del tutto assodati, altri ancora aspettano una conferma. La glandola soprarenale, com’é noto, è costituita da due parti: sostanza corticale e sostanza midollare. Alcuni Autori ritengono che queste due formazioni si originino da un abbozzo unico; per alcuni (Valentin, Rathke, Goodsir, Gray, von Brünn, Sedgwick, Gottschau) questo abbozzo è di origine mesodermica; per altri esso proviene dal- lepitelio germinativo (Janosik, Valenti, Mihalcovics) o dall’epitelio dei condotti degli organi escretori (Bischoff, His, Waldeyer, Aichel, Semon). Dal primitivo abbozzo si formano le cellule corticali, dalle quali in seguito si differenziano le cellule midollari. Per altri osservatori invece la glandola soprarenale proviene da due abbozzi differenti. Per essi la sostanza corticale proviene dal meso- derma (Remak, Kölliker, Mitsukuri, Minot, ....) o dall'epitelio dei condotti degli organi escretori (Weldon), o dall’epitelio germinativo Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 65 (Inaba, Fusari, Srdinko, Wiesel, Brauer). La sostanza midollare invece proviene dal tessuto connettivo (Semper, von Brunn) oppure dal sistema simpatico (Remak, Kölliker, Braun, Balfour, Mitsukuri, Hoffmann, Inaba, Rabl, Fusari, Srdinko, Brauer, Wiesel, Soulié). Sullo sviluppo dell’organo surrenale nell’uomo, le ricerche più im- portanti sono indubbiamente quelle di Wiesel e di Soulié; entrambi questi Autori ammettono che la sostanza corticale proviene dall’epi- telio del celoma, e che la sostanza midollare si forma a spese del sistema simpatico, per immigrazione nell’abbozzo surrenale di elementi i quali sono col sistema simpatico intimamente connessi (cellule para- simpatiche del Soulié, sympathische Bildungszellen del Wiesel). Secondo Wiesel, le cellule simpatiche incominciano la loro migra- zione nell'abbozzo corticale nell'embrione di mm. 17 di lunghezza vert.- cocc. Nell’embrione di mm. 51 di lunghezza vert.-coce. tali cellule, in via di immigrazione verso il centro, diventano cromaffini, e finalmente nell'embrione di mm. 95 vert.-coce., si ha la disposizione- che è caratte- ristica nell'adulto. Quanto alla zona corticale, lo stesso A. ha riscon- trato che nell'embrione di mm. 19 vert.-cocc.. s'inizia la sua organizza- zione definitiva con l'apparizione della zona glomerulare. Soulié ha notato che la penetrazione delle cellule parasimpatiche nell'abbozzo corticale incomincia verso il 40. giorno (embrione di 19 mm.): essa termina verso la fine del secondo mese, ma ancora sino alla metà del 7. mese lunare la sostanza midollare non ha raggiunta la disposizione a cordoni cellulari, caratteristica nell'adulto. Quanto all’organizzazione della sostanza corticale, l'À. ritiene che l’inizio della zona glomerulare si abbia nell’embrione di mm. 24; ma solo alla fine del 3. mese si più seguire regolarmente l’organizzazione della sostanza corticale in tre zone. L’esame delle serie embrionali, mi permette di portare un mode- stissimo contributo sull’argomento. Per quel che riguarda l'origine dell'abbozzo corticale, non ho elementi sufficienti per ammettere che esso si origini dallepitelio germinativo o dall'epitelio degli organi escretori, perchè l'embrione più piccolo da me esaminato i quello di mm. 7 ed in questo stadio la glandola surrenale ha gia raggiunto una certa indipendenza morto- Internationale Monatsschrift f. Anat. u Phys. XXVII. 2 66 Emerico Luna, logica. E certo però che le sue connessioni con l’epitelio germinativo sono ancora in questo stadio abbastanza intime, e questo mi fa pensare, con Wiesel, Brauer, Fusari, Srdinko, Soulié etc. ... che l'abbozzo corti- cale della glandola surrenale si sviluppi da tale epitelio. Secondo le mie ricerche, la differenziazione della zona glomerulare avviene negli ultimi giorni del 2. mese lunare: quella delle altre due zone, fascicolata e reticolare, si ha alla fine del 3. mese lunare. Quanto all’abbozzo midollare, esso è evidentemente connesso al sistema del gran simpatico; gli elementi che lo costituiscono, non an- cora differenziati, incominciano nella prima metà del 2. mese lunare la loro migrazione dentro l’abbozzo corticale. In questo punto le mie ricerche confermano pienamente quelle di Soulié e di Wiesel. Tale migrazione continua, secondo Soulié, fino alla fine del 2. mese, per Wiesel fino al principio del 4. mese lunare. Io ho potuto riscontrare tale immigrazione di elementi simpatici dentro l’abbozzo corticale, già nettamente differenziato, fino alla fine del 4. mese lunare. Dopo queste brevi premesse, riguardanti lo sviluppo generale della glandola soprarenale, passo a riassumere quanto ho osservato intorno allo sviluppo della circolazione sinusoidale ed alle modificazioni che essa subisce nel corso dello sviluppo. Nell'embrione di mm. 7 di lungh. vert.-coce. ciascuna glandola sur- renale è rappresentata da un piccolo cumulo di cellule, situato medialmente alla vena cardinale inferiore. I rapporti che l’abbozzo surrenale assume con questa vena sono molto intimi; dove il contatto tra le due for- mazioni è più stretto, esse sono separate solamente a mezzo del- Vesile capsula che avvolge l’abbozzo surrenale e dell’endotelio di rivesti- mento della vena cardinale. In alcune sezioni poi che interessano la parte mediana dell’abbozzo surrenale, la vena cardinale si spinge nell’interno di tale abbozzo con una evaginazione a dito di guanto, tappezzata da elementi endoteliali, che riposano direttamente sulle cellule del parenchima. Qua e là nell’abbozzo surrenale si notano poi strette lacune vascolari tappezzate da endotelio. Poichè in questo stadio non si ha ancora accenno di arterie surrenali, si può pensare che tali lacune vascolari siano di- ramazioni dell’estroflessione della vena cardinale surriferita, e di fatti Lo sviluppo della circolazione sinusoidale etc. 67 tale estroflessione, dopo breve percorso nell’interno del parenchima, si assottiglia e non si lascia più seguire. Comunque sia, é certo che tale evaginazione della vena cardinale rappresenta il primo inizio della vena surrenale. Nelle successive fasi di sviluppo la vena si insinua sempre più. nell'interno del parenchima il quale si accresce anch'esso in volume e manda nel lume vascolare, limitato dall’endotelio, bottoni germinali i quali determinano la formazione di lacune vascolari secon- darie che vengono a sboccare nel lume principale. Avviene in altri termini quello che il Lewis chiama ,process of intercrescence“, e che consiste appunto nel progressivo sviluppo del primitivo abbozzo vascolare in mezzo al parenchima surrenale il quale, a sua volta, col suo accresci- mento irregolare, scompone per così dire tale abbozzo vascolare in tanti altri spazi vascolari che con esso restano sempre connessi. Questi Spazi vascolari si spingono fin verso la periferia dell’organo, ove ter- minano a fondo cieco. Nel frattempo dall’aorta si originano le arterie surrenali le quali si dividono in numerosi ramoscelli sulla capsula con- nettivale che avvolge l’abbozzo surrenale. Da questi ramoscelli capsulari partono quà e là rami più esili i quali si scavano un letto tra le cellule più corticali dell'organo soprarenale; è solo in un’epoca più avanzata di sviluppo che essi si mettono in rapporto con le dirama- zioni della vena surrenale. Questo fatto è stato anche riconosciuto dal Renaut nell’embrione del cane. La circolazione dell’organo si può considerare in questo stadio (seconda metà del secondo mese lunare) come fondamentalmente costituita. Le lacune vascolari della glandola soprarenale, così originate, hanno tutte la stessa proprietà di essere, per dir così, scavate tra le cellule del parenchima, dalle quali sono divise solamente a mezzo di un tenue strato endoteliale. Nelle fasi successive dello sviluppo tali lacune vanno assumendo un decorso sempre più regolare, e si ha così la formazione della zona fascicolata e della zona reticolare, nello stesso tempo che il punto di sbocco della vena surrenale (a destra nella vena cava, a sinistra nella vena renale) si fa sempre più stretto in modo che essa diventa sempre più indipendente dal vaso da cui si è originata. Abbiamo visto che mentre le lacune vasali più centrali della glan- B 68 Emerico Luna, dola soprarenale sono dovute allo sviluppo progressivo della vena surrenale, i vasi delle zone più corticali provengono delle arterie surrenali, e, con una certa approssimazione, possiamo dire che questi sono propri della zona glomerulare, mentre quelle sono situate nelle due zone, fascicolata e reticolare. I primi, e cioé le lacune della zona glomerulare, pur appartenendo alla categoria delle lacune sinusoidali, differiscono dalle lacune vasali delle altre due zone, oltre che per l’origine diversa, anche per alcuni caratteri morfologici; esse di fatti hanno sin dalle prime fasi di sviluppo un calibro molto ridotto a causa della compattezza del parenchima nel quale si trovano ed inoltre si scambiano poche ana- stomosi, mentre le lacune sinusoidali delle due zone fascicolata e reticolare si scambiano numerose anastomosi ed hanno un calibro maggiore. Queste ultime inoltre vanno incontro, nel corso dello sviluppo, a modificazioni nel loro calibro. Soulié ha accennato a questo fatto, studiando lo sviluppo dell’organo soprarenale in alcuni mammiferi: questo A. ha difatti riscon- trato nel gatto, nel cane etc. che in una certa fase dello sviluppo 1 vasi sono molto dilatati ed in seguito si riducono nel loro calibro. Io ho potuto ri- scontrare che nel quarto mese lunare le lacune vascolari della zona reticolare e fascicolata sono molto ampie; negli stadî successivi poi si riducono sempre più fino a perdere nell’individuo adulto l’aspetto di lacune vascolari sinusoidali che esse hanno nell’embrione e nel feto. Queste lacune tendono difatti ad assumere nel corso dello sviluppo un calibro che li avvicina sempre più ai vasi della zona glomerulare ed ai capillari in genere. Un altro carattere ancora li avvicina ai capillari, ed è la presenza di una leggera trama connettivale che si va formando nel mezzo del parenchima, e si dispone attorno ad i vasi sanguigni, in modo che le loro parete endoteliale non riposa più, nello stato adulto, sulle cellule del parenchima, ma ne è separata a mezzo di un leggerissimo strato connettivale. Abbiamo visto come fin dalle prime fasi dello sviluppo embrionale tutto l’organo surrenale resti avvolto da una guaina connettivale la quale diventa sempre più spessa. Verso il principio del 3° mese lunare dalla faccia profonda di questa capsula incominciano a distaccarsi esili trabecole connettivali le quali vanno con decorso prima irregolare, poi radiale, verso la zona centrale. Quasi contemporaneamente la vena surrenale si arricchisce di una Lo sviluppo della circolazione sinusoidale ete. 69 robusta guaina connettivale, dalla quale partono sepimenti in senso radiato, i quali, unendosi con quelli provenienti dalla capsula, formano nell'interno della glandola una fitta rete connettivale, più spessa attorno ai vasi. I vasi quindi restano separati dalle cellule proprie dell’organo a mezzo di uma esile trama connettivale. Questa invasione di tessuto avviene però in un secondo tempo; per essa, come anche pel decorso sempre più regolare delle lacune vascolari e per la riduzione del loro calibro, tali lacune vascolari tendono sempre più, man mano che si cresce nello sviluppo, ad assumere i caratteri di veri capillari. Si tratta però di una modificazione secondaria, identica a quella osservata dal Minot e dal Lewis in altri organi, e specialmente nel fegato. Concludendo, i risultati fondamentali delle ricerche da me eseguite, sono 1 seguenti: 1° La circolazione sanguigna della glandola soprarenale nell'uomo appartiene embrionariamente al tipo sinusoidale del Minot; solo nelle fasi progressive dello sviluppo, pel decorso pit regolare delle lacune vascolari, per la riduzione del loro calibro, per l’invasione secondaria di tessuto connettivo nellinterno dell'organo, la circolazione tende ad assumere i caratteri della circolazione capillare. 2° Il primo accenno di circolazione sanguigna nella glandola so- prarenale é dato dalla vena surrenale e dalle sue complesse ramifi- cazioni, con le quali vengono secondariamente ad unirsi i germogh vascolari provenienti dalle arterie surrenali. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Spiegazione delle figure. Embrione umano di mm. 7 l. v.-c.; sezione trasv. a livello della glandola soprarenale di destra. Oc. 3 Huyghens, obb. 4 (i dettagli con l’obb. 9). A = aorta; V C = vena cardinale inferiore; # = fegato; £ = epitelio germinativo; G = abbozzo della gland. soprarenale. Embrione umano di mm. 20 L v.-c.; sezione trasv. a livello della glandola soprarenale di destra. Oc. 3 Huyghens, obb. 4. 4 = aorta; V C — vena cava inf.; # = fegato; VS = primo abbozzo della vena surrenale; S = elementi cellulari parasimpatici. Dettaglio della figura precedente; zona corticale della glandola soprarenale. Oc. 4 comp., obb. !/,, imm. C = cellule della zona corticale; V = va- sellino arterioso che decorre in Cf = capsula fibrosa, ed invia un ramo collaterale tra le cellule della zona corticale. : Dettaglio della fig. 2; zona centrale della glandola sopr. Oc. 4 comp., obb. !/j imm. Cm = cellule della zona centrale della glandola so- prarenale; V S = primo abbozzo della vena surrenale, dalla quale par- tono branche collaterali che terminano a fondo cieco. Segmento di glandola soprarenale di embrione umano di l. v.-c. mm. 22. Oc. 3, obb. 4. Cf = capsula fibrosa; V S = vena surrenale. Segmento di gland. soprarenale di l. v.-c. mm. 38. Oc. 3, obb. 8*. Cf = capsula fibrosa; Z g = zona glomerulare; Z f = zona fascicolata; Zr — zona reticolare; V S = vena surrenale. Segmento di gland. soprarenale di embrione umano di 1. v.-c. mm. 75. Oc. 3, obb. 8*. Per le indicazioni, vedi fig. 6. Dettaglio a forte ingrandimento (oc. 4, obb. 1}, imm.) della zona fasci- colata della gland. soprarenale in uomo adulto. SA po CI Bo 21. 22. Bibliografia. Ecker, Der feinere Bau der Nebennieren beim Menschen und der vier Wirbel- klassen. Braunschweig 1846. Leydig, Lehrbuch der Histologie des Menschen. 1857. Harley, Lancet. 1858. Kólliker, Mikroskopische Anatomie. 1864. 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It is obvious from the mea- surements that differences due to age are important in estimating differential characters. Inspection shows that the tabular part which gives the relief of the brain prominences beneath, in the young, may become less convex at the sides and even somewhat depressed at one side of the median ridge in the old. The grooves (for the mesial cerebellar part) in a young Hylobates leuciscus, and a young Semnopithecus entellus, with the corresponding mesial prominences externally, contrast with the fossa above the foramen magnum in Hylobates agilis of a late adult age. Where, however. the heads become muscular and large, the muscular ridges, crests &c., may deprive the skull of much of its early character. So 74 ; R. J. Anderson, “the superoccipital is almost flat in Cynocephalus porcarius, but sloping upwards and backwards forms an acute angle with the parietal, from which it is divided by a strong ridge where the diploé are obliterated” (Owen). The flat occipital of Gorilla (above the foramen) is a good example of masking the posterior convexities. In Cebus and Callithrix the occipital has two large depressions, whilst in Mycetes it is flat and vertical. In Ateles the Paroccipitals form rough tubercles. Owen mentions that the superoccipital in the Aye-aye is a “thin plate moulded on the middle and lateral lobes of the cerebellum, and showing outwardly their respective prominences.” In Simia and Tro- glodytes the plane of the occipital forms an open angle with the basi- occipito-sphenoidal line. The participation of the occipital in forming the roof of the skull is evident on inspection, but still more striking in making the necessary measurements. The paroccipitals are not found in the old world monkeys nor in Cebidae. Muscle pressure seems responsible for the thinning. Meckel found the superoccipital developed from a single centre in mammalia generally, but in man frequently from four centres, two above and two below. Modern researches bear this out, although the traces of the division are apt to disappear. Meckel believes these elements are very frequent. The inter-parietal bone of Mammalia is regarded by some as an occipital element. It is probable that the four tabular elements are in response to the conditions of the cerebrum and cerebellum, at least in some cases. The mesial prominence is lost in man, also a ridge for fibrous tissue is left. In the skull of a young Chimpanzee a slightly raised eminence reminds one of the transverse eminence seen in the upper part of the Papuan’s skull, mentioned by Professor Krause. The ridge at the base of the Mastoid in Troglodytes is carried to the occipito-parietal suture internally. It is likely that a ridge may develop temporarily and change as the habits of the animals change within certain limits. Waldeyer describes a retro-mastoid process in the Papuan. The length and breadth of the condyles vary a good deal and the distance between the condyles in front as compared with the distance behind. Professor Calori pointed out that strictly speaking two condyles on the occipital bone are not always a mammalian character, nor a single The occipital bone in Primates. 75 condyle an invariable character in birds and reptiles. In the latter, one may have a quadripartite condition. It was shown by Cleland that the condyles in relation to the occipital bone vary with the age. In a young Polar bear the condyles are continued across the median line in front by a narrow articular tract. Changes obviously due to age may be seen in several mammalian groups. The condyles in man contrast with those in the Gorilla. The character of the former is due probably to the erect attitude of man to which Turner alludes. There is a condyle mesially in man like that mentioned by Drs. Reichert and Strecker. The diameter of the basilar may be compared with the antero-posterior diameter of the foramen. A foramen is basilar in one gorilla. The occipital bone in Lemur Catta, a young specimen, is 2.9 cms. shortest distance from before back, and 2.4 cms. from side to side. Ant-post-basilar 1.2 cms. Foramen magnum 1.2 cms. ant. post. and 1.2 cms. from side to side. It is lozenge-shaped. Foramen to middle of central elevation (occ. protub.) 1.3 ems. Centre of median elevation corresponding to the internal fossa, for middle cerebellar prominence, to anterior superior angle 1.3 cms. The condyles are 3 mm. apart in front, 1.7 cms. apart behind. The condyles are 1 cm. each long, and 2 mm. each broad. The elevation corresponding to the internal fossa 1.3 cms from above down, and 4 mms. transversely. The curved lines on each side are connected with the elevation above the middle. The lines are continued laterally to the side, each gives a branch off, that runs forward along the temporal fossa, above the zygoma a second is directed down to the rim of the external auditory meatus. The posterior root of the zygoma arises between these two, and comes up close to the ridge near the middle. Two rounded eminences are found below the curved lines, each lies between the curved line of its own side, the median elevation and the foramen magnum. These correspond to fossae on the internal (Cerebellar) surface. The bone is thin here, and in the middle line. It is very translucent in the fossae, and along the sutures, and thinner where the fossae are than elsewhere. 16 R. J. Anderson, A.-P. Tr. Bas. For. M. For to Sup. D. bet. Bet. Length Cond. B Angle Cond. Lemur Varius. 9cm 3 1.7 1.3 2.5 0.8 1.5 it 0.5 Central cerebellar eminence marked. Lateral convex. L. Varius (2) nearly same. In L. Varius (5) distance between Condyles 0.4 in front. Lemur Catta Foramen Magnum. A.-P. 0.9. Trans 1.2 m (2). Juv. Foramen is round. Lepidolemur microdon. Foramen 1.0 round. Basilar (?). Condyle 1.0 by 0.5. Galeopithecus volans. Condyles 0.5 aparts 0.7 behind. Sutures obliterated. Galago. A.-P. 2.1. Tr. 1.9. Basilar 1.0. Foramen 0.8. Galago (2). Basilar 0.6. Foramen 0.7 ant posterior. Tarsius sp. Foramen 0.7. Basilar. Condyles 0.2 in front. 0.6 behind. Prosimia mongoz. Basilar 1.1. Foramen 1.1. Condyles. 0.6 in front, dist. beh. 1.5 ccm. Propithecus Edwardsi. Basilar 1.2. Foramen 1.3. By (1.4) broad. Loris gracilis. Shortest 1.3. Transverse greater. Foramen to Summit 1.2. Indris brevicaudatus. Basilar 1.5. Foramen 1.2. Foramen to Summit 4.2. Lemur Rudugoz. Trans Diam equal to antero - posterior. A ridge is continued down along the occipital temporal suture from the curved line a second runs forward and goes to post root of Zygom. Hapale Oedipus. Anti.-Post. 2.2 cm. Trans 2.1. Basilar 0.8 cm. Foramen 0.7. Foramen round. Foramen to Poste- rior end of sagittal suture 1.2 cm. Condyles 0.2 distant in front, and 0.7 dist. behind. Length of Condyle 0.5. Breadth 0.4 cm. 4A suture corresponds to the upper curved ridge of the occipital bone or nearly so. Two V impressions with the angles turned out are on each side of the median eminence which runs up and back. Hapale Jacchus. A.-P. 2.0 cms. T. 1.8 cm. B. 0.8. F. 0.5 round F. to Summit (Suture) 1.0. Condyles Front. 0.2 distance 0.7 beh. Length of Condyle 0.6 by 0.25 broadest. The median external eminence is wider above than near Foramen magnum. There are two elevations one above and one below, on right side a triangular impression. There is only one elevation in the left side, three other specimens were examined. Mycetes Seniculus. A.-P. 4. T. 4.0. B. 2.7. F. 1.3 round. Foramen to A suture 3.4 cm. Mesial elevation slight. Tabular part thin at sides. The poste- rior part of the Mandible is far back in the six specimens examined. The average of six gives the following measurements in Centimetres. A.- Bost. 4.2. dirs ASI DA 72217522179 50799205 D. betw. Cond. 0.7. 1.2 beh. Cond. 1.1><0.6. Cebus-gives. A.-Post. 4. T. 3.9. B. 0.9. F. 1.5. F.to S. 2.4 cm. Dist. Cond. 0.5 — 1.3. L. 1x 0.4. The breadth of the Foramen was much less than the Ant.-Post. diam. in two specimens out of seven. Fig. 1. Fig. 2. Fig. 5. The occipital bone in Primates. 17 Pithecia sp. A.P. 3. T. 3.0 em. B. 14. F. 1.2. F.to S. 2.8. Frontal bone reaches far back. Ateles sp. A.-P. 5.2. T. 43. B. 1.7. F. 1.5 round. For. to Summit 2.5 cm. Condyles apart 1.3 em in front, 1.5 behind. Condyle L. 0.9 >< 0.6. Callithrix. The tabular part is much bent forwards above. CYNOC DN ne Cy Fig. 4, Fig. SD Fig. 6. Cynocephalus Hamadryas.- A.-P. 7.4. T. 6.5. B. 2.3. F. 1.9 lozenge-shaped with rounded angles. F. to A suture 5.8 cm. Condyles Converge 0.6 apart in front and 0.9 behind. Length of Condyle 1.6>< B. 0.7. Right Condyle broader both are notched. Flat at sides. Cynocephalus Sphinx: A.-P. 5.8 cm. T. 40. B. 14. F. 21 by 18. F. to Summit 3.7 cms dist. between Condyles in front 0.9. Behind 1.9 cm. Length Condy. 1.3><0.6. This specimen has good sutures. Occipital bone Convex above lower Curved lines. Cynocephalus Porcinus. A.-P. 7.5 cm. T. 7.5. B. 2. F. 2><14 cm. F. to Apex 4 cm. Condyles 0.6 apart in front. 1.8 behind. Flat tabular. Papio Mormon. A.-P. 5.8. T. 5.1. Basilar Contributes to Condyle. A hollowed thick band connects Condyles in front. Papio Leucoprymnus. (The last molar is not up.) A.-P. 6 cms. T. 6 cms. B. 1.25. F. 1.7. T. 1.2. F. to Apex 3.8 cms. The angle between the plane of the foramen and plane of palate — 180° nearly. Pa pio sp ACD 20 PIB 2 2/cmsy By 2:2 «1-8. Cynopithecus niger. A.-P. 5.7. T. 5.4. B. 15. F. 1.5. F. to Apex 3.9. Dist. between Condyles Fr. 0.7. Behr lo. Cond” Wy 12b ><1.7. FSitomApex 216 cm. Cond Er. oem. Beh io. Cond21.082 Br202>: The basilar length is much shorter than the foramen. The fossae behind the foramina are large. The tabular part is convex on each side above and flat below. Semnopithecus Maurus. A.-P. 43. T. 45. B. 1.1. F. 1.3 round. F. to Apex 3.0 cm. A median elevation and lateral convexities above exist. Two less marked lateral eminences are ‚present below. Semnopithecus Maurus (2). Angle between plane of foramen and plane of palate = 180° nearly. © The occipital bone in Primates. 79 Semnopithecus obscurus (juv.). A.-P. 3.8. T. 42. Superoccip. 2.4 cm. The upper edge of temporal, upper end of malar and upper edge of occipital (at side) are on the same level. The occipital is 2.4><0.6 cms. F. 1.2. The basioccipital and superoccipital contribute equally to this; the exoccipitals form each a larger part of the rim than these. B. 1. F. 1.2. F. to Sum- mit 2.6 cms. Semnopithecus leucoprymnus. B. 1.0 cm. F. 1.3. F. to Apex. 3.2. In this and the last specimen, the posterior parts of the Condyles are much larger than the anterior. Semnopithecus sp. (India). B. 1.8. F.1.9 round. Tabular part flat, shortest length = to breadth. Semnopithecus sp. A.-P. 43. T. 4.0. B. 1.1. F. 14. T. 0.7. F. to Apex 2.8. Condyles approach in front dist. 0.7 behind 1.4 cm. Tabular part hollowed below superior curved lines. Foramen Magnum is nearly square. Hylobates agilis. A.-P. 45. T. 48. B. 0.9. F. 1.9. T. 15. F. to Apex 2.9. Condyles Fr. 1.0.; Beh. 1.6 cm. Each Cond. 1.0 cm long, 0.7 broad. Con- dyles subside anteriorly and are continued by elevated tracts on each side into a triangular elevation which has its base at the foramen, its apex is near the basilar part. The posterior Condyloid fossae are deep. A wide elevation exists above the foramen magnum, at the summit of this are two pits one on each side, a line runs from summit of each to the Con- dyloid process on each side: There is on the cranial surface a median fossa and one on each side below the curved lines. The higher super occipital part is somewhat flattish in the middle, but more rounded and thinner at the sides. Hylobates Leuciscus. Antero-posterior 5.1. Trans. 5.2 cm. Bas. 1.1. F. 20% 1.5 cm. For. to Apex 3.8 cms. Four convex surfaces two on each side of the median line (externally) repre- sent four Cranial fossae . . . The median elevation is narrow and low. S Condy. Dist. 1.7 F and 1.5 beh. Bio JU Cond. L. 1.1> a . 14. ei: 10: 2317: "MIS 19: 20: ak 222 . 23. . 24. 25. 28207 Spiegazione delle figure. Canalicolo contorto normale esaminato a fresco senza intervento di nessuna sostanza. Idem, in soluzione di NaCl al 0,99/,. ” D) D) » D) p) 0,6%. >» 5,5 acqua distillata. Canalicolo contorto normale esaminato in soluzione di NaCl al 1,25°/, colorata con rosso neutro. Bastoncini e liposomi. Idem, in soluzione di NaCl al 0,7% colorata con rosso neutro. bo » b) » » » 0,4 Yo n » 7 » n ” p » n 1 jou Io Canalicolo coatto dopo 12 ore di soggiorno in Sodio di NaCl al 0,9%, colorata con rosso neutro, a temperatura ambiente. Scarse figure mieliniche, Liposomi. Idem, dopo 24 ore di soggiorno in soluzione di NaCl al 1,25°/,, colorata con rosso neutro, a temperatura ambiente. Canalicolo contorto esaminato un’ora dopo la morte in soluzione isotonica di NaCl (2,15°/,) colorata con rosso neutro. Idem, dopo 4 ore dalla morte, a temp. ambiente. » » D) ” 8 » n D ” 2 D) = HO tu » , Figure mieliniche. E ALORS 2 "une studio ne 2 Dy pur bats „ Mielina e primo accenno della colorazione nucleare. E UE ES I „ Colorazione intensa dei nuclei. PASO 4 „ Numerose figure mieliniche. Cutis contorto normale alla periferia della sezione. Zenker, Ematossi- lina ferrica - Eritrosina. Idem, Zenker-Mann. » nel centro della sezione. Zenker, Ematossilma ferrica- Eritrosina. , Zenker-Mann. , Sublimato-Mann. , Sublimato, Ematossilina ferrica -Eritrosina. , Sublimato, Ematossilina ferrica-Eritrosina. Granulazioni disposte in serie lineari parallele. Canalicolo contorto normale. Flemming, Fucsina acida-Acido picrico. 186 Domenico Cesa-Bianchi, Contributo allo conoscenza della anatomia etc. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 27. 28. 2029! . 90. Canalicolo contorto normale. Hermann-Altmann. Policromaticita dei gra- nul. alla periferia della sezione. Altmann, Fuc- sina acida-Acido picrico. al centro della sezione. Altmann, Fucsina. acida-Acido picrico. Triplice miscela osmio-platino-cromica, Fucsina acida-Acido picrico. Bastoncini e liposomi bene evidenti. Canalicolo contorto normale. Alcool. Ematossilina ferrica -Eritrosina. Formalina. Ematossilina ferrica- Eritro- sina. Carnoy-Van Gehuchten, Ematossilina fer- 2 ” 2 n 2 x rica - Eritrosina. Canalicolo contorto nell’avanzata inanizione. Zenker-Mann. " È Li 3 , Ematossilmna ferrica- Eritrosina. Policromaticita dei granuli. Canalicolo contorto durante il corso dell’inanizione. Zenker-Mann. Gra- nuli disposti in serie. Ematossilina ferrica-Eri- trosina. in avanzata inanizione. Zenker, Ematossilina ferrica Eritrosina. Grosse granulazioni policromatiche. Canalicolo contorto in avanzata inanizione. Zenker-Mann. Prime lesione nucleari. Canalicolo contorto nell’avanzata inanizione. Altmann, Fucsina acida- Acido picrico. Voluminose granulazioni. Lesioni nucleari. Idem. Zenker, Ematossilina ferrica-Eritrosina. Policromaticita dei gra- nuli e lesioni nucleari. Idem. Zenker-Mann. Profonde lesioni del protoplasma e dei nuclei. Distruzione cellulare. Idem. Altmann, Fucsina acida-Acido picrico. Idem. Zenker-Mann. Grosse granulazioni del citoplasma ed incipienti lesioni nucleari. Canalicolo contorto dopo un giorno di digiuno. Frammentazione dei bastoncini. Zenker, Ematossilina ferrica-Eritrosina. Canalicolo contorto nell’inanizione lieve. Zenker-Mann. Idem. Zenker, Ematossilina ferrica-Eritrosina. 5 Zenker-Mann. Lesioni del protoplasma. Canalicolo contorto durante il corso dell’manizione. Zenker, Ematossilina ferrica-Eritrosma. Grossi granuli del protoplasma. Idem. Altmann, Fucsina acida- Acido picrico. 2 p » » n » Tutte le figure vennero disegnate con l'aiuto della camera chiara Abbe-Apathy. Tavolino all'altezza del preparato. Ingrandimento: Oc. 6 comp. Obb. 2 mm apocr. imm. omog. ap. 1,30 Zeiss Tubo 160 mm. TN E eg ee SERIES - _ Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Rauber's Lehtouch Anatomie des Menschen bearbeitet von Prof. Dr. Fr. Kopsch, I. Assistent am Anatomischen Institut zu Berlin. Neu ausgestattete Ausgabe. Vill. Auflage. Abt. 1. Allgemeiner Teil. 234 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 6.—. » 2. Knochen, Bander. 439 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 9.50. , 3. Muskeln, Gefasse. 407 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 15.—. » 4. Eingeweide. 455 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 12.—. » ©. Nervensystem. 427 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 13.—. » 6. Sinnesorgane, Generalregister. 251 teils farbige Ab- bildungen. Gebunden M. 8.—. Das altberühmte Werk bietet mit seiner von keinem anderen Lehrbuch er- - reichten reichhaltigen illustrativen Ausgestaltung das Vollkominenste, was die moderne Technik schafft. Durch Vergrósserung des Formates war es móglich, - die Abbildungen so gross herzustellen, wie sie keiner der neueren Atlanten bringt. Die neue Auflage macht daher die Anschaffung eines Atlas überflüssig, - vereinigt also in sich die Vorzüge eines Lehrbuchs und eines Atlas. Verlag der H. Laupp' chen n Buchhandi LN üb nge Die aussere und innere Sekretion des gesunden Organismo im Lichte der ,vitalen Färbung. GG Von Professor Dr. Edwin E. Goldmann. Mit 15 farbigen lithographischen Tafeln. Gross 8. 1909. (75 8) M. 5— Anatom. Anzeig. XXXV, 15: ce Diese Abhandlung bildet den ersten Teil eines grosseren Wok dessen or zweiter Teil sich mit spontanen und experimentell erzeugten krankhaften — Zuständen, besonders mit Geschwulstentwickelung und Geschwulsterzeugung beschäftigt. Da die Beiträge zur klinischen Chirurgie (P. v. Bruns), in denen — die Abhandlung erscheint, den Anatomen wohl nur selten zu Gesicht kommen, ist es mit Dank zu begrüssen, dass die Studien Goldmanns (unter Ehrlich) hier dem anatomischen Publikum leicht zugängig gemacht werden. Eshandelt [ sich um höchst interessante und auffallende Erscheinungen, die bei der vitalen — Färbung (Mäuse, Ratten) mit Pyrrholblau und andern Farbstoffen auftreten, und die hier in kurzer Weise im Text beschrieben, besonders aber auf den zahlreichen und hervorragend schönen Tafeln dargestellt werden. Der Preis des Buches ist dafür als ein sehr niedriger zu bezeichnen. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Die Methoden der Immunodiagnostik und Immunotherapie — und ihre praktische Verwertung von . Dr. Julius Citron, Assistent der II. medizinischen Universitätsklinik in Berlin. j a Mit 27 Textabbildungen, 2 farbigen Tafeln und 8 Kurven. Geb. M. 6.60. Versuch einer mechanischen Analyse der Veränderungen vitaler Systeme von Dr. Ad. Cohen-Kysper, Hamburg. M. 1.60. Richard Hahn (H. Otto), Leipzig, Herausgegeben RÉ 49: yon 2 rs TREE. D R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan Ed. van Beneden üttich S. Ramón y Cajal in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, lai in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm E A. Lu. | L. Testut in oes in Lyon | und Fr. Kopsch in Berlin. x Band XXVII. Heft 4/6. Sl + " LEIPZIG 1910. . e von Georg Thieme. Inhalt Seite Kurt Schmidt, Die arteriellen Kopfgefüsse des Rindes. oe Tafel V und 3 Textfiguren) | E I IE . 18% A. Ruffini, Ricerche eaten cl ed à e a pee dellà pars periotico-mastoidea del temporale e sul significato dell'apofisi mastoide. (Con tavole. VIX). VOU RU MEN Tp ee M Nt oe a ae AL DI 265 Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, eine grüssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzôsischer, italienischer, englischer oder deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- logie“ werden direkt an die HEN Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, Prinzregentenstr. 59, erbeten. Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their. articles can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to . ; the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- regentenstr. 59. : Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s’adressant a M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig; Rabensteinplatz 2, Allemagne. Les articles écrits en allemand, en anglais, en français, en italien ow en latin doivent être adressés à l’un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopsch à Wilmersdorf près de Berlin, Prinzregentenstr. 59. Die bisher erschienenen Bande kosten: Di o woo Ba x M. 48.30. ROUT c a aay DARE TOI. oe cu TED I ” 10.50. AR UK d C uc acci EM SIT 0p cd TUNID en ar cs ae ur E ue 70 E EE EN I 3° SI e me | oo ies “ua CR. ny a (qu ne 1640. | . XXVI 00 Ba. I-XXV sat M. 1706. 30 nur M. 1200. — har. Aus dem veterinir-anatom. Institute der Universität Zürich (Prof. Dr. Zietzschmann). Die arteriellen Kopfgefásse des Rindes. Von Kurt Schmidt, Tierarzt in Weissensee bei Berlin. (Mit Taf. V und 3 Textfig.) In den letzten Jahrzehnten hat der Ausbau der vergleichenden Anatomie der Haussäugetiere bedeutende Fortschritte gemacht. Aller- dings wurden nicht alle Haustiere und von ihnen wieder nicht alle Teile gleichmässig berücksichtigt. So sind die Tiere und Organe ge- nauer untersucht worden, die für die Behandlung,: besonders für operative Eingriffe am meisten in Betracht kommen. Das Pferd ist uns in anatomischer Hinsicht bekannter als Rind und Schwein, die Anatomie des Fusses ist in praktischer Hinsicht wichtiger als die des Rückenmarks. Auch die Tiere, die zu wissenschaftlichen Unter- suchungen viel. verwendet werden, die sog. Versuchstiere (Hunde, Katzen, Kaninchen), sind anatomisch genauer erforscht worden. Andrer- seits hat man sich oft damit begnügt, die Forschungsergebnisse der menschlichen Anatomie nur mit Berücksichtigung der groben Ab- weichungen auf die Tiere zu übertragen. Oder man hat die beim Pferde gefundenen Verhältnisse ohne genauere Kontrolle zum Rinde usw. herübergenommen. Was im besonderen das Auge betrifft, so begründet schon Bach [1] die Notwendigkeit oder wenigstens Zweckmässigkeit der Untersuchungen über die arterielle Gefássversorgung dieses Organes mit obigen Angaben. In den folgenden Ausführungen über die arteriellen Kopfgefässe des Rindes mit besonderer Berücksichtigung der arteriellen Gefäss- versorgung des Auges und seiner Nebenorgane habe ich nur die makro- - skopischen Verhältnisse bearbeitet und die Arterien des Bulbus nur bis zu ihrem Eindringen in die äussere Augenhaut verfolgt. Ihr Ver- 188 | Kurt Schmidt, halten innerhalb des Bulbus, im wesentlichen eine mikroskopische Arbeit, ist nicht untersucht worden. Die Arteria carotis communis habe ich deshalb in ihrer ganzen Verzweigung, wenn auch nicht so bis ins einzelne gehend wie die Orbitalgefässe, verfolet, weil der in den Lehrbüchern angegebene genauere Verlauf der Kopfarterien. des Rindes manche Lücke aufweist und, wie auch zum Teil ihre Benennung, zu manchem Widerspruche herausfordert. Die Arbeit wurde auf Veranlassung des Herrn Professor Zietzsch- mann unter seiner Leitung ausgeführt. Technik. Das Material, das meinen Untersuchungen zugrunde liegt, stammt von Rinder-Feten und von Tieren verschiedenen Lebensalters. Es - wurden im ganzen untersucht: ein Kopf eines ca. acht Jahre alten weiblichen Rindes, drei Kópfe von Kälbern verschiedenen Alters und drei Kópfe von Feten der letzten Monate ihrer intrauterinen Ent- wicklung. Dadurch, dass bei diesen Kópfen stets beide Seiten injiziert und präpariert wurden, konnte ich die Orbitalgefásse bezw. die Ver- zweigungen der Arteria carotis communis in 14 Füllen studieren. Die Köpfe stammen teils von geschlachteten, teils von verendeten Tieren und wurden mitsamt der Haut und mindestens drei Halswirbeln — quer zum Halse — abgesetzt. In einem Falle habe ich Kopf und Hals direkt vor dem Brusteingang abtrennen lassen, um so den grössten Teil der Arteria carotis communis und der Arteria vertebralis präpa- rieren zu kónnen. Die Injektion selbst wurde verschieden lange Zeit nach dem Tode ausgeführt. Meistens waren einige Stunden verflossen. Einen Unterschied in bezug auf Füllung der Gefässe mit Injektions- masse habe ich zwischen Kópfen von ausgebluteten, d. h. geschlachteten und nicht ausgebluteten, d. h. verendeten Tieren nicht konstatieren kónnen. Vor der Injektion wurde das proximale Ende der durch- schnittenen Arteria carotis communis jeder Seite eine kurze Strecke weit frei prápariert und eine mit Hahn versehene Kanüle eingebunden. Als Spritze habe ich eine einfache Injektionsspritze von 100,0 & In- halt mit eingeschliffenem Metallkolben verwendet. Ein Unterbinden von Gefässen während der Injektion war nur selten nötig. Die Arteriae Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 189 vertebrales und Arteria spinalis ventralis wurden nicht unterbunden, um einen übermässigen Druck im Kopfgefässsystem und damit ein Platzen der Gefüsse oder ein Übertreten der Injektionsmasse in die Venen zu vermeiden. Das Injektionsmaterial selbst bestand aus einer gefürbten alkoho- lischen Schellacklösung, die sich nach Bach [1], Bellarminow [5] und Virchow |20, 21 und 22] sehr gut zum Injizieren von Augengefüssen eignet. Ich habe sie in der von Hoyer [10] angegebenen Weise her- gestellt. Mit dieser Flüssigkeit erhielt ich regelmässig gute Resultate. Die zur Injektion eines Kopfes nótige Menge lasst sich schwer be- stimmen. Durch die Arteriae vertebrales und die Arteria spinalis ventralis fliesst regelmässig eine verschieden grosse Menge der Injektions- flüssigkeit ab. Ich habe im Durchschnitt zur Injektion eines Feten- kopfes (aus den letzten Monaten der Gravidität) 50—70 ccm, eines Kalbskopfes 70—100 cem und eines Rindskopfes 350 ccm In- jektionsflüssigkeit gebraucht, wobei die durch die obenerwähnten Ge- fisse wieder ausgeflossene Menge mit eingerechnet ist. Obgleich die Injektionsmasse schon nach einigen Stunden in den Gefässen erstarrt war, liess ich die Képfe mindestens einen Tag in kühler Temperatur an der Luft liegen, um sie dann in eine ca. 1°/,ige Formaldehyd- lósung einzulegen, in der sie bis zu und während der Präparation aufbewahrt wurden. Untersuchungsbefunde. I. Allgemeine Verzweigung der Arteria carotis communis. Die Arteria carotis communis (Fig. 1a; Textfig. le) geht jeder- seits am dorsolateralen Rande der Luftröhre kopfwärts und teilt sich, am Kehlkopfe bezw. Schlundkopfe angelangt, in ihre Endäste, während sie um den medialen und dorsalen Rand des sie kreuzenden M. di- gastricus in scharfem Bogen herumtritt. Auf dem Wege zum Kopfe entspringen aus der gemeinsamen Kopfarterie eine ganze Anzahl Aste für die der Arterie benachbarten Muskeln, Luftröhre, Speiseröhre, Thymusdriise und äussere Haut. Diese Gefàsse sind von verschiedener Stärke, im allgemeinen aber schwach. Bei alten Tieren kommen die Zweige für die Thymusdrüse natürlich grösstenteils in Wegfall. 190 Kurt Schmidt, Der einzige gréssere Ast, den die A. carotis communis in ihrem . Verlaufe am oberen Halse abgibt, ist die Arteria thyreoidea (Fig. 1 b). Sie entspringt in der Hóhe des kaudalen Randes der Glandula thyreo- idea, läuft geschlängelt am dorsalen Schilddriisenrande oral bis zum kranio-dorsalen Ende der Driise und teilt sich dort in zwei Aste, in- dem sie sich gleichzeitig in einem rechten Winkel ventral wendet. Der mediale Ast läuft an der medialen Fläche der Schilddriise kaudal und versorgt die Drüse von dieser Seite aus. Er sendet ausserdem kleinere Aste an die Speiserdhre, den kaudalen Teil des Kehlkopfes und die ersten Luftróhrenringe. Ausserdem schickt er kurz nach seinem Ursprunge einen stärkeren Zweig zum Schlundkopf, die Arteria pharyngea ascendens (Fig. 1 be). Der laterale Ast (Fig. 1 ba) versorgt mit mehreren Zweigen die Schilddrüse von der lateralen Seite aus und làuft selbst am kranialen Rande des Isthmus (Fig. 1 bc) entlang bis zur ventralen Mittellinie der Luftróhre, wo er mit dem gleichen Gefäss der anderen Seite anastomo- siert. Aus dem lateralen Aste entspringt die Arteria laryngea (Fig. 1 bd), die kurz nach ihrem Ursprunge einen Zweig auf der late- ralen Kehlkopfwand nasal sendet (Fig. 1 bda) Fig. 1. , . und selbst zwischen Ring- und Schildknorpel Teilung der Arteria carotis , . : : È communis eines ca. 20 Tage In den Kehlkopf tritt, um sich in dessen alten Kalbes, von der lateralen Schleimhaut aufzulôsen. Die A. laryngea Seite gesehen (schematisch). aTrunkus fir die Arteria carotis interna und Arteria occipitalis. Kehlkopfes und anastomosiert an den Ary- — b Arteria palatina ascendens. knorpeln mit der der anderen Seite. Während — c Arteria carotis interna. — d Arteria occipitalis. — e Arteria carotis communis. —/ Trunkus suchten Fallen immer aus der A. thyreo- für die Arteria maxillaris exter- na und Arteria lingualis. — g Durchschnitt der Arteria ca- ascendens zweimal direkt aus der A. carotis rotis externa, — À Nervus communis, dicht medial vom Abgange des hypoglossus. versorgt die Muskeln und Schleimhaut des diese Kehlkopfarterie in den von mir unter- idea stammte, entsprang die A. pharyngea Trunkus für die Hinterhaupts- und innere Kopfarterie. Was die Endteilung der A. carotis communis betrifft, so finden Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 191 wir von den verschiedenen Autoren übereinstimmend drei, für Aus- nahmefälle vier Endäste angegeben. Bei der Benennung derselben gehen aber die Angaben auseinander. Ellenberger und Baum [6] so- wie Martin [15] lassen die A. carotis communis sich teilen in die A. oecipitalis, A. maxillaris externa und A. maxillaris interna. Aus- nahmsweise kónnen nach diesen Autoren A. lingualis und. A. maxillaris externa — was ich bei meinen Untersuchungen auch gefunden habe — nicht gemeinsam, sondern getrennt von der Teilungsstelle der ge- meinsamen Kopfarterie abgehen. In einem solchen Falle teilt sich letztere dann in vier Endäste. Die genannten Autoren betonen weiter- hin, dass die A. carotis interna — im Gegensatz zum Pferd — als besonderer Stamm fehlt und durch Áste der A. maxillaris interna er- setzt wird. Tandler [17] führt dagegen an, dass die A. carotis in- terna beim ausgewachsenen Tiere zwar nur noch in Form eines binde- gewebigen Stranges, bei Embryonen und Neugeborenen dagegen gut ausgebildet und zu injizieren ist. Ich habe diese Tandlersche Angabe, auf die ich spáter noch zurückkomme, bei meinen Untersuchungen bestätigt gefunden. Tandler bezeichnet ferner den Endast der A. carotis communis, den Zllenberger-Bawm und Martin A. maxillaris externa benennen, als Trunkus der A. maxillaris externa und A. lin- gualis, worin ihm Bertelli [4] beistimmt. Beim Menschen (Gegen- baur [S]) entspringen die äussere Kinnbackenarterie und die Zungen- arterie gesondert aus der äusseren Kopfarterie, bei Pferd und Rind haben sie einen gemeinschaftlichen Stamm. Bei meinen Untersuchungen habe ich nun gefunden, dass die A. lingualis meistens stärker ist als die A. maxillaris externa; selten waren sie gleich stark. Deshalb ist es meines Erachtens vollständig gerechtfertigt, wenn man den oro- ventral verlaufenden Endast der gemeinsamen Kopfarterie nicht A. maxillaris externa bezeichnet, sondern als Trunkus fiir die A. lingualis und A. maxillaris externa ansieht. Weiterhin will Zandler den der Carotisendáste, der von den Veterinäranatomen gewóhnlich A. maxillaris interna genannt wird, erst von der Stelle an, wo er an die mediale Seite des Unterkiefers tritt, so bezeichnet und bis dahin als A. carotis externa aufgefasst wissen. Ich schliesse mich dieser Tandlerschen Nomenklatur an, worin ieh auch mit Canova |5| übereinstimme, der 192 Kurt Schmidt, die kleinen Wiederkäuer untersucht hat. Bei meinen Untersuchungen habe ich weiterhin gefunden, dass die A. carotis interna, gleichviel ob als passierbares Gefäss oder als bindegewebiger Strang, regel- mässig mit der A. occipitalis zusammen entspringt und mit ihr einen allerdings nur sehr kurzen Stamm gemeinsam hat. In einem einzigen Falle nur gingen die beiden Gefässe getrennt aus der A. carotis com- munis hervor. Ich habe deshalb den von Zllenberger-Baum und Martin als A. occipitalis bezeichneten Endast der A. carotis communis Trunkus für die A. carotis interna und A. occipitalis benannt. Die A. carotis communis teilt sich also — kurz zusammengefasst — kranial von der dorsalen Kehlkopfwand bezw. seitlich am Schlund- kopfe in drei Aste: die A. carotis externa, den Trunkus für die A. carotis interna und A. occipitalis und den Trunkus fiir die A. maxil- laris externa und A. lingualis. Ausnahmsweise können die A. carotis interna und A. occipitalis oder die A. maxillaris externa und A. lin- gualis auch gesondert aus der gemeinsamen Kopfarterie entspringen. Der Trunkus für die Arteria carotis interna und die Arteria occipitalis (Textfig. 1 a) ist beim erwachsenen Rinde an Stärke der schwächste der Endäste der gemeinsamen Kopfarterie, beim Neu- geborenen dagegen ist er ungefähr ebenso stark wie der Trunkus der A. maxillaris externa und der A. lingualis. Die Ursprungsstelle des aus der dorsalen Wand der A. carotis communis entspringenden Trunkus liegt über dem lateralen Teile der dorsalen Kehlkopf- bezw. Schlundkopf- fläche, medial vom aboralen Bauche des Musculus digastricus und ventro- medial vom Winkel des grossen Zungenbeinastes und des ventralen Endes des Processus jugularis des Hinterhauptsbeines. Der Trunkus schlägt von der Ursprungsstelle an eine dorsale Richtung ein und zerfallt schon nach einem Verlaufe von wenigen Millimetern in seine beiden Aste, die A. carotis interna und die A. occipitalis Aus der nasalen Wand des gemeinsamen Stammes dieser beiden Arterien ent- springt in der Regel noch als drittes Gefáss die A. palatina ascendens. Man kann, in-Anbetracht des äusserst kurzen Trunkus, fast von einer Dreiteilung sprechen. In einem einzigen Falle entsprangen diese drei Gefüsse gesondert aus der Teilungsstelle der gemeinsamen Kopfarterie. Die Arteria palatina ascendens (Textfig. 1 5), die bis auf den einen Die arteriellen Kopfgefásse des Rindes. 193 eben erwähnten Fall immer aus dem Trunkus für die A. carotis interna und A. occipitalis stammte, verläuft sehr geschlängelt nasal und ver- zweigt sich in der Wand der Schlundkopfhöhle und im Gaumensegel. Aus ihrem Anfangsteile gehen verschiedene schwächere, nicht immer vorhandene Zweige ab. Es sind dies ein oder zwei feine Gefüsse, die zur Endsehne des Musculus longus capitis laufen und sich in deren Umgebung (Fett) verzweigen. Einige Male sandte das eine dieser Gefásse ein feines Reis zum Nervus vagus und an dessen lateraler Seite entlang durch das Foramen lacerum in die Schädelhöhle. Die A. palatina ascendens entsendet weiterhin kurz nach ihrem Ursprunge aus der kaudo-dorsalen Wand in kaudaler Richtung einen stürkeren Ast, der direkt medial vom Anfangsteil der A. carotis interna und A. occipitalis vorbeiläuft und sich in den tieferen Schichten der Kopf- beuger und in der Atlasgrube verzweigt. Mit diesem Gefässe fast zusammen entspringt oft eine schwächere Arterie, die sich medial an der A. carotis interna, A. occipitalis und der A. carotis communis vor- bei, in ventraler Richtung zur lateralen Kehlkopfwand wendet und sich in deren naso-dorsalem Abschnitt verzweigt. Diese Nebenäste der A. : palatina ascendens stellen — wie bereits erwähnt — einen unregel- mässigen Befund dar. Nach (einige Millimeter) oder fast gleichzeitig mit der Abgabe der À. palatina ascendens spaltet sich der Trunkus für die Hinter- haupts- und innere Kopfarterie in seine beiden Aste. Der nasale dieser beiden Endzweige, die Arteria carotis interna (Textfig. 1 c) ver- lauft, meist geschlängelt, frontal, kreuzt lateral den Nervus vagus und Nervus sympathicus, geht an der medialen Wand der Pars tympanica des Schläfenbeins vorbei zum vorderen Abschnitt des Foramen lacerum und durch dasselbe in die Schädelhöhle hinein, um dort in das grosse Rete an der Schädelhöhlenbasis einzumünden (Fig. 49). Auf dieses Ende der Arterie komme ich später noch zurück. Während ihres ganzen Verlaufes ausserhalb der Schädelhöhle gibt die innere Kopfarterie keine Aste ab. Was die Rückbildung der A. carotis interna betrifft, so war bei acht bis neun Monate alten Feten diese Arterie fast so stark wie die A. occipitalis. Ungefáhr 20 Tage nach der Geburt ver- hielten sich die Durchmesser der A. carotis interna und A. occipitalis Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys, XXVII. 15 194 ‘Kurt Schmidt, wie 1,75:1,90. Bei einem ca. sechs bis acht Wochen alten Kalbe betrug der äussere Durchmesser der A. occipitalis an ihrem Ursprunge 4,2 mm, während das Lumen der inneren Kopfarterie, die jedoch noch in ihrem ganzen Verlaufe injiziert war, ca. 0,5 mm im Durchmesser hatte. Beim erwachsenen Rinde endlich fand sich an Stelle der A. carotis interna ein ca. 1—1,2 mm starker bindegewebiger Strang, der von der Teilungsstelle der A. carotis communis bis zum Foramen lacerum deutlich zu verfolgen war. Der kaudale Endast des Trunkus fiir die Hinterhaupts- und innere Kopfarterie bildet die Arteria occipitalis (Textfig. 1d). Während beim Pferde die zur Fliigelgrube des Atlas ziehende Hinterhaupts- arterie nur eine kleine A. condyloidea abgibt, stellt beim Rinde die Knopflocharterie den Hauptteil der A. occipitalis vor, und das zur Fliigelgrube des Atlas laufende Gefäss, der Ramus descendens, fehlt meistens ganz. Demnach ist die beim Rinde von der Teilungsstelle des Trunkus fiir die Hinterhaupts- und innere Kopfarterie zum Fora- men hypoglossi ziehende Arterie im Anfang als A. occipitalis, später als A. condyloidea anzusehen. Die Hinterhauptsarterie schlägt die Richtung nach dem Foramen hypoglossi des Hinterhauptsbeines ein; anfangs begleitet sie kranial, spáter lateral den Nervus hypoglossus. In einem Falle entsprang — wie schon erwähnt — die A. occipitalis direkt aus der gemeinsamen Kopfarterie, und in einem anderen ein- zigen Falle stellte sie den nasalen und die A. carotis interna den kaudalen Endast ihres gemeinsamen Stammes vor. Kurz nach ihrem Ursprunge entsendet die A. occipitalis meist einen schwachen, ober- flächlichen Muskelast kaudal zur ventralen und lateralen Fläche der Kopfbeuger. Die Hinterhauptsarterie erreicht dann die mediale Seite des Processus jugularis, an der sie in frontaler Richtung entlang läuft. Sie gibt während dieses Verlaufes mehrere schwächere Aste ab, deren Reihenfolge und Entfernung voneinander wechseln. Einer derselben ist fiir das Periost des Processus jugularis und die sich dort an- setzende Muskulatur bestimmt. Ein zweiter geht nasal, legt sich der kaudalen Fläche der Pars tympanica des Felsenbeins an und tritt als Arteria stylomastoidea profunda (siehe auch A. auricularis magna, S. 16) in das gleichnamige Loch ein. Sie begleitet den Nervus facialis bis zum Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 195 Cavum tympani, verlässt ihn dann und verbreitet sich im mittleren Ohre. In einem Falle war diese Arterie doppelt vorhanden. Die Arteria meningea media entspringt auch aus der nasalen Wand der Hinter- hauptsarterie; sie geht der kaudo-medialen Fläche der Pars tympanica entlang in frontaler Richtung zum hinteren Abschnitt des Foramen lacerum und in dasselbe hinein (Fig. 4h). Das Gefàss ist in Einzel- fällen doppelt vorhanden oder teilt sich während seines Verlaufes in zwei Aste, die beide durch obiges Foramen ziehen. Während ihres extrakraniellen Verlaufes entsendet die A. meningea media zuweilen einen feinen Ast zum ventro-lateralen Teile des Atlanto-Occipital- gelenkes. Nahe der Fossa condyloidea gibt die Hinterhauptsarterie die sehr starke A. condyloidea ab und läuft kaudal von dieser (und selbst etwas schwächer als die Knopflocharterie) zwischen Processus jugularis und Basis des Processus condyloideus kaudo-lateral, über- schreitet dann in frontaler Richtung das Atlas-Hinterhauptsgelenk, an das sie zuweilen wenige feine Zweige abgibt, und erreicht die Genick- fläche des Schädels, an der sie fast bis zur Mittellinie in mehreren Zweigen zu verfolgen ist. Das Gefäss verzweigt sich in den Streckern des Kopfes und entspricht dem Verlaufe nach der A. meningea cau- dalis des Pferdes und der kleinen Wiederkäuer; es gibt aber beim Rinde keinen Zweig an die Dura mater ab — es fehlt auch an der Genickfliche des Rindes jede Óffnung des Schläfenkanals. Dieser Hinterhauptsast, denn dem Verbreitungsgebiet nach kónnen wir ihn so bezeichnen, sandte in einem Falle beim Passieren des Atlas-Hinter- hauptsgelenkes eine stärkere Anastomose zu dem aus dem Foramen alare atlantis in die Flügelgrube tretenden und sich dort verzweigenden Gefässe, auf das ich später zurückkomme. Die starke Arteria con- dyloidea tritt in die gleichnamige Grube ein und entsendet einen oder mehrere feine Gefásse an das Periost des Condylus; in der Tiefe der Grube teilt sie sich in zwei Endäste, die zusammen mit dem Nervus hypoglossus durch die beiden Foramina bezw. Canales hypoglossi, die ausnahmsweise auch vereinigt sein können, in die Schädelhöhle treten (Fig. 47). Den weiteren Verlauf der A. condyloidea werde ich mit den Arterien der Schádelhóhle und des Rückenmarkskanales zusammen beschreiben (s. S. 242 ff.). 196 Kurt Schmidt, Der Trunkus der A. lingualis und der A. maxillaris externa (Textfig. 1f) geht am ventralen Rande des grossen Zungenbeinastes und an der medialen Flache des Musculus digastricus und des M. pterygoideus medialis oro-ventral und teilt sich nach einem kurzen Verlaufe in seine beiden Aste, die A. lingualis und A. maxillaris ex- terna. In drei Fallen gingen die beiden Arterien nicht mit einem gemeinsamen Stamme, sondern getrennt aus der A. carotis communis hervor, und zwar einmal die A. lingualis wenige Millimeter distal von der A. maxillaris externa; an einem Kopfe, aber beiderseits, die A. maxillaris externa 1 cm distal von der A. lingualis. Was das Grüssen- verhältnis der beiden Gefässe zueinander betrifft, so ist die A. lingualis um ein Geringes stärker als die A. maxillaris externa. Der Trunkus sandte in zwei Fallen einen stärkeren Ast zur seitlichen Kehlkopf- wand, der dort mit der A. laryngea aus der Schilddrüsenarterie ana- stomosierte. Ausserdem gehen vom Trunkus unregelmässig kleinere Aste an die Umgebung ab. Die Arteria hngualis bildet in bezug auf Verlauf die Fort- setzung des gemeinsamen Stammes. Sie verläuft am ventralen Rande des grossen Zungenbeinastes oro-ventral weiter zwischen M. hyo- glossus und keratohyoideus und tritt am ventralen Rande des M. styloglossus über die laterale Seite des kleinen Zungenbeinastes hin- weg. Sie geht nunmehr von der oro-ventralen Richtung in eine oro- mediale über, gelangt so an die mediale Fläche des M. hyoglossus, läuft in der Tiefe der Zunge — ungefähr in gleicher Héhe mit dem dorsalen Rande des M. styloglossus — zwischen dem M. hyoglossus und M. genioglossus als Arteria profunda linguae bis zur Zungen- spitze, wo sie mit der der anderen Seite anastomosiert. Kurz nach ihrem Ursprunge entlässt die Zungenarterie in der Regel zwei stärkere Gefässe für die Glandula mandibularis (s. submaxillaris), die zum Teil noch die Muskeln des Zungengrundes versorgen. Ausserdem ent- sendet sie wáhrend ihres Verlaufes innerhalb des Zungenkórpers und der Zungenspitze neben stärkeren Zweigen, fami dorsales limguae, die zur Zungenrückenfläche laufen, nach allen Richtungen an die Zungenmuskeln Aste, die zum Teil bis zur Schleimhaut gehen. Ungefähr nach zwei Fünfteln ihres Verlaufes, an der medialen Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 197 Fläche des M. hyoglossus, in der Nahe des Zungenbeinkórpers, gibt die A. lingualis die starke Arteria sublingualis (Textfig. 2 b u. b,) ab. Diese läuft direkt medial vom M. hyoglossus, im Winkel zwischen M. genioglossus und M. geniohyoideus, oral und schwach ventral, so dass sie allmählich an den ventralen Rand des M. styloglossus gelangt. Auf dem dorsalen Rande des M. geniohyoideus läuft die A. sublingualis dann kinnwárts bis zu dessen Ursprungsstelle und anastomosiert hier mit der gleichen Arterie der anderen Seite. Dieser Anastomosen- bogen liegt direkt unter der Schleimhaut des freien Mundhóhlenbodens. Die Unterzungenarterie gibt während ihres ganzen Verlaufes zahlreiche, mehr oder weniger starke Aste an ihre Um- gebung ab. Zusammen mit der Unterzungenarterie oder neben ihr entspringt fast regelmässig nasal vom Zungenbeinkórper aus der A. lingualis ein starkes Gefäss, Ramus hyoideus (Martin [15]) (Textfig. 2 c), das sich kaudo-medial wen- det, unter spitzem Winkel mit dem der an- deren Seite zusammenfliesst und verschiedene Aste abgibt. Fig. 2. Aus der Vereinigungsstelle der beiden Ana- | Richtung nach der stomosenäste (Textfig. 2 c und c, entspringt Zungenspitze. Von der ven- tralen Seite gesehen. ; a A. lingualis dextra. tral vom Zungenbeinkórper in der Mittelebene a, A. lingualis sinistra. der Zunge kaudal zur Basis des Kehldeckels DA ysublingualis|dextra. A. sublingualis sinistra. läuft und dessen nasale Fläche versorgt. Die ; Ramus hyoideus dext. b, C Abgangsstelle der anderen Aste ist unregel- c, Ramus hyoideus sinist. d Arterie für den Kehl- deckel. lingualis, zuweilen von der A. sublingualis ab- e Arterie in der Mittel- gegeben. Einer derselben (Textfig. 2 e) làuft ebene oral laufend- in der Mittelebene der Zunge oral, ungefähr in gleicher Höhe mit regelmássig ein Gefàss (Textfig. 2 d), das ven- mässig. Sie werden zuweilen auch von der A. SS der A. lingualis, erreicht aber die Zungenspitze nicht, sondern ver- liert sich vorher in der Muskulatur, besonders im M. genioglossus. Ausserdem gehen einige Gefàsse, die man zu den Rami dorsales linguae rechnen kann, durch die Muskulatur dorsal bezw. dorso-kaudal zur 198 Kurt Schmidt, Schleimhaut des Zungenrückens oder -grundes. Bei zwei Kópfen war die Anastomose zwischen den beiden Aa. linguales nicht vorhanden. Die eben erwähnten Gefässe entsprangen aus den Zungen- bezw. Unter- zungenarterien nasal vom Zungenbeinkórper. Die Angabe von Ælenberger und Baum [6], wonach die A. lin- gualis eine A. submentalis abgeben soll, habe ich nicht bestätigt cefunden. Die Arteria maxillaris externa wendet sich sofort nach ihrem Ursprunge lateral, geht über den dorsalen Rand des M. digastricus — etwa in der Hóhe seiner Zwischensehne — hinweg, zwischen der lateralen Flache des genannten Muskels und der medialen Fläche des M. pterygoideus medialis oro-ventral und schwach lateral am letzt- genannten Muskel entlang zum Gefässausschnitt des Unterkiefers. Dort schlägt sie sich, nur bedeckt von der äusseren Haut und der indsehne des M. sternomandibularis, um den ventralen Rand des Unter- kieferkórpers auf dessen laterale Flüche um und geht in die Gesichts- arterie über. Die áussere Kinnbackenarterie gibt unregelmássig kleine Aste an die sie umgebenden Muskeln (M. digastricus, M. pterygoideus, M. sterno-mandibularis) ab und ausserdem zwei bis drei stärkere Ge- fásse in kaudo-ventraler Richtung zur Glandula mandibularis (s. sub- maxillaris), von denen der eine noch das Ende des M. sterno-mandi- bularis versorgt. Ein weiterer Ast der A. maxillaris externa wendet sich oral, versorgt den M. pterygoideus: medialis, M. mylo-hyoideus, M. mylo-glossus, den oralen Bauch des M. digastricus und anastomo- siert mit Zweigen der Unterzungenarterie und zuweilen auch mit der A. pterygoidea der inneren Kieferarterie. Ehe die A. maxillaris ex- terna den Gefässausschnitt des Unterkiefers erreicht, entsendet sie ventral einen stürkeren Ast, der sich um den Unterkieferrand schlägt und den ventralen Abschnitt des M. masseter versorgt. An der Umschlagestelle selbst entlässt die äussere Kinnbackenarterie in me- dialer Richtung ein schwächeres Gefáss, das unter der Endsehne des M. sterno-mandibularis hervortritt und sich nach kurzem Verlaufe in zwei Àste spaltet. Der eine wendet sich kaudo-medial zum oralen Ende der Glandula mandibularis. Der andere Zweig (Fig. 1 cg) schlägt eine orale Richtung ein, läuft ventral am M. mylo-hyoideus und M. mylo- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 199 glossus entlang und versorgt diese Muskeln und die äussere Haut. Die Arterie erreicht das Kinn nicht, auch habe ich keine Anastomose mit der A. mentalis (A. alveolaris mandibulae) nachweisen kónnen. Ich habe dieses Gefäss trotzdem Arteria submentalis genannt. Martin |15] erwähnt eine A. submentalis beim Rinde nicht, und Ellenberger-Bawm [6] lassen sie bei den „Wiederkäuern“ aus der A. lingualis entspringen. Ich habe aber, wie oben bereits erwühnt, eine A. submentalis weder bei der Zungen- noch Unterzungenarterie nachweisen kónnen, ein Be- fund, der sich mit dem von Canova [5] bei den kleinen Wiederkäuern insofern deckt, als auch hier weder die A. lingualis noch die A. sub- lingualis eine A. submentalis abgeben. Meine Resultate stimmen mit den Verhältnissen beim Menschen ungefähr überein (Gegenbaur [8]). Die Arteria facialis (Fig. 1c), die Fortsetzung der A. maxillaris externa, verláuft vom Gefässausschnitt des Unterkiefers in einem dorsal schwach konvexen Bogen in der Richtung nach dem dorsalen Rande des Flotzmaules, anfangs am nasalen Rande des M. masseter; sie làuft oberflächlich über die Gesichtsmuskeln hinweg, wobei sie aber den M. zygomaticus medial kreuzt. Die Gesichtsarterie gibt wührend ihres Verlaufes über das Gesicht mehrere stürkere Aste ab. Die Arteria labialis inferior superficialis (Fig. 1 ca) entspringt eine kurze Strecke distal vom ventralen Rande des Unterkiefers. Sie geht in horizontaler Richtung am ventralen Rande des M. depressor labii inferioris, an den sie Zweige abgibt, oral und ist bis in die Unterlippe hinein zu verfolgen, wo sie mit der A. mentalis (A. alveo- laris mandibulae) anastomosiert und deren Versorgungsgebiet teilt. Etwas distal von der oberflächlichen Unterlippenarterie geht die Arteria labialis inferior profunda (Fig. 1 cb) aus der Gesichtsarterie hervor. Sie durchbohrt den M. depressor labii inferioris und läuft zwischen ihm und der ventralen Backendriise in der Tiefe oral, parallel dem ventralen Rande des genannten Muskels und damit auch parallel dem vorigen Gefässe. Sie geht dicht ventral am Mundwinkel vorbei in die Unterlippe. Während ihres Verlaufes gibt sie Zweige an die umgebende Muskulatur (M. depressor labii inferioris, M. buccinator), be- sonders aber an die ventrale Backendriise ab. Mit ihrem Ende ver- sorgt sie den M. orbicularis oris und die Schleimhaut der Unterlippe. 200 Kurt Schmidt, Vereinzelt war eine Anastomose mit der A. labialis inferior super- ficialis und dadurch mit der A. mentalis nachzuweisen. Eine A. anguli oris habe ich als Nebengefäss der A. labialis inferior profunda nicht gefunden. Ellenberger und Baum geben für das Rind nur eine A. labialis inferior an, die der Beschreibung nach obiger A. lab. inf. superf. ent- spricht (,am ventralen Rande des M. depressor labii inferioris entlang laufend“). Martin spricht von den „beiden Aa. labiales*, worunter aber eine Kranzarterie der Oberlippe und eine solche der Unterlippe zu verstehen sind. In seiner Figur Nr. 398 lässt er distal von seiner A. labialis inferior einen ,Ast an die Backenmuskeln“ aus der A. facialis entspringen, der ungefáhr der von mir beschriebenen A. labialis inferior profunda entspricht. Dieser ,Ast an die Backenmuskeln“ ist jedoch nicht beschrieben. Ich habe die beiden Aa. labiales inferiores in jedem Falle vorgefunden. Da sie aber beide mit den entsprechenden Gefässen der anderen Seite nicht direkt in Verbindung treten, so ist der Name ,,Kranzarterie“ nicht gerechtfertigt. Die Kranzarterie der Unterlippe wird beim Rinde durch die A. mentalis gebildet (siehe unten S. 210). Neben diesen Hauptästen entsendet die A. facialis kleine, unbe- deutende Zweige an ihre Umgebung, so auch an den oralen Rand des M. masseter. Am ventralen Rande des M. depressor labii superioris teilt sich die A. facialis in ihre beiden Endäste. Der eine derselben, die Arteria labialis superior (Fig. 1 ed), geht an der medialen Flüche des M. zygo- maticus nahe dessen dorsalem Rande oral, tritt in die Oberlippe ein und verlàuft, am Übergange des Flotzmaules in die Sehleimhaut der Oberlippe, bis zur Mittellinie. Während ihres Verlaufes entsendet diese Arterie einige unregelmássige Zweige an die Muskeln ihrer Um- gebung und zahlreiche Aste in dorsaler Richtung in die Oberlippe und deren Schleimhaut. Kurz bevor sie die Mittellinie erreicht, wendet sie sich dorsal und löst sich fächerförmig in zahlreiche Aste auf, die in das Flotzmaul ziehen und mit denen der anderen Seite anastomo- sieren. An der Oberlippe existiert also tatsáchlich eine Koronar- arterie. Ausserdem schickt die Arterie der Oberlippe einige Zenti- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 201 meter nach ihrem Ursprunge ein stärkeres Gefäss, die Arteria anguli oris, oro-ventral zum Mundwinkel. Der andere Endast der Arteria facialis (Fig. 1 ce) sendet ver- schiedene kleine oberflichliche Aste gegen den Nasenrücken (Fig. 1 cf) und das Auge, die aber letzteres bei weitem nicht erreichen, und schlägt sich selbst um den ventralen Rand des M. depressor labii sup. herum auf dessen Knochenfläche, anastomosiert dort mit den Endästen der A. infraorbitalis und verzweigt sich mit diesen zusammen in den Seitenteilen der Nase. Ellenberger und Bawm erwähnen, dass die Kranzarterie der Ober- lippe ,,meist einen sehr starken Ast abgibt, der der A. lateralis nasi fast parallel verläuft, sich aber nicht mit der A. palatina major ver- bindet“. Ich habe diesen Ast regelmässig gefunden — eine Ana- stomose zwischen ihm und der A. palatina major ebenfalls nie kon- statiert —, sehe ihn aber nicht fiir eimen Nebenast der A. labialis superior an, sondern, wie oben ausgeführt, als den zweiten Endast der A. facialis. Ich habe deshalb von einer Endteilung der Gesichts- arterie gesprochen, weil die A. labialis superior und das mit der A. infra- - orbitalis anastomosierende Gefäss fast gleich stark, während die gegen Nasenrücken und Auge ziehenden Zweige nur unbedeutend sind. Und es ist meines Erachtens auch gerechtfertigt, den zweiten Endast der A. facialis als Arteria lateralis nasi zu bezeichnen, da er die Seiten- teile der Nase versorgt. Will man das zum Foramen infraorbitale heraustretende Ende der A. infraorbitalis ebenfalls Seitenarterie der Nase nennen, dann ist dieselbe eben doppelt vorhanden, als A. late- ralis nasi der A. facialis und als A. lateralis nasi der A. infraorbitalis. Die A. dorsalis nasi und A. angularis oculi, beim Pferde Neben- bezw. Endäste der A. facialis, sind beim Rinde auch vorhanden, stammen aber hier von der A. malaris ab (siehe S. 223 u. 224). Die Arteria carotis externa (Fig. 1 d; Textfig. 1 g), der fort- laufende Stamm der A. carotis communis, tritt zwischen M. digastricus (in der Höhe seiner Zwischensehne) und M. stylohyoideus einerseits und dem ventralen Rande des grossen Zungenbeinastes andrerseits in lateraler Richtung hervor, biegt im rechten Winkel frontal um und läuft dann, von der Parotis bedeckt, in einem lateral schwach 202 Kurt Schmidt, konvexen Bogen parallel zum Halsrande des Unterkieferastes (in der Tiefe) über die laterale Flache des grossen Zungenbeinastes hinweg nach der Fossa retromandibularis. Hier teilt sie sich in ihre beiden Endäste, in die an die mediale Seite des Unterkiefers tretende, weit- aus stärkere A. maxillaris interna und den frontal weiter laufenden, schwächeren Trunkus für die A. temporalis superficialis und die A. transversa faciel. An der Stelle, an der die A. carotis externa zwischen dem grossen Zungenbeinaste und dem M. digastricus hindurchgeht, entspringen ein oder zwei kleine Gefässe aus ihrer kaudo-lateralen Wand. Sie ver- zweigen sich auf der lateralen Fläche des genannten Muskels und versorgen diesen sowie die umliegenden Teile der Parotis. Die Arteria auricularis magna (posterior) (Fig. 1 e; Text- fig. 3 a) entspringt als starkes Gefäss aus der kaudo-medialen Wand der áusseren Kopfarterie und geht, von der Parotis bedeckt, leicht geschlingelt kaudo-dorsal über die laterale Fläche des grossen Zungen- beinastes in der Richtung nach dem Gesäss der Ohrmuschel und er- reicht die Basis des Processus jugularis des Hinterhauptsbeines direkt kaudal vom Porus acusticus osseus externus. Die Angabe von Ellen- berger und Baum [6], dass die A. auricularis posterior (s. magna) bisweilen aus der A. temporalis superficialis entspringt, habe ich nicht bestätigt gefunden. Bei meinen Untersuchungen habe ich sie immer aus der A. earotis externa entspringen sehen, wie es auch Canova [5] für die kleinen Wiederkäuer als die Regel angibt. Während ihres Verlaufes bis zum Gesäss der Ohrmuschel gibt die Arterie unregel- mässig verschiedene schwächere Zweige für die Parotis ab, von denen der eine oder andere noch den M. digastricus oder den Niederzieher des Ohres oder Teile der Glandula mandibularis mit versorgt. Regel- mässig geht aus der medialen oder medio-kaudalen Wand dieses Teiles der A. auricularis posterior ein feiner Ast ab, der nach dem Foramen stylo-mastoideum und in dasselbe hinein geht: die Arteria stylo-masto- idea (s. tympanica) superficialis (Fig. 1 ea) Sie läuft zusammen mit dem Nervus facialis und der A. stylo-mastoidea profunda aus der A. occipitalis durch den Facialiskanal des Felsenbeins in das mittlere Ohr. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 203 In einem Falle entsprang die Arterie für den äusseren Gehör- gang (Fig. 1 fa), die sonst aus dem Trunkus der A. temporalis super- ficialis und A. transversa faciei stammt, aus der A. auricularis poste- rior (kurz vor ihrer Teilung in ihre Endäste), verlief dorso-kaudal: und drang nach kurzem Verlaufe von der dorso-kaudalen Seite her am Übergang vom knóchernen zum knorpeligen Teile in den äusseren Gehórgang ein. An der Basis des Drosselfortsatzes gibt die A. auricularis posterior (s. magna) einen (selten doppelten) Ast lateral über den knorpeligen Gehörgang und das Gesáss der Ohrmuschel gegen den Winkel des Muschelspaltes hin ab, der auf halbem Wege sich teilt; ein Zweig durchbohrt den Muschelknorpel, der zweite (Fig. 1 eb; Textfig. 3 A) überschreitet den Spaltwinkel, und beide verbreiten sich in der Haut der Innenflàche des Ohres. In solchen Fallen, in denen der Ram. auric. lateralis (s. unten) nur schwach ist, nimmt die eben beschriebene Arterie mit einem Aste an der Versorgung den proximalen Teil des lateralen Muschelrandes teil; ausserdem ist in solchen Fällen der Ramus auricularis intermedius lateralis stärker ausgebildet. Kurz distal vom Spaltwinkelaste entspringt der Ramus auricu- laris lateralis (Textfig. 3 c), der ersterem parallel läuft und unter dem M. auricularis inferior hinweg zum lateralen Muschelrand zieht (näheres siehe unten). In grösserer oder geringerer Entfernung vom Ursprung des Ramus auricularis lateralis geht aus der hinteren Ohrarterie die A. auricu- laris profunda (Textfig. 3 0) ab. Diese besteht im Prinzip aus zwei Asten, einem Ramus auricularis internus (Textfig. 3 bc), der den Muschelknorpel am Gesáss durchbohrt, und einem Ramus muscularis (Textfig. 3 ba), der die tiefen Schildmuskeln versorgt. Der Ast für die Haut der Innenfläche des Ohres entspringt häufig gesondert aus dem fortlaufenden Stamme der A. auricularis posterior, und der Muskelast kann dann auch proximal vom Ramus auricularis late- ralis aus dem Stammgefäss der A. auricularis posterior hervor- gehen. Der fortlaufende Stamm der grossen Ohrarterie teilt sich, unter dem Gesiiss der Muschel angelangt, in die beiden Rami auri- culares intermedii. Der Ramus auricularis intermedius lateralis (Textfig. 3 d) geht unter dem langen Auswärtszieher des Ohres hin- 204 Kurt Schmidt, — weg und an der Rückenfläche der Ohrmuschel spitzenwärts, in ge- wisser Entfernung vom Dorsum der Muschel. Der Ramus auricularis intermedius medialis (Textfig. 3 e) läuft ebenfalls zwischen dem langen Auswartszieher des Ohres und der Muschel hindurch und zieht auf dem Dorsum der Ohrmuschel entlang gegen deren Spitze. Die beiden Rami auriculares intermedii spalten sich an ihrem Ende in je zwei Gefásse, die mit dem entgegenkommenden Endaste des Nachbargefásses bezw. mit dem Ende des Ramus auricularis late- ralis bezw. des (später besprochenen) Ramus auricularis medialis (Textfig. 3 g) der A. temporalis superficialis zusammenfliessen. Aus Fig. 3. Arterien am Ohr des Rindes (Rückansicht) schematisch. a Arteria auricularis posterior (s. magna). — d Arteria auricularis profunda. — ba deren Ramus muscularis — be deren Ramus auric. internus. — € Ramus auricularis lateralis. — d Ramus auricularis intermedius lateralis. — e Ramus auricularis intermedius medialis. — f dessen Zweig zur Schildmuskulatur. — g Ramus auricularis me- dialis. — A Spaltwinkelast. — è Lage des Schildknorpels. diesen Anastomosenbógen, die etwas entfernt vom freien Rande der Ohrmuschel ihn in seiner ganzen Ausdehnung begleiten, laufen feine Gefüsse gegen den Spaltrand und treten zum Teil auch auf die Innen- fläche der Muschel über. Der eine der beiden Rami auriculares inter- medii entsendet meistens noch einen Ast (Textfig. 9 f) zur oberfläch- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 205 lichen Schildmuskulatur. Von den verschiedenen Endästen der A. auricularis posterior gehen ausserdem unregelmässig kleinere Zweige an die Muskulatur der Muschel, an Fett und äussere Haut ab. Der Ramus auricularis lateralis, der an jedem Ohre nachzuweisen war, stammte in zwei Fallen aus der A. auricularis anterior bezw. A. temporalis superficialis (siehe S. 208). An drei Präparaten (d. h. drei Ohren) war statt der beiden Rami auriculares intermedii nur einer vorhanden. Nach Martin [15] und Ellenberger-Baum [6] soll sich die A. auricularis posterior des Rindes im allgemeinen ebenso wie die des Pferdes verhalten, also ausser dem Ramus auricularis lateralis den (einen) Ramus auricularis intermedius und den Ramus auricularis me- dialis abgeben. Mit meinen Untersuchungen stimmt dies nicht überein (siehe unten). In bezug auf den Ramus auricularis intermedius ent- fernt sich das Rind von den kleinen Wiederkäuern, stimmt aber in der Abgabe des Ramus auricularis medialis mit diesen tiberein (Canova). Während des Verlaufes über die laterale Fläche des grossen Zungenbeinastes entspringt die Arteria masseterica (Fig. 1 dc) aus der lateralen oder naso-lateralen Wand der A. carotis externa. Sie ver- làuft oro-ventral über den Halsrand des Unterkiefers zum kaudo-ven- tralen Abschnitt des M. masseter und gibt Aste zum M. pterygoideus medialis, M. digastricus und zur Parotis. Oft ist der eine Ast auf Kosten der anderen verstürkt, so dass die Arterie für den einen oder den anderen Muskel oder der Ast für die Parotis zum Hauptgefäss wird. Dicht neben der A. masseterica entspringt meistens noch ein besonders kurzes Gefäss für die Parotis, das dem eben genannten an Weite fast gleich ist. Im frontalen Ende der Fossa retromandibularis angelangt, teilt sich die A. carotis externa, wie bereits früher ausgeführt, in ihre beiden Endäste, die A. maxillaris interna und den Trunkus für die A. temporalis superficialis und die A. transversa faciei. Ellenberger- Baum und Martin lassen bei Pferd und Rind das fragliche Gefäss, das sie übereinstimmend als A. temporalis superficialis bezeichnen, aus der bedeutend stärkeren A. maxillaris interna abgehen. Beim Menschen spricht man aber von einer „Teilung“ der A. carotis externa in die oberflächliche Schläfen- und innere Kieferarterie, da beide an 206 Kurt Schmidt, Kaliber ungefähr gleich stark sind. Bei Schaf und Ziege ist nach Canova |5] der Trunkus der A. temporalis superficialis und A. trans- versa faciei im Verhältnis zur A. maxillaris interna bedeutend stärker als beim Rinde. Aus vergleichenden Griinden spreche ich deshalb von einer ,'leilung^ der A. carotis externa. Den frontal ziehenden Endast der äusseren Kopfarterie bezeichne ich nicht als A. temporalis superficialis, wie es in den Veterinäranatomien gebrauchlich ist, sondern mit Tandler und Canova als Trunkus für die oberflächliche Schläfen- und die querlaufende Gesichtsarterie, aus Gründen, die genannte Autoren näher gekennzeichnet haben. Dieser Trunkus (Fig. 1 f) geht in der alten (frontalen) Richtung der A. carotis externa weiter und teilt sich nach kurzem Verlaufe (beim ausgewachsenen Rinde. 1 cm) in die schwache A. transversa faciei und in die A. temporalis superficialis. Während die oberflàchliche Schläfenarterie die frontale Richtung des gemeinschaftlichen Trunkus beibehalt, geht die Arteria transversa facie) (Fig. 1 g) ungefähr im rechten Winkel dazu naso-lateral, tritt an den kaudalen Rand des Unterkieferastes, dann mit dem Nervus temporalis superficialis oder Nervus buccalis dorsalis (Schachtschabel [16] zusammen auf die laterale Fläche des M. masseter und sendet ihre Aste in unregelmässiger Weise über dessen ganze Flüche, ohne dabei den nasalen Rand des Muskels zu überschreiten. Nur in einem Falle sandte sie eine Anastomose zur A. facialis. Die Arteria temporalis superficialis (Fig. 1 h) geht, in der Fossa retromandibularis von der Parotis, spiter von den Musculi auriculares nasales sowie vom M. frontoscutularis bedeckt, kaudo-lateral vom Kiefergelenk, frontal über die laterale Seite des Jochbogens hinweg und schlägt eine naso-mediale Richtung ein, wobei sie dem extra- orbitalen Augenfett in der Schläfengrube aufliegt. Ungefähr 2!/, bis 6 em (je nach Alter und Grósse des Tieres) kaudal vom temporalen Augenwinkel teilt sich die Arterie in ihre drei Endäste, die Aa. pal- pebrae superioris und inferioris temporales und die Arterie des Horn- zapfens. i Ungefähr gegenüber dem Ursprunge der A. transversa faciei geht aus dem Trunkus bezw. aus dem Anfangsteile der A. temporalis super- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 207 ficialis ein feines Gefäss ab (Fig. 1 fa), das dorsal und schwach kaudal, ungefähr parallel dem Anfangsteile der A. auricularis anterior, über die laterale Flache des spitzen Winkels des grossen Zungenbeinastes nach dem äusseren Gehórgang hin verläuft und von der ventralen Seite her in denselben eindringt. In manchen Fallen teilte sich das Gefäss vorher in zwei Aste, und an einer Kopfseite entsprang es aus der A. auricularis posterior (siehe S. 203). Meistens gehen von dieser Arterie ein oder mehrere feine Aste nach der Parotis oder dem M. stylo-hyoideus ab. Wenig distal von der A. transversa faciei entspringt aus der naso-lateralen Wand der A. temporalis superficialis ein schwächeres Gefass, das auch nasal zum kaudalen Rande und dann auf die laterale Fläche des M. masseter läuft, mit der A. transversa faciei anastomo- siert und sich auf der kaudo-frontalen Partie des genannten Muskels verzweigt. Das Gefäss ist unbeständig, nicht an allen Köpfen vor- handen und wird dann durch einen Zweig der A. transversa faciei ersetzt. Mit diesem Gefäss zusammen oder dicht daneben geht in manchen Fallen aus der A. temporalis superficialis ein ebenfalls schwächerer Ast frontal und schwach lateral zur hinteren Fläche des Kiefer- gelenkes. Den letzten beiden Gefässen ungefàhr gegenüber entsendet die A. temporalis superficialis aus ihrer kaudalen Wand einen ihr fast gleich starken Ast, die Arteria auricularis anterior (Fig. 1 ha), die zuweilen auch aus dem Ende des Truncus communis der A. temporalis super- ficialis und der A. transversa faciei entspringt. Sie läuft frontal und schwach kaudal gegen die zwischen dem äusseren Gehürgang und dem Processus postelenoidalis befindliche Öffnung des Schläfenkanales hin. Bis hierher entlässt die A. auricularis anterior unregelmässig mehr oder weniger starke Zweige zur Parotis, seltener einen kleinen Ast für das Kiefergelenk und ein sehr starkes Gefäss, das in den Schläfen- kanal eindringt, die Arteria meningea accessoria Canovas (Fig. 1 hd). Von Martin und Ellenberger-Baum wird dieses Gefäss, und zwar vom Ursprunge aus der A. temporalis superficialis an, unrichtig als A. meningea posterior bezeichnet, die der gleichnamigen Arterie des 208 Kurt Schmidt, Pferdes homolog sein soll. Eine Homologie ist aber wie bei Schaf und Ziege ausgeschlossen, wenn man bedenkt, dass das beim Pferde so benannte Gefäss an der Schuppe des Hinterhauptsbeines in den Schläfenkanal tritt. Ich folge in der Namengebung vorläufig Canova. Hier müssen Spezialuntersuchungen einsetzen. Die „akzessorische“ Hirnhautarterie ist ein für die Wiederkäuer typisches Gefäss und beim Rinde den kleinen Wiederkäuern gegenüber deshalb so stark ausgeprägt, weil eine A. meningea caudalis fehlt (siehe oben). In einem einzigen Falle entsprang die A. meningea accessoria gesondert aus der A. temporalis superficialis. Während ihres Verlaufes inner- halb des Schläfenganges schickt die akzessorische Hirnhautarterie durch besondere Knochenkanäle verschiedene Äste zum Museulus tem- poralis und zur Stirnhóhle und steht durch eine im Canalis condylo- ideus verlaufende Anastomose mit der A. condyloidea (siehe S. 243) in Verbindung. In einem Falle entliess sie einen starken Ast durch einen aussergewóhnlichen Knochenkanal zum Rete des Schädelhühlen- bodens. Die fortlaufende A. auricularis anterior geht, anfangs von der Parotis sowie vom äusseren und unteren Einwärtszieher der Ohrmuschel bedeckt, fronto-kaudal und schwach lateral schräg über die nasale Seite des äusseren Gehörganges hinweg, sendet unregelmässige kleine Zweige zur Schildmuskulatur und zu den Einwärtsziehern des Ohres sowie zum Fett der Schläfengrube und gibt einen konstanten Ast (Fig. 1 hd) zum Spaltwinkel der Ohrmuschel ab, der während seines Verlaufes ein oder zwei feine Zweige durch den Knorpel hindurch entsendet und selbst im Spaltwinkel auf die Innenfläche der Ohr- muschel umbiegt. Das Ende der A. auricularis anterior läuft wie bei Schaf und Ziege als Ramus auricularis medialis (Fig. 1 he; Text- fig. 3 g) auf der Aussenfläche der Ohrmuschel nahe deren medialem freien Rande spitzenwärts und verhält sich in bezug auf die End- verzweigung wie der oben beschriebene Ramus auricularis lateralis. In zwei Fällen entsandte die vordere Ohrarterie auch den Ramus auricularis lateralis, der gewöhnlich von der A. auricularis posterior stammt. Nach Zllenberger-Baum [6] und Martin [15] soll, wie oben schon erwähnt, der Ramus auricularis medialis nicht aus der A. tempo- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 209 ralis superficialis, sondern aus der A. auricularis posterior stammen. Die erstgenannten Autoren führen als Nebenast der A. temporalis superficialis bezw. ihrer „A. meningea caudalis“ zwar eine A. auricu- laris anterior an, ohne aber näher auf diese einzugehen. Nach meinen Untersuchungen wurde der Ramus auricularis medialis regelmässig von der A. temporalis superficialis bezw. A. auricularis anterior abgegeben. Kurz bevor die A. temporalis superficialis den Jochbogen erreicht, sendet sie zuweilen einige kleine Aste zu der sie lateral bedeckenden Parotis und bei Passieren des Jochbogens meistens ein oder einige Gefüsse kaudo-frontal zur Schildmuskulatur. Auf den Endteil der A. temporalis superficialis werde ich später bei Beschreibung der arteriellen Versorgung des Auges näher ein- gehen. Hier sei nur erwühnt, dass die Arterie nach Uberschreiten des Jochbogens einen Ast zum extraorbitalen Fett und einen zur Tränendrüse abgibt. Von ihren drei Endästen wendet sich der eine zum unteren, der andere zum oberen Augenlide und der dritte zur Horngegend. Die Arteria maxillaris interna (Fig. 1 p) biegt von der frontalen Richtung ihres Stammgefässes (der A. carotis externa) im rechten Winkel ab und wendet sich naso-medial an die mediale Fläche der Mandibula. Sie läuft in horizontaler Richtung, ventral vom medialen Teile des Gelenkfortsatzes des Unterkiefers, zwischen der medialen Flache des Unterkieferastes und der lateralen Fläche des Musculus pterygoideus medialis hindurch, tritt dann zwischen die beiden Flügel- muskeln ein und láuft, indem sie gleichzeitig eine schwach dorsale Richtung einschlagt, ventral von der Orbita nach der Fossa pterygo- palatina, so dass sie etwa am ventralen Ende der Crista pterygoidea vorüberzieht. Der Verlauf der A. maxillaris interna von der Fossa retromandibularis bis zur Fossa pterygo-palatina stellt beim Kalbe einen naso-lateral stark konvexen Bogen vor. Beim ausgewachsenen Rinde geht die innere Kieferarterie fast gestreckt in einem naso- lateral nur schwach konvexen Bogen von der Fossa retromandibularis zum ventralen Ende der Crista pterygoidea. Sie gibt dort die A. ophthalmica externa ab, läuft dann am ventralen Rande der Nervus infraorbitalis in der Gaumenkeilbeingrube nasal und teilt sich an deren Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 14 210 Kurt Schmidt, nasalem Ende, beim erwachsenen Tiere ungefähr 5—6 cm nach Ab- gabe der äusseren Augenarterie, in ihre beiden Endäste, den Trunkus fiir die A. malaris und A. infraorbitalis und den Trunkus fiir die A. sphenopalatina und A. palatina major. - Aus der Konkavität des Gefüssbogens am Ubergange von der A. carotis externa zur A. maxillaris interna entspringen ein oder zwei Gefüsse, Rami pterygorder, die in ventraler und schwach oraler Rich- tung an die mediale Seite des Unterkieferastes treten und den kaudo- ventralen Abschnitt des M. pterygoideus medialis versorgen. Etwas weiter distal oder auch direkt neben dem Trunkus der Aa. transversa faciei und temporalis superficialis zweigt sich eine schwache (selten doppelte) Kiefergelenkarterie ab. Ungefähr an der Stelle, an der die A. maxillaris interna den kau- dalen Rand des M. pterygoideus lateralis erreicht, senkrecht unter dem vorderen Rande des Kiefergelenkes, entspringt aus ihrer ventralen Wand ein starkes Gefäss, die Arteria alveolarıs mandibulae (s. inferior). Sie verläuft, zusammen mit dem gleichnamigen Nerven, zwischen medialer Flache des Unterkieferastes und lateraler Flache des M. pterygo- ideus medialis, am kaudalen Rande des M. pterygoideus lateralis ven- tral, gibt verschiedene kleine, zuweilen einen starken Zweig an die genannten Muskeln ab und tritt nach kurzem Verlaufe durch das Foramen mandibulare in den Canalis mandibularis. Während ihres Verlaufes im Kanale versorgt sie mit vielen Zweigen die Backenzähne des Unterkiefers. Durch das Kinnloch tritt sie als Arteria mentalis aus dem Kanale auf die Angesichtsfläche des Unterkiefers, entweder mit mehreren Asten oder mit einem, der sich sofort teilt, und verzweigt sich, zum Teil in Gemeinschaft mit der A. labialis inferior superficialis, im Kinn, in der Unterlippe und im Zahnfleisch der Schneidezáhne. In der Mitte der Unterlippe anastomosiert sie mit der gleichnamigen Arterie der anderen Seite, so dass sich in der A. mentalis die Kranz- arterie der Unterlippe darstellt. Ein Ast der A. alveolaris mandibulae làuft im Schneidezahnteil des Unterkieferkanales oral weiter und ver- sorgt die Schneidezähne. In gleicher Höhe mit der A. alveolaris mandibulae geht aus der A. maxillaris interna in medialer Richtung ein der unteren Zahn- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 211 arterie fast gleich starkes Gefáss hervor, das zum Foramen ovale zieht, über das ich aber eine genauere Beschreibung in den Lehr- büchern der Veterinäranatomie nicht gefunden habe. Ellenberger- Baum [6] und Martin [15] sagen, dass die A. carotis interna des Rindes durch verschiedene Aste der A. maxillaris interna ersetzt wird. Von diesen gelange ein starker Zweig durch das Foramen ovale in die Schädelhöhle. Genauere Angaben über die Abgangsstelle dieses Astes (bezw. dieser Aste) finden sich nicht. Canova [5] beschreibt bei Schaf und Ziege einen ,proximalen Reteast“, der in gleicher Höhe wie die A. alveolaris mandidulae und die A. temporalis profunda aus der A. maxillaris interna entspringt und durch den M. pterygoideus hindurch zum Foramen ovale, durch dasselbe in die Schädelhöhle geht und in das Wundernetz des Schádelhóhlenbodens, also in die A. carotis interna einmiindet. Dieses Gefáss würde dem Ursprunge und Anfangsverlaufe nach obigem Maxillarisaste des Rindes entsprechen; doch weicht es, wie ich sogleich ausführen werde, in seinem weiteren Verlaufe wesent- lich von der entsprechenden Arterie bei Schaf und Ziege ab. Die Arterie ist (beim Rinde) sehr variabel ausgebildet und läuft folgender- massen: In rein medialer Richtung durchbohrt sie den M. pterygoideus medialis und biegt dann, sobald sie den Flügelfortsatz des Keilbeins bezw. den senkrechten Teil des Gaumenbeins erreicht hat, im rechten Winkel um, schlägt eine oro-ventrale Richtung ein und verläuft zwischen der medialen Fläche des inneren Flügelmuskels und der late- ralen Fläche der Muskulatur des Schlundkopfes und Gaumensegels. Zuweilen teilte sich das Gefäss am Übergange vom medialen zum oro-ventralen Verlaufe in zwei oder drei Hauptäste, die jedoch in der eben angegebenen Weise verliefen. In den meisten Fällen liess sich die Arterie bis ins Gaumensegel verfolgen. Während ihres Verlaufes gibt sie unregelmässig kleine Zweige an die Flügel- und Schlundkopf- muskulatur, an das Periost der benachbarten Knochen (Keilbein, Schläfenbein, Gaumenbein), seltener an das Kiefergelenk ab. In einem einzigen Falle entsprang die Arterie distal von der A. alveolaris mandi- bulae aus der inneren Kieferarterie, und ein einziges Mal stellte sie, wie es Canova bei Schaf und Ziege beschreibt, auch beim Rinde direkt einen „proximalen Reteast“ vor, indem sie durch eine dicht 14* 212 Kurt Schmidt, nasal vom Foramen ovale befindliche Offnung des Keilbeins in die Schädelhöhle lief (Martin beschreibt ähnliches, siehe S. 215 u. 237) und in das grosse Rete des Schädelhöhlenbodens einmündete. In drei Fällen schickte das Gefäss eine mehr oder weniger starke Anastomose zu einem in der Nahe der A. ophthalmica externa entspringenden und durch das Foramen ovale laufenden ,Reteaste“, stellte also — wenn auch indirekt — einen ,proximalen Reteast* (Canova) vor. Zweimal lief ein feiner Zweig vom Hauptgefässe zu dem aus dem Foramen ovale tretenden Nervus mandibularis und begleitete diesen in die Schädelhöhle hinein. Ein einziges Mal gine ein starker Ast durch eine medial vom Processus postglenoidalis des Schläfenbeins befindliche Öffnung und mündete in die früher beschriebene A. me- ningea accessoria. Die Arterie stellte also, im Gegensatz zu Schaf und Ziege, bei meinen Untersuchungen nur in vier Fällen einen „proximalen Reteast“ (Canova), direkt oder indirekt, vor und bildete sonst einen Ast für die Flügel- und Schlundkopfmuskulatur sowie für das Gaumensegel. Dennoch muss der Ast als Homologon des Canovaschen proximalen Reteastes angesehen werden, dem aber der Schädelhöhlenteil fehlen kann. Über das Verhalten dieses Gefässes sowie der anderen „Rete- aste“ innerhalb der Schädelhöhle werde ich mich im dritten Teile dieser Arbeit, bei Besprechung der Arterien der Schädelhöhle usw., näher auslassen. | Eine kurze Strecke distal von der A. alveolaris mandibulae ent- springt zwischen den beiden Mm. pterygoidei ein der Unterkieferzahn- arterie fast eleich starker und in gleicher Richtung verlaufender Muskel- ast für die beiden Flügelmuskeln, die Arteria pterygoidea. Das Gefüss verläuft zunächst einige Zentimeter weit mit dem Nervus lingualis zwischen den beiden Flügelmuskeln ventral und lóst sich dann in mehrere Aste auf. Es versorgt mit vielen Zweigen in inkonstanter Art und Weise die beiden Mm. pterygoidei und sendet meistens in oro-ventraler Richtung einen Ast zum M. mylohyoideus, den Ramus hyoideus, der mit der A. maxillaris externa anastomosiert. Die oralen Zweige der A. pterygoidea versorgen auch die Backenschleimhaut in der Gegend der Kieferfalte. Im zwei Fällen entsprang die Fligel- Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 213 muskelarterie mit der A. alveolaris mandibulae zusammen und hatte mit ihr einen kurzen Stamm gemeinsam. Ellenberger- Baum [6] erwähnen dieses Gefäss, das ich in Anbe- tracht seines regelmässigen Vorkommens und seiner Stärke „Arteria pterygoidea“ genannt habe, nicht, sondern sprechen ohne nähere An- gaben nur von ,Rami pterygoidei“ für den M. pterygoideus als Zweige der A. maxillaris interna. Martin [15] gibt beim Rinde Zweige der inneren Kieferarterie für die Flügelmuskulatur nicht an. — Ausser dieser A. pterygoidea entlässt die A. maxillaris interna im weiteren Verlaufe noch unbedeutendere Zweige in verschiedener Anzahl und Stárke für die Mm. pterygoidei und den M. temporalis. Zwischen der A. alveolaris mandibulae und der A. pterygoidea oder gegenüber dem einen oder anderen Gefässe entspringt aus der frontalen Wand der inneren Kieferarterie die starke Arteria tempo- ralis profunda, die nasal vom Kiefergelenk frontal zieht und sich im ganzen Musculus temporalis verzweigt. Kurz nach ihrem Ursprunge entlässt sie einen stürkeren Ast, der am nasalen Rande des Kiefer- gelenkes lateral läuft, sich im dorsalen Teile des M. masseter auflóst und eine Anastomose — direkt ventral vom Jochbogen verlaufend — nasalwärts zur A. buccinatoria schickt (siehe S. 214). Zuweilen ent- springt die A. temporalis profunda auch doppelt aus der inneren Kieferarterie, so dass man von einer A. temporalis profunda oralis und aboralis sprechen kónnte. Ungefähr !/,—1 cm (je nach der Grösse bezw. dem Alter des Tieres) proximal von der Crista pterygoidea entlässt die A. maxillaris interna die A. buccinatoria, in der Hóhe der genannten Leiste selbst die A. ophthalmica externa und zwischen diesen beiden Arterien eine ganze Anzahl von Gefässen, die ich mit Canova [5] als ,distale Rete- Aste“ bezeichnen muss. Die Arteria buccinatoria (Fig. 2 und 2a r) entspringt aus der ventro-lateralen Wand der inneren Kieferarterie, geht mit dem Nervus buccinatorius naso-ventro-lateral zur kaudalen Flache der Oberkiefer- beule und biegt auf deren laterale Seite um. Während ihres Ver- laufes gibt sie zahlreiche mehr oder weniger starke Aste ab an das ihr benachbarte extraorbitale Augenfett, den M. temporalis, M. pterygo- 214 Kurt Schmidt, ideus, die dorsalen Backendrüsen und endet mit zahlreichen Ver- zweigungen im M. masseter und in der Backe. Sie gibt regelmässig einen Ast ab, der an der ventralen Flàche des Arcus zygomaticus kaudal verlàuft und mit der A. temporalis profunda anastomosiert (siehe S. 213). Wie Canova bei den kleinen Wiederkáuern, so habe ich beim Rinde eine Versorgung der Lippen durch die A. buccinatoria nicht konstatieren und deshalb auch der Tandlerschen [17] Bezeich- nung A. bucco-labialis für diese Arterie nicht beistimmen können. Die Arteria ophthalmica externa (Fig. 2 und 2a a) geht an der obengenannten Stelle aus der frontalen bezw. fronto-medialen Wand der A. maxillaris interna hervor, kreuzt in frontaler Richtung die laterale Seite des Nervus maxillaris (N. trigemini), durchbohrt die Peri- orbita, dringt, indem sie ein kleines Rete bildet, zwischen M. rectus oculi dorsalis und M. levator palpebrae superioris einerseits und M. rectus oculi temporalis sowie M. retractor bulbi andrerseits hindurch und geht aus diesem Rete als gemeinsamer Stamm der A. frontalis und A. ethmoidalis hervor. Dieser Stamm teilt sich nach einem Ver- laufe von ca. 1!/,—2 cm (Rind) bezw. ca. 0,2—1,0 em (Kalb, Fetus) in seine beiden Endáste, von denen die A. frontalis (s. supraorbitalis) durch den Canalis supraorbitalis zur Schleimhaut der Stirnhóhle sowie zur Muskulatur und Haut der Stirn zieht, während sich die A. ethmoi- dalis durch das gleichnamige Foramen in die Schädelhöhle wendet, medial über die Platte des Siebbeins hinwegläuft, die Schädelhöhle wieder verlässt und das Siebbein, die dorsale Nasenmuschel sowie den dorsalen Abschnitt der Nasenscheidewand versorgt. Ich komme auf den Verlauf und die Verzweigung dieser Gefásse im zweiten Teile meiner Arbeit zurück. Was die Bezeichnung des Gefässes als A. ophthalmica externa betrifft, so schliesse ich mich den Canovaschen [5] Ausführungen an. Ellenberger-Baum, Martin, Bach |1] und Virchow- Bellarminow (20| gebrauchen für den eben erwühnten, in die Orbita ziehenden Ast der A. maxillaris interna die Benennung A. ophthalmica externa. Tandler |17] dagegen kennt nur eine A. ophthalmica und sieht als solche das Gefáss an, ,das in Begleitung des Nervus opticus durch das Foramen opticum in die Augenhöhle zieht und aus der A. carotis interna stammt“. Die „durch die Fissura orbitalis - Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 215 inferior ziehende, den Inhalt der Orbita versorgende Arterie“ bezeichnet Tandler als „Ramus orbitalis“. Er hat weiterhin nachgewiesen, dass diese beiden Augengefässe, ich nenne sie A. ophthalmica interna und externa, in bezug auf ihre Ausbildung in der Tierreihe bedeutenden Schwankungen unterworfen sind. Beim Menschen und einer Anzahl Tieren bildet die innere Augenarterie das Hauptgefäss für die Orbita, während die äussere nur eine untergeordnete Rolle spielt. Bei den anderen, so bei unseren Haustieren, ist es umgekehrt. Wenn auch nach Versari [19] die A. ophthalmica interna bei den Wiederkäuern die primäre sein soll, so ist für die Veterinäranatomie die bisherige Bezeichnung doch vollständig berechtigt, was ja schon Canova ge- bührend hervorgehoben hat. In fünf Fällen entsprang eine kurze Strecke distal von der äusseren Augenarterie aus der A. maxillaris interna ein schwaches Gefäss, die Arteria adıposa, die ebenfalls zur Augenhöhle zieht, und auf die ich später zu sprechen komme. In der Nähe der Abgangsstellen der A. buccinatoria und A. ophthal- mica externa gibt die innere Kieferarterie eine Anzahl in Zahl und Stärke wechselnde, hauptsächlich zum Rete in der Schädelhöhle ziehende Äste ab. Ich nenne sie mit Canova „Reteäste“. Ellemberger-Baum und Martin geben an, dass diese Äste die A. carotis interna vertreten, dass ein stärkerer durch das Foramen ovale und mehrere schwächere durch die mit dem runden Loche verschmolzene Augenhöhlenspalte') | in die Schädelhöhle ziehen. Einer dieser Äste kann durch ein be- sonderes Loch des Keilbeinkörpers hindurchtreten (Martin). Meine Untersuchungen haben folgendes ergeben: Regelmässig entspringt un- gefàhr der Abgangsstelle der A. buccinatoria gegenüber ein stärkerer („proximaler Rete-)Ast“ (Fig. 2 und 2a s), läuft an den Keilbein- flügeln kaudal und durch das Foramen ovale in die Schádelhóhle. Er gibt unregelmässig kleine Zweige an die Nachbarschaft (Muskeln, Kiefergelenk, Periost, Fett) und Anastomosen zu dem ev. noch vor- handenen anderen proximalen oder den distalen Reteästen ab. Die „distalen Reteäste“ (Fig. 2 und 2a /, m, o, p) weisen in bezug auf 1) Ich habe dieses Foramen der Einfachheit halber wie Schachtschabel [16] Foramen orbito-rotundum^ genannt. 216 Kurt Schmidt, Ursprung, Anzahl und Stärke mannigfache Variationen auf. Meistens entspringen sie proximal, distal oder neben der A. ophthalmica externa, zuweilen gehen aber auch einige davon aus dieser selbst oder aus der A. buccinatoria hervor. Die Zahl schwankte bei meinen Unter- suchungen zwischen zwei und acht. Je weniger Äste vorhanden, desto stärker waren sie. Die Verhältnisse liegen also wie bei Schaf und Ziege (Canova). Die Gefässe laufen zum Teil lateral, zum Teil medial vom Nervus maxillaris cerebral, bilden in den meisten Fällen schon extra- kraniell an der ventralen, medialen und dorsalen Seite dieses Nerven ein mehr oder weniger dichtes Gefässnetz (Fig. 2 und 2a n), das ihn durch das Foramen orbito-rotundum in die Schädelhöhle hinein be- gleitet. Am dorsalen Rande dieses Gefässnetzes löst sich ein kleiner Teil los und zieht als schmaler Geflechtsstrang mit dem Nervus opticus durch das Foramen opticum in die Schädelhöhle. Die distalen Rete- äste anastomosieren zwar — ausserhalb der Schädelhöhle — mit dem durch das Foramen ovale ziehenden proximalen Reteaste und mit Zweigen der A. ophthalmica externa, geben aber gewöhnlich keine Muskel- oder dergleichen Äste ab. Auf ihr Verhalten innerhalb der Schädelhöhle komme ich später zu sprechen. Nach Abgabe der A. ophthalmica externa zieht die innere Kiefer- arterie am ventralen Rande des Nervus infraorbitalis weiter und teilt sich im nasalen Teile der Gaumenkeilbeingrube (beim ausgewachsenen Rinde ca. 5—7 cm distal von der Abgabe der äusseren Augenarterie) in ihre beiden, fast gleich starken Endäste, die je nach Grösse bezw. Alter des Tieres eine Länge von einigen Millimetern bis 2 cm aut- weisen. In diesem letzten Teile ihres Verlaufes gibt die A. maxillaris interna unregelmässig schwache Äste an das extraorbitale Augenfett, die Periorbita, die Flügel- und Rachenmuskulatur, zuweilen auch einen oder zwei Aa. alveolares maxillae ab. Der naso-frontal gerichtete Endast der inneren Kieferarterie spaltet sich nach kurzem Verlaufe in die A. malaris und A. infraorbitalis. Auf die fronto-lateral in die Orbita sich wendende A. malaris werde ich bei der Besprechung der Augenarterien eingehen. Die Arteria in- fraorbitalis läuft zusammen mit dem gleichnamigen Nerven, zuweilen zwischen dessen einzelnen Bündeln, durch den Canalis infraorbitalis Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. DIL und tritt auf die Angesichtsfläche des Oberkiefers. Während ihres Verlaufes innerhalb des Knochenkanales entsendet sie unregelmissig zahlreiche Aste zu den Zähnen und Alveolen des Oberkiefers, die Arteriae alveolares (dentales) maxillae. Das zum Foramen infraor- bitale heraustretende Ende der gleichnamigen Arterie anastomosiert mit der A. lateralis nasi aus der A. facialis und versorgt mit dieser zusammen die Seitenteile der Nase. Uber die Bezeichnung des End- stückes der Arterie habe ich früher gesprochen. Der andere, naso-ventral gerichtete Endast der A. maxillaris in- terna teilt sich ebenfalls nach kurzem Verlaufe in seine beiden Arterien, die A. spheno-palatina und A. palatina major. Die Arteria spheno- palatina der Autoren, die besser als Arteria masalis caudalis zu be- zeichnen ist, tritt durch das gleichnamige Foramen in die Nasenhóhle und versorgt in Gestalt eines engmaschigen Netzwerkes besonders die ventrale Partie der Nasenscheidewand, den ventralen Nasengang und die ventrale Muschel. Da die verschiedenen Arterien: der Nasenhóhle ein über die ganze Nasenschleimhaut sich ausdehnendes, enges, mehr oder weniger zusammenhängendes Gefässnetz bilden, ist es sehr schwer, die Versorgungsgebiete der einzelnen Arterien genau zu bestimmen. Die Arteria palatina major wendet sich ventro-nasal zum Foramen palatinum posterius, gibt auf diesem Wege die Arferia palatima minor zum Gaumensegel ab, geht selbst durch den Canalis palatinus zum harten Gaumen, der verschiedene kleine Zweige erhàlt, làuft (1—2 cm von der Mittellinie entfernt) ventral an dessen knócherner Grundlage oral, versorgt die Zahnplatte des Zwischenkiefers und schickt durch die das Foramen incisivum ersetzende Spalte in die Nasenhóhle einen Ast, der sich in der Umgebung dieser Fissur, also am Naseneingange, verzweigt. TI, Die Arteriem des Bulbus und seiner Nebenorgane. Naeh der vorstehenden Besprechung der allgemeinen Verzweigung der A. carotis communis wende ich mich zur arteriellen Gefässver- sorgung des Bulbus und seiner Nebenorgane. Ellenberger und Baum |6] erwähnen diese Gefässe bei ihrer Beschreibung des Sehorgans ganz allgemein. Sie lassen die Augenlider und Conjunctiva von den Aa. = 218 Kurt Schmidt, dd facialis, frontalis, lacrimalis, malaris, ophthalmica externa, zum Teil von der A. temporalis superficialis, die Tränendrüse von der A. maxillaris interna, die Augapfel- muskeln von der A. ophthalmica externa, die äusseren Augenlidmuskeln zum Teil von der A. ophthalmica externa, zum Teil von der A. facialis, A. transversa faciei und A. temporalis superficialis mit Blut versorgen. Nach Martin [13] stammen die Arterien der Augenlider und der Conjunctiva ,von der A. transversa faciei (A. temporalis superficialis), A. angularis oculi und A. malaris, ferner von den Muskel- ästen der A. ophthalmica, der A. lacrimalis, A. frontalis und den Aa. ciliares anteriores“. ,Die Tränendrüse erhált ihre Blutgefàsse hauptsächlich von der A. lacrimalis.^ ,Die Gefässe der Muskeln des Augapfels stammen von der A. ophthal- mica“, die der Augenlidmuskeln ausserdem von der A. facialis, A. transversa faciei und A. temporalis profunda. Diese sehr oberflächlichen Angaben wurden in jüngster Zeit durch Canova [5] für die kleinen Wiederkäuer ergänzt, mit dessen Resultaten meine Befunde in vielem übereinstimmen. Beim Rinde spielen nach meinen Untersuchungen die Arteria transversa faciei und Arteria facialis bei der Gefässversorgung des Auges nur eine untergeordnete Rolle. Sie entsenden einige feine Aus- läufer in die Haut und die basalen Teile des unteren Augenlides. Auch die Arteria buccinatoria, die in unregelmässiger Weise aus ihrem Anfangsteile kleine Zweige in das extraorbitale Augenfett abgibt, kommt nur wenig in Betracht. Von grösserer Bedeutung ist die Arteria temporalis superficialis (Fig. 1 A). In meinen bisherigen Ausführungen habe ich nur den Ver- lauf dieser Arterie bis zum Jochbogen näher beschrieben. Nach Passieren desselben geht sie, wie bereits erwähnt, von der frontalen in eine fronto-naso-mediale Richtung über, wobei sie dem extraorbitalen Augenfette aufliegt. Gleich nach dem Uberschreiten des Jochbogens entsendet sie in nasaler Richtung einen Ast, der sich auf der frontalen Flàche des Anfangsteiles des M. temporalis ausbreitet und seine Zweige in diesen hinein und in das darauf liegende extraorbitale Augenfett schickt. In zwei Fallen wurde das Gefäss zur A. lacrimalis super- ficialis. Ungefähr 2!/,—6 cm (je nach Grösse bezw. Alter des Tieres) kaudal vom temporalen Augenwinkel entsendet die oberflächliche Schläfenarterie je eine Arterie nach dem unteren und oberen Augen- lide, A. palpebrae infericris bezw. superioris temporalis, wendet sich gleichzeitig als Arterie des Hornzapfens (Fig. 1 he) kaudo-medial, gibt Zweige an die äussere Haut, die Schild- und Stirnmuskulatur ab und endet mit vielen Asten in der Gegend des Hornzapfens. Die beiden Arterien für das obere und untere Augenlid entspringen entweder ge- Die arteriellen Kopfgefüsse des Rindes. . 919 sondert oder mit einem einige Millimeter langen Stamme gemeinsam aus der A. temporalis superficialis. Natiirlich treten beim Fetus und Kalbe die beiden Augenlidarterien sowohl wie die Aste fiir Haut und Muskulatur in den Vordergrund, während beim älteren Tiere die Arterie des Hornzapfens die anderen Zweige an Starke bedeutend übertrifft. Die Arteria palpebrae inferioris temporalis (Fig. 1 hf) läuft in nasaler Richtung zum unteren Augenlide, geht, dem freien Lidrand ungefähr parallel, auf dem knéchernen Orbitalrande nasal und versorgt die basalen Teile der lateralen Hälfte des unteren Augenlides. Sie sendet zuweilen einige Auslaufer nach der Wange, in einem Falle schickte sie eine starke Anastomose zur A. transversa faciei. An drei Präparaten sandte die temporale Arterie des unteren Augenlides einen Ast zwischen Bulbus und Jochbein ventral, der bei einem Auge in das Jochbein eindrang, an einem anderen Präparate einige feine Zweige an die Konjunktiva des unteren Lides abgab, an einem dritten Auge Joch- bein und Konjunktiva des unteren Lides versorgte, in allen Fallen aber Zweige an das Periost des Jochbeins und das Augenfett abgab. Die Arteria palpebrae superioris temporalis (Fig. 1 hg) wendet sich zum oberen Augenlid, geht am Orbitalrand des Stirnbeins naso- medial zum nasalen Augenwinkel und endet frontal von diesem in den basalen Teilen des oberen Lides, wobei sie gewühnlich mit Asten der A. malaris anastomosiert. Das Gefäss gibt während seines Verlaufes verschiedene mehr oder weniger grosse Zweige in frontaler Richtung zur Stirnhaut und deren Muskel ab, von denen meistens einer mit einem Aste der Arterie des Hornzapfens anastomosiert. Ausserdem gehen aus der temporalen Arterie des oberen Lides verschiedene kleinere Aste für die basalen Teile des Lides hervor und ein stärkerer Ast (Fig. 1 Aga) für den freien Lidrand. Diese letzte Arterie ent- springt ungefähr halbwegs zwischen Ursprungsstelle der temporalen Arterie des oberen Augenlides und temporalem Augenwinkel, geht frontal von letzterem in den bindegewebigen Grundstock des oberen Augenlides und tritt an den Grund der Tarsaldrüsen, um an diesen entlang bis zum nasalen Augenwinkel zu verlaufen, wobei sie direkt unter der Konjunktiva liegt. Meistens erreicht die Arterie die Tarsal- drüsen etwas nasal vom temporalen Augenwinkel, und es geht dann 290 Kurt Schmidt, ein besonderer Zweig aus ihr temporal am basalen Ende der Driisen bis zum Winkel. Selten (in zwei Fallen) trat die Arterie schon am temporalen Winkel an den Grund der Tarsaldriisen, so dass sich dieser Zweig erübrigte. Ausserdem sendet die Arterie während ihres dem Lidrand parallelen Verlaufes feine Aste nach der Konjunktiva des oberen Lides (Aa. conjunctivales) und zwischen den Tarsaldriisen in deren Längsrichtung hindurch nach dem freien Lidrand. In einem Falle war die temporale Arterie des oberen Lides sehr klein und ver- sorgte nur die basalen Teile des oberen Lides in dessen temporaler Hälfte. In die nasale Hälfte schickte die Arterie des Hornzapfens einen Zweig, der jedoch nicht mit der A. malaris anastomosierte. Die Arterie des Lidrandes dagegen war das Ende der aus dem Rete arteriae ophthalmicae externae stammenden A. lacrimalis profunda, die am temporalen Augenwinkel an den Grund der Tarsaldriisen trat und sich dann in oben beschriebener Weise verhielt. Aus dem Endabschnitt der A. temporalis superficialis oder aus dem Anfangsteile der Arterie des Hornzapfens oder aus einer der tem- poralen Arterien für die Augenlider entspringt ein für die Tränendrüse be- stimmtes Gefäss, die Arteria lacrimalis superficialis (Fig. 1 hi). (Neben- bei sei hier gleich erwähnt, dass zur Tränendrüse noch eine zweite Arterie geht, die aus dem Rete arteriae ophthalmicae externae stammt, und die ich A. lacrimalis profunda genannt habe.) Die Arterie, die beim Schafe nach Canovas [5] Untersuchungen als einzige ausgebildet ist (während bei der Ziege nur das tiefe Gefàss besteht), geht oro- medial durch das extraorbitale Augenfett hindurch, das einige Zweige erhalt, und biegt um den medialen Rand des Jochfortsatzes des Stirn- beins um, indem sie gleichzeitig die Periorbita durchbohrt. Kurz bevor die Arterie die Tränendrüse erreicht, teilt sie sich in zwei fast gleich starke Aste und dringt, ca. 1--1'/, cm vom lateralen Ende der Driise entfernt, zwischen dieser und der Fascia superficialis der Orbita ein, um von hier aus das laterale Ende der Drüse mit vielen Âsten zu ver- sorgen. Der mediale Hauptast endet gewöhnlich in der Glandula lacri- malis, wàhrend der laterale nach Abgabe einer Anzahl Zweige für die Tränendrüse oft zwischen dieser und der Fascia superficialis der Orbita in oraler Richtung weiterzieht, unter der Drüse wieder hervortritt und Die arteriellen Kopfgefiisse des Rindes. 200211 die Conjunctiva bulbi des dorso-temporalen Quadranten sowie die Con- junctiva palpebrae des oberen Augenlides in dessen lateraler Hälfte mit Blut versorgt (Aa. conjunctiv.). An einem einzigen (Feten-) Auge zog der mediale Ast zwischen Tränendrüse und oberfläch- licher Faszie weiter, verliess die Drüse und wurde zu einer A. ciliaris anterior lateralis, die im lateralen Quadranten mit einigen feinen Asten die Sklera dicht kaudal vom Kornearand durchbohrte. Ich móchte hier gleich bemerken, dass dies die einzige laterale vordere Ziliararterie ist, die ich beobachtet habe. Ein weiteres Gefáss, das bei der arteriellen Versorgung des Bulbus und seiner Nebenorgane eine grosse Rolle spielt, ist die Arteria malaris. Ellenberger und Baum [6] sagen von ihr: „Sie verläuft zunächst in einem besonderen Knochenkanale nach der Orbita und in dieser nach dem unteren Augen- lide, versorgt dieses, die Tränenkarunkel und den Tränenkanal und tritt nahe dem medialen Augenwinkel an das Gesicht und wird hier zur A. dorsalis nasi, die sich bis zur Nasenspitze verfolgen lässt und Zweige an die Stirn und den Nasenrücken abgibt.^ Ahnlich, wenn auch nicht ganz so ausführlich, äussert sich Martin [13] Er lässt von der A. malaris noch eine A. angularis oculi abgehen. Was zunächst den intraorbitalen Verlauf der A. malaris betrifft, so zieht sie nach meinen Untersuchungen von dem nasalen Ende der Gaumenkeilbeingrube nach der Orbita durch einen Ausschnitt der Tränenblase, der beim Kalbe nur eine mehr oder weniger tiefe Ein- stülpung der Bulla lacrimalis, beim ausgewachsenen Tiere einen ge- schlossenen Knochenkanal darstellt. In der Orbita selbst geht sie an deren knóchernem Boden entlang gegen den nasalen Augenwinkel und schlägt sich in dem dorsal vom Processus lacrimalis aboralis be- findlichen Ausschnitt des Margo orbitalis auf die Angesichtsfläche um. Wahrend ihres intraorbitalen Verlaufes entsendet die A. malaris in unregelmissiger Weise kleine Aste von verschiedener Anzahl und Stärke zum Augenfett, zum Periost bezw. zur Periorbita und durch die Bulla lacrimalis hindurch zur Schleimhaut der Kieferhéhle. Auch aus den später beschriebenen Nebenästen der A. malaris entspringen inkonstante Zweige fiir obige Organe. An der Stelle, an der die A. malaris die Knochenfliche des Musculus obliquus oculi ventralis passiert, entspringen in naso-ventraler und fronto-temporaler Richtung je ein Muskelast fiir den unteren schiefen Augenmuskel. Der naso-ventrale 299 Kurt Schmidt, geht häufig aus der A. malaris hervor, ehe diese den ventro-tempo- ralen Rand des Muskels erreicht. Diese Muskeläste geben, wie schon erwähnt, unregelmässig kleine Zweige an Fett und Periost ab, dringen in den Muskel von seiner Knochenfläche aus ein und sind in ihm ver- schieden weit zu verfolgen. In einem Falle schickte der naso-ventrale Ast zum Musculus rectus oculi ventralis einen Zweig, der in das Ende des Muskels von dessen ventraler Seite aus eindrang. An einem anderen Auge entliess die A. malaris vor Erreichen des, hirnseitigen Randes des kleinen schiefen Augenmuskels noch einen dritten Ast zu diesem Muskel, der von dessen Bulbusseite aus in ihn eindrang. Einen weiteren stärkeren Ast der A. malaris stellt die Arteria palpebrae tertiae vor. Im Gegensatz zu Bach [1], der dieses Gefäss „Arteria glandulae Harderi“ nennt, schliesse ich mich der Canovaschen Bezeichnung an. Da die Hardersche Drüse (Glandula palpebrae tertiae profunda) beim Rinde nur in Form einer Andeutung vorhanden ist, bei den anderen Haustieren — mit Ausnahme des Schweines — da- gegen fehlt, da weiterhin die Arterie das ganze dritte Augenlid ver- sorgt, so halte ich die Bezeichnung A. palpebrae tertiae für die passendere. Entweder entspringt die Arterie des dritten Augenlides selbständig aus der A. malaris an der Stelle, wo letztere den unteren schiefen Augenmuskel kreuzt; sie schlägt sich dann um den kornea- seitigen (in einem Falle hirnseitigen) Rand des Muskels von dessen Knochen- auf die Bulbusfläche um und läuft geschlängelt durch das Augenfett zum dritten Augenlide Oder die Arterie geht gemeinsam mit dem einen oder anderen weiter unten beschriebenen Gefässe zwischen M. obliquus oculi ventralis und Orbitalrand aus der A. malaris hervor und wendet sich ebenfalls durch das Augenfett zum dritten Augenlide. Die Arterie erreicht die Knochenfläche der Glandula pal- pebrae tertiae superficialis in ihrer Mitte oder nahe ihrem temporalen Rande und verzweigt sich in der Drüse, nachdem sie vorher zwei Äste für die Knorpelplatte abgegeben hat. Diese ziehen auf der Knochen- fläche nahe deren temporalem und nasalem Rande zum entsprechenden Knorpelwinkel und verzweigen sich dort im Knorpel und in der Kon- junktiva. Auch von Ästen für die Nickhautdrüse selbst ziehen kleine Zweige zur Nachbarschaft, Fett und Konjunktiva. | Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 223 Die A. malaris nähert sich nun dem Orbitalrande. Bevor sie ihn erreicht, entsendet sie erst in nasaler und distal davon in temporaler Richtung je ein stärkeres Gefäss zum Tränentrichter und zum unteren Augenlid. Das erstere teilt sich meistens in einen Ast für die Gegend der Tränenkarunkel und einen Zweig für den Anfangsteil des Tränen- kanals. Das Gefäss für das untere Angenlid, Arteria palpebrae infe- rioris nasalis (Fig. 1 ka), läuft im bindegewebigen Grundstocke des Lides dem Grunde der Tarsaldrüsen entlang, vom nasalen zum tempo- ralen Augenwinkel. Es verhält sich, abgesehen von der Stromrichtung, genau wie das entsprechende Gefäss des oberen Lides (A. palpebrae superioris temporalis). Es versorgt also den ganzen Rand des unteren Lides. An zwei Augen entsandte diese Arterie nahe dem nasalen Augenwinkel einen grösseren Zweig in den Musculus orbicularis palpe- brarum. Das von der A. temporalis superficialis stammende Gefäss des unteren Augenlides, die A. palpebrae inferioris temporalis, versorgt vom Augenlide nur basale Teile. Eine Anastomose dieser nasalen und temporalen Gefässe habe ich nicht beobachtet. In einem Falle sandte die A. malavis nahe dem Orbitalrande einen Ast, an zwei Augen je zwei Gefässe in die basalen Teile der nasalen Hälfte des unteren Lides und in den daselbst befindlichen Teil des Konjunktivalsackes (Aa. conjunctivaies). Eine A. ciliaris anterior ven- tralis, wie sie Canova anführt, konnte ich als Nebenast der A. malaris nicht feststellen. Dort, wo die A. malaris (Fig. 1 Æ) sich um den Orbitalrand des Tränenbeins umschlägt, entsendet sie einen schwachen kurzen Ast (Fig. 1 kb) in naso-ventraler Richtung in die basalen Teile der nasalen Hälfte des unteren Augenlides, besonders in den Musculus malaris. Distal neben diesem Gefásse entspringt aus der A. malaris in nasaler Richtung ein Ast (Fig. 1 £c), der sich am Übergange der dorsalen zur lateralen Fläche der Nase verzweigt und mehr oder weniger weit in na- saler Richtung zu verfolgen ist. Das Gefäss war in den meisten Fallen nur klein und konnte deshalb auf den Namen A. lateralis nasi keinen Anspruch machen; immerhin ist das Gefäss der gleichnamigen Arterie beim Schaf und bei der Ziege homolog. Die A. malaris làuft dann auf der Angesichtsfläche des Tränenbeins, nahe dem Orbitalrande und 224 Kurt Schmidt, ihm parallel, eme kurze Strecke medial und gibt in frontaler Richtung einen starken Ast ab, der dem Orbitalrand entlang zum nasalen Augen- winkel (Arteria angularis oculi) zieht, diesen versorgt und rein frontal vom Winkel in den basalen Partien des nasalen Teiles des oberen Augenlides mit dem Ende der A. palpebrae superioris temporalis ana- stomosiert. Nach Abgabe dieses Astes wendet sich die A. malaris in einem frontal konvexen Bogen, aus dem einige starke Aste für die Haut von Stirn und Nase und deren Muskulatur abgehen, zur dorsalen Flache der Nase, auf der sie als Arteria dorsalis nasi (Fig. 1 kd) nasal làuft und bis ins Flotzmaul zu verfolgen ist. Das Gefáss, das für die arterielle Versorgung des Bulbus und seiner Nebenorgane die grösste Bedeutung hat, ist die Arteria ophthal- mica externa (Fig. 2 und 2a a). Sie entspringt aus der frontalen bezw. fronto-medialen Wand der A. maxillaris interna, (beim ausgewachsenen Rinde !/,—1 cm) ventral vom Ende der Crista pterygoidea, ventro- lateral vom ventralen Rande des Foramen orbitorotundum. Sie kreuzt in frontaler Richtung den aus dieser Offnung heraustretenden Nervus maxilaris (Nervi trigemini) an der lateralen Seite, durchbohit die Periorbita, tritt an die mediale Seite der Flügelgráte, läuft an dieser in frontaler Richtung weiter, überschreitet die laterale Flache des M. rectus oculi temporalis nahe dessen Ursprung, senkt sich zwischen diesem Muskel einerseits und dem M. rectus oculi dorsalis und M. levator palpebrae superioris andrerseits ein und beginnt hier mit der Bildung ihres Wundernetzes, des Rete mirabile arteriae ophthalmicae externae (Fig. 2 b). Die Entfernung des Anfangs dieses Wundernetzes von der A. maxillaris interna, also die Lange des einheitlichen Stammes der äusseren Augenarterie, beträgt beim Kalbe ca. 1'/,—2 cm, beim Rinde ca. 3 em. Das Rete selbst hat ungefähr die Form eines Recht- eckes und liegt mit seiner dorso-kaudalen Fläche an der dem Seh- nerven zugekehrten (der Innen-) Flache des M. rectus oculi dorsalis, nahe dessen Ursprung, während die oro-ventrale Fläche den dorsalen Rand der Mm. recti oculi temporalis und nasalis sowie die dorsale Fläche des M. retractor bulbi berührt. Die beiden schmalen (temporale und nasale) Seiten des Rete, die beim Rinde ca. 1,1—1,2 cm, beim Fetus und Kalbe ca. 0,7— 0,8 cm lang sind, verlaufen ungefähr mit Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 295 dem temporalen bezw. nasalen Rande des M. rectus oculi dorsalis. Die beiden langen (frontale und ventrale) Rechtecksseiten gehen dem- entsprechend quer zur Faserrichtung obigen Muskels und weisen eine Länge von ca. 1,4—1,5 cm (Rind) bezw. ca 1,0—1,7 cm (Fetus, Kalb) auf. Entsprechend den vier Seiten des Rete sind natürlich auch vier Ecken an ihm zu unterscheiden. Die ventro-temporale Ecke nimmt die einmündende A. ophthalmica externa auf, die dorso-temporale ent- lässt die A. lacrimalis profunda; beide befinden sie sich zwischen dem temporalen Rande des M. rectus oculi dorsalis und dem dorsalen Rande des M. rectus oculi temporalis. Die dorso-nasale Ecke entlässt als Fortsetzung der A. ophthalmica externa den gemeinschaftlichen Stamm der Aa. frontalis und ethmoidalis, der sich zwischen den nasalen Rand des M. rectus oculi dorsalis und den dorsalen Rand des M. rectus oculi nasalis einschiebt. Die ventro-nasale Ecke endlich entsendet den Ramus bulbi und dringt zwischen die Bulbusfläche des M. rectus oculi nasalis und dorsale Portion des M. retractor bulbi ein. Das-Rete selbst be- steht aus einem engen, feinmaschigen Netze unzähliger feiner Gefässe, die aus der A. ophthalmica externa entspringen und lebhaft miteinander anastomosieren. An der dorso-temporalen und der ventro-nasalen Ecke verdichtet sich das Netz je zu dem abgehenden stärkeren Gefässe, der A. lacrimalis profunda und dem Ramus bulbi, während die in die ventro- temporale Ecke einmündende A. ophthalmica externa in einem dorso- temporal konvexen Bogen durch das Rete, an das sie natürlich un- zählig viele Äste abgibt, hindurch zur dorso-nasalen Ecke hin zu verfolgen ist. Zuweilen entsteht der Stamm der A. lacrimalis profunda nicht erst an der dorso-temporalen Ecke des Rete, sondern die Arterie geht direkt aus der A. ophthalmica externa inmitten ihres Rete hervor und verlässt es an der dorso-temporalen Ecke, wobei sie durch schwache Reteäste noch verstärkt wird. Die A. ophthalmica externa entspringt stets als einheitlicher Stamm aus der inneren Kieferarterie. In zwei Fällen gingen mit der äusseren Augenarterie aus der A. maxillaris interna je ein distaler Reteast bezw. ein Stamm für mehrere distale Reteäste hervor, die sich aber sofort nach dem Ursprunge von der A. ophthalmica externa trennten. In einem Falle gab die äussere Augenarterie einige Millimeter nach Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII, 15 226 Kurt Schmidt, ihrem Ursprunge einen schwächeren und an einem weiteren Auge beim Uberschreiten des Nervenbiindels einen starken distalen Reteast ab. Während ihres Verlaufes vom Ursprunge bis zum Beginn ihres Rete gibt die A. ophthalmica externa — ausser den eben erwähnten, distalen Reteästen — sofort nach Durchbohrung der Periorbita in naso-frontaler Richtung ein Gefäss ab, das für die Knochenfläche der Mm. rect. ocul. temporal. und ventral. sowie für das intraorbitale Augenfett bestimmt ist. Diese Arteria adiposa (Fig. 2 c) geht jedoch nicht regelmässig aus der A. ophthalmica externa ab, sondern sie entspringt ebenso oft ausserhalb der Periorbita direkt aus der A maxillaris interna, einige Millimeter distal vom Ursprunge der äusseren Augenarterie, läuft dieser letzteren zunächst parallel und durchbohrt dann die Periorbita. Bach [1] beschreibt für das Pferd als erstes seiner Augengefasse eine Fettarterie, A. adiposa, die fiir das extraorbitale Augenfett bestimmt ist. Die Abgangsstelle dieses Gefässes lässt sich aus seiner Beschreibung nicht genau ersehen, der Figur nach entspringt es aus der A. maxillaris interna, dicht proximal von der Ursprungsstelle der A. ophthalmica externa. Mit dieser Bachschen Fettarterie ist das obengenannte Gefäss des Rinder- auges nicht identisch. Beim Rinde gibt diese Arterie nur selten, und nur wenn sie ausserhalb der Periorbita entspringt, einen oder einige kleine Zweige an das extraorbitale Augenfett ab. (Dieses wird haupt- sächlich versorgt durch kleine Aste der Aa. maxillaris interna, bucci- natoria und temporalis superficialis.) Wenn ich dieses Gefäss trotzdem als A. adiposa bezeichne, so schliesse ich mich Canova [5] an, der bei Schaf und Ziege die gleiche Arterie so nennt. Die A. adiposa durchbohrt also entweder selbständig die Periorbita oder sie entspringt aus der naso-lateralen Wand der A. ophthalmica externa, sobald diese die Periorbita durchbohrt hat, läuft zwischen Mm. rect. oculi temporalis und ventralis naso-lateral, indem sie mehrere kleine Zweige auf die Knochenflache des Anfangsteiles dieser Muskeln sendet, die lebhaft miteinander anastomosieren und zuweilen einige Zweige zur temporalen Seite des Rete arteriae ophthalmicae externae schicken. Aus diesem mehr oder weniger dichten und grossen Gefässnetz der beiden Muskeln sondert sich ein Zweig ab, der mit dem Oculomotoriusaste für den M. obliquus oculi ventralis oro-lateral zieht, dabei zuweilen feine Zweige Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 227 an die Mm. rect. oculi temporalis und ventralis und an das intraorbi- tale Augenfett abgibt und das Bulbusende des ventralen schiefen Augenmuskels versorgt. In manchen Fallen liessen sich einige Aus- läufer dieses Gefässes ventro-lateral vom M. obliquus oculi ventralis weiter bis in die Conjunctiva bulbi oder palpebrae des unteren oder ventro-lateralen Augenquadranten verfolgen (Aa. conjunctivales). Der Hauptstamm der A. adiposa wendet sich geschlängelt zwischen Mm. recti oculi temporalis und ventralis in die Tiefe, lauft zwischen M. rectus oculi ventralis und der ventralen Portion des M. retractor bulbi (in einem Falle eine Strecke weit in letzterem) korneawärts, gibt un- regelmässig kleine Aste an die Muskeln und das Fett der Umgebung ab und wird zur Arteria ciliaris anterior ventralis. Diese lauft unge- fahr im vertikalen Meridian nasal und endet mit mehreren feinen, divergierenden Asten ca. 1—2 mm vom Korneafalz entfernt in der Sklera. In einem Falle, in dem die A. adiposa aus der A. maxillaris in- terna entsprang, teilte sie sich gleich nach Durehbohrung der Periorbita in zwei gleich starke Aste. Der eine verhielt sich in der eben beschriebenen Weise, der andere wandte sich ventral, lief zwischen ventraler Fläche des M. rectus oculi ventralis und Periorbita nasal, schickte zwischen ventralem und nasalem geraden Augenmuskel hin- durch einen Zweig zu dem zwischen M. retractor bulbi und Mm. rect. oculi befindlichen Augenfett, ging selbst am nasalen Rande des M. rectus oculi ventralis kaudal, erreichte von der nasalen Seite her den Nervus opticus, hef mit diesem zusammen in das Foramen opticum hinein und miindete in das am nasalen Rande des Chiasma opticum be- findliche arterielle Gefássnetz (Rete arteriae ophthalmicae internae, s. unten). An zwei Augen, an denen das auf der Knochenfläche des ventralen und temporalen geraden Augenmuskels liegende Rete der Fettarterie besonders ausgeprägt war und sich korneawärts einmal ungefähr bis zu einem Drittel, das andere Mal bis zur Halfte der Lange der beiden genannten Muskeln erstreckte, waren zahlreiche Ana- stomosen vorhanden zwischen diesem Rete und dem durch das Foramen orbitorotundum in die Schädelhöhle ziehenden, extrakraniellen Teile des grossen Rete an der Schädelhöhlenbasis. Das Rete der A. ophthalmica externa sendet ausser regelmássigen 15* 228 Kart Schmidt, starken Gefässen, auf die ich spáter zurückkomme, zahlreiche inkon- stante, kleine Zweige nach allen Seiten zu den ihm benachbarten Teilen. So erhalten besonders die geraden Augenmuskeln, der M. re- tractor bulbi, auch das intraorbitale Augenfett, seltener Periost und knócherne Grundlage der Orbitaldecke sowie die Sehnervenhülle kleine Gefüsse. Es würde zu weit führen, wenn ich diese zahlreichen, un- regelmässigen Aste genauer beschreiben wollte. Zwei Ausnahmefälle móchte ich jedoch bei diesen Muskelästen noch erwáhnen. An einem Auge entsprangen aus dem dorsalen Rande des Rete einige feine Aste, die — ein weitmaschiges, feines Geflecht bildend — sich der Bulbusfläche des M. rectus oculi dorsalis anlegten und korneawärts ca. 1—1'/, em weit an ihm zu verfolgen waren. Sie verzweigten sich im genannten Muskel und in der ganzen dorsalen Portion des M. re- tractor bulbi. Einer dieser von der Bulbusseite aus in den M. rectus oculi dorsalis eindringenden Aste war in dem Muskel ungeführ bis zu seiner halben Lange zu verfolgen, trat dann auf die Knochenfläche des Muskels heraus, lief an ihr korneawärts und drang als Arteria ciliaris anterior dorsalis nahe dem Korneafalz in die Sklera ein, am Übergange vom dorsalen zum lateralen Quadranten. An einem anderen (Kalbs-) Auge entsprang neben der A. lacrimalis profunda aus der dorso-temporalen Ecke des Rete ein stärkeres Gefáss, lief dorsal auf der dorsalen Partie des M. retractor bulbi in nasaler Richtung, durch- bohrte dann allmählich den genannten Muskel, der kleine Zweige er- hielt, und drang mit mehreren Asten, die ungeführ kreisfórmig ange- ordnet waren, im vertikalen Meridian ca. 6 mm dorso-nasal vom hinteren Pol durch die Sklera in die Aderhaut. Aus der dorso-temporalen Ecke des Rete mirabile der A. ophthal- mica externa entspringt regelmässig als starkes Gefäss die Arteria laerimalis profunda (Fig. 2 d). Sie làuft mit dem Nervus glandulae lacrimalis (Schachtschabel [16]) zusammen am temporalen Rande des M. rectus oculi dorsalis gestreckt zur Glandula lacrimalis, teilt sich kurz vor der Tränendrüse in zwei einander ungefähr gleich starke Aste, die zwischen Drüse und Fascia superficialis eindringen und von der Bulbusflàche aus mit vielen Zweigen den medialen, grósseren Teil der Drüse versorgen. Meistens schickt der mediale dieser beiden Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 229 Hauptäste einen Zweig korneawarts weiter, der zwischen Drüse und Bulbus wieder hervortritt und sich in der Konjunktiva des oberen Lides und der entsprechenden Partie des Bulbus verbreitet (Aa. con- junctivales). An einem Auge traten beide Aste der A. lacrimalis pro- funda zwischen Drüse und Fascia superficialis korneawärts wieder hervor und bildeten unter der Konjunktiva des oberen Lides ein aus- gedehntes Gefässnetz, das mit dem Lidrandzweig der A. palpebrae superioris temporalis anastomosierte. Der mediale Ast schickte ausser- dem temporal vom vertikalen Meridian eine Arteria ciliaris anterior dorsalis korneawärts, die im dorso-temporalen Quadranten mit drei feinen Endästen ca. 1 mm vom Korneafalz entfernt die Sklera senk- recht durchbohrte. In einem Falle trat der mediale Hauptast der A. lacrimalis profunda als kräftiges Gefäss zwischen Drüse und ober- flächlicher Faszie in nasaler Richtung wieder hervor, wandte sich zum oberen Augenlid, trat am temporalen Ende desselben an den Grund der Tarsaldriisen, lief an diesen entlang nasal und ersetzte den sonst aus der A. palpebrae superioris temporalis stammenden Zweig fiir den Lidrand. Auf ihrem Wege entlang des temporalen Randes des M. rectus oculi dorsalis gibt die A. lacrimalis profunda zuweilen einen kleinen Ast ab, der in kaudaler Richtung die Periorbita durchbohrt und zum M. temporalis zieht. An einem Auge sandte die tiefe Tränen- driisenarterie zwei Zweige an den M. levator palpebrae superioris. Gewóhnlich aber lief die A. lacrimalis profunda bis zur Tränendrüse, ohne Aste abzugeben. An einem Präparate entsprang die Arterie "mit zwei Wurzeln, die sich nach einem Verlaufe von !/, em vereinigten, dicht nebeneinander aus der dorso-temporalen Ecke des Rete. Was die Anzahl der Tränendrüsenarterien und deren Ursprung anbetrifft, so ist bei Mensch, Pferd und Ziege nur je eine A. lacri- malis vorhanden, die aus der A. ophthalmica interna (Mensch) oder der A. ophthalmica externa (Pferd | Bach, 1], Ziege [Canova, 5]) stammt und ungefähr den gleichen Verlauf hat wie die A. lacrimalis profunda des Rindes. Das Schaf hat nach Canovas Angaben ebenfalls nur eine A. lacrimalis, die aber in bezug auf Abgang und Verlauf der A. lacri- malis superficialis des Rindes entspricht. Die naso-ventrale Ecke des Rete mirabile a. ophthalmicae externae 230 somos Kurt Schmidt, schiebt sich zwischen M. rectus oculi nasalis und nasale Portion des M. retractor bulbi einerseits und dorsale Portion des M. retractor bulbi andrerseits ein und verdichtet sich allmáhlich zu einem starken Gefässstamme, der sich auf den dorso-nasalen Rand des Nervus opticus legt und diesen zum Bulbus begleitet. Dieses Gefäss stellt die für den Augapfel wichtigste Arterie vor. Aus diesem Grunde bezeichnet sie Canova [5] mit dem Namen Ramus bulbi (Fig. 2 e). Ich schliesse mich dieser Benennung an. Betonen móchte ich noch, dass dieser Ramus bulbi als einheitlicher Stamm erst an der naso-ventralen Ecke des Rete entsteht und mit der diagonal durch das Rete zu verfolgen- den A. ophthalmica externa nur durch feine, allerdings unzählige Retegefässe in Verbindung steht. Der Ramus bulbi läuft also am naso-dorsalen Rande des Sehnerven entlang dem Augapfel zu und teilt sich ca. !/,—1'/, em (je nach Alter und Grösse des Tieres) kaudal von der Lamina cribrosa in zwei gleich starke Aste, den Truncus ciliaris nasalis und temporalis. Auch in bezug auf die Bezeichnung dieser beiden Aste schliesse ich mich den Ausführungen Canovas an, der die Bachsche [1] Benennung dieser Gefässe, Aa. iridis lateralis und nasalis, aus dem Grunde nicht fiir zutreffend halt, weil nur eine Arterie dieses Trunkus zur Iris gelangt. Ungefähr bei der Hälfte der von mir untersuchten Augen ging dicht ventro-nasal neben dem Ramus bulbi ein schwaches Gefäss aus der naso-ventralen Ecke des Rete hervor, das dem Sehnerven entlang neben dem Ramus bulbi herlief, von dem es sich allmählich in ventro- nasaler Richtung entfernte, um sich in unregelmässiger Weise in mehrere Aste aufzulüsen, die sich zur Sehnervenhülle und zu den benachbarten Muskeln wandten. An einem Auge wand sich diese Arterie naso-ventral allmáhlich um den Sehnerven herum, gab einige kleine Muskelzweige ab (ein Sehnervenast entsprang selbstándig aus dem Ramus bulbi), bildete am ventralen Rande des Nervus opticus mit der A. ophthalmica interna nahe deren Einmündungsstelle in den Truncus ciliaris temporalis (s. S. 236) ein kleines Geflecht (1:2 mm) und mündete dann in die hintere kurze Ziliararterie des hinteren Pols (s. S. 233). In den Fallen, in denen das neben dem Bulbusaste aus dem Rete entspringende Gefäss nicht vorhanden war, wurde es durch Die arteriellen Kopfgefiisse des Rindes. 231 einen Ast ersetzt, den der Ramus bulbi nahe seiner Endteilung entliess. Wie bereits erwähnt, teilt sich der Ramus bulbi, bevor er den Augapfel erreicht, in seine beiden Endäste. Der Truncus ciliaris nasalis (Fig. 2 ea; Fig. 3 ea) làuft in der alten Richtung des Ramus bulbi am Nervus opticus weiter, erreicht aber die Einmündungsstelle des Sehnerven nicht, sondern wendet sich kurz vorher nasal, geht durch das benachbarte Augenfett hindurch, tritt mehr oder weniger weit vom hinteren Pol entfernt im horizontalen Meridian an den Bulbus und zieht im genannten Meridian korneawärts. 5—9 mm (Fetus, Kalb) oder ca. 1,5 em (Rind) vom hinteren Pol entfernt gibt der nasale Ziliartrunkus dorsal einen Ast ab, der sich nach ganz kurzem Verlaufe in zwei bis drei Zweige spaltet. Diese gehen korkzieherartig gewunden stark auseinander und dringen allmählich in die Sklera ein (Arterzae cihares posteriores breves nasales [Fig. 2 eb; Fig. 3 eb]). An zwei Augen blieb der Stamm dieser kurzen hinteren Ziliararterien etwas länger einheitlich, ging auch nicht senkrecht aus dem nasalen Ziliartrunkus hervor, sondern ungefähr in einem Winkel von 45°, und liess seine Aste nur wenig divergieren. Der nasale Ziliartrunkus geht nach Ab- gabe dieser Gefässe als Arteria ciliaris posterior longa nasalis (Fig. 2 ee; Fig. 9 ec) im horizontalen Meridian weiter, teilt sich in der Gegend des Aquators in mehrere (ungeführ drei) Aste, die, eng zusammen, ge- schlàngelt in der alten Richtung weiter laufen und allmählich in die Sklera sich einsenken, so dass sie ca. 5—9 mm (Fetus, Kalb) bezw. ca. 1,5 cm (Rind) vom Korneafalz entfernt unsichtbar werden. Der Truncus ciliaris temporalis (Fig. 2 ed; Fig. 3 ed) schlägt sich nach seinem Ursprunge aus dem Ramus bulbi ungefáhr in einem Halb- kreise ventral um den Sehnerven herum, von dessen naso-dorsalem nach dem dorso-temporalen Rande, verlässt dann den Nervus opticus, làuft durch das benachbarte Augenfett, tritt mehr oder weniger weit vom hinteren Pol entfernt im horizontalen Meridian an den Bulbus heran und läuft im genannten Meridian korneawärts. Während der Umwindung des Sehnerven entspringen in den meisten Fállen aus dem temporalen Ziliartrunkus mehrere (meist zwei bis drei, selten mit ge- meinsamem Stamm) kleine Zweige (Fig. 2 ef; Fig. 3 ef), die dicht 239 Kurt Schmidt, ventral von der Lamina cribrosa sclerae in die Sklera eindringen und den ventralen Teil des Circulus arteriosus nervi optici bilden. Gleich nachdem der temporale Ziliartrunkus an den Bulbus getreten ist, ca. 1 em (Rind) oder 7—8 mm (Fetus, Kalb) von der Lamina cribrosa sclerae entfernt, entsendet er dorsal einen starken Ast, der sich nach einem geschlängelten Verlaufe von wenigen Milli- metern in zwei bis drei Aste auflöst, die stark divergierend, kork- zieherartig verlaufend, sofort in die Sklera sich einsenken und all- mählich in ihr verschwinden (Arterzae ciliares posteriores breves tempo- vales (Fig. 2 eg; Fig. 3 eg). Der temporale Ziliartrunkus läuft nach Abgabe dieses Stammes als Arteria ciliaris posterior longa temporalis (Fig. 2 eh; Fig. 3 eh) im horizontalen Meridian weiter und verhält sich ähnlich wie die nasale lange hintere Ziliararterie. Sie teilt sich in der Gegend des Aquators in mehrere (ungefáhr drei bis vier) Aste, die eng zusammenliegend, gcschlängelt in der alten Richtung weiter laufen und sich allmählich in die Sklera einsenken, bis sie, ca. 4A—7 mm (Fetus, Kalb) oder ca. 12—13 mm (Rind) vom Korneafalz entfernt, in der Tiefe verschwinden. Der temporale Ziliartrunkus entsandte kurz nach Abgabe des Stammes der Aa. ciliares posteriores breves tempo- rales an einem Auge dorsal, an einem anderen Auge dorsal und ventral noch je eine A. ciliaris posterior brevis temporalis, die sofort die Sklera durchbohrten. Dort, wo der Truncus ciliaris temporalis den ventralen Rand des Nervus opticus überschreitet, mündet die A. ophthalmica interna in ihn ein. Ich komme später noch darauf zurück. Sowohl vom Ende des nasalen als temporalen Ziliartrunkus gehen unregelmässig einige wenige kleine Muskelzweige für das Ende der Mm. rect. oculi nasalis, temporalis oder der beiden schiefen Augen- muskeln ab. | Wie bereits erwühnt, wird der ventrale Teil des Circulus arte- riosus mervi optici von Asten des temporalen Ziliartrunkus gebildet. An zwei Augen schickte der nasale Ziliartrunkus, in einem Falle der Ramus bulbi kurz vor seiner Endteilung noch je einen Zweig zum ventralen Teil dieses arteriellen Kreises. Der dorsale Teil des Circulus arteriosus nervi optici wird meistens von einem (efisse versorgt, das der Ramus bulbi kurz vor seiner Endteilung abgibt (Fig. 2 ec; Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 233 Fig. 3 er). Es läuft dorsal am Sehnerven dem Bulbus zu und mündet mit zwei bis drei Asten dicht dorsal von der Lamina cribrosa sclerae senkrecht ein. Seltener stammte das Gefàss aus dem Anfangsteile des nasalen Ziliartrunkus oder entsprang es aus der noch zu erwähnen- den kurzen Ziliararterie des hinteren Pols. Der Circulus arteriosus nervi optici weist äusserlich temporal und nasal vom Sehnerven ge- wöhnlich eine Lücke auf. Nur an zwei Augen schickten der Ramus bulbi bezw. der Truncus ciliaris nasalis je ein Gefàss ab, das mit zwei bis vier Endästen den arteriellen Gefässkreis auf der nasalen Seite schloss. Regelmässig geht vom Ramus bulbi oder von einem seiner End- ‘iste eine Arterie nach der Gegend des hinteren Poles des Augapfels, woselbst sie in zwei bis drei Aste zerfällt, die mehr oder weniger stark divergierend, korkzieherartig gewunden dorsal laufen und all- mählich in der Sklera verschwinden. Ich habe dieses Gefàss als „kurze hintere Ziliararterie des hinteren Poles“ bezeichnet, Arteria ciliaris brevis posterior centralis (Fig. 2 ek; Fig. 3 ek). Der Ursprung dieser Arterie ist kein regelmässiger. In der Hälfte der Fälle ent- sprang sie, oft mit dem Stamm der hinteren kurzen Ziliararterie zu- sammen, aus dem temporalen Ziliartrunkus, nachdem dieser an den Bulbus herangetreten war, und wandte sich dorso-nasal zu ihrer Durch- trittsstelle. Seltener nahm die Polarterie ihren Ursprung aus dem nasalen Ziliartrunkus kurz nach dessen Herantreten an den Bulbus und zog dorso-temporal. Noch seltener stammte sie aus dem Ramus bulbi kurz vor dessen Endteilung und lief dorsal auf dem Sehnerven nach dem Bulbus. In einem Falle erhielt diese Arterie eine Ana- stomose vom dorsalen Zufluss des Circulus arteriosus nervi optici, und an drei Augen wurde ein Ast für den dorsalen Teil des ge- nannten Arterienkreises von der kurzen Ziliararterie des hinteren Poles abgegeben. Wie bereits erwähnt, tritt die A. ophthalmica externa an der ventro-temporalen Ecke in ihr Rete ein, durchläuft es als deutlich sichtbarer Stamm diagonal in einem dorso-temporal schwach konvexen Bogen, und der fortlaufende Stamm verlässt das Netz an der dorso- nasalen Ecke, dringt zwischen den nasalen Rand der Mm. rectus oculi 234 Kurt Schmidt, dorsalis und levator palpebrae superioris einerseits und den dorsalen Rand der Mm. rectus oculi nasalis und obliquus oculi dorsalis anderer- seits ein und teilt sich ca. 1!/,—2 cm (Rind) oder ca. 2—10 mm (Fetus, Kalb) nach Verlassen des Rete in seine beiden Endäste, die A. frontalis (s. supraorbitalis) und A. ethmoidalis. Die Siebbeinarterie wendet sich zwischen den Mm. obliquus oculi dorsalis und rectus oculi nasalis hindurch in der Querrichtung der beiden Muskeln zum Foramen ethmoidale. Die A. frontalis (s. supraorbitalis) läuft dem dorsalen Rand des M. obliquus oculi dorsalis entlang zur Orbitalüffnung des Canalis supraorbitalis, in den sie eintritt. In einem Falle (Rind) teilte sich die A. ethmoidalis kurz nach ihrem Ursprunge in zwei gleich starke Aste, die nebeneinander herliefen und sich nach einem Verlaufe von 1'/, cm wieder vereinten. An einem anderen Auge schickte die A. ethmoidalis aus ihrem Anfangsteile eine starke Anastomose zur A. frontalis. An einem dritten Präparate ging aus dem gemeinsamen Stamme der Aa. ethmoidalis und frontalis eine starke Anastomose zur A. ethmoidalis. Die beiden Gefässe (A. ethmoidalis und A. frontalis) zeigen also an ihrem Ursprunge innerhalb der Orbita mehr oder weniger ausgeprigte Andeutungen eines Rete (Rete mirabile arteriae ethmoidalis externum, s. auch unten), wie es O. Zietzschmann (mündliche Mitteilung) und für die A. frontalis auch Martin [15] an- gibt. Sowohl der gemeinsame Stamm als auch die A. frontalis und A. ethmoidalis selbst und deren spüter beschriebene Aste geben un- regelmässig kleine Zweige an die benachbarten Teile (Muskeln, Fett, Periost) ab. Aus dem gemeinsamen Stamme der Aa. frontalis und ethmoidalis oder aus dem Anfangsteile einer derselben entspringt in den meisten Fallen eine Arteria ciliaris anterior dorsalis (Fig. 2 f). Sie làuft am nasalen Rande des M. rectus oculi dorsalis korneawärts, etwas zwischen diesem Muskel und dem ihm anliegenden M. levator palpebrae supe- rioris eingeschoben, tritt zwischen dem abgebogenen Endteile des M. obliquus oculi dorsalis und dem Bulbus ungefähr in dessen vertikalem Meridiane hindureh (teilt sich ev. wührend des letzten Teiles seines Verlaufes in zwei Aste) und durchbohrt mit mehreren (ca. fünf) feinen Zweigen die Sklera im dorsalen Quadranten, einige Millimeter vom Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 935 Korneafalz entfernt. Zuweilen schickt sie einen Ast zur Konjunktiva in der Nahe des inneren Augenwinkels, in zwei Fallen gab sie das nachfolgend beschriebene Gefäss ab. Ausser dieser A. ciliaris anterior dorsalis konnte zuweilen noch eine zweite und dritte beobachtet werden. Wie bereits erwähnt, gab in einem Falle der zwischen Tränendrüse und Fascia superficialis wieder herausgetretene, mediale Hauptast der A. lacrimalis profunda eine A. ciliaris anterior dorsalis ab, die — neben der vorderen dorsalen Ziliararterie aus der A. frontalis — mit drei feinen Endästen im dorso-temporalen Quadranten ca. 1 mm vom Kornearande entfernt die Sklera senkrecht durchbohrte. An einem anderen (Feten-)Auge gaben — neben der A. ciliaris anterior dorsalis aus der Fortsetzung der A. ophthalmica externa — ein aus dem dor- salen Rande des Rete mirabile arteriae ophthalmicae externae ent- springender Muskelast eine vordere dorsale Ziliararterie für den dorsolateralen Quadranten und die A. lacrimalis superficialis eine temporale vordere Ziliararterie ab. Während sonst der durch die vorderen Ziliararterien gebildete Gefässkranz des vorderen Sklera- randes temporal und nasal eine Liicke aufweist, war an diesem einen (Feten-)Auge dieser Kranz temporal geschlossen und nur nasal unterbrochen. Die A. frontalis gibt weiterhin einen Ast ab, der mitunter auch aus der A. ethmoidalis oder aus der eben erwähnten A. ciliaris ante- rior dorsalis entspringt. Er läuft dicht nasal von dieser Ziliararterie am dorsalen Rande des M. obliquus oculi dorsalis bezw. dem dorsalen Rande des M. rectus oculi nasalis korneawärts, tritt über die Knochen- fläche des oberen schiefen Augenmuskels hinweg und endet in der Konjunktiva des naso-dorsalen Quadranten (Aa. conjunctivales). Kurz vor ihrem Eintritt in das Foramen ethmoidale, meist noch zwischen dem M. obliquus oculi dorsalis und M. rectus oculi nasalis, entsendet die A. ethmoidalis einen Ast, der mit dem Nervus infra- trochlearis am Berührungsrande der beiden Muskeln korneawärts zieht und sich in der Konjunktiva des nasalen Quadranten verzweigt. In einem Falle entsprang diese Arterie mit drei Wurzeln, die sich nach einem Verlauf von einigen Millimetern vereinigten (A. con- Junctivalis). 236 Kurt Schmidt, ad Diese drei Gefässe, die A. ciliaris dorsalis anterior und die beiden Aa. conjunctivales geben, wie schon erwähnt, verschiedene kleine Zweige an die benachbarten Teile (Muskeln, Fett, Periost, Trochlea) ab. Die Arteria frontalis (Fig. 2 ga) verlässt die Orbita, indem sie in den Canalis supraorbitalis eintritt, verzweigt sich in der Schleim- haut der Stirnhóhle und tritt, entgegen den Verhältnissen bei Schaf und Ziege, mit einigen Asten auf die Stirn heraus, wie auch Ellen- berger-Baum [6] und Martin [15] angeben. Die Arteria ethmoidalis (Fig. 2 gb) verhält sich in ihrem Ende beim Rinde ungefähr so, wie Ellenberger-Baum und Martin sie beim Pferde beschreiben. Sie ,,tritt durch das Foramen ethmoidale in die Schädelhöhle, läuft in dieser quer medial über die Siebbeinplatte, gibt Zweige an die Dura mater... und tritt durch ein Loch am medialen Rand der Siebbeinplatte in die Nasenhóhle*. Während ihres Verlaufes über die Siebbeinplatte gibt sie zahlreiche Aste an das Siebbein ab, die zuweilen zwischen den Nervenbündeln des Nervus olfactorius ein dichtes Gefässnetz bilden (Rete mirabile arteriae ethmoidalis internum), das mit dem grossen Rete an der Schädelhöhlenbasis Anastomosen austauscht. Nach Verlassen der Schädelhöhle gibt die Siebbeinarterie noch weitere Zweige für den gleichnamigen Knochen ab und versorgt besonders die dorsale Nasenmuschel und die dorsalen Teile der Nasen- scheidewand. Die Endgebiete der A. ethmoidalis und der A. sphenopala- tina, die den gróssten Teil der Nasenhóhle versorgt, sind, wie oben schon angeführt, nicht streng voneinander zu trennen. Die Arteria ophthalmica interna (Fig. 2 h), die beim Menschen das Hauptgefiiss der Orbita vorstellt, spielt bei den Haustieren nur eine untergeordnete Rolle und stellt beim Rinde ein áusserst schwaches Gefüss dar. Auf den Ursprung des Gefásses komme ich spáter noch zurück. Es kommt in Begleitung des Sehnerven, dessen ventralem Rand anliegend, durch das Foramen opticum aus der Schädelhöhle heraus, gibt verschiedene feine Aste an den Nervus opticus bezw. dessen Hülle ab und mündet in den Truncus ciliaris temporalis, während dieser den Sehnerven ventral umwindet. Einen Fall, in dem die A. ophthalmica interna mit einem Muskelast ein kleines Geflecht bildete, habe ich oben erwähnt. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 237 III. Die Arterien der Schüdelhóhle und des Rückenmarks- kanales innerhalb der ersten Halswirbel. Die Arterien der Schädelhöhle und des Rückenmarkskanales können wir in zwei Gefässsysteme zusammenfassen, ein intra- und ein extra-, epi- oder peridurales. Das eine liegt, wie schon der Name sagt, inner- halb des von der Dura mater encephali und Dura mater spinalis ge- bildeten Hohlraumes, der das Gehirn und Riickenmark aufnimmt, und ist besonders für die Ernährung der Zentralorgane bestimmt. Das zweite, extradurale System befindet sich zwischen Dura mater und knócherner Wandung der Schädelhöhle bezw. des Rückenmarkskanales. Während die Gefässe des ersteren Systems, soweit sie die Dura mater berühren, dieser nur lose anliegen, mit der Gehirn- und Rückenmarks- substanz aber mehr oder weniger fest verbunden sind, haften die Arterien des extraduralen Gebietes der harten Haut meistens fest an und sind zum Teil in dieselbe eingebettet. Die beiden Gefässsysteme stehen nur an wenigen Stellen, auf die ich spáter zurückkomme, mit- einander in Verbindung. Ich wende mich zunächst dem extra- oder periduralen Gefäss- system zu. Ellenberger und Baum [6] geben an, dass mehrere — von mir als „Reteäste“ beschriebene — Zweige der A. maxillaris interna die A. carotis interna vertreten. Von diesen Ásten gelangen ein stürkerer ,durch das Foramen ovale und 4—5 schwächere durch die mit dem runden Loch verschmolzene Augenhóhlenspalte in die Schädelhöhle, wo sie zusammen mit Zweigen der A. vertebralis und der A. con- dyloidea zwischen der Schüdelbasis und der Dura mater ein grósseres Gefässnetz — Wundernetz, Rete mirabile — zu beiden Seiten der Hypophyse bilden und die letztere dadurch, dass die beiderseitigen Wundernetze sich durch Queräste verbinden, fast vollständig umgeben.“ Ähnlich äussert sich Martin [13], nur gibt nach ihm die A. maxillaris interna ausserdem noch ,mehrere nicht beständige Zweige“ ab, ,Welche das Keilbein durchbohren und in der Fossa hypophyseos münden*. Die letzteren Zweige habe ich — wie ich gleich bemerken will — nur selten (einmal) konstatieren können. Auch Tandler [17,18] und Hofmann [9] erwähnen das von der A. maxillaris interna, A. vertebralis und A. condyloidea gebildete, zwischen Dura mater und Schüdelhóhlenboden befindliche Wundernetz, wenn auch nur kurz. Bei meinen Untersuchungen habe ich für dieses Rete mirabile foleende Verhältnisse festgestellt: Die durch das Foramen orbito- rotundum, Foramen ovale und andere Lócher des Keilbeins in die Schädelhöhle eintretenden Aste der A. maxillaris interna beider Kopf- 238 i Kurt Schmidt, seiten bilden in Gemeinschaft mit Asten der beiderseitigen A. verte- bralis und der A. condyloidea sowie mit der A. carotis interna — so- weit diese noch nicht obliteriert ist — an der Basis der Schädelhöhle ein grosses unpaares Wundernetz, , Rete mirabile“ (Fig. 4 a und a,). Dasselbe hat ungefähr die Gestalt eines gleichschenkligen Dreiecks, dessen Schenkel etwas nach aussen ausgebuchtet sind. Die Basis dieses Dreiecks liegt am nasalen Rande der Sella turcica, die abge- rundete Spitze am kaudalen Rande der Briickengrube. Die beiden Schenkel stossen an den Ursprung der Alae temporales des Keilbeins und an den ventralen Rand der der Schädelhöhle zugekehrten senk- rechten Fläche des Felsenbeins. Die ventrale Fläche des Rete liegt auf dem Boden der Schádelhóhle (Kórper des Keilbeins und Pars basi- laris des Hinterhauptsbeins), die dorsale legt sich der Dura mater am, in die sie zum Teil eingebettet ist. Das Gefässnetz hatte bei dem mittelgrossen Rindskopfe eine Lange von 7 cm, am breitesten (nasalen) Teile eine Breite von 3!/,—4 cm. Bei Fetus und Kalb schwankten dieselben Masse zwischen 3,5—4,8 em (Linge) und 2—2,8 em (Breite). Der vertikale Durchmesser war an den einzelnen Stellen verschieden, der grüsste fand sich in der nasalen Hälfte und betrug 1,1—1,3 cm (Fetus, Kalb) bezw. 1,5 em (Rind). Nahe dem vorderen Ende des Rete bemerkt man eine kreisfórmige Unterbrechung des Gefässnetzes (Fig. 4 b). Es ist dies die Stelle, an der die Hypophyse sich in die Hóhlung des Türkensattels legt. Dieses Loch im Rete hat ungefähr einen Durch- messer von 1,75 em (Rind) bezw. 0,6—0,8 em (Fetus, Kalb), während die nasal davon befindliche Retebrücke ca. 1 em bezw. 0,5 cm stark ist. Bei näherer Besichtigung lässt sich feststellen, dass das Rete verschieden dicht ist. Während es im Gebiete des Keilbeins aus un- zähligen feinen, dicht aneinanderliegenden Gefässen besteht, sind im Gebiete der Pars basilaris des Hinterhauptsbeines die Maschen grösser und die Gefásse stärker. Das Rete der Gehirnbasis ist ein Abkómmling der A. carotis interna. Über seine Entstehung und über die Entwicklung der arteriellen Wundernetze überhaupt gibt uns Tandler [18] Aufschluss. Er schreibt: ,Aus der ursprünglichen, einheitlichen A. carotis interna ent- wickeln sich an einer gegebenen Stelle Gefässsprossen, welche innerhalb kurzer Zeit Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 239 an Zahl und Grösse bedeutend zunehmen. Die aus der Wand der Carotis hervor- tretenden Sprossen teilen sich auf und treten untereinander in Verbindung. Gleich- zeitig schreitet die Lumenbildung in den einzelnen Gefässsprossen peripherwärts fort. So wird durch das Auftreten immer neuer Sprossen, welche untereinander anastomosieren, ein immer reicher und reicher werdendes Gefässnetz gebildet, dessen einzelne Elemente in ihrem Kaliber allmählich wachsen, bis das fertige Wunder- netz vorliegt.“ Den Hauptzufluss zum Rete stellen beim Erwachsenen die distalen Reteäste (Fig. 2 und 2a J, m, o, p; Fig. 4 c) vor, deren Ursprung oben geschildert wurde (s. Seite 215ff.). Sie bilden schon ausserhalb der Schüdelhóhle ventral, medial und dorsal von dem aus dem Foramen orbito-rotundum tretenden Nervenbündel ein Geflecht, das durch das genannte Loch in die Schädelhôhle zieht (Fig. 4 c) und dort in die naso-laterale Ecke des grossen Rete einmündet. Ein kleiner Teil dieses extrakraniellen Geflechtes erreicht die Schädelhöhle durch das Foramen opticum und bildet das Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae (Fig. 4d) (s. Seite 240). Einer der in der Nähe des Ursprungs der A. ophthalmica externa von der inneren Kieferarterie abgehenden ,heteáste* (Fig. 2 und 2a s; Fig. 4 f) stellt einen proximalen Reteast vor, denn er wendet sich sofort nach seinem Ursprunge kaudal, läuft am Keilbein entlang, tritt durch das Foramen ovale in die Schädel- hóhle und mündet dort in den Seitenrand des grossen Rete. Nur in einem Falle stellte der — beim Rinde aus vergleichenden Gründen so benannte — in der Hóhe der A. alveolaris mandibulae entspringende „proximale Reteast^ in der Tat einen direkten Reteast dar und zog, wie es Martin |13] beschreibt (s. S. 215 u. 237), durch ein im Keilbeinkórper dicht nasal vor dem Foramen ovale befindliches Loch in die Schádel- hóhle, wo er ebenfalls in den Seitenrand des Rete einmündete. In den übrigen Fällen fehlte diesem „Reteaste“ der Schädelhöhlenteil. Das Gefäss schickte nur manchmal (in drei Fällen) eine Anastomose zu dem mit den distalen Reteästen zusammen entspringenden proximalen Rete- aste hin. Beim Fetus und Neugeborenen bildet auch die Arteria carotis interna (Fig. 4 g) einen Retezufluss, und zwar gelangt sie durch den nasalen Abschnitt des gerissenen Loches an den Seitenrand des Rete. Beim erwachsenen Tiere ist an ihrer Stelle nur ein binde- gewebiger Strang vorhanden (s.Seite 194). Einen weiteren, allerdings sehr schwachen Zufluss erhült das Rete durch die aus der A. occipitalis 240 Kurt Schmidt, stammenden Arteria meningea media (Fig. 4 h), die durch den kau- dalen Abschnitt des Foramen lacerum in die Schädelhöhle zieht und in die Randpartie des Rete, nahe dessen kaudalem Ende, einmündet. Am kaudalen spitzen Ende des Wundernetzes des Schädelhöhlenbodens münden in Form eines grobmaschigen Geflechtes (Fig. 4 è) endlich Aste der Arteria vertebralis und der Arteria condyloidea ein. Ob diese Gefásse Zu- oder Abflüsse des grossen Rete bilden, will ich dahingestellt sein lassen. Ich habe mich auf die Prüfung dieser Frage nicht eingelassen. Im vordersten Abschnitt des Rete, zwischen dem nasalen Rande und der Liicke fiir die Hypophyse entspringt nahe der Mittellinie aus der dorsalen Retefläche jederseits ein starkes Gefäss, das in frontaler Richtung die Dura mater durchbohrt und in den Duralraum eindringt. Hofmann [9] nennt es Arteria carotis cerebralis (Fig. 4 4), Tandler [15] bezeichnet es beim Schwein, das ein ähnliches Rete am Boden der Schädeihöhle besitzt, ebenso und fasst es als den Rest der A. carotis interna auf. Ich komme später auf dieses Gefäss zurück. Ich erwähnte, dass ein Teil des medial und dorsal vom Nerven- bündel des Foramen orbito-rotundum befindlichen Gefässnetzes die Schädelhöhle durch das Foramen opticum erreicht. Es ist dies ein schmaler Geflechtsstrang, der ventral und später ventro-medial vom Nervus opticus — von der Knochenseite her in die Duralscheide des Nerven eingebettet, also extradural — durch das Foramen opticum zieht und in der Fossa optica am nasalen Rande und am oralen Teile der ventralen Fläche des Chiasma opticum medial läuft, um sich hier mit dem entsprechenden Rete der anderen Seite zu verbinden. Ich habe dieses arterielle Gefässnetz wegen der daraus hervorgehenden inneren Augenarterie (s. Seite 241) Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae (Fig. 4 d) genannt. Dieses Netz bildet also das Ursprungs- gebiet der A. ophthalmica interna. Im Innern der Schädelhöhle steht dieses Gefässnetz mit dem grossen Rete der Schädelhöhlenbasis zuweilen in Verbindung. Ich fand an drei Kópfen (bei zwei Feten und einem jungen Kalbe, beim dritten Fetenkopfe konnten diese Verhältnisse nicht untersucht werden) einen schwachen (zweimal) oder stärkeren (einmal, Fetus von ca. 9 Monaten) Geflechtsstrang (Fig. 4 ad), der ventral vom Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 241 Chiasma opticum — extradural — den kaudalen Rand des Rete mira- bile arteriae ophthalmicae internae mit dem nasalen Rande des grossen Rete verband. Diese Verbindung konnte ich an den älteren Kalbs- kópfen und an dem Rindskopfe nicht feststellen, sie bildet demnach einen Zustand, der sich bei Feten und jungen Kälbern findet, später sich aber zurückbildet. Meine Funde deuten somit darauf hin, dass wie bei anderen Tieren so auch beim Rinde die A. ophthalmica interna ursprünglich, im fetalen Leben, wohl einen direkten Ast der A. carotis interna (cerebralis) darstellt. Später dürfte der unmittelbare Zu- sammenhang der A. ophthalmica interna mit der A. carotis interna (cerebralis, d. h. dem nasalen Ende des grossen Rete) verloren gehen, und das Ursprungsgebiet der inneren Augenarterie steht dann inner- halb der Schädelhöhle mit dem grossen Rete (A. carotis interna bezw. cerebralis) nieht mehr in Verbindung; nur ausserhalb der Schädelhöhle hangt es, durch die Anastomosen des Rete der A. ophthalmica interna mit den distalen Reteästen, mit dem Gebiete der inneren Kopfarterie zusammen; auf diesem Wege dürften die innere Augenarterie und ihr Ursprungsgebiet nunmehr auch ihr Blut erhalten. Zuweilen schickt das Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae einige feine Anastomosen naso-frontal zu dem an der hinteren Sieb- beinplatte befindlichen Rete mirabile arteriae ethmoidalis internum. Ungefáhr am Übergang der Fossa optica in das Foramen opticum oder innerhalb des letzteren sondert sich aus diesem Wundernetz der inneren Augenarterie ein feines Gefäss ab, das den Nervus opticus dem ventralen Rande entlang begleitet und kurz vor Herantreten an den Bulbus in den temporalen Endast des Ramus bulbi einmündet. Es ist dies die Arteria ophthalmica interna. Nach Ellenberger-Baum [6] und Martin [13] geht die A. ophthalmica interna — diese Verhältnisse des Rindes sollen denen des Pferdes gleichen, welche die genannten Autoren wohl nach Bachs [1] Untersuchungen schildern — aus dem nasalen Aste der A. carotis cerebralis (s. Seite 61) innerhalb des Dural- raumes hervor und begleitet den Nervus opticus. Tandler [17] lasst die innere Augenarterie des Rindes aus der A. carotis cerebralis selbst an deren Durchtrittsstelle durch die Dura mater (Resumé der Artio- daktylen) und Hofmann |9] endlich an der Teilungsstelle der A. ca- Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 16 242 Kurt Schmidt, rotis cerebralis gleich nach Perforation der Dura (Rind verhält sich so wie Schwein) entspringen. Bei Schaf und Ziege liegen nach Canovas [5] Untersuchungen die Ursprungsverhältnisse der inneren Augenarterie wie beim Pferde, d. h. die A. ophthalmica interna entspringt aus dem nasalen Endaste der A. carotis cerebralis (3 mm proximal des Ab- ganges der A. cerebri media), also ebenfalls intradural. Wenn auch nach meinen Untersuchungen beim Rinde die A. ophthalmica interna den Sehnerven durch das Foramen opticum hindurch begleitet, so weichen doch die Verhältnisse ihres Ursprunges von denen bei Pferd, Schaf und Ziege wesentlich insofern ab, als bei diesen die innere Augenarterie intradural, beim Rinde dagegen aus einem extradural gelegenen Geflechte entspringt. Die Arteria ethmoidalis, die man auch zu den Gefässen des peri- duralen Systems zählen kann, habe ich früher besprochen. Ein weiteres extradurales Gefäss der Schädelhöhle stellt die Arteria meningea accessoria (s. Seite 207) vor. Diese entspringt, wie schon erwähnt, aus der A. auricularis anterior bezw. A. temporalis superficialis und gelangt durch den Schläfengang in die Schädel- höhle, woselbst sie sich im kaudo-dorsalen Teile des Hirnduralsackes, besonders im Gehirnzelt, verbreitet. Mit dem Rete der Schädelhöhlen- basis steht sie nur durch unregelmässige und mit der A. condyloidea durch eine regelmässige, starke Anastomose in Verbindung, auf die ich später noch zu sprechen komme. Die Arteria condyloidea tritt — nach Ællenberger-Baum [6] und Martin [15] — durch das nasale Foramen hypoglossi in die Schädel- höhle, löst sich hier in eine Anzahl Zweige auf, von denen einer zum grossen Rete zieht, einer in die Diploé des Processus condyloideus, einer in den Schläfenkanal und ein letzter durch das Foramen inter- vertebrale des Atlas an die Kopfstrecker geht. Nach meinen Beob- achtungen, die diese Angaben der genannten Autoren im grossen und ganzen bestätigen, teilt sich die A. condyloidea in der Tiefe der ven- tralen Knopfgrube in zwei Endäste, die zusammen mit den Fasern des Nervus hypoglossus durch die beiden Canales hypoglossi in die Schädel- höhle treten. Gleich nach Passieren dieser Kanäle vereinigen sie sich wieder und schicken aus diesem Gefässbogen (Fig. 4 /): 1. ventro- 9 Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 243 medial einen oder zwei Aste (Fig. 4 Za) zur A. vertebralis, kurz bevor diese in das kaudale Ende des grossen Rete an der Schädelhühlen- basis einmiindet oder in das Reteende direkt; 2. naso-frontal eine Anastomose zu der A. meningea accessoria, die sich auf und in der Knochenfläche der Dura mater encephali verbreitet; 3. frontal einen Zweig, der in den Canalis condyloideus des Hinterhauptsbeines eintritt und zum Teil sich in die Diploé dieses Knochens wendet, zum Teil im genannten Kanal entlang laufend, in die A. meningea accessoria mündet und dadurch an der Vaskularisierung des M. temporalis teil- nimmt; 4. eine Anastomose (Fig. 4 mub) zu dem lateralen Endaste der À. vertebralis, auf den ich später zurückkomme. Aus dieser letzt- genannten Anastomose geht mitunter ein Ramus medullaris (Arteria nervi spinalis I nach Hofmann [9]) ab. Das letzte Gefiiss des extra- oder periduralen Systems stellt die Arteria vertebralis vor. Ellenberger und Baum [6] sagen von ihr: ,Die A. vertebralis verläuft bis zum 2. (3.) Halswirbel wie beim Pferde, tritt dann zwischen dem 2. und 3. (ausnahms- weise zwischen dem 3. und 4.) Halswirbel in den Wirbelkanal, wo sie am Perioste der Wirbelkórper kopfwärts verläuft, sich durch 2—3 Queräste mit der der anderen Seite verbindet und am 1. Halswirbel in einen medialen und lateralen Ast teilt. Der schwächere, mediale Ast (A. cerebrospinalis) läuft nach der Schädelhöhle, ver- bindet sich mit der A. condyloidea und hilft das Wundernetz bilden. Der stärkere, laterale Ast gelangt durch das Foramen intervertebrale des Atlas auf dessen dorsale Fläche, verzweigt sich in den Kopfstreckern und ersetzt zum grossen Teile den kranialen Ast der schwachen A. occipitalis. Im Foramen intervertebrale gibt sie einen Zweig ab, der sich bei Herstellung des Wundernetzes beteiligt. Die Rücken- markszweige der beiderseitigen Aa. vertebrales . . . verbinden sich, bevor sie in die A. spinalis ventralis (anterior), die eine Fortsetzung der A. basilaris ist, münden, auf den Wirbelkórpern zu langgezogenen vier- oder sechseckigen Maschen.^ Beim Pferd, das nach den genannten Autoren in nachstehenden Verhältnissen dem Rinde gleichen soll, geben sie an, dass die A. vertebralis ventral vom Querfortsatz des 7. nach dem Foramen transversarium des 6. Halswirbels geht und in den Canalis transversarius tritt. An jedem Zwischenwirbelloche soll die A. vertebralis einen Rückenmarkszweig durch das Foramen intervertebrale, der in der Dura mater spinalis und in den Halswirbeln sich verbreitet und mit der A. spinalis ventralis anastomosiert, sowie einen dorsalen und ventralen Muskelzweig abgeben. Ähnlich äussert sich auch Martin [13], während Tandler [17] schreibt: „Die Aa. vertebrales geben, nachdem sie sich mit der Okzipitalarterie verbunden haben, wohl subdural‘) gelegene Áste an das Wundernetz ab, haben aber jeden Zusammenhang mit der Basilararterie verloren, so dass sie nur mittelbar auf dem Wege des Wundernetzes 7) Nach meiner Überzeugung besser „extradural“; der Subduralraum liegt zwischen Dura und Gehirn. 16* 244 Kurt Schmidt, das Gehirn mit Blut versorgen.“ Nach Hofmann [9] erhält das Wundernetz an der Bodenfläche der Schädelhöhle „von der A. vertebralis und A. condyloidea einen Ast, der subdural zu ihm verläuft. Auf diese Weise beteiligen sich die Arterien indirekt an der Versorgung des Gehirns*. Auf die Rückenmarksáste der Hof- mannschen Arbeit komme ich später zurück. Nach meinen Untersuchungen verhält sich die A. vertebralis folgendermassen. (Ich bemerke, dass ich an den meisten Köpfen nur die Verhältnisse innerhalb der ersten drei bis vier Halswirbel beob- achten konnte. Nur in einem Falle konnte ich die A. vertebralis vom sechsten Halswirbel an präparieren.) Die A. vertebralis (Fig. 4 m) tritt in nasaler Richtung durch das kaudale Querfortsatzloch des sechsten Halswirbels in den Canalis transversarius der Halswirbel. An jedem Zwischenwirbelloch gibt sie drei Aste ab. Sowie sie die nasale Offnung des Querfortsatzkanales eines Halswirbels verlässt, ent- sendet sie fast gleichzeitig zwei Zweige, einen Ramus muscularis ven- tralis (Fig. 4 ma, mh, mob) und einen Ramus spinalis (Fig. 4 mb), während der dritte, Ramus muscularis dorsalis (Fig. 4 mc, mp), kurz vor Eintritt in das kaudale Querfortsatzloch des (in kranialer Richtung) nächsten Wirbels entspringt. Die beiden Muskelzweige gehen ventral bezw. dorsal in die Halsmuskulatur. Der Ramus spinalis (Fig. 4 mb) (nach Hofmann |9] A. nervi spinalis) läuft durch das Foramen inter- vertebrale in den Rückenmarkskanal, teilt sich nach Passieren dieses Loches in einen kranialen (Fig. 4 md) und kaudalen (Fig. 4 mf) Ast, Rami vertebrales, die auf dem Boden des Rückenmarkskanales (den Wirbelkórpern aufliegend) kranial bezw. kaudal und schwach medial laufen, sich mit dem entgegenkommenden Aste des benachbarten Ramus spinalis der gleichen Seite verbinden und ungefähr in der Mitte des Wirbelkérpers mit dem gleichen Gefüssbogen der anderen Seite ana- stomosieren (Fig. 4 me). Auf diese Weise entstehen vier- bis sechs- eckige Gefüssmaschen, Circelli arteriosi (Martin), von denen kleinere Zweige zu Periost und Knochen abgehen. In der Nahe der Teilungs- stelle eines jeden Ramus spinalis in seine beiden Wirbelkörperäste geht aus einem von diesen drei Gefässen ein Zweig ab, der zuweilen auch fehlt, und der mit dem zugehórigen Rückenmarksnerven in den Duralschlauch zieht. Dieser eigentliche Rückenmarkszweig — Ramus medullaris (Fig. 4 mg) —, auf den ich spáter noch zurückkomme, stellt Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 245 im Vergleich zu den Wirbelkörperästen nur ein unbedeutendes Gefàss vor. An einem Präparate konnten diese in den Duralschlauch ziehen- den Medullaräste nicht festgestellt werden, und es entspricht dieser eine Fall — aber auch nur dieser — den T'andlerschen [17] Angaben, nach denen die Aa. vertebrales jeden direkten Zusammenhang mit der A. basilaris verloren haben. An allen anderen Präparaten fand eine, wenn auch schwache Verbindung durch die Rami medullares statt. Am Foramen intervertebrale zwischen dem zweiten und dritten Hals- wirbel teilt sich die A. vertebralis nach Abgabe des ventralen Muskel- (Fig. 4 mh) und des Rückenmarksastes (Fig. 4 mi) in zwei ungleich starke Aste (die sich später wieder vereinigen). Der stärkere (Fig. 4 mk) zieht durch das Zwischenwirbelloch (2./3.) in den Riickenmarkskanal und läuft am Seitenrande des Bodens dieses Kanales kranial, sendet in der Mitte des zweiten Halswirbels eine starke Anastomose (Fig. 4 ml) zur anderen Seite und vereinigt sich am Foramen intervertebrale zwischen dem ersten und zweiten Halswirbel wieder mit dem schwächeren Aste. Dieser (Fig. 4 mo) läuft von der Teilungsstelle der A. vertebralis nach dem Querfortsatzkanal des Epistropheus, gibt auf diesem Wege einen dorsalen Muskelast (Fig. 4 mp) ab, tritt in den Kanal ein, durch- läuft ihn, entsendet nach dieser Passage einen ventralen (Fig. 4 mob) und einen dorsalen (Fig. 4 moc) Muskelzweig und geht — sozusagen als Ramus spinalis — selbst durch das Foramen intervertebrale zwischen dem ersten und zweiten Halswirbel in den Riickenmarks- kanal, wo er sich sofort mit dem stärkeren Endaste der A. vertebralis vereinigt. In der Nähe dieses Zusammenflusses entspringt unregel- mässig ein Gefäss (Fig. 4g), das in den Duralschlauch geht (s. S. 247). Der aus der Vereinigung dieser zwei Aste hervorgegangene Stamm der A. vertebralis (Fig. 4 mr) zieht — dem der anderen Seite parallel — am Seitenrande des Bodens des Rückenmarkskanales kranial und schickt auf dem Zahne des zweiten Halswirbels eine starke Anasto- mose (Fig. 4 ms) (in einem Falle eine Anastomosenkette) zu dem gleichen Gefásse der anderen Seite. Alsbald teilt sich die Arterie in einen medialen und lateralen Endast. Der mediale schwächere (Fig. 4 mt) làuft in der alten Richtung eine kurze Strecke weiter. wendet sich beim Übertritt auf das Hinterhauptsbein oro-medial nach 246 Kurt Schmidt, der Mittellinie, wo er mit dem der anderen Seite zusammenfliesst oder ein schmales Geflecht bildet (Fig. 4 7), jedenfalls aber in der Mitte oral weiterlàuft und median in das kaudale Ende des grossen Rete an der Schädelhöhlenbasis einmündet. Das Ende dieses Vertebralastes nimmt in manchen Fällen einen Ast der A. condyloidea (Fig. 4 la) auf (s. S. 242 u. 243.) Ellenberger-Baum nennen diesen medialen Ast der A. vertebralis „A. cerebrospinalis“. Das Gefäss schickt sein Blut zwar auch zu Gehirn und Rückenmark, aber auf dem Umwege über das grosse Rete und die A. carotis cerebralis. Ich habe die Bezeichnung „A. cerebro- spinalis“ für dieses Gefäss nicht gebraucht, da eine Homologie zwischen beiden Arterien nicht besteht. Der laterale, stärkere Endast (Fig. 4 mu) der A. vertebralis läuft von der Teilungsstelle aus oro-dorsal zu dem Foramen intervertebrale des Atlas, wo er sich in mehrere (zwei bis drei) Zweige spaltet. In der Gegend dieser Teilungsstelle entspringen unregelmássig einige (zwei bis drei) kleine, in den Duralschlauch gehende Medullarzweige (Fig. 4 mua) (s. Seite 247). Der schwächere Endast des lateralen Vertebralisteiles (Fig. 4 mub) làuft seitlich durch das Foramen magnum und stellt eine Anastomose mit der A. condylo- idea dar, die anderen stärkeren (Fig. 4 mud und muc) gehen (ev. mit einem kurzen, gemeinschaftlichen Stamme) durch das Foramen inter- vertebrale bezw. Foramen alare des Atlas auf die dorsale und ven- trale Fläche seines Querfortsatzes und verbreiten sich in der dort be- findlichen Muskulatur. Der ventrale Muskelast bildet zuweilen direkt am Atlasflügel ein Gefässnetz, das in einem Falle eine Anastomose von einem Muskelaste der A. occipitalis empfing (s. oben) Sonst konnte — ausserhalb des Wirbelkanales und der Schädelhöhle — kein Zusammenhang festgestellt werden zwischen diesen beiden Muskel- ästen des Atlasflügels einerseits und Muskelästen der A. occipitalis oder des Epistropheus andererseits. Was das intradurale Gefüsssystem betrifft, d. h. das System, das sich innerhalb des das Gehirn und das Rückenmark einhüllenden Dural- : sackes befindet, so lag es mir nur daran, die Verbindungen dieses intraduralen Systems mit dem extra-(peri-)duralen festzustellen. Die Gefüsse der Zentralorgane selbst habe ich, als ausser dem Rahmen meiner Arbeit liegend, nicht beachtet. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 947 Was die grossen Gefiisse an der Schädelbasis anlangt, so habe ich die Hofmannschen [9] Angaben bestätigt gefunden. Die Arteria carotis cerebralis (Fig. 4 k) (s. Seite 240), die fast ausschliesslich das Ge- hirn mit Blut versorgt, geht nasal von der Hypophyse nahe der Medianebene jederseits aus der dorsalen Fläche des grossen Rete der Schädelhöhlenbasis hervor, durchbohrt die Dura mater und teilt sich bei oder sofort nach dieser Perforation in einen Ramus cranialis und einen schwächeren Ramus caudalis. („An dieser Teilungsstelle ent- springt — nach Hofmann — eine schwache Arteria ophthalmica.“ Dieser letzten Angabe kann ich, wie 8.241 u.242 ausgeführt, jedoch nicht zustimmen.) Die Rami craniales und caudales verbinden sich mit denen der anderen Seite und bilden um die Hypophyse herum den Circulus arteriosus Willis. Aus der Vereinigung der beiden Rami caudales geht am kranialen Brückenrande der nasale Teil der Arteria basilaris hervor, die in der Mittellinie der Gehirnbasis kaudalwirts verlàuft. Beim Pferde gelangt mit dem ersten Rückenmarksnerven die starke A. nervi spinalis I (Hofmann) (A. cerebrospinalis — Ellen- berger-Baum) in den Duralschlauch sowie an die ventrale Fläche des Rückenmarks und teilt sich in einen kranialen und kaudalen Ast. Der kraniale fliesst mit dem der anderen Seite zu dem kaudalen Teile der A. basilaris zusammen, der sich mit dem von den beiden Rami cau- dales der A. carotis cerebralis gebildeten nasalen Teile zur A. basi- laris vereinigt. Der kaudale Ast der A. cerebrospinalis fliesst mit dem der anderen Seite zu dem "Tractus spinalis ventralis (Hofmann) (A. spinalis ventralis = Ellenberger-Baum) zusammen, der an der ven- tralen Seite des Rückenmarks kaudalwärts läuft und durch die Arteriae nervorum spinalium (Hofmann) (Rami spinales = Ellenberger-Baum) ver- stärkt wird. Beim Ande bilden, wie oben ausgeführt, die in den Rückenmarkskanal eintretenden A. vertebralis und deren Aste zwar ein starkes extra-(epi-)durales Gefüsssystem, geben aber nur unregel- mässig kleine Aste in der Hóhe der Nervenwurzeln, die Rami medul- lares (Fig. 4 mg, mua), ab, die mit den Spinalnerven zusammen den Duralschlauch durchbohren, sich in einen dorsalen und ventralen Ast spalten, mit den Nervenwurzeln auf die dorsale und ventrale Seite des Rückenmarks gelangen und zum Teil in die Arteria (Tractus) 248 Kurt Schmidt, spinalis ventralis oder dorsalis einmünden. Einmal stellen aber diese Rami medullares, wie auch Hofmann angibt, beim Rinde nur sehr kleine Gefässe dar, sodann sind sie sehr unregelmässig, fehlen an mancher Nervenwurzel ganz und erreichen an anderen das ventrale oder dorsale Hauptgefäss nicht, sondern verzweigen sich dann am lateralen Rande des Rückenmarks. Was die genauen Verhältnisse anlangt, so verweise ich auf die Hofmannsche Arbeit. Jedenfalls stellt beim Rinde die Arteria (Tractus) spinalis ventralis einfach eine Fortsetzung der kaudal rasch an Volumen abnehmen- den A. basilaris dar, von der sie auch den gróssten Teil ihres Blutes erhält. Die Arterie der Gehirnbasis aber wird von der A. carotis cere- bralis versorgt, die innerhalb der Schädelhöhle die einzige Verbindung zwischen extra- (epi-) und intraduralem Gefásssystem darstellt. Inner- halb des Foramen magnum und des Halsteiles des Wirbelkanales ana- stomosieren diese beiden Gefässsysteme nur durch unregelmässige, kleine direkte oder indirekte Aste der A. vertebralis, d. h. durch die Rami medullares. Eine A. cerebrospinalis im Sinne der Verhältnisse des Pferdes existiert beim Rinde nicht. Schlussbetrachtung. Die Hauptergebnisse meiner Untersuchungen über die Verzweigung der A. carotis communis im allgemeinen, der arteriellen Gefässe des Augapfels und seiner Nebenorgane im besonderen und über die Arterien der Schädelhöhle und des Anfangsteiles des Rückenmarkskanales des - Rindes können in folgende Sätze zusammengefasst werden. I. Verzweigung der Arteria carotis communis. 1. Die A. carotis communis läuft jederseits am dorso-lateralen Rande der Luftróhre kopfwürts bis zum Kehlkopfe bezw. Schlundkopfe, woselbst sie sich in ihre (drei) Endäste spaltet. Auf diesem Wege oibt sie neben kleineren Asten an die benachbarten Organe in der Höhe des kaudalen Schilddrüsenrandes die A. thyreoidea ab. Diese tritt an das naso-dorsale Ende der Drüse und versorgt mit einem medialen Aste die Drüse von der medialen Seite, mit einem lateralen Zweige von der lateralen Seite aus und den Isthmus. Aus dem: Die arteriellen Kopfgefiisse des Rindes. 249 medialen Aste entspringt die À. pharyngea ascendens, aus dem late- ralen Zweige geht die À. laryngea hervor. 2. Die Arteria carotis communis teilt sich über der dorsalen Kehlkopfwand bezw. seitlich am Schlundkopf in drei Endäste: a) die Arteria carotis externa, b) den Trunkus der Arteria carotis interna und der Arteria occi- pitalis und c) den Trunkus der Arteria maxillaris externa und der Arteria lingualis. 3. Der Trunkus der A. carotis interna und der À. occipitalis gibt die A. palatina ascendens zum Gaumensegel und zur Wand der Rachenhóhle ab und spaltet sich nach einem Verlaufe von einigen Millimetern in seine beiden Gefässe. 4. Die A. carotis interna verliuft an der medialen Seite der Pars tympanica des Schläfenbeins vorbei zum vorderen Abschnitt des Foramen lacerum und durch dasselbe in die Schädelhöhle. Die Arterie ist beim Fetus ungefáhr ebenso stark und bei Kálbern von ca. 20 Tagen etwas schwächer als die Arteria occipitalis; bei Kälbern von sechs bis acht Wochen hat das — noch passierbare — Lumen ca. 0,5 mm im Durchmesser; bei erwachsenen Rindern ist an Stelle der Arterie ein bindegewebiger Strang von ca. 1—1,2 mm Stärke vorhanden. 5. Die A. occipitalis làuft gegen die ventrale Knopfgrube und seht als starker Muskelast am Processus jugularis des Hinterhaupts- beines entlang zur Genickfläche des Kopfes, ohne aber eine A. meningea caudalis abzugeben. Sie entsendet neben unbenannten kleineren Asten: a) Die A. stylo-mastoidea profunda zum mittleren Ohr, b) die A. meningea media zum Foramen lacerum, c) die A. condyloidea durch die beiden Canales hypoglossi zur Schädelhöhle. 6. Der Trunkus der A. lingualis und der A. maxillaris externa seht am ventralen Rande des grossen Zungenbeinastes oro-ventral und spaltet sich nach kurzem Verlaufe in seine beiden (refässe. 7. Die A. lingualis läuft in der Tiefe der Zunge als A. profunda linguae bis zu deren Spitze und anastomosiert dort mit dem gleichen Gefässe der anderen Seite. Sie gibt neben einigen Zweigen für die 950 Kurt Schmidt, Glandula mandibularis (s. submaxillaris) und vielen Asten für die ge- samte Muskulatur der Zunge (u. a. Rami dorsales linguae) eine A. sublingualis und einen Ramus hyoideus ab. 8. Die A. mazillarıs externa geht an der medialen Seite des Musculus pterygoideus medialis oro-ventral zum Gefässausschnitt des Unterkiefers, schlägt sich um diesen auf das Gesicht um und läuft als A. facialis weiter. Sie gibt auf ihrem Wege Aste an die benach- barten Muskeln, die Glandula mandibularis, den M. masseter und die A. submentalis ab. Die A. facials läuft oro-frontal über das Gesicht, entsendet die A. labialis inferior superficialis und A. labialis inferior profunda zur Unterlippe und teilt sich am ventralen Rande des M. depressor labii superioris in die A. labialis superior (mit der A. anguli oris), die zur Oberlippe geht, und die A. lateralis nasi, die in Gemein- schaft mit dem Endstiicke der A. infraorbitalis die Seitenteile der Nase versorgt. 9. Die A. carotis externa wendet sich über die laterale Fläche des grossen Zungenbeinastes zur Fossa retromandibularis und teilt sich dort, von der Parotis bedeckt, in ihre beiden Endäste, ‘lie A. maxillaris interna und den Trunkus fiir die A. temporalis superficialis und die A. transversa faciei. Sie gibt auf diesem Wege neben kleinen Muskel- und Parotisästen ab: a) Die A. masseterica fiir den M. masseter, b) die A. auricularis posterior (s. magna). Diese entsendet kleine Zweige zur Parotis, die A. stylo-mastoidea superficialis zum mittleren Ohr, einen Ast zum Winkel des Muschelspaltes, den Ramus auricularis lateralis zum lateralen Muschelrand, die A. auricularis profunda (die einen Ramus auricularis internus ins Innere der Ohrmuschel und einen Ramus muscularis in die tiefen Schildmuskeln schickt), den Ramus auricularis inter- medius lateralis und den Ramus auricularis intermedius me- dials (die beide neben bezw. auf dem Dorsum der Ohrmuschel spitzenwirts ziehen). 10. Der Trunkus für die A. temporalis superficialis und die A. transversa faciei spaltet sich nach kurzem Verlaufe (einige Millimeter bis 1 cm) in seine beiden Gefàsse. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 251 11. Die A. transversa faciei verzweigt sich auf der lateralen Seite des M. masseter, ohne in der Regel eine Anastomose zur A. facialis zu schicken. 12. Die A. temporalis superficialis überschreitet den Jochbogen und teilt sich kaudal vom temporalen Augenwinkel in ihre drei End- iste: die A. palpebrae inferioris temporalis, die A. palpebrae supe- rioris temporalis und die Arterie des Hornzapfens. Die A. tempo- ralis superficialis gibt während ihres Verlaufes ab: a) Eine Arterie für den äusseren Gehórgang, b) die A. auricularis anterior (Ramus auricularis medialis) mit der A. meningea accessoria, c) eine Arterie fiir das extraorbitale Augenfett und den Musculus temporalis, d) die A. lucrimalis superficialis, e) unregelmässige Parotis- und Muskeläste für den M. masseter, die Einwärtszieher des Ohres und die Schildmuskulatur. 13. Die A. maxillaris interna tritt an die mediale Seite des Unterkiefers und läuft zwischen den beiden Mm. pterygoidei hindurch nach der Fossa pterygo-palatina, in deren vorderem Teile sie sich in ihre beiden Endäste spaltet. Während dieses Verlaufes entspringen aus ihr: a) Rami pterygoidei für den Flügelmuskel, b) eine Arterie für das Kiefergelenk, c) die A. alveolaris mandibulae (s. inferior), die den Canalis mandibularis durchläuft (darin Zweige für die Backen- und Schneidezähne des Unterkiefers abgibt), als A. mentalis durch das gleichnamige Foramen auf die Angesichtsfläche tritt und in Gemeinschaft mit den Aa. labiales inferiores der A. facialis die Unterlippe versorgt, d) em Ast für die Flügel- und Schlundkopfmuskulatur und das Gaumensegel, der zuweilen als „proximaler Reteast* zu dem grossen Rete an der Schädelhöhlenbasis zieht, e) die A. pterygoidea für die Flügelmuskeln mit dem Zamus hyoideus für den M. mylohyoideus, 252 f) h) Kurt Schmidt, verschiedene kleine Aste für die Mm. pterygoidei und den M. temporalis, , t die A. temporalis profunda für den M. temporalis, die einen mit der A. buccinatoria anastomosierenden Ast zum M. masseter schickt, die A. buccinatoria für den M. masseter und die Backen- schleimhaut. Sie schiekt ausserdem Aste zum extraorbitalen Augenfett, zum M. temporalis, zu den dorsalen Backendrüsen und eine Anastomose zur A. temporalis profunda. Die A. ophthalmica externa entspringt als einheitlicher Stamm, làuft in frontaler Richtung, medial von der Crista pterygoidea, kreuzt den Nervus maxillaris, durchbohrt die Periorbita, dringt, indem sie ein kleines Rete bildet, zwischen M. rectus oculi dorsalis und M. levator palpebrae superioris einerseits und M. rectus oculi temporalis sowie M. retractor bulbi andererseits hindurch und entlásst aus dem Rete den gemeinsamen Stamm der A. frontalis und A. ethmoidalis, der zwischen M. rectus oculi dorsalis und M. rectus oculi nasalis durchtritt. Die 4 fron- talis (s. supraorbitalis) zieht durch den Canalis supraorbitalis und endet in der Schleimhaut der Stirnhóhle und in der Mus- kulatur und Haut der Stirn Die A. ethmoidalis tritt durch das gleichnamige Foramen in die Schädelhöhle, läuft medial über die Platte des Siebbeins hinweg, verlässt die Schádelhóhle wieder und versorgt das Siebbein, die dorsale Nasenmuschel und den dorsalen Abschnitt der Scheide- wand. Aus dem Rete der A. ophthalmica externa gehen hervor: a) Der Ramus bulbi, der den Sehnerven bis zum Bulbus be- gleitet, Aste fiir den Circulus arteriosus nervi optici ab- gibt und sich in die Trunci ciliares nasalis und tempo- ralis teilt, 3) die A. lacrimalis profunda für die Tränendrüse, 7) Rami musculares für die Mm. recti oculi, retractor bulbi, levator palpebrae superioris, das intraorbitale Augenfett und die Sehnervenscheide. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 953 k) Die A. adiposa, die zuweilen auch aus der A. opthalmica ex- terna entspringt, zum intraorbitalen Augenfett, ] zwei bis acht Gefässe, die Retedste, die zum Teil auch aus der A. ophthalmica externa und der A. buccinatoria entspringen kónnen. Ein stärkerer von ihnen (ein ,proximaler Reteast^) zieht durch das Foramen ovale, die anderen („distalen Rete- iste“) mit dem Nervenbündel des Foramen orbito-rotundum, an dem sie schon ausserhalb der Schádelhóhle ein Geflecht bilden, durch dieses Loch in die Schádelhóhle und münden dort in das grosse Rete an der Schádelhóhlenbasis. Von dem extra-. kraniellen Rete zweigt sich ein kleiner Geflechtsstrang ab und geht durch das Foramen opticum in die Schádelhóhle zum Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae. m) Unregelmàssige, schwache Áste an das extraorbitale Augen- fett, die Periorbita, die Flügel- und Rachenmuskulatur sowie an die letzten Backenzihne des Oberkiefers (Aa. alveolares maxillae). 14. Der naso-frontale Endast der A. maxillaris interna teilt sich nach kurzem Verlaufe in zwei Gefässe: a) Die A. malaris zieht durch den Ausschnitt (bezw. Kanal) der Tränenblase in die Orbita und auf deren Boden gegen den nasalen Augenwinkel und schlägt sich um den Margo orbitalis auf die Angesichtsfläche um. Innerhalb der Orbita gibt sie ab: a) Aste für den M. obliquus oculi ventralis, für Augenfett, Periorbita und Schleimhaut der Kieferhöhle, B) die A. palpebrae tertiae zum dritten Augenlide, y) ein Gefäss für den Tränentrichter, 0) die A. palpebrae inferioris nasalıs zum unteren Augenlid. Während ihres Verlaufes auf der Angesichtsfläche ent- springen aus der A. malaris: a) Ein Gefäss für die basalen Teile des unteren Augenlides, 8) eine kurze Arterie zur seitlichen, kaudalen Nasenpartie, y) die A. angularis oculi zum nasalen Augenwinkel, 0) stärkere Aste für die Haut von Stirn und Nase und deren Muskulatur. 254 Kurt Schmidt, Der Endstamm der A. malaris läuft als A. dorsalis nasi auf dem Nasenriicken bis ins Flotzmaul. b) Die A. infraorbitalis zieht durch den gleichnamigen Kanal, gibt wührend dieses Verlaufes Aste für die Backenzihne des Oberkiefers und deren Alveolen ab (Aa. alveolares [dentales] maxillae), gelangt durch das Foramen infraorbitale auf die Angesichtsfläche und versorgt in Gemeinschaft mit der A. late- ralis nasi aus der A. facialis die Seitenteile der Nase. 15. Der naso-ventral gerichtete Endast der A. maxillaris interna teilt sich nach kurzem Verlaufe in seine beiden Aste. a) Die A. spheno-palatina (s. nasalis caudalis) tritt durch das gleichnamige Foramen in die Nasenhóhle und verzweigt sich besonders in der ventralen Partie der Nasenscheidewand, dem ventralen Nasengang und der ventralen Muschel. b) Die A. palatina major entsendet die A. palatina minor ins Gaumensegel, geht durch den Canalis palatinus an den harten Gaumen, läuft in diesem oral und schickt einen Endast zur Zahnplatte des Zwischenkiefers sowie einen zweiten durch die das Foramen incisivum ersetzende Spalte in die Nasenhöhle für die Umgebung dieser Fissur, also für den Naseneingang. II. Die Arterien des Bulbus und seiner Nebenorgane. 1. Das obere Augenlid wird von der aus der A. temporalis super- ficialis stammenden A. palpebrae superioris temporalis ernáhrt. 2. Das untere Augenlid wird in seiner Randpartie von der. aus der A. malaris entspringenden A. palpebrae inferioris nasalis, in seinen basalen Teilen von der A. palpebrae inferioris temporalis der A. tempo- ralis superficialis und einem oder einigen Asten der A. malaris versorgt. 3. Der nasale Augenwinkel erhált sein Blut durch die A. angu- laris oculi aus der A. malaris. 4. Die Konjunktiva wird von Zweigen der Aa. adiposa, ciliares anteriores, ethmoidalis, frontalis, laerimales und der Aa. palpebrae superioris und inferioris ernährt. 5. Die A. palpebrae tertiae entspringt aus dem orbitalen Abschnitt der A. malaris. Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 255 6. Die Tränenkarunkel und die Tränenwege werden von Asten der A. malaris versorgt. 7. Die Tränendrüse wird durch zwei Gefässe vaskularisiert. Die A. lacrimalis superficialis stammt aus dem Ende der A. temporalis superficialis, geht durch das Augenfett, durchbohrt die Periorbita, dringt zwischen Fascia superficialis der Orbita und Tranendriise ein und versorgt deren temporalen Abschnitt von der Bulbusseite aus. Die A. lacrimalis profunda entspringt aus der dorso-temporalen Ecke des Rete mirabile arteriae ophthalmicae externae, läuft am temporalen Rande des M. rectus oculi dorsalis bulbuswárts, dringt zwischen Fascia superficialis der Orbita und Tránendrüse ein und versorgt den grósseren nasalen Abschnitt der Drüse. 8. Die A. adiposa entspringt entweder aus der A. maxillaris in- terna oder aus dem Anfangsteile der A. ophthalmica externa, durch- bohrt (in ersterem Falle) die Periorbita und bildet auf der dem Bulbus abgewandten Fläche der Mm. recti oculi ventralis und temporalis ein schwaches Gefüssnetz. Dieses Rete gibt Aste an die beiden ge- nannten Muskeln, das intraorbitale Augeufett, die Konjunktiva des ventralen oder ventro-lateralen Augenquadranten und die A. ciliaris ventralis anterior ab. 9. Die A. ophthalmica externa bildet — ca. 1'/,—2 cm (Fetus, Kalb) bezw. ca. 3 em (Rind) von ihrem Ursprunge entfernt — während ihres Verlaufes zwischen dem M. rectus oculi dorsalis und M. levator palpebrae superioris einerseits und dem M. rectus oculi temporalis und M. retractor bulbi andererseits ein Wundernetz, Rete mirabile arteriae ophthalmicae externae. Dieses hat ungeführ die Form eines Recht- eckes, dessen kurze Seiten 1,1—1,2 cm (Rind) bezw. 0,7—0,8 cm (Fetus, Kalb), dessen lange Seiten 1,4—1,5 cm (Rind) bezw. 1,0—1,7 cm (Fetus, Kalb) betragen. Das Rete besteht aus unzähligen, feinen Ge- fässschlingen und -maschen, die aus der das Rete diagonal durch- ziehenden A. ophthalmica externa entspringen, lebhaft miteinander anastomosieren und sich an den von der äusseren Augenarterie nicht berührten Ecken des Viereckes zu je einem stärkeren Gefässe ver- dichten. Aus dem Rete mirabile arteriae ophthalmicae externae gehen hervor: 256 a) b) Kurt Schmidt, Unregelmässig zahlreiche Zweige nach allen Seiten zu den benachbarten Organen (Mm. recti oculi, retractor bulbi, levator palpebrae superioris, intraorbitales Augenfett, seltener Periost und knöcherne Grundlage der Orbita sowie die Sehnerven- hülle, aus der dorso-temporalen Ecke die A. lacrimalis profunda, aus der naso-ventralen Ecke der Æumus bulbi. Er dringt zwischen dorsaler und nasaler Portion des M. retractor bulbi hindurch, erreicht den Nervus opticus und läuft auf dessen dorso-nasalem Rande dem Bulbus zu, um sich ca. !/,—1'/, cm kaudal vom Foramen sclerae in den nasalen und temporalen Ziliartrunkus aufzulósen: a) Der Truncus ciliaris nasalis tritt als Fortsetzung des Ramus bulbi an die Sklera, lauft im horizontalen Meridian nasal und korneawärts, entsendet die A. ciliaris posterior brevis nasalis, deren Aste in frontaler Richtung divergierend all- mäblich die Sklera durchbohren, läuft im horizontalen Meridian als A. ciliaris posterior longa nasalis weiter und löst sich am Aquator in mehrere (zwei bis drei) Aste auf, die all- mählich in die Sklera eindringen und — ca. 5—9 mm (Fetus, Kalb) oder ca. 15 mm (Rind) vom Korneafalz entfernt — in der Tiefe der undurchsichtigen Hornhaut verschwinden. p) Der Truncus ciliaris temporalis schlägt sich ventral und temporal um den Sehnerven herum, nimmt während dieser Umwindung an der ventralen Seite des Nervus opticus die A. ophthalmica interna auf und gibt einige Aste zum Cir- culus arteriosus nervi optici (ventraler Teil) ab, tritt an den Bulbus, läuft im horizontalen Meridian temporal und korneawärts, entsendet die A. cilaris posterior brevis tempo- ralis, deren Aste in frontaler Richtung, divergierend, all- mählich die Sklera durchbohren, läuft als A. ezliarıs posterior longa temporalis im horizontalen Meridian weiter und löst sich am Aquator in mehrere (drei bis vier) Aste auf, die allmählich in die Sklera eindringen und — ca. 4—7 mm (Fetus, Kalb) bezw. ca. 12--13 mm (Rind) vom Korneafalz Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 257 entiernt — in der Tiefe der undurchsichtigen Hornhaut verschwinden. 7) Der Cireulus arteriosus nervi optici wird in seinem ventralen Teile von Asten des Truncus ciliaris temporalis, im dorsalen Teile meist von einem Ast des Ramus bulbi, seltener von einem Zweig des Truncus ciliaris nasalis oder der A. ciliaris posterior brevis centralis gebildet. Nasal und temporal weist der Arterienkranz des Sehnerven äusserlich eine Lücke auf. 0) Die A. ciliaris posterior brevis centralis stammt vom Ramus bulbi oder von einem der Ziliarstimme, läuft zum hirn- seitigen Pole des Bulbus, woselbst sie mit mehreren Asten, dorsal divergierend, allmählich die Sklera durchbohrt. Der fortlaufende Stamm der A. ophthalmica externa verlässt das Rete an dessen dorso-nasaler Ecke, dringt zwischen na- salem Rand der Mm. rectus oculi dorsalis und levator palpebrae superioris einerseits und dorsalem Rand der Mm. rectus oculi nasalis und obliquus oculi dorsalis andererseits durch und teilt sich nach kurzem Verlaufe in die A. frontalis und A. ethmoi- dalis. 10. Der Korneoskleralrand wird durch zwei Arterien vasku- larisiert: a) b) Die A. ciliaris anterior dorsalis stammt aus dem zur dorso- nasalen Ecke des Rete heraustretenden fortlaufenden Stamme der A. ophthalmica externa oder aus dem Anfangsteile der A. frontalis oder A. ethmoidalis, läuft am nasalen Rande des M. rectus oculi dorsalis korneawárts, tritt zwischen dem abgebogenen Endteile des M. obliquus oculi dorsalis und dem Bulbus ungefähr in dessen vertikalem Meridiane hindurch und durchbohrt, einige Millimeter vom Korneafalz entfernt, mit mehreren (ca. fünf) feinen, divergierenden Asten senkrecht die Sklera. Die A. ciliaris anterior ventralis entspringt aus dem von der A. adiposa auf den Mm. recti oculi ventralis und temporalis gebildeten Geflecht, läuft zwischen M. rectus oculi ventralis und ventraler Portion des M. retractor bulbi, spáter auf dem Bulbus im vertikalen Meridiane korneawärts und endet mit internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIT. Ls 258 Kurt Schmidt, mehreren feinen Asten, die, 1—2 mm vom Korneafalz entfernt, die Sklera senkrecht durchbohren. 11. Die A. ophthalmica interna entspringt im Foramen opticum aus dem — extraduralen — Fete mirabile arteriae ophthalmicae in- ternae, das durch Anastomosen mit den distalen Reteästen und somit (nur indirekt) mit der A. carotis interna (Rete) in Verbindung steht. (Bei Feten und jungen Kälbern geht die innere Augenarterie direkt aus dem grossen Rete der Schädelhöhlenbasis, d. h. aus dem extra- duralen Teile der A. carotis interna, hervor.) Die A. ophthalmica interna läuft dann am ventralen Rande des Nervus opticus bulbar, gibt feine Zweige an die Sehnervenhülle ab und mündet kaudal vom Foramen sclerae in den Truncus ciliaris temporalis. IIT. Die Arterien der Schüdelhóhle und des Rückenmarkskanales innerhalb der ersten Halswirbel. A. Extra-(peri-, epi-)durales Gefässsystem. 1. Die durch das Foramen orbito-rotundum und das Foramen ovale oder andere Offnungen des Keilbeins tretenden Reteäste bilden zwischen Schädelhöhlenbasis und Dura mater encephali ein mächtiges Wundernetz, Rete mirabile, das durch das Foramen lacerum hindureh noch die A. carotis interna (beim Fetus und Kalb) und die A. meningea media erhält und in seinem kaudalen Teile durch starke Gefässe mit der A. condyloidea und A. vertebralis in Verbindung steht. 2. Ein kleiner Teil des extrakraniellen Geflechtes der distalen Reteäste zieht durch das Foramen opticum in die Schädelhöhle und bildet dort nasal und ventral vom Chiasma optieum das Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae, aus dem die A. ophthalmica interna entspringt. 3. Die A. memingea accessoria gelangt durch den Schläfengang in die Schädelhôhle, verzweigt sich im fronto-kaudalen Teile der Dura mater encephali, besonders im Gehirnzelt, und anastomosiert mit der A. condyloidea und dem Rete mirabile an der Schädelhöhlenbasis. 4. Die A. condyloidea zieht durch die beiden Canales hypoglossi in die Schädelhöhle mit zwei Ästen, die sich nach Passieren der Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 259 Knochenkanäle sofort wieder vereinen. Aus diesem Vereinigungs- bogen gehen ab: a) Ein oder zwei Gefàsse, direkt oder indirekt, zum kaudalen Ende des Rete mirabile der Schädelhöhlenbasis, b) eine Anastomose zur A. meningea accessoria, c) ein Gefäss in den Canalis condyloideus, das zum Teil in die Diploé des Processus condyloideus eindringt, zum Teil im Kanal entlang zur A. meningea accessoria zieht, d) eine Anastomose zum lateralen Endast der A. vertebralis. 5. Die A. vertebralis geht in kaudo-nasaler Richtung durch den Canalis transversarius des 6., 5., 4., 3. und mit einem Aste auch des 2. Halswirbels. An jedem Foramen intervertebrale gibt sie einen ventralen und einen dorsalen Muskelast und einen Ramus spinalis ab, der durch das Zwischenwirbelloch in den Riickenmarkskanal geht, einen schwachen, unbeständigen Zweig mit der Nervenwurzel zusammen in den Duralschlauch sendet, Ramus medullaris, und selbst auf dem Boden des Kanales dadurch ein Maschensystem bildet, dass er je in einen auf- und einen absteigenden Ast — Ram? vertebrales — zer- fallt, die mit den entsprechenden Asten der benachbarten Spinalgefässe anastomosieren und auf der Hóhe eines jeden Wirbelkórpers eine Ana- stomose zur anderen Seite schicken. Am Foramen intervertebrale zwischen zweitem und drittem Halswirbel teilt sich die A. vertebralis in zwei Áste, deren einer durch dieses Loch, der andere durch das Foramen intervertebrale des Epistropheus in den Riickenmarkskanal eindringt. An der Basis des Dens epistropheus vereinigen sie sich beide wieder; dieser neugebildete Stamm teilt sich am Foramen inter- vertebrale des Atlas wiederum. in einen medialen Ast zum kaudalen Ende des grossen Rete an der Schádelhóhlenbasis und einen lateralen Ast, der nach Abgabe einiger unbestündiger kleiner Aste in den Dural- schlauch einerseits innerhalb des Foramen magnum mit der A. con- dyloidea anastomosiert, andererseits durch das Zwischenwirbelloch bezw. durch das sekundáre Foramen alare des Atlas je einen Muskelast auf die dorsale bezw. ventrale Fläche des Atlasflügels schickt. Diese beiden Muskel- gefässe stehen für gewöhnlich mit den Muskelästen der A. occipitalis und den Vertebralismuskelästen des Epistropheus nicht in Verbindung. 17* 260 Kurt Schmidt, Die arteriellen Kopfgefásse des Rindes, B. Intradurales Gefässsystem. 1. Die A. carotis cerebralis entspringt nasal von der Hypophyse, jederseits nahe der Mittellinie aus der dorsalen Fläche des Rete, durch- bohrt die Dura mater encephali und teilt sich gleich nach dieser Perforation in zwei Aste, Ramus cranialis und Ramus caudalis, die sich mit den gleichen Gefässen der anderen Seite zu dem Circulus arteriosus (Willisi) verbinden. Aus dem Zusammenfiuss der beiden Rami caudales ent- steht die A. basilaris cerebri, die in der Mittellinie der Gehirnbasis kaudal verläuft und (beim Rind!) unmerklich in die A. (Tractus) spinalis ventralis (anterior) übergeht. Die von den Asten der A. vertebralis abgehenden, den Duralschlauch durchbohrenden Zweige, Rami medul- lares der Rami spinales (Aa. nervorum spinalium) sind unbestandig, sehr klein, erreichen oft die A. spinalis ventralis nicht und verbreiten sich dann nur auf dem Seitenrande des Rückenmarks. 2. Die beiden Gefässsysteme, intra- und extra-(epi-)durales, stehen (beim Rind!) innerhalb der Schädelhühle und des Halsteiles des Rücken- markskanales in der Hauptsache nur durch die A. carotis cerebralis in Verbindung. Die Anastomosen durch die kleinen, unbestindigen Rami medullares treten bezüglich der Blutzufuhr sehr in den Hinter- grund. Herrn Professor Dr. O. Zietzschmann, der mich bei der Anfertigung dieser Arbeit stets in der entgegenkommendsten Weise unterstiitzt hat, spreche ich auch an dieser Stelle meinen herzlichen Dank aus. 16. (7: Literatur. . Bach, Über die Gefässe des Pferdeauges mit besonderer Berücksichtigung der Gefassversorgung der Aderhaut. Arch. f. wissensch. u. prakt. Tierheilk. Bd. XX. S. 241. 1894. . Bayer, Lehrbuch der Augenheilkunde. 2. Aufl. : 1906. . Bellarminow, Schellackinjektion angewandt auf Augengefásse. Anat. Anz. Jahrg. III. S. 648. 1888. . Bertelli, L'arteria sottolinguale. Monit. zool. ital. XIII. 1902. (Schwalbes Jahresber. III. Abt. S. 243. 1902.) . Canova, Die arteriellen Gefässe des Bulbus und seiner Nebenorgane bei Schaf und Ziege. Inaug.-Diss. Zürich 1909, u. Arch. f. Anat. u. Phys. 1909, anat. Abteil. . Ellenberger und Baum, Handbuch der vergleichenden Anatomie der Haus- tiere. 12. Aufl. 1908. . Ehrlich, Krause, Mosse, Rossin und Weigert, Enzyklopädie der mikro- skopischen Technik mit besonderer Berücksichtigung der Färbelehre. Berlin 1903. . Gegenbaur, Lehrbuch der Anatomie des Menschen. 7. Aufl. 1903. . Hofmann, Zur vergleichenden Anatomie der Gehirn- und Rückenmarksarterien der Vertebraten. Zeitschr. f. Morphol. u. Anthropol. Bd. II. S. 247. 1900. . Hoyer, Beiträge zur anatomischen und histologischen Technik. Arch. f. mikro- skop. Anat. Bd. XIII. S. 645. 1876. . Leber, Th., Die Zirkulations- und Ernährungsverhältnisse des Auges. Graefe- Sämisch, Handb. d. ges. Augenheilk. 2. Aufl. Bd. II. Kap. XI. 1903. . Leyh, Handbuch der Anatomie der Haustiere. 1856, . Martin, Lehrbuch der Anatomie der Haustiere. 1904. . Meyer, Zur Anatomie der Orbitalarterien. Morphol. Jahrb. Bd. XII. S. 414. 1887. . Merkel und Kallius, Makroskopische Anatomie des Auges. Graefe-Sämisch, Handb. der ges. Augenheilk. II. Aufl. Bd. I. Kap. I. Schachtschabel, Der Nervus facialis und trigeminus des Rindes unter ver- gleichsweiser Berücksichtigung der gleichnamigen Nerven des Menschen und der Haussáugetiere. Inaug.-Diss. Leipzig. Tandler, J., Zur vergleichenden Anatomie der Kopfarterien bei den Mammalia. Denkschr. der K. Akad. d. Wissensch., mathem.-naturwissenschaftl. Klasse Bd. LXVIL Seite 677. Wien 1899. 262 Kurt Schmidt, Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. 18. 20, 22. Derselbe, Zur Entwickelungsgeschichte der arteriellen Wundernetze. Anat. Hefte. I. Abteil Bd. XXXI. Heft 2. S. 235. 1906. . Versari, Morfologia dei vasi sanguigni arteriosi dell’ ochio dell’ uomo ed di altri mammiferi. Atti d. R. Acad. dei Lincei. 1899. (Auch i. Arch. ital. de Biol.) Virchow, H., Über Augengefüsse der Carnivoren nach Untersuchungen von Bellarminow. Verh. d. physiol. Gesellsch. zu Berlin, Nr. 17, im Arch. f. Anat. u Physiol, physiol. Abteil S. 552. 1888. . Derselbe, Uber die Gefässe der Chorioidea des Kaninchens. Verh. d. physik.- med. Gesellsch. zu Würzburg. N. F. Bd. XVI. S. 25. 1881. Derselbe, Uber die Gefässe im Auge und in der Umgebung des Auges beim Frosche. Zeitschr. f. wissenschaftl. Zoolog. Bd. XXXV. S. 247. 1881. Erklirung der Abbildungen. Fig. 1. Oberflächliche Kopfarterien eines ca !/, Jahr alten Kalbes. a = A. carotis communis; 6 = A. thyreoidea; ba = deren lateraler Endast; be = Isth- musast der A. thyreoidea; bd = A. laryngea; bda = deren Ast für die lat. Kehlkopfwand; be — A. pharyngea ascendens; € = A. facialis; ca = A. labialis inf. superf.; cb = A. labialis inf. prof.; cd = A. labialis superior; ce = A. lateralis nasi der A. facialis; cf = deren Aste für den Nasenrücken und gegen das Auge; cg = A. submentalis; d = A. carotis externa; da = deren Aste für die Parotis usw.; dc = A. masseterica; e = A. auricularis magna (posterior); ea = A. stylo-mastoidea superf.; eb = Spaltwinkelast; / = Trunkus der Aa. temporalis superf. und trans- versa faciei; fa = Arterie für den äusseren Gehórgang; g = A. trans- versa faciei; A = A. temporalis superficialis; ha = A. auricularis anterior; hb = A. meningea accessoria; hc = Ramus auricularis medialis; ^d = Spaltwinkelast; he = Arterie des Hornzapfens; hf = A. palpebrae inf. tmp.; hg = A. palpebrae sup. tmp.; Aga = deren Lidrandast; hi = A. lacrimalis superf.; 4 = A. malaris; ka = A. palpebrae inf. nasalis; kb = Ast der A. malaris fiir die basalen Teile des unteren Augenlides; ke = Ast der A. malaris für die Seitenfläche der Nase; kd = A. dorsalis nasi; p = A. maxillaris interna. Fig. 2. Arterien des linken Rinderauges (halbschematisch). Fig. 2a. Abgangsstelle der A. ophthalmica ext. und der „Reteäste“ (halbschematisch). Fig. 3. Arterien der kaudalen Hälfte des linken Rinderauges (schematisch). a = A. ophthalmica externa; b = Rete mirabile arteriae ophthalm. ext; c = A. adiposa; d = A. lacrimalis profunda; e = Ramus bulbi; ea = Truncus ciliaris nasalis; eb = Aa. cil. post. brev. nas. bezw. Stamm derselben; ec*) = A. cil. post. long. nas.; ed = Truncus ciliaris temporalis; ef = dessen Aste fiir den ventralen Teil des Circulus arteriosus nervi optici; eg = Aa. cil. post. brev. temp. bezw. Stamm derselben; eh = A. cil. post. long. temp.; ei = dorsaler Zufluss zum Circ. art. nervi optici; ek = A. cil. post. brev. centralis; f — A. cil. anterior dorsalis; 9 = fortlaufender Stamm der A. ophthalm. ext.; ga = A. frontalis; gb = A. ethmoidalis; h = A. ophthalmica interna; & = A. maxillaris interna; /, m = distale Reteäste, die lateral vom N. maxillaris verlaufen; — deren Geflecht auf dem dorsalen Rande des N. maxillaris; 0, p = distale Reteäste, die medial vom N. maxillaris verlaufen; 7 = A. buccinatoria; s = proxi- maler Reteast; N = Nervus maxillaris. *) ec in Fig. 3 entspricht ee in Fig. 2, sonst gelten diese Hinweise fiir Figg. 2, 2a und 3. Fig. 4. Kurt Schmidt, Die arteriellen Kopfgefässe des Rindes. Schematische Darstellung des extraduralen arteriellen Gefásssystems inner- halb der Schádelhóhle und des Anfangsteiles des Rückenmarkskanales von einem ca. 9 Monate alten Rindsfetus. @ und 4, Rete mirabile der A. carotis in- terna; 0 = Lage der Hypophyse; c = distale Reteiiste; d = Rete mirabile arteriae ophthalmicae internae; ad = Anastomose zwischen a und d; f= proximaler Reteast; g = A. carotis interna; h — A. meningea media; 2 — Einmündung der A. vertebralis in das grosse Rete; & = Ursprung der A. carotis cerebralis; / = A. condyloidea; la .= deren Ast zum Ende der A. vertebralis; m, mk, mo, mr = A. vertebralis; ma, mh, mob = Rami muscul. ventr. der A. vertebralis; mc, mp, moc = Rami muscul. dors. der A. vertebralis; mb = Ramus spinalis der A. vertebralis; md, mf, mi = Rami vertebrales der Rami spinales; me = Anastomose der beiderseitigen Rami vertebrales; mg = Rami medullares; m/ = Anastomose zwischen den beiderseitigen mk; ms = Anastomose zwischen den beiderseitigen mr; mt — medialer Endast der A. vertebralis; mu = lateraler Endast der A. vertebralis; mwa = dessen Rami medullares; mub = Anastomose zwischen A. condyloidea und lat. Endast der A. vertebralis; muc = ven- traler Endast der A. vertebralis fiir den Atlas; mud = dorsaler Endast der A. vertebralis fiir den Atlas. (Istituto Anatomico della R. Università di Siena, Prof. S. Bianchi.) Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo della pars periotico-mastoidea del temporale e sul significato dell’apofisi mastoide. H- Ow DI — . Introduzione . i . Rivista bibliografica . Materiale di studio . Sviluppo della pars iens mastoidea e formazione delle parti elementari per la costru- zione dell'apofisi mastoide nel- l'Uomo . 7 4 Cranii di feto al 40 mese circa n » » n 5° ” ” » n » n 6° » ” » » n n To » » n » n » 8° » » Cranii alla nascita circa . Cranii dopo la nascita . Insorgenza dell'apofisi mastoide . L'apofisi mastoide dal bambino all’adulto . . Interpretazioni . 5 , . Ricerche anatomo- rte : A. Sviluppo della pars perio- tico-basale deltemporale Sus scrofa dom . Bos taurus (Con tavole VI—IX.) A. Ruffini. Sommario. pag. 266 Equus Caballus . 269 Comparazioni . : 278 Quantità dei nuclei di ossi- ficazione . Chiusura della AA asterica . Se Disposizione dei ecl se- 280 micircolari . 280 B. Sviluppo della bolla diac 280 panica e suo accresci- 282 mento successivo. 284 9. Sintesi e comparazioni 289 | 10. Perché nelle Scimie antropoidi 295 e nell'Uomo non é consentita 304 la formazione di una bolla 307 timpanica . 11. Funzione della bolla timpanica 311 e dell’apofisi mastoide; signi- 316 ficato dello hiatus occipito-sfeno- 321 temporale . 12, Conclusioni 321 | 13. Zusammenfassung . 322 | 14, Bibliografia 324 | 15. Spiegazione delle Aare) : pag. 926 928 928 329 330 333 340 344 351 355 308 363 366 266 A. Ruffini, Alle Gestalten sind ahnlich, doch keine gleichet der andern. W. Goethe. l. Introduzione. La pars mastoidea del temporale è uno dei punti più studiati della craniologia umana. Ha interessato tanto gli anatomici quanto i cultori della chirurgia auricolare. Gli anatomici più reputati di tutti i tempi hanno indagato e scritto su questo argomento. La prima descrizione completa sull’apofisi mastoide la dobbiamo ad Ingrassia (1603), il quale ne dette anche una interpretazione che noi riteniamo esatta. Dopo di lui molti altri vi portarono il contributo delle proprie osservazioni ed estesero le loro indagini anche agli altri animali. Della parte comparata si interessa- rono in modo speciale Cruveilhier e Sappey. Cruveilhier non solo non dubitó, come Ingrassia, che le celle dell'apofisi andassero a vantaggio dell'organo dell'udito, ma pensò ancora che servissero a rinforzare i suoni. Giovanni Zoja, nel 1864, pubblicò, su questo argomento, una memoria che è rimasta classica. Nello scritto di Zoja non solo è rac- colto tutto quello che si conosceva precedentemente, ma vi sono esposte molte osservazioni personali preziosissime. Zoja, parlando dello svi- luppo dell’apofisi, si preoccupa in modo particolare del modo di origi- narsi delle ,cellule mastoidee“, sebbene non avesse fatte ricerche in proposito, per cui si limita ad emettere una opinione che viene riferita nella maggior parte dei trattati di anatomia e che noi non abbiamo trovata corrispondente ai fatti. Così pure Zoja non segue il modo di vedere di Ingrassia, di Cruveilhier, di Sappey, etc. circa la funzione dell’apofisi, ma si schiera dalla parte di Hyrtl, Panizza ed altri, i quali negano ogni importanza acustica all’apofisi mastoide. Zo)a esprime la propria opinione in proposito con queste parole: ,, Difatti, quest’apo- fisi, dando inserzione a muscoli che godono di un esercizio molto at- tivo, bisogna che cresca e si fissi per tempo al resto del temporale per fornire a quei muscoli una presa conveniente.“ Questo modo di vedere, che venne accettato dalla maggioranza dei trattatisti, non corrisponde ai fatti. E vano affermare che l'udito sia normale anche quando l'apo- fisi contiene diploe o quando una membrana ne chiuda l’aditus. Chi Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 267 ha mai sostenuto e chi potrebbe mai sostenere che la sottrazione del- lapofisi mastoide ingeneri la sordità? E qual valore può avere la osservazione fatta da Hyrtl sui crani dei sordo-muti congeniti, dove esisteva un’ampia comunicazione tra le celle mastoidee e la cassa del timpano? Che forse v'é chi abbia pensato essere lapofisi mastoide la parte essenziale dell’organo dell’udito, o che la sua funzione possa essere ritenuta pari a quella del labirinto? — Un risuonatore può solo gio- vare per la acuità del senso o per la percezione di suoni determinati. Un altro merito di Zoja è quello di avere dato l'impulso allo studio delle anomalie dell’apofisi, di cui egli stesso descrive una forma interessantissima. La massima parte delle numerose ricerche comparse dopo il lavoro di Zoja, versano sullo studio delle variazioni numero- sissime cui va soggetta l’apofisi. Io stesso, e con me Carl e Lanzi, abbiamo portati larghi contributi di fatti a questi studii. Nel mio ultimo articolo sopra alcune rare anomalie della pars ma- stoidea, io ebbi la fortuna di illustrare un caso (rappresentato nella fig. 3) che denominai anomalia-chiave (anomalia « di Ruffini), per mezzo del quale mi riuscì non solo di trovare la ragione materiale di tutti i casi anormali finora descritti, ma di formarmi anche una ipotesi sulla causa che determina le capricciose foggie dell’apofisi mastoide. Io chiusi quell'articolo con le seguenti parole: „Questi fatti se da se soli non valgono a risolvere il problema da tanto tempo agitato, e non ancora risolto, sulla funzione dell’apofisi mastoide, possono però indi- carci una buona via da percorrere con altre indagini, allo scopo di ri- solvere — col mezzo della ricerca anatomica — un arduo problema di fisiologia. È quanto ci proponiamo di fare con una nuova serie di ricerche.“ Fu dunque sul terreno delle variazioni che io potei vedere la pos- sibilità di riuscire a dimostrare le cause che determinano non solo le variazioni stesse, ma anche la formazione di un diverticolo dell'orecchio medio. Le vie per raggiungere questo scopo non potevano essere che due: l’analisi embriologica e lo studio comparativo. Non persi di vista altri due principii, ai quali mi attenni pur sempre durante le mie investiga- zioni: — le cause agiscono in quanto che sono una manifestazione 268 A. Ruffini, di funzioni; nella evoluzione formativa, gli organi si adattano allo spazio ambiente e si modificano a seconda degli ostacoli che questo presenta. Anche io, come tutti 1 moderni anatomici, descrivo Je diverse parti dell’osso temporale, considerandolo composto di quattro entita osteologiche: squamoso, periotico, timpanico, stilojale. Benché anche io, come Z'?calbi, sia convinto che si crei un artifizio nel dividere in due parti il periotico, tuttavia non sarebbe in altro modo possibile di farne una esposizione chiara e che non dia luogo a malintesi, spesso molto più pericolosi di un così innocuo artifizio puramente descrittivo. To ho denominato anche in modo diverso la base del periotico,. secondo che si tratta di quei Mammiferi nei quali esiste un’apofisi ma- stoide, oppure degli altri nei quali l’apofisi non esiste. Nei primi l'ho chiamata: pars periotico-mastoidea, e negli altri: pars periotico-basale. Mi sembra che questi due modi di indicare la base del periotico of- frano il duplice vantaggio: di creare una distinzione fra parti che se sono omologhe nel momento della origine, non lo sono più nell’assetta- mento definitivo, e di contenere la parola periotico che ne indica le origini uguali. Non essendo esatto di indicare la comparsa delle ossificazioni della base del periotico col nome di centri o di punti osteogenetici — parole a cui è riserbato un significato tutto speciale e ben definito — io le ho chia- mate semplicemente nuclei di ossificazione. Nella preparazione del materiale di studio per la origine dell’apo- fisi mastoide, non ho seguito il metodo degli osservatori che mi hanno preceduto. Per quello che a me consta, tutti sono ricorsi alle sezioni di ossa temporali distaccate dal cranio. Io invece ho preferito di pre- pararle in situ, e sono ricorso alle sezioni su ossa distaccate solo quando avevo bisogno di mettere meglio in evidenza alcune particolarità. Non mi sembra di esagerare affermando che questo procedimento tecnico mi ha condotto a vedere fatti e rapporti che agli altri erano sfuggiti. Ed è così che io ho potuto sempre e largamente documentare tutti i fatti che sono capitati sotto la mia osservazione. Ho preferito di fotografare, anzichè disegnare, le mie prepara- zioni, per evitare il dubbio che la mano traducesse più volentieri le z Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 269 idee dell’osservatore, anzichè la rigida obbiettività dei fatti. Quando si pud, questo mezzo è sempre preferibile. 2. Rivista Bibliografica. In questo capitolo io non debbo occuparmi che di due ordini di osservazioni: di quelle che pur riferendosi allo studio della osteogenesi periotica, implicitamente trattano anche del modo di originarsi della pars periotico-mastoidea e periotico-basale e di quelle altre che trat- tano dello sviluppo dell’apofisi mastoide. Le osservazioni che vertono intorno al primo argomento sono molte e condotte con rigore di metodo, mentre quelle che si riferiscono al secondo soggetto sono poche e frammentarie; deficienti nei resultati embriologici e non confortate dalla indagine comparativa, queste osser- vazioni non ci avevano potuto fornire nessuna cognizione utile ed at- tendibile riguardo alla conoscenza delle cause. Kerkring (1670), Cassebohm (1735), Meckel (1815—1820), Hall- mann (1837), Rambaud e Renault (1864), Hollard (1864), Huxley (1864), Vrolich (1873), Parker (1874), Hannover (1881), Sutton (1883) e Ficalbi (1887) furono quelli che della osteogenesi periotica fecero un oggetto speciale di ricerca. In modo tutt'affatto secondario, e nei ri- spettivi Trattati, scrissero pure intorno al medesimo argomento Cru- veilhier, Sappey e Koelliker. Di tutte queste osservazioni le più ac- creditate furono quelle di Huxley in Inghilterra, di Rambaud e Renault in Francia, di Vrolich in Germania e di Frcalbi in Italia. Ad esse in- fatti. si riferiscono specialmente i trattatisti delle rispettive Nazioni. Per quanto meno ricordate, tuttavia per giustizia. dobbiamo ricono- scere che le ricerche di Fcalbi superano tutte le altre per diligenza e chiarezza, per precisione di resultati e per critica sempre serena e profonda. Attenendoci strettamente all'argomento che ci riguarda, dobbiamo dire che vi è un perfetto disaccordo tra tutti i precitati osservatori in- torno al modo di ossificarsi della pars periotico-mastoidea; tale dis- accordo riguarda tanto il numero quanto la derivazione dei nuclei di ossificazione. Riguardo al numero vè chi ne ammette uno (Cruveilhier, Sappey, ATAU A. Ruffini, Hallmann, Parker), chi due (Meckel, Huxley, Sutton, Vrolich, Han- nover) e chi tre (Kerkring, Hollard). Rambaud e Renault narrano che al 5° mese i due canali semicircolari esterno e posteriore si pre- sentano sulla superficie dell’apofisi mastoide cartilaginea (!) come placche ovali; essi inoltre ammettono un punto speciale di ossificazione per l’apofisi mastoide. Riguardo alla derivazione: non è il caso di occuparsi di tutti quelli che fanno derivare la pars da un solo nucleo di ossificazione, perchè ben si comprende che questi osservatori ne hanno studiata la origine ad epoca già inoltrata, quando i primi due nuclei si sono già fusi in una ossificazione apparentemente unica, che Meckel erroneamente considerò come una entità osteologica distinta. — Benchè Meckel parli dei tria ossicula che aveva già descritti Kerkring, tuttavia a noi sem- bra che per la ossificazione della pars periotico-mastoidea ammetta due soli punti di derivazione: dalla estremità esterna del canale semicirco- lare superiore e dal mezzo del canale semicircolare posteriore. — Huxley li fa derivare dalla estremità esterna del canale semicircolare superiore (prootico) e dal canale semicircolare posteriore (epiotico). — Sutton si attiene a questo stesso modo di vedere. — Vrolich, in un feto umano della lunghezza di 24 centm., di uno solo de’ suoi due nu- clei indica la derivazione dal canale semicircolare esterno; dell'altro dice solamente che rispetto al primo è anteriore. — La descrizione che dà Hannover della derivazione dei suoi due nuclei di ossificazione della pars periotico-mastoidea è assolutamente esatta. Merita di essere testualmente riportata: «Chez les foetus de cinq mois, on observe au- dessous et un peu en avant du trou mastoidien une tache blanchàtre, verticale et ovale, qui est le commencement d’une ossification dans le canal demi-circulaire inférieur; une tache beaucoup plus faible, horizontal et ovale, dont l'extrémité antérieure est tournée en haut, se trouve en avant (hors) de celle-ci comme marque d'une ossification du canal demi- circulaire externe. A cet âge, il n'y a pas d'ossification chez quelques foetus; chez d’autres, on trouve que le canal demi-circulaire inférieur a percé la cartilage et apparaît à sa surface comme un tubercule os- seux, tandis que le canal demi-circulaire externe est encore moins di- stinct. Lorsque les deux tubercules osseux se sont fait jour à travers Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 271 le cartilage, ils sagrandissent rapidement en restant enchâssés dans la surface de ce dernier, et s'élargissent graduellement; ils étaient soudés chez un foetus de sept mois, et formaient conjointement un tubercule osseux ovale et plan qui, chez un foetus de sept mois et demi, était entouré de cartilage à l'exception du côté externe . ... L'ossification de lapophyse mastoide se continue plus tard aprés la naissance.» — Se vi è disparità di vedute circa la derivazione della pars tra coloro che ammettono due nuclei di ossificazione, non minori incertezze in- contriamo negli scritti di quei pochi i quali fanno derivare la stessa pars da tre o più nuclei di ossificazione. Mentre Kerkring dice che i suoi tr2a ossicula al settimo mese sono già riuniti in un pezzo unico, non si preoccupa affatto del quesito di loro derivazione. — Hollard dedica solo poche parole a questo soggetto. Egli scrive: «Les premières traces d'ossification qui paraissent sur la région mastoidienne se mon- trent, come Hallmann Ya remarqué, sur la portion qui couvre le la- byrinthe, et plus spécialement sur le canal demi-circulaire postérieur. Deux ou trois ou plusieurs noyaux osseux dont on retrouve longtemps la trace apparaissent ici, s'étendent et remplissent d'abord l’espace qui sépare la portion inférieure du temporal écailleux de l'occipital latéral. Ce n’est que plus tard, et aprés la naissance, que l’ossification atteint, par une extension graduelle, la region voisine des parietaux.» La fig. 5, a cui Hollard si riferisce, non è nè più chiara, nè più precisa delle sue parole. Una considerazione speciale va data alle ricerche di Ficalbi, per quanto egli non si sia preoccupato in modo speciale di studiare la suc- cessione precisa e la scrupolosa topografia dei nuclei di ossificazione della pars. Ciò non riguardava così strettamente il suo studio come per contro interessava in modo speciale il nostro, che doveva necessariamento incominciare là dove quello degli altri osservatori trovava la sua fine. È da premettere che Ficalbi indica con x il centro del canale semicircolare superiore, con 4 quello del c. s. inferiore o posteriore e con cv il centro del c. s. esterno. Il centro, per la branca comune, è indicato non y. Ficalbi studió la Pecora (Ovis aries), il Bove (Bos taurus), il Porco (Sus scrofa dom.), il Cane (Canis fam.) e l'Uomo. 272 A. Ruffini, In tutti questi animali indistintamente la pars periotico-mastoidea (0 porzione dei canali, come egli preferisce chiamarla) si ossifica dai centri n, 9, ı, con la concorrenza del centro y. La porzione dei canali si ossifica sempre più tardi della porzione cocleare. Ed ecco come Fi- calli si esprime a proposito del Bove: , Tenendo sempre dietro alla ossificazione delle capsule periotiche del bove, si vede come nella por- zione dei canali, dopo che la porzione cocleare e vestibolare sono in buona parte ossificate, sorgono i centro 7, 4, ı ed « (timpanojale) come nella pecora. Il centro n, cioè nasce nel rilievo formato dal canale semicircolare superiore, il centro + su quello formato dall’inferiore, il centro ı su quello formato dall'esterno. Sono questi tre centri quelli che ossificano, in unione al vecchio centro y, tutta la porzione dei ca- nali.“ È notevole pure quanto osserva riguardo al Porco, perchè sta in perfetto accordo con quello che anche noi abbiamo osservato: ,, Dopo questo periodo va anch’essa (la capsula periotica) incontro ad un certo grado di accrescimento deformativo (non molto notevole) che la porta a convertirsi nell’osso periotico adulto. Questo rimane sempre nel maiale di una piccolezza estrema, in confronto di ciò che si ha in altri mammiferi, e per di più, collo sviluppo del cranio, viene ad essere in tal modo ricoperto dal timpanico, dallo squamoso, dall’esoccipitale e del sopraoccipitale, che rimane del tutto occultato e non scorgesi per . nulla al di fuori del cranio.“ Riguardo all'Uomo mi sembra che le idee di Ficalbi siano sintetizzate nei due brani seguenti: „In uno stadio di sviluppo subito seguente a quello rappresentato dalle figure 23 e 24, nella porzione dei canali sorgono i centri 9 e <, situati, come si disse negli altri mammiferi, nella cartilagine costituente il rilievo del canale semicircolare inferiore (centro 9) e dall’esterno (centro v). Estenden- dosi la sostanza di questi centri, anche tutta la porzione dei canali resta ossificata.^ Aveva già in precedenza parlato del centro n, il quale si comporta anche qui come negli altri Mammiferi. Descrivendo poi Paccrescimento deformativo del periotico dice: „Le modificazioni maggiori si hanno nella porzione dei canali, per quanto anche la cocle- are si sformi alquanto. Il fatto fondamentale, che accade nella por- zione dei canali, è questo: da essa porzione la sostanza ossea va con- tinuamente accrescendosi indietro in una escrescenza che, mentre si Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 273 proietta sempre più posteriormente, si slarga nel senso verticale; tutta questa sostanza ossea, che sorge indietro alla porzione dei canali della capsula, diviene la così detta parte mastoidea e si slarga tanto da entrare a far parte, nello scheletro cefalico integro, della vera e pro- pria parete cranica: non è se non quando il temporale si fa adulto che da questa parte posteriore slargata del periotico nasce gradatamente lapofisi mastoide.“ Riassumendo adunque noi possiamo dire che se la maggior parte degli osservatori i quali si occuparono della osteogenesi periotica rico- nobbero che la ossificazione della pars periotico-mastoidea deriva da quella dei canali semicircolari, solo pochi si sono avvicinati alla verità, senza che nessuno l'abbia completamente raggiunta. Meckel riconosce le due ossificazioni derivanti dai canali semicircolari superiore e poste- riore e non vede affatto quella del canale semicircolare esterno, che, per il nostro scopo, è la più importante. Però questo osservatore è certamente il primo ad accorgersi che qui si tratta di una ossificazione per irradiazione. Hannover descrive con mirabile chiarezza e preci- sione i due primi nuclei di ossificazione della pars, derivanti dai canali semicircolari esterno e posteriore, ma non si avvede del contributo portatovi più tardi dal canale semicircolare superiore. Ficalbi è l'unico tra tutti nel riconoscere che l'ossificazione della pars periotico - mastoi- dea deriva da tre centri: n, 9, ı dei tre canali semicircolari, ma il suo studio si arresta quando si tratta di stabilire la successione dei feno- meni e la topografia dei nuclei di ossificazione; ciò che per noi costi- tuiva il cardine della ricerca. Veniamo alla seconda parte della nostra indagine: allo studio delle sviluppo dell’apofisi mostoide. Qui, lo dicemmo di già, le osservazioni sono poche, superficiali e frammentarie. Non poteva accadere diversamente! La maggior parte degli anatomici — senza il più elementare senso critico — vedevano nell’apofisi mastoide un rilievo osseo atto a concedere più facile presa al muscolo sterno-cleido-mastoideo; opinione rafforzata tanto dalla osser- vazione di Ayrtl, che nei sordo-muti congeniti aveva trovata integra lampia comunicazione tra le celle e la cassa, quanto dalla osservazione di apofisi sclerose esistenti in individui i quali in vita non furono sordi. Internationale Monatssehrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 18 274 A. Ruffini, I fisiologi, attaccati alla dottrina dello Helmholtz, forse non vedevano nell’apofisi, e formazioni analoghe, altro che dei semplici capricci della madre natura. I soli che abbiano dato valore a queste formazioni sono i cultori delle malattie auricolari. La critica che deriva dalla riflessione giornaliera durante e dopo la successione dei fenomeni morbosi, con- dusse questi a pensare logicamente che l’apofisi mastoide potesse essere utile alla funzione auditiva. Difatti noi vediamo che fu appunto dai cultori delle malattie auricolari che parti lo stimolo per chiedere allo sperimento ed alla Embriologia qualche lume nuovo per rischiarare i problemi che ad onta delle cose note e delle dottrine professate rimane- vano sempre ardui ed oscuri. La letteratura otoiatrica è ricca di osser- vazioni anatomiche sulla apofisi mastoide, ma tra tutte noi ci occu- peremo solo di quelle che hanno tentato di aggredire il problema dello sviluppo: le sole che riguardano il nostro ‘tema. i Fra tutti i Trattati di anatomia da me consultati, quello nel quale sono contenuti e la descrizione e le figure più esatte di tutti gli altri, è il Trattato di Sappey. La maggior parte dei trattatisti che scrissero dopo Sappey, riassumono, più o meno esattamente, le idee da lui espresse in proposito e che noi riferiamo testualmente: «Dès que le rocher s'est constitué, il s'étend de dedans en dehors pour former la portion mastoidienne, qui commence alors à se développer; on la voit d'abord s'allonger de bas en haut et se rapprocher de la portion écail- leuse dont elle n'est plus séparée à la naissance que par une fissure. A un an, les deux portions se soudent inférieurment, puis en haut, et ensuite au milieu. A deux ans, on peut encore distinguer quelques ve- stiges de cette soudure. Le bord inférieur de la portion écailleuse sunit au bord antérieur du rocher de deux à trois ans. Cette seconde soudure s'opére d'arriére en avant; on ne retrouve des traces jusqu'à quatre ou cinq ans et souvent beaucoup plus tard .... Le canal par lequel là caisse du tympan communique avec les cellules mastoi- diennes résulte de la conjugaison des portions écailleuse et mastoi- dienne. A la naissance, ces cellules n'existent pas; on ne voit que du tissu spongieux à la place qu'elle occuperont. Dans le cours de la pre- miére année, celui-ci commence à être résorbé sur les limites du canal, et quelques cellules aériféres se forment. A deux ans, le groupe des Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 275 cellules aérifères s'étend jusqu'à la bas de l'apophyse mastoide; de deux à trois, il se prolonge dans toute l’épeisseur de cette apophyse, qui commence alors à se dessiner. Plus tard, les cellules augmentent de capacité; elles communiquent plus largement; puis la table externe de l’apophyse mastoïde s'éloigne de l’intern, et le volume de celle-ci s'ac- crôit considérablement. — En comparant ce mode de dévoloppement des cellules mastoïdiennes à celui des sinus frontaux et sphénoïdaux, on voit quil n'en diffère pas. Aucune des cavités aériféres qui dépen- dent du crâne n'existe primitivement; toutes se forment aux dépens du tissu spongieux, qui est résorbé; toutes s'agrandissent ensuite par écartement de la table externe de l'os.» Come si vede, questa descrizione di Sappey per essere fondata esclusivamente sull’apparenza della cose, contiene pochi dati e non corrispondenti al vero, come ad es. la derivazione duplice del canale petro-mastoideo, il riassorbimento (che fa supporre come spontaneo) della diploe sui limiti dello stesso canale ecc. In un brevissimo articolo, A. Cheatle (1892), riconoscendo esatta l’idea che l’antro abbia funzione comune con l'orecchio medio, lo con- sidera anatomicamente ed embriologicamente come faciente parte della regione petrosa e non della regione mastoidea. Quindi conchiude che sarebbe più esatto cambiare il nome di antro mastoideo in quello di ricettacolo timpanico. Le osservazioni di A. Broca (1899) e del suo allievo Ch. Millet (1897—98) — del quale non mi è stato possibile procurarmi il lavoro — segnano già un passo avanti nella studio dell'argomento. Tutte le figure dell'Atlante aggiunto al lavoro di Broca rappresentano sezioni o trasversali o longitudinali. Del lavoro di Broca io rileveró solo le osservazioni che mi sembrano originali e con le quali egli si è mag- giormente accostato alla verità. Eccone alcuni brani: «Chez le foetus, lapophyse n'existe pas; chez le nouveau-né, elle existe à peine; mais déjà on trouve l'antre chez eux prolongeant l'attique en arriére, dans lépaisseur du rocher, et déjà les dimentions de cet antre sont presque aussi considérables qu'elles le seront plus tard chez l’adult. — De cet antre procèdent, par boursouflement progressif autour de lui, les cel- lules aérifères qui, peu à peu, envahissent les autres parties du tem- 18* 276 A. Ruffini, poral. A la naissance, contrairement à ce qui a été dit, il en existe presque toujours quelques-unes, faciles & mettre en évidence par un procédé que nous a enseigné Farabeuf: on verse un peu de mercure dans la caisse du tympan d’un nouveau-né, puis on retourne la piéce et on sécouse légerment; le metal coule jusque dans l’antre; et, si l’on gratte los avec un bistouri, derrière le cercle tympanal, on met d'or- dinaire à jour des vacuoles très notables, remplies de liquide. — La suture squamoso-mastoïdienne oppose, pendant un certain temps, une barrière à la marche des cellules, qui ne l'ont pas encore dépassée dans le courrant de la première année; et, plus tard, on retrouve très généralement la trace de cette suture à l'interieur de l'apophyse, sous forme d'une muraile bordant une ou plusieurs bulles, exactement au- dessous du sillon signalé à la surface.» Broca dedica anche un capitolo allo studio della formazione del- lapofisi mastoide o, come noi abbiamo meglio indicato: alla insorgenza dell’apofisi mastoide. Dapo aver detto che l’apofisi non si forma a spese di un punto osseo speciale, ma a spese della squama e della rocca, esamina una serie di sezioni verticali ed orrizontali e stabilisce che dapprima si forma un tubercolo in corrispondenza del pavimento del- lantro, tubercolo che al sesto mese circa si converte in una promi- nenza che darà luogo, durante il corso del primo anno, al rilievo del- lapofisi mastoide, che è ben formata verso l'età di due o tre anni. A misura che lindividuo ingrandisce, l'apofisi si allunga, come se il tavo- lato esterno obbedisse alle trazioni esercitate dallo sterno-mastoideo e dal digastrico. E dopo aver constatato ancora una volta come si pre- sentano sulle sezioni le due parti: squamosa e rocciosa, componenti lapofisi, espone la sua opinione intorno al meccanismo secondo il quale lapofisi puó insorgere. Attribuisce il fenomeno a tre fattori: 1° al- Yallungamento del diametro trasverso della fossa cerebrale media e poi allo sviluppo ed all'abbassamento progressivo dei due tavolati della squama; 2° all’accrescimento del diametro trasverso della fossa cerebellare ed in seguito della faccia posteriore della rocca avente per resultato di ricondurre la regione mastoidea in avanti ed all'esterno; 3° ad un allontanamento progressivo dei due tavolati della squama e della rocca. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. AAT Broca non ha fatto che riconoscere un po’ più largamente di Sappey le esterne apparenze delle cose ed ha avuto il merito di osse- vare che lantro è un prolungamento o diverticolo dell'attico. Riguardo alla sua opinione circa le cause che produrrebbero il fenomeno della insorgenza dell’apofisi, Broca si lascia fuorviare anche qui dalle appa- renze, dando valore di cause ai fatti concomitanti di accrescimento e di trasformazione dell'osso temporale. Young e Milligam (1905) considerano la cavità del timpano non unica ma composta di tre cavità: dell’antro, del timpano e della tuba di Eustacchio. Queste parti sono la modificazione di una cavità con- tinua posta tra la capsula periotica e le rimanenti parti del tempo- rale; tale cavità potrebbe chiamarsi: orecchio medio primitivo, ma per evitare confusioni è meglio denominarla: cavità dell'orecchio medio. Che l’antro mastoideo sia un diverticolo del timpano è falso: l’antro non è un diverticolo della cavità del timpano più che questa sia un diverticolo di quello. Le celle mastoidee sono diverticoli dell’antro mastoideo. Ecco le conclusioni: 1° L’orecchio medio è semplicemente una cavità che insorge tra la capsula periotica e gli elementi squamo- zigomatici del temporale. La cavità è primitiva e continua e quan- tunque possa mutarsi nella forma e modificarsi nelle parti per formare la cavità della tuba, del timpano e dell'antro, questa continuità per- siste sempre. 2° Le cellule mastoidee si sviluppano assai più presto di quello che comunemente si crede. Questa concezione di Young e Milligam è del tutto arbitraria e non corrisponde affatto a tutto quello che positivamente si conosce sullo sviluppo dell'orecchio medio. L'antro è una formazione tardiva: prima del settimo mese circa della vita intrauterina non ne esiste traccia. A. Cheatle (1907) contribuisce nuovamente con una breve nota per dimostrare che talvolta la massa mastoidea è diploica ed allora a se- parare questa massa dall’antro sta un sottile e distinto strato di osso compatto. Quando lo strato in discorso persiste anche nell'adulto, può ritenersi come una disposizione a tipo infantile. Secondo le proprie osservazioni questa disposizione è molto frequente. Che cosa sia questa disposizione infantile sulla quale Cheatle 278 A. Ruffini, richiama l’attenzione, resulta chiaramente dalle nostre osservazioni. Lo strato osseo sottile e compatto che divide la massa diploica dall’antro non è altro che la nostra lamina periotica, la quale precede in ogni caso l’avanzarsi dell’antro e della spugna squamosa sulla spugna perio- tica. Il tipo infantile non è che un’apofisi mista; segno di un arresto di sviluppo. T. Guthrie (1907) in un breve articolo si occupa dello sviluppo dell’antro mastoideo su sezioni di temporali fetali della età di mesi 2'/,—7'/,. Egli vorrebbe dimostrare esatto il modo di vedere di Young e Milligam, che qui sopra abbiamo riferito. Nei primi momenti dello sviluppo l’antro è così piccolo che a prima vista si sarebbe indotti a credere che non ne esista alcuna traccia. Egli vede già all’età di mesi 2'/, un antro rudimentale in ampia comunicazione con la cassa. Dimostra anche come le pareti dell’antro siano formate dallo squamoso e dal periotico che posteriormente si appongono per chiuderne la cavità. L’antro va gradualmente dilatandosi, tanto che alla nascita diventa una ampia cavità ben definita, comunicante con la cassa. Nel caso di man- canza dell’antro nell’adulto, si deve ritenere che non si sia formato nell’embrione. Dalla descrizione, e dalle figure, appare chiaramente che la cavita descritta da Guthrie come antro nei eiovani feti, non è che l’attico. 3. Materiale di studia. Io debbo queste ricerche alla qualità ed alla quantità del mate- riale che si trova nell’Istituto Anatomico di Siena. La preziosa rac- colta di crani fetali umani, di neonati e di bambini — che da parec- chi anni si va facendo per iniziativa del Sig. Prof. S. Bianchi — ha | data la prima spinta a questo lavoro, offrendomi larghe e costanti te- stimonianze sul modo onde si vanno sviluppando le parti elementari che debbono servire alla costruzione dell'apofisi mastoide. Debbo quindi porgere i ringraziamenti più doverosi e riconoscenti al sullodato Sig. Prof. S. Bianchi, i| quale ebbe la cortesia di porre a mia completa disposizione tutto il materiale raccolto in questo Museo. Ed allorché sentii il bisogno di estendere le mie ricerche anche agli animali, per stabilire quei confronti dai quali pur tanta luce venne a rischiarare 1 Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 279 fatti osservati nell*Uomo, trovai in questo stesso Museo delle raccolte di crani fetali di Porco, di Bove ed uno di Cavallo, che io potei pre- parare e studiare accuratamente. I fatti osservati durante la vita fe- tale dovevano essere completati con lo studio delle trasformazioni suc- cessive che accadono durante la vita extrauterina fino all’assettamento completo nell’adulto, ebbene anche in questo Istituto trovai crani di animali adulti — Lepre, Coniglio, Bove, Pecora, Donnola, Cane, Gatto, Pipistrello, e Scimie — che mi furono quasi sempre utili per gli scopi delle mie indagini. In totalita io ho usufruito di un materiale di 102 crani, di cui 47 di Uomo, e 55 di altri Mammiferi. Tutto questo rappresenta il mate- riale preparato. Ma lo studio delle disposizioni che possono essere con- trollate col semplice esame esterno, ebbe estensioni assai maggiori. Mediante la gentilezza del Sig. Prof. V. Diamare, al quale mi piace di rendere i più cordiali ringraziamenti, mi fu possibile di poter esaminare i crani di tutti Mammiferi — dai Monotremi alle Scimie antropoidi — che esistono nel Museo di Anatomia comparata di questa Università. Inoltre mi fu dato fare opportuni confronti in crani di Scimie di specie rare, nei Musei di Anatomia comparata e di Antro- pologia della Università di Roma. Ai Sigg. Prof. G. B. Grassi e G. Sergi, che ebbero la squisita compiacenza di mettere a mia dispo- sizione il prezioso materiale raccolto in quei Musei, vadano i ringrazia- menti miei più doverosi e sentiti. Per lo studio dello sviluppo della pars periotico-mastoidea, io ho data sempre la preferenza al materiale disseccato, perchè i fatti risal- tano con maggiore chiarezza e perchè un tale materiale si presta assai meglio ad essere preparato e riprodotto. Però, quando mi è stato pos- sibile, ho fatto i dovuti confronti su materiale fresco. Le gravi difficoltà che si incontrano nella raccolta dei crani fetali degli animali, e più che altro la impossibilità di poterseli procurare subito, mi hanno necessariamente costretto in una cerchia assai limi- tata di osservazioni, lasciandomi dubbioso intorno ad alcuni punti, sui quali avrei desiderato di poter essere più esplicito e sicuro. È questo un difetto di cui possono essere accusati tutti i lavori di craniologia. A mia discolpa — se pur di colpa è lecito parlare — posso invocare 280 A. Ruffini, la sincerità con la quale ho denunziati i fatti che non sono passati sotto i miei occhi con tutta la chiarezza desiderabile. 4. Sviluppo della pars periotico-mastoidea e formazione delle parti elementari per la costruzione della apofisi mastoide nel- l'Uomo. Crami di feto al 4° mese circa. Ne ho potuto esaminare uno solo. La pars periotico-mastoidea, a quest'epoca, è rappresentata sola- mente da cartilagine. Sul cranio macerato e disseccato non avvertendosi la presenza della cartilagine, si riceve l’impressione della esistenza di una vasta fontanella mastoidea o asterica, di figura rozzamente quadrangolare; essa è limitata: superiormente dal parietale, inferiormente dall’esocci- pitale, anteriormente dallo squamoso, posteriormente dal sopraocci- pitale. Crani di feto al 5° mese circa. Ne ho potuti avere solamente due. L’osso squamoso presenta posteriormente un margine leggermente rilevato ed ondulato, diretto dall’alto al basso e lievemente dall’indietro all’avanti. La ossificazione della pars periotico-mastoidea fa la sua comparsa; essa è rappresentata da due nuclei ossei: — l'uno, più piccolo, è posto anteriormente, nelle immediate vicinanze del margine posteriore dello squamoso; — l’altro, più grande, sta posteriormente e medialmente, nelle immediate vicinanze del margine esterno dell’esoccipitale; indiche- remo il primo come nucleo osseo prossimale ed il secondo come n. o. distale (fig. 1). Il nucleo prossimale ha quasi la forma di una piramide triango- lare, la cui sottile e larga base è applicata contro il margine poste- riore dello squamoso ed il cui apice arrotondato guarda indietro e medialmente. i Uno spazio di circa due mm. divide l'apice del nucleo prossimale dal margine anteriore di quello distale, che ha forma di pera, rivolta Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 281 con la grossa estremità in dietro ed in alto con la estremità sottile in avanti ed un po’ medialmente. La cartilagine che dovra dunque essere sostituita dalla futura pars periotico-mastoidea ha in quest’epoca una forma rozzamente quadran- golare, 1 cui lati possono indicarsi secondo l’orientazione e secondo le parti con le quali essi confinano. Il lato squamoso, o antero-superiore, è occupato, come dicemmo, dal nucleo osseo prossimale; il lato esocci- pitale, o postero-mediale, è occupato dal nucleo osseo distale, il lato fontanellare, o supero-posteriore, ed il lato timpanico, o infero-mediale, non sono occupati che dalla cartilagine, la quale, nei cranii disseccati, si presenta fortemente avvallata. Indispensabile era di conoscere come questi due nuclei di ossifica- zione insorgono, se sono cioè indipendenti o se derivano da qualche parte della capsula periotica. Bastò a questo proposito di abraderne il sottile e cedevole tavo- lato esterno. Al di sotto di questo esisteva sostanza ossea prettamente spugnosa. Asportando la spugna ossea si trovò, a diverso grado di profondità, e disposta in senso lineare, della sostanza ossea compatta: più profonda nel nucleo prossimale, più superficiale in quello distale. Incisa ed asportata la sottile lamina di sostanza ossea compatta, si mise allo scoperto, in ciascun nucleo, il lume di un canale semicirco- lare (fig. 2). Facile fu di riconoscere come canale semicircolare esterno od orizzontale quello posto nel nucleo osseo prossimale e come canale semicircolare posteriore od inferiore quello posto nel nucleo osseo di- stale. La direzione del primo è dall’avanti all'indietro e leggermente dall'alto al basso, quella del secondo è dall'alto al basso e leggermente dall’indietro all’avanti; di modo che continuando all’indietro la linea data dal lume del canale semicircolare esterno, essa incontrerebbe per- pendicolarmente quella del canale semicircolare posteriore. Riconosciute queste parti, era necessario vedere quale fosse a quest'epoca la configurazione dell'attico od epitimpano e le relazioni che esso contrae con le parti circostanti. Il modo più semplice e più di- mostrativo mi sembrò quello di asportare tutto il tavolato esterno delia porzione posteriore dello squamoso, seguendo le quattro linee chiara- mente indicate nella fig. 2. 282 A. Ruffini, La cavità dell’attico con le pareti perfettamente liscie ha la forma di una piramide. La parte superiore, o tetto, è data dalla sporgenza pterotica o tegmen tympani; non esiste parete inferiore: il largo orifizio, rozzamente triangolare che la rappresenta, è in gran parte occupato dal martello e dall’incudine; la parete esterna è formata dallo squa- moso; la parete interna dal periotico. Queste due ultime pareti con- vergendo fortemente tra loro verso il margine posteriore dello squa- moso (fig. 6) fanno si che la cavità dell’attico da questa parte termini ad angolo acuto. La parete interna, nella porzione sua inferiore pre- senta un rilievo già abbastanza pronunziato tanto che è convessa, mentre la porzione superiore è concava. Riassunto. — Compaiono i primi due nuclei di ossificazione della pars periotico-mastoidea. Il nucleo prossimale deriva per irradiazione dal canale semicircolare esterno; quello distale dal c. s. posteriore. — La cavità dell’attico non ha subita ancora alcuna modificazione. Cranu di feto-al 69 mese circa. Ne ho esaminati tre, a periodi alquanto differenti di sviluppo. Nel più giovane la pars periotico-mastoidea presenta il seguente aspetto. Ambedue i nuclei ossei sono aumentati in superficie, e quindi hanno dovuto necessariamente mutare alquanto la loro posizione. Tra l'apice arrotondato del nucleo prossimale ed il margine anteriore del nucleo distale ora intercorre uno spazio minore ad un millimetro. Il nucleo prossimale tende ad estendersi più verso il lato timpanico che verso quello fontanellare. Il nucleo distale, piriforme, si accresce con maggior rapidità del precedente, portando il suo polo ottuso in alto, verso l'osso parietale e sviluppando un margine posteriore che guarda verso l’osso sopraoccipitale; dimodochè tutta la periferia postero-mediale di questo nucleo può dividersi in due porzioni: una inferiore in con- nessione con l’esoccipitale ed una superiore che sta di faccia al sopra- occipitale. Dalla disposizione che hanno già assunta i due nuclei ossei si fa palese la tendenza della ossificazione della pars periotico-ma- stoidea a lasciare in ritardo la parte antero-superiore del lato fontanellare. Qualora la regione che stiamo studiando venga preparata come è indicato dalla fig. 3 — che rappresenta il lato destro del cranio più Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 283 giovane di quest'epoca — noi possiamo avere sotto gli occhi molte particolarità che servono non solo a farci conoscere la posizione delle diverse parti, ma anche a darci ragione esatta del loro divenire durante e dopo la evoluzione a cui esse dovranno andare incontro. Questo preparato si ottiene molto facilmente. Si asporta tutto il segmento posteriore e mediale dell’anello timpanico. Si apre la cavità dell’attico tagliando a triangolo quella porzione dello squamoso che forma la parete sua esterna; il lato superiore “è tirato all'altezza dello pterotico o tegmen tympani; il lato inferiore non oltrepassa il punto dove posteriormente trovasi l'inserzione del breve processo dell'incudine, e ciò per non ledere la continuità della catena degli ossicini; la base essendo formata dal margine posteriore dello squamoso e quindi dalla convergenza ad angolo acuto della parete interna (periotico) con quella esterna (squamoso) dell’attico, non v'è bisogno, preparando, che di una leggera trazione per staccare la debole aderenza qui esistente fra le dette due parti. Da ultimo si asporta il tavolato esterno dei due nuclei ossei della pars periotico-mastoidea; nel far ciò occorre aver presente che il canale semicircolare posteriore trovasi, come già di- cemmo, più superficialmente di quello esterno. La cavità dell’attico è sempre liscia come nello stadio precedente; il suo confine posteriore è segnato da un margine rilevato e tagliente, costituito da quella sottilissima lamina di tessuto osseo che riveste la parete interna dell’attico stesso; la quale parete è inferiormente rile- vata e convessa, mentre superiormente è concava. Subito all’indietro di questo margine si osserva una superficie di forma rozzamente conica, la cui base è rivolta contro il margine stesso ed il cui apice arroton- dato guarda indietro e medialmente; questa superficie ossea è completa- mente spugnosa; essa corrisponde al canale semicircolare esterno, che è posto profondamente. Più indietro ancora, separato da un brevissimo tratto, sta il canale semicircolare posteriore, circondato anch’esso da sostanza ossea spugnosa. Tutte queste parti sono medialmente in connessione diretta col periotico di cui le aree spugnose dei canali semicircolari esterno e posteriore for- mano la porzione posteriore, ossia la nascente pars periotico-mastoidea. In un cranio un poco più sviluppato si osservano sempre gli 984 TU d eil stessi fatti. Il nucleo prossimale ha raggiunto già il margine posteriore di quello distale, che si va, come nel caso precedente, accrescendo molto più rapidamente dell'altro. Preparando la regione in esame come è rappresentata nella fig. 4, possiamo maggiormente convincerci che i rapporti e la disposizione delle parti sono realmente costanti. Scavata la sostanza ossea spugnosa del nucleo prossimale, alla profondità di 3 mm. circa fu posto in evidenza il canale semicircolare esterno; dal- l'esame di questo preparato appare evidentemente che il rilievo fin qui notato nella parte inferiore della parete interna dell'attico è dovuto alla porzione anteriore di questo stesso canale semicircolare. Si pre- senta pure assai manifestamente la sostanza spugnosa da cui resulta fatto il nucleo osseo distale. Nel eranio più sviluppato di questa epoca i due nuclei ossei pros- simale e distale si sono già largamente fusi. Ad onta di ció la pars periotico-mastoidea non puó dirsi ancora totalmente ossificata. Il lato squamoso si è già portato in alto fino a raggiungere il margine supe- riore dello squamoso stesso; cid è avvenuto dacchè uno sperone osseo sottile partendo dalla base del nucleo prossimale si è sviluppato rapi- damente in alto. Il lato fontanellare va assumendo la forma di un’ S sdraiata; la porzione fortemente concava è antero-superiore e quella convessa e postero-inferiore, e corrisponde al polo ottuso ed al margine posteriore del nucleo distale. Il lato esoccipitale ha acquistato una estensione un po' maggiore ed é formato dal margine mediale del nucleo distale medesimo. Il lato timpanico non è ancora ossificato e perciò si presenta sempre infossato. La topografia e la conformazione delle parti profonde, rimangono ancora immutate, come chiaramente dimostra la fig. 5. Riassunto. — I due primi nuclei di ossificazione della pars perio- tico-mastoidea crescendo si accostano e si fondono. — La cavità del- l’attico è sempre immodificata. Cranii di feto al 7° mese circa. Anche di quest'epoca ne ho esaminati tre. La pars periotico-mastoidea ha in tutti e tre questi cranii quasi lo stesso aspetto ed i medesimi rapporti. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 285 Nel cranio più giovane, costituisce già una larga superficie ossea, di forma irregolare, nella quale possiamo però sempre distin- guere i soliti quattro lati: squamoso, fontanellare, esoccipitale e tim- panico. Il lato squamoso è, come nell’epoca precedente, tanto lungo quanto il prospiciente margine posteriore dell'osso squamoso. Tra le due ossa a contatto, esiste un solco (sutura squamo-mastoidea) che a quest'epoca diventa tortuosa (fig. 6). Notevole ed interessante è la curvatura quasi mediana con concavità antero-superiore, in corrispondenza della quale lo squamoso si insinua nella pars periotico-mastoidea. Il lato fontanellare presenta quasi il medesimo aspetto dello stadio precedente ed è necessario prenderne anche qui esatta conoscenza. In quest'epoca è più che mai giustificata la sua divisione in due parti: una superiore, fortemente concava, l’altra inferiore, convessa; la.prima guarda indietro ed in alto, verso il parietale, la seconda è rivolta in- dietro, verso il sopraoccipitale (fig. 6). Qui dunque appare chiaramente come la porzione superiore (e nella fase precedente: antero-superiore) del lato fontanellare della pars periotico-mastoidea, resta inossificata anche al 7° mese e, sui cranù disseccati, si presenta incavata a forma di semiluna. Il lato esoccipitale è diventato ancora più esteso, ma non presenta alcuna particolarità che possa interessarci. Il lato timpanico non è ancora completamente ossificato; tra esso ed il segmento posteriore dellannulus tympanicus esiste sempre uno spazio breve, infossato. Al cambiamento già notato in quest'epoca nella configurazione della sutura squamo-mastoidea, corrispondono cambiamenti interni che si pos- sono constatare qualora le parti vengano preparate come nella fig. 7. Allora vediamo che la porzione superiore della cavità dell'attico inco- mincia a spingersi all’indietro a guisa di un diverticolo e che il punto corrispondente ne e indicato all'esterno da quella curvatura quasi me- diana della stessa sutura squamo-mastoidea in corrispondenza della quale lo squamoso si insinua nella pars periotico-mastoidea (fig. 6). Che questa disposizione non rappresenti una variazione individuale ma che sia invece un fatto reale e costante lo stanno a dimostrare i due 286 A. Ruffini, preparati ricavati dagli altri due cranii, un po’ più avanzati, di questa stessa epoca (fig. 8 e 10). La parte inferiore della parete interna del- lattico è occupata da quello stesso rilievo od eminenza che notammo già negli stadî più giovani e che qui è molto più evidente. Questa eminenza è data dal canale semicircolare esterno; nel preparato rap- presentato dalla fig. 8 ho voluto dare la prova sicura di questo rap- porto, facendo in corrispondenza dell’eminenza un foro che ci ha con- dotto nel lume del canale semicircolare esterno, Un’altra prova, di questa non meno evidente e dimostrativa, l'ho ricavata dal preparato che è rappresentato dalla fig. 9; quest'osso è il temporale del lato si- nistro dello stesso cranio cui appartiene la fig. 8, segato trasversal- mente in un punto posto un poco pit in alto di quello nel quale la eminenza del canale simicircolare esterno raggiunge il massimo di sua sporgenza. In questo spaccato appare evidente la relazione di imme- diata vicinanza tra il canale semicircolare esterno e la lamina ossea che riveste la parete interna dell'attico. Se noi passiamo ad osservare l'aspetto che presenta la pars perio- tico-mastoidea negli altri due crant? di questa stessa epoca, vediamo che essa ci si mostra quasi come quella .del cranio più giovane. L'unico fatto notevole sul quale va richiamata la nostra attenzione è questo: che l’incavo a forma di semiluna della porzione superiore del lato fontanellare va sempre più riducendosi col progredire della ossi- ficazione (confronta fig. 7 ed 8); tanto che nel cranio più sviluppato di questa età, la semiluna inossificata è ridotta a meno della metà che nel cranio più giovane. Mentre la cavità dell’attico va spingendo un suo diverticolo verso la pars periotico-mastoidea, noi dobbiamo osservare quale aspetto vada essa assumendo nel suo interno ed in quali relazioni stiano a quest’e- poca le due parti tra loro. Facendo un preparato come è indicato dalla fig. 10, noi possiamo facilmente rispondere ai due quesiti propostici. Abbiamo già dimostrato che i due nuclei (prossimale e distale) che primi compaiono nella ossificazione della pars periotico-mastoidea, sono internamente costituiti da sostanza ossea spugnosa, la quale tro- vasi attorno ai due corrispondenti canali semicircolari: esterno e poste- E ee o n PL Te ne Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 287 riore. Quando questi nuclei si saranno completamente fusi e la pars periotico-mastoidea ci apparira — come in questa epoca — formata da un sol osso, se noi ne asportiamo il tavolato esterno osserviamo che la spugna ossea non solo è sempre presente ma che le sue celle, in confronto delle epoche precedenti, sono un poco più ampie e nu- merose. Dunque celle esistono nei primi momenti nei quali appaiono i primi due nuclei di ossificazione della pars periotico-mastoidea e celle pure esistono — anzi più ampie e numerose — allorchè la medesima pars, per il confluire dei nuclei di ossificazione, ci si mostra sotto forma di un osso unico, come è il caso dell’epoca che stiamo studiando. Interessanti a conoscersi bene sono ora le relazioni che esistono tra la cavità dell’attico e la pars periotico-mastoidea. i L’analisi dei cranii delle età precedenti ci ha dimostrato come sia conformata la cavità dell’attico e come la sua parete interna sia data da una lamina ossea levigata appartenente al periotico che noi per brevità potremmo chiamare: lamina periotica della cavità dell'attico. Questa lamina periotica convergendo posteriormente con un’altra lamina più spessa —- data dallo squamoso e che chiude all’esterno la stessa cavità dell’attico — fa si che l'attico da questo lato termini ad angolo acuto. La linea di riunione di queste due lamine costituisce il lato posteriore dello squamoso; quando più tardi la pars periotico-mastoidea si sarà completamente sviluppata, allora la linea di contatto fra queste due parti verrà indicata dalla sutura squamo-mastoidea. Mentre dapprima la parete posteriore dell’attico, pur presentando una parte superiore leggermente concava ed una inferiore leggermente convessa, allindietro converge quasi a piano con lo squamoso — di modo che la cavità dell’attico qui finisce ad angolo acuto — in questa epoca per l'insorgenza del diverticolo che, come abbiamo descritto, va spingendosi verso la pars periotico-mastoidea, la disposizione della ca- vità dell’attico da questo lato si è andata trasformando; essa è diven- tata più larga, dacchè la distanza tra la parete esterna e quella in- terna è aumentata, ed il fondo del diverticolo si è conformato a scodella. Ed è per questo che ora l’estremità postériore della lamina periotica non converge più a piano con lo squamoso, ma è ripiegata 288 A. Ruffini, verso l’esterno, interponendosi così tra la cavità dell’attico e la pars periotico-mastoidea. Per brevità possiamo indicare la porzione ripiegata come: porzione divisoria. Ad onta di questo cambiamento, la lamina periotica non ha ancora mutati affatto i suoi rapporti col margine posteriore dello squamoso e quindi con la sutura squamo-mastoidea. Da ciò segue che l'estremo lembo posteriore della lamina periotica (porzione divisoria) incomincia già a quest'epoca a disporsi come un diaframma tra la cavità dell’attico e la pars periotico-mastoidea. Nel medesimo tempo in cui per lo sviluppo del diverticolo l'estre- mità posteriore della lamina periotica viene ripiegata verso l’esterno, anche l'aspetto della lamina si va cambiando. Nel feto di 5 mesi essa, ad occhio nudo, appare liscia ed omogenea, ma esaminata con una forte lente convergente, si vede chiaramente che é attraversata da stretti canalini non molto numerosi, i cui orifizi sono quasi uniformemente dis- seminati su tutta la sua superficie. Questi orifizi col crescere dell'età vanno facendosi sempre piü evidenti e numerosi, tanto che nel cranii più sviluppati dell'epoca che stiamo studiando si possono vedere chiara- mente ad occhio nudo. Vi è però una certa differenza tra i forellini delle diverse parti della lamina cribrosa; ne possiamo prendere in con- siderazione due soli gruppi: uno trovasi nella parte antero-superiore della parete interna della cavità dell'attico, sopra alla eminenza del canale semicircolare esterno, l'altro gruppo sta nel fondo del diverticolo. I forellini del primo gruppo sono, rispetto agli altri, grandi, poco nume- rosi e divisi da crestoline ossee anastomizzate a guisa di rete. I forel- lini del secondo gruppo, all'opposto, sono piccolissimi, molto numerosi e non divisi da crestoline. Per la loro prasenza la lamina periotica del fondo del diverticolo è convertita in una vera e propria lamina cribrosa, e la cavità dell'attico comunica con le celle dell’osso spugnoso della pars periotico-mastoidea. Il diaframma adunque interposto tra cavità dell’attico e pars periotico-mastoidea non è impervio, ma per mezzo dei suoi numerosi forellini fa comunicare la cavità dell'attico con le celle di cui è costi- tuita la pars periotico-mastoidea. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 289 Devo però ricordare ancora una volta che i forellini della lamina periotica — e quindi anche della porzione costituente il fondo del diverti- colo — non appaiono solo nel 7° mese, ma, come già feci notare, essi sono dimostrabili anche nelle età più giovani da noi esaminate (5° e 6° mese). La sezione orizzontale di un osso temporale di quest'epoca ci di- mostra (fig. 9) come in simili preparati si presentano le diverse parti già prese in esame e ci fa anche vedere chiaramente quanto sia maggiore la dimostratività degli altri preparati che io ho ottenuto aprendo dal- l'esterno le diverse parti o cavità; perciò ho preferito quest'ultimo modo di dimostrazione. Riassunto. — La pars periotico-mastoidea risulta fatta da un osso spugnoso (spugna periotica) di figura rozzamente quadrangolare: la: parte superiore del suo lato fontanellare non é ancora ossificata ed ha forma semilunare. — Si è formata la sutura squamo-mastoidea, che è tortuosa e presenta una curvatura quasi mediana con concavità antero- superiore. — La cavità dell'attico manda un diverticolo posteriormente, il quale piegando un breve tratto della estremità posteriore della lamina periotica, ne forma un diaframma pertugiato posto tra sé e la pars periotico-mastoidea. Cranii di feto all'8° mese circa. Ne ho esaminati due. La pars periotico-mastoidea a quest'epoca si è già molto ingrandita ed ha più che mai assunto la forma di un quadrilatero. Il lato squa- moso è sempre ben visibile per la presenza della sutura squamo-mastoi- dea, ancora tortuosa. Il lato timpanico, completamente ossificato, é molto più esteso che nelle età precedenti. Il lato esoccipitale é anch'esso molto esteso. Il lato fontanellare, in corrispondenza della sua porzione superiore, presenta ancora quell'incavo a forma di semiluna, che fu descritto nelle epoche a questa precedenti e che qui è sempre più rim- pieciolito, ricacciato in alto e spesso ridotto ad una irregolare forma di V. Giacchè è prossimo il momento in cui questo incavo dovrà scom- parire del tutto con l'avanzarsi della ossificazione, cosi mi sembra giunto il momento di aprire una parentesi per desciivere il suo significato, Internationale Monatsschrift f. Anat, u. Phys. XXVII. 19 290 A. Ruffini, che è molto interessante a conoscersi per la ossificazione della pars periotico-mastoidea. Per comprendere il valore della disposizione accennata occorre riprendere punto di partenza dal cranio più giovane (5° mese). Osservando a questa epoca il periotico dalla sua superficie cerebrale e ponendo mente alla eminentia arcuata, noi vediamo che mentre il lato antero-interno della stessa eminentia è rotondo e levigato, il suo lato postero-esterno all'opposto si continua in una lamina ossea arcuata, che dopo breve tratto termina con un margine frastagliato. E siccome questo margine osseo non raggiunge la superficie esterna del cranio, 0 meglio della cartilagine, cosi tra l'uno e l’altra è interposto un tratto di cartilagine che ha pur essa una disposizione arcuata. Dalla età di 5 mesi in poi la ossificazione della lamina ossea ar- cuata procede un po’ lentamente ed in modo disuguale. Mentre essa si avanza verso la superficie esterna, vi si aggiunge un’altra ossifica- zione proveniente dal margine anteriore del canale semicircolare poste- riore. Le due ossificazioni confluiscono precocemente, ma lungo la linea di confluenza la marcia della ossificazione viene rallentata. Difatti anche a sette mesi troviamo che un piccolo tratto — quasi sempre a forma di V — della linea di confluenza delle due ossificazioni, non ha raggiunta ancora la superficie esterna della cartilagine, mentre i tratti posti al davanti ed all'indietro l'hanno raggiunta già da qualche tempo. I due lati quindi del tratto inossificato a forma di V appartengono: l'anteriore alla ossificazione del canale semicircolare superiore ed il posteriore alla ossificazione del canale semicircolare posteriore. Questa breve regione inossificata superiore, a forma di V, ripiena di cartilagine, è ricoperta e nascosta da quel tratto del margine esterno del tentorium cerebelli che si inserisce lungo questo tratto della rocca, tuttora rotondeggiante e non stirato ad angolo come solo più tardi accadrà. Se nei temporali dai 6 ai 7 mesi pratichiamo un taglio che vada dall'esterno all'interno, lungo l’asse della rocca e che comprenda: 1 due territorii inossificati (esterno ed interno), la lamina ossea arcuata e l'eminentia arcuata, noi osserviamo delle particolarità interessanti (fig. 11). Tutto l'insieme di queste parti può essere paragonato ad un tunnel, Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 291 in cui è dato distinguere un’apertura interna, un canale con la sua volta ed il suo pavimento, un'apertura esterna ed una superiore. Però, ad evitare possibili fraintesi, conviene dichiarare che parlando in questa descrizione di aperture, di tunnel e di canali, noi intendiamo riferirci al cranio disseccato e non fresco; in questo al posto delle aperture e dei canali esiste cartilagine. L'apertura interna è data dalla eminentia arcuata; è ampia e chiusa dalla dura madre, rafforzata dall'attacco del tentorio. Il canale dapprima ampio (fovea subarcuata) quanto il giro descritto dalla eminentia arcuata, si restringe bruscamente per il sollevarsi quasi a perpendicolo del pavimento; questo sollevamento dopo aver formato la cripta della fovea si porta molto in alto ma non giunge a toccare la volta. Per cui rimane uno stretto e breve canale che si porta verso l'esterno, dove si allarga nuovamente. Nello spaccato quindi il canale presenta quasi la forma di una clessidra: stretto nel mezzo, ampio alle due estremità. k La volta del canale è formata dalla lamina ossea arcuata. Pro- viene dal margine postero-esterno della eminentia arcuata; è fatta di sostanza ossea spugnosa; non giunge fino alla superficie esterna della cartilagine, ma si arresta a breve distanza da essa. Il pavimento è fatto di sostanza ossea spugnosa che proviene da diverse parti: principalmente dal canale semicircolare esterno, in secondo luogo dal canale semicircolare posteriore ed in piccola parte anche da quello superiore. L'apertura esterna è quella che abbiamo già tante volte indicata chiamandola: incavo semilunare e che verso il 7° ed 8° mese assume talvolta la forma di V. È ampia dapprima, subito dopo la fusione dei due nuclei di ossificazione: prossimale e distale; ma col progredire dell'età va man mano restringendosi e portandosi in alto. È chiusa dalla membrana fontanellare e riempita da cartilagine. L’apertura superiore, ripiena pur essa di cartilagine, è il residuo non ancora ossificato della linea di confluenza delle due ossificazioni procedenti dal margine postero-esterno della eminentia arcuata (lamina ossea arcuata) e dal margine anteriore del canale semicircolare poste- riore. Ha forma di V, ed è nascosta dal tentorio. 19 292 A. Ruffini, Asportando adunque la cartilagine che chiude l’apertura esterna, il tratto di tentorio e la cartilagine che nascondono l’apertura supe- riore, noi osserveremo che le due aperture esterna e superiore comuni- cano ampiamente tra loro e che ambedue menano nella porzione ristretta o mediana del canale e da essa nella cripta della fovea subarcuata. Per avere una prova ancora più convincente sulla conpartecipazione della lamina ossea arcuata — e quindi del canale semicircolare supe- riore — alla ossificazione dell’incavo a forma di semiluna, basta prendere un cranio della età di circa 6 mesi ed asportare completamente la membrana fontanellare, dopo aver aperta la scatola cranica per fare gli opportuni controlli. L’incavo semilunare ci si presenterà allora come una fossa, limitata da tre pareti, aperta largamente all’esterno e che nel fondo va riducendosi in uno stretto canale che mena nella cripta della fovea subarcuata. Delle tre pareti una è anteriore, una posteriore e l’altra superiore. La parete anteriore, già molto spessa a quest'epoca, appartiene al nucleo prossimale, derivato dal canale semicircolare esterno. La parete posteriore, più bassa della precedente, ma spessa allo stesso modo, appartiene al nucleo distale, derivato dal canale semi- circolare posteriore. La parete superiore può esser divisa in due porzioni: anteriore e posteriore. La porzione anteriore copre già completamente, o quasi, il canale e la fossa sottostanti, costituisce la vera parete superiore e non rappresenta altro che la maggior parte della faccia anteriore della lamina arcuata, derivante dal canale semicircolare superiore. La porzione posteriore completa in alto la parete posteriore ed ha quindi una direzione quasi verticale; non giunge fino alla superficie esterna del cranio; forma il lato anteriore del tratto inossificato a guisa di V del- l'apertura superiore e rappresenta il lembo posteriore della lamina ar- cuata ripiegata in basso; all’indietro converge ad angolo acuto col lato posteriore del medesimo tratto inossificato che proviene dal canale semicircolare posteriore. Qui si vede chiaramente la confluenza delle due ossificazioni che procedendo rispettivamente dal margine postero- esterno del canale semicircolare superiore e dal margine anteriore di quello posteriore, provvedono alla ossificazione dell'incavo semilunare. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 993 Da quanto abbiamo esposto in questa descrizione parentetica deri- vano due conclusioni: che wna piccola porzione della pars periotico-masto- idea — segnata dall’incavo semilunare — si ossifica assai più tardi del resto; che alla ossificazione sua provvede anche il canale semicirco- lare superiore. Riprendiamo la descrizione della pars periotico-mastoidea nel nostro cranio all’8° mese circa. j Oltre alle particolarità già notate, la ispezione esterna ci fa vedere anche qualche altro fatto degno di nota. Gia a questa epoca incomincia a farsi manifesta la incisura digastrica, rappresentata da un lieve avvallamento sulciforme che dal forame stilo-mastoideo si porta in alto ed all'indietro e che occupa appena la metà inferiore della pars periotico-mastoidea. Per cui quella porzione di osso compresa tra la metà inferiore della sutura squamo-mastoidea in avanti e l'incisura di- gastrica in dietro, incomincia a farsi leggermente proeminente — pro- eminenza coniforme — e ad indicarci il luogo dove più tardi vedremo sorgere l'apofisi mastoide. L’analisi interna ci dimostra fatti e rapporti degni del massimo interesse. A carico dello squamoso notiamo che il diverticolo della cavità dell'attico è diventato più ampio e specialmente più profondo. Il ripiega- mento verso l’esterno del lembo posteriore della lamina periotica è sempre più accentuato: la sua qualità di diaframma interposto tra il diverticolo dell’attico e la pars periotico-mastoidea è ormai evidente. Asportando il tavolato esterno della porzione proeminente della pars periotico-mastoidea troviamo il solito tessuto spugnoso, le cui celle non appaiono più ampie di quelle osservate negli stadii precedenti. Queste celle comunicano ampiamente con la cavità dell'attico per mezzo di numerosissimi forellini della lamina periotica divisoria. Scavando ed asportando la spugna ossea di quella porzione della pars periotico- mastoidea che trovasi di contro alla parte inferiore della sutura squamo- mastoidea e tenendosi fuori della lamina periotica divisoria — ossia scavando in corrispondenza della regione dove negli stadii più giovani si osserva il nucleo osseo prossimale — noi ritroviamo sempre il canale semicircolare esterno; ma ora esso è posto molto profondamente. 294 AU RUSE, A questa epoca compare un fatto nuovo sul quale conviene fermare la nostra attenzione. Come gia abbiamo veduto, la parete esterna della cavita dell’attico è formata dallo squamoso, la cui superficie interna si era sino ad ora mostrata perfettamente liscia (fig. 9). Fin da ora invece, in uno dei due cranii, si osserva che da questa parete vanno sviluppandosi celle, dapprima non molto numerose, ma assai più ampie di quelle che si trovano nella spugna ossea della pars periotico-mastoidea. Più tardi ritorneremo su questo punto per vedere meglio come e da quali parti queste celle insorgono; per ora ci basti dire che asportando con circo- spezione il tavolato esterno dello squamoso in corrispondenza del punto ove esso forma la parete esterna della cavità dell’attico, noi ci trove- remo di faccia alla spugna ossea menzionata e riconoscibile facilmente per la grandezza delle celle. Dobbiamo anche ricordare che nella età di 7 mesi osservammo già una differenza nell’aspetto dei forellini dai quali è pertugiata la lamina periotica. A tal proposito ne distinguemmo due gruppi: l'uno posto nella parte antero-superiore della parete interna della cavità dell'attico, sopra la eminenza del canale semicircolare esterno, l’altro situato nel fondo del diverticolo. Facemmo osservare come i forellini del primo gruppo sono, rispetto agli altri, poco nume- rosi, grandi e divisi da crestoline ossee anastomizzate a gwisa di rete. Ebbene ora dobbiamo constatare che a quest’epoca i forellini i quali possiedono quest'ultima particolarità vanno aumentando e che una tale disposizione incomincia a manifestarsi a carico anche del secondo gruppo. Le crestoline ossee anastomizzate a rete qui sono più alte, più numerose e quindi assai piü evidenti. Riassunto. — Interviene il terzo nucleo di ossificazione della pars periotico-mastoidea, che si irradia dalla periferia esterna del canale semicircolare superiore e che va ad ossificare la porzione superiore del suo lato fontanellare che ha forma di semiluna o di V. — Si abbozza la proeminenza coniforme e l'incisura digastrica. — Il diverticolo del- lattico si amplia. — Si osservano i primissimi accenni della formazione della spugna squamosa. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 295 Crant alla nascita circa. La difficolta di poter giudicare se un cranio appartenga alla nascita o non piuttosto all'ultimo mese di gravidanza, oppure al primo mese della vita extrauterina, mi ha consigliato di studiare un numero un po’ maggiore di cranii, per evitare il dubbio di attribuire ad una epoca, disposizioni che sono invece di un’altra. Per quanto le differenze che corrono tra queste età siano lievi e non di un'importanza fonda- mentale, tuttavia io ho stimato più opportuno di fare in modo che la mia descrizione rappresenti una media desunta dallo studio di sette cranii, di grandezza e di sviluppo lievemente differenti, ma che non oltrepassano certamente gli estremi limiti posti tra il 9° mese della vita intrauterina ed il 1° mese di quella extrauterina. Nellepoca che stiamo studiando, la pars periotico-mastoidea si accresce specialmente nel senso verticale. Da ciò segue che nei cranii più sviluppati il lato fontanellare si vada sdoppiando in un lato superiore o parietale — breve ed obliquo dal basso all’alto e dall’avanti all’in- dietro — ed in un lato posteriore o fontanellare. L'angolo, tra questi due lati, viene occupato dai residui dell’incavo a forma di semiluna, le cui traccie persistono ancora nella maggior parte dei casi (fig. 16, 17 e 18). Mentre in alcuni cranii — preferibilmente in quelli che sem- brano i più giovani — il lato superiore o parietale trovasi allo stesso livello del margine superiore dello squamoso (fig. 14), in altri — che sembrano i più sviluppati — esso deborda in alto già di parecchi milli- metri. E siccome la parte che si solleva è qui rappresentata dal breve lato parietale, il cui innalzamento ha il suo punto di partenza dal- l'estremo superiore della sutura squamo-mastoidea — dove pure va a de- clinare il giro del margine superiore dello squamoso — così tra lo squa- moso e la pars periotico-mastoidea viene a formarsi un comune margine superiore, avente una incisura ad angolo rientrante. Nellapice di quest'angolo finisce l'estremità superiore della sutura squamo-mastoidea e nello stesso angolo rientrante si incastra langolo sporgente anteriore dell'angolo smusso postero-inferiore dell'osso occipitale (fig. 16, 17 e 18). Cosi adunque si è formata la incisura parietalis del temporale e cosi è avvenuto l'incontro con una parte dell'angulus mastoideus del parietale. 296 A. Ruffini, Ho voluto far risaltare questi particolari perché non si possa so- spettare che l’incavo a forma di semiluna sia null'altro che la incisura parietalis del temporale, come si potrebbe credere qualora non si seguisse a passo a passo tutto lo sviluppo di queste parti. La sutura squamo-mastoidea non presenta più quella curvatura accentuata, per cui un breve tratto mediano del margine posteriore dello squamoso si insinua nella pars periotico-mastoidea, come vedemmo accadere specialmente nei feti al 7° mese, ed un po’ meno accentuata- mente in quelli delle successive epoche a questa precedenti. Alla nascita questa sutura si ricompone ed assume un decorso quasi retti- lineo, perocchè la sua curva — con la concavità rivolta anteriormente — è appena apprezzabile ed in taluni casi é anche del tutto scom- parsa (fig. 16). La incisura digastrica non è, a quest'epoca, più pronunziata di quello che non fosse nel feto di 8 mesi, ma la parte proeminente posta subito all'indietro e di contro al corno posteriore dell'anello timpanico è senza dubbio più accentuata; ha la forma di un cono a larga base, il cui apice arrotondato, dalla porzione inferiore della sutura squamo- mastoidea, è diviso in due parti: una anteriore, più piccola, apparte- nente allo squamoso, ed una posteriore, più grande, appartenente alla porzione periotico-mastoidea. Quella porzione dello squamoso che sta tra la branca discendente della radice superiore dell'apofisi zigomatica e la proeminenza a forma di cono testè ricordata — la porzione cioè sottozigomatica dello squa- moso, che formerà più tardi la parete superiore del condotto auditivo esterno — incomincia proprio ora ad incavarsi in forma di doccia. Per modo che la proeminenza coniforme viene in quest'epoca a ritro- varsi tra due parti avvallate: la porzione sottozigomatica dello squamoso in alto ed in avanti, la incisura digastrica in basso e medialmente. Tali sono adunque i rapporti e la conformazione esterna che ha, in questo periodo di tempo, la nascente apofisi mastoide. Ora dobbiamo vedere quali sono le trasformazioni interne che corrispondono alla con- formazione ed ai rapporti descritti. L'aspetto interno della pars periotico-mastoidea è sempre quale lo abbiamo veduto fino ad ora, cioè spugnoso. Le celle in generale Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 297 sono più ampie e più numerose che nelle eta precedenti (fig. 13, 14, 18, 19 e 20); ma in qualche caso restano piccole (fig. 14, 20). Se in un cranio, oltre al tavolato esterno, asportiamo anche la crosta pit esterna della spugna ossea di questa porzione, fino a livello dell’artico- lazione del breve processo dell’incudine, resecando anche il segmento posteriore dell’anello timpanico (fig. 12), noi osserviamo che verso la porzione inferiore della pars periotico-mastoidea si è già avanzato un diverticolo della cassa del timpano: il sinus tympani o cavità sotto- piramidale di Huguier. Non è però da credere che il sinus tympani si formi a quest'ora: esso è già presente anche nei cranii più giovani da noi esaminati; a quest'epoca è molto più ampio, come pure più ampia è la stessa cassa timpanica. Più profondamente ancora troviamo l'osso compatto che circonda il canale semicircolare esterno, la cui sporgen- za è manifestissima all’interno del punto di articolazione del breve pro- cesso dell’incudine. La distanza quindi tra il tavolato esterno ed il canale se- micircolare esterno è già a questa epoca diventata molto rilevante (fig. 19). Fatti molto interessanti si osservano a carico della cavità del- attico. È necessario dire subito che a questa epoca non è piü esatto chiamare cavità dell’attico questa, che è già distinta nelle sue tre parti: epitimpano od attico, aditus ad antrum, antrum. Distinzione del resto che era possibile fare già all'epoca di 7 mesi, quando per la prima volta abbiamo veduto comparire il diverticolo della primitiva cavita dell'attico' (fig. 7); diverticolo che portandosi posteriormente verso la pars periotico-mastoidea segna all'esterno la sua presenza per mezzo della curvatura quasi mediana della sutura squamo- mastoidea, in corrispondenza della quale lo squamoso si insinua nella pars periotico-mastoidea stessa (fig. 6). Noi dobbiamo considerare questo diverticolo come l'abbozzo dell’antrum. E siccome lo stesso diverticolo superiormente comunica con la cavità dell'attico per mezzo di un canale posto fra tegmen tympani ed eminenza del canale semicircolare esterno, cosi dobbiamo anche riconoscere che questo canale rappresenta già l'aditus ad antrum. Tra il 7° mese e l'epoca che stiamo esaminando, abbiamo sem- pre fatto rilevare come il diverticolo od antrum vada ognora piü ingran- dendosi e spingendosi posteriormente, contro la pars periotico-mastoidea. Ora tutta questa cavità — che per esser brevi ed esatti possiamo, 298 A. Ruffini, denominare: attico-antrale — andrebbe, come dicemmo, divisa e studiata nelle sue tre parti costitutive, ma Uno studio così suddiviso ci farebbe correre il rischio di creare degli inutili artifizi, e quindi preferiamo di descriverne le particolarità nel loro insieme, riferendoci, quando occorre alle diverse parti già menzionate. La cavità attico-antrale, all’epoca della nascita, ci si presenta — come è dimostrato dalle fig. 13, 17, 18 e 19 — ampia e profonda. Il tegmen tympani, o sporgenza pterotica, si è avanzato già molto verso l'esterno, contribuendo a rendere, così, più profonda tutta la cavità. L'aditus ad antrum, più profondo che ampio, è limitato superiormente dal tegmen tympani, internamente dalla lamina periotica, inferiormente dalla eminenza del canale semicircolare esterno e dal punto di inser- zione del breve processo dell’incudine, esternamente dal tratto prospi- ciente dello squamoso. L’antrum rappresenta la parte più dilatata di tutta la cavità attico-antrale (fig. 17, 18 e 19). È limitato superior- mente dal tegmen tympani, internamente dalla lamina periotica, poste- riormente ed inferiormente da quell’estremo lembo posteriore della stessa lamina (porzione divisoria) che già nell’età di 7 mesi abbiamo veduto disporsi come un diaframma cribroso tra la cavità dell’attico e la spugna periotico-mastoidea, esternamente dalla porzione postero-inferiore dello squamoso e da un breve tratto del tavolato esterno della pars ' periotico-mastoidea. Quest’ultimo rapporto si va effettuando ora, dove più (fig. 13, 14, 17, 18, 20) e dove meno accentuatamente (fig. 19) per dato e fatto che l’attico va invadendo la spugna ossea della pars periotico-mastoidea e sorpassa quindi la linea segnata dalla sutura squamo-mastoidea (fig. 13, 17, 18 e specialmente 20). La porzione divisoria della lamina periotica é sempre ben distinguibile ed i suoi forellini sono sempre molto numerosi. Non si deve però credere che la cavità attico-antrale si presenti realmente come dimostrano le fig. 13, 17, 18, 19, dopochè in diversi modi si è preparata regione in esame; io ho dovuto così prepararla per dimostrare chiaramente tutte le particolarità ed i rapporti che ab- biamo fin qui descritti. Ma nella realtà le cose ci si palesano invece come dimostra la fig. 14. Questa semplicissima maniera di preparare la regione in esame a me sembra molto chiara ed istruttiva. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 299 Al disotto dell’apertura, che fa vedere la cavità, cranica, è tra- sversalmente posto il tegmen tympani, la cui faccia inferiore dà inser- zione ad una spugna ossea di aspetto molto elegante e preferibilmente composta di grandi celle. La spugna, nel suo insieme, ha una forma triangolare: il lato superiore si attacca, come abbiamo detto alla faccia inferiore del tegmen tympani, il lato inferiore alla porzione sottozigo- matica dello squamoso, il lato posteriore non ha attacco diretto; lungo questo lato finisce in una lamina sfrangiata che si continua tanto verso l'alto, quanto verso il basso, descrivendo tre curve. Le due curve estreme hanno la concavità volta in dietro, mentre la curva mediana l'ha rivolta in avanti. Questa linea curva rappresenta la sutura squamo- mastoidea, che mentre veduta dall'esterno si presenta quasi rettilinea (fig. 16), internamente invece ha la configurazione che qui vediamo. Dietro la lamina sfrangiata dianzi descritta, ed in corrispondenza della spugna ossea, si osserva uno spazio che conduce in una cavità: l'an- trum. La curva mediana quindi è determinata dall'antro che si spinge contro la pars periotico-mastoidea. Questa è posta di contro alla la- mina sfrangiata — che rappresenta il margine posteriore dello squa- moso — e presenta anch'essa tre curve, inversamente disposte a quelle descritte. La curva inferiore circonda il rilievo conico della nascente apofisi mastoide. Nel preparati rappresentati dalle fig. 13, 17, 18 e 19, io ho do- vuto adunque asportare la spugna ossea in esame per far vedere la estensione ed i rapporti della cavità attico-antrale, che la medesima spugna nascondeva al nostro sguardo. | Ora dobbiamo chiederci: d'onde e come si origina questa caratte- ristica spugna ossea? È necessario anzitutto ricordare come nei cranii della eta a questa immediatamente precedente, osservammo già qualche volta che abra- dendo cautamente il tavolato esterno di quella parte dello squamoso che forma la parete esterna della cavità attico-antrale, si metteva in evidenza la spugna ossea di cui qui ci proponiamo studiare il modo ed il luogo di origine: in quella epoca però la spugna era appena ac- cennata e poco estesa. Ed è bene ricordare ancora che nei cranii della età di 7 mesi descrivemmo una disposizione che gia a quest’epoca pre- 300 A. Ruffini, lude alla formazione della spugna: voglio alludere alle crestoline ossee anastomizzate a guisa di rete che stanno tra i forellini di quel gruppo che è localizzato nella parte antero-superiore della parete interna della cavità dell’attico. Abbiamo osservato finalmente che queste crestoline, dapprima localizzate ad una breve zona, nella età di 8 mesi si vanno sempre più estendendo. | Sebbene adunque noi troviamo, gia prima di questa epoca, delle disposizioni che preludono alla formazione della spugna, la risoluzione però del quesito dobbiamo andarla a ricercare sempre nei cranii al- l'epoca della nascita circa. Studiandone un buon numero noi siamo sicuri di trovare tutti gli stadii di sviluppo che ci conducono ad ap- prendere con sicurezza dove e come la spugna ossea si vada for- mando. Per compiere questo studio è necessario di ricorrere o a tagli tra- sversali, condotti a diverse altezze e preferibilmente verso il mezzo della cavità attico-antrale, oppure alla asportazione completa della rocca petrosa alla sua base, in modo da poter vedere, dall'interno, la faccia interna della parete esterna della cavità attico-antrale. Si ottengono così dei preparati chiari ed eleganti (fig. 15). Le pareti della cavità attico-antrale sulle quali primieramente si manifestano le conseguenze della disposizione a crestoline ossee ana- stomizzate a guisa di rete, sono: una parte della superiore ed una parte della esterna; ossia: la porzione esterna della faccia inferiore del tegmen tympani e la parte superiore della faccia interna dello squamoso. Per cui si deve ritenere che l'osso dal quale primitivamente si origina la disposizione che dovrà condurre alla formazione della spugna ossea in esame, è solamente lo squamoso. La porzione esterna del tegmen tympani infatti non appartiene al periotico ma allo squamoso, il quale lungo la estremità inferiore della sua faccia endocranica manda — come se si sdoppiasse — verso l’interno una breve e sottile lamina piegata leggermente in basso, sulla faccia superiore della quale si so- vrappone ad embrice una lamina simile proveniente dal periotico (spor- genza pterotica); da questa disposizione nasce, come è noto, la sutura petro-squamosa. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 301 Nei luoghi cosi precisati lo sviluppo della spugna avviene con ra- pidita e precede di qualche tempo eli altri territorii della cavita attico- antrale nei quali pure precocemente notammo la presenza delle cresto- line anastomizzate a rete. Non tutte le crestoline germogliano col medesimo rigoglio; la mag- gior parte si rilevano quasi simultaneamente e sono quelle che delimi- tano le celle più piccole, mentre solo alcune si sollevano in alte lamine o sottili o cordoniformi che, sopravvanzando le altre, delimitano celle molto più ampie, in fondo alle quali la moltitudine delle piccole celle appare come un elegantissimo alveare. Questa apparenza è caratte- ristica per la faccia interna della parete esterna della cavità attico- antrale. In corrispondenza degli angoli sono le lamine cordoniformi che hanno una prevalenza assoluta; nella maggior parte dei casi si portano da una parete all'altra, come corde tese: mandano propagini, si rami- fieano alle estremità e formano colle creste vicine un trabecolato com- plesso ed elegante. Notevole é il fatto che a quest’epoca la spugna ossea non ha ancora raggiunta né la porzione divisoria della lamina periotica, né la zona limitrofa al rilievo del canale semicircolare esterno. Peró in queste parti esiste sempre la disposizione primitiva delle cresto- line ossee anastomizzate a guisa di rete, ma le crestoline si trovano ancora allo stato di bassorilievi. Nei eram più sviluppati di questa epoca adunque, la spugna neoformata occupa solamente le pareti su- periore ed esterna e gli angoli postero-superiore e supero-esterno della cavità attico-antrale. Risulta chiaramente, dalla serie dei preparati, che questa spugna manifesta un movimento invadente dai suoi luoghi di origine verso tutte le altre parti della cavità attico-antrale e che il processo neoformativo procede con una certa rapidità. Vanno qui ricordati altri fatti dei quali alcuni possono, da un punto di vista generale, interessarci per la questione che ci occupa. Da taluno si asserisce che l’anello timpanico, intorno all’epoca della nascita, incomincia a subire un processo di ossificazione irra- diantesi tanto dal suo contorno interno quanto da quello esterno, per dar luogo alla formazione di una parte del condotto auditivo osseo. Che l'anello timpanico sviluppi una ossificazione dal suo contorno esterno è un fatto sul quale non può cader dubbio, ma che dal suo 302 A. Ruffini, contorno interno realmente parta una ossificazione, non mi pare punto esatto. Nelle epoche molto giovani (5° mese) il contorno interno del tim- panico è unito al periotico per mezzo di una breve membrana fibrosa. Più tardi (6° mese) si solleva dal periotico una cresta ossea semilu- nare sulla quale si appoggia il contorno interno del segmento poste- riore dell'anello timpanico. Questa cresta si solleva posteriormente da un punto che all’esterno corrisponde al forame stilo-mastoideo ed al- l'interno all'eminentia pyramidalis, passa a livello del margine posteriore della finestra rotonda, gira medialmente al rilievo del promontorio e termina in corrispondenza della porzione ossea della tuba di Eustacchio. Sviluppandosi sempre di più, questa cresta semilunare provvede alla formazione di tutta quella porzione della parete della cassa timpanica compresa tra l'eminentia pyramidalis e la tuba di Eustaechio, chiude e forma la parete inferiore del canale carotideo — dapprima confor- mato a doccia (5° e 6° mese) — e finalmente forma quella piccola lamina ossea che alla nascita è interposta tra l’orifizio inferiore del canale carotideo, la porzione ossea della tuba di Eustacchio e la punta della rocca. Ora dunque all'epoca della nascita, ed in cranii ben ma- cerati, dell’anello timpanico non aderiscono che 1 suoi due corni alla porzione sottozigomatica dello squamoso, mentre invece tutto il resto è facilmente distaccabile dal margine timpanale della cresta semilunare del periotico. Poco dopo la nascita mentre il contorno interno dell’a- nello timpanico si salda col margine timpanale della cresta semilunare, il suo contorno esterno immediatamente sviluppa quella caratteristica ossificazione dalla quale deriva la nota doccia timpanale che insieme alla porzione sottozigomatica dello squamoso forma la porzione ossea del condotto auditivo esterno. Anche Hollard si era avveduto, studiando il cranio umano, che la cassa del timpano fosse fatta da due pezzi tempanici, come egli li chiama: «dont lune, qui paraît la premiére, est lanneau ou cadre, l’autre la lame qui constitue la caisse ou du moins la compléte». Ed aggiunge: «Je ne crois pas me tromper en voyant chez le foetus hu- main cette lame se former indépendamment du cadre, bien qu'à partir de lui» (pag. 365). Questa incertezza di Hollard deriva, io credo, dal Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 303 non avere egli potuto avere fra mano un materiale cosi abbondante come io ho avuto. Cid che per Hollard è probabilità, diventa per noi certezza. Io non vedo adunque in tutto questo processo due ossificazioni ir- radiantisi dal contorno interno e da quello esterno, che dovrebbero necessariamente portarsi in senso inverso, perchè appunto partenti da due contorni opposti. Quindi? la porzione di condotto auditivo esterno che deriva dal timpanico si forma esclusivamente per proliferazione ossea del solo contorno esterno dell'anello timpanico. La cassa del timpano nell Uomo viene formata dal periotico. L'errore nel vedere una duplice ossificazione irradiantesi dai due contorni del timpanico, si puó arguire che possa esser derivato attri- buendo all Uomo ciò che invece è proprio di altri Mammiferi. Dallo studio comparativo sappiamo infatti che il timpanico è realmente il centro di due ossificazioni partenti dai suoi due contorni; dal contorno Interno si origina una gran parte della cassa del timpano, dal contorno esterno una gran parte del condotto auditivo. L'altra e l'ultima particolarità a cui voglio riferirmi è la seguente. È noto che nell’adulto su tutta la periferia interna di quel segmento della cassa del timpano che si estende dalla eminentia pyramidalis al- l’orifizio timpanico della porzione ossea della tuba di Eustacchio, esista una spugna ossea, fatta da celle irregolari, diversamente ampie, divise da lamine ossee terminanti con margini il più delle volte taglienti, seghettati e dai quali spesso si distaccano finissimi aculei, simili a stalam- miti, che terminano liberamente. Tutte le celle di questa spugna — fra loro comunicanti — si aprono largamente verso la cavità del tim- pano. Interessante era di sapere in quale epoca e come questa spugna Si sviluppasse, non solo: ma di conoscere se eventualmente nei Mam- miferi si ritrovi una formazione che a questa possa esser paragonata. Di questa ultima questione parleremo nella parte comparativa, mentre a proposito degli altri quesiti dobbiamo subito dire che già all’epoca di 7 mesi circa, incominciano a manifestarsi i segni di questa forma- zione. Il processo è molto simile a quello che abbiamo osservato per la formazione della spugna ossea che trovasi nella cavità attico-antrale. Crestoline anastomizzate a rete si osservano su tutta questa parete e 304 A. Ruffini, spesso invadono anche la parte vicina del promontorio. Dalle cresto- line a basso rilievo, nello sviluppo sorgono laminette che formano i primi trabecolati alle piccole celle nascenti. All’epoca della nascita, la spugna è appena accennata: le celle sono piccole ed il trabecolato molto basso ancora. È solo durante il primo anno di vita che la spugna si fa ben manifesta e non raggiunge il massivo sviluppo che nella giovinezza. Riassunto. — La pars periotico-mastoidea non è completamente ossificata: rimangono ancora tracce dell’incavo a forma di semiluna. — Si forma la incisura parietalis. — La sutura squamo-mastoidea si ricompone ed assume un decorso quasi rettilineo. — La proeminenza A . coniforme è più pronunziata ed è divisa dalla sutura squamo-mastoi- dea. — La spugna periotica è costituita da celle più numerose e più ampie che nelle epoche precedenti. — La cavità attico-antrale è già ampia e profonda ed oltrepassando la sutura squamo-mastoidea, va a situarsi al di sopra di quella parte della spugna periotica che origina dal canale semicircolare esterno. È circondata dalla porzione divisoria della lamina periotica i cui forellini sono numerosi ed ampii. — La spugna squamosa si origina dalla parete esterna della cavità attico- antrale che è formata dallo squamoso. Essa manifesta un movimento invadente verso tutta la cavità attico-antrale, che tende a riempire. — Il segmento inferiore della cassa del timpano è formata dal perio- tico. — Incomincia a formarsi la spugna ossea che tappezza la super- ficie interna della cassa timpanica. Cram dopo la nascita. Per lo studio dell'apofisi mastoide in situ, scelsi sei cranii di età differente e progressivamente crescente dai 2 0 3 mesi fino a 3 anni circa. Questo studio venne controllato, tutte le volte che la necessità lo imponeva, con sezioni di temporali dirette in sensi differenti e che sembravano più utili per dimostrare le particolarità ed i rapporti che era necessario conoscere con chiarezza. Nel cranio dell’apparente età di 2—3 mesi di vita extrauterina, la pars periotico-mastoidea é quasi come alla nascita, tanto per le sue apparenze esteriori, quanto per la disposizione delle parti interne. La Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 305 sutura squamo-mastoidea, la proeminenza coniforme e la incisura diga- strica sono ancora presso che immutate. Neppure la evoluzione delle parti interne ha subito notevoli cambiamenti, come è chiaramente di- mostrato dalla fig. 21. I fatti che qui osserviamo sono quelli stessi gia descritti in un preparato simile dell’epoca immediatamente prece- dente. La spugna ossea proveniente dallo squamoso è alquanto pit sviluppata. Le celle della spugna della pars periotico-mastoidea sono più ampie di quello che non fossero nelle età precedenti. A queste due spugne ossee — che ora troviamo e che più tardi pure ritroveremo l'una di contro all'altra — è necessario che noi fin da ora assegniamo una denominazione speciale, per non incorrere in possibili fraintesi e per la brevità. A tal proposito ci sarebbe facile scegliere fra le denominazioni già in uso e dare la preferenza ad es. a quella che distingue le celle mastoidee in aerifere e diploiche. Ma il concetto contenuto in tale distinzione non sembrandoci assolutamente provato ed esatto e d’altra parte reputando sempre preferibile una denominazione che racchiuda il concetto della derivazione, così noi, da qui innanzi, indicheremo queste due spugne ossee coi nomi di spugna periotica, quella che in un’epoca precoce proviene dai canali semicir- colari, e spugna squamosa, l’altra, la cui origine tardiva va riferita allo squamoso. I limiti fra le due spugne sono, fin qui, nettamente segnati: per la prima dalla lamina periotica, per la seconda dalla estre- mità posteriore dello squamoso, che si dispone lungo la sutura squamo- mastoidea, come fu veduto nella fig. 14 e come vedesi nelle fig. 21 e 26. All'età di 4—5 mesi l'apofisi mastoide non è ancora rilevata, per quanto la proeminenza coniforme ed il solco digastrico siano già più accentuati. Aperta la regione squamo-mastoidea nel punto che ci in- teressa (fig. 22) ed asportata la spugna squamosa, possiamo vedere l'ampiezza e la profondità considerevoli che a quest'epoca ha raggiunto la cavità attico-antrale. Essendosi essa già spinta molto più all'in- dietro della sutura squamo-mastoidea, è venuta ad insinuarsi dentro la spugna periotica, le cui celle, abbastanza ampie, comunicano largamente con la cavità attico-antrale per mezzo delle innumerevoli aperture che tempestano tutta la lamina periotica, in questo caso appena riconoscibile. Re Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 20 ^ 306 A. Ruffini, Ad 8 mesi — si conosce l’età precisa del bambino a cui questo cranio apparteneva — l’apofisi mastoide è già comparsa (fig. 23). Asportato largamente il tavolato esterno di tutta la regione compresa tra la radice dell’apofisi zigomatica e l’apice dell’apofisi mastoide, ed abrasa anche la porzione inferiore della spugna squamosa, noi possiamo rilevare dei fatti assai interessanti, specialmente se con la parte così preparata compariamo immagini che si ottengono sezionando o vertical- mente o trasversalmente ossa temporali o di età precedenti o della stessa età; per esser sicuri della età corrispondente, ci siamo serviti anche dell'osso temporale del lato opposto a quello dal quale fu rica- vata la fig. 23. La cavità attico-antrale si è fortemente distesa, quindi la sua ampiezza, paragonata alle epoche immediatamente precedenti, assume proporzioni rilevanti. La sua tendenza ad invadere il territorio occu- pato dalla spugna periotica appare con evidente chiarezza. La spugna squamosa — i cui caratteri differenziali su quelli della spugna perio- tica incominciano a risaltare — riempie quasi tutta la cavità attico- antrale; ad eccezione di qualche raro caso, questa spugna non ha rag- giunto ancora il fondo di quella porzione della cavità attico-antrale che si insinua nella spugna periotica (fig. 23). Quest'ultima occupa e riempie tutto il centro della piccola apofisi mastoide, la cui base è occu- pata, come abbiamo veduto, dal diverticolo esteruo della cavità attico- antrale e dalla spugna squamosa. Nel cranio di un anno circa (fig. 24) sebbene lapofisi mastoide non sia gran che più sviluppata di quella della età precedente, pur tuttavia nel suo interno notiamo fatti che ci interessano. La spugna squamosa riempie completamente tutta quanta la cavità attico-antrale e quindi le lamine divisorie delle sue celle si attaccano anche sul fondo del diverticolo estremo della stessa cavità, ossia sulla porzione divi- soria della lamina periotica. La differenza di conformazione tra la spugna squamosa e quella periotica è di una evidenza patente: mentre le celle di quest'ultima rimangono piccole e di grandezza quasi uni- forme, quelle della prima diventano sempre più ampie, disuguali ed irregolari. Nelle ossa ben macerate si osserva anche, da qui in avanti, una differenza di colore tra le due spugne: quella squamosa ha il colore Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 307 volgente più al bianco, mentre l'altra l'ha volgente più al giallo od al giallo-grigiastro.. Nella fig. 24 si vede molto chiaramente la persi- stenza della lamina divisoria (lamina periotica) tra la spugna periotica e la cavità attico-antrale, mentre nel caso precedente essa era appena riconoscibile. 5. Insorgenza dell’apofisi mastoide. Necessita ora di riassumere e porre in rilievo i fatti che prece- dono ed accompagnano la insorgenza dell’apofisi mastoide, perchè dalla loro valutazione ci sarà possibile di giungere alla conoscenza delle cause per le quali può nascere, nelle Scimie antropoidi e nella specie nostra, una formazione così speciale, che da tanti anni tien desta l’attenzione degli osservatori. Gli elementi primitivi dai quali l'apofisi mastoide dovrà. molto più tardi, trarre il materiale per la sua formazione, sono rappresentati, al 5° mese circa della vita intrauterina, dalla cavità dell’attico, da parte dello squamoso, e dai due nuclei ossei che per irradiazione derivano dal canale semicircolare esterno e da quello posteriore, da parte del periotico. Però il territorio d’onde insorgerà l’apofisi, corrisponde al nucleo di ossificazione del canale semicircolare esterno (nucleo prossi- male). La spugna ossea che si irradia dai canali semicircolari è dap- prima assai poco spessa e quindi la distanza che separa il canale semicircolare esterno dalla superficie esterna è minima (fig. 9 e 39). Lo spessore della spugna periotica va però aumentando man mano che la pars periotico-mastoidea va ognor più accrescendosi. Allorche la cavità dell'attico spinge il suo diverticolo in dietro — varcando la sutura squamo-mastoldea,- ossia il primitivo confine tra squamoso e periotico — esso diverticolo non fa che passare al davanti del canale semicircolare esterno, spingendosi innanzi la lamina periotica e deter- minando cosi quel rapporto tra l'aditus ad antrum ed il rilievo di questo canale semicircolare che è l’unico a non essere più mutato durante le profonde trasformazioni che si avvereranno in seguito. Il diverticolo verrà allora a ritrovarsi al di sopra della spugna ossea del primitivo nucleo prossimale, pronto ad invaderla nelle epoche successive, 20* 308 A. Ruffini, La documentazione di questi fatti si puo avere facendosi dalla fig. 39 e passando successivamente alle fig. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 10. Alla nascita la pars periotico-mastoidea aumenta, di comune con- senso con tutte le altre ossa del cranio, in tutti i sensi per l’accresci- mento della ossificazione dei suoi due nuclei primitivi (prossimale e distale) e per la concorrenza del terzo focolaio irradiantesi dal canale semicircolare superiore. La proeminenza coniforme sporge immediata- mente dietro alla porzione sottozigomatica ed al corno posteriore del timpanico. Nel suo interno sono già tutti presenti gli elementi che dovranno essere usufruiti per la insorgenza dell’apofisi mastoide: la spugna periotica, la cavità attico-antrale, la spugna squamosa. La spugna periotica — con tale denominazione non abbiamo inteso comprendere tutta la spugna della pars periotico-mastoidea, ma solo quella sua parte che sta nella proeminenza coniforme e che derivò dal canale semicircolare esterno — non si è mossa dalla posizione primi- tiva, ma tra la sua superficie esterna ed il canale semicircolare corre ora, per l'accrescimento in spessore, una distanza abbastanza grande. Il numero e l'ampiezza delle celle sono aumentati. La cavità attico-antrale, spintasi in dietro ed in basso, sovrasta alla spugna periotica, senza averla ancora invasa. La spugna squamosa — nata dalla faccia interna della parete esterna della cavità dell'attico e dalla porzione squamosa del tegmen tympani — è pronta ad invadere la cavità attico-antrale con la sua tela elegante, ordita di lamine divisorie invadenti e di celle ampie e multiformi. La documentazione di questi fatti si ha nelle fig. 13, 14, 17, 18, 19. e. 20. Dopo la nascita e durante la prima metà del primo anno, lievi ma non trascurabili modificazioni accadono nella disposizione delle singole parti. L’osso temporale incomincia a questa epoca a subire le sue ben note trasformazioni, le quali — «considerando solo ció che riguarda il nostro argomento — conducono gradatamente ad allontanare dalla base della rocca petrosa tanto la porzione soprazigomatica dello squamoso, quanto la pars periotico-mastoidea. Questa peró subisce, contempo- raneamente, anche uno spostamento all'indietro. Le conseguenze di Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 309 questo duplice spostamento della pars sono sempre più percepibili man mano che ci avviciniamo verso la seconda metà del primo anno. Del duplice movimento risente naturalmente anche la proeminenza coniforme; da ciò segue che mentre fino ad ora essa trovavasi accanto e dirimpetto al gruppo dei canali semicircolari, ora va allontanandosene nei due sensi indicati. La spugna periotica segue il suo accrescimento, rilevabile dal numero crescente delle celle e dalla loro ampiezza maggiore. La cavità attico-antrale si fà gradatamente più ampia e mani- festa tendenze sempre maggiori a sospingersi verso la spugna periotica. La spugna squamosa non ha ancora raggiunto il fondo della cavità attico-antrale. Osservare per la documentazione le fig. 21 e 22. Nella seconda metà del primo anno insorge finalmente l’apofisi mastoide. Oltre che nel cranio la cui giovane apofisi è rappresentata nella fig. 23, mi fu dato studiare il suo primo insorgere anche in molti altri temporali, quasi tutti della medesima epoca, e controllare, su se- zioni direttein vario senso, la disposizione reciproca degli elementi interni. Da quanto mi fu dato osservare nella ricchissima collezione cra- niologica del nostro Museo, io ho ricavata la convinzione che la insorgenza dell’apofisi mastoide è rapida; il che sta in opposizione al suo lento accrescimento consecutivo. Piccolo rilievo dapprima, il cui apice non oltrepassa, o solo di qualche millimetro, il corno posteriore dell'anello timpanico; la. sua posizione è tale che conducendo una sezione verticale dall'esterno al- l'interno, che passi nel suo bel mezzo, il taglio va ad interessare il canale semicircolare posteriore. Dunque l’apofisi sta sempre quasi dirimpetto al gruppo dei canali semicircolari; dai quali è, nella grande maggioranza dei casi, divisa solamente da quella spugna ossea di cui essa stessa non è che una derivazione ed una continuazione. Qualche rarissima volta, a questa epoca, si può trovare l’antro inter- posto tra lapofisi e la spugna predetta, ma nella grande maggioranza dei casi ciò non accade. Ad ogni modo questo eccezionale rapporto è interessante. 310 A. Ruffini, Da qui innanzi, tutti gli elementi dell’apofisi si accrescono di con- serva, mentre nello stesso tempo si vanno sempre pitt facendo mani- festi e l'allontanamento dello squamoso dalla base della rocca petrosa e il duplice spostamento dell’apofisi mastoide. La cavità attico-antrale si dilata fortemente in alto, cioè in quella sua parte media che sta tra la base dellapofisi mastoide e l’aditus ad antrum: lungo una linea che passando per il mezzo della porzione sottozigomatica vada nell’angolo rientrante della incisura parietalis dello squamoso. Questa forte dilatazione della cavità attico-antrale è una delle cause per cui la porzione corrispondente dello squamoso venga allontanata dalla base della rocca. La spugna squamosa finisce per invadere completamente tutta la cavità attico-antrale e quindi anche il fondo della stessa che sovrasta alla spugna periotica (fig. 24). Quest'ultima occupa tutta la parte proeminente della giovane apofisi (fig. 23, 24 e 27). Le sue celle, dai 2 o 3 anni di vita in poi non crescono più che poco o punto in ampiezza. La spugna periotica raggiunge ordinariamente il suo massimo di sviluppo in un’età che può variare tra i 2 ed i 4 anni di vita e qualche volta forse anche più in là. È certo però che essa ha un periodo di accrescimento, che non può essere posto in dubbio, qualora si abbia sotto gli occhi tutta una serie di preparati dalle età più precoci della vita fetale fino alla età qui sopra indicata. Per mettere chiaramente in evidenza questa spugna nell’epoca del suo massimo sviluppo è necessario preparare la regione mastoidea come è dimostrato dalle nostre figure 25, 26 e 27, le quali, nella loro semplicità, mi sembrano eloquentissime. L'intumescenza corrispondente all’apofisi mastoide è data ancora unicamente dalla spugna periotica, le cui celle sono ampie quasi quanto quelle periferiche della spugna squamosa. Nel caso rappresentato dalla fig. 25 ogni traccia esterna della sutura squamo-mastoidea era scom- parsa: internamente una striscia ossea a piccolissime celle, che ripete la direzione sua e che è interposta tra le due spugne, squamosa e periotica, ne sta ad indicare le vestigia. Nel caso rappresentato dalla fig. 26 la sutura squamo-mastoidea era presente: internamente il mar- gine suturale si vede rilevato sul piano delle spugne per modo che Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 311 quella squamosa sopravanza sul piano della spugna periotica. In ambedue i casi è chiaro che la intumescenza dell’apofisi è costituita internamente a spese della spugna squamosa. La sezione transversale rappresentata dalla fig. 27 chiarisce meglio la disposizione osservata nella precedente figura. Dai fatti così concretati e documentati, noi possiamo dedurre le seguenti proposizioni. L’apofisi mastoide insorge per accrescimento di quella parte della spugna periotica che deriva dalla primitiva ossificazione irradiantesi dal canale semicircolare esterno (nucleo prossimale). L’insorgenza dell’apofisi mastoide é preceduta dalla proeminenza coniforme, che internamente contiene già tutti gli elementi che do- vranno servire alla costruzione dell’apofisi. La sua insorgenza è favorita: dalla progressiva e rapida dilata- zione della cavità attico-antrale e dall’ampliamento della vicina cassa del timpano. La progressiva e rapida dilatazione della cavità attico-antrale determinando una considerevole diastasi del tavolato esterno al davanti ed al di sopra del punto da cui deve insorgere l’apofisi, coadiuva la spugna periotica ad accrescersi. L'ampliamento della cassa del timpano asseconda, dal disotto, la diastasi dell’esterno tavolato, per modo che la spugna periotica viene favorita ad accrescersi verso l’esterno da tutti i lati, meno che da quello posteriore. L’azione della cavità attico-antrale non può assolutamente essere eliminata nella formazione dell’apofisi mastoide. 6. L’apofisi mastoide dal bambino all’adulto. Già da molto tempo è conosciuto che l’apofisi mastoide cresce col crescere della età e che le celle contenute nel suo interno non hanno sempre lo stesso aspetto; perciò furono distinte in celle aerifere o pneumatiche e celle diploiche. Benchè le varietà individuali nel conte- nuto qualitativo delle due specie di celle siano numerose, tuttavia Zuckerkandl pete, molto giustamente, dividere le apofisi mastoidee in tre categorie: pneumatiche, diploiche e miste. 312 A. Ruffini, La distinzione delle due specie di celle era giustificata, come pure corrisponde alla realta dei fatti la classificazione proposta da Zucker- kandl. Perd sarebbe assai meglio sostituire alla distinzione analitica, già in uso, delle celle, quella comprensiva da me adottata di spugna - periotica e spugna squamosa, perchè in essa viene incluso anche il concetto delle origini. Le celle diploiche corrispondono alla nostra spugna periotica — di origine precoce per irradiazione del canale semicircolare esterno —; le celle aerifere corrispondono alla nostra spugna squamosa — di origine tardiva, da parti ben determinate dello squamoso. i Vediamo ora se in base ai resultati delle nostre ricerche è possi- bile di comprendere la ragione delle varietà individuali, così esatta- mente indicateci dalla statistica di Zuckerkandl. Come abbiamo già detto, la giovane apofisi mastoide, nei primi tempi della sua comparsa, è costituita solamente a spese della spugna periotica; essa dunque é diploica (fig. 28a). Più tardi si manifesta con tutta chiarezza il fenomeno mediante il quale la cavità attico-antrale, non disgiunta mai dalla spugna squa- mosa, invade il territorio occupata dalla spugna periotica e lentamente le si sostituisce; nel medesimo tempo l’apofisi va aumentando di vo- lume. Anzi dai pochi preparati che io possiedo di questo momento, si riceve l'impressione che l'aumento di volume avvenga dalla base verso l'apice, ossia dalla parte invadente verso quella invasa. Ad ogni modo è certo che vi è un periodo di tempo — che io, per man- canza di materiale, non ho potuto stabilire — in cui l’apofisi mastoide resulta composta in parte di spugna squamosa, che sta verso la base, ed in parte di spugna periotica, che è ricacciata verso l’apice. In questo momento adunque l'apofisi mastoide è mista (fig. 28b e 29a). Se l’invasione seguiterà a progredire tanto da invadere tutto l'am- bito compreso tra i due tavolati dell’apofisi, in modo che ogni traccia della spugna periotica venga a scomparire, allora si avrà il tipo del- l'apofisi mastoide pneumatica (fig. 29b). Qualora ci fosse concesso di poter considerare come normale la evoluzione cosi percorsa dall'apofisi mastoide — il che mentre non toglierebbe nulla alla reale essenza delle cose, offrirebbe a noi un Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. ILE modo semplice per intenderci — potremmo considerare tanto le apofisi diploiche quanto le miste come tipi derivanti da arresto di sviluppo. Stando alla statistica di Zuckerkandl*) bisognerebbe perd cre- dere che la percentuale dei casi di arresto di sviluppo sarebbe, com- prensivamente, maggiore dei casi in cui si pud compiere la evoluzione completa. Difatti */, circa delle volte si avrebbe o il tipo diploico o quello misto. Ma c’è da riflettere che la statistica di Zuckerkandl, non può esser presa in senso assoluto, né come regola: essa esprime una formula approssimativa, i cui termini si potrebbero spostare, io credo, da una parte all'altra, con la massima facilità. È certo però che se anche altre statistiche più numerose dovessero confermare i dati ottenuti da Zuckerkandl, nulla ci potrebbe impedire di ritenere che nella specie nostra, per ragioni che ci sfuggono, non possa esser raggiunta, nella maggior parte dei casi, la evoluzione completa. Che l’ultimo grado della evoluzione possa esser rappresentato dalla apofisi pneumatiche, ci viene suggerito tanto dal modo di progredire durante lo sviluppo, quanto da quello che più avanti vedremo nello studio comparativo. L’apofisi mastoide seguita a crescere, come a tutti è noto, dalla giovinezza fino alla età avanzata, e crescendo non cessa di spostarsi in fuori, in dietro e in basso. Di modo che nell’adulto non trovasi più dirimpetto al gruppo dei canali semicircolari — come nell’atto della sua insorgenza — ma se n'é tanto allontanata da parere quasi strano che potesse aver avuto un simile rapporto di vicinanza. In un temporale di adulto da me preparato e studiato (fig. 30) la distanza che corre tra la convessità del canale semicircolare posteriore — che è il più sporgente all’infuori — e la superficie esterna dell'apofisi, è di oltre due centimetri. La stessa cifra fu ottenuta da Hannover. Lo spostamento all’indietro è tale da potersi dire che l’apofisi mastoide sta ora davanti al gruppo dei canali semicircolari solamente col suo margine anteriore. Durante il lungo periodo dell'accrescimento, le celle mastoidee si comportano diversamente secondo che trattasi di apofisi diploiche, o 1) Ecco i resultati statistici di Zuckerkand/, ottenuti dallo studio di 100 casi: — Apofisi mastoidee diploiche, 20%; — miste, 43,2%; — pneumatiche, 36,8°/). 314 A. Ruffini, miste, o pneumatiche. In tesi generale: la spugna diploica si comporta molto diversamente da quella squamosa. | La spugna diploica — sia essa contenuta totalmente o parzial- mente in un’apofisi — non muta gran fatto nell'aspetto suo che posse- deva durante l'età infantile. Le celle crescono in ampiezza ma solo di pochissimo; i setti divisorii, rimanendo spessi e tozzi, formano un tra- becolato angusto e grossolano. La spugna squamosa si riconosce sempre a colpo d’occhio per la elegante architettura del trabecolato, per l'ampiezza delle celle e per il suo colore tendente al bianco. Le celle crescono continuamente e disugualmente. L’accrescimento, pur essendo continuo, non avviene sempre allo stesso modo, e ciò è interessante a conoscersi. Dapprima aumentano in ampiezza per semplice dilatazione, ma allorchè, nell’adulto, incominciano a comparire le grandi celle le quali, come è noto, son poste verso l’apice dell’apofisi, o nelle parti limitrofe, il processo cambia. Analizzando una di queste grandi celle, restiamo facilmente edotti del processo secondo il quale avviene qui l'aumento in ampiezza (fig. 31). La cella è anzitutto molto irregolare ed a colpo d’occhio si vede che vien formata per confluenza di un numero variabile di celle più pic- cole, largamente aprentisi in una vasta cavità centrale; questa ricorda abbastanza esattamente il pittoresco aspetto di una caverna, dalle cui pareti anfrattuose si ergono stalattiti e creste ossee di varia forma e grandezza. Tanto le stalattiti che le creste si trovano sempre sui con- torni sporgenti dei diverticoli che rappresentano celle trasformate e confluite. Dunque è chiaro che queste caverne non si formino per sem- plice dilatazione di una piccola e media cella, ma che esse sono il resultato della confluenza di un numero variabile di celle, i cui sepi-. menti, se distrutti in totalità, spariscono, se distrutti in parte, per- mangono sotto forma di stalattiti o di creste ossee. Un processo non dissimile deve accadere quando l’apofisi è occupata da un piccolo numero di grandi celle (3 0 4) oppure da una sola cella (Cruveilhier, Zoja). Un altro fatto molto interessante, che fu anche osservato da Zoja, è che le grandi celle comunicano sempre molto ampiamente col canale petro-mastoideo. J/ che val quanto dire che esse sono l'espressione ulti- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 315 ma del continuo e progressivo movimento espansionale da cui è ani- mata la cavità attico-antrale. Questo movimento espansionale può essere, come resulta dai dati statistici di Zuckerkandl, ostacolato fin dal principio (apofisi diploiche) od arrestato durante il cammino (apo- fisi miste); ma se le cause dell’arresto non intervengono, la cavità attico-antrale finisce sempre per conquistare tutto l'ambito compreso tra i due tavolati dell’apofisi mastoide e dare le manifestazioni ultime che abbiamo qui sopra studiate (apofisi pneumatiche). Che la forze espansionale stia nella cavità attico-antrale e non nella spugna squamosa, mi sembra chiaramente dimostrato dal modo come vengono prodotte le caverne. Ciò vuol dire che in ultima analisi la spugna stessa viene usurata e parzialmente consumata dalla forza attiva che risiede nella cavità attico-antrale. Quindi la spugna squa- mosa dapprima viene spinta a distruggere — 0 parzialmente o total- mente — la spugna periotica, e da ultimo essa stessa rimane in parte distrutta. La forma e la disposizione delle celle nelle diverse parti di un’apo- fisi mastoide pneumatica, sono a tutti note e vennero con cura spe- ciale studiate da Zoja. Ma noi vogliamo riprenderle nuovamente in esame, perchè da questi fatti possiamo trarne utili conseguenze... Pre- parando un osso temporale, come di consueto suol farsi per tale dimo- strazione — e come noi abbiamo fatto nella preparazione rappresen- tata dalla fig. 32 — si vede che le celle mastoidee non hanno dovunque lo stesso aspetto e la medesima ampiezza; si possono distinguere in tre gruppi: piccole, medie e grandi. Le piecole stanno attorno alla porzione iniziale del canale petro-mastoideo: hanno forma allungata, con la estremità distale rigonfiata; son disposte radialmente, nel senso della direzione del canale, o ad esso parallele 0, in maggior parte, leggermente oblique. Le medie stanno nella estesa porzione basale dell’apofisi: hanno forma irregolare, ma sono sempre, o quasi, allun- gate nel senso della direzione del canale petro-mastoideo; le più pros- sime alle piccole ed al canale, possiedono generalmente una forma di fiasco o di pera ed hanno l’estremità sottile volta verso le piccole celle o verso il canale e la estremità rigonfia verso l’apice dell’apofisi. Le grandi si trovano sempre alla periferia, verso l’apice dell’apofisi: ma 316 A. Ruffini, le grandissime si localizzano frequentemente in quella parte della por- zione mastoidea che sta tra la incisura digastrica e la sutura occipito- mastoidea. Tutte le celle comunicano più o meno ampiamente. A questo riguardo Zoja scrive: ,. . . . le cellule mastoidee per la lora disposizione tendono meglio a comunicare le inferiori con le superiori di quello che non accada con quelle poste lateralmente e si direbbe con ciò che hanno tendenza come ad incanalarsi . .“ Della loro confor- mazione e delle loro ampie comunicazioni con la cavità attico-antrale, abbiamo già sopra parlato. Molto suggestiva ed interessante è anche la disposizione della membrana che tappeza le celle: ,,Le fenestre dei setti ossei — scrive Zoja — frapposti alle cellule mastoidee sono otturate dalla stessa membrana che tappezza internamente ogni cellula; e notisi qui pure che un tale sepimento membranoso chiude più spesso i fori che stanno sui lati che non avvenga di otturare gli altri sopra e sotto- posti.“ La disposizione adunque delle celle nelle diverse parti di una apofisi mastoide pneumatica può essere sintetizzata riconducendola ad uno schema semplice quale è quello da noi rappresentato nella fig. 33. 7. Interpretazioni. \ La lunga serie di fatti ricordati e descritti ci conduce neces- sariamente ad indagare quali siano le cause per le quali molte delle formazioni e trasformazioni studiate possano ragionevolmente accadere. Da tutto quanto abbiamo fin qui appreso appare evidente che la massima parte delle trasformazioni che succedono nella regione mastoidea siano dovute alla cavità attico-antrale, la quale si manifesta come ani- mata da una forza espansiva, i cui effetti, per quanto iniziantisi negli ultimi mesi della vita intrauterina, non raggiungono proporzioni rile- vanti che dopo la nascita. Pare anzi che questi effetti non cessino mai di manifestarsi durante tutta la vita. Il che val quanto dire che la causa determinante — la forza espansiva — agisce sempre. Noi dunque ci siamo domandati: d’onde proviene ed in che cosa consiste questa forza espansiva che anima e sospinge, sempre, per Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. lu: tutta la vita, la cavita attico-antrale? E che cosa é questa cavita se non una manifestazione tangibile della forza stessa? Chiedemmo la risposta non alla morfologia — che non può soc- correre nella indagine causale — ma alla fisiologia — che insegue e scruta le cause. E la fisiologia ci ha indicata la via da percorrere affinchè una simile indagine riesca fruttuosa. Non dobbiamo qui ricordare o riassumere i fatti che si riferiscono alla fisiologia dell'orecchio medio, nè criticare alcune opinioni poco ponderate e poco in accordo con le disposizioni anatomiche ed anatomo- comparate. Siamo però in obbligo di constatare che la fisiologia del- l'orecchio medio fu molto trascurata fino ad oggi e che molti problemi, forse fondamentali per la conoscenza del senso dell’udito, attendono an- cora la loro soluzione definitiva. A noi basta sapere: 1° che dalle esperienze di Secchi, condotte con rigore di metodo, risulta chiaro che dopo ogni movimento di de- glutizione la pressione endotimpanica si innalza e diventa positiva; 2° che gli stimoli acustici sono capaci anch’essi di elevare la pressione endotimpanica, per contrazione reflessa durevole (tetanica) dei muscoli endotimpanici (Secchi, Bochendahl); 3° che nelle espirazioni forzate, a narici e bocca chiusa, una colonna d'aria, vincendo la resistenza opposta dalla chiusura della tuba di Eustacchio, penetra nella cassa timpanica ed eleva più o meno fortemente la pressione dell’aria in essa contenuta (esperienza positiva di Valsalva). Nulla sappiamo della pressione endotimpanica nel feto. Ci è sola- mente noto che, specialmente negli ultimi mesi della gravidanza, il feto compie movimenti di deglutizione mediante i quali viene ingerito il liquido amniotico e le sostanze solide in esso sospese (cellule epiteliali sfaldate, peli, etc.) che vengono poi emesse nelle prime defecazioni sotto forma di meconio. Conosciamo anche che il corpo del feto è continuamente agitato da vivaci contrazioni muscolari, le quali si fanno sempre più frequenti e forti man mano che si avvicina l’epoca del parto. Premesse queste nozioni sicure, vediamo se noi possiamo trarre, dalla loro conoscenza, utili applicazioni per risolvero il problema che abbiamo posto. 318 A. Ruffini, La cavità dell’attico incomincia nel 7° mese della vita intraute- rina ad inviare un suo diverticolo posteriormente, verso la pars perio- tico-mastoidea; questo diverticolo non aumenta molto nei due mesi suc- cessivi, ma gradatamente va pur crescendo fino alla nascita. Ecco la prima e la più forte difficoltà da superare nella indagine causale. Qual forza invocare? L’accrescimento per proliferazione forse? Qui evidentemente non si tratta di un ristretto territorio osseo, proliferante, spugnoso o compatto, ma di una cavità — in diretta co- municazione con una serie di altre cavità preformate (attico, timpano, tuba) — che nell’avanzarsi scosta, sposta e piega le lamine ossee li- mitanti e si allarga ed invade una regione finamente spugnosa (pars periotico-mastoidea) dove può crescere a suo bell’agio. Ma in nessuna parte nessun segno mai di proliferazione, la quale potrebbe, forse, in- vocarsi qualora il diverticolo avesse una parete propria. Dunque non è logicamente consentito altro modo di pensare all’infuori di quello che il diverticolo antrale cresca spinto da una forza che proviene dalle cavità con le quali è in diretta comunicazione. Il feto compie movimenti di deglutizione. I muscoli del feto sono in preda a continue e forti contrazioni. Nel feto tutte le cavità co- municanti col diverticolo antrale, che più tardi conterranno aria, con- tengono un liquido sovraccarico di muco. Tutto questo è sufficiente per trovare una spiegazione logica. Non v'é alcuna ragione per dubitare che nella deglutizione del feto non entrino in giuoco gli stessi meccanismi muscolari che intervengono in quella dell'adulto. Cosi pure è logico ritenere che i muscoli endotim- panici e gli stessi costrittori della tuba debbano venire agitati dalle medesime contrazioni dalle quali sono animati tutti gli altri muscoli del corpo. Allora, se così è, siamo costretti ad ammettere che per effetto di tali contrazioni venga esercitata una compressione sul liquido mucoso che riempie queste cavità. Il liquido compresso dal lato della cassa timpanica, per l’azione dei muscoli tubarici e per quella dei muscoli endotimpanici, non può venire sospinto che verso l’attico, dove incontra una resistenza invincibile da tutte le parti, tranne che da una: nella parte superiore dell'angolo acuto che vien formato per la Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete, 319 convergenza allindietro delle due pareti, esterna ed interna, della ca- vità dell’attico. Qui solamente il liquido compresso trova il suo locus minoris resistentiae e non nella parte inferiore, perchè in questo punto la lamina periotica aderisce tenacemente sul contorno del canale semi- circolare esterno, che forma il noto rilievo. Nel punto da noi indi- cato le resistenze sono lievissime. La lamina periotica è di una sotti- gliezza estrema e la parte contro la quale il diverticolo si espande è costituita dalla tenuissima spugna del nucleo prossimale (fig. 3 ed 8). Alla nascita la sostituzione dell’aria al liquido mucoso, non muta nulla nelle conseguenze delle condizioni fisiche, perchè le leggi che regolano la compressibilità e l’afflusso, sono uguali tanto per i liquidi che per i gas. Gli atti di deglutizione più frequenti; l'intervento degli stimoli acustici, la possibilità nel compiere espirazioni forzate a narici e bocca chiusa, sono tutte condizioni che contribuiscono a mantenere, ed oserei anche dire, ad accrescere la pressione positiva dell’aria con- tenuta nella cassa del timpano. Gli effetti di tutte queste condizioni fisiche, più che dalle esperienze fisiologiche, ci vengono chiaramente dimostrati dalle condizioni anatomiche. Il diverticolo antrale, dopo la ' nascita, si espande in una cavità che va gradatamente e rapidamente crescendo verso la pars periotico-mastoidea, portandovi tutte quelle modificazioni che noi già conosciamo e che sarebbe superfluo ripetere ancora una volta. La persistenza continua, per tutta la vita, della causa fisica da noi posta in evidenza, ci dà la ragione tanto dei mutamenti continui che avvengono nella architettura interna dell’apofisi mastoide quanto delle apparenze così caratteristiche e suggestive che le celle della spugna squamosa assumono nell'adulto e che noi anche una volta ab- biamo voluto dimostrare nella fig. 32 e nello schema (fig. 33) a cui questa figura si può riportare. Si presentano però due difficoltà per accettare la spiegazione da noi proposta. La prima potrebbe affacciarsi facendo risaltare la sproporzione tra la tenuità della causa e la rilevante apparenza degli effetti. La lieve pressione positiva endotimpanica può esser capace di produrre tutta la serie di trasformazioni che abbiamo descritte? Se si trattasse 320 A. Ruffini, di un tessuto molle, l'obbiezione non avrebbe avuto ragione di essere avanzata, ma trattandosi di un tessuto così duro ed apparentemente resistente come quello osseo, l'obbiezione potrebbe eventualmente as- sumere le parvenze della serietà. Io non voglio neppur sospettare che vi sia chi ignori quanto le qualità fisiche del tessuto osseo siano in antitesi con la resistenza che esso puó offrire contro gli agenti che tendono a lederlo nella sua compagine. La patologia ci offre esempi chiari ed eloquenti. Nel nostro caso poi non si tratta di una lieve pressione esercitata contro uno strato osseo spesso e compatto, ma si tratta unicamente di una pressione lieve, é vero, ma lungamente e continuamente esercitata contro laminette ossee sottili e facilmente cedevoli. D’altra parte bisogna pure abituarsi a pensare che la na- tura opera con mezzi di gran lunga più semplici e più miti di quelli che nol adoperiamo nelle esperienze che ai nostri sensi appaiono come le pitt squisitamente delicate. Non è necessario quindi eredere che per produrre gli effetti da noi fin qui esaminati occorra proprio l'azione di una pompa aspirante e premente! La seconda difficoltà è più seria. Se realmente è la pressione dell’aria contenuta nel timpano quella che concede all’antro la sua forza espansiva, come spiegare i casi di apofisi diploiche o miste? Noi fa- cemmo già rilevare che in queste evenienze si può parlare di. arresto di sviluppo. Ma l'arresto di sviluppo non può mai essere invocato come causa, essendo sempre esso stesso l’effetto di cause svariate e di na- tura diversa. Perchè dunque si produce questo arresto di sviluppo e perchè la causa da noi invocata non agisce sempre come nei casì di apofisi pneumatiche? Io non ho potuto sottoporre la soluzione di un tal quesito al cimento dell'indagine. Anche per i lavori scientifici vi è una legge limite! Ed è perciò che ricorro ad una prototesi, fondata specialmente sopra fatti che già conosciamo. Morgagni e Zoja ci hanno insegnato — ed altri più tardi confermarono — che l’aditus ad antrum può essere completamente chiuso da una membranella fibrosa, che im- pedisce assolutamente la comunicazione tra la cavità del timpano e l’antro. La chiusura può essere solo parziale, come può non esistere affatto. Gli anatomici che studiarono questa particolarità non ci hanno detto se ad un aditus completamente chiuso, corrisponda, o no, un'apo- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 321 fisi diploica, ossia se esista relazione tra la chiusura, 0 meno, del- l’aditus e la qualita delle celle che si trovano nell'apofisi mastoide. Se queste relazioni esistessero noi non solo avremmo trovata la ragione delle differenti qualita di apofisi (diploiche, miste, pneumatiche), ma avremmo anche portato l'experimentum crucis in favore della causa da noi difesa. Oltre però alle circostanze anatomiche da noi qui ri- ferite, questi arresti di sviluppo potrebbero ripetere la loro ragion d’essere da altre cagioni svariate e riferibili: alle condizioni anato- miche della tuba, alle possibili alterazioni che ne impediscano il rego- lare funzionamento, al modo come sono tese, tra il timpano e l’attico, quelle tele fibrose che ne possono perfino impedire completamente la comunicazione (Tröltsch), alle condizioni anatomiche ossee dell'aditus ad antrum, etc. Tutte queste condizioni essendo possibili ad avve- rarsi, è necessario che il ricercatore ne tenga strettissimo conto qua- lora si accinga a portare prove o favorevoli o contrarie al nostro modo di vedere. Nell'attesa che queste prove vengano portate, noi non possiamo diminuire il valore che ha la nostra spiegazione logica, perchè essa ci dà ragione non solo di tutti i fatti che abbiamo raccolti ed esposti intorno allo sviluppo ed all’accrescimento dell'apofisi mastoide, ma ci fornisce anche la chiave per comprendere tutte le possibili varietà che presentano le stesse apofisi e che in questi ultimi anni furono ristu- diate da me, da Carli ed in modo specialmente accurato da Lanz. 8. Ricerche anatomo-comparate. Due punti hanno sopratutto richiamata la mia attenzione nello studio comparativo: A. Lo sviluppo della pars periotico-basale del tem- porale; B. Lo sviluppo della bolla timpanica ed il suo accrescimento successivo: dal feto all’adulto. A. Sviluppo della pars periotico-basale del temporale. — Dacche mi si porgeva la opportunità di avere tra mano un discreto materiale di ricerca, io volli profittarne per studiare anche in qual modo proceda la ossificazione della pars periotico-basale negli animali. Questo studio non può avere alcuna pretesa perchè fatto in un numero limitato di animali ed in una quantità di materiale non sufficiente a stabilire Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 21 322 A. Ruffini, chiaramente alcuni punti che interesserebbe conoscere con esattezza. Ad ogni modo le poche cose che ho vedute mi sono servite per sta- bilire qualche confronto con l'Uomo e per controllare le osservazioni di taluni anatomisti e specialmente di Vrolich, il quale asserisce che le ossificazioni della pars sono incostanti e variabili. Da queste poche osservazioni mie risulterebbe all'opposto che anche negli animali il numero e la disposizione dei nuclei di ossificazione sono costanti. Mi fu possibile di poter seguire lo sviluppo della pars periotico- basale solamente in Sus scrofa dom. ed in Bos taurus. In Equus cabalus potei solo vedere l’assettamento finale della ossificazione della pars. È necessario riferire separatamente i resultati di questi studi. | Sus scrofa dom. — Ho esaminati 22 cranii di feto: dalla lun- ghezza massima di centim. 1,9 fino a quelli prossimi alla nascita. Dis- graziatamente la serie di questi cranii presentava una interruzione: da centim. 2,2 si saltava a centim. 3,5. Nelle epoche intermedie av- vengono delle ossificazioni sulla cui origine noi, come vedremo, non possiamo essere assolutamente sicuri. Uno sguardo generale alle ossa della volta cranica nei fetini della lunghezza di centim. 1,9 a 2,2, ci rende edotti dei fatti seguenti: Fron- tali poco estesi; molto estesi invece i parietali. L'occipitale si pre- senta schematicamente diviso nelle sue diverse parti: sovraoccipitale, esoccipitale, basioccipitale, manca il preinterparietale (epactale, os In- cae). Lo squamoso è sviluppato preferibilmente in senso sagittale. Esistono: la fontanella bregmatica, quella lambdoidea che ha forma losangica e le fontanelle asteriche. Nei crani della lunghezza massima di cm. 4,3, la fontanella. asterica è completamente chiusa. A cagione della interruzione nella serie, non mi è stato possibile di seguire a grado a grado le trasformazioni che avvengono tra i centim. 2,2 e 3,5. Mentre fino alla lunghezza di centim. 2,2 la fonta- nella asterica non è ancora chiusa e caudalmente ad essa di tutta la pars non si vede che un breve tratto del canale semicircolare poste- riore, in cranii della lunghezza di 3,5 la fontanella è prossima a chiu- dersi ed il canale semicircolare posteriore è ancora appena visibile. Eeco come in apparenza accade tanto la chiusura della fontanella Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 393 quanto il ricoprimento della pars: lo squamoso si porta rapidamente in senso dorsale, verso la squama delloccipitale e verso l'esoccipitale. Questo si allarga specialmente all’infuori: dall’angolo caudale del suo margine esterno già sporge l'apofisi giugulare (apofisi stiloide dell'oc- cipitale, apofisi paramastoidea). Caudalmente perd la chiusura non av- viene solo per l’apposizione dello squamoso contro l'esoccipitale, ma vi concorre, in minima parte, un'altra ossificazione, che non abbiamo per lappunto potuto seguire nel suo sviluppo a causa della già ricordata interruzione della serie. Nei cranii di cm. 3,5 il nucleo osseo in di- scorso presenta 1 seguenti caratteri: ha figura rettangolare, delle di- mensioni di mm. 3 = 5,5; è posto tra lo squamoso e l'esoccipitale e con la sua faccia interna si adagia sul corno posteriore dell'anello timpanico; il suo margine dorsale è connesso con la parte inferiore del lato esterno dell’esoccipitale, il margine ventrale è libero, il mar- gine cefalico è connesso con lo squamoso, il margine caudale è anch'esso libero (fig. 34, a). Se, come io ho fatto, si abrade la sostanza ossea di questo nucleo in corrispondenza del suo margine cefalico, si cade sul canale semicireolare esterno. Quindi io giudico che questo nucleo osseo, con ogni probabilità, derivi dal ricordato canale. La certezza assoluta si sarebbe avuta qualora se ne fosse potuto seguire lo sviluppo. Questo & lunico nucleo osseo del periotico che viene a sporgere, in tutti i cranii costantemente, sulla superficie cranica. Difatti mentre il margine dorsale dello squamoso si va portando verso la parte superiore del margine esterno dell'esoccipitale, il canale semicircolare posteriore fa per breve tempo capolino fra le due ossa, senza peró mai irradiare sostanza ossea; ben presto le due ossa si connettono ed allora il ca- nale semicircolare resta ricoperto dallo squamoso. Nei cranii di lunghezza al di là dei 4 centim., la sutura tra questo nucleo osseo e lo squamoso va sparendo in senso ventro-dorsale; oltre i centim. 4,5 non se ne osserva più traccia. Seguendo l’accrescimento successivo di questo nucleo osseo in una serie di cranii fetali fin presso la nascita, vediamo che esso va gradatamente crescendo in senso caudale e nello stesso tempo si va rilevando a forma di cresta; la quale dallo hiatus del condotto auditivo si porta verso la superficie esterna della bolla timpanica, Quindi la cresta in discorso è posta 21% 324 A. Ruffini, tra lo hiatus del condotto auditivo, la bolla timpanica e l’apofisi giu- gulare. Dunque nel Porco non si forma una pars periotico-basale inter- posta tra lo squamoso e loccipitale. Il solo nucleo di ossificazione derivante, con tutta probabilità, dal canale semicircolare esterno va a formare una cresta ossea fuori del luogo dove consuetudinariamente è posta la pars periotico-basale. Bos taurus. — Furono esaminati 11 cranii fetali: di cui tre della lunghezza massima da centim. 2,6 a 3,7 ed otto della lunghezza mas- sima da centim. 10,5 a 22,5. Uno sguardo generale alle ossa della volta cranica ci dà, in con- fronto col Porco, i seguenti resultati. Frontali molto estesi; pochissimo estesi invece i parietali: sembrano due lunghe striscie rettangolari di- rette in senso dorso-ventrale. L’occipitale si presenta schematicamente diviso nelle sue diverse parti: preinterparietale duplice, sopraoccipitale, esoccipitale, basioccipitale. Lo squamoso è poco sviluppato in tutti 1 sensi. Per la configurazione dei due parietali, — i quali, come dicemmo, essendo molto stretti non vengono a contatto l’uno con l’altro sulla linea mediana, per modo che non può formarsi la sutura sagittale — deriva che nel Bove si forma una sola grande fontanella esagonale, la quale — mettendo il cranio nella posizione che ha nell'Uomo — è limitata: in avanti dagli angoli smussi dei due frontali, ai lati dai margini arrotondati dei due parietali, in dietro dai margini arroton- dati dei due preinterparietali. Questa fontanella — che potrebbe chia- marsi lambdo-bregmatica — si sta chiudendo definitivamente nel cranio fetale della lunghezza di centim. 22,5. Esistono anche qui le fonta- nelle asteriche, che si stanno chiudendo nel cranio della lunghezza di centim. 14,6. Nel cranio della lunghezza di 10,5 caudalmente alla fontanella asterica, cioè nella pars cartilaginea, si vedono già ben formati due nuclei di ossificazione. Uno è completamente scoperto e sta in parte appoggiato contro la parte mediana del margine esterno dell’esoccipi- tale; ha quasi la medesima direzione del nucleo distale dell Uomo. L'altro è visibile solo in minima parte, dorsalmente al margine omo- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 325 nimo dello squamoso che lo ricopre in gran parte. Asportando la parte dello squamoso che nasconde questo nucleo, noi osserviamo chiaramente che esso ha quasi la stessa direzione di quello prossimale dell’Uomo. (fig. 35). La differenza tra Bove ed Uomo sta specialmente nel rap- porto in cui questi due nuclei si trovano l'uno verso l'altro. Nell'Uomo, come abbiamo veduto, una linea che continui in dietro la direzione del canale semicircolare esterno, cade perpendicolarmente nel mezzo del canale semicircolare posteriore (fig. 2). Nel Bove invece la mede- sima linea sfiora l'estremità caudale del canale semicircolare posteriore (fig. 35). In altri cranii, quasi della stessa epoca, i nuclei di ossifica- zione erano identici per numero, forma e direzione. Abradendo la sostanza ossea di questi due nuclei, mettiamo allo scoperto: nel dorsale o distale il canale semicircolare posteriore, che è superficialissimo; nel ventrale o prossimale, il canale semicircolare posteriore, che è più profondo. I due nuclei di ossificazione sono già completamente fusi nel cranio della lunghezza di centim. 12,3. L’ossificazione derivante dal canale semicircolare posteriore (nucleo dorsale o distale) è quella che rimane interposta tra lo squamoso e l’esoccipitale: dorsalmente essa non oltrepassa mai il margine cefalico dell’esoccipitale e nel cranio della lunghezza di centim. 12,3 tocca già il margine laterale del sopraoccipitale. Per contro la ossificazione deri- vante dal canale semicircolare esterno si sviluppa preferibilmente in basso, tra l’estremità caudale del margine dorsale dello squamoso, la radice dell’apofisi giugulare, la bolla timpanica e lo hiatus del condotto auditivo. Dunque anche nel Bove si ha la riprova che l'ossificazione deri- vante dal canale semicircolare esterno si estende preferibilmente in senso caudale; quindi anche questo è un buon argomento in favore della interpretazione che abbiamo dato alla ossificazione simile già de- scritta nel Porco (fig. 34). La fontanella asterica vien chiusa per il concorso dell’accresci- mento di tre ossa: dello squamoso, del parietale e del sopraoccipitale. Il terzo nucleo di ossificazione, proveniente dal canale semicircolare esterno, qui non interviene. Abbiamo già detto che nel cranio della 326 A. Ruffini, lunghezza di 14,6, la fontanella asterica è già chiusa quasi comple- tamente. Nei cranii più sviluppati (centim. 16,9 e 22,5) si assiste all’asset- tamento definitivo che prendono i due nuclei di ossificazione della pars periotico-basale. A centim. 16,9 si riconosce ancora bene il nucleo dor- sale o distale, per la sua forma a pera e per i rapporti che ha: con lo squamoso, il sopraoccipitale e l'esoecipitale. A centim. 22,5 questo stesso nucleo ha cambiato forma e si è ingranato intimamente con le ossa già ricordate, da cui però è sempre diviso da suture. Le trasfor- mazioni del nucleo ventrale o prossimale sono ancora poco rilevanti: non è sporgente, sta sulla continuità del nucleo dorsale e trovasi inter- posto tra lo squamoso, l’apofisi giugulare, la bolla timpanica e lo hiatus del condotto auditivo. i Dunque nel Bove la pars periotico-basale del temporale viene for- mata da due soli nuclei di ossificazione, derivanti dai canali semicir- colari esterno e posteriore. Equus caballus. — Io credo che nel Cavallo la ossificazione della pars periotico-basale debba avvenire come nel Bove. Ho potuto avere un sol cranio fetale della lunghezza massima di centim. 28,5, e quindi ad ossificazione già completa. E percid che ho trattato del Cavallo dopo il Porco ed il Bove, mentre avrei dovuto parlarne avanti. Questo cranio, molto ben preparato, si presta meravigliosamente per vedere la posizione che occupano le ossificazioni derivanti dai due nuclei prossimale e distale, ad ossificazione completa ed a sviluppo inoltrato. | Premetto che, per facilitare la descrizione, io considero il cranio messo nella posizione che ha nell’Uomo. La pars periotico-basale è circondata dallo squamoso, dal sopra- occipitale, dall’esoccipitale e dal timpanico (fig. 36). Il contegno della parte posteriore (dorsale) dello squamoso, merita di esser preso in considerazione. Si biforca ad angolo molto ottuso in due lunghi rami: 1? il superiore (cefalico) alla sua estremità si biforca, alla sua volta, ad angolo molto acuto, in due rami brevi: l'uno si in- grana nel parietale, l'altro giunge a contatto col sopraoccipitale; 2° il ramo inferiore (caudale) si porta in basso (caudalmente) ponendosi tra Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 327 la pars periotico-basale ed il timpanico. Queste due propagini poste- riori (dorsali) fanno si che lo squamoso venga ad essere molto svilup- pato all'indietro; e specialmente il ramo superiore va ad occupare quel posto che nell'Uomo è tenuto dalla parte superiore della porzione periotico - mastoidea. Cid è interessante. La pars periotico - basale adunque in tutto il suo lato anteriore (ventrale) è in rapporto con lo squamoso. Il lato posteriore (dorsale) della stessa pars si adagia sul lato antero-esterno dell’esoccipitale e sulla faccia antero-esterna della base della sua apofisi giugulare. Di nessun interesse sono i brevi rapporti contratti col sopraocci- pitale e col timpanico. Il fatto sul quale fu specialmente richiamata la nostra attenzione è il seguente. La pars periotico-basale nel nostro cranio di Cavallo presenta una sutura che la divide in due parti ineguali: una superiore (cefalica) più lunga, l’altra inferiore (caudale) più breve. La prima riposa sul lato antero-esterno dell’esoccipitale; la seconda sulla faccia antero-esterna della base dell’apofisi giugulare (fig. 36). Questa sutura sta ad indicarci che la pars periotico - basale nel Cavallo resulta fatta da due nuclei di ossificazione, a quest'epoca non ancora saldati. Sulla guida di quanto abbiamo potuto ricavare dallo studio sistematico nella ossificazione della stessa pars nel Bove, noi possiamo dire, senza tema di errare, che la parte superiore, più lunga, deriva dal nucleo dorsale o distale (canale semicircolare posteriore) e quella inferiore, più breve, deriva dal nucleo ventrale o prossimale (canale semicircolare esterno). Abbiamo anche veduto come nell’ac- crescimento le ossificazioni dipendenti da questi nuclei mutino posizione, diventando il dorsale: cefalico ed il ventrale: caudale. Da tutto questo si può tirare anche un’ultima conseguenza. Sap- piamo dalla anatomia comparata che nell’adulto la porzione tuberosa del temporale viene divisa in due parti: cresta mastoidea ed apofisi mastoide. L'una è superiore (cefalica) l’altra è inferiore (caudale) Questa disposizione dell’adulto corrisponde esattamente alla disposizione che abbiamo già descritta nel feto di Cavallo. Dunque possiamo concludere che la cresta mastoidea dell'adulto, 328 A. Ruffini, deriva dalla ossificazione irradiantesi dal canale. semicircolare poste- riore e la (impropriamente detta) apofisi mastoide deriva dalla ossifi- cazione irradiantesi dal canale semicircolare esterno. Anche nel Cavallo dunque esiste la prova che la nostra interpreta- zione data nel Porco alla ossificazione diretta caudalmente, in relazione col canale semicircolare esterno, sia esatta. Comparazioni. Prima di passare allo studio dello sviluppo e dell’accrescimento della bolla timpanica, è necessario soffermarsi un istante per mettere in rilievo le differenze che corrono tra lo sviluppo della pars pe- riotico-mastoidea dell'Uomo e la pars periotico-basale dei Mammiferi da noi presi in esame. Queste differenze risiedono specialmente in tre punti: 1° Nella quantita dei nuclei di ossificazione; 2° Nel modo come avviene la chiusura della fontanella asterica; 3° Nella disposizione dei canali semicircolari. 1° Quantità dei nuclei di ossificazione. — Parlando di quantità dei nuclei di ossificazione, io non mi riferisco a tutta la porzione dei canali (Ficalbi), ma solamente a quella parte di essa che emerge sulla superficie del cranio. Era necessario fare questa dichiarazione perchè, mentre in tutti i Mammiferi tutti 1 canali semicircolari irradiano so- stanza ossea per la ossificazione della porzione dei canali, solo nel- l'Uomo — e probabilmente anche nelle Scimie — tutti e tre concor- rono alla ossificazione della parte scoperta di essa. Nei tre Mammiferi studiati (Porco, Bove, Uomo) fu osservata — per mera coincidenza - una progressione ascendente nel numero dei nuclei di ossificazione. Nel Porco ne abbiamo trovato uno solo, derivante dal canale semi- circolare esterno e che si comporta, accrescendosi, come già descri- vemmo. Da questo nucleo deriva quella parte che può essere omolo- gata alla (impropriamente detta) apofisi mastoide degli altri Mammiferi (Bove, Cavallo, Asino, etc.). Nel Bove ne intervengono due: derivanti dai canali semicircolari posteriore ed esterno. Col sussidio del Cavallo abbiamo potuto identi- ficare le porzioni della pars periotico-basale dell'adulto che rispetti- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 329 vamente derivano dai due nuclei di origine: la cresta mastoidea deriva dalla ossificazione del canale semicircolare posteriore; la (impropria- mente detta) apofisi mastoide dalla ossificazione di quello esterno. L'Uomo — e probabilmente anche le Scimie — possiede tre nuclei di ossificazione, derivanti da tutti e tre 1 canali semicircolari, per la ossificazione della sua pars periotico-mastoidea. 29 Chiusura della fontanella asterica. Studiando il modo come nel Porco, Bove e Cavallo, vien chiusa la fontanella asterica, ci siamo avveduti delle differenze che corrono tra questi animali e l'Uomo; differenze che conveniva far risaltare perchè da esse possiamo ri- conoscere le ragioni apparenti delle grandi variazioni in ampiezza cui va incontro questa parte del temporale nelle diverse specie dei Mammiferi. Parlando della chiusura della fontanella asterica, si parla implici- tamente anche del ricoprimento, in tutto od in parte, della pars perio- tico-basale, perocchè la stessa causa apparente produce ambedue i fenomeni. A me par certo che la causa apparente risieda nello sviluppo più o meno preponderante, che in un certo momento dell’accrescimento, assu- mono due ossa: lo squamoso e l'esoccipitale. Mentre il margine posteriore dello squamoso nell’Uomo rimane fermo o per meglio dire non si accresce in modo notevole e prepon- derante, nel Porco, Bove e Cavallo invece si osserva con tutta chia- rezza che lo stesso margine osseo va rapidamente portandosi dorsalmente, in modo da chiudere una gran parte dello spazio fontanellare e quindi da nascondere una porzione piu o meno rilevante della pars che si va ossificando. Nel Porco la chiusura dello spazio fontanellare da parte dello squamoso avviene tanto precocemente e tanto rapidamente da non permettere affatto ai nuclei di ossificazione dei canali semicircolari posteriore e superiore di vedere la luce. Solamente al nucleo del c. s. esterno è concesso di emergere per il fatto che esso, accrescendosi caudalmente e ponendosi sul lato dorsale del condotto auditivo in forma- zione, Si sottrae dal dominio dello squamoso. Nel Bove -- e probabil- mente anche nel Cavallo — lo squamoso accrescendosi meno, non riesce che a coprire completamente il nucleo del c. s. superiore, parzialmente 330 A. Ruffini, quello del c. s. esterno, lasciando del tutto libero quello del c. s. poste- riore. La mancata comparsa in tutti questi animali della ossificazione del c. s. superiore si spiega dacchè dovendo essa percorrere un lungo tratto, per la distanza a cui trovasi il canale dalla superficie della car- tilagine, arriva quendo lo squamoso ha già coperta una parte della cartilagine stessa; nell'Uomo — e probabilmente anche nelle Scimie — anche questa ossificazione può emergere, perchè la cartilagine rimane sempre scoperta. L'esoccipitale — sebbene in minima parte — concorre anch'esso alla chiusura precoce della fontanella asterica negli animali. Quest’osso si accresce abbastanza rapidamente nel senso trasversale; è più che altro il suo margine esterno quello che ha una gran parte nel suo accrescimento. Da esso, come si sa, si sviluppa molto precocemente lapofisi giugulare, la quale, sebbene si sviluppi preferibilmente in senso caudale. tuttavia crescendo vivacemente anche in spessore, in corrispon- denza della sua radice, contribuisce a portare verso lo spazio fonta- nellare buona parte del margine esterno dell’osso. 3° Disposizione dei canali semicircolari. Non la posizione del gruppo dei canali semicircolari, che stando in relazione con lo sviluppo e con la forma del cranio, decampa dalla cerchia delle nostre investi- gazioni, ma è la disposizione e la direzione di alcuni tra essi che noi dobbiamo prendere in considerazione, perchè questa conoscenza serve a spiegarci la topografia un po’ strana che hanno talvolta talune ossi- ficazioni da essi dipendenti. Per non ingenerare confusioni, noi descriveremo i canali consi- derando il cranio nella posizione che ha nell’Uomo. Nel Porco il gruppo dei canali è molto raccolto, perchè l'arco descritto da ciascuno di essi è poco sviluppato. Il difetto è generale, ma quelli che più ne risentono sono il posteriore e l'esterno. La de- scrizione che segue riproduce ciò che si osserva in un cranio della lun- ghezza di centim. 4-5 e non quelle, già cambiate, che si vedono in un cranio nell'ultimo mese di vita intrauterina, riprodotto nella fig. 37. E questo ho fatto per essere più vicino alle condizioni di età in cui si trovano tanto il giovane cranio di Bove quanto quello dell'Uomo. — Il c. s. esterno è vicinissimo alla periferia; sta immediatamente dietro Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 331 al margine superiore del nucleo osseo che da esso, con ogni probabilita, trae origine; un sottilissimo strato spugnoso. lo riunisce a questo suo nucleo. Denudatolo, si vede interposto tra la radice superiore dell’apo- fisi zigomatica ed il margine esterno dell’esoccipitale, che non raggiunge. Il suo decorso non è perfettamente trasversale: anzi è sentitamente piegato allo indietro ed all’esterno, tanto che, posteriormente, incontra ad angolo retto l’estremità inferiore del c. s. posteriore. Sovrasta la cassa del timpano, tanto che il breve processo dell’incudine si trova in corrispondenza della sua superficie inferiore, che è quella che per l'appunto guarda la cassa timpanica. Ecco dunque che dalla posizione di questo canale ci riesce facile di comprendere la posizione, apparen- temente strana, del nucleo di ossificazione che da esso si iradia. — Il c. s. posteriore decorre quasi parallelamente al margine esterno del- l’esoccipitale. — Il c. s. superiore è notevole, rispetto al Bove ed al- l'Uomo, per la sua superficialità: tanto nei giovani cranii, quanto in quelli prossimi all’epoca della nascita, esso sta immediatamente dietro allo squamoso. Nel Bove (cranio della lunghezza di centim. 12,3) il gruppo dei canali semicircolari è molto bene sviluppato, perchè ampio è l’arco descritto da ciascun canale (fig. 38). — Il c. s. esterno è posto pro- fondamente, dietro al nucleo osseo che da esso trae origine (nucleo prossimale o ventrale) e dietro alla porzione corrispondente dello squa- moso; una finissima ed abbondante spugna ossea lo riunisce a queste parti. Un breve spazio, ripieno anch’esso di spugna ossea, lo divide dalla cassa del timpano; il breve processo dell’incudine è da esso sepa- rato da una distanza di più di un millimetro. È leggermente piegato all’indietro ed all’esterno, per modo che, posteriormente, incontra il €. S. posteriore un po’ più in su della sua estremità inferiore. — Il €. s. posteriore è molto superficiale e resta coperto da un sottilissimo strato osseo del nucleo che da esso si irradia (nucleo distale o dor- sale). Non decorre parallelamente al margine esterno dell’esoccipitale, ma se ne scosta in alto per breve spazio. — Il c. s. superiore sta profondamente: tra la sua periferia esterna e la faccia endocranica dello squamoso, corre un bello spazio, ripieno di finissima spugna ossea. 332 ih, Reano Tra l'Uomo (cranio fetale di 7 mesi circa) ed il Bove corre pochissima differenza nella architettura dei canali semicircolari (fig. 39). Tutto il gruppo dei canali è circondato da una atmosfera spugnosa, che è pure abbondante nel Bove, ma che è scarsissima nel Porco. — Il c. s. esterno è posto abbastanza profondamente e sta dietro al nucleo osseo che da esso si origina (nucleo prossimale); lo squamoso non giunge fino al suo livello. Con la periferia esterna della sua estremità anteriore sta addossato contro la superficie interna della lamina perio- tica. 'Tra la cassa del timpano e questo canale intercorre uno spazio di 2—3 mm., ripieno di spugna ossea. Tra il breve processo dell’incu- dine e questo canale non esiste alcun rapporto: l'incudine essendo con- tenuta dentro la cavità dell’attico, rimane separata dal gruppo dei canali per mezzo della lamina periotica. Ad ogni modo si può dire che il breve processo dell’incudine trovasi a circa 1,5 mm. più all’esterno del c. s. esterno ed è posto ad un livello più basso. Essendo meno piegato all'indietro ed all’esterno di quello del Porco e del Bove, non incontra più, posteriormente, l'estremità inferiore del c. s. posteriore, ma il suo piano cade anche pit in alto del mezzo di quello del canale posteriore medesimo. — Il c. s. posteriore è molto superficiale: vien ricoperto da un tenuissimo strato osseo del nucleo che da esso si irradia (nucleo distale). Con la sua estremità inferiore sta accanto al margine esterno dell'esoccipitale, ma in alto se ne discosta di quasi 9 mm. — Il c. s. superiore é posto piu profondamente ancora che nel Bove. Mentre in questo animale il canale piega verso l'esterno, nell'Uomo è perfettamente perpendicolare. * * * Dalle comparazioni qui sopra esposte e dai fatti precedentemente descritti resulta in modo incontrastabile che nei Primati e nell’Uomo la pars assume una importanza che non ha negli altri Mammiferi. Nei Primati e nell'Uomo infatti, acquistando un'ampiezza massima, è dessa che prevalentemente concorre alla chiusura della fontanella asterica, mentre questo compito, negli altri Mammiferi, se lo assumono prevalentemente lo squamoso ed in minima parte l’esoccipitale, ed al- lora la pars o rimane completamente nascosta (Porco), oppure emerge in proporzioni variabili. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 333 Chi avesse la opportunita di procurarsi un grande materiale di studio, potrebbe, su questo tema di craniologia comparata, scoprire dei fatti non meno interessanti di tanti altri che ancora attendono la loro soluzione. È inutile formulare ipotesi intorno a questi pochi fatti, i quali, cosi come sono, presentano delle antitesi incomprensibili. Noi dobbiamo necessariamente fermarci a riconoscerli solo nella loro manifestazione empirica. E da questo punto di vista appare chiaramente che nei Mammiferi a capacità cranica deficiente, la pars o non esiste o è piccola. Se dunque gli esemplari da noi studiati bastano e se quello che c'è capitato sotto gli occhi non è che una mera casualità, noi potremmo essere autorizzati a concludere: che la grandezza della porzione di periotico emergente sulla regione laterale del cranio, può essere con- siderata come uno degli esponenti della capacità cramica. Se il materiale da noi esaminato non sembrerà sufficiente per trarne questa conclusione, essa può ad ogni modo rimanere sotto forma di proposta. — Il campo resta sempre aperto per indagini più vaste e meggiormente accurate. | B. Sviluppo della bolla tumpanica e suo accrescimento successivo. — Non é dello sviluppo della bolla timpanica (protuberanza mastoi- dea) che io voglio qui trattare, perché nulla ho da aggiungere a quello che tutti sanno, ma io voglio fermare la mia attenzione su alcuni fenomeni che accompagnono lo sviluppo della stessa bolla, perchè da questo studio possiamo ricavare utili conseguenze. Siccome è comunemente noto che dalla ossificazione dell’anello timpanico derivano: da un lato il condotto auditivo esterno e dall’altro la cassa del timpano, così è bene anche qui ricordare che l'Uomo — non sappiamo nulla delle Scimie — fa eccezione a questa regola. Altrove dimostrammo (V. cranii alla nascita circa) come nella nostra specie la cassa del timpano si origina da una cresta ossea semilunare che si solleva dal periotico e che va accrescendosi contro il contorno interno dell’anello timpanico; questo, solo dopo la nascita, si salda, col suo contorno interno, nel contorno timpanale della anzidetta cresta ossea che già forma la cassa del timpano. 334 A. Ruffini, Noi abbiamo potuto seguire, a passo a passo, lo sviluppo della bolla timpanica nel Porco e nel Bove. Dobbiamo premettere che la bolla timpanica non è in tutti i Mammiferi ugualmente costituita. Prescindendo dalla forma e dalla grandezza — variabilissime — osserviamo anche una grande differenza nella architettura interna. A tale riguardo le bolle timpaniche pos- sono dividersi in due grandi categorie: vuote e cellulate. Le vuote o sono fatte da una sola grande cavità (Lepre, Cane, Pipistrelli, etc.), oppure un setto può dividere la cavità in due concamerazioni, comuni- canti per mezzo di un foro (Gatto e forse anche altri Felini). Le cellulate possono avere molte celle (Porco, Bove e segnatamente Pu- torius [fig. 40]), o ne possono avere poche (Cavallo, Asino, ete). Le celle, come si sa, si aprono largamente verso la cassa del timpano e, rispetto ad essa, sono di preferenza disposte in senso radiale. Nelle bolle di forma elissoidale, le laminette ossee divisorie delle celle, sono, quasi senza eccezione, disposte perpendicolarmente all’asse maggiore della bolla. Non oso asserire che lo sviluppo della bolla sia uguale, per tutti gli animali, perchè non conosciamo come essa si origini nei Carnivori e specialmente nei Felini, dove mi è sembrato di osservare dei fatti che, se veri, non si accorderebbero affatto con quelli che per tutti gli altri sembrano costituire la regola. Riassumo lo sviluppo, servendomi dei cranii di Porco. Dal contorno interno dell’anello timpanico parte una ossificazione laminare che ripete la forma dell’anello; siccome la capsula periotica, tanto nel Porco quanto negli altri Mammiferi, non é tanto grande quanto nell’Uomo — e probabilmente anche nelle Scimie — così il margine di questa ossificazione (che descrive un semicerchio molto più vasto della circonferenza della capsula periotica) è costretto ad appog- giarsi alle ossa limitrofe: medialmente, al basioccipitale; anteriormente alla faccia anteriore dell’alisfenoide. F siccome tra il margine ante- ‘riore della capsula periotica ed il margine posteriore dell’alisfenoide esiste una larga fessura diretta in senso trasversale (hiatus occipito- sfeno-temporale), così lo stesso margine, passando al di sotto, divide questa fessura in due parti disuguali: una grande, esterna, che rimane / Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 335 nell’ambito della cassa timpanica, ed una molto stretta, a guisa di ori- fizio, mediale, che rimane al di fuori e viene ad essere situata tra il basisfenoide e la circonferenza della cassa. Essa costituisce il forame lacero anteriore, per il quale passa la carotide interna. La ossificazione laminare va crescendo molto rapidamente, disponen- dosi a doccia, e forma dapprima una cavità poco ampia ma larga- mente aperta verso l’esterno, dacché fino ad ora il contorno esterno del- Vanello timpanico è rimasto fermo. Ma ben presto anche da esso si irradia verso l’esterno la ossificazione che va formando il condotto auditivo esterno, dapprima schiacciato e breve. La cavità che si è così formata è la cassa del timpano. Nel Bove — giudicando dai cranii ad epoche saltuarie che io ho po- tuto studiare — lo sviluppo avviene quasi colla stessa successione di fatti. In ambedue questi Mammiferi la cassa del timpano ha, fino a questo punto, le pareti liscie (fig. 41), e di pareti liscie — per quanto a me consta da altre osservazioni — è pure formata la cassa timpanica di tutti gli altri Mammiferi che, come questi sistematicamente studiati, hanno la bolla timpanica cellulata. Da questo momento in avanti e in quei Mammiferi i quali, come il Porco ed il Bove, possiedono una bolla timpanica cellulata, incomin- ciano a manifestarsi, nella parete interna della cassa, alcuni fenomeni, sui quali dobbiamo fermare la nostra attenzione. Qui si ripete lo stesso fatto che abbiamo già osservato nell’Uomo, a proposito della origine della spugna squamosa e di quella spugna che trovasi sulla superficie interna della cassa del timpano. Tanto nel Porco quanto nel Bove, allorchè il contorno esterno del- l'anello timpanico incomincia ad irradiare sostanza ossea per la forma- zione del condotto auditivo, osservando attentamente la superficie interna della cassa, vediamo che in essa appaiono, come scolpite a bassorilievo, le medesime crestoline ossee anastomizzate a guisa di rete. Vi sono anche qui crestoline lunghe, che sono dirette perpendicolar- mente allasse maggiore della cavità elissoidale, e crestoline brevi, che decorrono in tutti i sensi ed anastomizzano tra loro le lunghe cresto- line. Appaiono adunque i primi rudimenti di quella elegante spugna, che poco più tardi dovrà riempire la bolla timpanica. 336 | A. Ruffini, di L'aspetto che presenta il reticolato osseo di cui stiamo parlando, permette di risalire direttamente alla causa che produce tanto questa spugna quanto quelle che abbiamo già osservate nell'Uomo. È facile difatti riconoscere che l’aspetto del reticolato è quello medesimo che offre una rete vasale veduta in superficie. Avendo la maggior parte delle crestoline una direzione perpendicolare all'asse maggiore della cavità, ne inferiamo che i vasi dai quali dipende la ossificazione della spugna, siano di preferenza diretti nel medesimo senso. Difatti la ossificazione, irradiantesi da ambedue i contorni dell’anello timpanico, si fa per l’appunto secondo questa medesima direzione: cioè in senso perpendicolare all’asse maggiore della cavità elissoidale che ne risulta. La differenza sta in ciò: che la prima ossificazione (della cassa) genera osso compatto; mentre dalla seconda deriva una spugna ad ampie celle. Ed ecco quello che veramente sfugge alla nostra indagine causale! In cranii di Bove della lunghezza di centim. 13, la cassa del tim- pano è sprovvista di celle, ma nella sua superficie interna chiare appaiono già le crestoline reticolari. Nei cranii della lunghezza di 14,6 la spugna è già completamente apparsa: i setti oltrepassano l’altezza di un millimetro. La cavità è più ampia. Nel Porco la spugna incomincia a comparire nei cranii della lunghezza di centim. 4,3. Cranii di Bove della lunghezza di centim. 16,9 possiedono una spugna i cui setti oltrepassano i 4 mm. di altezza (fig. 42). La cavità è sempre più ampia. A centim. 22,5 di lunghezza (fig. 43) tutte le parti hanno rag- giunto un grado di sviluppo notevole. La spugna, già bene sviluppata, a guisa di un candido alveare, circonda la cassa del timpano e riempie la bolla timpanica; le sue celle, dirette preferibilmente in senso radiale, si aprono largamente verso la cassa timpanica. La cavità è molto ‘ampia e possiamo già dividerla in due parti: cassa del timpano e bolla timpanica. Ambedue però si trovano sulla continuità l'una dell'altra, formano una intumescenza unica e sono circondate dal medesimo tavo- lato, che passa insensibilmente dall’una all’altra. Guardata dall'esterno, si vede che la primitiva forma elissoidale si è mutata in una ovoidale; delle due estremità dell’ovoide l’una, po- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 337 stero-esterna, si continua nel condotto auditivo, l’altra, antero-mediale, stirata a punta (fig. 43) da origine all’apofisi suboliforme. Si vede chiaramente fin da ora che la bolla timpanica ha tendenza a tras- formarsi ancora, perocchè quel suo segmento che trovasi tra l’apofisi giugulare e l’abbozzo dell’apofisi suboliforme è molto più arcuato e proeminente delle altre parti, le quali, all’opposto, tendono a schiac- ciarsi. Nel Porco si ha sostanzialmente una successione di fatti molto simili a questi, osservati nel Bove. Prima di studiare le trasformazioni successive ed intime che si osservano nel Bove adulto, noi dobbiamo dare uno sguardo generale alla bolla timpanica dei Mammiferi. Abbiamo dunque veduto che, fino a questo punto (e possiamo anche dire: durante la vita fetale) cassa del timpano e bolla tim- panica costituiscono una intumescenza unica e che per rilevare i confini tra l'una e l’altra è necessario di ricorrere all'esame interno. Questo stato di cose é, io credo, generale, durante la vita fetale. Nella vita postfetale il rapporto tra le parti o puó restare im- mutato, oppure la bolla puó allontanarsi dalla cassa, rimanendo peró con essa in largo rapporto di continuità. Se si toleono gli Artiodat- tili, che offrono quest'ultima disposizione, in tutti gli altri Ordini di Mammiferi noi vediamo permanere la condizione fetale che già cono- sciamo. Dunque conveniva vedere e studiare quali trasformazioni avven- sono nella bolla timpanica dopo che, nell’adulto, si è allontanata dal suo luogo di origine. Perché i confronti riuscissero piü dimostrativi e convincenti, io ho studiate queste trasformazioni nello stesso Bove, di cui ho potuto avere a disposizione due cranii di adulto. Come è noto, la bolla timpanica (protuberanza mastoidea) nel Bove adulto é molto sporgente. Posta fra tre apofisi: giugulare, stilo- jale, suboliforme, che la circondano indietro, all'esterno ed in avanti, trovasi medialmente in rapporto col basioccipitale. Essendo molto schiacciata dall'esterno all'interno, presenta due larghe faccie; la esterna è concava e l’interna è convessa. La sua base d'impianto sul cranio è Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 22 338 A. Ruffini, molto estesa; va dal margine anteriore dell’apofisi suboliforme fino al contorno inferiore dello hiatus del condotto auditivo. Forma un’apofisi vaginale alla base dello stilojale e ne avvolge tutta l’esterna peri- feria; questa apofisi vaginale si continua indietro con una cresta che subito dietro allo stilojale si fa repentinamente sporgente e così si prolunga fino al contorno inferiore dello hiatus. Questa cresta general- mente è fatta di tessuto compatto e pur essendo resistentissima è sot- tile; ma talvolta — ed io ne ho sotto gli occhi un bellissimo esem- plare — è cava; in questo caso è molto più spessa e presenta l'estremità inferiore del suo margine esterno, rotondo e rigonfio. La sua cavità, larga ma schiacciata, ha pareti liscie e comunica ampiamente con la cassa del timpano. In questo caso si riceve l'impressione come se esi- stessero due bolle timpaniche, una grande posta medialmente e l’altra piccola situata all’esterno ed il cui piano cade quasi perpendicolarmente su quello della grande. È pure noto che la superficie esterna della bolla timpanica non è uniformemente liscia, si presenta mammellonata o meglio lobulata; i solchi non sono però mai molto profondi e presentano un decorso tortuoso. La loro direzione è costante: partendo dalla base, percor- rono una faccia in senso verticale, tagliano il margine inferiore o libero, e passano sulla faccia opposta ritornando verso la base. Le lobulazioni non sono mai molte. L'analisi della struttura interna ci dimostra quanto segue: Poche e grandi celle riempiono l’ambito della bolla timpanica. Hanno una forma ed una direzione che ci ricordano molto davvicino quelle delle celle che si trovano nelle apofisi mastoidee pneumatiche dell'Uomo. Possiamo distinguerne di tre qualità: piccole, medie e grandi. Le piccole si trovano tutt’all’intorno della parete interna della cassa del timpano. Sono numerose, di forma rettangolare, largamente aperte verso il cavo del timpano; i loro setti sono disposti perpendicolarmente all'asse maggiore della elissoidale cassa timpanica; di modo che questa riguardata in superficie offre l'aspetto di una elegante cavità pettinata (fig. 44). Le medie stanno più specialmente verso la base dell'apofisi suboliforme, verso la base dello stilojale e verso l’apofisi vaginale del medesimo. Non sono molto numerose ed hanno la forma di pera, con Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 339 la estremita sottile guardano e si aprono contro il cavo timpanico, con la estremita ottusa sono rivolte verso la periferia. Le grandi sono poche: nei miei esemplari non oltrepassano mai il numero di dieci e difficilmente lo raggiungono. Queste occupano l’ambito della bolla timpanica. Sono celle gigantesche, che hanno forma di fiaschi dai lunghi colli sottili, rivolti verso la cassa del timpano, dove si aprono passando tra la moltitudine degli altri colli protesi verso l'ampia ca- vità centrale (fig. 44). Una sezione della bolla, fatta parallelamente alle sue faccie, ci mostra i fondi delle grandi celle, i setti e la loro relazione con la lo- bulazione visibile dall'esterno ed alcune notevoli particolarità delle pareti delle celle medesime (fig. 45). L’aspetto dei fondi è irregolare e di diversa ampiezza. I setti sono piuttosto robusti e fatti di osso duro e friabile. Notevole è il fatto che essi si attaccano alla parete della bolla,. là dove essa pre- senta i solchi delle lobulazioni. Ad ogni solco quindi corrisponde un setto. Ogni segmento di parete interposto tra due setti si presenta costantemente estroflesso e descrive un arco di cerchio. Ad ogni lo- bulo quindi corrisponde una cavità cellulare. La conoscenza di questa disposizione è preziosa per noi, perchè da essa possiamo trarre utili conseguenze. — Sulle pareti, specialmente in corrispondenza della parte media e del collo delle celle, possiamo trovare creste ossee e stalattiti ossee; queste ultime sono talvolta molto numerose ed hanno l’aspetto di sottilissimi bastoncini con un rigonfiamento notevole sulla estremità libera. Da molti punti di vista adunque queste celle gigantesche somi- gliano alle grandi celle a forma di caverne che si osservano nelle apofisi mastoidee pneumatiche dell’ Uomo. Paragonando ora la bolla timpanica dell’epoca fetale con quella dell'adulto nel Bove, ci avvediamo che fra le tante trasformazioni, due specialmente fermano la nostra attenzione: lo spostamento della bolla timpanica ed il rimaneggiamento delle sue celle, Nella vita fetale (e negli altri Mammiferi) bolla e cassa timpanica formano — come abbiamo già veduto — una intumescenza unica: la bolla non si allontana dalla cassa. Ma negli Artiodattili — e segna- 22* 340 A. Ruffini, tamente nel Bove — quella porzione di bolla compresa tra l’apofisi giugulare e l'abbozzo dell'apofisi suboliforme, incomincia, come abbiamo gia notato, a diventare più sporgente in basso e ad allontanarsi dalle vicinanze della cassa timpanica. L’allontanamento si deve qui operare con una grande rapidità, perchè a 3 o 4 anni di vita la bolla ha già toccato il massimo del suo accrescimento. Nel medesimo tempo in cui una porzione della bolla viene allon- tanata dalla cassa, le celle subiscono profondi rimaneggiamenti. Le uniche a non risentire alcuna modificazione sono quelle poste sulla superficie interna della cavità del timpano. Ma tutte le altre, in pro- porzione diversa, risentono gli effetti di quella forza che sospinge ed allontana la bolla. Un gran numero di celle va perduto, perchè una quantità di setti vengono distrutti: il numero resta sacrificato in van- taggio dell’ampiezza. Paragonando le due fig. 43 e 44 si ha la prova evidente di quanto andiamo affermando. I resti dei setti li abbiamo gia veduti sulle pareti delle grandi celle, come li vedemmo sulle pa- reti delle caverne nelle apofisi mastoidee umane. Dunque noi constatiamo una grande somiglianza tra i mutamenti che avvengono nel Bove e quelli che già vedemmo nella specie nostra: ad effetti uguali, devono necessariamente corrispondere cause uguali. 9. Sintesi e comparazioni. In tutti i Mammiferi l'orecchio medio comunica con una cavità o con un sistema di cavità che, a guisa di diverticolo, ne accrescono lo spazio. Ciò sembra fisiologicamente indispensabile, per quanto la fisio- logia, fino ad oggi, abbia mostrato quasi di non avvedersi di questa interessantissima disposizione anatomica. L'embriologica ci ha dimostrato che l'orecchio medio degli ani- mali si sviluppa sempre dall’anello timpanico, per una irradiazione ossea che nasce dal suo contorno interno. La prima e breve cavità elissoidale che si forma è la cassa del timpano. Solo secondariamente si inizia la formazione dalla quale dovrà originare la bolla timpanica. Qui occorre però distinguere due evenienze: quando cioè la bolla è vuota e quando è cellulata. La prima evenienza ci è ignota, perchè non abbiamo potuto seguire — per mancanza di materiale seriato — Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 341 questa modalità di sviluppo. La origine delle bolle cellulate viene segnata dal momento in cui compare la spugna ossea nella superficie interna della cassa. Dopo ciò la primitiva cavità si amplia a spese della parete che va man mano riempiendosi di spugna. Nell’accrescimento successivo la cassa e la bolla o possono rima- nere sulla continuità l'una dell'altra e formare una intumescenza unica, oppure la bolla puó secondariamente migrare in basso andando a for- mare una appendice o diverticolo della cassa. Quest’ultima evenienza accade negli Artiodattili; in tutti gli altri animali permane la condi- zione primitiva. L’oreechio medio dell’ Uomo si origina dalla capsula labirintica. Dopo essersi anche qui formata una cavità elissoidale, nella sua superficie interna si inizia — come negli animali con bolla cellulata — la formazione di una spugna ossea, che non può mai raggiungere pro- porzioni considerevoli. Vi è, dunque, nell’Uomo solo un tentativo per la formazione di una bolla cellulata. L’attico rappresenta già un diverticolo primitivo della cassa e che non si trova — eccettuate le Scimie — negli altri Mammiferi. Da questo diverticolo primitivo, posto in alto, se ne forma secondariamente un'altro che amplierà ancora di più la cavità dell'orecchio medio. A questo diverticolo (cavità attico-antrale) non è concessa, per espan- dersi, che una sola via: un punto determinato dell'angolo posteriore della cavità dell’attico, dove incontra la pars del periotico che emerge sulla superficie cranica. Nel portarsi in dietro trascina davanti a sè un tratto della lamina periotica, formandosene come una parete, e va a porsi al di sopra del vicino tratto della spugna periotica, che è derivata dalla irradiazione ossea del canale semicircolare esterno. Sia per la diastasi del tavolato esterno che vien provocata dalla cavità attico-antrale, quanto e specialmente per attività propria, questo tratto della spugna ossea accrescendosi si fa sporgente e forma la primitiva apofisi mastoide. Nell’accrescimento successivo l’antro e la spugna squamosa che lo accompagna può invadere tutto l'ambito della giovane apofisi (apo- fisi mastoidea pneumatica), o lo invade solo parzialmente (apofisi mista) oppure non riesce ad invaderlo affatto (apofisi sclerosa). 342 A. Ruffini, Dunque: lorecchio medio degli animali si forma dal timpanico mentre quello dell'Uomo dal periotico; quindi questi due organi non sono omologhi. — La bolla timpanica — eccetuati i Carnivori e special- mente i Felini — si forma anch'essa dal timpanico, mentre alla forma- zione dell’apofisi mastoide concorrono due ossa: lo squamoso ed il periotico; quindi neppure queste due parti sono omologhe. Ad onta di ciò tanto la cassa che la bolla degli animali, quanto la cassa che l’apofisi mastoide dell’ Uomo, servono per la medesima funzione: quindi tutti questi organi sono analoghi. L'analogia della bolla timpanica con l’apofisi mastoide risulta chiaramente per tre ordini di fatti: 1° Per l'architettura anatomica; 2° Per la comunicazione con la cassa del timpano; 3° Per la causa comune che le produce. Abbiamo già esaurientemente parlato tanto della architettura della bolla quanto di quella dell’apofisi; quindi non vediamo la necessità di dover più oltre insistere su questo punto. Basterebbe solo la docu- mentazione delle fotografie che abbiamo riprodotto, per dimostare alla evidenza la analogia fra queste due parti. Ma una ultima prova dimo- strativa ho voluto raggiungere, preparando un osso temporale umano come è indicato dalla fig. 46. Se poniamo a raffronto questa con le fig. 40, 43 e 44, ci avvediamo subito che la differenza tra le tre dis- posizioni sta solo nella posizione che il diverticolo ha in rapporto alla cassa del timpano. Nel Putorius (fig. 40) e nel feto di Bove (fig. 43) la bolla cellulata si trova sulla continuità della cassa e con la sua spugna ossea — tranne che dal lato della parete interna — la cir- conda da tutte le parti; nel Bove adulto (fig. 44) il diverticolo si è dislocato inferiormente alla cassa; nell’uomo (fig. 46) il diverticolo si è dislocato posteriormente alla cassa. Non mi sembra che una dimo- strazione possa richiedere prove più convincenti di questa! Riguardo alle comunicazioni del diverticolo — di qualunque forma esso sia — con la cassa timpanica, dobbiamo solo dire che possono essere o molto ampie (bolla sulla continuità della cassa) o strette (Uomo), oppure di ampiezza media (Artiodattili. Nell’Uomo la lung- hezza e la strettezza del canale petro-mastoideo, trovano la loro ra- gione d’essere nella distanza che corre tra cassa e diverticolo e nel- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 343 langustia dello spazio disponibile nel punto per il quale è concesso il passaggio allo stesso canale. Benchè l'indagine causale ci abbia condotto logicamente e fisiolo- gicamente a vedere — nella pressione positiva del liquido e dell’aria successivamente contenuti nella cassa del timpano — la cagione della forza espansiva da cui è animata la cavità attico-antrale durante lo sviluppo e nei rimaneggiamenti successivi cui va incontro l'apofisi mastoide, tuttavia a me sembra che la prova più esauriente in favore della nostra dimostrazione sia offerta dallo studio comparativo. Negli Artiodattili — e segnatamente nel Bove — noi abbiamo vedute evo- luzioni e strutture che non possono dar luogo a dubbi. Un vasto seg- mento di bolla viene spinto in basso, che a guisa di otre, compresso da due lati, pende dalla superficie esterna della base del cranio adulto. La quantità di celle e di setti che riempiono la cavità del diverticolo, subiscono profondi e progressivi mutamenti: la maggior parte dei setti vengono contorti, poi corrosi e squarciati sì che le loro vestigia si rin- verranno più tardi sotto forma di creste e stalattiti ossee; per questa ragione le celle da numerose e piccole, divengono poche e grandi e da prismatiche e cilindroidi che erano — assumendo l’impronta fisica della forza espansiva che agisce in senso centrifugo — prendono la forma di pera o di fiasco. Non sono soli i setti delle celle a risentire gli effetti della forza espansiva, ma ne risente anche tutta la parete della bolla. Lo spaccato del fondo di una bolla timpanica rappresentato nella fig. 45 dimostra chiaramente: che la lamina di contorno (parete) si presenta festonata, che gli archi corrispondono ai fondi delle grandi celle, che le imposte degli archi corrispondono ai setti e che i setti residuati sono sempre disposti in senso verticale, vanno cioè dalla cassa timpanica al fondo della bolla. E non è questa una delle manifestazioni materiali più patenti della forza che può solo agire in corrispondenza della cavità della cella e non lungo la linea del setto? E la stessa disposizione finale dei setti non dà forse la ragione più chiara della direzione della forza? Non se ne trova mai uno che sia disposto in senso trasversale: cioè perpen- dicolarmente alla direzione della forza: essi sono tutti verticali, cioè paralleli alla direzione della forza. 344 A. Ruffini, x Se adunque, come è certo, la causa che determina tanto la for- mazione della bolla timpanica, quanto quella dell’apofisi mastoide é uguale, vien fatto naturalmente di domandarsi: perché nelle Scimie Antropoidi e nell'Uomo non si ripete una formazione simile a quella degli Artiodattili o di tutti gli altri Mammiferi? x 10. Perchè nelle Scimie antropoidi e nell’Uomo non è consen- tita la formazione di una bolla timpanica. Io ignoro se altri abbia mai tentato di risolvere questo problema. Ma se il tentativo fu fatto, lo scopo non venne certamente raggiunto. La storia dello sviluppo dell’apofisi mastoide non è certamente una rapida ricapitolazione della storia dello sviluppo della bolla timpanica. Essa è una storia tutt’affatto nuova nella filogenesi: non ha quindi nulla da ripetere dagli antenati. Se noi dunque ci fossimo ostinati a voler trovare la verità seguendo questa via, giunti alla fine avremmo dovuto concludere che la formazione di un’apofisi mastoide era fatale. Ci siamo invece dovuti convincere, anche una volta, che la verità è sovente meno misteriosa e meno lontana da noi, di quello che troppo spesso siamo indotti a credere. | Se prepariamo una rocca petrosa umana, come & indicato dalla fig. 47, ci accorgiamo subito dove risiede l’ostacolo che si oppone alla formazione di una bolla timpanica. È una nozione vecchia quanto la storia dell’Anatomia, quella che noi qui stiamo indicando, ma ciò non pertanto nessuno, che io mi sappia, aveva posto in rilievo le conse- guenze derivanti da questa semplice circostanza anatomica: la fossa giugulare e la prima porzione del canale carotideo, essendo tanto stret- tamente addossati al segmento inferiore della cassa del timpano, creano un ostacolo invincibile alla sua ulteriore espansione in bolla. Dunque pare certo che la formazione di una bolla timpanica nel- l'Uomo non sia consentita dalla presenza di due grossi vasi, che decor- rono per l'appunto nel luogo dove negli altri animali la bolla trova lo spazio per potersi sviluppare. Ma questa constatazione di fatto non è sufficiente per giungere alla conseguenza che là dove non si può formare una bolla timpanica, i grossi vasi decorrono in modo differente che nell’Uomo ed alla con- Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 345 clusione generale che la formazione o no di una bolla timpanica é alla dipendenza del decorso dei vasi sanguigni. Ecco due prototesi che ci proponiamo di dimostrare vere, mediante Vanalisi comparativa. In Anatomia questo é uno dei pochi casi dove lo studio del decorso e delle variazioni di decorso dei vasi sanguigni nelle diverse Specie, assume un interesse altissimo. Eppure non mi sembra che sia stato studiato — nè io stesso l’ho potuto fare — con tutta quella diligenza ed abbondanza di materiale che sovente vediamo spese per lo studio di talune variazioni vasali, la cui conoscenza ci sembra ugualmente inutile per la scienza e per le pratiche applicazioni. Per ben comprendere le variazioni (più apparenti che reali) del punto per il quale la carotide interna penetra nella cavità cranica, in tutti i Mammiferi posti al di sotto delle Scimie, occorre una esatta conoscenza del diverso aspetto che può presentare lo hiatus occipito- sfeno-temporale, o forame lacero, che è situato nella regione sotto- occipitale della superficie esterna della base del cranio. La grandezza di questa irregolare apertura del cranio va soggetta a forti variazioni. Apparentemente sembra che questo fatto dipenda dallo sviluppo varia- bile del periotico e del timpanico, ossia di quella parte dell’osso tem- porale che in Anatomia comparata vien designato come porzione tube- rosa. Essa è difatti quella che chiude più o meno completamente la grande fessura compresa tra il basio-e l’esoccipitale, il postsfenoide e lo squamoso. Tra i Mammiferi da noi esaminati, quelli che presen- tano lo hiatus più vasto sono gli Equidi (fig. 54); abbastanza vasto si osserva pure nei Suidi. Nei cranî di questi animali non avviene la divisione dello hiatus in forame lacero anteriore e posteriore, perchè Vapice della porzione tuberosa si mantiene sempre più o meno discosta dal basioccipitale e dal postsfenoide (fig. 54); allo stato fresco una tale divisione si fa per mezzo di un legamento teso in senso quasi trasver- sale: per un punto determinato del forame lacero anteriore passa la carotide interna. Si può dire che in tutti gli altri Mammiferi la por- zione tuberosa chiuda la massima parte dello hiatus occipito-sfeno- temporale, per modo che ne residuano solamente i due forami laceri: in tutti la carotide interna passa per il forame lacero anteriore. In 346 A. Ruffini, Bos, Ovis, e forse, anche in altri, il canale tende ad individualizzarsi, per opera specialmente delle parti vicine, e noi possiamo anche consi- derarlo come tale. Nei Carnivori (fig. 48), Lemuridi e forse anche nei Rosicanti, Insettivori e Chirotteri, il canale carotideo è già netta- mente distinto. Perd tanto in quelli dove non c’è distinzione com- pleta, quanto in questi ultimi, dove la distinzione è netta, la posizione del canale non cambia mai: esso corrisponde sempre al forame lacero anteriore. Nelle Scimie e nell'Uomo il canale carotideo cambia d'un tratto il suo decorso. Trafigge la rocca petrosa e passa nelle vicinanze immediate della cassa timpanica. Questo cambiamento — mi piace insistervi — si fa repentinamente ed incomincia a manifestarsi solo nelle Scimie. Tutte le disposizioni rapidamente ricordate si possono dunque riassumere nel modo seguente: 1° La carotide passa per i forame lacero anteriore (in tutti i Mammiferi posti al disotto delle Scimie). a) Senza canale carotideo distinto (Equidi, Suidi e forse anche altri). b) Con canale carotideo distinto (Bos, Ovis, Carnivori, Lemuridi, e forse anche Rosicanti, Insettivori e Chirotteri). 2° La carotide non passa per il forame lacero anteriore, ma tra- figge la rocca petrosa (Scimie ed Uomo adulti). La vena giugulare, in tuttii Mammiferi, passa per il forame lacero posteriore. Perd in quegli stessi animali nei quali non esiste un canale carotideo distinto, non esiste neppure un forame per la vena giugulare. To volli vedere come si trovasse questo rapporto della carotide e della giugulare con la cassa del timpano nei giovani feti umani. Ed a tale proposito preparai e studiai un cranio al quinto mese circa (fig. 49). A questa epoca non si può ancora parlare della esistenza di una vera e propria cassa del timpano: sono solamente’ determinati i suoi confini dall’anello timpanico. In confronto di altri Mammiferi, qui ci colpisce subito la grandezza della capsula labirintica, che riempie quasi completamente lo hiatus occipito-sfeno-temporale, lasciandone liberi alcuni punti solamente, per la qual cosa l’anello timpanico che Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 347 negli altri Mammiferi — non sappiamo nulla della Scimie — comprende dentro la sua cerchia tutta la capsula labirintica e va ad adagiarsi sul basioccipitale e sull’alisfenoide, nell'Uomo invece circoscrive sola- mente una parte del periotico, la cui porzione antero-mediale resta completamente libera dall’accerchiamento del timpanico. Su questa parte libera è scavato il solco o doccia carotidea, la quale va dalle immediate vicinanze del forame giugulare fino all’apice dello hiatus occipito-sfeno-temporale, ossia fino al forame lacero anteriore. Nel suo lungo decorso (8 mm. circa) descrive una S rovesciata. La sua estre- mità inferiore si trova strettamente addossata al segmento mediale dell’anello timpanico. Superiormente una cresta abbastanza rilevata la divide da quella larga doccia triangolare che accoglie la tuba di Eu- stacchio ed il muscolo del martello. L’apice dello hiatus occipito-sfeno- temporale o forame lacero anteriore — per il quale a questa epoca la carotide interna imbocca nella cavità cranica — sta contro l'estremità posteriore del lato esterno del basisfenoide e forma l’estremità mediale del lato antero-esterno dello hiatus occipito-sfeno-temporale, non ancora chiuso. Il forame giugulare — breve tratto ancora aperto del lato postero-mediale dello stesso hiatus — ha forma triangolare e trovasi pur esso nelle immediate vicinanze del segmento mediale dell'anello timpanico e pochissimo discosto dalla estremità inferiore della doccia carotidea. Per la sua presenza quel tratto di periotico che trovasi tra esso e la finestra rotonda rimane avvallato e soleato. Dunque dallo studio di questo cranio si possono rilevare due fatti per noi interessanti: 1° Che il soleo carotideo ed il forame giugulare sono strettamente addossati fin da questa epoca al luogo donde si dovrà formare il segmento inferiore della cassa del timpano; 2? La carotide interna a questa epoca penetra nel cranio passando per il _ forame lacero anteriore, come in tutti gli altri Mammiferi. Fino a tanto che il canale carotideo non cambia la sua posizione, come nelle Scimie e nell’Uomo, la bolla timpanica non resta affatto influenzata dai vasi nel suo sviluppo e nell’ulteriore accrescimento. Se le dimensioni della bolla timpanica presentano delle differenze talvolta rilevanti — come ad es. tra gli Equidi da un lato, gli Artio- dattili ed i Carnivori dall’altro — ciò, a mio avviso, deve essere attri- 348 A. Ruffini, buito più ad una necessita fisiologica che ad altre ragioni, come il decorso dei vasi, la conformazione del cranio, etc. Quest'ultima in- fluisce invece sulla forma della bolla. Quando — come negli Artio- dattili e specialmente nei Bovidi — per lo sviluppo enorme che assu- mono l’occipitale e lo squamoso, il periotico vien ricacciato profondamente e trovasi lontano dalla superficie esterna del cranio, allora la bolla timpanica che non può trovare sul luogo lo spazio necessario per il suo ulteriore accrescimento, si espande in basso e viene, a guisa di un diverticolo della cassa, a sporgere più o meno considerevolmente dalla superficie esterna della base del cranio. Nei Carnivori invece, dove lo sviluppo delle ossa vicine non è così grande come negli Artio- dattili, la bolla trova sul luogo lo spazio necessario per svilupparsi ampiamente e non deve espandersi in un diverticolo. Dunque fin qui i vasi non giuocano alcuna parte nè sulle dimen- sioni, nè sulla forma della bolla. Ma gli avvenimenti mutano, allorchè, nelle Scimie, la carotide muta posizione. Negli Arctopitheci (io ho studiato il cranio di un individuo, del genere Hapale), lo strettissimo canale carotideo occupa di già quasi la medesima posizione che si osserva anche nelle Platyrrhine e nelle Catarrhine (fig. 50). In Hapale vi è, ancora ben riconoscibile, una bolla timpanica sacciforme, che sta lungo la faccia inferiore della rocca. Guardando per il largo e breve condotto auditivo, si osserva che nel segmento inferiore della cassa timpanica esiste una spugna ossea, rimasta allo stato di bassorilievo. Non mi fu possibile preparare la pars periotico basale di questo cranio, ma da un saggio fatto, potei arguire che tra i due tavolati esiste una spugna ossea. Un esame più completo mi fu dato fare di due cranii appartenenti a giovani individui appartenenti ai generi Macacus e Cercopithecus. Credo che i resultati in questi ottenuti, si possano estendere anche alle Platyrrhine, perchè nei caratteri esterni della regione che stiamo esaminando c'è somiglianza quasi perfetta. Io ho trovato straordi- nariamente interessante lo studio delle trasformazioni che si osservano nei cranii di queste Scimie, perchè in esse esiste una disposizione inter- media tra i Mammiferi posti al disotto, gli Antropomorfi e l'Uomo. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 349 Basta un semplice sguardo alle figure 51 e 52, per notare tutto l'interesse che hanno i fatti qui facilmente dimostrabili. Il canale carotideo è assai più ampio di quel che non sia in Hapale ed il suo primo tratto decorre vicino al segmento inferiore della cassa timpanica, ma questa vicinanza non è così immediata come nell'Uomo. Il forame giugulare trovasi anch’esso molto vicino alla cassa del timpano. Questa è gia, nelle Catarrhine da noi esaminate, molto meno ampia di quel che non sia la cavità timpanica di Hapale, tenuto conto, ben si com- prende, della differente grandezza del cranio. Anzi una differenza nell’ampiezza dell'orecchio medio esiste anche tra Cercopithecus e Macacus: in quest’ultimo è, senza alcun dubbio, molto meno ampia che nel primo (fig. 52). Asportato il tavolato esterno della superficie esocranica della rocca, si pone in evidenza una spugna ossea, che non è diploica ma pneumatica. Questa spugna che comunica per mezzo di molti orifizi con la cassa del timpano, è più ricca in Cercopithecus che in Macacus. Il qual fatto sta in relazione con l’aspetto alquanto diverso che pre- senta la superficie esocranica della rocca nei due individui: in Cerco- pithecus è più rigonfiata, in Macacus è più schiacciata. — Asportando il tavolato esterno della pars periotico-basale, si pone in evidenza una vasta e ricca spugna pneumatica, che non solo occupa tutta la pars, ma si estende anche fin sotto la radice dell’apofisi zigomatica, passando dietro alla parete superiore del condotto auditivo esterno. L’aspetto della spugna è alquanto diverso: in Cercopithecus le celle sono molte e piccole, divise da setti sottilissimi; in Macacus le celle sono poche e grandi, divise da setti robusti. Qui dunque esistono le medesime differenze che si osservano nella spugna della superficie esocranica della rocca (fig. 51 e 52). — Im tutte le Scimie da me esaminate esiste un attico molto ristretto. In Hapale — il cui condotto auditivo con- siste, come nei Carnivori e nei Lemuridi, in un largo orifizio dal quale è dato ispezionare la cavità del timpano — sulla volta dell’attico esiste uno stretto orifizio che conduce nella spugna ossea, o quanto meno, nello spazio esistente tra i tavolati della pars periotico-basale. In Cercopithecus e Macacus — nei quali esiste un lungo condotto auditivo — la volta dell’attico è eribrosa: i piccoli orifizi comunicano 350 A. Ruffini, con la spugna ossea pneumatica che occupa tutta la porzione sotto- zigomatica dello squamoso e che circonda quindi tutta la parete supe- riore del condotto auditivo. Da questa spugna dello squamoso si passa largamente nella spugna, avente il medesimo aspetto, della pars perio- tico-basale. Dunque obbietivamente si constata che il cambiamento di posi- zione del canale carotideo è accompagnato da sostanziali mutazioni delle parti limitrofe, comunicanti con la cavità del timpano. In Hapale esiste ancora una bolla — non così gonfia come nei Carnivori e nei Lemuridi — che occupa la superficie esocranica della rocca, ma si è formato un attico, dal quale si accede ad uno spazio — non sappiamo se cellulato o no — che già esiste tra i due tavo- lati della porzione sottozigomatica dello squamoso e della pars perio- tico-basale. In Cercopithecus e Macacus non esiste più una vera e propria bolla timpanica, rilevata e gonfia, ma una semibolla che è appena tumida e che possiede celle aerifere comunicanti con la cassa timpanica. Così pure non vediamo ancora formata una apofisi mastoide, ma c’è già una semiapofisi, che è anch’essa appena tumida e che contiene una spugna ossea, vasta ed in larga comunicazione con la parete superiore della cavità del timpano. Per ciò si può concludere che nelle Scimie non Antropoidi esiste una bolla timpanica in regressione ed un’apofisi mastoide in formazione. Nei grandi Cynocefali e negli Antropoidi esiste una apofisi mastoide vera e propria. Però le apofisi più somiglianti alle umane nella forma esterna, sono quelle appartenenti a Troglodytes niger e specialmente a Gorilla gina. A me fu solo possibile di esaminare internamente l’apofisi mastoide di un cranio adulto di Cynocephalus hamadryas (fig. 53). Essa possiede celle non molto grandi, divise da setti assai robusti. Esternamente, nessun segno residuale di bolla timpanica nella superficie esocranica della rocca. | Dalla deserizione di questi fatti appare perd evidente che se nelle piccole Scimie lo spostamento, del canale carotideo induce turbe Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 351 profonde nella costituzione della bolla timpanica, non conduce in nessun caso alla sparizione totale di essa, come accade e nelle Scimie delle specie superiori e nell’Uomo. E il caso forse di pensare all'intervento di un fatto nuovo? Il fatto nuovo realmente interviene, salendo verso le specie più progredite, ma non esula dal campo nel quale noi fer- mammo la nostra attenzione. — Tanto l’arteria carotide interna, quanto la vena giugulare, crescono di calibro man mano che dalla specie più piccole si ascende verso le specie superiori Quindi necessariamente - tanto il canale carotideo quanto il forame giugulare aumentano in ampiezza. Aumentando di ampiezza, questi due canali si addossano sempre più al segmento inferiore della cavità del timpano, ponendola nella impossibilità di potersi espandere in situ di quel tanto che è indispensabile per sopperire alla necessità funzionale. Giungiamo cosi fino all'Uomo, nel quale si è raggiunta la prova tangibile della verità da noi dimostrata (fig. 47). Siamo adunque autorizzati a concludere: che in realtà la forma- zione o no di una bolla timpanica è alla dipendenza del decorso e del calibro di due yrandi vasi sanguigni: carotide interna e vena giugulare. ll. Funzione della bolla timpanico e dell’apofisi mastoide; signi- ficato dello hiatus occipito-sfeno-temporale. Dopo tutti i resultati di cui è stata feconda tanto l’indagine em- briologica quanto quella comparata, mi pare che si possano fare con sicurezza due affermazioni: 1° La bolla timpanica e l’apofisi ma- stoide sono destinate a compiere la medesima funzione; 2° La bolla timpanica e l'apofisi mastoide sono indispensabili per l'organo del- l'udito. La prima affermazione è giustificata dal fatto che tanto l'una che l’altra rappresentano un diverticolo dell'orecchio medio; che se il di- verticolo assume diverse forme e grandezze e prende posizioni diffe- renti, ciò va attribuito da un lato alla necessità fisiologica cui deve ubbidire e dall’altro lato alle condizioni del cranio alle quali pure deve adattarsi. | La seconda affermazione è resa evidente dal fatto che tutti i 352 A. Ruffini, Mammiferi possiedono un diverticolo dell’orecchio medio. Non sarebbe possibile credere che una disposizione anatomica costante si formi senza necessita. Noi non possiamo avere la pretesa di indicare quale sia precisa- mente la funzione cui provvedono la bolla e l’apofisi; ma siamo in dovere di accennare quale possa essere questa funzione per giungere a porre alcuni quesiti, che dovranno poi essere risolti dalla esperienza fisiologica. Chi si fermasse a considerare solamente la grande e vuota bolla timpanica di alcuni Mammiferi — come ad es. dei Canidi, Felini, etc. — disposta a guisa di una cassa armonica attorno all'orecchio medio, non esiterebbe, credo, un istante ad ammettere che essa compia lo stesso ufficio di un risuonatore e che sia quindi destinata a rinforzare le onde sonore che percuotono la membrana del timpano. Questo con- cetto — che trova la sua ragione in una disposizione anatomica molto suggestiva — non può esser accolto da coloro i quali accettano senza restrizioni la dottrina di Helmholtz sulla conduzione delle onde sonore. Ma la dottrina di Helmholtz è stata senza alcun dubbio un po’ scossa in questi ultimi tempi per dato e fatto di alcuni resultati sperimentali e clinici (Secchi, Gradenigo) i quali hanno indotto lo stesso Luciani — che della teoria di Helmholtz è sostenitore — a riconoscere che, almeno ‘in condizioni abnormi, la dottrina della trasmissione delle onde aeree per la finestra rotonda s'impone in maniera evidente. Se così è, noi possiamo ben comprendere tutto il valore funzionale di un risuona- tore posto in comunicazione con la breve cavità del timpano. Lo studio comparativo ci ammonisce però che non in tutti i Mammiferi il ri- suonatore è ugualmente vuoto e non sempre trovasi attorno alla cassa timpanica. E quindi dobbiamo chiederci: la presenza delle celle in- fluisce o no sulla funzione della cassa armonica? La vicinanza o la lontananza del diverticolo della cassa, possono influire sulla risonanza? Tutte queste condizioni in quale rapporto si trovano con la finezza dell'udito, o, per lo meno, con la percezione di suoni determinati? Ecco i quesiti che l’analisi anatomica ci consiglia di formulare e che la fisiologia comparata dovrà sottomettere al cimento della in- dagine. * * * Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 353 Abbiamo gia altrove parlato della maniera singolare di compor- tarsi dello hiatus occipito-sfeno-temporale, o forame lacero, negli Equidi e nei Suidi; maniera che non trova riscontro in altri Mammiferi e che ci ha suggerito una idea, sul suo significato, che può avere una certa utilità descrittiva e scolastica. Bisogna premettere alcune conoscenze anatomiche che si trovano costanti nei cranii fetali di Cavallo, Porco, Bove ed Uomo. Il periotico propriamente detto si forma ed è contenuto in uno spazio, limitato da quattro ossa: medialmente e posteriormente dal basioccipitale e dall’esoccipitale, anteriormente ed esternamente dal postsfenoide e dallo squamoso. Per ciò sarebbe più esatto di chiamare questo hiatus: occipito-sfeno-squamoso, invece che: occipito-sfeno-tem- porale. Il largo hiatus ha una forma grossolanamente triangolare: la base è rivolta posteriormente ed all’esterno, l’apice è rivolto in avanti e medialmente ed è in parte scavato contro il corpo dell’alisfenoide. — Nei cranii fetali di tutti i Mammiferi la carotide interna imbocca nella cavità cranica passando per questo apice; le variazioni che si osservano nei cranii adulti dei Mammiferi superiori sono dovute a modificazioni secondarie. — Nei primi tempi della vita fetale il perio- tico chiude una gran parte di questa grande fessura triangolare: la base ed il lato postero-mediale (eccettuato il forame giugulare) sono sempre chiusi in tutti, l'apice ed una porzione più o meno grande del lato antero-esterno restano più o meno lungamente aperti. Negli Equidi queste ultime parti restano aperte anche nel cranio adulto, insieme ad una porzione del lato antero-esterno. Fu appunto dallo studio della configurazione di queste parti negli Equidi, e specialmente in un cranio fetale di Cavallo, che mi fu sug- cerita l’idea del significato che può attribuirsi allo hiatus-occipito- sfeno-squamoso. Mi sembra evidente che se quattro ossa concorrono alla formazione di una larga apertura che è deputata a contenere uno degli organi di senso, il quale — per ripetere una pittoresca espressione del Sig. di Blainville — si sviluppa e si accresce dentro i confini segnati dalle medesime ossa a guisa di un bulbo sensoriale, nulla debba opporsi a considerare questo hiatus come una vera e propria orbita (orbita Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 23 354 A. Ruffini, auditiva), (fig. 54). L’organo in essa contenuto si munisce secondaria- mente di formazioni addizionali, inerenti all'organo stesso, derivanti e dal timpanico e dalla medesima capsula labirintica, che ne complicano e ne tramutano la forma sì che dello spazio orbitario, nell’adulto, re- stino talvolta traccie appena riconoscibili. Ma in questi medesimi casi lo studio dei primi momenti della vita fetale non lascia alcun dubbio sulla esattezza del concetto da noi formulato, che è ugualmente appli- cabile a tutti i Mammiferi. Accanto a questo spazio orbitale, che è posto nella base del cranio, e che contiene il periotico propriamente detto, o rocca petrosa, o bulbo sensoriale, vi è un altro spazio, posto sulla continuità del precedente, nel quale si contiene la così detta base del periotico. Questo spazio è posto sulla regione laterale del cranio ed è limitato da quattro ossa: esoccipitale, sopraoccipitale, parietale e squamoso. Dentro questo spazio è contenuta la cartilagine che si ossifica più tardi del restante perio- tico e che formerà quella porzione di temporale che in Anatomia de- scrittiva viene designata come base del periotico. Essa insorge per irradiazione ossea dai canali semicircolari e contribuisce in massima parte alla chiusura dello spazio fontanellare. Questa porzione, che emerge sulla superficie in proporzioni diverse nelle diverse Specie, e che viene a far parte della regione laterale del cranio, si articola o si salda con le ossa delimitanti lo spazio già ricordato. Possiamo con- siderare questa parte come deputata a tenere sospeso il bulbo senso- riale nel suo spazio orbitale. Anche il concetto qui espresso è giusti- ficato dalle disposizioni osservabili negli Equidi e. specialmente in Equus asinus. Quindi sulla base dei fatti e delle considerazioni qui esposte — che se non aggiungono nulla di nuovo allo studio della quistione, ser- vono tuttavia a darci una giusta idea d’insieme del periotico e delle posizioni da esso occupate nel cranio — noi potremmo, sotto questo punto di vista, dividere il periotico in pars orbitahs e pars funticu- laris; la prima è quella contenuta nell'orbita occipito-sfeno-squamosa, che corrisponde al periotico p. d. (piramide o rocca) e che contiene anche le parti addizionali dell'organo dell'udito (cassa del timpano e suo diverticolo, condotto auditivo, tuba di Eustacchio), la seconda è > Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 355 quella che chiude in massima parte la fontanella asterica e che in alcuni Mammiferi (Scimie antropoidi, Uomo) contiene il diverticolo della cassa del timpano (apofisi mastoide). È questa la porzione che, per non creare possibili confusioni, io ho chiamata pars periotico- mastoidea nell’Uomo, nelle Scimie antropoidi e nei Cinocefali e pars periotico-basale negli altri Mammiferi. 12. Conclusioni. 1. La ossificazione della pars periotico-mastoidea compare al 5° mese della vita intrauterina con due nuclei (prossimale e distale) che dai due canali semicircolari: esterno e posteriore, si irradiano verso la superficie esterna della cartilagine. Il terzo nucleo concorre solo verso l'8? mese a completare l'ossificazione della parte superiore della pars e si irradia dal canale semicircolare superiore. 2. Dal 7° mese alla nascita si preparano le diverse parti che deb- bono concorrere a formare l’apofisi mastoide. a) Dall’attico si stacca un diverticolo (cavità attico-antrale) che, sospingendo un breve tratto della lamina periotica, sorpassa la sutura squamo-mastoidea superiormente alla eminenza del canale semicirco- lare esterno e va a porsi al di sopra di quel tratto della spugna periotica che è derivato dallo stesso canale semicircolare (nucleo pros- simale). b) Dalla parete esterna della cavità dell’attico (squamoso) si ori- gina la spugna squamosa, che potrà riempire la cavità attico - antrale ed accompagnarla nella sua evoluzione ulteriore. c) Il tratto di spugna periotica derivato dal nucleo prossimale, coadiuvata dalla cavità attico-antrale che procura la diastasi del tavo- lato esterno, si accresce e forma la proeminenza coniforme che si os- serva all’epoca della nascita e che contiene nel suo interno tutti gli elementi che dovranno servire alla costruzione dell’apofisi. 3. La cassa del timpano, nell'Uomo, è formata dal periotico e non dal timpanico. 4. L’apofisi mastoide non insorge avanti della seconda metà del primo anno di vita extrauterina ed in questo tempo è formata dalla sola spugna periotica: essa e diploica. 23* 306- A. Ruffini, 5. Successivamente si pud manifestare il fenomeno di progressiva invasione dell’antro e della spugna squamosa sulla spugna periotica dell’apofisi, la quale, ad un certo momento, è mista. Quando linva- sione progredisce fino al punto da far scomparire tutta la spugna perio- tica, si ha l’apofisi pneumatica. 6. Secondo che il fenomeno della invasione o non si inizia, o si ar- resta, oppure si esplica sino alle ultime conseguenze, si possono avere i tre tipi di apofisi distinti da Zuckerkandl: diploiche, miste, pneumatiche. 7. Le grandi celle (celle giganti, caverne) che si osservano nelle apofisi pneumatiche dell’adulto, sono la espressione ultima del continuo e progressivo movimento espansionale da cui è animata la cavità at- _tico-antrale; movimento espansionale che fa crescere l’apofisi fino alla vecchiaia e che ne trasforma continuamente le celle. 8. La causa che determina il continuo movimento espansionale della cavità attico-antrale, risiede nella pressione positiva dell’aria con- tenuta nella cassa del timpano. 9. Negli animali la strettezza della pars periotico-basale che emerge sulla superficie del cranio è determinata dacchè solo ad alcuni dei nuclei di ossificazione irradiati dai canali semicircolari è concesso di emergere; l'impedimento apparente viene principalmente dall’accrescimento precoce del margine dorsale dello squamoso ed in parte dal margine esterno dell’esoccipitale, i quali chiudono presto e rapidamente o tutta o gran parte della fontanella asterica e nascondono o tutta od una buona por- zione della pars. Cosi nel Porco emerge un solo nucleo (canale semi- circolare esterno) che non forma una pars periotico-basale ma prende una posizione speciale; nel Bove, Cavallo ed in molti altri emergono due nuclei (canali semicircolari esterno e posteriore) che formano una stretta pars periotico-basale. 10. La grandezza della porzione di periotico emergente sulla regione laterale del cranio puó essere considerata come uno degli esponenti della capacità cranica. 11. La cresta mastoieda dell'adulto deriva dalla ossificazione irra- diantesi dal canale semicircolare posteriore e la (impropriamente detta) apofisi mastoide deriva dalla ossificazione irradiantesi dal canale semi- circolare esterno. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 357 12. In tutti i Mammiferi la posizione dei nuclei di ossificazione della pars, dipende dalla posizione dei canali semicircolari. 13. La cassa del timpano negli animali viene formata dall’anello timpanico per una irradiazione ossea che nasce dal suo contorno interno. 14. La origine delle bolle timpaniche cellulate si inizia nel mo- mento in cui compare la spugna ossea nella superficie interna della cassa. La primitiva cavità (cassa timpanica) si amplia a spese della parte che va man mano riempiendosi di spugna. 15. La origine di questa spugna è uguale a quella spugna squa- mosa e dell’altra che trovasi sulla superficie interna della cassa tim- panica dell'Uomo. Insorge sotto forma di crestoline ossee anastomiz- zate a guisa di rete, che ripetono la disposizione delle reti vasali vedute in superficie. Trattasi adunque di una ossicazifione tardiva, deri- vante dalle reti vasali di tutte queste parti. 16. Nell’accrescimento successivo la cassa e la bolla o rimangono sulla continuità l'una dell'altra, ed ollora formano una intumescenza unica, oppure la bolla puó secondariamente migrare in basso per formare un'appendiee o diverticolo della cassa del timpano (Artio- dattili). i 17. La cassa del timpano dell Uomo non è omologa alla cassa del timpano degli animali; così pure l’apofisi mastoide non è omologa alla bolla timpanica. Tutti questi organi sono analoghi. 18. L’analogia della bolla timpanica con l’apofisi mastoide risulta chiaramente per tre ordini di fatti: architettura anatomica, comunica- zione con la cassa del timpano, causa comune che le produce. 19. Il diverticolo dell’orecchio medio esaminato in tutti i Mammi- feri presenta tre differenti situazioni, rispetto alla cavità centrale: o è posto largamente sulla sua continuità (Rosicanti, Perissodattili, In- settivori, Chirotteri, Carnivori, Prosimii) o si disloca in basso (Ar- tiodattili) o si disloca in dietro (Cinocefali, Scimie antropoidi, Uomo). 20. Nell'Uomo, nelle Scimie antropoidi e nei Cinocefali non è con- sentita la formazione di una bolla timpanica: per il cambiamento di posizione della carotide interna che trafigge la rocca petrosa, per la grandezza del calibro del canale carotideo e per la grandezza del cali- 358 A. Ruffini, bro del forame giugulare. Questi due larghi canali vascolari passando nelle immediate vicinanze della cassa del timpano impediscono che essa possa espandersi in una bolla timpanica. Negli altri Mammiferi, e nei giovani feti umani, la carotide entra nella cavità cranica passando per il forame lacero anteriore. — 21. Il cambiamento di posizione della carotide interna si fa repen- tinamente ed incomincia a manifestarsi solamente nelle Scimie. 22. Nelle Scimie inferiori (Cebus, Cercopithecus, Macacus, etc.) il canale carotideo ed il forame giugulare essendo di stretto calibro, esiste ancora un residuo di bolla timpanica ed incomincia a formarsi una semiapofisi mastoide, non rilevata, comunicanti ambedue con la cassa del timpano. 23. È probabile che tanto la bolla timpanica quanto l’apofisi ma- stoide abbiano l’ufficio di risuonatori. 24. Lo hiatus occipito-sfeno-temporale (che è più esatto deno- minare: occipito-sfeno-squamoso) ha il significato di orbita (orbita auditiva). 25. Il periotico propriamente detto, o rocca petrosa, o bulbo sen- soriale di Blainville, sviluppandosi dentro lo spazio orbitale costi- tuito dallo hiatus occipito-sfeno-squamoso e la base del periotico svi- luppandosi nello spazio della fontanella asterica, sarebbe giusto deno- minarle rispettivamente: pars orbitalis e pars funticularis. 13. Zusammenfassung. 1. Die Knochenbildung der Pars periotico-mastoidea tritt im fünften Monate des intrauterinen Lebens mittels zwei Kernen (einem proximalen und einem distalen) auf, welche sich von den zwei halb- kreisfórmigen Kanälen, dem äusseren und dem hinteren, aus gegen die äussere Oberfläche des Knorpels erstrecken. Der dritte Kern beginnt erst gegen den achten Monat der Knochenbildung des oberen Teiles der Pars beizutragen, indem er vom oberen halbkreisfórmigen Kanal ausgeht. 2. Vom siebenten Monate an bis zur Geburt bereiten sich die verschiedenen Teile vor, die zur Bildung der Apophysis mastoidea bei- tragen sollen. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. . 359 a) Vom Atticus entspringt ein Divertikel (attico-antrale Höhle), welches einen kleinen Teil der periotischen Lamelle vor sich treibt, die Sutura squamo-mastoidea oberhalb des Vorsprunges des äusseren halb- kreisförmigen Kanales überragt, um auf jenen Teil der periotischen Spongiosa zu gelangen, welche vom selben halbkreisförmigen Kanal (proximalen Kern) entstanden ist. b) Von der äusseren Wand der Hóhle des Atticus (squamosum) nimmt die Spongiosa des squamosum ihren Ursprung, die die attico- antrale Hóhle ausfüllen und sie bei ihrer weiteren Entwicklung wird begleiten kónnen. c) Derjenige Teil der periotischen Spongiosa, welcher vom proxi- malen Kern entstanden, von der attico-antralen Hóhle geholfen (welche den Durchgang durch die äussere Knochentafel herbeiführt), wáchst und bildet den kegelfórmigen Vorsprung, der zur Zeit der Geburt be- obachtet wird, und welcher in seinem Inneren alle Bestandteile ent- halt, die zum Aufbau der Apophyse dienen werden. 3. Die Paukenhóhle wird beim Menschen vom Os perioticum und nicht vom Os tympanicum gebildet. 4. Die Apophysis mastoidea tritt nicht vor der zweiten Hilfte des ersten Jahres des extrauterinen Lebens auf, und sie ist zu dieser Zeit bloss von der periotischen Spongiosa gebildet; sie ist diploisch. 5. In der Folge kann die Erscheinung der allmählichen Ein- wanderung des Antrums und der Spongiosa des Squamosum in die periotischen Spongiosa der Apophysis auftreten, welche in einer ge- wissen Zeit gemischt ist. Wenn die Einwanderung bis zu dem Punkt fortschreitet, dass die periotische Spongiosa dadurch verschwindet, er- halt man die pneumatische Apophysis. 6. Je nachdem die Erscheinung nicht beginnt oder gehemmt wird oder schliesslich sich bis zu den letzten Folgen entwickelt, können die drei von Zuckerkandl unterschiedenen Typen der Apophysis ent- stehen: diploisch, vermischt, pneumatisch. *. Die grossen Zellen (Riesenzellen, Hóhlen), die in den pneuma- tischen Apophysen des Erwachsenen beobachtet werden, sind die letzte Folge der allmáhlichen kontinuierliehen Expansionsbewegung, die die attico-antrale Hóhle zeigt; diese Expansionsbeweeung liisst die Apo- 360 A. Ruffini, physis bis zum Alter wachsen und deren Zellen kontinuierlich um- wandeln. 8. Die Ursache, welche die kontinuierliche Expansionsbewegung der attico-antralen Höhle erzeugt, beruht auf dem positiven Druck der in der Paukenhóhle enthaltenen Luft. 9. Bei den Tieren ist die Enge der Pars periotico-basalis, welche auf der Schädeloberfläche vorspringt, dadurch bedingt, dass nur einigen unter den von den halbkreisfórmigen Kanälen herstammenden Knochen- bildungskernen gestattet ist, vorzuspringen. Das diesbezügliche schein- bare Hindernis wird hauptsächlich vom frühzeitigen Zuwachs des dorsalen Randes des Os squamosum und zum Teil vom áusseren Rande des Os exoccipitale dargestellt, welche das asterische Grübchen gänz- lich oder zum grossen Teil verdecken. So springt beim Schwein nur ein Kern (äusserer halbkreisfórmiger Kanal) vor, welcher keine Pars periotico-basalis bildet, dagegen eine besondere Stellung einnimmt; beim Ochsen, Pferd und bei vielen anderen Tieren springen zwei Kerne (äussere und hintere halbkreisförmige Kanäle) vor, welche eine enge Pars periotico-basalis bilden. 10. Die Grösse des auf der seitlichen Gegend des Schädels vor- springenden Teiles kann als ein Index der Schädelkapazität betrachtet werden. 11. Die Crista mastoidea des erwachsenen Tieres entsteht von der aus dem hinteren halbkreisfórmigen Kanal sich erstreckenden Knochenbildung und die unrichtig bezeichnete Apophysis mastoidea von der des äusseren. 12. Bei allen Wirbeltieren hängt die Lage der Knochenbildungs- kerne von der Lage der halbkreisfórmigen Kanäle ab. 13. Die Paukenhöhle wird bei den Tieren vom tympanischen Ringe mittels einer Knochenausstrahlung gebildet, welche von seinem inneren Rand ihren Ursprung nimmt. 14. Die Bildung der zellenhaltigen tympanischen Bullae beginnt in dem Augenblick, in dem die Spongiosa in der inneren Oberfläche der Paukenhöhle erscheint. Die ursprüngliche Höhle (Paukenhöhle) erweitert sich auf Kosten des Teiles, der sich immer mehr mit Spon- giosa ausfüllt. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 361 15. Der Ursprung dieser Spongiosa ist ähnlich wie derjenige in der Squama und des anderen, der sich auf der inneren Oberfläche der Paukenhóhle des Menschen befindet. Er tritt auf unter der Form kleiner, netzförmig anastomosierter Knochenerhebungen, welche die Anordnung der von der Oberfläche gesehenen Gefässnetze wiederholen. Es handelt sieh deshalb um eine spite, von den Gefüssnetzen aller dieser Teile herstammende Ossifikation. 16. Bei dem folgenden Wachstum bleiben die Paukenhóhle und die Bulla in Kontinuitätszusammenhang miteinander bestehen und dann bilden sie eine einzige Intumescentia, oder aber kann die Bulla spáter nach unten auswandern, um dann einen Anhang oder Divertikel der Paukenhóhle zu bilden (Artiodaktylen). 17. Die Paukenhóhle des Menschen ist nicht der Paukenhóhle der Tiere homolog; auch die Apophysis mastoidea ist nicht der Bulla tym- panica homolog. Alle diese Organe sind analog. 18. Die Analogie der Bulla tympanica mit der Apophysis mastoidea ergibt sich deutlich aus drei Tatsachenreihen: anatomischer Bau, Kommu- nikation mit der Paukenhóhle, gemeinsame Ursache, die dieselbe erzeugt. 19. Das bei allen Wirbeltieren untersuchte Divertikel des mittleren Ohres zeigt in bezug auf die zentrale Hóhle drei verschiedene Lagen: entweder ist es direkt in ihrer Kontinuitát gelegen (Nagetiere, Peri- oxydaktylen, Insektenfresser, Keyroptere, Fleischfresser, Prosimiae), oder verlagert sich nach unten (Artiodaktylen), oder schliesslich ver- lagert es sich nach hinten (Kynozephalen, Menschenaffen, Mensch). 20. Beim Menschen, bei den Menschenaffen und den Kynozephalen ist die Bildung einer Bulla tympanica nicht gestattet wegen des Wechsels in der Lage der inneren Carotis, wegen der Grösse des Lumens des Carotiskanals und wegen der Grösse des Lumens des Foramen jugulare. Diese breiten Gefásskanále befinden sich in der unmittelbaren Nähe der Paukenhóhle und verhindern, dass sie sich in eine tympanische Bulla erweitert. Bei den übrigen Tieren und den jungen Menschenembryonen tritt die Carotis in die Schädelhöhle durch das vordere Foramen lacerum ein. 21. Die Anderung in der Lage der inneren Carotis erfolgt auf einmal und beginnt nur bei den Affen aufzutreten. 362 A. Ruffini, 22. Bei den niederen Affen (Cebus, Cercopithecus, Macacus usw.) ist das Lumen des Carotiskanals und des Foramen jugulare eng, es be- steht infolgedessen noch ein Rest der Bulla tympanica, während sich zugleich eine halbe Apophysis mastoidea, noch nicht vorspringend, zu bilden beginnt, beide mit der Paukenhóhle kommunizierend. 23. Es ist wahrscheinlich, dass sowohl die Bulla tympanica, wie die Apophysis mastoidea die Aufgabe von Resonatoren besitzen. 24. Der Hiatus occipito-spheno-temporalis, der richtiger als occi- pito-spheno-squamosus zu bezeichnen wäre, hat die Bedeutung einer Orbita (Orbita des Ohres). 25. Das Os perioticum (im engeren Sinne) oder Felsenteil oder sensorieller Bulbus von Blainville, das sich innerhalb des vom Hiatus occipito-spheno-squamosus gebildeten Orbitalraumes entwickelt, und die Basis des Perioticum, die sich in dem Raum des asterischen Grübchens entwickelt, dürften besser: als Pars orbitalis und Pars funti- cularis bezeichnet werden. Bibliografia. Balfour, M., Traité d’embryologie et d’organogénie comparées. Paris 1885. Bichat, S., Anatomia descrittiva. Traduz. G. Levi. Venezia 1834. Blainville, Citato da Hollard a pag. 364. Bochendahl, Citato da Luciani. Broca, A., Chirurgie Opératoire de FOreille Moyenne. Paris, Manon et Cie. Édit. 1899. ! Carli, C., Contributo allo studio della Pars mastoidea del temporale umano con speciale riguardo alla conoscenza dell'antro paramastoideo. Arch. di Anat. e di Embriol. Vol. 2, fasc. 1. 1903. Cassebohm, J. F., Tractatus quatuor anatomici de Aure humana. 1734. Trac- tatus quintus. 1735. 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Asportata la parte esterna della spugna ossea dei due primi nuclei di ossificazione della pars periotico-mastoidea sono stati posti in evidenza i due canali semicircolari: esterno e posteriore; dall'esterno deriva il nucleo prossimale, dall'interno il distale. — Pit grande del vero. Lato destro di un cranio fetale della età di sei mesi circa. Dimostra: la cavità dell'attico ed il suo confine in corrispondenza del margine poste- riore dello squamoso, dove questo converge con la lamina periotica; la differente profondità tra il canale semicircolare esterno e quello poste- riore; la formazione di un incavo semilunare in corrispondenza del lato superiore della pars, perché non è ancora intervenuto il terzo nucleo di ossificazione derivante dal canale semicircolare superiore. Essendo stato asportato il segmento posteriore dell’anello timpanico, il preparato serve anche a dimostrare la continuità di sostanza tra la porzione posteriore e quella anteriore del periotico. — Piü grande del vero. Lato destro di un cranio fetale dell'età di sei mesi circa. Serve a dimo- strare che la profondità a cui é posto il canale semicircolare esterno si va facendo rapidamente maggiore e che il rilievo che incomincia a comparire nella parte inferiore della parete interna dell'attico è dovuta al segmento anteriore dello stesso canale semicircolare. — Più grande del vero. Lato destro di un cranio fetale della età di sei mesi circa. I due nuclei prossimal e distali sono già fusi. La cavità dell'attico, chiaramente posta in evidenza, non ha ancora subíta alcuna modificazione. Dimostra ancora una volta la posizione dei due canali semicircolari esterno e posteriore nella pars periotico-mastoidea. — Pit grande del vero. Lato destro di un cranio fetale della età di sei mesi circa. Si sono com- pletamente fusi 1 due primi nuclei di ossificazione della pars, che pud dirsi già in massima parte presente, ad eccezione del suo lato superiore, nel quale esiste sempre immutato l’incavo semilunare. La sutura squamo- mastoidea presenta la caratteristica incurvatura quasi mediana che volge la sua convessità all'indietro. — Pià grande del vero. Lato sinistro del medesimo cranio. Dimostra con evidente chiarezza il diverticolo che la cavità dell'attico invia all'indietro, sopra al territorio di ossificazione derivato dal canale semicircolare esterno (nucleo prossimale). A. Ruffini, Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 367 Fig. 9. Fig. 10. Fig. 11. Fig. 12. Fig. 13. Fig. 14. Il diverticolo emana dalla parte superiore della parete posteriore della cavità dell’attico, piega davanti a sè la lamina periotica e passa al di sopra della eminenza del canale semicircolare esterno. — Più grande del vero. Lato destro di un cranio fetale della età di sette mesi circa. L'esistenza del diverticolo dell’attico e la posizione sua corrispondono a quanto è dimostrato dal preparato precedente. Che l’eminenza situata inferior- mente al diverticolo sia realmente dovuta al canale semicircolare esterno, è reso evidente dall’artifizio di avere in corrispondenza di essa praticato un foro che ha condotto nel medesimo canale semicircolare. La lamina periotica diventa cribrosa in modo evidente per laumentato diametro dei forellini preesistenti. — Più grande del vero. Osso temporale del lato sinistro dello stesso cranio; disarticolato e sezio- nato orizzontalmente, tra il divertico dell’attico ed il margine superiore del canale semicircolare esterno. Dimostra la forma che ha in questa epoca la cavità dell’attico e le pareti che la limitano. La parete supe- riore è data dal tegmen tympani, quella interna dalla lamina periotica e quella esterna dallo squamoso; queste due ultime convergono nell’angolo posteriore e si avvicinano in corrispondenza della sutura squamo-mastoi- dea. Chiare appaiono le relazioni della porzione anteriore del c. s. esterno con la parete interna dell’attico e la spugna periotica della porzione dei canali. — Molto più grande del vero. Lato destro di un cranio fetale della età di otto mesi circa. Il diverti- colo della cavità dell’attico si fa più esteso e più ampio; la lamina pe- riotica da essa ripiegata verso l’esterno diventa sempre più evidentemente cribrosa ed è appoggiata contro quella regione della spugna periotica che è derivata dal nucleo osseo prossimale. — Più grande del vero. Osso temporale del lato sinistro di un cranio fetale della età di 7—8 mesi. La sezione comprende solo la porzione dei canali ed è condotta in modo da mettere in evidenza la ossificazione che irradiandosi dal margine esterno del canale semicircolare superiore concorre a completare la ossi- ficazione della pars nella sua parte superiore ed a chiudere quindi l’in- cavo semilunare. — Molto più grande del vero. Lato destro di un cranio all’epoca della nascita circa. La cavità attico- antrale si mostra sempre più ampia e tende a volgere in basso, verso la spugna periotica del nucleo prossimale. Questa spugna fu asportata profondamente tanto da vedere le relazioni con la vicina cassa del tim- pano e specialmente con il sinus tympani o cavità sottopiramidale di Huguier. — Più grande del vero. Lato sinistro di un cranio della stessa epoca del precedente. La cavità attico-antrale presenta quasi le medesime caratteristiche osservate nel cranio precedente; col suo fondo, rivestito dalla lamina periotica, si pone sopra alla spugna periotica, le cui celle furono poste in evidenza abra- dendo il tavolato esterno. — Più grande del vero. Lato sinistro di un cranio della stessa epoca dei precedenti. La cavità attico-antrale, preceduta dalla lamina periotica, prende la sua posizione al di sopra della proeminenza coniforme oltrepassando il limite segnato dai residui della sutura squamo-mastoidea, La elegantissima spugna 368 Fig. 15. Fig. 16. Fig. 17. Fig. 18. Fig. 19. Fig. 20. Fig. 22. À. Ruffini, squamosa, veduta dallesterno, incomincia a crescere dentro la cavita attico-antrale. — Più grande del vero. Osso temporale del lato destro, appartenente ad un cranio della stessa epoca dei precedenti. Sezione orizzontale fatta in corrispondenza del limite tra la cassa del timpano e l’attico ed asportazione della rocca petrosa. Mostra la superficie interna della parete esterna della cavità dell’attico (squamoso), nella quale si vede con mirabile chiarezza l’origine della spugna squamosa. Veduta da questo lato, offre l'aspetto elegante delle reti vasali vedute in superficie. — Molto più grande del vero. Lato destro di un cranio della stessa epoca dei precedenti. La sutura squamo-mastoidea si ricompone e non lascia più vedere l’insenatura di- retta posteriormente. Si va formando la incisura parietalis in corrispon- denza delle estremità superiore della sutura squamo-mastoidea. L’incavo semilunare è molto ridotto ma non ancora completamente ossificato. — Poco più piccola del vero. Lato sinistro dello stesso cranio. Configurazione e rapporti della cavità attico-antrale con la proeminenza coniforme integra. — Poco più grande del vero. Lato destro di un cranio della stessa epoca dei precedenti. Asportata la spugna squamosa, i cui punti d’attacco sul tegmen tympani furono lasciati integri, e denudata del tavolato esterno la proeminenza coniforme, si osserva chiaramente il rapporto ora esistente tra la cavità attico- antrale, rivestita dalla lamina periotica, e la spugna periotica. — Poco più grande del vero. | Lato destro di un cranio della stessa epoca dei precedenti. Dimostra la profondità della cavità attico-antrale e la persistenza della lamina perio- tica che forma come un diaframma cribroso tra la stessa cavità e la spugna periotica, cresciuta anch'essa in spessore in corrispondenza della proeminenza coniforme. — Grandezza naturale. Lato destro di un cranio della stessa epoca dei precedenti. La proemi- nenza coniforme denudata del suo tavolato esterno. La cavità attico- antrale e la spugna squamosa disposte sopra la spugna periotica che costituisce la proeminenza coniforme. — Piü grande del vero. Lato destro di un cranio di bambino della età di circa due mesi. Pre- parato come alla fig. 14. La spugna squamosa si é accresciuta; la ca- vità attico-antrale, preceduta dalla lamina periotica cribrosa, si avanza sulla spugna periotica, le cui celle sono diventate un po’ più ampie di quello che non lo fossero nelle epoche precedenti. I residui della sutura squamo-mastoidea sono sempre presenti. — Poco piü grande del vero. Lato destro di un cranio di bambino della età di 4—5 mesi. Asportato tutto il tavolato esterno della proeminenza coniforme e la spugna squa- mosa, si vede lampia cavità attico-antrale sempre più profonda, la cri- brosa lamina periotica limitante — sulla quale già aderiva la spugna squa- mosa — e la spugna periotica con celle sempre più ampie. — Pochissimo pia grande del vero. Lato destro di un cranio di bambino della età di otto mesi. L’apofisi mastoide è insorta. Asportato il suo tavolato esterno, un tratto di so- stanza della parte più esterna e la porzione inferiore della spugna Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo ete. 369 squamosa, si osserva: l'ampia cavità attico-antrale farsi sempre più dap- presso alla spugna periotica e già pronta per l’invasione, l'apofisi — come la proeminenza coniforme — costituita di spugna periotica, le cui celle hanno raggiunto il maximum di ampiezza. — Poco più grande del vero. Fig 24. Lato destro di un cranio di bambino della età di un anno circa. Pre- parata la regione come nel caso precedente, ma lasciata in posto la massima parte della spugna squamosa vediamo con chiarezza schematica la disposizione delle parti. La cavità attico-antrale è piena della spugna squamosa, che largamente aderisce sulla lamina periotica che veste il fondo della stessa cavità e che forma il diaframma cribroso già più volte descritto e qui evidentissimo. Sul preparato si osserva anche molto bene la differenza di colore tra la spugna squamosa, che tende al can- dido e la spugna periotica che volge al giallo; le altre differenze risul- tano anche dalla figura. — Pochissimo più grande del vero. Fig. 25. Lato destro di un cranio di bambino della età di due anni circa. Della sutura squamo-mastoidea non restavano che lievi tracce. Decorticamento della regione mastoidea. Lungo la linea corrispondente alla sutura squamo-mastoidea si osserva un addensamento di sostanza. Le due spugne squamosa e periotica si trovano di contro, ma l’apofisi mastoide si vede chiaramente formata dalla spugna periotica. — Poco più grande del vero. Fig. 26. Lato destro di un cranio di mabino della età di tre anni circa. La sutura squamo-mastoidea era ben conservata specialmente in basso. Decorticamento della regione mastoidea. Dimostra con maggiore evidenza i fatti osservati nel cranio precedente. — Poco più grande del vero. Fig. 27. Osso temporale destro di un bambino della età di 2—3 anni. Sezione orrizzontale fatta in corrispondenza del mezzo dell’apofisi mastoide. La sutura squamo-mastoidea è presente. Parte superiore dell’osso. La por- zione squamosa in corrispondenza della sutura si dispone ad embrice sulla porzione periotica; ciò spiega la disposizione notata nella precedente figura ed il modo di residuare delle parti in corrispondenza della sutura squamo-mastoidea. — Più grande del vero. Fig. 28. a) Osso temporale sinistro dello stesso bambino di otto mesi da cui è stata ricavata la fig. 23. L’apofisi mastoide quindi era appena insorta. Essa è diploica. La cavità attico-antrale e la spugna squamosa sono poste al di sopra della base dell'apofisi. — b) Osso temporale destro di un bambino della età di 2—3 anni. La cavità attico-antrale, preceduta dalla lamina periotica, e la spugna squamosa si avanzano ad invadere la spugna periotica costituente la porzione apicale dell’apofisi. Essa in questo momento appare mista. — Le due sezioni furono condotte in modo da tagliare in senso verticale tutta l’apofisi mastoide. — Poco più grande del vero. Fig. 29. a) e b) Due ossa di bambini quasi della medesima età (6—7 anni), sezionati come i precedenti. In uno (a) l’apofisi è mista, nell’altro (b) è già completamente pneumatica, per quanto fosse apparentemente più giovane. — Poco più grande del vero. Fig. 30. Osso temporale di uomo adulto. Fu posto allo scoperto il gruppo dei canali semicircolari e fotografato dal lato posteriore. La distanza tra il gruppo dei canali e la superficie esterna dell’osso è grande, mentre Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 24 370 Fig. 31. Fig. 32. Fig. 33. Fig. 34. Fig. 35. Fig. 36. Fig. 97. Fig. 38. A. Ruffini, nel feto (fig. 39) lo stesso gruppo trovasi nelle immediate vicinanze della superficie esterna. — Più piccolo del vero. Cella gigante o caverna in un'apofisi mastóide di uomo adulto. Mostra 1 residui delle lamine divisorie delle primitive celle, sotto forma di stalattiti e creste ossee; l’ampia comunicazione col canale petro-mastoideo nella sua parte profonda. — Quasi tre volte più grande del vero. Osso temporale di uomo adulto. Fu preparato in modo da dimostrare la disposizione delle celle mastoidee rispetto all canale petro-mastoideo. Si osserva anche bene la spugna che trovasi nella superficie interna della cassa del timpano. — Grandezza naturale. Schema al quale si può ricondurre la disposizione delle celle nell’apofisi mastoide rispetto al canale petro-mastoideo. Lato destro di un cranio fetale di Porco, della lunghezza di centim. 4, nel quale si osserva il nucleo osseo (a) derivante con tutta probabilità dal canale semicircolare esterno. Si vede anche come il margine dorsale dello squamoso ed il margine esterno dell’esoccipitale contribuiscono alla chiusura precoce della fontanella asterica. — Più grande del vero. Lato destro di un cranio fetale die Bove della lunghezza di centim. 10,5, Due nuclei ossei sono già apparsi sulla superficie della cartilagine per la ossificazione della pars periotico-basale. Il nucleo a è in gran parte nascosto dal margine dorsale dello squamoso — che fu dovuto asportare in parte — e deriva dal canale semicircolare esterno; il nucleo b è libero e deriva dal canale semicircolare posteriore. — Più grande del vero. Lato destro di un cranio fetale di Cavallo della lunghezza di centim. 28,5. La pars periotico-basale consta di due porzioni divise ancora da una sutura. La porzione a deriva dal canale semicircolare esterno e la porzione b dal canale semicircolare posteriore. Si vede anche la forma caratteristica del margine dorsale dello squamoso. — Più piccola del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Porco nell'ultimo mese di vita intrauterina. In questo cranio mancavano le ossa della volta e la squama dell’occipitale, perciò non ne fu potuta prendere la lunghezza. Preparazione in situ del gruppo dei canali semicircolari. Dimostra anche chiaramente le relazioni esistenti tra la superficie inferiore del canale semicircolare esterno e la cassa del timpano: l’incudine col suo breve processo tocca il margine inferiore dello stesso canale. — Più grande del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Bove della lunghezza di centim. 12,9. Preparazione in situ del gruppo dei canali semicircolari. Porre in confronto la posizione e la direzione dei canali semicircolari esterno e posteriore con la posizione e direzione dei nuclei di ossificazione a e b della fig. 35. — Più grande del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Uomo della età di sette mesi circa. Preparazione in situ del gruppo dei canali semicircolari. Porre in confronto la posizione e la direzione dei canali semicircolari esterno e posteriore con la posizione e direzione dei nuclei di ossificazione prossimale e distale delle fig. 1, 2, 3, 4, 5. Nell’angolo antero-inferiore della figura si osserva il breve processo dell’incudine contenuto dentro la cavità dell’attico, di cui è chiaramente visibile la lamina periotica isolata dalla spugna squamosa. Si vede pure con tutta chiarezza la relazione esistente Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 47. 40. 41. . 42. ig. 43. 44. 45, 46. Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. 371 tra la porzione anteriore del canale semicircolare esterno con la lamina periotica e quindi con la parete interna della cavità dell’attico. — Pit grande del vero. Lato sinistro di un cranio di Putorius vulgaris adulto. L’ampia bolla timpanica cellulata comunica direttamente con la cassa del timpano. — Molto piu grande del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Bove della lunghezza di centim. 13. Sezione quasi verticale che passa per il mezzo della cassa e della bolla timpanica. In questo momento la bolla timpanica ha le pareti liscie: si potrebbe dire che esista una cassa timpanica molto ampia. Però sul vero si osservano già le crestoline ossee anastomizzate a guisa di rete e che sono ora appena visibili — Poco più grande del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Bove della lunghezza di centim. 16,9. Preparato come il precedente. La spugna ossea è già ben rilevata sulla faccia interna della bolla che va ampliandosi. — Poco più grande del vero. Lato sinistro di un cranio fetale di Bove della lunghezza di centim. 22,5. Preparato come i precedenti. La spugna ossea è cresciuta molto, le celle sono numerosissime, la bolla è assai più ampia, la sua estremità inferiore è stirata a punta per dare origine alla apofisi suboliforme. Dalla mezza parte posta a sinistra della figura fu asportato un tratto di spugna per lasciar meglio vedere gli elementi della cassa timpanica e l'ampia comunicazione diretta della spugna con la stessa cassa. — Poco più grande del vero. Massima parte della cassa e della bolla timpanica, staccate dal lato destro di un cranio di Bove adulto. Tutta le breve porzione superiore della figura, dove le celle hanno forma prismatica, appartiene alla cassa, il resto è dato dalla bolla timpanica. Nel lato destro di questa fu asportata la parete per mettere in evidenza le grandi celle a forma di fiasco che vanno a sboccare tra le piccole celle della parete interna della cassa. La bolla timpanica forma un diverticolo dislocato in basso. — Grandezza naturale. Bolla timpanica del lato destro di un cranio di Bove adulto, preparato in situ. Fu asportata la parete del suo lato esterno. Si vedono i fondi delle poche ed enormi celle a forma di fiasco. La linea di contorno è festonata: gli archi corrispondono alla cavità delle celle, le imposte degli archi ai setti, diretti in senso perpendicolare. — Grandezza naturale. Osso temporale sinistro di Uomo adulto. La fotografia non è riuscita a riprodurre altro che in parte la bellezza e la dimostratività di questo preparato, il quale ad ogni modo è più dimostrativo di alcune figure simili riportate in alcuni Trattati di Anatomia. Mostra le relazioni esistenti tra la cassa del timpano e l’apofisi mastoide a celle pneumatiche. Confrontando questa disposizione con quella rappresentata nelle figure 40, 43 e 44 si vede come il diverticolo della cassa timpanica presenta tre differenti situazioni: o è posto sulla sua continuità (fig. 40 e 48), o si disloca in basso (fig. 44), oppure, come dimostra questa figura, si disloca in dietro. — Poco più piccola del vero. Osso temporale destro di Uomo adulto. Fu preparato e fotografato in modo da mettere chiaramente in evidenza le relazioni intime che corrono tra la fossa giugulare ed il canale carotideo da un lato e la cassa del timpano dall’altro. — Grandezza naturale. 24* 372 A. Ruffini, Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo etc. Fig. 48. Fig. 49. Fig. 50. Fig. 51. Fig. 52. Fig. 53. Fig. 54. Superficie esterna della base del cranio di un Cane adulto. Benchè la carotide interna passi per il forame lacero anteriore, tuttavia si ha la formazione di un canale carotideo. — Grandezza naturale. Lato sinistro della superficie esterna della base del cranio in un feto umano della età di cinque mesi circa. La doccia carotidea e la fossa giugulare sono scavate sul periotico e si trovano addossate al punto donde dovrà, dallo stesso periotico, insorgere il segmento inferiore della cassa timpanica. La carotide interna penetra nella cavità cranica per un orifizio situato nel forame lacero anteriore; orifizio risultante per l'apposizione di due brevi incisure: l'una scavata sul periotico in corri- spondenza della estremità anteriore del solco carotideo, l’altra sul postsfenoide. — Molto più grande del vero. Lato sinistro della superficie esterna della base del cranio di Hapale (?). La bolla timpanica è poco sporgente e sacciforme. Il canale carotideo trafigge la bolla nelle vicinanze della cassa del timpano. — Più grande del vero. È Superficie esterna della base del cranio di Cercopithecus (?). Il canale carotideo trafigge la rocca in prossimità della cassa timpanica. Tra questo e l’apice della rocca esiste una lieve intumescenza che nell’interno contiene celle aerifere (residuo della bolla timpanica) comunicanti con la cassa. Asportato il tavolato esterno della pars periotico-basale, si osserva una vasta spugna fatta da celle aerifere pur esse comunicanti con la cassa del timpano (semiapofisi mastoide non rilevata). — Grandezza naturale. Superficie esterna della base del cranio di Macacus (?). Dimostra gli stessi fatti già osservati nel cranio precedente. — Grandezza naturale. Lato sinistro di un cranio di Cynocephalus hamadryas adulto. Sezione verticale dell’apofisi mastoide, ripiena di celle aerifere con setti robusti. — Grandezza naturale. Lato sinistro dello stesso cranio fetale di Cavallo rappresentato nella fig. 36, della lunghezza di centim. 28,5. L’ampio hiatus occipito-sfeno- squamoso costituisce uno spazio orbitale (orbita auditiva), dentro al quale trovasi il periotico propriamente detto, o bulbo sensoriale di Blainville, con la sua bolla timpanica cellulata. Si vede bene anche la posizione e la forma della incisura carotidea (Inc. car.) dove scorre la carotide interna per portarsi nella cavità cranica. — Più piccola del vero. Referat. Von Fr. Kopsch. K. Brodmann, Vergleichende Lokalisationslehre der Grosshirnrinde in ihren Prinzipien dargestellt auf Grund des Zellenbaues. Leipzig 1909, J. A. Barth. 12 Mk. Regionäre Verschiedenheiten im feineren Bau der Grosshirnrinde sind schon lange Zeit bekannt. Einteilungen der Grosshirnrinde in Bezirke sind von ver- schiedener Seite auf verschiedener Grundlage gemacht worden. Alle diese Versuche werden überragt durch die systematisch und konsequent durchgeführten Untersuchungen von Brodmann, welcher beim Menschen und einer Anzahl von Säugetieren die , Felderlokalisation* („topographische Rindengliederung“) festgestellt hat. Die in einer Anzahl von Einzelarbeiten veröffentlichten Ergebnisse . seiner Arbeiten stellt der Verfasser hier im Zusammenhange dar. Die Rindenfelder („Areae anatomicae“) sind in sich einheitlich, unter sich verschiedenartig gebaute räumliche Bezirke der Grosshirnrinde. Als unterscheidende Merkmale dienen Zahl und Art der Zellenschichten. Den Ausgangspunkt bildet der einheitliche sechsschichtige Typus („sechs- schichtiger tektogenetischer Grundtypus“), welcher die primitive und ur- sprüngliche Form in der ganzen Säugetierreihe ist und bei allen Ordnungen ent- weder dauernd oder wenigstens vorübergehend als Durchgangsstadium beim Fetus nachweisbar ist und zwar auch in solchen Rindengebieten, wo er später im fertigen Gehirn verschwindet. Aus dieser sechsschichtigen ,Urarchitektonik^ gehen alle Verschiedenheiten der „Cytoarchitektonik“ der Grosshirnrinde hervor durch Vermehrung oder Ver- minderung der Schichten. Eine Ausnahme davon machen gewisse „rudimentäre“ Rindengebiete (Rhinencephalon, Teile des Gyrus cinguli). Infolgedessen werden zwei verschiedene ,Grundformen der Cytoarchitektonik* unterschieden. 1. ,Homo- genetische Formationen“ sind diejenigen Rindentypen, welche sich direkt aus dem sechsschichtigen Grundtypus ableiten lassen. 2. ,Heterogenetische For- mationen^ sind solche Rindentypen, bei denen ein sechsschichtiges fetales Sta- dium nicht nachweisbar ist oder noch nicht nachgewiesen ist. Die Verschiedenheiten des Baues der einzelnen Rindenfelder entstehen aus . dem Grundtypus durch Veränderungen der Zahl und der Ausbildung der Einzel- schichten oder durch Änderung der Dichtigkeit und Grösse der zelligen Elemente auf dem Gesamtquerschnitt und innerhalb einzelner Schichten oder durch Aus- 374 Fr. Kopsch, Referat. bildung bestimmter Zellformen oder durch Veränderung der Breite der Gesamtrinde und das relative Breitenverhältnis der verschiedenen Schichten zueinander. Die Abgrenzung der einzelnen Felder gegeneinander erfolgt teils ,mit linear- scharfen Grenzen“, teils „mit fliessenden Übergängen“. Verschiedenheiten der ,Tektonik“ bei erhaltener Sechsschichtung heissen „homotypische Formationen“. Extreme Varianten mit abgeänderter Schichten- zahl, „heterotypische Formationen‘, sind diejenigen, welche im ausgewachsenen Gehirn die ursprüngliche Sechsschichtung nicht mehr besitzen. Die ,heterogenetischen Rindenformationen“ lassen drei Untergruppen erkennen: a) „Cortex primitivus“ zeigt weder in der ontogenetischen Ent- wicklung noch in der Tierreihe eine der übrigen Rinde vergleichbare Schichtung. b) „Cortex rudimentarius“ ist ausgezeichnet durch die erste Anlage einer ge- wissen Schichtung. c) „Cortex striatus (heterogeneticus)* besteht aus meh- reren deutlich ausgebildeten Schichten des tektonischen Grundtypus. Auf Grund dieser Merkmale hat B. die Areae bei Mensch, niederen Affen, Halbaffen, Pteropus, Wickelbär, Kaninchen, Ziesel, Igel bestimmt. Er zeichnet die Areae in das Oberflächenbild der Grosshirnhemisphäre ein und gewinnt dadurch „Hirnkarten‘“. Hierbei unterscheidet der Autor neuerdings grössere Areale von einheitlichem Bau, aus einer grösseren Zahl von einzelnen Areae bestehend, als ,Hauptregionen, Regiones“ von den „Einzelfeldern, Areae*. Er nennt elf Regionen und gegen 50 Areae. Die Übereinstimmungen und Verschiedenheiten der Feldergliederung vom. Menschen und den untersuchten Tierarten werden auseinandergesetzt. Der dritte Abschnitt enthält die Anwendung der tatsächlichen Befunde auf vergleichende Anatomie, Anthropologie, Pathologie, Physiologie. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. Verlag von ne Thieme in Leipzig. Therapeutische Technik für die ärztliche Praxis. Ein Handbuch für Ärzte und Studierende. Herausgegeben von Prof. Dr. Julius Schwalbe, Berlin. Zweite erweiterte Auflage. M. 21.—. INFFALT: Technik der Arzneibereitung und Arzneianwendung. Prof. Kobert, Rostock. Technik der Ernährungstherapie. Geh.-Rat Prof. Kraus und Priv.-Doz. Brugsch, Berlin. Technik der Hydro- und Thermotherapie. Prof. H. Rieder, München. Technik der Radiotherapie. Dr. H. E. Schmidt, Berlin. Technik der Massage. Prof. J. Riedinger, Würzburg. Technik der Gymnastik. Prof. J. Riedinger, Würzburg. Ausgewáhlte Kapitel aus der allgemeinen chirurgischen Technik. Geh.-Rat Prof. Hildebrand und Dr. B. Bosse, Berlin. Technik der Behandlung der Hautkrankheiten und der Syphilis. Prof. S. Bett- | mann, Heidelberg. - Technik der Behandlung einzelner Organe: E- Auge. Prof. Eversbusch, München. — Ohr. Prof. Siebenmann, Basel. 1 — Nase, Rachen, Kehlkopf, Trachea, Bronchien. Prof. Friedrich, Kiel. — a Pleura. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Lungen. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Herz. Prof. Schwalbe, Berlin. — Speiseróhre. Prof. Schmidt, Halle a. S. — Magen. Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (innere Be- handlung). Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (chirurgische Behandlung). Geh.-Rat Prof. Czerny, Exz. , Heidelberg. — Abdomen (chirurgische Behand- lung). Geh.-Rat Prof. Czerny, Exz., Heidelberg. — Harnorgane. Prof. 0. Zuckerkandl, Wien. — Männliche Geschlechtsorgane. Prof. 0. Zucker- kandl, Wien. — Weibliche Geschlechtsorgane. Geh.-Rat Prof. Fritsch, Bonn. — Nervensystem. Geh.-Rat Prof. Str DUUM Wien, und Prof E. E Müller, Marburg. i - Sachregister. ‚Lehrbuch (ler Geschlechtskrankheiten San.-Rat Dr. Max Joseph, Berlin. 3 Mit 65 Done 1 schwarzen und 3 farbigen Tafeln nebst Anhang von Rezepten. E 6. Auflage. M. 7.20, gebunden M. 8.20. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Rauber's Lehrbuch — Anatomie des Menschen bearbeitet von Prof. Dr. Fr. Kopsch, - (1 j I. Assistent am Anatomischen Institut zu Berlin. Neu ausgestattete Ausgabe Vill. Auflage. — Abt.1. Allgemeiner Teil. 234 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 6.— , 2. Knochen, Bander. 439 teils farbige Abbildungen. a Gebunden M. 9.50. » 9. Muskeln, Gefàsse. 407 teils farbige Abbildungen. He Gebunden M. 15. » 4. Eingeweide. 455 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 12. , 9. Nervensystem. 427 teils farbige Abbildungen. ho. Gebunden M. 13. , 6. Sinnesorgane, Generalregister. 251 teils farbige Ab- bildungen. Gebunden M. 8.— Das altberühmte Werk bietet mit seiner von keinem anderen Lehrbuc reichten reichhaltigen illustrativen Ausgestaltung das Vollkommenste, was dii moderne Technik schafft, Durch Vergrösserung des Formates war es möglich die Abbildungen so gross herzustellen, wie sie keiner der neueren Atlanten Die neue Auflage macht daher die Anschaffung eines Atlas über vereinigt also in sich die Vorzüge eines Lehrbuehs und eines Atla Plohand Hahn (H« Otto), Leipzig. tr! (16 CORELLI TI jud E Herausgegeben von Lüttich, S. Ramón y Cajal in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, Golgi in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G Retzius in Stockholm E A. Schafer ss, Testut à oT in Edinburg — B in Lyon und : | Fr. Kopsch . in Berlin. Band XXVIL Heft 7/9. j “ LEIPZIG 1910 ‘Verlag von Georg Thieme. YER Inhalt, ULT I N Ü Ü C Me Dr. Giuseppe Favaro, | Il’ miocardio. polmonare. Contributi all’istologia umana Seite e comparata dei vasi polmonari. (Con tavole X, XI) . . . . . OE. EN Dr. Carlo Besta, Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. i (Con Tav. XL SMU) er... er et cue (ep T LE MET Fr. Kopseh, Referate. nce n SA Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 50 Sonderabdrücke frei, eine gróssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder deutscher Sprache für die ,Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, Prinzregentenstr. 59, erbeten. Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their artic les can obtain them at reasonable rates by application to the Hua Georg. Thieme, Leipzig, Tu mM. o 2, Germany. Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to the associate editors or to the editor Dr. Fr. Eger Wilmersdorf by Berlin, Prinz- - regentenstr. 59. Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. Les articles écrits en allemand, en anglais, en frangais, en italien ou en latin doivent être adressés à l’un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopsch à Wilmersdorf près de Berlin, Prinzregentenstr. 59. Die bisher erschienenen Bande kosten: Bd v] SI CRM SE Tape CV dc qua X Ax M ME de ee | NTI Oo. coo noQ ee d po xau uL a M c D IA eM c le SM Ne S m dn ADDE e ILE VIRA MR E. VW m 100-1 22.0081 IX 690 Doc x 51 985006 XXIII SI 1:99 808€ SO ANE aka I LA MI XXV MOX m 16-10 XXI Bd. [XX statt M. 1706.30 nur M. 1200. — Tm rl Ce Zac T T AR Sa EOS DI POTETE lan. ae Il miocardio polmonare. Contributi all’istologia umana e comparata dei vasi polmonari. Per il Dott. Giuseppe Favaro, aiuto e docente nel R. Istituto Anatomico di Padova. (Con tavole X, XI.) La muscolatura cardiaca dei vertebrati si prolunga spesso, come è noto, per estensione varia lungo la parete dei vasi afferenti ed effe- renti del cuore. Saranno quindi da distinguersi in anatomia comparata due gruppi di tali prolungamenti, e cioè uno venoso ed uno arterioso; designando i prolungamenti in generale con il nome di miocardio va- scolare, quelli del primo gruppo costituiranno il miocardio (vascolare) venoso, quelli del secondo l’arterioso. L'uno e l'altro di questi si suddividono poi in secondari, in rap- porto con i differenti vasi intorno ai quali si spingono. Il miocardio venoso, rappresentato nei vertebrati più bassi da quello del seno venoso, si suddivide, salendo nella scala zoologica, nel miocardio delle vene cave, a cul s'aggiungono nei polmonati il polmonare e finalmente quello del sistema venoso coronario del cuore. Il miocardio arterioso, rap- presentato negli anamni dal manicotto muscolare che avvolge per esten- sione varia il tronco arterioso, allorché questo nei vertebrati superiori s'è scisso completamente nei due noti sistemi, si suddivide esso pure in un miocardio aortico ed in uno polmonare. Ciascuno di tali miocardi venosi ed arteriosi merita uno studio speciale con indirizzo comparativo; le presenti ricerche sono tuttavia circoscritte al solo miocardio polmonare. 376 Giuseppe Favaro, Per miocardio polmonare dobbiamo adunque intendere l'insieme dei prolungamenti, che il muscolo cardiaco spinge intorno ai vasi polmonari. Il miocardio venoso, di gran lunga più importante, si suddivide in ana- tomia comparata in una porzione extra- ed in una intrapolmonare, mentre l’arterioso rimane sempre extrapolmonare ed assai poco esteso. * * * Ho fatto oggetto precipuo delle mie ricerche la specie umana, della quale ho studiato individui dagli ultimi periodi della vita fetale sino all'età adulta: sono sceso poi a considerare in modo più succinto le disposizioni riscontrate in altri mammiferi (Vespertilio murinus, Vespe- rugo pipistrellus, Felis domestica, Talpa europaea, Mus decumanus var. alba, Cavia cobaya, Ovis aries, Bos taurus) e in alcuni polmonati di classi meno evolute (Gallus domesticus e Nycticorax griseus tra gli uccelli; Testudo graeca e Lacerta muralis tra i rettili; Rana esculenta e Bufo vulgaris tra gli anfibi). La tecnica seguita è molto semplice: fissazione di porzioni di parete dell’atrio sinistro, dei vasi e di frammenti di polmone a livello dell’ilo e più addentro, in formalina al 7°/,, mentre per i pezzi molto piccoli - ho usato invece il sublimato acetico o il liquido del Flemming; inclu- sione in celloidina; sezioni trasverse e longitudinali rispetto all’asse dei vasi; colorazione di alcuni tagli con l’ematossilina ferrica, di altri con l'ematossilina alluminica e l’eosina, di altri finalmente con l’orceina; lavaggio, attacco al portaoggetti, disidratazione, chiarificazione con creosoto, chiusura con resina Dammar. Per i vasi maggiori delle specie più grosse ho usato pure la fine dissezione sotto la lente, dopo averli disidratati con l'alcool oppure coagulati mercè la bollitura. Miocardio polmonare venoso. Il primo Autore, che descrisse con chiarezza il prolungamento del miocardio intorno alle vene polmonari, è il Räuschel (1836), il quale affermò che nell'uomo la tonaca media di esse è muscolosa sino al li- vello della loro suddivisione. Tali dati vengono riferiti dal AGlizker (1854), il quale tuttavia sembra porne in dubbio la esattezza. Il miocardio polmonare. 377 Osservazioni simili a quelle del Räuschel fecero il Leydig (1857) ed il Hessling (1866); il primo estese poi ai vertebrati superiori il dato generico, già posto in evidenza per l'uomo dal Rduschel stesso, che tutte le vene afferenti del cuore sono per un certo tratto ricoperte da muscolatura striata. Il Henle (1868) osservò invece che nell’uomo la muscolatura è per lo più limitata al punto di sbocco delle vene polmonari, ma che qualehe volta si estende anche per 20 mm in direzione periferica; essa è disposta ora a strato anulare continuo, ora interrotto ed a reticolato e spesso con tratti longitudinali, che si inseriscono all’intima. Fascetti muscolari a sfintere furono descritti anche dall’E%scher (1870). Tali osservazioni rimasero ignote allo Stzeda (1877), il quale am- mise che nell'uomo le fibre cardiache siano disposte nelle vene polmo- nari a doppio strato, cioè uno interno di fasci circolari, ad immediato contato della „bindegewebige Innenhaut“ ed uno esterno di fasci lon- gitudinali. Secondo lo stesso Autore, eguali disposizioni si osservano nel cane e nella cavia, nella quale la parete venosa è anche molto grossa, mentre in Inuus cynomolgus e nella talpa le fibre cardiache si estendono invece un po’ all’interno dell’ilo, e nella seconda specie sono inoltre raccolte in soli fascetti circolari: in un pipistrello (di cui non sono definiti nè il genere, nè la specie) e nel topo casalingo il miocardio si spinge nel polmone alquanto più all’indentro; nel topo si aggiun- gono, all’esterno dei fasci circolari, tratti longitudinali, che intorno ai vasellini minori scompaiono. L’ Arnstein (1877) confermò le osservazioni dello Stzeda nel topo casalingo e nel ratto. Negli animali domestici in generale, secondo il Sussdorf (1884), la muscolatura striata delle vene s’arresta invece, come nell’uomo, al- l’ilo del polmone?). Nei marsupiali, secondo il Aése (1390), l'estremo 1) Secondo il Romiti (Trattato di Anatomia dell’uomo, vol. 1, p. 4, pag. 302) avrebbe il Piana (1880, 1893) veduto negli animali domestici prolungarsi la musco- latura cardiaca entro la sostanza del polmone in forma di anelli intorno ai tronchi delle vene; consimile affermazione fa lo Charpy (Traité d'Anat. hum. de Poirier, T. 2, F. 3, 1898, pag. 888): la muscolatura a cui allude il Piana non è la striata cardiaca, bensì la liscia propria delle pareti vascolari, la quale nel bue, e in grado minore nella pecora e nel maiale, sporge in forma di rilievi anulari al di sotto dell’endotelio entro il lume delle piccole venuzze, da cui traggono origine le polmo- 378 Giuseppe Favaro, cardiaco delle vene polmonari è rinforzato, come nella maggior parte dei placentati, da speciali strati muscolari. La presenza di fibre muscolari striate nella parete delle vene polmonari è stata riconosciuta anche recentemente dal giapponese Akaza (1899). * * * Nell'uomo, come pure negli altri vertebrati, noi considereremo la parete delle vene polmonari dall'atrio sinistro verso la periferia, contrariamente cioè alla direzione del sangue, e ció-non solo per opportunità di descrizione, ma anche per ragioni embriologiche. E noto infatti per le ricerche del Flint (1906) e del Fedorow (1908), che le vene polmonari si svi- luppano come emanazioni o prolungamenti della parete del seno venoso verso gli abbozzi polmonari. Noi vedremo come a tale peculiare mo- dalità di sviluppo corrispondano anche speciali disposizioni istologiche. Il miocardio polmonare, in qualsiasi classe od ordine si consideri, presenta notevoli variazioni inerenti non solo alla specie, ma anche ai singoli individui, indipendentemente (almeno per la specie umana) dal- l'età e dal sesso; tali variazioni concernono anzitutto il grado di esten- sione del miocardio e in secondo luogo la frequenza maggiore o minore dei vari fasci che lo costituiscono. Noi vedremo tuttavia che é possibile fissare un tipo fondamentale di struttura del miocardio, tipo che si conserva nelle linee generali, pur subendo nel resto le modificazioni a cui abbiamo accennato. In una mia precedente nota (1910) ho sostenuto che le tonache situate profondamente rispetto al miocardio devono ritenersi corri- spondenti non già alla sola intima, ma anche alla media della parete vascolare. Già nel 1852 il Luschka (1863), seguito poi dallo Schweigger- Seidel (1871) e da pochi altri, fra cui l'Antonelli (1890) e recentissima- mente l'anatomo-patalogo Nagayo (1909), aveva ammesso che l'endo- cardio corrisponda ad una parete vascolare completa, rivestita all'esterno nari. E poiché siamo in argomento, noto ancora che, avendo il Piana riferito anzitutto (1880) tali caratteri alle piccole arteriole polmonari, riconoscendoli solo più tardi (1893) propri delle vene, la sua rettificazione rimase, in confronto con il primo lavoro, poco conosciuta, cosicché alcuni Trattatisti stranieri, ed anche recentemente l’Oppel (1905), riportando solo le ricerche più antiche del Piana, riferiscono fatti non conformi al vero. Il miocardio polmonare. 379 dal miocardio. La mia opinione differisce tuttavia da quella del Luschka per il fatto che secondo me l'avventizia delle vene non si continua essa pure con l’endocardio, ma bensì con il connettivo inter- stiziale del miocardio e con quello che ne riveste immediatamente le due superficie. Già il Hyrt/ (1889), nella 20? edizione del suo Trattato, affermava che l'endocardio ricorda per la sua struttura le tonache vas- colari intima e media, senza riconoscere tuttavia che ad esse anche morfologicamente corrisponde e che con esse si continua. Faremo quindi precedere alla descrizione del miocardio quella della parete propria delle vene polmonari. DS * * Uomo. — In vicinanza dello sbocco delle vene polmonari l’endo- cardio (fig. 4) comincia a presentare modificazioni, le quali concernono principalmente il tessuto muscolare liscio, che aumenta in grado note- vole, disponendosi con i suoi elementi in prevalenza concentricamente al prolungamento dell'asse delle vene polmonari verso la cavità atriale. Le cellule, più numerose e distinte nel bambino che nell’adulto, cessano nel secondo ad una certa distanza dal miocardio per la comparsa di uno speciale strato connettivo intermedio tra endo- e miocardio, che ritroveremo poi anche a livello delle vene polmonari. Il tessuto elastico, assai più sviluppato nell'adulto, si presenta gradatamente meno abbon- dante dagli strati superficiali verso i profondi; le membrane fenestrate elastiche (che qui pure, nelle colorazioni meglio riuscite e con forti ingrandimenti, possono quasi sempre risolversi in un fitto intreccio di fibre elastiche) si riscontrano solo negli strati più vicini all'endotelio. Se esaminiamo ora le tonache della vena polmonare che rimangono pro- fondamente rispetto al miocardio polmonare (fig. 5), noi osserviamo che esse differiscono tanto poco nella loro struttura dall’endocardio, da renderne impossibile a per lo meno assai difficile la distinzione, qualora non si potesse usufruire, dall’insieme del preparato, di altri caratteri differen- ziali. Prima delle mie ricerche questi strati della polmonare venivano interpretrati, malgrado il loro cospicuo spessore, come tonaca intima, e questa costituiva per i Trattatisti uno degli esempi migliori di intima venosa provvista di cellule muscolari lisce. Senza voler negare a priori, 380 Giuseppe Favaro, ma certo ponendo in dubbio la esistenza di altre intime venose musco- lari, osservo che in realta nel nostro caso esistono un po’ più abbon- danti che nell’endocardio gli elementi muscolari, ma che questi man- cano nello straterello sottoendoteliale che rappresenta, insieme con lendotelio, la vera tonaca intima. Le cellule muscolari si dispongono negli strati più profondi concentricamente al lume venoso, mentre in quelli più vicini al miocardio assumono direzione prevalentemente lon- gitudinale; esse giacciono per intero nella tonaca media. Riguardo al tessuto elastico, questo differisce assai di poco dal- l’endocardiaco; esso si differenzia solo imperfettamente in una limitante interna, cosicchè l’intima e la media si presentano parzialmente con- fuse insieme. La limitante esterna è invece abbastanza distinta; essa nei primi anni di vita riposa direttamente o quasi sul miocardio, mentre più tardi, dal terzo o quarto anno in poi, comparisce tra l'una e l'altro uno strato connettivo, corrispondente alla porzione più profonda del- lavventizia, il quale nell'adulto raggiunge discreto spessore (fig. 1, 2). Cosicchè mentre nel bambino gli strati sottostanti al miocardio rappre- sentano esattamente l’intima e la media, nell’adulto si aggiungono a queste le zone più profonde della tonaca esterna. A favore della nostra opinione sta ancora il fatto, che le vene bronchiali anteriori si continuano non solo con la loro intima, ma anche con la media, nelle tonache corrispondenti delle vene polmonari. Un altro carattere, il quale sta contro all'opinione che si tratti della sola intima, consiste nella presenza di qualche esile e raro vaso sanguifero nel suo spessore (fig. 8), mentre è noto che l’intima rimane costantemente priva di vasi; nell'adulto poi troviamo le zone sottomio- cardiache dell’avventizia bene vascolarizzate. Il carattere più importante, quello che decide veramente la questione, si rileva tuttavia da sezioni longitudinali della parete venosa, le quali interessino gli ultimi fasci del miocardio polmonare e il primo tratto, nel quale la vena, liberata da tale rivestimento, assume i caratteri comuni delle altre vene (fig. 3); si nota allora come il prolungamento dell'endocardio, in luogo di assottigliarsi per seguitare nell’intima, con- serva lo stesso spessore ed anzi in qualche caso lo aumenta lievemente e si continua senz'altro, oltrechè con l’intima, con la media. Nel Il miocardio polmonare. 381 bambino osserviamo poi, subito all’esterno di essa, in seno all’avventi- zia costituita da tessuto connettivo lasso privo ormai di fasci muscolari striati, la comparsa di numerosi ed ampi vasa vasorum, i quali deci- dono con la loro presenza della natura prettamente avventiziale di tale strato esterno. Come spiegavano precedentemente gli Autori l'origine della tonaca media? | I più lasciavano implicitamente comprendere che essa facesse se- guito al miocardio; qualcuno però, riconoscendo che il prolungamento di questo giaceva in seno all’avventizia, non cercava neppure di risol- vere in modo alcuno lo strano fatto, che la tonaca più importante del vaso dovesse sorgere senza alcun rapporto di continuità con il cuore. Le cellule muscolari lisce degli strati profondi e medi della tonaca propria assumono nelle vene intrapolmonari un decorso ora circolare, come viene del resto concordemente ammesso, ora però, specialmente nei piccoli vasi, lievemente spirale), finchè le ultime cellule muscolari lisce decorrono a dirittura obliquamente. Il tessuto elastico (fig. 6) non costituisce mai profondamente una limitante interna netta come in altre vene: questa è piuttosto sottile ed interrotta, mentre la limitante esterna è invece di solito bene distinta: in ciò le mie osservazioni concordano con quelle del Lenser (1900). Mancano i vasi sanguiferi. L'avventizia delle vene polmonari libere da miocardio (di quella a livello della muscolatura striata diremo con questa) è sempre molto grossa (fig. 6) e presenta i caratteri del tessuto connettivo più o meno lasso; le cellule muscolari lisce vi si riscontrano piuttosto raramente. Essa trapassa insensibilmente con i suoi strati più periferici nel con- nettivo interstiziale del polmone. I vasa vasorum vi sono discreta- mente sviluppati. 1) Recentemente Baum e Thienel (1904), avendo osservato nell’arteria sottoscapolare specialmente del cavallo una disposizione a spirale dei fasci di cellule muscolari lisce, hanno affermato: , Diese spiralige Anordnung glatter Muskel- fasern in Gefässen ist bis jetzt noch von niemand nachgewiesen worden“. I detti Autori sono in errore; le cellule muscolari lisce à decorso spirale furono descritte nelle piccole arterie anzitutto da H. Müller e da F. Lister (cit. dal Kölliker); esse vennero notate piü tardi nell'arteria succlavia da K. v. Bardeleben (1878) e nelle venuzze polmonari degli artiodattili dal Piana (1893). Non é improbabile poi che altri Autori ancora abbiano fatto cenno ad esse. 382 Giuseppe Favaro, Del miocardio polmonare trattammo in parte in via indiretta a pro- posito delle tonache venose e vedemmo come esso giaccia completamente ed esclusivamente in seno all’avventizia. Fu gia avvertito nellintroduzione come tale organo vada in gene- rale soggetto a notevoli variazioni individuali: queste raggiungono in- dubbiamente il grado massimo nella specie umana. Mi occorse spesso di riscontrare disposizioni consimili in un feto a termine ed in un in- dividuo adulto, in una donna e in un giovane, laddove ad esempio due uomini coetanei presentavano a tale riguardo notevoli differenze l'uno dall’altro. Tra le singole vene polmonari esistono pure notevoli differenze: ho osservato che di solito il miocardio è più esteso in direzione centrifuga a destra che a sinistra, in rapporto con la corrispondente lunghezza dei vasi, ma che per compenso il miocardio intrapolmonare è più fre- quente ed esteso al lato sinistro. Inoltre, per ciascun lato, il miocardio raggiunge estensione e spessore più rilevanti nella vena superiore che non nellinferiore, nella quale non di rado s'arresta prima dellilo pol- monare. Malgrado le opinioni contraddittorie riguardo alla struttura del miocardio proprio del cuore anche in vicinanza degli sbocchi delle vene polmonari (v. a tale proposito il riassunto storico dato dal Poirier nel suo Trattato) pur tuttavia m'è riuscito con la fine dissezione eseguita sopra cuori coagulati mercè la bollitura, di riconoscere disposizioni che sostanzialmente si ripetono nei vari individui. Oltre ai fasci anulari ammessi da ogni Autore allo sbocco delle vene, ho potuto mettere in evidenza altri fasci, nei quali l’anello non è che apparente, mentre si tratta in realtà di una spirale molto stretta. La direzione di questa non è costante, anzi trovansi sempre asso- ciate e incrociate insieme spirali destrorse e sinistrorse. Il fascio non è inoltre continuo; talora non compie neppure un giro completo; qualche volta raggiunge il doppio giro ed anche lo sorpassa. Di tali fasci sia anulari che spirali, aleuni sono propri a ciascuna vena, altri circondano i due sbocchi delle vene di ciascun lato con un giro unico. Essi costituiscono quel sistema, che noi chiameremo anulo- spirale. Il miocardio polmonare. 383 Mescolati a questi fasci, ma più spesso all'esterno o medialmente - ad essi, trovansene in quantità variabile altri a direzione longitudinale, direzione che non di rado si modifica in obliqua o spirale molto allun- gata; essi costituiscono un secondo sistema, che chiameremo longitu- dinale. L'uno e l'altro sistema si continuano in direzione centrifuga in seno all’avventizia delle polmonari (fig. 1), ma non in grado eguale. Il primo infatti si conserva di solito bene sviluppato fino all’estremo peri- ferico del miocardio, mentre il secondo è quasi sempre atrofico e non raggiunge che di rado con qualche fascetto llo polmonare. La dispo- sizione ammessa come costante dallo Steda (1877) non si incontra che di rado; noi vedremo che lo strato esterno longitudinale di questo Autore esiste normalmente assai sviluppato in altri mammiferi, mentre nell'uomo, fatta eccezione per qualche caso, si presenta del resto inter- rotto e poco sviluppato; notammo inoltre come fascetti longitudinali si riscontrino anche profondamente o per lo meno mescolati allo strato interno circolare (fig. 1). Le inserzioni che, secondo il Henle, questi fascetti longitudinali dovrebbero prendere sopra l’intima (la nostra tonaca media), non mi si presentarono mai in modo netto; non è tuttavia anche a priori assurdo il negarle, dato che il miocardio polmonare arterioso assume di regola simili rapporti con la media del bulbo della polmonare. Più spesso ho notato che i fascetti longitudinali si perdono continuandosi con un tratto fibroso del pari longitudinale, costituito da una porzione inspes- sita del connettivo dell’avventizia; questo tratto fibroso dopo breve per- corso riprende i caratteri istologici propri della tonaca alla quale ap- partiene. Occupiamoci ora in particolare del sistema dei fasci anulo-spirali. Nel tratto più vicino al cuore essi formano uno, talora due e persino tre strati continui: più perifericamente i fasci si riducono di numero e di spessore, la spirale si allunga un po’, cosicchè spesso, in sezioni tra- sverse, solo una parte della vena apparisce ricoperta da muscolatura striata, il che non accadrebbe, qualora i fasci fossero tutti veramente perpendicolari all’asse del vaso. In corrispondenza dello sbocco delle vene bronchiali anteriori, 384 Giuseppe Favaro, qualora questo avvenga in un tratto ancora ricoperto da miocardio, ho osservato in due casi il fascio muscolare sdoppiarsi per abbracciare in forma di occhiello la porzione terminale del vasellino: è chiaro che tale disposizione impedisce il rigurgito del sangue dalla vena polmonare nella bronchiale allorchè il miocardio polmonare si contrae, venendo il lume di quest'ultima a chiudersi per compressione. Di lato i fasci anulo-spirali si estendono, specialmente nelle vene polmonari superiori, e di queste in grado maggiore nella sinistra, come già osservammo, sino nell’avventizia dei rami secondari. Non di rado oltrepassano così lilo polmonare ed in seno all'organo (fig. 7) raggiungono qualche volta in numero abbastanza cospicuo i vasi terziari. Allorchè tali fascetti stanno per cessare, succeda questo all’esterno (fig. 3) oppure anche all’interno dell’ilo, si notano contemporaneamente delle fibre muscolari cardiache isolate, le quali seguitano per un certo tratto dopo terminati i fascetti e possono, nell'interno del polmone, ab- bandonare gli strati profondi dell'avventizia per migrare nel connettivo interstiziale del viscere; tali fibre aberranti si riuniscono in qualche caso in esili fascetti, e potrebbero fornire, con l’appoggio dell'embrio- logia, la ragione della eventuale presenza di rabdomiomi polmonari. L’avventizia delle vene polmonari a livello del miocardio raggiunge, specialmente nell’adulto, spessore assai notevole. Già dicemmo di quella interposta, dopo i primi anni di vita, tra miocardio è tonaca media; rimane da trattare di quella, che costituisce il tessuto interstiziale del miocardio polmonare e di quella che lo circonda all'esterno. La prima, la quale fa seguito al tessuto omonimo del miocardio dell’atrio sinistro, è caratterizzata dalla straordinaria vascolarizzazione, che in un preparato semplicemente iniettato, senza colorazioni di sorta (fig. 8), vale da sola a svelare la presenza di un miocardio. La se- conda porzione di avventizia si continua senza limiti netti dapprima con il tessuto sottoepicardiaco (fig. 1), poi con Vipopleura, da ultimo con il connettivo che si prolunga entro l’ilo intorno ai grossi vasi ed ai bronchi. È più lassa di quella degli strati profondi, contiene nel primo tratto qualche acino di tessuto adiposo ed a livello dell'ilo pic- coli accumuli di tessuto linfoide; mancano le cellule muscolari lisce. Il miocardio polmonare. 38) Vi si riscontrano poi cospicui vasa vasorum, mentre la rete capillare vi è piuttosto scarsa. * Vespertilio murinus e Vesperugo pipistrellus. — Tanto l'endocardio quanto l’intima-media delle vene polmonari si presentano assai sottili; quest'ultima, che Sheda definisce ,eine grosse bindegewebige Innen- haut“ e che in realtà, se fosse tale, avrebbe, in confronto con l’intera parete, un ragguardevole spessore, consta dell’endotelio addossato ad una sottilissima lamina elastica (intima) a cui fa seguito uno strato connettivo elastico con qualche cellule muscolare liscia a direzione per lo più spirale (media). Tali cellule nell'interno del polmone scompaiono, mentre le due tonache si confondono, costituendo una sottile lamina unica. Oltrechè dal connettivo interstiziale del miocardio, lavventizia è rappresentata, ma solo all’esterno di questo, da un sottile strato fibro- elastico, privo di elementi cellulari, dapprima in rapporto con le sierose epicardiaca e pleurale, poi con il connettivo interstiziale del polmone. Il miocardio è rappresentato esclusivamente da due o tre strati di fibre muscolari a decorso anulo-spirale, le quali non si limitano ad estendersi sino all’ilo polmonare, ma, come dimostrò lo Stieda per le sue fibre anulari in un pipistrello di cui non determinò la specie, si spingono profondamente, ridotte ben presto ad uno strato unico, dap- prima compatto, poi interrotto, intorno alle vene intrapolmonari. Il grado di estensione del miocardio polmonare è differente non solo nei vari individui (nè potrei affermare se in rapporto o meno con l’età ed il sesso), ma anche nelle varie vene polmonari; le inferiori sembrano a tale riguardo possedere un miocardio più esteso. Nei gradi medi il miocardio si spinge sino intorno alle vene di quarto o quinto ordine, ina non di rado, benchè spesso interrotto, sino intorno a quelle di sesto ordine ed oltre, sotto forma di fibre isolate ravvolte a spira (fig. 9 e 10). L'avventizia intrapolmonare si identifica con il connettivo inter- Stiziale dell'organo respiratorio. i In Vesperugo pipistrellus ho ricercato con vari metodi, soprattutto con quello di Ehrlich all’azzurro di metilene, come si compia l'innerva- zione del miocardio polmonare. Im preparati ottenuti per dissociazione Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 25 386 Giuseppe Favaro, sotto il microscopio, dopo avvenuta la colorazione vitale, ho potuto osservare un plesso intramuscolare, che si continua da un lato con quello atriale, dall’altro intorno alle pareti delle principali ramificazioni o radici della vena polmonare: è assai verosimile che esso si prolunghi nell’interno del polmone per quanto si estende il miocardio polmonare. Il plesso si presenta in forma di una rete di fibrille varicose e di fibre regolari di diametro maggiore: non sono riuscito a porre in evi- denza cellule gangliari. * Felis domestica; neonati. — La media delle vene polmonari è sottile e provveduta di cellule muscolari lisce a decorso trasversale o lievemente spirale, ed aumenta un po’ di spessore appena cessato il miocardio. L’intima è assai ridotta: solo a forte ingrandimento si di- scerne un sottilissimo strato di fibrille collagene tra endotelio e limi- tante interna, non sempre bene distinta. Il miocardio polmonare è costituito dapprima di fascetti anulo- spirali, intersecati da radi tratti longitudinali; i primi si estendono ta- lora intorno alle vene polmonari di secondo ordine, oltrepassando un po’, contrariamente a quanto ammettevasi, lilo polmonare. * * Talpa ewropaea. — La tunica media delle vene è relativamente sviluppata e compatta: vi predominano gli elementi muscolari lisci, a decorso per lo più circolare o spirale. L’intima è rappresentata dal- lendotelio e dalla limitante, l'uno a diretto contatto dell’altra. Il miocardio è costituito da due o tre strati di fibre a decorso lievemente spirale, cui saggiunge talora all’esterno qualche fibra o fa- scetto di fibre a decorso longitudinale, osservazione quest'ultima sfug- gita allo Stieda. Con tali caratteri il miocardio s’addentra nel polmone per un tratto variabile, ma non di rado netevole (fig. 11), sino talora intorno alle vene di quarto ordine. I tratti longitudinali scompaiono alquanto prima degli anulo-spirali. L'avventizia non può esser distinta dal connettivo interstiziale del polmone. E * Il miocardio polmonare. 387 Mus decumanus, var. alba. — In questa specie le tonache intima e media si presentano relativamente assai ridotte di fronte al cospicuo spessore raggiunto dal miocardio; la seconda è però provveduta egual- mente, nei tronchi principali, di cellule muscolari lisce decorrenti con prevalenza in direzione circolare o spirale. Il miocardio extrapolmonare apparisce nettamente distinto in due strati: uno interno, anulo-spirale, l'altro esterno, longitudinale, entrambi bene sviluppati (fig. 12). Il primo giace ad immediato contatto della tonaca media e si presenta massiccio e continuo: il secondo é costituito da robusti fasci leggermente schiacciati dall'esterno all'interno, separati spesso l'uno dall'altro per mezzo di fessure e completamente circondati dall'avventizia; questa esternamente presenta blocchetti di tessuto adiposo. Entro il polmone il miocardio é egualmente bene sviluppato (fig. 13) e rag- giunge, in confronto con l’intima-media, uno spessore relativamente più rilevante che non nel segmento extrapolmonare: ambedue gli strati mio- cardiaci sono presenti: l'esterno s'è reso più compatto ed aderisce intima- mente all'interno, mentre l'avventizia non puó esser distinta dal connettivo interstiziale dal polmone. Giunti alla vene di quarto o di quinto ordine scompaiono i fasci longitudinali, mentre gli anulo-spirali si conservano di solito ancora, dapprima rinserrati, pol interrotti, lungo le vene di quinto e talora anche di sesto ordine. * * * Cavia cobaya; giovani esemplari. — La tonaca propria, solo par- zialmente distinta dall’intima, presenta discreto spessore; le cellule mu- scolari lisce decorrono con prevalenza circolarmente o a spirale negli strati profondi e longitudinalmente nei superficiali. Il miocardio è dap- prima costituito da un intreccio di fibre anulo-spirali e più o meno longitudinali: le prime sono in prevalenza: le seconde decorrono ora superficialmente, ora tra le anulari e la tonaca media, affondandosi in parte nello spessore di essa: a livello delle vene di secondo ordine le fibre longitudinali si sono assai diradate e troviamo per estese porzioni di parete i soli fasci anulo-spirali (fig. 14): non di rado però, e ta- lora nello stesso individuo nel dominio di un’altra vena, si può notare qualche fibra longitudinale anche nei rami di terzo ordine. Contraria- 25* 388 Giuseppe Favaro, mente a quanto ritiene lo Stzeda, non è infrequente che non solo le fibre anulari, ma anche talora le longitudinali, oltrepassino l'ilo pol- monare. * SK * Ovis aries. — L’endocardio atriale (fig. 15), alquanto sottile ma ricco di fibre elastiche e con cellule muscolari lisce, contiene anche in vicinanza e in corrispondenza dello sbocco delle vene polmonari qualche esile fibra del Purkinje in seno agli strati più vicini al miocardio: la presenza di tali fibre in corrispondenza degli atri è stata del resto dimostrata recentemente dal Marceau (1902). Trapassando nel- lintima-media delle vene polmonari (fig. 16), il miocardio si assottiglia leggermente: a tale livello si riscontrano in maggior quantità cellule muscolari lisce a decorso trasversale o lievemente spirale, ma solo di rado, nel primo tratto e a ridosso del miocardio, fibre del Purkinje. Cessato il miocardio polmonare, la media aumenta discretamente di spessore (fig. 17), superando talora quello dell’endocardio stesso, ma modifica di poco la sua struttura. Solo nelle venuzze polmonari au- menta il tessuto muscolare liscio della media, per dar luogo agli anelli ed alle spirali del Piana (1893). Il miocardio polmonare è costituito da un intreccio irregolare di fasci in parte a spirale allungata, in parte longitudinali e in minor quantità anulo-spirali, cosicchè complessivamente si presenta ove più spesso, ove più sottile; esso giace a ridosso della tonaca media, ricoperto da una spessa avventizia assai ricca di tessuto adiposo. Negli esemplari da me studiati il miocardio si esauriva con fascetti obliqui a livello della confluenza delle vene di secondo ordine, senza oltrepassare l’ilo polmonare. * * * Bos taurus; giovani esemplari. — Del vitello ho studiato le vene soltanto nell’interno del polmone. Confermo l'assenza di un miocardio intrapolmonare e la presenza degli anelli e delle spirali del Piana. * * * Gallus domesticus. — Anche negli uccelli l'endocardio si continua non solo con la tonaca intima, ma ancora con la media delle vene. Il Il miocardio polmonare. 389 Gadow (1890), a proposito dell'endocardio in genere, osserva come esso contenga, oltre a cellule muscolari lisce ed a fibre del Purkinje, „feine elastische Lamellen, entsprechend der Tunica media der Arterien und Venen“. Per conto mio posso confermare, nei riguardi dell’endocardio atriale sinistro, le affermazioni del Gadow, eccettochè per le fibre del Purkinje, che non sono riuscito ad osservare. L'endocardio si continua adunque, leggermente assottigliandosi, nell’intima- media della corta vena pol- monare comune e delle polmonari destra e sinistra; la media di queste (fig. 18) è compatta e ricca di elementi muscolari lisci a direzione cir- colare o lievemente spirale. Il miocardio, a livello della polmonare comune, è costituito dai due soliti sistemi: lanulo-spirale, che in qualche caso non giunge neppure sino all'estremo periferico della vena, in altri casi si spinge con qualche fascio obliquo intorno all'estremo prossimale delle vene polmonari pari; il longitudinale, ora intrecciato con il precedente, ora, e più spesso, decorrente all’esterno di esso. Mentre il sistema anulo-spirale giace addossato alla tonaca media, i fasci longitudinali esterni giacciono com- pletamente in seno all’avventizia, la quale presenta i soliti caratteri del tessuto connettivo lasso. A livello delle vene polmonari pari (fig. 18) si conserva il solo sistema longitudinale di fibre miocardiache, il quale è separato dalla media per mezzo degli strati profondi del- Yavventizia. Gli estremi periferici dei fasci muscolari longitudinali non sì spingono tutti sino allo stesso livello: la maggior parte rimane di solito all’esterno del polmone, ma non di rado qualcuno giunge sino a livello dell'ilo ed anche lo oltrepassa. È chiaro che in tali casi la contra- zione del miocardio delle vene polmonari pari si limita a determinare un semplice accorciamento del vaso, mentre la costrizione è affidata alla muscolatura liscia della tonaca media; a livello della vena pol- monare comune quest’ultima funzione è disimpegnata invece anche dal miocardio. * * * Nycticorax griseus. — Nei due esemplari studiati di questo rap- presentante dell’ordine delle cicogne ho riscontrato fondamentalmente le stesse disposizioni che nel pollo, con la differenza tuttavia che qui i fasci circolari della polmonare comune sono più robusti, mentre 390 Giuseppe Favaro, i longitudinali delle polmonari pari si estendono distalmente in grado minore. * & TEE Testudo graeca. — Riguardo all'endocardio dei cheloni, è noto per le ricerche del Rosenzweig (1903) e specialmente del Bottazzi e del Ganfini (1904) in Emys europaea, che nell'atrio (destro) tale mem- brana è ricca di cellule muscolari lisce ad immediato contatto del- lendotelio. Le mie indagini nella tartaruga terrestre mi conducono a confermare per l'atrio sinistro tali ricerche, con la differenza peró che tra endotelio e cellule muscolari lisce ho veduto intercedere un esile stra- terello elastico; altri strati di questo tessuto si alternano con quelli mus- colari lisci. L'endocardio si continua con tali caratteri nella media della corta vena polmonare comune, dove le cellule muscolari si dispongono circolarmente. Bottazzi e Ganfini osservarono che l’endocardio dell'atrio destro si continua con la parete delle vene cave, ed adottarono a tale propo- sito le vedute del Luschka (1863) relative al significato dell'endocardio: siccome però secondo tali vedute lendocardio corrisponde anche all'av- ventizia, cosi i detti Autori dovettero di necessità ammettere che pas- sando dalle pareti venose all'endocardio l'avventizia ,si riduce quasi in totalità". Io posso invece affermare che anche nei cheloni l'avven- tizia si continua nel tessuto interstiziale e di rivestimento del miocardio. Il miocardio presenta nella sua disposizione una certa affinità con quello degli uccelli. A livello della corta vena polmonare comune i due sistemi si intrecciano insieme per modo, che non é sempre facile stabilire se un determinato fascio appartenga ad un sistema piuttostochè ad un altro; possiamo anzi affermare che in certi casi, data la forte obliquità del fascio, esso puó venire indifferentemente ascritto all'uno od all’altro sistema. A livello delle vene pari il miocardio è rappresen- tato (fig. 19) in parte da tali fasci obliqui, in parte da longitudinali, decorrenti in seno ad una spessa avventizia. Perifericamente la mag- gior parte di essi si arresta prima del polmone: qualcuno tuttavia può varcare Vilo per breve tratto. * ok Il miocardio polmonare. 991 Lacerta muralis. — Data la piccolezza di tale specie, sia l'endo- cardio che lintima-media venosa sono estremamente sottili, tantoché non possiamo riconoscere la vera natura delle tonache vascolari se non fondandoci sopra l’istologia comparata. Al di sotto dell'endotelio e di una esile lamina elastica, troviamo uno straterello di fibrille collagene con qualche rara cellula fissa appiattita e radi elementi muscolari lisci isolati, i quali nella media delle vene polmonari tendono a disporsi con l’asse maggiore circolarmente o spiralmente. Il miocardio polmonare è rappresentato da poche fibre soltanto, addossate alla media, abbastanza ravvicinate insieme e circondate al- l'esterno da una avventizia che si identifica con'il tessuto sottostante all’epipleura. Di tali fibre muscolari striate una parte si dispone in- torno alla vena polmonare comune, in direzione anulare o spirale; un’al- tra, più all’esterno, decorre longitudinalmente, estendendosi poi, a diffe- renza delle fibre anulo-spirali, intorno alle vene polmonari pari (fig. 20) sotto forma di uno strato pressochè continuo dello spessore di due o tre fibre. Queste giungono in buona parte sino al polmone, dove però ben presto si esauriscono, mentre la media della vena aumenta lievemente di spessore. " À 5 Rana esculenta. — Qui pure possiamo ripetere, nei riguardi del- l’intima-media delle vene polmonari, quanto dicemmo per la lucertola. Il miocardio polmonare é assai sviluppato a livello della breve vena polmonare comune, dove è disposto anularmente allo sbocco nell'atrio sinistro, costituendo lo sfintere descritto dal Röse (1890) e dal Gaupp (1399); verso la periferia si attenua, mentre le fibre assumono decorso spirale. In seno alla sottile parete delle vene polmonari pari può osser- varsi talora qualche cellula muscolare striata (fig 21) ora sola, ora riunita in gruppi di due o tre, senza direzione determinata, ma di solito più o meno longitudinale. Tali cellule cardiache non si spingono però mai sino a livello del polmone e si trovano associate ad elementi muscolari lisci, i quali decorrono del pari in varie direzioni, ma profondamente rispetto agli striati. " i * Bufo vulgaris. — Nei grossi esemplari di questa specie ho potuto osservare in modo piü netto le disposizioni descritte nella rana. Le 392 Giuseppe Favaro, cellule muscolari striate delle vene polmonari pari sono tuttavia meno frequenti in confronto con le lisce, le quali decorrono con prevalenza circolarmente o spiralmente. Considerazioni sopra il miocardio polmonare venoso. Da quanto siamo venuti finora esponendo emergono, riguardo al miocardio polmonare venoso, dei fatti, intorno ai quali credo opportuno fare alcune considerazioni. Esse si riferiscono principalmente ai mammi- feri, perchè nelle altre classi l’esiguo numero di specie studiato non permette di trarre conclusioni positive in proposito. Se poniamo anzitutto a raffronto la mole del mammifero con il grado di estensione del miocardio dentro i polmoni, noi osserviamo che in generale esiste tra l'una e l’altro una proporzione inversa; noi no- tiamo cioè che le specie più piccole (pipistrelli, topi, talpa) possiedono, indipendentemente dall'ordine a cui appartengono, un miocardio intra- polmonare più esteso che non le specie medie, siano pure appartenenti allo stesso ordine, e le maggiori. Costituisce solo un’eccezione l’Inuus di Stieda, ed è inoltre probabile che qualche altra specie si sottragga alla regola comune, senza che per ciò il fatto fondamentale non meriti d'esser preso egualmente in considerazione. Quali siano le cause, per le quali nei piccoli mammiferi, a diffe- renza che nei maggiori, le evaginazioni del seno venoso dalle quali si sviluppano le vene polmonari mantengano anche nell’interno dell’abbozzo polmonare tutti i caratteri istologici della parete cardiaca dalla quale derivano, noi non sapremmo veramente dire. Dal lato fisiologico è assai probabile poi che la contrazione del miocardio intrapolmonare s'inizi nel tratto più periferico di esso e si trasmetta gradatamente, per la contrazione delle fibre anulo-spirali, centripetalmente, cosicchè il sangne viene in certo modo spremuto dal polmone immediatamente prima che si inizi la sistole atriale: è anzi verosimile ritenere in tal caso che la rivoluzione cardiaca incominci appunto in seno all’organo respiratorio. Ove esistono fasci longitudinali del miocardio polmonare, questi possono. indirettamente favorire il corso del sangue accorciando il vaso. Il miocardio polmonare. 393 Un’altra considerazione meritano i rapporti inversi che esistono tra lo sviluppo della muscolatura striata del miocardio e quello della liscia sottostante: così nelle pareti cardiache, dove il miocardio è molto spesso, le cellule muscolari lisce dell’endocardio sono in numero scarso: esse cominciano ad aumentare laddove il miocardio p. d. si assottiglia per trapassare nel miocardio polmonare: al di là di questo esse crescono ancora di numero, tantochè in certi casi determinano un aumento di spessore della media. Un'ultima considerazione concerne il significato, che in base ai fatti messi in evidenza in parte da altri Autori, in parte da me, noi possiamo attribuire alle vene polmonari dei vertebrati. Pur prescindendo dai dati fisiologici, noi possediamo argomenti ba- sati sopra l'anatomia microscopica e sopra l'embriologia, per ritenere che le vene polmonari non rappresentino in realtà che un segmento cardiaco, ove più, ove meno modificato. L’istologia infatti ci ha dimostrato che l’intima e la media delle vene polmonari non rappresentano che la diretta continuazione del- lendocardio, un po’ modificato nella sua struttura, ma non ancora com- pletamente differenziato nelle due tonache per scarsa autonomia della limitante interna. Quindi nel tratto extrapolmonare, e talora per esten- sione varia anche dentro il polmone, noi troviamo a costituire la parete venosa e procedendo dall'interno all'esterno, anzitutto un endocardio (tonache intima e media), poi un miocardio (m. polmonare) e da ultimo un connettivo corrispondente al sottoepicardiaco (strati esterni della tonaca avventizia). Più profondamente entro il polmone scompare il miocardio, poi il tessuto corrispondente al sottoepicardiaco, cosicchè ri- mane da ultimo un sottile tubo endocardiaco il quale è in rapporto con la rete capillare perialveolare. Le ricerche embriologiche più volte menzionate dimostrano esse pure come in sostanza le vene polmonari non rappresentino che una porzione estroflessa di parete cardiaca. Concludendo, noi. abbiamo dati sufficenti per ritenere che le vene polmonari dei vertebrati rappresentino, più che dei semplici vasi, una porzione cardiaca, e precisamente il segmento polmonare del cuore. 394 Giuseppe Favaro, Miocardio polmonare arterioso. Bastino intorno a questo miocardio pochi cenni, data la sua scarsa importanza in confronto con il venoso. Premetto che 1 rapporti di continuita fra endocardio ed intima- media dell’arteria polmonare, non dimostrabili direttamente nell’uomo per le ragioni altrove esposte (1910), lo sono, almeno in parte, ad es. nel vitello, dove le due lamine, assiale e parietale, delle valvole semi- lunari si continuano rispettivamente con l’endocardio ventricolare e con l'intima e la media arteriose. Nell’uomo, in cui, fra le specie da me studiate, raggiunge ' l'estensione maggiore, il miocardio polmonare arterioso (già parzial- mente notato dal Henle, 1868) é limitato alla parete ventrale e ad una piccola porzione delle pareti laterali del primo segmento dell’arteria polmonare, cioè del bulbo, mentre dorsalmente esso è rappresentato solo da pochi fascetti in rapporto con la radice del bulbo stesso. Il miocardio giace in seno all’avventizia dell’arteria, avventizia che tra- passa gradatamente nel tessuto dell'epicardio, e si estende in direzione centrifuga nell’adulto assai frequentemente per tutta l'altezza del bulbo, giungendo talora con qualche fascetto sino all'origine del successivo segmento arterioso (fig. 22). Il miocardio si presenta costituito di due strati quasi sempre bene distinti, uno interno e l’altro esterno. Il primo consta di fascetti pres- sochè longitudinali, con leggera curva spirale; essi dalla sottostante parete ventricolare si recano cranialmente e un po’ a destra e dorsal- mente, per inserirsi alla faccia ventrale della superficie esterna della tonaca media del bulbo. Lo strato esterno si considera miocardio pol- monare solo perchè abbraccia indirettamente il bulbo dell’arteria: esso è costituito di fascetti i quali decorrono alquanto più obliquamente dei precedenti in direzione craniale e verso destra. Nel bambino, data la relativa minor altezza del bulbo, anche il miocardio si presenta in proporzione meno esteso. Lo stesso valga per gli altri mammiferi, dove, fors’anche in parte per la giovane età degli esemplari studiati, non v'ha che qualche traccia della formazione che andiamo studiando. Cosi ad esempio nel vitello possiamo dire che manchi completamente il miocardio polmonare arte- Il miocardio polmonare. 395 rioso, inquantoché le fibre muscolari vanno ad inserirsi, invece che alla faccia esterna del bulbo, alla faccia profonda della lamina parietale del lembo valvolare, insinuandosi per notevole tratto tra questa e la lamina assiale. Nel pollo il miocardio polmonare ricopre ventralmente il tronco arterioso polmonare comune per tutta la sua altezza (fig. 23), inseren- dovisi; qualche fascetto si spinge talora sino a livello del punto di bi- forcazione, raggiungendo l'origine delle arterie polmonari destra e sini- stra. I fasci più profondi ed inferiori tendono a spingersi entro alla radice dei lembi valvolari. Nella nitticora si hanno disposizioni consimili; il miocardio si spinge però un po’ meno in direzione centrifuga. Scendendo ancora nella scala zoologica, le arterie polmonari per- dono l'autonomia nella loro origine dal cuore, e quindi non è più il caso di considerare un miocardio arterioso. Ricorderemo tuttavia egualmente come negli anfibi sia anuri (Suchard, 1903) che urodeli (Suchard, 1903; Greil, 1903) il miocardio sì spinga a rivestire per notevole estensione od anche completamente il tronco arterioso. Conclusioni). I prolungamenti, che il muscolo cardiaco spinge in direzione peri- feriea lungo le pareti dei vasi polmonari, costituiscono il miocardio polmonare, rispettivamente venoso ed arterioso. Ambedue decorrono in seno allavventizia e vanno soggetti a notevoli variazioni non solo da specie a specie, ma anche da individuo ad individuo. Riguardo al miocardio polmonare venoso; dobbiamo avvertire anzi- tutto che lendocardio dell’atrio sinistro si continua non solo con la tonaca intima, ma anche con la media della parete della vena polmo- nare, mentre il connettivo interstiziale e quello che ricopre immediata- mente le due superficie del miocardio si continua invece perifericamente con la tonaca esterna della vena polmonare. Nel tratto a livello del 1) Nel riassunto finale considero il miocardio polmonare nel senso inverso a quello tenuto durante il lavoro, procedendo cioè dalle specie meno evolute verso l’uomo. 396 Giuseppe Favaro, miocardio polmonare l’intima-media deve ritenersi veramente tale e non soltanto una intima, come viene generalmente ammesso: a) perchè su- bito al di là del miocardio polmonare essa si continua direttamente non solo con l’intima, ma anche con la media del successivo segmento di vena polmonare (fig. 3); b) perchè, cessato il miocardio polmonare, lavventizia che avvolgeva questo ha i caratteri del connettivo lasso ed è irrigata da grossi vasa vasorum, non possedendo quindi alcun carat- tere proprio di una media (fig. 3); c) perchè l’intima-media possiede, quantunque in minima quantità, vasi sanguiferi propri, i quali mancano di regola in una intima (fig. 8); d) perchè non solo l’intima, ma anche la media delle vene bronchiali anteriori si continua con essa. La media delle vene polmonari contiene cellule muscolari lisce a decorso circolare o lievemente spirale (nel primo tratto e negli strati esterni anche a decorso longitudinale) ed è solo parzialmente distinta dall'intima per la poca autonomia della limitante interna: l’intima è costantemente priva di cellule muscolari lisce, proprie soltanto della media. Il miocardio polmonare venoso esiste in tutte e quattro le classi di vertebrati polmonati (manco di osservazioni concernenti i dipnoi) e consta di due sistemi di fasci o di semplici fibre, quasi sempre bene distinti; nel primo sistema le fibre decorrono circolarmente o a spirale serrata (sistema anulo-spirale), nel secondo più o meno longitudinal- mente (sistema longitudinale). Il primo sistema negli anfibi (Rana, Bufo), rettili (Testudo, Lacerta) ed uccelli (Gallus, Nycticorax) resta circoscritto al solo segmento più prossimale, cioè alla vena polmonare comune: il sistema longitudinale, appena accennato negli anfibi, si spinge nei sauropsidi lungo l'avventizia di ciascuna vena polmonare talora sino a contatto del tessuto del polmone. Nei mammiferi osserviamo anzitutto il fatto, che, salvo eccezioni, quanto più piccola è la specie, indipendentemente dall’ordine a cui appartiene, tanto più esteso in direzione periferica è il miocardio, il quale penetra profondamente entro il polmone, e inversamente, cosicchè nelle specie medie e grosse il miocardio o rimane extrapol- monare oppure oltrepassa lilo solo per breve tratto e non co- stantemente. Il sistema anulo-spirale raggiunge grande sviluppo in Il miocardio polmonare. 397 ogni specie e nelle piccole (Vespertilio, Vesperugo, Mus, Talpa) va a costituire il miocardio intrapolmonare fino intorno alle vene di calibro abbastanza piccolo. Il sistema longitudinale è di solito meno svilup- pato e decorre per lo più all’esterno del precedente; in qualche caso può essere esso pure assai sviluppato non solo nel miocardio extra-, ma anche in quello intrapolmonare (Mus decumanus). Il plesso nervoso intramuscolare del miocardio polmonare venoso è in diretta continuazione con quello della parete dell’atrio sinistro (Vesperugo). Nell'uomo è bene sviluppato di solito il solo sistema anulo-spirale, il quale oltrepassa talora per breve tratto l’ilo polmonare. Il sistema longitudinale solo a titolo di varietà è discretamente sviluppato, de- correndo in massima parte all’esterno del precedente: di solito è rap- presentato da pochi fascetti disposti ora superficialmente, ora profonda- mente rispetto al sistema anulo-spirale. Nel bambino il miocardio polmonare trovasi a diretto contatto della tonaca media venosa, mentre nel fanciullo e nell'adulto ne resta separato dagli strati più profondi della tonaca esterna. Il miocardio polmonare arterioso è sempre poco sviluppato e spesso neppure distinto; nei casi in cui è più manifesto (pollo, uomo) rimane localizzato al solo segmento bulbare dell’arteria, inserendosi totalmente o in parte alla faccia ventrale della superficie esterna della tonaca media del vaso. Padova, Dicembre 1909. Bibliografia. *Räuschel, F., De arteriarum et venarum structura. Dissert. Breslau. Kölliker, A., Mikroskopische Anatomie. Bd. 2, H. 2. Leipzig. Luschka, H., Die Struktur der halbmondférmigen Klappen des Herzens. 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Sezione trasversa della metà inferiore della vena polmonare sinistra inferiore medialmente ed in vicinanza alla parete del sacco pericardiaco. Ingr. — 15D. 2. Uomo di 24 anni. Sezione trasversa di una porzione della parete poste- riore della vena polmonare sinistra superiore, allo stesso livello della precedente. Ingr. — 72D. | 9. Bambino di 8 giorni. Sezione longitudinale della vena polmonare destra inferiore a livello dell'estremo periferico del miocardio polmonare. Ingr. — 320 D. 4, 5 e 6. Bambino di 1 mese. Sezioni verticali o trasverse dello stroma elastico: dell'endocardio dell’atrio sinistro in vicinanza dello sbocco delle vene polmonari sinistre (Fig. 4); delle tonache intima e media della vena polmonare sinistra superiore a livello del miocardio polmonare (Fig. 5); di porzione di una vena intrapolmonare di quarto ordine (Fig. 6). Ingr. = 320 D. 7. Fanciullo di 10. anni. Sezione longitudinale di una vena intrapolmonare sinistra provveduta di miocardio polmonare. Ingr. = 35 D. 8. Bambina di 1 mese e mezzo. Sezione trasversa della vena polmonare sinistra inferiore con i vasa vasorum iniettati. Ingr. = 100 D. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 18. 19. 20. 21. 23. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 14. 22. Giuseppe Favaro, Il miocardio polmonare. 401 Vespertilio murinus g. Ricostruzione in cera di un tratto di miocardio intrapolmonare sinistro inferiore, veduto dal lato ventrale. Ingr.=50D. circa. Vesperugo pip'strellus d. Sezione trasversa di una venuzza intrapolmonare. Ingr. = 320 D. Talpa europaea 9. Sezione trasversa di una vena intrapolmonare di medio calibro. Ingr. = 100D. Mus decumanus var. alba d. Sezione trasversa di un tratto di vena polmonare sinistra superiore a metà della sua lunghezza. Ingr. = 72 D. Idem. Sezione trasversa di due vene intrapolmonari di calibro piuttosto piccolo. Ingr. = 72 D. Cavia cobaya giovane, 9. Sezione trasversa di porzione di vena polmo- nare secondaria in vicinanza dellilo. Ingr. = 320 D. . 15, 16 e 17. Ovis aries giovane, 9. Sezioni verticali o trasverse: dell'endo- cardio con porzione del contiguo miocardio atriale sinistro (Fig. 15); di porzione della vena polmonare sinistra superiore a livello del miocardio polmonare (Fig. 16); di una grossa vena intrapolmonare (Fig. 17). Ingr. = 72 D. Gallus domesticus 9. Sezione trasversa di un tratto di vena polmonare destra a metà della sua lunghezza. Ingr. = 72D. Testudo graeca 9. Sez. come la precedente. Ingr. — 72D. Lacerta muralis giovane d. Sezione dapprima longitudinale, poi tra- sversa della vena polmonare destra, a livello del tratto in cui si ripiega verso il polmone. Ingr. = 450 D. ! Rana esculenta d. Sezione longitudinale di un tratto di parete della vena polmonare destra a breve distanza dal tronco polmonare comune. Ingr. — 320D. Uomo di 24 anni. Sezione longitudinale della parete ventrale del bulbo dell'arteria polmonare. Ingr. — 15D. Gallus domesticus 9. Sez. come la precedente. Ingr. = 32 D. 26 Istituto Psichiatrico di Padova diretto dal Prof. E. Belmondo. Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. Ricerche del Dr. Carlo Besta, Libero Docente. (Con tav. XII, XIII.) Il reticolo periferico della cellula nervosa non ha in questi ultimi anni attirato molto a sé l’attenzione dei ricercatori. Accennato per la prima volta nel 1893 dal Golgi [5a], descritto in seguito in modo più completo dal Golgi stesso [50], dal Donaggio [4], dal Meyer [7], dal Bethe [2], dal Held [6], dal Cajal [3] e da altri, esso fu oggetto di indagini insistenti finché si trattava di stabilire, come volevano. aleuni autori (Meyer, Nissl) se esso era di natura ner- vosa. Ma risolta, specialmente per merito del Donaggio, in senso ne- gativo tale questione, i ricercatori si rivolsero con insistenza allo studio dell'elemento che era; giustamente o no, considerato come il piü importante, allo studio cioé delle neurofibrille. Intorno a queste vi é stata una vera fioritura di indagini istolo- giche, istopatologiche ed embriologiche: la facilità dei metodi di inda- gine prevalentemente adoperati ha certamente favorito questi studii, i cui risultati peró, specialmente nel campo istopatologico, sono di una importanza e di una attendibilità un po’ dubbie. Per il reticolo periferico invece le cose sono ben diverse: per quanto risulti in modo indubbio che esso, o che almeno un invoglio pericellulare, esiste in modo costante e che quindi é presumibile eli Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 403 debba spettare uno speciale compito funzionale, nessun autore ha cre- duto fin qui che valesse la pena di studiare, ad es., al qual epoca dello sviluppo embrionale esso incomincia a comparire, se esso è una forma- zione che si osserva già attorno ai nevroblasti o se appare più tardi, se vi sono leggi determinate che ne regolano la formazione e lo svi- luppo e così via: come pure nessuno ha cercato di indagare come esso si comporta nei diversi processi patologici a cui la cellula nervosa può andare soggetta, se esso si altera quando gli altri elementi costitutivi della cellula si presentano modificati ed alterati, o se presenta un modo speciale di reazione agli stimoli morbosi. Non solo: anche per ciò che riguarda il tessuto nervoso normale, ci manca ancora un lavoro sintetico il quale cerchi di coordinare i reperti, spesso notevolmente diversi fra di loro, che i singoli autori hanno di mano in mano descritto e raffigurato e che provi a stabilire da che cosa dipendano tali differenze, che non possono non colpire chi studii un po’ minutamente l’argomento. A questo lavoro io mi sono dedicato da lungo tempo praticando una serie di indagini istologiche, istopatologiche ed embriologiche, i cui risultati essenziali sono stati da me comunicati, con presentazione di preparati microscopici, al 2° Congresso Italiano di Nevrologia te- nuto in Genova nell’Ottobre del 1909. Riserbando ad altre pubblicazioni la descrizione dei reperti otte- nuti nel campo embriologico ed in quello isto-patologico, rendo noti quelli emersi dalle indagini sopra di animali adulti normali. Il compito che mi sono proposto di risolvere è il seguente: 1° di precisare se tutti gli elementi del sistema ‘nervoso centrale sono prov- visti di reticolo periferico; 2° se questo ha una struttura uniforme o se presenta nei vari gruppi cellulari delle differenze morfologiche tali da doversi ritenere come caratteristiche dei gruppi stessi; 3° se nelle diverse specie animali si presenta sempre allo stesso modo; 4° che rapporti il reticolo periferico assume col tessuto circumambiente. Un rapido esame della letteratura sopra l’argomento giustificherà le accennate proposizioni. 26 * 404 | DO. Carlo Besta, TI Golgi [5a], il primo che ha accennato all’esistenza di un invo- glio pericellulare negli elementi nervosi, nel lavoro completo [55] af- ferma bensì che esso ha struttura prevalentemente reticolata, ma nota che altre volte esso appare formato da una serie di squamette situate l'una vicina all'altra, mentre in altri casi si presenta come una sottile buccia continua. Le tre forme accennate si possono trovare l’una ac- canto all'altra negli stessi gruppi cellulari, di solito però prevale l'una o l’altra di esse. Così ad es. nelle cellule corticali ed in quelle del Purkinje prevale la forma a buccia continua, che è costante nelle grosse cellule d’origine del IV paio: in quelle del midollo spinale e nei nuclei d’origine dei nervi cranici prevale la forma reticolare. Il Golgi ritiene probabile che l’invoglio pericellulare, qualunque ne sia la forma, sia di natura neurocheratinica ed abbia funzione isolatrice: egli non ac- cenna a differenze morfologiche nelle maglie della rete, e nemmeno a rapporti di questa col tessuto circumambiente. Il Donaggio nel 1896 [4a], due anni prima del lavoro completo del Golgi, decrisse un reticolo a maglie poligonali od irregolarmente quadrangolari invadente tutto il corpo ed i prolungamenti protoplas- . matici della cellula nervosa, reticolo che all'interno era in rapporto di continuità con un reticolo analogo del nucleo e del nucleolo, mentre all’esterno era in connessione col tessuto circostante per mezzo di sot- tii filamenti che si inserivano ai suoi lembi. Dopo la pubblicazione della memoria del Golgi egli raffrontò [45], con nuovi dati, la por- zione periferica della rete da lui descritta coll’invoglio reticolato del Golgi e ritenne probabile si trattasse dello stesso reperto. Il Donag- gio ritornò in seguito più volte sopra l'argomento. Nel 1900 [4e] egli descrisse entro le maglie del reticolo, nelle cellule delle corna anterio- ri di cane, delle delicatissime formazioni reticolate che chiamò col nome di raggiere: più tardi [4/, g] osservò che le cellule del ganglio ventrale dell’acustico e quelle del nucleo del corpo trapezoide hanno il reticolo disposto in duplice strato e mise in rapporto questo fatto con particolari disposizioni strutturali delle cellule stesse: accennò anche a differenze morfologiche del reticolo in altri gruppi cellulari Quanto alla natura ed al significato funzionale della rete e dei fila- menti che ad essa si inseriscono, egli in principio, pur mantenendosi Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 405 molto riserbato, pareva propendere nell’assegnar loro natura e funzione nervosa; ma poi, perfezionati i metodi di indagine e resi più fini e completi i reperti, venne sempre più propendendo per l’idea che e rete e filamenti fossero di natura nevroglica e tale idea sostenne special- mente contro il Bethe. Quanto alla funzione emise con riserva l’ipo- tesi che il reticolo pericellulare potesse avere funzione nutritiva. Ricordo qui che il Donaggio ha usato nei suoi studii modalità tecniche originali [4a, 4A]. Semi Meyer [7a, 7b] con una speciale modalità tecnica ottenne dei risultati molto parziali ed incompleti, sopratutto perchè limitati a pochi gruppi cellulari, in base ai quali credette di poter sostenere che il reticolo pericellulare rappresenta le ultime determinazioni dei cilin- drassi attorno alle cellule e che perciò ad esso spetta un significato funzionale conducente importantissimo. Il Meyer accenna a differenze morfologiche del reticolo a seconda dei gruppi cellulari ed a seconda degli animali esaminati: in nessun punto accenna a rapporti col tes- suto circumambiente. Il Bethe [2] praticò sul reticolo pericellulare, al quale egli diede il nome di rete di Golgi, una serie di indagini oltremodo importanti e, sotto alcuni punti di vista, fondamentali. Per il primo egli rilevò, dando delle figure molto dimostrative, le spiccate differenze che il reti- colo presenta da un gruppo cellulare all’altro; egli anzi ritiene che tali differenze morfologiche siano così spiccate da doversi ritenere come caratteristiche dei singoli gruppi. Ricorderd qui, delle figure che egli dà, quelle del nucleo dentato, dell’oliva superiore, delle corna anteriori, in cui le differenze sono nettissime. Per il primo Bethe diede una de- scrizione completa della rete di riempimento (Fullnetz) che, partendo dal reticolo pericellulare, invade tutto il resto del tessuto circondando i corpi delle cellule nevrogliche, le guaine mieliniche, i vasi, estenden- dosi fin sotto la pia. Secondo il Bethe questa rete di riempimento non è della stessa natura del reticolo pericellulare; in vista anzi della sua struttura un po’ granulosa, egli non esclude che si possa trattare di un prodotto artificiale, dipendente dalla precipitazione di liquidi albuminoidei interstiziali per opera dei fissanti. Al reticolo pericellu- lare invece egli assegna una natura ed una funzione nervosa, ma in 406 Carlo Besta, un senso speciale. Egli ritiene che nello spessore delle trabecole che costituiscono la rete del Golgi siano contenute, e formino pure una rete, le terminazioni ultime dei cilindrassi, che in parte penetrerebbero poi nella cellula. La sostanza costitutiva delle trabecole sostituirebbe attorno alle fibrille nervose terminali decorrenti alla superficie della cellula, la sostanza perifibrillare che le circonda nei tratti precedenti. Come si vede adunque, anche per il Bethe il reticolo pericellu- lare per sé non sarebbe di natura nervosa, ed io rilevo questo fatto, perché non mi pare che le idee del Bethe siano state riprodotte in modo esatto da tutti gli autori che si sono occupati dell’argomento. Ricordo che i risultati del Bethe sono stati ottenuti con un metodo proprio di abbastanza facile applicazione. Il Held [6a] combatte l’idea del Bethe che il reticolo pericellu- lare e la rete di riempimento sieno di natura diversa: secondo lui e l'una e l’altra rappresentano uno speciale prodotto di differenziamento delle cellule nevrogliche, non identificabile però colle fibrille quali sono dimostrate dai metodi di Weigert, di Heidenhain, di Benda ecc. Per ambedue poi egli esclude risolutamente una funzione di conduzione. Egli poi descrive entro le maglie del reticolo, ma ad un piano focale diverso, delle speciali formazioni stellate i cui raggi si unirebbero fra di loro formando una rete. Queste formazioni sarebbero di natura nervosa e si troverebbero secondo il Held attorno a tutti gli elementi cellulari dell'asse cerebro-spinale. Egli ritiene che siano la stessa cosa che la raggiere del Donaggio. Anche il Cajal [2] si è a più riprese occupato del reticolo peri- ferico della cellula nervosa: egli sostiene anzi inesattamente di averlo accennato prima del Golgi e cioè nel 1897, mentre il Golgi ne ha, e con termini ben più precisi, rilevato l’esistenza nel 1893. Im ogni caso poi il Donaggio avrebbe preceduto il Cajal. Questo autore ha sempre dato del reticolo pericellulare figure piuttosto grossolane e lo ha sempre descritto come una formazione a struttura granulosa, a tratti non precisi. Egli ha sostenuto prima [86] che si tratta sia per il reticolo pericellulare quanto per la rete diffusa di un prodotto arti- ficiale determinato dalla coagulazione di liquidi organici contenuti negli interstizi fra i diversi elementi costitutivi del tessuto nervoso: Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 407 recentemente [5c] ha accennato all'ipotesi che si possa invece trattare della coagulazione di un liquido secreto delle cellule durante la loro retrazione. Il Cajal ha anche pubblicato un metodo che dà però risultati par- ziali: in alcuni elementi, specialmente corticali, il Cajal non è riuscito mai a dimostrare i reticoli in questione. Io ho accennato brevissimamente i dati essenziali dei lavori più importanti, ripromettendomi di ritornare sopia i dettagli più interes- santi durante l'esposizione dei miei risultati: ho creduto inutile di ri- ferire anche brevemente i lavori di poco conto nei quali si è solo ac- cennato genericamente all'esistenza delle reti pericellulari. Ma anche dai brevissimi accenni risulta come molte questioni siano ancora all’oscuro e meritino un esame ed uno studio più appro- fondito. i Il più importante emerge certamente dal lavoro fondamentale del Golgi, lo lo accenno, quantunque debba dichiarare fin d’ora che non ho potuto portare che un ben scarso contributo alla sua risoluzione. Come ho detto prima, linvoglio periferico può secondo il Golgi presentarsi in tre modi differenti: reticolare, a squamette, a buccia continua. ; Ora è evidente che tali reperti non si escludono affatto l'un l’al- tro, perché la forma reticolare potrebbe essere dovuta al fatto che il sale d'argento ha in modo elettivo impregnato le linee di commessura fra le squamette senza impregnare queste, e che la forma a buccia continua sia determinata dalla impregnazione omogenea contemporanea di ambedue gli elementi. Il pensiero che in realtà le cose siano a questo modo appare piü fondato per il fatto che le tre forme possono comparire l'una a fianco dell'altra nello stesso gruppo cellulare, che nessuna é cioé caratteri- Stica di un determinato tipo di elementi: e non é certo risolto in senso negativo dalla comoda asserzione che eli invogli continui sono dovuti ad un precipitato grossolano del sale d'argento. Anche il fatto che in certi eruppi cellulari dove il Golgi ha visto in prevalenza forme a mem- 408 Carlo Besta, brana continua, con altri metodi si vedono forme reticolari, non risolve il problema in senso favorevole all'esclusiva esistenza di forme reti- eolari, poiché non esclude la possibilità che esistano l'una accanto al- l’altra due sostanze diverse che possono essere contemporaneamente impregnate e colorate col metodo del Golgi. L'interesse fondamentale di precisare questo punto appare subito, quando si ricordi che secondo il Cajal ed i suoi seguaci le ultime dira- mazioni dei cilindrassi non fanno che appoggiarsi alla superficie della cellula nervosa, rimanendone peró sempre distinte, mentre secondo il Held, il Bielschowsky ed altri la terminazione dei cilindrassi alla su- perficie della cellula é solo apparente ed in realtà dai bottoni termi- nali si staccano delle fibrille che penetrano, per i fori del reticolo, entro la cellula. Se esistessero costantemente le laminette che il Golgi ha descritto, la cosa sarebbe, come ognuno comprende, impos- sibile. Prescindendo peró da questo quesito fondamentale e considerando soltanto il reticolo pericellulare pr. detto e la rete diffusa, rimane sempre una serie di dettagli che meritano di essere studiati minuta- mente e di problemi che devono ancora essere risolti. Innanzitutto la questione della forma che le maglie del reticolo possono avere, la loro ampiezza ed il modo di presentarsi dei fili che le delimitano. In questo le figure annesse ai lavori dei diversi ricercatori pre- sentano delle differenze spiccate. Cosi il Golgi (forse cid dipende in parte dal piccolo ingrandimento usato) ci da delle maglie poligonali molto minute, delimitate da fili sottili unentisi fra di loro ad angolo senza ispessimenti nei punti nodali: il Donaggio delle maglie quadran- golari o poligonali molto ampie e delimitate da fili piuttosto spessi, entro le quali sono iscritte le raggiere formate invece da fili esilis- simi; Semi Meyer sempre maglie poligonali molto minute; il Bethe maglie di forma diversa ma delimitate sempre da trabecole piuttosto larghe ed a contorno indeciso, come sfumato; il Held delle maglie po- ligonali con filamenti spessi; il Cajal maglie rotondeggianti od ovalari pure delimitate da trabecole piuttosto larghe e granulose. Si nota subito che gli autori citati hanno riprodotto elementi di . Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 409 gruppi cellulari ed anche di animali diversi: la figura del Golgi si ri- ferisce ad una cellula delle corna anteriori di uomo, il Donaggio ha riprodotto cellule delle corna anteriori di cane, Semi Meyer invece cellule del vestibolare, dell’oliva e delle eminenze quadrigemine poste- riori di specie di animali differenti, il Cajal cellule della corteccia cere- brale di gatto, il Held cellule dell’oliva, delle corna anteriori, del nu- cleo del corpo trapezoide di cane, il Bethe delle corna anteriori e del corno d'Ammone di coniglio, del nucleo dentato e dell’oliva di cane. Parrebbe logico ammettere che le differenze morfologiche del reti- colo pericellulare dovessero essere attribuite alla diversità dei gruppi cellulari e degli animali studiati, ma questo non è, o per lo meno non risulta dall'esame dei lavori. Così dalle indagini del Bethe e del Donaggio risulta che le cel- lule del corpo trapezoide e dell’oliva hanno il reticolo periferico di- sposto in duplice strato: uno a maglie molto sottili applicato diretta- mente alla superficie della cellula, l’altro a maglie più ampie ed a trabecole più spesse situate ad una certa distanza. Questo fatto non risulta nè dalle figure del Meyer, né da quelle del Held e per questo autore la cosa è un po strana poichè egli riproduce figure tratte da preparati fatti col metodo del Bethe. Le raggiere che il Donaggio ha veduto e descritto nelle cellule delle corna anteriori di cane, non appaiono mai nelle figure del Bethe: è vero che questo autore ha raffigurato una cellula di midollo spinale di coniglio e che in questo animale le raggiere potrebbero mancare, ma non si potrebbe trattare di insufficienza del metodo tecnico del Bethe? Il Held invece ha descritto delle formazioni simili alle raggiere del Donaggio ed assegna loro un'altissima importanza funzionale: se- condo lui esse sono una caratteristica strutturale costante e si osser- vano quindi attorno a tutte le cellule nervose. Corrisponde questo fatto alla realtà? e si possono le formazione del Held, i suoi Neuro- somenhaufen, identificare realmente colle raggiere del Donaggio? Come si spiega che nessun altro autore ne abbia fatto cenno? Il Bethe, sostenendo che nei diversi gruppi cellulari il reticolo periferico ha una struttura caratteristica, afferma che in quelli a fun- 410 Carlo Besta, zione uguale la struttura è anche eguale: è un asserto che abbisogna di dimostrazione, poichè le sue figure si riferiscono a gruppi diversi ed i risultati di altri autori non sono perfettamente simili ai suoi. ‘Anche l'affermazione che le cellule della radice sensitiva del tri- gemino sono prive di reticolo periferico ha bisogno di essere control- lata: perchè non si comporterebbero in egual modo le cellule delle radici sensitive di tutti 1 nervi misti che sono pure omologhi comple- tamente al trigemino? Infine il modo di presentarsi delle trabecole delimitanti le maglie del reticolo (la finezza dei reperti del Donaggio non si osserva in al- cuna delle figure degli altri autori) è meritevole di indagini speciali, non fosse altro che per stabilire da che dipendano le marcate diffe- renze che in esse si osserva: se da particolarità strutturali vere e proprie o se invece dai metodi, più o meno fini, usati dai ricercatori. Questo per quanto riguarda il reticolo pericellulare propriamente detto. Ma un altro punto merita ancora un esame dettagliato. Mentre le figure del Golgi, di S. Meyer, del Cajal ci danno un reticolo limitato al solo corpo cellulare ed ai prolungamenti protoplas- matici, il Donaggio per il primo raffigurò delle sottili fibrille che si inserivano alla porzione periferica del reticolo e disse che di fibrille simili appariva ricchissimo il tessuto circostante. Secondo il Bethe il reticolo è in rapporto colle diramazioni ter- minali dei cilindrassi (che verrebbero ravvolte e circondate dalla so- stanza che costituisce le trabecole del reticolo stesso) e con una rete di riempimento (Fullnetz), di natura diversa a quella del reticolo peri- ferico. Secondo il Held infine il reticolo pericellulare è in rapporto tanto colle diramazioni terminali dei cilindrassi, i quali formerebbero alla superficie della cellula quelle strutture raggiate che ho più volte men- zionato, quanto colla rete diffusa, che egli però ritiene essere della stessa natura del reticolo pericellulare e considera come un prodotto speciale di origine nevroglica. Chi ha ragione dei due? il Bethe o il Held? E le fibrille de- scritte dal Donaggio devono essere identificate colla rete diffusa o si tratta di un reparto speciale? Come è noto il Donaggio parla generi- Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 411 camente di fibrille nevrogliche e nulla esclude che al reticolo possano inserirsi delle fibre del fitto ragnatelo nevroglico che secondo il Pala- dino [9] esiste attorno alle cellule nervose. Il problema aspetta ancora uma soluzione definitiva: io ricorderò quì che ancora recentemente il Cajal ha sostenuto l’idea del Bethe, che la rete diffusa altro non sia che l’effetto della coagulazione di liquidi interstiziali, per verità senza addurre serie prove in favore. Ad ogni modo quanto ho detto sopra mi pare dimostri che vi è ancora una serie di questioni e di particolari interessanti che devono essere precisati: tali insomma da giustificare le indagini che io ho praticato e che esporrò nel modo più breve possibile. Metodi di indagine. Poichè ciascuno degli autori ha basato la descrizione dei suoi re- perti sopra risultati ottenuti con metodi personali di ricerca e poichè le differenze morfologiche sulle quali ho tanto insistito potevano essere in rapporto coi metodi diversi usati, io ho usato anche alcune delle modalità tecniche dei singoli autori, in modo da poter fare eventual- mente un esame comparativo dei reperti negli stessi gruppi cellulari, esame comparativo che nessuno si era curato fin qui di fare. In modo speciale io ho applicato il metodo del Bethe ed i metodi del Donaggio alla piridina (colorazione in toto): qualche volta ho pure usato il recente metodo del Cajal, ma con risultati molto scarsi. Il metodo di Semi Meyer mi ha dato solo accidentalmente dei reperti positivi, ed anche quelli molto pallidi ed incompleti. I risultati fondamentali del mio lavoro però sono stati ottenuti con una serie di modalità tecniche che io ho avuto la fortuna di poter precisare e che voglio innanzitutto esporre. I metodi tecnici che io ho escogitato si possono dividere in due gruppi: il primo gruppo è basato sulla impregnazione col nitrato d'ar- gento di blocchi di tessuto previamente fissati in modo opportuno e sulla successiva riduzione coll’acido pirogallico; si tratta quindi di modi- ficazioni ai metodi fotografici del Cajal: il secondo gruppo è basato sui principii dei metodi del Bethe e del Donaggio, sul mordenzaggio cioè col molibdato di ammonio di blocchi di tessuto previamente 412 Carlo Besta, fissati e sulla colorazione delle sezioni mediante colori basici di anilina. I. Riguardo a questo gruppo io mi voglio limitare per adesso ad alcuni accenni, perchè non sono ancora riuscito ad avere risultati cosi costanti e cosi completi come io vorrei. Si tratta di due modificazioni ai metodi fotografici del Cajal, con- sistenti sopratutto nel fatto che la fissazione del tessuto nervoso é fatta in alcool acidificato o con acido cloridrico o con acido nitrico in proporzioni varie da caso a caso. I risultati possono essere positivi, ma in modo non completo, in tutti i gruppi cellulari ed i reperti con- cordano completamente con quelli che si ottengono colle altre moda- lità tecniche che esporrò più avanti. Perd si ha colorato soltanto il reticolo pericellulare, la rete diffusa invece appare molto pallida e di aspetto un po’ granuloso: in nessun caso mi è avvenuto di avere reperti a forma di laminette o di membrana continua simili a quelli descritti dal Golgi. II. Il secondo gruppo di modalità tecniche, basato sopra il mor- denzaggio col molibdato d’ammonio di tessuto nervoso previamente fissato, consta di tre metodi, i quali differiscono fra di loro soltanto per la fissazione primitiva, e che, se non avessero indicazioni tecniche un po’ diverse l'uno dall'altro, si potrebbero anche assommare in un unico metodo. Il secondo ed il terzo infatti sono derivazioni del primo. ‘ Jo sono partito dall'osservazione che, mordenzando per breve tempo con soluzione di molibdato di ammonio al 4?/, delle sezioni di midollo spinale fissato in formalina al 10 od al 20?/, colorando con soluzione di bleu di toluidina all'l: 3000 o con tionina all'1: 10000 e differen- ziando in creosoto anzichè in alcool, si poteva molte volte, alla superficie delle cellule nervose e dei prolungamenti protoplasmatici, dimostrare il reticolo periferico colle caratteristiche raggiere descritte già dal Donaggio. I reperti erano sempre molto parziali, limitati a pochi elementi, ma erano molto dimostrativi. Specialmente eleganti erano i preparati fatti colorando colla tionina, perchè in essi il reticolo pericellulare colorato in violetto oscuro, spiccava nettamente sul fondo azzurro. delle cellule. Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 413 Ho fatto allora una serie di tentativi, facendo agire il molibdato sopra blocchi di tessuti nervoso previamente fissato in soluzioni di formalina a varia concentrazione: da queste indagini é emerso che era necessario usare soluzioni piuttosto concentrate (dal 30 al 40°/,) e che prima di far agire il molibdato occorreva eliminare dai blocchi il for- molo nel modo più completo possibile. Ho cosi precisato il primo dei metodi miei, il seguente: a) Blocchi di tessuto nervoso di non oltre 4—5 mm. di spessore vengono fissati per 36 a 48 ore in: formalina parti 40, acqua distil- lata parti 60. I pezzi vengono dopo lavati per 24 ore in acqua distillata, che si deve mutare parecchie volte, e mordenzati der 48 ore in soluzione di molibdato di ammonio al 4°/,. L'inclusione si fa in paraffina a 52°, previo 1 passaggi soliti in alcool a 96 (8—4 ore), in alcool assoluto (5—6 ore) in xilolo od in cloroformio. Il procedimento per la colorazione delle sezioni, sarà da me esposto dopo aver riferito le altre due modalità tecniche: esso è in- fatti, a parte lievi differenze che indicherò, identico per tutte. To qui mi limito a dire che procedendo nel modo accennato si ottengono reperti molto buoni, superiori certamente a quelli che si hanno col metodo del Bethe (almeno per quanto risulta dalla mia per- sonale esperienza), ma bisogna che avverta, che il metodo presenta’ alcuni inconvenienti. Innanzitutto non è costante in modo assoluto; da qualche blocco, pur preparato con molta cura, non son riuscito ad aver reperti completi; inoltre esso riesce bene solo in determinate parti dell’asse cerebro-spinale, mentre in altre non dà risultati. Così riesce benissimo nel midollo, nel bulbo, nella protuberanza, nei gangli della base, nel nucleo dentato, invece nella corteccia cere- brale e cerebellare, nei ganglii ventrale e dorsale dell’acustico e sopra- tutto nel materiale embrionale, i risultati sono molto scarsi. Dal con- fronto poi coi reperti ottenuti colle altre due modalità che esporrò in se- guito, risulta anche, che, mentre il reticolo pericellulare propriamente detto appare con tutti i dettagli anche più fini, la rete diffusa è con questa 414 Carlo Besta, modalità tecnica meno ricca e meno completa. Per questo il metodo è da consigliare per quei casi i cui si voglia in modo speciale avere la colorazione localizzata al reticolo pericellulare. Io, preoccupato sopratutto dall’idea di avere reperti positivi per tutti i punti del sistema nervoso e per il materiale embriologico, ho cercato con insistenza se l'aggiunta di sostanze acide od alcaline alle soluzioni di formalina dessero buoni risultati. Mentre gli alcalini nuoc- ciono costantemente alla colorazione della rete pericellulare, gli acidi (nitrico, cloridrico, formico) sono di notevole vantaggio, purchè ag- giunti in quantità molto piccola; fra essi HCl puro mi è parso ri- spondere meglio allo scopo. I risultati migliori si hanno procedendo così: b) Blocchi di tessuto nervoso, di non oltre 4—5 mm. di spessore, vengono fissati per 48 ore nel liquido seguente „Formalina parti 40 (o 30) — Acqua distillata parti 60 (o 70) — HCl purissimo goccie 2": vengono poscia lavati per 24 ore cambiando più volte l’acqua di- Stillata. quindi mordenzati ed inclusi come nella modalità precedente. Con questo metodo i risultati sono assolutamente costanti, inquan- tochè a me non è mai avvenuto (ed ho usato il metodo per oltre tre anni) di capitare in um blocco di tessuto che mi desse risultati nega- tivi: esso dà risultati positivi nella corteccia cerebrale e cerebellare e nel materiale embrionale, mentre nel ganglio dorsale e ventrale del- lacustico i reperti sono sempre molto scarsi. La rete diffusa appare notevolmente più ricca che colla modalità « (ad un dipresso come nei preparati fatti col metodo di Bethe), meno fitta però che colla moda- lità che ora espongo. La sostanza però che, aggiunta alle soluzioni di formalina, ha dato i migliori risultati è stata l’aldeide acetica; con questa si hanno risultati positivi per tutti i punti dell'asse cerebro-spinale, per tutti eli elementi di qualunque grandezza essi siano, e si hanno (quando si proceda nelle operazioni di fissazione, di lavaggio, di inclusione colle dovute regole) con una costanza sorprendente. Anche nel materiale Sul reticolo periferico della celiula nervosa nei mammiferi. 415 embriologico, come pure in quello isto-patologico si hanno risultati ottimi. La proporzione di aldeide acetica che si può aggiungere alle solu- zioni di formalina varia fra limiti assai ampii, fra il 2 ed il 10?/,: col suo uso si può indifferentemente abbassare la percentuale di forma- lina fino al 10°/,: essa dà ottimi risultati anche se viene aggiunta alle soluzioni di formalina dopo che i blocchi vi sono già rimasti (e sono quindi fissati) per uno o due giorni. Essa ha cioè, la caratteri- stica attività di rendere la sostanza che costituisce il reticolo peri- cellulare e la rete diffusa più suscettibile all’azione mordenzatrice del molibdato ed anche di rendere assai più stabile il legame. La prova diretta di questo si può avere appunto fissando in formalina al 40°/, la parte di bulbo coi due ganglii ventrali dell’acustico. Se dopo 24 ore una metà vien passata in formalina al 10°/, coll’aggiunta del 2°/, di aldeide acetica, e poi si lavano, mordenzeno, includono i due blocchi in modo identico, si ha che solo nel secondo il reticolo pericellulare delle cellule del ganglio ventrale appare in modo elegantissimo e la rete diffusa è della massima evidenza; mentre nel primo i reperti sono assai meno completi ed evidenti. Pure insistendo nel dire che vi è una notevole ampiezza nelle proporzioni e di formalina e di aldeide acetica che si possono usare, dirò la modalità che io adopero abitualmente. c) Blocchi di tessuto vengono fissati per 48 ore in ,formalina parti 20 — aldeide acetica parti 2 — acqua distillata parti 80“. Il lavaggio in acqua distillata deve essere accuratissimo perché traccie anche molto scarse di aldeide acetica rendono meno sicuro il risultato; LI il resto del trattamento è come nei casi precedenti. (Come semplice accenno io voglio dire che Vaggiunta di aldeide acetica alla soluzione satura di sublimato corrosivo rende pure possi- bile la dimostrazione del reticolo pericellulare — è necessario ag- giungerla nella proporzione del 2 o del 3°/, fissando di blocchi, non troppo grossi, per 24 ore, lavandoli poi in acqua iodica per altre 24 ore allo scopo di eliminare l’eccesso di sublimato, e mordenzando in 416 Carlo Besta, molibdato al 4°/, per 48 ore. I risultati sono uguali a quelli che si hanno colla fissazione in sola formalina, però il differenziamento è meno netto.) La colorazione esige, per la buona riuscita, una tecnica molto minuziosa e delicata ed io mi diffonderò piuttosto a lungo nell’esporla. Può essere fatta con diverse sostanze basiche: bleu di metilene, bleu di toluidina, tionina: io adopero sempre quest’ultima perchè colora il reticolo in violetto scuro, lasciando le altre parti del tessuto od in- colore (cilindrassi — fibrille nervose e nevrogliche — protoplasmi nevroglici e connettivali) o colorate in azzurro (zolle di Nissl — nu- cleolo e granuli nucleari delle cellule nervose — nuclei nevroglici ed interstiziali). Da ciò una netta colorazione di constrasto che non si ha colle altre sostanze coloranti. La soluzione di tionina deve essere all’1 per 10000 e deve essere preparata con gran cura, macinando a lungo il colore in un mortaio di vetro con pochissima acqua, in modo da triturare completamente tutti i granuli e da fare un soluto il più possibilmente omogeneo. È bene anzi, dopo macinato il colore, riempire il mortaio con acqua di- stillata, agitare, lasciar depositare per 24 ore e versare in una botti- glia solo la parte superiore della soluzione, portandola naturalmente al titolo voluto. Questo per evitare i precipitati nelle sezioni. Le sezioni, dello spessore da 5 a 7 mikron, devono essere attac- cate con molta cura ai vetrini coprioggetti, in modo da evitare le benchè minime pieghe e ciò per due motivi: innanzitutto per evitare delle disuguaglianze e delle differenze nella colorazione, facilissime ad aversi per motivi che vedremo più avanti; poi perchè le sezioni di tessuto nervoso, fissato con qualunque delle tre modalità accennate, aderiscono piuttosto debolmente ai vetrini e durante le manipolazioni di lavaggio in acqua e di colorazione che si devono fare agitando di continuo i liquidi, quelle che sono mal distese e con pieghe si staccano con grande facilità. A questo proposito anzi io debbo ricordare che è necessaria un'as- soluta pulizia dei vetrini a cui si devono attaccare le sezioni, e che ogni traccia di sostanze grasse deve essere in modo completo eliminata. Il lavaggio in alcool ed etere è insufficiente allo scopo, bisogna bol- lirli a lungo, specialmente quelli che sono stati usati altre volte, in Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 417 una soluzione allungata di acido solforico, lavandoli poi in acqua rin- novata più volte per eliminare ogni traccia di acido. Prima di esporre le manualità, lo ripeto, piuttosto delicate e minu- ziose della colorazione propriamente detta — la quale essenzialmente consta di tre momenti fondamentali: lavaggio delle sezioni — colora- zione — differenziamento —, è necessario che io ricordi alcuni dati riguardanti il meccanismo di azione col quale il molibdato agisce e sul quale sono basati i metodi di colorazione. Nel tessuto nervoso fissato soltanto in formolo od in formolo col- l'aggiunta di HCl o di aldeide acetica, la tionina da una colorazione progressiva che dall'uno all'altro fissante presenta pochissime differenze; appaiono cioè colorate nettamente le zolle di Nissl, i granuli nucleari, i nuclei nevroglici ed interstiziali, mentre il resto del tessuto è. salvo lievi differenze, pressochè scolorato. Se invece il tessuto nervoso è stato sottoposto all’azione del molibdato, le cose cambiano d'aspetto; le parti che esso ha imbevuto, e fra di esse molte che prima non ap- parivano affatto perchè incapaci di fissare il colore, si scorgono di co- lore violetto scuro. È avvenuto cioè nel tessuto nervoso il processo noto col nome di mordenzatura, che, come è noto, è su larga scala applicato nella isto- logia e che, per rimanere nel campo di azione del molibdato, forma la base dei metodi notissimi del Bethe e del Donaggio. Come in questi, si ha nei miei che il molibdato di ammonio non forma colle parti costitutive del tessuto nervoso, o con certe di esse, una combinazione chimica vera e propria: esso presenta per esse un’af- finità più o meno spiccata e le imbeve in modo più o meno tenace, unendosi loro con stabilità diversa. Per alcuni elementi, per le neuro- fibrille ad es., non vi è nel tessuto nervoso trattato con qualsiasi delle tre modalità, affinità alcuna; per gli altri invece l’affinità esiste, ma in grado diverso. Avviene quindi che lavando le sezioni in acqua distillata, nella quale il molibdato è solubile, alcune porzioni di tessuto cedono il molib- dato prima delle altre; quelle che lo cedono riacquistano il tipo di colorabilità che avevano anche prima del mordenzaggio, le altre si colorano sempre in violetto. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 27 418 Carlo Besta, Il reticolo pericellulare e la rete diffusa che è con esso in con- nessione, sono le parti di tessuto in cui il molibdato permane pit a lungo; sono quindi gli elementi che si colorano ancora in violetto quando le altri parti o si colorano in azzurro o non si colorano più. Perchè adunque il metodo riesca bene è necessario che il lavag- gio delle sezioni in acqua sia prolungato fino a quando il molibdato si trova soltanto sul reticolo pericellulare e sulla rete che se ne di- parte; non deve essere maggiormente protratto, perchè altrimenti il reticolo non si colora più, e non deve essere troppo breve per evitare la colorazione di altri parti del tessuto. Il punto esatto può essere stabilito soltanto a tentativi ed in via approssimativa; il molibdato si scioglie tanto più facilmente quanto più alta è la temperatura dell’acqua di lavaggio; nelle stagioni calde quindi bisogna operare più rapidamente che nelle stagioni fredde. Im- oltre bisogna sempre tener calcolo delle differenze inevitabili che pos- sono ‘esistere fra un blocco di tessuto ed un altro, anche se sono stati fissati colle stesse regole. Ma di un altro fatto bisogna pure tener calcolo, e questo riguarda più propriamente la colorazione. Nelle modalità tecniche che ho esposto (come in tutti i metodi a base di mordenzaggio del tessuto) non si ha una colorazione stabile e progressiva come nelle colorazioni primarie, in cui un elemento del tessuto dotato di una speciale affinità rag- giunge un maximum di colorazione che rimane sempre eguale qualun- que sia il tempo di soggiorno nel liquido colorante; noi abbiamo qui che vi è un optimum di colorazione che viene raggiunto ad un deter- minato momento, nel quale la combinazione fra sostanza colorante e reticolo ha la massima stabilità, ed oltrepassato il quale la combi- nazione si ridiscioglie e la colorazione del reticolo scompare. È quindi necessario che la colorazione sia fatta sopra sezioni la- vate per un periodo di tempo esatto e che non sia spinta al di là di un certo limite; solo allora il terzo momento essenziale, e cioè il dif- ferenziamento, che deve eliminare la sostanza colorante da tutte le parti del tessuto che non siano il reticolo pericellulare, potrà essere applicato con successo. Bisogna ricordare sempre che il punto esatto della colorazione Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 419 viene più rapidamente raggiunto quando più calda è la temperatura della soluzione; praticamente quindi quanto più alta è la temperatura ambiente. Quanto ho detto fin qui, può far credere che si tratti di un me- todo difficilissimo di riuscita: in realtà le cose non sono così: un po’ di pratica dimostra che le difficoltà sono tutt'altro che insuperabili. Si tratta in fondo di fare dei tentativi preliminari e di sacrificare qualche sezione in principio; raggiunto una volta il punto esatto, si ha una norma costante per tutti i blocchi di tessuto fissati nelle stesse condizioni ed allora le indagimi procedono speditamente. Certo è quasi impossibile dare delle regole assolute; la pratica personale deve supplire. La schema della colorazione è ad ogni modo il seguente: Sparaffinamente delle sezioni in xilolo — passaggio in alcool as- soluto — poi in alcool a 96° — lavaggio in acqua distillata, passando le sezioni in almeno tre vaschette successive ed agitando sempre in modo da eliminare completamente ogni traccia il alcool, per un periodo di tempo che varia fra 3—4 minuti in estate e 15—20 e più minuti in inverno (i limiti di tempo sono sempre più brevi per il materiale fissato solo in formalina e più lunghi per quello fissato in formalina con aldeide acetica) — colorazione in tionina all’1 : 10000 (è necessario agitare sempre la sostanza colorante) per 4—5 minuti in estate, 25— 30 e più in inverno — breve lavaggio in acqua distillata — differen- ziamento in ,,creosoto parti 3 — alcool assoluto parti 1“ prima (pochi secondi agitando energicamente), in creosoto puro dopo — passaggio in xilolo — montaggio delle sezioni in balsamo del Canadà neutro. Avverto che il passaggio in creosoto ed alcool è fatto solo per rendere più rapida la penetrazione del creosoto nella sezione e deve essere breve perchè l’alcool è sempre nocivo alla colorazione elettiva: il dif- ferenziamento deve essere controllato al microscopio. Io consiglio di fare le prove preliminari con tre o quattro vetrini lavandoli per un tempo uguale, colorandoli contemporaneamente (colle scatole del Petri questo si fà con grande facilità essendo anche possi- bile un’agitazione uniforme della sostanza colorante) e tentando il dif- 27* 420 Carlo Besta, ferenziamento a periodi diversi di tempo. In genere la prima prova da elementi sufficienti di giudizio per la durata sia del lavaggio che della colorazione. Senza entrare nella descrizione di dettagli, che sarà fatta più avanti, io mi limito ad accennare che con tutti e tre i metodi il reti- colo pericellulare e la rete diffusa appaiono colorati in violetto scuro, che invece vi è qualche differenza fra l'uno e l’altro per quanto riguarda la colorazione delle altre parti costitutive del tessuto. Le zolle del Nissl appaiono sempre di colore azzurro; la parte acromatica è completamente scolorata, come lo sono i cilindrassi, colla prima e colla terza modalità, mentre e l'una e gli altri sono debolmente colo- rati in viola colla seconda. Il nucleolo poi delle cellule nervose presenta talvolta un contrasto di colorabilità nella seconda e nella terza modalità. In questa appare colorato in azzurro scuro con delle areole chiare, in quella invece è debolmente violaceo con dei granuli azzurri, inoltre appaiono pure co- lorati in azzurro i corpuscoli che Levi ha per il primo descritto. Cid però non è costante. Si può anche mordenzare, prima del differenziamento, con soluzione di molibdato al 4°/ (non oltre 10—12 secondi), in questo caso con tutte e tre le modalità il reticolo pericellulare è colorato in violetto scuro mentre tutto il resto del tessuto è colorato in viola chiaro. Le zolle del Nissl non si scorgono più in alcun modo: i nuclei interstiziali appaiono come ombre. I preparati sono molto meno eleganti e dimostrativi, però assai più duraturi; io ne posseggo di quelli fatti da oltre quattro anni. Descrizione dei risultati ottenuti. To debbo innanzitutto ricordare che le mie indagini, corrispondente- mente al piano esposto in principio, si sono estese ai gruppi cellulari più importanti, alla corteccia cerebrale e cerebellare, ai ganglii della base, al nucleo dentato, ai nuclei bulbo — protuberanziali, al midollo. Come materiale mi sono servito specialmente del cane, del gatto e del coniglio; ricerche parziali ho fatto pure nell'uomo, nel riccio, nella talpa, nella cavia, nel topo. Oltre ai miei metodi ho su larga scala Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 4921 applicato quello del Bethe, l’ultimo del Cajal e quelli del Donaggio, in modo speciale il VII. Sarò brevissimo nell'esposizione dei miei reperti, rilevando in modo speciale le differenze eventuali coi risultati ottenuti da altri ricer- catori e descrivendo i risultati ottenuti in gruppi cellulari non ancora studiati da altri. Midollo spinale: Nel cane, nel gatto e nel coniglio con tutte le modalità tecniche mie si osserva la disposizione a raggiera quale è stata descritta dal Donaggio [Ze] e come risulta dalla figura 1. Si hanno cioè delle maglie poligonali (per lo più esa o pentagonali) limi- tate da filamenti netti e piuttosto spessi, entro le quali si trovano iscritti dei tenui apparati reticolari a forma di ragnateli, costituiti da filamenti esilissimi. - La forma della raggiere non é sempre uguale; esse sono sempre evidenti sul corpo della cellula e nella parte iniziale dei grossi proto- plasmatici, nei quali si fanno meno evidenti col progressivo assotti- gliarsi, dando luogo ad un reticolo a maglie poligonali più strette. Negli animali piccoli (riccio —.talpa — topo) io non sono mai riuscito a dimostrarle; in essi il reticolo periferico è piuttosto spesso ed è costituito da maglie poligonali molto strette. Risultati identici ai miei ho ottenuto colla modalità VII. del Do- naggio (sempre riguardo al reticolo pericellulare propriamente detto); invece col metodo del Bethe e con quello del Cajal, non sono mai riuscito a mettere in evidenza le raggiere; sempre si sono colorate soltanto le trabecole più spesse. Inoltre un fatto si è dimostrato sopra il quale io richiamo l’atten- zione; coi metodi miei e con quelli del Donaggio le trabecole delimi- tanti le maglie del reticolo appaiono sottili, di spessore uniforme, e formano costantemente degli angoli acuti, senza ispessimenti, nel punto in cui si riuniscono; col metodo del Bethe invece le maglie sono di solito piuttosto rotondeggianti perchè le trabecole, che appaiono già per sé più larghe e più diffuse, nei punti nodali si allargano ancora più. Ciò corrisponde del resto alle figure del Bethe, e coi miei metodi si ha solo quando il lavaggio delle sezioni ed il differenziamento non sono 499, Carlo Besta, stati completi: si colora cioè una sostanza che aderisce alle trabecole del reticolo. Questo fatto, unito alla mancata colorazione delle raggiere, tende a dimostrare che il metodo di Bethe è meno elettivo e meno fino delle modalità mie e di quelle del Donaggio. Oltre al reticolo pericellulare si colora, e questo si ha senza spe- ciali differenze in tutti gli animali da me studiati, una fittissima trama reticolare che invade tutto il resto del tessuto circondando le cellule nevrogliche, i vasi, le guaine mieliniche (formando attorno a queste gli strozzamenti già descritti benissimo dal Held) e costituendo al di- sotto della pia un plesso molto fitto. Questa rete interstiziale diffusa appare colla massima evidenza nei preparati fatti colla modalità terza (fissazione in formalina con aldeide acetica) e nella sostanza grigia è così fitta da rendere spesso difficile l’analisi del reticolo pericellulare, il quale se ne differenzia solo per il fatto di avere le maglie a struttura geometrica regolare, mentre la rete interstiziale è irregolarissima, adattandosi alla forma degli altri elementi costitutivi del tessuto nervoso. Essa non appare in modo evidente colle due modalità del Donaggio. Col metodo del Bethe è assai meno fitta che colla terza delle nie modalità, inoltre essa non ha l’aspetto delicatamente fibrillare, appa- rendo formata da trabecole piuttosto spesse e di struttura lievemente granulare, tale da giustificare un pò l'impressione che si tratti di preci- pitati piuttosto che di un elemento definito. Un aspetto simile si ha anche colle mie modificazioni del metodo di Cajal; io ritengo che ciò sia dovuto soltanto a minore finezza dei metodi tecnici. Nuclei dei nervi cranici: Riunisco insieme i gruppi che hanno fra di loro identità di struttura. I nuclei di origine del facciale, dell’oculo-motore esterno, della radice motrice del trigemino e dello spinale si presentano ad un dipresso come nel midollo spinale: nel cane, nel gatto, e nel coniglio vi è cioè la tipica disposizione a raggiera, che non si osserva negli animali più piccoli. La rete diffusa, appare in genere notevolmente meno fitta e meno ricca di fibrille. Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 423 Nell'oeulo motore comune la disposizione più frequente nel cane e nel gatto è la solita a raggiera, nel coniglio invece è quella rappresen- tata dalla figura 2. Si tratta in fondo di una variante della struttura a raggiera: al centro delle maglie poligonali del reticolo si ha qui quasi sempre una placchetta, talvolta reticolata, da cui si dipartono a stella quattro o cinque filamenti che si inseriscono agli angoli delle maglie. Questa disposizione non si osserva nel riccio e nella talpa in cui manca pure la raggiera; in altri animali non e stata da me studiata. Essa appare con tutte le modalità tecniche mie al molibdato e col metodo VII. del Donaggio; si osserva ma non molto netta, colle mie due modificazioni al metodo del Cajal, non si ha quasi mai col metodo del Bethe. La rete diffusa è in questo nucleo molto fitta, meno però che nel midollo spinale. i Nei nuclei motori dellippoglosso e del patetico la forma del reti- colo pericellulare è notevolmente diversa che nei nuclei motori fin qui esaminati; la raggiera non si osserva più, si ha qui una disposizione quale è rappresentata dalla fig. 3 (cellula del patetico di cane). Il reticolo è cioè costituito da maglie poligonali molto strette, limitate da filamenti piuttosto spessi i quali, specialmente per lo spessore, si differenziano dai fili della fittissima trama diffusa che invade il resto del tessuto. Noto però che le trabecole del reticolo pericellulare appaiono meno spesse nelle cellule dell’ippoglosso che in quelle del patetico. Questa struttura si osserva in tutte le specie animali da me studiate, sia coi miei metodi che con quelli del Donaggio e del Bethe; prescindendo naturalmente dalla rete diffusa che o manca (metodo VII del Donaggio) od è assai meno ricca (metodo del Bethe). Infine nei nuclei motori del glossofaringeo e del pneumogastrico il reticolo pericellulare presenta ancora delle particolarità morfologiche caratteristiche; la fig. 4, che rappresenta una cellula del glossofaringeo di cane, ne dà un esempio. Si ha cioè una singolare delicatezza ed esilità dei filamenti che delimitano le maglie, le quali a loro volta sono per lo più oltremodo minute e molto piccole. La loro forma non è costante e la loro ampiezza un po’ diversa 424 Carlo Besta, e questo contribuisce a rendere il reperto più caratteristico. Cid si osserva prevalentemente nel cane e nel gatto; nel coniglio e negli altri animali la disposizione e più regolare e più geometrica. La rete diffusa è sempre assai fitta. | I reperti accennati si ottengono oltrechè coi miei, col metodo VII del Donaggio; quello del Bethe da risultati assai meno completi e meno fini, specialmente per cid che riguarda la esilita e la delicatezza delle trabecole. Fin qui ho descritto in modo esclusivo i reperti ottenuti in gruppi cellulari a funzione motrice; raggruppo in uno i reperti dei nuclei sensi- tivi dei nervi misti (trigemino — glossofaringeo — pneumogastrico — spinale), delle cellule delle corna posteriori del midollo spinale e di quelle della colonna del Clarke perchè per tutte si ha ad un dipresso la stessa cosa; e cioè un reticolo a maglie irregolari con trabecole piuttosto marcate, differenziabile con una certa difficoltà dalla rete diffusa circostante. Ad ogni modo il reticolo pericellulare esiste sempre; l’affermazione del Bethe riguardo alla radice sensitiva del trigemino è inesatta. Come non appare confermata dai risultati delle mie indagini l’altra asserzione del Bethe che le cellule dei gruppi cellulari di fun- zione analoga siano circondate da un reticolo periferico avente una uguale morfologia. Le figure 1—4 sono al riguardo eloquentissime. Per l’acustico è necessario considerare separatamente i nuclei del vestibolare da quelli del cocleare. Nelle cellule dei nuclei del Deiters e del Bechterew il reticolo peri- cellulare, ha tanto nel cane quanto nel gatto e nel coniglio, una forma assolutamente caratteristica, quale io non ho osservata in alcun altro gruppo cellulare. Le figure 5 e 6, tratte da preparati fatti, l'uno colla modalità 32, l’altra con una delle modificazioni del metodo di Cajal, ne danno un’idea abbastanza chiara. Si ha cioè un reticolo a maglie ovalari o rotondeggianti deliminate da trabecole molto spesse, le quali appaiono spesso costituite da un agglomerato di maglie molto più minute. Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 495 Ne avviene che nel complesso il reticolo acquista un aspetto spugnoso ed appare molto massiccio a ciò è tanto più evidente, perchè la rete diffusa circostante è a maglie piuttosto larghe e perchè le cellule stesse sono in genere molto grandi. Un aspetto analogo si ha anche nelle cellule di animali più piccoli (riccio — topo) e deve perciò essere con- siderato come caratteristico di tali gruppi cellulari o delle formazioni omologhe; esso si osserva anche col metodo VII del Donaggio. Col metodo del Bethe le maglie delle trabecole non sono evidenti e non si ha un aspetto spugnoso così tipico. Nelle cellule del nucleo dorsale interno, che sono notevolmente più piccole, si ha una disposizione (fig. 7) che ha qualche analogia alla prece- dente, ma che è assai più delicata e più elegante. Si ha cioè un reti- colo a maglie ovalari o rotondeggianti di ampiezza molto diversa l’una dall'altra e deliminate da filamenti oltremodo esili e sottili; analoghi a quelli che si osservano (la forma delle maglie è però diversa) nelle cellule motrici del glosso-faringeo. Nei nuclei del cocleare, ganglio ventrale e dorsale dell’acustico, abbiamo pure una struttura caratteristica, non tanto per il reticolo pericellulare in sè, quanto per la rete che se ne diparte. La figura 8 che rappresenta un gruppo di cellule del ganglio ventrale lo dimostra. Il reticolo pericellulare ha una forma poligonale regolare (penta od esagonale), talvolta con delle formazioni gomitolari (vedi la cellula a sinistra in alto) al centro di esse, ma senza spiccati caratteri morfologici. La rete diffusa invece presenta di caratteristico, specialmente in prossimità del corpo cellulare, una disposizione abbastanza regolare delle maglie che la costituiscono, in rapporto probabilmente, con peculiari particolarità strutturali degli elementi nervosi. Questo fatto è più evidente nel ganglio ventrale, anche per il fatto che le cellule sono in grande prevalenza globose o piriformi e con scarsi prolungamenti, ed appaiono come masse isolate in mezzo alla fitta trama reticolare che le avvolge. Una disposizione analoga si ha anche nelle cellule del nucleo del corpo trapezoide (che fa pure parte della via acustica), in queste però la rete diffusa ha una estensione minore, perchè si continua coi sepi- 426 Carlo Besta, menti che circondano le fibre del corpo trapezoide entro le quali in nucleo è situato. I risultati che si ottengono colla terza delle mie modalità (colle altre due si ha assai meno) sono notevolmente più ricchi di quelli che si hanno coi metodi del Bethe e del Donaggio, i quali della rete diffusa mettono in evidenza soltanto la parte più prossima alla cellula. Per questo ambedue gli autori hanno parlato di un reticolo pericellulare disposto in duplice strato; in realtà essi hanno descritto dei reperti incompleti. Io però sia col metodo del Bethe quanto con quello del Donaggio ho ottenuto qualche volta risultati collimanti, benchè molto meno ricchi di dettagli, con quelli che si hanno sempre colla mia modalità tecnica. Passando alla descrizione dei reperti che si ottengono, in altri gruppi cellulari del bulbo e della protuberanza, io ricordo, come degne di particolare menzione, l'oliva bulbare e la protuberanziale. Si ha anche in esse un reperto assolutamente caratteristico che ne differenzia nettamente le cellule da quelle di qualsiasi altro gruppo (vedi le fig. 9 e 10). Innanzitutto il reticolo che circonda il corpo cellulare ed i pro- lungamenti è formato da maglie poligonali oltremodo minute e da fila- menti esilissimi, quali non si hanno altrove; da esso si staccano le maglie della rete diffusa le quali in principio formano due o tre strati regolari e molto fitti, mentre poi bruscamente si allargano e formano una rete a maglie pure regolari ma molto ampie. Ne avviene che le cellule di primo acchito appaiono come innicchiate in un reticolo singolarmente spesso e complicato, disposto in duplice e triplice strato, e fornito di digitazioni tortuose e complicate, mentre in realtà si ha qui un fatto analogo a quello che ho rilevato per il ganglio ventrale del- lacustico. La sola differenza sta in ciò, che nel ganglio ventrale la rete diffusa ha una struttura più regolare e con maglie più uniformi, benchè più strette in prossimità del corpo cellulare, mentre nell’oliva ad una certa distanza dalla cellula si ha un cambiamento brusco nella loro ampiezza, cosicchè le cellule spiccano molto più nettamente sul fondo del preparato. Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 427 I rapporti fra rete diffusa e reticolo pericellulare nell’oliva hanno (ed io sopra questo ritornerò in seguito) una importanza di indole generale, perchè qui in modo speciale è assolutamente impossibile stabilire dove incominci l'uno e dove finisca l'altra. Coi metodi del Bethe e del Donaggio di solito appare soltanto uno strato doppio; solo eccezionalmente si ha qualche propaggine este- riore; anche la colorazione del reticolo pericellulare propriamente detta coll’uno e collaltro metodo è sempre meno completa e meno fina di quella che non appaia col mio; le maglie appaiono più ampie forse perchè non tutte le trabecole sono state colorate. La disposizione accennata poi si osserva ad un dipresso uguale nel cane, nel coniglio, nel riccio, nella talpa; nel gatto invece le maglie del reticolo sono più ampie e non sono così evidenti gli strati peri- cellulari. Anche caratteristiche sono le cellule delle eminenze quadrigemine, in modo speciale alcune grandi cellule che si osservano alla base delle posteriori; ne ho riprodotto un frammento nella fig. 11. È in fondo anche qui una disposizione a raggiera, ma molto più fina e più rego- lare e con maglie meno ampie che negli altri gruppi cellulari il cui prototipo è dato dalla fig. 1. Queste grandi cellule si osservano con uguale tipo nel cane e nel gatto, nel coniglio e negli altri animali la raggiera non è più evidente. Nel nucleo rosso (fig. 12) il reticolo pericellulare è formato da maglie poligonali piuttosto allungate ed irregolari, limitate da trabecole piuttosto sottili; la rete diffusa è a maglie ampie. Nel coniglio però le trabecole sono più spesse e compatte di quello che non appaiano nel cane. In questo gruppo cellulare si osservano poi colla massima fre- quenza alcune particolari formazioni sulle quali ritornerò più avanti. Io non mi dilungo a descrivere 1 reperti ottenuti in altri punti del bulbo, della protuberanza, della regione peduncolare perchè non ho trovato carateristiche tali da meritare una speciale menzione; si tratta sempre di reperti che rientrano in quelli già descritti. 428 Carlo Besta, Nei gruppi cellulari della formazione opto-striata si hanno con grande prevalenza forme uguali a quelle della figura 11 e della 12, con graduazioni intermediarie; per lo più adunque la disposizione a raggiera. Io non insisto in descrizioni minute. Accennerò invece brevemente ai reperti ottenuti nel cervelletto e nella corteccia cerebrale. Nel cervelletto si osserva una spiccata differenza fra le cellule del Purkinje e quella del nucleo dentato. In queste si osserva (fig. 13) un elegante reticolo a maglie poligonali molto ampie, delimitate da fili spessi e ben evidenti. Le maglie sono certamente le più larghe che si osservino nel sistema nervoso; al loro centro si osserva molto spesso una placchetta che appare quasi sempre isolata. La larghezza delle maglie è anche in rapporto colla grandezza delle cellule; in quelle piccole esse, pur mantenendo caratteri morfologici simili, sono più piccole (figura 19). La rete diffusa che se ne stacca è sempre molto esile e molto delicata. Tale modo di presentarsi si osserva ad un di- presso uguale nelle diverse specie animali da me studiate. Nelle cellule del Purkinje e nelle cellule del Golgi il reticolo pe- ricellulare sì presenta a maglie allungate losangiche assai meno grandi che in quelle del nucleo dentato; invece la rete diffusa assume attorno ad esse una ricchezza straordinaria, in modo speciale al disotto delle cellule del Purkinje ed in tutto lo strato dei granuli. In complesso i miei reperti collimano con quelli del Bethe; si nota però anche qui che le trabecole nei miei preparati appaiono nette e decise e si uniscono ad angolo acuto, mentre in quelli alla Bethe esse sono più ampie e come sfumate rendendo le maglie quasi sempre ova- lari o rotondeggianti. Nella corteccia cerebrale i risultati che io ho ottenuto sono oltre- modo uniformi e le figure 14—18 che riproducono cellule tratte da strati diversi lo dimostrano. Si ha cioè sempre un reticolo a maglie poligonali molto strette e molto regolari, il quale si continua con una rete diffusa pure assai regolare e costituita da filamenti esilissimi. E? notevole il fatto che la rete diffusa pare staccarsi da appendici più spesse e rigide che ricordano le ben note spine; essa avvolge in modo Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 429 evidente le cellule satelliti (trabantzellen) le quali, anche quando sem- brano innichiate nella cellula nervosa, ne sono sempre separate dalle trabecole del reticolo pericellulare. Come ho detto, i reperti che ho ottenuto nella corteccia sono molto uniformi, infatti essi sono identici in tutte le aree corticali; io insisto sopra questo, perchè non posso in alcun modo confermare l’affermazione del Bethe, che nel corno d’Ammone le cellule hanno un reticolo a maglie molto grossolane e molto larghe, come se fossero circondate solo dalla Fullnetz. Presumibilmente la descrizione del Bethe è in rapporto col fatto che egli ha praticato l'esame sopra il cervello di coniglio di 2 giorni, ad un’ epoca nella quale il reticolo pericellulare (ciò risulterà dimostrato quando pubblicherò le indagini embriologiche sull'argomento) non è ancora completo e le cellule (anche negli altri gruppi cellulari) sembrano avvolte soltanto dalla rete diffusa. Prima di terminare la parte descrittiva e di analizzare i risultati emersi dalle mie indagini, mi preme di riferire in modo dettagliato una serie di reperti che, almeno per quanto mi consta, non sono stati fin qui veduti da altri ricercatori. Essi sono raffigurati nelle figure 19—26; un semplice sguardo ad esse dice più di una descrizione dettagliata. Si tratta in complesso di propaggini che partendo dal reticolo pericellulare si spingono entro il corpo della cellula nervosa. La loro forma è notevolmente diversa un caso dallaltro; i due estremi sono rappresentati, per un verso da propaggini molto grosse e tozze, a struttura reticolata, che sembrano delle vere e proprie intro- flessioni del reticolo pericellulare, e per l’altro da tenui filamenti o da peduncoletti che finiscono con una espansione od omogenea o reticolata. Fra luno e l’altro tipo si osservano le più svariate modalità; sottilissimi filamenti terminati con un grosso gomitolo, peduncoli reti- colati di un calibro uniforme o con diverse strozzature, terminanti o con gomitoli o con sferule omogenee o con semplici espansioni. La loro lunghezza può essere molto diversa; talvolta terminano a pochissima distanza, altre volte invece si spingono molto profondamente entro il corpo cellulare; per lo più terminano isolate, in qualche caso invece se 430 Carlo Besta, ne osservano due o pitt congiunte fra di loro da filamenti sottili, la figura 23 ne riproduce un esempio tipico. Il numero di queste propaggini è notevolmente vario; di solito se ne osserva una sola, ma in certi casi esse sono di più, fino 7 od 8; la figura 22 riproduce una cellula del nucleo rosso in cui se ne contano 12. I casi in cui le propaggini sono parecchie sono i più dimostrativi, in- quantochè provano in modo assoluto che si tratta realmente di forma- zioni endocellulari; allora le vediamo infatti staccarsi dal reticolo peri- cellulare a piani focali differenti ed incrociarsi (senza toccarsi fra di loro) pure in piani diversi. Le fig. 24 e 25 mostrano la stessa cellula a piani focali diversi; nella prima è raffigurata coll’obbiettivo del microscopio sollevato al massimo grado, essa è in buona parte ricoperta dal reticolo pericellu- lare e mostra nella parte libera un gomitolo che sembra isolato entro il protoplasma; nella seconda il tubo è stato abbassato, la cellula appare nella sua sezione mediana, col reticolo quasi esclusivamente alla peri- feria, è comparso il nucleo, il gomitolo che prima era isolato si vede ora come una grossa propaggine che si diparte dalla rete pericellulare, inoltre sono comparsi due nuovi gomitoli che sembrano isolati. (In realtà anche questi non lo sono, cercando nella sezione successiva la stessa cellula io ho potuto vedere che sono pure uniti al reticolo pe- ricellulare.) Bisogna a questo proposito che io noti che spesso avviene che in una cellula si osservi un gomitolo od un nodulo completamente isolato è che sembra perciò una formazione indipendente; io sono convinto che si tratta di un fatto apparente e che assai probabilmente sempre esso è in connessione col reticolo pericellulare. In tutti i casi infatti nei quali le sezioni erano state tagliate serialmente e messe sul ve- trino con disposizione regolare, mi è stato possibile di ritrovare nella sezione sopra o sottostante il tratto di unione col reticolo, come nella cellula descritta sopra e riprodotta parzialmente nelle fig. 24— 925. i Le propaggini endocellulari descritte non sono un fatto costante e che si debba considerare come un dato strutturale della cellula ner- Vosa; esse si possono osservare in tutti i gruppi cellulari, ma in alcuni Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 431 sono molto rare (midollo spinale, corteccia cerebrale) in altri invece più frequenti. I punti dove é pit facile osservarle sono il nucleo rosso, il nucleo demato ed il nucleo del Deiters; nel primo di solito sono più grosse e piu tozze che negli altri. Esse si osservano in tutti gli animali (cane — coniglio — uomo — ecc.); io le ho ottenute fin qui soltanto colla modalità 3? (formalina ed aldeide acetica) ed anche, ma più di rado, colle mie modificazioni al metodo del Cajal. La figura 26 riproduce una cellula del nucleo rosso dove se ne osservano due. Riassumiamo ora ed analizziamo brevemente i risultati delle mie indagini. Rimane innanzitutto assodato che tutte le cellule nervose, a qualunque punto dell'asse cerebro-spinale appartengano (esclusi natural- mente i ganglii sensitivi), sono ravvolte da un rivestimento a struttura reticolare; i reperti negativi accennati per alcuni gruppi da alcuni autori (ad. es. dal Bethe per le cellule della radice sensitiva del trige- mino — dal Cajal per le cellule corticali ad assone lungo) sono dovuti soltanto ad incompletezza dei metodi usati. I rivestimenti a forma continua visti e descritti in alcuni gruppi cellulari, possono perciò essere ammessi soltanto colla presupposizione che essi constino di due elementi, il reticolo ed una sostanza di natura diversa interposta fra le maglie, che vengano contemporanemente im- pregnati. A risolvere la questione da me accennata se realmente entro le maglie si trovino delle formazioni corrispondenti alle laminette descritte dal Golgi, io non posso portare dati personali; i metodi da me usati, tanto quelli aventi per base la mordenzatura col molibdato, quanto le modificazioni al metodo del Cajal, non danno elementi sufficienti di giudizio; soltanto coi metodi al mulibdato, lavando le sezioni in modo non sufficiente e differenziando incompletamente si può avere una co- lorazione più diffusa del reticolo, come se fra le trabecole si trovasse una sostanza che fissa il molibdato in modo meno tenace; ma in nessun caso ho però avuto l'impressione di una formazione continua. 432 Carlo Besta, Io ritengo tali reperti dipendenti da non perfetta riuscita della colorazione. Un analogo fatto si ha applicando il metodo del Bethe. La questione adunque potrà essere risolta soltanto con altre ricerche basate sopra altre modalità di indagine. Il reticolo pericellulare differisce notevolmente nel modo di pre- sentarsi da un gruppo cellulare all’altro. Le figure riprodotte nelle tavole sono state tutte disegnate collo stesso ingrandimento e col sussidio della camera lucida di Abbe-Apathy e per quanto io abbia ri- prodotto un numero limitato di tipi, un semplice sguardo dimostra le differenze che esistono da un gruppo cellulare all’altro, nella forma e nell’ampiezza delle maglie, nello spessore dei fili che le limitano, nel- l'aspetto d'insieme come nei particolari L'affermazione del Bethe che ai singoli gruppi cellulari corrispon- dono peculiari strutture del reticolo pericellulare trova nelle mie in- dagini una completa conferma; io anzi aggiungerò che vi sono anche delle differenze, in gruppi omologhi, da un animale ad un altro. Invece io non posso confermare l’altra affermazione del Bethe che il reticolo si presenti in modo uguale nei gruppi cellulari ad uguale funzione. Basterà confrontare le figure 1 — 3 — 4 (riproducenti rispettiva- mente una cellula motrice delle corna anteriori, del patetico e del glosso-faringeo) per convincersene. Le spiccate differenze morfologiche sono di un notevole interesse anche perchè appaiono in modo costante con modalità tecniche in cui il tessuto nervoso è fissato con mezzi completamente diversi fra loro ed in cui la colorazione positiva del reticolo è fatta pure con sostanze affatto differenti; ciò che tende a togliere valore all'ipotesi che per le accennate formazioni si tratti di fatti artificiali. Sopra questo ritornerò in seguito. Un particolare accenno io voglio fare di quelle formazioni inter- poste fra le maglie del reticolo che il Donaggio ha descritto per il primo col nome di raggiere, e lo faccio sopratutto perchè mi preme di stabilire se esse sono identificabili colle formazioni stellate descritte dal Held. Secondo questo autore le ultime terminazioni dei cilindrassi arrivano Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 433 alla cellula nervosa con una lieve espansione a forma di capocchia, dalla quale irradiano a stella dei sottili filamenti che, unendosi con quelli delle terminazioni vicine, formano sulla superficie esterna della cellula nervosa una rete di natura nervosa ed avente funzione conduttrice. Secondo il Held le capocchie terminali si trovano al centro delle maglie del reticolo periferico, cosicchè nei casi in cui questo è colorato assieme alla rete nervosa accennata, entro le sue maglie appare una forma stellata che ha una certa somiglianza colle raggiere del Donaggio. Il Held pare anzi ritenere che si tratti della stessa cosa e dello stesso avviso, pur dissentendo nell'interpretazione circa la natura e la funzione, é il Donaggio. A me non pare invece che i due autori abbiano veduto e des- critto la stessa cosa. Le formazioni che il Held ha descritto appaiono quando sono co- lorati 1 nidi nervosi pericellulari e si dimostrano anche quando il re- ticolo pericellulare non è minimamente colorato, non solo, ma quando anche questo é messo in evidenza, le diramazioni a stella; non si unis- cono in alcun punto colle maglie del reticolo pericellulare trovandosi sempre (é il Held che lo afferma) ad un piano focale diverso. Le raggiere invece sono messe in evidenza coi metodi del Do- naggio e coi miei che non colorano la benché minima parte di ele- mento conducente; esse fanno parte integrale del reticolo pericellulare formandone la porzione piü delicata e piü sottile, e non si dimostrano che eccezionalmente col metodo del Bethe il quale non é quasi mai elettivo e lascia spesso scorgere delle neurofibrille. Infine le formazioni del Held si osservano, secondo lui almeno, attorno a tutte le cellule del sistema nervoso, rappresentando un elemento costante e di impor- tanza fondamentale per la funzione conduttrice degli elementi nervosi; le raggiere invece si osservano soltanto in determinati gruppi cellulari e solo negli animali relativamente grossi. Le cellule del Purkinje ad es. attorno alle quali il Held ha descritto i suoi neurosomenhaufen, mancano di raggiere. Si tratta adunque di formazioni completamente diverse per natura e per funzione; l'una, la raggiera, é parte integrale del reticolo peri- cellulare, l'altra è in rapporto col complicato apparato nervoso terminale. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 28 434 Carlo Besta, I risultati delle mie indagini concordano in modo completo con quelli del Donaggio, lasciando impregiudicati i repertie le idee del Held. Un altro fatto che rimane assodato dalle mie ricerche è l’esistenza nelle cellule nervose, specialmente in certi gruppi cellulari, di propaggini endocellulari del reticolo periferico, propaggini che possono assumere forma e grandezza notevolmente diverse. Esse erano fin qui sfuggite completamente allattenzione degli osservatori e la cosa è alquanto strana, poichè si possono osservare, colle stesse caratteristiche, con modalità tecniche diverse, ciò che esclude la possibile ipotesi che si tratti di fatti artificiali. Il loro significato è completamente oscuro;. intanto occorrerà stabilire se esse sono eventualmente in rapporto con propaggini ner- vose o nevrogliche. | In principio, siccome il metodo che le mette in evidenza può anche in determinate condizioni dimostrare l'apparato reticolare interno del Golgi (di questo mi occupo in altra pubblicazione), ho avuto il sospetto che si potesse trattare di frammenti dell’apparato stesso. Ma ho dovuto convincermi che l’ipotesi è per lo meno assai poco probabile. L'apparato del Golgi forma un sistema isolato nel corpo della cellula, senza il benchè minimo rapporto colla periferia; i filamenti che lo costituiscono hanno un aspetto più omogeneo, più regolare e più uniforme; e sepresentano talvolta nei punti nodali delle placchette retico- late, in nessun caso hanno l’aspetto di gomitoli più o meno grossi, di clave, di peduncoli ecc. che hanno le propaggini descritte, le quali poi sono costantemente riunite al reticolo periferico. Il loro significato è adunque completamente oscuro ed io non posso far altro che descrivere e rilevare il reperto; esse hanno un'im- portanza speciale e lo vedremo più avanti, esponendo la natura ed il significato probabile del reticolo pericellulare. Infine dalle mie indagini risulta in modo nettissimo che il reticolo pericellulare non è una formazione limitata al solo corpo della cellula, ma che si continua con una rete diffusa la quale ravvolge tutti gli Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 435 altri elementi del tessuto nervoso, dai vasi alle guaine mieliniche, alle cellule nevrogliche, ai plessi nervosi pericellulari. E’ una rete la cui ricchezza e la cui morfologia differisce a seconda del punti dell'asse cerebro-spinale che vengono presi in esame. Oltre- modo ricca, fitta ed irregolarissima di struttura nella sostanza grigia del midollo spinale, dove rende spesso difficile l'esame del reticolo pe- ricellulare propriamente detto, è assai meno fitta nella sostanza bianca dove le maglie si allargano a circondare le guaine mieliniche. Nei nuclei d'origine dei nervi cranici si presenta in modo diverso, ma è in genere molto fitta; invece nel nucleo rosso e nel nucleo den- tato del cervelletto è a maglie larghe e sottili. Nella corteccia cere- brale è fittissima e disposta a maglie rotondeggianti molto regolari; nell’oliva bulbare e protuberanziale forma un duplice e talvolta un triplice strato molto fitto e molto regolare, per dar luogo bruscamente ad una rete a maglie molto ampie e regolari; sotto le cellule del Pur- kinje forma dei plessi ricchissimi, è più rada nello strato dei granuli e così via. | Certo si è che questa rete diffusa è un elemento costante e ben definito, il quale colle mie modalità tecniche, in modo speciale colla terza, appare costituito da una trama delicatissima di esili fibrille anastomizzate fra di loro ed unite nei modi più diversi, ma sempre bene analizzabili. L'aspetto di questa rete è molto diverso da quello che si ha col metodo del Bethe, in cui la trama appare sempre più grossolana perchè la fibrille che la costituiscono sono di solito granulose e come sfumate, analogamente del resto a quello che si osserva per il reticolo peri- cellulare. Quanto ai reperti del Donaggio il quale per il primo osservò l’ana- stomosi di sottili fibrille del tessuto circumambiente col reticolo peri- ferico, io posso dire soltanto che nelle prove da me fatte col metodo da lui proposto nel 1896, non ho mai ottenuto una vera rete, ma soltanto, ed abbastanza di rado anche questo, delle fibrille non molto fine, sulla cui natura son rimasto sempre in dubbio. Certo i reperti sono assai meno completi che col metodo del Bethe e coi miei. 28* 436 Carlo Besta, Rimane ora da stabilire di che natura siano tanto il reticolo pe- ricellulare e la rete diffusa e che funzione essi probabilmente abbiano. Innanzitutto io credo di poter escludere in modo assoluto l’ipotesi del Cajal che l’una cosa e l’altra siano dei prodotti artificiali dovuti - alla coagulazione, per opera dei fissanti, di liquidi interstiziali preesi- stenti o trasudati dalle cellule durante la loro retrazione. Come ha giustamente notato il Donaggio, ed io posso confermare in modo completo questo dato, il reticolo pericellulare si osserva anzi in modo completo nelle cellule che sono fissate in piena espansione, senza distacchi fra la loro superficie ed il resto del tessuto; se una retrazione della cellula ha avuto luogo, il reticolo si presenta frammen- tato ed irregolare, in parte aderendo al corpo cellulare, in parte essen- done invece lontano. Il Cajal insiste nell’aspetto grossolano delle trabecole, sul loro stato granuloso e poco definito; ma questo si osserva soltanto colle modalità che il Cajal ha proposto e che danno, come più volte ho accennato, dei reperti tutt'altro che fini e delicati; la figura poi che il Cajal riproduce di cellula del corno anteriore di coniglio colorata col metodo del Bethe (4b, fig. 7) dimostra un reperto grossolano di gran lunga inferiore a quello che il metodo stesso può dare. Ma colle mie modalità tecniche e coi metodi 6° e 7° del Donaggio i reperti sono di una finezza ben diversa e che non si concilia colla supposizione di un precipitato necessariamente grossolano di liquidi albuminoidei. D'altra parte il fatto che tanto la rete pericellulare quanto la rete diffusa assumono in modo costante paiticolari caratteri morfologici in determinati gruppi cellulari; che vi sono differenze pure costanti da una specie animale all'altra, ed infine, la presenza, più frequente in aleuni punti del sistema nervoso, delle descritte propaggini endocellulari, dimostrano a sufficienza che noi abbiamo a che fare con un elemento strutturale costante e caratteristico del tessuto nervoso, che deve essere valutato alla stessa stregua delle neurofibrille, della sostanza ‘ cromatica, delle fibre nevrogliche ecc. Anche l'idea del Bethe che il reticolo pericellulare si debba con- siderare come un elemento costitutivo reale e la Fullnetz un prodotto Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 437 artificiale di coagulazione, idea che è stata già validamente combattuta dal Held, non trova alcun appoggio dalle mie indagini. È vero che i reperti che sì ottengono col metodo del Bethe non sono eccessiva- mente fini e delicati e possono perciò lasciar sorgere qualche dubbio, ina questo cade di fronte ai reperti che io ho ottenuto e raffigurati. D'altra parte alcuni dati positivi urtano decisamente contro l'afferma- zione del Bethe, e precisamente i reperti che si ottengono nell’oliva bulbare e protuberanziale e nel nucleo ventrale dell’acustico. In questi il Bethe è, in base ai suoi reperti, condotto ad ammettere l’esistenza di un reticolo disposto in duplice strato; in realtà si ha qui una dis- posizione simile a quelle delle altre cellule, colla differenza che la rete diffusa è in prossimità del corpo cellulare disposta in modo più re- golare ed uniforme di quello che non accada altrove. Per questo forse il primo strato appare in modo evidente anche col metodo del Bethe; in realtà è impossibile separarlo come entità a sè dal resto della rete ed ascriverlo al reticolo pericellulare. Le ricerche embriologiche ed isto-patologiche poi che ho in parte comunicato al II. Congresso di Nevrologia in Genova, e che saranno presto pubblicate in extenso, dimostreranno come il reticolo pericellu- lare e la rete diffusa abbiano un particolare modo di formazione e di sviluppo e come essi si comportino in modo speciale nei processi morbosi del tessuto nervoso: esse porterano ulteriori valide prove in appoggio del- l’idea che l’uno e l’altra sono reali elementi costitutivi del tessuto nervoso. Certamente nè il reticolo pericellulare nè la rete diffusa si possono considerare di natura nervosa. Colle mie modalità tecniche tutto ciò che è nervoso od è completamente scolorato od ha (sostanza cromatica) una colorazione ed una struttura così diversa da renderlo differenzia- bile colla massima evidenza. L/ipotesi del Meyer che il reticolo peri- cellulare sia costituito dalle diramazioni terminali dei cilindrassi an- astomizzate fra di loro, come pure quella del Held che le raggiere possano essere considerate identiche ai suoi neurosomenhaufen, sono completamente smentite dai miei reperti. Per l’idea del Bethe che entro lo spessore delle trabecole del reticolo siano contenute delle finissime fibrille nervose pure anastomiz- zate fra di loro e formanti una rete, io non ho dati personali pró o 438 Carlo Besta, contro; tuttavia io debbo notare un fatto che mi sembra di un certo interesse. Come ho pitt volte detto col metodo del Bethe le trabecole ap- paiono piuttosto grosse, come sfumate ed invece di unirsi fra di loro ad angolo acuto, come avviene coi metodi miei e con quelli del Do- naggio, formano delle maglie ovalari o rotondeggianti. Ora potrebbe darsi che le fibrille più sottili che egli talvolta ha veduto nello spessore del reticolo e che ha interpretato come di natura nervosa, non fossero altro che le trabecole più sottili quali appaiono con metodi più fini. Dico questo perchè, come ho detto addietro, è avvenuto a me di osservare, nei preparati non lavati sufficientemente o non completa- mente differenziati, che le trabecole del reticolo si presentavano cir- condate da una sostanza omogenea e colorata con minore intensità. Se le cose fossero a questo modo all'ipotesi di Bethe mancherebbe ogni base di probabilità. Ad ogni modo il reticolo pericellulare e la rete diffusa quali si dimostrano coi miei metodi non sono certamente, lo ripeto, di natura nervosa; in questo io concordo completamente colle vedute del Donaggio. Rimane ora a considerare se tali formazioni siano eventualmente di natura nevroglica. Per il reticolo pericellulare l’idea che possa essere costituito di fibrille nevrogliche anastomizzate può essere esclusa subito: esso non è mai messo in evidenza coi metodi tecnici elettivi per la nevroglia (Weigert, Benda, Da Fano ecc.) Nemmeno, e ciò è stato rile- vato dal Donaggio, esso può essere identificato col ragnatelo nevro- glico del Paladino, il quale ha sempre un aspetto di plesso e che si trova ad ogni modo ad una certa distanza dalla superficie della cellula. Anche per la rete diffusa mi pare assai poco probabile una iden- tificazione colle fibrille nevrogliche; queste hanno un decorso deciso e netto, appaiono come lunghe limee od indipendenti o con anastomosi molto scarse, sono di uno spessore notevole ed attraversano, passando spesso in prossimità del nucleo, il corpo delle cellule nevrogliche; mentre la rete diffusa ha un carattere meno deciso e meno netto, è costituita da fibrille esilissime e circonda soltanto, senza penetrare in esse, le cellule nevrogliche alla cui forma esterna (come del resto a Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 439 quella degli altri elementi attorno ai quali si diffonde) pare come adattarsi. Noto che l’unico autore il quale ha parlato di fibrille nevrogliche o probabilmente nevrogliche è stato il Donaggio, ma anch'egli in forma affatto dubitativa. Il Held ha invece sostenuto l'ipotesi che tanto il reticolo peri- cellulare quanto la rete diffusa siano un particolare prodotto di diffe- renziamento delle cellule nevrogliche, allo stesso modo, ma senza essere la stessa cosa, delle vere fibre nevrogliche: essi sarebbero cioè di natura nevroglica, ma affatto indipendenti dalle fibre comunemente considerate. Le mie idee in proposito collimano completamente con quelle del Held; io mi baso però essenzialmente sopra dati embriologici. Risulta infatti dalle mie ricerche che le formazioni accennate hanno uno stretto rapporto collevoluzione delle cellule nevrogliche, pure incominciando a comparire assai prima delle fibre nevrogliche comunemente intese e pure essendo di formazione relativamente tardiva in confronto dell’ele- mento conducente. Di questo mi occuperò in altra occasione. Quanto alla funzione che il reticolo pericellulare e la rete diffusa possono avere, noi possiamo emettere soltanto delle ipotesi. Esclusa un'attività conducente, poichè essi non sono certamente di natura ner- vosa, tre sono le funzioni che si possono mettere in campo: isolante — mutritiva — di sostegno. La funzione isolante è stata ritenuta assai probabile dal Golgi per il quale il reticolo pericellulare è, come si è detto, di natura neu- rocheratinica; si potrebbe ritenerla come sicura quando si fosse certa- mente di fronte ad invogli continui, costituiti cioè di una, parte reticolare e di laminette interposte, il che non è provato in modo certo. L'ipotesi del Golgi appare molto seducente per il fatto che noi vediamo il reticolo pericellulare più fino ed a maglie più minute là dove più complicati sono i plessi nervosi pericellulari, il che non sa- rebbe strettamente necessario ammettendo l'una o l'altra delle due funzioni accennate. Ma poichè il contatto o la continuità possono ef- fettuarsi attraverso a fori anche minimi, finchè non sia accertata in 440 Carlo Besta, modo indubbio l’esistenza costante di una speciale sostanza fra le maglie del reticolo, l'ipotesi di Golgi non si può ritenere provata. Quanto alla funzione di sostegno ed a quella nutritiva poi, noi manchiamo assolutamente di prove sicure che ne dimostrino la fonda- tezza e l'attendibilità; sono pure ipotesi senza dati certi in appoggio. A risolvere il problema funzionale potranno forse fornire argomenti le ricerche isto-patologiche ed anche le embriologiche; i dati da me raccolti fin, qui, se sono di un certo interesse, non sono decisivi ed io riserbo ogni mio giudizio in proposito. Conclusioni. I risultati delle mie ricerche si possono riassumere nelle seguenti proposizioni. 1° Tutte le cellule nervose a qualunque punto del sistema nervoso centrale (esclusi quindi i gangli spinali e le formazioni omologhe dei nervi cranici) appartengano, sono circondate da un reticolo, la cui mor- fologia presenta peculiarità caratteristiche e costanti nei diversi gruppi cellulari e nei diversi animali. Le raggiere si osservano soltanto in determinati gruppi cellulari. 2° In alcune cellule, e ciò si osserva in alcuni gruppi cellulari con maggior frequenza che in altri, dal reticolo periferico si spingono entro il protoplasma cellulare delle propaggini che possono presentare delle notevoli differenze di forma e di numero. 3° Il reticolo periferico si continua con una rete interstiziale dif- fusa la quale invade il resto del tessuto, circondandone gli elementi costitutivi: essa presenta pure, nei diversi punti del sistema nervoso, delle caratteristiche morfologiche abbastanza spiccate. 4° È da escludere che il reticolo pericellulare e la rete diffusa siano dei prodotti artificiali dovuti all’azione dei fissanti sopra i liquidi interstiziali; essi invece sono con ogni probabilità da considerare, alla stessa stregua degli altri elementi del tessuto nervoso (zolle del Nissl, neurofibrille, fibre nevrogliche, ecc.) come vere e proprie parti costitutive del tessuto stesso. 5° Non è ancora possibile stabilire in modo preciso la natura del Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 441 reticolo pericellulare e della rete diffusa; certamente non sono di natura nervosa; assai probabilmente sono prodotti delle cellule nevrogliche. 6° Anche la funzione loro è oscura; può darsi che essi, e spe- cialmente il reticolo pericellulare, abbiano un compito .isolante, ma i dati che possediamo non sono sufficienti per decidere la questione. È però da escludere la funzione di conduzione. Come semplice accenno io mi permetto di rilevare che le modalità tecniche al molibdato che io ho esposto (in modo speciale la terza), per costanza e per finezza di risultati mi sembrano superiori ai metodi proposti dagli altri autori. Prescindendo quelli del Cajal, di Semi Meyer, dell'Ehrlich dei quali è noto come riescano solo in alcuni gruppi cellulari e non in tutte le cellule, io voglio ricordare che il metodo del Bethe dà costantemente risultati meno completi (ad es. non si colorano che eccezionalmente le raggiere e la rete diffusa appare sempre in modo un po’ grossolano) e che dei metodi del Donaggio quelli alla pi- ridina (6° e 7° della sua serie) colorano soltanto il reticolo pericellulare e non la rete diffusa, mentre il primo da risultati non completi del re- ticolo pericellulare e nel tessuto circumambiente non colora una rete, ma numerose fibrille (inserentisi in parte al reticolo della cellula), la cui interpretazione può sollevare dei dubbii. Il metodo infatti non è assolutamente elettivo: esso colora in parte degli elementi sicuramente nervosi. Padova-Gennaio 1910. 5. Bibliographia. Besta, Sul reticolo periferico delle cellule nervose in condizioni normali e pato- logiche della cellula. Comunicazione al II Congresso Italiano di Nevro- logia tenuto in Genova nell'Ottobre 1901. (Vedi Rivista di Patologia ner- vosa e mentale. Anno XIV. Fascicolo 12.) Bethe, Über die Neurofibrillen in den Ganglienzellen von Wirbeltieren und ihre Beziehungen zu den Golginetzen. Archiv für mikroskopische Anatomie. Vol. LV. 1900. Cajal, a) Red superficial de las celulas nerviosas centrales — revista trimestral micrografica. T. III. 1898. b) Concideraciones criticas sobre la teoria de A. Bethe ecc. Trabajos del Lab. de Invest. biologicas. T. II. 1908. c) Les conduits de Golgi — Holmgren du protoplasma nerveux et le reseau pericellulaire de la membrane. Ibidem. T. VI. 1908. Donaggio, a) Sulla presenza di un reticolo nel protoplasma della cellula nervosa. Riv. Sperim. di Freniatria. Vol. XXII. 1896. b) Contributo alla conoscenza dell'intima struttura della cellula nervosa. Ibidem. Vol. XXIV. 1898. c) Sul reticolo periferico della cellula nervosa. Atti del 10° Congresso Italiano di Freniatria. Reggio 1900. d) Brevi osservazioni su alcuni rapporti fra rete periferica e tessuto circumambiente e sulla coesistenza delle fibrille di Bethe e della rete fibrillare nelle cellule nervose dei vertebrati. Riv. Sperim. di Freniatria. Vol XXVI. 1900. : e) Sulla presenza di sottili fibrille fra le maglie del reticolo periferico. Ibidem. Vol. XXVII. 1901. f) Una questione istofisiologica riguardante ecc. Ibidem. Vol. XXIX. Fasc. 1—2. 1903. g) Per il problema dei rapporti tra vie di conduzione intercellulari e periferia della cellula nervosa. Ibidem. Vol. XXIX. Fasc. IV. 1909. h) Il reticolo fibrillare endocellulare e il cilindrasse della cellula nervosa dei vertebrati e metodi vari di colorazione elettiva del reticolo endo- cellulare e del reticolo periferico basati sull’azione della piridina sul tessuto nervoso. Ibidem. Vol. XXX. 1904. Golgi, a) Intorno all’origine del IV. nervo cerebrale. Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. 1893. b) Intorno alla struttura della cellula nervosa. Bolletino della Società medico-chirurgica di Pavia. 1898. eo Oo Carlo Besta, Sul reticolo periferico della cellula nervosa nei mammiferi. 443 Held, a) Über den Bau der grauen und weissen Substanz. Archiv für Anat. und Phys. Anat. Abt. Anno 1902. H. V—VI. b) Über den Bau der Neuroglia und über die Wand der Lymphgefässe. Abhandlungen der math.-physik. Klasse der Königl. Sachs. Gesellschaft. Bd. XXVII. H. 5. 1908. . Meyer Semi, a) Uber die Funktion der Protoplasmafortsätze der Nervenzellen. Berichte der math.-physik. Klasse der Königl. Sächs. Gesellschaft zu Leipzig. Sitz. 25. Oktober 1897. i b) Uber zentrale Neuritenendigungen. Archiv für mikr. Anatomie. Bd. 54, 1899. Nissl, Nervenzelle und graue Substanz. Münchener mediz. Wochenschrift. 1899. Paladino, Dei limiti precisi tra il nevroglio e gli elementi nervosi del midollo spinale. Bollettino della R. Accademia di Roma. 1893. Spiegazione delle figure. Tutte le figure rappresentano elementi ad uno stesso ingrandimento (!/, se- miapocromatico Koristka, Oculare 4 compensatore) e disegnate in tutti 1 particolari col sussidio dell'apparato Abbe-Apáthy, tenendo il foglio del disegno alla stessa altezza del tavolino del microscopio. L’ingrandimento è perciò per tutte le figure perfettamente uguale e approssimativamente di 600 diametri. La diversità di ampiezza delle maglie é 1n rapporto esclusivamente con differenze strutturali. Tutte le figure rappresentano cellule di cane adulto e sano. Eccettuate le figure 6 e 26, che sono tratte da preparati fatti con una modificazione al metodo fotografico del Cajal, tutte sono tratte da preparati fatti colla terza delle mie modalità (formalina più aldeide acetica); è da notare che le figure 14, 15, 16, 17, 18, rappresentanti diversi tipi di cellule corticali, sono disegnate da preparati sottoposti, prima del differenziamento, al mordenzaggio con soluzione di molibdato di ammonio al 4°: da ciò il colore violetto dei nuclei e la non evidenza delle zolle del Nissl. Fig. 1. Cellule delle corna anteriori. Ria ZE » dell'oculomotore comune. iones ay 5 del glosso-faringeo (nucleo motore). Fig. 4. 3 del patetico. Fig. 5. 2 del nucleo del Deiters. eG 5 n 5 À (metodo fotografico modificato). Ho fa » del nucleo dorsale interno del nervo vestibolare. Fig. 8. 5 del ganglio ventrale dell’acustico. Fig. 9 e 10. Cellule dell’oliva bulbare. Fig. 11. Grossa cellula della base delle eminenze quadrigemine posteriori. Fig. 12. Cellula del nucleo rosso. Fig. 13. = del nucleo dentato del cervelletto. Fig. 14—18. Cellule corticalı. Fig. 19. Cellula del nucleo dentato con propaggini endocellulari. Fig. 20. » 3 » motore del pneumogastrico con propaggini endocellulari. Fig. 21 a 26. Cellule del nucleo rosso con propaggini di diverso tipo: le fig. 24 e 25 rappresentano la stessa cellula in due piani diversi, la fig. 26 una cellula ottenuta col metodo fotografico modificato. La spiegazione più dettagliata delle figure si trova nel testo. Referate. Von Fr. Kopsch. Enzyklopädie der mikroskopischen Technik. In Verbindung mit zahl- reichen Mitarbeitern herausgegeben von R. Krause und anderen. Zweite vermehrte und verbesserte Auflage Bd. I. A-K. IV und 800 Seiten, 56 Abbildungen. Bd. II. L—Z. 680 Seiten, 111 Ab- bildungen und Autorenregister. Berlin und Wien 1910, Urban und Schwarzenberg. Bd. I. brosch. 25 Mk., geb. 27.50 MK; Bd. II. brosch. 25 Mk., geb. 27.50 Mk. Der Herausgeber und Redakteur des ganzen Werkes, R. Krause, hebt in der Einleitung der neuen Auflage mit Stolz hervor, eine wie giinstige Aufnahme und wohlwollende Beurteilung die erste Auflage der Enzyklopiidie gefunden hat. Er ist dazu berechtigt, denn die Tatsache, dass ein so umfangreiches und teures Werk nach sieben Jahren eine neue Auflage erlebt, ist Beweis genug für seine Gite und Brauchbarkeit. Die neue Auflage berücksichtigt die Literatur bis zum Anfang 1909. Ausser- dem musste eine grosse, ja vielleicht die grósste Zahl aller Artikel vollständig umgearbeitet werden; eine ganze Reihe neuer Artikel musste eingefügt werden. Dafür konnten andere gestrichen oder gekürzt werden, so dass der Umfang trotz grosser Bereicherung des Inhaltes nur um ungefähr 10 Druckbogen grösser geworden ist. Das Autorenregister am Schlusse ist eine wertvolle Beigabe. Der Wunsch des Herausgebers, dass das Werk auch in der neuen Auflage wohlwollende Aufnahme finden und neue Freunde zu den alten gewinnen möge, wird wohl sicherlich in Erfüllung gehen. Unstreitig ist die Enzyklopädie zurzeit das vollstándigste und beste Werk seiner Art. Handbuch der Entwicklungsgeschichte des Menschen. In Verbindung mit zahlreichen Mitarbeitern herausgegeben von Franz Keibel und Franklin P. Mall in zwei Banden. Erster Band. VI und 446 Fr. Kopsch, Referate. 553 Seiten, 423 Abbildungen. Leipzig 1910, S. Hirzel. 28 Mk, geb. 31 Mk. Fr. Keibel, der kenntnisreiche Embryolog und verdienstvolle Herausgeber der ,Normentafeln zur Entwicklungsgeschichte der Wirbeltiere^, und F. P. Mall, der in Deutschland gut bekannte Anatom der John Hopkins- Universitat, geben mit einer Anzahl amerikanischer und einigen deutschen Forschern ein Handbuch der Entwicklungsgeschichte heraus, welches die Entwicklung des Menschen enthält. Damit wird zum erstenmal eine zusammenhingende Darstellung der menschlichen Entwicklung gegeben, welche durchaus auf der Untersuchung menschlicher Embryonen und Feten fusst. Befruchtung, Furchung, Entstehung der Keimblatter und erste Stufen der Placentabildung des menschlichen Eies sind freilich bisher noch nicht bekannt. Hierfür mussten die Befunde an Tieren herangezogen werden. Die Organentwicklung aber kann am menschlichen Material dargestellt werden. Auf die vergleichende Entwicklungsgeschichte und die vergleichende Anatomie soll aber nicht verzichtet werden, wo mit ihrer Hilfe eine Lücke in der Entwicklung des Menschen überbrückt werden, oder besondere Entwicklungsvorgänge verständlich gemacht werden kénnen. Der erste Band enthält, von Keibel bearbeitet, die Geschlechtszellen, Be- fruchtung, Furchung, jüngste menschliche Eier, Bildung der Keimblitter, Entwicklung der Körperform; 0. Grosser: Entwicklung der Eihäute und der Placenta; Mall: Altersbestimmung menschlicher Embryonen und Feten, Pathologie des menschlichen Eies; Pinkus: Entwicklung der Haut; Bardeen: Entwicklung von Skelet und Bindegewebe; Lewis: Entwicklung des Muskelsystems; Mall: Ent- wicklung des Céloms und des Zwerchfells. Die Ausstattung des Buches sowie der Druck von Text und Figuren sind vorzüglich. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. » Ba a wON 4 dll oat MA ie ee FES à Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Therapeutische Technik fir die arztliche Praxis. Ein Handbuch fiir Arzte und Studierende. Herausgegeben yon Prof. Dr. Julius Schwalbe, Berlin. Zweite erweiterte Auflage. M. 22.—, geb. M. 24.50. PINEAL TE: Technik der Arzneibereitung und Arzneianwendung. Prof. Kobert, Rostock. Technik der Ernáhrungstherapie. Geh.-Rat Prof. Kraus und Priv.-Doz. Brugsch, Berlin. Technik der Hydro- und Thermotherapie. Prof. H. Rieder, Miinchen. Technik der Radiotherapie. Dr. H. E. Schmidt, Berlin. Technik der Massage. Prof. J. Riedinger, Wiirzburg. Technik der Gymnastik. Prof. J. Riedinger, Würzburg. Ausgewählte Kapitel aus der allgemeinen chirurgischen Technik. Geh.-Rat Prof. Hildebrand und Dr. B. Bosse, Berlin. Technik der Behandlung der Hautkrankheiten und der Syphilis. Prof. S. Bett- mann, Heidelberg. Technik der Behandlung einzelner Organe: Auge. Prof. Eversbusch, München. — Ohr. Prof. Siebenmann, Basel. — Nase, Rachen, Kehlkopf, Trachea, Bronchien. Prof. Friedrich, Kiel. — Pleura. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Lungen. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Herz. Prof. Schwalbe, Berlin. — Speiseröhre. Prof. Schmidt, Halle a. S. — Magen. Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (innere Be- handlung). Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (chirurgische Behandlung). Geh.-Rat Prof. Czerny, Exz. , Heidelberg. — Abdomen (chirurgische Behand- lung). Geh.-Rat Prof. Ozerny, Exz., Heidelberg. — Harnorgane. Prof. O. Zuckerkandl, Wien. — Mannliche Geschlechtsorgane. Prof. O. Zucker- kandl, Wien. — Weibliche Geschlechtsorgane. Geh.-Rat Prof. Fritsch, Bonn. — Nervensystem. Geh.-Rat Prof. une Wien, und Prof. E. Müller, Marburg. E Sachregister. Die Behandlung der spinalen Kinderlahmung von Prot. Dr. O. Vulpius in Heidelberg. Mit 243 eta M. 11.—, geb. M. 12.—. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Rauber's Lehrbuch Anatomie des -— bearbeitet von Prof. Dr. Fr. Kopsch, Neu ausgestattete Ausgabe. | Vill. Auflage. . Abt. 1. Allgemeiner Teil. 234 teils farbige Abbildungen. a | 2 Gebunden M. 6.—. . » 2. Knochen, Bänder. 439 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 9.50. , 9. Muskeln, oo 407 teils farbige Abbildungen. : Gebunden M. iex , 4. Eingeweide. 455 teils farbige Abbildungen. 3 | Gebunden M. 12.—. - » 9. Nervensystem. 427 teils farbige Abbildungen. E Gebunden M. 13.—. — » 6. Sinnesorgane, Generalregister. 251 teils farbige Ab- bildungen. Gebunden M. 8.—.. Das altberühmte Werk bietet mit seiner von keinem anderen Lehrbuch er- reichten reichhaltigen illustrativen Ausgestaltung das Vollkommenste, was die moderne Technik schafft. Durch Vergrósserung des Formates war es möglich, — die Abbildungen so gross herzustellen, wie sie keiner der neueren Atlanten bringt Die neue Auflage macht daher die Anschaffung eines Atlas überflüssi vereinigt also in sich die Vorzüge eines Lehrbuchs und eines Atlas. 53 Diesem Hefte liegt ein Prospekt aus dem Verlage von Friedr. Vieweg & Sohn in Braunschweig betr. „Handbuch der Physiologie des Menschen“, herausgegeben von W. Nagel in Rostock, bei. HE Richard Hehn (H. Otto), Lelpzig. Herausgegeben | MORE DS ee E È üttich, S Ramón y Da in Madrid, H. F. Lunar in Philadelphia, Golgi i in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in n Cambridge, _G. Retzius in Stockholm = A. Schater 50s hy Testut 2 ee in ‘Edinburg SANE in Lyon und d. Kopsch © = p d m Berlin. = . Peeper ; Band XXVII. Heft 10/12. “LEIPZIG 1910 ee von Georg Thieme | EM Inhalt. : \ Seite Francesco mc U Mepacariociti. (Con Tav. XIV) . 3... 20 447 Alex. Vinogr adoff, Développement. de l’articulation temporo-maxillaire chez | l'homme, dans, là. pétzode" mura- -utérine. (Avec Planches XV et XVI) . 490 Prof. Richard J. An erson, | M; DI Remarks on Impulses Cerebral and Spinal 524 Fr. Kopsch, Referate (ERE RIA un Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. _ Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, Prinzregentenstr. 59, erbeten. Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their articles can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- regentenstr. 59. Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s’adressant à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. Les articles écrits en allemand, en anglais, en français, en italien ou en latin | doivent être adressés à l’un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopseh à Wilmersdorf près de Berlin, Prinzregentenstr. 59. Die bisher erschienenen Bände kosten: BI "Bo. 0 5 Os MA ee ee een... ee NN o MM FAM s Ne. o d IR d S XVI d c c MN apu uu uU CIN RE NI T NL oc c NE MEMI RA ME SAS AR s ee NU S POO Re 310% 326.30: | QUUIP ee en MDC ; 9950: C XXI 6*5 9 ee yo RL une 52090009. 0 KTV o S e coe LUN C un MOXA de 7610. | — XXVI Lor. 50 2 Bd. I_XXV a M. 1706. 30 nur M. 1200. — Dar. Laboratorio di Patologia Generale ed Istologia della R. Universita di Pavia. (Diretto dal Prof. C. Golgi.) I Megacariociti. Francesco Maccabruni. Dissertazione di Laurea. (Con Tav. XIV.) I megacariociti sono stati oggetto di studio da parte di moltissimi autori. Tuttavia le conoscenze intorno a questi elementi sono ancora su molti punti incerte ed oscure. Cid dipende in parte dal fatto che i vari ricercatori, e per l’uso di metodi di indagine differenti, e per l’inter- pretazione diversa di reperti simili fra loro, vennero a conclusioni spesso differenti e contradditorie. Ma vedremo come certi reperti si possano fino a un certo punto fra loro mettere in rapporto e si completino a vicenda. | Alle ricerche dei diversi autori, per la maggior parte da me con- trollate con lunga e laboriosa serie di esperienze e ricerche, ho aggiunto quel personale contributo che mi è consentito da una serie sufficiente- mente ricca di preparati, dei quali alcuni cercai di riprodurre con op- portuni disegni. Come materiale di ricerca mi servii del midollo osseo, della milza, del fegato, delle ghiandole linfatiche ed emolinfatiche, del polmone, non trascurando di prendere spesso in esame il rene ed il cervello. Gli animali ai-quali estesi le mie indagini furono il vitello, il coniglio, il gatto, lo scoiattolo, il ratto, la marmotta, la talpa, il riccio. Solo poche volte ebbi occasione di studiare materiale umano. Mi servii come mezzi di fissazione dei liquidi di Zenker e del 448 Francesco Maccabruni, Flemming. del sublimato, più raramente di miscele a base di formalina e di alcool. Colorai il materiale di studio con svariati metodi, di cui dirò nei diversi capitoli. I megacariociti furono studiati da principio da Kölliker e Remak nel fegato e nella milza fetale. Più tardi, nel 1869, furono descritti da Bizzozzero nel midollo osseo, e da lui chiamati ,cellule giganti con nucleo centrale in gemmazione“. Ricevettero poi dall’Howel il nome di ,megacariociti^ che tutt'ora è conservato. Altri autori vollero chiamarli ,mieloplassi^, denominazione per altro che deve essere ab- bandonata come quella che ingenera confusione con gli ,,osteoclasti“ elementi che alla loro volta già da tempo avevano ricevuto da Robin appunto il nome di „myeloplaxes“, mentre nulla hanno a che fare coi megacariociti. Da questi i mieloplassi di Robin differiscono essenzialmente — come già aveva notato Bizzozzero fin dal 1869 e come successiva- mente confermarono Hoffmann, Langerhans ed altri autori — „per la posizione, la forma, le dimensioni, la costituzione, la forma e la co- stituzione del nucleo“. Parimenti non bisogna confondere i megaca- riociti con le cellule giganti della decidua, come fece Flemming, nè con le varie specie di cellule giganti patologiche. Oltre che nel fegato, nella milza e nel midollo osseo, i megaca- riociti vennero più tardi ravvisati nelle ghiandole linfatiche. Kuborn (1890) e van der Stricht (1892) videro megacariociti nell'interno di vasi del fegato embrionale. Il reperto di Arnold (1893) di megacariociti e di nuclei di essi nel polmone, e quello successivo di Aschoff (1893) il quale avrebbe scorti gli stessi elementi nel polmone, nel muscolo cardiaco e nel rene, diedero origine alla complessa questione delle embolie di megacariociti, di cui dirò in un capitolo particolare. Saxer nel 1896 in un embrione di bue di 2'/, cm vide elementi interpretabili come megacariociti entro quegli accumuli cellulari che trovansi a quest'epoca nel setto interauricolare e precisamente nelle I megacariociti. 449 vicinanze del forame ovale; tali accumuli cellulari sarebbero analoghi ai primi abbozzi delle ghiandole linfatiche, salvo che in questa localita più tardi regredirebbero. Saxer avrebbe pure notata la presenza di megacariociti in un em- brione di vitello della lunghezza di 131}, cm, nel tessuto connettivo vicino alla ghiandola tiroide (.... im Bindegewebe in der Umgebung der Thyreoidea ....). Bettmann nel 1898 avrebbe osservato qualche megacariocita nel sangue circolante di conigli avvelenati con arsenico; analogo reperto avrebbe ottenuto più tardi Schwarz (1901) in un caso di leucemia. Weidenreich nel 1902 descrisse nelle ghiandole emolinfatiche spe- ciali cellule giganti che deriverebbero dalle cellule fisse del connettivo per assunzione di elementi del sangue. L’A. tevde ad identificare co- deste cellule giganti con i megacariociti. Vanzetti e Sotti (1903) alla loro volta riferiscono di aver osser- vato veri megacariociti nelle ghiandole emolinfatiche di vitello, e Pardi li riscontrò nel 1905 nel grande omento di conigli neonati o prossimi alla nascita. Verson nel 1906 vide megacariociti tipici nella ghiandola tiroide di un feto umano a termine; reperto questo il quale assume particolare importanza qualora si ricordi che fin quì i megacariociti erano stati riscontrati soltanto in organi perennemente o temporaneamente emato- poietici, organi ai quali da nessun punto di vista nè embriologico, nè istologico, nè funzionale può essere avvicinata la ghiandola tiroide, ed essendo d’altra parte difficile ammettere un trasporto embolico, quale viene invocato da varii autori a proposito dei megacariociti o nuclei di essi riscontrati nel polmone e nel rene. Ha forse un qualche rapporto il reperto di Verson con quello di Saxer il quale, come vedemmo, avrebbe notata la presenza dei me- gacariociti nel connettivo posto nelle vicinanze della tiroide? Io non ho dati sufficienti per rispondere al quesito. Sacerdotti e Frattin (1901) e più tardi Donati e Martini, Maxi- mow ed altri riscontrarono megacariociti nel midollo che si forma in- sieme a lamelle ossee nel rene dopo la legatura dei vasi emulgenti. Parimenti, Buting (1906) trovò megacariociti nel midollo formatosi Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 29 450 Francesco Maccabruni, insieme a sostanza ossea nell’intima dellaorta di un uomo di 72 anni. I megacariociti — come fece notare Geelmuyden (1886) — si trovano solamente nei mammiferi. Sono elementi di forma originariamente globosa che può varia- mente modificarsi per i rapporti con le altre cellule, alle quali i me- gacariociti si adattano, e per la loro facoltà di compiere dei movimenti di tipo ameboide. Le dimensioni loro, negli elementi completamente sviluppati, raggiungono delle proporzioni relativamente enormi, fino a 40 e più micron. Riguardo alla sede dei megacariociti negli organi in cui essi si trovano, Morel e Soulié (1904) notarono come nella milza del riccio i megacariociti siano più frequenti in vicinanza delle travate connettive. Verson (1906) confermò l’osservazione di Morel e Soulié, aggiungendo che tanto per la milza, quanto anche per il fegato di tutti gli animali, i megacariociti si presentano più abbondanti in quella zona che sta immediatamente al di sotto della capsula connettiva. In un lavoro successivo Verson osserva essere bensì vero che le cellule giganti hanno una tale sede di predilezione, ma che la ragione di questi fatti va ri- cercata esclusivamente nella disposizione dei vasi sanguigni nei varii organi. D'altra parte van der Stricht (1892) notò come le cellule giganti non esistano néi corpuscoli di Malpighi della milza; Jackson (1904) come nel midollo osseo dell'adulto esse non si trovino mai nella zona periferica. I megacariociti sono più abbondanti nel midollo osseo; in numero rilevante trovansi pure nella milza di molti animali giovani e degli in- settivori anche adulti. Frequenti sono ancora queste cellule giganti nelle ghiandole lin- fatiche e nel fegato dell'embrione e del neonato, mentre nell'adulto esse vi sì trovano in numero assai minore. Negli altrì organi in cui ven- nero riscontrati si trovano in quantità assai più limitata. I megacariociti. 451 Le nostre conoscenze intorno al variare del numero dei megaca- riociti nei diversi stati funzionali e patologici dell’organismo sono assai scarse. Accennerö solamente alle osservazioni di Heuck (1879) che in casi di leucemia nel midollo osseo non riscontrò nessun megacariocita; di Denys (1886) e di Trambusti (1897) che videro aumentare il numero dei megacariociti in animali salassati. Invece van der Stricht (1895) in un caso di anemia perniciosa progressiva riscontrò l'assenza completa di cellule giganti del midollo osseo, mentre Pugliese (1897) afferma che i megacariociti aumentano nel midollo dopo l'estirpazione della milza, e così pure aumentano enormemente nella milza degli animali salassati, ma non nel midollo osseo. Haansalter e Spillmann (1899) accennano ad un aumento nel numero dei megacariociti in bambini morti di ma- lattie infettive. Più recentemente Wolownik (1905) trovò straordinaria- mente aumentate le cellule giganti del midollo nella tubercolosi e nel carcinoma. Butterfield in un caso di leucemia mieloide acuta non trovò megacariociti nel midollo osseo. Jolly (1906) afferma che i megacario- citi sono più numerosi nelle femmine gravide. Particolarmente interessante è il reperto di Pirone (1907) il quale — proseguendo gli studii di Ciaccio e Pizzini — trovò che i megaca- riociti aumentano nella milza durante la digestione, per poi nuovamente diminuire di numero; fatto questo di cui è difficile dare una spiegazione e che si collega forse con una serie di fenomeni che riguardano la mo- bilità dei megacariociti e di cui dirò innanzi. Domarus (1908) trovò diminuito il numero dei megacariociti del midollo in anemie sperimentali. Per contro Fabian (1908) notò me- gacariociti numerosi nel midollo osseo, in un caso di cloroanemia mie- loide e linfatica. Helly (1908) dice di un aumento dei megacariociti in un caso di diatesi urica. Incerti sono i dati dello Schatiloff (1908) riguardo al numero dei megacariociti nelle anemie perniciose. Fatta cosi una breve rivista delle ricerche dirette a stabilire la sede dei megacariociti, la loro forma, le dimensioni, la disposizione, il numero, passeró a trattare pill minutamente: 29* 452 Francesco Maccabruni, I? —) della origine di tali elementi; II° =) della loro struttura; III? —) delle modalità di divisione, e IV ° =) delle degenerazioni loro proprie; V? —) della funzione di queste cellule; VI? =) dell’embolia di megacaricciti nel polmone. l. Origine dei megacariociti. Questione tuttora dibattuta è quella dell’origine dei megacariociti. Il primo à trattarne fu Cacciola nel 1877, che avanzó l'ipotesi che le cellule giganti derivino dall’endotelio dei vasi. Eguale convincimento espressero in seguito Külliker (1879), Müller (1891), Schmidt (1892). Piü numerosi fautori ebbe l'idea che 1 megacariociti traggano la loro origine da elementi del sangue e in particolare dai leucociti. In favore di questa tesi optano Malassez (1882), Lówit (1885), van der Stricht e van Bambeke (1890), Heidenhain (1894), Trambusti (1897), Stóhr. Invece secondo Sanfelice (1889), le cellule giganti sono formazioni regressive provenienti dalla fusione di quegli elementi del midollo osseo che divennero superflui per i bisogni dell'organismo. Legge (1890) a sua volta pensa che i megacariociti traggano origine da cellule spe- ciali situate lungo la parete dei vasi sanguigni del fegato; e Kuborn (1890) sostiene che la formazione e l’accrescimento delle cellule giganti rappresentino una forma speciale ,d'extension du réseaux vasculaire“. Strana è lopinione di Flemming (1891), il quale tende a credere che i megacariociti siano solamente anomalie di formazione di alcuni tessuti. Invece Kostanecki (1892) li ritiene cellule linfoidi mostruosa- mente sviluppate. Per Saxer (1896) i megacariociti originano da cellule giganti poli- nucleate, le quali alla loro volta deriverebbero dalle così dette cellule migranti primarie ,primàren Wanderzellen“. Similmente Blumenthal (1904) pensa che i megacariociti derivino da cellule giganti plurinucleate. Foa’ invece fa derivare i megacariociti da uno speciale elemento mono- nucleare del midollo, ricco di protoplasma; Marchand, Enderlen (1899) dalle celulle midollari; Pappenheim (1899) dalle cellule linfoidi rotonde I megacariociti. 453 senza granulazioni: ,lymphoiden, basophilen, granulationslosen Rund- zellen“. Opinione diversa mostrò Ebner (1902) il quale crede che una parte dei megacariociti derivino dalle cellule fisse del reticolo; analo- gamente a Tommasi (1906) pel quale avrebbero origine dalle cellule stellate del connettivo. Jackson (1904) attribuisce alle cellule midollari linfoidi la formazione dei megacariociti. Anche Banti (1904) ritiene che i megacariociti derivino da cellule mononucleate omogenee, per aumento di volume e per gemmazione del nucleo. Come risulta dall'esame dei lavori citati, si è trattato fin qui di pure ipotesi, ma pur troppo prive di una convincente dimostrazione. Solo nel 1907 Maximow istituiva una serie ben diretta di esperienze allo scopo di studiare l’istogenesi postfetale dei tessuti mieloidi, e veniva alla conclusione, per quanto riguarda i megacariociti, che essi originano dai grossi linfociti intravascolari per il progredire del pro- cesso di ipertrofia che avrebbe trasformato i linfociti piccoli in linfociti grandi. L'anno seguente Schridde, nel suo magistrale lavoro sulla rigene- razione del sangue, fa derivare i megacariociti dalle „Blutgefäss-Wand- zelle^. Da queste trarrebbero origine primieramente gli eritroblasti primarii, poi, nell’ulteriore sviluppo, i mieloblasti, i normoblasti e i me- gacariociti. Questi si sviluppano dapprima solamente nel fegato, e sempre extravascolarmente. Un'origine presso a poco simile avrebbero i megacariociti secondo Türk (1908). Affatto recentemente Maximow (1909) in un lavoro in contraddi- torio con quello dello Schridde, fa derivare le cellule giganti da cellule migranti del mesenchima. I linfociti, che giacciono nel fegato, da- rebbero pure origine, come quelli del mesenchima, a degli eritroblasti, mielociti e cellule giganti. * * A tentare di risolvere la questione controversa dellorigine dei megacariociti, avevo già istituito esperimenti all’epoca in cui Maximow pubblicava le sue osservazioni sullistogenesi postfetale dei tessuti mieloidi. 454 Francesco Maccabruni, Ripetendo alla mia volta l’esperienza di Sacerdotti e Frattin ') recisi fra due legature i vasi emulgenti del rene sinistro di aleuni conigli, che uccisi a data diversa dal giorno dell’operazione, prenden- done in esame il rene. Potei così constatare come verso il trentesimo giorno si formino nella sostanza renale posta in vicinanza dei bacinetti le prime lamelle ossee, al quarantacinquesimo giorno si possono vedere i primi abbozzi di un midollo osseo di tipo embrionale, dal quarantacinquesimo al cinquantesimo il midollo va evolvendosi, compaiono le cellule mono- nucleari e successivamente gli altri elementi, primi fra questi i mega- cariociti. Era appunto lo sviluppo di questi elementi che mi proponevo di seguire; le mie esperienze in questo senso ebbero esito negativo. Seguendo l'evoluzione del midollo neoformato, potei vedere (come del resto può osservarsi anche in certi organi normali, specialmente nel fegato fetale) forme giovani di megacariociti, caratterizzate dalla ricchezza in cromatina del nucleo e dall’assenza di endoplasma, e forme gradatamente più avanzate nello sviluppo. Ma non mi venne mai dato di seguire con sicurezza una trasformazione dei grossi linfociti in megacariociti, come ammise Maximow. Malauguratamente le espe- rienze stesse non mi autorizzano a sostenere con sicura coscienza veruna ipotesi, che possa essere suffragata da reperti anatomici in- discutibili. L'origine adunque dei megacariociti resta tuttora oscura e di difficile interpretazione. II. Struttura dei megacariociti. a) Il protoplasma. La letteratura su questo argomento si presenta assai intricata ed estesa. i Arnold (1884) ci dà per il primo una descrizione del protoplasma dei megacariociti: Il protoplasma si presenta finamente granuloso e striato; la porzione di protoplasma racchiusa dal nucleo è morfolo- gicamente identica a quella che circonda il nucleo dell’elemento. !) Sacerdotti e Frattin, Sulla produzione eteroplastica dell'osso. Giorn. della R. Acc. di medicina di Torino. 1901. I megacariociti. 455 Cornil (1887) osservò, all’inizio della divisione, una zona chiara intorno al nucleo. Denys (1886—89) alla sua volta fa una distinzione fra endoplasma ed esoplasma, ed accenna alla presenza di qualche borsa o vacuolo alla periferia dei megacariociti. Van der Stricht (1890—92) nei suoi studii sulle cellule giganti del fegato, ha trovato che queste hanno certe volte due o tre zone protoplasmatiche. Nell'interno vi sono spesso vacuoli, pieni di sostanza jalina. Talora constató la pre- senza di un prolungamento o parecchi, disposti radialmente intorno alla cellula. Anche Schmidt (1892) nota che il contorno delle cellule eiganti presenta spesso dei filamenti, e Kostanecki, nello stesso anno, distingue nei megacariociti una sottile zona chiara perinucleare conte- nente finissime granulazioni, ed uno strato periferico oscuro. Heidenhain (1892—94), nei suoi lavori che resteranno classici malerado i giudizi di Niesing, distingue un endoplasma ed un eso- plasma: Nell'esoplasma delle cellule giganti descrive tre strati con- centrici. Lo strato medio si colora molto fortemente, mentre il pit interno, perinucleare, ed il più esterno, periferico, si tingono poco e lasciano scorgere una struttura a fini filamenti. La zona più esterna, o ,Randsaum* può anche mancare; cosi pure la zona media può essere ridotta o mancare del tutto. Anche nellendoplasma possono presen- tarsi delle differenziazioni. Heidenhain descrive inoltre nel proto- plasma delle cellule giganti numerosissimi centrosomi che mostrano tendenza a disporsi a gruppi, talora posti in una massa protoplas- matica intensamente colorabile. Haasler (1895) nei suoi esperimenti sulla rigenerazione del midollo conferma in massima i reperti di Heiden- hain. Ceconi (1895) applicando il metodo di Altmann riusci a colorare nei megacariociti delle granulazioni rosse variamente disposte. Arnold (1896) mise in evidenza delle zolle variamente distribuite. Nella sua figura 17 ci presenta un megacariocita con ciliatura del protoplasma. Trambusti (1896—97) accenna ad una struttura a zone concen- triche e ad un aspetto frangiato della periferia. Marwedel (1897) osservó in aleuni megacariociti delle granulazioni basofile. Bettmann (1898) invece nelle cellule giganti del midollo osseo di conigli avvele- nati con arsenico, vide talora delle fine granulazioni eosinofile. Secondo 456 a Francesco Maccabruni, Foa’ (1898—99) sarebbero granulosi lo strato interno ed esterno, ed il mediano probabilmente composto di filamenti. In alcuni casi speri- mentali vide uscire dalla periferia dei megacariociti numerose vesci- chette omogenee o frangie pieghettate. Pappenheim (1899) afferma che con la colorazione con la miscela Methylgrun — Pyronin le cellule giganti si colorano nel loro protoplasma come i linfociti. Lengemann (1901) descrive nel protoplasma dei megacariociti delle spaccature falciformi rappresentanti, secondo lui, dei vacuoli. Anche Weidenreich (1901) avrebbe riscontrato nel protoplasma dei megacariociti degli spazi intracellulari, e Retzius (1901— 03) vide nelle cellule giganti del midollo osseo di gatto neonato una quantità di canalicoli, che lA. paragona a quelli descritti da Holmgren nelle cellule nervose. Holmgren (1904) alla sua volta conferma in massima la des- crizione data da Heidenhain. Di più Holmgren descrive nell'interno delle cellule giganti un sistema canalicolare, al tutto simile a quello gia descritto dal medesimo Autore in altri elementi e corrispondente a quello di Retzius, col quale A. Holmgren non trovasi completamente d’accordo circa al significato da darsi all’apparato canalicolare in discorso. Nattan — Larrier (1904) in una pubblicazione sul fegato embrio- nale dice che i megacariociti hanno protoplasma leggermente basofilo; talora in un protoplasma acidofilo trovansi grossi granuli basofili. Morel e Soulie’ (1904) nella milza di riccio videro megacariociti con la periferia irta di prolungamenti. Secondo Mosse (1905) il proto- plasma dei megacariociti trattato con la miscela triacida azzurro di metile-eosina si dimostra neutrofilo; mentre Wolownik (1905), usando la stessa colorazione, ritiene il protoplasma delle cellule giganti oxifilo. Verson (1906) per il primo ci dà una descrizione chiara e precisa dell’orlo dei megacariociti. Egli conclude che gli orli dei megacariociti si possono ridurre ai seguenti tipi: a) senza membrana limitante; b) a guisa di membrana limitante; c) a forma di fascia; d) a vescicole; e) a granuli; f) a ciglia; g) a caratteri promisqui. Recentemente Schridde (1907) studiò le cellule giganti del midollo osseo applicando una sua modificazione al metodo di Altmann, oppure colorando le sezioni col liquido di Giemsa e disidratando con lacetone. I megacariociti. 457 Egli dichiara che le cellule giganti possiedono un corpo cellulare il quale si può dividere in una zona interna contenente granuli ed una zona esterna priva di granuli, la zona marginale. Queste due parti sono divise l’una dall’altra da una membrana. Le granulazioni della zona interna sono disposte talora omogeneamente, talora in striscie oppure in bendelli o in zone; tratto questi campi granulosi sono così spessi da dare l’aspetto di zolle. * à E Dall’osservazione dei miei preparati sono venuto alla convinzione che il protoplasma dei megacariaciti non é omogeneo, ma presenta alla sua volta, oltre ad avanzi di elementi fagocitati, delle zone che manifestano affinità tintoriale diversa. Risultati di incomparabile finezza io riuscii ad ottenere special- mente con il metodo trieromico del Ciaccio'), ed è specialmente in base ai reperti ottenuti applicando al midollo osseo un tale metodo di colorazione ch'io informeró la mia esposizione. Per la descrizione é opportuno mantenere la distinzione del proto- plasma cellulare in una parte detta esoplasma, che sta attorno al nucleo, ed in una parte, endoplasma, circoscritta dalle propaggini del nucleo stesso; l’endoplasma manca negli elementi giovani ed in quelli in degenerazione. Nell'esoplasma si possono differenziare: 1. una parte interna che circonda immediatamente il nucleo, zona interna dell'eso- plasma; 2. una porzione media, che chiameremo zona esterna dell'eso- plasma; 3. una parte periferica, ben differenziata, l’orlo della cellula. Ora, se noi osserviamo un preparato di midollo colorato con il metodo di Ciaccio, nella maggioranza dei casi vedremo come l'endo- plasma e la zona interna dell’esoplasma — che comunicano fra di loro a traverso le fenestrature del nucleo — sieno morfologicamente identiche fra di loro. Esse assumono un colore azzurro chiaro col bleu di toluidina e manifestano una struttura nettamente granulare. La zona esterna dell’esoplasma si colora con l’eosina in rosa, ed in essa spiccano delle zolle basofile turchine, talora assai numerose, sparse 1) Ciaccio, C., Colorazione dei tessuti con miscela colorante di eosina, orange, bleu di toluidina. Monitore zoologico italiano 1907. 458 Francesco Maccabr uni, senza alcuna regola determinata. Talora sono perd orientate in modo da ricordare le zolle di Nissl; a volte intensamente colorate, presentano una struttura omogenea, a volte sono. più chiare e nettamente granu- lose, identiche alla zona interna dell’esoplasma, con la quale in certi casi si continuano (fig. 7 e 8). Reperti analoghi si possono pure ottenere in preparati fatti con svariatissimi altri metodi di colorazione, e basterà, per convincersene, osservare la fig. 9 tratta da un preparato colorato con ematossilina ferrica, la fig. 10 da un preparato colorato con emallume, le fig. 11 e 15 da sezioni colorate col metodo del Giemsa secondo le modalità sug- gerite dallo Schridde. - Ma non tutti i megacariociti assumono l'aspetto ora descritto: In una seconda categoria, meno numerosa invero, osserviamo ancora una differenziazione in una zona interna granulare ed in una zona esterna, ma questa si colora uniformemente in rosa con l’eosina e non presenta alcuna zolla basofila (fig. 12). In una terza categoria non si nota più la caratteristica differen- ziazione in zone interna ed esterna, ma le zolle basofile sono sparse irregolarmente per tutto il protoplasma cellulare (fig. 13). In una quarta classe di elementi infine tutto il protoplasma si colora uniforme- mente con l’eosina, nè presenta alcuna zolla basofila (fig. 14). La prima di queste categorie prevale nei megacariociti del midollo osseo, le altre si riscontrano più frequentemente nella milza. Naturalmente questa classificazione, necessaria per uno studio si- stematico, deve essere considerata con molta larghezza, poichè esistono senza dubbio delle forme di passaggio d’ogni maniera dall'uno all’altro tipo cellulare; nè d’altra parte deve attribuirsi importanza assoluta all’azione elettiva delle varie sostanze coloranti. Che il diverso comportamento dei megacariociti di fronte alle so- stanze coloranti corrisponda a stadi funzionali diversi delle cellule, come Holmgren ed altri tenderebbero ad ammettere, non mi sembra ancora sufficientemente provato, né le esperienze da me all'uopo alle- stite mi hanno dato risultati tali da permettermi di risolvere l'impor- tante questione. Rispetto alla zona periferica dei megacariociti, od orlo cellulare, I megacariociti. 459 confermo i reperti di Verson. Solo aggiungerò come io non abbia po- tuto riscontrare alcuna relazione fra i singoli aspetti con cui si pre- senta il protoplasma dei megacariociti e la struttura dell’orlo. Un reperto interessante che ottenni riguardo alla struttura dei megacariociti concerne la presenza di un ,,apparato reticolare interno“ nel protoplasma di questi elementi. | Applicando alla milza ed al midollo osseo di alcuni mammiferi il nuovo metodo proposto da Golgi!) per lo studio della fine struttura degli elementi, sono riuscito a mettere in evidenza anche nei mega- cariociti un apparato reticolare interno, simile a quello descritto da Golgi nelle cellule nervose, ed a quelli successivamente osservati da una serie di ricercatori in altre cellule dei tessuti animali. L'apparato reticolare endocellulare che si riscontra nei megacario- citi del midollo osseo e della milza si presenta con aspetto diverso, da un semplice filamento variamente ricurvo e ripiegato su sè stesso, a un elegante e complesso reticolo composto di filamenti riccamente anastomizzantisi. Il reticolo si presenta talora unico, raccolto nel mezzo dell’ele- mento qualora il nucleo ne sia situato eccentricamente, o nella parte della cellula ove più abbonda il protoplasma, qualora il nucleo sia ubicato verso il centro della cellula; più spesso si trovano molteplici formazioni reticolari nell’interno del protoplasma; formazioni che si presentano isolate od unite fra di loro per fini filamenti. Naturalmente si presenta il dubbio che questi reticoli molteplici ed isolati non siano altro che i risultati di una incompleta reazione, e su questo punto io non posso ancora pronunciarmi. Nella milza e nel midollo osseo del riccio, sul quale feci le prime ricerche, i filamenti del reticolo sono più fini, più sottili, più delicata- mente intrecciantisi (fig. 1; 2); nei megacariociti del midollo osseo del ratto i filamenti sono più grossolani, talvolta così fittamente intrec- ciantisi da assumere l'aspetto, direi quasi, di una massa irregolarmente fenestrata (fig. 3; 4). 1) Golgi, C., Di un metodo per la facile e pronta dimostrazione dell’apparato reticolare interno nelle cellule nervose. Il Policlinico. Sez. prat. fasc. 8°. 1908, Id. Idem., Bollettino Soc. Med. Chir. Pavia 1908. 460 Francesco Maccabruni, Meglio di qualsiasi descrizione varrà a dare un’idea chiara della morfologia di tali apparati reticolari, uno sguardo alle figure tratte fedelmente dai miei preparati. Nessuno dei reticoli da me osservati contrae rapporto alcuno, che non sia di semplice contiguità, con il nucleo dell’elemento, nessuno di essi comunica con l’esterno. Alcuni osservatori hanno voluto identificare l’apparato reticolare interno di Golgi con l'apparato canalicolare descritto da Holmgren. Era naturale che mi venisse il dubbio dell’esistenza di un tale rapporto riguardo ai megacariociti, nei quali l’apparato di Holmgren venne descritto con particolare insistenza da Retzius e dallo stesso Holmgren, ed il dubbio era tanto più legittimo, in quanto la descri- zione e le figure date da Holmgren fanno fortemente sospettare che l'apparato canalicolare descritto da questo A. non sia, in taluni altri elementi, che un’espressione meno completa dell’apparato reticolare in- terno descritto da Golgi e dalla sua Scuola. Dalle mie osservazioni ho però dovuto convincermi come non esista I megacariociti. 461 rapporto di sorta fra l'apparato reticolare interno dei megacariociti e l’apparato canalicolare descritto da Retzius e successivamente da Holm- eren negli stessi elementi. Anzitutto in nessun caso i reticoli da me osservati presentano caratteri tali, per cui si possa pensare a dei ca- nalicoli, inoltre, all’esistenza dei presunti trofospongi nelle cellule gi- ganti si oppone anche un altro ordine di idee suffragate da fatti ana- tomici indiscutibili : Sono a tutti note le modalità giusta le quali si formerebbero i trofospongi di Holm- oren: le cellule inter- stiziali dei varii tessuti (i trofociti) invierebbero dei prolungamenti cel- lulari, delle propaggini, nelle cellule più alta- mente differenziate — formando nell’interno di queste una specie di canestro — propaggini che poi si fluidifiche- rebbero, lasciando dei canali. L/insieme di questo apparato, che l’autore interpreta come legato alla nutrizione della cellula, costitui- rebbe ció che va sotto il nome di ,trofospongi*. Ora come ammettere una tale origine nel riguardo dei megacario- citi, i quali sono elementi liberi? Vero é che Werner, Howel, van der Stricht, Demoor, Dominici, Tommasi, Jackson e, più insistentemente, lo stesso Holmgren, parlano di megacariociti anastomizzantisi col tessuto circostante; ma l'esistenza 462 Francesco Maccabruni, di una tale connessione fra megacariociti e stroma venne giustamente negata da Heidenhain, Haasler, Trambusti, Foa; Morel e Soulie; Verson. Da questo punto di vista, io ho ottenuto dei preparati molto di- mostrativi, riprodotti dalle figure 5 e 6, dove possono vedersi mega- cariociti nei quali sono evidenti le figure descritte da Holmgren, i quali sono completamente liberi nel lume dei vasi venosi; e manca qualsiasi argomento per farci ammettere che i megacariociti per un periodo della loro vita siano congiunti con il tessuto circostante, e poi se ne rendano liberi, mentre per contro vi sono buone ragioni per farci cre- dere che le presunte connessioni fra megacariociti e stroma siano do- vute a difetti di tecnica o ad osservazioni incomplete. Torna qui opportuno altresì l’osservare che lo stesso Holmgren, a pag. 189 del suo lavoro, confessa di non essere mai riuscito ad osser- vare, per quanto riguarda le cellule giganti, le reti filamentose per la cui fluidificazione i trofospongi si formerebbero. A mio modo di vedere le formazioni descritte da Retzius e da Holmgren sono da interpretare — almeno nei megacariociti — come screpolature del protoplasma determinate da alterazioni cadaveriche, 0, più spesso, da non perfetta fissazione; e non occorre una osserva- zione molto profonda per convincersi che i trofospongi più evidenti appaiono nei megacariociti appartenenti a tessuti mal conservati). Un altro fatto, cui non posso fare a meno di accennare, riguarda Vinterpretazione del significato del reticolo endocellulare: Come è noto, Heidenhain ha descritto nel corpo dei megacario- citi, e più specialmente nell’endoplasma di essi, o in quella zona di esoplasma che sta vicinissima al nucleo e fra le propaggini di questo, un apparato centrale con numerosi ,centrosomi*. Il confronto della descrizione e delle figure di Heidenhain — di cui ho potuto anch'io constatare l'esattezza — con i miei preparati, mi portano a concludere che gli apparati reticolari endocellulari da me descritti, per la loro frequente forma a lobi multipli, per l'estensione loro, per la loro di- 1) Mentre questa memoria é già in corso in stampa, recentissime ricerche di Perroncito vengono a distruggere l'ipotesi di Holmgren, che l'apparato reticolare interno, in generale, rappresenti un sistema di canalicoli. I megacariociti. 463 sposizione e la località che occupano nel protoplasma cellulare, dimo- strano chiaramente di non aver nulla a che fare con gli apparati cen- trali di Heidenhain. Questo ho creduto tanto più opportuno di mettere in rilievo, in quantoché da alcuni autori — dal Ballowitz; dal Heidenhain — si é voluto mettere in stretto rapporto l’apparato reticolare descritto da Golgi e dalla sua Scuola, con la centrosfera (Centrophormien e Zen- -tralkapseln). Su questo punto i risultati da me ottenuti a proposito dei mega- cariociti sono in perfetto accordo con quelli del Pensa sulle cellule cartilaginee. — Un ultimo particolare sulla struttura dei megacariociti; la pre- senza in essi di granulazioni sudanofile. In preparati colorati a fresco col metodo del Cesaris - Demel!), di midollo osseo di un coniglio in cui aveva provocato un ascesso alla coscia, riuscii a mettere bene in evidenza in alcuni megacariociti, oltre a leucociti sudanofili fagocitati, anche numerose goccioline colorate col Sudan III, sparse per il protoplasma di questi elementi. Accennerò infine alla possibilità di osservare nel protoplasma dei megacariociti, per il resto dall'aspetto perfettamente normale, qualche grosso vacuolo (fig. 15) che sta forse a rappresentare lo spazio lasciato libero da goccie di adipe, che vennero sciolte dai reagenti. b) Il mucleo. Bizzozzero nel 1869, notava come i megacariociti avessero un solo nucleo e in base a questo reperto li descrisse appunto come “cellule giganti a nucleo centrale, in gemmazione”. Neumann (1869) a sua volta fa rilevare la differenza fra il nucleo dei megacariociti e quello degli osteoclasti. Nello stesso anno Hoffmann e Langerhans descrivono il nucleo dei megacariociti come foggiato a tubulo, non dissimile sostanzialmente dai glomeruli di Malpighi. Il medesimo paragone ripete Morat (1873). Obrastzow (1881) dice che il nucleo di questi “Mieloplaxes” è identico a quello delle cellule midollari granulose. !) Cesaris-Demel, Giorn, della R. Acc. Med. di Torino; 1906—07. - 464 Francesco Maccabruni, Arnold (1883) parla di nuclei appiattiti, ramificati, reticolari, anulari, Werner (1884) di forme povere di cromatina e forme ricche di cromatina. Denys (1886) descrive nuclei a canestro e nuclei a palla cava; nelle pareti di questi si riscontrano delle aperture “mailles du noyau”. Secondo Cornil (1889) nelle cellule pit voluminose possono trovarsi due o anche tre nuclei. Dai disegni che dà l’autore però appare come questi abbia erroneamente interpretati come nuclei in- dipendenti i leucociti inclusi nel protoplasma delle cellule giganti. Legge (1890) in accordo ad Arnold e Denys distingue i mega- cariociti in due varietà a secondo della struttura ed affinità tintoriale del nucleo. La forma tipica del nucleo sarebbe quella ad anello o a canestro, tutte le altre forme sarebbero dovute a movimenti nucleari tendenti a scissione. Secondo Schmidt (1892) il nucleo si presenta nelle forme più svariate. Se la cellula gigante ha più nuclei, il nucleo centrale è il -piü grosso. Anche Heidenhain fa notare come il nucleo dei mega- cariociti presenti uno svariato poliformismo. La forma fondamentale assomiglierebbe ad una sfera cava a pareti spesse attraversata da aperture; tali nuclei si presenterebbero quindi spesso al nostro occhio come anulari. Haasler (1895) nel suo lavoro sulla rigenerazione del midollo, afferma che i nuclei dei megacariociti hanno forma molto variabile e sì devono ritenere, gli uni come aggregati nucleari, gli altri come un nastro nucleare molte volte attorcigliato, con gemme e boccioli. Nel lavoro di Arnold del 1896 vedonsi nelle figure 19 e 22 nuclei rivestiti tutto all’intorno di cilia. Secondo Nattan — Larrier (1904) nei megacariociti del fegato fetale il nucleo si presenta in generale sotto l’aspetto di un grosso “boyau” ripiegato parecchie volte su sè stesso, di modo che a tutta prima sembra decomporsi in tre o quattro nuclei arrotondati a con- tatto fra di loro; ciascun segmento nucleare presenta due o tre gra- nuli di cromatina. Pardi (1905) nel grande omento del coniglio vide nuclei moriformi o ad anello. — Verson fa giustamente notare come non sempre la pic- nosi del nucleo rappresenti un fatto degenerativo. L’A. mise inoltre I megacariociti. 465 in evidenza mediante il metodo di Mallory per il connettivo certi nuclei ad aspetto spugnoso o vescicolare, in cui manca o è poco spiccata la presenza di gemme. Finalmente Schridde (1907) divide i nuclei dei megacariociti del midollo in tre categorie, a secondo della minore o maggiore complicanza nella loro struttura. Sulla struttura del nucleo dei megacariociti poco mi resta ad ag- giungere a quanto è stato osservato dai varii ricercatori. Il nucleo dei megacariociti presenta un aspetto estremamente variabile. L'osservazione attenta dei miei preparati, colorati con i più svariati metodi, mi fa confermare in massima la descrizione data da Heidenhain e quella più recente fatta dal Nattan-Larrier; più rara- mente riscontrai forme vescicolari simili a quelle descritte ultimamente da Verson. Le forme più frequenti, veramente tipiche, del nucleo dei mega- cariociti, sono quelle riprodotte dalle figure 8—11—12 ecc. Voglio qui ancora presentare alcune forme non comuni di nuclei, che non sono riferibili ad alcun “tipo” e che non trovano riscontro nelle osservazioni degli autori precedenti. Una descrizione chiara di questi nuclei sarebbe impossibile: rimando il lettore alle figure 13 e 16, dove mi sforzai di riprodurre alcuni di essi. Richiamo inoltre l’attenzione sulla policromatofilia del nucleo, già osservato da Heidenhain. Col metodo del Ciaccio, accanto a numerosi nucleoli colorati in violetto intenso, mi riuscì infatti di mettere in evidenza alcuni granuli, di solito più minuti, che si colorano in rosso con l’eosina. Un'ultima osservazione riguardo al numero dei nuclei dei mega- cariociti. Nelle molte centinaia di preparati ch'io ebbi occasione di prendere in esame, mai riuscii a constatare con certezza più di un nucleo nel corpo del medesimo megacariocita, laonde questa eventualità potrà al massimo considerarsi quale rarissima eccezione. I reperti di simili cellule giganti con molti nuclei devono verosimilmente attribuirsi a Internationale Monatsschrift f. Anat, u. Phys. XXVII. 30 466 Francesco Maccabruni, confusione dei megacariociti con altre cellule, od al fatto che furono ritenuti nuclei staccati le propaggini di uno stesso o forse anche que- gli ammassi che possono residuare nel protoplasma dei megacariociti in seguito a fagocitosi. II. Divisione dei megacariociti. Le varie modalita di divisione descritte dai singoli autori nei megacariociti si possono ridure ai seguenti tipi: frammentazione indi- retta, divisione mitotica (binaria e multipla), divisione diretta. Accennerd appena al processo descritto da Arnold (1884) sotto il nome di “frammentazione indiretta”, processo che non si può ascrivere nè alla normale divisione mitotica nè alla amitotica, e che si compi- rebbe mediante la separazione di nuclei dalla figura nucleare meta- morfosata della cellula madre, cui seguirebbe la divisione del proto- plasma. La teoria di Arnold trovò tuttaprima sostenitori. Così Werner (1884) ammette codesto schema di divisione delle cellule giganti, per cui si avrebbe la formazione di piccole cellule rotonde. Werner des- crive inoltre un processo di divisione diretta dei megacariociti in due o più parti. Basta però osservare le figure date da questo autore per convincersi come esse sieno suscettibili di altre interpretazioni: Le sue figure sono riferibili a fenomeni di fagocitosi attiva esercitata dai megacariociti oppure a forme di cellule giganti in movimento, simili a quelle da me riprodotte a fig. 16 e 21. i Altre volte dall'osservazione delle figure date da Werner a sostegno della divisione diretta si riceve l'impressione che trattisi di megacario- citi easualmente vicini, a contatto l'uno dell'altro. Stroebe (1890) ed Hess (1890) sono gli ultimi ad ammettere il processo di frammentazione indiretta. Ma alle conclusioni di questi autori si contrappongono i lavori di Denys, Cornil, Demarbaix ecc. Denys (1886) sostiene la cinesi multipla dei megacariociti e Cornil, quasi contemporaneamente, avendo studiato la divisione dei megacario- citi nella rigenerazione delle ossa, viene alla conclusione che i mega- cariociti si dividerebbero per un processo di mitosi bipolare, il quale condurrebbe alla formazione di due altre cellule giganti dalla cellula I megacariociti. 467 madre; ed in questo appunto le conclusioni di Cornil divergono essenzial- mente da quelle di Denys il quale alla mitosi delle cellule giganti faceva succedere la formazione di piccole cellule midollari. Più tardi (1889) in base a numerose ricerche, Demarbaix dà l’ul- timo colpo alla teoria di Arnold, concludendo che i nuclei ricchi di cromatina di Arnold non sono dovuti che ad un’alterazione cadaverica, che può già aversi due ore dopo la morte. Ammette pei megacario- citi la mitosi multipla secondo lo schema descritto da Denys, non am- mette, in accordo a Tornier, la divisione di Werner. I reperti di Denys sono confermati da Van der Stricht. Questi però non potè seguire che le prime fasi del processo cariocinetico e sospetta che le cellule in attività mitotica per lo più ritornino in ri- poso prima di aver raggiunta la fase di “Tochterstern”. Analoga opi- nione manifestano Miiller (1891) e Kostanecki (1892). Flemming (1891) riferisce di non aver mai sorpresa una mitosi bipolare in una cellula gigante, ma sempre mitosi pluripolari, quali quasi contemporaneamente Reineke (1891) descrisse, e più tardi Haasler. L’osservazione di Denys che le mitosi dei megacariociti non supe- rino mai la fase di “stella madre” viene confermata da Van der Stricht e da Heidenhain (1894); quest’ultimo però ammette anche una scis- sione dei megacariociti per amitosi; ma le sue figure potrebbero anche essere interpretate come forme di megacariociti in movimento. Un paio d’anni più tardi Saxer (1896) ammette la divisione mitotica ed anche la segmentazione di Arnold, quantunque lo svolgersi del processo non gli appaia ben chiaro. Invece secondo altri, per esempio secondo Trambusti (1896), il nucleo dei megacariociti si divide per scissione diretta, mentre le figure di Arnold devono interpretarsi come degene- razioni nucleari. La possibilità di una divisione amitotica del nucleo trova ancora un sostenitore in Pugliese, questi soltanto le fa seguire la distruzione del protoplasma. Anche Foa’ (1898), Bettmann (1898), Dominici (1902), Nattan- Larrier (1904), Blumenthal (1904), Morel e Soulie’ (1904), Verson (1906), Schridde (1907) sostengono l’esistenza delle mitosi multipolari . nei megacariociti. 30* 468 Francesco Maccabruni, Riguardo alla pretesa ,frammentazione indiretta“ descritta da Arnold nulla io credo dover aggiungere, ritenendo questa modalità di divisione già completamente confutata dai lavori severi di Demarbaix. Convincimento che mi deriva non da considerazioni teoriche, ma dallo studio obbiettivo di una ricca serie di preparati microscopici. Neppure ritengo provata la frequenza della scissione diretta nelle cellule gi- ganti. Tutte le forme cellulari da me osservate e che ad un’esame superficiale potevano far pensare a una tale modalità di divisione, erano suscettibili di altra interpretazione. Già precedentemente espressi la convinzione che la maggior parte delle figure riportate dai varii autori a sostegno di tale divisione, almeno nel caso particolare dei megacariociti, siano dovuti alla facoltà di questi elementi di muoversi. Ebbi spesso occasione di osservare figure di megacariociti in mi- tosi multipla nel midollo osseo, nella milza, nel fegato di diversi ani- mali. Nella milza, come già aveva osservato Verson, gli elementi in cariocinesi si trovano disposti a preferenza alla periferia dell’organo; la medesima constatazione potei fare anche nel fegato; nel midollo osseo invece i megacariociti in cariocinesi non mostrano di avere al- cuna sede di predilezione. Nei megacariociti in cariocinesi la cromatina si raccoglie in nu- merose sferette disposte verso il centro dell'elemento; non è raro però riscontrare forme cariocinetiche con evidenti anse cromatiche irre- golari. Non mi riescì mai di osservare, sia pure una sola volta, una figura dell’anafasi, ond’io sono propenso a ritenere, come già Van der Stricht, Miller, Kostanecki, Foa’, che alla divisione del nucleo non segua la divisione del protoplasma, giacchè dopo superate le prime fasi del processo cariocinetico il nucleo torna allo stato di riposo, senza dunque mai raggiungere la fase di stelle figlie. IV. Degenerazione dei megacariociti. Quanto alla degenerazione dei megacariociti, ricorderò che già Rindfleisch aveva in essi descritti fenomeni regressivi, e Obrastzow (1880) forme di degenerazione in cui il nucleo andava scomparendo mentre le cellule si trasformavano in zolle granulose. I megacariociti. 469 Lówit (1885) descrisse un processo di degenerazione in cui la cro- matina diminuirebbe a poco a poco, fino a scomparire; il nucleo si presenterebbe allora come una vescicola regolare e poco colorabile. Werner (1886) e Cornil (1887) invece considerano come elementi in regressione certe cellule giganti, il cui nucleo perde ogni struttura e si trasforma in una massa semifluida ed intensamente colorabile, o in goccioline omogenee e picnotiche. Ma è di nuovo a Demarbaix (1889) che spetta il merito di avere studiati accuratamente i fenomeni regressivi dei megacariociti. Egli conclude che allo stato normale un certo numero di cellule giganti presenta dei fenomeni di regressione, che possono essere di due sorta. In alcuni casi il nucleo si trasforma in una goccia di sostanza semi- liquida, omogenea, che può ulteriormente frammentarsi in goccioline più piccole; in altri casi il protoplasma sparisce rapidamente e la so- stanza cromatica del nucleo forma alla superficie interna di questo uno strato rifrangente, continuo ed omogeneo. Nell’un caso e nell'altro la colorazione è intensa. A fatti degenerativi, dirò così, normali, dei megacariociti accen- nano anche Hess (1890), van der Stricht (1890), Kostanecki (1892). Heidenhain (1894), che si occupa diffusamente dell'argomento, di- stingue nella degenerazione delle cellule giganti tre periodi, l'uno al- l’altro susseguentisi. Con le osservazioni di Heidenhain concordano completamente quelle di Haasler (1895). Di degenerazioni normali dei megacariociti fu scritto anche da Trambusti (1897), Marwedel (1897), Foà (1898—99), Bettmann (1898); anzi, secondo quest’ultimo, ,,cario- ressi e cariolisi non sono da riguardarsi che come modalità di dege- nerazione del nucleo e possono variamente combinarsi^. La varietà poi con cui i fenomeni di degenerazione delle cellule giganti si pre- sentano, dipenderebbe dalla diversa distribuzione della massa croma- tica nelle stesse. Fenomeni di cariolisi e di carioressi dei megacariociti furono ri- scontrati anche da Dominici (1902), in casi di infezione e di intossi- cazione, da Varaldo (1905) nella gravidanza e nel puerperio, da Ca- stiglioni (1906) nelle gravi emolisi. 470 Francesco Maccabruni, In tutti gli animali da me presi in esame, anche in quelli vero- similmente normali, mi venne dato di trovare un certo numero di megacariociti presentanti fenomeni degenerativi. Questi si mostrano con aspetto assai svariato, talchè può dirsi che tutte le forme descritte dai varii autori siccome riferibili a fatti di cariolisi e Carioressi pos- sono realmente osservarsi al microscopio, ed è assai probabile che i varii aspetti sotto cui si presentano le cellule giganti alterate non stiano a rappresentare che stadii diversi del processo regressivo. Come già ebbe a notare Castiglioni, non sempre riesce facile di- stinguere alcune forme nucleari di megacariociti in via di degenera- zione da altre in via di scissione indiretta, morfologicamente poco dis- simili dalle prime; tuttavia ponendo attenzione anche allo stato del protoplasma dell’elemento, si può quasi sempre distinguere le une dalle altre. Il grado di degenerazione dei megacariociti varia da quello di semplice picnosi del nucleo fino agli stadî più avanzati di completo disfacimento del protoplasma e del nucleo. È da notare però che non sempre la picnosi del nucleo sta a rappresentare fatti degenerativi normali. Prescindendo dalle forme degenerative post mortem, alle quali devono riferirsi i tanto discussi nuclei ricchi di cromatina, interpretati da Arnold siccome fasi di ,frammentazione indiretta“ altri casi esi- stono, in cui la picnosi del nucleo si riscontra in elementi affatto nor- . mali, con tipico orlo differenziato, talvolta in fagocitosi, in elementi insomma che per tutti i loro caratteri morfologici e funzionali mo- Strano di essere in piena vitalità. Infatti Marwedel suppone essere la picnosi di tali nuclei colle- gata con le funzioni secretrici dell'elemento, mentre Foà coll'attività fagocitaria dei megacariociti. Se nessun dato di fatto io posseggo per discutere la prima di queste possibilità, che resta tuttavia assai ipotetica, ritengo d’altra parte completamente provato da Verson che la picnosi del nucleo non possa in alcun modo esser riferita esclusivamente alla fagocitosi eser- citata dalle cellule giganti. Un'altra questione dibattuta è il significato dei nuclei isolati di I megacariociti. 471 megacariociti, che si possono riscontrare specialmente nel midollo osseo, e mentre Demarbaix, Heidenhain e Foa li riferiscono a residui cellu- lari in via di distruzione, van der Stricht e Lengemann sostengono trattarsi di elementi normali. Ora, pur convenendo che non è raro osservare megacariociti presumibilmente vitali per quanto poverissimi di protoplasma, pure io non so comprendere come si possa dire nor- male un elemento affatto privo di protoplasma, ridotto al solo nucleo. Non è del resto difficile constatare come i nuclei isolati che si riscontrano nel midollo osseo e non raramente anche nel lume dei vasi venosi della milza, presentino tutti segni più o meno spiccati di in- voluzione. V. Funzione dei megacariociti. . Delle varie questioni messe sul tappeto nel riguardo della funzione dei megacariociti, meritano speciale considerazione quelle che si riferi- scono alla mobilità di questi elementi, alla possibilità da parte di essi di produrre globuli rossi e di dare origine a globuli bianchi, alla pro- prietà fagocitaria ed alla funzione secretoria. La prima osservazione intorno alla mobilità dei megacariociti la dobbiamo ad Arnold (1895). Egli crede che i megacariociti abbiano movimenti, per quanto poco rapidi. Anche Saxer (1896) emette l'ipo- tesi che le cellule a nucleo gigante abbiano una propria facoltà locomo- trice, e Askanazy (1904) afferma che la mobilità attiva dei megacario- citi può osservarsi direttamente sotto il microscopio. Ma a Verson (1906) spetta il merito di avere per il primo richia- mata l’attenzione degli studiosi sulla facoltà dei megacariociti di com- piere proprii e ben determinati movimenti. - In una pubblicazione recente, Schridde (1907) afferma di aver osservato in una sezione di un ganglio linfatico di un neonato, una cellula gigante in atto di attraversare la parete di un capillare. * * * Prima di Schridde io ero riuscito ad osservare molte volte me- gacariociti nell’atto di attraversare le pareti vasali, specialmente nella milza di gatto neonato, animale che sembra particolarmente prestarsi 472 Francesco Maccabruni, per un simile genere di ricerche. Nelle sezioni della milza di gattino non è difficile osservare cellule giganti a cavaliere, per così dire, delle pareti venose, con una parte di protoplasma, di solito più considerevole, nel lume del vaso, e un’altra parte all’esterno di esso; il nucleo stesso può sorprendersi nell'atto di attraversare insieme al protoplasma la parete venosa, altra volta trovasi nella parte endovasale dell'elemento, altra volta nella parte esterna di esso. E poichè del reperto non venne finora dato che un solo disegno — la fig. 11 di Verson riprodotta da un mio preparato del 1906 (e pubblicata l’anno precedente a quello in cui venne alla luce il lavoro dello Schridde) — non stimo affatto privo di interesse il dare alcuni disegni tratti fedelmente dai miei preparati, ed illustranti chiaramente il reperto. Più di qualsiasi descrizione varrà dare uno sguardo alle figure 18 e 19. Per una mobilità attiva dei megacariociti depongono anche alcune forme che si riscontrano comunemente nel midollo osseo, specialmente qualora questo venga sottoposto a qualche stimolo irritativo. Si possono allora fissare cellule giganti in evidente movimento ameboide, con veri e proprii pseudopodi larghi, di conformazione svariatissima, in forma di gemme, in forma di lingue ecc. Altra volta tutto il corpo dell'elemento si deforma, si incurva, si allunga, assumendo forme svariate (fig. 16, 20, 21). Questioni connesse con quella della mobilità” sono quella dell’atti- vità fagocitaria, e quella complessa e dibattuta delle embolie polmonari, di cui dirò più avanti. * Nel riguardo delle funzioni attribuibili ai megacariociti, venne pure messa in campo l’ipotesi che questi elementi avessero la facoltà di dare origine ai globuli rossi del sangue. Questa ipotesi, sostenuta dapprima da Foà e Salvioli (1881) poi da Werner (1884) da Legge (1890) e da Kiiborn (1890), venne negli studii ulteriori abbandonata dagli stessi autori che l'avevano emessa, ed ormai ha un valore puramente storico, ond'io non credo di dover discutere sopra di essa. I megacariociti. 473 D'altra parte non mancarono autori che ai megacariociti vollero attribuire la formazione di globuli bianchi del sangue. Fu Arnold (1883) il primo ad ammettere che i megacariociti avrebbero una tale funzione, ipotesi combattuta dal Lówit (1884) e da Demarbaix (1886), per i quali i leucociti inclusi nel protoplasma delle cellule giganti pro- vengono dall'esterno dell'elemento. Più recentemente Pugliese (1897) ribadisce l’opinione che dai megacariociti derivino leucociti, opinione confermata da Roger et Josué (1889), ai quali parve possibile che dalle cellule giganti talora possano trarre origine dei mielociti. Da ultimo Werigo e Segunow (1904) avendo praticato un'iniezione endovenosa di cultura di colera dei polli, videro leucociti a nucleo polimorfo nei me- gacariociti, cui ne attribuirono la formazione; ma nello stesso anno Blumenthal, occupandosi della questione, nega recisamente che dalle cellule giganti possano trarre origine leucociti. * * * Per parte mia, io non credo probabile che i megacariociti possano dar luogo ad altri elementi, e non esito ad affermare che le figure cellulari sulle quali si appoggiano alcuni ricercatori per sostenere una simile ipotesi debbano assai probabilmente interpretarsi come forme di megacariociti in fagocitosi. * * * Più vasta è la letteratura su quanto riguarda direttamente i fe- nomeni di fagocitosi da parte dei megacariociti. E mentre Denys (1889) | rigettando la sua prima ipotesi, interpreta il reperto di cellule incluse nel corpo dei megacariociti come fenomeno di fagocitosi da parte di questi elementi verso i leucociti, secondo Sanfelice (1889) sarebbero in- vece i leucociti che penetrerebbero attivamente nel protoplasma dei © megacariociti. Van der Stricht (1890—92) alla sua volta afferma che funzione principalissima dei megacariociti sarebbe quella fagocitaria; essi avrebbero la funzione di sbarazzare gli organi ematopoietici dei corpi oramai divenuti inutili, come i leucociti morti e i nuclei liberi di eritroblasti. Per contro Heidenhain (1894) ritiene che le cellule giganti non ab- biano alcuna proprietà fagocitaria. 474 ' Francesco Maccabruni, D'altra parte Trambusti (1896—97) crede che i megacariociti fa- gocitino i leucociti divenuti inattivi. Egli ci dà una esatta descrizione del modo con cui si compiono i fenomeni fagocitaril. Marwedel (1897) avendo iniettato nel midollo osseo di conigli col- ture di stafilococchi, ne rintracciò qualche rara volta nel protoplasma dei megacariociti; così come in esso Bettmann (1898) osservò eritrociti, emazie nucleate fagocitate. Secondo Foa’ e Cesaris-Demel (1898—99, 1905) funzione dei me- gacariociti sarebbe di sbarazzare l'organismo dei leucociti incapaci di funzionare ,ogni qual volta esista una condizione che alteri i leucociti“. Roger e Josué (1899) invece pensano che i leucociti penetrino in maniera attiva nel corpo dei megacariociti. Lengemann (1901) per contro non crede che gli elementi inclusi nei megacariociti vi sieno penetrati per loro attività, così pure non ritiene dimostrato che le degenerazioni protoplasmatiche dei megacario- citi fagocitanti derivino dalla fagocitosi, poichè esse si osservano anche nei megacariociti che non stanno compiendo questa funzione. Anche Cornil e Condray (1901) optano in favore della fagocitosi. Così Michelazzi (1902) Maggiora (1903) e, con certe riserve, anche Dominici (1902). Per contro de Graag (1903) avendo visto in casi patologici me- gacariociti racchiudenti altri elementi, pensa che non si trattasse di vera fagocitosi, bensì di fatti dovuti alla mobilità degli elementi bianchi e ad una chemiotassi positiva da parte dei megacariociti. Parodi (1904) alla sua volta vide cellule giganti del midollo osseo fagocitanti, 3—4 giorni dopo la frattura dell'osso relativo. Jackson, Morel e Soulié, Nattan-Larrier (1904) optano in favore della fagocitosi; quest'ultimo osserva che nel fegato fetale la funzione fagocitaria dei megacariociti si esercita elettivamente sui globuli rossi anucleati. Banti (1905) dice che i megacariociti sono dotati di attivo potere fagocitario. Così Sacconaghi (1905) crede decisamente che i megaca- riociti fagocitino, e non tanto megacariociti provenienti dal sangue, quanto forme leucocitarie mature del midollo stesso. Varaldo (1905) osserva che dal 10° al 25° giorno dopo il parto, I megacariociti. 475 nelle coniglie, è caratteristica la sovrattività fagocitaria dei megacario- citi; cosi pure Castiglioni (1906). Verson (1906) richiama l’attenzione sul rapporto esistente tra il - numero dei megacariociti in fagocitosi, il numero dei nuclei senza pro- toplasma appartenenti a questi elementi ed il numero delle cellule pig- mentifere. Pirone (1907) fa notare come i megacariociti mostrino di avere nella milza quelle medesimi attitudini fagocitarie che hanno nel midollo. Anche Schridde (1907) ed Helly (1908) ammettono la fagocitosi attiva da parte dei megacariociti. * * * Per parte mia costantemente, in misura maggiore o minore, anche negli animali perfettamente normali, meglio in aleuni determinati stati patologici, mi convinsi della loro facoltà di inglobare. Per esempio, io ottenni sperimentalmente il fenomeno della fagocitosi iniettando una sospensione acquosa di carmino nel midollo osseo dei conigli. Procedevo in questo modo: Praticato un foro nel femore all'unione del suo terzo medio col terzo distale, e introdotto quindi l’ago di una siringa di Pravaz nel midollo osseo, iniettavo una certa quantità di una densa sospensione sterile di carmino in acqua. Uccidevo i conigli operati dopo 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 14 — 30 giorni. Fissavo il midollo osseo cosi trattato nel liquido di Zenker o in quello di Flemming e, per controllo, fissavo pure il corrispondente segmento di midollo dell'altro femore integro. Potei cosi vedere nel protoplasma dei megacariociti tutta una serie di leucociti, quali apparentemente normali, quali più o meno alterati. Il nucleo di questi elementi, dopo un primo stadio di picnosi, si colora via via meno intensamente, fino ad assumere una debole colora- zione diffusa, perde ogni regolarità, si frammenta, ed a rappresentarlo non rimangono che pochi granuli; infine anche questi scompaiono. Con- temporaneamente le granulazioni del protoplasma vanno scomparendo, il protoplasma stesso più tardi è rappresentato soltanto da un alone chiaro, rotondeggiante, incluso nel citoplasma dei megacariociti, ed infine pur esso scompare. (Vedi fig. 8, 16, 21.) 476 Francesco Maccabruni, Nel corpo di un solo megacariocita mi riusci di vedere ben sette leucociti, in varii stadii di degenerazione. Una volta mi riuscì pure di vedere un leucocita molto alterato nel protoplasma di un megaca- riocita in cariocinesi (fig. 17). Per quanto diligenti ricerche io abbia fatto in proposito, non mi venne mai dato di osservare nell'interno dei megacariociti leucociti contenenti granuli di carmino; ciò che deporrebbe in favore dell’opinione di van der Stricht, Trambusti, Foà e Cesaris-Demel; ecc. che i leucociti inglobati dai megacariociti sieno precisamente quelli ormai incapaci di funzionare: tanto più che nelle vicinanze sono invece assai frequenti i leucociti che hanno inglobato granuli di carmino. A questo punto noterò come dai varii Autori si parli a preferenza di leucociti a nucleo polimorfo fagocitati dai megacariociti. Ora, nei miei preparati non è difficile vedere megacariociti contenenti anche mo- nonucleari. Noterò quì come gli elementi inglobati possano trovarsi in qual- siasi parte del protoplasma dei megacariociti, nè sia affatto raro tro- varli nell’endoplasma stesso di questi elementi. . Nei preparati colorati col metodo di Ciaccio si vede che attorno all'elemento fagocitato le zolle basofile si scostano, scompaiono, onde l'elemento incluso trovasi circondato da una zona di protoplasma del megacariocita tinta uniformemente in rosa. Un altro fatto che potei constatare ne’ miei preparati si è il re- perto di megacariociti contenenti nel loro protoplasma degli eritroblasti nucleati, come pure numerose emazie anucleate. Se qualche dubbio poteva ancora esistere sul fenomeno della fa- gocitosi attiva — se cioè fossero i megacariociti che inglobasero gli altri elementi, o piuttosto questi entrassero nelle cellule giganti — sembrami che debba scomparire davanti alla constatazione, invero già fatta da van der Stricht sulla presenza di nuclei eritroblastici, da Nattan-Larrier e da altri di emazie anucleate nel protoplasma delle cellule giganti. Tale reperto mi sembra decisivo in favore della fagocitosi attiva dei megacariociti, inquantochè è noto che ai globuli rossi si consente tutt'al più un lieve grado di contrattilità; nè di minore importanza è I megacariociti. 477 il reperto di Marwedel il quale poté vedere degli stafilococchi nel corpo dei megacariociti. Simile fatto potei osservare anch'io, in un coniglio sul quale avevo ripetuto l’esperienza di Marwedel. Se, come crede Foà, anche il protoplasma dei megacariociti mella fagocitosi da essi esercitata possa andar distrutto, io non ho elementi per sostenerlo. Ai megacariociti venne anche attribuita una facoltà secretoria: Fu Howel (1890) il primo ad ammettere una vera proprietà secretiva delle cellule giganti. Heidenhain (1894) alla sua volta ritiene che l’unico ufficio dei megacariociti ‘sia quello di assumere dall'ambiente ma- teriali albuminoidi, di elaborarli in modo specifico e di versarli nelle correnti nutritizie. Haasler (1895) condivide l'opinione di Heidenhain ed anche Arnold (1895) non nega ai megacariociti la funzione loro attribuita dall’isto- logo di Würzburg. Cosi Trambusti (1897) sostiene che nelle anemie da sottrazioni sanguigne i megacariociti assumano una funzione secretiva, e, piü re- centemente, anche Banti (1905) ammette che i megacariociti avrebbero una importante funzione secretiva di prodotti, la cui natura e ufficio sono oscurissimi. * Riguardo a questa ipotetica funzione secretoria dei megacariociti, o alla proprietà attribuita alle cellule giganti di elaborare prodotti al- buminoidi e di riversarli in circolo, io non posso aggiungere nulla in base alle mie osservazioni. Certo che se le particolarità morfologiche dell’orlo dei megacariociti possono essere in qualche modo connesse con l'ipotetica funzione se- cretrice od elaboratrice di questi elementi (Trambusti), bisognerebbe credere che le due funzioni, fagocitaria e secretiva, possano compiersi contemporaneamente in uno stesso elemento, dappoichè io sono riuscito a vedere megacariociti in fagocitosi con tipico orlo a vescicole. * * 478 Francesco Maccabruni, Concludendo, delle varie funzioni attribuite ai megacariociti io posso confermare senza riserve soltanto la mobilità e la fagocitosi, senza però escludere che in seguito prove più convincenti dimostrino in essi altre attività funzionali. VI. Sulle embolie dei megacariociti nel polmone. Già Arnold nel 1893 aveva osservato grosse cellule simili a quelle del midollo osseo nei capillari del polmone di animali ai quali aveva iniettato nella giugulare farina di frumento. Talvolta, ancora due mesi dall’iniezione, vide nel polmone cellule giganti di cui alcune disposte attorno a granuli di frumento. Questo particolare e l'osservazione delle figure riportate da Arnold fanno fortemente sospettare che an- zichè megacariociti gli elementi descritti da questo autore sieno cellule giganti da corpi estranei. Nello stesso anno Aschoff riferisce di aver trovate cellule giganti nei capillari polmonari di un individuo morto per erisipela. A spiegare la presenza di tali elementi nel polmone, l'A. ammette un’embolia di cellule giganti dal midollo osseo è soltanto da questo. Aschoff aggiunge, in base alle sue esperienze, che per semplici mutamenti della pressione sanguigna, per improvvisi restringimenti dei vasi efferenti del midollo osseo, per scuotimenti, non si può ottenere l'ingresso di cellule a nucleo gigante nel sangue, mentre lo si provoca con mezzi a cui si può attribuire un'azione chemiotattica positiva sulle cellule del midollo osseo. Lubarsch (1893) alla sua volta trovó nei capillari polmonari di individui venuti a morte dopo operazioni sulle ossa e dopo fratture, cellule giganti „con parecchi nuclei“. Particolare questo che rende legittimo il sospetto che l'A. non abbia visto megacariociti, ma cellule giganti tubercolari od osteoclasti. Maximow (1898) riscontró nel polmone di conigli dei frammenti di midollo osseo, accompagnati in un singolo caso da una scheggia ossea, e riferisce il reperto al modo con cui era stato ucciso l'animale, per eui si sarebbero determinate fratture delle ossa della base del cranio, ricche di midollo. All’infuori di questi casi speciali, l'À. non ammette che nel polmone possano trovarsi megacariociti forniti di I megacariociti. 479 protoplasma, dappoichè essi sarebbero ridotti al solo nucleo già nel midollo osseo e non, come Aschoff aveva supposto, per sfregamento delle cellule embolizzanti contro le pareti vasali. Lubarsch (1898) replica che l'embolia di midollo osseo di regola avviene senza soluzione di continuità dell’osso. Afferma che ogni em- bolia di cellule parenchimatose ha per conseguenza un’embolia secon- daria di cellule del midollo osseo, qualora embolie parenchimatose e le loro conseguenze si combinino con scuotimenti del midollo osseo, mentre lo scuotimento per sè solo non basterebbe a provocare le embolie. Queste avverrebbero in conseguenza di speciali sostanze chimiche ad azione chemiotattica positiva, messe in libertà durante la rapida e totale distruzione del tessuto iniettato. Foa’ nella sua publicazione del 1898 e nelle successive, insiste sul fatto che nelle embolie polmonari si riscontrano di solito ammassi nucleari isolati di megacariociti; solo in circostanze rarissime potrebbe verificarsi un trasporto di elementi integri. Per Foa la distruzione del protoplasma dei megacariociti si veri- ficherebbe già nel midollo osseo, in conseguenza dell’attiva fagocitosi esercitata in circostanze speciali dai megacariociti. I megacariociti penetrebbero nei vasi per rottura o alterazione di questi. L’embolismo polmonare delle cellule giganti avrebbe per fine la loro eliminazione dall'organismo. Per contro, Lengemann (1899—1901) non crede che scopo del- l'embolia sia la distruzione degli elementi trasportati; egli pensa piuttosto che si tratti di un fatto passivo quasi casuale. Riguardo al meccanesimo per cui l'embolia si produrrebbe, lA. concorda in massima con Lubarsch. Verson (1906), che prese in considerazione polmoni fetali della seconda meta della vita endouterina, dice che, pur volendo ammettere un’origine mielogena dei nuclei giganti che si rinvengono nel polmone — fatto di cui egli dubita — non si può del pari ammettere che essi raggiungano il polmone per incontrare una più facile distruzione, dal momento che nei feti la funzione respiratoria — e quindi l’ossidatrice — non è per nulla ancora iniziata, ed il circolo sanguigno è limitato allo stretto bisogno della nutrizione dell'organo. 480 Francesco Maccabruni, Bilancioni pubblica nello ,Sperimentale“ del medesimo anno di aver rinvenuto nel polmone di un coniglio, del resto normale, una formazione circoscritta di midollo osseo, separata dal tessuto polmonare da una specie di capsula, evidentemente costituita da una parete vasale modificata. L'A. spiega il reperto come un'embolia di midollo osseo con successiva proliferazione di esso. Più recentemente Carraro (1908) prese in esame i polmoni di alcuni conigli nei quali aveva iniettato dell'adrenalina o dell'estratto ipo- fisario. Egli respinge l'ipotesi che i megacariociti possano nel polmone venire rapidamente distrutti, avendone incontrati di integri; inoltre, anche nei casi in cui il protoplasma è scomparso, il nucleo, sempre secondo Carraro, subirebbe talora modificazioni di forma, ma non presenterebbe mai fenomeni di cariolisi o carioressi per cui lo si debba ritenere in via di rapida distruzione. A questo riguardo Verson in una nota di polemica obietta a Carraro che ,nuclei sforniti di proto- plasma, appartengano a megacariociti oppure ad altri elementi, si tro- vino nel polmone oppure in qualunque organo, null’altro rappresentano che frammenti di cellule morte”. Finalmente Sapegno (1908) avendo preso in esame una serie di animali, nei quali aveva sperimentalmente prodotte iperleucocitosi in- tense, emolisi, intossicazioni generali o lesioni locali del midollo, viene alla conclusione che è possibile un trasporto di nuclei liberi e di veri megacariociti integri nei vasi polmonari, e che mentre nei casi ordi- narii si deve parlare semplicemente di trasporto embolico di nuclei giganteschi, solo nei casi di processi acuti e gravi si può avere l'em- bolia di elementi integri. Esporrò ora brevemente i risultati delle mie ricerche. Allo scopo di controllo alle affermazioni di Aschoff e di Lubarsch praticai in alcuni animali, specialmente in gattini neonati, traumi, fratture e spappolamenti di organi parenchimatosi, iniezioni di paren- chimi nel peritoneo, provocai alterazioni di circolo negli organi in cui normalmente esistono megacariociti, iniettai in essi sostanze irritanti; I megacariociti. 481 presi inoltre in esame polmoni di animali in diverse condizioni morbose o resi sperimentalmente anormali. Potei così notare un ragguardevole aumento numerico di nuclei simili a quelli dei megacariociti nei capillari polmonari di gattini in cui, mediante una lancetta, avevo prodotto un parziale spappolamento della sostanza cerebrale. In un caso anzi riuscii a vedere nel polmone un elemento simile ad un megacariocita con protoplasma ben conservato. Negli altri casi ebbi risultati incerti: nelle stesse iniezioni di emulsioni di organi parenchimatosi nelle vene e nelle alterazioni di circolo, non potei osservare un numero di nuclei giganti decisamente maggiore a quello che può trovarsi anche normalmente nel polmone di gattino. Neanche fratturando ossa lunghe, il cui midollo è ricco di mega- cariociti, potei notare uno spiccato aumento dei nuclei giganti nel pol- mone; così non si verificò un aumento notevole nel numero dei nuclei giganti, nel polmone di conigli uccisi a data diversa dopo una iniezione di una sospensione di carmino nel midollo del femore, malgrado in questo caso entrasse in campo un fattore meccanico. S'io ammetto tuttavia, in linea generale, che il numero degli elementi simili a megacariociti e dei nuclei di essi nel polmone possa aumentare in taluni stati patologici o sperimentali, non posso del pari confermare le conclusioni di Sapegno, per il quale il reperto polmonare di nuclei giganteschi si deve attribuire sempre a progressi stati patologici. Quasi costantemente trovai nuclei simili a quelli dei megacariociti nei polmoni di gattini neonati, e non vi ha alcun motivo per credere che tutti avessero precedentemente sofferta qualche malattia. Il Sapegno non tenne conto del fatto che i megacariociti possono entrare nei vasi venosi del midollo osseo e della milza, e forse anche del fegato e delle ghiandole linfatiche, senza alterazione delle pareti vasali. È non si può a priori negare che di tanti megacariociti che entrano nelle vene dei sopradetti organi, come fatto fisiologico, qualcuno non arrivi al polmone. Reperti più interessanti ebbi in due feti di bue, l’uno lungo sei centimetri e mezzo, cinque centimetri l’altro. Nel polmone del primo, e precisamente in quegli accumuli di cellule connettivali che circondano Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 31 489 Francesco Maccabruni, i bronchioli primitivi, potei vedere due elementi giganti in tutto simili ai megacariociti giovani di altri organi, in stato di perfetta conserva- zione e provvisti di protoplasma (fig. 22); non potei però precisare se essi si trovassero nel lume dei vasi capillari. Nel medesimo polmone si notavano invece alcuni nuclei giganti isolati, certamente endovasali, come erano la maggior parte dei nuclei polmonari giganteschi nel secondo dei feti da me presi in esame. Volendo ora ammettere anche per questi casi un trasporto embo- lico, quale dai varii autori viene volontieri invocato a spiegare la presenza di siffatti elementi nel polmone, è giocoforza credere che non dal midollo osseo, di cui nei miei casi ancora non esisteva traccia, ma da altri organi le cellule ed i nuclei giganti provenissero. A conforto di questa ipotesi starebbe il reperto di megacariociti nei capillari epatici dei medesimi feti; in quello di sei centimetri e mezzo inoltre esistevano megacariociti anche negli abbozzi delle ghian- dole linfatiche. Deporrebbe ancora per una simile interpretazione la presenza di numerosi megariociti e nuclei di essi nei vasi venosi della milza e del fegato, quale può osservarsi nel modo più evidente in gattini neonati (fig. 20). A tentare di risolvere la questione, isolai i vasi splenici di gattini e di ricci — nella cui milza pure abbondano i megacariociti — praticai una prima legatura più lontano dalla milza che mi fosse possi- bile, un’altra presso l’ilo dell'organo, poi asportati i vasi, li fissai e li tagliai in serie: Im nessuno dei casi esaminati mi riuscì di vedere un solo megacariocita nell'interno dei vasi. Nè sono sufficienti a provare come fatto costante che i mega-. cariociti possano giungere alle grandi vene e di qui al cuore ed al polmone, i reperti di Schwarz, di Banti, di Ehrlich, di Schridde, di Sapegno, i quali con maggiore o minore reticenza dicono di avere veduto „un“ elemento somigliante ad un megacariocita nel sangue circolante. Mi permetto di affermare quindi che la questione delle embolie polmonari di megacariociti non ha ancora trovata una soddisfacente risoluzione. La provenienza e la natura di quegli elementi giganti nell’organo della respirazione resta ancora sub judice. I megacariociti. 483 Conclusioni. 1. Non è provato che i megacariociti traggano origine dai linfo- citi. Così pure tutte le altre ipotesi che fanno derivare i mega- cariociti da elementi del sangue, sono prive di basi anatomiche in- discutibili. 2. Il protoplasma dei megacariociti non è omogeneo, ma presenta delle zone che manifestano affinità cromatica diversa. 3. Non vi ha alcuna manifesta relazione fra il diverso comporta- mento dei megacariociti di fronte alle sostanze coloranti e i diversi stati funzionali di queste cellule. 4. Nel protoplasma dei megacariociti può mettersi in evidenza un apparato reticolare interno simile a quello descritto da Golgi nelle cellule nervose. 5. L'apparato reticolare interno che si riscontra nei megacariociti non ha nulla a che fare con l'apparato canalicolare descritto da Retzius e da Holmgren nei medesimi elementi. 6. L'apparato reticolare interno dei megacariociti non contrae rapporto alcuno con l'apparato centrale descritto da Heidenhain nelle medesime cellule giganti. 7. Il nucleo dei megacariociti presenta un aspetto estremamente variabile. Nelle mie osservazioni potei vedere alcune forme particolari di nuclei, non riferibili ad alcun ,tipo* e che non trovano riscontro nelle osservazioni degli autori precedenti. (Vedi fig. 13 e 16.) 8. Nei megacariociti trovasi costantemente un solo nucleo. 9. Mai mi venne dato di osservare megacariociti in via di scis- sione amitotica. 10. Come nella milza, così anche nel fegato i megacariociti in cariocinesi si trovano disposti a preferenza alla periferia dell’organo; nel midollo osseo invece i megacariociti in cariocinesi non mostrano di avere alcune sede di predilezione. 11. Il processo cariocinetico dei megacariociti non giunge mai al- l'anafasi. 12. I nuclei di megacariociti privi di protoplasma che si possono 31* 484 Francesco Maccabruni, I megacariociti. riscontrare in varii organi, presentano tutti segni più o meno spiccati di involuzione. 13. Delle varie funzioni attribuite ai megacariociti io posso con- fermare senza riserve solamente la mobilità e la fagocitosi. 14. Nel polmone possono osservarsi, benchè raramente, elementi simili ai megacariociti, con protoplasma ben conservato. 15. Elementi simili a megacariociti e nuclei di essi, possono osser- varsi anche in polmoni di animali perfettamente normali. 16. Elementi simili a megacariociti si trovano anche in polmoni fetali ad un’epoca dello sviluppo in cui non vi ha ancora traccia alcuna di midollo osseo. 17. Veri megacariociti e nuclei liberi di essi si riscontrano frequente- mente, in certi animali, nelle piccole vene di taluni organi; per contro non mì venne mai dato riscontrare megacariociti nel sangue circolante all'infuori degli organi stessi. Bibliografia. 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Dal midollo osseo di un coniglio ucciso 4 giorni dopo un’iniezione di carmino nel femore. Fis. in Zenker. Oc. comp. 6; ob. 2 mm. Zeiss. Megacariocita colorato con l’ematossilina ferrica. Dal midollo osseo del medesimo coniglio. Fis. in Zenker. Oc. comp. 6; ob. !/,, Koristka. Megacariocita colorato con l'emallume. Dal midollo osseo del medesimo coniglio. Fis. in Zenker. Oc. comp. 6; ob. !/,j Koristka. 15. Megacariociti colorati con il metodo di Giemsa modificato dallo Schridde. Dal midollo osseo del medesimo coniglio. Fis. in Zenker. Oc. comp. 6; ob. 1/1; Koristka. Megacariocita. Dal midollo osseo di coniglio. Fis. in Zenker, Ema- tossilina, Eosina. Oc. comp. 6; ob. 2 mm. Zeiss. Megacariocita in cariocinesi e fagocitosi. Dal midollo osseo di coniglio. Fis. in Zenker, Ematossilina, Eosina. Oc. comp. 6; ob. !/,; Koristka. Megacariocita in atto di attraversare le pareti di un vaso venoso. Dalla milza di un gattino di pochi giorni. Fis. in Zenker, Giemsa -Schridde. Oc. comp. 4: ob. 2 mm. Zeiss. Megacariociti in rapporto con vasi sanguigni. Dalla milza di un gattino neonato. Fis. in Flemming, Ematossilina ferrica. Oc. comp. 6; ob. !/,5 Koristka. Megacariciti e nuclei di megacariociti nei vasi della milza di un gattino neonato. Fis. in Zenker, Ematossilina ferrica. Oc. comp. 4; ob. 1/5 Koristka. Megacariocita in movimento e in fagocitosi. Dal midollo osseo di un coniglio ucciso 4 giorni dopo una iniezione di carmino nel femore. Fis. in Zenker, Emallume, Eosina. Oc. comp. 6; ob. '/,, Koristka. Cellula gigante identica ad un megacariocita giovane, nel polmone di un feto di bue lungo 61/, cm. Fis. in sublimato acetico. Emallume, Orange. Oc. comp. 4; ob. 2 mm. Zeiss. (Laboratoire d'Histologie, d'Embryologie et de Stomatologie. Genève.) Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez Phomme dans la période intra-utérine par Alex. Vinogradoff, Bach. es. Sc. phys. et nat. (Avec Planches XV et XVI.) Me Les auteurs qui ont étudié le développement de l’articulation temporo-maxillaire dans son ensemble sont en somme peu nombreux. Nous n'avons trouvé dans la littérature que les travaux de Kjellberg, de Fuchs, de Driiner, et de G. Vital. Par contre, une des parties constituantes de cette articulation, la mandibule, est mieux travaillée: ses relations avec le cartilage de Meckel, son mode d’ossification, le développement de sa partie symphy- sienne, le développement du système dentaire ont donné lieu à un nombre relativement considérable de travaux. En consultant cette littérature spéciale, on trouve que presque tous les chercheurs sont d'accord sur la question de l'origine de la première ébauche du maxillae inférieur. Tous s'accordent à dire que la mâchoire inférieure ne provient pas directement du premier are branchial, mais qu'il se fait un développement osseux et cartilagineux, qui prend son origine à côté de l'are viscéral et qui enveloppe ce dernier comme une gouttière. C’est là l'opinion classique. Quelques auteurs cependant soutiennent une opinion différente; pour eux, la máchoire inférieure est en relation génétique avec le premier arc viscéral, tout au moins dans la partie qui confine à la région temporo- maxillaire. Développement de l'articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 49] Fuchs, chez le foetus de lapin, décrit deux chondroblastémes aux dépens desquels se forment l'articulation temporo-maxillaire. Ces chondroblastèmes, qu'il désigne sous la dénomination de chondro- blastèmes A et Q, proviennent du premier arc viscéral; ils existeraient fort longtemps avant que les traces d'un ostéoblastème soient démon- trables dans ce même arc. Le chondroblastème A est au commence- ment de grandeur peu considérable; il s'étend rapidement dans le sens cranio-caudal et constitue une formation allongée dont l'extrémité craniale serait l'ébauche principale de la branche montante de la man- dibule des Mammifères et ne se retrouverait pas dans les autres classes des Vertébrés. A ce niveau de l'arc viscéral, apparaît, du côté latéral et à une certaine distance, un ostéoblastème qui serait le fondement de la mandibule osseuse; très précocement, cet ostéoblastème se confond avec le chondroblastème A et les deux blastèmes de- viendraient difficilement distinguables. En même temps, les deux chondroblastèmes A et Q se sont séparés de l'arc viscéral. L’ossifica- tion de l’ostéoblastème commence très tôt, avant méme que la chondri- fication du chondroblastéme soit bien affirmée. Plus tard, une fusée de tissu osseux divise le chondroblasteme A en deux parties: l'une cé- phalique, qui devient le noyau cartilagineux du condyle du maxillaire inférieur, l'autre caudale, qui se transforme en noyau cartilagineux de l'angle de la machoire. Nous étudierons le chondroblastéme Q à propos du temporal. Driiner, chez le foetus de souris (14 jours), décrit aussi un blasteme cartilagineux, le chondroblastéme quadratomandibulare, qui se forme en continuité directe avec le cartilage de Meckel. La partie caudo-ventrale de ce blastéme dessine la téte articulaire de la mandi- bule; elle vient s'appuyer sur l'ébauche osseuse du maxillaire inférieur. La partie cranio-dorsale de ce méme chondroblastéme donnera le revéte- ment cartilagineux du temporal; nous reviendrons sur ceci plus loin. Ainsi, pour ces deux auteurs, le condyle du maxillaire inférieur se forme aux dépens du premier arc viscéral Les autres auteurs, parmi lesquels nous citerons Aje/lberg, Stieda, Magitot et Robin, n'ont pas observé ce chondroblastéme. Presque tous signalent des noyaux cartilagineux: dans le condyle du maxillaire, dans l'angle de la mà- 492 Alex. Vinogradoff, choire et dans l’apophyse coronoide. Il y a entre eux, une divergence de vue sur le nombre de ces cartilages, ainsi que sur leur structure mais tous sont d'accord sur le fait que ces noyaux. se forment in- dépendamment du premier arc branchial. Un point semble être acquis: c'est l'existence d'un noyau carti- lagineux dans le condyle maxillaire des Mammiféres. Chez le foetus humain la présence de ce noyau cartilagineux est signalée par Kölliker, Magitot et Robin, Kjellberg, Steudner, Fawcett et A. Low. C'est ce dernier qui à observé ce noyau cartilagineux dans le stade le plus jeune, chez le foetus de 43 mm. de longueur. Les belles reconstruc- tions plastiques de cet auteur montrent que la lamelle de l'os dermique, qui constitue l'ébauche du maxillaire inférieur, s'accroit de plus en plus dans sa partie dorsale; un noyau cartilagineux apparait sur la partie de l'os qui est en voie de croissance active, et constitue, chez le foetus de 43 mm. de long, l'ébauche de l’apophyse articulaire; il est de dimensions trés restreintes, en forme de lentille biconvexe, à peine saillante sur la branche montante de la mandibule. Dès ce moment le condyle du maxillaire dépasse le bord cranial du cartilage de Meckel, tandis que dans un stade antérieur le bord céphalique de la lamelle osseuse de la mandibule atteignait à peine cette hauteur. L'ébauche osseuse de l’apophyse coronoide est beaucoup plus élevée, chez ce méme foetus (43 mm.). Chez le foetus de 55 mm. de long, d'aprés la description de Kjellberg, le tissu du condyle est constitué par des cellules rondes, voisines l'une de l'autre, et qui, trés condensées sur les parties péri- phériques, le font bien ressortir dans le tissu environnant; dans sa partie centrale se note un petit noyau cartilagineux, immédiatement au-dessous duquel se trouve une feuille osseuse d'origine connective. L’accroissement de ce cartilage est trés rapide. Dans la recon- struction plastique du foetus de 95 mm. de longueur, faite par A. Low, il forme la presque totalité du condyle maxillaire, et se prolonge dans la branche montante, en se recourbant du cóté ventral, pour se ter- miner à la limite du corps de la mandibule. Le mode d'ossification de ce cartilage n'est pas complétement élucidé. Strelzoff prétend qu'à cet endroit le cartilage se transforme Développement de l'articulation temporo-maxillaire chez l'homme ete. 493 directement en os et que l’ossification est métaplasique. Gegenbaur admet cette possibilité en disant que l'ossification métaplasique dans le maxillaire inférieur ne doit pas étre complétement exclue, parce quil y a d'autres parties, outre la mandibule, dans lesquelles le tissu cartilagineux se change directement en tissu osseux, par la transforma- tion directe de la substance intercellulaire et des cellules. D'aprés Brock, entre l'os périostal et le cartilage se trouve une zone de passage qui présente toute la gradation de la formation du cartilage en os: la substance fondamentale se calcifie et se confond avec la substance intercellulaire osseuse; les cellules deviennent plus espacées; elles prennent peu à peu la forme.étoilée et se transforment ainsi en véritables cellules osseuses. Cette métamorphose directe du cartilage en os, par ossification métaplasique, s'observera surtout dans les parties périphériques du cartilage, là où l'os périostal est apposé directement sur la surface cartilagineuse. Dans la partie centrale du condyle, lossification est enchondrale, mais différente de celle qui se produit dans les os longs: elle en diffère par l’irrégularité des cavités médullaires, qui pénétrent dans le cartilage et par le manque de car- tilage sérié. Masquelim soutient aussi une opinion semblable. Pour lui là sub- stance fondamentale calcifiée du cartilage passe insensiblement en sub- stance fondamentale osseuse; et les cellules cartilagineuses fonction- nent, alors, comme des ostéoblastes, qui forment à la face intérieure de leur cavité de la substance osseuse. D'autres auteurs ne reconnaissent ici que l’ossification enchondrale. Stieda pense que ces noyaux cartilagineux n'ont qu'une signification provisoire et s'atrophient quand l'os commence à se former à leur surface. Il dit que le passage direct du tissu cartilagineux en tissu osseux, une transformation des cellules cartilagineuses en corpuscules osseux, n'existe pas plus dans le mandibule que dans les autres parties du squelette, dans les conditions normales. Cette opinion est partagée par Steudner. Schaffer reconnait bien que l'ossification enchondrale est modifiée dans le condyle du maxillaire, mais n'admet pas la métaplasie. Ce point demande donc encore des recherches plus décisives. 494 Alex. Vinogradoff, Le développement des autres parties articulaires: du temporal, du ménisque et des fentes articulaires, — est moins étudié que celui du maxillaire inférieur. L'opinion classique, partagée par la grande majorité des auteurs, est que l'écaille du temporal et l'os zygomatique sont des os d'origine membraneuse. Pourtant quelques auteurs, Fuchs et Drüner, décrivent une relation génétique entre l’ébauche des parties articulaires du tem- poral et le. premier arc viscéral. Pour Fuchs, ces parties articulaires se développent dans le chon- droblasteme Q, qui précède l’ostéoblastème du squamosum, avec lequel il se fusionne plus tard. Le chondroblastéme Q régresse dans sa partie moyenne et se coupe en deux centres, qui forment: l'un le revêtement cartilagineux du temporal, l’autre le tissu fibreux du ménisque. Drüner donne une description semblable: la surface articulaire du temporal et le ménisque proviennent de la partie dorso-craniale du chondroblastéme quadratomandibulaire. Kjellberg, par contre, se range à l'idée classique. D’après lui chez le foetus de lapin de 27 mm. de long, l'os squameux est représenté par une simple condensation de tissu; chez le foetus de 45 mm. de long, il commence à s'ossifier; à ce méme stade le ménisque est formé par un tassement du tissu connectif, en rapport du cóté dorsal avec lébauche du marteau. Plus tard (foetus de 49 mm.), l'ossification du squameux continue et sa surface articulaire se recouvre de périoste. Le ménisque se prolonge du cóté ventral avec le muscle ptérygoidien externe Les fentes articulaires apparaissent entre le ménisque et le squameux d'une part, et entre le ménisque et le condyle du maxillaire inférieur d'autre part. Stieda, chez le foetus de chat de 8 cm. de long, a trouvé l'arti- culation temporo-maxillaire déjà formée. La surface articulaire tempo- rale et le ménisque sont purement connectifs. Chez l'homme, le développement de ces parties ar tionlaine: a été décrit par Kyellberg. Chez le foetus humain de 55 mm. de long, l’au- teur trouve le temporal déja ossifié et présentant une surface plane du côté articulaire; le ménisque est formé par une condensation des Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l’homme etc. 495 éléments connectifs; il est mal délimité à la périphérie et se continue avec le muscle ptérygoidien externe. Cette relation du ménisque avec ce muscle est clairement visible chez le foetus de 76 mm. de long: A ce stade, les fissures articulaires sont déja formées, les fibres du ménisque se perdent, du côté dorsal et du côté ventral, dans les périostes du temporal et de la mandibule et forment l’ébauche de la capsule articulaire; un faisceau du ménisque se prolonge jusqu'à la tête du marteau. Chez le foetus de 180 mm. de long, la capsule arti- culaire est complète. A ce stade les faisceaux connectifs du ménisque se continuent aussi dans les parties latérales avec ceux du périoste du temporal et du condyle maxillaire. Cet auteur indique enfin l’exis- tence d’un cartilage secondaire sous le périoste temporal. Nous n’avons résumé que les données qui intéressent directement les faits que nous avons pu constater chez l'homme. Pour la littéra- ture complète de l'anatomie comparée de l'articulation temporo-maxil- laire, nous renvoyons à l'excellent travail de G. Vital, qui résume la question d’une façon parfaite. IT. Nous nous sommes limités dans ce travail à l'étude du développe- ment de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme dans la période intra-utérine, toutefois sous le contróle répété de l'anatomie comparée des Mammiféres. Nous avons suivi cette genése articulaire chez le foetus humain, dans une série graduelle allant d'un foetus de 5 cm. de long. tot. et de 3,5 cm. de long. téte-siége, jusqu'au nouveau-né. Nous résumons brièvement la technique employée. Les foetus humains, provenant de la collection du Laboratoire d'histologie, d'em- bryologie et de stomatologie de l'Université de Genéve, avaient été fixés à la formaline, sauf les deux plus petits, qui avaient été con- servés dans l'aleool. Les pièces d'anatomie comparée ont été fixées les unes à la formaline, les autres au bichromate acétique, quelques- unes dans un mélange à parties éeales de ces deux liquides fixateurs. Nous avons décalcifié, dans chaque cas, une préparation dans la liqueur chlorhydro-alcoolique de v. Ebner, et une autre dans le liquide nitro- 496 Alex. Vinogradoff, alcoolique de Haug. Faisons la remarque que les objets tendent à se macérer dans le liquide de Haug, surtout après la fixation au bi- chromate. Après décalcification, les piéces ont été lavées dans l'alcool à 70°/, et enrobées dans la celloidine par la méthode habituelle. Pour avoir, dans chaque cas, une image complète de l’articulation, une des préparations a été coupée en série dans le plan sagittal, l'autre en série dans le plan frontal. Comme coloration nous avons employé alternativement: 1. L'hématoxyline de Hansen et l’éosine alcoolique. 2. L’hématoxyline ferrique de Weigert et la picro-fuchsine. Les préparations ont été conservées au baume de Canada. l. Foetus humain: Long. tot. 5 cm.; long. tête-siège 3,5 cm. C’est le plus jeune foetus de la série que nous avons eue à notre disposition. A ce stade, l’articulation temporo-maxillaire n’est pas en- core ébauchée. L'are mandibulaire est constitué surtout par le cartilage de Meckel, qui se prolonge dans le sens dorsal, jusqu'aux osselets de l'ouie. Il est doublé sur sa face latérale par une mince lamelle osseuse, premiere ébauche du maxillaire inférieur. Cette lamelle dessine une gouttiére, dans laquelle repose le cartilage de Meckel; elle s'amincit au niveau de la branche montante du maxillaire et se termine avant d’atteindre la région ou se développera, plus tard, l’articulation temporo-maxil- laire; le condyle n’existe pas encore; l’apophyse coronoide est ébauchée. Le temporal est représenté par la masse cartilagineuse du rocher et par quelques aiguilles osseuses de l'écaille. L’apophyse zygomatique est dessinée, par une fine trabécule osseuse, qui s'aplatit et s'élargit légèrement à son extrémité temporale. La région de la cavité glé- noide, ainsi que la racine transverse du zygoma, ne sont pas indiquées au sein du tissu myxomateux général. On ne retrouve aucune trace du ménisque, ni des fentes articulaires; ceci n'a pas lieu de nous étonner, attendu que les parties squelettiques qui constitueront l’arti- culation temporo-maxillaire sont encore trop distantes. Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 497 2. Foetus humain: Long. tot. 9,5 cm.; long. tête-siège 5,5 cm. (Planche XV, fig. 1 et 2.) A ce stade l'articulation elle-méme n'existe pas encore, avec ses caracteres et ses rapports définitifs; par contre toutes ses parties cons- tituantes squelettiques sont déjà ébauchées. Du côté cranial, l’apophyse zygomatique est entiérement formée (par ossification membraneuse): à son extrémité faciale, elle s'articule avec los malaire; à son extrémité temporale, elle se recourbe vers la ligne médiane, en s'élargissant et en s'épaississant un peu, pour former la racine transverse du zygoma. Sur son bord cranial, cette racine se suréléve en une lamelle osseuse qui va s'appuyer sur le corps du marteau et s'articuler avec les premiéres trabécules du temporal. Cette portion du zygoma ne montre pas encore de modelage intéressant la fonction articulaire (fig. 2, zyg.). Du côté mandibulaire, la région condylienne nous présente des modifications plus importantes. A ce niveau, un noyau cartilagineux est apparu, sous forme d'un ovoide allongé et aplati, tel qu'on peut le voir sur la reconstruction graphique linéaire de la figure 1 (e. cond.). Son extrémité craniale dessine le futur condyle; son extrémité mandi- bulaire plus allongée est enclavée dans une gouttiére creusée sur la face latérale de la branche montante du maxillaire; ce cartilage est recouvert par l’os dermique sur les ?/, de sa circonférence. Les autres parties du cartilage, ainsi que son extrémité condylienne, sont revétues d'un périchondre, qui est en continuité directe avec le périoste mandi- bulaire (fig. 2). Les rapports entre le cartilage condylien et la racine transverse de l'apophyse zygomatique ne sont pas encore à caractére articulaire. Le ménisque et les fentes articulaires ne sont pas affirmés; tout au plus voit-on une condensation légére du tissu de la région, indiquant un point de prolifération et de modelage trés actif. . Les rapports anatomiques des deux piéces articulaires ne sont donc pas ceux de l'adulte. Le cartilage condylien est situé plus en avant et en bas que plus tard; le condyle devra, au cours de son Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 32 498 Alex. Vinogradoff, développement, progresser dans le sens cranio-caudal pour rencontrer la surface articulaire temporale. Signalons un second foyer cartilagineux au sommet de l’apophyse coromoide; ce nodule est entièrement indépendant du nodule condylien comme le démontre notre reconstruction graphique linéaire (fig. 1, c. cor.). La structure histologique de ces deux cartilages est la méme. Il s'agit de cartilage hyalin à cellules nombreuses, ayant tous les caractères d'un cartilage en prolifération. La substance fondamentale est trés nettement calcifiée dans les zones immédiatement voisines de Vos dermique qui l'enveloppe; la limite entre les deux tissus est im- possible à préciser. Il y a là une transition graduelle: les cellules cartilagineuses deviennent plus petites et plus irrégulieres; les capsules s'effacent; la substance fondamentale augmente et se calcifie plus com- plétement, pour se confondre avec la substance fondamentale osseuse, sans ligne de démarcation. Il ne semble pas que ces foyers cartilagineux se soient développés indépendamment pour se souder ensuite à l'os; il s'agit plutót de foyers de chondrification secondaires, qui se sont différentiés dans l'enveloppe périostique du maxillaire. Ces deux noyaux cartilagineux n'ont aucune relation visible avec le cartilage de Meckel, qui présente, ici, sa situation et sa structure classiques. 3. Foetus humain: Long. tot. 9,5 cm.; long. téte-siége 6,5 cm. (Planche XV, fig. 3.) C'est le stade de l'apparition de l’articulation temporo-maxillaire, comme telle. Bien entendu, celle-ci n’a pas encore son aspect définitif, mais ses parties constituantes sont néanmoins déjà toutes dessinées: la surface articulaire cranienne, le condyle maxillaire, le ménisque et les fentes articulaires. La partie cranienne de l'articulation est représentée par la racine transverse de lapophyse zygomatique (fig. 3, v. zyg.). L'os qui la constitue est encore jeune, non modelé, à cellules grandes et nom- breuses, à substance fondamentale peu abondante. Le périoste, qui Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l’homme etc. 499 le recouvre, est épais et très riche aussi en cellules (ostéoblastes). I y a là un point de production osseuse très intense, surtout sur le rebord antérieur de la lamelle constituant la racine transverse de zy- goma. A son angle médio-ventral, en voie d’accroissement actif, la prolifération est encore plus marquée; le tissu néoformé rappelle les caractères du ,,tissu de transition“ que nous avons décrit à la limite de Vos et du cartilage au niveau du cartilage condylien. S'agit-il là de la première ébauche d’un foyer de chondrification secondaire? Nous posons la question sans vouloir la résoudre. Le condyle du maxillaire est bien dessiné (fig. 3, c. cond.); la lamelle osseuse périostale qui l'enveloppe s'est accrue, surtout sur le bord dorsal de la branche montante du maxillaire, et s'approche trés prés de la surface articulaire. Le cartilage qui le constitue présente les mémes caractéres que dans le foetus précédent, soit: une proliféra- tion périchondrale trés intense et une calcification marquée des régions voisines de l'os. Nous retrouvons ici le méme ,tissu de transition“ que précédemment. Les rapports entre la racine transverse de l'apophyse zygomatique et le condyle maxillaire sont déjà plus immédiats. A ce stade la tête articulaire de la mandibule s'appuye surtout sur le rebord antérieur de la lamelle osseuse, qui constitue la racine du zygoma (fig. 3). Entre le périchondre du condyle maxillaire et le périoste du zygoma, le tissu s'est condensé en un ménisque (fig. 3, men... Sa structure est celle d'un tissu conjonctif en voie de prolifération, riche en cellules, qui sont noyées dans un peu de substance collagène très peu fibrillaire. Ce ménisque ne présente pas encore de limites préci- ses; il se continue sur toute sa périphérie insensiblement et d’une facon diffuse avec le tissu conjonctif ambiant un peu dense. Du coté médio-ventral, quelques fibres du muscle ptérygoidien externe viennent se perdre dans cette condensation de tissu. Les fentes articulaires commencent à se dessiner. Le tissu con- jonctif se tasse à ce niveau; en même temps, il présente une ligne de raréfaction, où se dessine une série de petites fissures (fentes lympha- tiques?). C'est là l'ébauche de la fente articulaire. La fente articu- laire supérieure est plus développée du cóté médian; la fente ménisco- 32 * 500 Alex. Vinogradoff, condylienne est plus large, surtout du côté latéro-ventral; en ce point, on a véritablement une fente articulaire, déjà différentiée. Le noyau cartilagineux de /apophyse coronoide est largement développé; sa substance fondamentale est presque totalement calcifiée. Il se continue avec le tissu osseux du maxillaire par une bande fort large du ,tissu de transition“, déjà décrit précédemment. A son sommet, on ne retrouve plus de zóne de prolifération nettement carti- lagineuse. Le cartilage de Meckel ne présente pas de modifications de sa structure. Il vient s'encastrer d'abord dans la gouttiére du maxillaire qui lui est destinée; puis, de là, il s'écarte dans le sens médio-dorsal pour s'approcher de la base du cràne et atteindre les osselets de l'ouie. 4. Foetus humain: Long. tot. 12 cm.; long. téte-sióge 8 cm. (Planche XV, fig. 4.) Chez ce foetus, les diverses piéces articulaires sont complétement dessinées. La racine transverse de lapophyse zygomatique est bien déve- loppée (fig. 4, 7. zyg.); elle est constituée par quelques trabécules osseuses, revétues d'une couche réguliére d'ostéoblastes. Le périoste, épaissi, est stratifié: en une couche profonde trés délicate, constituée par de la moelle osseuse embryonnaire; et en une couche superficielle plus dense et plus riche en cellules fusiformes, disposées parallélement à la surface. Le rebord de la lamelle osseuse de la racine transverse présente une zone de prolifération trés active, qui est surtout trés nette des cótés médian et ventral: à ce niveau l'osséine se dépose en couche épaisse, mais n'est pas encore calcifiée. Nous ne retrouvons pas- d’image rappelant le „tissu de transition“ entre les tissus osseux et cartilagineux, que nous avons observé auparavant. Le cartilage condylien (fig. 4, c. cond.) dessine une longue ba- guette, qui pénètre profondément dans la branche montante du maxil- laire; elle est revétue d'une mince lamelle d'os périostal. Son extré- mité articulaire est arrondie; elle est recouverte d'une couche péri- chondrale dense et trés riche en cellules (chondroblastes). Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 501 Comme structure histologique, le cartilage condylien apparait comme un cartilage hyalin, avec une zone de prolifération trés marquée au niveau de sa surface articulaire. Sa portion enclavée dans l'os est fortement calcifiée; elle présente quelques signes d'un début d'ossifica- tion, accusés par la pénétration de quelques tractus de moelle osseuse: A la périphérie, le cartilage se continue avec le tissu osseux périostal par une zone de transition trés mince. Les rapports articulaires ne sont pas encore les rapports défini- tifs. Le condyle du maxillaire est encore un peu plus en avant que chez l'adulte (fig. 4). La surface articulaire cranienne est déjà modelée; elle dessine dans le plan frontal une concavité réguliére et dans le plan para- médian une sorte de S italique, couché, trés allongé, dont la partie convexe est postérieure. La surface articulaire occupe toute la région concave et une fraction notable de la courbure convexe. Le ménisque (fig. 4. mén.) est constitué par du tissu conjonctif, trés riche en cellules fusiformes, mais encore pauvre en fibres colla- genes. Ses limites périphériques sont encore indécises; son tissu se continue avec le tissu ambiant. Sur son bord médio-ventral, le ménis- que recoit quelques fibres du muscle ptérygoidien externe. Les fentes articulaires (fig. 4, f. cond., f. zyg.) sont bien des- sinées; elles sont délimitées par des condensations: du tissu conjonc- tit du périchondre condylien, du ménisque et du périoste zygomatique. Elles sont encore traversées par de nombreuses travées conjonctives qui réunissent les surfaces articulaires. La fente zygomatique s'étend sur toute la largeur de la surface articulaire, du bord ventral au !/, dor- sal de la racine zygomatique. La fente condylienne est un peu moins large, mais s'étend assez loin sur le versant ventral du condyle. Immédiatement en arrière de l'articulation temporo-maxillaire, se trouve la tête du marteau. La scissure de Glaser est encore large- ment ouverte. Le cartilage de Meckel occupe sa place habituelle, du cóté médian du condyle. L'apophyse coronoide présente une ossification fibreuse marquée sans trace de cartilage ou méme de ,tissu de transition“. 502 Alex. Vinogradoff, 5. Foetus humain: Long. tot. 16 cm.; long. téte-siége 10 cm. Les parties articulaires sont ici plus évoluées que dans le cas précédent, sans présenter de faits nouveaux importants. La racine transverse de l'apophyse zygomatique est constituée par un tissu osseux trabéculaire; elle est recouverte d'un périoste riche en cellules. Elle présente une zone de néoformation trés active, sur- tout sur son bord médio-ventral; à ce niveau, il y a une large bande de tissu osseux jeune (tissu ostéoide) présentant un aspect qui rap- pelle un peu le ,tissu de transition“ déjà signalé entre l'os et le car- tilage. Dans la région moyenne de la surface articulaire, la lamelle osseuse du zygoma présente un épaississement de tissu osseux jeune, mal calcifié (tissu ostéoide). Le cartilage du condyle commence à s'ossifier dans sa partie pro- fondément enclavée dans le maxillaire. Il y a là l'image habituelle de l’ossification enchondrale, sans toutefois qu'il se dessine une ligne d'ossification; on constate plutót une sorte de pénétration irréguliere de la moelle et du tissu osseux dans le cartilage. A la périphérie, on retrouve un peu de ,tissu de transition“, aux points de contact du cartilage et de l'os dermien. Le méme genre de tissu se retrouve cà et là dans les trabécules profondes. Au niveau de la téte articulaire, le cartilage est revétu de son périchondre et présente une proliféra- tion intense. Le ménisque est encore constitué par du tissu conjonctif jeune, dense, riche en cellules fusiformes; les fibres collagènes y sont bien nettes, mais assez rares. A la périphérie les limites du ménisque sont encore peu marquées. Le muscle ptérygoidien externe lui envoie quel- ques fibres musculaires. Les fentes articulaires sont complètement dessinées. Elles sont encore traversées par de trés fines trabécules conjonctives, peu nom- breuses entre les surfaces, plus abondantes dans les culs-de-sac arti- culaires. | Les rapports des piéces articulaires sont les mémes que dans le foetus précédent; cependant, du côté cranial, les courbures en S italique dans le plan para-median sont presque effacées. Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 503 L’apophyse coronoide présente un foyer d'ossification membraneuse trés actif. 6. Foetus humain: Long. tot. 21,5 cm.; long. tête-siège 14 cm. (Planche XV, fig. 5.) A ce stade un nouveau trait de développement de cette articula- tion s'affirme, caractérisé par l'apparition d'un foyer cartilagineux zygomatique. Le tissu osseux du zygoma (fig. 5, r. zyg.) est encore à l'état trabéculaire. La surface articulaire définitive commence à se dessiner. Sur le bord ventral de la racine transverse, on voit un foyer de néo- formation osseuse trés intense: l'os se colore vivement, il est trés riche en cellules, il a tous les caractéres d'un os jeune (tissu ostéoide); cette prolifération osseuse constitue une saillie arrondie, qui est la premiere ébauche du tuberculum articulare; du cóté dorsal, par contre, la sur- face est un peu creusée et présente le commencement d'une cavité glénoide, dans laquelle s'appuye le condyle du maxillaire, dont la posi- tion est devenue plus dorsale que dans les foetus plus jeunes. Le bord cranial de la racine transverse s’appuye maintenant sur le rocher, encore partiellement cartilagineux. La scissure de Glaser est ouverte et livre passage au cartilage de Meckel. Sur le bord médian de la surface articulaire zygomatique, il existe une zone de tissu cartilagineux, se continuant avec le tissu osseux par une large bande de ,tissu de transition“; il s’agit la, semble-t-il, d'un foyer de chondrification secondaire au sein du périoste, analogue aux noyaux cartilagineux du condyle et de l'apophyse coro- noïde du maxillaire inférieur. Dans la moelle osseuse du zygoma, on trouve déjà passablement d'infiltration par le tissu hématopoïétique. Le cartilage. condylien (fig. 5, c. cond.), revêtu de son périchondre, présente encore les signes d’une prolifération superficielle très intense; la tête du cartilage persiste seule intacte; elle s'est élargie du côté - médian et constitue un véritable condyle. Dans les parties profondes, le travail d'ossification est trés avancé: îlots cartilagineux et trabé- cules osseuses sont entremélés irrégulièrement. La résorbtion du carti- 504 Alex. Vinogradoff, lage est plus active que la néoformation osseuse; il en est résulté une grande cavité médullaire centrale trés richement vascularisée et déja quelque peu infiltrée de tissu hématopoïétique. Les rapports articulaires des parties squelettiques ressemblent déjà aux rapports définitifs. La tête articulaire du maxillaire in- férieure s'articule avec l'ébauche de la cavité glénoïde. Le ménisque (fig. 5, mén.) a continué son développement. Il est constitué par un tissu conjonctif très riche en cellules fusiformes, entre lesquelles on aperçoit de nombreuses fibres collagènes encore très fines. Tout autour du condyle maxillaire, il y à un gros paquet vasculaire qui envoie de nombreux vaisseaux jusque dans les parties centrales du ménisque. Les limites périphériques du ménisque sont encore indécises; le tissu dense de ce dernier se continue graduellement avec le tissu conjonctif ambiant; quelques fibres du muscle ptérygoïdien externe se jettent dans son tissu. Les fentes articulaires (fig. 5, f. zyg., f. cond.) sont bien des- sinées. Elles se sont prolongées en tous sens et s'étendent du côté zygomatique sur toute la surface zygomatique, et du côté condylien sur presque toute la surface cartilagineuse; la fente ménisco-condy- lienne est un peu moins étendue que la fente ménisco-zygomatique. Toutes deux sont traversées par de fines trabécules conjonctives, unissant lachement le ménisque au périoste zygomatique et au péri- chondre condylien. L’apophyse coronoide (fig. 5, c. cor.) présente de nouveau un foyer de chondrification. Ce noyau cartilagineux, appliqué sur la face laté- rale de l'apophyse, a la forme d'une petite plaque ovalaire à grand axe parallèle au bord ventral du processus coronoide. Superficielle- ment, ce noyau cartilagineux est revétu du périoste mandibulaire devenu périchondre, et profondément, il se continue avec le tissu osseux par une mince zone de ,,tissu de transition“. 7. Foetus humain: Long. tot. 26 cm.; long téte-siége 18 cm. Les processus que nous avons décrit dans les stades précédents se sont accentués chez ce foetus. Du côté temporal, la prolifération osseuse est surtout marquée Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l’homme ete. 505 sur la moitié ventrale de la surface zygomatique. La saillie du tuber- culum articulare s'est épaissie et la cavité glénoide s'est élargie dans tous les sens. La surface articulaire est devenue concave dans tous les plans. Dans la partie médio-craniale de la cavité glénoide, on trouve une lamelle de tissu à substance fondamentale peu abondante, à cellules erandes et claires, qui semblent parfois étre encapsulées; il s'agit là d'un foyer de ce ,tissu de transition“ décrit précédemment. Dans les cavités médullaires du zygoma l’infiltration hématopoiétique est peu marquée. L’ossifieation du condyle mazillaire s'est continuée. Le cartilage est réduit à une calotte amincie, revétue de périchondre, qui coiffe le condyle du maxillaire osseux. Le processus d'ossification s'est régu- larisé; il y a une ligne d'ossification dont les diverses couches sont trés minces; le cartilage sérié fait presque complétement défaut. Les cavités médullaires du condyle maxillaire présentent une infiltration hématopoiétique abondante. Une particularité nouvelle se dessine chez ce foetus. Le péri- chondre condylien envoie des trainées conjonctives, peu vasculaires, qui pénétrent dans le cartilage et le traversent jusqu'à la ligne d'ossi- fication. Ce sont de véritables crampons fixant le périchondre sur la téte articulaire du condyle maxillaire, dont la forme est encore régu- liérement arrondie. Les rapports articulaires sont les mémes que dans le foetus précédent. | La scissure de Glaser est encore légèrement ouverte, entre l’os tympanique et le temporal; elle est comblée par le tissu conjonctif général. Le cartilage de Meckel occupe sa position habituelle. Il présente déjà les premiers signes d’un processus de régression; sa substance fondamentale se colore plus fortement, mais d'une facon diffuse; ses cellules sont mal colorées et un peu flétries. Le ménisque est devenu beaucoup plus fibreux. Les cellules y sont encore trés nombreuses. Les fentes articulaires sont étendues. Le périchondre condylien et le périoste temporal, qui les limitent, sont condensés à leur surface et présentent déjà de nombreuses fibres collagènes. Des faisceaux de 506 Alex. Vinogradoff, ces fibres traversent les fentes articulaires pour se perdre dans le ménisque. 8. Foetus humain: Long. tot. 35 cm.; long. tête-siège 23 cm. (Planche XVI, fig. 6.) L'aspect général de l'articulation temporo-maxillaire est le méme que chez le foetus précédent. La surface zygomatique (fig. 6, r. zyg.) a continué son modelage. La cavité glenoide s'est aggrandie, sans toutefois augmenter sa con- cavité. Dans sa partie médio-ventrale, on retrouve une petite bande- lette de ce ,tissu de transition“, que nous avons signalé à plusieurs reprises entre l'os et le cartilage (fig. 6, e. zyg.). Le tuberculum arti- culare présente une prolifération encore intense, surtout marquée sur son rebord ventral. Le tissu osseux du zygoma est à l’état trabéculaire avec des in- clusions de tissu osseux jeune (tissu ostéoïde) au milieu du tissu osseux plus deñse de la surface des trabécules. Les cavités médullaires sont larges; le tissu hématopoïétique n’y est pas très abondant. La surface temporale est tout entière recouverte d’un périoste fortement fibreux. Le cartilage condylien (fig. 6, c. cond.) continue son ossification; ce processus s'est régularisé en une ligne d’ossification trés peu large; le cartilage sérié est à peine dessiné. On retrouve partout, surtout à la périphérie, des travées cartilagineuses pénétrant profondément dans le tissu osseux. Dans quelques travées cartilagineuses non résorbées, qui viennent s'appuyer sur le tissu osseux, on rencontre encore quelque peu de ,,tissu de transition“, mais beaucoup moins que précédemment. Dans d'autres travées, il y a une limite absolument nette entre les deux tissus. Un périchondre déjà passablement fibreux recouvre la surface libre du cartilage condylien. Ce périchondre envoie dans la profondeur des travées de tissu conjonctif peu dense, des crampons, qui atteignent la ligne d'ossification (fig. 6, cramp.). A ce niveau, ces travées se laissent pénétrer par les vaisseaux médullaires et présentent même Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 507 sur les bords, des trabécules osseuses qui se continuent avec le carti- lage par une zone de ,tissu de transition“. Les cavités médullaires du condyle maxillaire sont larges et très infiltrées par le tissu héma- topoïétique. La tête du condyle dessine déjà une saillie marquée de son tubercule médian. On voit là une prolifération intense du périchondre, qui élabore un tissu cartilagineux mal caractérisé, se rapprochant du tissu de passage vers l'os. La scissure de Glaser s'est rétrécie; elle est fermée du côté latéral par accollement de Vos tympanique et du temporal, séparés ou plutôt unis en ce point par une mince couche de tissu fibreux dense, peu vasculaire, qui représente les deux périostes soudés. Du côté médian, la scissure est plus large; elle est comblée par le tissu conjonctif général. Le cartilage de Meckel a disparu au niveau de la scissure de Glaser. A la hauteur de la branche montante du maxillaire, il n’est plus représenté que par un tractus fibreux contenant dans son axe un peu de tissu cartilagineux mal colorable, présentant tous les signes de régression. Le ménisque (fig. 6, mén.), dense et fibreux, commence à modeler sa structure. Dans sa partie moyenne, les faisceaux conjonctifs sont enchevêtrés en tous sens; entre eux, il y a de nombreuses cellules: conjonctives; à sa périphérie, les faisceaux s’individualisent et diver- gent pour se perdre dans le tissu conjonctif ambiant, de telle facon que ses linrites sont imprécises, sauf du côté latéral; du côté ventral quelques fibres du muscle ptérygoïdien externe viennent se jeter dans son tissu. Le ménisque est bien vascularisé, richement même à sa périphérie. _ Les fentes articulaires (fig. 6, f. zyg., f. cond.) sont bien délimi- tées par une condensation fibreuse du périoste temporal et du péri- chondre condylien. On y retrouve encore quelques faisceaux conjonctifs très minces unissant les surfaces. Le ligament temporo-mazillaire latéral commence à se dessiner. Quelques faisceaux conjonctifs denses passent du périoste zygomatique au périoste du condyle maxillaire, se confondant plus ou moins avec quelques faisceaux, qui proviennent du ménisque (fig. 6, /. lat.). 508 Alex. Vinogradoff, 9. Foetus humain: Long. tot. 39 cm.; long. téte-siége 26 cm. L’articulation temporo-maxillaire répéte ici les stades précédents. La surface zygomatique est mieux modelée. Le tuberculum arti- culare est plus saillant; sa prolifération périostale est encore marquée sur toute sa surface; elle est plus active sur le bord ventral du tuber- cule. Dans la couche médio-craniale de ce rebord, il y a une zone de tissu de transition“ assez large qui se rétrécit et disparaît latérale- ment; cà et là, on rencontre méme quelques groupes de cellules franche- ment cartilagineuses. A ce méme niveau, le périoste présente quel- ques rares prolongements fibreux qui pénétrent dans le „tissu de transition“ et rappellent à l’état d'ébauches, les crampons périchon- draux que nous avons décrit précédemment sur la surface condy- lienne. Le condyle maxillaire ne présente rien de nouveau dans sa struc- ture; son ossification s'est poursuivie avec les mêmes caractères. Les tractus fibreux qui pénétrent du périchondre dans le cartilage sont bien développés. Le modelage de la tête condylienne s’est continué; la saillie de son tubercule médian s'est fortement dessinée par une prolifération latérale intense, sous forme de ,tissu de transition“, qui tend déjà superficiellement à prendre les caractères de tissu franche- ment osseux. Le col condylien est déjà aminci. Les rapports articulaires ne sont pas complètement ceux de l'adulte. Le condyle maxillaire s'appuye déjà dans la cavité glénoide, mais le tuberculum articulare est encore proportionnellement peu développé. L’articulation, pour atteindre sa forme définitive, doit s'ac- croitre dans cette partie, dans le sens ventral. | La scissure de Glaser est complètement fermée du côté latéral; elle n’y est plus marquée que par un tractus fibreux périostal. Du côté médian, elle est encore un peu élargie; à ce niveau, l’os tympanal et le temporal ont chacun un foyer de prolifération osseuse très actif. Le ménisque est fortement fibreux. I] est constitué par des faisceaux conjonctifs, mal individualisés, enchevêtrés et entrecroisés en tous sens, entre lesquels on voit de nombreuses cellules conjonctives. A la périphérie, les faisceaux conjonctifs se perdent dans le tissu con- Développement de l'articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 509 jonctif ambiant et, se mêlent du côté ventral aux dernières fibres du muscle ptérygoïdien externe, et latéralement au ligament temporo- maxillaire latéral, qui est mieux dessiné que précédemment. Les fentes articulaires sont traversées par quelques brides fibreuses au niveau des culs-de-sac. 10. Nouveau-né. (Planche XVI, fig. 7.) Chez le nouveau-né l'articulation temporo-maxillaire a continué son modelage, mais elle est loin de réaliser encore les formes de l’adulte. Sur le crane macéré, la surface articulaire temporale s'affirme sous forme d’une légère dépression arrondie occupant toute la racine du zygoma: du côté dorsal, elle n’atteint pas la scissure de Glaser; du côté ventral, elle se prolonge jusqu'au rebord de la racine; le tuberculum articulare est à peine saillant. Sur les coupes, la surface zygomatique est réguliérement concave dans le plan frontal; elle est sinueuse dans le plan para-médian: trés légèrement concave du côté dorsal, elle devient un peu convexe du côté ventral, là où commence à s'affirmer le tuberculum articulare. Elle offre encore tous les signes d'une prolifération osseuse trés active. Dans sa partie ventrale, de l'origine de l'apophyse zygomatique jusqu'au bord sphénoidal, on ren- contre une couche irrégulièrement épaisse d'un tissu riche en grosses cellules, à substance fondamentale dessinant un réseau de trabécules trés minces fortement colorées (fig. 7, c. zyg.); ce tissu rappelle le „tissu de transition“ que nous avons déjà souvent mentionné, et aussi jusqu'à un certain point le cartilage calcifié du condyle du maxillaire; toutefois la substance fondamentale est plus abondante, les cellules sont plus jeunes que dans le cartilage condylien. En profondeur, ce tissu se continue, par places, graduellement avec les travées osseuses; en d'autres places, il y a une limite trés nette entre les deux tissus. A la surface, ce tissu de transition se perd dans la prolifération périostale. Il est traversé par des tractus fibreux plus ou moins vaseulaires. 510 Alex. Vinogradoff, Dans les cavités médullaires du temporal infiltration hématopoié- tique n’est pas abondante. Le condyle maxillaire n’a pas achevé non plus son modelage. Sur l'os macéré, il présente une tête ovoide, saillant plus du côté médio-cranial, que du côté latéral, et supportée par un col encore relativement large et trés court. Sur les coupes, le condyle est con- stitué par du tissu osseux trabéculaire surmonté d’une mince calotte cartilagineuse, reste du cartilage condylien. Dans la profondeur, le cartilage est fortement calcifié; sa substance fondamentale est trés peu abondante, trés fortement colorée; ses cellules sont grandes, vésiculeuses, comme au niveau d’une ligne d’ossification ordinaire. A la surface, la calcification diminue et on retrouve une zone de proli- fération périchondrale (fig. 7, c. cond.). Le périchondre, qui revêt toute la surface articulaire, envoie de nombreux prolongements fibreux & tra- vers le cartilage. Ces crampons sont plus vasculaires que précédem- ment. On retrouve encore quelques zones de transition entre l'os et le cartilage, surtout du côté médian. L'articulation se fait, à ce stade, entre le condyle maxillaire et la partie ventrale de la cavité articulaire du zygoma. L'articulation parait reportée plus en avant que chez l'adulte. La région de la scissure de Glaser m'est pas articulaire. La scissure est encore un peu ouverte, surtout du cóté médian. Sur les coupes frontales, on voit que la téte condylienne s'élargit et s'étend jusqu'au dessous de la suture temporo-sphénoidale, et empiete meme sur l'aile temporale du sphénoide, qui présente à ce niveau un peu de ce ,tissu de transition“, que nous avons décrit sur la surface zygo- matique. Le ménisque (fig. 7, mén.) est plus mince dans sa partie centrale qu'à la périphérie; il est franchement fibreux; les cellules y sont moins nombreuses. Il peut se subdiviser en 3 zones: une zone moyenne à faisceau bien individualisés, entrecroisés en tous sens; deux zones superficielles, plus denses, à faisceaux mal délimités et feutrés paral- lèlement à la surface. Ces faisceaux se dirigent les uns dans le sens dorso-ventral, les autres dans le sens latéro-médian, d’autres enfin sont obliques. Développement de l'articulation temporo-maxillaire chez l'homme ete. 511 Les fentes articulaires sont délimitées du côté du périoste tem- poral et du périchondre condylien par une couche de condensation fibreuse analogue aux couches superficielles du ménisque. Les fais- ceaux de ce dernier se perdent à la périphérie dans le tissu conjonc- tif ambiant, sans limites bien précises. Le ligament temporo-maxillaire latéral est un peu mieux indiqué que précédemment; ses faisceaux sont aussi plus gros. JUDE L/étude comparée des foetus humains que nous avons observés, nous permettra de reconstituer dans ses principaux traits le développement intra-utérin de l’articulation temporo-maxillaire, chez l’homme. L'ébauche du maxillaire inférieur, chez le foetus humain, est représentée par une lamelle osseuse située du cóté latéral du cartilage de Meckel. L/extrémité dorsale de cette lamelle s’accroit trés active- ment et se rapproche ainsi de plus en plus de la région articulaire du temporal. L’apophyse articulaire de la branche montante du maxillaire se dessine plus tardivement (foet: L. t. 9,5 cm.; L. t. s. 5,5 em.); elle apparait sous forme d'un noyau cartilagineux, qui se développe au sein du périoste du maxillaire. Nous avons constamment vu ce noyau, à tous les stades, indépendant du cartilage de Meckel, comme l’affir- ment la plupart des auteurs. Nous n'avons pas retrouvé chez le foetus humain, la continuité directe de ce noyau cartilagineux avec l'arc viscéral, signalée par Drüner chez la souris. De méme nous n'avons pas reconnu de traces du chondroblastéme général, qui d’après Fuchs existerait avant l'apparition du maxillaire osseux chez le lapin. Ce cartilage condylien, recouvert par son périchondre, s’accroit dans le sens cranio-dorsal pour s'approcher de la future région arti- culaire de la racine transverse du zygoma, qu'il atteint bientôt (foet.: L. t. 9,5 cm.; t. s. 6,5 em.). Nous étudierons plus loin le modelage de l'articulation proprement dite. Le cartilage condylien continue à proliférer activement et acquiert peu à peu son maximum de développement (foet.: L. 12—8 cm.) En méme temps une lamelle de l'os périostal néoformé est venue l'entourer 512 Alex. Vinogradoff, jusque près de son extrémité articulaire, de telle sorte que le carti- lage est profondément enclavé dans l'os. A ce moment, tandis que la surface périchondrale poursuit sa prolifération, la partie caudale du cartilage commence à s'ossifier. L’os ainsi formé se confond peu à peu avec l’os périostal du maxil- laire. L/ossification envahit progressivement toute la partie du carti- lage, qui est enchassée dans la branche montante et atteint la tête du condyle maxillaire. La résorbtion du cartilage dans ses parties pro- fondes et son ossification ont une progression plus rapide que la néo- formation superficielle de la surface articulaire; il en résulte que peu à peu le cartilage condylien est réduit à une mince calotte (foet.: L. 26 —18 cm.) que l'on retrouve dès lors sur la tête condylienne jus- que chez le nouveau-né. Pendant ce temps, le périchondre de revête- ment de la surface articulaire s'est modelé un peu, en devenant de plus en plus fibreux. Le zygoma apparaît comme une trabécule osseuse, qui s'élargit bientôt à son extrémité dorsale pour ébaucher sa racine transverse (foet.: dist. 9155.1.) S.. 9,5) em): Comme nous l’avons déjà dit, à propos du développement du con- dyle maxillaire, nous n’avons pas retrouvé dans nos préparations le chondroblastème signalé par Fuchs et par Drüner (lapin et souris), qui donnerait naissance aussi à la surface temporale et au ménisque. La lamelle osseuse qui constitue l'ébauche de la racine transverse du zygoma s'accroît, surtout sur ses bords médian et ventral; elle se modèle et forme bientôt une véritable pièce articulaire (foet.: L. 12—8 cm.) Cette racine de lapophyse zygomatique est constituée, à ce moment, par quelques travées osseuses. Immédiatement en arrière d’elle se trouve la tête du marteau. La surface articulaire s'élargit au cours du développement par la prolifération des bords médian et ventral de cette racine. Le bord médian vient finalement (chez le nouveau-né) s'appuyer contre l’aile temporale du sphénoïde en décrivant une courbe régulière, qui dessine la concavité latéro-médiane de la surface articulaire zygomatique. Le bord ventral s'accroît pendant toute la vie intra-utérine et sa prolifé- Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 513 ration est loin d’étre achevée a la naissance; vers le milieu de la vie foetale (foet.: L. 21,5—14 cm.), ce rebord commence a s’épaissir pour produire les premières traces du tuberculum articulare; ce modelage nouveau a une progression très lente; de sorte que chez le nouveau- né, le tuberculum articulare est encore à peine accusé. Par ce méca- nisme, le bord ventral de la racine transverse du zygoma se trans- porte graduellement en avant, et élargit ainsi, la surface articulaire. Le bord dorsal de cette racine prolifére beaucoup moins active- ment, surtout dans les premiers mois de la vie foetale. En arriére de lui, se trouve la téte du marteau, et le cartilage de Meckel qui passe à travers la scissure de Glaser largement ouverte. Ce n’est qu'avec le commencement de la résorbtion de ce cartilage (foet.: L. 35—23 cm.) que le bord dorsal commence à s’accroitre rapidement pour venir s'appuyer contre Vos tympanal et oblitérer ainsi plus ou moins complètement la scissure. La surface articulaire reste durant toute la vie foetale recouverte par le périoste, dans lequel apparaissent, ca et la et a différentes époques, des foyers secondaires de chondrification. Les rapports entre le condyle du maxillaire inférieur et la racine transverse de l’apophyse zygomatique présentent aussi une évolution progressive vers l’état adulte. Les deux pièces articulaires, séparées primitivement par un assez large espace de tissu connectif, se rap- prochent l'une de l’autre: le condyle maxillaire s'accroît dans le sens dorso-cranial; la racine zygomatique dans le sens ventral surtout. Déjà très tot (foet.: L. t. 9,5 cm.; t. s. 6,5 cm.), le condyle maxillaire atteint le rebord ventral de la racine transverse. A ce moment, le lieu de l’articulation de ces deux pièces parait donc reporté plus en avant que plus tard. Les modelages réciproques de la tête condylienne et de la surface temporale, l'apparition de la cavité glénoide, suivie de l'ébauche de tuberculum articulare, créent ensuite les rapports pres- que définitifs. (Foet.: L. 12—8 em. et les suivants.) La formation du ménisque est intimement liée, à notre avis, aux mouvements des parties articulaires l’une vers l’autre et surtout à Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 38 514 Alex. Vinogradoff, ceux du condyle maxillaire. Le tissu qui se trouve entre les deux surfaces articulaires est comprimé et forme le ménisque. Quelques fibres du muscle ptérygoïdien externe sont intéressées par ces mouve- ments; elles gardent leurs relations avec le ménisque durant toute la vie foetale. Chez le rat adulte, les fibres du ptérygoidien externe se jettent dans le ménisque des deux côtés, céphalique et caudal, ce qui à notre avis confirme l’idée, que ces fibres ont été, à un moment donné, pincées entre les surfaces articulaires. Un autre fait, qui concorde avec cette notion, c'est que le ménisque se forme précisement a moment du rapprochement des pièces articulaires. Lorsque celles-ci entrent en rapports immédiats (foet.: L. t. 9,5 cm.; t. s. 6,5 cm.), le ménisque est formé. Primitivement, le disque articulaire est constitué par du tissu conjonctif jeune; il devient au cours du développement, de plus en plus fibreux; ses fibres et faisceaux conjonctifs sont enchevêtrés en tous sens. Les limites périphériques du ménisque rentent très longtemps imprécises; son tissu se confond avec le tissu ambiant, sans ligne de démarcation. Ce n'est que vers la fin du 7ème mois de la vie intr? -utérine qu’apparaissent les premiers indices du ligament temporo-.aaxillaire latéral, qui délimite à ce niveau le ménisque. Cet état se continue presque sans changements jusqu’a la naissance. Les premières ébauches des fentes articulaires sont dessinées déjà trés tot (foet: L. t. 9,5 cm.; t. s. 6,5 cm.), comme de petites fissures dans le tissu pincé entre les deux surfaces articulaires. Très rapide- ment, elles achévent de se former (foet: L. 12—8 cm.) et, dés lors, elles ne différent que par leur étendue. Elles sont traversées par des brides conjonctives qui persistent, quoique moins nombreuses, jusqu'à la naissance. Ces brides sont encore trés développées chez le chien et le chat adultes. Quelle est leur signification? Comment se comportent- elles pendant les mouvements de la machoire? Nous ne pouvons ré- soudre ces questions. Les brides ne sont peut-étre que des restes du clivage incomplet qui a contribué à former les fentes articulaires. Un dernier détail morphologique nous parait particulier à l'arti- Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l’homme etc. 515 culation temporo-maxillaire; c’est le fait que les deux surfaces arti- culaires sont revêtues de tissu fibreux, par le périoste temporal et par le perichondre condylien. Cette particularité explique l'existence des crampons conjonctifs qui unissent le périchondre du condyle maxillaire, à los sous-jacent, en embrochant le cartilage. La dénomination de crampons explique bien, dans notre idée, le rôle que jouent ces brides. Leur apparition relativement tardive (foet.: L. t. 26 cm.; t. s. 18 cm.), leur peu de vascularisation indiquent que leur róle n'est pas en rela- tion avec lapport de vaisseaux destinés à activer l'ossification du cartilage, comme le pense Brock. D'ailleurs ces mêmes formations se retrouvent, chez le chien nouveau-né, (fig. 8 cramp.), non seulement sur le condyle du maxillaire, mais aussi sur la surface zygomatique, qui ne présente pas de traces d'une ossification enchondrale réelle, mais un simple foyer secondaire de chondrification. Il nous semble que le rôle de ces crampons est de fixer solide- ment le périchondre sur la surface cartilagineuse pour éviter son arrachement à la moindre insulte. Ajoutons, que sur le condyle du maxillaire, c'est une formation constante que nous avons retrouvée partout où la surface articulaire du condyle est cartilagineuse et recouverte par le périchondre (le lapin nouveau-né, le lapin adulte, le rat, le chien nouveau-né [fig. 8, c. cond.] et adulte, le ehat nouveau-né et adulte, et le singe); ils manquent chez la chauve souris, où le condyle maxillaire est revêtu de fibro- cartilage sans périchondre superficiel. Sur la surface zygomatique, ces crampons existent seulement lors- qu'elle présente sous le périoste une lamelle cartilagineuse étendue (chien nouveau-né [fig. 8, e. zyg.], fouine jeune, par ex.). Chez l’homme l’évolution de ces agrafes conjonctives est très simple: elles deviennent de plus en plus fibreuses, ainsi que le péri- chondre, dont elles assurent la fixation sur la téte condylienne. Le mode d’ossification du cartilage condylien, l'image de ce ,,tissu de transition“ entre l'os et le cartilage, qui a fait admettre par cer- tains auteurs une ossification métaplasique du cartilage, nous paraissent tellement liés à Vhistogenése des noyaux cartilagineux condylien, coro- 33* 516 Alex. Vinogradoff, noide et zygomatique, que nous he pouvons pas séparer leur dis- cussion. A notre avis, il peut se produire au sein du périoste des foyers de chondrification secondaires; et ceci, au niveau des points de pro- lifération les plus actifs: au condyle maxillaire, à l’apophyse coronoide, et à la surface zygomatique. Les cellules indifférentes du périoste sont déséquilibrées dans leur évolution. Elles ne se différentient déjà plus en ostéoblastes, formant de l’os bien caractérisé, mais ce ne sont pas encore des chondroblastes bien déterminés. A ce moment, cet état de déséquilibre se traduit par la production du ,lissu de transition“, dont les caractères sont intermédiaires entre l'os et le cartilage, en se rapprochant tantôt davantage de l’un, tantôt de l’autre de ces tissus. Cette évolution instable n’est que passagère; elle s’équilibre de nouveau, donnant parfois du cartilage franc, comme dans le condyle, ou revenant à l'état osseux, comme dans l’apophyse coronoide ou la surface zygomatique, chez l'homme. Il semblerait que /« cellule périostale indifférente possède en elle deux pouvoirs évolutifs: un pouvoir chondrogène, un pouvoir ostéogène. Si un facteur quelconque intervient sur cette cellule, il peut donner la prédominance à lun ou à l’autre de ces pouvoirs et cela même si la cellule a déjà commencé une évolution déterminée. L’ostéoblaste, sous l'influence d'une prolifération trop active, en arrive à une période d'affolement, pendant laquelle, les deux forces sont en lutte jusqu'à ce que l'une ou l'autre devienne déterminante. Pendant toute cette période de transition, l'ostéoblaste est capable de revenir à son état d'équilibre primaire, ou de se transformer par une sorte de déspécialisation en cellule cartilagineuse. Le ,tissu de transition* résultant de l'action simultanée des forces chondrogène et ostéogène, ne doit pas être interprété en faveur d'une métaplasie, ainsi que lont comprise certains auteurs. Il s'agit d'un trouble de l'évolution squelettogène et non pas d'une transformation directe du tissu cartilagineux franc en tissu osseux. Ce dernier point reste pour nous encore en suspens: nos préparations ne nous per- mettent pas de résoudre la question de la métaplasie vraie, dans un sens ou dans l’autre. Développement de l'articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 517 Le rapport, existant entre une prolifération intense, affolante, et la presence de ,,tissu de transition“, nous parait étre confirmé par le fait que l’on observe un tissu très analogue dans le cal des fractures osseuses, dans la ligne ossification des os rachitiques et dans certains ostéochondromes. Dans tous ces cas, il s’agit aussi d’une activité ex- agérée, ou plus ou moins troublée, du tissu squelettogéne. L'évolution des foyers de ,tissu de transition“, qui se développent dans la région temporo-maxillaire, est variable; le retour à l'état osseux se fait à tous les stades. Chez le foetus humain, à la surface zygomatique la chondrifica- tion ne va guére jusquà former du tissu cartilagineux bien carac- térisé; elle s'arréte plus ou moins tót, dans le stade de ,tissu de transition“, d’où elle évolue vers le tissu osseux. | Le noyaw coronoidiem a une évolution un peu plus compléte; on a parfois l'apparence d'un cartilage réel; cependant, ce dernier est encore capable de se transformer directement en tissu osseux; sa spécialisation physiologique ne devait donc pas étre parfaite. Par contre, le noyau condylien devient franchement cartilagineux; il est envahi secondairement par un processus d'ossification enchon- drale, un peu irrégulier, mais ne présentant pas de différences essen- tielles avec l'ossification enchondrale ordinaire. Tout au plus, peut-on rencontrer à la périphérie du condyle quelque peu de ,tissu de transi- tion“ indiquant un trouble dans l'apposition osseuse. Un résumé trés bref des faits d'anatomie comparée, que nous avons observés, nous convainct encore plus de la grande labilité du modelage tissulaire de la région temporo-maxillaire. Le eartilage condylien est presque constant; il est toujours revétu de son périchondre (ex.: lapin, chien, chat etc.). Le cartilage coronoide, qui évolue mal et disparait trés tót chez le foetus humain, existe encore bien caractérisé à la naissance chez le lapin et le chien. Chez quelques animaux (lapin, chien et chat nouveaux-nés), on trouve dans l'angle de la mandibule un noyau cartilagineux que nous n'avons pas observé chez le foetus humain. 518 Alex. Vinogradoff, La surface zygomatique, qui présente chez l’homme l’ébauche d’un foyer de chondrification, est nettement cartilagmeuse chez le chien nouveau-né et persiste ainsi chez l'adulte. Le ménisque, encore fibreux à la naissance chez l’homme, est également fibreux chez le chien adulte, le chat, etc.; il se transforme en fibro-cartilage chez le rat, le lapin adulte et la chauve-souris. Chez ce dernier animal, les surfaces du zygoma et du condyle sont aussi revêtues de fibro-cartilage. VE Conclusions. 1. Le condyle du maxillaire inférieur se développe chez l'homme par un foyer de chondrification secondaire, apparaissant à l'extrémité dorso-craniale de l'ébauche osseuse de la mandibule. 2. Le cartilage condylien s’ossifie par voie enchondrale, au moins dans sa plus grande partie. 3. La racine transverse du zygoma apparaît par ossification mem- braneuse; c'est delle que procède toute la surface articulaire cra- niale de l'articulation temporo-maxillaire. 4. La cavité glénoide se modèle la première; le tuberculum arti- culare west encore qu'à l'état d'ébauche à la naissancé. 5. Le ménisque est un tassement de tissus, favorisé par le rap- prochement du condyle maxillaire et de la surface articulaire zygo- matique. 6. Les fentes articulaires apparaissent très tôt par fissuration dans le tissu pincé entre les surfaces articulaires. 7. Les surfaces articulaires sont constituées jusqu'à la naissance par du tissu fibreux (périoste zygomatique, périchondre condylien et ménisque). be 8. Il apparaît des foyers secondaires de chondrification plus ou moins complètement évolués (,tissu de transition“) dans les points où la prolifération squelettique est trés active (apophyse coronoide, sur- face articulaire zygomatique: bord de la scissure de Glaser et tuber- culum articulare). 9. Ces foyers peuvent donner naissance, chez quelques espéces Développement de l’articulation temporo-maxillaire chez l'homme etc. 519 animales, à des cartilages bien caractérisés, comme dans le condyle maxillaire: cartilage zygomatique du chien nouveau-né, cartilage coro- noïde et cartilage de l’angle mandibulaire du lapin nouveau-né; ou bien revenir directement au tissu osseux: apophyse coronoïde et sur- face zygomatique chez le foetus humain. 10. Le modelage définitif des tissus de l'articulation temporo- maxillaire dans la série des Mammifères est très variable; chaque pièce squelettique peut-être osseuse, cartilagineuse, fibro-cartilagineuse cu simplement fibreuse. or DL ee 14. Index Bibliographique. . Brock, J., Uber die Entwickclung des Unterkiefers der Säugetiere. Zeitschr. f. wissenschaftl. Zool, Bd. XXVII, H. 3. 1876. . Dieulafé et Herpin, Développement de los maxillaire inférieur. Journ. de l'Anatomie et de la Physiologie, An. 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Supplement-Bd. 1906. —, Nachtrag zu meiner Arbeit: Bemerkungen über die Herkunft und Entwickelung der Gehörknöchelchen bei Kaninchenembryonen (nebst Bemerkungen über die Entwickelung des Knorpelskelettes der beiden ersten Visceralbogen). Arch. f. Anat. und Entwick. 1906. . Gegenbaur, Lehrbuch der Anatomie des Menschen. Leipzig 1883. . Kjellberg, K., Beiträge zur Entwickelungsgeschichte des Kiefergelenkes. Morph. Jahrb. 13. Bd. XXXII, H. 2. 1904. Koelliker, A., Embryologie ou traité complet du développement de l’homme et des animaux supérieurs. Traduction francaise par A. Schneider. Paris 1882. Low, A., Further observations on the ossification on the human lower jaw. Journ. of Anat. and Physiol. Vol. XLIV. Oct. 1909. . Magitot, E., et Robin, C., Mémoire sur un organe transitoire de la vie foetale désigné sous le nom de cartilage de Meckel. Annales des sciences naturelles, 4ème série, Zoologie. Bd. XVIII. 1862. 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Ital. di Anat. e di Embriol. Vol. VII. 1908. wo Table des figures. Abréviations: . ang. = cartilage angulaire. . cond. = cartilage du condyle maxillaire. . cor. = cartilage de l’apophyse coronoide. . M. = cartilage de Meckel. .2yg. = cartilage zygomatique. cramp, = crampons périchondraux. enc, = enclume. Gy em SG Gy S f. cond. — fente articulaire ménisco-condylienne. f. zyg. = fente articulaire ménisco-zygomatique. l. lat. = ligament temporo-maxillaire latéral. mar. — marteau. max. inf. = maxillaire inférieur. men. = ménisque. m. pier. ex. = muscle ptérygoidien externe. m. temp. = muscle temporal. n. dent. = nerf dentaire inféricur. n. mass. = nerf masséterin. Tr. zyg. = racine transverse de l'apophyse zygomatique. ig. tmp. = tegmen tympani. v. = vaisseaux. zyg. = apophyse zygomatique. Reconstruction graphique de la partie postérieure du maxillaire inférieur. Foetus humain. Long. tot. 9,5 cm; t.-s. 5,5 cm. Cartilages condylien et de l’apoph. coronoide. Gross. 16 diam. Région temporo-maxillaire du foetus humain: Long. tot. 9,5 cm; t.-s. 5,5 cm. Coupe frontale. Rapports topographiques entre le cartilage condylien le cartilage de Meckel et l'apoph. zygomatique. Gross. 24 diam. Méme région. Foetus humain: Long. tot. 9,5 cm; t.-s. 6,5 cm. Coupe sagittale. Condensation du ménisque. Rapports entre le cartilage condylien et la racine zygomatique. Gross. 18 diam. Méme région. Foetus humain: Long. tot. 12 cm; t.-s. 8 cm. Coupe sagittale. Développement et calcification du cartilage condylien; ses rapports avec la racine zygomatique et le cartilage de Meckel. Fentes articulaires formées. Gross. 18 diam. Alex. Vinogradoff, Développement de l'articulation temporo-maxillaire etc. 523 Fig. 5. Fig. 6. Bias 7. Fig. 8. Méme région Foetus humain: Long. tot. 21,5 cm; t.-s. 14 em. Coupe sagittale. Cartilage condylien ossifié en bas. Foyer de chondrification de l’apoph. coronoide. Gross. 10,5 diam. Méme région. Foetus humain: Long. tot. 35 cm; t.-s. 23 cm. Coupe frontale. Crampons condyliens. Foyer de chondrification dans la surface articul. zygomatique. Ebauche du ligament temporo-maxill latéral. Gross. 10 diam. Ménisque et surfaces articulaires du nouveau-né. Entrecroisement des faisceaux du ménisque. Revêtement fibreux des surfaces articulaires. Gross. 70 diam. Région temporo-maxillaire du chien nouveau-né. Coupe sagittale. Car- tilages condylien, zygomatique et angulaire. Crampons condyliens et zygomatique. Gross. 8 diam. Remarks on Impulses Cerebral and Spinal, By Professor Richard J. Anderson, M. D. The influence of suggestion is well-known to be great as regards mental activity, whilst it seems to have played an important part on, and in, the course of historic events, where large bodies of men appear as active factors. But the reproduction of the stimuli evolves in animals the original sensation of movement. The channels through which they act may at first be intricate, but may afterwards be less complex owing to repetition, and indeed may, after a time, be transmitted direct to the centre of reflex, and end in a simple reflex action. Stimuli, that effect what are called, somewhat indefinitely, the main-springs of action, are apt to be the most potent. Interest, pleasure, and glory are the three motives of the actions and the conduct of men. There are, however, means of suggestion, chiefly auto-suggestion, that are sometimes very potent. The efferent results may be very complex, one set of muscles succeeding another in action, but the result may be like simple reflex, as when the odour or sight of food produces salivation. The im- pression made through a sense organ may be slight, the result may be far and wide reaching. It seems clear, however, that only a narrow tract of borderland separates the central from the circumferential, however we may take it. Darwin seems to have had no difficulty in identifying the psychic and physiological. The physiological may be lost in the psychic, but the psychic may be followed by the physiological. In that case the aesthetic or psychic takes the place, or is made to take the place, of the more complicated series of operations. The “fetch and carry” may Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 525 mean food for the dog as “the big loaf” may mean a cheap meal for a poor man. The original stimulus is physiological here, the final is reflex in result or psychic or aesthetic. It is well-known, however, that a trivial sound or sight often suffices to suggest the approach of a familiar friend to even an adult of mature mind. The sense of smell counts for much in mammals, so it is very difficult to tell how much they depend on sight alone. Their general notion of a man seems imperfect or absent. The general notion must be somewhat shadowy for the average man, and even more so for the scientist. The term quadruped is for some reduced to a flimsy, shadowy, impression, limited by a pallisade of words. For the young child the term quadruped is apt to arouse a vivid image of some actual animal of the four-footed kind. The operation of suggestion may be mingled association, and association partakes of the nature of a sequence, one act suggesting the next, so that a chain of events may result. It is evident that the anatomical juxtaposition of the centres of action may suggest a sequence, as happens in the brain, or the action of one muscle may set off another. It seems from Sherrington’s observations that the bending of the knee causes, by stretching the extensor muscle of the knee, a reflex inhibition of the contraction of that muscle, the muscle assumes, therefore, in consequence, a greater length. The afferent nerve is concerned in this. So a transient contraction may be prolonged owing to the regu- lation of the reflex tonus by the afferent fibres. Similar suggestive reflexes occur in invertebrates (Von Uexkiill in the Sipunculus Retractor Muscle). The contraction of a frog’s gastrocnemius sets another muscle contracting, if the latter’s nerve be placed on the first muscle. It is not unusual to find the nerve to a distant muscle going through a proximal one. Having got the sequence it is comparatively easy, in training, to isolate one set of activities by rendering others unnecces- sary or nugatory. It is said that in use of suggestions as between persons, some psychical relationships should have previously existed between them. Thus people brought up in the same family, by the same instructors, and following similar lines of throught, are more susceptible in the case of special suggestions. Suggestion, unobserved 526 Richard J. Anderson, by one, may strike deep root in the case of some other person. Again correlative suggestion may be much in evidence in some cases. The so-called telepathic suggestions or communications have to be separated from all possibilities with coincidence, illusion, and halluci- nation, if the results are to be worth considering. Many things in physical operations seem to show that a strain in the ether is easily produced by physical agents, and the extension of the theory or fact to biological units seems natural, and, indeed, plausible. It is clear, however, that once out of the field of exact science, and over the fence into the domain of biological activities, one comes face to face with problems that can be viewed only a little beyond the surface, and we look for the effects of the actions of unknown living units, or other ill-understood living units, to give us a hint with reference to the method of evolving acts, the transmission of these, and the cause of some being received by a second organism, and others discarded. It seems evident that some people are claimed by those in favour of transmission of thought as being very sensitive, by which is meant that they are tuned up to the receptive condition. Many claim this sensitivity also for themselves. There are, however, many examples of error. It seems to be true from some lists inspected that a large number of people may furnish records of neuroses. It is possible that the psychological views held by many experts in insanity are worthy of consideration, viz., that many of the acts in the life of an individual may be, strictly speaking, insane acts, and many thoughts evolved by the brain or mind of some may be hallucinations, but it is scarcely possible to measure a man or woman by any rule outside their own usual activities. To act. otherwise would prove not only inconvenient, but a common source of error. The lives and actions of large popu- lations are condemned by other large populations, who have been building on strong foundations, but the superstructure of one is regarded perhaps as fantastic by another. One must get suitable people to furnish us with examples, but people object to be placed under surveillance, and so many a brave investigator becomes timid. One thing is certain that the persons who give evidence in these questions are apt to be considered neurotic if they display a sensitive, Remarks on Impulses Cerebral and Spinal, 527 receptive, nature. Word suggestion, sight, taste, muscle-sense, hearing, touch, all furnish avenues through which suggestion can be made. Little is known with reference to the direct influence of one acting brain on another apart from voice, speech, movement etc. Obviously community of sentiment is apt to be characterized by thoughts on the same lines. The setting sun may evoke the same thoughts in Galway and Vancouver, and if the wind carry bacteria, the same peculiarities may aifect persons in Albany and Omaha. It is possible that loud voices are liked better by horses and dogs than low sounds. This may arise from association. A loud voice amongst men is often associated with importance, and gains respect, but a low, whispering voice suggest confidence, and a “cooing” voice esteem. Animals are, apparently, not ignorant of the value of cadence. The suggestion that may be at first psychic may implicitly involve various physiological activities, although after a time the psychic may remain in abeyance, and the physiological may persist. The psychic again is apt to give place to the physiological, and excitation of the heart and nervous system may be attended sub- sequently by a glowing optimism, which may become curative in cases of melancholia. Amongst groups of people who have claimed the attention of their neighbours and have gained consideration, are the women in various countries. It seems that the life of the ordinary girl or woman is less exciting and less accompanied by pleasurable suggestion and hopes than that of men. The desire for mental growth has been regarded as reasonable; open-air exercise, fresh air, sanitary houses have been, in part, obtained. Neverthe less it has been said. “Woman will bustle, and woman will justle, And yet at the end will lose the day, For hurry and hurry as best she may, Man at one long bound clears the way.” However vivid the mental phenomena are that the first suggestion evokes, the results may become more shreddy in the event of being repeated at long intervals, and finally an agreeable feeling or sensation 528 Richard J. Anderson, merely results from the suggestion, and the quicker beat of the heart may be the main medium in bringing about the result. A miserable, slow pulse, with depression, is succeeded by a more rapid, and even a bounding one. Sounds and voices, as well as words associated with anger are often more efficacious than quieting sounds &c. It is not desirable to disturb the mental equilibrium always, but a study of the effects of sounds, words, or even syllables, or the catching modu- lations of the voice must prove useful. I do not allude to surprises which are often used by orators. The cultivation of the aesthetic is attended with many advantages. “True comedy is said to be the art of teaching virtue and decency in action and in discourse, obviously from dress and deportment, by suggestion as well as by the style, intonation &e.” A comparatively trivial presentation to the eye or ear may pro- duce a very grateful sensation. Gesture and pose, voice, mode of arrangement of words; all are effective, but a short word, or a portion of a word may be even more efficient than a sentence. Everyone notices that the same word, or the same object affects different people differently. “Now, by two-headed Janus, Nature hath framed strange fellows in her time; Some that will evermore peep through their eyes, And laugh like parrots at a bag-piper; And others of such vinegar aspect, That theyll not show their teeth by way of smile, Though Nestor swear the jest be laughable.” (Mer. of. Ven.) Suggestion is so potent, especially when emphasized by its accompaniments, or the absence of distracting factors, that one may attach undue importance to the psychic effects on living or- ganisms. The heart of a mammal is moved to activity by apparatus within itself, the nature of the fluid has an effect on the ventricle, serum albumin is very potent. The muscle of the heart partakes partly of the character of striated muscle, of non-striated muscle, and of the Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 529 character of neuro-muscular tissues. The contraction shows an obvious sequence in fishes. Ganglia in the walls between ventricles and auricles and between the auricles are responsible for the beat, but proper co-ordination is brought about by nerve connection between auricles and ventricles. The technical physiologist, by isolating the physical, can enable the biological side of operations of living organisms to have more concentrated attention at the hands of the zoologist. Ludwig’s ganglia are inhibitory. The happiness that one has in obtaining food (when Hungry) is to be paralleled with the pleasure associated with collecting specimens “of interest, whether Archaeological, Zoological, or Botanical, objects of art, early printed books, or manuscripts, or inscription-bearing stones. All these things, perhaps, (as does labour, skilled and unskilled) appeal to the mainsprings of action. The desire to acquire begins when a child reaches out for a - glittering jewel, a bright light, a reflecting mirror. The child is anxious to carry his coveted possession to his cot. Suggestions of a like kind, or better evolved, may secure the attention of those who have passed beyond childhood. It seems likely that the tendency to imitate the muscular movements and their expressions may lead to the evolution of emotions, and their ultimate repetition by association. One hears from time to time observations on the attractions that markets present for many, in a wide sense for most people. “Sell at home and buy in the market” says the proverb, clearly pointing out that only those who cannot buy in the market go to the place where the material can be got. So the institution which Minerva herself founded has been associated with civilization, and under her very eye, or her devotees, the institution is worked. *S. S. "Tis in the market place and street I had my birth and breeding too, And from a boy to blush and blink, I scorn the thing as much as you.” (Aristophanes.) Suggestion by sight, hearing, or touch, may be in its nature, warning, irritating, depressing, as well as stimulatory or restful. Charcot, Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 34 530 Richard J. Anderson, it will be remembered, could produce deep hypnosis by a look, or a touch, owing, in part, sometimes to association. A nervous aberration once having risen may grow in strength as it spreads, because of ochlotic (crowd) influences. Everyone knows that a mob may become an agent of destruction. “Tee veel folk” Peter the Great used to say, when people came crowding to see the Imperial ship-carpenter. Imitation must play an important part in such cases, the impulse to imitate may be strengthened from motives of self preservation, that tell one the disguise of a like emotion may ward off danger or antagonism. Once RACquized, auto-suggestion may complete the catastrophe. 7 A crowd suggesting power or design may have its influence in- creased by the noise made. Children and animals are often terrified by such. Military crowds with war music and Neonons are very suggestive, often stimulating and exciting. “One wishes on a saint’s day or a Sunday | A tale of war when there is time for it To learn ‘How they are busy killing one another’.” Noisy crowds cause panics amongst horses, dogs, and children. A horse I once had retired to his house, under such circumstances, and “lay low” on two occasions. A lad of five hearing the distant shouting of a crowd crept away from his friends and was found “huddled up” and fast asleep under a parlour side-table. Printing presses, when these crowds mean business, cannot turn out sheets quickly enough for the public craving for excitement. “What side are you for” queried the mob-man to the late arrival in the U. S. America, “I am” replied he “for the people who are against the Government”. Some people see in mobs an antidote for depression. Is this treatment a remedy or a cure? : Touch, pressure and friction have been used to produce definite physiological results viz.: to abolish or mitigate internal pain. The cause of the success of this may be due to diversion of nerve action. a disturbance of the lymph flow which may relieve congestion. All this may take place without hypnosis or psychic disturbance. The evidence seems to be against the view that sensitivity is, generally, Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 531 a proof of higher cerebration. One cannot prophesy without knowing a lot of things (contiguity, sequence, antithesis, &c.). Factors may step in unobserved, besides suggestion which comes to a man from feature, pose, or movement. The instances that we have of the freedom from pain that those experience who are boxing, chasing, battling, prove how powertul is the excitement of the mind. One has in severe shock, after a severe accident, little or no local pain. One sees occasionally those who have had a hand crushed, or the scalp torn off by machinery, and no evidence of pain, at first. It has been said and suggested that the position of the servant, the guided or commanded, is much more agreeable than the position of com- mander. The private soldier of former times who served his full time in the British army came away comparatively fresh and unaffected by his service. Officers in command had acquired the furrows made by care and anxiety. The contention is that a feeling of security and protection is associated with obedience to the orders of a superior. The condition suggests the pristine condition of childhood, when the parental mind provided food and clothing, whilst the children gambolled and grew happy with the thought that they had unfailing protectors against all the world. The suggestion of strength (power) becomes associated with increase of number, and this reacts also through the commander on the individual. It takes maturity to enable the indi- vidual to understand this. However some think it “easier to teach twenty men what were good to be done than to be one of the twenty to follow mine own teaching”. Want of security and uncertainty for the future breed nervous dyspepsias that even the most exciting state of polling contests fail to banish permanently. Auto-suggestion is invoked often to get rid of uncertainty, sometimes unfortunately. The examples of expressions of the emotions in animals, discussed by Darwin in his epoch-making work, have been supplemented from time to time by numerous obser- vers, and it is now almost certain that many give form and colour to their actual cerebration by their words, sentences, intonations, featural display, pose and movements. It would be an easy matter 34% 532 Richard J, Anderson, to prove that a person easily impressed with a confirmed tendency to imitate pose and gesture may unconsciously come away from a lecture, having a fairly good summary of what was said, and show a mind in action which is a fair reflection of the mind of the lecturer, so. that one finds the words, gestures &c., coined into mental metal again. It may be noticed, however, that the person who has effected the transformation may, one or two days after, give not merely the sub- stance, but the actual voice, reproduced from a central (attuned) group of cells. The same may happen with regard to music heard by people with this unconscious, or conscious, power. First the probable reflex of the mind of the singer, or, at least, the conscious singing part, followed afterwards by the reproduction of the song, or songs. The featural value of the superficial muscles has been recognized and urged by observers. Lord Avebury’s account of the treatment of intoxicated ants is interesting, the picket threw the strange inebriates into the water, and brought their friends back to the hive. There seems to be some- times, if not frequently, a power of selection, after suggestive stimuli, Mozart (and Shakespeare) has been quoted to illustrate the “automatic selective powers of genius”. Stories of fairies have, apparently, been due, in part, to the little notion that early men (like children) had of distance and size. This knowledge comes from experience. Colour comes in. A puny child suggested a *changeling". Acuteness of perception was, long ago, not understood and therefore was thought to be the result of witchcraft. Suggestion in Medicine led to the snail “cure” for frenzy, the hare skin cure for laziness and the pulmonaria cure for phthisis, &e. Sug- gestive signs are in use e. g. the test of maturity by offering the person a doughy bun at dinner time. Judge a man’s “character” (integrity) by his worst, and his intelligence by his best acts. Sub- stitute signs are Mnemonics and are like symbols in Algebra useful until they have served their purpose. Differential suggestion enabled Helmholtz to suggest a means for detecting a spurious bank note, which if placed in a Stereoscope side by side with a real one will enable one to see better “whether all the marks are in the same Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 533 plane” (Stout). The history of the Natural Sciences abounds with examples of the determination of differential characters. Instances like the following rarely occur now. A magistrate, on entering a market town overheard a peepshow-man saying: “Now you see two alligators found on the banks of the Mississippi”, he ran up to the showman saying: “they are my gaiters (yellow gaiters) you found on the banks of the Nore.” Some people in a Scotch village brought a lobster to a village luminary to learn its name &c. “It is either an elephant or a turtle doo (dove), said he, because they are the only animals with which I am not acquainted.” “Talent” is suggestive. «The majority of men when dishonest, get the name of talented more easily, than when simple, that of good”; “of goodness they are ashamed, of talent they are proud.” The Words “clever” and “too clever” are often used for dishonest. “Aggression for men of high station” at all events “can be reconciled with a plea of right which it suggests”. “Trickery is more likely to suggest insidiousness.” Each portion of the central nervous system tends to inhibit all the parts below (or behind) it. Reflex action is sometimes insurmoun- table. C. Darwin tried to keep his face near the glass of a Cobra cage, but could not when the snake made to strike. When the nerve centres or nerve terminals do not get enough nutriment, or stimulating substances, they become “stale” and lack precision. If they get too much rest they lack tonicity and co-ordination power. Horses and setters give examples. Pointers and some other animals hold their training. Protozoa get exhausted after too much division. The afferent nerves of muscle are often very potent for reflex, especially after the muscles have been overstrained. Kneading evokes the reflex. Dyspeptic disorders of the alimentary canal are, if originated, apt to be evoked by cerebration of certain kinds, in some individuals. The laws of reflex are those of (1) unilateral distribution (2) of symmetry (3) irradiation (4) generalization (5) summation, a second stimulus or third supplements the first, even when introduced in time to catch on be- fore the contraction has ceased (Allen). Influence of change of tension depends on the moment of introduction of variation (Kries and Sogalla). (6) of co-ordination and adaptation. Muscles work in unison some- 534 ^. Richard J. Anderson, times. The rate of propagation of a wave in muscle has been studied by Rollett. The rate is 0.116 mm. per second and wave length 0.097 mm. Distractions are apt to diminish the value of reflex. The work of Ludwig, Kühne, Kronecker, and their pupils Dogiel, Bowditch, L. Brunton and others, I have referred to (in a short paraphrasis in part from “Nature”). Cash, Romanes, Saville Kent, Gaskell, Paukul, Archangelsky, Imchatzensky, have also been referred to in the article alluded to. Kronecker showed that although a muscle of a frog may raise 20 grammes 2700 times, yet there are seasonable differences. Tension of the heart muscle increases the number and force of the pulsations (Ludwig and Luchsinger) This is seen in Helix pomatia where no ganglia have been found in the heart. The muscle acts as a neuro- muscular organ, or resembles (in part) a cell with diffuse nucleoid elements. Engelmann proved that the bulbus aortae in the frog con- tracts rhythmieally without ganglia, Biedermann showed that the thin- walled heart of Helix when empty gave few and feeble pulsations, whilst slight pressure brought about intense rhythmic contraction. Schönlein proved the same for aplysia; and showed that if the tension had been strong, and continued for some time, the pulsations persisted after the tension had ceased (compare rhythm in plants) Ludwig and Luchsinger proved the same thing for the frog, and the latter noticed that tension of smooth muscle had a similar effect. Excitability gets increased with increased excitement. It may be that tension is an excitant, i. e. it modifies the “energetic” transformations; or modifi- cations in contraction may be due to changes in the elastic medium. The restoration of tonicity by blue light in plants seems to have some “points of contact” with the effect of heat on muscle. Fick showed that twice as much heat was dis-engaged by a cooled muscle, during isometric contraction, than during isotonic contraction; although in heating, the heat augments equally for isotonic and isometric con- traction. The effects of electrical stimulation is different according to circumstances. The elevation of the marker increases (1) with the increase in weight (up to a certain limit); (2) with the intensity of the stimulus (this is different for different temperatures which may increase or diminish the response). With a minimum result at 19°, there is a Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 535 maximum at 0°, and at 30° in rapid heating. The duration of the contraction increases with diminution of the weight, increase of stimulus, and when the temperature diminishes. The tonic contraction of the snail’s heart disappears with a rising temperature but returns with cooling. Light, and other stimuli, induce changes in plant cells. The leaflets that have drooped owing to darkness are restored by light, which is known to bring about chemical changes in inanimate, as well as animate, nature. The pigmentation of the skin in animals and the green colour of plants are amongst its operations. It may be remem- bered that Richet, Chauveau, W. His (jun.), Pompilian, Gad, Bernstein, Grünhagen and Samkowy, Marey and Franck, and Weiss, have done much work to place our knowledge on a sure foundation in the above regard. Electrical phenomena in plants and animals owe much to Du Bois-Reymond, Burdon-Saunderson and Gotch. Nerve work hurries up the phenomena of muscle contraction and the vagus appears to have indirect inhibiting control. Reflex action brought on by abnormal contraction may act through the branches of the vagus on other parts. Biological units are responsive to one or more forces in nature which they utilize. Plants use by their roots heat, gravity and moisture. Rheotropism, heliotropism, geotropism, hydrotropism and chemiotaxis are expressions meant to indicate the possibilities which are within the plant organism. “Science is presented to us” says Kelvin, “not as an entgötterte Natur" — it is not a God-forsaken, a soul-less nature consisting of force and light, chemicals and crystals, deprived of thoughts of God, deprived of life, which Science contemplates”. “Science brings us to the threshold of life, and it knows its own incapacities to subject life to the laws of force and electricity.” The attempt of biological units to appreciate biological units is attended with advantage, it is what is called by medical men, in reference to touch, the tactus eruditus. This may, perhaps, be described as an attempt by an artistic method to learn a great many things in a composite form for comparison. Biological units avail themselves of the energy in nature, and save their own energy, themselves, and their race. If they fail to do this, and to adapt themselves they are lost. Darwin and Wallace made 536 Richard J. Anderson, this discovery about the same time, as Lord Kelvin discovered. “Cosmic evolution as effected through the degradation of energy which deter- mines the fate of worlds.” (Prof. Larmor quoted by Sir W. Thiselton Dyer.) In animate nature “Automatic evolution towards improved adaptation in this case, with no limit or equilibrium in sight, is attained at the cost of dissipation.” The appropriation of the energy by living things which may be in part a degradation of it may tend to delay an apparent catastrophe. One organism obtains energy from another. Emitted light and heat, the exhalation of water, or chemical substance, and changes in the electrical condition of one organism may affect another. One may fairly assume that the development of the organs of sense proves the keen appreciation of the importance of appro- priating as much available energy as possible, of which muscle sense is not unimportant. “The earthworm has no eyes yet it sees.” Hence the importance of investigating the operations of living organisms, simple and complex, trained and untrained. The great complexity and variety in structure of the central nerve cells (alluded to by Maca- lister) make it appear hopeless to attempt any systematic research that could satisfy those who deal with biological problems affecting individual cells. Electricity and heat are conveyed by the skin, light is received and emitted by certain organs. The spinal cord of amphioxus may have sensitivity for light. Although a slight stimulus (the slightest) may be adequate to evoke enormous activity, the absence of certain stimuli may lead to inaction. The story of the well-fed (inactive) rabbits on one side of the Malverns, and the sparsely fed animals on the opposite side illustrates this. We should, perhaps, sometimes be “placed with our backs. to bright reality, that we may learn with young unwonted ken things from their shadows”. One is prepared to accept explanations with reference to media that involve questions of transmission, reflexion, absorption and excitation. Heat (radiated) is emitted, transmitted, absorbed, and the absorbing body is affected. It was said that there are “various finite forms in which infinite sub- stance particularizes itself” His quidem signis atque haec exempla secuti Esse apibus partem divinae mentis et haustus Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. DO Aetherios dixere: deum namque ire per omnes Terrasque tractusque maris coelumque profundum Quemque sibi tenues nascentem arcessere vitas Scilicet huc reddi deinde ac resoluta referri Omnia nec morti esse locum sed viva volare Sideris in numerum atque alto succedere coelo.“ Georgicon Lib. IV, 219—227. *Modi are to the substance what waves are to the sea. Shapes that perpetually die away that never are", and again one may allude to the views of Leibnitz viz: “that body does not act on mind, but that the phenomena of both are so harmonized in the order of things — two clocks keeping the same time." Perhaps Leibnitz meant the relationship to be that of hyaloplasm to spongioplasm, the former being the highly vital parts. Hegel and his school emphasized the triple nature of the mental phenomena, a somewhat similar arrange- ment is admitted in the physical and biological sciences. The phono- graph and wireless telegraph apparatus serve to illustrate the subject from without. It does not follow that excitation, if transmissible, would be rendered in the same terms in two cerebra. The student who neglected morning chapel, said that the service was held too late, when the Dean asked him whether he found the hour too early. Queen Elizabeth remarked that Bacon's house was too small; Bacon said her Majesty had made him too great for his house. Anger in one person may be very short madness, imitated by another it may mean even murder. One uses cells for a galvanic battery in number proportionate to the electromotive force sought, arranged in a suitable way to answer the requirements. One should, perhaps, endeavour to obtain some evidence of the transmissibility of neuromuscular move- ments by setting a large body of men to perform evolutions (all of the same kind and synchronously) and then at a distance of many miles further west seek for the effects (if any) on sleepers and others. Perhaps some may be found responsive, the reflexes being exaggerated. Consecutive or collateral thought, of course, as also synchronous (perhaps sub-conscious) thought may account for “straight” dreams, which are for children, savages, and others, often very real. The 538 . Richard J. Anderson, movements of the somnolent soldier or servant under command may be regarded as almost entirely reflex (regiments have fallen asleep on the march). The incidents in such cases may be forgotten if the attention be aroused. Compare hypnotic (superficial) sleep and “night mare”. The morning gun has suggested (on the other hand) to an Indian, the murder of a companion. Shakespeare makes Queen Mab bring on dreams by reflex. “Drawn with a team of little atomies, Her waggoner a small grey-coated gnat, Her chariot is an empty hazel nut, She gallops night by night Thro’ lover’s brains and then they dream of love, O’er courtier’s knees, that dream of court’sies straight, O’er lawyer's fingers who straight dream of fees." It seems that many dreams, omens, and prophesies, may be mis- understood: “They will mis-carry, I recollex too many of them to my sorrer”, said the disappointed man. Deep sleep is a sleep unattended by dreams. Horace says: sAtqui ego quum Graecos facerem natus mare citra Versiculos, vetuit tali me voce Quirinus Post mediam Noctem visus quum somnia vera. In silvam non ligna feras insanius, ac Si, Magnas Graecorum malis implere catervas.“ A mathematician sometimes solves easily during sleep a problem that gave him trouble when awake. It is evident that dreams may register synchronous thoughts as during waking hours one person may think collaterally with others (especially if they have had a similar training), and one person may follow a mental course subconsciously in the presence or absence of another who is thinking on the same lines. This subconscious thought may account for the fact that Turner stated that he never understood perspective, on which he lectured; and Vice-Chancellor Maziere Brady’s decisions were said to be in- variably right, his reasons for them invariably wrong. (1) A dream of the death of a friend, (2) of the detection of a crime, (3) of scenes Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. 539 of trouble and battles, may arise from synchronous thought. A clever general may trace a war with wonderful accuracy, and may before- hand calculate the times of events. Co-related lines of thought aided by letters, conversations, and newspapers, may develop synchronous states of thought which are very interesting. Awaking at the hour decided upon is an illustration of subconscious rhythm. The latter plays an important part in determining lines of action and thought. “A person sitting under cover on a Rhine steamer with a map and time-table before him may call out at intervals the names. of the places on the bank which he does not take the trouble of looking at.” Cross correspondence can be explained by collateral rhythm, or syn- chronous, conscious, or unconscious, thought. Waking or sleeping, the brain may produce or reproduce scenes, with very slight suggestion. A subconscious or reflex disturbance of the retina, or the conducting tracts, may affect the deep part of the nervous system. Amongst physiological suggestions comes a case of “dysphagia” in one person following a brain lesion in another person many miles away, apparently due to great sensitivity after receiving a letter from a nervous person recording the fact. (2) Hemiplegia (functional) in a middle-aged sensi- tive person following a brain lesion in another person on whom the former attended. As also the swooning in an out-patient department, when some trivial operation is being performed (tooth extraction). Proximity favours imitation, and sensitivity and absence of distraction (which is sometimes absent under depressing influences) favour the receptivity. It seems that it is not absolutely true to say “our thoughts are our own while we keep them in our hearts, but when we let them escape”, &c. Our thoughts are often betrayed by feature, pose, and acts, to the “grown ones they’re so knowing”. Remembering that rhythm tends to establish itself in plants (sleep movements &c.) and animals and that laws of sequence, reflex, of suggestion, of space, minimal expenditure, minimal waste, and minimal power are constantly in force collateral activities are to be looked for. More than one method is often used by animals to bring about the same result; thus a muscle (or plasm) may act locally or by a wave of con- traction passing over it, or by nerve action, or by some change 540 Richard J. Anderson, Remarks on Impulses Cerebral and Spinal. in the fluids circulating in it, or a stimulus outside, electrical, light, chemical or heat, of which we have examples, we may say, at least, that if one neuro-muscular system can produce ether strain which would enable other neuro-muscular systems to perform their work more easily on encountering it, there would be an attempt to use it. One finds “the mystery of life in every bud, a mystery magic in everything unknown”. “The fields, the air, the grove are haunted, and all that age has disenchanted.” “Science is the illumi- nator which, if in its methods it is positive, yet in its operations outstrips romance in her most lofty flights.” (Leighton.) Referate. Von Fr. Kopsch. Uber den ursächlichen Zusammenhang von Nase und Geschlechts- organ. Zugleich ein Beitrag zur Nervenphysiologie. Von Wilhelm Fliefs. Il. vermehrte Aufl. Halle 1910, Carl Marhold. 8°. 60 Seiten. 1.50 Mk. | W. Fließ behandelt die von ihm gefundenen Beziehungen zwischen Nase und weiblichen Geschlechtsorganen, und entwickelt die physiologischen Ursachen, welche dieser Verknüpfung zugrunde liegen. Die Tatsachen über Beziehungen zwischen bestimmten Stellen der Nasen- schleimhaut, , Genitalstellen der Nase“, und den Geschlechtsorganen sind durch eine Anzahl anderer Autoren, welche die Angaben von Fließ geprüft haben, als sicher festgestellt worden. Diese Stellen sind 1. die beiden unteren Muscheln, 2. die sogenannten Tubercula septi, das sind symmetrisch gelegene Erhéhungen an beiden Seiten der Nasenscheidewand, welche durch besonders reiche Blutgefässe und Nervenversorgung ausgezeichnet sind. Die Genitalstellen der unteren Muscheln stehen in Beziehung zu Schmerzen im Bauch, die Stellen an der Nasenscheidewand in Beziehung zu Schmerzen im Kreuz. Die physiologischen Auseinandersetzungen des Autors iber die Ursachen dieses eigentümlichen Zusammenhanges sind nicht recht einleuchtend und in mancher Be- ziehung anfechtbar. Als erster Versuch einer Erklärung miissen sie jedoch mit einer gewissen Ricksicht betrachtet werden. Zum Schluss bemüht sich der Autor die Gründe der Gegner zu widerlegen. Es ist zu wünschen, dass die von Fließ und den Nachuntersuchern fest- gestellten Tatsachen von recht vielen anderen weitergeprift werden. Zur Ein- fihrung in die Frage nach den Beziehungen zwischen Nasenschleimhaut und Geschlechtsorganen wird das vorliegende Schriftchen dienen kónnen. Das Kaninchen, zugleich eine Einführung in die Organisation der Säugetiere. Von U. Gerhardt. Leipzig 1909, Werner Klink- hardt. 8° VI und 307 Seiten. 60 Fig. 1 Tafel. Brosch. 6 Mk, geb. 7 Mk. 542 Fr. Kopsch, Referate. Das Buch ist der zweite Band von den ,,Monographien einheimischer Tiere“, welche von H. E. Ziegler und R. Woltereck herausgegeben werden. Es ist für Zoologen, Physiologen und Lehrer bestimmt. Als Grundlage der anatomischen Beschreibung diente das bekannte grosse Werk von H. Krause: Die Anatomie des Kaninchens in topographischer und operativer Hinsicht. Der Verfasser hat die Angaben dieses Werkes an eigenen Práparaten nachgeprüft, und hat eine Anzahl neuer Figuren anfertigen lassen. Physiologische Angaben sind nur gelegentlich gemacht. Ausserdem finden sich in dem Buch eine Anzahl nützlicher und wichtiger Angaben über Lebensgewohnheiten, Ernährung, Fortpflanzung, Zucht, Krank- heiten und Parasiten des Kaninchens. Die Zahl der Abbildungen ist zu gering. Gerade eine anatomische Dar- stellung sollte mit recht zahlreichen Figuren ausgestattet sein. Dies kann aber leicht bei der nächsten Auflage nachgeholt werden. Dabei sollte dann auch ein kleiner Irrtum bei der Figur 36 verbessert werden, der wohl kaum dem Autor zur Last fällt, sondern dem Gewährsmann, von welchem die Abbildung über- nommen ist. Die Figur 36 stammt aus der Arbeit von K. W. Zimmermann (Beiträge zur Kenntnis einiger Drüsen usw. Arch. mikr. Anat. Bd. 52, 1898, Taf. 28, Fig. 46) und stellt nicht eine Fundusdrüse vom Kaninchen, sondern von der Katze dar. Diese Figur ist von mir zuerst 1907 in der 7. Aufl. von Raubers Anatomie, Abt. IV als Fig. 111, dann in der Aufl. VIII, Abt. IV als Fig. 122 abgebildet, und findet sich auch als Fig. 422 in der soeben erschienenen 8. Aufl. von Schäfers Essentials of Histology. The Essentials of Histology. Descriptive and practical for the use of students. Von E. A. Schäfer. XI und 571 Seiten, 645 Fig. Longmans, Green & Co. 1910. Das in dieser Zeitschrift schon mehrfach besprochene Buch behandelt die allgemeine Histologie und die mikroskopische Anatomie der Organe nunmehr in 50 Vorlesungen. Diese Einteilung ist gewählt mit Rücksicht auf den praktischen Unterricht. Zahlreiche zum Teil sehr gute Abbildungen dienen zur Erläuterung. Die Ergebnisse der neueren Forschung sind gebührend berücksichtigt. Am Anfang jeder Vorlesung finden sich technische Angaben über die Herstellung der be- sprochenen Praparate. Wie Ref. schon früher (diese Zeitschrift Bd. XVII, S. 356) bei Besprechung der V. Aufl. hervorhob, ist. das Buch wegen der kurzen und doch vollstandigen Darstellung ausserordentlich geeignet zur Erlernung und Wiederholung der Histologie. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. Roe ate, Ea 1 em von Georg Thieme in Leipzig. "Therapeutische Technik für die árztliche Praxis. Ein Handbuch für Arzte und Studierende. er von Prof. Dr. Julius : chwalbe, Berlin. Zweite erweiterte ng M. M. 22.—, gen. M. pn [IN HALE | Technik der Arzneibereitung vad Arzneianwendung. Prof. Kobert, Rostock. _ Technik der Ernáhrungstherag.e. Geh.-Rat Prof. Kraus und Priv.-Doz. Brugsch, Berlin. - Technik der Hydro- und Thermotherapie. Prof. H. Rieder, Miinchen. Technik der Radiotherapie. Dr. H. E. Schmidt, Berlin. | Technik der Massage. Prof. J. Riedinger Würzbure. SUE E EN E Technik der Gymnastik. Prof. J. Riedinger, Würzburg. Ausgewählte Kapitel aus der allgemeinen chirurgischen Technik. Geh.-Rat Prof. Hildebrand und Dr. B. Bosse, Berlin. 3 Technik der Behandlung der Hautkrankheiten und der Syphilis. Prof. S. Bett- mann, Heidelberg. E. Fre cunik der Behandlung einzelner Organe: Auge. Prof. Eversbusch, München. — Ohr. Prof. Siebenmann, Basel. — Nase, Rachen, Kehlkopf, Trachea, Bronchien. Prof. Friedrich, Kiel. — Pleura. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Lungen. Prof. Hoppe-Seyler, Kiel. — Herz. Prof. Schwalbe, Berlin. — Speiseróhre. Prof, Schmidt, Halle a. S. — Magen. Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (innere Be- handlung). Prof. Schmidt, Halle a. S. — Darm (chirurgische Behandlung). Geh.-Rat Prof. Czerny, Exz., Heidelberg. — Abdomen (chirurgische Behand- lung). Geh.-Rat Prof. Czerny, Exz., Heidelberg. — Harnorgane. Prof. O. Zuckerkandl, Wien. — Männliche Geschlechtsorgane. Prof. O. Zucker- kandl, Wien. — Weibliche Geschlechtsorgane. Geh.-Rat Prof. Fritsch, Bonn. — Nervensystem. Geh.-Rat Prof. Strümpell, Wien, und Prof. E. Müller, Marburg. 3 Sachregister. Die Behandlung | der spinalen Kinderlahmung von Prof. Dr. O. Vulpius in Heidelberg. Mit 243 Textabbildungen. M. 11.—, geb. M. 12.—. Verlag von Georg 1 T hieme in Leipzig. - Rauber' s Lenbuch? Anatomie des Menschen bearbeitet von : E Proi Dr. Fr. Kopsch, — — e | I. Assistent am Anatomischen institut zu Berlin. Neu Neu ausgestattete Ausgabe, VIII. Auflage. Abt. 1. Allgemeiner Teil. 234 teils et Äbbildunen. Gebunden M. 6—. » 2. Knochen, Bander. 439 teils farbige Abbildungen. 5 Gebunden M. 9.50. E » 9. Muskeln, Gefässe. 407 teils farbige Abbildungen. Gebunden M. 15.3 al Eingeweide. 455 teils farbige Abbildungen, Gebunden M. 19.3 , 9. Nervensystem. 427 teils larbige Abbildungen. ; E. Gebunden M. m , 6. Sinnesorgane, Generalregister. 251 teils farbige Ab- 1 bildungen. Gebunden M. 8— | Das altberühmte Werk bietet mit seiner von keinem anderen Lehrbuch er- 3 reichten reichhaltigen illustrativen Ausgestaltung das Vollkommenste, was die w moderne Technik schafft. Durch Vergrösserung des Formates war es möglich, — die Abbildungen so gross herzustellen, wie sie keiner der neueren Atlanten bringt Die neue Auflage macht daher die Anschaffung eines Atlas überflüssi vereinigt also in sich die Vorzüge eines Lens und eines Atlas. 2 ei Et a Richard Hahn (H. Otto), Leipzig. or Ge Internat. Monatsschrift für Anat. u.Phys. Bd. XXVII. Taf. I f Verlag von Georg Thieme inLeipzig. Lith Ansty. Johannes Arndt, Jena.. C. Mobilio: Organo cheratogeno. = AN . | = vo x D n > SL Internat. Monatsschrift für Anat. u.Phys. Bd. XXVII. Taf IL vu 5 È ^. yao J 5 200! i 1 399 pr DON. 260, e 9 Wi Lo 0709 Ae 'ü 0, n 12 1 690000, 0 Co PRE Bot PO) 1008 è ; MS 9000 05 aad doro Cm 0% Bao, NEN 09092, 95390. 200 VITSE Og 0! à! 9, NS = i DÈ SPETT BUIO | Quo GATTA 3 07 890 PePoga NNO 97017 SOC ar Po rage Daho 2 £920 foo 99 900 ya agony S209 3200908 Pop $00) 39079 385 08,9 ann Cf. qu 0 09027 0 24 o000u Go gno 3 N poy Ago 0 ded Boon Wonk og, 3 Boh QU dote oo wu DO pao gay Qao fo? door 00 ER? ande neo 959 1800, 59 y80 02090 4.0 0 02 P) 680) di» TTA eas à 2 j go N 9304 2 ano up E a » À. on. P900 (079900 uo 10, o. 0o. ‚86 Lm Viso & a9 94 Bo” Do 020000 am ‘9900 9 eu QoS qo do qi Ra d, 0000 ni xd n o ^ 0 007 009 n° D CN IAA] 20 090000 02700900 2% 05900. 09, o 00240 O0 oon 00 » à 0 9 PROCEDIT RE vs AE at nes 50) 209,0 ou le, NS ise ue Tp tue v jo E? 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Internationale Monatsschrift fiir Anatomie und Physiologie. pv M p A) » Ud / Fig. 3. Fig. 2a. Fig. 1. H. Schmidt, Die arteriellen Kopfgefáfie des Rindes. = : &* » x - Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XXVII Ruffini Verlag von Georg m Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XXVII IE miM Verlag von Geor]li; Taf. VII jhieme in Leipzig hy Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XXVII Fig. 33 Verlag von Geori|ti, Taf. VIII lieme in Leipzig Internat. Monatsschrift fiir Anat. u. Phys. Bd. XXVII Fig. 46 Fig. 47 Ruffini Verlag von Geors)hi Taf. IX Fig. 54 Fig. 52 pzig lieme in Lei "2yeuoumod otp.reooru [| "O.reAe T 1) "Dizdre ur auranqg Buoon uoa. Hepa, eua ‘Puy sourewo-A-1suy UT ‘SIP OLA qo ou unodsonu "aupod-20nut a i i Ito atri (ui LA altis (a 4 «Hi \ WIN ES li I ~unod-sonu == Er en EE Ex € À — qeu, qu i = = I = = à \ "aujotd 20 qmuipa "ds-am / aujod'cd---— AVS S È. S 5 I Si 8 >> auod oonu "aujod onu WAXY Pg SÄyg m yeuy any YLNposyeuoyy "yeu.tayu] =e Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys. Bd. XXVII. Taf. XI. pet Fred. ==> jn tmed, 16. „= i | { d ~ = | < \ moc pol. moc. polm. Y i (ait br valv. sem. \ end----—\ i G.Favaro dis. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Lith Anst.v. Johannes Arndt, Jena. G.Favaro. Il miocardio polmonare. PSOAISIL P[nj[39 E][op ooriguad. TOT [NS : B}SOg 3tp puerum puni " L “frdrer'ae \ Cal PER uf RSS] Was ; 23 9: FR FISH EXT ) NE REN LA ne Dor ga sh "IIAXX B T° SAY ‚neu NF JHITY9 SSFEUO|{ 'jeuu3juTp è Internat. Monaisschrift für Anat.u. Phys. B d. XXVII. Taf.XIII. À tS Nos SNO = a N N 3e 7^ AN pi + <=: TO Y Do LT = Ty == = Is 2 CS SEEDS EU DR NI ee, uas NEN, ZN 3 Y YA ERIS] |) ! y x ut 3 \ ITER Lie vee Besta: Sul reticolo periferico della cellula nervosa Tesoro crt D 7 * * , a B n = EI ' TI 4 »* E | d ^ * + * * - B » . : T Internat. Monatsschrift für Anat. u.Phys. Bd. XXVII. Taf XIV. | thinandl e Ferma fava Verlag von Georg. T hieme in Leipzig. F. Maccabruni : | megacariociti Donc EU Internat. Monatsschnift für Anat.u. Phys. Bd. XXVII. ot Fig. 2. m.pten ec. mem. 3 Fig. 1. Fig.3. tg.tymp. men ma, c.camnd. . CM ===> max. inf. Fig. #. Mt denige. TLITUSS. ‘yu fae.----- Trax inf. = m Lith. Anst.v Johannes Arndt, Jena Verlag von Georg Thieme in Leipzig AVinogradoff: Développement de l'articulation temporo - maxillaire. Internat. Monaisschrift f. Anat.u Phys.Bd. XXVII. Taf. XVI. AVinogradoff: >> z = =, fzyg. men mu inf. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Tith Anst.v. Johannes Arndt, Jena Developpement de l articulation temporo-maxillaire. SS de IAN "n on PRO LRU T d > ERNST MAYR LIBRARY iii 44