I RETTILI PLIOCENICI DEL Pi VALDARNO SUPERIORE E DI ALCUNE ALTRE LOCALITÀ PLIOCENICHE DI TOSCANA. (2 razzi NOTA DEL a DOTT. ALESSANDRO PORTIS. FIRENZE. COI TIPI DEI SUCCESSORI: LE MONNIER. 1890. AIR, 18, e: ELI SINITIAZZO Data : St: Tera RO ERI pati I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE E DI ALCUNE ALTRE LOCALITÀ PLIOCENICHE DI TOSCANA. La NOIA DEL DOTT. ALESSANDRO PORTIS. FIRENZE. COI TIPI DEI SUCCESSORI LE MONNIER. 1890. NOV 2.8 1961 0 A co Hans) _ UNIVERSITY Che PE) rr QUALE, Ron La quasi totalità dei Rettili trovati nel Valdarno superiore e nelle altre formazioni del pliocene toscano e conservati nel Museo di Paleon- tologia di Firenze spetta all’ ordine dei Chelonii del quale sono rappre- sentati, con diseguale sviluppo, tutti i sott’ ordini. Enumererò dapprima, seguendo le classificazioni generalmente adottate, le forme incontrate, per riassumere in seguito in un quadretto il complesso della fauna er- petologica, la ricchezza in forme delle singole divisioni ed i nuovi fatti che se ne possano derivare. CHELONII. Fam. 1%. Testudinidi. [Sottord. 1°: Ti/opodi]. N. 1. Tesrupo GLoRosa, nob. (Tav. I, Fi9. 1, 2,3, 4). Nella località « le Ville » presso Terranova in Valdarno superiore sono stati raccolti gli avanzi di un chelonio sufficientemente completi perchè noi possiamo con sicurezza stabilire la famiglia cui esso appar- teneva non solo, ma compararlo colle forme fin qui conosciute fossili e viventi ed assicurarci che esso merita bene, siccome nuova forma, di essere distinto con particolare nome specifico. Le parti conservate di questo chelonio sono le seguenti : a) il Carapace superiore mancante solo della prima e terza pia- stra Neurale, di porzione della prima e seconda piastra Costale d’ ambo i lati, della quinta Costale di destra, di porzioni di non primaria impor- tanza della quarta e sesta Costale di destra e della sesta di sinistra, della prima Marginale di destra e di sinistra, della decima marginale di si- 4 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. nistra: La Neurale, fortemente danneggiata e conservata sciolta, non mo- stra più che la porzione mediana. 0) Il Piastrone completamente conservato e al massimo deside- rabile stato di integrità, munito eziandio delle sue ali di attacco al carapace, c) Frammenti non utilizzabili di almeno sei Vertebre cervicali. d) Le due Scapole, la destra ancor munita del suo Precoracoide. e) I due Coracoidi molto incompleti. f) I due Ii, entrambi mancanti della estremità prossimale. g) Porzione del Pube sinistro. h) Ischio destro quasi completo. i) I due Femori, il destro quasi completo, il sinistro mancante della metà prossimale. È sommamente utile ma raramente concesso al paleontologo di poter disporre accanto allo scheletro esterno anche delle parti dello en- doscheletro poichè la forma delle singole ossa può da sola molto confe- rire alla sicura collocazione diun Chelonio in una determinata famiglia; e nel presente caso, qualora ampiamente non avesse bastato la peculiare struttura del Carapace e del Piastrone ad assicurarmi trattarsi di un Chelonio terrestre, le numerose ossa enumerate che ho attentamente comparate con quelle di un grosso esemplare di Peltastes graecus e trovate, a parte le assolute dimensioni, con esse perfettamente concor- danti nella forma e nelle proporzioni delle parti me ne fornirono la più ampia conferma. Dopo ciò non mi occuperò più oltre di esse restando necessario per la distinzione della specie che, mancando il capo, io rivolga la mia attenzione unicamente al Carapace ed al Piastrone. Il Carapace (fig. 1-2) era composto del numero strettamente normale di ossa cioè: di 8 piastre Neurali ed una Supracaudale (quindi non rico- primento di alcuna della serie, non intercalazione di piastre accessorie); a queste si aggiungevano ai lati le otto paia di piastre Costali ed allo intorno del sistema, la piastra Nucale allo avanti, le undici paia di Marginali ai fianchi e la Pigale allo indietro. Le relazioni fra le piastre di diversa posizione sono anch’ esse stret- tamente conformi al caso normale nelle testuggini cioè: le piastre Neurali (eccezion fatta per le due prime) in relazione alternativamente con una sola o con tre piastre Costali, le piastre Costali di numero impari al- largate prossimalmente , ristrette distalmente; mentre quelle di numero pari sono strette alla sommità centrale ed ampie al margine; ed infine le piastre Marginali urtanti di nuovo alternativamente or con una sola ed or con tre piastre Costali. Tale regolarità e precisione di numero di parti, che farebbe la de- lizia di chi avesse ad intraprendere lo studio della composizione di un carapace tipico, va nel caso speciale congiunta ad un particolare accor- ciamento delle parti stesse e ad una elevazione di esse e dello intero si- r I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE, tì) stema risultante spinta al massimo grado. È vero che noi abbiamo a che fare con un individuo vecchissimo, nel quale per conseguenza il carattere della convessità può aver raggiunto il massimo della sua perfezione, ma, tenuto conto di questa particolarità e comparandolo quindi con un indi- viduo eziandio molto vecchio e per conseguenza relativamente alla specie molto convesso di Peltastes graecus, trovo che in quest’ ultimo la lar- ghezza del carapace rappresenta i soli ?4/,;o della lunghezza e l’ altezza del carapace unito al piatrone raggiunge solo i */,,, della stessa lun- ghezza laddove nel Chelonio valdarnese abbiamo che la larghezza rap- presenta nientemeno delli */,,, della lunghezza e |’ altezza ne raggiunge i 59/00: (Lunghezza assoluta del carapace mm. 263, sua larghezza mm. 133 altezza in unione al piastrone mm. 97). Concorrono ad aumentare i ca- ratteri di brevità e di elevazione dello intero Carapace la posizione e lo sviluppo relativo di alcune delle piastre ossee che lo compongono, così: a cominciare dalla settima piastra Neurale e dal settimo paio Costale, le singole piastre son quasi decisamente verticali e colla faccia esterna rivolta allo indietro; la piastra sovracaudale ha uno sviluppo enorme relativamente alla mole del Carapace (misura 39 mm. longitudinalmente e 42 mm. trasversàlmente al punto della sua massima larghezza) e quasi verticale com’ è collocata, serve potentemente ad accrescere |’ elevazione dello intiero complesso; il sistema delle Marginali è costituito da piastre che hanno un diametro radiale generalmente più che doppio di quello parallelo alla corona da esse costituita, ed il loro stesso insieme è pure collocato (tolte le eccezioni necessarie al passaggio del capo e delle estremità) più che attorno, verticalmente sotto alla parte neuro costale del Caparace stesso: anzi la piastra Pigale ha il suo margine libero ed inferiore o posteriore rivolto con lieve curva allo indentro (verso l’avanti) anzichè allo infuori (ed allo indietro) come nella generalità dei casi; ed in tal modo restringe ancora l’ ambito libero per il passaggio della coda la quale era perciò costretta ad uscire dal carapace facendo angolo aperto allo ingiù ed allo avanti ed anche materialmente ad essere collocata più allo avanti che nel Peltastes graecus. Tale variazione di posizione rela- tiva della estremità posteriore della colonna vertebrale si faceva sentire sulle parti molli, alterandone pure la posizione, e sulle parti dure del Piastrone che loro corrispondevano e così vedremo ben presto come per lasciar posto alla apertura anale collocata molto in avanti il margine posteriore del Piastrone dovesse essere profondamente intagliato sulla li- nea mediana. Il Piastrone (fig. 4), molto perfettamente conservato come già feci notare, ci colpisce a prima vista per la sua notevole robustezza, ma più ancora per lo sviluppo considerevole del suo diametro trasversale e per la sua notevole relativa brevità in senso antero posteriore, carattere questo che va d'accordo con quello che già feci notare sul Carapace e che chiaramente risulta dalla annessa figura 4. È composto dai nove 6 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. pezzi normali: risulta però dallo esame comparativo col piastrone del Peltastes graecus che nel piastrone di questo primo chelonio valdarnese le ossa Epipiastronali hanno un più considerevole sviluppo a detrimento di quello delle Hyopiastronali e della posizione dello sviluppatissimo En- topiastrone respinto come le due ossa or nominate molto allo indietro in modo che gli scudi gulari, quantunque molto sviluppati, come vedre- mo, non toccano che con l'estremità del loro angolo postero-interno 1’ en- topiastrone stesso. Ne risulta che la sutura epi- ed ento-hyopiastronale ha una posizione quasi trasversale con poca curva allo avanti invece di fare come nella specie di confronto una ampia ansa convessa allo avanti, ansa che ha influenza sulla forma delle ossa epipiastronali. Nel Peltastes graecus adunque gli epipiastroni hanno l’importanza di un’ ampia cor- nice attorno alla metà anteriore dello entopiastrone mentre nel chelonio valdarnese esse acquistano l’importanza maggiore di fattrici a se sole della estremità anteriore del piastrone, mentre tutto il campo dello ento- piastrone è preso sulle ossa Hyopiastronali. Questo secondo paio di ossa, che ho già detto essere relativamente molto brevi, è limitato allo indietro ed in corrispondenza circa della metà lunghezza del piastrone dalla sutura hyo-hypopiastronale quasi rettilinea e trasversale, alla quale succedono le quadre, ampie e brevi ossa hypopiastronali limitate allo indietro dalla satura hypo-xyphipia- stronale affatto rettilinea e trasversale; dopo di che i due xyphipiastroni si espandono ciascuno molto ampio in senso trasversale, breve relativa- mente alla sua larghezza, e con forma trapezoidale; essendo limitati ai due lati liberi da due linee rette di cui, luna, |’ esterna, quasi paral- lela all’ asse dell’ animale e la posteriore che dall'angolo poco acuto postero esterno risale leggermente allo avanti finchè incontrandosi sulla linea mediana con la linea di margine posteriore dell’ osso simetrico costituisce con essa un ampio intaglio angolare occupante tutto il lato posteriore del piastrone e con un’apertura angolare di 120° circa, necessa- ria come precedentemente indicai per lasciar posto all’ apertura anale ed alla coda discendente quasi verticalmente o leggermente diretta in avanti. Anche le estremità erano costrette ad escire quasi verticalmente ac- canto a questo largo piastrone, che ampiamente corrispondeva all’ ufficio suo di proteggere tutta la faccia ventrale dello animale, dalle strette fes- sure lasciate tra i margini liberi del piastrone stesso e le parcamente e affatto localmente rialzate piastre marginali del carapace. Ne veniva che queste estremità dovevano, anche nello stato di estensione, tenersi molto ravvicinate alla verticale e talora persino convergenti verso la linea me- diana, fatto questo che aveva per conseguenza un minore strisciamento dello animale ed una difficoltà gravissima al nuoto per quei casi fortuiti in cui l’animale fossesi trovato nell’ acqua, insomma una accentuazione tale dei caratteri di chelonio terrestre quale non lo si riscontra più nei Testudinidi di oggidi. ar ata I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 7 E passando dallo studio delle parti ossee a quello del rivestimento corneo, trovo per il carapace valdarnese il numero di scudi usuali nei generi Testudo, Peltastes, ecc., cioè: 5 neurali, 4 paia costali, una nucale e dodici paia marginali, trovo che gli scudi neurali sono molto stretti ed hanno in generale il diametro longitudinale subeguale al trasverso, che molto espansi sono in vece gli scudi costali in cui il diametro longitudi- nale è circa la metà del trasverso, proporzione questa fra i due diame- tri che si osserva pure per gli scudi marginali, ed infine che gli scudi di diverso e quelli successivi di uno stesso nome sono fra loro limitati da solchi di percorso quasi rettilineo. Per il piastrone noi abbiamo il rivestimento corneo costituito dai do- dici scudi consueti a trovarsi nei generi viventi Testudo e Peltastes, però con uno sviluppo relativo degno di esser notato. Così abbiamo, avanti: due gulari molto ampi, ben sviluppati e triangolari ai quali succedono gli omerali di forma avvicinantesi alla romboidale, avendo essi tre dei loro lati quasi uguali fra loro; seguono gli scudi pettorali che, quantunque brevissimi sulla linea mediana, non lo sono però tanto, proporzionalmente, quanto nel Peltastes graecus: essi sono, necessariamente alla loro posi- zione, molto espansi in senso trasversale e, verso l’ esterno, raggiungono, per l'avanzamento progressivo del loro margine anteriore, una lunghezza quasi doppia di quella che avevano sulla linea mediana; ed il bordo po- steriore dello intaglio osseo per il passaggio del braccio è interamente da loro tappezzato, anzichè esserlo dalli omerali come nel Peltastes grae- cus. Gli scudi addominali sono, relativamente ad un chelonio terrestre, assai brevi, quantunque in senso assoluto siano i più ampi del piastrone. Hanno forma quasi rettangolare benchè il loro margine posteriore ria- scenda dalla linea mediana verso l’ esterno in un arco e ridiscenda poi bruscamente a raggiungere circa la trasversale del punto di partenza (che è la sutura ossea tra gli hyo- e i xyphi-piastroni); poichè cade an- cora nel dominio di questi scudi il rivestimento del margine anteriore dello intaglio pel passaggio della gamba che nel Peltastes graecus viene dato in parte dai femorali, in parte dai marginali. Gli scudi femorali poi, sempre molto espansi trasversalmente per rispondere alle necessità create dalla condizione descritta delle parti os- see, hanno forma trapezoidale col lato esterno parallelo alla linea me- diana e con una maggiore ampiezza del lato esterno eguagliante circa due volte la lunghezza dello interno. Infine abbiano gli scudi anali brevissimi, molto espansi ed aperti allo infuori e di forma decisamente romboidea essendo il lato posteriore quasi parallelo allo anteriore, l’ esterno alla linea mediana o lato interno. Tali sono le principali particolarità riscontrate in questa notevole e facile a riconoscersi nuova specie valdarnese, pella quale lo stesso suo ca- rattere di accorciamento e di elevazione molto accentuato mi suggerisce di proporre l’ appellativo specifico di Testudo globosa, la mancanza di $ I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. parti molli e del capo non permettendomi di determinare più precisa- mente se sì tratti di una Testudo nel senso stretto moderno o di uno Sca- pia o di un Peltastes o di una Testudinella. La Testudo globosa non è stata riscontrata nella sola località delle Ville. Infatti, sempre nella Valle Superiore dell'Arno, ma nella località di Montecarlo presso S. Giovanni venne riscontrato un altro individuo che all’ epoca del rinvenimento deve essere stato completo, ma che forse per essersi trovato, prima di venir raccolto, molto tempo od alla superficie o molto vicino alla superficie del suolo tanto si alterò nella sua struttura per le ingiurie atmosferiche da diventar fragilissimo e da essere caduto in piccolissimi frammenti appena venne toccato. Molti di questi minuz- zoli, non poterono più venir rintracciati, coi frammenti un po’ più vi- stosi stati raccolti non si potè più ricostituire l’ intiero esoscheletro ed an- che le parti conservate e con ogni cura state riavvicinate non conservano oggidì che debolissimamente i dettagli e le incisioni che così perfetta- mente poterono venir descrilte nel precedente esemplare e servirono alla costituzione della specie. In breve: le parti conservate dello individuo di Montecarlo Valdarno (pliocene lacustre) sono le seguenti: a) del carapace: l’ arco posteriore della corona di piastre margi- nali comprendente la Pygale, le tre ultime paia marginali e la quart’ ul- tima marginale sinistra con pochi frammenti delle tre ultime piastre co- stali sinistre; le due piastre neurali anteriori con frammenti insignificanti delle adurtanti costali, frammenti più o meno ampii di altre piastre co- stali impossibili a collocarsi al loro posto per mancanza di sufficienti ca- ralteri. 6) del piastrone: l’ ypopiastrone sinistro quasi completo, portante ancora collegato il xiphipiastrone dello stesso lato; il xiphipiastrone de- stro isolato. c) dello scheletro vero: i due femori molto maltrattati, |’ estre- mità prossimale di un omero, là porzione inferiore, coll’ articolazione, di una scapola. Coi frammenti or nominati e nello stato di corrosione in cui essi si trovano sarebbe stato difficile ricostituire una fisura dello intiero cara- pace se la specie cui esso appartiene non fosse stata distinta per caratteri tanto sentiti da poterli facilmente constatare su porzioni che per altre specie sarebbero stati perfettamente inservibili. Così: il contorno del frammento di corona marginale conservato, la posizione verticale, la forma di ciascuna delle parti che la compongono, 1’ alta convessità del carapace visibile ancora perfettamente in quel po’ di piastre costali ri- maste aderenti alla corona stessa, la ripiegatura allo avanti del bordo libero della piastra pigale; e sul piastrone: la forma propria dell’ Hypo- piastrone, i suoi caratteri di spessezza, di brevità congiunta ad estrema larghezza, di essere limitato avanti e indietro da suture rettilinee quasi parallele fra loro, la forma propria, il contorno, la forza e sovratutto È À i ù d b : i È “nl dic I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 9 l’ampiezza dello intaglio posteriore del xiphipiastrone, il percorso del solco di divisione delli scudi femorali dagli anali furono i caratteri che mi servirono, avendo sott’ occhio il migliore esemplare delle « Ville, » a constatare che si trattava per l'esemplare di Montecarlo di un secondo individuo appartenente certamente alla medesima specie, avente rag- giunto la stessa età e la stessa mole del primo, presentante lo stesso cumulo di caratteri eminentemente di chelonio terrestre che non ho mancato di fare notare per il precedente esemplare e dimostrante come probabile che la Testudo globosa possa in breve diventare uno dei mi- gliori fossili caratteristici del Pliocene lacustre valdarnese. N. 2. TesruDo, sp. [oriens]. (Tav. II, Fig. 12). Ancora nel Valdarno Superiore ma nella località detta « Le Mi- gnaie », venne scoperto un unico frammento di esoscheletro di Chelo- nio facilmente riconoscibile per un testudinide. Il pezzo in questione è un osso quadrangolare a lati a due a due paralleli, con una lunghezza di mm. 50 ed una larghezza di mm. 63, facilmente determinabile per un Hypopiastrone destro di un giovane in- dividuo di chelonio terrestre di dimensioni, già nello stato presente, molto più considerevoli di quelle della specie precedentemente de- scritta. Oltre che per le dimensioni assolute distinguevasi la presente specie dalla precedente anche per la diversità delle proporzioni relative, in- quantochè è molto facile il constatare che il piastrone di cui quest’ osso faceva parte dovette essere molto più lungo e proporzionalmente più stretto; carattere questo che si faceva sentire necessariamente sul cara- pace il quale doveva possedere una forma elittica ed allungata presso a poco e forse più che nel Peltastes graecus di oggidi. Dissi più su trattarsi di un giovane individuo; e ciò riconoscevo dalla struttura non ancora assodata dell’ osso, dalla natura delle suture ancora in piena via di formazione e dalla mancanza ancor quasi totale dell’ apofisi ossea di attacco al carapace o meglio dalla caduta, posteriore, della apofisi stessa per essere essa ancor stata aderente all’ osso per gio- vane sutura invece di esservi completamente saldata. Tale stato di gio- ventù ancora molto marcato mi fa supporre che l’ individuo cui il pre- sente osso apparteneva dovesse raggiungere dimensioni molto più grandi forse doppie, forse più ancora, di quelle che aveva al momento della morte ed è principalmente su questo carattere della statura allo stato adulto ch'io mi debbo basare per distinguere la presente dalla seguente specie mancandomi buoni pezzi e per l’una e per |’ altra specie dai quali possa ricavare un maggior numero di dati atti a farle riconoscere una dall’ altra. 10 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. Sull’ Hypopiastrone delle « Mignaie » scorgesi il solco di limite poste- riore dello scudo corneo addominale il quale, molto ampio come di con- sueto pei testudinidi, occupava, oltrechè porzione non indifferente dell’Hyopiastrone, quasi tutta la superficie dello Hypopiastrone, non lasciando che un angolo postero esterno allo scudo femorale, attorno al quale girava dallo esterno per andare come nella specie precedente a rivestire il margine anteriore del vano di passaggio per la gamba. Sono stato lungo tempo indeciso se a questa ed ai seguenti avanzi di testuggini convenisse, stante il loro stato isolato e le non complete conoscenze che da essi si possano ricavare sulle specie di cui fecero parte, se convenisse dico, attribuire particolari nomi specifici; poi, con- siderando che già nel presente lavoro assai numerose sono le specie che in tali condizioni si trovano e che possono anche aumentare di numero in seguito, ho creduto bene munir ciascuna di un proprio nome col quale essa possa venir in avvenire designata, il nome non imbarazzando acchè nuovi e più completi pezzi le possano venire aggiunti fino alla de- siderabile piena conoscenza: alla presente specie adunque, almeno per la forma, ben distinta dalla precedente, e per la mole riconoscibile dalla seguente, propongo il nome di Testudo oriens. N. 3. TestuDO, sp. [seminota]. (Tav. Il, Fig. 13). Nella località valdarnese detta « il Tasso » si raccolsero avanzi di una terza specie di Testudo i quali ci presentano le seguenti parti dello esoscheletro: a) la sesta piastra costale destra 6) la piastra nucale c) i due hyopiastroni: il destro mancante del terzo posteriore. La piastra costale, lunga sul margine interno 13 mm. e sul margine esterno 29 mm., ampia, secondo la curva della faccia superiore, mm. 82, ci presenta, come già risulta dalle stesse dimensioni, evidente il carat- tere di chelonio terrestre; apparteneva ad un vecchio individuo, come risulta dalla struttura dell’ osso, e ad un carapace molto convesso in modo che essa si trovava, in posto, fortemente pendente allo infuori; il suo spessore uniforme in tutti i suoi punti è di circa 4 mm. e la sua super- ficie esterna è profondamente marcata dai solchi di accrescimento degli scudi costali. Questi erano molto estesi occupando la quasi totalità del campo co- stale osseo del quale non lasciavano verso l’asse mediano che un campo stretto meno di un centimetro agli scudi della serie vertebrale i quali, limitati al solo campo neurale osseo eda questa piccola porzione del co- stale per lato, dovevano necessariamente risultare allungati e stretti più che nei testudinidi viventi. e) fer $ INTE A LE Sh het fedina be sera ai nad sn Fal Tan S chade 1 RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 11 La piastra nucale ossea presenta la forma ed il contorno pentagonale usuale dei Testudinidi; è lunga 43 mm., larga, sulla metà della sua lun- ghezza, mm. 53, sottile e quasi tagliente in corrispondenza del margine anteriore e di circa 4 mm. di spessore in corrispondenza del punto me- dio della sutura posteriore: fra questi due estremi di sottigliezza la por- zione mediana va rapidamente aumentando di spessore dalle due parti tanto da raggiungere i 15 mm. in corrispondenza dell’ angolo diedro che separa la cavità contenente il corpo da quella specie di tettoia od antica- mera proteggente il collo. Tale aumento di spessore è riconoscibile sol- tanto sulla faccia inferiore dell’ osso mentre la superiore è pianeggiante e solo lievissimamente declive dai due lati. Sulla stessa faccia superiore sono ben marcati i solchi limitanti il primo scudo corneo della serie neu- rale dai due primi della serie marginale e questi dallo scudo nucale as- sai lungo e poco appuntato verso il margine anteriore. In tutte queste particolarità riconosconsi molto bene i caratteri generali dei testudinidi. Ma allo infuori della forma dello scudo nucale poco o nulla vi ha di uti- lizzabile ad una distinzione specifica. Gli Hyopiastroni dimostrano pure alla loro struttura ossea ferma e compatta di aver appartenuto ad un vecchio individuo. Sono sottili (4 mm.) verso la sutura posteriore, molto più spessi anteriormente, rag- giungendo in qualche punto i 12 mm.; presentano un lungo intaglio sul lato interno pel ricevimento dello entopiastrone il quale, dalla forma dello intaglio stesso, doveva essere molto voluminoso ed assai più largo anteriormente che posteriormente invece di avere la consueta forma rom- boidea o subtondeggiante. L’entosterno stesso doveva inoltre come nella precedentemente descritta Testudo globosa, esser quasi completamente sviluppato a spese dei soli Hyopiastroni. Seguitando nella descrizione di questi, essi dovevano appartenere ad un sistema piastronale assai stretto ed allungato, eran muniti di pro- cesso di attacco al carapace, ora mancante, sviluppato e robusto e suc- cessivamente di un’ala pure spessa e relativamente assai ampia essendo il piastrone, come notai, relativamente stretto. Sulla faccia libera di questi Hyopiastroni, scorgesi anteriormente il solco di limite fra gli scudi cornei Omerali e i Pettorali, in seguito fra questi ultimi e gli Addominali: risulta dal percorso dei singoli solchi e dalla distanza fra l’uno e l’altro, che gli scudi Omerali erano piuttosto spinti allo insù, che illoro margine posteriore faceva allo esterno un’ansa a curva convessa verso l’avanti dalla quale si passava poi in un angolo aperto ancora in avanti; e poi il solco discendeva inclinando lievemente allo indietro verso la linea mediana. Gli scudi Omerali non erano così totalmente esclusi dal tappezzare il margine posteriore della fessura pel passaggio del braccio poichè |’ ansa esterna del loro margine posteriore ridiscende allo indietro sino a coincidere col limite di tale fessura e, su- peratala, riascendeva leggermente andando poi a perdersi nel solco limite 192 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. esterno degli scudi marginali. Gli scudi Pettorali erano, relativamente ad un Testudinide, molto sviluppati ‘sovratutto nella loro metà esterna, per il percorso del loro margine anteriore or ora descritto a proposito degli scudi Omerali; il campo tolto a questi ultimi rimaneva a profitto dei susseguenti Pettorali, i quali erano poi limitati allo indietro da un margine a curva di gran raggio convessa verso l’avanti. Gli scudi Addominali, sempre vastissimi, lo sono però alquanto meno che nel Peltastes graecus per l’ora ricordato sviluppo dei Pettorali; occupano però una maggior porzione del campo osseo hyopiastronale che non nella precedente Testudo globosa. L'estensione assoluta ed il limite posteriore degli scudi Addominali non sì possono poi precisamente indi- care per la mancanza degli Hypopiastroni. In complesso, dalle parti trovate di questa specie, risulta che gli individui adulti di essa erano di statura alquanto maggiore di quelli della Testudo globosa, che il carapace loro era, a parità di dimensioni più allungato e ristretto e che se ne distinguevano ancora per più ristretti scudi cornei della serie Neurale, più ampii scudi Costali e per diversa forma e proporzioni degli scudi del Piastrone: risulta ancora che la pre- sente specie si distingueva dalla Testudo oriens per dimensioni molto minori raggiungendo essa allo stato adulto probabilmente solo la metà della statura della Testudo oriens stessa. Per questa terza specie valdarnese, tenendo conto delle considera- zioni fatte a proposito della specie precedente, propongo il nome prov- visorio di Testudo seminota. Fam. 2%. Emididi. [Sottord. 2°: Steganopodi]. N. 4. Emys ETRUSCA, nob. (Tav. II, Fig. 14, 15, 16). L'unico esemplare riferibile alla presente specie venne riscontrato in uno strato di sabbia silicea in Valle superiore d’ Arno. Sarebbe quasi completo, nessuna parte ossea di qualche considerazione appartenente sia al carapace sia al piastrone essendo andata perduta, ed il piastrone essendo ancora pressochè nella sua primitiva ossea relazione col cara- pace; ma, perla vecchiezza e la conseguente completa ossificazione dello esterno scheletro dell'individuo, scomparvero quasi interamente i limiti fra le diverse parti ossee costituenti il carapace e ciò che ancor sarebbe rimasto riconoscibile fu offuscato dal processo di fossilizzazione avvenuta in mezzo alla sabbia con impressione di elementi di essa sopra all'osso, con rotture e con pressioni che causarono una sensibile deformazione dello intiero dermatoscheletro. Per tutti i sovraenumerati ostacoli si ravvisa solo la forma di un G Li e PETITE PIT Ùe privee 19) > (0° niet, di miniati % PO REATO 0 Pe I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 13 paio delle piastre neurali ossee del carapace e ciò bastaci per constatare che le relazioni di esse tra loro e colle piastre ossee di altro nome sono conformi al piano generale regolante la costituzione del carapace per la generalità delle emididi, cioè: che una qualunque delle piastre Neurali successiva alla prima trovasi adiacente a due paia di piastre Costali : al paio cioè dello stesso numero d’ordine per la maggior parte del loro bordo interno, e al paio di un’ unità di meno per l’angolo postero in- terno delle singole piastre (costali): a destra, in una porzione corrosa di superficie, riesco ancora a constatare che sempre streltamente secondo il tipo emidide le piastre costali sono subeguali in lunghezza e ciò tanto presso la linea mediana che verso il margine esterno, e che il limite fra piastre Costali e Marginali è più ravvicinato al centro del carapace che non il limite fra gli scudi cornei Costali e Marginali. Sul piastrone le osservazioni sono più facili e riescii a fissarne tutte le parti ed a circoscriverle esattamente; da esso tolsi maggior numero di caratteri per la distinzione delle specie. L’ emide che sto descrivendo è specialmente caratterizzato dalla re- lazione che corre fra i due diametri principali del suo sistema schele- trico esterno. Noi abbiamo infatti un carapace (ed un piastrone) lunghis- simo, 162 mm., e relativamente molto stretto, 102 mm. Anche la sua elevazione, benché si tratti di individuo molto vecchio, non è molto con- siderevole, mm. 58 al massimo. A questo principale carattere possiamo aggiungerne un secondo tolto dal considerevole sviluppo del piastrone il quale ricopre tutta la faccia ventrale dell’ animale allo stesso grado e forse oltre quanto ciò avviene per la vivente Emys Bennettii colla quale il fossile presenta incontestabili analogie di conformazione. Il Piastrone è costituito dalle consuete nove piastre ossee. L’ ento- piastrone, ben sviluppato, ha una forma esterna quasi esattamente rom- bica ela sua superficie è presa per metà sul campo degli Epipiastroni, metà su quello degli Hyopiastroni. Trascurando quelli, che non hanno altra particolarità che quella di spingersi molto allo avanti in modo da sorpassare il margine anteriore della sopranucale, dirò di questi che sono molto ampii e considerevoli, che sono fermamente uniti per sutura completa e quindi immobile tanto al carapace quanto agli Hypo- piastroni. Anche gli Hypopiastroni erano immobilmente uniti al carapace: ne risulta quindi il per noi importante carattere della assoluta impossi- bilità di movimento tanto del lobo anteriore che del lobo posteriore del piastrone; carattere che ci serve a stabilire la pertinenza dell’ esemplare strettamente al genere Emys. Per sutura completa infine aderiscono al margine posteriore degli Hypopiastroni i Xyphipiastroni considerevol- mente sviluppati specialmente in lunghezza, arrivanti allo indietro fin quasi al margine posteriore del sovrastante carapace e muniti ciascuno nel loro margine posteriore e verso la linea mediana di uno stretto mezzo intaglio per lasciar posto all’ apertura anale ed alla coda. 14 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. Nè molto di più ho da diffondermi sopra il sistema tegumentale corneo. Gli scudi del carapace risultano, nel numero e disposizione, normali; i cinque delle serie neurale sono assai sviluppati e di larghezza pressochè eguale a quelli di ciascuna delle serie costali: gli scudi mar- ginali son stretti ed allungati, il nucale è piccolissimo come per la gene- ralità degli Emididi. Per il piastrone troviamo che i due scudi gulari sono triangolari, poco aperti allo avanti e molto prolungati allo indietro (causa il conside- revole sviluppo degli Epipiastroni ossei che sulla porzione marginale interna debbono rivestire): molto sviluppati in lunghezza per lo stesso motivo riescono pure gli scudi Omerali il cui margine posteriore però, anzichè passare allo indietro della sutura Ento-Hyopiastronale, traversa il terzo posteriore dello Entopiastrone; relativamente brevi, ed in modo tale da ricordare la brevità che li caratterizza nei Testudinidi, sono gli scudi Pettorali il cui margine posteriore passa molto allo innanzi della sutura Hyo-Hypopiastronale ed assai vicino al margine posteriore del seno per passaggio del braccio. I tre quinti posteriori della lunghezza del Piastrone sono poi rive- stiti dagli scudi Addominali, considerevoli; non tanto però come nei Te- studinidi e da pur relativamente considerevoli scudi Femorali i quali la- sciano dietro di sè piccolo posto alli scudi Anali, ciascuno di forma pressochè romboidale e con uno sviluppo superficiale minore di quello che sarebbe ad aspettarsi in un piastrone tanto allungato e di quello delle Emididi viventi (Bennettii e dorsalis) il cui piastrone presenta lo stesso sviluppo. In conclusione: i caratteri di questa prima Emys valdarnese non sono molto accentuati e molti ne mancarono ancora dipendentemente dal grado di conservazione; riescirà però sempre abbastanza agevole il rico- noscere la specie dalla sua forma generale e sovratutto, allorchè sia dato averne il piastrone, dalla conformazione dell’ entopiastrone e dalla distribuzione particolare degli scudi cornei sulla metà anteriore del pia- slrone stesso. Tali caratteri mi son subito tornati utili per attribuire alla stessa specie anche gli scarsi avanzi di due altri individui del pliocene valdar- nese di cui riferirò ora brevemente. Del primo individuo, trovato già da assai tempo nel pliocene valdar- nese, e del quale come dell'individuo tipo non si conosce più la precisa località, è conservato soltanto l’ entopiastrone ancora aderente ai due epipiastroni (vedi fig. 16), ma tale frammento di un individuo ancor gio» vane sarebbe dal lato della conservazione e dal lato della distinguibilità dei dettagli quanto di più bello desiderar si possa. Su di esso potei chia- ramente distinguere la forma quasi rombica dello entopiastrone, la forma triangolare allungata degli scudi gulari e il solco di limite (porzione me- dia o interna) tra gli scudi omerali e i pettorali attraversanti l’ ento- I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 15 piastrone al limite fra i due terzi anteriori e il terzo posteriore della sua lunghezza, caratteri tutti che ho fatto risaltare per |’ individuo tipo co- me diagnostici per la specie. Questo conservatissimo frammento ho fatto disegnare accanto all’ individuo tipo nella fig. 16. Del secondo individuo, giovanissimo quando venne a morte, e tro- vato nella Valle superiore dell’Arno alla località detta « il Colombaiolo » presso S. Giovanni, sono conservate, altrettanto perfette e nitide che per quelle: dello individuo che precede, le seguenti parti. a) una piastra costale quasi completa (probabilmente la terza destra); b) porzione distale di altra piastra costale (di posizione indeter- minabile); c) l’ epipiastrone sinistro completo; d) |’ angolo anteriore interno dello hypopiastrone sinistro. Le porzioni di cui alle lettere a, è, d, sono soltanto buone a con- statare trattarsi di una Emidide; l’ epipiastrone invece, comparato con quello dell’ individuo precedente, presenta, a parte le dimensioni asso- lute diverse per diversità di età, i pochi caratteri che da tal osso si pos- sono trarre (forma, sviluppo e forma dello scudo corneo gulare) identici a quello dello individuo precedente ; per ciò, fino a prova contraria, unisco anche gli avanzi di questo secondo individuo nella stessa specie rappre- sentata dall’ individuo completo descritto. Non sarei poi alieno dallo ascrivere alla stessa specie un frammento (una piastra nucale completa, perfettamente conservata, spettante ad un giovane individuo) trovato a Montecarlo presso S. Giovanni e rappresen- tante un quarto individuo. Questa piastra nucale non offre caratteri pro- prii sufficienti a poter stabilire se essa possa o no aver appartenuto ad un individuo della specie in questione poichè tutto quel che se ne vede con- cordando bensì coi caratteri della parte omologa dello esemplare tipo potrebbe tuttavia nello stesso tempo concordare con quelle di un numero indeterminato di altre specie di Emys. Anche per tale frammento adun- que la determinazione avviene in via transitoria e fino a prova contraria. Se i tre individui (sul primo di essi non ho alcun dubbio) di cui ho descritto in ultimo succintamente gli avanzi scoperti appartengono real- mente alla stessa specie del primo, cosa probabilissima, noi potremmo conchiudere, come già avvenne per la Testudo globosa, di avere in Val d’ Arno superiore una forma caratteristica di Emidide godente di una certa distribuzione geografica e di una certa abbondanza di individui, in modo da potercene servire in avvenire come di un buon fossile carat- teristico. î A questa specie propria del Valdarno ho proposto il nome di Emys etrusca. 16 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. N. 5. Emys, sp. (maior). AI Poderaccio sotto Persignano nella Valle Superiore dell’ Arno venne riscontrato un fossile cheloniano il quale, al momento del seppellimento nel terreno, era completo (almeno lo scheletro esterno) ma poi, per mo- vimenti successivi, venne talmente impastato e guasto da non essersi più conservato che allo stato di frammenti e questi, benchè quasi nella loro naturale adiacenza, talmente alterati di forma da non poter più da essi trarre alcun indizio per utile descrizione. A quel che mi è dato ancor di sorprendere trattavasi di una Emys a carapace della lunghezza di almeno centimetri 25, adulto, ed il cui scheletro esterno doveva essere robustissimo raggiungendo quasi general- mente un centimetro di spessore. Niente posso dire sulla forma generale originale troppo alterata 0g- gidi, sulla forma delle singole parti, sugli scudi cornei; solo posso con- statare trattarsi di una specie di molto maggiori dimensioni della pre- cedente. N. 6. Emys, sp. (latens). Al «Colombajolo » presso S. Giovanni, nella stessa località in cui ven- nero trovati forse avanzi dell’ Emys etrusca, sì trovarono ancora, oltre ad un caratteristico avanzo di cui avrò ben presto a parlare a proposito dei Chelydi, i frantumi in cui venne ridotto, per fenomeni naturali, un carapace con annesso piastrone di un giovane chelonio del quale quando avrò detto che apparteneva alla famiglia delle Emididi avrò tutto detto. Non forma, non dimensioni nè generali nè parziali si possono più ricavare; non è più nemmeno lecito il sospettare se si tratti di un indi- viduo spettante ad una delle specie precedenti o ad una nuova. N. 7. Emys, sp. Per finirla colla famiglia delle Emididi menzionerò un ultimo avanzo scoperto alle « Mignaie » (Valdarno Superiore) e consistente in un’ unica piastra marginale, probabilmente la nona di destra, mancante di porzione interna, lunga 2 centimetri e larga, così rotta, pure 2 centimetri: do- veva spettare ad un individuo di grandezza intermedia tra quelle della prima e della seconda specie valdarnesi di Emys, ma la non importanza di una cosiffatta parte di esoscheletro allo stato isolato mi toglie la pos- sibilità di fare ulteriori ricerche. Mi limito adunque a constatare per essa avanzi di Emys rinvenuti accanto a quelli della Testudo oriens. I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 17 Fam. 3°. Chelydidi. [Sottord. 3°: P/eurodere]. N° 8. PLIiocHELYS, sp. [derelicta]. (Tav. II, Fig. 17, 18). Nel1882 allorquando, studiando i Chelonii della Mollassa svizzera, mi imbattei in pieno piano aquitaniano in un frammento di chelonio che non potevo altrimenti collocare sistematicamente che fra i Chelydi, non mancai di esprimere su questo fatto la mia alta meraviglia, le condi- zioni di clima in Europa essendo durante la fase Aquitaniana già tanto alterate da quelle che regnarono durante il Londiniano e il Parisiano che io allora trovavo già un fatto straordinario il rinvenimento di un Chelyde nello aquitaniano svizzero. Ognuno può quindi facilmente im- maginarsi il mio stupore allorquando, procedendo ad un sommario pre- ventivo ordinamento dei Chelonii pliocenici del Museo di Firenze, che- lonii la di cui quasi unica provenienza era la valle superiore d’ Arno, ebbi a constatare fra loro la presenza di un avanzo che a prima vista avrei giudicato, a parte |’ accertata località, provenire da un giacimento addirittura giurassico, tanto era strano il tipo che rappresentava, tanto questo tipo si legava strettamente ai più antichi Chelonii conosciuti, e stuonava in mezzo ad una fauna di avanzi pliocenici di questo ordine rappresentato unicamente da generi viventi dei quali la sola distribu- zione geografica era mutata. Un esame attento del frammento sempre più mi convince ora del trovarmi dinanzi ad un tipo antichissimo; come ciò possa avvenire cercherò di spiegare in seguito. Il frammento che presentemente mi occupa è stato trovato al « Colom- bajolo » presso San Giovanni Valdarno, nella stessa località cioè che ha fornito il secondo frammento di Emys etrusca che ho ricordato sotto il n. 4 e il carapace frammentario di una specie inedita di Emys che ho ricordato col n. 6. Esso non ci mostra che la porzione esterna estrema di una piastra ossea costale, probabilmente la settima di sinistra; ed è ad essa aderente porzione di piastra marginale che potrebbe essere stata la decima. La porzione conservata della piastra costale ci dimostra che l’ in- tiera piastra andava gradatamente acquistando di lunghezza dallo interno verso l’ esterno, tanto che il diametro anteroposteriore di essa preso sul margine costo neurale poteva essere circa la metà di quello preso sul margine costo marginale il quale è di circa 9 centimetri. Risulta ancora che, mentre la piastra andava man mano acquistando in ampiezza verso l'esterno, essa si incurvava pure sempre più verso l’ indietro in modo che, restando il suo margine anteriore presso a poco normale all’ asse del carapace, il suo margine posteriore era, perl’ aumento dei diametri antero posteriori successivamente più esterni, obbligato a piegarsi ad 2 18 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. arco verso l’indietro, fatto questo abbastanza normale per la parte omo- losa nei Chelonii marini e negli antichi Chelydi. Le dimensioni assolute del piccolo frammento che mi sta dinanzi, comparate con quelle della omologa parte in altri Chelonii, mi obbligano ad ammettere per l’ intiero carapace una lunghezza di almeno 70 centimetri; e più che proporzio- nale a tale lunghezza e ad una larghezza di 58 a 60 centimetri (quale non potè a meno di possedere) è l’ enorme spessore (23 mm.) della pia- stra. Se si considera che tale spessore venne misurato soltanto sulla estremità (sempre più sottile) della piastra, si può, senza alcuna esage- razione od allontanarsi da altri esempi di simile natura, agevolmente ammettere che esso divenisse anche doppio per le parti centrali del ca- rapace e più che doppio in alcuni punti particolari del carapace e so- vrattutto del piastrone. Si rileva dall’ esame della parte conservata che l’ intiero carapace doveva essere pochissimo convesso, quantunque l’ individuo abbia do- vuto essere molto vecchio; si rileva eziandio che le piastre marginali erano strettamente collegate dapprima con sutura dentata e poi con sino- stosi alle piastre costali con cui facevano un tutto continuo indissolubile, dal quale non potevano più venire staccate che per violenta rottura (la quale tanto poteva influire per lo mezzo di una piastra qualsiasi quanto correre presso a poco parallela ad una sutura primitiva). E infine quasi sicuro che niuna fontanella abbia potuto più trovarsi nel carapace del vecchio individuo da cui il frammento deriva. Il frammento di piastra marginale visibile, rotto verso il margine esterno, ci dimostra che essa doveva andare assottigliandosi verso que- sto stesso margine, il quale poteva così diventare persin tagliente. Sul campo delle piastre marginali, quindi allo infuori dalla sutura costo marginale, correva il solco di limite fra il rivestimento corneo co- stale ed il marginale, solco del quale si vede ancora un tratto lungo 4 4/, centimetri e che colla sua poca profondità ci dimostra che una così potente piastra ossea non aveva bisogno di un gran chè solido tegumento corneo. Mi si dirà che un frammento così insignificante, così indifferente dello esoscheletro di un Chelonio non può da sè fornire gli argomenti sufficienti a stabilire con certezza trattarsi di specie appartenente ad una famiglia piuttosto che ad altra dell’ ordine dei Chelonii. In tal caso po- trei rispondere che tale certezza io me la sono moralmente procurata in primo luogo dall’ habitus, da quel certo complesso di caratteri impossi- bili ad enunciarsi ma che fanno profonda impressione e non sfuggono a chi abbia una o più volte avuto dinanzi agli occhi Chelonii appartenenti alle più antiche specie comparse e che riconosce a prima vista nel fram- mento in questione; in secondo luogo dalla compattezza straordinaria della sostanza ossea simile affatto a quella dei primi Chelydi; in terzo luogo dal rapporto di sutura corrente, e descritto, fra le piastre margi- nali e le costali, ed in quarto dallo speciale appiattimento pur ricordato. o pe I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE, 19 In conclusione noi dobbiamo escludere affatto dalla parentela del Chelonio in questione dapprima i Tilopodi in blocco (causa |’ appiatti- mento del carapace, causa la non corrispondenza del limite fra scudi costali e marginali colla sutura ossea costo marginale, causa la forma delle piastre ossee studiabili, causa la loro robustezza non proporzionata a quella di Chelonii terrestri di pari statura); quindi tutti gli Steganopodi (causa l’ appiattimento del carapace, la forma delle piastre ossee costali e marginali, causa la struttura intima troppo compatta delle piastre ossee stesse, causa la troppo considerevole robustezza delle piastre in genere, causa la troppo intima e troppo perfetta avvenuta congiunzione tra piastre marginali e costali, causa |’ insufficiente rivestimento corneo) quindi tutti gli Ojacopodi (a causa sovratutto del troppo perfetto saldarsi delle piastre marginali colle costali e della loro robustezza oltrechè di molti altri caratteri ricordati ad esclusione dei due precedenti sottordini) ed infine tutti i Trionicoidei per la mancanza di un carattere in tutte le Trionici visibilissimo: la vermicolazione cioè della superficie esterna importante un rivestimento dermico omogeneo quando nel Chelonio in questione noi abbiamo un rivestimento a scudi Cornei; (senza contare che l’ ossificazione del carapace dei Trionicoidei, molto meno spinta che nei tre precedenti sottordini, non è comparabile con quella del Chelonio in questione che abbiamo per tale motivo essenzialmente dovuto escludere da ciascuno dei sottordini stessi). Ci resta solo ed unico sottordine dove collocare il nostro fossile il sottordine delle Pleurodere, il quale com- prende famiglie nelle quali l’ ossificazione del sistema scheletrico esterno, pochissimo completo a certi stadii di vita in cui per altri sottordini esso è quasi completamente sistemato e saldato, presenta però il fatto per noi importante di un progresso continuo e persistente per tutta la lunga vita dello individuo; da questo fatto risulta che i carapaci i più com- pleti, i più compatti, i più robusti di tutti i Chelonii si trovano appunto in vecchi individui di Chelydi che in gioventù avevano un carapace quasi embrionale, sciolto, interrotto da numerose fontanelle. Nel sottordine delle Pleurodere abbiamo inoltre i Chelonii i più antichi conosciuti e in questi troviamo molto soventi esagerazioni di struttura verso diverse ‘ direzioni; così noi troviamo appunto le esagerazioni che ci colpiscono in questo Chelonio valdarnese, quella cioè dello appiattimento del ca- rapace, quello della estrema robustezza, quello della oltre completa saldatura delle diverse parti fra loro; mentre d’ altro lato potremmo tro- vare su altri generi |’ esagerazione della embrionalità persistente, o quel- VP altra della elevazione estrema del carapace. Procedendo adunque per via di esclusione questo frammento non può avere appartenuto che ad un Chelonio del sottordine delle Pleurodere e fra queste noi abbiamo principalmente in alcune specie dei generi Plesiochelys e Craspedochelys (e in parte anche del genere Tropydemys) campo ad osservare su vecchi individui il raggiunto estremo spessore del carapace e la poca elevazione 20 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. del medesimo ed il minimo o ridotto sviluppo del sistema tegumentale corneo. Tutti tre questi caratteri insieme congiunti troviamo ancora in un nuovo tipo cretaceo che ho avuto la insperata fortuna di poter con- statare e descrivere cioè nel Polysternon provinciale di Fuveau* e che, quantunque di dimensioni assai minori, in senso assoluto, di questo nuovo Chelonio Valdarnese parmi però sia quello a cui, per analogia dei pochi caratteri osservabili, debba quest’ ultimo maggiormente appressarsi. Se io però ho la certezza morale che l’avanzo del « Colombajolo » debba essere tenuto come quello di un Chélyde di antico tipo, non credo però nè prudente nè necessario il forzare un ravvicinamento a generi conosciuti fondandomi solo sui caratteri di forma che trarre possa dalla troppo indifferente porzione di scheletro esterno che mi sta dinanzi: per ora propongo un nuovo nome di genere ed un nuovo nome di spe- cie e rimetto alla benignità del tempo e della fortuna l'occasione di po- ter dare una miglior descrizione e conoscenza di un tale importantis- simo tipo. Ma con tutto ciò mi rimane sempre dinanzi agli occhi una grave questione a risolvere. Finora l’ultimo Cheljde rinvenuto nei terreni ter- ziarii europei era il Pleurosternon miocaenum da me constatato nelle ligniti aquitaniane di Rochette. Questo sottordine, condannato già dalle ultime età eoceniche a sloggiare dall’ Europa, aveva evidentemente la- sciato a Rochette, colla specie citata, l’ultimo indizio dei suoi sforzi a reagire contro circostanze esterne non più sufficientemente propizie che lo spegnevano gradatamente; tant'è che in mezzo al formicolio di Che- lonii di ogni taglio e di ogni età che abitarono la palude della Pau- dèze e che furono con tanta diligenza raccolti dal Delaharpe, dal Re- nevier e da altri per modo che io potei studiarne più centinaia, un solo, un unico incompleto esemplare potè venir attribuito alle Pleurodere e servire a dimostrare quanto esse fosser discese di taglio, di numero, di importanza. Or com'è adunque che io mi ritrovo ancora una volta dinanzi (e nientemeno che all’ età Astiana) lo stesso sottordine, non già coi caratteri che ricordano la meschinità sua durante l’Aquitaniano, ma con quelli della sua maggiore prosperità e rigoglio durante le età Giu- rassiche e Cretacee? Debbo io ammettere, fin dalla età aquitaniana e persistente fino alla astiana, tanta influenza sopra il clima alla presenza di una più o meno accentuata catena alpina, affinchè tipi che in quella 1 Vedi Portis A., Les cheloniens de la Mollasse vaudoise, conservés dans le Musée géologique de Lausanne, pag. 65. — Appendice: « Nouveau genre de Cheloniens fos- siles de la Craie sup. de Fuveau, » pl. 28-29. (Mem. de la Soc. Palcont. Suisse, vol. IX, 1882, Genève 8°). Inoltre avendo dato in quel lavoro una copiosa letteratura di Chelonii fossili ho stimato inutile il ripeterne qui la lista malgrado essa sia oggidì diventata assai più numerosa per le nuove scoperte fattesi in questi ultimi anni, I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 21 prima accennavano già ad estinguersi al di là della catena perseveras- sero rigogliosi a vivere in questa seconda per il solo fatto che i loro rappresentanti si trovavano a vivere al di qua della catena stessa? o debbo ricorrere alla ipotesi delle colonie per spiegare questo unico fatto quando la fauna che attorniava l’animale che ci porge occa- sione di tanto studio e di tante supposizioni, non ha menomamente bisogno di tale ipotesi per essere razionalmente trovata nel posto ed al grado di evoluzione in cui materialmente la troviamo? o dobbiamo in fine supporre che questo unico frammento abbia subita la sorte di tanti altri fossili che, infusi dapprima in terreni corrispondenti alle età in cui vissero, ne vennero in seguito strappati e si trovano ora in altri piani molto più giovani di quelli che abitualmente dovrebbero ca- ratterizzare? Per quest’ultima ipotesi osservo soltanto che, se il fossile fosse stato realmente strappato a qualche non lontana sporgenza cretacea ciò deve essere avvenuto per un pezzo di roccia molto maggiore, il quale non venne rotto che dopo essersi trovato nel nuovo giacimento poichè il pezzo che ci ha finora occupato, non presenta tracce di ro- tolamento, ed è, da tutte le parti in cui è avvenuto un guasto, limitato da brusche rotture. Del resto io mi limitai ad esporre le tre soluzioni che secondo me inchiudono una più probabile spiegazione del fatto, attendendo dal tempo e dal caso di sceglierne una, libero il lettore di precedermi nella scelta e di appigliarsi a quella che maggiormente lo soddisfi o di attendere meco dall’avvenire la soluzione del problema. Prima di lasciare questo importantissimo avanzo debbo ancora ri- cordare un altro fatto generale. Durante le fasi mioceniche prospera- rono nelle regioni geologicamente conosciute dell’ Europa, dell'Asia e dell'America alcuni Chelonii giganteschi a carapace robustissimo, ma appartenenti tutti al sottordine dei Tilopodi: La Colossochelys atlas dei colli Sivalesi, la Testudo marmorum di Pikermy, la Testudo Vitodurana di Weltheim, la T. gigantesca del monte Leberon, la Testudo lata del Nebraska e qualcun altra, fra cui la novellamente scoperta Testudo per- piniana, ne possono servir di esempio. Tali giganteschi rappresentanti dei Chelonii non erano stati finora riscontrati in Italia. Dobbiamo noi ammettere che la fase di sviluppo di Chelonii a carapace robustissima si sia prolungata in Italia fissandosi non più su Tilopodi ma sopra Pleurodere? o dobbiamo noi prendere il fatto isolatamente dacchè esso si avvera in minori proporzioni (finora) su altra sezione dell’ ordine, ed in altri tempi? Anche questa è questione che credo guadagnerà molto ad essere sciolta soltanto qualche tempo dopo di essere stata proposta e che rimetto quindi allo avvenire. Per questo Chelyde così inaspettatamente manifestatosi nel Pliocene Valdarnese propongo provvisoriamente il nome generico di Pliochelys coll’ appellativo speeifico di P. derelicta. 29 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. Fam. 4°. Trionychidi [Sottord. 4°: Trionycoidi]. N. 9. TRIONYX, sp. Avanzi di Trionychidi vennero incontrati in tre località del pliocene toscano: l’una valdarnese ed è il « Colombajolo » presso S. Giovanni le altre in provincia di Pisa! e sono: la prima: una località a quattro miglia da Volterra sulla strada verso Siena, l’altra: Orciano Pisano. AI Colombajolo vennero raccolti tre frammenti poco importanti di carapace, cioè: porzione di una prima piastra ossea costale sinistra, porzione di una quinta o sesta costola sinistra, e porzione di piastra nucale. i Presso Volterra sarebbe stato trovato un esemplare presentante un grande numero di parti almeno del carapace; queste però erano già talmente disgregate e ridotte in piccoli frantumi che non poterono ve- nir tutti raccolti ed io non potei restituirli alla loro posizione primi- tiva gli uni per rapporto agli altri; cosicchè non è possibile farsi un'idea della esatta forma del carapace e delle singole piastre e del loro sviluppo relativo. Ad Orciano Pisano vennero raccolti tre piccoli frammenti, due dei quali appartengono al primo paio di piastre costali, il terzo forse al set- timo od oltavo paio. In complesso gli avanzi di Trionychidi del Pliocene toscano sono ancora tanto scarsi e tanto difettosi che noi non possiamo ancora stabi- lire con certezza quale dei moderni generi di questa famiglia sia il rap- presentato da questi residui; tanto meno possiamo distinguere specie e farci un'idea del numero approssimativo di esse. Ci limiteremo adunque a constatare che la famiglia era rappresen- tata e che, in grazia ai relativamente potenti mezzi di locomozione di cui le specie che la compongono sono dotate, essa godeva di una distri- buzione locale assai vasta ciò che risulta dall’ essersene trovati rappre- sentanti in località assai lontane fra di loro. Risulta pure che soltanto dall’ ultima fase geologica questi odierni abitatori di molto più calde regioni abbandonarono |’ Europa meridionale, dove, fino all’ età rappresentata dal piano Astiano inferiore esse trovarono ! Ricordo l’annotazione fatta in principio della descrizione degli Uccelli val. darnesi, aver cioè creduto bene di variare nello studio dei gruppi speciali di fos- sili i limiti geografici del Valdarno quando vi veniva tratto dalle relazioni di taluni fossili con quelli di regioni poco lontane o dalla presenza in esse di specie non an- cora conosciute per la località, ma che potranno in seguito venir riscontrate anche nelli stretti limiti del Valdarno stesso. I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 23 condizioni di clima adatte ad un completo ed anche copioso svol- gimento. Fam. 5. Cheloniadi. [Sott. 5°: 0jacopodi] N. 11. CHELONIA, sp. Per mezzo di alcune ossa dello endoscheletro, e specialmente di una tibia, trovate sulla strada di Siena a due miglia da Volterra ho po- tuto constatare nel Pliocene toscano anche la presenza di un grosso Che- lonio marino, di un individuo il cui carapace poteva avere da 90 centi- metri ad un metro di lunghezza. La mancanza di un maggior numero di parti e sovratutto di parti adatte allo studio mi obbliga a fermarmi alla semplice constatazione di rappresentanti della famiglia senza poter indicare con quale degli odierni generi essi presentassero maggior nu- mero di analogie. Ordine degli OFIDII. Famiglia Colubridi [Sottord. Co/ubrini innocui). N° 11. CoLuBeR ETRURIAE, nov. sp. (Tav. 1, Fig. 8,9, 210, 11). Gli avanzi di animali fossili appartenenti all’ ordine degli Ofidii sono fino al dì d’ oggi estremamente scarsi e per quei pochi ancora si incon- trano molte difficoltà a collocarli approssimativamente nel luogo che loro spetta in sistema. Io non starò quì ad enumerare tutte queste difficoltà parendomi sufficiente di citare quelle dipendenti dalla trascuranza in cui furono lasciati da molti i resti di Ofidii fossili, dalla mancanza dei caratteri ricavabili dalle estremità e che obbliga a rivolgere lo studio unicamente sopra le vertebre e sulle piccole gradazioni di sviluppo rela- tivo fra le parti di esse, dal poco numero di Ofidii fossili precedentemente trovati e dal piccol numero di parti per ciascuno di essi rinvenute. Ho voluto premettere quanto sopra, perché il lettore non trovi strano che io dia importanza ai residui apparentemente insignificanti di Ofidio fin qui stati rinvenuti in Toscana e comprenda che, mentre è per ora cosa molto difficile una buona determinazione di essi, d’ altro Jato molto è ancora a fare ed a studiare prima di ottenere un esatto concetto sulla importanza dell’ ordine nei tempi andati. L’ unica località toscana o meglio valdarnese che abbia fornito avanzi di Ofidii è fin qui quella denominata il « Tasso » (da cui provengono 24 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. eziandio Testudinidi ed Uccelli fossili) dalla quale vennero ricavate in tutto una dozzina di vertebre, di cui non una perfettamente completa, ed una diecina di frammenti insignificanti di quelle o di altre vertebre. * Le vertebre si riconoscono facilmente come di serpente dal loro carat- tere procelo, dalla forma delle loro emisfere articolari, da quella dei loro corpi e dalla presenza dell’ articolazione supplementare o zigosferica fra arco ed arco vertebrale. Dallo sviluppo relativo delle singole apofisi e specialmente da quello considerevole che deve aver posseduta la porzione della diapofisi sostenente la zigapofisi anteriore, dalla seomparsa quasi completa del tubercolo intermedio della diapofisi stessa e dalla riduzione molto avanzata del processo inferiore della stessa diapofisi verrei a rica- vare preziosi caratteri per ravvicinare |’ Ofidio di Valdarno ai Colubrini innocui e trovo appoggio per questo ravvicinamento nei caratteri tolti dallo sviluppo, forma e posizione degli altri processi. Ad esempio trovo grande analogia fra il fossile e il Coluber elaphus nella forma dello zygo- sfene e dello zygantro e nella forma delle faccette che l’ uno e l’ altro sopportano, trovo che l’ angolo fatto dalla faccetta articolare zigosferica colla faccetta zygapofisaria è altrettanto aperto nel fossile che nella spe- cie indicata ed invece più aperto che nella generalità dei Colubridi vele- nosi, dei Pitonidi, dei Boidi e degli Erycidi. Trovo che la zigapofisi po- steriore discende altrettanto basso sul corpo della vertebra nel fossile come nel Coluber or nominato e come quella porta la faccetta articolare quasi completamente orizzontale (ciò che non avviene nella generalità degli altri Ofidii). Portando poi l’ esame o su altre parti della vertebra o per quanto sì può sulla forma della vertebra intiera trovo ancora somi- glianza tra il fossile ed il Coluber elaphus nella forma emisferica legger- 1 Per lo studio di queste mi sono essenzialmente servito, oltrechè di prepara- zioni osteologiche dal vivo, dello splendido studio delle vertebre degli Ofidii viventi e fossili inserto nel Monograph of the fossil reptilia of the London Clay, Parte 2* (Croco- dilia, Ophidia) di R. Owen (Palaentogr. soc., London, 1850) pag. 51-68, tav. XIII-XVI; quindi del primo volume dell’opera On the anatomy of vertebrates dello stesso Owen (8° London, 1866); del recente lavoro del Lydekker: Indian tertiary and post tertiary Vertebrata, Vol. III, part 7: Siwalik Crocodilia Lacertilia and Ophidia, 4° Calcutta, 1886 (Mem. of Geol. Surv. of India) ed infine dei lavori seguenti: De Rochebrune A. T., Faune ophiologique des phosphorites du Quercy, (Estr. dalle Mem. de la Soc. des Sc. nat. de Saone et Loire, gr. 8° av. pl. Chalon, 1884); De Rochebrune A. T., Revision des Ophidiens fossiles (Nouv. arch. du Musée d’ Hist. nat. de Paris, 2%© Ser., Tom. III). Paris, 1880; OwenR., On the fossil vertebrae of a serpent: Laophis crotaloides, in a ter- tiary formation at Salonica (Quart. journ. of the geol. Soc., London, Vol. XIII, 1857, pag. 196 e seg.); Marsh O. C., Description of a new and gigantie fossil serpent (Dino- phis grandis) from the tertiary of New Jersey (Amer. journ. of Sc. and arts, Vol. XLVII, november, 1869); Roemer E., Ueber Python euboicus, eine fossile Riesenschlange aus dem tertiaerem Kalkschiefer von Kumi auf der Insel Eubaca; Zeitsft. d. Deulsc. Geol. Ges., Bd. XXII, S. 582 und f. Taf, XIII, Berlin, 1880, 8°; Filhol H, Recherches sur les Pho- sphorites du Quercy, pag. 490 et suiv. Ophidiens, figg. 413-414, Paris, 1877, 8°. I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 25 mente schiacciata della cavità articolare anteriore, nella forma e posi- zione guardante leggermente allo insù della emisfera articolare posteriore (molto piccola comparativamente al volume del corpo della vertebra), nella depressione del corpo della vertebra (astrazion fatta dalla neuro- spina). Per tutti i ricordati caratteri, il fossile in esame, mentre concorda colla specie citata, si trova o parzialmente o totalmente ad essere in urto cogli altri Ofidii: d’ altra parte esso si trova un po’ più dissimile dal Coluber elaphus e si avvicina al genere Eryx per il solo fatto dello svi- luppo della hypapofisi, sviluppo che è nel fossile relativamente assai con- siderevole, tale apofisi marcando tutta la lunghezza della linea mediana della faccia inferiore del corpo della vertebra sotto forma di un cordon- cino prismatico di un mezzo millimetro di diametro. È questa l’unica differenza (a parte il volume assoluto) che si presenti fra la specie fossile e quella di confronto ed è tale che può benissimo autorizzarci a tener le due specie disgiunte; non, finora, a tenerle separate di genere. Io quindi, vista la grande scarsità di specie di Ofidii fossili fin qui conosciute, son lieto di poter constatare come durante la fase Astiana abbia vissuto nel Valdarno almeno una specie di piccoli colubri innocui che avrà raggiunta pressa poco la lunghezza totale di centimetri 150 e per la quale propongo il nome di Coluber Etruriae. Ordine dei SA URII. Famiglia dei Varanidi? [Sottord. Cionocranii]. No 12. PROGONOSAURUS PERTINAX, n. gen., n. sp. (Tav.I, Fig. 5, 6,7). Ciò che ho detto a proposito delli Ofidii fossili e della ioro scarsità, potrei a un dipresso ripetere a proposito dei veri Saurii ma non invoco tale condizione se non per dar ragione del motivo per cui io tenga grande conto dei pochi e meschini avanzi di cui mi accingo a parlare e che ven- nero raccolti sulla strada verso Siena a due miglia da Volterra insieme ad avanzi di Chelonio marino. Sono in iutto tre vertebre, delle quali non una completa, e porzione dell’arco vertebrale di una quarta. Fra queste tre vertebre due presentano conservata e distinta la fac- cia anteriore di articolazione del corpo della vertebra per quello della vertebra precedente; tale faccia è incavata (avremmo dunque a fare pro- babilmente con rettile procelo) e si mostra allungata trasversalmente; la faccia posteriore, che dovrebbe essere corrispondentemente convessa, manca ad entrambe per rottura avvenuta sul corpo della vertebra poste- 26 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. riormente alla fossilizzazione. Entrambe queste vertebre presentano arco neurale incompleto (sempre per rottura) e mancano di quasi tutte le apo- fisi; poco adunque si può dire a loro riguardo, per fortuna la posizione di una zigapofisi anteriore ancora conservata su una di queste vertebre ci indica colla sua posizione molto elevata e col presentarci la faccetta articolare quasi verticale e rivolta allo indietro che noi abbiamo a fare con una vertebra caudale di un Saurio; sull’ altra vertebra riconoscesi che le due zigapofisi anteriori dovevano aver la stessa posizione e che anch’ essa doveva essere una caudale. Questa seconda presenta inoltre sulla faccia inferiore del corpo verso il margine posteriore una rottura dalla quale si staccò un ingrossamento di quella regione del corpo che doveva corrispondere e costituire i tubercoli di inserzione per |’ ema- pofisi (os en chevron). Il corpo della vertebre è per entrambe del doppio più largo che alto ed, intiero, esso doveva essere di lunghezza corrispondente ad una volta e mezza la larghezza (altezza del corpo sul mezzo della faccia anteriore mm. 6,8; larghezza sulla faccia anteriore mm. 14). Il canale neurale è quasi perfettamente circolare, del diametro di mm. 5, l’ arco neurale ro- busto; eziandio robuste sono tutte le apofisi, specialmente le traverse. Entrambe queste vertebre dovevano appartenere alla sezione anteriore della coda non però prima della terza vertebra caudale. La terza vertebra conservata presenta alcuni caratteri comuni colle due precedenti, però il corpo è molto più depresso ed appiattito (e manca della faccia articolare anteriore); il suo canale neurale è di un millimetro più alto che largo (altezza 6 mm.); molto robusto è 1’ arco neurale: tali dovevano esser pure la neurapofisi e ancor di più le zigapofisi; robu- slissime poi son le trasverse di cui abbiamo la sinistra perfettamente conservata: essa è molto corta e tozza, si allarga leggermente verso l'estremità e porta su di essa una faccia articolare triangolare a super- ficie ruvida, per cui essa aderiva al bacino e per cui è facile riconoscere aver noi a fare colla prima delle due vertebre sacrali di un Saurio. Tale robusta apofisi trasversa (hypapofisi) mostrasi profondissimamente inca- vata sulla sua faccia posteriore, sovratutto in corrispondenza della sua origine dal corpo della vertebra, ma l’ incavatura va via rendendosi su- perficiale verso l’ esterno, tantochè essa non influisce menomamente sulla forma della faccia articolare or ricordata, a differenza di ciò che avviene per la generalità dei Sauri dove l’ incavatura facendosi sentire sovratutto allo esterno, fa sì che la faccia articolare pel bacino assuma la forma dì ferro a cavallo colla soluzione di continuità all’ indietro. Qui la faccia articolare pel bacino è, già lo dissi, triangolare; essa ha inol- tre il maggior suo lato (7 mm.) superiormente ed orizzontalmente e la faccia stessa guarda allo infuori ed un tantino allo ingiù. Un ultimo carattere, è questo straordinario, di questa vertebra noi lo scorgiamo sulla faccia articolare posteriore del suo corpo, la quale, I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. 27 anzichè decisamente convessa si mostra invece concava; concava in molto maggior grado nella sua porzione mediana, e pianeggiante o anche subcon- vessa pel quarto esterno da ambo i lati (il diametro trasversale di questa faccia è di mm. 15,6, il verticale di mm. 6,7). Ammesso per analogia colle due vertebre precedentemente descritte, e che ho ragione di cre- dere dello stesso animale, che il corpo di questa vertebra avesse ante- riormente una faccia articolare concava, ne verrebbe che essa vertebra fosse amficela, fatto questo abbastanza strano e nuovo, che nel sacro dei Saurii si riscontra in quell’ unica famiglia che presenta ancora tulte le vertebre amficele e che nel presente caso potrebbe venir considerato siccome indizio di una più bassa origine e rimasto conservato in quella porzione della colonna vertebrale che per essere meno soggetta a movi- mento non aveva sentito ancora né il bisogno, né l’ influenza di un per- fezionamento supremo già estesosi a tutta la restante colonna vertebrale. Credo utile di far rimarcare qui che nè questa vertebra, nè le due pre- cedentemente menzionate non presentano più alcuna traccia del passaggio di una corda dorsale o suo residuo corrente continuamente lungo la colonna vertebrale e che le facce articolari osservate pei corpi sono in tal guisa sviluppate, che necessariamente esse servirono ad una arti- colazione effettiva con una altra faccia pure articolare, rivestita, come esse, di tessuto cartilasineo e di necessità convessa. La differenza fra il Saurio valdarnese ed i Saurii (tolti gli Ascalaboti) odierni sta adunque in ciò che i Saurii odierni hanno tutte le vertebre, anche le sacrali pro- celi, mentre il Saurio volterrano avendo probabilmente tutte le sue re- stanti vertebre proceli, presentava la prima vertebra sacrale amficela, mentre la seconda doveva essere di necessità acela, il suo corpo presen- tando tanto verso l’ avanti che all’ indietro, facce articolari convesse. * 4 A scanso di malintesi debbo ricordare come nell’ordine dei Coccodrillini noi abbiamo ancora il sacro composto di due vertebre, il corpo della prima delle quali è concavo piano, mentre quello della seconda è piano concavo restando così la prima caudale biconvessa. Ora il saurio volterrano, benchè nella disposizione delle facce articolari delle due vertebre sacrali, paia ricordare e realmente in parte s’accosti alla omologa disposizione dei Coccodrillini, ne differisce, a quanto è dato dedurre finora (tralasciando il diverso ed or descritto ordinamento delle facce, o piane o con- cave o convesse, che in questo caso appunto occorre tenere fuori di considerazione) per avere l’apofisi trasversa della vertebra sacrale, partente di preferenza dall’arco neurale anzichè preferentemente dal corpo della vertebra (lo stesso dicasi per le caudali) e perchè fra l’ arco e il corpo non esiste traccia alcuna di quella sutura che nei Coccodrilli persiste molto lungamente anche nelle vertebre sacrali. La forma al- largata trasversalmente delle facce articolari dei corpi delle due vertebre caudali precedentemente menzionate, mi mette fuori dubbio trattarsi di un vero saurio es- sendo conosciuto che il contorno di siffatte facce articolari è nei coccodrilli (toltochè per le due vertebre sacrali) circolare e che nella coda esso può venir modificato leg- germente, estendendosi però l’asse verticale e diminuendo il trasversale nelle facce delle successive vertebre. Se il fossile volterrano anzichè un Saurio avesse dovuto (9) 0 I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. Con tale proprietà e con quelle dedotte dalla faccia articolare della prima vertebra sacrale pell’ osso iliaco e dalla forma e brevità della apofisi trasversa che porta tale faccetta, noi, quantunque con piccolo numero di parti dello scheletro, possiamo già constatare che il Saurio volterrano non può entrare direttamente in alcuna delle famiglie e tanto meno dei generi stabiliti per Saurii viventi. La forma delle parti conservate delle vertebre mi fa ammettere che la famiglia a cui il Saurio volterrano apparteneva, doveva essere molto vicina a quella dei Varanidi e per il nuovo genere a crearsi per lui, e che sarà distinto per ora dai caratteri menzionati e tolti dalle vertebre sacrali propongo il nome di Progonosaurus, ' dando alla specie, fin qui unica rappresentata e che persistette, con caratteri ricordanti fasi molto remote nello sviluppo dei Rettili in mezzo ad una fauna generale già molto progredita, l’ aggettivo di perlinax. Enumerati e descritti i Rettili che si sono finora incontrati nel Plio- cene toscano, trovo opportuno raccogliere in due parole i resultati che dal loro studio derivare si possono. Noi scorgiamo dapprima una grande prevalenza dei Chelonii sopra gli altri ordini di Rettili, due di essi essendo molto scarsamente, uno non affatto rappresentato. Fra i Chelonii vediamo che tutti e cinque i sottordini in cui ven- gono distinti, hanno lasciati, benchè in proporzione diversa, rappresen- tanti allo stato fossile nel Pliocene toscano. I sottordini che presentano un maggior numero di specie sono : quello dei Tilopodi con tre specie appartenenti tutte alla famiglia dei Testudinidi e quello degli Stegano- podi con almeno tre, forse quattro specie tutte della famiglia. degli Emydidi. Per ciò che riguarda i Tilopodi, è notevole la presenza di un relativamente così grande numero di specie in una regione che molti essere un Coccodrillino, la vertebra sacrale che ho dinanzi, l’avrei dovuta girare d’avanti in dietro considerando come anteriore la faccia che nella descrizione inter- pretai siccome posteriore, ed allora la vertebra stessa presenterebbe molto mag- giore analogia colla seconda sacrale dei Coccodrillini stessi (dove, come è noto, entrambe le vertebre sacrali pigliano parte attiva nel sostegno delle ossa iliache) colla quale non mancano, in tale posizione, di presentarsi molti punti di ravvici- namento. 1 Il nome di Paleovaranus che trovavo adatto ed avevo progettato di dare a questo fossile essendo già stato impiegato dal Filhol per un animale assai più vicino ai Varani di quello che presentemente ci occupa, ho dovuto in mezzo alla complicata nomenclatura dei Rettili fossili procedere alla fabbricazione di un nuovo nome, sce- gliendo un radicale non ancora utilizzato quantunque non corrisponda perfettamente alla idea che mi son fatta del Rettile a cui viene attribuito. N I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE, 29 odierni zoologi reputano priva affatto di specie indigene che li rappre- sentino e che queste specie presentino (alcune almeno) il carattere ter- restre molto più spinto che nei rappresentanti odierni del sottordine stesso. Il maggior numero di specie e l’accentuazione dei caratteri ci dimostra esser seguito pei Chelonii terrestri ciò che è seguito pei Mam- miferi, i quali durante la fase pliocenica ebbero in Val d’ Arno appunto uno sviluppo in numero, mole e perfettezza, al confronto del quale, lo sviluppo della fauna locale odierna, segna un vero regresso. Lo stesso fatto è appoggiato, benchè con minor sicurezza, dai dati che si ricavano dallo studio delle specie di Emydidi e dall’ essere durante la fase plio- cena, la Toscana ancor qua e là frequentata dai Trionychidi. All’ in- contro: la presenza dei Cheloniadi non è per nulla un fatto notevole, es- sendo le coste toscane visitate anche dagli odierni rappresentanti dello stesso sottordine. Già feci, a suo luogo, notare |’ enorme importanza della consta- tabile presenza delle Pleurodere nel Valdarno. La presenza di Chelydi ci ritorna colla mente a fasi della storia della terra da noi molto più lontana che la pliocenica non sia, a fasi in cui i Mammiferi erano an- cor più che genericamente distinti da quelli attualmente viventi ed in cui le condizioni orografiche e climatiche dovevano essere fonda- mentalmente diverse da quelle di oggidì. Il carattere di enorme robu- stezza della Chelyde valdarnese, mi fa anche involontariamente ricorrere col pensiero allo stesso carattere, presentatosi però principalmente sul sottordine dei Tilopodi, durante le fasi mioceniche colla Testudo Larteti, la T. gigas, la T. vitodurana, la gran T. del Monte Leberon, la T. lata, la Colossochelys atlas e mi fa supporre che tale carattere abbia succes- sivamente esercitata la sua influenza su specie appartenenti ad altre fa- miglie dello stesso ordine e che nella Chelyde valdarnese, noi dobbiamo quindi vedere la ripetizione di un fenomeno di resistenza ad agenti esterni, quasi altrettanto potenti, di quelli che nelle fasi mioceniche occasionavano lo sviluppo dei giganti che vengo di menzionare. Il carattere di antichità che la fauna pliocenica valdarnese viene ad assumere per il solo fatto di comprendere essa una Chelyde è confermato dall’ altro fatto desumibile dall’ unico Saurio che finora essa comprende pure. In questo Saurio abbiamo visto caratteri che da un lato ricordano caratteri simili esistenti in Saurii mesozoici, dall’ altro ricordano quelli dei Coccodrillini odierni e che in complesso fanno dell’ animale che li portava un mostro che non trova posto conveniente in un sistema che comprenda i rettili odierni ed anche tutti i rettili dalla prima fase mio- cenica fino alla attuale. Di Ofidii la fauna pliocenica valdarnese è molto scarsa, l’ unica piccola specie finor riscontrata si lascia abbastanza co- modamente collocare a fianco dei Colubridi innocui. Del resto ecco lo specchio delle specie di rettili fin qui riscontrate nel Pliocene toscano : 610) I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE. Ordine CHELONII. Sottord. Tilopodi. — Fam. Testudinidi. 1. TESTUDO GLOBOSA, nov. sp. 2, » ORIENS, id. dI » SEMINOTA, id. Sottord. Steganopodi. — Fam. Emydidi. 4. EMYS ETRUSCA, nov. sp. 5. » MAJOR, id. 6. » LATENS, id. » sp.’ (Cuvier). MD MRS: Sottord. P/leurodere. — Fam. Chelydidi. 8. PLIOCHELYS DERELICTA, Nov. gen., nov. Sp. Sottord. Trionycoidi. — Fam. Trionychidi. 9. TRIONYX, Sp. Sottord. 0jacopodi. — Fam. Cheloniadi. 10. CHELONIA, Sp. Ordine OFIDII. Sottord. Colubrini innocui. — Fam. Colubridi. 11. CoLuBER ETRURIAE, n. sp. Ordine SA URII. Sottord. Cionocranii. — Fam. Varanidi? 12. PROGONOSAURUS PERTINAX, nov. gen., NOV. Sp. 1 Debbo ricordare come il Cuvier, Oss. foss. 4 éd., 1836, 8°, vol. 9, pag. 474, fa a proposito di Emydi il seguente cenno: « On parle aussi de diverses autres tor- tues d’eau douce trouvées dans les terrains meubles à os d’éléphans, par exemple..., dans le val d’Arno où s’est trouvé, près de Montevarchi, un fragment d’Emyde as- sez semblable à celle d'Europe, que M, Pentland a vu dans le cabinet du Grand-duce à Florence.» Per quanto si sia in seguito cercato, non è più stato possibile rinvenire e quindi studiare detto frammento il quale quindi non ricordo che a semplice comple- mento di lista. (Tale indicazione troviamo in seguito in Maack, Die bis jetzt bekannten fossilen Schildkroten, Kassel, 1869; in Gervais Zoologie et Paléontologie frangaises, Pa- rigi, 1859 [2 ediz.]; ed in Sordelli, Sulle tartarughe fossili di Leffe, Milano, 1872). I RETTILI PLIOCENICI DEL VALDARNO SUPERIORE, dI A completare lo studio dei Rettili fossili del Museo di Firenze debbo, dopo aver con quanto precede ultimata la serie degli avanzi pliocenici, spendere ancora poche parole attorno a pochi avanzi di Chelonio stati trovati all’ isola d’ Elba nella grotta di Reale presso Porto-Longone in giacimento quaternario. Tali avanzi consistono in 1. — Carapace. a) Tre piastre sopranucali di tre diversi individui di cui due gio- vanissimi ed uno appena adulto. b) La metà esterna di una sesta piastra costale destra di indivi- duo adulto ma non vecchio. c) Piastra marginale (8? destra) di un individuo molto vecchio. 2. — Piastrone. d) Hyopiastrone destro di individuo adulto, quasi completo. e) Ilypopiastrone sinistro di individuo adulto, quasi completo. 3. — Estremità. f) Due omeri sinistri di cui uno incompleto. g) Un femore sinistro. Ora tutte queste ossa appartengono ad un’ unica specie : il Peltastes graecus il quale troviamo, per questo rinvenimento di sue parti, essere stato, durante la stessa fase geologica presente, indigeno abitatore o del- l’ isola d’ Elba o meglio della Costa Tirrena sulla quale venne forse dall’ abitatore delle caverne ricercato e trasportato a qualsiasi scopo nelle caverne dell’ Isola. Il Peltastes graecus, l unica specie di Tilopodi che si riproduca allo stato di selvatichezza in Italia (e in Grecia) vien considerato da molti zoologi come non indigeno dell’ Europa Meridionale ed a noi pervenuto dall’ Asia Minore. Minori difficoltà si fanno ad ammettere come indigena dell’ Europa meridionale un’ altra specie di Peltastes: il P. marginatus, ma questa, ben studiata, ricade come varietà nella specie precedente e quindi la questione rimarrebbe allo stesso punto. Parmi che il rinvenimento di ossa fossili di Peltastes graecus in mezzo alla fauna delle caverne debba servirci se non altro a risolvere la questione sull’ indigenismo suo nelle regioni europee bagnate dal Medi- terraneo nel senso di ammettere che la specie sia, nella presente fase della terra, sempre stata indigena in Grecia ed in Italia e che gli indi- vidui trasportati in tempi antichi e prossimi dall’ Asia minore abbiano, al pari di quelli qui nati e cresciuti, trovate nell’ Italia meridionale e cen- trale le condizioni adatte a riprodursi allo stato selvaggio e a conservare quel limitato sviluppo della specie sotto al quale noi la conosciamo. i Pig. Fig. Fig. Fig. Pig. Pig. Fig. Fig. Pig. Fig. Fig. 1 Fig. 1 Fig. Fig. Fig. ORDINE DELLE TAVOLE E FIGURE. TAVERT Il carapace della Testudo globosa veduto dal di sopra (Per meglio far ri- saltare i dettagli delle singole piastre il fossile è stato nel disegno al- quanto appiattito). Lo stesso veduto dal fianco sinistro. La piastra nucale della Testudo globosa veduta dal di sopra. Il piastrone della Testudo globosa veduto dalla faccia esterna od inferiore. Vertebra sacrale di Prosonosaurus pertinax veduta di fianco. La stessa veduta dalla faccia posteriore. Vertebra caudale di Progonosaurus pertinax veduta dalla faccia anteriore. 16 8-9-10-11. Vertebra dorsale di Coluber Etruriae veduta dall’ avanti, dal 17. 18. di dietro, di fianco, di sotto. TAV. II L’Hypopiastrone della Testudo oriens veduto dalla faccia esterna od inferiore. L’ Hyopiastrone della Testudo seminota veduto dalla faccia esterna od inferiore. Il carapace dell’ Emys etrusca veduto dal di sopra. Il piastrone dell’ Emys etrusca veduto dalla faccia esterna od inferiore. La porzione anteriore del piastrone dell’ Emys etrusca veduta dalla fac- cia esterna od inferiore. Frammento di carapace di Pliochelys derelicta veduto dal di sopra. Lo stesso veduto dalla sezione o faccia anteriore (a-b della fig. 17). N.B. Per le figure 1-4 della prima tavola e 17 della seconda, la direzione delle freccie messevi accosto indica la direzione anteriore dello esoscheletro supposto intero, Testudinidi, Varanidi ? e Colubridi pliocenici valdarnesi. Î A. Cocchi dis.e lit A 5 i î : Lit Ach. Paris. Firenze. TAV: ll. . oe "1 re nesi. RO RENE 0 dinidi Emydidi e Chelydidi pliocenici valdarnesi. Testudinidi, l'INACGAREE AE nina KI La NAZZANO Li Si JA Mai i VAI 1 n