P. COLAGROSSI ' ■> L'AMTEATEO FLAVIO NEI SUOI VENTI SECOLI DI STORIA (CON Itì ILLUSTRAZIONI E 6 TAVOLE) FIRENZE LiBKEKiA Editrice Fiorentina ROMA Libreria " Propaganda ,, Quirioo Castello 1913 fvifì PROPRIETÀ LETTERARIA Stabilimento Tipografico S. Giuseppe - Via Pandolfini 26, Firenze. AL R.MO P. PACIFICO MONZA MINISTRO GENERALE DEI FRATI MINORI QUEST'UMILE LAVORO INTOKNO AL GRANDE ANFITEATRO IN CUI L'ILLUSTRE APOSTOLO MINORITÀ LEONARDO DA PORTO MAURIZIO MEDITÒ SOVENTE ED INSEGNÒ A MEDITARE LA PASSIONE DI CRISTO INDICE GENERALE. Prefazione l'ng. 1 Inivoditzione — Storia generale degli antiteatri ..... » 3 P.\RTE I. Dalle origini al secolo VI dell' era volgare. Capitolo Primo. — Edificazione — Dedicazione — Feste inaugurali — Medaglie comraeiiiorative — Spese approssimative — Epigrafi . . . l^'f(l- 31 Capitolo Secondo. — Descrizione della parte esterna dell' Anfiteatro Flavio — Di- mensioni — Architettura — Materiali usati nella costruzione — Statue — Clipei — Perni e spranghe — Sezione. ..... /'ai/. 41 (apìtoln Terzo. — Descrizione dell'interno dell'Anfiteatro Flavio — Arena — Ipogei — Portici sotterranei — Cavea — Velario — Anemoscopio — Architetto , . . . Pacj. 53 < 'apitolo Quarto. — Spettacoli celebi-ati nell' Anfiteatro Flavio dall' inaugurazione al secolo VI, ed abolizione dei medesimi ..... ^ ffl- 103 Capitolo Quinto. — L'anfiteatro Flavio danneggiato e restaurato . . » 125 Parte II. Dal Secolo VI al Medio Evo Capitolo Primo. — Il Colosseo — Origine di questa voce . . . l^'Jff- 135 Capitolo Secondo. — Il Colosseo nel suo abbandono e poscia convertito in fortezza feudale Pag. 147 ' apitolo Terzo. — Il Colosseo nelle mani del Senato Romano — Giostre in esso celebrate. . . . . . . . . . . ^'«j7- 158 Capitolo Quarto. — Il Colosseo danneggiato dal terremoto (a. 1349) — L'arcicon- fraternità di •' S. Sanctorum ,, nel Colosseo . . . . , P'iO- 163 Parte III. Dal secolo XV ai tempi presenti. < apitolo Primo. — Varie vicende del Colosseo nei secoli XV e XVI — Travertini asportati — I Papi e il Colosseo — Drammi sacri — Chiesa della Pietà — Chiesa di S. Giacomo — Ospedale — Altre Chiese ed oratori che circon- darono il (colosseo — Sisto V. ...... . Pag. 171 vili INDICE GENERALE Capitolo Secondo. — 11 Colosseo nel secolo XVII » 213 Capitolo Terzo. — Il Colosseo nel secolo XVIII » 217 Capitolo Quarto (secolo XIX). — Il Colosseo restaurato e fatti contemporanei ivi avvenuti. ........... Pag- 223 Capitolo Quinto. — Scavi eseguiti nell' Anli teatro Fiaviu dal 1810 sino ai nostri tempi Pag. 2jl Parte IV. Controversie sull'Anfiteatro Flavio. Capitolo Primo. Quest. J". — Nella dedicazione dell' Anfiteatro Flavio, ove si ce- lebrarono le naumachie ?..,..... Pag. 245 Capitolo Secondo. Quest. 2^. — Quali soggetti erano rappresentati nei clipei? — Come erano questi disposti? — Quanti erano? .... Fag. 257 Capitolo Terzo. Quest. 3^. — L' Anfiteatro Flavio e i Martiri ... » 2G5 Capitolo Quarto. Quest. 4'^. — L' iscrizione " Sic premia servas „ è genuina o falsa? • Pag. 285 Appendici. I. — La flora del Colosseo ......... Pag. 337 II. — Iscrizioni e frammenti epigrafici ....... » 347 PREFAZIONE. L ìa grandezza e magnificenza dell'antica Cittìi dei Cesari ri- splendono tuttora nei suoi maestosi ruderi ; e gli avanzi del mara- viglioso ANFITEATRO FLAVIO, di cui m'accingo a trattare, ce ne sono una fulgida prova. Gli incendi, i terremoti, i saccheggi, le fazioni medioevali, le prepotenze dei baroni, la lontananza del Papa dalla sua sede, gli sconvolgimenti politici, fecero disgraziatamente sparire un gran nu-. mero di monumenti romani ; ma la venerabile mole dei Flavi resistè, almeno in parte, alle ingiurie dei tempi e degli uomini ; e come in altre epoche il Colosseo fu l'oggetto nobile di profondi studi, così stimo debba esserlo ai giorni nostri in cui si nota tanto risveglio per le cose antiche. La prima lezione di archeologia pratica, io la ricevei nell'AN- FITEATRO FLAVIO, e, a dire il vero, rimasi tanto ammirato della sua storia e grandiosità, che fin da quel momento sorse in me il desiderio di farlo oggetto di un mio studio speciale, e di rendere un contributo a quella mondiale maraviglia. E quel desiderio vago, concepito anni or sono, è divenuto oggi una realtà. « Onde evitare fi-equenti e forse inutili annotazioni nel corso del- l'opera (specialmente quando si tratterà delle varie parti che costi- tuiscono l'Anfiteatro Flavio e dei ludi ivi dati dagli Imperatori), m' è sembrato conveniente far precedere allo studio sul Colosseo una sto- ria sommaria degli anfiteatri in genere e dei giuochi venatorì e gla- diatori in ispecie. 2 INTRODUZIONE Relativamente alle memorie cristiane che sono connesse col no- stro monumento, io le tratterò con franchezza e lealtà ; ed esporrò le mie opinioni senza curarmi ne della congiura «■ del silenzio » né della taccia « d'ignorante ed ostinato », perchè tanto l'una che l'al- tra sono armi ormai notissime di coloro i quali « tanto più dan vanto di sapiente » ad uno scrittore, « quanto più (questi) si mostra audace nel distrug-gcre l'antico, nel rigettare la tradizione, ecc. » (1). Onde poi la discussione delle principali controversie sòrte in più epoche sull'Anfiteatro Flavio, non interrompa il filo della nar- razione, e non distragga soverchiamente il lettore, ho creduto cosa utile trattarle separatamente nella IV parte di questo studio. Le numerose piante, finalmente, o la famosa flora del Colosseo; nonché i frammenti epigrafici rinvenuti nel nostro Anfiteatro, for- meranno il soggetto di due rìspettive appendici. (1) Fmc. Pascendi. I INTRODUZIONE. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI. J_L mondo vinto, scrisse Giovenale, si è vendicato dando a Roma tutti i vizi „. Triste ma incontestabile verità! Prima infatti che la romana Repubblica soggiogasse l'Oriente, i costumi del suo popolo erano semplicissimi ; la guerra e l'agricoltura formavano la sua precipua occupazione, e spesse volte gli stessi magistrati, i consoli, i dittatori, ecc., spirato il tempo della loro carica, depo- nevano la toga e tornavano a coltivare i loro poderetti. Ma eccoci alle guerre Puniche! Eccoci alle guerre Macedoniche! Roma conquista progressivamente le province orientali ; e, a misura che essa s'avanza nelle conquiste, di pari passo degenera la semplicità dei costumi del suo popolo. Colle nuove genti vengono in Roma le ricchezze ; colle ricchezze i vizi. Ma l'oro ed il lusso erano un privilegio dei soli nobili : di quei nobili, che, inviati a governare le conquistate regioni, tornavano in patria carichi di ricchezze e sfoggiando un eccessivo lusso orientale. Il basso popolo, immise- rito, cencioso, ozioso, a causa dei grandi latifondi, addivenne la piaga di quel tempo. Alle oneste occupazioni preferi tosto i divertimenti ed 1 passatempi ; al- l'agricoltura la sjìhaeromachia (1), la mora (2), gli scacchi (3), ecc. ; e principiò (1) Attento a non fare oltrepassare il prefisso termine al trigon, alla pila velox, alla pila pagatiica. all' harpashim ecc. (2) Dal greco nmpóv, idest stultórum lusus (Micare digitis). (3) Latrunculorum hidus. Dal tedesco Scach ; latro. — Cf. Antiquitatimi Rom. 1. V, p. 306. lohannìs Rosini, ciiìn notis doctisnimis et locupleiitìssimis ThOmab Demsteui I. C. ecc. PyrrhuK Epirota sfrafagematum peritisshmis, primus, quemadmodum ea disciplina tradere- tur per calculos ostendit in tabula. (Donatus Gkammaticus in P. Terentii Eunuchi, act. 4, se. 7, adillud: Idem hoc iam Pyrrhus factitavit). — Ammian., Marc. (1. XXIV) e L. Seneca, {De ira, e. XIV) attribuirono l'invenzione del giuoco dei scacchi a Chilone. Giovanni Sare- SBERiENSE {PoUgraf., 1. VI) ad Attico Asiatico. Ma più probabilmente ne fu l'inventore Pa- lamede, figlio di Nauplo, ncH'as.sedio di Troia, come dimostra l'autore Antiq. Noni, già citato. 4 INTRODUZIONE a maggiormente bramare gli spettacoli pubblici, ed a reclamarli con esigenza, ritenendoli come istituzione sacra e di somma importanza. I governanti ac- condiscesero alla brama popolare, ed i nobili ambiziosi approfittarono, molto bene ed a loro prò, di questa congiuntura: i primi si servirono degli spettacoli come macchina della lor politica, ed i secondi per cattivarsi il favor popo- lare, carpire magistrature, ricche province ed autorità sul popolo. Turbe immense accorrevano entusiaste agli spettacoli circensi, pei quali nutrivano special predilezione ; e gli stessi giovanetti prossimi alla pubertà (i) abbandonavano volentieri il loro turbo (trottola) ed il trochus, o smettevano di gettare in aria la moneta sulla quale eravi effigiata, per lo più, la' testa di Giano in un lato, ed una nave nell'altro (2), per recarsi al circo ad aprire la pompa. Giovenale ci descrive i costumi dei suoi tempi : nota in peculiar modo questo sfrenato gusto del popolo romano, e dice che quelle stesse masse le quali un di affidavano il comando, i fasci, le legioni, restrinsero poi i loro de- sideri al pane ed agli spettacoli circensi (3). Ma se i romani trovarono nel circo il loro preferito diletto, non trascu- rarono però le gare atletiche, il teatro, gli. spettacoli gladiatori, né, molto meno, le venationes, le quali, come in breve vedremo, diedero origine agli anfiteatri. Di questi il più famoso è il FLAVIO (oggetto, come dicemmo nella prefazione, di questo lavoro), le cui memorie storiche e monumentali, dalle origini ai tempi presenti, prenderemo ad esporre, dopo aver data una nozione storica e sommaria sugli anfiteatri in genere, sullo scopo della loro invenzione e sui pubblici spettacoli che in essi si solevano dare. * * * Fra gii ediflzì destinati ai pubblici spettacoli, l'anfiteatro fu, per ragione di tempo, l' ultimo. La voce anfiteatro è di origine greca, sebbene non i Greci ma i Romani ne siano stati gì' inventori. Gli antichi si servirono dell'anfitea- (1) Dionisio d'Alicarnasso, 1. VII, e. LXXII. (2) Mentre la moneta era in aria, pueri exclamabant : — " Capita! ,, aut " Navim! ,,. (3) Giov., Sat. X, V. 81 et seg. Nani qui dabat olim Imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se Continet atque dnas tantum res anxhis optai : PANEM ET CIRCENSES. Era tanta la passione del popolo romano per i pubblici spettacoli, che, fin dalla mezza- notte precedente ai giuochi, incominciava ad occupare i posti gratuiti (Suetonio, in Calìg. 26). STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI O tro per i giuochi gladiatori e per le venationes ; ma queste e non quelli fu- rono la causa della sua invenzione. Prima che gli anfiteatri esistessero, i gla- diatori dav.ano già i loro spettacoli ; e la costruzione del più celebre degli ANFITEATRI fu intrapresa da un imperatore che non amava i gladiatori (1). Ninno pensò a Roma a tal sorta di edilìzi, fino a che la conquista di remoti paesi, la potenza e le ricchezze non eccitarono nell'animo dei Romani il de- siderio di possedere incognite belve e di vederle ferocemente combattere. L'anno 502 d. R., L. Cecilio Metello, Pi'oconsole e Pontefice, riportava una clamorosa vittoria sui Cartaginesi. Palermo fu il teatro della battaglia ; e, nella disfatta, il vincitore s' impadroni di 142 elefanti, i quali furono condotti in Roma ed introdotti nel Circo Massimo, a quei tempi unico edifizio, tra i desti- nati agli spettacoli, men disadatto degli altri per quella pericolosa e gigante- sca rappresentazione. Gli elefanti furono uccisi a colpi di strale ; e se il fatto potè attrarre l'attenzione pubblica, altro non fu, a mio parere, che per la novità delia cosa. Quello spettacolo, infatti, non fu una caccia, venatio, ma un macello. I Romani, d'altra parte, volevano sbarazzarsi di tanto peso: il nutrimento e la custodia di quelle bestie colossali gravavano non lievemente l'erario pub- blico ; e vollero, inoltre, abituare la plebe a vedere quelle moli, che sovente doveano combattere a campo aperto. Questa circostanza fu nondimeno capace di muovere nell'animo del popolo il trasporto per le venationes ; e più tardi, nell'edilità di Claudio Pulcher, secondo Plinio (2), o ai tempi di Pompeo, se- condo Seneca (3) ed Asconio (4), principiarono le cacce elefantine. La caccia di altre bestie fu introdotta dopo la seconda guerra Punica (5). Tito Livio (6) ci dice che lo spettacolo degli atleti e la caccia dei leoni e delle pantere si videro in Roma, per la prima volta, nell'anno 568 ; nei giuochi, cioè, dati da M. Fulvio Nobiliore per un voto da questo fatto nella guerra contro gli Etolì. Da allora in poi s'importarono dall'Africa innumerevoli belve le quali, senza distinzione di specie, si dissero africanae (7). Lo stesso sto- rico (8) ci narra le solenni feste celebrate nel 686 d. R. dagli edili curuli Na- sica e Lentulo. (1) Dio., 66, 25. (2) Plinio, 1. Vili, e. VII. (3) Seneca, De brev. vitae, e. XIII. (4) AscoN., In Pisonìan. (5) Dio., 1. XXXXIII. (6) Tito Livio, 1. XXXIX, e. XXII. Athlefarum quoque certamen tum primo liomanix specfaculo fuit, et venatio data ìeonum et paìitherarum. (7) Id., 1. XLIV, e. XVIII. (8) Loc. cit. Et iam magnìfieentia crescente notatimi est tudis circeiisibus, L. Cornelii Scipi.onis Nasicae et P. Lenttdi edilhim curuUum sexoffinta tres a/ricanas et quinquaginta ur- SOS et elephantos liisisse. 6 INTRODUZIONE Frattanto erasi introdotto presso i Romani 1' uso cartaginese di esporre alle belve i disertori stranieri. Scipione Africano minore, imitando Emilio Paolo, suo padre, die giuochi, nei quali espose alle belve disertori e fuggiaschi (1) ; e questo fatto ci viene confermato da Valerio Massimo (2). Questa pena fu poscia estesa, nelle province, anche ai cittadini romani (3). La magnificenza delle venatinnes andò progressivamente crescendo. Quegli che dava uno spettacolo, ambiva sorpassare nella sontuosità chi avealo dato precedentemente. Seevola, nella sua edilità, celebrò per primo la caccia di molti leoni (4), i quali furono esposti nel circo, legati ; perchè, essendo questo per sua natura indifeso, la ferocia di quelle belve poteva produrre funesti ac- cidenti. Il primo che die mostra di leoni sciolti fu' Siila nell'anno 660 d. R. (5). È da credersi nondimeno che a tutela degli spettatori si costruissero provvi- sori ripari, dacché sappiamo che quando Pompeo, per festeggiare la dedica- zione del suo teatro, die un combattimento con elefanti, questi furono esposti nel circo racchiusi entro cancelli di ferro : e guai se cosi non si fosse fatto ! Gli elefanti inaspriti per l'uccisione di uno di loro, tentarono di erompere in massa con grande sgomento e spavento di tutto il popolo (6). Talché Cesare, dieci anni dopo, nell' inaugurazione del suo Foro, volendo dare venationes ed un combattimento cogli elefanti, a maggior difesa degli spettatori fece scavare attorno al circo un euripo (7). Nel 695 d. R. Scauro mostrò per la prima volta un ippopotamo e cinque coccodrilli, pei quali fece scavare un canale a bella posta (8). Nel 6d8 il sud- detto Pompeo, a fine di festeggiare la dedicazione del suo teatro, espose 500 leoni, i quali tutti rimasero uccisi. Essendo giunta tant'oltre la magnificenza di questi spettacoli, e divenendo ogni di più comuni ; poiché gli edifìci destinati ai giuochi, come i circhi ed i teatri, non presentavano per le cacce l'opportuna comodità, e d'altronde non offrivano la sicurezza necessaria agli spettatori (9); fu d'uopo immaginare un (1) Epist. di Liv., 1. XXI. (2) L. II, e. VII, § 13-14. (3) Lett. di Pollion. a Cic, a. 710 d. R. XXXII, 1. X delle famigliari. (4) Plinio, 1. Vili, e. XVI, § 20. (6) Sbn., De hrev. vitae, e. XIII. Primus L. Sulla in circo edidit soluios, quum alio- quin alligata darentur, ad, coìiftciendos eos missis a rege Bacco iaculaioribus. — De Pompeii ludis. Cf. Dio., c. XXXVIII-XXXIX. Plin., Hist. Nat. Vili, 23. (6) Plin., Hist. Nat., 1. Vili, e. VII. (7) SuET., In Caes., e. XXXIX, Plinio, Ioc. cit. (8) Plinio, Ioc. cit., e. XVII, § 24. (9) Nel circo la visuale era impedita non solo dalla sua forma eccessivamente prolun- gata, ma anche dalle méte, dagli obelischi e da tutto ciò che sorgeva sulla spina, ingom- brando buona parte del circo stesso. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 7 imovo edifizio che unisse la sicurezza e la comodità del teatro per gli spet- tatori all'ampiezza ed alla vastità del circo per gli spettacoli ; vastità che do- veasi anch' essa ridurre in modo che più circoscritta ne fosse l'arena. Fu al- lora che Cesare, ispiratosi alla novità di Curione, assai per fermo adatta allo scopo, uno ne costrusse di legno (1), l'anno 708 d. R. allorché fé celebrare vari giuochi onde solennizzare la dedicazione del suo Foro e del tempio di Venere genitrice (2). Volendo Curione (3) sorpassare Scauro nell'artifizio, giacché non poteva sorpassarlo nella sontuosità dei giuochi di recente celebrati (4), costrusse due grandi teatri lignei, 1' uno vicino all'altro (5). Terminate le rappresentazioni drammatiche e mimiche, e tolte le scene, questi due teatri si facevano girare con tutti gli spettatori, sopra i rispettivi cardini (6) : chiudevansi insieme, ed unendosi ambedue gli emicicli, formavano un teatro circolare, la cui arena presentava un vasto campo, attissimo a celebrarvi gli spettacoli gladiatori. Meccanismo maravigiioso! Plinio (7), non lontano da quell'epoca, oltremodo meravigliato ed attonito, confessa di non sapere se meritasse più ammira- zione il genio dell' inventore o il ritrovato ; l' artista o chi lo esegui ; il coraggio di chi l'ordinò o l' imperturbabilità del popolo Romano, il quale si sottomise ad un tanto azzardato esperimento (8). E inutile ricordare che questa macchina agi per soli due giorni : il terzo di non si osò farla di nuovo girare; e, lasciati i due emicicli congiunti, si costruirono in mezzo ad essi le scene (1) Dio., 43-22. (2) Id. 43-2;!. (3) A. d. R. 701 (4) Il teatro di Scauro, per qu.into fosse provvisorio, pure pareva (dice Plinio) dovesse sfidare i .secoli. Aveva 360 colonne in tre ordini soprapposti : il primo di marmo, il secondo di vetro, il terzo di legno dorato ; la sua capacità fu di 80.000 spettatori. (Cf. " Il Buonar- roti „ Serie II, voi. V, Marzo 1870. — Anfit. Flavio per l'architetto L. Tocco). (5) Plinio,- //«s^ Nat., 1. XXXVI, e. XV. (6) CoU'aiuto, forse, di ruote, rulli e palle metalliche. Ecco le parole di Plinio {Hist. Nat., 1. XXXVI, e. XXIV) : C. Curio, qui bello civili in Cae.sariani.t partibus obiit, funebri patris munere, cum opi- bus aparatuqtie non posset superare Scaurum .... Ingenio ergo utendum fuit, operae pre- tium est scire quid invenerit, et gaudere moribus noscris, ac nostro modo nos vacare maiorea. Theatra duo iuxta fecif amplissima e Ugno, cardinum singuloruni versatili suspensa libramento, in quibus utrisque antemeridiano ludoi'um spectaculo edito inter se se aversis, ne invicem ob- streperent seenne; repente circumactis iit contra starent, postremo iam die discetidentibiis ta- bulis et cornibns in se coeunfibus faciebat amphithbathum, et gladiatonim spectacula edébat ipsum magis auctoratum populum Romanum circumferens. (7) Loc. cit. (8) Questa maraviglia oggi a noi sarebbe incredibile se, oltre ad altri autori, non l'accer- tasse Cicerone, che forse fu nel ninnerò degli spettatori; in quel teatro, dice Plinio, tutto il popolo Romano fu esposto a poter perire come dentro una gran nave in mare. (Dal Period. " Il Buonarroti ,, loc. cit.). 8 INTRODUZIONE temporanee, le quali poi si disfecero, restando fermi gli spettatori. Questa no- vità di Curione, cui s'ispirò Cesare, questo ligneo edificio die l'idea primiera del Teatro venatario (1) o Romano ANFITEATRO. * Il nome e la cosa ebbero origine ad un tempo. Calpurnio lo disse ovum (2); Strabene e Dionisio, ambedue dell'epoca augustea, lo chiamarono anfiteatro ; e di questa stessa voce si servi Vitruvio (3). Ovidio (4) scrisse : .... structoque utrimque theatro Ut matutina cervus periturus arena. Dione : Theatrum venatorium quod et Amphitheatrum dietimi ed ex eo quod sedes undiqite in orbem habeat sine ulta scena (5). E Cassiodoro : Cum thea- trum quod est hemisphaerium, grecae dicatur Amphitheatrum, quasi in unum juncta duo visoria, rectè constai esse nominatum. Ed altrove: Ovi speciem eius arena concludens .... * All'anfiteatro ligneo eretto da Cesare, ne segui uno di pietra edificato da T. Statilio Tauro (6) nel Campo Marzio; e successivamente ne vennero edi- ficati altri in Roma, nei municipi, nelle colonie italiche ed in altre città del- l' Impero (7). Statilio Tauro eresse il suo anfiteatro per suggerimento di Au- gusto, il quale avea progettato l'edificazione di uno che fosse degno della metropoli del mondo, e pensato di erigerlo media urbe (8) : progetto più tardi eifettuato da FI. Vespasiano. In Roma, per molto tempo, vi fu il solo anfiteatro di Statilio Tauro (9). Caligola principiò a costruirne un altro, ma non lo portò a compimento (10). Nerone ne edificò uno di legno (11). (1) Dio., XLIII, 22. Fino agli ultimi tempi della Eepubblica in Koma gli anfiteatri erano di legno. (ViTR., 10, pref. 3; Dio., 37, 88. Innalzati nel Foro, Cic, Pro Ses<. 58. — Prof., 4, 8, 76; Livio, 23, 30; 31, 50. — Vitr., 5, 1 ; Plut., C. Grac, 1. II, etc. (2) In Bticolico de venat. Carini. Et geminis medium se molibus alligat oviim. — Due teatri uniti insieme danno appunto la figura di un uovo. (3) L. I, e. 7, (4) In m^t. 11, 25. (5) Loc. cit. (6) Dio., 51, 23; SuET., Aug. 29. (7) I più famosi, dopo il Flavio, furono quelli di Verona, Capua, Nimes, etc. (8) SuET., in Vesp., e. IX. (9) V. GuARiNi., Fasti duunivir., p. 32. (10) SuBT., Calig., 21. (11) Tac, Ann. XIII, 31. Suet., Ner., 12. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 9 L'anfiteatro fu adunque un' invenzione del tutto romana (1) ; e lo scopo principale e piimario di questo edificio fu la venatio ; il secondario, gli spet- tacoli gladiatori (2). Ed ora, prima di dare un cenno sommario di questi spettacoli, crediamo opportuno presentare ai lettori un quadro generale delle parti costituenti un anfiteatro, riservandoci di parlarne più minutamente allorquando tratteremo dell' ANFITEATRO FLAVIO. * * Le parti esterne di un anfiteatro consistevano nelle arcuazioni che for- mavano i portici; questi poi servivano per la comoda comunicazione tra le gradinate dei diversi piani, e per riparo agli spettatori in caso di pioggia. I portici constavano : 1° di corridoi, ambulacra ; 2" di accessi in piano alle scale, itinera ; 3" di scale, scalae. Le principali parti interne erano : l'arena e la cavea. La prima avea forma ovale, ed alle estremità dell'asse maggiore s'aprivano grandi porte per l'in- troduzione delle fiere nella 'mostra precedente il periodo dei giuochi, pel so- lenne ingresso della pompa gladiatoria e per l'estrazione dei caduti nella lotta. L'arena degli anfiteatri era generalmente pensile, e nei sotterranei, hy- pogaea, v'erano le celle per le belve, e vi si facevano monovrare le macchine, pegmatd,, per gli improvvisi spettacoli (3). (1) Nel Dizionario epigrafico del De RufioiERi leggesi : « Nella Campania gli anfiteatri esistettero prima che in Roma. In Pompei si costrusse nel 684 d. R. ». (IMi. A. Roma 1895). Allude senza dubbio agli anfiteatri stabili. Il Guazzesi, in una dissertazione tenuta in Cor- tona sugli anfiteatri etruschi e particolarmente su quello di Arezzo, cercò dimostrare che i Ro- mani appresero dagli etruschi l'idea ed il modello per fabbricare anfiteatri. (Cf. Saggi di dis- sertazioni accademiche lette nell'accademia di Cortona. Roma 1738, p. 9). Ma il suo lavoro incontrò molte critiche^ alle quali egli rispose con un Supplemento alla dissertazione degli anfiteatri toscani ecc. Venezia 1739. (Cf. Raccolta di opu.<ìcoli .scientifici e filologici. Tom. XX, p. 427). Il GuATTANi (Roma descritta ed illustrata. Tom. II, p. 2) crede che i Romani ap- prendessero dagli Etruschi l'uso e la forma tanto dei teatri quanto degli anfiteatri. — Si- milmente e più recentemente, il Ni.spi-Landi (Storia dell'ani, città di Sidri, p. 527, Roma 1887), seguendo l'opinione del Dennis, scrisse di ritenere come woZto ]oro6«6«fe che gli anfiteatri sorti a Roma si modellassero massimamente fni quello di Sutri, come piit vicino. Noi siamo inti- mamente persuasi di quanto affermiamo nel testo. (2) Le naumachie si diedero nell'anfiteatro rarissimamente e come spettacoli straordi- nari. A suo luogo parleremo diffusamente di questi navali combattimenti. (3) Talvolta il volgo chiamò l'anfiteatro arena, ed anche, come vedremo, cavea. Tacito scrisse: Spectacula gladiatorum idem ille anmis haìniit, pari magni ficentia ac priora : sed fae- minarum Senatorumque illustrium plures per arenam faedati sunt. — Giovenale : . . . . et inunicipalis ahenab Perpetui comites. In Suetonio leggiamo : Eqiiestrem ordinem ut scenae akenabque devotum assidue pro- cedit. In Capitolino : Multus qui secum in arena pugnassent, se Praefores videre. E nell'editto 10 INTRODUZIONE La cavea era la parte ove sedevano gli spettatori. La sua forma era con- cava 0 ad imbuto (1). Nei maggiori anfiteatri la cavea dividevasi in podium, gradatio (2) e porticus : in questi la gradatio era divisa in più ordini dalle praecinclioìies, secondo l'altezza dell'edificio ; nei minorj, in podium e gr^ada- tio indivisa. Il podium era il terrazzo che circoscriveva immediatamente l'arena ; ed essendo la parte più prossima allo spettacolo, era altresì la parte più distinta. Elevavasi dall'arena tra i 7 é i 12 piedi ; era fornito di parapetto, e difeso dagli assalti delle fiere per mezzo di reti metalliche e di altri artificiosi ordigni. L' Imperatore, la famiglia imperiale, i principali magistrati, le vergini Ve stali, il pretore e l'editore dei giuochi prendevan posto nel podium (specta- bant ad podium), il quale era elegantemente ornato. degli Edili: Quive in arbmam depugnandi caussa ad bestias intrcmiissus fiierit. — E qui ci doman- diamo : Perchè l'anfiteatro si disse pur anche arena ? Non v'erano per avventura strati d'arena anche sul suolo degli stadi, ecc.? Una sagace risposta ce l'offre Lipsio {De Amph. lib. Ili): Strafa : sed non admissa, cave credali, quotiensque damnari in arenam, arena mitti, taliaque in lurisconsultis sive historicis legis f caute accipian de ferro tantum, aut cuUro, idest, gladia- toribus : aut vbnationb, et magia prò ista. Imperator quidem dare discriminai ecce a circo. (Lege Vili, Gap. de repudiis) : Nec ulto modo uxorem expellet nisi adulteram, vel circensibus, vel theatralibus, vel arbnarum spectacnlis se prohibente gaudenteni Anche il circo, benché più raramente, si disse ai-eìia (v. Maffei, loc. cit., p. 98). (1) Eziandio la voce cavea fu usata in luogo di anfiteatro. In Ammiano (1. XXIX) leggesi : Alter i?i amphitheairali cavea, cum adfuturus spectaculis introiref. In Tertulliano : (Contra Marcion.) : Quid? non in omnem lìbidinem ebullis? non frequentas solemnes volupta- tes circi furentis et oaveab saevientis, et scenae lascivientis ? Salviano scrive : Quidquid irti- moderationis in circo, quidquid furoris in caveis. G. Firmico : Nati subsidere caniculae, erunt venatores, arenarii, parabularii, et qui sub conspectu populi in caveis cum feris pugnent. E Prudenzio : Quid pulvis CAVBAB scmpcr funebris et illa Amphitheatralis spectacula tristia pompae ? Alle Vestali poi, che si portavano ad assistere ai gladiatori spettacoli, rivolge queste parole : Inde ad consessum cavbab pudor almus et expers Sanguinis et pietas. Apuleio dice : Dies ecce muneri destinatus oderai, et ad conseptum caveae, proseguente populo, pompatico favore deducor. Tertulliano finalmente : .si lectio recia est (dice Lipsio, loc. cit., e. II) CAiiLAM eiiam in libello Db Spbctaculis dixit, nove magis quam improprie: ce- ierum qualia illa sunt quae nec oculus vidit, nec aiiris audivit f credo circo et omni stadio gratiora. Ubi ea voce includit eiiam Theatnini nisi sit legendum cavea. (2) L'uso della voce gradatio per indicare il complesso dei gradi di un teatro non è mio ma di Vitruvio, il quale, parlando del teatro (1. V, e. Ili), dice : Insuper fundamenta lapideis et mannoreis copiis gradationes ab stibstractione fieri debent. E al 1. V, e. VI: Tectum porticus quod futurum est in summa gradationr cum scenae altitudine libramentum perficiatur. Ora essendo il complesso dei gradi di un teatro e di un anfiteatro della stessa natura, ho creduto di poter rettamente adoperare quella parola. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 11 Le praecinctiones, zone verticali, a pie delle quali girava un viottolo, iter (1), dividevano la gì-adatio in ordini diversi, i quali a misura che s'al- lontanavano dal podhim divenivano meno distinti, ed erano occupati con un certo ordine gerarchico. Prima della legge Rosela tutti gli spettatori sedevano alla rinfusa (2). Plu- tarco dice che ai tempi di Siila anche le donne sedettero miste cogli uomini, ma che poi Ottaviano le separò, e volle che sedessero nel luogo più elevato (3), e quindi più appartato dall'arena. Vomitoria erano le aperture o porte per le quali il popolo sboccava su i gradus o sedili. Scalarla venivano detti i piccoli gradini corrispondenti ai vomitoria, pei quali gli spettatori poteano comodamente salire o scendere, onde collocarsi sui rispettivi sedili : e poiché i vomitoria erano disposti a scacco, e lo spazio fra tre scalaria costituiva un cuneus, perciò si designò col nome di cuneus ciascuna delle grandi sezioni della cavea. I posti si distinguevano fra loro per una linea che trovavasi nei sedili stessi, ed il luogo assegnato dicevasi locus. Per evitare ogni possibile confu- sione, ciascuno spettatore dovea premunirsi di una tessera d'ingresso, la quale presentavasi ai designatores : a quegli ufficiali, cioè, che si trovavano in cia- scun vomitorium. Nella tessera indicavasi il cuneus, il gradus, ed il posto o i posti da occuparsi ; cosi, p. e., CVN . IH . GRAD . IV . LOG . I . I falliti e coloro che aveano disperse le loro facoltà, venivano confinati in luogo separato (4). I sedili spettavano a coloro i quali li occupavano, purché appartenessero al rispettivo ordine gerarchico ; ma lasciati, anche per breve tempo, perde- vansi. Giò si deduce chiaramente dalle parole che Augusto diresse ad un ca- valiere romano. Io, disse questo Imperatore, quando voglio desinare, me ne vado a casa. Il cavaliere rispose : Tu puoi farlo, perchè noti temi ti venga da altri occupato il posto (5). Era severamente proibito ai graduati assistere agli spettacoli senza in- dossare l'abito che noi diremmo di etichetta (6). I semplici cittadini doveano indossare la toga. Si riteneva per cosa indecente il bere mentre celebravansi (1) ViTRUV., 1. V, c. Ili, {Praecinctiones) ncque altiores guani quanta pkabcinctionis iTiNERis sit latitudo. (2) Val. Max., V, 51. (3) SuET., in Aug., e. XLIV. (4) Cic, Phil. 2. (5) QuiNT., 1. VI, e. III. (6) Cf. Martial., IV, 2: Cic, in Pison. Ap. Lips. Sat. I, 13. 12 INTRODUZIONE spettacoli anfiteatrali (1); e Lampridio dice di Commodo esser questo stato uno spudorato, precisamente perchè soleva bere nell'anfiteatro. Gli spettatori sedevano su appositi assi lignei, stesi sui gradi di pietra. Ai tempi di Caligola i Senatori usarono cuscini, onde non sedere sulla nuda tavola (2). Più tardi i Senatori sederono sulle seggiole, e 1 loro cuscini pas- sarono agli Equites. Augusto sedè sa di una sedia curule (3) : Tiberio e Sciano usarono sedie dorate (4). La forma di queste sellae si vede in molte medaglie ; la materia ce l' in- dica Orazio (5), il quale le dice « curule ebur », d'avorio; esse competevano a varie dignità (6). Seneca (7) rammenta che dal fondo deiranfìteatro si facevano salire fino alla cima liquidi odorosi, i quali schizzando in aria, spargevansi a guisa di minutissima pioggia. Queste effusioni si dissero sparsiones, o, come leggesi presso l'altro Seneca (8), pioggia profumata. Gli spettatori venivano riparati dai raggi del sole da tende, vela ; e que- ste costituirono poi il famoso velariuni, di cui ben presto parleremo. * * * Gli spettacoli che si celebravano nell'anfiteatro facevano parte, come tutti gli spettacoli, della religione pagana ; ed erano sacri : la caccia a Diana (9), (1) QUINT., 1. VI, e. II. (2) Dio., 1. LIX. (3) SuBT., e. XLIII. — Commiasione ludorum quibiis Theatrum Marcelli dedicaìmi , evenit ut laxatis SELLAE cuRULis compagibus (Augustus) caderet supinus. (4) Dio., 1. IILX. (5) L. I, Ep. 6. (6) Leggesi in Dione che fra gli onori decretati a Giulio Cesare v'era : « Deinde ut semper curuli sella sederet, esceptis ludis » (Dio., e. XLIIII). A quei tempi era dunque proi- bito agli spettatori l'uso di dette sellae. Più tardi però si collocarono queste nei luoghi dei pubblici spettacoli anche per onorare personaggi assenti, nonché la memoria dei defunti (v. LiPS., De Amph. lib., e. XI). Tacito (2, 83) narrando del S. C. per le onoranze funebri a Germanico dice: « honores decreti.... ut sedes curules sacerdotum aug-ustalium locis, su- perque eas querceae coronae statuerentur ». — V. etiam il framm. epigr. VTIQVE e(c. (e. I. 1. VI, 912). (7) Nat. Quint., 1. II, e. IX, ep. 90. (8) Contr., 1. V. (9) Marziale usa la voce Diana per Venatio: Inter Caesareae discrimina saeva Dianab. La caccia era pur dedicata a Giove, tanto Laziale quanto Stygio o Infernale. Del primo ce ne parla Tertulliano (Apolog.) : Ecce in illa religiosissima Aeneadnnim urbe est lupiter qui- dam, quem ludis suis hum,ano sanguine proluunt. Sed bestiariorum, inquitis, opinor hoc mi- nus quam, homimim. — Ed altrove {Adv. Gnosi.) dice : Sed enim Scytharum Dianam, Gal- lorum Mercurium, Afrorum Saturnum, victima humana placari apud saeculnni licuit. Et STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 13 i combattimenti gladiatori a Marte (1). Prudenzio chiama i ludi gladiatori triste sacrum. Negli spettacoli venatorl i combattenti dicevansi venatores e bestiarii, e quegli che dava i giuochi appellavasi editor o munerarius o niunerator. I questori, i pretori, e specialmente gli edili, nell'epoca della Repubblica, onde cattivarsi, come dicemmo, la benevolenza del popolo e quindi poter ascen- dere più agevolmente a più alte cariche, furono coloro che più particolar- mente davano tali spettacoli. Durante l'Impero furono celebrati dagli Impe ratori e da quei che venivano promossi al consolato. I magistrati tanto al tempo della Repubblica che dell'Impero imponevano tasse alle province per affrontare le spese dei giuochi che si celebravano in Roma. Cicerone esimè Latio ad hodiernum lovi media in urbe humanus sanguis itigustakir. F. Minuzie aggiunge : lupiter cum Hammon dicitur, habet cornila : et cum Capitolinus, tunc gerii fidmina, et cnm Latiaris cruore perfunditur. — Di Giove Stygio o infernale ce ne parla Prudenzio : Quid pnlvis Caveae semper funebris f et illa Amphitheatralis spectanda tristia pompaef Hae stmt deliciae lOVIS INFERNALI S, in istis Arbiter obscuri placìdus requescii Averni. Il suUodato Minuzie dice pur anche : Hodieque a Romanis Latiaris lupiter homicidio co- htur, et, quod Saturili filio dignum est, mali et noxii hominis sanguine saginatur. Per mali et noxii uomini il Lipsio (Ice. cit., e. IV) intende i bestiari, appoggiato in Tertulliano, il quale, come si è detto, opina che i bestiari si debbano considerare minus quam honmies. Per quanto sembra, anche a Saturno facevasi prender parte alla tutela degli anflteatrali spet- tacoli. Lattanzio lo afferma, adduceiido la sentenza di Sinuio Capitone : venationes et quae vocantur munera Saturno attributa sunt : Indi scenici Libero : circenses Neptuno. (1) Mautkm. et Dianam utriusqiie ludi pi-aesides novimus (Tbrt., Despect.). Lo conferma Claudiano nel panegirico scritto pel consolato di Manlio Teodoro : Amphitheatrali faveat Latonia pompae: Audaces legai ipsa viros qui colla ferarum AHe ligent, certoque premant venabula nisu. Il Lipsio (De Amphith., e. IV) crede che, oltre agli spettacoli, anche l'anfiteatrale edi- ficio fosse dedicato a Diana ; e dai versi del poeta cristiano : Funditur humanus Lattari in munere sanguis Confessusque ille spectaniem solvit ad ARAM Plutoni.s fera vota sui; quid sanctius ARA Qua Mbit egestum per mistica tela cruorem f deduce che negli anfiteatri eravi eziandio Vara. Dello stesso parere sono molti archeologi, e fra essi il Guattani {Roma descritta ed ili., Tom. II, p. IX), il quale cita Giuseppfj Fl., Antich. Gind., 1. XIX, e. II); il Venuti {Roma ant., part. I, p. 28); il Morcblli (de Stilo inscript, lat. p. 101); ecc. 14 INTRODUZIONE l'Asia da questa tassa (1). Non di rado i ricchi lasciarono in testamento legati per la celebrazione di cotesti spettacoli ; e questi legati entravano nella cate- goria di quelli che dicevansi ad honorem civitatis (2), Tra le occasioni in cui davansi questi giuochi, alcune erano ordinarie 0 di data certa ; straordinarie o di data incerta altre. Le prime erano : il natale dei Cesari (3) e l'anniversario di qualsiasi fausto avvenimento (4). Le seconde : l'assunzione all' Impero od al Consolato ; la dedicazione di un pub- blico edifizio (5); pì^o salute Caesaris (6); le nozze di questo (7); la partenza dell'Imperatore per la guerra; la vittoria, il trionfo, i funerali di un perso- naggio ragguardevole, ecc. Opportuni AVVISI o EDITTI, notificavano al po- polo l'ordine dei giuochi, il motivo ed il giorno della loro celebrazione (8). (1) Epist. ad Quint. fratrem, I, 9. (2) Paolo Giukic. De legatis, I, 122. (3) Dio., 54, 34 ; Tacito, Ilist. II, 95. (4) Mors Sciani ut quotatmis venationibua celebi-aretur decrevit Senatus (Dio., 52, 12). (5) Cf. De foro Caesaris (Dio., 43, 22); De tempio Qìrini ab Augtisto dedicato, Dio., 5J, 19; Augusti a Calig. Dio., 59, 7. Huic pertinet inscriptio in thermis reperta pubblici iuris facta in Mus. Borb. — Tom. II, relaz. degli scavi. Cf. e. I, 1. IV, 1180. (6) Dio., 44, 6. — Pro salute Caligiilae Atanius secundus eques tamquam gladiatorem se pugnaturum voverat (Subt., Cai. 27); Claudius proetoribus gladiatores dare vetuit nisi prò ipsius salute (Dio., 69, 8). — Clr. Inscript. n\mA Murat., 612, 3; 614, i; — Pro salute doniits Augustae, Guarini, Pasti decemvirali, cet. p. 172, 7; Bull, dell' Istit. archeol. 1831, p. 12; Grutbr., p. 475, 3, e. I, 1. IV, 1180. (7) Subt., Nero 7. (8) Abbiamo alcune iscrizioni pompeiane che ci rendono certi di questi editti. i« A . SVETTI . CERTI AEDILIS . FAMILIA . GLADIATORIA . PUGNABIT . POMPEIS FÉ . K . IVNIAS . VENATIO . ET . VÉLA . ERUNT OMNIBUS NERO ERIBVS . FELICITER (e. I, 1. IV, n.o 1190). 2» PRO SALVTE CAESARIS . AVGV . . . LIB . . RVMQV DEDICATIONEM . ARAE CN EI NIGIDI MA FLAMI .... CAESARIS . AVGVSTI . PVG . POMPEIS SINE VLLA DILATATIONE mi . NON . IVL . VENATIO VELA ERVNT (e. I, 1. IV, n.» 1180). V. anche i numeri 1183, 1186, 1187, 1189 ecc., voi. IV, dello stesso C. I. L. Oltre ai pubblici editti fissati sui muri, Veditor, il dì che precedeva lo spettacolo, faceva circolare dei libelli, coi quali rendeva di pubblica notizia il numero ed i nomi dei gladiato- res e venatores. Quest'atto dicevasi pronuntiare muntts. Suetonio (In hilio) scrive : Munìis populo pronuntiavit in filiae memoriam. Dicevasi pur anche ostendere munus. Cicerone : Elsi STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 15 Le belve per gli anfiteatrali spettacoli romani provenivano dalle province dell' Impero, ed anche da paesi stranieri. Gli orsi si traevano dai boschi della Caledonia e della Pannonia ; i leoni e le pantere dall' Africa (1), e special- mente dalla Numidia: la quale regione, al dire di Plinio, non rendeva altra cosa di qualche importanza che il marmo numidico e le belve (2). Le tigri provenivano dalla Persia; i crocota (Kf/oxojtà) ed il rinoceronte dall' India ; e dall'Egitto i coccodrilli e gli ippopotami. La caccia delle belve facevala quei che aveva in animo di dare gli spet- tacoli ; ma poiché erano gli Imperatori coloro che soventemente celebravano le venationes, questi stipendiavano a tal uopo un gran numero di venatores, i quali dovevano curare di prendere le belve senza danneggiarle. Prese che fossero, venivan consegnate ai mansuetarii, i quali le conducevano in Roma, le domavano, le custodivano ed ammaestravano. Una classica testimonianza di questi ammaestramenti l'abbiamo in Marziale (3): Pìcto qnod tuga delicata collo Pardus sustinet, impróbaeque tigres Indulgent patientiam flagello : Mordent aurea, quod lupaia cervi, Quod frenis libyci domantur ursi Et qiiantum Calydon tallisse fertur Turpes esseda, quod trahnnt bisontes. Et molles dare iussa, quod choreas Nigro bellua nil negai niagislro : Quis spectacula non pulet deorum f Haec iransit tamen, ut minora quisqtiis Venatns humiles videi leonum, Quos velox leporum timor fatigai, Dimittuni, repetunt, amantque captos Et securioì' est in ora. praeda ; Laxos cui dare perviosque rictus Gaudeìit et litnidos tenere dentes ; Mollem frangere dum pudet rapinam : Siratis cum modo venerint iuvencis. Haec clementia non paraiur arte, Sed noriint, cui serviant leones. Da questi versi vediamo chiaramente quale accurata diligenza sì ponesse ai tempi di Domiziano nella celebrazione dei giuochi anfiteatrali; ed inoltre munus flagitar<>,, quamvis quis ostenderit, ne populus quidem sol et nisi concitatus {CfT.LiPS., De Saf., 1. II, e. XVIII). Se fra i gladiatori clie doveano esibirsi alla pugna v' era qual- cuno famoso, il suo nome veniva accompagnato da una towdafoj-ia (Trbbon. Pollio, Claudio, V. p. 361); e presentavasi eziandio il suo ritratto in atteggiamento di pugnare coll'avversario, dipinto o lineato con carbone (Horat., Sat. 11, 7, 95). (1) Plinio, 1. Vili. (2) Loc. cit. — Nec praeter marmoris numidici ferarumque proventum aliud insigne. (3) Epigram, CV, 1. I. 16 INTRODUZIONE vediamo (il che si legge in altri epigrammi di Marziale) che non sempre, ne- gli anfiteatri, si rappresentarono scene sanguinose. È certo però che i custodi, mansuetarii, sapevano, con altri modi e quando faceva d'uopo, far montare le fiere in furore (1). Le belve si facevano pervenire in Roma in carri ed in barche, legate o racchiuse in gabbie, secondo la loro fierezza (2); e per pedaggio v'era un dazio del 40 "/„ (3). I Senatori erano esenti da questo dazio ; e Simmaco (4) reclama e dice che il dazio dovrebbe gravare i soli negozianti e speculatori. Nei graffiti scoperti il 1874 nell' Anfiteatro Flavio, come pure nel basso- rilievo Torlonia (5) ed in un musaico del Museo Gregoriano e negli stucchi del sepolcro Pompeiano di Scauro, nonché in diversi altri monumenti, le belve sono rappresentate avvinte da una lunga e forte corda, od attaccate ad un anello fissato in terra, o strette da una duplice fascia, che cinge alle mede- sime il petto e la parte anteriore del ventre. II trasporto delle fiere si faceva in carri pubblici ; e, se questi non erano sufficienti, s'usavano pur anche carri privati (6). Il già citato Claudiano ci riferisce la difficoltà che incontravasi nell' im- barcare le fiere ; difficoltà, però, che abilmente superavasi dagli agili man- suetarii. (1) Mart., De spect., Epig. XIX, 1. XXII ; S. Cipr., Ep. CHI, ed altri. (2) Claudiano, Secund. Cons. Stilichonis, v. 322 e segg. : Haec laqueis ìnnexa gemunt haec clatisa feruntur llìgnis domibus. Fabri nec tigna polire Sufflciunt: rudibus fagis texuntur et ornis Froìidentes caveae. Eatibus pars ibat ontistis Per freta, per fluvios. Exanguis dextera toì-pet Remigis, et propriam metuébat navita mercem. Per terram pars ducta rotis, longeque morantur Ordine plaustro vias, montani piena triuniphi : Et fera sollicitis vehitur captiva iuvenàs, Explebat quibtis ante famem; quotiesque reflexi Conspexere boves, pavidi temone recedunt. (3) SiMM. a Paterno, Lett. LXV : Quadragesimae portorium sive vectigal non recte pò- scitur a senatoribus candidatis .... Qtiaeso igitur tit huìnanitatem .... nostri ordinis edi- toribus dignanter impertias, et tirsorum transvectionem cupiditati mancipium, snbtrahas. (4) Loc. cit. (5) Monum. dell'Isl. di corrisp. archeol. 1842. (6) SiMM , Epist. XIX, 1. X : Plures de Dalmatia ursos in apparatum domus nosfrae proxime venturos fides asserii mmcioruni : quorum sidrvectionem dispositis vehiculis etiam pri- vatim debemus insiruere. STORIA (JENERALE DEGLI ANFITEATRI 17 Gli elefìmti ed i leoni si spav^entavano con le fiaccole : anzi i primi ri- manevano atterriti udendo il gi'ugnito del porco, ed i secondi riconducevansi nella cavea facendo velocemente voltar direzione alle ruote di un curricolo (1). Giunte le fiere alla loro destinazione, l'editor era in dovere di depositarle in luogo sicuro, od anche in casa sua (2). In Roma s'era costruito un recinto a questo scopo, e si disse vivarimn (3), perchè conteneva o racchiudeva belve vive. Il vivarium era un ampio recinto, con celle per le bestie feroci, e con campi e selve per il nutrimento (pascolo) dei cervi, delle damme, delle lepri ecc. (4), che doveano esibirsi nei giuochi. Il famoso e grande vivarium romano era presso la porta Prenestina (5), ed era custodito dai militi delle coorti pretorie ed urbane. Ciò lo rileviamo da un'epigrafe scoperta in Roma l'anno 1710, che porta la data consolare dell'anno 241 dell'età nostra (6). Le belve si trasportavano dal vivarium all'anfiteatro racchiuse in gabbie: il di antecedente allo spettacolo si esponevano alia pubblica vista, perchè il popolo traesse idea della fierezza, rarità e numero di esse ; e, al principiare dei giuochi, venivano introdotte colle stesse gabbie nei sotterranei. Gli spettacoli venatorl rappresentavano punti molto variati : voli, scene mitologiche, Orfeo attraente le belve. Prometeo al Caucaso, ecc. ; e talvolta Varena cangiavasi repentinamente in selva o sprofondavasì in una voragine, donde uscivano fiere. Htrabone parla di un ladro siciliano, il quale, essendosi fatto chiamare figlio dell'Etna, fu posto su di un'alta macchina raffigurante il monte Etna. Caduta ad un tratto la macchina {pegma), il reo precipitò fra le gabbie delle fiei-e, le quali pareva covassero in quel monte, e ne fu la- cerato. (1) HoRUS., 1. XII; Sen., de ira. (2) Apuleio, Met. 1. IV. (3) Gellio, Noci, attic. (4) MuRAT., p. G54, I; Voi'., Prob. 19. (5) Pkocop., Guerra Gotica, 1. I, e. XXII. (6) La lapide dice: PRO S . IMF . M . ANTONII . GORDIANI . PII FELICIS AVG . ET TRANQVILLINAE SABI NAE AVG . VENATORES IMMVNES . CVM CV STODE . VIVARI . PONT . VERVS . MIL . COH . VI PRAE . CAMPANIVS VERAX . MIL . COH . VI PR. FVSCIVS . CRESCENTIO ORD . CVSTOS VIVARI . COHH . PRAETT . ET VRBB . DIANA -AVG . D . S . EX . V . P . DEDICATA XII . KAL . NOV . IMP . D . N . GORDIANO . AVG . ET PONPEIANO . COS . (e. I, 1. VI, 130). 18 INTRODUZIONE Le venationes non sempre, come già si disse, erano cruente. Spesso bestie innocue, come lepri, cervi, damme ecc., lottavano tra di loro ; talvolta met- tevansi insieme bestie di questa natura con quelle di un istinto più fiero, come: leoni, tori, ecc. (1); ma cosi ammaestrati a non nuocere, che recava vera ma- raviglia agli spettatori. Marziale (2) più volte ricorda il giuoco di una lepre che, inseguita da cani, rifugiavasi nell'aperta gola di un leone, senza che que- sto le recasse danno (?). I leoni s'avvezzavano a sostenere delicati gioghi sul collo ; le feroci tigri, i cervi e gli orsi della Libia s'assuefacevano al freno ed al flagello, quasi fossero cavalli ; i cignali della Caledonia si lasciavano legare al collo ed alla bocca; i bisonti traevan carri, e l'elefante ballava ai cenni del suo nero maestro (3). Nerone, nei giuochi che diede in onore di sua madre, fece venire un elefante funambolo, che s'innalzò fino al portico superiore del suo ligneo anfiteatro ; cioè a 25 tese, camminando in cadenza sulla corda, e recando un uomo sulle spalle (4). Ma se questi spettacoli erano alle volte incruenti, non di i-ado divenivano pur anche sanguinosi. Spesso, mentre le belve lottavano fra loro, si facevano attaccare dagli uomini. In questo caso, i venatores, ben armati ed istruiti dal loro magister, a piedi od a cavallo, vestiti di sola tunica (5), col braccio si- nistro difeso da un panno che l'avvolgeva, inseguivano la belva ; e con aste o spade, o scoccando strali, davan mostra della loro arte e del loro coraggio (6). (1) Elephanti et tauri, Mart. in Amphith. 17. rhinoceros et tauros, 9; et ursus 19. (2) L. I, epig. XV, XXIII, XLII, et LXXXVI. (3) Makt., Epig., XV, XXIII: XLII et LXXXVI. (4) Elephas introductus in theatrum, in sunimum eius fornicem conscendit, atque inde vehens hominem in fune ambidavit. — Xiph. e Dione, p. 511. Basileae apud loannem, Opo- rinnm. — Cf. L'Italia descritta e dipinta. Tomo III, p. 6.^. Roma. (5) Talvolta i venatores indossavano galea, scudo e lorica. Cf. Sante Babtoli, Piti. ant. delle grotte di Roma, 11, 21,29. Cf. la moneta in cui è rappresentata la veiiatio e col nome di L. Regolo, ecc. (6) Mart., loc. cit., VII. — Cassiodoro tratta diffusamente di queste lotte: ecco le sue parole : « Primus fragili Ugno conflsus currit ad ora bclluarum, et illud, quod cupit evadere magno impetu videtur appetere. Pari in se cursu festinat et praedator et praeda, nec alter tutus esse potest, nisi huic, quem evitare cupit, occurrerit. Tunc in aere saltu corporis ele- vato quasi vestes levissimae supinata membra iaciuntur, et quidam arcus corporeus supra belluam libratus, dum moras descendi facit, sub ipso velocitas ferina descendit. Sic accidit ut JUe magis possit mitior videri, qui probatur illudi. Alter angulis in quadrifaria mundi diatributione compositis rotabili facilitate praesumens non discedendo fugit, non se longius faciendo discedit ; sequitur insequentem, poplitibus se reddens proximum, ut ora vitet urso- rum. Ille in tenuem regulam ventre suspensus irritat exitialem fcram. Alter se gestibili muro cannarum contra saevissimum animai ericii esemplo receptatus includit sic iste con- sutili crate praecinctus munitior redditur fragilitate cannarum. Alter labcnti rota feris offer- tur eadem alter erigi tur, ut periculis auferatur. Alii tribus. ut ita dixerim, dispositis ostialis, paratam in se rabiem provocare praesumunt, in patenti area cancellonis se fortibus occu- lentes, modo facies, modo terga monstrantes, ut mirum sit evadere, quos ita respicis per leonum ungues dentesque volitare ». Cass., Variar., 42. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 19 La venatio era ordinariamente un'intrapesa libera e volontaria ; ma spesso i padroni punivano i servi colpevoli, e la pubblica autorità i delinquenti, fa- cendoli discendere sull'arena e pugnare colle fiere ; e se essi erano rei di de- litti gravissimi e capitali, venivano esposti alle stesse fiere legati ed inermi. Così uno di essi fu, sotto le sembianze di Laureolo,^ esposto ad essere sbranato da un orso; ed un altro sotto quelle di Prometeo, fu esposto alla rapacità di un avvoltoio. La caccia delle belve precedeva in ordine tutti gli altri spettacoli anfi- teatrali: quindi davasi ordinariamente il mattino (1). Durante la pugna, teneri garzoncelli rimovevano l' insanguinata sabbia sparsa sull' arena : e Marziale (2) racconta che un giorno due di questi fanciulli vennero divorati da un leone, dimentico degli ammaestramenti ricevuti! Nam duo de tenera puerilia corpora turba, Sanguineam rastris, quae renovabat hiimum, Saevtis et infelix furiali dente pei-emit : Mattia non vidit maius arena nefas ! I cadaveri dei venatores e dei gladiatori venivano condotti allo spoliarum, facendoli uscire dalla porta libitinaria. (/Osi si celebravano le venationes fino all'epoca costantiniana ; dopo qusl tempo si moderarono in guisa da bandire quanto sapesse di crudeltà : gli spettacoli si ridussero a semplici apparenze e ad una caccia sicura, e seguitarono a celebrarsi in questo modo fino al se- colo VI (3). * * * Abbiamo detto che i Romani si servirono degli anfiteatri per celebrarvi pur anche gli spettacoli gladiatori. Diamo adunque pur di questi un cenno sommario e generale. L' uso dei sanguinosi e barbari combattimenti gladiatori venne in Italia dalla Lidia (Asia Minore). Ebbero origine dal crudele costume, di scannare i prigionieri sulle tombe dei defunti eroi. Nei funerali di Pati'oclo furono uccisi dodici adolescenti troiani (4); ed a placare le ^nime degli Etruschi, quei di Tarquinia immolarono 307 soldati romani caduti prigionieri (5). (1) Cf. SuET., Clauà. 34; Ovid., Metani., XI, 26; Sen., ad Ludi. 8; Cf. etiam Bulbn- GER, De venat circi. (2) Lib. II, Epig. LXXV. (3) Cassiodoro fa menzione delle cacce dato nell'anfiteatro Flavio l'anno 519 e 623 del- l'era volgare, gli ultimi che siano ricordati nella storia. — V. Nibby, Roma nel 1839, parte ant., p. 389. (4) Omero, Iliad. 23, 175, 176. (5) Tito Livio, VII, 15. Cf. Aen., 1. XI, v. 81 et segg. 20 INTRODUZIONE Per temperare l'orrenda inumanità di quest'atto, si permise poscia che i prigionieri combattessero fra loro presso la suddetta tomba fino ad esalare su di essa il loro spirito. Ritenevasi ciò per un dovere dei vivi verso i morti ; perciò questa lotta si disse munus, e 1' editore munerarius : munus dictum est ab officio .... offlchim autem moriuis hoc spectaculo facere se veteres arbitràbantur (1). L'asserzione di Tertulliano vien confermata da Servio (2) ; ed è perciò indiscutibile che presso i popoli s' immolassero gli uomini, non soltanto agli dei, ma eziandio ai defunti. Nel 496 d. R. i due fratelli Bruti, per onorare la memoria del loro padre, diedero, nei funerali di questo, siffatti spettacoli (.3). Seguendo l'esempio dei Bruti, simili ludi cruenti si celebrarono poscia per onoi'are la memoria di altri illustri personaggi, e man mano si estesero anche ai funerali di persone pri- vate ; e vi fu chi giunse a tal estremo da lasciar per testamento agli eredi l'obbligo di dare questi ludi. I giuochi gladiatori si celebrarono anche per rappresentare l'uso dell'ar- meggiare e di pugnare di altre nazioni o di un corpo militare; ma finalmente si ridussero anch'essi a spettacoli di semplice divertimento. La loro celebra- zione fu allora affidata ai magistrati, cioè : ai Pretori, agli Edili, e, all'epoca dell' Impero, ai Questori. Anche i privati davanli sovente a proprie spese (4). Anche i gladiatori come i venatoì^es, spesso si dedicavano volontariamente a tal mestiere (5), mediante patti particolari concernenti il tempo del servizio e la retribuzione ; e chi gì' ingaggiava era in dovere di alimentarli con cibo abbondante, onde potessero cicquistare le forze necessarie all'arte loro, daban- tur in saginam (6). Appositi maestri insegnavano ad essi i diversi generi di (1) Tbrt., de spect. XII. (2) Serv., ad Virg. Aen. X, 519: Sane mos erat in sepulchris virortim forthim captwos necari, quod postquam crudele visum est, placuit gladiatores ante sepnlchra dimicare, q%n a bustis busfuarii dicti stint. (3) Gladiatorum immus primum Momae datum est in Foro Boario Ap. Claudio, M. Fulvio coss. - Dederunt M. et D. Bruti fiuiehrii memoria patris cineres honorando (Val. Mass., 1. II, e. V ; T. Livio, Ep. 1. XVI. (4) In origine, come è noto, gli spettacoli gladiatori erano privati Divenuti pubblici, si eseguirono nei fori, nei circhi, nei teatri, ecc.: e finalmente negli anfiteatri, i quali come si disse, sono, per ragion di età, gli ultimi edificati pei pubblici spettacoli. (5) Invaghiti, senza dubbio, dalla gloria passeggiera di vedersi applauditi dagli innu- merevoli spettatori. Questa gloria effimera, non poche volte, chiamò nel numero dei gladia- tori anche, come dicemmo, uomini liberi, senatori, patrizi, magistrati, e finanche qualche donna; e, finalmente, pure qualche imperatore, come, per es., Commodo. (6) I gladiatori volontari venivano sottoposti ad un giuramento speciale, col quale s'ob- bligavano di obbedire al loro padrone, ancorché questi ordinasse la loro uccisione. Una for- mola di questo giuramento la trovo nel Satyrìcon (cap. CXVII) di Petronio. Eccola: « Uri, vinciri, verberarari, ferroque necari, et quidquid aliud Eumolpus mssisset, tamquam legitimi gladiatores, domino corpora, animisque religiosissime, addicimus ». ' STOKIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 21 conibaltimenti, luibebaiit doctores et magislros, i quali erano per lo più gla- diatori emeriti, e venivan detti lanistue (1) : i discepoli dicevansi bustuarii (2). Oltre al lanista, in ogni collegio, ludus (8), v'era il procurator ed il medicus. Fra i gladiatori s'iscrisseio eziandio persone libere e primari cittadini, i quali, 0 per aver dilapidato il loro patrimonio, o per fare cosa grata ai prin- cipi, abbracciavano quella barbara professione. Ricevevano essi un determi- nato salario, detto auctoì-amvntiwi, laonde fui'ono soprannominati auclorati. Ma non tutti i gladiatori, ripeto, erano volontari. Talvolta erano disgra- ziati pi'igionieri, vilmente venduti a maestri di scherma ; oppure dati agli Im- peratori allo scopo di esibirli in siffatti spettacoli ; o, finalmente, servi con- dannati alla pena di morte. I collegi {ìndi) ove dimoravano i gladiatori erano edifici rettangolari, con camere o celle separate e coli' ingresso verso l'interno. Un peristilio della stessa forma avea nel mezzo descritta un'area ovale circondata da sedili. Erano insomma edificati a foggia di piccoli anfiteatri, i quali servivano evidentemente per gli esercizi dei bustuarii. Negli ultimi tempi della Repubblica i ludi erano cosi vasti, che Cicerone (4) scrisse ad Attico « Cesare a Capua avere raccolto in un sol ludo 5000 di quella classe di gladiatori appellati secutores ». Donde appare quali ingenti spese incontrassero i potenti per stipendiare e mantenere una turba si enorme; e qual pericolo corresse la Repubblica, allorché Spartaco, insieme con Crisso, Enomao ed alti'i trenta; rotto il ludo gladiatorio di Lentulo, in Capua, ed in- grossando man mano la turba di altri gladiatori, schiavi fuggiaschi e scelle- l'ati di ogni sorta, pose a soqquadro l'Italia, scorrendola da Capua a Modena, da Modena a Reggio, e minacciando seriamente Roma colla disfatta subita dagli eserciti pretori e consolari. Alloi'quando i gladiatori erano per esibii'si in un pubblico combattimento, scrivevan essi il loro nome su tavolette, le quali venivano poscia esposte alla pubblica vista (5). Nel primo giorno della pugna l'editore dello spettacolo gla- diatorio formava le coppie (6) : destinava, cioè, a ciascun gladiatore il suo ri- (1) SuBT., lui. 26; Cic, lìro Hoscio Amer. 40: luv., VI, 16; XI, 8. I lanistae facevano esercitare i loro discepoli (familiae di gladiatori. Suet., Aiig. 42) con spade lignee (nides). SuBT., Calig. 32, 64. (2) Sbrv., ad Virg. Aen. X, 519. — L' Henzen dice che tutti i gladiatori che pugnavano ad sepulchra si chiamarono huntuarii ; loc. cit., p. II. (3) In Roma i principali collegi gladiatori erano : il Matutimis, il Gallicus, il Daciciis, ed il Muffìtus. Di quest' ultimo ludìix si conserva il disegno nella pianta marmorea di Roma, che trovasi in Campidoglio. V. Canina, Ardi. Rom., Tav. CXXXIV. (4) L. VII, F.pist. XIV. (5) Quest'atto, come è noto, i latini lo denotavano colla frase proponere, pronunciare, ostendere munn.H. (6) Componebat, comparabat, committehat gladiatores. 22 INTRODUZIONE vale 0 particolare avversario. Ciò fatto, prima che i gladiatori venissero alla vera pugna, eseguivano la cosi detta praelusio (1), vale a dire, schermivano nell'arena con spade lignee, rudibus batuebant (2). Ad un segno determinato i gladiatori impugnavano l'arma vera, remotis lusoriis armis, e ad decretoria veniebant ; prendeva ciascuno la propria posizione, ed avendo lo sguardo fisso alle mosse dell'avversario, s'assalivano a vicenda, alter alterum petens, cer- cando di scansare possibilmente il colpo vibrato, apta corporis declinatione ictus exibat. Lottando più coppie insieme (3), non di rado accadeva che uno ferisse l'avversario attraverso il fianco di un altro. Allora gridava : habet ! oppure hoc habet ! è ferito ! A questo punto il vinto deponeva le armi, ed al- zava le dita della mano destra chiedendo cosi al principe ed al popolo la mis- sio, ossia il favore di tornare a combattere dopo un giorno di riposo. Per lo più avveniva che il ferito, abbassando le armi, portavasi all' estremità del- l'arena e scongiurava il popolo a volergli concedere la vita. Se questo lo vo- leva salvo, premebat pollicem ; al contrario, alzava il pollice se volealo morto. Dietro una crudele negativa del popolo o del Principe, il disgraziato gladia- tore ferito, dovea, ad ogni costo, riprendere le armi e proseguire intrepidamente la lotta. Combattendo in tal guisa i due gladiatori Prisco e Vero, con sorte eguale, il popolo, a grandi clamori, chiese per essi la missio. Ma l'Imperatore non volle infrangere la legge : inviò agli spettatori vari doni, onde attendes- sero con pazienza l'esito del certame ; e questo procede e fini con ugual sorte ; giacché i due gladiatori pugnarono pari, e pari soccombettero : caddero, cioè, ambedue gravemente feriti. Cesare mandò loro le palme e le rudi, premio che, come in breve vedremo, solevasi dare ai gladiatori emeriti (4). I combattenti distinguevansi fra loro dalle armi e dalla maniera di lot- tare. I secutores avean per armi la galea (elmetto), il clypeus (scudo) ed una spada (gladius (5). Il secutor veniva accoppiato al reziario (6), sicché ciascun secutore battevasi con un reziario (7). Questi portava in testa il galerum ; e (1) Cic, De orai. 11, 78, 80; Ovid., ARS. Am. Ili, 515. Sbn., Ep. 117. (2) Di qui, a quanto pare, nacque la voce battaglia. (3) Ed allora i gladiatori si dicevano Catervarii. Subt., Cai. 30. (4) Ulpiano fa distinzione fra i gladiatori condannati ad gladium, e fra quelli condan- nati ad hidum. « Nam, dice, ad gladium dannati, confestim connunitmiur, vel certe intra anniini debent consumi ; enimvero qui in ludum daninantur, noti utique consumunttir, sed etiam. pilleari et rudem accipere possimi post intervalluni. Siquidem post quinquennium pilleari : post TKiBNNiUM auteni rudem induere iis permittere » . I Rudiarii (ossia i gladiatori che ave- vano riacquistato la libertà) non tornavano a pugnare nisi pretio ani spoìite inducti ; ed eran soliti di consacrare le loro armi (e talvolta anche i premi) a Ercole gymnasiorum dea. (5) XiPHiL., LXXII, 19. — A questa classe di gladiatori apparteneva Commodo, il quale si vantava di essere il primo fra i secutores, e di aver ucciso molti reziari (Lampr., in Comm. XV). (6) IsiD., Orig. XVIII, 52 ; Cf. Artemid. Oneicr. II, 33. (7) luv., VIII, 210; Subt., Calig. 30. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 23 le sue armi erano: una lancia a tre denti {tridens o fuscinn) ed una rete fi). Se gli riusciva di avviluppare nella rete il suo avversario, correva tosto a tra- figgerlo col tridente (2), mentre l'infelice secutor, cosi miseramente avvilup- pato, procurava liberarsi e difendersi. I Mijrmillones aveano in capo un elmetto gallico, e, per cimiero, l'effigie di un pesce. Per tirmi usavano uno scudo ed una spada gallica, cioè, senza punta. I loro rivali erano i Thraeces, Trhexes o Traces (3). Ebbero questo nome perchè usavano le stesse armi ed arnesi dei nativi della Tracia, cioè, la sica e la patema. La sica era un coltello a lama un po' curva ed a punta acuta ; la parma era il piccolo scudo tracio, quadrato nel contorno ma con- vesso nella superfìcie (4). Talvolta il Mirmillone era contrapposto al rezia- rio (5), il quale, durante la pugna, non cessava di ripetere cantando : « Non te peto, piscera peto; cur me fugis, Galle? ». I Samnites (6) aveano per avversari i Provocatores, detti anche Velites. I primi si dissero eziandio Hoplomachi (7), forse perchè, giusta 1' uso dei sol- dati sanniti, eveano il petto difeso da una spugna (8); ed erano intieramente (1) Is., Or. XVin, 57. — Probabilmente l'uso della rete ebbe origine dal fatto di Pittaco, del quale parlano Laerzio (1. I) e Strabene (1. XXIII). Essendo Pittaco capitano dei Mitilenei combattè col capitano dogli Ateniesi in figura di pescatore ; e, dopo aver avvolto l'avver- sario nella rete che seco avea portata nascosta, lo feri col fridente e col coltello. In un me- daglione di Gordiano Pio, illustrato dal Bonarroti, si ha l'effigie di un reziario che lira a sé il competitore, il quale ha il capo avvolto in una rete. Questo stesso s'osserva in un basso- rilievo affisso presso la tomba di Cecilia Metella. (2) Terribile era il gladiatore Ermete, ricordato da Marziale. Costui pugnava in tre di- versi modi : all' uso, cioè, dei Sanniti, dei Reziari, degli Andabati ; e non avea bisogno di suppositizi, ossia di gladiatori che supplissero a lui stanco o ferito (Mart. lib. V, Epig. LII). II tridente era un'arme micidialissìma. Una volta cinque reziari restarono soccombenti ad al- trettanti secutori, ma al momento di esser trafitti, uno di essi, ripreso il tridente, uccise con questo tutti i vincitori. Lo stesso Caligola deplorò la fierezza di quell'atto (Subt., Cai. 30). Ad Arnobio, quando vedeva l'immagine di Nettuno col tridente in mano, sembrava di vedere un gladiatore (1. 6). (3) Sen., Q. N. IV, 1. (4) Un esempio l'abbiamo in una lampada figulina illustrata dal RiCH. {Dictionary of Roman and Greek antiqiiities. London 1860, v. Thrax.). (5) Retiarii, dice 1' Henzen, committehantur cum omnibus . . . gladiatoribus, praeter Thre- cem, de cnius certamine contra eum certe mihi notuni non est. Cf. Explicatio Musivi in villa Burgh. asserv.. Parte II. (6) Cic, Sent. 64. (7) Mart., Vili, 24. (8) Tertulliano ci parla di questa spugna : « poterit et de misericordia moveri defìxus in morsus ursorum et spongias retiariorum » {De Specf., lib. e. X, De munere). Questo passo, dice il Maffei (loc. cit., pag. 147) « indica, che ne' reziari cosi chiamavasi qua'che arme da offesa, non da difesa ; . . . . leggo moneri e non moveri, com' hanno le stampe perchè non fa senso. Ora una coperta del petto non sarebbe tanto a pietà opposta ne ben corrisponderebbe al morso degli orsi. I reziari inoltre combatteano senza armatura, ed in 24 INTKODUZIONE armati quasi come legionari di Roma. Avean per armi : uno scudo d'argento intagliato, ed una spada. Nel braccio destro, che trovavasi indifeso, avevano un bracciale {manica) (1). Un gambale (ocrea) custodiva e difendeva loro la gamba sinistra (2): oltre a ciò usavano un cimiero orjiato di pennacchi, od un elmo chiuso, con ale (pinnae) ai lati (3), per cui il loro avvei'sario dice- vasi Pì'nnirapiis (4). I gladiatori che, a guisa dei Brettoni, combattevano sui cocc^hì, ex es- sedis (5), si dissero essedarii; quelli che cavalcavano bianchi cavalli, ed ave- tunica, e senza ascondere in celata la fronte come si legge in Giovenale {Sat. 8). l'otea darsi per certa sonii<>'lianza alla rote, e poteva alla corta spada ancora, forse perchè il suo manico traforato fosse e lavorato a jjuisa di spugna. Inclino a credere questo per (^uel motto d'Au- gusto riferito da Suetonio (e. 26) : Aiaceni suiim in spongiam incubuisse. Era questa una tragedia da lui cominciata, che non riuscendogli a suo modo, l'annullò cancellandola, al quale uflzio serviva presso gli antichi la spugna. Ma fredda facezia sarebbe stata quella d'Augu- sto, intendendo semplicemente, come Casaubono e tutti gli altri hanno fatto (fra i moderni V. Manuale della letteratura latina, G. Vitelli e G. Mazzoni, p. 301. Editore Barbera, 1907) senza che doppio sewso potesse avere quella voce, l'istrumento da cancellare, per cui dovesse acquistar grazia tal detto. Farmi però potersene ricavar con certezza ch'anco alcune armi da punta portasse il nome di spugna, per lo che si venisse ad intendere, aver la tragedia avuto simil fine ad Aiace stesso che si diede la morte abbandonandosi sopra una spada » . (1) Giov., VI, 256. Queste particolarità si riscontrano anche in un bassorilievo di stucco, rinvenuto in Pompei ed illustrato dal Mazois. (2) Tito Livio, IX, 40. (3) VABnoNB L., 1. V, 142. (4) Ecco quanto I'Hbnzbn, (Expl. Musivi etc. Tip. della Rev. Cam. Apost., 1852, p. II) scrive relativamente ai velifes o provocatores : « De velitibus ac provocatoribus Maffei sen- tentiam scquendam esse putaverim, quippe qui prò iisdem fere eos habeat. Velitum pugna erat ut ultro citoque tela obiectarent (Isid., Orig. XIII, 54): et quum in re militari velites ad proelia incipienda adhiberentur, cundem in arena eorum usum fuissc probabile est, qua cum dimicandi ratione optimc congruit provocatorum nomen. Quod praeterea Artemidorus (Onei- cron, II 33), ubi emendatio vocabuli Tcpopaxttop in Kpo^oKdxmp certissima est, dicit significavi somnio de provocatore, coniugem sDuopcpov (lèv xaì /apisacav, Xajiupccv 6è y.ai éptotixi^v, ad eandem certaminis rationem spectare videtnr, quae varia erat, spectantihus vero gratior quam reliquae (Isid., Orig. XVIII, 54). Levem certe armaturam provocatorum quoque fuisse iam Ciceronis loco apparet, qui Clodium narrat servos ex ergastulis emptos, sortito alios samnites, alios provocatores fecisse, ita puto, duo genera maxime diversa indicans, ut hominis neglìgentiam ac levitatem eo severius perstringeret. Nomine provocatoris loco, quod apud Ciceronem legi- tur ceterae inseriptiones omnes nihil nisi PROVOK (Orell. 2508) vel PROV (Orell. 2566, ex Marin inscript. Alb. p. 12) exhibent. Velites Inter gladiatores, fuisse negavit Fabr. inscript. 203, p. 39: Vel. velarios interpretatus sed velarli ipsi non erant gladiatores scd milites plerunque navales (Lamp. Comm. 15), ncque eos inter gladiatores recenseri credere possum. Prae- terea habemus Isidori testimonium haud dubium, et si recte emendaverìt Rigaltius (in notis ad Artemid. Oneicr. II, 3;i} ; ibi quoque prò vocabulo òppi^Xos, quod nullum est, oùifjXy]? legimus ». (5) Giov., lorn. e. II ; Cic, ad Georg. 1. III. In un'iscrizione si legge: assidarium. V. Muratori, 613, 8. STOKIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 25 Vcano gli occhi bendati, andabalae (1); se armati di due spade, si dicevano dijmachaeri (2) ; quelli finalmente che con un laccio accalappiavano, rovescia- vano ed uccidevano l'avversario, chiamavansi laquearii. I gladiatori mantenuti dagli Imperatori si dissero fiscales (3); coloro che rimpiazzavano gli stanchi od i vinti, supposititn : i meridiani erano i gladia- tori e i venalores superstiti dopo un combattimento, i quali, suU'oi-a del mez- zodì, senza usare arte o difesa, doveano trucidarsi a vicenda (4) ; ed i cubi- cularii eran quelli che lottavano durante i banchetti (5). I cadaveri dei gladiatori si trasportavano allo spoliarum, trascinandoli agganciati con adunchi uncini. Ivi stesso erano condotti i feriti omai incapaci di battersi ; i quali, se si vedeva che non avrebbero potuto sopravvivere alle mortali ferite, venivano irremissibilmente uccisi. I premi dei vincitori consistevano, per lo più, in palme, od in corone di palma con nastri multicolori, palma leìnniscata ; alle volte poi erano premiati con danaro od anche con una bacchetta di legno, riidis. (,1) Un esempio degli Andahafac l'abbiamo nel monumento di Scauro. Cf. Hpinzex, Ice. cit. L'Andabata usava Vhasta e \a. pnrma rotitnda. Portava un elmo dorato (Isid., Orig. XVIII, 50), senza apertura nella visiera (Hieuon., ad lov. I. 36). (2) Se ne fa menzione da Artemidoro (Oneic. II, 33) e nell'iscrizione 603, 3 riportata dal Muratori. Dymachaeri sono quelte duo statue del Museo Borbonico rappresentanti due uomini morenti, che impugnano una spada ])er mano. (3) I gladiatores fiscales si chiamarono anche Caesariani ; e poiché eran essi « eximii virihìis, arte, ornafn (Lip.s., ,S'«^, 1. II, p. 959) e spesso il popolo domandava agli Imperatori il favore di vederli combattere nell'arena, furon detti eziandio Postvlaticii. Seneca (Epist. VII) scrisse : « Hos pleriqne ordinariis et posfidaficiis paribus pracferunt » . (4) Seneca, Epist. ad Ludi. 8 ; cf. 96 ; Teut., Apol. 15. — Dione Cassio biasima que- gli inumani spettatori, 1 quali mentre pranzavano, sitmmo studio, assistevano a quella or- renda carneficina. Dio., 60; Suet., 34. (5) V'era pur anche una classe di gladiatori detta C'atervarii, « a modo pugnae, scilicet Clini non singidi cimi singulis, ut moris, sed confusi mixtiqìie pugnant per catervas » (Lu»s., Sa- tiirn. Serm. 1. II, p. 960). In Giuseppe Flavio {De Antiq. l. VII) leggiamo: che Tito « Miiltis e captivis illic constimpti, aliis bestiis obiecti, alti catervaiim, et piures, more hostium, depu- gnare Inter se iussii y>. Questo spettacolo fu dato da Tito in Cesarea. I Pegmares iPegmatici o Pegmatarii, come più piace chiamarli) erano quei gladiatori i quali « pegmafis impositi depugnabant » (Lip.s., loc. cit.) Suetonio dice : Gladiatorio munere rediictis interdum flagrantissimo Sole velis, emitti quenquam retabat, remotoque ordinario ap- paratu, rapidis feris mlissimos setiioqne confectos, gladiatores quoque pegmake.s, patreffaml- liarutn notos, sed insignes debilitate aliqua corporis subiiciebat » (Suet., in Calig. XVI). Il LiPSio (loc. cit.) crede doversi leggere « gladiatoribus qtwqiie pegmares » , in questo senso : « Rabidis feris bestiarios viles, invnlidosque : et gladiatoribus operas pegmares fabrosque su- Iniciebat » . Secondo altri avrebbero preso questo nome da pegma, specie di twre, che veniva eretta nel mezzo dell'Anfiteatro. La sommità della torre sarebbe stata ricoperta di scudi, elmi ed armi, da darsi in premio ai vincitori. I gladiatori, divisi in due schiere, dovevano chi at- taccare e chi difendere la torre. Sarebbe stata una rappresentazione dell'assalto ad una for- tezza. 26 INTRODUZIONE I monumenti che ci mostrano i gladiatori, quali sono gli stucchi pompe- iani, i mosaici delle ville Albani e Borghese (oggi Umberto I), i bassorilievi vaticani, quelli della villa Pamphili, ecc.; mentre ci fanno conoscere la va- rietà delle armature e la ricchezza dei costumi, ci addimostrano altresì la splendidezza di simili spettacoli, e, per un momento almeno, ci distraggono dalla crudeltà e barbarie delle descritte istituzioni. Questi cruenti spettacoli continuarono a celebrarsi legalmente fino al- l'anno 325 dell'era volgare, allorché Costantino, da Beirout (Berito), diresse a Massimo, prefetto del Pretorio, una legge con data del 1" Ottobre, per la quale proibiva i giuochi gladiatori ; ed ai delinquenti commutava la pena della pugna con quella delle miniere (1). Ma questa legge fu ben tosto violata; anzi nelle province orientali forse non fu mai osservata : giacché la legge seconda, dello stesso titolo, diretta da Costanzo e Giuliano ad Orfito, prefetto di Roma, in data del 16 Ottobre, mo- stra che nel 357 quei giuochi erano ancora in vigore ; e la terza legge sullo stesso oggetto, emanata da Arcadio ad Onorio nel 397, non solo ci rendè certi che gli spettacoli gladiatori continuavano, ma ci addimostra ben anche l'esi- stenza dei ludi. Ciò stesso l'apprendiamo da S. Agostino (2) e da Prudenzio (3) : Respice terrifici scelerata sacraria Ditis : Cui cada infausta fusus gladiator areìia. , Heu, male lustratae phlegetoniia victima Romae ! Nam quid vesani sibi vult ars impia ludi f Quid morten iuvenum, quid sanguine pasta voluptas ? Quid pulvis caveae seniper funebris et illa Amphitheatralis spectactda tristia pompae ? E sul finire del poema, Prudenzio esorta Onorio a por fine a quei cruenti spettacoli con queste parole : Tu mortes miserorum hominum prohibeto litari, NuUu.s in urbe cadat cuius sit poena voluptas : Nec sua virginitas oblectet caedibus ora, lam solis contenta feria infamis arena, Fulla cruentatis homieidia ludat in armis. E non tardò più guari una propizia occasione per abolire onninamente quei giuochi. Narra Teodoreto (4), che regnando Onorio (6) un monaco di nome (1) Cod. Teodos., Lib. XV. Tit. XII; 1. 1; Quapropter, qui oinnino gladiatores esse pro- hibemus ; eos qui forte delictorum canssa hanc conditionem, atque sententiam mereri cdnsue- verant, metallo magis facies inservire, ut sine sanguine suorum scelerum paenas agnoscant. (2) Conf, Vili. (3} Cantra Symm., I. I, v. 379 e segg. (4) Lib. V, cap. XXVI. (6) A. 403, secondo Tillemont, 404 secondo altri. STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI 27 Telemaco parti dall'Oriente alla volta d'Italia, col fine di far cessare gli spetta- coli gladiatori. Giunto in Roma, discese nell' arena e tentò di fai' deporre le armi ai gladiatori. Ma gli spettatori, che erano pagani e che tanto diletto ri- traevano da simili combattimenti, insorsero contro di lui, e l'uccisero (1). Allora Onorio abolì per sempre gli spettacoli gladiatori. (1) V. nota quasi alla fine del Capitolo IV, Parte I, di questo lavoro. — V'ha chi crede che questo monaco di nome Telemaco sia quello stesso che dal Martirologio Romano (v. I lan. colle note del Baronie) vien detto Almachio. Tillemont {Enipereurs, Honoré, art. 20, p. 533 sgg.) fa queste osservazioni : « Il est difficile de ne pas reconnaitre que tout ce qu' ou dit de s. Al- maque est ou faux ou très altere ». ' , L'ANFITEATRO FLAVIO NEI SUOI VENTI SECOLI DI STORIA. PARTE I. DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE. CAPITOLO PRIMO. Edificazione - Dedicazione - Feste inaugurali Medaglie commemorative - Spese approssimative - Epigrafi. D. 'UE furono gli anfiteatri stabili in Roma : quello di Statilio Tauro ed il FLAVIO (1). L'anfiteatro Taurense fu di piccole dimensioni (2), e, fin dai primi tempi della sua costruzione, di pochissimo uso (3); la sua durata poi fu breve, giacche sotto l'Impero di Nerone, s'incendiò (4). « Gli avanzi di esso e il nome a questi rimasto, dice il Maffei (5), ne avranno fatta far menzione a Vittore, non dovendosi già credere che gli edifìzi e le cose da lui nominate fossero a suo tempo ancora tutte in essere e in uso ». Augusto ideò di edificare un anfiteatro nel centro di Roma (6), e preci- samente fra i monti Palatino, Celio ed Esquilino ; ma il suo progetto non fu effettuato. L'attuazione di queir idea era riservata a FI. Vespasiano il quale, nell'anno ottavo del suo consolato (7), essendo già terminata la guerra giu- daica (8), pose mano alla grandiosa opera. Scelse allo scopo il sito prescelto (1) Nel Cataloghi s'aggiunge il Castrense, ma questo, come vedremo nella PARTE IV, Quest. 3*, fu un anfiteatro privato, non destinato, cioè, ai pubblici spettacoli. (■2) Parvum lapidentn condidit. IsiD. (3) Cf. PARTE IV. Quest. 3\ (4) Dio., p. 709. Ed. Uunel. (5) Verona iUust., Parte IV, 1. I, p. 60. Verona MDCCXXXI. (6) SuET., in Vesp. e. IX. (7) " Struxit autem Vespasianus in eonsulato suo octavo : idest, vix biennio, ante vitae finem ,, (Lips., De Amphith., e. VI). Vespasiano mori l'anno 79 d. C. (8) I trionfi della Guerra Giudaica furono celebrati colla dedicazione del vicino Arco di Tito, sulla Via Sacra (Cass., Variar. 1. V, epist. XLII). 32 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE da Augusto, urbe media (1), sito detto Cerìolense (2), che Nerone avea ridotto a foggia di lago o golfo, circondato da grandi edifizt (3), e che perciò dice- vasi stagnum Neronis. Marziale (4) ne conservò la memoria in quel distico : Hic ubi conspicHt venercdrìlia Amphifheairi Erigihir moles STAGNA NEEONIS erant. (5) Pietro Rossino (6) scrisse che il Colosseo fu compiuto in quattro mesi (//), e che vi lavorarono 12,000 Ebrei condotti schiavi da Tito. Nessuno storico ci ha ti'amandato quanto Rossino afferma. Anzi Giuseppe Flavio (il quale trattan- dosi di un tanto lavoro eseguito dai suoi connazionali, non avrebbe mancato di segnalarlo nelle sue opere) non ne fa motto. Soltanto ci dice (7) che Tito trasportò in Italia, pel suo trionfo in Roma, oltre i capi Simone e Giovanni, 700 uomini e non più. Narra altresì (8) che le altre migliaia di Ebrei prigionieri erano stati o venduti, o fatti morir d'inedia o trucidati o condannati alle miniere d'Egitto 0 distribuiti nelle province, per esser consumati dal ferro e dalle bestie (9). Dopo due anni (10) l'edifizio era giunto al terzo gradus; ma Vespasiano non ebbe la sorte. di vederlo compiuto, perchè la morte lo sorprese. Suo figlio Tito gli successe e nell' Impero e nel proseguimento del lavoro del colossale Anfiteatro. Questi aggiunse altri due gradus ai tre già costruiti da suo padre (11); e, nell'anno 80 dell'era nostra, "ne fece la solenne dedicazione. Eutropio e i cronologi Eusebio, Di S. Prospero e Cassiodoro, attribuirono a Tito la maggior parte dell'opera del Flavio Anfiteatro (12). (1) SuET., in Vesp. e. IX. (2) Varr., de L. Lat., 1. IV, e. Vili. — V. Guattani, Tom. II, p. 3. (3) SuET., in Ner. 31. Stagnum maris instai- circumstepttim aedificiis ad urhiiim speciem. (4) Epig. 2. (5) Facevan capo a questo centralissimo luogo, oltre al Vico Sandalario. le tre celebri e frequentate vie : la Saburra, la Salaria e la Trionfale detta anche Nuova perchè rinnovata da Caracalla, allorché edificò le Terme. (6) Mercurio volante, p. 153. (7) De Bello lud., 1. VII, e. XXIV (Coloniac Alobrog. MDCXI. Ex Typ. lacobi Stoer). (8) Loc. cit., 1. VII, e. XVI. (9) Non è però improbabile che vi lavorassero, attesa la grandiosità dell'opera ed il tempo, relativamente breve, in cui fu portata a compimento, molte migliaia di schiavi ; ma non è possibile assicurarne, come fa il Rossino, il numerp preciso e, molto meno, accertare che essi fossero tutti Ebrei. (10) Vix biennio. Cf. Lips , loc. cit. (11) Chronicon A. 33f. A tribus gradibus patris sui duos adiecit. (Cf. Frick., Chronica mi- nora, Lips. 1892. Voi. I, p. 116). (12) Lips., (loc. cit.) dice a questo proposito: « non male S. Rufus ambigue inscripsit, Flavii Amphitheatrum, etsì fama et vulgus Tito magis adiudicavit : sìve favore qtiodam in illum, sive potius ex romano rifu, quo receptum opera censeri a dedicante ». CAPITOLO r. - EDIFICAZIONE - DEDICAZIONE - FESTE INAUGUKALI ECC. 33 Neppur Tito compì del tutto l'opera: fu Domiziano, fratello e successore di lui, quegli che, come ci dice il cronografo dell'anno 334 (1), condusse l'opera dell'Anfiteatro m^que ad clypea. Che cosa si debba qui intendere per dt/pea, lo vedremo nel prossimo capitolo. « Gli atti arvalici, dice il eh. Pro- fessor R. Lanciani (2) sono un documento insigne per riconoscere a quale punto di perfezione fosse stata condotta la fabbrica dell'Anfiteatro circa la metà dell'anno 80. Questi atti parlano di tre meniani, che sono: il MAE- MIANVM PRIMUM con un minimo di otto gradini marmorei, diviso in ctìnei; MEAMIANUM 8ECUNDUM anch' esso diviso in cunei, nella parte più alta del quale (M. II. SVMMVM) gli Arvali, cioè i ministri inferiori del Collegio, ave- vano ottenuto posto in quattro gradini marmorei: il MAENIANVM SVMMVM IN LIGNEIS, diviso in tante tabulazioni, quanti erano gli intercolunni del por- tico (e gli archi da basso) con un minimo di undici sedili di tavole. Siccome a queste tre zone principali di sedili marmorei o lignei dobbiamo aggiungere per altre ragioni il podio dei senatori (per non parlare dell'arena, del pulvi- nare imperiale, ecc.), e siccome la divisione del terzo meniano in tabulazioni suppone la esistenza del portico; se ne deduce la conseguenza che, nell'anno 80, quando fu solennemente dedicata la fabbrica, essa era stata recata a compi- mento, salvo forse nei particolari dell'ornamentazione, i quali saranno stati perfezionati da Domiziano ». Giustissima deduzione, che a me sembra confermata dai fatti. L'ordine Composito, combinazione dell'Ionico col Corintio, fu invenzione dei Romani. Esso fu usato, benché vagamente, fin dagli ultimi tempi della Repubblica (3); (1) Fric:k, loc. cit. p. 117: — DomUiamis Imp Amphifheatriim tisque ad clypea. (2) Bull, della Comm. arch. comun. di Roma, p. 272 e agg. Anno VILI, serie seconda, 1880. Sui loca adsignata in amphitheatro ai fratelli Arvali, nella prima assegnazione dell'anno 80 fatta da Tito, abbiamo uno si)lendido documento negli atti del Collegio dell'anno medesimo. V. Marini, Arvali p. 224; Canina, Edif. 3, 26 ; HCbner. Ann. Insi. 1856, 62 sg. ; Mommsbn, Ann. Insf. 1859, 125; Hbnzen, Arv., p. 106 et sg. ; C. I. L. VI, p. 506. — Ecco l'importantissimo documento, inciso, disgraziatamente, da uno scalpellino idiota o poco meno: FRATRIBVS . ARVALIBUS . MAENIANO . T CVN . Xll . GRADIB . MARM . VHI . GRADVI P. V. GRAD . Vili . PEDV= LI . F. PED. XXXXIl S . GRADV . 1 . VNO . PEO. XX li SET MAENIANO SUMMO II CVN. Vi . GRADIR . MARM . IV . GRADV . 1 . VNO . P. XXIIS . ET MAENIANO SVMMO . IN . LIGNEIS . TAB . LUI . GRADIBVS . XI . GRADV TPED . V H K L • GRAD . XI . PED . V S a a HH D F . PED. LXIIIS H K "-i L SUMMA . PED . GXXIX a S '-i L (3) ViTRUV., De arch., 1. IV, e. V, 12: Siait antem, quae iisdem eolumnis imponuntur capitulornm genera, varlis vocabtdi.s nominata: quorum nec proprietates symmetriarum, nec rolumnarum genus aliud nominare posnumus, sed ipsorum vocabnla traducta et commulafa ea Corinthiifi et pidvinatin et Doriciit videmus, qtiornm aymmetriae nunt in novarum ncalptu- rarum translafae xubtilitatetn. 3. 34 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE ma dall'esempio più antico che possediamo (1), si può fondatamente dedurre che questa combinazione fu ridotta ad ordine architettonico ai tempi dei Flavi, e precisamente sotto il regno di Domiziano, allorquando il Senato eresse in onore del Divo Tito, l'arco trionfale. Ora se Domiziano avesse aggiunto all'Anfiteatro Flavio l'ultimo piano, forse noi non vi vedremmo ripetuto l'ordine Corintio, ma vi ti'overemmo adope- rato il Composito; ordine, direi quasi, Domizianeo. Anzi io congetturo che la costituzione del nuovo ordine architettonico sia nata appunto dalla ripetizione del Corintio fatta negli ultimi due piani dell'Anfiteatro regnando Tito; e che que- sta l'ipetizione abbia fatto pensare a Domiziano, o meglio ai suoi architetti, ad un quarto ordine propriamente detto, da adoperarsi in avvenire ed in casi analoghi. Né sembra far ostacolo a questo ragionamento l' ordine Composito adope- rato nel colonnato del portico del sommo meniano in ligneis: giacché convien riflettere che, se dall' iscrizione degli Arvali dobbiamo necessariamente dedurre l'esistenza dell'ultimo piano dell'Anfiteatro e del colonnato del meniano sommo; non possiamo però da quella parimenti dedurre di qual materia fossero le co- lonne di quel porticale al momento dell'inaugurazione dell'Anfiteatro. Pare quindi potersi ragionevolmente opinare, che, portata sostanzialmente a com- pimento la gigantesca mole colla costruzione del muraglione esterno dell' ul" timo piano, Tito, onde non protrarre più oltre la bramata solennità, abbia fatto eostruire provvisoriamente in legno quel colonnato. E quest'ipotesi vien confermata dalla stessa lapide dei Fratelli Arvali, nella quale, come dicemmo, si legge che i gradi del meniano sommo erano di legno e divisi in cunei da lignei tavolati. Morto Tito, Domiziano avrebbe compito l'opera del fratello sostituendo alle colonne lignee, forse di ordine Corintio, le colonne di marmo di ordine Composito (2), e perfezionandone l' ornamentazione. Se così fosse, la mia supposizione metterebbe in concordanza il cronografo del 334 coli' iscri- zione degli Arvali (3). (1) L'Arco trioufaU^ di Tito sulla Via Sacra. V. Niuiìv, Roma Ant. Part. I, p. 295. (2) Nell'interno Bell'Anfiteatro si veg-gono tuttora '.'tì capitelli di quest'ordine. Essi sono semplici, senza intagli, ma di discreta proporzione e di una ben intesa esecuzione. E se al- cune parti secondarie di questi capitelli furono lasciate in abbozzo, fu senza dubbio in consi- derazione della grande altezza in cui si dovean collocare, e della vastità dell'edificio. Pre- sento al lettore la riproduzione di un capitello tratta dalla fotografìa che io stesso ho fatto fare. (Vedi Fig. i*), (3) E qui sorg'e una difficoltà. Uno dei capitelli marmorei del colonnato del sommo me- niano è ricavato da un blocco di marmo che ha incisi i residui di un'iscrizione monumen- tale. Come spiegare questo fatto ? — I restauri ingenti fatti da Eliogabalo e da Severo Alessandro nell' ultimo piano dell'Anfiteatro (ove la parete di travertini è internamente rive- stita di una cortina laterizia dell' epoca di quei Cesari) mi pare possano far dileguare que- sta difficoltà. In quella vasta riparazione (i-esa necessaria dai danni causati dall'incendio del 217), alcuni dei capitelli furono certamente rinnovati. D'altra parte, l'uso comune in CAPITOLO I. ■ EDIFICAZIONE - DEDICAZIONE - FESTE INAUGURALI ECC. :».') Nella dedicazione dell'Anfiteatro Flavio (1), vero portento della romana ;i'aiidezza, e del quale Marziale (2) dice enfaticamente: Omiiis caesareo cedaf labor attiphitheatro Unuvi prae rvncfin fama loqiiatur opus, Fig. r. quell'epoca, di adoperare pietre appartenute ad altri edifizi, e a tutti noto; e il timpano, a mo' d'esempio, del Portico d'Ottavia, nonché alcuni punti della muraglia di travertini del- l' ultimo piano dello stesso Anfiteatro Flavio ce ne sono una prova patente. — D' altronde quel capitello, coi residui della monumentale iscrizione, potrebbe anch' essere dell' epoca Do- mizianea; giacché una parte dei materiali appartenuti ai distrutti edifici neroniani furono senza dubbio adoperati nell'edificazione dell'Anfiteatro. — Il frammento d'iscrizione rimasto sulla faccia superiore del capitello, ha (tra le poche parole tronche) queste tre lettere : NER (Nero?). Generalmente si supplisce NER {vaef), V. Lanc, loc. cit., p. 217; e. I, 1. VI, pari. 4', n. 32255. Ma del resto si presta pur anche al supplemento da me proposto. Vicino a questo capitello ve n' è un altro con quattro testine rappresentanti Medusa. (1) Nell'anno 80 d. C, Tito occupava il consolato per l'ottava volta, insieme a Domi- ziano, il quale era console per la settima volta. (2) De Specf., Epig. I. 36 PARTE 1. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Tito fé celebrare straordinarie e sontuosissime feste; alle quali, se vogliamo prestar fede alle parole dello stesso poeta, concorse gente da ogni parte della terra (1). Suetonio, nella vita di Tito, ci dice che in quella solenne circostanza, oltre agli sceltissimi e ricchi spettacoli gladiatori e alle venationes, ebbero luogo pur anche i combattimenti navali (2) in veteri naumachia. Il passo di Suet) VLPI . DIM DV IVL (e) VOL (9) ONER VRBANl (d) XVI (e) VRB (f) TEFF CER (1) Variar. 1. V, Epist. XLII : Hoc Titi potentia principalis divitiarum profuso flumine cogitavit aedificium fieri, undc caput nrbium potuisset etc. (2) Voyage en Italie, Paris 1801, p. 385 e sgg. (3) " Bull. Comm. „ loc cit. p. 215. (4) "Aun. deirist. „ 1850, p. 68-71, Tav. XII. CAPITOLO SECONDO. Descrizione della parte esterna dell'Anfiteatro Flavio Dimensioni — Architettura — Materiali usati nella costruzione Statue — Clipei — Perni e spranghe — Sezione. L. ìa forma dell'Anfiteatro Flavio è ovale, come ovali sono generalmente tutti gli anfiteatrali edifici (1). La lunghezza dell'asse maggiore di questo grande ovale, compreso il primo gradino che circonda la mole, è di m. 191, 20; quella dell' asse minore è di m. 158, 50. La periferia, presa sempre sul ciglio del detto gradino, dà m. 546. L' altezza, dal livello stradale alla sommità, è di metri 50 (2). Un'area lastricata di travertini, larga m. 17,60, attornia l'Anfiteatro, se- condandone la curva. E quella terminata da grossi cippi di travertino, tagliati superiormente a semicerchio, alti m. 1, 75, larghi m. 0, 76 e grossi m. 0, 60 (-3); distano 1' uno dall' altro m. 3, 40, e nella loro faccia interna rimangon tracce dell' impernatura, forse delle sbarre metalliche, che collegavano 1' un cippo con r altro. L' intiera mole sorge esternamente sopra due gradini, il primo dei quali ha m. 0, 425 di pedata e m. 0, 20 di alzata; il secondo m. 0, 18 di alzata, e, (1) Il GuATTANi {lioma'descritta ed illnsfrata. Tom. II, pag. 3) si domanda: « Perchè non dare agli anfiteatri una forma perfettamente, sferica? Due, a mio credere, prosegue egli, ne furono le ragioni. Una la trovo nel vantaggio di accorciare la visuale degli spettatori, in guisa che, o empiendosi 1' anfiteatro la maggior parte, o non empiendosi tutto, il popolo vedeva più comodamente lo spettacolo ; tanto più che essendovi la necessità di coprirlo, illauguidivasi necessariamente la luce. Inoltre la forma elittica riesce appunto più facile a coprirsi, restando la lunghezza del maggior numero delle tele e delle gomene dalla lìnea circolare interiore all' esteriore più corta » . (2) Amm., 1. XVI, e. XVI, scrisse: Atnphitheatri molem solidatam lapidis tiburtini com- page, ad cuitis summitatem aegre viaio humana conscendU. — Non v' ha dubbio che la vene- rabile mole dei Flavi, veduta da vicino e dal piano antico, sia sommamente imponente. (3) Cinque di questi cippi furono scoperti nel 1895 all' Est dell'Anfiteatro, di contro alle arcate XXIII, XXIIII e XXV (" Bull. Comm. ,, 1895, n. 3, p. 117 e segg.). 42 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE dal ciglio al plinto della base della colonna, una pedata di m. 1,02, la quale si unisce nel vuoto degli archi col pavimento del portico. Consta r edificio di quattro piani. I pi'imi tre sono arcuati ed ornati con colonne di mezzo rilievo, d'ordine rispettivamente Dorico, Jonico e Corintio; il quarto piano non ha archi, ma finestre rettangolari ; ed anziché da colonne, come i tre sottoposti, è decoi-ato da pilastri con capitelli Corinti: il che, se- condo alcuni architetti, meglio asseconda l'occhio in tanta altezza. Nei due primi piani le colonne sporgono dai pilastri degli archi per due terzi del diametro, e nel terzo piano per la sola metà. Esse hanno tutte egual diametro, e di eguale larghezza sono eziandio i pilastri dell'ultimo piano. L'ordine del piano terreno è un Dorico non legittimo : non ha triglifi nel fregio; il capitello in luogo dei tre listellini ha una gola, ed al fusto della colonna è sottoposta una base, di un carattere differente dalle quattro con- suete. L'altezza di quest'ordine è di m. 10, .50: gli archi hanno m. 4,30 di larghezza e m. 7, 10 di altezza. L'ordine del secondo piano è Jonico, ed è alto (compreso il piedistallo) m. 11,85. La colonna ha la base attica. Gli archi hanno m. 4,30 di larghezza e m. 6,50 di altezza. Essendo il pavimento del portico di questo piano a li- vello della cimasa del piedistallo della colonna, vi si dovette fare un para- petto dell' altezza di un metro. L'ordine del terzo piano è Corintio, ed è alto (compreso il piedistallo) m. 11,60. La base della colonna è toscana: nella cornice di quest'ordine è da notarsi che essa non ha gocciolatoio, ma i modiglioni reggono immediatamente il listello sottoposto alla gola finale. Gli archi sono larghi m. 4,30 ed alti m. 6,40. Anche qui, come nel sottoposto piano, v' è, per la stessa ragione, un parapetto alto un metro. I pilastri del quarto piano sono Corinti, hanno la base attica, e tutto r ordine, compreso il piedistallo ed un dado che è sottoposto alla base, è alto m. 13,90. Il cornicione di quest' ultimo ordine è classico, perchè (mentre mantiene le altezze dell' architrave, del fregio e della cornice proporzionate al pilastro), per l' introduzione di robuste mensole nel fregio e per la sempli- ficazione della cornice (che, decorata a guisa di architrave da tre fasce ed una cimasa, forma nel suo assieme, senza esser pesante, un grandioso goc- ciolatoio), corona stupendamente l' intiera mole. Questo piano, come già si disse, invece di archi ha finestre rettangolari, le quali sono di due dimensioni, e si trovano disposte negli intervalli fra i pilastri alternativamente. Le maggiorisi trovano nella parte superiore; hanno una dimensione di m. 1,72 X 2,57 ; le minori di m. 1,30 X 0^90; e trovansi nel dado del basamento. CAPITOLO n. - DESCUIZIONE DELL'ESTERNO DKLL'ANFITKATUO ECC. i'-> Il Mattei (1) parlando dell'ordine di questo piano, dice che, essendo il fregio ornato da modiglioni, questi, nonostante che i capitelli dei pilastri siano Corinti, fanno divenire l'ordine Romano o Composito. Anche il Serlio chiama quest' ordine cosi, ma non a ragione ; giacché la caratteristica principale di un ordine architettonico è il capitello: e bene a proposito il Dcsgodetz scrisse: » La somiglianza che hanno gli ordini affini, come sono il Romano ed il Co- rintio, il Dorico ed il Toscano, e qualche licenza che 1' architetto si prenda, non deve farli confondere fra loro ». Il nostro edificio non ha intagli, e giustamente; perchè, a parer mio, r intagliar foglie, volute e cornici che doveano essere collocate a tanta al- tezza ed in fabbrica cotanto gigantesca, sarebbe stato, più che superfluo, scon- venevole ; come, viceversa, sarebbe sconvenevole non decorar con intagli or- dini destinati a decorar una sala. D'altronde 1' esecuzione dell' edifìcio in genere, e dei particolari in ispecie, é trascurata assai. Una trascuratezza siffatta, per non aver riscontro nelle fabbriche contemporanee, ci attesta la fretta con cui fu eseguita la grandiosa opera dell'Antiteatro Flavio. In ciascuno dei tre piani arcuati v'erano 80 fornici: quelli del piano ter- reno erano numerati, ad eccezione di quei quattro che si trovavano all'estre- mità dell' asse maggioi-e e minore, dei quali i primi due erano i grandi in- gressi all'arena, e i due secondi gli ingressi imperatori; sicché ogni quadrante della periferia conteneva 19 fornici intieri e due dimezzati. Gli archi caduti sono 47; i superstiti 33, portanti dalla parte esterna in- cisi al di sopra degli archivolti, i seguenti numeri: XXIII XXIIII XXV xxvi XXVII XXVIII XXVIIII XXX XXXI XXXII XXXIII XXXIIII XXXV XXXVI XXXVII XXXVIII (segue un arco non numerato, al- l'estremità orientale dell'asse minore) XXXVIIII XL XLI XLII XLIII XLIIII XLV XLVI XLVII XLVIIII . . . L LI LII LUI LIIII. (C. I, I. VI, Parte 4, 32263). I numeri servivano indubbiamente ad indicare a coloro che doveano as- sistere agli spettacoli, qual fosse l' ingresso a loro più comodo per portarsi al sito della scalinata assegnato alla rispettiva condizione sociale. L'Agostini, nel quarto dei suoi dialoghi sulle medaglie, osservò che ad ogni quattro archi corrispondeva una scalinata interiore, la quale sboccava ad un vomitorio, ossia uscita alla grande scalinata della cavea: e che anche sugli archi di questi vomitorl erano scolpiti numeri onde evitare confusione. (1) Verona Must. p. 18(). 44 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Il numero I trova vasi a destra di chi guarda l'Anfiteatro dalla parte del Celio; il numero LXXVI a sinistra. Al lato opposto, l'arco senza numero lo vediamo fra i numeri XXXVIII e XXXVIIII ; e questo fornice si fa rimarcare non solo per la mancanza del numero, ma pure per le tracce di una speciale decorazione. Non lungi da esso si rinvennero, e si veggon tuttora, due pezzi di colonna di marmo frigio e residui di trabeazione di marmo bianco. I gra- dini che circondano esternamente l'Anfiteatro, sono in quel punto interotti, ed i massi di travertino formano, nella parte centrale dell' arco, un rientra- mento. Il Marangoni pensa che gli archi senza numero fossero destinati al- l' ingresso degli Imperatori, della loro corte e di tutti coloro che doveano sedere al podio. Ciò troverebbe una conferma, dice, nel fatto che, passati i due portici, e dove principiano gli archi che sostenevano le gradinate verso r arena, v' ha come una spaziosa sala, illuminata da qualche apertura corri- spondente alla gradinata stessa. Quest' ambiente vedesi adornato con lavori e figure di stucco, le quali, benché danneggiate dall' aria e dal tempo, appa- riscono di squisito lavoro (1). E poiché sull' arco mancante di numero manca eziandio l'intera cornice, sino al piano dell'ordine superiore; si può pensare che esso fosse adornato da qualche gruppo o bassorilievo od anche con iscri- zioni (2). Il Nibby (3) ed altri argomentano dalle medaglie che « dinanzi al para- petto di ciascun arco vi dovea essere esteriormente un piedestallo con una statua pedestre: fatto, aggiunge egli, confermato dagli ultimi scavi, e che ap- parisce da qualche traccia supersiste ». Io stesso ho veduto coi miei occhi queste tracce patentissirae, e specialmente le ho osservate nel parapetto che trovasi nel fornice del terzo piano e sopia 1' arco che porta il numero XXXIII, ove rimane il posto già occupato dal piedistallo ; ed ho osservato l' interru- zione della cornice che serve di finimento al parapetto stesso, perchè coperto dalla parte posteriore del piedistallo (V. Fig. 2). (1) Questi stucchi furono disegnati da Giovanni da Udine ed incisi nella Raccolta di De-Crosat. (Vasari, Vita de' Pittori p. 30, part. 3, (j. 2). (2) Dalle medaglie apparisce che su gli archi che trovavansi nei grandi ingressi v'erano delle quadrighe. Il Guattani (Ice. cit. Tom. II, p. 5), invece scrive: « Nella parte setten- trionale verso l'Esquilino, fra gli archi corrispondenti al mezzo dell' ovale, ve n' è uno che non ha numero fra il XXXV e il XXXVIII (?). Ivi da un capitello all' altro delle coibnne, manca tutto il cornicione sino al piano del portico superiore. Tal mancanza indica a mara- viglia l'attacco di un ponte che dava il passaggio all' Imperatore dal suo palazzo e terme suir Esquilie all'Anfiteatro ». A p. Iti {nota) il Guattani principia a dubitare di questa sua asserzione, e scrive: « Questa quadriga non si vede affatto (?) in nessuna medaglia a mia notizia; bensì impresso in tutte, e chiarissimamente visibile in quella di Gordiano, sta l'attacco del ponte, seppure, in, vece di ponte non fosse tin vestibolo dell' Anfiteatro ». È evi- dente che al Guattani non eran note le medaglie di Domiziano, ecc. (3) Loc. cit. pag. 424. CAPITOLO li. - DESCRIZIONE DELL'ESTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 45 Il Guazzesi (1) opina che le statue che si veggono incise nelle medaglie ornassero effettivamente l'Anfiteatro Flavio; ma dice che esse non furono sta- bili e di marmo, bensì d' altra materia e mobili, da esporsi in mezzo agli archi giusta le circostanze e qualità degli spettacoli da rappresentarsi nel nostro Anfiteatro. E basa la sua opinione sul fatto (?) del non trovarsi nel mezzo di essi archi alcun segno o vestigio di base o di piedistalli, che rive- lino la cessata esistenza di statue stabili e di marmo. Si vede che il Guazzesi esaminò molto superficialmente l'edificio! In ogni modo, le statue fossero o mobili od immobili, di marmo o di gesso, di terracotta o lignee; se non vogliamo negar fede alle medaglie ed ai fatti, l'Anfiteatro Flavio fu indiscutibilmente decorato con statue. « Gli archi aperti del secondo e terzo piano, dice il eh. H. Grisar (2) erano nell' ampio giro animati di statue di marmo e di bronzo ». ^Ciascuno dei tre ordini arcuati, come ho detto poc' anzi, consta di 80 for- nici; le finestre maggiori però del 4" piano non sono che 40, perchè s'alter- nano in modo che per ogni due f\,rchi v' è una finestra. — Esaminando le medaglie, vediamo che in ogni spazio libero, tra un flnestrone e l' altro, vi fu scolpito un disco. Sarà stato questo un capriccio dello scultore, o vera- mente in quegli spazi vi fu qualche cosa? Vediamolo. Alcuni archeologi, tra i quali il Nibby (3), ritennero che i clipei dei quali ci parla il cronografo dell' anno 334 (4), non furono altro che quegli ornamenti rotondi che sormonlavano la cornice dell' Anfiteah-o, formando una specie di merlatura. Rispetto il parere di tali scrittori; ma siccome quella specie di merlatura che si vede accennata nelle medaglie, io dubito non sia altro che la serie delle grossi travi del velario, rivestite probabilmente di bronzo e co- ronate alla testata da un ornamento finale, cosi ho voluto intraprendere uno studio speciale intorno a questo punto. Ecco il risultato delle mie ricerche. Per clypeus, clypeum e clupeus tutti gli scrittori antichi, in relazione ad edifici, han voluto sempre significare quello scudo rotondo, per lo più di bronzo, coir effigie scolpita od a rilievo, di una divinità o di un eroe o di qualche personaggio illustre (5): scudo che si soleva collocare sulle pareti esterne dei tempi (6), ed in luoghi pubblici (7). (1) Opusc. De Amphith. (2) Roma alla fine del mondo antico, p. 174. (3) Romxi ant. Tom,. I, p. 426. (4) Domitiamus Imp.... Amphìtheatrum, tisqiie ad clypea. (5) Tac, 4?w.2, 83; Subt., Calig.\&; Doni. 23. — Trebell., Cland. Gofh.S; Liv.,25,39; 36, 10; e. I, 1. Xiy, 2794. (6) C. I, 1. XI, G481 — e. I, 1. XIV, 2410. (7) C, I, 1. V, 1829 .... e. I, 1. IX, 5177 — Ih., XIV, 2215. 46 PARTK I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Ora, dicendoci il cronografo suddetto che Domiziano portò l'Anfiteatro usquc ad elypea, non potremmo noi congetturare che i clipei non fossero quegli ornamenti rotondi che sormontammo la cornice dell' Anfiteatro, ma bensì veri scudi di bronzo, ì quali, come si rileva dalle medaglie, sfolgora- vano fra i pilastri esterni del quarto piano? (1). Il Maffei (2), non potendo non prestar fede alle medaglie, dovè conchiu- dere : « nel quarto piano del Coliseo veggiam finestre quadrate alternatamente, nelle medaglie veggiamo gii spazi intermedi, non nudi come son nella fab- brica, ma occupati da certi tondi, che paion clipei, ed altro non possono rap- presentare, che ornamenti posticci (?), quali si ponessero e levassero » osser- vando il monumento, m' avvidi che nel mezzo degli spazi che si alternano colle grandi fìnesti-e del quarto ordine dell'Anfiteatro, vi sono dei fori, nei quali evidentemente furono fissati i perni degli scudi stessi. Questi fori da me veduti, e da non confondersi con quei buchi fatti, come vedremo, ne' bassi tempi per estrarre i perni metallici, li troviamo negli spazi superstiti che sono a piombo degli archi portanti i numeri: XIII XXV XXXI XXXIII XXXV XXXX XLII XLVlil L (Vedi Fig. 2). L'ordine con cui furono fatti questi fori ci dà chiaramente a vedere la forma dell' oggetto ad essi raccomandato. Quattro sono disposti in modo da poter per essi condurre una circonferenza, e due altri si trovano laterali al più basso, formando con questo una linea orizzontale. Pertanto l'oggetto raccomandato a quei fori fu senza dubbio uno scudo rotondo circondato da una corona di lauro con la tenia di legamento accap- piata nel basso. Da questi fori si può anche dedurre approssimativamente il diametro del clipeo, perchè due dei quattro fori pei quali si può condurre una circonferenza si trovano, come gli spigoli degli stipiti delle finestre maggiori, a piombo del mezzo dei due spazi interposti fra i tre mensoloni. Che nell'Anfiteatro Flavio vi siano stati clipei è indiscutibile. Il crono- grafo ce lo dice chiaramente: che questi scudi o clipei siano stati posti fra una finestra e l'altra del quarto ordine, ce lo dimostrano evidentemente le medaglie e le vestigia che ne rimangono nel monumento. — Ma chi si rap- presentò in quegli scudi ? Perchè non li collocarono in tutti e singoli gli spazi liberi? Perchè procedono e si alternano in una maniera sì strana? La risposta a questi quesiti non è certamente facile. Io, nondimeno, nella IV parte — Questione 2. — di questo scritto pi'esenterò il mio umile giudi- zio; e sarei lietissimo se altri potessero dare ai quesiti proposti soluzione più plausibile. (1) V. P. Grisar, Roma aliti fine del mondo (intico, p. 174, Roma lf)08. (2) Loc. cit., p. 222. CAPITOLO II - DESCRIZIONE DELL ESTERNO DELL ANFITEATRO ECC. 47 Negli interpilastri, al piano degli architravi delle finestre, sporgono dalla parete grandi modiglioni di travertino, aventi ciascuno un incavo; e, corri- spondenti a questi, nella cornice di coronamento, vi sono altrettanti vaili o fori. AUoichè l'Anfiteatro Flavio era ancoia intiero, il numero dei modiglioni ascendeva a 240. Fig. 2" Questi servivano a sostenere (ed i vani a contenere) le travi verticali, fasciate di bronzo, le quali a lor volta sostenevano il velario, perchè gli spettatori fossero riparati dai cocenti raggi solari (1). La già citata cronaca dell' Anonimo, pubblicata dall'Eccardo, e le meda- glie ci rivelano, dice il Nibby (2), die la sommità dell'Anfiteatro era coro- nata intorìio da una specie di merlatura di scudi rctondi, che l'Anonimo sovrammenzionato chiama clypea. Altri poi disegnano questi merli a foggia di piramidette sormontate da globi o palle, ornaménto trascurato da molti. Noi già abbiamo esposto il nostro parere circa il significato della voce clypeus o clypeum ed abbiamo accennato che quella specie di merlatura e (1) Nella descrizione che faremo dell' interno dell'Anfiteatro, vedremo che cosa fosse il velario, e come fosse disposto. (2) Loc. cit., pag. 425. 48 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE di piramidette rappresentate nelle medaglie altro non fu che l' insieme dei finimenti delle antenne che sorreggevano il velario. Passiamo perciò ad altro. In tutto il recinto esterno dell'Anfiteatro, ed anche internamente (1), il materiale usato nella costruzione è il travertino. I massi, come è proprio del- l'opera quadrata, sono commessi senza malta; o al più come dice il Gori (2), furono assestati con una leggera còlla di calce, ed erano collegati fra loro con spranghe e perni di ferro, i quali rimangono tuttora entro alcuni buchetti qua- drati, profondi un dito circa. Tal modo di costruzione è antichissimo; e ce lo dimostra un passo di Tucidide (3), il quale afferma che nelle grosse mura, fab- bricate per consiglio di Temistocle dagli Ateniesi intorno al Pireo, non v'era né ghiaia, né malta; ma grosse pietre com,messe insieme e tagliate in qua- dro, le esteriori delle quali erano collegate fra loro con ferro e piombo. « Ar- duo dovè essere il lavoro di chi, in età men rimota, smantellò una parte del Colosseo! » esclama il Fontana. L'Eschinardi (4) ci assicura d'aver visto grosse spranghe di ferro in una colonna fra gli archi LII e LUI, e nell'arco XLVIII; e che il 12 Agosto 1689, giorno in cui cadde un arco interno dell'Anfiteatro, vide fra i materiali molte altre spranghe. Anche il Ficoronì (5) ci narra che allorquando, nel 1703, a ca- gione del terremoto, cadde \in' ala dello stesso Anfiteatro, trovò fra i traver- tini due spranghe, una di metallo ed una di ferro, le quali commettevano l'una coU'altra pietra. Eccettuati alcuni rari casi in cui a collegare i massi di pietra quadrata s'usò il legno, fin da antichissimi tempi s'usò, come si è detto, il metallo e specialmente il ferro. Vitruvio (6) prescrive che nei monumenti composti di un nucleo di muratura rivestito di un paramento di pietra quadrata, questo si colleghi con una controparete interna di tufi squadrati, per mezzo di spranghe di ferro e piombo. L'uso di concatenare in questa guisa le antiche fabbriche fu causa che col tempo nascessero nei monumenti quei tanti buchi che anche oggi vediamo, e che così orribilmente deturpano eziandio l'Anfiteatro Flavio. Vi fu chi credè che quello sfregio fosse opera delle mani dei barbari; altri poi l'attribuirono ai mercanti, i quali avrebbero fatto quei fori per introdurvi i pali onde sostenere le tende in occasione di fiere, ecc. (7). Oggi però nessuno (1) Almeno in gran parte. (2) Memorie storiche del Colosseo, p. 124, Boma 1875. (3) L. I. (4) Agro Romano, p. 152. (5) Vestigia e rarità di Roma, p. 39. (6) Arc.h. 1. II, e. Vili. (7) Altre opinioni .sull'origine di questi buchi, non credo nece.ssario riportarle perch«> del tutto inammissìbili. CAPITOLO II. - DESCRIZIONE DELL'ESTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 49 dubita che la maj2:gior parte di quei fori siano stati praticati collo scopo di estrarre i perni metallici che stringevano le pietre fra di loro. In ogni parte dell'Anfiteatro o furono asportate le chiavarde o fu tentato estrarle. Nell'età di mezzo il ferro addivenne un articolo un po' raro, e quindi crebbe di prezzo; l'abbandono, d'altra parte, della città fece si che i custodi degli armenti ed i pastori frequentassero quel rione ; e questi poi, chi per povertà, chi per spe- culazione e chi per passatempo, intrapresero quella pessima occupazione. Alcuni opinano che quel latrocinio abbia avuto principio fin dai tempi di Teodorico (1), giacché questi riprese aspramente coloro che rubavano dai muri il metallo ed il piombo. Altri invece, e con più ragione, sostengono che Cas- siodoro non parli dell'Anfiteatro Flavio, ma bensi delle rovine del teatro di Pompeo e d'altre fabbriche. Laonde, dicono, presero equivoco Flavio Biondo (2), Lucio Fauno (3), ed il Martinelli (4), che dissero l'Anfiteatro già in rovina ai tempi di Teodorico, la cui lettera (sulla quale questi scrittori fondano la loro opinione) non pai-la delle rovine dell'Anfiteatro Flavio, in cui a quell'epoca si rappresentavano ancora i giuochi, ma bensi delle rovine dell'Anfiteatro di Catania. Dobbiamo confessare esser cosa ben difficile potere stabilire il tempo pre- ciso in cui ebbe principio questa deturpazione dei monumenti. Il Nibby (5) ri- tiene che quei buchi siano stati fatti ai tempi in cui i Frangipani abitarono il Colosseo. Il Fea (6) dice, invece, che, osservando bene la fabbrica del Co- losseo, ha notato che alcuni di quei buchi si dovettero fare in tempi molto remoti, prima, cioè, che (come vedremo a suo luogo) i Frangipani ne prendes- sero possesso: perche, dice, innanzi tutto è inverosimile che quei signori, sì ricchi e potenti, abbiano potuto far compire per un vile guadagno quell'atto vandalico; e neppure è credibile che abbiano lasciato il Colosseo, in balia di miserabili guastatori di monumenti, i quali facevano professione di cercar piombo, ferro e metallo, per trarne utile colla vendita: e secondariamente, perchè i buchi suddetti si trovano anche in quei luoghi, su de' quali i Fran- gipani fabbricarono o appoggiarono muri da loro fatti per abitarvi. Altri bu- chi poi, soggiunge, furono certamente fatti dopo che quella famiglia lasciò di possedere l'Anfiteatro Flavio : nell'epoca, cioè, in cui i Papi trovavansi in Avi- gnone, e dopo la caduta di una gran parte del portico esteriore. Si vedono in- fatti buchi praticati nei siti delle rovine, ove mai si sarebbero potuti fare, se (1) Cassiod., Variar. 1. Ili, 31. (2) Rom. istii., 1. III, e. V, p. 261. (3) Antiq. Rom., 1. III, e. XII. (4) Roma ricerc. ìiel suo aito. (5) Loc. cit., p. 412. (6) Ap. WlNCKELMANN, p. 496 e sgg. 4. 50 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE l'edifizio fosse stato nel suo essere: buchi, che negli stessi luoghi e nella parte conservata non si osservano davvero; vale a dire, nelle piante dei pilastri che corrispondono alle vòlte rovinate. È un fatto incontestato che fin dai tempi degli Imperatori, ed anche prima, vi fosse gente iniqua, che, per capriccio o per far dispetto a qualcuno, detur- passe i monumenti sepolcrali, e rompesse le statue poste in pubblico, o le in- sudiciasse (1); che vi fossero oziosi e mal viventi, i quali rubassero i metalli di cui gli edifizi erano esteriormente adorni, o fracassassero statue di metallo già dedicate o esposte al pubblico (2), o che mandassero in rovina i sepol- cri (3), di coloro i quali (contravvenendo alle leggi) (4) si facevano tumulare con gioie, oro, argento e vesti preziose (5). Stabilitisi gli Imperatori in Costantinopoli, crebbero in Roma le miserie e gli oziosi; e tosto si sospesero le relazioni commerciali con quelle nazioni estere, donde s'importavano i metalli. Allora non mancò chi si dedicasse a raccogliere il piombo, il ferro ed i bronzi dalle fabbriche fatiscenti, ora con permesso ed ora colla semplice tolleranza dei magistrati. Ammiano Marcel- lino (6) ce lo dice chiaramente, allorquando ci riferisce che dovendo Lampa- dio (7), per suo ufficio, restaurare varie fabbriche, ed ergerne delle nuove, in- viava apparitori in traccia dei raccoglitori dei metalli, sotto il pretesto di comprarli ; e che gli inviati, trovatili, li toglievan loro senza pagamento, cor- rendo in tal guisa serio rischio d'essere uccisi dai defraudati. Dal codice Teo- dosiano (8) poi apprendiamo che non solo i privati, ma pur anche i Pretetti ed altri Magistrati, o per avarizia o per risparmio, tolsero gli ornamenti me- tallici dagli antichi monumenti, sebb^e fossero in bonissimo stato. La legge contro questo abuso fu emanata dagli imperatori Arcadio ed Onorio nel- l'anno 398. In seguito i barbari, non paghi di spogliare Roma del suo oro, del suo argento e di qualsiasi opera artistica di metallo, giunsero perfino a tor- mentare il suo popolo, onde obbligarlo a manifestare i supposti tesori (9). Al- lora crebbe più che mai il bisogno dei metalli, e principalmente del bronzo, e la mania di estrarlo dai pubblici monumenti. Teodorico permise, o piuttosto (1) Cicerone, ììi Ani. Philip. 9 ed in Pison. e. 38, n. 93: Paolo, L Si statua, 27, ff. De iniur ; Ulpiano, L Si sepulchrum, 2, ff. De sepulcri viol. (2) ScEVOLA, 1. Cuiusque 4 § Hoc criineii, ff. ad leg. J%d. Maiest ; Masciano, 1. Non con- trahit, 5; Venuleio, 1. Qui statuas, 6. (3) Ulpiano, L Eaetor. ait. 3 ff. De sep. viol. Paolo, I. tilt. cod. (4) V. 11 Kirchmann, De funer. Rom. lib. 3, e. 14. (5) ScEVOLA, 1. Medico 40. Cf. Mulier 2, ff. De auro, arg. etc. (6) L. XXVII, e. III. (7) Prefetto di Roma nell'anno 367. (8) L. XV, tit. I, leg. 37. (9) S. Girolamo, Epist. 1-7, ad Principìam virg. op. Tom. I, col. 954, n. 13. CAPITOLO II. - DESCRIZIONE DELL'ESTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 51 confermò l'uso di appropriarsi qualunque pezzo di metallo che fosse caduto dagli edifìzi, vietando, in pari tempo, di toglierlo da monumenti, se ancora trovavasi al posto per ornamento (1). Malgrado queste disposizioni, la strage del bronzo e del piombo cresceva smisuratamente: i metalli si toglievano dovunque si trovavano; e di notte si rompevano anche le statue che ancora in gran numero ornavano la città. Fu allora che Teodorico si vide nella necessità di deputare un magistrato, detto Coitiitiva Romana (2), al quale diede l'incombenza speciale d'invigilare sopra coloro che approfittavano delle tenebre notturne onde perpetrare più impune- mente quel vandalismo. Nelle calamità sopravvenute a Roma sul cadere del secolo VI, e nella quasi totale indipendenza dai magistrati, dagli Imperatori e dai Sommi Pon- tefici, della quale cominciavano a godere i suoi cittadini, accrebbe la noncu- ranza dei monumenti; e le statue ed altri lavori artistici, che erano sfuggiti alla rapacità dell'Imperatore Costantino III, 'perirono quasi tutti prima del se- colo X. Secoli di miseria universale, di barbarie nelle arti, nelle lettere e nei costumi; secoli, in cui la metropoli del mondo ad altro non pensava che a consumare e a divorare se stessa! — A quei disgraziati secoli perciò, a mio pa- rere, dobbiamo riportare la maggie»- parte di quei buchi che si orribilmente deturpano l'Anfiteatro Flavio. Nell'arco di Susa (3) s'osservano vari fori, simili a quelli fatti nel nostro An- fiteatro. Ecco quanto a questo proposito scrive il Maflfei : (4) « Richiesto, quando fui sul luogo, che significassero (quei buchi dell'arco), feci osservai-e come i buchi soprastanno sempre al congiungimento di due pietre, e non si veggono oltre ad una certa altezza. Ma perchè ognuno si rendea diffìcile a crederlo, mandato in cerca di scalpelli, e fatto fare un simil buco in sito non ancor tocco, apparve la chiave, qual levata, e portata meco conservo fra le cose antiche da me raccolte. Il ferro, cosi perchè più tenacemente legasse, come perchè fosse da ruggine difeso, è tutto circonvestito di piombo, onde appare il riscontro e la verità dei passi di Tucidide e di Vitruvio » (5). (1) Cassiod., 1. II, epist. 7. (2) Dico deputare e non creare, perchè pare dalla formola che già vi fosse prima. La formola d'investitura, che a tal uopo fu spedita a quel magistrato, ce l'ha conservata Cas- siodoro, lib. 7, forni. 13. (3) Come pure nell'anfiteatro dì Verona, in quello di Pola, Nìmcs, etc. (4) Loc. cit., 1. U, p. 195. (5) I perni di solo ferro, come è noto, non sono di lunga durata, ma presa questa pre- cauzione, rivestendoli cioè di piombo, questo li preserva dalla ruggine, e cosi danno un ot- timo risultato. Prima di mettere una pietra sopra l'altra, lasciavano abilmente nella pietra di sotto un piccolo canale, per potervi infondere il piombo e saldare il perno. 52 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Ma non tutti i buchi che s'osservano nelle pareti dell' Anfiteatro Flavio, furono fatti allo scopo di asportarne i perni metallici. Esaminando infatti la forma, il luogo e la disposizione simmetrica di alcuni di essi, si scorge ad evidenza, dice il Fea (1), che furono fatti per appoggiarvi legni, onde sbar- rare le arcate, o per difendersi, come era solito farsi in tempi di guerre civili, in cui si sbarravano anche le case e le strade per combattervi (2); o per farvi divisioni di camere, o per uso di qualche arte; e alcuni forse per uso antico di giuochi, in occasione di essi: come pub congetturarsi da altri simili nell'Anfiteatro di Fola, che non può dirsi mai stato abitato nei bassi tempi, come il Colosseo. Osservando attentamente il profilo o sezione delle pareti esterne dell'An- fiteatro Flavio, si vedrà che la grossezza di esse pareti diminuisce gradata- mente verso l'interno, in guisa che il basamento del piedistallo delle colonne del secondo piano cade a piombo del diametro superiore delle colonne del primo piano; e cosi via dicendo (3). Questo non lo riscontriamo nell'anfiteatro di Verona. Il Serlio dice, e con ragione, che il ritrarsi delle pareti verso l'in- terno dà maggior fortezza all'edificio. Al Palladio piaceva opinare che i muri diminuissero piramidalmente dal- l'una e dall'altra parte; ma dato che da una sola parte le pareti dovessero diminuire, questa dovea essere l'esterna, giacché l'interna era resa solida dalle travature. E questa è forse la ragione per cui tuttora rimane una buona parte dei portici esterni del nostro Anfiteatro, mentre del Veronese rimane si poca cosa! Quanto alla tinta di color di calcina, la quale sembra passata su molti travertini, essa è un effetto del vento freddissimo di tramontana dominante nell'inverno in Roma (4). L'aspetto esterno del monumento, benché deformato dalle ingiurie degli uomini e degli elementi, é imponentissimo. Basta vederlo, per non dimenticarlo mai più. La sveltezza di una mole cosi colossale è dovuta alla sua forma cur- vilinea, che sfugge ed inganna l'occhio, e sorprende lo spettatore. Il pittoresco che v'ha insensibilmente introdotto il tempo colla sua opera di distruzione, l'ha reso si vago ed interessante, che molti giunsero a non desiderare la rie- dificazione della parte diruta. Ma già è tempo di descrivere la parte interna del nostro Anfiteatro. (1) Ap. WiNCKELMANN, Tom. XI, p. 494. Prato MDCCCXXXII. (2) V. A. Musato, De gest. Henr. VII Imp. \. 8, rubr. 4, col. 455; la vita di Cola dì Uienzo 1. II, e. XIV. Presso il Murat., Ant. med. aeri, Tom. II, col. 1867; Vlnfessura del- l'anno 1404; presso I'Eccardo, 'Tom. II, col. 1867; e presso il suddetto Murat., Tom. Ili, part. 2, col. 1116. (3) Vedi Tav. II. (4) GoRi, loc. cit., p. 125 CAPITOLO TERZO Descrizione dell'interno dell'Anfiteatro Flavio Arena - Ipogei - Portici sotterranei - Cavea - Velario Anemoscopio - Architetto. ARENA dell'Anfiteatro Flavio era lunga metri 79 e larga 46. Non tutto lo spazio dell'arena era libero ai giuochi, ma attorno al'podio girava un'area, larga quanto l'altezza di questo toglieva di visuale agli spet- tatori. Nell'anfiteatro di Pozzuoli questa zona è larga m. 1,12 circa, ed è limi- tata da un solco, nel quale vi sono due fori a distanza uguale, che trapassano la vòlta dell'ipogeo. Lo Schedilo opina che in questi fori stessero fissate le aste verticali che sostenevano la rete di bronzo. Nel nostro Anfiteatro questa zona (diremo morta) sarebbe stata proporzionalmente larga ra. 2,50 circa: ed ap- punto a questa distanza dal muro del podio vediamo ricorrere nell'ipogeo una serie di pilastri di massi tufacei, disposti regolarmente attorno attorno e a di- stanze uguali; ai quali massi furono verosimilmente raccomandate le travi della grande rete, fin da quando (dopo il regno di Domiziano) fu modificata l'arena (1). Io congetturo che precisamente in quest'epoca, a fine di dare un po' di luce all'ipogeo (il quale ne avea certamente bisogno), si lasciassero delle aperture munite d'inferriate nel pavimento della zona moria (2). Per comodità dei combattenti il suolo si ricopriva con strati di arena co- mune, donde quell'area si ebbe il nome di arena (3). Si fé' pur uso di polveri di vario colore, ma ciò potè accadere soltanto in occasione di solenni rappre- sentazioni. Plinio (4) ci dice che nel Circo Massimo s'adoperò a tal uso la ra- schiatura di pietra speculare. Caligola e Nerone, in occasione di giuochi straor- (1) Cf. Parte III, e. V. (2) Prima che l'arena venisse trasformata, l' ipogeo, come in breve vedremo, riceveva luce in altro modo. (3) Cf. Lips., De Aniph., e. III. (4) Plinio. H. N. 1. XXXVI: Inveiiere et aliam usum (spbcularis lapidis) in ramentis quoque Circum Maximum ludis eircensibus sternendi, ut sit in commendatione candor. 54 PARTE 1. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' EKA VOLGARE dinari, vi sparsero il minio e la crisocolla (1); e da Larapridio apprendiamo che Eliogabalo fé' cospargere il portico di limatura di oro e d'argento, dolente di non avervi potuto spargere la limatura di elettilo (2). Questo però non potè avvenire nel nostro Anfiteatro, perchè il restauro di questa mole, grandemente danneggiata dal fainoso incendio, non fu, come vedremo, compiuto sotto Elio- gabalo; ma se ai tempi di quest'Imperatore si fossero potuti dare degli spet- tacoli nell'Anfiteatro Flavio, anche l'arena di questo sarebbe stata certamente coperta di un tanto prezioso tappeto: sappiamo infatti che quel Principe ri- petè una tal pazzia spesso e dovunque: « Idque frequenter quocumque fecit ; inter pedibus usque ad equimi nel carpenturn ut fit hodie de aurosa arena » (3). L'arena dell'Anfiteatro Flavio vide il pietoso spettacolo narratoci da Mar- ziale (4) e del quale noi già parlammo nell' Introduzione. Due fanciulli mentre rimovevano col rastro la sabbia per coprire il sangue di cui era inzuppata, furono sbranati da un leone. Nelle estremità dell'asse maggiore (5) v'erano due ingressi, pei quali s'acce- deva fill'arena. L'ingresso rivolto a Sud-Est dovè essere la porta chiamata li- bitinense, giacché appunto da quella parte estendevasi la regione II celiraon- tana, ove il Curiosum e la Notitia pongono lo spoliarium, o luogo dove venivano strascinati i gladiatori uccisi ed i mortalmente feriti, per essere finiti a colpi di maglio, se boccheggianti, e poi tutti, spogliati delle loro armi e vesti non appena divenuti cadaveri. Per questa porta fu messo fuori due volte l'elmo di Coramodo (6); per essa si traevano via i caduti e le belve uccise (7); per l'I) SuET., in C'alig. XVIII: Edidii et circenses.... et quosdam praecipuos, minio et chry- socolla constrato circo. Plinio (Hint. Nat. 1. XXXIII) scrive: Vitiumque iam est Neronis prin- cipis spectaculis arenam Circi chrysocolla sterni, cum ipse concolori panno aiirigaturtts esset. E noto che per chrysocolla intendevasi la borrace, quel nitro fossile cioè che proveniva dal- l'Armenia, dalla Macedonia e da Cipro. (2) Lamprid., in Heliog.: Scobe auri porticum stravit et argenti, dolens quod non posset et electri: L'electrum non era se non quella qualità di oro naturale che conteneva una quinta parte d' argento. Omni auro, dice Plinio {Hist. Nat., 1. XXXIII, e. IV) inest argentum vario pondere Ubicumque quinta argenti portio est, blbctrum vocatur. Lo stesso Plinio (loc. cit.) ci assicura che l'electrum si componeva anche artificialmente, facendo che il com- posto contenesse i due metalli in quella stessa iiroporzione in cui trovavansi nell'elettro na- turale. (3) Lamprid., ib. (4) Epig. 1. II, ep. LXXV. (ò) V. Tav. I, lett. A-Y. (6) Lamprid., in Comm. 16; Dio., cap. XXI. (7) Queste si regalavano quasi intieramente ai bestiari, i quali, dopo averle trasportate al Ca.strense, si dividevano fra loro le carni mangiabili, le pelli di lor pertinenza (quelle cioè di minor conto), e le ossa, delle quali, fattele seccare nei sotterranei dell'edificio, ne face- vano traffico. Negli scavi ivi eseguiti nella prima metà del secolo XVIII (V. Ficoroni, Le Vestigia di Roma antica, p. 121) se ne trovarono una gran quantità. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 55 essa erano introdotti gli elefanti, gli ippopotami, i rinoceronti e tutti gli ani- mali clie per la loro grossa corporatura non capivano nei pozzi; da quella porta finalmente entravano, a mio parere, eziandio i gladiatori ed i bestiari per combattere nell'arena. Quest'ingresso civa in una parola la porta di servizio. L'altro ingresso è a Nord-Ovest, rivolto cioè alla parte più ragguardevole della Citta (vale a dire il Palatino ed i Fori); fu la porta principale, che po- trebbe chiamarsi pompae, per la pompa gladiatoria, che da quella usciva sull'arena prima che si desse principio ai ludi. I gladiatori, vestiti di toga, muniti delle loro armi, e dopo studiate evo- luzioni, due per due andavano a presentarsi all'Imperatore, se presiedeva, ov- vero al magistrato da lui delegato a presiedere in sua vece, se assente, ac- ciocché esaminasse le armi. Ora per potersi eseguire quest'esame dall'Imperatore 0 dal magistrato, faceva d'uopo che i gladiatori salissero fino al parapetto dei suggesti: era dunque necessaria una scala. Nell'anfiteatro di Pozzuoli venne in luce una piccola scala addossata al muro del podio, dinanzi al pulvinare imperiale. Il can. Giovanni Scheriflo, il- lustratore di quel monumento, opina che quella scala fosse costruita appunto alla scopo indicato. La ragionevolezza della cosa e la scoperta avvenuta nel- l'Anfiteatro Puteolano ci autorizzano ad argomentare che anche nell'Anfiteatro Flavio vi fosse il mezzo di salire dall'arena ai suggesti. V'è questione fra i dotti se l'arena primitiva dell'Anfiteatro Flavio fosse 0 no sostrutta. Le ragioni dell'una e dell'altra opinione le esporrò quando si parlerà degli scavi praticati nell'Anfiteatro (1). Noi vediamo oggi l'arena so- struita, come sostrutla la vediamo negli anfiteatri dì Capua, Pozzuoli e Sira- cusa. I sotterranei [hypogaea) servirono per poter dare improvvisi spettacoli. Nelle celle (cubilia) (2) si racchiudevano le belve destinate per lo spettacolo, le quali, per mezzo di elevatori meccanici (3), si facevano (al momento op- (1) Parte III, e. V. (2) Vedi Tavola IV. (3) Nel giornale " L'Osservatore Romano ,, (11 Settembre 1909) leggo: < Gli Antichi Ascensori Romani. Neppure l'ascensore, entrato da non molto tempo negli usi della vita moderna, è una novità. Fin dai tempi di Giulio Cesare i Romani avevano costruito dei so- lidi e forti elevatori verticali per uso degli spettacoli. Questa scoperta dovuta al prof. Boni, direttore degli scavi del Foro, è importantissima. Dodici erano gli ascensori in aziono nol- l'ultirao periodo della Repubblica. Essi servivano per elevare dai sotterranei alla superficie del foro i gladiatori e le belve. Una galleria longitudinale sotterranea moveva dai rostri di Cesare in direzione del tempio dedicato a questo dittatore, e aveva nel suo percorso (come anche oggi è dato vedere) quattro minori gallerie traversali, in ciascuna delle quali erano tre camere per gli argani e altrettante camerette di comando per la manovra degli ascen- sori. In ciascuna delle dodici camere si vedono i dadi di travertino su cui erano infìtto le aste, e dal logoramento della buca circolare si conosce la direzione del tiro di ogni argano. 56 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE portano) sbucare dal pavimento dell'arena. Quanto io asserisco ci è stato tra- mandato dagli antichi scrittori (1); e d'altronde così doveva essere, perchè con sicurezza si potessero introdurre nell'arena le belve. Il pavimento dovè essere formato di un tavolato appoggiato su grosse travi; soltanto immaginandolo di tal fatta potremo darci ragione dei repentini cangiamenti di scena, facendosi comparire sull'arena, come vedremo nel seguente capitolo, fiere, monti, boschi artificiali, ecc. 10 congetturo che per introdurre le fiere nelle cellette si facesse cosi: si accostava la gabbia alla porticina della cella, e sollevato il cancello scorritore della gabbia, la bestia sbucava nella celletta, dove, appena entrata, si rac- chiudeva, facendo calare la saracinesca di ferro; in tal guisa la belva re- stava stretta in modo da non potersi muovere, posando sul pavimento mobile di legno, il quale, messo a suo tempo in movimento, la sollevava quasi fino al piano dell'arena: tanto, cioè, quanto bastava alla belva per uscirne fuori di un salto. Questa particolarità me la persuade tanto il maggior effetto che avrebbe prodotto l'impetuoso uscir delle fiere dal suolo, quanto il fatto di quel- l'orso, che, destinato a sbranare Saturo legato sul ponte de cavea prodire noluit. 11 sollevamento ed abbassamento dei cancelli delle gabbie e delle saraci- nesche delle cellette, si facevano comodamente dal ballatoio, del quale in breve parleremo, che ricorreva in alto innanzi alle celle. Qui è necessario determinare che cosa s'intendesse dagli antichi del basso Impero per posticum e portae posticiae, allorquando essi parlavano di an- fiteatri. Il passo di Ammiano : « ut saepe faciunt amphitheatrales ferae, diffractis tandem solutae posticis », ci fa conoscere chiaramente che per postica s'in- tendevano ì luoghi dove erano racchiuse le fiere, e donde queste sbucavano per dare spettacolo di sé nell'arena. Ci fa pur conoscere che questi luoghi erano chiusi alla bocca da sportelli che si disserravano: diffractis posticis; frase Si calcola che sopra ogni elevatore potessero stare comodamente cinque o sei persone, in modo che, essendo dodici gli elevatori, oltre settanta persone venivano innalzate in un tempo solo alla superficie del Foro. Di quanto si conosce, prosegue 1' " Osservatore Romano ,, , l'in- venzione dei Romani della Repubblica non ebbe seguito sotto l'Impero (?).... I primi tenta- tivi dei Romani contemporanei di Cesare rimasero sepolti per venti secoli nel sottosuolo del Foro, e per singolare coincidenza vengono in luce oggi che l'ascensore è alla sua più per- fetta applicazione ». Cosi La Casa. Ci rallegriamo di cuore coll'illustre direttore degli scavi del Foro, ma facciamo osservare al eh." scrittore dell'articolo, che gli elevatori s'usarono costan- temente negli anfiteatri per elevare dagli ipogei dell'arena belve, gladiatori e quant'altro era opportuno a render variato lo spettacolo. Non è esatto perciò asserire che quest'invenzione, sotto r Impero non ebbe seguito. Oltre all'attestarci questo fatto gli antichi scrittori, ne riman- gono tuttora chiarissime tracce nell'Anfiteatro Flavio e negli anfiteatri di Capua, Pozzuoli e Siracusa. (1) Petronio, Satyr, e. IX. Galpurnio, Ecloff. VII, e. 69. CAPITOLO III. - DESCKIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATKO ECC. 57 che noi troviamo pur usata in una lapide Veliterna dei tempi di Valentiniano (1): Amphitiieatrum cum poktis posticiis et ommem kabr.... Arene (sic). Questa lai)ide mi sembra possa diradare la nebbia addensatasi attorno alle parole portis posticiis, e ci fa conoscere che tra le riparazioni fatte in quell'anfi- (1) DD NN VALENTINIANO ET VALENTE SEMPER AV LOLCYRIVS PRINC CVR ET ERITOR DVODENA DE PROPRIO / V / VETVSTATEM CONLAPSVM AT STATUM PRISTINUM REI) //// AMPHITHEATRVM CVM PORTIS POSTICIIS ET HOMNEM FABR //// ARENE NEPVS LOLCYRI PRINC CVR ET ANTE ERETORIS FILIVS CLAVDI PRIC ET PATRONI CURIAE PRONEPOS MESSIGOR PRINC FELICITER L'epigrafe da noi riportata trovasi nel Museo comunale di Velletri mia città natale. Fu già trascritta dal Fabbretti, dal Fea, ecc., ma poco correttamente. Con più diligenza fu ri- pubblicata dal Mommsen, e trovasi inserita nel voi. X, 6565, del Corpus. Io l'ho copiata sull'originale, e la presento senza correzioni e supplementi. Nel vestibolo dcU'Aufiteatro Flavio (Iiiffres.io Ocest) vi sono i frammenti della seguente iscrizione: SAL\ .... <ìi {0 THEODOSIO ET PLACIDO A RvF oAECiNA Felix Lampadivs Te UA . . . \AM AMPHITEATRI A NOVO VNACVM PC P . , . ICIS SED ET REPARATIS SPECTACVLi GRADIBU"^ (C. I, L. VI, 1763). Nel capitolo V, Parte I, di questo lavoro riporteremo l' illustrazione di quest'epigrafe, ed il supplemento che generalmente ne danno gli archeologi. Io leggerei le ultime due linee cosi: HA(re)NAM AMPHITEATRI A NOVO UNA CUM PO{rtis, instauratis) P[o.<ì<]ICIS SED ET REPARATIS SPECTACULI GRADIBUS {rentitiiit). QueìV are7iam a novo reatituit non può intendersi della noatruzione dell'arena, perché an- cora vi vediamo tracce delle primitive, restauri dell'epoca (ti Eliogabalo e Severo Alessandro, ed alcune riparazioni dei secoli posteriori. Opino quindi che quell'arcHam a 'novo si riferisca al pavimento ligneo con gli sportelli dei postica, ai quali postica furono fatte delle ripara- zioni: sarebbe insomma una seconda edizione dell'epigrafe Veliterna: Amphitheatrum ad statum pristinum cum portis posticiis et omnem fabriicam) arene (sic).... I pavimenti di legno erano infatti quelli che più d'ogni altra cosa doveano andare in deperimento. Nella riparazione poi fatta spectaculis gradibus potrebbe esser compreso il rinnova- mento del parapetto a transenna del podio, abbattuto forse dalla caduta di statue o d'altro, e fatto precipitare giù per la cavea dal terremoto del 422. Dico il solo parapetto, perchè non è ammissibile che il terremoto avesse fatto cadere il muro di fronte del podio : muro situato nella parte infima dell'Anfiteatro, non più alto di metri 3,50, di forma curvilinea concava, dello spessore di un metro circa, collegato col muro interno per mezzo di un soffitto soste- nuto da robuste travi; e credo che nessuno possa coscenziosamente applicare al. muro del podio che fronteggia l'arena la frase a novo dell'epigrafe di R. Cecina Felice Lampadio. Le altre osservazioni su di questa lapide le faremo al capo quinto, Parte I, di questo lavoro. 58 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' EKA VOLGARE teatro furono rinnovati eziandio gli sportelli lignei alle bocche dei postica. Questi sportelli avevano non poca importanza, sia per il meccanismo neces- sario a disserrarli e richiuderli con prestezza, sia, e molto più, per il risalto e gradito effetto che acquistava per essi lo spettacolo della venatio. Di questo gradito effetto ce n' è prova un testo di Vopisco (1), il quale deplora l'immis- sione nell'arena di cento leoni, fatta da Probo una missione, e la loro insipida uccisione per il mancato effetto del fui'ioso slancio delle fiere, che soleva av- (1) Plavii Vopisci Siracus. in Probo. Vitae Coen. Basileae MDXLVI, p. 303. Additit alia die in amphitheatro ima missione centum iuhatos leonex, qui nigitibus suis tonitrua exci- tabant : qui omnes confificiis interempti sunt, noti, maguìim praebentes spectaculum cum occi- debantur. Ncque enim erat bestiarum impefus ille, qui esse ab eis egredientibiis solet. Decisi sunt praeterea multi, qni diripere volehant, sagittis. Editi deinde centum leopardi Libyci, cen- tum deinde Syriaci, centum laenae, et ìirsi simul trecenti : quorum omnium ferarum magnum magis constai spectacidmn fuisse quam gratum,. La maggioranza dei dotti del rinascimento, come Erasmo, Egnazio, Casaubono, ecc. lessero contificiis e contiflgiis. Salmasio fu l'unico clie, appoggiandosi al manoscritto Palatino, lesse e j>osticis. La grave autorità di quegli scrittori imporrebbe la loro lezione, ed in tal caso il passo di Vopisco non avrebbe influenza sulla nostra questione. Se poi si volesse ammettere la variante del Salmasio, allora il passo favorirebbe la mia opinione, perchè con- fermerebbe che nella decadenza dell'Impero le cellette dalle quali si facevano sbucare le fiere sull'arena, si Aicnx uno postica : omnis e posticis interemjìti sunt.... Ncque e.nim erat bestiarurii impetus ille qui esse ab eis egredieìitibus sole*; vale a dire: qui esse solet bestiis egredientibus ab eis posticis. L'uccisione di cento leoni, in tale ipotesi, si sarebbe voluta effettuare per mezzo di uomini nascosti nelle cellette, i quali, con venaboli o lance spinte fuori per una fessura lasciata fra i due sportelli, dovevano trafiggere le fiere allorché passavano incauta- mente sulla postica. Ed invero, quelle povere bestie non avrebbero trovato scampo, giacché 8i aggiravano in un campo irto di settantadue lance, quante cioè erano le cellette nell'ipogeo dell'Anfiteatro Flavio. Questo spiegherebbe come molti dei leoni fossero stati uccisi con le saette, perché per uscir fuori da quel terribile agguato tentarono di aprirsi un varco, forse nelle reti che difendevano il podio. Il Maffei (loc. cit. pag. 244) sul citato testo di Vopisco osserva quanto segue: « La falsa prevenzione intorno alla struttura degli anfiteatri, fece che il Salmasio sopra Vopisco disse significarsi con questa voce le porte da cui da' lor sotter- ranei uscivan nell'arena le bestie, e pretese di emendar un oscuro passo dell'autor suo ripo- nendovi tal voce nell'istesso senso. Della medesima opinione fu il Valesio sopra Ammiano.... per Postice non altro si può intendere, se non le porte delle lor gabbie, quali alcuna volta riusciva alle bestie di rompere. Forse «i dicean Postice per usarsi di farle non nella fronte ma nella parte posteriore » . Ma la lapide Veliterna getta giù di un tratto l'opinione del Mafifei, il quale si vide nella necessità di ricorrere ad altro, e scrisse: AMPHITHEATRVM CVM PORTIS POSTICIIS etc. Par (!) si parli di restaurazioni; e se il marmo dice vera- mente Amphitheati-um, le porte posticae non possono qui intendersi di quelle delle gabbie » . E conchiude: « la voce pesticcio in lingua volgare esprime ciò che non è fisso.... e viene in- dubitamente da jMsticus, che avrà però avuto anche tal significato in latino. Credibil da ciò si rende, che cosi si chiamassero nell'anfiteatro le porte che tenean serrati gli archi esteriori d'ingresso, le quali.... non eran fisse, ma si levavano i giorni di spettacolo, onde venivano ad esser posticcie (!). Queste adunque può credersi fosser rifatte da colui di cui parla la la- pide ». L'opinione del Maffei non ci soddisfa affatto. Ciò che si è detto nel Testo e nelle Note, e ciò che slam per dire ci sembra che sia per annullare qualsiasi altra congettura. CAPITOLO III. - DESCKIZIONE DELL'INTERNO DELL' ANFITExVTKO ECC. .51» venire quando (diremo con Ammiano) diffractis tandem solutae posticis, bal- zavano sull'arena: ed io opino che questa sia la ragione per cui siffatti spor- telli li troviamo ricordati nelle lapidi commemorative di restauri eseguiti negli Anfiteatri dopo il loro deperimento nella decadenza dell'Impero, gloriandosi i restauratori di avere con ciò l'imessa l'arena nel suo perfetto essere. E qui è b(>ne notare che le aperture dalle quali nei giuochi si facevano uscire le belve, si dissei-o in ogni tempo portae. Le parole di Plauto (1) son chiare : « Citiiis a foro fugiunt, quam ex porta ludis cum emissus ut lepus » ; parola con cui dopo l'invenzione degli ani teatri furono chiamate anche le boc- che delle cellette dalle quali uscivano le fiere, e quindi anche gli sportelli che le chiudevano; come accade anche adesso, c.he si dice porta tanto il vano che r imposta che lo chiude. Conosciuto ciò che fossero negli anfiteatri i postica e le portae posticiae, vediamo dove quelli e queste fossero. Le bocche dei postica doveano comunicare coU'arena, se da essi sbuca- vano le fiere. Negli anfiteatri non v'erano che due porte che immettessero nell'arena, e queste due grandi porte si trovavano alle estremità dell'asse mag- gioi-e: una era la principale, e potremmo dirla pompae ; l'altra era la tibiti- nensis. A nessuno potrà cadere in mente che da queste porte sbucassero le fiere propriamente dette. Nella parete poi che attorniava l'arena e sosteneva il terrazzo del podio, non v'erano né potevano esservi porte a quel fine, perché dietro di quella parete girava un corridoio, il quale era destinato, come in breve vedremo, ad uso delle persone ragguardevoli che occupavano il ripiano del podio. Ma anche dato e non concesso che nella parete attorno all'arena vi fossero state porte allo scopo suddetto, come queste si sarebbero potute chiamare posticae se stavano davanti?!... Ma dove adunque dovremo noi ricercare il luogo per il quale le fiere sbuca- vano neir arena ? Non altrove che nell' ipogeo dell'arena stessa : in quei pozzi stretti, oscuri e necessariamente coperti da sportelli di legno. Se poi mi si domandasse la ragione pei- cui quei pozzi si fossero potuti chiamare postica (almeno dal sec. IV in poi, epoca degli esempi che possediamo), risponderei: Il sostantivo neutro posticum ha due significati: 1" uscio di dietro della casa; 2° bottino degli agiamenti (2). In questo secondo senso gì' interpreti ed i lessicografi spiegano quell' appositum posticum di Lucilio (3): Pistrino ap- positum posticum — sella, culina. — Ed invero le cellette in cui si racchiu- devano le fiere, per poi da esse farle sbucare sull' arena, aveano la forma di veri bottini; cosicché non disse male Ammiano allorché scrisse che Massi- li) Pers. 3, 3, 30. (2) O cessi. (3) Sat. lib. Vili. 60 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE mino era furibondo come erano spesso le fiere anflteatrali, quando uscivano finalmente libere dai disserrati bottini. E qui si noti che nella lapide Veliterna del IV secolo cadente, che noi già riportammo, non si legge portis posiicis, porte, cioè, della parte posteriore dell' anfiteatro (espressione, d' altronde, da non potersi intendere, come saggiamente osserva il eh. Lanciani (1), che re- lativamente a quegli anfiteatri i quali stanno sul limite estremo di una città, ovvero in quelli che avevano o uno o due o quattro soli ingressi, ovvero a metà incassati sotterra), ma portis posticiU, con due i, ossia gli sportelli dei bottini. Una porta appunto posticia era quella che una leonessa (per non of- fendere i ss. Taraco e compagni, tornatasene al bottino donde era uscita, e trovatane chiusa la bocca) tentò di rompere coi denti. Nell'Anfiteatro Flavio le celle per le fiere erano 72, disposte in quattro corsie parallele all' asse maggiore (2). Cinque ambulacri, tre rettilinei e due mistilinei, fiancheggiavano le corsie che contenevano le celle. Parallelamente ai lati curvilinei degli ultimi dei cinque ambulacri ne correvano altri due, comunicanti tutti fra loro. Negli ambulacri venivano all'occorrenza disposte le macchine [pegmata), le quali, fatte uscire dalle aperture del pavimento dell' arena, andavano crescendo, e talora si elevavano ad altezza considerevole (3). Queste macchine, dal regno di Vespasiano a quello di Adriano, si costruirono sulla summa Sacra Via, neir officina summum choragiimi. In Marziale (4) leggiamo : Inde sacro veneranda petes Palatia clivo, Plurima qua summi fulget imago ducis. Nec te detineat miri radiata Colossi. Quae Rhodium moles sincere gaudet opus, Flecte vias hac E nel libro Spectaculorum, Epig. II, dice: Hic ubi sidereus proprius videt astra Colossus Et crescunt media pegmata celsa via. » Lo deduciamo pur anche dalle osservazioni che 1' architetto ApoUodoro fece ad Adriano: « quod sublime illud (il tempio di Venere e Roma) et va- (1) Lanciani, loc. cit., p. 222. « Non s' intende che cosa abbiano a fare col Colosseo (le partae jyosticae), cioè con un monumento il quale non aveva né fronte nò schiena, ma che invece era uniforme in tutto il perimetro, e contava 80 archi d'ingresso.... Leporine posticae si possono immaginare facilmente in quegli anfiteatri i quali stanno sul limite estremo di una città, come il pompeiano; ovvero a metà incassati sotterra, come il tusco- lano; ovvero in quelli che, come il tuscolano ed il pompeiano avevano o uno o due o quat- tro soli ingressi. Le sigle dell' iscrizione romana (che parla dei restauri fatti da R. Cecina Felice Lampadio) si prestano del resto, ad altri supplementi come sarebbe, per esempio PublICIS etc. ». Il parere del eh." Huelsen lo riporteremo al e. V, parte I. (2) Seneca, Epist. 61. (3) V. la Tavola IV fuori testo. (4) Epig. LXXI, 1. I. CAPITOLO IH. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 61 cuum fieri oportebat, ut ex loco superiori in Sacram Viam magis conspi- cuum esset et in concavitatc machiìias exciperet, ita ut latenter in eo com- pingi et ex occulto in theatrum duci possent » (1). Dopo r edificazione del tempio di Venere e Roma, queir officina fu tra- slatata nella regione d' Iside e Serapide, e là ce la ricordano i lagionarl del secolo IV; ma anche cosi distava poco dall'Anfiteatro. Neil' ambulacro centrale e nei due laterali v'erano, addossate alle pareti, delle branche di scale, per le quali s' ascendeva ad un ballatoio, che ricor- reva in alto dinanzi alle celle delle fiere. I muri di sostruzione dell' arena sono composti di grandi massi di tra- vertino, di tufo e di costruzione laterizia (2). A m. 6,08 circa dal piano del- l' arena v' è un pavimento ad opus spicatum, nel quale, oltre al canale per lo scolo delle acque, si veggono massi quadrati di pietra tiburtina, con una bocchetta incavata nel mezzo. Dalla parte settentrionale s' apre suU' andamento dell' asse minore una strada sotterranea o cripto-portico, larga m. 2,95, la quale si dirige verso r Esquilo. Un altro cripto-portico, con un accesso della larghezza di m. 2,17 che poteva chiudersi con una saracinesca, trovasi sull' andamento dell' asse maggiore, in direzione del Laterano. Il pavimento di questo sotterraneo, è elevato sopra quello dell' ipogeo dell' arena ra. 1,50 circa, a cagione di uno speco, che corre sotto al pavimento del corridoio, seguendone la direzione. Ai lati del cripto-portico vi sono otto celle ; con queste e con quello co- municano per mezzo di scale due grandi stanze, lunghe m. 25, larghe m. 3,20 ; il pavimento delle quali sì trova allo stesso livello di quello dell' arena, e quindi più basso del pavimento del cripto-portico e delle celle laterali di m. 1,50 circa. Si conservano tuttora sei massi quadrilateri di travertino, si- mili a quelli dell' ambulacro curvilineo, ma aventi le bocchette munite di boccolari metallici. — Altre bocchette, ma senza metallo, le vediamo nel suolo di cinque delle otto celle che fiancheggiano il cripto-portico. Questi massi e queste bocchette, la cui forma circolare suscita naturalmente l' idea di assi verticali giranti, sono le tracce del grande movimento dei meccanismi del- l' ipogeo dell' arena. Da questo corridoio, per mezzo di due scale, si ascende al piano del vestibolo ad esso soprapposto. Le due scalette sboccano nel detto vestibolo in prossimità della porta libitinense. II cripto-portico è spurgato per la lunghezza di m. 83,90; esso, fino al portico esterno dell'Anfiteatro, ha le pareti composte di grandi massi di tra- vertino, dalle quali sporgono a distanze pressoché uguali cinque pilastri, con- (1) Dio., in Adr. (2) Le varie opinioni degli archeologi suU' epoca di queste costruzioni le esporremo alla parte III, e. V. 62 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE giunti nella parte superiore da piattabande formate di grossi cunei di traver- tino. Il tratto interno del cripto-poriico fu probabilmente coperto da soffitto di legname. Questa strada sotterranea, uscita fuori dal perimetro dell'Anfitea- tro, ha le pareti e la volta di mattoni; e a m. 12 circa dal perimetro stesso, lascia a destra un altro corridoio con piano inclinato; cosicché dopo un lungo percorso doveva sboccare sopratterra. Quest' ultimo corridoio, il cui andamento seconda la curva dell'Anfiteatro, a m. 6 circa dal punto ove si dirama dal cripto-portico è traversato da una porta, la quale ha un arco laterizio e la soglia di travertino. Un terzo cripto-portico, uguale a quello ora descritto, si apriva dalla parte opposta, seguendo sempre 1' andamento dell' asse maggiore. Già fu esso scoperto in gran parte negli scavi praticati dal Governo Francese nei primi anni del secolo XIX (1); ora rimane interrato, come per la metà è pur in- terrato r ipogeo dell' arena. Di un quarto cripto-portico, suU' andamento dell' asse minore, incontro a quello che si dirige ali' Esquilino, se ne ha un indizio in un pozzo scoperto a Sud-Ovest dell'Anfitefvtro, e precisamente dinanzi all'arco mediano esterno, che dava accesso al pulvinare imperiale. Oltre a questi quattro cripto-portici, disposti simmetricamente sull'anda- mento dei due assi maggiore e minore, ve n' è un quinto, il quale, partendo dal sottopodio presso il pulvinare imperiale (dal quale vi si discendeva per una scala), ricorre sotto il cuneo V, giusta la numerazione degli archi, ed a pochi metri dal perimetro dell'Anfiteatro rivolge, ad angolo quasi retto, dalla parte del Laterano. Il pavimento di questo corridoio era a mosaico; la volta era adorna di stucchi, dei quali rimangon tracce; ed aveva di tanto in tanto, ora a destra ora a sinistra, degli abbaini, dai quali prendeva luce ; le pareti erano dipinte, ma nel basso avevano uno zoccolo di marmo. Sembra andasse con piano in- clinato a riuscire sopratterra poco lungi da dove sboccava il corridoio (2) te- sté descritto. Fu sgombrato dalle terre e macerie per circa 37 metri. Si ritiene comunemente, e credo a ragione, che questo cripto-portico fosse queir andito angusto ricordato da Dione (3), dove il congiurato Claudio Pom- peiano tentò di uccidere Commodo, allorché questi per quell'andito si recava all'Anfiteatro. Io ritengo con alcuni archeologi che questo cripto-portico fosse senz'altro opera di Commodo. (1) Cf. Supplemento all'opera del Desgodefz, Part. I, e. XXI. — L,' Anfiteatro Flavio, p. 60 — Tav. VI. (2) Similmente a piano inclinato. (3) L. LXXII, e. IV. CAPITOLO IH. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. G3 Ma è già tempo di descrivere la cavea. La cavea del nostro Anfiteatro era divisa in cinque parti: il podio, tre ordini di gradi ed il portico (I). Il podio (determinato da una praecinctio e dal rispettivo iter) era com- posto di un ordine di sette gradi (2) ai quali si accedeva per dodici vomitorl aperti nella praecinctio, e di un ripiano largo circa due metri (dove venivan disposti i snhsellia), il quale, girando a pie della piccola gradinata, dava im- mediatamente suir arena. Esso era munito di un parapetto a transenna, ed aveva otto vomitorì propri, pei quali s' accedeva indipendentemente dalla gi'a- dinata. La larghezza dello spazio occupato dall' iter della praecinctio dalla gra- dinata e dal ripiano è (presa orizzontalmente) di m. 8 circa. Il muro del podio, che faceva fronte suU' arena, era alto m. 5, compreso il parapetto a transenna. Che il podio fosse formato come 1' ho descritto, risulta dalle espressioni degli antichi scrittori (3), confermate dall' esame dei suoi ruderi. Sotto il ripiano dei subsellia v' era un ambulacro, al quale s'accedeva dal corridoio che girava a pie delle scale dei vomitort del detto ripiano. L'am- bulacro aveva m. 1,80 circa di larghezza; e nella parete opposta a quella che fronteggiava 1' arena, aveva,, in ogni quarto dell'ovale, sei nicchie rettango- lari, quattro delle quali della larghezza di m. 2: le altre due erano di minor larghezza; tutte però avevano una profondità uguale di un metro, e tutte ugualmente eran alte m. 2 circa. — A proposito di questo corridoio, il Nibby (4) scrive: « di marmo era inoltre fasciato il corridore sotto di esso (ripiano del podio) che oggi è parte dell' arena, nel quale i riquadri allorché vennero sco- perti conservavano tracce di essere stati ornati di stucchi analoghi per lo stile a quelli della sala d' ingresso degl' Imperatori ». — Io congetturo che ivi fossero gli agiamenti o cessi per i personaggi che occupavano il ripiano del podio. Si vedono tuttora nel basso delle nicchie le cloache coperte a ca- (1) V. Tav. II fuori testo. (2) I gradi doveau essere talmente larghi da potervisi assidere una persona, e posarvi i piedi l'altro che sedeva nel grado superiore. La misura prescritta da Vitriivio soddisfa pienamente allo scopo. Egli vuole che i « gradus ne minus alti sint palmopede ne plus pede et digitis sex: latitudines eorum ne plus pedes duo semis ne minus pedes duo constituan- tur » . In misura metrica equivarrebbe, poco più poco meno, a dire : i gradi siano non meno alti di m. 0,37, né più di m. 0,41; e larghi non più di m. 0,75, né meno di m. 0,60. Le mi- sure dei gradi dell'Anfiteatro Flavio, prese su quei pochi residui che sfuggirono alla deva- stazione, sono le seguenti: altezza m. 0,40 — larghezza 0,72. ' (.3) "Nel podio vi dovette essere Vordo subselUorum per i Senatori, giusta la legge di Augusto (SuET.,Jirt Atig. XLIV); e vi fu anche una gradinata, giacché Suetonio dice che Domiziano quingenas tesseras in singulos cuneos equestres et senatokii ordini.s pronuncicmt (SuET., in Dom. IV). (4) Roma ant., p. I, pag. 427. 64 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL* ERA VOLGARE panna, e qualcuna ve n' è anche nei piloni tra una nicchia e I' altra, al piano del pavimento. Eran essi indispensabili, e specialmente in quei luoghi ove le persone si trattenevano per lunghe ore e talvolta per una intiera giornata. Suetonio scrisse di Augusto che nel circo « spectabat interdum e pulvinari, et quidem cum coniuge ac liberis, sedens spectaculo plurimas horas ; aliquando totos dies aderat » (1). Tal comodo dovette esservi per tutti gli ordini della gradatio, e probabilmente furono ridotti a tal uso i vuoti dei sottoscala. — Lo studiato sistema di chiaviche nel substrato dell'Anfiteatro servi a smaltire parimente le acque piovane e le immondezze degli agiamentl. La forma del podio era ovale, e secondava il perimetro dell' arena; ma i due grandi ingressi di questa lo interrompevano, facendogli formare due bracci. Nel centro di ciascuno di essi v' erano i due suggesti; dei quali quello a sud-ovest era il pulvinare imperiale; ce lo indicano e la sua posizione ed il passaggio chiamato giustamente di Commodo, il quale termina precisamente a quel suggesto. Ho detto la sua posizione, perchè trovasi nella parte più nobile dell'Anfiteatro: parte che fu sempre rappresentata sulle medaglie a preferenza delle altre, e che è rivolta veiso la regia Palatina. Ivi sedeva r Imperatore, e di li presiedeva agli spettacoli. L'altro suggesto era di fronte al pulvinare, ed era destinato principal- mente al magistrato delegato dall' Imperatore a presedere in sua vece ai giuochi. Si accedeva ai suggesti per i due ingressi principali, rivolti 1' uno al Celio e l'altro all'Esquilino (2); e si passava per due saloni, divisi ciascuno da diciotto pilastri di travertino, con arcate e volte ornate di stucchi. « Prima del terremoto del 422, scrive il eh. Lanciani (3), lungo 1' orlo del suggesto più basso della cavea (dove sedevano i personaggi clarissimi) al disopra del podio correva una cornice marmorea, modinata a somiglianza delle basi atti- che (4), e questa cornice reggeva il parapetto o pluteo che forse era di bronzo, forse di marmo. Lo scuotimento della terra avendo rovesciato giù nell'arena cornice e parapetto, colui che condusse i risarcimenti nell'Anfiteatro non volle o non potè riporre le cose al luogo loro. I massi marmorei della cornice fu- rono fatti girare di 90, di modochè la cornice che prima stava sulla fronte dei medesimi si trovò sul piano di sopra, ed il piano di sotto, cioè il piano di posatura primitivo, divenne la fronte. Su di essa furono incise una o più lunghissime leggende a lettere assai grandi, le quali leggende vennero così a fare il giro di tutto il suggesto o di tutto il podio ». (1) SuBT., in Aug., XLV. (2) V. Tav. II, lett. V-X. (3) Loc. cit. pag. 423-424. (4) V. Tav. 21-22, flg. 2. del " Bull. Comm. „ ann. VIII, serie 2. 1880. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. (ió Nel podio, come si disse, avevano il loro posto i personaggi più illu- stri, e da prima i Senatori, ai quali (secondo il decreto emanato da Augu- sto (1) e che a mio parere fu in vigore in ogni tempo) era riservato il primo ordine dei sìibsellia : ordine che nell'Anfiteatro Flavio fu probabilmente primus et Hìticìts, e situato senza dubbio nel ripiano del podio immediatamente pros- simo all' arena. Dissi primus et nnicus, perchè lo spazio di due metri non potè essere capace che di un solo ordine di subsellia, attesoché dietro di essi dovea rimanere lo spazio sufficiente per il passaggio. Oltre ai Senatori, sedevano nei gradi del podio le persone investite delle più alte dignità sacerdotali, i darissimi delle famiglie dei Senatori, i viri consulares, i magistrati curuli e gli ambasciatori esteri. Prudenzio ci attesta che avean posto nel podio eziandio le Vestali, le quali nei pubblici giuochi furono sempre tenute in considerazione (2). Cicerone accenna al posto che esse aveano nei giuochi gladiatori: nec si virgo vestalis, huius (L. Nattae) propinqua et necessaria, locum suum gladiatoi'ium concessa huic (3). Augu- sto, facendo eccezione alla disposizione data per le donne, assegnò alle Ve- stali un posto ragguardevole nel teatro: « Solis virginibus vestalibus locum in theatro separatim et contra praetoris tnbiinal dedit *; e Prudenzio, come ora dicevamo, ce le indica sedute nel podio del nostro Anfiteatro, anzi nella miglior parte di esso: Aìi quoniam podii melim'<'. in parte sedentes (4). Ora ci domandiamo: qual fu la miglior parte del podio assegnata alle Vestali? Non possiamo ritenere che esse sedessero nell'orde subselliorum insieme coi Senatori, perchè, come osserva lo Hubner (5), non è noto « che anche nell'anfiteatro e nel circo le Vestali avessero partecipato ai posti dei Sena- (1) SuET., in Aug. XLIV — Facto igitur decreto patrum ut quoties quid spectcmdi usquam publice ederetur primiiH subselliorum orda vacant senatoribus. (2) Alle Vestali non era lecito di assistere a tutti i giuochi. Esse entrarono manifesta- mente nel divieto imposto alle donne di assistere ai giuochi atletici. Le parole che Suetonio fa immediatamente seguire al racconto della disposizione data da Augusto circa il posto che doveano occupare le donne uell' assistere ai ludi, ed il luogo speciale concesso alle Vestali, non lasciano dubbio di sorta. « Athletarum vero spectaculo (dice) muliebrem sexum omnbm adeo summovit.... edixeritque mulieres ante horam quintam venire in theatrum non piacere ». Suetonio (come bene osserva il eh. Lanciani) ricorda come una singolarità di Nerone l'aver egli invitate ad athletarum spectaculwn et virgines vestales, quia Olynipiae quoque Cereris sacerdotibus spedare conceditur (cap. XII). (3) CiC, prò Mur. 35, 73. (4) Prud., Contr. Synim. II, v. 1109. (5) HtJBKER, Ann. delle Ist. p. 59. 66 l'ARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' EKA VOLGARE tori » . E poi, se vogliamo accettare come precisa l' espressione di Prudenzio : « Podii MELiORE IN PARTE sedentes », noi non dovremo ricercare le Vestali fra i Senatori, per la ragione che nel podio v' era qualcosa di meglio dell' or- dine dei subsellia. La miglior parte del podio erano indiscutibilmente i due suggesti. Non mi sembra ammissibile che le Vestali sedessero nel pulvina)% perchè questo suggesto era riservato all'Imperatore; ed ebbe il nome di pul- vinar (nome proprio della sedes o lectisternium deot^um) « quasi che (dice il Morcelli) in quel suggesto imperatoris tamquam numinis sedes esset ». Che ivi sedesse eziandio la famiglia imperiale masculini sexus, lo possiamo de- durre dalle parole di Svetonio, il quale narra che Augusto « spectabat inter- dum e pulvinari, et quidem cum coniuge (l) ac liberis »: che vi sedessero talvolta anche le persone estranee alla famiglia imperiale invitatevi dall'Im- peratore, ce ne fanno fede e il fatto di Tito, che invitò i due patricii generis convictos in affectatione imperii ad assistere al suo fianco ai giuochi gladia- tori, ed ai quali patrizi oblata sibi ornamenta pugnantium inspicienda por- rexit (2); e l'altro fatto di Domiziano, il quale per tutto il tempo dello spet- tacolo gladiatorio aveva con sé il fanciullo portentoso parvoque capite, cum quo plurimimi fdbulabatur, ìionnunquam serio (3) : ma che vi sedessero anche le Vestali, lo ignoriamo. Anzi dai due decreti emanati nel regno di Augusto, e che sono di questo tenore: 1." Faeminis ne gladiatores quidem, quos pro- miscue spectari solemne olim erat, nisi ex superiore loco spedare concessit. Solis viì-ginibus vestalibus locum in theatro separatim, et cantra praetoris tribunal dedit (4). 2." (5) Quoties Augusta theatrum introisset, ut sedes inter ve- stalium consideret (6), mi pare potersi dedurre che le Vestali non sedessero insieme all'Imperatore nel pulvinare. Io inoltre opino che il primo decreto destasse non poco malumore nel popolo, giacché gladiatores promiscue spectari SOLEMNE olim erat; ed in tal caso Augusto dovè non disprezzare il pericoloso fermento, e cercare un mezzo opportuno onde calmare il malcontento susci- tatosi; e forse fu questa la ragione per cui emanò un secondo decreto col quale stabiliva che neppure all'Imperatrice fosse lecito di assistere agli spet- tacoli « promiscue », ossia, nel caso suo, coli' Imperatore nel pulvinare; ed essa era in obbligo, andando in teatro, assidersi fra le Vestali, mostrando cosi che la legge era uguale per tutti il). Di qui apparisce chiaramente che le Vestali (1) Più tardi, come vedremo, anclie l' Imperatrice fu esclusa dal pulvinare. (2) SuBT., in Tito, IX. (3) Subt., in Domit. IV. (4) Id. in Aug. XLIV. (5) Questo decreto fu emanato nell' anno 776 d. R. (6) Tacit., Annal. IV, 16. (7) Tra breve procurerò dimostrare che la legge Augustea non colpì soltanto le plebee, ecc.; ma tutte indistintamente le donne. CAPltOLO m. - DESCRIZIONE DELL'INTEKNO DELL'ANFITEATRO ECC. 67 non sedevano nel suggesto imperiale; e poiché occupavano la miglior parte del podio, non ci rimane che assegnar loro il luogo più distinto dopo il sug- gesto imperiale, vale a dire il suggesto che era di fronte al pulvinare. Ivi, come dicemmo, sedeva il personaggio delegato dall'Imperatore a presedere ai giuochi in sua vece; alla sua destra, in separato scompartimento (aeparaiim), le sei Vestali (1); alla sinistra, i consoli insieme al munerator, editor o do- minus, alle cui spese si davano i giuochi, e che in quella circostanza aveva le insegne e l'autorità di un magistrato. Severino Boezio ci mostra l'editor nel circo, assiso appunto tra i due consoli: « Cum in circo duorum medius consulum circumfusae midtitudinis expectationern triunphali largitione sa- nasti? » (2). Né mi sembra di avere esagerato, assegnando alle Vestali anziché ai Con- soli la parte destra; poiché sappiamo che questi, qualora si fossero imbattuti con le sacerdotesse di Vesta, dovean ceder loro il passo; e che, secondo il decreto del 776 d. R, tra le Vestali dovea avere il suo seggio l'Augusta. Per completare la descrizione del podio, ci resta di parlare dell'apparec- chio di cui questo era munito onde gli spettatori fossero sicuri dagli assalti delle fiere. Di quest'indispensabile apparecchio se ne avea già una vaga no- tizia, e sapevasi che consisteva in una serie continua di reti tessute di grossi fili metallici (3): ma non ci sarebbe stato certamente possibile farne una de- scrizione esatta, se il poeta Calpurnio, vissuto ai tempi di Carino e Nume- riano, non avesse nei suoi versi cosi particolareggiatamente parlato della sua struttura e magnificenza. Egli dice che al termine dell'arena dell'Anfiteatro Flavio, verso il muro marmoreo del podio, era distesa tutt' attorno un'ammi- rabile serie di rulli d'avorio, che, girando intorno ad assi, rendevano impos- sibile alle fiere l'appigliarvisi con le unghie, facendole, se vi si fossero pro- vate, ricadere subito al basso. Aggiunge che v'era una rete tessuta di aurei (1) « Il rito fu ordinato noi primi anni di Roma con quattro sole sacerdotesse. Tarqui- nio Prisco (v. Dionisio, III, 67) o Servio Tullio (Plut. 10) accrebbero il numero delle Vestali fino a sei, e questa cifra si mantenne costante fino al secolo IV dell'era volgare. Nell'ultimo periodo del paganesimo si ha notizia di sette Vestali (Cf. Ambrosii, epp. ed. l'arei p. 477 ; Moller, Geog. gr. min. II, 525) ; ma è incerto quando e perchè sia stata in tal guisa cam- biata la consuetudine antica del numero senario». Lanciani, -J/b^iaJe degli Scavi, C. I, Delle Vergini Ve.stali, pag. 436. (2) BoBTius, De consolatione .philosophiae , lib. II, prosa III. (3) Plinio, Hist. Nat. XXXVII, e. III, 43 — « D C. fere M. passuum a Carnunto Pan- noniae abest littus Germaniae ex quo invehitur (succinum) percognitum nuper. Vidit enim eques Ilomanus missus ad id comparandum a Juliano curante gladiatorium munus Neronis principis, qui haec commercia et littora peragravit, tanta copia invecta, ut retia arcendis feris podium protcgentia succinis nodarentur » — (pe^' ornamento) . 68 PAKTE 1. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE fili, insieme a molti denti di elefante sporgenti in sull'arena, tutti d'egual grandezza e lunghi più ancor d'un aratro (1). Da questa descrizione mi sembra potei' dedurre come fosse nell'Anfiteatro Flavio disposta quest'opera di difesa. A breve distanza dal muro del podio del nostro Anfiteatro, al termine della zona che noi già dicemmo morta, sor- gevano ad eguali intervalli delle* travi foderate di bronzo,^n tutto o in parte dorate, collegate a due a due da una trave orizzontale, formando cosi un dolce poligono inscritto nell'ovale: poligono necessario per il movimento dei rulli, il quale sarebbe stato impossibile ottenere su di una curva; — sull'alto delle travi poi erano solidamente fìssati i robusti assi rettilinei, intorno ai quali giravano i rulli d'avorio. Negli specchi fra una trave e l'altra erano tessute le reti, e dalle fronti delle travi sporgevano i denti verso l'arena. Al podio seguiva immediatamente un ordine di dodici gradi, determinato da una praecinctio, col suo iter largo m. 3,60. Questa straordinaria larghezza dell'iter è dovuta ai quaranta abbaini, fatti in esso per illuminare il sotto- posto ambulacro. La gradinata ha quattordici vomitorì aperti nella praecin- ctio, era destinata ai quattordici ordini dei cavalieri, e costituiva la prima cavea. Segue quindi un terzo ordine di diciannove gradi, determinato esso pure da una praecinctio col suo iter. Quest'ordine ha trentadue vomitorì, sedici dei quali sboccano alla metà della gradinata e sedici dalla praecinctio. Questa era straordinariamente alta, ed in essa, oltre le porte dei vomitorì, v'erano ventotto finestre, dalle quali prendeva luce il corridoio posteriore. La serie delle finestre era frammezzata con simmetria da trentasei nicchie con statue. V'ha chi opinò che quei tripodi marmorei, con faccia piana nella parte poste- riore per addossarsi al * mui'o, rinvenutisi negli scavi dell'Anfiteatro (la loro non poca quantità ci fa argomentare ve ne siano stati in buon numero), fos- sero collocati in quelle nicchie per bruciarvi sostanze aromatiche. Ma collo- cando i tripodi in quegli incavi ed in quella sola precinzione, mal si sarebbe provveduto al fine cui essi erano destinati. A me sembra più ragionevole che i tripodi fossero stati addossati esternamente alle pareti di ciascuna delle (1) Calpurn., Eclog. VII. « Nec non ubi finis areuae, Proscina marmoreo peragit spectacula muro Sternitur adiunctis ebur admirabile truncis, Et coit in rutulum, texti qua lubricus axo Impositos subita vertigine falleret ungues, Excuteretque feras. Auro quoque torta refulgent " Retia quae totis in arenam dentibus extant, Dentibus aequatis, et erat (milii crede Lycota, Si qua fides) nostro dans longior omnis aratro ». CAPITOLO IH. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 09 precinctiones, ove le essenze odorifere avrebbero prodotto il loro completo effetto, e tutto l'ambiente anfiteatrale sarebbe rimasto egualmente profumato. Che quelle nicchie poi invece di tripodi contenessero statue, ce lo fa ar- gomentare ciò che si legge nelle Memorie Knciclopediche Roviane (1), « Si sono trovate negli scorsi giorni sull'alto del Colosseo fra scarichi antichi di macerie, due torsi di donne panneggiate assai bene, una delle quali si vede aver avuta la testa incassata, cosa non rara nelle statue antiche; mancano ambedue di testa, braccia e piedi; dovettero probabilmente ornare quel giro di nicchie ancora esistenti che al di sopra della seconda precinzione facevan prospetto all'Anfiteatro ». Questa praecinctio straordinaria, che, a guisa di grandiosa fascia, cin- geva l'immensa cavea, io congetturo che sia il balteus di Calpurnio, decorato probabilmente da intarsi di fine pietra e forse anche da mosaici di smalto. La parola balteus, che vuol dire propriamente cingolo (2), s' adoperò dagli oratori (3) e dai poeti come sinonimo di praecinctio, benché questa e non quella sia la voce tecnica per indicare le zone verticali che dividevano in diversi ordini la gradatio dei teatri, degli anfiteatii e dei circhi. Questo terzo ordine costituiva la media cavea. A quest'ordine ne seguiva un quarto, sunima cavea, composto di sette gradi, la cui praecinctio formava zoccolo al basamento del portico. Anche qui l'iter girava al basso della gradinata ed ivi sboccavano dodici vo- mitorl. La cavea era coronata da un portico di ottanta colonne di ordine com- posito. La gradinata del portico, costruita da legname, si componeva di undici gradi, ed era divisa da tavolati (tàbulationes) (4). La parte della cavea dalla praecinctio della gradinata assegnata ai quat- tordici ordini dei cavalieri a tutta la summa cavea (ossia la media e la summa cavea), nonché ima buona parte del portico, era destinata ai cittadini, plebs, la quale plebs con ogni verosimiglianza, era divisa secondo le tribù. I vari ordini di cittadini che vi avevano cunei propri, e dei quali ab- biamo particolar notizia, sono i seguenti: a) I Tribuni. Leggiamo in Dione (5) che fra gii onori decretati a Giu- lio Cesare v'era : « ut semper sella curuli sederet, excepto per ludos. Tum enim sessio ei in tribunicio subsellio Inter eos qui quoque anno Tribuni essent con- (1) Tom. I, pag-. 4. (2) Varr., De L. L. 4, 24. Quod cìngulum e cario habebant bvllatum baUeiim dictum. (3) Tert., (De. Spect. 3) chiamò cardines balteorum i vomitorì aperti nelle praecin- cfiones. (4) La numerazione delle tabulationex doveva seguire quella delle arcate terrene, (5) Lib. XLIV. 70 l'AHTE I. - DALLE OKIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE cedobatur ». E similmente fra quelli decretati ad Augusto: « ut in subselliis Tribonorum plebis sederet » (1). In Calpurnio leggiamo: « Nivei loca densavere Tribuni ■» Presso i Tribuni ebbero luogo speciale i loro viàtores. Tacito (2) scrive: « li- berto et accusatori praeraiura operae, locus in theatro inter viàtores tribuni- cios datur ». b) I COLLEGI SACERDOTALI : eccettuate le persone costituite nei gradi più alti del sacerdozio, le quali, come già si disse, sedevano nel podio. Arnobio scrive: « Sedent in spectaculis publicis sacerdotum omnium collegia ». l col- legi sacerdotali officiali erano otto: Ponti/ìces, VII viri epulones, XV viri sacris faciundis, augures, fetiales, arvales, sodales Titii, Salii. — I collegi semi-officiali erano cinque: Collegium Lupercorum, Collegium Mercurialium, Collegium Capitolinorum, Collegium Veneris Genetricis, Collegium Minervae. V erano poi le Sodalitates : sodales Matris magnae, Augustales, Clau- diales, ecc. I posti assegnati al collegio degli Arvali ce li ricorda con esattezza la nota lapide (3), e la chiara notizia che questa ci porge ci potrà servire di guida per investigare dove avessero avuto posto gli altri collegi sacerdotali. e) I Patres familias. « Maritis e plebe proprios ordines assignavit > (4) Marziale (5) dice: « Sedere in equitum liceat an tibi scamnis, Videbo Didyme: non licet maritorum ». d) I Praetextati. Pueri nobiliores et honestiores, e vicini a questi 1 pedagogi. Ce l' attesta Svetonio : « Praetextatis cuneum suum et proximum PEDA60GIS ». Di questi due cunei rimangon tracce nell'Anfiteatro Flavio, in due gradi, nella fronte dei quali leggiamo le lettere: ETEXT VIIIS (C. I, I. VI, parte 4, 32098'=). E nella fronte dell'altro: {paedagogis) (p) VERO (rum) (C. I, 1. VI, parte 4, 32098 d) (1) Dio., 1. XLIX. (2) Ann. 1. XVI, e. 12. (3) V. p. 33. (4) SrjET., in Augusto. (5) V. XLII. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 71 e) La Milizia. « Militem secrevit a popiilo » .Svet. Alla classe meschina della cittadinanza fu assegnata la maggior parte del portico. Suotonio ci dice che Augusto » sanxitque ne quis puUatorum media cavea sederet », e noi per la testimonianza di Calpurnio dobbiam dire che nell'Anfiteatro Flavio non solo quella classe non sedette nella media ma nep- pur nella stimma cavea, e che ebbe il suo posto unicamente nel portico: « Venimus ad sedes ubi puUa sordida veste Inter f'emineas spectabat turba cathodras. Nam quocumquo patcnt sub aperto libera coelo Aut eques aut nivei loca densavere tribuni » . Nel portico ebbero parimenti posto le donne: « Inter femineas spectabat turba cathedras ». La legge augustea relativa al posto che le donne doveano occupare nei pubblici spt^ttacoli rimase sempre in vigore, ed io opino (come già accennai) che riguardasse le donne tutte, di qualunque grado si fossero, eccettuate le Vestali e l' Imperatrice. Le parole usate da Suetonio « feminis * (termine generico) e « solis Vestalibus » (contrapposto a « feminis » ) bastano da sé sole a provare l'universalità della legge. Al passo di Suetonio s'ag- giunga l'autorità di Calpurnio. Questo poeta non è satirico, e quindi nelle frasi e nelle parole di quel pastorale componimento in cui egli ci descrive l'Antiteatro Flavio, non ci è lecito sospettare nascosti sali mordaci. Ora di- cendoci il poeta che la « turba pulla » sedeva m^er femineas cathedì-as ; sn- pendo che la cathedra non era sedia per donne volgari, mi pare che Calpur- nio venga a confermarci che la legge colpi le donne tutte, non escluse quelle di grado elevato. Sennonché qual sarà stata la ragione per cui fu assegnato alle donne il portico? Se questo provvedimento fosse stato determinato da soli motivi di moralità, bastava che Augusto le avesse raccolte in cunei separati, mantenen- dole nell'ordine corrispondente alla rispettiva casta!... La ragione che mosse Augusto ad assegnare alle donne il portico, a me sembra di poterla scorgere nella confusione grandissima che dovea nascere allorquando una pioggia avesse interrotto lo spettacolo e costretti gli spettatori a ricoverarsi nei portici, i quali, come dice Vitruvio (1), si facevano appositamente a questo scopo: « Post scenam porticus sunt constituendae, uti cum imbres repentini ludos interpel- laverint, habeat populus quo se recipiat ex theatro ». La ressa per uscire dai vomitorì sotto la sferza di una pioggia dirotta dovè essere stato qualche cosa di serio. Questo gravissimo inconveniente fu forse il motivo precipuo che spinse Augusto ad assegnare alle donne posto (1) De arch., I. V, e. IX. k 72 PARTE r. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE nel portico. In caso di pioggia esse non sarebbero state costrette a muoversi; e su dai loro posti avrebbero potuto tranquillamente godersi la fuga di quel- l'immensa moltitudine. Spettacolo invero esilarante per chi non si trovava in mezzo a quel parapiglia! — Senza questa provvida disposizione il confusis- simum atque solutissimuni moreni spectandi non sarebbe stato sufficiente- mente corretto. La legge di Augusto rimase in vigore per tutto il periodo imperiale. Ai tempi di Carino e Numeriano (1) le donne sedevano ancora nella parte più alta dell'Anfiteatro, vale a dire nel portico. Né poteva essere altrimenti, perchè la causa determinante della legge era sempre viva ; e i teatri, gli anfiteatri ed i circhi rimasero in tutto il periodo imperiale quali erano ai tempi di Augusto. Occorreva però un temperamenturn che rendesse alle donne nobili del patriziato e alle doviziose della plebe meno dura l'impressione di trovarsi (sebbene del tutto separate) sotto lo stesso tetto colla parte più meschina della cittadinanza. Questo temperamenturn fu opportunissimo; e nella nota lapide degli Avvali ve ne troviamo sicure ti-acce. In essa leggiamo che ai detti fra- telli, oltre agli Vili gradi del meniano I ed ai IV nel II sommo, furono asse- gnati XI gradi nel mentano summo in ligneis alla tàbulatio LUI. Dunque nel portico, tra la tuì'ha piilla, oltre le donne ebbero luogo anche gli Arvali ; e come ve l'ebbero gli Arvali, vi poterono aver luogo gli altri collegi sacer- dotali. Posto* ciò, io credo di non essere troppo ardito, se, basato su questi dati, espongo la mia opinione circa la disposizione degli spettatori nel portico. Nei quattro punti del portico, corrispondenti alle estremità dell'asse mag- giore e minore, si destinarono alcuni intercolonni per le donne; e riterrei ra- gionevole, che alle estremità dell'asse minore (sulle quali eranvi anche i due nobilissimi suggesti) sedessero le donne del patriziato; e che alle estremità dell'asse maggiore fossero destinati alcuni intercolonni per quelle della plebe, escluse, ben inteso, le pullatae. Il numero degl'intercolonni dovette essere proporzionato alla quantità delle donne dell'una e dell'altra classe; e poiché il numero delle plebee su- perava indiscutibilmente quello delle patrizie, le prime dovettero avere nel portico un numero maggiore d'intercolonni. La tabuìatio assegnata agli Ai'vali è la LUI. Da quest'intercolonnio a quello di mezzo ve ne sono altri quattro; sicché, prendendone pure quattro dalla parte opposta ed il mediano, alle donne plebee sarebbero stati assegnati nove intercolonni in ciascuna delle due estremità dell'asse maggiore. Ragion vuole poi che la tabuìatio simmetrica a quella degli Arvali (ossia la LXII) fosse stata assegnata ad un altro collegio sacerdotale. (1) -Calpuknio, loc. cit. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 78 Il provvedimento fu, come si disse, opportiinissimo, perchè le donne si videro onorate di potersi assidero fra la classe dei cittadini più veneranda; e la plebe misera, che (già fin dai primi decreti di separazione nell'assistere ai ludi, emanati, per testimonianza di Livio, da Scipione Africano) aveva dimo- strato forte risentimento, si ti-ovò fra la nobiltà, l'agiatezza ed il sacerdozio ; in una parola, il provvedimento fu tale, che lasciò tutti contenti e gabbati. Alle donne della plebe misera furono verosimilmente assegnate nel mezzo della turba pidla due tabtdationes nei quattro centri dei quadranti dell'ovale fra le estremità degli assi maggiore e minore. Le donne del patriziato e quelle dell'alta plebe sedettero (come si deduce da Calpurnio) in cattedre più o meno ricche secondo il grado; le claHssimae forse ebbero cattedre mobili nella prima fila; le altre l'ebbero probabilmente fìsse nei gradi, nei quali ciascun dei posti fu guarnito di una spalliera concava. I quattro gruppi d'intercolonni destinati alle donne del patriziato e del- l'alta plebe dovettero esser decorati più che gli altri del restante del portico, ed arricchiti di dorature. Ne abbiamo un cenno in una lapide di Terni (Orell. 3279) che dice: OPVS . THEATRI . PERFECIT . IN . MVLIEBR . AERAMENTIS . ADORNA VERE . Poste le cose in questa guisa, i versi di Calpurnio acquistano una chia- rezza che forse prima, almeno per me, non avevano. « Venimus ad sedcs ubi puUa sordida veste Inter fbminbas spectabat turba oathedras Balteus en gemmis en illita porticus auro Ccrtatim radiant ». Sulle iscrizioni dei sedili e sulla distribuzione dei loca, abbiamo uno stu- dio interessante del eh." R. Lanciani (1), il quale mi pregio prendere per mio duce e maestro; ed egli permetterà che io usi, qui, delle stesse sue dotte parole. « La divisio)ie dei posti, discrimina ordinuni (2), nell'Anfiteatro, a tenore delle leggi già promulgate, dell'etichetta e delle precedenze di corte, dei pri- (1) " Bull, della Commissione Archeol. Com. di Koma ,, 1880, p. 236 e sgg. Auno Vili, serie seconda. Tutti i frammenti epigrafici rinvenuti nei diversi scavi fatti nell' Anfiteatro Flavio sono stati più recentemente (anno 1()02) pubblicati e con molta cura dall' Huelsbn, Inscriptioncs Urbis lioìiiae Latinac. Partis quartae, fasciculus posterior. — Additamenta, pp. 3199 e sgg. Berolini, apud Georgium Reimerum, MCMII. — Noi li riporteremo alla II Appendice. E questo volume del Corpus è quello che citiamo in quest'opera, (2) Tacito, Ann. 13, 54. 74 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE vilegi, dei diritti acquisiti, delle costumanze invalse fra i vari ordini dei cit- tadini, fu fatta nell'anno stesso della solenne dedicazione dell'Anfiteatro, e na- turalmente prima che questa avesse luogo, imperando Tito, consoli suffetti L. Elio Plauzio Lamia, Q. Pattumeio Frontone. Se ne ha memoria negli atti arvalici dell'anno stesso (1), dei quali sarà fatta più speciale menzione fra poco. Non so spiegare per quale ragione lo Hilbner sia stato indotto a credere tale assegnamento di posti posteriore di un anno alla dedicazione dell'Anfiteatro (2) poiché la testimonianza di quegli atti e specialmente della frase loca adsi- gnata {fratribus arvalibus) in amphit{h)eatro L. Aelio Plautio Lamia, Q. Pa- ctumeio Fr(o)ntone cos non ammette discussione. « L'ufiHcio di distribuire i posti, in questa solennissima contingenza, fu af- fidata a Manio Laberio Massimo, procuratore della Giudea sotto Vespasiano (3), prefetto dell'annona nell'anno 80 (4), il quale è stimato dal Cardinali (5), con- senziente il Borghesi (6), la medesima persona col Manio Liberio Massimo, le- gato della Mesia e console per la seconda volta nell'anno 104. « Il Marini, il Guasco, il Torre, il Morcelli, lo Hiibner hanno interpretato in vario senso cotesta ingerenza di Laberio prefetto dell' annona nella distri- buzione dei sedili anfiteatrali. La frase loca adsignata ah Laberio Maximo procuratore praef. annonae curatore Thyrso l. è certamente oscura, e non trova riscontro nell'epigrafia contemporanea. Una sola cosa è certa, ed è che quei due individui ebbero la direzione nel gravissimo affare. « Rimangono documenti intorno ai posti assegnati ai senatori, ai cavalieri, a vari collegi sacerdotali, agli ambasciatori ed agii ospiti, ai pretestati, ai pe- dagoghi dei fanciulli, agli apparitori dei magistrati, alla plebe, ai gregai-ì di stanza in Roma. « Per gli altri ordini, collegi, sacerdozi, corporazioni ecc., si può supplire alla mancanza di documenti speciali con le notizie che si hanno indirettamente intorno le precedenze gerarchico-amministrative di ciascuno di essi. Prima di ragionare minutamente dei posti assegnati ai singoli gruppi e delle memorie che ne rimangono, incise sui marmi del Colosseo, mi è d'uopo stabilire due ca- noni fondamentali. In primo luogo, benché le notizie relative ai singoli gruppi, che trarrò dagli scrittori e dai marmi, non si riferiscano tutte all' Anfiteatro, ma talora ai teatri, talora al foro, scena antichissima di giuochi gladiatori, ta- lora al circo, pure hanno uguale valore, uguale significato anche per 1' Anfi- (1) Ap. Henzbn, Arv. p. CVI. (2) Ann. Inst. 1856, p. 62. (3) losEPH., lud. 7, 7. (4) Henzbn, Arv. CVI, 8. (5) Diplomi 153. (6) Oeuvres, 3, 69, CAPITOLO III. - UESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 75 teatro: in quanto che Tito e Domiziano inaugurandolo e distribuendone i se- dili, non poterono in modo alcuno derogare alle leggi promulgate sugli spettacoli, ed alle costumanze già ijivalsc. Intorno a questo canone abbiamo splendida testimonianza nei marmi stessi dell'Anfiteatro, e sopratutto in quel sedile lungo m. 1,50, alto m. 0,39 e largo m. 0,45, sulla cui fronte leggermente ricurva sta scritto a caratteri del secol d'oro: /i B . INTHEATR . LEGE . PL . VEi VRIA \^CET . P . X I I ì R (C. I, 1. IV, part. 4, 32098). sigle che lo Hilbner interpreta e supplisce : [collegio orum qu]ib. in theatr. lege pl[ebis] ve [scito sedere 1] icet p. XII Il Fea crede che la voce theatrum stia qui a far la vece di amphithea- trum: mentre è chiaro che tutt' intera la leggenda esprime questo senso: a tenore delle leggi, dei plebisciti, dei senatus consulti vigenti, si assegna al collegio dei tali e tali quel dato numero di piedi, quel dato posto, cui hanno diritto nel teatro. Del resto il senatus consulto di Augusto, cui accenna Sue- tonio si riferiva (1) ad ogni genere di spettacoli, e noi vedremo fra poco con quanta mirabile precisione le epigrafi dei sedili del Colosseo corrispon- dano ai singoli paragrafi di quel senatusconsulto (2). « Il secondo canone si riferisce alla cronologia delle iscrizioni dei sedili. .1 partire dall'amio 80, fino a tutto il secolo terzo si incisero sui sedili sol- tanto i titoli dei vari ordini, corpi morali, gruppi ecc. con cifre indicanti il numero dei piedi cui ciascun ordine ecc. avea diritto di occupare: giam- mai si incisero nomi di individui. « Nel secolo quarto incominciano ad apparire nomi senatori, individuali, predominando però il caso plurale, il che significa che coteste prime iscilzioni furono graffite per indicare il posto non di un individuo ma di una famiglia. Nel secolo quarto scadente e nei successivi, ogni senatore volle graffito il proprio nome nel sito ove la propria sedia e il proprio cuscino eran collocati in occasione di spettacoli. E siccome quest'uso ha durato per parecchie gene- razioni, cosi quelle pietre sono state incise e scalpellate sin quattro volte. (1) Otc. 44. (2) Lo Hubner nega che il senatusconsulto di Augusto si riferisca ad ogni genere di spettacoli, perchè in quello si nomina fra le alire cose il cuneiis praetextatorum, che è di- visione non ammissibile nel circo privo di cunei. « Questo fatto » egli dice « può servire per nuova prova, i regolamenti di Augusto non essere stati generali per tutti e tre i generi di spettacoli ». Ora se Augusto giudicò utile, opportuno, morale dividere i pretestati dalla re- stante folla nel teatro, identiche considerazioni di moralità, di opportunità, di convenienza avranno fatto adottare uguale misura pel circo. Sarebbe stato puerile rinunciarvi per la sola ragione che nel circo non c'era divisione per cunei, 7G PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' EKA VOLGARE 1. Senatokes « Spectandi conficsissimum ac soluiissimum morem {Au- gustus) correxit, motus iniuria senatoris, queni Puteolis per celeberrimos lu- dos consessu frequenti, nemo receperdt. Facto igittir decìselo patrum, ut, quo- ties quid spectaculi usquam publice edeì^etur primus subselliorum ordo vacaret senatoribus (1). La origine anticliissima della confusione deve riconoscersi nel fatto che — prima del trionfo di L. Miimmio — cioè prima dell'introduzione dei sedili di legno, tutti stavano in piedi nel circo o nel foro, pochissimi se- devano in terra o sugli scanni recati espressamente dai servi. Un' assemblea di gente in piedi non può non essere disordinata; pur tuttavia, la modestia e la riverenza del popolo verso i padri coscritti era spontanea e profonda ab- bastanza da lasciar loro i posti migliori. Narra Val. Massimo (4, 5, 1), che dalla fondazione di Roma tino all'anno 560, promiscuùs senatui et populo spectan- dorum ludorum locus erat; nunquam tamen quisquam ex plebe ante patres conscriptos in theatro spedare sustinuit; adeo circumspecta nostrae civitatis verecundia fuit. In quell'anno 560, nel quale la supremazia del governo sena- torio sul plebeo fu definitivamente costituita, i senatori fui'ono separati dalla plebe negli spettacoli. Per quingentos auteni et quinquaginta octo (560) annos senatus populo mixtus spectaculo ludorum interfuit. Sed hunc morem Ati- lius Serranua et L. Scribonius aediles, ludos niatri deum facientes, superio- ris Africani sententiani secuti, discretis senatus et populi locis solverunt (2); e Livio conferma: Censores Sex. Aelius Paetus et C. Cornelius Cethegus gratiam quoque ingentem apud (senatores) pepererunt, quod ludis ronianis, aedilibus curulibus imperàrunt, ut loca senatoria secernerent a populo, nam antea in promiscuo spectabant (3). « Il Becker (4), crede che Augusto abbia semplicemente separato senatori e cavalieri dalla plebe, senz' altra divisione fra le classi più nobili: a me sem- bra poter dedurre dal passo di Suetonio che i senatori fossero separati dai cavalieri, ed ai primi fosse attribuito (nel circo) il primus subselliorum ordo, che è quanto dire il posto d'onore. Ciò è confermato dal passo di Dione, re- lativo all'anno 5, tà? i:r7ro8po[j,ta? '/tópi? [i.èv oi pouXeotai, /«oplc 8è oi ii:;rsì? à;có toù Xoi:ro5 TtXiijGooi; stSov. ó xaì vòv YiYvstat (5). « Claudio fece qualche cosa di più: circo vero maxima. ... propria sena- toribus constituit loca, promiscue spedare solitis (6). Il Becker interpreta que- sta notizia come ima separazione dei senatori dai cavalieri. vSi oppone a que- sta teoria il passo parallelo di Dione, dell'anno 41, cosi tradotto dallo Jordan (7) (1) SuBT., Octav. 44. (2) Val. Max., 2, 4, 3. (3) Rom. Alterth. 2 1., 282. (4) 33, 44. (5) 55, 22, 4. (6) SuET., Claud. 21. (7) Dio., 60, 3 e Jordan, Forma p. 18. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 77 anlea in circo spectàbant senatores, equites, plebes urbana, privatim suo QUiSQUE loco, nimirum ex quo tempore hic spectandi mos lege (rascia, giù- Ha teatrale etc.) sanctus est: ncque vero certa loca attributa erant, sed tum (a. 41) Claudius senatoribus cani quam nunc tenent sedem concessit. Questo racconto di Dione può interpretarsi in tre maniere: 1° che prima di Claudio, purché senatori e cavalieri e plebe stessero vicendevolmente divisi, potevano occupare quel posto che loro talentava: e che Claudio abbia alle tre classi assegnato un posto fisso. Ciò non è ammis- sibile, perchè molto tempo prima di Claudio ai due ordini senatorio ed eque- stre, quel posto fisso era stato assegnato: 2" che le leggi anteriori a Claudio abbiano voluto soltanto separare la massa dei senatori e dei cavalieri della plebe, e che Claudio abbia suddiviso il gruppo dei senatori per cariche, vale a dire in consolari, pretori, edilici etc. Di una suddivisione generale per cariche e per dignità al tempo dell'impero si ha indizio nel passo di Erodiano, ove narra di un affronto fatto a Commodo nel teatro ;rXT;,oti)6svTo? Ss toù tìsàtpou [istà Tràar]? sòxoajj-ia?, twv té èv à^iwoscsiv èv èjaipéroi? iSpac? xai u>c sxàaToi? SiEtétaxTo i§pujj,évtov etc. (1). Della separazione dei consolari dal restante ceto, abbiamo due documenti: il primo nel passo di Arnobio sedent in spectaculis publicis senatus, consulato puncti pa- tres etc. (2) : il secondo nel seguente brano di iscrizione scoperto negli scavi del 1874(3): vIRl COSS NIS LOCA C X 3» che Claudio abbia assegnato a ciascun senatore e sua famiglia un posto determinato lungo tanti piedi nel tale o tal altro cuneo del « primus subselliorum ordo » ; conciossiachè sappiamo da Suetonio che anche i posti se- natori eran divisi per cunei. Nel secondo giorno delle feste settimonziali, Do- miziano omne genus rerum missilia spmsit, et quia pars maior inter popu- laria decìderai, quinquagenas tesseras in singulos cuneos equestris ac senatorii ordinis pronunciava (4). « Questo assegnamento di posti personali, il quale mi sembra confermato dal passo di Sparziano in Didio (5), occupatis, omnium subselliis populus ge- minavit convicia in Julianum, — non deve credersi una novità assoluta. Se ne hanno esempt anche ne' tempi della repubblica (benché come eccezione alla regola) tanto nel foro per le monomachie, quanto nel circo per le ippodro- (1) 1, 9. (2) 4, 35, p. 151 Hild. (3) C. I, 1. p, 860 n. 78. (4) Domit. 4, cf. Dione, 66, 25. (5) Cf. Livio, 2, 31 ; Pesto, p. 344 Muell. 78 PAETE I. - DALLE OKIGINl AL SECOLO VI" DELL' ERA VOLGARE mie (1): SELLAE . CVEVLIS . LOCVS . IPSl . POSTERiSQUE . AD . MUR- CIAI . SPECTANDI . CAVSSA . DATVS . EST. Sedecim eodem tempore Aelii erant, quibus una domuncula et^at...... inqiie maximo et Flaminio spectaculo locus: quae quidem loca oh virtutem publice donata possidehant. Assai im- portante, fra tutti, è il passo di Cicerone : senatui piacere Sergio Sulpicio sta- tuam in rostris statui, circumque eam statuam locum ludis glad^atoribus li- beros posterosque eius quoquoversus quinque pedes habere (2) equivalente a m. q. 2,187. Che nelle assegnazioni di posti personali si tenesse conto, in ge- rale, perfino delle semiuncie e dei sicilici, lo sapevamo dagli atti arvalici del- l'anno 80; che poi di tal rigorosa parsimonia si facesse uso anche verso chia- rissimi personaggi di rango senatorio, è confermato dal seguente brano di Cicerone (3): {Clodius) quaerit ex me, num consuessem siculis locum gladia- toribus dare? Negavi; at ego, inquit, 'SOYVS fatbonvs (?) instituam sed soror quae tantum habet consularis loci, unum mihi solum pedem dat. « Come nel teatro i senatori ebbero il posto migliore nell'orchestra (4) nella quale sedeva anche l' imperatore (5), cosi nell' anfiteatro fu loro assegnato il podio (6) nel quale fu anco il palco del sovrano, protetto da gelosie (7). « Dalle dotte disquisizioni dello Hiibner, (8), è provato quanto sia diffìcile ritrovare nel Colosseo il sito esatto nel quale sedevano senatori e cavalieri; quanto sia difficile riconoscere la forma e la disposizione del podio, e quanto sia oscura la stessa divisione in raeniani. « Ma elle i senatori sedessero sul ripiano infimo che dominava immedia- tamente l'arena, privi di sedili marmorei, ma capace di due o tre file di seg- giole, credo poterlo dimostrare cosi: « I massi marmorei scorniciati sui quali è incisa la grande iscrizione di Placido Valentiniano, mentre servivano di coronamento al murello del podio, servivano pure di base e sostegno alla ringhiera forse di marmo, ma assai più probabilmente di bronzo, la quale formava parapetto. Infatti tutti quei massi scorniciati conservano la incassatura del parapetto a questo modo: 1 \ u r « Ora le più antiche e perfette iscrizioni recanti i nomi di due, di tre, di quattro clarissimi viri, sono incise precisamente su quella lista che corrisponde (1) Cf. l'elogio di Manio Valerio Massimo dittatore ap^ e. I, 1. I, p. 284. (2) Phil., 9, 7, 16, cf. Marquahdt, Stoatsiv, 3, 471. (3) Ad Alt. 2, 1, 4. (4) Sdbt., oct. 36, GiovENAL., 2, 178. (5) Id. Caes 76. Claud. 26, 76. Nero 12; Joseph, Jud. 19, 13. (6) Plin., H. N. 37, 3, 11, 2; Giovbn., 2, 144. (7) Cf. il parvis foraminìbus spedare, Suet., Nero 12. (8) Loc. cit. p. 63. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL* INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 79 al di fuori della ringhiera : la qual cosa dimosti'a che i chiarissimi personaggi sedevano precisamente su quei massi di marmo. Che poi questi stessero dove li ho collocati, cioè sul ciglio dell'infimo suggesto o podio, è dimostrato dalla regolarità somma con la quale sono caduti in fondo all'arena. I massi scoperti nel 1878 contenenti le prime parole dell'iscrizione di Valentiniano III, si se- guivano con regolarità e senza gravi lacune nel testo. Ora ciò non potrebbe essere avvenuto se fossero precipitati dai baltei superiori. Del resto è cosa nota che i nove decimi dei marmi di ogni specie trovati nell'arena spettano al suggesto senatorio siccome quello che le stava più vicino ». 2. Equites. « Dei cavalieri si può ripetere quello che si è detto dei se- natori. Assisterono promiscuamente agli spettacoli, misti alla folla, prima del- l'introduzione dei sedili: poi si saranno riuniti in gruppo tenendosi fra i se- natori e la plebe: e col tempo avranno acquistato una specie di diritto e di privilegio a preceder questa in tutte le rappresentazioni circensi, teatrali, gla- diatorie. Nell'anno 687/87 L. Roselo Otone, tribuno della plebe, confermò con la sua lex rascia theatralis gli antichi privilegi dell' ordine, aggiungendone forse dei nuovi e più speciali (1). L. Otho, vii- fortis, meus necessarius eque- stri ordini restituit non solum dignitatem sed etiam voluptatem. Itaque haec lex, quae ad ludos pertinet, est omnium gratissima, quod honestissimo ordini cum splendore fructus quoque iucunditatis est restitutus » (2). Furono desti- nati ai cavalieri in theatro quatuordecim gradus proximi (3) e che facevan giro attorno l'orchestra dei senatori. Questa misura sollevò l'indignazione d^ popolo al punto, che Cicerone dovette far ricorso a tutto l'artificio della sua eloquenza per calmare gli spiriti esacerbati (4): esacerbati non tanto dal mero fatto dei XIV ordines, quanto dal riconoscimento indiretto si, ma solenne del ceto equestre (cioè del ceto capitalista) come seconda autorità politica dello stato (5). Del resto queste lotte fra le varie classi dei cittadini pei posti negli spettacoli non erano cosa nuova. « "EiisXXsv ó S'^fto? Osà^Òat [j,ovojj,àxoD? èv àfop^ xai xm àp-;(óvT(ov 01 xXsìarot Osw'f TjtTjp'.a xóxXtp xataaxsuàaavts? iC£iJ.ia6oDv. Taùtaóràwi; èxéXsosv auTOÙc xaòaipstv, o;c(o? o'i TrévTjtss ex twv tó^iwv ixstvwv à[j.ta6l SsàaaoOai Sòvwvrat » (6). « Dalla legge rosela ebbero origine le frasi: sedere in quatuordecim or- dinibus — in equite spedare — in equestribus, in pulvino equestri sedere, assai frequente pr^so gli scrittori (7). Quura autem plerique equitum, attrito (1) Cf. RiTSCHL, Parerga, v. I, p. 227. (2) Cic, prò Mur. 19. (3) Liv., Epist. XCIX. (4) Plut., Cic. 13; Plinio, H. N. 7, 31. (5) Cf. MoMMSEN, Rom. gesch. 3, 97. (6) Plut., C. Gracch. 12, 3. (7) Cic, Phil. 2, 18; GioVENAL., 3, 153; Orazio, Epod. 4, 16. 80 PARTE 1. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE bellis civilibua patrimonio spedare ludos E quatuordecim non auderent, metu poenae theatralis : pronunciava, non teneri ea, quibus ipsis parentibusve equester census unquam fidsset (1). Non è questa la sola alterazione che le vicende dei tempi avevano recato alla regolare osservanza della leggeroscia. Quum spectaculo Indorimi gregarium militem, in quatuordecim ordinibus sedentem, excitari per apparitorem iussisset, rumore ab ohrectatoribus di- lato, quasi eundem mox discruciatum necnsset, minimum abfuit qxnn pe- rirei concursu et indignafione turbae militaris (2). Benché Suetonio, nel notissimo paragrafo del e. 44, non faccia menzione di ordinamenti speciali riguardo al ceto equestre, non v'ha dubbio che Augusto si sia occupato anche di loro, come, del resto, dimostrano e il paragrafo poco anzi citato dal e. 40, ed i testi già recati a proposito dei senatori. « Nerone adottò pei cavalieri, e soltanto nel circo, un' altra misura, la quale non è ben chiara. Ne parlano Tacito e Plinio. Il primo nel libro 15, capo 32 degli annali riferisce, che nell'anno 65 l'imperatore equitum romano- rum locos sedilibus plebeis anteposuit apud circurn. Namque ad eam diern indiscreti inibant, quia lex Roscia nihil nisi de quatuordecim ordinibus sanxit. Il secondo poi aggiunge avei- Nerone soppresso gli euripi che circondavano la lizza attribuendo ai cavalieri il maggiore spazio così guadagnato. (Caesar di- ctator) euripis harenani circumdedit, quos Nero princeps sustutit, equiti loca addens (3). • « Dal Confronto di due testi sembra apparire che la legge roscia sia stata rispettata nel solo teatro: e che nel circo (dove i 14 ordini sarebbero stati esuberanti, eccessivi) i cavalieri avessero preso posto, non appresso ai sub- selli senatori, ma forse nelle gradinate più alte, che erano veramente le mi- gliori per godere tutto lo insieme delle cose, e più lontane da quei nembi di polvere dei quali parla Ovidio. Nerone li avrà fatti discendere nell'ordine più basso, e per non togliere troppo posto alla plebe, avrà spinto in fuori i posti dei senatori, nell'area già occupata dagli euripi, attribuendo ai cavalieri lo spazio lasciato libero dai senatori. Si veggano i dotti commenti dello Hub- ner (4) e dello Jordan (5). Tito, ed il suo agente Manio Laberio Massimo, di- videndo i sedili del Colosseo, attribuirono ai cavalieri gli ordini più bassi e più vicini ai senatori, uniformandosi se non alla lettera, ^Uo spirito almeno della legge roscia. Domiziano con editto promulgato forse quando ebbe re- cata a compimento la fabbrica dell'Anfiteatro licentiam theatralem promiscue spectandi m equite inhibuit. Marziale lo chiama : edictum quo subsellia cer- tiora fiunt (6). (1) Cf. SUET., Od. 40. (4) Loc. cit. (2) Id. ibid. 14. .r(ò) Forma p. 18, (3) H. N. 8, 21. (6) Cf. Marziale, 6, 8. CAPITOLO HI. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 81 < Intorno ai posti dei cavalieri nel Colosseo, alle scamna equitum di Mar- ziale (6, 41), abbiamo un documento contemporaneo alla sua prima dedicazione. È un gradino marmoreo lungo m. 1,17, alto m. 0,72, largo m. 0,40 sulla fronte del quale è scritto a lettere auree: EQVITI (bus) (C. I, L. VI, Pars. 4, 32098). * « Questi posti erano divisi per cunei, come risulta dalla testimonianza di Suetonio (1) già allegato di sopra. Uno dei cunei (2) era chiamato IVNIO- /?FA/(3). Equestev ordo cuneum Germanici appellava, qui ivmowju diceba- tur. — Questo passo dimostra che i cavalieri, senza avere forse posti personali, sedevano però distinti fra loro, per cariche e per dignità. Le divisioni, delle quali ho contezza, sono queste: a) iuniores, forse quelli che attualmente prestavano servizio nelle turme equestri. Sedevano in un cuneo separato. b) decoctores, cavalieri decaduti nel censo. Sedevano nei due ordini più alti e più lontani dall'orchestra e dall'arena. e) coloro che, di origine libertina, avevano raggranellato il censo eque- stre. Sedevano e. s. (4). d) i tribuni militari ed in genere gli ufficiali superiori delle milizie stan- ziate in Roma (5). ^ , e) i decemviri litibus iudicandis (6). f) Tribuni plebis. Forse a questa classe va riferita la glossa di Poriìrio ad Horat. Epod. 4: ex quattuor (decim) autem ordinibus, quos lege Roscius Otho tv. pi. in theatro equestri ordini dedit, duo primi tribuniciis vaca- bant. Le si riferisce senza dubbio il passo di Dione 44,4 nel quale fra gli onori decretati in favore di Cesare nell'anno 710/44 si registra: xal /a6sC£a6at s;ii xoò àpxixoD Si'ppou Travia/'^ tcXtjv èv taìc ^ravYjfòpsatv tóts 7àp èirt ts toù òt^ff.'y.^yp.ob [5à6pou y.at jistà twv àsl ^STfj[j.apxoòvTwv 0£ào6at è'^a^sv. « A tutte queste classi di magistratus ordinis equestris allude Calpurnio nei ben noti versi della settima ecloga: Venimus ad sedes ubi putta sordida veste, — Inter fo(imineas spectabat turba cathedras — ]Sam quocumque pa- tent sub aperto libera coelo. Aut eques aut nivei loca densavere tribuni. (1) Domit. 4. (2) Dei XIV ordini. (3) Cf. Tao. Ann. 2, 82. (4) Cf. Ovidio, Fanti 4, 381. (.5) Cf. HiiBNEH l. e. p. 5G a. (6) Id. /. r. p. 56, 2. 8. 82 PARTE I. ■ DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE « I cavalieri, a differenza dei senatori, non graffiarono il nome nel proprio loco, nemmeno in tempi di decadenza assoluta, forse perchè non ebbero posti personali. Una sola leggenda conosco che possa applicarsi agii ordini dei ca- valieri: ed è incisa in un gradino di marmo, spettante ad uno scalare, a let- tere di forma esilarante. Dice: ABINSTEIF . A (1) (C. I, L. VI, part. 4, n. 32098). e lo attribuisco ai gradini equestri, perchè i senatori non sedettero mai nel marmo. 3. Sacerdotum omnium collegia. « Il testo principe intorno ai posti sacerdotali è il lamento di Arnobio 4, 35 p. 151 Hild. Sedent in spectaculis publicis sacerdotum omnium collegia: a) poìitifices maximi h) et maximi curiones e) sedent quindecim viri laureati. d) et Diales cum acipibus ffamines. e) sedent interpretes augures divinae mentis et voluntatis. f) nec non et castae virgines perj)etui nutrices et conservatrices ignis. « È chiaro che Arnobio non parla rigorosamente, e che è d' uopo tener conto la sua enfasi rettorica. Nondimeno tengo per certo che, nel periodo di Augusto a<,Claudio, questi sacerdoti abbiano indistintamente seduto in senatu e che, dopo Claudio, abbiano ciascuno avuto la propria sede distinta e deter- minata di tanti piedi nel tale o tal altro cuneo, dell'ordine cui appartenevano. È certo parimenti che Arnobio non mentova tutti i collegi sacerdotali che avevano diritto a sedere sul podio. Abbiamo memoi-ia e documenti per ciò che spetta a) agii arvali, b) alle vestali, e) al flamine diale, d) ai sacerdoti augu- stali, e, particolarmente ai soldati fluviali. a) Fratelli Arvali (2). b) Vergini vestali (3). , e) Flamine diale. « Di costui fanno parola Arnobio, nel passo soprari- ferito, e, indirettamente, Suetonio (4) narrando aver l'imperatore presieduto al certamen quinquennale assidentibus Diale sacerdote — cet. ». (1) HiiBNER l. e. p. 68, n. 8. (2) Cf. cap. I, pag. 33. Solamente farò qui notare eolio stesso eh. Lanciani « che tutti i posti accennati nell'iscrizione arvalica spettavano ai ministri inferiori del collegio, e non agli arvali stessi, ai quali, Biccorae, al più hel flore, della nobiltà (Marini, 153), competeva il posto senatorio » . (3) Cf. pag. 65 di questo capitolo. (4) Domit. 4. CAPITOLO ni. - DESCKIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 83 d) Sacerdoti Augustali. Dei posti riservati agli augustali fa menzione Tacito (1) narrando del senatus consulto per le onoranze funebri a Germanico: honores decreti ztt sedes curiiles sacerdotiim augustaliam locis, superque eas querceac coronae statuereniur. E nel senatus consulto per le onoranze a Druso si ripete: (2) VTIQUE . OMNIBVS theATRIS sellae curules habentes drusi CAESARIS NOMINA Inscripta locis augustalium ponerentur. « Del collegio dei sodali fluviali, abbiamo indirettamente notizia da Sue- tonio (3). « Paecmisti (?) — Ai loca del collegio dei peanisti (4) si è voluto rife- rire (5) questo brano d'iscrizione trovata circa dieci anni or sono (6) nel cimi- tero di s. Agnese, sulla via Nomentana: KYPÌOIOI na/a NICTAi (?) iv.-ij''l . . . ìvl> NAi- iiAP YMwN locie- cniTpe-tc HNei cierACAi TA eniKGLweNA Tlo oik SeVTRVS PAEANISTIS POTESTIS SICVT IN PRA a^NEOS PENESTRARVM EXTRVX ll/>('//o \ll islts so PEDVAl Q>!ATTVOR- SCRIPSI VIDV/ s cel.cet . « Ed infatti quella cifra dei quattro piedi e la menzione dei cunei fene- strarum non disconverrebbero ad un rescritto di concessioni di posti dell'an- fiteatro. Ma prescindendo dalla difficoltà di spiegare come i peanisti abbiano po- tuto extruere cosa alcuna nell'anfiteatro, il confronto del libello greco con il rescritto di Severo, benché ambedue mutili, mi induce a credere trattarsi piut- tosto di qualche contravvenzione alle leggi promulgate da Severo e Caracalla circa gli edifici e le insulae della città (7) — per es. la sporgenza abusiva di un meniano in area pubblica: — contravvenzione per la quale sarà stata ri- chiesta e concessa la condonazione. (1) Ann. 2, 83-4, 9. (2) C. I. L. VI. 912. (3) Dom. 4. (4) SuET. Nero, 20; C. I, Gr. 5898; Ignarra, De palesfr. neap. 23. (.5) GoRi, Colosseo p. 131. (U) Il Lanciani scriveva queste parole nel 1880. (7) C. I. L. VI, 1682; Dk Rossi, l^anle 63. 84 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE 4. Legati-Hospites. « La maggior parte delle memorie lasciate dagli scrittori sui posti propri degli ambasciatori e rappresentanti diplomatici si ri- ferisce al teatro. Romae legatos liberarum sociarumque gentium vetuit in orchestica considere, quum quondam etiani liberimi generis mitti deprehen disset (1). « A questa legge si fecero eccezioni continue. Claudio permise ai legati dei Parti, degli Armeni e dei Germani di sedere in senatu cioè nell'orchestra (2). Sotto Nerone avvenne qualche cosa di simile, se pure Tacito non confonda i suoi due ambasciatori frisi Verrito e Malorige con gli ambasciatori germani di Suetonio (3) : Traiano toò? Tcps^psDià? toò; ::afjà tmv paotXéwv à'f txv&(».évoD? èv Tij) PouXsuttxtj) 6Eàaaa6at èTroisi (4). « Anche nei giuochi gladiatori ebbero ab antico sede onorevolissima. Agli ambasciatori marsigliesi, venuti in Roma dopo l'incendio gallico locus speda- culoì^m in senatu datus (est) (5). Finalmente sappiamo l'istesso essere avve- nuto nel circo quodam autem muneris die Parthorum obsides, lune primum missos, per arenam mediam ad spectaculum induxit, superque se subsellio secundo collocavit (6). A questa classe di persone riferisco due epigrafi dei sedili del Colosseo. La prima, appartenente al primo secolo, dice: hos]PlTlB[us (C. I, L. VI, parte 4, 32098 (e)) « La seconda è ripetuta su due gradini, grezzi nella superficie, con lettere dei tempi Severiani: l GADITANORVM m GADlTAÌiorum (C. I, L. ib.). « Ambedue questi sedili sono degni di osservazione, perchè conservano la famosa linea di divisione. Nel primo è segnata 4 centimetri all'in fuori, cioè a sinistra, della lettera G : nel secondo 2 centimetri all' infuori della stessa lettera. 5. Pretextati. « Il senatus consulto augusteo rilegò i pretestati in un cuneo del teatro: praetextatis cuneum suum assignavit. Chi sa che non sia (1) SuET. Octav, 44. (2) SuBT. aaud; 25. . (3) Tacito, Ann. 13, 54 (4) Dione, fragm. 68, 15. (6) Cf. JuSTiN. 43, 6, 10. (6) SuBT. Octav. 43. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 85 questo il CKHCHS ùiniorìon del quale abbiamo parlato di sopra. Di questo gruppo è rimasto documento epigrafico nel Colosseo. Sulla fronte di un sedile è scritto con lettere della buona epoca (1): ETEXT VIIIS C. I, L. VI, p. 4, 32098 e). 6. Paedagogi. « Questi due marmi, prosegue il ch.o Lanciani, confer- mano egregiamente la sentenza, aver Tito o Domiziano seguito alla lettera i regolamenti augustei nella divisione dei posti anfiteatrali. paedagogis p VERO um (C. I. L, part. 4, 32098, d). 7. Appakitores magistratuum publicorum populi romani. « Dalla nar- razione di Tacito (2) riferibile all'anno 819/66 — liberto et accusatori (Publii Galli eq. r.) locus in theatro inter viatores tribunicios datur — con molta probabilità si può argomentare che gli apparitores dei diversi magistrati, cioè gli scribae, Uctores, viatores, praecones, secondo le loro rispettive decurie avessero posti fissi nel teatro (3). 8. POPULARIA (loca). « La plebe fu divisa per tribù e per istato civile. DeJla divisione per tribù negli spettacoli si hanno memorie fino dagli anti- chissimi tempi di Roma. Essa fu fomentata dall'abuso ^qW ambitus tribuarius e degli spectacula tribtdim data per parte di chi cercava, acquistare sul pub- blico influenza all'approssimarsi delle elezioni: in circo totas tabernas tribu- liiim causa comparare. Si consultino Cicerone, Vatin. 15, 37; Mur. 34, 72; Creili, Ind. leg. p. 286; liane autem (plebem) tributim divisa loca occupasse tempore Ciceronis et Dionysii, ipsorum verba sat certo testantur: ad Severi usque tempoìm, an idem mos manserit, incerttim est (4). Io credo che il co- stume fosse serbato anche nei tempi imperiali: in primo luogo perchè non v'era ragione di rinunciare ad una misura cosi semplice e cosi opportuna a disciplinare quelle folle tremende: in secondo luogo, perchè, della continua- zione del costume, mi sembra trovare documento nella basis magna marmo- rea litteris magnis scoperta sulla fine del quattrocento in angulo circi ma- il) Cf. pag. 70 di questo lavoro. (2) Ann. 16, 12. (3) HiiBNBR, loc, cit. 61. (4) Jordan, Forma 19. 86 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' EUA VOLGARE ximi versus templum Herculis victoris in foro Boario et Tiberim dedicata a Traiano, nell'anno 103, dalle TRIBVS . XXXV QVOD . LIBERALITATE PPTIMi . PRINCIPIS COMMODA . EARVM . ETIAM LOCORUM . ADIECTIONE AMPLIATA . HINT (Ò. I. L. VI, 905). « Si sa in qual modo avvenisse cotesta locorum adiectio dal e. 5 del pa- negirico di Plinio. Poco prima dell'anno 100 Traiano fece demolire la tribuna imperiale, cedendone l'area al popolo. Quest'area era capace di cinquemila posti, dal che risulta che il cubiculum pnncipis era vasto due volte più dei nostri teatri della Scala, di S. Carlo, ecc. La plebe di ciascuna tribù fu sud- divisa per istato civile; i coniugati da una banda, le donne (e forse i celibi) dall'altra. a) Maritis a plebe proprios ordines assignavit (1), la quale misura sem- bra allo HUbner essere conseguenza delle leggi iulia de adidteriis dell'anno IbljA, e papia poppea dell'anno 762/9 e degli editti contro il celibato, emessi dopo la vittoria di Azio (2). Ho già notato che cotesta separazione degli ammogliati dagli scapoli, ebbe vigore soltanto inter popidaria non mai per gii ordini se- natori ed equestri. Gli ammogliati delle trentacinque tribù sedettero fra l'ul- tima fila dei cavalieri ed il maenianum summum in ligneis, ubi pulla sor- dida veste — inter foemineas sedebat turba cathedras. b) « Anticamente le donne sole non erano escluse dal consorzio comune: antiquitus solebant mulieres cum viris omnibus interesse spectaculis indiffe- renter come dice lo scoliaste di Giovenale (3). Il costume durava al tempo di Siila (4), di Cicerone (5) e di Ovidio (6), benché da alcune frasi del poeta possa dedursi che le donne scompagnate occupavano già per abitudine il portico in cima ai sedili: Sic ego marmorei respexi summa theatri. — Eligis e multis unde dolere velis (7). Augusto rese obbligatorio e legittimo il loro isolamento : (1) SuET. Octav. 44. (2) Cf. Scamna maritorum di Marziale 5, 41. (3) Sat. 11, 202. (4) Plut. Siila 24. (5) De har. resp. 12, 24. (6) Amores 1. 3, el. 2, v. 40; De art. ani. 1, 135 sg. (7) Am. 2, 7, 3 sg. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 87 Foeniinis ne gladialores quidem, quos promiscue spectari solemne olim erat, nisi ex superiore loco spedare concessa Athletarum vero spectaculo; pro- segue kSuetonio: nmliebre sexus omne adeo stimmovit, ut ponti fìcalibus ludis pugilum par postulatum distuleril in sequentis dici matutinum lempus, edi- xeritque — mulieres ante horam quintam venire in theainmi non piacere., « L'usanza di Roma divenne generale, almeno nelle regioni italiche: e gli altissimi sedili dei teatri furono chiamati muliebri. Cf. l'iscrizione di Terni ap. Ordii 3279: OPVS . THEATRI . PERFECT . IN . MVLIEBRIB . AERA- MENTIS . ADORNA VER. e) « Dai citati versi di Calpurnio, sulla sordida turba pulla veste, ar- guisco che anche gli scapoli debbono essere stati rilegati lassù ; e mi sembra che a questa speciale classe accennino gli scrittori, usando la voce pidlali. Stazio, silv. 1, 6, 4.3, parlando delle largizioni di Domiziano, conferma indiret- tamente questa triplice divisione: una vescitur omnis ordo mensa: parvi, fe- niina, plebes, eques, senatiis. 9. Militari. « È ragionevole il credere che i gregari dei corpi di mi- lizia stanziati in Roma, i pretoriani, gli urbani, i peregrini, i vigili, i misenati, i ravennati, ecc. avessero posto fìsso nell'anfiteatro, come lo avevano senza dubbio negli altri luoghi di spettacolo. Cf. il militem secrevit a populo del re- golamento di Augusto. I corporis custodes, gli equites singulares avranno forse avuto una distinzione speciale. « Le epigrafi dei sedili fin qui citate sono quelle che possono con proba- bilità 0 con certezza attribuirsi ad un dato ordine o gruppo di spettatori, ma non sono tutte ». Fin qui l'illustre Lanciani. Le sigle ed i numeri, d'epoca buona, che si leggono sulla fronte di altri gradini marmorei, li riporteremo nell'Appendice IL * Il Curiosimi urbis ci assicura che nell' Anfiteatro Flavio v' erano 87,000 posti, loca: Regio III. Isis et Serapis. Continet Monetam, Amphitheatrum qui continet loca LXXXVII. — Questo stesso leggesi nel De Regionihus, il quale ili altro non differisce dal Curiosimi se non in questo: che nel primo il nu- mero dei posti vien indicato in cifi'e, mentre nel secondo s' indica in lettere. Regio III. Isis et Serapis. Cent. Monetam. Anphit. qui capii octoginta se- ptem millia. — Pomponio Leto nel suo Vittore ritiene la stessa cifra. Fra gli scrittori moderni poi ve n' è chi diminuisce d'assai la capacità dell'An- fiteatro, 88 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' ERA VOLGARE Fra questi noto Leon Home, il quale nel suo Lexique de Topographie Romàine (1) scrive: « L'ensemble de la cavea qui pouvait contener de 50,000 a 55,000 personnes. Le chiffre des Regionaires — 87,000 — est evidemment trés exagóré ». L'Huelsen, prendendo occasione dalla scoperta del Vaglieri, (la quale consiste in aver questi riconosciuto che in alcuni luoghi, ove le tavole degli Arvali sono intiere ed hanno il margine antico, il testo finora creduto intiero non lo è, perchè la scrittura fu continuata sul margine di un' altra ta- vola attigua), conchiude che il Colosseo non poteva contenere più di quaranta 0 quarantacinque mila spettatori seduti; e dice che, calcolando che gli spet- tatori pullati (2) fossero altri cinque mila, non si oltrepasserebbe in nessun modo il numero di 50,000 persone. Però osserva che, almeno nell'epoca buona, non fu assegnato nell'Anfiteatro un posto ad hominem, ma che si assegnò alle corporazioni, ai sodalizi, ai collegi sacerdotali, un certo numero di piedi di spazio rispettivamente, lasciandosi ai singoli membri dei collegi stessi il diritto di accordarsi fra loro sulla distribuzione di detto spazio. Sicché se su piedi 5 Vi6> che erano degli Arvali (3), si fossero voluti adagiare due soli sacerdoti, op- pure starvi tre alla stretta, ciò non riguardava affatto l'officiale incaricato della distribuzione dei posti (4). Ammessa l'opinione del eh." Huelsen apparisce chiaro che se (specialmente in caso di spettacoli straordinari) la curiosità avesse fatto occupare disagia- ■ tamente a due persone il posto designato per una, si sarebbe raddoppiato il numero degli spettatori; ossia l'Anfiteatro sarebbe stato materialmente capace di circa 100,000 persone. La cifra pertanto indicata dai Regionari non è as- solutamente esagerata, molto più se si rifletta che il Codice Vaticano n. 3227 del Curiosum, invece di loca LXXXVII ha: capei loca LXXVII. Dai portici del piano terreno dell'Anfiteatro si accedeva ai vari ordini di gradi per passaggi e scale diverse (5). In ogni quadrante dell'ovale dal se- condo giro [2] del portico esterno tre passaggi [3] immettevano nell'ambula- cro [6] sottoposto aXÌ'iter della praecinctio della gradinata dei cavalieri: da quest'ambulacro, per quattro scale [8], si saliva alla gradinata del podio, e per mezzo di dodici passaggi si giungeva all' ambulacro [9], dal quale si ascendeva al ripiano dei subsellia. Inoltre dallo stesso secondo giro [2] del portico esterno, quattro scale [5] ad una branca conducevano all'ambulacro, nel quale s'aprivano i vomitorì della (1) Paris 1900, pag. 15. (2) I quali, come dicemmo, guardavano gli spettacoli dall'alto del portico. (3) Sui gradini del meniano primo. (4) V. Bull, di Arch. Coni. Anno XXII, p. 312-334, (5) Cf. Tav. I, CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 89 giadiluita dei cavalieri; ed altre cinque scale [4] a due branche menavano ai piani superiori, vale a dire alla media cavea, alla stimma ed al portico. Con tal sistema l'immensa folla degli spettatori era ripartita in modo, che questa poteva discendere ed uscire dall'Anfiteatro senza confusione e disordine. Ora, a compire la descrizione dell'interno dell'Anfiteatro Flavio, mi resta a parlare del velario. Lo scopo del velario già l'enunciammo (1): esso serviva a riparare gli spettatori dagli ardenti raggi solari. Plinio (2), dopo aver narrato delle vele di vario colore adoperate nelle fiotte di Alessandro Magno, e di quelle pur- puree che avea la nave con cui M. Antonio andò ad Azio con Cleopatra, dice: « Postea in theatris tantum umbram facere »; le quali parole c'insegnano che, abbandonato nelle navi l'uso di vele colorate, passai-ono queste a far ombra ai teatri. Anche Lucrezio fa menzione di siffatto lusso nei velari: « Et vulgo faciunt id lutea intenta theatris Per malos vulgata tralpesque trementia flutant » (3). II primo che introdusse la tela da navi colorata nei teatri fu, per testi- monianza di Plinio (4), Q.. Catulo, allorquando dedicò il Campidoglio. Questa tela parve troppo rozza a Lentulo Spinter, e nei giuochi apollinari, come scrive il citato autore, usò per primo nel teatro vele di finissimo lino: «. Carbasina deinde vela primus in theatro duocisse ti-aditm- Lentulus Spinter apollina- ribus ludis » (5). Ed infine lo stesso Plinio ci attesta che Nerone adornò le vele con ricami d'oro: Vela nuper colore caeli stellata per rudentes, tet-ra etiani in amphitheatris principis Neronis rubente ■» (6). Sembra che i velari ordinariamente s'incominciassero a stendere in pri- mavera. L'apprendiamo da due avvisi, scoperti in Pompei, scritti in caratteri rossi, nel primo dei quali Numerio Popidio Rufo notificava al pubblico che egli il 29 d'Ottobre avrebbe dato in quella città una caccia, e che il 29 di Aprile l'anfiteatro sarebbe stato coperto con velario. L'altro avviso fu sco- perto sulla Via degli Augustali (7). Relativamente alla struttura del velario, non s'ha a credere che questa sia una cosa tanto facile ad immaginarsi come comunemente si ritiene. Fino (1) Cf. Introd., p. 12. (2) Hist. Nat., 1. XIX, e. I. (3) Lib. IV, V. 73. (4) Loc. cit. (5) Loc. cit. (6) Loc. cit. (7) Romanelli, Viaggio a Pompei, ecc. Napoli 1811, p. 47. Cf. lo epigr. da me ripor- tate neir Introd., p. 14). 90 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE a pensare che vi dovè essere un'armatura, probabilmente di corde, costituita da duecento quaranta raggi, che partendo dalle travi verticali andassero a rannodarsi ad un ovale centrale più o meno ampio, non vi si trova difficoltà. Ma se si rifletta che il peso dei canapi, delle carrucole, delle tende e delle corde che servivano per tirarle, avrebbe fatto necessariamente calare, e non poco, l'ovale centrale, e fatto rimanere il velario pendente in basso, produ- cendo un pessimo effetto ed una disgustosa soffocazione negli spettatori del portico; siamo costretti a ricercar il modo con cui avranno gli antichi cer- cato di evitare quello sconcio. Per ottenere lo scopo, si dovea far si che l'ovale, e quindi i raggi fossero, per quanto era fisicamente possibile, orizzontalmente tesi: in questo caso le tende, attaccate per un capo all'ovale e fissato per l'altro al disopra dell'at- tico del porticato, avrebbero formato un dolce padiglione dall'alto in basso, producendo un gradevole effetto. Questa tensione (che dovea essere fortissima, a cagione del non interce- dere tra il piano delle testate delle travi e quello dell'attico del colonnato spazio maggiore di tre metri) non si sarebbe potuta ottenere che per mezzo di verricelli, i quali agissero su ciascuno dei duecento quaranta raggi. Il Canina saggiamente opinò che alle travi esterne ne corrispondessero altre all'interno dell'edificio, onde ottenere maggiore resistenza. Erano esse necessariamente collegate insieme per mezzo di traverse, formando tutto un sistema. Ce l'assicura Calpurnio: « Vidimus in coelum trabibus spectacula TEXTIS »: « Coronato di travi in ìin conteste Vidi il superbo Anfiteatro al cielo Surgere • . . . » traduce il Biondi. Alle testate delle travi interne erano fissate robuste carrucole, a fin di mandare verticalmente le funi ad arrotolarsi ai verricelli orizzontali, i sostegni dei quali poggiavano sul pavimento del portico, ed erano assicurati con ar- pioni alla parete di perimetro dell'Anfiteatro. È bene qui notare che le testate delle travi che sostenevano il soffitto del portico e il soprapposto pavimento, oltre ad essere incassate nella cortina del muro di perimetro, poggiavano sopra solidi mensoloni; e questo dimostra che quelle testate dovevano sopportare un peso maggiore di quello d'un soffitto e di un pavimento. Sorge una difficoltà, ed è che qualora si volesse supporre l'ovale centrale non di altra materia che di canapo, sarebbe stata cosa ben difficile fargli pren- dere e mantenere la sua forma regolare. CAPITOLO III. - DESCKIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECO. 91 A rimediare a quest'inconveniente, si potrebbe immaginare l'ovale cen- trale formato di una zona orizzontale di piastra metallica, di una sufficiente consistenza e del minor peso possibile; immaginandone inoltre la periferia esterna non maggiore di quanto era necessario per attaccarvi le duecento qua- ranta funi, e (perchè la sua massa fosse relativamente minima) composta di due fasce riunite a traliccio. A questa zona metallica si sarebbero fissati due- cento quaranta anelli, onde attaccarvi gli uncini legati ai capi dei canapi. Agli anelli avrebbero fatto capo altre duecento quaranta corde che, discendendo in dolce curva fin sopra l'attico del portico, avrebbero servito di guida al di- stendimento e raccoglimento delle vele. Una corona di metallo dorato, dalla quale scendessero vele cerulee or- nate di auree stelle; padiglione degno dell'imponente cavea ove tutto era splendore: « sic undique fulgor perciissit » (1), sarebbe, non v'ha dubbio, una. brillante idea! Ma si sarebbe potuta attuare?... La risposta la dovrebbe dare il calcolo, al quale né io ho tempo di consacrare, né, credo, varrebbe la pena di consacrarvelo, restando la cosa in ogni modo nel campo delle ipotesi. L'operazione di tendere il velario si eseguiva sul terrazzo soprapposto al portico, ed era affidata a' soldati di marina. Lampridio (2) scrive: « Sane qiiuni UH saepe pugnanti, ut deo, populus favisset, irrisimi se credens, populum romanum a militibus classariis qui vela ducebant in amphitheatro interimi praeceperat > ; e questi marinai fu- rono certamente i Misenati, perchè essi avevano il loro quartiere nella stessa regione dell'Anfiteatro. Nel Curiosimi e nel De Eegionibus leggiamo : III Re- gio.... Castra Misenatium. Preziosa indicazione topografica, la quale, mentre ci rende certi della vicinanza del quartiere dei Misenati all'Anfiteatro, dà pur anche valoi;p alla scoperta di un frammento d' iscrizione, in cui si fa menzione dei Castra Misenatium, rinvenuto dall' Henzen tra le schede del Fea, nelle quali si attesta che il frammento fu scoperto fuori della parte semicircolare delle terme di Tito (3), ossia poco lungi dal nostro Anfiteatro. La situazione del quartiere dei marinai della flotta di Ravenna (in Tra- stevere, presso la naumachia di Augusto, al servizio della quale erano desti- nati quei militi) rafforza l'argomento desunto dalla vicinanza del quartiere dei Misenati all'Anfiteatro Flavio, e prova che essi appunto erano i classarli de- stinati a tendere il velario. Nel 1776, alle radici dell' Esquilino verso il Colosseo, ài rinvenne un raro anemoscopio di marmo, il quale fu trasportato al Museo Vaticano, e tuttora si (1) Calp., loc. cit. (2) In Coììim. (3) Di Traiano. Ann. deWIslit. 1862, p. 64. 92 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'EKA VOLGARE ammira sulla Loggia del Belvedere. Esso consiste in un prisma dodecagonale, largo (da faccia a faccia) m. 0,555, e alto m. 0,30: gli spigoli, formati dalle facce laterali, sono adorni di un risalto cilindrico di m. 0,03 di diametro; e sulla faccia superiore (orizzontale), ai quattro punti cardinali, sono incisi in bella paleografia le seguenti parole: MERIDIES - SEPTENTRIO - ORIENS - OCCIDENS . (V. Fig. .9°). Rapporto 1 : iO Fig. 8.' Nel centro v' è un foro circolare del diametro di m. 0,045 : in esso fu in- trodotta l'asta della banderuola, e tuttora si vede l'impiombatura. che la fis- sava. Dal residuo dell'asta che rimane incassato nel foro, sappiamo che la grossezza di detta asta era di m. 0,025. (V. Fig. 4"). Sulle facce laterali vi sono incisi in caratteri molto spontanei, ed anche belli, i nomi dei venti (in greco ed in latino) in questo modo: ZE4>I POS FAVO NIVS (V. Fig. 5») Questo raro istrumento trovato presso il Colosseo, appartenne alla Mole dei Biavi? CAPITOLO IH. • DESCRIZIONE DELL* INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 93 Non sarebbe certo irragionevole opinare, che, sull'alto dell'Anfiteatro, vi fosse stato un indice esatto dei venti per norma del comandante dei Misenati; affinchè questi, conosciuta con certezza la direzione del vento, potesse (qua- lora impetuoso) dar ordine o di tendere le vele soltanto da quella parte in cui rimanevano a riparo, ovvero, se già distese, ordinare di ritirare quelle che si trovavano nella direzione del vento. La forma del velario richiedeva senza dubbio una sorveglianza diligente: poiché la grande apertura centrale ZE9 PC $ hi WS Mmmmmmmmmmmmmm^m^^^^m', Fìg. 4.^ lasciava libero adito ai venti; e questi, se si fossero introdotti sotto il velario ed avessero invaso la parte che trovavasi di fronte, avrebbero fatto sollevare violentemente le vele, le quali, agitandosi soverchiamente, avrebbero recato non poca molestia agli spettatori e causato gravi danni. Che il vento potesse danneggiare gli edifici destinati ai pubblici spettacoli, si può ragionevolmente argomentare dalla stessa loro struttura a cielo aperto : e che talora il vento l'abbia realmente danneggiati, lo possiamo dedurre da Plauto, il quale nella sua commedia « Curcullio » (1), fa narrare alla giovane Planesium, ciò che a questa accadde allorquando, ancor fanciulletta, assistè agli spettacoli dioni- siaci, ove aveala condotta Archestrata sua nutrice. Non appena questa avea (1) 5, 2, 47. 94 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE adagiato la fanciulletta nel teatro, levossi un vento tanto turbinoso, che pose a soqquadro l'intiero edificio (1). La forma &&\\' anemoscopio rinvenuto presso il Colosseo è adattissima per ottenere il fine sopra indicato. Occorreva infatti che \\ comandante avesse sott'occhio e quasi direi, stando a tavolino, la Rosa dei ' venti, e vedesse la direzione dei medesimi. Pertanto sarebbe stato necessario che il prisma dode- Fig ò." cagonale marmoreo stasse sul terrazzo dell'Anfiteatro, nel senso del meridiano astronomico locale, e sopra un piedistallo alto 90 centimetri circa: vale a dire, collocato in modo, che, una persona in piedi, volendo, avesse potuto vedere comodamente il piano superiore dell' istrumento e leggere agevolmente i nomi dei venti incisi sulle facce laterali (2). E perchè, guardando la faccia supe- (1) Questo fatto fu inventato da Plauto, ma verisimile ; né può dirsi cosa che non potè accadere, o che non fosse mai accaduta. (2) Cosa peraltro non necessaria ad un nocchiero, cui (posti i quattro punti cardinali) bastava vedere Vindice fermato in uno qualsiasi dei lati della faccia dodecag'og'ana superiora CAPITOLO IH. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 95 riore dell' istrumento, si potesse vedere la precisa direzione del vento, io con- getturo che la banderuola fosse fissata ad un cannello metallico lungo quanto l'asta; che il cannello fosse appoggiato liberamente sulla punta dell'asta, ed in basso munito di un indice orizzontale, il quale, secondando il movimento della banderuola, avrebbe mostrato sul piano, la direzione del vento. La ban- deruola poi, avrebbe dovuto superare l'altezza dell'attico dell'Anfiteatro, af- finchè potesse esser mossa liberamente da ogni vento; e la grossezza dell'asta è tale, da potersi innalzare con ogni solidità fin oltre a due metri; altezza che, aggiunta a quella del piedestallo e del prisma soprappostogli, avrebbe permesso alla banderuola di superare l'attico di un metro e mezzo almeno. Liv cura di evitare la violenza molesta del vento e i danni dei quali spesso è causa, non è cosa nuova presso gli antichi. Vitruvio prescrive che nell'edi- ficazione di una nuova città, s'abbia riguardo alla direzione dei venti; e vuole, che, costruita la cinta, nel centro dell'area da questa racchiusa, si descriva, sopra tin levigato piano di marmo (da lui chiamato « marmoreum amus- sium), orizsontalmente disposto {ovvero sul suolo stesso spianato a perfezione e livellato), la Rosa dei venti; e db, a fin di stabiliì'e la direzione delle vie e delle piazze tra l'una e l'altra regione degli otto venti principali; e per liberare da molestia i cittadini e da malanni la loro salute (l). In conclusione: se in tutti gli antichi teatri ed anfiteatri era cosa pru- dente prevenire i pericolosi effetti del vento, nell'Anfiteatro Flavio era di ne- cessità assoluta. Se quell'immenso velario, a tant'altezza, si fosse lasciato senza sorveglianza e a discrezione dei venti, si sarebbe facilmente potuto ivi veri- ficare il fatto immaginato da Plauto: « Exoritur ventus: turbo: spectacula ibi ruunt ». Questa necessità evidente, e la prudenza degli antichi, special- mente nelle cose pubbliche, mi hanno indotto a congetturare che (\v\e\Vane- moscopio rinvenuto in prossimità del Colosseo, sia appartenuto alle Mole Ve- spasianea per la sorveglianza del velario. E la mia congettura trova appoggio nella bella paleografia delle quattro parole incise sulla faccia superiore del- V anemoscopio ; paleografia che, per la forma e regolarità delle lettere, può convenire benissimo all'età dei Flavi. Anche le lettere dei nomi dei venti, si potrebbero forse riportare a quei tempi; perchè, quantunque siano state ese- guite con minor cura e con una paleografia che tende al corsivo, pur nondi- àoW'anemoacopio, per sapere quale dei dodici venti soffiasse; e neppure gli era necessaria per raggiungere lo scopo suddetto, giacché bastava die egli conoscesse la direzione del vento (qualunque esso si fosse) per dare gli ordini opportuni. (1) ViTRuv. De arch. lib. I, cap. VI, 55. Tìim per anyulos inter duas ventorum regiones, et platearum et angiportoruni videntur debere dirigi descriptiones. His enim rationihus et ea divisione exclusa erit ex habitationibus et vicis ventorum vis molesta. Oum enim plateae cantra directos ventos erunt conformatae, ex aperto coeli spatio impettis ac flatus frequens conclnsus in faucibus angiportoruni veìiementioribus viribns pervayabitur. 96 PAKTE 1. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL' ERA VOLGARE meno sono di buona forma. Che se taluno volesse ritenere quei caratteri per un'opera posteriore all'età dei Flavi, non credo che potrebbe farli discendere più giù degli inizi del secolo terzo; ed in questo caso si dovrebbe conchiu- dere, che i nomi dei venti furono incisi ai tempi dei grandi restauri fatti da Eliogabalo e Severo Alessandro nel nostro Anfiteatro. * * * Dopo d'aver contemplato cosi minutamente questa stupenda mole, sorge spontaneo il desiderio di sapere chi ne fosse l'architetto. Vana speranza: il nome di questo grande giace sepolto in un oblio inesplicabile. Il silenzio dei classici e degli antichi scrittori reca veramente maraviglia! Lo stesso Mar- ziale, che tanti epigrammi dedicò al Flavio Anfiteatro, non ne fa parola. Chi mai fu quell'ingegno sublime che diresse questa grandiosa e sontuosa opera? È questa la domanda che in tutti i tempi, e sempre indarno, si è fatta costantemente dai dotti; questo l'oggetto perenne di congetture, questioni e dispute infruttuose. Non possediamo documento certo; e finché questo non ap- parisca, l'architetto del Colosseo ci sarà sempre ignoto. Nondimeno, per ra- gione di storia, riporteremo qui le differenti opinioni, lasciando a ciascheduno la piena libertà di accettare quella che crederà più verisimile. Giuseppe Antonio Guattani (1) scrive: « Gli intendenti non lasciano di censurare le parti di quest'edificio (del Colosseo), trovandovi profili inesatti, modinature cangianti di altezza, di misure e distanze non corrispondenti. Al Serlio piacquei'o si poco tutte le cornici, che le chiamò tedesche (!), deducen- done che l'AROHiTETTO fu Sicuramente un tedesco ». In nota poi aggiunge: « Marziale, ne fa autore un certo Rabirio, architetto della casa di Domi- ziano, perchè di tutta la fabbrica vorrebbe darne l'onore a quell'Augusto, il di cui pane mangiava. Ma è a tutti noto il dolce stomachevole di quel suo epigramma. Se ne fa generalmente autore un certo Gaudenzio cristiano, in vigore di una iscrizione (che trovasi) nel sotterraneo di S. Martina ; oscura per altro, e che poco persuade ». Dalle parole del Guattani rileviamo chiaramente che il preteso architetto dell'Anfiteatro o fu un tedesco, o fu Rabirio, o, finalmente, un cristiano di nome Gaudenzio. La prima opinione è del Serlio, Che Vespasiano si fosse servito di un te- desco, non sarebbe cosa da recar maraviglia. Le province Germaniche erano già soggette all'Impero, ed uno schiavo di quelle regioni, reso libero, potè be- (1) Loc. cit., Tom. II, p. 7. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL,' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 97 nissimo servire l'Imperatore in qualità di architetto. L'opera di artisti liberti l)restata ai reggitori dell'Impero non è una novità per gli archeologi. Ma dedurre assolutamente la nazionalità dell' architetto dalle modinature è un po' troppo ! Molto più che la fretta con cui furono eseguiti i lavori dell' Anfi- teatro, tradi il pensiero dell'architetto. Forse un anacronismo trasse il Serlio a quella conclusione, credendo di vedervi rispecchiate le goffe cornici gotiche degli edifici settentrionali dell'epoca, come si suol dire, antico-moderna. La seconda opinione ne fa architetto Rabirio. I sostenitori di questa s'ap- poggiano al LV epigramma del lib. VII di Marziale, il quale dice: « Astra polumque tua cepisti mente, Rablri, Parrhasiam mira qui struis ante donmm; Phidiaco si dig-na Jovi dare tempia parabit Has petat a nostro Pisa Tonante manus » . Ma chi non vede che qui Marziale non parla dell'Anfiteatro, bensi della costruzione di una domum diretta da Rabirio, il quale era architetto non di Vespasiano ma di Domiziano'^ E chi ignora che quando «nell'anno 80 fu so- lennemente dedicato (l'Anfiteatro) esso era stato recato a compimento, salvo forse nei particolari dell'ornamentazione, i quali saranno stati perfezionati dal Domiziano » ? (1). La terza opinione, finalmente, sostenuta dal Marangoni e da altri scrittori, attribuisce la direzione del nostro augusto monumento ad un cristiano di nome Gaudenzio. Il Nibby (2) dice che ai suoi tempi « i più s'inclinavano ad accettare quest'opinione ». I moderni però la rigettano unanimemente. Ciò che fece credere al Marangoni e a tutti i seguaci di quest'opinione che fosse Gaudenzio l'architetto dell'Anfiteatro Flavio, fu una lapide con iscri- zione cristiana rinvenuta nel cimitero di S. Agnese (3). Riporto qui le parole del Bellori contemporaneo della scoperta: « Non pigeat hic inscriptionem ve- terem advertere quae Amphitheatri Flavii architecto adscribitur, elapsis annis reperta erutaque in coemeterio divae Agnetis via Nomentana.... ncque spuria reque recens, sed orthographia et caractheres longe sequiorem Vespasiano Au- gusto aetatem indicant » (4). La paleografia di questa lapide, la quale, come dice il Muratori, già esi- steva presso Pietro da Cortoìia e schedis Ptolomaeis, ci riporterebbe (secondo (1) Cfr. Lanciani, loc. cit., p. 274, (2) Loc. cit., p. 400. (3) V. Aringhi, Rom. Soft. Tom. IV, p. 1878, n. 4. — Marangoni, Memorie storiche dell'Anf. Flavio, p. 27. — Venuti, ecc. (4) Bellori, Vestigia Vet. Rom. Tav. XXVIII. 98 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE il Nibby) (1) al secolo V dell'orca volgare; ed il Nibby stesso aggiunge che l'iscrizione non dichiara che Gaudenzio fosse l'architetto, ma che solo si può dedurre aver Gaudenzio la- vorato in quest'Anfiteatro. Detta epigrafe non è stata mai pubblicata conforme all'originale. Il Marangoni, il Visconti, il Marucchi, ecc., ce la presentano in caratteri comuni di stampa; e benché l'abbianoripi'odotta esattamente ri- guardo alla disposizione delle parole, sono stati inesatti riguardo ai segni, i quali' dal Marangoni e dal Marucchi furono espressi tondi, e dal Visconti in forma di lunghi apici. L'Aringhi, il Venuti, il Nibby, il P. Scaglia ed i recenti Bollandisti la riproducono altri in caratteri comuni di stampa (come il Nibby, il Venuti ed i Bollandisti), altri in un facsimile arbitrario (come l'Aringhi ed il P. Scaglia); ma tutti inesattamente in quanto alla dispo- sizione delle parole. Solo l'Aringhi ed il P. Sca- glia esprimono con più verità degli altri la forma degli apici. Ora avendo io fortunatamente saputo es- sersene testé fatto un calco dal Sig. Attilio Me- nazzi (una copia del quale si conserva nel- l'Accademia di S. Luca) ed avendone potuto avere una fotografia, posso presentare l'iscri- zione nella sua reale genuità. (Vedi Fig. 0"). Nel Gori (2) leggo : « Una lapide marmo- rea, rinvenuta nelle catacombe di S. Agnese lungo la via Nomentana, parlando in nome di un Gaudenzio costruttore di un teatro del cru- dele Vespasiano, e che in luogo di essere pre- miato dalla città da lui nobilitata col detto mo- numento, fu condannato a morte pella sua reli- gione cristiana, indusse nel Marangoni l'opi- nione che fosse costui l'architetto del Colosseo. Ma in primo luogo la paleografia irregolare (1) Loc. cit. (2) Loc. cit., p. 11. CAPITOLO ni. - DESCRIZIONE DELL'INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 99 e scorretta di quest'iscrizione che ho nuovamente copiata nel sotterraneo di S. Martina, indica chiaramente che non ò dell'epoca di Vespasiano o de' suoi figli, ma sibbene del V secolo riproduzione forse di qualche leggenda popolare contraria alla verità storica (sic); giacché Vespasiano punì i giudei per la loro ribellione, non perseguitò mai i cristiani, nemici naturali degli ebrei. In secondo luogo in detta iscrizione si parla non dell'Anfiteatro Flavio, ma di un teatro costrutto da Vespasiano (?) non si sa in quale città ». Il Marangoni (1), dal canto suo, ragiona così: « Ella è cosa di riflessione, come, essendo l'opera di questo Anfiteatro cosi eccellente per l'architettura, e di ammirabil lavoro, e giudicata da Marziale molto più pregevole di tutte le più celebrate maraviglie del mondo, né egli né altri scrittori di quel secolo e de' susseguenti abbiano fatta memoria del suo ingegnosissimo architetto. Mar- ziale stesso, che visse nei tempi di Vespasiano, di Tito e di Domiziano, ce- lebra con elogio ben singolare quella di Rabirio, architetto di Domiziano, per la fabbrica di un palagio sul Palatino, dicendo che avendola eretta emulatrice del cielo conveniva dirsi che la di lui mente avesse penetrato il cielo e com- presa la nobiltà e bellezza degli astri, avendo fabbricata una casa ad essi so- migliantissima ('2). Or quanto più degnamente, e con tutta giustizia, avrebbe dovuto immortalare il nome e la memoria dell' architetto di questa grande ed ammirabile opera dell'Anfiteatro, uomo senza dubbio a quei giorni celebratis- sirao, ed anche da sé conosciuto. Siami pertanto lecito di attribuire questo si- lenzio all'odio di questo ed altri scrittori Gentili di que' secoli, che alla cri- stiana religione portavano, invidiando si bella gloria al grande architetto dell'Anfiteatro, per essere egli Cristiano, e per tal cagione ancora martire di Gesù Cristo. La congettura (prosegue) sembrami non mal fondata sopra un' antica iscrizione in marmo, delia lunghezza di sette palmi e poco più di uno largo, che serbasi nella Confessione della chiesa di santa Martina alle radici del Cam- pidoglio.... Le lettere di questa lapide non sono di eccellente scultura, benché fatte in tempo di Vespasiano, in cui fiorivano in Roma le buone arti; e molte pa- role di essa non sono staccate: ma ciò non dee recar maraviglia, posciaché non poterono i. fedeli, fra le loro angustie, fare scolpire questa iscrizione da qualche eccellente maestro gentile; e perciò anche quasi tutti i monumenti cimiteriali sono per lo più di cattivi o non ben formati caratteri, quantunque siano de' tempi migliori. Di questa iscrizione non fece memoria Marsilio Ono- rato, ecc.... ». (1) Loc. cìt., p. 25. (2) Epig. già citato. I 100 PARTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Il tenore dell'epigrafe già noi l'abbiamo veduto. Qui basterà riportarne la traduzione, che lo stesso Marangoni (1) fa nella nostra italiana favella: « Cosi dunque tu premi, o Vespasiano crudele? Premiato sei colla morte, o Gaudenzio. Gioisci, Roma, ove all'autore di tua gloria Promise queg'li, ma ogni premio ti dà Cristo Che altro teatro ti preparò nel cielo » . « Quivi (continua lo stesso Marangoni) (2), si pone la parola theatrum per contrapposto all'Anfiteatro, poiché ne' teatri si rappresentavano cose gioconde e dilettevoli, e negli Anfiteatri spettacoli funesti e sanguinosi. Quindi è che questo Gaudenzio potrebbe dirsi che, essendo cristiano, fosse in premio di aver eretta questa gran fabbrica, con tanta gloria di Roma, da Vespasiano stesso fatto morire. Potrebbesi però opporre che Vespasiano non incrudeli contro i Cristiani; ma a ciò può rispondersi che anche sotto di lui non mancarono mar- tiri; poiché, sebbene non rinnovò editti contro di essi, nuUadimeno continuava la persecuzione di Nerone: imperciocché, per testimonianza del Martirologio Romano, si ha di S. Apollinare vescovo di Ravenna: 22 Julii. « Qui sub Ve- spasiano Caesare gloriosum martyrium consumava ». Inoltre é certo ch'ei fece ricercare ed uccidere tutti quelli ch'erano della stirpe di David (3), e che si eccitò una grande strage e persecuzione contro gli Ebrei (4); e non v'ha dubbio che a quei tempi sotto il nome di Ebrei compresi erano anche i Cri- stiani di Roma, come si ha dagli stessi scrittori Gentili; e specialmente Do- miziano, figliuolo di Vespasiano medesimo, fece morire diversi, qui in mores Judeorum transierant (5), cioè che abbracciata aveano la cristiana fede: quindi è che, stante l'addotta iscrizione, potrebbe argomentarsi che Gaudenzio, per- fetto cristiano, fosse stato l'eccellente architetto dell'Anfiteatro Flavio.... ». Questa opinione del Marangoni piacque al Marini, e la disse elegans (6). Ma i moderni, ripeto, la rigettano unanimemente; ritengono la lapide per falsa, e molti attribuiscono la falsificazione a Pirro Ligorio. A dire il vero, quando comparve la lapide, Pirro Ligorio era già morto da più di un mezzo secolo: sarebbe stato meglio l'avessero questi attribuita ad un redivivo Ligono, come si espresse il De Rossi a riguardo delle poche lapidi cristiane falsificate. « Nunquam in christianis epitaphiis acclaraatio ad impera torem apparet » scrive il P. Sisto 0. C. R. (7), nelle sue Notiones Archaeologiae Christianae. (1) Loc. cit. (2) Loc. cit., p. 28. (3) EuSEB., Hist. Eccl., 1. 3, e. 15. (4) Bar., Ad Ann., 74. (5) Dio., 1. 67. (6) Marini, Aptid Mai, Script, vet. nov. coli. Tom. V, p, 380. (7) Voi. I, pars prior, p. 418. CAPITOLO III. - DESCRIZIONE DELL' INTERNO DELL'ANFITEATRO ECC. 101 La foi'ina delle lettere, aggiunge il Marucchi, i segni d'interpunzione, l'intiero testo, rivelano la falsità dell'iscrizione (di Gaudenzio) « (1). È certo che la paleografia di quest'epigrafe, come pure la sua dicitura, non è affatto ordinaria; e nessuno potrà senza dubitarne asserire, come fece il Marangoni, che quella lapide sia dei tempi dei Flavi. Ma chi ne sarà stato l'autore? A quale scopo questa falsificazione? Non forse per speculazione, come fanno gli odierni spacciatori di andclrità? Ovvero per ingannare i posteri?... Nell'uno e nell'altro caso dobbiam dire che il falsificatore noli si sarebbe ma- nifestato molto atto ed esperto nel suo vile officio. Difatti, o che la lapide sia stata falsificata a scopo di lucro, o a fine d'ingannare; in ambedue i casi il falsificatore avrebbe dovuto imitare un po' meglio la paleografia e lo stile del- l'epoca. Oltre a questo perchè nasconderla e sotterrarla nel cimitero di S. Agnese? A suo luogo (2) esamineremo particolareggiatamente tutte e singole le opi- nioni, e vedremo il loro valore. Fin d'ora però dobbiamo dichiarare arbitraria l'osservazione del Gori (3); giacché la lapide « Sic premia servas » non può essere « una riproduzione di qualche leggenda popolare contraria alla verità storica »; e non può essere per la semplicissima ragione che la wWM storica circa l'architetto del Colosseo è finora ignota a tutti. (1) Elevi, d'archéol. chrétienne, voi. I, p. 20 Cf. Deleuaye, L' amphithéàtrc Flavien, etc. ap. Aìialecta Bollandiana, t. XVI, 1897, p. 216. (2) Parte IV, Quesiione 4. (3) Loc. cit. CAPITOLO QUARTO. Spettacoli celebrati nell'Anfiteatro Flavio dall'inaugurazione al secolo VI, ed abolizione dei medesimi. K EL capo primo già descrìvemmo le sontuosissime feste celebrate in Roma, in occasione dell'inaugurazione dell'Anfiteatro fatta da Tito nell'anno 80 dell'era nostra. Ora passiamo a incordare gli spettacoli che vi diedero i suoi successori, fino al secolo VI. Domiziano (81-96), figlio di Vespasiano e fratello di Tito, fece celebrare durante il suo impero, sontuosi spettacoli in quell'Anfiteatro, che egli avea por- tato a perfetto compimento. Di questi giuochi ce ne parla Suetonio(l); e fra i vari spettacoli vi fu pur data una pugna navale. Ma avvedutosi Domiziano che l'Anfiteatro non si prestava ai grandi combattimenti navali, fé costruire presso il Tevere una naumachia, il cui materiale fu poscia impiegato da Traiano al risarcimento dei due fianchi del Circo Massimo, che s'erano incendiati (2). In questa naumachia si potevano azzuffare delle vere flotte (3); ma tali giuochi non son da confondersi con la pugna navale che Domiziano die nell'Anfitea- tro Flavio. Domiziano amò assai le venationes e gli spettacoli gladiatori; e talvolta, perfin di notte, alla luce delle faci, assisteva ai certami esibiti non solo dagli uomini ma pur dalle donne ; e per tutto il tempo degli spettacoli intrattene- vasi, talor seriamente, con un fanciullo, puerulus, che gli stava ai piedi ve- stito di scarlatto, coccinatus, e che era una maraviglia per la sua portentosa sebben piccola testa (4). (1) In Domit., e. IV. (2) SuET. in Dom. e. V. (3) SuKT., loc. cit.; Marx. De spect. ep. IV, XXII. (4) SuBT. in Domit. 4. « Spectacula assiduo magnifica et sumptuosa edidit non in Am- phitheatro modo, verum et in circo ; ubi practer solemnes bigarum quadrigarumque cursus praelium etiam duplex, equestre ac pedestre commisit; at in Amplùtheatro navali quoque. 104 PAKTE I. - DALLE OKIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE Io penso che questo fanciullo portentoso parvoque capite, prediletto da Domiziano e col quale fahulabatur nonnumquani serio, possa essere 1' undi- cenne Q. Sulpicio Massimo coronato dallo stesso Domiziano in Campidoglio, per avere, nel concorso poetico indetto nel terzo lustro o certame dell'agone capitolino, riportato l'onore del primato sopra cinquantadue competitori, gre- camente poetando: il cui sepolcro venne in luce nel 1871 nel demolire la torre destra della Porta Salaria (1). Un dì, seduto sulle gradinate dell'Anfiteatro, trovavasi un padre di fami- glia, il quale, parlando, asserì che « un Trece o Mirmillone, non poteva pa- ragonarsi a quel gladiatore che allora dava uno spettacolo al popolo ». Risa- putolo Domiziano ordinò che dai gradus quegli passasse tosto nell' arena, e divenisse preda dei cani. Dietro le spalle gli mise la scritta: « Empiamente ha parlato questo parmulario », ossia fautore dei Traci, i quali, come si disse nell'introduzione, erano armati di parma (2). Marziale (3) scrisse l'ultimo epigramma dopo la morte di Domiziano; poi- ché dice di lui che più giovevole cosa sarebbe stata alla gente Flavia il non avere avuto i due degnissimi Imperatori Vespasiano e Tito, che l'aver sortito questo terzo Cesare, malvagio e scelleratissimo. Domiziano fu uno dei più bravi arcieri (4); talvolta prendeva di mira la palma destra di un fanciullo, che, in lontananza, teneva stesa, e vi diri- geva le frecce con tant' arte da farle passare innocue fra gli intervalli delle dita (5). Nam venationes gladiatoresque et noctibus ad lychnuchos; nec virorum modo pugnas sed et feminarum Ac per oiniie gladiatorutn spectaculuui ante pedes eius stabat puerulus coc- cinatus portentoso parvoque capite, cxim quo plurimum fahulabatur, nonnumquam serio.... Edidit uavales pugnas paene iustarum classiuin, effosso et circumstructo iuxta Tiberini lacu, atque inter maximos imbres perspectavit ■». (1) Cf. Visconti C. Ludovico. Il sepolcro del fanciullo Q. Sulpicio Massimo. - G. Hbn- ZEN, Sepolcri antichi rinvenuti alla Porta Salaria. " Bull. dell'Ist. ,, 1871, p. 98. — L. Ciofi, Inscrìpt. Lai. et Graec. cutn Carmine graeco extemporali Q. Sulpicii Maximi, Roma 1871. — E. Parker, Tombs in and near Rome, Oxford, 1877, p. X. — Lanciani, Pagan and Chri- stian Rome. (2) SUET. ibid., 10. — « Patrem famìlias, quod Threcem Myrmilloni parem munerario imparem dixerat, detractum spectaculis in arenam, canibus obiecit, cum hoc titulo : Impie locutus parmularius » . (3) Se pure fu egli che lo scrisse. (4) SuET., Ice. cit. (B) SuBT., in Dom, 19: « Armonim nullo, sagittarum vel praeeipuo studio tenebatur. Centenas varii generis feras saepe in Albano socessu conflcientem spectavere plerique ; atque etiam ex industria ita quarumdam capita figcntem ut duobus ictibus quasi cornua efflceret. Nonnumquam in pueri procul stantis, praebentisque prò scopo dispensam dextrae manus palmam, sagittas tanta arte direxit, ut omnes per intervalla digitorum innocue evaderent », CAPITOLO IV. - SPETTACOLI CELEBRATI NELL'ANFITEATRO FLAVIO ECC. 105 NoU'anfitoiitro della sua villa Albana te' conibattei'c co^^li strali, da vicino e senza armatura, contro gli orsi della Numidia, Acilio Ghibrione, il quale fu console nell'anno 91 dell'era volgare: Profuit ergo nihil misero qiiod cominiis timon Figebat numidait albana ntidus arena (1). Lo stesso Imperatore uccideva a centinaia le belve di vario genere, e tra queste uccise un enorme leone africano (2). Se giuochi tanto magnifici faceva celebrare in Albano, quanto più son- tuosi non li avrà dati nell'Anfiteatro Flavio? Marziale, che fu il descrittore ufficiale degli spettacoli celebrati sotto i Flavi nel nostro Anfiteatro, ci dà una chiara idea della singolarità e magnificenza dei suddetti spettacoli esibiti al popolo. « Una donna, dice il poeta, vinse ed uccise un leone. Uno dei più grandi facinorosi venne affisso ad una croce, ed esposto non ad un falso orso, come nella commedia di Nevio il mimo ed attore Laureole, sibbene ad un vero orso della Caledonia, che lo sbranò (3). Un condannato, che, come De- dalo, dovea volare per isfuggire agli artigli di un orso, cadde a terra, e fu lacerato dalla belva (4). Un rinoceronte col corno palleggiò un toro (5). Un leone, che avea ferito il suo maestro o mansuetario mentre lo percuoteva, fu per ordine dell'Imperatore, ucciso colle frecce (6). Un orso, che, per difendere la testa dai colpi del bestiario, se la copriva colle zampe anteriori, e, facendo la ruota, fuggiva per la sanguinosa arena; fu costretto a fermarsi, rimasto preso al vischio come un uccello (7). Il bestiario Carpoforo meritò di essere anteposto a Meleagro e ad Ercole, perchè, nello stesso giorno e nello stesso spettacolo, uccise venti fiere: tra le quali due giovenche, un bufalo, un bi- sonte, un orso ed un leone di gran mole, insieme ad un velocissimo pardo (8). Una macchina elevò in alto nel mezzo dell' arena un toro, sul cui dorso era stata imposta l'effìgie di Domiziano camuffato da Ercole (9). Simili macchine si lavoravano, come abbiam detto, nell'officina summum choragium ; ed erano composte con tanta maestria, che da sé medesime si elevavano, mandando in alto i vari piani in esse occultamente contenuti; variavano inoltre di forma, (1) lev., Sat. IV, V. 99, et s«gg. — Secondo Dione (I. LVII, 14) Acilio trafiggeva i leoni. (2) Maut., 1. Vili, cp. LUI. (3) Marx., 1. Vili, ep. VI. (4) Epig. VII. (5) Epig. Vili. (6) Epig. IX. (7) Ibid., ep. X. (8) Ibid., ep. XIV, XXII et XXV. (9) Ibid., ep. XV. 106 PAKTE I. - DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DELL'ERA VOLGARE o svolgendosi le parti che erano unite, o riunendosi per sé stesse le dispie- gate, od abbassandosi lentamente le elevate ; e su di esse apparivano talvolta i gladiatori, fuochi dilettevoli ed altre sorprese di questo genere. Un elefante, dopo aver ucciso un toro, s'inginocchiò innanzi a Domiziano (1); una tigre riusci a lacerare un leone (cosa nuova e non mai prima avvenuta) e un toro, che, stimolato colle fiamme per tutta l'arena, aveva colie corna alzato in aria molti fantocci, pilae, e che rimase in- ultimo ucciso da un elefante, il quale lo palleggiò alla sua volta colla proboscide (2) ». Sotto lo stesso Domiziano venne accomodata l'arena del nostro Anfiteatro in modo da rappresentare Rodope, nella cui sottoposta pianura, come in un teatro, Orfeo cantava, e intorno a lui ballavano scogli e selve con ogni ge- nere di uccelli e di animali mansueti e feroci. Orfeo era rappresentato da un reo, il quale rimase lacerato da un ingrato orso (3). I fanciulli si aggrappa- vano alle corna dei tori; o, correndo essi sulle groppe dei medesimi, agita- vano tela, venabuU ed aste, senza ricevere nocumento di sorta (4). Altri spettacoli somiglianti ci ricorda lo stesso Marziale: spettacoli ma- gnifici e straordinari, che noi, per brevità, tralasciamo di riferire. Traiano amò moltissimo gli spettacoli venatorì e gladiatori (.5) e ne fece dare in gran copia e di magnifici. L'Henzen(6) scrisse: Ipse vero Traianiis, ut vir bellicosus ac fortis, valde iis laetatus est, triumphos suos venationibus ac gladiatorum muneribus magni ficentissimis ornavi t. Pel suo trionfo Da- cico (a. 108) fece combattere nell'Anfiteatro 11,000 belve feroci e 10,000 gla- diatori (7). « Questi spettacoli, dice il Gori (8), ebbero luogo non solo nell'An- fiteatro Flavio, ma anche in quello edificato da Traiano. Pausania infatti scrive, che questo Imperatore costrusse un gran teatro rotondo (9), ossia un anfitea- tro, (?) posto, secondo Sparziano, nel Campo Marzio e distrutto in seguito da Adriano contro il voto di tutti (10), non già perchè Adriano fosse nemico degli spettacoli anfiteatrali, ma perchè si era dichiarato rivale di Apollodoro, cele- bre architetto di cui servivasi Traiano » . (1) Ibid., ep. XVI. (2) Ibid., ep. XVIII. (3) Ibid., ep. XX. (4) Ibid., 1. V., ep. XXXII. (5) Plinio, Paneg. 33, 34; Dio., 68, 10. (6) Dissert. della Pont. Acc. iVArcheol. Tom. XI, p. 80. (7) Dio., 1. LXVIII, 16. (8) Loc. cit. p. 25. (9) Pausania, Descriz. della Grecia, lìb. V, e. XII : - (1). DECIVS MARIVS VEN A NTIVS (sic) BASILIVS V C ET INL PRAEF VRB PATRICIVS CONSVL oRDlNARIVS ARENAM ET PODIVM qVAE ABoMI NANDI TERRAE Mo TVS RVINA PROS TRAViT SVMPTV PRO PRIO RESTITVIT(2) Decio Marco Venanzio Basilio visse ai tempi di Teodorico (3), ed alcuni cronografi fissano la prefettura di Basilio all'anno 508. I restauri dell'arena e del podio si praticarono probabilmente dal Prefetto della Città poco prima dei giuochi venatorì esibiti da Cillica. Nel Marangoni (4) si legge : « Il sig. cav. Maffei (5) dice essere stato scritto che mons. Ciampini possedesse un' iscrizione, in cui facevasi memoria (1) Fba, FafiH, XLV; 0. I. L. VI, 1716 b. (2) C. I. L., V. 2, ve ; V. 5 ABO : v. 6 MO : ^ v. 9 RE. (3) Marini, Difesa, 157 ; cf. il Fea : Ammonizioni, 31 ; il De Rossi, Ann. Insf., 1849, 340 etc. (4) Loc. cit., p. 44, n. XLV. (5) Lib. I, e. V. CAPITOLO V. - l'anfiteatro FLAVIO UANNEGGIATO E KESTAUKATO i;}3 di un risarcimento del Colosseo fatto da Teodorico : ina clic avendo egli pregato mons. Bianchini .... questa iscrizione non si è potuta trovare »(1). L'iscrizione era verosimilmente uno dei soliti sigilli figulini : ^ REG . D . N . THEODERICO . FELIX . ROMA ovvero BONO . ROME (2) (1) Il eh. Grisah (lioma alla fine del mondo antico, Roma 1908, pag. 466) scrive: Nel- l'auiio 508 Tcoderico fa riparare il Colosseo, che da un terremoto avevta patito dei guasti ». (2) Cf. la Silloge nmriniana, n. 149 e seg. PARTE II. DAL SECOLO VJ AL MEDIO EVO. CAPITOLO PRIMO. li Colosseo - Origine di questa voce. S.: 7ÒRTE le ostilità fra i Goti e l' Impero d'Oriente, Roma andò soggetta per venti e più anni a gravissimi mali. Non pare perciò probabile che in quel tempo il popolo romano pensasse ai giuochi ed ai pubblici divertimenti. Svani pian piano l'uso degli spettacoli anfiteatrali; e la grande e venerabile mole dei Flavi rimase inutile e quasi abbandonata: cosi principiò a sofltrire gli in- sulti degli uomini e dei tempi. Quando nell' anno 663 l' Imperatore Costantino III venne in Roma, l'An- fiteatro Flavio conservavasi ancora intatto. Costantino depredò i bronzi dei romani monumenti: « XII dies in ci vitate Romana perseverans (Costantinus), omnia quae erant in aere ad ornatum civitatis deposuit; sed et ecclesiae san- ctae Mariae ad Martyres quae de tigulis aereis erant discoperuit et in regia urbe cum alia diversa quas deposuerat direxit » (1). Costantino III fu dunque causa della mancanza degli oggetti di bronzo che si è verificata in quasi tutti gli scavi praticati nel nostro Anfiteatro; e probabilmente fu pure ai tempi di queir Imperatore che scomparvero i clipei di bronzo e le coperture delle travi esterne del velario: anzi, con ogni vero- simiglianza, fu egli stesso il rapitore della famosa statua colossale ricordata da Marziale, e che noi scorgiamo raffigurata sulle medaglie di Gordiano III, posta sopra un basamento, quasi di contro alla Mèta Sudante. È vero che li presso, come scrive Flaminio Vacca (2), fu rinvenuta una testa colossale di (1) Lib. Pont. edit. Duchbsnb, in Vitaliano, p. 343. (2) « Quella testa di bronzo, d'Augusto, e la gran mano che tiene la palla, mi fu detto essersi trovata avanti il Colosseo appresso la Mèta Sudante ». Vacca, Memorie n. 71. 136 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO bronzo (1), rappresentante, secondo il parere di alcuni, Commodo; ma quel rinvenimento non può fare ostacolo alla supposizione accennata, perchè quella testa, secondo il giudizio degli scultori, e come leggesi nel Venuti (2), non corrisponde alle misure del Colosso lasciateci dagli scrittori antichi. Se la famosa profezia attribuita al Ven. Bada fosse autentica, e se l' in- terpretazione che ne danno alcuni storici antico -modeìmi fosse giusta, noi potremmo ritenere che nel secolo Vili l'Anfiteatro Flavio si conservasse an- cora integro. Ma poiché oggi si dubita dell' autenticità di quel passo (3), ed è ben diversa l' interpretazione che vari storici contemporanei ci offrono di esso; non potrà sentenziarsi sull'integrità dell'Anfiteatro nel secolo Vili, fino a che sulla profezia di Beda non si sparga nuova luce. Sappiamo nondimeno che in quel secolo la celeberrima mole dei Flavi incominciò ad esser chia- mata, anche da scrittori seri, indifferentemente Amphitheatrum e Colosseum. 'Nell'Itinerario di Einsiedeln (4) leggiamo infatti: « Palatilo traiani. Amphi- theatrum »; nel Libro Pontificale invece (5) troviamo: «^ Colosseum ». Si disputa fra i dotti se l'Anfiteatro Flavio abbia avuto il nome di Co- losseo per la grandiosità della sua mole, ovvero se questa voce abbia tratto origine dal vicino Colosso di Nerone (6); o se finalmente tal denominazione abbia avuto principio dalla posizione topografica del monumento: vale a dire, se r etimologia del Colosseo, il quale « trovavasi nella regione d'Iside e Se- rapide », provenga dalla corruzione della voce Collis Isaeum (7). Riportiamo le ragioni dei singoli scrittori, ed esaminiamo le loro sen- tenze. Il Donati, il Nardini, il Ficoroni, il Venuti e generalmente tutti i topo- grafi di Roma fino al Nibby, opinarono che « Colosseo » derivi dal Colosso di Nerone, che sorgeva prossimo all'Anfiteatro Flavio, e che quel nome sia stato usato per la prima volta nei secoli barbari. (1) Si conserva nel Campidoglio. Nel 1440, per testimonianza di Biondo da Forlì, tro- vavasi nel Laterano. (2) Deseriz. topog. delle antichità di Roma, part. I, e. 1, p. 4B. (3) DuCHESNE, Lib. Pont. tom. I, in vita Stephani III, nota 23, p. 482: « Colosseo — La primière mention du Colisèe sous ce nora, si toutefois, le biographc a voulu parler de l'amphithéàtre, lui-mème et non pas du colosse voisin, d'où il tire son nom. L'ouvragc de Bèda, d'où l'on cite (Nibby, Roma antica part. I, p. 410) une prophétie sur la durée du Colisée, de Rome et du monde, est manifestement apocryphe: Quandiu stat CoUsaens, stat et Roma ; Quando cadet Colisaeus, cadet et Roma : Qtiaiido cadet Roma, cadet et mnndtts, (MiGNB, P. L. tom. XCIV, p. 543) ». (4) Urliohs, Codex Urbis Romae, topog. p 74. (5) In vita Steph, III, Edit. Duchbsnb, p. 472. (6) Cf. Jordan, Topogr. 2, p. 510. (7) Cf. Parisotti, Del culto d'Iside e Serapide in Roma, Tip. Vat. 1888; Corvisibui, ap. « Il Buonarroti » serie lì, voi. V, Marzo 1870, p. 68 e segg.). CAPITOLO I. - IL COLOSSEO - ORIGINE DI QUESTA VOCE 137 Questi archeologi vedevano tanto limpida detta derivazione, da credciiie inutile un' opportuna dimostrazione. — Che il Colosso di Nerone fosse celebre nell'antichità, ce l'attesta il ricordo che, con segni di vera ammirazione, ce ne trasmisero gli storici ed i poeti; e più ancora lo deduciamo dalla festa annua che ai 6 di Giugno celebravasi in suo onore e che ci è stata traman- data dal Calendai'io Filocaliano colla frase: Colossus coronattts. Questa festa fu probabilmente istituita in memoiia della dedicazione di quel Colosso al Sole, allorquando Vespasiano, daninatis sceleribus illius principis, cioè di Nerone, lo coronò con sette raggi colossali (1). Ma non sembra credibile che quei dotti abbiano i)otuto opinare che l'Anfiteatro Flavio assumesse il nome di Colosseo nei secoli barbari. Essi infatti dovean sapere (o almeno dubitarne) che a quei tempi il Colosso non più esisteva, lo mi permetterei piuttosto con- getturare che quegli scrittori pensassero invece che quella voce fosse un' eco di un modo volgare antico, venuto in uso ai tempi di Adriano, e precisamente allorquando quel celeberrimo Colosso Neroniano venne collocato a pochi passi dall'Antiteatro. Di questo trasporto, fatto dal suddetto Imperatore, ce ne trasmise la memoria Sparziano (2) ; e la somma difficoltà dell' impresa e la sua felice attuazione dovettero senza dubbio lasciai'e nel volgo una profonda impres- sione, la quale potè in seguito influir tanto da far sostituire nel discorso volgare alla parola Atnphitheatrum la voce Colossus. E ciò potè facilmente avvenire cambiando la frase ire ad amphitheatrum, in: ire ad colossum; cangiamento il quale avrebbe dato, in questo caso, origine alla frase (ora un po' strana, ma forse allora semplicissima): ad Colossum eo; espressione che, per una naturale eufonia, potè divenire AD Coloss'eo; e poiché nell' Anfitea- tro Flavio si davano continui spettacoli, e v' era quindi occasione frequente di usare quella frase, pian piano l'Anfiteatro Flavio divenne addirittura il Colosseo. Un caso non simile ma uguale è avvenuto ai tempi nostri. Il teatro prin- cipale di Roma, detto di Apollo, sorse presso la Torre di Nona; e sebbene questa torre non si possa affatto paragonere al famoso Colosso di Nerone, pur nondimeno essa die il nome al teatro; e detta denominazione fu usata .da tutti indistintamente, anche dalle persone di più alto ceto, in modo, che for- matasi dalle due parole un' unica voce, ognuno per dire: vado al teatro di Apollo, diceva: vado a Tordinona. Non pare adunque impossibile che anche (1) Ciascuno di quei raggi era lungo 12 piedi e mezzo. (2) « Transtulit (Adrianus) et colossum stantem atque suspeiisum per Decianum (altri leggono Detriamim o Demetrianum) architectum de eo loco in quo nunc templum Urbis est, ingenti molimine, ita ut operi etjam elephantes vigint. quatuor exhiberet », 138 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO gli antichi invece di dire: ad amphitheatrum eo, dicessero: ad colossum eo e poscia, per eufonia, ad Coloss'eo (1). Se poi si volesse ricercare nell' antichità un'origine più conforme alla gravità di quei dotti, potremmo opinare che quel vocabolo si principiasse ad usare subito dopo effettuato il trasporto del Colosso a pochi passi dell'Anfi- teatro; e che, come da Isis nacque Isaeum, da Adriano Adrianeum, ecc.; cosi anche dal Colosso sia nata la voce Colosseum. In ogni modo, che l'Anfiteatro Flavio sia stato chiamato dal volgo Co- losseo prima del secolo Vili è un fatto certo; e una prova la troviamo negli stessi documenti del secolo Vili, nei quali la parola Colosseo è usata come nome proprio dell'Anfiteatro a tutti cognito. Il MaflFei, il Mazzocchi, il Nibby ed altri ritengono che l'Anfiteatro Flavio non abbia preso il nome di Colosseo per il Colosso, ma per la sua colossale mole. Ecco le p^^role del Mafifei (2). « Questa mirabil mole chiamasi in Roma per tradizione immemorabile il il Coliseo; in latino si trova scritto Coliseum o Colosseum. Il comune con- senso dei moderni scrittori ha già fissato da gran tempo, che cosi si denomi- nasse l'Anfiteatro dal popolo, perchè in poca distanza da esso stesse il Colosso di Nerone : ma alcune considerazioni io proporrò, perchè altri giudichi se cosi debba continuarsi a credere. Il Colosso di Nerone (3) alto 120 piedi, opera di Zenodoro, fu collocato nel vestibolo della sua Casa aurea. Abbiamo un epi- gramma di Marziale (4) per cui si trova Tito d' aver restituita all'uso pub- blico, e convertita in benefizio comune quella grande parte di Roma che Ne- rone aveva occupata con la sua casa. Vediamo in esso, come ov' era prima r atrio, Tito fece strada, in poca distanza dalla quale era il Colosso, e ve- diamo come la venerabil mole dell' Anfiteati-o non fu alzata nel sito dell'atrio, 0 sia del vestibolo, ma in quello delle peschiere {stagna Neronis erant), che dovean certamente essere dal vestibolo assai lontane. Presso all'Anfiteatro, ov' eran prima orti e passeggi, fece Terme chiamate da Marziale veloci doni (velocia munera); la ragione appar da Suetonio, che dice furono edificate in fretta {celeriter extructis), « Altre osservazioni ancora par che persuadano rimanesse in non piccola distanza dall'Anfiteatro il Colosso di Nerone. Fu esso poi mosso dal suo luogo, e fatto trasportare da Adriano: secondo Sparziano fu allora dedicato al Sole; (1) Tralascio di riportare le leggende ridicole del medio evo sull'origine della parola Colosseo. Il lettore le potrà trovare nell'opuscolo « Geschichte des Kolosseums » pag. 41. del Dr. Heinrich Babuckb; Konigsberg Ostpr. 1899. (2) Verona Illusi, voi. V, p. 29. (3) SuET., Nero. cap. 13; Plin. 1. 34, cap. 7. (4) Epig. 2. CAPITOLO I. - IL COLOSSEO - ORIGINE DI QUESTA VOCE 139 ma sappiam da Plinio (1), damnatis sceleribus illius principis, che ciò era fatto fin dai suoi tempi, in odio alle scelleraggini di Nerone, e però quando il fece ristorar Vespasiano, di che parla Suetonio. Commodo poi lo tramutò di nuovo, fattagli levar la testa con riporvi la sua. Ora dice Sparziano che nel sito ov' era prima il Colosso, fu poi fatto il Tempio della Dea Roma (De eo loco in quo nunc templum Urbis est), quale non sarà certamente stato a ridosso dell'Anfiteatro; anzi convien dire ne fosse assai lontano, s'è il men- tovato da Vittore in regìon diversa {Templum urbis Romaé). L' istesso autore mette pure in region diversa dall'Anfiteatro un Colosso, distinto tra gli altri, e di consimil grandezza, che per quello appunto di cui si parla, par si pa- lesi dall'aver avuto sette raggi intorno al capo, che lo denotavano sacro al Sole. Non potè adunque denominarsi l'Anfiteatro da statua, che non gli era prossima, né attinente per nessun conto ». La prima parte dell' argomentazione del Maff"ei si basa chiaramente sopra un falso supposto. Egli infatti crede che il Colosso di Nerone fosse assai lon- tano dall'Anfiteatro, mentre ormai nessuno dubita che il tempio di Venere e Roma, ossia il templum Urbis di Sparziano, trovavasi immediatamente di fronte al Colosseo; e quindi sappiamo di certo il posto ove Adriano collocò il Colosso. Sicché è cosa positiva l'opposto di quanto opinava l' illustre storico Ve- ronese; e il Colosso di Nerone, dedicato al Sole, fu sempre vicino all'Anfitea- tro, e dopo il suo traslocamento trovavasi tanto prossimo ad esso, che se avesse avute aperte le braccia, avrebbe potuto quasi toccare colla mano i travertini del Colosseo. Ma prosegue il Maffei : « che se prossimo ancora fosse stato un colosso a così vasto e dominante edifizio, anzi che dato il nome è assai più credibile l'avesse preso: e n' abbiam chiaro 1' esempio, ove riferisce Plinio (2): vocatur Ponipeianus a vicinitate theatri, che un colosso di Giove, grande come una torre, fatto porre nel Campo Marzio da Claudio, per esser vicino al teatro di Pompeo, acquistò il nome di Pompeiano ». Il Colosso di Nerone sorse pur troppo vicinissimo all'Anfiteatro, eppure non prese il nome di Flavius o Flavianus! Nessuno degli scrittori antichi ce lo ricorda infatti con questo appellativo. Gli ultimi due argomenti del Maffei sono i seguenti: « Che se altri mi richiede, donde adunque originata io pensi tal denomi- nazione, dirò che da nuli' altro, se non dal comparir questo edifizio tra tutti gli altri, quel che era tra le statue un colosso, e dall' uso antico di (1) Lib. XXXIV, e. VII. (2) Lib, XXXIV, e. VII. 140 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO chiamar cosi tutto ciò ciie eccedesse in grandezza. Vennemi questo pensiero gran tempo fa nel leggere in Suetonio, come a tempo di Caligola Esio Pro- culo per r insigne ampiezza e beila forma del suo corpo veniva chiamato Colassero o Colosseo; come forse in quel luogo deve scriversi: ob egregiam corporis amplitudinem et speciem Colosserus dictus (1). Aggiunti altri esempì consimili, cosi prosegue; « Mi accertai del tutto scorrendo poi l'Istoria d'Erchemperto Monaco del- l' edizione di Camillo Pellegrini, replicata ora nel tomo secondo delle Cose Italiche; perchè due volte in essa chiamasi colosso (forse è da legger Colos- seo) V anfiteatro di Capua, dove non era certamente il Colosso di Nerone. Appar però manifestamente, come si dava tal nome agli anfiteatri dal popolo, per la loro maravigliosa altezza ». Tralascio gli esempì tolti dalla straordinaria grandezza dei corpi umani, perchè appunto da questi esempì si fa manifesto che il nome colosso fu sem- pre proprio delle statue gigantesche, e che da queste passò a significar coso di grande mole; e vengo all' ultimo argomento. Il monaco Erchemperto chiamò colosso e forse Colosseo l'Anfiteatro di Capua, ove non era certamente il Colosso di Nerone; ma lo chiamò cosi quando l'Anfiteatro Flavio già da tempo dicevasi Colosseo; e se il suddetto monaco chiamò con questo nome l'Anfiteatro di Capua, dovè così chiamarlo come appunto un contadino (che io conobbi mentre egli era al servizio di un mio amico) soleva chiamare Via Appia qualunque antica via lastricata di poligoni di lava basaltina (2). Il Mazzocchi non aggiunge agli argomenti del Mafifei che l'autorità di Esichio. E vero che gli etimologisti greci fanno derivare la parola xoXoaoó? dallo sfono che fa la vista per giungere ad una grande altezza; ma è pur certo che questo vocabolo xoXoaoó? e dai Greci e dai Latini fu costantemente usato ad indicare le statue di straordinaria grandezza. Il Nibby finalmente dice di non poter ammettere che l'Anfiteatro Flavio abbia preso il nome dal Colosso di Nerone, perchè nei tempi barbari questo (1) SuBT., Calig. e. XXXV. (2) Un esempio recente e che corrisponde a capello a quanto io asserisco, lo trovo in un articolo scritto dal eh. Gualtiero Castellini nel periodico « Il Secolo XX ■> (Giugno 1910, pag. 478). Questo scrittore narra che vedendo in Tunisia l'anfiteatro d'El Giem (già appar- tenente all'antica città di Thysclrus), esclamò: « Il Colosseo! » E prosegue: « Questo Co- losseo maestoso, di grandezza poco inferiore a quella dell'Anfiteatro Flavio di Roma, conte- neva circa settantamila spettatori: è lecito dedurre da questa cifra l'importanza che Thysdrus doveva avere, l' importanza che tutta 1' Africa romana doveva aver conseguito negli ultimi secoli dell'impero.... Il sole brillava su i grandi archi maestosi, che luccicavano per una tinta d .rata superba. È la pietra africana, è il sole che dà a questo Colosseo un aspetto aureo cosi glorioso? » - A pag. 48 i poi, a pie della riproduzione dell'interno del suddetto anfi- teatro romano, leggesi : « Interno del Colosseo d'Kl Giem », CAPITOLO I. - IL COLOSSEO - ORIGINE DI QUESTA VOCE 141 non più esisteva. L'opinione del Nibby trova una risposta nella spiegazione già da me enunciata, e che io immaginai per poterci rendere ragione del come il Donati e gli altri dotti di sopra citati abbiano potuto ritenere che l'Anfiteatro Flavio prendesse il nome di Colosseo dal Colosso di Nerone. Rimane ad esaminare l'opinione del Corvisieri, il quale crede che la voce Coliseo abbia tratto origine da Collis Isaeum. Ecco le sue parole: « .... Nel perdere il suo nome una contrada, quello talvolta non dispariva del tutto ma rimaneva appiccato ad un monumento vicino; come avvenne dell'Anfiteatro Flavio che prese nome di Colliseo da una vicina contrada cosi detta dcill'Iseo sulle falde de colle Esquilino.... È d' avvertirsi che si 1' una che 1' altra le- zione (1) conservano chiare le forme del Collis Ysaeum, vocabolo poi conver- tito per eufonia in ColHsaeum, il quale, come da per sé suona, non potè mai appartenere in origine all' Anfileatro Flavio; ma bensì ad un tempio della Dea Iside, detto dal colle per la sua giacitura, ed anche per distinguerlo da qualsifosse altro tempio dello stesso titolo. L'anonimo Einsidlense, che si vuol vissuto tra 1' Vili e il IX secolo, ebbe occasione di nominare nel suo schema topografico di Roma l'Anfiteatro Flavio, ma lo disse Amphitheatrum e non già Collosaeurn, né Colisaeum. Ho esaminato inoltre le leggende dei SS. Martiri, utilissime a rischiarare la topografia di Roma nel medio evo, come quelle che in buona parte, secondo la sana critica, si reputano eserci- tazioni rettoiiche della letteratura monastica di quel tempo; e non ho mai trovato abbiano detto altrimenti che Anfiteatro quel luogo, il quale, per essere stato destinato alla morte di tanti campioni del cristianesimo, ebbero spesso il bisogno di nominare. La terza regione di Roma fu appunto detta di Iside dal tempio di questa Dea, che come principal monumento vi dovea figurare primo dell' impero di Tito e di Nerone. La memoria di questo tempio fu re- gistrata nelle Mirabilia Romae: Coloseum fuit templum Solis, mire magni- tudinis et pulchritudinis, diversis camerulis adaptatum, quod totum erat cohopertum ereo celo et deaurato, ubi tonitìtta, fulgura, et coruscationes fiebant, et per subtiles fèstulas pluvie mittebantur. Erant preterea ibi siyna supercelestia et planete Sol et Luna que quadrigiis propriis ducebantur. In medio vero Phebus etc. — Ben s' intende che il Coloseo nell' età delle Mira- bilia più non esisteva, poiché se ne parla come d'un monumento che fu; e quindi la descrizione che se ne fa cosi impropria si deve credere basata sulla volgare tradizione del popolo, il quale, lontano dai tempi dell' idolatria, potè facilmente esser tratto a credere come indizio del tempio del Sole qualche avanzo della sua decorazione che accennava ai misteriosi simboli del culto Isiaco tra' quali avean pur luogo il Sole, la Luna ed altri segni celesti. Dob- (1) Si riferisce al passo di Beda ed al brano del lAber Pont, già da noi citati. 142 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO biarao aver sempre presente che nel medio evo si giudicò assai grossamente delle nostre antichità. Rari sono que' monumenti, anzi rarissimi, che restarono immuni da un travisamento. Rispetto al Coloseo, poco ci caglia che non si scrivesse il giusto: ma basti il vederlo indicato ben diverso dall'Anfiteatro Flavio, com'è altresì questo del Coloseo. Forse fin dai tempi di Beda era già crollato il Coliseo, secondo mi par di raccogliere dall' oscurissimo contesto delle riferite parole ; nelle quali con troppa serietà s' è detto racchiudersi una giocosa predizione di quel pio scrittore. « Il Beda parla in quel punto della vana presunzione che ha l'uomo di non errare, della facilità che ne ha, e della vergogna che gliene deriva se ne venga convinto. A rafforzare la qual sentenza pare si valesse di quel vaticinio, che, dato come infallibile e come tale creduto, egli vedeva a' suoi tempi smentito dal fatto. Il nome di Coliseo rimase per lungo tempo attribuito alla contrada, e scomparsi gli avanzi di quel menumento, passò quindi a distinguere unica- mente il vicino Anfiteatro; e fu la colossale figura di questo, per cui il popolo, ignaro della vera origine del vocabolo, lo ammodo in Colosseo. A suggellare ciò che ho detto, adduco la gravissima testimonianza di Benedetto, canonico di S. Pietro (sec. XII), dalla quale si conosce come a suo tempo fosse ancora distinto l'Anfiteatro della contrada, che, come ho detto, prese il nome di Co- lisseo. Descrivendo egli l'itinerario del Papa nel tornare il lunedi santo dalla Basilica Vaticana al Laterano, dice che, giunto all'arco trionfale di Costantino, divertiva a sinistra ante Amphitheatrum et per sanctam viàm juxta Colli- seuni (1); e queste parole c'indicano eziandio chiaramente la postura del Col- liseo sulle pendici dell' Esquilino » (2). L'argomentazione del Corvisieri si riduce a questo: A levante dell'Anfi- teatro v' è una lacinia dell'Esquilino, sulla quale (secondo il eh. autore) esisteva un tempio Isiaco, creduto nel medio evo del Sole. Questo tempio dalla sua elevata posizione, per distinguerlo dagli altri d'Iside che erano in Roma, fu detto Isaeum Collis, dal che Collis Isaeum e finalmente Colliseum e Coliseum; termine per lungo tempo attribuito alla contrada, e che poi, dal popolo ignaro della vera origine di quel vocabolo, fu applicato all'Anfiteatro Flavio, perchè lo vedeva un colosso ! La poca sodezza di questa argomentazione è palpabile : con tutto ciò è bene dimostrarla. Ritenere che su quella parte dell'Oppio la quale guarda l'Anfiteatro Flavio, sia esistito un tempio Isiaco, è un vero abbaglio. Non v'ha infatti chi ignori che quel sito fu occupato primieramente dalla Domus aurea di Nerone, la quale estendevasi dalla somma sacra via fin oltre le Terme di Traiano, con (1) Cf. Mabillon. Mus. Hai., Tom. II, p. 144. (2) Dal Periodico " Il Buonarroti ,, Serie II, voi. V, Marzo 1870, p. fi8-69. CAPITOLO I. - IL COLOSSEO ORIGINE DI QUESTA VOCE 143 tutte le sue parti sontuose, non esclusa la termale e la magnifica piscina detta oggi le Sette Sale: posizione determinata con chiarezza da Marziale e da Sue- tonio, e resa certa dalle escavazioni fatte in quella zona. Poscia sorse su quel- l'altura la casa di Tito; ed il rinvenimento del Laocoonte ricordato da Plinio, in Tifi Imperatoris domo (1), ce l'ha dimostrato fino all'evidenza. Questa casa però non fu che la parte più nobile della Domus awea, assegnata da Vespa- siano a Tito, ed estendevasi sull'Oppio. Finalmente sopra una gran parte della domus Titi furono erette le Terme di Traiano, le quali si conservano ancora in parte, ma che nel secolo XVI si trovavano in tanto eccellente stato di con- servazione, che Palladio potè lasciarcene i disegni (2). Sappiamo inoltre che (l) Hist. Nat., XXXVI, 37. (4) Fra gli edifici che sorsero sull^ parte dell'Oppio che guarda l'Anfiteatro, non ho ri- cordato le Terme di Tito, perchè, secondo il mio umile modo di vedere, credo si debbano queste ricercare, giusta l'opinione del Piale, non sul colle ma nel basso, nell'area occupata dai giardini di Nerone. E per verità, se ben si legge l'epigramma 2" di Marziale (De Spect.), apparirà chiara la situazione di quelle Terme. Marziale esordisce in quell'epigramma, indi- candoci l'atrio della Domus aurea, il sito appunto ove sorgeva il Colosso Neroniano, vale a dire sull'altipiano della sumnia sacra via (Cf. anche l'ep. LXXI ad librimi); e descritta con enfatico fraseggiamento l'immensità dell'edificio: Unaque iam tota stabat in urbe dotmis, ne dà nel penultimo distico il termine, dicendo: che là, ove al tramonto si distendevano le ombre allungate del Claudio portico, erano le id- time lacinie incompiute dello sterminato edificio: Claudia di/fusas ubi portictis explicat umbras, Ultima pars aulae deficientis erat. Determinata così la posizione dell'immenso fabbricato, passa ad insegnarci il luogo dello Staggio di Nerone: Hic ubi conspìcui venerabilis amphitheatri Erigitur moles, stagna Neronis erant. E segue immediatamente: Hic ubi miram,ur velocia munera thermos, Abstiilerat miseris tecta superbus ager. Le Terme di Tito, prossime all'Aiifiteatro, Amphitheatro dedicato, thermisque iuxta ce- leriter extructis (Subt. in Tito), noi dobbiam dunque ricercarle non sul colle, ove positiva- mente sorgeva il vasto fabbricato, ma nel basso ove dispiegavasi il superbus ager. Sennonché si presenta una difficoltà: la mancanza, cioè, di ruderi in quel tratto della pianura che si distende a levante del Colosseo. Ma questa difficoltà è più apparente che reale. Nella " Cronachetta ,, dell'Armellini (Fase. II, an. 1885) leggo una comunicazione del Lugari intorno ad alcuni ritrovamenti fatti all'angolo della • Via di S. Giovanni in Laterano » e della « Via Ostilia » mentre innalzavasi in quel sito una fabbrica dal sig. Gioacchino Costa. Ecco le parole del Lugari: « Sotto il piccolo fabbricato che esisteva nella località suddetta, io vidi alcuni anni indietro i resti di una fabbrica antica tuttora ben conservati, fra i quali 144 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO il tempio d'Iside e Serapide della IIP regione fu ben lungi da questa cima dell'Oppio; e sebbene ad alcuni sembrò vederlo sull'estremo lembo orientale del colle, pur tuttavia la grande maggioranza degli archeologi lo ritiene sorto nella valle Merulana, presso la chiesa dei SS. Pietro e Marcellino, dove in ogni una pìccola stanza, la cui parete orientale correva parallela alla via di S. Giovanni. In questa s'apriva un vano interrato fino all'imposta dell'arco, che ricordo essere di bella costruzione. Ora cavandosi i fondamenti del nuovo fabbricato si rinvennero altri muri contemporanei ai già descritti, con restauri di età più tarda.... In un cavo apparve una parte di fascia di un pavimento a mosaico semplice bianco e nero. Tra le terre venne fuori un frammento d'iscri- zione in caratteri dell'età degli Antonini. La lastra è grossa 0,06. Questo frammento di la- pide, che il Sig. Costa mise gentilmente a mia disposizione perchè ne potessi prendere il calco, dice cosi : CI . COMI NINI . AVG . SEI VLANVS . ET . SOD . LENDIDISSIMAM Il Lugari giudicò quéi muri dell'età degli Antonini; con tutto ciò, ritenendo col Piale che ivi fossero le Terme di Tito, pensò che la splendidissima donazione fatta ad un Soda- lizio da uno degli Antonini, non fosse altro che la donazione delle Terme stesse, rese ormai inutili e per la lor piccolezza e per le vicine Terme di Traiano, e forse ancfte per l'erezione delle Commodiane; facendovi, il donatore, delle nuove opere onde ridurle ad uso di quel So- dalizio. Non v'ha dubbio che la scoperta di un ampio piazzale avanti all'Anfiteatro, dalla parte del Laterano, analogo a quello del lato opposto ove avea origine la Via Sacra (Gatti, Bull. Arch. Com. 1895, p. 117), ci fa ragionevolmente opinare ehe in quella parte sorgesse un importante edificio. Lo spazio poi che v'è fra le vie Maior e Merulana è tale, da poter contenere una fabbrica eguale a quella detta oggi comunemente le Terme di Tito. Non in- tendo con ciò dire che le terme disegnate dal Palladio, e da lui dette di Vespasiano, siano da adattarsi qui: no; la scala monumentale espressa in quel disegno, per la quale si ascen- deva dalla pianura alla spianata che aprivasi dinanzi alla Terma, stabilisce quell'edificio in- dubitabilmente sul colle. Soltanto mi limito ad asserire che nell'area da me indicata, v'era lo spazio sufficiente per una Terma di limitate proporzioni, eguale a quella detta dal Pal- ladio « di Vespasiano ». Se poi fosse certo che il sito dei Castra Misenatium fu ove li ha collocati il eh. Lanciani nella Forma Urbis, dovremmo, per l'indicazione IIAPA TA2 TITIANAS (Kaibbl, Inscript. Ch\ sic. 956, B. 15), ritenere le Terme di Tito sorte senz'altro in quel posto. E lì appunto ce lo indicherebbero e la medaglia di Domiziano e quella fatta coniare da lui stesso in onore di Tito e di Vespasiano, se fosse plausibile la mia idea di sopra ac- cennata, e che consiste in credere che il portico a doppio ordine di colonne rappresentato in quei monumenti numismatici raffiguri le velocia munera. Più ragioni m'inducono a rav- visare in quel portico le Terme di Tito. E queste ragioni sono : 1.» Perchè in quello non posso riconoscere col Donaldson un passaggio che congiungeva il Palatino coll'Anfiteatro, poiché quel portico trovasi in tutt'altra posizione; dalla parte, cioè, del Laterano. 2." Perchè non si può ammettere col Guattani e col Nibby che fosse quello un porticato che salisse alla casa di Tito suU' Esquilie; giacché l'Anfiteatro, veduto com'è inciso sulle medaglie, giarda il Celio, e quindi, avrebbe esso impedito assolutamente la veduta di quel portico. 3." Perchè nessuno degli antichi scrittori ricorda ivi alcun edificio non termale, la cui esistenza esclu- derebbe senz'altro da quel posto le Terme di Tito. Oltre a ciò, l'essere stato preferito nelle medaglie il prospetto dell'Anfiteatro che guarda il Celio, ci dice che quella scelta dovè aver CAPITOLO I. - IL COLOSSEO - ORIGINE DI QUESTA VOCE 145 tempo vennero in luce copiosi monumenti Isiaci. Cade così la maggiore della argomentazione del Corvisiei'i, e con essa la conseguenza. Tuttavia, se piacesse considerare per poco alcune prove addotte da quel- l'autore a sostegno della sua tesi, si troverebbero vacillanti assai. Ed invero, che dire del vaticinio cosi detto di Beda, e del passo delle Mirabilia riferiti dal Corvisieri al tempio d'Iside? Per ciò che riguarda il primo, converrebbe immaginarci il tempio d'Iside della III regione qualcosa di assai più celebre e grandioso del tempio di Giove Capitolino o del Pantheon, se il profeta, chiun- que si fosse, fece dipendere da quel tempio le sorti di Roma e del mondo! Re- lativamente poi al passo delle Mirabilia, fa di mestieri osservare che questo è preso dalle Mirabilia breviata et Interpolata (1) e che nella prima edizione della Mirabilia (2) e nella Graphia (3) è scritto : ante Coleseum templum Solis, e non Coleseum fuit templum, Solis. Leggendo adunque, colle prime edizioni, ante Coloseum templum Solis, si rende chiaro che il templum Solis (che per il Corvisieri sarebbe lo stesso che Isaeum) non era uè poteva essere il Colo- seum. Se inoltre il passo delle Mirabilia breviata et interpolata fosse stato riportato per intero, si sarebbe veduto a colpo d'occhio che le stesse Mirabilia interpolate distinguono il Colosseo dal tempio. Il passo infatti chiude con queste parole: Ante vero Coliseum fuit templum in quo fiebant cerimoniae praedicto simulacro (al Colosso del Sole). Del resto, il rozzo e molto su- anito uno scopo. Ecco la ragione per cui io accennai l'opinione che in quei bronzi comme- morativi si siano volute esprimere, nella loro reale positura, le tre opere dei Flavi: la Mèta Sudante, riedificata sontuosamente da Domiziano, la venerabil mole di Vespasiano e le velocia munera di Tito. Finalmente 11 non vedersi più quel portico nelle medaglie di Severo Ales- sandro e di Gordiano, dimostra che a questi Imperatori non più interessava quell'edificio, il quale, per aggiunta, fu ridotto ad altro uso (come v'è fondamento di credere) fin dai tempi di Commodo. Ma che sono adunque le terme designate dal Palladio e che positivamente si trovano sul colle? Io opino che siano la parte termale della Domus aurea, divenuta poi domus Tifi Imperatoris. Difatti la parete esterna dell' abside della sala maggiore (1 ruderi della quale abside si vedono tuttora dietro la caserma delle Guardie di Pubblica Sicurezza) è parallela ai muri della Domus aurea, scoperti sotto le Terme di Traiano, e la sua cortina prosenta ca- ratteri di un'epoca anteriore ai Flavi, come pure a questa stessa epoca ci riportano gli avanzi del portico a pie' della scala. Giustamente nota il Lanciani che, a fine di dare significato pratico e materiale all'indi- cazione dei Cataloghi: thbrmae Titianae et Tkaianae, convien supporre che quell'edificio fosse stato unito alle Terme di Traiano con qualche braccio di porticato o almeno di passaggi sotterranei (Lanciani, Ihdl. Arch. Com. anno 1895, p. 112). Ma, a parer mio, con quel Thennae Titianae si alluse dai Regionari alle Terme private della Domus Titi, forse allora rese pub- bliche, facendole divenire con quel congiungimento un'appendice delle Traiane; e non già si volle alludere alle velocia munera, che verosimilmente nel IV secolo non più esistevano. (1) Urlichs, Codex Urb. Rom. Topogr. p. 13G. (2) Loc. cit., p. 110. (3) Ibid: p. 121. 10. 146 PARTE li. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO perficialmente erudito scrittore ci dà senz'altro la descrizione dell'Anfiteatro Flavio attinta dai classici. In quel coopertum aereo celo et deaurato vi si scorge l'esametro di Calpurnio : Balteus en gemmis, en illita porticus auro. Certatim radiant....; neWubi tonitrua, fulgura et coruscationes fiebant, apparisce il passo di Dione : » Il teatro venatorio percosso dal fulmine.... quasi che l'acqua che vi cadeva da ambo le parti venisse assoibita dalla forza dei lampi »; in quel per suhtilis fistulas pluviae mittebantur si rileggono le parole di Se- neca: Numquid dubitas, quin sparsio illa, quae ex fundamentis mediae arenae crescens in summam amphitheatri altitudinem pervenit, cum inten- tione aquae fiat. Ma perchè andar più oltre colle osservazioni, se l'autore si basa su di un falso supposto? Ecco come l'Adinolfi giudicò l'opinione del Corvisieri : « Vi è qualche eru- dito che vorrebbe distinguere il Coliseo da Anfiteatro, dicendo che l'Anfiteatro fosse vicino al Colle Iseo, opinione che ha della sofisticheria » (1). Di fronte a queste disparate opinioni, il sagace e prudente lettore sce- glierà quella che gli parrà più verosimile. (1) Adinolfi, Roma nell'età di mezzo. Tom. I, p. 356, nota 4." CAPITOLO SECONDO. li Colosseo nel suo abbandono e poscia convertito in fortezza feudale. D. 'alla metà circa del secolo VI al secolo XI il Colosseo, a quanto pare, rimase abbandonato. Nessuno scrittore di quel corso di secoli fa men- zione di esso; e perciò qui ci è impossibile colmare tant'ampia lacuna. Sennonché questa lacuna non è soltanto propria dell' Anfiteatro Flavio, ma è comune a tutti i grandiosi mo aumenti pubblici di Roma; come, ad esem- pio, il Circo Massimo, le Terme di Caracalla, quelle di Diocleziano, ecc. Né noi possiamo renderci ragione di un tal fatto, se non opinando col Nibby che questi monumenti « non ostante che più non servissero allo scopo a cui erano destinati, e per questo lasciati dallo Stato in abbandono, tuttavia rimanendo di proprietà pubblica non fosse stato permesso ai potenti privati di quei tempi di occuparli; trovando così il perchè della mancanza per tre secoli e mezzo di documenti pubblici e privati relativi a monumenti di questo genere : sicché non ci resta che contemplarne lo stato di completo abbandono in cui si tro- varono in questo periodo ». Per quanto riguarda il Colosseo, possiamo ragionevolmente supporre che fin dalla cessazione dei ludi gladiatori la custodia dell'Anfiteatro cominciasse ad essere trascurata, e che sempre più proseguisse col rarefarsi degli spetta- coli venatorì. A questa trascuranza, d' altronde legittima conseguenza delle calamitose vicende di quei tempi, e dello spopolarsi della città, attribuì Teo- dorico, sul finir del secolo V, la ruina dei monumenti romani, come egli stesso dice per bocca di Cassiodoro: Facilis est aedificiorum ruina incolarum sub- tractà custodia, et cito vetustatis decoctione resolvitur quod hominum prae- sentia non tuetur. La reale ruina però ebbe principio dopo l'ultimo spettacolo dato da Anicio Massimo. Il Cancellieri (1) scrisse : « Il popolo romano chiese licenza a Teodor-ico di ristorare le mura della città colle pietre dei gradini (1) Possessi, p. 97, nota 4. 148 PARTE n, - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO (del Colosseo) che si trovavano smosse » . Questo fatto, il quale trova un fonda- mento nei danni arrecati all'Anfiteatro dall' abominando terremoto di cui parla Venanzio, e nella giusta deduzione che quel magistrato (per lo scarso numero degli abitanti di Roma a quel tempo, e per la mancanza di mezzi proporzio- nati) abbia restaurato quanto era allora necessario, vale a dire l'arena ed il podio {\); questo fatto, dico, non può esser avvenuto che nell'ultimo triennio della vita di quel re, fra il 523 ed il 526, dopo la lettera di sopra riferita, nella quale Teodorico mostra la sua ripugnanza per i giuochi sanguinari ed il desiderio di abolirli. La quale lettera, e specialmente la sua chiusa, dovè persuadere abbastanza il popolo romano del volere del re. Del completo abbandono dell'Anfiteatro a quel tempo, ce ne fa testimo- nianza un cimitero cristiano sviluppatosi appunto nei primi decenni del se- colo VI a pochi passi del Colosseo, di fronte all' ingresso imperatorio che guarda l'Esquilino (2). Questo cimitero, da non confondersi coli' altro, più re- cente, di S. Giacomo, situato a contatto del Colosseo dalla parte del Laterano, e che ha salvato dalla distruzione i cinque cippi terminali dell' area esterna dell'Anfiteatro, venne in luce negli scavi del 1895. Esso si trovava allo stesso livello dell'Anfiteatro, ed avea le tombe coperte con tegole improntate di bolli antichi, in nove delle quali si leggevano marchi dell' età di Teodorico. Una delle tombe, che dall'iscrizione si potè giudicare del secolo VII circa, si rin- venne all'altezza di due metri dall'antico piano dell'Anfiteatro, davanti all'ul- timo pilastro orientale del portico, scoperto a pie del colle. Questo cimitero, storico documento, dopo tredici secoli di esistenza scomparve sotto il piccone che sistemava l'attuale via, la quale rasenta il Colosseo. Lasciato l'Anfiteatro a discrezione del tempo, il primo che dovè risentirne i danni fu senza dubbio il soffitto ligneo del portico superiore, il quale pian piano dovè corrompersi, lasciando libere a sé stesse le colonne che lo soste- nevano ; e queste, nel violento terremoto che colpi l' Italia nell' aprile del- l'anno 801, e recò a Roma danni gravissimi (tra i quali la ruina della basilica di !S. Paolo), dovettero precipitare giù per la cavea, e sprofondare nell'ipogeo dell'arena (3). Dopo questa catastrofe più che mai trovarono alimento alla ve- getazione piante ed arbusti, che, come scrisse vivacemente il Tournon : pian- tant leurs racines dans les interstices des pierres, avaient pris, sur les rampes ruinées, la place des spectateurs : fu questo senza dubbio il colmo della fiora del Colosseo! (1) Cf. Grisak, Histoire de Rome et des Papes, 1. II, e. Il, p. 23. (2) Bull. Corti, arch. Comun. An. XXIII, p. 121. (3) I tronchi di colonne ed i capitelli di quel portico, rinvenuti nel basso dell'Anfiteatro, ne sono una chiarissima prova. CAPITOLO II. - IL COLOSSEO NEL SUO ABBANDONO ECC. 149 Quelle caverne e quelle boscaglie dovettero dare, con ogni verosimiglianza, comodo ricetto ad animali d'ogni sorta, non esclusi i lupi, i quali, come leg- gesi in una bolla di Paolo II, fin all'anno 1466, ancor s' aggira van di notte presso la basilica Vaticana in cerca di preda. Corpora fidelium quae huma- bantur in coemeterio dicti campi (Teutonico) saepe numero reperla fuissent a lupis exhumata. Finalmente l'Anfiteatro uscì da questo stato di squallido abbandono, en- trando in una nuova fase. Sul finire del secolo XI l'Anfiteatro Flavio subì le medesime vicissitudini che subirono gli altri grandiosi edifici di Roma antica. Gli Orsini occuparono la Mole Adriana — già nel 985 (1), stata occupata da Crescenzio Noraentano — per molestare Papa Giovanni XVI; ed il Teatro di Marcello. I Colonnesi presero possesso del Mausoleo d'Augusto e delle Terme di Costantino sul Qui- rinale; ed il Settizonio di Severo e l'Anfiteatro Flavio vennero occupati dai Frangipani, discendenti della nobile famiglia Anicia, secondo alcuni, od origi- nari di Cori e discendenti dai de Imperio, de Imperatore, de Imperato, Im- pera, secondo altri (2). E qui cade in acconcio rivolgerci una domanda: fu un utile, ovvero fu un danno per gli antichi monumenti, l'esser passati nelle mani di nobili fa- miglie romane ? — Se consideriamo i pubblici monumenti come cosa che dovea rimanere di pubblico dominio (dei quali, d'altronde, l'autorità legittima in nome e ad utilità del popolo potea disporre); e se osserviamo la cosa sotto l'aspetto che i monumenti, caduti nelle mani dei privati, facilmente possono venir de- turpati, modificati, ed anche parzialmente distrutti; non possiamo lodare tali atti d'impadronimento. Ma se si rifletta che soltanto i monumenti posseduti dai nobili; che soltanto i materiali e le decorazioni dei monumenti distrutti, tra- sferiti nei musei o adoperati in pubblici usi, nelle chiese, ecc., si sono potuti sottrarre ai colpi del piccone demolitore, o agli insulti della barbarie, o alla cieca cupidigia di chi tutto sacrifica al guadagno; se si rifletta, dico, a tutto questo, dovremo riconoscere che per i monumenti non fu un vero danno, ma piuttosto un bene l'esser passati in possesso privato delle nobili famiglie. Che rimarrebbe oggi della tomba di Cecilia Metella, del teatro di Marcello, del Pantheon, ecc., se nella barbara età di mezzo non fossero stati ridotti in for- tezze 0 in case feudali, e l'ultimo in tempio cristiano? La fine di tante statue colonne ed altri marmi, che ornarono tanti magnifici edifizi, non sarebbe stata in una fornace? Mi si perdoni questa digressione, e torniamo all'argomento. (1) Baronio, Ann. (2) Cf. Pasquali, S. Maria in Portico. Roma 1902. Introd. p. 35. 150 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO Noi abbiamo notizia di un Benedetto Frangipane, che nel secolo V, es- sendo Patriarca d'Occidente, ebbe la sua dimora in Trastevere (1), ove posse- deva palazzi, case ed il ponte senatorio: e nella bandiera del rione Trastevere campeggia ancora il leone degli Anict. Sulla pianta del NoUi poi, pubblicata nel 1748, la via che tuttora si chiama ANICIA, viene denominata VIA FRAN- GIPANE. I discendenti di questa famiglia emigrarono successivamente in vari luo- ghi; e quei che rimasero in Roma ebbero il loro centro principale sul Pala- tino, là proprio dove un tempo dimostrarono i Papi, e dove nel secolo IX sorse l'episcopio di Giovanni Vili. Quest'edificio era a poca distanza dell'Arco di Tito; ed appunto fra l'Arco e l'episcopio i Frangipani innalzarono una torre, che i cronisti ricordano come il luogo più sicuro della curia e della cancelleria ecclesiastica: locus tutissimus curiae. Questa torre, detta perciò Chàrtulat-ia, fu innalzata su i resti di un antico edifizio, e trovavasi a sinistra di chi dal Colosseo s'avanza verso l'Arco di Tito (2). Oltre alla torre Chartulana, i Frangipani adoperarono a loro fortezze gli archi dì Tito e di Costantino. Ma la fortezza principale dei Frangipani era presso il Colosseo ; anzi era una parte stessa di questo Anfiteatro, il quale fu posseduto da questa famiglia fin dall'anno 1130; e possedevamo inoltre in quel rione due corpi di case. Il primo era sulla piazza di S. Giacomo, il secondo trovavasi presso l'Arco di Tito. Il Papa Innocenzo II (3), a fine di ripararsi dalla fiera persecuzione dell'antipapa Anacleto II (4), si rifugiò nelle fortezze dei Frangipani presso il Colosseo. Il card. d'Aragona, nella vita di quel Pon- tefice, scrisse : Ad tutas domos Frangipanum de Laterano descendit, et apud S. Mariani novam et Chartulariam atque Colossaeum (5). Tolomeo Lucchese dice: Recollegit in domibus Frangepaniorum quae in Coliseo erant. F. Tolo- meo, vescovo di Torcello, contemporaneo, nella storia del suo tempo (6) scrive che nell'anno 1133 Innocenzo II se recollegit in domibus Fràngipanensium, quae erant infra Colisaeum, quia dieta munitio fuit tota eorum. I Frangipani (1) Panv. De Gente Frang., 1. I, e. IV; Gaetani, Vita di Gelasio II, p. XI; Massimo, Mem. stor. della Chiesa di S. Benedetto in Piscinula, 7. (2) Vi fu chi credè che questa torre si elevasse sopra l'Arco di Tito; ma in una stampa di Marco Sadeler, pubblicata in Praga nel 1606, osserviamo detta torre diroccata, benché an- cor visibile per poterne precisare il posto. La torre Chartularia era sul pendio del colle Pa- latino (ms. della Bibl. Angelica, segn. D. V, 13), e riunita all'Arco di Tito per mezzo di un muro. L'Arco era fortificato anch'esso e congiunto con altro muro alla Chiesa di S. M. Nuova. (3) I fratelli del Papa erano i Guidoni Papareschi, nobili di Trastevere. (4) Di nome Pietro, figlio di Pier Leone e discendente d'Ebrei ; il quale, dopo la morte di Callisto II, avea rialzata la testa. (5) Apud MuRAT., De script. Rerum Ital. Tom. 3, (6) Tomo n, CAPITOLO II. - IL COLOSSEO NEL SUO ABBANDONO ECC. 151 ebbero presso il Colosseo due case. In quale di esse il Pontefice Innocenzo II si ricoverò? Qualche moderno scrittore opina che si ricoverasse in quella del Colosseo, basando la sua opinione sulle riferite parole di Tolomeo Lucchese, e dalla frase infra Colisaetim, usata da altri scrittori. L'Adinolfi è di parere che la parola « infra » possa interpretarsi abbasso od innansi al Colosseo; sicch(> il loro detto poco varrebbe a sciogliere il nodo della questione. Le pa- role del Lucchese sono più chiare, e sembra indicare la casa che corrispon- deva alla piazza di S. Giacomo e che comunicava col Colosseo. Ciò non ostante, conchiude, non è da stimare per certissima, non essendo più, case di essi addossate al Colosseo, ma una solamente. Dalle parole del vescovo di Torcello si deduce che il Colosseo era stato cangiato in vera fortezza (munitio), difesa da genti armate e soldati, e che apparteneva alla famiglia dei Frangipani, quia dieta munitio fuit tota eorum. La mole resistette agli attacchi della fazione parteggi ante per l'antipapa, il quale, furente ed acceso di collera, andò a saccheggiare la Basilica Vati- cana, il Patriarchio di S. Maria Maggiore ed altre chiese di Roma, servendosi delle usurpate ricchezze per corrompere i Romani, onde farsi da questi so- stenere. Innocenzo II passò in Francia, e vi si trattenne fino alla morte dell' ex ebreo Anacleto IL Al suo ritorno (il quale avvenne nel 1142), dovè con sommo suo dispiacere, assistere alla cerimonia della ripristinazione del Senato Romano e della Repubblica, la quale occupò il Colosseo e tutte le altre torri e for- tezze dei Frangipani, nonché quelle tenute dagli altri baroni creduti avversi al governo popolare (1). « Spenta la persecuzione fetta da Pietro di Pier Leone (antipapa Ana- cleto II), si accese nel popolo romano la brama di ridurre nel proprio domi- nio Tivoli ed altre città del Lazio. In sulle prime rimasero vincitori i Tivo- lesi, ma poi ebbero la vittoria i Romani, sicché quelli domandarono mercè al Pontefice, e l'ottennero. Dispiacque la concessione ai Romani; e, indignatisi contro Innocenzo, posero in vigore l'antico Senato. La famiglia Frangipani, che avea accolto nelle sue fortezze il Pontefice, fu tenuta dal popolo come nemica, e la torre Chartularia ed il Colosseo caddero in sue mani » (2). Ma la Repubblica e i partiti popolari sono non di rado violente bufere che duran poco. Quando i popoli s'avveggono dell'inganno e del lucroso me- stiere dei suoi corifei, danno un passo indietro e tornano alla calma, tanto loro proficua e necessai-ia. Pochi anni dopo (3) Alessandro III, veduta in fiamme (1) V. Agnello Anast., Ist. degli ani. Tom. II, p. 35; Couti, De Sen. Rotti., 1. VII, e. 9, § 168; Vendettini, De Sen Rom., 1. II, e. 1, n. 2, p. 120. (2) V. F. Sabatini, La fam. e le torri dei Frang. in Roma 1907, p. 24, Roma 1907. (3) Nel 1L65, secondo il Gobi, (loc. cit.), o nel 1166 secondo il Bahonio ed altri. 152 PAKTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO la chiesa di 8. Maria in Torre, e la Basilica di S. Pietro nelle mani di Fede- rico I; e, per le tante insidie tesegli dall'esercito di quest'Imperatore, trovan- dosi nella dura necessità di abbandonare il palazzo Lateranense; insieme ai cardinali ed ai vescovi discese alle sicure case dei Frangipani presso S. Ma- ria Nuova, la Torre Chartularia ed il Colosseo : e quivi ogni giorno s'aduna- vano le Congregazioni, si trattavano cause e si davano risposte (1). « In quell'epoca, dice il Gori (2) il Colosseo divenne la fortezza tutelare della libertà (sic) pontifìcia » ; e dal Panvinio (3) apprendiamo che in quell'epoca « il Colosseo comunicò il suo nome ad una regione di Roma della quale i Fran- gipani erano i capitani, ed i cui bandonarii precedevano colle insegne il Papa nel di dell'incoronazione ». Alessandro III scomunicò Federico I, e, forse nell'Agosto del 1167, parti da Roma, per maggior sicurezza, nelle due galere o battelli armati che avea- glì mandato sul Tevere il re di Sicilia, Guglielmo (4). Verso la fine del pontificato d'Innocenzo III (1216), Pietro Annibaldi, ni- pote per parte di donna del suddetto papa Innocenzo III (5), volle edificare una torre nelle vicinanze dell'Anfiteatro, onde poter attaccare i Frangipani e far loro abbandonare il Colosseo. Le torri degli Annibaldi erano sulla costru- zione del tempio di Venere e Roma, e se ne trova una traccia nella pianta di Leonardo Bufalino. Ma i Frangipani non rimasero inerti, e dalla torre di Naione (6) e dallo stesso Colosseo procurarono mandare a vuoto il disegno degli Annibaldi. Que- sti però non si scoraggirono, ed il desiderio d'occupare il Colosseo era il loro sogno dorato (7); ed ecco che si presenta loro un' occasione propizia. Fede- (1) Ott. Frisigbnzb, De gestis Frid. I. 1. I, e. 28 feirarchivio Lateranense (1) v'è un istrumento in data 22 Ottobre 1238, per il quale Pietro Riccardo Frangipane vendè ad Orso Or- sini quartam parteni Palata magni et domorum junctorum Coliseo et prope Coliseum. I Legati Pontifici posero sotto la giurisdizione del Senato e del Popolo Romano il Colosseo, il quale, come vedremo nel prossimo capitolo, fu nuova- mente destinato ai pubblici spettacoli. (1) III, n. 2. « I CAPITOLO TERZO. Il Colosseo nelle mani del Senato Ronriano Giostre in esso celebrate. s. JoTTO il pontificato di Clemente V Roma e_ l' Italia trovavansi trava- gliate da gravi dissensioni. Il Papa, per riparare a tali mali e per il buon governo dell'una e dell'altra, inviò da Avignone tre Cardinali (1) i quali, come abbiam detto nel passato capitolo, posero sotto la giurisdizione del Senato e del Popolo Romano il Colosseo. Ludovico Bonconte Monaldeschi, nei suoi Frammenti delle cose accadute dall'anno 1328 sino all'anno 1340, riferisce che il giorno 3 Settembre del- l'anno 1332 (2) il Senato Romano, in occasione della venuta di Ludovico il Bavaro, volle celebrare nell'Anfiteatro Flavio una caccia di tori. Questo rac- conto fu criticato e messo in dubbio da Leone Allacci, ma ritenuto come sto- rico dal Muratori, dal Manzi, dal Nibby, dal Visconti, dall' Adinolfi, dal Lan- ciani, ecc. ed anche dal Gregorovius, il quale nelle due prime edizioni della sua Storia non dubita punto della storicità del fatto, ma poi nella terza e quarta edizione, benché narri il racconto, nondimeno fa notare che la sorgente di esso porta tutti i caratteri della non autenticità. Non v'ha dubbio che la Historia Monaldesca contiene parecchie cose che ci autorizzano a dichiararla qual lavoro di un falsario e probabilmente del noto Ceccarelli condannato a morte da Gregorio XIII per aver falsificato, come dice la sentenza, parecchi documenti precipuamente della famiglia Anguillara, ac etiam diversa Imperatorimi privilegia, genealogias et historias. Ma il Fumi (3) (sostenitore della falsità della Cronaca e dell'opinione che le assegna per autore il Ceccarelli) scrive : « Egli (il Ceccarelli) rozzolò lungamente negli archivi di Orvieto.... ed ebbe agio di consultare cronache e carte di casa Mo- naldeschi per comporre la sua Historia Monaldesca, dove seppe cosi bene me- (1) Rainaldo, d. Ann. (2) L' Adinolfi, (loc. cit.) vuole che sia ciò accaduto nel 1328. (3) Fumi, Codice dìplamatìco della città dì Orvieto. Firenze 1884, pagg. V-VII. 158 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO scolare cose VERE a cose false, da non poter scorger di leggieri dove l' inganno sia nascosto » . Ora, ammettendo quanto il Fumi dichiara, non potremo noi opi- nare coi succitati autori, che il fatto delle giostre dei tori entri fra le cose VERE inserite nel zibaldone Monaldeschiano ? Ed invero, quel racconto nulla ha in sé che lo renda sospetto, anzi trovasi in esso qualcosa che ci autorizza a ritenerlo autentico ; ed è, che i nomi propri dei giostratori son tutti conve- nienti all'epoca assegnata al fatto, mentre in altri racconti della Cronaca Mo- naldesca leggiamo, come osserva lo stesso Fumi, nomi classici inusitati fino a tutto il secolo XIV. Né ci é lecito dire essere impossibile che una giostra di tori sia avve- nuta circa la metà del secolo XIV, perché non possiamo asserire con certezza che quel giuoco non sia stato assolutamente in uso prima del secolo XV; e quanto io affermo, si deduce pur anche da queste parole dello stesso Fumi : « (la giostra del toro) assai verosimilmente introdotta non prima del se- colo XV ». Sicché, seguendo io l'esempio dei suddetti autori, sotto ogni aspetto ri- spettabili, m'accingo a narrare il fatto. Anzi reputandolo interessantissimo tanto per la storia degli spettacoli celebrati nell'Anfiteatro, quanto per la storia di Roma e delle sue famiglie celebri, lo riproduco letteralmente. Ma siccome il codice donde il Muratori ne estrasse la descrizione é poco corretto, noi tra- scriviamo, il racconto da un codice appartenente al barone P. E. Visconti e da lui stesso pubblicato nel Giornale Arcadico (1). Anche le annotazioni sono dello stesso eh. Visconti. « Nello detto anno (1332) si fece il giuoco del toro al coloséo : che ave- vano raccomodato tutto con ordine di tavoloni (2). Fu gettato il bando per tutto il contorno, acciò ogni barone ci venisse. Racconterò quelli giovani ci furono e chi ci morio (3). « Questa festa, primieramente fu fatta alli tre di Settembre del detto anno. Tutte le matrone di Roma stavano sopra li balconi foderati di panno rosso. Ci era la bella Savella Orsina con due altre sue parenti. Ci erano le donne Colonnesi ; ma la giovane non ci potè venire, perché sì era rotto un piede al giardino della torre di Nerone (4). Ci era la bella Jacopa di Vico, alias Ro- vere ; e tutte menarono le belle donne di Roma. Perché a quella Rovere toc- (1) Tom. CXLVIII. (2) « La stampa ha: che avevano raccomandato tutto con ordine di tavolini ». (3) « Ed io racconterò quali giovani giocorno e quali morirmio, si legge nella stampa » . (4) Il Visconti opina che la torre di Nerone fosse quella sovrastante al monastero delle Domenicane in via Magnanapoli. Il Gorì però, nel tomo CLVIII, p. 35 del Giornale Arcadico, sostiene che per t(/rre di Nerone era detta l'antica Torre Mesa, già esistente nel Giardino Co- lonna, e disegnata dallo Scamozzi prima che fosse distrutta nel secolo XVI. CAPITOLO III. - IL COLOSSEO NELLE MANI DEL SENATO ROMANO ECC. 159 caroiio le donne di Trastevere; all'Orsina tutte quelle di piazza Navona e di S. Pietro ; alla Colounese tutte le altre che restavano, che arrivavano fino alli Monti e alla piazza Montanara, e a San Girolamo vicino al palazzo Savello. Finalmente, tutte le femmine nobili da una banda e le artigiane dall'altra (1). Li nobili uomini da una banda: l'altri di mezza mano dall'altra, e li com- battenti dall'altra. E furono cavati a sorte dal vecchio Pietro Jacopo Rosso da Sant'Angelo alla pescheria. Il primo cavato fu un forastiere da Rimini, chia- mato Galeotto Malatesta (2), che comparse vestito di verde, collo spiedo in mano, e portava alla cappelletta di ferro scritto: SOLO IO COME ORAZIO. Andò incontro al toro, e lo feri nell'occhio manco ; ma il toro diede a fuggire. Allora esso ci dette una botta alla natica ; e il toro tirava un calcio al ginoc- chio, e cascò; e il toro iva correndo ma non lo trovò. « Usci allora tutto carrucciato Cecco della Valle, ch'era vestito mezzo bianco e mezzo nero. Il motto che portava al cimiero era: IO SONO ENEA PER LAVINIA. E questo lo fece perché Lavinia si chiamava la figlia di mes- ser lunevale, eh' esso ne ardeva (3). Combatteva valorosamente col toro, quando usci l'altro toro, e cosi Meco Stallo (4), forzuto giovane, vestito di negro, che gli era morta la mogliera, e diceva il motto : SCONSOLATO VIVO : e si portò bene col toro. « Usci Caffarello, giovane sbarbato, che portava il colore del pelo del lione, e diceva suo motto: CHI LO PIÙ FORTE DI ME? « Usci un forastiero di Ravenna, figlio di messer Lodovico della Polenta, vestito di rosso e nero, e suo motto diceva: SE MORO ANNEGATO NE LO SANGUE DOLCE MORTE. « Usci Savello di Anagni, vestito di giallo, e diceva il suo motto : OGNUNO SI GUARDI DALLA PAZZIA D'AMORE. « Usci vestito di cenerino Giovanni Iacopo Capoccio, figlio di Giovanni di Marzio (5), e il motto suo diceva cosi: SOTTO LA CENERE ARDO. « Poi uscì Cecco Conti, con un vestito di colore d'argento, e il motto diceva: COSÌ BIANCA HO LA FEDE (6). (1) 1 E le altre di minor sfera dell'altra, sta nella stampa, nella quale è omesso quel che segue distinto di carattere corsivo » . (2) Questo nome non è nel manoscritto del Visconti. (3) « E lui n'era fieramente innamorato, ha la stampa ». (4) « Cioè Domenico Astalli, di famiglia illustre romana, oggi estinta. Mezzo Stallo ha la stampa >. (5) « La stampa ha : figlio di Giovanni Mario » . (6) « COSI' BIANCA È LA FEDE, si legge nella stampa, togliendo il concetto dalla persona, end' è particolare, per recarlo alla cosa, di che perde tutto quell'acume che al cer- cava in questi motti e nelle allusioni di essi all'indole e ai pensieri di chi voleva più o meno chiusamente dimostrarli con essi ». 160 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO « Usci Pietro Capoccio, vestito d' incarnato, e suo motto diceva : IO DI LUCREZIA ROMANA SONO LO SCHIAVO. E voleva denotare, ch'era lo schiavo della pudicizia di Lucrezia romana. « Uscì messer Agapito della Colonna, con un vestito di colore di ferro e certe fiamme di foco, e portava allaca ppelletta una colonna. V era scritto intorno : SE CASCO CASCATE VOI CHE VEDETE (1). Voleva dire, che la casa Colonna era il sostegno del Campidoglio, e che le altre erano il sostegno del Papa. « Usci poi Alderano della Colonna, vestito bianco e verde, e portava una colonna al capo, col motto che diceva : QUANTO PIÙ GRANDE TANTO PIÙ FORTE (2). « Usci un altro sbarbatello, figlio di Stefano senatore ; si chiamava Cola della Colonna, vestito color pardiglio, e con un motto: MALINCONICO, MA FORTE. » Usci un Paparese, vestito a scacchi bianchi e negri, col motto: PER UNA DONNA MATTO. « Usci Annibale degli Anniballi, giovanetto di prima barba, con un ve- stito di color marino e giallo, e suo motto era : CHI NAVIGA PER AMORE S'AMMATTISCE. « Quel giovanotto di Stalli andava vestito di bianco ma co' legami rossi : al cimiero il pennacchio col motto : SONO MEZZO PLACATO. E il vicino suo, cioè Iacopo Altieri, era vestito di celeste colle stelle gialle : il motto diceva : TANTO ALTO SI PUOTE. Il motto lo fece uno zio suo letterato, donde co- minciò la grandezza di questa casa che aspirava alle stelle, e comprò la casa a Santa Maria de' Stalli (.3) e si chiamava Piazza d'Altieri. « Usci Evangelista d'Evangelista de' Corsi, vestito di color celeste, e por- tava al cimiere un cane legato, e il motto diceva: LA FEDE MI TIENE E MANTIENE. « Usci Iacopo Cencio, con un vestito bianco e lionato, e il motto diceva : BONO COLLI BONI CATTIVO COLLI CATTIVI. (1) « Ad Agapito Colonna la stampa fa portare una colonna di cera al cappello. Oh ! diamine! direbbe il Cesari, e come questo? L'orrore del copista si conosce facilmente, fu nel testo : una colonna c'era, ecc. Mutata la colonna scritta forse da taluno collonna in col- lana il e' era divenne cera.^ il di parve necessario, e la collana di cera fu fatta ». (2) « Qui pure il testo stampato ha collana ■> . (3) « Nella stampa si legge a san Marcello de' Stalli, chiesa che non ha riscontro alcuno con quelle esistenti o esistente già in Roma. Ben l'ha santa Mariella, come è nel testo a penna del sig. Visconti. La ricordò Fioravante Martinelli nel trattare de templis sanciorum obsoletis al capo XII della sua Roma ex ethnica nacra, in queste parole : mncta Maria, sive de strada, nunc domìni Jesus. Quella piccola Chiesa fu In fatto compresa nel grande edificio della Chiesa del Gesù, e notissimo è quivi lo splendido palazzo Altieri ». GoRi, loc. cit., pag. 95 n. 1. I CAPITOLO ni. - IL COLOSSEO NELLE MANI DEL SENATO ROMANO ECC. 161 « Usci il figlio di Fusco, con un vestito verde e brache bianche (1): al cimiero v' era una colomba con le fronde d'oliva, e il motto era : SEMPRE PORTO VITTORIA. «< Usci Franciotto de' Mareri (2) vestito di verde come la donna smorta, e il motto era : EBBI vSPERANZA VIVA QUA MI MUORE. « E molti altri, che io mi stracco di raccontarli. Tutti assaltarono il toro, e ne rimasero morti diciotto, e nove feriti. Delli tori ne rimasero morti undici. Alli morti si fece grande onore, e ri portarono a seppellire a santa Ma- ria Maggiore e a Santo Giovanni Laterano. « Camillo Cencio, perchè il nipote ch'era un Piccolino, nella folla era ca- scato, e fattolo cadere il figlio della sorella del conte dell' Anguillara, il Cen- cio gli diede in capo una stortata, che il povero giovane morse subito. « La folla fu a santo Giovanni per vedere seppellire i morti al giuoco » (3). Da questo racconto si deduce che il Colosseo, nei primi decenni del se- colo XIV era luogo pubblico, ma già in parte rovinato e mancante di sedili, essondovisi dovuti fare per la descritta circostanza palchi dì legno onde far sedere le gentildonne. Dopo queste feste e deplorabili spettacoli dati nell'Anfiteatro Flavio, non troviamo nella storia che ve ne siano stati posteriormente celebrati altri ; e lo stesso monumento non si nomina più né come fortezza né come luogo di spettacoli : neppure nell'anno del tribunato di Rienzo, in cui è fatta menzione di tante altre contrade di Roma. (1) « E li calzoni a brache bianche, sta nella stampa ». (2) « Franciotto Mareri personaggio di potente famiglia intorno alla quale si ha nel co- dice stesso manoscritto dogli annali del Monaldeschi un bel consenso di memorie, venne mu- tato nella stampa in Franciotto di Mansini ». (3) L'Adinolfl (loc. cit. p. 360 o segg.) scrive: « I personaggi che diedero gli spettacoli nel 1328 (?) sembra indossassero farsetto e brache dello stesso colore. Ma il colore delle ve- sti di uno era diverso da quello delle vesti dell'altro. Avevano una cintura dalla quale pen- deva uno spiedo, ed in testa un cappello di ferro o cimiero con pennacchio.... Vi furono 18 morti e 9 feriti. Uccisero 11 tori. Né tanta fu la strage umana che si vide nel Colosseo come si vorrebbe far credere. Molto sangue nondimeno si sparse, e questa fu la ragione per cui nell'età, di mezzo si tralasciarono simili spettacoli ». n. CAPITOLO QUARTO. Il Colosseo danneggiato dal terrennoto (a. 1349) L* Arciconfraternita di " S. Sanctorum „ nel Colosseo. D. 'ALLA fondazione dell'Anfiteatro Flavio alla cessazione dei giuochi, Roma andò soggetta a parecchi terremoti, fra i quali quello ABOMINANDO, ricordato nella lapide di Basilio. L'Anfiteatro, come tutti gli altri edifici, ne risenti gli effetti; ma la sua solida struttura, la forma curvilinea e gli oppor- tuni restauri lo tennero saldo. Nel. lungo periodo di abbandono, dal secolo VI al 1349, oltre alle insidie latenti del lavorio demolitore delle piante e degli arbusti, o, come dice il chia- rissimo Lanciani (1), « le radici delle piante arborescenti, le quali agivano a maniera di cuneo e di leva sull'uno e sull'altro orlo della frattura.... » , il Co- losseo ebbe a subire la violenza di altri non pochi terremoti, e principalmente di quelli avvenuti nei pontificati di Deodato (614-617), di Leone III (795-816), di Leone IV (847-8.55), di Benedetto IX (1044-1073), di Gregorio VII (1073-1085); ed anche, se si voglia, della brusca impressione dell' incendio di Roberto Gui- scardo. Tuttavia fino al 1349 il nostro monumento, sebbene sconquassato, ri- maneva integro. Cosi nel secolo Vili ce lo mostra la notissima pì-ofezia di Bada; e se, come alcuni vogliono (2), quella profezia fosse apocrifa (il che vuol dire scritta in epoca posteriore), essa ci renderebbe certi dell'integrità dell'An-^ fiteatro in tempi ancor posteriori al secolo Vili. Le contese dei Frangipani e degli Annibaldi (i quali fino al 1312 si dispu- tavano quella colossale fortezza) ci dicono pur esse che a quei tempi il Co- losseo era integro, giacché se la metà circa della muraglia esterna fosse già stata atterrata, non avrebbe certamente fatto gola a quei potenti principotti. La prima breccia nel recinto dell'Anfiteatro fu aperta dal terremoto del 1349: ce l'assicura il Petrarca nella lettera che egli scrisse al suo Socrate (8), in cui (1) Notìzie inedite ecc. Rend. della R. Accad. dei Lincei, 1896. (2) V. Duchesse, L. Pont. tom. I. p. 482, not. 23. (3) Db Sade, Mém. pour la vie de Frangois Petrarche, Tom. Ili, 1. 4, p. 3,5 e segg'. — « Ecce Roma ipsa insolito tremore concussa est: tam graviter ut ab eadem Urbe condita su- 164 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO descrisse i gravissimi danni causati da quello scotimento tellurico. Compreso dall'enormità di quel flagello, il Petrarca scrive che dalla fondazione di Roma per il corso di duemila anni non era mai avvenuto un egual cataclisma: ed a prova di ciò soggiunge immediatamente e con slancio oratorio: « Cecidit ae- di ficioruni veteruni neglecta civibus stupenda jperegrinis moles; cadde il Co- losseo, quella mole, che sembrava dovesse vedere l'ultimo giorno del mondo » . Di qui si deduce (ed è comune deduzione degli storici) che il Colosseo, rima- sto integro fino al terremoto del 1349, allora per la prima volta cominciò a rovinare. Che con la parola moles il Petrarca abbia voluto indicare il Colosseo, non se ne può dubitare; ce lo persuade l'espressione enfatica: moles aedificiorum veterum, tra gli antichi edifici la mole per eccellenza. Espressione che farebbe cadere nel ridicolo, come vi cadde il Gori (1), colui il quale volesse intendere per quella parola moles la torre dei Conti, di cui si parla nel periodo che segue. All' epoca del Petrarca la torre dei Conti contava dalla sua fondazione 485 anni, e 135 circa dall' ampliamento fattovi da Innocenzo III, per il quale fu resa tato urbe unica. Ora chi di noi potrebbe, dico, appellare la basilica di S. Pietro (riedificata da Giulio II circa 405 anni fa) moles aedificioì;um ve- terum, ? Ciascuno dei due edifici ha inoltre il suo proprio verbo che ne aff"erma la subita azione: la moles aedificiorum veterum, CECIDIT; la turris quae Co- mituni dicebatur, ingentibus rimis laxata, DIFFLVIT. Finalmente l'avverbio Denique, col quale il Petrarca incomincia il periodo seguente, decide senz' altro la questione. Denique, può ben dirsi dopo il rac- conto della catastrofe di due o più monumenti; ma non mai dopo il racconto della catastrofe di un solo monumento. La caduta di una parte del recinto del Colosseo, avvenuta per il terre- moto del 1349, è confermata, come giustamente opina il Nibby (2), da due do- cumenti della seconda metà del secolo XIV. Il primo di questi documenti è una lettera colla data del 1362, scritta dal Vescovo di Orvieto (allora Legato Pontificio in Roma) a papa Urbano V. In essa il Vescovo si rammarica di non aver trovato altri compratori delle pietre del Colosseo, da lui messe in ven- dita, che i Frangipani, i quali ne volevano usare per la fabbrica di un loro pra duo annorum millia tale nihil acciderit. Cecidit aedificiorum veterum neglecta civibus, stu- penda peregrinis moles. — Turris illa toto orbe unica, quae comitum dicebatur, ingentibus rimis laxata diffluit, et nunc velut trunca caput superbi verticis horrorem solo effusum do- spicit. Denique ut irae coelestis argumenta non desint, multorum 8))ecies teniplorum, atqne in primis Paulo Apostolo dicatae aedis bona pars humi coUapsa, et Lateranensis ecclesiae deiectus apex, Jubilaei ardorem gelido horrore contristant » . (1) Le mem.. storiche dell' Anf. Flavio p. 96. (2) Roma antica, Part. I, p. 417. CAPITOLO IV. - IL COLOSSEO DANNEGGIATO DAL TEKKEMOTO ECC. 165 palazzo (1). — Il secondo documento è conteniponiiieo alla lettera del suddetto Legato Pontificio; e vi troviamo che i capi delle fazioni che allora laceravano Roma, trattarono di dividere fra loro i travertini che si sarebbero scavati dal Colosseo. « Et praeterea si omnes concordarent de faciendo tiburtinam, quod esset commuue id quod foderetur (2) ». In questo secondo documento vicii confermata più esplicitamente che nel primo, la caduta di una parte del recinto dell'Anfiteatro, già avvenuta agl'inizi della seconda metà del secolo XIV. Leggiamo infatti che i vari partiti si sa- rebbero divisi il prodotto di un' escavazione e non di una demolizione: quod FODERETUK e Hon qiiod demoliretur; si trattava adunque di un cumulo di massi caduti, della famosa cosa Colisei. Il Lanciani (3) erede che per cosa (espressione che troviamo in un docu- mento del « liber brevium Mai'tini V, Eugenii IV et aliorum », e che a suo luogo riporteremo) s' intenda la scarpata, lo sperone prodotto dalla rovina dei due battei esteriori dalla parte che guarda il Celio. In quanto poi alle cause e al tempo di questa rovina, cosi parla: « È ignoto quando o come la rovina sia avvenuta, anzi è difficile trovarne una ragione soddisfaciente. La mano del- l'uomo nulla ha che fare, in sul principio, con queste contingenze. Guardando il Colosseo dalla parte dell' Oppio, dove si mosti-a intatto e di robustezza a tutta prova, si escluderà anche il caso di caduta spontanea. Forse la prima origine dei danni rimonta al terremoto del 442, che fece crollare plurimas aedes ed aedificia, e nel Colosseo stesso I'Harena, il Podium, gli spectaculi GRADUS, ecc. Supponendo, prosegue, si sia manifestata una fendidura da cielo a terra, come quella che trovasi al dorso del Pantheon dalla parte della via della Palombella, soltanto con maggiore soluzione di continuità perchè si tratta di fabbrica a grossi cubi di travertino e troforata da tre ordini di ar- chi, e da un giro di finestre, il resto è facilmente spiegabile. Una volta rotto l'equilibrio della fabbrica e aperta la via alla caduta dei massi, la rovina do- veva fatalmente proseguire, tanto più che le radici delle piante arborescenti agivano a maniera di cuneo e di leva sull'uno e sull'altro orlo della frattura. Questo processo di sgretolamento, lento ma continuo, è illustrato graficamente da tutte le vedute e vignette del Colosseo anteriori agli speroni di Pio VII, di Gregorio XVI, e Pio IX, le quali mostrano i lembi del balteo anteriore fuori di equilibrio ed in pericolo imminente di caduta. Basta poi osservare lo stato della parte costruita da Pio VII vei-so lo stradone di S. Giovanni per riconoscere che il più lieve scuotimento del suolo ne avrebbe fatto precipitare tre 0 quattro arcate se non le avessero rette in piedi, a tempo, con potenti in- (1) V. Rainaldo, an. 1365 n. 9. toni. XXVI, p. 114. (2) Meni, sur leu anciens monum. de Rome, Acad. des Inscript. Tom. XXVIII, p. 585. {3) Loc. cit. Noi. ined. p. 4. 166 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO castellature. Le incastellature non poterono essere tolte di posto, ma furono investite dallo sperone di muro: tanto grave sovrastava il pericolo. — I do- cumenti che ho raccolto su questo capitolo della Storia della rovina di Roma provano, che allo sfasciamento, masso per masso, del Colosseo si dovè aggiun- .gere la caduta istantanea di gran parte dei portici australi, la quale produsse una montagna o coscia di pietrame, vera miniera di materiale da costruzione per il giro di quattro secoli. « La data di quest' avvenimento è stata ristretta fra il secolo Vili ("quando il Beda parla ecc.) e l'anno 1386, quando furono dipinti gli stemmi della Compa- gnia di S. Sanctorum. Ma si può rinchiudere fra limiti più angusti. L'anno 1332 il 3 Settembre fu celebrata la giostra; l'anno 1362, i romani, il legato ponti- ficio, i Frangipani già si bisticciavano de faciendo tiburtinam, con le pietre del Colosseo. La rovina dovrà adunque attribuirsi al terremoto del Petrarca, av- venuto al principio del settembre dell'anno 1349 ». Benché il Colosseo fin dal 1311 non fosse più fortezza, e fosse venuto in possesso del Popolo Romano (1), libero allora di sé stesso per 1' assenza dei Papi dimoranti in Avignone; nondimeno non s' ha notizia di asportazioni di travertini del recinto del Colosseo che dopo il 1349. — J^eW intervallo corso tra il 1311 ed il 1349 al più furono liberamente asportati parte dei gradini del Colosseo per adattarli alle case della Città (2). Essendo dunque il terremoto del 1349 stretto da limiti cosi vicini, mi sem- bra non potersi negare aver esso aperto la piima breccia nel recinto del Co- losseo. Durante il tristissimo periodo dell' assenza dei Pontefici da Roma, il Co- losseo ed i suoi dintorni addivennero nido di ladri e dimora di malviventi. Il Senato ed il Popolo Romano, tristemente impensieriti, cercavano il modo di far tornare l'antica quiete e libertà in quella parte di Roma. Ma quanto era lodevole il pensiero, altrettanto ne era difficile 1' attuazione. Nondimeno la Compagnia dei nobili romani, detta del Ss.mo Salvatore ad Sancta Sanctoi^um, ne prese l' impegno ; e, mercè la diligente vigilanza dei suoi guardiani, potè snidare dal Colosseo e da' suoi dintorni quelle bande di malviventi. In riconoscenza ed in premio di un' opera tanto vantaggiosa per il pub- blico bene, il Senato ed il Popolo Romano, neW anno 1381 concedevano alla Confraternita suddetta ed ai suoi Guardiani l' ius del vero e misto dominio (Ij V. Albertinus Mussatus, Hist. Aug. ap. Mukat. Ber. Ital. script. Tom. X, e. 454, (2) V. Cancellieri, Stor, dei solenni promessi p. 311, not. 2,' CAPITOLO IV. - IL COLOSSEO DANNEGGIATO DAL TERREMOTO ECC. 167 sugli abitanti dell'Arco situato dietro la cappella del Sancia Sanctorum e sui dimoranti nella piazza Lateranense, via S. Clemente e dell'intiero rione Co- losseo; donando ad essa in propnetà la terza parte dell'Anfiteatro. Vi fu però una restrizione, e questa riguardava qualche causa di morte la quale era di esclusiva pertinenza e diritto del Senato Romano (1). Il Bonet ritiene invece che « il Senato di Roma prese questa risoluzione, di cedere cioè una terza parte del Colosseo e farvi un ospedale sotto il nome di S. Giacomo ad Colosseum, del quale parleremo in breve, per il fatto fune- sto avvenuto nelle giostre del 1332; e perchè i Romani aveano finalmente ri- conosciuto che quel luogo doveva venerarsi e rispettare perchè santificato dal sangue di tanti martiri cristiani (2) » . Se l'arena del Flavio Anfiteatro sia stata o no bagnata dal sangue cristiano, noi lo vedremo nella PARTE IV di que- sto lavoro. Il ch.° Adinolfi finalmente dice : (3) « la Compagnia del Salvatore fino dal 1366, stando ancora il Papa in Avignone, incominciò ad acquistare quella casa che gli Annibaldensi possedevano al Colosseo. Leggendosi in uno stru- mento di queir anno che questa Compagnia comprò una casa che fu di Cola Cecco . di Giovanni (degli Annibaldi) nel Coliseo pel prezzo di ducati 30, e che poco prima del trasferimento della Sedia Apostolica da Avignone in Roma, cioè nel 1369, Giovanni ed Andrea degli Annibaldi venderono alla medesima Com- pagnia l'intera metà della stessa casa, che conteneva sale e camere, posta nel Coliseo, unita con la metà dello spedale della prefata Compagnia ed a cui era innanzi la piazza di S. Giacomo, e negli altri lati era attorneata dall' edi- fizio del Coliseo pel prezzo di 30 fiorini d'oro (4). Dal quale istromento co- noscesi eziandio la forma di questa casa degli Annibaldensi riguardante colla facciata quella piazza e che per tre lati internavasi nello stesso monumento, non potendosi concepire diversamente la sua positura. « Dagli acquisti di questa casa e dagli acquisti che avea fatto di altre lungo la via Maggiore che conduce al Colosseo, la stessa Società incominciò ad avere delle ragioni tanto sulla via medesima che su questo orrevole edi- fizio; e da ciò ne discorse che volgendo il 1386, nell'antico diploma del Se- nato, trattandosi di quella strada, fosse attribuita alli guardiani della Compa- gnia del Salvatore la giurisdizione sopra gli abitanti di questa via. E con quelle vendite fatte dagli Annibaldi anche il diritto sulla loro casa si aggiungesse con (1) V. Marangoni, loc. clt. il quale assicura aver desunte queste notizie dall'Archivio di Sancta Sanctorum (Armad. I, mazzo III, n. 15). (2) V. ap. MoRONi, Diz. ecc. voce Colosseo. (3) Adinolfi, Roma nelV età di mezzo Tom. I, p. 374 e sg-g. — Roma 1881. (4) V. Archivio di Stato (Roma) - Posiz. Ardconf. del Salvat, 168 PARTE II. - DAL SECOLO VI AL MEDIO EVO quello sulla via Maggiore; diritto che venne esaminato meglio nel 1418, quando li guardiani della Compagnia medesima interpretarono, riordinarono ed amplia- rono quell'anzidetto diploma del 1386, e determinato più apertamente da una patente spedita molti anni dopo, cioè ai 29 di aprile del 1511, dalla quale senza alcuna dubbiezza sappiamo che il Colosseo per due terze parti appartenesse alla Camera Apostolica in forza di una bolla di Pio P.P. II, e per l'altra terza parte allo spedale del Sancta Sanciorum. Determinazione presa non solamente dietro la padronanza della Compagnia sulla casa degli Annibaldi, ma eziandio perchè godeva altri diritti, siccome quello del dominio di un solio termale o conca esistente dentro il Colosseo lasciatale per donazione fra viventi da Nic- colò Valentini del Rione Monti (1), ma anche di una chiesetta nominata di S. Salvatore de Rota Colisei, perchè edificata, per quanto ne è dato risapere, nell'interno circuito dell'Anfiteatro.... Fo poco conto della padronanza che ebbe, oltre alla predetta conca e chiesa di S. Salvatore anche di una grotta detta in pari tempo casa, sulla quale stavano alcuni luoghi acconci alla custodia dello strame che la prefata Società aveva dato ad affitto ad un cotal Paolo di Stefano, correndo gli anni del Signore 1485 » (2). Dal 1386 al 1510, quei capitoli, ordinazioni e privilegi furono costante- mente confermati dai Conservatori del Popolo Romano. Dopo quest' ultimo anno il Pontefice avocò a sé tutti i privilegi di vero e misto governo, e com- miseli ad ufficiali speciali, investendoli della stessa giurisdizione fino allora .avuta dai guardiani della Confraternita. Lasciò nondimeno ad essa la terza parte del Colosseo; e il resto rimase in domìnio del Senato Romano (3). Donata che ebbe il Senato alla Confraternita la terza parte del Colosseo, fu fatto dipingere sull' ingresso che è verso S. Giovanni lo stemma del Senato Romano e quello della Confraternita. Quest'ultimo stemma consiste in un'im- magine del Salvatore, su di un altare, fra due candelabri ardenti. Altri stemmi, e in pittura e in iscultura, si posero nel prospetto che guarda S. Gregorio, cioè verso la Mèta sudante : e poiché gli stemmi suddetti si trovano sulle volte della terza arcata, si ritiene generalmente che a quell'epoca le due arcate dei portici anteriori fossero state già demolite. Che due parti del Colosseo appartenessero in quei tempi al Senato Ro- mano e alla Camera Capitolina, ed una terza parte alla suddetta Confrater- nita 0 Arcispedale, si rileva non solo come si disse, da una bolla di Pio II, ma anche da scritture autentiche, esibite dai guardiani della stessa in occa- sione della vendita di alcune pietre dell'Anfiteatro ; nella qual vendita due (1) V. Archivio di Stato (Roma), Poslz. Arciconf. del Salvai, catasto del 1419, n. 69, (3) Ibid., cat. de' beni del 1435, p. 59, (3) V, Marangoni, loc. cit. CAPITOLO IV. - IL, COLOSSEO DANNEGGIATO DAL TEKKEMOTO ECC. 169 parti della somma ritratta fu presa dal Senato, ed una parte dall'Arciconfra- ternita (1). Il 28 Giugno 1604 la stessa Confraternita donava al Popolo Romano « il prezzo delle pietre impiegate nella fabbricazione del nuovo palazzo Capito- lino ». Per quest'atto di generosità, i Conservatori di Roma dichiararono no- vamente che la terza parte del Colosseo era di proprietà dell' Arciconfra- ternita (2). (1) Pergamena datata ai 29 Aprile 1531. (2) Dai documenti dell' Archivio di Sanata Sanclorum, comunicati dal Sig. Ab. CoLO- MANNO Hambrani al eh. Marangoni. PARTE HI. DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI. CAPITOLO PRIMO. Varie vicende del Colosseo nei secoli XV e XVI Travertini asportati - I Papi e il Colosseo - Drammi sacri Chiesa della Pietà - Chiesa di S. Giacomo - Ospedale Altre Chiese ed oratori che circondarono il Colosseo Sisto V. E RA il 1431 ed il 1447 Poggio Fiorentino scriveva il suo trattato De va- rietate Fortunae. Si narra in esso che a quei tempi il Colosseo vedevasi nella sua maggior parte distrutto; e ciò, Ei dice, a motivo della stoltezza dei Ro- mani : « Atque ob stultitiam Romanofum malori ex parte ad calcem deletum » . Che all'epoca di quello scrittore (anzi da molto tempo prima) l'Anfiteatro Flavio fosse maiori ex parte ad calcem deletum (1), non ne dubito; ma che la causa di questa parziale distruzione sia stata la stoltezza dei Romani, non posso ammetterlo. La cessazione dei ludi, causa originale dello sfacelo, av- venne forse per la stoltezza dei Romani? I barbari vennero a travagliare ed a impoverire l'Eterna Città per la stoltezza dei Romani? E dei continui ter- remoti (specialmente di quello del 1349, descritto dal Petrarca) che conquas- sarono quella mole, ne fu causa la stoltezza dei Romani? Riteniamo pertanto come positivo il fatto della rovina della maggior parte dell'Anfiteatro al periodo suddetto, ma rigettiamo assolutamente l'accusa lan- ciata ai Romani da Poggio Fiorentino. È indubitato nondimeno che i Romani (come avrebbero fatto e forse fecero i Fiorentini degli antichi monumenti delle loro contrade; e come facevasi da tutti i popoli di quell'epoca), si servirono (1) Ad calcem deletum, distrutto fino a terra, e non distrutto per far calce, come tradusse il Gori {Memorie stoi'iche del Colosseo, p. 98). Altri, come H. Babuckb (Geschichte des Kolosseums, p. 32), han voluto dare a queste parole lo stesso significato ; ma avvertito l'errore, cosa han fatto? Hanno cambiato arbitrariamente il testo originale, e la frase t ad calcem deletum-» è divenuta « ad calcem redactum! ». 172 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI dei massi (caduti) del Colosseo. Il fatto è provato da un breve di Eugenio IV, datum Florentiae, e forse motivato dalle lagnanze dello stesso Poggio Fioren- tino: lagnanze che riteniamo giuste ma soltanto nel senso dell'asportazione che da parecchi anni andavasi facendo dei massi caduti. Ridotto l'Anfiteatro Flavio in uno stato tanto deplorevole, le sue rovine addivennero ben presto ricetto di malviventi. Scrive il Vacca (1) che nel 1431 Eugenio IV fece con muri congiungere il Colosseo al monastero di S. Maria Nuova, onde togliere l'occasione del gran male che in quello facevasi. I monaci Olivetani ne godettero il possesso per molti anni; ma finalmente il Popolo Romano atterrò quei muri, e divise il monumento dal monastero col pretesto che una tale antichità non dovea stare chiusa e nascosta, ma aperta e alla vista di tutti i forestieri (2). Questo fatto dovette avvenire circa il 1485, come si deduce tanto dalle parole del Vacca (il quale dice che gli Olivetani « dopo la morte di Eugenio », ossia dopo il 1446, lo godettero « per molti anni >), quanto perchè nel 1490(3) s'incominciò a rappresentare nell'Anfiteatro la passione del Gesù Cristo; e quindi era tornato in possesso del Popolo Ro- mano. Dopo i primi crolli della parete esterna del Colosseo, avvenuti (come si disse) con tutta verosimiglianza nel terremoto del Settembre del 1349, le parti adiacenti, come succede sempre negli edifici semidiruti e non opportu- namente restaurati, principiarono a sfasciarsi e a gradatamente cadere. Es- sendo quasi impossibile il ripristinamento, e prevedendosi che i massi di tra- vertino andrebbero a finire, come per il passato, in qualche fornace di calcina; si credè cosa più utile usare i caduti materiali per altre fabbriche. Paolo II (a. 1614-1471) fé' trasportare una parte di quei travertini, e gli impiegò nella fabbrica del palazzo detto di Venezia, il quale poi addivenne l'abitazione dei Papi. L'Adinolfi (4) dice che in quell'occasione il Pontefice « die' licenza ad alcuni suoi architetti di poter demolire alquanti archi del Colosseo nella por- zione spettante alla Camera, il che die' motivo alla principale e più grande rovina della fabbrica. Ed in nota aggiunge : « Dico più grande rovina, perchè (1) Vacca, Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi della Città di Boma, N. 72. (2) Ecco le parole del Vacca: « Mi ricordo aver sentito dire da certi frati di S. Maria Nova (ora S. Francesca Romana) che Papa Eugenio IV (a. d. 1431) aveva tirati due muri che racchiudevano il Coliseo nel loro monastero; e che non ad altro fine era stato concesso al detto monastero, se non per levare l'occasione del gran male che in quel luogo si faceva; e che dopo la morte di Eugenio, avendolo goduto per molti anni il monastero, finalmente i Romani fecero risentimento che cosi degna memoria non doveva restare occulta, e a di- spetto de' frati andarono a furor di popolo a gettar le mura che lo chiudevano, facendolo comune, come al presente si vede. Ma i detti frati dicono aver tutte le ragioni in carta per- gamena; e mi dissero che se veniva un Papa della loro, si farebbero confermare il donativo, e vivono con questa speranza ». (3) Adinolfi, loc. cit., p. 379. (4) Roma nell'età di mezzo, p. 376. Tom. I, Roma, Fratelli Bocca e C. 1881. CAPITOLO I - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 173 all'età di Niccolò PP. V alcuni travertini del Colosseo furono adoperati per la fabbrica del palazzo apostolico al Vaticano » . Ciò che l'Adinolfi afterraa non pare del tutto accettabile. Vari autori, come il Nibby ecc., assicurano che Paolo II approfittò dei travertini caduti; nulla dicono nella demolizione di al- quanti archi del Colosseo. Già un secolo circa avanti il pontificato di Paolo II, e molti anni prima del governo di Nicolò V, l'Anfiteatro Flavio trovavasi privo della parte che guarda il Palatino ed il Celio (1). Il eh. Laneiani, tanto com- petente in questa materia, sembra essere dello stesso parere, giacché nel suo pregevole lavoro sulle Iscrizioni dell'Anfiteatro Flavio (2) riporta letteralmente le parole del Marangoni (3), le quali sono del seguente tenore: ^ S. P. q. R. « Confermasi ancora che circa la rovina di questi due portici australi del Colosseo, fossero più anticamente di Paolo II atterrati, dal vedersi negli avanzi interiori rimasti in piedi dipinte le armi o stemmi del senato romano e della compagnia nobilissima del SS. Salvatore ad sanata Sanctortmi, di rozzissima maniera, e con lettere gotiche espresso il titolo S. P. Q. R. nella targa, e questi, senza dubbio, furono fatti formare circa l'anno 1836, allorché il Se- nato medesimo donò la terza parte del Colosseo alla stessa Compagnia.... Che se a quel tempo vi fossero stati i due portici, queste armi sarebbero state di- pinte in fronte agli archi esteriori dei medesimi » . L'Adinolfi si oppose, come abbiam veduto (4), all'opinione del Marangoni, e ritiene che gli stemmi non siano stati dipinti su gli archi interiori prima del 1418. Io non intendo farmi arbitro di questa questione, ma farò osservare che l'opinione dell'Adinolfi, del resto, non intacca la deduzione del Marangoni; essendoché, dato pure che gli stemmi fossero stati dipinti nel 1418 anziché nel 1386, resta sempre vero che i due portici australi del Colosseo erano già rovinati anteriormente a Paolo II, e positivamente non meno di quarantasei anni avanti l'elezione di quel Pon- tefice, la quale avvenne nel 1464. E se anche fosse certo quanto l'Adinolfi af- ferma (5), io con lui stesso (6), concluderei : « Se molti scrittori incolpano del misfatto il solo Paolo II, io noi discolperò: imperocché, segue, eglino non av- vertono che ninno dei parecchi architetti che li servivano osò distorlo, sic- (1) Nibby, loc. cit., p. 417. (2) Loc. cit. p. 235. (3) Loc. cit. p. 60, n. XLVIIL II Lanciaiiì infatti non fa osservazioni contrarie. (4) Part. II, e. 4. (5) Aver cioè Paolo II « dato licenza ad alcuni suoi architetti di poter demolire alquanti archi del Colosseo ». (6) Loc. cit., p. 376. 174 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI come era dovere, di commettere lo sconcio, quando colle loro magistrali ra- gioni agevolmente avrebbero potuto persuaderlo a desistere di una faccenda assai riprovevole, trattandosi di un bellissimo monumento costruito per giuochi e spettacoli delli quali Paolo era oltremisura compiacente » . Mi permetto inoltre aggiungere che se Paolo II avesse realmente data ai suoi architetti quella li- cenza, potè anche averlo fatto per impedire una rovina maggiore, permettendo di demolire le arenazioni pericolanti, e lasciando con quel taglio la parete a sperone. Questo pensiero me lo suggerisce il breve di Eugenio IV (1), col quale si proibisce assolutamente « ut et minimus dicti Colisei lapis seu aliorum aedi- flciorum antiquorura deiiciatur »; non potendomi persuadere che un Papa il quale governò un trentennio appena dopo quella saggia disposizione, l'abbia potuto derogare senza un ragionevole e plausibile motivo. Il Cancellieri (p. 311) dice che lo stesso Pontefice Paolo II fé' abbellire coi travertini del Colosseo anche la chiesa di S. Marco, contigua al palazzo. Il Vasari, nella vita di Giuliano di Majano (2), aggiunge che una gran quan- tità di travertini fu scavata da lui stesso in certe vigne vicine all'Arco di Co- stantino, le quali venivano ad essere contrafforti ai fondamenti del Colosseo. Nel 1480 il card. Riario approfittò degli stessi caduti travertini per la costru/iione della Cancelleria Apostolica; e nel seguente secolo i Farnesi con il materiale dell'Anfiteatro e di altri antichi edifici romani, edificarono pur essi il loro palazzo. Contemporaneamente, nel periodo che corre fra il 1480 ed il 1550, s'abbellirono con quei materiali molti altri edifici romani, non esclusi come si legge nel Ricci (3), i palazzi Senotorio e dei Conservatori di Roma. Più tardi (sec. XVII), furono asportati i travertini di tre archi e mezzo (caduti nel 1644) per l'edificazione del palazzo Barberini (4). V'ha chi da questi fatti prende pretesto per censurare i Papi; e, travisando la storia, si sforza d'in- (1) « Dilectis filiis etc. Non potuimus non turbar! audientes sive ab altero vestrum sive ab aliis nostris offltialibus concessum fuisse ut quidam Colisei pars que Cosa vulgariter non- cupatur prò restauratione quorundam domorum deiiciatur. Nam demoliri Urbis monumenta niiiil aliud est quam ipsius Urbis et totius orbis excellentiam diminuere. Itaque vobis ha- rum serie iniungimus et sub indignationis nostre pena precipiendo mandamus, ut si quid huiusmodi sive a nobis sive a quibus aliis concessum extitit penitus revocetis nec quovis modo permittatis ut et minimus dicti Colisei lapis seu aliorum ediflciorum antiquorum deii- ciatur: super quibus detis talem ordinem ut huiusmodi mandatum inviolabiliter observetur, contenti tamen sumus ut ille cui forsan talis concessio facta extitit, de locis subterraneis a Coliseo distantibus lapides evellere possit. Datum Florentiae etc. » . (Lih. brevium Martini V, Eugenii IV et aliorum. Archiv. Vatic. Arm. XXXIX, tom. VII, e. 341, n. 319. Cf. Lanciani, Storia degli Scavi di Roma, voi. I, p. 61). (2) Architetto del palazzo di S. Marco o di Venezia, forse in compagnia di Giacomo da Pietrasanta. (3) Notizie della Famiglia Boccapaduli, p. 132. (4) Col permesso di Urbano VIII. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 175 gannare gli incauti e gli ignoranti, dando loro ad intendere che essi, come tali, fecero abbattere la parte mancante del Colosseo per fabbricar palazzi, ecc. Ciò è assolutamente falso. Nel capo quarto della Parte II dimostrammo che il Colosseo, sebbene gravemente intronato, rimase sostanzialmente integro fino al terremoto del- l'anno 1349. I Papi cominciarono ad adoperare i travertini del Colosseo per altre fabbriche nel principio della seconda metà del secolo XV, quando una buona parte del recinto era da quasi un centinaio d'anni precipitata; talché sarebbe stoltezza il pensare che essi sperperassero somme considerevoli in demolire, quando una gran parte dei travertini caduti, che avean formato la famosa coxa o cosa Colisei, era ancora a loro disposizione. « La cosa o coscia dell'Anfiteatro, dice il Lanciani (1), continuò a fornire travertini per opere pubbliche fino al principio del secolo deciniottavo ». Aggiunge che « i docu- menti da lui raccolti nel capitolo della Storia della rovina di Roma, pro- vano che allo sfasciamento, masso per masso, del Colosseo si deve aggiungere la caduta istantanea di gran parte di portici australi, la quale produsse una montagna o coscia di pietrame, vera miniera di materiali da costruzione per il giro di quattro secoli », E finalmente: « Nei registri di conti di quei tempi non ho trovato alcun accenno a demolizioni permesse od eseguite: si parla soltanto di concessioni 0 di spese per cattar asproni o teuertini a Culixeo ». Anzi i Papi s' interessaron sempre di quell'insigne monumento. Trascorso il primo periodo di dieci lustri appena, dopo il ritorno di Gregorio XI da Avi- gnone, periodo di scissioni e di turbolenze, nel quale i Papi avean ben altro a pensare che al Colosseo; trascorso, dico, quel periodo, essi rivolsero tosto le loro cure alla gigantesca opera dei Flavi. Ed ecco che vediamo Eugenio IV, il quale nel suo Pontificato (1431-1447) proibisce con un breve « ut et mini- mus dicti Colisei lapis seu aliorum aedificiorum antiquorum deiiciatur » arre- candone la ragione: « Nam demolir! Urbis monumenta nihil aliud est quam ipsius Urbis et totius Orbis excellentiam dirainuere '>. Dal Pontificato di Paolo II (1464) a quello di Giulio III (1550) si pensò al Colosseo, e si disse: o si riedifichi, o l'informe cumulo dei suoi traverti)ii caduti risorga in monumenti novelli, che siano degni della mole che li som- ministra. Come più ragionevole, si scelse la seconda parte del dilemma, e sor- sero i palazzi di Venezia, della Cancelleria e Farnese, ai quali non può cer- tamente dolersi l'Anfiteatro Flavio d'aver ceduto i suoi massi. La prima parte (riedificazione del Colosseo) che allora parve del tutto inattuabile e certamente inutile non sembrò tale a Sisto V. Quel Pontefice dalle (1) Not. ined., loc. cit. 176 PARTE in. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI idee gigantesche ordinò al Fontana la ricostruzione del Colosseo; e se fosse vissuto ancora un anno, noi vedremmo oggi intero il grande recinto dell'An- fiteatro: « Vixisset, scrisse il Mabillon, Sixtus V, et Amphitheatrum stupen- dum illud opus integratum nunc haberemus » . E buon davvero sarebbe stato se egli fosse vissuto; giacché l'immenso vantaggio di veder risorto il maestoso recinto del nostro Anfiteatro avrebbe largamente compensato le interne alte- razioni allora ideate; tanto più che non sarebbe stata impresa difficile il pur- gare poi la cavea da quelle recenti costruzioni. Dopo la morte di Sisto V il Colosseo rimase abbondonato per due secoli circa. Io non saprei spiegare quest'abbandono, se non come un elì'etto del gi- gantesco progetto di Sisto V. I successori di questo gran Pontefice ne rima- sero sbalorditi: eseguirlo era un'impresa enorme: dato pure che si volesse, li ratteneva l' idea di deturpare la cavea dell'Anfiteatro ; assicurarne le parti fa- tiscenti con speroni era un troncare per sempre l'attuazione di quel progetto : per circa un secolo si rimase in questa continua incertezza. La mole intanto deperiva gradatamente, richiamando a sé l'attenzione dei Papi; ed ecco che nel 1675 Clemente X ridesta la venerazione dei fedeli per quel luogo consa- crato dal sangue dei Martiri, mostrando con tal fatto l'animo di arrestare la rovina di quel monumento. E vi invitava i fedeli a concorrere numerosi; ed avremmo veduti certamente gli effetti di quel desiderio se i provvidi disegni di quel Pontefice non li avesse troncati la morte avvenuta in quello stesso anno. Trascorsi cinque lustri appena dal Pontificato di Clemente X, il gravissimo terremoto del 1703 fece cadere un'altra parte ancora del Colosseo; e si co- minciò a sentire il bisogno di decidersi a qualche cosa, per impedire almeno la totale rovina dell'Anfiteatro. Ne sono prova i progetti, più o meno lodevoli dal lato archeologico, che si venivano elaborando, quale quello dell'architetto Carlo Fontana ; e poscia la sistemazione dell'arena e la costruzione delle edi- cole della Via Crucis, fatta da Benedetto XIV: cose tutte che dovean neces- sariamente portare, onde evitare gravi disgrazie, il consolidamento delle parti fatiscenti dell'Anfiteatro. Ma nulla si decideva ancora a tal riguardo, sino a che, minacciando imminente rovina la parte del recinto verso il Laterano, Pio VII non frappose più indugio; e non attendendo, saggiamente, all'ostacolo (attuazione del progetto di Sisto V), fece costruire il colossale sperone, opera arditissima ed ammirabile. D'allora in poi i lavori di consolidamento si proseguirono continuamente. Leone XII consolidò il recinto dal canto del Foro ; Gregorio XVI ricostruì le arcate interne verso il Celio ; e finalmente Pio IX rafforzò la parte che guarda l'Esquilino. Cosi per la cura dei Romani Pontefici resterà ai posteri almeno un imponente reliquia di quello stupendo monumento. I Capitolo r. - vakik vicende del colosseo nei secoli xv e xvi ecc. l'ìit Ora i Papi, da (luaiant'aiini, non hanno più il dominio dj Roma, e quindi non han potuto più manifestare la loro sollecitudine per la conservazione del- l'Anfiteatro Flavio. Se ancora avessero dominato, noi forse avremmo veduto l'opera di qualche altro Pontefice spiegarsi a pi'o di ([uel monumento, conso- lidandone l'ultima ala del recinto verso il tempio di Venere a Roma (la quale essendo rimasta troppo isolata, difficilmente potrà resisteie ad una forte scossa tellurica), e ricostruendone i muri della cavea fino al piano del portico supe- riore, come già fece Pio IX quanto alla parte che guarda l'Esquilino. Troviamo che sulla fine del secolo XV (1) o sul principio del secolo XVI, nel Colosseo si rappresentavano drammi sacri; e questi ci vengono ricordati in vari libri, stampati prima e dopo il cinquecento. In uno spazio piano, che trovasi sopra gli archi delle antiche scalinate ristretto con un' ala di muro di forma circolare, si costruì una tribuna a guisa di teatro; ed in essa ogni anno, nel giorno del Venerdì Santo, rappresenta- vasi la Passione di Cristo. Scelti i personaggi atti all'uopo, tanti di numero quanti ne ricorda il Van- gelo, rappresentavano essi ciò che in questo si legge relativamente alla passione e resurrezione del Salvatore. Sulle scene v'erano effigiati i vari luoghi della Palestina, come Gerusalemme, Befania, il Cenacolo, 1' orto di Getsemani, le case di Anna, di Caifa e di Erode, il tempio di Gerusalemme, ecc. Le vette dei monti Olivete e Calvario, l'albero al quale s'impiccò Giuda, e forse il pin- naculum templi erano rappresentati al naturale. Nella scena del pretorio di Pilato eravi il tribunale, ed un seggio che costò 40 ducati. Nella parte superiore della tribuna eravi una galleria, la quale, dice l'Adi- nolfi (2) « facea mostra all'occorrenza delle nuvole con angeli (3), quali nubi venivano ad oscurai-e nella morte del Redentore ». In quella stessa galleria v'era la musica, il coro dei Profeti, quello delle Sibille, nonché dei pastori e dei re (4). I fratelli della Compagnia del Gonfa- lone offrivano volentieri la loro opera, onde costruire i palchi e provvedere il necessario per il buon esito della rappresentazione; e poiché fra loro v'erano abili pittori, architetti, letterati e mimi, ciascun di essi concorreva col suo la- voro personale : cosi uno dirigeva la costruzione dei palchi, un altro dipingeva (1) V. Adinolfi, Ioc. cit., p. 379. (2) Adinolfi, Ioc. cit. p. .371. (3) Probabilmente erano fanciulli che rappresentavano la scena al vero; giacché nel dramma recitato nel 1531 si leg-ge: « Spirato il Redentore s'apre il cielo con folgori e tuoni e risuscitamento di morti; s'apre il velo del tempio e gli Angeli vengono alla Croce e di- cono in musica : Ecce Agnus Dei » . (4) Arcfi. dei Gunf. mazzo XII. Oggi nell'Arch. di Stato (Roma). 12. 178 PARTE ni - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI le scene; chi componeva i drammi, e chi li recitava. Fra i pittori si ricordano: lacobeilo di Antonazzo, Havo, Antonio da Tivoli e Maestro Francesc^o. Uno dei più valenti compositori di drammi fu Giuliano Dai, fiorentino; e fra gli attori o coloro che nel 1500 recitarono nel Colosseo i suddetti drammi, si conserva memoria di Gregorio orefice, Mazzagattone, Mercurio, Tommaso cartaro (1), Pietro cartaro, Tommaso libravo. Marcantonio dì Caravaggio, Michelangelo linaiuolo, il fattore della Compagnia .sgr Agnolo, Mariotto a S. Pantaleo, Nar- dino e Marcello, il quale fece la parte di Erode. Turba immensa di popolo accorreva in quella circostanza al Colosseo; e Pietro Felino Martire, il Panciroli ed altri sci'ittori ci asseriscono che la quan- tità di gente uguagliava la quantità degli spettatori dei ludi profani che vi si celebrarono ai tempi degli Imperatori. Nella biblioteca domestica del marchese Alessandro Capponi il Maran- goni (2) vide due esemplari di un opuscolo il quale aveva per titolo : Rappre- sentasiotie della Passione del N. S. Jesu Christo, la quale si rappresenta il Venerdì Santo nel Coliseo di Roma, nuovamente colle figure ristampata. Que sto opuscolo consisteva in un componimento poetico in ottava rima; lo stile ne era rozzo e volgare; gli atti erano intermezzati da arie, che certamente venivano cantate. In ambedue gli esemplari, posseduti dal marchese Capponi, manca l'indicazione del luogo, dell'anno e della tipografia in cui vennero stam- pati. Nondimeno, noi, dai tipi, dal frontespizio e dalla figura di un angelo che in questo è effigiato, possiamo ragionevolmente dedurre che siano stati stam- pati a Firenze verso il 1550. Altri drammi furono scritti dal lodato Giuliano Dati, da Bernardo di mae- stro Antonio Romano e da Mariano Particoppe. Nell'archivio della Compagnia del Gonfalone se ne conservano tuttora due copie. La prima incomincia: « Con- templa la passion del Salvator, ecc. »; e termina con q}\es,i' avveiienza: < Se- guita poi la Madonna, colla deposizione della croce, la musica di Joseph e Ni- codemo, e la musica delle Marie ». La seconda copia è del 1531, e principia: « Quel glorioso Iddio, ecc. ». Poiché descrivemmo i vari ludi celebrati nell'Anfiteatro Flavio ai tempi dell'Impero, e parlammo della caccia dei tori ivi stesso eseguita nel 1332; ci sia pur lecito di dare una notizia sommaria degli attori e delle attrici, nonché di fare un sunto del più antico dramma sacro, conservato nell' ar- chivio del Gonfalone ; dramma che darà al lettore, ne son certo, un' idea chiara del modo con cui si rappresentava nel Colosseo la Passione di Cristo nei secoli XV e XVI. (1) Questi era solito fare la parte di Cristo. (2j Loc. cit., p. 87. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 179 I principali attori di questo storico dramma erano: 1. Il Redentore; 2. la Verf-ine sua Madre; 3. S. Giuseppe; 4. i ss. Pa- dri; 5. gli Apostoli; 6. Simone che invita a cena il Messia; 7. la Maddalena; 8. le tre Marie; 9. la Veronica; 10. Giuda; 11. il Capo de' Farisei; 12. Caifa; 13. Erode (1); 14. un Cavaliere con elmo e corazza; If). i due Ladroni; 16. Lu- cifero e Satana. Gli attori secondari erano: 1. La Vedova di Naim col suo figliuolo difunto; 2. lo Spiritato (sic) con- dotto da alcuni Pontefici; 3. i Farisei coi loro ministri; 4. un uomo portante un vaso con acqua; 5. gli Angeli; 6. le due ancillae che tentarono Pietro; 7. un individuo rappresentante la Morte, la quale dovrà poi avvicinarsi al- l'albero donde penderà Giuda; 8. lo storpio; 9. l'adultera; 10. varie Vedove: 11. il Cieco nato; 12. la Canenea; 13. Nicodemo; 14. Giuseppe, amico di Cristo ; li"). Beniamino, nemico del Messia; 16. Dottoi-i Ebrei; 17. Farfariello (sic); 18. vari Discepoli; 19. Barabba; 20. il Centurione; 21. il Cirineo; 22. Longino; 23. Giu- seppe d'Arimatea. Non appena gli attori eran pronti per l'esecuzione del dramma, un addetto tirava il tendone, e migliaia di occhi erano fisi allo scenario. II dramma che siamo per brevemente riportare, trovasi, come dicemmo, nell'archivio del Gonfalone: esso è intiero, in versi, e consta di sette atti. Esce per primo il solito nunzio, il quale esordisce ricoi'dando compendio- samente le principali gesta di Cristo, durante gli ultimi tre anni della sua vita mortale. Dopo il prologo incomincia il ATTO PRIMO Apparisce l'anima (!) di S. Giuseppe, la quale esorta gli spettatori ad ascoltare attentamente quanto si è per dire nel dramma; e conchiude dicendo che ella in quello stesso momento discende al limbo, onde annunziare ai ss. Pa- dii la venuta del Messia e quindi l'imminente loro redenzione. Ciò detto, muta scena. Appare il limbo: i ss. Padri se ne stanno tranquil- lamente aspett^ando Gesù. Dopo un momento questi viene; ed appena i ss. Pa- dri lo veggono, festosi e giulivi intonano ad alta voce il Te Deum. Lucifero, Satana ed altri spiriti infernali, all'udire il canto di quell'inno, escono precipitosamente dall'inferno I primi (Satana e Lucifero) ragionano fra loro, e discutono sul modo migliore d'impedire l'opera redentrice La (1) Il Redentore vestiva tunica e mantello; la Vergine indossava quegli stessi indumenti, coi quali, anche ai tempi nostri, la sogliono i pittori rafiSgurare. Gli altri attori poi vesti- vano alla foggia antica, ed avevano abiti di costume orientale o romano, secondo la |)arte che rappresentavano. 18Ò PARTE Ili. - DAL SECOLO XV Al TEMPI PRESENTI * discussione è breve, e tosto credono d'avere trovato il mezzo Risolvono di seguir Cristo al deserto Vi si portano eifettivamente, e, trovatolo orando, 10 tentano, gli offronp pane e lo menano sulla sommità del tempio. Coli' infe- lice esito di tutti gli inutili sforzi infernali, finisce il primo atto (1). ATTO SECONDO In quell'atto il Redentore richiama a vita il figlio della vedova di Naim. 11 miracolo giunge a cognizione di Simone, il quale si fti un dovere d'invitar Cristo alla sua mensa. Quivi la Maddalena unge i piedi del Messia: e Giuda vien preso da ira e sdegno per il balsamo che quella adopera. I Farisei ri- sanno, a lor volta, la guarigione dell'ossesso fatta da Cristo, e lo tentano colla famosa domanda relativa al tributo di Cesare: il Redentore li confonde con sagge risposte: torna poi dalla sua Madre; e coll'ordine che dà ai suoi disce- poli di preparare l'ultima cena si dà fine all'atto secondo. ATTO TERZO Torna in iscena Giuda, il quale spiega il suo odio contro Cristo : mette in esecuzione il suo tradimento: va alla casa di Caifa, onde accusare il suo Maestro presso quel Pontefice: un servo ne porge avviso a Caifa. Giuda entra nell'appartamento del Pontefice, e dice: « Padri coscritti, Scribi e Signori, So ben che tutti siate di buona mente; Aver seguito Cristo assai mi duole, Prestando troppa fede a' sue parole ». tUiò detto, il traditore contratta col Capo dei Farisei la somma da sbor- sarsi per la consegna della persona di Cristo: stabilisce la maniera onde por- tare ad esecuzione il suo tradimento, e col mettersi che egli fa in tasca i trenta danari, si chiude il terzo atto. ATTO QUARTO Giuda, seguito dai Farisei, va in traccia di Cristo. Partiti questi, appari- sce nuovamente il Redentore coi suoi discepoli; e, dopo un istante, hi sua madre Maria. Gesii domanda ad Essa la benedizione, e le soggiunge che « da (1) Fra un atto e l'altro v'era sempre il canto di due cori. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 181 Lei convieii si parta». A queste parole, la Madonna tramortisce dal dolore; e le tre Marie intonano il canto flebile che incomincia: « Alta Rfg-inu del celeste reg-iio » (1). Finito questo canto, Maria ricupera i sensi ; torna a parlare col Figlio, il quale la benedice e se ne parte; e le tre Marie intonan di nuovo l'inno. In questo punto l'atto cambia scena. 8i presenta la sala del Cenacolo: v'entra Cristo coi suoi discepoli: celebra l'utima cena, dirigendo la sua paiola ora a Pietro ora a Giuda. Poscia lava i piedi agli Apostoli: torna alla mensa: comunica i discepoli; e, dopo aver rese le dovute grazie all'Eterno Padre per la Pasqua celebrata, prende seco Pietro, Giacomo e Giovanni, e si dirige all'orto di Getsemani. Ivi si svolge quanto leggesi nel Vangelo, e l'atto termina colle parole del Maestro: (1) L'autgg'rafo ha: quale e non il quale. (2) L'autografo ha: Imperialo legge. (B) L'autografo ha: factionoso. (41 L'autografo ha: boni. (5) L'autografo ha: iudicamo. (6) L'autografo ha: advenire. (7) L'autografo ha: considerato. (*} L'autografo ha: vergogniosamcnte. (9) L'autografo ha: adonque. (10) L'autografo ha: factionosi. (11) L'autografo ha: dobiate. (12) L'autografo ha: alle legie imperiale 184 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI Sopravviene la Madonna, e di fronte a quello spettacolo si sviene. Il Ca- valiere ordina di alzare la croce ; ed il popolo riunito nell' Anfiteatro grida : « Misericordia ecc. » . Il Capo de' Farisei dice : « Eccovi crocifisso il malfat- tore »: le vesti di Cristo vengono sorteggiate: il Crocifisso prega per i suoi crocifissori. Sulla croce si pone il titolo: « I . N . R . I » e i Farisei ripetono a Pilato che il loro re è Cesare Augusto, e non Cristo: Pilato risponde: « Ciò che scrissi voglio che sia scritto, Ne vo' tornare indietro il (col) mio ditto ». Torna la Madonna, la quale dice al Cavaliere: « 0 saggio cavalier, in cortesia, ecc. » ma questo, adirato, risponde: « Donna, se vuoi onor, non ti accostare, ecc. »; il Cavaliere se ne parte, e Maria rimane a' pie della Croce. Incomincia allora il noto colloquio fra i due ladroni; finito il quale le Marie intonano il flebile canto: « Maestro caro, vedove ci lasci, ecc. » La Madonna dice al Figlio: « Ad un ladron non hai prima parlato, ecc. » Egli risponde: « Donna, veggiomi già condotto a morte, ecc. » E S. Giovanni segue: « Signor, farò quanto m'hai comandato, ecc. » II Crocifisso dice: « Sitio Pater ». Il Cavaliere gli nega la bevanda: poi muta consiglio e gli porge aceto e fiele. Cristo lo saporeggia e dice : « Consu- matum est ». I Farisei lo dileggiano, lo dicono falso e rio, ecc. La Madonna si lagna colle turbe: Ci'isto ad alta voce esclama: « Eloi eloi lagma sabactani ». I Fa- ll CAPITOLO I. VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 185 risei credono che Ei chiami Elia, e seguono a dileggiarlo. Finalmente, gimito il momento di morire, Cristo si fa a dire: « Altissimo mio Padre, onnipossente, ecc. » Compariscono gli Angeli, i quali dicono reverentemente: « Ecco Agnus Dei ». Longino canta: « O cieca gente, o popolo perverso, ecc. Misericordia, o sommo Creatore ». Segue la deposizione di Cristo dalla croce « con la nìusica di Giuseppe di Ariraatea, di Nicodemo e delle Marie ». Fin qui il dramma. Non è nostro compito esaminarlo criticamente. Molte cose dovremmo osservare. Solamente coU'Adinolfi (1) diremo: « Il dramma non è tutto da lodare o degno di biasimo, ma ben poco da mettere in paragone delle antiche, semplici e maestose rappresentazioni anfiteatrali alle quali ser- viva tutta quanta la natui-a della costruzione dell'edificio, e che secondo la (•osturaanza discesa dal greco teatro aveano nell' arenario le scene fisse ed in pieno, e non dipinte sulla tela, e ciò sia detto rispetto alla forma esteriore della tragedia o rappresentazione, che non recava noia alcuna con la lunga partizione degli atti, compatibile solamente nella storica tragedia, contenente talvolta l'intiera vita di un personaggio ». Le spese che importavano simili rappresentazioni, variavano secondo la maggiore o minore grandiosità degli scenari, palchi ecc., e la magnificenza nell'esecuzione. Né mancarono persone pie le quali offrissero talvolta denaro a questo scopo; e nel libro Decretorum (2), leggiamo: « che si faccia la de- vozione della Passione nel Colosseo, essendo persona che per esse offerisce 60 ducati, acciò non si perda la detta devozione ». Il dramma da noi compendiato e già esposto, fu recitato nell'Antiteatro Flavio fino al 1522. Il 2,S Marzo dello stesso anno i fratelli della Compagnia ne sospesero l'esecuzione, pubblicando il seguente decreto: « Non si faccia, conforme era solito, la rappresentazione della Passione nel Colosseo, attento periculo ob delationem armoimm, cum esset difficile sine scandalo transire posse » (.3). (t) Loc cìt. pag. 388. (2) Arch. del Gonf. A, foglio 138, anno 1519, 6 Febbraio. (Arch. di Stato, Roma). (3) Ex. lib. Decr. A. foglio 161. 186 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI A me sembra di vedere la causa di questo decreto nello stato turbolento in cui trovavasi Roma in quell'anno; giorni orribili, in cui la brutalità, i furti e gli omicidi dei soldati Còrsi, come pure la lotta di Renzo di Ceri coU'eser- cito dei Fiorentini e dei Sanesi, obbligavano i Romani a star continuamente in armi. (In questo stesso tempo accadde un fatto, che non posso tralasciar di ri- ferire, perchè avvenuto nel Colosseo. Un tal Demetrio greco percorse le vie della città con un toro da lui ammansito, come egli diceva, con arti magiche; e lo condusse al Colosseo per ivi sacrificarlo secondo il rito ai^tico e a fine di placare i demoni avversi!) (1). Nell'anno 1525 il surriferito decreto fu annullato, e si ordinò che si ri- pristinassero le rappresentazioni (2): « Fu proposto che per fare la rappresen- tazione del Colosseo, secondo il disegno fatto, vi sarebbero occorsi di spesa almeno 250 ducati; e fu risoluto che per essere l'Anno Santo si faccia con ogni onorificenza ». Il 30 Luglio dell'anno 1525 fu stabilito che le sopraddette « rappresenta- zioni avessero luogo di quattro in quattro anni, onde evitare spese gravi » (3). Nel 1531 si pensò a restaurare il palco, rimasto danneggiato nel sacco di Roma (a. 1527); e si stabilì che annualmente si spendessero 20 ducati allo scopo di « conservarlo e risarcirlo » (4). Nel 1539 nel Colosseo ebbe nuovamente luogo la rappresentazione della Passione (5); ma nel seguente anno (1540) cessò probabilmente quell'uso. Gli scrittori medioevali ed il Panciroli ci dicono infatti che quei drammi furono aboliti dal Pontefice Paolo III, il quale, malgrado tutte le pratiche fatte dal popolo onde perpetuare quella devozione, ne negò il permesso (6). Leggiamo nel libro Decreiorum della Compagnia del Gonfalone: « Anno 1517, che si faccia la cappella nel Colosseo e vi si spendano .30 ducati di oro di Camera » (7). Questa deliberazione fu presa dietro il consenso di Raffaele De' Casali e di Luigi De' Mattuzzi, guardiani dell'Ospedale del Salvatore. Il (1) V. Lanciani, Storia degli Scavi, voi. I, p. 214. (•2) Ex lib. Decret. A, 182, 25 Marzo. (3) Ibid. A, 185. (4) Ibid. A, foglio 32. (5) V. il Rubricellone dell' Archivio, p. 70. (6) In quella circostanza si formò una specie, di comitato, dal quale, per ottenere più facilmente la licenza, furono inviati al Papa i seguenti rappresentanti: « D. Antonius Pu- teus, d. Vicentius Pacetius, d. Antonius de Jacobatiis, d. Michael de Valeriis, d. Petrus Paulus de Attavantis, d. Gaspar de Scappucciis, d. Stephanus Medieus, d. Antonius Albertinus, d. Pirrus, d. Jwdanus Buccabella, R. d. Bartholomaeus Citillus, d. Franciscus Pallavicinus x (V. Lib. Decret.. foglio 126). (7) A, foglio 126. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 187 profietto però non si esegui c-lie nel 1519. Nello stesso libro Decrelorum (1) si legije: « 1519, (5 Febbr. Che si faccùa la cappella nel Colosseo ». Allora i guar- diani dell'Ospedale del Salvatore rinnovarono il loro consenso, e permisero alla Compagnia del Salvatore di poter cavare qualche pietra di travertino per fare alcuni v»ne\ e porte della stessa cappella, e questo fu il sacello detto di S. Maria della Pietà. Come risulta dalle date, la cappella venne fatta quando ancora nel Co- losseo si eseguivano le raprescntazioni della Passione del Salvatore; poi(;hè una di queste ve ne fu, come già dicemmo, nel 1519 (2), e non cessarono che nel 1540. Cessati i sacri drammi nell'Anfiteatro, il palco scenico rimase abbandonato, come pure abbandonato dovè rimanere l'intero edificio; giacché, non molti anni dopo, si giunse a tal eccesso da farlo divenire campo di stregonerie not- turne; ed il Cellini racconta nella sua vita che una notte egli stesso vi as- sistette. La cappella della Pietà cadde pur essa in oblio, e vi rimase per settanta anni circa: fino a che, nel 1622, l'Arciconfraternita del Gonfalone risolvè ri- pararla e ridonarla al culto. Vi aggiunse essa alcune stanze per un custode, e nell'alto del piccolo edificio collocò una campana. La chiesuola fu consacrata da Mons. Giulio Sansedonio, già vescovo di Grosseto (3). A memoria del re- stauro, si pose la seguente iscrizione: ARCHI CO NFRATERNITAS GONFALONI S SACELLVM . HOC . IN . COLISEO . POSITVM . SVB INVOCATIONE . BEATAE . MARIAE . PIETATIS VETVSTATE . DIRVTVM . ET . COLLABENS . NE TANTA . PIETAS . OBLIVIONI . TRADERETVR . IN MELIOREM . FORMAM . RESTITVI . ATQVE . OR- NARI . MANDAVIT . A . D . MDCXXII . PET . DONA- TO . CAESIO . CVRTIO . SERGARDIO . MARIO Q . AVRELII . MATTAEI . MAXIMO . Q, . HORATII MAXIMI . CVSTODIBVS . ET . M . ANT . PORTA CAMERARIO . Nell'opera del Fontana (4) sul Colosseo vi è una veduta dell'interno del- l'Anfiteatro qual'era agl'inizi del secolo XVIII. In essa si vede la cappella sud- (1) A, foglio 138. (2) Lib. Decret., A. f. 138. (3) Sotto lo stesso titolo di S. Maria della Pietà. (4) L' Anfiteatro Flavio, 1. I, p. 49. 188 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI detta col suo pìccolo campanile e l'abitazione del custode; dinanzi alla porta si scorge eretta una croce. Questa interessante veduta ci fa conoscere il sito preciso ove sorgeva la cappella di S. Maria della Pietà: essa sorgeva presso la porta libitinenne, ri- cavata nei vani sotto la gradinata del podio, ed ove si dispiegava il palco delle rappresentazioni della Passione, della quale si distinguono gli avanzi. Ma poiché la cappella rappresentata in quella veduta supera il piano del palco scenico, e non potendosi ammettere che quello sconcio sia stato fatto all'epoca delle rappresentazioni, dovrà dedursi che le stanze (delle quali si veggono due finestre sulla porta del sacello) siano state aggiunte nel restauro del 1622, e che prima del restauro la cappella fosse intieramente sotto il palco delle rap- presentazioni. Il eh. Armellini dice che la cappella di S. Maria della Pietà servì ante- riormente da guardaroba della Compagnia che rappresentava la passione di N. S. Gesù Cristo. L'Adinolfì opina che il sacello della Pietà fosse la chiesuola di S. Salvatore de. Rola Colisaei. A me sembra che ambedue abbiano ragione, e che un'opinione non escluda l'altra. L'Adinolfì fa derivare la denominazione Rota Colisatei dall'arena dell'Anfiteatro; l'Armellini dalla vasca rotonda della Mèta Sudante. Più giusta tuttavia sembra essere l'opinione dell' Adinolfi, poiché presso la Méta Sudante v'era una chiesa dedicata a Maria SS. detta De Mehno: denominazione che lo .stesso Armellini giudica « una corruttela della parola de Meta ■» . Laonde farebbe mestieri ammettere che la Jlèta Sudante fosse chia- mata contemporaneamente con due nomi: cosa non facile a dimostrarsi. Che per Rola Colisaei s'intendesse invece l'arena, mi pare potersi dedurre da quel che si legge nel Catasto dei beiti della Compagnia del Salvatore (1). Troviamo infatti che nella Ruota del Coliseo, poco lungi dalla chiesa di S. Salvatore, era vi una grotta, detta anche casa, forno e luogo da coìiservare erbe secche. Ora, attorno all'arena si può assai bene trovare il posto per questa grotta; ma attorno alla vasca della Mèta Sudante no davvero! Che poi su questa chiesina si fosse potuto stendere il palco scenico, e far divenire essa stessa la guardaroba della Compagnia, si può argomentare dal tatto dell'abbandono in cui cadde il detto sacello nel periodo che córse fra il pontificato di Pio II e quello d'Innocenzo Vili; abbandono reso manifesto dal decreto di Pio II, col quale egli toglieva le rendite alla chiesuola di S. Sal- vatore de Rota Colisei e le donava a S. Eustachio. Né fa ostacolo la diversità del titolo della cappella, detta prima di S. Sal- vatore e poi di S. Maria della Pietà, giacché questa diversità è più apparente che reale. (1) Anno 1435, p. 69. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 189 La cappella fu sempre dedicata al Salvatore: probabilmente nella sua pri- mitiva erezione (perchè più conveniente all'epoca — che io ritengo antichis- sima — come ora procurerò di dimostrare) vi si dipinse il Salvatore croci- fisso con la Vergine a pie della croce. Questa pietosa scena potè benissimo essere rappresentata tra il VI ed il VII secolo, e a quei tempi faccio io i-isalire l'origine di quella cappella. Né mancano eseinpr, ed uno ne abbiamo d'epoca più antica ancora, nella sca- tola d'avorio, cioèt che si custodisce nel Museo britannico, e che, come dice il Kaufmann, ragionevolmente possiamo dire opera del secolo V. Nei restauri posteriori vi si potè esprimere la morte del Salvatore ed il tenero dolore della Vergine più pietosamente ancora, dipingendovi, cioè, il corpo del Salvatore deposto dalla croce e giacente sulle ginocchia della sua SS. Madre : gruppo chiamato per antonomasia la pietà. Poste queste considerazioni, le due de- nominazioni si fondono in una. Non mi pare fuor di proposito ricordare qui quanto scrisse il Martinelli nella sua Roma ex etnica sacra (1): « S. Salva- toris de Pietat^in Campo Martio intra monasterium S. Mariae. Antiqua Urbis mi- rabilia referunt hic fuisse imaginem Salvatoris quae dicebatur Pietas ». Alcuni vogliono che detta cappella si fosse appellata pur anche S. Maria de Stara. Basano il loro asserto sul Registro dei possedimenti della Basilica Laterananse (2), nel quale è menzionata la chiesuola con questo nome. Io con- getturo che questa denominazione non sia altro che una piccola variante del titolo della cappella, chiamandola, cioè, « S. Maria de Salvatore; » e che tro- vandosi questo secondo nome scritto abbreviato « S. Maria de Stòre » (e forse malamente scritto), abbia potuto originarsi il titolo di . Il celebre letterato Francesco Valesio, senza però accennale alle fonti, comunicò ad alcuni suoi amici che nei suddetti archi chiusi del Colosseo vi era anticamente un monastero di monache (1). Questo stesso asserisce il Bonet. Noi riportiamo la notizia soltanto in os- sequio alla eh. memoria del suddetto Valesio, ma siamo atfatto incerti della verità di essa. L'Adinolfi (2) combatte enei'gicamente queste opinioni. « È veramente triviale (dice), e non pertanto meno curiosa 1' opinione del Marangoni, che la Società del Salvatore avesse governo non pur di questo tempietto ma eziandio dello spedale che li era ammesso fra gli archi stessi del Colosseo, il quale spedale dopo molti anni fusse trasportato al Laterano ove esiste; e dell' istessa natura è quella di Francesco Valesio quando pretende nell'Anfiteatro Flavio anticamente venisse aperto un monastero di monache. Rincrescendomi d' in- volgermi in certe quistioni tra perchè la brevità del lavoro le rifiuta, e per- chè si concerta con scrittori di molto credito, non posso nondimeno tralasciarle per la loro necessità e pel superchio l'ispetto all' altrui sentenza, sapendo i)er prova che tutti gli uomini qualche fiata rimangono in inganno. « A me dunque, che posi in disamina 1' archivio della detta compagnia anche coli' intendimento di veder meglio questa materia, pare la cosa assai diversa e massime per due ragioni. La prima è che nell' archivio suddetto non trovi menzionato alcun luogo dell'Antiteatro rivolto all' uno e all' altro uso. La seconda che questi pai'eri discendono dalia falsa congiunzione di due idee, tra loro ben distinte. Nel trovar scritto spedale e monistero del Colisseo s' intesero due fabbriche non già vicine ma entro quella orrevole dell'Anfitea- tro Flavio. Ora partendo da un principio stabile e certo dirò che avanti e alquanto dopo il mille come è sconosciuta la chiesa di S. Giacomo, cosi al pari il suo spedale di donne, 1' ediflcamento del quale non sembra più antico di quello di S. Angelo, ma piuttosto da esso originato, ed a lui assoggettato e dipendente {?>). Per avventui'a venne ai)erto dai lidccomandali per maggior (1) Ap. Maraniì. Inc. cit. (2) iMleraiw e vìa Maggiore, p. IKÌ. (3) Ij'asserto dell' Adinolfi è, ba.sato sulla liulla Unioìiix Ecclesiariim Ss. Quadraghifa et S. Mariae Jlospiiali S. Jacobi prope Colisaeum, emanata dal Papa Eugenio IV, ai 18 gen- naio del 1433, nella quale leggiamo: « .... hospital! S. Jacobi prope Coliseuin etiam de ltrb(^ ab eodem hospital! S. Angeli depend(>ns et per illius Onardlanos et confratres huius- inodi gubernari soliiuni etc. ». ]94 PARI'E III. - UAL SKCOLO XV Al TEMPI PRESENTI comodo degli infermi (1), come meno lontana dalla parte più popolata di Roma, e prova ne sia fra le altre quella, che, ingrandito lo spedale al Laterano non fu chiuso né quello, né l'altro assai più picciolo di S. Pietro e Marcellino chiamato lo spedaletto, ma tutti e tre correndo gli anni di Cristo 1383, a be- nefìzio del comune ricettavano malati (2j.... Ma siccome lo spedale.... fu aperto principalmente per donne (3), che ebbero bisogno nelle loro malattie di essere sei'vite da altre femmine, queste incominciarono prima a nominarsi offerte, e costrette da necessità a dimorare e convivere in quel luogo, tennero vita a seconda di qualche regola; da queste dunque o da altre povere donne ivi raccolte, o come par meglio, e dalle una e dalle altre, venne a formarsi una di quelle devote unioni ne' secoli di mezzo appellate case sante. « Le abitazioni di cotali donne, conchiude l'Adinolfì, erano contigue alla chiesa di S. Giacomo che col suo spedale dispiccato dal Colosseo erano sepa- rate affatto da questo edifìzio. Conciossiacchè venendo ampliamente dai guar- diani Bernardo de' Ricci e Paluzzo di Giovanni Mattei negli anni cristiani 1472, costoro chiesero licenza ai maestri delle strade di chiudere un luogo intra- posto a quella chiesa e ad alcune possessioni dello spedale (4), ed in questa concessione per verun modo si fa ricordanza di queir edilìzio del Colosseo, nel quale secondo Valesio, era contenuto il loio monastero ». * * Oltre alla chiesa di S. Giacomo de Coliseo, erano molto prossime all'An- fiteatro Flavio altre chiese, delle quali oggi non rimane alcun vestigio. « Neil' andar direttamente per la via Maggiore seguitava, dopo il titolo Clementine, la favolosa casa di Giovanni Papa VII; e verso l'Anfiteatro Fla- vio pei- lo meno quattro altre chiesette » (5). Il Lanciani (6) opina, e saggiamente, malgrado l' ipercritica dei moderni Bollandisti (7), che nelle vicinanze del Colosseo, oltre a varie cappelle vi (1) Ex eadem Bulla. (2) « Giiardianis, custodibus et offlcialibiis antepositis societatis Racconiandatorum ima- ginis Salvatoris ad Sancta Sanctorum ac pauperum hospitalis S. Angeli et hospitalis S. Ja- cob! et hospitalis Ss. Petri et Marccllini. {Da una Pergamena dell'Arch. S. Sanclorum). (ii) Il lodato Mellini è dello stesso parere : « Contiguo alla chiesa di S. Giacomo (dice) v' era un ospedale per le donne, come viene scritto nel catalogo 2" della medesima compa- gnia sotto r anno 146H da Niccolò Signorili, benché questo dica che 1' ospedale fosse co- strutto prò milUibus. (Arch. Val. Man. dell' a7itichità di Roma arni. VI, n. ii8. (4) Questa notizia l'attinse l'autore da una Lieentìa Magùtrmiim Stratarum Guardia- nis Societatis . Posto ciò, non sarebbe, credo, azzardato il supporre che S. Felicita e fi- gli fossero ivi condotti per esser poi presentati alle belve nell' Anfiteatro, al- meno a provare ancora una volta la loro costanza. S. Felicita fu martire nel principio dell' impero di Marco Aurelio, quando, cioè, la plebe gridava: « Chri- slianos ad leones! ». Dopo la morte di Antonino le incursioni barbariche mi- nacciavano l'Impero; il Tevere usci dal suo letto, e recò gravissimi danni; Roma era in preda alla fame; la peste poco dopo devastò regioni: conveniva cercar vittime a placar l' ira degli dèi ; e queste vittime furono i Cristiani. Era il grido del momento: « Christianm ad leones! » (5). Felicita ed i figli furono tra le vittime designate. (1) V. Questione III, Parte IV. (2) Ibid. (3) Piale, Memorie Enciclopediclie, 1S17, p. 154. (4) Loc. cit. p. 169. (5) Tbrtul Ad. Naf. I, 9; Apol. 40. CAPITOLO I. - VAKIE \aCENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 107 E vero che gli (illi uiccijiiio su ciò; ina conviene csscrviire che questi atti sono brevissimi e semplicissimi. Essi altro non ci ricordano che l'esame e la morte dei Santi; e se questo episodio dell'Anfiteatro non lo ricoidano, fu forse perchè non ebbe seguito. Dico foi-sc non ebbe seguito, giacché le Ma- trone Romane perorarono presso l'Imperatore per la loro compagna, matrona anch'essa « Inlnstria »; e l'Imperatore M. Aurelio che, al dire di Dione (1), di Capitolino (2) e di Erodiano (.'5), aveva orrore per i ludi cruenti del- l'Antiteatro, accolse la domanda; e Felicita ed i figli furono liberati da questa prova. La scritta che leggesi sul capo di B^elicita nel dipinto del nostro ora- torio: « Felicitas cultrix Romanarum {matronarian) », come tutti convengono, ce ne è una confernui. Quel cultrix, numero singolare, non si può l'iferire alle matrone, come senza badarvi si è fatto; perchè queste sono in numero plurale. Il Garrucci vide la difficoltà, e riferi quel cultrix ad una qualunque Felicitas, devota della Santa omonima; costretto però ad aggiungervi: < ro- tuìì) solvit », che non gli appartiene, come anche notò il De Rossi. Secondo la mia opinione, quel cultrix esprime la gratitudine di S. Felicita verso le Matrone Romane. Sennonché, come nota l'AUard (4), l'Imperatore, di fronte alla grande agitazione poj)olare causata dal terrore superstizioso, liberando Felicita ed i figli dalle zanne dei leoni, non potè a meno di rassicurar la plebe, ordinando che il sangue destinato a placare l' ira degli dèi, invece che nell'Anfiteatro fosse sparso in punti diversi di Roma. « Leur immolaiion, scrisse l'Allard (5) parlando dell' iscrizione trovata nel 1732 nel cimitero di Processo e Martiniano, POSTERÀ DIE MARTVRORVM, eut quelque chose d'exceptionnel: ils furent Ics mnrtì/ìs proprement dits, c'esta-dire les victimes choisies entre tous les chrétiens pour ótre sacriflécs k la colere des dieux, un jour où le faiiatisme, la superstition; la peur, voului'ent à tout prix arroser d' un sang illustre di- vers points de la ville de Rome ». Il De Rossi (tì) scrive che il graffito greco, ricordante un Alexandri 8ó[j,oc, era scritto suU' intonaco primitivo anteriormente alle pitture cristiane ; e che nel medesimo intonaco si leggevano pure in graffito: « Achillis invas » ed al- tri nomi, come: « Cassidi, Maxi..., Saeculari.... »; e sotto: « in de », che il De Rossi lesse: « in Deo ». Da questo Egli dedusse che nei graffiti del primo in- tonaco si ha indizio del culto del luogo, anteriore alle pitture cristiane. E giu- (1) LXXI, 29. (2) Ant. Phil. 4, 11, 12, 15, rò. (3) V. 2. (4) Histoire des peraecutions, tom. I, p. 355 e seg. (5) Loc. cit. p 357. ;6) " Bull. A. C, ,, loc. eit., p. 165. 198 PARTE in. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI stamente ; poiché tutti sanno che la parola domus nel linguaggio cristiano ordinariamente significa oralnrio, e le acclamazioni Vivus in Deo sono cri- stiane. Conchiudo : Fra gli oratori che circondavano il Colosseo, quello sacro a S. Felicita è il più antico; e se (come assai bene lo dimostrò il De Rossi) le pitture cri- stiane, roppresentanti la nostra Santa e i suoi figli, non sono posteriori alla metà del secolo V (44.3), ed il culto di quel luogo è anteriore alle pitture, dob- biam conchiudere che 1' oratorio di S. Felicita e figli risale al IV secolo del- l' èra volgare. E bene a ragione fu esso il primo; giacché quel luogo era, come si disse, la custodia per coloro che dovean essere esposti alle fiere nell'Anfiteatro: sup- l)lizio che subirono non pochi cristiani. Difatti noi troviamo qui una domus Alexandri ; ed il vescovo Alessandro, sepolto ad Baccanas, fu (secondo gli atti interpolati bensì ma in sostanza veritieri) (1) esposto alle fiere nell'Anfitea- tro ; e cosi, chi sa che anche i nomi di Achille, Cassidio, Massimo e Secolare, uniti a quelle cristiane acclamazioni, non siano anch' essi, nomi di Cristiani damnati ad bestias nel Colosseo V.... Un altro oratorio fu scoperto negli scavi del 1895, fra residui di fabbriche antiche, presso la nuova via dei Serpenti. Riporterò le parole del eh. Gatti, che allora descrisse la scoperta (2). « Sopra un muro curvilineo che trovasi alla di- stanza di m. 44 del Colosseo in corrispondenza delle arcate XXXXIIII e XXXXV, e costituiva l'abside di una piccola chiesa, si conserva la parte destra di una pittura a tresco, onde quella parte era decorata. Nel mezzo della composizione era rappresentatata una figura seduta su l'icco trono marmoreo, certamente la Vergine Maria col Bambino Gesù nel seno. Non ne rimane che una piccola parte della veste, e la fiancata sinistra del trono; il quale apparisce adorno di musaici, secondo lo stile così detto cosmatesco. Genuflessa al lato del trono medesimo é una piccola figura colle braccia sollevate in atto di preghiera. Ha il capo tonsurato, e veste una casula di color rosso puro. È il ritratto di colui che fece eseguii-e la pittura ad ornamento dell'oratorio. Segue l'imagine poco minore del vero, di un santo barbato, in piedi, con tunica di color ce- nere, stretta alla vita con una correggia di cuoio, e con corto mantello ros- sastro. L' abito é monastico ; ed é probabile che in questa figura sia effigiato S. Benedetto. Ad essa doveva corrispondere un'altra simile figura dal lato de- stro del trono, ove siede la Vergine. D dipinto é contornato da riquadrature (1) V. Db Rossi, " Bull. A. C. „ serie li, an. IV, p. 147 e segg. (2) " Bull. A. Com. „ Ann. XXIII, pp. 124-125. CAPITOLO I. - VAKIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 19'.» in rosso: sulla fascia int'eriort' si veggono tracce di scrittuia, con iettere di color bianco. La composizione e lo stile del dipinto sembrano doversi attri- buire al secolo XIII o XIV. « Nel campo della pittura si leggono i seguenti nomi di visitatori graffiti con una punta: liic Fiiil Ina/ìcs liollon FROUi: fta kzlot kz-lol kzlot Il Lanciani, pur dubitando, opina che questi avanzi di oratorio si debbano attribuire alla chiesa di S. Maria de Ferrariis (1); ma questa chiesa, come ve- dremo quando di essa si parlerà, per documenti certi conviene collocarla al- trove. E poi, essendo la composizione e lo stile del dipinto del secolo XIII o XIV, e non esistendo altri documenti che dimostrino la preesistenza della chiesa (come tale) alle pitture suddette, l'ofiinante ben fece a dubitare di quella con- gettura. È dunque per me un incerto oratorio. La i)ittura è stata trasportata al Museo Nazionale. Le chiese poi più vicine all'Anfiteatro Flavio, delle quali si ha memoria, sono: 1." 88. Quadraginta Colisaei. 2." S. Maria de Ferrariis. 8." 8. Giacomo. 4." 8. Salvatore de Insula. 5." S. Salvatore de Arcu Ti-asi. 6." 8. Maria de Metriis. 7." 8. Nicolò de Colosso e Colisaeo. 8." 88. Abdon e Sennen. I moderni Bollandisti (2) saltano a piò pai'i la questione intorno a queste chiese, che, come vedremo, sono certamente esistite nelle vicinanze del Co- losseo; come pure tacciono degli oratoli, dei quali parlammo di sopra, benché quando essi scrissero fossero già scoperti. Rivolgono le loro armi contro S. Sal- vatore in Ludo od in Tellure, e, contro .S'. Maria de uìtai aureo, che nulla hanno a vedere col Colosseo; e, costretti a parlare della chiesa dei Ss. Abdon (1) Laxciani, Forma Urbis. (2) Analecta Bolland. Tom. XVI, p. 248 e scg. 200 l'ARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI e Sennen, e non potendone negare l'esistenza, conchiudono con un « il a^l ftro- bable » che la lettura degli atti abbia suggerito l' idea di erigere una chiesa in loro onore in questo luogo. Del resto, la esistenza di queste otto chiese e di questi oratoi-ì attorno al Colosseo serve a dimostrare la venerazione che, da secoli e secoli, prima dell'epoca fissata dai Bollandisti per il culto di questo monumento — se- colo XVII — era prestata all'Anfiteatro, benché le chiese e gli oratori niuna relazione diretta avessero coi martiri che in esso patirono: giacché appunto attorno a centri indubitabili di grande venerazione noi vediamo verificarsi il fatto dell' aggruppamento di chiese ed oratori di vario titolo ; come, ad esem- pio, attorno alle basiliche Lateranense e Vaticana, ed a quella Apostolorum sulla Via Appia. Anzi questo fatto non solo si è verificato attorno a luoghi sa- cri fin dalla loro origine, ma eziandio attorno a monumenti destinati per loro natui-a ad uso profano, e divenuti poscia venerabili, presso i cristiani, per qual- che motivo speciale. Cosi attorno al grandioso edifizio delle Terme di Diocle- ziano, sorsero le chiese di S. Salvatore in Thermis, dei Ss. Papia e Mauro, e l'oratorio cristiano scoperto nel 1876 sul Monte della Giustizia (ove è ora la dogana); e ciò, perchè gli altissimi muri di quella immensa mole erano stati cementati, dirò cosi, dal venerando sudore di •migliaia di confessori della fede. I. Chiesa dei Xs. Quadraginta Colisaei (1). Cinque furono in Roma le chiese sacre ai Quaianta Martiri di Sebaste. Presso la chiesa di S. Maria Antiqua, scoperta a' nostri giorni, v'ha una cap- pella che il Wilpert considera come faciente parte della chiesa stessa, per es- sere a questa assai vicina (2). Neil' abside di questa cappella sono dipinti i Ss. Quaranta Martiri ; e la pittura è giudicata dallo stesso eh." autore (3) non posteriore al secolo VII. Nella stessa cappella Adriano I fece dipingere nel se- colo seguente gli stessi Santi in gloria. Altra chiesa dedicata a questi Martiri fu suU'Esquilino, e propriamente al Castro Pretorio. — Una terza ve n' era a breve distanza dal luogo ove ora è la chiesa delle Stimmate, e si disse Ss. Quadraginta de Calcarario, e poi de Leis. Un' altra ve ne fu, e v' è tuttora, nel Trastevere, e finalmente viene la nostra. Da quest' elenco mi sembra potersi ricavare 1' origine e la posizione della nostra chiesa. (1) Prima di parlare di (juelle chiese elio più direttamente in ani te stano la venerazione dei fedeli verso il Colosseo (venerazione che fu causa dell'aggruppamento delle stesse in quella zona), ho creduto conveniente occuparmi della chiesa dei Ss. Quadraginfa Colisaei; sia per- chè anch'essa in qualche modo fa parte di detto aggruppamento, sia perchè fu eretta per i Misenati, i quali, come è noto, erano al servizio dell'Anfiteatro, (2) V. Wilpert, S. Maria Antiqua, p. 14, ifl) Loc. cit. p, 18, CAPITOLO I. - VAKIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 201 I Quaranta Martiri furono soldati, e noi troviamo che le chiese ricordate sono presso le caserme militari. La cappella di S. Maria antiqua fu eretta per la Coorte Palatina; la chiesa dell'Esquilino, per i soldati Pretoriani; quella di Trastevere, nella celebre Urbs Ravennatium, per i marinai di Ravenna, quella situata a pochi passi dal luogo ove ora sorge la chiesa delle Stimmate, per i militi dei Castra dedicati da Aureliano in Campo Agrippae (1). La nostra dun- (1) Varie sono le oiìiiiioiiì (li'jj-li archcolof;! circa la situazione precìsa del Campun Ayrip- l>iw II Nardini, ad es., fra gli antichi, ed i Coni pilaf ori del Corpus Inscriptionum fra i mo- derni, ritengono che il Comptis Agrippae occupasse lo s|)azio compreso fra 1' attuale Corso Umberto e le Thermae Af/rippiaiiae, da un lato, e la Via del Seminario e la Pinz/.a S. Marco dall' altro. II Lanciani e V Huelscn lo collocano invece altrove, e precisamente ad Est della \ ia Flaminia, tra il suddetto Corso Umberto e la Via della Stamperia, in un senso, e le Vie Miiig-hetti e del Pozzetto nell' altro. Per giudicare quale delle due opinioni sia più probabile, il miglior partito è di esami- nare i passi di quegli autori antichi che parlano del Cavvpus Agrippae, e vedere se vi sia ([ualche monumento che possa gittar luce sulla questione. Gli antichi scrittori che parlano del Campus Agrippae, sono: Dione Cassio (Lib. LV), Aulo Gelilo (Nocfes Afficae 1. XIIII e. V), ed il Cronografo del 354 (Urlk:hs, Codex Top., p. 191 25). Aulo Gelilo ed il Cronografo nominano il Campus Agrippae; ma dalle loro parole nuli' altro può dedursi che la sua esistenza. Il primo .scrive: « Defessus ego quondam ex diutina com- mentatione, laxandi lerandiqiie animi grafia, in Aguu-par Campo deambulaham, atque ibi dnos forfè grammaticos conspicatus, etc. ». N# .secondo si legge: « Aurelianus Imp. ann. V. m. IIII. d. XX congiarium dedif XD. — Hic muro urbem cinxif, templum Solis ef castra in Campo .VcRippAE dedicavit, etc». — Dal passo di Dione però, oltre all'esistenza, se ne deduce pur anche (e molto fondatamente). la situazione. Lo storico greco ci dice infatti che Augusto, dopo la morte di Agrippa, dedicò il di lui Campo, eccettuato il portico (il quale, da quanto si dice appresso, fu quello incominciato ad erigere nel Campo da Vipsania Pola, sorella di Agrippa), nonché il Diribitorio, lasciato incompleto da Agrippa e terminato da Augusto prima della de- dicazione, rendendo egli ogni cosa di pubblico diritto. In quella circostanza si die un fune- bre munus gladiaforium, in Septis, sia (dice Dione) per rendere onore ad Agrippa, sia per l'avvenuto incendio di molti edifici attorno al foro. • Ora il sito del Porticus Septorum e dei Septa è da tutti riconosciuto ad Ovest del primo tratto della Via Flaminia chiamato Via Lata. Posto questo caposaldo, l'essersi dato il nmnvH gladiatoritim per onorare la memoria di Agrippa in Septis, anziché nel Foro od altrove, e l'es- ser ciò avvenuto nel giorno della dedicazione del Campo dello stesso Agrippa, son due cose che ci spingono a ritenere che quelli si trovassero in questo Campo; e che si fosse scelto quel luogo per fare, quasi direi, prender possesso al Popolo Romano del Campo suddetto, fin dal giorno della sua dedicazione. L' esame poi dei monumenti che Dione e' indica esistenti nel Campo d'Agrippa, quali sono il Diribitorium e il portico di Pola, e' induce anch' esso a ritenere il Campus Agrippae sito ad Ovest della Via Lata. Su ciò invito il lettore a leggere la dotta discussione fattane dal Nardini (Roma Antica 1. IV, e. X). Oltre a questo, nell'anno 159 >, costruendosi il palazzo Serlupi-Crescenzi (Via del Semi- nario), fu ritrovato un cippo enorme di travertino, alto tre metri circa, sul quale era scritto : ID . QVOD . INTRA CIPPOS . AD . CAMP . VERSVS SOLI . EST . CAESAR . AVGVST REDENTVM . A . PRIVATO PVBLICAVIT (C. I. L. VI, 874) I 202 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI que, per i marinai di Miseno. Questo quanto all'origine: quanto alla posizione poi, il quartiere dei marinai di Miseno fu tra S. Clemente ed il Colosseo; ivi dunque dovremmo collocare la chiesa. E così è di fatto. Gli editori del Corpux opinano che questi cippi augustei di Via del Seminario apparten- gano al Campo di Agrippa; e giustamente, poiché, come appunto noi siamo certi (per la te- stimonianza di Dione) che Augusto donò al Popolo Romano il Campo di Agrippa, cosi non ])08siamo esser certi che il Cmnpo detto dai Cataloijhi Marzio, con denominazione generale della piamira fra il Pincio ed, il Tevere (" Bull. Coni. ,, ann. XI, Sez. 2», p. 11), ed a cui il Lanciani opina s' alluda nei cippi, sia stato mai a privato redemptum da Augusto e, do- nato al Popolo Romano. E non possiamo esserne certi, perchè nessun documento ci è per- venuto finora, e finche esso non apparisca, dovremo ritenere con gli Editori del Corpus, che quei cippi si riferiscono al Campus Agrippae, e che ne costituivano il limite del lato Nord. Né si obietti che quei cippi si trovano in piena regione Villi, perchè noi non conosciamo i li- miti delle due regioni con precisione tale, da non poter supporre che nella regione VII vi fosse una zona di terreno ad Ovest della Via Lata. Cosa anzi che possiamo con grande fon- damento ritener vera per 1' eponimo stesso della regione (Via Lata): via detta appunto Lata, perchè il suo margine occidentale era cop(u-to dal l'or/iciis Septorum in modo da formare una larga via, in parte coperta ed in parte scoperta. E questo portico, formando un tutto con i Septa, dovette con ogni ragione appartenere, insieme a quell'area contigua, alla regione VII (Via JM,ta), e non alla Villi. Qui è inoltre necessario notare che nella divisione di Roma in quattordici regioni (la quale avvenne, per testimonianza di Dione dopo la dedicazione del Campus Agrippae, e probabilmente dopo la erezionerdel tempio d'Iside e Serapide), il nome di Campus Agrippae rimase alla parte non fabbricata del Campo stesso, ossia all'area conti- gua al Porticus Septorum; la quale area, per la ragione anzidetta, dovè nella divisione en- trare nella regione VII. A conferma di quanto si è detto fin qui, è bene osservare che il posto assegnato dal Laudani e dall'Huelsen al Cam,pus Agrippae, è inaccettabile per più ragioni. Primieramente quella località si trova del tutto separata dalla zona dove Agrippa svilu))pò il suo grandioso piano edilizio: cosa riconosciuta dallo stesso Lanciani, il quale, per attenuare questa diffi- coltà, escogitò un qualche modo d'attacco tra le due aree, supponendo che il grandioso por- . tico (di cui rimangono non pochi avanzi ad Est della Via Flaminia, nel sottosuolo dello ster- rato di Piazza Colonna, e che da lui è ritenuto per il Portictis Vipsaniae) fosse stato eretto da Agrippa quasi a far séguito al Porticus Septorum, che sorgeva dalla banda opposta della Via Flaminia, incominciando dalla Via di S. Ignazio e terminando a Piazza Venezia ; con- giungendo così (il Lanciani) la zona dei grandiosi lavori agrippiuiani col Campus Agrippae da lui supposto, per il vertice di un angolo ! Secondariamente poi perchè come asserisce lo stesso eh." autore (V. " Bull. Coni. ,, ann. XX, serie 4." p. 277, quell' area è priva affatto di ruderi monumentali dei tempi augustei). Ecco le sue parole: « La zona confinante col portico e l'acquedotto, cioè la zona fra S. Claudio e il Trivio è affatto priva di ruderi monumentali, né, per quanto io sappia, tali ruderi sono stati visti o descritti nei tempi andati ». — Eppure i residui della vastissima sala del Diri- bitorio, che, con ogni verosimiglianza (come osserva il Nardini, interpretando le espressioni di Dione Cassio), dove sorgere nel Campo in questione vi dovrebbero essere! È difScile poter supporre che queir edifìcio sia stato abraso fin dal piano dei fondamenti ! Perchè, finalmente, quest' area si trova in quella zona che è 1' unico sito della limita- tissima regione VII, in cui si possono collocare (come bene scrisse il Nibby) gli Orti Lar- giani: orti appartenuti probabilmente al celebre Caio Cecina Largo, console ordinario nel- l'anno 795 d. R., ed autore del Senatus Considtum Largianum sulla successione dei liberti. Ed appunto in quella località a me sembra che vi siano tracce degli orti suddetti. Quel muro. CAPITOLO I. - VAKIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 203 11 Lonigo la dice posta « li attorno al Colosseo », fra la chiesa di 8. Gia- como e quella di S. Clemente. Dalla bolla di Eugenio IV (1), per la quale que- sta chiesa e 1' altra di S. Maria furono unite all' ospedale di S. Giacomo, ri- della lunghezza di m. Gii, tornato in luco negli ultimi mesi del 1890 nella Via Poli (lungo il liauco della chiesa di S. Maria in Trivio, V^. il " Bull. Com. ann. XX, ,, serie 4.», p. 278), come pure gli altri residui di muri a quello coordinati (Lanciani, Forvia ITrbis), rinvenuti fra riazza Poli e la Via del Bufalo, non potrebbero essere i resti di un edificio edificato nel III secolo in quella lacinia degli antichi orti Largiani, ridotto poi, da Belisario, o tutto o in parte, a Xenodochio? Gli orti Largiani (osserva il NiVjbv) dovettero essere in istato di flori- dezza fin quasi al IV secolo; giacche essi sono ricordati, a preferenza di tanti altri, nei ca- taloghi di quei temjìi. Un altro indizio di (juesti orti è per me la grande pmcina alle falde del Quirinale, presso il così detto Lavatore del Papa. Il portico poi che decorava il lato Est del largo della Via Flaminia (ove più tardi fu eretta la colonna coclide), e che dovè, al pari del largo che adornava, far parte, per ragione di concomitanza, della regione Villi e non della VII (il limite delle quali, in quel tratto, era segnato dalla via che correva dietro al portico, e che lo separava dagli orti Largiani i, io lo crederei il Porticus Argonuntarum ; perchè, oltre ad essere un vero porficux, la sua costru- zione è molto simile a (juella del Porticus Septorìim, e quindi più propria dei tempi di Agrippa. — Non cosi possiam dire invece del tempio di Piazza di Pietra, e del suo recinto, perchè essi presentano tali caratteri, da non potersi (come pur anche ritenne il Nibby), portar più oltre i tempi di M. Aurelio Antonino. Tutto ciò poi che è rappresentato nel basamento di quell'edificio nulla ha che vedere con Nettuno; ed aggiungerò che, per la sua forma spic- cata di tempio, non potè essere da un autore antico (quale fu Sparziano) chiamato liasilica. Veduto come l'opinione più plausibile circa il posto occupato dal Campus Agrippae sia quella proposta dal N!irdini ed accettata dai compilatori del Corpus, cerchiamo ora di rin- tracciare il sito dei Castra dedicati da Aureliano in Campo Agrippae. Io opino (e non credo di esser lungi dal vero) che Aureliano riducesse a caserma il Porticus Sepformn. E ciò lo ri- tengo per due ragioni: 1." perchè non si trova più memoria di quel portico dopo il regno di Severo Alessandro ; 2." perchè quantunque esso fosse celebre quanto gli altri portici e forse anche più, non fu notato negli elenchi dei Regionari del IV secolo, né nella regione Villi uè nella VII: fatti, che manifestano una trasformazione venuta in. quel portico al cadere del secolo III, rimanendo notato però negli elenchi, sotto il nuovo nome venutogli da quella, nella regione VII. Ammettere la riduzione di un portico della forma del Porticus Septorum, a caserma, non è cosa che possa recar maraviglia, se si rifletta che quella forma si prestava molto a tale riduzione, e che questa veniva sug'gerita anche dall' uso che costantemente si faceva di simili portici per \' attendamento provvisorio delle milizie, allorché queste eran chia- mate in città per qualche fatto straordinario. Così avvenne, ad es., nell' eccidio di Galba. Chi non sa che in quel frangente la legione Illirica trovavasi attendata nel Porticus Vipsa- nia? Missiis et Celsus Maritts ad electos Illyrici exercitus, Vipsanii in Porticu tendentes (Tac. Ilist. 1. I, e. 31). La chiesa pertanto < SS. Qtuxdraginta de Calcarario » si trovava a breve distanza dai Castra Urbana di Aureliano. Del resto, il fatto dell' esistenza di quattro chiese dedicate ai Quaranta Martiri di Se- baste, situate indiscutibilmente presso alloggiamenti militari, sarebbe bastato da sé solo a far congetturare che, in prossimità della chiesa dei SS. Quadraginta de Calcarario, stessero i Castra Urbana. (1) Bulla, Intenta igitur, 1433 — Pont. Eug. anno HI. 204 PARTE HI. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PKESENTl siilta che era prossima a questo ospedale: « Sanctorum Quadragli! ta.... nec non S. Mariae prope dictura hospitale consistentes ». Nel Catasto dei beni deiros[)e- dale di Sancfa Sanctorum del 1462 (1) si legge: « Itera ecclesia Sanctormn Quadraginta prope dictara ecclesiam (di S. Giacomo) que remansit unita hospi- tali post cessum et recessum domi Johannis de Cancellariis ». Ora il f'abbi'i- cato della chiesa e dell' ospedale di S. Giacomo si estendeva fino al principio della via di San Giovanni. Qui dunque fu la chiesa dei Ss. Quaranta: vale a dire, di fronte al quartiere dei Misenati. Questa chiesa alla nn'tà del secolo XV era in istato di totale depeiimento, e lo ricavo dalla citata bolla d'Eugenio IV (1433), nella quale, parlandosi delle due chiese, di S. Maria de Ferrariis e dei Ss. Quadraginta, leggiamo: « Etiam ruine deformitati supposite et fere prorsus destructa ». Però sotto il Pontificato di Pio IV (1559-1565) esisteva ancora perchè è ricordatata nel catalogo delle chiese, redatto sotto questo Pontefice. L'Adinoltì (2) opina che « vivo Sisto IV fosse fatto titolo di Cardinale ed avesselo Pietro Foscari ; e Pontefice Alessan- dro VI il Cardinale Domenico Grimano e mantennesi tale trapassata anche l'età fra li due ». Che questa chiesa esistesse, trapassata anche l'età fra li due, è cei'to; perchè, come ho detto, si trova ricordata nel catalogo di Pio IV; ma che fosse elevata a Titolo ed assegnata ai Cardinali Foscari prima e poi Gri- mano, non so come l'Adinolfi l'abbia potuto attèrmare : sappiamo infatti che i due Cardinali suddetti ebbero a titolo S. Nicolò de Colosso o Collsaei, che è lo stesso che & Nicolo itiler imagines (3). Dalla seconda metà del secolo XVI in poi, non si ha più memoria di questa chiesa (4). II. Chiesa di S. Jlaria de Ferrariis. Parlando dell' oratorio scoperto negli scavi del 1895, dissi esservi alcuni i quali opinano, pur dubitando, che la chiesa di .S. Maria de Ferrariis fosse situata nel luogo di quel rinvenimento. Non ci è possibile accettare la loi-o (1) Pag. 160 b. (2) Roma nell'età di mezzo, Tom. I, p. 320. (3) V. Caudblla, Memorie Storiche dei Cardinali. Tom. Ili, p. 208 e 264. (4) Le cinque chiese dedicate in Roma ai Quaranta Martiri di Sebaste, tutte edificate presso cinque alloggiamenti di soldati, dimostrano quanto sia vera la testimonianza tradizio- nale dei Padri di Cappadocia (contemporanei al tatto con S. Basilio Magno alla testai, che ce li mostra aoldati in senso proprio ; e quanto male si apponga il eh.» Franco dei Cavalieri, il quale, dubitando di quella testimonianza, e basandosi invece sul famoso testamento (rite- nuto autentico dai moderni ipercritici) asserisce, che quei martiri non si possono dire soldati che in senso figurato. Il testamento fu scritto (secondo il documento) da Melazio a nome di tutti; ma basta leggerlo per dichiararlo apocrifo. Fra le altre bellezze, in esso parlano i morti! E proprio giunto il tempo predetto da S. Paolo: Erit enim tempus cum sanam doctri- nam non sustinebunt, sed ad sua desiderio coacervabunt sibi magistros prurientes auribus;et a ventate quidem auditnm avertent, ad fabulas autem convertentur. (Epist. II ad Timoth. 3-4), CAPITOLO I. - VAKIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 205 opinione, giacché la posizione di questa chiesa viene esattamente indicata dal- VOrdo Romanus di Cencio Camerario (1), e dalla bolla di Eugenio IV, più volte licordata. Nel primo si legge: « Et dehinc usque ad S. Nicolauni de Colosseo,.... deinde usque ad domum Johannis Papae VII.... deinde usque ad angulum Sancti Clementis ». — Nella seconda, come già vedemmo, è scritto: « Nec non S. Marie prope dictum hospitale S. Jacobi consistentis ». La chiesa di S. Mai-ia de Per- rariis era dunque situata presso l'ospedale di S. Giacomo, il quale terminava al principio della vita attuale di S. Giovanni; era prima della casa della fa- volosa Papessa Giovanna (2), che trovavasi, per chi va al Laterano, prima di S. Clemente ; era a sinistra della via suddetta, perchè ricordata con fabbriche che sono da questa parte: in conclusione la chiesa di «S. Maria de Ferrariis era situata al principio della moderna via di S. Giovanni, e a sinistra di chi va al Laterano. Il Lonigo la pone fra S. Giacomo e S. Clemente. La chiesa di cui parliamo è ricordata nel Catalogo del Camerario, nel Codice di Torino e nel Catalogo del Signorili ; poi scompai'isce. III. Chiesa di S. Giacomo. Di questa chiesa già s' è parlato abbastanza : solamente qui aggiungerò che negli scavi del 1895 venne a luce il cimitero dipendente da questa chiesa. Ecco le parole che scrisse il eh." Lanciani all'epoca della scoperta: « Sembra che questo sepolcreto dipendente dalla chiesa ed ospedale di S. Giacomo del Colosseo si estendesse per considorevole spazio, almeno sino al n. 2 in via di S. Giovanni, dinanzi al quale, il giorno 5 aprile, si trovarono altri avelli ad- dossati a muri di bella cortina (3). Stavano a soli due metri di profondità ». In nota poi aggiunge : « Una parte delle fondamenta della chiesa di S. Gia- como è stata troncata dagli odierni scavi: e corrisponde nei particolari archi- tettonici al prezioso disegno dell' anonimo di Stuttgart f. 88, n. 237 (4). Ad essa ed al camposanto si deve la conservazione dei cippi che chiudevano il mar- ciapiede e balteo del Colosseo, largo ben diecisette metri e mezzo ». IV. Chiesa di S. Salvatore de ìnaula. Questa chiesa è ricordata dal Camerario col nome di « Salvatoris Insule l't Colosei »; nel Codice di Torino è detta: « *S'. Salvatoris de Insula, hahet 1. sacerdotem »; e così pure vien chiamata nel Catalogo del Signorili. (1) V. Mabillon, Musamm Ital. Tom. II, p. 190. (2) Sulla favola della Papessa Giovanna vedasi il dotto lavoro del Ch." Prof. Toma.s- SETTi, Tm Storia della Papessa Giovanna — " Bull. Ardi. Coni. ,, — nn. XXXV, p. 82 e segg. (3) Muri probabilmente delle Tiziane. (4) Pag. 19 nella descrizione del Fabrizi. 206 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI L'Armellini (1) dice che non si trova altra menzione di essa, e la crede addossata all'Anfiteatro: « Tracce infatti (egli scrive) di costruzione del medio evo restano ancora presso uno degli archi del medesimo, dal canto della via che conduce alla basilica Lateranense ». Io però non posso convenire col eh.° scrittore: l'aggiunto « Insule > del Camerario, e il « de Insula » del Co- dice di Torino esclude l' idea di un addossamento della chiesa ad un edifizio. O fu dunque la chiesa medesima ])er se isolata, e quindi « Insule » o « de Insula »; ovvero fu inchiusa in uno di quei fabbricati, che, per essere affit- tato a più famiglie nell' antichità, e forse anche nell' età di mezzo, eian detti Insulae. V. Chiesa di S. Salvatore de Arcu Trasi. Con tal titolo è ricordata questa chiesa nel Codice di Torino; il Signorili poi la dice: « ad Arcum Trasi ». Non può cader dubbio sulla posizione di que- sta chiesa : essa fu presso l'Arco di Costantino, se non forse a questo addos- sata. L'anonimo Magliabecchiano (2) dice: « Arcus triumphalis marmoreus qui dicitur de Trasi coram colosso in via per quam itur ad sanctum Gregorium, fuit factus Costantino et dicitur de Trasi quia in transitu viae est » . Nella Mesticanza di Paolo Liello Petnene (.3) si legge: « Voglio scrivere la vita di alcuno vostro Romano, a quali si vorria fare un simil arco trionfale, che fu fatto a Costantino il quale si chiama Arco de Trasi appresso a Coliseo ». Poggio Bracciolini, nella sua silloge, scrive: « De arcu Costantini, qui hodie dicitur de Traxo ». L'Armellini, piuttosto che dal transito sotto ai fornici dell'Arco, opina si debba derivare il vocabolo Trasi dalle statue dei Traci che ne adornano l'attico (4). La memoria di questa chiesa scomparse dopo il secolo XV. VI. Chiesa di S. Nicolò de Coliseo. La chiesa di S. Nicolò, scrive l'Adinolfì (5), dicesi da qualche moderno « esser stata demolita ed essere stata nell' aia sulla quale è un locale, forse fabbrica dell' Arciconfraternita di Banda Sanctorum, lasciando sospesa la cu- riosità del ricercatore di essa se questo locale stesse a -destra o a sinistra della via Maggiore ^. Però Cencio Camerario, nel ricordare i luoghi ove si facevano gli archi sotto ai quali passava il Papa nella solennità del pì-esbiterio, e' in- (1) Le Chiese di Roma 2.» Ediz. p. 621. (2) Urlichs, Codex Topographicun p. 163. (3) V. Muratori Scriptt. XXIV, col. 1113 (an. 1438). (4) V. Armbll., Le Chiese di Roma, ediz. 2." p. 521. (5) Roìiiu iieW età di Mezzo, Tom. I, p. 320. , CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEL SECOLO XV E XVI ECC. 207 dica il sito ove sorgeva questa chiesa. Dice infatti : « Et deliiiic usque ad S. Nicolaum de Colisaeo.... deinde usque ad S. Mariam de Ferrariis.... deinde usque ad domum Joliaunis Papae VII.... deinde usque ad anguluni Sancti Cie- nientis » (1). La chiesa di S. Nicolò stava dunque prima di quella di S. Maria de Ferrariis; ed essendo, per quel che si è detto sopra, noto il posto di que- st'ultima chiesa, potremo con facilità stabilire il sito della chiesa di S. Nicolò. Questa fu certamente vicina al Colosseo, da cui tolse il nome; e perciò la col- locherei a sinistra della via attuale del Colosseo, dove verso il Lateiano ha termine l'edificio dell'Anfiteatro. Qui infatti, negli scavi del 1895, si rinvenne un lungo tratto di strada medievale, la quale, come nota il Gatti, eia la .via per cui si passava nelle solenni processioni iiapali, e dove appunto si face- vano gli archi ricordati dal Camerario. In questo luogo stesso e negli stessi scavi praticati nel 1895 si rinvenne un grande masso rettangolare di travertino, sul quale era in parte conservato r intonaco primitivo dipinto. « Lo stile dell' affresco, scrive il Gatti (2) con- viene al secolo VIII in circa. Vi sono rappresentati due santi, in piedi col mimbo circolare attorno al capo, vestiti di lunga tunica adorna di croci qua- drilatere, e coperti col pallio. Ambedue tengono la mano destra sollevata al- l'altezza del petto ; e mentre la figura a dritta sostiene una corona, 1' altro |.p£^oe un libro aperto, sul quale è scritto : INITIV SAPIENTI « Si volle ripetere la sentenza: Initiuni sapienfiae, timor Domini; man- cato pero lo spazio per le ultime parole, queste furono rappresentate con pic- cole linee ondulate. La pittura è molto deperita ; e verso ambedue i margini laterali della pietra manca quasi la metà delle due figure. In mezzo a queste è dipinta, nascente dal terreno, una pianta con fiori simili a rose >. Questa scoperta mi sembra sia una conferma della mia supposizione : che qui, cioè, fosse la chiesa di S. Nicolò de Colisaeo. Fu chiesa titolare; ed i due Cai'dinali Foscari e Grimano (i quali furono insigniti di questo titolo) ce ne sono la prova. L'Armellini (.3) afferma che questa chiesa era ancora in piedi sotto S. Pio V. VII. Chiesa di S. Maria de Metri o. Il Camerario, il Codice di Torino ed il Signorili ricordano questa chiesa; ma dal secolo XVI in poi non se ne ha più memoria. Il Codice di Torino la (1) Mabili.on, loc. cit. p. 190. (2) " BulL A. Com. „ an. XXIII, p. 124. (3) Chiese, ecc., loc. cit., p. 139. 208 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI chiama « Sellarla de Metrio »; in una bolla di Urbano V è detta S. Maria de Metrio (1). I topografi non hanno saputo indicai'e il luogo preciso di questa chiesa, e vi fu chi la collocò lontanissimo dal Colosseo ; il Codice di Torino però ce ne dà l' indicazione precisa, e la pone fi-a S. Salvatore de Arcu Trasi e la chiesa dei Ss. Abdon e Sennen. Ora, conoscendosi il sito preciso della prima — Arco di Costantino — e dell'ultima — Colosso di Nerone, — è chiaro che S. Maria de Metrio fu alla Mèta Sudante o li presso; e la voce Metrio (cor- ruzione evidente di Mèta) ce ne è la conferma. Vili. Chiesa de' Ss. Abdon e Sennen. Questa chiesa fu eretta sul luogo ove furono gettate, dopo il martirio, le salme dei gloriosi Martiri Persiani: vale a dire, aìite simulacrum Solis, ossia davanti al famoso Colosso Neroniano. Difatti, tra il basamento del Colosso ed il tempio di Venere e Roma, al cadere del secolo scorso, si trovò una gran quantità di ossa umane, le quali vengono a dimostrarci la presenza di un ci- mitero svoltosi attorno a questa chiesa. Essa è ricordata dal Camerario, dal Codice di Torino (il quale, come dicemmo, la nomina dopo la chiesa di S. Ma- i-ia de Metrio), dal catalogo del Signorili e da quello di Pio V, ritrovato dal- l'Armellini negli archivi secreti del Vaticano. Da questo catalogo egli argo- menta, e giustamente, che la nostra chiesa durante il pontificato di Pio V non solo era intatta, ma vi si compievano ancora gli atti di culto; poiché l'esten- sore del suddetto catalogo nota esattamente lo stato materiale di ciascuna chiesa, e di quella dei Ss. Abdon e Sennen nulla osserva (2). Lo stesso chia- rissimo scrittore la suppone disti'utta alla fine del secolo XVI o sugli inizi del XVII secolo. Ed ora, chiusa questa lunga parentesi, alla quale mi hanno condotto le questioni sulle chiese di S. Salvatore de Rota e S. Giacomo, torniamo all'ar- gomento. I Pontefici, nel prender possesso della loro suprema dignità colla famosa e solenne cavalcata alla basilica Lateranense, solevano ascendere il Campido- glio ; poscia, attraversato il Foi'o, passavano innanzi il Colosseo, e prosegui- vano per la via che conduce al Laterano. Gli Ebrei erano in dovere di preparare i soliti apparati e di ornare la strada dall'Arco di Tito fino all'Anfiteatro. S. Pio V, nel possesso che prese il 23 Gennaio 1566, volle, con tutta la cavalcata, pas- sare per entro lo stesso Colosseo, come pure fece nella sua presa di possesso Gregorio XIII (-3). (1) Archiv. secr. S.S. Reg. Urh. V, Tom. VITI, fol. IGO. (2) Armbll., loc. cit.' p. r)23. (3) Cancellieri, Possexsi, p. 121. CAPITOLO I. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 209 Nel lilyi-0 dei decreti del 1574 si trova il seguente decreto del Consiglio secreto del 15 Ottobre (f. 548): « Giovanni Battista Cecchini primo Conservatore propose: Perchè tutte le opere cominciate deuono hauere il suo debito fine, però ce par necessario che mancando ancora molta quantità di Trauertini per finire la restaurazione del Ponte Santa Maria, et per £idesso non se ne possono far venire et per questo essendone detto che nel Coliseo uè ne è gran quantità sotto le ruine dò sonno cascati et non sono in opera quali si potrebbero far cauare per questo biso- gno. Però l'habbiamo uoluto esporre alle S.S. V.V. acciò possino sopra di ciò fare quelle risoluzioni che gli parrà ». « Deci'etum extitit omnium Patrum astantium assensu quod capiantur et fodiantur expensis Po. Ro. omnes lapides morraorei et Tiburtini existentes in ruinis amphitheatri Domitiani vulgo detto il Coliseo, diruti et nullo pacto eo- niuncti et applicati dicto Amphitheatro, sed etiam eftbdi possint in omnibus aliis locis publicis prò supplemento operis Pontis Sauctae Mariae sine tamen praeiudicio aedificiorum antiquorum prò quibus exequendis curam habere de- beat magister Mathaeus architectus. Quoque omnes statuae et antiquitates quae in dictis locis reperiantur sint ipsius Populi i-omani ». Il Sommo Pontefice Sisto V, fu uno dei Papi che più ricordi lasciò nel- l'alma Città. « Costruì più Egli solo in cinque anni di pontificato, dice giusta- mente il prof. R. Corsetti (1), che in più secoli la maggior parte dei suoi suc- cessori » — Poteva dunque 1' operosissimo Sisto V trascurare l' Anfiteatro Flavio? Non era possibile: egli pensò ben tosto di far ivi grandiosi lavori, onde conservarlo e renderlo nuovamente, in pari tempo, di pubblica utilità; benché con non lieve danno dell' integiità archeologica di quelle monumen- tali reliquie, se tali lavori fossero stati eseguitL) Ai tempi di Sisto V molti poveri di Roma non avean modo di vivere colle loro fatiche: il lavoro scarseggiava; ed il provvido Pontefice escogitò la ma- niera di sovvenire agli indigenti ed evitare che andassero mendicando per la Città. Sul finire del secolo XVI, Sisto V dava incarico a Domenico Fontana, per- chè riducesse il Colosseo ad abitazione e lanificio; giacché l'arte di lavorare la lana era allora in Roma molto negletta. Il suddetto architetto fece il disegno dell' edificio restituito nella sua originaria circonferenza: quattro porte od ingressi con altrettante scale immettevano al monumento. Nel mezzo dell'an- tica arena dovea sorgere una fonte: altre fonti dovean servire per il lavoro; e per le abitazioni degli operai si destinavano i portici esterni, dando a cia- scuno di quelli, gratuitamente, due stanze. Gli altri portici dovean adattarsi (l) // passato topografico e storico dell' Istit. Massimo olle Terme, p. 43 — Roma 1898. 14. 210 PARTE IH. - DAL SECOLO XV Al TEMPI PRESENTI a stanze e a laboratori. Già erasi intrapreso il lavoro: i commercianti di lana avevano già ricevuto da Sisto V la somma di 15, 000 scudi per la provvista della materia da lavorarsi nel nuovo lanificio ; quando la morte del Pontefice venne a troncare l'attuazione di queir opera (1). « Se vivea un altr'anno solo, dice il Fontana, il progetto sarebbe stato una realtà, con immensa utilità pub- blica e specialmente dei poveri ». E il Mabillon (2) aggiunge: « Vixisset Syxtus V et araphitheatrum, stupendum illud opus, integratum nunc haberemus! » — Ma ascoltiamo le parole dello stesso Fontana (3): « Acciò, iui si facesse l'arte della lana, per utile delia città di Roma, volendo che a torno per la parte di den- tro al piano di terra vi fossero le loggie couerte, et disopra scouerte, con le botteghe, e stanze per abitatione per li lavoratori di detta arte, e che ogn'vno dovesse hauer vna bottegha con due camere e loggia scouerta avanti à torno tutto il teatro, hauendo già dato ad alcuni mercatanti scudi quindicimila acciò cominciassero ad introdur detta arte, volendoci di più far condurre l'acqua per far fontane per comodità di detta arte et per vso degli habitatori, e di già haueua cominciato a far leuare tutta la terra che ni stana à torno et a spianar la strada che viene da torre de Conti, et va al Coliseo, acciò fosse tutta piana, come hoggi di si vedono li vestigj di detto cauamento, et vi si lauoraua con sessanta carrette di caualli, et con cento huomini, di modo che se il Pontefice uiueva anco un anno, il Coliseo saria stato ridotto in habitatione. La qual opera si faceva principalmente da N. S. acciò tutti li poveri di Roma hauessero hauuto da trauagliare, et da viuere senza andare per le strade mendicando; poi che non aueriano pagato pi- gione alcuna di casa qual voleva fosse franca, il saria stato di grand' vtile alla pouertà, et anco ai mercatanti di lana, che haueriano smaltita la loro merca- tantia in Roma, senza hauerla da mandar fuori della città, con animo di fare che detta città fosse tutta piena di artegiani di tutte le sorti ». . Nell'archivio Capitolino (4), negli atti di Girolamo Arconio, notaro dei Con- servatori, troviamo: « A di 21 di marzo 1594 — hauendo (ì Conservatori) in- teso che certi di questi che lavorano di carniccia per fare la colla ceruona haueuano occupato alcuni archi di sopra del teatro del Colosseo uerso Santo Clemente li mandarono a farli mettere imprigioni, quali mostrarono che li Guardiani della compagnia del Gonfalone l'aueuano loro data licentia et af- fittato per una libbra di cera 1' anno » . Termineremo questo capitolo col riferire alcune scoperte fatte presso il Colosseo verso 1' anno 1594, delle quali ci dà notizia il Vacca (5): « Accanto (1) V. Bellori, Vita di D. Fontana, o. lo stesso Fontana — DeìV Obelisco Vaticano 1. II, p. 18. (2) Iter. If al. p. 76, n. 29. (3) Di alcune fabh. fatte in Roma ed iti Napoli, lib. II, Roma 1590, p. 18 — tav. 19. (4) Credeuz. IV, voi. 104, f. 11. (6) Loc. cit. 22. CAPITOLO r. - VARIE VICENDE DEL COLOSSEO NEI SECOLI XV E XVI ECC. 211 11 Coliseo, dice quest'autore, verso SS. Gio. e Paolo vi è una vigna, mi ricordo (circa l'anno 1594) vi fu trovata una gran platea di grossissimi quadri di tra- vertini, e due capitelli Corintii; e quando Pio IV le Terme Diocletiane restaurò, e dedicoUe alla Madonna degli Angeli, mancandogli un capitello nella nave prin- cipale, che per antichità vi mancava, vi mise uno di quelli : e vi tu trovata una barca di marmo da 40 palmi longa, et una Fontana molto adorna di marmi, e credetemi, che aueua hauto più fuoco che ac(iua; et ancora molti condotti di piombo ». I CAPITOLO SECONDO. II Colosseo nel secolo XVII. N. ell'akchivio capitolino (1) troviamo che il 5 Agosto del 1639 « fu data da' ss. Conservatori licenza a Bramante Bassi di poter far cavare e ricercare nel circuito del Colosseo ed altri antichi edifizi", colla condizione ivi apposta, sopra la porzione tangente di quello che vi si fosse trovato ». Il risultato delle indagini fatte dal Bramante noi l' ignoriamo: sappiamo invece (2) che circa cinque anni dopo (la notte seguente al 21 Maggio dell' anno 1644) crollarono e caddero tre archi e mezzo dell' Anfiteatro, e che coi materiali caduti Ur- bano Vili fei;e edificare il famoso palazzo Barberini. Nell'anno 1671 si tornò all'idea di nuovamente servirsi dell'Anfiteatro per darvi spettacoli pubblici, e specialmente la càccia di tori. Ad ottenere lo scopo, faceva d'uopo il permesso del Card. Altieri ed il consenso del Senato Romano. I signori Giuseppe Guicciardi e Giambattista Galante si rivolsero offlcialmente a quegli e a questo, e l'ottennero. Ecco quanto si legge in un Memoriale del- l'archivio Capitolino (3): « Anno 1671. Giugno. Registro di memoriale per la concessione della facoltà richiesta da Giuseppe Guicciardi e Gio. Battista Ga- lante, di potere fare la caccia del toro dentro il Colosseo. Fu dato da questi due il memoriale all'Eminentissimo Cardinale Altieri padrone, da cui fu ri- messa l'informazione a Monsignor Governatore di Roma, dopo la quale ne se gui, che il Cardinale concedette la facoltà; indi esposero altro memoriale ai ss. Conservatori del Popolo Romano per l'esecuzione della grazia di far giuo- chi di tori ed altri animali nell'Anfiteatro, promettendo di farvi risarcimento notabile e di grande spesa, quando i- detti signori avessero prestato il loro consenso. Quindi l'Eccellenze loro, in conformità dell'esposta concessione im- petrata, e non altrimenti, concedettero agli oratori, che potessero valersi per (1) Arni. VI, Tom. iì2, p. 65. (2) Questa notizia ce la porge il diarista Gigli. Ci. Moroni, Diz. di erud. voc. Colosseo (3) Armadio XI, tom. 22, p. 222. 214 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI sei anni delle parti del Colosseo spettanti al Popolo Romano, per potervi fare i giuochi espressi, con condizione però, che non fosse impedito il transito, ec- cettuandone solo il tempo de'giuochi: e che per l'Eccellentissimo, sig. Senatore, Conservatori, Priore ed Ufficiali di Campidoglio, restasse palco e luogo capace di 20 persone, del quale potessero valersi senza pagamento alcuno; qual de- creto fu fatto e sottoscritto a' 23 di Giugno del medesimo mese ed anno ». Era già per mettersi in esecuzione il decreto, quando Clemente X, ad istanza del P. D. Carlo Tornassi, credè bene annullarlo. Ecco in qual modo. Il lodato Tomassi pubblicò successivamente due opuscoli sull' Anfiteatro Flavio. In essi l'autore cercò di dimostrare la santità del luogo, la venera- zione in cui dovea tenersi, ed il rispetto che i fedeli dovean nutrire per quel- r Arena, già santificata dal sangue cristiano. Gli opuscoli del Tomassi produs- sero il loro effetto: l'Anfiteatro fu tosto recinto da muri; s'allontanarono le profanazioni; si mise nella maggior devozione possibile, e si principiarono gli opportuni preparativi per solennizzai'e in esso la prossima ricorrenza del- l'Anno Santo (1675). In quella circostanza Clemente X fé' dipingere nel Colos- seo vari quadri rappresentanti il mai'tirio di alcuni eroi della Chiesa nascente. Terminate le feste giubilai^, il suUodato Tomassi pubblicò un altro opu- scoletto col titolo : Breve relazione dell'Anfiteatro, consacrato col sangue pre- zioso d' innumerabili Martiri, serrato e dedicato ad onore de' medesimi l'anno del giubileo 1675. In questo opuscolo, l'autore, dopo aver trattato del- l'uso che erasì fatto dell'Anfiteatro nei passati tempi, riferisce quanto si pro- gettò e si fece nel Colosseo durante VAnno Santo (1675). Ecco le sue testuali parole: « E stato poi questo luogo in grandissima venerazione, e vi si rap- presentava ogni anno la passione del Signore: qual uso durò sino al tempo di Paolo III. Ed il b. Pio V soleva dire, che chi voleva reliquie andasse a prendere la terra del Colosseo, ch'era impastata col sangue de' Martiri. Ed ai tempi nostri, sono io testimonio, che ogni qualvolta sono ivi passato col si- gnor cardinale Ulderico Carpegna, questo piissimo signore ha sempre fatto fer- mare la carrozza con fare la commemorazione de' ss. Martiri, che ivi glorio- samente trionfarono: e perciò sono stato sempre divotissimo di questo santo luogo: e gli anni addietro con certa occasione feci una scrittura simile a que- sta, colla quale ancora persuadevo i devoti volerlo serrare, per togliere molti abusi che vi si facevano, e sacrarlo totalmente a' ss. Martiri. Ebbe allora la scrittura per divina misericordia il suq primario inteso effetto: ed ora ultima- mente il secondo, con modo affatto totale della Divina Provvidenza, essendosi esibito a fare ciò spontaneamente il signor principe Panfilio (fu questo il prin- cipe D. Gio. Battista Panfilio, signore pissimo e libéralissimo in fare elemosine ed opere di pietà) cosa da me non aspettata, sapendo che questo signore te- neva tanti impieghi ed impegni di elemosine giornaliere Consultatone dun- CAPITOLO II. - IL COLOSSEO NEL SECOLO XVII 215 que il negozio col sig. cavalier Bernino, egli, colla sua somma perizia e pari pietà, stimando che questa era un' opera degnissima e necessaria, non solo per la devozione a' ss. Martiri, ma anche per la conservazione di una macchina, che come mostrava la grandezza di Roma, cosi era anche l'idea dell'architet- tura di questa; e che perciò non solo bisognava non toccare niente del vec- chio, ma neanche nasconderlo, deliberò che si serrassero solamente gli Archi con alcuni muri forati, per potersi godere anco. di fuori la parte interiore: e per renderlo a tutti venerabile e santo si accomodassero due facciate, la mag- giore verso Roma di tre arcate, le prime tre inferiori per l' ingresso con tre ferrate, e sopra (juella di mezzo un' iscrizione, e ne' tre archi superiori si ei'- gesse una gran croce, vessillo e trofeo de' ss. Martiri; e che una sirail facciata si facesse anco d'una sola arcata, verso s. Giov. in Laterano, designando pa- rimenti nel centro del Colosseo, ove prima era l'ara, o altare ove si sacrifi- cava a Giove, un piccolo tempio, per non impedire la gran macchina, in onore dei ss. Martiri. Si diede conto di tutto al sig. Cardinale Altieri, il quale ne ricevè contento grandissimo; e per la buona spedizione dell'opera, assegnò al sig. Giacinto del Bufalo, signore per la gran pietà e prudenza ragguardevole a tutta la città, e con effetto ed affetto grandissimo ha ridotta l'opera quasi al fine con applauso e devozione di tutta Roma; e molti non han lasciato, né lasciano di trascrivere le iscrisaoni che sono le seguenti: Nella facciata verso Occidente : AMPHITIIEATRVM FLAVIVM NON . TAM . 0PERI8 . MOLE . ET ARTIFICIO AC . VETERVM . SPECTACVLORVM . MEMORIA QVAM . SACRO . INNVMERABILIVM . MARTYRVM CRVORE . ILLUSTRE VENERABVNDVS . HOSPES . INGREDERE ET . IN . AVGVSTO . MAGNITVDINIS . ROMANAE . MONVMENTO EXECRATA . CAESARVM . SAEVITIA HEROES . FORTITVDINIS . CHRISTIANAE . SVSCIPE ANNO JVBILARI . ET . EXORA . MDCLXXV. Nella facciala verso san Gio. in Laterano: AMPHITEATRVM . VVLGO . COLOSSAEVM OB . NERONIS . COLOSSVM . ILLI . APPOSITVM VERIVS . OB . INNVMERABILIVM . SS. MARTYRVM - IN . EO . CRVCIATORVM . MEMORIAM CRVCIS . TROPHEVM ANNO . JVBILARI . MDCLXXV. Fin qui il devoto Tornassi. 216 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI Il progetto di erigere nel Colosseo un tempietto (1) non venne attuato, sia per non ingombrare il centro dell'arena, sia perchè la chiesuola, detta della Pietà (e della quale già parlammo), trovavasi ancora in istato di discreta con- servazione. I cancelli di ferro, che dovean chiudere i due ingressi, furono suppliti con porte di legno ; e sopra le iscrizioni ed i dipinti esterni, raffiguranti i Martiri, furono erette due grandi croci. Tutti 'gli archi del primo ordine vennero mu- rati, lasciando in essi piccole feritoie, onde dai portici si potesse vedere l'in- terno dell'edificio; e questa chiusura, attesa la grandezza dell'Anfiteatro, im- portò una spesa non lieve. Sulla sommità dell' Anfiteatro venne eretta una grande croce di legno, la quale varie volte fu atterrata dall'impeto dei venti e successivamente rinnovata. Con questi progetti e con questi lavori finirono le vicende del Colosseo nel secolo XVII. (1) Il disegno di (questo tempietto era stato g'ià fatto dal cav. C. Fontana. ì CAPITOLO TERZO. Il Colosseo nel secolo XVIil. A, -BBiAM visto nel precedente capitolo che in occasione dell' Anno Santo (167ÒI furono murati tutti gli archi interni dell'ordine inferiore dell'Antiteatro Flavio. Gli archi esterni però rimasero aperti, ed i portici seguivano ad essere il ricettacolo dei malviventi. Onde impedire un tanto male, il Papa Cle- mente XI (1) li fé' chiudere: i portici furono ridotti a deposito di letame, collo scopo di trarne il salnitro per la vicina fabbrica di polvere; ed a questo igno- bile uso servirono fino all'anno 1811. Il 3 Febbraio del 1703 « per effetto del terremoto » (2) cadde un arco dell'Anfiteatro (3) ; e coi materiali caduti e con quelli rinvenuti nella fonda- menta delle case dei Serlwpi, si costruì la scalinata del porto di Ripetta. Il Valesio (4), il Fea (5), ed il Cancellieri (6) descrivono la caduta di quest'arco; anzi quest'ultimo scrive che, essendo caduti tre archi del secondo recinto del lato del monte Celio, e trattandosi di mettere in vendita i caduti travertini, il Papa credè più espediente assegnarli per la scalinata di detto prrto. Il eh. Lanciani (7) dice che « nei rogiti originali dei notar! della Camera Aposto- lica (8) esiste un' apoca di appalto pel risarcimento della strada carrozzabile che dall' arco di Settimio saliva alle stalle del Senatore ed alla piazza del Campidoglio; nel qual contratto si permette a mastro Domenico Pontiano che debba valei-si delti massicci o mura cadute del Colosseo ». (1) Nell'anno 1700. (-2) R. Lanciani, Noi. inedite dclVAnf. Flaoio. Rcnd. della H. Acc. dei Lincei 1«96. Se- rie V, voi. V. (B) Uno degli archi ciie guardano Oveat (4) Diarii. (5) Dissert. apud. Winck. p. 399, voi. III. (6) Mercato, p. 163. (7) Notizie inedite, loc. cit. (8) Anno 1689-1700, foglio 756. 218 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI L'anno 1714 l'erudito mons. Bianchini domandava ed otteneva dal papa Clemente XI il permesso di praticare uno scavo nell' arena dell' Anfiteatro, onde rinvenire il piano o livello primitivo di essa arena. Il lavoro non fu in gente, giacché alla profondità di 25 palmi tornò in luce 1' antico pavimento formato di grosse ed ampie lastre di travertino. Nonostante la chiusura degli archi, fatta nel 1675, e la diligenza spiegata onde conservare le reliquie del nostro insigne monumento e delle sue memo- rie; pur nondimeno, e per l'ingiuria dei tempi e per la malizia degli uomini, pochi anni dopo, gran parte di quei muri di chiusura erano a terra. La va- stità dell'edificio ed i suoi nascondigli furono nuovamente il richiamo della gente immorale e ladra; e non v'ha chi ignori quanti e quanto gravi disor- dini, specialmente di notte, vi si tornassero a perpetrare. Non lungi dal Colosseo eravi un ospizio eretto dal ven. P. Angelo Paoli, carmelitano. Questi, fin dalla sua celletta, osservava attentamente gli eccessi ed i disordini che si commettevano nell'Anfiteatro, ed escogitava ogni mezzo onde eliminare tanto scandalo. Si decise finalmente di darne relazione parti- colareggiata al Pontefice Clemente XI, nella speranza che questi volesse ri- mediarvi. Il desiderio del P. Paoli venne soddisfatto; verso l'anno 1714 ottenne un sussidio pontificio; raggranellò anche altre elemosine ; e con questo danaro fé' riparare i muri che chiudevano gli archi esterni; rinnovò i cancelli degli ingressi secondari, e ai due ingressi principali fece mettere solidi portoni di legno (1). Restaurò parimenti i muri di chiusura degli archi interni, i quali erano stati danneggiati dalla caduta di alcuni archi. Circa quest' epoca nella parte interna del primo arco, presso l'ingresso occidentale dell' Anfiteatro, fu dipinto un rozzo quadro della città di Gerusalemme e della crocifissione di Cristo; ed intorno all'arena, in vari punti del podio, vennero erette 14 edico- lette, sormontate da croci e con pitture rappresentanti i notissimi misteri della Via-Crucis (2). Il detestabile abuso che i malviventi facevano di un santo venerando edi- ficio, stimolò l'architetto Carlo Fontana (3) ad elaborare un progetto il quale tendeva a rendere l'Anfiteatro un luogo assolutamente sacro, edificandovi un tempio dedicato ai SS. Martiri. Il progetto fu pubblicato all'Aia nel 1725, ma non fu messo in attuazione. Fra le tavole dimostrative dell'opera del Fontana, (1) « Anno 1714, 10 Dicembre. Decreto sopra la deputazione del sig. D. Girolamo Co- lonna, in sopraintendente e custode delle chiavi del nuovo recinto fatto nel Colosseo. Cre- denz. 1, Tom. 39, p. 14. Ma susseguentemente a' 10 di Gennaio del 1715 ritrovasi la rela- zione della non inclinante volontiV del Pontefice Clemente XI di concedere al Popolo Romano le chiavi del suddetto nuovo recinto. Cred. 1. Tom. 39, pag. 14». V. Marangoni, loc. cit., pag. 105. (fi) Marangoni, loc. cit. pag. 98. (3) Visse ai tempi di Benedetto XIII. CAPITOLO III. - IL COLOSSEO NEL SECOLO XVIII 219 ve n'è una (la V) che rappresenta l'interno del Colosseo nello stato in cui trovavasi a quei tempi. Nel fondo dell'arena, verso il Laterano, si vede una rozza chiesuola innanzi alla quale sorge una croce (1). Nel 1741 la custodia della piccola chiesa della Pietà era affidata a Fran- cesco Boufort (di Parigi), il quale se ne vivea traquillamente nell'attigua ca- setta. I dediti alla malavita ed i ladri non vedevano né potevano vedere di buon animo il Colosseo ben chiuso ; e presto tornarono a far pertugi sui muri di chiusura. La notte dell'I 1 Febbraio dell'anno 1742 il disgraziato Boufort, fu vittima degli audac?i malfattori. Vari di questi penetrarono nella sua abitazione: gli assestarono sette pugnalate, e gli rubarono i suoi modesti risparmi. Lo sventurato romito sopravvisse miracolosamente alle ferite, ma rimase impedito nella mano destra. Onde evitare la continuazione di simili eccessi, il generoso papa Bene- detto XIV sborsò nell'anno 1743 una vistosa somma; e con questa furono re- staurati (ancora una volta) i muri che chiudevano gli archi, e fortificati gli ingressi principali e secondari; e si restaurò inoltre il piano superiore, sopra ed intorno alla chiesuola. Il sullodato Pontefice ordinò in pari tempo a Mons. Simonetti, Governa- tore di Roma, la pubblicazione del seguente EDITTO. RANIERO SIMONETTI ARCIVESCOVO DI NICOSIA, DI ROMA E SUO DISTRETTO GENE- RALE GOVERNATORE, E VICE-CAMERLENGO. " Invigilando sempre più con pia sollecitudine la Santità di N. S. Bene- detto XIV felicemente regnante a fare, che da quest'alma città di Roma, che con il buon esempio deve servire di norma e di regola a tutte le altre del mondo cristiano, venga rimossa ogni occasione di offesa di Sua Divina Maestà e di pubblico grave scandalo, ha considerato essere molto indecente, che l'an- tico Anfiteatro, volgarmente detto il Colosseo, luogo degno di tutta la vene- razione per la memoria di tanti ss. Martiri, che in difesa della fede cattolica, spargendo il proprio sangue, vi hanno gloriosamente riportata la palma del martirio, venga profanato da taluni figli d'iniquità, che prevalendosi dell' op- (1) « Anno 1723, 10 Luglio. Memoriale presentato airEccellentissima Congregazione dal- l'Eremita del Colosseo, e rescritto grazioso facultativo di poter fare una muraglia di clau- sura dietro la cappella di detto ercmitorio. Credcnz. I. t. 45, p. 322». V. Marangoni, loc. cit. p. 105. — « Anno 1727. 12 Novembre. Istromento di concessione d'un arco chiuso con- tiguo e dietro alla suddetta chiesuola o cappcUuccìa, posta dentro al circuito del medesimo Colosseo, Pietro Doye eremita dello stesso Anfiteatro. Credenz. 4, tora. 101, p. 291», Ibid, 220 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI portano comodo che a ktr presentano e la solitudine del luogo e 1 molti na- scondigli che in esso sono, vi commettono gravi eccessi. Quindi è che, con ordine datoci a bocca, ci ha comandato di pubblicare il presente Editto, da durare a beneplacito suo e della Santa Sede Apostolica, con cui, inerendo alle pie pontificie e supreme determinazioni, ordiniamo e comandiamo, che in av- venire ninna persona di qualsivoglia stato, condizione, grado e sesso, benché Ecclesiastica, Claustrale e Regolare, abbia ardire di trattenersi, si di giorno che di notte, a mal fine in detto Colosseo, sótto pena, se sarà uomo, di tre tratti di corda da darglisi in pubblico: e se sarà donna, della pubblica frusta, oltre le pene pecuniarie da imporsi all'uno ed all'altra a nostro arbitrio; di- chiarando, che per l'incorso di tali pene, sarà sufficiente che siansi portati in tal luogo a mal fine, e cosi possa legalmente presumersi da altre congetture, e dall'escludersi, che vi siano portati per altra causa. « Ma se poi questo mal fine avrà avuto il suo pieno effetto, e vi avranno commesso qualche eccesso e delitto, vogliamo che le suddette pene possano estendersi a nostro arbitrio; rispetto agli uomini, alla galera ad tempus, o perpetua, ed in quanto alle donne, alla rilegazione a tempo, o perpetua, ed anche agli uni ed alle altre a quella della vita, secondo la qualità e circo- stanze de' casi e dei delitti che avranno commessi. , « E siccome per ovviare a simili inconvenienti, la San. Mem. di Cle- mente XI fece cinger di muri li primi archi di detto Anfiteatro, e munir di cancelli, quelli, che servir doveano per l'ingresso delle carrette e bestiami che vi portano il letame per servizio della fabbrica de' salnitri, così la Santità di Nostro Signore, dopo aver fatto riattare detti muri in quelle parti, ove o per r ingiuria dei tempi o per colpa di chi ha desiderato avervi l'ingresso, erano devastati, ci ha ordinato di dover proibire, come facciamo con il presente Editto, che in avvenire niuna persona di qualsivoglia stato, grado, condizione e sesso, come sopra, abbia ardire di rompere, disfare, anche in piccola parte, per qualunque causa e fine detti muri, e che li carrettieri, stabiaroli, condut- tori di bestie, o qualunque altra persona, a cui spetti l'aprire e richiudere i cancelli che vi sono, non possano in alcun tempo, sì di giorno come di notte, tanto nell'entrare che nell'uscire, lasciarli aperti, sotto pena in ambedue li casi di tre tratti di corda, da darglisi in pubblico irremissibilmente, ed altre pene, anche corporali più gravi a nostro arbitrio, secondo la qualità e (jircostanze de' casi che potessero darsi, o per causa delle rotture di detti muri, o per li cancelli suddetti lasciati aperti. « Avverta pertanto di prontamente ubbidire ciascuno a quanto si dispone nel presente Editto, mentre contro li trasgressori si procederà irremisibilmente alle imposizioni delle pene, ancorché non fossero presi m fragranti dalla coite, ma per inquisitionem, ex officio, ed in ogni altro modo; volendo, che il pre- CAPITOLO III. - IL COLOSSEO NEL. SECOLO XVIII 221 sente Editto, pubblicato ed affisso ne' luoghi soliti, obblighi subito ciascuno, come se gli fosse stato personalmente intimato». Dato dal Palazzo della nostra solita residenza questo di 8 Febbraio 1 744. R. SiMONETTi, Arciv. di Nicosia Governatore e Vice-Caniarlengo. Bernardino Rossetti Notaro per la C.irità. Il 1750 non era già lontano; e i fedeli, volendo solennizzare con qualche novità l'Anno Santo, stabilirono di fondare nel Colosseo una Congregazione o Compagnia laicale, composta di soggetti civili. Progettarono quindi di erigere sul piaup l'estaurato da Benedetto XIV un grandioso tempio, di rinnovare le 14 edicole della Via Crucis, e restaurare le parti fatiscenti dei portici e delle scalinate dell'Anfiteatro. Non tutti questi progetti si attuarono, ma la devo- zione verso quel luogo andava nondimeno ogni di più crescendo. Nell'anno 1749 il Papa Benedetto XIV consacrò l'arena anfiteatrale alla memoria della Pas- sione di Cristo e dei suoi martìri. A perenne ricordo dell'anno Santo, fé' in- cidere su marmo quell'iscrizione che già il papa Clemente X aveva fatta im- primere sul bianco intonaco (1), e che dice: ANPHITHEATRVM . FLAVIVM TRIVJIPHIS . SPECTACVLISQVE . INSIGNE DIIS . GENTIVM . IMPIO . CVLTV . DICATVM MARTYRVM . CRVORE . AB . IMPVRA . SVPERSTITIONE EXPIATVM NE . FORTITVDINIS . EORVM . EXCIDERET . MEMORIA MONVMENTVM A . CLEMENTE . X . P . M . ANNO . IVB . MDCLXXV PARIETINIS . DEALBATIS . DEPICTVM TEMPORVM . INIVRIA . DELETVM BENEDICTVS . XIV . P . M . MARMOREVM . REDDI . CVRAVIT ANNO . IVB . M . DCCL . PONT. X (2). Rinnovate le 14 edicole della Via-Crucis su i disegni di Paolo Posi, se- nese; il Vicegerente mons. Ferdinando M. De Rossi, il 27 Dicembre del 1749, (1) V. pag-. 215. (2) Una copia di questa epigrafe trovasi attissii sul muro del grandioso contrafforte che si erge dal lato Nord. 222 PARTE III. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI fece la benedizione dei quadri, e nel centro dell'arena si eresse una croce. S. Leonardo da Porto Maurizio, dell'Ordine dei Minori, dimorante nel convento di S. Bonaventura al Palatino, die tosto principio all'esercizio della Via-Crucis. Il popolo accorse numeroso al pio appello di S. Leonardo, e Benedetto XIV, con chirografo del dì 8 Gennaio 1752, donò al Sodalizio degli Amanti di Gesù e Maria, le edicole suddette. In certi giorni stabiliti, l'Arciconfraternita recavasi processionalmente al Colosseo per praticare l'esercizio della Via-Crucia : la processione era prece- duta dalla croce, la quale veniva portata dal direttore del Sodalizio, che era sempre un Cardinale. Il 19 Settembre dell'anno 1766 il card. Guadagni, Vicario di Sua Santità, celebrò la messa con comunione generale nell'Anfiteatro. Un numero straor- dinario di sodali d' ambo i sessi e di altri fedeli si accostò ai sacramenti : a tutti si die una medaglia benedetta. Le comunioni cosi dette generali, si seguirono a fare nel Colosseo (ed an- che con maggior solennità) negli anni seguenti; e i Sommi Pontefici Bene- detto XIV e Clemente XIII annessero a quella pratica l'indulgenza plenaria. Ridotto il Colosseo a luogo sacro, potè meglio conservarsi; e a questo fatto si deve se si salvarono dalla completa distruzione almeno le reliquie di un edifizio che fu mai sempre 1' oggetto dell' ammirazione universale, ed un soggetto fecondo di profondi studi e ricerche di famosi archeologi ed architetti, i quali, come é noto, ci lasciarono interessanti lavori e saggi commenti. CAPITOLO QUARTO. (Secolo XIX). Il Colosseo restaurato e fatti contemporanei ivi avvenuti. N. ell'anno 1805, il eh. Guattani (1) scriveva: « Qual'altra mole teatrale vi potè essere più machinosa dell'Anfiteatro Flavio? E qual vi é ora più su- perba ed imponente rovina? Basta vederla per non iscordarla mai più. Il pit- toresco che il tempo nel distruggerlo vi ha insensibilmente introdotto, l'ha resa poi si vaga ed interessante, che si giunge da molti a non desiderarne il restauro. Potrebbero contentarsi l'età future di vederlo nello stato pre- sente; ma lo sfacelo si avanza a gran passi: di qua ad un secolo se ne an- derà il resto dell'interior tessitura, e farà d'uopo ai curiosi di ricorrere al Serlio, al Desgodetz, al Fontana, al Overbek, al Piranesi, al Marangoni, al Maifei, al Morcelli, al Carli, ecc. ». Le previsioni del Guattani sarebbero oggi una triste realtà, se il Colosseo non fosse stato diligentemente ed opportunamente restaurato dai Papi del se- colo XIX. Ai tempi infatti in cui egli scriveva (a. 1805), la venerabile mole dei Flavi trovavasi in uno stato lamentevole. Non v'era chi non prevedesse la sua prossima rovina. La caduta poi dell'intera fascia estema dell'angolo verso il Laterano era inevitabile ed imminente. Pio VII, amante qual fu degli antichi monumenti, non potè trascurare la più grandiosa reliquia della grandezza romana ; e sollecitamente ordinò l'edifi- cazione del solido e grandioso contrafforte, il quale, fino ad oggi, noi ammi- riamo. Il portentoso ed opportuno lavoro reca giusta maraviglia ad cerni in- telligente visitatore, sia per la sua solidezza, sia per l'indiscutibile difficoltà dell'impresa. Il colossale contrafforte, tutto in opera laterizia, fu infatti co- struito quando le pietre ed i massi dell'edificio eran già slegati e prossimi a cadere. Il lavoro riuscì, ripeto, solidissimo, ma l'urgenza impedi all'illustre (1) Roma descritta ed illustr. tom. II, p. 2, Roma Stanip. Pagliariui. 224 PARTE HI. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI architetto di dargli (come più tardi si fece in un altro conlraffoy~te o sperone) la forma primitiva dell'edificio. Poco dopo il ritorno di Pio VII dal triste esilio, e precisamente nel- l'anno 1815, il pacifico Pontefice rivolse di nuovo i suoi sguardi verso il Co- losseo, ed ordinò che si restaurasse la sua parte interna. Le cure avute dal- l'operoso Pontefice per le parti superstiti del nostro Anfiteatro, ci vengono ricordate dalla seguente iscrizione marmorea: PIUS VII P. M. ANNO VII (1) L'esempio generoso di Pio VII fu imitato dal suo successore, il quale nell'anno 1828 fé' edificare un contrafforte ^evso la Mèta Sudante. Leone XII affidò la direzione di questo lavoro all'illustre architetto romano Giuseppe Veladier, il quale fece ricostruire in opera laterizia la metà dell'arco LV ed i due archi seguenti, dando ad essi, in pari tempo, la foi-ma e lo stile origi- nale del monumento (V. Fig. 7"). A perpetua memoria di questo grandioso ed utile lavoro, fu affissa l'epigrafe marmorea che dice: LEO XII PO^T . MAX . ANN . ITI Anche il Sommo Pontefice Gregorio XVI ebbe cura dell'insigne monu- mento dei Flavi. A questo Papa deve Roma la ricostruzione di sette arcate ed il restauro del terzo portico (originariamente interno ed oggi esterno; del- l'Anfiteatro (2). Il ricordo di quest'opera l'abbiamo nella seguente iscrizione: GREGORIUS XVI PONT . MAX . ANNO XIV (1) Oltre a questo ricordo marmoreo, abbiamo una pittura fatta dal Veith nell' alto del- l'ultima lunetta (a destra) del XXX riquadro del Museo Chiaramonti al Vaticano. La pittura « indica il colossale e magnifico «perone fatto innalzare dal Pontefice Pio VII per la con- servazione della parte meridionale dell'Anfiteatro Flavio o Colosseo, sotto la direzione del- l'architetto Veladier. Nel mezzo è figurata la Religione che sostiene la palma e la croce simboli del martirio, e dinanzi un pellegrino genuflesso » . Cav. E. G. Massi : Descrizione compendiosa dei Musei nel palazzo Vaticano. Roma, 1887, p. 157, terza edizione. (2) Questo restauro fu fatto in quella parte del Colosseo che guarda Ovest, tra l'Arco di Costantino e la Via Claudia. CAPITOT.O IV. - IL COLOSSEO RESTAURATO ECC. 225 * A pag. 22 dell' ojìprotta intitolatu « L'ArcicotraU'iiiila di S. Maria del- l'Orazione e Morte e le sue rappresentanze sacre » (1), scritta dal sig. Au- gusto Bevignani, leggo: « Un caratteristico progetto ventilato allora (nel 1832) e degno di essere ricordato fu d'adibire nientemeno il Colosseo a cimitero provvisorio! Il caid. Bernetti, segretario di Stato, con lettera particolare e riservata in data 22 Aprile 18.32, al segretario di Consulta no caldeggiò la Fig. 7." proposta perchè molto economica la sepoltura in quell'arena ed adiacenti am- bulacri per essere il monumento appartato e sacro alla religione (2). Ma la sacra Consulta prescindendo da tutte le viste in linea d'aì'le rispose in data 2 Mag- gio non potersi adibire quel monumento a tale scopo per i sotterranei conti- nuamente inondati dalle acque disperse o fluenti dai colli circostanti, perciò d'ostacolo alla pronta decomposizione dei cadaveri, e per la mancanza di ventilazione essendo circondato da cinque colli i quali avrebbero impedito la dissipazione degli effluvi che si sarebbero riversati sulla città attesi i venti meridionali che vi dominano ». (1) Roma. A cura della H. Società Romana di storia patria, 1910. (2) Cf. dommento XXXII. 16. 226 PARTE ni. - DAL SECOLO XV AI TEMPI PRESENTI * * * Fortificata e resa sicura la parte superstite del vetusto edificio, i Romani ed i visitatori nazionali e stranieri poterono tranquilli aggirarsi a lor agio tra quegli imponenti avanzi ; ed i fedeli accorsero più copiosi a seguire i confra- telli del Sodalizio dei devoti di Gesù Cristo al Calvario, i quali praticavano ancora il pio esercizio della Via Crucis nell'interno del Colosseo. Questa com- movente funzione ci fu elegantemente descritta dal marchese Luigi Biondi (1), Presidente della Pontificia Accademia Romana di archeologia. Incomincia cosi: f ■4 4- r z o a: >■---■ 'oA1/2 Ma^o 2 > O o llTO Vesvas'^''° jj$SHVHR0A.H53ANDR0 ^..■=:EuoGAB/ao NO "M ,<^° ^P NjV ,^^' .-vV^ LU U w < % o z z 1 < o«3Al3on3HAVOOHVVM5^'p;- y y (.01 iaA>nD m o r 5 o "Co "»'Vo ■*• %0j/. rj/V ^o, '^r. '•iif % 1,1 O V •0-\ A-:-^ Indice Ct4pec prùnitivi/ I O < -f Fori esiMetUi % CUpeiposterù^ Laterano Fig. 13.^ 262 PAKTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO dire che questi secondi clipei furono aggiunti successivamente, secondo che si succedevano gli Imperatori; o dobbiam dire che furono aggiunti tutti in una volta. Nella prima ipotesi, non essendovi tracce di clipei in tutti gli spazi liberi; e d'altronde essendo il numero di questi molto inferiore a quello degli Imperatori che succedettero a Domiziano; converrebbe affermare che in un dato tempo si fosse cessato dal collocare .nel quarto ordine dell'Anfiteatro le effigie dei reggitori dell'Impero. — Io, non vedendo ragione plausibile di que- sta cessazione, preferisco attenermi alla seconda parte del dilemma; e tro- vando opportunissimo il tempo della grande restaurazione dell'Anfiteatro, com- piuta da Severo Alessandro, opino che questo Cesare sia stato appunto colui il quale fc' collocare i clipei tutti in una volta, e, con ogni verosimiglianza, tanti quanti furono gli Imperatori da Nerva (immediato successore di Domi- ziano) a Severo Alessandro inclusivamente. Questi Imperatori furono quindici, ma i periodi di regno furono solamente tredici, perchè Marco Aurelio e Lucio Vero (161-180), Caracalla e Geta (198-217) regnarono insieme; e ritengo pro- babile che nei clipei relativi a questi due periodi di regno fossero i due ri- spettivi Cesari rappresentati insieme, come era solito farsi nelle medaglie e nelle monete. Cosi vediamo accoppiate le teste di Nerone e Agrippina, di M. Antonio e Cleopatra, di Postumo ed Ercole; e quelle di M. Aurelio e L. Vero, di Caracalla e Geta, le quali nelle medaglie le vediamo l'una di contro all'altra. Anche qui è necessario investigare il modo con cui Severo Alessandro avrà distribuito i tredici clipei che egli (secondo la mia ipotesi) aggiunse agli undici già posti da Domiziano. Nella parte superstite del recinto esterno dell'Anfiteatro (la quale è poco meno della metà dell' intero recinto) noi, oltre alle tracce di due dei clipei da me attribuiti a Domiziano, vediamo le tracce di altri sette clipei. Ora, am- messa la mia ipotesi, nell'altra metà ve ne dovettero essere stati altri sei. — Accingiamoci senz'altro ad indagare il posto che essi poterono occupare. Mentre le medaglie dei Flavi ci mostrano il quarto piano dell'Anfiteatro decorato da tre tondi e quattro rettangoli, una delle medaglie di Severo Ales- sandro ed una di Gordiano ce lo rappresentano decorato da una serie di tondi, terminata da due rettangoli. Ognuno vede che queste ultime medaglie ci at- testano, nel loro linguaggio convenzionale, un aumento di clipei nella parte centrale (sull'ingresso imperatorio), dall'epoca di Severo Alessandro in poi. Basato su questo fatto, colloco un clipeo al numero II ed un altro al LXXV, i quali, aggiunti ai tre Domizianei, formano un numero pressoché uguale a quello dei tondi espressi nelle ultime delle anzidette medaglie. ~ Le tracce esistenti ai numeri XLVIII e L, nella parte superstite del quarto piano, mi CAPITOLO li. - QUALI SOGGETTI ERANO KAPl'RESENTATI NEI CLIPEI? ECC. 263 fanno argomentare che altri due clipei fossero stati aggiunti a quelli Domi- zianei (numeri LXVII e X), occupando i numeri LXV e XII. Gli ultimi due clipei che mancano per compire i sei, li colbco a piombo dei due ingressi posti alle estremità dell'asse maggiore. Disposti in tal guisa i tredici clipei, ciascuna delle due parti principali (quella, cioè, più nobile — dell'ingresso imperatorio — e l'altra della porta principale, divenuta ai tempi di Sevei-o Alessandro ancora più ragguardevole che por l' innanzi, si per il tempio di Venei'e e Roma, sì per il famoso Co- losso), quelle due parti, lùjìeto, sarebbero state decorate con simmetria. Ci resta ora a vedere con qual ordine Severo Alessandro avrebbe collo- cati gli Imperatori effigiati nei clipei. Mi par naturale che, potendolo egli faro, li debba aver disposti cronolo- gicamente, ponendo, cioè, nel primo posto dopo Domiziano Nerva, immediato successore di lui; quindi Traiano, e cosi via dicendo, fino allo stesso Severo Alessandro. Il fatto poi che questa disposizione dei tredici clipei avrebbe fatto capitare Eliogabalo e Severo Alessandro (i gi-andi restauratori dell'Anfiteatro) sull'ingresso imperatorio, fra Vespasiano, Tito e Domiziano, mi conferma nella proposta opinione (V. Fig. 13"). Osservando la disposizione dei clipei nella parte superstite del quarto piano dell'Anfiteatro, nasce spontaneamente la curiosità di sapere perchè, po- tendosi disporre i sette clipei aggiunti ai due Domizianei, colla stessa simme- tria con cui sarebbero stati disposti i clipei dalla parte opposta, (vale a dire sull'ingresso imperatorio); siano stati invece disposti irregolarmente rispetto all'asse minore. In questo caso, purtroppo certo, noi non possiamo procedere altrimenti che per arzigogoli; ed io propongo ciò che in questo momento mi passa nella fantasia. Non si potrebbe opinare che Severo Alessandro abbia trascurata la sim- metria che con ogni certezza poteva ottenere sull'ingresso rivolto all'Esqui- lino, affinchè i tre fondatori ed i due restauratori dell'Anfiteatro non avessero riscontro sopra alcuno degli altri ingressi, e perchè tutti e cinque quei Cesari occupassero la parte più cospicua del recinto? Sennonché Severo Alessandro pur ottenne, secondo la mia opinione, e subordinatamente al principio propo stosi, una relativa simmetria nella parte meno nobile qual' era quella del- l'Esquilino. Difatti: nella parte caduta del recinto (giusta la disposizione da noi im- maginata), tra un gi-uppo di clipei e l'altro restano cinque interpilastri, e cinque appunto ne restano dalla parte dell' Esquilino; talché potremmo con- getturare che in questa parte si sia data agli scudi quella disposizione, onde 264 PAETE IV. - CONTKÒVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO ottenere aliheno la stessa distanza tra i vari gruppi di clipei in tutto il re- cinto. Concludiamo: Che fra un finestrone e l'altro del quarto ordine dell'Anfiteatro Flavio vi siano stati clipei fissi e non posiicci, come opinò il Maffei, è certo. Quali sog- getti però vi siano stati effigiati, noi non lo sappiamo con certezza; ma fino a che non si dia a questa questione una soluzione più plausibile di quella da me presentata, io riterrò che in quei clipei vi furono rappresentate le im- magini degli Imperatori, da Augusto a Severo Alessandro. CAPITOLO TERZO. Quest. .?". — L'Anfiteatro Flavio e i Martiri. N. ell' Introduzione di quest'opera facemmo notare che la venatio fu, fra i Romani, un' impresa ordinariamente libera e volontaria; dicemmo che i padroni talvolta punivano i servi, e la pubblica autorità i delinquenti, obbli- gandoli a discendere sull'arena e pugnare colle fiere; ed aggiungemmo che se i suddetti delinquenti eran rei di delitti gravissimi e capitali, venivan essi esposti alle fiere legati ed inermi. E questa una cosa tanto nota, che non ha mestieri di dimostrazione. Gli antichi scrittori, tanto storici che poeti, si oratori che legisti, ce l'attestano concordemente e ripetutamente. Ma non tutti i delitti si punivano con siffatte pene; e senza perderci in inutili parole riportiamo le leggi romane riguardanti i delitti e le pene di cui parliamo. Eccole (1): 1. 'Qui noctu manu facta praedandi ac depopulandi gratta tcìnplum irrumpunt, bestiis obiiciuntur. 2. Auctores seditionis et tumultus vel concitatores populi prò qnalilate dignitatis aut in crucem tolluntur aut bestiis obiiciuntur, aut in insulam deportantur. 3. Lex. Cornelia poenant deportationis infligit ei qui hominem occide- rit, eiusve rei causa furtive facendi cum telo fuerit, quive venenum, hominis necandi causa habuerit, vendiverit, paraverit, falsumque testimonium dixe- rit, quo quis perirei, mortisve causam praestiterit ; quae omnia facinora in honestiores poena capitis vindicari placuit; humiliores vero aut in crucem tolluntur, aut bestiis obiiciuntur. (1) (Queste leggi sono state cstratte dalle Sentenze di Paolo. 266 PAKTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO 4. Qui sacra impia nocturnave ut quem obcantarent, defigerent, obli- garent, fecerint faciendave curaverint, aut cruci suffìguntur, aut bestiis obii- CIUNTUR. 5. Qui hominem immolaverint exve eius sanguine litaverint, fanum templumve polluerint, bestiis obiiciuntub, vel si honestiores sint capite pu- niuntur. 6. Magicae artis conscios sumnio supplicio affici placuit, id est bestiis obiici aut cruci sufflgi. 7. Qui patron, matrem, avum, aviam, fratrem, sororem, palronum, patronam occiderit, etsi antea insuti culleo in mari praecipitabantur, hodie tamen vivi exuruntur vel ad bestias dantur. 8. Lege Julia maiestatis tenelur is, cuius ape, Consilio adversus impe- ratorem vel rempublicam arma mota r.unt, exercitusve eius in insidias de- ductus est; quive iniussu imperatoris bellum gesserit delectumve hafjuerit exercitumve comparaverit, sollicitaveritve, quo desereret impet^atorem. Hi antea in perpetuum aqua et igni interdicebantur ; mine vero humiliores be- stiis OBiiciUNTUR, honestiores capite puniuntur. Ora domandiamo: i pagani credettero di rinvenire nei Cristiani qualcuno degli enumerati delitti? Ed in caso affermativo, furono essi damnati ad be- stias? E se in Roma furono effettivamente dati alle fiere, in qual punto del- l'alma Città eseguivasi la condanna? * * Tutti sappiamo che fino all'impero di Nerone nessuna legge colpi il Cri- stianesimo; e non v'ha chi ignori che fino a quei giorni fu esso ritenuto dai gentili per una setta del giudaismo. Giunto il funesto momento dell'incendio di Roma, ordinato, come si legge in Plinio sen., Stazio, Suetonio e Dione (1), dallo stesso Nerone; questi, onde liberarsi dall'infamia di cui 1' opinione pub- blica giustamente avealo marchiato (2), ne incolpò i giudei. Il volgo ritenne (1) Cf. le opere del prof. A. Profumo, e specialmente il suo recentissimo opuscolo L'in- cendio di Roma deWanno 64 (Feltre, Tip. Panfilo Castaldi, 1909). — Tacito dichiara l'incen- dio « forte an dolo Principis incertum ». Il eh Profumo (loc. cit. pag. 20 e segg.) tratta ma- gistralmente questa questione. (2) « Abolendo rumori subditit reox et quaesitissimvs poenis affecit quos per flagitia in- visos vulgus Chrestianos (sic) appeUabat ». Tac. (Ann. 16, 38-44). Il lodato Profumo (loc. cit.) prova ad evidenza che « le ipotesi che alcuni critici sogliono proporre in sostituzione per Vauctor (di Cristiani, dì Ebrei, ecc. ecc.), sono: dal lato documentario, campate in aria; — dal lato critico, nulle, poiché fuori delle sole due versioni {forte an dolo Principis) che l'evo ha conosciuto. Mi duole, soggiunge, che ricada in questa categoria la ipotesi subordinata CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 267 pei- vera quella voce sparsa; e la cahumia si rese ancor più credibile, quando' potè accertarsi che l'incendio avea avuto principio dalle taberne giudaiche, site presso il Circo Massimo, e che i quartieri da loro abitati (1) erano rimasti non tocchi dal fuoco. Ma i giudei ben presto si liberarono da quel terribile incubo, poiché Poppea, seguace dell'ebraismo, istigata dai suoi coireligionarJ, perorò la loro causa. Essa ripetè a Nerone le spudorate calunnie già dissemi- nate dai giudei contro i Cristiani; gli descrisse il cristianesimo quale setta empia ed illegale; aggiunse che il Fondatore della nuova religione era autore di una dottrina malefica, e che insegnava i delitti più empì e nefandi (2), e concluse che l'imputazione dell'incendio di Roma non dovesse ricadere sopra i giudei ma sopra i Cristiani, comunemente ritenuti per una setta del giu- daismo. La perorazione di Poppea produsse effetto favorevole per i giudei, i quali, alla lor volta, riprodussero nei tribunali le più sfrontate calunnie contro i Cri- stiani, accusandoli di seguire una religione nuova e malefica; di usare sacri- fizi umani, cibandosi delle carni dei bambini e bevendo il lor sangue; di pra- ticare adunanze tenebrose e turpi f3), ecc. I seguaci di Cristo procurarono difendersi: addussero convincentissime prove della loro innocenza e dell'onestà delle loro azioni, e dimostrarono es- ser una spudorata calunnia quella del preteso versamento del sangue dei bam- bini nei loro sacrifizi. Ma non poterono discolparsene ancor meglio, giacché la legge dell'arcano vietava loro di manifestare i misteri della Fede e di fo- riere margaritas ante porcos: e se poterono attestare solennemente l'insussi- dell'Hulsen; quella di una comparticipazione di Cristiani con gli uomini che attizzavano in qualche modo l'Incendio. Le nostre cinque fonti (Plinio, Stazio, Suetonio, Tacito e Dione) non ne fanno motto; gli apologisti Cristiani posteriori non debbono mai difendersi, fra le tante e tante, da una simile anche parziale accusa, che sarebbe riuscita nell' Evo, per con- cetto della sacra Roma, gravissima; né ve n'è traccia neppur minima nei frammenti anti- cristiani a noi giunti: quel silenzio generale e costante, adunque, che caratterizza la non rispondenza dell'ipotesi col pensiero dell'evo, e pagano e cristiano. Resterebbe il famoso XV, 44, di Tacito su quel primo gran procosso o gruppo di processi ai Cristiani, eh' è dallo storico collegato all'incendio. Esso è molto oscuro. Nel mio lavoro {Le fonti ecc.) ne ho proposta una soluzione: — assenza totale di processi ad incendiar?, e pagani e cristiani; gran pro- cesso, o processi, d'indole politico-morale ai Giudaici « quos per fkigitia invi.sos viilgos Chri- stianos appellabaf », poiché per questa attiva propaganda ebraica (Cfr., p. es., Fi.avio Gius., in Guerra Giud., I, pr. 2) ormai la questione Giudaica preoccupava l'animo romano per la sicurezza delle Provincie dell'Oriente; ed infatti, l'anno dopo, il G6, s'inizia la definitiva cam- pagna militare, con la distruzione di Gerusalemme a supremo intento. Un processo a dei Giadaìci malvisi in Roma dal volgo, detti Cristiani, era quanto di meglio si potesse escogi- tare in quei giorni, ad abolendo rumori sul dolus Principis ». (1) Il Trastevere e la Porta Capena. (2) S. Giustino il Filos. Dial. con Trifone n. 17. (3) Origene, Contr. Cels. lib. VI, n. 27. 268 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO stenza delle azioni nefande nelle loro adunanze, non poterono però negare di radunarsi in luoghi reconditi e sotterranei, e talvolta in ore notturne; né po- terono negare i portenti che Iddio, per loro mezzo, operava a conferma della verità della nuova religione. Le prove addotte dai Cristiani non valsero a distogliere i giudici dal con- dannarli; e, guidati da principi erronei, basati sulle false testimonianze dei giudei, violentati dalia volontà del tiranno, conclusero in senso sfavorevole per il Cristianesimo; dichiararonlo religione nuova e malefica (1), affermarono che i suoi seguaci facevano sacrifizi empì e tenebrosi, ed aggiusero che i cri- stiani erano conoscitori dell'arfe magica, sediziosi e concitatori dei popoli (2). In seguito a questa dichiaiazione, il nome cristiano fu proscritto; e dai tribunali di Nerone in poi, bastava che il Cristiano confessasse di esser tale perchè non potesse parlare in sua difesa; e l'esser seguace di Cristo equivalse ad una sintesi di delitti. « Sed christianis solis nihil permittitur loqui quod causam purget, quod veritatem defendat, quod iudicem non faciat iniustum, sed illum solum expectatur, quod odio publico necessarium est, conf'essio no- minis, non examinatio criminis quando si de aliquo nocente cognoscitis, non statim confesso eo nomine horaicidae, vel sacrilegi, vel incesti, vel publici ho- stis (ut de nostris eulogiis loquar) contenti sitis ad pronuntiandum, nisi et con- sequentia exigatis qualitatem facti, locum, modum, tempus, consclos, socios » (3). • A quei tempi S. Pietro esortava i fedeli alia costanza della confessione della fede, e dalle sue parole apparisce chiaramente che fin d'allora i cristiani venivano sottoposti alle pene stabilite dalle citate leggi: « Nemo autem vestrum patiatur ut homicida, aut fur, aut maledicus, aut alienoi-um appetitor. Si autem ut Christianus non erubescat, gloriflcet autem Deum in isto nomine » (4). Nella seconda metà del primo secolo Plinio giuniore interroga Traiano circa il da farsi contro i Cristiani: « Nomen ipsura, gli dice, etiam si flagitiis careat, an flagitia coiiekentia nomini puniantur? » Questa domanda, come ognun vede, presuppone una legge, e questa fu lasciata intatta da Traiano colla sua famosa risposta: « Conquirendi non sunt, si deferantur et arguantur puniendi sunt » (5). Adriano vietò che si continuasse la persecuzione dei Cristiani, per aversi egli potuto accertare che eran essi innocenti dei delitti che a quel nome ri- Ci) SuBT. in Nermie, e. XVI. (2) Tac. Ann., XV, 44). (3) Tbrt., Apol. cap. I, in fine. Tertulliano chiama Nerone dedicatore damnationis nosfrae. (4) Epist prima. (5) Plin. eecund. Epist. lib. X, CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 269 tenevansi annessi, e sentenziò: « Iniustum esse ut quisquam sine crimine reus constitueretur (1). Lattanzio, Sulpizio Severo, Prudenzio ed Orosio, autori rispettabilissimi, non certo coevi ai fatti, ma non più lontani da quell'epoca funesta che di due 0 tre secoli al massimo (e quindi più autorevoli di coloro i quali nel secolo nostro e nel passato osarono negarlo), ci dicono pur essi che Nerone emanò decreti di proscrizione del nome cristiano, e che i Fedeli, anche dopo la strage fatta da quel tiranno per l'incendio di Roma, venivano tradotti innanzi ai tri- bunali e condannati perchè, seguaci di Cristo. È dunque indiscutibile che i Cristiani, in virtù degli editti di proscrizione emanati da Nerone e mantenuti in vigore tino a Costantino Magno (2), furono assoggettati alle pene comminate da quelle leggi ni rei: e poiché fra queste non era ultima la damnatio ad hedias, vediamo se i Cristiani siano stati tal- volta dati alle fiere. Ulpiano (secondo Lattanzio) raccolse le leggi in vigore contro i Cristiani: « Domitius, De Officio Pfoconsolis, libro septimo, rescripta pilncipum nefaria coUegit, ut doceret quibus poenis affici oporteret eos qui se cultores Dei con- fiterentur » (3). « Questa collezione di leggi, dice il eh. Lugari (4), noi ora non la troviamo nel Digesto, né potremmo trovarcela; poiché nel rioi-dinaraento della legislazione romana fatto da Giustiniano, tutte le leggi emanate in onta del Cristianesimo furono espulse. Per questa sola riflessione cade la poco se- ria sentenza di alcuni moderni che ritengono aver errato Lattanzio (5), senza pensare che Lattanzio, avendo vissuto sotto Diocleziano, sarebbe stato testi- monio de auditii ed anche de visu di quel che diceva *. Poste adunque le leggi, i contravventori alle stesse dovean essei- puniti ; e perchè fossero puniti, dovean essere ricercati dalla pubblica autorità, giac- ché è dovere di ogni magistrato scovare i delinquenti, onde purgarne la so- cietà. Nell'Impero romano non mancò né potè mancare questa doverosa vigi- lanza; che ogni buon preside, dice Ulpiano, « sacrilegos, latrones, plagiarios, fures conquirere debet, et prout quisque deliquerit in eum animadvertere » . Balduino (6) commentando un passo di Cicerone, nell'orazione prò Roseto Ame- (1) Cf. SuLPiz. Sbv. (2) Sebbene talvolta sotto qualche Imperatore, o per il suo carattere oaturalmente mite, od anche per noncuranza, quegli editti siano stati applicati meno frequentemente. (3) Ap. Lactant. Divinae imttìtutiones 1. V, e. XI. (4) W Anf. Flavio rivendicato ai Martiri, p. 27. (5) Lattanzio visse un secolo prima del riordinamento della legislazione romana, fatto da Giustiniano. (6) Cf. PoTHiBR. Le Pandette di Ginstiniano riordinate, Voi. I, Venezia 1833, pag. 103, numero '2. 270 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO vino, esce in queste parole : « Egli è peraltro vero che ai Romani piacque di comandare che in mancanza di accusatori i magistrati stessi facessero la in- quisizione dei colpevoli, e fossero nel medesimo tempo accusatori e giudici » . Quel « conquirendi non sunt » di Traiano a Plinio, è una bella conferma della ricerca che facevasi dei rei; e una conferma ancor più chiara la tro- viamo nella nota fuga dei Cristiani all'inasprirsi delle persecuzioni: fuga di cui ci rendono certi Tertulliano (1), Origene (2), S. Cipriano (3), e S. Giovanni Crisostomo (4). Alla ricerca dei colpevoli fatta dalla pubblica autorità s' aggiunga final- mente la schifosa genia dei delatores, si pagani o giudei che cristiani apostati e fratelli rinnegati; e questi ultimi poi erano, come è chiaro, anche più peri- colosi dei primi « periculis in falsis fratribus » , perchè potevan essi dare alle autorità gentili copiose liste di nomi e minuti ragguagli sulla novella religione. Ora, presentati che fossero i Cristiani dinanzi ai tribunali; confessato che .questi avessero di essere seguaci di Cristo; potevano per avventura evadere le pene comminate per quei delitti che si ritenevano connessi col nome Cri- stiano? No, ma si deferantur, rispose Traiano a Plinio, et arguantur puniendi sani; e i delinquenti, se honestiores, venivano per lo più o decapitati od esi- liati; e gli humiliores (e talvolta anche gli honestiores) erano o crocifissi o condannati ad bestias. Il popolo ritraeva grande sollazzo dall'assistere a quest'ultima pena, e bra- mava tanto di vedere un tale spettacolo, che, come ce l'attesta Tertulliano (5), per il più piccolo motivo domandava ai magistrati che si gettassero i Cristiani alle fiere: « Si Tiberis ascendit in moenia, si Nilus non descendit in arva, si coelum stetit, si terra movit, si fames, si lues; statim Christianus ad leonem acclamatur > . Il popolo romano avea, a tale riguardo, privilegi speciali. Nel Digesto leggiamo: «Ad bestias damnatos favore populi praeses dimittere non debet: sed si eius roboris vel artificii sint, ut digne populo romano exhiberi possint, principem consulere debet » (6). Ai tempi dell'Impero i cittadini romani erano esenti per legge dalla dam- natio ad bestias; i Cristiani però furono ben presto condannati a quella pena, qualunque si fosse la loro condizione. Cosi, ad esempio, in Lione nell'anno 177, reclamante populo, fu condannato ad bestias un Cristiano il quale era citta- (1) De fuga in persecutione e. IV, XII, XlIIr — Ad uxorem 1. I, e. 3. (2) Cantra Celsum, 1. VIII, ed. Cautabr. p. 406. (3) Epist. 1. IV, ad Cornelium, § 4. (4) De Ss. Martyribus Bernice, Prosdoce, § 4. Cfr. il Processo Verbale del 17 Luglio 180, scoperto nel 1890. — Apologisti Cristinni. Casa editrice Dott. F. Vallardi, Milano 1907. (5) Apolog. cap. XXXIX. (6) Dig 1. XLVIII, tit. XIX, 1. 31. CAPITOLO ni. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 271 (lino Romano. Gli stessi Imperatori si dilettavano di siffatte condanne; e di Caligola si legge che un giorno, non essendovi in pronto rei da darsi alle fiere, fé prendere alcuni spettatori, e, sospintili nell'arena, die compimento allo spet- tacolo. E quanto più prendevan voga i giuochi anfiteatrali, tanto più gli Im- peratori cercarono di trovar materia onde più frequentemente celebrarli; e tra i condannati ad bestiaio vennero annoverati i parricidi, i fratricidi e i rei di lesa maestà: « Etsi antea insuti cuUeo in mari praecipitabantur, hodie ta- men vivi exuruntur vel ad bestias dantur » ; e dei rei di lesa maestà leggiamo : « Hi antea in perpetuura aqua et igni interdicebantur; nane vero humiliores bestiis obiiciuntur, vel vivi exuruntur » (1). Dagli scritti di Tertulliano e di altri scrittori apprendiamo che, alla fine del secondo secolo, le pene da subirsi dai Cristiani erano determinate dall'ar- bitrio dei magistrati; ma il fatto ci ha dimostrato che fra quelle non era ul- tima la « damnatio ad bestias ». Onde il condannato venisse meglio dilaniato dalle belve, lega vasi ad un palo; e perchè gli spettatori meglio lo vedessero, il palo collocavasi in un punto alquanto elevato. Cosi leggiamo di S. Poli- carpo, che ricusò di essere legato (nel rogo) al palo (2); di Saturo: ad ursum substrictum in ponte {3); di s. Blandina: Blandina vero ad palum suspensa bestiis obiecta est (4). Questo pulpito o ponte vedesi rappresentato in vari ci- meli ; come, ad esempio, in una lampada di Cartagine, illustrata dal P. Bruzza (5), nella quale vedesi il disgraziato paziente legato ad un palo che sorge su di un ponte, mentre un feroce leone lo assalisce per dilaniarlo. Non sempre le belve uccidevano la vittima, perchè per lo più, anzi che di ultimo supplicio, quelia condanna serviva per torturare e far soffrire il pa- ziente, usandosi in tali casi di belve ammaestrate (6). E questa fu forse la ra- gione per cui s. Ignazio scriveva ai romani che nutriva la speranza di trovare nelle belve tale disposizione, che non gli perdonassero la vita. È notissimo che i seguaci di Cristo si propagarono in un modo straordi- nario; e non possiamo negare che il Cristianesimo, specialmente in Roma, ab- bia avuto uno sviluppo rapido e trionfale. In una lettera, che s. Paolo scrisse ai Romani nell'anno 58 di C, leggiamo il nome di un gran numero di fedeli, ai quali in gran parte erano connesse intiere famiglie. In quella lettera si ri- cordano infatti i coniugi Aquila e Prisca et domesticarti Ecclesiam eoruni ; Epitteto, Maria, Andronico, Giunia, Ampliato, Urbano, Stachyn, Apelle; quei (1) Dig. 1. XLVIII. TU. IX-XIX. Cf. Cic. Orai, prò Roselo 26. (2) Passio S. Pionii 21 acta sincera, Ruinakt, n. 4, p. 13G et seqq. (3) Passio S Perpetuae 19. Edif. Aem. Robinson, Cambridge, 1891, pp. 89-90. (4) RuiNART. Acta sincera. (5) Bull, di Arch. sacra 1879, p. 21. (6) Acta § 6 apud Acta sanctor. lanuar. toni. I, p. 569. 272 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO. della casa di Aristobolo; Erodione; quei della casa di Narcisso, Trifena e Tri- losa, Perside, Rufo, Asincrito, Flegonte, Erma, Patroba, Ermine, et qui cum eis sunt fratres; Filologo, Giulia, Nereo eia sua sorella Olimpiade, ei omnes qui cum eis sunt sanctos (1); e nella lettera ai Filippesi S. Paolo fa menzione di coloro, qui de Caesaris domo sunt. Neil' anno 64 dell'era nostra, al triste momento dell'incendio neroniano, fu tradotta innanzi ai tribunali, secondo la frase di Tacito, una multitudo ingens di Cristiani: frase, dice l'Armellini (2) che ha fatto impazzire un povero scrittore straniero, Hochart P. (3), il quale non sapendo, per odio al Cristianesimo, accettare questa testimonianza, ha finito col sentenziare, Tacito essere non un autore genuino, ma uno pseudo- nimo d'uno scrittore del m.edio evoll Né per la persecuzione la nuova fede perde terreno ; giacché, secondo la espressione di Tertulliano, semen est sanguis Christianorum ; e talmente s'in- grossarono le sue file, che poco mancò che nell'anno 80, coi nipoti di Domi- ziano, il Ciistianesimo non salisse al trono dei Cesari. Esso combattè glorio- samente per due secoli ancora, e si propagò in tal guisa, che secondo lo stesso Tertulliano, se i Cristiani, ritenuti dai pagani per loro nemici, avessero emi- grato in remote parti dell'orbe, i gentili avrebbero avuti più nemici da com- battere che cittadini cui comandare (4). Una prova materiale poi del gran progresso del Cristianesimo in Roma, l'abbiamo finalmente nelle aree primitive e nei cimiteri sotteri-anei. Nel solo raggio di cinque chilometri dal recinto di Servio Tullio, e senza considei'are le aree ed i cimiteri minori, noi troviamo circa 30 cimiteri detti maggiori, i quali tutti furono iniziati non oltre il III secolo inclusive. Da quanto fin qui si é detto, possiamo dedurre: 1." Che Nerone proscrisse la religione cristiana, e che colle sue leggi si die principio all'èra delle persecuzioni; 2.° Che i delitti connessi col nome cristiano erano puniti da quelle leggi con varie pene, e fra queste non era ultima la damnatio ad bestias; 3.° Che i Cristiani furono tradotti dinanzi ai tribunali, sia perché ricer- cati d'ufficio' dai magistrati, sia perchè accusati dai delatores, o pagani o ebrei 0 rinnegati fratelli; 4." Che i seguaci di Cristo furono realmente condannati ad bestias; ed abbiamo addotto, per incedens, qualche esempio (5) ; (1) S. Paolo ad Rotn. e. XVI, dal v. 3 al v. 15. (2) Lez. di Arch. Crisi, p. 6. (3) De l'authenticité des Annales et de.i hisfoire.i de Tacite, Bordeaux 1890. (4) Apol. e. XXXVII. (5) Le sillogi epigrafiche di Tours, di Closterneubourg e di Gottwel ci hanno conser- vato un' iscrizione preziosa degli inizi del secolo V; la quale, mentre ci ricorda i grandiosi restauri fatti da Sisto III (432440) nella basilica Liberiana, fa pur menzione di cinque mar- CAl'ITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 273 5" Che essendo i Cristiani a quei tempi in gran numero, numerose pur dovettero essere le vittime, nel mondo pagano in genere, e nella sua capitale in ispet'ie. * * * Ma se queste deduzioni sono generalmente ammesse dagli storici, non cosi concordi sono essi nello stabilire il sito in cui nell'alma Città de' Ce- sari si gettavano i Cristiani alle fiere dopo l' edificazione dell' Anfiteatro Flavio. Alcuni dicono non potersi assicurare che l'arena del Colosseo sia stata bagnata dal sangue cristiano: ed appoggiano il loro argomento sulla man- canza di formali documenti, i quali (dicono) sono necessari, perchè in Roma v'erano circhi in cui egualmente s' eseguivano i combattimenti colle fiere, e perchè v'erano almeno due anfiteatri. Rispondiamo: Dicemmo xìgW Introduzione che dopo l'invenzione degli anfiteatri, le ve- nationes, si eseguirono costantemente in questi; che il circo non venne più usato a tal uopo, perchè poco adatto allo scopo; e che se in qualche caso ec- cezionale tornò questo ad usarsi per i ludi venatorl, ciò avvenne mentre l' an- fiteatro veniva restaurato per danni subiti e causati da incendi, terremoti, ecc. — Ora ci piace aggiungere quanto a questo rispetto scrive il eh. P. Sisto Scaglia (1): « Veteres antiquitatum romanarum periti, non videntur satis di- stinxisse Inter circnm et anphitheatrum, circa praefata spectacula. Ut sim brevis, Demsteri dumtaxat verba citabo: Quanwis autem tlieatra, circi et alia hniusmodi loca singulares qìiaeque, ac proprios ludos haberent, et exercita- tiri (V. Grisar, Unma alla fine del mondo antico pag-. 303 nota 2°) e dei cinque, simboli del genere di morte da essi subita. Il terzo di questi simboli è precisamente la damnatio ad be- stias. Ecco il testo dell'iscrizione: VIRGO MARIA TIBI SIXTVS (sic) NOVA TEMPLA DICAVI DIGNA SALVTIFERO MVNERA VENTRE TVO TE GENITRIX IGNARA VIRI TE DENIQVE FETA VLSCERIBVS SALVIS EDITA NOSTRA SALVS ECCE TVI TESTES VTERI SIBI PREMIA PORTANT SVB PEDIBVS lACET PASSIO CVIQUE SVA FERRVM FLAMMA FERE (sic) FLVVIVS SAEVVMQVE VENENVM TOT TAMEN HAS MORTES VNA CORONA MANET « Di tale prezioso carme rimase superstite soltanto il primo verso fino al sec. XVII; e questa reliquia pure venne cancellata in seguito agli inconsulti restauri eseguiti a spese del card. Pinelli ». P. Si.sto Scaglia. Mosaici antichi della bas. di S. Maria Maggiore in Rovìa. Roma, F. Pustet, Editore, 1910. (1) Notiones Archaeolog. Chrint. Gap. II, p. 170, Romae 1908. 18. 274 PARTE IV. ■ CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO tiones cuique loco accomodatas : lamen eadem saepe omnibus in locis peracta sine discrimine fuerunt (1). Est scilicet in his verbis cur quaeramus quoraodo et ludi circenses In amphitheatro et tragoediae vel gladiatori! ludi in circo fierent. Circus Romuli Maxentii, circo Neronis multo inferior, cuius notabiles adhuc ruinae ad tertiura ciciter milliarium Viae Appiae conspiciuntur, satis ad rem nostrana conferret. Sed quid dicendum de maioribus circis? Nemo non videt quam pai'urn eiusmodi hippodromi scenicis spectaculis ludisque gladia- toriis aliisque id genus convenirent, cura exigua tantum pars spectatorum possent ludis gaudere. E contrario in amphitheatris omnes ad unum ludos cernere satis, quocumque in arenae loco agerentur, poterant. Quod autem omnem dirimit difficultatem illud est, quod nullibi in ruinis hippodromo- RUM inventae sint carene ubi belluae asservarentur; eas vero in superstiti- bus amphitheatris recognoscere adhuc aliquando licet ». Relativamente poi alla seconda ragione che si adduce, e che consiste in ammettere almeno due anfiteatri in Roma, diciamo: A pag. 31 di questa opera asserimmo che gli anfiteatri stabili in Roma non furono che due: quello di Statilio Tauro ed il Flavio; ed aggiungemmo che il Castrense, se potè chiamarsi nei catologhi anfiteatro, non fu tale che per la forma e non già per la sua destinazione a' pubblici spettacoli, che mai non l'ebbe (2). Se noi infatti esaminiamo l'edifizio castrense; se esaminiamo, dico, le sue dimensioni, la rozzezza dei suoi muri ed il sito ove sorgeva, ve- dremo tosto che un tal edifizio non potè essere stato adibito a scopo di pub- blici spettacoli. Ho detto: le sue dimensioni; giacché era esso tanto piccolo che in nes- suna, maniera poteva servire ad accogliere in sé le tante migliaia di spetta- tori che s'adunavano nell'anfiteatro in occasione dei ludi gladiatori; ed era assolutamente improporzionato ad una città di pressoché un milione e mezzo d'abitanti, e alla quale in quelle circostanze affluivano genti pur anche da remotissime regioni. L'anfiteatro Castrense non ebbe che il podio ed una pre- cinzione composta di nove soli gradi; e di questo ce ne fa fede Palladio in un disegno, già forse conosciuto dal Durand, ed ultimamente riprodotta dal eh," Lanciani (3), ove abbiamo le misure già prese dal famoso architetto Vi- centino. Ho aggiunto: la rozzezza dei suoi muri; poiché nella costruzione di quell'edificio il materiale usato fu il laterizio, e quindi di ben poca cosa in confronto coi muri degli anfiteatri Tauro e Flavio, che sono di pietra tiburtina. (1) Corpus antiq. rom. dbsolutissimnm p. 440. (2) Cf. G. B. LuGAKi, loc. cit. p. 9. (3) The ruins and excavations of ancìent Rome p, 283. CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 275 Ho detto finalmente: la posizione od il sito ove sorgeva; imperocché non fu esso edificato urbe media, come il Flavio, o nel Campo Afarzio, come il Tauro; ma fuori delle mura della città, in un luogo di poco conto e affatto incomodo per accedervi. I classici ricordano gli anfiteatri Taurino e Flavio, ma nessuna men- zione fanno del Castrense; e se lo troviamo nei cataloghi, dobbiamo ciò ad Aureliano, il quale ebbe la bella idea di conservarlo, innestandolo nelle sue mura. Io opino con il Lugaft (1) che l'edifizio Castrense altro non fosse che il vivarium, cioè il serraglio delle belve destinate ai giuochi, e la schola dei venatores. « Che questo edifizio fosse il vivario, dice il testé citato autore, è reso evidente da un passo di Procopio nella sua storia della guerra gotica dove questo scrittore narra l'assalto dato da Vitige alle mura di Roma (2). Dice pertanto Procopio che — Vitige andò con molta gente nei dintorni della porta Prenestina contro quella parte del recinto che i Ro- mani chiamano Vivario, dove le mura erano facilissime ad espugnarsi. — Nel capo poi seguente aggiunge che — ivi il luogo era piano interamente e perciò soggetto agli assalti dei nemici, e le muraglia talmente a mal termine da non poter la cortina opporre gagliarda resistenza; che — v'era in quel punto un muro sporgente per non lungo tratto dalla linea del re- cinto, costrutto dai Romani dei tempi più antichi, non per sicurezza mag- giore, perchè non aveva né la difesa di torri, né vi erano stati fatti i merli, né altra cosa dalla quale si fosse potuto respingere un attacco dei nemici contro il recinto, ma fatto per un piacere non bello, cioè per tenervi custoditi leoni ed altre fiere, dal che questo edifizio fu chiamato vivario, poi- ché cosi chiamano i Romani il luogo ove sogliono nudrire bestie non man- suete. Ora essendo indisputabile che l' anfiteatro Castrense si trovi nei dintorni della Porta Prenestina, che faccia parte delle mura sporgendo fuori della linea del loro andamento, che non abbia difesa di torri, non risultando dal suddetto disegno del Palladio, aver avuto merli; vedendosi manifestamente le mura contigue a questo edifizio dalla parte di Levante verso la porta Prenestina, ove innanzi è pianura aver sofferto gravissimi danni, tanto d'essere stato ne- cessario in gran parte i-icostruirle, e le mura che si attaccano al Castrense dalla parte di Ponente verso l'Asinaria, ove il terreno é scosceso mostrando- cisi tuttora assai ben conservate, ed apparendo nel mezzo del nostro edifizio tracce non dubbie di destruzione, quali dovrebbero esservi state secondo la narrazione di Procopio, e non trovandosi infine altra parte delle mura circo- (1) Loc. cit. p. 10. (2) Proc. Della Guerra Gotica 1. I, e. XXII, XXIII. 276 PARTE IV. - CONTROVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Stanti alla quale accomodar si possano cosi bene i connotati lasciatici da Pro- copio, ritengo d'aver còlto nel segno riconoscendo in questo edifizio il Viva- rium. A ritenere pel vivario il Castrense, prosegue il Lugari, non può recarci ostacolo l'esser tal fabbrica di forma ovale, perchè nessuna legge det- tata dalla natura della cosa ha mai prescritto dover essere il vivario rettan- golare, quale comunemente se la immaginarono gli archeologi: nò osta il suo tipo anfìteatrale, che parrebbe per sé escludere affatto l'idea di celle per cu- stodirvi le belve, avvegnaché vi poterono queste nel caso trovar posto comodo ed abbondante (1). Anzi io stimo il tipo anfìteatrale essere acconcio assai per siffatto edifizio. Infatti, dovettero i venatores avere la loro scuola ove adde- strarsi alla caccia e dove ammaestrare le belve (2); ma separare il vivario dalia schola dei venatores sarebbe riuscita cosa assai incomoda e pericolosa per il trasporto quotidiano delle belve dal vivario all'arena e dall'arena al vivario qualora i due edilìzi fossero stati distinti; dunque dovette avere il vi- vario nel suo centro l' arena, attorno alla quale, per sua natura di forma ovale, fosser disposte le celle per le fiere. Confoi'tano questa mia opinione le esca- vazioni fatte dal P. Martignoni nell'anfiteatro Castrense durante la prima metà del secolo XVIII, nelle quali fu scoperta, come dice il Ficoroni che la vide, l'antica platea, ossia l'arena, e sotto questa si rinvennero delle vaste stanze ripiene di stinchi e d'ossa di grossi animali; ecco le sue parole: « portan- domi colà, e veduto l'antico piano, restai non poco maravigliato; ma più ri- masi sorpreso, allorché avvisato dal detto P. Martignoni calai per una scala contigua al muro di fuori sotto la platea, e vidi, che ve n'era un'altra più spaziosa ripiena di stinchi, e d'ossa di grossi animali » (3). Le espressioni del Ficoroni ci fanno conoscere che quest'arena non fu di legno come nell'Anfi- teatro Flavio, ma stabile e di murazione; e che quelle vaste stanze sottei'- ranee non servirono per gli usi dei giuochi anfiteatrali, ma per deposito di ossa di grossi animali. Questo fatto rannodato all'altro, del non essersi, nel- l'esca vazion e degli ambulacri formati dai muri di sostruzione dell'arena del- l'Anfiteatro Flavio, trovata traccia di ossa di animali, mentre stando alla pro- porzione dei due anfiteatri se ne sarebbero ivi dovute trovare in copia grandissima, ci conduce a ragionevolmente pensare che le fiere uccise nel- l'Anfiteatro Flavio venissero traspoi-tate nel Castrense, dove date le carni in cibo alle belve che là si custodivano, sì gettasse in quei sotterranei il car- (1) Qui il Lur.Ani (loc. cit. p. 11 dell'estratto o p. 113 deWe Dissert. della Pont. Accad. Uovi, di Arch. serie II, Tom. VII) in una lunga 9jo/a dimostra che l' anfiteatro Castrense era capace di contenere il numero sufficiente di belve per gli spettacoli ordinari; ed indica il sito ove poterono esservi le abitazioni per i militi del vivario e per i serventi. (2) Lanciani, The ruins a>id excavations of ancient Home, p. 383. (3) FicoHONi, Le vestigia di Roma antica, p. 121. CAPITOLO 111. - l'anfiteatro FLAVIO E I MAKTIKI 277 carne, forse regalici dei venatores, i quali poi a lor vantaggio avran fatto traf- fico di quelle ossa: che fur queste sempre materia di commercio, anche ai nostri tempi; ne' quali di più a somma vergogna della decantata civiltà del secolo XIX s'andò tant' oltre da far traffico eziandio delle ossa umane su i campi di Crimea. So bene che il Nardini seguito dagli archeologi fin quasi al di d'oggi pensò fosse stato il vivario in quello spazio rettangolare che tro- vasi a destra della porta Maggiore lungo le mura esternamente (1); ma dopo la demolizione delle torri ouoriane e d'altre costruzioni che deturpavano il magnifico monumento delle due acque Claudia ed Aniene nuova, la supposi- zione del Nardini non può più reggersi, avvegnaché il fornice destro che egli stimò fosse la porta principale del vivario, si vide aver servito a tutt' altro, al passaggio cioè della via Labicana come al passaggio della via Prenestina serviva il sinistro. Inoltre la serie dei monumenti sepolcrali rinvenuti presso il detto fornice sui margine destro della Labicana rendono affatto impossibile il vivario in quel posto; dacché tra l'area occupata dai sepolcri e l'acque- dotto di Claudio, che in quel tratto fu incorpoi'ato alle mura, non resta che uno strettissimo spazio. « Ancor peggiore di questa é l'altra opinione la quale fu in vigore tra i secoli XV e XVI, che cioè nell'area del castro Pretorio vi fosse stato eziandio il vivario (2), e questo, come si deduce dalle espressioni di Lucio Fauno e dei suoi contemporanei, lo argomentarono a quei tempi sia per la protuberanza che questo edilìzio produceva nelle mura, credendolo perciò il vivario accen- nato da Procopio, senza badare alla località del tutto diversa in cui lo po- neva lo storico, sia per le celle che si vedevano attorno alle mura, le quali allor si pensava fosser covili di fiere ; cosi Lucio Fauno : id ex eo etiam per- spici potest qicod nonnullae caveae prope moenia videmus manufactae fera- runi antris ac lustris persimiles. Il volgo poi appellava quell'area vivanolo, come ci attestano concordemente gli scrittori di quell'età (3), ad eccezione del Bufalini che nella sua pianta di Roma lasciato l'appellativo vivarium al- l'area del castro Pretorio applica il nome di vivariolum ad alcuni pochi ru- deri posti nella vallata al di fuori del suddetto castro (4). « Siffatta opinione fu confutata dal Panvinio col riconoscere assoluta- mente in quella grande area quadrata, detta fino a quel tempo castrum cu- stodiae ed insieme vivario, il campo dei pretoriani e conseguentemente in quelle celle le abitazioni dei militi. Fu allora che alcuni pensarono il vivario (1) Nardini, Roma antica, toni. II pag. 17 ediz. de Romanis. (2) Lucius Faunus, De antiq. urb. Romae, lib. I, p. 13 — Pomp. Lbt. De antiq. urb. Romae, lib. VII, pagg. 234, 235 — Marliani, Urb. Rom. Topogr. lib. VII, p. 134. (3) Id., loc. cit., PoMP. Letl's, loc. cit., Marliani, loc. cit. (4) Bufalini, La pianta di Roma, tav. A, 2 ediz. 1879. 278 PARTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO ricordato da Procopio fosse sorto in quel tratto di terreno che flanchcgj^ia esternamente alle mura il lato sud del castro Pretorio. Ma questa opinione riconosciuta erronea nei suoi fondamenti, per non trovarsi quell'area nella località indicata da Procopio, fu rigettata dal Nardini e dal Nibby, seguiti pressoché da tutti gli archeologi posteriori. Taluno però ai nostri giorni im- pressionatosi dalla presenza di due grossi muri posti ad angolo retto tra loro nel tratto di terreno suddetto, segnatone uno dal Bufalini nella sua pianta di Roma e l'altro dal NoUi nella sua, e dei quali si potè vedere qualche resto fino al 1872, ha risollevato la vieta idea del vivario in quel posto. Ma da quel che sono per dire si parrà chiaro che quelle muraglie non possono in alcun modo convenire al recinto del vivario ricordato da Procopio; e da prima la lor costruzione di opera quadrata a grandi parallelepipedi di tufa; dico di tufa giacché ce lo attestano quei massi squadrati adoperati nei risarcimenti delle mura in quel torno, fa rimontare queir ediflzio a tempo anteriore assai alla introduzione dei giuochi anfìteatrali in Roma; e la forma rettangolai'e di quell'area circoscritta da quei muri tufacei d'opera quadrata fa nascer più che d'altro la idea di un antichissimo campo d'arme in quella località, rico- nosciuta in tutti i tempi la più esposta agli assalti dei nemici ; fin dal tempo di Romolo del quale si legge di aver costituiti due accampamenti attorno alla sua Roma e l'un dei quali appunto su queste alture, e chi sa quell'area non sia propriamente desso forse abbandonato quando fu costruito il famoso ag- gere serviana; abbandono confermatoci dalla mancanza di un terzo muro che corresse lungo la via, la quale usciva dalla porta Viminale dell' aggere di Servio, e dal prostrarsi, a quanto sembra, di quel lato del claustro, ricordato dal Nolli al di là della detta via, come il chiarissimo Lanciani ha opinato, segnandolo con linee punteggiate nella Forma Urbis; per le quali cose la via anzidetta avrebbe traversato contro ragione l'area in discorso. « Ed è tanto spontanea la idea che destan quell' area e quei muri, di un accampamento, che lo stesso Lanciani parlando di quella, che esso ritiene pel vivario, esce in siffatte parole: il vivario fu un lungo rettangolo del tipo di un campo romano fabbricato di grandi blocchi di pietra, simile alle barac- che della seconda legione Partica ad Albano. Del resto fosse o no questo l'accampamento di Romolo, il certo è che il claustro in questione è di tempo anteriore all'età dell'Impero, e già a quest'epoca abbandonato, essendo che il castro Pretorio, per quel che sopra si é detto di quei muri, ne occupò una parte; e di più i ritrovamenti fatti presso gli avanzi di quelle antiche mura- glie, di capitelli marmorei di grandi dimensioni e di lastre di marmo mi- schio (1) ci dicono che nel periodo imperiale altre fabbriche ancora vi si 1) Nota di ruderi e monumenti antichi per la pianta del Nolli, edita dal De Rossi, p. 19. CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 279 ergevano. Inoltre trovandosi codesti muri del preteso vivarium in condizioni tali da non potersi supporre lasciati in piedi da Aureliano, è giuocoforza con- cliiudere che non siano queste le muraglie del vivario. I muri in questione non fecer parte del recinto aurelianeo, che le mura in quel punto tagliandoli fuori si attaccano direttamente a quelle del Castro Pretorio. Ora supporre che siano stati lasciati intatti a lor posto grossi muri di qualche altezza a contatto del recinto, è supporre un errore strategico madornale, che sebbene si volesse, non si potrebbe supporre in Aureliano, il quale per essere rimasto il circo di Eliogabalo a contatto delle mura lo fece appunto abbattere per tal riguardo; dunque dovettero questi muri essere stati demoliti da Aureliano, se pure a quel tempo erano in piedi, e perciò non furono le muraglie del vivario. Né per attestarcene la esistenza in pieno essere ai tempi di Aureliano giova ap- pellare alle piante iconografiche ed alle prospettive del secolo XVI, che per quanto uno voglia mettere a lambicco il cervello per ritrovarveli non gli sarà mai dato. Vegga chi lo desidera le piante iconografiche illustrate dal De Rossi, dallo Stevenson, dal Miintz, dal Gnoli e dall' Hiilsen, che se in talune vi ha segnato qualche monumento estramuraneo, questo Io troverà fuor di tutte altre porte che della Tiburtina. Di più la lunghezza di questi muri è talmente grande da contrastare apertamente con quanto del muro del vivario ci narra Procopio, vale a dire che era di breve lunghezza. Oltre di che la espressione dello storico Greco, un muro, mal si addirrebbe a due muri in isquadra. Ma quello che fa assolutamente escludere la ipotesi, che l'area presso il Castro Pretorio fosse il vivario, è la sua situazione. Il vivario, secondo narra Pro- copio, si trovava nei dintorni della Porta Prenestina, sicché non possiamo cercarlo oltre la Tiburtina, ma quest'area é al dì là e assai al di là della Tiburtina, dunque essa evidentemente non fu il vivario. « Venendo ora alla seconda parte della mia sentenza, prosegue il Lugari, dico che liappellativo Castrense dato dai cataloghi a questa fabbrica di forma anfiteatrale ci apre la via a riconoscere in essa la palestra dei venatores e ci conferma eziandio nell'opinione che fosse questo edifizio al tempo stesso il vivario. Ognun sa che la parola castrense accenna a malizia: cosi era detto peadium castrense quel danaro che il figlio, ricavatolo dal militare,, potea ritener come suo. Suetonio dice che Caligola cognomen castrensi ioco, o loco come leggono alcuni, traxit, quia manipulario habitu inter milites educa- batur (1). Militari furono i giuochi appellati ludi castrenses e munus castrense; e similmente la corona castrensis fu detta cosi perché premio dei militari. • Quando dunque i cataloghi appellano castrense questa fabbrica è sicuro in- dizio che essa appartenne a soldati: a quale scopo poi loro appartenesse la (1) SuET. in Calig. cap. IX. 280 PARTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO forma anfiteatralc cel dice chiaro, e tutti gli archeologi lo hanno riconosciuto, a scopo di giuochi (1). I ludi casirenses ed il munus castrense, giuochi vena- tori (2) dati probabilmente dai Pretoriani (3), ci fan tiavedeie che furono essi i soldati ai quali questo edifìzio appartenne; e come a costóro veramente ap- partenesse ed a qual fine ecco in pronto ad insinuarcelo alcune antiche testi- monianze. « Da due lapidi, una dedicatoria rinvenuta sul principio dello scorso se- colo presso la porta Viminale (4), l'altra lusoria trovata nel Castro Pretorio (5) apprendiamo che dei Pretoriani v'ebbe una classe dominata dei renatores, il compito della quale era, come dall'assieme dei fatti è lecito ragionevolmente dedurre, non solo di prodursi nello rappresentanze venatorie, che in date ri- correnze davansi nei loro alloggiamenti (6), e talora in quelle apprestate nei luoghi destinati ai pubblici spettacoli (7), ma eziandio di ammaestrar le fiere ed addestrare alla lotta i bestiari. Or questi Pretoriani venatores dovettero avere un luogo ove potessero comodamente esercitare sé stessi a lottar colle fiere ed adempiere il loro magistero; ma come non riconoscerlo e per la forma, e per la inettitudine a pubblici spettacoli e per la pertinenza a giuochi militari, nell'anfiteatro Castrense, situato appunto nella regione del Castro Pretorio? — Inoltre questa palestra non avrebbe potuto trovare posto migliore che nel centro dello stesso vivario, dove senza condurre in giro quotidiana- (1) V. Nardini, Rom. ant. 1. IV, e. II, p. 15; Nihby, Roma, parte I ant. p. 397. (2) SuET. m Tib. e. LXXII. (3) Id., in Claud. e. XXI. (4) PRO S . M . ANTONII . GORDIANI . PII FELICIS . AVG . ET TRANQVILLINAE . SABl NAE AVG . VENATORES IMMVNES . CVM CV STODE VIVARI . PONT . VERVS . MIL . COH . VI . PRAE . CAMPANIVS . VERAX . MIL. COH . VI PR . FVSCIVS . CRESCENTIO . ORD . CVSTOS VIVARI . COHH PRAETT . ET . VRBB . DIANA . AVG . D . S . EX . V . P . DEDICATA XII KAL . NOV . IMP . D . N . GORDIANO . AVG . ET . POMPEIANO . CS . Corpus, I L. VI, 130. (5) ABEMVS i IN CENA PVLLVM ® PISCEM PERNAM 4 PAONEM BENA m TORES (6) SuET., in Claud. e. XXI. (7) Id., in Claud, loc. cit. CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MARTIRI 281 mente le belve u tiu di portarle alla sc/told dei venatores, le avesser questi avute belle e pronte ad ogni concorrenza. v< Questa ragionevole postura della palestra avei'Ia ben compresa gli an- tichi lo dimostra il fatto, d'essere stato cioè affidato il vivario alla custodia appunto dei Pretoriani, ed il monumento epigrafico che ce lo attesta, col rap- presentarci venatori esenti, nenatores immunes, far causa comune col custode del vivario, cum custode vivarii, ci conforta a ritenere indivisa la palestra dal vivario. «; Dunque l'applicazione di Castrense data dai cataloghi a questo edifizio di forma anfìteatrale ci è argomento a ritenere che questa fosse la schola dei venatores, e corrobora le deduzioni già fatte, che fosse a un tempo il vi- tmrio ». Fin qui il eh. Lugari. Escluso l'Anfiteatro Castrense, non rimangono in Roma che due anfiteatri stabili e destinati ai pubblici spettacoli: il Taurino ed il Flavio. Ma l'anfi- teatro di Statilio Tauro fu, fin dal principio e per la sua scarsa capacità in poco uso. In occasione infatti della vittoria Aziaca, della pretura di Druso, del natalizio di Augusto e della morte di Agrippina, benché l'anfiteatro di Tauro già fosse edificato, pur nondimeno i solenni ludi non furono celebrati in esso, ma bensi o nel Campo Marzio, entro steccati di legno, o nel Flaminio 0 finalmente nei Septi; e l'anfiteatro di Tauro andò sempre maggiormente in disuso. Caligola tentò di darvi nuovamente giuochi gladiatori, ma se ne indi- spetti per la sua piccolezza di quell'anfiteatro, e, come dice Dione, lo di- sprezzò: TÒ 'càp TOò Taùpoo t')éaTfiov ÓTCps'fpóvYjas (1). Per i giuochi che egli diede nell'anno 38 dell'era volgare, fece chiudere con legnami un'area, e perchè questa fosse più spaziosa, ordinò la demolizione di grandiosi edifizì. Nerone non si curò affatto dell' anfiteati-o Taurino, e ne fé' costruire uno di legno nella regione del Campo Marzio, il quale durò tutto il terzo anno del suo impero. Nel regno di questo stesso Principe arse l'anfiteatro di Tauro (2), e dopo r edificazione del FLAVIO, non si pensò più a restaurarlo : anzi la nuova e grandiosa mole fece dimenticare, come dice il Nibby, l'anfiteatro Taurino, e d'allora in poi non veinie più ricordato dagli storici; e se lo troviamo nei cataloghi, è perchè nel secolo IV ancora se ne conservavano considerevoli avanzi, i quali, secondo il Maffei (3) — appoggiato ad un passo di Cassio- doro (4) — ei-ano forse ridotti ad altr'uso. E lo stesso Maftei opina inoltre che (1) Dio. LIX, cap. X. (2) Dio. p. 709, Ed. Leuiiel. (3) V. Verona ilkistr. Milano 1826, p. 49. (4) Variar. 1. 4.42. 2H2 PAKTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO t ai tempi di Teodorico già fosse diroccato e passato da parecchio tempo ad- dietro in proprietà privata. Né sarebbe questo un caso unico nei cataloghi, poiché anche l'anfiteatro Castrense, tuttoché abbandonato e ridotto a far parte delle mura, pur nondimeno se ne fa in essi menzione. Dunque non rimase in Roma che un solo anfiteatro stabile ed in pieno uso per i pubblici e solenni spettacoli; e questo fu il FLAVIO. Gii antichi scrittori confermano questa conclusione. Essi infatti non con- traddistinguono mai l'Anfiteatro Flavio con aggettivi, ma ne parlano costante- mente in modo assoluto. Capitolino, narrando le opere eseguite da M. Antonino Pio, cosi si esprime: Romae haec extant: Templum Hadriani, Graecostadium post incendium restitutum, instauratum AMPHITHEATRVM. — Lampridio scrive: AMPHITHEATRVM ab eo instauratum post exnstionem; e Vopisco: additit alia die in Amphitheatro una missione centum iubatos leones etc. È questo il modo costante di esprimersi di tutti gli autori; talché il Maf- fei (1), in un capitolo della sua Verona illustrata, parlando degli anfiteatri, dice: « Il perpetuo modo di parlare degli scrittori e Cristiani e Gentili fa co- noscere a bastanza, come in Roma un Anfiteatro solo era d' uso, ed era in possesso di tal nome; poiché noi distinguono essi con sopranome alcuno; e quando dicono, fu ristorato l'anfiteatro, fu condotto nell'anfiteatro, si fecero giuochi nell'anfiteatro, intendono senz'altro di quel di Tito, il che dimostra come era solo; poiché non solcano a cagion d'esempio dire il Teatro per si- gnificare quel di Pompeo, benché più sontuoso degli altri ». Concludiamo : Abbiam veduto che le venationes, dopo l' invenzione dell' anfiteatro, si ce- lebrarono ordinariamente e costantemente in questo, e raramente ed eccezio- nalmente nei circhi. Abbiam veduto che l'unico anfiteatro, che in Roma era in pieno uso dal- l'anno 80 d. C. in poi, fu il FLAVIO. Abbiam veduto che ove si celebravano le venationes, ivi eziandio si get- tavano alle fiere i rei, veri o presunti che fossero, di certi delitti; e poiché i reati che si credevano connessi col nome cristiano si punivano, come di- cemmo, colla dannatio ad bestias, dobbiam conchiudere che l'arena dell'Anfi- teatro Flavio fu bagnata dal sangue cristiano; e che il numero dei Martiri ivi immolati non fu scarso, giacché la proscrizione del Cristianesimo, procla- mata da Nerone, durò fino alla promulgazione dell'editto di Costantino (.2). (1) loc. cit. lib I, cap. IV. (2) Di qui si vede con quanta saggezza il eh.» H. Grisar (Roma alla fine del mondo antico p. 174) abbia scritto: « È certamente fuor di questione che l'ANFITEATKO FU SPET- TATORE DI MOLTI MAETIRII ». CAPITOLO III. - l'anfiteatro FLAVIO E I MAHTIKl 283 Ma se possiamo positivamente affermare (o di questo ne debbono essere persuasi anche i più ipercritici) che l'arena del Flavio Anfiteatro fu bagnata dal sangue cristiano, non cosi, dopo i — sebbene vacui — sofismi dei mo- derni ipercritici (l), possiamo dare un elenco specifico dei singoli Martiri. Fa- rebbe mestieri accompagnarlo con un lungo e laborioso studio critico sopra ciascuno di essi (2). Io mi limito a riprodurre i nomi di quei pochi Martiri, che fino al 1897 comunemente si ritennero immolati nel Colosseo; lasciando ad altri il compito di dimostrare l'autenticità di quest'elenco. S. Ignazio, S. Eustachio e famiglia, S. Taziana, Ss. Abdon e Sennen, S. Martina, Ss. CCLXII soldati. Ss. Vito e Modesto, Ss. Sempronio e compagni. A quest'elenco del Marangoni aggiungerò col Mai-tigny ( Diciionnaire des antiq. chretiennes s. v. Colysée) e col Kraus ( Real- Encyclopaedie der chri- sllir.hen alterthumer, s. v. Colosseum) S. Alessandro Vescovo, per lo ragioni accennate quando si parlò degli oratori che circondavano il Colosseo (3). (1) Cf. P. Dblhayb, Anacleta Bolland. toni. XVI pagg-. 209 e seg'g. ami. 1807. (2) Il Grisar l'Ice, cit.) dice a questo rispetto: « Testinioiiianzo sulficieiitemoiite .sicure coinprovano che quest' edifìcio (il Colosseo) fu spettatore della passione di S. Ignazio antio- cheno, ma se si tratta di enumerare altri determinati campioni della fede che a lui dovreb- bersi unire nella storia delle persecuzioni, allora il giudizio dello storico soggiace a molte difficoltà, la principale delle quali è che gli Atti ove parlasi di tali martirii romani, non sono relazioni genuine del tempo delle persecuzioni, ma pie leggende messe assieme nel quinto e sesto secolo, se non più tardi, le quali di solito contengono anacronismi ed inverosimi- glianze Talora però nei prefati documenti il martirio avvenuto in questo luogo è ricor- dato CON TALI ciKCOSTANZB DA DIMOSTRARE che quel dettaglio fu tramandato in korma si- (■URA ». (3) V. Parte III, cap. 1". ì CAPITOLO QUARTO. Qucst. J"- L'iscrizione "Sic premia servas „ è genuina o falsa? Xl titolo di questa questione farà sogghignare parecchi archeologi mo- derni. Oggi infatti quasi generalmente si ritiene che la lapide di cui parliamo sia una falsificazione del secolo XVII. Io, a dire il vero, non avrei voluto toc- care questo tasto, e volentieri avrei taciuto, se lo studio del Colosseo non mi avesse, quasi direi, trascinato ad indagare l'origine di questa moderna persua- sione, e a pesare le ragioni per cui la nostra lapide venga annoverata fra le false. Inoltre, se io avessi saltato a pie pari questa questione, il lettore avrebbe avuto ogni diritto di notare nel mio lavoro una lacuna, e giustamente avrebbe potuto fare delle osservazioni poco benevoli a mio riguardo. Non era dunque possibile tacere; e poiché in un'opera di quest'indole, non sarebbe stato suf- ficiente limitarsi alla semplice esposizione delle varie opinioni, e terminare (come a bello studio feci altrove) (1) con un punto interrogativo, ma faceva d'uopo esaminare criticamente gli argomenti dei dotti; perciò ho creduto con- veniente fare sulla nostra lapide uno studio speciale. Pertanto prego vivamente il lettore di non volersi decidere per la genuinità 0 falsità della stessa, prima di aver letta per intero la mia dissertazione. Contradittori non mancheranno certamente; e pensare di persuaderli sa- rebbe (specialmente ai tempi nostri) pressoché un'utopia. Del resto ricordiamoci ette se gli scrittori del settecento non furono infallibili, non lo sono neppure i contemporanei. Io appartengo al numero dei secondi, e quindi posso ingannarmi. Nondi- meno confesso con ogni lealtà che, specialmente nella presente questione, non posso seguire ciecamente né gli uni né gli altri; ma voglio studiare spassio- natamente la lapide, e, senza preconcetti di sorta, voglio esaminare le ragioni che generalmente s'adducono per dimostrare la genuità o meno della nostra epigrafe. (1; Cfr. p. 98. 286 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO 6h Né per questo pretendo dire che il mio studio riuscirà completo e sotto ogni rispetto esauriente, no; m'auguro però che esso vorrà richiamare nuovamente l'attenzione degli ar- cheologi in genere e degli epigrafisti in ispe- cie; affinchè essi, mossi dall'amore di quella scienza che è loro propi'ia, possano tornar sopra una questione che, secondo il mio giu- dizio, è tutt'altro che risoluta. Presento nuovamente la riproduzione della lapide tratta dal calco eseguito con ogni cura dal Sig. Attilio Menazzi sull' oi-iginale che trovasi nei sotterranei di S. Martina. (V. Fig. 14"). Non è mia intenzione fare una storia par- ticolareggiata di questa lapide sepolcrale. Sarebbe cosa superflua; giacché gli archeo- logi già sanno che la nostra epigrafe fu rin- venuta nel cimitero di S. Agnese sulla Via Nomentana, negli scavi ivi eseguiti al prin- cipio del secolo XVII (1). Sappiamo pur anche che questa lapide passò poscia nelle mani della marchesa Felice Randanini, famosa raccoglitrice di memorie sacre ; che questi fatti ci vengono narrati da testimoni coevi e fededegni, quali sono il Bel- lori (2) e l'Aringhi (3) ; e che il primo di que- sti scrittori fu un uomo integerrimo per co- stumi, dotto, e, per quanto lo comportavano i suoi tempi, competentissimo in materie, archeologiche (4). (1) Fea, Misceli., Tom. I; Bartolini, Sugli Affi di S. Agnese, p. 110; M. Armellini, Il Cimitero di S. Agnese, p. 10. (2) Bellori, Vestigia Vet. Rom. Tab. XXVIII. (3) Rama Snbterr. 1. Ili, e. XXII, p. 602. (4) Cf. Mazzucchblli , Scritt. Mal. Toni. II, part. II, p. 703. — Tiraboschi, Storia della letteratura italiana. Tom. Vili, 1. 3, p. 289. Ed. Rom. — Comolli, BiU. architettonica, voi. II, p. I, eia». I, pp. 58-59-60-01. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA 8ERVAS „ È GENUINA O FALSA? 287 Nessuno ignora, finalmente, clic hi nostra lapide più tardi la possedè Pietro Berrettini da Cortona (1). Presso di lui si trovava quandoil Tolomeo la de- scrisse, il quale, allorché costrusse il sotterraneo di S. Martina, la fé fissare nelle pareti di quello stesso sotterraneo in cui tuttora si conserva. Oltre ai citati autori, l'epigrafe <• Sic premia servas » è ricoi-data dal Rei- nesio (2), dal Bonada (3), dal Fleetwood (4), dal Lam (5), dal Mamachi (G), dal Bianchini (7), dal Mabillon (8), dal Marangoni (9), dal Venuti (10), dall'Orsi fll), dal Marini (12), dal Mazzolar! (13), dal Magnan (14), dal Terribilini (15), dal Fea (16), dal Visconti (17), dal Nibby (18), dal Canina (19), dal Piale (20), dal 0' Reilly (21), dal Giampaoli (22), dal Gori (23), ecc. Sebbene tutti questi scrittori ammettano in genere l'autenticità della la- pide (24) (non escluso il Gori, il quale, come abbiamo visto a pag. 101, trattò di diminuire quanto più potè il valore della medesima), pur nondimeno non tutti convengono circa Vela e l'interpretazione dell'epigrafe. Passiamo ora ai moderni e contemporanei. Essi sono : il De Rossi (25), il Tomasetti (26), il (1) Apud Peirum de Cortona e schedix Ptolomei, Mcratoui, Toni. IV, p. 1878, n. 4. (2) Reinbsio, Col. XX, p. 249. (!?) Bonada, Col. X, n. 36. (4) Fleetwood, p. 351. (5) Lam, De E. A. p. 203. (6) Mamachi, Tom. I, pp. 415-421-422. (7) Bianchini, Hi.. 21. (23) Fabio Goui, loc. cit. p. 11. (24) Eccettuato il Giampaoli, il quale nella sua opera: Memorie delle catene di S. Pietro, p. 25 mutò di parere, e si uni a quelli che dichiararono faLsa la lapide. (25) De Rossi, Musaici cristiani, fase. XXIII {Musaico della nicchia della Confessione Vaticana). (26) Tomasetti, Breve itin. di Roma, p. 86. 288 l'ARTE IV. - CONTROVEKSrE SULL'ANFITEATRO FtAVIO Promis (1), l'Armellini (2), i BoUandisti (3), il Marucchi (4), il P. Grisar (5), il Rohrbacher (6), il Cinti (7), il P. Scaglia (8). Tutti questi autori (eccettuati il Tomasetti (9) e il Rohrbacher) ritengono la lapide per falsa (10). Dalla lista considerevole di scrittori che trattarono la presente questione si deduce chiaramente essere tre le opinioni degli archeologi intorno a questa lapide. Alcuni la dicono genuina, e non posteriore alla seconda metà del se- colo I; altri la dicono pure genuina, ma non anteriore al secolo V dell' era volgare; altri finalmente la credono una falsificazione perpetrata nel sec. XVII, o, secondo qualcuno, nel secolo XIV. Esaminiamo una per una queste disparate opinioni, incominciando dalla più grave: da quella, cioè, che ritiene l'epigrafe per una falsificazione del se- colo XVII. A qualcuno potrà sembrare che quest'opinione possa trovare appoggio sulla sentenza del De Rossi (11) il quale scrisse: « Christiana res epigraphica, quae corruptricis Ligorii manus effugerat, in redivivuni aliquem liac aetate Ligo- riunì videtur incidisse, qui optimis illis viris (Severano ed Ai-inghi) fucuni quandoque fecerit. Ma applicai-e la sentenza del De Rossi alla nostra lapide, sarebbe fare un oltraggio alla sua scienza e alla sua autorità; giacché da que- sta applicazione ne risulterebbe una inverosimiglianza ed una impossibilità morale. Difatti, se fosse vero che quell'ignoto falsario, quel redivivo Ligorio, avesse fatta incidere la nostra iscrizione, egli, con la sua astuzia, sarebbe giunto ad allucinare non solamente quegli ottimi uomini del secolo XVII, quali furono il Severano e l'Aringhi, ma eziandio un altro uomo eruditissimo e dottissimo dello stesso secolo; un uomo amato da personaggi i pia distinti, stimato da- gli eruditi, encomiato dai Gronovi, dai Malnllon, dai Crescinbeni, onorato (1) PuoMis., Gli Arehiteifi e V Architettura presKO i romani, Mcin. storiche, Serie III, Tom. 27. p. 14C. (2) Armelini, La Chiesa di L'orna, ediz. 2, p. 16 L (3) Analecta Bolland. Tom. XVI. p. 216. ■ (4) 0. Marucchi, Elements d'Archeologie, Tom. Ili, p. 2,S.5. Id. La Forum Romaine 1903, pag. 259. (5) HÌHioire de Rome etc, Voi. I, p. 182. (6) Storia universale della Chiesa, ed. XI, Torino 1904, voi. II, |). 790. (7) Historia critica, Ecclesiae Cattolicae, voi. I, p. 6;55. (8) P. ScAcjLiA, Notiones Archaeol. voi. I, pars-prior. p. 418. (9) Nel sotterraneo di questa (Chiesa), e precisamente nella crociera a mano dritta, v'è l'iscrizione cristiana, dalla qxiale pub rilevarsi che Gandentius, un cristiano, fu V architetto dell' Anfiteatro Flavio e che fu martirizecdo. Toma,shtti, loc. eit. (10) Lo stesso si dica del Maktigny e del Cabrol. V. i loro rispettivi Disionarì, v. Co- lisée e Amph. Flav. (11) Liscript. Christ. Tom. 1, p. 26. CAPITOLO IV - L'ISCKIZIONE " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 289 da tutti i buoni (1), sarebbe giunto ad allucinare, dico, il Bellori, il quale as- sicura che la lapide « Sic premia servas » è neque spukia neque recens. Inoltre quel redivivo Ligorio, (\ue\\'ignoto falsario, sarebbe giunto colla sua astuzia ad allucinare non solo quegli uomini dotti ed ottimi del secolo XVII or ora ricordati, ma anche quelli del secolo seguente XVIII; e cosi avrebbe allucinato un Mamachi, un Bianchini, un Mabillon, e tanti altri che con essi ritennero la lapide per vera. Queir iifìioto falsario, quel redivivo Ligorio, sarebbe giunto colla sua astu- zia ad allucinare non solo quegli uomini ottimi e dotti del secolo XVII e XVIII, ma anche quelli del secolo XIX, quali furono il Fea, il Nibby, il Vi- sconti ed altri, poiché anche essi dissero che quella lapide è sincera, genuina; e taluno giunse a dirla sincrona. Non basta: sarebbe giunto ad allucinare il Marini, quel grande epigrafista, che lo stesso De Rossi chiamò sommo; e sa- rebbe finalmente giunto ad allucinare il Card. Mai, gloria della letteratura del secolo XIX; giacché anche questi approvò e confermò la sentenza del Marini, che aveva detta etegans la congettura del Marangoni (2). Ma che un falsario possa arrivare colle sue astuzie ad allucinare tutti i dotti di tre secoli, non esclusi i contemporanei alla scoperta, é cosa non so- lamente inverosimile ma anche moralmente impossibile. Dunque, ripeto, se la lapide di Gaudenzio si dicesse falsa per la sola sentenza del De Rossi, si fa- rebbe un insulto alla logica, alla scienza e all'autorità dell'illustre archeologo, il quale si protesta che quella sua sentenza era quasi inapplicabile alle lapidi romane di quel tempo, ed aggiunge: « Id interim satis sit significasse Roma- nas vix paucas hoc saeculo in lucem editas vel chartis mandatas inscrip- tiones in capitis iudicium fore vocandas ». Né si dica che questa nostra lapide debba essere annoverata fra quelle vix paucas, giacché ciò potrà dirsi delle lapidi d'ignota origine, non pei'ò della nostra, la cui storia conosciamo, e la quale testimoni fededegni e contempo- ranei ci attestano aver veduto quasi direi, coi propri occhi estrarre da un ci- mitero sotterraneo {elapsis annis-non muUis abhinc annis); e dicono averla poscia posseduta la marchesa Randanini, una delle prime, raccoglitrici di la- pidi; e precisamente in tempi, in cui « la gara di riunire le memorie cri- stiane non aveva ancora aguzzato V ingegno degli speculatori » (3). Di fronte alle egrege dote di quei testimoni, non si può dubitare della provenienza della lapide; ed è innegabile che questa fu estratta da un Cimitero nel quale, con tutta verosimiglianza, le escavazioni furono fatte a cura appunto della Randa- (1) COMOLLi, Bihl. voi. II, p. I, class. I, p. 51. (2) Vedi P. I, e. III, di questo lavoro. (3) Cf. Bull. Serie III, nn. I, p. 135. 19. 290 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO nini e dell'Angelelli; il che si deduce anche dal fatto che in una cripta tro- vata nel cimitero ostriano (?), vi sono molti nomi di Signore che andarono a visitare il cimitero mentre si scavava (1). Né possiamo dire, finalmente, che la nostra lapide appartenga a quei tempi, in cui i negozianti di Roma non già inventarono nuove lapidi, ma spaccia- rono esemplari moderni più o meno fedeli di epigrafi genuine ed antiche (2). Dunque non potremo neppur dire falsa la lapide per quella sentenza scritta dal De Rossi. Più tardi esamineremo le altre ragioni che adduce lo stesso De Rossi per dichiarare falsa la lapide di Gaudenzio. Ma andiamo innanzi nell'esame degli altri argomenti che si adducono in favore della falsità della lapide. Innanzi tutto faccio avvertire al lettore che le falsificazioni sono assai più comuni e si trovano più facilmente nei codici e manoscritti in genere, che nelle lapidi. Faccio avvertire inoltre che se vi sono falsificazioni epigrafiche antiche scolpite su marmo, queste erano quasi esclusivamente delle lapidi pagane. Ho detto quasi esclusivamente, giacché, come già si disse, il vizio delle iscrizioni cristiane sospette, consiste in essere riproduzioni più o meno fedeli di epigrafi genuine ed antiche (3): ora riproduzione non è davvero sinonimo di falsi fi- cazione! Da queste due avvertenze deduco che la sentenza di coloi'o i quali dicono essere la nostra lapide una falsificazione del secolo XVII, è per lo meno inve- rosimile; e quell'iscrizione sarebbe od il primo, e finora caso unico, od un raro esempio di lapide cristiana esistente, totalmente falsa. Ora per affermare una cosa simile, non basta una semplice asserzione, ma é necessaria una piena, evidente e matematica dimostrazione. Ma ammettiamo per un momento che si tratti di una falsificazione del se- colo XVII. Noi, come abbiam visto, conosciamo la storia della lapide. Fu tro- vata nel cimitero di S. Agnese, e questo non può negarsi, perché testimoni fededegni ce l'attestano. Ora ciò che questi testimoni ci riferiscono viene confermato dai fatti. Si sa con certezza che quando venne in luce la lapide, nel cimitero di S. Agnese, furono eseguiti degli scavi. Questi dovettero restituire, come l'esperienza c'in- segna, epigrafi cristiane, le quali poi (per ciò che si è detto di sopra) dovet- tero andare nelle mani dell'Angelelli e della Randanini; e noi sappiamo, che (1) M. Armellini, Scoperta della cripta S. Emeremiana, ecc. p. 109. Qui furono le signore: Portia Gabrielli, Maddalena Tassi Varesi, Caterina, Giulia et Lavinia stwi figli il Venerdì Santo l'anno 1635. Cavando Evangelista Bucci. Vi sono anche altri nomi e date degli anni 1634 e 1670. (2) Db Rossi, Bull, di A. S. Serie III, an. I, p. 136. (3) Id., loc. cit. CAPITOLO IV. - L'ISCKIZIONE " SIC PREMIA SEUVAS „ È GENUINA O FALSA? 291 precisamente nelle mani di questa andò la nostra lapide. L'autenticità dunque dell'iscrizione « Sic premia servas » non può essere contrastata logicamente. E se si ammettesse che l'iscrizione fosse stata falsificata, si dovrebbe pure dimostrare che il falsario, ignoto, ebbe tanto ardire da portarsi per il primo in un cimitero sotterraneo fino allora inesplorato, nonché 1' avvertenza, forse singolare in quel tempo, di scrivere la lapide in questione sopra un marmo di forma cimiteriale, perchè non s'avesse in seguito a dubitare della sua auten- ticità; nasconderla in quel cimitero; e tutto ciò poi senza alcun utile da parte sua, e senza sua gloria, giacché scoperta che fu ed estratta, i testimoni con- temporanei noti danno lode ad alcuno, né dicono che alla Randanini costasse molto l'averla (1). Ma tutto ciò é inverosimile. L'origine dunque della lapide fa giustamente argomentare che ella non sia falsa. Dal momento poi della scoperta fino ai giorni nostri la sua storia si po- trebbe scrivere senza difficoltà. Dal cimitero passò alla Randanini, da questa a Pietro da Cortona, e que- sti, dopo poco tempo, la pose ove tuttora la vediamo. Di qual monumento si conosce con maggior precisione, con più certezza la storia? E questo é un altro argomento per negare la falsità dell'epigrafe. Ma se la falsità non è probabile né verosimile, è però possibile; benché, per quel che si é detto, nego che vi sia possibilità morale. Ma ammettiamo che vi sia: in questo caso non resta che esaminare l'iscri- zione giusta i canoni della critica lapidaria. Prima però che io incominci que- sto esame, credo opportuno ripetere al lettore che la sentenza che dice falsa la nostra lapide, ha contrario il parere di uomini sommi. Né intendo parlare degli antichi collettori epigrafici, i quali poterono riunire, senza discernimento, lapidi genuine e false, non altrimenti che i moderni compilatori, i quali ne annoverano fra le lapidi false altre che forse un giorno la sana critica resti- tuirà alla loro vera fede e fra le lapidi sincere. Né parlo di altri scrittori sotto altro riguardo rispettabilissimi, ma che in materia epigrafica, o in critica la- pidaria, non hanno autorità decisiva, come sono il Mamachi, l'Orsi, il Bian- chini, il Mabillon, ecc. ; né di quegli archeologi, i quali, sia per ragione di tempo sia per ragione di studio, non potrebbero dare (come direbbero i moderni) adeguato giudizio su antichità sacre, come, p. es., il Fea, il Nibby, il Venuti, il Piale, ecc. ; ma parlo di profondi conoscitori di epigrafia, e di epigrafia cri- stiana, e di letterati, alla cui memoria si farebbe un grave insulto, se si dicesse che eglino non seppero scernere il vero dal falso in questione di epigrafia. Parlo (1) Un falsificatore può determinarsi a far incidere una lapide, 1» per esser lodato quale scopritore fortunato di un'iscrizione interessante; 2° per far trionfare una sua opinione; 3" per lucro, e in tutti i casi, coll'animo pravo d'ingannare i posteri. Ma noi, come vedremo, non troviamo neppur uno di questi motivi per dichiarare la nostra lapide falsa. 292 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO del Marini. Questi la ritenne per lapide genuina, 1' annoverò fra le isciizioni cristiane sincere, e disse clegans la congettura del Marangoni, già da noi ripor- tata al e. Ili, part. I di questo lavoro. È vero che il Marini non ordinò nò rivide o corresse le sue schede per la gran collezione epigrafica cristiana; ma è pur vero che la nostra epigrafe si trova in quella parte del manoscritto che era la più disposta, direi quasi, per la stampa. Ecco la ragione per cui il Mai la pub- blicò senza difficoltà di sorta. Ma in ogni modo è certo che la nostra lapide non fu, come tante altre, trascritta dal Marini per soli suoi fini particolari, ma fu da lui esaminata, studiata, i-iveduta: giacché entra nel novero di quello poche, cui appose nota; e non una nota qualsiasi ma una nota, che, nella sua brevità, rivela la competenza del sommo epigrafista che era. Il Marini dunque, che nei suoi Arvali (e quante volte ebbe occasione) battè senza pietà il povero Ligorio, ed inveì sempre e veementemente contro i falsari, non pensò punto alla falsità della nostra lapide; anzi la lodò e ne ammise l'autenticità. Parlo inoltre del Mai, il quale visse in tempi in cui l'archeologia cristiana aveva già incominciato il suo sviluppo; che aveva ben veduta nella raccolta Ma- riniana lo studio dell'illustre collettore, il quale, eccezione fatta delle lapidi cala- ritane, tutte le altre ben aveva i-iunite per pubblicarle; del Mai, dico, il quale non ebbe difficoltà di riportare la nostra epigrafe e ritenerla per genuina e sincera. Parlo finalmente del Visconti. Egli nel 1827 dimostrò la genuità e la sincerità della nostra lapide e la ritenne come sincrona; né mai ritrattò la sua sentenza benché cessasse di vi- vere nel 1875, quando la sacra archeologia aveva raggiunto il suo pieno svi- luppo ed era già ridotta a scienza. Ritenendo dunque come cosa indiscutibile la falsità della nostra iscrizione s'andrebbe contro la notissima autorità di sommi uomini, epigrafisti, letterati ed eruditi. Ma, a dire il vero, oggi a questo poco si bada ; e solo fanno eco e trovano appoggio facilmente quelle opinioni moderne che tendono a distruggere una qualche tradizione. È vero che i progressi fatti dall'archeologia sacra in que stì ultimi anni, sono notevoli, ma è anche vero che non hanno gettata nuora luce sulla nostra questioìie. Le cose si trovano allo stesso punto, e le difficoltà purtroppo sono sempre le stesse! Non resta per tanto che esaminare criticamente la lapide. * * * Uno dei maestri della critica lapidaria, non v'ha chi l'ignori, è il Maffei. È vero che oggi si ritiene che i suoi canoni siano applicabili alle sole la- pidi pagane, e si opina aver egli errato nello studio delle lapidi cristiane. Ma CAPITOLO IV - L'ISCKIZIONE " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 293 SO noi esaminiamo i suoi canoni, e con riserbo facciamo qualche distinzione, mi sembra clie essi possano anche applicarsi alle lai)idi cristiane. Infatti, nella sua Aì'te critica laì)idarla (1) il Maftci stabilisce certi cri- teri, coi quali egli insegna il modo di distinguere le iscrizioni vere dalle false; e dice che di due specie sono gli indizi per i quali si possono licono- scere le une dalle altre: altera practica, uii vocant, ah ipsa monumentorum inspecfione petita; interiora altera et ab ii& quae continentur desumpta. Gli indizi estriìiseci, secondo lo stesso autore, sono: genus, facies, color; e segue spiegando ciò che per essi s'intende. I secondi poi, ossia gli intrinseci, sono: la troppa antichità della lapide, la singolarità delle forinole, i punteg- giamenti e cose simili. Ora è evidente che i primi, vale a dire, i canoni estrinseci, siano appli- cabili anche alle lapidi cristiane. Un'iscrizione cristiana scolpita su di un marmo, la cui /hc/t^s ^^ co/or mo- strino essere marmo moderno, si dirà giustamente falsa (2). Lo stesso si dica di una lapide sepolcrale cristiana (il cui genus è cimiteriale), se questa per la paleografia si dovesse riportare ai secoli VII e Vili. Viceversa: una lapide che per la sua iscrizione dovremmo creder dell'epoca in cui i cimiteri soprat- terra erano rari, e di cui quindi il genus dovrebbe essere cimiteriale; se essa presentasse la forma ossia il genus delle lapidi non cimiteriali, non si potrà recisamente ripudiare, ma si potrà dubitare della sua sincerità. Dunque questi dati estrinseci, che c'insegna il Maffei per distinguere le lapidi vere dalle false, mi sembra possano applicarsi anche alle lapidi cristiane. In quanto poi all'indizio intrinseco principale (la paleografia), volendo il Maffei che si usi circa di esso somma cautela e che mai sia disgiunto dagli indizi estrinseci, è indubitata che valga eziandio (non certo assolutamente e disgiunto dagli altri) anche per le lapidi cristiane. E il De Rossi (3) e' insegna: Egli è innegabile, ed anche i più circospetti e peritosi epigrafisti lo confermano, che l'argomento paleografico, adoprato con giudizio, ha molto valore ». Dunque i dati estrinseci posti dal Maffei possono aver forza neU' esame delle lapidi cri-itiane sospette. I dati intrinseci poi non sono tutti egualmente ed assolutamente applicabili alle lapidi cristiane. Il Maffei dubita dell'autenticità di una lapide se questa presenta un'anti- chità assai remota. Ma questo criterio non può applicarsi alle epigrafi cristiane, delle quali ve ne sono molte che risalgono fino ai tempi primitivi della Chiesa e alla stessa età Apostolica. Dunque questo canone non è applicabile al caso (1) Maffei, Arti eriticae lapidariae libr. ITI. e. II, p. 159 e, segg. (2; Cosi ad es. : la collezione di lapidi cimiteriali del sotterraneo della Chiesa dei SS. XII Apostoli. (3) Bull, serie III. au. I, p. 95. 294 PARTE IV. - CONTROVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO nostro. Dubita ancora di una lapide, se l'epigrafe si allontana, secondo la sua specie, dalla comune formola e dizione. Ma questo canone, se è giusto per le lapidi appartenenti a monumenti romani pubblici e privati, non è cosi asso- lutamente applicabile alle lapidi cristiane, le quali, benché anch'esse avessero, secondo la diversità delle epoche, le loro forraole e dizioni, pure, per la sin- golarità delle circostanze, dei luoghi e degli scrittori, poterono andar soggette, e vi andarono effettivamente, ad eccezioni (1). Il Lupi (2) scrive: « In omnibus facultatibus habenda prae oculis est aurea illa sapientiura virorum constitutio qua iuris prudentes in legum oraculis intelligendis utuntur ut semper exceptione aliqua restringenda putent effata veterum, quamtumlibet absuluta, ne forte inopino aliquo casu queat eorura veritas labefactari ; omnis namque definitlo in iure civili periculosa est, rarum est enim ut non subverti possit quod quidem aliqua prudentes dictum, prudentissìme dicitur ubi sermo est de antiquorum EPITAPHIIS » . Ciò posto, applichiamo alla nostra lapide tutti quei criteri che si possono ad essa applicare. Il marmoris color et facies è uno dei criteri estrinseci. Ora il marmo della nostra lapide è evidentemente antico, essendo marmo greco, ed è certamente antico, anche perchè sull'altra faccia della lapide v'è scritta un'altra epigrafe indiscutibilmente antica, e che secondo l'Aringhi, il FJetwood, il Marini ed al- tri, dice: AVRELIA AVGVRINA HIC EST (3). (1) « Poiché l'arte aveva creato variazioni {dipinti in Priscilla, titoli in marmo nel coem. rnaius ostrianum); troviamo che fin dal y'ùx antico periodo delle Catacombe romane si pos- sono distinguere un tipo di scrittura priscilliana ed uno ostriana » . Cf. Kaufmann Manuale d'A. C. p. 172. (2) Epitaph. S. Severae p. 77. (3) Il comm. O. Maruechi (V. Le Fortini Ronuiine, p. 259. Ediz. dell'anno 1903), dopo aver detto che l'iscrizione di Gaudenzio 6 una grossière contraffazione moderna; che il suo stile strano, è assai differente dallo stile antico, che la forma stessa dei caratteri tradisce la sua origine; e dopo aver espresso il desiderio che l'Accademia di S. Luca si decida a porre almeno un' indicazione per prevenire i visitatori di questa falsificazione, aggiunge (in nota) che ha saputo dal Bacci esservi nel rovescio un'iscrizione cristiana antica, che dice: Atigii- rina in pace. Rispetto il parere del eh-" Professore e amico, ma, a mio giudizio, l'Aceaderaia di S. Luca ha fatto molto bene a lasciare la lapide nel sito in cui si trova da tre secoli ; ed anche a non mettervi indicazione di sorta, almeno fltio a che non si sappia con ogni certezza la falsità della stessa. La notizia che il Bacci ha dato al ch.o Maruechi, dell' essere cioè questa la- pide opistografa, non è nuova, perchè' l'Aringhi, il Fletwood, il Marini, il Visconti, ecc., ce l'avevano già detto ; la formola poi, non è Aiigurina in pace, ma : AVRELIA AVGVRINA HIC EST. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 295 Ora questo laconismo, questa totale mancanza di simboli, questo nome AUGURINA e questo gentilizio Aukelia scritto per intiero, ci fanno necessaria- mente dire che il marmo su cui è scolpita l'iscrizione non è posteriore al secolo II (1). 11 marmo dunque su cui è l'epitaffio di Gaudenzio, per il suo colore, per la sua qualità, ecc. può dirsi, senza timore d'essere contraddetti, antico e an- tico assai, e certamente non posterioi'e al secolo II. Nemmeno si può dir falsa la lapide per il marmoris genus, giacché ha essa tutti i requisiti perchè sia lapide cimiteriale, al cui genus appartiene. L'altezza, la forma, il fjitto incontestabile che essa è stata estratta da un ci- mitero, ecc., son tutte cose le quali ci dicono che essa appartiene indiscutibil- mente alla classe delle lapidi cimiteriali. Alla nostra lapide dunque non mancano i l'equisiti estrinseci perchè essa sia ritenuta per genuina. Tralascio per ora la questione paleografica, perchè di essa ne parlerò nel- l'esame della seconda opinione. Ma fin d'ora faccio notare che la paleografìa è criterio fallace assai se si separa dagli altri, come avvertono il Maffei, il Fabretti, il Marini, il Morcelli, e lo stesso P. Scaglia (2) il quale, appena due anni fa, scriveva: « Criteria omnia ista sese invicem conplent ac confìrmant, paucis exceptis casibus, in quibus aut lapicidae impeì'itia aut alia de causa exceptio datur ». E a pag. 58, aggiunge: « Non semper vero e complexu litterarum aetatem erui fas est; nara bene potuit etiam saeculo primo lapicida quilibet, sive ex negligentia, sive ex L'iscrizione è incisa nel mezzo del lungo e stretto marmo; è intiera, e si estende danna estremità all'altra del marmo o tavola marmorea, in questa guisa: AVRELIA é AVGVRINA # HIC EST La frase HIC EST, senza l'aggiunto POSITA (il quale, d'altronde si sottintendo) è clas- sica, e rivela quanto sia antica. Taluno potrebbe dubitare della cristianità di questa la])ido, appunto perchè classica. Se si rifletta però alla provenienza, e al tatto che l'iscrizione è incisa su di una lastra marmo- rea di assoluta forma cimiteriale cristiana, ogni dubbio svanisce. L'Aringhi (loc. cit.) conget- tura che (\VL(A\' Aurelia Augurina cui si riferisce l'epigrafe, possa essere Vuxor di Gaudenzio, perchè, dice, uxores ohm cum viris eodem sepulchro illatas fuisse novimus etc. — Potrebbe es- sere. I nomi sono antichissimi : un T. Aurelius Fulvtts, per es., fu console ordinario impe- rando Domiziano (a. 85 d. C); Augurimis è dei tempi della repubblica. I loculi hisomi poi, ed esempi analoghi d'iscrizioni opistografe, relative ai due coniugi, non è cosa nuova agli archeologi. (1) Cf. M. Armellini, Lez. di Arch. Sacra, pp. 270-271; De Rossi, Bull. Arck. crisi,, serie III, an. VI, pp. 70-71-73. (2) P. Scaglia, Epig. Voi. II, e. Il, p. 52. 296 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO K1>AVI0 iinperitia, litteras inclegantes describere, et viceversa etc =». E quindi, ricono- sciuto che per la nostra lapide stanno gli altri canoni citati, s'userebbe l' ar- gomento paleografico senza giudizio (1), se per questa sola ragione si dicesse falsa. L'unico criterio intrinseco posto dal Maffei, applicabile alle iscrizioni cri- stiane, è, come abbiamo veduto, la singolarità : e questa, non si può negare, è veramente applicabile alla nostra. Se si riilette che l'iscrizione di Gaudenzio, ammesso che non sia riprodu- zione 0 falsificazione, dovrebbe essere del tempo dei Flavi, e considerata la specie cui dovrebbe appartenere, essa s'allontana pur troppo da quella sem- plicità, da quel laconismo, da quelle formole proprie della classe di epitaffi cimiteriali di quei tempi. Ma in questo caso si può, innanzi tutto e con ra- gione, applicare ad essa l'eccezione di cui parla il Lupi (2); e secondariamente quest'epigrafe appartiene a quella specie d'iscrizioni quarum vini ut quis in- telligat seiungere eas non oportet ab adiunctis loci, temporis, ac personae quae epitaphium posuit (3). Oltre a ciò, quest'iscrizione nulla ha che fare con quelle semplici memo- rie che vediamo sui sepolcri di un fedele qualunque, od anche di un martire; le quali presentano precisamente un laconismo e una semplicità caratteristica; ma dobbiamo dirla un elogio, un epitaffio di una natura tutta sua propria. Dunque dai canoni estrinseci posti dal Maffei per riconoscere la falsità della lapide, e che sono applicabili alle lapidi cristiane, si deduce che la nostra non è falsa: il canone intrinseco poi, perchè non applicabile a questa per le cir- costanze della lapide, non può neppure convincerci della falsità della iscrizione di Gaudenzio. Secondo la critica epigrafica dunque, non possiamo dichiarare falsa l'iscrizione « Sic premia servas ». Ma lasciamo il Maffei, ed esaminiamo la cosa secondo i dettami del De Rossi, le cui dichiarazioni, specialmente sulla presente questione, tanto più valgono, in quantochè, come si legge nei suoi Musaici, egli crede la nostra iscrizione una falsificazione dei tempi di Ui-bano Vili. Ma anche di questo suo parere ci occuperemo tra breve. Il De Rossi adunque (4) scrive: « Si distinguono sempre le lapidi incise con cura, secondo la regola dell'arte, da mano perita, del mestiere; da quelle che appaiono tracciate in fretta, senza studio di calligrafìa epigrafica o da mano nuova ed inesperta dell'arte lapidaria » . Ora è evidente che la nostra epigrafe appartenga alla seconda specie, cioè a quella delle iscrizioni tracciate (1) Db Rossi, loc. cit. (2) Lupi, loc. cit. (3) Id., loc. cit., p. 17. (4) Bull., serie IH, an. I, p. 95. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 297 in fì'etla, senza studio di calligrafia epigrafica; e non a quella delle lapidi incise con cura e secondo le regole dell'arie. Ma le lapidi appartenenti a que- sta seconda classe, secondo il chiaro archeologo « ninna impronta hanno di tipo speciale e caratteristico (caso assai raro), ovvero alle lettere dei mano- sci-itti più che all'alfabeto epigrafico ci si mostrano affini ». Dunque la nostra lapide, come quella che ninna impronta ha di tipo speciale e caratteristico, non può dirsi falsa per la sua paleografia non rego- lare e non comune. Nel cimitero di Domitilla, in mezzo a quattro epigrafi in caratteri bellissimi, il De Rossi ne trovò una scritta in paleografia molto tra- scurata, perchè incisa da mano imperita: eppure le giudicò tutte contempo- ranee (1). L'illustre archeologo poi, nella sua memoria sul museo epigrafico cristiano Pio Latei'anonse, afferma che « il delicato fastidio degli umanisti del quattrocento e dei dotti del cinquecento per l'umile e popolana epigrafia dei primi cristiani, l'ha trovata quasi immune dalla lebbra che tutta ne ha impe- stata e guasta la parte classica » (2). E se vi furono lapidi della cui sincerità può dubitarsi, ciò non può dirsi che di quelle le quali spettano al cadere del secolo XVII, quando cioè, differita l'esecuzione del nobilissimo disegno (ideato dal Boldetti di un museo lapidario cristiano), istituirono privati musei di la- pidi antiche segnatamente cristiane, e si studiarono di derivare a loro prò qualche parte di quanto iva in dispersione (3), il Carpegna, il Bianchini, il Capponi, il Vettori, il Ficoroni, e tanti altri. Ora la nostra lapide ei'a già nota, veduta e scritta, anzi stampata nella prima metà del recolo XVII. Dunque non può essere compresa nel numero delle false suddette. Di più: la gara di collettori di lapidi cristiane adescò i venditori a fal- sare la merce (scrive il De-Rossi). Ma in che consiste questa falsificazione? Ascoltiamolo dal sommo maestro: ♦ I negozianti di Roma, ai quali solo si faceva capo da ogni paese, spaccia- rono esemplari moderni più o meno fedeli di epigrafi genuine ed antiche, ed ilo trovato essere talvolta avvenuto, che della medesima epigrafe, l'originale rimanesse in Roma, e (;he copie moderne si fossero in pari tempo spedite una al museo di Catania e una all'arcivescovile di Ravenna ». Dunque la falsificazione, chiamiamola cosi se si vuole, consistette nel co- piare lapidi esistenti in Roma e spedirle fuori, come originali. Ma la nostra, si trova proprio qui a Roma. Dunque, secondo la stessa teoria del De Rossi, essa non cadrebbe' nella classe delle falsificate, e sarebbe, in ogni modo, ori- ginale. Non basta. È certo, e ninno [)otrà negarlo (e questa vedo sia la ragione (1) Bull., serie II, an. VI, p. 58. (2) Id., serie III, an. I, p. 137. (3) Id., loc. cit., p. 135. 298 PARTE JV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO principale su cui si basa la sentenza od opinione che discutiamo), che la no- stra lapide è una singolarità (l). Ora, considerato che gente fossero i falsari od il fine che essi si proponevano, il nostro marmo come potrà dirsi falso? I falsari, l'ho detto poc' anzi colle parole del De Rossi, veduta la gara dei collettori di lapidi cristiane, ingannarono specialmente i lontani col formare esemplari piìi o meno fedeli di lapidi genuine e sincere. Non inventarono dunque nuove lapidi, ma soltanto copiarono più o meno fedelmente dagli ori- ginali. Ora la nostra lapide, non essendo copia pia a meno fedele, ma origi- nale, non può dirsi falsa. Ed il fatto di essere essa nella sua dicitura affatto singolare, esclude l'ipotesi di una falsificazione. Lo scopo dei falsari, è notis- simo, era il guadagno; e a questo fine, astutamente facevano (templari più o meno fedeli. E appunto per il lucro, dovettero essi incidere le lapidi in modo che la loro merce fosse sicuramente spacciata. E per spacciarla più facilmente mandavano fuori di Roma copie più o meno fedeli delle lapidi esistenti. Ma se anche avessero inventato tutto di sana pianta i falsari, avrebbero cer- tamente procurato di non allontanarsi troppo dalle formule esistenti e cono- sciute; molto più che quegli esemplari si spedivano a raccoglitori i quali spes- sissimo erano eruditi. E gli eruditi, ammaestrati forse dall'accaduto ai racco- glitori delle lapidi pagane, dubitarono ancora delle cristiane; ed una prova l'abbiamo appunto nella nostra lapide. Il Bellori dice che quest' iscrizione è neque spuria ncque recens. Si vede dunque che ai suoi giorni v'erano lapidi spurie e recenti, e che gli eruditi l'esaminavano attentamente per non essere tratti in inganno! Gli spacciatori dunque e i falsari dovevano avere un inte- resse speciale di formare le lapidi in modo che a prima vista non facessero dubitare della loro sincerità. Ma se questo dubbio, di fronte a una lapide non comune, sorgeva lontano da Roma, con quanta più ragione non sarebbe sorto in Roma se i falsari aves- sero voluto spacciare una lapide, la quale, come la nostra, è tutta propria, eccezionale, singolarissima'^ Dunque, ripeto, il fine stesso propostosi dai fal- sari, e la singolarità della lapide, escludono la sua falsità. Non mi pare infine verosimile che un falsario del secolo XVII, senza avere dati di sorta, atti, ecc., potesse giungere a scrivere un epitaffio cosi veemente, tanto espressivo, cosi significante, che corrispondesse a qualche dato storico, quale è il nostro. A me pare, per la ragione che son per esporre, che quello non possa essere stato dettato se non da colui il quale si trovava presente ad un atto sommamente indegno di chi lo commetteva, ed evidentemente ingiu- sto verso di colui che lo riceveva. Infatti, qui lo scrittore rimprovera Vespa- (1) Si adduce anche la difficoltà degli apici o punti, come qualcuno li chiama. Ma non è, come vedremo, obiezione insormontabile. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SEKVAS „ È GENUINA O FALSA? 299 siano, e Io rimprovera non con espressioni qualsiansi, ma con queste parole: •< Sic premia servas » ; e a Gaudenzio dice ; « Premiatus es morte » . Si ponga mente alle espressioni suddette, e si vedrà la ragionevolezza della mia asser- zione. Sappiamo che Vespasiano die premi agli artisti, ai letterati, a tutti quei geni insomma, che facevano qualcosa di pubblica utilità. Si legga Suetonio, e si troverà che quell'imperatore (e non ricorda altri imperatori) premiò oratori greci e latini, premiò poeti, premiò il ristauratore del Colosso di Nerone, ed un meccanico per aver solamente progettato il trasporto d'ingenti colonne al Campidoglio; premiò Apollinare il trageda, premiò Tarpejo e Diodoro citaristi e via dicendo. Ora è verosimile che un falsario ignoto del secolo XVII, il quale doveva essere certamente astuto, e che cercava non la sua gloria ma soltanto il suo proprio interesse, fosse potuto giungere ad indicare Vespasiano tanto sottil- mente, e che (anche ammessa la sua sottigliezza ed astuzia) avesse scritto una lapide, la quale, in fin dei conti, non avrebbe potuto facilmente vendere, per la stessa ragione, che allontanandosi dal solito formulario, l'avrebbero creduta inventata? Inoltre: il presunto falsificatore della nostra lapide, fu un letterato o fu un volgare idiota? Se letterato, come concepire tutti quegli errori.? Non avrebbe procurato, per meglio ingannare l'incauto compratore, di adoperare lo stile classico del tempo dei Flavi? Se idiota, come è che conosceva le opere di Suetonio? Ma v'ha di più: il Baronio, nei suoi Annali, ha jdimostrato ad evidenza che Vespasiano pretese essere il Cristo, di cui sapeva parlarsi nelle sacre pagine. Ciò posto, quanto non sono espressive quelle parole: « Pkomisit ISTE, DAT KrISTUS OMNIA TIBI? ». Egli volle dire: « Promisit iste qui se dicit Christus, at Christus verus OMNIA libi DAT ». E chi può affermare senza dubitare, che la scienza, la sagacia di un fal- sario settecentista giungesse a tanto? Questo è moralmente impossibile. È dun- que moralmente impossibile che la lapide sia una falsificazione del sec. XVII. Il P. Grisar(l) dice che l'iscrizione di Gaudenzio fu fabbricata nel se- colo XIV (1.300). Meno male! Dal 1700 alla metà circa, del 1400, già siamo tornati indietro di tre secoli! E le ragioni? Le stesse di coloro che la dicono falsificata nel secolo XVII : La paleografia, lo stile dell' iscrizione » (2). E se si leggono tutti gli autori moderni che parlano di questa lapide, tutti ci ripe- (1) Storia di Roma, ed. Descicc, etc. Roma alla fine del mondo antico p. 174. Roma 1908. (2) Relativamente alla paleografìa, gli scrittori che han giudicato la lapide dagli esem- plari che generalmente si trovano sui libri, non hanno del tutto torto. L'hanno fatta irrico- noscibile! Ognuno abbondò in sensu suo. Perfino han posto sulla vocale I i punti rotondi. Cf. P. I, e. Ili di questo studio. 300 PAKTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO tono le stesse cose. E quelli che la credono genuina, ma una riproduzione del secolo V, od anche un'eco di una leggenda popolare dello stesso secolo, che argomenti adducono? Gli stessi!!! Ma di questi ultimi ci occuperemo dopo di avere esaminato quanto il De Rossi, 1' Armellini, ecc., dicono per dimostrare che la lapide è una falsificazione fatta sotto il pontificato di Urbano Vili. 11 De Rossi ragiona così: « Poco prima che Urbano Vili facesse erigere dal Bernini il tabernacolo di bronzo sulla Confessione Vaticana, il Salvatore in musaico della sua nic- chia fu delineato dal Grimaldi (nel codice Barberiniano XXXIV, 50, p. 250); e l'iscrizione del libro in quell'immagine è assai diversa dalla forma, che ora vediamo e che è fornita di punti sugli L... L'iscrizione adunque, dopo il dise- gno fattone dal Grimaldi (1) fu tutta arbitrariamente rifatta: e ciò deve essere avvenuto (2) quando Urbano Vili fece eseguire l'opera tutta nuova in musaico ai lati della nicchia le immagini dei principi degli Apostoli e risarcire quella antica del Salvatore. « Neil' epigrafia cristiana però veri punti rotondi su tutti gii l (non su quelli soltanto sui quali poteva cadere l'accento) si veggono in due lapidi della penisola Iberica, una del 589 nella Spagna, una del secolo incirca VII nel Portogallo. « In tutta la rimanente epigrafia cristiana (3), ed in ispecie in quella di Roma e dei suoi musaici, giammai appare il punto sull'I, eccetto in due iscrizioni che oggi si giudicano (4), e con piena ragione, falsificate ai tempi incirca di Urbano Vili. Una è quella del preteso architetto dell' Anfiteatro Flavio che dal musco della Marchesa Felice Randanini passò all'ipogeo di S. Martina ove tuttora si vede. L'Aringhi, suo primo editore, e quanti dopo dì lui la pubbli- carono neglessero i punti sugli l (5). Pietro Ercole Visconti li notò e ne fece grande caso, stimandoli accenti. Ma non è cosi ; non potendo l'accento cadere costantemente su tutti gli I (6). L'altro esempio, e di fattura contemporanea al precedente, è l'iscrizione del martire Primitivo data ai- tempi di Urbano VIII alla predetta marchesa Randanini, e da lei inviata poi a Faenza». Qui si nota tosto una petizione di princìpio. L'iscrizione del libro in mu- saico dovè essere rifatta arbitrariamente ai tempi di Urbano Vili, perchè ha i punti sull'I come le iscrizioni di Gaudenzio e di Primitivo. Le iscrizioni di (1) E la copia fatta dal Grimaldi sarà esatta? (2) Non è dunque certo che avvenne allora. (3) Dunque quelle due lapidi fanno eccezione alla regola. Dunque si danno eccezioni! (4) Non è dunque del tutto certo. (5) E fecero male ; ma peggio ancora fanno quelli che mettono sugli I i punti rotondi. Qui sta l'errore 1 (6) E ciò è verissimo, né noi diremo essere accenti. CARITOLO IV. - I/ISCHIZIONE " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? ."JOl Gaudenzio e di Pi-imitivo furono fatte ai tempi di Urbano Vili, perchè hanno i punti sull'I come l'iscrizione in musaico del vaticano. Ma, anclie ammesso che il disegno del Grimaldi fosse esatto e che prima non vi fossero i punti sull'I, non è logico da ciò dedurne la falsificazione della nostra lapide. Perchè non dice altrettanto delle due lapidi dell'isola Iberica? Poiché in Ispagua ed in Portogallo, prima di Urbano Vili, si poterono usare i punti sull'I, e in Italiano? E la lapide di Gaudenzio, non 1' avrebbe potuto incidere uno spagnuolo. E lo stésso nome Gaudentius, non potrebbe essere, come Lawentius spa- gnuolo? E se quei punii triangolari che vediamo sugli I della lapide dell'ipo- geo di y. Martina fossero stati aggiunti da mano moderna (1), per questo solo noi dovremmo ritenerla per falsa? * * * Il De Rossi scrive che « quegli apici si trovano talvolta sovrapposti, non come accenti, ma veri punti complementari della vocale /, nei documenti diplomatici e manoscritti fino dal secolo in circa XII, oggi è consentito dai più autorevoli paleografi. Ma ciò spetta alla scrittura minuscola, ne vale per la maiuscola segnatamente delle epigrafi incise in pietra od effigiate a musaico. In quanto alla paleografia epigrafica classica l'Hubner sentenzia: quod pimela litterae superimponunlur, in universum ab antiqua consuetudine prorsus abhorrere et nocivi usus esse creditur, recte » . Che nell'epigrafia classica non siano stati usati i punti, è certo; ma che per via eccezionale, ed in lapidi volgari, non si usino, non punti, ma apici (come si veggono nella nostra), è anche certo, e noi abbiamo esempì, sempre eccezionali, anche antichissimi. Fra migliaia d'iscrizioni pompeiane noi ne ab- biamo qualcuno che ha gli apici. Si veda, il C. I. L., voi. IV, i n.i 1186, 1068, 1189, 1190 ecc., e si troveranno gli apici sulle parole: IVNIAS, VENATIÓ, VELA, POMPELS, VENATIO, FADl'vM, CENACVLA SEXTÀS, ANNÓS, SATRlÓ, LVGRÉTIO, MVNIFICO, PRO, VARVS, sf- RICVM, etc. Si dirà che questi sono accenti? Ma accenti anche su quel Venatió, Se- XTAS, Amnós, SATRIO, MVNIFICO? S'aggiungerà che non sono sulla vocale I? Ma l'abbiano in quel SIRICVM, FADIVM. (l) Come il Mommsen (e. I, 1. X, 6524) credè potersi liberare dall'imbarazzo in ctii lo pose il Garnicci relativamente airiscrizione Furfoncnse, di cui tra breve parleremo. 302 PAKTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Ma lasciamo questi esempi pompeiani e adduciamone altri più a propo- sito per la nostra lapide, nella quale gli apici potrebbero essere d' altronde, tante altre gagliofferie che in questa stessa lapide fece l'ignorantissimo scal- pellino (1). Lapidi adunque con gli apici sull'I, ve ne sono e ne vediamo una nel Museo Veronese (2), un titoletto riportato dal Lupi (3), che è del tempo di Domiziano, ossìa dell'epoca della nostra. Un'altra fu riportata dal Chimen- telli(4); v'è inoltre quella di C. Livio Clemente riferita da Zaccaria (.5), e per finire dirò che v'è la famosa lapide di Furfone (G) (V. pag. 303). Il Garrucci (7) descrisse questa lapide e ne fece fare un calco in carta. Un altro calco, pure in carta, fu fatto dal Bormann, e il Ritschel ne fece fare un disegno e lo pubblicò. Ma non ostante che gli apici fossero 36 e bene in- cisi sul marmo, pure, come dice il P. Garrucci (8), legere non noverunt nc- que animadverterunt. E mentre il Mommsen faceva strani ghigni e versacci quando vedeva le riproduzioni del Ritschel ed assicurava che questi prendeva facilmente degli abbagli, pure, quando si trattò di contradire il Garrucci, ri- corse tosto ai calchi del Ritschel che erano privi di apici, e negò che vi fos- sero: ed il Mommsen, a colui che, a suo parere, prendeva sempre abbagli (il Ritschel), questa volta (che in realtà l'aveva preso) die ragione, dichiarando il Garrucci Vallucinato. Ma il dotto gesuita fece fare un accurato calco in gesso della lapide e ne pubblicò un'esatta riproduzione in una dissertazione archeo- logica (9). Gli apici c'erano purtroppo, e tutti sull'I; il granchio l'aveva preso il Mommsen; il quale, non sapendo che rispondere, cercò una scappatoia e disse: i punti sono stati aggiunti da mano moderna!!! Bravo! Come si fa presto a levarsi dagli imbarazzi! Siamo dunque leali. Il Garrucci diceva: i punti vi sono; non so che si- gnifichino, ma vi sono. Ed io dico: iscrizioni con apici, o punti vi sono. Sa- ranno eccezioni, ma vi sono ; e non è lecito dire che una lapide, specialmente se è nota la sua storia, sia falsificazione del secolo XVII, solo perchè ha i punti. Anzi aggiungo che i punti triangolari od apici sull'I, sono anch'essi una (1) Zaccaria, Ist. lap. p. 338, edit. rom. (2) Pag. 82, N. Z. (3) Epit. S. Severae, p. 129. (4) Marmor Pisan. (5) Ma questa di Pisa, citata dal Zaccaria (Istìt. lap. p. 338, ed. Rom.), non ha i punti (Bormann C. I, L. XI, 1441. (6) C. I, L. X, 6524. (7) Sylloge Inscript. Laf. p. 290. Aiiff. Taurin. MDCCCLXXV. (8) Loc. cit. (9) Voi. I, tav. XII. ;0 > Ed 03 < > ,9 «3 o o Q Q Q < «2 CO > ce <: e o «3 a 12; O 03 CO O «5 03 X > co > ce .«2 s o 3 w P3 co "S H- CO . > 22 o o CJI o Q > Eh U > < O CO Q > > o o 03 22 S co o «1 E- O < > CQ E- > o H > CO x H w • <11 Q -^ Q c^ !2; H^ > CO co > C/3 03 Q <1 co < Q 03 C2 K Ei O 03 CO 03 W O Eh Eh 5 Q > < o Q > Q o Q W Q Q p CU. co o m W - >• e» 6h 03 03 W W 03 w 03 > o 1^ o 03 Oh o Et! o E- ce w > Et< o 03 «a > Eh < Q > E:^ > W 03 «li Q > 12; o Eh E.3 03 s w &a 03 03 U *-< »5 Cd ^ 72 > Ed o < Ed 03 Ed «Il o Ed 03 12; > o cu «1 > o o Cu < Ed Q !2; > CJl Ed o Ed Ed > co O in > C-, Ed • < O 0^ H «3 Ed W " * -S J 2 "co Q Eh <1 o 03 Ed hd W O «3 03 03 Q 03 CJ Cd 03 > z; o o Ed O 03 < < W 03 Cd 03 > Q O > > o -^ 03 Ed ;2; o a o > Ci ^ ^ Ed ;2; «^ o 03 CU 03 <1 <1 Q 02 Ed 03 Q Cd «3 > oa Cd 03 O CO Cd S Eh 03 Ed CU Ed O 03 < Eh Q cu K < ex Ed > > Bd 2- Ed Cd > co CJ I— I e «3 CO > Eh Q Cd Q C/3 e» -al > O «3 &d 03 Cd E- '^ O O Eh J ^ Cd co • — 3 co «^ Cd o w 03 Cd > o co Cu > 03 O < CO r/3 CZ3 03 <1 hd CiH C/3 03 < Oh fin 03 C/3 > > Cd J O 22 C-i Ed O > o o 03 Cd 03 > O 03 cy > xi w J Cd Q 03 EU 1^ Ed CJ > X Cd > C/3 o Eh o > C/3 Gd <1 &4 03 O o ;}04 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO prova dell'autenticità della lapide ; perchè essendo quelli cosa eccezionalissima nell'epigrafia, il falsario si sarebbe bene guardato dal metterli; volendo falsi- ficarla, egli avrebbe data ad essa ogni appai-enza di genuinità, omettendo cioè tutto ciò che poteva renderla sospetta. Avrebbe, dico, fatta l'iscrizione imitando la paleografia dell'epoca cui voleva riportarla, ed avrebbe tralasciato di met- tere gli apici sull'I per meglio ingannare il compratore (l). Ma poi, che biso- gno aveva un falsario del secolo XVII, di fare quell'iscrizione, se lui, con quella lapide stessa, poteva ottenere il suo scopo senza incidervi « Sic premia ser- vas » essendovi (nell'altra parte) l' iscrizione di Augurina Aurelia che è cer- tamente genuina e antica? Sarebbe bastato darla al compratore come si tro- vava! Il guadagno l'avrebbe avuto lo stesso, e vendendo una cosa autentica! Inoltre il De Rossi (come s'è detto) fa questo ragionamento: il Grimaldi fece il disegno dell'iscrizione in musaico del Vaticano, ed in esso (disegno) non vi sono punti sull'I. Dunque in origine non v'erano, e furono aggiunti sotto Urbano VIII quando fu tutta arbitrariamente rifatta. Ed io potrei argomentare lo stesso: l'Aringhi, il primo editore delia lapide Sic premia servas, e quanti dopo di lui la pubblicarono, la pubblicarono senza i punti sugli I. Più tardi poi la vediamo pubblicata con punti rotondi ed altre volte triangolari. Dun- que, in origine, quando fu scoperta nel cimitero di S. Agnese, era senza punti. Più tardi furono aggiunti. Che ti sembra, o lettore, di questo ragionamento? Io non avrei difficoltà in ammetterlo, perchè non impedirebbe ma conferme- rebbe la genuità della lapide. Ma bisognerebbe dimostrarlo, e non basta l'esem- pio del Grimaldi, il quale avrebbe potuto anch'egli neglettere, come l'Aringhi, i punti sull'I (2). Ma se tanta era la mania di mettere i punti triangolari sull'I, in lapidi esistenti, come vorrebbe il Mommsen relativamente alla lapide Fur- fonense, anche noi, se cosi vogliono gli archeologi moderni, diremo, che furono aggiunti arbitrariamente ai tempi di Urbano VIII, benché, come nella lapide di Furfone, non vi sia ragione di sorta per asserirlo (3). (1) Oltre a ciò il falsificatore del sec. XVII avrebbe usato punti tondi, mai trian<^olari. Del resto esistono parecchie iscrizioni dei tempi di Urbano Vili ; epi)ure sull'I non v'è punto di sorta. (2) Lo stesso Cabrol (Dictionnaire D'Archeologie chrétienne, voce Amphithéatre. col. 16.')3, Paris, 1904, l'ha riprodotta in cafatteri comuni e senza apici. (3) Anche ammésso che il musaicista al rifare l'iscrizione « Ego sum vìa, veritas et vita » avesse aggiunto arbitrariamente i punti sugl'I, non per questo l'iscrizione sarebbe falsa, ma una riproduzione genuina e verace dell'iscrizione primitiva. A tutti nota è l'iscrizione dama- siana che dice: HIC HABITASSE PKIVS, etc. I due primi esametri di questo carme si leg- gono nel sepolcro apostolico dell'Appia, e sono una riproduzione fatta nel secolo XII. Ora se le sillogi, e specialmente il codice di Einsiedeln, non ci avessero conservato quel canne, la critica moderna avrebbe ritenuti quei due esametri per una falsificazione di quel secolo. Eppure è una riproduzione genuina! CAPITOLO IV. - L'ISOKIZIONE " SIC PRIMA SEKVAS „ È GENUINA O FALSA? 305 E qui aggiungerò quanto il Garrucci (1) dice intorno alla forma dei se- gni che noi vediamo appunto nella lapide di Gaudenzio: « una proposizione finalmente (così Egli) parmi degna di nota, quella dico, del Ch. Ritschel, il quale scrive che l'apice posto sopra le lettere non ebbe mai la figura di punto: puncti fìguram apex ne habuit quidem unquam. All'apice sia che si consideri come distintivo della quantità, sia che dell'accento acuto insieme e della quantità, trovasi surrogato il punto in Alhina Brvti F. e in Fatv della beneventana epigrafe già da me citata.... Ma inoltre di esso punto è marcato l'I lungo, e non alla maniera singolare al certo, delle lapidi di Furfone e di Fiume. Siano A esempio FISO, così scritto in due nitidissimi esemplari del Museo Vaticano.... il che fa salire l'uso del punto sugli I un quindici anni avanti ai primi esempii di punti impressi sugli V, che non precedono il 680, laddove il danaro di Lucio Pisene dimostrato dal Cavedoni coli'assentimento del Borghesi, battuto circa il 665 (2). Un esempio forse più remoto, di tal paleografia erasi citato dal Bor- ghesi (3), e fu da me richiamato nella dissertazione medesima: leggesi inciso in A un bollo di mattone cosi scritto: M. ALFISI. F. Laonde fa maraviglia come il ch.° Ritschel abbia potuto asserire puncti figuram apex ne habuit quidem unquam » . A quest'esempio si può aggiungere un altro, trovato parimenti in bollo figulino dei tempi degli Antonini, bollo che io stesso ho veduto co' miei occhi, e che ognuno può vedere nel monumento, al suo posto (od anche nell' opera pubblicata da Gio. Battista Lugari) (4), in cui sull'I di Felicissimo è manifesto il punto rotondo, e mostra esser questo l'uso volgare di scrivere. OPVS DOLIARE . NEGOTIAN || TE AVR FEiCISSM (delfino) 1 punti od apici dunque che troviamo sull'I della lapide di Gaudenzio non sono sufficienti per farla dichiarare falsificazione dei tempi di Urbano Vili. * * * Ma è già tempo di esaminare la seconda opinione, la quale ci darà mo- tivo di studiare la nostra lapide pili particolareggiatamente sotto l'aspetto pa- leogi'afìco. (1) Loc. cit. p. 146. (2) Riportigli, p. 198. (3) Ann. Irmi. XII, p. 241. ^) Iniorno ad alcuni monumenti antichi esiatenti al IV miglio dell' Appia. Roma 1882, pagina 63. 20. 306 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO I seguaci di quest'opinione ritengono che l'iscrizione « Sic premia servas » sia stata incisa nel secolo V. Il Bellori non le assegna un'epoca precisa, ma dopo aver detto che la lapide è neque spuria neque recens, aggiunge che la ortografia e la forma dei caratteri indicano essere molto posteriore ai tempi Vespasianei: sed orthographia et caractheres longe sequiorem Vespasiano Au- gusto aetatem indicant. Il Nibby, già da noi altre volte citato, è più esplicito nell'espriraere la sua opinione, e dice che lo stile della lapide in questione, presenta tutta l'apparenza del secolo V. Io non so comprendere come nel secolo V, quando per ceito non si pen- sava a falsificazioni, si volesse formare un epitafiflo, che, per lo scritto, dovrebbe riferirsi a Vespasiano. È vero che il Gori, come dicemmo, con maravigliosa disinvoltura afferma che quell'epitaffio è una riproduzione di qualche leggenda popolare: ma, di grazia, una riproduzione in marmo, di una leggenda popo- lare intorno ad un fatto accaduto circa trecento anni indietro, non ci farebbe dir vero il fatto che in esso marmo è scritto? Ignoi-a forse i carmi di Damaso i quali si riferiscono a fatti di molto anteriori a quel Papa, v. g. Hic habi- tasse prius ed altri? Ma lasciamo questo punto per sé chiarissimo, e studiamo la cosa secondo i canoni della scienza archeologica cristiana. Verso la fine del secolo IV, la sepoltura nei cimiteri sotterranei addivenne più rara, e agli esordi del secolo V, e precisamente dal sesto all'ottavo anno di questo secolo, secondo il De Rossi (1), o l'anno 426 secondo l'Armellini (2), cessò. Ora la nostra lapide è cimiteriale, anzi, come vedemmo, fu estratta da un cimitero. Dunque dovrebbe essere stata scritta nel primo decennio (3) del secolo V. Ma se ciò è possibile per sé, é però impossibile dimostrarlo. Dire poi che nelle catacombe si scrivessero lapidi per ingannare i posteri, 0 si riproducessero leggende popolari contrarie alla verità storica, come piac- que di asserire al Gori, é ardito ed inverosimile; e il marmo stesso, per sua natura cimiteriale, esclude questa ridicola asserzione. È vero nondimeno che nel secolo V furono usate molte lapidi cimiteriali per chiudere formae e co- prire sarcofagi che si trovavano nei cimiteri sopratterra, e che nel rovescio di quelle lapidi furono scritti epitaffi in memoria dei defunti deposti soprat- terra; ma è ridicolo pensare che nel secolo V fosse deposto sopratterra un defunto, il quale, secondo l'iscrizione, mori sotto Vespasiano. (1) Db Rossi, Bull. Archeol. Anno I, pp. 23 e 50. (2) M. Armellini, Lez. ecc. 101. « Col 426, egli dice, la sepoltura cessò nei sotter- ranei e Incominciò nei portici e intorno le basiliche ma fuori del tempio, onde S. Gregorio Magno, come narra nel 1. IV dei dialoghi, ricorda che i portici del Vaticano si trasforma- rono in cimiteri.... Lo splendore delle nostre necropoli ebbe un crollo spaventevole quando dopo caduta nel 410, di memoria imperitura, la regina del mondo in mano di Alarico ». (3) 0 al più nel secondo decennio. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 307 Ma poi è inutile insistere. La lapide fu trovata in un cimitero sotterraneo e non sopratterra, e questo basta per dimostrare che è cimiteriale e quindi anteriore almeno ai primi anni del secolo V. Vediamo piuttosto quali ragioni abbiano spinto il Bellori e il Nibby a credere la nostra iscrizione opera antica si, ma di molto posteriore a Vespasiano o perchè abbia tutta l'apparenza del secolo V. Due sono le ragioni addotte dal Bellori: 1° orthographia et caractheres; 2" in ipsa non amphitheatri sed theatri mentio habetur. Già feci notare che il criterio paleografico è poco dimostrativo se si trova disgiunto dagli altri criteri, dei quali è mestieri sempre tener conto allorché si tratta della sentenza capitale di una lapide. Ora s'è visto già che gli altri criteri s'addicono, e molto bene, alla nostra iscrizione. Dunque dalla sola pa- leografia non può trarsi argomento sicuro, e se ciò si tentasse, sarebbe fixr uso di essa senza giudizio, come dice il De Rossi. Di più: l'argomento tratto dalla paleografia ha forza quando si tratta di lapidi appartenenti a monumenti pubblici e solenni, ed anche parlandosi di epitaffi cimiteriali incisi da mano perita e secondo le regole dell'arte. Allora giovano certamente a farci distinguere le diverse epoche; ma non già quando si tratta di lapidi private, di epitaffi cimiteriali incisi da mano inesperta, con fretta o con caratteri trascurati. In questo caso non si può trarre prova di sorta; e fallace assai sarà il giudizio dedotto da questo solo argomento, perchè: Non semper e complexu litterarum aetatem erui fas est; nam bene potuti etiam saeculo primo lapicida quilibet, sive ex negligentia, sive ex imperitia, litteras ineleganles describere (1). L'iscrizione «Sic premia servas» trovasi precisamente nel numero di queste seconde lapidi, e dalla sua paleografia non si può dedurre essere del sec. V. Il Fabbretti (2) d'altronde già aveva insegnato quanto fosse fallace il giudizio d'una lapide basato su i soli caratteri: « Incertum et fallax esse probationis genus ex caractherum conformatione tempora distinguere ». Il Maffei (8). ag- giunge: « Satis profecto colligi iam posse arbitror quam fallax et ambigua scripturae coniectura sit, dies enim in re deficeret, ubi singula quae in hanc rem animadverti proferre velim.... infirmum ergo in litterarum exaratione ar- gumentum est ad aetatem lapidum eruendam. Scripturae argumentum gene- ratim minime certum, est, indubitatum esse ita ut ex eo tantum de sinceri- tate lapidum possimus decernere, nam ea quidem quandoque est in lapidibus (1) Cf. P. Scaglia, 1. e, p. 52. Questo stesso eh. scrittore a p. 10, dice: De fonna lit- terarum nihil dicendum, nisi qnod eadern est atque in ethnicis epitaphiis, sed multo dete- RiOR propter lapicidarum imperitiam. (2) Fabbretti, Insa-ipt., e. V, p. 363. (3) Mapfei, Art. crit. Inp. 1. Ili, e. II, p. 175. 308 PARTE IV. - CONFROVERSIE SULL ANFITEATRO FLAVIO scriptum facies ut validum aut vetustatis aut novitatis iudicium faciat, at sae- pissime ita ambigua est, ut arguì nihil possit. Secundo haberi prò certo ve- lim aberrare toto coelo qui e litteris num sub Traiano an sub Commodo, nura secundo vel tertio vel alio quopiam saeculo.... inscripti lapides fuerint decidi posse opinantur ». Il maestro finalmente dell'arte lapidaria (1), scrisse: « Ncque a Maffeio dissentio, quem verissime scripsisse puto.... ut ii omnino fallantur qui ple- RUMQUE.... aetatem inscriptionum CERTE .Sé? nosse diciitant ». Si dice che questi finiscono poi quasi con disdirsi; e che in pratica sovente a/fermano, questa 0 quella lapide offerire lettere di questo o quel secolo. Questa è un' ingiuria che si fa a questi uomini dotti e maestri dell' arte la- pidaria; ma dato pure che si siano serviti del criterio paleografico più spesso di quello che in realtà fu, non possiamo però dire che nel determinar essi l'epoca ad una lapide, abbiano trascurato gli altri canoni da loro stessi posti ; e se, scrivendo, si contentarono di accennare una delle ragioni della loro af- fermazione, dovettero però sottintendere le altre, dalle quali la paleografia non deve andar disgiunta. Del resto, noi non dobbiamo guardare alle azioni degli uomini i quali tutti humana patiuntur, ma alle loro dottrine : e se queste sono ragionevoli, giuste e rette, dobbiamo aderire ad esse senza punto badare alle loro azioni indivi- duali opposte ai principi retti e alle dottrine sane e vere che essi stessi det- tarono; e ciò che essi non fecero per qualche ragione speciale, dobbiamo farlo noi seguendo i loro dettati. Quando poi si desiderasse una dimostrazione pratica, e quindi convin- cente, della veracità, rettitudine e ragionevolezza dei principi posti da quei sommi uomini; quando, cioè, si volesse vedere che basare il giudizio di una lapide sopra la paleografia, sarebbe un giudizio assai fallace, ambiguo ed er- roneo, si confronti per poco questa nostra lapide con epigrafi antichissime di età certa, e se ne troverà u)i confronto nei bronzi, nei graffiti, nelle pitture, nei marmi di grossa e piccola mole, e nelle lapidi anche di epoca molto an- tica e dei secoli migliori. Così, per es., 1' A nel nostro marmo ha qualche volta la sbarra ad angolo ; e tutti sappiamo che questa forma fu comune e molto usata appunto nel se- colo V e nei secoli posteriori. Ma sappiamo altresì che questa forma di A, si trova pur anche usata innanzi alla prima guerra punica, nelle monete della metà del secolo VI di Roma, ed in altre dell'era repubblicana (2). Nei marmi (1) MoECBLLi, De sta. Inscript., 1. II, part. 3, e. IX, p. 462, voi. 2. (2) Cf. Garrucci, Sili. Inscript. p. B2, 75, 86, 88, 91, 92. — Pizzamiglio, Storia della Moneta Rem. CAPITOLO IV. - L'ISCKIZIONE "SIC PREMIA 8KKVAS „ È GENUINA O FALSA? 309 dei secoli anteriori all'Impero (1), e parimenti in quelli del secolo I dell'Im- pero troviamo l'A della forma citata. Cosi nel 6'. I). li. N. pag. 113, n. 220, leggiamo una lapide pompeiana con l'A di tal forma ; e il Xengeimester (In- scfipL, pariet. Pomp. Voi. IV), c'insegna che questa forma di A fu usata nelle iscrizioni delle pareti di Pompei, le quali non possono essere posteriori all'anno 80 dell'era volgare, vale a dire all'età a cui dovrebbe riportarsi la nostra lapide. Un esempio poi ugualissimo al nostro, e dell'epoca appunto dei Flavi, lo troviamo fra i marmi grezzi di Marmorata, ove, sopra un masso di africano, si legge: LAE . CAE . N . LIX Queste lettere furono incise da un marmista idiota, che, per il nome del servo Laetus deve riferirsi all'anno 80 dell'era nostra (2). Un altro esempio più recente e poi quella lapide cristiana del cimitero Ostriano nella quale si vede nei due A la sbarra ad angolo: e questo marmo, come avverte il eh." Armellini, è di data antichissima. Da quanto si è detto si deduce che dalla sola paleografìa non si può trarre argomento per dimostrare che l'iscrizione « Sic premia servas » sia del secolo V, e si deduce esser purtroppo vero il canone di quei sommi mae- stri i quali dissero che la paleografia plerumque e generatim è assai fallace e non ha valore demostrativo. Vediamo ora se dall'ortografìa si possa o no argomentare che la nostra lapide è posteriore a Vespasiano e precisamente del secolo V. È questa la se- conda parte della prima ragione che adduce il Bellori per dubitare dell' etó di quest'iscrizione. E senza dimorarmi di più, dico subito: neppure dall'orto- grafia si può trarre argomento, e lo provo prima coU'autorità e poi col fatto. L'Oderici (3) scrive: « le leggi della chiarezza e della grammatica non furono sempre le più religiosaynente osservate nelle iscrizioni: tnille esempi se ne mostrano tutto giormo ». Il De Rossi (4) dice: « quod si ne his epita- phiis, scriptura, dictio, sermo non modo ab elegantia sed ab ipsis quoque gra- maticis legihus non semel abhorrent, id ab auctorum rusticitate et vernaculae linguae ac pronunciationis specie, magis quam a saeculi barbarie esse re- petendum satis intelligitur ». (1) Garrucci, loc. cit., pp. 185-192, 215. (2) Cf. Bruzza, Bull, dell' Ist. Arch., an. 1870. (3) Dissert. Vili, p. 164. (4) Inscript. Christ., Tom. I, p. 114, p. V. 310 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Dalle autorità passiamo ai fatti. Gli errori ortografici della nostra lapide sono: 1" la mancanza del dittongo ae. 2" La m usata invece della d nella parola alium. 3" La mancanza della e nella parola autori. 4» Il segno d'abbreviazione sull'V, nella voce THEATRV il quale vera- mente non si potrebbe dire come a suo luogo vedremo, errore ortografico. Per quel che riguarda la mancanza del dittongo ae, lo Scaligero (1) in- segna che la e si trova frequentemente usato dagli antichi invece del dit- tongo ae; ed il Fon (2) pretende che ciò si debba ascrivere alla grande quan- tità di schiavi greci ed asiatici che erano in Roma, e quindi all'influenza dei nomi grecanici. Sia però questa od altra la ragione, è certo che fu spesso ed in ogni età tralasciato. Così il Noris, nei suoi Cenotafi Pisani (3) assicura che la parola caetera, ai tempi di Augusto, si scriveva senza il dittongo ae. Ed il Lupi, parlando della mancanza di questa a (4) dice: « Quod si ad inscriptiones provoces plenae sunt rei notissimae exemplis collectiones, Ma- nutii, Lipsii, Gruterii, Bosii, Aringhii, Reinesii, Sponii, Fabretti, Malvasiae, Vi- gnolii, Boldetti, Donii, Gorii, aliorumque » . E prosegue (5) : « Ncque haec bar- baries et neglectus ortographiae quod attinet ad diphtongos in christianis lapidibus tantum observatur. Non solum tangit Atridaa Iste dolor, Etiam Ethnici epitaphiographi: licet ut plurimum diligentiores epigram- matis suis, leges tamen exacte scribendi saepe sunt practergressi ». E lo Zaccaria (6) dice: « Questi (dittonghi) spesse fiate da negligenti scal- pellini sì tralasciavano ». Difatti, iscrizioni d'ogni età, d'ogni sorta, pagane e cristiane, hanno questa mancanza (7). Il difetto della e nella parola AVTORI, secondo, l'Heiurichio, il Ballhornio e il Bejero, non sarebbe un errore ma un'esattezza ortografica. (1) Scaligero, Cf. Red. var. lect., e. XIX, iiot. ad tib. V, Varr. de Lìng. lat. (2) Cf. Specimen., p. 56. (3) Cf. Cenot. Pis.. dis. IV, quest. 2. (4) Cf. Epit. S. Severae, p. 133. (6) Pag. 138. (6) Cf. Imtituzioni, 1. II, e. XI; p. 320. (7) Cf. Fabrbtti, Imcript., p. 110, voi. V, p. 541, n. 278. Bull. A. C. Tom. Ili, pa- gina 151 ecc. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 311 Ma questa è un'opinione loro speciale; io però che non ritengo il nostro quadratario per un dottore in filologia, seguo l'opinione più comune ed am- metto che la voce auctor s'abbia a scrivere con la e; anzi aggiungo che la mancanza di questa consonante in quel vocabolo è un errore. Ma questa scorrezione è confacentissima al caso nostro; al easo, cioè, di un uomo del volgo, forse di un marmista che lavorava nell'Anfiteatro, il quale a sfogo dello sdegno da cui fu preso nel vedere cojidannato a morte il suo, dirò cosi, principale, mentre era degno di premio e di lode, scolpi sul marmo i suoi sentimenti nell' impeto dello sdegno, con quei modi e con quelle parole che erano usate comunemente dal volgo, come noi stessi spesso leggiamo negli scritti di gente idiota, gli stessi errori che pronunziano parlando. E questo fatto lo vediamo verificarsi anche a' giorni nostri, e possiamo essere sicuri che ciò avvenne in tutti i tempi, non esclusi i più remoti, come ce l'insegna il Pa- dre Marchi (1) di eh. memoria. L'altro errore, quello della m invece della d, può essere un errore gram- maticale od anche di ortografia. Se grammaticale, non è questo il primo esem- pio del mascolino usato in luogo del neutro. Troviamo per es.: monumentus Me est (2) e hic motiumentus per hoc monumentimi in lapidi antiche (3): col- legius (4), cubiciilus, eum sepulchrum, hunc aedificium (5). Onde nel caso no- stro, se si fosse usato il mascolino per il neutro non sarebbe cosa nuova, e non indicherebbe che la lapide è di tarda età. Se poi si volesse considerare come errore ortografico, esempì di cambia- menti di lettere nelle lapidi antiche sono frequentissimi, senza che queste per- dano punto della loro antichità. Chi di noi non sa, a mo' d'esempio, quanto sia comune nelle lapidi la B in luogo della V, scambio che noi troviamo nelle lapidi non solo arcaiche ma anche in quelle dell'alto impero? Parimenti fu uso comunissimo quello di usare la b per la p e viceversa. Cosi si legge pleps per plebs; collabsum per collapsum, sup per sub, ecc. Lo stesso si dica della d per la t, come v. g. si vede nei cenotafi pisani che sono dell'età augustea, e in lapidi dell'epoca degli Antonini; la e per la i e la i per la e; la m per la 7i; la q per la e (specialmente nelle lapidi napoletaiie) ; e cosi troviamo pure at fines per ad fines, set per sed, ed anche qui per quo, ecc. Il segno d'abbrevazione sulla V, non può dirsi un errore, ma piuttosto un'eccezione ortografica: la quale però non basta a far dichiarare una lapide falsa 0 di bassa età. (1) P. G. Marchi, Monumenti delle arti crist. primit., p. lltì. Roma 1844. (2) Grutbr, p. 553, n. 2. (3) De Rossi, Bull. Ardi, crini, an. Ili, p. 12. (4) Marangoni, App. agli atti di S. Vittorino, p. 168. (5) Grut., loc. cit. 312 PAKTE IV. - C0NTK0VEK8IE SULL'ANFITEATKO FLAVIO Infatti, questo segno non è che un ripiego del quadratane, il quale, o lo fece perchè l'ultimo verso rimanga nel mezzo, o, e più probabilmente, perchè dimenticatosi d'incidere la M, e avvertitolo dopo aver inciso il i-esto, ricorse alla correzione solita a farsi in questi casi. E che questa correzione sia stata usata nelle epigrafi antiche ed in quelle d'età non bassa, lo deduco dalle pa- role del Morcelli (1), sommo maestro in arte lapidaria. Egli dice che « caete- rum haec emendationis causa assegnaveris ne mendum a scriptore ipso pro- diis videatur ». E che gli antichi, prima della decadenza, usassero questo segno lo vediamo in molte lapidi, e troviamo che precisamente sta in luogo della M. Cosi ad es. in honore, Deoru, Olla, Eoru, Foebu, libertu, agne, me- moria, parentu, maloru, ecc., ecc., che si trovano nelle lapidi già riportate dal Gruterio, Fabretti, Marini, registrate in varie collezioni epigrafiche, e che ora si trovano quasi tutte riunite nel C. I. L., le quali ognuno può facilmente vedere. Nondimeno credo opportuno aggiungere quanto il Garrucci, nella sua bella opera sui segni delle lapidi, (2) scrive: « Riscontransi.... dei segni cosi fatti nelle lapidi, ed il Marini, colla usata sua dottrina e diligenza ne ha rac- colto un buon numero di esempì (3). « Ma essi dimostrano l'assenza di una consonante o di una sillaba e meri- tano perciò il nome di notae scripturarum dato da S. Isidoro a simili segni (4). Né sono essi di uso si recente che non rimontino ai tempi medesimi di Au- gusto, siccome in Peoni dei cenotafi pisani invece di Patroni, in Ceria nel graffito pompeiano, che porta la data dell'anno 717, in luogo di Centuria; in siNCERV d'altro graffito pure pompeiano (5), ed in ite (6), ed in Olla (7), adoperato ad esprimere l'assenza di un M, ecc. ». Conchiuderò queste osservazioni alla prima parte delle obiezioni del Bel- lori, colle parole del MafFei (8): « nulla fere est informium litterarum, nulla distortae, inaequalis, tremulae, oblongae, confusae, connexae, scripturae facies cuius specimen vel in mìUiaris cippo, vel in funereis paganorum tabellis ali- quando non viderim ». Ed aggiungerò le parole di un illustre archeologo, il quale trattando del ragionamento letto dal sig. De Petrì sopra le tavolette cerate di Pom- (1) De Sta. Inscript., 1. Ili, p. Ili, e. Vili. (2) Pag. 49. (3) Aro. p. 37. (4) Oriff. I, XX. (B) Graffiti di Pompei, p. 47. (6) Grut., 1019, 4. (7) MuRAT., 918, 2. (8) Loc. cit., lib. III, e. II, p. 172. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SEKVAS „ È GENUINA O FALSA? 313 pei (1), finisce cosi il suo discorso: « Quanto alle quistioni grammaticali cre- diamo che serviranno queste scritture per aprir gli occhi, se è possibile, a coloro i quali si OSTINANO A DETERMINAR LE EPOCHE CO' DATI DEL- L'ORTOGRAFIA. Lasciando stare gli errori, noi vediamo che i Pompeiani tuttavia ritene- vano nella pronunzia, la quale ci si manifesta nella scrittura privata, di sop- primere l'aspirata in Chirographum, Amaranti, Ninipodoti, Agatomeni, Aga- toclis, Cryseroti, lenurnae, Pospori, Pronimi, Palepati; di adoperare la V in luogo della Y in Lampuris; in Hupsaeo, che del resto trovansi in generale scritti anche col h e coW'y ; di porre il qu in luogo del cu in pasquon, e l'in- serire una vocale in Ichimàs, Lanisisticis, invece di Ichmas, ossia Icmas, la- nisticis; l's prende il posto dell' ic in Sexcentos, la /"per ph in Alfei, in Fati- scus; Vxs sta x in Maxsimus, Axsiochus, dixsit, Sexs, Alexsandrini, Sexsa- ginta. Finalmente Giovianus è cosi scritto invece del comunissimo Jovianus, della quale ortografia non so altro, se non stupire, dovendo ammettere che la pronunzia del Gi e Gè per ./ si abbia da far rimontare ad un'epoca si remota alla quale finora non si ardiva di portare il Geronymus, il Genuarius, il Ge- rusalem, delle antiche scritture ». La paleografia dunque e l'ortografia non sono ragioni sufficienti perchè questa lapide si dica del secolo V. A queste ragioni del Bellori ne aggiunge un'altra il Nibby, dicendo che la lapide per lo stile presenta tutta l'apparenza del secolo V. La difficoltà dal Nibby poteva aver forza quaranta o cinquant'anni fa; ma ora, che si sa positivamente che la sepoltura cimiteriale cessò nei primi anni del secolo V, e per quello che fin qui s' è detto, la difficoltà del Nibby rimane priva quasi di ogni valore. Del resto trattandosi di stile, potremo vedere se vi siano la- pidi d'epoca più antica, e che possano confrontarsi colla nostra. Leggiamo in Plinio (2) che sulle pareti del tempio di Ardea si leggeva quanto segue: « Dignin digna loca picturin condecoravit Reginae Juuionìs Siipremae coniugis teinplum. Marcus Ludius Elotus Aotoliac oriundus Qiipin mine et post scmper ob ostcìn Nunc Ardea laudai ». (1) Cf. Civiltà Catt., Serie IX, VoL XII, p. 718, § 2. V. anche il P. Scaglia, Not. ar- cheol. crisi. Voi. II, pars prima. Epigrafia, pp. 8-9, il quale, dopo avere riportato un po' di errori più comuni nelle epigrafi, aggiunge: integruni possem iibrum replere idiotimis et erro- ribiis omnimodis.... (2) Hist. nat., 1. XXXV, e. IX, in fine. 314 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO È innegabile che quest'epitaffio abbia molta somiglianza col nostro. Ora, se all'epoca classica della latinità, ossia ai tempi Augustei, furono scritti sulle pareti di un tempio versi tali da far dire al Tiraboschi (1): « Se io non gli avessi trovati in Plinio, gli crederei fatti ne' nostri secoli bassi; cosi sono essi composti in uno stile barbaro a un tempo e moderno »; con più ragione, ai tempi di Vespasiano e nell'oscurità delle catacombe, si poterono scrivere i nostri versi da un quadratario idiota nell'impeto dello sdegno; senza che per questo lo stile si debba dire barbaro e basso. Dissi versi, giacché, se bene si pone mente, queir iscrizione ci ricorda i versi saturni come quelli riportati da Plinio, e dei quali ha trattato magistralmente il P. Garrucci nella sua Sylloge In- scriptionum (2), alla quale rinvio il lettore perchè giudichi se io abbia o no errato in chiamarli cosi. Dunque anche la difficoltà dello stile, come quelle della paleografia e dell'ortografia, non ha qui forza. Ma un'altra difficoltà ci presenta il Canina (3). JEgli dice che il nome ed il motto con cui viene designato Gaudenzio fa riportai-e questa lapide ad età tarda. Riguardo al modo, confesso che non so che rispondergli, perchè non capisco che cosa egli voglia intendere con questa parola generica. Ma se per modo vuol intendere lo stile della lapide, la questione l'ho or ora risolta. Se poi per modo voglia significare l'espressione della lapide, non so come questa si possa dire di molto posteriore a Vespasiano quando i due protago- nisti della lapide stessa sono appunto Gaudenzio e Vespasiano. Relativamente al nome, non nego che questo possa fare una tal quale obiezione, giacché la desinenza in entius fu frequentissima nei tempi tardi, ma però non fu esclusivamente propria di quell'età. Infatti, o Gaudenzio appartenne a famiglia libera o fu servo o fu liberto. Se appartenne a famiglia libera (ciò che non pare probabile), anche fra le fa- miglie libere (ed in tempi remotissimi) si ricordano nomi che hanno la desi- nenza in entius, come Mexentius (4), Placentius (5), Eventius, Dentius; e nella epoca repubblicana e dell'alto impero, abbiamo vari Terenzt, ecc., per esem- pio: Terentius (console), Terentius (scrittore), Tet^entius (comico); abbiamo: Juventius (console), Juventius (comico) (6), Jiwentius (giureconsulto); Pla- centius (7), Calveniius (8), Gentius (9), Cosentius, ecc.: e tra i nomi femrai- (IJ Storia della Leti. Ital. Tom. I, p. 8, ed. Napol. (2) Gap. XVII, p. 37. (3) Loc. cit. (4) Liv. llb. I, 28. (5) Garrucoi, loc. cit., p. 166. (6) Vakr. 1. VI, de l. l. (7) Fabbrbtti, Inscrtpt. (8) NiBBY, Analisi ecc. Tom. III, p. 141. (9) Zaccaria, Instit. p. 187 ; Bull, dell' Ist. 1865, p. 84. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAR „ È GENUlKA O FALSA? 315 nili, s' ha : Genlia ( J), Calventia (2), ecc. Onde non sarebbe strano se ai tempi de' Flavi vi fosse stato un Gaudentius ; e a questo riguardo (desihcMize in an- tius, entius, ontius) il De Rossi (3), scrive: » inde tamen minime xolliges il- larum appellationem quae saeculo praesertim quarto viguere, ne prhnas qui- dem origines ab antiquiore aetate esse repetendas ». Se si dica poi che il nostro Gaudenzio fu o servo o liberto (come serhfcra più verosimile); allora, attese le circostanze ed i tempi, atteso che il cristi^ nesimo tu estesissimo nella famiglia de' Flavi; che fu uso dei padroni servirsi dei liberti nelle opere loro, l'obiezione cade da sé. Difatti: fra l'immensa serie di nomi dei liberti e servi, pef la maggior parte a noi sconosciuti, chi potrà con serietà affermare non esservene stato a quei tempi neppur uno che avesse la desinenza in entius? Esaminiamo ora le altre difficoltà, incominciando da quella già proposta dall'Aringhi due secoli e mezzo fa, e riprodotta nuovamente dal Gori nel- l'anno 1875. Questa lapide, dicono, non può essere dei tempi di Vespasiano, perchè sotto quest'imperatore non vi fu persecuzione. Rispondo: Sebbene sotto l' impero di Vespasiano non avesse luogo una persecuzione, pure non v'ha difficoltà per opinare plausibilmente che Gaudenzio (appunto perchè cristiano) potesse esser vittima di quell'Imperatore. Infatti: Se Gaudenzio, divenuto cristiano, si fosse ricusato di prestare più oltre la sua opera nella costruzione di un luogo che sarebbe stato poi il teatro del sangue umano (4): o se (5) invitato da Vespasiano a costruire una nauma- chia (6), egli ne avesse accettato l'incarico; ma che poi, mutata l'idea della naumachia e stabilito di ridurre l'edificio a luogo di spettacoli gladiatori (tanto aborriti dai cristiani) avesse voluto declinare dall'incarico preso: o finalmente che si fosse ricusato di costruire Vara, ecc.; non sarebbero stati motivi suf- ficienti per un Imperatore pagano, benché non persecutore del cristianesimo, per fai'gli mettere in esecuzione la legge neroniana, a quei tempi purtroppo vigente, per far uccidere Gaudenzio? E non furono questi i motivi per cui i Quattro Santi Coronati, scultori di opere notevoli (per essersi, cioè, ricusati di scolpire una divinità), furono barbaramente uccisi? (1) Bull. deU'Ist., 1860, p. 258. (2) Id., 1868, p. 228. (3) Inscript. Chri.sf., Tom. I, p. 112. (4) Ammessa la genuinità della lapide, si dovrà pur ammettere, come vedremo, che Gaudenzio fu l'architetto del Colosseo. (5) Supponendo che fosse già cristiano. (6) Tale infatti fu l'idea primitiva, come dice Marziale: Haìic utiam norint saecula tiaumachiam. 316 PARTE IV. - CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Del resto ancorché la Chiesa sotto alcuni Imperatori godè di pace, pur nondimeno, come tutti sappiamo, non mancarono mai qua e là martiri; e chi ignora che sotto lo stesso Vespasiano, per es,, fu ucciso il santo Vescovo di Ravenna, Apollinare? Ma a quest'obiezione dell'Aringhi avean già risposto trionfalmente il Ma- rangoni (1) ed il Piale (2), alle opere dei quali rinvio il lettore. Infine Dione Cassio (3) ci dice che Vespasiano fé' morire vari qui in mores Judaeorum transierunt ; e questo passo non si spiega altrimenti (attesa la nota confusione che fu fatta a quei primi tempi tra il cristianesimo e giudaismo) che coll'aver fatto. Vespasiano, uccidere varie persone convertite al cristia- nesimo ; religione che gli Imperatori e i gentili in genere, credettero fosse la stessa, 0 almeno una setta del giudaismo. Dunque benché Vespasiano non movesse persecuzione contro il cristiane- simo, pur nondimeno Gaudenzio potè essere martirizzato sotto quell'Impera- tore, sia perchè, essendo quegli cristiano, potè ricusarsi di proseguire l'opera affidatagli; sia perchè anche sotto Vespasiano vi furono martiri; e sia final- mente perchè, per testimonianza dello storico pagano già citato, Vespasiano fé' realmente uccidere vari, i quali, verosimilmente, furono quelli che abbrac- ciarono la religione di Cristo, e furono scoperti come tali. * * * Siamo giunti finalmente a poter dire con certezza morale che la lapide « Sic premia servas », risale all'età Vespasianea, e che per conseguenza il Gaudenzio in essa ricordato, visse in quegli stessi tempi. Ma chi fu questo Gaudenzio? Perchè Vespasiano lo fece uccidere? Per rispondere a questi que- siti basta mettersi sott'occhio la lapide e spiegarla: dalla semplice lettura di essa, tutto appariva chiaro. « Sic premia servas, Vespasiane dire, Civitas ubi gloriae tue autori Premiatus es morte Gaudenti letare Promisit iste, dat Kristus omnia tibi Qui alium paravit theatrii in coelo ». La disposizione dei versetti (a due coppie, con uno spazio frapposto in mezzo, forse per la forma bislunga del marmo) indica che la nostra lapide sì debba leggere a eolonna. Laonde non so spiegarmi la ragione per cui il Ma- il) Memorie storiche del Colosseo, p. 23, ed. 2.» (2) Note al Venuti, Roma Ant. Vbnuti-Piale, Descriz. topogr. di Roma, 1824, tom. I, p. 51 (3) Dio, l. LXVII. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 317 rangoui ed il Fea ne abbian fatto la versione letterale leggendola continua- tamente, senza far conto di quello spazio, che pur v'è; e cosi avvenne che quella traduzione poco concordasse colla versione libera che poi ne fecero. Fatta questa osservazione necessaria, ecco la versione lettei'ale della lapide: Così i premi serbi, o Vespasiano crudele? O Città, dove all'autor della tua gloria.... Premiato sei colla morte, o Gaudenzio, rallegrati. Promise questi; Cristo ti dà ogni cosa, Che altro teatro preparò nel cielo. In versione più libera, può suonar cosi: Cos\ serbi la fede dei premi promessi, o crudel Vespasiano? e dare, o Roma, riserbi i dovuti premi all'autoi-e della tua gloria? La morte fu il tuo premio, o Gaudenzio, ti rallegra; Vespasiano promise, ma Cristo ti da tuffo, preparandoti nel cielo miglior teatro. Non credo necessario giustificare quelle poche supposizioni che si ti'ove- ranno in questa spiegazione, giacché esse sorgono spontaneamente come si di- mostra dalla concordanza perfetta delle due versioni. Dall'esame analitico di questa lapide si può ricavare : 1" Che il nostro Gaudenzio fu distiano: Krisliis dat omnia libi. Qui aliimi paravit theatru in celo (1). 2." Che fu martire: Premiatus es morte. Un cristiano il quale fu fatto uccidere dall' Imperatore, e che per questa ragione ricevè da Cristo la gloria del Paradiso, non dovrà dirsi martire? 3." Che fu martirizzato sotto Vespasiano: Vespasiane dire. Ma qui si potrebbe obiettare: Quel Vespasiano, invece dell'Imperatore, non potrebbe esser un altro qua- lunque che avesse lo stesso nome? No. Infatti, se questo Vespasiano invece di premiare fece uccidere Gau- denzio, dobbiam dire che quegli avesse nelle sue mani il potere di premiai-e e di punire colla morte; avesse, cioè, quel potere che i giuristi chiamano me- rum impeHum. Ora apprendiamo dalle Pandette e dal Codice di Giustiniano (e tutti gli interpreti del diritto romano, come Cuiacio, Donneilo, Averano, Roet, Brune- mann, Perezio, ecc. sono concordi), che questo potere competeva all'Impera- (1) Anche tralasciando l'indizio estrinsico della forma della lapide, che è cimiteriale; anche prescindendo dalla testimonianza degli scrittori, coevi al rinvenimento di essa, i quali dicono che fu tratta fuori dal cimitero di S. Agnese; le parole Kristus, etc, dichiarano aper- tamente la cristianità di Gaudenzio. 318 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO tore, direi, per natura; e, per delegazione, al Prefetto della Città e a quello del Pretorio. Si deduce questo anche dalle famose parole dette da Traiano al Prefetto del Pretorio (1): « Acoipe gladium, quem prò me, si bene atque ra- tione imperavero, distringes: sin minus, eo ad interitum meum utere ». Né si può supporre che, all' infuori del fondatore della famiglia imperiale dei Flavi, vi siano stati altri imperatori di nome Vespasiano. Né questo nome apparisce nei cataloghi dei Prefetti del Pretorio o in quello della Città (2). Quindi se il nostro Gaudenzio fu ucciso da un Vespasiano il quale avesse il potere di uccidere, questi non potò essere che l'Imperatore. 4.° Finalmente, che fu martire in Roma: « Civitas, ubi glorie tue au- tori ». Ho detto martire in Roma, e lo deduco dal fatto che la lapide fu tro vata scavando un cimitero cristiano romano. E la sana critica c'insegna che, usandosi in un discorso un Home generico, questo si deve riferire a quella cosa che gli è vicina e non lontana; e ora la lapide fu trovata a Roma: dunque la città cui si riferisce il discorso, è Roma. Nò vale obiettare che in questo caso si sarebbe dovuta usare la voce Vrbs e non Civitas; giacché qui il discorso non è rivolto alla città materiale, ossia alle mura, ma ai cittadiiji; e tutti sanno che i latini usarono la voce civitas per indicare il formale, e Urbs II materiale della città. E nel caso nostro si dovè dire, come fu detto, civitas, e non altrimenti. Di più: in quella lapide si fa allusione ad un teatro, e ad un teatro dei tempi di Vespasiano, a cui pure è rivolto il discorso. Ma, ad eccezione del- l'Anfiteatro Flavio, non s'ha memoria che Vespasiano abbia eretto altri edi- fizl per darvi spettacoli pubblici. Se dunque la città a cui qui si rivolge il discorso ò Roma, se il marmo fu trovato in un cimitero cristiano di Roma (e questo indica che il martire fu deposto in Roma), dobbiam pur dire che Gaudenzio ò un martire romano. Fin qui l'iscrizione ci dice che Gaudenzio fu cristiano, che fu martire, che subì il martirio sotto Vespasiano, e che lo sub! in Roma. Ma chi fu questo Gaudenzio? Nulla si potrà dedurre dalla lapide? Il Nibby, il Canina e il Gori, pur trovando difficoltà intorno a quest'iscrizione, concedono nondimeno che il Gaudenzio in essa ricordato abbia relazione con un luogo di spettacoli fatto edificare da Vespasiano. E questo ò innegabile, ed è chiaro anche per quel re- lativo alium che si riferisce a Theatrum. Ora sotto l' impero di Vespasiano e (1) XiPH. e Dione, Traianas, p. 553, Ed. Basileae apud Joaimcumque loco ad edenda spectactila opto. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 323 perchè un cristiano non avrebbe osato architettare un edificio per un genere di spettacoli, nei quali (senza dire che tutti e sempre gli spettacoli furono con ragione aborriti dai cristiani) lo spargimento del sangue umano era l'oggetto del divertimento e del plauso del popolo; e tali appunto erano quelli che si davano negli anfiteatri. E questo va benissimo; ma io già previdi questa difficoltà e l'accennai quando dissi che la prima idea di erigere media urbe (e precisamente ove erano gli stagna Neronis) un edificio, non fu quella che l'edificio stesso ser- visse per darvi spettacoli gladiatori e venatort, ma per farvi giuochi navali ed incruenti. Si dovea, cioè, edificare una naumachia, della quale, come dissi, parla Marziale. E che la primitiva disposizione dell' Anfiteatro Flavio fosse stata per naumachia, l'ho già dimostrato nel corso dell'opera. Inoltre i cristiani non correvano certamente, senza una speciale ispirazione, incontro alla morte; ma se erano perseguitati fuggivano, secondo l'insegna- mento del Maestro, in aliam terram. E non solo materialmente, ma evitavano la morte anche con mezzi leciti ed onesti, dei quali potevano usare senza offèndere la loro fede. Ora se noi supponiamo che Gaudenzio fosse liberto di Vespasiano (1), ciò che è assai ve- rosimile, e che fosse stato costretto a prestare la sua opera al Patrono, cui, per la libertà ricevuta, era in dovere d'ubbidire; io non vedo la ragione per cui Gaudenzio, benché cristiano, si fosse potuto ricusare di servire il suo Pa- trono nella costruzione di una fabbrica, lo scopo della quale (per sé e riguardo alla costruzione materiale, che spetta all'architetto) è del tutto indifferente, colla certezza di esser ucciso. Ma anche ammesso che l'Anfiteatro Flavio fosse stato fin dalla prima idea costruito per darvi giuochi cruenti; dato che Gaudenzio non fosse stato liberto di Vespasiano; allora dirò col Piale (2), che, appunto per questo, fu fatto uc- cidere da Vespasiano; perchè, cioè, fattosi poi cristiano, si ricusò di prestare più oltre l'opera sua in quell'edificio. Dunque quest'obiezione o non nuoce o conferma l'asserto. Sennonché" questa soluzione è causa di una nuova difficoltà. Se il nostro Gaudenzio fu un personaggio cotanto celebre e martire della Chiesa nascente perchè non se ne fa menzione nei martirologi, nei calendari, negli indici, nei fasti della Chiesa Romana? Come è che si ricordano un Gaudenzio martire in Africa, un Gaudenzio di Novara, un Gaudenzio di Rimini, un Gaudenzio di Arezzo, ecc.; e del nostro Gaudenzio non si fa nessuna menzione? (1) Che i liberti servissero agli imperatori, anche come architetti è certissimo, e si de- duce da parecchie lapidi sepolcrali: Cf. e. I. 1. VI, 8722, 8724. (2) Vbnoti-Pialr, Descriz. top. di Rmna. Tom. I, p. 51. Roma 1824. 324 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Rispondo : I nomi dei martiri non erano registrati nei calendari, nei martirologi, ne- gli indici, ecc., se non dopo praticata la cosi detta vindicatio. Ora questo pro- cesso di riconoscimento vi sarà stato relativamente al martirio di Gaudenzio? Dalla lapide si rileva che egli fu martire, premiatus es morte, ecc.; ma noi non sappiamo positivamente se sia stato o no vindicatus. E se la Chiesa non dichiarò che Gaudenzio sparse il suo sangue per la fede, non potè essere ve- nerato dai fedeli. Mancando dunque il dato positivo della vindicatio, non v'ha ragione di maravigliarci se nei cataloghi, nei martirologi, ecc., non si trova il nome di Gaudenzio; e dalla mancanza di questo nome non si può dedurre, come è chiaro, che egli non fosse vero martire (1), e, molto meno, architetto del Colosseo. Ma del resto questo è un argomento negativo, il quale di fronte a tanti argomenti posititivi e diretti, non ha valore; e dal quale si potrebbe sola- mente dedurre che nessuna memoria si conosce di questo martire romano; mai però che questa memoria ìion sia esistita, o che un di non possa (come tante altre memorie) tornare a luce. Anzi, se non m'inganno, a me sembra di trovare questa memoria nel martirologio di Usuardo, codice di Brussels, e pre- cisamente al giorno 7 Maggio. Dopo la memoria di Flavia Domitilla e di S. Giovenale, si legge : Ad ra- dicem Montis Septimi passio S. Gaudentii martyris. Il Martirologio di Usuardo è d'epoca tarda, tardissimo è il codice di Brussels, e la sua autorità è assai debole; ma tutte le memorie dei codici martirologici sono sempre preziose per le ricerche ai'cheologiche, massime quelle che mostrano un certo classi- cismo ed una certa antichità, da qualunque fonte esse provengano. Non di- sprezziarao dunque questa notizia isolata, e maturiamola con' calcolo per la nostra ricerca. È certo che il Gaudenzio ricordato in quell'inciso non è fra quelli finora conosciuti : quis Me Gaudentius sit, faleor me ignoì^are, scrisse il Sollier (2). È anche certo che il dettato di quest'inciso non ci costringe a dire che il Gaudenzio in esso ricordato sia dell'età di mezzo, giacché l'aggiunto mar- tyris ci fa escludere ciò, direi quasi, per natura; ed il nome Gaudenzio non è dell'età di mezzo, ma antico e non raro nei cimiteri romani, ed abbonda, dirò cosi, nei cimiteri della Via Nomentana, dai quali appunto usci fuori la lapide di quel Gaudenzio di cui parliamo. (1) II Db Rossi, già si avvide che i martirologi omettono martiri rivelatici dalle iscri- zioni (y.Bull. Arch. Crisi. An. 1876, p. 59; 1877, pp. 109-113; 1878, pp. 12-94-95; an. 1883, pp. 151-152-155; 1886, pp. 26-28, ecc.). (2) Cf. MioNE, P. L. voi. 124, p. 31. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ fe GENUINA O FALSA? 325 È certo eziandio ed innegabile che quest'inciso è dettato con tale laco- nismo e semplicità, che ci ricorda gli incisi dei martirologi più antichi, il dato caratteristico dei quali è appunto la semplice indicazione topografica, il nome del Santo e il suo aggiunto distintivo. Ora tale è il nostro inciso {ad radicem montis Septimi. Gaudentii mar- lì/ris) (1). Dunque quest'inciso è un brano perduto di un martirologio anti- chissimo, ma che, per fortuna, fu conservato dal codice di Brussels del Mar- tirologio d'Usuardo. Esaminiamo ora questo prezioso inciso, e cerchiamo chi sia il Gaudenzio in esso ricordato. Che questo Gaudenzio sia un martire romano me lo dice l'indicazione to- pografica: ad radicem montis Septimi. In nessuna geografia, sia antica che moderna, ho potuto trovare un monte di questo nome. Soltanto Varrone (2), allorché parla dell' Esquilino, dice: Se- PTiMius mons quinticepsos lucum Petilium. Questa è la lezione della maggior parte dei codici e ritenuta dai migliori interpretati, non ostante lo Sceptius dello Sprengel, che non è alla fine che una scorrezione ed abbreviazione di Septimius malamente letto e peggio in- terpretato. I moderni leggono Cespius (3), ma la questione di questo passo var- roniano è questione di fatto. Qual'è la vera lezione, l'antica o la moderna? Fino alla metà circa del secolo scorso si ritenne per vera la lezione da me seguita. Lo Scaligero, il Turnebo, l'Agostini lessero Septimius mons quinticepsos, e su questa lezione fecero i loro lavori (4). Il testo seguito dallo Scaligero è anche più antico di quello da me e da altri finora ritenuto, ma sirailissimo; ed io ho seguito l'edi- zione pubblicata (dopo quella della fine del secolo XVI) in Roma. I topografi, come ad es. il Nardini e il Brocchi, seguirono quest'edizione fino alla metà del secolo scorso; il Nibby (5) poi s'attenne a questa stessa edi- zione nonostante conoscesse quella del Miiller e le varianti accettate e prefe- rite dai moderni. Come è dunque che i recenti hanno pubblicato un'edizione cosi diversa da quella, e, per aggiunta, mutila? Forse han veduto e seguito un codice più imperfetto di quello veduto e seguito degli antichi, o, seguendo l'andazzo dei nostri tempi, hanno corretto il testo secondo le loro opinioni? (1) Quel Passio e queir S sono certamente del tempo in cui visse il trascrittore. (2) De lingua latina, 1. IV. (3) Cf. Jordan., Topog. Varr. l. l., V, 49, 50, pp. 601-602. Oppius mons princeps Esqui- lis, cis lucum Fagutalem.... Oppius mons terticeps, cis lucum,.... Oppius mons quarticeps, cis lucum.... in figulinis est. Cespius ìnons qwirticeps cis lucum Poetelium, Esquilis c.s/. (4) Il primo le Coniectanea, gli altri due le annotazioni ed emendazioni. (5) V. Nibby, Roma Antica, Tom. I, p. 21. 326 PARTE IV. CONTKOVEKSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Lo Stara-Tedde (1) scrive: « Nel documento degli Argei (quale la presen- tano e seguono i moderni) manca l'indicazione del secondo sacello, giacché dal princeps si passa al terticeps, omettendo il biceps.... omissione che certo non dovea originariamente trovarsi nel documento (2), ma da attribuirsi allo stato lacunoso in cui ci è pervenuto il testo varroniano ». E perchè non se- guire il testo Varroniano che ha l'indicazione del secondo sacello? Nel testo ritenuto e seguito dai moderni manca parimenti qyLOÌV Esquiliae duo montes habiti, quod pars Cispius mons suo antiquo nomine eliam nunc in sacreis appellatur. Varrone (3) divide l'Esquilino in due prominenze principali: Esquiliae duo montes habiti quod pars Oppius (cosi legge il Mailer), pars Cespius mons suo antiquo nomine. Tanto l'Oppio che il Cispio ci sono noti: gli archeologi ritengono concordemente che il primo risponde a quella sommità dell'Esqui- lino ov'è S. Pietro in Vincoli; il secondo all'altro ov'è S. Maria Maggiore. U Oppius è diviso da Varrone (4) in più località, ognuna delle quali aveva il suo nome speciale. Cosi : Oppius mons princeps lu^um Esquilinum, lucurn fa- gutalem quae sub moerum est, Oppius mons bice^ìsos simplex. Oppius mons tercicepsos lucum Esquilinum dexterior via in Tàbernola est. Oppius mons quadricepsos lucum Esquilinum via dexterior in figlineis est. Septimiìts mons quinticepsos lucum Petilium. Esquilinus. A suo luogo esamineremo una per una queste località dell' Esquilino. Che il Settimio si debba collocare nell'Oppio e non nel Cispio ce l'indica, la topografia del monte. Noi abbiamo fra questo e quello una gola che separa le due località del- l'Esquilino, e senza perderci in inutili parole, metto sotto gli occhi del lettore la pianta altimetrica dell'ingegnere Francesco Degli Abbati (5), fatta da noi parzialmente ma fedelmente riprodurre (V. Fig. 15'^). Quindi non si può cambiare, come fanno i moderni, il Septimius in Ci- spius, perchè quella prominenza non si trova situata sul Cispio ma sull'Oppio. Il nome Septimius deriva, a mio modo di vedere, dai sacrifìci che si fa- cevano in occasione del Septimontium, i quali, al dire di Feste, si celebra- vano (per ciò che riguardava il monte Esquilino) in quella parte del monte che si chiamava Oppio. Ed io congetturo che detto sacrificio si celebrasse precisamente in quella cima dell'Oppio che era più prossima al Palatino, cen- (1) / boschi sacri dell'antica Roma. Estratto dal " Ballettino della Coni. arch. comu- nale ,, fase. II, an. 1905, p. 14. (2) Nel documento seguito dai dotti passati, fino alla metà del secolo scorso, effettiva- mente non manca, ed oh quanto è più conforme alla topografia locale! (3) Loc. cit., 1. IV. (4) Vareon, loc. cit. (5) Del suolo fisico di Roma, ecc. Cosenza, Tip. di Giuseppe Migliaccio, 1869. CAPITOLO IV. - L'ISCKIZ;I0NE " SIC PHKMIA SEKVAS „ È GENUINA O FALSA? 327 tro del Scpthnontium, e che prendesse il nome di Septimius per specificarla dalle altre cime dell'Oppio stesso. Questo viene confermato dalle parole del lodato Varrone, il quale soltanto a questa e non ad altre prominenze dell'Op- pio dà un nome proprio: Oppius nions, princeps; Oppius mons, bicepsos; Op- plus mons, tercicepsos; Oppius mons quadricepsos ; Septimius mons quinti- cepsos, ecc. (1). , *" M'O vr- '"'->... S% (■<" ' ^~^^ n -U^.. E vero che ivi negli Argei si legge anche Esquilinus sexticepsos ; ma ciò si spiega benissimo, perchè, la sesta cima era su quella parte dell'Oppio che, per antonomasia, era chiamata Esquilino, essendovi là il Forum Esqui- Unum, il Cam,pus Esquilinus, etc. Esaminiamo ora una per una le località suddette. 1.° Oppius mons princeps lucum Esquilinum, lucum Fagutalem sinixtra quae sub moerum est. Quel lucum Esquilinum ci fa necessariamente collocare questa parte del monte in vicinanza alla spianata di esso monte ; imperocché è la parte che più propriamente si dice Esquilinus. Ivi è ricordata la porta Esquilina, ivi il campus Esquilinus, ivi il forum Esquilinum: in una parola, (1) Cosi negli Argei secondo Varrone. 328 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO la denominazione Esquilinus competeva più propriamente a quella parte che alle altre. Dunque l'Oppius mom princeps era quella parte del monte che è presso la già villa Caserta (ora chiesa di 8. Alfonso all' Esquilino), ove anni indietro venne in luce il muro antichissimo della città, sinistra quae sub moerum est. 2.° Oppius mons bicepsos simplex, Questa località (senz'altro aggiunto, perchè non se ne fa menzione veruna) mi sembra che sia quella parte del monte, alla quale più propriamente fu dato, e che tuttora conserva, il nome di Oppio; ossia quella parte che è in prossimità, come si è detto, della Chiesa di S. Pietro in Vincoli. 3." Oppius mons tercicepsos lucum Esquilinum dexterior via in taber- niila est. Questa, per quel lucum Esquilinum, non potremo separarla dalla prima; ma per quel dexterior via in tàbernola est, la dovremo dire rivolta al Celio, perchè la labernola era nel Ceriolense, qua itur , Coelium; e quindi è quella parte dell'Oppio che ha a sinistra r/?sg'Wi7mo propriamente detto, e che è rivolta al Celio. 4.° Oppius mons quadricepsos lucum Esquilinum via dexterior in figli- neis est. Per quel lucum Esquilinum non si può disgiungere dalle antecedenti ; per quel dexterior poi, conviene situarla da quella parte stessa che guarda n Celio; e quindi la collocherei nella parte sovrastante alle velocia munera{\), le quali sorsero in quel luogo già occupato, fino ai tempi di Nerone, da me- schini abituri, probabilmente di figlitii, comò, c'insegna Marziale : « Hic libi miramxir velocia munera thermas, Abstiilerat miseris tccta siiperbus ager ». 5." Esquilinus. Ultimo punto dell'Oppio, a Nord, ricordato da Varrone. Per la sua denominazione assoluta (Esquilinus), e per la mancanza dell' ag- giunto: tnons (benché non si ricordi alcun bosco), credo sia propriamente quella parte cui si die e si dà tuttora il nome di Esquilino. Per il Septimius mons quinticepsos lucum Petilium, situato, secondo Var- rone, fra il quarticepsos e V Esquilinus, non rimane dunque altra sommità del- l'Oppio che quella in cui vi sono i grandi ruderi delle Terme e della Domus Titi, incontro all'Anfiteatro Flavio. E qui appunto il Nibby (2) colloca il mons Septimius. L'autorità del Nibby è sempre grande ; ma in questo caso é mag- giore, perchè egli qui, non sostiene una sua opinione particolare, non difende l'autenticità di una località da lui già ammessa e da altri contrastata ; ma ciò (1) La mia opinione circa le « velocia mimerà » la manifestai alla Parte II, eap. I, di questo lavoro. (2) Antich. di Roma, voi. I, 1. Ili, p. 94. CAPITOLO IV. - L'ISCKIZIONE " SIC PREMIA SEKVAS „ È GENUINA O FALSA? 329 che scrisse lo scrisse senza picvenzionc alciin;i, e soltanto per effetto della sua scienza topografica, della conoscenza che egli aveva della topografia di Roma. Insomma: il Cispio era la sommità ove è S. Maria Maggiore: l'Oppio era diviso in più parti, delle quali VOppius simplex era quello ove è S. Pietro in Vincoli; Esquilinus, ov'era il campus E's^/MiVmiis propriamente detto : VOppius princeps, l'Oppitis tercìcepsos e 1' Oppius quadricepsos (per il lucimi Esqui- linum a tutti e tre comuni) si debbono collocare in modo, che più s'avvicinino a quella parte che era detta per antonomasia Esquilinus, e che siano ben di- stinte le due parti; il princeps (per quel sinistra quae sub moerum est) sotto la già Villa Caserta; il tercicepsos (per quel dexterior via in tabernola est) deve collocarsi rivolto al Celio, ma non più in là delle Terme, perchè ivi (per l'aggiunto in figlineis) v'era il quadricepsos; e per il Septimius, quinti- cepsos, non resta che quella parte che sovrasta il Colosseo. E questa denominazione era ancor vigente nel secolo Vili, giacché nel Liber Pontificalis (in Leone III) si fa menzione di una basilica dedicata a 8. Michele Arcangelo: S. Arcangeli in Septimo; basilica che qualcuno credè situata m milliario septimo della Via Salaria. Ma vi sono molte ragioni per non dare a quel passo una simile interpre- tazione. E primieramente, perchè quelle basiliche extramwanee, ricordate nella vita di quel Pontefice, sono basiliche cimiteriali, edificate su qualche memoria di martiri e santi celebri, e non in onore di Angeli e di Arcangeli. (1). Secon- dariamente poi,, perchè manca l'indicazione della via. Dice in Septimo ma di qual via? Al contrario, quando nella stessa vita (di Leone III) si parla di chiese extramuranee, si dice : B. Stephani primi martyris constituta via latina mil- liario tertio. — S. Cyriaci posila via Ostiensi. -- S. Valentini in Flaminia. — B. Andreae Apostoli sita in tricesimo via Appia. Relativamente a quel S. Marcelli sitam in quartodecimo, siccome imme- diatamente prima s'era parlato di ^. Aurea in Ostia, potrebbe intendersi che fosse situata in via Ostiensi. (1) E certo però che .il settimo miglio della Via Salaria vi fu una chiesa dedicata al- l'Arcangelo Michele; le parole A(^\V Epitome libri de locis Sanctortim Marti/rum, sono chiare: «Per eandem quoque viam venitur ad ecclesiam S. Michaelis septimo rnilliario ab urbe; ma è pur certo che varie furono in Roma le chiese dedicate a questo Arcangelo, come : S. Ar- cangelo ad Elephaìifum, in Palliano, inter ìitibes, in Augiitita, in Laferano, in vico Patricia, in Vìa Appia, ecc. (Cf. Nuov. Bull, di Arch. christ. 1910, pag. 84 e segg. « Studio sulla nuova sìlloge di Cambridge di O. Marucchi » . Il Martirologio Geronimiano (codice di Berna) colloca la Chiesa di S. Michele non al VII ma al VI miglio. 330 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO Ma la nostra basilica è posta fra due intramut'anee, come or ora vedremo, e non fra le extramuranee. Infine, lo scrittore della vita di Leone III non segue già un ordine topografico nell'enumerazione delle chiese arricchite dai doni di quel Pontefice; e se anche avesse voluto non avrebbe potuto. È non- dimeno certo è incontestabile che, generalmente parlando, le chiese di una regione o di una località sono aggruppate insieme. Cosi leggiamo che Leone III fece dei donativi alla Diaconia Beati Hadt-iani, et in ecclesia beatae Marti- nae , et in Diaconia antiqua. — Immo et in Diaconia S. Theodori et in Diaconia Sanctorum Cosmae et Damiani et in Diaconia S. Adriani. — Et in Diaconia S. Luciae, quae ponitur in Orphea (1) et in Diaconia Beati Viti Martyris quae ponitur in Marcello. E cosi di altre. Ora la nostra basi- lica è ricordata fra S. Agata (2) e S. Agapito in Vincula, ossia fra due chiese situate nella località varroniana dell'Esquilino. Quindi diremo che la basilica S. Aìxangeli quae ponitur in Septimo non è la basilica extramuranea situata al settimo miglio, o sesto secondo il Martirologio Geronimiano (codice di Berna), passo d'altronde un po'confuso, ma una basilica intramuranea, citata cioè nella stessa guisa con cui si cita il monasterium Sancii lohannis qui ponitur in Appentino, ossia in Aventino monte (3). Nello stesso Libro Pontificale (4) in Simmaco, leggiamo : « Intra civitatem Romanam, basilicara Sanctorum Silvestri et Martini a fundamentis construxit. Ad beatum lohannem et Paulum fecit gradus post absidam. Item ad Ar- changelum Michael basilicam ampliavit et gradus fecit et introduxit aquam. Item ad Sanctam Mariam, oratorium sanctorum Cosmae et Damiani a funda- mentis construxit » . Il Duchesne (5) dice che la Chiesa di S. Michele ricoi'data in questo passo non può essere quella situata al settimo miglio della Salaria, perchè qui è scritto: « intra civitatem Romanam » ed ivi si fa menzione di lavori eseguiti a cura di Simmaco alle chiese di S. Martino, dei Ss. Giovanni e Paolo, di S. Michele e di S. Maria Maggiore. E questo significa che il Duchesne ritiene" che nell'interno della città esi- stè una chiesa dedicata a S. Michele, situata nella stessa località ricordata nella vita di Leone III, quando si parla di S. Michele in Septimo, fra la chiesa (L) 0 in Ortheo. Cf. La Pianta di Roma dell' Anonimo Einsidlense. Dissert. letta dal Prof. C. Haelsen, 21 Aprile 1906, nella Pont. Accad. Romana di Archeologia. — Estratto pagina 28. (2) Tutti sappiamo che una chiesa dedicata a questa Santa era sotto l'Esquilino. Il eh.o Huelsen, loc. cit., dice che questa chiesa è sconosciuta! (3) Lib. Pont. Edit. Duchesne, Tom. II, p. 24. Il Grimaldi legge « in Aventino », ed opina sia lo stesso che il monastero di S. Maria in Aventino. (4) Ediz. Duchesne, Tom. I, p. 262. (5) Lib. Pont. p. 268, n. 36. CAPITOLO IV. - l'iscrizione " SIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 331 di 8. Agapito, qiù ponilar ad Vinculam, e quella dei santi Silvestro e Mar- tino. Lo stesso Duchesne (1) scrive che la chiesa di S. Agapito è quella stessa che più tardi fu detta ì*. Maria {ante tiiulum Eudoxiae) ossia il monastero («S. Mariae) ad S. Petrum in Vincula. Dice inolti-e che & Maria in Monasterio era situata dietro la chiesa di S. Pietro in Vinculis; vale a dire più su quella cima dell'Oppio detta Esqui- !iHi(s che sul Septimius. A pag. 61, n. 63, tomo II, aggiunge però che, da un documento del 1014 la chiesa di S. Maria in Monasterio è detta ante Titu- Imn Eudoxiae. L'Armellini, il quale pubblicò la seconda edizione delle « Chiese di Roma » alcuni anni dopo dell'edizione duchesniana del Libei- Po?itificalis, dimostrò ad evidenza che la chiesa di ^>'. Maria in Monasterio, cioè S. Aga- pito, era di fronte alla Chiesa di 8. Pietro in Vinculis, che è quanto dire sul Settimio. La Chiesa di 8. Michele in Sejìtinio, ricordata fra quelle di S. Pietro in Vinculis e S. Agapito, sorgeva dunque su quella parte dell'Oppio che si disse Septimius, cangiato poi in Septimus o per una delle solite alterazioni causate dal tempo e dagli uomini, od anche, e più verosimilmente, perchè il copista tralasciò una i: ed in questo caso noi dovremmo leggere senz'altro: Basilica S. Arcangeli in Septimio {monte). Nò fa ostacolo la sentenza del Nardini, il quale, a motivo di quel Peti- lium lucuni aggiunto al Settimio, cerca questo nell'Esquilino si, ma verso il Viminale; e lo deduce da quel Petilinuni lucum di Livio. Ma innanzi tutto Petilium 0 Poeteliuni e Petilinum o Poelelinum sono nomi ben diversi; ep- poi, quel Lucus Petelinus menzionato da Livio e da Plutarco, a proposito del giudizio contro M. Jtanlio, trovavasi extra portam Flumentanam (cosi leggono ormai quasi tutti i critici, invece di frumentariani); e questa porta i topografi la collocano presso il Forum Olitorium, e cioè tra l'odierno Ponte Rotto e il Ponte Quattro Capi, presso a poco ove ora è la Via o Vicolo del Ricovero (2). Nemmeno fa ostacolo l'opinione del Corvisieri, il quale crede che questa parte dell'Oppio fosse detta Coliseo (3). Imperocché, pur concedendo che tal nome fosse stato dato a quella collina, sarebbe sempre il nome volgare, {il nome dato al tempio d'Iside, come egli dice, situato in quel colle (!) per di- stinguerlo forse da qualche altro tempio dello stesso nome); ma il nome clas- sico, il vero nome, il nome proprio sarebbe stato sempre quello di Septimius in tempi remoti, e di Septimus (se cosi si voglia leggere) in tempi meno an- tichi: e cosi qui verrebbe a proposito il detto del medesimo autore: che, cioè. (1) Loc. cìt. Tom. II, p. 41 n. 63. (2) V. G. Starra-Tbddb, / boschi sacri, loc. cit. (3) Cf. il period. « Buonarroti » Tom. V, p. 68. 332 PARTE IV. - CONTROVERSIE SULL'ANFITEATRO FLAVIO nella stessa città s'incontrano contrade e monumenti più conosciuti pc un nome di volgare capriccio che per il vero dato loro in origine. Questa soluzione però gioverebbe se vi fosse difficoltà, ma per me questa difficoltà non esiste. Imperocché il tempio d'Iside della III regione non fu (né deve quindi supporsi collocato) sulla collina che sovrasta all' Anfiteatro. Noi già confutammo l'opinione del Corvisieri nella Parte II, cap. I di questo stu- dio; riputiamo quindi inutile ripetere quanto allora dicemmo. Pertanto, conchiudendo, diremo che nessuna località geografica é cono- sciuta col nome di mons Septimius; e soltanto, per testimonianza di Varrone e del Libro Pontificale, si ricorda in Roma una parte dell' Esquilino così de nominata. Dunque il martire che si legge nell'inciso del codice di Brussels é un mar- tire romano. Ma nessun martire di nome Gaudenzio é conosciuto in Roma, ad ecce- zione di quello di cui si parla nella lapide che ha motivato questa lunga dis- sertazione. Dunque probabilmente é questo il martire ricordato nell'inciso del Martirologio d'Usuardo, codice di Brussels. Quanto non sarebbe eloquente per la storia del nostro Gaudenzio questa località, designata dal Martirologio Brusellense, con quelle parole: « Ad radi- cem montis Septimi [i] passio S. Gaudentii martyris » ? Ci direbbe insomma che Gaudenzio, liberto di Vespasiano, fu fatto uccidere nella casa del suo pa- drone, dinanzi alla fabbrica da lui edificata, ove appunto fu scoperto uno degli oratori che attorniavano il Colosseo; unico oratorio (come dicemmo quando parlammo delle chiese ed oratori che circondarono l'Anfiteatro Flavio) rimasto senza nome. Ma, ripeto, questa non è che una mia congettura, della quale, se a qual- cuno piacesse potrà servirsene per dire chi sia quel Gaudenzio che il SoUier confessava di non sapere, fateor me ignorare ; e rimarrebbero soddisfatti an- che coloro, i quali, col Muratori, s'auguravano che un giorno gli studiosi avreb- bero fatto un po' di luce su quel Gaudenzio ignoto. Riassumiamo. Abbiamo visto: 1° che la lapide di Gaudenzio fu rinvenuta negli scavi praticati nel se- colo XVII nel cimitero di S. Agnese sulla Via Nomentana; 2° che alla marchesa Randanini non costò l'acquistarla, e che non si può supporre una falsificazione fatta a scopo di lucro; 3° Che a nessuno degli scopritori si dà lode dagli autori coevi al rin- venimento, perché essa fu trovata a caso inaspettatamente, invece di essere stata studiosamente cercata; 4° che a quell'epoca non v'era questione di sorta sull'architetto del Co- losseo ; e quindi non vi potè essere chi, per far trionfare la propria opinione, CAPITOLO IV. - L'iSCKIZIONE " bIC PREMIA SERVAS „ È GENUINA O FALSA? 3?}3 avesse motivo di nascondere quella lapide sotto le frane di un cimitero sot- terraneo ; 5" che non fanno ostacolo all'autenticità della stessa lapide la paleogra- fia, gli apici e la dicitura; 6° che anche ai tempi di Vespasiano vi poterono essere martiri, e che vi furono effettivamente; ed abbiamo addotte le ragioni plausibili per ammet- tere che Gaudenzio potesse essere l'architetto del Colosseo; 7° abbiamo veduto, finalmente, che il Gaudeniius menzionato nel Mar tirologio di Usuardo è probabilmente il nostro. Non è dunque ormai ragionevole negare recisamente 1' autenticità della lapide « Sic premia servas », basandosi soltanto sugli argomenti negativi ge- neralmente addotti e da noi sfatati. Ed io son certo che ogni uomo di buona volontà dovrà convenire che, se i miei argomenti non sono del tutto atti a dimostrare apoditticamente la genuità di quella lapide, sono almeno atti a suscitare dei dubbi, i quali faranno sì che i dotti, col loro studio, tornino so- pra una tanto scabrosa questione. APPENDICI. 1 LA FLORA DEL COLOSSEO. « Colosseo, mirabile reliquia Del romano poter. Le folte PIANTE Luni^o que' ruinatì archi cresciute, Piegavano, ondulando, i freschi rami Sul cupo azzurro della notte. ...» Lord Byron, Manfredo (Trad. del Uaffei). ^'ANFITEATRO Flavio fu e sarà sempre 1' oggetto di universale ammi- razione, ed uno dei più fecondi nuclei di seri studi ed accurate ricerche. Poeti e storici, architetti ed archeologi, numismatici ed epigrafisti gareggia- rono per descriverlo ed illustrarlo; tutti, con vero amore ed entusiasmo, of- frirono alla venerabile mole dei Flavi il contributo del loro ingegno. E come appunto il Fontana (1), il Marangoni (2), il Nibby (3), il Tocco (4), il Gori (5), ecc., parlarono del Colosseo in una maniera più o meno completa ; il Lipsio (6), il Maftei (7), il Barthelémy (8), 1' Aionio (9), il Canina (10), ecc., lo descrissero ora considerandolo isolatamente, ora confrontandolo con altri anfiteatri ; come, (1) C. Fontana : L' Anfiteatro Flavio descritto e delineato. Aia 1725. (2) Makangoni: Delle memorie sacre e profane dell' Anfiteatro Flavio, ecc. Roma 1745, seconda ediz. 1847. (3) Roma ant. Tom. I, pag. 529 e segg. (4) Tocco Efisio : Dell' Anf. Flav.... e dei gladiat. Apud Ihwnarrofi, luglio 1869, marzo- aprile 1870. (5) F. Gori: Le mem. star. etc. dell' Anf . FI. Roma 1874. (6) lusTi LiPSi : De anphitìieatro etc. (7) Degli Anfiteatri.... Verona 1727. (8) Memoire sur les anciens monuments de Rome : apud Meni. Acad. Inscript. et hclleu lettres : XXVIII, pag. 485. Voyage en Italie : pag. 346 sg. (9) L'Anf. Campano Must.... col paragone di tutti gli anfiteatri d' Italia. Napoli 1842. (10) Edif. di Roma ant. 1851, voi. Ili, p. 23 seg. voi. IV. Tav. 164-177. Cf. etiam: Ar- chit. A7it. Ili, s. III. t. 119. 22. 338 APPENDICE I dico, il Marini (1), il Fea (2) 1' Uggeri (3), lo HUbner (4), il Mommsen (5), il Lan- ciani (6), ecc., pubblicarono pregevoli monografie illustrando respettivamente il podio, i sedili, gli scavi, le epigrafi, ecc. ; e come, finalmente il Morcelli (7) trattò delle tessere e degli ricettacoli; il Donaldson (8) delle medaglie, e Mons. Lugari procurò rivendicare ai Martiri l'arena dell'Anfiteatro Flavio (9) ; così non man- carono studiosi i quali prendesseio ad esaminare la fiora e le piante, che in tempi man remoti spontaneamente nascevano e vegetavano sull'arena, sui semidiruti gradi e sulle fatiscenti pareti dell'abbandonato Anfiteatro. L'anno 1815 un botanico romano (10) pubblicava uno studio sulle 260 specie di piante che allora ricoprivano l'Anfiteatro (11). Più tardi, nel 1873, il eh. Ri- chard Deakin (12) pubblicava un'opera ancor più completa sulla « Flora of the Colosseum », facendola ascendere a 420 specie di piante. Ed ora, perchè questo nostro lavoro l'iesca "piu completo che aia possibile crediamo opportuno occuparci anche noi di quel pittoresco ammanto di ver- dura fatto togliere nel 1871 dal comm. Pietro Rosa (13) e seguendo la scorta del suddetto Prof. R. Deakin, passiamo senz'altro ad indicare quelle piante che già costituirono la FLORA DEL COLOSSEO. (1) Avvali pag. 225 sg. (Hbnzen : Arv. CVI). (2) Ossero. suWarenae sul podio dell' Anf. Flav. Roma 1813 — Nuove oss. ecc. e dell'acqua che lo ricopre. 1H14 — Notiz. degli scavi Roma 1813 — Ammonizioni eritico-ant. 1813 — Diss. stille rovine dì Roma, ap. Winckelmann — Storia delle arti. III, 393 seg. — Note al circo di Caracalla del Bianconi. (3) Delle linee dei sedili apud Efemm. Liti. Roma 1823. (4) Iscrizioni esistenti sui sedili dei teatri e dzgli anfiteatri antichi. Ann Inst. 1856. (5) Ann. Inst. 1859. (6) Iscriz. dell'Anf. Flavio, Bull. com. di Roma, 1880 pag. 211. e seg. — Notizie ined. sull'Anf. Flavio, R. Acc. dei Lincei, serie quinta, voi. V, ecc. (7) Delle tessere.... ed. Labers, Milano 1827. (8) Archit. numism. Londra 1859. (9) L'Anfiteatro Flavio ri'vendicato ai Martiri. Atti della Pont. Acc. Rom. di Archeol. serie II, Tom. VII, 1899. Questo discorso fu probabilmente motivato dalla dissertazione, com- parsa anonima, del Deleiiaye {L'Amphitéàtre Flavien, Bruxelles 1897), nella quale questi so- stiene che nessuna fonte attesta essere stato il Colosseo un luogo di martirio pei cristiani. (10) Antonio Sebastiani. (11) Neil' archivio capitolino (Cred. 4, tom. 101, pag. 291) v'è un documento ciie dice : « Anno 1727, 12 Novembre. Istrumento di concessione, per poter affittare l'erbe che nascono dentro al Colosseo ». (12) Flora of the Coloseum of Rome. London, Groombridge and Sons. (13) F. GoRi, loc. cit. pag. 113. La Flora del Colosseo. OKD. NAT. GENERE SPECIE Clematis, \ Anemone. Lìnn. Clematite Ital. C. Flammula, Linn. I. » Anemone » A. Hortensis » Rniianculaceae \ lianunculux Delphiìium » Ranuncolo * E. repens » » Speronelia » D. peregrinum » II. Malvaceae (luss.) 1 Malva > » Malva » » M. Sylvestris » Rotundifolia Sedum > Sempreviva 7> S. cepaea » • » » » » gallioides, Ali. III. " » » » » album, Lìnn. Crassulaceae > . » » > » acre > (Do, Cand.) » » » » » reflexum j» » » » » » anopetalum, De Cand. 1 UmMlìcus, De Cand. Scodellina o erba bellica U. pendulinus » Prunus, Limi. Ciriegia » P. avium, Linn. Pyrus » Pero » P. communis » Geuìn » Erba benedetta » G. urbanum » IV. Kosaceae ' (Ius.s.) Potentina » Cinquefoglio » P. recta » » 1 Fragaria » » > Fragole » P. reptans F. vesca » Rubus » Rogo » R. corylifolius, Smith. Poterium » Pimpinella » P. sanguisorbia, Linn. Agrimonia » Agrimonia » A. eupatoria » V. Vitaceae Rosa » Rosa » R. sempervirens » Vitis » Vite „ V. vinifera j» (Lind.) VI. Celastrineae Euom/ìnns > Fusano A E. europaeus > (R. Browil) VII. Paronychieae Polycarpon » Correggiuola » P. tetraphillum » (St. Hil.) Sileneae Tunica, Scop. Tunica > T. saxifraga, Scop. DlanihnSj Linn. Garofano » D. profifer, Linn. Silene » S. inflata, Smith. » » > gallica, Linn. » » » quinquevulnera » » » » armeria s » » X italica, Pera. VIZI. Alsineae Caryophillene ^ Sagina » S. procumbcns, Linn. (luss.) » > S apetala » Alsine, Wahl. Alsine > » » A. rubra, Wahl. tt » » » tenuifolia 9 Arenaria, Linn. Arenaria A. serpyllifolia, Linn. Sfellaria „ Stellarla S. media. Whiter Ceràstium » Cerazia C. vulgatum, Linn. » » » C. campanulatum, Vir. 7> t > » C. viscosum, Linn. Mochriiiyia » M. trinervia, Clair. ORD. NAT. GENERE IX. Lineae (D(i Cand.) X. Cruciferae (Iiiss.) XI. Cystinene (A. Brogn.) XII. Geraiiiaceae (luss.) XIII. fintacene (luss.) XIV. Oxalìdeae (De Cand.) XV. Saxiirageae (Linn.) XVI. Hyperlcineae (De Cand.) XVII. Fapaveraceae (IUS8.) XVIII. Ca|>|iarideae (luss.) XIX. Cistiueae (Dunal) XX. Besediaceae (De Cand). XXI. Terebinthaceae (De Cand.) XXII. Viohiceae (Lind.ì XXIII. Fnmai'iaceae (De Cand.) XXIV. Poligaleae (luss.) XXV. Legniniiioseae (luss.) Unum, Cherianihus Arabia Cardamine y> Sisymbrium Diplotaxis, Iberis, Ijepìdium Capsella, Senébriera, Biscutella, Bunias ' Cystinus Geranium » Erodium Ruta Oxalis Saxifraga » Hypericum Papaver Chelidonium Capparis Hellia n themum, Cistus, Reseda » Fistacia Viola » Fumaria Foligala Loteae,, Spartium Cytisus Linn. Lino Ital. » Leucoio » Cardaniino Sisimbrio » De Cand. » Linn. » Do Cand. Poir Linn. » Iberide Lepidio Borsa di pastore Bunnio » Imbrentina » Geranio Tourn. Linn. De Cand. Ruta Alleluia Sassifraga » Pilatro Papavero » Celidonia Capperi Cistio Reseda » Lentischio » Viola Fummosturno » Poligala Sparzio Citiso SPECIE Ital. L. strictiim, Linn. » catharticum » C. cheiri » A. hirsuta, Brown, C. hirsuta, Linn. C. iiupatiens » S. offlciiialis, Scop. S. policeratium, Linn. S. irlo » » Thalianum, Gand D. tenuifolia, De Cand. » verna, Linn. » muralis > I. pinnata » L. granifolium » C. bursa pastoris. De Cand S. coronopus, Poir B. hispida. De Cand B. erocago. Linn. C. hypocistus » G. molle » » robertianum » » rotundifolium » » dissectum > E. cicutarium, L. Herit. » moscatum, Sm. » romamim, WiUd. » melacoides » R. bracteosa, De Cand 0. Corniculata, Linn. S. granulata » » tridactylites » H. perforatum » P. rhaeas » " dubium » C. mayus » C. spinosa * H. gattatum C. salvifolius, Linn. R. alba » R. phituma » P. Terebinthus » » Lentiscus » V. odorata » V. canina » F. capreolata » » oflicinalis » » parviflora » » monspeliaca » S. jnnceum » C. labumum » OUD. NAT. GENERE SPECIE XXV. Leguminosae (Iiiss.) XXVI. Umbelliferae (luss.) XXVII. Ramneae (luss.) XXVIII. Araliaeae CIuss.) XXIX. Onograriae (luss.) Aìithyllis, Oìiosis s Melilotus, Trifolium Lotus Trigonella Medicago Vìceae. Vida Lathyrus, Hedysareae, Scorpitirus, Coronella Ortithopus Securigera, Sanicula, Eri/ngium Agopodium Bupleurum Oenanthe Foeniculnm, Ferula, Daucus Caucalis Torilis, » Scandix, Cheraphillum Smyrnmm ' Ramnus I Palhirus, Hedera, Circaea EpUobium De Cand. Lìiin. De Cand. Linn. De Cand. Linn. De Cand. Linn. Hoffm. Linn. Adansoii » Linn. » » » Tonni. Linn. Antillide Onomide Meliloto Trifnclio Ital. Mnllaffhcra Ficnogreco Medica Veceie La tiro Scorpioides Coronilla Piede d' uccello Sanicula Eringo Podagraria Bupleuro Enantc Finocchiella Ferula Carota Caucali Cefolio Macerone Ramio Pali uro Edera Circea Epilobio A vulneraria » 0. spinosa » 0 arvensis » M italica Ali. » indica Linn. T. pratensis » » ocroleucum » » stellatum » » scabrum > » arvensis » » repens » 9 nigresicus, Vivian. » hyl)rìdum, Savi » procumbons, Linn. » filiforme » » tonientosum » » rosupinatum » » subterraneum » L. corniculatus 9 » ornithopodiodes » T. corniculata > M lupulina > » orbicularis, Allei. » minima, Linn. > maculata, Sibth. » deuticulata, Willd. » terebellum » • tribuloide, Lam. V. onobrychoides, Linn. » cracca > Tt gracilis, Lois » uniflora, » sativa, Linn. » anguistifolia, Sibth. » lutea, Linn. » hybrida » L. aphaca » » sativa » » pratensis » » sylvestris » s. subvillosa » e. varia 0. scorpioides » s. coronilla. De Cand s. J^uropaea, Linn. E. campestris » 0. podagraria » B. aristo tatum. Bartb. » odontites. Linn . > rotundifolia » Oe . peucedani folla Poli. F. vulgare, Gartn. F. eommunis. Linn. D. muricatus » C. daucoides » T. infesta, Spreng. » nodosa. Gartn. S. IVcten-Veneris, Linn. C. Temulentum » s. olosatrum * R. alternatus » P. aculeatus, Touru. H. Helix, Linn. C. Lutetiana ,, E. hirsutum » E. montauum » XXX. Valerianeae (De Cand.) XXXI. Compositae (luss.) XXXII. Dipsaceae (De Cand.) XXXIII. C'ucorbltaceae (luss.) XXXIV Campanulaceae (Inss.) CantranthuH, Valeriaiiella, De Cand. Moerich. \." Coiiymbifereae Tussilago, Krtgeron Senecio Inula > Liiih. » » Tossilaggine Erba calderina Enula » Solidago Pulicaria Bellis 7> » » Verga d' oro Margheritina Bdlium Crhyxanthemum Matricaria Anthemis > » Crisantema Matricaria La Camomilla » Jìidens Achillea Eupatorium Chrysocoma Artemisia » Bidente Achillea Eupatorio Criso-coma Assenzio Filago Calendula 2." Cynarocephaleae Carlina, Cardus Lappa, Centaurea 3.° Cichoraceae Hypochaeris Chondrilla Ficus Taraxacum Cichorìum, Lacttica Smichus Crepis Hieracium Lapsana Zacintha, \ Knautia, j Scabiosa \ Bryonia i Momordica Cavipanula Wahlenberda, Iasione, Prismutocarpus, Toiirn. Limi. Juss. * » Linn. Ital. Tourn. Linn. Schrad. Linn. L'Heritier Filago Calendula Carlina Cardo Lappone Centaurea Dente di leone o soffione Cicoria Lattuga Feracia Lampsana Scabbiosa Brionia Momordica Campanella c. ruber, De Cand. V. Cannata, Loisel T. farfara, Linn. E. canadensis » S. vulgaris > I. odora » » conyza, De Cand. J> sordida » s. virgaurea, Limi. p. dysenterica. Cass. B. perennis. Linn. » sylvestris, Cyrill. B. minutum. Linn. C leucathemuni » M. chaniomile » A. cotula • » mixta V » tinctoria » B. tripartita » A. agaratum » E. cannabium B C. Linosyris » A. vulgaris » » argentea. Willd. F. gallica, Linn. » minima, Fries. » germanica. Linn. C. arvensis > c. corymbosa » e. pycnocephalus. lacq. » leocrographus. Linn. » niarianus » L. mayor, Gart. c. nig'ra, Linn. » cyanus . » calcitrapa » » solstitialis » H radicata » C. jucea » P. hieracioidcs » T. officinalis. Wigg. » dens leonis (FI ora Rem.) » hìrta. De Cand C. intybus. Linn. L muralis. De Cand » saligna. Linn. » scariola » S. oleraceu.s » » "tenerrimus » c biennis ). « pulcher » H murorum » » Nestleri, Vili. » Pilosella, Linn. L communi s i> Z. verrucosa, Gart. K arvensis. Coult S. columbaria, Linn. B dioica, lacq. M . elaterium. Linn. C. rotundifolia » W. erinus, Link. » hederacea, Reich. (Campanula hederacea, Linn.) I. montana, Linn. P. speculum, L'Herit. ORD. NAT. GENERE SPECIE / GaUium, Limi. Gallio ital. G. verura, Linn. » » » > » cruciatum, ' With. » » » » » moUugo, Linn. XXXV. ft » » 9 » parisiense » Stellatae » » » » » anglicum » (Limi.) 1 Vaillantia, > De Cand. » » » aparine V. muralis, » Rubia, Limi. Robbia R. tinctoruin m Sherardia » S. arvensis „ Aspenda » Stellina odorosa A. odorata » XXXVI. Sambucits » Sambuco » S. Ebulus „ Caprifoliaceae Vibnrmini » Tino V. tinus, » (luss.) Lonicera ■> Madreselva » L. caprifolium > Lycopus « Licopo » L. europaeus > » „ » » 9 exaltatus » Salvia » Salvia S. verbanica > » .) r> » » clandestina » Rosmarìnus » Rosmarino » K. officinalis » Calminthia, Moench. Calaminta » C. nepeta, Clar Nepeta Limi. EUera terrestre » N. glechoma. Benth. Mentha r, Menta M. rotundi folla, Linn. Thymus » Pepolino » T. serpyllum » XXXVII. Orlganum » Maggiorana » 0- vulgare » Labiateae < (luss.) Satunieia » Santoreggia » S. graeca, » Sideritìs » S. romana » Teucrium » Camedrio » T. flavum » Prunella > Brunella » P. vulgaris » » » » » » laciniata » Prasium » P. niajus » Lamium » Milzadella » L. vulgatum, » album » maculatum Benth. Stachys » Stachi » S. sylvatica, Linn. Ballota » Marrobia » B. nigra > s » » » B. alba » Veronica » Veronica » V. beccabunga > n » 9 » » chamadrys » » » * » » » ofiBcinalis » » » B >. » arvensis > » » » » » agrestis » » !» » » » polita » » » > » » buxabaumii, Ten. » > » » » hederifolia, Linn. XXXVIII. » » » » » cymbalaria, Bodard. Scrophniarìaceae ^ » » » » » acinifolia, Linn. (luss.) Rhinanthus » Cresta 'di gallo » R. crista galli » Euphrasia » Eufrasia » E. seroserotina, Lani. A » » » » lutea, Linn. Trixago, Link. T. latifolia. Reich. Linaria, luss. Linaiola » L. cymbalarirf, Mill. » » » » » vulgaris » Antirrhinum, Linn. Bocca di leone » A. majus, Linn. yi » » » A. orontium » Scrophularia >> Scrofolaria » S. peregrina * XXXIX. 1 Olea » Olivo 0. europaea » Oleaceae Phillyrea » Ph. media » (Limi.) / Ligustrum » Ligustro » L. vulgare > XL. , Plantago s Petacciuola » P. major » Plantagineae » » » lanceolatum » (luss.) ( » J> » psyllium » XLI. Yerbenaceae Verbena, » Verbena » V. ofiBcinalis » (luss.) XLII. Orobancheae (luss.) ' XLIII. Oróbanche » Orobanche • » » 0. minor, 0. ramosa, Sutt. Linn. Acantaceae Acanthus B Acanto » A. moUis > (luss.) ORD. NAT. GENERE SPECIE Echiuni, Linn. Echio Ital. E. vulg-are Linn. » » y> » » italicuni » Cerinthe » Cerinte 3> C. aspera, Roth. Heliofropivm » Eliotropio » H. europaeum, Linn. XLIV. LUhospermum » L. arvensis » Borragineae ^ » » » purpureo-coeruleum, Linn. (luss.) Symphytum » Consolida » S. tuberosum, Linn. Borrago Borracine » B. officinalis » Myosotis Orecchio di topo * M. arvensis, Hoffm. CynoglosHu-m Cinoglossa » C. pictum, Ail. Anchusa Ancusa » A. italica, Retz. Anagallis » Mordi gallina » A. arvensis, Linn. XLV. 1 » » » » A. coerulea » Primulaceac ^ (Vent.) i Cyclamen 9 Pan porcino » C. hedorifolium. Willd. » » » » C. europaeum, Linn. ( » » » » C. neapolitanum Ten. XLVI. CouTolTulaceae Convolvulus » Il vilucchio » C. arvensis. Linn. (luss.) 1 » » » y> C. sepium » / Hyoscyamus » Giusquiamo » H. albus » XLVII. 1 Verbascum » Tasso-barbasso » V. sinuatum j) Selaneae . » » j) V. blattaria . (luss.) , Solanum » Solatro-nero » S. dulcamara » ' » » » » S. nigrum » » » » » S. villosum, Lam. xr.viii. , Chilora » Ch. perfoliata » Gentianeae Erythraea, Ren. Centaurea Minore E. ccntaurium, Pers. (luss.) ( » » E. lutea. Bertol. XLIX. Ericaceae ArbutuH, Limi Corbezzolo » A. unedo, Linn. (Desv.) ( Amaranthaceae Erica » Scopa » E. arborea » Amaranthus » Amaranto » A. clitum » (luss.) » » » » » retroflexum » LI. Santalaceae Osiris » 0. alba y> (Browon) Euphorbia Euforbia » E. peplus » LII. \ » » » eliamaesyae 9 Eaplioribiaceae ) » » » helioscopia » (luss.) ) > » » exigua » ' Mercurialis Mercorella » M. perennis » V » annua » ' Bumex » Acetosa » R. pulcher » LUI. \ » » » » acetosella » Foligoneae ) Polygonum » Persicaria » P. Persicaria 9 (luss.) ì : » » )> » mite, » aviculare, Sckrank. Linn. • ^ » » » » dumetorum » ' Parietaria » Erba vetriuola » P. officinalis » liTV Urtica » Ortica » U. pillulifera 3> Urticaceae (luss.) » » » » ureus » dioica » » 1 - » » » y> membranacea. Wild. Ulmus » Olmo » U. campestris, Linn. ^ Ficus » Fico selvatico » F. carica » f Chenopodium » C. polysmermum » LV. Chenopodiaceae » ■» » ambrosioides » » » » vulvaria » album (Liud.) 1 : > » » muralis » hybridum » LVI. ^ Atriplex » Bietolone » A. patula » Ambrosiaceae Xanthiumj Link. X. spinosum » (Link.) » » " strumarium » LVII. ■ Phitolaceae Phitolacea, Linn. Pianta Iacea » P. decandra » (Brown.) \ ORD. NAT. GENERE SPECIE LVIII. , Orchis, Linn. 0. pyramidalis, Linn. Orchideac \ » » papilioiiacca > (luss.) / Ophrijs » 0. ariiiifera, Iluds. LIX. Irideue (luss."! \ Or oc ri s » C. miniiiius, Red. 1 Tricotiema, Kcr. T. columna, R. LX.' Amarjilideae Nardssus, Limi. Narciso N. poeticus, Linn. (Browin) Muscaria, Tourn. Il giacinto Ital. M. racemosum, Mill. s » > » M. coniosum » Allium, Limi. Aglio » A. ampeloprasuin , Linn. » » » > » roseuin, » » » » » » vincale, Linn. LXI. " » » » » subiiirsutum » Lilinceae » » ,> » » album (Linn.) OrnUhogalinn » Latte di g*allìna » 0. uinbellatum » » » » » 0. narbonense » A.sphodeius 9 Asfodelo » A. fistolosus » Asparagus .» Sparagio » A. acutifolia » Rhscus > Pugnitopo » R. aculeatus » Smilax » Smilace » S. aspera » LXII. Cuperus » C. longus » Cyperns » » C. fuscus » (Limi.) Carex 1." Phalarideae B C. depauperata » Anthroxantum » A. odoratum » Phalaris » Falarì ital. Ph. aquatica > » » » » Ph. paradoxa » 2.» Phleineae Alopecurus » Alepecuro » A. agrestis » » » » ]> » utriculatus » Phleum, AH. Ph. michelii, Ali. 3.° Agrostideae Agrostis, With. A. vulgaris, With. Piptatherutn, Beau P. miiltitìorum, Beau 4." Aveni7ieae Lagurus, Linn. L. ovatus, Linn. Roeleria, Pers. K. pheoides, Pers. y) » » cristata » Avena Avena 9 A. sterili», Linn. » » » » fatua » » » » » hirsuta > » » » » caryophylia, Wigg. » » » (aviacàryophylla- Fior. Rom.) LXIIL 6." Festiicineae Briza, Uramiueae ' Limi. Briza » B. maxima, Liun. (luss.) !) ;> » > » media » » » » » » » minor ' » Melica » Meliga » M. pyrainidalis, Roem. Poa » Poa » P. bulbosa. Linn. » » » » » trivialis » » » » » » compressa 1» » » ;* B » annua > Eragrostis, Beau E. pilosa, (Poa pilosa, Linn Beau ) Cgnosurus, Linn. C. cri status, » echinatus, Liun. Dactìjlis D. gloiiierata » Droììiiis » B. raceniosus » inoUis » » » arvcnsis » » » aspera, Murr. » » sterilis, Linn. l » » madritensis » » » iiiaximus, Deff'. Festuca r> Festuca » F. rigida. Linn. » » » » » inyurus » » » » » (F. myurus minor, Fior, rom.) s » » » F. pseudo-myurus , Soyer. ORD. NAT. GENERE SPECIE Festuca Linn. Festuca Ital. » romana, Deak. » » » » » ovina, Linn. » » » » ». segetum. Savi. 6." Hordenieae Elymus » E. europaeus, Linn. Hordeum » Orzo H. murinum » » » » n » pratense. Mudo. Gaudinia, Beau Gaudinia G. frugalis. Beau Triticum, Linn. Grano » T. villosum, Marcii. LXIII. Qramineae ' (luss.) » » » » » repens, Linn. Brachypodium, Beau » B. sylvaticum, » distachyon, Beau Boem. » » (Bromus distacliyon Fior, rom.) Aegilops, Linn. Egilope » Ae. ovata, Linn. Lolium » Loglierella » L. perenne » » » » ■> » multiflora » 7." Panicem Tragus, Desfont. T. racemosus, Desf. Setaria, Beau S. vetticellata, Beau » » » viridis » 8.» Clorideae Cynodon, Ridi. C. dactylon, Pera. LXIV. . Polypodium, Linn. Polipodio » P. vulgare. Linn. Filices ' Adiantum » Capelvenere A capillus veneris , _ 1 Asplenium » Asplenio A. trichomanes » LXV. Innccae luncus > Giunco I. Bufonius » LXVI. Aranceae Arum » Gigaro » A. italicum. Mill. — II. ISCRIZIONI E FRAMMENTI EPIGRAFICI. R, RIPUTIAMO far cosa grata ed utile al lettore dedicando quest'appendice alle iscrizioni e frammenti epigrafici rinvenuti nei vari scavi praticati nel- l'Anfiteatro Flavio; e già pubblicate nel C. I. L. VI, dallo HUbner (l), dal Lan- ciani (2), e più recentemente da Cristiano Huelsen (3). Fra i frammenti che siamo per trascrivere ve ne sono parecchi che ri- cordano personaggi illustri appartenenti all'ordine senatorio, ed il nome di cla- rissimi viri, i quali, come è noto, avean diritto di sedere in posti determinati. Ma prima di trascriverli, mi sia lecito fare osservare che queste iscri- zioni si dividono in due gruppi cronologici ; e che il primo di essi appartiene ad un periodo anteriore alla rovina del vetusto podio, e quindi all'iscrizione che ricorda i restauri di Valentiniano. Ignoriamo il tempo preciso in cui ebbe principio l'uso di graffiare i nomi del titolare di ciascun locus e che costi- tuiscono il secondo gruppo ; ma la paleografìa delle iscrizioni più antiche, in- cise sull'orlo dei massi della cornice, al difuori della ringhiera, indica che possan esse appartenere agli inizi del secolo IV. « Il primo gruppo è inciso su massi, i quali recano dall'altra faccia la nota iscrizione di Valentiano. Dominano in quello le sigle indicanti grup^ di più chiarissimi personaggi, il che indica essersi incominciato a segnare non tanto il posto individuale, quanto quello delle famiglie. t Tutte le incisioni di questo gruppo sono incise da tre mani : la prima relativamente buona ; la seconda mediocre ; la terza infelice assai : questa pro- gressione di peggioramento sta in ragione diretta delle distanze delle epigrafi dall'orlo del masso. (1) Ann. [list. 1856. (2) liiM. della Conivi, arch. commi, ili h'oma 1880. (ò)'Inscript. Urb. Honuie Lalinae. Partis quartae f'asciculus postcrior. — Additamknta, collegit et edidit Christianiis, Huelsen, Berolini, apud Georgium Reimerum, pag. 3199 e segg. MCMII. 348 APPENDICE II « Le abrasioni, finalmente, e cancellature sono rarissime nelle epigrafi più vicine all'orlo ; più frequenti nelle altre. Il marmo tuttavia è stato scal- pellato una volta sola, mentre nel gruppo posteriore al terremoto lo scalpello ha lavorato tre o quattro volte » l'I). Le leggende scalpellate, ma pure rico- noscibili sono indicate con un 'punto (.)• Inscriptiones in Amphitheatro Flavio, repertae — a. 1874-75, a. 1879-80, et a. 1895. (C. L L. VI, pars 4, pag. 3199 et segg.). 3^2085 (2) ITrilA | NIS | VC | CV | MVl | OV | S | I * ! V | * 32086 FELICITATE -é D | ACIDI VALENT I VORVM INVICTl | MOR | PRINCIPV i FLA I VSPA I S VIR CLARISSIMVS VRBI PRAEFECTVS | VDICAN | QVAE ANTE NON FV | AD MAIOREM GRATIAM VO | MQ # | | S INSTAVRAVIT AC D I E I ATC I AR I DIMISS | E | ERAi | lAM | M | M CA | ODI | OD | SI | VMETl I IC I ES I 0 I _ AV_ (b) fc) 32087 D NN I | IDI V | ALENTI | m M m fu) (hi fij fkj NIANI PK I liPETVO ! RVM I | NV | ICTIS | ORVM 1 IPVM aj (m) (nj (o) (p) (q) VIVS I VS I VI ARIS I PRAE I CT 1 CE 1 32088 22089 IDVS VALE I NIANVS PERENN IS AVO I TV I T PRINCEPS | CTISSI | RII VINCEN I SIM I S à ANN | MOCO | ES NI I OC I OIN I OM I OP I SI I SI I V I SALV 'JN . THEODOSIO ET pLACIDO A RvF CAECiNA Felix Lampadivs ve HA . . MAM AMPHITeATRI A NOVO VNA CVM PC ICIS SED ET REPARATIS SPECTACvLl GRADIEV» (1) Lanoiani, loc. cit., p. 244-45. (2) Dividiamo i frammenti con una linea ed omettiamo i supplementi che si leggono nello stesso Corpus, perchè, o questi sono facili, come ad es.: pi ACIDI — ed ognuno può farli da sé: o sono di difficile interpretazione ; e allora è meglio che ognuno faccia i sup- plementi che creda. « ISCRIZIONI E FRAMMENTI EPIGRAFICI 349 32090 32(HU - Reperla ami. 1874-75. EONE ET A VpaTrc^co iS DD DO VA VS AGI (b) THEMIO P'P« AVCC . MESSI VS PHOE NAM AMPIilTllEATRI LONGI TEM v^^^ff'V EX 'iÌNCTVM PRO BEATiTVDIN 32092 — Heperta a. 1880. re; EONE ET A JRDIN (d) MESSIVS PH «TiTv'J^AM 32(H)3 — Koperta a. 1874-1875- SALV( TASIV VM 32094 a) VENANTI ve (ab altera parte) ve ET à (a. 508) COS DEeiVS MARIVS VE NANTIVS BASILIVS ve ET inL praeFectvs VRBI PATRIO IVS CONS ORDINARIVS ARENAM et podivm qvae aromi nandi terrae motvs rvina prostra VIT SVMPTV proprio RESTITviT b) DECIVS MARIVS VENANTIVS (.szc) BASILIVS V e ET INL PRAEF VRB PATRieiVS CONSVL ORDINARIVS ARENAM ET PODIVM qVAE ABoMI NANDI TERRAE Mo TVS RVINA PROS TRAViT SVMPTV PRO PRIO rEstitvit 350 APPENDICE II C) decius MARIUS VENAN TIVS BASILIVS ve ET INL PRAE FECTVS VRTB PATRICIVS CONSVL ORDINARIVS ARE NAM ET PODIVM QVAE ABONTINANDI TER RAE MOTVS RVIN PROS TRAVIT 8VMPTV PROPRIO RESTITVIT aQmtf). — Effossa ann. 1874-75 et ann. 1874-80. HITHEA.TKI QVAM FÉ | PCD Vr I SPECTANTIBV | VPTV I NTEMl I ONNVM | | )DVC | ETI I FID I SEP I TFE | TIB | * VTE | EN I H I B I V I Af I VR I DA I DV I FI # IN I 1 IS I NI I N( i RA I SP I VR A I E I E P^ I L I L I M I M I * N 1 V | 32096 Script, post. (") I * P P * (1) I * PvP * I ii'J G G GGl sub G priore R (?) M SPONE 0 I (1) Una buona metà dello spessore del marmo è consunto jierchè i nomi incisi sul piano orizzontale della cornice furono poi cancellati. La cornice che in origine presentava questo profilo : ora è scalpellato in questo modo : Nel trascrivere a suo luogo le leggende, divideremo per mezzo di due linee orizzontali quelle che si trovano presso l'orlo « della cornice, da quelle poste dentro la cassa delle can- cellature 6, che sono meno antiche. Le leggende cancellate e quindi più antiche e appena riconoscibili, le contradistingueremo mettendo sotto le lettere stesse un puntino, cosi per es.: P. 1 ISCRIZIONI E FRAMMENTI EPIGRAFICI 351 Script, post. ('" EVIROM 1 GNIB' M P H 1 T H EAT SIMON NONO P / 0 OD VE TI O O C E 0 H A {vel M) I |{ NTTO VBL REPA I STEP I I )N I N I A 1 RV I D I AN I T I R I PV I T I S I N I NO I AN |T ! (|)I I (a) (I,) (cj (d) (e) (f) (g) (h) (i) fkj (l) mmi ARE I TiTaI TaTisì\Ti | Ai | vsp | m| ns | 'M(Ì) |/I) I dv| (m) fnj (o) fpj Olì (r) (s) (t) (w MOC I C I SV I N I VV I l'^TlI \E I JLl I E I 32098 — In parte anteriore graduum marmoreorum in quibiis spectatores sedebant. URIA I 3"2()99 a) IB . IN THEATR . LEGE . PL. VE | ICET . P . XII h) EQVITIÒMs e) praETEXT'ft^ts VIIIS d) i)VEROrMOT e) /iosPITIBms f) CLIENT 4 g) XiVTIIT i h) Y un s i) VRIA k) R l) GADITANORVM mj GADITAN n) A o) D jp) ABINSTEI F . A q) VT Q . AEGLANI PRO | RI 32100 CV /// AL DL /// II illl RVM •••■ ERI IICV 352 32101 32102 32103 32104 32105 APPENDICE li ANICI ' e L 0 LVPI VINDI = CI • ANTIPATRTCV AN TON I (In postica saxi) ÀÀ6Ò /// ATTI //// TIS * ET ò //// ANI ATTISABI I 32100 32107 32108 BARBARI . PRO BIANI . C . V ET BASSI . C . V V (stella) NIO CLODIO I V . C 32109 DOROB lORVM DOROBIO R VM 32110 32111 32112 MAECILI HI SII MAXIMI PLANESI . C . V //// 0 /////// ///// e . V CI ^C VV I ENOFILI CV 32113 (a tergo saxi) VINTI] 32114 OPP IRFC CV SEVERI ET GALLf PALLADIORVM CCV NCVSI 0 ISCRIZIONI E FKAMMENTF Kl'KiWAFICI 3^2115 :m H) :>2ii7 32118 32119 3212(r 32121 32122 32123 32124 32125 32126 32127 32128 BRACINVB / / TI R \- F I OMVLLI VMRVFIN l'OBLI COLE SA BINI A VRRIJANI // /////////////// N CI TERTVLLI (In lititra omnia) 0 LOCA V L L TlBE RIA NI C \\I V IPV M OCATII /// / // S GRATIA TVR RANl LOCA Vl\ VAL' MAXIIvri C . V //// •••• S CV VENVSTI CI ORVM ecce PAITII /// /// V C AS T AVDEN TI CV O C NNTANI ve ve V . V : H ■£i. 354 321 i29 32130 APPENDICE II itJriorvm MCCVV Vili 32131 VM ce UU IHRA ir un 32132 VV GCV EoTVEICIMLC 32133 IVV 321:34 32135 V C . V / 1 // I G V 32136 32137 32138 SSI vp NI |u ICP AE 32139 32140 V C A M ^ A ce VV SPAOPI/ CA I ri I 32141 32142 R VM P N I ISCRIZIONI E FKAMMENTI EPIGRAFICI 355 .3"214.3 32144 01 A I V I VD V C C 'J 32145 3214() 32147 32148 32149 32150 D ORVM 1 ORVM /// EL V MI MI ET O NIC () ve CO /// 32151 32152 32153 32154 a) AVDI 6; //// VV //// e) \ AVI d) S e) . . . T . . ILI AEM AEMI CILI ^^\ (1) ve AEMILI BAR BARI IIIXXX (1) Cf. j). 350, nota. 356 32155 3215G APPENDICE II 32157 32158 32159 i A G I G 0 E L R / ve ET INL . EX PV |VDQ . PAT A POL ODO.RI . ve ET SPEC ^ Il II GsERI /SII/// IS VGPRAEF " NICII //// ve AGRI SERENI VC ID VREI ve ce VV Ex eÒM D . ATQ . PATR IO ANASTASIVS ve . ET . inL . Exe . dom . pTt // NN ///// //// ANN |>JieiI AeiLII AGINAT / / / INI. / / / / 32160 32161 ANieil FAVSTIVS INI EX PV ADQ . PATRICI // APOLLODORI 32162 PETR ONIRVM ,YT. Q AVR « SYMM'ACHIVC EROR V ISCRIZIONI E KKAMMENTI EPIGRAFICI 357 Ml&ò VETII AG R ORI Bl \SILIVSANASi II') fcj (d) SIVS SP {e) 32164 ////// :52165 32166 32167 fi llllll M GAEG INA DEGIV EX GONS oRD faj (bJ (e) INA . DEC ALBINA vKI' EXTA AEDE 1 1 1 11 GIN ' ' G GII 1 VI GILA /// (aj (bj S t 1 V N é [III IRYSARI o 32168 32160 32170 L . EX E PATRI GLO INVS ^X THEODO BIVS VG ET INL COM LIS II VNl ve GLO ■ llllll ini n DI ABLABI BE NAGl 3D ' IVL ' r SPf JIORIS ET (<0 (bJ 358 32171 APPENDICE ir liO jNI ) . CI NEGIORFITI //// V / 32172 32173 DIOGE GADI .V.C. LAM SI FILI RVFl TO VRBTSRO RVFI MAE ELICIS adqvEe PATRICl 32174 FALTO 32175 Nvs Fav RICx SEX PR 32176 /// C Alili i V FL i AVITL à MARI NI ANI i VC 32177 FLAVlI FELI ANICII 32178 LOREN 32179 (antiquius I, N, I, T) ESCAMN § FVRI IC ISCRIZIONI E FKAMMENTI EPIGRAFICI 359 :mso 32181 32182 32183 32184 32185 32186 N i C s E T I N L V JIuJIuT'. RMOGENIA / EX //// ALICI à ^ fcj L t VLIIB ASSI ve ETJNL EX P VAD Q. PATRICI AEF é V //ET i CONS TOIR^D NIVC IN L /// rbj rdj rej faj PADIV ERI Hill ANYSI MAI DEN \ TI CELLI MAX 0 R V IVLIAN (a.) fbj re) (A) N RCIVS CAELIA RIS CONSISTO (1) ET SP / / C / / / RINI CRHYS AORI VC E / / / i MARI PRjCVLI \ E MIL I ANI //// /// I A //// /// inni ni in e ET (1) Sotto le lettere I S v' è V, e sotto C 0 si vede S. PR nnic PR ///// 360 APl'ENDICR II 33187 MIAK Mh 0 WIII I \.A 1 1 1 YTI^(^EjTjI vV ///// / r 0 MEMMI AIMILII PR0I3L VI EX X P V PHOIND II ;ii2188 32189 MESSII PHOEB RAEF VRBI PATRIC II CONSVLISO (a) (hj fcj (d) (e) lol MKSS PHOES SEVERI V INL GII CONSVL ORD FLAVIANI ■/ / / / / SP ^2100 / PALLADI 32191 SE ^ / PETRONI 32192 ///S L^gii^y^ TOR Antiquius : v f vs 32193 //// //// POMPONI PESTI ET ///////// ISCKIZIONI K FRAMMENTI EPIGRAFICI 361 :}2194 LIV^ HHOHVS V'IR CLARISS KX /////// 32195 ROBIFAVS 3"2196 32197 32198 T T 1 C È RV n DV RVF IS RVFI AGI 32199 TINL//// PATRICIl OCTxWI /// -f + RVFf ACHIL EX QVAES POSTVMI V BASSI /// TI /// 32200 //// INL K RVF É ACHILl MA^Gl PLACIDI VC 32201 32202 ODINI APRUNl ////// VVGC VF à AGGERIVS i FESTVS * VC 4 ET fa) (bl (e) RVFI SYNESII HADRIANI VC EX PRAEFEG DINARII VISI e RVFII POSTVMII FÉ VC ET INL RVFII VALERI . MESSALA ' ET INL Vs RVFI SYNESI HAD NI V g g DINARI! TO VRB 362 APPENDICE II RVFIVS TVRCIVS 4PR0NIANVS VC ET 32204 R V F 1 1 V 32205 ' S / SSI PRO TTI SEPTIMI 2^ scritt. : VS | VER Fra le lett. S V v' è la M più antica. 32206 // IV * C / /// IN II Vi ERINI i VC ORD 32207 / / / AL SEV FESTI VIT Ex priore agnoscitur s e UNIOR 32208 PRIME SCOLAE RTVLLI //// VC Ex priore agnoscitur LINI 32209 TITONEM HADITA SECVND V PREF E_ IVSTI VS g TI VIR * INL * E In latere augusto la ISCKIZIONI E FRAMMENTI EriGKAFICI 363 32210 fa) S TRI VALERI VS /S M/ 32211 CINA VALONIO FIRMINO VC / C /// à 32212 NANTIVS SRVERI VS FA VST S DÓ~MESTI i EX ■ PVP ^ T 10 VENANTIVS FAV VC EX PREFECTO VRB 32213 32214 * //// VICTORIVS N ET INL ex COM"REI (a) ILIVM VIRO IRl CLA NIO SIMI (e) fd) RVM oVMAL ì 0 L . V OLVSIA NI VV 32215 CONS ORDÌ VSVL . ORDIN . PA QV E PATRIO 32216 SEVVANT // MAO OFF x////// ET INL EX CONS ATQVE PATRlClVS 364 APPENDICE II 32217 SE'^^P 'RRETl E C T o V R B r Ex priore scriptura liti, ta (vel v) ut. 32218 ////// ET INL à EXP PATRIO 32219 EX PRAEF Rie ET EX CO 32220 RB r> Secunda potesf esse p vel R. 32221 faj ET^-MA VTRIVSQ MILIT INI ve à ET VI REGI 32223 faJ EBASIE LONIS ve ET INL COM R P (Latere angusto ZIRI GOSS ////// LOCA ex m ET M 32224 //// 32225 SVILEXGOM DOM PATR^ MAR 'VS EC I EX COM ISCRIZIONI E FRAMMENTI EPIGRAFICI 365 ■M'i'ìQ EV VIlUiI INL V CVS /////// 32^^7 (a) lORI S N.IVt ve EX / 32228 \ / V ve LA PV //// 32229 CE V VV^CC //// ET SPC 32230 32231 32232 32233 32234 /CET III ve Bellua nescio quae faj (bj DQ . PA TRI C E RUM se c^iTi Ex priore script agnoscitur litt. at. 366 APPENDICE II 32235 RCISLA HIE T 32237 32244 RVM 32230 Bl TANN MDVC 32238 ' MD VS T> 32239 Vr I // / G /// 32240 L 32241 LA //// //// 32242 P D 32243 RVM X T * J_ VL 3224Ó ISCRIZIONI E FRAMMENTI EPIGRAFICI 367 NikVII (Tertia intera utrum sii R an N incertuni). TPO» n^i'MG N ////// V KVM 32247 Fragraenta reperta a. 1895. faj M . DOME DVASIi IVC * fdj fé) ffì IVS DE BF(1) 32248 32249 fa) V 1 INL E N fc) OCP VR SP (Fragmentum (a) simile est A'alde script, titol. n. 32184. fa) N VI (bj fc) g ve I E fé) MI fd) ve ET INL IN fa) L EX (b) DR TI PATRIC 32251 fc) fd) • R TI (g) S SORDEN ITERVM ff) F IM D S SEM PER fh) RIIC fej SE / EEEC 32252 Fragmenta quae ad grad. sedilium non pertinent. Huelsen non i'e|)peri fa)_ vs ve NL # (b) yiNT faJ MMI IL iJi CO ET - I VXT (C) NFI. fh) RA ve fé) IlOf fi) ff) MACHIVS NDUM LITTE COSTAT EAM III 1 1 1 1 II fk) CI (1) Fragmentum f Huelsen non reperiìt. Cf. Notizie degli scavi, Gatti, 1895, p. 204. 368 APPENDICE II 32253 (1) (aj (hj vs let inl D 32254 ESA //// *^ST / / V / / / M VRA 32255 NAi NER IBV 32256 FABRICI 32257 QVINTVS ■ E 32258 QVINTVS 32259 AVR 32260 VINDICOMVS o o ^ ^ 0 < 3 E • < o C3 LIMENI ^ NIKA < ce VNIOR QVINTVS ICIT In superf. c/radiium. 32261 rnJ fbj (e) (dj (e] (f) SINVLA MONO TERC ilTAVCVS uLI V I MORO RVS (Figura retiarii) (Protome gladiatoria) ANI^H (1) Frammenti di base. ISCKIZIONI E FRAMMENTI EPIGKAKICI 369 L ///// Il Vili LXXVI VLPl . DIM . /// Intra coronmn I I I I I I I I I DV LC EX OFLFOR palma ^J[~\ i/fn _ ||) /// fJ ( di Brussels 324. :574 INDICE ANALITICO DELLK PERSONE Codice di Einsiedelii 304. » Marciano, latino, 3'21. Teodosiano 26, 50, 118. 119, 128. Torinese 205, 206, 207, 20^. Cohen 38, 39, 113, 127, 128. Colonne (pezzi di marmo frigio) 14. Collegi ufficiali 70. » semi ufficiali 70. » sacerdotali 82. » dei Sodali Fluviali 83. Collegio Silvano Aureliano formato da Coni- modo IH. Collegio degli arenari, ivi. Collettori (gara dei) delie lapidi cristiane 2iJ7. Colonnesi (donne) assistono alla giostra dei tori (nel 1332) 157. Colonnesi presero possesso del mausoleo d'Augusto e delle terme di Costantino 14'J. Colonna (Della) Agapito (giostratore) 160. (Della) Aldeiano 160. (Della) Cola IGO). Colosseo restituito alla S. Sede IS-l. » posto sotto la giurisdizione del Se- nato e del Popolo Romano 155. Colosseo (cade una parte del) 164. nido di ladri 166, 217, 218. » in rovina 171. Colosseo (origine di questa voce) 135 e segg. » abbandonato (ivi) 146. » fortezzo feudale 146. » nelle mani dei Frangipani 149. » (])rogetto di adibire il) a cimitero provvisorio '. 2"^. Colosseo illuminato a fuoco di bengala 2-'8. Colosso di Nerone 136, 137, 138. Colossus ooronatus 137, 208. Comitato i'omano contro il vandalismo ."il. Commodiana (casa) 109. Commodo 22 ; gladiatore 108: sue stranezze 108, 111 - capo dei secutores HO. Coraolli 286, 289. Compilatori del Corpux Inserì pt. 201. Composito (ordine archit. inv. dai romani) 3.'!. Contelori 318. Conti Cecco (giostratore) 159. Controversie snll'Anf. Flavio 245. Cornelio Nipote 320. Coi-pm inscript lai. 12, 33, 35, 40, 43, 45, 57, 73, 77, 81, 83, 84. 85, 86, 12.1. 130. 131. 132, 312, 323. Correrà 243. Corsetti (prof. P. Rafiaele) 209. Corsi (De') Evangelista (giostratore) 160. Corsini 318. Corvisieri, sua strana opinione circa la voce Colosseo, 141, 331. Cosa o coscia Colisaei, che cosa fosse 165. 175. Costantino I vieta i ludi 26, 118; proibisce l'uso di marcare in fronte (ivi): sua let- tera intorno alla consulta degli aruspici 128. Costantino III depreda i bronzi 51, 136. Costanzo ordina di non adescare i soldati col denaro 119; proibisce di ascriversi ai col- legi glad. (ivi). Costruzione degli Ipogei (a qual epoca ri- monti) 233. Costumi romani 3. Cresci mbene 288. Crisooolla .54. Crisso 21. Cristiani calunniati dai giudei 267 : damixiti ad bestias 269. Criteri per distinguere le lapidi vere dalle false 293. Croce eretta sull'Anfiteatro 216. Crocuta, che bestia sia. 107. Cronografo 45, 201. Cronologi 32. Cuiacio 317. Ctesifonte 220. Cuneus 11. Curione 7, 8. Ciiriosurn Urbis 87, 88. I) Daru (Barone) 231. Dazio 16. Deakin (Richard) 336. Decio restaura l'Anf. Flavio 128. Decio Mario Venanzio Basilio restaura l' An- fiteatro 131 ; epigrafi che ricordano il re- stauro 131, 132. Decreti (libro dei) 209. De-Crosat 44. Dedicaz. dell'Ani". Flavio 32. Degli Ahati (Ing. Francesco) e la sua pianta altimetrìca 326, 327. Delehaye (P.) 101, 190, 283. Deletum (ad caloem), qual sia il vero signi- ficato di questa frase 171. Delinquenti puniti col farli discendere nel- l'arena 19. Demagoghi della Rivoluzione Romana (1848) nel Colosseo 226. Demetriano 320. Demetrio 320. Demstero 3. Dennis 9. De Petri 312. De Rossi 83, 118, 120, 12J, 132, 196, 196. 197. 198, 279. 287, 288, 290, 293, 295, 296, 300. 3 '6, 309, 311. 314, 324. E I)E1,LE COSK l'KINCH'ALI (.ONTKNUTE NEL VOLUME ;{7; Do Eossi (moiis. Ferdinando M. Vicegerente) benedice i quadri della V. Crucis 222. De liuggeri, Diz. Epig., U. De Sade 163. Desgodetz 62. Designatores 11. Desinenza (la) in entiti.s non fa ostacolo al- l'antichità del nome Gaudeiitiux 314. Detriano 320. Dimensione dell' Anf. FI. 41. Diocleziano 117. Diodoro (citarista) 299, 321. Dione 4. 7, 8, 12, 14, 18, 25, 31, 3G, 61, 62, 69. 70, 76, 77. Dione descrive le feste inaugurali 36. Dione descrive gli spettacoli dati da Com- modo 110 e segg.: 84, 105, 106, 109, 111, 112, 113, 126, 127, 197, 201, 24-5, 266, 281, 316. Dionisio d'Alicarnasso 4, 67. Di Prospero 32. Diribitorio 201. Disertori esposti alle belve 6. Divisione dei posti {discriiidna oidimim) 73. Domiziano termina l'Anf. FI. 33; editto di Domiziano 80 ; dà giuochi sontuosi 103 ; assiste agli spettacoli di notte (ivi) ; con- versa seriamente con un fanciullo (ivi) ; forse con Q. Sulpicio Massimo 104 : fa uc- cidere un fautore dei Traci 104 : uomo mal. vagio (ivi); bravo arciere (ivi); in Albano (ivi) ; 272. Domus Aurea 143. Domus Alexandri 196, 198. Donato Grammatico 3. Donalson 39, Ho. Donne ove sedessero negli spettacoli 71. Donneilo 317. Druso (pretura di) 281. Duchesne (mons. Luigi) 136, 163, 329. Dumaine (P. Stefano) 227. Durand 274. Durando (General) nel Colosseo 227. Ebrei condotti a Roma da Tito 32. Eccardo 52. Eckel 39. Editor 13, 17. Editici antichi trascurati 147. Edili 13, 20. Edmodono 320. Egioca di Calpurnio 116. Egiziani 115. Elefanti 5 ; nel circo 6 ; come si spaventas- sero 17 ; funamboli 18 ; s'inginocchiano da- vanti a Domiziano 106. Elettro 54. Elevatori meccanici 56. Eliogabalo restaura l'Anf. FI. 113, 127. Emilio Paolo 6. Encicl. Pascendi, Pref. Enomao 21. Enrico VII 151. Epitteto 271. Epitome libri de locix 329. Epulones (VII viri) ove sode.ssero neir.Vn- fiteatro 70. Erchemperto, monaco, 140. Equites 79. Erasmo 68. Erma 272. Ermete, terribile gladiatore 23. Ermine 272. Erodiano 77. 109. 197. 233. Erodione 272. Errori ortografici nella lapide di Gauden- zio 310. Esame delle armi r^5. Esquilino ^varie località dell') 327. Eugenio IV (Bulla Uaionis Kadesinium Ha. Quadraginta etc.) 193. Eschinardi 48. Esposizione delle fiere 17. Etruschi 19. Entarico Cillica 121. Essedarl 24. Eudemoni 115. Eugenio IV vieta con un breve l'asporta- zione dei trav. dal Colos. ecc. 171; testo della bolla 174, 175, 203. Eumelio 118. Eusebio 32. Eustachio (S. e famiglia) 283. Eutropio 32. Fabbretti 112, 307, 311. Falliti (ove sedessero) 11. Falsari di Lapidi 298. Fanciulli incaricati di remuovere l'arena 19. Faustina madre di Commodo 108: moglie di Ant. Pio 125. Fea (C) 49, 75, 129, 131, 132, 233, oppugna il progetto della ricerca dell'antica cloaca 240, 2S6, 287. Federico II. perseguita la Chiesa 153. Felicita (S.) e figli (oratorio di) 196 e segg.: loro sepolcri (ivi). Felicitas Cultrix Romannrum ^matronarum) 197. Feminae clarissimae 73. 376 INDICE ANALITICO DELLE PERSONE Ferrari (General) uel Colosseo 227. Fasto 77. Fetiales 70, Ficoroni 48, 54, 276, 297. Fiere (trasporto di) 16: diJKcoltà d'imbar- carle 16 ; trasportate in carri pubblici e privati 18. Figlio dell'Etna — ladro ecc. 17. Filippo (spettacoli dati da) 114. Filologo 272. Filone 320. Flavio M. Teod. (nel consolato di) si celeb. le venationes 121. Flavio Biondo 4'J. Flegonte 272. Fletwood 287. Flora dell'Anf. Fi. 335. Fon 310. Fontana (Domenico) riceve l' incarico di ri- durre l'A. FI. ad abitazione e lanificio 209 ; descrive i lavori iniziati 210. Fontana (Carlo) progetta l'erezione di un tempietto nel Col. 216. 218, 33". Forcellini 322. Forma dell'Anf. Flavio. 41. Forma Urbis 278. Foro 7. Foro d'Alessandria 320. Foro di Marte 196. Foro Traiano 320. Fortezza feudale (il Colosseo convertilo in) 147. Foscari (Card. Pietro) 204. Franchi IIB. Franchi dei Cavalieri e il testamento di Me- lazio 201. Frangipane 49 ; prende possesso del Colosseo e del Settizonio di Severo 149; (case dei) presso il Colosseo 150, 1.55; capitani 162; in lotta cogli Annibaldi 152; fanno delle costruzioni nei portici dell'Anf. FI. 154 ; in contesa cogli Annibaldi 164; non fecero lavori nell'ipogeo dell'Anf. 240. Fraticidì (condannati ad hestias) 271. Frich 82 33. Frisigense (Ott.) 162. Fulmine (un) incendia l'Anf. FI. 113, 12(;. Fumi 1.57. Fuscina 23. Fusco (giostratore) 161. G Gabbie delle belve 56. Gaetani 150. Gara di riunire memorie sacre 289. Garucci 195, 197, 302, 305, 308, 314. Gatti (Giuseppe) 144, 190, 198. 207, 244. Gaudenzio (lapide di Gaudenzio) 98 ; studio critico 285 e segg. Gaudenzio (S.) martire in Africa 323. » di Novara 323. » di Rimini 323. » di Arezzo 328. Gavazzi (P.) nel Colosseo 227. Gellio 17. Germani 115. Geronimo (S.) 25, 50, 128. Gerusalemme (dipinto che rappresenta) nel Colosseo 218. Giampaoli 287. Giostra di tori nell'Anf. FI. (anno 1332) pag. 157 e segg. Giovanni Crisostomo (S.) 270. Giovanna (favolosa Papessa) 205. Giovanni VII (casa di) 194. Giovanni Vili (episcopio di) ITO. Giovanni Saresberiense 3. Giovanni da Udine 44. Giulia 272. Giunia 271. Giuochi Anf. 15 : gladiatori e venatori .5. » dati dagli Imp. 13 ; cessano del tutto 122. Giuseppe Flavio 25. 32, 74, 78. Gladiatori emeriti 15. » volontari 20. » (salario dei) 21. » (nome dei) scritti su tavolette 21. Gladiat. vinti deponevano le armi 22; (premi dei) vincitori 22 : damnati ad gladium 22 : ad ludum ; ib.; coiisacravano le loro armi a Ercole 22. Gladiat. Andabatae 25. » catervarii ib. (nota). » caesariani, ib. > cubicularii, ib. dimachaeri, ib. » fiscales, ib. » laqueari!, ib. » meridiani, ib. ■> pegmares, ib. » Postulatici i, ib. . supposititii. ib. ■> (Monumenti dei) 26. Gnoli 279. Gordiano III (spett. dati da) 113. Gori Fabio 36. 39, 48, 52, 83, 101, 106, 110. 118, 120, 123, 152, 154, 163. 171, 190, 287, 30(i. Goti 11.5, 121. Gradatio 10. Gradini esterni dell'Ani. 41. E DELLE COSE PRINCIPALI CONTENUTE NEL VOLUME 377 Graffiti 11). » sui gradini 7ó ; uell'oratorio di S. Fe- licita 107; in un altro Oratorio lU'J. Graffito rinvenuto nel Colosseo negli scavi del 1874, pag. 239; altri graffiti 242. Gregorio IX VVà. Gregorio XIII condanna a morte Ceccarelli falsificatore di documenti 157. Gregorio XVI 165: fa costruire sette arcate e restaura il terzo portico 224. Gregorovius 157. Grimaldi 301, 304, 830. Grimano (card. Domenico^ 204. Grisar (P.) 45, 46, 120, 121. 133, 148, 190. 273. 282, 283, 288, 299. Gronow 288. Gruter 311. Guarini 8. Guattani 9, 13. 32, 37, 41, 44, 96, 191, 222. Guazzesi 9, 45. Guerre Puniche 3. » Macedoniche 3. Guiscardo (Koberto) 163. H Heiurichio 310. Henzen 21, 23. 24, 25, 33, 74, 104, 106. Hipogaea 9, 55. Hochart. (P.) 272. Home (Leon) 88. Hoplomachi 23. Huelsen 60, 88, 130, 131, 201, 279, 330. Hubuer 33, 40. 65, 75, 78, 81, 82, 85. lansoni 318. Iberi 115. Ignazio (S.) martire 271, 283. Incavature nella fronte dei piloni fra le mensole dell'arena 239. Incendio nell'Anf. FI. 126, 128. Ingressi dell'Anf. FI. 9, 54. Innocenzo II 150, 161. Innocenzo III 152. Innocenzo IV 153. Intagli (l'Anf. è privo d') 43. Ipogei dell'arena 55, 231; costruzione 233 (varie opinioni sull'epoca della), ivi. Iscrizioni messe nell'esterno dell'Anf. (a. 1675) 221. Iscrizioni a musaico nella Confessione Va- ticana 300. 304. Isidoro 22, 23, 21, 25, 312. Itinera 9, 68. Itinerario d'Kinsiedeln 130. .Jacquier (P.) 40. •Jordan 80, 85, 136, 2'85, 325. Kaibel 114. Kirchmann 50. Kraus 283. Kaufmann 294. Lal)anio Antiocheno 119. Laberinto di Lesurnio 320. Laerzio 23. Lam 287. Lampadio (restauri di) 121. Lampridio 24, 54, 91 109, 127. 282. Lanciani E. 35, 40, 60, 04, 67, 82, 101, 107, 113, 118 119, 125, 126, 128, 131, 144, 145, 157, 164, 165, 173. 175, 194. 199, 201. 205. 232, 235, 248, 251, 274. 276, 278. Lanistae 21. Laocoonte 143. Lapidi pompeiane 14; con apici 301. Lapide modenese 111. » dedicatoria 280. » di Furfone 302 ; con apici sugli I come quella di Gaudenzio 303. Lapide veli terna 57. Lattanzio Firmano 118. 269. Laureolo 19. Legati 14. Legato Pont, (vescovo d'Orvieto) scrive a Urbano V 164. Legge rosela 11, 79, 80. Leggi riguardanti i delitti e la pena di pu- gnare colle fiere 265. Legione partica ad Albano 228. Lentulo 5, 21. Leonardo (S.) da Porto Maurizio 222. Leone XII p. 176; fa edificare un contraf- forte nel Colos. 224. Leoni 18. Libro Pont. (Ed. Duchesne) 135, 136, 329, 230. Ligorio (Pirro) 100. 131, 288; criticato dal Marini 292. Lipsie 10, 13, 25, 31, 32, 53. Locus 11. Lodovico della Polenta di Ravenna (giostra- tore) 169. Lonigo 205. Ltìbker 320. Lucilla sorella di Commodo trama la con- giura contro il fratello 109. 878 INDICE ANALITICO DELLE PEHHONE Lucilio 59. Lucio Fauno 49, 277. Lucrezio 89. Ludi (collegi) loro vastità 21 ; principali di lioma 21. Ludi Castrensi 279. Lugari (G. B. Card.) 143, 274, 275, 305, 321. » (Cav. Bernardo) 321. Lupi, suo giudizio intorno alle lapidi 294. 29(5. 310. Lupi al campo Teutonico 149. M Mabillon 207, 210, 287, 288. Macchine 9, 103. Macrino 126. Maestri di glad. 20. Maffei 10, 31, 37, 38. 39, 43, 46, 51, 58, 112, 113, 132; sua opinione circa la voce «Co- losseo » 138 ; 281, 282, 292, 307, 312. Magnan 287. Magnificenza degli spett. G. Mai (Card.) 195, 289. 292. Mamachi 287. Manica (bracciale) 24. Mansuetarii 15, 16. Manzi 157. Marangoni 36, 97, i)8, 99, 126, 132, ir'4, 167, IGS 191, 287, 289, .311. Marco Aurelio dà spettacoli 108, 197. Marco P. Nobiliore 5. Marchi (P. G.) .311. Mareri (De) Pranciolto (giostratore) 161. Maria 271. Marini 24, 33, 82, 100, 132, 287, 289; sue schede 292, 312. Marliani 277. Marmorata (marmi grezzi di) 309. Marquardt 78. Marsilio Onorato 99. Martignoni 276. Martino (S.) 283. Martinelli 49, 192. Martiri (l'Ani'. PI. e i) 265 e segg. Martirologio d'Usuardo 324. » Geronimiano 329. Martigny 283, 288. Marucchi (O.) 98, 101. 195. 288. 293, 3-.9. Marziale descrive gli spettacoli dati sotto Domiziano nell'Anf. Flavio 11, 12, 15, 16, 18, 19. 23, 32, 36, 36, 54, 60, 70, 80, 81. 86, 97, 103, 104, 105, 106, 138, 143, 245, 315, 320. Masciano 50. Masdeu 234. Massimo 156. Mazzolar! 287. Mazzucchelli 286. Medaglie 37 e segg.; di Sev. Alessandro 113, 127; di Faustina 125 ; di Gord. Pio 128, 262. Medious 21. Meeting, nel Colosseo (1870) 229. Meier 242, Mellini (Benedetto) 190. 11J2, 194. Memorie enciclopediche romane 69. Menazzi (Attilio) 98. 286. Meniani dell'Anf. PI. 33. Mercurio (te.sta di) nel museo Chiaramonti (Vaticano) 258. Messius 130. Mèta Sud. 37, 208. Migiie 324. Milizia 71. Mimo 54. Mirabilia (libro delle) 145. Myrmillones 23. Minuzio 13. Miseria del popolo romano :!. Mifsio 22. Mnesicle 320. Modena 21. Modesto e Vito (Ss.) 283. Modiglioni 47. Mommsen 33, 79, 301, 302. 304. Monache (monastero di) nel Colosseo, parere degli scrittori 193. Monaldeschi (giudizio sulla sua Historid^ 1.57. Monte Settimio 324; era sull'Oppio e non nel Ci spio 326. Monumenti deturpati 49, 50 (noncuranza dei) 51. Monumenti dell'Ist. di Corrisp. Ai-cheol. 16. Mora (giuoco della) 3. Morcelli 13, 195, 308, 312. Moroni 1(57, 213. Morti nelle giostre dei tori la. 13o2i pae. 161. Motivi per cui si falsificavano le lapidi 291. Munerarius 13. 20. Miiller 67, 325. MiJntz 279. Munus 20. Munus castrense 279, 280. Muratori 17, 24, 25, 52, 97, 114, 117, 129. 152, 157, 206, 312. Musaici del Museo Gregoriano 16; della Villa Borg. (Umberto 1) 26; Albani: ib., Pani- pliili, ib. Museo epigrafico Pio Lateranense 297. Museo di Catania 297. » di Ravenna (arcivescovile) 297. E 1)KIJ,K (d.sE l'KINCll'Al.r CONTENUTE NEI- VOLUME 379 Museo di Veronii 302. Mussato (A.^ 5-2, 154, l(i«. " Muzio 320. N Xardini 277, 278, 280, 325, 331. Narcisso 272. Nasica 5. Naumachia 9, 36; nell'Anf. FI. si celebra- rono 245; gli scavi l'han confermato 248. Nereo 272. Nerone proscrive il cristianesimo 2G(i, 272; fa incendiare Eoma (iviV 268. Xibby 19, 31. 37, 38, 39, 44, 45, 47; sua opi- nione circa la voce. Colosseo 140; 49, 63, 97, 98, 120, 128, 157, 164, 173, 195, 234, 278. 280, 287, 306, 307, 314, 325, 328. Niccolò V trasporta i travertini 173. Nicchie arcuate nel perimetro dell' Ipogeo 236. Nimes 8. Nispi-Landi 9. Nolli 36, 278. Noris 310. Numeriano 115. 0 Ocrea 24 Odorici 309. Olivetani (monaci) 172. Olimpiade ricordata da S. Paolo 272. Olivieri 152. Omero 19. Onorio e Arcadie 119. Opim xpicatum 61. Oratorio di S. Felicita 195, motivo dell'ere- zione 195. Oratori (altri) vicini all'Anf. FI. 198. Orazio 79. O' EeiUy 287, 321. Orelli 24. Orfeo 106. Origene 270. Orsi 287. Orsi della Dalmazia Ki: della Libia 18. Orsini (gli) nel mausoleo di Adriano e nel teatro di Marcello 149. Orosio 269. Orti Largiani 202. Ospedale di S. Giacomo ad Colossaeum 167. Ospedale Ss. Quad. 204. Ovidio 8, 81, 86. Ovum (l'Anf. detto) 8. Padri di Cappadocia (testimonianza dei) in- torno ai Ss. Quaranta Martiri di Sebaste 204. Palazzo Barberini e i trav. del Colosseo 174. Palermo 5. Palladio 274. Palma 22, lemniscata 25. Palmireni 116. Pandette e codice di Giustiniano ;ìl7. Panvinio 150, 152, 153, 277, 3ia Paoli (P. Angelo) 218. Paolo (S.) 271. Paolo Diacono 129. Paolo Giurie. 14, 50, 265. Paolo II e i trav. del Colosseo 17;5, I7l. Paparese, giostratore, 160. Papi in Avignone 249. Parcker (E.) 104, 129. Parisotti 136. Parma 23, Fig. illustrata dal Rich. 3. Parricidi (condannati ad bcsliasi 271. Pasquali (P.) 149. Passio S. Perpetnae 271. » S. Pionii (ivi). Patroba 272. Patroclo 19. Pausania 106, 107, 117. Pegma (macchina) 17, 60. Perezio 317. Peridromo, cosa fosse 10,S. Perni metallici 18. » di legno, ib. » derubati 49. » (proibizione di togliere i) 50. Persiani 115. Perside 272. Petuene (Paolo Liello) 20u. Sabatici 242. .Sabatini (F.) 151. Sacerdotali ( dignità) ove sede.ssoro iieirAnf. 65, 70. Sadeler (Marco) 150. Sancta Sanctorum (compagnia di) al Colos- seo 166: dona el Pop. Romano il prezzo di certe pietre ecc. 169. Sarmati 115. Savella Orsina assiste alla giostra di tori (a. 1382) 168. Savello (d'Anagni) giostratore 159. Scacchi 3. Scaglia (P. Sisto) 98. 100, 273, 288. 295, 307. 313. Scalaria 11. Scale 9. » dei suggesti 65, 61. Scaligero 310, 326. Scauro 6. 7 (teatro di) 7. Scavi (gli) eseguiti nell'Anf. FI. 231 : hanno rivelato essere l'arena xontnitla o Tantico livello 236; oggetti rinvenuti nel 1874. pag. 241. Scevola .50. Scialoja (Senatore) 229. Scipione Africano 6. Schola dei venaloies 281. Scoperta importante a Nord dell'Anfiteatro Flavio sul declivio dell'Oppio 241. Scudo d'argento 24. Scutillo (Gius.) 111. Sebastiani (Antonio) 336. Secutores 22. Sedili 11, 76 ; a chi spettassero (ivi); come si perdesse il diritto di occuparli (ivi). Seggiole 12, cuvuU 12. Segno d'abbrevazione sulle lettere 312. Sempronio e compagni (Ss.) 283. Senatori, ove sedessero 65, 76. Seneca 3, 5, 6, 12, 19, 23, 25, 37. 60. Sepolcro Apostolico dell' Appia (iscrizione da- masiana) 304. Septi 281. Serlio 96. Servio 20, 21. Settimio (monte) 321. Settimio Severo fa celebrare spettacoli 111. Settizonio di Severo nelle mani dei Frangi- pani 149. Severano 288. Severo Ales. restaura l'Anf. 113. Sezione dell'Anf. FI. .52. Sii:a 23. Sifilino 2.'i6. Signore (nomi delle) che visitarono gli scavi del cim. di S. Agnese 2iK3. Signorili Niccolò 194, 205, 207. 208. Siila 6. Silloge di Closterneubourg 272. GSttwel 272. (raariniaua) 133. di Tours 272. Silverio (S.) 121. Simmaco 16. Simonetti Mons. Raniero pubblica un editto per ordine di Benedetto XIV. 219. Sisto III 272. Sisto IV 204. Sisto V 175; progetta grandiosi lavori nel- l'Anf. FI. 209. Sodalizio dogli Amanti di Gesù e Maria nel Colosseo 222. Soldati (Ss.) CCLXII) 283. Sollier 324. Sotterranei dell'Anf. FI. 56, 231. Spagna e Portogallo (iscrizioni della) hanno i punti sugli I. 300. Sphaeromachia 3. Sparsiones 12. Spartaco 21. Sparziano 106, 107, 137, 820. Speco nell'Anf. 284. 251. Spese (somme) nell'edificazione dell' A. F. 40. Spettacoli bramati dal popolo 34; dati nel- l'Anf. Flav. dall' inaugurazione al se- colo VI 103. Spettacoli circensi 4. gladiat. 4, 5. 19, 20. » sacri agli dei 12 ; occasiono in cui si celebravano 14; proibiti da Costantino 26 ; da Arcadio 26 ; cessazione (ivi). Spettacoli (ultimi) dati nell'Anf. 147. Soliarum 19, 25. Sprengel 325. Spugna 23. Stachyn 271. Stagna Neronis 32. 138. Stalli (giostratore) 160. Stara-Tedde 326, 331. Statue 44; di bronzo raffigurate sulle meda- glie di Gordiano 185 : nella cavea GB. Stazio 266. Stemma del Senato e della Confr. di Sancta Sanctorum 168. Sterbini nel Colosseo 227. 382 INDICE ANALITICO DELLE PERSONE Stevenson 279. Strabene 23 Strepsicerota. che bestia sia 107. Stucchi del sepolcro pomp. di Scauro Ifì. Stucchi disegnati da Giovanni da Udine 44 Suarez 164. Subsellia 63. Suggesti ()4 ; divisi per cunei 77 ; separati dalla cavea 76. Summa cavea 69. Sumrnum choragium 60, 105. Suetonio 4, 6, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19,21,22. 25, 31, 32, 36, 45, 54, 68, 64, 65, (i6, 70, 75 76, 77, 78, 80, 81, 82, 83, 84, 86, 103, 104^ 138, 140, 143. 266, 279, 2.S0, 299, 320. Sulpizio Severo 269. Suppositizi (gladiatori) 23. Svevi 115. T Tabernacolo (di broncio sulla confessione di S. Pietro) 300. Tabulationes 69. Tacito 8, 12, 46, 66, 70, 73. 81. 83, 84, 85, 266, 272. Tarquinia (soldati di) 19. Tarpeio (citarista) 299. 321. Tasse 13 127. Tatiana (S.) 283. Teatro ligneo 7. » circolare 7. » di Scauro 7. » di Marcello nelle mani degli Orsini 149. Telemaco (monaco) ucciso in lloma nell'Ani'. FI. 27, 120. Temistocle 48. Tempio di Giove Olimpico 320. Tempio di Cerere 320. » di Diana in Efeso 320. » di Giove Olimpico 320. . Isiaco 142, 332. » di Marte al Circo Flaminio 320. » dell'Onore e della Virtù 320. » di Piazza di Pietra, se fosse dedicato a Nettuno 302. » di Venere e Eoma 60, 320. Teodoreto 26, 120. Teodorico 122, sua lettera diretta al console Massimo (ivi). Teodoro (architetto) 320. Teodosio 121 129, 132, 133. Teonio 220. Terme di Tito e di Traiano 175. » di Tito 143; differenza fra le Terme di Tito (private) e le velocia mimerà di cui parla Suetonio 143. Terremoto 67, 129, 148, 163, 165, 217. Terribilini 287. Tertulliano 10, 12, 13, 20, 23, 25, 196, 270. 271, 272. Teti e Galatea (dee marine) 246, 254. 255. Thermae Titianae 38. Tillemont 27, 120. Tigri 18. Tiraboschi 286, 314. Tito inaugura l'Anf. FI. 32. Tito Livio 5, 6, 19, 24, 4.5, 77, 79. Tivoli 151. Tocco 336. Toga 11. Tolomeo 287. Tolomeo (F.) vescovo di Torcello 1.50. Toma.ssi (P. Cario) 214. Tomasetti 205, 287 288. Torre Chartularìa 150, 161. Traci 23. Traiano dà spettacoli grandiosi nell'Anf. FI. lOfi. ■ Traiano edifica un teatro non un anfiteatro 107; sue parole al Prefetto del Pretorio 318. Travertini asportati 166. 48. Travertini scavati 164, 165. Travi della rete di bronzo 53. Trebell. 45. Triboniano 15. Tribuni, ove sedessero 69. Tripodi per bruciare essenze odorose (i8. Tridente 23. Trifena 272. Trifosa (ivi). Trionfo di C. Metello su Cartagine 5. Trochus 4. Tucidide 48. Turba pulla (ove sedesse) 72. Turbo (trottola) 4. Turnebo 325. U Uggeri 335. Ulderico Card. Carpegna 214. Ulpiano 22, 50. 269. Unni 129. Uomini immolati ai defunti 20. Urbano ricordato da S. Paolo 271. Urbano Vili 174, 300. Urlichs 136, 145, 201, 206. Usuardo (martirologio di) 324. Vacca Flaminio 135, 172, 210. Vaglieri 88. E DELLE COSE PRINCIPALI CONTENUTE NEL VOLUME 383 Valentiniano e Valente, vietano che si con- dannino i cristiani ai ludi glad. 119. Valentiniano IH. 12!l; restauri avvenuti sotto il suo impero (^ivi). Valerio Massimo 6, 11. 20. 7<>. Valerio Ostiense 320. Valesio Francesco 193. Vandali 115. Varrone 24. 32. (59, 31 1. 325. Vasari 44. Veladier 231. Velario 12. 47, 89 (antenne del) 47. Velletri ^^lapide di) 57. Veloeia mimerà 138. Vonationes 4, lo; varietà degli spettacoli venatorì 17. Venatio, intrapresa ordinariamente liliera 19. 205. Venatores 18; loro coraggio i^iviì. » (inaglstrì dei) 18. Venationes (cessazione dellp^ 127. Vendettini 151. Venuleio .50. Venuti 13, 97. 98, 13fi. 287 ; Venuti-Fiale 310. Vero (L.) 22. Verona (Anf. di) 8. Ver.sione letterale dell'iscrizione di (x.auden- zio 317: libera (ivi). Vespasiaiio attua il progetto d'Augusto 8, 82; 299. Vestali (ove sedessero) '>5. Vettori 297. Via Sacra f>l. Via Lata 202. Vici crncix nel Colosseo 17(ì: edicole della via crucis 218, 221 : quando furono abbat- tute 24!?. Vico (lacopa dii anm^ii- alla giostra di tori nel 1332 pag. 158. Vipsania Pola (portico di) 201. Viri clarissimi ove sedessero f>5: consulares (ivi). Visconti (C. Ludovico) 98. 105, 157. Visconti P. E. aegret. dell'Accademia di arch. romana, invita gli accademici al Colosseo per vedere i restauri 229. 212, 287,292, WÒ. Viri (VII epulones) 70. » XIV {sacris faciuiidix) 70. Vito e Modesto (Ss.) 283. Vitruvio 8. 10, 11, 33, 48. 63, 71, 95, 320. Vittoria Aziaca 281. Vivarium 17: lapide in cui è ricordato (ivi); 277, 278. Vizio delle iscrizioni cristiane sospette 290. Volcanali (ludi) 127. Volticene a sesto sremo 238. Vomitort 63. Vopisco 58, 114. 115, 282. W Wilpert 201. Winckelmann 49, 52. 112. Witige re dei goti assedia Jloma 121. 275. Xengeimester 309. Xiphilinus e Dione 22. 318. 320. K Zaccaria 302, 310. 314. Zenobia regina dei Palmireni 114. ERRATA-CORRIGE. a« 10 (Nota) linea 1 are ni ani ■u > . 16 Vairone, L., 1. 26 . 32 Fulla 46 . 10 levassero » osservando 64 > 10 inter 60 » 41 (2) 60 . 25 sincere 61 . 17 Esquilo 64 Citazion e n. 2 V. Tav. II 70 linea 2 Tribonorum 73 (Nota) . 3 1002 7S Citazione (1) Otc. . 115 (Nota g) linea 17 ex gemmis. - 128 Citazione 6 ohion. . 129 linea li e • 160 9 dimostrarono . 150 19 possedevamo • 152 1'^ costruzione . 171 7 oratori • 174 23 Senotorio • 204 (Nota 4) 4 Franco . 252 16 impteto . 274 5 cìciter . -285 27 genuità . 292 22 > . 333 14 . . 313 (Nota) 3 idìotimis . 318 > 2 quella . 325 16 interpretati le^gi arcnum. V'HiTone, L. L. V. XullH. levassero ». Osservando iter (3) e viceversa. vincere Esquii ino Tav. I. Tribuuorum 1902 Oct. en gemxnis chron. è dimorarono possedevano sostruzione oratori Senatorio Franchi impleto circiter genuinità idiotismìs quello. interpreti. FR. PACIFICUS MONZA TOTIUS ORDINIS FRATRUM MINORUM MINI.STER GENBRAUS ET HUMILI.S IN DOMINO SBRVUS DECRETO Avendo Noi da persone competenti fatta esaminare l'Opera « L' Anfiteatro Flavio nei suoi venti secoli di storia » scritta dal R. P. Mariano Colagrossi della nostra Provincia di S. Maria in Aracoeli, ed avendola i censori riputata degna di singolare encomio ; quanto è da Noi, non solo permettiamo che possa essere data alle stampe, ma ci congratuliamo altresì col- r Autore, lo incoraggiamo nei prediletti suoi Studii e facciamo voti, perchè le sue fatiche abbiano da conseguire sempre un prospero e felice successo, Boma, dal Nostro Collegio di S. Antonio, il di 9 Gennaio 19ia. L. S. Fr. Pacifico Min. Gen. Per comando di S, Pateraità Rev.ma Fr. Makco Dem>a Pietra *SVc?'. Gen. dell' Ord. NIHIL 013STAT D. FiD. Takani, Ord. Vallisnmbrosae Abb« G-.lis, Cenunr. IMPRIMATUR Florentiae, die 4 Odobris I91i, A. Can, Cassulo, Vie. Gen. PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET NA UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY Colagrossi, P, 313 L'Anfiteatro Tla^rio-.nei suoi ^D venti secoli di storia '