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ELIZA FABBAB,
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Proprietà letteraria.
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BOLOGNA: TIPI DBLLA DITTA ZANICHELLI, 1901.
LE
OPERAZIONI DISTRIBUTIVE
E LE LORO
APPLICAZIONI Ali; ANALISI
DI
SALVATORE PINCHERLE
IN COLI.ABOKAZIONE
UGO AMALDI
BOLOGNA
DITTA MCDLA ZANICIIBLLI 1001
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V
PREFAZIONE
Le rapprochcinent dcs incthodes seri à ]es «^cluirer mutuelleinent, et ce qu* ellcs ont de comimin renferme le plus soiiveiit leur vraie niétaphysique.
(Lettera di Laplace à Lacroix, gennaio 1792).
L'argomento che forma oggetto del presente libro non può al certo dirsi nuovo, poiché, dal Leibniz fino a noi, è stato trattato in numerosi scritti. Fino dai primordi del calcolo differenziale si era osservato come il simbolo della differenza finita, quello della derivazione ed altri simili, fossero soggetti a regole di -trasformazione ana- leghe, e talvolta identiche, a quelle del calcolo algebrico ordinario. Da questa osservazione nacque quel calcolo, detto simbolico, alla cui teoria e alle cui applicazioni vari autori, in Germania e in Francia sul finire del se- colo XVIII e. principio del XIX, in Inghilterra nel pe- riodo che va dal 1830 al 1870, hanno dedicato sia speciali memorie, sia particolari capitoli in trattati d'argomento più generale, e al quale anche opere più recenti, come quella del Forsyth sulle equazioni differenziali, o l'ana- lisi algebrica del Cesàro, dedicano non poche pagine (^).
Da questo calcolo, però, le tendenze che oggi preval-
(}) Per la bibliografìa, v. Kota I alla fine del volume.
II PREFAZIONE.
gono nelle ricerche matematiche accennavano ad allonta- narsi. Contenuto nei limiti di un valore puramente formale, il suo interesse sembrava presentarsi scarso, e ridursi, in sostanza, a notare coincidenze algoritmitiche quasi fortuite e buone, tutto al più, a compendiare in forma più concisa ed espressiva risultati sempre raggiungibili per altra via. D' altra parte, la scoperta di quel meraviglioso strumento analitico che è il teorema di Cauchy, e le applicazioni che i suoi discepoli e quelli del Riemann ne andarono facendo con tanto successo, contribuirono certamente a distogliere gli analisti del nostro tempo da specula- zioni il cui carattere poteva sembrare prevalentemente algoritmico.
Ciò non ostante, nei progressi che, nei suoi vari rami, andava cosi rapidamente facendo la matematica, certi procedimenti e certi risultati venivano tratto tratto a ri- cordare quelli, quasi dimenticati, del calcolo simbolico, in campi a prima vista bene discosti da quelli dove quel calcolo si era già sviluppato. Cosi accadeva nelle teorie vettoriali del Grassmann, riprese poi da Laguerre, da Peano, da Carvallo ed altri; cosi nelle ricerche sulle forme bilineari quali le formulava il Frobenius, cosi in altre parti: lasciando pertanto sorgere il dubbio che a quel ramo della scienza del calcolo non fosse mancata per sempre la linfa vitale, e che questa vi avrebbe potuto nuo- vamente circolare, quando lo si fosse trasportato in ter- reno più propizio.
Questo fu il dubbio che nacque in me quando^ una dozzina d'anni or sono, mi venne fatto di occuparmi di due questioni: del problema dell'inversione degli integrali definiti, che tanto interessò gli analisti dall' àbel al Vol-
-■■■. . . - -
PRBFAZIONB. ITI
TERRA, e della trasformazione di Laplace, di cui il Po[ncaré aveva da poco fatte conoscere le notevoli applicazioni. Fui allora condotto a pensare che al calcolo delle operazioni — limitato per ora alle distributive — potesse spettare ur^a parte non secondaria nella teoria delle funzioni, qua- lora, oltrecchè su quel noto principio di perma- nenza che signoreggia tutta l'Algebra, si fondasse sui due concetti che passo ad indicare.
In primo luogo, osservando che ogni funzione anali- tica di una variabile è individuata dai valori attribuiti ad un numero generalmente infinito ma numerabile di parametri, si possono considerare quelle classi di fun- zioni che contengono tutte le combinazioni lineari dei loro elementi, ad esempio la totalità delle funzioni rego- lari neir intorno di uno stesso punto, come spazt ad un numero generalmente infinito, ma numerabile di dimen- sioni. Le operazioni distributive applicabili alle funzioni di una simile classe si presentano allora come una ge- neralizzazione naturale di ciò che sono le omografie negli spazi lineari ad un numero finito di dimensioni ; e questo concetto, tanto più se sussidiato da una notazione sem- plice ed espressiva, permetterà di intuire in modo sinte- tico, e colla guida di continuate analogie colla geometria, molteplici relazioni di composizione, di scomposizione, di classificazione in gruppi, di trasformazioni di siffatte operazioni.
In secondo luogo, si può notare che i problemi di natura puntuale, quelli cioè in cui si tratta di deter- minare UDO 0 più numeri e di studiarne le variazioni, si trattano per mezzo delle operazioni fondamentali del- l'Aritmetica, addizione, moltiplicazione e divisione, dove
IV rRBFAZIOME.
non è esclùso, mediante l'aggiunzione del concetto di passaggio al limite, che queste operazioni si possano ri- petere un numero infinito di volte, dando cosi luogo ai noti algoritmi convergenti e alla ricerca dei quozienti differenziali. Ma nei problemi d'indole funzionale, in cui r ente incognito o variabile non è più un numero, bensì una funzione, la derivazione si presenta non più come una ricerca di limite, ma invece come un'operazione che si viene ad aggiungere, come elemento fondamentale di calcolo, a quelli già menzionati. Questi, in unione alla derivazione applicata un numero finito od infinito nume- rabile di volte, bastano alla costruzione di tutte le ope- razioni distributive che, applicate a funzioni analitiche, generano funzioni del pari analitiche : operazioni studiate già, ma ordinariamente sotto la forma di integrali definiti curvilinei. Forma, a dir vero, sommamente efficace e sugge- stiva, ma quasi divinata, non discendente dall'organismo del calcolo e non in tutto logicamente dipendente dai soli postulati fondamentali della scienza dei numeri: ragioni che forse indussero il Weierstrass a privarsi sistematica- mente del suo potente ausilio nelle sue lezioni sulla teoria delle funzioni analitiche.
A conferma delle vedute, or ora esposte, sull' impor- tanza dell'ufficio del simbolo di derivazione come ele- mento fondamentale del calcolo funzionale, sta una for- mula eh' io feci conoscere in una comunicazione alla R. Accademia dei Lincei nel 1895, e che si può riguar- dare come avente, in quel calcolo, lo stesso posto che occupa nell'ordinaria teoria delle funzioni la formula di Maclaurin; questa formula conduce a considerare, come espressione generale di un'operazione distributiva, una
PREFAZIONE. V
serie ordinata per le potenze del simbolo D di deriva- zione, nello stesso modo che dalla formula di Maclaurin consegue lo sviluppo in serie di potenze della variabile, caratteristico delle funzioni analitiche.
Questo secondo concetto del calcolo funzionale, di considerare cioè V operazione D come suo elemento fon- damentale, e la conseguente formula dianzi accennata, si presentarono pure ad un matematico francese, il Bourlet, che ne faceva l'oggetto di una nota presentata all'Ac- cademia delle Scienze di Parigi nel febbraio del 1897 e di una memoria pubblicata l'anno stesso, nel T. XIV della serie terza degli Annali di quella Scuola Normale superiore. Il Bourlet si discosta però da me in quanto, come aveva fatto già il Volterra in uno studio su ope- razioni funzionali più generali considerate però sotto un tutt* altro punto di vista (*), ha dovuto introdurre un con- cetto analogo a quello della continuità nelle funzioni, e che io non ho avuto bisogno di invocare fin qui.
La presente opera non presuppone nel lettore se non la conoscenza dei principi fondamentali della teoria delle funzioni. Essa sì propone di sviluppare i due concetti più sopra accennati e di mostrarne le applicazioni. É sem- brato anzitutto conveniente di riassumere, nei primi ca- pitoli, la teoria degli spazi lineari ad n dimensioni e dello operazioni distributive che si possono eseguire sui vettori di questi spazi, almeno in quelle parti di cui la successiva teoria delle operazioni distributive applicabili a funzioni analitiche si presenta come una ovvia estensione. Il quarto capitolo contiene considerazioni, in forma sintetica,
(') V. la Nota V alla fine del presente volarne.
VI PREFAZIONE.
sulle omografie che lasciano invariato un dato spazio ad n dimensioni e sugli spazi invarianti ad un numero minore di dimensioni in esso contenuti; considerazioni che sono in stretta relazione colla teoria dei divisori elementari del Weierstrass (') e che danno luogo a risultati che servono utilmente in altre parti del libro. Il quinto capi- tolo introduce le successioni di infiniti elementi, o le fun- zioni analitiche univocamente corrispondenti ad esse suc- cessioni, come elementi o vettori di uno spazio lineare ad un numero infinito numerabile di dimensioni ; quindi ven- gono definite le operazioni elementari in questo spazio. Le operazioni più generali, che si trovano essere gli sviluppi in serie dì potenze del simbolo D, le loro principali proprietà, il loro calcolo, alcune loro forme speciali più notevoli, for- mano oggetto dei tre capitoli successivi. Il Gap. IX è dedi- cato ad ogni operazione che si presenta come associata in modo necessario ad ogni operazione data e di cui l'equa- zione aggiunta, considerata dal Lagrange, di una data equazione difi'erenziale lineare, fornisce il primo esempio. Coi capitoli seguenti si dà principio alle applicazioni. Il Gap. X contiene gli elementi della teoria analitica delle equazioni lineari alle differenze finite, partendo dalla con- siderazione dell' operazione definita dal primo membro di una simile equazione. Questa teoria, ordinariamente ne- gletta nei trattati, è stata qui sviluppata con una certa ampiezza, sia per l'interesse che presenta in sé, sia per le applicazioni cui si presta nella teoria generale delle ope- razioni, sia infine per il raffronto cui dà luogo, prima colla teoria delle equazioni differenziali lineari, trattata in modo
0 V. la nota IIL
PREFAZIONE. VII
che si potrebbe dire parallelo nel Gap. XI e completata nel Gap. XII, poi colla teoria delle equazioni lineari alle sostituzioni quale è dovuta al Koenigs e al Grévy, e che si trova sviluppata nel Gap. XIV. Questo rafironto, assai istruttivo, viene messo anche maggiormente in luce nel successivo Gap. XV. Il Gap. XIII è dedicato allo studio generale delle trasformazioni nelle operazioni, e a certe trasformazioni particolari, come quella di Laplace e l'analoga di Borel, e quella di Eulero, che per le loro singolari proprietà e per le applicazioni che se ne sono fatte, presentano una speciale importanza. Infine, T ultimo Gapitolo è dedicato ad introdurre V omogeneità ed in- sieme il concetto dualistico di punto e piano nello spazio delle funzioni analitiche, fino a quel punto considerato come spazio di vettori, cioè non omogeneo ; vi si collegano i con- cetti jdi curva, di superficie, di varietà d' ordine superiore in questo spazio e per ultimo quello di gruppo finito con- tinuo di operazioni.
Non è senza qualche titubanza che sottopongo al giu- dizio dei matematici questa opera che, per qualche ap- parenza di novità e per le imperfezioni in parte insepa- rabili di un primo tentativo, richiedo la loro indulgenza. Confido che questa indulgenza non sia per mancare, se non ai suoi autori, almeno alla via che in essa viene indicata; poiché questa via non è arbitraria, non trac- ciata a capriccio; essa appare come naturalmente insita nelle questioni che le hanno dato origine, e, forse, per- corsa da chi sia dotato di maggior lena, potrà condurre a meta feconda.
Nel terminare, non devo tacere come buona parte della redazione definitiva del presente volume sia dovuts^
vili FREFÀZIONB.
alla collaborazione intelligente, assidua ed efficace del dott. Ugo Amaldi, già mio discepolo. In questa collabo- razione, che egli ba accettato con singolare abnegazione, ha incontrato difficoltà non sempre lievi, e le ha sa- puto vincere: voglio ricordare in modo speciale i Gap. X e XIV come quelli la cui redazione, lunga e laboriosa, gli appartiene principalmente, ed in cui tali difficoltà, felicemente superate, sono state più rilevanti. Nò la sua abnegazione è venuta meno nelT aiuto che mi ha prestato durante il lavoro ingrato della revisione delle bozze di stampa. È pertanto un gradito dovere per me di espri- mergli qui la mia vivissima riconoscenza.
Bologna, marzo 1901.
S. PlNCHERLE.
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^.N
- T"'^
INDICE
Prefazione Pag. i
Cap. I. — L* iìiHieìne lineare generale ad n tlimensioni.
§§ 1-21 » 1
Cap. II. — Generalità sulle operazioni.
§§ 22-41. A, Le operazioni in generale > 17
^§ 42-48. B. Le operazioni distributive » 25
Gap. III. - Radici e spazi di radici di una operazione disi r ih uliva •
§§ 40-r)9. A. Prime proprietà delle radici > i)0
§§ 60-75. B. Proprietà delle radici di operazioni commu- tabili » 3G
Gap. IV. — Struttura degli spazi invarianti ad un numero finito di diìnensioni.
§§ 76-90. > 50
Gap. V. — f insieme ilelle serie di potenze e le operazioni distributive elementari,
§§ 91-103. A, Successioni e serie di potenze come ele- menti di un insieme lineare » 68
§§ 104-125. B. Le operazioni funzionali elementari ... » 74
Gap. vi. — Oli elementi del calcolo funzionale.
§§ 126-139. A. Le serie di potenze del simbolo D . . . » 87
§§ 140-154. B. Derivata di un' operazione » 100
§§ 155-159. (7. Le potenze intere negative del simbolo D. » 109
§§ 160-165. D, Le serio di potenze del simbolo D~* . . » 113
5^-
t IKDICB.
Gap. vii. — JPrhne applicazioni del calcolo funzionale.
§§ 16G-174. A» Le operazioni commutabili colla deriva- zione Pag. 119
§§ 175-180. B. Radici di una forma lineare a coflìcienti
numerici in una operazione data > 125
§§ 181-192. C. I polinomi di Appell » 130
§§ 193-197. D. Le operazioni che trasformano uno spazio ad un numero infinito in uno spazio ad un numero finito di dimeitsioni > 140
§§ 198-205. E, Determinazione di operazioni funzionali
mediante equazioni simboliche » 144
Gap. Vili. — Le operazioni normali.
§§ 206-216. A, Le operazioni U » 152
§§ 217-227. B. Le operazioni U in uno spazio più esteso » 1(53 §ì^ 228-238. C. Operazioni normali d' ordine superiore . » 174
Gap. IX. — L^ operazione aggiunta.
§§ 239-253 . » 184
Gap. X, - - Le forme lineari alle differenze,
§§ 254-2 i4. A. Lo spazio degli elementi del calcolo delle
differenze > 19(5
§§ 265-272. B. Le forme lineari alle differenze .... » 202 §§ 273-278. C. Radici delle forme — Equazioni alle dif- ferenze » 210
§§ 279-285. D. Sistemi fondamentali di radici .... » 218 §§ 286-290. JS, Scompoaizione delle forme in fattori . . > 228 8§ 291-297. F. Forme del primo e del secondo tipo. — Ri- ducibilità » 233
§§ 298-;506. G, Forma aggiunta. — Moltiplicatori ...» 237 §.§ 307-308. H. Le forme lineari alle differenze a coeffi- cienti numerici » 246
4:^§ 309-317. J. Serie di potenze del simbolo 0 . . . . » 248
Gap. XI. — Le forme lineari di ffe amenziali.
§^ 318-322. A. Algebra delle forme lineari differenziali. » 261 ^§ 323-336. B. Le equazioni differenziali lineari ... » 267
-.^j^s^r^-^T^^^r-" ^^ T^
INDICE. XI
§§ a37-340. a Campi di razionalità. Riducibilità. —
Invarianti Pag. 287
§§ 341-347, D. Forma aggiunta. — Moltiplicatori ... » 200 §§ 348-352. E. Inversione di una forma differenziale li- neare mediante serie di D~^ » 298
Gap. XII. — Forme tlifferenziali lineari nor" mali.
§§ 353-359. A. Equazione fondamentale. — Gruppo di
monodromia » 312
§§ 360-365. B. Punti singolari normali. — Equazione
determinante » 324
§§ 366-369. C. Forme e equazioni del FuCHS » 335
Gap. XIII. — Trasformazione delle operazioni»
§§ 370-376. A. Generalità » 343
.§§ 377-382. B. Le operazioni trasformatrici > .-547
§§ 383-393. C. Trasformatrici delle moltiplicazioni e della
derivazione. — Trasformazione di Laplace ... > 353 .§§ 394-398. D. Operazioni analoghe alla trasformazione
di Laplace . . » 364
§§ 399-404. JS, La derivazione d' indice qualsivoglia. —
La trasformazione di Eulero » 3<)9
Gap. XIV. — Le forme lineari alle sostitu- zioni.
§§ 405-411. A, Generalità » 375
J5.§ 412-416. JB. I punti limiti » 379
§§ 417-426. C. Le funzioni elementari del calcolo delle
sostituzioni ' . . » 384
§ 427. D. Equazioni lineari omogenee alle sostituzioni.
(Equazioni a coefficienti numerici) > 394
§§ 428-434. E. Equazioni lineari omogenee alle sostitu- zioni. (Equazioni a coefficienti quAlsivogliano) . . » 396
§§ 435-441. JP. L'operazione inversa della E » 405
^§§ 442-444. G* I gruppi di radici di una forma. ... > 410
§.§ 445-448. H, Sistemi fondamentali di radici .... > 418
Gap. XV. — Generalizzazione della proprietà del WronsJi'iano.
§§ 449-4.55 » 429
XII INDICE.
Gap. XV r. - Cenno sulla geometria degli spazi linear i ili funzioni»
§§ 45G-463. A. Coordinate omogenee. — Omografie de- generi di prima e di seconda classe Pag. 48^
§§ 4G4-46?. B, Piani e spazi lineari di piani » 44.")
§§ 4G8-474. C. Curve di S" » 448
§§ 475-484. D. Gruppi continui ce* di operazioni ... » 452
Note.
Nota I. Per la biMiografia della teoria delle ope- razioni distributive » 4G1
» II. L'equazione funzionale /*(j; 4-^/)=^ A-^O+ZW * 46T
» III. Sulla teoria dei divisori elementari ... » 471 » IV. Le operazioni distributive di più funzioni,
e di una funzione di più variabili . . > 477
» V. Cenno sulle operazioni non distributive . » 480
Indice alfabetico » 485
Errata-corrige » 491
CAPITOLO PRIMO. L' insieme lineare generale ad n dimensioni
1. Q) Indichiamo con 8 una classe od insieìne di enti per i quali ci basterà, in questi primi capitoli, di ammet- tere le proprietà enumerate in ciò che segue, senza che sia necessario, per ora, di definirli in modo più determinato. Designiamo gli enti di S col nome di elementi e li rappre- sentiamo con lettere greche minuscole: con lettere latine minuscole rappresentiamo, invece, numeri (reali o complessi).
2. Ammetteremo dapprima che, dati due elementi a e ^ di S, si possa riconoscere se fra essi passa o no una re- lazione, che sarà detta uguaglianza^ caratterizzata dalle seguenti proprietà:
I. Se (X è uguale a p, anche ^ è uguale ad a. IL Se a è uguale a ^ e ^ è ugnale a, y, a è uguale a y.
Per esprimere che a è uguale a p si scriverà a = fi e le proprietà sopra enunciate si scriveranno perciò:
L Se a =r 3, è p = a;
IL Se a = ^ e p = Y, è a = Y.
{^) V. Laguerre, Sur le eaìcul des sysièmes lint'aires; Oeuvre»^ T. I, p. 2-21 (Paris, Gauthier Villars, 1898). Per i §§. 1-7, v. Peano, Calcolo geometrico f cap. IX (Torino, Bocca, 1888).
2 CAPITOLO PRIMO.
Risulta da queste definizioni che:
Un ente è uguale a sé stesso.
3* Ammetteremo poi che, dati due elementi quaisi vo- gliano a, p di $, si possa sempre dedurrò da essi un terzo elemento determinato, il quale verrà indicato con a + 3. L'operazione con cui da a e ^ si deduce il terzo elemento a + P è caratterizzata dalle seguenti uguaglianze:
I. a + 3 = g + a,
II. (a + p) + y = a + (3 + y),
dove OL + (fi + y)f (a + ,3) + y rappresentano gli elementi
dedotti da a 0 3 + T> ^^ * 4* 3 <^ T rispettivamente, come a + p è dedotto da a e p. Gli elementi uguali a + (P + t) ^ (* + ?)Y s^ indicano indifferentemente con a + P + Y* L'operazione cosi definita dicesi addizione, ed a + p è detto somma di a e p.
Le uguaglianze I e II si dicono leggi o proprietà del- l'addizione; la prima è detta legge commutaliva, la se- conda legge associativa dell' addizione. In una somma di quanti addendi si vogliono sarà lecito, in forza delle leggi I e II, aggruppare gli addendi e permutarne l'ordine come più piacerà.
4. Nell'insieme S ammetteremo l'esistenza di un ele- mento 0), che noi diremo elemento zero, 0 semplicemente zerOf il quale, per qualsivoglia elemento a, soddisfa all'egua- glianza
a -{- 0) = a.
Designeremo senz'altro l'elemento w cól simbolo 0; ma sarà conveniente non confondere questo elemento con lo zero dell* insieme dei numeri.
5. Lo somme
a -f- a, a -}- a + a, . . . .
2-6 INSIEME LINEARE. 3
saranno indicate rispettivamente con 2a, 3a, ; cosi, se
m è un numero intero positivo, ma rappresenterà la somma di m addendi uguali ad a. Dalle leggi dell'addiziono seguono immediatamente le seguenti uguaglianze:
I. m (a + P) = ma + mg,
IL ma + na = (m + n) a,
IH. m (na) = (mn) a = (nm) a.
Generalizzando ora queste proprietà, ammetteremo che dato un numero a ed un qualsivoglia elemento a, esista nell'insieme S un elemento, che noi designeremo con aa e diremo prodotto dell'elemento a pel numero a; l'operazione con cui da a si deduce a% dicesi moltiplicazione dell'ele- mento a per il numero a.
Questa operazione è caratterizzata dalle seguenti pro- prietà. Per a numero intero e positivo, aa sia la somma
« + «+ 4-adia elementi uguali ad a; per a e è
numeri qualsivogliano, rimangano valide le proprietà prece- denti, cioè:
I. a (a H- 3) = aa -h a^,
II. (a + 6) a = fifa + &a, IH. a ipcf) = [ah) a,
alle quali aggiungiamo l'aitila: IV. Oa == 0.
Si noti che nell' ultima uguaglianza il simbolo 0 rappre- senta al primo membro il numero zero, al secondo Y ele- mento zero.
A seconda dei casi i numeri, di cui si è parlato in questo § si potranno intendere sia razionali, sia affatto liberi (reali complessi). Nel seguito, quando non sia avvertito il contrario, parlando di numeri ci riferiremo ai numeri complessi.
6. Ad ogni elemento a corrisponde l'elemento (— 1) a
4 CAPITOLO PRIMO.
che, addizionato col prìrao, dà per somma lo zero in forza delle leggi II e IV del § precedente. Questo elemento si rappresenta con — a e si ha:
a + (- a) = 0.
Dati gli elementi a e 3, V elemento ? + (— a) ha la pro- prietà, che addizionato con a dà per somma % come segue immediatamente dalle leggi dell' addizione. L' elemento P + (— a) si indica più semplicemente con p — a e si dice differenza fra ^ ed a; si dice poi sottrazione l'operazione con cui p — a si deduce da a e p.
Un insieme S che abbia le proprietà ammesse nei §§ 2, 3, 4 e 5 di cosi insieme o spazio lineare.
7. Prima di procedere nello studio generale di tali sistemi di enti, sarà opportuno dare qualche esempio di sistemi par- ticolari aventi le proprietà enunciate.
Un primo esempio di sistema lineare è dato dall'insieme dei numeri (reali e complessi).
8. Un'altro esempio, per noi assai istruttivo perchè vale a rendere intuitive le considerazioni dei sistemi lineari ge- nerali, è il seguente:
Come è noto, dicesi vettore nello spazio un segmento ret- tilineo, considerato in quanto ha una determinata lunghezza^ una determinata direzione e un determinato verso.
Esaminiamo V insieme di tutti i vettori dello spazio or- dinario.
Diconsi uguali due vettori rappresentati, da segmenti di ugual lunghezza, di ugual direzione e di ugual verso. Di qui risulta che a partire da ogni punto dello spazio si può con- durre un segmento ed uno solo, il quale rappresenti un qualsivoglia vettore a determinato; quindi, tutti i vettori non uguali dello spazio sono rappresentati dall'insieme dei segmenti che escono da un punto qualsiasi.
6-9 IKSJBME DEI VETTOBI. 5
Dati due vettori a e ^, consideriamo a partire da uo punto determinato 0 il segmento OP che rappresenta il vettore a e, a partire da P, il segmente PQ che rappresenta il vettore p. Dicesi somma a + P dei vettori a e ^ il vettore rappre- sentato dal segmento OQ. Cosi, se il segmento OP rappre- senta il vettore a e il segmento OQ' rappresenta il vettore % il vettore rappresentato dal segmento PQ' dicesi diffe- renza p — a di a e p.
Per ultimo, fissata una unità di misura, e dato un vet- tore a, che sia rappresentabile per mezzo di un segmento OP, dicesi prodotto del vettore a per un numero reale qual- sivoglia e il vetture rappresentato da un segmento parallelo ad OP, considerato nel verso di OP o nell'opposto secon- dochè e è positivo o negativo, e avente, infine, come lun- ghezza il prodotto della lunghezza di OP pel valore asso- luto di e.
È chiaro che Y uguaglianza^ la addizione j la sottra- zione dei vettori, e il prodotto di vettori per numeri reali, cosi definiti, godono delle proprietà indicate nei §§ prece- denti per l'uguaglianza^ Y addizione^ la sottrazione, e il prodotto di elementi per numeri qualsivogliano. Possiamo, quindi, affermare che Y insieme dei vettori dello spazio è un insieme lineare.
9, Se air insieme lineare S appartengono quanti si vo- gliono elementi aj, a^, , a^, vi appartiene anche ogni
elemento
« = «1 «l + «2 «j + + «n «n»
dove a„ a,,...., a^ sono numeri arbitrari (§§5,3). L'ele- mento a dicesi combinazione lineare degli elementi a„ «j, a„. Se per i numeri aj, a^ , a^ esistono n va- lori non tutti nulli, e tali che l'elemento a corrispondente coincida con l'elemento zero^ si dice che gli elementi a„
I
I
6 CAPITOLO PRIMO.
ao, ..-., «n sono linearmente dipendenti. Ciò equivale ad ammettere fra di essi la relazione lineare
«1 «1 + «8 «2 + + a„ a„ = 0.
Se, air infuori dei valori a, = a, =:.... = a„ = 0, non esìstono n valori, per i quali sussista la uguaglianza suindi- cata, si dice che gli elementi a„ aj, ...., «^ sono linear- mente indipendenti,
10, Abbiansi n elementi «p a,, . . . ., a„ linearmente di- pendenti: esistono allora n numeri Cj, c^, ...., c„, coi quali si stabilisce tra aj, a^, . . . . «„ la relazione lineare
Essendo h un numero qualsivoglia, anche coi numeri Cih, c^h, .... c^h si stabilisce evidentemente tra a,, a^, . . . . a„ una relazione lineare, la quale per altro non si considera come distinta dalla precedente.
In generale, se tra gli n elementi dati sussistono r rela- zioni lineari
tìfj, «i + aji a^ + + aj„ a„ = 0
(;■ = 1, 2,...., r)
queste relazioni si dicono indipendenti o distinte, se non esistono r numeri c?i, c?„ . . . . , e,, non tutti nulli e tali che sia
Ci «li + <^2 «ji + + c^ «ri = 0
(i z= 1, 2, .. .., n).
Indicando con Fj = 0 le ammesse relazioni lineari fra gli «i, per le proprietà dell'insieme lineare (§§ 2-6), a que- ste combinazioni lineari di elementi si può applicare la nota teoria delle forme lineari, quale viene ordinariamente data per r insieme dei numeri (§ 7).
Se no conclude subito, che il numero delle relazioni di-
§§ 9-11 SPAZIO AD n DIMENSIONI. 7
stinto, che sono contenute nel sistema Fj = 0, è dato dalla caì^aiterisiica della matrice dei coefficienti a^ {}),
11. Un insieme lineare di elementi dicesi ad n dimensioni, se in esso esistono n ele- menti linearmente indipendenti e non più. Ciò significa che nelT insieme si possono trovare n elementi
a,, «4, ,a„ linearmente indipendenti, ma presi in esso
n + 1 elementi in qualsivoglia modo, fra questi sussiste una relazione lineare (almeno).
Supposto di avere n elementi delT insieme S
Pn (-2> • • • "t Pn
linearmente indipendenti, l'insieme (contenuto in S) degli elementi rappresentati da
(1) p = ft, p^ + &^ p^ +....+ h,^,^
dove a ciascun coefficiente &j si attribuiscono tutti i possi- bili valori (non infiniti), costituisce, secondo la definizione precedente, un insieme lineare ad n dimensioni.
Infatti, se alle costanti 6„ ftj, . . . ., &„ si danno rispettiva- mente i valori:
1, 0, 0,.... 0,
0, 1, 0,.... 0,
0, 0, 0,.... 1,
si ottengono precisamente gli n elementi Pj, p,) • • • • « Pn> appartenenti alT insieme, ed essi sono per ipotesi linearmente indipendenti. Presi, invece, ?i + 1 elementi rappresentati dall'espressione (1), come:
P'.i) = b,, p, + b,,% + . . . . -t- 6,„ p„ (i = 1, 2,...., n + 1),
(^) Y. p. 68. Capelli, Lezioni di Algebra complementare^ p. 153 (Napuli, Pollerano, 1898).
8 CAPITOLO PRIMO.
sarà sempre possibile trovare n + 1 numeri A,, Aj, 9 K-hi
che rendano soddisfatto il sistema
0=0, 1, 2,...., n)
di n equazioni lineari omogenee ad n + 1 incognite, e quei numeri stabiliranno fra gli n + 1 elementi ^^^^ la relazione lineare
13. Un insieme lineare ad n dimensioni verrà indicato con S^. Sia S^ un insieme lineare ad n dimensioni conte- nuto in S; per la stessa definizione (§ 11), esistono in esso n elementi aj, a,,...., a„ linearmente indipendenti: ma se a è un qualsivoglia elemento di S^, diverso da a,, a,, .... , a„, tra gli n + 1 elementi a, a„ aj, .... a„ sussiste una rela- zione lineare che si può scrivere
a = aj ai + 6/2 aj + + «n «n-
Poiché ad S^, insieme con «i, a^ . . . . , a^, deve apparte- nere ogni elemento a^ a^ -}- a^ ol^ -J- . . . . + a^a^ (§§ 5, 3), possiamo concludere che T insieme S^ ^ costituito da tutti e soli gli elementi, che si ottengono per mezzo di combina- zioni lineari di a^ aj, . . . . , a^.
IS.Ogni sistema di n elementi linearmente in- dipendenti di un insieme lineare S^, ad n dimen- sioni dicesi sistema fondamentale dell' in- sieme. Fissato noir insieme un sistema fondamentale «j,
aj, , a„, ogni elemento a di S„ si potrà, come si è visto,
rappresentare sotto la forma
a =r ai ai + a, a, + + «n «n ;
air elemento a corrispondono i numeri a^, a,, ...., «„. Questi numeri determinano l'elemento a nelT insieme S„.
11-15 SPAZIO AD n DIMENSIONI. 9
Reciprocamente, dato T elemento a, i numeri a,, a,, a^
sono perfettamente determinati. Se infatti si avesse per lo stesso elemento a la seconda espressione
ne verrebbe
(tti — a\) aj + (a, — a\) a« + ....+ («„ — O «„ = 0
e quindi, per la indipendenza lineare di (x^, a,, a^,
«1 = a'j (i = 1, 2,.. , n).
Ad indicare un S^, di cui ocp a^, . . . . , a^^ sia un sistema fondamentale, useremo la notazione 8^ [«i> oc^, ..., «n]-
14. Dati gli elementi a^ a,, . . . . , «„, se fra essi passano r relazioni lineari indipendenti e non più (r < n), V insieme degli elementi a = a, a, + a^ + . . . . a^a^^ conterrà n — r elementi e non più Unearmente indipendenti, e sarà pertanto ad n — r dimensioni.
16. Nello studio degli insiemi lineari di elementi torna spesso comodo il linguaggio geometrico, al quale siamo condotti mediante le seguenti considerazioni. Nel caso di ?i = 2 o 3, ci possiamo rappresentare V insieme lineare coi vettori di un piano, o dello spazio ordinario, aventi un estremo comune in un punto fisso (origine). Ognuno di que- sti vettori è allora individuato dall'altro suo estremo; l'in- sieme di punti si può quindi, in questo senso, sostituire ali* in- sieme dei vettori. Per analogia, gli elementi di S si potranno pensare come i^eWon aventi una estremità comune; ogni S„, come un insieme (o spazio) lineare di vettori, o anche di punii^ ad n dimensioni. Ogni vettore (o punto) a di S^ ^ esprimibile mediante i vettori (o punti) di un sistema fon- damentale, nella forma
a = a, a, + tff of? + + «f» «„ ;
1 0 CAPITOLO PRIMO.
i numeri a,, a,, ..., a„ si potranno dire coordinate del vettore (o punto) a rispetto al sistema fondamentale a„ «,, . . . ., «g. Il vettore «4,(1= 1,2,...., n), cioè V i"*"** vettore del sistema fondamentale, ha evidentemente tutte le coordinate nulle, fuorché la i"*% che è eguale ad 1.
L'elemento zero (§ 4, § 9) ha tutte ed n le sue coor dinate nulle; esso è V origine comune ai vettori a di S^-
16* In ogni insieme lineare ad n dimensioni esistono infiniti sistemi fondamentali. Infatti, se, essendo a^ a^,...., a^ i vettori di un sistema fondamentale, poniamo
(2) Pi = a„ ai + «li «j +....+ a^^ a„
(i = I, 2, 3 , n),
avremo, per un noto teorema sulle forme lineari, che condi- zione necessaria e sufficiente affinchè i punti p,; §{,...., P„ siano linearmente indipendenti e, quindi, costituiscano un si- stema fondamentale, si è che la matrice
f ^11 ^l« ^In
^21 ^?S ^fn
^nl ^nft ^nn
abbia la caratteristica n, 0, in altre parole, che il relativo determinante, che verrà rappresentato brevemente con |aij|, sia diverso da zero.
17. Consideriamo un qualsiasi elemento (vettore) y ^^1- r insieme $„. Esso ammetterà rispetto al sistema fondamentale
a,, ttj, , a^, certe coordinate x^, a?j, . . . . , iP„. Se assumiamo
poi come sistema fondamentale il sistema p^, p^, . . . ., Pn, dove gli elementi Pi sono legati agli of» dalle relazioni (2), a deter- minante diverso da zero, lo stesso vettore y ammetterà rispetto al nuovo sistema certe altre coordinate 3^1, i/,, ...., f/^. Per
§§ 15-18 SISTEMI FONDAMENTALI. 11
avere le relazioni che legano queste a quelle basta osservare che la espressione di y mediante le ^^
si trasforma mediante le (2) in
ovvero
Poiché le «„ aj, , a^ sono linearmente indipendenti,
se ne conclude (§ 14)
(3) ^j = ^1 «ij + yj «»j + ....+ t/n « j ^
0* = 1, 2, , n).
Queste equazioni lineari permettono di de* durre dalle coordinate di un vettore qualsiasi di S„, riferito al sistema Pi, pj,..., P^f '^ coordi- nate del medesimo vettore riferito al sistema «p a,, ja^; esse definiscono una tras forma- zione di coordinate (che conserva l'origine).
Poiché il determinante la^l è diverso da zero, le (3) si possono risolvere rispetto ad y^ t/21 • • • • > !/n» ^ si ottiene
(3') y, = Un X, + a,^ x^ + à;„ a?„
Queste equazioni definiscono la trasforma- zione di coordinate inversa della primitiva.
18. Dati, entro S^, r vettori linearmente indipendenti (r < n), essi si possono assumere come sistema fondamene tale di un insieme lineare S, ad r dimensioni, ciascun ele- mento del quale appartiene allo S„ primitivo: un tale
12 CAPITOLO PRIMO.
insieme S, [a,, «j, .. .. a,] si dirà conte7iuto nello insieme S^.
a) In particolare un elemento «i definirà un insieme f lineare S^ ad una dimensione, che si può pensare come
r insieme dei vettori aventi un estremo comune nell' ori- I gine, e disposti secondo una stessa retta.
I punti della retta saranno rappresentati da
a = a?! «p
dove alla coordinata x^ si diano tutti i possibili valori.
6) Due elementi ai, a^ definiscono uno spazio lineare S, a due dimensioni; esso ci è rappresentato geometricamente dall' insieme dei vettori aventi un estremo comune nell' ori- gine, e contenuti nel piano individuato da a,, a,. Gli ele- menti di Sj saranno della forma
^i «1 + ^8 «r
Condizione necessaria e sufficiente affinchè un vettore «3
appartenga ad S,, è che esistano tre numeri Cj, c^, c^ tali
che sia
^*i «1 + ^% «« + ^3 «3 = ^^
Si noti khe l'elemento zero {origine), il quale (§ 15) ha tutte le sue coordinate nulle, appartiene tanto allo S„ primitivo, quanto ad ogni S^ (r < n) contenuto in S„. Ciò si esprime dicendo che l'insieme 8, passa per r origine. (^)
19. Un'insieme lineare ad n — 1 dimensioni S„ — ^ con- tenuto nell'insieme S„ è, secondo il linguaggio dell' ipergeo- metria, un iperpiano passate per l* origine in esso spazio S„. Sia a,, otj, ...., a^ un sistema fondamentale di S„; un Sn — , di Sn sarà determinato da n — 1 suoi vettori linearmente indipendenti P,, ^«, ...., jSn-i- Questi si potranno riferire al
(1) Si ommetterà, quindi innanzi, di ricordare che ogni S, di vettori contenuto iu S„ ha, con S„, l'origine iu comune.
§§ 18-20
COORDINATE.
13
sistema fondamentale a,, «g,..., «„ di §„ per mezzo di re- lazioni della forma
(i = 1, 2, 3, .. .. , n — 1 ).
Per la supposta indipendenza dei punti ^|, la matrice dei coefficienti a^j avrà la caratteristica n — 1, e reciprocamente,
se entro S^ sono dati n — 1 elementi Pj, p^, , ^^-i qual-
sivogliano, purché rendano soddisfatta quest'ultima condi- zione, essi definiranno un S^ — i di $„. I rapporti dei deter- minanti di ordine n — 1 della matrice (non tutti nulli), presi ordinatamente con segni alternati, si dicono coordi- nate dello S„ — , considerato.
20. Abbiasi un iperpiano S„ — i, e si indichino con it^, Wj, ...., Wni le suo coordinate. Se un vettore di S„
X = a?, «1 + ^j «2 + + ^n «n
si trova in Sn — n sarà soddisfatta la relazione
(."))
Wi a?! + w, j?j + + 11^ x^ = 0.
Difatti, se X è un vettore che appartenga ad Sn-i sarà e quindi:
Ne risulta (§14)
^1 = «li Vi + «2i !/« + •
l » ■ ■ " JL, i<^, • ■
onde il determinante
•••+«n — l«i Vii — 1
. . , n),
(6)
a?i iz?, a?3
X
n
«li «12 «13
a
In
«n— l'I «n— 1'2 '^'n— 1 3* * * ' «n— J'n
14 CAPITOLO PKIMO.
Del quale gli elementi di ciascima delle colonne soddisfanno ad una relazione lineare che non varia da colonna a colonna, è identicamente nullo. Sviluppando questo determinante ri- spetto agli elementi della prima linea ed uguagliando a zero lo sviluppo, otteniamo la uguaglianza (5).
Reciprocamente, se le coordinate del vettore X soddisfanno alla relazione (5), il determinante (6) è nullo: quindi fra gli elementi di ciascuna colonna passa una medesima relazione lineare
ne risulta pel vettore X V espressione
X := k,^, + k, ^, +.... + *„_, p^^..
la quale dice che X appartiene allo S^ — i determinato dai
vettori Pi, p„ p^^,.
Un Sn— i è determinato quando ne sono dati i rapporti delle coordinate u^: ii^:,.,: u^, poiché si potranno deter- minare n — 1 punti linearmente inlipendenti, e non più, le cui coordinate
soddisfino alle relazioni
(5) Wi a?ii + Mj a?ij + . . . .w„ ^m = 0
(i = ], 2 n — 1).
Le (5) esprimono la condizione sotto cui un vettore di coor- dinate a'i, a?j, , n?„, appartiene allo S^— , di coordinate
Wj, w„ ..., w^; date che siano queste ultime, essa si può dire equazione dello §„_,.(*)
(i) Nou entra nel piaDo del nostro lavoro di dilungarci negli svi- luppi che si presenterebbero naturali a questo punto, sulla geometria delle forme lineari nelT insieme o spazio lineare ora definito. Intro- ducendo romo;;eneità, che per lo scopo della presente opera non si presentaTa opportuna, il lettore troverà questi sviluppi nei §§ I-VI della Memoria del D'Ovidio, Le funzioni metriche fondamentali, ecc. (Memorie della K. Accademia dei Lincei, S. Ili, T. I, 1877).
§§ 20-21 SOMMA DI DUE SPAZI. 15
21. Abbiansi V insieme lineare Sp [«p a,, . . . . , a^] a p di- mensioni, e l'insieme lineare S, [p^ Pi» •• • . . Pq] a g dimen- sioni, entrambi contenuti in S. Possono allora darsi due casi:
a) Fra le a^ a,, .... , ap, Pi, Pj, . . . . , Pq non passa alcuna relazione lineare. Non vi è allora alcun elemento di Sp che appartenga ad $,; S^ ed 8, non hanno ehimenti co- muni. Di più, l'insieme contenente tutti gli elementi di Sp ed Sq ed avente il minimo numero di dimensioni, è quello che ha per sistema fondamentale «i, a,, ...., ap, p,, Pj, ...., p,, ed è quindi a p + ? dimensioni. Questo insieme si dice somma degli insiemi Sp ed S^.
b) Fra gli elementi a^, Oj, , «p, p^, Pj, , p^
passano r relazioni lineari indipendenti. Queste relazioni si potranno porre sotto la forma
(7) a„ a, + flTj, a, + ,.. + fl,p «p = Jj» pj + J^^ p^ + .... + ft^^ p^,
\i ^^ 1, e, ...., / ) ,
esse esprimono che vi sono r elementi linearmente indipen- denti comuni ad Sp ed S^. Siano Yj, y,, y^ questi ele- menti comuni; ogni elemento dell* insieme Sp [y,, y,, ...., yj sarà comune ad Sp, S^, e nessun elemento non appartenente
ad S, [y,, y, , yj potrà essere comune, poiché in tal caso vi
sarebbero, contro il supposto, più di r relazioni indipendenti della forma (7). Ne consegue che S, è l'insieme, avente il massimo numero di dimensioni, contenuto ad un tempo in Sp ed S,.
Si consideri ora io Sp ed S, rispettivamente, un sistema fondamentale che contenga yj, yj, .... , y,: scriviamo cioè:
*^p l^ li * 2» . . . . , a p — p, yj, y^ , . . . . , y J ,
^q Ir 1» P «j • • • • » P q — ,, yj, y^, . . . . , y,J.
L' insieme
®p-4-q — r l'* !♦ Otj, . . .. , a p — ,, Pi, p 2, .. . . , pq — r' Ti' Tt» • ' • • J YrJ
r 16 CAPITOLO PRIMO.
»
? contiene tanto Sp quanto S^ ; ed è manifestamente V insieme
\ del minimo numero di dimensioni che ha questa proprietà.
[ È $ ^- ^, che si dirà allora somma dei due insiemi S. ed Sq.
CAPITOLO SECONDO. Generalità delle operssioni
A. LE OPERAZIONI IN GENERALE.
88« Tra gli elementi di due sistemi S ed S' sia stabilita una corrispondenza che coordini uno o più elementi di S ad ogni elemento di S'. Questa corrispondenza può riguar- darsi come reflFetto di un operazione che, eseguita sugli elementi di S, produce gli elomenti corrispondenti di $'. Si dirà che T operazione cosi considerata trasforma S in §'.
Può darsi che ad un elemento di S corrisponda un solo elemento di S'; allora la corrispondenza si suole dire uni- voca. Si dirà pure univoca^ o a determinazione unica^ Y operazione di cui questa corrispondenza è Y effetto. L' ope- razione si dice a determinazione multipla quando essa fa corrispondere ad un elemento di S più di un elemento di S'.
23t Indicheremo d'ora innanzi le operazioni colle lettere maiuscole dell' alfabeto romano. Se air elemento a di S l'operazione A fa corrispondere l'elemento unico a' di S', scriveremo:
A (a) = a'.
Se invece all' elemento a di S l' operazione A fa corrispon- dere più elementi a'p a\, di S', scriveremo:
A(dc) == (^ t) ^2» .•.•)•
18 CAPITOLO SECONDO.
OgnuQO dei diversi elementi a\, o/,, • . . . , che corrispondono jallo stesso elemento a si dirà una diversa determinazione di A(a).
Quando accadrà di considerare più operazioni A, B, G, . . . . si supporrà, ove non si enunci esplicitamente il contrario, che ognuna di esse trasformi l'insieme S in uno stesso in- sieme S'.
24t Siano A, B due operazioni a determinazione unica che trasformino S in $'. Diremo che V operazione A è uguale air operazione B se, qualunque sia a in S, è
A(a) = B(a).
Siano invece A e B due operazioni a determinazione mul- tipla che trasformino S in $'; si dirà che A è uguale a B se, qualunque sia a in S, gli elementi A(a) sono uguali, ciascuno a ciascuno, agli elementi B(a). Da questa defini- zione, e dalle proprietà (§ 2) dell' uguaglianza fra elementi, risultano verificate, per l'uguaglianza fra operazioni, le leggi caratteristiche ( ibid. ) :
se A = B, è B = A;
se A = B e B = C, è A = C.
85« Dati i due spazi lineari S, S', chiameremo opera- zione nulla in S, ed indicheremo con 0, V operazione uni- voca che fa corrispondere ad ogni elemento a di 8 l'ele- mento zero in S':
0(a) = 0.
Non è escluso che S' possa coincidere con $.
Dato l'insieme lineare S, chiameremo operazione iden- tica od operazione unità l'operazione univoca che fa cor- rispondere ad ogni elemento a di S l'elemento stesso a. Indicandola con I, avremo:
I(a) = a.
§§ 23-28 DEFINIZIONI SULLB OPERAZIONI. 19
26« Siano A, 6 due operazioni univoche che trasfor- mino entrambe S in S': diremo somma di A e B ed indi- cheremo con A + B l'operazione che fa corrispondere ad ogni elemento a di $ T elemento A(a) + B(a) di S'.
Siano A e B due operazioni a determinazione multipla che trasformino 8 in £'; si dirà somma di A e B e si in- dicherà con A 4- B r operazione che f;i corrispondere ad ogni elemento a di S tutti gli elementi che risultano dalle somme di una qualsivoglia delle determinazioni A(a) di A con una qualunque delle determinazioni B(a) di B. Da questa definizione, e dalle proprietà delle somme di elementi (§ 3), segue che la somma delle operazioni gode delle proprietà caratteristiche dell'addizione (ibid.)« cioè
A + B = B + A, (A + B) + C = A + (B + C).
Si ha inoltre manifestamente
A + 0 = A.
27» Essendo a un numero qualunque reale o complesso, diremo prodotto di A per a, ed indicheremo con aA, l'ope- razione che ad ogni elemento a di S fa corrispondere l' ele- mento (o gli elementi) aA(a) di S'. Da questa definizione, e dalle proprietà date al § 5 per il prodotto di elementi per numeri, seguono le uguaglianze:
a(A + B) = aA + aB, (a + 6)A = aA + &A, a(&A) = (a6)A.
28. Date due operazioni univoche A e B, che trasfor* mino entrambe S in £', resta con esse definita T operazione che ad ogni elemento a di S fa corrispondere l' elemento B(a) — A(a) di S'. Questa operazione si indicherà con B — A: essa si dirà differenza di B da A. Si ha evidentemente
A ~ A = 0, A + (B — A) = B.
20 CAPITOLO SECONDO.
29. Da quanto precede discende che T insieme delle ope- razioni univoche, le quali, applicate agli enti di uno spazio lineare S, lo trasformano in uno spazio lineare &', soddisfa alle condizioni indicate ai §§ 2-6; quindi questo insieme di operazioni costituisce alla sua volta un nuovo insieme li- neare (§7).
Risulta immediatamente, da quanto precede, che cosa si debba intendere con operazioni univoche linearmente dipen- denti od indipendenti.
30, Siano A e B due operazioni, la prima delle quali tra- sformi lo spazio lineare S in S', la seconda lo spazio lineare $' nello spazio lineare S". Si può allora porre
A(a) = a\ B(«') = a"
e considerare la trasformazione di S in S" tale che ad a corrisponda a". Questa trasformazione è un' operazione che si dice prodotto di A per B; essa viene designata con BA.
Date più operazioni A, B, C, .•.., tali che A trasformi
S in i>\ B trasformi S' in S", C trasformi S" in S'", è
stata definita l'operazione BA che trasforma S in S". Ana- logamente sarà definita 1' operazione C(BA), prodotto di BA per C, che trasforma S in S'", e cosi via.
SI* Quando un sistema di operazioni A, B, C, . . • . , è tale che le duo operazioni G(BA), (CB)A siano uguali, si dice che il sistema delle operazioni ammette la proprietà associativa. Noi stabiliremo che i sistemi di operazioni che considereremo d' ora innanzi, godano sempre della proprietà associativa,
I prodotti uguali C(BA), (CB)A si rappresenteranno d'ora in poi con CBA.
32. Se le operazioni A, B trasformano entrambi lo spazio S io S>\ ed S' in S", ambo i prodotti AB, BA trasfor- meranno S in S". In generale però questi due prodotti non saranno uguali. Quando due operazioni A, B sono tali che sia
AB = BA,
§§ 2^-35 SOMMA E PRODOTTO DI OPERAZIONI. 21
si dice che le operazioni A, B sono commutabili, od. anche che godono della proprietà commutativa.
Non ammetteremo, per le operazioni che avremo da con- siderare, che sia veriQcata in generale la proprietà commu- tativa; essa potrà, per altro, presentarsi in casi particolari.
33* Se A, B, AC, BC sono a determinazione unica, da A = B risulta AC = BC.
Se A, B sono a determinazione unica, da A = B risulta CA = CB.
34. Dati gli spazi lineari S, S', $", $'", . . . . , V opera- zione A trasformi S in S', S' in S", e cosi via. Dal § 30 ri- sultano allora definite le operazioni AA, AAA, .... Queste operazioni si indicheranno rispettivamente con AS A^ . • . . , e si diranno potenze seconda, terza, .... (o di esponente 2y 3 ) della operazione A.
Dalia proprietà associativa, che come si è avvertito, inten- diamo che sia costantemente verificata, risulta per le potenze di un' operazione la proprietà iterativa, che è espressa dal- l' uguaglianza (1) A«»A» = A°» + °
essendo >n ed n numeri interi positivi.
La prima potenza (o d'esponente 1) dell'operazione A sarà l'operazione A stessa.
36. Accade spesso di considerare il caso in cui gli spazi lineari, che abbiamo indicati con S, è', ...., non sono fra loro distinti. In altre parole, l'operazione A può fare corrispondere ad un elemento di 8 un elemento pure appar- tenente ad S, o trasformare, come si dice, lo spazio S in sé stesso. A questo caso che è già stato considerato al § 25 per r operazione identica, si applicano senza modificazioni tutte le considerazioni svolte nei §§ precedenti.
Se A è un'operazione che trasforma S in sé, due po- tenze qualsivoglìano di A sono fra loro commutabili.
22 , . CAPITOLO SECONDO.
' 36. Se A è una qualsivoglia operazione che trasforma
S in sé, è chiara che
AI = lA = A.
Le potenze di I coincidono evidentemente con L
Per queste proprietà, l'operazione identica o unità verrà
rappresentata col simbolo 1.
Mantenendo valida la proprietà iterativa, espressa dalla
(1), anche nei caso dell'esponente nullo, verrà
con ciò A* non differisce dall'operazione identica, e por- remo pertanto
A* = 1.
37. Data un'operazione A, diremo inversa di A una operazione A' tale che sia (§§ 30, 36)
(2) AA' = 1.
Risulta di qui che se A trasforma S in S', A' trasforma S' in S; e se A trasforma S in sé, lo stesso deve operare A'.
Risulta ancora dalla (2) che, se A' é a determinazione unica,
(3) A'AA' = A'
e quindi
A'A = 1 ;
A è dunque l'inversa di A'. Se invece A' è a determina- zione multipla, si può dire che una delle determinazione di A' è uguale ad una di quelle di (A'A)A', qualunque sia questa; ed in questo senso (§ 14) si può ritenere valida la (3) anche in tale caso.
38. La (2) si può scrivere ancora (§36)
AA' = A«.
Convenendo di mantenere valida la legge iterativa anche per gli esponenti interi negativi, siamo condotti a designare col simbolo A—* l'operazione A', inversa di A.
§§ 3G-40 PRODOTTI B QUOZIENTI DI OPERAZIONI. 23
Per la proprietà associativa, si ha pure
A"^(A')» = 1,
onde (A')"* è l'inversa di A*. Di più, per la conveazione precedente dell' estensione della validità della (1) al caso di esponenti interi negativi, la (A')* si potrà indicare con A— "•
89. Siano date due operazioni A, B che trasformino S in sé, e delle quali la prima ammetta l'inversa A — * a de- terminazione unica: proponiamoci di determinare un'opera- zione X tale che sia
XA = B.
Essendo
BA-*A = BI = B,
ne viene X = BA — *. L'operazione X dicesi qtwziente a destra di B per A.
Proponiamoci invece di determinare un' operazione Y tale che sìa
AY = B.
Questa operazione sarà data da Y = A"-*B, perchè
AA-*B = IB = B.
La Y si dice quoziente a sinistra di B per A; in questo caso non è necessaria l'ipotesi che A — * sia a determina- zione unica.
Condizione necessaria e sufficiente affinchè i due quo- zienti siano uguali, è che A e B siano fra loro commutabili.
40. Date più operazioni A, B, , K in numero finito,
ogni operazione ottenuta combinando un numero finito di volte queste operazioni per somma, per moltiplicazione per numeri, e per prodotto, si dirà funzione razionale inteì^a delle operazioni date.
24 CAPITOLO SECONDO.
Cosi
aA<» + bA + cA*
sarà una funzione razionale intera dell* operazione A; aA* + bA + cABA + dA^BAB + (ek* + fA^){gB^ + AB)
sarà una funzione razionale intera delle operazioni A e B, ecc. Combinando le operazioni date, oltrecchò nei modi indi- cati, anche per quoziente a destra o a sinistra un numero finito di volte, si otterranno funzioni razionali fratte delle operazioni date. Cosi
aAB-4 + (&BA + cA«)A-4
sarà una funzione razionale fratta di A e B.
41. Abbiasi un sistema di operazioni A, B, C, . . . . , cia- scuna delle quali trasformi $ in S', S' in S", S" in S'", ,
gli spazi lineari S, i\ &'\ .... essendo distinti o coinci- denti. Quando i prodotti delle operazioni del sistema appar- tengono al sistema stesso, si dice che il sistema fonna un gruppo.
Come esempio, il sistema
delle potenze intere e positive di un'operazione A forma un gruppo.
Come altro esempio, forma pure un gruppo il sistema delle operazioni commutabili con un'operazione data A. Sia infatti B, C, questo sistema: se è
AB = BA, AC = CA.
sarà pure, applicando successivamente la legge associativa,
A(BC) = (AB)C = (BA)C = B(AC) = B(CA) = (BC)A,
cioè anche BC è commutabile con A.
§§ 40-42 FUNZIONI DI OPBRÀZIONI. 25
B. LE OPERAZIONI DISTRIBUTIVE.
48« Dopo di avere date, in ciò che precede, alcune pro- posizioni sulle operazioni in generale, passiamo ora a stu- diare quelle, fra le operazioni applicabili agli enti degli spazi lineari, che godono di una speciale proprietà che conferisce loro caratteri di semplicità e di importanza notevolissimi. Questa proprietà viene detta distributiva; se a e ^ sono elementi qualsi vogliano dello spazio lineare S, ed A una operazione applicabile a questi enti, si dice che A gode della proprietà distributiva quando sia
(4) A(a + p) = A(a) + A(p).
Risulta da quasta che se a, p, y, .... sono elementi di S, sarà
A(a + p + Y + ....) = A(a) + A(p) + A(y) + ....
e se n è un numero intero positivo,
A(na) = nA(a);
dalla quale ultima risulta subito
^(i«)=vAf«)'
e quindi, se e è un numero razionale, (5) A(ca) = cA(a).
Noi ammetteremo che l'uguaglianza (5) sussista per ogni numero e, reale o complesso, Q) q:
(*) L* eguaglianza A(c<9r) = eA(«r), che per e razionale e conse- guenza della (4), si potrebbe dedurre dalla (4) per e irrazionale ed anche complesso, ponendo per A delle restrizioni opportune, analoghe alla continuità delle funzioni. Tralasciamo per ora di insistere su ciò; ammetteremo senz* altro che per le operazioni che studieremo sia sempre soddisfatta la (5) insieme alla (4).
26 CAPITOLO SECONDO.
Chiameremo operazioni distributive quelle che godono delle proprietà espresse dalle equa- zioni (4) e (5).
Le operazioni che si considereranno d'ora innanzi ia questa opera saranno esclusivamente operazioni distributive.
Come esempio di operazioni distributive già incontrate nei §§ precedenti, citiamo l' operazione identica (§ 25), e l'operazione di moltiplicazione degli elementi di S per un dato numero (§ 5).
43. La somma di due operazioni distributive è pure un'operazione distributiva.
Siano infatti A e B due operazioni distributive che tra- sformano $ in $'. Si ha, per definizione (§ 2G):
(A + B)(« + ?) = A(a + P) + B(a + P); ma
A(a + P) = A(a) + A(^;, B(a + jB) = B(a) + B(3),
onde
(A + BX« + ^) = A(a) + A(p) + B(a) + B(p) = = (A + B)(a) + (A + B)(p).
Si ha pure: (A -h B)(ca) = A(ca) + B(ca) = c(A + B)(a).
44. Se A è un'operazione distributiva, è tale anche T o p e r a z i o n e e A.
Essendo poi distributiva l' operazione identica A*, ne viene che:
Se A è un' operazione distributiva, è tale anche ak + &A®, qualunque siano i numeri a e b*
45. Il prodotto di due operazioni distribu- tivo è una operazione distributiva.
Siano A, B due operazioni distributive, che trasformino entrambi lo spazio lineare S in S', e Io spazio lineare S' in S";
42-46 OPERAZIONI DISTRIBUTITE. 27
dove noa si esclude che questi spazi possano anche coinci* dere. Poiché si ha
AB(a + p) = A(B(a) + B(P)) = AB(a) + AB(P),
ed
AB(ca) = A(cB(a)) = cAB(a),
risulta che AB ammette le due proprietà che caratterizzano le operazioni distributive.
Segue da ciò, e dalla definizione del § 41, che:
Le operazioni distributiyeformano un gruppo.
In particolare, formano un gruppo le operazioni distri- butive che trasformano in sé uno spazio lineare dato; a questo appartiene V operazione identica.
46. Sia A un' operiizione distributiva, che trasformi in sé stesso lo spazio S. Le potenze
A«(= 1), A»(= A), A^ A», ....
di A saranno operazioni distributive aventi la stessa pro- prietà (§ 4^), e quindi saranno anche tali le operazioni espresse da
(6> c^Ao + c\k + CsA« + .... + c„A».
E chiaro che ogni funzione razionale intera dell' opera- zione A si riduce, per la proprietà iterativa delle potenze e per le proprietà (4) e (5) cui soddisfa A, alla forma prece- dente (6), che scriveremo di solito, tralasciando di scrivere i simboli equivalenti di A^ ed 1,
c^ + (?! A + e,A« 4- .... + ^«A"^.
Una tale espressione si dirà foì^ma lineare (a coeffi- cienti numerici) (^) neir operazione A, Il massimo esponente
(>) In qnesto Capitolo, parlando di forme lineari di una o più operazioni, si intenderà sempre « a coefficienti nnraerici »•
28 CAPITOLO SECONDO.
m col quale figura ia essa la A, si dice ordine della forma. L'operazione aA + b, considerata alla fine del §44, è una forma lineare del primo ordine.
47* Il prodotto di due forme lineari del primo ordine nell' operazione A, ad esempio a + bA ed a' + b'k, è dato da
(a + 6A)(a' + 6'A) = a{a' + b'A) + bk(a' + b'A) ed applicando le leggi (4) e (5):
(a + bk){a' + b'k) = aa! + {aV + 6a')A + 6&'A*.
Siccome questo risultato è simmetrico nei coeflScienti delle due forme, ne segue intanto che le due forme consi- derate sono operazioni commutabili.
Applicando più generalmente le medesime leggi alle due forme lineari in A, degli ordini rispettivi m ed n:
F = a^ + «lA + a,A* + .... + a^A« Fi = ft^ + b^k + ft,A« + ....-*- b^k\
troviamo che il loro prodotto sarà dato da
FF, = «0^0 + K&i + «i&o)A + iP'A + «i&i + «A)A* +
+ .... + a.ft^A*-»-».
Da questo risultato, possiamo trarre le seguenti con- clusioni:
a) Il prodotto di più forme lineari in A, dove A è un'operazione distributiva, si forma colle stesse regole del prodotto di più poli- nomi ordinati secondo le potenze di una let- tera a?.
b) Se le forme date sono degli ordini ri- spettivi m, n, p, ...., il prodotto è dell'ordine m + n + p + . . . .
46-48 OPERAZIONI DISTRIBUTIVE. 29
c) Le forme lineari in A sono operazioni fra loro commutabili.
d) Il sistema delle forme lineari in A forma un gruppo.
48* Per la osservazione che il prodotto delle forme lineari in A è soggetto alle medesime regole della ordinaria mol* tiplicazione di polinomi ordinati secondo le potenze di una lettera ordinatrice (fatta eccezione per la legge di annul- lamento del prodotto) noi potremo estendere ai prodotti di forme le proprietà che si deducono, nel calcolo letterale, per la detta moltiplicazione dei polinomi ordinati. In par- ticolare: Ogni forma di ordine m:
(7) F = a, + a,A + a,A« + .... + a„A»
si può esprimere come prodotto di m forme di prim'ordine
F = aJA — c,yi{A - c,y, .... (A - e.)'.,
(ri -»- rj -♦-.... -f- r, = m).
Basta infatti sostituire, nelP espressione (7), al simbolo operativo A e alle sue potenze, una indeterminata ^ e le rispettive potenze: per la nota scomposizione in fattori del polinomio razionale intero in co, quale è insegnata dair Al- gebra, si avrà:
«o + «1^ + . . . . a^x"^ = a^(iv — (?i)'i(ir? — c,)'t .... (a? — <?,)'. ;
ora, sostituendo nel secondo membro ad x il simbolo d* ope- razione A, ed eseguendo il prodotto secondo le leggi (4) e (5) e le loro conseguenze, si ricade sull'espressione (7) di F. Cosi, ad esempio, si avrà:
A<» + A« = (A« + iA)(A<> — lA).
CAPITOLO TERZO.
Badioi e spazi di radici di nn' operaiione distribativa.
A. PRIME PROPRIETÀ DELLE RADICL
49. Abbiasi 1* operazione distributiva univoca che faccia corrispondere allo spazio lineare S lo spazio S'; siano poi «1, (Xj, ...., a^, n elementi linearmente indipendenti in S, e
siano jS^, ^, , , ^n gli elementi che ad essi corrispondono
in S' mediante A, in guisa che
A(a,) = ^p A(a,) = jS,, A(a J = p,.
Per le proprietà delle operazioni distributive, sarà
A(Ciai + c,a, + . . . . + c^aj = c^^, + c^^^ +.... + cJn-
Allo spazio ad n dimensioni S„ [a^, a„ . . . . , aj la A fa dunque corrispondere lo spazio degli elementi rappresen- tati da
(1) c,^i + c,^, + . . . . + (\^..
i numeri c„ c„ ..... c^ potendo assumere valori arbitrari. Qui si possono presentare due casi:
a) Gli elementi p^, Pj, , p„ sono linearmente indi- pendenti. Allora allo spazio ad n dimensioni S, [a,, «t,.*-- « <x„] corrisponde lo spazio ad n dimensioni Sa'[^i, Pt, . . . .', ]3J ; non esiste in S^ ^^ elemento &) differente da zero e tale che sia
§§ 4d-50 OPJSBAZIORI DEGSKBRI. 31
A(a>) = 0. L* operazioDe A si dice in tale caso senza radici in Sai 0 non degenere in S^.
h) Fra gli elementi ^i, ^^, , ^^ passano r relazioni
lineari distinte, e non più (r < n) (§ 6). Allora nello spazio (1) vi sono n — r elementi linearmente indipendenti, e non più; lo spazio (1) è ad n — r dimensioni. In questo secondo caso r operazione A si dice degenere.
In ogni caso, resta dimostrato che:
Un' operazione distributiva univoca fa cor- rispondere ad uno spazio lineare ad n dimen- sioni, uno spazio lineare ad n' dimensioni (n'<:n).
50. Nel caso h) del § precedente esistono r sistemi linearmente indipendenti di numeri h^^ A„ . . . . , h^y tali che
è quindi:
Esistono dunque in S^ r elementi linearmente indipen- denti, e non più, coj, co,, .... , co,, ai quali la A fa corrispondere lo zero in S^ Questi elementi si diranno radici di A, e l' ope- razione A si dirà degenere di specie r in S^.
Se 0) ò radice di A, anche eco sarà radice, qualunque sia il numero c\ le radici di un'operazione costituiscono dunque
almeno uno spazio ad una dimensione. Se co^, co,, , co, sono
r radici di A linearmente indipendenti, tutti gli elementi dello spazio S, [co^ ,C0{, . . . . , coj saranno radici di A, e lo spazio stesso si dirà spazio di radici di A.
E importante di notare che quando Y operazione A è degenere di specie r in 8^, si presentano i due fatti conco- mitanti:
a) esiste in S^ uno spazio di radici ad r dimensioni; h) ad S^ corrisponde in S' uno spazio ad n — r di- mensioni.
32 CAPITOLO TBRZO.
61« Lo zero è radico di qualsivoglia operazione distributiva univoca. Se fosse infatti corrispondente delio zero un ele- mento non nullo \ cioè se fosse À(o) = X, si avrebbe, es- sendo ^ l'elemento di S' che corrisponde ad un elemento a di S,
A(a) = A(a+o) = A(a) + A(o) = ^ + X;
e quindi A((x) ammetterebbe le due determinazioni JS e J3 + X, cioè non sarebbe univoca.
Onde:
Ogni spazio di radici di un'operazione distri* butiva univoca contiene lo zero, (^)
58* Data un'operazione distributiva univoca A che tra- sformi S in 8', l'inversa (§ 37) A-* di A trasformerà S' in S. Se ora w è radice di A ed A(a) = p, avremo qua- lunque sia e:
A(a + C(o) = p,
onde A — * fa corrispondere a j3 tutti gli elementi rappre- sentati da a + c?&), per ogni valore di e.
Se dunque A è degenere, A — * è a determinazione mul- tipla.
Reciprocamente, se A non è degenere, A — * è univoca. Se infatti non fosse tale e facesse corrispondere ad un me- desimo elemento ^ di S' due elementi a^ ed oc, di S, a^ — a^ sarebbe radice di A.
Onde, concludendo:
Condizione necessaria e sufficiente affinchè l'inversa di un'operazione A distributiva unì- voca sia essa pure univoca, è che A non sia de- genere.
(^) Qaando, in ciò che seg^ae, si dirà che u è radice di un* opera- zione, 8* intenderà che tu non sia lo zero.
§§ 51-55 OPERAZIONI DEGENERI. 33
53. Sia data uq* operazione K che trasformi lo spazio S in S>\ e sia in S a determinazione multipla. Per il § prece- dente, K — * ammetterà necessariamente radici in S'. Se ora S' non è interamente spazio di radici di K-*, accadrà tal- volta che si possa sopprimere da S' lo spazio di radici di K — *, in modo che rimanga dopo ciò uno spazio lineare S". In S" la K — ^ non è più degenere, onde ad S' apparterrà uno solo degli elementi che la K fa corrispondere ad un elemento di S. In questo modo, la K si è resa a determinazione unica, in quanto fa corrispondere S" ad S.
Questa osservazione, che mostra la possibilità di rendere univoche, mediante una limitazione opportuna dello spazio su cui operano, le operazioni date a determinazione mul- tipla, tornerà utile nelle applicazioni della teoria delle opc^- razioni distributive.
64. Siano A, B due operazioni univoche e degeneri. Il prodotto AB è evidentemente univoco; di più esso è dege- nere, poiché A(o) non può ammettere altra determinazione che lo zero (§ 51), e quindi ogni radice di B è ra- dice del prodotto AB. Per altro la reciproca non è vera. Inoltre, non è in generale radice del prodotto AB ogni radice dì A. (').
55. Sia &> una radico dell* operazione univoca A che tra- sforma S in sé stesso. La w sarà radice di A* (§ prec), ma
(1) Vediamo cosi che il noto teorema, il quale vale in Analisi per il prodotto di dae o più funzioni, che, cioè, « in un intervallo in cui le funzioni sono finite, radici del prodotto sono quei numeri e quelli soli che annullano uno dei fattori », non si estende in generale ai prodotti di operazioni distributive. Vale invece l'analogo dell'altro teorema, che un e prodotto di funzioni è identicamente nullo se è identicamente nullo uno dei fattori ». Se infatti indichiamo con O T operazione nulla {9 25), é chiaro che se è uguale ad O sia la A, sia la B, sarà uguale ad O anche il prodotto AB. Non si può però asserire in modo gene- rale che « condizione necessaria a che sia uguale ad O il prodotto AB, è che sia tale od A o B ».
34 CAPITOLO TERZO.
potrà accadere che À^ ammetta radici che non siano radici di A. Così, se m è un numero intero positivo qualsivoglia» tutte le radici di A, A*, . . . , A"*-* saranno radici di A"; ma A"* può ammettere radici che non siano radici di A"*-*.
Si dirà radice propria di A" una radice di A"* che non è radice di A"-*; una radice di A' (r < m) si dirà radice impropria di A".
56. Indicando con &)(«» — i) una radice propria di A™, si deduce dall* uguaglianza (§ 34)
A"(od(«-*)) = A»-*A((o^"»-4)) = o
che A((o(™ — *)) è radice di A"-*, ed inoltre è radico propria; infatti se fosse radice impropria, co("'-*) annullerebbe una potenza di A inferiore alla m\ contro l'ipotesi. Scrivendo:
si vede similmente che A(a)(™— 2)) è radice propria di A™- ^; posto
A((i)("-2)) == coi™ -3)
A(od('»— 3)) è. radice propria di A" — ^^ e così via.
67. Siano Wji™-*), Wji™-*), . . . , coj"-*) radici proprie, indipendenti linearmente, di A''. Esse definiscono uno spazio di radici (§ 50) di A". Non accadrà però necessariamente che ogni elemento di questo spazio sia radice propria di A™. Ad esempio, se toC"» — *) è radice propria ed co' è radice impropria di A™, gli elementi linearmente indipendenti co(™~*) ed Q)(in — i)^co' saranno entrambi radici proprie di A™, ma allo spazio S2[a}('n~*), tai^-ì) + co'] apparterrà la radice im- propria co'.
Uno spazio di radici Sr[w/'"-*), Wji'" -*),..., w/™ - *)] tale che non contenga alcuna radice impropria di A", si dirà spazio di radici proprie di A"".
§§ 55-59 RADICI PROPRIE. INVARIANTI. 35
Dalla proposizione del § 56 segue che se $, è spazio di radici proprie di A"*, lo spazio in cui S, è trasformato da A è spazio di radici proprie di A"» — *.
58. Diremo che un elemento a è invariante per un'operazione A, a determinazione unica, che trasforma S in sé, quando si abbia
A(a) = Aa,
essendo k un numero (moltiplicatore) deter- minato.
Se a è invariante per A, anche ca è tale, qualunque sia il numero e; gli elementi invarianti per un'operazione co- stituiscono adunque, quando esistono, almeno uno spazio ad una dimensione.
È chiaro che l'elemento a è radice della forma lineare di prim* ordine in A (§ 46):
A — kA%
e reciprocamente, ogni radice di una forma a coefficienti numerici di prim' ordine in A è invariante per A.
59» Se gli elementi linearmente indipendenti «i, a, sono invarianti per A, ed è
Ogni elemento dello spazio Sj [«naj sarà invariante per A, se k^ = k^ Se invece ò h^ ^ Aj, si avrà
cioè la A trasforma in sé l' insieme Sj. Perchè un elemento di questo insieme sia invariante dovrà essere
*(^l«l + ^««2) = ^1*1«1 + ^2*2«2i
onde e, = 0 0 c^ = 0; soli elementi invarianti sono dunque quelli della forma c^a^ e c^aj.
36 CAPITOLO TBRZO.
Diremo spazio invariante per un' opera- zione A, uno spazio trasformato in sé da quella operazione.
Potremo dunque dire che Sj è spazio invariante per A; Ci<X| e c^a^ sono elementi invarianti in questo spazio, e se A, = Aj, lo spazio Sj è formato da soli elementi invarianti.
Più generalmente, siano «i, a,, . . . , a^ elementi li- nearmente indipendenti, ed invarianti per A. Lo spazio ^r [o^n «2» • • • ♦ *r] sarà trasformato in sé da A, e sarà quindi uno spazio invariante por A.
Lo spazio $r sarà formato da soli elementi invarianti, nel caso in cui, posto K{ol^ = ^,«4, {i = 1, 2, . . ., ?'), tutti i moltiplicatori k^ siano uguali fra loro.
B. PROPRIETÀ DELLE RADICI DI OPERAZIONI COMMUTABILI.
60. Se A e B sono due operazioni distributive univoche, commutabili e senza radici comuni ed a è radice di A, anche B(a) è radice di A.
Infatti, poiché B(o) = 0 (§ 51), sarà BA(a) = 0. Ma
BA = AB, onde A(B(a)) = 0.
61. Essendo A e B due operazioni soggette alle medesime ipotesi del § precedente, se S„ è uno spazio di radici di A, anche lo spazio S'„ trasformato di $„ mediante B, é spazio di ra- dici di A.
Ciò risulta immediatamente dal § precedente. Inoltro, poiché A e B non hanno, per ipotesi, radici comuni, lo spazio di radici nuovo sarà, come il primo, ad n dimensioni.
Se a,, «4, . . . , «n sono elementi di S^ formanti un si- stema fondamentale, gli elementi
B(«,), B(a,), . . . , B(0
§§ 59-63 RADIO! DI OPERAZIONI COMMUTABILI. 37
formeranno un sistema fondamentale di S'^. Se infatti fra questi passasse una relazione lineare
ne risulterebbe
B(aiaj + a^a, + . . . + «^«J = o,
il che non può essere, perchè A e B non hanno radici co- muni, e perchè a^a^ + . . . + a^a^ non è zero.
62» Nello spazio lineare S l'operazione A abbia per ra- dici tutti e soli gli elementi di S„ [«j, «j, . . . , aj. Dal § pre- cedente, risulta immediatamente che S„ è spazio invariante per l'operazione B. Posto allora
poiché gli a\, a',, . . . , a'^ sono linearmente indipendenti (§ prec), ogni elemento a di S^ si potrà scrivere
a = a,a\ + a^a'j + . . . + a„<,
ossia
a = B(aia, + a^a, + . . . + a„aj.
Dunque:
Ferme per A e B le ipotesi del § 60, se S^ con- tiene tutte e sole le radici di A, esiste sempre in Sj, un elemento a, ed uno solo, tale da sod- disfare all' equazione
B(a) = «,
qualunque sia l'elemento a di S^.
68. Siano A , B due operazioni distributive univoche, commutabili, senza radici comuni. Se Sai Sq sono i rispettivi spazi di radici, l'opera- zione AB sarà degenere di specie m + n (§ 50)
38 CAPITOLO TBBZO.
ed avrà per spazio di radici lo spazio Sm-nn. somma (§ 21) degli spazi $„ ed S^.
Essendo infatti S^ [a„ ò,, . . . , a J ed S„ [jSi, p„ . . . , i3„] rispettivamente gli spazi di radici di A e B, entrambi con- tenuti nello spazio lineare S trasformalo in sé da A e B» potremo scegliere a sistema fondamentale dello spazio Sm-f-n il sistema di m + n elementi linearmente indipendenti
Con ciò, Ogni elemento y di Smn-n si può riguardare come somma di un elemento a di S^ e di un elemento ^ di S^. Avremo quindi:
AB(r) = AB(a + P) = AB(a) + AB(^) = o :
cioè ogni elemento di Sm + n è radice di AB.
Reciprocamente, ogni radice di AB appartiene ad Sm + u.
Sia infatti y tale che AB(y) = o. Se y è radice di B, essa appartiene ad S„ e quindi ad Sm-hn; in caso contrario B(y) sarà radice di A ed apparterrà quindi ad $„. Scegliamo allora come sistema fondamentale di S.^, gli m elementi linearmente indipendenti (§ 61)
a\ = B(ai), (x\ = B(a,), ...,«'„ = B(aJ;
si potrà porro
B(y) = «!< + «ta'j + . . . + a„a'„, ossia
B{r) = B(«i«i + ai^j + . . . + a„aj.
Donde risulta
Y = «1*1 + «i«t + . • . + «««a + f^ essendo ^ una radice di B; si vede quindi che y appartiene
§§ 63-64 PRODOTTI DI OPERAZIONI COMMUTABILI. 39
Il teorema che forma T oggetto del presente § si estende subito al prodotto di quante si vogliano operazioni distribu- tive univoche, commutabili, degeneri di specie finita, e senza radici comuni.
64, Venendo ad un caso più generale, siano À , B due operazioni distributive univoche, degeneri in S, cogli spazi di radici rispettivi S^ ed £„; ma questi abbiano in comune un insieme S,. In tale caso:
Il prodotto AB è degenere in S dell'ordine 7/1 + n al più; ha come spazio di radici lo spazio SmH-n-r, somma (§ 21, b) di S„ ed S^, e fuori di questo ha al più r radici linearmente indi- pendenti.
Sia infatti S, [a,, «j, . . . , «J Io spazio avente il numero massimo di dimensioni, contenuto ad un tempo in S^edS^; assumendo «j, a,, . . . , a, a far parte di un sistema fonda- mentale tanto in $^ che in £„, avremo:
ed
Gli elementi a,, a^ . . . , a^, a, -»- 1, . . . , «nn i^r -»- 1» • • • » Pn» i quali, come è chiaro, sono indipendenti linearmente, co- stituiranno il sistema fondamentale di un Sm+n — r. E evi- dente che ogni elemento y à\ questo spazio è radice di AB ; inoltre supponiamo, se è possibile, che in S, fuori di Sni^-n-i, esistano r + 1 radici di AB linearmente indipendenti
Dovendo essere
AB(X,) = 0 AB(Xr) = 0, AB(|x) = o.
40 CAPITOLO TERZO.
e gli elementi Xj, Xj, . . . , X„ jjl non appartenendo ad Sm-hn — r e quindi neppure ad S„, avremo che
B(XO = a\, B(X,) = a',, . . . , B{X,) = a',, B(|i) = a'
sono radici dì A. Esse sono di più linearmente indipendenti, perchè se per certi valori numerici A,, A,, . . . , A,, h fosse
h,^X,) + ;ijBa,) + . . . + K^{\) + /iB(pL) = o, ne verrebbe
^[K\ + K\ + . . . + hX + Afi) = 0,
ossia, per l'indipendenza lineare di Xj, . . . , X^, |jl» l'ele- mento AjXi + A,X, + . . . 4- Afi sarebbe radice di B, mentre per ipotesi esso non appartiene ad Sm^n — r e quindi nemmeno ad S„.
Infine si ha (§ 61) che
B(ar-hi) = a'r-hi, B(ar-h2) = a'rH-2, . . . , B(aJ = «'„
sono radici linearmente indipendenti di A. Ciò posto, le radici di A :
sono in numero di m + 1, mentre A non ammette in S se non uno spazio di radici ad m dimensioni; esse sono per- tanto legate da una certa relazione lineare
a,a', 4- ««a'i + . . . + a^(x.\ + che si può anche scrivere:
Sotto questa forma, viene espresso che l'elemento su cui porta B 0 è nullo, 0 è radice di B. Nell'uno e nell'altro
§§ 64-66 PRODOTTI DI OPERAZIONI COMMUTABILI. 41
caso, resta dimostrato che gli r + 1 elementi Xj, . . . , X,, pt sono legati linearmente ad un elemento di Sm + n — r. In altri termini, non possono esistere in S, al di fuori di Sm+n — r, più di r radici di AB linearmente indipendenti.
II teorema precedente si estende facilmente al prodotto di quante si vogliono operazioni. Abbiansi ad esempio le ope- razioni Aj, Aj, . . . , A, univoche, commutabili e che trasfor- mano Sin so. Esse ammettano rispettivamente gli spazi di radici S« , S_ ,...,$» , e sia S-(n < n, + n« + . . . + n^
12 r
Io spazio comune avente il massimo numero di dimensioni. Applicando ripetutamente il teorema del § precedente si conclude che:
Il prodotto A| Aj ... A, ha come radice ogni elemento di $„, o fuori di questo ha al più ni + rig + ... + ^r — ^ radici linearmente indipendenti.
65. Sappiamo che, essendo A un'operazione che tra- sforma $ in sé, le potenze di A sono fra loro commutabili. Se dunque A ammetto in 8 uno spazio di radici ad m di- mensioni, per il teorema precedente:
A' ammetterà in $ uno spazio di radici ad air dimensioni al più.
In particolare, se A ammette in $ una sola radice (al- l'infuori del moltiplicatore arbitrario), A' avrà in S uno spazio di radici ad r dimensioni al più.
66. Abbiasi un' operazione A {*) univoca, che trasformi in sé lo spazio S ed ammetta in S la sola radice a^. Lo spazio di radici di A é dunque TS, che si ottiene da col^
(^) ATTertiamo ancora una volta che si intende sempre parlare di operazioni distributive. Questa denominazione si ometterà quindi innanzi.
42 CAPITOLO TERZO.
dando a e tutti i valori possibili. Ciò posto, si abbia in S una successione di elementi a^ <»£,..., «„, . . . , tali che sia
(2) A(ai) = a^, A(aj) = «,,..., A(a,) = «n-i,
Anzitutto a,, a,, . . . , an — i saranno radici di A""; «n — i sarà radice propria (§ 55) di A°; la radice più generale di A" avrà la forma
Gli elementi a^,, 0L^, ..., a,, — ! sono fra loro linearmente indipendenti; ciò risulta subito dalle posizioni (2).
Sia ora B un'operazione commutabile con A, univoca, senza radici comuni con A. Anche B (a^) sarà radice di A (§ 60), onde dovrà essere
9
dove k^ è un numero determinato. Per la medesima ra- gione, B(ai) sarà radice di A*, onde
B(ai) = ^,«0 + ^2«i»
ed applicando i* operazione A ad ambi i membri di questa uguaglianza, otteniamo
cioè
Sarà quindi
Analogamente B(aj) è radice di A^ e si trova
e in generale
(3) B(a„) = A„«^ + An-ia^ + ... + A,ai.-i + A,a„.
T'
§§ 66-67 ABLAZIONI FRA OPERAZIONI COMMUTABILI. 43
Data, dunque, la successione (2} e la operazione B, esiste un sistema perfettamente determinato di coefficienti k^^ ^1» • • • f ^n» ■ ■ • » diversi da zero, per mezzo dei quali si co- struisce il sistema delle uguaglianze (3).
67. Si abbia ancora 1* operazione A, la quale ammetta in S la sola radice «^ (all' infuori del moltiplicatore arbi- trario) « sia B un'operazione, pure univoca, che trasformi S in sé stesso ed abbia la medesima radice di A. '
E allora possibile determinare una opera- zione X univoca in 8 e tale che sia
B = XA.
Infatti sia y) un elemento di S: avremo, indicando con p e Y due elementi ben determinati del medesimo insieme:
A(iQ) = p, B(r,) = r.
L'operazione X è quella che applicata a ^ dà y. Poiché A e B sono distributive, avremo che l' operazione X, appli- cata a Pi + p, dà come risultato Yj -\- y,, ed è perciò essa stessa distributiva. Inoltre essa è univoca. Supponiamo in- fatti che a jS corrispondano i due elementi y e x'\ avremo due elementi t) ed y)', tali che
A(r,) = A(t/) = p,
mentre
B(n) = Y, B(r/) = y'.
Si deduce da queste uguaglianze
ti' = iQ + a,
dove a è radice di A; essa è quindi, per ipotesi, radice anche di B: ne risulta
B(ti) = B(r;)
e quindi y non differisce da y'-
44 CAPITOLO TBRZO.
La proposizioae precedente vale per due qualsivogliano operazioni distributive, univoche, A e B.
Se A e B si suppongono commutabili, sono pure commutabili A ed X.
Infatti, ritenendo le stesse notazioni, si consideri JS come elemento dato: ne verrà
AX(3) = A(r) = AB(r,):
ma A è commutabile con B: onde
AX(^) = BA(Yì) == B(^), cioè
B = AX.
68. Riprendiamo duo operazioni A e B, soddisfacenti alle condizioni fissate al §. 67. Allora, corrispondentemente agli elementi a^, a„ «j, . . . , a^, . . . , tali che
A(«o) = 0, A{a{) = a^, A(a,) = «j, . . . , A(a„) = «n _ i, . . . . ,
esistono i numeri A^, Aj, A,, . . . , A„, . . . , per i quali valgono le uguaglianze (3).
Come si è visto, l'operazione B — k^ ammette la ra- dice a^; essa si trova quindi nelle condizioni del § prece- dente, di essere cioè univoca, commutabile con A, e di avere le sue radiri comuni con A. Pertanto esisterà una opera- zione distributiva, univoca B, tale che, per qualsivoglia ele- mento n di S, sia
(4) B(iQ) - A,Y] = B,A(yi) = AB,(ri).
Ponendo in questa uguaglianza iq = a^, otteniamo
§§ 67-69 OPERAZIONI REGOLARI. 45
cosicché l'operazione Bj -* /e, ammetterà la radice a^; esi- sterà allora, pel § precedente, una operazione distributiva, univoca B^, tale che
B,(^) - ^i^ = B,A(r)) = AB,(iq):
di qui risulta, sostituendo in (4)
B(r,) = A,T) + /2,A(tì) + B,A»(ia).
Analogamente, sostituendo in quest' ultima uguaglianza a^ ad m, otteniamo
Bs(«o) = *««o>
onde risulta che Bj — k^ ammette la radice a^, e cosi via. Cosi proseguendo, giungeremo all'uguaglianza:
(5) B = k^ + k,k + A,A« + . . . + kn-i An-i + B„A«,
dove B„ è una operazione distributiva, univoca, commuta- bile con A e quindi con A^
69. Quando un' operazione B, commutabile con A, è espri- mibile mediante la formula (5), diremo che B è regolare rispetto ad A.
Nella uguaglianza (5) non è escluso che il numero intero positivo n si possa prendere arbitrariamente grande; questo noi intenderemo, scrivendo for^nalmente
B = ft^ + *i A + ftjA* + . . . -h A„A" + . . . .
Diremo allora che V espressione che figura al secondo membro è una serie procedente per le potenze intere e positive della operazione A o, più semplicemente, una serie di potenze di A. La considerazione di simili serie ha, per adesso, un significato puramente formale; e solo più avanti (Cap. VI) vedremo come tale scrittura abbia anche un significato efiettivo.
46 CAPITOLO TERZO.
70. L'operazione identica 1 è conìmutabile con ogni altra (§ 36); essa sarà pure regolare rispetto ad ogni ope- razione A, potendosi scriverò
1 = Ao;
si vede così che per essa il primo coefficiente k^ è uguale ad uno e tutti i coefficienti seguenti sono nulli.
?!• Data l'operazione li commutabile con A e regolare rispetto ad A, si può chiedere se sarà tale anche V operazione B— *, inversa di B. Ciò equivale a cercare uno sviluppo della forma (5)
0^ + c.h. + c,A* + . . •
procedente per le potenze di A, tale che, applicatavi l'ope- razione B, si ottenga per risultato V operazione identica. Essendo
B = A, + Kk -h M* + . . . + A„A« + ....,
e ricordando che per le nostre operazioni commutabili val- gono le leggi formali della moltiplicazione, vediamo che dovrà sussistere l'uguaglianza
^0*0 + (^1*0 + ^0*1 ) A + (e A + cji^ + <^XW + .... = 1.
A questa uguaglianza soddisfaremo (§ 70) certamente (non si può dire, per altro, esclusivamente) ponendo
(6) cji^ = 1 , cji^ + c,A^ = 0, c^k^ + Cyk^ + e A = 0
Quando k^ è differente da zero, queste equazioni ci per- metteranno di determinare in modo ricorrente i coefficienti ^01 <^i» ^21 ••• ^®llo sviluppo cercato Q),
{}) Questi coefficienti sono evidentemente anche quegli stessi dello sviluppo in serie di potenze di z del quoziente -^ r r— • •
n»- "T" /Pj0 ~T" IC^Si "T" • • ■ •
§§ 70-72 INVERSA DI UN OPERAZIONE REGOLARE. 47
Se, dunque, B è un' operazione commutabile con A, regolare rispetto ad A, col coofficiente di A* diverso da zero, si può assegnare, al- meno formalmente, una'serie di potenze di A,
la quale rappresenta l'operazione B — *.
*
72. Le relazioni (6) contengono al primo membro un numero sempre crescente di termini; ma se l'operazione B è una forma lineare in A d'ordine n
B = A^ + ftjA + AjA* + ... + AnA^
è chiaro che dalla (n + 1)™* in poi le relazioni del sistema (6) contengono tutte uno stesso numero di termini, e ne contengono precisamente n + 1.
La relazione (6) più generale sarà pertanto la scala di relazione di una serie ricorrente elementare; inversamente, è facile dedurre di qui che ogni serie di tal natura rappre- senta in. generale lo sviluppo di una operazione CB— *, dove C 0 B sono due forme lineari in A.
L'esempio più semplice di simili serie ricorrenti è dato dalla inversa della forma di primo ordine £« = A — a, per la quale avremo
-i_ 1 A A* A"
a a* a^ a»»-*-*
Analogamente per Ea~""* avremo
„ E7-=<^(,^»A + ^^Ka+i)^ +
, >«(//» + l)(m + 2) A»
1.2.3
M I • • • • f ■
a^ /
oo n=:o
48 CAPITOLO TERZO.
73. Siano infine B e C due forme lineari in A a coeffi- cienti numerici e supponiamo che C sia d'ordine n, B d'or- dine non superiore. Decomponendo la C nei suoi fattori li- neari, otterremo:
r r r
= E,5 Eg . . • Eo .
1 2 q
Un calcolo semplice e ben noto (*) ci condurrà a dare di BC~* r espressione:
(5) BC-i =s(«nKcr* + «» \~' + ■■■+ «T. Ec ~''Y
dove le ajj ci rappresentano valori nuraeriòi determinati.
74. Quando un'operazione B commutabile con A non è regolare, diremo che essa è singo- lare rispetto ad A.
Supponiamo che A ammetta in uno spazio S una sola ra- dice a (air infuori del moltiplicatore arbitrario). In tal caso: è impossibile che una B, singolare rispetto ad A, sia univoca.
Si ha infatti:
AB(a) = BA{a) = B(o).
Se ora B(o) è uguale a zero, ne risulta V esistenza di un valore determinato k^, tale che
B(a) = k,a.
onde, applicando il procedimento del § 68, B risulterebbe, contro r ipotesi, regolare rispetto ad A. Per ciò si conclude
(') Occorre appena avvertire che il calcolo, cui qui si allude, è quello stesso che in Algebra conduce alla decomposizione di una fun- ziono razionale fratta in funzioni fratte semplici.
§§ 73-75 OPERAZIONI SINGOLARI. 49
che B(o) è diverso da zero; da cui segue (§ 68) che la B non è univoca in S.
75. Come esempi semplicissimi di operazioni singolari
rispetto ad A abbiamo in generale le A"" e A*""*: è tale
anche, in generale, la C~ se è C = AB, dove B indica un'operazione regolare rispetto ad A.
L' operazione BC "" dove
C = e; e/ . . . E>
è, in generale, singolare rispetto a ciascuna delle operazioni E^ , E^ , . . . , E^ ; queste singolarità sono poste in evidenza
e, per cosi dire, isolate nell'espressione di BC"" data dalla (5) del § 73.
CAPITOLO QUARTO.
Struttura degli spazi invarianti ad un numero finito di dimensioni
76* Sia A una operazione la quale ammetta udo spazio invariante S^ [«j, a^, ..., «ni- P^i* definizione, gli elementi A(aj), A(a^),...j A(a„) apparterranno allo spazio S^ stesso, e quindi sarà
(1) A(ai) = «i, «i + a,, «2 + . . . + a,„ «„
(i-z= 1, 2, 3, ... , n).
Di qui risulta che ogni operazione distributiva entro uno spazio ad un numero finito di dimen- sioni, invariante rispetto ad essa, è rappresen- tabile per mezzo di una sostituzione lineare.
Avvertiamo subito come in uno spazio diverso da S^, o anche solo più ampio di Sq, la medesima operazione A possa ammettere una rappresentazione afi*atto diflerente.
77. Ammettiamo che in S„ la A sia degenere di specie r, cioè che abbia, entro S^, r radici linearmente indipendenti. Se queste sono
(t = l,2,3,...,r),
avremo
A(p,) = 0, {i = 1,2,... ,r),
§§ 76-77 SOSTITUZIONI LINEARI. 51
cioè
(2) ftn A(a,) + b,^ A(a,) + ,., + K ACO = 0
(t = 1,2,3..., r).
Sostituendo in queste relazioni le espressioni date per gli elementi A(ai) dalle (1), avrenìo
il 6y («j, a, + «jj otj + . . . + aj„ a J = o, ossia
o S (&n «Jj + &l« «»j + . . . + &in «nj) «j = 0,
Ma gli elementi a„ a^, . . . , «„ ^^"^ linearmente indipen- denti: ne risulta il sistema di uguaglianze
(3) 6„ a,3 + 6,e a,j + . . . + &i„ a„j = o
Abbiamo dunque che tra gli elementi di ogni singola linea della matrice dei coefficienti a^ sussistono r relazioni lineari distinte; la matrice è perciò (*) di caratteristica n — r.
Reciprocamente, se la matrice dei coefficienti a,j è di ca- ratteristica n — r, si potranno assegnare r relazioni lineari distinte (3) fra gli elementi delle singole linee della matrice: allora dalle (3) potremo risalire alle (2) e concludere che gli r elementi di S„
{i = l,2,..,,r)
sono altrettante radici linearmente indipendenti delia ope- razione A,
Dunque, condizione necessaria e sufficiente affinchè un'operazione distributiva, univoca
(') Capelli, Lezioni di Algebra complementare^ pag. 154 e segg. (Na- poli, 1898).
52 CAPITOLO QUARTO.
entro uno spazio ad n dimensioni invariante rispetto ad essa, sia degenere di specie r, si è che la matrice della sostituzione lineare, che la rappresenta in tale spazio, sia di caratteri- slica n — r.
78* Nel seguito di questo capitolo si tratterà esclusiva- mente di operazioni distributive, univoche, non degeneri, considerate entro spazi lineari ad n dimensioni, invarianti rispetto ad esse.
Ora, essendo A un' operazione che abbia i caratteri or ora indicati, ed S^ uno spazio lineare ad 7t dimensioni invariante rispetto ad essa, proponiamoci la seguente questione: Esi- stono in Sq elementi invarianti rispetto ad A?
Ricordando quanto si è detto al § 58 potremo enunciare questa questione sotto l'altra forma: Tra le forme li- neari di primo ordine in A, E,, = A — e, esistono operazioni degeneri entro S„?
Posta la questiono sotto questa forma, si vede che il pro- blema si riduce alla ricerca dei possibili valori di e, coeSi- cienii di A"* nella forma di primo ordine E^. E poi chiaro che, se esisto:jo valori siffatti, essi, per lo stesso loro signi- ficato, sono indipendenti dalia scelta del sistema fondamen- tale entro S^. Questo fatto, secondo 1' uso, si può esprimere dicendo che tali numeri e hanno carattere in varian- ti vo (o sono invarianti numerici) rispetto ad ogni so- stituzione lineare a determinante non nullo che noi possiamo eseguire entro lo spazio 8„.
79. Se
0) = /i, a, + /2, aj + . . . + /i„ a„
è un elemento di S^ invariante rispetto ad A, avremo, per un valore determinato e,
A (co) = cw,
§§ 77-79
EQUAZIONE FONDAMENTALE.
53
da cui per le equazioni (1):
S ^J («jl «l + «J2«2 + . . . + «jn «n) = ^ 2 *i «l»
j=l i=l
ossia :
S (Al «li + 'i? «?i +
+ K «ni — ^^i) «i = ^•
Ma gli elementi «i, a,, ..., a^ sono linoarmento indipen- denti, e perciò questa relazione lineare non può sussif:tei*e se non è identicamente nullo ciascun coefficiente: dovrà dun- que essere
(4) Al a,i + Aj a„ + . . . + fti («u - e) + . . . + A„ a„i = o
Di qui segue per e la condizione (necessaria e sufficiente) di essere radice della equazione
(5) A0 =
«11- |
t |
«1« |
«13 • |
. . . fl^in |
|
«« |
«« — |
^ |
«« • |
• • • «?n |
|
«31 |
«32 |
«33 — ^- ■ |
• • «3n |
||
• • • «ni |
• • • «n« |
«n3 • • |
. . a^^—t |
= 0.
Quest'equazione diccsi equazione fondamentale dell'ope- razione A rispetto allo spazio invariante S^: e da ciò che precede risulta che seE = A — cammettein $„ una radice, e è radice della equazione fonda- mentale, e, reciprocamente, se e è una radice dell'equazione fondamentale, la forma lineare del primo ordine E = A — e sarà degenere in S^. Infatti, sostituendo e a ^ nel determinante che ci dà il primo membro dell' equazione fondamentale, otterremo un deter- minante nullo. Ma esso è, d'altra parte, il determinante del sistema di equazioni lineari (4). Se, dunque, è n — r la sua
54 CAPITOLO QUARTO.
caratteristica, potremo determinare r soluzioni distinto dei sistema (4), e, corrispondentemente, in S^ avremo r elementi linearmente indipendenti, radici di E,, = A — e.
80. Abbiamo osservato già (§ 78) come ogni radice delia equazione fondamentale sia indipendente dalla scelta, in S^, del sistema fondamentale. Saranno perciò indipendìenti da questa scelta, a meno, tutt'al più, di un fattore costante di proporzionalità, anche i coefficienti dell'equazione fondamen- tale. Otteniamo cosi altrettanti numeri a carattere in^ vari a ti vo (invarianti numerici di A in SJ, rispetto ad ogni possibile sostituzione lineare a determinante diverso da zero.
81. Supponiamo dapprima che 1* equazione fondamentale ammetta n radici distinte
Per quanto precede, sappiamo che ciascuna delle forme lineari del primo ordine
Ec = A — Cj (t = 1, 2, . . . , n)
ammette in S^ una radice Wj. Mostriamo come, all' infuori di un moltiplicatore hy la radice coj sia unica per Ec . Perciò cominciamo coli* osservare che gli n elementi
C0|, cOf, . . . , co
o
sono linearmente indipendenti. Esista, infatti, se è possibile, una relazione lineare
«1 Wj + a^ COj + • • • + ^n '*^n = ^»
Applicando ad ambo i membri di queste uguaglianze succes- sivamente n — 1 volte r operazione A, otterremo le n — 1 relazioni
^1 ^*i ^1 + a« <?^? Wg + . . . + «n ^^n w„ = 0, (^ = 1,2,3,... , n — 1)
§§ 79-81
GASO DBLLB RADICI SEMPLICI.
55
le quali non possono coesistere con la precedente se non è
1 1
3
• • •
• • •
1
V'4 • • • •
r> «
c.
*-^ Cj»-* Cg"-^
• • • 0<
ti— 1
= 0,
Ora quest' uguaglianza è impossibile, se, come abbiamo supposto, i numeri c^ sono fra loro distinti. Se ne conclude che deve essere necessariamente
a, == tìfo =....=: a,
o,
e, quindi che gli e lem enti
costituiscono un sistema fondamentaJe di S„. Ciò posto, supponiamo, se è possibile, che Ec ammetta, in- sieme con coj, anche la radice
<o = Al co, + ^2 ^8 + • • • + ^n w„. Dovremo avere
A(a>) == (?j ti) = A, e, Wj + Aj e?! co, + • • * + ^n ^1 ^n-
Ma, d' altra parte, è
A (co) = A, A (co,) + f^ A (coj) + . • • + ^n A (co„) =
= A, C?i COj + A« Cj Wg + . . . -h An ^n ^n-
Poiché gli elementi f«»„ co,,..., co^ sono linearmente indi- pendenti, r uguaglianza, che risulta da quanto precede,
^1 t'i co, + Aj Ci co, 4- • • • + h^ Cj (On = = A, Cj co, -h Aj e, co, + . . . + A„ c„ co„.
non può sussistere se non è
/*, Cj = ìli ^1» "'t ^i "~^ '^a ^t » • • • ♦ fliC^^:=^ il^ C{ , • . • , rljx^i ~~ '^n ^n"
#■
56 CAPITOLO QUARTO.
Di qui risulta che mentre Aj è un numero qualsivoglia, ciascuno degli altri coefficienti h è nullo: abbiamo dunque che ogni radice di Ec « non potendo differire da co^ se non pel molti- plicatore arbitrario Aj, appartiene alla retta Awj,
82. Consideriamo l'operazione
B = Ec Ec • • . Ec
1 t n
«
prodotto delle n forme Ec . Noi sappiamo che queste sono fra loro commutabili (§ 47). Perciò 1' operazione B ammet- terà come spazio di radici, lo spazio somma degli spazi di ra- dice delle singole forme Ec (§ 63), cioè l'intero spazio 8„. Possiamo perciò dire che T operazione B è in S„ to- talmente degenere. In altri termini, se consideriamo r insieme evidentemente lineare di tutte le operazioni distri- butive che ammettono S„ come spazio invariante, la B sarà uguale, in S^, all'operazione nulla dellMnsieme con- siderato.
83. Passiamo ora ad esaminare il caso più generale, in cui r equazione fondamentale ammette q radici distinte, de- gli ordini di moltiplicità ^j, r,,... ^r^ rispettivamente. Avremo
at) = (t^ c,yi (t - c/t . . . (^ - e/,.
Per studiare questo caso, conviene premettere la seguente osservazione.
Ammettiamo che nello spazio S„, che abbiamo supposto invariante rispetto ad A, sia contenuto uno spazio S„^ (m <.n), esso stosso invariante rispetto all'operazione considerata.
Entro S„, la A sarà rappresentata da una sostituzione li- neare; so a,, «„ . . . , a^ sono gli elementi di un sistema fon- damentale di Sjn, avremo:
(6) A («i) = a,i «1 + ajj aj + • . . + a,„ a„
(i = 1,2, ... , m).
r--»'.--rr ,-
81-83 PROPRIETÀ DELL* EQUAZIONE FONDAMENTALE.
57
L' equazione fondamentale di A rispetto ad S„ è data da
9(1)
«11 — i «1»
• b a
a
Im
a
ti
^j? "" ^ • • • • ^9m
^ml ^ml .... ^inin~~ ^
= 0.
Ora in S^ potremo scegliere un sistema fondamentale, di cui faccian parte gli elementi:
^1» ^t» • • • 1 ^m*
Sia
a„ «j, . . . , a_, a
m» "'m-H» • • • I *n
un sistema fondamentale siffatto.
In $^ r operazione A sarà ancora rappresentabile per mezzo di una sostituzione lineare: per la scelta particolare da noi fatta del sistema fondamentale, questa sostituzione sarà data dall' insieme delle m equazioni (6) e di altre n — 77i equazioni
(z = 1, 2, a . ., ?2 — m) Di qui risulta che l'equazione fondamentale di A rispetto
ad S. |
è data da |
0 ... 0 0 ... 0 |
|
ni)= |
«m H.l «m+l?*** «m+lm«m+-|.in-l-l~ |
0 ... 0 "^ «m-hl.m+2 ••«m<-i.n |
|
«n.l «n.? ••• «nm «n-m-Hl |
«n |
m+« • • ■ «nn ^ |
=0,
ossia, se indichiamo con h (t) il complemento algebrico di g(t) nel determinante /'{t), da
g(t) h{t) = o.
68 CAPITOLO QUARTO.
Ma g (f) =: 0 èV equazione fondamentale di A rispetto ad S^. 'Abbiamo, dunque, che se uno spazio invariante ri- spetto ad un'operazione A contiene uno spazio S^^ ad un numero minore di dimensioni, esso pure in variante rispetto ad A, il primo membro del- l'equazione fondamentale di A rispetto ad S„ ammette come fattore il primo membro dell'equa- zione fondamentale di A. Si dimostra nello stesso modo, che se lo spazio S^, invariante rispetto ad A, è somma di due spazi S^ (m < n) ed Sn_„j, senza elementi comuni, en- trambi invarianti rispetto ad A, per ì quali siano g (t) ed h (t) rispettivamente i primi membri dell'equazione fonda- mentale, il primo membro /"(t) dell'equazione fon- damentale di A iMspetto ad $„ è uguale al pro- dotto di g (l) per h{t).
84. Accanto all'operazione A consideriamo l'operazione
l « q
Noi sappiamo che il suo spazio di radici è la somma
degli spazi di radici di E^* , E/, . . . , E|!^ (§ 63). Ad esso,
dunque, apparterranno tutti gli eventuali elementi di $„, invarianti rispetto ad A: abbiamo infatti veduto (§ 79) come sijffatti elementi siano dati da tutte e sole le radici delle forme del primo ordine
1 S q
Ci rimangono dunque da studiare le radici delle forme che nascono dall'innalzamento a potenza delle Ec.
86« Cominciamo col ricercare le radici dì Ep, dove E = A — e, e e designa una qualsivoglia delle radici del-
§§ 83-85 SPAZI ELEMENTARI INVARIAKTI. 59
r equazione fondamentale: supporremo per fissare le idee che essa sia multipla dell' ordine r di molteplicità.
Osserviamo anzitutto che una operazione (A — a)p, dove p è un intero positivo qualsiasi, non può avere in S^ una radice propria o), se a non è una radice dell* equazione fondamentale, poiché è chiaro che (A — a)^— '(cu) è una ra- dice di A — a.
Ciò posto, se l' operazione E'* = (A — cy ammette in $n una radice propria w^p-*^ otterremo da essa, come abbiamo visto al § 56, una radice propria per ciascuna potenza di E ad esponente inferiore. Sarà precisamente E((o'p-'^) = oo^p-*), E (w P-»)) =: w^P-^ . . . . , E (a)(M) = co, E (w) = o : dì qui si deduce:
A (co) = CO) A (wt^)) = eco'*) + co (7) { A (co(«0 = cw(«^ + co(')
A (co^P-*0 = eco P-*) + co(P-').
Gli elementi co, co^*), . . . , co^p-*) cosi determinati sono li- nearmente indipendenti.
Supponiamo infatti che per certi numeri &^, 6i,..-, ftp_i, sia
&o w + 6i «(*) + &, t3)(^) + . . . + 6p_i co'p-»)= 0,
e applichiamo ai due membri Y operazione Ep— * : viene ftp_, = 0. Applicando, dopo questa riduzione, l'operazione Ep-*, viene ftp^, = o, e così via: da ultimo si conclude
&o = ^1 = ^2 = • • • = ^p-l = ^•
Se dùnque Ep ammette nello spazio S^ una radice propria co^^" , esiste uno spazio Sp a p di- mensioni, contenuto in S^, esso stesso inva-
60 CAPITOLO QUARTO.
•
riante rispetto ad A, e sul quale A opera la sostituzione lineare (7).
Da questo quadro (7) risulta chiaramente che il primo membro dell'equazione fondamentale corrispondente è
g{t) = (^ - c)p.
Pel teorema del § 83, g{t) deve entrare come fattore nel polinomio f(t). Di qui risulta che e deve essere radice dell'equazione fondamentale, dell'ordine di molteplicità p almeno.
Quindi per ogni operazione E^ , dove c^ rap- presenta una radice dell'operazione fondamen- tale, si potrà, assegnare un limite superiore finito per gli esponenti delle potenze di E^ ,
che ammettono in $„ radici proprie. Per ora possiamo dire che qu-esto limite supei'iore non supera l'ordine 7* di molteplicità della radice di f{t) corrispon- dente.
86. Consideriamo una determinata radice di f\t) = o, p. es. la Cj, multipla dell'ordine r^\ consideriamo pure la forma del primo ordine corrispondente
Ec = A — Cy
1
Sia p il massimo esponente pel quale E^^ ammetta ra- dici proprie in S^: sarà (§ prec.)
L' operazione E <, -ammetterà un certo spazio dì radici proprie: sia coj , coJ^~" ,..., w^ un sistema fonda- mentale di questo spazio.
- — i^.
§§ 85-86 SISTEMA FONDAMENTALE DELLO SPAZIO INVANII ANTE. 61
Applicando E,, ad Wj .co, ~ ,...,cOk , otteniamo k^ elementi linearmente indipendenti
(p-2) rp-2) (p-2) .
co, , co, , . . • ♦ COjj^ ,
i quali (§ 57) definiscont) uno spazio di radici proprie, a k^ dimensioni, di E^ ^"" . Non è detto per altro che il massimo
spazio di ràdici proprie di E,.*^ sia precisamente lo S,^ cosi determinato; si può asserire soltanto, in generale, che S^
vi è contenuto.
Sia pertanto A, + A, il numero delle dimensioni di questo
massimo spazio di radici proprie di E^^"" ; e sia
. > (p-*) . . ^p-2) |
(p-2) (p~2) |
, JP-2) |
coj , co, , . . |
• > ^kj 1 "'kj^-1 » • • • » |
^k,^k. |
un suo sistema fondamentale.
Eseguendo E^ su ciascuno di quésti ki + k^ elementi otterremo il sistema fondamentale
p-3 (p-3 |
(p-3) |
03 , CO , . |
. . , CO . |
12 |
^x-^\ |
di uno spazio di radici proprie di Ec . Anche qui, por otte- nere un sistema fondamentale del massimo spazio di radici proprie di E?"^ bisognerà, in generale, aggiungere ai Aj+ft,
elementi suindicati altri k^ elementi
VX/. , • • • • • vt/f , . «
k ^k -f-1 k +k -4-k
18 12 3
Cosi continuando, e ripetendo altre p — 3 volte le pre- cedenti considerazioni, giungeremo ad avere un sistema fon-
62 CAPITOLO QUARTO.
damentale dello spazio di radici (a A, + A, + . . . + ftp dimensioni). della operazione Eo
Riassumendo, noi giungiamo a costruire il quadro se- guente:
(8)
p) |
w 1 |
• • • • |
|||||
p-ì) |
1 |
t |
• • • • |
6) |
• • • |
||
p-2) |
(p-3) 1 |
(P-3) CO |
• ■ • • |
• • • |
|||
• • • • |
(|»-3) ù) *1 *J "3 |
• |
• • • |
||||
1) |
(0| Ci), |
• • • • |
(l) |
'i> k |
.-^"t |
fi) k.-^k+l |
• ... Ci) ...•(!>
1 *« 3 *1 2 3 p*
In questo quadro gli elementi di ogni linea orizzontale definiscono uno spazio di radici proprie della potenze di E^ il cui esponente è a capo di linea. Ogni colonna verticale definisce, come si è visto al § prec, uno spazio invariante rispetto ad A, e la sostituzione lineare corrispondente è del tipo (7).
87, Gli elementi del quadro (8) sono linear- mente indipendenti.
Supponiamo infatti che non siano tali. Allora sussisterà tra gli 0) una certa relazione lineare, la quale, ove si isolino in un membro i termini che contengono elementi della prima linea del quadro (8), ci esprimerà linearmente una certa combinazione lineare di w"^ per mezzo di elementi delle linee successive. Ciò significherebbe che una certa combinazione lineare della co *^ è radice di El" .
:r'^
§§ 8<>-87 SISTEMA FONDAMENTALE DELLO SPAZIO INVARIANTE. 63
Ora ciò è impossibile, giacché gli elementi della prima linea del quadro (8) definiscono lo spazio di radici proprie (mas- simo) di e/. Ragionando in modo analogo, si giunge ad escludere, successivamente, che possano entrare nella detta relazione lineare elementi della seconda, della terza, . . , , della p"* linea del quadro (8). Dunque gli elementi del quadro medesimo sono tutti linearmente indipendenti: essi sono evidentemento in numero di
Kp + f^tiV — 1) + .-. + 2Vi + *P-
Se quindi indichiamo con m questo numero intero posi- tivo, avremo che gli elementi del quadro (8) formano un sistema fondamentale di uno spazio S^ ad m dimensioni, in- variante rispetto ad A, il quale si suddivide in
«I "T" ^« "r • • • * "'^
spazi, ciascuno dei quali è pure invariante rispetto ad A.
L' equazione fondamentale rispetto ad A dello spazio in- variante definito dagli elementi della prima colonna di (8) è data, come risulta dal § 85, da
{t — cy = 0.
E questa è pure l' equazione fondamentale di ciascuno degli spazi invarianti definiti dalle altre k^ -^ \ prime co- lonne verticali.
L' equazione fondamentale di ciascuno degli spazi definiti dalle colonne (A, + 1)«», . . . , (ftx + A,)^* è
(t - c,y-' = 0, e cosi via.
Applicando il teorema del § 83, concludiamo pertanto che l'equazione fondamentale dell'operazione A ri- spetto ad S„ è data da
64 CAPITOLO QUARTO.
da ciò risulta che nello spazio S^ noa è contenuto nessun elemento, che possa essere radice di una forma E^, in cui
sia e :yt 6'|.
In questo § abbiamo studiato la struttura rispetto ad À
p p
dello spazio di radici di Eo . Notiamo che, per 1* ipotesi che E^
1 i
sia la potenza di massimo esponente che ammetta radici proprie, ogni potenza di E,, d' esponente r>p avrà sempre
come massimo spazio di radici in S^, precisamente lo spazio S„. 88. Nello spazio S„ assumiamo come sistema fondamen- tale gli elementi co del quadro (8), che per ora, non es- sendo più necessario distinguere i vari spazi invarianti in esso contenuti, contrassegneremo con un solo indice, scrivendo
a>i, o),, . . . , 0),^.
Decomponiamo ora V intero spazio S^ nella somma di due:
l.«» lo spazio S„ [coi, CD,, . . . , wj;
2.^ il rimanente spazio Sn^^, di cui indicheremo con
^1» ^«1 • • • » ^n—
m
un sistema fondamentale. E chiaro che il sistema
è un sistema fondamentale di S^. Si vede subito che gli elementi
TT, = Ec (aj (i = 1, 2, . . . , n — m) 1
sono elementi dello stesso spazio Sn_„: basta osservare che
q
non possono essere radici di nessuna potenza Ec di E^. , poiché, in caso contrario, qualcuno dei ^i o degli elementi
g§ 87-88 SISTEMA FONDAMENTALE DELLO SPAZIO INVARIANTE. 65
P+4
dello spazio S>a-m ^* ^^si definito sarebbe radice di E^ , il
i
che è contraddetto dall' ultima osservazione del § prec.
Ad analoga contraddizione si giunge facilmente, suppo- nendo che gli elementi ttj non siano linearmente indipen- denti. Dunque nello spazio $n-m possiamo assumere come sistema fondamentale il sistema dei ttj.
Ora dico che lo spazio Sn_nj è uno spazio in- variante rispetto ad A. Per vedere questo, conside- riamo la sostituzione lineare che subiscono gli elementi a^ per opera della A: siccome i Cj e gli to-^ insieme formano un sistema fondamentale di S„ e questo spazio è invariante rispetto ad A, avremo
A((7i) = a^.u, + ^ij^, + . . . + ai.„_^ a„_„ +
+ ^il ^l + ^itf»>« + . . . + ^im'^^m; (i = 1, 2, . . ., n — 77l).
Eseguendo su ambo i membri di queste uguaglianze
p r operazione E^ ed osservando che essa è commutabile con
A, otteniamo
A(ffi)=flii TT^ + ^^2 ?:, + .•• + «!.„_„ n^_ (i = 1, 2, . . . , 71 — m).
m
Essendosi prima assodato che i ^Tj formano un sistema fondamentale in S„_„, le uguaglianze precedenti dimostrano effettivamente che §„_„ è spazio invariante rispetto ad A.
Premesso questo, risulta senz'altro dal § 82 che sarà
/(O = (t- c)^ 9(0
e che g(t) sarà il primo membro dell' equazione fondamen- tale di S„_„.
Siccome $„_„ non contiene alcuna radice di E^ (e quindi
di nessuna delle potenze di E^ ) g(t) non può ammettere più
5
66 CAPITOLO QUARTO.
nessun fattore (t — cj: ne risulta che ?n esprime precisa- mente l'ordine di moltiplicitk della radice Cj nell'equazione f(t) = o; cioè
m = rj.
Sarà allora
r
^(0 = {t-c,)' ... (^- c^\
89. Ora possiamo trattare lo spazio Sn-ni = S^-r come dianzi abbiamo trattato lo spazio S^. Cosi proseguendo,
r.
troveremo che ciascuna operazione £<.* ammette in S„ uno spazio di radici Sr ^à ^i dimensioni, nel quale si può sce- gliere un sistema fondamentale avente rispetto ad Ec le
medesime proprietà che il quadro (8) del § 85 ha rispetto air operazione Ec .
Due operazioni Ec , Ec (t < /), come pure due qualsi-
vogliano loro potenze, non possono avere radici in comune: dunque non hanno elementi comuni gli spazi corrispondenti Sr , Sr . Avendosi r. + r. + . . . + r^ = n, ne risulta
anzitutto che la somma degli spazi S,. è T intero spazio §„. In secondo luogo, poiché le operazioni E^» sono fra loro
i
commutabili, si ha che 1* operazione
B = E> E> .... E>
I e q
ammette come spazio di radici lo spazio S^: essa è dunque, anche in questo caso, un' operazione totaluiente degenere
in Sa (§ 82).
90. I risultati dei precedenti §§ possono essere rias« sunti nel seguente enunciato: Sia S„ uno spazio li- neare ad n dimensioni, invariante rispetto ad
§§ 88-90. RIASSUNTO. 67
un*operazione A a determinazione unica e non degenere in esso spazio, e sia
m = {t-c,)' {t^c,)' ... {t^c,)^
r
q
il .primo membro dell'equazione fondamentale corrisponden te.
Lo spazio S„ si scinde nella somma di q spazi
s, » s, » • • . I Sp
1 S q
ad Tp r^, ..., r, dimensioni rispettivamente, ognuno dei quali è invariante rispetto ad A; lo spazio Sr contiene tutte e sole le radici di
Ec = A — cv e delle sue potenze, ed il primo
i
membro della corrispondente equazione fon-
dame n tal e è (t — e,) ^
Ogni spazio &, può alla sua volta essere de- composto (quadro (8) del § 86) nella somma di un numero finito di spazi invarianti rispetto ad A, i quali corrispondono alle diverse radici proprie, linearmente indipendenti, delle succes- sive potenze di Eo . Cosi, alla radice propria w
i
di Ec corrisponde, Io spazio, di cui gli elementi i
(P-I) „ , (p-i). (p-2) „ . (i).
i i
costituiscono un sistema fondamentale. Che un tale spazio sia invariante rispetto alla A, è in- dicato dalle (7) del § 85.
CAPITOLO QUINTO.
L' insieme delle serie di potenze e le operazioni distribntive elementari
A. SUCCESSIONI E SERIE DI POTENZE COME ELEMENTI DI UN INSIEME LINEARE.
91. Una successione di numeri reali o complessi (1) o^, a„ a,, . . . , a^ , . . .
si dice data quando è possibile di assegnare, in modo unico, il numero a„ che corrisponde ad ogni determinato valoro dell' indice n. Una successione data si può riguardare come un ente od elemento^ il quale è determinato dai numeri che costituiscono la successione stessa, avuto riguardo al loro ordine. L'insieme di questi elementi, cioè di tutto le possi- bili successioni, costituirà uno spazio o varietà, che rappre- senteremo con S; i numeri che costituiscono una succes- sione, nell'ordine in cui sono dati, sono le coordinate del-' r elemento.
Volendo designare lo successioni, useremo le lettere minuscole dell'alfabeto greco; quando sia necessario di porre in evidenza le coordinate, esse si metteranno al seguito, fra parentesi. Cosi la successione (1) si potrà indicare, secondo che tornerà più opportuno, con o\q^^ «j, . . . , a J, con a[aj» 0 semplicemente con a.
§§ 91-94 l'ixsiehb delle successioni. 69
98. Due eIcmeDti di S si diranno uguali quando siano uguali le rispettive coordinate. Cosi, avendosi gli elementi
(2) a[a^, «1, . . . , a„, . . .], p[&^, &i, . . . , &„, . . .] scriveremo a = p qualora sia
«o = &o* ^1 = *1» «8 = &8» • • • » ^a = &n> • • •
c soltanto in quel caso. L'uguaglianza cosi definita ammette manifestamente le proprietà fondamentali dell' uguaglianza enunciate al § 2.
93. Somma di due elementi di S, ad esempio degli ele- menti (2), sarà l'elemento avente per coordinate
«o + *o« «i + 6i, ...t «n + &nt •••
Esso verrà indicato con a + p. Analogamente si definisce lii somma di tre o più elementi. La somma cosi definita ammette le proprietà caratteristiche dell'addizione, enun- ciate al § 3.
Elemento zero è quello di cui sono nulle tutte le coor- dinate; esso verrà indicato con o, e si avrà manifestamente,
qualunque sia a,
a + 0 = a.
94* Prodotto di a per un numero m è l' elemento avente per coordinate ma^, ma^, ... ma^, ...; esso verrà indicato con moL, In particolare, per m = — 1, si ha l'elemento —a, contrario di a, cioè l' elemento che sommato con a dà per risultato l'elemento zero. Ne viene che, dati gli elementi a e 3, l'elemento ^ — a, che sommato con a dà per risultato p, è la somma p + ( — «)•
Da quanto è detto nei §§ precedenti risulta che l' in- sieme S delle successioni è un insieme lineare.
Dati p elementi in S
(3) «i[^io' ^iV • • • . <^in» • • L 0' = 1, 2, . . . 25, • • .)
70
CAPITOLO QUINTO.
UQ elemento legato linearmente con questi sarà della forma
Le suo coordinate saranno
m,a,„ + rn^a^^ + ... + m^a (/» == o, 1, 2, . .. oo).
I p elementi (3) saranno, o no, linearmente dipendenti secondo che esisteranno, o no, p numeri Aj, /?„ . . . , h^ tali che sia per ogni valore intero di n da o ad oo:
(4)
''l^.n + Mm + . • . + Ap^pn = ^•
95« Dati comunque p elementi linearmente indipendenti in S, è sempre possibile, ed in infiniti modi, di formare un elemento dì S linearmente indipendente dai precedenti. In- fatti, se le (3) ci rappresentano gli elementi dati, sarà sempre possibile (poiché essi sono linearmente indipendenti) di sce- gliere gli indici ni, w„ ... Wp per modo che il determinante d' ordine p
^IHj ^tOj • • • ^pn
1
^In^ ^Snj •• • ^pnj
^In ^Jn • • • ^pn p p f p
sia differenie da zero. Presi allora ad arbitrio i numeri &i, &i» . . • » &p» basterà dare a b^^^ un tal valore che il deter- minante d'ordine p + \
a
In
a
fn.
. . . o
l '"I
2
pi.
*.
, . . a
Pn^
«in
a
fn
«in . «2n . P+-> P+1
§§ 94-97 l'insieme delle sbrjb di potenze. 71
sia differente da zero, perchè ogni elemento p di S, le cui coordinate n'^°*, n'*°*». .., n**"* siano &„ &,, ..., 6„.„
e Io altre quali si vogliano, risulti indipendente linearmente da ap «2, ... ffp. Segue da ciò (§ 11), che
r insieme S è ad un numero infinito {}) di dimensioni.
96. Nell'insieme S sono contenuti (§ 18) infiniti insiemi ad 1, a 2, •.., a p dimensioni, qualunque sia Tintore p. Tale è l'insieme Sp rappresentato da
dove À], ^29 • • • 9 ^p so^^ variabili indipendenti, ed ap a,, . . ., «p sono enti di S linearmente indipendenti. Ognuno di tali Sp contiene 1* elemento zero.
97. Tanto per la maggiore determinatezza delte opera- zioni distributive applicabili agli enti di un insieme ad un'in* finità (numerabile) di dimensioni, quanto per te applicazioni che ne dovremo fare alla teoria delle funzioni, ò conve- niente di sostituire alla considerazione di una successione come la (1), quella di un ente analitico che sia in corri* spondenza biunivoca colla successione stessa. Vi è una grande arbitrarietà nella scolta dell'ente analitico da farsi corrispondere alla (1); a nos per più ragioni, è sembrato conveniente di assumere come tale la serie ordinata per le potenze intere e positive di una variabile 07, in cui a„ è il coefficiente di a7^ Questa serie si rappresenterà colla stessa lettera che denotava la successione; pertanto, d'ora innanzi» alla considerazione della successione oi[a^^ a„ . . . , a„], sosti- tuiremo quella della serie
(5) a(x) = a^ + CLxX + a,a?* + . . . + e7„a?" + . . .
(') Ma numerabile.
72 CAPITOLO QUINTO.
98. Per le considerazioni di natura puramente formale, non sarà necessario distinguere le convergenza dalia diver- genza della serie (5), che avrà semplicemente l'ufficio di unire io un tutto la successione dei numeri a^, a^ , . . . , a^, , . . Ma per le applicazioni alla teoria dello funzioni', sarà ne- cessario di tenere conto della convergenza di una serie come la (5). Ora è noto che ogni tale serie ammette .un determi- nato cerchio di convergenza il cui raggio può, a seconda dei casi, essere nullo, finito e diverso da zero, o infinito. Noi indi- cheremo con S"" r insieme dello serie di potenze il cui raggio di convergenza nOii è nullo; questo insieme è evidentemente lineare: se ora a, p, Y» ••• ^^^^ elementi di S^ Tugua- gliauza, la somma, la moltiplicazione per ììì e la combina- zione lineare di questi elementi non sono altro che T ugua- glianza, la somma, ecc. quali si sono definite ai §§ 92-95.
99. Dagli elem'jnti della teoria delle funzioni analitiche è noto che una serie di potenze
a{x) = a^ + a^x + a^oc^ 4- . . . ,
il cui raggio di convergenza non sia nullo, serve a definire una funzione analitica, uniforme o multiforme, che sì può proseguire in tutto il campo della sua validità mediante il noto metodo dovuto al Weierstrass e detto della conti- nuazione analitica. La serie, o, ciò che è lo stesso, i valori della funzione e delle sue successive derivate nel punto ^ = 0, bastano alla integrale conoscenza della funzione. Tuttavia, ad evitare considerazioni dovute alla non uniformità della funzione, sarà spesso comodo di sostituire all'intero «uo campo di validità quell'area che, col Mittao-Leffler (*), •diremo stella di centro o o semplicemente stella relativa
(1) Sur la représeniation nnalyttque d'une hrauche uniforme de fonction Monogène, Àcta Math., t. XX III, 1899.
§§ 98-102 L* INSIEME DELLE SERIE DI POTENZE. 7^
alla funzione stessa. Quest'area viene ottenuta nei seguente modo. Immaginiamo una semiretta p, di estremo o, che si faccia ruotare intorno al punto o in modo da coprire tutto il piano della variabile x\ si determini, per ogni posizione r della semiretta, quel punto singolare a^ della funzione che si trova sulla semi-retta stessa alla minima, distanza del punto o, distanza che può essere finita od infinita; indi si tagli il piano secondo il prolungamento di oa^^ cioè da a^ all'infinito. Il campo che si ottiene tagliando in questo modo il piano è la siella di Mittag-Leffler. K chiaro che se anche la funzione definita dalla serie (x(x) non è uniforme, la continuazione analitica della serie entro la stella dà un ramo uniforme della funzione.
100. Data la successione a[a , a^ . . . , flr„, . . .], sono per- fettamente determinate la serie di potenze, la stella relativa al punto a? = 0 ed il corrispondente ramo uniforme della funzione. La stella contiene certamente il cerchio di con- vergenza della serie di potenze, e coincide con esso quando tutti i punti della circonferenza sono punti singolari.
La medesima notazione a{jG) servirà a rappresentare, quando non ne possa nascerò ambiguità, tanto la serie di potenze quanto il ramo uniforme nella stella.
L'i ns ieme S"* delle a(x) è un insieme lineare.
lOL Ci accadrà di dovere considerare l'insieme delle serie a(x) che convergono in un cerchio di raggio supe- riore ad un numero positivo r. Quest' insieme, manife- stamente lineare, verrà indicato con S*".
Se r e r' sono due numeri positivi ed r > r\ è chiaro che $'' contiene S'.
102. Con notazione analoga, S*^ sarà l' insieme delle serie il ciii faggio di convergenza è infinito. Per queste, la stella ricopre tutto il piano della variabile x. L'insieme S^ ap- partiene ad ogni £'.
74 CAPITOLO QUINTO.
103« Fra gli elementi di S®® sono da considerare quelli le cui coordinato sono tutte nulle, da un indice n in poi. Questi ol(x) sono i polinomi razionali interi di grado non superiore ad n — 1 ; essi formano un insieme S^ ad n di- mensioni, di cui un sistema fondamentale è costituito dagli elementi 1, a?, x\ . .. , a?"-^ Per ovvia estensione, il sistema di elementi
potrà dirsi sistema fondamentale dell* insieme S.
B. LE OPERAZIONI FUNZIONALI ELEMENTARL
104. Prima di venire a trattare delle operazioni distri- butive generali che si possono applicare agli enti dell'in- sieme S definito nei §§ precedenti o dogli insiemi che da esso si deducono, operazioni che chiameremo funzionali^ vogliamo studiare alcune operazioni assai semplici e che si diranno fondamentali^ perchè, come si vedrà, esse servono alla costruzione delie aUre. Queste operazioni sono la mol- tiplicazione, la derivazione e la sostituzione. I. Moltiplicazione.
106. Sia o.{x) = o\a^\ un elemento di S, arbi- trariamente variabile; sia ji(a7) = ^[m^ un ele- mento fisso in S. Considereremo un'operazione che, applicata all'elemento a, genera l'ele- mento di S definito dalle coordinate
(7) m^a^, y,ì^a^ + ?>ii«o^ ^.%. + '^i«i + *^*t«o- • • •
Questa operazione verrà detta moltiplica-- zione di moltiplicatore pi; essa si indicherà
§§ 103-106 L* OPERAZIONE DI MOLTIPLICAZIONE. 75
col simbolo M^, e quando non sia necessario di porre in evidenza il moltiplicatore, semplice- mente con M. Detto 9 Telemento (7) scriveremo
M^(a) = 9.
La moltiplicazione è manifestamente un'ope- razione distributiva.
Dalla definizione precedente risulta che se a{x) e pL(a7) appartengono ad S^, il risultato M^(a) sarà
(8) M/a) = ix(x)a(x)
ed apparterrà pure ad S*. La relazione (8) vale in tutta l'area comune alle stelle relative a ]i{x) ed a{x).
Si scriverà talvolta la (8) anche se una delle [jl, à, od ambedue, non appartengono ad S^, ma in tale caso questa relazione non sarà, per ora, che un modo simbolico d* espri- mere come la successione (7) si sia ottenuta dalle a[aj e ]i.[m^].
106« L'operazione M. applicata al sistema (6) di S, dà
M(l) = m^ + m,x, + m^x^ + ... = ^J,x), M(ir) = m^x + W2,a?* + ^?^«^ + . • . = 4i(«^)> M(a7') = mjx^ + m^x'^ + m^x* + . . . = ^{x).
Se p. e<l a appartengono ad $^ si avrà allora, entro il cerchio comune di convergenza:
M(a) = ii.(ir)5t(a?) = a^i,^ + a,i, + «4, + . . . ,
ossia
(00 \ 00 n = o / n=zo
7& CAPITOLO QUINTO.
SÌ incontra dunque un caso in cui la proprietà distributiva dell'operazione è estesa ad una somma di infiniti termini.
107# Avfiìdosi le due operazioni di moltiplicazione M^, M^, si ha
M^M,(«) = M,,(a) = M,M^(a);
talché:
Le operazioni di moltiplicazione formano un gruppo commutabile.
108. Tutte le operazioni di moltiplioaziono si deducono dalla M^ per iterazione, moltiplicazione per costanti e somma: cos^l
M^ = m^ + mjM^ + ìnM^ + . . .
L'operazione M^ si può definire, sia come quella che alla successione ao,ai,...,a„,... fa corrispondere o, e7<>,...,fln_i....; sia come quella per cui
109. La moltiplicazione M^, applicata ad un prodotto di due funzioni a, jS, dà
(IO) M^(«?) = M^(a)? = «M^O).
•110. L'operazione di moltiplicazione è a determinazione unica. Essa non ha radici, se non lo zero. La sua inversa, se esiste, è dunque a determinazione unica.
L'inversa di' M^ è l'operazione di moltiplicazione M_i^
nel caso che [a appartenga ad S* e che il primo coefficiente
m^ di |i(;z?) non sia nullo. In questa ipotesi — appartiene
p.
pure ad S^ Si considererà più avanti (§ 123) il caso che m,,
sia nullo.
§§ 106-113 l' operazione di derivazione. 77
II. Derivazione. 111. Sia a{x) = «[<?„] un elemento arbitrario (li S. L'operazione, che applicata al T elemento a, genera V elemento di S di coordinale:
flp 2fl,, off,, . . • , {il + l)afn-»-ii • • • »
si dirh derivazione. Essa verrà rappresentata dal simbolo D.
La derivazione è manifestamente un' opera- zione distributiva.
Dalla definizione di D, segue formalmente
co oo
(11) D2a„a" = '^na.x-K
Se a{x) è un'elemento di $"*, D(a) non è altro che la
fio. \
sua derivata (quoziente differenziale -i—V le cui proprietà
sono note dagli elementi della teoria delle funzioni.
112* Applicando l'operazione D al sistema (6) di S>, si ha:
D(l) = 0 = Éo. D(a7) = 1 = èi D(^") = nx—' = |„;
la formula (11) equivale dunque a
r estensione della proprietà distributiva al caso in cui la somma contiene un numero infinito di termini è lecita per gli elementi di S^.
118* L'operazione D applicala ad un prodotto di duo elementi a, ^, dà
(12) D(a^) = aD(^) + jSD(a).
78 CAPITOLO QUINTO.
Dall'operazione D si deducono, per ìtoraziom*, le ope- razioni:
D« = DD, IP = DDD. ... ; per 7n ed n interi positivi, si ha la proprietà iterativa
Dm[)n = D°»+".
Per la D°» si ha
^ . \o per n < m,
^ ' "* ^ / w(n — l)...(n — m + l)a"-»pern>?7Z.
Tanto r operazione D quanto le D"^ sono a determinazione unica. La D ha per radice 1, e quindi ogni costante: il suo spa- zio di radici è ad una dimensione. La D*^ ha per radice lo spazio ad m dimensioni S„, contenuto in S^, il cui elemento ge- nerale è un polinomio razionale intero di grado m — I in X, Radice propria di D" (§ 55) è x^-^,
114. L'operazione inversa D-* di D è a determinazione multipla, potendosi ad una delle sue determinazioni aggiun- gere arbitrariamente una radice di D, cioè una costante. Si può però, fra le determinazioni di D-\ fissarne una che si àìvk principale^ e che sarà quella data dalle
(14) 4n = D-"(a:«) = ^.
La determinazione principale di D-* applicata alla suc- cessione a^, a^, a,, . . . , genera dunque la successione o, a^, a, a, 67„_,
2' 3' "•' n ' •••
' 115* In forza della legge iterativa che, fondandosi sul noto principio di permanenza, si estende all' esponente nullo ed intero negativo, D° significherà l'operazione identica, D-" l'operazione inversa di D"* o (ciò che è lo stesso) la potenza m"'"* di D-' •(§ 38). La D-" è a determinazione
113-116 L' OPBBAZIONB DI DERIVAZIONE. 79
multipla, potendosi aggiungere arbitrariamente ad una sua determinazione una radice di D™, cioè un polinomio arbi- trario di grado m — 1 in ir. Si può fissarne una determina- zione, che verrà detta principale, mediante le
(15) 4n = D-°(aJ-) = („ + i)(n +2)...{n + m)'
Non riferendosi alla (letermìnaziono principale, ma ad una ci etermi nazione qualsivoglia di D— ", è da notare che si avrà:
D-'(o) = e,. D-'(o) = e,a? + -j'-, ^y-^(o) = e.— + ^i -f + -^ = "2" (^o'^* + 2c,a7 + e,), . . .
I . 2 * 1 • • • I ^m
+ , n 0,00^-^ + ... + C,
-,) (')•
116* Un prodotto di operazioni di moltiplicazione e di derivazione in numero qualsivoglia dà una somma i cui ter- mini sono il prodotto di una potenza di D per una molti- plicazione. Una tale somma è della forma
€ si dirà forma differenziale lineare ('). Se le a^, a,, . . . , or„^ si riducono a costanti, si ha una forma a coefficienti nume-
(1) I polinomi TT , 7r , .,.ff , ... che sono entro le parentesi de! se-
•condi membri, si sono presentati in varie questioni d* analisi. Essi
dit verificano la relazione — ^ = mi: . Si possono chiamare polinomi
dx «— »
^elPAppelI, per lo studio che ne ha fatto questo Autore (Ann. de
r École Normale, S. II, T. IX, 1880); noi ne parleremo diflusamente
al cap. VII.
(') Gli antori tedeschi usano il termine: « Linear Differentialans-
drnck. » In ciò che segue, si ommetterà spesso T aggettivo lineare; ciò
non ^uò dar luogo ad equivoco.
80 CAPITOLO QUINTO.
rici (§ 40) e perciò commutabile con D. Il prodotto di più forme differenziali lineari è una forma differenziale lineare; esse formano pertanto un gruppo. III. Sostituzione.
117. Sia ancora a{x) aii elemento arbitrario in S, 11(07) un elemento fìsso. Diremo sostituzione relativa a jji ed indicheremo con S l'operazione che consiste nel sostituire al posto di X, nella funzione «(^), la funzione ji. Se dunque a{x) = St^niT", sarà
%{a{x)) = la^^x\x).
Quando non no venga ambiguità, l'operazione S^ si in- dicherà semplicemente con S.
L'operazione S è distributiva.
L' operazione S, applicata al sistema (6), dà
S(l) = 1, S(x) = \i{x). S(x') = [i.'{x), . . . S(ir") = |in(ir), . . .
118, Applicando la S al prodotto di due funzioni a, p, si ha
(16) S(x^) = S(«)S(^),
Ne risulta
<f)=
Sia)
e quindi, se F(a, J3, y, ...) è un sistema qualunque di ope- razioni razionali eseguite sugli elementi a, ^, y, . . . di S, si avrà in genei*ale
SF(«.^,r, . . .) = F(S(a), S(^), S(T), , . .)
L'operazione S si può dunque dire distribuì Uva non solo rispetto alla somma, ma rispetto ad ogni complesso di operazioni razionali.
§§ 116-119. OPERAZIONE DI 80ST1TUZI0KE, 81
Questa proprietà è caratteristica della' sostituzione; se infatti un'operazione A distributiva rispetto alla somma è tale anche rispètto alla moltiplicazione, posto A(x) = 4* 3i avrà: t
A{a^) = A(a?)A(a?) = 4*, . . . , A(a?«) = i\ '
e quindi A non differisce da S.»
Si vede di qui, ricordando che una serie di potenze non è identicamente nulla se non sono nulli tutti i suoi coeffi- cienti, che r operazione S non ha radici, all' in- fuori dello zero, ed è quindi non degenere in S^'
119* Si abbiano le due operazioni di sostituzione S^, S^ • Si avrà, dlalla defiarzióne
e quindi
Sy S^ = S^(yJ.
Risulta da ciò che le operazioni di sostituzione formano un gruppo. Esse, peraltro, in generale non sono commutabili.
Le potenze successive dell'operazione S danno
S{x) = |jL(a?), S\x) = |Ji(K^)), ... ;
e si ottengono cosi quelle funzioni che si dicono le iterate di ^{x). A queste funzioni si suole attribuire un indice, po- nendo
[1^(07) = 07, [1^(07) = |i(a?), . . . , |i^(a?) = S/A(ji^i(a^)).
Applicando ora la potenza n'^"** di S ad un elemento qualunque a di S, si avrà
S-(a(a7)) = a(Ki„(a7)).
e
82 CAPITOLO QiriHTO.
Se [i'^iix) è la funzione inversa di 11(0?), sarà
s;r^ («) = s^^^(a). s;p (a) = s;^^(«).
120« Come caso particolare delle operazioni di sosti- tuzione, è da notare la 8,^.1, che consiste nei sostituire in un elemento a di 8 la 07 + 1 alla x (^). Indicheremo questa operazione col simbolo 6, e porremo
6a(a?) = a{x +1).
La differenza finita^ che indicheremo con A, non è altro che la forma lineare in 6 a coefficienti numerici A = 6 — 1 ; onde
(17) A» = 6» - ne»-^ + (2)6»-* — ... ^ (- l)^
6» = A. + nA»-» + (2)^""* -• + 1-
È chiaro che posto, per m intero positivo, Sx^u. = 0\8i
n
ha 6'" = 6; perciò noi indicheremo 0' con 9". Ne viene che per ogni numero reale e razionale a, si ha dalla legge ite- rativa 6*6* = ^•**;
(18) 6*a(a?) = a(x + a).
Essendo poi a un numero irrazionale definito come limite della successione convergente di numeri razionali a„ a,,... a^, . . . , e preso un elemento a nella cui stella si trovino i punti Al, a,, . . ., a^, ... a, si definisca 6^ come limite di ^\ e ne verrà ancora soddisfatta la (18). Infine, per il noto prin- cipio di permanenza, la (18) si potrà ritenere valida per ogni numero a, reale o complesso.
(I) Questa operaxione ò stata considerata da lungo tempo. Gli an- tichi scrittori, nel calcolo delle differenie finite (come Arhoffost^ Sérvois^ ed altri ) la chiamarono état varie della funsione «(«)• Il sim- bolo 6, che noi useremo costantemente a rappresentarla, ò stato intro- dotto dal Ca$oraU (Annali di Matematica, 8. II, T. X).
§§ 119-122. OPBRAZIONB DI 8OSTfT0ZIONB, 83
181« Per darò un altro esempio di un'operazione di so^ stituzione, la quale ci servirà anche in seguito» consideriamo la S x« che qui scriveremo semplicemente S, e che muta, in una funzione analitica, la (c nella 1 — e\ Si avrà
«(a?») = (1 — e*)», SDi»» = w(l — eO»-S o poiché si ha
se ne conclude per la a;°, e quindi per ogni elemento di S, la relazione:
SD =: — ^*DS.
Da questa risulta
SD» = — <r-«DSD = ^*D(e-»DS) o quindi
SD» = e-'^(-^ D + D«)S.
Cosi continuando, si vede che si ha in generale, per tutti i valori di r interi e positivi
SD' = e-«F,S,
dove le F, sono forme lineari differenziali a coefficienti nu- mericii che si ottengono 1* una dall' altra con processo ri- corrente; essendo che si ha:
F, = D. F, = — D + D«, F3 = 2D ^ 3D» + D», .. . ,
F,^, = — d*F,e-»D.
Chiamandosi trasformata di *un' operazione A me* diante T operazione B il prodotto BAB-* (cfr. Cap. tre- dicesimo), si potrà dire che la trasformata di D' mediante la Si_eX, è la forma differenziale lineare ^-"F,,
1S8. Ogni prodotto di operazioni di moltiplicazione e di potenze di una determinata sostituzione si riduce al prò-
64 CAPITOLO QUINTO.
dotto di una moltiplicàziobe per una potenza della, sostitu- zione. Una somma di tali termini si dirà forma lineare alle costituzioni; essa, è della forma
«• + «iS + a,S* + ... + or.S-.
Un prodótto di forme alle sostituzióni relative alla fun- zione fissa [fc è una forma della medesima specie; tali forme costituiscono dunque un gruppo, (cfr. Gap. XIV). Nel caso che sia |i(a?)=a7 + l, si hanno le forme lineari alle diffe^ reme finite, del tipo
a. + ctfi + «»« + ... + ««e-, '
• »
che le formule (17) permettono anche di scrìvere
Si lascia al lettore la cura di sviluppare le facili rela^ zioni che intercedono fra le a. e le ^.
188. Fin qui noi abbiamo considerato lo spazio 8 delle serie di potenze: in questo l'insieme S^ di quelle aventi un raggio non nullo di convergenza; fra queste, 1* insieme di quelle il cui cerchio di convergenza ha un raggio maggiore di r, ed abbiamo indicato questo insieme — il quale costi* tuisce uno spazio lineare — con S'. Un tale insieme è tanto meno comprensivo, quanto più r è grande: ogni S*^ co'ntiené, cioè, 8'' se è r' > r. In ogni insieme 8' è compreso l'in- sieme 8^ dèlie funzioni intere, razìooali o trascendenti; in 8^ stesso possiamo distinguere insiemi lineari di meno in meno comprensivi, assoggettando per esempio le serie che li com- pongono a condizioni di convergenza sempre più intensa ('). Ma per quanto uno spazio lineare contenuto in 8^ si re^
(^) Condisioni che, oome si avrebbe dalla teoria delle fuQEioni in- tere, risalterebbero legnate al gtnert delle funzioni stesse: nia non é, perfora, il caso di entrare in particolari su ciò.
§§ 122-1^. BSTEKSIONBL DBLLO SPAZIO, BI FUNZIONI. 95
stringa, ciò s'intenderà fatto in modo che visi trovi sempre r insieme delle funzioni razionali intere di x, insieme che diremo 8*^ ed al quale appartiene il sistema
■ 4 ■ ,
A 9 «A^i «A/ ^ • • • I J[/ I • • •
1
che al § 103 si ò detto sistema fondamentale di $« Per indicare gli insiemi 8", . .., 8~, .., 8'', ...,8', .,., 8^..» useremo la parola di intorni (di più in più estesi) dell* eie** mento 1.
124« Ciò ricordato, è possibile di ampliare lo spazio di elementi cui applicheremo le nostre considerazioni; in par- ticolare quello cui sono applicabili le operazioni elementari M, D ed S.
Consideriamo infatti il risultato della moltiplicazione degli elementi di 8*^ per una funzione analitica qualunque p.. L'in- sieme dei prodotti ottenuti costituirà uno spazio che indi-» cheremo con 0TCV ^ semplicemente con 0Z^; ed in questo potremo distinguere gli spazi, di meno in meno comprensivi e di cui ciascuno contiene i precedenti
€ncs ... m.% etT'', . . . €)r:~, ... or:*"
ottenuti dalla moltiplicazione di |i per gli elementi di 8% ...
8% 8'', ... 8^,..., 8" rispettivamente. Tutti questi conten- gono il sistema di elementi
p, pa?, pa?*, . . . , pò?", ... ;
ed essi si diranno intorni (di meno in meno estesi) della funzione p.
185. Le operazioni elementari sono applica- bili ai nuovi sistemi che abbiamo ora definiti.
Per r applicazione di queste operazioni, abbiamo dunque
86 CAPITOLO QUUITO.
aggiunto ('), colla moltiplicazione per pi, nuovi elementi allo spazio S primitivo. Notiamo in particolare:
a) lo spazio che si ottiene aggiungendo ad 8 quegli
elementi che si hanno da successive moltiplicazioni per — .
Esso è lo spazio delle serie di Laurent (*) e verrà indicato con S*; mentre indicheremo con S 1* insieme delle serie di potenze intere negative di a?, con 8' quello che contiene
le serie convergenti fuori di un cerchio di raggio — ;
b) lo spazio che si ottiene aggiungendo al precedente quello che se ne deduce colla moltiplicazione per a;*, dove a è un numero qualsivoglia;
e) lo spazio che si ottiene aggiungendo al prece- dente quello che se ne deduce colle moltiplicazioni succes- sive per logx.
(}) lì lettore avvertirà come il sigaificato di questo vocabolo non ò qui senza analogia con quello che gli si di nella teoria delle equa- zioni algebriche secondo Galois, e nel concetto di campo di rasionalità.
(') È noto che con questo nome si designano le serie di potenze intere, positive e negative, di una variabile.
CAPITOLO SESTO. Gli elementi del calcolo ftmzioiiale.
A. LE SERIE DI POTENZE DEL SIMBOLO D.
126. Sia a^, a^ • . ., a^» « • • ^^^ successione data di fun- zioni analitiche della variabile x, regolari e ad un valore entro un'area finita a del piano di essa variabile. Sia poi 9 un elemento di $®, ed intendiamo, come si è stabilito al § 100, che la medesima notazione 9 rappresenti pure il ramo ad un valore di funzione analitica che si deduce da quel- r elemento col metodo della continuazione analitica in tutta la corrispondente stella di Mittag-Leffler. Indicando col simbolo D, come è convenuto al § 111, la derivazione ri- spetto ad Xj consideriamo la serie:
00 (1) A(9) = "Zi^^'f'
Questa espressione può avere 0 no significato, a seconda dell'elemento 9 cui essa è applicata. Quando abbia le proprietà: a) di essere regolare in un* area a' contenuta in a; &) di rendere, in questa area, la serie (1) uniformemente convergente,
la À(9) rappresenterà, per un noto teorema del Weier- STRASS (^), una funzione analitica regolare entro tutta
i}) Zur FuneiionenUhre, (Abhandl. ans der Fanetionenlehre, p. 102)» Berlin, 18Sa
88 CAPITOLO SESTO.
r area a'. In tal caso, A è simbolo di uq* operazione che, applicata alla funzione analitica 9, dà origine ad una fun- zione analitica. Inoltre, se 91 è una seconda funzione avente rispetto alla (I) le stesse proprietà a) e b) di 9^ si avrà:
A(9 + 9i) = A(9) + A(9,); infine, è evidente che
A(C9) = cA(9).
La A, definita dalla serie (1), è dunque un*o- peraziono distributiva.
187» L'insieme degli elementi 9 per i quali sono soddisfatte le due condizioni a) e b) pre^ cedenti è manifestamente lineare. Questo in-* sieme si dirà campo (funzionale) di validità delToperazione (1).
LI campo di validità di (1) è un intorno di 1 (§ 123). Infatti, ad esso appartiene tutto l'insième S^ , poiché se poniamo nella (1) la x^ al posto di 9, dove n è intero e positivo, i termini dello sviluppo spariscono dall' (n + 2)*»*"'* in avanti e lo sviluppo stesso si riduce ad un polinomio. Precisamente, si trova
A(I) = «0» H^) = «0^ + «i» A(a?*) = (x^x* + 2a,ypo + «„ . . ; Porremo d* ora in avanti
A(l) = 4^, A(a7) = 4i, . . . A{a;") = 4„, . . i ;
la successione 4or4i> ... ^,,, ••• ò dunque data quando siano date le a^, «j, .. . a^^ • ••» ^^ ^ costituita da funzioni anali^ liche ad un valore e regolari nell' area a.
188. La relazione fra le ^^ e le a^ ^ W^ definizione
(2) 4. = «n + wa7a„_i + (2)^'a._« + . . . + a?X-
§§ 126-ldO. OPBRASIONI RAPPBB8ENTATB MEDIANTE SERIE. 89
E facile di dedurne T esfìressione delle a^ in funzione delle 4^. Infatti, si osservi che volendo risolverei il sistema di equazioni lineari
(h = 0, 1, 2, ... n) Hspetto alle.u,!, basta moltiplicare rispettivamente le equa^
zioni del sistema per a?", — ni?**-', (2)^°^'' • • * ^'"^)° ♦'
sommando, tenuto conto delle note relazioni fra i coef&cienti binomiali, viene immediatamente
Wh = ^'h — Aa?i\_| -4- [2]^^^'^-^ — . • • + l—iyx^v^
(A = 0, 1, ... n).
Applicando codesto' procedimento alio (2), si ha (3) «„ = 4n -- wa?4„_i + (2)^*^0-1 - • •/ + (-l)"^"5o.
189. Se un'operazione A definita da una serie (I), ammette come radici tutti gli ele- menti ìf X, x\ ..., x\,.. essa si riduce alTope- razione nulla (§ 25) in 8.
Infatti, per le formule (3), dall' essere 4© = ^» 4i = 0, . . . $n = o, . . • seguirà «^ = o, aj = o, . . . «„ = 0, . . . , cioè tutti i coefficienti della serie (I) che rappresenta la A sa-' ranno nulli.
180t Se A, B sono due operazioni definite da serie della forma (1), le quali diano per 1, 0?, ... r&°, ... rispettivamente gli stessi risultati ^o« iv ••• 4d» •••« Id serie che definiscono le due operazioni sono identiche.
Infatti le a^ sono espresse univocamente in funzione delle $n mediante le (3).
Da questa proposizione e da quella del § precedente segue la possibilità di applicare il metodo der coefficièoti-
90 CAPITOLO SB8T0.
indeterminati alla ricerca dello sviluppo di un'operazione distributiva^ univocamente definita in S da una opportuna sua proprietà, in serie della forma (1); lo sviluppo, quando esista, è unico.
131* Abbiamo visto al § 127 che
ogni serie della forma (I) ha un campo di validità, costituito per Io meno dalTlnsieme S^ delle funzioni razionali intere*
Vogliamo ora mostrare come questo campo di va- lidità sia in ogni caso più esteso, in guisa da contenere, oltre agli elementi di S*^, anche in- finite serie di potenze.
A quost* uopo, osserviamo dapprima che le a^ sono date regolari nell' area a. Ognuna di esse, quindi, considerata in modulo, avrà in a, escludendo il contorno se è necessario, un massimo valore: sia m^ il massimo valore di |<x„|. Si potrà allora, in infiniti modi, determinare un sistema di numeri po- sitivi e decrescenti g^^ tali che la serie
Zi n!
n!
rappresenti una funzione intera in z; basterà, ad esempio,
prendere le g^ tali che sia g^ < p„_,, e ^^ < — . De termi*
niamo poi una successione di numeri positivi ^^ ^1^-
a) da soddisfare alle disuguaglianze k^ < gj\ dove ^ è un numero positivo arbitrario,
&) da rendere la serie Tl"^ convergente entro un cerchio che comprenda 1* area a (').
(^) La seconda di queste condizioni può non essere indipen- dente dalla prima; la disuf^uaglianaa a) può avere per effetto che la
serie /)-^-p abbia un cercbio di eonvergensa abbastanza grande per
comprendere Tarea a, e in particolare che sia una funsione intera.
§§ 130-131. CAMPI DI VALIDITÀ. 91
-^-p appartiene al campa
di validità di A. Infatti, essendo r il massimo modulo di a? per i punii dell'area a, si ha entro il cerchio [y](*):
|9(a?)| = |A, + ^+*^*4-... |<
9» + 9i "7+ 9t.-^ + .. . < p,«'«;
si ha pure
DMa?) I = I A„ + ^ 4- %^ + ... |<
Considerando dùnque la serie (1) pei yalori di x com- presi nell'area a, si avrà:
e qui il secondo membro essendo, per costruzione, una fun- zione intera, no risulta la convergenza assoluta ed uniforme in a della serie (1); 1* elemento 9 i cui coefficienti soddi-- sfanno alle condizioni a), h) appartiene dunque al campo di validità di A.
Si noti che se due elenoenti 9, 9^ soddisfanno alle con- dizioni a), &), VI soddisfa anche la loro somma. Infatti» sia
con
ne verrà
(1) Con queita notatione rappresenteremo il cerchio di centro nel- r origine e di rag^gio r.
92 CAPITOLO 8B8TO.
Le serie di potenze, i cui moduli dei coefficienti soddi- sfano alle condizioni a), b)f definiscono dunque uno spazio lineare contenente 8^ » cioè un intorno di 1 appartenente certamente al campo di validità di A.
183« Come esempi di serie ordinate per le potenze intere e positive del simbolo D, possiamo citare per prima la serie del Taylor. Questa serie
(4) S ^^^
ammette, come campo di validità noli* intorno di 1, l'insieme di tutte le ^erie di potenze il cui cerchio di convergenza ha un raggiò superiore ad \h\f e rappresenta, per queste serie, 1* operazione 6^ (§ 120), Se r ò il raggio del cerchio di con* vergenza di 9, Tarea del piano x in cui è valida la (4) è il cerchio di centro a? = 0 e di raggio r — | A |. A questo sviluppo si può riavvicinare l'altro
che è valido per tutte Te serie di S% e per i valori di .r soddisfacenti alla condizione
{ì + \a\)\x\<r, •
essendo r il raggio di convergenza della serie 9. Questo sviluppo rappresenta, per codesti, valori di a?, 1* operazione di sostituzione di'(l.+ ayv ad a?.
Per il caso particolare a = — 1, si ha Io sviluppo
* ■ ».
pure valido per ogni elemento 9(0?) di S* e per i valori di aJ il cui modulo è minore della metà del raggio di coover-
. «
§§ 131-133. CAMPI DI VALIDITÀ. 93
genza di 9. Esso rappresenta 9(0), cioè il. primo termine della serie 9(^)9 e dà un esempio di una operazione che fa corrispondere una costante ad ogni funzione di un certo insieme ad infinite dimensioni.
133* Introduciamo una notazione di non dubbia utilità. Essendo q^, g,, ..., q^y ... una successione data, il modo di comportarsi di questa successione per n = 00 (comporta- mento assintotico) è dato, come prima approssimazione^
da quello di r°, essendo r il raggio di convergenza della
•
serie ^~\ il quale raggio, come è noto,, è il limite, se esiste, ed in ogni caso. il limite superiore .d^i punti limiti nella
successione y ( g, | . Ne viene che le serie J]^»?»^" e^^n^"^**
hanno lo stesso cerchio di convergenza; questa relazione fra le successioni q^ ed r"^ si esprimerà scrivendo :
?n ^ «^
n
La relazione espressa del segno co ammette evidente* mente le proprietà caratteristiche dell' uguaglianza (§2).
Ciò posto, possiamo fare un'osservazione che, in molti casi, giova a fare riconoscere se una data funzione 9(0?) ap-> partiene al campo di validità di una serie (1) o, nel caso affer- mativo, serve a determinare Tarea del piano x in cui ha luogo la convergenza. Infatti, consideriamo la 9(0?) nella sua stella di Mittag-Leffler dì vertice 0, e siano u i punti singolari^ sul contorno della stella. Per ogni valore di x, vi sarà un punto u^ più prossimo ad w di ogni altro u\ t/, sarà quindi una funzione, generalmente discontinua, di x. Se ora si forma la serie di Taylor
risulta- dai principi elementari della teoria della funzioni che
S4 CAPITOLO 8B8TO.
essa converge per i valori di \h\ compresi fra zero ed J ^ — u^\; talché si avrà
--y-D"9(ir) co
ni ' ^ ' \x — u, I ■
Questa relazione» dati che siano i coefficienti della (1), serve a riconoscere se, e per quali valori di Xf una fun- zione 9(0?) appartiene al campo di validità della (1) stessa.
134* Essendo A un'operazione distributiva univoca, ap- plicabile agli elementi a, |S, ..• di un certo spazio, la pro- prietà distributiva espressa da
A(a + p + ...) = A(«) + A(?) + ...
vale finché la somma <x + ^ + - • • consta di un numero finito di termini. E interessante però di cercare se questa formula si possa estendere al caso di una somma di infiniti termini; in altre parole, se la proprietà distributiva di un'operazione sia applicabile alle serie. Ci proponiamo di mostrare che, data una operazione della forma (1), si può sempre trovare nel campo di validità di questa operazione uno spazio funzionale di serie di potenze cui la legge di- stributiva è applicabile termine a termine.
Poniamo, all'uopo, nella serie (1), le espressioni (3) delle «g in funzione delle ^: avremo cosi
(7)
B=0 \
... + {- l)«a?»4jD"9.
Sia g^ il massimo modulo di 4. in a> d si ponga, essendo ancora r il massimo modulo di x in a,
P. = ff. 4- nrq^, + i^)t'*g,^ + • • • + r'q,.
§§ ia3-134. CAMPI DI VALIDITÀ. 95
Si determini poi un sistema di numeri g^^ positivi e de- crescentii tuli che la serio
n!
sia una funzione intera in js; si ponga infine
dove i numeri k^ sono positivi e S()ggetti alle condizioni: a) di soddisfare alle disuguaglianze k^ < gj,\ dove ^ò
un numero positivo arbitrario,
h) di rendere la serie ^x) convergente in un cerchio di
raggio non minore di 2r.
Sotto queste ipotesi, la serie a termini positivi
~ 1
sarà convergente, come si vede facilmente; e quindi lo svi- luppo À(^) dato dalla (7), per i valori di x in a, sarà con« vergente anche se tutti i termini che ne compongono il termine generale si riducono ai loro valori assoluti. Sarà quindi lecito di ordinare questi termini nell'ordine che si vuole; in particolare, si potrà scrivere:
A(+) = Ì<^I>-+ - (" f ')o^I>-V +
ossia
(8) A(+) = S-;^4«(d»+ - a?D»*«4- + ||- D«+«4' -•.•)•
96 CAPITOIiO 8B8TO,
Opa, il raggio di convergenza di ^ essendo maggiore di 2r, e per ogni punto x dell'area a il modulo di x essendo in» feriore ad r, la parentesi sotto il segno sommatorie del se- condo membro della (8) rappresenterà (D"4'{^))x=o> P<5r T os- servazione fatta alla fine del § 132. E poiché
+{^) = ft. + M+^ + ...,
si avrà
• : (D"4'(a?))i=. = A..
Perciò la (8j st scriverà
0
ossia vale T uguaglianza:
H IlèH = sii A(-")-
.n=o / n=o
La proprietà distributiva dell* operazione A è dunque estensibtle alle serie di potenze ^{x)] cioè alle serie ^(x) T operazione stessa si può applicare termine a termine.
185» Gli elementi ^ di S^ pei quali vale la proposizione precedente, sono quelli i cui coefficienti soddisfano alle con- dizioni a) e b) del § 134, e più generalmente le serie i cui moduli dei coefficienti soddisfano a quelle condizioni. Tali serie formano manifestamente un insieme lineare cui appar- tiene S" (cfr. 132 )i Possiamo dunque dire che
per ogni operazione A rappresentata da una serie (1) esiste un intorno dell* unità costituito da serie di potenze cui 1* operazione A ò appli*^ cabile termine a termine.
134-138. CAMPI DI VALIDITÀ. 97
136. Può accadere che Tarea a, ia cui i coefficienti a^ della serie (I) sono regolari, sia un intorno di a; = o. In tale caso, per ogni elemento 9 di S* appartenente al suo campo di validità, la serie (1) rappresenta una funzione re- golare neir intorno di a? = 0, cioè un elemento di &\ La (1) è quindi un'operazione che ammette 8^ come spazio iava-^ riante. Le ^^ sono funzioni analitiche regolari nello stesso intorno di a? = 0 in cui sono regolari le «„. Reciprocamente, le (3) dimostrano che, se le 4n sono date da serie di pò* tenze di x
in = «no + «nl^ + «n«^' + • • • , (n = 0, 1, 2, . . .)
aventi un cerchio comune di convergenza, saranno regolari neir intorno di a? := o anche le a„. Nel caso ora considerato l'operazione A viene dunque ad essere definita entro S dal sistema di coefficienti delle 4„, cioè dalla matrice ad infinite linee, e generalmente ad infinite colonne
"^0* «01 «OS • • •
(9)
«10 «11 «1« • • •
«IO «21 «?«
187. Quando un'operazione A è rappresentata da una serie (1), può benissimo accadere che la serie converga uni* formemente per funzioni non appartenenti ad S. L'operar zione verrà allora ad essere definita per uno spazio più esteso, che si otterrà aggiungendo (§ 125) ad 8 quelle fun- zioni per le quali la (1) risulta uniformemente convergente. Questo è il caso, p. es., per le formo differenziali lineari (§ 121) per le quali il campo di validità è costituito dall'in- sieme di tutte le funzioni analitiche.
138. Le operazioni elementari M, D, S, definite nel Ca- pitolo precedente ammettono uno sviluppo della forma (1).
7
1
InCatti la M. è p.7, cioè ammeue uno sriluppo 1) ridotto al froo primo termine (a^ = p^ x, = s, = ... = 0»; la D am* mette lo sviluppo (1) ridotto al secoDdo termine (x, ^ I» ff, = 2, = a, = . . . = o). L* ona e Taltra valgono per tutto l'insieme delle funzioni analitiche. In quanto alla S«, si La per questa operazione (§ 116)
onde si ricava dalle (3) e io sviluppo (1) diviene
(10) s, = j;!^ „;^^'d^
Cotesto sviluppo, che si può dedurre da quello del Taylor, ha significato sotto la condizione seguente. Sìa ^[x) la mi* nima distanza del punto x dai punti singolari sul contorno della stella relativa a 9(x): lo sviluppo (10) sarà valido per quelle funzioni ^x) e in queir area del piano della varia- bile Xj per cui è soddisfatta la disuguaglianza
I p(x) - .r . < &ix).
Per |i = J7 + 1, la S^ si riduce all'operazione • (§ 120) e lo sviluppo (10) diviene
~ 1
69 = Stì^d-?.
nzzù
valido per tutti gli elementi di S^ Questo sviluppo, che sì può scrivere 0 = éj^, è stato notato fino dai primordi del cal- colo differenziale.
138-139. OPBRAZIONl RAFPBBSBNTATE MBDIAMTB SBRIB. 99
189. Analoghe alle serie (1) soqo quelle della forma
oo
(11) A(,) = Siir^-f .
11=0
dove !& rappresenta una funzione data. Anche questa espres« sione analitica è un'operazione che porta sull'elemento 9; ed in modo simile a quello seguito nei §§ 126 e seguenti si dimostra che, se le a^ sono funzioni analitiche regolari in un* area comune a del piano a?, questa operazione ammetto un campo funzionale di validità. A questo campo apparten*
gono sicuramente gii elementi di 0T^^ (§ 124) cioè
|i, fio?, jjuz?', . , . jjur", . . . ,
ma esso è in ogni caso più esteso; cosi pure esiste un in- sieme, pure contenente €)T^*" , costituito da serie ^^nJ*^'* cui
l' operazione A è applicabile termine a termine (cfr. § 135), cioè per le quali
Se si pone 9 = [i^, si ha
00
(X.
MV'i) = S^^D"'!'
n=o
cioè si ricade su di un'operazione della forma (1), la quale equivale al prodotto AM^ •
Come al § 129, un'operazione A che ammette come ra- dici gli elementi {x, \i.a;, ii.x\ ..«, si riduce all'operazione nulla in tutto un intorno €)T^ di iJi; [i si dirà allora elemento singolare per T operazione A.
100 CAPITOLO SESTO.
B. DERIVATA DI UN'OPERAZIONE.
140. Supponiamo data un* operazione mediante una serie (I), ed essendo 9 un elemento del suo campo di validità, supponiamo che anche x^ appartenga a questo campo. Avremo allora
co 00
n=o n=o
e quindi
(12) A(a?9) - xk(<p) = S(;r5ri)!l>°~'?-
La differenza A(xrp) — xk(^) sarà dunque una nuova operazione, che diremo A', della stessa forma di (1); essa ammette lo stesso campo di validità, come si vede facilmente dal § 131; inoltre la serie (12) si può riguardare come ottenuta dalla (1) mediante la regola ordinaria di derivazione, appli- cata come se il simbolo D fosse la variabile. Per questa ragione, daremo alla A' il nome di derivata (0 dell'ope- razione A.
141* Analogamente, se anche x^(p appartiene al campo di validità di (I), si potrà formare
.A'(a?(p) — a7A'(9) = A(a7«9) — 2a?A(9) + a?«A(9) e questa sarà rappresentata dalla serie
00
S r^^f!2V^'- V
Questa operazione, derivata della A', si indicherà con A" e si dirà derivata seconda di A.
(1) Sì potrà dire derivata funzionale, per ricordare che la yariabile é qui una funzione f, per opposizione alla derivata ordinaria o puntuale, dove la variabile ò un numero.
§§ 140-143. DERIVATA DI U2i^ OPERAZIOMB. 101
Per la derivata A', si ha, posto A'(a?") = ^J^\ per la derivata seconda A", posto A"(a?") = :;J*), si ha:
*«nt
e cosi via,
142. La derivata di A" si indicherà eoa A'"; in generale, quella di A^""*^ si indicherà con A^"^ e si dirà derivata ( fun- zionale) n''°* di A. Per essa si ha
(13) Af°^(9) = A(r-9) — ?2a?A(a;"-"V) +
+ g)a7«A(a?"-2) + ...+(- l)»a?-A(9),
Da questa formula si deduce immediatamente che la de- rivata r**"* della derivata 5**"* di un'operazione coincide colla derivata (r + 5)«ina dell' operazione stessa.
143. Indichiamo, in via d'esempio, un caso in cui un'ope- razione A rappresentata da una serie (I) ammette tutte le successive derivate. Suppongasi che i coefficienti (x^, aj, ..., <Xo, ... della (1) si mantengano tutti, entro Tarea a, infe- riori in valore assoluto ad un numero m. In tale caso, ogni serie
9(0?) = 2^n^'"
si trova nel campo di validità della serie (1) purché, 771^ essendo un numero positivo qualsivoglia e ^ un numero po- sitivo minore d' uno, sia
I ^ ^"
ciò si verifica immediatamente. Ma alla medesima condizione soddisfano le serie 079(0?), x\{x), ...; pertanto esistono per
f
f 102 CAPITOLO SBSTO.
la serie considerata, nell' accennato campo funzionale, le derivate funzionali di tutti gli ordini.
144. Dalla definizione di derivata di un'operazione, de- finizione espressa da
A'(9) = M^9) — ìpA(9),
risulta subito che la derivata di una somma di ope- razioni ò uguale alla somma delle derivate delle operazioni stesse.
Cosiy indicando coli* accento la derivazione funzionale,
si ha:
(A + B)' = A' + 13'.
145. Se C è il prodotto AB delle operazioni A, B, si ha:
(14) C = B'A + BA'.
Infatti, per definizione
C'(9) = C(a79) — a?C(9) ossia
C'(9) = BA(a79) — xBk{(p)
ed aggiungendo e togliendo B(a?A(9)V
C'(9) = B(A(a?9) — a?A(9)) + (Bx — a?B)(A(9)) =
= BA'(9) + B'A(9).
La regola per la derivata di un prodotto di operazioni è dunque perfettamente analoga alla nota regola del Leibniz per la derivazione di un prodotto di funzioni. Se ne deduce, per le derivate successive del prodotto C:
C" == BA" + 2B'A' + B"A
ed in generale, per ogni n intero positivo:
C(o) ^ B^(n) ^ ^B'A^n-i) + g)B''A^"--^ + ... + B^"^'V.
143-146. DBRIVATA DI UN' OPBBAZIONB. 103
E appena necessario di ricordare che i fattori che figurano nel secondo membro non sono, in generale, commutabili.
Dalla regola per la derivazione di un prodotto di due operazioni si deduce immediatamente quella relativa alla de- rivazione di un prodotto di tre o più; se
C = A|A,A3, si ha
(15) C = A\A,k, + A,k\A^ + AjA^AV
Se C = A", dove m è un esponente intero positivo, si avrà
C = A' A"-* + AA'A"*"* + A*A'A"-^ + . . . + A"-* A'.
Nel caso che A' sia commutabile con A, si avrà
C = mA"~*A'.
146. Le formule (13) esprimono le A', A", . . . A^"^ in funzione lineare delle A((p), A(a?(p), A(a?*9)t • • • A(a?°9). In- versamente, è facile di esprimere queste in funzione lineare delle derivate: basta infatti osservare che considerando nelle (13) le A(9), A(a79), A(x^(p), . . . come incognite, le equazioni stesse ci riconducono al sistema che si è risoluto nel § 128. Se ne ricava dunque
(16) A(a;»9) = A^"\cp) + na?A^""**(cp) + l^^x*A^'"'%) +
+ ... + a?"A((p).
Riprendiamo ora lo sviluppo dato al § 139:
oo
a.
(17) A(ii9) = S^-D-9
n=o
Se in questo si f a 9 = a?°, viene A(fjLa?») = a^a?» + naia?**""* + . . . + na^_^x + a„ ;
104 CAPITOLO BBSTO.
onde, confrontando con le (16), si vede che i coefficienti «0» «i» • • • «n» • • ' ^®'l^ (l*^) "on sono altro se non A(|jl), A'(ijl), . . • A^"^Oa), ... In particolare, nello sviluppo (1), si ha
a, = A(l), a, = A'(l). ...,«. = A<"^(1), ... ; talché cotesto sviluppo (1) si potrà scrivere d*ora in avanti
A(^> = |;-^A<">(l)D-9,
n=o
e lo sviluppo (17):
(18) A(pL9) = £-^A^"^(ii)D»9.
n=o
147« Si deduce da ciò che se un'operazione è de- finita uni vocamente, in qualsivoglia modo, nel- rintorno di una funzione p. (§ 124), q.uesta ope- razione si può rappresentare mediante una serie della forma (1).
Infatti, conoscendosi le A([jl), A(a?pi), A(a7'|i)» ...» se ne deducono, per lo (13), le A'{[ji), A"(pl), • . . Ma queste non sono altro (§ prec.) che i coefficienti dello sviluppo (17); questo sviluppo si può dunque scrivere senz'altro, ed è va- lido per gli elementi 4^ di un intorno di 1: cioè, per gli ele- menti p.4^ del corrispondente intorno di p., esso ci rappre- senta la A(|i(|^).
In questo modo rimane completato quanto si è detto in principio del presente Capitolo (*), essendosi ottenuta la re- lazione fra un'operazione ed i coefficienti della serie che vale a rappresentarla.
0) È appena necessario di far avyertire la grande analog^ia che passa fra lo sviluppo (18) nella teoria delle operazioni, e la serie del Taylor nella ordinaria teoria delle fanzioni.
§§ 146-150. DBRIVATB DELLE OPERAZIONI ELEMENTARI. 105
148» Veniamo ora a studiare le proprietà delle derivate delle operazioni elementari.
L'operazione di moltiplicazione M^ ammette come- derivata lo zero. Essendo infatti M„ = ja^, e
M'^ (9) = M^ (a?9) - xM^ (9),
ne viene senz' altro M'^ = 0. Per il § 145 ne risulta (19) (AM)' = A'M, (MA)' = MA'.
In particolare, I* operazione identica essendo un caso spe- ciale della moltiplicazione, ha lo zero per derivata; cosi pure l'operazione zero.
Sia inversamento A un* operazione definita in S e tale che la sua derivata funzionale sia nulla. Saranno nulle di conseguenza le derivate seconda, terza, ecc., e quindi le «p «„ ... a„, ... (§ 147); ne risulterà
e la A coincide pertanto coli' operazione di moltiplica- zione M.
'^'o'
149. Poiché la proprietà di avere lo zero come derivata è caratteristica dell* operazione di moltiplicazione, se due operazioni A e B hanno la stessa derivata, la loro differenza è un'operazione di moltiplicazione.
Il fatto che la derivata della moltiplicazione è lo zero discende dall' altro, che la moltiplicazione M è commuta- bile con M^. Anzi, per la sua definizione, la derivata di un'operazione A indica, per cosi dire, lo scarto di A dalia commutabilità con M^.
160. Per l'operazione D di derivazione, si ha
D(a?9) — a?D9 = 9, che si può scrivere (20) D' = 1.
106 CAPITOLO SB8TO.
La derivazione ammette dunque, come deri- vata funzionale, 1* operazione identica. Ne viene che le derivate successive di D sono nulle.
Se, inversamente, un* operazione A ammette come deri- vata l'operazione identica, essa sarà della forma D + M» essendo M un'operazione arbitraria di moltiplicazione (§ 149). Ciò si deduce anche dalle (2); se infatti A'(l) = «^ == 1, A"(a7) = A"'(l) = . . . = 0, cioè o^ = Oj = . . . = 0, ne viene
e quindi, applicando A ad una serie di potenze 9:
A(9) = «o? + ^9- 161. Essendo m un intero positivo, la derivata di D"<p è
cioè
(21) (D»)' = wiD»-\ (»)
La medesima formula vale anche se m è un intoro ne- gativo. Infatti si ha immediatamente dall'integrazione per
parti
D-'(ic?9) — a?D->9 = - D-'9, ossia
(D-»)' = — D~*
che coincide colla (21) per m = — 1; facendo poi T osser- vazione che D"* è commutabile con D~\ si ha (§ 146) per n intero positivo
che è la (21) per m = — n
(1) Le formule (19), (20) e (21) e la proprietà M' = o fanno consi- derare le operazioni M e D come analoghe, nel calcolo delle opera- zioni distributiye, a ciò che sono rispettivamente la costante e la variabile indipendente nella teoria delle funzioni; analogia confermata dalP osservazione a piò della pagina 104.
§§ 150-152. DBRIVATB DBLLE OPBRAZIOMI ELEMENTARI. 107
158* La derivata di una forma difierenziale lineare (§ 121)
(22) F = a„D« + a„^,D»~> + . . . + «,0 + «,
si ottiene mediante T applicazione delle regole precedenti^ sotto la forma
(23) F' = ma^D»-» + (m — l)a^__iD»-« + . . . + 2a,D + a,.
La derivata di una forma differenziale lineare di ordine m è dunque una forma differenziale lineare di ordine m — 1, che si ottiene colla stessa regola con cui si formerebbe la derivata di un polinomio razionale intero in cui D fosse la variabile (cfr. § 140). Applicando la medesima regola ad F\ si ottiene la derivata seconda
F" = m{m — l)a„D"*-* + {m — l)(m — 2)a„_iD"»-« +
•-p . . . -f- 1 .2(x^<f
e cosi via. La m»*"»* derivata di F è data da
cioè si riduce ad un'operazione di moltiplicazione; la (m + 1)»*"* derivata è nulla.
E poi facile vedere che 1* operazione distributiva più ge- nerale, che in S abbia uguale a zero la (m + !)■*«* derivata, è una forma differenziale lineare d' ordine m.
Se nella F si sostituisce alla funzione 9 su cui F opera, il prodotto }i9 e se si eseguisce in ogni termine la deriva- zione del prodotto, indi si ordina rispetto alle derivate suc- cessive di 9, si scorge facilmente che la 9 stessa ha per coefficiente F((i), che D9 ha per coefficiente la F'([i) data
dalla (23), che D'9 ha per coefficiente -iyF"(\s.) e cosi via. Si ottiene cioè la formula seguonte :
(24) F(pi9) = F(^)i. + F'(ji)D9 + -^F''(i,.)D<p +
+ ... + ^F«'((i)D»9.
108 CAPITOLO SESTO.
Questa formula, che è Dota da molto tempo, trovandosi già usata nei lavori del D* Alembert, ò un caso particolare della (18): ma 11 suo campo di validità è costituito dallMn* sieme di tutte le funzioni analitiche.
Alla formula (24) daremo il nome di formula di D'Alem- Aer^, e perciò la (18) potrà chiamarsi sviluppo di D'Alem- bert generalizzato.
153» La derivata dell'operazione 6, definita (§ 120) da
69(0?) = 9(0? + 1), è data da
d'9 =z {w + 1)9(0? + 1) — o?9(o? + 1) = 9(07 + 1);
essa coincide pertanto coli* operazione 6 stessa, per la quale dunque si ha:
0 = 6' = 6" = ...
Anche T operazione M6, essendo M una moltiplicazione qualunque, ha la proprietà dì coincidere colla propria deri- vata. Inversamente, se si cerca l'operazione A più generale che coincida colla propria derivata, si avrà:
A(o?9) = (^ + 1)A(9), onde, posto A(l) = $^:
A(07) = (0? + 1)1,, k{x') = {x + \n.. . . . A(o?») = (0? + l)-4a. Ne viene, essendo 9 un elemento qualunque in S^:
A(9) = 1,69
e quindi A = M^O; l'operazione più generale che coincida colla propria derivata è dunque, in S\ il prodotto dell' operazione 6 per una moltipli- cazione.
154* L'operazione di sostituzione S^ ha per derivata
s; = % (^f ) - ^s^ (?) = (p^C^) - ^) s,. ;
g§ 152-155. POTBMZB HBOATlVfl DI D. 109
la S^ è dunque il prodotto di una moltiplicazione determi- nata M^_3t per la S^ . Si può pertanto scrivere
■
S'^ = M^_^S, ossia S' = MS. onde
S" =.M«S. S'" = M^S, . . . S<""^ = M-S.
Una derivata d'ordine qualunque dell* ope- razione S consta dunque del prodotto (a sini- stra) di S per una moltiplicazione*
C. LE POTENZE INTERE NEGATIVE DEL SIMBOLO D.
155* Ricordiamo che si è chiamata determinazione principale di D~~^ (§ 114) applicata ad un elemento di S, quella definita da
Proponiamoci di cercare se questa determinazione di D~* possa essere rappresentata da una serio della forma (1). A quest* uopo, ricordiamo che se
dovrà essere
«. = (D-')""(l);
ma (§ 151)
(D-»)' = — D-», (D-')" = (— D-»)' = 2D-», . . . . . . (])-»)'■' = (- l)»n!D-<»**',
onde, poiché ( riferoDdoci sempre alla determinazione prin- cipale) si ha
(n + 1)!'
110 CAPITOLO BBSTO.
cosi sarà
a?"-^»
(25) D-, = 2(- J)"(7nT)!»-?-
n=o
Questa espressione, che si conferma subito mediante la formula (6) dedotta dal teorema di Taylor, ha per campo di validità tutto l'insieme S^; e se r è il raggio di conver- genza di una serie 9 di S*^, la (25) è convergente assoluta- mente ed uniformemente per | a? | < -^r.
166« Cambiando, nella (25), 7 in D~~^(p, si ottiene facil- mente
6 cosi continuando, si trova per ogni m intero e positivo
(26)
0=0
D-9 = (i^rir7)S(- i)"„-i(;nn^»-?-
La formula (25) era già nota a D. Bernouilli; noi daremo pertanto alla (26) il nome di formula di Bernouilli
generalizzata. Anche la (26) ha tutto S* come campo
]
di validità, colla condizione | a? | < -p- r se r è il raggio
di convergenza di 9.
157* Essendo qp una serie di potenze di S% se p. appar- tiene ad Ss vi apparterà anche qppi; la formula (18) sarà dunque applicabile a D~^; ricordando che in questa formula il coefficiente a„ è dato da A^°*(ji), e che
(D-»)^"^([jl) = (- l)-n!D-<"-^*^(ix)
si ottiene
(27) D-«(,t?) = 2(- l)"D-"'-^"(,i)D-y,
n=:o
§§ 1&5-158. INTBOBAZIONB PER PARTI. Ili
ed analogamente
oo
(28) D— (lif) = S(- 1)°('" '^n ~ ^)D""*""(I*)D-?.
Codesta formula si può dire serie dell' integra- zione per parti, perchè essa si può riguardare come l' estensione della formula d* integrazione per parti del Cal- colo ordinario:
da cui, applicando nuovamente T integrazione per parti al- l'ultimo termine
e cosi via; finché dopo n applicazioni dello stesso procedi- mento si ottiene
(29) D-'(ji:p) = D-V • 9 — D~V • Dy + D-'|ji • D«9 + ... + (-l)°"'D-> • D"-^9 + (— l)°D-">(D->-D»?)).
Bene inteso, qui va sempre prosa la determinazione princi- pale della D""°. Il termine
è il resto dello sviluppo (29), e quando esso tenda a zero, sarà valido lo sviluppo (27).
168* Prima d* indagare le condizioni di validità di questo sviluppo (27), vogliamo dare un limite superiore per D~™9, dove <p = Sa^o?" è un elemento di $•, limite che sarà utile in questa questione ed in altre analoghe. Sia r un numero positivo inferiore al raggio di convergenza della serie cp, e
0) L*a8o del simbolo D—^ invece dell' ordinaria notazione de- gr integrali non porta evidentemente nessuna diflferenza.
112 CAPITOLO SB8TO.
0 il massimo valore assoluto di qp entro il cerchio [r].' Si avrà
^ ^ — 2u{n + l)(n + 2) ... (n + m)'
onde, se è |a?|=:r'<r, sarà:
in-« i^i!!!!!!v l •2,..n /illV
I ^ '^ I ^ m! 2a{m + l)(m + 2) . . . (wi + n)\r)'
ora, i termini della sommatoria essendo rispettivamente mi- nori di quelli omologhi nella progressione geometrica di ra- gione r*:r^ viene
D-»9|
grr'
m\{r — r')'
In particolare, se si fa r' < -^-r, si ha
(30) |D-«cp|<25r^.
159. Applichiamo il risultato precedente alla serie (27); sia, all'uopo, r un numero positivo maggiore del raggio co* mune di convergenza di fi e 9, e ^- il massimo valore asso*»
luto di |ji in r; inoltre si faccia |a?| = r'< ~p-. Indichiamo
con 9 ciò che diviene f quando ognuno dei suoi coefficienti si sostituisce col rispettivo valore assoluto. Si avrà allora per la (30):
|D-ii-D»9|<2^^D-f(r').
Ora, siccome 9 converge in un cerchio maggiore di r ed è r' < -p- r, le condizioni di convergenza dello sviluppo
§§ 158-160. SERIE DI POTENZE DI D""^. 113
del Taylor applicato a 9 dimostrano che il secondo membro della disuguaglianza precedente tende a zero. II ragiona- mento del § 158 dimostra che tende a maggior ragione a zero l'espressione D~\D~»}i • D»:p), cioè il resto della (29); talché concludiamo che lo sviluppo (27) è valido per ogni coppia di elementi di S% e per' i valori di X inferiori in modulo alla meta del minore dei raggi dei due cerchi di convergenza.
Sotto le stesse condizioni è valido anche lo sviluppo (28).
D. LE SERIE DI POTENZE DEL SIMBOLO D~*.
160« Sia «j, «2, • . . , a^, . . . una successione di funzioni analitiche, regolari e ad un valore in un'area a del piano della variabile w. Sia 9 un elemento di S% e consideriamo la serie
(31) A(9) = |)-JrD-"y-
Quest'espressione, quando <p sia una funzione analitica regolare in un' area a' contenuta in a e che rende in que- st*area la serie (31) uniformemente convergente, rappre- senterà una funzione analitica, che si può riguardare come il risultato dell' operazione A applicata a 9. Codesta opera- zione è manifestamente distributiva. Rimane sempre ferma la convenzione che della D~" si considera t>olo la determi- nazione principale.
L'insieme delle funzioni 9 per le quali le condizioni precedenti sono soddisfatte verrà detto campo di vali- dità dell'espressione (31).
8
114 CAPITOLO SBSTO.
161. È facile determinare, per le serie della forma precedente, un campo di validità sotto una condizione che è assai poco restrittiva. Suppongasi che il punto 07 = 0 appartenga ali* area a (^); suppongasi inoltre, essendo m. il massimo valore di a^ in a, che si possano determinare due numeri posi- tivi h e e tali che, per ogni n, sia
(32) m^ < hn\c\
Sotto queste ipotesi^ ogni elemento di S<* ap- partiene al campo di validità della (31),
Sia infatti 9 un elemento di S', g il suo massimo va- loro assoluto in [r]; sia poi r^ il raggio di un cerchio di centro x = o e tutto contenuto in a; infine sia r^ un
numero positivo inferiore ad r, r, od — . Dal § 158 si avrà.
per \x\<.r':
|D~"9 onde, per la (32):
grr*^
w!(r— r')'
il che dimostra il teorema, per essere cr' < L
162. Sotto lo condizioni del § precedente, possiamo an- cora dimostrare che se |i e 9 sono due elementi di S% per valori di x abbastanza piccoli in modulo, è valido per A([i9) lo sviluppo di D'Alembert generalizzato (18).
(^) Questa prima ipotesi non ò essenziale; essendo a;» un punto qualunque di a, se la condizione (32) è soddisfatta, al campo di yali- ditÀ della (31) apparterrà tutto T insieme delle serie di potenze di X — x^ \\ cui ra^^gio di conyergenza non è nullo.
§§ 161-162. BERIR DI POTBXZB DI D~~^ 115
A quesf effetto, si formi À(pi7), sostituendo in ogni ter- mine della (31) a D~°(pi9) lo sviluppo corrispondeote dato dalle (^7) e (28). Si ottiene cosi :
(33) A(ji?) = 2S(- !)'«.(" "^?"^^)d-'"*"(|ì)D'9.
Si prendano ora due numeri positivi r,, r,, tali che sia
^« < ^3 < -2^'\
se 9 = 2^,07' e se ^1 è il massimo valore assoluto di 9 in [r], si avrà:
^9 = P!(«p + (P + 1) Vi^ + P 2 ^ Va^' +•••)• onde, per | a? | < r,
* » •
o infine
(r - r^y^^
1 per r ipotesi r^ < -g-^, ne viene
^s
Essendo ora p il massimo valore assoluto di {jl in [r], si ha, in forza del § 158 e per |a?|<r:
D I* < Sa-; ; TT.
116 CAPITOLO 8E8TO«
Il termine generale dello sviluppo (33) è dunque infe- riore a
ossia, per le (32), inferiore a
(n — l)!(n + p) r
3
e questo è il termine generale d* una serie convergente a termini positivi.
Abbiamo pertanto ottenuto una serie convergente, me- diante la sostituzione di numeri positivi, maggiori in valore assoluto, a ciascuno dei termini della serie che forma il secondo membro della (33). Si potrà dunque ordinare la ^33) stessa per le potenze di Dp, e si troverà:
(34) A(ptT) = !)(- l)'kD-<''-'V + (^ t \,\r^'^\ +
+ (P + %D-"«V + ...W
Sotto questa forma, si scorge che lo sviluppo ottenuto è precisamente quello (18), o di D* Alembert generalizzato; in cotesto sviluppo le derivate della serie (31) sono ottenute mediante la derivaziono termine a termine, tenute presenti lo regole del § 151 per la derivazione delle potenze nega- tive di D.
168* Abbiasi un'operazione data mediante un'espres- sione della forma (31), di cui si suppongono i coefficienti regolari in un intorno comune di a; = o; sia cioè:
a„(a?) = flf„^ + a„,a7 + flf„,a7* + . . . ,
(H ^^^ 1, -w, O, • • • J.
§§ 162-164. SBBIO DI POTEHZE DI D~~^ 117
Questa operazione contenga nei suo campo dì validità un intorno dell' unità, ed abbia per radici tutti gli elementi 1, Xt rr^, ... (li S*. Con queste ipotesi, vogliamo dimostrare chi3 tatti i coefficienti a,, a,, ... dello sviluppo sono identi- camente nulli.
Si ponga infatti 9 = x^; siccome quésta funzione appar- tiene, per ipotesi, al campo di validità della serie (31), se ne deduce che A{x^) si potrà sviluppare in una serie di po- tenze ài x; Q precisamente
a
•" ^ A + 1 ^
(A + l)iA + 2) "^ • ' • ■*■ (A + 1 )(A + 2) . . . ( A + n) j^ - ^' onde segue
«00 = 0, a^i + ^^ = 0,
^<>* "*" /H- 1 ■*" (A + IXA + 2) ■" ^' • • •
Codeste condizioni, lo quali devono essere verificate per tutti i valori interi positivi di h^ richiedono che tutte le a^^ siano nulle; infatti, come è facile a vedersi, ciascuna di esse equivale a supporre che un polinomio della forma
«o + «1^ + «t^(^ + 1) + . . . + a^z{^ + 1) . . . (;2; — n + 1)
sia nullo per tutti i valori interi positivi di ;;: il che porta immediatamente alla conclusione che sono nulli i coefficienti
164. L* osservazione precedente permette di dedurre che se due serie della forma (31) danno lo stesso risultato per
118 CAPITOLO 8B8TO.
tutti gli elementi di un intorno dell'unità, e in particolare per gli elementi di S" , esse coincidono nei loro coefficienti. Onde segue che si può applicare il metodo dei coefficienti indeterminati per il calcolo delle serie di quella forma.
165« Tutto quanto si è detto per le serie della forma (31), compresi i risultati degli ultimi due §§, si può ripetere senza modificazioni per le operazioni distributive rappresen- tate da serie della forma
oo
(35) S«»^~>
n^— in
CAPITOLO SETTIMO. Prime applicazioni del calcolo ftiuionale
A. LE OPERAZIONI COMMUTABILI COLLA DERIVAZIONE.
166. Nel capitolo precedente si sono studiate in gene- rale le operazioni rappresentate da serie ordinate per le po- tenze del simbolo D. Si è desunta 1* importanza di tali svi- luppi nella teoria delle operazioni distributive dai seguenti due fatti:
a) che ogni tale serie
(1) A(9) = S^ì-O"?
dove le a. sono funzioni analitiche regolari in un'area co- mune a del piano della variabile, rappresenta un' operazione distributiva applicabile ad ogni elemento 9 di S^ apparte- nente ad un intorno conveniente dell'unità;
V) che ogni operazione definita in modo qualsivoglia per una funzione pi e per un suo intorno, può venire rap- presentata (§ 147) da uno sviluppo della forma (1).
Vogliamo ora considerare il caso particolare in cui i coefficienti a^ si riducono a numeri, che indicheremo con a,; vogliamo cioè studiare le operazioni rappresentate da sviluppi a coefficienti numerici, 0 costanti, della forma:
(2) A(9) = S^D«?.
Intanto, ogni tale operazione ammetterà, come segue dal § 131, un campo di validità; inoltre, per il § 134, sappiamo
120 CAPITOLO SETTIMO.
che si potrà determinare in questo campo un intorno del- i* unità costituito da serie di potenze cui I* operazione A è applicabile termine a termine.
167* A queste proprietà, comuni colle serie (I), se ne aggiungono altre; in particolare le seguenti, la cui dimo- strazione è immediata:
a) Ogni serie (2) rappresenta un* opera- zione commutabile con D.
b) La derivata funzionale di A è un'ope- razione della stessa forma.
e) Il prodotto di due operazioni, rappre- sentate da serie della forma(2), è rappresentato da una serie che si forma colla regola stessa del prodotto di due serie di potenze; cioè, se
A(9) = SanD»9i B(9) = S&,D»9, sarà
AB(9) = S(a^&„ + a^b^^, + ... + a^^A + «n*p)D*^?-
Da questa osservazione risulta che
d) le operazioni della forma (2) costitui- scono un gruppo;
e che
e) due operazioni della forma (2) sono fra loro commutabili.
Come esempio di operazioni della forma (2), citiamo la Q* (§ 132) che per tutti gli elementi di S" si può scrivere
e* = 1 + zD ^ j^D» + ...
168« Supponiamo che un* operazione rappresentata da una serie della forma (1) debba essere commutabile con D. Si avrà da una parte
AD = a.D9 + a|D«9 + ^^9 + ...;
§§ 166-169. OPERAZIONI COMMUTABILI CON D. 121
dair altra (iD^icaado le derivate delle funzioni a mediante accenti ) :
DA = «> + (a, + a'0D9 + (a, +^^)d'? + • • •
Dal confronto di questi due risultati, se deve' essere AD = DA, si deduce (§ 13))
a\ = 0, a\ = 0, a', = 0, . . .
cioò la serie (1) è a coefficienti costanti. Si è cosi ottenuta la proposizione inversa di quella del § 167, a.
169. Se B è un'operazione univoca che trasforma lo spazio S in so ed ammette in S 1* unica radice a>, e se A è un'operazione pure univoca in S, commutabile con B e che non ammette od come radice, si è visto (cap. Ili, § 68) che A si può sviluppare nella forma
(3) A = h. + k,B + ft„B* + ..• C)
dove k^ è diverso da zero; e 1* operazione A si è detta re* gelare rispetto a B. Si è pure visto come sia univocamente determinata la successione dei coefficienti k^, k^, k^f ... Da ciò, e dai risultati dei precedenti §§ 167-168, concludiamo:
a) che ogni operazione della forma (2) è commutabile con D;
b) òhe ogni operazione della forma (1) commutabile con D, si riduce ad avere i coef- ficienti costanti;
(1) Nel cap. Ili, lo svilappo (3) qui ricordato aveva solo un Bigni- ficaio formale; non si poteva allora dire nulla di generale circa al- l' esistenza di enti cui fossero applicabili le operazioni A e B e tali da rendere uguali i due membri della (1). Invece nel caso attuale, al si- gnificato formale si aggiunge un valore effettivo per lo sviluppo (3), poiché, fatto B = D, ò accertata resistenza di un campo di validità per lo sviluppo stesso.
122 CAPITOLO BBTTIMO.
c) che ogni operazione commutabile con D» univoca in i^ e che non ammette come radice Tunità, è regolare in D e come tale sviluppa* bile in serie della forma (2).
170« Dell* inversa di un'operazione A, regolare rispetto a D e che non ammetta la costante come radice:
X = a^ + aj) + a,D« + ...,
si può dare un'espressione pure regolare rispetto a D; in- fatti, come risulta dal § 71, si avrà:
(4) A-' = &, + bfi + 6,D« + ..., dove le b^ sono determinate da:
aj>^ = 1, aj?i + aj)^ = o, aj?^ + afi^ + ajb^ = o ...
Essendo a^ ^ o, per ipotesi, i coefficienti 6^, éj, ftj, -. . . sono univocamente determinati; essi non differiscono da quelli
dello sviluppo di — j— in serie di potenze
di z.
Ad esempio, un'espressione dell'inversa della forma dif- ferenziale di prim' ordine
E = ]) — z
è data dalla serie
(5) E-' =-(-L+>+^D« + ..,);
al campo di validità di questa serie appartiene, come si scorge immediatamente, ogni serie di potenze <p(a?) = S<?b^% i cui coefficienti soddisfino alla condizione
kJ<
n!
dove t è un numero positivo minore di \z\.
§§ 169-172. OPJBRAZIONI COMlinTABILl CON D. 123
171. Sullo sviluppo (4) della A~^ si deve fare un* osser- vazione importante. Supponiamo che la A ammetta radici nello spazio S, e sia co una di queste radici. Allora la A'^ sarà a determinazione multipla; cioè se A'~'(9)=:4', sarà anche A~"'(9) =^^ + cto. essendo e un numero arbitrario. Uno sviluppo di Ar\ accanto a (4), sarà dunque
(6)
A-^?) = cro + &^9 + &jD9 + 6,D*9 + . . .
Ora, Tosservazione cui accennavamo è che questo svi- luppo non ò più commutabile con D. Ciò si veri- fica subito; infatti
A-*D9 = cw + &^D9 + 6iD*9 + b^D^(p + ... mentre
DA-*9 = cD(ù + bfi^ + 6iD«9 + &,D«9 + . . .
Concludiamo dunque che 1* inversa di un'opera- zione commutabile colla derivazione non è tale in generale, ma se Toperazione A è regolare in D, fra le determinazioni (o, come diremo anche, fra i rami) dell'operazione A~* ve n' è una pure regolare in D, e quindi commutabile con D.
17S. Alla precedente si collega un'altra osservazione non meno notevole. Consideriamo ancora un' operazione A regolare in D, ed il ramo di A""* pure regolare in D, svi- luppabile secondo la serie (4) e che diremo A^. Vogliamo mostrare che la radice o) di A non può apparte- nere al campo di validità di questo sviluppo A^ Infatti^ se cosi fosse, si avrebbe da una parte, per la defi- nizione di A|
AA|(b)) = w;
124 CAPITOLO SETTIMO.
d' altra parte, essondo raaoifestamente A, commutabile con A:
AA|(co) = AiA(co) = A,(o),
e quesla, per la forma stessa di A,, è nulla (').
Cosi, ad esempio, la funzione e", radice dell'operazione E considerata al § 170, non appartiene al campo di validità della serie (5); e siccome e^^ vi appartiene per ogni |^|<|;?|, si può dire, in qualche modo, che essa segna il contorno di questo campo. Cosi pure, la costante è radice di D, e pertanto D~^ non può ammettere uno sviluppo della forma (2), poiché questo conterrebbe necessariamente la co- stante nel suo campo di validità.
178« Riprendiamo lo sviluppo
(2) k{i) = a,9 + aiD9 +-i^D«9 -+- j^D'? + • • • .
ed indichiamo con a{z) la serie
a. . . a,
^0 + «i2^ -*- Y^f + sf^' +
• • • 1
e con a!{%\ o!\z\ ... le sue derivate : supponendosi che z si trovi entro il cerchio di convergenza di cotesta serie. Po* nendo, come dianzi, E = D — ;;, ne viene
D = E + 5;, D« + 2;5E + ;5*, . . .
e sostituendo in (2) ed ordinando per le potenze di E la serie che ne viene, per quel campo funzionale in cui essa converge assolutamente, si trova senza difficoltà essere:
(7) A(9) = «(^)9 + «X^)E9 + 4^*^'^ + • • •
(') Questa osservazione si generalizza facilmente, estendendosi ad ogni operazione A regolare rispetto ad un* operazione B ad essa com- mutabile, com*é considerato al cap. III. Esiste per A~^ un ramo rego- lare rispetto a B; ma lo sviluppo di cotesto ramo non può contenere, nel suo campo di validità, alcuna radice di B.
§§ 172-175. INTBGB. DBLLB EQUAZIONI A COFFICIBMTI COSTANTI. 125
Questo sviluppo è valido per l'intorno di 6", che annulla E; esso può, in certi casi, servire a dare una espressione di A anche in campi funzionali in cui la serie di definizione (2) non sia valida.
174* Notiamo che il passaggio della (2) alla (7) dipende dal fatto che le potenze di A in funzione di E si formano colle regole della moltiplicazione ordinaria. Ora lo stesso accade nel caso più generale, in cui si abbia una opera- zione A regolare rispetto ad un'operazione B ad essa com^ mutabile. Dallo sviluppo ^"
A = a + afi+ -|^B* + |fB^ + ...
«n^'
si deduce formalmente, posto E = B — z ed ol{z) = 2 | • A = a{z) + a\z)E + -y!§-E« + ....
la cui validità sarà sempre effettiva nel caso che oi{z) si ri- duca ad un polinomio.
B. RADICI DI UNA FORMA LINEARE A COEFFICIENTI NUMERICI IN UNA OPERAZIONE DATA.
175« Ci proponiamo ora di cercare le radici di un'ope- razione regolare in D, e più particolarmento di una forma differenziale lineare a coefScienti costanti; ma siccome questo problf^ma richiede, per la sua soluzione, quelli stessi prin- cipi che servono alla soluzione del problema più generale, della ricerca delle radici di un'operazione regolare rispetto ad un'operazione B ad essa commutabile, ed in particolare di una forma lineare a coefficienti numerici in
126 CAPITOLO SBTniIO.
B (§ 66), cosi noi ci occuperemo di tale questione più ge- nerale.
176« Abbiasi pertanto un'operazione B, definita univo- camente in uno spazio S di funzioni analitiche, e si faccia l'ipotesi che l'operazione
E. = B — :z;
ammetta in S una sola radice (t}(z) (^), funzione analitica, oltrecchè di a?, anche del parametro ze regolare e diversa da zero nell'intorno di un punto z^ del piano z.
Si può, senza restrizione, supporre z^ = o\ pertanto, scri- veremo, essendo ro^, co'^, co''^, . . • funzioni analitiche di x
(8) a>(^) = co, + a>> + co", p^ + ...
Sotto queste ipotesi^ vogliamo mostrare che
r operazione E ammette come radice prò- , d»-*co(2)
A dimostrare ciò, notiamo che essendo z un punto qual- sivoglia dell'intorno indicato di 2^ = 0, si ha per ipotesi:
EM^) = o, cioè
B(i)(z) = Z(o{z),
Ne viene, applicando ripetutamente l'operazione B ai due membri di questa ultima uguaglianza:
B*w(;j) = z^(ù{z), . . . B''(ù{z) = z'^tùiz) e quindi
(1) Astrazione fatta^ bene inteso (§ 50), da un moltiplicatore co- stante arbitrario.
§§ 175->177. IMTBQB. DBLLB EQUAZIONI ▲ COBFFIOIBNTI COSTANTI. 127
In particolare, se Zi è uq secondo punto dell* anzidetto intorno di z = o^ sarà :
m
Si sviluppi ora la ot>(;2;) per le potenze di 2; — 2^1: to(z) = co(^ J + j-{z ^z,)+'^ -^(z - z,y + ...,
e si applichi ai due membri 1* operazione É^ , tenendo conto
1
della relazione (9). Lo sviluppo mancherà di tutti i termini contenenti potenze di 2; — z^ di esponente inferiore ad ?/?, e perciò 91 avrà:
(10) E,«(2,) = o, E.^^ = o L.^__j=o,
«d inoltre
Dalle (10) ed (11) consegue che , ^^^ è radice di É^ ma
aZi I
non di E, , ed è pertanto dimostrato l'asserto, che cioè jt-shì
è radice propria di E?. Inoltre, risulta chiaramente che
essa è l'unica radice propria di E"^ ^ perchè nel l'ipotesi con-
1
traria si concluderebbe subito che E avrebbe una radice
X
1
diversa da a>(:7i), il che è contrario al supposto. 177« Data un'operazione regolare in B
A = a, + afi + a^B* + ...
128 CAPITOLO 8BTTIM0.
se la serie a^ -f- a^t + a^l^ + . . . ammette il divisore {t — ;s)", la A si potrà scindere identicamente nel prodotto
A = E». Aj,
dove A, è un* operazione della stessa forma di A. Risulta dal teorema del § precedente che le radici di E", linear- mente indipendenti fra loro, sono
^W- -rf^» -^. ••-. -rf^«-r»
e queste sono radici di A.
178. Il teorema del § 176 permette ancora di trovare lo spazio di radici di una forma lineare in B» a coefficienti numerici:
A = a^ + a^B + a^B* + . . . + a„B».
A questo scopo serve la teoria svolta nel Gap. IV. Si consideri infatti 1* equazione
/(O = «o + «1^ + «t<* + .. . + oj"" = o;
siano Zi^ Zf^ ... z^ le sue radici, degli ordini rispettivi di moltiplicità Tp r,, ... r,. Si avrà
r{t) = aJit - z,)\t-2,y' ...(t- 5.)'- e di conseguenza
r. r ^r
A = E. E. . . • b. . 1 « ■
Per i teoremi del cap. IH (§ 63) lo spazio di radici di A sarà la somma degli spazi di radici di E.\ E,\ ... E.' ;
ma, per quanto si ha dal § 178, la E,S ha per sole radici li- nearmente indipendenti le
(12) «(,.). -^, 3^, ... ^.
§§ 177-180. INTEGR. DBLLE BQUAZ. A COEFFICIENTI COSTANTI. 129
talché il sistema (12) è (§§ 86 e segg.) il sistema fonda- mentale dello spazio di radici di A. (^).
179. Il seguente problema:
trovare lo spazio delle radici della forma li- neare in D a coefficienti costanti
k = a^ + aj) + a^D» + . . . a^D»,
o, in altri termini, integrare l'equazione differen- ziale lineare a coefficienti costanti A = o, è evidentemente contenuto come caso particolare nella que- stiono risoluta nel § precedente. Basta notare che la E, = D — z soddisfa alla condizione del § 176, ammet- tendo come sola radice la (3ì(z) = e"; se dunque sarà:
«0 + «i^ + «2^ + ••• + «n<" = «n(^ - ^i)'»(^ — zjt ...(/ — z,Y%
il sistema fondamentale dello spazio di radici di A sarà dato da
(13) e''\ xe''\ xV'\ . . . , x''~'^''^
180. Lo stesso problema risoluto al § 178 dà anche la risoluzione del sistema di equazioni funzionali simultanee a coefficienti numerici:
I B(9i) = a,i9i + a,j(p, + . . . + a,„9„ B(9,) = a„9, + a„9, + . . . + a,„9„
B(9d) = «nl?l + «n«92 + .-. + «nn9.
(^) Per Targomento trattato nei precedenti §§ 175-178, r. Pinciierle, Sulle operazioni distributive commutabili con una operazione data (Atti della R. Accademia di Torino. 1\ XXX, 1895) ed una memoria di C. BouRLBT : Sur eeriainee équations analogues aux équationa différentielles (Ann. de l'Éc. Norm. Sup., S. Ili, T. XVI, 1899).
130 CAPITOLO 8BTTIMO.
dove B è uq' operazione soddisfacente alle ipotesi del § 176; ne lasciamo la facile discussione al lettore. (').
C. I POLINOMI DI APPELL.
181. Definiamo uno speciale sistema di polinomi, che gode di proprietà notevoli e che, oltre ad essere in istretta relazione colle operazioni commutabili colla derivazione, ci servirà anche a definire un' altra classe particolare di ope- razioni distributive interessanti. Questi polinomi si diranno polinomi di A ppell, per io studio che ne ha fatto questo autore. Q)
Data una successione di numeri
^0» ^1» ^2» • • • ^n> • • •
diremo polinomi di Appell corrispondenti a que- sta successione, i polinomi
(14) w„(a?) = a^o?» + nrtiO?^-* + i^a^""-^ +
... + na^^^x + «n-
Si riguarderanno come identicamente nulli gli enti 7r(a?) per un valore negativo dell'indice.
Come esempi di polinomi di Appell possiamo citare: a) le potenze di a?, corrispondenti alla successione
ly C/| c/, • • • , C/« • • • ,
h) le potenze di 1 + i^, corrispondenti alla successione
111 1
(1) V. la nota citata Sulle operazioni distributive commutabili^ ecc. («) Annales de V Éc. Norm., Ser. Il, T. IX, 1880.
§§ 180-83. I POLINOMI DI APPELL. 131
c) i polinomi x — wa?**~S corrispondenti alla successione
1, — 1» 0, 0, ...,
d) i polinomi
a?" + nx"""^ + n(n— l)a?°~* + ... + n!,
col-rispondenti alla successiono
111-2 n^
ecc.
18S. I polinomi di àppell, corrispondenti ad una successione qualsivoglia, soddisfano alla relazione :
(15) D^n(^) = n'^n-ii^y
Questa relazione si verifica immediatamente derivando la (14). Essa relazione appartiene alla classe delle equa- zioni miste differenziali e alle differenze (*) ; è difierenziale rispetto alla variabile x, alle differenze ri- spetto alla variabile n.
183. Reciprocamente, la soluzione generale della equazione (15) ò data da un sistema arbi- trario di polinomi di Appell.
Se infatti si pone, nella relazione (15), n = o, facendo la sola ipotesi che ^Q-i(a;) sia una funzione analitica, ne viene Thz^ = o, onde ^^ = a^; facendo n = 1, si ottiene ^j := a^x + «1, poi ^2 = a^x^ + 2a^x + a,, e cosi via; si giunge infine ali* espressione (14) per t^J^x), e si vede che la successione a^, a,, a„ ... generatrice del sistema di po- linomi Wn(^)» ^on è altro che il sistema delle costanti arbi- trarie portate dair integrazione dell* equazione (15).
(^) I francesi dicono: équationa anx différenees méUes.
132 CAPITOLO SETTIMO.
184. Ogni operazione, commutabile con D e definita univocamente in S, ammette come fun- zioni ^„ (}) un sistema di polinomi di Appell.
Infatti, se una tale operazione si suppone regolare in D (§ 69), ed è quindi rappresentata in un'intorno dell'unità da una serio della forma
A = a, + a,T) + ^D' + . • • + ^D» + .. . ,
basta fare l'applicazione di questa operazione all'elemento x"" ài $ per ottenere come risultato
L = «0^" + na.x'"'^ + ^ 1 ^2 ^g^°~' + ••• + ««»
(n =• 0, 1, 2, . . .)
e questo è precisamente il sistema dei polinomi di Apprll corrispondente alla successione a^, a,, a^, ... dei coefficienti della serie A. Ma anche senza ammettere per la A V espres- sione in forma di serie, si supponga la A stessa univoca- mente definita in S dalle
A{x-) = 4n;
ne viene, prendendo la derivata e notando che A è commu- tabile con D:
DA(a?") = ADo?'', cioè
Le 4„ formano dunque un sistema di polinomi di Appell.
(0 II lettore ricordi che essendo A un'operazione applicabile agli elementi di S, usiamo indicare con ^„ 1* elemento A(.r°).
§§ 184-187. I POLINOMI DI APPBLL. 133
185. Ogni operazione A univocamente defi- nita in S, e per cui le 4n sono un sistema di po- linomi di Appell, è regolare (§69) in D.
Infatti, dall'essere
4n = ^J^"" + w«:^''~* -+- Voìa^X"""^
I • • • »
(§ 128, formula (3)), che il coefficiente «^ di ^^D" nello
si deduce con una semplicissima verificazione di calcolo
J. n!
sviluppo di A in serie di potenze di D è precisamente la
costante a^. L' operazione A è dunque commutabile con D
e regolare in D.
Emerge anche da quanto precede il risultato già ottenuto
<§ 169), che ogni operazione commutabile con D e definita
univocamente in S è regolare in D.
186. Per ogni operazione A regolare in D esiste in $ uno spazio funzionale di validità, ed in questo, uno spazio ai cui elementi (che sono serie di potenze) V operazione A è applicabile termine a termine (§§ 134, 166). Ne risulta che, per un elemento di questo spazio, ad esempio 9(0?) t=2^na?°, r operazione A(9) ha per effetto di sostituire ad x^ il poli- nomio In di Appell; una tale operazione è stala conside- rata dair Appell stesso al § 12 della sua Memoria.
187. Siano A, B due operazioni regolari in D, e sia
A = a, + a,\) + j^D* + . . . ,
B = a',H.a\D+ p^^ + ...,
Il prodotto di queste operazioni gode pure della pro- prietà di essere regolare in D, ed è rappresentato (§ 167) da
AB = a,a\ + {a,a\ + a^a'JD + ^^(«.a', + 2a^a\ + a8«'o)D' + ...
134 CAPITOLO SETTIMO.
Si indichino con 4 le A(^*»), con 4 le B(a7°), con 4 le AB(a?"); si avrà:
+ 2flrja'i + a^a'^ìii?»-* + . . . ;
(3)
e la 4 9 simmetrica nelle a e nelle a\ si ottiene sostituendo le 4 ftl posto dello corrispondenti potenze x^ della varia- bile in 4 0 le 4 &I posto delle corrispondenti potenze
della variabile in 4 •
188. Essendo A un'operazione regolare in D e che non ammette la costante come radice:
A = a, + a^D + p|D« + ..., {a, 9^ 0).
sappiamo (§§ 71, 170) determinare V inversa A~S che è puro regolare in D. Le K~\x'') saranno polinomi di Appell, e posto
A(a?") = 4„, k--'[x-) = 4'„,
r Appell chiama le $'„ inverse delle ^n- Le 4'^ hanno la proprietà che sostituendovi le 4i sii posto delle corrispon- denti potenze x^ della variabile, si ritrova a?"; in altri ter- mini, dal sistema
(n = 0, 1, ...) si ricava
(n = o, 1, ...)
§§ 187-189. I POLIMOMÌ DI APPBI/L. 135
dove le 6^, èj, . . . , 6„ sono i coefficienti dello sviluppo di A"*, cioè la successione cui corrispondono i polinonot 4'n» i"^" versi di 4„. Come esempi di sistemi di polinomi inversi, ci- tiamo il sistema (a? — 1)" inverso di (a? + 1)*, il sistema
a?» + nx""^^ -*- (2)^""* -^ ... + ni
inverso di x"" — na7°~\ ecc.
189» La teoria delle operazioni regolari in D e la con- nessa teoria dei polinomi di àppell dà la soluzione della seguente questione:
Trovare lo sviluppo di un elemento 9 di S^ in serie ordinate secondo i polinomi di àppell di un sistema dato 9r„(a7).
A tale scopo, sia A l'operazione regolare in D definita nello spazio S da
Se si determina una serie di potenze f\f(x) = 2*n^"» ^'^ che sia A(^) = 9, dove 9 è la serie data, il problema sarà formalmente risoluto e lo sviluppo richiesto sarà
00
9 = J^K'^nioey
0=0
La soluzione cosi ottenuta è però puramente formale; per riconoscerne la validità, occorrerà vedere se la serie 4'» che risolve V equazione A(^) = 9, appartenga a quella por- zione dolio spazio S, indicata al § 186, in cui l* operazione A è applicabile termine a termine.
L' equazione funzionale
A(+) = 9,
la cui risoluzione ha risposto al quesito enunciato in prin- cipio del presente §, di sviluppare cioè la funzione data 9
136 CAPITOLO SBTTIMO.
in serie di polinomi dati di Appell, è in sostanza un* equa- zione dififerenziale lineare non omogenea, a coefficienti co- stanti e ad infiniti termini. Questa operazione può am- mettere una infinità di soluzioni; ciò è quanto dire che A.~~^((p) è a determinazione multipla; sappiamo infatti che se ad una soluzione qualunque ^i della detta equazione aggiungiamo una radice arbitraria di A, otteniamo una nuova soluzione dell* equazione stessa. Ma non ogni soluzione sarà una serie soddisfacente alla condizione che 1* operazione A le sia ap- plicabile termine a termine, e perciò non servirà sempre a dare uno sviluppo di 9 in serie di polinomi di Appell. Quando accade che due soluzioni distinte
dell* equazione soddisfanno alla detta condizione, la loro dif- ferenza dà
A(S(A„ - k'Jx-) = 0
e si ha quindi lo sviluppo dello zero in serie di polinomi di Appell:
La rice.rca di tali sviluppi dello zero è dunque col- legata colla ricerca delle soluzioni dell'equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti e ad infiniti termini A = 0.
Per darne un esempio, consideriamo le 4^ della opera- zione A = 1 — D; essi sono i binomi
$^ = a?° — nx^'^K
Essendo e^ radice dell'operazione A, si avrà lo sviluppo ^ello zero:
§§ 18d-190. I POUNOMl DI APPELL. 137
190, Data una successione a^, «j, ... a^, . . . , proponia- moci di trovare il comportamento assintotico (§ 133) del sistema di polinomi di Appell che essa definisce. A tale scopo, si consideri 1* operazione
A(9) = S^! ^'?'
e si supponga che la serie ^a^x"^ appartenga ad S<* ( non sia costantemente divergente). La serie TItTu+t definisce al- lora una funzione analitica a(^), che la serie stessa rappre- senta neir intorno di a? = e»; siano u genericamente i punti singolari della funzione; si avrà, eseguendo le derivazioni rispetto alla x^
M — ~) = Ut — ^""-^ = «(^ - ^)
i cui punti singolari saranno dati da z — 07 = u. Sia u^ il punto singolare per il quale a? + w raggiunge il modulo massimo; per | ^s | > | a? + w, | la «(- — x) sarà sviluppabile
in serie di potenze di — , e si avrà, come risulta subito dal
z
facile calcolo:
^\z - J ~ S 5»+' ^■'^^^'
n=o
dove le èn(^) sono i polinomi di Appell corrispondenti alla successione data. No risulta (§ 133)
i^{x) co ì a? + w J »,
e si ha così il comportamento assintotico di Sn(^) P^^ n = oo.
In particolare, se ^a^x"^ è una trascendente intera, T unico
valore di u sarà m = o, e la condizione precedente diviene
é„ co ir".
138 . CAPITOLO 8BTTIM0.
191. Ferme le ipotesi del § precedente, sia 9(0?) una funzione analitica di cui ci limiteremo a considerare un ramo ad un valore nella stella di Mittag-Leffler corrispondente, dì vertice 0. Indichiamo con v V insieme dei punti posti al contorno della stella.
Si ha, per ogni funzione 9 appartenente al campo di va- lidità di A:
00 a.
A{9) = s -^:^''^ '
n=o
indichiamo con ^(x) la funzione rappresentata da questa serie. Poiché A è commutabile con D, sarà del pari commu- tabile con 0% e si avrà
^00 + ;2;) = A (9(0? + ;2;)) ; ponendo per 9(0? + z) il suo sviluppo di Taylor
co ^
9(a; + 2) = 2 •|rD"?(a7)
verrà, applicando ora la A alle funzioni di z (§ 186)
" 1
(16) '^(X + 2) = 2 ^^■'?(*) • ^n(2)-
n:ro
Questa formula, che dà una notevole generalizzazione della serie del Taylor, è dovuta all'HALPHEN. O
193. La (16) ci permette intanto di dare della A(9) una nuova espressione, di cui l'area di convergenza è gene- ralmente più estesa di quella dell'operazione stessa sotto
(1) Comptes rendus de rAcadémie dea Sciences, T. XGIII, p. 833. Paris, 1881.
§§ 191-192. I POLINOMI DI APPBLL. 139
la forma (2). Cambiando infatti, nella (16), a? in ,r — z, viene :
(17) A(<p) = <^{X) = 2 -^I>"1'(«' - 2) • «n(2)-
n=o
«
E facile darò le condizioni di convergenza di questo svi- luppo. Per il § 190 si ha:
4 Jz) co I ;y + M J »,
per il § 133, si ha :
■D°9(a? — 5;) co
w! ^^ ^ I a? — jj — r^ I "'
essendo i\ il punto t? per il quale \x — z — v^\ è minimo. No viene che, nel piano a?, T area di convergenza dello svi- luppo (17) è limitato dai luoghi dei punti x soddisfacenti alle condizioni
z + ti\ = \x — z — v\
condizioni che definiscono i punti delle circonferenze di centro z + v e di raggio |;2? + m|. Su queste circonferenze devono dunque trovarsi i punti singolari nella funzione ^(x). Ma questi punti sono indipendenti da 2;; si è quindi condotti a cercare i punti delle predette circonferenze che non va- riano al variare di z, e si scorge senza difficoltà che tali punti sono quelli rappresentati da v — m. (*)
(') Questa conclusione conduce ad un teorema della teoria dolle funzioni stato enunciato recentercente dairHuBWiTZ, (Comptcs rendus, 6 febbraio 1899), e da lui dimostrato in un caso speciale. Su quel teo- rema deU^BuBwiTZ, ▼. PiNCHESLE, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 5 marzo 1899.
140 CAPITOLO SETTIMO.
D. LE OPERAZIONI CHE TRASFORMANO UNO SPAZIO
AD INFINITE DIMENSIONI IN UNO SPAZIO AD UN NUMERO FINITO DI DIMENSIONI.
193. Abbiamo già avuto esempio, al § 132, di una par- ticolare operazione che ha la proprietà di trasformare in una costante ogni funzione dello spazio £•. Si può proporre il problema di cercare le operazioni più generali della forma (1) che ammettono questa proprietà: in altri termini, cercare quelle operazioni che ad un insieme lineare ad infinite dimensioni, intorno del- l'unità, fanno corrispondere T insieme ad una dimensione costituito dalla costante arbitra- ria. A proposito di questa questione, avremo da notare un nuovo ufficio dei polinomi dell' Appell.
194. Sia
co
a.
H(^) = S i^'^"^
n=o
un'operazione avente la richiesta proprietà. Per ogni ele- mento 9 di S^ appartenente al campo di validità della serie precedente, dovrà essere 11(9) = ^» essendo e una costante numerica. Ma se 9 appartiene al detto campo di validità, la serie H(9) sarà, per definizione (§ 127), uniformemente con- vergente in un' area del piano della variabile x, e quindi (^) è ad essa applicabile la derivazione termine a termine. Si avrà quindi, qualunque sia 9:
Da, 9 + (Daj + «JD-^ -f }^{\)a^ + 2oi,)\)\ + ,..=0.
(^) Teorema di Weiebstbass, già citato al § 126.
§§ 193-195. UN'OPERAZIONE DEGENERE. 141
Ciò richiede (§ 129) che tutti i coefficienti di questa uguaglianza siano nulli; cioè
Dof^ = 0, Da, = — a^, Dotj = — 2(x^, . .. Da^ = — na„_i, . . .
Da queste relazioni si deduce a^ = a^, a, = — (a^o? + a,), a^ = a^x^ + 2a,x + a^, ,..
ed in generalo
(18) a„ = (- l)''(^a,oc- + 7ia,x--' ^ Q)^»^""' +..•+««)
essendo a^, «p a, ,... le costanti arbitrarie successive in- trodotte dall'integrazione. Si vede cioè che il coefficiente a„ della serie H non differisce dall' n**"® polinomio di Appell generato dalla successione a^, a,, a,, . . . , se non per il fat- tore (— 1)".
195« È poi ovvia la reciproca, cioè se un'operazione A, della forma (l), è tale che le ( — !)*«„ costituiscano un si- stoma di polinomi di Appell, questa operazione gode della proprietà della H. Basta infatti formare le 4» = A(a?°) me- diante le formule (2) del § 128; sostituendo poi alle «^ la loro espressione (18), ordinando per le potenze dì x e facendo uso di una elementare proprietà dei coefficienti binomialit sì ottiene senza difficoltà
4n = (- l)"«n;
l'operazione H trasforma dunque in costanti gli elementi 1, a?, 07% . . . , a?^ . . . e quindi tutti gli elementi di queil' in- torno dell'unità in cui la detta operazione è applicabile ter- mine a termine.
«
K degno di nota il fatto che, mentre per le operazioni com- mutabili con D, le a„ sono costanti e le 4b formano un sistema di polinomi di Appell, per le operazioni H ora considerate
142 CAPITOIX) SETTIMO.
lo 4„ sono costanti e le a^, moltiplicate per ( — 1)°, formano un sistema dei suddetti polinomi.
196* Ogni successione di tali polinomi fornisce esempio di un'operazione H.' Facendo «„ = (— lyx'', si ha l'esempio già notato al § 132
Il campo dì validità di questa operazione si estende a tutto S"", e per un elemento (p(x) di questo spazio si ha
H(9) = (f (o),
per tutti i valori di x il cui modulo è minore della metà del raggio di convergenza della serie 9(0?). Lo spazio di ra- dici di quest'operazione è costituito dall'insieme (lineare ad inflnite dimensioni) delle serie di S** in cui manca il ter- mine indipendente da x.
Un secondo esempio si ha da
«„ = (— 1)"(^ - a)- ;
la serie corrispondente definisce un'operazione H che, ap- plicata ad una serie rp(x) di S'*', rappresenta 9(a). I valori <li X pei quali è valido Io sviluppo sono definiti dalla disu* guaglianza
, r — lai
essendo >• il raggio di convergenza di 9(0?).
Consideriamo infine l'operazione H definita da
co
(-1)
Il = 2Sl^(^" ~ "^"~' + "(n — l)-y"~' — ... + (—!)"«!) D'
uzro
§§ 195-197. UN'OPERAZIONE DBOBNERB. 143
Si vede facilmente che, per questa, il campo di validità è contenuto entro l'insieme $®° delle funzioni intere; cosi ad esso campo appartiene e" per |a|<l, ma non per |a{>l. Entro il dotto campo di validità, si ha:
H(9) = 9(0) + 9'(o) + 9"{o) + . . . .
essendo 9', 9", ... le successive derivate di 9. Lo spazio delle radici di H è data dalle funzioni del campo di validità per le quali è
9(0) + 9'(o) + cp"(o) + ... = 0;
tale e, ad esempio, la
1 1
197. Dair operazione H, che ad ogni elemento di S fa corrispondere una costante, si deduce immediatamente l'ope- razione M/aH, che fa corrispondere ad ogni elemento di S un elemento dello spazio ad una dimensione cpi, dove e è una costante arbitraria. (*)
Più generalmente, siano m operazioni Hj, H^, ..., H ciascuna delle quali ha la proprietà di H, e siano a^, a,, . . . , a altrettante funzioni linearmente indipendenti. L'operazione
trasformerà S nello spazio ad m dimensioni $^[^1, a^, . . . , «„]• A proposito di una simile operazione si può osservare che se a è un elemento arbitrario in $„, l'equazione A(9) = a ammette sempre soluzioni in S. Sia infatti
m
0) Si noti invece V operazione HM , la quale fa corrispondere una costante ad ogni elemento dello spazio ^T^ (§ 124) che si deduco da S mediante la moltiplicazione per ,a.
144 CAPITOLO SETTIMO.
è sempre possibile di trovare m elementi cp„ 9,» . . . , 9ni J^ ^ tali che, posto
A(?i) = c„ai + Cj,a, + . . . + <?!„«„, (i = 1, 2, . . . m)
il determinante 2 + <^n^n • • • ^mm sia differente da zero, poiché in caso diverso, lo spazio trasformato di S mediante A avreblje meno di m dimensioni. Sarà allora possibile e de- terminato il sistema di equazioni lineari nelle m incognite
(?,jA, + c^^h^ + . . . + c„jA„ = (7j, (/ = 1,2,... 771) e ne verrà
MKTi + ^i9t + . . . + h^fj = a.
Trovata una soluzione dell'equazione A(9) = a, se ne ottiene un'altra qualsivoglia aggiungendo a 9 una delle radici di A, le quali formano uno spazio ad infinite dimen- sioni. E infatti chiaro che presi m + 1 elementi arbitrari in S, esiste una loro combinazione Jineare che è radice di A.
Se a„ «2, ... «„ sono elementi di 8, lo spazio
è invariante rispetto ad A, e valgono pertanto, circa alla struttura di esso spazio, tutti i risultati del Gap. IV.
E. DETERMINAZIONE DI OPERAZIONI FUNZIONALI MEDIANTE EQUAZIONI SIMBOLICHE.
198* Un'operazione funzionale distributiva è definita in S mediante le corrispondenti |„, ed in 91^ mediante la co- noscenza degli enti che si ottengono applicando l'operazione stessa agli elementi [x, x\ì., a?V» ••• Essa viene pure definita
§§ 197-199. EQUAZIONI SIMBOLICHE. 145
dalla conoscenza dei coefficienti a^ del suo sviluppo della forma (1). Ma un| operazione si può definire ancora mediante una sua proprietà, od un complesso di proprietà; cosi ab- biamo visto a! § 148 come l' operazione che ammette una derivata nulla sia la m-oltiplicazione, e al § 150, come l'operazione che ammette per derivata l'operazione identica, f^ia la derivazione (aumentata di una moltiplicazione arbitraria). Indicando, come si è stabilito, con A' la deri- vata deir operazione A, si può dunque dire che M/* è la soluzione più generale dell' equazione A' = o, e D + M/x la soluzione più generale dell' equazione A' = 1, essendo p. una. funzione arbitraria. Daremo a simili condizioni il nome di equazioni simboliche; e gli esempi precedenti mostrano come equazioni simboliche giovino alla determinazione di un'operazione. Questa determinazione non è però completa; si può renderla tale aggiungendo un'altra condizione: ad esempio, nel caso delle equazioni simboliche A' = o o A'= 1, aggiungendo che essendo a q ^ elementi dati, si abbia
A(«) = p.
199* Come esempio di operazioni definite da equazioni simboliche, ci proponiamo di determinare quelle che soddi- sfanno all'equazione seguente:
(19) a,A^™^ + a^A^-"-*^ + . • . + a„-,A' + «„A = o, {')
dove A è l'operazione da determinarsi, A', A", ... A^'"^ le sue derivate successive, ed a^, «i, ... «^ sono funzioni date; nel secondo membro, lo zero ha naturalmente il significato dell'operazione nulla, quale è definita al § 25.
Si nota subito che se A è una soluzione dell' equazione (19), è tale anche M/*A o jjlA ; e se A, B, . . . sono soluzioni.
(1) Sa questa equazione, v. Pinchbble, « Sopra alcune equazioni simboliche », Mem. della R. Accad. di Bologna, S. V, T. V, 1895, od il Mém., §§ 65 e seg.
10
146
OATITOLO SETTIMO.
è tale anche jjlA + \x^B + . . . , essendo ji, [Aj, . . . nwltiplica- tori arbitrari. Ciò emergo subito dal fatto che (§ 148)
(MA)' = MA'.
Date le operazioni A, B, ,.., T operazione jiA + jiiA + ... si dirà formata linearmente con A, B, ... o dipendente linearmente da A, B, .... Si dirà pure che ni operazioni Aj, A,, ..., A„ sono linearmente indipendenti quando non sarà pos- sibile di determinare m funzioni [ij, pi,, ..., ji^ tali che sia identicamente (^)
(20) |i,A, + jijA, + . . . [i„A„ = 0.
Cosi D, D* sono linearmente indipendenti; ogni foi*ma differenziale lineare di ordine 7n è linearmente dipendente da 1, D, D«, ... D».
200. Condizione necessaria e sufficiente af- finchè m operazioni definite in uno spazio 9ì^, intorno di jx, siano linearmente dipendenti in quello spazio, è che, in ^y(C, l'operazione espressa dal determinante
R =
A\
... XX
m
A'.
... A'
m
1 S m
rappresenti l'operazione 'nulla,
a) La condizione è necessaria. Se infatti fra le Ap A„ . . . , A^ passa una relazione della forma (20), ne viene, prendendo la derivata funzionale:
fiiA\ + [i,A', + ... + jx„A'„ = 0,
(1) La parola identieamenis va riferita, bene inteso, allo spazio in cui s'intendono definito le operazioni di cui si tratta.
§§ 19^201.
EQUAZIONI SIMBOLICnS.
147
e cosi procedendo per m — 1 volte ed eliminando le jjlj,
jjLj |i„, si ottiene R = 0.
&) La condizione è sufficiente. Infatti, il determinante si pone senza difficoltà sotto la forma
R =
A, (9) A,(a?9)
A,(9) •.. A„(9) A,(a79) ... AJx:f)
A,(a?«-*9) A,(a?»-'<p) . . . A„(a?«-»9)
se ora in tutto l'intorno 01^ di [a, esso rappresenta l'opera- zione nulla, si avrà identicamente, facendo 9 ■= 0?% dove
/ ■ ■ C/f 1 , ^, • • • •
A,(a7'iA) A,(j?'ii)
... AJix^p.)
. . . A„(ic'*V)
A, (a?
r-4-ni— 1.
,r-f-m— 1
It) A.Ca?'*'"-^) . . . A„(a?
r+io— 1
?•)
= O.
Ne verrà che si potranno determinare m funzioni {ii, m« •••« P^m indipendenti da r e tali che sia
Ii,Ai(a?'|i) + |x,Aj(a?'ii) + • . . + fA„A„(a?'[i) = 0,
(r = 0, 1, 2. ...);
donde risulta (§ 139) che in tutto l'intorno 0Tt^ di |x, l'ope- razione
l^iAi + »A«A, + . . . + |i„A„
è identicamente nulla.
201» Riprendiamo l'equazione (19); se questa equazione ammette m + 1 soluzioni, esse sono necessariamente dipen- denti linearmente. Basta infatti sostituirle in (19) ed elimi- nare i coefficienti a^, «i, ..., «„, per scorgere che il deter- minante R relativo alle ììi + 1 soluzioni è identicamente nullo. Un sistema di m soluzioni, linearmente indipendenti.
148
CAPITOLO SETTIMO.
dell* equazione (19) verrà detto sistema fondamentale di soluzioni dell* equazione stessa; se esiste un tale sistema^ ogni altra soluzione della (19) si esprimerà mediante una funzione lineare degli elementi del sistema fondamentale.
202* Ogni equazione (19) ammette un sistema fondamentale di soluzioni. Consideriamo ali* uopo l'equazione di grado ui in z:
. e siano WjCa?), co,(a?), . . . «^(a?) le sue radici. Indicando ge- nericamente con ti) una di esse, sappiamo (§ 151) che Topo- razione di sostituzione S<u soddisfa alia relazione
(21)
S', = (f.) - a?)S, ;
applicando nuovamente ai due membri di questa relazione la derivazione funzionale, si ha
S", = (a> - xyS^ slT^ = (co - a7)»S,.
onde, sostituendo nella (19), questa equazione si trova sod- disfatta. Otteniamo cosi per la (19) le m soluzioni
co e .
1 s
m
ora è facile vedere che esse sono indipendenti. Formando infatti con esse il determinante R e tenendo conto della (21) e delle sue conseguenze, viene
R =
1 (wj-a?)»
1
1
. . • w^ — a?
(wj — a?)* ...(co„ — a?)'
(co, — a?)"~*(cOj — x)"^-^ . . . {(o^—x)"^"^
1 s
GJ
m'
§§ 201-203. EQUAZIONI SIMBOLICHE. 149
In questa nuova espre&sioae della operazione R il pro- dotto di sostituzioni S., S^ ,... S-. certamente non è uguale
all'operazione nulla, e il determinante di funzioni è difiFe- rente da zero se Wj, w,, ,.. co„ sono ìU funzioni distinte. Le S„ , S„ , . . . S^ costituiscono dunque un sistema fonda-
1 • m
mentale di soluzioni dell* equazione (19).
203. Il ragionamento precedente sarebbe in difetto se alcune delle funzioni co fossero fra loro uguali; tratteremo il caso in cui co^ ed m, coincidono, e le porremo uguali ad ft), supponendo diverse le altre. L' equazione f{z) = o avrà allora la radice doppia co.
Come nel caso precedente, S^ soddisfa all'equazione (19) ; di più vi soddisfa anche l' equazione S^ D. Si ha infatti (§ 145)
(S,D)' = S',D + S„D' = (co - a7)S„D + S,
ondo
(S„D)" = (w - xySJ) + 2(<o - x)S^
'«»
(S^D)'"* = (co - a7)-S„D + «i(« - a?)»-'S„. Sostituendo nella (19), si otterrà
e questo si trova essere identicamente nullo, poiché ti) è radice doppia di f(z) = o. Abbiamo dunque per la (19) il sistema di soluzioni
3 4 m
che è fondamentale: formando infatti il relativo determi- nante K, esso diviene
150 CAPITOLO SETTIMO.
1 0 1 ... 1
fi) — X 1 «1)3 — 07 ...w„ — X
(W— a?)* Ci) — X (f«»3— ^)* •••(^m — ^V
3 m*
(co — a?)" "*(6) — o?)™~*(co3 — 0?)"*^* . . . (ci)„ — a?)"*"*
Anche qui il prodotto di sostituzioni è certamente diverso dall'operazione 0 e il determinante di funzioni, come è noto dall' algebra, è divei*so da zero se le o), CO3, ... co„ sono di- stinte fra loro.
Analogamente, ad r funzioni coincidenti ed uguali ad co, corrisponderanno per la (19) le soluzioni
facenti parte di un sistema fondamentale.
204r* Le. soluzioni delle equazioni simboliche della forma (19) conducono ad una classe di operazioni che sono somme di termini della forma
(22) MAO'.
La somma, il prodotto, la derivazione funzionale di ope- razioni della classe appartengono alla classe stessa. Come sottogruppo delle operazioni di quésta classe si hanno le forme differenziali lineari e le forme lineari alle differenze, nonché le operazioni che costituiscono il calcolo imaginato da H, ScHAPiRA e da lui detto « Cofunzionale ». (*),
205* Per dare un altro esempio di un'operazione defi- nita mediante un'equazione simbolica, cerchiamo l'opera- zione A tale che
(23) A' = (D - x)k.
(1) ScBAPiRA « Theorie allgemeiner Gofunctioncn. » Leipzig^ Tcub- ner, 1892.
§§ 203-205. EQUAZIONI 8IMB0LICHB. 151
Presi due elementi arbitrari }i, a nell'insieme delle fun- zioni analitiche, poniamo
(24) A(pl) = a.
indi cerchiamo se esiste un'operazione soddisfacente alle condizioni (23) e (24) e che neir intorno di \i sia sviluppa- bile in serie della forma
(25) A()ji9) = «,9 + a,D9 + y^ D«9 + . . .
Si sa dal § 147 che sarà
«o = Mv-) = a. «1 = A'(ji.), «s = A"(pi), ... ;
ora, derivando le operazioni nei due membri, indicando col- r accento la derivata di a rispetto ad Xy e tenendo conto della (23):
«j = a' — a?a,
«j = a\ — xxi + a
«„ = a._i — a7a„_i + (n — !)«•
Da queste relazioni si determinano senza difficoltà i suc- cessivi coefficienti a^, a„ ..., e si verifica col solito metodo di induzione da n ad n + 1, che è:"
L'operazione richiesta, la quale in un intorno di pi sod- disfa all' equazione (2:3) insieme alla condizione (24), è dunque data da
A= 2"jjr(a^"^ - wrra^"-*^ (g)^?'»^""^^ - ... + (- l)^r"a |D»9.
CAPITOLO OTTAVO.
t
Le operazioni normali.
LE OPERAZIONI U.
206. Fra le operazioni che trasformano in sé V insieme S delle serie di potenze, sono da notarsi in modo partico- lare quelle che ammettono come invarianti gli elementi del sistema
sistema che abbiamo detto (§ 103) fondamentale in S. Designeremo le operazioni di questa classe colla lettera U, affetta, ove occorra, da indici. Le operazioni U sono, per de- finizione, individuate in S dalle relazioni
(1) U(ij?") = a^w\ {n = 0, 1,2,.. .)
dove a^y a^^ a^» • • • ^ ^"^i data successione di numeri, che si supporranno in generale differenti da zero. Ad ogni tale successione corrisponde un'operazione U, e reciprocamente. 207* Risulta immediatamente dalla definizione delle ope- razioni U che
a) la somma di due operazioni della classe appartiene alla classe stessa; la classe costi- tuisce un insieme lineare;
b) il prodotto di due operazioni della
§§ 206-208. OPBRAZIONI NORMALI. 153
classe appartiene alla classe stessa; la classe costituisce pertanto un gruppo;
e) il prodotto di due operazioni U am- mette la proprietà commutativa.
Si indichi con u = (Wj, w„ ... wj una funzione razio- nale ed intera delle indeterminate w,, w,, ... u^; si consi- derino poi le operazioni della classe delle U, definite da
TT/ X 0' = 1, 2, 3, ... r)
L'operazione della classe medesima, definita da
U(a?») = (a,„, «j„, . . . tìr„)T°,
potrà, per le osservazioni del § precedente, riguardarsi for- mata dalle U„ Uj, ... U, come l' espressione u è formata da Kj, 2«j, . . . Wf, e per conseguenza potrà rappresentarsi con (Up Uj, ... Uy) ; si vede che le regole di composizione e scomposizione, per somma e per prodotto, di simili fun- zioni, saranno quelle stesse che si hanno per le corrispon- denti funzioni razionali di variabili numeriche.
208. Riprendiamo V operazione U definita dalle (1). Quando non v* è alcuno dei numeri a^ c!ie *sia uguale a zero, la U non ammette radici entro S: in tale caso T in- versa deir operazione U è a determinazione unica in S ed essa pure è un' operazione U, definita da
/jr-.n
Quando invece uno dei numeri a^ è nullo, ad esempio a„ l'operazione U è degenere ed ammette rr' come radice; cor- rispondentemente la U~* è a determinazione multipla, po- tendosi ad una qualsivoglia delle sue determinazioni ag- giungere co?', dove e è una costante arbitraria. Quando
154 CAPITOLO OTTAVO.
sono nulli p dei numeri a„, come a,, a,, ... a,, Tope- razione U ammette lo spazio di radici a p dimensioni,
T T T
e la U~* è a determinazione multipla, potendosi aggiungere ad una qualunque delle sue determinazioni, un elemento arbitrario dello spazio Sp.
209. Le formule (U fanno conoscere, per l'operazione U, quegli elementi che al § 127 si sono chiamati gli 4n ^^1- r operazione. Da questi (§ 128) possiamo dedurre le a„, cioè i coefficienti dello sviluppo di U('f) secondo le derivate suc- cessive della funzione arbitraria 9. Applicando la (3) del ci- tato § 128, troviamo
(2) «u = («n - na,_, + (5) a„., -... + (- lYa^x- ; per brevità, indicheremo con b^ l'espressione*
a„ — na^_, + (9) ^n-* — ... + {— l)"«o-
Siccome 6^ = a^, &, = «j — a^, h^z= a^ — 2a, + rt^, . . .; cosi si vede come, facendo uso dello notazioni del calcolo delle difl'erenze, la h^ possa anche rappresentarsi con A"a^, intendendosi che il simbolo A della differenza finita porti sull'indice delle a a partire dal valore zero.
Lo sviluppo di U in serie di potenze di D sarà dunque
dato da
00 ,
o, se si vuole, da
(3) U(9) = 2 ,-!^"^"«.D"9.
21 = 0
§§ 208-210. CAMPO DI VALIDITÀ. 155
Recìprocameate, dal § 128, form. (2), sì deduce che ogni operayjone rappresentata da una serie della forma (3) è un'operazione U; le $, di queste operazioni sono date da fl^a?", in cui
(4) a. = K + nb, + f^b, + . . . + n6„_i + &„.
210. Lo sviluppo (3) ammette certamente (§ 131) un campo di validità nell'intorno dell'unità. Si può tuttavia dire qualche cosa di più, e precisamente:
Se la serie ^tìf^a?" appartiene ad S®, ogni ele- mento 9 di S<* appartiene al campo di validità della serie (3).
Infatti, per l'ipotesi, esisteranno due numeri positivi m e g tali che sia:
se ne deduce immediatamente:
\K\<^n{l +g)\
Di più, se r è il raggio di convergenza della serie di potenze cp, per tutti i valori di x il cui modulo è minore di
-zj-r si ha, essendo m' un numero positivo,
D"^ I <
il termine generale della serie (3) è dunque inferiore in mo- dulo a
2"mm'(l + g)''\o^
(I) Come é noto dai teoremi elementari sulla converg^tmza delle serie di potenze, nell* esistenza dei numeri m e ff sta la condizione
necessaria e sufficiente perchè Soq^" appartenga ad S^*
156 CAPITOLO OTTAVO.
e qui basta faro
V 00 1 < -^T.-
2(1 + 9)
«
per rendere la serie (3) assolutanieote ed uniformemente con- vergente. Si può allora ordinarla in una sarie di potenze di a?, e si trova, essendo 9 = 2*n^'"» ^'h®
(5) U(9) - 2a„M".
Sotto questa forma si può concludere ciie
Se l'operazione U è definita dalle (1'), dove
le a„ sono tali che la serie 2"n^" appartenga
ad S^ r operazione U è applicabile termine a termine a qualsivoglia serie 9 di S*, e la serie che ne risulta ha per raggio di convergenza per lo mono il prodotto dei raggi di conver- genza delle serie ^Oj.x'' 09 = ^k^x"".
211. Nel caso in cui 2^n^'" '^^^^ appartenga ad S^ e le
a^ si suppongano tutte differenti da zero, uno spazio S*" costi- tuente un campo di validità per la (3) si può sempre otte- nere come segue. Si prenda una successione di numeri h^^ Aj, Aj, ... positivi, decrescenti e soddisfacenti alle disu- guaglianze
(6) K < 7
«n
essendo m a t numeri positivi arbitrari. Lo spazio S" sarà costituito da tutte le serie ^ = ^h^x"^ tali che sia | A„ | < h^.
Infatti, il termine generale della serie (3) è, per \x\<,r, inferiore in valore assoluto a
-^l(l^nl+^l«n-ll+(5)l^n-o|+... + kol)
rf^H/ipVP
rfr
-n
§§ 210-212. CAMPO DI VALIDITÀ. 157
Ma per essere le A„ decrescenti, si ha per r < 1 :
^! :£S V' = ''n + (n + l)A„+.r + (n + l)(n + 2) ^,, ^ ^
1-2 "+* T^--.^ (l_y^)n^.l-
Inoltre, si ha dalle (6)
^n\<--J, ♦ l^n-ll<-X < r »•••
e quindi:
7ìl «nl+^l«n-ll+... + l«ol<y(l+0"-
Il termine generale della (3) è dunque inferiore in mo- dulo ad
(1 — r)"+^
e quindi al termine generale di una progressione geome-
trica, convergente per r < -^^ Per le serie 9 conside-
rate e per |a?|<r, la serie (3) è dunque convergente asso- lutamente ed uniformemente, e dà
212. Fra le operazioni U è da notarsi, come assai sem- plice, la sostituzione S„, dove jS è un numero arbitrario. Essa è definita da
(7) S„(a7») = 2»a7»;
la corrispondente serie (3), valevole (§ 210) in tutto §•, è
(8) S„(9) = ^-^(z - 1)WD»9.
n=ro
158 CAPITOLO OTTAVO.
Come altro caso particolare delle operazioni U è ancora da notarsi l'operazione xD, per la quale le (1) divengono
a?D(l) == 0, a?D(£t?") = nx"", (n = 1, 2, . . .);
>
questa operazione è degenere, ammettendo per radice la costante ('). Poiché le operazioni U sono fra loro commu- tabili, si ha che ogni operazione U è commutabile con a?D.
Infine, come altro caso particolare, nelle (1) si supponga che le a^ siano funzioni razionali intere dell'indice n e del grado m — 1 al più; le loro differenze finite d'or- dine 771 saranno nulle, talché lo sviluppo (3) si ridurrà ai suoi primi m termini. L'operazione U corrispondente sarà pertanto una forma diflerenzialo lineare d'ordine m — 1.
213* Il prodotto dell'operazione U qualsivoglia, definita dalle (1), per la S„, è dato da
US„(a?") = a,z-x-, donde
oo
US.,(9) = Dir a:«. • D-9.
0=0
dove si è posto
Ma poiché U e S„ sono commutabili (§ 207, e), ne viene
s-^us„ = U,
(^) Secondo i concetti del Lie nella teoria dei gruppi di trasfor- mazioni, 8i vede facilmente che le operazioni S , per i diversi valori
di «, formano un gruppo ad un parametro, la cui trasformazione infini- tesima è precisamente xD,
§§ 212-2U. APPLICAZIONE. 159
e quindi si ha per U la nuova espressione (*) (9) U = S^A»a, . D;,(-f-) ;
n=:o
questa espressione contiene T arbitraria z, la quale può es- sere scelta in modo da dare, per U, un campo di validità più esteso di quello che viene dato dallo sviluppo (3) del- l'operazione medesima.
214. Della formola (9) si può dare un* applicazione in- teressante. Poniamoci nel caso del § 210, cioè supponiamo
che la serie ^a^o?" appartenga ad S*; sia a(x) la funzione analitica definita da questa serie e considerata nella corri- spondente stella di Mitta(>-Leffler; indichiamo generica- mente con u i punti del contorno della stella. Essendo
si ha d* una parte
d'altra parte, per la (9), si ottiene immediatamente:
oo
^{t^) = ^H^^oifd
n=o
n+l »
donde si deduce, per V intorno del punto a? = o, la espres- sione
oo
•n
(10) a(.r) = 52aX(^-_^^:)„^
n=o
(^) La notazione D, sta ad esprimere che la derivata va presa ri- spetto ad X.
160 CAPITOLO OTTAVO.
Di questa notevole relazione, generalizzazione di una nota trasformazione dovuta ad Eulero, il sig. E. Lindelòf si è recentemente giovato (') per dedurne interessanti applicazioni. E facile vedere entro quale area del piano oo il secondo membro della formula (10) dia la continuazione analitica delle serie
^^a^x^. Se infatti, adottando la notazione introdotta al § 133, si suppone
An 1 tìf co
lo sviluppo del secondo membro è convergente sotto la con- dizione
(11) , '^' , <r.
Ora, consideriamo il fascio dei cerchi che hanno i centri sulla congiungento o ... z e che dividono armonicamente, nei punti a e &, il segmento o . . , z. E chiaro che la con- dizione (11) è soddisfatta dai punti dell'area contenente il punto 0 e limitato da quella fra le circonferenze del fascio, per la quale è oa : ab = r; in quest'area il secondo membro della (10) rappresenta la continuazione analitica della serie V<2^i^?^ L'accennata circonferenza sarà la prima nel fascio,
partendo da r = o, sulla quale si trova qualche punto u del contorno della stella; codesto punto u sarà dunque tale che
(12) ^-^ = r;
— u
ora questa relazione determina il valore di r, cioè il comporta- mento assintotico delle a" a^» "^^^ ^'^^ siano le singolarità
(1) Ada Soc. Beientiarum Fenntcce, T. XXIV, 1898.
§§ 214-215. CONDIZIONI DI CONVERGENZA 161
di a(x). Quando la ol(x) è funzione uniforme, non vi ha più luogo a considerare la stella di Mittag-Leffler e. le u sono genericamente i punti singolari di oi(x).
215. L* osservazione del § precedente permette di otte- nere con semplicità le condizioni di convergenza dello svi- luppo (9), per una data funzione (p(x). Sia infatti
neir intorno di ir? = o; la funzione definita da questa serie si continui nella sua stella di Mittao-Leffler e siano v i punti del contorno della stella ; vz saranno i punti del con- torno della stella relativa a (pf — j. Essendo vz il più pros- simo ad X di codesti punti, si avrà per il § 133.
i«: '(x)
1
CO
X — V
y li-
si ha poi, per la (12):
z — u
A, a, co
u
n 1
onde la convergenza del secondo membro della (9) ha luogo sotto la condizione
(13) ..;r^^L^< '"
X —vz\ \z — u
Questa disuguaglianza definisce un' area, il cui contorno è quella circonferenza che ha il centro sulla congiurigente o ... vz^ che divide armonicamente il segmento o .,,vz^ e per i punti x della quale si ha:
(14) '^l '"
\x — vz\ \z — u
11
162 CAPITOLO OTTAVO.
Si ha dunque, per ogni diversa scelta di z, un'area di- versa di convergenza della serie (9), area data dalla (13), ed in cui la serie (9) dà la continuazione analitica della
serie di potenze Jj^n^n^"» espressione di U(9) nell'intorno di ^ = o. (>)
816. L'operazione U definita dalle (1) dà la serio di po- tenze 2^n^n^" quando essa operazione sia applicata alla serie
Per effetto dell'operazione U applicata alla serie 9, la successione k^, k^, . . . h^, . . . dei coefficienti della serie viene dunque trasformata in a^f?^, «jA,, . . . ajz^^ . , . Ricordiamo ora che, al principio del Cap. V, prendendo le successioni come elementi di uno spazio lineare, abbiamo fatto corri- spondere ad ogni successione cp[A^, A,, .•. A^, ...] la serie
di potenze ^(x) = y]k^x^. Questa corrispondenza viene at-
tuata mediante l'operazione, evidentemente distributiva, che indicheremo con C""* e tale die
in altre parole, essa è l'inversa di quella operazione C, appli- cabile allo spazio S delle serie di potenze, la quale eseguita
(1) La circonferenza rappresentata dall' equazione (14) dipende da z. Invece 1 punti singolari di U(f'), che si possono trovare su di essa ed alla cui presenza è dovuto il fatto che la circonferenza stessa li- mita r area di convergenza^ sono indipendenti da z. Ora sulla circon- ferenza (14) si trovano punti indipendenti da z^ come si vede facilmente dando a ^ un incremento infinitesimo: essi sono quelli della forma uv. Con ciò si ottiene un teorema della teoria delle funzioni, recente- mente enunciato e dimostrato dal signor Hadakakd (Y. Comptes Hendus, T. CXXIV, p. 492, 1897, e Acta Mathematica, T. XXII, p. 55, 1898. Cfr. BoRK^ Bullotin de la Socióté math. de France, T. XXVI, p. 238, 1898).
§§ 215-217. OPERAZIONE e. 163
sulla serie (^{x\ produce il coefficieate A„ del termine ge- nerale della serie stessa:
Ne viene che CU(9) = a^k^^, e quindi
Gi:C-'(A.) = aA.
Come è noto (§ 121), la CUC~^ si dice trasformata di U mediante C; abbiamo dunque che la trasformata di un'operazione U mediante C è un'operazione di moltiplicazione.
B, LE OPERAZIONI U IN UNO SPAZIO PIÙ ESTESO.
21 7t Ci proponiamo ora di ricercare se le operazioni U, studiate nelle pagine precedenti, sono suscettibili di inter- pretazione in uno spazio più esteso di S, e precisamente nello spazio che si ottiene (§ 125) aggiungendo ad S quegli elementi che sì hanno dalla moltiplicazione di elementi di S per a?*, dove a è un numero qualsivoglia, e per logx. Questo spazio verrà indicato con W. Ogni elemento di ^C^ sarà per- tanto costituito dalla somma di termini, in numero finito od infinito, della forma
(15) rr{x)xHog'^x,
dove -^(a?) è un elemento di S ed m un numero intero.
Una somma di termini della forma (15) in numero finito e sotto l'ipotesi che ^{x) appar- tenga ad S**, si dice espressione regolare nel- r in torno di a? = 0.
164 CAPITOLO OTTAVO.
218. Abbiasi un'operazione U definita dalle (1); essa si può esprimere, come si è visto, mediante la serie (3), la quale ammette in S un campo di validità. Ora, è facile ve- dere che la dotta serie (3) può avere significato anche per elomenti non appartenenti ad S, bensì a W. Sup- pongasi infatti che sia nella (3)
(16) Kc/^c\ |c'<l;
posto 9 = a?S essondo t un numera qualsivoglia, la serie (3) diviene
Zj " n! •
n=o
ma, per 1* ipotesi (16), la serie ^ft^fj rappresenta una fun- zione intera G){1) di t; pertanto la serie (3) ha significato per ogni elemento di W della forma a?* e rappresenta il prodotto G){t)x\ il quale si riduce ai secondi membri delle (1) per t intero e positivo, come si vede immediatamente dallo espressioni (4) della a„ in funzioni delle &„.
Nell'ipotesi (16) sarà pertanto ovvio di riguardare l'operazione U come estesa allo spazio che si deduce da 8 mediante aggiunzione della molti- plicazione per x^; in questo spazio, essa è de- finita dalla serie (3) o, ciò che è lo stesso, dalle relazioni
(17) V{x') = (b{i)x\
2 19, Nella medesima ipotesi (16), la serie (3) ha anche un significato per :p = logx\ si ha infatti, come risultato della sostituzione di log x in quella serie:
K log 07 + &, g-&5 + -y &3 - . . . ,
§§ 218-220. ESTENSIONE DELLO SPAZIO DI APPLICABILITÀ. 1G5
ora la serie 6, p- H — ; - 63 — ... è convergente per
l'ipotesi (IG); indicando con V la costante che essa rappre- senta, avremo
\}{log x) = bjog x + b\
In tal modo Toperazione U è estesa allo spa- zio W.
220» I risultati precedenti, ottenuti sotto l'ipotesi (IG), sono suscettibili di generalizzazione. Osserviamo, a que- st'uopo, che l'operazione U definita dalle (1), è commuta- bile (§ 212) colla ^D. la quale ha significato in tutto l' in- sieme delle funzioni analitiche. Se ora si assume la (3) come definizione della U in uno spazio più esteso di S, si verifica immediatamente su quésta serie, in tutto il campo della sua validità, la commutabilità con xD.
Inversamente, se una serie di potenze del simbolo D,
a.
A(9) = S n!^"^
n=o
deve rappresentare un' operazione A commutabile con xD, la serie sarà della forma (3). Si avrà infatti da una parte, indicando le derivate mediante accenti :
A:rD = (xo^, + a,)'f ' + (^«. + «*)9" +-''^— ?'" + . . . » dall'altra
+ ^Ì^-^-'-+-^9'" + . . . ,
ed uguagliando (§ 130) si ottengono per le a le equazioni: ol\ = 0, xa.\ ^ «p X(x\ = 27,, • . . .ra'„ = ??«„, . . .
166 CAPITOLO OTTAVO.
da cui, indicando con 6^, ftp . . . 6^, . . . le costanti d'inte- grazione :
^o = &o» *1 = ^1^1 «S = &«^*» • • • «11 = *n^"» • • »
cioè la serie proposta è delia forma (3).
In seguito a ciò, e fondandosi sul noto principio di permanenza, sarà naturale di assumere la commutabilità con xT> come proprietà caratteristica delle operazioni U. Sia dunque un'operazione U rappresentata da una sorte (3), e non accada che a?* entri nel suo campo di validità, come avveniva sotto l'ipotesi (16); ammettiamo però che si sappia, in qualunque modo, che U(a?*) è una funzione analitica aL{x, t) di X e di t Poiché U è commutabile con a?D, ne verrà:
ia{x, t) = 0?^,
onde, indicando con (b{t) una funzione analitica arbitraria di t:
7.{x, t) = (h{t)x^.
Si ritrova cosi, anche in questo caso più generale, l'espres- sione (17) per \l{x% La funzione Gi{t) è soggetta alla con- dizione di prendere per / == o, 1, 2, . . . i valori rispettivi «0, «,. «j, ... che figurano nelle (1); essa può quindi venire assegnata mediante i metodi di interpolazione. Si nota però subito che, fuori di S, l'operazione U non è univocamente determinata; se infatti w(<), w,(/) sono due funzioni soddi- sfacenti alle medesime condizioni d' interpolazione, si avranno due rami d' operazione, definiti rispettivamente da
V{x') = C^{t)x\ \\{x') = Cù,{t)x\
i quali provengono da una stessa operazione U di $; in altre parole, l' operazione U — U, coincide nello spazio S coli' ope- razione nulla ossia ammette questo spazio come spazio di ra-
§§ 220-221. DEFINIZIONE DELLE U NELLO SPAZIO AMPLIATO. 167
dici, meQtre può non essere nulla identicamente nello spazio che si ottiene da S mediante l'aggiunzione della moltipli- cazione per x\ D'ora in avanti, considerando un'operazione U nello spazio W, supporremo fissata la determinazione della funzione (b{l). In particolare, se lo sviluppo (3) ha un nu- mero finito p + 1 di termini, si prenderà per (o(0 il poli- nomio razionale intero
231. Supposta cosi determinata la funzione analitica (b{t) di t, la formula (17) definisce la U nello spazio che si è ottenuto aggiungendo ad S tutti gli elementi che si otten- gono eseguendo su di esso la moltiplicazione per x\ Ora è facile vedere che ciò basta a definire la U anche in tutto lo spazio ^. Sia infatti t un valore della variabile per la quale d)(0 è regolare, e sia \ti — t\ abbastanza piccolo. In- dicando con accenti le derivate rispetto a t, si avrà
qui k varia con t^, ma si mantiene inferiore ad un numero assegnabile per i valori di t^ considerati. Essendo poi
0?** = a?*(l + {t, — t)log x + {t,-^ tynioo)),
dove x\{x) si mantiene pure inferiore ad un numero asse- gnabile per i valori di /j considerati e per quelli di x conte- nuti in un'area semplicomento connessa non contenente il punto 07 = 0, si ha
U(a:*0 = ^*w(0 + (^1 — t)[x%'{t) + x%(t)log x) +
+ {t, - OV(^),
168 CAPITOLO OTTAVO.
essendo p.(a7) inferiore ad un numero assegnabile per i va- lori considerati di ^ e ti. No viene
ma poiché
= x^log X + {t^^ t)p{x)
viene, quando t^ tenda a t:
(18) lìixHog X) = a7*((l)'(0 + (^(t)log x\
In modo analogo si trova
(19) \]{xHog^x) = a?fó"\0 + m(é'^''^\i)log x +
+ . , . + (ù{i)log'^x^,
il che dimostra 1' asserto.
823. Poiché l'operazione U è commutabile con a?D, la quale nell' insieme delle funzioni analitiche ha la sola ra- dice 1, si avrà per U (§ 68) uno sviluppo della forma
(20) U(9) = A^9 + A,a?D9 + k^{x\\y + . . , + K{x\)Y9 + .- •
dove con {poDy si é rappresentata la n"*"»* potenza dell* ope- razione a?D. Facendo, nella (20), 9 = x\ si ottiene
00
"n
U(a?*) = x'^Kt
n=o
e quindi, quando sia noto lo sviluppo (20) e la serie ^hj.''
sia convergente in un intorno di t = o, si ha lo sviluppo di €&(/) (0 di un suo ramo) neir intorno di ^ = 0. La cono- scenza di a)(0 conduce quindi a quella dello sviluppo (20), e reciprocamente
§§ 221-223. ESPRESSIONI REGOLARI. 169
Inoltre, facendo 9 = log'^x^ si ha
(21) \j{log'^x) = kjog'^x + mkjog'^^^x +
+ (^2y,log-^''o(} + ... + *„, (m = 0, 1, 2, . ..)
e quindi dalla conoscenza delle A^, /e„ .., /j^, ... si deduce quella delle U(foflr"a;) e reciprocamente. (*)
223. Vogliamo ora considerare una classe estesa di opera- zioni U, aventi la proprietà di trasformare in sé le espres- sioni regolari. Osserviamo dapprima
a) che la somma ed il prodotto di espres- sioni regolari sono espressioni regolari. Ciò si verifica immediatamente.
b) che la derivata di un'espressione re- golare è pure un' espressione regolare,
e) che so un' espressione
(22) 9 + 9ifoflr X + (pjog^x + . . . + ^Jog'^x
dove 9, 9i, ... 9j3, sono elementi di S% è identi- camente nulla in un intorno di a? = o, sono identicamente nulle le 9, 91, ... r^^. Infatti, suppo- niamo che si abbia dapprima l' espressione identicamente nulla
^ + "iilug X ;
si faccia descrivere alla variabile x una circonferenza di centro a? = 0 e di raggio arbitrariamente piccolo. Dopo compiuto il giro, l'espressione diverrà:
? + ^^ogx -l-2m>„
(I) Come le relazioni qui esposte si prestino alla soluzione del pro- blema di interpolazione, è mostrato ai §§ 45 e seguenti della Memoria di S. Pincherle: Di alcune operazioni atte ad aggiungere o togliere singo' larità ad una funzione analitica, (Ann. di Mat., S. Ili, T. IV, 1900).
170 CAPITOLO OTTAVO.
pure identicamente nulla, onde per sottrazione viene 9i = o, e quindi 9 = 0.
Suppongasi ora il teorema dimostrato por un'espressione di m termini; esso sarà vero per V espressione (22) di m + 1 termini, poiché facendo percorrere alla x lo stesso giro, si ottiene un'espressione della medesima forma e con un ter- mine di meno; da cui segue che 9^, e quindi 9a_p ?„— 2» ••• 9p 9, sono pure identicamente nulli. Con procedimento ana- logo 0 di cui si tralascia per brevità il facile sviluppo, si dimostra che un'espressione regolare
p
in cui gli esponenti t^ non differiscono fra loro per numeri interi, non può essere nulla nel- r intorno di et/* = 0 se non sono identicamente nulle le cpjp
224r, Ciò posto, si riprenda un' operazione U definita in W dalle (27), e si faccia l'ipotesi che fra le determinazioni di w(/) (§ 220) se ne trovi unn, tale che per tutti i va- lori di t di una certa area a e per tutti i va- lori di X di un intorno di a? = o, la serie
co
2fo(^ + n)rr»
n=o
sia uniformemente convergente. Ne viene, per i noti prìncipi della teoria delle funzioni, che sarà pure con- vergente in quell'area e quindi apparterrà ad S° la serie
03
-(m)
2w""'(< + n)x\
n=o
§§ 228-224. ESPRESSIONI regolari. 171
essendo (!s la derivata ?;i»^"* di w rispetto a t. Sotto questa ipotesi:
a) la U è applicabile termine a termine ad ogni elemento 07*9, purché t appartenga ad a e 9 appartenga ad S^ Ciò segue dal § 210.
b) La trasformata di un'espressione rego- lare è anche un'espressione regolare. Per di- mostrai'e. ciò, abbiasi V espressione regolare
(23) Y) = x\'^^ + ^Jogr + (p^log^x + . . . + ^Jog'^oo), con
9j(a?) = S'^in'^"' (/ = 0, 1,2, ... m). Applicando l'operazione U, si otterrà lo sviluppo:
m 00 jrro n=o
e per la (19):
m co
i:(Y)) = 2 2^J"«^'-^"(^"'(^ + ri)-\- jii^-\l + n)logx +
J=0 11 = 0
+ . . . + oX^ + 'y^)log^x\
Ora, poiché per ipotesi la serie appartiene ad S^, vi apparterrà anche la
co
^h-,J'o'\t + n)x\
n=u
e si avrà pertanto per U(tq) l'espressione regolare y{r) = x\^^ + ^xlogx + ^^log^'x + . . . + ^Jog'^x)
172
CAPITOLO OTTAVO.
dove ^^, 4^1» • • • ^m sono elementi di S^ dati da
(24)
co
^m = ^KM + n)x',
n=o
e»
co
«fm-i = ^'nh„^&-(t + n)x, + 2/*»-i-/>(< + «)«'"
Il =0
n = o
m ce
-0-1).
j = l n=o
in CD
"(il
+0 = 2; 2^'-'^^ V + n)x^
l:zo n=.o
225. Supponendo differenti da zero le «^, a,, ... a^» ••• delle formule (1), T operazione U non ammette radici nello spazio S (§ 208). Però, si può chiedere se ossa ammetta radici nello spazio ^V, Limitandoci al caso delle operazioni U soddisfacenti alla condizione posta nel § precedente, sì vede immediatamente che
data in W, mediante la (17), un' operazione U soddisfacente all'ipotesi del § 224, ad una radice t = e dì (5(0» posta nelTarea a e multipla dell'ordine 7n di m o 1 1 i p 1 i e i t à, corrispondono, i n W, m radici linearmente indipendenti del- l'operazione U.
Sia infatti G)(c) = o, essendo e un valore di t apparte- nente all'area a; avremo immediatamente dalla (17) che è ^(oc'^) z= 0, cioè x^ è una radice dell' operazione U. Se e,, Cj, ... c^, sono r radici distinte di U, poste in a, 0?*"*, a?°*, . . . rr*^^ saranno radici linearmente indipendenti della stessa operazione. Infine, se e è una radice multipla di a>(^) dell' ordine 7n + 1 di moltiplicità, basta porre mente alla
§§ 224-226. RADICI DI UN'OPERAZIONE NORMALE. 173
formula (19) por scorgere come siano radici di U, linear- mente indipendenti, le funzioni
oo"", xHog x^ .,, aflog'^x.
226. Del teorema precedente vale la reciproca. Si sup- ponga che l'operazione U, per la quale valga la proprietà enunciata al § 224, abbia per radice V espressione regolare x\ data alla (23); sì supponga poi che l'esponente t sia nn punto dell'area a di cui si è ammessa l'esistenza al citato § 224. Dal calcolo svolto in quel §, risulta
U{iq) = a?H^o + 4^1%^ + . . . + ^^Jog'^x),
dove le ^ sono date dalle (24). Se ora tq è radice di U, sarà identicamente (§ 223)
^o = o, t}^, = 0, . . . 4/„ = 0,
e quindi, per ogni valore di n, le (24) danno:
K'rfi^iJ^ + n) = a,
mh^.^(ò'(t + ^) + h^_^.^(b{l + n) = o,
(SJ^m-nfi^'X^ + n) + {m - l)h^.,,Mt ^n) +
+ K-i nw(^ + n) = o
Ora, laqj^j non essendo, naturalmente, nulla identicamente, il coefficiente /?^ „ sarà differente da zero, almeno per un valore di n, onde Cù(t + n) = o. Sostituendo nella seconda delle relazioni precedenti, verrà (ù'(t + n) = o, poi G/'(t + n) =: o, ecc., ossia se l'espressione regolare (23) è radice di U, esiste un numero intero n tale che f + n è radice di & dell'ordine m + 1 di moltiplicità.
174 CAPITOLO OTTAVO.
Ad un risultato simile «i giunge, in forza del teorema del § 223, supponendo che U ammetta come radice una espressione che sia somma di quante si vogliono espressioni della forma (23), in numero finito, ed in cui gli esponenti^ non differiscano fra loro per numeri interi.
237« L'operazione U è commutabile colla derivazione rispetto a t. Infatti sia, nelT ipotesi del § 224, ^{x,t) una funzione analitica di i e di x^ regolare, per t contenuto in a e per x posto in un intorno conveniente di rt? = o, e sia in questo campo
9(^, 0 = ^K[t)x\
V applicazione delle formule (17) e (19) ad V'{{x^^{Xyi)\ e ad U l-^x^(^[x,t)\ mostra immediatamente che
n dt ^'
C. OPERAZIONI NORMALI D* ORDINE SUPERIORE.
228« Chiameremo operazione normale d'ordine p un'operazione A le cui 4^ sono date nella seguente forma :
(25) A(a?") = a7"(a„^ + a^^x + a^^x'' + . . . + «„pa?p).
Le operazioni U studiate nelle precedenti pagine sono pertanto le operazioni normali d'ordine zero.
La somma di due date operazioni normali è un'opera- zione normale il cui ordine è, in generale, uguale al mag- giore degli ordini delle due operazioni date.
§§ 226-229. OPERAZIONI normali di ordine superiore. 175
Il prodotto di due date operazioni normali è un'opera- zione normale il cui ordine è uguale alla somma degli or- dini delle due operazioni date. Le operazioni normali, nel loro insieme, formano dunque un gruppo: non formano in- vece un gruppo le operazioni normali di un dato ordine, eccettuate quelle dell'ordine zero.
229. Poiché la A è data dalle (25) mediante le suo 4d^ possiamo dedurne lo sviluppo in serie per le potenze di D secondo il § 128; ponendo, come al § 201):
(2G) A-a,j=:tìr„j-77.a,_i.j + g)a„_,.j .^ ... + (-.l)na^ = ft^^, lo sviluppo stesso viene dato da:
oo
(27) A(^) = 2-«r^'"(^»o + K,x + &„^« + . . . + ft.,a7i')D»f .
0=0
Reciprocamente, ogni operazione definita da una serie di questa forma è, in $, un'operazione normale d'ordine p. Indicando con Uj Y operazione d' ordine zero definita da
co j
Uj(?) = S^^i^-^^i»'
n^o
r operazione A si può scrivere
(28) A = U, 4- ooV\ + . . . + a7PUp;
ne viene che le considerazioni del § 210 e del § 211 rela- tive al campo di validità delle operazioni U si estendono senz'altro alle operazioni normali d'ordine qualsivoglia.
230. Dalla medesima forma (28) per l'operazione A segue che, come le operazioni U, anche le A sono suscettibili di essere estese allo spazio W (v. §§ 218, 221), e sotto le re-
176 CAPITOLO OTTAVO.
strizioni poste in quei §§, si avrà per un numero l qual- sivoglia
(29) k{x') = ii?^(a\(0 + coi(Oa? + . . . + aip(0^p),
essendo o)j(/) una funzione analitica che, per t uguale al numero intero positivo ?i, prende il valore a^. E facile scrivere, por l'operazione A, la formula analoga alla (19). Infine, facendo sulle operazioni U della formula (28) Tipo- tesi del § 224, si trova pure che V operazione normale A trasforma un' espressione regolare in un* espressione re- golare.
231. Per brevità di scrittura e per semplicità nelle no- tazioni, tratteremo più specialmente noi §§ seguenti delle operazioni di prim* ordine; e poiché il passaggio alle opera- zioni d' ordine qualunque richiede solo una ovvia genera- lizzazione, ci limiteremo a dare, per quel caso più generale, l'enunciato delle proposizioni più importanti. Abbiasi dun- que l'operazione normale di prim' ordine, definita da
(2ry) A(x,) = oc-(a, + a'^x) ;
se ne ricava lo sviluppo in serie
oo
A(9) = S „V*" + ^'n^)^"»"? = U + a?U„
n=o
dove è:
e dove porremo:
Ij(x') = S)(t)x\ Ui(a?*) = ù)i(0^\
ricordando le osservazioni fatte al § 220 ed ammettendo per le w{l) e w,(0 soddisfatta la condizione del § 224.
§§ 230-232. OPERAZIONI normali di prih'ordinb. 177
Sotto queste ipotesi:
a) La À è applicabile termine a termine ad ogni elemento x^:p(t)^ t appartenendo ad a e 9(a?) ad 8^
h) La trasformata di un'espressione re- golare
è pure un'espressione regolare. Si ha, in forza del § 224,
A(ir)) = xHto + Xx^ogoo + . . . + yjog'^x), dove, ritenute le notazioni del detto § 224, è
oo
X« = 2/'«»(s(< + n) + OBS>M + n))x\
n=o
oo
X»-i = ^ình^u[&'{i + n) + a?t6/(^ + n))a;« +
oo
2^«-<»(®(^ + n) + x&^t 4- «))a7".
n=o
Si osservi come, dalle formole precedenti, risulti:
(30) j A(a?*(9„_j + iw^^ log x))= ^XXm-i + >'*X» log x\
282. Ammettendo ancora per U ed U, le ipotesi del § 224, si ha immediatamente, dal § 227, che l'operazione A è commutabile colla derivazione rispetto al parametro L
12
178 CAPITOLO OTTAVO.
233« Ci proponiarao ora di determinare le radici del- l'operazione A contenute nello spazio ^, e a questo eflfetto ci converrà di cercare anzitutto la soluzione della equa- zione funzionale Q)
(31) A(a?*9(^,0) = ^(O^S
essendo X(t) una data funzione analitica in U. Poniamo
oo
^x.t) = j^Km-^
n=o
ed avremo:
co
A(a?'9(a?,0) = S (*n(^*(^ + ") + ^'.-i(Ofi),(^ + n - l))a;'*» ;
n=o
dovremo dunque determinare i coefficienti A„ in modo da iioddisfare a
(32) Ao(Ow(0 = ^(0 e a
(33) k,(l)(b(t + n) + K_,(t)(b,(t 4- n ~ 1) = 0-
Queste equazioni permettono di determinare A,, Aj,... A'„, ogni qualvolta G){i + n) non è nullo; k^ viene dato da:
k ^(- lìn K{^)(à,(t)(b,(t+Ì),., 6),(< + n~l)
Si consideri ora t neìV intorno di una radice ^j della equa- zione:
(34) (0(0 = 0.
radice che si suppone contenuta in a, e si ammetta che esi- stano in a altre radici di (34) in numero finito, differenti da
(1) Per il procedimento qui seguito, cfr. Schlesinqer, Handòuch der linearen DiffereniialgUiehungen^ Bd. I, pag. 161 e seguenti. V. pure le indicazioni bibliografiche a pag. XII dello stesso volume.
§ 233. OPERAZIONI NORMALI DI PRIM' ORDINE. 179
/, per numeri interi. Ordiniamo queste radici in modo che esse siano
dove g^„ g^, ?,_! sono numeri interi positivi; sia infine s^ r ordine di moltiplicità (fi /,. Se si considera il prodotto:
p{é) = G)(t)(b{t + 1) . . . fi)(^ + g, + ?j + . . . ffr-i).
a quale potenza conterrà esso il fattore t — tj E chiaro che Cb{t) lo contiene alla potenza ^i"*; G}(t + jj) contiene il fattore ^ + ffi — ^i+i = < — /j alla potenza ^,-1-1, (b{t + q^^^ + g,) contiene il fattore l + Qi+i + Ji — ^i+« = t — /j alla potenza ^j-f^, e cosi via. Onde il prodotto scritto di sopra contiene t — t^ alla potenza s^ + ^i+i + ^i+i 4- . . . + ^r*
Ciò premesso, poniamo, nelT equazione (31), X{t)z^h^(ì>(f)y e facciamo Ao = a>(^ + l)(ò(^+2)... ó)(^ + 9i + ?2 +..• ffr-i)» avremo risoluta, mediante la (33), l'equazione:
A(a?*9(a?,0) = P(0^*-
Siccome t^ è radice del secondo membro, così 07*9(0?,^,)
sarà una radice di A, espressa da una serie i cui coefficenti
sono tutti finiti; inoltre, essendo t^ radice dell'ordine 8^ +
6jH-, +••• + ^r d* multiplicità, ed A essendo commutabile con
d ^^7- (§ 232), cosi saranno anche radici di A le
et
?p xMx, t)
per p = 1, 2, . . . , ^1 4- ^i+i + . • . + ^r — 1- -^"^ radice /j dell' equazione (34) corrispondono dunque ^j + ^j-hi +...+ ^r radici dell' operazione A, le quali, come è chiaro, sono li- nearmente indipendenti (§ 223).
180 CAPITOLO OTTAVO,
234* tili sviluppi trovati nel § precedente per le radici di A si sono ottenuti in modo puramente formale; essi non acquisteranno validità effettiva finché non si sia in grado di fissare le condizioni dì convergenza delle serie ^(xj). Tali condizioni sono naturalmente subordinate alle specializza* zioni della natura delle funzioni b)(0» C0[(0- Ad esempio, qua- lora accada che per tutti i punti di un'area a' contenuta in a, il rapporto:
(b{t + n) : 6)i(/ + n — 1)
tenda, per n = oo, uniformemente ad un limite z, la serie (p{x, t) convergerà uniformemente per tutte le coppie di va- lori dì X e t contenute rispettivamente noli' interno del cer- chio di centro o e di raggio 1^1 e nell'area a'; le soluzioni dell'equazione A = o hanno in quel campo significato effet- tivo, essendo, in codesto campo, funzioni analitiche deter- minate. Questo caso si presenta, in particolare, quando, per tutti i valori di n superiori ad un dato numero n, sia A°a^ = o, A"a'<, = 0, nel qual caso la A si riduce ad una forma differenziale lineare (^).
235* Si è osservato, al § 216, che l' operazione U, o operazione d'ordine zero, mediante l'operazione C (definita, in quello stesso §, come quella che applicata ad una serie di potenze dà il coefficiente del termine generale della serio stessa) viene trasformata in una moltiplicazione. Vo- gliamo mostrare come, analogamente, la trasformata dell' operazione A mediante C sia una forma lineare alle differenze (§ 122). Si noti infatti che se cp = V ft^a?°, si ha:
A(?) = A(J^Kx-) = J^(kMn) + A„-i a),(n-l)).i?";
(1) V. ScuLESiNGEB, op. Citata, T, r, pag. 164 e seg.
g§ 234-237. OPERAZIONI normali di prim^ ordine. 181
indicata dunque con ^(^) la forma lineare allo differenze
G>(n)^(n) + (à^{n — l)^n — 1),
(cIV. il primo membro della (3!})) si ha:
C9 = *„, CA9 = *(An). onde:
* = CAC-'.
236. Supponendo nelle (25') le a„ ed a\ differenti da zero, possiamo mostrare come l'operazione A da esse defi- nita sia scomponibile in un prodotto della forma U^ Mj.^^ Up, essendo Up ed U, operazioni normali d' ordine zero. Infatti, si ponga:
Up(a?") = p„a?», U,(a?°) = ?„a;» e verrk:
se dunque si vuole che il prodotto U, M,_, Up coincida in Scolla A, basterà fare:
PnQn = ^ni ^ PnQn-^l = «'»» (n = 0, 1, 2...)
e quindi:
Le Uq, Up sono dunque determinate all' infuori del mol- tiplicatore q^.
237t La furmola
(35) A = U,M._,Up
permette di ottenere con facilità l'inversa della operazione A. Infatti dalla (:35) si deduce subito, se tutte le flr„ ed a\ sono differenti da zero:
(30) A-^ = Tp-^M , U,-^
1— X
182 CAPITOLO OTTAVO.
Sotto semplici condizioni per le p„ e g„ (e quindi per le flr„ ed a'o), condizioni sulle quali non crediamo di insistere qui (*) e che valgono ad assicurare la convergenza del se- condo membro per valori opportuui di rr, si deduce dalla formula (36):
ovvero:
(37) A-»(a?») = ^ - «In^!^ j^ <<±y^L^ _ . . .
238. Come abbiamo avvertito più sopra (§ 231), trala- sceremo di sviluppare diffusamente le proprietà delle opera- zioni normali d'ordine qualunque p, in quanto che esse si presentano come non difficile generalizzazione di quelle ora esposte per le operazioni del primo ordine. Ci limiteremo a dare in proposito i seguenti enunciati:
a) Sotto ipotesi analoghe a quelle del § 231, l'opera- zione A, normale di ordine p, è applicabile termine a ter- mine ad ogni elemento x^cp(x), t appartenendo ad a e 9(0?) ad $<».
b) Sotto le stesse ipf)tesi, la trasformata di un' espres- sione regolare è un' espressione regolare.
e) L'operazione A è commutabile colla derivazione ri- spetto a i,
d) Il metodo del § 233 serve a determinare le radici di A; sola modificazione consiste in ciò, che le k^ sono de- terminate dall'equazione alle diflerenze d'ordine p:
w(^ + n)k, + wi(^ + n - 1)A„_, +. . . + (bJt 4- n — p)*n-p = o
(^) Sa qaesto argomento, v. i §§ 67 e segg. della Memoria di S. Pin- CHEHLE già citata a piò della pag. 169.
§§ 237-238. OPERAZIONI normali d' ordine qualunque. 183
anziché dall'equazione di prira' ordine (33). Fra le condizioni sufficienti di convergenza per gli sviluppi che cosi si trovano per le radici di A (cfr..§ 234) vale la seguente: che per tutti i punti di un'area a' dei piano t contenuta in a, i rapporti :
(à^[t + n — i) : ó)(^ + n), (t = 1, 2, . . . _p)
tendano uniforniemente a limiti finiti (') e difiFerenti da zero.
e) La trasformata di A mediante C è una forma li- neare alle differenze d'ordine p.
f) L' operazione A è scomponibile in un prodotto della forma :
U,Mi^,UiM,_,...Up_,Mi_,Up;
basta supporre la proposizione vera per un' operazione d' or- dine p — 1, e si conclude facilmente che essa sussiste per un'operazione d'ordine p. Come al § 237, questa decompo- sizione di A in fattori permette di dare immediatamente l'espressione dell'operazione inversa di A mediante un pro- dotto di moltiplicazioni per -^ e di operazioni U.
1 — oo
(1) Questa condizione ò soddisfatta nel caso che la A si ridaca ad una forma differenziale lineare, quando cioè le h . =.ì"a . delle formule (26)
e (27) sono nulle per tutti i valori di n superiori ad un dato numero m. Per la dimostrazione della convergenza in questo caso, V. Schle- SINGER al 1. e. a piò della pagina 180.
CAPITOLO NONO.
L' Operasione Aggiunta
889« Indichiamo con §* l' insieme delle serie di Laurent, 0 serie ordinate per le potenze intere, positive e negative,
oo
di una variabile x. Una tale serie V a„ip" si può talvolta
— oo
considerare indipendentemente da ogni condizione di conver- genza: essa serve allora unicamente a legare, in un ente unico, la successione indefinita nei due sensi, ... a_^, «_», a^, a,, a^f.^.i^) Un ente di ^ si dirà nullo se sono nulli tutti i suoi coefficienti ; due enti di ^ si diranno uguali se sono uguali i coefficienti delle stesse potenze di a?, ciascuno a ciascuno; essi si sommeranno sommando i coefficienti delle stesse potenze di x: posto ciò, si conclude che S" è un insieme lineare. Ad esso appartiene l'insieme S delle serie di potenze intere positive di x^ ed in particolare S^, insieme dei polinomi razionali in- teri in X) vi appartiene pure l'insieme S delle serie di po- tenze intere negative di x, ed in particolare l' insieme dei polinomi razionali interi in x~^^ insieme che indicheremo con $*". Per lo spazio ^, il cui sistema fondamentale è a?°, (n = — oo . . . — 2,-1, 0, 1, 2, ... + oo), valgono le pro- prietà date per le operazioni elementari nello spazio 8 al Gap. V e al Gap. VI (§§ 104-120 e 148-152).
(M V. Gap. V, §§ 97-98.
§§ 239-241. L' OPERAZIONE AGGIUNTA. 185
240. Siano ora:
co oo
— OO — oo
due elementi di Sr, e coi loro coefficienti si costruisca la espressione :
oo
(1) R(9,<|;) = Si'- A-..
— OO
t
E chiaro che, data comunque la serie 9, sarà sempre possibile, in infiniti modi, di determinare ^ cosi che l'espressione (1) ri- sulti assolutamente convergente. LMnsieme degli elementi ^ per i quali questa condizione è soddisfatta verrà indicato con ^f', è manifesto che se 4^ e 4^1 vi appartengono, vi apparterrà anche 4^ + ^i; ^f è pertanto un'insieme lineare contenuto in ^. A questo insieme appartiene certamente ogni elemento di
S" e di S".
Come esempio, si supponga che la serie data 9 converga entro una corona circolare di centro x = 0 e soggetta alla condizione di comprendere nel suo interno il punto a? = 1 ; si vede immediatamente che ogni serie ^ convergente entro una corona circolare soggetta alla medesima condizione ap^ partiene a ^f.
Fissata invece 4*9 sarà ugualmente possibile in infiniti modi, di determinare 9 in guisa che la (1) riesca assoluta- mente convergente. L'insieme di tali elementi cp, evidente- mente lineare, si indicherà con S'f Due elementi (p e ^ dì ^ sono cosi legati fra loro che se il primo appartiene a ^|, il secondo appartiene necessariamente a S*^? e vice versa.
241. La R(9, 4') può riguardarsi come un'operazione ap- plicata ai due enti 9 e 4^, variabili n ^; fissato 9, essa è è un'operazione applicata agli enti 4^ di ^^, mentre fissato
186 CAPITOLO NONO.
4^, essa è un' operazione applicata agli enti 9 di STf Ci pro- poniamo di notare lo proprietà di questa operazione.
a) Anzitutto, data 9 e presa ^ in SV, l'operazione è a determinazione unica.
b) Inoltre, se ^p è un elemento dello spazio comune a ^f e sr^i , si ha :
R(9 + 9i. « = K(?. 4^) + R(^i,^);
se ^ e ^i sono due elementi di ^f, si ha:
R(9, + + +x) = R(?, 4') + R(?. 4^1) ;
infine e essendo un numero qualsivoglia, si ha:
onde si conclude che R è un'operazione distribu- butiva separatamente rispetto a qp e a 4^-
e) Per ogni elemento dello spazio comune a ^^ e a ^fi si abbia, essendo
? =^ S ^°^"' '^» ~ Si7>" R(?,4.) = R{'^p4^);
ne risulta 9 = 9,. Ciò segue immediatamente dal fatto
che tanto S" che S*" appartengono a quello spazio comune: ponendo pertanto nell' uguaglianza precedente ^ = x~~^, dove n è un numero intero arbitrario fra — 00 e + ^1 viene
£fn-l = 9'n-V
d) Si muti r elemento 9 in X(p. Allora per la defini- zione di II datd in principio del § 240, sarà, se 4' appar- tiene all'insieme comune a ^9 e a ^xj» :
R(9, x'ì') = 2 9-X-f
— co
§§ 241-242. L* OPERAZIONE AGGIUNTA. 187
Ma al medesimo risultato si giunge cambiando ^ in .r'|; da cui segue;
(2) R(^9, +) = R(9. ^^y
Da questa proprietà e dalla proprietà 6) data più sopra, segue che se a è una funzione razionale intera di a? o di
— ;-, si ha, presa la 4^ opportunamente:
•A/
(3) R(«?.+) = R(?,«+).
242. Data un'operazione distributiva univoca A che trasformi S'jn sé, chiameremo operazione
aggiunta dì A ed indicheremo con A, l'opera- zione definita da:
(4) R(A((p),W = R(?,A(^)).
Da questa definizione emergono le seguenti proprietà : a) L'aggiunta di A, se esisto, è unica.
Infatti, ammesso una volta per sempre che quando scri- viamo la R(a,P) intendiamo che j3 appartenga a S*a, si abbia ad un tempo:
R(A(9),^) = R(9.A(4/)), ed
R(A(9),^) = R(9,À,(4.));
ne seguirà, per il § 211, e), che in tutto il campo di vali- dità dei secondi membri è Aj = A.
6) L' aggiunta di A è un'operazione distri- butiva. Sia infatti:
R( A(9), ^) = R(9, A(+)), R(A(9), +1) = R(9. AC^i» ;
si avrà da una parte:
R(A(9), + -H W = R(t.A(+ + +1));
188 CAPITOLO KONO.
dall'altra (§ 241, b)
R(A(cp), 'I + +,) = R(9. m)) + R(a, A(^,)) = = R(9, A(^)) + li^,)),
onde (§ 241. e)
À(* + +i) = À(+) -+- A(+,).
Analogamente si dimostra che per ogni numero e si ha
A(c+) = cÀ(4^).
e) L* aggiunta di una somma è uguale alla somma delle aggiunte.
Siano A, B due operazioni le cui aggiunte siano A e B (*) rispettivamente; si ha:
R((A + B)y, +) = R(A(y), ^) + R(B((p), ^) = = R('^,A(+)) + R(9,B(4/)) = = R(9. (A + B)+), .
il che dimostra l'enunciato.
d) Dalle proposizioni precedenti si ha immediatamente che l'aggiunta di una funzione lineare omoge- nea di più operazioni è uguale alla stessa fun- zione lineare omogenea delle aggiunte delle opei* azioni medesime.
éj) Se A è aggiunta di A, inversamente A è aggiunta di A.
243. Se l'operazione X è uguale al prodotto AB, la sua aggiunta X è uguale al prodotto BA.
Infatti, si ha per definizione:
R(B(9), ^) = R(9, m) ;
(1) D'ora in avanti l'aggiunta di un' operazione si indicherà sem- pre sopralineando la lettera che denota quella operazione.
§§ 242-245. l'operazione: aggiunta. 189
si ha pure, per la stossa definizione:
R(AB(9),+) = R(B('^),À{^)) ed applicando T uguaglianza precedente:
. R(AB(9), 4/) = R('^, B A(9)),
che dimostra l* enunciato.
Risulta da ciò che se si ha un'operazione X = ABC..., la sua aggiunta sarà X =: . .. CBA.
Ne risulta ancora che se un sistema di operazioni forma un gruppo, il sistema delle loro aggiunte forma un gruppo isomorfo.
844. Dalla definizione del § 242 segue che V aggiunta dell'operazione 1 è l'operazione 1 stessa. Sia ora A A, = 1 ; ne verrà, per il § precedente, AjA = 1,0 quindi si ha che l'aggiunta dell'inversa di un'operazione è V in- versa dell'aggiunta dell'operazione medesima.
S45« Per definizione si ha:
R(A(a79),^) = R(a?9,A(4.)); ma per il § 241, d) si ha:
onde viene:
R(A(a?9), +) = R(Ti a?À(+)), ed analogamente:
R(a7A(9), +) = R(9, À(a?+)).
Da queste, per sottrazione:
R(A(a?9) — cpA(9), ^) = R(9,— A(a7|) + xM^}),
cioè, ricordando (§ 140) che A{x(p) — xA((p) è queir ope- razione che abbiamo chiamata derivata funzionale
190 CAPITOLO NONO.
di A e che abbiamo indicata con A', concludiamo dal- l'uguaglianza precedente che l'aggiunta di A' è la derivata dell'aggiunta di A, presa con segno cambiato.
246. Dalla proposizione del § precedente si può ricavare come conseguenza:
a) Che se a è un elemento di S*, l'aggiunta di M^ è la M^ stessa. Infatti l'aggiunta dell'operazione nulla è r operazione nulla; ora la derivata di M^ es- sendo lo zero, tale sarà la derivala di M^, che sarà per- tanto (§ 148 e § 239) un' operazione di moltiplicazione. Ma facendo in
R(M,9,^) = R(9,M,/|)
t^ = if?« e 4^ = a?"*, dove m ed n sono numeri interi arbi- trari, positivi o negativi, si conclude subito che la M^ non differisce da M^.
6) Che l'aggiunta di De — D. Infatti, la deri- vata dell' operazione Dèi' operazione 1 ; la derivata della sua aggiunta D sarà pertanto — 1, e quindi (§ 150) D sarà della forma — D + M, essendo M un'operazione di molti- plicazione. Ma si verifica subito che in questa operazione il moltiplicatore deve essere zero, poiché se è
co oo
9 = S ^»^''' '{' = S *»'^"'
n=— OO n=— oo
si ha:
oo
R(D9, t) = - S«P-n«« = - Ii(?' DH
— CO
e quindi D == — D.
§§ 245-248. L'OPERAZIONE AGGIUNTA. 191
247* Da ciò si conclude intanto che, se n è un intero positivo qualsivoglia, l'aggiunta di D° è ( — 1)°D^ Si con- clude pure dal § precedente e dal § 243 che l'aggiunta di aD°9 è (— l)°D»(a:p).
Di conseguenza (§ 242, e) l'aggiunta della forma diffe- renziale lineare:
m
F = 2«n(a?)D»9 sarà la forma differenziale lineare:
m
F = 2(- 1)"I>" {«.«a')?).
n=:o
Da lungo tempo, accanto all'equazione F = o, si è consi- derata r equazione F == o, che viene comunemente detta r aggiunta di Laorange della prima.
248. Se un' operazione A è rappresentata sotto la forma, studiata al Gap. VI, di una serie ordinata per le potenze di D,
oo
^ = S^t! «-■^''^>
n=o
la sua aggiunta sarà rappresentata da
- ~ r— lì» (5) A = 2L_± D-(«„'^)
n=o
sotto condizioni opportune di limitazione per il campo di va- lidità, condizioni che dipendono dalla successione delle a^. Se in particolare le «^ si riducono alle costanti nume-
riche a^, si avrà:
oo oo
(6) A = 2^D", A = S^P-"a„D.
n-0 n=:o
192 CAPITOLO NONO.
e si conferma facilmente, formando
r(a(Ì,).^) ed r(^..A(^))
che la seconda operazione A è effettivamente la aggiunta della prima almeno in tutto lo spazio £** + S".
249. Facendo a^ = z^ nella serio (6), e ricordando l'espressione di 6' del § 132, si giunge alla conclusione che l'aggiunta di 6» è la 6~*. Applicando questo ri- sultato, unitamente alle proposizioni dei §§ precedenti, alla forma lineare alle differenze:
si ottiene la sua aggiunta nella forma:
^ = a^9 + a-i (a,9) + e-'(a,9) + . . . + ^-"(«ni?). (')
250. Riprendiamo un' operazione A che muti in sé lo spazio §", ed indichiamo con én, dove n è un indice che può assumere tutti i valori interi positivi e negativi, la A(a?°). L'aggiunta di A muti pure lo spazio 3* in se, e si ponga
Sia infine:
p:= — co p^~— co
Per la definizione dell'operaziono aggiunta, si avrà:
R(4„,a;-) = R(JJ",|'J: ma (§ 240)
R(4n. a"") = fl„._(™+„
(1) Sulle aj^giunte delle forme alle differenze, v. Bortolotti, Ren- diconti della R. Accademia dei Lincei, maggio 18% e maggio 1898.
§§ 248-251. L* OPERAZIONE AGGIUNTA. 193
onde sarà anche:
e quindi: equivalente a
Ne viene dunque che se si definisce V operazione A mediante lo specchio (cfr. § 136) dei coefficienti delle sue $,, Io spec- chio corrispondente per la A si otterrà cambiando le linee nelle colonne e viceversa, scritte le une e le altre in or- dine inverso.
261. Essendo 9 un elemento dato in ^ e 4^ un elemento variabile in ^y , può accadere che sia:
(7) R(9, +) = 0.
Questa relazione assoggetta ^ ad una condiziono cui è facile di soddisfare in infiniti rpodi. Se poi ^ e ^pj soddisfano entrambi alia (7), vi soddisfarà evidentemente c^ + c^^^, es- sendo e e Cj costanti arbitrarie; se ne conclude che l'in- sieme degli elementi di 5"^ soddisfacenti alla (7) è lineare. Daremo a questo insieme lineare il nome di piano (') cor- rispondente a <p.
Dati più elementi 9,, 9«, . . . , si assoggetti contemporanea- mente l'elemento ^ alle condizioni:
R(9i. /^) = 0, RC9si+) = 0,...;
<p apparterrà allora allo spazio comune ai piani corrispon- denti a 9j, cpj, ...; spazio che è pure evidentemente lineare. Ciò posto, abbiansi lo operazioni A, A, aggiunte l'una dell'altra e trasformanti entrambe lo spazio 3" in sé; l'ope-
P) La ragione di questa denominazione è chiarita più avanti, al Cap." XVI.
13
19^ CAPITOLO NONO,
razione A ammetta la radice co in questo spazio. Si avrà, poiché R(Oy^) = 0 qualunque sia ^:
R(A(a)). 4/) = R(w, À(+)) = o,
e quindi se o) è radice di A, 1' operazione A tra- sforma lo spazio ^ nel piano corrispondente ad ti).
Più generalmente, se A ammette le radici co,, coj, ..., Toperazione A trasforma lo spazio W nello spazio comune ai piani corrispondenti ad co,, co^,. . •
Come esempio, D ha per operazione aggiunta — D ed ha come radice 1; ne viene R(I, —D^) = o, cioè le D+ appar- tengono al piano corrispondente ad 1 (insieme delle serie di potenze in cui manca il termine in x~^).
S62* Si ammetta che un'operazione A coincida colla
propria aggiunta A; nel quale caso l'equazione di defini- nizione (4) sarà:
R(A(9).4') = R(9,A(+)).
Fra le altre proprietà particolari a questo caso, si può notare :
a) che nello specchio dei coefficienti delle
b) che se o) è radice di A, A trasforma 3" nel piano corrispondente ad ro;
e) che se un' operazione Q è trasformata di P mediante A (§ 121), viceversa l'aggiunta di P sarà trasformata dell'aggiunta di Q mediante A. Infatti sia
Q = APA-^
ne verrà, poiché A = A:
Q = A-iPA
§§ 251-253. l'operazione aggiunta. 195
onde:
AQA~> = AA-^PAA~' = P,
che dimostra la proposizione.
863« Le proprietà che abbiamo svolte sommariamente nei precedenti §§ per V operazione aggiunta di una opera- zione data, riposano, in sostanza, sulle proprietà di quella ope- razione che abbiamo indicata con R, e che abbiamo definita per duo elementi indipendenti -9 e 4^ appartenenti a ^. Più generalmente, si può partire da un* operazione R che sia definita in qualsivoglia modo, purché essa abbia le seguenti proprietà:
a) di essere univocamente determinata per i duo ele- menti 9 e +, presi arbitrariamente negli spazi funzionali ri- spettivi 61 e IB, distinti o coincidenti.
b) di essere distributiva rispetto a 9 e rispetto a ^; e) di essere tale che, se per ogni 9 di 61 è
R(9, 4^) = R(:p. +i),
se ne possa concludere ^^ = ^li ®d analogamente, se per ogni 4^ di cB è
R(9, ^) = R(9i, 4^),
se ne concluda 9 = 9,; d) di esser tale che
Ottenuta una R dotata di queste proprietà, e data una operazione A distributiva, se ne definisca V aggiunta me- diante l'uguaglianza (t); ne risulteranno senza difficoltà, per la A, le proprietà a), &), e), ci) del § 242, come pure quelle dei §§ 243-215, colle loro conseguenze.
1
CAPITOLO DECIMO. Le forme lineari alle differenze.
A. LO SPAZIO ® DEGLI ELEMENTI DEL CALCOLO
DELLE DIFFERENZE.
364. Nel presente Capitolo ci occuperemo della opera- zione.©, già da noi definita nel Capitolo V (§ 120), per mezzo dell'uguaglianza:
Q'^(x) = 9(07 + 1).
Tratteremo specialmente delle forme lineari nella 0, ri- serbando per gli ultimi §§ un breve cenno sulle serie ordi- nate secondo le potenze (intere e positive) della 6.
Ricordiamo anzitutto (§ 118) che la 6, come ogni altra operazione S di sostituzione, è distributiva non solo rispetto alla somma ma anche rispetto al pro- dotto, che cioè si ha:
e(94;) = 09 . ^,
Da codesta proprietà abbiamo dedottò (§ 153) l* altra che la derivata funzionale di 6 è la 6 medesima. Ne discende che la 0 ammette nelT intorno di una funzione ^ qualsivoglia lo sviluppo:
0(4')[l + 4rr>+4rD' + ^i>"+ •••• + ^n" + ]
§§ 254-256. ELEMENTI NEL CALCOLO DELLE DIFFERENZE. 197
e nel r intorno della unità lo sviluppo:
(1) e = 1 +jr D + ^D« + .... + ij-D» +
il quale può rappresentarsi simbolicamente con e^,
255* Lo sviluppo (1), considerato in S, non è valido per l'intero spazio S**, ma come si è detto (§ 138), soltanto per lo spazio S\ in quanto ivi si riduce all'ordinario sviluppo di Mac-Laurin della funzione arbitraria nelT intorno del punto iz? = 1.
Siccome però importa di poter considerare la 6 in casi molto più esti^si, cosi noi, in questo Capitolo, prenderemo a considerare un opportuno spazio lineare di funzioni, diverso da S, e che indicheremo con 3). Per poterlo definire agevol- mente, ci sarà necessario premettere alcune considerazioni. 256* Sia, nel piano della variabile complessa a?, una re- gione a^, compresa fra l'asse immaginario e la parallela a questo alla distanza 1, e siano ap a^, . . . , a^, . . . , lo regioni congruenti alla a^» che da questa si deducono per mezzo delle traslazioni parallele all'asse reale nel senso positivo, di ampiezza rispettiva 1, 2, . . . , 7i, . . . Siano, similmente, a_,,
a.,,..., a_„, le regioni congruenti alla a,,, e che si
deducono da questa prr mezzo delle traslazioni parallele al- l'asse reale, nel senso negativo, di ampiezza rispettiva 1,
Indicheremo con a il campo, generalmente non con- nesso, costituito dal complesso delle regioni ..., a_n, ... , a_,, a^, a, , a„, . . . ; e diremo congruenH quei punti ap- partenenti a due regioni aj, aj qualsivogliano, e che ven- gono a sovrapporsi quando una delle due regioni si porta a coincidere con l'altra mediante una traslazione parallela al- l'asse reale, di ampiezza eguale ad un numero intero.
Dalla definizione delle regioni aj discende che due tali
198 CAPITOLO DECIMO.
regioni consecutive Su, ai^, non possono avere in comune se non punti al contorno. Di più non è escluso che la a^, e quindi ciascuna delle regioni ai a quella congruenti, si possa ridurre ad uno o più segmenti di linea e, più in generalo, ad un insieme qualsivoglia di punti: in particolare la a^ potrà essere costituita da un sol punto. Sebbene, per fissare le idee, noi intendiamo di riferirci generalmente al caso, in cui a^ è un area connessa, tuttavia notiamo sin d'ora che le successive considerazioni sussisteranno, per la massima parte, anche quando il campo a^ sia particolarizzato come dianzi accennammo. Le lievi modificazioni, che in tal caso dovranno essere introdotte, appariranno di per sé mani- feste.
267. Per definizione, abbiamo ^x = x + ì, e più in ge- nerale, se m è un intero, positivo o negativo, qualsivoglia, abbiamo 6™a? = a? + m.
Ne viene che nei singoli punti x di una qualsivoglia re- gione a^ di a, i valori della Go? coincidono coi valori che la variabile x assume nei punti rispettivamente congruenti della successiva regione a destra an^.i; cosi i valori della b^x in a„ coincidono con quelli che la x assume nei punti ri- spettivamenti congruenti della regione an^.^. Di qui risulta che tutti i valori che la variabile x assume nelT intero campo a sono dati dai valori che ^"^x (ni = . . . , — n, . . . , — 1, 0, 1,..., n, ..) assume in una qualsivoglia determinata regione a^.
268- Sia a(x) una funzione analitica meromorfa{^) in tutto il campo a.. Siccome non considereremo siffatta fun- zione fuori del campo a, cosi basterà supporre che essa sia definita nelT interno di a.
(1) È noto che è detta meromorfa in un* area connessa una fun- zione analitica ad un valore, affetta, in queir area^ àB. %o\q singoìarìtà polari.
§§ 256-259. ELEMENTI NEL CALCOLO DELLE DIFFERENZE. 199
Per definizione, la Ba è la funzione che nei punti a? di a assume i valori dati da a(0a?) = a(a7 + 1). Più generalmente, S(* m è un qualsivoglia numero intero, positivo o negativo, la 6"a è la funzione che nei punti a? di a assume i valori dati (la a(0"ii?) = a(x + 7n), In altre parole, la G"a, nei singoli punti X di una regione a^ determinata, assume i valori che la (X assume nei rispettivi punti congruenti della regione an+m- Di qui risulta che la funzione a{x) è data in tutto il campo a, quando sono date in una determinata regione a^ la a e le 6"*a, per ogni valore intero, positivo e negativo di ?;2.
259. Più generalmente, consideriamo ora una successione di porzioni di funzioni analitiche, in numero infinito:
..., «^"""^n?), ..., a^"V)» a^'W «^V) «^VO
mcromorfe in
• • • ) a — j,« • • • » a — ], a^, a^ • • • , a^i • • • •
rispettivamente, compreso il contorno.
Non si farà alcuna ipotesi sulla a^^' all'esterno di a^.
Converremo ora di considerare il complesso suindicato di porzioni di funzioni analitiche come un elemento unico, che rappresenteremo con a{x) C). Questo elemento è una porzione di funzione analitica, generalmente poligena (*) e meromorfa in a. Il valore delT elemento «(a?) in un punto
(1) Se le regioni a hanno a due a due punti del contorno in co- mune e se le a}^'{x) sono date anche sul contomo dei campi rispettivi, converremo di assumere come valore di a{x) in un punto comune ad
a , a ., il valore che ha in esso la tv '{x)»
(^) Questo vocabolo, col suo contrapposto « monogeno » sono qui usati nel senso ad essi dato dal Wbierstbass e dalla sua scuola (V. Ahhandl. au8 der FunetionenUhre^ p. 102. Berlin, 3886. Gfr. Forstth, Theory of functions, § 12, Cambridge, 1893).
200 CAPITOLO DECIMO.
X di a^ sarà il valore che ha in esso punto la ci: \x). Si dirà a(a?) regolare o singolare in un punto di a^ a seconda
che sarà rispettivamente tale la a \x). L'elemento a non è definito all'esterno di a.
260« Dato r elemento a(a?) del § precedente, 6a sarà un elemento analogo al a, il quale nei singoli punti a? di a assume i valori che a ha nei rispettivi punti 07 + 1. L'ele- mento 6a è, come a, una porzione <li funzigne analitica, ge- neralmente poligona; essa è costituita dalle
(-n) (-1) (0) (1) (n)
. . • CAi , • . . Mi , (A| , \ t * * * 1 f * * *
definite rispettivamente in . . . a_n, . . . a_i, a^, a^ . . . a^, . . . in modo che nei punti a? di a^ è:
a^^^\x) = d^ {x + 1), (m = ... — n, ... — 1, 0, 1, . . n, . . .)
Ad analoghe conseguenze si giunge per l'elemento G'a, dove r è un numero intero positivo o negativo (irbitrario; il quale elemento sarà pure una porzione di funzione analitica, general- mente poligona, e meromorfa in a. Il suo valore in ogni punto
a? di a,n è dato da quello che assume a nel punto congruente
È manifesto che l'elemento a è completa- mente definito nell'intero campo a quando sono dati in una sola delle regioni a^i valori delle funzioni anal itich e 6'a, (r = . . . — ?i, . . . — 1, 0,
A , * . • tv . . • y.
261. Dal § prec. risulta che l' elemento 6'a ha in a„ come punti singolari e come punti di zero i punti congruenti
rispettivamente ai punti singolari e agli zeri di a {x) in
am^-r- Ora per le ipotesi stabilite sulle a \x) abbiamo che ciascuna di esse nella rispettiva regione a„ ammetto un nu-
§§ 259-263. BLBMBNTI NBL OALGOLO DELLB DIFFERENZE. 201
mero finito di punti singolari (poli) e di zeri (d'ordine in- tero e finito). Se ne conclude che i poli e gli zeri dell'in- sieme degli elementi 6'a, (r = ... — 2, — 1, 0, 1, 2,...), in una determinata regione a^ di a, costituiscono due classi numerabili.
262- A rendere ancora più chiaro il modo di operare della 0 e delle sue potenze sull'elemento analitico a, giova assegnare por questo una immagine concreta. Immagi- niamo perciò disteso sopra il piano della variabile complessa X un altro piano e, su questo, deposto al disopra di ogni punto a? di a il valore corrispondente di a(a?).
Da codesta immagine dell'elemento a{x) si deduce l'im- magine dell'elemento 6a, tenendo fisso il piano della varia- bile a?, e facendo scorrere parallelamente a sé stosso il piano dei valori di a{x) mediante una traslazione di ampiezza 1, parallela all'asse reale e in- senso negativo. Questa trasla- zione permette in particolare di dedurre dall' insieme dei punti singolari dell'elemento a, l'insieme dei punti singolari dell'elemento 6a. Con una traslazione negativa di ampiezza 2, si avrà del pari l'immagine dì 0*a, e cosi si farà per ogni potenza intera di 6.
263. Indicheremo con 3) l'insieme di tutti gli elementi (x{x) (funzioni analitiche, generalmente poligone, meromorfe in a). Codesto insieme è evidentemente uno spazio lineare. Se due funzioni appartengono a 3), vi appartiene non solo la loro somma, ma anche il loro prodotto e il loro quoziente; più in generale, appartiene a 3) ogni funzione razionale di uno 0 più elementi di 3). Risulta dal § precedente che lo spazio ® è invariante rispetto all'operazione 6.
Notiamo, che, ove si particolarizzi convenientemente (§256) la regione a^, lo spazio ® può ridursi ad uno spazio di fun- zioni di variabile reale, od anche di funzioni di un indice variabile per soli numeri interi.
202 CAPITOLO DECIMO.
264. Esistono in S) elementi a tali che le porzioni a di funzioni analitiche che li costituiscono assumono, nei punti congruenti delle regioni a^, il medesimo valore, in guisa che sarà per essi Ga = a. Un tale elemento è pertanto pe- riodico in a di periodo 1.
Siffatti elementi hanno rispetto all'operazione 6, lo stesso ufficio che avevano le costanti numeriche rispetto alle operazioni funzionali considerate nei Gap. precedenti. Cosi, se Y è un elemento periodico ed a un elemento arbitrario in 3), si ha:
e(Ya) = Oy . 6a = y^o-
Questa osservazione ci conduce a dare a tali funzioni per tutto il corso del presente capitolo (come si fa del resto nei trattati di Calcolo delle Differenze) il nome di costanti; le rappresenteremo, come si è fatto per le costanti numeriche nei capitoli precedenti, colle lettere minuscole dell'alfabeto latino.
B, LE FORME LINEARI ALLE DIFFERENZE.
266. Nel Gap. V (§ 122) le operazioni del tipo: (2) A = «^ + «jO + «,6» +.... + O"
si sono chiamate forme lineari alle differenze. La forma si dice dell* ordine m se m è il massimo esponente cui figura la 0 Q) Nel presente Capitolo ammetteremo costan- temente che i coefficienti a^, ai»...ani della forma A siano
(1) Si osservi che una forma d* ordine zero non ò altro che un'ope- razione di moltiplicazione.
§§ 264-267. FORMB LINEARI ALLB DIFFERENZE. 203
elomenti di 3). La forma si dirà a coefficienti costanti se i coefficienti a^. a,, . . . a„ sono costanti numeriche, o più generalmente, secondo il § precedente, se essi sono elementi periodici di ® col periodo 1; fra qutiste ultime forme è da notarsi la differenza finita (cfr. § 120)
A = - 1 + e,
che si potrebbe assumere al posto di 0 come operazione fon- damentale del calcolo delle differenze.
Poiché la G è operazione univoca, tale sarà anche ogni operazione delia forma (2). Ne risulta che ognuna di esse ammette come radice lo zero.
Ogni forma lineare alle differenze, i cui coefficienti, come si è supposto, appartengano a 3), ammette codesto spazio ® come invariante.
266* Valgono per le forme lineari alle differenze le de- finizioni generali date nei Gap. II e III. La somma di due forme degli ordini in ed n rispettivamente (m > n) è una forma di ordine ìu. Ciascuno dei due prodotti, in generale distinti, che si possono formare con due forme degli ordini rispettivi r/i ed w, è una forma lineare alle differenze di ordine m + n.
Risulta di qui in particolare che le forme lineari alle dif- ferenze costituiscono un gi'uppo (§ 41).
267. Siano date due forme:
A = aj^ + or„_,e"»-~* +.... + «lO + «„ B = p„0" + ^,_ie°-» + .... -f- ^,6 + Po- Eseguendo il prodotto AB secondo le regole che risultano
dalla proprietà distributiva della G rispetto alla somma e al
prodotto, otteniamo:
204 CAPITOLO DECIMO.
(3) A B == aJx)U^ + m)e-^» +
+ («»(^)Po-i(>^ + ^y^) + «m-i(^)?n(^ + "i - l))©--^-^-» + + [^JPO)K~^{ ^ + '^0 + am-i{^)Pn-i(^ + ^>i — 1) +
+ oL^-^{x)X{oo + w - 2))6-+"-« + . . . .
Da qui segue che il coefficiente di 0® nel prodotto di due forme qualsivogliano è eguale al prodotto dei coefficienti di 6® nei due fattori e che il coefficiente della massima potenza di 6 dipende soltanto dai coefficienti delle massime potenze di 6 nei due fattori; esso non può essere nullo se tale non è identicamente o l'uno o T altro di questi. 268. Date le due forme:
B = p„(a7)e° + p„_,(a?)e"-» + .... + ft(^)0 + K^x),
degli ordini m, n rispettivamente, {)n > n) proponiamoci il problema di determinare una terza forma T, tale che A — TB sia deir ordine n — 1 al più.
Dair ultima operazione del § prec. risulta senz'altro che r deve essere dell' ordine ni — n. Posto
il problema consiste nella determinazione dei coefficienti
Im-n' fm-n- I' il' lo*
Ma si ha, per la (3):
A - rB=(a„(a?) - ■U-Ax)^J^x + >» -n))8«' +
+ (am-l(^) - rn.-n(a?}?n-l(a7 + '» — ") +
+ (*m-s(^) — ■(m-Jx)%-t(P<! + "» - «) - — •rm-n-,(-P)^n-.(» + '» " « -}) "
- Yn.-n-,(«')?„(a; -\.m-n- 2))e--» +... . . . . + (oi,{x) - y,(xMx + 1) - r„(a?)^,(^))9 + «. - ra?<,-
§§ 267-269. DIVISIONE delle fobmb. 205
Se la forma A — FB deve essere, come è prescritto, di ordine non superiore ad n — 1, devono essere identicamente
soddisfatte le m — n 4- 1 relazioni, che si ottengono po- nendo uguali a zero i coefficienti di 6", 6"*~', . . . . , 6«* in A — FB, cioè:
f «m(^) - T«-n(^)Pn(^ + ^ — W) = 0,
a„_i(a?)— rm-n(^)^n-i(^ + ^?i — n) -
— rm-n-l(i^)?n (X -^ 771 -^U -^ ì) = O, (4) { a»-«(iZ?) — rm-n(^)Pn-?(^ + m -^ Yl) —
- ra-„-i(^)^n-i (^ + m^n^l) -
— Ta-n-s(^)?n(^ + ^^^ - n — 2) = 0,
\
Rispetto alle m — n + 1 funzioni Yo» Yi» • • • • » Tm-n» co- deste 7ìi — n + 1 equazioni sono lineari non omogenee; salvo il segno, il dtftermìnante dei coefficienti è uguale a
^^{x + 771 — n)^^{x + »i - n - 1) . . . . p„(a?);
supposta la ^^{x) non identicamente nulla in nessuna delle regioni aj, esso è in a diverso da zero. Se ne conclude che si potranno determinare in modo unico le m — n + 1 fun- zioni Y soddisfacenti al problema.
269* A questo punto si presenta spontaneo un concetto analogo al concetto aritmetico di quoziente intero (o incom- pleto) di due numeri interi e al concotto algebrico di quo- ziente di due polinomi interi, ordinati secondo le potenze di una data lettera.
Diremo, cioè, quoziente di duo forme lineari alle differenze A, B, degli ordini ìtì, n (m >n) ri- spettivamente, la forma T, unica e determinata, per la quale A — TB è di ordine non superiore ad ?i — 1.
206 CAPITOLO DECIMO.
La forma A si dirà dividendo, la B dwisore\ e posto (5) A — TB = P,
la forma P si dirà resto della divisione di A per B.
Risulta dal modo in cui si sono determinati i coefficienti di r e P, che i coefficienti del quoziente e del resto si ot- tengono dai coefficienti del dividendo e del divisore mediante l'applicazione dell'operazione 6 e di operazioni aritmetiche razionali, in numero finito. In particolare i coefficienti del quoziente e del resto sono funzioni razionali intere dei coef- ficienti del dividendo.
370. Offre speciale interesse il caso in cui la forma A — rB = P ha tutti i suoi coefficienti identicamente nulli; in tal caso si ha:
A = rB.
Si dice allora che la forma A è di vis ibi I e per la forma B o che A divide (esattamente) A. E chiaro che in questo caso il quoziente T delle due forme A e B coin- cide col quoziente (a destra) di A per B definito al § 39. Stabilito cosi il concetto di divisibilità per le forme li- neari alle differenze, si possono enunciare immediatamente le seguenti proposizioni:
a) So la forma A è divisibile per la forma B e B è divisibile per F, anche A sarà divisibile per r.
6) Se due forme A^ Aj sono divisibili per B, sono tali anche la loro somma e la loro diffe- renza; infatti, so è
Al = r,B, A, = r,B,
sarìi di conseguenza:
A, + A, = (r, + r,) B, A, - A, = (r, - r,) b.
§§ 269-271. DIVISIBILITÀ. 207
c) Se le forme A^ A, soqo divisibili rispetti- vamente per B^ Bj, e danno il medesimo quo- ziente, la somma (differenza) delle prime è di- visibile per la vsorama (differenza) delle se- conde: infatti da Ai = TB,, A, = TB^ risulta immedia- tamente
Aj + A, = r (Bi + B,), A, - A, = r (B^ - B,).
271. Siano due forme Aj ed A, e l'ordine della prima non sia inferiore a quello della seconda. Dividendo Ai per A, otterremo un determinato quoziente B e un resto P^; talché sarà (§ 269):
Al = BA, + P,.
Se A, ed A^ sono divisibili per una medesima forma, per questa saranno divisibili, in virtù della proposizione a) del § precedente, la forma BAj e, in virtù della b) la forma P, = Aj — BA,. In modo analogo si vede, che, reciproca- mente, se Aj e Pi sono entrambi divisibili per una medesima forma, è divisibile per questa anche A,.
Da ciò risulta che per determinare, qualora esista, la forma di massimo ordine che divide le due forme date, basta applicare a queste un procedimento perfettamente ana- logo all'algoritmo euclideo per la determinazione del mas- simo comun divisore di due numeri interi, o a quello per la ricerca del m. e. d. fra due polinomi interi ordinati se- condo le potenze di una lettera. Cioè, dopo di avere ottenuto il resto P, della divisione di Aj per Aj, si determinerà il re^to Pj della divisione di A, per Pj, poi il resto della di- visione di Pi per P, e cosi via. Se si giunge a ottenere come resto una forma di ordine zero (operazione di moltiplicazione), vorrà dire che non esiste nessuna forma di ordine uguale o maggiore di uno, che divida entrambe le due forme date.
20B CAPITOLO DECIMO.
Queste si diranno allora prime fra loro. Se invece si giunge ad Ottenere come resto una forma Pp di ordine maggiore o uguale ad uno che divida esattamente il resto Pp., pre- cedente, codesta forma P^ dividerà tanto A, quanto A,, e non potrà esistere nessuna altra forma di ordine non infe- riore, la quale goda di siffatta proprietà. Questa forma Pp si dirà massimo comun divisore di A^ e A,.
Discende senz* altro dalle osservazioni del § 269 che i coefficienti di Pp si esprimono per mezzo dell* operazione 6 e di operazioni razionali, in numero finito, eseguite sui coef- ficienti di A, e A,.
872. Cerchiamo il quoziente (§ 269) di una forma di ordine qualunque n
per una forma del primo onlmo
E = e — V Indicando il quoziente con
R == 3n-/^"-^ + i5„-,0" « + .... + 3^6 + ^,,
avremo:
A - BE = («„ (X) ~ ?, _,{x)y + (a„_ ,(.r) ~ ?_,(a?) +
+ («i(^0 - U^-r) + I5,(^r)r(.r + 1 ))e + o^,[x)+^S^y({x),
La forma A — BE dovendo essere di ordine zero, è ne- cessario e sufficiente che siano soddisfatte le relazioni (cfr. lo (4) del § 268):
§§ 271-272. REGOLA DI RUFFINI GENERALIZZATA. 209
«yJ^)— Pn-l(^)
Da queste deduciamo immediatamente le seguenti espres- sioni delle funzioni ]3:
Pn-3(^) = «n .«(^) + ^n- ,(^)r (^ + n - 2) +
(6) < + ffn(^)T(^ + n — 1 )Y(a7 + n — 2)
Po(^)=«i(a?)+3t,(^0r{^+i)+-
\ ...+a„(a7)Y(a?+l)t..T(^+w-l)
In queste formolo si osserva: a) che il coefficiente della massima potenza di 6 è il medesimo nel dividendo A e nel quo- ziente B; b) che il coefficiente di 6* in B si ottiene molti- plicando per y {x + i+l) il coefficiente di 0*^-' nella mede- sima forma e aggiungendovi il coefficiente di 6*+-* in A.
È manifesta l'analogia che corre fra codesta regola e la nota regola di Ruffini che si dà nelT algebra per la di- visione di un polinomio razionale intero in x per un bino- mio X — a. (*)
(1) La regola da noi ennucìata si potrebbe chiamare « Regola del Ruffini generalizzata ». Per ogni funsione particolare v(x) che si assume come coefficiente nella forma del primo ordine E, si avrA una regola speciale. Così ad esempio, se la y(x) si fa costante, si avrA -tosto che le (6) assumono precisamente la forma che si presenta neir ordinaria regola di Ruffini. sulla quale senz* altro si ricade se, sopposte costanti
anche le oM^ si pone z^ al posto della funzione arbitraria tanto in E
guanto in A. In modo analogo, particolarizzando convenientemente la 7, e precisamente prendendo per essa la funzione gamma di Gauss, si
14
210 CAPITOLO DECIMO*
Il resto della divisione di A per E è dato da:
P=^o(^) + Po(^)r(^).
ossia, per respressionedi.?^(a:*).otttìauta dinanzi ùelle (6), da P = «o(-^) + «i(^)t(^) + <^f(oo)i{x)y(x + 1) +
• .. + (Xn{^yàX)r(X + 1). . .• Y(a7+ « — 1).
Condizione necessaria e sufficiente affinchè la A sia divisi- bile per la E, sarà l'annullarsi identico delT espressione P.
V. RAblCI DELLe FORME. — EQUAZIONI ALLE DIFFERENZE.
273. Abbiasi la forma di ordine n
<l> ==a„6» +«„-! 6»-'+. ... + «,0 + t^o*
i cui coefficienti appartengono a ®. Ci proponiamo di dimo- strare che in 3) esiste una radice di $, vale a dire una fun- zione co{(r), per la quale è soddisfatta, per ogni valore x di a, la relazione
(7) a„(a?)e»a)(^) + an-i(^)6""M^) + ....
+ ai(x)^(i}(x) + aj[x)t£{x) = 0.
Più precisamente, faremo vedere che scelte ad arbi- trio n porzioni di funzioni analitiche tù^^\x)^ J'^\x),,,.^ tu (a?), meromorfe in a^» a^ ..., an-i rispettivamente, ri-^
dedoce dalla nostra regola quella assegnata dal Capelli {L'Analisi algebrica e V interpretazione fattoriale delle potenze^ Giornale di Mate- matiche, t, XXXI) per la determinazione del quoziente della divi- Bione di un polinomio ordinato per i fattoriali di z, pel binomio « — «^ quando anche il quoziente si roglia ordinato secondo i fattoriali.
§§ 272-274. EQUAZIONI lineari alle differenze. 211
mangono determinate infinito altre porzioni di funzioni ana- litiche (ù^^\x), (p = . . . , — 2, — 1, w, n + 1, . . .), meromorfe in Ep (p = . .. , — 2, — l,n, n + l, ... ) rispettivamente, le
quali insieme con le o) , m ,..., to prefissate, costitui- scono un elemento w{iv) appartenente a 2) e soddisfacente alla (3).
274. Osserviamo anzitutto che insieme con la relazione
(7) debbono sussistere tutte le altre che se ne deducono, ap* plicando ad ambo i membri di essa una potenza qualsivoglia (positiva o negativa) di 0, vale a dire le infinite reirzioni
(8) or„(^-+-p)e"-»-Pa)+an-i(x+i9)6°-»P-'a>4-....
+ (Xi(x + p)ep-*-'co + (/^(x + p)^^(o = 0 (p=...., -2, -1, 1, 2 ).
Ora, supposto che la radice eo di * da noi cercata esista^ sappiamo (§ 260) che le porzioni di funzioni analitiche,
meromorfe in a^, w^ (a?), w (a?+ l),.../a^""' (a? + n — 1) rap- presentano in codesta regione gli elementi 6j, Oeo,. . . , 0°~*(o rispettivamente. Ma allora la relazione (7), che fatta ecce- zione pei punti (in numero finito entro Eq) nei quali si an- nulla a„(x), si può scrivere:
«if'^L oco — ^o^-^^ co
an(^) «n(^) •
ci definisce in a^ l'elemento 6"co per mezzo degli elementi, già conosciuti in codesta regione, to, 6&>, .... 6»~'a). E poi- ché le porzioni di funzioni analitiche t»^^\x), w^*\a? + l),...,
w"" (x+n—1) e gli elementi a^ a,,..., a„ sono meromorfi in a^f la porzione di funzione analitica che così vi si ottiene per 6"a>, è essa pure meromorfa in a^.
213 CAPITOLO DECIMO.
Analogamente, per mezzo della relazione (8), in cui si faccia p = 1, relazione che si può scrivere:
deduciamo dalle porzioni di funzioni analitiche che rappre- s'entano in Ep gli elementi Oco, 6'w,..., 6"w, quella che rap- presenta nella stessa regione V elemento 0"-^'co; ed anche co- desta porzione di funzione analitica è meromorfa in a^.
Cosi, per via ricorrente, dalle relazioni (8) relative a tutti i possibili valori interi, positivi e negativi, delTindice p, de- durremo lo porzioni di funzioni analìtiche, che rappresen- tano entro ao gli elementi ©"-^'od, 6"-^^ci>, ... e 6~'w, 0"'a),... ]^Ia, come abbiamo osservato al § 260, quando sono determi- nali nella regione a^ gli elementi 6'co per tutti i valori interi, positivi e negativi e nullo, dell'esponente r, resta sen- z'altro definito l'elemento w in tutto il campo a. L'ele- mento co cosi definito appartiene a 3), poiché le porzioni di funzioni analitiche che costituiscono l'elemento co sono me- romorfe nelle rispettive regioni an in cui sono definite.
Resta cosi dimostrata l'esistenza di una radice di «^, appartenente a 55) e tale che nelle regioni a^, ai-.., an-i è rappresentata rispettivamente dalle porzioni di funzioni analitiche, prefissate
arbitrariamente, to^^\ co^ ,..., J'^~^^'
Facciamo notare anche come il procedimento da noi se- guito por definire l'elemento co permetta di determinare age- volmente l'insieme numerabile dei punti singolari di co nel campo a, noti che siano i punti singolari di a^, «n-i»"»! ^o« gli zeri di a„ !n a, e i poli delle poizioni di funzioni analitiche
(o) (!) (ti— I) Il • • • XI' i
CO , co ...,co nelle regioni ao.ai....,an_i rispettivamente*
§§ 274-276. EQUAZIONI- UNBARI ALLE DIFFERENZE. 213
275. L* equazione che si ottiene ponendo uguale a zero una fornna lineare alle differenze ^, d'ordine yi, dicesi equa- zione lineare alle differenze omogenea d'ordine n, e le radici di $ diconsi pure soluzioni o integrali del- l'equazione.
Nel § preced. abbiamo determinato una di codeste radici della forma $, appartenente allo spazio 3): ora rarbitrarieth
delle porzioni di funzioni analitiche, ivi considerate, co^ , co ,..., ft)°~" , fa già presumere che le radici di *, appar- tenenti a 2). costituiscano tutto uno spazio: la natura di que-» sto sarà chiarita fra poco. Per ora ci limitiamo a far no-» tare che tutto le considerazioni del § prec. si possono ripe- tere senza mutamento, qualora siano scelte ad arbitrio, an- ziché le porzioni di funzioni w , w^ ,... tJ^~ \ altre n por- zioni di funzioni analitiche meromoiTe in n qualsivogliano regioni consecutive di a.
Se si prendessero lo w^ , (i = o, 1, ...n — 1) ciascuna identicamente nulla nella rispettiva regione a|, sarebbero identicamente nulle tutte le to , (/? = .... — 2, — l,n,n + 1,...), come risulta dagli sviluppi del § precedente-. Ne viene subito la conseguenza che la radice di f>, che in n regioni consecutive di a ò definita da n porzioni date di funzioni analitiche, è univocamente determi- nata in 2).
276. Riprendiamo la forma $, e sia JB(a?) un elemento qualsivoglia di ®; la relazione:
(9) *(Y) = ft
dove Y è una funzione da determinarsi, dicesi equazione lineare alle differenze d'ordine n, non omoge- nea. Se nelle regioni ao» ai...., an-i si fissano n porzioni arbitrarie di funzioni analitiche meromorfe y rr .-mT » è possibile ed in un sol modo, di determinare un
214 CAPITOLO DECIMO.
elemento y ài 3), che coincida nella suddetta re- gione ai colla Y» 0=0, 1,2,.... n — 1), e che sod- disfaccia alTequazione (9). Seguendo parola per parola il procedimento del § 274, si giunge ad ottenere questo ele- mento y, e Tosservazione del § 275 ne dimostra T unicità.
Applicando ad arabo i membri della (9) T operazione ^~' inversa di $, otteniamo:
Y = ^-\^\
onde concludiamo che qualunque sia T elemento J3 di 2>, esiste in 3) una determinazione per ^~\^). Questa determi- nazione è unica se si pongono Io condizioni che in aj, la y
coincida con una y prefissata per t = o, 1,. . . n — 1 ; non l»onendo una tale condizione *~* è a determinazione mul- tipla, come segue immediatamente dal fatto che $ ammette radici. Ogni determinazione di ^~* si ottiene infatti, come sappiamo (§52), aggiungendo ad una sua determinazione speciale una radice qualsivoglia di $.
377. Applichiamo le cose dette nei due ultimi §§ al caso delle forme del primo ordine. Sia la forma del primo ordine
«,(07)0 — oi^(x),
i cui coefficienti appartengono a ®; posto — 7— f— =«(ic)r
potremo, per quanto riguarda la ricerca delle radici, sosti- tuire alla forma data la forma
E = e — a(x).
I poli di a{x) saranno dati, in generale, dai poli di ot^{x) e dagli zeri di «1(0?).
Scelta arbitrariamente una porzione w°(ir) di funzione analitica meromorfa in a^. ci proponiamo di determinare in a,, {p =... — 2, — 1, 1,2,...) le infinite altre porzioni di fun-
\-
§S 216-217, EQUAZIONL LISBARI ALLE DIFFERENZE 215
zionl analitiche cj ^ che con la to costituiscono una radice di £. Dovranno sussistere identicamente le relazioni
(10) e»^-'a> — a(a? + n)e»a> = o
Per n = 0, abbiamo nei punti 07 di a^:
eco =r a{x)ro^\x) e quindi nei punti x dì a^:
(J \x) = a{x — lyj)^\x — 1). Cosi, facendo n =: 1 nella (IO), si ha in So
6*(i) = a{x + l)6a> = oi{x + ì)a{xyj>^\x) e quiadì, se 07 è uà punto di a,:
w'*'(a?) = a{x — ì)«(x - 2)J'\x - 2).
Dato, in generale un valore p positivo all' indice zj della (10), otteniamo analogamente per i punti x di api
■ «
(11) tù^ (x) = a(x — ì)x{x — 2)...&(op — p)(>)^\x — p). Dato invece ad n un valore negativo, sia — p, otteniamo:
9"'^' w - c{x — «)e"''w = o
m
onde, per i punti di a.p!
02) .'--(-) = ......^r.rtS
a(ir)a(iZ?+ l;...a(a' + p— 1) Resta cosi determinata una radice co di E in tutto il
»
campo a. È poi facile vedere che essa è raeromorfa in a ed è quindi un eU^mento di ®; infatti, poiché l'elemento a
appartiene a 2> e la co ^\x) è meromorfa in ao, anche le (li)
216 CAPITOLO DECIMO.
e (12) danno per to^\ w"^^ porzioni di funzioni analitiche meromorfe nello rispettive regioni ap, a,-p in cui sono de« finite.
278. Considerando ancora la forma E = 6 — a del § prec, sia da risokeré T equazione —
É =• ^ ■ ' ■ ossia
^? — «9 = P» • .
dove ^ è un elernento dato in ®. .
Sia 9 la soluzione rappresentata in a^ da una porzione
arbitraria di funzione analitica .9 , meromorfa in quella re- gione. Seguendo il procedimento del § precedente, troviamo che 9 è determinata in ap (p = 1, 2, . . .) da.
..,o(x^p+l)^(X'—p)-^oi(x-l)tx{x — 2).... ...ft(a7— p-H2)^(a? - p+ 1)+.. .+A{x - J )^(a?— 2)+^(.r— 1)
e in a_p (p = 1,2,...) da
^ ^ ''^ o(x)i{x+l)...aix+p—l) ^{x+p) ^{oc+p-ì)
a(x)a{x+ì)..<x{^x+p—ì) OL{x)(x{x-[-l)...ot{x+p—'^)
gf 374-1) ^(x)
a{x)a(x+i) a{x)
I
Poiché per ipotesi gli elementi a e ^ sono meromorfi in a e la porzione di funzione analitica (p^^> è meromorfa in b,^^ ne risulta senz'altro che ciascuna delle porzioni di funzioni'
r
analitiche dianzi indicate è meromorfa nella rispettiva re* gione am- No concludiamo che la soluzione 9 della proposta.
f7-278*
FORME DEL PRIMO ORDINE.
217
eqi all(
cias< a sèi seni
C0(
^one lineare alle differenze non omogenea appartiene )azio %
[amo che la porzione di funzione analitica arbitraria
tre soltanto nel primo termine delia espressione di
delle altre 9'"») e che questo primo termine, preso
^presenta in a^ 1^ radico di E che m ao è rapprc-^
la 9/0) (§ prec). Ne risulta che se indichiamo con ca
^radice di E, r elemento j
e.
9 z= ^ — co
- r r ■ ■ -
m
identicamente nullo; nelle regioni a, (p = 1;2. isso è rappresentato da
• '; i
.)
« T
|=a(a?— D(«(a7— 2)...«t(a?-j9+l)^(a7— p)+«(a?— l)a(T— 2)... [a{v-p+2)?ix-p+ì)-i:...+a{x-l)^ix-2)+%x-ì)
Ile regioni a^*, (i? ===.1, 2».,.) d^ . . . .
9i-P^(a?) = r-
'- ^{x+p)
a{x)oi{x+\)..ya{x+p — ^2)
p(x)
a{x)a{x+l)...o{x+p-'2) Siccome poi si ha: '
a(x)oi[x+l) ol{x)
E(9)=:E(^)-E(co) = p,
viene che l'elemento 9 è una particolare soluzione del- iquazione lineare proposta^ ' *
l'elemento 9 e l'elemento 9 rappresentano ciascuno una ilerminazione di E~*(P). Essi differiscono per una radice li E (§§ 52, 276) e dall' uno o dall'altro di essi possiamo attenere tutte le determinazioni di E~\^) mediante Tag- fiunta successiva di tutte le radici di E.
/
218
CAPITOLO DECIMO.
D. SISTEMI FONDAMENTALI DI RADICI.
279. Dimostrata resistenza di radici delle forme lineari alle differenze $ d* ordine n, ci proponiamo di determinarno r intero spazio: ma a questo scopo è necessario che premet- tiamo il seguente teorema, dovuto al Casorati.
Condizione necessaria e sufficiente affinchè fra r elementi 9|, <Pt,».., 9, di ® passi una re- lazione lineare, omogenea, identica, a coeffi- centi costanti ('), è che si annulli identicamente in a il determinante:
9i 69,
9t 69,
9r
e'^*9i b^~^<Pt e'-*9.
Codesto determinante verrà detto determinante di Casorati delle r funzioni 91, 9t,...,9„ e sarà da noi rappresentato con
C(9li ?«»•••» 9r)- .
a) La condizione è necessaria. Se infatti, indicando r co- stanti non tutte nulle con r^, e,,..., ^„ abbiamo identicamente
^i9i + ^«T2 +....+ Cr9r = 0,
aggiungendo a questa relazione quelle che se ne dedu- cono applicandovi ad ambo i membri le operazioni 6, 6*,..., t'~', otterremo r equazioni lineari omogenee fra le Op Cj..., o,, le quali non possono coesistere se non è
C(9i» 9i. • • • 9r) = 0.
(1) Sul 8ÌgQÌficato di costante vale sempre Tavvertensa del § 264.
§ 279,
DETBRMINAKTB DEL GASORATI.
219
b) La condizione ò sufBcienio. Ciò è vero dapprima per due funzioni 9), 9,: infatti se è
• |
C(?„ 9.) = |
9t 9t «9i O9, |
ne risulta |
||
• |
• «9, |
_ Tt |
= 0,
69,
?l
ossia» in tutto a» si ha
9i ?i Dunque — è una costante, che possiamo scrivere sotto la forma — c^ : e,: ne risulta
I
Dimost;*iamo ora che, supposto vero il teorema per r — r 1 funzioni, esso è pur vero per r. Se, infatti, nel determinante ^(9i> 9ti*-M 9r) sottragghiamo dagli elementi della prima, seconda,..., (r — 2)"* linea, moltiplicati rispettivamente per
09m ^'9i e'"'9n
gli elementi della seconda, terza,..., r"» linea, moltiplicati rispettivamente per
9p ^9p • • - . ^'~*9p
il determinante C(^i, 9,,..., 9,) si trasforma in
1
ayif)*9„...6'-«9,
Tt 09i— 1Pi^9« 9r ^9i— 'iPl^Tr
a'-*9j.^'~*9i— ^'"'9i-0'"'9t ^'~*9r^'"^?i -
220 CAPITOLO DECIMO.
V
Se allora supponiamo che in a sia identicamente nullo
C(?t« 9t*«**i 9r)i ^ ^^^ 9ì ^^^ ^i^ dappertutto infinito^ dovrà essere identicamente nullo il determinante or ora scritto. Ma esso è il determinante di Casorati relativo alle r — 1 funzioni
9M1 — 9fi9i* 93^9t — 9i^?3» • • • » Tr^?! — 9l^?r»
onde si conclude che tra codesto funzioni passa una rela* zione lineare omogenea, identica, a coefficienti costanti
c'i(9t^9i — 9Mi) + ^\i^z^Vi — 9,^9J + . . . .
la quale si può anche scrivere
?i c\lt + ^'«98 + .•.. + c',_,9r ^9i *^'fi^^ + c\^9z +. . • .4- C',_i6qp,
= 0;
iha questo è il determinante di Casorati relativo a 91 e
• ■
^*'i9« + ^'iTs +»•••• +^'r—iTr- Quindi fra questi due eie* menti, e perciò anche fra gli elementi 91, 9i«..;9pi passerài una relazione lineare omogenea identica a coefficienti co- stanti.
280. Riprendiamo la forma di ordine n
Por la definizione stessa, il coefficiente a^ non è identi* oamente nullo in tutto il campo a. Supporremo ancora che non sia identicamente nullo in a neppure il coefficiente a^. Notiamo subito che. con questa ipotesi non veniamo,* in so- stanza, ad introdurre nessuna restrizione: se infatti «^ fosse identicamente nullo in .tutto il campo a, la formai si po- trebbe esprimere come prodotto ^,6 della 0 per una forma *p di ordine n — 1; e, perchè la 6 non ammette radici
§§ 279-280. DETERMINANTE DEL . C ASORATI. 221
(§ 118) air infuori dello zero, del quale non si tiene conto, condizione necessaria e sufficiente affinchè un elemento ta sia radice di <I>|6 si è che Oro sia radice di ^^\ talché se a^ è identicamen-te nullo* in -a» la ricerca dello spazio dello ra- dici della forma ^ di ordine n si riconduce immediatamente alla ricerca dello spazio delle radici della forma ^^ di or- dine n — 1.
- . • ■
Premesso questo, ricordiamo (§ 274) che fissate in a<>. &!»••• 9 &n~i nspettivamente, n porzioni di funzioni analiti- che mórómorfe w , w'*\,.., to^^ \ resta con ciò deterrai- nato un elemento co di 2), radice di O. Si scelgano allora n si-
s,temi di n porzioni di funzitmi analitiche (Oj , w/ l. .., co/"~*^, {i = 0, 1, 2, . . . , n — 1). meromorfe in a<>, a»,. . • . a»-! rispet- tivamente, e tali che il determinante
(0)
e =
(o) {{) (a'i\
Wo(a?) ro^(x + l) w^ (a? + n — 1)
(oì. (ì) (n-1)
(ù^{x) a)i(J7 + l) a>, (rr + n— 1)
fo) (l) (o-lì
Wn-l (^) «»>n-l (^ + 1) ^n-li^ + 71 — 1)
w
non sia identicamente nullo per tutti i punti x di a^. Re- steranno corrispondentemente determinati, col procedimento del § 274, n «elementi di 2) che saranno radici di 4>: sieno
essi W^, Wp . . . , &>„_,.
Vogliamo dimostrare che il determinante di Casorati C(Wo» coi, ..., oi>„_,) relativo alle funzioni eo^, w,, . . . , cOn^j fìon è in a identicamente nullo. Intanto è di per sé stesso chiaro che C(a)<,, w,, ..., o>„_,) nei punti x di a^.si riduce
al determinante Ci che supponemmo già non identicamente nullo. Nei punti x di aj il determinante C(fi>^, Wj, . .• . , Wn_i) é dato da
222
CAPITOLO DECIMO.
(1) /8) (n-n (n)
(1) (1> (iì n-l> ni
C = w, (a?) w, (a?+l) Wj (rr-hn— 2) <o, (j7H-n— 1)
Mi (3i 'b-D 'a)
Ma poiché le w^, co, &>„ sono radici di ^, ne viene che
dalle relazioni, valide in ogni punto x dì a^»
a„(j?)a)/"'(ir+n)+a„_i(j?)'a)/""*'(j?+n~l)-f- ....
M>
... <«V^N -
. . . + ai(a?)a>i (a;+l)+a(^)-i), (ir)=o,
possiamo dediirre l'espressione dogli elementi dell* ultima colonna. Se ne deduce per ogni punto x di ai
WV + n-l) = -^^^^ a,/-*ya;+n-2) -
^n-?f^"-l^ ^n-2
rr- Ci),
(07+71 —3) — . ...
. . _ ?i(^-|) ,;^(^)^ ?o^; ,/«)(a;-l).
Di qui risulta, aggiungendo in C agli elementi dell* ul- tima colonna gli elementi della prima, seconda, . . . , (n— 2)"* moltiplicati rispettivamente per
che nei punti x di a, il determinante C'*^ è uguale a
fi) (2) fn-lì (o)
^o(^) w^(^'+l) «Do (a7-f-n -2) co^ (a?— 1)
(i) (2) (n-l> (0)
Ci), (ce?) co, (x+ì), 0), (a:'+n— 2) cui (a?— 1)
(Ij (2) (n-1^ (0)
Wn-i(^) n-i(^+l).-w„_i(a;-f;2-2) ci)„-,(a7— 1)
§§ 280-281. SISTEMI FONDAMENTALI. 223
e quindi noi punti x dì a^. al determinanlò
(-1)
^n«o(^)
«n(^)
(o) fi) (n-2) fa-i)
(0) (1) (n-2) (n-1)
Wj (j^*) a)i(ii?+l) Wj (x+n — 2) oDj (a7+7i— 1)
fo) fi) fn-2) (n-0
a>„_i(a?)w„_i(a7+l)....w„_i(a7+n— 2)w„_j(i»+n-l)
il quale non differisce da C se non per un fattore che non è identicamente nullo. Se ne conclude che C(Wo, Wj, . . . , Wn-i) non è identicamente nullo nemmeno in a|. Con lo stesso procedimento, cioè tenendo conto dell' equazione cui soddi- sfanno in a le 0)^. w,,..., cOn_i, si dimostra che il deter- minante C (o) , Wi, ..., a)n_,) non è identicamente nullo né nelle aree a,, aj..., né nelle a-„ a-„...
Da ciò segue che gli elementi co^, co,,..., fi)„_j dissono linearmente indipendenti (§ preced ) talché: Ogni forma lineare alle differenze d'ordine n ammette uno spazio lineare di radici ad n dimensioni Sn[<t>o»
281. La forma <& non ammette, in 3), radici fuori dello S^ ora determinato. Indichiamo, infatti, genericamente con co una radice di O diversa dalle co,; dovrà sussistere in tutto il campo a, insieme con le n relazioni:
(13) an(a7)6»coj+of„.i(a7)6»-*cOi+. . . .+ai(a7)0cOi+a^(a?)coi = o
(1 = 0, 1,..., 71 — 1),
anche la relazione
(14) an(^)6'*'j)+ffn_,(iP) j""'co+....+a,(a7)eco+a^,(ir)co = o.
Ora le funzioni a„, ao_i, ..., oti, «^ non essendo tutte identicamente nulle, codeste ?2 + 1 relazioni lineari omoge-
224 CAPITOLO DECIMO.
Dee fra le ?2 -f- 1 funzioni a„, a„_j..., a^ non possono coe- sistere senza che il determinante dei coefficienti sia nullo in ogni punto di a. Ma 1* annullarsi identico in a del deter- minante
C(C0, 0)^, 0),,..., w„_,)
dà la condizione necessaria e sufficiente, affinchè 1* elemento co soddisfi ad una relazione lineare omogenea a coefficienti costanti (*) insieme con le o>^, Wi.,.., co„_i, cioè affinchè ap- partenga allo spazio Sn [w^, Wi,...| co„_J. , Si conclude che lo spazio delle radici della forma lineare alle differenze O, d'ordine n, è uno spazio lineare ad n dimensioni.
Ogni sistema fondamentale di elementi di codesto S„ di radici si dirà iu seguito sistema fondamentale di radici di <l>.
282. Supponiamo che n + 1 elementi di ®, w^, cop...» py^-v linearmente indipendenti, siano radici di una forma * d'ordine n. Dovendo essere soddisfatte le n + 1 relazioni (13), (14), lineari omogenee fra le ?i + 1 funzioni a^—i,..., «1» «01 6 poiché il determinante dei coefficienti è diverso da zero, si conclude che deve essere :
«n = *n— i = . . . . =«1 = a^^ = Oa
Dunque, se una forma O di ordine non supe- r i o re a d n a m raetten-+-l radici linearmontein- dipendenti, i coefficienti della forma devono essere tutti identicamente nulli.
283. Si può facilmente scrivere una forma lineare alle differenze di ordine 7?, i cui coefficienti appartengano a 2) o
(*) Uammentìamo ancora una volta che in tutto ciò, il vocabolo « eostante » va icteso nel senso stabilito al § 264.
§§ 281-284.
BISTBlfl FONDAMENTALI.
225
che ammetta come spazio di radici un dato S^ [coj, cu,, . * .>co J di elementi appartenenti a 2). Si consideri infatti, indicando con 9 la funzione arbitraria, il determinante
C(lp, Wj, Wj, . . . f Wn_j) =
6^9 gn-l ^ Qy ^jj
0°&), 6"""'a), Od), Wj
e°W„ G"""*a)„ dcOn «On
é si ponga T{f) = C(y, o),, . . . . , ta^).
Sviluppando il determinante con le regole solite, e ordi- nandolo secondo le potenze dell'operazione 6 applicata alla funzione arbitraria 9, abbiamo evidentemente che F è una forma lineare alle differenze d*ordine n, i cui coefficienti sono esprimibili per mezzo di operazioni razionali e di potenze di 6 su elementi di 2) e quindi sono essi stessi elementi di 3). D'altra parte il determinante C(9, w,» w,, . . . , wj, esprime col suo annullarsi la condizione necessaria e sufficiente affinchè la funzione 9 appartenga allo Sn[a)|, co,,...., coj; in altre parole esso si annulla per tutte e sole le funzioni apparte- nenti allo S^ prefissato. La r(Y) è pertanto una forma li- neare d'ordine n ì cui coefficienti sono elementi di 2) e che ammette come spazio delle radici lo spazio §„ prefissato.
E chiaro che ammette il medesimo spazio di radici an- che ogni forma ij^(x)Tj dove jx indica una funzione arbitrar/a.
284. Condizione necessaria e sufficiente af- finchè una forma A di ordinemsia divisibile per una forma B d'ordine n {/n > n) si è che lo spazio delle radici di A contenga lo spazio delle radici di B.
Infatti, in primo luogo, se A è divisibile per B, esisterà {§ 270) una certa forma T di ordine m — n per la quale si avrà
A = TB.
16
226. CAPITOLO DECIMO,
Indicando con 9i» 9ti--*9 7b ^"^^ sistema fondamentale di radici di B, avremo
A(9,) = rB(9,), (t = l, 2,...,n) ossia :
A(?,) = no) = 0.
Danque A ammette le radici (pi, 9,,..., 9^ e quindi tutto lo spazio delle radici di B.
Reciprocamente, supponiamo che A ammetta come radici le n radici di B linearmente indipendenti 91, 9t,..., 9n. Di- videndo la A per la B (§ 269) si avrà un quoziente F e un restò P d'ordine n — 1 al più, per cui sarà:
A == FB + P.
Siccome 91,92,..., 9n sono radici di A e B ed è r(o) = 0 avremo :
P(9,) = 0 {i = 1, 2,....n);
da ciò si conclude subito (§ 282) che P è identicamente nulla e quindi che A è divisibile per B.
Supponendo ora A e B dello stesso ordine, si deduce dal teorema precedente che se A ammette le radici di B, sarà A = FB, dove F è una forma d' ordine zero, ossia un' ope- razione di moltiplicazione ; cioè: due forme di ordine n, le quali ammettano il medesimo S^di radici, non possono differire se non per una moltiplica- zione a sinistra.
Risulta con ciò dimostrata la reciproca del teorema enun- ciato alla fine del § 283, cioè che tutte le forme d'ordine n che ammettono come spazio di radici rSnC^i» w^,..., to^] delle radici di F sono del tipo fiF.
286. Sviluppando la F = C(9, Wj, w,,..., coj, si ricono- sce tosto che in essa il coefficiente di 0°co è, all' infuori del fattore (— 1)°, il determinante dì Casorati C(a)j, w,,..., w^)
§§ 284-285.
SISTEMI FOVBAMENTALT.
227
relativo ad Wj, coj,..., co„ o che il coefficiente di 6*&) è, al- l'infuori del fattore ( — 1)*, il determinante
COi
OcO|
. co, flw.
e«-^a)i e»->ù>, e»-'co,
e°a>, e"a>j
e°w.
analogo a C(a>„ Wj,..., wj e che noi indicheremo con C(i)(wi, Wgi..., wj. Da ciò segue che la forma d'ordine n, evidentemente unica e determinata, che ammette come spa- zio di radici un dato S„[o)j, cogì..., coj ed in cui la massima potenza di 6 ha come coefficiente una data funzione a(x)^ si ottiene prendendo il moltiplicatore (x(a7) tale che sia:
In particolare, la forma di ordine n che ammette Io spa- zio di radici Sn[cO|, co,,..., coj ed ha il primo coefficiente eguale ad 1 è data da
C(C0i, COj,..., coj '
Cosi, per es., la forma del primo ordine che ammette la radice cu(a7) ed ha per coefficiente di 0 l'unità è data da
o}(x + 1)
E = 6 —
Se
ci>(a7)
(P = a„e» + an-.i8""'+ .,.+ afi + a,
è una forma che ammetto lo spazio di radici S^ [wp Wj, ..., wj abbiamo:
C(C0i, Ci)j,..., coj '
a.
328 CAPITOLO DECIMO.
e quindi per r =: o
«n C(Wp co,,..., toj *
ossia (§ 118):
(15) / \Y^0^^ QC(0Jp COy,.... (Op)
jF. scomposizione delle p'orme in b^attori.
286. La forma A di ordine m sia divisibile per la forma B di ordine n {m > n) : avremo
A = TB,
dove r sarà una forma d'ordine m — n. Se 9i cp,,..., 9„ sono 71 radici linearmente indipendenti di B, esse sono tali anche per A (§ 54). Ma poiché A è dì ordine m > n, essa ammetterà altre m — n radici linearmente indipendenti fra loro e da 9i, 92,..., cf^.
Ora è chiaro che sarà radice di TB, ossia di A, ogni ele- mento 9 tale che 8(9) sia radice di r. Indicando m — 71 radici linearmente indipendenti di r, con 4'n 4'2>--m ^m-n» siamo con- dotti a corcare m — n elementi 9^^^, 9n-+-2»---» 9m» tali, che sia
^(?ii+i) = +1' (f = 1, 2,..., 771 — n);
in altre parole siamo condotti a determinare una soluzione per ciascuna delle m — n equazioni lineari non omogeneo alle differenze,
(16) B(9) = ^,, (/= 1, 2,.... m - n).
Per mostrare come si determini in questo modo V intero spazio delle radici di A, basterà far vedere che le funzioni 9^,
§§ 285-287. SCOMPOSIZIONE in fattori. 22d'
9«»-* • 1 9n» ?n+i»'--» 9m ^000 linearmente indipendenti. Poiché tali sono le prime n, basterà far vedere:
a) che lo spazio definito dalle (p„-f-i,..., 9„ è ad m — n dimensioni ;
b) che esso non ha alcun elemento comune con lo spa- zio dello radici di B definito da 9i, cp„..., 9^.
Se infatti esistesse una combinazione lineare delle fun-
2'^°* 9n+l» 9n+2»--M 9m
^l9n+l + «t^n+a + • • • +«m-n?m»
la quale fosse identicamente nulla o radice di B, avremmo:
^(^l9n+l + ««9n4.2 +•••+ ««-n9m) = 0,
ossia:
e ancora
il che contraddice all'ipotesi che le 4*1 ♦+«♦•••» ^^m-n siano li- nearmente indipendenti.
Concludiamo adunque che se una forma A è decora- posta noi prodotto PB di una forma B d'ordine n per una forma F d'ordine m — n, la determina- zione dello spazio delle radici di A è ricondotta alla determinazione degli spazi delle radici di B e di r e alla determinazione di una soluziono per ciascuna delle m — n equazioni lineari alle differenze (16) non omogenee, dell'ordine n.
287. Consideriamo una forma <I> dell'ordine n e sia yij una sua radice. Se indichiamo con £, la forma lineare del primo ordine che ammette per radice iQi ed ha il primo coef- ficiente uguale all'unità, se cioè poniamo:
T? —fi 'ni(a? + 1)
ili U 7— V ,
230 CAPITOLO DECIMO.
la forma <I> sarè divisibile per Ej (§ 281), onde esisterà una forma *j dell'ordine n — 1, tale che
In modo analogo, indichiamo con m, una radice di Ot ; la ^1 sarà divisibile per la forma del primo ordine E,, che am* mette la radice iq^ e ha il primo coefficiente uguale all'unità. Avremo, dunque, indicando con <P^ una determinata forma lineare alle differenze d' ordine n — 2,
e quindi:
* = <I>, Ej E,.
Cosi possiamo continuare e da ultimo, se a^ è il coeffi- ciente di 6° nella forma O, otterremo la seguente espres- sione:
0 = «„E„ E,_,...E, E,,
dove E„ Ej, ..., E^_„ E„ sono n forme lineari alle diflFe- renze del primo online, aventi tutte come coefficiente di 6 la unità.
888. Da ogni sistema fondamentale di radici:
di una forma ^ di ordine n, si può senza difficoltà dedurre una decomposizione in fattori del primo ordine della forma data. In primo luogo $ è divisibile per
onde risulta:
* = *, Ei.
Dovendo anche essere:
*K) = *, E,(w,) = 0,
§§ 287-289. SCOMPOSIZIONE IN FATTORI. 231
risulta che E(a}j) =i tq^ è radice di *i. Allora ^i è divisibi-
bile per
E g^jn^f^ + il * iQ,(a?)
dove la E^ è costruita mediante eoj» co^; sarà allora:
^ = *, E, E,, e cosi via.
289. Supponiamo, inversamente, nota una decomposi- zione in fattori del primo ordine di una forma $ di ordine n
* = E„E„^,...E,E^.
La determinazione di tutte le soluzioni non solo del- l'equazione omogenea *(a)) = o, ma anche dell'equazione non omogenea
^(w) = 9(a?),
dove 9(a?) rappresenta una funzione data, si può ricondurre alla determinazione delle soluzioni di sole equazioni del primo ordine. Suppongasi la cosa dimostrata per un prodotto di r — 1 fattori e, posto
r = E,_i E,_j. ..Ep
si consideri:
A = E, r.
Si risolva la
E,(4;) = 9(07),
la quale ci darà una soluzione ^(x) con una costante arbi- traria: poi si ponga
questa dà una soluzione x(^) con r costanti arbitrarie (r — 1 provenienti dalla soluzione dell'equazione ed una contenuta in ^(x)), ottenibile mediante la risoluzione di sole equazioni del primo ordine»
232 CAPITOLO DECIMO.
290* Nel § 288' abbiamo assegnato un metodo ricorrente per determinare n forme di primo ordine, fattori di una forma di ordine n, della quale si conosca un sistema fon- damentale di radici:
Ma il metodo seguente permette di esprimere diretta- mente i fattori del primo ordine di ^ per mezzo delle ra- dici note. Si ponga perciò:
* = KK-i • . . E,E,, <b^ = E^E,_, . . . E,E^ E^ = e — X^ (a?) (/i = 1, 2, . . . , n - 1).
dove si possono immaginare distribuiti gli indici fra le od in modo che la forma ^j^ d'ordine h ammetta le radici cop a>,* . . . , cl»^. La $,j ha il coefficiente di C** eguale ad uno, men- tre il coefficiente di 6® risulta (§ 267) eguale al prodotto
risulta allora dalla (15) che sarà
^ ^ ^ OC(gl)p fOy, . . . , ft>h)
* * Clcop Wj, . . . , w J
Ragionando analogamente sulla ^h^i, otterremo
AiAj , . a A||^| — ,^ ^«
Avremo quindi, dividendo membro a membro: ,,p. . ^CK» ^» n^-i) . eC(a)p co, n)
^10) Ah+l = -777 ; • -777- ~ X-
C(a)p Wj, . . . , cojj^j) C(oi)|, w„ . . . , <i\)
§§ 290-291. FORMB DEL SECONDO TIPO. 233
F. FORME DEL PRIMO E DEL SECONDO TIPO. — RIDUCIBILITÀ
291. L* operazione 6, come ogni altra operazione di so- stituzione, è a determinazione unica e non ammette radici (§ 118): quindi anche la sua inversa 6""' è a determina- zione unica e non degenere (§ 52). Di qui risulta che se ^ è una forma lineare alle differenze di ordine n, il cui spazio delle radici sia $n[^p ^2» •••» '^^^^ l'operazione <I>9"""*, dove m è un intero positivo qualsivoglia, ammette come spazio di radici io spazio ad n dimensioni Sb[6"oi>p 6"a>,, ..., 6"g)J. D'altro canto, l'operazione 09~"* non può avere alcuna ra- dice fuori di codesto spazio, perchè se a è radice di OO"", la 0~"a deve essere radice di ^.
Questa osservazione permetterebbe di estendere, con lievi modificazioni di forma, buona parte delle cons'derazioni dei §§ prec, anche alle operazioni <I>8~", cioè alle operazioni
— m
Non vi sarebbe quindi alcun inconveniente ad estendere il nome di « forme lineari alle differenze » anche a siffatte operazioni; noi, senza dare alla parola « forma lineare alle differenze » tutta codesta generalità, ci restringeremo a indicare con tale nome, insieme con le operazioni cosi designate sin qui, anche le forme lineari nella operazione 6""', a coefficienti appartenenti a ®:
(17) c|>^ = «_„(a7)e-- + a_(n-iX^)^-^"-*^ + ..•
Per potere agevolmente distinguere le forme lineari nella operazione 6~* dalle forme lineari nella operazione 6, chia-
234 CAPITOLO DECIMO.
meremo queste ultime « forme del primo tipo » e le altre < forme del secondo tipo ».
293. Uaa forma (17) del secondo tipo si può conside- rare come il prodotto ^8~° di una forma del primo tipo, di ordine r),
per r operazione 6~». Ne discende, per quanto dicemmo dianzi, che la forma ^^ ammette uno spazio lineare di ra- dici, ad n dimensioni. Sarà pertanto naturale il diro che la forma (17) del secondo tipo è di ordine n.
È poi manifesto, per la simmetria che intercede fra le proprietà delle operazioni 6 e 6^\ che gli sviluppi e i ri- sultati dei §§ prec. valgono senza alcuna eccezione anche per le forme del secondo tipo, quando dappertutto sia sosti- tuita alla 6 la 6~'. Cosi, in particolare, la forma del se- condo tipo, del primo ordine, che ammette la radice co(a7) e il cui primo coefficiente è l'unità, è data da
H = e- - i:?(^_±LÌ)..
. a>(a?)
Con considerazioni analoghe a quelle del § 2S4 si con- clude che una forma Oj del secondo tipo, d'ordine n, è di- visibile per la forma II relativa ad ogni sua radice, e quindi si può decomporre (§ 287) in più modi nel prodotto di n forme del secondo tipo, del primo ordine.
293* Dati in 2) gli n elementi «i, a,, . . . , a„, diremo campo di razionalità definito da a^ a„ . . . , «„♦ l' insieme di tutti gli elementi che si possono ottenere da <X|, or, . . . , a^ mediante un numero finito di operazioni razionali e di po- tenze intoro, positive o negative, di 6.
Può accadere che alcuni degli elementi «j, p. es. gli *m-i-i» **m+2» •••» *»' siano essi stessi esprimibili per mezzo di
§§ 291-295* HiDUCiBiLiTÀ. 235
un numero finito di operazioni razionali e di potenze di 6 su O'v ^f *'•« ^m- Allora, naturalmente, a definire li campo di razionalità basterà siano dati gli elementi «i, a,, •.., a„.
Giova supporre che ogni campo di razionalità che entra in considerazione, sia definito dal minimo numero possibile di elementi: gli elementi che bastano alla definizione di un campo di razionalità si diranno fondamentali o caratteristici.
Cosi il campo di razionalità, definito dalla variabile scelta come unico elemento caratteristico, è costituito da tutte e sole le funzioni razionali.
294. Data una forma <I>, conviene in generale scegliere come campo di razionalità quello definito dai coefficienti di ^. A talune osservazioni enunciate in §§ precedenti possiamo ora dare la forma seguente:
a) Date due forme A e B, i cui coefficienti appartengano ad un determinato campo di ra- zionalità, il quoziente e il resto della divisione di A per B «ono forme i cui coefficienti appar- tengono al medesimo campo di razionalità.
b) Il massimo comun divisore di due forme, i cui coefficienti appartengono ad uno stesso campo di razionalità, è una forma i cui coeffi- cienti appartengono a quel medesimo campo.
295. Una forma lineare alle differenze $ di ordine n, i cui coefficienti appartenp^ono ad un determinato campo di ra- zionalitày si dice riducibile in questo campo quando esista una forma, di ordine inferiore ad n, i cui coefficienti appar- tengano a quel campo, e por la quale O sia divisibile. Quando una tal form^ non esiste, la forma $ si dice trn- ducibile nel campo di razionalità considerato.
Quando di una forma si dice che è riducibile o irridu- cibile senz'altro, si intende che il campo di razionalità scelto sia quello definito dii coefficienti della forma stessa.
236 CAPITOLO DECIMO.
296# Sia una forma $, d'ordine n, irriducibile in un determinato campo di razionalità, e sia 4>, una forma di ordine m > n, i cui coefficienti appartengano a quel campo, e che abbia una radice 9 comune con <I». La ^^ è allora necessa- riamente divisibile per 4>.
Infatti, poiché 4>| e <& ammettono una radice comune 9; esse non sono prime fra loro; onde applicando à ^| e 0 la ricerca del massimo comun divisore (§ 271), si giungerà da ultimo ad una forma X, di ordine certamente non inferiore al primo, la quale divide insieme ^ e ^j. Poiché codesta forma ha i suoi coefficienti appartenenti al campo di razio- nalità a cui appartengono i coefficienti di <E» e <^, e la <^ è in esso irriducibile, il massimo comun divisore X tra <l>, e <1> non può essere distinto da O.
La proposizione da noi dimostrata si può anche enunciare^ dicendo che se una forma, i cui coefficienti ap- partengano ad un campo di razionalità, ha una radice comune con una forma irriducibile in esso, la prima forma ammette tutte le radici della seconda.
297. E chiaro che il concetto di riducibilità di una forma è in tutto relativo al campo di razionalità, a cui si intende riferirsi. Se ^ è una forma irriducibile in un certo campo di razionalità, può benissimo accadere che ampliando codesto campo mediante V aggiunzione di nuove funzioni fondamentali, si ottenga un campo di razionalità nel quale la forma $ divenga riducibile.
Ad esempio, sia la forma <I> irriducibile in un dato campo: a questo campo non può appartenere nessuna radice delta forma data, poiché se ad esso appartenesse la radice w, la ^ sarebbe divisibile per la forma
li = e _ j^ li,
§§ 296-298. FORMA AGGIUNTA. 237
i; cui coefficienti apparterrebbero al campo considerato; ciò è contro l'ipotesi dell' irriducibilità di ^. Se supponiamo ora che al dato campo di razionalità si aggiunga la radice co di *, codesta forma, poiché è divisibile per H, diventerà riducibile nel nuovo campo di razionalità.
G. FORMA AGGIUNTA. — MOLTIPLICATORI.
298. Sia data una forma lineare alle differenze, di or- dine n, del primo tipo
Possiamo considerare di codesta operazione, come di ogni altra, la operazione aggiunta (§§ 242-253). Per assegnarne r espressione basterà ricordare:
a) che l'aggiunta della operazione 6 è laG"* (§ 249);
h) che l'aggiunta della somma di più operazioni è uguale alla somma delle aggiunte degli addendi (§ 242, e);
e) che l'aggiunta del prodotto di più operazioni è uguale al prodotto delle aggiunte dei singoli fattori, prese in ordine inverso (§ 243).
Risulta quindi che l'aggiunta di 4> sarà:
(18) 0"= aJix — n)e-"« + «n-iC^ - ^ + 1)9""'°"^^+ ...
... + «i(a7--l)9-» + «o(^')-
Si ha, cioè, che l'aggiunta 4> di una forma <^ di ordine n del primo tipo è una forma di ordine 71, del secondo tipo (*).
(^) SaU* aggiunta di una forma lineare aUe differenze e sa alcune questioni che vi si connettono, cfr. alcune note del Bobtolotti nei Ren- diconti della R. Acc. dei Lincei, 1806-1898.
238 CAPITOLO DECIMO.
ÀnalogameDte sì trova che V aggiunta di una forma d'ordine n, del secondo tipo
è una forma di ordine n, del primo tipo
\ = P__„(a7 + n)6» + P-(n-i)(a? + n — 1)6»-'+ . . .
.,.+^^,(0?+ 1)6 +^,(07).
Così, p. es, raggiunta della forma
iù{x)
è la
E :^ e-' - .5^(^+Jl
(o(a?) e r aggiunta della
ci>(a7) è la
Ki3{X)
In particolare, l'aggiunta della differenza finita
A = 6 — 1 è data da
A = 6-' — 1 = -- 6-» A.
Poiché la 6~^ è a determinazione unica e non degenere, risulta da quest'ultima uguaglianza che la A ammette tutto e sole le radici della A; cioè tutte e sole le costanti.
299. L'aggiunta dell'aggiunta di una forma data coincido con la forma primitiva. Ciò risulta immediatamente dalle regole del § precedente; ed è, dei resto, un caso particolare della proposizione del § 242, e.
298-301. FORMA AGGIUNTA, 23d
Risulta poi dalle espressioni trovate dianzi per ^ e ^i che i coefficienti dell' aggiunta appartengono al campo di razionalità dei coofficienti della forma data.
300» Se la forma 4> è decomposta in un modo- qualsi- voglia in fattori del primo ordine
avremo, per un teorema ricordato (§ 298, e) :
$ = £,E, . . . E„_jE„.
Più in generale, so la $ è decomposta nel prodotto di più forme lineari alle differenze A, B, ..., K,
O = AB . . . K, avremo
<> = K ... BA
Da questo teorema e dall' ultima osservazione del § pre- cedente risulta che in un determinato campo di ra- zionalità una forma e la sua aggiunta sono en- trambe riducibili o irriducibili.
301» Data una forma lineare alle differenze $, del primo tipo, in generale non accadrà che questa forma sia uguale alla differenza finita di un'altra forma, F, in guisa che sia
^ = Ar.
Similmente data una forma $^ del secondo tipo non sarà in generale
<&, = (6-^ - l)r,,
dove r, rappresenta un' altra forma del secondo tipo. Per altro, possiam dimostrare che nell'uno e nell'altro caso,, se la forma considerata è di ordine n, esiste uno spazio
240 CAPITOLO DBCIMO.
lineare ad n dimensioni di funzioni [i(a7), v(a7) rispettivamente, tali che per la forma ^ del primo tipo si abbia:
(19) ji(ir)^ == (6 - l)r = Ar, e por la forma Oj del secondo tipo:
(20) vix)4^, = (0-^ - i)r,.
dove Ter, rappresentano due forme rispettivamente del primo e del secondo tipo. Codeste funzioni fi, v, prendono aeir uno e nell' altro caso il nome di moUiplicaiori della forma considerata.
Consideriamo, per fissare le idee, una forma ^ del primo tipo. Essendo la A una forma lineare del primo ordine, af- finchè sussista la (19), la F dovrà essere una forma di or- dine n — 1 (§ 269). Ora sia ^{x) una radice dell'aggiunta 4> di 4>. Posto
la forma ^ sarà divisibile per H (§ 284) e avremo, indi- cando con B una forma del secondo tipo d* ordine n — 1,
* = BU = b(.-. - J^i^).
Ponendo uguali le aggiunte dei due membri di quel- r uguaglianza, otteniamo (§ 298, e)
e quindi
jx(a?)4> = |jL(a?)eB — |ji(a? — 1)B = A(ii(a7 — 1)5) ;
§§ 301-802. MOLTIPLICATOBl. 241
indicando infine con r la forma d'ordifie n ^^ 1, del primo tipo, [i(a? — 1)B, abbiamo:
pi(a7)* = Ar.
Abbiamo cosi dimostrato che ogni radice di $ è un moltiplicatore di $.
Le medesime considerazioni si ripetono, col solo cambia- mento di 0 in 0~', per le forme del secondo tipo; onde pos- siamo concludere che ogni forma lineare alle dif- ferenze di ordine n ammette uno spazio li- neare ad n dimensioni di moltiplicatori: questo spazio è lo spazio delle radici dell* aggiunta della forma data.
SOS. Abbiamo veduto che una forma di ordino n am- mette certamente n moltiplicatori linearmente indipendenti ; vogliamo ora dimostrare che non ne ammette più dì n. A tale scopo, basta invertire il teorema del § prec, mo- strando che ogni moltiplicatore di una forma ò radice dell' aggiunta.
Sia infatti \i.(x) un moltiplicatore della forma lineare $ del primo tipo; indicando con F una forma di ordine n — 1| pure del primo tipo, si ha:
pL(a?)^(qp) = Ar(cp).
Ponendo uguali le aggiunte dei due membri di questa relazione, avremo:
^(li9) = rA((p).
Ora unica radice di A è la costante ; quindi si può dire che air infuori di un fattore costante arbitrario, la radice di A è r unità. Ponendo nella ultima uguaglianza 9 = 1, otteniamo
4>(jx) = 0,
16
342 O.AFITOLO DBCIHO
6 con ciò' la; proppsiz.ioae 'ò dimostrata.- Essa si dimostra nel-^ l'identico modo se ^ è una forma del secondo tipo.-
Concludendo, abbiamo che una forma lineare alle differenze di ordine n ammette n, e non più di n, moltiplicatori linearmente indipendenti, i quali sono radici dell'aggiunta della forma data.
Ogni sistema di n moltiplicatori, linearmente indipen- denti di una forma (sistema fondamentale di radici dell'ag- giunta) può dirsi sistema fondamentale di moltiplicatori. : 30S. Passeremo a dare qualche applicazione del teorema precedente, e ci limiteremo per brevità al caso delle forme del primo tipo. Notiamo per altro esplicitamente che le nostre considerazioni valgono senza eccezione anche per le forme del secondo tipo: le formole corrispondenti si otter- rebbero da quelle che noi daremo ponendo 0~' al posto di 0, e quindi 6""^ — 1 = A al posto di G — 1 = A.
Data una forma <I> d' ordine n, se fi ò un suo moltipli- catore, avremo .
pt^ = A r,
dove r è una^^ forma d'ordine n — 1. Ogpi radice co di <P deve annullare anche AF; perciò o essa è radice di T o è tale che r(w) sia costante.
Ora sia dato un sistema fondamentale
• ■ • • *
di radici di O e consideriamo le forme lineari T, d'ordine n — 1, che soddisfanno al sistema di relazioni
(21) . r,(a)0 = l, r,(a>,) = o(A>i)
(t = 1, 2, 3, ..., n).
Notiamo anzitutto che questo sistema di equazioni deter-
§§ 802-804. INTERPOLAZIONE FUNKIONALB. ^48
mina, univocamente ciascutìa forma F^. Invero là Fi, in quante^ devo ammettere le radici ■
deve essere ugnale a (§ 285)
^4(9) = Yi(a?) C(qp, 0),, Wj, . . . , co,_i, wj^.,, . . . , wj,
• . ...
dove Yi(^) è una funzione da determinare convenientemente.
Questa funzione si determina poi osservando che deve essere si ha quindi:
"" C(C0„ OD,, . . . , w„) *
r
Si conclude '
(22) F fcp) = (— 2)1—1^^^* ^H » • ' 1 ^1— If ft>l-Hi • " » g«>n)
C(wp co„...,a)J Le n forme d'ordine n
ammettono ciascuna come radici
COj, COj, . . . y COjj,
onde non possono differire fra loro e dalla $ se non per una moltiplicazione a sinistra, 0 avremo -
(23) pi,(a7)<I> = AF, (£= 1, 2,...,r^).
»
804# Le forme F„ determinate al § proc, servono a ri- solvere il seguente problema di interpolazione funzionale: Determinare una forma di ordine n — I, che corrispondentemente ad n date determinazioni linearmente indipendenti dalla funzione arbi- traria
? = co,, COj, . . . , co„
244 CAPITOLO DBGllfO.
assuma n determioazioDi date, ^^^ ^« ..., ^^^ Evidentemente il problema è risoluto dalla forma
(24) r = ftr, + is,r, + .... + ^„r.
e non ammette altra soluzione.
Codesta formola è perfettamente analoga alla nota for- inola d* interpolazione del Lagranoe, la quale anzi vi è contenuta come caso particolare.
Siccome è
Pj = r(a),). (i = I, 2, 3. ..., n) e di più si ha (§ prec.)
(25) Tj = A-Vi<I^,
la (24) si può scrivere
D
Applicando i due membri di codesta uguaglianza a $~'(7),
otteniamo
II
(26) r4>-' (9) =r 2rK)A-\;jL,9).
i
Quest'ultima formola presenta una grande analogia con quella, per cui» in Àlgebra, si decompone una funzione ra-* zionale fratta in frazioni razionali semplici.
Ponendo infino nella (26) al posto di F Toperazione iden- tica, otteniamo
n
(27) 4^-'(9) = 2^i^'''(»*i^)-
i
Questa formola dà V espressione dell' inversa di una forma lineare per mezzo di un sistema fondamentale di ra«
§§ 304*305. MOLTIPLIOATOBI. 9i&
dici e di un sistema foadamentale di moltiplicatori della forma data»
305» Riprendiamo le formolo (23) del § 908 per dedurne le espressioni dei moltiplicatori di ^ per mezzo delle radici della forma stessa.
Anzitutto, perchè le formolo successive ricevano una fi)rma più semplice, gioverà supporre che la forma 4> abbia come coefficiente di 6*
OC(ci)p co^ .... co„y
Se questa condizione non è già verificata, possiamo fa- cilmente soddisfarvi. Invero sia
la forma data: sappiamo dalle (15) (§ 285) che è
C(coi, 0),, . . , coj ^' a, '
perciò a raggiungere il nostro scopo basterà dividere tutti i coefScienti di O per a^.
Indicando oramai con $ la nostra forma ridotta a sod- disfare alla suindicata condizione, ricordiamo le espressioni (22) dello Fi come quozienti di determinanti. Uguagliando allora nei due membri delle (23) i coefficienti di 0°, ot- teniamo:
^ ^ C(ea>p eco,, . . . , Oo) J '
dì qui, in quanto è
OC(co„ co,, ... , coj = C(0coi, 6<o„ •.,, 6wJ,
24é 0AÌ>ITOL0 DECIMO. > . ,
deiuciattio ihìSaé '
(28) ttfo?) = ^(^^p Où>t >.., 6ft)i_i, 0&)i4.tt ..-l'^toj.
• • • » .
306. Dallo espressioDi trovate al § prec, per i moltipli-
eatorii possiamo dedurre alcune aotevolissime relazioni tra i Hioltiplic^tori e le radici di uua forma. Notiamo infatti che nella formola (28) il numeratore della frazione che compa- risce al secondo njembro è il complemento algebrico dell'i"*** elemento della priiba linea nel determinante
C(a)i, coj, . . . , a)„).
Di qui risultano immediatamente le annunziate relazioni^ le quali sono:
(29) ^ ^'^^^ "*" ^^^^*^ + . . . + IA„0ci)„ : = 0
ti .. '
Un analogo sistema di relazioni si ottiene dal fatto che
. . > , ' »
le radici della forma data sono i moltiplicatori dell* aggiunta.
' H. LE FORME Li;ȓEARI ALLE DIFFERENZE A COEFFICIENTI NUMERICL
307. Le proprietà delle forme lineari a coefficienti nu- merici (') ed in particolare la ricerca delle loro radici, si ricavano con molta facilità dai principe generafi sulta teo-
(1) Con ciò intendiamo che i coefficienti siano effettivamente co- stanti numeriche e non costanti nel senso Iato indicato al § 264.
§§ 305-308. BQUAZIONI A COBFFIOBNTÌ <30STAKTI. 24t
ria delle operazioni, e specialmoate dallo considerazioni dei §§ 175 e seguenti. Risulta dapprima da quei principi <;he le forme come
(30) ^ = a^6» + a„_,e»-\+ .., + a^O + a^
dove a„, an_„ . . . , a^, a^ sono numeri dati^ sono fra loro commutabili, ed in particolare che esse sono commutabili coir operazione 6; sappiamo ancora che la regola della mol- tiplicazione di tali forme è quella stessa della moltiplica- zione dei polinomi ordinati per le potenze di una lettera, con tutte le conseguenze che ne derivano; infine le propo- sizioni dei §§ 60 e seguenti danno la formazione delle ra- dici di un prodotto di formo (30), dalla conoscenza delle radici delle forme fattori.
La scomposizione della O in fattori del primo ordine, in-r dicata ai §§ 287 e seg., si ha dunque nel modo seguente. Si consideri il polinomio
fi^) = ^n2" + «n-i^"""* + ... + &^z + a^y
0 siano 2^1 le sue radici, dell'ordine rispettivo r^ di moltipli- cità, (£ = 1, 2, ... 5); si avrà
f{z) = ajiz - z,)\z - ;?,)'« . ... (z -r z,)\
e per l'osservazione fatta sulla legge formale della molti- plicazione delle forme (30), verrà immediatamente
• . *
con
Ej = e — z^, (i = 1, 2, ... 5).
308. La risoluzione generale dell'equazione (3Q) * 5=. a.e» + a,_,e-' + . . . + a fi + a, = o
248 CAPITOLO DBCIMO,
non è che un caso particolare del problema trattato nel § 178. Le condizioni poste a quel problema net detto § si trovano tutte verificate; infatti l'equazione E = o, ossia
0(9) — Z^ =: O
ammette corno unica soluzione, alTinfuori di un moltiplica- tore costante nel senso del § 265, la funzione z^ analitica e regolare nell* intorno di ogni punto del piano z^ eccet- tuati i punti z =^ 0 e z = 00, Dai §§ 176-177 viene dunque che
sono rispettivamente le radici proprie di E*, E^, . . . , e per- tanto (§ 178) la soluzione generale dell'equazione (30) sarà data da
8
2] (^11 + ^it^ + ^i3^(^ — 1) + •- +^ir^a?(a?— 1 ) ... {x—r^+2))zl .
/. SBRIE DI POTENZE DEL SIMBOLO 0.
809. Fin qui abbiamo studiato le forme lineari alle diffe- renze, vale a dire le funzioni razionali intere delle ope- razioni 6 e 6~*. Ora nel calcolo delle differenze sì pre- sentano in modo naturale e spontaneo anche le serie di potenze intere e positive della operazione G o della 0~*. Nei rimanenti §§ del presente Capitolo ci proponiamo ap- punto di dare un breve cenno dei principi della teoria di codeste serie, limitandoci alla coosiderazione delle serie di potenze intere e positive della 6. I nostri sviluppi varranno.
§§ 908-811, $BBIJi DI POTBMZB J>J 0. 249
eoa lievi e isanifeste niodificazioQÌ« anche per le sene di potenze intere e positive di 6~~^
810* Data una successione di elementi
*Q1 *ll ^«f • • • » *II» • • • »
appartenenti a 2), diremo serie di potenze della 6 i' opera-» zione rappresentata formalmente dalla espressione
(31) A = «o + «i ® + «« 8« + . . . . + a» 0 " + . . . ,
(32) a^(a?) + a^(x) fp(x + ì) + .... + a^ (x) ^(x + n) + ....
converga assolutamente neli* intorno del punto x = x^.
Giova notare che ogni serie A ammette certamente in S) un campo di convergenza, relativo ad un punto x = o;^ qualsi- voglia in a^. Si scelga infatti una successione di numeri positivi arbitrari a^, «i, . . . , tì^n» • • • ^*'^ ^^^ '^ serie 2a„ sia conver- gente: poi si determini in 2) un elemento q>(x) che sia in
&ot &i» • • • 9 &»«••• uguale rispettivamente ad
— ^t***- Questa 9(0?) essendo evidentemente meromorfa in a
apparterrà a ®. Per un siffatto elemento qp(a?) la serie (32) converge assolutamente (ed unifprmemente) in tutti i punti X di a^v talché fp{x) appartiene al campo di validità di A.
811* Indicheremo ora alcuni criteri sufficienti alla con- vergenza degli sviluppi in serie di potenze della 0, e che si deducono dal noto criterio di convergenza delle serie ordi- narie, fondato sulla considerazione del rapporto di un ter- mine al precedente. Non è per altro da tacere che, par-
250
CAPITOLO DfiOIMO.
tendo da criteri di convergenza meno restrittivi, ' sarebbe possibile di dare una più ampia validità agli sviluppi che considereremo.
• » ^
a) Se la serie
oo
2«„(a7)X„(a?).
11=0
" . ■ ■ ■
dove X^(a7), Xi(a7),..., X„(a7),.,.. è una successione dì funzioni finite entro a^, è assoluta9ìente con*» vergente, e se l'elemento ^x) è tale che per
ogni X di a« sia
i. 1* ■ ' .
viso + n) < Y(a7) |X«{a?)I
' ' ■ ' . . :: « • • - ■ • . K. ■■ ,'
da un indice n in avanti, essendo y(^) una fun* zione positiva e finita neirintorno di un punto co=:x^ di a^, l'elemento ^x) apparterrà al campo funzionale di convergenza, relativo al punto a? = a7<>, della
(31) A = «^ + a, 9 + a, 6« + . . . . + a„'e'»'+. "...
La. dimostrazione è affatto ovvia. . . ,
h) Segue di qui che, se ^{x) è un elemento re- gelare neirintorno di a? = o;^ in a^i i cui valori sono ivi soggetti alla condizione
9(0? + n) 9(07 + n — 1)
< k,
dove À è un numero positivo minore di uno, esso' apparterrà al campo di validità della
-i
co
A. = S»"-
n=o
§ 311.
SBRJB DI POTBN2B DI 6.
251
.^ o) Data la fièrie (31)^ se esistono due numeri positivi g ed m ed un elemento ^i{x)^ finito nol-^ l'intorno di a? = a?^ in a<>, tali che per n>m sia
(33)
flfnC^) ^lipD + n) I < flr,
ogni elemento ^{x) tale che sia, per & positivo e minore d' uno,
(34)
•
9(07 + n — 1)
9(07 + n)
< A
9i(a? +n — 1) 9i(a? + n)
apparterrà al campo di validità della (31), rela- tivo al punto X =: 09^, .'. Infatti dalla (33) deduciamo
lan(^) 9(a? + n)\ < flf
9(0? + n)
9i(a? + n)
e quindi
(35)
00
2*»(^) ^(^+^)
11=0
00
^s
9(a? + n) 9i(a? + n)
Ma dalla (34) seguo
9(0? + n)
9i(à? + n)
< A
9(à? + n r— . 1) 9,(0? + n— 1)
e quindi per la h) l* elemento
9(a?) Vi(^)
appartiene al campo
di convergenza relativo ad a; = 07^ della
00
S«'
n=o
Poiché la
co
s
9(a7 + n) 9i(a? + n)
25S
CAPITOLO DBOIICO.
converge assolutamente nelf intorno del punto a; convergerà ivi la
" <K^ 4 n)
= X,
♦»
E
9i(a? + n)
e quindi ancora, per la (35), convergerà assolutamente la
oo
2*n(^) ^(^ + **)•
d) Se r elemento 91(07) è tale che la serie
00
2«a(^) 'PlC^ + ^)
converga uniformemente nelJ* intorno ài x=^x^y ogni elemento 9(^)1 pel quale sia soddisfatta la (34), appartiene al campo di convergenza della A.
Preso infatti ad arbitrio un numero positivo g^ si potrà determinare un intero positivo q tale che per ogni p > q sia, neir intorno considerato à\ x =1 x^
00
n=p
00
2 «ii(^) ^i(^ + ^)
n=p— 1
onde risulta
«n(^) 9i(«? + w) I < flr.
cosicché si ricade sulla condiziono (33) del teorema prece- dente.
In particolare, 1* elemento
sotto la condizione che z sia in modulo minore di uno, ap- partiene al campo di convergenza dèlia A.
§§ 311-312« 8BB1B DI POTENZV DI 0. 2&3
318* Se qp|(a?) è un elemento di ^, il quale ap- partenga al campo di validità della (31), e se la serie (33) ò identicameate nulla per ogni ele- mento <^x) che rispetto a fp^(QSf) soddisfi alla con- dizione (34)» saranno identicamente nulli tutti i coefficienti della serie stessa.
Infatti, fra le funzioni 9(0^) vi è ìz.'z^i(x), dove z è un numero qualsivoglia in modulo minore di uno. Si consideri ora la serie
00 00
A(a«9,(a?)) = SanCa») a**" 9,(» + n) = a«2]*»(^) «'?i(a?+n).
11=0 0^
Questa per ogni x dell' intorno di a; = 07^ è una serie di potenze di z convergente per z =z l^ 0 quindi anche per ogni I;s;| <: 1. Di più essa sarà identicamente nulla per ogni siffatto valore di z. Dovranno quindi essere nulli tutti i suoi coefficienti
«nC^) Vi(^ + n) = 0 (n = 0, 1» 2, . . . .).
Ora, poiché <Pi(a?) appartiene a ®, si può in infiniti modi scegliere x in a^ per modo che i valori
tpj(a? + n) (n = 0, 1, 2, . . ♦ .)
siano tutti diversi da zero (§ 259). Se ne conclude che cia- scuna a„(a?) deve essere nulla infinite volte in a^; il che, essendo aj^x) in a^ funzione analitica raeroraorfa, non può accadere altro che se ajx) è identicamente nulla in a^. Analogamente in a^ a,* • . * •
Da ciò risulta che alla determinazione di una operazione A, che si voglia rappresentare sotto forma di una serie
00
^«^(05) 6", è applicabile il noto metodo dei coefficienti inde-
11=0
254 CAPITOLO DECIMO.
terminati, che noi' già dimostrammo applicabite (Gap/ VI) alle serie di potenze della operazione D.
818» Applichiamo tale metodo dèi coeflScienti indeter- minati alla rappresentazione, per mezzo di una serie di po- tenze della 0, della operazione inversa di una forma lineare di prim' ordini».
Data la forma del primo ordine
E = e - a{x\
dove a(x) è un elemento determinato di ®, l'inversa £~* è a. deteroiinazione multipla e le sue infinite determinazioni si ottengono, aggiungendo ad una particolare di esse le oo^ radici di E.
Ora si vuole mostrare come, fra le determinazioni di E~^, ve ne sia una che è rappresentabile per mezzo di una serie di potenze di 0, almeno in un certo campo funzionale ap- partenente a ^.
Facciamo per ciò
E-^ = ^,(0?) + Pj(a7)8 + P,(a?)e« + .... + PJ^x)b- + . . . .
dove le Pj(a7) sono elemeati di 2) da determinarsi, ed appli- chiamo a codesto sviluppo l'operazione £; la condizione
EE-» = 1 ■ '
darà . . . .
p.(a? + 1)6 + Wa» + 1)0* + . • . . + Wa? + l)*»»-^ '+.■'
■ — a{(vXK + p,e + . . . . + p„e- + ....) = 1.
4,'
onde (§ prec.) risulta il sistema:
— a(i»)?, = 1. Ptt(a7 + 1) — «(a7)^B+i(i») = 0, (n = 1, 2, . . . ). Di qui si deduce:
P (07) = -- ^.Pn = - „(a?)«(a;+ 1)... a(x+ nj ' (»-l»2.3....).
§§ 313-314. INTBGRAZIONB DELLE EQUAZIONI NON OMOGENEE. 255
Dunque,. uaa delle determinazioni di E-* è rappre- sentata dallo sviluppo
(36) E-» — — 2j a(x)(x{x + 1) , . . «(a? + n) '. .
n=o
i cui coefficienti, come risulta dalla stessa loro legge di formazione, sono elementi di S). Anzi è chiaro che essi appartengono al campo di razionalità (§ 293) definito dal coefficiente a{x) della forma £. Se a)(a?) è una radice di E, si ha (§ 277)
a(xHx + 1) . . . «(^: + «) = ^^-^ tic^) "^ ^^'
onde lo sviluppo (36) può anche scriversi
314, Il procedimento seguito nel § prec. ha una vali- dità effettiva se 1* elemento ^(x) a cui si intende applicata la E~~~^ appartiene simultaneamente ai campi di convergenza, relativi ad un punto x = x^, di E"* e di 6E~*. Ora questa condizione si verifica per ogni elemento fp(x) tale che, es- sendo k un numero positivo compreso fra 0 ed 1, si abbia, neir intorno di a? = a?^,
(37)
Invero nella borie
^a? + 1)
< k \a{x+ 1)
OO
^ "('^i = ■" Zia(x)oi{x + ì)... a{x + n)
■ « » • f
256 OAPITOLO DBCINO.
il rapporto di un termine ali* antocedente è dato da
<p(x + n)a((V -4- n) q{x + n — 1)
e, in forza deir ipotesi fatta su q>{x\ codesta espressione ò, in modulo, minore di uno.
Analogamente si verifica che se <p{x) soddisfa alla con- dizione (37), essa appartiene al campo di convergenza della 9E~".
316« Più generalmente, data una forma lineare d'or- dine n i cui coefficienti appartengano a 2):
^ = a„e» + a^_ie»-' + ,...+ «^9 + a,
o»
proponiamoci di vedere se fra le determinazioni di ^""^ ve n^è una rappresentabile per mezzo di una serie di potenze delia 6.
Poniamo perciò
*-^ = Po + PiO + M' + •••• + M"^ + ....
Applicando 1* operazione 4> ai due membri, dovremo avere, in virtù della <^~^ = 1,
+ («o(^)?»(^) + «i(^)i5«-i(i» + 1) + . . . .
. . . . + am(^)3n>-n(^ + W))6» + .... = 1,
onde risulta (§ 312)
«•(^)Pi(a?)+«,(a?)iSo(^+l)=o (38) \
s> '
§§ 315-316. CONDIZIONI DI OONYAROENZA. S57
Qui potremo supporre che olJìqc) non sia Identicameote nullo; se infatti fossero tali a^, <Xi, •.•9 «r-i« ™^ Q<>Q ^r« potremmo scegliere come elemento .indeterminato, anziché 9, la funzione 6^9, o saremmo così ricondotti al caso di una forma di ordine n — r« in cui il coefficiente di 6^ non è identicamente nullo.
Sotto r ipotesi di a^ diverso da zero, il sistema (38) per- metterà di determinare per via ricorrente i coefficienti ^^ dello sviluppo di $~~^ in serie di potenze di 6, Notiamo che tali coefficienti si ottengono da a^ «i,... oCb, per mezzo di un numero finito di operazioni razionali e di potenze di 6; ondo risulta che essi sono elementi dello spazio 3); più precisamente, essi appartengono al campo di razionalità de-» finito da a^, «p . . . , a^.
316* Ora passiamo ad occuparci delle condizioni, sotto le quali lo sviluppo di 0~^ determinato al § prec. non vale solo formalmente, ma ha una convergenza efiettiva. Perciò dimostriamo dapprima il seguente teorema:
Siene
E| = e — a^[x\ E, = e — a,(a?)
due forme del primo ordine, tali che in tutto il campo a sia
<39)
a,(a? + 1)
dove A è un numero positivo. Dicendo rispetti- vamente Ej~"*, E,~^ le due serie
_ V— — t : -— V- ^
^ai(a?)aj(a7+l)...ai(a7+n) ' ^ a.(a7)a,(a7+l)...a,(a7+n)'
ò possibile trovare un campo funzionale cosif- fatto che ogni elemento 7(0?) di esso appartenga
17
CAPITOLO DECIMO. >
al campo di convergenza di E,~* e che inoltre V Q\emeùio.^(x) :=s ?i~*(9) appartenga al campo di convergenza di E,'^^
Essendo y(^) unìa funzióne positiva e generalmente finità dei punti a? di a^, consideriamo il campo funzionale (5, co^ stituito dagli elementi (p{x) tali che neli' iritòrtio del puntò w == co^ di a^ sia
e » i >
\fp(oo + n)\ <.Jar(a7)a,(a? + l).,.,a,(x + n)\ ^((x)kr'
» r ■ •
dove k è, un ti u mero .positivo minore di uno.
Per tutti gli elementi di (5 la serie E|~* jia significato; infatti abbiamo, nell'intorno di a? = x^,
(40, «., = vw = -^-',;(^|±i^ -;...,,
e prendendo nel secondo membro i moduli dei termini, ri- sulta ' '
• l+(«')l<T^. ,
Applicando ad ambo i membri della (40) V. operazione 6^^ verrà
donde
' • * k^Y(x) '
|4'(a?-+ m)| < |ai(ii?)ai(iZ? -i- 1)...: «1(0? + m — 1) | ^_^' '
Ove si tenga conto della .ipotesi (39), la precedente disugua- gltanza^ dà
■■■•'■■ Yfaj))i"A''
j<|.(a; + n)| < |at(a7)a,(i» + 1) .... a^x + n)| (j _A)|a^(a;)r
r,-.— ^ ^
§§ 316-317. CONDIZIONI DI CONVERGENZA. 25^
1
Di qui, se prendiamo k <: -r-, risulta che ^(x) appar- tiene ad un campo definito rispetto ad E^"' nel modo stesso, in cui 6 è definito rispetto ad Kj~^ Cosi il nostro teorema è dimostrato. Di più, per la convergenza assoluta degli sviluppi considerati, se in E,"'*(4') sostituiamo a ^{x) il suo sviluppo ordinato per le 0™cp(a7), la serie che cosi si ottiene si potrà pure ordinare per le G"*cp(ii?).
Lo stesso ragionamento vale manifestamente a dimo- strare che, data una terza forma del primo ordine
E3 = e — . a^{x) tale che sia
a^{x)
«3(0? + 1)
< h\
il campo (2 definito come dianzi, ma pel quale sia preso
k < -ryr» sarà tale che per ogni elemento ^{x) di essa
non solo convergerà la berie Ej~*('J;) = ^{x), ma anche la E -^(4;) = x(^) e la E{-\l\ Di più, Eg-^x) si potrà ordi- nare secondo le 6"qp(a7).
317. Ciò posto, riprendiamo la forma lineare alle diffe- renze <I>, di ordine w, e decomponiamola in fattori del primo
ordine (§ 287)
^ — E E E E
dove
E, = 0 — a^{x) (2 = 1,2,,..., n)\
ricordando che gli «,(0?) si possono determinare ogniqualr volta si conosce un sistema fondamentale di radici di O.
Sotto r ipotesi che gli olJ^x) rendano soddisfatte le con- dizioni
""^-'^^ 7 ^^ <h (i=:2,3, ...„w), dove h è un numero positivo, vale il seguente teorema:
260 CAPITOLO DBCIMO.
Ogni elemento 9(0?) di ®,.tale che per esso sia in ogni punto x dell' intorno di x = x^ in a^:
19(07 + n)| < |ai(a? + l)ai(a7 + 2).... . . • . (x^(x + n)\ t(^)A°i (n = 1, 2, . • . .)»
sarà contenuto nel campo di convergenza rela- tivo ad X = x^ della serie rappresentante ^~' (§ 313), posto che y(x) sia una funzione positiva in a^ e A un numero positivo minore di uno se è
/i<: le minore di , . se è A > 1.
Infatti, in virtù del teorema precedente, ogni sififatto elemento 9(0?) apparterrà al campo di convergenza di Ei~' e, posto Ei~*(9) = qpi(a?), questo apparterrà al campo di convergenza di Ef^: posto poi £^^'(9,) = qp»(^)» questo sarà alla sua volta nel campo di convergenza di £3'^ e cosi via. Si avrà quindi
(41) Er'(9) = 9i(a?), E -»(9,) = 9.(a?) E ->(9„.,) = 9„(^),
onde
^(x) = E,E, . . . . E„(9j ossia
(pJ^X) = 4>-*(9),
m
e sostituendo in ognuna delle equazioni (41) al posto di (pi{x) il suo sviluppo in serie dato dalla formula (40), si ottiene in ultima analisi uno sviluppo che, per il teorema del § prec, può essere ordinato secondo le 6*9 ed è convergente as- solutamente in seguito alle poste condizioni.
CAPITOLO UNDECIMO. Le forme lineari difTerenriali,
A, ALGEBRA DELLE FORME LINEARI DIFFERENZIALI.
318. AI cap. y abbiamo già definite le forme differen- ziali lineari, cioè le operazioni:
(1) F = a„(a7)D» + «„_i(a?)D»-»+...+ «i(a?)D + «,(«?).
In questa espressione si suppone solo che i coefficienti «01 «if-9 ^rt »ì^Do funzioni analitiche regolari nelT intorno di un punto x^ del piano della variabile x. L'operazione F è allora applicabile a tutto 1* insieme lineare delle funzioni analitiche regolari nell'intorno di quel punto, insieme che verrà da noi denotato con S«(a7j. Se 9 è un elemento di questo insieme, sarà tale anche F(9); in altre parole» T operazione F ammette S*(a?J come spazio invariante.
Indicheremo con S'(a?J l'insieme delle serie di potenze di X— x^ convergenti in un cerchio di centro x^ e di rag- gio superiore ad r; è da ricordare che ogni elemento «(a?) di questo insieme definisce un ramo uniforme di funzione analitica nella stella di Mittag-Leffler di vertice x^ (cfr." §§ 99-100), e questo ramo di funzione verrà denotato collo stesso simbolo a(x).
Una forma differenziale lineare, al pari dell'operazione D» delle sue potenze intere positive e dell' operazione di mol-
262 CAPITOLO UNDECIMO.
tiplicazione, colle quali è costruita, è un'operazione a deter- minazione unica; pertanto ogni tale forma ammette come radice lo zero (§51). Anche qui, ogniqualvolta parleremo di radici di una forma, prescinderenio dalla radice zero.
819. a) Una forma differenziale lineare si dice deW or- dine n, quando il simbolo D vi figura coli' esponente n, e non con esponente maggiore. L'operazione di moltiplica- zione può riguardarsi come una forma di ordine zero.
h) La somma di due forme differenziali lineari degli ordini m, n rispettivamente (m ">_ n) è una forma differen- ziale lineare di ordine m.
e) Date due forme differenziali lineari:
F = a„D- + a„^,p--» +. . . + a,D + a.,
I
.. • . . <>
abbiamo, indicando cogli accenti le derivate dei coefficienti: (2) FG-= «„?„D°^+n + («j^^_^ +G)^'J + a^.i^jD-^»;-* + + t «.((2)^»+ C^fe'n-i + Po-o.)+ ««-i((T)?'„ + X^) +
Il prodotto di due forme differenziali lineari degli ordini m,n rispettivamente è dunque una forma di ordine m-j-??. Il coefficiente del termine di ordine m +n,è il prodotto dei coofficienti dei termini di massimo ordine in F e inG; Por- dine di FG non può dunque abbassarsi se a„ e p^ $ono diffe- renti da zero. II termine di ordine zero è F(^o).
È manifesto che i due prodòtti FG e GF sono, in gene- rale, xlistinti.
320. Date le due forme differenziali lineari F e G del § precedente, sia m > n. Si può sempre* determi- nare, in modo unico, una forma H tale che la forma F — HG sia dell'ordine n — 1 al più.
« . » • M
§§ 318-320.
DIVISIONE DBliLB FORUB.
263
Notiamo mtaatp' che dalle osservazioni del § prece- dente discende subito che .la forma H deve essere di or- dine m — n. Si ponga ora
• • ■ » -
I
w ■ * . . .
dove le funzioni Tm-n^Tm-n-ir-» Yn To sono da determinarsi-
• " »
Troviamo agévolmente, dalla (2):
• •
F-HG = (a„-P„r«-tf)D- +
. + ) a„_, - (r7%"„ + ("'7'')3'.-.- + P„-,)Y«-n -
Volendo che la forma F — HO si riduca all'ordine n — 1, è necessario e sufficiente che siano identicamente nulli in essa i coefficienti dì D", 0"~^ D"""',..., D°; scrivendo che queste condizioni sono soddisfatte, otterremo tra le 7n — n + \ funzioni Yì il sistema delle ;?2 — n + 1 relazioni
PnTm — n *m>
(3) j (C7")^"^ + ("r>'„-i + p.-.)t»-„ -«-
Rispetto all^ incognite Xi, Ts»—» Ym— n queste equazioni sono lineari non omogenee; il determinante dei coefficienti è dato da 3^m— n+i^ e quindi non è identicamente nullo, se, come abbiamo supposto, la forma G è di ordine n. Talché è possibile sempre, e in modo unico, di determinare le m — n-^-l funzioni y^, y^.
264 CAPITOLO UMDBCIMOb
Indicando con R la forma F — HG, avremo
F = HG H- R.
L'operazione, compendiata nella risoluzione del sistema (3), con cui si determina la H, si dirà divisione di F per G ; la forma H si dirà quoziente e la R resto della divisione.
Dal sistema (1) si ottengono le funzioni Y|, espresse ra- zionalmente per mezzo delle aj, delle J3| e delle derivate di queste ultime fino ali* ordine m'^n\ anzi il denominatore comune di tutte queste espressioni è precisamente p^—^^^. Dal fatto che la funzione ^^ è regolare nel punto a) = x^,
non rimane escluso che la reciproca -^ non possa avere in
quel punto una singolarità polare, talché dai fatto che i coef- ficienti delie due forme F e G appartengono alio spazio S^(xjt non si può in generale concludere che allo stesso spazio ap- partengano anche i coefficionti del quoziente H di F per G. Appartengono per altro in ogiii caso ad S*(a?^) i coeffì- cienti di H, moltiplicati per p^™-^»-*-*. E poi evidente che ap- partengono sempre ad S®(aj;) i coefficienti del resto R.
381. Può accadere che la forma F — HG = R abbia tutti i suoi coefficienti identicamente nulli; in tal caso si ha
F = HG
e si dice che la forma F è divisibile per la forma G, od anche che G divide F; H si dice allora il quoziente esatto di F per G.
a) Se la forma F è divisibile per la forma G e G è divisibile per K, anche F sarà divisibile per K.
6) Se duo forme F„ F, sono divisibili per G» sono tali anche la loro somma e la loro dif- ferenza.
e) Se le forme F, e F, sono divisibili rispet-
§§ 320-322. DIVIBIONB DBLLB FORMB, S6&
tivamente per G| e G, e daDDo il medesimo quo- ziente esatto, la somma (differenza) delle prime è divisibile per la somma (differenza) delle se- conde.
Dalle osservazioni precedenti discende che per trovare la forma di massimo ordine che divide due forme date, ba- sta applicare un procedimento analogo ali* algoritmo di Eu- clide per la ricerca del massimo comun divisore di due nu- meri. Se codesto procedimento conduce ad una ultima forma di ordine maggiore di zero, questa si dirà massimo comun divisore delle due forme date. Se invece esso conduce ad una ultima forma di ordine zero, cioè ad una operazione di moltiplicazione, le due forme date si diranno prime fra loro (cfr. §§ 270, 271).
32S. È particolarmente notevole il caso in cui si divide una forma d'ordine n
F = a„D» -H «n-iD»-* -+- . . . -4- «jD -4- a^
per una forma del primo ordine
E = D — p.
Per determinare il quoziente H, che sarà in questo caso dell' ordine n — 1, poniamo
H = 2 T.D'.
0
Si ottiene F - HE = («. - Y,_.)D» + K_, - Y.-. + T.-,P)D"-' +
(«.-t - r.-, + T„-tP + C7')r.-.P')D»-* -*-...
I •
266 CAPITOLO CNDBCIMO.
AfRachè la' forma F — HE sia di ordine zero, è neces-
*
sario e sirflici'eiite che si abbia
àn = Yn-l
] «n^j = Yn-3 — Tn-2? — V 1 /Tn-lP' an~3 = Yn-4 — Tn-aP — V 1 J^n-Ì?' — \ 2 /Tn-lP"
^ «l = To -- Ti? - C)t2?'- (DraiS" -...-(nli)Tn-lP^'»-«)
Da queste relazioni deduciamo immediatamente per le funzioni y le seguenti espressioni;
Tn-4 =((«11^ -H anl-l)P-t- ( 1 Jotn^'-^ an-^^)?-^-
La regola di formazione è palese: nel quoziente di F per E il coefficiente di D"-* è uguale al coefficiente di D" ia F; il coefficiente di D* si ottiene aggiungendo al coefficiente di D* in F il coefficiente già- determinato di D»-^-*, moltiplicato
per p, il coefficiente di D*+-* moltiplicato per \ i )^\ il coefficiente di D'+3 multiplicato per y a ) ^'\ ••.'•! i' coeffi- ciente di D»-* moltiplicato per \ n-i j^i^-'--).
Si confronti questa regola con la regola analoga (regola di RuBTiNi generalizzata) al § 272,
§§ 322-323 EQUAZIONI differenziali lineari. 267
. . . • « • ■
jB. le equazioni differenziali lineari: (*)
323. D'aria, .uQa forma ^i0erenziale lineare F, una rad(co <P di F àìcesì integrale o soluzione della equazione diffe- renziale lineare omogenea .
F = 0.
Vogliamo stabilire V esistenza di radici per ogni forma differenziale lineare. A questo scopo sarà opportuno di trattare dapprima due casi particolari, e anzitutto ci occuperemo delle forme differenziali lineari a coefficienti numerici.
Lo spazio delle radici di una forma differenzialo lineare a coefficienti numerici
<5) F = aj)"" -H a„_i D°-» -*.....-+- a, D + a^
è già stato determinato al § 179; ivi si è .trovata che se l'equazione caratteristica di F
a^z"" -H a^ i3»~^ -f-....+ àj3 -4- a^ = 0
ammette le radici distìnte
-degli órdini di moltiplicità rispettivi
in guisa che si abbia, posto E, = D — 5;,,
F = PVE>...E>;
in •
lo spazio di tutte le radici di F ammetterà come sistema fon- mentale le n funzioni:
(^) y. FucHS, J. de Creile^ T. LXVI ; Sculesinoeb, oil ..cit, Bd. I^ Absch. I e IL '
268 CAPITOLO UKDBCIMO*
Perciò UQa radice generica di F sarà data da
dove le e rappresentano n costanti numeriche arbitrarie.
Codesta espressione, in quanto al variare delle costanti arbitrarie dà tutte le radici di F, è la soluzione (o Vinte^ graie) generale dell'equazione difiFerenziale lineare (5) a coefficienti numerici.
324. Passiamo ora a considerare un secondo tipo speciale di formo differenziali lineari, cioè le forme
(7) G = (1 — a?)"D» — a,{\ — a7)»->D«»-» - a^{\ - rr)»-«D»-«—
... — a^-j(l— ^)D — a„,
dove a„ a,,..., a^ sono costanti numeriche.
Ài § 121 abbiamo indicato, in via di esempio, le proprietà della sostituzione S^ corrispondente alla funzione }i. = l — ^; essa ò tale che per ogni intero positivo r si ha
SD' = e-^ F,S,
dove F, rappresenta una determinata forma differenziale li- neare a coefficienti numerici, ottenibile mediante una legge ricorrente di formazione che è stata indicata al detto §; qui torna inutile il rammentarla.
Eseguendo il prodotto di G per S otteniamo, poiché le sostituzioni (§ 118) sono distributive non solo rispetto alla somma, ma anche rispetto al prodotto.
SG = S (r^^°) SD» ~ a,S (y^"^) SD»-' -
... - a„_iS (1 - a?) SD — a^S = = F„S — a^F^^iS -....— fl._,F,S — a.S ;
§§ 823-324. UM GASO BPBCIALB. 269
onde rappresentando con G| la forma differenziale lineare d'ordino n a coefficienti numerici
uff
Fa — «iFn-l —....— «n-lF| ~ «
possiamo scrivere
(8) SG = G,S
0 quindi
SGS-» = Gj.
Se é allora co una radico di G|, essa sarà anche radice del prodotto SGS~': ma perchè nessuna delle operazioni S, G, S~', è identicamente nulla, non può essere
SGS->(co) = 0
senza che si verifichi uno dei tre casi seguenti: o co è ra- dice di S~\ o S"^(a)) è radice di G, o GS""*(o)) è radice di S. Ma poiché le operazioni di sostituzione non ammettono radici, concludiamo che la forma G ammette come radice la funzione S~~^(co), se co rappresenta una qualsivoglia radice della forma a coofficienti numerici Gj.
Reciprocamente, poiché dalla (8) discende
G = S-'GjS,
abbiamo che se tp è radice di G, S(^) è radice di Gì*
Ne risulta che tutte e sole le radici di G si ottengono eseguendo 1* operazione S~^ sullo spazio delle radici di G^. Ma G^ essendo a coefficienti numerici, sappiamo asse- gnare r intero spazio delle sue radici (§ prec). Siano ;2;i, z^^ «.., z^ le radici distinte dell* equazione caratteristica di G^, degli ordini di moltiplicità r„ r,, . . . , r, rispettivamente. L'elemento generico dello S^ delle radici di G^ è dato da
co
= S ( ^10 + ^li ^ + • • • • + c,.r,^iX'i-'')e'i\
270 CAPITOLO UNDBCIMO
dove le e rappresentano n costanti arbitrarie; onde lo spa- zio delle radici di G si otterrà assegnando tutti i possibili valori arbitrari alle costanti e nella espressione
S- « = Sl^.. + Culog(\-x) + c„ %« (l _ a?) +
+ .... + e,v,_. l)9\-\l - X)) (1 - xYi.
Notiamo che tutte codeste funzioni ammettono il solo punto singolare x = ì; esse sono quindi regolari pntro il cerchio di centro x=:o e di raggio 1.
325. Passiamo ora al caso generale, e consideriamo una forma differenzialo lineare qualsivoglia, d'ordino n,
F == D» — a„-iD"-* — an-2l>"~* — • • • • -«iD - «o»
nella quale il coefficiente di D» sia ridotto all' unità e gli altri a„_i, «„— «» • • • » ^o siano funzioni analitiche regolari nel- r intorno del punto x =: x^.
Per fissare le idee, supporremo che i coefficienti «n— i.» «n—j,.,., oìq appartengano allo spazio S>'(x^), Indicando al- lora secondo l'uso con a/") lu jn"* derivata di «^ e con
r
(«i^'^Oo ^1 valore che essa assume nel punto x=x^ avremo che gli elementi
0
t
convergono nel cerchio di centro a? = a?^ e di raggio r.
Per un noto teorema sulle serie di potenze, se indichiamo con r^ un qualsivoglia numero positivo maggiore di r e mi- nore del raggio di convergenza di ciascuno dei coefficienti «1, e con ììì^ il massimo valore di |ai| entro il cerchio di cen# tro x^ e di raggio r,, la circonferenza compresi!, avremo
(0)
(«,(-))^
T*
§§ 324-325.
IL' TEOREMA DEL FUCHS.
27f
Accanto .alla funzione a, consideriamo le
ciascuna di queste sì può sviluppare in. serie di potenze di X — x^ e si ottiene
^i(a?) = m[ y (n — z)(n — 2 + ])...(n-~t + m~l) /a?— a?\°>-
m=:o ' \ l /
Risulta di qui
(d^?i\ ^ ^^ (n^z)(n-~z+I)...>(n-~e + m-l)
Avendosi (n — 1+ l)(n — 2 + 2) .. .. (n — i-f-^^^ — \)>m\
sarà per la (9)»
(10)
(t = o, 1, 2,.,., n — 1)
rf°«,| ^A^^^A (t = o, 1, 2,...,
d a?» t Vf'a?"/, (m = 1, 2, . . . . )
Ciò premesso, consideriamo accanto alla F la forma ., (1 1) D» - P._.D»-' - ^._D»-* - . . . -^,D - p.D»,
la quale è evidentemente del tipo considerato ài § 324; essa ammetto pertanto uno spazio di radici ad n dimensioni^ costituito di tutte funzioni analitiche regolari nell'intorno
del punto - = o, cioè del punto x = x^: più precisa- ci ^
mente, cia3cuna di codeste funzioni è sviluppabile in una ser rie di potenze di x — x^, convergente nel cerchio definito dalla disuguaglianza
X--X,
^1 •
< 1.
272 OÀPITOLO USDBCIHO.
cioè nel cerchio di ceatro x=:x^ e di raggio rj: ne risulta che le funzioni indicate appartengono ad S'(a7j.
Se «p è una determinata radice della forma (II), il suo sviluppo neir intorno (Tel punto x=^v^ sarà dato da:
■1=0
e questo sviluppo sarà noto quando si conoscano ì valori per wr=zx^ delle successive derivate di ^. Se fissiamo ad arbi- trio i valori ^^ 4'o»-'* 4^0^°""*^ g'ì ^It'*^ coefficienti saranno determinati in modo ricorrente dalle equazioni lineari che si ottengono ponendo x = x^ nella equazione
(12) +(«) = ^„_,+(--*) - K^V^^ -..-.- p.f -^=0
e in quelle che da questa si deducono applicando successi- vamente ad ambo i membri di essa le operazioni D, D*, D',...
Notiamo che le operazioni necessarie a questo procedi- mento sono, oltre le successive derivazioni applicate alla (12), semplici operazioni razionali. Di più, per x = x^ le funzioni jSj e tutte le loro derivate sono reali e positive. Ne risulta che se sceglieremo reali e positivi I valori arbitrari <po»
4^' • 4^0^""*^! tali ancora saranno tutti i coefficienti dello
sviluppo di 4^, relativo al punto x = x^^ e, più in generale, i valori di 4^ corrispondenti ai valori di x^ appartenenti al cerchio di centro x = x^ e raggio r„ e tali che a? — a?^sia reale e positivo.
Riprendendo la forma F, applichiamo alla corrispondente equazione ( 1 3) 9(n) — a^_i9('i-i) — a,_,9(tt-2) — .... — a,(p' — ot^^ = o
il processo ricorrente che dianzi applicammo alla (11). Fis- sati ad arbitrio i coefficienti
§ 325. IL TEOREMA DEL FUCHÌ9. 273
otterremo una deterininata serie di potenze
(1^) S^o'")^-^-^
mi
la quale soddisfarà formalmente alla (13).
In altre parole, si formino le n + 1 serie che si otten- gono dalla (14), applicando ad essa, termine a termine, le ope- razioni D*, (i = 0, 1, 2,..., n), e si sostituiscano nel primo membro delia (12) al posto di 9, ^>\ 9",..., 9(°) rispetti- vamente. Se di ciascuna delle «{ si considera lo sviluppo relativo al punto x = a?^, V espressione che così si ottiene si potrà ordinare in una serie di potenze di a? — x^
2 c„(a? — 07)»,
0
il cui coefficiente c„ si paleserà identicamente nullo. Questo è quanto si intende dire affermando che la serie (14) soddU sfa formalmente alla equazione (13),
Ma importa inoltre di mostrare come lo sviluppo determi- nato dianzi abbia un significato effettivo, in quanto la serie (14) appartiene ad S'(iz?^). Perciò, cominciamo col supporre che le costanti arbitrarie 9^^, cpo'»--»» 9o^""~*^ ^Q^' dano soddisfatte le disuguaglianze
(15) I 9o l< +0. 1 9'o l< +'0. . . M I To^-^-*^ l< to^'^-^^
e notiamo subito che in questa guisa l'arbitrarietà di (f^,, 9'^,..., 9^»^— *) non resta in alcun modo limitata: giacché le
costanti ^po» +©'»•• •« +0^°""*^ sono, nel. campo dei numeri reali e positivi, assolutamente arbitrarie. I successivi coefficienti della serie (14) saranno formati mediante le medesimo operazioni di somma e moltiplicazione, con cui si sono for- mati gli omologhi coefficienti dello sviluppo di ^, con la
18
274 CAPITOLO UNDECIMO.
sola differenza che per la serio (14), al posto delle co- stanti aibltrario ^^^ ^'o^..-, +o*"~*^ compariranno le costanti 9o» ?'o»---» 9<,^"~"*^ s)M]sfacenti alle disuguaglianze (15), e che al posto dei coefficienti di ciascuna ^| compariranno i coefficienti omologhi della corrispondente Aj soddisfacenti alle disuguaglianze (10).
Ma per un notissimo principio d'Algebra il risultato di un sistema di somme e moltiplicazioni, eseguite sopi*a i moduli di certi dati numeri complessi» è maggiore o almeno uguale al modulo del risultato dello stesso sistema di operazioni, eseguite sui numeri complessi medesimi. Ne risulta che ciascun coefficiente della serio (14) è, in modulo, minore del corrispondente coefficiente dello sviluppo di 4^» relativo al punto x = x^: il che basta a concludere che la serio (14) converge nel cerchio di centro x = x^ e di raggio ri>r e perciò definisco una funzione analitica, appartenente allo spazio S'(a7o).
326. Nei §§ prec, presa a considerare una forma F di ordine n, i cui coefficienti appartengano ad è'ix^), abbiamo dimostrato che esiste in S^'ixJ una radice di F, la quale as- sume nel punto x = x^. insieme con le prime n — 1 sue de- rivate, valori arbitrarli prefissati. Variando codeste n costanti arbitrarie otterremo lutto uno spazio di radici di F, il quale, poiché F è un'operazione distributiva, sarà necessariamente lineare.
Qui vogliamo dimostrare che codesto spazio è precisa- mente ad n dimensioni e che al di fuori di esso la F non può ammettere nessuna radice. A tale scopo è necessario che premettiamo il seguente teorema: (*)
Condizione necessaria e sufficiente affinchè
(') A questo teorema sono strite poste dal Peano (R. c. dtìUa R. Acad. dei Lincei, 1897) limitazioni, le quali non lianno però in- fluenza nel nostro caso, in cui fi^ vg, ..., ^n sono funzioni analitiche.
§§ 325-326.
IL WROKSKIAXO.
275
fra n funzioni analitiche ^j, T^t*..» 9ni regolari neirintorno di a? = x^, passi una relazione li- neare, omogenea, a coefficienti numerici, è che sia identicamente nullo il determinante
92
9i 9i
9^
9t
ft
9i
9n
9,
tf
Questo determinante si dice Wronskiano delle funzioni 9i» 9«»--*» 9n> G noi lo indicheremo con W(9„ (p,,.-*» 9n)- a) La condizione enunciata è necessaria. Se, infatti, si ha identicamente
«l9| + «iTt +• • . .+ «n9n = ^.
sarà anche
«i9i<'> + «j92<'^ + •••• + «n9n^'^ = 0, (i= 1, 2, . . . , n -- 1);
ora queste n — 1 relazioni non possono coesistere con la pre- cedente se non è identicamente
W(9„ 9t. • • • . <Pn) = 0.
b) La condizione è sufficiente. Infatti l'annullarsi identico del Wronskiano porta di con- seguenza che esistano n funzioni analitiche, regolari nel- intorno di x = x^, p,, Pj, ..., Pn» pe»' le quali è
(16) \
' Pl?l + PlTs + + P„9n = 0
Pl'Pl + PsTn' + + Pn9n' = 0
Rimane a dimostrare che alT infuori, al più, di un fattore comune, le pj sono costanti.
276 CAPITOLO UNDBCIMO.
Derivando le (16) e riducendo, otteniamo
Pi'^i + PtV, + + p'„9n = 0
/ì^,x . P»''*'i' + P«''''«+ + PnV = 0
(16)
Ora osserviamo che i minori d' ordine n — 1 del Wron- skiano (supposto uguale a zero) si possono supporre non tutti nulli; giacche in caso contrario saremmo ricondotti a dimostrare il nostro teorema pel caso di n — 1. Allora dal confronto delle (16) e delle (10') risulta
Pi Pi Pn
e quindi
Pi = (^i^
dove le 0| rappresentano altrettante costanti. Siccome e
è diverso da zero, dividendo per codesto fattore ambo i
membri della prima delle (9) otteniamo la relazione
che dimostra il teorema.
827. Riprendiamo la forma differenziale Uneare del § 325. Abbiamo dimostrato che ad ogni sistema di valori assegnati arbitrariamente per 9^, 9o'»-*-» *=Po^"~*^ corrisponde una determinata radice di F. Ora scegliamo n sistemi di costanti numeriche arbitrarie
(n-l) ^!.o ^'l-o "^^''lo • • . • «Fi-o
(n-l) <^2.o ^i'O ^'Vo • • • . 9j.o
(n-l) • n'O ' iJ'O » n»o • • • • Tn-o
t?ili che il determinante relativo, che diremo W^, sia diverso
§§ 326-328. sisTBiii fomdambntali. 277
da zero. Sa allora consideriamo le n radici di F, ^j, 9«|...,9n» tali che 9^ e le sue prime n — 1 derivate assumano nei punto
X = x^y rispettivamente i valori 94.^, 9 j.o^ • • • > ^l!<r*^' avremo che il W(qpi, 9«»-.-,9n)» come funzione razionale intera delle funzioni 9,, 9,, , . . , 9^ appartenenti ad S'(a7o)» appar- tiene esso stesso ad S'(a7j e che nel punto x = x^ esso si riduce al determinante W^, il quale è per ipotesi diverso da zero. Ne concludiamo che W(9,, 9^, . .., 9^), nell'intorno del punto X = x^ e^ quindi, nell'intero suo campo di validità, non è identicamente nullo, e che pertanto (§ prec.)„ le radici 9i« 9r •• «9 9n <^i I^ ^^^^ linearmente indipendenti.
328. Fuori dello SbL^Pp ^i^ • • • > ^nl '* forma F non può ammettere alcuna radice. Sia infatti 9„^., una n + !"■■ ra- dice di F, appartenente ad S>('^{xJ, Sussisteranno allora le 71 + 1 relazioni
(f == 1, 2, ..., n + 1).
Poiché, per ipotesi, lo funzioni a^. a,, ... , a^ non sono identicamente nulle, avremo, per un noto teorema sui si- stemi di equazioni lineari omogenee, che nell' intorno di X = x^ sarà identicamente nullo il determinante dei coef- ficienti W(9„ 9t» .... 9n-Hi)- Ne discende che le funzioni ?n ?>t» • . • » Tn+i sono linearmente dipendent*', 0, in altri ter- mini, che 9n-H appartiene ad S„[9,, 9«> • • • » 9»]-
I risultati ottenuti in questo e nei precedenti §§, si pos- sono riassumere nel seguente enunciato:
Una forma differenziale lineare, di cui il primo coefficiente è uguale all' unità, mentre gli altri sono elementi qualsi vogliano di S>^(x^)y ammette, come spazio di radici, tutto e solo uno spazio lineare ad n dimensioni, contenuto in
278
CAPITOLO UNDKCIMO.
Ogni sistema fondamentale di S''(^J si dirà senz'altro ^t« sterna fondamentale di radici della forma o di integrali della equazione (13).
329. Dal § prec. si concbiude che se una forma differenziale lineare di ordine non superiore ad n ammette n + I radici linearmente indi- pendentiy i suoi coefficienti sono tutti identi- camenti nulli.
330. Il teoroma del § 328 si può, in un certo senso, invertire. Ogni S„ di funzioni appartenenti ad S'(i3?o) è lo spazio delle radici di una forma dif- ferenziale lineare di ordine 7i, i cui coefficienti appartengono nd B'ix^).
Se, infatti, 9,, 9», • • . 1 9n ® "'^ sistema fondamentale dello S„ prefissalo, consideriamo, indicando con 9 là fun- zione arbitraria, il determinante
D»cp
cp,(n)
n-l Ih
9j(n-l)
9t
(n)
9«
fo-l)
D9 9
9'« ^t
^ (11) (p (n— 1)
9
Sviluppando questo determinante rispetto agli elementi della prima linea, otteniamo una forma diflerenziale lineare d'ordine n
dove è ed
— a„D"9 + an-il^""'^ + ... + a,D9 + «^9,
«n = "^^'(^l. <P«» • • • » *?'n)
= (- 1)"-*
cpCn)
?«
(n)
^^'i^ì) <p^(i-«)
^'j'
(i + l) 9,(i-l)
9n^») ... 9^'**^ 9n^*-*^ ... 9.
§§ 328-331. sPAZi DI RADICI. 279
il determiaante, analogo al Wronskiano, che compare in qiiosf ultima formola, sarà da noi rappresentato dalla nota- zione W,((p„ (p„ . . . , 9„).
Ora è chiaro dapprima che a^, or,, ...«an sono funzioni appartenenti ad $'(a?J, ed olire a ciò, che la forma dif- ferenziale lineare F ammette come radici tutte e sole le funzioni di $„[9i, 9,, . . . , 9„1.
331. Se }i(a7) è una funzione qualsivoglia, anche }xF ò una forma differenziale lineare di ordine n» che ammette il medesimo spazio di radici So[qpp 9,, ..., qpj. E facile vedere che dando a |jl tutte le possibili determinazioni, si ottengono tutte le forme d'ordine n che ammettono il dato S^ di ra- dici. Si ha infatti, come per le forme lineari alle differenze (§ 283) 0 con dimostrazione analoga, che condizione ne- cessaria e sufficiente affinchè una forma dif- ferenziale lineare sia divisibile per un'altra, di ordine non superiore, si è che lo spazio delle radici della prima contenga Io spazio delle ra- dici della seconda. Da ciò risulta che ogni forma G il cui spazio delle radici contenga Sn[?i» ^t> •••» ^J» ® ^*" visibile per F; se, in particolare, G è di ordine n, il quo- ziente sarà una forma di ordine zero, cioè, appunto, un' ope- razione di moltiplicazione.
E quindi univocamente determinata la forma di or- dine n che ammette il dato S„[qpi, qpt* • • • « ?nl come spazio di radici ed ha per coofficiente della massima potenza di D una funzione prefissata a(x): codesta forma è data da fjiF, dove sia preso
a
^ "^ W(cp„ <ft» • • • » O '
ossia, indicando al solito con 9 la funzione arbitraria, da
W(q). <P|. <p,, .. ., qPn) ^^'(iPi» ?«» • • • t Va) *
\
280 CAPITOLO UNDECIHO.
Cosi ìq particolare la forma di primo ordine che am- mette por radice qp| e ha per coefficiente di D la unità è data da
E == D —
qj
1
Vi Notiamo che si ha
E(,) = ,. ^'"^ - ^> = 9.D-f .
332. Poiché le forme d'ordine n che ainmettono come spazio di radici Sn[qP|, 9„ . . . , 9nl ^^^ differiscono che per un moltiplicatore a sinistra, se
è una forma siffatta qualsivoglia, avremo e io particolare
Pn W(9i, qp, 9n)
Ma si ha immediatamente, dalla regola per la deriva- zione dei determinanti, che
DW(9p cpt» • • • f 9„) = W„_|(9„ 9j, . . . , qPn\
onde si deduce, essendo e una costante, che-
W = ce Pn
Da questa espressione di W (formula di Liouville) ri- sulta che dappertutto dove Pn_i : p„ è regolare, il Wronskiano è differente da zero.
333. Passiamo ad esporre un metodo, diverso da quello dato nei §§ precedenti, per costruire lo spazio delle radici di una forma differenzialo lineare F.
§§ 331-338. SPAZI DI RADICI. 281
Sia, air uopo, cp^ una radice di F, ed essendo ^ una fun- zione arbitraria, sviluppiamo F{^^^) colla fornìola di D'Alem- bert (§ 152). Essendo nulla la F(9j, avremo:
FM) = F'(9o)D4^ + y^F"(9o)D'4' + . . . + ^F(n)(9jD»^; =
= (f'W +4'^"(9o)D + . . . + ^F(«) (9o) D--^)d4; = F,D^;,
dove F, è una nuova forma differenziale lineare d'ordine n — 1, i cui coefficienti
F"(9o) F(n)(9o)
F'(0.
2! ' •'•' ni
sono funzioni note, regolari nelP intorno di ogni punto X =r 0?^, in cui sono regolari i coefficienti della F.
Neir intorno di un siffatto punto x = x^, sappiamo de- terminare una funzione 4^,, radice della forma F,. E chiaro allora che la funzione D~*4'i sark radice della forma FM^j, : no discende che qpoD~*4'i sarà una nuova radice di F.
Ora, conoscendo la radice +i di F,, potremo operare su Fi come abbiamo operato su F; la forma F,, nelT intorno della funzione ^p si può rappresentare come prodotto della
«
D per una determinata forma F, d'ordine n — 2, a coef- ficienti regolari nell'intorno d^l punto a? = a?^: sarà cioè, indicando ancora con ^ la funzione arbitraria,
F,(+i4') = F.D-I. Se ^^ rappresenta una radice di F, la funzione
sarà radice di F|, e quindi la funzione
sarà radice di F.
Cosi possiamo continuare ancora, se n > 2, determi- nando successivamente un sistema di forme F3, F^. ..., F„_p
.282 CAPITOLO UNDEOIMO.
degli ordini n — 3, n — 4. ..., 1 rispettivameate, tali che S3 4^1 è uaa radice delerminaba della forma Fj, la fuazioQO
(t = 1, 2. ... n - 1)
sarà radice della forma b\
Nell'iatorno di 4'n-i ^^ forma F„_i del primo ordine si potrà esprimere come prodotto di D per una forma di or- dine zero, cioè per una operazione di moltiplicazione. Ora, comò si sa, lo moltiplicazioni non ammettono radici: perciò il procedimento a questo punto si arresta.
Poniamo
(17) 9,D-»4.,D-»+, . . . D--4.„_, =:cpi
(i = 1, 2, .. . ?i — 1).
E facile verificare che le radici 9^, 9j, qpj, ..., 9„_, che abbiamo determinato per la F costituiscono un sistema fon- damentale. Supponiamo, infatti, che fra esse sussìsta una re- lazione lineare a coefficienti costanti
(18) fl'oVo + «i9i + ••• + «n-i9„_» = 0.
La funzione 9^ non è identicamente nulla. Allora, ricor- <lando le espressioni (17) dello 9p dividiamo ambo i membri della (18) per 9^ e quindi applichiamo ad essi 1* operazione D: otterremo
... + tìr„_|4;,D-v|;, ... D-^'|^_i = o.
Dividendo ambo i membri di questa eguaglianza per ^^ e derivando, otteniamo
§§ 333-334. SOOMPOSIZIONE IN FATTORI. 283
Cosi continuando, otterremo da ultimo onde risulta
In modo simile si dimostra suixessivamente che dove essere
«n-2 = 0, a^_.^ = o, ..,, a^ = Oy a^ = Oy
come appunto volevamo dimostrare.
Da quanto precede concludiamo che la determinazione dello spazio delle radici di una forma differenziale lineare d'ordine n, di cui già si conosca una radice, si riconduce alla determinazione dello spazio delle ladici di una forma di ordine n — 1, coli* aggiunta di operazioni D~^
334* L'equazione
<19) G(t) = 4^.
dove G è una forma d' ordine w, ^ una funzione data e 9 una funzione da determinarsi, dicesi equazione diffe- renziale lineare non omogenea di ordine n. Ogni funzione 9 soddisfacente all'equazione dicesi solu- zione 0 integrale di essa.
È manifesto che determinare una soluzione dell'equa- zione (19) equivale ad assegnare una determinazione di 0~"'(4'); sappiamo che, conosciuta una di tali determina- zioni, si ottengono tutte le altre aggiungendo a quella tutte lo radici di G. Noi dimostreremo più innanzi, che se i coef- ficienti di G e la funziono ^ appartengono ad S'(a7j, esiste e si può effettivamente assegnare una determinazione di G~'(<{^), appartenente al medesimo spazio.
Premesso questo, supponiamo che la forma F di ordine
281 CAPITOLO UNDBCIMO.
m sia divisibile per la forma G di ordine n <: w?, m modo che
. F = HG,
dove H rappresenta una forma di ordine m — n.
Siano q)|, qp^, ..., qp^, n radici linearmente indipendenti di Cr 6 4'ii ^'«i •••♦ ^'m-D' "* — ^ radici linearmente indipen* denti di H. Si vede allora, con ragionamento analogo a quello der§ 286, che per avere Io spazio delle radici di F basta sommare allo spazio S^f^,, 9:, . . . , 9^] delie radici di G lo spazio ad m — n dimensioni, definito da m — n solu- zioni delle equazioni non omogenee
G(?) = ^, {i= 1, 2, .... m - n)
rispettivamente.
335. Riprendiamo la forma F e sia iQ| una sua radice. Se indichiamo con E| la forma lineare del primo ordine che ammette per radice la t]j e ha il primo coefficiente uguale air unità, se, cioè, poniamo
Ei = D — ^D^
la forma F sarà divisibile (§ 331) per Ej; esisterà cioè una determinata forma Fj dell'ordine n — 1, tale che
F = F.E,.
In modo analogo indichiamo con m, una radice di F, : la F, sarà divisibile per la forma differenziale lineare del prima ordine E,, che ammette la radice y]^ 0 ha il primo coeffi- ciente uguale ad uno. Avremo dunque
F, = F,E,
dove F, è una forma dell'ordine n — 2, e quindi
F = FjEjEj.
^.
§§ 334-386. SCOMPOSIZIONE in fattori. 285
Còsi possiamo coutinuare e dà ultimo, se a^ è il coeffi- ciente di D„ nella forma F, otterremo la seguente espressione
dove E„ E, . . . , En sono n forme differenziali lineari del primo ordine, aventi tutte come coefficienti di D la unità. Ricordando che si ha (§ 331)
avremo
ossia
(20) F = M-M^DM~'M^ DM~* ...M„DM~*.
Possiamo osservare che, in generale, la F non ammette un'unica decomposizione in fattori lineari.
336. Consideriamo una determinata decomposizione della forma F d' ordine n in fattori del primo ordine
E = anEnEn_i . . . EjE„
e, come dianzi, indichiamo con y]( la radice di Ej. Note le funzioni y]„ iq,, . . . , iq^, è facile assegnare un sistema fon- damentale di radici di F.
Considerando, dapprima, la forma
L,Ep
risulta dal § 334 che un suo sistema fondamentale di ra- dici sarà determinato aggiungendo alla radice iq^ di E^ una soluzione dell'equazione differenzialo lineare non omogenea
E,(qp) = iQr Ora, essendo
E,9 = r,,D-f , ^1
286 ' CAPITOLO UNDBCIMO.
dair uguaglianza
risulta
Le due funzioni
coi == T)„ toj = iQiD--»
^«
"ni
come radici di EjE, sono radici di EjE^E,, e dalle osserva- zioni del § 334 discende pure che esse sono linearmente indipendenti.
Per avere una terza radice di
EsE^E,
basterà considerare una soluzione dell'equazione diflFeren- ziale lineare
cioè
da cui
9 = C03 = Y)iD ~'^D-'^.
Le funzioni co,, a>j, cog, linearmente indipendenti, sono radici di E^EgE^E,.
Cosi continuando, otterremo infine il sistema di n funzioni
0)1 = IQi
0,, = r.^D-»^
TQl
"^1 TQ2 TQn -l
ciascuna delle quali è radice di F.
■.•*
§§ 336^38. CAMPI DI RAZIONALITÀ. 287
LM adi pendenza lineare di codeste n funzioni risulta, pel modo in cui furono ottenute, dalla osservazione del § 334: ma si può anche assodare direttamente, seguendo il proce- dimento tenuto alla fine del § 333.
C. CAMPI DI RAZIONALITÀ — RlDUCIBILrrÀ -r INVARIANTI.
337. Nello studio delle forme differenziali lineari, s'in- tenderà con campo di razionaìilà ogni insieme di fun- . zioni analitiche tale che ad esso appartenga ogni funzione, ottenuta mediante 1* applicazione di un numero finito di operazioni razionali e di derivazioni sopra un numero finito
di funzioni appartenenti ali* insieme stesso. Se esistono, in un campo di razionalità^ p funzioni «i, (x,, . . . , (x^, tali che ogni altra funzione del campo si ottenga da quelle per mezzo di un numero finito di operazioni razionali e di derivazioni, codeste funzioni diconsi costituire la base del campo.
Date due forme, i cui coefficienti appartengano a un de- tcrminato campo di razionalità, il quoziente e il resto della divisione dell'una per l'altra e il massimo comun divisore delle due forme date (§§ 320-321) sono forme, i cui coeffi- cienti appartengono al medesimo campo di razionalità.
338. Una forma F di ordine n si dice inidttcibile in un determinato campo di razionalità se non esiste nessuna forma G di ordine inferiore ad n, i cui coefficienti appar- tengano al detto campo di razionalità e per la quale la F sia divisibile. La forma F si dice invece riducibile quando una tal forma G esisto. In modo analogo a quello tenuto al § 296, si dimostra che se una forma, i cui coef- ficienti appartengono a un dato campo di ra- zionalità, ha una radice comune con una forma
288 CAPITOLO UNDECIMO.
irriducibile in esso, la prima forma ammetterà tutte le radici della seconda, e sarà quindi divisibile per la seconda.
339. Data una forma differenziale lineare F di ordine n, sia 7j, SPfi • • • « Tn UQ su^ sistema fondamentale di radici. Ogni sostituzione lineare non degenere sugli elementi
(21) A(9i) = +i = «iiTi + «i«9i + ... + a,„?„
(ì = 1, 2. . . . , n)
con
a =|a,jj=|= 0,
rappresenta una operazione che trasforma in sé stesso -lo spazio S^ delle radici di F, e in particolare fa corrispon- dere al sistema fondamentale 9|, qp^, ..., 9^ "^ nuovo si- stema fondamentale 4'ii 4^8» •••» +n-
Una espressione R(9,, qp'j, . . .), formata razionalmente con gli elementi di un sistema fondamentale di F e con le loro derivato fino a un determinato ordine si dico invariante quando, eseguita una sostituzione lineare non degenere su gli elementi del sistema fondamentale, la R non si altera, o viene al più moltiplicata per una espressione dipendente soltanto dai coefficienti della sostituzione. Ogni invariante soddisfa dunque alla seguente equazione
(22) R(?,,9'p...) = ^(«ij)K(+i, f,, ...).
Se, in particolare, la espressione f;(^,j) è uguale all'unità, si ha
R(9i. t/, . . .) = R(+i, +'i . . .),
e la R(9i, cp'j, . . .) dicesi invariante assoluto. Consideriamo ad esempio il Wronskiano
§§ 338-340. INYABIAKTL 283
Dalle (21) risulta, per ogni valore intero positivo di >n,
se ne conclude che il termine appartenente alla m"* linea ed alla t™» colonna nel determinante ^{^i^ 4^2» •••! +1») ^ dato da
ondo si ha
talché il Wronskiano è un invariante.
Analogamente si vede che sono invarianti tutti i deter- minanti, analoghi al Wronskiano, che abbiamo designato (§ 330) con Wi(9i, 9j, . . . , 9^); e precisamente si ha
Wl(+1» +«1 • • • +11) = «W(qpi, (p„ ... 9»).'
Ora sappiamo che i rapporti dei coefficienti di una forma al primo fra essi, si esprimono come quozienti di determi- nanti Wj per il Wronskiano: ne risulta che codesti rap- porti di coefficienti sono invarianti assoluti.
840. È senz' altro manifesta 1* analogia che corre tra gli invarianti nella teoria delle forme differenziali lineari e le funzioni simmetriche nella teoria delle equazioni algebriche. Codesta analogia è messa ancor meglio in luce dal seguente teorema, dovuto all'ApPELL.
Ogni funzione razionale delle radici di una forma differenzialo lineare e delle loro deri- vate, la quale sia invariante, è esprimibile per mezzo di una funzione razionale dei coefficienti della forma considerata e delle loro derivate, moltiplicata per una potenza intera del Wron- skiano. Per la facile dimostrazione di questo teorema, rimandiamo il lettore ali* opera citata dello Schlesinger, T. I, pag. 38.
19
290 CAPITOLO Uin>BCIMO.
341. Accanto ad ima forma difiereoziale lineare
F = aj)- + a._,D»-» + a.^D»-» + . . . + a,D + a,D%
come accanto ad ogni altra operazione distributiva, si può, considerare V operazione F, aggiunta di F (V. il Gap, IX). Varrà anzitutto per l'aggiunta di una tale forma' il teo- rema generale che l'aggiunta dell* aggiunta è la forma primitiva.
Ricordiamo poi le seguenti proposizioni stabilite nel citato capitolo:
a) l'aggiunta di una somma di operazioni è uguale alla somma delle aggiunte (§ 242. e);
b) V aggiunta di un prodotto è eguale al prodotto, in ordine inverso, delle aggiunte dei fattori (§ 243);
e) la moltiplicazione è aggiunta di sé stessa, mentre l'aggiunta della derivazione è la derivazione stessa, molti- plicata per il fattore numerico — 1 (§ 246).
Avremo perciò (§ 218) che l'operazione aggiunta di F, applicata ad una funzione arbitraria cf, sarà data da
F(^) =(- l)n[Dx9 — D--X-19 + D"-'««-2y -...+(-l)"ao?].
Dunque l'aggiunta di una forma differenziale lineare d'ordine w è ancora una forma differen- ziale lineare di ordine n,
I coofficienti di F si deducono da quelli di F per mezzo di operazioni razionali e di derivazione; onde si può dire che i coefficieiiti della forma aggiunta appartengono al medesimo campo di razionalità dei coefficienti della forma primi- tiva. Di piìi, nella espressione dei coefficienti di F per mozzo di quelli di F non compaiono operazioni di divisione: onde risulta che i coefficienti di F non possono avere altri punti singolari all' infuori di quelli dei coefficienti di F.
§§ 341-342. . FOftM A AGOIUMTA. 291
348. La forma F sia decomposta ia un certo numero di fattori
F = F, F,^i • . . Fj Fj.
Pel teorema sulT aggiunta di un prodotto di operazioni, avremo
La relazione tra F ed F, espressa dalle due precedenti uguaglianze, è nota sotto il nome di principio di recipro- cità ( Reciprocità tssatz) di Thomé e Frobenius. (^)
In particolare consideriamo la decomposizione in fattori lineari della forma F data al § 335
Avremo
F = Ei Ej . . . E„__i E^.
Poiché Ej è una forma del primo ordine, abbiamo che ad ogni decomposizione in fattori del primo ordine della F cor- risponde una decomposizione in fattori del primo ordine della forma F e viceversa. Risulta di qui e dal § 336 che, quando sia determinato un sistema fondamentale di radici di una forma F, si sa, con sole operazioni D~^ (quadrature), determinare un si- {stema fondamentale di radici della F. Infatti, conoscendo un sistema fondamentale di radici di F, si può assegnare una de- composizione di questa forma in fattori del primo ordine. Se ne deduce tosto, anche per la F, una decomposizione in fat- tori del primo ordine e quindi ancora, per le formule del § 336, un sistema fondamentale di radici di F.
Possiamo infine osservare che dal principio di recipro- cità e dal fatto che i coefficienti della forma aggiunta ap- partengono al medesimo campo di razionalità dei coefficienti
(^) SCHLKSINGEB, Op. cit , T. I, pAg. 55.
292 CAPITOLO X7NDBGIM0.
della forma ppimitiva, discende che in uno stesso campo di razionalità, p. es. in quello dei coefficienti della forma pri- mitiva, una forma e la sua.ag^iunta sono insieme riducibili 0 irriducibili.
343. Si dice 7noltiplicatore di una forma differenziale lineare F, d'ordine n, una funzione \x tale che sia
* M;aF = [jlF = DG,
dove G è una forma differenziale lineare d'ordine n — 1. Dalla definizione stessa di inolUplicatore di una data forma F, risulta che, se jij, pi, sono due moltiplicatori di F, è tale ancora ogni loro combinazione lineare a coefficienti costanti. Si ha dunque che i moltiplicatori di una forma differenziale lineare costituiscono xxtìo^spazio lineare. Codesto spazio è ad un numero finito di dimensioni, come risulta dal seguente teorema :
Le radici e i moltiplicatori di una forma sono, rispettivamente, moltiplicatori e radici della forma aggiunta.
Sia infatti co una radico di F; avremo (§ 335) essendo Fj una determinata forma differenziale lineare d'ordine n — 1,
F = FiM.,DM« ' ;
prendendo V aggiunta di ambo i membri otterremo (§ 341)
F= — M«»DM^Fi ossia
Ma.F = - DMcoF,.
Quest'ultima uguaglianza ci dice appunto che co è un
moltiplicatore di F.
Reciprocamente, indichiamo con |x un moltiplicatore di
F: avremo
M^F = DG, ossia
F = M;r>DG ;
§§ 342-344. . MOLTiPLiOÀTOKi. 293
ne viene, prenden'do V aggiunta,
ora, poiché MjST^ (|ji) = 1, risulta senz' altro che pi è radice di K, come appunto volevamo dimostrare.
Come corollario del teorema dimostrato, abbiamo che i moltiplicatori di una forma difierenziale lineare F di ordine n costituiscono uno' spàzio lineare ad n dimensioni {spazio delle radici di F).
844. È facile di assegnare ie effettive espressioni dei moltiplicatori per mezzo delle radici. Supponiamo che la forma F abbia il coefficiente di D° uguale all'unità: sia pre- cisamente
F ^ D° + a„_iD»-;» + . . . + «iD + «0^^
Ogni moltiplicatore p. di F è, per definizione, tale che sus- siste r uguaglianza
jjiF = DG,
dove G rappresenta una forma differenziale lineare dell' or- dine n — 1.
Scegliamo un determinato sistema fondamentale di radici
della forma F. In virtù dell'uguaglianza sopra scritta, 9^, 9,, ..., <p„ dovranno essere radici del prodotto d'operazioni DG. Questa condizione sarà soddisfatta se G è una forma dif- ferenziale lineare d'ordine n — 1, che ammetta come radici n — 1 delle funzioni 9^, qp«i • . . i 9n ® trasformi la n"' in una costante, p. es. nella unità. E facile vedere che le condizioni
Gi(0 = 0 (m = 1, 2... t — 1, i + l,... n)
G,(9i) = 1
determinano in modo unico la forma Gj.
294
CAPITOLO UHDBOIMO,
Infatti ogni forma differenziale lineare d'ordine n — 1, che ammetta le radici 9|, qp^^..., Ti—u tì+Ii**-* 9n« differisce solo per una funzione moltiplicatrice arbitraria dalla forma dif- ferenziale lineare
D"9 D»"*9 D9 ?•
9j(n) (pj(n-l) qp'j ^^
in) (n-i)
9i-l 9i-l .
(a) {■-!)
9i-»-l 9i-Kl •
^ (n) qp (« — 0 qp' ^
D Tn
e fra queste si otterrà quella che a qp^ fa corrispondere r unità, assumendo come funzione moltiplicatrice la
La forma G^ richiesta è data pertanto da
La forma DG|, che ammette come radici le funzioni 94» ^'«i..., 9n non può differire da F se non per una funzione moltiplicatrice. Poiché in F il coefficiente di D° è l'unità, codesta funzione moltiplicatrice sarà data dal coefficiente di D» in DG,.
Ora abbiamo
Nello sviluppo del secondo membro il coefficiente di ^(^^ è dato da
W(cpj, 9,,..., qpj
§§ 344-346. MOLTIPLICATORI, 295
Indicando con fi| codesta funzione, si ha
donde risulta che jx, è un moltiplicatore della forma F.
In tale modo, corrispondentemente alle n radici di F considerate
abbiamo determinato gli n moltiplicatori di F:
(i = 1, 2, . . . , n).
845. Notiamo che le espressioni di {Aj, iaj,..., i^n ^^ ^^i ottenute non sono altro se non i quozienti dei complementi algebrici di qpj(n), 9j^°\..., 9n^°^ rispettivamente nel Wron- skiano W(qPi, 9«i.«.. Tn)i divisi per il Wronskiano stesso. Ne risultano le seguenti relazioni:
(23)
(11-2) (11-2) (n-2)
f*l9i + [AjqP» + . . . + j*»9n = 0
(n-i) (n-1) (n-1)
f*i9, + lAjTj + . . . + JAn9n = 1
346. I moltiplicatori [ip fi:,.., pt^ dianzi deter minati sono linearmente indipendenti. Poniamo infatti
Le relazioni del § precedente si potranno scrivere
(24) ^o© = ^» ^o\ = 0, .. . , ao.n-2 = 0, <7o.ii-l = h
2%
CAPITOLO UNDEGIMO.
Ora si ha:
D*^ok-t = ^ok + 2^i.k-i + ^«k-ti
Applicanda queste uguaglianze per i valori A < n — 1 e ricordando le uguaglianze (23), otteniamo il nuovo sistema di uguaglianze
valide per
<7i.k = 0,
l + k <. n — ì.
Posto A = n — 1, otteniamo invece per Ccn— i, ^i.n— i, cr2.n— 2,..., <7d— 1.0 alternativamente i valori + 1 e -^ 1. Avremo in particolare le uguaglianze
Too = 0, (71.0 = 0, . . . , an-2.0 = 0. ^n— l,o = ( — 1)°~*,
ossia
f*)?l + P.t?8 + + [InSPn = 0
(23')
(n— 2) (n— 2) (n— 2)
(n-1) (n-1) (n-1)
:0 :(-!)-!.
Risulta di qui che il Wronskiano W (\i^, tJ^i,...i fin) non è identicamente nullo e che, quindi, i moltiplicatori
sono linearmente indipendenti.
Ad un tale sistema di moltiplicatori daremo il nome di sistema fondamentale di moltiplicatori. Esso non è se non un sistema fondamentale di radici della forma F ag-
§§ 346-347. MOLTIPLICATORI. 297
giunta di F. Possiamo allora osservare che alle relazioni (5S') saremmo potuti giungere, partendo dalla considerazione
del sistema di radici di F
come già arrivammo alle (23), partendo dalle radici di F
847. Un sistema fondamentale di radici e un sistema fon- damentale di moltiplicatori di F, legati dalle relazioni (23), e quindi dalle (23'), si dicono aggiunti.
Immaginiamo di eseguire sullo spazio delle radici di F Tomografia non degenere, che fa corrispondere a 9i, qp^,..., qpn le radici tpj, ^'a»---» ^n rispettivamente, legate a 9i» 9«»..m cpn dalle relazioni
(25) 4/1 = «Il 9i + «189, + . . . +*«ln?n
(i = 1, 2, 3,..., n).
Cerchiamo ora di determinare Tomografia che al sistema fondamentale p,„ ji„..., pi„, aggiunto a Tj, 98»-..» 9»» fa cor- rispondere il sistema aggiunto a ^^p 4^8,..., ^o- Indicando con Vp V8,...,^ v„ i moltiplicatori di quest'ultimo sistema, avremo
+lV, + +8^8 + • • • +nV„ = o.
Se indichiamo con a^ il quoziente del complemento algebrico deir elemento «ij, nel determinante 1 «y |, per il determi- nante stesso, deduciamo dalle (25)
9i = «li+I + «8l'l2 + • • • + «"nl+n-
Allora la relazione che lega i moltiplicatori jji„ p.,,..., |in alle radici 9,, 94» ... , 9n si può scrivere
2d8 CAPITOLO UNDBOnCO.
ossia
onde risulta
(i = 1 , 2 , 3 . . . . n).
Concludiamo, dunque, che se facciamo corrispondere ad ogni sistema fondamentale di radici il rispettivo sistema ag- giunto di moltiplicatori, ad ogni omografia eseguita nello spazio delle radici di una forma corrisponde nello spazio dei moltiplicatori l'omografia contraria; onde, usando una nota denominazione della teoria delle forme algebriche, po- ti'emo dire che le radici e i moltiplicatori di una forma differenziale lineare sono elementi con- tragredienti.
F. — INVERSIONE DI UNA FORMA DIFFERENZIALE LINEARE
MEDIANTE SERIE DI D^ *.
348. Date n funzioni linearmente indipendenti 9|, 9t,.--* 9„, abbiamo già determinato al § 344 le n forme differen- ziali lineari d'ordine n — 1 Gj, G,,..., G„, che godono le proprietà.
Gi('HPm) = 0 /"^ = 1, 2 . . . f — 1, t + 1, . . . n' G.
i('HPm) = 0 (m = 1, 2 . . . f — 1, t + 1, . . . n\ /cp,)=:l \i = \,2.,.n )
Codeste forme permettono di risolvere immediatamente il seguente problema di interpolazione: Costruire una forma differenziale lineare d' ordine n — 1 che faccia corrispondere ad n funzioni date, linear-
srr-^" e ,
§§ 347-349, INVERSA di una forma. 299
mente indipendeoti qp„ 9e,..., ^^, le funzioni date. X,, X,,..., X^ rispettivamente.
Invero, tale problema è risoluto senz'altro dalla forma
(26) G = 2 ^i^« = S ^(^i)^«-
Notiamo l'analogia palese di questa formola, che si può dire di interpolazione funzionale, con la nota for- mola di interpolazione algebrica del Lagrange.
Le funzioni qpi, 9„..-, qPn sono radici di una forma diflFe- renziale lineare F, d'ordine n, perfettamente determinata, quando in ossa il coefficiente di D° si prenda uguale all'unità. Rappresentiamo con pii, [x,,...! (&„ il sistema di moltiplicatori di codesta forma, aggiunto al sistema di radici 9,, 9;,..., ^n\ abbiamo allora
[jL4F = DGj (1=1,2,..., n) donde risulta:
La (26) si può allora scrivere
(27) G = 2 G(^i)^""'^^'*iF-
1
Applicando le duo operazioni, tra loro uguali, che com- paiono nei due membri della (27), all'operazione F~* in- versa di F, otteniamo
(28) GF-* = 2 G(9ì)D-»Mm..
349. La formola (28) ora determinata, fa riscontro alla nota formola d'Algebra che dà la decomposizione di una funzione razionale fratta nella somma di un numero finito
300 CAPITOLO UNDECmO.
di frazioni semplici, nel caso ia cui il denominatore ha sole radici semplici.
Essa dà, in particolare, un'espressione per la operazione F~S inversa di F. Si ponga, invero, nella (28) al posto della forma G 1* operazione identica; risulta
(29) F-^ = 2 ^fi~'^^^i'
1
Questa formola dà, per mezzo d*operazioni note applicate alla funzione 4^, la soluzione dell'equazione differenziale li- neare non omogenea
F(cp) = ^.
Sappiamo che questa equazione ammette infinite solu- zioni, le quali si ottengono aggiungendo ad una qualsivo- glia di esse successivamente tutte le radici di F. Ora ciò è reso manifesto dall'espressione (^) stessa che, applicata a 4*, si può scrivere:
i
infatti ogni suo termine D'^^dk^'p) ha infinite determinazioni, diverse tra loro per una costante addittiva arbitraria. Avuto riguardo a ciò, possiamo dire che l'espressione (29'), ci dà la soluzione generale dell' equazione differenziale lineare non omogenea. Essa non differisce dalla nota espressione a cui si giunge applicando il metodo della variazione delle costanti arbitrarie del Lagrange.
850. Sia X = x^' un punto del piano, nel cui intorno siano regolari la funzione ^ e ciascuno dei coefficienti della forma F, il primo dei quali si suppone sempre uguale al- l'unità. Allora neir intorno del punto a? = a?^ sono regolari tutte le funzioni fp^ che compaiono nella (29'), come risulta
§§ 349-350. II^YORSA DI UNA FORMA. 301
dal teorema del Fuchs, Tali ancora sono le funzioni jij» come si vede, sia ricordando le espressioni (§ 344) dei moltiplica- tori in funzione delle radici, sia riflettendo che i moltiplica- tori sono radici della forma F, i cui coefficienti sono rego- lari dappertutto dove sono regolari quelli di F. Avremo dunque che ciascuna ideile funzioni
appartiene ad S<*(a7j (§ 318).
Premesso questo, ci proponiamo di individuare, nelT in- torno del punto x = a?^, una soluzione particolare dell'equa- zione differenziale lineare non omogenea, indipendentemente dalla scelta fatta del sistema fondamentale di radici di F.
A questo scopo togliamo la moltiplicità di determina- zioni \iella D~* assumendone la determinazione principale (§ 114), cioè stabilendo che se a è una funzione di S®(a?o) avente per x •=^ x^ uno zero d' ordine r, D~'(a) abbia per X = x^ uno zero d'ordine r + 1. Con ciò la (29') ci dà per r equazione differenziale lineare non omogenea, una so- luzione particolare determinata:
D
(29') 9 = 2 ^iD-Hf^i+).
Codesta soluzione, per x = x^, si annulla insieme con le sue prime n — 1 derivate. Infatti, si consideri uno qual- sivoglia dei termini della sommatoria del secondo membro della (29'). Esso, ove si tralascino per semplicità gli indici, sarà:
9D-* (p-qp),
ossia, per la formola (29) del § 157 (*),
9 [[aD-^'I — pl'D-«^|; + }i"D-'^ — . .. .
+ (_ l)n-2jjt{n«i)D-(n-l)^ + (- l)ii-lD-l(|JL(n-»)D-(n-l)^)].
(') Formola che si é chiamata àe\V inie'grazione per parti.
302 CAPITOLO UNDBCIMO.
Sommando per i valori 1, 2, 3,..., n dell' indice e ri- cordando le formolo del § 315, che legano il sistema fon* damentale di radici qpj, 9ti.*-» sp^ ^' sistema aggiunto di mol- tiplicatori, otteniamo
n
(30) ~^ = (— 1>-« 2 ^fi-w^-^^iì-^^-^y
Se ora del hi D~* consideriamo, come si è detto, la de- terminazione principale, la (30) dà una determinata solu- zione particolare dell' equazione differenziale lineare non omogenea, la quale evidentemente ha nel punto x z= x^ uno zero dell' ordine n almeno. Di qui risulta, come appunto volevamo dimostrare, che la funzione 9 per a? = o?^ si an- nulla insieme con le sue prime n — 1 derivate.
La (3 )) dà sempre una medesima funzione, qualunque sia il sistema fondamentale di radici di F che si ponga al posto di cpj, qpj, ..., <?n, purché per |Jippit,..., [!„ si assuma il corri- spondente sistema aggiunto di moltiplicatori. Immaginiamo infatti di prendere, al posto del sistema fondamentale di radici di F, già considerato 9^ «fj, ..., 9^1 ^l sistema
legato al primo dalla sostituzione lineare a determinante \a^^\ diverso da zero
(31) 4/, = aji9i + «i«9t + + «inTn
(t = 1.2.3....n).
Rappresentiamo al solito con a^^ il quoziente pei* |ajj| del complemento algebrico in codesto determinante dell'elemento a,j. Poiché radici e moltiplicatori di due sistemi tra loro ag- giunti sono elementi contragredìenti, i moltiplicatori v^ v,, . . ., v„ del sistema aggiunto a 4'i> ^'a» • • • » 'In '*^i otterranno dai moltiplicatori ji-i, [ij,..., ia^ del sistema aggiunto a ^j, 9,,...
§ 350. INTBBSA DI UKA FORMA. d03
9q per mezzo della sostituzione lineare contraria a quella data dalle (31); avremo cioè:
(i = 1,2,3.... n); di qui discende:
(32) [Il = a„vi + a,iv, + fljjVg +.... + a,iv„
(t = 1 , 2 , 3 . , . . n).
*
La (30), ove si parta dui due sistemi aggiunti 4^,, 4^,,.. ' • » +11 e v„ V,, . . . , v„, dà
n (_ l)n-l2] 4;iD-l(Vj(n-l)D-(n-l)^);
1
di qui, sostituendo a ^'i l' espressione datane dalla (31), ot- teniamo
n n (- 1)0-* 2 2 «ij?jD-*(v/"-*)D-<n~i)4;)
i^j i=j
ossia
la quale, per le (32), si può scrivere
n
(~ 1)"-* 2 ^jD-i(iXj(o-i). D-(»-i)+);
cosi si è dimostrato che la funziono 9 non dipende dal si- stema fondamentale di radici di F, che compare nella sua espressione. La 9 dà pertanto una soluzione particolare del- l'equazione differenziale lineare non omogenea, soluzione che è quindi perfettamente determinata quando è assegnato il punto X = x^, nel quale deve annullarsi insieme con le sue prime n — 1 derivate; essa viene detta soluzione od in- tegrale principale (IIaiiptiniegral\ relativo al punto 07 = 07^, dell' equazione medesima.
304 CAPITOLO UNDBOIMO.
Dall'esistenza e dall* unicità della soluzione principale re- lativa ad un qualsivoglia punto x = a?;, nel cui intorno siano regolari la <{/ e i coefficienti della forma F, supposto il primo uguale all'unità, segue senza difficoltà che esiste una solu- zione particolare ed una sola la quale nel punto a? = o?^ as- suma insieme con le sue prime n — 1 derivate n valori pre- fissati arbitrari.
861. L'espressione data al § procedente per l'operazione F~* ha l'inconveniente di richiedere la conoscenza delle radici di F. Vogliamo mostrare come sia possibile assegnare perF""* un'espressione, costituita da una serie di potenze di D~S i cui coefficienti appartengono invece al campo di raziona- lità dei coefficienti di F.
A tale scopo, riprendiamo la formola
n
(29) F-> = 2 ^iD"'M.-i ;
qui, applicando la formola (27) del § 157 per lo sviluppo in serie delle D~^M.«*i nell'intorno della funzione arbitraria otteniamo :
oo
F-' =2 (- IJ-CviPti'") + <)',tit«"»)4-.-+9„fv.(»))D-('»+»»
Ora notiamo che i coefficienti delle successive potenze di D-»
9,[ij(m) + ^^p^^(m) 4- . . . + (p„ji.„(™) (m = n — 1, n, . . . )
sono funzioni razionali delle radici cpj, 9t».-., 9» di F e delle loro derivate, e di più (poiché radici e moltiplicatori sono elementi contragredienti) sono funzioni invarianti nel senso voluto dal teorema dell' Appell (§ 340); anzi, precisamente sono inr^arianti assoluti. Quindi essi sono esprimibili in funzione razionale dei coefficienti di F e delle loro derivate.
§§ 350-351. INVERSA DI UNA FOBICA. 305
Ad ottenere effettivamente questa espressione (poiché il metodo indicato dal teorema dell' Appell riescirebbe troppo laborioso) si presta facilmente il metodo dei coefficienti in- determinati (§ 164).
Supposto
F = D» + a^^.D^-' + . . . + «iD+a,D% poniamo
0
dove X^f Xj, X,, . . • sono funzioni da determinarsi convenien- temente. Se dimostreremo che lo sviluppo che avremo de- terminato converge in un certo campo funzionale, potremo concludere, per la unicità delio sviluppo di un' operazione in serie di potenze della D"' (§ 163 ) che codesto sviluppo è identico al primitivo, che, cioè, sussistono le uguaglianze
(m = 1, 2, 3, ...).
Dovendosi avere, indicando al solito con 1 l' operazione identica,
FF-» . 1,
cioè . .
co \ oo
vorrà, per la formola del D'Alembert (Gap. VI),
2[F(X,)D— + F'CX.jD-»--» + -^j-^-^D-H'+s + . . .
0
... 4. I!!l(^D--«»+n] = 1.
n! ^
20 I
306 CAPITOLO UMDBOIMO.
Il primo membro è uguale alla somma di una forma dif- ferenziale lineare d' ordine n e di una serie di potenze di D~^ ora, pei teoremi dei §§ 163-165, dovremo identifi- care nei due membri i coefficienti delle varie potenze di D e di D"~^ Uguagliando dapprima i coefficienti di D", D"~S , . . , D*, D, otteniamo
-\fì-){XJ - 0,
ni
(n — 2)! ' •' ' (n - 1)! ' " ^ n!
F'(U + ^F"(X,) + ... +(n- t);FC-')(X.-a) +
+ ^F(-) (X._i) =. o,
ossia
X. = 0,
^^^F(»-i)(XJ + X. - 0.
F'(XJ +-^F"(X,) + . . . +— _L^FC-2){X„_8) + X„_, = 0.
da cui risulta, in modo ricorrente,
Xj ^ 0, X, ^ 0, Xj =s 0, . . . , Xn— 1 = 0.
Continuando, poniamo uguale all' unità il coefficiente di 0° F(XJ + F'(X.) + -^F"(X,) + ... + :^F(»)(X„) - 1;
§ 851. IKVJBBOA DI UKA FORMA. 307
di qui risulta, ove si tenga conto delle uguaglianze pre- cedentii
PonendOi infine, uguale a zero il coefficiente di D~~™ per m > n, otteniamo:
F(X„) + K'(Xm+i) + -^F"(X„-H2) + . . .
(m sHi 1, 2, 3, . . . ) ossìa
(34) X„+n — - (F(X J + F'(Xu.^i) +^F"(Xm+2) + . . .
Quest'equazione ci permette di esprimere il coefficiente Xm+n in funzione razionale (intera) dei coefficienti di F, delle funzioni Xm, Xm+i, ..., Xm+n-i 6 delle derivate di queste ul- time n funzioni. Discende di qui che ogni coefficiente X„ è esprimibile, per mezzo di sole operazioni razionali e di de- rivazione, in funzione dei coefficienti di F: ciò è quanto dire che i coefficienti dello sviluppo in serie di potenze di D~\ da noi determinato, appartengono allo stesso campo dì ra- zionalità dei coefficienti della forma F. Se introduciamo il simbolo 6 rispetto ali* indice intero m, la (34) si può scrivere
(35) e»x„ - - (F(XJ + F'e(X J + -^F'nK) + . . -
essa è dunque un'equazione lineare mista alle derivate e alle differenze.
*
308 CAPITOLO UNDECIMO.
35S. Lo sviluppf)
del quale abbiamo cosi detcrminato, per via ricorrente, ì successivi coefficienti, soddisfarà formalmente alla rela- zione
F(S^„D--) — 1.
Ma questo sviluppo ha pure una validità effettiva; precìsa- mente, se le funzioni «n— p '^n-?» • • ■ -» ^^^i» *o app^^Vtengouo ad $', lo sviluppo precedente converge nello spazio S per valori di r abbastanza piccoli.
Infatti, le funzioni Xm-m determinate per mezzo della {3i\ appartengono ad S', come quello che sono ottenute da funzioni appartenenti ad 8' con sole operazioni di somma, di moltiplicazióne e derivazione. Sviluppata ciascuna Xn+m in serie di potenze di x, consideriamo le serie che da queste si deducono sostituendo ad ogni singolo coefficiente il rispettivo modulo, ed indichiamo con Xn+m le funzioni che restano cosi definite. Risulta dalle proprietà elementari delle serie di potenze che le funzioni Xn+m appartengono pure ad S'. Indichiamo con a„_i, a„_2, ..., «i, a^ le fun- zioni dedotte in modo analogo da a^-i, «0-2» • • • » «1» «o J'ispet- tivamente. Se ^ rappresenta la forma che si ottiene dalla F quando si sostituiscano ad «n^i, «n-z» . • . , «i» «o ^® funzioni ^n-v ^n— 2» • • • » «11 «o rispettivamente, e se poniamo, es- sendo u un numero positivo,
avremo immediatamente, dalla formula (34),
§ 352. COKYBRaBNZA DELLO SVIL0Ì»PO DI F" ^ 309
Ora, sia g,^ il valore assoluto massimo dì X„, Xn_i, X^..^* • . . , >^ii4-m-i nel cerchio che ha centro nell'origine e raggio uguale ad r. Si avrà, come è noto,
^n+p < 9m^rzr^ (p = 0, 1, 2 m — 1)
e quindi
(36) K.AU). < ^. k^)+ *'(^=^) + • •
••• + r-
H^-ÌT^)\
Ma, indicando con 9 una funzione qualsivoglia, abbiamo immediatamente dal § 152:
• • «
onde, aggiungendo al secondo membro della (36) il termine certamente positivo
g J^ <xn) /—Z: — \ = ^ — !! — ,
otteniamo
Se l'espressione
\r — w/
indipendente dall'indice m, avrà un valore maggiore di 1, indicheremo questo valore con A; se ha un valore non mag- giore di 1, indicheremo con h un numero positivo qualsi- voglia maggiore di 1; avremo in ogni caso
\n^x,{u) < gji, :(p = o, 1,.. .. m — 1).
310 OAPJTOLO UNDBOIMO.
Il ragionamento dianzi applicato a !„, Xm-H« •••• ^m-i-o-i si applicherà a Xm^^, Xm-t-^ . • • , Im+n: nulla sarà variato, solo al posto di g^ comparirà p„A, e concluderemo
>.n-i-m+l(M) < gjl\
In generale sarà
Xm+q(w) < fl^»**"-»-*^, (? > n);
cioè le funzioni XJii) soddisfanno ad utia condizione che in- clude quella data al § 161 come sufficiente alla conver- genza della serie
oo
n
Abbiamo dunque che nello spazio S, per valori di x abba- stanza piccoli in modulo, codesto sviluppo converge. Ma dal
modo in cui abbiamo definito le funzioni X^ risulta, per \x\ < u»
converge perciò anche lo sviluppo
oo
come appunto volevamo dimostrare.
È manifesto che quanto abbiamo detto rispetto a sviluppi in serie di potenze nell* intorno dell* origine, si ripete con ovvia modificazione rispetto a serie di potenze di x — x^, se x^ è un punto arbitrario nel campo comune di validità dei coefficienti a^,, «^ . . . , «n—x.
Notiamo da ultimo V intima analogia che intercede tra i procedimenti e i risultati del prosente e del precedente § ed il noto sviluppo in serie di potenze delle funzioni ra-
n
§ 352. OOHTBBGBNZA DBIXO SVILUPPO DI F~^ 811
zionali fratte. Tali sviluppi danno origine, come è noto, alle serie ricorrenti e l'ufficio che ha in tal caso la scala di relazione è, nelle precedenti nostre considerazioni, as- sunto dalla equazione mista alle derivate e alle differenze (35) del § prec Come i coefficienti della serie ricorrente sono esprimibili razionalmente per mezzo dei coefficienti del denominatore della funzione razionale data, cosi i coeffi- cienti dello sviluppo in serie di potenze di D~~S da noi otte- nuto per F^\ appartengono al campo di razionalità dei coefficienti della forma F.
CAPITOLO DODICESIMO.
Forme differenziali lineari normali C)
A. EQUAZIONE FONDAMENTALE — GRUPPO DI MONODROMlA.
353. Sia data uaa forma difTereoziale lineare d* ordine n F — Dn + a„_,D--^ + a._,D»-« + . . . + «,D + «.D^
e indichiamo con a, la regione di piano in cui sono simul- taneamente regolari le funzioni a^, a^, a,, . . . , «n—i.
Se 0? ss 0?^ è un punto di a, sappiamo (§ 328 ) che Io spazio delle radici di F è tutto costituito di funzioni rego- lari nel l'intorno del punto x =ss x^.
Si assegni nel piano una linea l (chiusa), che partendo dal punto x :^ x^ vi ritorni senza mai uscire da a e man- tenendosi ad una distanza costantemente finita dal contorno di codesta regione. Continuando analiticamente lungo la linea /, in un determinato senso, un elemento qualsivoglia 9 dello spazio delle radici relativo al punto x = a?^, della forma F, otterremo, dopo un numero finito di passaggi, un elemento ^p» relativo al punto x =a x^, distinto in generale da 9, ma appartenente sempre, pel noto principio della conservazione delle proprietà analitiche, allo spazio delle radici considerato.
(^) Per questo capitolo, cfr. Schlesingea, op. cit, T. I.
§§ 35.3-354. LB OPERAZIONI e. 313
Indidi'eremo con 0 quelP operazione, ' evidentemente di- stributiva, che consìste nell' eseguire sopita una data fun- zione regolare, la continuazione analitica dal punto ^^a?^ al punto X ssa x^ medesimo, lungo là linea l^ nel senso prefissato.' Tale operazióne fa 'dunque corrispondere ad ogni elemento dello spazio ad n dimensioni delle radici di F, re- lativo al punto -x s= a?^,;un elemento dello spazio stesso.
364* L'operazione 0, siccome distributiva; potrà i^appre» sentarsi in codesto spazio ad n dimensioni, riferito ad un determinato sistema fondamentale, mediante una sostituzione lineare '(§ 76). • ; ^.
.Questa operazione, ò ciò che è lo stesso, là sostituizione lineare che la rappresenta nello spazio delle radici . di F, non ò degenere in questo spazio. Infatti, siano '
«Pi,. 92, ...» 9n , l
gli elementi di un sistema fondamentale di radici^ della F, considerati neir intorno del punto x =s x^: per fissare le idee possiamo supporre che essi siano presi come elementi del sistema fondamentale di riferimento. Per continuazione analitica, dopo percorsa, la linea l nel senso prefissato, si otterranno, corrispondentemente,, n elementi
'i = +1, 092 ^>2. ...,'09n'= +«1
relativi al punto x = x^, appartenenti allo spazio delle ra- dici di F, ma in generale distinti da . . *
9i, 92» . •• » 9n
■ * f
rispettivamente. Se tra le funzioni «fu 4^2» •••» ^n interce- desse una relazione lineare a coefficienti costanti
^1+1 + «2+1 + . . . + a^^^ =: 0,
ad essa, per il principio della conservazione delle pro^ priétà analitiche^ dovrebbero pur soddisfare (contraria-
314 CAPITOLO DOD1CB8IMO.
meato ali* ipotesi) le radici 7^, 7,, ..., qp., deducìbili dalle 4^11 4^1* • • • « 4^9 mediante 1* operazione 6^^ cioè mediante la continuazione analitica lungo la linea /, percorsa in senso opposto a quello prefissato.
La 0 fa dunque corrispondere ad un sistema fondamen- tale di radici un sistema fondamentale, e perciò, nello spazio delle radici di F, è rappresentata per mezzo di una sosti tu* zione lineare non degenere.
355» Come alla l, cosi ad ogni altra linea /', passante pel punto X saa x^ e soddisfacente alle condizioni imposte dianzi alla ^ corrisponderà un'altra operazione 6' ben de- terminata nello spazio delle radici di F relativo al punto
X aB x^.
Discende da elementari proposizioni sulle funzioni anali- tiche che due operazioni S^ e 6,, corrispondenti a due linee /p /, rispettivamente, sono o no identiche a seconda che le linee l^ ed t^ sono 0 no riducibili V una all' altra per defor* mazione continua, senza che sia necessario uscire da a. Consideriamo, allora, un insieme di linee chiuse, passanti pel punto X avi x^, soddisfacenti alle solite restrizioni, e tali che a due a due siano tra loro irriducibili, mentre ogni altra linea chiusa, passante pel punto a; as a?^ e interna ad a, sia riducibile ad una delle linee del sistema. Corri* spondentemente avremo un determinato insieme di opera- zioni 9, le quali formano un gruppo (§ 41).
Siano infatti 6j, B^ due operazioni dell'insieme indicato, corrispondenti alle linee l^^ l^ rispettivamente. Tra le linee del piano, passanti pel punto a; »> a^« e interne ad a, vi è anche la linea ^3, costituita dalla linea l^ e dalla linea l^ considerata come continuazione della prima. Alla linea l^ corrisponde un' operazione 63, manifestamente uguale al prodotto 0J01. Si ha dunque, come appunto volevamo dimo- strare, che l'insieme considerato di operazioni 0 costituisce
"«^
§§ 354-356, GRUPPO di monodrouia. 315
un gruppo, A codesto gruppo di operazioni, che iodicheremo eoa G, si dà il nome di gruppo di monodromia della forma F, o dell* equazione differenziale F bhb o.
356* Nello spazio delle radici di F, relativo al punto X aat o?^, si fissi UH Sistema fondamentale 9^, qpt* • • • * 7o« Rispetto a codesto sistema, ciascuna operazione S è rappre- sentata da una sostituzione lineare non degenere. Discende dalle precedenti considerazioni che le sostituzioni lineari, che rappresentano te singole operazioni 6 del sistema con- siderato, costituiscono esse stesse un gruppo^ che indiche- remo con Gf e che, al pari del gruppo G delle operazioni 6| al quale esso serve di rappresentante, potremo chiamare gruppo della forma F»
Si prenda ora come sistema di riferimento un sistema fondamentale di radici
+1» ^t +1»
distinto da 9^, 9,, . . . , 9^, e sia T la trasformazione di coor- dinate (§ 17) nello spazio delle radici di F, che cambia il
sistema 9^, 9t« • • • > 9n nel sistema 4^11 ^v • • * » ^a- ^^^ ^^^^ rappresentata da una certa sostituzione lineare non d ege- ne re. Avremo
+, — T(9i) (f- 1,2,3 n).
Sia allora S la sostituzione lineare non degenere del gruppo G^, che rappresenta una deterininata operazione 0. E facile dedurne la sostituzione lineare S\ che rappresenta la medesima 0, rispetto al sistema fondamentale «p^, 4^,, ..., 4^.. Se / è la linea, che corrisponde ali* operazione 6 dianzi considerata, ciascuna funzione 9, si trasforma, por effetto della continuazione analitica lungo l, nella S(9|): nello stesso tempo ogni, funzione 4^1 ^* T^{9i) passerà nella TS(9i), ^f
316 CAPITOLO DODrOBSlMO.
pokhè 9i = T~'(4'i), l'operazione © rispetto al sistema 4^1' 'J^s» •••» ^n sarà rappresentata dalla sostituzióne lineare
TST-»,
trasformata di S per mezzo di T.
Questo risultato si suole esprimere colla scrittura
357. Supponiamo che i coefficienti della forma F. ammet- tano soltanto r punti singolari a-distanza finita a^^aj, ...,«,, oltre al punto all'infinito, che chiameremo a, .
Indichiamo con
©1, ©j, . . . , ©y, '©co,'
le operazioni definite (§ 353) relativamente ad r -^ 1 lìnee chiuse li, .i,, ..., Ifj /j.passanti pel punto. x=six^, ciascuna delle quali abbracci uno ed uno solo dei punti a^.a,, ..., a„ a. È manifesto che ogni operazione 0 del gruppo G si può esprimere come prodotto di operazioni scelte fra le
Ora fra queste r + 1 operazioni intercede una ovvia rela- zione. Invero, per fissare le idee, immaginiamo che ciascuna lìnea l^ sia costituita:
1® di una parte rettilinea s^, che, uscendo dal punto 00 ss x^ giniiga ad un .punto a? = e, dell' intorno del cor- rispondente punto 07 B aj!
2® della circonferenza Yì di centro x i= a |, passante per il punto a? = e, e tale che lasci all'esterno ogni altro punto singolare dell'equazione:
3** del segmento di retta s^ considerato a partire dal punto a? =B c?j fino al punto a? = a?^.
La linea / sia costituita di un segmento ^ di retta» mag- giore delle distanze da a? ss a?^ di ciascun punto x := a^ 0 di un cerchio Yt contenente nel suo interno tutti i punti
X =1 «i-
§§ 356-358 GRUPPO di monooromja. 317
. Lungo la circonferenza y si dovrà naturalmente assumere come senso positivo quello che lungo le Yj è negativo (da sinistra a destra in alto). E evidente che si può scegliere nell'intorno di ciascun punto a? = «i il corrispondente punto X ^ Cij in guisa che i segmenti s^^ ^f, . . . , s^, s siano tutti distinti. Inftne possiamo supporre che nel fascio (li centro a? =» a?^ i segmenti s^, s^, . . , ^ s^ s sì susseguano at- torno al punto 07 = a?^ nell'ordine in cui li abbiamo ora scritti e nel senso positivo.
E allora senz* altro chiaro che la linea costituita dallo insieme delle linee elementari l^, /j, ^3, ..., /, percorse in senso positivo T una di seguito ali* altra, si può, per defor- mazione continua e senza oltrepassare alcun punto singolare della forma data, trasformare nella linea /, considerata in senso negativo. Risulta di qui tra le operazioni ©j, 0j, ©3, ..., 6p, 9oo la relazione annunziata:
e.e^, ... e, - e-'
ossia
358. Data una forma diflFerenziale lineare d' ordine n F = D» + a„_iD»"^ + «,_,D»'« + . . . + a^D + a,D^
sia 07 ss 07^ un punto singolare isolato della forma, cioè un punto singolare di alcune 0 di tutte le funzioni a„_^, ^n-v •••1 ^o« ^^^^ c^6 si^ finita la sua distanza rj dal punto singolare dello medesime funzioni che è ad esso più vicino. Preso neir intorno del punto a? = a?^ un punto a?, tale che sia
' S — a?J — r < ri,
prendiamo a studiare T operazione 6 corrispondente alla circonferenza (r) di centro a? ss a?^ e di raggio r, percorsa
318 CAPITOLO DODICESIMO.
nel senso positivo. Sappiamo già che lo spazio S^^ delle ra- dici di F neir intorno di a? sb rr^ è invariante rispetto al- l'operazione 0.
Ora precisamente ci proponiamo di determinare gli spazi lineari contenuti in S^, invarianti rispetto all'operazione 6 e, in particolare, gli elementi invarianti. A questi ultimi elementi, o radici di F le quali rendono soddisfatte relazioni della forma (§ 58)
e(9) — A?,
dove k è una costante numerica, fu dato il nome di inte^ grati canonici della equazione differenziale lineare omo» genea F as o; noi le diremo anche radici canoniche A\Y* Per ottenere la classificazione di codesti spazi invarianti di radici non abbiamo se non da applicare a questo caso particolare i risultati ottenuti al Gap. IV sulla struttura di uno spazio ad un numero finito di dimensioni, invariante rispetto ad una operazione distributiva qualsivoglia.
Nello spazio S^ fissiamo come sistema di riferimento un determinato sistema fondamentale
9i. <Pft 93» •••1 9n\
come sappiamo (§ 327), per individuare questo sistema basta assegnare la matrice dei valori che nel punto x ss& x fissato neir intorno dì x sb x^y assumono le funzioni 9^, 92* , . . , 9^ e le prime n — 1 loro derivate, sotto la condizione che il determinante di tale matrice sia diverso da zero.
Rispetto al sistema fondamentale prefissato, 1* operazione S relativa alla circonferenza (r) è rappresentala da una determinata sostituzione lineare non degenere
(t = 1, 2, 3 ... n).
§ 358.
BQUAZIONB FOKDAMBNTALE.
319
Ora si consideri la corrispondente equazione fondamentale
m
«11 — |
S |
«» |
«13 • - • |
Oln |
||
«« |
«M |
Z |
«23 |
«l> |
||
«31 |
«at |
«33 "" ^ • • • |
a»n |
|||
Onl |
«.. |
«n3 • • • |
a |
..— « |
o\
che dicesi equazione fondamentale^ relativa al punto a?a«a?^, della forma F.
Se Cyy e,,..., Cq sono le radici distinte, degli ordini di moltiplicità Ti, r,, ..., r, rispettivamente (r^ + r ^ + Tj + . . . + r^ aaa n) di questa equazione (§§ 83-90) lo spazio S„ potrà considerarsi come somma di q spazi
\i Sr,i • • • » \
ad r,, r„ . . • , r, dimensioni rispettivamente, ciascuno dei quali è invariante rispetto a 6. Ogni spazio S è alla sua volta somma di un certo numero di spazi invarianti, i quali corrispondono alle diverse radici proprie linearmente indi- pendenti delle successive potenze dell' operazione
Ognuno di codesti ultimi spazi invarianti (§ 85) è caratte- rizzato da ciò, che contiene un sistema fondamentale co, a)(i), to(*),...| w^P— *), rispetto al quale Toperaziono © è rappresentata dalla sostituzione lineare
[ 6(co) = qco 0(a)(*)) — co + Cytui^) (1) { e (co(2)) 3s a)(«) + Cia)f2)
1 e (co(P-*)) = ci>(P-a) + CiO)(P-i).
A ciascuno dei sistemi di radici co, co(*), co(2), , . . , co(p-*), che sono trasformati dalla nostra operazione 6 nel modo indicato
320 CAPITOLO DODICESIMO.
dalla (1), si dà il .nome di sottogruppo delio Hamburger, re- lativo al punto X = x^. Il sistema fondamentale di radici» formalo dall'insieme di tutti i sottogruppi dolio Hamburger relativi al punto a?s«a?<>, dicesi sisiema canonico di radici relativo al punto x s= x^. Dicesi infine sostituzione lineare canonica la sostituzione lineare che rappresenta la 9 quando si pr(»nde come sistema di riferimento il sistema canonico. Ogni sottogruppo dello Hamburger contiene una radice canonica ed una soltanto: cosicché il numero delle radici canoniche di una forma dell'ordine n è in generale minore di n. Nel caso particolare in cui l'equazione fondamentalo ammette n radici distinte
Cj, Cj% Cjj, • • • t C,|,
il sistema canonico si compone di n radici coi, w^ . . . , &>„,
tali che è
6(coj) s=B CiCOj {i = 1 .2... n);
si hanno cioè n radici canoniche linearmente distinte (').
859. I risultati del § precedente permettono di asser- gnare le espressioni analitiche delle radici di un sottogruppo dello Hamburger nelP intorno del punto x sb x^.
La 9, che in sostanza, consiste nel far eseguire alla va- riabile X un giro lungo la circonferenza (r) a partire dal punto X ^s X, si riconduce con una operazione di sostitu- zione (cambiamento di variabile) alla operazione 0 di diffe- renza finita {^), Si ponga, inveremo? — a^^ssr^^'^'y, donde
risulta
1 , 00 — x^
2tzì ^ r
(1) GioYii potare come ripptesi che U linea cui corrisponde Tope- razione e, sia la circonferenza (r), non sia essenziale per le conside- razioni esposte in questo §. Una analoga struttura dello spazio inva- riante varrà dunque per V operazione corrispondente ad una linea chiusa qualsiasi racchiudente quanti si vogliano punti singolari.
(<) V. Casoratz, Annali di Matematica S, II, T. X, p. 10 e segg.
§§ 358-359. SOTTOGRUPPI di hamburqbb. 321
Se è X — a^o = ^^^'''^ l' eseguire V operazione 6 equivale al tener costante il modulo di a? — x^ e all' aumentarne di 27r r argomento, cioè, rispetto alla variabile y, al passare dal
valore y al valore y + 1, Se dunque 9(0?) si muta in f{y) per r accennata trasformazione di variabile, avremo
•e(T(a7)) == /-(y 4- 1) = 6 /-(y).
II caso più semplice che una funzione può presentare ri- guardo air operazione 6 è di essere tale che
©(9) = .9f ossia
my) = nyy
Una tale funzione, che, rispetto alla variabile y è perio- dica di periodo I {costante rispetto alla 0 (§ 264)) ha, ri« spetto alla variabile x la proprietà di essere uniforme nel- r intorno del punto a? = a?^.
Premesso questo, prendiamo a considerare le radici di F appartenenti ad un sottogruppo dello Hamburger: siano
Avremo
^ e(&>) = eco
/ e((o(0) = w(i-i)+ ca)(0 (2 = 1, 2,..., p — !)•
Eseguiamo ora il cambiamento di variabile indicato so- pra: e indichiamo con a)(>) quello che, dopo tale can;)bia- mento diventa la funzione eit)(>).
Avremo in primo luogo
6co = cci),
equazione lineare omogenea alle differenze, del primo ordine, a coef&cienti numerici, la cui soluzione generale (§ 308) è data da
21
322. . CAPITOLO DODICESIMO.
dove Y è una qualsivoglia costante rispetto a 0. La funzione
tù(y) si dedurrà da questa soluzione generale, assegnando a Y una conveniente determinazione.
Ripassando ora dalla variabile y alla variabile x^ la y, costante rispetto a 6, diventerà una determinata funzione TQ^^, uniforme neir intorno del punto x = co . Inoltre indi-
log r
cando con a la costante c"~ 2^1 e ponendo
log e _ .
avremo con un calcolo semplicissimo
cy = a(x — x^)\ onde, includendo in iq^^ la costante a,
Passiamo a considerare un'altra qualsiasi delle radici dì F appartenente al medesimo sottogruppo, per es. la co(s— *)(a?). Essa è radice propria dell'operazione
E,- = (0 - cy.
Se quindi passiamo dalla variabile x alla variabile 1/, la
funzione a)(s-*)(a?J diventa una funzione to(^~^y)y radice pro- pria della forma lineare alle diJBferenze, a coefficienti co- stanti, d'ordine s
(0— e)- == 0 — 5ce--i + (I) c*e«-« — (3) c^^e»-«+ ... + ( - i)"^^
Ora, poiché la equazione caratteristica di codesta forma è, se z indica V incognita,
(z — cy = 0, la radice più generale della forma stessa è data da
§ 369. SOTTOGRUPPI DI HAMBURGER. 323
dove al solito Yos— i» Ti.s-i.«-i Ts-i,s-i rappresentano s fun- zioni arbitrarie, costanti rispetto a 0. Codesta espressione, per una particolare scelta delle funzioni vj.s-i, rappresenterà
la funzione to(^—^\y).
Ripassando dalla variabile y alla variabile 07, ogni fun- zione Vj,s-i si trasformerà in una determinata funzione uni- forme nell'intorno del punto x = x^: indicando con iqj.s-ì questa funzione, ali* infuori di una costante numerica, otter- remo, con considerazioni analoghe di quelle svolte per il caso precedente, l'espressione
w(s-*)(a;) = (x — x^y[r,o.s-ì + iQi.s-i log {x — x^) + + r^i.s-1 log\x — rrj + . . . +Tfìs-i.8-i %«-* (^ — ^o)]-
Concludendo, le radici di un sottogruppo dello Hambur- ger, relativo al punto singolare isolato x = x^^ ammettono neir intorno di questo pvinto. espressigni analitiche della forma seguente:
a)(a?) = (0? - x^)\^
toW(x) = (a? - a?J*[t)^i + Y),i log {x — xj]
/O) I ^'-^(^) = (^ - ^oy[^o« + ^n%(^ - ^o) + fìiilog^OO - X.]
eo(p-*)(a?) = (37— irJ*[tio.,i-i + ra.p-i log{x — xj + + Yia.p-i log^(x — xj + ... -f- TQp_i.p_i logv-^(x — xj)].
Le funzioni T,y\ come già abbiamo notato, sono uniformi nell'intorno del punto x = x^, in quanto sono costanti ri- spetto alla operazione 0. D'altra parte, nelT intorno del punto X = a?o, al quale abbiamo qui ristretto le nostre considera- • zioni, lo funzioni iqj.i non possono avere alcuna singolarità fuori che nel punto a? = rr^ stesso, come consegue dal teo- rema del P'uchs (§ 325).
Essendo pertanto r^ la distanza di x^ dal punto singo- lare di F più vicino ad esso, ed r<ir^, ciascuna delle fun-
324 CAPITOLO DODICESIMO
zìoqì iQj.i, Della corona circolare comune ai due cerchi di centro nel punto a? = o?^ e di raggio r ed r^ rispettivaraente, sarà rappresentabile per mezzo di una serie di Laurent. In generale, ogni funzione r^j.! avrà nel punto rr = 07^ un punto singolare essenziale; si può dunque dire che in un punto singolare isolato di una forma differenziale lineare, ogni sua radice canonica presenta, in generale, la sovrap- posizione di una diramazione (singolarità algehroidé) o di una singolarità e <enziale; mentre per ogni altra radice di un sottogruppo dello Hamburger vi si sovvrapone ancora una singolarità logaritmica.
B. PUNTI SINGOLARI NORMALL — EQUAZIONE DETERMINANTE.
860. Al § 217 abbiamo definito le espressioni rego- lari noir intorno del punto a? = o. Similmente, si dicono regolari nell'intorno di un punto a; = a?^ qualsivoglia le espressioni m tali che Sx+x. (t)) sia regolare nell'intorno di X = o: e si dicono regolari nell'intorno del punto x = oq le espressioni t) tali che Si (r^) sia regolare nell'intorno del
X
punto 07 = 0. Discende di qui che le espressioni regolari nell'intorno del punto a? = a?^ saranno combinazioni lineari a coefficienti numerici di un numero finito di funzioni della forma
9(a?)(a? — a?J» log'^ix — a?J,
dove 9 (a?) appartiene ad ^{x^ ed m è un intero positivo. Si- milmente le espressioni regolari nel punto a? = oo saranno combinazioni lineari di fun^oni della forma
9(a?)a?* ìog'^x,
§§ 359-361. PUNTI SINGOLARI KORMALI. 325
dove qp (x) è una funzione sviluppabile in serie di potenze intere e positive di — .
361. Ciò premesso, osserviamo che le espressioni (2) delle radici co di F (§ 358), quando tutte le funzioni iqì.j aon ab- biano nel punto x = x^ una singolarità essenziale, cioè vi siano aflFette al più da un polo, diventano espressioni rego- lari (§217) nell'intorno del punto a? = 0?^. Ora si può assegnare per i coefficienti della F una condizione necessaria e suffi- ciente affinchè le radici della forma, nell* intorno di un loro punto singolare determinato, siano tutte rappresentabili per mòzzo di espressioni regolari.
La condizione necessaria è data dal seguente teorema: Se le radici di F sono tutte rappresentabili neir intorno di 0? = a?^ per mezzo di espressióni regolari, i coefficienti della forma
F = D» + a„-iD»-^ + . . . + a^D + a,
non possono avere per x = x^ se non singolarità polari: precisamente il coefficiente a, per a? = a?^ può avere al più un polo di ordine n — i. Per semplificare le notazioni porremo x^ = o. a) Consideriamo dapprima un' equazione del primo or- dine
D9 + «9 = 0.
Se la sua unica soluzione nelT intorno del punto singo- lare X = 0 è rappresentabile per mezzo di una espressione regolare, essa avrà la forma
x\{x),
dove ri(a?) appartiene ad S® e si può supporre r,(o) 4= 0. S;\rà allora, posto Dtq =: n',
326 CAPITOLO DODICESIMO.
e quindi
cor]
Risulta di qui che a ha nel punto x ^= o uà polo del primo ordine, salvo il caso di t = o, nel quale a appartiene ad «•.
b) Indicando con w un* espressione regolare x\ dove i) appartiene ad S® ed è ri{o) 4= 0, avremo per la formola del D' Alembert (§ 152)
FM« = Y D° + ^ ^D»"i+... + FYa))D + F(a)),
ossia sviluppando e dividendo pel coefficiente dì D°, certa- mente non nullo,
Fi = D» + ( n -^ + aa-i)D«>-i +
+ ((0^ + (^ - 1) «n-i -^ + «o-2)Dn-i+ . . .
(w(n' Ci)''"—*) co' \
Risulta manifesto di qui che se i coefficienti della F soddisfanno alla condizione enunciata sopra, vi soddisfanno anche i coefficienti di F,. Reci- procamente, se alla detta condizione soddisfa la Fi, vi soddisfa altresì la F, giacché questa, all'in- fuori di una moltiplicazione a sinistra, si ottiene dalla F eseguendo a destra di questa la moltiplicazione per la fun- zione
— = ar-^ — ,
w r]
la quale è della stessa natura della co =• x% se come ab- biamo supposto, iQ non è nulla nel punto x = 0.
§ 361. PUNTI SINGOLARI NORMALI. 327
c) Premessa questa osservazione, dimostriamo che il teorema enunciato in principio di questo § vale per una forma d* ordine qualsivoglia.
Supponiamo perciò il teorema già dimostrato per le forme di ordine n — 1, e, per dimostrarlo nel caso delle forme di ordine n, supponiamo che nelT intorno del punto x = o tutte le radici della forma F, di ordine n, siano rappresentate da espressioni regolari. Codeste radici daranno luogo almeno ad un sottogruppo di Hamburger, al quale apparterrà una ra- dice canonica
dove TQ è una funzione di S®, non nulla per x = o.
Dedotta dalla F, come dianzi indicammo, la Fp questa avrà come radici i quozienti per co delle radici di F. Ma se 9 è rappresentata uell* intorno di x = o da. una espressione
regolare, tale è ancora la — ; cosicché tutte le radici di F.
ammetteranno in queir intorno un' espressione regolare.
Ora, siccome w è radico di F*, la Fj ammetterà come ra- dice la costante, onde risulta che la F^D""^ è una forma dif- ferenziale lineare d'ordine n — 1, le cui radici, come deri- vate di funzioni rappres^entabili nelT intorno di x = o me- diante espressioni regolari, sono esse stesse tali (§ 223 6)). Ma per le forme d'ordine n — 1 il teorema si è suppo- sto dimostrato; quindi in FjD""* il coefficiente di D* ha, per X = 0, ixì più un polo di ordine n — 1 — i e, di conseguenza, in Fi il coefficiente di D* ha al più uà polo di ordine n — i. Ma air infuori di una moltiplicazione a sinistra la F è data da FjMi : per l' osservazione 6) premessa a questo ragionamento
6t
avremo quindi che i coefficienti di F soddisfaranno alla me- desima condizione cui soddisfanno quelli di F^. Il teorema, già
328 CAPITOLO DODrCESIMO.
verificato direttamente per le forme del primo ordine, è cosi stabilito in tutta la sua geoeralità.
Concludiamo da ciò che ogni forma, le cui radici nell' in* torno di un punto a7=a?^ siano tutte rappresentabili per mezzo di espressioni regolari, si riduce mediante una con-* veniente moltiplicazione a sinistra, al tipo
(3) (X - a7j»D" + (X ~ x^y-' a„,iD»-^ +
. . . + (a? — x^)(xj) + a^
dove a^, a^ . . . ,an-i sono funzioni di S>^{x^y Si vede che se a^y «1, ..., «n-i sono polinomi in a?, il cui massimo grado siaj?» codesta operazione è una operazione normale di ordine p.
362. La condizione sufficiente è data dal teorema reci- proco del precedente, cioè:
SelaFsi può porre sotto la forma (3), dove an-t» ...«1» a^ sono elementi di S>^(x^) le radici di F, nel- r intorno di x = x^^ sono rappresentabili me- diante espressioni regolari.
Ciò si dimostra, cercando effettivamente le espressioni delle radici di una forma normale F del tipo (3) nelT in- torno del punto x = x^; e a tale scopo valgono considera- zioni perfettamente analoghe a quelle svolte nei §§ 225, 233, Zi8 per le operazioni normali.
Trasportando il punto singolare nelT origine, conside- riamo la forma
F = 0?» «n D» + a?«-» «n-i D°-* + . . . + xa^D + a^,
dove le a^, «i, ...i «n ^^"o funzioni di 8% ed a^{x) è nel- l'origine diversa da zero. Sia precisamente
oo
«i = 2 ^*J^^ (i = o, 1,..., n); an,o^o.
§§ 361- 362, PUNTI SINGOLARI NORMALI. 329
Avremo; prescindendo per ora dalla questione della con* vergenza :
F (a?*) = 07* 2 ^'^j(0. dove
ti
i=o
e in particolare
..(0 = 2 -. /^-^)-(;-^+^).
il
^osto, come al § 233,
co
9(a?,0 = 2 K(i)^'
m=o
consideriamo V equazione differenziale lineare non omogenea
F(a?V(a?,0) = W)^\
dove X (0 è una funzione analìtica, che supponiamo pre- fissata. Siccome formalmente si ha
co
F(a?*ì.(a?, 0 ) = a;» 2 (K{i)S>Jii) + k,m^-i(l + 1) +
..•+Am(OWo(^ + ^))^^
ne risulta che i coefficienti A„ dovranno soddisfare alle re- lazioni
(4) Kmjj) = x{t)
e
Se a)o(0» w^(^ + 1),...» G>o(^ + ^^0 sono diversi da zero, *m(0 ^ univocamente determinato dalle precedenti equazioni
330 . OAPITOLO DODIGB81MO. .
(4) e (5), quando sia dato X{t), Se dunque (òj^t + m) non è identicamente nullo per nessun valore intero positivo di m, si può sempre assegnare per F~^(X(^)j?*) una determinazione appartenente allo spazio indicato al § 217 con ^.
Ora, come fu dimostrato già dal Frobenius (^), la serio sp(a?, f) convergo uniformemente tanto rispetto a t che rispetto
ad X neir intorno di a? = o e di ogni valore T di ^, in cui
X(0 sia regolare e &^{I + ni) sia diverso da zero per ogni qualsivoglia intero positivo m. La
è una equazione algebrica di grado n, che dal Fuchs fu chia- mata equazione fondamentale determinante della forma F (o dell' equazione omogenea corrispondente) rispetto al punto singolare a? = o, e che di solito è semplicemente detta equazione determinante. Distribuiamo le n radici del- l'equazione determinante in gruppi, assegnando ad uno stesso gruppo tutte e sole quello che differiscono, da una qualsi- voglia di esse, per numeri interi. Uno di codesti gruppi sia costituito dalle radici
^, ^8 = ^1 + ?!,..., ^r = ^r-i + q
r— 1
degli ordini di moltiplicità s^^ ^s, ..., s^ rispettivamente: e supponiamo di avere distribuito gli indici in modo che i nu- meri interi j^, ^j,..., q^ siano positivi. Si trova come a pag. 179 che l'espressione
P(0 = Wo{Ofi)o(^ + 1). .. cOoC^ + ?i + ^2 + •.. + ?r-l)
ammette la t^ come radice multipla dell' ordine s^ + 5i__i + ... ... + 5, di moltiplicità.
(1) Per la dimostrazione, si veda il luogo dello ScuLEaiKGEB già cit. a pag. 180.
§§ 362-363. BQUAZIONB DBTBRMINANTB. 331
Scelto allora
(6) m = k,[t)(b,{t)
e
Avremo determinato nella x^^i{x, t) una soluzione dell'equa- zione
Fix^x, t) ) = p[t)x\
e, come al ricordato § 233, si concluderà senz'altro che sa- ranno radici di F le funzioni
(8) cc^^ixj,) (z = l,2....,7')
e le funzioni
{p = l, 2,..., 5i + J?j+i+... + ^, — 1).
Per compiere la dimostrazione del teorema» ci rimaoe a far vedere anzitutto che le radici trovate sono espressioni regolari nelT intorno di a? == o e in secondo luogo che nel modo suindicato si ottengono n radici di F linearmente in- dipendenti.
363. È anzitutto manifesto che le (8) sono, nelT intorno di x=^Oy espressioni regolari. In quanto alle (9), ciò ri- sulta subito dall'essere
(10) {ffCc'^ioD, <) =a;' 2 (kjogfx+pk'jog'-'x + ...
m=o
+
{^i)kJ^-^'logx + kjv^x-^,
dove con apici abbiamo designato le derivate di A^ rispetto a L Rimane da vedere quali e quante fra le radici di F dianzi determinate siano distinte.
Q'ò2 CAPITOLO DODICESIMO.
Data uQa espressione regolare nell' iatorno di a? = rr^» avente la forma
Yi = (a? = ooJXkì^ + Y]i log(x — a? J + . . . + t), log^ (x - xj ),
si dice che essa appartiene all'esponente t se fra le fun- zioni TQ^, t)i,..., T)p, regolari neirintorno di x = x^, una al* meno è per x = x^ diversa da zero.
Ora ci proponiamo di far vedere che non tutte le radici di F che si hanno dalla (9) dando a ^ il valore ^| e a ^ successivamente i valori
^f -^1 -^i • • • » ^\ i" ^i"*-i "i • • • *T" "^r ~~' *'^
appartengono all' esponente t^
Infatti, per t=-t^ il termine indipendente dai logaritmi nella (10) si riduce ad
co
e in questa serie il primo coefficiente è k^^^{t^. Ma abbiamo scelto
onde risulta che t^ è radice di k^{t), multipla dell'ordine ^i+i + *i-»-2 + . . . + ^,; sarà quindi
sempre e solo quando p sia tale che
d'altro canto, affinchè -^^p- x^ ^(x, t^) sia radice di F, si ri- chiede (§ prec) che sia:
§§ 368-364. EQUAZIOMB DBTBRMINAKTS. 333
Ne deduciamo che la (10), ove sia posto t = t^, ci fornirà radici di F appartenenti all'esponente Z^, in corri- spondenza ai seguenti valori di p :
^1+1 H" ^i-l-« "T" • • • "T" ^rf ^l+l •* ^i+t "i • • • "i" ^r "T" '^» • * • »
^I + ^l+l + . . . + ^r — 1,
i quali sono precisamente in numero di s^.
Concludiamo dunque che ad ogni radice t^ dell'equazione determinante, multipla dell* ordine ^^ coiTispondono per la forma F Si radici, rappresentate ciascuna, nell'intorno di (V = x^, da una espressione regolare in codesto intorno e ap- partenente all'esponente ^|. Si ottengono in tal guisa n ra- dici in tutto per la forma F; e la loro indipendenza lineare si dimostra assai facilmente, ricorrendo alle proprietà delle espressioni regolari (§ 223).
Riassumendo i risultati ottenuti dal § 361 in avanti, con- cludiamo che condizione necessaria e sufficiente affinchè tutte le radici di una forma differen- ziale lineare F di ordine n siano, nell'intorno di un punto singolare x = x^, rappresentabili me- diante espressioni regolari, si è che* per mezzo di una conveniente moltiplicazione a sinistra la F sia riducibile al tipo
F = (a? — a?J»a„D° + (x — ir)"-*a„_iD»-^ + . .. ... -f (a? - Xjaj) + a^
dove of^, «Il ...,«„ sono funzioni di S^(a?J, l'ultima delle quali nel punto x = x^ è diversa da zero.
364. Dal teoroma precedente possiamo dedurre immedia- tamente la condizione necessaria e sufficiente affinchè una forma F abbia tutte le sue radici rappresentabili noli' in- torno di 07 = oo, mediante espressioni regolari.
Bisogna che la forma differenziale lineare SiFS^ = Fi
334 CAPITOLO DODICBSIMO.
abbia tutte le radici rappresentabili mediante espressioni re- golari neir intorno del punto x = o {% 360), che cioè, sia (§ preced.).
dove a^, «i,...» «n sono funzioni di $ ed è aiJfi)^o. Ora si ha (cfr. Gap. XIII, § 371)
e quindi
Sp«Si^== (a?«D)« = rr'CarD» + D)
X X
S,p»Sj^= — (aj'D)' = — a7*(a!'D» + 6xW + 6D)
X X
Ne concludiamo che la forma F = SiF,Si
X X
è data da
F = «0(7) - ^«i(|)D + xaJ^^){xD^ + 2D) -- a?a3(l)(a7'D + 6a?D« + 6D) + . . . ,
ossìa ordinando nei solito modo, da
dove ^o, Pi, . . . , pn sono funzioni regolari nell' intorno di a? = 00 ed è p„ (00) z^ 0.
365. Tra l'equazione determinante di una forma F rispetto ad un punto singolare a? := a?^, e T equazione fondamentale relativa al medesimo punto, passa una relazione essenziale. Se /j è una radice dell'equazione determinante, la forma F ammette una radice della forma
J
§§ 364-366. FORME DELLA CLASSE DEL FUCHS. 335
dove Y] è una funzione uniforme nell* intorno del punto X = x^. Riprendendo l' operazione 0 del § 353, avremo
0(0)) = e2»ritjw;
onde risulta che <o è una radice canonica di.F nell'intorno di 07 = x^, e che il moltiplicatore corrispondente
è radice dell'equazione fondamentale di F relativa al punto X = x^. L'equazione determinante G>J(^t) = o, relativa al punto a? = a?o è dunque la trasformata dell'equazione fon- damentale f(z) = 0, relativa al medesimo punto, per mezzo della trasformazione
Ad ognuno dai gruppi di radici ^, di ©oCO = o» definiti al § 362, corrisponde per /'(z) = o un' unica radice il cui or- dine di moltiplicità è la somma degli ordini di moltiplicità delle /j.
C. FORME ED EQUAZIONI DEL FUCHS.
866. Cerchiamo a quali condizioni debbano soddisfare i coefficienti, supposti ad un valore in tutto il piano, di una forma difierenziale lineare
F = D° + «n-iD""* + . . . + «iD + a
affinchè le radici di F siano rappresentabili nell'intorno di ogni punto singolare (a distanza finita o infinita) mediante espressioni regolari.
336 CAPITOLO DODICESIMO.
Per il teorema del § 361 le funzioai a^ noo possono avere se non delle singolarità polari; la teoria delle fun- zioni permette dunque di concludere che i punti .singolari delle a^ devono essere in numero finito e che le aj sono necessariamente funzioni razionali.
Indichiamo con
i punti singolari a distanza finita. Dal teorema del §363, di- scende immediatamente che deve essere
a, =
Wi
dove abbiamo posto
Y(a7) = {x — a^)(x — a,) ... (j? — a,),
e i ^1 sono polinomi!. Di più, anche per a? = oo, le radici di F devono essere rappresentabili mediante espressioni regolari. Affinchè ciò accada, è necessario e sufficiente che la F sia riducibile alla forma (§ 364)
dove p^, Pi,..., Pn_i rappresentano funzioni regolari nel T in- torno di a? = oo. Ne discende che rc^^^ deve essere un polino- mio di grado r — 1 e, in generale, ttj di grado (n — tX»* — !)• I coefficienti della F, ridotta alla forma
sono pertanto polinomi interi in x, di grado decrescente di un* unità da termine a termine, a partire da rn.
Le forme difi*erenziaU lineari studiate in questo § e le cor- rispondenti equazioni omogenee prendono il nome di forme e di equazioni differenziali lineari del Fuchs.
§§ 366-368. FORMB DELLA CLASSE DEL FDCHS. 337
367- Una qualsivoglia forma a coefficienti razionali in- tieri, di grado decrescente di un' unità da termine a ter- mine, appartiene, in generale^ alla classe del Flchs.
Sia infatti.
lina forma siffatta: precisamente or^, an-ii---» <*© siano poli- nomi in X di grado m, m — 1, ... m — n rispettivamente, con m 2> w. Moltiplicando la F a sinistra per «n"""^ otte- niamo la forma
dove abbiamo posto
e poiché ^i è un polinomio di grado
(n — 2 — \)m + m — n + z = {m — l)(n — i\
è reso manifesto che la F appartiene alla classe del Fucns.
Giova notare che al § 365 la funzione razionale y(^) di grado r ammetteva, per ipotesi necessaria, r radici distinte: perciò l'osservazione fatta or ora vale senza restrizione nel caso in cui ctj^po) abbia sole radici semplici; quando invece a„(a?) abbia una radice multipla a^ dell'ordine rj, si vede agevolmente che condizione necessaria e sufficiente affinchè la F appartenga alla classe del Fuchs, si è che la a^ sia ra- dice di an_i, «n-»»---» <*n— +1» nf)ultipla degli ordini T^ — 1, rj — 2,..., 1 rispettivamente.
868. Sia data la forma differenziale lineare F, d'ordine n, appartenente alla classe del Fuciis e avente come punti singolari, oltre il punto all'infinito, i punti
22
838 CAPITOLO DODICESIMO.
Pel gruppo di monodromia della F varranno le osserva- zioni del § 357: qui ne aggiungeremo qualche altra, che ci condurrà a stabilire una notevole relazione fra le radici delle r + 1 equazioni determinanti, relative ai diversi punti sin- golari di F.
Conserveremo le notazioni e le convenzioni dei §§ 354- 357. Indichiamo con \<p] il sistema canonico di radici di F, relativo al punto singolare a? == co, e con [9J il sistema ca- nonico relativo al punto singolare a? = a, : di più rappresen- tiamo con S ed Sj le sostituzioni canoniche di [9] e di [9,] rispettivamente. E manifesto che queste r + 1 sostituzioni lineari non bastano a determinare tutte le operazioni ©1 . . . ,0„ rispetto al sistema canonico [9]. E necessario, per ottenere V intento, che siano assegnato anche le sostituzioni lineari che fanno passare dal sistema canonico [9] a cia- scuno dei sistemi canonici [9J. Siano queste
Wìì = A,[9].
Le 2r + 1 sostituzioni lineari S, Sj, Aj non sono tutte in- dipendenti. Ricordiamo, infatti, la relazione
Qfii .... ©,©co = 1 ,
trovata al § 357. Rispetto al sistema fondamentale [9], la 0oo è rappresentata dalla sostituzione lineare S. Quanto alla O^, osserviamo che essa è rappresentata dalla S, rispetto al si- stema [9j], per cui è
[9,] = A,[9j.
Ne discende (§ 356) che, rispetto al sistema fondamentale [9], la 0i sarà rappresentata da
§ 368. FORMB DELLA GLA8SB DBL FUCBS. 339
La relazione del § 357, ricordata sopra, diventa allora,
e questa equazione tra operazioni ci conduce tosto alla accen- nata relazione fra le radici delle equazioni determinanti di F. Si ha infatti:
a) che il determinante di un prodotto di sostituzioni lineari è uguale al prodotto dei determinanti delle singolo sostituzioni lineari date;
b) che il determinante della inversa di una data so- stituzione lineare è uguale all'inversa aritmetica del deter- minante della sostituzione data;
e) che il determinante della sostituzione identica 1 è uguale ad 1.
Se quindi indichiamo con ^j ed ^ i valori dei determinanti delle sostituzioni lineari S| ed S rispettivamente, avremo
D'altra parte si vede subito che il determinante della sostituzione canonica, relativa ad un dato punto singolare, non è altro che il prodotto delle radici della corrispondente equazione fondamentale. Dunque il prodotto di tutte le radici delle r + 1 equazioni fondamentali di F ò uguale all'unità.
Ma se
sono le radici, distinte o coincidenti in parte o tutte, del- l'equazione determinante relativa al punto x = x^, e se
sono quelle dell'equazione determinante relativa al punto 07 = oo, le radici delle corrispondenti equazioni fondamentali sono
340 CAPITOLO DODICESIMO.
ed
Se dunque poniamo
S'..+S'.=*. 0rl;l::;::)
avremo
6-2mk = 1 ;
onde risulta che la somma
è un numero intero.
Concludiamo che la somma delle radici deller + 1 equazioni determinanti di F è uguale ad un numero intero.
Mediante il calcolo diretto si trova senza difficoltà che questo numero è uguale ad
n(n — l)(r— I)
2 ^ ^'
369. Consideriamo, come caso particolare, una forma differenziale lineare della classe del Fuchs del secondo or- dine e avente due punti singolari a distanza finita x = a^ ed X = «j. Essa sarà del tipo
F = (x- a,Y(x - a,r D« + (a? - a,)(x - a,)(b,x + 6JD+
+ (c^x^ + c,x + cJDo.
E sempre possibile trovare una tale operazione di sosti- luziono Sf che la forma FSj> abbia come coefficienti di D', D, D» tre polinomi dei gradi 2, 1, o rispettivamente. (Incai-
ca Cfr. Scrlesingeb: Bd. I, pag. 241.
§ 369. EQI3AZI0NE IPBROEOMETRICA. 341
colo semplice dimostra che basta formare perciò la trasfor- mata di F per mezzo della moltiplicazione M&>, dove
co = (CK? — a,)*i(a? — a^)\
e t^ e i^ sono radici delle equazioni determinanti di F rela- tive ad «1 ed a, rispettivamente. Si trova cosi:
M^^FMo, = (a? — a,y{x — a,)«D« +
(07 — a,)(a7 — a^){2i^{x — a^)+ 2f^(x — a,)+ b^x + &^)D + t:^(x)
dove ^j è il polinomio di secondo grado in x:
t,(t,^\y(x--ay + t^{t,-ì){x^a,r + 2tM^—a,)(X'^a)^+ + {b^x + bJ(J,(x - «j) + ^«(iz? - «i) ) + ^'«a?* + ^1 a? + c^.
Dal modo in cui abbiamo scelto /, e ^^ ^ manifesto che le equazioni determinanti di M^^FMcj, relative ad a? = a^ X = a^ devono avere ciascuna una radici» nulla ; in ciascuna di esse, cioè, deve esser nullo il termine noto.
Ora sappiamo (§ 362) che, a meno di un fattore nume- rico diverso da zero, il termine noto dell'equazione deter- minante relativa al punto singolare x = a^ è il valore per X = a, del coefficiente di D^ nella forma che si considera. Avremo, dunque, nel nostro caso
cioè il polinomio di secondo grado 7r,(a7) sarà uguale, a meno di un fattore numerico, al prodotto {x — cii) (x — flj). Divi- dendo per questo prodotto i coefficienti della forma MZT^FMcj otteniamo la forma
Fi = (a? — a{){x - a,)D« + \2i,(x — a,) + 2l^{x a,) +
+ M + 6JD + C,
che è appunto del tipo indicato sopra.
L* equazione F^ ss o è noia sotto il nome di equazione ipergeometricaj o equazione di Gauss. Il Gauss dimostrò
842 CAPITOLO DODICBSIMO.
che Dell'intorno di ciascun punto singolare le soluzioni di codesta equazione sono rappresentabili, a meno di potenze della variabile, per mezzo della serie ipergeometrica che con- tiene, come casi particolari, la maggior parte delle trascen- denti elementari. Daremo nel Capitolo seguente (§ 403) la integrazione dell* equazione ipergeometrica.
CAPITOLO TREDICESIMO.
Trasformaaione delle operazioni.
A. GENERALITÀ.
870. Siano A, B due operazioni funzionali distributive» a determinazione unica in un dato spazio lineare. Si dice che B è trasformata di A mediante un' operazione X, o che X trasforma A in B, quando sia
(1) XAX-* = B.
La (l) equivale, in ogni spazio funzionale in cui X sia a determinazione unica, alla
XA = BX
e alla
X-^BX — A.
Risulta di qui che se la A è trasformata in so stessa dall'operazione X, la A è commutabile con la X; e, reci<« procamente, se A ed X sono commutabili, la A è trasfor-> mata in so stessa da X.
Risulta ancora dalla definizione che, se la X trasforma A in B, la X~^ trasforma la B in A.
371. Esempi di operazioni trasformate di un'altra fu- rono già incontrati, per incidenza, ai §§ 121 e 216.
344 CAPITOLO TREDICESIMO.
In particolare, al § 121, abbiamo trovato che T opera- zione di sostituzione S,_/ soddisfa all' equazione
DS = — e^SD.
Qui possiamo indicare una equazione analoga che vale per un'operazione di sostituzione qualsivoglia S/* e di cui fa- remo uso nel Capitolo seguente. Dalla regola di derivazione delle funzioni di funzioni risulta immediatamente, se indi- chiamo con |jl' la derivata di ji., che è
DSm = Mu'S^D;
questa è. la generalizzazione della formula del § 121. No viene ancora
87S. Per vedere quale grado di indeterminazione pre- senti la ricerca di X quando siano date A e B, si ammetta che B sia trasformata di A mediante le due operazioni X e Y. Si avrà allora:
XAX-> = B, YAY-^ = B.
Si ponga ora X = KY, onde X"' = Y-^R-*. Verrà
B = KYAY-^K-\ onde
B = KBK-^
Risulta di qui (§ 370) che K è un'operazione commuta- bile con B. Inversamente, se K è una qualsivoglia opera- zione commutabile con la B, e la Y trasforma A in B, anche KY trasforma A in B. Nello stesso modo si dimostra che, in ogni spazio in cui Y sia a determinazione unica, se B è trasformata di A mediante Y, è tale anche mediante YH, dove H è commutabile con A; e, reciprocamente, se X od Y trasformano A in B e si pone X = YH, H è commutabile con A.
§§ 370-374. TBORBUI SULLE TRASFORMAZIONI DI OPERAZIONI. 345
873. Se la operazione X trasforma le opera- zioni A|, A^ nelle operazioni B„ Bj rispettiva- mente, essa trasforma il prodotto AjA^ nel pro- dotto B1B2.
Invero, dalle
Bi = XA,X-\ B, = XA,X-i
risulta
B^Bj = XAjX-^XAjX-i ossia
B^B, = XA,A,X-^
Di qui discende:
a) che se le operazioni A,, A,, ... formano un gruppo (§ 41), e la X trasforma codeste ope- razioni nelle B^, B,, ... rispettivamente, anche queste ultime operazioni formano un gruppo.
Quest'ultimo gruppo si dico irasfor^mato del primitivo mediante la X. '
b) che se due operazioni A,, A, sono commu- tabili, sono commutabili anche le rispettive trasformate Bp B, niediante una medesima ope- razione.
Si ha, infatti,
BjB, = XA,A,X-^ = XA,A,X-i e quindi
B,B, = B,B,.
374, Se a^, a^, «g, . .. è una successione, finita o no, di numeri, sappiamo (§ 47) che T operazione
(2) a^ + a^A + a^A* + ...,
per la quale esiste, in generale, un campo funzionale di va- lidità, è in questo campo commutabile con A {operazione regolare in A, § 69).
346 CAPITOLO TSEDICBSmO.
Ponendo
f(z) = a, + a^z + a,a;« + •. .,
la (2) si paò dire funzione di A e rappresentare con /"(A). Ora, se la X trasforma A in B, si ha
XA = BX, onde
XA* = BXA = B«X,
ed in generale^ per n intero e positivo qualsivoglia,
X A» = B»X ; da ciò
X(a^ + a^k + a,A* + ...) = K + «iB + a^^ + . ..)X;
formula sempre valida nel caso di una somma di un numero finito di termini, e da adoprarsi colle dovute restrizioni (cfr. § 134) nel caso che il numero dei termini sia infinito. Questa formula può anche scriversi
XAA)X-> = AB>
La definizione di funzione di un'operazione A e l'ultima relazione si estendono senza difficoltà al caso che f{k) con- tenga potenze negative di A. Intendendo in questo modo le funzioni di una operazione, si conclude che, selaXtra- sforma laAinB, essa trasforma anche ogni data funzione di A nella medesima funzione di B.
875. Se X trasforma A in B, ed Y trasforma B in C, YX trasformerà A in C.
Infatti dalle
XAX-i = B. YBY-» = C
risulta immediatamente
YXAX-^Y-' = C.
§§ 374-377. TBORBMI SULLO TRA8FORaiA.Z[ONI DI OPBKAZIONI. 347
Discende da questo teorema che, se si ha una classe di operazioni A, B, C, . . . e si conoscono le operazioni che trasformano una data operazione P nelle singole operazioni della classe, si conosceranno di conseguenza quelle che trasformano le operazioni della classo l'una nell'altra. In- fatti, se
XPX-» = A, KPK-^ = B. . . . sarà
e quindi, X""^ trasformando A in P, ed Y trasformando P in B, YX"' trasformerà A in B.
876. Supponendo che la X trasformi A in B, riferiamoci ad uno spazio funzionale in cui X sia univoca o sia resa tale nel modo accennato al § 53. Avremo (§ 374)
XA = BX, XA« = B«X, XA"» = B°X.
So ora, nello spazio considerato, A non ha radici, e se 0) è una radice di B, AX"*(w). A*X~*(a)), ..,, A"X~*(a)), ..., saranno radici di X. Reciprocamente, se A(w) è radice di X senza che sia tale a, X(a) sarà radice di' B, ed A*(a), A^(a), . . . , .A"(a), . . . saranno radici di X.
B. LE OPERAZIONI TRASFORMATRICK
877. Essendo Mj^ l'operazione di moltiplicazione per a?, chiameremo trasfortnatrice di un' operazione data A, ogni operazione X che trasforma M, in A. Per questa operazione sarà dunque
(3) XM,X-^" = A.
348 CAPITOLO TREDICESIMO.
In altri termini, se <p è un eltiraonto del canipo funzio- nale che si coiisiclura, sarà
(4) X{x;p) = AX(9);
od ancora, ricordando la definizione di derivata funzionale (§ 140), si avrà che ogni trasformatrice di A soddisfa al- l' equazione differenziale simbolica
(o) X' = (A — x)X.
378. Ogni operazione H commutabile con M^ è una moltiplicazione: infatti la HM, = M^H equi- vale alla H' == o e 1* annullarsi della derivata caratterizza (§§ 148, 239) le operazioni di moltiplicazione. Reciprocamente, ogni moltiplicazione è commutabile con M^.
Ciò posto, dia X una trasformatrice di A. Se allora tra- sformiamo mediante la X tutte le operazioni di moltiplica- zione, poiché queste formano un gruppo, le rispettive tra- sformate formeranno esso pure un gruppo (§ 373). Ma le moltiplicazioni sono fra loro commutabili: saranno quindi fra loro commutabili anche le operazioni del gruppo tra- sformato, fra le quali, cortie trasformata della M^, compare anche la A. Quindi le operazioni del gruppo trasformato sono commutabili con A. Concludiamo, dunque, che il gruppo trasformato mediante una trasforma- trice di A del gruppo delle moltiplicazioni è un gruppo di operazioni commutabili con la A.
Osserviamo che qui non è lecito asserire che codesto gruppo coincida in ogni caso col gruppo totale delle opera- zioni commutabili con A.
379. Sia jjL(a;) una funzione sviluppabile ó in serie di potenze nelT intorno dell* origine o in serie di Laurent in una corona circolare di centro nelT origine. Per. una tale funzione abbiamo già definito T operazione ji(A) (§ 374).
§§ 377-380. OPERAZIONI trasformatrici. 349
Dal citato § risulta che codesta operazione godo della pro- prietà espressa dall'uguaglianza
(6) XM/.X-^ = |).(A).
Ora, uniformandoci anche in questo caso al noto prin- cipio di permanenza, ci varremo della (6) per dare al concetto di funzione di una operazione A tutta la sua generalità. Se cioè \i{x) è una funzione qualsivoglia, chiameremo funzione jjl di A e designeremo con Pl(A) ogni operazione trasformata di M^ me- diante X, ove X rappresenti una trasforma- trice di A. Avremo, dunque, che, qualunque sia la fun- zione fi.(j?), r operazione }i(A) gode, o in virtù del teorema del § 374 o per la definizione, della proprietà espressa dalla (6).
In particolare, la potenza A" ad esponente ni qualsivo- glia sarà definita dalla relazione
(7) Xrr»X-^ = A«.
Notiamo subito che, se V operazione A ammette più di una trasformatrice (e ben tosto dimostreremo che appunto ciò accade in generale) possono esistere corrispondentemente più operazioni, a cui, secondo la data definizione, converrà il nome di funzione |i(A). In o^ni singolo caso particolare converrà definire come tale una determinata fra codeste openizioni Q).
880. Dair ultima osservazione del § 372 risulta che se X è una trasformatrice di A, è tale ancora il prodotto per X di ogni operazione commutabile con la M,, cioè (§ 378) di
(>) Le discrepanse che si notano nei risultati di quelli Autori che hanno trattato della derivazione ad indici qualsivoj^liano (V. >Iota I alla fine del volume) derivano appunto dalla moltiplicità di determi- nazioni ora accennata.
350 CAPITOLO TRBDICB6IU0.
Ogni moltiplicazione e che, reciprocamente, tutte le trasfor- matrici di A hanno la forma XM^m.
Ora sia ^ una qualsivoglia funzione, appartenente al campo di validità di X~^ e sia precisamente a la funzione
per cui è
X(a) = p.
L'arbitrarietà dianzi accennata della moltiplicazione M/a per- mette di assegnare una trasformatrice X^ di À tale che sia
dove Y è una funzione arbitrariamente scelta; basta, al- l' uopo, porre
Xi = XM^ dove
a
Possiamo pertanto concludere che, se un'operazione A ammette una trasformatrice X, ne ammette infinite, che sono date, tutto e solo, da XM/x, dove M/* è una moltiplicazione arbitraria. Scelte arbitrariamente due funzioni P e y, con la sola condizione che la prima appartenga al campo funzionale di validità di X"~\ esiste una tra- sformatrice che fa corrispondere la p alla y.
381. Passiamo ora alla determinazione effettiva della trasformatrice X della operazione data A. Applicando ad ambo i membri dell'equazione (5) la derivazione funzionale, otteniamo senza difficoltà
X" = (A« — 2xk + a?«)X, quindi
X'" = {h? - 3a?A* + 3a?*A - a?3)X,
ed in generale
(8) X<"" = (A - a;)„X,
g§ 380-382. OPERAZIONI trasformatrici. 351
dove abbiamo posto (')
(A — x)^ = A» — ìuxPiJ^-^ + f'g ìa7A»-« _... + (— 1)»2?"*.
Posto allora X(l) = a, onde
X^'»)(l) = A"(a) — mcok^-\a) + ('Jìa?«A»»-*(a) - . . .
... + (— 1 )"'a?"*a,
viene, per la formola che dà lo sviluppo di un'operazione distributiva in serie procedente secondo le potenze della de- rivazione (§ 147),
X(9) = X(l)9 + X'(l)?' + --^X"(1V' + . . . , ossia
(9) X=a + (A — aj)a.D+ ^(A — x)^a.D« + . . .
Resta cosi dimostrata 1' esistenza delle trasformatrici di ogni operazione A, e la moltiplicità di esse è rivelata dalla posizione X(l) = a, dove è arbitraria la funzione a. Ciò è in accordo con quanto è stato avvertito al § precedente (*).
382* Le operazioni trasformatrici ammet* tono, in generale, elementi singolari (§ 139).
Sia infatti X la trasformatrice di un* operazione A e sia tu una radice di A, appartenente al campo funzionale di
(1) 8* intende che non è da confondersi T operazione qni designata con (A — x)^ con la potenza m»* della forma lineare A — x,
(S) Fu già osservato che le trasformatrici dì una data operazione soddisfanno ad una equazione differenziale simbolica del primo ordine (§ 877); al lettore non sarà sfuggita T analogia tra il fatto osservato al § prec. e qui direttamente verificato e la proprietà delle equazioni dif- ferenziali ordinarie del primo ordine, per le quali esiste una funzione integrale che, per un valore arbitrario assegnato alla variabile, assume un valore parimente arbitrario. *
852 CAPITOLO TREDICESIMO.
validità di X~\ per modo che sia X~*(ci)) = a. Si avrà allora
X(a7a) = AX(a) = o, X(a?«a) = AX(a?a) = o, ...
0, per m intero positivo qualsivoglia,
X(a7»a) = AX(a-»-*a) = o.
L'elemento ira è dunque singolare per X. In quanto ad a stesso, si ha dalle (8)
X(a) = co, X'(a) = — ìTco X^™^(a) = (— l)»a?"w,
da cui, essendo 9 un elemento di S,
07*
X(a9) = w(9 — o?qp' + -1-9-^" "" • • •) = ^9^0).
La XMa fa dunque corrispondere ad S uno spazio ad una dimensione ed è pertanto una delle operazioni conside- rato ai §§ 193 e segg.
Reciprocamente, se X è una trasformatrice di A edanon è radice di X, ma è tale oo?, X(a) sarà radice di A, ed ax sarà elemento singolare di X.
Infatti, dall'equazione di definizione della trasformatrice
X{X'^) = AX(9),
segue, per 9 = «» AX(a) = 0, onde X(a) è radice di A e si ricade sul caso procedentemente considerato.
§§ 382-384. TRASFORMATRICI DELLA MOLTIPLICAZIONB. 353
C. TRASFORMATRICI DELLE MOLTIPLICAZIONI
E DELLA DERIVAZIONE. —
TRASFORMAZIONE DI LAPLACE.
383. Passando a considerare alcune trasformatrici par- ticolarmente notevoli, notiamo anzitutto la trasformatrice X della operazione di moltiplicazione. Deve essere
XM,X-* = Mj*
ossia (§ 377)
(10) X' = {^{x) - a?)X.
Ora questa relazione ci porge un caso semplicissimo di quelle equazioni simboliche, che abbiamo studiate e riso- lute nel Gap; VII (§§ 198 e segg.). Di là risulta che la so- luzione generale della (IO) è data da XS/a, dove \ è una funzione arbitraria.
Ne discende che la trasformatrice di una mol- tiplicazione M/x è, all' infuori di una moltipli- cazione arbitraria (§ 380) la sostituzione cor- rispondente alla medesima funzione {jl.
Reciprocamente, ogni sostituzione, è trasforma- trice della moltiplicazione corrispondente. .
384. Studiamo in secondo luogo la trasformatrice della derivazione D.
Essa sarà definita da
XM,X-» = D,
ossia da
(li) X(a?cp) = DX(qp).
Ne viene che, posto X(9) = 4'> ©d indicando le derivate per mezzo di accenti, secondo l'usuale notazione, sarà
X(cp) = ^. X(a?qj) = ^', X(a?'q^) = r» . • .
23
354 CAPITOLO TREDICESIMO.
In particolare, se poniamo X(l) = a, verrà (12) X(l) = a, X(x) =«',..., X(xJ = «K ...
e quindi
X(e^) = a(x + a) C)'
385« Lo sviluppo in serie della operazione X del prece- dente § si deduce subito dalla formula (9). Possiamo anche osservare che la X deve soddisfare ali* equazione differen- ziale simbolica
X' = (D — a7)X,
che abbiamo risoluto direttamente al § 205. Ad ogni modo, posto X(ix) = a, risulta
( 13) X(ix9) = «9 + («' - xa)^>' +^(a" - 2xoi' + a?'»)^" + .. .
Ogni particolare determinazione di ji e di a darà una diversa trasformatrice di D. Consideriamone alcune.
a) Poniamo dapprima fi. = l, a = É?**. Viene dalla (13)
X(9) = e^{<p + (a - 07)9' + ^^f^^^" + .. 0
e quindi, nello spazio S>^\
X((p) = e«9(a).
Abbiamo cosi determinato un ramo dell'operazione X, il quale fa corrispondere a tutte le funzioni di uno spazio fun- zionale una stessa funzione e**, moltiplicata per una co- stante, cioè uno spazio ad una sola dimensiono. Essa am- mette uno spazio (ad infinite dimensioni) di radici formato da tutte le funzioni di S^ i per le quali è 9(a) = o (§ 196).
(^) Qaeste operazioni hanno un ufficio principalissimo nel cosidetto « Calcul de généralisation » delP Oltbamabb. (V. Nota I).
§§ 384-386. TRÀ8F0RMATRICI DELLA DERIVAZIONE. 355
&) Lasciando \i. arbitraria, poniamo a = 1 ; avremo dallo (12)
X(pl) = 1, X(a?|jL) = X(irV) = . . . = 0.
La a?jji sarà dunque per la trasformatrice X cosi deter- minata un elemento ^singolare; ciò dipende dal fatto che co- desta X fa corrispondere a |j. la radice 1 di D.
Applicando ancora a questa trasformazione l'equazione di definizione (11), otteniamo
ed in generale,
dove le a , ^i, . . . , a^_^ sono costanti arbitrarie, introdotte dalle successive integrazioni.
886« Abbiamo visto nei §§ precedenti come per definire univocamente, in uno spazio funzionale assegnato, una tra- sformatrice X di D, basta scegliere ad arbitrio in quello spazio funzionale due funzioni, all'una delle quali quella trasformatrice debba far corrispondere T altra.
Ma si può individuare a priori una X, qualunque sia lo spazio funzionale a cui intendiamo riferirci, assoggettan- dola ad una ulteriore condizione. Noi qui considereremo, come quella che è particolarmente notevole, la t ras for- matrice di D, la cui aggiunta è pur essa tra- sformatrice di D.
Indicando, per ora, con X codesta operazione, e, secondo il solito con X la sua aggiunta, dovremo avere accanto al- l' equazione
(15) XM, = DX
356 CAPITOLO TRBDICBSIMO.
aache la
XM, = DX;
da quest'ultima deduciamo, prendendo l'aggiunta dei due membri (§§ 243, 246)
(16) XD = — M,X.
Siamo dunque condotti a considerare un'operazione, che soddisfa alle duo equazioni simboliche (15) e (16); a codesta operazione daremo il nome di trasformazione di Laplace Q) e la designeremo col simbolo L, cosicché le due equazioni di definizione si scriveranno
(150 LM^ = DL
(16') LD = - M,L.
Osserviamo che la (16'), come quella che si può scrivere
L-^M,L = — D,
esprime che la inversa di L è trasformatrice
di —a
387* Se in uno spazio funzionale esiste una operazione univoca soddisfacente al Io (15')t (16') essa è unica.
Indicando, infatti, secondo la nostra convenzione, con L una operazione soddisfacente alle (15'), (16') vediamo se possa esistere una operazione Y, tale che anche la YL renda sod- disfatte le (15'), (16'). Risulta immediatamente che deve es- sere
YM, = M,Y, YD = DY.
(1) La operazione funzionale, espressa per mezzo di nn integrale definito, che é conosciuta neir Analisi sotto il nome di trasforma^ zione di Laplace, gode appunto delle due proprietà (15*), (16'} che ca- ratterizzano la nostra operazione L. Per la bibliografìa v. la Nota I.
386-388. TRASFORMÀZIONB DI LAPLACE. 357
Dalla prima di queste equazioni risulta che la Y deve essere una operazione di moltiplicazione; ora la sola molti- plicazione che sia commutabile con la D è la moltiplicazioae per una costante numerica (§ 163); pertanto, ove si pre- scinda da un moltiplicatore numerico arbitrario, la Y è r operazione identica.
388. Supponiamo che sia già dimostrato che in un certo spazio lineare di funzioni la L esista insieme alla sua in- verna: di più codesto spazio, al quale riferiamo le nostre considerazioni, sia dalla L trasformato in sé stesso. Allora, iterando e successivamente combinando le (15'), (16')> otte- niamo i tre sistemi di equazioni simboliche
(17) L«M, = — M,L^ L«D = — DL«.
(18) L'M, = - DL«, L^D = M,L^
(19) L^M, = iM,LS L^D = DL^
Le (19) dicono (§ prec.) che la L* è, nello spazio <ionsi- derato, uguale all'operazione identica.
Se, quindi, chiamiamo ciclica di ordine m ogni opera- zione A, tale che
A» = 1,
abbiamo che la trasformazione di Laplace è ci- clica dell'ordine quattro. Discende di qui che
L^ = L-\
onde le (18) definiscono l'inversa della L, per la quale si ha, cioè,
(18') L~»M, = - DL-\ L-^D = M,L~^
E infine manifesto che le (17) definiscono la operazione di sostituzione S__,, definita da
S-,(9(a?)) = 9(— x).
358 CAPITOLO TREDICESIMO.
Avremo quindi fra la trasformazione di Laplace e la sua inversa, per ogni spazio in cui esse siano definite en- trambe, la seguente semplicissima relazione
(20) L-i = S_,L.
Ciò vuol dire che da ogni determinazione di L se ne de- duce una di L^^ eseguendo sulla prima la S_,.
889* La questione dell'esistenza della L va partitamente risoluta per ogni singolo spazio lineare di funzioni, al quale essa voglia applicarsi.
Noi, qui considereremo lo spazio Qt?^ delle funzioni che si ottengono per combinazione lineare delle
{x — cy-^^log^ix — e)
dove r è un numero qualunque, m è un numero intero positivo ed n un numero intero qualsivoglia: considereremo poi, in modo particolare, lo spazio ^^ delle serie di Laurent
oo
2«„(a; - cy
— oc
relativo al punto x = e qualsiasi. Prescinderemo dalle que- stioni di convergenza, per le quali rimandiamo al Cap. V. Per riconoscere se esista nello spazio ^^ una operazione soddisfacente alle (15'), (16'), cercheremo di costruirla effet- tivamente. A tale scopo limitandoci ai caso di in = o, ve- diamo dapprima se dalie (15'), (IG') possano ricavarsi quelle funzioni che la L fa corrispondere alle funzioni
{X — C)f+n (71 = ~ oo, . . . , + oo)
»
che costituiscono il sistema fondamentale o di riferimento dello spazio che consideriamo.
Supponendo r non intero, poniamo
§§ 389-890. TRASFORMAZIONB DI LAPLAGB. 859
Dalle (15'), (16') risulta allora per le funzioni ^r-t-n il si- stema di equazioni lineari miste ai differenziali e alle diffe- renze del primo ordine:
/ a^èr+ii+l = — (r + n + l)4r+ii,
il quale dà immediatamente, all' infuori di un fattore indi- pendente da a? e da n,
(22) 4r+n = r(r + n + l)e'fi(r+ii+l)ecx:xr-(r+n+l),
dove secondo la usuale notazione, T rappresenta V integrale euleriano di seconda specie.
Venendo al caso di un intero m > o, si trova con un calcolo analogo
L[x — cY'^^log'^ix — e)] = =— P^^Kr+n+Dgcx^p-^r+n+i) ^r(r + n + \)log'^x —
^rix + n^ \)i^\log^-^x + ... + (- l)»r(«Xr + n + 1)).
890. Se il parametro r ha un valore intero, o si tiene ferma V ipotesi m = o, già fatta al § precedente, lo spazio W„ non è se non lo spazio ^, delle serie di Laurent, re- lative al punto X = e. Anche in tal caso le funzioni ^r+n devono soddisfare al sistema- (21). Ma poiché l'integrale euleriano di seconda specie ammette come punti singolari l'origine e tutti i punti dell'asse reale di ascissa intera e negativa, la soluzione (22) trovata dianzi per codesto sistema cade allora in difetto per infinite funzioni del nostro spazio.
Se r è intero, manifestamente possiamo supporlo, sen- z' altro, uguale a zero. Il sistema (21) diventa allora
4r+ll + ^èn = è'n (n = — OO, . . . , + oo)
(2r){a?.-n+i = -(n + l)4„ (n — oo,..., -2,0,1,. ..,+ oo) L(o) — — a74o-
360 OAPITOLO TKBDICfiSIMO.
Se alla L impoDiamo la condizione di essere univoca nello spazio ^^. se cioè chiediamo che sia L(o) ss o, tro- viamo immediatamente
in — 0 (n = 0, 1, .... + CX))
e
^» = ^'^(n^— 1)! (n = 1, 2, . . . , + oo).
Esiste, dunque, nello spazio ^, delle serie di Laurent, un ramo univoco della L che ammette come spazio di radici lo spazio delle serie di potenze intere e positive di x — e. La costante è pertanto (§ 139) un elemento singolare per codesto ramo dell'operazione L,
Questo ramo di L coincide con quello determinato al
§ 385, è), ove si ponga |j. = — e si prendano le costanti
di integrazione tutte uguali a zero. Il ramo di L~^ corri- spondente al ramo di L or ora determinato sarà ad infinite determinazioni, differenti fra loro per serie di potenze in- tere e positive di a? — e arbitrarie.
Quest'ultima osservazione e la relaziono (20) che inter- cede tra L ed L~\ fanno presumere T esistenza di un ramo di L ad infinite determinazioni. Se infatti, riprendendo il si- stema (21'), lasciamo cadere la condizione di univocità, ot- teniamo dalle (15'), (16') per L(o) le due condizioni
L(o) = DL(o), L(o) = — xUo).
Ne risulta che se L(o) non è identicamente nulla, essa è uguale ad un elemento arbitrario di uno spazio lineare tra- sformato in sé dalle operazioni M^ e D. Se si stabilisce che fra le determinazioni di L(o) vi sia la costante, L(o) dovrà es-
§§ 390-391. TRASFORMAZIONE DI LAPLACE. 361
sere uguale ad uq elemento arbitrario io S. Allora dal si- stema (21') si deduce
in = {— l)"wle«ar-(n+i) + ir, (n = 0, 1, . . . , -}- oo) ^-" = (h ~ ^ye^^^^'-^logx + ir, (n = 1, 2, . . . , + oo),
dove abbiamo voluto indicaro eoo n uà elemento arbi- trario di S.
391. Combinando le (15') e le (16'), risulta per ogni coppia m, n di numeri interi e positivi,
(23) La?»»** =s (— l)«D«a?»L.
Ora ogni forma differenziale lineare a coefficienti razio- nali interi è appunto una combinazione lineare, a coefficienti numerici, di un numero finito di operazioni del tipo a^^D"
m, n
Avremo quindi
LFL-* = Scm.nLx^D'^L-^ =» S(— l)»D»aj».
Si ha dunque che la trasformata di Laplace di ogni forma differenziale lineare a coefficienti razionali, è una forma differenziale lineare a coefficienti razionali.
D'altro Canio la L~* gode delle proprietà indicate dalle (18), onde risulta
L-^a7»D» se (— l)»D»aj»L-^
quindi anche la L~* trasforma ogni forma differenziale li- neare a coefficienti razionali in una forma dello stesso tipo. Se ne conclude che ogni forma differenziale li-
362 OAPITOLO TREDICESIMO.
Deare a coefficienti razionali si può conside- raro come la trasformata per mezzo della L di una determinata forma differenziale lineare a coefficienti razionali.
Queste osservazioni rendono manifesta l'importanza che la trasformazione di Laplace ha nella teoria delle equazioni differenziali lineari a coefficienti razionali.
392. Da quanto precede risulta immediatamente un'os- servazione dovuta, in un caso particolare, allo Schlesinger(^). Data la forma differenziale lineare a coefficienti razionali F» sia F^ la sua trasformata di Laplace; sia, cioè:
LFL-^ sB F,.
Uguagliando le aggiunte dei due membri otteniamo
LFL~i — F^. Ma abbiamo veduto che è
e quindi
Ne risulta
LL-^ — 1. LL-^
L F^L-» — F :
cioè, l'aggiunta della trasformata di Laplace di una forma differenziale lineare F, a coeffi- cienti razionali, è tale, che la sua trasformata di Laplace coincide con l'aggiunta di F.
E manifesto che, considerando, al posto di F, un'opera- zione distributiva qualsivoglia e la sua aggiunta, il teorema si mantiene valido e si dimostra allo stesso modo.
(1) Handbuch, Bd. I, pag. 426.
§§ 391-393. LA TRASFORMAZIONE DI LAPLACE. 36B
393t Fra le varie applicazioni che della proposizione del § 391 sì sono fatte alla teorìa delle equazioni differenziali lineari, ci limiteremo a dare qui la più semplice, cioè la de- terminazione dello radici delle forme differenziali lineari a coefficienti numerici. Poiché tale determinazione si è già compiuta con altro metodo al § 179, ci basterà il seguente brevissimo cenno. Data la forma a coefficienti numerici
poniamo
Indicando allora con 9 una funzione indeterminata, avremo
n
FL(9) =2a„D»L(9)
0
Ossia, per la (15'),
FL(9) — L(+9).
Risulta di qui che, affinchè L{cp) sia radice, non identica- mente nulla, della F, è necessario e sufficiente che la fun- zione ^(p sia radice di L senza che sia tale la 9. Se il poli- nomio 4* ammette le q radici distinte c^, c^ 6»^, mul- tiple degli ordini r^ r^, ..., r^^ rispettivamente, basta sce- gliere successivamente per 9 le n funzioni
y— — — — TT^ {i ss 1, ^, , . . , q\ fi ^ 1, ^, . . . , Tj). Otteniamo così per F le n radici (§ 390)
(t = 1, 2, . . . , g; A = 1, 2, . . . , ri), che sappiamo essere linearmente indipendenti.
364 CAPITOLO TRBDICBSIHO.
D. OPERAZIONI ANALOGHE ALLA TRASFORMAZIONE DI LAPLACE.
394. Determinate le trasformatrici della D, se- ne pos- sono dedurre le trasformatrici di ogni operazione commuta- bile con la D. Sia in generale X la trasformatrice di A; si ha
XM,X-' — A;
ma dal § 383
onde
XS/*M,S;.-^X-^ — IJ.(A),
ossia XS/4 è la trasformatrice di ii(A). Se dunque X ó una trasformatrice della derivazione e pi(D) un'operazione com- mutabile con la derivazione, XS/* ne sarà la trasformatrice. Applichiamo V osservazione precedente a quella particolare trasformatrice della D, che è la trasformazione di Laplace. Essa soddisfa alle (15'), (16'), che si possono scrivere
LM^L-* = D, L-^M^L = — D.
L'operazione LS.a = K soddisfarà a due equazioni, che si deducono rispettivamente da quelle. La prima è
KM,K-^ = LS^M^S^-'L-^ ^ Ix(D),
ed esprime che K è una trasformatrice di |j.(D).
Per ottenere la seconda equazione, osserviamo dapprima che la trasformata di D mediante S^""^ non è se non il pro- dotto di D per il moltiplicatore v(a?) = fA'(pt_i(a?)), dove p._i(a?) rappresenta al solito l'inversa della funzione pt(a7). Si ha cioè
S^-^DS/* = MvD.
§§ 394-395. LA TRASFORM AZIONE DI BOBBL. 365
Ciò posto, si deduce dalla seconda dello equazioni a cui soddisfa la L,
e quindi
K-mji = - MvD.
1/ operazione K""^ è dunque la trasformatrice dell' ope- razione — MvD.
895. Consideriamo due casi particolari notevoli. Anzitutto prendiamo ^{x) = x"^: sarà
|i(D) - D-> e
v(a7) = ji'(|x_i(a?)) = — x\
Allora, indicando con B T operazione LSp avremo per essa
X
le due seguenti equazioni simboliche (§ prec.) (24) BM^B-^ = \)-\ B-^M^B = a?'D,
le quali esprimono che B è trasformatrice della D""^ e che B~* è trasformatrice della a?*D (^). La relazione
B = LSi,
X
che lega le operazioni L e B, ci assicura che ad ogni ramo di L corrisponde un ramo di B, e reciprocamente, e ci per- mette di dedurre l'uno dall'altro. Così, p. es., nello spazio S" delle serie di Laurent, relative all' intorno del punto
(1) Di un ramo di codesta operazione il Borel fece un uso siste- matico per trasformare serie di potenze sempre divergenti in serie aventi un ragfg^io di convergenza non nullo, o serie convergenti in un cerchio di raggio finito in serie sempre convergenti (v., p. es., Ada Math., T. XXI, p. 243).
366 CAPITOLO TBEDICKSIMO.
x := 0, esisteranno due rami di B, il primo univoco e tale che sia
^(^'') = (r^L 1)1 (n — 1, 2, . . . , cx)) B(a?~») ss 0 (n = 0, 1, 2, . . . , cxs),
r altro ad infinite determinazioni, differenti per serie arbi- trarie di potenze di a?, pel quale ò
8(07») == _ ^yX'^-Hogx + TT, (n — 1, 2, 3. ..., oo) B(a7-») = (— l)n+in!ii?-(ii+i) + ^, (n = 0. 1, 2, . . . , oo).
Non insistiamo sulla teoria della trasformazione B; ci basti di osservare che, come è reso manifesto dalle (24), anche la B~* ,trasforma ogni forma differenziale lineare in una forma differenziale lineare.
306. Applichiamo in secondo luogo le considerazioni del § 391, al caso in cui è jji(j7) = e~\ Risulta allora
v(x) = jx'(|A-i(a?) ) = - a?. Se, quindi, poniamo
LSe-* = C,
r operazione C soddisfarà alle due equazioni (25) CM,C-^ = (?-^ C-^M,C = a7D.
L'operazione e-^ non è altro se non l'operazione fon- damentale del calcolo delle differenze, che abbiamo indicato con e (§ 120). Sarà dunque 6-i> _. q -i^ cosicché le (25) si potranno scrivere
(25') CM^C-' = e-\ C-'MJC = a?D.
L'operazione C è dunque trasformatrice di 6~\ mentre la sua inversa è una trasformatrice di xD.
§§ 395-397. LA TRA8F0RM AZIONE C. 367
Le equazioni (25') si possono scrivere
CM, = 6-^C, CM,D = M,C od anche
(26) CM, = e-^c. CD = MxH-ieC.
Iterando, e combinando queste due ultime equazioni, otto- niamo, per ogni coppia m, n di numeri interi e positivi,
Ca;»D» = (a? — m + l){x — m + 2) . . . ,( x— m + n)6n-mc.
Questa equazione mostra come V operazione C trasformi ogni forma differenziale lineare a coefficienti razionali in una forma lineare alle differenze a coefficienti razionali, di prima o di seconda specie o anche del tipo più generale in- dicato al § 291. Se infatti è data la forma
F = S^in,na?»D»,
01,11
si vede subito che la sua trasformata mediante C sarà CFC~^ = iLam,n(a?— m + l)(a? — m+2)...(a? — m+n)en-'n.
m, n
397* Ora possiamo mostrare agevolmente come siasi già incontrato un ramo della operazione C. Si ricordi infatti » l'operazione, già rappresentata con C al § 216 (e che qui per un momento, a evitare confusioni, indicheremo con X) la quale, applicata ad un qualsivoglia elemento di S, cioè ad una serie di potenze di x
9 = 2^»^°'
n=o
dà come risultato il coefficiente a^, considerato come fun- zione deir indice n.
368 CAPITOLO TREDICESIMO.
Codesta operazione è anzitutto, com'è ben chiaro, distri- butiva. In secondo luogo si ha dalla definizione stessa di X:
ossia
XM, — e-%
ed
X(9') = (n + l)an^i = (n + l)6a„,
ossia
XD = eM,x.
Abbiamo cosi verificato che la X è, in 8, un ramo della C.
D* altro canto, considerazioni in tutte analoghe a quelle del § 387 mostrano che negli spazi dove esiste un ramo univoco della C, questo, come tale, è unico. Se ne conclude che nello spazio S la C è veramente l'operazione conside- rata al § 216, la quale, applicata ad una serie di potenze, dà il coefficiente di essa come funzione dell'indice.
398. Riprendiamo una forma differenziale a coefficienti razionali F e indichiamo con ^ la forma lineare alle diffe- renze, nella quale la C trasforma la F, tale, cioè, che sia
CFC-^ = <I>, ossia
CF = OC.
Supponiamo che per la F l'origine non sia punto singo- lare. Indicando allora con
9 = 2^
n
n^'
n=o
lo sviluppo, relativo al punto a? = o, della radice generale di F (dipendente linearmente da n costanti arbitrarie),
avremo
CF(9) = C(o) = 0, e quindi
§§ 397-399. DERIVAZIONE d'indice qualunque. 369
Si ha dunque che la C trasforma 1' equazione differenziale lineare F ss o nella equazione lineare alle differenze, a cui deve soddisfare il coefficiente dello sviluppo della radice ge- nerale di F, considerato come funzione del- l'indice. Con una semplice sostituzione si riconduce al caso or ora considerato, il caso in cui il punto regolare di F che si considera, è diverso dall'origine.
Nella relazione Ccp = a, la 9 venne detta, da Laplace e Abel, funzione generatrice di a, la a funzione deterrai- nante di 9. ' ^
E. LA derivazione d'indice qualsivoglia. —
LA TRASFORMAZIONE DI EULERO.
399, Al § 379 abbiamo definito la potenza ad esponente qualsivoglia di ogni operazione di cui si conosca una trasfor- matrice. Applicando questa definizione alla operazione D, chiameremo potenza di D ad esponente s qualsi- voglia, 0 derivazione di indice 5, l'operazione
dove X rappresenti una trasformatrice di D. Però, in codesta
operazione si è già notata (§379) una arbitrarietà, dipendente
dalla scelta della trasformatrice di D che si pone al posto di
X. Indicheremo con E, quella potenza di D che si ottiene
quando, per la X, si assumala trasformazione di Laplace:
porremo, cioè,
E. = La;«L-^
Servendoci delle (15'), (16') e delle analoghe equazioni a cui soddisfa la L~S deduciamo subito due equazioni cui soddisfa la E,. Abbiamo anzitutto, dalla (15'):
DE, = DLcc-L-i = Lx^+^L-i
ossìa
(27) DE. » Es+i.
24
STO CAPITOLO nUBDICBSIXO.
A questa ei^uazioDe possiamo djre un'altra forma, ri- c:»riaado la secon«la delle vlS'\ a cui soddisfa la L~'. Si ha infatti, per essa,
DE, — Lx*L--D,
OS:5Ìa
2S DE. as E,a
D.^nJe segue che la E, è commutabile con la D. la second,> luosro coasìvvramo la derivata funzionale dì E.. Sari
E'. -■ Lx'L-'» — xLr-L--
oss;,», p^r la pr:r::a delle (IS) e p-er la il^T ,
E. «B v<Ljr-«L~" = ^<E<_t. Ma .ul.a ?T rl<u':a
.-Vi niT' ^ ^r
400* L:? :r:\r::;e orerAi . -: F. eie <: otien-
;a
. %.' & ^it .- V Sc'.'v^i^^it j» iz".^ IsL ir. A:i«ci li ii ti rrme *>v -.c-MtAc- /•« * S;,% t»\ un f. *-:.» .'-^yc *!». i*: * ■rr"-7r.;'aL ^^ 29»
CI-' r i-it*,ri^t t," *A a -csir» '-•«* -jl: ••!■* £^.
"^i^-s" ^"'i . o. i*.s',* :/ "a t'yrt* ^.irr-i £ ' liK aatr?:^ ita
••* ti t •a^i t;*-'* , I • v« / I.
§§ 399-401. TRASFORMAZIONE DI EULBRO. 371
Considerando, infatti, lo due operazioni E„ E^, dove ^ e ^ rappresentano due valori, non necessariamente distinti, del parametro, avremo
E.D = DE,, DE', — ^E, ed
E,D s= DE,, DE\ — /Et. Per il prodotto E.E,, avremo anzitutto
E.E^D = E.DE, = DE,Et; e in secondo luogo (§ 145)
D(E,EJ' a- DE'.E, + E.DE', = sE,E, + /E,E,
ossia
D(E,E,) = (^ + OE.E,.
Risulta di qui che l'operazione E.E, soddisfa alle equa- zioni (28), (29): essa è quindi una delle operazioni E, e si ha precisamente
E,Et = Es+i,
il che prova l'asserto.
401. Poiché la E, è commutabile con D, il suo sviluppo ordinato secondo le potenze di D, posto che esista, dovrà essere a coefficienti costanti (§ 169). Ma, se applichiamo il metodo dei coefficienti indeterminati, servendoci della (29), troviamo immediatamente che tutti i coefficienti sono nulli. Si può quindi dire, secondo il citato § 169, che la E, non è re- golare, rispetto alla D, nelT intorno della co- stante. La costante viene pertanto a presentare per l'ope- razione E, una singolarità^ la quale è peraltro di natura assolutamente diversa da quella che presentano gli elementi singolari delle trasformatrici, considerati al § 382. La E, è
372 CAPITOLO TREDICESIMO.
regolare nelF intorno di 6*; nel suo intorno si trova, appli- cando il metodo dei coefficienti indeterminati,
E.(e-9) = «^2(*)D"<p.
n=:o
402. Iterando e combinando le (28) e (29), otteniamo per ogni coppia di numeri interi o positivi ??), n
(30) E.(n)D« = D^EJ^) = (5 — 71 + 1)(5 — n + 2) ...
. . . (5 — n + m)E,(^-^l
Ciò posto, sia data una forma differenziale lineare della classe dei Fcchs
Potremo senz'altro supporre che in codesta forma il coefficiente «j sia di grado i; perchè, quando ciò non fosse, basterebbe considerare al posto di F l'altra forma FD^ dove r rappresenta un numero intero, opportunamente scelto.
Avremo allora
n
E.F = 2E.(«.D').
Ma si ha
1=0
«'li-'p ai
E.(«,D') :» «,E.D' + ^'-E'.D' + ^o,^E".D' + . . . + \E.m\
e, applicando la forinola (30),-
E.(«,D') = «,D'E. + M',D'-'E. + (|)«",D'-»E. + . . . + (f)a,(')E.. Se quindi poniamo
(ni) F. -= 2(«i^' + *«'«^'~' + . . . + (•)«.("),
i=o ^ /
avremo
E.FEr' = F..
§§ 401-404. TRASFORMAZIONB DI EULERO. 373
L'esame della (31) ci permette di concludere che la E. trasforma ogni forma differenziale lineare F della classe del Fuchs, in cui il coefficiente di ogni singola potenza D^ sia del grado i ri- spettivo, in una forma E, del medesimo ordine, della medesima classe e del medesimo tipo. I punti singolari di F, coincidono con quelli di F.
403. La trasformazione di Eulero coincide con la sua aggiunta.
Infatti, uguagliando le aggiunte dei due membri di cia- scuna delle (28) e (29), otteniamo
DE. = È.D, DE'. = ^E.;
ne risulta che E, coincide con E..
Come al § 391, si dimostra immediatamente che se F. è la trasformata mediante E. di una forma F del FucHS, r aggiunta di F, è la trasformata mediante E, della aggiunta di F (*).
404, L' operazione E, trova applicazione nello studio delle equazioni differenziali lineari della classe del Fuchs. Noi qui ci limiteremo ad applicarla alla equazione ipergeometrica, usando un metodo che è, in sostanza, quello stesso che può servire nel caso più generale.
Sappiamo (§ 369) che la forma ipergeometrica è del tipo
F — «jD* + «iD + a,
dove «j è un polinomio in x di secondo grado a radici di- stinte, ai è un polinomio del primo grado e a è una co- stante numerica. Avremo (§ 402)
E.FE. -» = F. - a,D* + («^ + sa,,)D + {a + a\s + a\^=^y
(1) ScBLESiHQEB, Op. cit, 6d. II, Abschnitt XII, § 233.
374 CAPITOLO TREDICESIMO.
Nella F, il coefficiente di D<* è un polinomio di secondo grado in 5, a coefficienti numerici. Prendiamo per s un va- lore e che sia una radice di questo polinomio: avremo come trasformata di F mediante E^, la forma
F, — a,D« + (ai + ca',)D.
Poiché FJ)~^ è una forma del primo ordine, abbiamo subito per F^ la radico
a^i «if- c(t 2 —D— 1 '^^ .
Risulta allora dall' uguaglianza
F == E FÉ -^ che la funzione
E,n-»6 ' = Ec-i(? '
è radice della forma ipergeometrica.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO Le forme lineari alle sostituzioni (')
A. — GENERALITÀ.
405. Al § 122 abbiamo definito le formo lineari alle sostituzioni, e il Cap. X è stato dedicato ad una classe particolare di queste operazioni, le forme lineari alle differenze. Le definizioni e le considerazioni svolte per queste ultime forme nei §§ 265-272 si estendono senz'altro alle forme lineari alle sostituzioni; in particolare possiamo ammettere per esse la teoria della divisibilità, come pure lo osservazioni del § 286 relativamente alle radici di una forma decomposta in fattori.
406. Accanto ad ogni operazione di sostituzione S/t consi- dereremo la forma lineare, a coefiìcienti numerici, del primo ordine
(1) E = S^ — 1.
Se Y ò un^ radice di E (') 09 una funzione arbitraria, si ha (§ 118)
S/* (T9) = Sm (t) S;* (9) = T S/* (9).
(1) V. K0BNIG8, « Kecherches sur les intéjrrales de qaelqnes èqua- tionB fonctionnelles, > Ann. de T Ecole Normale Bnp., 6. II, T. I, 3884, e, « Nouvelles recherches eie. » ibid , S. Ili, T. II, 1885; Grbyt, « Etudes sur les équationa fonctionnelles » ibid., S. HI, T. XI, 1894.
(<) L'esistenza di tali radici ó dimostrata pi& avanti (§ 418).
376 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Le radici di E godono dunque, rispetto ad S/*, della pro- prietà espressa dalla (5) del § 42, di cui godono le costanti numeriche rispetto ad ogni operazione distributiva. Perciò» nel presente capitolo, daremo loro il nome di costanti ri- spetto ad Sja. Fra questo, figurano naturalmente le costanti numeriche.
Se F è una forma lineare in S/*, e y è costante rispetta ad S/A, si ha
F(r<p) = rF(9). 407. Dalla (1) si deduce per ogni n intero positivo :
E» = S» - (?) E--^ +... + (- l)^ e
S- = E» + (0 E"-^ + ... + 1
che permettono di trasformare ogni forma lineare in S/* in una forma lineare in E del medesimo ordine, e viceversa. Precisamente, se è
si ottiene dove
«a = «n
(2) < a^_, = «„_, + ("TO «a-l + (i) «m
)
«o = «o + «1 + ... + «„;
e analogamente si esprimono le a^ in funzione delle a^.
408. Data la forma F, si consideri il prodotto per F di un'operazione di moltiplicazione M&>; posto
SV(w) = Wj, (i = 1, 2, . . . n),
§§ 405-408. FORHB LI27BABI ALLB SOSTITUZIONI. 877
avremo, teneado conto che la S è distributiva anche ri- spetto alla moltiplicazione,
dove, per le (2), è:
(3) \ Pn-1 = «n-l^n-l + (l)«
n^n
Sia co radice di F; ne viene p^ =i o, e quindi FMw è divisibile per E, e precisamente
FM« = FjE, dove
Fi = PnE»-» + p„_iE»-« + . . . + ^,.
Sia ora ^ una radice delia forma Fi d' ordine n — 1 ; E^MW sarà radice di FMw, cioè
a)E-^(+)
sarà radice della F. Applicando alla F^ il procedimento già applicato alla F, si otterrà
FjM.| = F,E.
dove F, è una forma determinata dall'ordine n — 2, e se X è una radice di Fj,
(oE '^E-^x
sarà radice di F, e cosi via. Cosi continuando si giungerà per F ad una n»*"» radice:
wE-'+E-^X • • . E-^a ;
378 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
talché si vede come ammessa, per ora, l'esistenza (^) di una radice per una forma lineare alle sosti- zioni, risulta la possibilità di determinare per essa un sistema di n radici.
409. Le radici ottenute col metodo del § pre- cedente sono linearmente indipendenti, intendendo con ciò che fra esse non passa una relazione lineare omo- genea a coefBcieuti costanti rispetto ad S/i (§ 406).
Se, infatti, fosse
(4) Cico + ó^tùE-^^ + c^^E-^^E-^x + ...
... + c„coE~^<j/ . . . E~*a = 0,
dove ^1, Cg, c?3, ... c^ sono costanti rispetto a<l S/* non tutte nulle, ne verrebbe, dividendo per w,
e, + c,E-'^ + c,E-'^E-'x + . . . = 0,
ed applicando la E ad ambo i membri e dividendo per ^
ripetendo altre n — 2 volte il medesimo procedimento, si giungerebbe a
Siccome a è supposta non identica a zero, ne viene c^ =o, onde, risalendo, c^^i, c^.^, . . . c^ devono essere uguali a zero, contro il supposto; con ciò è dimostrato che fra le radici a>, wE~^«p, . . . , determinate per F, non può passare una rela- zione della forma (4).
410. Fissata T operazione S/*, diremo spazio lineare Sn [^n Wj,... wj di funzioni, ad n dimensioni, ri-
(*) Quest* esistenza verrà dimostrata più avanti f§ 433) indipenden- temente dalle considerazioni del presente §.
§§ 408-412. PUNTI LIMITI. 379
spetto ad S/i, I* insieme delle combinazioni lineari delle w^y «1)2, . . . cOq a coefficienti costanti rispetto ad S/a, ammesso che fra le co^, co^, . . . cOq non passi alcuna relazione della forma
dove Cj, Cj, . . . c^ sono pure costanti rispetto ad S/*.
Ottenute (§ 408) le n radici o>, wE~*t|/, ... di F, è pure radice di F ogni elemento dello S„[a), coE~*<j/, . . .] da esse determinato.
411. Essendo p e cr due funzioni qualsi vogliano, si ha
E(p:r) = S(p)S(7) - per.
Sostituendo per S(p), 8(7) le espressioni E(p) + p, E(7) + (7,
viene:
(5) E(p7) = E(p)E(7) + pE(a) ^ (7E(p).
Questa formola esprime E(p7) in funzione bilineare di p, a, E(p), E((7), 0 si può dire che essa fornisce un teorema di moltiplicazione per l'operazione E.
B. 1 PUNTI LIMITI.
412. Consideriamo la sostituzione S/t, che indicheremo semplicemente con S, definita dalla funzione analitica {1(0?). Essendo x un punto nel cui intorno la ii.(x) si mantiene regolare, formiamo la successione
X, S(a?), S>\x), . . .
e supponiamo che questa successione ammetta il limite k, in cui il{x) sia pure regolare. Un tale punto k si dirà punto limite della S. Posto
S^x) = ft + !/p, (p = l,2....).
380 CAPITOLO QUATTORDICBSXMO.
la successione y^ teade a zero; si potrà dunque, da un va- lore dell'indice p in avanti, sviluppare
nella serie convergente
(6) Sp-^i{a;) = pl(A) + |i'(A)j/p + • • • + -^rK »% + •
|i/n)(A) n!
Passando al limite per p = oo, poiché /i/?i ^p = o, verrà
A = fji(A).
Questo risultato, sostituito nella (6) e tenendo conto che
darà
e siccome il limite di t/p è zero, ne viene
(7) I vXk) I < 1.
Abbiamo cosi ottenuto il seguente teorema: Q) Ogni punto limite della S è radice dell'equa- zione
(8) |jL(a?) = X
e soddisfa alla condizione (7).
413. In tutto quanto segue, verrà escluso il caso di |pl'(A)| =z= 1, che richiederebbe considerazioni particolari. Nel- l'ipotesi |[a'(^)I<1» il teorema precedente si inverte: cioè, se A, punto in cui [i(a?) è regolare, è ra- dice dell'equazione (8) ed è \\^\k)\ <, 1, esiste
(1) KoENiQS loc. cit, e Bulletin dea Sciencea Mathématiqnes, 1883, p. 343.
412-413.
TEOREMA DI KOEKIGS.
381
un cerchio di centro k per ogni punto x del- rinterno del quale è
Km S'(^) = k.
Infatti sarà in un intorno conveniente di k:
^{x) = k + (a? — A) p.'(^) + (^ — ky v(cF),
dove v(a7) è una serie convergente di potenze di x — k. Ne viene
ma, per essere |[i'(A)|<l» si può assegnare un cerchio di centro k e di raggio r^ abbastanza piccolo perchè in esso, circonferenza compresa, sia
I Ak) + (x-k) v(a7) ; < Ti,
dove h indica un numero positivo compreso fra | |i'(A) | è l'unità. Per ogni punto x interno a questo cerchio, che diremo per brevità cerchio (A), avremo allora
S(^) - k
X — li
< A < 1
Il punto 8(0?) sarà dunque più vicino a Iv di quello che non sia il punto x^ e perciò ancora interno al cerchio {k). Applicando quindi ad esso il ragionamento precedente, sarà
S«(a) — li
S(i^) - li e cosi via; onde per moltiplicazione,
< h.
Sp( J) — li
X — li
< AP,
ossia
\S^{x) — k\<.Jì^\x — A'I,
382 CAPITOLO QUATTORDIGSSIMO.
e poiché X è interno al cerchio {jk)j a maggiore ragione
I S^[x) — A I < h^r^. Passando al limite per p = oo, viene
lini ^(x) = k,
cioè k è effettivamente punto limite di S.
414. Sia a un* area presa nella parie del piano x in cui la funzione analitica fi(a7) si mantiene regolare. Mentre il punto X si muove entro l' area a, le S(a?), ^\x\ . . . descri- veranno determinate aree a^ a,, ... Se, ferme le ipotesi del § precedente, Tarea a è il cerchio {k), la regione ap sarà per il detto §, interna a questo cerchio e alle re- gioni precedenti ap_p ap-2» ••• ^^ Q"' risulta che lo spazio S>^^{k) (^) è trasformato in so stesso dal- l'operazione S.
Ma se rj è un numero positivo minore di r^, anche dal cerchio di centro a; = A e di raggio ri, preso come regione a, r operazione S deduce una successione di regioni a^, a,, ... interne ad esso cerchio; ne risulta che ogni spazio S'(A) con r <ir^, è invariante rispetto ad S, e quindi è tale V in- tero spazio S>^{k).
415. a) Poiché k soddisfa all'equazione (8), sarà per ogni valore intero di p\
(9) S^C/i) = k.
6) Se qp è un elemento qualsivoglia di S>\k\ si ha per ogni valore intero di p
(10) SP(cF(ft)) = cp(ft).
(^) Secondo la notazione introdotta al § 318.
§§ 413-416. UN BSEMPio. 383
c) Indicando per brevità 8^(0?) con x^, si ha
onde, per ogni coppia di numeri interi positivi i, p:
(%^) = ■""«.
p Analogamente si ha, per ogni elemento 9 di è\k):
i-^)r '■''*'■
d) Se due funzioni p. e v differiscono per una costante addittiva, le sostituzioni S^, Sv hanno i medesimi punti limiti. 416. Come esempio, si faccia
bx
p(a?) =
r
dove r è un numero positivo, e | & | < 1. Questa funzione è regolare entro il cerchio r. I punti limiti, dovendo essere radici della (8), potranno essere soltanto x = 0 ed a? = 7" (1 — &) ; la \i{x) è regolare in entrambi, ma
ii'(o) = &, ir'(r(l - &)) = 1
perciò il solo punto a? = 0 soddisfa alla condizione (7) ed è pertanto il solo punto limite.
E facile determinare il raggio del cerchio di centro x = o che S rappresenta in un* area interna; basta infatti porre
bx
1-^
r
< X
onde
r — x\> \ b\r\
il raggio del cerchio richiesto è dunque r — r\b\.
384 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Infine è pure facile di calcolare leSp(a?); si trova imme- diatamente
1 — b r ì — b r
C. LE FUNZIONI ELEMENTARI DEL CALCOLO DELLE SOSTITUZIONI.
417. Rimanendo ferme le notazioni dei §§ 412 e segg., poniamo [x'(A) = a, o < |a| <! 1, e consideriamo il pro- dotto infinito
(11) <")=n«(s^^(^)^)
La funziono ^{x) ammette nell'intorno di a? = A una espressione dejla forma
}i(a7) = ft + a[x^k) (1 + (a? — A)"v(a?) )
dove n è un intero positivo non inferiore ad uno, e v{x) è una funzione regolare nel cerchio (A), compresa la circon- ferenza. Applicando la S^"^ ad ambo i membri della prece- dente uguaglianza, abbiamo
Si-Ca?) = k + aCS'-'Cic) — /t) | 1 + {^-\x) — /{)"Sf-'(v) | ; quindi il fattore generale del prodotto ot{x) si scrive:
g§ 416-418. RADIO! DBLLB FORME LINEARI. 385
Per un noto teorema della teorica delle funzioni, il pro- dotto a{x) convergerà assolutamente ed uniformemente se converge uniformemente la serie
oo
p=l
Ora se m è un numero positivo maggiore del massimo modulo di v[x) entro (A), sarà |SP~^(v)|<m; essendo poi (§ 413)
I Sr-^{x) — A I < h^r^, A < 1,
verrà
I (S^-\x) - k) Sp-^(v) I < rnh^r^
il che dimostra la convergenza assoluta ed uniformo della
serie a e quindi del prodotto a(x). Per il teorema della
teoria delle funzioni ricordato dianzi, la a(x) definisce
una funzione analitica determinata entro il cerchio (k).
Questa funzione ha per x = /e, uno zero del primo ordine. Infatti, si ha
A Sp(x) - k) _ S%x)-k
onde
(12) . a(x) = lini S<'(a;) -^ k ^
Ma
S^Cx) - A = (oj - A) (a + (a: - A)v,(aj)),
dove Vq(a;) è regolare entro (A); onde, per essere |a| > o, la funzione oi{x) ha, per x = /e, uno zero del primo ordine. ' 418. La funzione ol{x) è radice della forma lineare del primo ordine, a coefficienti nume- rici, S — a.
25
386 CAPITOLO QUATTORD1CB8IMO.
Si ha infatti ideoticamdnte
onde ricordando l'espressione (12) della oi(x) e passando al limite per q =z oo, viene eflFettivamento
S(a) — aa = 0.
419. Applichiamo le considerazioni precedenti al caso speciale della funzione \ì.(x) esaminata nel § 416. Si ha in questo caso k = o, fi'(o) = 6, e quindi, dall' espressione trovata per S*, si ha subito
bx
a(x)==
1- ^
r(l-6)
Questa funzione soddisfa all'equazione lineare alle sosti- tuzioni, del primo ordine
S/*(9) — 6<p = o.
Di qui possiamo trarre una conseguenza che tornerà utile in seguito. Poiché la a soddisfa ad
S(a) = 6a, onde
SP(a) = &Pa, posto
a(x) = bxta(x) avremo
(13) &S°(a;)S»H = &o+ia;w.
Ma si è trovato
6»x
S»(a7) =
, 1-b- x'
§§ 418-420. RADICI DBLLB FORMB LINBARI. 887
onde la (13) diviene
1 j- S"(cu) = w.
, 1—0° X ^ ^
Sostituendo ad n successivamente i valori n — 1, n — 2, . .. 2, 1 e sommando, dopo di avere moltiplicato per le costanti numeriche a^y ctn—v • - - ^i> P^^se in modo che la loro somma sia uguale ad uno, otteniamo
n
(14) S--lé'6r^S'^=^-
4S0. Nel § 417 si è esaminato il caso in cui [jl'(&) è dif- ferente da zero. Suppongasi ora
jjt'(À) = [Ji"(A) = . . . = JA^""-* (A) = 0, iJi(«X*) = b^o.
Sarà allora
(15) iJi(aj) = & + & (a? — A») 1 1 + (a? - A)°v(x) (.
dove n è un numero intero non minore di uno, e v(a:) è re- golare entro (k)\ da cui, applicando ad ambo i membri la Sp""\ si deduce:
(150 Sp(a;) = k + b{S^-\x) - A»)| 1 + (S^-\x) - A)°Sp-'(v)|.
Con procedimento analogo a quello del § 417, si dimostra che il prodotto infinito
/ X n Sp(ir)A
p
"i biS^-\x)-ky
è convergente uniformemente in (A), e rappre- senta ivi una funzione analitica regolare, radice della forma del primo ordine S — b{x — A)™—*.
388 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
421. Di più, si può dimostrare che a^{x) ammette per a? = A uno zero del primo ordine, e che il coefficiente di X — k nel suo sviluppo in serie di potenze è dato da b.
Dalla (15) si ha infatti che S{x) — k ammette nel punto limite k uno zero d'ordine m, e dalla (15'), applicata successivamente pei valori 1, 2, . . . , jo, . . . dell'indice, ri- sulta che S^{x) — A ha per x = k uuo zero d'ordine 7Jt^' Possiamo perciò porre
Sp(a?) _ A = (a? — k)^\(x).
dove Vp (x) rappresenta una funzione regolare nell' intorno del punto limite e in questo diversa da zero. Considerando allora il rapporto
81(0?) - k
(16)
6^[(a? - k){S{x) - A) . . . (S^->(iP) - A)j
m— 1
che al limite per g = oo dà la funzione «i, vediamo che mentre il numeratore ha per x = h uno zero di ordine m% il denominatore ha uno zero di ordine
(1 + m + m* + . . . + m*»~^) {m — 1) = m*» — 1.
Ne discende che quel rapporto ha nel punto limite uno zero del primo ordine.
Anche la funzione limite «„ che già sappiamo essere re- golare nell'intorno del punto limite, ha per x = k uuo zero del primo ordine; basta mostrare perciò che il coeffi- ciente di X — Anello sviluppo in serie di potenze di a? — A del rapporto (16) tende, al crescere indefinito di q, ad un limite finito e diverso da zero. Noi dimostreremo precisa- mente che codesto coefficiente è indipendente da q.
Perciò cominciamo dal calcolare il coefficiente di (x — A)"*" nella funzione pip — A, cioè il valore per x = k dì cia- scuna funzione Vp(a?).
§§ 420-422. LE FUNZIONI ELEMENTARI. 389
Dalla (15> risulta senz' altro che il coefficiente di (x — A)" ìq p. — cv è b e dalla (lo') discende che i coefficienti Vp_i(A) 6 Vp(À) sono legati dalla relazione
Si ha quindi per via ricorrente che vp(A) è uguale alla potenza di b di esponente
mP — 1
r + m + ììi^ + . . . + ^n^ =
m— 1 '
Sviluppando allora numeratore e denominatore del rap- porto (16) in serie di potenze dì x — k, avremo che il primo coefficiente del numeratore è dato dalla potenza di b di esponente
???' — 1
7)1 — 1 ''
mentre il primo coefficiente del denominatore è dato dalla potenza di b di esponente
q + m — 1 + m^ — 1 +...+ ;?i^~^ — 1 = «i ^ — .
^ m — 1
Se ne conclude che il primo coefficiente dello sviluppo di
(16) in serie di potenze di a? — k è dato dalla potenza di
)-)l1 1 ÌU^~^ 1
b di esponente i tn — =1, cioè da & stesso,
^ 7n — 1 ?/i — 1 '
e che «1 ha, in a? = A, uno zero del primo ordine.
422. Derivando la (15), otteniamo
(17) [iXx) = 7ìib{x — k)^-^{l + p{x)),
dove p è una funzione regolare in (k) che si annulla per a? = A. Applicando la S^""* a codesta uguaglianza, viene:
(17') Sp-^(ix') = mb{S^-\x) ^ k)^-\l + Sp-^(p) )"
390 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
0 quindi
mft(SP -'(a?) — Alc- ool ragionamento già usato al § 4lY, si dimostra che il prodotto infinito
(^8) «*(«') = S mbisJ(^)- kr-^ = 1/1 + S.-.(p) )
converge assolutamente ed uniformemente in (A) e rappre- senta ivi una funzione analitica regolare. Per definizione, sarà
nQ^ r ^^7' ti'S(fi-)y(pLO...S<i-i(>i')
ma, per le proprietà del simbolo S date al § 118, si ha:
ri^S(p.O...Sq (|x^ mb((v—k)^-^ _
|(a?_A)(S{rz?)— A)...(S'»(a7)— A)J«-«mq-*-«6q+i * P-'
l^'Sd^'h.Sn-Hi,^)
onde passando al limite per g =r oo, otteniamo
La funzione ag(a?) è dunque radice della forma lineaVe alle sostituzioni del primo ordine:
Q mb(x — k)^-^
Il valore di «gC^) P^*' x = k 6 differente da zero. Si ha infatti (§ 421) che il denominatore dell'espres- sione sotto il segno lim nella (19) ha per x = h uno zero
§§ 420-423. FUNZIONI silbmbntari. 391
dell'ordine m^ — le che il coefficiente del suo primo ter- mine è m^b\ dove
m<i— 1 -— 1
s = m
m — 1
Esaminando ora il numeratore della espressione stessa, risulta che jji'(a?) ha per a; = A uno zero d'ordine m e per primo coefficiente mb; così dalla (17') segue che l'ordine dello zero di Sp— *(|jl') è uguale a quello di Sp— *(|jl) — A, moltipli- cato per m — 1; e che il primo coefficiente è dato, secondo le notazioni del § 421, da
Ma per lo stesso § 421 la Sp-*(a7) — A ha per x = k
UDO zero d'ordine mp-*, e V|h-i(A) è dato dalla potenza di
^p— 1 j
b di esponente 171~* No viene che (m — l)m^ è l' or- dine dello zero di Sp-*(iji'), e che il suo primo coeffficiente è wift"*"^. Il numeratore considerato ha dunque, per a? == A,
un zero d'ordine
(m — 1)(1 + m + 7n* + . . . + m<i-i) = «i^» — 1
uguale all'ordine del denominatore; il valore di a,(a?), per X = k, è dunque diverso da zero. Questo valore è precisa- mente uguale a b.
483. Abbiamo determinato nei §§ precedenti le funzioni ai(x), a,(a7), regolari nel cerchio (A) e tali che
^ mb(x^k)^-i Dividendo membro a membro, viene (§ 118)
S /_?2.\ _, ^>^ ^
\«i/ lA'(a?) «1
392 CAPITOLO QUATTORDICBSIHO
il quoziente — ^ è dunque radice della forma S — —,. Questo quoziente è espresso da
^ ^ n SP^nP^O(SP-Ha^) ~ k) ^ ii,n |x'S(ti')...S<i-i(pi-) «1 *_f^ m(SP(a?) — A) J = « ;n«(S'»(a7)— A ) '
ed in forza delle proprietà di a^ ed «j sviluppate nei §§ precedenti, vediamo che esso ha per a? = A un polo di primo ordine con residuo uguale ad 1.
424. La funzione S = D— * — ^ è radice della forma di pri-
mo ordine S — m. Si ha infatti (§ 394):
DS = M/*'SD.
onde, prendendo per D— * la determinazione principale,
SD-i = D-iM/*'S.
Pertanto
SD-i-^=D~iM;.'S^,
«1 «1
e per il § precedente
SD-i -^ = 7nD-i -^, o S^ = 7np,
«i «i
che dimostra l'asserto.
Si vede che la funzione ^ è una funzione analitica che per aj = fc ha una singolarità logaritmica.
435. Riassumendo, abbiamo studiato nel § 417 il caso in cui è |i,'(A;) = a 9^ 0, e nei §§ 420 o segg. il caso in cui è ^\h) = 0. Nel primo caso, abbiamo ottenuto una funzione analitica a{x) regolare nelT intorno di x =^ o^ Q radice della forma S — a\ nel secondo, una funzione j3, avente per X =^ h una singolarità logaritmica e radice della forma
§§ 42^-426. SOLUZIONE di equazioni alle sostituzioni. 893
S — 171, dove m — 1 è T ordine dello zero di \x\x) per X =^ k. Convenendo di porre
a = \i,'{k), se è [ji'(Ar) =^ o,
a = m, se |Ji'(ifc) = o d'ordino m — 1,
possiamo dire che in ogni caso, sappiamo trovare una radice della forn)a speciale del primo or- dine S — a. Questa radice, funzione analitica in (k), che nel- r intorno di aj = o o è regolare od ammette in quel punto una singolarità logaritmica isolata, verrà detta funzione fondamentale ed indicata in ogni caso con a{x).
426. La funzione fondamentale permette di risolvere le equazioni funzionali
(20) S(9) = z^,
(21) S(^) = 9 + 1,
essendo z una costante numerica diversa da zero.
a) Per risolvere la prima equazione, si ponga ;5 = a" ; viene, da S(a) = aa^
S(a") = aM''
ossia
S(a") = Z(x\
Soluzione dell'equazione (20) è dunque la 9 = a", dove, indicando con e l'inversa di log a, è u= clogz.
b) Per risolvere la seconda equazione, si consideri
X{x) = e log oi{x) ; viene
S(X) = e log S(a), ma
log S(a) = log a + log a,
894 CAPITOLO QUATTORDICRSIMO.
onde
S (X) = X + 1.
Soluzione dell'equazione (21) è dunque la X = e log a. e) La funziono X ora determinata permette di dimo- strare l'esistenza di costanti rispetto all'operazione S, al- l'infuori dello costanti numeriche. Sia infatti iz^x) una fun- zione periodica di periodo 1 ; si avrà
SKX)) = 7r(S(X)) = ir(X + 1) = 7r(X),
e quindi ir(X) è una costante rispetto ad S.
D. EQUAZIONI LINEARI OMOGENEE ALLE SOSTITUZIONI. (EQUAZIONI A COEFFICIENTI NUMERICI).
487. Ci proponiamo, nei §§ seguenti, di trovare le ra- dici di una forma lineare F alle sostituzioni, d'ordine n, o in altre parole di risolvere l'equazione lineare omo- genea d'ordine n alle sostituzioni F = o:e trat- teremo dapprima il caso in cui i coefficienti della forma F sono costanti numeriche.
Data l'equazione lineare alle sostituzioni,
(22) F = a„S- -I- an-iS«-* -f . . . + a,S + a.,
dove a„, a^, . . . , a^ sono costanti numeriche, consideriamo l'equazione (§ 178)
(23) a^z"" + On^iZ^-^ +... + a^z + a^ = o,
e siano z^, z^,.,. z^ le sue radici, degli ordini rispettivi di
§§ 426-427. EQUAZIONI lineari a coefficienti costanti. 395
moltipHcità Ti, r^, . . . r,. (^) Posto S — Zi ^= Ej, la forma F si può scrivere (§ 178)
F = a^F/iE^'i. . . E/,
ed ammette come spazio di radici la somma degli spazi di radici delle singole forme E/i. Il § 176 permette di asse- gnare r espressione di tali spazi. Infatti, essendo z un pa- rametro arbitrario, la forma E = S — z ammette (§ 426) per ogni valore non nullo di z la radice
funzione analitica regolare di z per ogni z diverso da zero. Di più, la radice generale di E è (come si vedrà al § 448) C(o(a?, zX essendo e una costante arbitraria rispetto ad S. Sono pertanto soddisfatte le condizioni poste al § 176, tal- ché lo spazio delle radici di E' (r intero positivo) sarà de- finito dal sistema fondamentale
"^^ a?' d?""'^z^'
Ricordando che si è posto X = c log a, viene, indicando con &|.j coefficienti numerici dipendenti da z:
(i = 1, 2,... r- 1).
Come sistema fondamentale di radici della E' si può dun- que scegliere il sistema dello r funzioni
(') Qui 8i può supporre che a^ sìa diverso da zero^ cioè che non sia nulla alcuna delle radici e* Se fosse <i, = o, la F si ridurrebbe al prodotto FjS, dove Fj è d* ordine n — 1 e la ricerca delle radici di F si ricondurrebbe immediatamente a quella delle radici di Fj
396 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Se ne concludo che la F ammette uno spazio di radici ad n dimensioni, definito dal sistema fondamentale
a"i, a"iX, ... a"! X^-», (Mj = e log z{) (i = 1, 2,. .. s).
E. EQUAZIONI LINEARI OMOGENEE ALLE SOSTITUZIONI. (equazioni A COEFFICIENTI QUALSiVOGLIANO )'
428. Sia S,a una sostituzione avente il punto x = k come punto limite. Se si cambia x in oj + A, |i(a?) in pii(a;) = \i-(x + k) — k, si scorge senza difficoltà come alla sostitu- zione S/ui, col punto limite x = /e, si sostituisca la S/i^ col punto limite x = o; mentre ogni funzione regolare nel- r intorno di a; = A; si muta in una funzione regolare nel- r intorno di a? = o, ed una forma lineare in S.a si trasforma in una forma lineare in S/a^. Potremo dunque senza danno della generalità, occuparci d'ora innanzi di sostituzioni per le quali il punto limite che verrà preso in considerazione sia X = 0.
Ciò premesso, si vuole dimostrare il seguente Lemma: Abbiasi la forma lineare nella sostituzione S,a,
(24) F = a„S" + «n-iS»-! + . . . + a^S + a
o'
dove «n, «n-i»... «11 «o sono funzioni analitiche re- golari per a; = 0, punto limite di S, aj^o) ed aJ[o) essendo differenti da zero. Se è
«1,(0) + an~i(c>) + . . . + «0(0) = 0,
§§ 427-428. LEMMA FONDAMENTALE. 397
mentre non esiste nessun numero intero posi- tivo i pel quale sia
<^n(o)Aoy' + aa-i(o)pi'(oy «-Di + . . . + a,(oy(oy + ajio) = o.
la F ammetterà una radice regolare nelT in- torno di X = 0 ed avente in quel punto un va- lore prefissato arbitrario.
Poniamo n^ = -\ le n^ saranno regolari per x = o.
Se eu è una radice di F, dovrà essere identicamente
(24') cu = TTiSCw) + WjS*(a)) + . . . + 7r„S»(w),
(), posto S^(x) = x^,
(24") 0>(aj) = WiW(Xi) + ^«^«2) + . . • + ^n^aJn).
Derivando i volte rispetto ad a? e indicando le derivate rispetto ad x mediante apici, otteniamo
n
(25) 6)!' (a;) = ^ («k«'"(«k) + ««'kW(i-')(a?J +...+Wk")w(a5j ).
k=l
Qui
(26) w(o(x j - -^i^ \-7u;-[ • • • -3^) + • • •
dove i termini non scritti costituiscono una espressione li- neare nelle derivate di o>(x^) rispetto ad x^^ di ordine infe- riore ad f. I coefficienti sono funzioni note, indipendenti da co, razionali intere nelle derivate di ar^, x^-u • • • rispetto ad xk— 1, ^k-2i...t A coefficienti numerici positivi, Ma, essendo X = 0 punto limite, si ha (§ 415, e))
( rf'?t_\ _ (Èx^\ _ (d^,\ _ „
*-\
398 CAPITOLO QUATT0RD1CB81M0.
e (ibid. )
(^ir^)=C-^fe^)~.. = (^') = ...»
dove abbiamo posto per brevità w^O), ^Jì) al posto di w(»)(o), ji.(')(o). Si sostituisca nella (26); essa diviene:
(27) co(i)(a?J. = (o,(O^Ji) + . . .
dove i termini non scritti costituiscono un'espressione li- neare nelle wj'— *), co^O— 2)^_ .^^^ e razionale intera nelle jji^O), jx^(i-*), . . . , ji'^, a coefficienti numerici positivi. Sostituendo nella (25), in cui è fatto x = o, viene una relazione lineare omogenea, a coefficienti noti, fra le co^, (i}^\ ... coj»), non certamente identica, poiché in essa coO) ha per coefficiente
1 - ^i(o)p^V - <o)iiJ^ - ... - 7r„(o)pLVS
che per ipotesi è, per ogni intero «, differente da zero. Ri- solvendo rispetto ad co^(>) questa relazione, si ottiene
(28) co.o) - -r::^(o)p.;^ - ... - .:„(o)p.;- '
dove le g^j.^, . . . fl^fi-i sono funzioni razionali intere delle jj-'^ >••• JJ^o^*"^^ ^ d®l'® «k(^)» 7c',^(o), . . . ^k^'K^); queste ultime compaiono solo al primo grado, e i coefficienti numerici, come risulta dalle (25) e (26), sono interi positivi.
La relazione (28) permette di determinare in via ricor- rente le 0)^'), (t = 1, 2, 3,...) quando sia nota co^. Ma que- sta è arbitrana, perchè per a? = o la (24") ci dà
Wo(l — Wi(o) — 7rj(o) — ... - 7r„(o) ) = 0
e qui la parentesi è nulla per ipotesi. Inoltre se si prende w^ = 0, per le (28) vengono co'^ = co/' = . . . = o. Se ne con-
§§ 428-429. LBMMA FONDAMENTALE. 399
elude che esiste una serie di potenze ed una sola
coJO
(29) S^
a?*
che soddisfa formalmente ali* equazione, e che ammette come primo coefficente un valore to^ arbitrariamente prefissato e diverso dazerò.
Per completare la dimostrazione del Lemma enunciato in principio di questo §, occorre dimostrare la convergenza dello sviluppo (29) in un intorno di a? = o.
489. A tale scopo ci gioverà il risultato del § 419. La operazione S relativa alla funzione
K«) =
1--^
che abbiamo ivi considerata, ammette come punto limite 0? = 0, ed abbiamo veduto che la funzione
tù{x) =
1-
X '
r(I-&)
regolare per x = o ed ivi uguale ad uno, soddisfa all'equa- zione
(14) co = WiSw 4" TTjS'ci) + . . . + WnS"W,
dove si è posto
Wi —
* ~ j_ 1--6* X '
l-ft r e si è ammesso
«1 + «2 + ••• + «n = 1-
Ora supporremo le costanti a, reali e positive.
La soluzione della equazione (14), regolare per x =2 o e
■
400 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
che ivi assume il valore uno, se esìste, ammette uno svi- luppo in serie di potenze di a?, che si può determinare col procedimento del § precedente, e che per quello stesso pro- cedimento è unica. Siccome essa esiste ed è data dalla co» regolare entro il cerchio di centro x = o edì raggio r(l — 6), i coefficienti del suo sviluppo in serie di potenze di x non possono differire da quelli che sarebbero determinati dal ricor- dato procedimento del § precedente. Si avrà dunque (cfr. la (28)) perchè n^(o) = a,, ijl'(^) = ft, e w^ = 1 :
r^\ ^^ (i) — ^io + ^n^'o+"- + A,._i_iw^3^>
(^) ^. - i_ ^^fti __ a^pti ^\ /; _ ^^jBi »
dove Ajj rappresenta ciò che diviene la ^,j della (28) quando si sostituiscano ad w, -jt, |x e alle loro derivato le rispettive w, tt, |i e le loro derivate.
Si tratta ora di paragonare le cu^O) alle toj'^l 430. Paragoniamo dapprima i denominatori delle espres- sioni (28) e (30). Nel primo, preso un numero h positivo minoro d'uno, si può determinare un indico i' tale che per i > i' sia
1 - ^i(oK" - ... - ^n(o)|i'"^ I > h.
Nel secondo, essendo le a, b positive e minori d'uno, si ha da un indice i in avanti
1 — a^b^ — a^b^^ —...— aj)""^ < 1, da cui
(31) 1 1 - n,{oW^ - ... ~ ^.(o)fi;°» \>h{\- a,¥-^...-aJ>-'),
431. Paragoniamo poi i numeratori delle espressioni (28) e (30).
Essendo ì\ il raggio del cerchio considerato al § 411 e da cui S/x non fa uscire, sia r^ un numero positivo e tale
§§ 429-431. LBMMA FONDAMBNTALE. 401
che nel cerchio (rj, circonferenza compresa, le «, siano regolari. Se m è il massimo dei moduli di tti, ttj, . . . ir^ in (r,), si avrà
^Mo) I < p ! ^^*
r^p
D'altra parte, dalle espressioni della tt, risulta
(Z^)'
Preso allora r in modo che sia
(32) |
|
risulterà subito |
|
m |
^Ho) 1 < -^ |
Inoltre per essere r^ < r^, si ha
I jji(a?) ! < ^1 per I a: I < r^,
onde
,, (p) I < JL' ;
ma si ha
(p) = T) !
p- J,p-1«
onde per la (32)
V^J^^ I < l^o^P^.
Questa disuguaglianza si applica anche al caso di p = 1, quando &, il quale è sinora soggetto solo alla condizione ft < 1, si prenda maggiore di | |jl'(o) | che è pure minore d'uno.
26
402 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Indichiamo ora con in' il maggiore fra i numeri /i ed — ; si ha dalla (33)
si ha pure, per il modo stesso con cui sono formate le p^,j, Ay, che è
1 S'ij I < ^^^%i-
Venendo ora al confronto delle espressioni stesse (28) e (30), abbiamo per a =: 1, purché si faccia | co^ | < w^ =: 1 :
e |
quindi, |
per |
la (31) |
< |
< |
h |
^o- |
||||
Facendo i |
= 2, abbiamo |
, pò |
iché |
!è |
0^0 |
w.. |
che |
||||
sarà |
|||||||||||
ff2t |
►^0 + fl^J-l^'o |
< |
h |
{K |
•o^o+^'ri |
"«'.) |
|||||
e |
quindi, |
pure per la |
(31) |
||||||||
<' |
< |
^"o |
• |
Cosi, argomentando da i — 1 ad i, si trova in generale
m'^
(34) I a),(i) I < '-^ co,(i).
482. La convergenza della serie (29) risulta ora imme- diata. Infatti, la serie
converge nel cerchio di centro a? = o e di raggio r(I — &); la (29) convergerà quindi, in forza della (34), per
-^ I a? |< r(l - &),
§§ 431-438. EQUAZIONI LINEARI ALLB SOSTITUZIONI. 403
cioè, per la coadizione (32), entro il cerchio di centro x = o
e di vaggìo —, br^h{l — b). Il Lemma enunciato al § 428 è
cosi pienamente dimostrato.
433. Data ancora la sostituzione S col punto limite x= o^ considenamo la forma lineare in S
(35) G = P„S» + Pn-lS«-i + . . . + p^ ;
in essa si suppongano le ^^, i^i, . . . ^^ regolari per a? = o, e di più ^n(o) e Po(o) siano diflFerenti da zero. L* equazione algebrica
(36) ^„(o)2- + p°-Ho)^"-* + . . . + K{o) = 0
si dirà equazione caratteristica della G. Sia z una radice generica dell'equazione caratteristica, e poniamo
li =z clogz;
qui, come ai §§ 425-426, a è uguale a ijl'(o) se è jji'(o) ^t o, e ad m + 1 se m è l'ordine dello zero di \ì.\x) per x = o e con e rappresentiamo log a; supponiamo ancora la radico ;s = a" tale che per nessun numero intero positivo s sia an- che a"|jL'(^)* radice dell* equazione (^).
Riprendiamo ora la funzione a(x) definita al § 425 come radice della forma S — a; sostituendo in G(qp) la funzione a"^^ al posto di 9, si vede subito che V equazione G = 0 è soddisfatta se 4^ è radice della forma lineare
Ora, per le ipotesi, la somma dei valori dei coefficienti di questa equazione per x = 0 è nulla poiché a"^ zz: z è ra-
(^) Questa ipotesi • sempre soddisfatta se ò /a'(o) = 0,
404 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
dice della (36), e non esiste alcua mimerò intero positivo f tale che sia
p.(o)a->'(o)" + . . . + Uo)aYioy + P» = o.
La F si trova dunque nelle condizioni volute dal Lemma del § 428; essa ammetterà pertanto una radice ■1' nigolare nell'intorno di a; 31: o ed avente in questo punto un val'ire arbitrario differente da zero. Corrispondentemente la G am« mettere una radice
(37) <)= = a''^' = «"(p, + p,x + p^* + ■ • •}
dove p„ è arbitrario 0 ;?,. p,,. . . sono numericamente de- terminati in funzione dì p„.
484. Ad ofToi radico 2 dell'equazione caratteristica (36) corrisponde adunque una radice di G, purché z\i'(oy non sia per nessun numero intero positivo s > o radice della (36). È facile vedere che in ogni caso esiste almeno una s sod- disfacente a questa condizione.
Distribuiamo infatti lo radici di (36) in gruppi, assegnando ad un medesimo gruppo, insieme con una determinata radice, tutte e sole quelle che se ne ottengono moltiplicandola per una potenza intera di li'(o), ogni radice essendo contata tanto volte quante sono le unità del suo ordine di moitiplicilà. Sia un tale gruppo costituito da una sola radice 3 = a": ad essa corrisponderà una radice tp di G della forma (37). Sia invece un gruppo costituito dalle radici
s, za\ sa't za\ (o <5i<.,.< s^).
dove a = |i'(o) ^ 0, ed s„ s s^ sono numeri interi non
tutti nulli; è chiaro cho alla radice za'r, perchè soddisfa alla posta condiziono, corrisponde una radice <f dì G.
Resta cosi stabilita l'esistenza di tante radic-i di G quanti sono i gruppi di radici della (36) clie si pos-
§§ 433-436. EQUAZIONI speciali. 405
sono formare nel modo indicato. Si può dimostrare di più che la G ha precisamente n radici, cioè tante quante sono le radici dell'equazione (36). Ma per giungere a questo risultato sarà necessario di premettere alcune considerazioni sulla operazione inversa della E = S — 1.
F. l/ OPERAZIONE INVERSA DELLA E.
435. Considereremo, in ciò che seguo, alcune equazioni
E(9) = +,
dove le ^ saranno funzioni date, particolarmente semplici; in altre parole ci occuperemo di determinare la E-*(^p) per determinate forme delle funzioni ^.
I. Sia dapprima ^ = 1. Abbiamo trovato al § 426, h) ima funzione \{x) tale che
S(X) = X + 1, cioè E(X) = 1.
Siccome le radici di E sono tutte e sole le costanti ri- spetto ad S, costanti che indicheremo genericamente con e, cosi si ha
(:W) E-*(l) = X + e.
436. II. Sia poi ^ una funzione analitica regolare neU r intorno del punto limite x ■= k della S. Posto cp = log x, r equazione
S(9) — 9 = 4'
equivale a
log 1^^)- = <{.,
ondo
40(5 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Siamo cosi ricondotti alla ricerca di una radice della forma del primo ordine Ej = S — e'^. La sua equazione ca- ratteristica è ^
z — e^(^) = 0.
a) Se ^{k) = 0, siamo nelle condizioni del § 428; esiste quindi per Ei una radice x l'egolare per x = k ed avente in questo punto un valore non nullo prefissato arbitrariamente L' equazione E = 4^ ^^^'^ dunque soddisfatta da una delle determinazioni di logyiy ed avrà cosi una soluzione regolare per X = k.
b) So è ^{k)^o, applicheremo il metodo del § 433; porremo cioè u = dog z = c^{k), e la radice della Ej sarà della forma a^x» dove x ^ regolare per a? = *; ed ha in questo punto un valore non nullo prefissato arbitrariamente. L'equazione E(9) = ^ sarà dunque soddisfatta da
u log a + log X = H^)^ + log %. I due risultati si raccolgono nella formula (39) E-H+) = ^{k)\ + 4 + e,
dove 4 è una funzione regolare per x = k {}).
437. IIL Sia ^ = X»»-», per n intero positivo. Se in
S(9) - 9 poniamo
viene
i = l
(1) Tenendo presente V osservazione fatta in principio del § 428, si potrà senz* altro^ come faremo in seguito, applicare i risultati dei §§ 428-432 al caso che il punto limite considerato sia un punto qual- sivoglia, ^ = A;.
§§ 436-438. BQCJAZiONi spbgiali. 407
basta dunque determÌDaro le a^ pei* mezzo del sistema
na^ = 1, (2) a^ + (n^ 1) an~i = 0, . . . . . . , a„ + an-i + . . . + a^ = 0,
per soddisfare all' equazione E = X»-*.
438. IV. Sia 4^ = +iX°""*» essendo ^^ una funzione re- golare per X ■= k. Se ai due membri della formula (5) del § 411 applichiamo l'operazione E~\ ne viene
(40) per = E-i(pE(cr) ) + E-i(crE(p) ) + E-ì(E(p)E(ct) ) + e Q). Facendo a = E—^{^^\ p = X^ viene
(41) X»E-K+i) = E-K^"+i) + E-i(E-K+,)E(X»)) +
+ E-H+iE(X-)) + c.
Ma si ha manifestamente
E(X») = nX"-* + (;) X»-» + . . . . +n\ + 1 ;
di più (§ 436) E-i(^i) è dato da fi>,(k)\ + 4; infine (§ 437) abbiamo visto che E-*(X") è un polinomio di grado n + 1
in X, a coefficienti numerici, il primo dei quali è — ^jy. Se no conclude che
E-i(X«4;,) = ^f^X-^i + 4X- + E-i(7r0,
dove Wi indica un polinomio in X, di grado n — 1, a coeflB- cienti regolari per x = h. Con ciò la determinazione di E— i(X»4'i) è ricondotta a quella di espressioni analoghe cor- rispondenti agli esponenti n — 1, n — 2, ... 1 di X. Basta dunque trovare E-^(X4'i). In questo caso T equazione (41) dèi:
XE-H+0 = E-K^+i) + E-i(E-i(4;,)E(X)) + E-i(4.,E(X)) + e,
(^) Questa formala non è senza analogia con quella dell' integra- zione per parti.
408 CAPITOLO QUATTORDIGB81MO.
onde, sostituendo le espressioni già trovate per E-*(4^i) ed E— 1(>.), si conclude
dove 4 © 4 sono funzioni determinate, regolari per x = k. Risalendo ad E-*(X°4'i), si ha analogamente
(42) E-i(X»+,) = -l-^4,^(A)Xn+i + 4X«^ + . . . + 4^x + 4. + e.
439. V. Sia ora
Tentiamo di soddisfare alla E(<p) = 4' COQ ^^^ espressione
a a* a^
Sarà (§ 426) :
S(9) = ^ + 4S- + • • • + -~T» e quindi
Basta dunque prendere le b^ tali che sia
( -^ — lì&i = aj, (i == 1, 2, . . . n) ;
il che è sempre possibile, poiché in ogni caso la a è diflfe- rente dall'unità.
440. VI. Sia 4' = ^+1» essendo 4^1 regolare per a? = A,
e limitiamoci al caso di \i.'(k) 9^ 0. In questa ipotesi, la «(07) ha in X = k uno zero del prìm' ordine, onde
a" (a? — A)^'
§ 438-440. EQUAZIONI speciali. 409
essendo ^^ una nuova funzione regolare per a? = A; sia
+2 = Po + Pii^ - A) + Ptio^ - A)' + . . . Poniamo
, = ,. +4'-+ ^^ + ... + -Js;
OC (X (X
vorrà
H„,=E(,,+A(i-.)+4;(±-i)+...+$(j^i)
e la questione è ricondotta a determinare cp^ e le costanti Al, //g, ... /in in modo che sia
(43) E(.0+-^(4--l) + ... + ^.(^-l)=(^
Ma per le proprietà delle a nell'ipotesi ji'(^) 9^ 0, si ha
-^ = (a^ ^\y + (a? - A)i-i + - + ^'»-^ + - (*' = !. 2. ..9?);
scogliendo allora le A^ A^, . . . A^ in modo da soddisfare al sistema, evidentemeote determinato,
(^ - l)/in«n.o = Pa
spariranno nelT equazione (43) le potenze negative di x — fc, e l'equazione in 9i sarà del tipo II (§ 43G); la sua soluzione sarà pertanto della forma hX + r„ con h = p^, ed r, rego- lare nel punto limite. Onde
^-0) = '^^ + 5 + °-
410 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
4 essendo regolare per a? = A ed in quel punto diversa da zero.
441. VII. Sia da ultimo + = — ^+i, essendo sempre «j/j
una funzione regolare per x = k\ sia ancora iì,'{k) ^ o. Applichiamo la formula (40) in cui sia fatto
p = E-.(A), a = X. e ricordiamo che E(X) = 1; siccome per il § precedente
E-.(Ì) = *x + A,
e quindi
dove 4i è regolare per a* = A ed ivi diversa da zero, avremo ' E-i(M) = l+iA + g,^ + e.
Collo stesso procedimento, e argomentando da m — 1 ad 7>i, si trova
E-^(ì^^) = $. + $X + ...-4-g,X- _^ -^„^. ^ ^^
dove $0' • • • ém sono regolari per x = k, 4in(*) ^ diverso da zero e g è una costante numerica che può anche essere nulla.
G. I GRUPPI DI RADICI DI UNA FORMA.
448* Torniamo ora alla questione indicata alla fine del § 434. Abbiamo visto come ad ogni gruppo (§ 434) di
§§ 440-442. GRUPPI DI RADICI DI UNA FORMA. 411
radici dell'equazione capatteristica corrisponda una radice della forma G; ora vogliamo mostrare come ad ogni sin- gola radico del gruppo corrisponda una radice di G. Consideriamo dapprima un gruppo formato da una sola radice z^ dell'equazione caratteristica, radico che suppor- remo dell'ordine m di moltiplicità. Posto z^ = a", sappiamo che G ammette una radico della forma a"9, dove 9 è radice della forma F = GM^u (§ 433), la cui equazione caratte- ristica è, essendo a? = A il punto limite,
(44) ^,{k)z,-z- + ^n--i(k)z,^-^z^-^ +... + ?,{k)z,z + P, (k) = 0.
equazione che ammette l'unità come radice multipla del- l'ordine m.
Essendo 9 radice di F, si ha (§ 408)
FM5, = FjE,
dove Fi è una forma d'ordine n — 1, a coefficienti rego- lari nell'intorno di a? = Aj; la sua equazione caratteristica è
(45) K{k)z,-z--' + {U^)z, + ^-i(A;))2;jn-i;2;i>-2 + . . .
• . • + (^n(*)«i»"-* + pn-i(A:)2?in-2 + . . . + Uk))z, = 0.
In questa equazione, il primo e 1' ultimo coefficiente sono diflFerenti da zero; di più il suo primo membro è evidente- mente il quoziente della divisione per z — 1 del primo membro della (44); se ne conclude che la (44) e la (45) hanno le stesse radici, soltanto la ;? = 1 è, per l'ultima, multipla dell'ordine m — 1. La Fj è dunque perfettamente analoga alla F, e le è applicabile il Lemma del § 428; esiste quindi per essa .una radice 4'i» regolare per rr = fe ed ivi differente da zero. Per le relazioni che passano fra G ed F, F ed Fj, si ha
F, = GM,u^E-i,
412 CAPITOLO QUATTOKDICBSIMO.
onde risulta che
a«cpE-i(4/,)
è radice di G. Ma si è visto (§ i:W) che
onde si conclude che, oltre alla radice a"qp, la G ammette una radice della forma
9 e 4 essendo regolari per x = k. Cosi continuando, se è 7)1 > 2, si porrà analogamente, per il § 408
F,M^ = F,E, onde
F, = GM,u^E~iM^E-i
dove Fj è dell'ordine m — 2, e cosi via. Continuando cosi, fino ad una forma Fm— 1 dell'ordine n — m + 1, ed in- cludendo nelle parentesi la funzione 9, che è regolare per X = kt si conclude che al gruppo costituito dalla radice multipla z^ d'ordine m corrispondono, per G, m ra- dici della forma:
(i^) \
dove le 4oo» 4ii» ♦•• èm-i.m-i sono, per a; = A;, diverse da zero e non differiscono fra loro se non per un fattore numerico.
Questo risultato, relativo al caso in cui un gruppo è co- stituito solo da una radice multipla, esaurisce lo studio del caso in cui è [ì.'{k) = 0, poiché in codesto caso non pos- sono presentarsi gruppi di altra specie.
442-443. GRUPPI DI RADICI DI UNA FORMA. 413
443. Consideriamo ora il caso di un gruppo qualsivoglia di radici dell' equazione caratteristica della forma G- (§ 434) ; siano esse,
a"t, a»», ««s, . . . (a = [ji'(*j) 96 o)
dei rispettivi ordini di moltiplicità ìii^ ?>«„ wa^, ... Per la definizione stessa del gruppo, le differenze
sono numeri interi; ordineremo le radici in modo che queste differenze siano tutte positive. Siccome il risultato del § precedente si è ottenuto in forza della sola ipotesi che, essendo z = à^ radice dell'equazione ca- ratteristica, non esistesse nessun numero positivo intero s pel quale anche a^+s fosse radice della equazione medesima, cosi, nel caso presente, la detta ipotesi è verificata per a"i. Pertanto, come nel § precedente, 1^ G ammetterà, corrispon- dentemente a questa radice di (36), le »?i radici
I a"ȃ
00
) «"»(èio + in^)
Queste radici si determinano considerando le m^ forme ausiliari F, F^ . . . Fm,— i degli ordini n, n — 1, . . . n — mj + 1 e soddisfacenti tutte alle condizioni del Lemma del § 428.
Prendiamo le mosse dall'ultima di esse. Per il § pre- cedente, essa è data da
Fm,-i = Ga«é.,E-i4;,E-« . . . U,-iE-K
L' equazione caratteristica di Pmi-i ammette l' unità come radice semplice; le altre sue radici si ottengono dividendo
4U CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
per a"i le radici diverse da a«i della (36). Se dunque distri- buiamo in gruppi le radici dell* equazione caratteristica di Fm,-i nel modo indicato al § 434, uno di questi gruppi sarà composto delle radici
degli ordini di moltiplicità 1, m,, m^, ... rispettivamente. Indicando allora con 4^111,-1 la radice di Fmj— 1 regolare e di- versa da zero per a; == A;, si formi la
Fm, = Fm,— l'Im,— ìE— *,
di ordine n — m,. La equazione caratteristica, nel passaggio da Fm,-! ad Fm,, perde la radice 1; cosicché uno dei gruppi di radici del T equazione caratteristica relativa ad Fm^ sarà costituito da
degli ordini m^, m^ . . . Ora il numero intero negativo Wj — a^ è maggiore dei seguenti it^ — Wp ...; di più, la Fm, è tale che i suoi coefficienti soddisfanno alle condizioni del teorema del § 433: essa ammetterà quindi una radice co^ della forme
dove Xo ^ regolare e diversa da zero per x =^ k. Appli- chiamo allora ad Fm, un procedimento analogo a quello applicato a G nel § precedente: mediante jh^ forme ausiliari
otterremo altre m^ — 1 radici di Fm,, della forma
w, = a"(Xi, + Xii>^ + • • . Xii^Ot (t = 1, 2, .. . m^ - 1),
le /ij essendo regolari per x z=z k e le xì.ì ivi diverse da zero. E poiché Fm, è legata alla G da
Fm, = Ga"4ooE-» . . . +m,-^iE-i
§§ 443-444. ESPRESSIONE DELLE RADICI. 415
cosi lo Wj funzioni
forniranno altrettante radici di G.
Applicando il medesimo metodo alla Fini,m,--i, si otter- ranno altre m^ radici di G, e cosi via. E dunque intanto dimostrato che la G ammette tante radici quante sono le radici del gruppo considerato nel- Tequazione caratteristica, ognuna contata tante volte quante sono le unità del suo ordine di moltiplicità.
444* Ricerchiamo ora in modo più preciso l'espressione delle radici tti, di cui abbiamo dimostrata 1* esistenza. Nel- l' espressione (47) ci si presenta dapprima da calcolare la E-^(ct)i)i cioè una somma di termini della forma
E
-i^M^^
Ora, essendo u^ — u^ un intero positivo, una tale espres- sione ci è data dal § 441; abbiamo ivi trovato
E-tf-i-x.xA = ^. + ^.^ + --+V'4.oXin
dove le r\ sono funzioni regolari per x = k^ l'ultima es- sendo ivi diversa da zero. Risulta di qui
(48) E-' (0..) = ^. + ^"i.^+_-- + ^.^' + 2ir,Xi*i,
a"i "t
dove i numeri g^ possono essere o in parte o tutti uguali a zero e le tjj sono regolari nell'intorno del punto limite; la YJi è per X =: k diversa da zero. Siccome a quest' ultima
41() CAPITOLO QUATTORDICB8IMO.
condizione soddisfa anche la ^mi-u avremo che ^iiii-iE~^(ft)i) ammette ima espressione analoga alla (48), salvo che il po- linomio che vi comparirà come secondo termine non sarà a coefficienti numerici. Allora pel § 441 avremo che
ammette una espressione della forma (49) V.. + ti,X^+...^.X' ^ ^^
dove le ^j sono al solito funzioni regolari nell'intorno dì 07 == A e si ha ^^(A) :t^ o\ con tt, abbiamo per brevità indi- cato un polinomio in X dì grado non superiore ad i + 2, in cui i coefficienti sono funzioni regolari nell'intorno di 07 = A, non essendo escluso che essi siano o in parte o tutti iden- ticamente nulli.
Vediamo dunque che ogni operazione E~*M4/, dove ^{k)=^o, eseguita sopra una espressione della forma (49) dà luogo ad una espressione della medesima natura: solo resta aumen- tato di un'unità il massimo grado cui può giungere in X il polinomio secondo termine.
Argomentando allora da n ad n + 1 e ricordando che 4oo è regolare nell'intorno del punto limite, e che è ^ooW =5^<^> possiamo concludere che la funzione ttj ammette una espres- sione della forma
«"a (4;ì.o + 4'M>^ + ... + +i.iV) +
(1 = 0, 1,2, ...,m2 — 1),
dove le ^14 e le qpm,-i-ij sono funzioni regolari nell'intorno del punto limite: le ^mn-ig possono 0 tutte 0 in parte essere
§ 444. RIASSUNTO. 417
identicamente nulle, ma la ri.j è per x = k necessariamente diversa da zero.
A questo punto ò manifesto il risultato a cui, conti- nuando il procedimento, giungeremo da ultimo, e che si raccoglie nel seguente enunciato:
Sia
G = a„S» + a„_iS--* + . . . + «^S + «o
una forma lineare alle sostituzioni, a coeffi- cienti regolari nell'intorno di un punto limite X = k, nel quale la derivata della funzione da sostituire abbia un valore a diverso da zero; di più «n ^d *o P®^ X = k non si annullino. Con- siderata l'equazione caratteristica della F
distribuiamone le n radici in gruppi, asse- gnando ad un medesimo gruppo, insieme con una determinata radice» tutte e sole quelle che sono uguali ad essa o se ne possono de- durre moltipllcandola per una potenza di a ad esponente intero. Uno di codesti gruppi sia co- stituito dalle radici
a»i, a»«, . . . , a"q,
multiple degli ordini wi,, m^, ...,w^q, rispettiva- mente, e supponiamo che esse siano ordinate in modo che i numeri interi ti^ — Wj, ti^ — Wg, ..,, Wq_i — Wq sieno tutti positivi. Allora a codesto gruppo di m^ + m^ -}-,,. + 7ìì^ radici delT equa- zione caratteristica corrisponde un gruppo di
27
418 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
altrettante radici di F, aventi espressioni della forma
a"»^i.i (i = 0, 1, ..., mj — 1)
a"«^i.i + a"»^i.in,+i (/ == 0, 1, ..., m^ — 1)
Ot\TCq,i + ^^'''«"^^q-i, inq_|-H + .... + «"'^1, m|-nn,-l-...-l-inq_4-l-i
(l = 0, 1, W?, — 1),
dove i ?ri.j rappresentano polinomi in X di grado non superiore al rispettivo secondo indice, aventi per coefficienti funzioni regolari nel- r intorno del punto x = k. In particolare cia- scuno dei polinomi
^l.oi ^1.1» •••» ^l.mi— 1» ^2.o> •••» ^2.111,— 1» ...» ^q.<h •»•» ^q.niq— 1
è di grado precisamente uguale al suo secondo indice, e in ognuno di essi il coefficiente della massima potenza di X è una funzione che per X = k è diverso da zero.
H, SISTEMI FOiNDAMENTALI DI RADICI.
446. Nei §§ precedenti, abbiamo provata l'esistenza e determinata la forma di n radici per ogni forma lineare alle sostituzioni dell'ordine n. Ma, per una proprietà fondamen- tale delle operazioni distributive, la forma considerata am- mette come radici tutto le funzioni appartenenti allo spazio lineare definito dalle n radici suaccennate. Ci proponiamo di dimostrare che codesto spazio è precisamente ad n di- mensioni (nel senso del § 410) e che la forma lineare con- siderata non può ammettere, fuori di esso, alcuna radice.
§§ 444-445.
TEORBMA DEL ORÉYT.
419
Perciò sarà necessario di premettere il seguente teo- rema, dovuto al Grkvy: Condizione necessaria e sufficiente affinchè fra n funzioni analitiche SPi» <?8»...»9n aventi un'area comune di regolarità^ passi una relazione lineare, omogenea, a coef- ficienti costanti rispetto ad una sostituzione S, si è che sia identicamente nullo il determi- nante
r(9i, 92» • • • ^u) =
9l ?j 9n
S(9i) SM S(9„)
che chiameremo deierynmante del Grévy relativo alle fun- zioni 9i, qpg, . . . 1 9n-'
a) La condizione è necessaria. Infatti, se sussiste fra le funzioni 9^, 92, ... » 9n una relazione della forma
insieme con essa sussisteranno lo altre n — 1
CiS'(9i) + c,S^(92) + . . . + c,S*(9n) = 0 (^ = 1 , 2, . . . , n - 1 ),
le quali non sono compatibili con la prima se non è identi- camente nullo il determinante
r(9ii 9«» . . . , 9n)-
b) La condizione è evidentemente sufficiente nel caso di due funzioni; perchè se è
Vi 92
S(9i) 8(92)
= 0,
risulta
420 CAPITOLO QUATT0RDICR81MO.
Il
dicata questa costante con — e, ' Cp viene
Ciò esprime che — è una costante (rispetto ad S); in-
e) Dimostriamo ora che, so la condizione è sufficiente per n — 1 funzioni, è tale anche per n.
Perciò, nel determinante F relativo a 9^, «Pj, ..., 9n» dagli elementi della prima, seconda,..., (n — 1)"* linea» moltiplicati rispettivamente per
S(9»), S'(9,), . . . , S»-H9i),
sottragghiamo quelli della seconda, terza,..., n"** moltipli- cati rispettivamente per
Così il determinante, all' infuori del fattore esterno
1
SK)S'(T,)... S"-H?x)' diventa
S(t,)S*(9,) - S(tJS*(9,) . . . S(9jS*(cpx) - S(9jS«(9„) :
(50)
. . . S«-'(9jS"-\9i)-S" -'(9i)S»-*(9j
Se allora supponiamo che il determinante r((]Pi, 9j,..., 9„) sia identicaraonte nullo, poiché non è tale il fattore esterno, dovrà Qssere nullo identicamente il determinante (50). Ora questo non è se non il determinante del Grévy, relativo alle n — 1 funzioni
^«S(qpi) — 918(^2), 93S('^i) — TiSCqPg), . . . ,9nS(9i) — 9iS(9o);
§§ 445-446. SISTEMI FONDAMENTALI DI RADICI.
421
cosicché esisteranno n — 1 costanti o,, e,,..., Cq, tali cho per esse sia
C2(9tS(9i) — 9i£(?2)) + 03(938(91) — 918(93)) + ... • • • + C„(9n8(9i) — 9i8(9j ) = 0.
Questa relazione si può anche scrivere
9i 2^»^»
i=i
S
K) 8 2^191
\y=i
= o\
sotto questa forma essa ci dice che tra le due funzioni
n 1=2
passa una relazione lineare a coefficienti costanti rispetto
ad S: esisteranno dunque infine n costanti Cp C2, ...« c„, per le quali varrà la relazione
Ci9i + ©298 + . . . H- Cn9n = 0.
446* Il teorema precedente permette di dimostrare che le n radici determinate nei §§ 442-414 per una forma li- neare G, d'ordine n« sono linearmente indipendenti.
Cominciamo perciò dal considerare il caso, in cui cia- scun gruppo di radici dell'equazione caratteristica di G è costituito da una sola radice, multipla di un certo ordine. Sappiamo che questo caso si verifica in particolare quando
è |l'(fc) = 0.
Allora ad ogni radice z^ := W^^ dell'equazione caratteri- stica, multipla dell'ordine mj, corrispondono ni^ radici di G, aventi la forma
Wi.j = a^(4o + ^j.l^' + • • • + 5j.j ^^) (/ = 0, 1,..., m, — 1),
422 CAPITOLO QUATT0RDICB81M0.
dove le ^j.i sono regolari nell'intorno del punto limite ed è èj.j(A;) ^ 0.
Ricordando che è
S(a) = aa, S(t) = r + 1. '
formiamo il determinante r del Grévy relativo alle fun- zioni Wi.j: avremo che esso è uguale ad una espressione della forma
dove
m è un determinato numero intero positivo e y^, Tn-'-iTm sono funzioni regolari nell'intorno del punto limite. Dob- biamo dimostrare che codesta espressione non è identica- mente nulla. Poiché tale non è certamente a^ basterà che proviamo che non si annulla per identità la espressione fra parentesi. Ora si dimostra tosto, con considerazioni (§ 223) analoghe a quelle usate per le espressioni regolari, che
non può essere identicamente nulla, se tale non è ciascuna delle funzioni y^, Ti»---» Tm- Basterà dunque dimostrare che codeste funzioni non sono tutte nulle: precisamente noi fa- remo vedere che ^^ ha nel punto a? = fe un valore diverso da zero.
Ogni singola colonna di V è costituita da una radice coi.] della G e dalle funzioni
S(C0j.j), S'(O)ig) S"~*(Wig).
Ora abbiamo
§ 446. SISTBMI FONDAMBNTALI DI RADICI. 423
Perciò, quando avremo raccolto a fattore comune dalle n colonne di F la funzione a^^ il determinante T d'ordine n che ne risulterà, avrà come termini altrettanti polinomi in X a coefficienti regolari nelT intorno del punto a? = A;. Le funzioni y©» Ti» • • • » Tm saranno quindi esprimibili ciascuna sotto forma di determinante; in particolare y^ si otterrà prendendo in ciascun polinomio in X, elemento di F, il ter- mine indipendente da X. Risulta di qui che le m^ colonne di Yo» corrispondenti alle funzioni colo, coki, •.., coi.ni_i, avranno la forma:
«"*lo.o(a?,) a"i(4„^ _i.o(^i) + 4„j-i.i(a:,) + . . •
• • • + 4mi— lnn— 1(^1) ) j ..--r^ » *emj— l^mj— 1\»*'2' /
Ciò premesso, nel determinante y© poniamo a? = A;, e anzitutto vediamo quafì valori assumano gli elementi delle m^ colonne (51). Perciò ricordiamo (§ 442) che, qualunque sia la funzione 4ij. I© funzioni
4j.i(^i)» ^ÀP^t\ ...» 4j.l(^n-l) '
nel punto x = k assumono tutte il valore di ^.\{k). E al- lora manifesto che, per a? = A;, i primi termini degli ele- menti della seconda, terza,..., mj"* colonna (51) sono pro- porzionali ai primi termini degli elementi omologhi della prima. Non si altera quindi il valore del determinante yjjz) sopprimendo in ciascun elemento della seconda, terza,..., m^^ colonna (51) il primo termine. Ma nel nuovo determinante i primi termini degli elementi della terza, quarta, . . . , m^
ma
424
CAPITOLO QUATTORDIGBSIMO.
colonna sono proporzionali ai primi termini degli elementi omologhi della seconda; potremo quindi senza alterare il valore di xj(k) sopprimere il primo termino in ciascun ele- mento della terza, quarta, . . . , 7W,"* colonna (51). Cosi con- tinuando troveremo da ultimo che y^{k] è dato dal deter- minante che al posto delle m^ colonne (51) ha le colonne
5o.o(A:) 0 ... 0
a"i5o.o(A;) a"i?i.i(A;) . . . a"i;„^_ i.„j_i(A;)
a'«iM*^) 2a'"l?l.l(^^) ... 2»i-^a'"i:„_,.„^_,(Aj)
a(n-i)»^igo.oW(n— l)tì(n-i^"i?i.i(A:)...(n-l)»ì--^a(n-i)«iE„._i.„_i(A:),
ossia, ove si porti a fattore esterno il prodotto certamente diverso da zero
5o.o(ft)5i.i(A) . . . ?„j-i<«j~i(*)
e si ricordi che è a"i = z^, le colonne
o
2z,^
. . . . o
Zj»-^ (n — l)v~* (w — l)"i"-%"~^
Quello che noi abbiamo detto per le m, colonne di yjjv) dovute alle funzioni a)i.j corrispondenti alla radice z^ =: a^i dell* equazione caratteristica, si può ripetere per ciascun gruppo analogo di colonne: cosi da ultimo avremo che, al- l'infuori di un fattore numerico certamente diverso dazerò, yj^k) è dato dal determinante
1 '•i
Zi <iZi
1
z.
o
z,
... 0
... 2^i~'z.^
1
z
0
Zo
0 ...
«2 •••
Z» ^Z 9 ... c™t Z^ •••
2i°-^(n- l)Zi''-\. (n — !)"»!- ^;s,»-^ V~^ (n — 1)V~'-
... (n — l)«n«-*V"^-
§§ 446-447. SISTEMI FONDAMBMTALI DI RADICI. 425
Ora questo determinante, generalizzazione di quello del Vandbrmonde, al quale si riduce quando tutte le radici del- r equazione caratteristica sono semplici, è notoriamente di- verso da zero.
Concludiamo, quindi, che il determinante del Grévy re- lativo alle funzioni coj.j non è identicamente nullo. Cosi la indipendenza lineare delle n radici di G da noi determinate, è stabilita nel caso, in cui ciascun gruppo di radici del- l' equazione caratteristica è costituito da una sola radice di un determinato ordine di moltiplicità: ciò accade in par- ticolare nel caso in cui è }ji'(A) == o.
447. Passiamo ora a trattare il caso in cui, avendosi |ji'(A) 9^: 0, qualche gruppo di radici dell'equazione caratte- ristica contiene più radici distinte, ottenibili moltiplicando una di esse per una potenza ad esponente intero di a == pl'(à). Allora la forma generica di una radice di G è (§ 444)
Wj.i = «"iWji + a"J-iWj_i.„. , ^-i + •••
j »
dove le differenze
sono numeri interi positivi e i tti.^ rappresentano polinomi in X a coefficienti regolari nell* intorno del punto limite; ^j.i, in particolare, è di grado i e in osso il coefficiente di X} è una funzione che per x = k assume un valore diverso da zero.
Sotto r ipotesi p.'(k) ^ 0, la funzione (x è una funzione regolare neir intorno del punto limite, la quale ha in co- desto punto uno zero del primo ordine. Scriviamo allora
426 CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
poiché i numeri
Wj_l —— t/j, • • ■ 9 Wj ~" llif Wj "■" W;
sono interi positivi, avremo cosi messo in evidenza che anche le radici wj.„ come le coj.i del § precedente, sono uguali cia- scuna ad una potenza (ad esponente generalmente complesso) di a, moltiplicata per un polinomio in X a coefficienti regolari neir intorno del punto limite. Anche in questo caso, quindi, il determinante del Grévy, relativo alle funzioni Wj.j» sarà uguale ad una espressione della forma
dove le Y^, Yi» • ••» Tm sono funzioni regolari nell'intorno del punto x = k. Per vedére che la funzione To(^) ^^^ ^ nulla nel punto limite, basterà che osserviamo che per x = 1e le funzioni
a"j-i^»j, a"j-«-"j, . . . , a»r
ni
si annullano; cosicché a formare To(^) '^ funzione wj., con- tribuisce soltanto col termine
il quale ha precisamente le medesime proprietà delle radici coj., considerate al § precedente, in quanto ^j., è un polinomio in X a coeflBcienti regolari nelT intorno di a? =& e in esso il coefficiente della massima potenza di X è per a; = ib di- versa da zero. Si possono quindi ripetere qui, punto per punto, le considerazioni del § precedente, e dedurne infine che il determinante del Grévy relativo alle funzioni coj.j non è identicamente nullo.
Concludiamo che. le n radici, determinate nei §§ 442-444 per una qualsivoglia forma lineare alle sostituzioni, nelT intorno di un punto li- mite, sono linearmente indipendenti.
§§ 447-448. SISTEMI FONDAMENTALI DI RADICI. 427
448. Data una qualsivoglia forma lineare alle sostitu- zioni d* ordine n,
indichiamo genericamente con w^ Wj, ..,, to^ le n sue radici linearmente indipendenti, che abbiamo imparato a determinare neir intorno di un punto limite della S. Per una proprietà fondamentale delle operazioni distributive (§ 50) la G, come abbiamo osservato, ammette come radico ogni elemento dello spazio lineare ad n dimensioni definito dalle funzioni oj,, Wj, ..., w^. Qui vogliamo dimostrare che la G non può ammettere, nell* intorno del punto limite considerato, nes- suna radice che non appartenga a codesto S^. Se, infatti, co è una radice generica di G, dovremo avere
Ora, poiché le funzioni a^ non sono tutte identicamente nulle, questa relazione non può coesistere con le altre n relazioni
«nS-Cw.) + «n-,S"-'(w,) + . . . +a,S(w,) + «,">! = 0
se non è identicamente nullo il determinante r(a>^, Wg, ..., aj„). L'annullarsi identico di questo determinante ci dice appunto (§ 445) che esistono n costanti Oi, o,* . • . • 0^1 per le quali è
w = CiWi 4-040), + ... + Cnto„;
in altre parole o), appartiene allo S^ definito da to^, o),, ..., co^. Abbiamo dunque che lo spazio delle radici di una forma lineare alle sostituzioni d* ordi ne n, nel- rintorno di un suo punto limite, ò uno spazio lineare ad n dimensioni.
Ricordiamo per altro che allo spazio delle radici di G conviene codesto nome di spazio lineare ad n dimen-
428 CAPITOLO QUATTOaDICBSIMO.
sioni ÌQ forza della definizione del § 410, dove si sonò as- sunte come costanti (rispetto ad S) le funzioni tali che
S/* (9) = 9»
cioè le funzioni periodiche di X di periodo I. Dal punto di vista, invece, dell* ordinaria teoria delle funzioni (quel cal- colo, che, potrebbe dirsi, ammette come operazione fonda- mentale la D), codesto spazio è ancora lineare, poiché insieme a quanti si vogliano suoi elementi contiene anche ogni loro combinazione lineare a coefficienti numerici (costanti rispetto a D); ma non ammette più, in generale, un numero finito di dimensioni.
CAPITOLO QUINDICESIMO Oeneralisaasione della proprietà del Wronskiano.
449. Sappiamo (§ 326) che condizione necessaria o sufli- ciente affinchè fra n funzioni 9,, <spi, ..., 9^ P^^ssi una rela- zione lineare omogenea a coefficienti numerici
si è r annullarsi del Wronskiano delle n funzioni
W(9i, 9?, . . . ,9n) =
D91 Dqpj ... D„qp
nTn
D»-'<j., D»-'(p,... D»-»?,
(')
Cosi (§ 279) condizione necessaria e sufficiente affinchè fra n funzioni ^|, 4^2* - • • t ^^n P^^^^ ^"^ relazione lineare omogenea a coefficienti periodici di periodo 1, o come si è stabilito al § 264, costanti rispetto a 6
^1+1 + ^24^2 + • • • + ^n +n = 0
si è r annullarsi identico del determinante del Casorati dello funzioni date
C(4'i, +2 +») =
+2 • • • +»
04^2 • . • ^.
on-i^;^ e»-^4;,... e»-'^^,
{}) y. la nota a piò di pagina 274.
430 CAPITOLO QUINDICESIMO.
Infine, più generalmonte, condizione necessaria e suffi- ciente affinchè fra n funzioni Xn Xs» • • • » X» P^ssi una rela- zione lineare omogenea a coefficienti costanti rispetto ad una sostituzione S/* (§ 445)
CiXi + c,x, + . . . 4- c„Xn = 0.
si è l'annullarsi identico del determinante del Grévy rela- tivo alle n funzioni date
^ (XltXs* • • • » Xn) ^^^ Xl X» • • • Xn
S.«*Xl S,**X2 • • • S/iXn
S/*"-^Xi s.--% ... Sf.--'x,
L'analogia che corre fra codesti tre teoremi, i quali si riducono in sostanza a due poiché la 0 non è se non una particolare sostituzione, fa nascere spontaneamente l'idea di ricercare se esistano classi più ampie di operazioni, per le quali sussista un teorema analogo a quello del Wronskiano.
Esaminando le dimostrazioni, sostanzialmente identiche, dei tre teoremi suindicati, troviamo che esse poggiano in ultima analisi
a) sulle proprietà dei coefficienti q, c\, Cj per cui è
DCi = 0, 6Ci = Ci, S^Ci = Ci;
jS) sul teorema di moltiplicazione di D, 6 ed S/x , pel quale, se 9 e ^ sono funzioni qualsiansi, è
i D(9^) = cpD^ + ^Dcp
(1) ec^w = eq:.o^
f Sa(9^) = S.aqp.S/i^^
e quindi
De<f = cDqp, 6c9 = c6qF, S/*C9 = cS,a?>;
§§ 449-450. OPERAZ. AVENTI UN TEOREMA BILINBARB DI MOLTIP. 431
y) sui teoremi relativi alle radici delle forme lineari differenziali (§ 328), alle differenze (§ 281), alle sostitu- zioni (§ 418), dai quali segue che il rapporto di due radici di una forma del primo ordine è rispettivamente una co- stante numerica, una costante rispetto a 0, una costante rispetto ad S^.
Ora noi qui non intendiamo tentare la generalizzazione più ampia possibile; solo, generalizzando la proprietà dei secondi membri delle (1), di essere cioè bilineari in 9, <{/ e nelle trasformate di qp e 4^ per mezzo di D, B od Sa, considere- remo la classe delle operazioni A più generali che ammettono una formula bilineare di moltiplicazione; inten- dendo con ciò che la A(<p'^) si esprima bilinearmente per mezzo di 9, ^, A(cp), A{^), essendo 90 + funzioni (analitiche) qualsivogliano. Dimostreremo che per le operazioni di codesta classe vale un teorema analogo a quello del Wronskiano.
460. Sia A un'operazione distributiva, univoca che am- metta una formula bilineare di moltiplicazione. Essendo cioè ^ e ^ due funzioni qualsivogliano, si abbia, indicando con «oc '^oP «10' «11» Pi» % funzioni determinato;
(2) A(q>+) = oio.rp + «oi9A(+) + «,o+A(cp) + «,jA(9)A(^) +
+ Pi?A(9) + Mmy
Supporremo ancora, ad evitare discussioni troppo minute, che la A trasformi lo spazio S delle funzioni analitiche in uno spazio ad in&nite dimensioni. Si vede allora senza diffi- coltà che le funzioni a^, ^p P, non sono tutte indipendenti. Anzitutto, dovendo essere A(<;p'|) = A(^9)i risulta
«01 = «lo e ^1 = Pj.
In secondo luogo, tenendo conto di codeste relazioni e indicando A(I) con 4i poniamo nella (2) ^ = 1; otterremo:
A(9) = ^,Ì + Ko + «01^)? + («01 + «iiè)A(9) + P,?A(9).
432 . CAPITOLO QUINDICESIMO.
Dovendo questa essere una identità, ne risulta evidente- mente
e
ì «01 + «ii4 = 1.
Indicando allora con a la funzione a^^, abbiamo che la (2) si riduce alla forma
(3) A(9+) = i(ai - l)-f ^ + (1 - «4)(9A(+) + +A(9>) ) +
+ aA(9)A(+).
Lo due funzioni a e ^ sono fra di loro indipendenti.
451* Possiamo determinare subito la natura delle opera- zioni che ammettono un teorema di moltiplicazione della forma (3). Perciò distinguiamo due casi, a seconda che a è o no identicamente nullo; e anzitutto supponiamo a := o. In tal caso la (3) diventa
A(9+) = 9A(4') + +A(9) — 4vt-
Se in questa equazione poniamo f\f = x e indichiamo A(a?) con 4i» otteniamo
A(j7cp) -. xX(^) = (4i — 4^)9;
cioè la derivata funzionale di A è la moltiplicazione per 4i — 4^' Ne risulta che la A è una forma diflFerenziale li- neare del primo ordine; poiché 4 = A(l), avremo precisa- mente
A = (4, - Ìx)D + M?.
Notiamo che le funzioni 4i ® 4 sono indipendenti ed ar- bitrarie: sono quindi tali anche i duo coefficienti della forma A. Se è 4 = 0, si ottengono operazioni della forma III), per le quali sussiste manifestamente il teorema stesso
4o(M53. OPBRAZ. Avaivn uk tborbma bilinbarb di moltip. 433
che vale per la D (§ 116): potremo quindi, nel seguito, sup- porre che 4 non sia identicamente nullo.
458« Supponiamo in secondo luogo « ^^ o. Allora la (3) si può scrivere, dopo averne moltiplicato i due membri per a,
«A(94;) = (aA(cp) + (1 - OLÌ)<p)[aX{^) + (1 ^ «4)+) +
+ a4(a4 — 1)9+, Ossia, posto «A + Mi_,j == B,
B(cp+) = B(9)B(4.).
La B, essendo distributiva anche rispetto al prodotto, è una operazione di sostituzione Sfi (§ 118), onde risulta:
A = — S;* + M?_l.
La A è dunque una forma lineare alle sosti- tuzioni del primo ordine: essendo indipendenti e ar- bitrarie le a e 4t sono tali anche i due coefficienti della forma A.
Concludendo: la classe delle operazioni distri- butive univoche, le quali ammettono un teo- rema di moltiplicazione della forma (3), è costi- tuita da tutte e sole le forme lineari differen- ziali 0 alle sostituzioni del primo ordine.
453. Ciò premesso, chiameremo costante rispetto ad un* operazione A ogni funzione y tale che sia
A(T) = 4t.
dove 4 rappresenta, come dianzi abbiamo convenuto, A(l). Nella teoria di ogni determinata operazione A, rappresen- teremo le costanti rispetto ad A con la lettera e, affetta o no da indici.
Dalla definizione stessa delle operazioni distributive, ri- sulta che fra le costanti rispetto ad una qualsivoglia opera-
28
«SS^
434 CAPITOLO QUINDICESIMO.
zione A, compaiono le ordinarie costanti numeriche. Ora se a è un numero e cp una funzione qualsiansi, abbiamo {§ 42) per ogni operazione distributiva A
A(a^>) = aA(9).
Si vede subito che, se A ammette un teorema di molti- plicazione della forma (3), codesta equazione sussiste anche quando, prendendo sempre per 9 una funzione qualsivoglia^ si inetta al posto di a una costante rispetto ad A, non nu- merica. Ponendo infatti nella (3) ^p = ^ © ricordando che A(c) == c^j risulta, con riduzioni immediate, che
(4) A(r(p) = cA(9).
Si noti che dalla definizione data in principio del pre- sente § segue che le costanti rispetto a D sono date da tutti e soli i numeri.
454. Essendo ancora A un'operazione distributiva uni- voca, la quale ammetta un teorema di moltiplicazione della forma (3), supponiamo che esistano tre funzioni determi- nate cpi, 92 e X, tali che sia
(5) !t^!^^
f A(9j) = X92.
Sappiamo (§§ 452) che sotto le poste ipotesi la A è una forma lineare del primo ordine nella D o in una determi- nata sostituzione S/x. Abbiamo dunque che 91 e 9, sono ra- dici di una medesima forma lineare del primo ordine
A-M,
0 differenziale o alle sostituzioni. Ma si ricordino i teoremi relativi alle radici delle forme lineari dìflerenziali e alle so- stituzioni (§§ 328 e 448). Se A è una forma differenziale ne
discende che —^ è una costante numerica: ma (8 prec.) le
9j
§ 453-455. GBNERALIZZAZIONB DEL TEOREMA DEL WR0N8KIAN0. 435
costanti numeriche sono costanti rispetto ad ogni opera- zione distributiva, onde avremo che — ^ è costante rispetto ad A.
Se poi A è una forma in S^, avremo similmente che —
è costante rispetto ad S^: le costanti rispetto ad una S/a sono tali anche rispetto ad ogni forma lineare in S/*, come risulta dall'osservazione fatta alla fine del §406; possiamo
quindi affermare che anche in questo caso -- è costante
Vi
rispetto ad A. Concludendo: se A è un'operazione uni- voca soddisfacente alla (3), dalle equazioni (5)
discende che — è costante rispetto ad A.
Vi 455. Ciò premesso, dimostriamo il seguente
Teorema. Se A è un'operazione distributiva, univoca, la quale ammetta un teorema di mol- tiplicazione (bilinearo) della forma (3), condi- zione necessaria e sufficiente affinchè fra n funzioni <Pi, y^, ..., qp„ sussista una relazione li- neare omogenea, a coefficienti costanti rispetto ad A,
si è l'annullarsi identico del determinante
I5(9ii qp2f ••., 9n) =
9l 92
A(qpi) A(9j)
... 9n
• • • A(9n)
A--^(90A»-^(92) ... A--^(?J
a) La condizione è manifestamente necessaria, poiché insieme con la relazione
^l?l + ^2^2 + . . . + ^a9n = ^
r^r
436 CAPITOLO QUINDICflSIMO.
sussistono, per la (4), le aVtre n — 1
(t = 1, 2, . . . , n — 1).
^) La condizione si dimostra subito sufficiente per n = 2: infatti dalla identità
AM A(9,)
= 0,
che si può scrivere
A(qPi) ^ A(9^)
risulta (§ preced.) che— ^ è costante rispetto ad A; indi- cando codesta costante con ^, dove Cj, e, rappresentano
ciascuna una costante rispetto ad A, avremo appunto
Ciò premesso, supponiamo dimostrata la condizione suf- ficiente nel caso di n — 1 funzioni. Se il determinante D(9i» 92, . . . t 9n) è identicamente nullo, esisteranno n fun- zioni Yi, Y«i .... Yn» t^lì che sarà :
(6) YiA*(qPi) + T,AH?2) + . . . + TnA*(9n) = o.
(t = 0, 1, . . ., n — 1).
Queste funzioni Yp Ts» • • • i Tn sono ordinatamente propor- zionali ai complementi degli elementi dell* ultima linea del determinante D(9i, 92» ...» 9n)» ciascuno dei quali è un de- terminante analogo a D(9i, cpj, . . . , qpj relativo ad n — 1 fra le n funzioni qpj. Si ha precisamente
Tj = P(^)D(Ti, ..., 9j-ii 9j-l-i, ..., 9n)
0 = 1,2,..., ??).
§ 455. OBKERALIZZAZIONB DBL TBOBBMA DEL WRONSEIANO. 437
Poiché, naturalmente, p non può supporsi identicamente nullo, avremo che Yj non può annullarsi identicamente se non si annulla D(cpi, . . . , 9j_j, 9j+i, . . . , yj. Quando ciò accada, esisteranno n — 1 costanti rispetto ad A, c^ ... , Cj_i, Cj^-<, • . . , (7„ per cui varrà la relazione
Ma questa è une relazione lineare omogenea, a coefficienti costanti, fra le n funzioni 9i, qp,, ..., qp^, con la sola parti- colarità che il coefficiente di 9j è nullo; il teorema è dimo- strato dunque in questo caso particolare. Quando invece si presenti il caso in cui nessuna delle Yj è identicamente nulla, eseguendo la A sui due membri di ciascuna delle prime n — 1 equazioni (6), otterremo, per la (3),
2SA(Y,)(aA'--«(9j) + (1 - «4)A'(9j)) +
+ Tj(l - «4)(A'-^«(?i) - 4A'(?j))j = 0, (t = 0, 1, ..., n - 2)
ossia, tenendo conto dell» (6),
n
(7) SA(r5)(aA»-^i(9i) + (1 - «4)A«(9j)) == 0.
Ma, moltiplicando ciascuna delle ultime n — 1 equa- zioni (6) per a e la precedente per 1 — a^, e sommando membro a membro, otteniamo
(8) 2rj(«A»-^K9j) + (1 -«4)AH9j)) = 0
(t = 0, 1, . . . , n — 2).
438 CAPITOLO QUINDICESIMO.
Le (7) e le (8) ci mostrano pertanto che le y^ e le A(qpj), sono soluzioni di un medesimo sistema di equazioni lineari omogenee; esse devono dunque essere proporzionali. Si ha quindi
A(ti) _ My^l ^ _ A(rJ
Ti T2 Tn
e da queste relazioni deduciamo appunto (§ prec.) che i
rapporti —, —, . . . , — sono costanti rispetto ad A : in- Yi Ti Ti
dicandoli con — ^, — -, ..., --*'- rispettivamente, dove e,,
Cj, . . . , Ctt siano costanti rispetto ad A, avremo che la prima delle (6) dà la relazione lineare omogenea fra le 9j, a coef- ficienti costanti rispetto ad A,
(^) In relazione al presente Capitolo, v. Boublet, Comptes Bendus de rAcadémie dea Sciences, Jnin 1897; Bobtolotti, Kendiconti della K. Acad. dei Lincei, gennaio 1898.
CAPITOLO SEDICESIMO. Oenno snlla geometria degli spazi lineari di fanzioni*
A. COORDINATE OMOGENEE. — OMOGRAFIE DI PRIMA
E DI SECONDA CLASSE.
456. Consideriamo Io spazio, ìadicato al § 125 con S", e costituito dall'insieme delle serie di Laurent
co
a == 2 ^°^'"'
n= — co
astrazione fatta dalla loro convergenza. Analogamente a quanto si è detto al § 97, la serie servirà a rappresentare la successione, cui corrisponde univocamente,
• • • ^ — n* • • • ^ — 1» "^y ^11 ^2» ■ • • ^n> • • • »
ora indefinita nei due sensi.
457* Scostandoci alquanto dalla definizione del § 92, di- remo uguali due elementi di S" quando i coefficienti delle stesse potenze di a? siano in essi propor- zionali; un elemento di §* viene dunque defioito dalla successione
Aa^, (n = — oo, . . . o, 1, ... -h co)
dove A è un numero arbitrario difi*erente da zero; l' elemento verrà indicato colla medesima lettera (greca) qualunque sia questo numero.
440 CAPITOLO SBDICBSIMO.
I numeri ka^ si diranno coordinate omogenee dell'ele- mento a nello spazio ^; questo elemento verrà detto anche punto dello spazio medesimo, e per ricordare 1* arbitrarietà del fattore k che diremo fattore di proporzionalità, seri- veremo :
a = 2 ^n^".
-oo
Il punto individuato dalle coordinate ka^ si rappresen- terà, sottintendendo anche qui il fattore arbitrario, con
«[. . . flr__i, a^, «1, ... a^, . . .] 0 semplicemente con
Se si fissa in qualsivoglia modo il fattore di proporziona- lità nei due elementi «[aj, f [6„] dello spazio S* {}) si potrà definire, come ai §§ 93, 9i, la somma a + ^ dei duo punti, si avrà* cioè
ce
— OO
Analogamente sì definirà la loro combinazione lineare COL + c'^, dove (?, e* sono numeri dati.
Ma se quel fattore non si fissa, la espressione a + ^ equivarrà a ca + c'^, e e e' essendo arbitrarie, e rappresen- terà non più un punto determinato di 3", bensì un' infinità di punti, qualora a e ^ non siano uguali (§ 10). Con combi- nazione lineare di ae^ intenderemo appunto, in ciò che segue, l'infinità di punti dati da con + c% dove e e c\ 0, ciò che ò lo stesso, i fattori di proporzionalità jn a e J3, assumono tutti i possibili valori.
(*) Per esemplo, facendo uguale ad 1 il coefficiente di una deter- minata potenza di x.
§§ 456-459. COORDIMATB OMOGBKBB. 441
«
458* Siano dati 7n + 1 punti di S: e consideriamo il sistema di infinite equazioni lineari
(y =s — OO, . . . 0, 1, • • . + eo)
In generale, non esisteranno m + 1 numeri soddisfa- centi a questo sistema; i punti a^, a^ ... a^ si diranno allora linearmente indipendenti. Quando accade invece che esistano numeri Aj soddisfacenti al sistema (1), diremo che fra gli elementi a^, a^, ..., a„ passa una relazione lineare, o che gli elementi stessi sono linearmente dipendenti.
È chiaro che se nelle coordinate a^^ degli ?w + 1 punti dati si mutano comunque i fattori arbitrari (§ 457), non ne verrà per nulla alterata la dipendenza o igdipendenza li- neare dei punti stessi, un cambiamento di a^^ in ka^^ nella (1)
equivalendo al cambiamento di c^ in —~.
459* Siano m -^ 1 punti di S linearmente indipendenti ^of ^n -•• ^m« 'o spazio lineare costituito da tutti i punti
^'oao + ^i«i + . . . + Cm«
m*
dove per c^, c^, ... c„ si assumono tutti i possibili sistemi di 771 + 1 valori, determinati a meno di un fattore comune arbitrario, contiene gli m + l punti linearmente indipen- denti a^, «j, ... a^; ma, presi in esso m + 2 punti qualsi vo- gliano, fra questi passa evidentemente una relazione lineare. Per la convenzione accennata al § 457 vi è corrispondenza biunivoca fra i punti di codesto spazio e i gruppi di 7?^ + 1 numeri, determinati a meno di un fattore comune arbi- trario diverso da zero» o, in altre palmole, fra quei punti e i
442 CAPITOLO SEDICESIMO.
gruppi di m numeri. Perciò diremo che quello spazio è ad m dimensioni. Più in generale diremo ad m dimensioni e rap- presenteremo con S^ ogni spazio lineare in cui esistano m + 1 punti linearmente indipendenti, ma non più. Ogni S^ con- tiene infiniti sistemi di m + 1 punti linearmente indipen- denti (sistemi fondamentali) ed è costituito da tutte e sole le combinazioni lineari dei punti di un suo qualsivoglia si- stema fondamentale. Se
a = c^<x^ + (?!«, + . . . + c„a„
è un punto dello S„, definito dal sistema fondamentale a^, <>i» . ■ • » «m» ' numeri c^, <?p . . . c^ determinati a meno di un fattore comune arbitrario, diverso da zero, sì diranno coor- dinate (omogenee) di a rispetto al sistema di riferimento
460. Le considerazioni dei §§ 16-21 si ripetono qui con modificazioni affatto accessorie od evidenti. Cosi p. es. la somma di due spazi §p ed S,, non aventi in comune nessun punto, è un determinato Sp+q+i.
461. Una operazione distributiva A è definita in §" quando sono assegnato le funzioni 4i» in cui essa trasforma le po- tenze intere (positive e negative) a?* della variabile. Suppo- niamo che A trasformi 3" in sé stesso, o, in altre parole, supponiamo che le Éj siano elementi di S*. Avremo allora
co A{X^) = 2^1»^° (t = — oo, . .. 0, 1, ... + oo).
n=— oo
Generalizzando un nome usato solitamente solo per gli €„, diremo che la A è una omografìa che trasforma in se stesso lo spazio S". Sono dunque omografie che trasformano S* in sé stesso tutte le moltiplicazioni M/a per funzioni {x di ^, la D con la sua inversa, la 6 e, più in generale, tutte le
§§ 459-462. OMOQRAFiB. 448
sostituzioni S.U dove pi appartiene a ^, e tutte le operazioni normali (di ordine finito o infinito). Tale sarà pure il ramo univoco della L definito al § 390.
Analogamente si potrà parlare di omografie fra §" e uno spazio qualsivoglia diverso da ^ o fra due altri qualsiansi spazi ad infinite dimensioni.
462* Una operazione À» che trasformi 3* in so stesso, può trasformare in sé anche uno o più spazi lineari, ad un nu- mero finito 0 infinito di dimensioni, contenuti in ^. In ogni S., invariante rispetto ad A, questa operazione sarà una omografia nel senso usuale della parola, e si potranno ri- petere per essa le considerazioni del Gap. IV. Qui, essen- dosi convenuto di considerare coincidenti i punti a e ca, qualunque sia il numero e, designeremo i punti invarianti, cioè i punti per cui sussiste una relazione della forma
A(a) ^ ca,
col nome di punti uniti della A.
Cosi, p. OS., r operazione D ammette come spazio inva- riante contenuto in ^ ogni S^ che abbia un sistema fonda- mentale della forma
/>ax /Yi/>ax /y«m^ax
C/ j «A/^ , • • • , %A/ o ,
dove a è un numero qualsivoglia. Il punto e^ è, in parti- colare, unito per D.
Similmente» se consideriamo le operazioni U, normali di ordine zero (§ 206), per le quali si ha
U(a?") s=s a^o?» (n = 0, 1, 2, ...)f
le possiamo definire come le omografie che trasformano S in sé stesso e che ammettono come punti uniti tutti i punti
del sistema di riferimento.
444 CAPITOLO SEDICBSIHO.
468. Possiamo qui ripetere, tenendo conto della omoge- neità delle coordinate, le osservazioni del § 50, e concia* diamo che se un' operazione distributiva À ammette in un determinato Sn, r < n radici linearmente indipendenti e non più, la A trasforma 8^ in un S^-r- Reciprocamente, se la A trasforma un $„ in un S^^,, la A ammette, in S^» r radici linearmente indipendenti. Abbiamo dunque, come già osser* vammo al § 50, che per un'omografia A, degenere in un determinato S^, sono in modo necessario legati i due fatti: a) esistono in S„ r radici linearmente indipendenti; 6) ad Sn corrisponde uno spazio ad n — r dimensioni»
Ora è facile convincersi mediante esempi che codesti due fatti, nel caso di spazi ad infinite dimensioni, si possono ve- rificare separatamente Y uno dall' altro.
Si consideri, come primo esempio, l'operazione D: questa operazione in S ammette come radice (unica) il punto 1, mentre poi trasforma S in se stesso e non in uno spazio contenuto in S e diverso da esso.
In secondo luogo si consideri la determinazione principale della D"~* (§ 115): essa non ammette in S nessuna radice, mentre d'altro canto trasforma codesto spazio nello spazio, contenuto nel primo, ma non coincidente con esso, che am- mette come sistema fondamentale il sistema di punti
Perciò, nel caso dello spazio ad infinite dimensioni, si è condotti a distinguere due classi di omografie degeneri: si può chiamare degenere della prima classe in un determinato spazio ogni omografia che in questo spazio ammetta radici, e dire invece degenere della seconda classe quelle omografie che trasformano uno spazio ad infinite dimensioni in uno spazio qualsivoglia ad un numero finito di dimensioni o in un qualsiasi spazio contenuto nel primo, ma non coincidente con esso.
§§ 463-464. PIANI. 445
Diremo, dunque, che in S la D è degenere di prima classe e che la determinazione principale di D~^ è degenere di seconda classe.
Vi sono poi operazioni che in uno spazio ad infinite di- mensioni sono a un tempo degeneri di prima e seconda classe: tale è, p, es., il ramo univoco di L (§ 390).
B. PIANI DI 3" E SPAZI LINEARI DI PIANI.
464. Dato nello spazio ST un punto qualsiasi
oo
V = s ^»^°»
— oo
abbiamo chiamato (§ 251) piano {di ST) corrispondente a ^ e abbiamo indicato con ^^ T insieme lineare dei punti
co
4; = 2 *n^"'
per i quali è
— oo
co
R(9. 4-) = S 9-X-^ = 0.
•oo
Il piano 3'p di 3" si può anche definire come luogo dei punti radici di una determinata operazione distributiva. Si consideri, infatti, l'operazione H (cfr. § 134) definita in 3" dalle uguaglianze
H(a?°) = (7~(n+i) (n = — oo. . . . , + oo): essa ad ogni punto
«^2«
co
n
— oo
446 CAPITOLO SEDICESIMO.
di S" fa corrisponderò una costante numerica
co
2j ^u9-:n+i)
— co
onde risulta cho H ammette come radici tutti e soli i punti del piano S'p.
465. L'osservazione precedente ci permette di dimo- strare agevolmente che ogni piano di ^ ha in comune con ogni $^ di ^ un S„_i determinato.
Si consideri infatti il piano 3*5» del § prec. e l'operazione H, della quale ^f contiene tutti 0 soli i punti radici. Dato in 3* lo spazio S„[yo, y,, . . . , Yml» si ponga, poiché H fa cor- rispondere ad ogni punto di 3* una costante numerica,
H(Ti) = ^1 (t = 0. 1, .... 7n),
Allora la condizione necessaria e sufficiente affinchè un punto generico di S„
appartenga a ^p, cioè sia radice di H, è data dall'equazione
la quale, appunto, definisce entro 8„ un S„_i ben determi- nato.
466. Come coordinate (omogenee) del piano ^9 assu- meremo le coordinate
• • • » yny • • • 1 fflì Oo> y — 1» • • • 1 y — n» • • •
del punto 9 di §*.
E manifesto che Y insieme di tutti i piani di S" è uno spazio lineare: noi lo indicheremo con S.
Dati più piani, mediante le loro coordinate, si può, in modo analogo a quello tenuto per i punti (§ 458), definire la loro dipendenza 0 indipendenza lineare; e si vede tosto
§§ 464-467. svAzi lineari di piani. 447
che più piàDÌ di ST sono linearmente indipendenti sempre e solo quando sono tali i punti di ^, a cui quelli rispettiva- mente corrispondono.
467* Siano dati m + 1 piani di coordinate
• • • ^i.n» • • • j Qìoj • • • » ffì. — Dt • • • \i ^* U, if ^j • • • 1 Wi/
rispettivamente e supponiamo che essi siano linearmente in* dipendenti. Saranno allora linearmente indipendenti gli m + 1 punti di S"
oo
9i — 2j^'"^"' ^* — 0, 1, 2, . .., m).
— oo
L' insieme di tutti i piani che si ottengono per combina* zione lineare dei piani
cioè dei piani di coordinate
(/ ss — oo, . . . , — 1, 0, 1, . . . , + oo)
è uno spazio lineare di piani ad m dimensioni, che indiche- remo con Sm'
Tutti i piani di Sm hanno a comune tutti e soli i punti di S", che sono comuni ai piani Spo» ^Pi» • • • » ^fn» ^^^^ ^®^ punti di coordinate k^ soddisfacenti alle 7n + 1 relazioni
co
2 fl'i.-aAn-i (i = 0, 1, 2, . . . , m).
n=: — co
Codesti punti formano uno spazio lineare di punti ad in- finite dimensioni, che si può chiamare il sostegno di 2n»- 1^ indicheremo con 3*(™).
Lo spazio ^(^^ di punti si può definire anche come il luogo dei punti radici di una operazione distributiva.
448 CAPITOLO SEDICESIMO.
Sia infatti Hi la operazione, le cui radici sono date da tutti e soli i punti di ST^j. Se allora a^, «p . . . , ot„ sono m + 1 punti di ST, linearmente indipendenti, l'operazione
ammette come radici tutti e soli i punti di ^^i}. infatti, per la supposta indipendenza lineare di a^, «i, ..., oe„ non può essere per un punto ^ di S"
H(+) = o, se non è
H,(4.) = 0, UA^) = 0 EM) =- 0.
C. CURVE DI SI
468* Supponiamo che un elemento oc di ^ sia funzione analitica uniforme, oltrecchè di or, anche di altre m varia- bili z^, z^, . . . , z^, e che, per ogni sistema di valori z^ ap- partenenti ad un determinato campo (di validità per a) am- metta per X 9s 0 al più una singolarità isolata. Allora per ogni sistema di rn valori assegnati, entro il campo accennato, a z^, ;Jg, . . , , ;2?„, la a ci dà un punto di 3", cosicché, quando si facciano variare z^, z^, . . . , z^ si ottiene una varietà di punti appartenenti a 5", la quale, in generale, non è lineare.
In particolare, per m ^ 1 avremo una varietà di punti semplicemente infinita, che diremo curva di ST.
469. Data la curva a{x, z)^ ogni valore di z apparte- nente al rispettivo campo di validità ci dà un punto della curva. Se z^ z^ sono due valori di z, lo S^
Cia(a?, z;) + c^{a, z^)
467-470. CURVE. 449
si può dire una corda della curva: più la generale, se z^, ^ji • . • f -s^m sono m valori di z, la
cMiV, z,) + c^<x(x. ;2;,) + . . . + c„a(a?, zj
ci dà uno S„_i segante la curva negli m punti a(a7, z^), a{Xy z^\ ..., a(a;, z^. Codesti punti si possono anche sup- porre infinitamente vicini, e così, indicando con accenti le derivate di a rispetto a is^ otteniamo gli spazi lineari
c^cLipo, z^) + c^d'ioo, z;)
cA^, Zi) + c^aXx, z^) + c^%\x, z^
che sono, rispettivamente, la tangente, il piano osculatore, ..., lo S„_i osculatore alla curva nel punto a(a?, z^* L* espressione
Co«(^» z) + Cya\w, z\
in cui tanto c^ : c^, quanto 2 si considerino variabili, rappre- senta la sviluppabile generata dalie tangenti alla curva.
470. E facile vedere sotto quale condizione una curva è contenuta in uno spazio ad m dimensioni, il quale dovrà quindi essere il suo S^ osculatore.
Sarà perciò necessario che, per ogni valore di z, ai^-*-^)(x^z) si esprima linearmente per mezzo di a, a', . . • , a(°»), cioè che a renda soddisfatta una equazione differenziale lineare in z d'ordine m + 1, a coefficienti dipendenti dalla sola z. Ora la soluzione di una tale equazione è della forma
m
0
Recìprocamente, ogni funzione di due variabili, la quale abbia codesta forma, ci rappresenta una curva tutta conte- nuta nello spazio lineare definito da a^, «i, . . . , «„.
29
450 CAPITOLO SEDICESIMO.
471. Si consideri una operazione distributiva A, rappre- sentabile per mezzo di una serie ordinata secondo le po- tenze di D (§ 126) e sia, precisamente,
oo
0
dove i coefficienti a^ appartengano ad S.
Allora, data la curva «(a;, z), ad ogni suo punto l'ope- razione A fa corrispondere un punto determinato e il luogo di questi punti è una curva, rappresentata dalla funzione
oo
0
La curva «1(0^, z) si può dire trasformata della «(a?, z) per mezzo della A.
472» Può accadere che T operazione A faccia corrispon- dere ad ogni punto della curva «(^r, z) un punto della curva medesima, che, cioè, sussista un'equazione della
forma
A(a(a7, z)) = |i(A^)a(a:,|ii(2)).
In tal caso la curva è una curva unita rispetto ad A, 478. Se in particolare nella relazione precedente è \i.^{z) = z, se, cioè, sussiste la relazione
A(a(^, z)) = \}.{z)7.{x, z\
la A trasforma ogni punto di a in sé stesso e la a(a7, z) è una curva di punti uniti rispetto ad A.
Alla relazione procedente, che definisce una curva di punti uniti rispetto ad una data operazione A, se ne può sostituire una analoga, ma più semplice. Da quella rica- viamo, per ogni intero n,
k\cL{x, z)) = \i^{z)ai{x,z).
§§ 471-474. CURVE UNITE. 451
Risulta di qui che se una curva è curva di punti uniti rispetto ad un' operazione A, è pure tale rispetto ad ogni po- tenza di A, e quindi ad ogni operazione regolare in A (§ 69).
Posto allora che n(z) sia funzione analitica di z^ rego* lare ed invertibile nell* intorno di z ssso, si sviluppi z in serio di potenze di |i e sia
e poi si formi V operazione
B s» 2A„A". Sarà per essa
(2) B{<x{x, z)) = zoi(x, z),
forma più semplice sotto cui si può esprimere la proprietà di una curva di essere curva di punti uniti rispetto ad una operazione A e quindi rispetto all'altra operazione deter- minata B.
474. Se un' operazione B lascia invariante la curva «(a?, z) in modo che sia verificata la (2), lascierà pure in- varianti le tangenti, i piani osculatori..., gli spazi S„ oscu- latori alla curva, in modo che ogni spazio
S„Ka?, -i), a'(^, z^), . . ., a'»«)(:r, z,)]
sarà trasformato in sé da quella operazione. L'insieme di questi spazi costituirà uno spazio ad infinite dimensioni, i cui punti daranno (§ 176) tutte e sole le radici delle forme in B a coefficienti numerici e d'ordine arbitrario, cioè tutte e solo le soluzioni dello equazioni funzionali a coefficienti numerici
Se il valore z = o appartiene al campo di valori di z nel quale è applicabile la (2), la (x(x, z) ci dà una radice della B e le ol'{x, o), a"(*^t o),... ci danno le radici delle potenze successive di B; esse fanno pure parte dello spazio ad infinite dimensioni or ora ricordato.
452 CAPITOLO SEDICESIMO.
jD. gruppi continui oo* di operazioni.
475. Data un'operazione A che trasformi S" in sé stesso, le operazioni delia forma
(3) G = 1 + ^A + j^ A« + . . . + ^ A» +... ,
dove t rappresenta un parametro arbitrario, costituiscono un gruppo continuo oo* {ad un termine nella nomenclatura del Lie) di operazioni che trasformano §" in sé stesso. La A si può dire operazione infinitesima del gruppo.
Applicando il gruppo di operazioni G ad un punto qual- sivoglia a(x) di ^, si ottiene una curva
D=0
che può dirsi la traiettoria del punto «(a?) rispetto al gruppo delle G. Essa é anche traiettoria di ogni altro suo punto a{x, ^i).
476. La tangente alla traiettoria in un punto qualsivo- glia di essa si ottiene facilmente per mezzo della operazione infinitesima: si ha infatti che la tangente alla curva a{x, t) nel punto ^ = ^j è data da
c^a{x, ^i) + c^k{(x{xj^)\ il che equivale a
(4) — n^ ~ ^^^^' ^^*
Analogamente si determina lo S„ osculatore alla traiet- toria in un suo punto.
477. Oltre le traiettorie, curve che sono trasformate in sé stesse dalle operazioni del gruppo (3), ma i cui punti si spostano lungo le curve medesime, possono esistere in ^ curve di punti uniti (§ 472) rispetto a tutto le operazioni G.
§§ 475-479. GRUPPI CONTINUI oo' DI OPERAZIONI. 45vJ
So r operazione infinitesima A ammette in 3* una ra- dice «o* ^^ determini una successione di funzioni a^, a^^.,. <x„ . . . tali che sia
(5) A(aJ = nan-i . (n . = 1,2 ).
Allora la curva
a(^,^) = 2«n(a?) :^
ll=:o
è una curva di punti uniti rispetto a tutte le G. Si ha in- fatti dalle (5)
A[a{x, z)) = za(a), z)
e quindi per ogni G
G{oi{xz) ) = e^0L{pD^ z).
478. Si risolvono facilmente i problemi inversi di quelli risoluti ai §§ 47(j, 477.
Data una curva «(a;, z), volendosi determinare uu gruppo continuo oo* di operazioni pel quale la a(a?, z) sia una traiet- toria, basterà determinare l'operazione infinitesima A del gruppo.
Posto
co ^
codesta operazione infinitesima è definita dalle condizioni
^(«0) = «if A(a,) = of j, . . . , A(an-i) = «„,...
Ottenuta la A, si ha dalla (3) l'operazione generica del gruppo, il quale ammette la traiettoria ol[x, z).
479. Volendosi determinare un gruppo (3), per il quale una curva data a(.z?, ;;) sia luogo di punti uniti, poniamo anzitutto
00
a(x, 3) = 2 «n(a?) „-T-
n=u
454 CAPITOLO SEDICESIMO.
Se allora determiniamo un'operazione A per mezzo delle condizioni
M^c) = 0, A(ai) = a^,. . . , A(^J = nan-i, . . .
se ne ricaverà immediatamente
A(a(ir, .5) ) = za{x, 5),
onde (§ 477) si concluderà che la a(a?, z) è curva di punti uniti per tutte le operazioni del gruppo generato da A.
480. Possono esistere gruppi (3) tali che ogni loro tra- iettoria sia tutta contenuta in uno spazio lineare ad un nu- mero finito determinato m — 1 di dimensioni, il quale na- turalmente dovrà essere lo Sm-i osculatore della curva stessa.
Se indichiamo con a un punto qualsivoglia della traiet- toria, lo Sm-i osculatore in quel punto è definito (§§ 476) dai punti
a, A(a),..., A'n-*(a).
Se quindi la traiettoria è' tutta contenuta in codesto S™— *, dovrà appartenervi anche il punto A"(a): onde risulta che l'operazione A soddisfarà ad una equazione
c^« + CiA(a) + . . . + c^A» (a) = 0
a coefficienti indipendenti da a?, ed ogni operazione del gruppo generato da A soddisfarà pure ad un'equazione siffatta.
Ogni operazione ciclica (§ 38S) è, ad esempio, di codesta natura.
481. Per accennare a qualche applicazione delle più semplici, consideriamo dapprima il gruppo generato dalla D. Le operazioni.
(6) i + ^D + ^r)^ + ...+ -^°-D°+...,
§§ 479-482. GRUPPI CONTINUI «»1 DI OPERAZIONI. 465
sono le sostituzioni Sx-^t- Le traiettorie soqo le ':p{x + z): la loro tangente sarà data dalla (4), che nel nostro caso si riduce a
da(X, Z) __ doi(X, Z) dX "" dZ '
equazione il cui integrale generale è appunto 9(0? + «). Cercando la curva di punti uniti rispetto alla (6), che cor- risponde alla unica radice della D, si trova la e"; lo S„ osculatore di questa curva è
e lo spazio ad infinite dimensioni costituito da tutti codesti S„ contiene tutte e sole le radici delle forme lineari diffe- renziali a coefficienti numerici.
488. In secondo luogo, consideriamo il gruppo generato dalla operazione infinitesima À = xT), per la quale è
Si trova allora immediatamente che le operazioni gene- rate dalla xD sono le sostituzioni S« .
Le traiettorie sono dunque della forma <ip(*eJ 0, posto z = e\ della forma ^(zx); la (4) dà, per le tangenti a queste curve, la condizione
da da
'^ — == a? —
cZ cX
o/v.'
il cui integrale generale è appunto ^{zx).
Volendo la curva luogo dei punti uniti, corrispondente all'unica radice della xX), si ottiene (§ 477) la
00
a(^» -) = S ^B^^)-^"
n=o
456 CAPITOLO SEDICESIMO.
dove
tv m
(Vide
«(07, z) = a?'.
Lo S^ osculatore di questa curva è lo spazio
S„[a?s a?' log X,... , x* log"^ x].
Lo spazio ad infinite dimensioni, somma di tutti codesti
Snj, contiene tutte e sole le radici delle forme a coefficienti
numerici
a^ + a^xD + a,(a?D)* + . . . + ajcóby^
le quali possono porsi sotto la forma di operazioni normali
h^ + b^x\) + &^a?«D« + . . . + &„a?»D».
488* Consideriamo da ultimo il caso in cui l'operazione infinitèsima è una forma differenziale lineare d'ordine j>:
A = TT^ + WiD + . . . + ^pDp.
La traiettoria del gruppo passante pel punto qualsivo- voglia a è la
«(^»^)= S A-(a(a?)):j^,
n=o
e questo, se la a si riguarda come funzione arbitraria, è l'integrale generale dell'equazione a derivate parziali che ne dà le tangenti, la quale è per la (4)
3a ^ a* a
= 2^^
dz '^ ^ * dx^
]'=:o
Volendo le curve dei punti uniti del gruppo, o ciò che è lo stesso, dell'operazione A, si avrà da risolvere l'equazione
A(a(a7, z) ) = zol{x, z\
§§ 482-484. GRUPPI CONTINUI oz^ DI OPERAZIONI.
457
la quale è un' equazione differenziale lineare omogenea d'or- dine p, le cui soluzioni sono funzioni analitiche del para- metro z. Scelto un sistema fondamentale di soluzioni, gli elementi di questo si potranno porre sotto la forma
oo
«1(0?, z) = ^ a|.n(i^)2" 0* = 1, 2,..., p).
0=0
dove
A («Lo) = o\ A(a,.i) = «1.0...., A(aj.J = «u-i,...
Si otterranno così p curve di punti uniti, e saranno tali
anche tutto quelle della forma
p 2 c,a,(a7,^);
saranno ancora invarianti gli spazi, di cui è ovvia l'inter- pretazione geometrica,
m
s s ^.-
i=l h = o
a*^a,(a7, z)
dz""
484. Le condizioni affinchè la curva
2 «oCa?)--
n=o
sia invasante rispetto ad una forma differenziale lineare d'ordine p, sono espresse dalle
«D— l «n |
«n «n-l-l |
OC JX » • m «n+i . . . |
(p) «n (P) |
«n+p |
«n+p— 1 |
05 n+p-f-1 . . » |
(P) «n+p+l |
= 0 (n = l,2, 3...)
dove cogli apici si sono indicate le derivazioni rispetto ad a?.
NOTE.
NOTA I.
Per la bibUoffrafla della teoria delle operasioni distribntive. 0)
La compilazione di un elenco completo dei lavori che, più o meno direttamente, hanno attinenza colla teoria delle operazioni distributive, sarebbe certamente di non poco interesse, ma richie- derebbe molto tempo e nn grande nnmero di ricerche. Collo scopo di facilitarle, diamo qui alcune indicazioni sopra la bibliografìa de ir argomento.
Il calcolo simbolico, studiato fino dai primordi della sco~ porta del Calcolo differenziale, costituisce un primo ramo della teoria delle operazioni distributive. In questo calcolo, i segni di derivazione, di differenziazione finita ed altri analoghi vengono trattati come quantità algebriche. Leibniz (vedi Leibnitii et Joh. BernoulUi commereium philosophicum et matJumaticum [Lausanne et Genève 1745] e Symbolismua memorabilis caìculi algebraici et infinitesimalis ; Miscellanea Berolinensia 1, 1710) è stato il creatore di questo calcolo, perfezionato da numerosi autori, quali Lagrangb {Sur une nouveììe espèee de calcul relatif à la di/féren- Hation et à l'integration dea quantite's variables ; Nouv. Mém. do l'acad. de Berlin 177 2), Laplace ( Mémoire sur V inclinaison moyenne dea orbites dea comètea^ aur la figure dr la terre et aur ìea fonetiona; Mém. prés. par divers savants 7 [1773|), Lorgna (Théorie d'une nouvelle eapèce de calcul fini et infinitéaimal ; Mém. de Pacad. de Berlin 1786-1787), Grusoìì {Le calcul d' expo- aition; Mém. de Tacad. de Berlin 1798-1799), Arbogast ( Dt4 calcul dea dérivationa^ Strasbourg an Vili [= 1800]), FfiANgAis
(1) Questa Nota riproduce, per la massima parte, una comunicasione inserita sullo stesso titolo nella « Bibliotheca mathematica » diretta da O. £mb8tr<)m (1899, pag. 13).
4G2 NOTE.
(Mémoire iendant à démonirer la ìégitimité de la séparaiion des échelles etc; Ann. de mathèm. 3, 1812), Sbrvois (Essai sur un nouveau mode d^ exposition des principes du calcul dif]erentiel ; Ann. de mathém. 5, 1814).
I simboli operativi avevano ricevuto, dagli autori ora citati, nomi oggidì abbandonati ; ricordiamo quello di carotteristiche^ usato da LoRONA, Laplacb ed altri (cfr. Lackoix, Tratte du calcul dìffé- rentiel et de calcul integrai^ T. Ili, § 970) e quello di scale (échelles) usato nei lavori di Arbooast e di Fram^ais. La memoria citata del Servois è quella che pone meglio in luce il fatto fondamen- tale, che il calcolo simbolico risiede tutto nelle leggi formali delle operazioni e non su analogie più o meno intuitive, come presso gli autori anteriori; vi si trovano pure, crediamo per la prima volta, le espressioni ora cosi volgari di proprietà distributiva o proprietà commutativa nelle operazioni. E da notarsi il doppio impiego, fatto da codesto autore, del vocabolo « funzione >, il quale è usato anche invece di « operazione »; ciò che nuoce talvolta alla chiarezza.
Nelle Philosophical transactions per V anno 1837, si trova una importante memoria di Murphy ( On the theory of anahjtical ope- rations) in cui si riscontra per la prima volta il concetto, diven- tato poi cosi usuale, specie nella teoria delle sostituzioni, di trasfor- mata di un* operazione mediante un* altra. Dopo la Memoria dei Murphy, il calcolo delle operazioni in generale, ed in particolare quello delle distributive, quasi abbandonato dai matematici del continente, formava T oggetto di buon numero di lavori per parte dei dotti inglesi; fra i principali conviene ricordare la memoria fondamentale di BooLE (On a general method in anaìysis, Philos. transact. London, 1844), numerosi brani negli Examples on the diff'erential calculus di Gregory (London, 1846); il Treatise on the calculus of operations di Carmighael (London, 1855); infine, nelle Philos. transact. dal 1848 al 1870, nel Cambridge nnd Dublin math. journal e nel Philosophical M agazine dal 18G0 in poi, lavori, di Hargreave, Jbllett, Russell, Spot- TiwooDB, Sylvester, Graves, ccc. Nel Giornale di Matema- tiche, T, 20, 1882, si trova una esposizione riassuntiva del cal- colo delle operazioni, di P. Gazzaniqa.
Fra le applicazioni del calcolo delle operazioni, considerato sempre in modo puramente formale, si possono citare quelle di
NOTE. 4*)3
Li URI {Mémoire sur la résolutton des équations aìgébriqìus doni les Tacine» ont entre elìes un rapport donnea et sur V integration des équations différeniielles linéaires doni les intégrale» particulières peu- veni s* exprimer les unes par les autres ; Joiirn. fiir Mathem. 10, 18.-):3), BooLB {Treatise on differential équations)^ Brassinb (Note au Cours d' analyse de Sturm, Paris 18(58), Hefi-tbr (Ein- leitung in die Theorie der linearen Differentialgleichungen^ Leipzig 1894), FoRSYTH (Theory of differential équations^ Pari, J, Cambridge, 1H96), Thomé {Zar Tlheorie der linearen Differentialgleichungen^ Journ. fùr Mathem., 76, 1873), Casorati (Il calcolo delle dif- ferenze finite interpretato ed accresciuto di nuovi teoremi^ Ann. di matem. 10,, 18H0, e Mem. della r. accad. dei Lincei 5j, 1880); Vaschy {Integration des systèmes d' équations diffé^ rentielles linéaires à coefflcicnts constants ; Jonrn. de Técole polytechn., cab. TvJ, 1893), Schlesixger (Handhuch der linearen Differentialgleichungen Bd I, Leipzig 1895) ; LuCAS ( Théorie des noni- bres, cbap. XIII, Paris 1891); Cesaro (Analisi algebrica § XI, Torino, 1894); infine, in un certo senso, le applicazioni di Frobemus (Ueber lineare Substitutionen und bilineare Formen ; Journ. f u r Mathem. 84, 1878), Stl'dy ( Itecurrirende ReiJien und bilineare Formen ; Mo- natsbefte fiir Mathem. 2, 1891), Sforza (Sulle forme bili- neari simili; Giorn. di matem. 34. 1896) e Pincherle (Sulle omografie^ Rendi e. del T Istituto Lombardo, 28, 1895), nelle quali il calcolo delle operazioni si trova applicato alla teoria delle forme bilineari o delle omografìe.
Accanto alle ricerche generali sulle operazioni distributive, prendono posto quei lavori che hanno come scopo lo studio di ope- razioni particolari. Fra queste, si ha anzitutto la derivazione ad indice qualsivoglia, di cui si è occupato per primo il Leibniz (Opera^ ed. Dutexs, T. HI, p. 105 e Commercium philos. et mathem.^ pas- sim); poi EULER (De progressionibus traseendentibus seu quarum termini generales algebraice dari nequeunt ; Comment. Petropol. 5 [1730-1731]), FouuiER (Théorie de la chaleur^ p. 564), Lacroix (Calcul différentiel, 2" cdition, T. Ili, p. 409), hiovYiLLE ( Mémoire sur le calcul des différentieìles à indices quelconques; Journ. de rèe. p 0 1 y t e e h n. T. 13, 1832 ), Spitzer (Note iiber Differem, und DifferentiaUQuotienten ron alhjemeiner Ordnungszahl ; Arch. der Mathem. 33, 1859), Riemann (Tf>rAe, p. 331), IIulmgken (Om differentialkalkyUn med indices of hvad natur som helst ; Svenska
464 NOTE.
vetenskapsakademiens bandlingarÒ, 1866) Tardy (An- nali di Matematica, S. IT. 1 1858), Oltramarb (Essai sur le caìcul de généralisation, Genève 1896), Bourlbt {Les opérations en general etc. Ann. de Tèe. normale, I43 1897; Sur eertaines équatìons analogues aux équaiions differentielles^ ibid., I63, 1899), PlNOHBRLB (Sur le calcul fonctionnel^ distribuii f^ eh. IV, Math. A n n., 49, 1897 ).
Altre operazioni particolari hanno destato l' interesse degli ana- listi; tali sono la trasformazione di Laplacb e quella di Eulero (Gap. XIV). Sulla prima e sulle sue applicazioni sono da ricor- darsi Laplacb {Sur lei suites; Mém. do Tacad. des scien- ces de Paris 1779 et Théorie analytiqtie des probabilités^ Paris 1812), Lacroix {Traile de calcul différeniiel, T. Ili, eh. IV), Abbl {OeuvreSf 2« édition, T. II, mem. XI), Mellin {Zur Theorie der GammafuncHon ; Acta Mathem. K, 1886; Uber einen Zusamtnen- hang etoischen gewissen linearen Di/fereniial-und Differemengletch" ungen; Acta Mathem. 9, 1886), Poincaré {Sur les équaiions lineaires aux differentielles ordinaires et aux di/fèrences finies : Ame- rio, joarn. of mathem. 7, 1885; Sur les inie'grales irrégulières des équaiions lineaires; Acta Mathem. 8, 1886), Pinchbrle (Della trasformazione di Laplace e di alcune sue appliccuioni ; Mem. d e 1- Taccad. di Bologna 8^, 1887), Schlesinobr (Handbuch der linearen Differeniialgleichungen^ Abschn. VII, 1895), Horn (Vertcen- dung asympioiischer Darstellung zur Uniersuschung der Integrale eìner specieUen linearen Differentialgleichung ; Mathem. Ann. 49, 1897; Ucber eine Classe ìinearer Differentialgleichungen ; ibid. 50, 1898), A M ALDI (Sulla trasformazione di Laplace; Rendi e. della r. accad. dei Lincei 5;, 1898). Sulla seconda, si può vedere una dettagliata bibliografia nelle « Litteraturuachweise » del già citato Handbuch dello Sohlebinger (Ed. Il, p. xv-xvj, 1897).
Ogni operazione distributiva può, almeno formalmente, porsi sotto forma di un integrale definito della forma
M?) = /*(^ì y)Hy)ày,
estesa ad una linea d* integrazione opportuna del piano y; la fun- zione er(x^ y)^ che definisce la specie dell* operazione, è detta fun- zione caratteristica. Su tali operazioni, v. Pinchbrlb (Studi sopra alcune operazioni funzionali^ Mem. del P Acca d. di Bologna. 7^, 1886, e Sur eertaines opérations fonctionnelles etc, Acta Math. 10,
NOTE. 465
1H87). Questi integrali danno Inogo al problema detto dell* inver- sione degli integrali definiti, o risolnsione dell* equazione
f(x) =z I a.{Xy
y)?{y)àv
rispetto alla fanzione incognita f{y)^ dati che alano /"(.r), «(j*,»/) e la lìnea d'integrazione. Sa questo problema, si può consaltare Abbl (Oeuvres^ T. II, Mém. XI), Rirmann {Werke^ p. 140), Bbltraui (La teoria delle funzioni potenziali simmetriche ; M e m. d e 1 F a e e a d. di Bologna 2^, 1881), Laurent (Calcul inverse des intégrales définies; Journ. de mathém. 43, 1878); Pinchbrlb (Memorie citate, e Sur la generation de systèmes récurrents au moyen d* une equation ìineaire di/féreniielle ; A età Mathem. 16 1893), Lbvi-Civita ( I gruppi di operazioni funzionali e V inversione degli integrali de- finiti; Rendio. dell'Istituto Lombardo 28, 1895).
Nel caso in cui i limiti dell* integrazione dipendono dalla ./r, problemi particolari sono stati trattati da Abel (Auflosung einer mecìianischen Aufgabe; Jour. ftir Mathem. 1, 1826) Beltrami (Intorno ad un teorema di Abel e ad alcune st*e applicazioni; Ren- dic. dell'Istituto Lombardo 18, 1880), So.mne (Sur la gè- ne'ralisation d'une formule d' Abel ; "A età Mathem. 4, 1884) e Lbvi-Civita (Sull'inversione degli integrali definiti nel campo reale^ Atti dell' acca d. di Torino 31, 1895), mentre il caso gene- rale è stato risoluto dal Volterra (Sulla inversione degli integrali definiti; Rend. della r. accad. dei Lincei 5., 1806 e Atti del r acca d. di Torino 31, 1896 ; Sopra alcune questioni di in- versione di integrali definiti; Annali di matem. 2.%, 1897).
I concetti del calcolo dei vettori si possono applicare alla teoria delle operazioni, in particolare a quella delle operazioni di- stributive. Al punto di vista vettoriale appartengono i lavori di Lagubrre (Sur le calcul des systèmes linéaires; Journ. de Tèe. polytech. cab. 42, 1867), Peano (Calcolo geometrico; cap. IX, Torino 1888), Carvallo (Sur les sysièmes linéaires; Monatshefte flir Mathem. 1891), che trattano delle operazioni distributive (sostituzioni lineari) in uno spazio ad un numero finito di dimen- sioni; mentre nella presente opera si è data la teoria delle dette operazioni eseguite sulle funzioni analitiche, le quali sono riguar- date come elementi o vettori in uno spazio ad un numero infinito (numerabile) di dimensioni.
30
466 NOTE.
Infine, fra i sistemi particolari di calcoli operativi che si con- nettono più o meno direttamente con quelli cbe abbiamo menzio- nati fin qui, sono ancora da ricordare il € Cofanctional-Recbnung » delio ScHAPiRA ( Grundlage eu einer Theorie allgetneiner Cofunctiofien, Wien 1881; Theorie allgetneiner Cofunctionen n. s. w., Leipzig 1892) ed il « Calcnl de généralisation > d' Oltramarb ( Sur la yénéra- lisation des identités^ Mém. de l'Institnt genévois 16, 1886; Essai 9ur le ealcul de généralisation, Genève, 1896).
NOTA IL L' equazione funzionale /*(.r + y) == /'(.r) + f{y).
1. Dal complesso della teoria delle operazioni distributive che abbiamo svolta nella presente opera, emerge che ogni sif- fatta operazione può, in sostanza, riguardarsi come rappresen- tante di un sistema di equazioni lineari omogenee ad un nu- mero generalmente infinito (sempre però numerabile) di varia- bili; queste variabili sono, ad esempio (§ 97), i coefficienti dello sviluppo in serie di potenze della funzione arbitraria cui è ap- plicabile r operazione stessa. Le ordinarie sostituzioni lineari rappresentano operazioni distributive in un campo ad un nu- mero finito di variabili. Il caso più semplice è rappresentato dalla funzione lineare omogenea di una sola variabile, f[x) = kx; questa soddisfa evidentemente air equazione funzionale
(1) A« + y) = nx) + f{y\
o, in altre parole, ammette la proprietà distributiva rispetto alla variabile x,
2. La questione di risolvere 1* equazione (1) nel modo più generale, si ò presentata da tempo: propriamente, si tratta di vedere quale è il minimo di condizioni da imporre alla f{x) per concludere, dal fatto che essa soddisfa alla (1), che non può differire da Jcx.
Biassumeremo brevemente, in questa nota, i principali risul- tati ottenuti in proposito.
3. Anzitutto noteremo cbe, come è naturale, le ricerche sono state limitate al caso in cui f{x) sia univoca. Segue allora dalla (1) che è
no) = 0.
4<>8 KOTE.
Si supponga ora x arbitrariamente variabile nel campo dei numeri reali. Posto f(l) = k^ si ha immediatamente che per ogni numero razionale a. é f(a) = ka. Cosa si può dire per valori irrazionali di xì Perciò, sono state considerate varie ipotesi.
a) Dapprima, si è ammessa per f(x) la continuità (*). Dalle proprietà fondamentali delle funzioni continue si deduce subito che sarà ancora f(x) = kx per ogni valore irrazionale di x^ in guisa che la kx è la funzione continua pi& generale che soddisfa alla (1).
b) Senza supporre la continuità per f(x), si è ammesso che in un intervallo finito a <^ a; <! 6 la funzione f(x) si man- tenga reale e inferiore in valore assoluto ad un numero posi- tivo assegnabile (^). Si consideri in tal caso la funzione
(2) ?(a?) = fix) - kx,
nulla per ogni valore razionale di ^ e che soddisfa pure alla equazione (1). Si vede come essa riprenda uno stesso valore per due valori di x la cui differenza è razionale e quindi prenda neir intervallo a ... & tutti i valori di cui è suscettibile. Ma se per X =: e \^ r{x) ha un valore 9(c) >^ o, essa sarà suscettibile anche del valore mf(c), dove m è un numero intero arbitraria- mente grande, contrariamente air ipotesi fatta; perciò è 9(0?) =- 0^ e f(x) = kx anche in questo caso.
e) Si giunge al medesimo risultato, e con un ragiona- mento analogo fondato sulla considerazione della funzione (2), supponendo che ^{x) possa essere complessa, ma in un date intervallo a <i x <i h^ inferiore in modulo ad un numero posi- tivo assegnabile.
d ) Se indichiamo con ftp a„, . . , , (X^, . . . una successione di numeri irrazionali tali che il rapporto di due qualunque fra essi non sia razionale, il Yolpi (^) ha mostrato come sia possi-
(^) Cauchy, Analyso Algébrìqiie, pag. 104 (Paris 1821).
(«) Dàrboux, Math. Annalen, Bd. XVII, 1880, p. 55. Di questo teo- rema del Darboux, il Volpi ha dato un* elegante dimostrazione fon- data su una considerazione diversa (Oiorn. di Matem ^ T. XXXIV^ 1896).
(3) Loc. cìt.
NOTE. 469
bile di costruire una funzione, definita per tutto V insieme E •dei numeri della forma
X = c^y^ + Cj3fj + . . . + c,a„
(dove Cj, c^f ..., c^ sono razionali) e che soddisfi all'equa- zione (1) senza essere una funzione della forma kx in tutto r insieme. Precisamente essa è data da A'^^r, dovè il coefficiente l\ assume valori diversi quando x è preso in diverse classi appartenenti ali* insieme E. Ma, contrariamente a quanto af- ferma r A., non risulta dalla sua costruzione che la definizione di una simile funzione possa essere estesa a tutto 1* insieme dei numeri reali.
e) lì Levi (Beppo) (^) asserisce, al contrario, che se la f(x), essendo univocamente definita in tutto il campo dei va- lori reali di x, deve soddisfare ali* equazione (1), se ne può con- cludere senz* altro che essa è continua e quindi (a) della forma kx. Egli dà questa asserzione come corollario di un teorema generale sulle equazioni funzionali, il quale discende alla sua volta da proposizioni più generali sulla teoria degli insiemi, di cui per altro 1*A. non ha ancora pubblicate le dimostrazioni.
4. Hiprendiamo ancora 1* equazione (1), ma supponiamo ora x arbitrariamente variabile nel campo complesso. In tale caso, se si ammette la continuità, si trova senza difficoltà che, posto /(l) z=: le ed X =: u '\- iv, risulta
f(x) = ku -h f\^i]v.
Facendo f(i} = A*, la f(x} prende la forma Jcx, In luogo di questa ipotesi f{i) ^=^ lei, si può, come accade in ricerche geo- metriche relative al teorema fondamentale della proiettività, aggiungere ali* equazione (1) 1* altra
(3) /-(x') = f\x)
e si ha allora immediatamente
f{i) = zfc hi.
(1) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, S. V. T. V. pag. 72, (agosto 1900).
470 NOTE.
talché air equazione (1) soddisfanno le due funzioni
f{x) = k(u + iv) = kx, ~f(x) = k{u — iv) (').
Infine, ammesso il teorema del Lbyi sulle equazioni funzio- nali, 1* esistenza di una funzione definita in tutto il campo com- plesso h soddisfacente alla (1), basta a portare con sé la conti nuità, colle sue conseguenze.
(1) Seore, Atti della K Accad. di Torino, T. XXV. Gennaio 1890.
NOTA III. Bolla teoria del divisori elementari*
A fondamento di numerose questioni di Analisi e di Geo- metria sta la considerazione di due forme bilineari in 2n va- riabili, o quadratiche in n yariabili. Per es. la base analitica dello studio delle omografie tra due spazi ad n dimensioni sovrapposti, sta nella considerazione di due forme bilineari si- multanee: la forma, cioè, che uguagliata a zero rappresenta ef- fettivamente la data corrispondenza omografica, e la forma che uguagliata a zero dà la condizione perchè un punto ed un piano dello spazio considerato si appartengano (^).
Il problema di ridurre simultaneamente, per mezzo di so- stituzioni lineari sulle variabili, due forme bilineari al tipo più semplice o canonico, conduce allo studio delle condizioni sotto cui due forme simultanee sono trasformabili, per mezzo di so- stituzioni lineari, in due altre prefissate, cioè allo studio degli invarianti di una coppia di forme bilineari rispetto alle sosti- tuzioni lineari sulle due serie di variabili.
Date la due coppie di forme bilineari
ed
Fi' = Sa'jjiCiy^, P/ = Jlb\^xa-^,
si ccmsiderino i determinanti
I «Ij — h^ I f i «'ij — ^'ij^ I
(^) La prima forma è del tipo generale ^a,. x^ y e la seconda del
j.i ^
tipo 2 ^lyi-
i
472 NOTE.
dove ^ è un parametro: i determinaoti a^^ |, | òjj {, j a'^j |, b\j \ siauo diversi da zero, cosicché le equazioni
saranno di grado n e non avranno radici nulle.
E già da gran tempo noto che se 1* equazione j jjj — ^ìj ^ i = ^ ammétte n radici distinte, condizione necessaria e sufficiente af- finchè esistano due sostituzioni lineari sulle variabili x^ e y.^, tali che traslormino le due forme F^, F^ nelle F'^, F', rispetti- vamente, si è che r equazione | a'jj — b\^ t\=zo ammetta le me- desime radici della \ a^^ — b^x t \ =i o (^). In questo caso partico- lare si può dire che un sistema completo di invarianti della coppia di forme bilineari F,, F.^ rispetto alle sostituzioni lineari è dato dalle n radici, per ipotesi distinte, della equazione
Nel caso generale il problema analogo fu risoluto dal Weier- sTRAss nel suo lavoro: Ueber Schaaren bilinearer und quadra- tischer Formen (Beri. Monatsb. 1868, pag. 310; Ges. Werke, Bd. II, pag. 19;.
Egli dimostrò che in ogni caso un sistema completo di in- varianti di una coppia di forme bilineari F^ F,, rispetto alle sostituzioni lineari, è dato dall* insieme di quelle espressioni che egli chiamò divisori elementari del determinante
A{t) = I ajj - &„ 1 1
corrispondente alla data coppia di forme.
Se Cp Co,..., c^ sono le radici distinte dell'equazione di ^simo grado l(t) zi= 0, le espressioni c^ — t diconsi divisori lineari del determinante l{t). Supposto che la radice c^ sia multipla deir ordine l^.^ di moltiplicità, indichiamo successivamente con ^i-i» ^i'o»..., 'j.g. l'esponente col quale il divisore lineare C| — t compare nel massimo comun divisore dei minori di A(^) delFor- dine n — 1, « — 2,..., « — s^ rispettivamente; e suppo-
(^) Cfr. pel caso non esseuzialmcnto diverso delle forme quadrati- che: Gaucut, Ex. de math. IV, p<ag. 140; Jacobi: Creile *8 Journal: Bd. 12.
KOTK. 473
Diamo che i minori di ordine n — s^ — 1 non ammettano più a fattor comune alcuna potenza c^ — i, il che equivale a sup- porre che il determinante A[cJ sia di caratteristica n — s^ — 1. Si vede facilmente che è
h'o -^ M*l ^ • • • I> «i-sj -1 -^ M ■! (* = 1» 2, . . . , 2)»
onde, se si pone
i numeri interi «,j saranno positivi.
Il Weieiìstkàss chiama divisori elementari del determinante \{t) le espressioni, razionali intere in ì^
(e, — ^/»J (i = 1, 2, . . . , g; > = 0, 1, . . . , 5i),
e nella Nota citata dimostra il seguente
Teorema: Siano date due coppie di forme bili- neari nelle variabili ìTi, rc^, . , . , a:„ e ^i 2^2» • • • » ^n
i.j i,j
ed
ij i.j
tali che i determinanti , aj ', , &i<j !* I ^'ij ,> ! ^'ij' siano diversi da zero. Condizione necessaria e suffi- ciente affinchè esistano due sostituzioni lineari a determinante diverso da zero, le quali, eseguite la prima sulle variabili rTj, la seconda sulle ^j, trasformino le Fp F, nelle F\, F'^, rispettivamente, si ò che i due determinati:
«iJ — ^j ^ i> I «'iJ - ^'ij ^
abbiano i medesimi divisori elementari.
Questo teorema esauriva sostanzialmente il problema. Tut- tavia suir argomento si raccolse ancora una ricca letteratura.
Anzitutto un numeroso gruppo di lavori fu determinato dallo scopo di colmare una lacuna, riscontrata nel procedimento del
474 NOTH.
Weierstbass. Lo Stigkelbeeger (^), il Dabboux (*) il Gundel- FiNGER (^) riuscirono per via indiretta a dare an assetto rigo* roso alla teoria e il Eroneceer diede una dimostrazione sod- disfacente, però non estendibile al caso delle forme quadratiche (^). Fu il Frobenius (^) che, generalizzando un teorema dello Suite su determinanti numerici superò direttamente la difficoltà che potevasi opporre al ragionamento del Weierstbass.
Il Kbonecker (**) e il Frobenius (') medesimi studiarono e ri- solsero 1* analogo problema per le schiere singolari di forme bi- lineari e quadratiche e posero le basi di generalizzazioni in vario senso continuate poi da Hknsel (^) Fischer ("), Lands- bebg (^°), per cui la teoria dei divisori elementari fu estesa a determinanti in cui gli elementi siano numeri interi o fun- zioni intere di qualsivoglia grado di una o più variabili, o grandezze intere appartenenti ad un determinato corpo di nu- meri o di funzioni algebriche.
Fra le applicazioni della teoria dei divisori elementari va anzitutto ricordata quella già indicata dal Weierstrass (^*) stesso alle equazioni differenziali lineari e generalizzata in va- rie direzioni dallo HoRN (^*) e dal Satjvage (^^) e l'applicazione alla teoria dell' equazione fondamentale (^*).
Si hanno poi le numerose applicazioni geometriche : fra que- ste ci basterà ricordare la classificazione dei complessi di se-
(») Creile 's Journal, Bd. 86.
(^) Journal de Lioiiville: II Sèrie, t. XIX.
(^} Gfr. in Hksse. Vorles. flber analjt. Geom. dea Ranmes: 3. Ànfl. Suppl. IV.
{*) Beri. Monatab 1874.
(5) Creile 's Journal, Bd. 88.
(«) Sitzb. der Beri. Akad. 1890, 1891.
(') Sitzb. der Beri. Akad. 1896.
(8) Creile *s Journal, Bdn. 114, 115, 117; Sitzb. d. Beri. Akad. 1895.
(0) Creilo '8 Journal, Bdn. 117, 118.
(10) Ibidem.
(»i) Ges. W, Bd. II. pag. 75.
02) Acta math. t. 12, 14; Math. Ann. Bdn. 39, 40, 42; Creile 's Jour- nal. Bdn. 116, 117.
(^^) V. i lavori di questo Autore negli Ann. de TEc. nonn, sup., 1889, 1891, 1893.
{^*) cfr. p. es. Schlesinqer: Handbuch u. s. w. Bd. I, III Absch.
NOTE. 475
oondo grado del Klein (^) e la classificazione delle omografie in uno spazio a quante si vogliono dimensioni del Seghe (^), e del Pkedella (*).
Per la bibliografia completa e per una sistematica esposi- zione della teoria dei divisori elementari, rimandiamo alla impor- tante ed estesa monografia del D.' P. MuTH: « Theorie und An- wendung der Elementartheiler » Leipzig, 1899, che noi abbiamo tenuta presente nella redazione di questa Nota.
A questo punto ci rimane da porre brevemente in rela- zione la teoria dei divisori elementari con le considerazioni del nostro Capitolo IV. Precisamente, supponendo data una ope- razione distributiva A cbe trasforma in sé un determinato S„, vogliamo indicare quale significato abbiano rispetto agli spazi invarianti contenuti in S^ i divisori elementari del primo membro deir equazione fondamentale di A rispetto ad §„ (^).
Usando le notazioni del Gap. lY, osserviamo anzitutto ohe i divisori elementari del determinante f[t) sono, pel teorema del Weierstbass, invarianti rispetto ad ogni coppia di sostitu- zioni lineari non degeneri sulle due serie di variabili che com- paiono nelle due forme bilineari, cui corrisponde il determi- nante f(t}: sono quindi anche invarianti rispetto ad ogni sosti- tuzione lineare, non degenere, sul sistema fondamentale di ri- ferimento scelto in Sq. Possiamo allora immaginare di aver scelto come sistema fondamentale in ciascuno degli spazi, V uno air altro estenui,
dei quali 8^ è somma (§ 90), un sistema analogo al sistema (8) del .^ 86, in cui come sappiamo, ogni colonna definisce a sua volta uno spazio invariante rispetto ad A. Bicordando come la A operi sugli elementi di ciascuna di codeste colonne (§ 85), si ottiene il determinante f\^t) sotto una forma particolarmente
(^) Inauguraldiss 1868; ristainp. nei Math. Ann, Bd. 23.
(') Mem. della r. Acc. dei Lincei, serie 3% t. XIX, 1884.
(3) Ann. di Mat. S. II, t. XVII, 1890.
(-') Il determinante corrispoadente ad nna coppia di forme bili* neari assume la forma del primo membro della (5) di pag. 53 sempre e solo quando le due forme date siano del tipo indicata al principio di questa Nota
47() NOTE.
semplice, la quale permette di calcolarne direttamente i divi- sori elementari (^).
Si trova cosi, che se c^ — t è un divisore lineare generico di f[t) e il sistema (8) del § 86 è il sistema fondamentale scelto nello spazio invariante Sr, corrispondente alla radice Cj, i di- visori elementari di f{t^j contenenti il divisore lineare c^ — ty sono tutti e soli i primi membri delle equazioni fondamentali di A rispetto ni /t*i -|- ^-j + . . • + ^p spazi invarianti, definiti dalle singole colonne del quadro (8). In altre parole il divisore lineare c^ — t compare in k^ -\- k^ -\- , , , -^ k^ divisori elementari dei quali Zj sono uguali a (Cj — <)p, k^ a (e, — 0'*~*» • • • » ^p— i a (Cj — tf e k^ a (?i — t. Lo stesso si ripete per ciascuno dei divisori lineari di f{i).
(^) Le semplici considerazioni a ciò necessarie, si troveranno este- samento sviluppate nei lavori ^ià citati del Sauvagb.
NOTA IV.
Le operazioni distributive di più fonzioni, o di nn» funzione di più variabili.
Nella presente opera abbiamo studiate le operazioni distri- butive in quanto si applicano ad una funzione arbitrariamente variabile. Si presenta naturalmente 1' idea da una generalizza- zione : di cercare cioè le analoghe proprietà, d* una parte per le operazioni applicabili a più funzioni e distributive rispetto a ciascuna; d'altra parte, per le operazioni distributive appli- cate a funzioni di più variabili.* Esempi di operazioni di que- st* ultima specie sono forniti dai primi membri delle equazioni lineari a derivate parziali o alle differenze parziali, o miste differenziali e alle differenze.
La doppia generalizzazione che abbiamo ora indicata è stata considerata dal Calò ('), che ha ottenuto per le operazioni del- r una e delKaltra specie un* espressione analitica formale, esten- sione delle serie di potenze di D considerate al Gap. VI e che danno, come abbiamo visto (§ 147), la rappresentazione gene- rale di un* operazione definita univocamente nell* intorno di un elemento funzionale dato. Esponiamo qui brevemente i risultati ottenuti dal Calò.
Sia dapprima un' operazione applicabile a più funzioni di una variabile, e per brevità, limitiamoci al caso di due fun- zioni. Essendo A quest* operazione eseguita sulle funzioni, ?(^), ^(y)C\ la proprietà distributiva sarà espressa da
A(? + Ti, ^) = A(9, 'D + A(;pi, ^), A(9, ^ + +,) = A(9. ^) + A(?, ^,).
(>) Sulle operazioni funzionali distributive. ( Kendic. della R. Accad. dei Lincei, secondo semestre 1895, fase. 3*).
(^) Le f, •i' si possono indifferentemente supporre funzioni della stessa variabile, o di variabili diverse.
478 NOTE.
L' espressione
8Ì dice derivata funzionale parziale di A rispetto a 9^ e si può indicare con ^— ; l'espressione
cA è la derivata funzionale parziale -— di A rispetto a (f . È ma- nifesta la invertibilità delle derivazioni funzionali; si ha cioè:
Si trova facilmente
T—O S=0
Lo sviluppo (18) del § 146 viene generalizzato nella formula A{7r?. l'\') = 2jlt~mV 1.1 ?;"Sf-""'
in:::0 n=0
data dal Calò in via puramente formale, ma circa alla cui va- lidità effettiva si possono fare considerazioni analoghe a quelle dei §§ 127-130.
Sia poi un' operazione A applicabile alle funzioni di più va- riabili, ed anche qui, per brevità, limitiamoci al caso in A sia applicata ad una funzione 9 delle due variabili x^ y. Per questa operazione si possono definire le due derivate funzionali
A,o = A(irqp) — icA(qp), A^i = A(2/?) — j/A('^) ;
vale anche qui l' invertibilità della derivazione, talché si ha la derivata seconda mista
^ Aj, = k{xyrf) — xk{y^>) — yk{oc:f) + iryA(?). In generale è
m n
An.n = 2 2 ^- i)""(T)(") x'y'K^^-'r-'f).
1=0 izio
NOTE. 479
Qaesta formola serve a calcolare in via ricorrente À.(x^y^^) in funzione lineare delle derivate, ottenendosi la formola ana- loga alle (2) del § 128
m n
A(«»y»9) = 2 S ("OC") '^«(9>"'-'y''-'.
r=o s=o
e con questa lo sviluppo (18) del § 146 viene generalizzato mediante la formula
1 Jm+nm
M9'l) =22 mini ^"•^''^ ^^y'
in=D 0=0
NOTA V. Cenno anlle operazioni non distrlbntive«
Nella Nota I abbiamo ÌDdicato varii lavori che si riferi- scono alle operazioni in generale e anche nella presente opera (.^§ 24-41) si sono date alcune proposizioni generali sulle ope- razioni o sui sistemi di operazioni per cui si ammétte la pro- prietà associativa, ma non la distributiva. Ma astrazione fatta da quelle proposizioni e da altre analoghe, parimente generali ed ovvie e discendenti dal concetto generale di operazione, po- chi lavori si riferiscono a classi di operazioni funzionali non distributive, e pochi risultati si sono ottenuti in proposito. Tut- tavia, si può notare come sia facile dedurre dalle operazioni distributive, altre che non godono di codesta proprietà; basta considerare p. es. un* operazione A(?, ^) distributiva separata- mente rispetto alle due funzioni arbitrarie indipendenti 9 e ^, e considerare poi 1* operazione B su una sola funzione arbitraria, definita da
B(v^) = A(-f, 9).
Questa sarà in generale un* operazione funzionale determi- nata, ma non distributiva.
Fra i risultati che, come dicevamo, sono scarsi di numero, in ordine a quelle operazioni per le quali non si ammette a priori la proprietà distributiva, vogliamo nella presente nota accennare a due dei più notevoli, sebbene d* importanza diversa; 1' uno ottenuto dal Volterra, V altro dal Boorlet.
11 primo autore (^) considera operazioni funzionali definite come segue. Sia 9 una funzione della variabile reale x — nel
(1) Nel lavoro « Sopra le fumioni che dipendono da altre funzioni » Kendi conti della R. Accad. dei Lincei, secondo semestre 1887, fase. 4, 6 e 7.
NOTE. 481
senso generale del Dirichlet — data arbitrariamente neir in- tervallo a <', X <Zb. Sì considereranno quelle operazioni che ese- guite su 9, generano un numero y, il quale viene pertanto a dipendere da tutti i valori che assume 9 entro l'intervallo consi- derato e muta in generale al mutare della funzione (^). Importa appena di notare che questo modo di concepire V operazione funzionale si discosta essenzialmente dal nostro, prima perché per noi primeggiava il concetto della natura analitica della fun- zione 9 soggetta air operazione (^), ed inoltre perchè il risul- tato deir operazione era in generale pure una funzione di de- terminata natura analitica, e solo eccezionalmente (^) si riduceva ad un numero.
La dipendenza fra il numero ^ e la funzione 9(27) data nel- r intervallo a...ò si scriverà
(1) y = Mf)-
Più generalmente, si possono pensare analoghe dipendenze fra un numero y e più funzioni, anche di più variabili, definite ciascuna in un conveniente intervallo, ed inoltre numeri t^^ ^j».*. variabili indipendentemente: esse si scriveranno
(2) y = A(9i(ari, iCj,...\ 9j(^i, a?2»- ••)»••• • ^i» ^«»---)-
Ciò posto, il Volterra pone per la dipendenza stabilita dalla (1) fra il numero ^ o la funzione 9(^), alcune restrizioni, di cui V una è analoga alla continuità nelle funzioni, le altre conducono ad un concetto simile a quello della derivata. Pre- cisamente, essendo 6(2:) una funzione soggetta entro 1* intervallo m.,.n, che diremo intervallo 7^, contenuto in a. . .&, alla con-
(^) L* A. osserva che y si potrebbe dire funzione della funzione f, espressione da non confondersi bene inteso con quella di funzione di funzione usualmente adoperata nei trattati di Calcolo. Come esempio di simili dipendenze egli cita la temperatura in un punto di una la- stra conduttrice, temperatura che dipende dall* insieme dei valori delle temperature al contorno della lastra
{}) Basta ricordare che un* operazione À veniva definita dalle sue fa (V. il Gap. VI).
(>) Per esempio, le operazioni H (§§ 132, 193).
31
4S2 NOTE.
dizioDe di essere sempre dello stesso segno, ed inferiore ad uu numero positivo e in valore assoluto, ed essendo 9?/ la variazione di y per la variazione 6 di <f; e ^^ essendo un punto sempre compreso in /», egli suppone, posto
che — ^ abbia per h e per 0 tendenti a zero un limite finito
e determinato cui esso rapporto tende uniformemente rispetto a tutte le possibili funzioni qp(a;) (^) e a tutti i punti t^ ; questo limite, detto dairA. derivata prima di i/, si può indicare con
Sottoponendo y' a condizioni dello stesso genere, si definisce in modo analogo una derivata seconda di y
poi, con restrizioni simili per y'\ una derivata tèrza e cosi via. Si dimostra che la derivata t*^™^
y;i) = A(i)(9; <„ t, f,)
è simmetrica rispetto ai parametri t, ^j, . . . , ^i— i, e si giunge^ ' applicando una nota proposizione del Calcolo differenziale, ad uno sviluppo della forma
(3)
A(y + '{/) = A(9) + y A'(?; t,)m)dt, +
e quando il limite dell* ultinOo termine sia nullo per n = oo si ottiene per la A uno sviluppo in serie analogo a quello del Taylor
(^) Si potrebbe rendere questa condizione meno restrittiva limi* tando la variabilitA di f ad un determinato campo funzionale.
KOTB. 483
per le fanzioni. Facendo 9 costante od anche nuHa si ha dalla (3) una espressione analitica per 1' operazione funzionale A('>}/). j^el lavoro citato nella Nota lY, il Calò considera le opera- zioni che si hanno sulla funzione ^ nei singoli termini dello sviluppo precedente; nota che il primo termine, detto I|(4^), gode della proprietà distrihutiva, mentre il secondo I,, il terzo I3 ecc. danno per 1,(4' -{- /), l^i^ + x)> • • • ^^SE^ ^* formazione di mano in mano più complesse.
Dei risultato del Volterra ora accennato una generalizzazione è stata data dalla Sig.*"^ Fabbri (^).
Il risultato ottenuto dal Boublet riguarda una questione più elementare. Egli si propone (') di trovare le operazioni funzionali A tali che sia
(4^ A(? + 4') = F(A(?), A('|)),
essendo F una funzione data di due variahili. Egli trova dap- prima che la funzione F(u, t^) deve essere simmetrica, come pure le
F(u, F{v, w) ), F(u. F(v, F{iv, t))),...-,
ora le funzioni che godono di questa proprietà^ e che V A. chiama indefinitamente simmetrìcìie^ si ottengono mediante un teorema di Abel, e con ciò si vengono a costruire le operazioni soddisfacenti alla (4).
Date due operazioni A, B soddisfacenti alla (4), è facile ve- dere che il loro quoziente (nel senso della teoria delle opera- zioni) è una operazione distrihutiva. Sia infatti
B(? + <;/) = F(B(9), B(-|) ),
e si ponga B = AH; verrà
AR(? -f- ^) = PiAK(9), AE(-|) ) e per la (4\
AR(? + 4.) = A(R(9) + R(W);
r operazione R è dunque distrihutiva. Lo studio delle opera-
(') Atti (Iella R. Accàd. delle Scienzp. di Torino, T. XXV, 1889. ('<') Ann. de T Éc. Nomi., S. IH, T. XIV, 1897.
484 NOTE,
zioni A soddisfacenti alla relazione generale (4) è dunqne ri- condotto a quello delle operazioni distributive.
Infine VA, considera le operazioni soddisfacenti alla relazione più generale
(5) A(G(9 + ^)) = F(A(?) + A(4/) ),
essendo G una funzione di due variabili che ha le stesse pro> prietà di simmetria delle F, e trova ancora che queste opera- zioni si riconducono, in modo analogo, alle distributive
INDICE ALFABETICO
/ numeri si riferiscono alle pagine.
Abfl, Pag. ir, 360. Addizione di elementi, 2.
— di operazioni, 19. Aggiunta, (opci-a/ione), 187.
— di lina forma lineare alle dilTercn/.e, 237.
--- di una forma difTorenziale lineare,
390. Appei.l. 79. --- Polinomi di' — , 130.
— Teorema di —, 289. Arbogast, 82.
Asslntotlco Comportamento — di una successione, 93.
Bervoulli, Formula dì — , 110. — Formola di — general iz/ata, ih. Blllneare, Forinola — di moltìplica'
zinne, 431. BOOLK, VII. BoREL, VII, 162, 365. BOHTOLOTTf, 192, 438i. BoLRLET, V, 129, 438.
Campo di validità di una serie di
potenze di D, 87. — di una serie di l)~~^ 113.
Campo di razionalità Pag. 234. Campo funzionale» 88, 99, 249. Canoniche, Radici —, 318. Canonici, Sistemi —, 320. Capellt, 51, 210. Casorati, 82, 218, 320.
— Drterminunlc di — . 218. CArniiv, II.
Cesaro, I.
Coefficiente, Trasformazione di una
serie dì potenze nel — del suo
Icriiiine generale, 366. Coefficienti indeterminati, Metodo
dei - applicato allo serie di po«
lenze di I), 89.
— alle serie di potenze di D~*, 118.
— alle scric di potenze di 0, 253. Cofunzionale, Calcolo —, 150. Commutabili, Operazioni ~-, 21, 125.
— Operazioni — con D. 119. Continuazione analitica, 72. Continuità, V. Contra£rredienza, fra le radici e i
moUii)licalori delle forme diflfereu- ziali lineari, 298. Coordinate, 10, 68.
— omogenee, 440.
— — dì piani, 442, Costanti, 78.
— nel calcolo delle differenze, 202.
— nel calcolo delle sostituzioni, 376.
— ri^fpetto ad una operazione, 433.
48()
INDICE ALFABETICO.
Curva di uno spazio funzionale li' neare, Pa^. 448.
— unita, 450.
— di punti uniti, ib.
Distributive, Le operazioni — for- mano un ^uppo, Pag. 37.
Divisibilità delle forme lineari alle differenze, 304, ììò.
D' Oa'Idio, 14.
D' Alembert Fonnola del — , 107.
— Sviluppo del — generalizzato, 108. Decomposizione in fl&ttori, 48, 66.
— di una forma lineare alle diffe- renze^ 238.
— di una forma differenziale lineare^ 284.
Defireneri, Operazioni —, 31.
— loro specie, 31, 52.
— Operazioni — totalmente, 56.
— Operazioni — di prima e seconda classe, 444.
Derivata funzionale, 100, 189, 432.
— di una somma, 102,
— dì un prodotto^ ibid.
— di M, 105.
— di D, ibid.
— di e e di S, 108. Derivazione, 77.
— d' indice qualsivoglia, 369. Determinante, Equazione —, 330,
340.
— Funzione — , 369. Determinazione principale della
D~^ 78.
— della D— ", 79. Differenza finita, 82. Differenze,. Operazione fondamentale
del calcolo delle —, 82. Dimensioni di uno spazio lineare,
7, 71. Dipendenza lineare in generale, 5.
— nel calcolo delle differenze. 318.
— delle (unzioni, 274.
— nel calcolo delle sostituzioni, 378. Distributiva. La sostituzione è —
rispetto al prodotto, 80.
— proprietà — estesa ad una serie, 96.
Distributive, Generalità sulle ope- razioni —, 35.
Elementari, (funzioni) nel calcolo» delle sostituzioni, 884.
elementari, (operazioni), 74.
Blementl del calcolo delle diffe- renze^ 196.
Blenxento zero, 3.
Equazioni differenziali lineari omogenee, 367.
— a coefficienti numerici, H9, 363.
— Un tipo speciale di — , 268. ' — loro spazio di radici, 277. •— non omogenee, 283.
— aggiunte, 230.
Equazioni lineari alle differen- ze, 210.
— loro sistemi fondamentali di ra- dici, 318.
— del secondo tipo, 233.
—;■ a coefficienti numerici, 346. Equazioni lineari alle sostitu- zioni, u coefficienti numerici, 394.
— a coefHcienti qualsivogliano, 396.
— speciali, 405.
Equazioni miste, differenziali e alle
differenze, 131. Equazioni simboliche, 144, 354.
— del primo ordine, 151. Espressioni regolari, 168, 334.
— Operazioni che trasformano — in —, 169.
— appartenenti ad un esponente, 332. Eulero, 160.
— Trasformazione di —, VII, 369.
Fondamentale, Equazione —, 53. — relativa ad un punto, 319. Forme differenziali lineai*!, 79, 361.
INDICE ALFABETICO.
487
Forme dlfTerenolall lineari —
— loro somma, Pag. 262.
— loro prodotto, ibid.
— loro divisione, 263.
— loro divisibilità, 264.
— loro radici, 267.
— loro scomposizione in fattori, 284.
— loro riducibilità, 287.
— condizione di divisibilità, 279.
— normali, 812.
— della classe del Furjis, 835.
— loro trasformazioni, 361, 873.
— lineari alle sostituzioni, 373, Forme lineari alle differenze,
84, 202.
— loro divisione, 204.
— loro divUibilità, 206.
— loro radici, 210.
>— loro scomposizione in fattori, 228. Forme lineari in un' operaasione a coefficienti numerici, 27.
— loro radici, 128. FOBSTTH, I, 199. Frodexius, II, 291.
FrcHs, Teorema del —, 270.
— Forme della classe del — , 840. Funzioni di operazioni, 23, 27,
846, 349.
Hambi:roer, Sottogruppi di — ,
Pag. 320. HuRWiTZ, 139.
Gauss, 209, 341.
Generali Bzazione, Calcolo di —, 354.
— dell' operazione aggiunta, 194. • Generatrice, Funzione —, 369. Grassmaniv. II.
r.RKvv, VII. 375.
— Teorema del —, 419. Gruppo d' operazioni, 24.
— delle sostituzioni, 81.
— di monodromia di un' equazione differenziale lineare, 315.
— trasformato, 345.
— continuo oc' di operazioni, 452.
Integrale principale di un'equa- zione differenziale lineare non omo- genea, 303.
Intefirrazione, 78, 103.
— per parti, ili. Interpolazione funzionale, 243,
299. Intorno di un elemento, 85. Invariante, Elemento — , 35.
— Spazio —, 36, 50. Invarianti differenziali, 288. Inversa di un' operazione, 22.
— di una operazione normale, 182.
— di una forma lineare alle diffe- renze, 254, 256.
— — suo sviluppo in serie, ibid.
— di una forma differenziale lineare, 283, 298.
— — suo sviluppo in serie di potenze di D~i, 801.
— di E nel calcolo delle sostituzioni, 405.
Ipersreometrica, Forma ed equa- zione —, 341, 373.
KoEXiGs, 375.
— Teorema del —, 880.
H ADAMA RD, 162.
Halphen, Formola di
138.
Lagrange, Aggiunta del — , VI, 191.
— Formola di interpolazione del — , 244, i99.
— Metodo della variazione delle co- stanti arbitrarie del — , 300.
La guerre, II, 1. Laplace, II, 369.
— Trasformazione di — , VII, 853. Leirniz, I.
488
INDICE ALFABETICO.
Leznina fuiHlaiiieiitalo por la teoria delle equazioni lineari alle sosli- tii/.ioni, Pa^. 336.
Li E. 158, 370. 452.
Limite superiore di l) '"y. Ilo.
Limiti, Punti — nel caK-olo delle sostituzioni, 379.
Li.Nnn.or K., 160.
Lineare, ( spazio ). 4.
Operazioni definite da equazioni sim* boliche. Page. 144.
— normali di ordine zero, 152.
— — Loro gruppo, 158.
— — in uno spazio esteso. 163.
— — loro radici, 172.
— normali d' ordine superiore, 174.
— — del primo ordine, 176. ■ - — Loro radici,
— — Loro trasformate mediante C, 180.
Mai'.i.ai'ri.x, IV.
Matrici ad infiniti elementi, 97.
Meromorfe, Funzioni —, 198.
MlTTAIi'LtFFI.En, 72.
Moltiplicatori dello forme lineari alle diflereuze, 240.
— Loro spazio lineare, 241.
— delle forme difTerenziali lineari, 292.
— Loro s])azio lineare, 236. Moltiplicazione per un ninnerò, 3.
— Operazione di --, 74.
— Teorema di — , 431. Multipla, Operazione u determina- zione — , 33.
Ol.TKAM.lRE, 354.
Omofirrafie, IH, 442.
— di prima e seconda classe, 444. Operazione identica o unità, 18.
— '), 82.
-- C, 162, 866.
— ag^giunta, 187.
— — di un prodotto, 188.
— — di una forma lineare alle diffe- rcn/e, 192, 237.
dì una forma differenziale li- neare, 191, 290.
— Derivata dell' — aggiunta, 190. Operazioni, che generano una co-
stante, 140.
— Loro relazione coi polinomi di Ap* PKLL, 141.
— Operazioni che se no deducono, 143.
Peano. II, 1, 274.
Piano in uno spazio funzionale. 193,
445. Polinomi di Afpeli., 130.
— Loro equazione di definizione, 131.
— .Sviluppi in serie di — , 135.
— Loro comportamento ossintotico, 137.
POIXCARÉ, IL
Potenza di un'operazione, 21.
— ad esponente nullo, 22. Principio di permctnenza, ITI, 166. Prodotto d' operazioni, 20. Proprietà associativa, 20.
— commutativa, 21.
— iterativa, ibid.
— distributiva, 25.
Quoziente a destra e sinistra, 23. — Loro ricerca, 43.
Radici di un* operazione, 81.
— proprie, improprie, 34
— Spazio di — , ibid.
— di operazioni commutabili, 36, 125.
— di un prodotto, 39, 41.
— di una potenza, 41. Reciprocità, Teorema di — , 291. Regolare (espressione) v. Espres- sioni.
IKDIGB ALFABETICO.
489
Regolare, (operazione) rispetto ad un* altra, Pag. 45.
— rispetto a D, 121.
Relazioni fra radici e moltiplicatori
delle forme differenziali lineari, 246,
296. Riducibilità delle forme lineari allo
differenze, 235. RiEXAXX, n. RuFFisi, Regola di — generalizzata,
209.
s
SCIIAPIRA, 150.
ScHLESiNGBR, 178. 180, 289. 290, 870, 373.
Scomposizione di uno spazio inva- riante in ispazi invarianti. 66.
Serie dell* integrazione per parti. 111.
— Suo campo di validità, 113. Serie del Berxoulli. 110.
Serie di potenze di una operazione, 45.
— Le — come elementi, 68.
— di D, 87.
— di D-», 113, 119.
— di 0, 248.
— Loro campo di validità, 260. Serie di Laurent, 86, 184. 439. Servois, 82.
Sin^TOlare. Operazione — rispetto ad un* altra, 48.
— Elemento — , 99.
— Punto — normale per una forma differenziale lineare, 324.
Sistema fondamentale, in gene- rale, 8.
— di radici di una forma lineare alle differenze. 218.
— di radici dì una forma differen- ziale lineare, 277.
— di moltiplicatori delle forme lineari alle differenze, 242.
— di moltiplicatori delle forme diffe- renziali lineari. 203.
Sostituzione. Operazione di — , 80.
148. Sostituzioni lineari, 50.
SottofiT^uppi di Hamburger, Pag,
320. Sottrazione di elementi, 4.
— di operazioni, 19. Spazio lineare. 4.
— .Struttura di uno — invariante in uno ^n, 56.
— S, 68.
— $*» ed S', 73.
— S' (Xo), 261. _ ^n, 85.
— §*, 86,
_ W, 163.
— 3), 136. Spazi estesi, 86.
— invarianti canonici, 53.
— di piani, 446.
Stella di Mittag-Leffler. 72.
Successioni. 68.
Sviluppo dell* integrale di un'equa- zione differenziale lineare non omo- genea, 302, 308.
Taylor, Sviluppo del — , 92.
— Sviluppo del — generalizzato, TiiOMÉ, 291.
Traiettorie. 452.
Trasformata di un* operazione. 83.
343. Trasformatrici. Operazioni --, 347.
— speciali, 353, Trasformazione di coordinate, 11.
— di Laplace, 353-
— di BoREL, 365.
— di Eulero, 369.
UfiTuaslianza di elementi. 1, 69.
439. Univoca. Operazione — , 17.
Vettori, Esempio dei —, 4, 10. Volterra. II. V.
490
INDICE ALFABETICO.
w
Weierstiuss, IV. 72, Pag. 140.
— Divisori elementari del — , VI. "WroTiflkiano, 275.
— Generalizzazione del teorema del 429.
Zero, Numero, Pag. 3.
— Elemento, 4.
— Operazione, 18.
CORREZIONI
Pag, 84 lìn. 10 al terzo termine della formula invece di 0 leggi 0-,
„ 128 „ 3 risalendo. invece di 178 leggi 177. „ 170 « 17 invece di (27) leggi (17).