vi II DICIUICO vr hi dito atg HICONE nl ki tetbr prg Ho r ORTI nia \a init AR) Ho “ de x ì DERE EP VIO NEIL INOCNIRI: RI ct 119710 na n sa SOGIRIERI: .\ "N Î ILILITÀ, - 6 Ha 1) dilsaari Ninetadhi G4 ii? PI i Lo {prb ile SIR SECRET RAR i FORENARE LEI i MI ROTAAA Vo I MEMISTORIA A COTOEIRNTRTE SARE IL Ly ji i Di ) più REIIIREGGICIE tazioni L'IPIMSIARITARAI APR BELDETARTIA ca ALTA RENE fa 1351 SILIITZIAA fa i dr hi Mi ties È pe Nn 7, DIPIISCRTITAZLIDITN ti RA cielo Avi ad dh LITI \ MINI ATR URTI ‘4 ua N î Maid di LoL MA IPARDIA sur: GUIA ata RR 264 E YI i sata: ua n: I. ti Un A , (0 SRIERLA VE RIU VITI ZI ; muti DITO HO 4 lit CCIE = n i sta = t 1 Digitized by the Internet Archive in 2011 with funding from University of Illinois Urbana-Champaign P htt://www.archive.org/details/lezionidieconomi00cupp LEZIONI DI ECONOMIA RURALE DATE PRIVATAMENTE IN PISA NEL 4855 DA PIETRO CUPPARI PROFESSORE DI AGRARIA E PASTORIZIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA E DIRETTORE DELL’ANNESSOVI ISTITUTO AGRARIO RACCOLTE PER CURA DEGLI UDITORI DELLE MEDESIME PASTORIZIA com una Tavola in rame te FIRENZE COI TIPI DI M. CELLINI F C. ALLA GALILETSANA SI 1862 P Mb IIAATTO ici CO Havibe N ATTOMWIIRIT ,M ALIRT ATNIROTAA ti È nigadoa oTUrIt2E [vos tia tai : - ATRTROMRA a Î i } | nosore già alari. ata #5 L° » ‘REMOTE STORAGE PASTORIZIA SEZIONE PRIMA. PASTORIZIA GENERALE lieti LEZIONE LI. ORDINAMENTO DELLA PASTORIZIA, E NOZIONI D'ANATOMIA -—0—- SOMMARIO. S. 4. Ordinamento della pastorizia. S$. 2. Configurazione generale dell’ani- male, e regioni esterne. $. 3. Tegumento che riveste la macchina animale per di fuori e per di dentro. $. 4. Scheletro. $. 5. Le tre cavità: boccale, toracica e ventrale, e gli organi che vi si racchiudouo. $. 6. Le mammelle ed i bulbi dei peli. $. 7. Il tessuto cellulare come cemento generale della macchina animale. $. 1. Compiesi oggi per l'appunto l'anno dacchè noi in questo medesimo luogo convenuti cominciammo una serie di conferenze col proposito di discorrere sommariamente le diverse parti, di cui si compone l'Economia Rurale. Dicemmo allora esser tre codeste parti: l'Agricoltura, la « Pastorizia ed il Governo dell'Azienda Rurale; ma il 3 tempo venutoci meno alla intiera loro trattazione, ci limi- tammo allora a toccar solamente della prima, cioè del- l'Agricoltura. LIBRARY Ci siamo pertanto quì di nuovo congregati collo scopo di riprendere l'interrotto filo dei nostri studj, e di svol- gerlo insino alla fine, occupandoci passo passo in prima della Pastorizia, e quindi del Governo dell'Azienda Rurale. Nel dar mano, come ora facciamo, alla pastorizia sarà bene di dire qualcosa dell’ordine, cui terremo nelle nostre conferenze. A quest’oggetto rammentiamoci che la pastorizia tratta dell'allevamento degli animali, come l’agrieoltura di quello delle piante; sicchè le ragioni, che ci guidarono nel trovar l’ordine accomodato ad esporre le discipline agricole, ci serviranno a mettere insieme le pastorali. In primo luogo osserveremo che gli animali rurali, i quali formano il soggetto della pastorizia, offrono tante e tali comunanze da potere noi stabilire non pochi precetti generali intorno al loro allevamento. Quindi è che divide- remo la pastorizia in due sezioni, cioè in pastorizia gene- rale e pastorizia speciale, secondochè facemmo per l’agri- coltura ; nella prima delle quali sezioni riuniremo tutto ciò che spetta in comune a tutti gli animali da allevare, e nella seconda diremo per singolo dell'allevamento di cia- scuna delle specie, che noi riduciamo a quelle quattro, che sono le più diffuse nelle aziende rurali; cioè: la vaccina, la cavallina, la ovina e la suina. All’allevamento di queste specie però aggiungeremo in apposita appendice quello dei bachi da seta, i quali nelle nostre aziende rurali dovran- no occupare in seguito un posto sempre più importante. Adunque avremo a dare principio alla pastorizia generale; e poichè l'allevamento artificiale degli animali presuppone la conoscenza della loro vita naturale, converrà dir di questa innanti di venire a quello giusta il metodo prescelto nella prima parte di questo corso di lezioni. Nella vita naturale delle piante formano soggetto di studio tre cose: da una parte la macchina stessa vege- i; tante, e dall’altra la terra e l’aria, che costituiscono i due ambienti, in cui la macchina vive colle radici e colle di- ramazioni del fusto. Nella vita naturale degli animali però lo studio è meno moltiplice; imperocchè non avremo ad occuparci che della loro macchina e dell’unico ambiente, in cui vive, l’aria. Anzi, poichè dell’aria atmosferica ab- biamo nell’agricoltura detto quanto bastar possa anche per la pastorizia, ridurremmo questa parte della pastorizia generale alla esposizione degli organi e delle funzioni del corpo animale, se non ce ne distogliessero le considera- zioni che vi metto davanti. Nell’agricoltura il terreno esercita svariati uffic;; ma fra questi non sono ultimi quelli che riguardano il nutri- mento delle piante , il quale consiste nelle materie solide alibili e nell'acqua, che il suolo racchiude. Ora, rispetto agli animali rurali, la terra continua in certa guisa questo benefico suo ufficio, non già direttamente, ma bensì indi- rettamente, cioè colle erbe di cui si cuopre, e che servono di cibo ai nostri animali. Adunque nel trattare della pa- storizia dovremo altresì dire qualcosa degli alimenti e delle bevande; il che ci darà poca bisogna ora che ci troviamo nel caso di sapere degli uni e delle altre quanto ne dicemmo nell’agricoltura, in proposito delle facoltà nutrienti delle diverse parti delle piante, e delle qualità delle acque irrigatorie. E sebbene nell’agricoltura trattam- mo dell’aria atmosferica quanto bastar possa eziandio per la pastorizia, tuttavia insisteremo quì su certe particola- rità tanto più volentieri in quanto noi coi mezzi artificiali possiamo modificare questo ambiente per l'allevamento degli animali molto meglio che per le piante agricole non ci fu concesso di fare. Raccogliendo ora le cose dette, eccovi l'ordine che terremo nella pastorizia. Primamente daremo le nozioni più importanti rispetto agli organi ed alle funzioni del corpo dei nostri animali. Ciò fornito, 8 passeremo ai mezzi generali di allevamento, i quali ope- rano nella triplice maniera di modificare i cibi e le be- vande, l’aria ambiente o la macchina stessa animale ; e coglieremo via via l’opportunità di dir quanto occorre sullo stato naturale dei cibi, delle bevande e dell’aria nel metterci dentro alla ricerca dei mezzi artificiali rispettivi. Vedete bene, che, salvo qualche lieve variante, noi con- durremo lo studio della pastorizia come abbiam fatto di quello dell’agricoltura. Secondo l’ordine propostoci, consacro questa odierna conferenza, ed alcun’altra delle seguenti, a darvi quelle nozioni, che vi bisognano, intorno alle disposizioni orga- niche ed alle funzioni correlative delle quattro specie pri- marie di animali rurali. Ma non crediate che io vi vo- glia fare un compendio di anatomia e di fisiologia com- parativa ; essendochè a voi bastano quelle poche nozioni, che sono strettamente necessarie ad intendere la retta ap- plicazione dei mezzi artificiali pastorali. A questo fine da- remo prima un'occhiata allo esteriore dei nostri animali, e poi un cenno complessivo delle principali funzioni per comprenderne il concatenamento. E siccome gli animali si allevano per ottenerne forza muscolare, carne grassa, re- dami, latte, lana o concimi, perciò aggiungeremo alcun che degli apparati organici, i quali più particolarmente vi cooperano. $. 2. Eccovi il modello in gesso di un toro (Fg. 1.*), che servirà a porgervi un'idea bastevolmente chiara dello esteriore dei nostri animali: esteriore che vi ho quì spar- tito per mezzo di contorni in alquante aree, che chiamansi regioni. Seguitemi nella descrizione che andrò a farvene. Innanzi tutto, guardando l’insieme di questo animale, vi corre direi quasi spontanea alla mente l’idea di poterlo figurare siccome un cilindro costituito dal suo tronco, il quale cilindro sia continuato in avanti dal collo, che ter- 9 mina colla testa, ed indietro dalla coda, e che porti at- taccate a ciascheduna delle medesime estremità, ma lateral- mente, due appendici simmetriche, cioè i membri anteriori ed i posteriori. Ciò premesso, veniamo ora alle regioni. Questo cilindro può mentalmente immaginarsi come di- viso in quattro strisce oppostamente situate, e che per comodo chiameremo facce; delle quali l’una superiore o dorsale, l’al- tra inferiore o ventrale, e due laterali. Sulla faccia dorsale troverete nelle sue diverse regioni nel procedere d’avanti in dietro: 1.° il garrese A, che forma una prominenza nel dipar- tir che si fa il collo dal tronco; 2.° il dorso B propriamente detto; 3.° i /ombi C; 4.° la groppa D, che si termina colla coda. Sulla faccia ventrale rinverrete il petto, che nella specie vaccina è ornato di giogaja; 2.° l’umbilico; 3.° le mammelle variamente sviluppate nella femmina secondo lo stato del- l’utero, e rudimentarie nel maschio ; 4.° i gerzitali esterni, cioè la Borsa dei testicoli e la verga nel maschio, o le esterne pudende nella femmina; 5.° il perineo, ch'è lo spazio com- preso tra essi genitali; e 6.° l’orifizio, con cui si termina il cariale digerente, ossia l’arz0. Sulle due facce laterali scorge- rete; 1.° la spa//a colla sua punta E, che corrisponde alla giuntura di essa spalla col braccio; 2.° il costato ; 3.° il fianco ; 4° l’anca; 5.° la natica. Ìl collo e la testa di- vidonsi in regioni importanti pei veterinarj, ma che non è nostro ufficio di dichiarare, essendochè la di loro co- gnizione non è necessaria allo studio della pastorizia. Non è così delle quattro appendici, nelle anteriori delle quali vi ha dall’alto al basso : 1.° il braccio F, col; 2.° gomito G; 3.° l’avambraccio H; 4.° il ginocchio I (1); (1) Negli animali chiamasi ginocchio V’articolazione dell’avam- braccio colla parte che rappresenta la mano, mentre nel nostro corpo si dà cotal nome all’articolazione della coscia colla gamba là dove esiste la rotella. DO 10 5.° il cannone anteriore J; 6.° la rocca K; 7.° il pastu- rale L; 8.° la corona M; 9.° lo zoccolo N. Sulle appen- dici posteriori, procedendo egualmente dal sommo ad imo, troverete : 1.° la coscia F'; 2.° la gamba H'; 3.° il garret- to I; 4.° il cannone posteriore Y; 5.° la nocca K'; 6.° il pasturale L'; 7.° la corona M'; 8.° lo zoccolo N'. Se voi confrontate le regioni delle appendici del nostro corpo con quelle di questo animale, troverete che gran- dissima n'è la somiglianza. Se non che le stesse appendici presentano alcune sostanziali differenze, di cui la prima sta in ciò, che il nostro braccio e la nostra coscia restano affatto libere rispetto al tronco, mentre gli si appressano e con esso in parte si confondono negli animali; e la se- conda deriva dalle disposizioni delle medesime appendici dalla gamba e dall’avambraccio in giù; imperocchè il gi- nocchio di questo toro corrisponde al principio del dorso della nostra mano ; il cannone anteriore, sì rigido e lun- go, al corpo della stessa mano sì mobile; l’unica nocca dell’uno alle nostre cinque nocche, da cui dipartonsi al- trettante dita; il pasturale alle prime falangi delle nostre dita, la corona alle seconde falangi, e lo zoccolo alle terze, che nella mano come nello zoccolo sono unghiate. Nelle appendici posteriori il garretto corrisponde al nostro calcagno, il cannone posteriore al corpo del piede; la nocca alle cinque nocche; il pasturale alle prime falangi; la corona alle seconde, e lo zoccolo alle terze. Vi accor- gete dal già detto che le nostre quattro specie sostengonsi e camminano sulle estremità delle dita: il bue, la pecora ed il majale sopra due, avendo fesso lo zoccolo, ed il ca- vallo sopra uno. $. 3. Conosciute le regioni esteriori dei nostri ani- mali, passiamo ora a dare uno sguardo complessivo a tatto il resto dei congegni moltiplici e mirabilissimi, che compongono la macchina vivente. Ho quì bisogno che mi 11 seguitiate con molta attenzione perchè possiate formarvi un’ idea giusta e chiara , tuttochè concisissima , dell’orditura fondamentale, direi quasi, del corpo animale. Se delle dita della mia mano destra faccio tanaglia, ed afferro la pelle del dorso della sinistra, sento bene che si può insino ad un certo segno allontanare dalle parti che ri- cuopre ; e se premendo sul dorso medesimo mi provo in pari tempo a rimenar le dita, sento eziandio che questa pelle for- ma una specie di membrana unita. Ripetendo sulle diverse parti del mio corpo, o di quello di un cavallo, queste pro- ve, trovo le medesime cose ; sicchè conchiudo che il corpo medesimo trovasi rivestito, e direi quasi avviluppato, da una membrana assai massiccia, la quale si congiunge alle parti sottoposte mercè un tessuto cedevole, detto ce/lu- lare, di cui parleremo in seguito. La pelle poi, ch'è al- tresì ornata di peli sparsi, o conglutinati insieme sotto forma di unghie o di corni, dalla esterna superficie si ri- piega per penetrare entro il corpo stesso in sei luoghi distinti e collocati alle estremità del tronco; cioè negli orecchi, negli occhi, nelle narici e nella bocca alla estre- mità anteriore; nell’ano e nell’apparato genito-urinario alla estremità posteriore. Nel ripiegarsi nell'interno del corpo la pelle si assottiglia, si affina, si modifica insomma per adattarsi ai nuovi uflicj, cui è chiamata, e cangia anco nome assumendo quello di muccosa. Se voi volete vedere questo trasmutamento di pelle in muccosa, guardatela sulle labbra di un uomo, od anche di un bove. Ma te- niamo dietro a questi sei ripiegamenti della pelle diven- tata muccosa, e cominciamo da quelli della testa. Negli orecchi forma un corto sacco, il quale riposa col suo fondo sulla membrana del timpano ; negli occhi riveste sotto il nome di corgiuntiva la faccia interna delle due palpebre , ed il globo dell'occhio: poi entra pei punti /a- grimali nel naso e tappezza i così detti canali nasali , 12 contribuendo in tal guisa a formare le vie /agrimali. L’umore, segregato senza posa dalle g/andule dello stesso nome situate al lato esterno dell'occhio, umetta del con- tinuo la congiuntiva per agevolare i movimenti delle pal- pebre e del globo dell'occhio ; ed il suo soperchio entra pei punti lagrimali (che voi scorgerete arrovesciando la palpebra inferiore su quella prominenzina che forma il suo orlo presso al pelaghetto, ove nel piangere radunansi le lagrime) nei canali nasali, e poi nelle cavità proprie del naso. Perciò se il naso s’intasa nel pianto, n'è cagione l'amor lagrimale che vi cola più abbondantemente, men- tre il soperchio trabocca dal pelaghetto lagrimale, e gocciola giù per le gote. i Nelle narici la muccosa riveste le cavità nasali, si incontra e si confonde con quella che scende dagli occhi, e poi passa nelle fauci: sapete certamente che a colui, il quale ride in bevendo, può avvenire che il liquido en- trato per la bocca e giunto alle fauci, ritorni fuori per le narici. Ma alle fauci giunge altresì la muccosa per al- tra via, cioè per la bocca, e si continua con quella del naso ; talchè i due canali formati dalla medesima muc- cosa, il nasale ed il boccale, confondonsi nelle fauci in un solo, ma per poco; conciossiachè tosto se ne rifor- mano due, dei quali il primo entra per la canna dell’aria a rivestire il cavo dei polmoni, e l’altro per l’esofago a foderare quello del tubo digerente insino all’ano. Ma le cavità nasali servono all’entrata dell’aria, sic- chè connettonsi coi polmoni formando le così dette vie respiratorie , mentre la bocca fa lo stesso col canale di- gerente per le vie digestive; cosicchè le due vie s’ incro- cicchiano nelle fauci per modo che la via respiratoria, ch'era superiore nel naso, diventa inferiore nella trachea, e la digestiva, ch’era inferiore nella bocca, soprasta alla respiratoria nell’esofago, il quale collocasi sulla ‘rachea. 13 Dalla bocca inoltre la muccosa penetra nei condotti sa- livari per mezzo di piccole aperture, che stanno sotto alla lingua, o sopra la interna faccia delle guance; e dalle fauci nell'interno dell'orecchio mediante i canali così detti di Eustachio. È per ciò che nelle infiammazioni delle fauci e nelle corizze l’udito si fa duro. Nell’orecchio però la muccosa delle fauci non si continua colla pelle del padiglio- ne, perchè vi forma un sacco, il cui fondo si addossa alla membrana del timpano, la quale lo separa dal fondo del sacco esterno, che abbiamo veduto entrare per l’orifizio esteriore di esso orecchio. Dal canale digerente passa la muccosa in certe glandule, che chiamansi fegato e pan- - creas, per mezzo dei canali biliare e pancreatico. All’altra estremità del tronco la pelle diventa muccosa all’orifizio dell'ano (ove poi si continua con quella che viene dalla bocca), ed alle aperture dei condotti genito- urinarit. Quivi nei maschi percorre il canale della verga, e giunta a certo punto forma tre separati dutti, dei quali il maggiore tappezza la vessica, e poi si suddivide in altri due tubi che rivestono gli ureteri infino ai reni, e parte del- l’interiore di questi organi; mentre i due altri dutti minori foderano i condottini spermatici, colle loro vessichette di deposito, insino ai testicoli. Nella femmina la muccosa riveste le pudende, e poi, come nel maschio, va a tap- pezzare da una parte le vie dell'urina, e dall'altra le ge- nitali, che quì si compongono dalla vagina e dall’utero, in cui formano unico tubo, che poi si bipartisce per rive- stire le trombe di Falloppio, il cui ufficio è di prendere le uova dalle ovaje per condurle nell’utero. Riassumendo adunque le cose accennate diremo, che il tegumento, il quale in figura di pelle cuopre il corpo per di fuori, lo fodera in certo modo per di dentro in forma di canale digerente, con cui comunica alla bocca ed all'ano, e senza tener conto degli altri prolungamenti, che 14 vi fa penetrare all'orecchio ed ai genitali esterni (prolun- gamenti senza uscita ed indipendenti dal canale digerente), e senza tener conto di quelli, che per gli occhi e per le narici entrano nelle fauci, dove comunicano con esso ca- nale, e vanno a tappezzare con altri prolungamenti senza uscita l'albero delle vie respiratorie. Ora dentro a questa specie di doppio tubo, l'uno esterno costituito dalla pelle, e l’altro interno , rappresentato dal canale digerente, stanno inchiusi gli organi tutti, che sono più importanti alla vita, e di cui darò un cenno. Aggiungerò frattanto che se vi riuscisse malagevole di ridurre a tante semplicità l’orga- nismo dei nostri animali, potreste dare uno sguardo a quello del baco da seta che vi presento, nel quale i due tubi sono semplici e diritti, e l’uno dall’altro poco dissimili. Negli animali inferiori il tubo digerente, che comincia colla bocca e passa nelle fauci, ossia nella faringe, si ri- strigne nell’esofago , si slarga di nuovo nello stomaco, e torna ad impiccolirsi nell’intestino ; il quale dopo di es- sersi contorto in moltiplici giri finisce all’ano. Anzi nel bove e nella pecora vi ha quattro stomachi in luogo di uno, siccome vedremo per innanzi. Tuttavia potrete sem- pre ritenere questo lungo ed inegualissimo canale siccome un semplice tubo interno. $. 4. Tutti gli organi racchiusi tra la faccia interna del tubo esterno, ossia della pelle, e la faccia esterna del tubo interno, ossia del canale digerente, hanno nei nostri animali per solido fondamento, che tutti in certo modo li ritiene e ‘consolida, lo scheletro; dal quale pren- deremo le mosse nella nostra rapida descrizione. Lo sche- letro si compone di diversi pezzi insieme congiunti, i quali pezzi sono ossa, cartilagini e ligamenti. Quanto alle ossa nissuno di voi ignora che cosa siano. Le cartilagini hanno l’ordito dell'osso in certo modo senza tutto il ri- pieno delle materie terrose ; sicchè sono pieghevoli ed ela- 15 stiche: il nostro orecchio per esempio ha per sostegno della pelle una cartilagine; e voi a desinare se avete da- vanti un pezzo di lombata, non potete farne più parti che tagliando le cartilagini, le quali tengono insieme le vertebre. I ligamenti sono fasci di fibre poco distendibili e molto resistenti. In un pezzo d’arrosto di vitella di latte dalla parte dell’anca, troverete l'osso della coscia fermato a quello dell'anca per mezzo di un forte cordone, ch'è per l'appunto un ligamento. Se il ligamento è in forma di tela, e non di cordone, chiamasi aporevrosi com'è quello che fascia la detta articolazione dell’anca. Le ossa si articolano fra di loro, ora per mezzo di su- ture che non permettono loro alcun movimento , come po- tete vedere su questo cranio , che vi metto sott'occhio ; ora per mezzo di cartilagini che concedono qualche mo- vimento, secondochè accade nella colonna vertebrale, ed ora per mezzo di ligamenti i quali rendono la congiunzione, ossia l'articolazione, molto più mobile siccome potete ve- dere nell'unione della coscia al tronco. E laddove i mo- vimenti debbono esser liberissimi e frequenti, le parti ossee sono aceonciamente conformate, e rivestite di uno strato cartilaginoso tappezzato da una membrana, la quale separa un umore vischioso come densa saponata detto sirovia, e che serve a scemare gli attriti. Aprite la cavità del gar- retto in un cosciotto di majale, od anche di una gallina, e troverete la sinovia e la sua membrana. Lo scheletro formato, come si è detto, dalla congian- zione delle ossa per mezzo di cartilagini e di ligamenti, ha, direi quasi, il suo fondamento in uno stipite costi- tuito di piccoli ossi cavi, e l’uno all’altro simiglianti, detti vertebre; il quale stipite ricorre lungo il collo e la schiena dell’animale sotto il nome di colonna vertebrale. In essa possonsi distinguere tre porzioni denominate , cervicale la prima, che forma il collo; dorsale la seconda, cui sono 16 attaccate le coste; lombare l’ultima, che sta indietro. Cotali ossi poi digradano passo passo e si assottigliano indietro per formare prima l’osso sacro, che sostiene la pelvi, e poi il coccige ossia osso della coda, mentre in avanti sfiguransi in guisa ancor più strana ed irricono- scibile modificandosi e rappianandosi per formare il cavo dal cranio. Le vertebre colle loro modificazioni alle due estremità della colonna formano assieme congiunte un canale continuo , nel quale sta alloggiato l’encefalo, il midollo spinale e la coda equina, ossia il grosso fascio di nervi che ne nascono indietro, e che debbonsi distribuire alle parti posteriori dell’animale. Alla colonna vertebrale, compresovi il cranio, si con- giungono taluni ossi per formare importanti gabbie ossee, o cavita che vogliate chiamarle. Ne contiamo tre: delle quali una risulta dall’articolazione col cranio di due ossa, chiamate mascellari, le quali saldansi davanti sul mento. Entrambe queste ossa sono fornite di denti, i quali per la diversa forma distinguonsi in iucisivi, canini e mola- ri. Siffatti denti, dei quali alcuni cadono in certa età e rinnovellansi, non debbono tenersi per vere ossa, ma bensì come analoghi ai peli ed alle unghie. Il dente infatti non ha la struttura dell’osso, è conficcato nell’alveolo come il pelo nel suo ricettacolo della pelle, ed ha ancor esso una specie di matrice. Oltrechè i denti cadono e si rinnuovano come i peli e le unghie, vi aggiungo che le balene hanno nel posto dei denti vere unghie cornee, che nel commer- cio chiamansi impropriamente coste di balena. Il dente ha la radice, ch'è conficcata nell’alveolo, la corona, che sopravanza e ch'è coperta di un intonaco durissimo di smalto, ed il colletto, che separa le due parti accennate. Nel suo tratto dorsale la colonna vertebrale si arti- cola colle costole, le quali ricurvansi in avanti e connet- tonsi allo sterzo formando una gabbia, o cavità, chia- 17 mata torace. La colonna vertebrale, che si continua in dietro sotto il nome di osso sacro, si congiunge con due ossa larghe, che ricurvansi e saldansi in avanti nel pu- be: appellansi cotali ossa ilzache ; e pelvi, 0 bacino, la cavità che formano. Alla cassa del torace connettonsi nell'uomo per mezzo di un osso detto clavicola (che voi potrete palpare lad- dove comincia il collo presso al giugulo), e negli animali per mezzo di muscoli, due serie di ossa che formano il sostegno solido ed in certo modo l’anima delle appendici o membra anteriori del tronco da noi già descritte. Si- milmente alla pelvi connettonsi altre due serie di ossa consi- mili, che formano l’anima delle rispettive appendici o mem- bri posteriori. Nella serie anteriore troviamo: 1.° l’osso della spalla, ossia la scapola detta anche omoplata R (Fig. 2.%); 2.° l'osso del braccio, ossia l’omero ; 3.° le ossa del- l’avambraccio, ossia il raggio ed il cubito insieme uniti T; 4.° gli ossetti del carpo , che formano il così detto g<- nocchio D; 5.° le ossa del metacarpo, che costituiscono il cannone anteriore O; 6.° gli ossetti sesamoidi interposti fra il cannone ed il pasturale, e che formano la rocca P; 7.° l’osso del pasturale, ch'è la prima falange Q; 8.° il coronale , che n'è la seconda X ; 9.° l'osso dello zoccolo Z, che n'è la terza. La serie posteriore contiene: 1.° l’osso della coscia, o femore S'; 2. la rotula 0 rotella, che stà davanti all’articolazione del femore coll’altro osso vicino; 3.° la tibia ed il peroneo T', insieme riuniti a formar la gamba ; 4.° le ossa del tarso D', di cui il calcagno forma la punta del garretto ; 5.° le ossa del metatarso O', che formano il cannone posteriore; 6.° il pasturale 0 prima falange Q'; 7.° il coronale X' 0 seconda falange ; 8.° l'osso dello zoccolo Z' o terza falange. $. 5. Lo scheletro è ricoperto di muscoli che svolgono la forza motrice. Ma diciamo innanzi tratto che cosa sia 3 18 un muscolo. Questo pezzo di carne, che vi mostro, è per l'appunto un muscolo, il quale è ancora attaccato alle sue due ossa l'omero ed il raggio (Fig. 3.*). Dissecando questo muscolo voi vedete dei fasciolini di fibre rosse, le quali sono attaccate all’omero per mezzo di fibre bianche e lucenti, che diconsi aponevratiche; ed al raggio mercè le mede- sime fibre, le quali essendo riunite in un fascio prendono il nome di tendine. Io contraggo fortemente i muscoli flessori della mia mano, e voi vedete i tendini sollevare la pelle e mostrarsi come corde tese. Le fibre rosse sono le sole contrattili, e che quindi producono la forza, men- tre le bianche servono a tramandar essa forza alle ossa, ed in genere agli organi, che i muscoli sono destinati a muovere. Tra questi muscoli, che avviluppano le ossa, ve ne ha di quelli che compiono e suddividono le cavità lasciate dal connettersi delle ossa. Infatti la Bocca è formata, oltre’ alle ossa della testa e della mascella inferiore, di muscoli che riempiono lo spazio lasciato dalle due ossa della mascella inferiore , collegandosi con l’osso joide e distendonsi tra la mascella superiore e la inferiore formando le guance, ie lab- bra ec. Parimente gli spazj intercostali sono riempiti di mu- scoli, i quali riuniscono eziandio le ossa iliache fra di loro indietro ed in avanti colle costole, collo sterno e colle ver- tebre chiudendo così una grande cavità, la quale è in due suddivisa da un altro muscolo trasversale detto diaframma (che in greco significa tramezzo). La cavità che rimane in avanti al diaframma è il petto 0 torace , e quella di dietro è il bassoventre : il petto è formato tutt’all’iutorno di ossa con intervalli muscolari, ma il bassoventre è per la mag- gior parte carnoso. Nella cavità della bocca sta la lingua , ch'è ne- gli animali organo di presa degli alimenti, di mastica- zione e di deglutizione. Nel petto trovansi inchiusi, oltre 19 all'esofago, i polmoni, il cuore ed i grossi vasi tanto ar- teriosi, i quali dal cuore vanno a ramificarsi l'uno nel pol- mone e l’altro in tutto il corpo , quanto venosi, di cui gli uni raccolgono le ramificazioni delle vene, che dal pol- mone vauno al cuore; e gli altri quelle che vi si recano da tutte le parti del corpo. Nel bassoventre vi ha lo stomaco e tutto l'intestino colle sue due glandule atti- nenti, il fegato ed il pancreas, e poi la milza, i reni coi loro condotti escretori, compresa la vescica urinaria, e gli organi genitali. Questi ultimi nella femmina si compon- gono della vagina , dell'utero, delle due trombe di Falloppio, e dell’ovaja , che stanno nella cavità addomi- nale; mentre nel maschio sono costituiti dalla verga ch’ è l'analogo della vagina, ma che trovasi fuori del basso- ventre, delle vescichette seminali, che corrispondono alle corna dell’utero della vacca o della pecora, dei condotti deferenti e dei testicoli; i quali ora stanno nell’addome ed ora fuori di esso colla propria borsa. Avrete notata la. somiglianza degli apparecchi genitali nei due sessi; im- perciocchè i testicoli corrispondono alle ovaje perchè gli uni segregano il /iguore fecondante e le altre l'uovo da fecondare; i condotti deferenti portano lo sperma nelle vescichette seminali come le trombe adducono l'uovo nel- l'utero; le vescichette mentovate ricettano per un certo tempo lo sperma come fa l’utero rispetto all'uovo; e finalmente il canale della verga ejacula lo sperma come la vagina manda fuori l’uovo più o meno sviluppato dal suo soggiorno nell’utero. $. 6. Aggiungiamo poche parole intorno alle mammelle come glandole che segregano il latte, ed intorno ai bulbi dei peli, i quali ci porgono la lana. Le mammelle si com- pongono di corpiccioli ghiandulari detti acini, i quali riu- nisconsi insieme come le chicca dell'uva nel grappolo. Il che fanno coll’ajuto di canalini escretori, dei quali i più 20 piccoli fan capo ai più grossi fino a che non si terminano ai capezzoli. Non di rado, lungo il corso dei canali escretori del latte, o galattofori, trovansi specie di seni assai larghi, i quali servono di ricettacoli al latte stesso. Nella mucca son cotali seni ampj e numerosi tanto da poter contenere molto liquido. Il vitellino, il quale nel poppare dà delle capate alle mammelle, il fa per vuotare i predetti seni. Nelle mammelle diramansi molti vasi arteriosi e venosi: questi ultimi raccolgonsi in due tronchi, i quali scorrono sull'addome, e traversando il costato entrano pel foro mam- mario nel petto. Tenete bene a mente queste particolarità organiche, di cui in seguito ci gioveremo. I peli son materia segregata da una matrice partico- lare annidata nella pelle, ed a cui si dà il nome di bulbo. Il bulbo è un orcioletto di tessitura particolare con intrec- cio di vasi e di nervi. Fino a tanto che il bulbo rimane. sano al suo posto, i peli rimettono dopo la loro caduta ; ma distrutto che sia esso bulbo non vi è più Qu: a spe- rare nuova cacciata. S. 7. Tutti gli organi, di cui abbiamo fatto una som- maria indicazione, sono ravvolti in un tessuto molle, fila- mentoso ed elastico detto cellulare, che tutti li riunisce coll’ inframmettervisi. Così le fibre dei muscoli aderiscono le une alle altre per mezzo del cellulare, il quale riem- piendosi di grasso dà aspetto marmoreo alla carne tagliata in traverso. Insomma questo tessuto costituisce, a dir così, l’ordito di tutti gli organi, e nel quale a formarli si assimila e deposita il respettivo ripieno. L’adipe, che si produce negli animali all’ingrasso, penetra anch'esso e riempie il tessuto cellulare. LEZIONE ll. NOZIONI DI FISIOLOGIA, OSSIA DELLE FUNZIONI DEGLI ANIMALI. -—@©—- SOMMARIO. S. 4. Funzioni di nutrizione. $. 2. funzioni di riproduzione. $. 3. Dispo- ‘sizioni organiche dell'apparato locomotore. $. 4. Funzioni dell’appa- recchio locomotore nella stazione e nei principali movimenti. $. 5. Dei temperamenti. $. 4. Nella precedente lezione vi feci conoscere gli or- gani più importanti dei nostri animali, ed ora è tempo di metterli in giuoco e vederne gli uflicj, che con propria voce diconsi funzioni. Per concepire l'insieme di esse funzioni dovete notare che l’animale si nutrisce affine di compiere e conservare il proprio corpo; si riproduce a perpetuar la specie, sente e si muove per adempiere l'uno e l’altro dei predetti fini. Adunque possonsi spartire «tutte le funzioni, o gli organi addettivi, in tre gruppi o categorie: 1.° organi e funzioni di nutrizione ; 2.° or- gani e funzioni di riproduzione; 3.° organi e funzioni di relazione. Mi propongo di dirvi qualcosa delle primarie funzioni, cominciando da quelle che più ci preme di co- noscere, cioè dalle nutrienti, le quali trasformano le ma- terie prime, l'alimento e la bevanda, nei diversi prodotti, che l'industria richiede agli animali. Gli alimenti vengono presi dalle labbra e dalla lingua , e recisi dai denti incisivi. Entrati nel cavo della bocca vi sono masticati dai denti molari, che fanno l’ officio di 22 macine, sotto la cui azione vengono addotti dalla lingua, la quale in certo modo opera a simiglianza della pala nel macello dei frantoj. Durante la masticazione le glandule salivari, che stanno presso alle mascelle, fan colare su- gli alimenti la saliva che li rammollisce, e ne agevola la triturazione. Masticato ed insalivato il cibo passa coll’ajuto della lingua nelle fauci, e quindi nell’esofago e nello sto- maco, ove si digerisce e si trasmuta in una poltiglia detta chimo. In alcuni animali, come sarebbero il cavallo ed il majale, questa trasformazione degli alimenti, chiamata chimificazione, sì opera in uno stomaco semplice ed imperfettamente diviso in due cavità, ma nella pecora e nel bove diventa quest’organo più complicato , essendochè si compone di quattro cavità; delle quali la prima, chia- mata rumine, riceve l'alimento dall’esofago, e lo fa poscia passare nella seconda, detta reticolo. Entrambe lo rammolli- scono e l’assottigliano. Quindi il reticolo lo rispinge nella bocca perchè vi sia rimasticato e reso più fluido. Compita quest’operazione, che dicesi ruminazione, il cibo ridiscende nell’addome; ma in luogo di ritornare ne’due primi stoma- chi, ossia nel ruzize o nel reticolo, passa nel terzo, detto centopelli, per mezzo di questa doccia, che quì vi mostro formata da un doppio ripiegamento della muccosa. Il cibo dopo la prima masticazione è troppo grossolano ; talchè non potendo entrare nella detta doccia cade nel rumine, in cui immette direttamente l’esofago ; ma reso più fluido e sottile dalla ruminazione scende bel bello lungo l’esofago, entra nella doccia e, senza cascare nel rumine o nel reticolo, va nel centopelli, le cui moltiplici lamine ne penetrano la massa, e moltiplicando i contatti delle particelle del chimo cogli umori digerenti contribuiscono ad assimilarlo mag- giormente. Dal centopelli passa nell’ultimo stomaco, in cui si perfeziona la chimificazione. Entra quindi il chimo nel- l'intestino, ove per mezzo della bile, venuta giù dal fe- 23 gato, e dell’umor pancreatico, convertesi in chilo , ch’ è uno stato ‘più simile e prossimo al sangue. Via via che il chilo procede nell’intestino, vi si viene elaborando, ed è succiato dalle vene e da altri vasi detti chiliferi, e quindi mescolato al sangue, mentre il residuo esce finalmente dall’ano sotto forma di sterco. La parte mescolata al sangue va con esso al cuore che lo spinge nei polmoni, dove soggiace all’azione dell’aria atmosferica, diventa rosso da nero che era, e ritorna per appositi vasi al cuore , ma in cavità diverse da quelle che lo avviarono al polmone. Il cuore per mezzo di appositi vasi, detti arterie, lo distribuisce a tutte le membra del cor- po, in cui una prima parte si organa assimilata dai diversi congegui solidi della macchina, una seconda sì trasmuta in fluidi, di cui alcuni vengono o per intiero cacciati fuora per ta pelle, per le mammelle, pei reni ec., sotto forma di sudore, di latte, di urina ec., o parzialmente come il mucco ed i diversi altri umori segregati dalla membrana muccosa ; e altri vengono per intiero riassorbiti come son tutti quelli segregati nelle cavità chiuse del peritoneo, della pleura, delle articolazioni ec. Un'ultima parte entra nelle vene, le quali riportanla al cuore. ‘Adunque l'alimento ingojato e digerito si partisce in materia assimilabile, la quale viene assorbita, ed in escre- mento che si caccia fuori dal corpo. La materia assimilabile assorbita si mischia al sangue, e poi si suddivide in sostanze, che alla pelle, ai reni ec., si espellono, ed in sostanze che si organano. Queste sostanze medesime però, dopo di aver formato parte degli organi, se ne distaccano , ritor- nano nelle vene a mescolarsi col sangue, il quale accoglie altresì il nuovo chilo, e con esso vanno al polmone per subirvi nuove elaborazioni e depuramenti , che le rendono atte ad una nuova assimilazione e ad un novello organa- mento. In tale guisa l'organismo si rinnuova incessante- 24 mente; e le vecchie particelle rimesse, per così dire, a nuovo col farle ripassare per le trafile assimilative si purgano delle loro impurità, le quali vanno nelle urine, nel sudore ec., come la scoria che il fuoco delle nostre fucine separa dal ferro. | Dalle predette cose apparisce che gli alimenti e le bevande sono trasformate in sangue, che è in certo modo il magazzino generale della macchina animale. Da questo sangue vengono somministrati i materiali per la formazione dei solidi e dei liquidi del corpo, eda cui ri- tornano poi in parte gli stessi materiali già vecchi ed usati per mescolarsi ai nuovi e freschi convenutivi dal tubo digerente. L’alimento adunque fluidificato dalla digestione I si solidifica in parte negli organi, che se lo appropriano, e poscia dipartendosene si rifluidifica per quindi rapprendersi di nuovo e riconsolidarsi. Ma in tutte queste metamorfosi se ne fa grande sciupìo : sciupìo nel canale digerente per lo sterco; sciupìo nei polmoni , nella pelle, nei reni ec.,. per la espirazione, il sudore, l'urina ec. Pertanto le macchine viventi disperdono una buona parte delle materie alimentari, che consumano pel proprio rinnuovamento. Nelle macchine morte vi è nella trasformazione delle materie una perdita paragonabile a quella, che nelle viventi si fa per lo ster- co; ma manca affatto l’altra derivante dal citato rinnuo- vamento. Tenete bene a mente questa differenza; impe- rocchè se un filatojo vi porge un prodotto proporzionato alla materia da filare, che gli apprestate, un bove non vi darà tanta carne che stia in proporzione cogli alimenti che ingoja, dai quali devesi prelevare una quota pel puro rinnuovamento degli organi, e non serve che il resto alla produzione industriale. Se voi adunque pascete tanto scarsamente un animale quanto basti al cennato rinnuova- mento senza più, sciuperete il vostro cibo. Da ciò che abbiamo detto della nutrizione conseguita altresì che gli | | | I | | organi si appropriano di continuo nuove particelle, e ne abbandonano delle vecchie. In questo incessante scambio se le prime la vincono sulle seconde vi ha ingrossamento , e nel caso contrario vi ha assottigliamento. Ora finchè l'organismo è in via di accrescimento naturale , le sue parti ingrossan tutte con vitto copioso. Finita però la detta età giovanile è quasi il solo tessuto cellulare che ingrossa caricandosi di adipe ; e nella vecchiezza intorpi- discesi altresì l’attività di tale tessuto, sicchè l’animale non potrà ingrassare che poco, e coll’ajuto di alimenti so- stanziosi. Vedremo a tempo ed a luogo le applicazioni di queste conseguenze. S. 2. Ora che abbiamo acquistato un’ idea complessiva delle fanziuni assimilatrici della macchina animale, ag- giungiamo qualcosa di quelle deputate a riprodurre là spe- cie. Negli animali, di cui ci occupiamo, gli organi gene- rativi stanno in individui separati, e si distinguono in organi segretorj ed in organi escretorj. Tra i segretorj abbiamo già detto che vi ha il testicolo nel maschio, e l'ovaja nella femmina. Tra li escretorj si contano i con- dotti deferenti, le vescichette spermatiche, i canali ejaculatori e la verga nel maschio; e nella femmina gli ovidutti, o trombe falloppiane , la matrice e la vagi- na. Negli animali , che formano il soggetto che ci occupa, le materie segregate si soffermano in certe parti dei loro condotti, cioè nelle vessichette spermatiche, che fan l'uf- ficio di serbatojo, e nella matrice, ove l’ovolo fecondato soggiorna assai lungamente per svilupparsi tanto che possa poi , venendo fuori, quasi compiersi l'evoluzione coll’ajuto del latte. Le mammelle perciò sono un'appendice comple- mentaria degli apparecchi generativi, e si compongono della parte segregante e dei condotti escretori, i quali di- latansi in alcuni luoghi per formare dei serbato] lattei. 4. 26 Ora ecco in poche parole ciò che ha luogo nella mol- tiplicazione della specie negli animali, di cui favelliamo,. L’umore prolifico elaborato nel testicolo passa nelle vesci- chette seminali; che lo tengono in serbo perchè nell’atto della copula venga lanciato nell’apparato femmineo, in cui l’ovaja ha già preparato gli ovuli. Questi, fecondati dal predetto umore, e discesi nell’utero, vi aderiscono per mezzo della placenta a succhiarvi il nutrimento, che dovrà svi- luppare il nuovo organismo : i cani, essendo privi di vessi- chette seminali, debbono perciò rimanere accoppiati per qual- che tempo. Venuto alla luce il prodotto del concepimento, le mammelle continuano l’opera alimentare dell'utero, finchè l'apparato digestivo non sia abbastanza forte da elaborare convenientemente cibi più lontani dall'indole animale, che non è il latte. Il nuovo organismo perciò fino ad un certo grado di evoluzione è nutrito col sangue della madre; poi col latte, e da ultimo con cibi da doversi assimilare per intiero. S$. 3. Le funzioni di relazione comprendono la sensa- zione, gli atti cerebrali, ed il movimento. Ma per la pa- storizia possiamo tralasciare di occuparci della prima e dei secondi, limitandoci ai soli movimenti. L’ apparato locomotore si compone essenzialmente di ossa , che formano le leve, e di muscoli, che dispiegano la forza sopra di esse. Le ossa poi nelle articolazioni hanno rilegature ela- stiche chiamate cartilagini, che ammorzano gli urti, membrane sinoviali per iscemare gli attriti, e ligamenti per mantenere le estremità ossee congiunte. I muscoli .poi hanno fibre contrattili , che generan la forza, e fibre non contrattili, le quali formano i tendini e le apo- nevrosi che si collegano alle ossa, cui tramandano il movimento. Ed è ammirabile l’osservare con che maestria e semplicità di mezzi i tendini sono avvolti da guaine 27 sottili, ma tenaci, flessibili ed elastiche , affinchè ne’ membri, dove molti di essi tendini s’incrocicchiano o si soprap- pongono, i movimenti rimangano separati senza turbamento alcuno. I muscoli, che si contraggono, possono imprimere agli ossi dei movimenti che li pieghino l’uno sull’altro , 0 che li raddirizzino: nel primo caso diconsi /lessori, e nel secondo estensori. Se io, a cagion di esempio, piego l'avambraccio sul braccio, il movimento è operato dai flessori, e se allontano l’uno dall’altro, lo faccio per virtù degli estensori. Talora il movimento si considera rispetto ad un piano verticale, che divide in due metà il corpo dell'animale passando per la schiena e l’umbilico. Quei muscoli, che avvicinano gli arti a questo piano, ad- dimandansi adduttori, ed abduttori gli altri che ne gli allontanano. Così se io accosto il braccio al mio tronco metto in attività i muscoli adduttori, e se ne lo discosto fo funzionare gli abduttori. Lasciando da parte i muscoli del collo e della testa, che fan poco ai nostri bisogni, vi dirò che la schiena è munita di fortissimi estensori, i quali operano allorchè un animale tira un peso : essi stanno in gran parte attaccati alla faccia superiore della colonna vertebrale. I flessori son meno potenti; e non mancano di quelli che operano dei movimenti laterali. Ma i muscoli più importanti per noi son quelli che muovono i membri anteriori ed i posteriori. Dagli ossi, che formano la pelvi, si dipartono fortissi- mi muscoli, i quali si vanno ad attaccare all'estremità su- periore dell’osso della coscia, cui distendono tirandolo in dietro. A questo medesimo osso ne aderiscono altri , i quali sì attaccan poi alla rotella, e lo estendono rispetto a quello della gamba. Altri si partono dagli ossi della gamba, dei quali i più forti e voluminosi si attaccano alla punta del garetto , che corrisponde al nostro calcagno , mentre altri con lunghi tendini corrono lungo il cannone posteriore, 28 il pasturale e gli altri ossi insino alle falangi unghiate per guisa da servire alla loro estensione ed alla flessione sia nel traslocamento del corpo e sia nella stazione. Nei membri anteriori alquanti muscoli robusti si dipartono dalla colonna vertebrale, dallo sterno, dalla scapula o dalle coste, e si attaccano qualcuno alla scapula stessa onde tenerla al suo posto nel difetto di rilegature ossee, che la congiungano al corpo dello scheletro, e gli altri vanno ad attaccarsi alla estremità superiore dell'osso del braccio, ossia all’omero. Da questo si dipartono , come nel membro posteriore, altri muscoli, che si attaccano all'estremità superiore degli ossi dell'avambraccio; e dai medesimi hanno origine quelli, che addossati al cannone anteriore,ed alla fila degli altri ossì, vanno alle falangi unghiate anteriori. Per intender meglio il giuoco di siffatti muscoli date un'occhiata a questo scheletro (fig. 2.%). Vi avvedete che tanto i membri anteriori quanto i posteriori formano in virtù del modo di articolazione dei zig-zag, i cui angoli mantengono alcune disposizioni particolari degne di esser notate. Il vertice dell'angolo che fa la scapola coll’omero guarda in avanti, e quello del femore colla pelvi in dietro. Il vertice dell'angolo del femore cogli ossi della gamba è rivolto in avanti, e quello dell’omero cogli ossi dell’avam- braccio in dietro, sicchè nella flessione dei due membri tali vertici sì ravvicinano l'uno all’altro. ll garetto guarda in- dietro, ed.il così detto ginocchio in avanti; sicchè si al- lontanano nella flessione. Le articolazioni dei cannoni coi pasturali, e quelle delle successive falangi, si fanno pel medesimo verso, cioè coi vertici in avanti: talchè nella flessione rimangono nelle stesse relazioni di distanza. E da guardare inoltre alle prominenze ossee, cui si attaccano diversi muscoli, e che fanno l'ufficio di leve, ed ai diversi angoli, che risultano dai pezzi ossei fra di loro articolati : gli angoli che più si avvicinano al retto, e le __r_.r.i:g “»; rg «@«««/]/“‘ —— E.—TEeeeeo.iIi—wbk2r[ 'EXAyJeyyeb-luloEieiii;ò,A):_ 5 ;,,òKAD?:7Hy,[© 27 29 prominenze più lunghe prestando ajuto alla potenza son cagione di aumento negli effetti della forza. Infatti la potenza motrice opera un maggiore effetto se applicata sopra un braccio di leva più lungo, c se agisce in direzione più prossima ad una retta verticale al brac- cio stesso. Pertanto nei cavalli da tiro il cannone vuol esser naturalmente piegato sulla gamba , ed il garetto lungo ; le tuberosità ischiatiche sporgenti in dietro ; la sca- pula piegata sull’omero, sporgente la punta del cubito, ec. I movimenti però saranno così più forti, ma meno estesi; sicchè si perde in celerità quanto si è guadagnato in forza. Perciò i cavalli da corsa hanno contrarie disposizioni alle indicate. La lunghezza delle ossa e dei muscoli accresce del pari l'estensione dei movimenti, e quindi la rapidità della locomozione a scapito della forza; ed i muscoli per- dono in diametro quanto hanno di più in lunghezza. Per farvi meglio intendere le funzioni degli organi della locomozione vo’ entrare in altre particolarità. I muscoli nell’agire si contraggono, cioè si scorciano ; talchè muo- vono le leve ossee, cui si attaccano, e servon così ad al- lontanarle, se operano gli estensori e gli abduttori, ovvero a ravvicinarle se contraggonsi i flessori o gli adduttori. Se voi volete avvicinare il vostro avambraccio al braccio contraete quei muscoli che stanno al di sopra ed in avanti della piegatura del gomito; e se volete raddirizzarlo con- traete quelli che le stanno dietro. Se li fate agire con- temporaneamente irrigidite il braccio e l’avambraccio, e ne formerete per poco un sol pezzo.. Un animale per- tanto, che sta diritto sulle sue membra, mette in azione in vario grado molti dei muscoli di opposta azione, che le formano. Nel muoversi all’ incontro operano ora gli esten- sori ed ora i flessori, sicchè si riposano alternativa- mente. Pertanto avrete potuto osservare che un cavallo alla stalla si tiene ritto sopra alcune soltanto delle sue 30 membra facendone riposare uno o due a vicenda. Lo stesso accade a noi quando siamo forzati a stare ritti per molto tempo : allora ci teniamo ora sul piede destro, ed ora sul sinistro. Vediamo frattanto il giuoco dei principali pezzi dell'apparato locomotore nelle circostanze più ovvie. Se date un'occhiata complessiva a questo scheletro di ca- vallo, che vi metto sott'occhio, vi accorgete di potervi consi- derare una specie di arco formato dalla colonna vertebrale del tronco, e sostenuto da quattro pilastri rappresentati dalle membra. In avanti poi di questa sorte di edifizio sta il collo terminato dalla testa, che lo fa pendere in avanti, e di cui quanto prima esamineremo l’ ufficio : fermiamoci per ora a considerare il nostro arco sostenuto dai - suoi pilastri. L'arco si compone di un gran numero di pez- zetti ossei collegati insieme da altri pezzetti interpostivi di natura cartilaginosa, e quindi molto elastici; ed è for- tificata la congiunzione da numerose fibre ligamentose. All’arco costituito dalla schiena, stanno attaccate in avan- ti le coste, le quali son congiunte in basso dallo sterno, per formare la cassa del torace, mentrechè in dietro son fer- mati agli ossi iliaci, che compongono il bacino. Ora i due pi- lastri posteriori puntellano il bacino per mezzo di una testa emisferica, la quale entra in una fossetta di egual forma, e scavata nell’osso iliaco: l'articolazione è fortificata da un poderoso ligamento. Il torace poggia sopra i pilastri anteriori, ma senza articolazioni nè apparecchi ligamentosi speciali. La estremità superiore di cotali pilastri anteriori è semisferica, ed adattasi ad una cavità dell’osso della spalla, ossia della scapola; ma quest’osso non è congiunto al torace se non per mezzo di muscoli. Nell'uomo l'osso della scapola è collegato allo sterno mercè la clavicola, la quale manca nel cavallo e nel bove. Nulladimeno i due ossi scapolari si slargano alquanto da sotto in sopra e da dentro in fuori onde abbracciare e sostenere il torace; e sono in questo 31 ufficio ajutati da molti e robusti muscoli, i quali si at- taccano alla scapola ed alla spina da una parte, ed allo sterno, alle coste ed al braccio dall’altra. Notate frattanto questa differenza importante nell’appoggio dell'arco ai suoi pilastri; che cioè in dietro si fa per mezzo di una immediata contiguità di ossi, ed in avanti no: ma che nel primo .caso l’estremità superiore del membro resta la- terale al bacino, e per congiungerglisi si ripiega in dentro ad angolo, mentre nel secondo caso l’estremità del membro si continua quasi nello stesso piano della scapola. Questa diversità è coordinata ad addolcire le scosse nel camminare dell'animale; poichè se il membro posteriore puntellasse dirittamente il bacino, l’urto dello zoccolo contro il suolo si propagherebbe di tratto al bacino, e quindi a tutto il corpo; mentre si ammorza coll’ajuto della mentovata obliquità, la quale non è necessaria negli arti anteriori, perchè la scapola è separata dal torace da parti molli, che servono allo stesso ufficio di ammorzare gli urti, i quali sono in questa parte maggiori a cagione del peso del collo e della testa. Vediamo ora le particolarità più importanti a notare nelle disposizioni delle membra, che sono i pi- lastri del nostro arco. Non son questi veramente diritti, ma flessuosi in grazia dei piegamenti delle ossa, che le com- pongono, alle loro articolazioni. Ora osservate le regole con che si fanno cotali piegamenti. Dapprima notate (Fig. 2.9) ‘che sebbene l’estremità superiore dell’omero non sia piegata, pure è doppiamente inclinato l’osso scapolare; talchè dallaloro congiunzione risulta un angolo col vertice in avanti, e che equivale in certo modo all’altro engolo formato dall’estre- mità del femore, il quale è inclinato in avanti rispetto al bacino, con cui fa perciò un angolo, il cui vertice è rivolto in dietro, mentre la punta della spalla guarda in avanti. La coscia si congiunge alla gamba dando luogo ad un an- golo, ossia al vero ginocchio, col vertice diretto in avanti, 32 mentre quello formato dal braccio e dall'avambraccio, 0s- sia il gomito, guarda in dietro. La gamba col cannone posteriore fa un angolo col vertice indietro , mentre quello dell’avambraccio col cannone anteriore risponde in avaati. Fin quì adunque le articolazioni danno luogo a piega- menti delle membra che le rendono flessuose, cioè coi vertici che guardano alternativamente ora avanti ed ora indietro con questa legge: che confrontati quelli dei mem- bri anteriori coi respettivi dei posteriori riescono opposti ; talmentechè quando l’arco della schiena si accosta alla terra in virtù del piegamento delle membra, alcuni dei vertici degli angoli corrispondenti si allontanano ed altri si ravvi- cinano: si ravvicinano quelli del vero ginocchio e del go- mito ; si allontanano quelli del tallone, ossia del garetto, e del carpo, ossia del così detto ginocchio. Quind’ innanzi però, cioè nelle articolazioni dei cannoni coi pasturali , e di questi colle corone ec. i piegamenti si fanno tutti nel me- desimo verso , sicchè nel chinarsi dell'animale i movimenti diventano conformi in tutte le membra, e non vi ha nè ravvicinamento , nè allontanamento secondochè di sopra notammo. Vediamo ora il giuoco dei diversi ordigni del- l'apparecchio locomotore nella stazione e nella progressione. $. 4. Un animale per istare in piedi irrigidisce le sue membra contraendo siffattamente i varj muscoli delle me- desime da impedire il loro piegamento. La base di sostegno è allora rappresentata dal quadrilatero, che si forma con- giungendo i quattro zoccoli con altrettante rette. Questa simultanea contrazione però dei muscoli delle membra non può durare ; sicchè alla lunga l’animale si tiene ritto sopra due piedi collocati agli angoli opposti del quadrilatero, ed ajuta il mantenimento dell’equilibrio appoggiandosi appena sopra gli altri due piedi. Dopo qualche tempo si tiene sopra questi ultimi, e mette in riposo i primi. Se l’animale vuol camminare di passo solleva prima uno dei piedi anteriori 33 poniamo il destro, quindi il posteriore sinistro : e mentre il primo di questi va a toccar terra si solleva l’anteriore sini- stro, e poi il posteriore destro quando il suo compagno del lato opposto va a toccar terra. In queste funzioni gli arti posteriori spingono il corpo in avanti, e lo fan progre- dire. Esaminando ciò, che avviene in questo caso, scorgere- da Giimente che disponendosi il piede destro a sollevarsi , riore sinistro spinge il corpo in avanti ed a destra prima st lasciar la terra. Il peso del corpo allora poggia sopra il-bipede diagonale che tocca terrà, ma l'equilibrio è instabile perchè il piede posteriore sinistro ha già spiuto il corpo in avanti; sicchè l’animale cadrebbe se il piede anteriore destro non si raddirizzasse-per sorreggerlo. Giunto a terra questo piede, fa quindi lo stesso il posteriore si- nistro ; ed allora comincia ad innalzarsi l'anteriore sinistro, e quindi il posteriore destro dopo che ha spinto il corpo in avanti ed a sinistra. Io questo tempo il corpo si ap- poggia sull'altro bipede diagonale; ma cadrebbe se il piede anteriore destro , e poscia il posteriore sinistro, non lo sor- reggessero: quindi si ripetono i medesimi movimenti, nei quali il corpo dell'animale s’ innalza e si abbassa alterna- tivamente direi quasi dondolandosi, ed è spinto sempre ‘ora in avanti ed a destra dal bipede diagonale formato dal membro anteriore destro e dal posteriore sinistro, ed ora in avanti ed a sinistra quando agisce il bipede diago- nale opposto. Allorchè l’animale dà addietro, il movimento si fa similmente quando a destra e quando a sinistra. ll collo con la testa serve di bilanciere, poichè nell’agire di un bipede diagonale la testa vien portata dal lato opposto al piede d’avanti in azione. Ed in vero questo movimento del collo ritiene il corpo che pende a cadere dal lato opposto. Se voi considerate bene ciò che avviene nel nostro stare in piedi e nel camminare, trovate le medesime cose. Infatti per star ritti noi discostiamo un po'le gambe per allar- 5) 34 gare la nostra base di sostegno rappresentata dal quadri- latero formato da due rette, delle quali l’una congiunge i calcagni , e l’altra le estremità dei piedi, e poi da altre due | rette, che lambendo i lati esterni dei piedi siano prolun- gate in avanti ed in dietro, tantochè intersechino le altre predette. Su questa base noi ci teniamo ritti contraendo i mu- scoli opposti, flessori ed estensori delle membra inferiori , ed un poco anche quelli della spina. Diventa anche per noi faticoso alla lunga il tenerci diritti, perchè vi ha simul- tanea contrazione dei muscoli opposti. Allora e’ inchiniamo i _ = tit < sopra un piede, su cui facciamo gravitare il peso del cor-, po; e dell'altro membro ci serviamo come di semplice ap- . poggio , flettendolo leggermente. Stancatosi l’uno dei mem- . bri, mettiamo in azione l’altro. . Nella progressione poi innalziamo la gamba destra , e : protendiamo il corpo in avanti; il quale cadrebbe se non , ci affrettassimo ad abbassare la stessa gamba ed a puntarla contro alla terra. Allora. solleviamo il membro sinistro . contraendo specialmente i muscoli che si attaccano al cal- cagno, per cui presto si solleva; e puntando coll’estremità ‘ anteriore del piede contro alla terra spingiamo il corpo in avanti, tanto che il piede destro , il quale trovavasi da- vanti al corpo, gli stia prima sotto e poi dietro : allora l'equilibrio si rompe, e noi cadremmo se non ci affrettas- simo a riabbassare a terra il piede sinistro già innalzato; e così di seguito. Quì, come vedete, non vi ha bipede dia- gonale, perchè la nostra stazione e la progressione si ef- fettuano mercè due sole membra, che corrispondono alle posteriori dei quadrupedi. Tuttavia si muovono nello stesso modo che negli animali anche i membri anteriori alter- nativamente ; se non che servono solamente: di bilancieri , come fa il collo con la testa negli animali predetti, in luogo di prendere una parte più attiva nella progressione. 35 Infatti, ponendo mente per poco a ciò che accade nel vo- stro corpo quando camminate, vi avvedrete che nel man- «dare avanti la gamba destra voi protendete in dietro il braccio destro, ed in avanti il sinistro: con che imitate il movimento degli arti diagonali dei quadrupedi. Se non che quivi questa mossa serve al mantenimento più facile dell’equilibrio incrociando i movimenti, ed a spingere il cor- po semprepiù in avanti. La nostra testa, sorretta com'è da un collo corto, mal può fare l’ufficio di bilanciere : tuttavia piegasi a sinistra nel movimento della gamba destra onde gettare il capo dalla parte opposta, e viceversa. Nella corsa questo ajuto delle braccia diventa anche più notevole. Se l’animale è caricato di una soma l’azione musco- lare sarà la stessa, salvochè si esercitano maggiormente i muscoli della colonna vertebrale onde opporsi al piega- mento delia spina. Il simile avviene in un uomo, che stia o si muova, caricato di yn peso. Anzi jin questo caso l'azione muscolare varia secondochè il peso è portato sulle spalle, sulla nuca o sulla testa. Nel primo incontro biso- gna piegare tutto il corpo verso il lato opposto a quello, su cui sta il peso, onde contrabbilanciare gli effetti e farlo sostenere dalla colonna vertebrale. Perciò è che i grandi pesi si portano più facilmente sulla nuca o sulla testa. In quest’ultimo caso però bisogna tenere levato ed irrigidito il collo , il quale per istinto si muove nella progressione: senza di che i muscoli del collo nell'uomo nom riescireb- bero bastevolmente efficaci. Dall’anzidetto apparisce eziandio che nella progressione i piedi anteriori son quelli che sorreggono il corpo pronto a cascare, e che quindi ricevono l'urto del suolo, cui co- municano poi al tronco. D'onde mentre rendesi manifesta la. saggia disposizione della natura di ammorzare quest’urto togliendo: di mezzo la clavicola, e frapponendo parti molli tra il costato e gli arti anteriori, consegue:altresì che più 30 grave sarà il corpo dell'animale, e maggiore sarà l'urto. | Per la qual cosa anche a questo rispetto gli animali di snella corporatura si stancano meno nella progressione ; ei l'aggiunta di un peso aumenta tanto più fuor di propor- zione la fatica quanto più rapida è la stessa progressione: | fatica in parte attribuibile all'urto, che si accresce smodata- mente. Notate inoltre che la pieghevolezza ed elasticità del piede scemano l’urto di cui favelliamo ; perlochè negli animali ferrati è maggiore che in quelli ad unghie nude. Vi sarete forse abbattuti nel passeggiar pei monti di vedere scalze villanelle portare in capo per le erte alcuna brocca piena di acqua, e non versarne gocciola: fate che portino gli. scarponi, e la cosa riuscirà loro o malagevolissima od an- che impossibile. Nell'uomo la maniera , in cui si articola il femore col bacino, è tale che le scosse si trasmettono age- volmente alla spina, e quindi al cerebro , perchè nella pro- gressione le ossa degli arti e la colonna vertebrale for-. mano un pilastro, su cui è piantata la testa; mentre nei quadrupedi queste scosse si perdono soprattutto nel tronco. . Ma nella specie umana la morbidezza ed elasticità della cute del piede attenuano questi urti, molto più che non fac- cia l'unghia dello zoccolo del bove e del cavallo. Termino facendovi osservare che nei quadrupedi, di cui ci occupia-. mo, l’arto è scemato nei membri anteriori dal modo della loro connessione col torace, e nei posteriori dalla piega- tura delle articolazioni , specialmente di quella del garretto : piegatura, la quale mancando nella corrispondente articola- zione dell’avambraccio col cannone anteriore , la dirittezza degli ossi contribuirebbe molto a propagare le scosse al torace se non fossero attenuate dal frapporsi delle parti molli. Se l’animale dovrà tirare un peso, questo si collega per mezzo di acconce tirelle ad una fascia pieghevole, o rigida, che si applica alla parte anteriore dell'animale, per- 37 chè nella progressione le membra posteriori, che fanno l’ufficio di molle, possano spingerlo avanti: le membra anteriori servono in simili occorrenze quasi esclusivamente di sostegno. Quest’ufficio delle membra posteriori vi si fa chiaro nella specie umana , se riflettete al modo di tirare l’alzajo, al quale si attacca una sciarpa, che poi si applica al torace dell'individuo. Questi si piega tanto in avanti, che rottosi l’alzajo o la ciarpa ad un tratto, cascherà im- mancabilmente. Piegato così in avanti si serve alternati- vamente delle sue gambe come di molla tutto a simile del cavallo, che tira il barroccio. Nei quadrupedi però, che ti- rano un peso, esercitansi moltissimo anche i muscoli della colonna vertebrale, e massimamente quelli dei lombi onde raddirizzare la schiena nel portare in avanti il corpo. Nella corsa il quadrupede prende il galoppo, in cui i movimenti non hanno più luogo nel modo descritto ; per- ciocchè sollevansi prima di terra i due piedi davanti l’un dopo l’altro , ed allora quelli di dietro si distendono di tratto per islanciare il corpo in avanti. Ad impedir la ca- duta tornano a terra i due piedi anteriori, e sollevansi avanzandosi i posteriori, nell’atto che la colonna verte- brale s'incurva sensibilmente. ‘Tornano a terra i poste- riori; e nel tempo stesso innalzansi gli anteriori e ripro- duconsi i medesimi movimenti. Il collo allora si raddirizza e non si piega lateralmente, ma bensì in alto ed in basso per servir di bilanciere all’alternativo movimento dei due bipedi anteriore e posteriore. Nella corsa adunque al ga- loppo ha luogo rapida contrazione dei muscoli degli arti posteriori e «degli anteriori, su cui l'articolazione della nocca ha molta parte; ed è altresì di grande importanza l'ufficio dei mustoli dei lombi. Nella progressione adunque , e specialmente nella corsa, vi ha un continuo turbamento nella stabilità dell'equilibrio del corpo ; il quale viene spinto in avanti tanto più in quanto 38 che la forza data al corpo nella direzione orizzontale pre- sto vi si accumula, ed ajuta l’azione degli arti posteriori; perlochè un animale che corre non si può di repente sof- fermare ; e se per qualche accidente viene a cascare, la forza orizzontale accumulata componendosi con quella di gravità, ch'è verticale, schiaccia e fracassa il corpo nel- l’urto contro la terra. Perciò è che, come vedremo frap- poco, i cavalli acconci alla corsa debbono avere le membra ravvicinate tra di loro a ciò l’equilibrio possa rompersi di leggieri e facilitare la corsa. I bovi son meno adattati che i cavalli alla corsa anche perchè hanno una molto più lar- ga base di sostegno aumentata dalla divergenza laterale dei membri anteriori. Nella specie umana i marinaj abituati a tenere slargate le gambe, onde assicurare meglio la stabilità dell'equilibrio sui bastimenti agitati dalle onde, ritengono, nel prender terra, questa abitudine, e quindi corrono ma- ‘ lissimamente. Lo stesso accade delle donne, il cui ampio , bacino porta molto in fuori l'articolazione dell’ estremità. superiore del femore con esso bacino, per cui si accresce la base di sostegno, la quale è altresì aumentata dalla di- vergenza laterale delle gambe, che assomiglia alla notata disposizione nelle membra della specie vaccina. $. 5. Prima di por termine a questa rapida oechiata all'organismo animale, debbo aggiungervi poche parole in- torno ai temperamenti, che chiameremo spesso in nostro soccorso nella Pastorizia. Negli animali superiori moltissimi fisiologi han distinto tre sorte di temperamenti :sanguigno , linfatico e nervoso. Il temperamento sanguigno si distingue per uno sviluppo notabile dei vasi sanguigni e del sangue stesso ;, per Vener- gia di quasi tutte le funzioni., per disposizione alle malat- tie infiammatorie. ec.; mentre nel temperamento linfatico predominano gli; umori bianchi, ed il tessuto cellulare ; la lentezza in. tutte le funzioni; la tendenza agli ingorghi 39 ghiandolari ed alle malattie atoniche ec. Pertanto non di- pendono i due opposti temperamenti indicati dal signoreg- giare del sangue o della linfa, ma piuttosto da condizioni dell’impasto organico generale : condizioni più adattate ad una vitalità vigorosa nel primo caso che nel secondo. Nel temperamento nervoso le funzioni di assimilazione non sono gran cosa efficaci; il corpo è magro per lo scarso sviluppo del cellulare; i muscoli gracili, ed il si- stema sanguigno debole: ma in contraccambio la sensibilità è grande, ed i movimenti vivacissimi comecchè versatili e poco energici. Ora che abbiamo acquistato una qualche nozione del- l'insieme delle condizioni organiche della macchina animale, su cui dobbiamo operare coi nostri mezzi artificiali per ottenerne i varj prodotti richiesti dalla industria che vo- gliamo esercitare, passeremo nella prossima conferenza ad indagare i.segnali, che ci disvelano negli animali le loro attitudini ai prodotti medesimi. | 40 LEZIONE III, DELLE SPECIALI CONFORMAZIONI INDUSTRIALI DEGLI ANIMALI SOMMARIO. S. 4. Indizj di attitudine alla soma ed alla sella. $. 2. Indizj di attitudine alla corsa. $. 3. Indizj di attitudine al tiro. S$. 4. Indizj di attitudine alla carne grassa. $. 5. Indizj di attitudine al latte. $. 6. Indizj di at- titudine alla lana. $. 7. Indizj dell’attitudine alla prole. $. 8. Indizj dell’attitudine ai concimi. $. 1. Sei prodotti distinti noi chiediamo al bestiame : 1.° forza muscolare; 2.° carne; 3.° latte; 4.° lana; 5.° re- dami; 6.° concimi. A quali segni conosceremo noi negli animali le loro diverse attitudini ai prodotti mentovati? Ecco quel che verremo investigando nell’odierna conferenza. Cominciamo da quelli, che concernono la forza muscolare. La forza muscolare si adopera in tre guise differenti : 1° la soma .;;::2.° la vcorsa.:; dec il biro: Per la soma l’animale dovrà avere un corpo adattato a sostenere un peso; quindi la schiena vuol esser corta e leggermente convessa ; il garrese alquanto elevato , le membra brevi e sufficientemente slargate, acciò sia assai ampia la base di sostegno; ma non troppo affinchè le spalle sorreggano debitamente il tronco. Le medesime membra debbono esser poco piegate, e specialmente nella articolazione del cannone col pasturale là dove è la nocca. Sia ampio il torace; ottimo l’apparato digestivo, e san- guigno il temperamento. Per la soma sono più acconci i 41 maschi; e l'età meglio adattata sarà quella, in cui tutti gli organi abbiano raggiunto il loro massimo svolgimento: il che si argomenterà dall’uscita dell’ultimo dente di adulto. I giovani animali si sciupano col sottoporli alla soma grave. Il portar soma è molto faticoso perchè i muscoli sono adoperati al doppio ufficio di sopportare il peso colla si- multanea loro contrazione, specialmente allorchè l’animale è fermo, e di traslocarlo colla loro funzione alternativa. L'animale da sella è sì da soma; ma perchè il peso è piccolo , e d'altra parte si domanda soprattutto la dolcezza nei movimenti, pertanto le disposizioni organiche debbono diversificare. Per la dolcezza dei movimenti si richiede che la schiena sia lunga e diritta acciò molleggi nella progressione ; le spalle discretamente distanti fra di loro perchè l'urto dello zoccolo si ammorzi nel comunicarsi alla schiena; Je membra assai piegate per la medesima ragio- ne. Bisogna guardare specialmente alle nocche, dove il cannone si articola col respettivo pasturale: quivi si ri- chiede un certo angolo; imperocchè se i due pezzi si di- spongono in una linea, che si avvicini molto alla retta, l'urto dello zoccolo trapasserà più agevolmente alle parti superiori, ed andrà a commuovere la schiena e quindi il cavaliere; ma se fosse l'angolo molto stretto, nella pro- gressione l'elevazione ed abbassamento della schiena sareb- bero soverchi, e quindi maggiore il dondolamento del ca- valiere. Quanto più l’animale da sella rasenta la terra co- gli zoccoli nel suo andare, e cotanto sarà, a circostanze pari, la dolcezza del moto. Il collo sia molto piegato ac- ciò la testa si avvicini al tronco dell'animale; posciachè il collo, che si protende in avanti, e la testa grossa, nella progressione accrescono l'urto dello zoccolo contro la terra. Il collo però dovrà essere agile e piuttosto lungo, perchè coi suoi movimenti laterali contrabbilanci l’azione di quella parte del corpo, che nell’andare si avvicina al terreno, ed 8 42 ammorzi l'urto dello zoccolo. Ma nell’animale da sella ri- chiedesi eziandio una certa celerità di movimento indicata | dalle disposizioni organiche che andremo ad accennare | or ora ; le quali disposizioni dovranno raggiungere un grado mezzano, perciocchè il vero animale da corsa è poco accon- cio alla sella. Il temperamento sia sanguigno-nervoso. Se vuolsi un animale mansueto si cerchi un po'di mistura di | ‘temperamento linfatico. $. 2. Nella corsa si domanda estrema rapidità di mo- | vimenti; quindi si richiedono quelle disposizioni organi- che opposte alla stabilità dell'equilibrio, che si vuole nel- l’animale da soma, ed apparecchio locomoture conformato per la rapidità del moto. Quindi l’animale da corsa deve avere una stretta base di sostegno, cioè le membra rav- vicinate molto tra di loro ; ossa lunghe e poco piegate nelle membra, specialmente al garretto ; corto l’osso del , garretto ; garrese non elevato ; collo quasi diritto, sottile e | terminato da piccola testa ; schiena lunga, diritta e molto flessibile; temperamento nervoso. S. 3. L'animale da tiro vuol esser conformato in ma- niera da spiegare molta forza. Quindi l'apparato della re- | spirazione, a cominciare dai nasali e fino alla cassa del . petto, dovrà essere molto sviluppato ; l'apparecchio di- . gestivo robusto; il temperamento sanguigno. La schiena . larga, ed i reni ampj al pari della groppa, che vuol es- ser diritta, e della spalla ; le cosce e le gambe ben mu- scolute al pari del braccio e dell’avambraccio; le parti inferiori delle membra asciutte, diritte, e le unghie ben conformate e salde. I tendini, che scorrono lungo queste parti, debbono essere molto sviluppati; perocchè son dessi che comunicano il movimento allo zoccolo. Le punte delle spalle siano prominenti, e la scapula non volga molto in dietro. Il garretto vuol essere molto sporgente, e forte la sua pie- gatura in avanti: lo zoccolo assai ampio. Dall’anzidetto si 43 raccoglie che negli animali destinati a produr forza musco- lare si richiede uno sviluppo considerevole dell’apparato locomotore, e speciali attinenze delle leve ossee ; energia proporzionata negli apparati inservienti alla nutrizione, e. quindi un temperamento sanguigno ed inclinante più o meno al nervoso. Nell'occuparci dell’allevamento di cia- scuna specie animale in particolare diremo delle dispo- sizioni peculiari, che deve avere per le diverse maniere di tiro. S. 4. Per la produzione della carne grassa, quale piace ai consumatori, si domandano altre condizioni che quelle indicate per la forza muscolare. Ed infatti un animale, che sia nella pienezza della vita e della salute, non può esser grasso. La pinguedine, che si deposita nelle maglie del tes- suto cellulare, presuppone in primo luogo nelle trafile as- similatrici una certa fiacchezza, in virtù della quale la materia organica non arriva a quel grado di perfetta ela- borazione, che la rende atta all’appropriamento degli or- gani ed al loro rinnuovamento; ed in secondo luogo an- nunzia che gli atti vitali poco energici consumino scarsa copia di materie nutritive. Ippocrate ci lasciò scritto come un dato di osservazione che le persone grasse muojono più presto che le gracili; e tutti sapete quanto gli uomini asciutti giungan sani più facilmente a vecchiezza. La stessa legge governa la vita degli animali domestici, di cui ci occupiamo. Laonde tutti quei segnali, che disvelano in un animale un certo predominio del sistema cellulare , ossia del temperamento linfatico, indicano l’attitudine alla pro- duzione della carne grassa. Laonde la pelle fine, morbida, cosparsa di peli sottili e splendenti, di unghie e corna gen- tili, e che facilmente si rimuove dalle parti sottostanti ; gli occhi dolcemente vivaci ; forme esteriori rotondeggian- ti, ossia muscoli poco rilevati in grazia dell'abbondanza del tessuto cellulare che gl’involge; ossa corte e sottili; 44 collo breve, largo verso la.,sua congiunzione al corpo , ed affilato verso la testa; petto ampio con coste ben roton- deggianti ed assai coperte di carne dietro le spalle ; schiena; piana e polputa; lombi larghi; groppa ampia e diritta | anche distanti fra di loro; cosce e gambe polpute; ad- dome pieno ma non pendente, anzi che resti di alquanto | più alto del petto; tronco, che presenti dalla schiena alla linea ventrale una distanza maggiore che da questa al suolo; sicchè iscrivendo il corpo dell'animale in un ret- tangolo, la parte occupata dal corpo apparisca più della metà dell’area del rettangolo stesso : tutti i predetti segni disvelano attitudine all’ ingrasso. La piccolezza degli ossi poi del collo e della testa, e la sottigliezza della pelle, delle unghie e delle corna giovano in un animale da in-. grasso, non solamente perchè ne indicano l’attitudine, ma altresì perchè fanno aumentare proporzionatamente le \ parti che si pregiano di più, e che sono i quarti. Ma se , la forte e ben temperata complessione è contraria all’in- grassamento, e se una certa fiacchezza organica, procedente dalla moderata preponderanza del temperamento linfatico, vi conferiscono, non è da credere che non si richieda una discreta energia in taluni apparecchi, quali sono il dige- stivo, il respiratorio ed il circolatorio, che debbono pre-. parare i materiali per l’organamento del tessuto adiposo. Quindi ottimo apparato masticatorio e digerente in gene- re, ampiezza di torace: ecco dei requisiti necessarj al- l’uopo. Sicchè un organismo veramente malaticcio e spossato, non avrà attitudine ad ingrassare; che amzi non ritrarrà utile dagli alimenti e si terrà magro, mentrechè un ani- male molto vigoroso si manterrà in giuste e convenevoli carni, e prenderà malagevolmente la vera pinguedine. Per- tanto, secondochè avremo in seguito occasione di notare, si può in una data razza dare l’attitudine all’ingrasso rinvi- gorendola discretamente se troppo debole, od infiacchendola 45 se troppo forte. Insomma per l'attitudine all’inpinguamento ci vogliono i caratteri di un temperamento linfatico—san- guigno senza mistura di nervoso; quindi di una comples- sione mezzana inelinante alla fiacchezza in grado leggiero. Conta molto l’età degli animali destinati alla produ- zione della carne grassa; imperocchè nei primi anni della vita tutto il corpo ingrandisce, e quindi havvi vero aumento di ogni organo , così in lunghezza come in grossezza. In tale età vi ha altresì formazione di grasso, ma la mag- gior copia delle materie nutritive adoprasi alla evoluzione completa dell'organismo. Allorchè però è fornita cosiffatta evoluzione, la qual cosa viene annunciata dallo spuntare dell’ultimo dente, le materie nutritive stesse non servono che a sopperire alle perdite cagionate dalle funzioni vitali ed al rinnuovamento organico. In tal caso se la copia degli alimenti è grande, e l’esercizio delle funzioni predette moderato , il tessuto cellulare si moltiplica riempiendosi di pinguedine. E di vero se voi sottoponete a dure e conti- nue fatiche un cavallo, non lo vedrete ingrassare agevol- mente, malgrado la copia e succulenza dei cibi: saprete in seguito che il riposo e l'assenza degli eccitanti al con- trario vi conferiscono. Non è egli per mezzo della castra- tura che noi provochiamo artificialmente l’ingrasso? Adun- que l'età adulta stazionaria, la sommità cioè della parabola della vita, è la più propizia ad ottenere l’ingrasso. È però da avvertire che compita la evoluzione organica suc- cede un tempo più o meno lungo negli animali, durante il quale il grasso depositasi difficilmente in grazia della energia disperditrice delle funzioni organiche. Pertanto ac- cade nella specie umana che la pinguedine non si prende mica appena compiuto il ventunesimo anno, nel quale suole apparire l’ultimo dente molare, ma verso i quaran- t'anni. Imperocchè dai ventuno ai quarant'anni la vivacità delle passioni e l’esercizio di .tutte le funzioni, cui dà luogo , 46 consumano gran copia di materie nutritive apprestate da- gli alimenti. E ciò è tanto vero che certi stati sociali, moderando queste perdite, anticipano la naturale età della | pinguedine. Così non di rado voi trovate che il prender moglie, concentrando direi quasi e temperando questa forza | giovanile colle attrattive della vita domestica e della pa- ternità, fa ingrassare precocemente taluni dei vostri cono- scenti. Più tardi la macchina animale declina, e tutte le funzioni assimilatrici s’indeboliscono tanto da rendere l’ingrasso molto più difficile. Vedremo a suo luogo quanto poco convenga il cercar d’ingrassare le bestie vecchie che si stimano disadatte alle altre produzioni, cui le abbiamo nella età di floridezza destinate. Dalle dette cose si raccoglie che coi giovani animali si ottiene un ingrossamento della macchina proporziona- tamente rapido; ma la carne riesce troppo floscia e non abbastanza nutriente, ed il grasso poco saporito. Tutti sapete che la carne di giovane vitello non ha alcun sa- pore se lessata, e che il brodo diventa insipido. L'arte culinaria pertanto si studia di apparecchiare codesta carne per modo da non disperdere i pochi succhi che contiene. E vi aggiungo che se alla mensa dei ricchi la carne giovane piace per la delicatezza, è ciò da ascriversi alla indebolita costituzione di coloro che se ne cibano, siccome a suo tempo dichiareremo meglio. Il vecchio adagio : gallina vecchia fa buon brodo, ha il suo fondamento nei fatti fisiologici di cui ragioniamo. Pertanto la carne migliore, cioè più nutriente, saporita e digeribile per gli stomachi ben temprati, è quella degli animali appena usciti dal periodo di completa evoluzione organica ; ed allora il grasso diventa più consistente e piacevole. | Il sesso femminino si acconcia meglio del mascolino alla produzione della carne grassa, perchè nel medesimo predomina d’ordinario il temperamento linfatico. Tuttavia 47 la carne riesce meno nutriente e saporita che quella dei maschi. Da ciò che precede potrete intanto tirare il corallorio che la produzione della carne grassa presupponga disposi- zioni organiche contrarie a quelle richieste per la produ- zione della forza muscolare. Per cui male si avvisano i ‘nostri contadini, i quali nel comprare un pajo di bovi da lavoro hanno di mira il r2acel/l/ajo , cioè guardano soprat- tutto alla facilità dell’ingrasso. Gli animali da lavoro deb- bono presentare le disposizioni organiche adattate allo sviluppo della forza muscolare; ed il guadagno del loro allevamento deve venirci dai campi. Se un pajo di bovi vi servirà per soli quattro o cinque anni, a che monta l'utile o la perdita di una diecina di scudi che vi possono l'uno e l’altra venir compensati dal lavoro di pochi mesi ? Ma di ciò più ampiamente in seguito. $. 5. Negli animali che forniscono latte, le mammelle diventano centri di attività vitale, cui gli umori nutritivi affluiscono sì rapidamente ed abbondantemente che taluni fisiologi han pensato che fossero fra l’apparato dige- stivo ed i predetti organi vie dirette di comunicazione , per le quali il chilo passasse a subirvi quella leggiera tra- smutazione, che lo fa differire dal latte. Perchè dunque una femmina sia buona lattaja, fa d’uopo che l'esercizio generale delle funzioni vitali non disperda colle sue ma- nifestazioni molta materia nutritiva. Ecco perchè i segnali, che indicano l’attitudine all’ingrasso, prenunciano altresì quella alla secrezione abbondante del latte. Perciò è che le forme rotondeggianti, le ossa piccole, quelle della coda e dei membri soprattutto, la testa di figura gentile, la pelle fine e cosparsa di appendici cornee e pilose delica- te ec., disvelano, o per meglio dire contribuiscono a di- svelare, l'attitudine di cui ci occupiamo. Ma questi segni, cavati dalle disposizioni organiche generali, essendo comuni 48 con quelie che si convengono all’ingrasso, non han valore. senza le altre che concernono la perfezione dell’apparec- chio secretore del latte. Se una mucca avrà le disposi- zioni generali, ma non le locali, sarà acconcia all’in- grasso; e se vi si accompagneranno anche queste ultime riuscirà buona lattaja. Adunque è mestieri rivolgerci ai segnali, che ci manifestano la perfezione dell’apparato mammario. Se le mammelle sono già entrate in attività , cioè se l’animale ha alcuna velta figliato, riconosceremo l’attitu- dine alla produzione del latte dall’ampiezza della glandola mammaria. Ma in questa indagine sarà mestier mettervi in guardia contro una cagione di errori. Non dovrete giu- dicare dello sviluppo deila glandola stessa dal suo volu- me; imperocchè gli acinetti glandolari, che sono i veri organi secernenti, trovansi riuniti ed involti da tessuto cel- lulare, il quale in certi incontri può essere abbondantis- simo e dare un gran volume ad una glandola composta di scarsi e piccoli acini: la spessezza della pelle e del cellulare sottocutaneo può altresì contribuirvi. Adunque non ve ne state al solo volume, ma palpate la glandola; e se sentite sotto le dita gli acini prominenti e coperti di sottile inviluppo, direte : il volume è quì congiunto ad un vero sviluppo dell'organo secernente. Ne avrete una riprova se dopo di aver munto una grossa mammella , questa poi vi apparisce molto vizza e rimpiccolita. Ma nella natura d’ordinario si coordinano e si tengono in armonia quelle parti, che debbono contribuire alla medesima opera. Ora una glandola che deve separare dimolto liquido , sarà prov- vista di ampi e numerosi vasi sanguigni che vi adducano, e menin poi via, il sangue, da cui si dovrà fare, o siasi già fatta, la separazione. Quindi è che se trovate numerose ed appariscenti le vene ramificarsi sotto alla pelle delle mam- melle, e grossi e flessuosi i due tronchi venosi , i quali rac- 49 cogliendo i piccoli rami passano allato all'ombelico per entrare nel petto attraversando il costato, dite pure : que- sta femmina è buona lattaja. E siccome il foro del costato, per cui entrano le predette vene, dovrà esser proporzio- nato al loro volume, dalla sua ampiezza trarrete pre- ziosi indizj. Ma se l'animale, che ba già figliato, trovasi pregno e senza latte, la glandola sarà floscia e vizza, i rami venosi ed i loro tronchi rimpiccoliti: allora ajutatevi dei segnali tratti dalla pelle che ricuopre la glandola e le sue adia- cenze, e dal foro intercostale antedetto. La pelle fine, ru- gosa e cosparsa di peluzzi delicati e di forfora arancina, annunzia che la glandola prenderà un proporzionato vo- lume allorchè entrerà in attività; e l'ampiezza del foro intercostale vi farà prognosticare che la vena acquisterà un competente calibro. La proporzione poi tra la grossezza della vena e l'ampiezza del foro vi ajuterà a giudicare con una sufficiente approssimazione se l'animale che esplo- rate ha figliato recentemente, o da molto tempo: nel primo caso il foro trovasi troppo stretto appetto alla vena, e nel secondo troppo largo. Ma se si tratti di una giovane femmina, che non abbia ancora figliato, ajutatevi dei segnali della pelle che ricuopre la regione delle mammelle e la perineale fino sull’interno delle cosce. Se la detta pelle è rugosa, fine, forforosa, e mantiene questi carat- teri sopra una larga superficie; se il foro intercostale vi apparisce assai ampio, valutando però per mezzo del dito le brigliette di tessuto cellulare che lo rendono più angusto, potrete prognosticare che l’animale sarà atto alla produzione del latte. Parlando in particolare dell’allevamento della specie vaccina indicheremo «i fondamenti del sistema Guenron, iquali riposano sui segnali precitati della pelle. Adunque per riconoscere l'attitudine alla produzione del latte, dovrete giovarvi di due serie di segnali: gene- 7 50 rali e locali. Questi ultimi saranno pòrti più specialmente dalla mammella, se l'organo è in attività; ma giovano eziandio quelli forniti dall'ampiezza di quel tratto di pelle fine che ricuopre la glandola, e che si estende altresì alle parti vicine. Se all'incontro l'organo non è in attività , bi- sogna guardare alle disposizioni accennate della pelle ed all'ampiezza del foro intercostale. L'età ha qualche parte nell’attitudine alla produzione del latte. Le femmine degli animali di cui ci occupiamo, non giungono a dare la maggiore quantità di latte, della quale son capaci, che alla seconda e spesso alla terza figliatura. Inchinando po- scia a vecchiezza la secrezione diminuisce. $. 6. La lana è costituita da appendici della pelle sic- come le unghie e le corna. Adunque perchè la lana sia fine richiedesi una pelle delicata. Per altro i segnali, che appartengono a questa produzione, si desumono dall'esame della stessa lana, di cui è coperto l’esteriore del corpo. Un filo fine, lungo, flessuoso e folto ci disvelerà un animale atto ad esser allevato per la lana, e viceversa. $. 7. Per la produzione dei redi si richiede dapprima nella femmina una buona conformazione delle parti geni- tali esterne. Conosco delle vacche, in cui la copula non aveva spesso buon effetto a cagione della situazione della vulva collocata troppo indentro nell’apertura posteriore del piccolo bacino, e la cui fenditura, in luogo di guardare in dietro, guardava la radice della coda. Si richiede inol- tre che il bacino sia ampio, e quindi le anche larghe , la coda diritta e le natiche molto distanti dal limite posteriore dei fianchi. La schiena sia ben diritta e forte: gli animali sellati di schiena non reggono sì agevolmente il peso del feto che gravita sulle pareti addominali, e si deformano dopo molti parti, mentre alle gobbe incurvasi sempre più la colonna vertebrale dopo il parto. Le punte delle spalle siano piut- tosto assai ravvicinate per abbracciare e sostenere il torace Oi onde sopportare il peso senza cedimenti per parte dei mu- scoli e dei legamenti, che congiungono esse spalle al tronco. Sia poi l'apparato mammario sufficientemente sviluppato a poter ben nutrire il prodotto del concepimento. Nelle fem- mine da frutto però si domandano due diverse categorie di segnali: l'una riguarda l'attitudine a procreare e ben nutrire una prole numerosa e gagliarda ; l’altra concerne certe qualità speciali che voglionsi in essa prole, e delle quali ci occuperemo trattando del perfezionamento delle razze. Per ora ci limitiamo ad indicare soltanto i segnali che spettano alla prima categoria, i quali consistono nel debito sviluppo meccanico delle parti che hanno attinenza all’utero gravido, e nello sviluppo vitale dell'utero e suoi annessi annunciato dall’apparato mammario, dal predominio dei caratteri del sesso femminile, e da una conveniente mi- stura del temperamento sanguigno. Nel decidere dell’attitu- dine delle femmine a divenir madri, tenete conto dell’età. Se sono troppo giovani, l’utero ed i suoi annessi non trovansi abbastanza capaci, e la gravidanza sarà faticosa come il parto. Inoltre l'afflusso del sangue ed il concentramento dell’attività vitale nell’utero, e quindi nelle mammelle, impedisce lo sviluppo dell'individuo, il quale rimane pic- colo ed invecchia più precocemente. Nel declinare dell’età gli appetiti riproduttori sono menomati , ed il concepimento riesce più difficile. E Nei maschi sono altresì da distinguere le due categorie di segnali or ora indicate. Non occupandoci quì che della prima, diremo che oltre allo sviluppo degli organi, che servono alla riproduzione della specie , si richiede nel ma- schio un temperamento sanguigno, e la robustezza generale del corpo. Quindi ampio torace ed organi digestivi ga- gliardi. É da contar molto l’età; imperocchè ad ottenere dallo stesso individuo prole numerosa e robusta non può egli ammettersi alle femmine troppo per tempo, ed allorchè 52 l'organismo non sia peranche sufficientemente sviluppato. Permettetemi di entrare quì in qualche particolarità in grazia dell'importanza della materia. Negli animali non prendono attività gli organi ripro- duttori insino a tanto che la macchina non sia sufficiente- mente sviluppata da sopportare l'enorme perdita e lo spos- samento , che cagiona l'esercizio delle funzioni generative. Nell’animale, che vive nelle sue condizioni naturali, vi son parecchie circostanze , le quali ritardano la manifestazione di tale istinto, o che la rendono meno imperiosa : il ri- gore delle stagioni, la necessità di andare in cerca del cibo e della femmina, il gran numero di rivali cc., sono tra le più ovvie. Nell’allevamento artificiale al contrario siffatti impedimenti sono rimossi, e tutto concorre a svol- gere per tempo, ed a render più vivido il bisogno della copula. £ adunque necessario di non appagarlo appena se ne scorgono i primi consueti segnali ; poichè occupato l’orga- nismo al proprio sviluppo , le funzioni riproduttrici disper- dono quelle forze, le quali impiegate innanzi a compire esso sviluppo rivolgonsi in seguito più potenti e concentrate alla moltiplicazione della specie. Adunque con ammettere alle femmine i maschi troppo giovani si fa un doppio male: all'individuo ed alla prole; il che ha luogo tanto di più in quanto nei giovani animali predominando ancora la mobilità del sistema nervoso, i desiderj soddisfatti ren- dono i bisogni imperiosi; d’onde una lussuria rovinosa. Si dice che facendo esercitare per tempo i maschi, mostransi più pronti all’ufficio: il che è verissimo; ma da ciò ap- punto deriva il maggior male. I maschi troppo avanzati all'opposto sono lenti alla copula, e generano prole fiacca e difficilmente. Adunque ammettete un maschio alla fem- mipa allorchè il grosso per dir così dell'evoluzione or- ganica sia compiuto; e cessate allorchè l'organismo declina. Notate però che cominciando troppo per tempo ad am- d3 mettere un maschio, dovrete desistere molto più presto. Se voi per esempio ammettete alle vacche un toro di dodici mesi, reputatelo per inabile all’età di trentasei mesi; nella quale dovrebbe appena cominciare cotal genere di funzioni. L’uso comune in certi luoghi di esercitare troppo pre- sto i giovani tori, e di darli dopo poco tempo al macello , deriva dalla convenienza economica per parte di chi ne fa traffico. Ed infatti se un toro comincia a montare a dodici mesi, e cessa a trentasei, se ne cava un frutto più sollecito; mentre cominciando a trentasei s’indugia due anni, durante i quali il mantenimento è forte cagione di spesa. È vero che in questo caso l’animale è buono a generare per più lungo tempo; ma i giovani tori si ven- dono anche a prezzo conveniente al macello , e torna me- glio di rinnuovarli. Il vantaggio pertanto di far montare i tori ad una età convenevole sta nella bontà delia prole, che se ne avrebbe, della quale chi fa montare gli ani- mali degli altri non si cura più che tanto. Quanto alla produzione dei concimi, li darà migliori quell’animale, che a pari quantità e qualità di cibi avrà minor forza nell’apparato digestivo. Quindi il bove darà un concio meno ricco del cavallo; un animale di tempera- mento sanguigno, nella forza dell’età e che si esercita mo- deratamente, lo darà più povero che in opposte circostan- ze ec. Le bestie all’ingrasso poi porgono i concimi più ric- chi, perchè vengono nutrite con cibi più sostanziosi ed ab- bondanti; per la qual cosa sfugge all'opera della digestione una maggior quantità di materie nutritizie per le piante. Tenete però bene a mente che gli escrementi del bestiame sono il caput mortuum del nostro opificio della produzione animale; e che quindi la loro maggiore ricchezza è da reputarsi siccome uno scapito dei prodotti principali. LEZIONE IV. MEZZI ARTIFICIALI DI MODIFICARE GLI ALIMENTI E LE BEVANDE. SCELTA DEGLI UNI E DELLE ALTRE. —@—- SOMMARIO. S. 4. Ufficj nutritivi degli alimenti e delle bevande. $. 2. Qualità di- verse degli alimenti. $. 3. Equivalenti alimentari. $. 4. Qualità delle bevande. $. 14. Ora che abbiamo studiato sufficientemente le di- sposizioni organiche dei nostri animali col fine di prendere una nozione complessiva della loro vita, e di riconoscere le varie attitudini dei medesimi ai diversi prodotti, che l'industria richiede, passeremo ai mezzi artificiali di alleva- mento. Li divideremo in tre categorie, secondochè si ri- volgono alle materie prime, con cui si fabbricano essi . prodotti, cioè agli alimenti ed alle bevande ; all’aria atmo- sferica, in cui gli animali vivono ; ovvero alla macchina loro direttamente. Dovendo cominciar a favellare degli alimenti e delle bevande, vediamo in prima brevemente l’ufficio che eser- citar debbono nella macchina animale. Il corpo degli animali risulta da solidi e da liquidi varia- mente costituiti, ma che son composti di cinque sorti diverse di ingredienti: 1.° ingredienti organici azotati , che colla propria decomposizione svolgono ammoniaca ; 2.° ingredienti grassi; 3.° ingredienti organici non azotati nè grassi, come ro DÒ lo zucchero; 4.° ingredienti minerali, qual sarebbe il fosfato calcare delle ossa ec. ; 5.° acqua. Le quali tutte sostanze sono egualmente indispensabili all'organismo ; sicchè non si possono tenere per alimenti le sole materie organiche, e molto meno le sole azotate: le sostanze minerali e l’acqua son tanto necessarie, che senza di esse l'organismo non può sussistere. Infatti come immaginare un animale colle ossa molli? Anzi tutti gli organi racchiudono di tali ma- terie nel loro impasto. Il veicolo delle materie solide del sangue e degli altri umori è l’acqua ; talchè senza di essa non vi ha vita. Pertanto è mestieri che all’organismo si apprestino i materiali, con cui fabbricare le indicate so- stanze: l’organamento appartiene alla macchina, ma i ma- teriali, su cui deve agire, vengono di fuori sotto forma di alimenti e di bevande. Gli alimenti forniscono le ma- terie solide non solo, ma anche in parte l’acqua, la quale vi è incorporata in varia proporzione. La bevanda all’in- contro fornisce questo veicolo importantissimo, in cui spesso stanno disciolte sostanze minerali, che possono col loro eccesso tornar talvolta nocevoli. Adunque principale ufficio degli alimenti si è quello di apprestare all’organi- smo i materiali solidi, i quali elaborati dagli apparecchi assimilatori vengono decomposti e ricombinati, per formar la compage dei diversi organi e le misture liquide segre- gate. L'acqua ha per ufficio di rammollire e stemperare gli alimenti solidi, e servir così ad apparecchiare il chilo; e poi da veicolo pel trasporto dei materiali solidi in tutto l'organismo. Oltredichè passa poi a dare a tutti gli or- gani ed alle segrezioni quel grado di mollezza e di fluidità necessario alle loro funzioni. Gli alimenti, ed anche le ‘bevande hanno inoltre l’ufficio di eccitare le funzioni del- l'organismo , e specialmente dell’apparato digestivo in gra- zia di una virtù propria a qualcuno dei loro ingredienti. Così l’aria mescolata all'acqua ajuta la digestione ; un pezzo 50 di arrosto infonde nel corpo di un uomo insolito vigore prima che la digestione siasi cominciata ec. Ma quì vi rammento come non tutti gli alimenti tra- sformansi in organi; essendochè una parte di essi sfugge all'opera digestiva, e si manda fuori in forma di sterco; mentre l’altra viene assorbita. Di questa seconda parte, una quota si organa ed il rimanente disperdesi in stato di esalazione cutanea e polmonare, di urine ec. Quella stessa quota che si assimila dagli organi, dopo qualche tempo si stacca dai medesimi, ritorna nel sangue e de- purasi. Adunque supponendo che da un animale non si tragga nissun prodotto, fuorchè il concime, si avrà una perdita giornaliera di sostanze organiche indotta dall’eser-. cizio delle varie funzioni necessarie alla vita, talchè rendesi necessario di amministrargli una certa copia di alimenti capace di riparare queste perdite; e se fosse insufficiente, l’animale dimagrerebbe ognor più, cioè le fun-, zioni organiche si manterrebbero a spese della mistura. degli organi. In questo differiscono le macchine viventi. dalle morte: queste nel riposo non consumano materie prime che quelle richieggono perchè non si riposano mai, e perchè i loro congegni sono della stessa indole dei pro-. dotti che somministrano. Per la qual cosa la copia di ali-: menti e di bevande, che noi amministriamo agli animali i Rica _ mn LT aa che alleviamo artificialmente, si può intendere siccome formata di due quote: l’una destinata all'esercizio delle funzioni organiche, e va perduta; l’altra alla trasforma- zione nel prodotto voluto. Se voi possedete un telajo , che tenete inoperoso, perderete il frutto del capitale impiega- tovi qualora avrete cura di salvarne il legname dalla cor- ruzione, ed i ferramenti dalla ruggine. Ma se tenete inope- roso un animale, andrete incontro alle medesime perdite, più quella cagionata dagli alimenti, che sarete forzato ad amministrargli per mantenerlo in vita: nel telajo vi ba- 37 sterà a quando a quando una mano di tinta per sottrarlo al deperimento; ora per l’animale vi farà d’uopo di una buona mano giornaliera di certa tinta che riesce costosa soverchiamente. Ciò adunque vi ammaestra fin d’ora che nel- l'allevamento degli animali domestici bisogna cibarli bene, e domandar loro di molti prodotti; conciossiachè la quota di mantenimento riman quasi la stessa, e voi non otter- rete un prodotto che dal soprappiù di alimento. Se a ca- gione di esempio per riparare le perdite giornaliere in- dotte dall’esercizio delle funzioni in un bove messo all’in- grasso , richiederannosi ventiquattro libbre di fieno, e voi gliene amministrerete ventiquattro libbre per l’appunto, l’animale non acquisterà nulla, ma si manterrà in statu quo. Se voi gliene darete trenta avrete un prodotto come sei; se trentasei, un prodotto come dodici; se quarantadue, un prodotto come diciotto. Adunque con libbre ventiquattro, nissun prodotto; con libbre trentasei, un prodotto doppio che con libbre trenta; e con quarantadue, un prodotto triplo; quantunque il numero trentasei non sia doppio di trenta, nè il quarantadue triplo. Adunque vedete, che quanto meglio voi cibate un animafe, e tanto più van- taggio ci troverete. Perciò riesce tanto più profittevole l’ingrasso del bestiame quanto è più rapido ; onde la im- portanza della precocità dell’ingrasso , cioè di quelle dispo- sizioni speciali, in grazia delle quali l’animale giunge ad un dato punto di pinguedine più sollecitamente. Di quanti giorni si scorcia la durata dell’ingrasso, di cotanto si fa economia sulla quota di mantenimento. Sia adunque ghiotto ed ingordo un animale all’ingrasso, e (trangugi in gran copia gli alimenti , purchè giunga presto ad ingrassare. S’ intende però che questo ragionamento vale dentro certi limiti e con una certa approssimazione. Conciossiachè da un lato accrescendo gli alimenti si aumenta la perdita ca- gionata da quella parte di essi, che sfugge all’azione di- 8 58 gerente, e dalle funzioni organiche. E poi mon potete aumentare indefinitamente gli alimenti; giacchè l’animale per ghiotto che sia non li mangerà più oltrepassati certi limiti, o non li digerirà, o si predisporrà alle malattie. In seguito cercheremo di determinare cotali limiti. Prima di lasciar questo argomento vuolsi avvertire che i prin- cipj immediati organici degli alimenti sono elaborati e modificati dall’animale che se ne ciba, tanto da convertire il fieno in carne, in latte ec. Tuttavia si può ritenere che quanto più la pianta ha assimilato l'alimento alla natura dell’animaie, che se ne dovrà cibare, tanto meno resterà da fare a quest’ultimo. Esposte le notizie, in cui ci siamo intertenuti, ve- niamo a cercare della scelta degli alimenti e delle bevan- de, delle preparazioni che si fan loro subire, della quan- tità richiesta dai bisogni degli animali e del modo di amministrazione. Cominceremo a dire della scelta. $. 2. Nella scelta degli alimenti bisogna guardare che la qualità sia appropriata alla specie di animale, che si al- leva, alla produzione cui si destina, all’età, al clima, alla stagione ec. Negli organi, di cui si compone la macchina animale , prevalgono le sostanze azotate e l’umidità: le materie inorganiche vi sono in certa proporzione; ma se incenerite un cadavere ne trovate poco residuo. In ogni modo tutti i cibi vegetabili contengono di sostanze minerali più che non occorra; e l’acqua è di uso gratuito. Quindi si vuole nella scelta dell'alimento guardare alla proporzione di materie azotate che racchiudono, senza però dimenticare gli altri gruppi di sostanze, e specialmente le grasse quando si voglia produr carne. E quì debbo aggiungervi che ta- luni han preteso altro non fare l’animale che estrarre da- gli alimenti la fibrina che forma i suoi muscoli, il gras- so ec. To però credo non potersi mettere in dubbio che 59 l'animale nell’appropriarsi le materie vegetabili le modifi- chi e trasformi, ma che si assimilerà tanto più facilmente cotali materie se desse sono state dal vegetabile più rav- vicinate alla natura animale, cioè a quella degli organi che se le debbono appropriare. Ora queste sostanze azo- tate e grasse, o trasformabili facilmente in grasso nel corpo animale, trovansi disseminate nelle varie parti delle piante con certe leggi , di cui parlammo nell’agricoltura speciale, e precisamente nella Lezione XXXI, pag. 511 e seguenti: la sostanza legnosa riesce poco nutritiva per- chè non tanto assimilabile. Adunque ritenete in genere che i semi siano più nutrienti di tutto il frutto; il frutto più degli zucchi: gli zucchi più dell'erba tagliata in fieno, e questa più della paglia dopo il maturamento dei semi. Le fronde delle piante arboree ed arbustive più della scorza ; la scorza tenera più della scorza indurita ; la scorza più del legno ; il legno tenero più del duro. Ma a fare ‘una buona scelta di cibi ci gioverà di passare a rassegna le qualità più importanti dei principali fra essi cibi : co- minceremo dai semi, e verremo quindi successivamente agl'inviluppi di essi, cioè ai frutti, poi ai tuberi, agli zuc- chi, ai bulbi, alle erbe verdi o secche, alle paglie , alle frondi, alle scorze e da ultimo al legno. Tra le granella, a parità di circostanze, le più pesanti sotto il medesimo volume, saranno più nutrienti. Così un sacco di granturco del peso di libbre 160 varrà più che un altro di libbre 150. Sotto il medesimo peso, © nella stessa specie di granella, sarà più nutritivo quello che conterrà meno buccia in proporzione della farina. Se pren- dete le granella rose dagl’insetti , i quali le vuotano della farina lasciando quasi intatta la buccia , nel medesimo peso troverete tanto minore la facoltà nutriente. Nel medesimo peso di farina il nutrimento sarà maggiore se predominano le sostanze azotate sull’amido. Perciò la farina di grano 60 è più nutrieate di quella di segale, e molto più di quella d'orzo, di avena ec. Nelle granella quindi ritenete come: più nutrienti i fagioli, le lenti ed i piselli ; quindi le vecce i mochi e le cicerchie; poi le fave; appresso il seme di lino ed il granturco; poscia l'orzo e da ultimo l'avena. Queste due ultime sorte di granella riescono meno nutri- tive che non dovrebbero perchè ricoperte delle proprie glume o pellicole o loppe, che dir le vogliate. La semo- la o crusca, essendo l’ inviluppo del granello, ne costituisce la parte tanto meno nutriente quanto è più spogliata di farina. Perciò coi progressi recenti della macinatura dei cereali, per mezzo soprattutto dell’inumidimento, e della più perfetta burattazione, la semola non è che quasi la pura buccia esterna del granello con esiguo resto di par- ticelle farinose. Le granella servite all'estrazione di qualcuno dei loro ingredienti lasceranno un residuo tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza del tratto ingrediente. Così le pa- nelle dei semi oleiferi, da cui siasi estratto l'olio, restano molto nutrienti proporzionatamente, perchè l’olio tolto è la parte meno nutritiva, e le sostanze azotate rimaste lo sono molto di più: dicasi lo stesso della polpa di ulive ; la quale se non si facesse irrancidire sarebbe buon cibo per taluni animali. Non avviene lo stesso dell’orzo che ger- mogliato, e fatto fermentare per la fabbricazione della birra, lascia una vinaccia assai povera per la decomposi- zione della più parte delle sostanze azotate ed amidose. Nulladimeno la fermentazione vinosa l'ha rammollito ed impregnato di particelle spiritose, che lo rendono atto all’ingrasso del bestiame. Abbiamo già detto in che stato rimangano le granella, da cui siasi tratta la farina dopo la macinazione. Dopo le granella propriamente dette, sono da annoverare tra i cibi più ricchi le castagne, e poi le ghian- de. Le prime son dolci, specialmente dopo la dessiccazione, 61 e riescono ‘assai nutrienti; ma si usano più a cibo umano: ai majali non si danno che ie magagnate soltanto, Le ghiande dolci sono mangiate con avidità grandissima dai majali; ed il bestiame grosso non le sdegna. Son certa- mente da posporre alle castagne ed alle granella propria- mente dette; pur nondimeno spesso il loro tenue prezzo in certe annate potrebbe farle usare a cibo del bestiame grosso. I frutti polposi sono molto meno nutrienti dei semi, e d’ordinario non se ne pascono che i majali. Il che avviene delle zucche, delle mele ec. La polpa di mele e di pere, da’ cui siasi estratto il mosto per la fabbrica- zione del sidro, ingrassa il bestiame suino. In Sicilia fan mangiare al bestiame vaccino le polpe dei limoni, da cui han cavato l'essenza ed il succhio acido. Resta in esse polpe un residuo d’agro, il quale aguzza l'appetito e la digestione, e dispone all’ingrasso allorchè ‘nella profenda giornaliera vi ha mescolanza di altri cibi. Le vinacce rac- chiudono , oltre ai graspi ed alle bucce, una buona parte della polpa dell’uva; ‘ed il tutto è penetrato di vino, se desse han fermentato col mosto. Appena strette perciò si aprono affinchè non inacetiscano , e si apprestano al grosso bestiame vaccino ed al suino, ma mescolate ad altri cibi: le particelle spiritose, che ancor ci restano , © le acetose , che per innanzi vi si svolgeranno, le renderanno acconce agli animali che s’ingrassano; ma avvertite di usarne a poco per volta. Dopo i frutti polposi si collocano i tuberi, quali sono le patate: fra qui quelle, che hanno messo germogli nei magazzini, sono già impoverite di materie nutrienti , e quindi riescono meno buone. I tuberi fatti fermentare per la fabbricazione dell’alcool hanno già perduto gran parte della loro fecola e delle poche materie azotate, che con- tenevano) Tuttavia la fermentazione le ha impregnate di 62 particelle alcooliche , che le rendono atte all’ingrasso come la vinaccia d’orzo. Appresso alle patate vengono i tartufi di canna, ossia i tuberi del girasole tuberoso. Gli zucchi contengono la materia nutriente meno concentrata che nei tuberi, e fan pro al bestiame , specialmente ai majali. Nelle barbebietole predomina il principio zuccherino, che le rende gradite al bestiame, e profittevoli agli animali da ingrasso ed alle mucche da latte. Le barbebietole , da cui siasi cavato lo zucchero serbano soprattutto la sostanza legnosa o cellulosa, poichè nel giulebbe van via altresì in copia le sostanze azotate. Quelle servite alla distillazione dell'alcool sono nel medesimo caso. Le rape riescono meno zuccherine delle bietole, ma contengono, siccome la mag- gior parte delle piante della famiglia delle crucifere , un; principio stimolante, che accresce l’appetito ed ajuta la di- gestione. Le rape, che han cominciato a mettere lo stelo si hanno uno zucco tanto più esausto e vuoto quanto più si è già sviluppato lo stelo stesso. Le carote e le pasti-; nache riescono gradite molto al bestiame; e nelle con- trade, in cui sono abbondevoli, sovvengono moltissimo la, pastorizia; c non solamente giovano alle bestie all’ingrasso: ed a quelle da latte, ma anche ai cavalli. Le patate, le: bietole e le rape offrono il grandissimo vantaggio di ap- prestare al bestiame un cibo fresco in inverno; poichè le’ priine e le seconde si serbano con certa facilità, cavate di terra, e le ultime vegetano anche nel cuore della fredda stagione. Tra le erbe primeggiano le graminacee, le quali, sva- riate come sono ed omogenee all'organismo animale , rie- scono ottimo cibo. Le granella dei cereali, appartenenti au- ch'essi alla famiglia delle graminacee, costituiscono il tipo del nutrimento dell'uomo, e riescono eccellenti ai nostri animali; sicchè l'erba delle graminacee, in cui sono diffuse le sostanze delle granella, dovrà partecipare delle stesse pro- 63 prietà. Appresso alle erbe graminacee collocheremo le bac- celline, che voglionsi mescolare alle graminacee; essendo \chè amministrate sole spesso diventano troppo calorose. \Le une e le altre poi riescono più ingrassanti se proven- gono da praterie artificiali; ma non di rado non sommi- nistrano agli animali da lavoro l'energia che infondono le \erbe naturali di prati asciutti, e di cui la raccolta non venga soverchiamente ritardata. La qual cosa a dire il vero riesce malagevolmente; stantechè le erbe dei prati naturali essendo di svariatissima indole, le une trapassano la ma- turità di fieno quando le altre sono tuttora troppo tene- rine. Tuttochè le erbe graminacee e le leguminose siano le principali, ve n’ha altre di differenti famiglie , che porgono buon cibo agli animali. Tutte poi sono man- giate verdi, e molte convertonsi in fieno; nella quale ‘conversione perdono alquanto della loro facoltà mutritiva, e specialmente per gli animali all’ingrasso o da latte. Ma per quelli da lavoro stanno più in corpo, e dispongono meglio alla fatica. E necessario però che il seccamento sia fatto con certe precauzioni per conservare al fieno la maggior parte del suo valore nutriente, e massimamente allorchè si ha a fare con erbe baccelline , per le quali il soverchio disseccamento le riduce in nudi stecchi privi delle foglie, che ne sono le parti più nutritive ; mentre it riporle frescone induce talvolta avarie nei fienili. Talune erbe non si seccano siccome sono le saggine , il saraceno, il foraggio degli erbaj autunno—invernali ec. La saggina ha la buona prerogativa di venir avanti nel cuore dell'estate in terre non buone; ma il suo foraggio indurisce presto, mentre non istà in corpo alle bestie , se è tenero. Allorchè le granella della saggina son mature, i sag- ginali si mantengono tuttavia verdi; ma diventano così duri che, tranne le foglie, le bestie li ricusano : trinciateli però fimamente e mescolateli a foraggi più teneri che allettino 64 gli animali a mangiar tutta la mescolanza. Le erbe ed i fieni montanini sono più aromatici, ma più duri di quelli di pianura; e gli animali, che le pascono, si mantengono più agili e vigorosi. Se l'erba però è di sua indole dura e steccoluta, riescirà più digeribile in piano; in cui in ogni modo acquisterà una particolare attitudine a provo- care la formazione dell’adipe. Le erbe spontanee , che s’in- frammettono alle coltivate, diventano troppo acquose e flosce ; e se non sono levate alquanto consistenti provocano: le ventrali evacuazioni. Di questa proprietà partecipano tutti i foraggi che vengono avanti in terreni troppo ricchi od irrigati, e che crescono soverchiamente folti, ed in modo che il raggio vivificante del sole non pussa passarvi per. entro. Dicasi lo stesso del foraggio troppo giovane, sicco-. me accade nella prima tagliata precoce delle praterie di ‘ trifoglio pratense, o di medica , o neile ultime tagliate di questa ; dell'erba, che si cava dalla cimatura delle fave e soprattutto dagli erba] autunno-invernali, ed anche della prima parte della primavera , come a dire di avena e fave, | orzo e fave ec. E notate che pel foraggio di'cotali erba] l'inconveniente del soverchio tenerume è raddoppiato dalla mortificazione che nel fogliame induce l’ayversa stagione; ‘ per cui adoperatelo piuttosto come condimento del seccume, col quale mescolatelo in piccole proporzioni. Nel nostro . clima non vi ha che lo zucco della rapa , il quale in inyerno si possa dare anche a tutto pasto al bestiame , salvochè non sia stato offeso da troppo rigorosi geli. Le giovani piante di granturco , che si cavano nel diradamento della sua coltivazione, sono anch'esse troppo tenere, e vanno mescolate a mangimi più consistenti. Tenete a memoria, che queste avvertenze sono più necessarie ad avere nel pasto degli animali da lavoro. Nei luoghi palustri le buone graminacee non allignano, e vi sottentrano le carici, la canna, i giunchi, i ciperi ed altre erbe di cattiva qualità, le quali nutriscono poco gli ani- mali. Alcune di queste erbe, di cui si compone il falasco dei nostri paduli, racchiudono di molte materie saline , che stimolano l'appetito del bestiame ; e voi vi sarete av- venuti nell'osservare che desso mangi di quelle che gli servono di letto nelle nostre stalle. Se voi però vorrete mantenere in buono stato i vostri animali, non dovrete ado- prarne ; od almeno vi sarà mestieri mescolarle in piccole proporzioni ad altri foraggi più nutrienti e sani. Le paglie dei cereali e delle baccelline sono rimaste dimagrate dalla granigione; tritate però e mescolate a cibi più sostanziosi si fan mangiare con profitto al bestiame. Quelle di legu- minose tornano più nutritive che non le altre dei cereali ; tuttavia queste ci offrono in un'agricoltura perfezionata il mezzo di variare e correggere il vitto proveniente dalle praterie artificiali formate nella massima parte di erbe baccelline. E nel consumo dell'erba verde di praterie di medica o di trifoglio pratense, la paglia di cereali trin- ciata e ad essa erba mescolata, qualche ora prima di somministrarle , ne assorbisce la soverchia acquosità , e pre- viene la timpanitide, ossia enfiamento del corpo. Ed io porto opinione che il concio, che si ritrae da questa mescolanza , diventi più accomodato alle coltivazioni di cereali. Le paglie sole però valgono poco ad un alleva- mento produttivo. Fra le paglie dei comuni cereali pri- meggia quella d'orzo, e poi l’altra di avena, di frumento, e da ultimo quella di segale. Se i culmi del cereale sono stati infetti di ruggine, la paglia sarà peggiore. Delle pa- glie di piante baccelline, quella di fave non è mangiata volentieri che dai muli, ma specialmente dagli asini. Tat- tavia l’altro grosso bestiame mangia i gusci; e tritando finamente il resto, rammollendolo , o meglio ponendolo a fermentare con altri cibi, ed intridendolo di farina, gli si farà mangiare a poco a poco. Tutte le paglie poi, ma i 66 specialmente quelle di cereali, acquistano forza nutriente dalle erbe spontanee cresciute framezzo ai seminati, Molte di esse, è vero, son diventate paglia per l'avvenuta grani- gione dei proprj semi; ma una parte si trova allo stato di buon fieno. In tale caso i nostri dicono che lo strame ha buon calcio. In tutte le paglie quelle parti, che stanno accosto ai semi, sono più nutritive delle altre che se ne dilungano secon- dochè altrove accennammo (Agricoltura speciale. Lezio- ni xxx e xxvil, pag. 403 e 442). Perciò le loppe edi gusci dei baccelli sono migliori delle cime dei gambi ; e queste più del calcio o dello strame; per la qual cosa rammentatevi che la paglia battuta dei cereali, che nella usanza pisana si segano a co/lo, è più nutritiva del basso del culmo che costituisce lo strame. La loppa poi, o pula, dei ce- reali a spighe senza resta è la miglior parte della paglia , ma la restata provoca la tosse, se non sia stata prima molto divisa ed ammollita. I cartocci di granturco sono eccellenti, ed anche il tutolo ridotto in farina. Gli stocchi trinciati finamente, ammolliti, mescolati alla trita di altri foraggi, ed intrisi di farina son mangiati dal bestiame vaccino. Le foglie di alberi e di arbusti, colte nel colmo della loro vegetazione, od almeno assai prima della loro caduta naturale, sono ottimo cibo. Quelle d'olmo vengono reputate a ragione delle migliori: i pampani alleghiscono i denti, se non sono trinciati fimamente e mescolati ad altri cibi. Non solamente le fronde, ma altresì i teneri ramuscoli degli alberi e degli arbusti son mangiati con profitto dal bestiame, anche allo stato secco. In molti luoghi si usa di tagliarli, farne piccoli fasciatelli e serbarli per le prov- visioni d'inverno. Sapete con quanta ingordigia il bestiame roda la scorza ancor succhiosa degli alberi; sicchè ove se ne abbia, è meglio usarla a cibo che a fuoco. Il legno 67 stesso, se tuttora molle e succhioso, com’è quello dei giovani rami dell’anno stesso, vien mangiato e digerito facilmente. Insomma ogni tenerume delle piante più dure “ed annose può servir di pastura al bestiame ; e starà bene che il diligente agricoltore lo metta a profitto. I letti stessi dei bachi da seta, in un coi cacarelli, son divorati dalle vaccine; ed è certamente cosa più utile di cibarne questi animali che di usarli come concime. $. 3. Gli alimenti generano effetti nutritivi differenti sotto il medesimo peso; e si è cercato di trarne i diversi pesi delle varie sostanze alimentari, i quali producono lo stesso effetto: queste diverse quantità si son chia- mate equivalenti. Dicendo, a cagion di esempio, che duecento libbre di patate equivalgono a cento di fieno, si vuol denotare che gli effetti nutritivi di libbre duecento di patate sono eguali a quelli di libbre cento di fieno. È siccome il fieno è il cibo più ordinario e normale del be- stiame, pertanto le quantità equivalenti degli altri cibi si sono riferite a 100 libbre di fieno fine come a misura di pa- ragone. Per determinare cotali equivalenti si son tenute di- verse vie: l’analisi chimica e l’esperimento sul vitto degli amimali. Col primo metodo si è supposto che la facoltà nutritiva degli alimenti stesse in ragione diretta della pro- porzione delle sostanze azotate che vi si racchiudono; e quindi la tavola degli equivalenti, che si è compilata, è anzi quella dell'azoto che del vero potere nutritivo. Ed infatti l'equivalente delle sostanze molto azotate è d’ordi- nario più basso del vero, e più elevato quello delle so- stanze poco azotate. Gli equivalenti per via di esperienze dirette si sono più specialmente determinati per la produzione della carne. Ritenete però che riunendo queste due serie di risultamenti sì giunge ad una media approssimativa, la quale è ben 68 lontana da una plausibile precisione; imperciocchè il po- tere nutritivo dei cibi varia a norma delle circostanze in cui furono prodotti. Così gli alimenti venuti avanti in suolo molto ricco, coll’ajuto dell’ irrigazione, ed in un clima ed in una stagione fredda, hanno minor facoltà nutri- tiva, Pertanto le granella di granturco serotino, che i Luc- chesi raccolgono per mezzo della cultura che segue alla messe del frumento , e che va a maturare incompletamente nell’Ottobre, sono molto meno nutritive di quelle delta cul- tura maggese. I fieni dei terreni acquitriuosi riescono meno nutritivi di quelli di prati asciutti, supponendo anche che risultino dalle medesime specie prative. Alcune esperienze istituite fra il fieno di trifoglio pratense, il fieno di prima qua- lità dei terreni umidicci di Coltano ed i mezzi fieni, detti da vacche , del nostro padule, mi hanno mostrato stare la facoltà nutriente rispettiva come: 7 e ',, 4e ,,2e % Vedete adunque che i mezzi fieni empiono il ventre agli animali, ma non li nutriscono che scarsissimamente! 1 prodotti degli erbaj autunno-invernali di avena e fave, di orzo ec., non hanno che scarsa facoltà nutriente, e son preziosi perchè condiscono il seccume. Se voi nutrite il vostro bestiame esclusivamente con esse erbe, lo vedrete deperire. Varia anche l’equivalente delle erbe a norma delle fasi vegetative, in cui raccolgonsi. Così l'erba fal- ciata tenera non istà in corpo alle bestie, cui gonfia il ventre; quella segata allorquando i semi son prossimi a maturità diventa pagliosa, dura a smaltire e di poco nu- trimento : il miglior foraggio è quello che si sega allorchè i fiori sono sbocciati e la granigione appena cominciata. Le granella non ben mature, le fronde raccolte troppo tenere, o presso al tempo della loro caduta , fan poco prò, ed hanno un equivalente minore di quelle spiccate nel- l'auge del proprio vigore. Inoltre l'equivalente diversifica secondo la specie degli animali, la loro età, la razza, il 69 clima e la stagione in cui si allevano , la produzione cui si destinano ec. Supponendo adunque vero , il che non è, esser proporzionato il poter nutritivo degli alimenti alla copia dell'azoto; e supponendo ben praticate le esperienze, rimarrebbe ancora, per istabilire una buona tavola di equi- valenti, a ripetere gli esperimenti nelle diverse condizioni mentovate. Infatti negli alimenti bisogna considerare non solamente la copia delle sostanze assimilabili, ma bensì la loro aggregazione, per cui si rendono più o meno digeri- bili, e la loro facoltà eccitante sull'apparato digestivo. Adunque l'equivalente di tutti i cibi vegetabili varierà se- condo il clima, il terreno, il metodo di coltivazione ec. Consultando le tavole compilate da Boussingault, ve ne potrete chiarire alla prima. Ma poniamo che questa difli- coltà sia per poco rimossa, le preparazioni diverse che si fan subire agli alimenti ne accrescono, o scemano il potere nutritivo secondo le diverse produzioni, come frappoco vedremo. Ma la specie degli animali da cibare è una condizione che muta l'equivalente dell’alimento. Le materie tutte poco nutritive, avranno un aumento di potere se impiegate ad alimentare animali dotati di forte apparato digerente. Per- ciò la paglia sarà più nutritiva pel bove che pel cavallo; gli zucchi più pel bove che pel majale, perchè la specie vaccina possiede un apparecchio digerente più perfetto di quello del cavallo, e soprattutto del majale ; d'onde av- viene che può cavare miglior partito dallo stesso cibo. È altresì da tener conto dell’età degli animali della stessa specie, ed anche della razza. I giovani animali domandano un cibo più delicato e di facile assimilazione; per cui il potere nutritivo di certi alimenti poveri e duri a smaltire, sarà più tenue rispetto ad essi che agli adulti. Provatevi a somministrare paglia ad un vitello che spoppate: lo fa- rete perire d’inedia, non ostante la quantità di codesto “> % 70 cibo che gli farete ingollare, mentre una piccola dose di farinosi lo terrebbe in buono stato. Dicasi io stesso dello influsso delle razze: una mucca di Durham diverrebbe uno scheletro nei nostri paduli, o sulle montagne aride, dove le razze locali vivono discretamente. Adunque le razze nobili, che domandano scelti cibi, non si possono ovunque surrogare alle rustiche, le quali fan cavare più utile delle magre pasture, e da foraggi di bassa qualità. Nei climi piuttosto freddi la facoltà digerente è più energica : il contrario avviene nei caldi; in monte più che in pianura. Per la qual cosa gli equivalenti del medesimo cibo diver- sificheranno. Dicasi lo stesso della stagione, in cui ammi- nistrate i cibi. L'erba verde ed il suo fieno avranno un equivalente diverso in estate ed in inverno; poichè nella prima fa più prò la verzura, mentre in inverno il fieno fortifica l'apparato digerente. Finalmente è da badare alla produzione, che si vuole ottenere. Per quella della forza muscolare si richiedono cibi stimolanti, e che racchiudano molta materia alimentizia in un dato volume. Imperocchè a mantener le forze giova molto non empir di troppo lo stomaco di sostanze in gran parte inerti. E per meglio persuadervene, dovete considerare che le dure e continue fatiche, cui si sottopongono alcuni animali , turbano la regolarità della digestione e di tutte le altre funzioni assimilatrici. Vi rammento il famoso afo- risma: post prandium stabis, aut lento pede ambulabis , il quale sebbene detto per l’uomo si deve confessare egual- mente vero per gli animali, di cui ci occupiamo. Per la specie vaccina da lavoro poi questo bisogno è maggiore; perchè in essa è necessaria la ruminazione, la quale ri- chiede un certo riposo. Adunque alle bestie da lavoro sono più acconci gli alimenti molto nutrienti; e questi animali non saprebbero tirar dalla paglia quel nutrimento che loro abbisogna, e che altri, i quali vivono più riposatamente , 71 possono cavarci. Nè è da dimenticare l’azione stimolante dei cibi. Prendete tre libbre di carne, fatene due parti eguali; lessate l’una ed arrostite l’altra: quest'ultima dispiegherà sui visceri digestivi di un uomo, che si esercita della persona, un'azione confortante che non fa l’altra parte ed il suo brodo presi insieme. Per la produzione della carne gli equivalenti sono diversi in confronto di quelli dei cibi destinati alla forza muscolare; variano anzi nelle diverse fasi dell’ingrasso di un animale. Infatti per la manifestazione della forza mu- scolare fan prò i cibi sostanziosi ed azotati che stimolano l'organismo, mentre all’ingrasso conferiscono i cibi grassi e che illanguidiscono la macchina per disporla a lasciarsi distendere dall’adipe. Inoltre nei primi tempi dell’ingrasso convengono anche i cibi di discreto poter nutritivo; ma nella misura che l’ingrasso avanza, le forze digestive il- languidiscono ognor più, ed il corpo si satura di grasso ; i sicchè a voler ottenere qualche effetto bisogna adoperare | cibi saporiti e della maggior succulenza. Laonde gli equi- valenti dei cibi nella prima fase dell’ingrasso non saranno più gli stessi nelle fasi successive. Per la produzione del latte valgono molto le erbe, i | farinosi stemprati in molta acqua e certe sostanze saline. Così i foraggi verdi sono appropriati a questa produzione perchè racchiudono molta acqua, che l’animale ingolla as- sieme all’alimento. I farinosi rappresentano per la loro composizione le sostanze che il latte contiene; sicchè fat- tane emulsione nell'acqua si ha una mistura che trasfor- masi agevolmente in latte. Le materie saline, che la cru- sca racchiude, par che agiscano ad accrescere la segrezione mammaria. Per la produzione della lana non si conoscono cibi speciali che la provochino. Per quella dei redami però è indubitato che l'esercizio delle funzioni generative nel ma- 72 schio richiede cibi confortanti e molto nutrienti onde mantener vigoroso il corpo e riparare le perdite, che ca- gionano la separazione del liquido prolifico e l’atto della copula. Nella femmina poi l’ingrossamento dell'utero pre- gno ristringe lo spazio, in cui debbonsi stare i visceri digestivi, e pertanto i cibi poco nutrienti sono mal dige- riti; sicchè farà d’uopo ricorrere, nelle ultime fasi della gravidanza, ad alimenti ricchi e di facile digestione. Dalle sopraddette cose apparisce chiaramente secondo quali circostanze variano gli equivalenti alimentari, e come nella scelta dei cibi debbesi tener conto delle circostanze prenominate. E voi comprenderete di leggieri perchè le de- terminazioni esibiteci dagli esperimentatori presentino nota- bili discrepanze. Tuttavia prendendo una media di queste diverse determinazioni, potremo compilare una tavola, che serva a guidarci per approssimazione nella pratica quando nell’usarne terremo conto delle circostanze surriferite. Ec- covi un quadro di equivalenti, nel quale è stato preso per tipo il fieno ordinario di prato naturale di buona qualità , a cento libbre del quale sono riferite le quantità equivalenti degli altri mangimi. Rammentatevi che cotali determina- zioni sono ricavate dall'aumento giornaliero del peso del-. l'animale vivente, ossia nella produzione della carne. Fieno naturale, di trifoglio, lupinella ec. 140 Granella di fave, vecce e piselli . . . . 44 » di orzo e granturco : . . . . 60 » diiavena.;!;/.li 0). assieli0? af ara Paglia di piselli, vecce, fagioli e lenti . . 150 » d'orzo e di avena . . . . . . . 200 Patate. 919202004 Vo ogssalgi: 909 TRS iO Bialale tt Ent 0 E > IE Paglia di grano... . +. +. 300 piddi: (segale: allivò. 99 losiso sona si edi 1900 ape. i nice Lidia du 9HSb. dis 119501 ssi DIANO 73 Prima di abbandonare il tema della scelta degli ali- menti debbo farvi notare come agli animali faccia molto prò la varietà dei cibi assieme mescolati e tagliati. Que- sta varietà stuzzicherà l'appetito degli animali, li man- terrà meglio in salute e provocherà singolarmente la pro- duzione del grasso e del latte. Adunque rammentatevi di questo bisogno di render variato il vitto del bestiame, poichè ne trarreie gran profitto nella pratica. È poi im- portante il notare come torni più vantaggioso di procurare la varietà degli alimenti mescolandoli nella profenda giorna- liera anzichè alternarli separatamente. Se voi volete am- ministrare fieno di prato naturale, fieno di trifoglio , di vecce o di medica, paglie, farine, ec., sarà meglio che voi ne facciate una mescolanza tutti i giorni invece di am- ministrare alternati i predetti alimenti. Imperocchè vi ac- cadrà che l’animale, il quale ha assaporato il cibo a lui più gradito, non mangerà gli altri che svogliatamente. S. 4. Quanto alla bevanda naturale, cioè all'acqua, diremo solamente che vuol essere scevra di sostanze noci- ve, ma mescolata all’aria atmosferica, che la rende ec- citante e favorevole alla digestione. È poi utile che l'acqua abbia una mite temperatura perchè l’animale ne beva vo- lentieri. Nulladimeno l’acqua scaldata artificialmente, e che sì prepara pei beveroni, alla lunga indebolisce lo sto- maco ed è atta soprattutto a provocare l’ingrasso : astene- tevi dall’amministrarne ai teneri animali ed alle bestie da lavoro. La bevanda poi si rende più gradevole stemperan- dovi farine o crusca come diremo. 10 74 LEZIONE V. PREPARAZIONE DEGLI ALIMENTI E DELLE BEVANDE. -@- SOMMARIO. S. 4. Dei modi diversi di modificare i cibi, ed in particolare dello smi- nuzzamento dei medesimi. $. 2. Rammollimento dei cibi e cottura. S. 3. Fermentazione dei cibi. $. 4. Condimento dei cibi. $. 5. Beveroni. $. Gli alimenti si apparecchiano a pasto delle bestie, modificandoli: 1.° meccanicamente; 2.° chimicamente; 3.° dinamicamente. I mezzi meccanici consistono nello sminuzzamento e nel rammollimento dei cibi. La divisione si opera ora trin- ciando gli alimenti, ed ora ammaccandoli., o triturandoli. La divisione meccanica serve a facilitare la masticazione e la digestione; ad impedire lo sprecamento del mangime; ad agevolare il rimescolamento dei foraggi di bassa qualità con dei migliori. Infatti uno degli effetti della mastica- zione e della digestione si è quello di assottigliare l’ali- mento: operando questo effetto prima della sua introduzione nel corpo dell'animale, si risparmia a questo una parte di lavoro. Qualvolta il foraggio si appresti intiero, l’animale ne getta di sotto sul letto non poca parte, che va perduta come vitto, e poi trasceglie la più appetitosa. Sminuzzan- dolo , al contrario, lo si obbliga a mangiarlo tutto. Se si hanno delle paglie e de) fieno, e si somministrano sepa- ratamente o mescolatamente allo stato loro naturale, il bestiame mangia il fieno e lascia la paglia: tritandoli e 75 rimescolandoli deve all'incontro mangiare l'uno e l’altra. I cibi molto graditi agli animali, per esempio le granella, condiscono gli altri foraggi, se quelli sono ridotti in fa- rina e questi trinciati ed intrisi dei primi. Il rammollimento dei cibi facilita la digestione, perchè uno degli effetti di questa si è appunto di disgregare ed ammollire il cibo acciò si possa poi sciogliere e distemprare negl’intestini : il rammollimento adunque dei cibi ajuta l’opera della di- gestione. I foraggi si trinciano col mezzo di lame taglienti messe in opera con diversi artifizj. Il trinciatojo più semplice consiste in una falce, la quale per le erbe secche o verdi si conficca sopra una panca. La persona, che trincia, sta a sedere sulla detta panca per modo che guardi la convessità della falce, e prende dei manipoli di foraggio, cui stringe con entrambe le mani te- nute talmente avvicinate fra di loro che la lama della falce vi possa agire liberamente framezzo allorchè con una certa forza vi si fa strisciar sopra il manipolo tirandolo a sè. In siffatta guisa i foraggi si appezzano grossolanamente. Il falciolo serve ad affettare le radici eduli, come bie- . tole, rape ec. In questo caso però si tien ferma la radi- ce colla mano destra, e colla sinistra si maneggia il falciolo per affettarla a piccoli colpi. Il falcione a gramola è uno strumento alquanto più complicato. Esso consiste come sapete in un piccolo cilindro cavo di ferro raccomandato ad una tavola fissata al muro, e nel massiccio del quale cilindro sono praticate due o tre fenditure pel movimento di due o tre falci, che vi sono imper- niate da una parte, e riunite dall’altra da un sol manico. L'operajo introduce colla sinistra un manipolo di strame, di fieno , di erbe ec. , nel cilindro; e colla destra preme sul ma- . nico : le falci si abbassano e trinciano il foraggio che incon- trano. La distanza, che si frappone tra una lama e l’altra, 76 e tra questa ed il fondo del cilindro dà la misura dei pezzi, in che sarà ridotto il foraggio. Il faleione a gramola lavora con lentezza, espone i contadini a recidersi le dita della mano che alimenta l’arnese, riesce molto faticoso se ha tre lame, e taglia il foraggio tanto più grossolanamente in quanto i contadini per durare poca fatica usano di una sola falce aumentando la distanza tra questa ed il fondo del cilindro, ossia la lunghezza dei pezzetti. Il falcione inglese a ruota (fig. 9.*) con un lavoro più perfetto, in confronto col falcione a gramola, dà maggior prodotto. Le sue parti essenziali sono le lame, o elemento trinciante, e la cassa coi suoi cilindri per presentare il fo- raggio all’azione delle lame. Vi si aggiungono i pezzi, i quali servono a mettere in moto la macchina: tali sono : 4.° il manubrio, che muove tutto insieme il volano, il quale serve a regger le lame ed a rendere uniforme l’azione della forza, e; 2.° l'albero maestro, il quale gira sopra un trespo- lo munito di bronzine e che porta una spirale, la quale ingrana in due ruote dentate , infilate a due alberi che traversano i cilindri alimentari; talchè girando il manubrio, mettesi in moto da una parte il volano colle sue lame e dall’altra la spirale colle due ruote dentate, che muovono i cilindri nella medesima direzione, cioè da dietro in avanti affin di spingere verso le lame il foraggio, che vi sì è im- pegnato. All’estremità anteriore della cassetta vi ha un frontone di ferro fuso, su cui strisciano le predette lame, e che quindi offre un solido appoggio al foraggio perchè le lame lo trincino. Vi ha un peso, il quale gravita per mezzo di una leva, e di un bastone provvisto di due un- cini, sopra il saliscendi, che porta il cilindro alimentare superiore : con tale peso si modera l’azione del cilindro superiore sul foraggio secco che vi passa sotto; sicchè se vi s'impegni troppo mangime, l’innalzamento del cilindro possa scemare l’attrito, non lasciando mai di premere per 77 spingere in avanti il foraggio. Avendo a trinciare dell’erba si leva via il peso, ed allora aumentasi l'intervallo tra’ due cilindri ; con che si accresce il prodotto del falcione senza aumento di fatica appetto al trinciato di seccume, perchè la roba verde è più agevole a trinciar della secca , e si scema la pressione del cilindro superiore che pesterebbe troppo l’erba, cui arrecherebbe guasto, mentre l'’ammaccamento dei foraggi secchi è da essere reputato anzi utile che no. Pertanto è da stimarsi molto vantaggiosa la disposizione del falcione che quì vi presento. In altri falcioni il cilindro superiore è fisso; il che ha permesso di sopprimere la spirale e di sostituirvi degl’ingranamenti a denti che soffrono meno attriti; ma così i vantaggi rammentati si perdono. Perchè il falcione , che avete sott’occhio, lavori bene, si richiede : 1.° che le lame rasentino per l'appunto il frontone, e che siano ben taglienti; 2.° che le sverze dei cilindri sieno sufficientemente rilevate per spingere il foraggio in avanti; 3.° che l’ingranamento della spirale colle ruote dentate sia esatto; 4.° che il pezzo collocato davanti al cilindro superiore non lasci passare foraggio nell'intervallo che ri- mane tra il medesimo pezzo ed il cilindro; e che tra il cilindro inferiore ed il regoletto che gli sta di contro non avvenga il rammentato passaggio; 5.° che non rimanga intervallo tra i cilindri e le piastre di ferro fuso laterali; 6.° che i colli dell'albero maestro vengano abbracciati come conviene dalle respettive bronzine, e che quelli degli albe- retti dei cilindri non dimenino nei fori in cui girano. Nel- l'uso di un falcione nuovo accade spesso che le sverze di ferro dei cilindri mordan troppo , e che strascinino del fo- raggio fra il cilindro superiore e la pressa, o tra il ci- lindro inferiore ed il regoletto che gli sta avanti, tanto da rendere difficile il girare di essi cilindri, e da determi- narne talvolta la rottura. In questo caso, che accade soprat- tutto nei primi giorni, in cui si comincia a mettere in opera 78 | e finchè le sverze non si liscino, è mestieri di girare il volano in senso inverso per tirar fuori il foraggio dai posti indicati, in cui si fosse per avventura impegnato. Il falcione a ruota può esser mosso da un uomo, ed alimentato da una donna o da un ragazzo : invece di un uomo posson valere al manubrio due ragazzi o due donne, di cui l’una applichi le sue braccia al manubrio, e l’altra messa di fronte lo tiri a sè per mezzo di una fune : in questo modo ciascuno sostiene la metà della fatica. Un falcione ben costruito trincia in un’ora circa 200 libbre di fieno o di paglia, ed una quan- tità quadrupla di erba. Nel trinciare la paglia, le lame perdono il taglio più facilmente, in virtù di quella tunica silicea che ne riveste il cannello. Per affettare le radici eduli vi ha uno strumento poco più complicato della falce mentovata. Consiste in due lame, che si tagliano ad angolo retto (fig. 7.°): esso strumento si unisce ad un manico. Le radici si mettono in un bi- goncio largo e basso, e l’uomo armato del detto trin- ciatojo dà colpi verticali sulle radici per appezzarle. Talvolta in luogo di due lame incrociate ve n'è una in forma di S. Eccovi poi un trinciaradiche a ruota ( fig. 8.°). Le radici si gettano nella tramoggia 4; e girando il ma- nubrio B si muove la ruota C; le cui lame 2 affettano le radici, che discendono via via dalla tramoggia: è un lavoro speditissimo e punto faticoso. Per istritolar le granella, oltre ai soliti mulini che le riducono in farina, vi ha un altro congegno che serve a frangerle grossolanamente, e che perciò potrebbe appel- larsi frangiseme. Come vedete è composto di una tramog- gia, il cui fondo è formato da un cilindro cosparso rego- larmente di piccole cavità, in cui entrano i semi. Nel gi- rare del cilindro, i semi contenuti nelle piccole cavità ca- scano nell’intervallo di due cilindri leggermente scanalati di ferro fuso, i quali muovendosi da sopra in sotto, le 79 afferrano e le schiacciano. Una vite serve ad avvicinare più o meno i due cilindri secondo la grossezza delle gra- nella da frangere. Due .uomini, di cui ciascuno si applica ad un manubrio, mettono in moto il frangisemi. Se le gra- nella si rompono per ministrarle schiette agli animali da lavoro, allora il frangiseme fa buon lavoro. Ma ove se ne volesse impolverare la segata per renderla più nutritiva ed appetitosa, sarebbe meglio ridurle in farina, che si at- tacca e s’incorpora meglio alla segata stessa. Del pari vo- lendone far beveroni è da preferirsi la farina. Oltre al trinciamento, l’affettamento e la triturazione più o meno fine degli alimenti è stato messo in opera re- centemente un nuovo modo di sminuzzamento dei cibi : voglio dire la raspatura o grattugiamento applicato alle radici eduli. Per mezzo di una specie di raspa si riducono le bietole, le rape e simiglianti foraggi in una polpa fine come grossa raspatura di legno dolce. Se non che ognuno intende che cosiffatto procedimento applicato a sostanze molli e succhiose, non può dare una raspatura così buona come quella di legno, o se volete come il formaggio grat- tato. Anzi conoscete al certo che il legno troppo morbido sì raspa male: lo stesso accade del formaggio. Le radici raspate danno pertanto una polpa che si appastona e la- scia colare molto liquido. A questi due inconvenienti si ripara così; cioè si raccoglie in primo luogo separatamente il succhio, si mischia la polpa col foraggio secco trinciato fine perchè ne venga prosciugata, dopo qualche ora si risvol- tola la mescolanza per meglio incorporarne gl’ingredienti, e da ultimo si spruzza sopra il succhio raccolto. In siffatta guisa non perdesi alcuna parte utile di dette radici, men- trechè si raggiunge il fine, colla raspatura , di dividere mi- nutamente le radici eduli per mescolarle agli altri foraggi. Notate però che tale operazione le rende anche più di- gestibili perchè rompe molte cellule. $0 $. 2. Il rammollimento si opera per mezzo dell’acqua fredda o calda, e talvolta della cottura. La segata di sec- cume si annaflia con essa acqua e si rimescola ; e dopo un'ora o due si amministra al bestiame prima che fer- menti. Le granella molto dure si possono far macerare in acqua. La cottura per mezzo dell'acqua o del vapore, rammollisce e disgrega gli alimenti, spogliando alcuni di essi, le patate per esempio ed i lupini, del loro principio amaro e velenoso. La cottura nel forno produce gli stessi effetti disgreganti. Per la cottura a vapore si mettono gli alimenti in specie di barili, in cui s’introduce il vapore acquoso , che dopo di aver operato si condensa in acqua e va via. Vi aggiungo però che la cottura pei suoi effetti, tiene del meccanico ed anche del chimico. Confrontando poi il semplice rammollimento colla cottura, questa è più efficace per le patate, che dispoglia delle qualità venefiche. I lapini ed altri cibi amari, con una lunga macerazione in acqua di lissivia si addolciscono, ma per mezzo della cot- tura l’effetto è sempre più pronto. Per le paglie e strami il rammollimento torna più lesto e più economico. In que- . sti procedimenti meccanici, il trinciamento degli alimenti fa prò a tutti gli animali. Il ridurne le granella in farina, di cui s'intrida la segata per renderla più nutriente e. gra- dita, è ugualmente utile; ma stemperata nell'acqua, spe-_ cialmente nella calda, non conferisce che alla produzione del grasso e del latte ; dicasi lo stesso della cottura. S. 3. Nel numero dei procedimenti chimici, che val- gono a preparare gli alimenti, è da riporre la fermen- tazione, la quale però opera altresì meccanicamente, ram- mollendo i cibi medesimi. Mescolando insieme diverse sorte di alimenti, dei quali alcuni più nutritivi ed altri meno, e mettendo la mescolanza a fermentare, alcune delle so- stanze nutrienti dell'uno distemperansi nell'acqua e pene- trano nelle rimanenti. Inoltre il tessuto degli alimenti si 81 rammollisce, e comincia quella serie di alterazioni che poi continuasi nello stomaco degli animali; e per sopraggiunta gli acidi, che vi si generano eccitano l'appetito ed age- volano la digestione anche per lo stimolo, che dispiegano sulle pareti dello stomaco. È un fatto che il pane, il ca- volo fermentato, che costituisce il sauerkraut, ec. si di- geriscono meglio e fanno più prò delle sostanze stesse non fermentate. È vero che gli animali, non ancora avvezzi a questa fatta di alimento, se ne cibano con ripugnanza ; ma presto presto vi fan la bocca e ne diventano ghiottissimi. Per mandare ad effetto la fermentazione, di cui si ra- giona, si dispongono dei vasi di legno , o delle piccole pile di materiale, in cui si distendono a suoli varie maniere di cibi, come sarebbe a dire paglia trinciata, loppe, fieno trinciato, bietole tagliuzzate, o rape ec.; si sparge sopra ciascun suolo una manciata di sale e della farina, e poi si mesce sopra acqua boliente; e ad impedire che la roba non soprannuoti, vi si soprammettono delle tavole cari- cate di sassi. Dopo due o tre giorni, secondo la tempera- tura , il liquido diviene acidulo, e la pietanza è preparata per amministrarsi al bestiame. Il bestiame all’ingrasso se ne vantaggia singolarmente, ed il liquido che se ne ottiene è salsa buona e piacevole agli animali. Un'altra specie di fermentazione è quella che taluni fan subire al fieno nel seccarlo. A questo scopo l’erba falciata si ammonta e si la- scia così finchè non vi si sia sviluppato un certo grado di fermentazione assai sensibile: quindi si sparpaglia, e quando il disseccamento è compiuto si ripone. Ne risulta un fieno bruno che forma una massa compatta, la quale si può affettare, e che piace molto alle bestie : chiamasi questo fieno bruno alla K/appmeyer. lo soglio riporre il mio fieno di trifoglio nella capanna prima che sia per- fettamente secco, e talvolta ne ritrovo del bruno nel- l’usarne; ma non solamente il bestiame se n'è pasciuto 11 82 senza inconvenienti nella sua salute, ma n’ è divenuto tanto ghiotto da ricusare poi il fieno ben conservato. Vi ram- mento però che cotal fieno spolvera moltissimo al falcione. $. 4. Agli alimenti si dà un potere eccitante speciale con mescolarvi il sale di cucina, il quale stuzzica l’appe- tito delle bestie ed ajuta la digestione. Par che facciano lo stesso le sostanze che racchiudono alcool, per esempio la vinaccia , la quale mescolata agli altri cibi in piccola dose esercita un’azione dinamica speciale sull'apparato digerente. Il liquido acidulo ottenuto dalla fermentazione dei foraggi è anch'esso stimolante. Non posso poi tralasciar di notare come la cottura e la fermentazione degli alimenti siano così giove- voli al pasto degli animali, che certuni di questi, che sono piuttosto carnivori, non mangiano le erbe che quando sono «cotte o fermentate e condite. Voi ne avete esempj familiari nel fatto che i cani ed anche i gatti, i quali sono più carnivori dei cani, mangiano le erbe cotte e condite, mentre le ricusano crude. I majali per esempio mangiano con tanto maggiore avidità le patate cotte che le crude, le erbe fer- mentate che quelle somministrate loro nello stato natu- rale ec. Tenete adunque a mente come le dette preparazioni stimolino l'appetito delle bestie, le inducano a mangiare alimenti poco saporiti ed in maggior copia. Avanti di por termine al nostro dire intorno alla prepara- zione degli alimenti vi aggiungo che le erbe, e specialmente gli zucchi imbrattati di terra o di altra lordura, si lavano prima di tritarli. Ciò si pratica particolarmente per le rape, le barbebietole e le carote. Alcuni attuffano in una pila gli zucchi da lavare, e ve li lasciano stare tanto che basti al rammollimento della terra: allora ve li agitano dentro e li ripuliscono. In Inghilterra si servono di una gran gabbia cilindrica formata di stecche commesse a giorno; la quale gabbia munita di uno sportello per metterci dentro gli zuc- chi, ruota sui due orli opposti di una pila di legno piena d’acqua ; di guisa che nel girar della gabbia gli zucchi ven- 83 gono sciarbottati nell'acqua, tanto che diventino mondi, e poi vengon fuora avviati da una spirale di Archimede. S. 5. Anche le bevande si preparano artificialmente stemprando nell'acqua calda dei cibi sostanziosi , come a dire farine di cereali, di baccelline, o di semi oleiferi, ovvero cru- sca. In questo modo s' incita l’animale a bere molto, e si ajuta la segrezione del latte e l’ingrasso del bestiame. Questi be- veroni poi, in cui entri specialmente la crusca, per l’abbon- danza dei sali che racchiudono, facilitano le dejezioni al- vine, provocano moderatamente le urine, ed agiscono tanto salutarmente su tutte le funzioni nutritive che la pelle di- venta morbida ed il pelo splendente. L'uso dei beveroni è singolarmente utile per le muc- che da latte nel verno ; stagione in cui mancano le ver- zure. In tal caso gli animali bevon poco per la freddura dell’acqua; e nel cibo non trovano quella gran copia di acqua, la quale costituisce quasi i quattro quiati del fo- raggio verde. Si richiede adunque allora di far ingollare dimolto liquido alle mucche, perchè vi sia afflusso pro- porzionato alle mammelle , ed anche perchè il seccume si possa convenevolmente disciogliere ed assimilare nell’appa- rato digerente. E perciò la crusca accresce la segrezione del latte più per questo rispetto che per la materia nutriente cui introduce nel corpo dell'animale. Ecco il modo da me tenuto nel far preparare i beveroni. Metto la semola in bigongi, vi mischio per ogni libbra di semola circa dieci cotanti di acqua calda, e rimesto la mescolanza. Lascio riposare il tutto per otto o dieci ore, € poi l’amministro in beverone, permischiando una parte del liquido confacqua tiepida nel verno. A questo modo si rende saporita la i bevanda con poca crusca. Le farine sono più efficaci; Ì ma in mancanza d’altro riesce anche utile di servirsi di tritume di fieno: se ne ottiene una specie di brodo , in cui si scioglie un po'di sale per renderlo più gradito. ——T 84 LEZIONE VI, DELLA QUANTITÀ DEI CIBI E DELLE BEVANDE -—@- ld SOMMARIO. S. 4. Quantità dei cibi in volume. $. 2. Quantità dei cibi in peso, e pro- fenda di mantenimento. $. 3. Profenda di produzione. $. 4%. Rela- zione tra la profenda ed i prodotti. $. 5. Quantità di bevanda. $. 1. Nel determinare la quantità di alimenti da por- gersi al bestiame è necessario di distinguere il volume e la forza nutriente dei medesimi. Ed in vero il volume de- gli alimenti ha un certo influsso sui loro effetti, imperoc- chè opera sulla facilità della digestione. Se esso volume è soverchio , distende troppo lo stomaco e turba non solo il buon andamento dell'atto digestivo, ma altresì le funzioni degli apparati che stanno entro alla cavità toracica, quali sono il respiratorio ed il circolatorio, pel respinger che fassi del diaframma verso la detta cavità; talchè se l’ani- male per proprio istinto non ne ingoja la quantità suffi- ciente al suo nutrimento, si eviteranno gli effetti nocivi notati, ma allora non verrà convenevolmente nutrito. Se al contrario i cibi son tanto ricchi che al. nutrimento dell'individuo basti un piccolo volume di essi, ed allora lo stomaco non viene bastevolmente disteso ; sicchè manca l’eccitamento alla segrezione dei succhi gastrici, ed al mo- vimento peristaltico, che deve sciarbottare nello stomaco stesso la massa alimentare per la buona digestione. Adun- que la ricchezza dell’alimento deve esser proporzionata 35 all'’ampiezza dello stomaco, per guisa che la quantità in- gerita abbia un volume sufficiente alla buona digestione , e racchiuda la debita copia di principj nutritivi. Per deter- minare quindi il volume degli alimenti, dovrete prendere a guida i bisogni naturali dell'animale da alimentare, e l'ampiezza del suo stomaco. Per tutte le specie il volume dovrà essere relativamente più piccolo nei giovani animali, i quali nutrendosi di latte nella loro più tenera età , hanno l'apparecchio digestivo proporzionatamente più piccolo. Negli adulti poi è da considerare che presso i ruminanti, come sono i vaccini e gli ovini, il detto apparecchio è molto più ampio che nel cavallo, il quale da canto suo l’ha più. grande che il majale. Adunque in questi diversi animali la ricchezza in materia nutritiva dovrà essere ne- gli alimenti maggiore pel majale che pel cavallo, e mag- giore per questo che pei vaccini e per gli ovini, acciò la quantità di alimento sufficiente a nutrire un individuo abbia il volume richiesto. Il volume degli alimenti viene altresì determinato dall’ufficio, cui deputasi l’animale; il quale se è destinato ad un lavoro faticoso, richiederà cibi meno voluminosi, perchè rimangano più libere le funzioni degli apparati respiratorio e circolatorio, che dal distendersi dello sto- maco ricevono impedimento ; e quindi in tali incontri vuolsi ricorrere a cibi che racchiudano la debita copia di mate- ria nutriente in più piccolo volume. Inoltre per gli ani- mali all’ingrasto, il volume degli alimenti dovrà diminuire nella misura dell’avanzamento dell’ingrasso: e ciò non so- lamente perchè la capacità dell'addome si va allora ognor più restringendo , ma altresì perchè a forzare il deposito del grasso nel tessuto cellulare si domanda una gran co- pia di materie facilmente assimilabili, ondechè fa d’uopo di cibi molto succulenti, cioè che in picciol volume con- tengano molte materie nutritive. Dicasi lo stesso per gli animali destinati alla propagazione della specie; concios- 86 siachè il maschio non può mantenersi svelto e vigoroso al suo ufficio se lo stomaco n’è soverchiamente disteso da cibi magri; e la femmina pregna, in cui la cavità dell’ad- dome è in parte occupata dall’utero ingrossato, non può ingerire che minor volume di alimenti, i quali perciò debbono essere più ricchi. Dalle cose discorse si raccoglie che nel pasto degli animali vuolsi tenere una certa proporzione tra il volume degli alimenti e la loro forza nutritiva ; sicchè impiegando alimenti sì poco nutrienti da abbisognarne un soverchio volume per apprestare all'individuo la debita quota di sostanze assimilabili, o volendo usar alimenti tanto succu- lenti da porgere all'uopo un troppo esiguo volume, con- verrà tagliare gli uni cogli altri nella più giusta propor- zione richiesta dall’ indole dell'animale e dalle circostanze dell'allevamento. Adunque voi non potete alimentare un bove con sola avena, nè un cavallo con sola paglia, nè un majale con sola erba. Il bestiame vaccino dovrebbe naturalmente pascer l'erba : adunque l’erba verde, o secca che sia, dovrà servirvi di alimento-tipo. Avete pertanto fieno ? potrete adoprarlo schietto a compire l’intiero pasto. Vorrete usar paglia? mescolatela a tanti farinosi da avere in un volume di paglia corrispondente a quello del fieno , il va- lor nutritivo di questo. Dovrà egli il vostro bove affaticarsi ai lavori rurali, ovvero alla riproduzione? riducetene il volume mischiando al fieno gli zucchi, le farine ec. Il cavallo è destinato a pascer l’erba, e voi potrete nutrire con sola erba o con fieno i cavalli che volete allevare quasi nello stato di natura. Ma se voi amate di aver ca- valli di corpo snello, dovrete aggiungere i farinosi al pa- sto dei giovani puledri. Se i vostri animali hanno a sop- portar dure e continue fatiche, sarà necessario che la biada faccia parte degli alimenti che usate. Il cibo più naturale ai majali, sono le ghiande e le radici; ma se vo- lete un ingrasso sollecito colle radici, mischiatevi i fari- 97 nosi che sono più nutrienti delle ghiande: fate lo stesso se adoprate zucche, frutte di bassa qualità ec. Per le pe- core adoprate erba o fieno. Vi aggiungo da ultimo che il trinciamento della paglia e del fieno ne scema il volume; sicchè nello stomaco ne può capire, in grazia di questo artifizio, una maggior quan- tità in peso. S. 2. Nel determinare la quantità degli alimenti, ri- spetto alla copia di sostanze assimilabili che contengono, conviene riferirli tutti ad un alimento-tipo, che pei tre er- bivori, bove, pecora e cavallo, può esser l’erba verde, o meglio anche la secca, ossia il fieno. Tutti gli altri alimenti si possono ridurre in valor di fieno per mezzo della tavola approssimativa degli equivalenti che già vi ho . dato. Adunque noi determineremo la quantità di alimento . da doversi amministrare al bestiame riferendola al fieno, cui per mezzo della tavola predetta potrete ridurre , gli altri cibi, tenendo conto delle avvertenze già fatte nell’oc- casione della discussione intorno alla. medesima tavola. Per istabilire la quantità di alimenti da apprestarsi ad un dato individuo, è da vedere quella che occorre a man- tenerlo in vita, e l’altra che dovrà trasformarsi nel pro- dotto voluto. Vi rammento che le macchine viventi, a . differenza delle morte, consumano per l'esercizio delle loro funzioni vitali una certa quantità degli alimenti che loro si amministrano; talchè non vi ha luogo a sperare un prodotto che dal soprappiù degli alimenti usati : chiame- remo l’una parte dell'alimento profenda di mantenimento, e profenda di produzione l’altra. Per determinare la pro- fenda di mantenimento porremo a fondamento che dessa può reputarsi proporzionata al peso dell'animale. Dico può reputarsi perchè ciò non è rigorosamente vero. I piccoli animali infatti consumano d’ordinario più che i grandi in proporzione del proprio peso. Il temperamento sanguigno 88 nervoso consuma più del linfatico; ed in genere un ani- male consuma per l'esercizio delle sue funzioni tanto più di materia quanto le sue funzioni si esercitano vivacemente. Ondechè un clima piuttosto freddo, il verno e la prima- vera, un luogo elevato ed esposto ai venti, son circo- stanze che aumentano la quota di mantenimento, perchè accrescono la vivacità delle funzioni organiche. È altresì da tener conto dell’indole della produzione, che si chiede ad un animale; perciocchè in quello da lavoro, tutte le funzioni organiche si mantengono più attive anche nei giorni di riposo: dicasi lo stesso dei maschi riproduttori. All’incontro negli animali all’ingrasso, la quota di man- tenimento scema da un canto, perchè le funzioni organi- che illanguidiscono tanto più quanto si avanza lo stato d’ingrassamento, che fa inchinare l'organismo ad uno stato anormale; ma cresce dall'altro perchè l’animale si pasce tanto copiosamente che i suoi visceri digestivi si rendono insufficienti ad assimilare convenientemente il cibo, delle cui materie nutrienti ne rimarrà troppo più negli escrementi. Le razze adunque più o meno vigorosamente temprate offriranno differenze consimili. Medesimamente il vario potere nutritivo degli stessi alimenti, la forza digestiva dell’individuo , le pre- parazioni diverse che si fan subire ai cibi, e per lo cui mezzo rendonsi più agevolmente assimilabili ec., coopereranno a mutare la quota di mantenimento. Il pascolo degli animali viventi all’aria libera, e che debbono andare in cerca del cibo, è cagione di un aumento nella quota di cui favel- liamo. Adunque non si possono stabilire norme generali , nè dar cifre certe; sicchè tenete quelle che vi presenterò come semplicemente approssimative col fine di aver qualche guida nella pratica. Dovrete pertanto, nell’usarne , modifi- carle secondo |’ influsso delle predette circostanze, che l’espe- rienza v'insegnerà a valutare con quella approssimazione , che può esser ‘consentita dalla natura della cosa. 89 Potete ritenere che ad un dato animale occorra una libbra e mezzo di fieno debitamente preparato per ogni cento libbre di suo peso vivo come profenda di mantenimento. Così una vaccina, che pesi circa libbre 1600 , richiederà libbre 24 di fieno onde mantenersi per l'appunto in vita senza dare alcun prodotto, fuorchè i concimi, e senza che scemi il suo peso e dimagri. È però da avvertire, che se voi date la semplice profenda di mantenimento ad un animale adulto, che ab- bia oltrepassato il suo periodo di accrescimento, voi lo manterrete in stato quo senza dimagramento : ma non av- viene lo stesso dei giovani animali in via di accrescimento , nei quali l'aumento di peso , ossia un prodotto di carne, è necessaria legge di evoluzione organica; e tanto che l’ani- male così scarsamente nutrito dimagrerà , ossia perderà in grossezza per accrescersi, ossia per guadagnare in lunghezza. Inoltre è da notare che nelle pianure temperate, e per animali adulti che vivono in istalla, e che sono d’indole quieta, e non sottoposti al lavoro, la quota di manteni- mento può considerarsi di una libbra per cento di peso vivo. A rincontro gli animali da lavoro, anche quando stanno in riposo, ne richiedono circa due; ma se il riposo è molto prolungato la vivacità delle funzioni scema, e la quota discende ad uno e tre quarti ed anche ad uno e mezzo, se sono tenuti in buone stalle. $. 3. La profenda di produzione, secondochè abbiamo detto, è costituita da quella parte dell’alimento che ec- cede rispetto alla quota di mantenimento; sicchè la quan- tità del prodotto, che si otterrà, sarà ad esso proporzio- nata dentro certi limiti. Dico dentro certi limiti perchè se nelle macchine morte il prodotto è proporzionato alle materie prime che consumano, non avviene lo stesso nelle macchine viventi, in cui passati certi limiti, questa pro- porzione non ha più luogo. Ed in vero dovrete in primo luogo considerare che nei congegni della meccanica voi 12 90 potete dentro larghi confini accrescere le dimensioni degli ordegni a vostro piacimento, e così aumentare insieme- mente il consumo delle materie prime ed il prodotto. Giun- gerete allo stesso fine accrescendo la velocità del moto dei congegni. Non è mestieri che vi dimostri l'impossibilità di fare altrettanto nelle nostre macchine animali. Oltredichè la facoltà assimilatrice , permettetemi questa espressione, delle macchine morte è variabile, e può esser da voi va- lutata ed accresciuta; mentrechè nelle animali è quasi prestabilita, e voi non potrete che lievemente accrescerla. Adunque il prodotto sarà proporzionato alla quota di pro- duzione dei vostri alimenti insino a tanto che l’animale potrà assimilarli; il che vi viene annunciato dal naturale suo appetito, che per istinto salutare trovasi alla capacità stessa proporzionato. Se voi però mercè artifizj sopraecci- tate cotale appetito, se coll’esca di un piacere artificiale voi non andate a seconda dell’istinto, smarrirete la guida. È per questo che sc nell’ingrassare un animale voi oltre- passate certi confini, il prodotto che ne otterrete sarà molto più piccolo, di fronte alla quota di produzione adoperata, perchè allora non vi ajutano più le ordinarie leggi di ac- crescimento organico; e voi per fissare nel corpo una por- zioncella di grasso, siete costretti a stimolare l'appetito dell'animale, che ingollerà una soverchia copia di cibo, della quale la più parte resterà negli escrementi alvini, o verrà fuori coll’urina. Per la produzione della forza muscolare oltrepassando certi confini l'alimento non vien assimilato, e può nuocere allo sviluppo delle forze stesse. Tenendoci però dentro ai confini predetti, potete rite- nere come approssimativamente vero che la quota di pro- duzione si tenga in proporzione colla quantità di prodotto. Il che vi farà chiari di questa massima fondamentale : che ad aver profitto dall’allevamento industriale degli ani- 91 mali, convenga nutrirli abbondevolmente ; e che torni meglio di tener quattro bestie bene , che otto male. Ma vo'mettere in maggior lume per mezzo di un esempio que- sta verità fondamentale in pastorizia. Supponete che ad un animale del peso di libbre 1600, voi amministrate tanti cibi che equivalgano a libbre 24 di fieno: voi sprecherete il vostro alimento, perchè non farete che mantener l’animale in vita per l'appunto senza ritrarne alcun prodotto. Se portate la quantità a libbre 30, avrete un prodotto proporzionato a libbre sei, ch'è in questo caso la quota di produzione; e se a libbre 36, l’avrete proporzionato a libbre dodici, ossia doppio che nel caso precedente; e se a libbre 42 sarà proporzionato alla quota di produzione ch’ è di libbre 18, e quindi triplo men- tre il numero 36 non è doppio del numero 30, nè 42 è il triplo. Perciò colle quantità di alimento rappresentate dai numeri*24, 30,36, 42 avremo i prodotti 0, 6, 12, 18, i quali stanno fra di loro come le cifre 0, 1,2, 3. Ora trascurando la profenda rappresentata dal numero 24, perchè non dà alcun prodotto, è facile vedere che più cresce l'alimento, e maggiore è l'utile che proporziona- tamente se ne ricava; imperocchè se con 30 libbre di alimento ottengo un prodotto come sei, questo ragguaglia al quinto delle materie prime adoperate; ma se con 36 ottengo un prodotto come 12, la quota utile della profenda sarà il terzo della profenda totale ; e se con libbre 42 ri- traggo un prodotto come 18, giungo ad una proporzione più favorevole perchè si avvicina alla metà. I nostri con- tadini, che svernano il bestiame con sola paglia, fanno adunque un enorme scapito; dappoichè giungono alla pri- | mavera non solamente senza nessun prodotto , ma con animali tanto dimagrati, che per ricondurli al primiero stato si richiede una vistosa copia di erba, la quale po- trebbe venir messa. meglio a profitto. 92 Venendo ora alla determinazione della quota di pro- duzione, potete ritenere che per avere un prodotto medio basti che sia eguale alla quota di mantenimento. Adunque se in un animale, che vivo pesi libbre 1600, ci vogliono libbre 24 di equivalenti di fieno pel sno campamento , se ne richiederanno altrettante per avere una media produzione; e segue quindi che la quantità giornaliera totale dovrà es- sere di libbre 43, ossia di libbre 3 per ogni 100 libbre dell'animale. La quota massima può tenersi come doppia di quella di mantenimento , ossia di libbre 4 e mezzo per ogni 100 libbre del peso dell’animale. $. 4. Quanto poi alla proporzione tra la quota di pro- duzione e ciascheduno dei prodotti, potrete per appros- simazione ritenere che 10 libbre di alimento di essa quota diano 10 libbre di latte, ovvero una libbra di carne grassa, sia nel corpo dell'animale stesso, e sia in quello del pro- dotto del concepimento nell’utero. Nelle buone mucche da latte però con 8 libbre di equivalenti di fieno si otten- gono 10 e più libbre di latte, massimamente qualora i detti equivalenti consistano in erbe verdi, zucchi o fari- nosi. Se in luogo di carne grassa, ch'è tanto più difficile ad organarsi quanto più avanzato è il periodo d’ingras- samento, noi produrremo carne normale nei giovani ani- mali che toccano l’adolescenza, ne avremo una libbra con 8 libbre di equivalenti di fieno, ‘ed in specialità se sono zucchi e farinosi, e se la razza è per propria indole disposta alla produzione della carne. Rispetto alla forza muscolare non è stata determinata la relazione in discorso, perchè non è facile misurare l’effetto della forza muscolare come si misara la carae, od il latte. Ed in veroî l’effetto utile della forza animale diversificherà moltissimo secondo i modi di applicazione della forza stessa: modi che sono nel caso nostro svariatissimi. Per chiarirvene vi farò notare come lo stesso animale dia effetti utili differenti della sua forza se- 93 ‘ condochè l’impiega in direzione rettilinea o circolare ; se- eondochè l’adopera al tiro ovvero alla soma ec. Quanto alla produzione della lana, sarebbe più facile di stabilire la respettiva relazione; ma ciò non è stato peranche ef- 1 fettuato. Circa ai concimi, le vaccine allevate in stalle costruite in guisa da raccogliere tutte le urine, vi daranno una quan- tità di letame, che equivalga a 2 volte e due terzi il fieno consumato, ed una quantità di urina corrispondente a'2 terzi del fieno stesso. Notate bene che dico di tutto il fieno consumato, cioè della quota di mantenimento e di quella di produzione insieme, ossia del pasto; ed inoltre suppongo che voi diate per letto ad ogni animale da $ a 10 libbre di paglie, che assorbono una parte delle urine, ma nella valutazione prescindo da esso letto; sicchè per ‘sapere quanto concio potrete ritrarre dovrete aggiun- gere alle cifre sopraindicate intorno al concio stesso tutto il pattume amministrato. Spieghiamoci con un esempio. Supponete che il pasto totale di una vaccina, che pesi lib- bre 1600; si componga di libbre 18 di paglia, libbre 32 di fieno e libbre 4 di farina di fave. Le libbre 18 di pa- glia equivalgono a 6 di fieno; e le 4 di farina di fave a 10: in fieno e suoi equivalenti possiamo dire libbre 48, di cui l'una metà per quota di mantenimento , e l’altra per quota di produzione. Si metta sotto ad essa vaccina per letto 10 libbre di paglia. Avremo in concio libbre 48. moltipli- cate per due e due terzi, più 10 libbre, ossia libbre 138; e di urina che scola nel serbatojo , oltre quella assorbita della lettiera, libbre 32 circa. In un mese adunque avreste una carrata ed un terzo di concio e barili 7 di urina ; ed in un anno carrate 16 di concio e barili 84 di liquido. Se all'incontro il pasto fosse di sole 33 libbre di equivalenti di fieno, avreste quasi libbre 3000 di concio al mese, ossia un’ ordinaria 94 carrata e 5 barili di urina; il che farebbe all'anno 12 car- rate di concio solido e barili 60 di liquido. Questo esempio basterà ad indicarvi il procedimento da tenere per valutare la quantità di mangimi che vi oc- corrono per l’allevamento di un certo numero di fiati, ed i concimi solidi e liquidi che ne potrete ritrarre. Pesate tutte le vostre bestie, e sia 4 il numero delle centinaja di libbre. Moltiplicate questo numero 4 per tre, ed avrete la quantità di fieno o di suoi equivalenti che vi occorrono per avere una media produzione. Il numero che vi esprime cotal quantità, moltiplicatelo per due e due terzi, ed al prodotto aggiungetevi la cifra che rappresenta il pattume amministrato per letto: avrete la quantità del concio so- lido; e moltiplicandolo per due terzi, ossia raddoppiandone la terza parte, saprete il liquido ; e quanto agli effetti fer- tilizzanti potrete approssimativamente ritenere che lib- bre 3000 di liquido equivalgano ad altrettanto concio solido , ossia ad una carrata. Se voi amministrate maggior copia di letto che quella indicata, ritrarrete minor quan- tità di urina, ma troverete però più abbondante il concio; sicchè i risultamenti finali saranno gli stessi. Nota che sia la quantità di concimi che consumate, sa- prete egualmente per approssimazione la carne ed il latte che ne ricaverete. A questo fine essendo 4 il numero delle centinaja di libbre del vostro bestiame pesato vivo, mol- tiplicatelo per uno e mezzo: avrete la quota di manteni- mento , che non vi frutterà nulla. Defalcate questa quota dalla totale dei vostri equivalenti di fieno, di cui potete usare : la differenza v'indicherà il mangime che forme- rà la quota di produzione. Ora se vi date a produr . carne da macello o redami, dividete per dieci la predetta quota, e troverete la quantità di carne che ricerca- te; e se intendete alla produzione del latte, ne avrete tante libbre quante sono indicate dagli equivalenti di fieno 95 che vi destinate. Abbiate dieci giovenchi del peso com- plessivo di libbre 10,000 a cagione di esempio, ossia di 100 centinaja, ed abbiate pel consumo di ua anno lib- bre 108,000 di equivalenti di fieno. Voi consumerete quo- tidiamamente libbre 150 di fieno per quota di mante- nimento: dunque nell'intiero anno libbre 54,000; che defalcate dalla quantità totale ne restano altrettante, ossia libbre 54,000, che si trasformeranno in libbre 5400 di carne a peso vivo, corrispondente a circa la metà, ossia a libbre 2700, a peso netto. Se saranno mucche da latte, avrete libbre 54,000 di latte, se desse manterranno il peso primitivo e se non daranno redi; ovvero tante libbre meno di latte quanto saranno quelle indicate dal peso vivo aumentato delle mucche stesse o dei loro redi moltipli- cato per dieci. Vi rammento che queste sono medie approssimative ; ma coll’ajuto della scelta di buone razze, di stalle ben costruite e di acconce preparazioni degli alimenti, potrete nei nostri climi, e massime nelle pianure, ottenere risulta- menti molto più vantaggiosi, ed avere con sicurezza da 15 libbre di equivalenti di fieno di profenda totale, e com- presovi la quota di mantevimento, una libbra di carne a peso vivo, e 12 libbre di latte. Il concime solido, che potrete ritrarre dai cavalli è inolto più scarso in quantità proporzionatamente al man- gime consumato: l’otterrete in media moltiplicando per uno ‘e mezzo la quantità dei mangimi ridotti in fieno. Per rendervi conto dell'aumento del concime rispetto ‘al cibo preso, e spiegarvi l'apparente paradosso di aver nel residuo un peso maggiore che nella materia prima i adoperata, dovete considerare che il cibo è riguardato come fieno, e quindi sufficientemente secco, mentre l’escre- ‘mento contiene tanto più di umidità. Infatti riducendo il 96 fieno a perfetta secchezza colla temperatura artificiale di 110 gradi, non perde che circa la sua settima parte del pro- prio peso, sicchè rimangono sei settimi di materia solida ; mentre l’escremento di vacca perde al contrario circa sei set- timi, non restando che la settima parte di materia solida; e quello di cavallo perde solamente tre quarti, e rimane il quarto di materia solida, ossia poco meno del doppio che nell’escremento di vacca. Adunque se voi amministrando libbre 100 di fieno ad una vaccina, otterrete libbre 266 di concio, avrete in fatto, contando le pure materie so- lide ingerite, che le 100 libbre di fieno si riducono a circa libbre 86, ed il concio a libbre 39. E nel cavallo le medesime 100 libbre di fieno, le quali racchiudono lib- bre 86 di materia solida, nel dare libbre 150 di concio son ne porgono che libbre 37 circa, cioè la stessa quan- tità a un di presso del vero concio deposto dalle vaccine. $. 5. La quantità di bevanda succhiata da un animale vaccino, suole essere il quadruplo circa dell'alimento ri- dotto in equivalenti di fieno. Così un bove, il quale non traspiri eccessivamente per esercizio del corpo, e mangi libbre 40 di fieno, berrà circa libbre 160 di acqua nel. corso della giornata. Ma se pascesi di erba verde beverà a parità di circostanze assai meno. Conciossiachè il foraggio — verde corrispondente a libbre 40 di fieno pesa libbre 200, od in quel torno. Laonde il bove nell’inghiottire tanta erba avrà nello stomaco introdotto libbre 160 di acqua. Tuttavia non dovete credere che in tal caso non beva nè molto nè poco; che anzi in estate trangugerà quasi la so- pradetta quantità di acqua come in inverno nel mangiar sec- cume. E ciò dipende dalla smodata traspirazione che ha luogo nella stagione predetta , in cui le bestie sogliono pa- scersi di sola verzura; alla quale traspirazione maggiore si aggiunge l’umidità perduta per la respirazione e negli 97 escrementi più morbidi. Infatti bevono di più dopo mez- zodì che nella mattinata. Se però l’animale mangi verzu- ra nelle stagioni fresche berrà pochissima acqua. I cavalli bevono una quantità d’acqua corrispondente ad una volta e mezzo il peso degli alimenti ridotti in va- lor di fieno; i majali bevono anch'essi assai, ma le pe- core pochissimo. Nei cavalli pertanto le urine sono scarse, anche appetto agli escrementi solidi, di cui formano circa la decima parte, mentre nelle vaccine costituiscono i due settimi. Per simile le urine delle pecore sono poco ab- bondanti; anzi lo sterco medesimo è molto prosciugato. Ecco il perchè gli escrementi di questi animali sono tanto ricchi, avvegnachè non si cibino che di sola erba: le ma- terie solide vi sono più concentrate. | 13 98 LEZIONE VII. DELL’AMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI E DELLE BEVANDE. SOMMARIO, S.41.Avvertenze sul pascolo esclusivo. $.2.Stabulazione esclusiva. $.3.Av- vedimenti speciali nel ministrare la profenda secondo il genere di prodotto che si desidera. $.4. Amministrazione delle bevande. $. 5. Pa- scolo e stabulazione mescolatamente usati. $. 1. Nello stato di natura gli animali pascolano le erbe su pei prati; e nel primo periodo della pastorizia accade lo stesso. Il primo adunque e più naturale modo di apprestare gli alimenti si è per l'appunto il pascolo. In altro più avanzato periodo della pastorizia, gli animali si allevano in stalla, ove si amministrano i mangimi levati dai campi e dai prati. Chiameremo stabulazione questa ma- niera di mantenere gli animali. I modi di amministrare i cibi e le bevande debbono di necessità variare secondochè sia in vigore il metodo del pascolo, quello della stabu- lazione, ovvero il misto. Veniamo alle più importanti par- ticolarità dei tre casi. Vi sono talune avvertenze comuni in certo modo ai detti casi; cioè: 1.° che il cibo sia variato; 2.° che sia migliore per le femmine pregne, per quelle che allattano e pei giovanissimi redami. Nel pascolo puro è da guardar molto alla qualità delle erbe. Se trattasi di prati naturali di buona qualità, gli animali vi posson sempre pascolare. Ma negli artificiali ci 99 vogliono particolari cautele. In primo luogo le troppo pin- gui pasture riescono nocevoli, se guazzose, e qualor vi si lascino per intiere giornate gli animali. Pertanto se si abbiano pasture naturali magre e prati artificiali pingui , tornerà più conveniente di far passare al bestiame la più parte della giornata, e soprattutto le ore mattutine , nelle magre pasture e condurlo soltanto più tardi nelle pingui , e tanto che basti a saziarlo senza più. Ad ottenere quanto di sopra è detto si richiede o che i pascoli siano divisi fra loro da forti siepi, da palancati ec., ovvero che gli animali non vi vaghino in libertà, ma sì bene legati con funi di competente lunghezza a cavicchi conficcati nel suolo. Se i pascoli fossero separati da fosse assai ampie basterebbe la pastoja ad impedir di passarle. La quale pastoja può tenere legati i due piedi dinanzi, ovvero l’uno dinanzi e l’altro di dietro in traverso ; ma sarà più efficace quella pastoja che si avyolgerà al piede destro d’avanti ed al sinistro di dietro. Intorno alle pastoje però è da avvertire che il loro uso non può ammettersi che per poco tempo , rispetto agli animali che tengonsi al pascolo alternato colla stabulazione. Vi rammento poi quanto vi ho detto della utilità di render varia la pastura del bestiame. Perciò noi osser- viamo che nelle contrade floride per perfezionamento della rurale economia i pascoli artificiali si formano di più spe- cie di erbe. In Inghilterra preferiscono la mistura di lo- gliarella, fieno pratajolo, trifoglio bianco, ed altrettali. Quindi, se avete pascoli artificiali di una sola specie di piante, dovete aver cura di tenervi gli animali per poco tempo. Insomma quella varietà, che presenta il prato na- turale, vuol essere imitata nel sistema del pascolo colle pasture miste, o passando gli animali da una all’altra pa- stura semplice; mentre nella stabulazione si ottiene lo stesso intento mescolando a piacere diverse qualità di cibi. 100 Nel sistema del pascolo puro, e soprattutto non avendo che pasture naturali, si rende necessaria l'emigrazione del bestiame dal piano al monte in estate, e dal monte al piano nel verno. Conciossiachè nella calda stagione i pascoli delle pianure inaridiscono, mentre verso le vette dei monti la na- tural frescura del luogo mantiene la vegetazione. Nel verno per contrario il mite aere delle pianure vi attira il be- stiame con sufficiente pastura. Il suolo dei boschi di mez- zana positura non è riarso nei calori canicolari, nè ghiac- ciato nelle fredde giornate del verno; talchè cuopresi sempre di qualche verzura, alla quale si aggiungon poi altri mangimi che il bestiame vi trova, come sarebbe a dire fronde di alberi e di arbusti, cespuglietti ec. I pascoli magri o scoscesi, in cui l’erba è corta, si met- tono a profitto piuttosto per mezzo della specie ovina. In pascoli migliori stan bene i cavalli, e negli ottimi le vac- cine. Per la bevanda si procura nei pascoli che vi siano degli abbeveratoj di buona acqua. Prima di lasciare que- sto tema debbo aggiungervi che questo modo di nutri- care gli animali ha sulla stabulazione dei vantaggi e degl’inconvenienti. Nei primi è da annoverare : 1.° il. trarre profitto da erbe che non si possono falciare ; 2.° che l’erba recisa dal dente rimette più spesso; 3.° che l’animale. mangia l’erba fresca, la quale meglio conferisce alla sua natura; 4.° che si fortifica vivendo all’aria libera, e cresce di gamba più agile; 5.° che si fa economia di mano d'opera. Per contrario si hanno i seguenti inconvenienti ; 1.° gli animali scalpicciano le erbe e le insudiciano ; 2.° Il pascolo alla pastoja od al cavicchio non può usarsi che per piccoli armenti nelle pingui pasture, e per poco tempo; 3.° nei climi poco miti le intemperie nocciono agli ani- mali, od almeno peggiorano le razze ; 4.° gli animali sono meno domestici ; sicchè l'assoggettarli al lavoro od il mun- gerli torna più malagevole; 5.° si disperdono i concimi. 101 La stabulazione è al certo il modo di nutricare gli ani- mali che meglio convenga ai paesi popolati ed in istato economico-rurale sufficientemente florido. G. 2. Nella stabulazione i cibi si apparecchiano e si amministrano agli animali con certe regole. In primo luogo torna vantaggioso di unire sempre i cibi secchi ai verdi in tutte le stagioni. Nell'inverno la mescolanza della ver- zura tiene libero il ventre ed alletta il bestiame a pascer- sene; e nell'estate il seccume tempera la qualità troppo solvente delle erbe verdi. Nel passare in ogni modo dal vitto secco al verde, o viceversa, conviene farlo sì gradatamente che l’uno co- minci a mescolarsi all’altro, e finisca poi col rimaner solo a comporre la profenda. Per simile, allorchè occorre di ado- perare mangimi di qualità inferiore, è mestieri introdurli nella mescolanza a poco a poco. Quante volte si faccia uso di cibi molto appetitosi bi- sogna serbarli ai secondi pasti, quando le bestie sono ba- stevolmente sazie. Se fate all’inverso, cioè se comin- ciate coi buoni cibi, proverete che i peggiori resteranno nella mangiatoja. È vero che noi abbiamo detto di già che torni meglio mescolare i cibi di diversa qualità nella stessa profenda; ma ve ne ha taluni, i quali malagevoimente permettono siffatta mescolanza : tali sono tutti gli zucchi, i quali anche affettati non si mescolano bene alla trita. Coll’ajuto della raspa il rimescolamento si può far meglio; ‘ma questo strumento tarderà certamente ad introdursi tra noi. Ricordatevi adunque di serbare ai secondi pasti cotali cibi. Dicasi lo stesso delle granella soppeste, ma non af- fatto ridotte in farina, e la cui mescolanza col segato si ‘manda ad esecuzione imperfettamente: adoperatele dopochè le bestie abbiano a sufficienza mangiato i cibi comuni. \ $. 3. Per gli animali da lavoro è necessario di usare alimenti più sostanziosi, ed in specialità nei tempi di fa- | Ì \ | Ì 102 tica. Nel verno, se mancano i lavori, si può usare un vitto meno nutriente; ma abbiate sempre a mente. di passar per gradi dall'una all'altra profenda. La biada va ; data alle bestie da lavoro due volte al giorno , allorchè vannò alla faccenda, e quando ne tornano. La prima profenda serve ad infonder vigore e ad animarle alla fatica, e la | seconda ad allettarle a prender alcun cibo tuttochè stanche. Rammentatevi poi che i ruminanti, siccome sono il bue e la pecora, han bisogno della seconda masticazione per compiere la digestione. E poichè vi son- certi lavori che impediscono la ruminazione, sarà d’uopo di un podi ri- poso prima che rimangino quando gli avrete staccati: du-. rante questo riposo vuotano il rumine, e si dispongono a; mangiar di nuovo per riempirlo. In generale i lavori molto; faticosi impediscono la ruminazione a cagione del sover=' chio sforzo dei muscoli del petto e del ventre. Il carro; fa lo stesso per le scosse che il timone comunica al giogo : le giuntoje di esso giogo, le quali passano sotto al collo, danno delle strette. alla gola che impediscono la rumina- zione. I cavalli non ruminano ; e da questo lato hanno un vantaggio sui bovi come animali da lavoro. i Se gli animali sonosi nel lavoro molto riscaldati, en- trati in stalla non debbono mangiare troppo nè bere aspettate che siensi alquanto refrigerati per apprestar loro il vitto, e che il corpo abbia riacquistato la sua calma consueta per abbeverarli. È bene poi che l'animale da la- voro non stia molto senza mangiare e senza bere ; e quando ciò accada per necessità , fate che poi non se ne sazi coni troppa fretta: ministrate pertanto il cibo e la bevanda a poco per volta. Quanto al bestiame all’ingrasso la qualità dei cibi do- vrà semprepiù migliorare, acciò gli animali vengano al-. lettati dalla eccellenza crescente dell'alimento a pascersene. copiosamente. Le granella per gli animali all’ingrasso o da 103 lavoro, o pei giovani, sono di grandissima importanza ; dappoichè ci danno il modo di accrescere a piacere la fa- coltà nutriente dei cibi, e specialmente delle paglie. E quì vo’presentarvi una osservazione importante. Nella gra- nigione delle erbe, le materie nutritive abbandonano le altre parti della pianta per concentrarsi nei semi; sicchè ciò che questi guadagnano, quelle perdono. Da ciò par- rebbe che fosse inutile di far granire le erbe, i cui semi servono al vitto delle bestie, come a dire fave, vecce, avena ec. Guardando però bene addentro alla cosa l’uti- lità è reale, e per parecchi rispetti. In primo luogo vi son tali erbe, le quali darebbero cattivo fieno : così sarebbe delle fave , dell’avena ec., mentre somministrano buona pa- glia ed ottime granella. In secondo luogo se noi non usassi- mo che solo fieno non potremmo, serbando il debito volume nella profenda, accrescere o scemare la dose di sostanze assimilabili, secondo i bisogni dell'allevamento : ie granella ci soccorrono efficacemente a quest’uopo. In terzo luogo ‘vi sono le paglie del frumento e di altri cereali da seme, le quali si affortificano nel potere loro nutriente per mezzo delle granella. Adunque prendendo per tipo mezzano del vitto animale il fieno, avremo nelle paglie il modo di scemare nella profenda la potenza nutriente, e nelle gra- mella il modo di accrescerla. | Avendo pertanto paglia di frumento, trinciatela finamen- te, annaffiatela con acqua e spolveratela di farina di vecce ‘in sufficiente quantità da renderle ciò che aveva perduto per la granigione: voi ricostituirete per così dire una spe- cie di fieno di frumento, e lo farete a migliori patti che ‘consumando il grano in erba; poichè la stessa copia di ‘materia nutriente in forma di vecce costa molto meno che ‘in figura di frumento. Spieghiamoci per esempj. È Un campo di frumento in fiore poniamo che possa dare, tagliato a fieno, libbre 5000. Se lo falciamo a granigione 104 compita produrrà a un di presso libbre 3500 di paglia, e libbre 1700 di granella. Ora le materie assimilabili del grano in erba , concentrandosi in forma di granello, l’ hanno reso due volte e mezzo più nutriente del fieno di frumento , mentre la paglia n’ è stata impoverita nella stessa misura. Adunque se noi macinassimo le libbre 1700 di granella , e intridessimo di detta farina la paglia finamente tritata, le renderemmo artificialmente quello che la granigione le aveva tolto naturalmente. E se noi non lo facciamo , ciò deriva dall'alto prezzo del grano in confronto di quello del fieno. Infatti posto che il prezzo medio del fieno sia di lire 2 le 100 libbre, e quello , di altrettante granella di lire 9, avranno i detti prezzi. fra loro la ragione di 4 e mezzo a'uno, quandochè i poteri nutrienti sono come 2 e mezzo a uno. Ma se noi prende-| remo tante fave, ovvero tante vecce, quante ne Occorrono | per ridare alle paglie il potere nutriente perduto nella. granigione, avremo una notabile economia ; imperocchè a peso eguale le vecce nutriscono almeno quanto il grano ; mentre il prezzo n'è quasi la metà. Nella stabulazione si apprestano due pasti: l’uno la mattina e l’altro la sera, e talvolta un terzo a mezzo. della giornata; ma sta bene che nella mangiatoja vi sia; sempre alcun cibo. i Gli alimenti si apprestano in mangiatoje se sono gra- nella o foraggi trinciati, e nelle greppie se intieri o na- turalmente lunghi, come sono le erbe secche o verdi e le paglie. Ed in vero le bestie disperdono molto foraggio se apprestasi loro intiero nelle mangiatoje, ove lo prendono a boccate, mentre nel tirarlo giù dalla greppia non pos- sono che prenderne poco per volta. Nel mangiare alla grep- pia il cavallo, in grazia del suo collo lungo ed agile, ha il vantaggio sulle vaccine. Ed oltracciò la greppia av- vezza il cavallo a tener elevato il collo, e glielo mantiene 105 snello. Pei cavalli di lusso , la greppia ha l’altro vantaggio di permettere che questo si cibi di alimenti più scelti; e la terra che vi fusse mescolata ne cadrà più agevolmente. Gli animali tuttavia, i quali han poco tempo per man- giare, pasconsi meglio e più prontamente con cibi tritati. Se non che è da avvertire. che i cavalli in questo caso masticano poco il cibo, e quindi lo stomaco non lo riceve convenientemente preparato. Nei ruminanti questo incon- veniente è di poco peso, perchè poi nella ruminazione il cibo viene rimasticato. $. 4. La bevanda si appresta tante volte nella gior- nata , quanti sono i pasti. Si aspetta che l’animale abbia alquanto mangiato , e poi si abbevera. Sarebbe meglio cer- tamente che la bevanda stesse accanto alla mangiatoja per- chè l’animale se ne potesse a piacere saziare. E poichè ‘comunemente questo comodo manca nelle stalle, conviene che il guardiano badi se qualche bestia non abbia bevuto a sufficienza nella solita ora, perchè si riprovi più tardi e prima del consueto tempo successivo. Talvolta le bestie si menano a bere alla pila, e tal’altra si appresta loro al posto la bevanda in bigongi. La pila è ora fuori della stallà ed ora dentro. L’apprestare la be- vanda al posto, ha il vantaggio di abbeverare l’animale senza scomodarlo : vantaggio grandissimo per le femmine pregne, le quali non di rado nell’andare alla pila urtano contro gli usci, cascano ec. In tal modo però ci vuole molta diligenza nei guardiani, perchè apprestino tanta acqua che basti a dissetare completamente l’animale. La pila nell’interno della stalla ha il vantaggio che l’acqua ne prende la temperatura: vantaggio grande in inverno, in cui la freddezza dell’acqua trattiene le be- stie dal berne a sufficienza. Qualora si faccia uso di acqua di pozzo nelle pile esterne, conviene in estate di attingerla assai prima di abbeverare gli animali, perchè vi si possa 14 106 tepificare. Nel verno al contrario torna meglio di attin- gerla nell'atto dell’abbeveramento perchè non ghiacci troppo. Nell’abbeverare, il guardiano deve esser paziente ed ac- corto, poichè vi ha delle bestie che non bevono alla prima, tuttochè assetate , perchè par che l'acqua agghiacci loro i denti. Che aspetti un poco, che gl’inviti a bere e ve- drà che poi finiranno per dissetarsi. Quando si fa uso di beveroni per ajutare la segrezione del latte, è bene di menar alla pila le bestie, e dopo qual- che ora ministrare il beverone. Se voi apprestate prima il beverone, o subito dopo, Yanimale non berà alla pila, o perchè ha sentito il sapore di miglior bevanda, o per- chè l’attende. $. 5. Allorchè si congiunge la stabulazione al pascolo sì rende necessario di avere in mente talune utili avver- tenze. In primo luogo è da considerare che gli animali destinati dalla natura a pascolare le erbe dei prati, e quindi a sopportare le intemperie, diventano poi più sen- sibili e delicati nella domesticità ; e tanto di più quanto si è la razza nobilitata, cioè deviata dalla primigenia complessione. Ciò posto, ognuno intende che nel passaggio della sta- bulazione al pascolo voglionsi avere cautele tanto più mi- nute quanto l’animale si è già assuefatto ad un ambiente riparato. Pertanto se le bestie tengonsi in stalla nel verno, e si fan pascolare poi nella bella stagione, converrà comin- ciare in giornate miti e non piovose, riconducendole nella nottata alla stalla. Così a poco per volta si avvezzano all'aria libera. Se il bestiame si riconduce la sera alla stalla , converrà non farlo uscire nella mattinata che allorquando la guazza si sia dissipata. E ben vero che nello stato di natura gli animali pascono a tutte l’ore, ma è vero altresì che sono allora più robusti, e che l'istinto gli guida meglio a fug- 107 gire le cagioni morbose. Oltrechè l’animale che pascola sempre, e sta fuori anche la notte, trovasi nella matti- nata quasi rattrappito, e non tanto stimolato dall’appetito quanto un altro che venga fuori dall’aere temperato d’una stalla. Aggiungete altresì che nel primo caso la bestia, la quale vive in mezzo al cibo, non ha la voracità di quella che ne resta per un pezzo lontana, e non se ne satolla di primo tratto come fa questa ultima. 108 LEZIONE VII. DEI MEZZI ARTIFICIALI CHE MODIFICANO L'ARIA ATMOSFERICA —B_ SOMMARIO. &.4.Composizione , densità ed agitazione dell’aria atmosferica. $. 2. Ufficj delle predette condizioni rispetto alla vita degli animali. $. 3. Influenza dei climi, della elevazione , della esposizione ec,, sulla vita stessa. S.4. Alterazioni dell'ambiente per parte degli animali viventi. 8.5. Con- dizioni di una buona stalla, $. 6. Effetti comparativi del pascolo e della stabulazione. $. 1. Nella prima Parte del nostro Corso studiammo, nella Lezione XV, lo stato naturale dell’aria atmosferica in relazione colle piante. Dovendola ora considerare ri- spetto agli animali, mi limito a rammentarvi che in essa aria si può considerare la chimica composizione, la den- sità e lo stato dinamico. Quanto alla composizione, l’aria è costituita principalmente: 1.° del gas ossigeno, che mantiene la respirazione degli animali , la combustione ec. ; 2.° dal gas azoto e dall’acido carbonico, che non hanno la notata proprietà; ma l’ultimo di essi mantiene la re- spirazione delle piante, le cui foglie sotto l’azione della luce solare lo decompongono e si appropriano il carbonio lasciando esalare l’ossigeno; 3.° dall'umidità; 4.° dal ca- ‘lorico. Quanto alla densità, l'aria si costringe o si rarefà incessantemente nel medesimo lvogo secondochè indica il barometro; ma poi si trova tanto meno densa quanto più il luogo s’innalza al di sopra del livello del mare. E quanto allo stato dinamico, l’aria può apparire calma, o sivvero 109 agitata dai venti. Vi rimando per più amp) schiarimenti alla succitata Lezione ; e frattanto mi accingo a dirvi degli ufficj, che tutte queste condizioni dell’aria esercitano ri- spetto agli animali. $: 2. L’ossigene trovasi nella comune aria atmosferica nelle debite proporzioni per mantenere la respirazione degli animali; ma se ne viene notabilmente menomato, cotale importante funzione languisce, o cessa del tutto. Mettete un topo in un boccale, che poi tapperete esatta- mente: quando l’animale vi avrà tanto respirato da con- sumare una buona parte dell’ossigene , sen morrà. Adun- que gli animali , che respirano, scemano la proporzione di ossigene nell'aria, e vi aumentano l’acido carbonico ; per cui la viziano, se nuova aria non viene a ristabilire la primiera composizione. Nell’aria troppo secca le funzioni vitali, e specialmente la traspirazione cutanea e la perspirazione polmonare , si esercitano in modo vivacissimo ; sicchè gli animali perdono molte materie, che debbono essere surrogate da nuovo ali- mento, inclinano alle malattie infiammatorie e prendono malagevolmente il grasso. Nell'aria umida a rincontro le funzioni organiche diventan languide; poichè dall’atfievo- lirsi della traspirazione cutanea e della perspirazione pol- monare tutte le altre ricevono proporzionata influenza. Nell'atmosfera umida pertanto il vigore degli animali si menoma , e con esso la manifestazione della forza musco- lare; mentre cresce l’attitudine a prendere il grasso nella stessa misura in cui decrescono le perdite, che cagiona l'esercizio più languido del complesso delle funzioni vitali. Il calore è un forte eccitante della vita degli animali, e specialmente quello dei raggi del sole; ma oltrepassati certi confini, l’abbatte. In un’aria molto calda la traspi- razione diventa smodata , ‘e la macchina si snerva per ec- cesso di stimolo, come intirizzisce in un’aria soverchia- 110 mente fredda. Il caldo-umido, che tanto favorisce la vegetazione delle piante, nuoce grandemente agli animali, di cui rilascia singolarmente i tessuti: in modo diverso, ma sempre notabilmente, nuoce il freddo umido, il quale induce quella cotale tendenza generale alla dissoluzione organica, che si manifesta colle malattie serofolose. Il caldo-secco ed il freddo-secco insidiano molto meno la vita, la quale tuttavia non si diletta che in aria tempe- rata quanto al calore, e che inclini al secco. L'aria troppo densa, a parità di circostanze, intorpi- disce la vita, coopera all’ingrasso degli animali, e si op- pone alla vivacità della forza muscolare. Quella troppo rarefatta a rincontro provoca l’esalazione cutanea e pol-. monare, predispone alle emorragie ed ingenera gli effetti dell’aria secca. Lo stato dinamico, ossia ventoso, dell’aria ‘ ingenara effetti simiglianti; imperocchè in un ambiente cal-, mo, le funzioni partecipano della stessa quiete ; e l’inverso ‘ accade in un ambiente di continuo agitato, e specialmente se da venti secchi. Da questi pochi cenni vi accorgete che. le condizioni, le quali riguardano l'umidità, la tempera- | tura, la densità e la ventosità dell’aria, esercitano due in- { flussi distinti: l’uno sull’equilibrio delle funzioni organiche | pel mantenimento della vita sana degli animali, € l’altro. sulla produzione che si ha in animo di ottenere. Per con-; seguire il primo intento vale un'aria temperata sotto tutti | i rispetti; ma che sia anzi secca, rarefatta e ventosa | che nò: e per raggiungere il secondo intento, un ambiente | piuttosto umido, denso e calmo giova alla produzione del , latte e del grasso, ma nuoce a quella della forza musco- | lare, e dei redi sani e vigorosi. L'aria fredda e ventosa | affina ed affoltisce la lana. | $.3. Dall’anzidetto potete arguire l'influenza che deb- bono esercitare i varj climi sulla macchina animale ed i, suoi prodotti. E per cominciare dalla latitudine, ossia dalla 111 distanza di un dato luogo dalla linea equatoriale, diremo che i paesi, i quali si avvicinano molto alla detta linea, non si addicono all'allevamento del nostro bestiame , il quale desidera climi temperati. Non vi ha che il cammello ed il dromedario che sfidino Varidità dei deserti intertro- picali; ma le altre specie non vi attecchiscono. Nelle zone temperate poi le più calde inducono vividezza nei movi- menti, ma non presentano che animali di corporatura anzi piccola che nò. A rincontro nelle più fredde, nelle quali l'erba pullula copiosamente , il bestiame acquista una maggior corpolenza, ma vi diventa più torpido. Rispetto alle varie produzioni poi, le prime zone si confanno alle vivaci manifestazioni della. forza muscolare ; ma le altre conferiscono alla intensità dello sforzo ed alla produzione della carne grassa e del latte. Quindi l'esposizione, l'elevazione e la configurazione del suolo dispiegano un'influenza simigliante a quella della latitudine. Nei luoghi elevati, in cui l’aria suol essere più agitata, rara e secca, la statura degli animali si man- tiene piccola, ed il corpo asciutto, agile e con scarsa tendenza a prender il grasso: l'opposto accade nelle pianure. S. 4. Passando ora a fare applicazione delle dette cose all'allevamento degli animali domestici, cominceremo dal dire che noi possiamo dominare questo ambiente rispetto alla pastorizia, meglio che riguardo all'agricoltura non potemmo ; il che facciamo per mezzo delle stalle onde re- golare l’azione della temperatura, dei venti ed anche del- l'umidità. Esaminiamo ora l’influsso della stalla sull’alle- ‘vamento del bestiame, e cominciamo dalle alterazioni, ‘che un animale induce nell'ambiente in cui vive. Un animale vizia il suo ambiente perchè gli toglie al- ‘cune materie utili alla vita , e ve ne introduce altre che ‘sono una specie di prodotto della medesima, ed a lei inutili o nocevoli. Toglie infatti l’ossigene, e vi esala acido 112 carbonico, umidità , azoto ed altre materie non bene de- finite; e nello stato morboso specialmente vi (ramanda certe sostanze, che presto lo corrompono € lo rendono infesto al medesimo animale o ad altri. Anche nella specie umana, là dove molti individui vivono nello stesso luogo, generansi malattie epidemiche , quali sono le febbri di cat- tiva- indole dei campi di battaglia , delle prigioni ec. Tutti sapete quel puzzo particolare che si sente all’entrare in sul mattino in una camera da letto pria che ne siano aperte le finestre. Ora nello stato di libertà degli animali l’agglomeramento non è mai grande; e poi le materie esa- late si disperdono presto presto nell'aria del continuo rin- nuovata. Nei luoghi chiusi , al contrario, cotali materie. stagnanu, si corrompono, € l’opera loro malefica è accre- sciuta da quella degli escrementi. Nissuno di voi ignora. che nell'allevamento dei bachi da seta, l’aria si può tal-3 mente viziare nella quinta età da diventar letale ad im- menso numero di cosiffatti animaletti, che incontanente = - —— er e LU ep __ * ne possono restar vittime. Prendiamo ad esaminare la vita di un animale che pa: scoli di continuo. All'aria libera gli animali pascolano a certa distanza l'uno dall’altro; sicchè l'assorbimento dell’os- sigeno e l’esalazione dell'umidità e dell'acido carbonico,, non possono viziare l’aria, la quale d’altra parte è inces- | santemente rinnuovata. L'ambiente però presenterà uno | stato variabilissimo di temperatura € di umidità, secondo le ore del giorno € le stagioni dell’anno; e se l’animale al ricoverandosi all'ombra di un albero può schifare la sferza. dei raggi solari, rimarrà senza riparo contro la freddura. e l’umidità della notte o del verno. In ogni modo l'aria libera continuamente rinnovata ed agitata , l'influsso dei raggi solari, le asprezze del terreno e le stesse alterna- tive di un ambiente variabile rinvigoriscono l'organismo , | fortificano le unghie e le gambe degli animali. Adunque | to - d Il i suna È cilea 113 dal lato, che ora consideriamo , il pascolo all'aria libera rende più gagliarda la macchina animale, ne infrena lo sviluppo in tutte le dimensioni, e la prepara a resistere meglio alle fatiche, ed a generare una schiatta egual- mente robusta. Per contrario però accresce le perdite della macchina, e quindi quella parte di alimento che vale a ripararle, contiene l'ingrandimento ed ampiezza del corpo, e rende l’animale meno domestico agli esercizj, cui si vuole sottoporre. $. 5. Dall’anzidetto appariscono i vantaggi ed i danni dell'allevamento al pascolo , ovvero alla stalla, ed i modi di conseguir quelli ed evitar questi quanto far si potrà. Quindi nel costruire una stalla bisogna procurare che sia ampia, soleggiata ed arieggiata suflicientemente , perchè si abbiano insino ad» un certo grado i beneficj del vivere all'aria libera; e specialmente per gli animali da lavoro e da razza, nei quali ci è mestieri di sostener meglio il vi- gore della costituzione. Per quelli da latte o da carne, possiamo usare maggiormente del vantaggio che ci acquista il rinserramento onde consumare improduttivamente la minor quantità possibile di alimento: agli animali da latte ciò non pertanto il pascolo di una buona pastura nelle ore più temperate del giorno fa prò di una ma- niera affatto particolare. Dicasi lo stesso de'teneri animali tutti, ma segnatamente di quelli che si deputano al la- voro od alla razza. Il pascolo poi fortifica le unghie al bestiame, mentrechè la stabulazione le rende tenere. Ma tenete a mente nella costruzione di una stalla, e nel mantenervi dentro gli animali da lavoro, che le correnti d’aria , che vi si stabiliscono per effetto delle aperture, sono più nocevoli di quelle che hanno luogo all’aperto. Perciò siano le finestre di una stalla di animali da lavoro ampie e numerose, ma guarnite d’imposte acciò possano chiu- dersi da qualche lato onde gli animali non si trovino sul 15 114 passaggio di una forte corrente: avvertenza da osservare più scrupolosamente allorchè essi animali tornano sudati dal lavoro , e per le femmine da razza in quel tempo che segue al parto. In una buona stalla è laudevol cosa che gli affissi siano invetriati affin di dar passaggio alla luce, e negarlo ai venti. Torna molto utile altresì di munir le finestre di persiane, e più economicamente di stuoini di giunco che esercitino in estate ufficj opposti , cioè di dar adito all'aria e chiuderlo ai raggi solari. Rammentatevi di queste due cose: l'una è che nella armonia della natura non si trova il fine che noi ci proponiamo nel moitiplicare fuor di misura certe specie di animali, e nel chieder loro certi prodotti; e la seconda consiste in ciò che turbando noi quest’armonia naturale con certe pratiche artificiali sarà necessario di scansarne gl’inconvenienti per mezzo di altre pratiche egual- mente artificiali, ossia di creare un nuovo accordo indu- striale. È ben vero che le femmine degli animali figliano all’aria libera ed esposte alle intemperie : ma quante non ne soccombono ? È vero del pari, che in natura non vi sono stalle; ma gli animali non vi sì trovano tampoco forzati alle fatiche, cui noi li sottoponiamo. È da cercare altresì che la parte delle stalle destinata ai teneri animali sia molto ampia, e che non vi si ten- gano legati, acciò possano muoversi liberamente: avver- tenza da osservare in special modo per quelli che si de- stinano al lavoro , ovvero alla razza. Nel costruire la stalla bisogna procurare che gli escre- menti liquidi non ristagnino , affine di non viziar l’aria: cautela tanto più importante nei climi caldi. A questo effetto si richiede che il pavimento, su cui stanno le bestie, sia un poco inclinato verso una zanella, la quale penda da canto suo verso un centro, in cui si colloca una lapide pertugiata che conduca il liquido in un fognuolo, d'onde passi in apposito serbatojo scavato fuori della stalla. Il | i Ù ! | I | | 115 pavimento però sia pendente soltanto quanto basta al cor- vere delle urine; poichè la soverchia inclinazione può nuocere alle femmine gravide, con predisporre all'aborto ed al prolasso della matrice; e poi facilita lo sdrucciolare ed il cascare degli animali. A prevenire questi accidenti è bene di munire l’estremo lembo del piano inclinato del pavimento di un cordone rilevato di pietra o di mat- toni, in cui si praticano a tratto a tratto delle anguste aperture pel passaggio libero delle urine. A meglio impedire lo stagnamento delle urine, il detto pavimento dovrà essere impermeabile, cioè di smalto o meglio di lastrico, il quale impedisce lo sdrucciolare degli animali. Le cattive esalazioni degli usciti degli animali prevengonsi altresì per mezzo del pattume, di cui si fa loro il letto; e che oltre al procurare ad essi un morbido e comodo giacere, assorbe l'umidità degli escrementi e si mescola con essi; ondechè mantiene eziandio la nettezza del corpo. In una stalla ben costruita debbesi cercare che da- vanti alla mangiatoja resti un passaggio libero, il quale giova per parecchi rispetti. In primo luogo qualvolta esse mangiatoje si appoggiano al muro, l’aria respirata dalle bestie vi resta più stagnante. In secondo luogo nel mini- strare l'alimento o la bevanda, è forza passare tra mezzo agli animali, cui si arreca noja. In terzo luogo col for- nire di cibo le mangiatoje per davanti, gli animali si ren- dono più agevoli e mansueti guardando spesso in viso gli uomini. fo vi posso dire per esperienza che più di un bove giunto nella mia stalla. fiero e selvatico, in poco tempo è divenuto mansueto e accostevole. Nella costruzione della stalla poi, è da serbare un posto | separato per deporvi quotidianamente i mangimi e per ap- parecchiarli a cibo; anzi torna più utile se il luogo di de- posito sia separato dal laboratorio avvegnachè ad esso 116 vicino, perchè i foraggi verdi domandano dello spazio acciò non fermentino in estate. Nel laboratorio si collocano il falcio- ne, il trinciaradiche, il frangiseme, i bigonci, un fornello con caldaja per scaldar acqua, e tutto ciò che serve a preparare gli alimenti e le bevande. Nel trattare dell’azienda rurale ci occuperemo più particolarmente della costruzione delle stalle. $. 6. Se ci facciamo ora a confrontare gli effetti del pascolo con quelli della stabulazione, troviamo adunque che allorquando il clima è accomodato agli animali che vi si allevano, il pascolo ravvicina l’allevamento alle con- dizioni naturali, e per tanto giova alla robustezza dei me- desimi; ed in tali circostanze se ne avvantaggiano singo- larmente i teneri animali e quelli da lavoro in primo luogo, e poi gli altri da razza o da latte. Gli animali all’ingrasso si custodiscono meglio alla stalla, ove colla preparazione dei cibi e coll’uso dei farinosi si ottengono effetti più pronti e compiuti. Al pascolo però cotali animali possono met- tersi in carne ed apparecchiarsi ad un impinguamento più compiuto alla stalla. Nel che però è da ricordarsi come l’influsso dell’aria libera costringe sempre la cute ed im- pedisce la formazione del grasso sott’essa. Per la qual cosa gli animali ingrassati al pascolo sono più pingui nell'interno delle cavità viscerali che sotto alla pelle. La stabulazione al contrario mantien calda la pelle, e favorisce il deposito | del grasso sottocutaneo. Laonde confrontando due animali ingrassati, l’uno al pascolo e l’altro alla stalla, quello riesce più grasso nelle interiora, che a prima giunta non sembri, e questo: meno. Se le vicissitudini atmosferiche però son tali che l’ani- male non le possa sopportare, ed allora il pascolo si do- vrà associare alla stabulazione secondo le stagioni, ed an- che secondo le diverse ore del giorno. , Il pascolo rende gli animali meno domestici; sicchè quelli da lavoro vi diventano più forti, ma meno trat- 117 tabili. Inoltre con tal metodo di allevamento si sciupa in generale di molto mangime, da cui si trae maggior profitto alla stalla. Eccettuate però i casi, in cui l'erba è sì corta che la falce non possa compiutamente tagliarla : allora il pascolo potrà metterla meglio a profitto. E quanto a ciò sappiate che le bestie cavalline rodono l’erba più in giù che non fanno le bestie vaccine, e le pecore più che i cavalli. Il pascolo inoltre calca e costringe la terra collo scalpicciamento degli animali nelle stagioni umide; e da questo lato le vaccine arrecano danno maggiore che i ca- valli, e questi più che le pecore. Al pascolo lo sterco e le urine degli animali vengono deposti sull'erba, e quindi in gran parte perduti, mentre alla stalla si raccolgono con cura. Pertanto dove la Pa- storizia si associa e serve alla floridezza dell’agricoltura, si preferisce la stabulazione; nella quale inoltre il vitto è più regolarmente ed uniformemente amministrato così per la qualità come per la quantità. Se il pascolo si con- giunge alla stabulazione in maniera che il primo abbia luogo nella bella stagione, e l’altra nella cattiva, gli ani- mali che passano dalla libertà alla reclusione, e dal vitto verde al secco, patiscono per questi passaggi fino a tanto che non vi si saranno adusati. Quando si può adunque è bene di associare la stabulazione al pascolo in tutte le stagioni; od almeno passare dall'uno all’altro metodo gra- datamente. E però da considerare che le praterie artificiali costi- tuite da una sola pianta, siccome sono i medicaj, i tri- foglia] ed i lupinellaj, si accordano meglio colla stabula- zione che col pascolo; conciossiachè alla stalla i foraggi, che se ne traggono, si possono mescolare ad altri man- gimi. Senza di che poi ne potrebbero risultare dei danni nella salute di quegli animali che pascolassero in queste grasse praterie, le cui erbe ingoiate in troppa copia dai 118 medesimi sogliono ingenerare l'enfiamento del corpo. In- convenienti non meno gravi possono derivare dal pascolo dei prati irrigui, la cui erba floscia, tenera ed acquosa vien mangiata con molta avidità dal bestiame, La raccolta di certi prodotti, come sarebbe quella del latte, male si può praticare col sistema del solo pascolo, e senza congiungervi la stabulazione , almeno nelle ore della munta. Vi bastino per ora questi effetti differenziali del pascolo e della stabulazione : noi renderemo più completo il confronto nella terza parte del nostro Corso, in cui oc- cupandoci del governo dell'azienda rurale, terremo conto eziandio delle circostanze economiche. LEZIONE IX. DEI MEZZI ARTIFICIALI CHE MODIFICANO LA MACCHINA ANIMALE. —g_- SOMMARIO: S. 4. Ufficj naturali ed artificiali dei prodotti della Pastorizia. $. 2. Ufficio delle fregagioni della pelle nell’allevamento artificiale. $.3. Influenza sulla macchina animale del levarne via qualche parte pel salasso o per la castratura. $.4. Mutamenti delle razze animali. $. 4. I prodotti che l'industria pastorale chiede agli animali vengono generati nel corpo dei medesimi dalle loro funzioni vitali. Se non che cotali prodotti sono mezzi della vita naturale, mentre noi sovente ne facciamo lo scopo della artificiale. Così la carne muscolare ed il grasso , che servono alla vita individuale, diventano per noi lo scopo dell’ingrasso di talune bestie ; il latte destinato allo accre- scimento dei giovani redi è da noi convertito in burro ed in formaggio ; la lana, di che la Provvidenza ricuopre le pecore onde ripararle dalle intemperie, si volge ad altri usi; la forza muscolare, di cui l’animale dovrebbe servirsi a procacciamento di vitto ed a propria difesa, si adopera dall'uomo a fini differenti: dicasi lo stesso della facoltà riproduttrice. | Ma nello stato naturale, tutte le funzioni organiche, ‘ed i prodotti che ne derivano, serban tra di loro certe ‘attinenze ; d'onde procede una specie di armonia o di equi- | | | | 120 librio, ehe serve al mantenimento dell individuo nello spazio, e della specie nel tempo. L'industria a rincontro si studia di turbare cotesta armonia finchè può , onde ac- crescere i prodotti di maggior pregio. Così nell’ordine na- turale il grasso, il latte , la lana, la forza muscolare, 1 redi, son prodotti in proporzione del bisogno del mante- nimento dell'individuo e della specie, mentrechè l’uomo si studia di far prevalere l’uno o l’altro secondo le sue mire industriali, provocando di soverchio questa 0 quella fanzione, da cui il prodotto voluto si genera. E per con- seguire i nostri intenti, cerchiamo di modificare accon- ciamente o le materie prime, che la macchina animale | deve trasmutare nei prodotti desiderati, o la macchina stessa, che dovrà operare tali trasmutamenti, ovvero en- trambi questi cooperatori della produzione. Fin quì ci siamo occupati degli artifizj della prima sorta; ed ora appliche- ; remo l'animo a quelli della seconda. Notate frattanto che coll’ajuto dei mezzi artificiali, che modificano le materie prime, ossia gli alimenti e le be-. vande, noi veniamo in pari tempo a modificare la mac- | china animale, la quale nell’elaborare le materie stesse se, ne appropria una parte © se la transustanzia. È questa. una delle differenze più cardinali tra le macchine vive e. le morte, il congegno delle quali macchine morte nou ha: nulla che fare colle materie prime che trasforma. Quindi è. che noi possiamo modificare l'organismo dei nostri animali. indirettamente per mezzo di un vitto accomodato. Ma oltre a. questa fatta di espedienti indiretti, ce ne ha un’altra di diretti, i quali operano sulla stessa macchina. S. 2. Fra mezzo a cotali espedienti ne contiamo tre, dai quali cominceremo le nostre ricerche : quest’essi sono: 1.° le fregagioni fatte alla pelle degli animali; 2.° la sot- trazione di alcune parti viventi, cioè dei genitali, che si fa per mezzo della castratura , 0 del sangue, ch'è una specie -__ da 4. 0 i I} 121 di carne liquida; 3.° la copula, ossia l'accoppiamento. Lo strigliare un animale dovrà esser considerato non solamente siccome un mezzo di nettezza, ma eziandio quale un ar- tifizio, che sopreccitando la pelle moderatamente man- tiene la circolazione periferica , e quindi la nutrizione delle parti, le quali stanno sotto alla cute. Dal che è derivato il comune dettato : la striglia è mezza biada. Gli ani- mali, che spesso si strigliano, appresentano il pelo splen- dente e la pelle più morbida, non tanto in grazia della mondizie, quanto a cagion della più facile circolazione e consecutiva nutrizione, di cui abbiamo fatto parola. Per le bestie all’ingrasso adunque, la striglia coopera col- l’aria temperata della stalla non solo alla deposizione della pinguedine sottocutanea, ma altresì al mantenimento del- l’attività della circolazione generale. A chiarire quanto testè ho detto dell’azione della striglia sul deposito della pinguedine sottocutanea, dovete sapere che negli animali grassi l’adipe si trova in abbondanza sotto alla pelle fino dal primo stadio dell’ingrassamento, e poi nell’in- terno delle cavità, segnatamente dell’addominale. Ma non sempre la copia del grasso sotto-cutaneo indica quella del viscerale, poichè negli animali, che ingrassano al pa- scolo aperto, le rapide e svariate vicissitudini atmosferiche costringono la pelle e si oppongono al deposito del grasso sottocutaneo; mentrechè in un animale tenuto alla stalla e ben custodito, la temperie del luogo e la striglia atti- vano la circolazione periferica .e vi provocano la forma- zione dell’adipe ; il quale pertanto è proporzionatamente maggiore sotto alla pelle, che nelle cavità negli animali strigliati e tenuti in ambiente mite ed uniforme, e viceversa. S. 3. Togliendo alcuna parte, od organo, alla macchina animale, vi s'inducono certe alterazioni, le quali turbano sì la vita naturale, ma favoriscono il prodotto industriale. Così è provato che il salasso fatto agli animali, che si vo- 16 122 — gliono ingrassare , agevola l’ingrassamento ; il che non mi so ben dire se avvenga per la nuova attività che acqui- stano le trafile dell’assimilazione affin di riparare la perdita sofferta, o per un certo abbattimento delle forze dell’ani- male, che procura il più facile deposito dell'adipe nelle maglie, del tessuto cellulare. Il cessare però della facoltà generativa induce effetti più sensibili e duraturi negli animali, e che son triplici: la mansuetudine cioè, la disposizione all’ingrassare, e l’al- lungamento di certe parti del corpo. E vaglia il vero, negli animali castrati si sopprime una sorgente perenne di perdite considerevoli, le quali non tanto derivano dalle materie espulse nell’atto della copula, quanto dalla viva- cità di tutte le funzioni in un animale intiero, e soprat- tutto nel tempo del calore sessuale e della copula. Perciò è che questa soppressione rende ad un tempo gli animali più docili e meglio disposti all’ingrasso. Si è preteso in questi ultimi tempi che l'amputazione delle ovaje ren- da permanente la segrezione del latte; ma questa pro- prietà non è ancora provata. Si può è vero supporre che siccome nell'ordine naturale le funzioni delle ovaje e dell'utero , che dispongonsi ad un nuovo concepimento, fan cessare la segrezione del latte, dovrebbesi perciò ri- muovere questa causa coll’amputazione delle ovaje. Tut- tavia essendo le mammelle organi ausiliarj e vicarj delle ovaje e dell'utero, io non so comprendere come possano mantenersi attive lungamente quando si tolgono gli organi principali. È certo che se ad un animale qualunque voi togliete i testicoli o le ovaje, che sono nei due sessi orga- ni omologhi, ossia corrispondenti, impedite in pari tempo l'incremento di tutti gli altri , il cui sviluppo è consociato; e sapete che negli eunuchi della specie umana fino il la- ringe resta imperfetto : sicchè la voce nell’adulto serbasi infantile. Che che pe sia senza ulteriori fatti non possiamo 123 confessar per vero il nuovo effetto della castratura, che taluni vorrebbero ben accertato. La castratura opera su certe parti del corpo, delle quali accresce la lunghezza. I bovi per esempio hanno la testa ed il collo più lunghi e sottili dei tori, e le corna più grandi; anzi tutte le parti del corpo diventan più lun- ghe: i mutamenti nel collo e nella testa han luogo an- che nei cavalli; ed avrete pure avuto opportunità di osservare di questi effetti negli eunuchi della specie umana. Final- mente la castratura assottiglia la voce; affina la pelle ed i peli; scema l’odore caratteristico alla carne, che rende più morbida, e menoma la vivacità dell'umore e la forza degli animali: ed è anche per questo che favorisce l’ingrassamento. Noi non ci dobbiamo occupare del modo di eseguire l’operazione, la quale appartiene alla veterinaria : dirò solamente che non è necessaria l’amputazione vera, ossia l’ablazione degli organi, bastando di determinarne l’atrofia quando si può, cioè allorchè i testicoli hanno un lungo cordone che stia fuori del ventre; per modo che chiudendo per infiammazione il canale dei vasi ne risulti poi l’atrofia degli organi. Le ovaje però sono in tal parte del corpo che la castratura richiede la vera amputazione: lo stesso dicasi dei testicoli del pollame, che stanno entro all'addome al pari delle ovaje, ed anche di quelli del majale, che non sono assai pendenti nella borsa dello scroto. Aggiungiamo alcun che intorno all’'influsso dell'età, in cui si opera la castratura. I mutamenti, che questa operazione induce, sono tanto forti quanto più per tempo si manda ad effetto; imper- ciocchè essa influisce tanto più sull'andamento dell’evoluzione organica quanto l’età è tenera. Castrate, a cagion di esem- pio un vitellino: voi avrete le forme e gli attributi del bove. Castrate un toro adulto, e che ha già servito da genitore, ed otterrete effetti minori; poichè gli organi 124 sono già compiutamente sviluppati. Adunque per le bestie da ingrasso è bene che la castratura sia praticata per tempo, tanto più che permette di allevare i maschi as- sieme alle femmine; ma non è a dirsi la stessa cosa per quelle da lavoro, alle quali questa operazione scema la vivacità e la forza dei muscoli. I vitelli perciò, di cui volete fare bovi da lavoro, vanno castrati più tardi di quelli destinati al macello: dicasi lo stesso dei cavalli, i quali non si allevano che per trarre profitto dalla loro forza muscolare. Non si debbono oltrepassare però certi limiti; conciossiachè la castratura troppo tardiva non solamente espone a maggiori pericoli per le conseguenze dell'operazione, ma non procaccia quella docilità e le buone disposizioni di certe parti del corpo al lavoro che si desiderano. Quanto alla docilità, i cavalli la manten- gono più dei bovi nello stato loro d’interezza; ma tutti sapete come i tori sieno indomiti, e quanto male si pieghino ai lavori. Inoltre nella nostra maniera di ag- giogare i bovi, il collo più lungo di quelli castrati per tempo ajuta l’accollo. Chi potrebbe aggiogare alla no- stra usanza due bovi, la conformazione del cui collo, renderebbe impossibile di tenervi fermo il giogo? Aggio- gando però i bovi pel capo, come in molti luoghi fanno, il collo più corto e nerboruto giova moltissimo, perchè man- tiene più ferma la testa nello sforzo dei muscoli. Sapete che in alcune contrade il giogo si fa poggiare sulla fronte dei bovi e si collega alle corna; ed in altre si pone sulla nuca fermandovelo per mezzo di opportune corregge di cuojo avvolte alle corna stesse. Ora comprenderete di leggieri, che il collo lungo e sottile richiede uno sforzo muscolare più grande onde restar fermo nell’atto che i muscoli del tronco e delle membra operano la spinta in avanti. In tali congienture adunque la castratura tardiva non solamente non nuoce, ma giova; se non che è da 125 contare il minore sviluppo delle corna, alle quali il giogo si connette. Non son poi da preterire i caratteri di razza ; poichè gl’individui di razze più indomite vanno castrati più presto: dicasi lo stesso rispetto alla lunghezza dei colli secondo l’uso di aggiogare i bovi. Un altro mezzo efficacissimo a modificare le funzioni organiche sta nell’impregnamento delle femmine, in virtù del quale si determina la segrezione del latte. Allorchè il latte ha uno spaccio sicuro e iucroso, non metterebbe il conto di attorare gli animali se la segrezione non iscemasse naturalmente, e se noi avessimo altri mezzi per mante- nerla. Si è veduto non esser peranche cosa ben accertata che la castratura abbia questa virtù; ed ancorchè l'avesse, l'operazione rimarrebbe troppo grave e pericolosa. Imper- tanto non abbiamo fin quì altro mezzo pronto e sicuro di ristorare le funzioni delle mammelle fuorchè l’impre- gnamento. $. 4. L'industria s’ingegna di modificare l’organismo col fine di renderlo più disposto a certe date produzioni nei modi dichiarati, operando separatamente sopra gl'in- dividui; ma perviene a resultamenti più cospicui operando sulle razze, cioè cercando di procurarsi individui, i quali nascano con cotali disposizioni: eccoci adunque nel biso- gno di occuparci del così detto miglioramento delle razze , prendendo a soggetto dei nostri artifizj i genitori. Che cosa però dovrà intendersi per razza ? Le qualità che con- traddistinguono le specie si modificano per influsso delle circostanze esteriori; ma serbano in ogni caso certe co- munanze, che nel loro insieme costituiscono i caratteri spe- cifici, i quali mantengonsi sempre costanti. Tra i carat- teri mutabili ve ne ha taluni che serbansi inalterati finchè durano certe circostanze esteriori, si propagano anche per generazione, mentre altri cangiansi incessantemente : il complesso dei primi costituisce gli attributi della razza. 126 Adunque noi intendiamo per razza l’ insieme di tutti quegli individui della medesima specie, i quali oltre alla comu- nanza dei caratteri specifici appresentino la permanenza di altri caratteri indotti da certe particolari circostanze: caratteri che il più spesso si tramandano alla progenitura | sino a tanto che durano le dette circostanze, ma che mu- tansi col cessare delle medesime. Vi ha poi nella stessa razza, certi gruppi d’individui, che, oltre alla permanenza dei caratteri di razza, offrono costanti altri caratteri di- pendenti da circostanze più locali e mutabili: potremo chiamar tali gruppi sotto-razze. Definito il significato della voce razza, veniamo ora a _ dire che cosa intendiamo per razza migliorata, o razza perfezionata , miglioramento delle razze o perfeziona- mento delle razze. Noi distingueremo il miglioramento as- soluto dal relativo. Lo chiameremo assoluto se ha per fine di rendere l'organismo più sano e capace di funzionare più perfettamente pei fini naturali; lo diremo relativo se riferito solamente alle mire dell'industria. Ora in pastori- zia, il miglioramento delle razze s'intende in quest’ul- timo significato; per la qual cosa dicendo: questa razza è migliorata rispetto a quella, sogliamo denotare che è più adattata a farci ritrarre dal suo allevamento un mag- WEI SET e Sea rusibà. —3 fessata gior guadagno , ossia a darci un certo valore di prodotti più pregevoli per la quantità e qualità con. minori spese di produzione. Ma avvegnachè il perfezionamento relativo, od industriale, delle razze diversifichi dall’assoluto, od orga- nico che si voglia chiamare, nulladimeno è mestieri di non interporre tra di loro una distanza soverchia; concios- siachè l'organismo, che si diparte troppo dalle migliori condizioni che si confanno alla sua salute, presto dege- nera e si estingue. Potete ritener per principio fonda- mentale, che un animale indigeno di un dato luogo sia organato per vivere in quelle circostanze che vi coesistono. 127 Ma l'organismo animale è dotato, permettetemi di dirlo , di una certa distendibilità organica; cioè può consentire un certo grado di cangiamenti nella sua vita e nello svi- luppo dei proprj organi e delle proprie funzioni senza no- tabile degenerazione : ecco il fondamento del miglioramento relativo. Ora l’arte consiste precisamente in questo: cioè nel modificare l'organismo nella direzione voluta dall’indu- stria, senza indurne la degenerazione. So bene che il tenere questo giusto mezzo è difticilissimo ; e pur troppo i fatti ce lo mostrano colla pronta degenerazione di certi animali. Il che però prova come l’arte dell’allevamento degli animali sia tutt'altro che facile , ma non inferma mini- ‘Îmamente la tesi che sostengo. Premessi questi principj, ‘vediamo la maniera di modificar le razze col fine di mi- gliorarle industrialmente, senza deteriorarle organicamente. Vi ha due modi principali di modificare una data razza: «il primo sta nella debita scelta ed allevamento degli indivi- «dui della razza stessa che si vuole modificare, e nella sufli- ‘ciente continuazione di queste cure; il secondo nell’incro- ‘ciare gl’individui di essa razza con quelli di altra che già possegga quelle disposizioni organiche, ossia caratteri, che noi vogliamo fare acquistare alla nostra, e che conferiscono ‘alle vedute industriali. Entrambi questi modi riposano ‘sopra certi fondamenti comuni, che sta bene di esporre prima di venire ad altro; e noi troveremo cotali fonda- imenti nei fatti raccolti intorno alle relazioni esistenti tra i caratteri del generato e quelli dei due generanti, maschio e femmina. Ho quì bisogno d’'invocare la vostra atten- zione perchè vogliate seguirmi in questa piuttosto mala- gevole esposizione. La somiglianza della progenitura ai genitori è un fatto che tutti conoscete; se non che certi caratteri accidentali e non proprj della razza, cui appartengono i genitori , d’ordi- nario non si tramandano ai figli. A primo fondamento, adun- 128 Gue porremo che i caratteri si tramandano per generazione, - tanto più facilmente, quanto più sono antichi nella razza degli individui generanti, cioè quanto più costanti si mo- strano nella razza medesima. Inoltre il figlio ritrae è vero più del padre, ma non lascia di partecipare dei caratteri materni; anzi è stato osservato che il carattere morale, la statura e le parti po- steriori del corpo somigliano nel figlio più a quelli della madre che a quelli del padre. Ora se le forme dei due. genitori sono simiglianti, vi è grandissima probabilità che. si perpetuino nella progenitura : sicchè stabiliremo a secondo. fondamento, che tanto più somigliano i caratteri di entrambi | i genitori, cotanta sarà la facilità della trasmissione. Pertanto la moltiplicazione per consanguineità, ossia tra i più prossimi parenti, fa ottenere una somiglianza maggiore dei figli ai genitori, e quindi giungere a render. permanenti certi caratteri. Questa maniera però di mol-. tiplicazione se è spinta all’eccesso, conduce alla degene- razione della razza, non quanto alle forme, ma per altro. verso; poichè gl’individui, che ne provengono, diventano | più delicati ed infermicci. Ed io credo che la troppa faci- | lità ad ingrassare, che la prole così ottenuta mostra sin dal . suo principio, sia un segnale di tale degenerazione. Adun-<‘ que quando le circostanze richiedono la moltiplicazione per ‘ consanguineità, questa si menomi nel moltiplicarsi delle. successive generazioni, accoppiando parenti semprepiù lon- tani, ma tra i più simiglianti. Qualora a rincontro siano molto differenti i caratteri dei genitori, quelli del generato debbono tenere un certo luogo di mezzo tra i due estremi, e ritrarre più dal pa- dre che dalla madre. Per cui, il maschio dovrà avere i | caratteri che si vogliono trasfondere nella nuova schiatta , 0 come suol dirsi, dovrà essere il più nobile; ecco un terzo fondamento. SAL 129 Ma allorquando i caratteri dei genitori son troppo dif- ferenti, non accade sempre che quelli del generato tenga- no un luogo di mezzo avvicinandosi ai caratteri di padre; che anzi talvolta vengon fuori certe qualità peggiori di quelle d’entrambi i generanti. Ed anche queste medesime qualità si dileguano poi nella progenitura di cotal prole che farà l’ufficio di generante; imperciocchè in forza del primo fondamento i caratteri non si rendono costanti che in ragione delle loro antichità nella razza. Adunque por- remo a quarto fondamento che nell’accoppiare animali di differenti forme , vuolsi guardare che la discrepanza non sia soverchia ; e per fissare il carattere che si desidera nella nuova razza è mestieri di unire le femmine ottenute coi maschi di puro sangue della razza nobile. Qualora si usino particolari attenzioni nell’accoppia- mento degli animali, si hanno razze pure, i cui indivi- dui si somigliano molto tra di loro, e tramandano alla discendenza i proprj caratteri. A mantenere però qualun- que razza nella sua purità, fa d'uopo di un'accurata scelta dei riproduttori, giacchè vengono fuori di tanto in tanto alcuni individui tralignati; i quali poi facendo da gene- ranti rimbastardiscono le razze. Laonde le femmine della razza da migliorare non debbono esser prese a caso, ma scelte in una razza ben definita, acciò si possa contare sulla permanenza dei buoni caratteri. [Jo credo che stia quivi la cagione principale della cattiva riuscita della mag- gior parte degl’intrapresi incrociamenti. Tenete a mente questo fondamento, perchè in Toscana troverete in tutte le specie cotale bastardume, che si oppone validamente al miglioramento delle nostre razze. I figli di genitori di razza diversa torneranno più facilmente ai caratteri della razza più antica fra le due, cui appartengono i genitori; ed a parità di circostanze ritorneranno più agevolmente a quella vissuta nel luogo 17 130 dove dimora la progenitura, o nelle condizioni più somi- glianti a quelle del luogo stesso: ecco un quarto fonda- mento. Laonde volendo migliorare la razza indigena di un dato paese per mezzo di sangue straniero, a rendere permanenti i caratteri desiderati sarà necessario di un maggior numero di generazioni, servendosi delle femmine meticce e del padre sempre di puro sangue. ‘Tenete per fermo però, che tratto tratto avrete un individuo che vi. rammenterà i caratteri della razza primitiva: guardatevi dal farne un padre. Torna pertanto più facile di ottenere la permanenza dei caratteri di una nuova razza incrociando gl’ individui in condizioni differenti da quelle della razza da migliorare ; od almeno cercando d’indurre un cangiamento in quelle circostanze che ne sono capaci : e fra queste l'allevamento alla stalla od al pascolo, e la quantità e qualità dei cibi sono da annoverare tra le principali. Ecco un quinto fon- damento. Finalmente porremo ad ultimo fondamento che traslo- | cando individui di una data razza, nati e cresciuti in certe condizioni, in luoghi affatto differenti, i caratteri di razza soggiaceranno ad alterazioni, se l'uomo non s’industria di ravvicinare quanto più può il vitto e le relazioni dell’am- . biente a quelli del paese natio. > Il numero di generazioni richieste alla permanenza dei caratteri, e quindi alla costituzione della razza , varia a norma delle condizioni soprallegate: dodici, quindici o venti generazioni, possono esser sufficienti operando con avvedutezza. In generale allorchè per due o tre genera- zioni tutta la progenitura mantiene i caratteri di razza, questa si può tenere per stabilita. Ciò posto veniamo ai modi di migliorare le razze; ed in prima diciamo di quello che opera sopra individui. appartenenti alla razza stessa. Terremo già per fermo che LS, 7 131 | nella scelta dei genitori, oltre alle qualità che per innanzi indagheremo, trovinsi già quelle generali e particolari che riguardano l’attitudine a procrear prole, e dei quali ab- biamo già fatto parola precedentemente. Negl’individui di una razza qualunque, e per antica che sia, ne troviamo di quelli che presentano caratteri affatto particolari, i quali si discostano più o meno dal tipo. Ora se noi pazientemente metteremo assieme due di tali individui che presentino per caso il carattere che vogliamo perpetua- re, otterremo probabilmente nella loro progenitura qualche altro individuo che ce lo presenti: dico qualche altro , perchè per le cose dette dianzi, i caratteri nuovi mala- gevolmente si tramandano, specialmente se appartengano ad un solo individuo , e se questo individuo sia la femmina. Avendo però la fortuna di trovare quel dato carattere nel maschio e nella femmina, se nasceranno i più dei figli senza quel carattere, è probabile tuttavia che in qualcuno si manterrà. Ora se noi accoppieremo questi figli simi- glianti col padre e colla madre, od anche tra di loro, avremo altri figli, tra i quali i caratteri saranno più fa- cilmente perpetuati; adoperando così per consanguincità in parecchie generazioni giungeremo a fissare i nuovi carat- teri ed a stabilire le novelle razze migliorate, seguendo le regole già poste di accoppiare i parenti sempre più lon- tani secondo il succedersi delle generazioni, ma scegliendo sempre i più somiglianti. L’igiene poi può e deve ajutare la permanenza dei caratteri. Così la copia e succulenza del vitto , la stabulazione ec., coadiuvano lo stabilimento di una razza da ingrasso, di una razza di grande statura ec. L’uso dei farinosi stem- perati nell'acqua, dell’impregnamento precoce e della munta prolungata nel formare una razza da latte cc. Negl’incrociamenti, talvolta ci proponiamo di dare ad una razza l’attitudine ad una data produzione , ch' è propria 132 di un’altra razza ; e talvolta desideriamo solamente di avere forme esteriori più belle, o corporatura maggiore, o ro- bustezza di vita. Quanto alle attitudini alle diverse pro- duzioni, si riesce cogl’incrociamenti a procacciarle meglio che non si faccia rispetto alle forme, le quali spesso deviano impensatamente. Si ottiene del pari assai facilmente di forti- ficare la razza scadente ; e ciò non solamente per influsso dei padri appartenenti ad una schiatta più gagliarda, ma altresì in virtù dello stesso incrociamento. Ed infatti la somiglianza scema secondochè si passa dalla vera famiglia ai parenti semprepiù lontani, quindi alla razza, e così di seguito. Ora nell’accoppiare due individui, i caratteri del figlio saranno tanto meglio prevedibili e definiti quanto maggiore è la somiglianza dei genitori. Adunque questa somiglianza nelle forme esterne corrispondente alle dispo- sizioni interne, condurrà ad ingenerare nella prole le me- desime inclinazioni morbose dei genitori. Incrociando razze differenti all'incontro, siccome le forme del figlio differi- scono da quelle di ciascheduno dei generati, del pari le predisposizioni morbose dei medesimi vengono spesso per opposizione a cancellarsi, od almeno a correggersi. Nell’incrociamento delle razze, dovrete tener a mente i fondamenti da noi già dichiarati ; sicchè nell’ottenere il miglioramento della razza, quanto alla produzione, dovrete rammentarvi che rispetto a quella della forza muscolare vagliono specialmente le seguenti circostanze : carattere mo- rale, corporatura, sviluppo muscolare, e forma. Ora quanto alle prime, il generato ritrae più dalla madre ; quanto alla forza dal padre, e quanto alle forme dal padre e dalla ma- dre, ma più dall’uno che dall’altra. Circa alla produzione del latte, più dalla razza paterna che dalla materna: di- casi lo stesso della produzione della carne e della lana. Negl’ inerociamenti intesi ad imbellire le forme, si domanda una più grande sagacità nella scelta dei genitori, — 133 ‘onde avere un miglioramento nella progenitura e renderlo più presto permanente: lo sbaglio in una sola generazione può far perdere il frutto ottenuto dalle precedenti. Rico- noscere dall’attenta e continua osservazione dell’assieme delle forme degl’individui quei caratteri, la cui eccellenza e purità garentisca il loro tramandarsi per generazione : ecco il forte della cosa, e che non può essere insegnato per artifizio di regole, ma da virtù di genio che riveli per intuizione. Ciò vi spiegherà perchè tra’ moltissimi che vi han dato mano, i Backwel, i Colling ed i Tomkins siano stati ben pochi! E comprenderete del pari perchè in To- scana non possiamo avere razze ben definite ; e se vi s'im- portassero non sarebbero , non che migliorate, conservate. Io non credo che la nostra mezzeria possa mai dare al paese buone razze di animali domestici. E notate che nelle ‘parti d’Italia, dove è in vigore cotal sistema, non si hanno ‘d'ordinario razze definite, buone o cattive che siano, se inon nei latifondi: nel resto non vi ha che bastardume. La scelta poi dei genitori deve essere coadiuvata da un’op- ‘portuna igiene, che conferisca al medesimo scopo di mi- gliorare la razza dal lato delle forme esterne, dell’attitu- ‘dine ad una data produzione o della robustezza: delle cure che vi si riferiscono, ne abbiamo già discorso in dit Resi. costanti i caratteri per mezzo di un nu- | mero sufficiente di generazioni, adoprando sempre il padre ‘di puro sangue, e la madre meticcia, si giunge ad otte- ben la razza , la quale si potrà propagare per sè medesi- ima; ma avendo sempre cura di conservarla con opportuna lbelta dei generanti e con adattata igiene. Rammentatevi ‘che vi travaglierete indarno ad ottenere l’ impossibilé* se ‘tenterete di possedere una razza, cui contrastino le circo- istanze locali; e tra queste circostanze rammentatevi che ‘primeggiano il clima ed il cibo così per la quantità come per la qualità. | 134 Dalle anzidette cose frattanto vi si fa chiaro quanto debbano andar fallite le speranze di coloro, i quali inten- dono di migliorare le nostre razze di cavalli col tenere stalloni, dai quali si fan ricuoprire a caso, alla spicciolata e senza scelta e perseveranza le cavalle nostrali. È questa una gretta speculazione, della quale il paese ritrarrà ben poco vantaggio pel miglioramento delle sue razze. Le difficoltà che debbonsi sormontare per costituire una razza novella, migliorando la indigena per sè medesima o per incrociamento, ha suggerito un espediente più pronto, più sicuro e meno dispendioso per possedere in una data località quella che si desidera, traslocandovi i genitori di puro sangue della razza voluta, e facendoveli moltiplicare. Ma anche questo modo ha le sue difficoltà da superare, la più grave delle quali, consiste nell’appropriare la razza nuova alle circostanze locali. Se voi trovate medesimezza nelle condizioni essenziali dei luoghi, in cui prospera la razza buona in paragone con quelle dei luoghi, ove inten- dete trasportarla, fatelo addirittura ; ma ponderate bene la. cosa avanti di risolvervici. Non dimenticate poi mai che co- lui, il quale intende a migliorare in qualsivoglia modo le razze di un dato paese, dovrà esser provvisto a sufficienza: di capitali e di fermezza; conciossiachè questi tentativi in-‘ contrano ostacoli d’ogni maniera, non solamente nell’alleva- mento, ma altresì nello spaccio dei prodotti, finchè il primo non si rende familiare alla gente che vi accudisce, ed il se- condo non viene ajutato dalla sperimentata bontà dei pro- dotti stessi. Il medesimo Backwell nella stessa Inghilterra , e non ostante il prezzo meraviglioso che ritraeva dal nolo e dalla vendita dei suoi riproduttori, sarebbe morto tutt'altro che ricco, senza la liberalità del Governo britannico. Per compiere quanto avevamo a dire intorno alla ri- produzione degli animali domestici, di cui ci occupiamo, aggiungeremo talune altre avvertenze. 135 In primo luogo l’accoppiamento dovrà farsi in tale stagione, quando si può, che il parto avvenga in tempo favorevole all’allevamento, sia pel cibo e sia per le con- dizioni atmosferiche. Le femmine pregne, debbonsi custodire con maggior diligenza evitando le occasioni in cui possono ricevere urti sul ventre, il soverchio camminare ed il correre ec. All’approssimarsi del parto , il ventre diventa più cascante in dietro, le mammelle si fan turgide e danno latte, la groppa presso all’attaccatura della coda si avvalla, la vulva si tumefà -e spesso ne scola una moccicaglia particolare. 136 LEZIONE X. DEI PRODOTTI ANIMALI. 2 wand SOMMARIO, | S.4.Principali manifestazioni della forza muscolare negli animali da lavoro.» S.2.Finimenti di cui si munisce l’animale per le varie manifestazioni della forza muscolare. $. 3. La carne considerata come prodotto. S.4.Peso vivo e peso morto , o. netto dell'animale da carne. $.5.Qua- .| lità diverse della carne. S.6.Conservazione della carne. il n mn S. 1. I prodotti che si ritraggono dall’allevamento artifi-; ciale degli animali, sono, secondochè altrove abbiam detto: i] 1.° la forza muscolare; 2.° la carne ; 3.° i redami; 4.° il | latte ; 5.° la lana; 6.° i concimi. Daremo termine alla .| Pastorizia generale, esponendo quanto occorre a voi di' sapere in genere di questi prodotti, della loro conserva-' zione e degli usi, cui si destinano. | Degli animali rurali che noi alleviamo, non vi ha che .| il genere bovino (bove propriamente detto e bufalo), ed|| il genere equino (cavallo, mulo ed asino ) che ci servano, per la forza muscolare. In America un piccolo animale: detto Zama, ed appartenente al genere auchenia dei z00- logi, serviva da bestia da soma prima che gli Europei vi J si fossero stabiliti. Il lama però non può portare che il | peso di circa duecento libbre facendo poche miglia al giorno. . Il renne è l’animale da tiro delle regioni polari, ove attaccato alle slitte è velocissimo; poichè fa da quattro 137 a cinque leghe l'ora. Il cammello è il vascello del deserto, in una zona opposta a quella del renne. Noi abbiamo nelle RR. tenute di S. Rossore acelimatato il dromedario, la ‘conformazione del cui piede è acconcissima allo andare per le aréne. Il renne ed il cammello prestano nelle predette zone i medesimi servigi, poichè soccorrono l’uomo con un genere particolare di manifestazione di forza muscolare adattata alle circostanze, col latte, colla carne e colla pelle e sue appendici pilose. Nei nostri climi però, ripeto, che per la forza muscolare, non abbiamo che il genere bovi- no e_l’equino. Gl’individui del genere bovino non sono adattati che ad un solo modo di applicazione di detta forza; cioè al tiro. Nel genere equino, il cavallo è acconcio a tutti i ‘modi, cioè alla corsa, alla sella, alla soma ed al tiro; ima quanto alla soma il mulo ha la preferenza; ed anche l’asino pei luoghi montagnosi e per piccoli pesi. Confron- (tati i suddetti animali come produttori della forza mu- ‘scolare in genere, troviamo che dal lato dell’intensità della forza il bove ed il bufalo tengono il primato, ed appresso si collocano il mulo ed il cavallo; ma quanto alla celerità si dispongono in ordine inverso. Raffrontandoli poi tra di ‘loro, il bufalo è veramente più forte del bove al tiro, ma si abbatte molto nei calori estivi. Nei bovini le fem- ‘mine sono più veloci dei maschi. Circa alla docilità il [cavallo ba il di sopra, se si tratta di animali intieri; ma nei castroni è più mansueto il bove: il bufalo è più in- ‘domito , l'asino è molto più pervicace e testardo , ed il ‘mulo ritrae della sua natura. Il cavallo poi ha maggiore | pieghevolezza di corpo, ed anche più intelligenza degli ‘altri animali mentovati, sicchè si avvezza meglio e più presto a quei modi di manifestazione di forza che richieg- \ gono maggior precisione di movimenti. Nel lavoro del tiro sì può valutare che la velocità dei bovini sia due terzi o 18 | 138 | tre quarti di quella dei cavallini. I boviui poi, oltre all'essere più lenti degli equini, hanno bisogno di più lungo | riposo onde poter ruminare: funzione per essi di grandis- | sima importanza. La durata della manifestazione della forza muscolare | sarà tanto maggiore quanto più si eserciterà equabilmente | e proporzionatamente al vigore dell’animale ; il quale sì stanca molto più allorchè fa sforzi grandissimi, sebbene | di breve durata, che lavorando discretamente e per più | lungo tempo. Quindi gli animali da corsa, da diligenza cc., | si sciupano prestamente. E per questo occorre che nell’ap- | pajare due animali al medesimo lavoro si debba procac-'| ciare che entrambi lavorino uniti, senza di che si stan- | cano molto più, producendo un effetto utile di gran lunga|| minore. A questo fine conta molto che la statura e la}| forza siano quanto far si potrà eguali in entrambi. Tra ill diversi modi di manifestazione della forza muscolare, quello della sella a moderata velocità è il più naturale. | La soma soverchia però affatica molto la schiena, le mem-. bra e le spalle dell’animale, per cui è peggiore del tiro.. La corsa è connaturale agli animali nostri, i quali non.| han miglior mezzo di difesa contro i loro nemici che la; fuga. Ma nello stato naturale vi si esercitano di continuo; sicchè ne contraggono l’abitudine, mentre noi li condan-'| niamo al riposo interrotto a grandi intervalli da una corsa.| rapidissima e troppo sostenuta. Oltredichè gli animali , che | artificialmente si destinano-alla corsa, hanno appunto una, conformazione di torace che non può alla lunga soppor-. tarla; e mentre nello stato naturale son liberi nella fuga, | nella corsa sogliono esser caricati del peso del fantino, — che molto li affatica. In qualunque movimento di progressione che faccia l'animale, deve in primo luogo vincere la forza di gra- vità del proprio corpo , il quale si solleva ed abbassa al- 139 ternativamente. Nella soma e nella sella, ch'è una specie di soma, la porzione di forza perduta nella indicata guisa è maggiore. Nel tiro, l’animale porta anche come sopra ‘una parte del peso del corpo da tirare; imperciocchè il ‘centro di gravità di esso corpo suol essere più basso della parte del corpo da cui si tramanda la potenza, sic- \ chè la resistenza agisce d’ordinario tirando da sopra in sotto. Nei bovi che tirano l’aratro, il cui ceppo è fitto in terra, nel progredire che fanno una parte della resisten- za opera sul collo di essi bovi da sopra in sotto; per modo che, secondo gl’insegnamenti dei meccanici, la | forza impiegata dall’animale si bipartisce : una porzione | Simpiega orizzontalmente a spingere nella medesima dire- i zione il corpo, e l’altra verticalmente a vincere questa | pressione. Sapete che nel caricare un baroccio, il peso ‘si distribuisce per guisa che graviti più sul davanti acciò O | le stanghe premano discretamente contro il sellino : nel che consiste il così detto acco/lo necessario perchè il baroccio non si arrovesci in dietro. Ora questo soprappiù di peso agisce anch'esso come una soma sulla schiena dell'animale; e se l’asse del barroccio è più basso del petto ove si attaccano le tirelle nei finimenti a collare, l’ani- male porterà una seconda soma Soa al collo od al petto. Quindi è che l’animale porta nel tiro una soma tanto più grave quanto : 1.° è maggiore l’accollo; 2.° il posto dell'applicazione della forza è più alto del centro della resistenza da vincere. Pertanto se noi computiamo per que- sto solo rispetto il tiro di un carro a due ruote, con quello di una carretta a quattro, troviamo che nel primo caso vi ha più soma per parte dell’accollo , e meno per parte dell’altezza rispettiva del centro della resistenza e dell’applicazione della potenza: viceversa nel secondo caso, in cui non vi è accollo, ma l’asse delle ruote davanti è 140 più basso assai di quello delle due ruote del carro. Per- chè l’animale non portasse alcuna soma estranea al proprio corpo, la carretta a quattro ruote dovrebbe avere l’asse | di quelle davanti nel medesimo piano orizzontale , in cui fosse applicata la forza dell'animale; ed anche in questo caso l’animale agirebbe da soma tratto tratto, perchè nella progressione il livello dell’applicazione della potenza si ab- bassa e s’innalza alternativamente. Deriva pertanto dall’anzidetto, che nel tiro degli ar- nesi aratorj, gli animali più bassi, a parità di circostanze, portano minor soma, e quindi perdono meno forza in paragone dei più alti; e che a parità di statura i cavalli, ' i quali tirano col petto, ne perdono meno dei buoi che tirano col collo; e che i buoi che tirano colla testa ne perdono ancor meno dei buoi che tirano col collo. S$. 2. Il corpo dell'animale da forza muscolare si mu- nisce di certi finimenti per agevolare l'applicazione di essa forza, e per renderne l’esercizio uniforme e meno incomodo che sia possibile per l’animale stesso. Per la soma si colloca sulla schiena un finimento che chiamasi ora basto ed ora sella, secondochè deve portare una soma comune, ovvero un uomo. Queste due forme di finimento debbono provvedere a ciò : 1.° che il peso sia distribuito ‘ sopra la più ampia ‘superficie, acciò sia menomato l’effetto nocivo sopra ogni singola parte, e per modo che il carico graviti un po’più in avanti per lasciar liberi i lombi, e guardando che i movimenti delle spalle non sian di troppo impediti; 2.° che coll’ajuto di guancialetti di crino o di altra materia morbida ed elastica, si prevenga la soverchia pressura sulle parti, cui si applica il basto o la sella; 3.° che si fermi nella miglior positura per mezzo di cinghie di canapa o di cuojo abbracciando di sotto il torace, accerchiando davanti il petto ad indietro circuendo la coda o le natiche. Il basto e la sella poi sono sulla sen da eq 141 faccia di sopra guerniti di cintoli, di margini rilevati ec., collo scopo sia di rendere più fermo il peso nei diversi movimenti dell'animale, o sia per altri fini che tutti conoscete. Nel tiro i finimenti variano secondo la scelta del po- sto, cui si applica la resistenza da vincere mediante certi organi di trasmissione, come sono le tirelle, itimoni ec. Nel determinare questi posti, c nell’adattarvi i finimenti di trasmissione, si guarda: 1.° che rimangano liberi quanto più è possibile i movimenti dell'animale; 2.° che le parti del posto prescelto non ricevano offesa dagli organi di trasmissione; 3.° che sia scemata al possibile la resistenza ‘soprattutto quanto alle relazioni di essa colla potenza. Q uesti ‘posti sono nel cavallo la regione anteriore del petto , ov- ‘vero il suo contorno anteriore là dove se ne diparte il collo: nel primo caso si adopera una lunga striscia di ‘cuojo chiamata petto, che per mezzo di un cintolo, il quale ‘(passa sul garrese, si tiene in tale positura da non scen- ‘(dere troppo sulla punta della spalla ad impedire i movi- menti, nè troppo in su a premere sul canale dell’aria. Nel secondo caso il collare si applica a tutto il detto con- torno, procurando che la punta della spalla rimanga li- bera, perchè quivi si attaccano i muscoli più potenti. Al ‘petto od al collare si commettono le tirelle, che poi im- ‘imediatamente, o per mezzo di un bilancino, si congiun- gono col corpo da tirare. Quando si può è bene che la testa rimanga libera acciò serva di bilanciere; quindi è dannoso il freno alla manifestazione della forza nel tiro. Pei bovi, il petto non si può adoperare a cagione della giogaja e della sporgenza centrale della parte anteriore del petto, ed il collare va a premer troppo sulle scapole ie ne impedisce il movimento. Si adopera pertanto il giogo, ‘scegliendo per la sua applicazione ora la fronte, ora la imuca ed ora infine il collo. L'applicazione alla testa lascia I | 142 | libera la spalla, ed abbassa il punto di applicazione della | potenza. Inoltre poggia e si connette a parti dure come sono | la fronte, la nuca e le corna; e nelle scese gli animali | reggono meglio i carri. Si richiede però che il collo sia | tozzo e forte; senza di che la forza dell'animale non si | dispiegherà pienamente; e di più le corna debbono essere | ben conformate. Aggiogati per le corna i bovi rendonsi più mansueti, e lavorano più uniti. Quando però il collo | ed il garrese sono ben conformati, i buoi sono capaci di maggiori sforzi, tirando col collo ed avendo libero il bilanciere della testa, purchè si badi all’accollo , e la col-. lana , o giuntoja, non costringa troppo il canale dell’ aria | ed i vicini vasi. Eccovi uno dei buoni gioghi da collo. A 4 sono duel archi di legno a superficie ben liscia, che si adattano ai colli; B è la staffa di ferro in cui entra il timone degli: arnesi da tirare; C c son le collane; 2 5 le campanelle» per fissarvi le accapatoje ; i quali avvolgonsi alle corna peri tener fermi nel lavoro gli animali. i Gli animali si debbono domar per tempo affin di averli, agevoli, ma non sottoporli da prima che a lavori leggie-: rissimi : il rinnuovamento totale dei denti incisivi è il tempo, in cui l'animale è giunto al colmo del suo vigore; ed un anno o due più tardi è veramente assodato nelle articolazioni. La quantità di lavoro prodotta da un animale è va- riabile non solamente secondo la sua forza, ma altresì a norma dell’applicazione di essa. In meccanica nel valutare la forza impiegata , si prende per unità di misura quella si richiede per innalzare un peso all'altezza di un metro, ossia di un braccio e soldi quattordici e denari tre in un' minuto secondo di tempo. Ora il miglior modo di adope-!| rare la forza di un animale è il tiro orizzontale; ed in tal caso un buon cavallo è capace di uno sforzo momen- 143 taneo che non oltrepassa le 1200 libbre; tale cioè da sollevare un peso equivalente ad un metro di altezza in un minuto secondo. I cavalli che lavorano di continuo, però producono la forza di circa 150 libbre, supponendo che facciano diciannove miglia al giorno colla velocità di poco meno di due miglia all'ora. Nel tiro pel movimento rotatorio , il disagio del giro scema la manifestazione della forza : in questo caso il suo lavoro diminuisce di un quinto circa ed anche più. Il mulo produce al passo un lavoro quanto un cavallo, e regge anche meglio ; l’asino produce circa il quarto del lavoro del cavallo, ed il bove delie nostre migliori razze, produce un lavoro finale nella gior- nata quasi eguale a quello del cavallo , perchè la lentezza dei movimenti è compensata dal maggiore sforzo. Un forte pajo di bovi ben pasciuti, può coltrare in otto ore di la- voro un quadrato di terra mezzana a dieci o dodici soldi di profondità, ma non durerebbe ad una tal fatica tutti i giorni; ma due terzi di quadrato potrebbe lavorarli. Dei nostri più forti cavalli ce ne vorrebbero almeno quattro, ma nello stesso tempo farebbero il doppio di lavoro. $. 3. Tre sono le specie di grosso bestiame rurale che noi alleviamo per la carne: la vaccina, l’ovina e la suina. L’ovina però è piuttosto destinata fra noi alla produzione del latte e della lana; imperciocchè la carne, che somministra nei nostri paesi, non piace. Non è già che non sia suscettiva di darne dell’eccellente, come ce lo mostra la squisitezza del montone inglese: basterebbe avere buone razze e nutrirle con cibi succulenti. Che che ne sia è certo che nei nostri paesi la produzione della carne di montone non costituisce un’ industria ; sicchè per lo ingrasso non abbiamo più specialmente iche la vaccina e la suina. Anzi la vera specie che dà la carne grassa, e che si alleva unicamente per cotale fine, è la suina. È però da aggiungere che la carne di imajale non è così salubre com'è quella di vaccina ; nè alla 144 lunga riesce egualmente gradita. È pertanto che la massima parte della carne macellata appartiene al bestiame vaccino. La carne è tanto più pregiata quanto è più grassa; e siccome nel progredire dell’ingrasso torna semprepiù dif- ficile l'ulteriore impinguamento, perciò la quantità di fo- | raggio richiesta per produrne una libbra crescendo in pro- porzione , la carne costa al produttore nella misura della | sua grassezza; e quindi deye vendersi di più. Nell’animale che s'ingrassa non cresce sensibilmente che la pinguedine; e pertanto la proporzione della carne rispetto alle ossa, al cuojo ec. cresce nella stessa misura dell’ingrassamento; talchè allo stesso peso vivo corrisponde un peso morto. sempre maggiore. S. 4. Sapete che col nome di peso . vivo siinterid quello che si trova nel mettere sulle stadere un animale vivente, e per peso morto, l’altro che vien dato dallo stesso : animale macellato, dopo di avergli tolto le viscere tutte, ‘| la maggior parte del sangue, e per certi animali le zampe, la pelle e la testa ancora. Il peso vivo è poco meno del] doppio del morto, o netto, per la specie bovina presa in; complesso : nei giovani animali da latte però, ed in quelli: grassi, il peso netto giunge ai quattro settimi del peso vivo. Gli animali, la cui testa è piccola come le gambe dal garretto e dal ginocchio in giù, e che hanno pelle fine e ventre non molto disteso, danno un peso morto maggiore. In una vacca discretamente grassa di razza egiziana che distinguevasi per la finezza del cuojo, e per la sottigliezza della testa e delle zampe, io trovai: Visceri, sego e sangue. & 362 Tampa, };ii)r00-. s0o- 520} Testo id casta 30 Cuoip.gir sbcisnd odiata 70 Quarti, ossia carne netta. » 636 e 5 = Totale € 1116 145 il che dà per la. carne netta circa i quattro settimi del peso vivo. Negl’individui estremamente grassi ed apparte- nenti alle migliori razze, il peso netto giunge fino ai due terzi del vivo. Nei majali, dal cui peso vivo non si tolgono che i visceri ed il sangue per avere il peso netto, questo ne forma quasi gli ottantacinque centesimi , ossia 85 per . cento del peso vivo. Ecco le diverse parti di un majale mezzano del peso vivo di libbre 318: Stomaco e budella. . . & 24 Polmone e cuore . . . » 3 Fegato e milza. . . . » 4 Mungo. fu. Sl. 0 Lbigleni 50291» sIAd Garme. netta 0. 0. ol. (» 268 ee Totale & 310 ‘, Perdita. .. . A i RO 7 » È dla «Il peso netto nei montoni sta al peso vivo a un di- ‘presso come nella specie vaccina. | $. 5. Nel primo periodo dell’ingrassamento, la pingue- ‘dine si accumula tra i fasci delle fibre che compongono i muscoli , tra muscolo e muscolo, ed al di sotto della pelle, ‘allorchè l’animale è tenuto caldo e strigliato : da ultimo si | deposita nelle cavità viscerali. La pinguedine sottocutanea ‘si riconosce alla morbidezza del palpamento ed alla ro- \tondità delle forme, e specialmente alla schiena, dietro la \scapola, nel ripiegamento della pelle che sta davanti al- ‘l'articolazione delle cosce colle gambe, ed al perineo. Pel | grasso interno, non si può trarre altro indizio che dal palpare le adiacenze degli orifizj genito-urinarj infossando le dita verso il bacino. | La carne ingrassata coll’erba delle ricche praterie ar- ‘tificiali di piano, è più floscia ed ha pinguedine più liquida: la migliore è quella di ghiande o di farinosi. Gli animali \ingrassati nello stato di assoluta reclusione e privi di aria | 19 146 libera e di moto, hanno a parità di circostanze un grasso più floscio. Gli animali troppo giovani danno grasso insipido e carne tenera sì, ma poco saporita e scarsamente nutri- tiva; mentrechè quella delle bestie vecchie è soverchia- mente dura e fibrosa, ed il grasso ne riesce spiacevole. La miglior carne grassa è quella che viene somministrata dai maschi castrati che siano giunti al colmo del loro accrescimento : è dessa assai tenera, molto nutriente e di- gestibile, e di grasso consistente e piacevole. Infatti ognuno di voi sa per prova che la carne di vitella di latte non è ricercata per farne arrosto che in grazia‘della sua tene- rezza ; ma lessata riesce insipida e dà un cattivo brodo. La carne di animali, che inchinano a vecchiaja , è dura sì a cuo- cere, ma lessata a dovere è buona e genera un eccellente brodo : arrostita , oltrechè è di malagevole cottura, torna di sapore troppo acuto. Pertanto nella preparazione di lessar ‘ la carne trovasi migliore la vecchia, e peggiore la tenera. . Quindi quella di un animale vigoroso , e che sia in sul finire | del suo crescere, congiunge la morbidezza alla maggior . perfezione assimilativa. E quì non è fuor di luogo il farvi ; notare come rispetto al vitto dell'uomo, le buone qualità ‘ della carne si connettono a speciali condizioni dell’appa- | recchio digestivo. Imperocchè , per disposizioni organiche | l’uomo è sì onnivoro, ma organato a pascersi più di so- stanze vegetabili che di animali: la forma dei suoi denti, la forza relativa dei suoi muscoli masticatori, la struttura dello stomaco e dell'intestino, la capacità dell'addome ec., tutto annunzia che le frutta e le radici, ma soprattutto le granella farinose , sono il suo cibo più connaturale. Le castagne mescolate al latte, ch'è la sostanza animale che più ritragga della natura erbale, danno ottimo nutrimento ; il che fanno altresì i semi di cereali, di grano segnata- mente , il quale come più nutriente delle castagne, con- tiene in sè naturalmeote quasi la stessa mescolanza, che 147 per artifizio noì facciamo permischiando esse castagne al latte. L'uomo però che si pasce di sola carne di animali selvatici, non può durare lungamente a serbarsi sano : è un vitto troppo eccitante. È più consentaneo alla nostra ‘natura il pesce. Adunque non è senza ragione che alla tavola del ricco si ricercano le carni tenere: è l’istinto , che ci guida senza nostra saputa. Le carni tenere son | poco animalizzate, e quindi tengono più dell’erbale. Quanto poi alla digestibilità delle carni è dessa relativa, abbia- mo noi detto, alla forza dell'apparecchio che le debbe convertire in chilo; perciocchè le carni tenere si assi- i milano meglio che le più animalizzate dagli stomachi deboli; mentrechè gli uomini sani, robusti e che si eser- citano della persona, ricevono dalle carni molto animaliz- i zate quello stimolo che attiva la loro digestione, e che i manca nelle tenere carni. Lo stomaco di un tale infermic- cio digerirà meglio la carne naturalmente tenera e ram- morbidita ancora dagli artificj culinarj; ma un pezzo di Farrosto di carne adulta conforterà più presto il ventricolo di un uomo robusto ed esercitato. I bambini quindi, i vecchi, le donne, i cagionevoli, gli oziosi, faccian pure lor prò di carni tenere che ingojano smodatamente , e guar- dinsi da quelle più animalizzate; ma chi tiene a mante- ner sano e vigoroso il suo corpo, già assai robusto ed esercitato, mangi poca carne, ma di animali di mezza- na età. S. 5. La carne si conserva o solamente salata , o salata e seccata all'aria ovvero al fumo. Nel primo modo si dis- sangua convenientemente, si pulisce, si appezza, si disossa, potendo, e quindi s’intride di sale comune, aggiungendovi l'un per cento di sal nitro per conservare alla carne il suo colore. Ciò fatto si dispongono i pezzi nei barili a suoli, e spargendovi sopra altro sale da cucina misto all'uno per cento di nitro: la dose di sale da cucina adoperato per 148 intriderne le carni, e per gettarvelo sopra via via nel porle nei barili, agguaglia circa il quarto del peso della carne stessa. Si copriranno fortemente i pezzi nei barili, perchè non lascino vuoti, e poi vi si verserà sopra pretta salamoja. Talvolta le carni si salano dopo di averle tritate. Vi si mescola allora del pepe in granella, e s’insaccano nelle membrane del tubo intestinale: prendono allora il nome di salami , salsicce ec., e si tengono appesi a seccare. Tal altra volta, la carne salata si secca esponendola al- l’azione del fumo sotto alle cappe dei cammini. Essendo il fumo un antisettico, la quantità di sale richiesta in questo caso è minore che nei precedenti. 149 LEZIONE XI, CONTINUAZIONE DEI PRODOTTI ANIMALI. -—@—- SOMMARIO. \ S.A. Ingredienti e qualità del latte. $. 2. Estrazione e conservazione del burro. $.3. Estrazione e conservazione del formaggio. $. 4. Qualità e conservazione della lana. $.5.Redami. $.6. Concimi e loro conser- vazione. . $. 1. L’animale da latte per eccellenza è la mucca. Si ritrae altresì questo prodotto dalla pecora; e sapete che l’asina fornisce un latte medicinale, il cui smercio è però limitatissimo. i Gli animali, di cui ci occupiamo, sono nel colmo della ‘segrezione del latte alquanti giorni dopo il parto, e du- tano alcun mese in siffatto stato. Quindi a poco a poco la segrezione scema, e segnatamente allorchè la bestia sia in calore, o se sopravvenga un’altra gravidanza. Il latte ‘però, poco dopo il parto è più abbondante, ma più ‘acquoso che nel seguito. Il latte di mucca è composto di circa 87 per cento di acqua e di 13 di parti solide; le quali sono: la materia ‘grassa, ossia burro, il cacio ed altre materie azotate, lo ‘zucchero di latte ed alcuni sali, cioè a dire i fosfati di calce, di magnesia e di ferro, il sale comune, il cloruro di potassio. Una data quantità di latte darà la venticin- ‘quesima parte circa del suo peso in burro. Così per avere | ì ì 150 una libbra di burro ci vogliono in media 25 libbre di, latte. La quantità di formaggio grasso sarà due volte e mezzo maggiore; sicchè da 25 libbre di latte si cavano circa due libbre e mezzo di formaggio grasso. La ricotta | che si leva dal latte dopo il formaggio, è formata di ma- | terie albuminose e caciose; ed agguaglia in quantità i due terzi circa del formaggio. Il latte di vacca è meno ricco in burro ed in formaggio, a petto a quello di pe- | cora o di capra. Il latte di pecora poi è il più ricco in | burro, il quale però è poco consistente; e quello di capra riesce più ricco in formaggio. Nel latte, il burro ed il ca- | cio trovansi in proporzioni variabilissime rispetto all'acqua, che ne forma l’escipiente. In generale , coll’erba e coi be-, veroni il latte aumenta di quantità, ma è meno ricco in, burro e cacio : lo stesso abbiamo veduto accadere allorchè. la bestia ha partorito di corto. Il fieno di buona qua- lità ed i farinosi danno il latte più sostanzioso. Vi aggiun- go che col medesimo cibo alcune vacche porgono un latte più ricco in burro ed in cacio, ed altre più povero. Il latte è unliquido più pesante dell’acqua pura; ma la paana, che si trasforma poi in burro, è più leggiere del latte preso in complesso; ed infatti col riposo del latté la panna se ne separa e viene a galla. Perciò unlatte spannati è più pesante del latte integro: tutti sapete che. il burro galleggia nell'acqua. Si è immaginato di saggiare con ui areometro la ricchezza del latte in materie solide ; ma non s può per esso determinare nè la dose di formaggio nè quell di burro. E perchè voi intendiate bene quanto vi dico , d'uopo che sappiate come degl’ingredienti del latte il for maggio, le materie saline e lo zucchero, sono specifica mente più pesanti dell’acqua, in cui trovansi disciolti mentrechè la panna è meno pesante. Perciò accade ch voi potete scemare la densità del latte puro aggiungendo vi acqua, ed accrescerla sottraendovi panna ; e l’areometro; | 151 il quale vi misura cotale densità, non vi accerta della bontà del latte, perchè voi alterandolo in doppio modo, cioè le- vandogli la panna (con che ne aumentate la densità ), ed aggiungendovi tant’acqua che basti a compensarne l’effetto, avrete la densità del latte puro. I lattajoli infatti hanno ri- sonosciuto l’insufficienza dell’areometro ad accertarsi della bontà relativa del latte. Congiungendo le indicazioni fornite dell’areometro a quelle di altro strumento che misuri la quantità di panna di un latte dato, si ottiene meglio l’in- lento. Per misurare la panna che può dare una data qua- lità di latte, se ne empie un provìno graduato : nel quale, dopo quarantotto ore circa, la panna venuta a galla indi- sherà in che proporzione stia nel latte saggiato ; ma questo areometro è molto fallace, perocchè la quantità di panna, che si solleva dal latte, varia colie condizioni atmosferiche; alchè non potrete avere indicazioni soddisfacenti che dai saggi istituiti contemporaneamente sopra diverse qualità di atte. Nè poi la stessa quantità di panna vi darà egual copia di burro. Quindi è che senza un’accurata analisi chi- ica non può sapersi il burro ed il formaggio che conten- onsi in un dato latte; ma se voleste conoscere la quantità i entrambi questi ingredienti, i quali sono i più pregia- 1, potreste coagularli, ponendo a scaldare del latte in ‘ui verserete un po'di succo di limone o di buon aceto. l grumo pesato vi svelerà la ricchezza del latte, molto meglio che non facciano l’areometro ed il cremometro. Tuttavia debbo aggiungervi che nonostante l'insufficienza ell'areometro ‘a denotarvi la ricchezza del latte, voi po- lrete giovarvene nelle aziende rurali a riconoscere certe frodi. Così a cagion di esempio, se io mando oggi del latte a Pisa, e se ho sospetto che il lattajo vi mischi ell'acqua per via, potrò accertarmene saggiando esso latte quà, e poi nella casa ove l’ha portato. Eccovi lo Strumentino , che dicesi areometro 0 pesa-latte: E formato | | | P 152 di un sottil tubo di vetro @, il quale s'allarga in è, si restringe in c, e si allarga di nuovo in d, per contenere quei pallini di piombo che vi vedete dentro, e che hanno | l'ufficio di attuffare lo strumento nel liquido. Per adope- rarlo immergetelo nel latte refrigerato, perchè il caldo è molto più leggiero. Più cala attuffandosi nel liquido, e meno denso è il latte, e viceversa. Se s' immerge insino al segno 1, il latte sarà di mezzana densità. S. 2. Il burro si estrae dal latte lasciandolo in riposo da 24 a 48 ore, acciò venga su la crema, o panna, che poi si hatte: in estate bastano circa trenta ore, ed in in- verno quarantotto. Vi ha chi lascia inacidire più lunga- mente il latte per ottenere maggior copia di crema, la: quale però dà un burro di qualità men buona. Il burro: si può ottenere eziandio battendo tutta la massa del latte ;, ma allora ci vogliono dei vasi di gran capacità, e si ottiene* un ‘prodotto più scarso ; sicchè si preferisce di laseiarlo in; riposo e raccogliere la panna. Questa poi vien su più fa-' cilmente ad una temperatura mite di otto o dieci gradii R., ed a cielo sereno. Perchè la panna venga a galla più; abbondevolmente, si pone il latte in vasi di terra cotta? verniciata, o di porcellana’, i quali abbiano piccola altez-; za e presentino larga superficie. Quando la panna è venuta) su, levasi per mezzo di scodelle pianeggianti bucherellate di piccoli pertugi, che lascian passare il latte e ritengono la panna. Dalla panna si ottiene il burro, battendola nelle zangole, le quali hanno ora la forma di piccoli caratelli 0 di cassette, ed ora di coni mozzi verticali. Le prime sono talora munite in dentro di tramezzi, che dipartonsi dalle | pareti del vaso, e giungono quasi a mezzo dello spazio com- | preso tra esse pareti e l’asse del vaso. Tali zangole girano | intorno a quest’asse: nel quale movimento la panna urta. contro i tramezzi e si batte. Talora poi stanno ferme, ma. son traversate da un asse, che porta alcune palette, le quali \ 153 nel ruotare battono la panna. Le zangole leggermente com niche sono munite di uno stantuffo, alla cui estremità inferiore è connesso un girello di legno con diametro più piccolo di quello del cilindro, e che nell’abbassarsi ed inalzarsi batte la panna; i quali movimenti dello stantuffo si sogliono operare per mezzo di congegni. Quest'ultimo riesce più efficace degli altri per battere grandi quantità di panna, perchè l'urto è più forte che nelle macchine rotatorie. La panna, che si batte, si va assodando e rigonfiando via via nell'atto dell'operazione; e giunta questa ad un certo segno, si ha quella massa spumosa che chiamasi ‘panna montata: continuando la battitura si rammorbi- disce, dividendosi in una porzione solida, ch'è il burro, ed in altra liquida, ch'è il siero. Le particelle di burro si agglutinano insieme e formano un pare, che poi s'im- pasta per liberarlo del siero che contiene, dopo che si è lasciato per circa un'ora nell'acqua a refrigerare ed ispessire : l'operazione si pratica colle mani, o con ap- posite spatole in vasi di legno. Se l’impastamento si fa a secco, tornerà più difficile di levargli il siero, il quale verrà fuori più agevolmente e compiutamente impastando il burro nell'acqua: a secco però il burro serberà più della propria fragranza. Un po’ di siero lo renderà più de- licato se vuolsi mangiar di presente, ma impedirà una lunga conservazione. Volendo serbare per lungo tempo il burro, e spedirlo in lontani paesi, si fonde a lento calore, vi sì mescola del sale, e si ripone in caratelli. La quan- tità di burro, che si cava da una data quantità di pan- na, varia secondochè questa si è levata con più o meno di latte: ordinariamente ne forma il terzo. Il burro si ottiene più facilmente, e riesce migliore al- lorchè la temperatura dell'ambiente trovasi essere dai dodici ai quindici gradi. Perciò in estate bisogna mescolare alla 20 154 panna dell'acqua diaccia , e tenere immerso il vaso in detta acqua per qualche ora prima di versarvi della panna, ed anche durante l'operazione: in inverno al contrario bi- sogna surrogare all’acqua ghiaccia la calda, tanto da ot- tenere la detta temperatura. Vi rammento che tutti i vasi, per cui passa il latte, la. panna ed il burro vogliono essere della più grande mondizie. $. 3. Il formaggio si ottiene coagulando il latte span- nato, o quale vien fuori dall’animale. Nel primo caso si ha il formaggio grasso, poichè al pretto cacio si trova mescolato il burro; e nel secondo il formaggio magro. Il formaggio stragrasso si ottiene mescolando al latte in- tegro la panna ricavata da altro latte. Per coagulare il formaggio vagliono gli acidi, i succhi . di certe erbe, di carciofo specialmente, la membrana in- terna del quarto stomaco dei ruminanti lattoni con entrovi latte stesso coagulato che vi si trova ec. Quest'ultimo mezzo è il più usitato sotto il nome di presame nel ca- seificio. A preparare il presame, si uccide un vitellino, che si nutrisca di puro latte, dopo di avergliene fatto inghiot- tire in copia; gli si cava il quarto stomaco, che si apre, e si lava appresso di averne tolto il grumo. Lavato che sia, vi si rimette dentro il grumo, si sala dentro e fuori, si lascia macerare qualche giorno dentro la salamoja, e poi si appende sotto alla cappa del cammino: se vi sta un anno prima di adoperarlo, tanto meglio. Per usare di questo presame, si tagliuzza, si mette a macerare nell'acqua bollita, ma refrigerata, per due o tre giorni, rinnuovando cotante volte l’acqua , la quale si carica del sugo del presame. Quest’acqua si ripone in bottiglie, e si serba all'uso. Per fare il formaggio, si mette il latte nelle caldaje, e per mezzo di fuoco moderato si porta la temperatura a circa 24 gradi. Si mescola al li- quido il presame , il quale rapprende il formaggio. Il coa- 155 gulo si rompe per mezzo di un bastone attraversato da piccoli pioli, e poi si raduna, s’impasta e si tira fuori della caldaja. Allora si taglia col coltello da formaggio in molti e vari versi, si rimpasta e si avvolge in tela rada: quindi si mette in forme proporzionate alla grossezza del formaggio, le quali si sottopongono alla pressa. Il coagulo si sala in ragione di circa mezz’oncia di sale per sedici once di formaggio. Ogni giorno la forma si rivolta e s'intride di poco sale; e dopo due settimane circa si unge e si ripone sulle tavole nel magazzino, ove sì continua a rivoltare ed ungere di tanto in tanto , con intervallo sempre maggiore. La bontà del formaggio dipende molto da quella del latte, dalla maniera di fabbricarlo e dalle cure di conser- vazione. I cibi di ottima qualità e fragranti danno un formaggio meglio saporito. Importa poi moltissimo la pro- porzione del presame rispetto alle materie solide del latte; e pertanto il formaggio fabbricato con latte di qualità uni- forme riesce migliore, perchè torna più facile di dosare il presame competente. Laddove il bestiame stia nei buoni pascoli, o venga pasciuto alla stalla con cibi mescolati sì e varj, ma non diversi da un giorno all’altro , il for- maggio riesce migliore. Nelle stalle perciò dei nostri con- tadini ci sarebbe da avere formaggio poco buono; po- sciachè ognuno di essi alimenta diversamente le proprie bestie, e varia spessissimo la profenda. Per grande però che sia la cura nel tenere ‘uniforme il pasto delle bestie, desso varierà dicerto col cangiarsi delle stagioni; ma al- lora l’esperto cascinajo muta la proporzione del suo pre- same prendendo norma dai segnali, che l’esperienza gli ha perdurante la sua pratica somministrato. Il latte deve esser custodito in un locale fresco, di temperatura uniforme e scrupolosamente mondo; il ma- gazzino del cacio vuol esser volto a tramontana e con poca luce. Quelle forme avventate, cioè che rigonfiano in ® 156 qualche luogo dalla loro superficie, danno, picchiettandovi sopra, un suono più chiaro, e vanno vendute sollecita- mente. I formaggi stragrassi si serbano più difficilmente, e domandano un pronto consumo. $. 4. Le appendici epidermiche, ossia cuticulari, sono i peli, le piume le unghie e le corna. Tutte queste ap- pendici servono in varj modi, ma soprattutto i peli. Il pelo è la segrezione di certi organi detti bulbi, i quali trovansi infossati nel tessuto della pelle. La superficie in- terna del bulbo separa una materia cornea, la quale ora si conforma nella sua cavità in tubi cilindrici isolati, quali sono i peli, ed ora in tubi, che si agglutinano fra di loro con certe norme, e costituiscono le unghie e le . corna. Sul tegumento interno, il bulbo segrega nei nostri | animali il dente, ma nelle balene dà luogo a specie di un- ghie, quali sono le così dette stecche di balena che ten- ; gono il posto dei denti. I denti semplici, quali sono gl’in- ‘ cisivi ed anche i canini, sono una specie di peli semplici, | ed i molari peli multipli ed agglutinati a simiglianza delle | unghie o delle corna. Il bulbo, finchè si conserva sano, segrega la materia : pilosa; sicchè strappato o caduto per qualsiasi cagione un : pelo , si rinnuova se il bulbo rimane in buono stato. Quanto ‘ più i bulbi sono ravvicinati tra di loro , tanto più è folto il pelame; e d'ordinario la foltezza va del pari con la finezza. La finezza della pelle porta seco anche quella del pelame. Nei climi freddi ed inclementi, manca lo stimolo cutaneo; perlochè la pelle si affina, e con essa anche il pelame, che vi diventa folto, e talvolta crespo, per proteggere il corpo dal freddo dell’ambiente. Nei climi caldi, a rincontro, la pelle bruciata dai sole si spessisce, ed i bulbi diventano radi e segregano un cilindro grosso e rigido. Per convin- cervi di queste influenze, basta guardare gli animali al pa- scolo perdurante le diverse stagioni dell’anno. 157 Tutti conoscete gli usi del crino delle specie equine, il quale costituisce un seggio morbido ed elastico nei ca- napè, sedie, selle ec. Anzi la pelle stessa, resa poco cor- ruttibile per l’azione del tannino nella concia, si rende adattata ai diversi usi che vi sono noti. Quanto alle appen- dici cuticulari però non vi ba dubbio che il pelo cresputo di certi ruminanti, e che chiamasi lana, sia il più adope- rato. Il filamento della lana è molto distendibile, elasti- co, tenace, morbido e capace di formar feltro. Nella lana. pertanto si pregiano le dette qualità, ed anche la finezza e la lunghezza. La distendibilità giova per la fabbrica- zione dei tessuti da vestiario, che rendono i movimenti del corpo più liberi; l’elasticità li fa più accomodati ai medesimi uflizj ajutandoli a serbare la stessa forma agli abiti; la tenacità aceresce la durata; la morbidezza rende più dolce il contatto, e mantiene la libertà dei movimenti del corpo di chi se ne cuopre; e la facoltà di far feltro dà ai tessuti maggior solidità, e li rende poco accessi- bili all'umidità ed all'aria fredda. La finezza serve alla fabbricazione dei tessuti di lusso, e la lunghezza a certi usi speciali, e massimamente ai lavori di tappezzeria ed ai tessuti di lana, che non sian panno, come sarebbero gli scialli. È perciò che il pelo lungo e fine di quella razza di capre denominate del Tibet, è stato sempre pregiato, comechè non sia cresputo, per la fabbricazione di alcuni scialli e di altri tessuti di lana, che non debbono avere nascosta l’orditura da pelo uniformemente sdrajato com'è nel panno propriamente detto. «Il prodotto della lana nei nostri paesi si ottiene dal- l'allevamento delle pecore: in America hanno due altri ru- minanti appartenenti al genere auchenia : l'alpaca e la vi- gogna. L’al/paca è una varietà del guanaco, ed ha un pelo lungo e fine, che somiglia a quello delle capre del Tibet. La vigogna l’ha più fine ancora e setoso. Le pecore ve- 158 ramente pregiate per lana abbondante e fine, non sono gran cosa adattate nè alla produzione della carne, nè a quella del latte : la razza migliore è quella dei merini. , Se si cerca di aumentare le disposizioni organiche che fa- | voriscono l’ingrasso, si nuoce alla lana. Alla bontà di essa | poi conferisce un clima freddo, la natura dei pascoli e la | nettezza del corpo. i La raccolta della lana si fa in qualche luogo due volte all'anno : in primavera ed in autunno. È miglior consiglio ; però quello di non tosar le pecore che solamente in pri, mavera, e lasciar loro in seguito la lana come mezzo pro- tettore nell'inverno. Il prodotto è variabile secondo la: razza ed il nutrimento. Un buon montone merino può dare fino a 27 libbre di lana sudicia: in media pei me- rini scelti è di 12 libbre rispetto ai montoni, e di nove; per le pecore. Un uomo può tosare da 10 a 12 montoni/ al giorno; e da quindici a venti pecore. Prima di tosar le pecore si lavano in qualche stagno; o meglio in un fiume; la quale operazione, che dicesi lavatura a dosso, netta alquanto la lana e la rende di più sicura conservazione. Questa lavatura si fa così. Si collocano due o più uomini nel fiume, e le pecore passano da una riva all’altra. Nel passare son prese dalla primé persona, la quale le strofina ad una ad una sul dorso, al costato ed ai fianchi, e quindi le invia alla seconda per- sona, la quale ripetendo la medesima operazione le indi- rizza alla seguente ec. Dopo la lavatura, gli animali si tengono in luogo asciutto e pulito perchè si asciughino ; ma non esposti al vento. È superfluo il dire , che si aspetta un tempo sereno e mite per la lavatura. Quando la lana, è asciutta, si tosa, si secca perfettamente all'aria, e poi s'imballa per la vendita. In questa lavatura @ dosso, la lana perde dal quinto al terzo del suo peso. Se però è troppo folta, fa d’uopo di rammollirla prima di lavarla; mia Ì | 159 :d a questo fine si bagnano le pecore in uno stagno xd in un fiume,' tanto che i loro velli siano imbevuti l’acqua. Ciò fatto, si riconducono all’ovile perchè |’ umi- lità non isvapori troppo presto , e l'indomani si menano 1 lavare. La lana lavata a dosso però ritiene tuttavia di molto sudiciume, dal 15 al 25 per cento. Per purgarnela si col- ocano i velli in grandi ceste, che si attuffano nell’acqua sorrente, sollalzandoli alquanto perchè la corrente vi s’insi- qui meglio. E per le lane finissime non bastano queste due avature, ma si richiede quella a caldo, che si fa con iequa della temperatura dai gradi 33 ai 60 R. In tale acqua si possono immergere o i montoni stessi, se alla temperatura di 33°, ovvero i velli tosati; se il calore è lai 40° ai 60°, e vogliasi togliere anche il soverchio untume, si mescola all'acqua un po'di ranno. La lana però si con- serva meglio nel suo untume. La lana che si netta perde in tutto circa dal 60 al 70 per cento del peso pri- mitivo per le merine: meno per le più ordinarie. La lana è attaccata nei magazzini dalla tignola, che tutti conoscete, e ch'è la larva della tinea sarcitella di Fabbricio. Le uova vengono deposte nelle lane in primavera da quelle farfalline di colore argenteo e splendente, che avrete cer- tamente vedute. Dall’Agosto in poi avviene la nascita di queste uova, € le tignole fanno i primi danni insino al sopraggiungere del freddo : allora sospendono il loro lavorìo. Alla fine dell'inverno tornano a rodere ; e quindi trasformansi in crisalide , e poi in farfalla. Sapete che la canfora è un pre- servativo contro le tignole, e si crede che abbiano la stessa ‘wirtù molte erbe aromatiche. Che che ne sia , si rende neces- sario di serbare la lana in sacchi di tela grossolana , che inon permettano l’adito alle farfalline , le quali vi vorrebbero ‘depositare le uova. La lana infetta di tignole va lavata e ‘messa in altro locale. 160 $. 5. Del prodotto redami. I redami si ottengono nel- l'allevamento di ogni maniera di animali domestici. Se non che talune volte si hanno come un prodotto accessorio , @ | tal'altra siccome principale. Allorchè si ha per precipuo fine dell'allevamento la produzione del latte, che si vende in natura, l’impregnamento delle mungane non è che un mezzo per attivare la segrezione del latte; sicchè in cotali incontri conviene limitare il prodotto dei redi al puro neces- sario, e venderli al più presto possibile; essendochè il guada- gno, che si ha dal loro accrescimento, non compensa la valuta del latte, che consumano. Per altro le femmine molto lattaje vengono a frutto e concepiscono più difficilmente , in' virtù di quella legge per cui l’attività delle mammelle raffrena le funzioni delle ovaje e dell’utero. In ogni modo; se questi giovani redi vanno al macello, fa d’uopo che: siano alquanto in carne; e perciò non sono accettati dall macellajo prima dello spirare della seconda o della terza’ settimana: questo indugio è allora necessario. Laddovei non si vende il latte in natura, ma si trasmuta in burro ed in formaggio, i redami si allevano fino ad un'età più avanzata, e talvolta si vendono a certuni che si danno alla allevamento dei grossi redami per l’ingrasso, o per adaté tarli ad altre produzioni secondo la specie dell’ animale.’ La vera produzione però dei redami è quella che ha per fine di ottenere una razza scelta ed acconcia ad un date genere di produzione, e che l’allevatore poi mette in ven: dita onde provvedere di animali coloro, che non potendo averli da sè trovano il proprio conto nel procurarseli ne modo indicato. Immaginate per poco che in Toscana yi fossero alquanti di cotali allevatori esperti, i quali avesserc razze opportune alla produzione del latte, della carne gras sa ec. dei varj animali domestici, e che nel paese fosse sentita l’importanza di possedere di queste razze. Code: sti allevatori venderebbero i proprj redami ad un prezzo 161 superiore a quello assegnato agl’individui della medesima specie, che presentassero lo stesso peso; e questo soprap- prezzo starebbe a rifarli delle cure maggiori da loro ado- perate. Ed i compratori vi troverebbero dei notabili van- taggi; essendochè gli alimenti e le altre spese di produ- zione nell’allevamento degli animali danno effetti tanto maggiori se applicati ad una razza appropriata a quel dato genere di produzione. In Toscana manca questa sorta d’industria, che tornerebbe profittevolissima al paese; sic- chè i redami non formano quasi in nessun luogo il detto fine esclusivo dell'allevamento. | $. 6. Del prodotto concimi. Sebbene gli escrementi degli animali costituiscano un residuo in certo modo della manifattura animale, una specie di caput mortuum, mondimeno nelle rustiche aziende formano un prodotto co importante da determinare il coltivatore ad estendere l'allevamento, tanto che basti a ritrarne la quantità di concimi richiesta dai suoi bisogni agricoli. i Abbiamo già mostrato che la quantità degli escrementi degli animali sta in una quasi determinata relazione con quella degli alimenti consumati; per la qual cosa cotale La è relativa non al numero dei fiati, ma sì bene alla copia del vitto. La qualità poi di essi escrementi dipende dalla quantità e natura degli alimenti, e dalla facoltà di- gerente dei diversi animali. In generale, quanto più la uantità dei cibi supera la quota necessaria al puro man- tenimento , di cotanto sarà migliorata la qualità degli escre- menti: ed e converso; e quanto più ricco, o meno assi- milabile, sarà il cibo preso in relazione ai bisogni organici, ad alla facoltà digerente dell'animale, e di tanto migliori saranno gli escrementi. La bontà degli escrementi deriva ‘altresì dal loro costringimento e dalla minor proporzione ‘di umidità, che racchiudono. Le specie ovine sono rumi- manti come le vaccine, e si nutrono spesso del medesimo | 21 162 cibo : nulladimeno i loro escrementi, in grazia della sec- chezza e compattezza, sono a parità di peso e di volume molto più ricchi e di pronto effetto. Gli escrementi degli animali sono solidi o liquidi, e vanno tutti raccolti con cura e conservati per l’uso. Il pat- tume, di cui si fa letto ad essi animali, serve ad incor- porarsi ai primi rimescolandovisi nella macerazione e fer- mentazione consecutiva, e ad imbeversi di una parte dei secondi. A raccogliere quindi, e custodire a dovere gli escrementi degli animali, ci vuole in primo luogo la sta- bulazione ; imperocchè al pascolo si spargono alla ventura, e vanno in buona parte dispersi. Le stalle poi debbono essere in maniera costruite da raccogliere tutta quella urina, che il pattume non ha succiato. A questo fine vagliono le indicate disposizioni delle stalle intorno alla pendenza del letto, ed a quella del rigagnolo ricorrente lungo il mede- simo, e che deve portare i liquidi in appositi serbato). Gli escrementi solidi poi, ossia lo sterco, si raccolgono per mezzo del pattume, il quale col rimescolarvisi ne fa- | cilita una più lunga conservazione, ed una più adattata distribuzione. Da questo lato la quantità di pattume dovrà essere proporzionata alla copia degli escrementi ed alla loro consistenza. Quindi per le vaccine richiedesi in genere più pattume che pei cavalli, per le pecore e pei majali ; per gli animali che si pascono di erbe o di altri cibi, che contengono molta umidità, vuolsene adoperare più che’ per quelli, che si alimentano con cibi secchi ec. La quan- tità del pattume però, che sia maggiore del bisogno , non è utile; imperocchè senza tener conto della ordinaria care- stia di esso pattume , la soverchia quantità rende più lungo e difficile il suo rimescolamento cogli escrementi; talchè | sarà poi necessaria una fermentazione più forte e duratura onde ottenere un concio normale. Se però si preferisce di rimescolare allo sterco anche le urine, allora la quantità 4 Li $ PI i 4 d i i ia sa i i 4 Ì ‘ f 1633 di pattume dovrà esser maggiore : rimescolamento però che ‘non torna utile in una buona economia dei concimi, se- ‘eondochè mostreremo. Per fare economia di pattume, e per incorporargli ‘a dovere lo sterco, conviene trascegliere, nel cavare il ‘concio di sotto alle bestie, il pattume asciutto, o poco ‘inzuppato, e lasciarvelo stare soprapponendovene dell’al- ‘tro fresco. Nel levare il pattume marcio, lo si rime- scoli collo sterco e si calchi: si faccia lo stesso nel deporlo ‘in concimaja. La concimaja, secondochè indicammo nel- l'Agricoltura generale (Lezione VIII), va costruita a tenu- ta, e provveduta di un fognuolo, il quale porti il succo, che ne scola , in un serbatojo fabbricato accanto alla concimaja , onde potere annaffiare tratto tratto la massa; e questo an- naffiamento regola la fermentazione ed affretta la mace- razione dei concimi: colla quale macerazione si ottiene il rammollimento del pattume, il suo incorporamento collo sterco e la riduzione del letame nello stato più acconcio ‘ad esser amministrato utilmente alle piante colla minor perdita possibile nell’apparecchiarvelo. Sia coperta la conci- maja per riparare il concio dai raggi solari, dai venti e dal dilavamento delle piogge. Questa copertura può esser fatta molto economicamente per mezzo di quattro o sei ritti di grosso legname, su cui si faccia riposare una tettoja di paglia lunga. Se si cuoprono i ritti di quella specie di catrame, che chiamano 2/ack, durano per lunghissimo tempo; e la paglia dopo due anni sarà buona come pat- tume. Presso agli stagni, le canne palustri ed il così detto giunco danno una copertura economica e durevole. Vi son di quelli, che servonsi delle urine per incorpo- - rarle alle masse di concimi. lo non posso commendare cotale pratica disperditrice delle materie ingrassanti. E vaglia il vero, se voi fate questo rimescolamento nelle concimaje a tenuta, presto presto il letame diguazzerà nel liquido. 164 Io ho una concimaja coperta ed a tenuta, ove spesso col sugo colato nel serbatojo si annaffiano le masse; ma il x . giorno di poi il serbatojo è pieno di nuovo, talchè mi con- viene di tanto in tanto vuotarlo e riporre nella gran conserva delle urine alquante botti all'anno di esso succo. | Adunque il liquido, che si porta in un col letame nella concimaja, basta a me per intrattenere discretamente umido il mio concio. È vero sì che io faccio trascegliere con cura il pattume per levare solamente il marcio di sotto alle bestie; ma in ogni modo ripeto che se la con- cimaja è a tenuta, coperta e ben riparata dai venti, il letame non può mai assorbire tutte le urine , che gettan le bestie. Se la concimaja fosse non a tenuta e scoperta, allora il letame succia le urine che vi gettate sopra, ma queste trapassandolo vanno via nelle prossime fosse di scolo; € quelle, che pure restano nel letame, disciolgonsi poi nelle n ca cs. acque piovane, che filtrano nelle masse su cui giorno per . giorno si depone il letame cavato dalla stalla. Ma basti quì del prodotto concime : le altre particolarità, più utili a sapersi stanno registrate nell’Agricoltura generale ( Le- zione VIII e IX). SEZIONE SECONDA. PASTORIZIA SPECIALE LEZIONE XIII, —G SOMMARIO, S.4.Materia della pastorizia speciale. $.2. Disposizioni organiche e modo di crescere della specie vaccina. $. 3. Razze vaccine. $.4. Moltiplica- zione delle vaccine. $. 5. Custodimento. S. 6. Prodotti. $. 7. Cagioni nemiche e malattie. $. 8. Titoli di entrata e di spesa, Fornita la prima Sezione della Pastorizia, che noi chia- mammo generale, perchè si occupa dell'allevamento del bestiame in comune, verremo alla seconda Sezione, in cui tratteremo dell'allevamento di ogni singola specie. Ma poichè non abbiamo davanti a noi che breve tempo da spendere, così degli animali allevati dall'industria dell’uomo noi non faremo disteso discorso che dei più importanti e che meglio si collegano coll’interno ordinamento dell’azienda rurale. Per l’importanza, la specie vaccina è da reputarsi prima; quindi la cavallina, poi la ovina e da ultimo la «suina. I bachi da seta possono star meglio separati dalla detta azienda; nondimeno vi si connettono frequentemente , e perciò ce ne occuperemo. Delle api, del pollame , dei pesci, delle sanguisughe ec., non faremo menzione. Co- minceremo dalla specie vaccina. 166 $. 2. Sotto il capo delle disposizioni organiche terremo parola (4) delle particolarità risguardanti i principali apparecchi ; (8) delle forme peculiari a questa specie; (C) delle disposizioni organiche, che annunciano le atti- tudini alle diverse produzioni. (4). Delle particolarità risguardanti i principali apparecchi. L'apparato, che c'importa più di considerare, è il digestivo: cominceremo dalla parte masticatoria. Le mascelle della specie bovina sono armate di denti incisivi e molari. I primi sono nel numero di otto, e non esistono che nella sola mascella inferiore : nella superiore non vi ha che un orlo calloso, contro cui agiscono i sopraddetti denti ; ma i molari appartengono ad entrambe le mascelle, e sono in tutti 28: di cui 24 grossi e quattro più piccoli. La forma degl’incisivi è di scarpello assai tagliente nei gio- vani animali, ed offre sulla faccia posteriore della co- rona dei rilievi longitudinali: quella dei molari è qua- drilatera con superficie di fregamento munita di asprezze a modo delle macine dei mulini per facilitare la tritura- zione. La mascella è guarnita di forti muscoli in dentro ed in fuori delle sue branche ascendenti, i quali muscoli la tirano alternativamente ora da un lato ora dall’altro per la triturazione. Ad agevolare questi movimenti laterali, l'estremità superiore della mascella mobile, od il suo con- dilo, come lo chiamano, entra in una cavità poco profonda e quasi pianeggiante dell'osso temporale. I vitellini nascono spesso con quattro incisivi, e gli altri spuntano nelle prime tre settimane. Nel mezzo dell’ar- cata della mascella lasciano un vuoto perchè le corone sono rivolte in fuori ed in dentro. A poco a poco si vanno allargando, e formano una specie di ventaglio a margine arcuato e che digrada in fuori ed in dietro. Verso il sesto mese, i due incisivi del centro sono tanto consunti che appariscono più bassi dei vicini, e poi su su consumansi e 167 si abbassano gli altri successivamente finchè all’età di circa diciotto mesi il vitello è raso. Di mano in mano che la | corona si consuma , le rilevatezze della sua faccia posterio- ‘re spariscono anch'esse per l'avvenuto fregamento, Fra i di- ciotto mesi ed i due anni cadono i primi incisivi del centro, ‘ove spuntano quelli permanenti, che per la loro grandezza ‘contrastano coi mozziconi dei denti di latte, che ancora | persistono : dicesi allora che il vitello è di prima mossa. Fra i due anni e mezzo ai tre anni, si rinnuovano gli altri due più prossimi: il vitello è di seconda mossa. La i terza avviene tra i tre anni e mezzo ed i quattro , e l’ul- tima tra i quattro e mezzo ed i cinque. Fra i cinque anni | e mezzo ai sei, cominciano ad apparire pareggiati ed abbas- ‘sati i due primi incisivi. Dai sei e mezzo ai sette, sono rosi i due prossimi o i secondi mossi; dai sette e mezzo agli otto, i terzi; dagli otto e mezzo ai nove, gli ultimi. | Ecco adunque un modo di conoscere con una certa ap- | prossimazione l’età degli animali vaccini. Il resto dell’ap- | parato digestivo è quello dei ruminanti da noi descritto altrove; talchè vi ha nei vaccini un largo rumine sotto È fianco sinistro, e poi tre altri stomachi ed un lunghis- | simo intestino. . Nell’accrescimento delle corna, vi ha qualche partico- | larità da notare; conciossiachè cotal organo, che spunta dopo | la nascita, poi va allungandosi di anno in anno, come | fanno i peli e le unghie, e presenta zone separate da solchi circolari. Le zone dei primi tre anni formano la | parte più acuminata del corno, e son poco distinte, ma le successive diventano più appariscenti e possono servir | a determinare con una certa approssimazione l'età dell’ani- male, qualora l’uso di tener legate le bestie alla stalla | per le corna non abbia indotto per la strettura cangia- | menti nella nativa conformazione. In certe razze i notati | solchi son poco appariscenti. 168 L'apparato mammario offre le seguenti particolarità. Il corpo glaudulare è doppio e simmetrico, e nella sua sostanza ha cospicue cavità, le quali comunican tra di loro, e fan capo a quattro grossi e lunghi capezzoli fo- rati in cima da un solo orifizio. Perchè le cavità no- tate si possano scaricare nei capezzoli, il vitello dà istintivamente delle capate alla mammella. Oltre a questi capezzoli, ve ne ha talvolta in dietro due altri più pic- coli, che d’'ordinario non danno latte. Il sangue venoso torna dalle mammelle al cuore principalmente per mezzo di due tronchi venosi, i quali costeggiando la linea me- diana dell'addome forano il costato. L'apparato mammario segue lo sviluppo del genitale ; il quale comincia ad entrare in attività inverso il do- dicesimo mese nelle vitelle allevate alla stalla, ed assai più tardi in ‘quelle che pascolano di continuo all'aria libera. Il tempo del calore, che nella stabulazione si rin- nuova di tre in tre settimane, se la lussuria non si sa- tisfà, annunciasi dai seguenti segnali. La femmina si ciba meno del solito; diviene irrequieta; cerca di saltare addosso alle compagne, di cui fiuta i genitali; le esterne pudende diventan turgidette e talvolta gemono qualche umore; vi ha bisogno frequente di urinare: in questo stato, che dura qualche giorno, e talvolta poche ore, la femmina concepisce più facilmente. Nei maschi, che di- ventano tori, i testicoli scendono nella borsa; il muggito diventa più grave, ed il bisogno della copula si manifesta. Ciò accade ancora presso all’età di un anno nella stabulazione. (B). Delle forme peculiari alla specie bovina. La specie bovina offre certe circostanze degne di attenzione nella conformazione del garrese, del petto e delle mem- bra anteriori. La congiunzione del collo al garrese si fa nelle vaccine per modo, che quello rimane alquanto rile- vato : il che giova a collocarvi il giogo. Questa disposi- 169 zione è più appariscente nei bovi che nei tori, in quelli castrati per tempo segnatamente. I bufali hanno il collo anche più chinato verso terra, e perciò sostengono il giogo meglio che i bovi non fanno. Il petto offre nel suo mezzo una protuberanza formata in parte dallo sterno, e che si oppone a collocarvi nel tiro quella striscia di cuojo che si adatta ai cavalli, e che chiamasi petto o pettorale. Inoltre la punta della spalla sporge troppo in avanti; talchè un collare, simile a quello dei cavalli, impedisce troppo il giuoco det muscoli di codeste regioni. Il collare poi ha una nuova difficoltà nello slargamento delle corna ; sicchè quando pure si adatta ai bovi, bisogna farlo di una forma | particolare, ed articolato in maniera che si possa aprirlo per farvi entrare la testa , e poi richiuderlo. L’osso sca- polare è piegato più in dietro che nel cavallo, per cui il | giogo messo sul collo non impedisce gran cosa la libertà o il i | | dei movimenti della spalla. Le due punte delle spalle sono molto distanti, ma gli avambracci volgonsi in dentro ; ed | all’articolazione del ginocchio il cannone e le altre parti | più basse deviano in fuori, formandovi un angolo più o meno strelto; questa disposizione rende il bove tardo nell'andare. Inoltre l'articolazione del cannone col pastu- rale, specialmente nelle membra anteriori, forma un an- golo nella vacca meno stretto che nel cavallo; il che dà all'animale un moto più duro. Lo zoccolo fesso ed acu- minato in avanti, non offre nella progressione una base solida, e penetra nel terreno morbido più agevolmente. 1 fianchi sono più corti che nei cavalli, sicchè i movimenti laterali riescono meno liberi ; in compenso però i lombi sono più forti, e quindi più vigorosa l’azione muscolare che raddirizza la spina quando sia incurvata nell'atto del tirar pesi. Le forme esterne e le proporzioni dell'animale si mutano coll’età. Nei lattanti il ventre è più piccolo, e si allarga tanto di più negli spoppati in quanto che il to- 99 170 race non diventa ampio che a poco per volta. ll collo nei maschi intieri impiccolisce in proporzione, e diviene la fisonomia più fiera. Il petto si allarga nei due sessi, ed il garrese si fa più prominente ; e nelle femmine la groppa si dilata, le ànche e le cosce distendonsi in fuori, e le mammelle cominciano ad inturgidire. (C). Delle disposizioni organiche che annunziano le attitudini delle vaccine alle varie produzioni. I prodotti, che si chiedono alle vaccine, sono: 1.° forza muscola- re; 2.° carne; 3.° latte; 4.9 redi; 5.° e come residuo, concimi, Quanto alla forza muscolare, le vaccine non si ado- perano che al tiro solamente. Adunque ricercate spina di- ritta, pianeggiante e musculuta; lombi lati e piani; groppa ampia e diritta; cosce e gambe con forme rilevate che indichino la prevalenza dei muscoli; garetto assai piegato e nerboruto; zoccolo largo e ben unghiato. L’addome sia ampio, ma raccolto ; il torace ben rotondo, special- . mente nel suo mezzo; il petto lato e le spalle musculute ; . garrese alto e collo ben arcuato per aggiogare alla no- stra usanza; collo corto, fronte ampia e corna forti e ben conformate, se gli animali si aggiogano sulla fronte o sulla nuca. Membra anteriori massicce e musculute ; cuojo forte . ed attaccato alle parti molli sottostanti con poco cellulare intermedio; e quindi le membra dal garetto e dal ginoc- chio in giù siano asciutte, cioè che sotto alla pelle si senta ben l’osso, eil appariscano rilevate le vene. Tastate per questo la nocca, il ginocchio ed il garrese, che sono i luoghi doye sentirete più facilmente la sovrabbondanza del cellu- lare. Queste disposizioni sono per la maggior parte più appariscenti nel bufalo che nel bove, e segnatamente ciò che concerne la groppa ed i lombi. Quanto all’ attitudine: alla produzione della carne | grassa, non abbiamo nulla da aggiungere a quanto di- | 171 cemmo nella Pastorizia generale. Aggiungeremo qualcosa ai segnali che disvelano il grado di attitudine alla produ- zione del latte. In primo luogo guardate l'ampiezza del bacino; poichè nella natura le condizioni organiche, le quali servono al medesimo fine , si tengono coordinate. Ora l'apparato mammario continuando rispetto al prodotto del concepimento lo stesso uflicio dell'utero, trovasi d’ordina- rio efficace quando l'ampiezza del bacino è tale da ri- cettare un feto grosso e ben organato. Guardate altresì ai segnali del predominio del temperamento sanguigno-lin- fatico; ma fondatevi specialmente su quelli desunti dalla ispezione delle mammelle, delle vene mammarie e del foro, per cui entrano nel petto. Giovatevi molto nelle vitelle dell'’ampiezza e della finezza di quel tratto di pelle, che ricuopre la maminella, il perineo ed una parte della faccia interna delle cosce, e dove il pelo contrasta per la dire- zione con quello delle parti vicine e del resto del corpo. Questo tratto di pelle, che il Guénon chiamò scudo , gli servì di fondamento a stabilire numericamente il prodotto che si possa ottenere da una mucca data. Egli fondò le sue classi sulla forma dello scudo; e ne stabilì otto. Divi- se ciascheduna di queste classi in otto ordini, desumen- do i caratteri dall’ampiezza dello scudo, e dalla forma e grandezza di certi piccoli tratti della pelle dello scudo stesso situati allato alla vulva e nella parte posteriore della mammella ; nei quali tratti il pelo è diretto inversa- mente a quello delle parti, che vi stanno intorno, ed auche da quelle ritrose, in cui il pelo discendente sta allato all'’ascendente e vi si appoggia rilevandosi: ritrose, che il Guénon chiamò spighe, le quali stanno sui lati della vulva e del perineo. Formò così sessantaquattro ordini, a ciascheduno dai quali assegnò un prodotto determinato, non tenendo conto di altra circostanza che della sola sta- tura, ma negligendo la razza, il clima cec., e financo 172 (il credereste ? ) la quantità e la qualità del cibo! Chiamò la prima classe /andrina; la seconda a striscia ; la terza curvilinea ; la quarta dicorne ; la quinta poativina ; la sesta a squadra; la settima Zimusina e l'ottava quadratina. Gli ordini son formati nel modo predetto, cominciando dalle forme migliori della classe, e venendo giù giù alle ultime. Finalmente per accomodare le osservazioni al suo sistema, ha fatto una classe separata denominandola delle bastarde, divisa anch'essa in otto ordini; e questa è cer- tamente la più arbitraria. Il libro del Guénon ed il suo sistema non han nulla di scientifico; anzi direi di senso comune. E vaglia il vero: come far ad affermare che una mucca debba dar tanto latte e mantenerlo fino a tal tempo della nuova gravidanza senza tener conto degli alimenti? Tutt'al più poteva pre- tendere il Guénon coi suoi nuovi segnali di dire: questa mucca darà più latte di queste altre; e se volete, anche stabilirne la proporzione relativa a cibo eguale; ma il de- terminare la quantità assoluta, è contrario ai fatti più ovvj ed al senso comune. Nel sistema Guénon, non vi ha di utile, vero e nuovamente scoperto che un fatto solo; ed è questo : che l’ampiezza di quel tratto di pelle, che riveste la mammella, il perineo ed una parte della faccia interna delle cosce, ed ove il pelo suole ricorrere inversa- mente a quello delle parti vicine, è un segnale da aggiun- gere ai conosciuti per giudicare dell’attitudine dell’animale alla segrezione del latte. Ma oltre all'’ampiezza, è altresì da tener conto della finezza della pelle e del pelo dello scudo: cosa che si è fatta in antico. Ma ripeto che i segni desunti dalla ghiandola mammaria, dalle sue vene e dal foro intercostale sono anche di maggiore importanza ; e che va- gliono molto quelli cavati dalla finezza di tutta la pelle, dalla sottigliezza delle ossa ec. Insomma nel giudicare della bontà delle mucche da latte, ajutatevi di tutti i 173 ‘segnali da noi già indicati, e non vi affidate ad un solo di essi. Per la produzione dei redi non abbiamo nulla da ag- giungere al già detto nella Pastorizia Generale ; e quanto ‘ai concimi, colà accennammo che a parità di nutrimento il bestiame vaccino dà il peggior concio, perchè il suo apparato digestivo, potente com'è, dissuga meglio gli ali- menti, e poi vi mescola troppo umore aqueo. S. 3. Numerosissime sono le razze della specie vaccina; ‘e nella pastorizia perfezionata dovrebbero àversene tante quante sono le diverse produzioni, cui si destinano ; il che in gran parte ha luogo in Inghilterra. Ci sarebbe quindi «da procacciare una o più razze da lavoro , da ingrasso e da latte. In Toscana abbiamo le razze bianche e le nere. Que- ste ultime si addimandano mucche: forse da murgere, perchè d’ordinario destinansi alla produzione del latte. Le mucche però non hanno in generale molta attitudine al latte; il che avviene in parte perchè da esse vuolsi spesso lavoro, e si conta molto -sui redami. E per vero dire, senza l'industria della fabbricazione del burro e del for- maggio, le vacche da latte non possono allevarsi che presso a’centri popolosi. È perciò che di questi ultimi tempi si è ingrandito un certo commercio in mucche, che diconsi tra- sportate dalla Svizzera, ma che spesso provengono dalla Lombardia. Avrete di certo letto nel Monitore Toscano gli annunzj degli arrivi a Firenze di branchi di cotali mucche, le quali d'ordinario son giovenche di prima o di seconda figliatura, di piccola corporatura e migliori lattaje delle nostre. Queste mucche per altro sono d’ordinario molto abboccate, e mantengonsi sane nel nostro clima : salvochè il lungo viaggio durante la gravidanza le espone non di rado a mali uterini. Le nostre razze nere però sono discretamente disposte all'ingrasso ; ed anche al lavoro, sebbene meno delle bian- 174 | che, e partoriscono grossi redi. Insomma si cava da loro un po'di tutto; il che basti a provare che non hanno at-, titudini ben manifeste. Quel che c'è di peggio poi si è che lc nostre vaccine nere non costituiscono una vera razza ben definita, e son piuttosto da tenere come una bastarda mescolanza continua di più sangui. D'ordinario | non vi ha di notabile che la statura; ma le forme sono | il più sovente brutte. | Le razze bianche sono più antiche e comuni in To- scana: e non ne abbiamo che due di mezzanamente definite: la maremmana e la valdichianese. La prima ha statura anzi piccola che no, e forme che per certi rispetti tengono del bufalo, dal collo e capo in fuori: è robusta, ma indocile. La seconda è molto più ingentilita, ed ha, belle forme, se ne togliete la groppa. Però non è molto‘ robusta al lavoro, ed è piuttosto da tenersi come da in-: grasso; sebbene per questo ufficio le membra sian troppo È lunghe. Io son di avviso, che se la razza di Val di Chiana non fosse tra le mani dei contadini, potrebbe tornare accon-; cia a formarne un’altra eccellente per l’ingrasso. Le vaccine, bianche dei poggi senesi, pisani ec., sono ancor esse uni bastardume indeterminato con mistura in grado diverso di’ sangue di Val di Chiana. Vi si trovano però fortissimi’ bovi da lavoro, e preferibili di assai per questo rispetto a” quelli di Val di Chiana. Ripeto che noi abbiamo in casa tutti gli elementi per costituire tre razze di vaccine : da lavo- ro, da ingrasso o da latte. Ma chi volete che formi e conservi | codeste razze? Un nostro celebre uomo di stato disse che il | mondo va da sè : aveva ragione. Nei paesi, in cui si hanno | razze definite per avere animali adattati alle diverse produ- zioni, la produzione dei redami è con gran lucro nelle mani , di coloro, che per cure assidue sanno mantenere od accre- | scere le buone qualità delle razze. Ognuno vi può con | leggiero sacrifizio pecuniario acquistare di questi giovani | lì i 175 animali, sia pei proprj bisogni solamente, e sia per entrare in razza. Non avendo al contrario razze definite, i redi non si vendono che quasi come carne da macello, mentre do- vrebbero valere molto più. Clima. Gli animali bovini desiderano climi temperati, e riescono molto più produttivi nelle grasse pianure, qualvolta mantengansi assai sani, che in sui poggi. Soffrono molto del caldo, e specialmente i bufali, i quali vanno allora in cerca dell’acqua per bagnarvisi. Il poggio arido e scosceso è più favorevole alle specie ovine che alle bovine, perchè queste sono poco agili, e perchè non ponno morder l’er- betta troppo corta come fa il dente della pecora. Nei climi temperati, che inchinano a freddura , i bovini riescono più abbondevoli a carne grassa ed a latte. I terreni pa- ludosi non son punto propizj a questi animali. S. 4. Nell'allevamento alla stalla , le vitelle debbonsi ammettere al toro intorno ai due anni; e meglio se a trenta mesi. Vi son di quelli che le attorano anche a sedici mesi; ma così facendo sciupano madre e prole. Tuttavia è da av- ‘vertire che torna utile di ricuoprir presto quelle vitelle, di «cui se ne vuol far mucche da latte: se ne menomerà l’ac- ‘erescimento dell’intiero organismo, ma si renderà più at- tivo l'apparato mammario ; ed il danno indotto ai redi può ben finire al macello. I maschi si mettono all'opera da molti all’età di un anno, perchè sono allora più vivaci e lussuriosi, In Val di Chiana ho visto uno di codesti animali accendersi in lussuria e perdere l’umore prolifico pel passar che gli fece un contadino la mano sulla spina dorsale da cima in fondo per due volte! Le razze in cotal modo si affinano, si dispongono all'ingrasso, ma si rendon fiacche. | Non può sperarsi una bella razza da lavoro che da tori \ che comincino a funzionare intorno ai tre anni; ed allora ‘son buoni per più lungo tempo, giacchè mantengonsi forti e pronti insino ai sette anni e più. Se s' indugia però 176 troppo ad ammettere il toro alle vacche, si rende pigro alla monta. Le mucche da latte indugiano dopo il parto a tornare a frutto, perchè l'attività delle mammelle sospende quella delle ovaje, da cui muove la lussuria. Ma se voi traete molto utile dal latte, non ne avrete rammarico. Una mucca però che sia unicamente da frutto deve dare un redo all’anno. Farete bene in ogni modo di non accordare il toro alle vostre vacche fino a che la matrice non siasi rimessa in sesto dopo il parto precedente; e quindi non più tosto di sei settimane. La vacca, che giungerà a dieci anni, dovrà destinarsi al macello ; salvochè particolari circostanze non consiglieranno a ritenerla più oltre. $. 5. Appena nato il vitellino, la madre lo lecca af- | fettuosamente, e lo netta dell’untume che gli si è appia- strato per via nel venire alla luce. Ciò è bene; e taluni ; l’ajutano con ispolverar di semola il corpo del neonato. , Non di rado però la madre si piace a leccargli soverchia- mente l’ombilico ; ed il fregamento continuo, indotto dalla . ruvidezza della lingua della vaccina, può tornare molesto | a quella tenera parte tuttora impiagata: impeditelo per. legatura della madre, specialmente nel poppare del vitello, . od ungete l’ombilico di materie amare e nauseanti, ma | che non abbino virtù d’irritarlo. Fate poppare al neonato il colastro della madre; chè l'ajaterà a purgarsi del meconio, di cui ha pieno l'intestino nel venire alla luce. Se voi mirate alla produzione del latte, dovrete vendere il vitellino al più presto possibile. E sic- come nel toglier poi il figlio dalla poppa della madre, questa non dà facilmente il suo latte alla munta, alcuni preferiscono di pascere i vitellini di latte munto; e per ajutarli ad ingozzarlo, fanno uso di un capezzolo artificiale, che mettono in bocca al piccolo animale, ed in cui ver- sano il latte per mezzo di uno slargamento col quale ter- 177 mina il detto capezzolo : quando sarà in istato di beverlo da sè in un vaso, cessasi di adoperare l’indicato artifizio. Fino a sei settimane il vitellino prenderà puro latte, ed integro, ma quind innanzi gli si può dare latte dipannato insino a tre mesi, ajutando il nutrimento con beveroncini di farina. A tre mesi, od in quel torno, si toglie affatto il Jatte, e si usano i soli farinosi ed un po'di buona e scelta erba di graminacee. Se il vitello si spoppa presto , e si mette all'erba , diviene troppo panciuto, di pelo ruvido, e non acquisterà un pieno accrescimento. Ricordatevi che i giovani organismi han bisogno di moto; e quindi nel si- stema della stabulazione riservate, se potete, un luogo spa- zioso e chiuso, in cui possano i vitelli stare sciolti e di- menarsi a posta loro. Secondochè il vitello va crescendo, il vitto può diventare meno delicato ; ed allorchè comin- ciano a rinnovarsi i denti, è dato di passare al pasto mede- simo degli adulti. Vi ricordo che i tori, gli animali da lavoro e le vac- che pregne, o che allattano, son nudriti con cibi più so- stanziosi. Per i bovi da lavoro usate fieno e granella di fave, di vecce o di mochi; e per le mucche da latte, le erbe, gli zucchi ed i beveroni; per le bestie all’ingrasso ì cibi cotti o fermentati, e tanto più sostanziosi quanto più avanza il periodo d’ingrassamento, secondochè per addietro dicemmo nella Pastorizia Generale. Guardatevi dal credere. che i fienacci palustri, detti da vacche dai nostri contadini, siano veramente più adattati alle vac- cine che alle cavalline: è tutto il rovescio a parità di circostanze. Solamente con essi si possono mautenere alla peggio le bestie in riposo, e non i cavalli che si affati- cano quotidianamente. Le stalle da vaccine debbono essere talmente larghe, che ogni animale di mezzana statura abbia uno spazio della larghezza di due braccia e mezzo, e della lunghezza di 23 178 quattro. Torna meglio di tenere attaccate le bestie alla mangiatoja per mezzo di catene , di cui cingesi il collo, che con funi, le quali, passate attorno al collo, lo costringono troppo, e legate alle corna scemano la sensibilità in quella parte ; sicchè perdesi il vantaggio d’infrenarli come con- viene allorchè vi ha bisogno di condurle fuori; la qual cosa all'incontro riesce ottimamente qualora stanno attac- cate alla mangiatoja per mezzo di catena avvolta al collo, La pendenza del pavimento, su cui giacciono le bestie vaccine, vuol essere maggiore pei bovi che per le vacche; e ciò per due ragioni. Primieramente perchè i primi man- dan fuori l’urina dal mezzo del loro corpo, e quindi la fan cadere molto in avanti sul letto, mentre le vacche la gettano molto più indietro e fuori del posto , ove si adagiano. Secon- dariamente perchè la pendenza soverchia del pavimento pre- dispone le vacche all'aborto. Pei bovi quindi la detta pen- denza sia di un soldo a braccio, e di mezzo per le vacche. I vitellini si faran poppare almeno tre volte al giorno, e gli animali adulti prenderanno altrettanti pasti, e dopo . ogni pasto beveranno: le mangiatoje non dovranno mai | rimanere affatto vuote. Tutti i cibi si appresteranno trin- ‘ ciati e mescolati. La paglia non formi in qualsiasi stagione I più del terzo della profenda : il resto in erba verde, fieno, zucchi o tuberi e farinosi, sia spolverati sulla trita ba- | guata e sia in beveroni. Allorchè si adoperi molta paglia, cd il fieno sia di qualità men che buona , si debbono intri- dere di farinosi; i quali invece sì appresteranno in beveroni nel tempo , in cui i foraggi verdi rendono più gradita essa paglia al bestiame. Ricordatevi che l’acqua-tiepida nei be- veroni è più atta a favorire l’ingrasso; e che perciò non debbesi adoperare per gli altri animali. La semola favo- risce le uscite, ed opera bene al mantenimento della salute delle vaccine; amministrisi nella quantità di circa tre lib- bre a testa. Il sale da cucina è un espediente igienico, la cui 179 efficacia sulla sanità degli animali è ab antico riconosciuta, e specialmente nei climi umidi e nelle pasture acquidose e flosce: ad un animale adulto si può dare quotidiana- mente alla dose di tre once; e sarebbe desiderabile che fosse posto in vendita per li bisogni della pastorizia un sale di basso prezzo (1). Le bestie da lavoro vanno pasciute alla stalla con fieno e farinosi; ed anche in primavera l’erba non deve entrare nella profenda che in piccole proporzioni, specialmente nelle giornate di lavoro. Se voi frattanto le mettete al cibo verde nei giorni di riposo, ricuseranno il fieno in quelli nei quali lavorano. Adunque mischiate quando potete al fieno la verzura, ma non la date schietta. Del pascolo ottimamente si avvantaggiano i giovani animali, le mucche da latte ed anche le bestie nel primo stadio dell’ingrasso; ma ai bovi da lavoro riesce troppo scomodo di dover andare a cercarsi il vitto su pei pascoli: oltrechè l’erba nor conferisce molto alla vigoria dell’azione muscolare giusta il già detto. Gli animali all’ingrasso , che abbiano raggiunto un grado medio di pinguedine, mala- gevolmente lo possono oltrepassare in quei pascoli i quali non sono ricchissimi. In ogni modo la ricchezza e la bontà del pascolo debbono andar crescendo nella misura del- l'avanzamento dell’ ingrasso. Nella stalla si metta sotto alle vaccine una certa quan- tità di materie pagliose , le quali possano assorbire l’umidità degli escrementi, mantenere la nettezza del corpo e procac- ciare un morbido giacere : le paglie tutte, le erbe secche palustri , le foglie di ogni specie ed i cespugli uon spinosi, le rappette di erica o di altre piante silvane, fanno all'uopo. Le paglie però di cereali per la morbidezza e per la facilità , (4) Il R. Governo Toscano ha già provveduto saviamente a questo bi- sogno: speriamo che i coltivatori ne profittino. 180 con cui penetra l’umore nei loro cannelli, sono delle migliori materie a quest’uso. Volendo provvedere alla nettezza ed alla salubrità delle stalle il guardiano dell’armento bovino deve visitare frequentemente il letto, togliere col forcone lo sterco, che le bestie gittano, e farne un mucchio in un angolo della stalla per portarlo poi nella serata alla conci- maja. Tutte Je mattine col forcone si dovrà levare dal setto non solamente lo sterco, ma altresì la paglia intrisa di sudiciume ed assai umida, sollalzando il lettime dopo di averne tolto via lo sterco: sul rimanente, sì spande un suolo di pattume fresco. In questa guisa si mantiene asciutto il letto, si fa economia di pattume e si. ritrae un concio meno paglioso , e che più presto diviene ma- turo e pronto all’uso. In alcuni luoghi ‘della Svizzera, dietro al letto del be- stiame ricorre una fossa assai ampia, poco profonda , ed a dolce discesa , nella quale si getta via via il concio, ed ove colano le urine. To non credo questo metodo utile nei nostri paesi, e soprattutto dalla primavera all'autunno , in considerazione della continua caldura. Pur troppo il caldo-umido e _ l'inquinamento dell’aria sono inevitabili nelle stalle! ma è strano consiglio il voler aumentare pen- satamente l’uno e l’altro senza necessità. I bovi da lavoro debbonsi per tempo addomesticare con carezze e lisciamenti , perchè poi si possano domare e ren- der mansueti alla fatica. È perciò che se il pascolo li fortifica sempre, ed in specie nella giovane età, la stalla li rende più agevoli. Si comincino a domar giovani adusandoli pri- ma alle morse, appresso al giogo, e poi a tirare il carro, appaiandone un giovane ed un vecchio che faccia da marrone. Avvezzi al carro , si adusino a tirare un leggiero erpice sui campi. Non solamente divengono così più forti ed agevoli, ma fanno il co//o assai presto ; sicchè questa avvertenza è da osservarsi specialmente in quegli animali , 181 i quali o per castratura tardiva , o per carattere di razza , o per altro motivo che siasi, non hanno il collo bene staccato dal garrese per l’uso dell’accollo. Le morse sono per le vaccine ciò ch'è il morso per le ca- valline. In queste il domatore si giova della delicatezza delle gengive della mascella inferiore in quella parte che sta da- vanti ai molari, ove essa mascella resta disarmata; ed in quelle della squisita sensibilità del tramezzo delle fosse nasali. Le morse sono due pezzi di reggetta imperniati nel mezzo, e di ciascuno dei quali un'estremità è piegata a occhio per pas- sarvi la faune, che serve da guida, e l’altra è arrotondata e eurvata a mezzo cerchio terminando alla punta con un bot- toncino destinato a premere lievemente sul setto nasale. Questo arnesuccio , che somiglia molto alle seste a grossez- za, di cui fanno uso i macchinisti, ed in parte alle comuni tisoje , è costruito in modo che ravvicinate le branche, nelle quali entran le guide, i due semicerchi si avvicinano tanto che tra i loro bottoni possa stare per l'appunto il setto nasale. Nell’usarne, si slargano le due branche, introdu- consi i bottoni nelle narici, e poi richiudonsi; e per mo- derarne l’azione si fa così. Il capo della guida, dalla cui parte sta la morsa, è contorto a cappio, in cui infilasi l'uno dei corni del bove. Poscia il detto capo si passa davanti alla fronte a foggia di traversa. Si pone allora la morsa nelle narici, e tendendo l’altro capo, lo si passa egualmente per di sotto alla traversa mentovata, la quale modera così la troppo viva chiamata. È necessario di te- ner pulite le morse, e specialmente i bottoni, i quali ir- rugginendo diventan ruvidi e graffiano il setto nasale. Nel cangiar morse ad un bove, è da guardare che l'intervallo lasciato dai bottoni, nella chiusura dell’arnese , corrisponda alla strettezza del setto nasale, accomodandovi i due semi- cerchi se occorre, come si farebbe ad un morso da adat- re ad un nuovo cavallo. 182 S$. 6. I prodotti del bestiame suino sono, l'abbiamo già detto, la forza muscolare, la carne, i redi, il latte ed i con- cimi. A suo tempo parlammo in generale di questi prodotti , dei loro usi e del modo di raccoglierli, custodirli ed usarli ; sicchè basta ora di toccare solamente le particolarità prin- cipali spettanti al bestiame vaccino. Forza muscolare. Le vaccine non giungono al colmo della loro forza muscolare, se non quando l’organismo è pienamente sviluppato e direi consolidato; cioè un anno o due dopochè i denti incisivi sonosi rinnuovati. Adunque in- sino a cinque anni le vaccine si possono su su avvezzare ai varj lavori dai meno ai più faticosi, ma non troppo.’ Ai sette anni sono nel fiore della forza insino a dieci o un- dici: quind’innanzi dechinano. i Le vaccine si stancano molto nell’andare ; sicchè sono disadatte alle lunghe corse. La qual cosa avviene in primo) lnogo per la conformazione e gravezza del loro corpo, ed in! secondo luogo perchè han bisogno per ruminare di un certo; riposo quasi assoluto. Da una vaccina non può sperarsi; più di sei ore di lavoro al giorno seguitamente, se la si, vuole conservare in buono stato. Dopo il pasto, è neces-: sario che si lasci in riposo, se il lavoro, cui dovrebbe: attendere non permette di ruminare: torna meglio te-' nerle senza cibo al lavoro che pascerla abbondevolmente , e poi attaccarla incontanente. Fa bene però alle vaccine il rinfrescarle sui campi con qualche manipolo di buon fieno per bervi sopra, o con qualche manciata di farina stem- perata nell'acqua. Nelle ore calde delle gioraate estive, dovranno tenersi in riposo, e non attaccarle che la mat- tina di buon’ora o nella serata quando ciò far si potrà. Le vacche sono più deboli dei bovi, e quindi vogliono maggiore riposo, e non si debbono sottoporre che a lavori leggieri; ma sono più veloci. Durante la gravidanza è cosa prudente di non farle lavorare, e soprattutto dal quinto 183 mese in poi. I tori sono troppo indocili; ed in ogni caso se il moto leggiero fa loro del bene, la fatica li rende disadatti agli ufficj della paternità. La specie vaccina non è adattata che ad una sola applicazione della forza muscolare: il tiro; in cui, nella nostra maniera di aggiogare i bovi pel collo, è necessario il così detto accollo, cioè che il giogo prema contro il collo onde non sormonti il garrese. Negli usi ordinarj, il corpo da tirare è spesso impegnato parzialmente in terra, come accade nel tiro degli arnesi arator], e talvolta fuori affatto di terra e col centro di gravità assai alto, siccome accade nel carreggiare. In quest’ultimo caso l’accollo si dà caricando il carro un po’ più in avanti dell’asse delle ruote che in dietro, qualora il carro sia a due sole ruote, e vada in piano ; un po’ più se sale per le erte ed in propor- zione della pendenza della strada ; e qualvolta discende sarà d'uopo di scemare l’accollo. Se il carro ha quattro ruote ed il timone basso, l’accollo vien dato ai bovi dal peso stesso del carro, perchè allora il timone innalzandosi per congiungersi al giogo, lo tira in giù nello andare del carro. Accade la medesima cosa nel tiro degli arnesi ara- torj, i quali agiscono sotterra, ed hanno un timone corto e rigido. Se il timone fosse molto lungo , o formato in parte da una catena, l’accollo sarebbe minore; talchè senza un'ottima conformazione del collo e del garrese, conviene in questi casi di accrescere l’accollo, ponendo un proporzionato peso sul giogo. Riconoscerete il difetto di vaccollo dal risalire del giogo sul garrese, dalla maggiore strettura della collana, dall’enfiamento delle vene del collo, ossia delle giugulari, dal tossire, dall’uscire della lingua senza una fatica corrispondente ec. Nei trapeli a cagion di esempio , in cui i bovi tiran per mezzo di un canapo, ve- dete saltare il bifolco sul giogo: lo fa per aumentare l’ac- collo. E nel tiro degli arnesi aratorj aumenterà l’accollo 184 se il timone sporge in avanti del giogo, perchè allora preme d'avanti in dietro sul giogo stesso, e da sopra in sotto, e lo ferma così meglio sul collo. Adunque nel tiro i bovi debbono non solamente muo- vere il carico, ma sopportarne anche una parte, come se agissero da animali da soma; posciachè la forza, che dà l'accollo, è una vera soma. Latte. Gli animali vaccini danno le femmine lattaje per eccellenza. La vacca è nel colmo della segrezione lattea pochi giorni appresso il parto, e vi si mantiene per un mese e mezzo o due: quindi cala a poco a poco. Nello stato di gravidanza non tutte le vacche mantengono il latte egualmente, e ve ne ha di quelle, che sebbene siano molto abbondevoli prima della gravidanza, seccansi prestissimo; poi. Una mucca convenientemente nudrita, e che dia otto! fiaschi di latte dopo il parto, e che ne mantenga tre in-, sino a tutto il settimo mese della gravidanza è da repu-' tare eccellente lattaja. Se avete una cascina , e potrete con-. tare sopra quattro fiaschi.di latte per capo ripartitamente' in tutto l’anno, stimatevi contenti. Carne grassa, redami e concimi. Non abbiamo gran cosa da aggiungere a quanto dicemmo in proposito di questi; prodotti nella Pastorizia generale. Mi limiterò quindi a; dire che in un florido armento potrete ottenere un redo. all'anno per vacca: il vitellino crescerà di quattro .e più libbre per dì nei primi giorni dopo la nascita; ma quind’in- nanzi intorno a due. $. 7. Cagioni nemiche e malattie. Noi lasceremo ai veterinarj il trattare delle malattie degli animali e della cura competente; ma sarà utile d’indicare le cause mor- bose più comuni, e gli effetti da loro generati. Le malattie più frequenti nelle bestie bovine sono quelle che aggrediscono l'apparecchio digestivo, e provengono dalla quantità e qualità dei cibi, Il passaggio dal vitto secco 185 al verde produce la diarrea; e nel caso inverso la costi- pazione. Si rimedia alla diarrea metteado nella giornaliera profenda più di seccume. Se la costipazione ha scemato l'appetito ed inturgidito il bassoventre, si appresti un pur- gante lassativo, come sarebbe l’olio di ricino; o meglio ancora uno salino, quali sono il sale inglese ed il sol- fato di potassa: si aggiungano i clisteri. L'uso immode- rato dell'erba floscia venuta avanti in terreni ricchi, ma specialmente quella di trifoglio o di medica, genera l’'en- fiamento del corpo, ossia la timpanitide. In tali incontri il fianco sinistro diventa turgido, elastico al palpamento e sonoro al percuotimento, perchè il rumire trovasi disteso grandemente dai gas, che talvolta vi si svolgono in breve ora e minacciano la vita. A prevenire questo ma- le, giova di mescolare il seccume alle erbe predette; di non menare in sui prati al pascolo gli animali, che al- lorquando la guazza siasi dissipata, e di non pascerveli a sazietà: nella stabulazione fate prima avvizzire alquanto le erbe troppo umorose. A curarla possono valere le abluzioni fredde sulla pancia, l’alcali volatile, ossia il sotto-carbonato di ammoniaca, nella dose da un’ oncia a due dato in acqua per bocca; e nei casi più pressanti il forare il rumine con quella cannula traversata da un punteruolo, cui i chirurghi danno il nome di trequarti. In Inghilterra usano una piccola tromba munita di tubo pieghevole, che introducono nel rumine per trarne fuori il contenuto. | Le bestie bovine, che vivono alla macchia dove pa- sconsi di vettucce tenere di quercia, di cerro ec., sono at- taccate da alterazioni delle vie urinarie e del tubo digestivo, le quali si prevengono associando alla detta pastura l’uso giornaliero di altri alimenti, specialmente di semola : e sì curano rimuovendo la causa, cavando sangue, ed ammini- strando bevande e clisteri ammollienti. 24 186 La subitanea soppressione della traspirazione ingenera effetti spesso funesti, che giova prevenire nelle bestie te- nendole dopo un forte lavoro per qualche ora in luogo, in cui non siano sensibili correnti di aria , strofinando la pelle, e trattenendole dal bere, Si curano cotali effetti col tiepido ambiente, col salasso e con purganti lassativi secondo i casi. Nelle bestie tenute alla stalla ed alimentate con cibi molto nutrienti, si appresentano talvolta eruzioni alla pelle. A pre- venirle, giova molto la mondizia del corpo e l’uso della crusca e del sale da cucina; e quando siano venute fuora, occorre usare esternamente cataplasmi ammollienti nello stadio irritativo, se le eruzioni sono circoscritte, ed in- ternamente lo zolfo. Se l’eruzione fosse allo stato cronico, valgono i detersivi preparati con forte ranno. Spesso accadono degli enfiamenti alle giunture, spe- cialmente nei bovi da lavoro: il riposo e l'applicazione, prima degli ammollienti e poi degli astringenti, dello zue- chero di Saturno specialmente, sogliono bastare. Le mucche vanno talvolta soggette a quelle pustole dei capezzoli, che sostituiscono la così detta vaccina: è malattia di poco conto. Non ha guari è regnata epidemicamente una malattia ulcerosa alla bocca ed alla forcella del piede. L'animale attaccato comincia ad avere delle irritazioni circoscritte al margine calloso del davanti della mascella superiore, da cui provengono presto delle ulceri. L’irritazione dila- tasi a tutta la bocca, e specialmente alla lingua , la quale spesso si decuticola, ed alle glandole salivari, che danno un'abbondantissima secrezione. L'animale ricusa il cibo, più per causa dell'irritazione boccale che per lo stato generale ; ma sovente vi ha reazione febbrile. Nel tempo stesso le ul- ceri alla forcella rendono doloroso lo stare ed il muoversi dell'animale; e spesso l’irritazione si estende alla. matrice dell'unghia, in cui avvengono suppurati; i quali cagionano fin Ja caduta parziale o totale dell’unghia stessa. L'animale 187 dimagra a ragion d’occhio. Si usi un po’ d'erba fine e priva di asprezze per vitto, e beveroni di farinacei ; si strofini l'interno della bocca, e specialmente le ulceri, con sale ed aceto : facciasi lo stesso rispetto alla forcella che giova toccare con qualche potente caustico nei casi più gravi. I poppanti dovranno soccorrersi facendo loro ingozzare per mezzo di un tubo di gomma elastica il latte. Nell'ultima epidemia il morbo non è stato letale che per pochi vitel. lini; ma talvolta i bovi da lavoro sono rimasti zoppicanti per dei mesi. La peripneumonia contagiosa infierisce da un pezzo epidemicamente nel Settentrione d'Europa: vi è luogo a sperare che l'inoculazione del virus-peripneumo- nico agl’individui sani valga a raffrenarne i danni. Non è raro che le vaccine impidocchiscano ; e ciò ac- cade specialmente al collo, alla schiena, ed anco sulla pelle fine del perineo e delle mammelle. A liberarle di questo fastidio, fate lozioni con decotto ben carico di ta- bacco, e le più efficaci son quelle preparate con le cicche. $. 8. Titoli di entrata e di spesa. Per le bestie bo- vine, i titoli di entrata sono i diversi prodotti, di cui ab- biamo fatto l’'enumerazione; e quelli di spesa concernono il frutto del capitale impiegato nel bestiame stesso, nei fabbricati ed utensili inservienti al suo mantenimento , nel salario dei custodi, e nei mangimi e pattumi che occor- rono ; oltre al capitale che via via fa d’uopo sborsare pel salario stesso e pei mangimi e pattumi medesimi. I prezzi che riguardano questi diversi titoli sono variabili, e noi non possiamo davvero comprenderli tutti nelle loro diverse combinazioni. La maggior differenza poi corre fra i titoli di entrata e di uscita secondochè l’allevamento fassi al pascolo ovvero alla stalla; imperocchè nel primo caso diminuiscono le spese di custodia, potendo far di meno dei fabbricati e cessando la mano d'opera per falciare e trasportare i foraggi. Al pascolo scemano in pari tempo 188 i prodotti, e segnatamente i concimi, di cui buona parte va perduta. Nulladimeno vi verrò indicando alcune valu- tazioni in certi casi particolari, le quali vi potranno gui- dare a dar mano alle occorrenti in altri casi diversi, es- sendo il metodo ad un dipresso sempre il medesimo colla sola variazione nei dati da valutare. Diremo in primo luogo che quanto ai prodotti, dobbia- mo distinguere quelli che si consumano in servigio del- l'azienda stessa, e gli altri che si pongono in vendita : dei primi sono la forza muscolare ed i concimi; dei secondi la carne, il latte ed i redami. Ora cuanto alla forza mu- scolare, accade ben di rado che il coltivatore se la possa procacciare dal di fuori per corrispondente nolo, come si fa di quella degli opranti; sicchè d’ordinario è giuocoforza per lui di produrla da sè. Ciò non pertanto rispetto alle pic- colissime aziende vi ha in taluni luoghi il comodo di pren- dere il bestiame da lavoro a vettura siccome avviene nel | Pesciatino e nel Lucchese, e più raramente ancora tra noi; la giornata per lavori comuni suol essere di sei lire e due terzi. Quanto ai concimi, vi è da fare la medesima osser- | vazione ; se non che torna più facile di acquistarne dal di fuori nelle vicinanze delle città popolose. Il prezzo di primo costo dei concimi si dovrà aumentare delle spese di . trasporto per avere il dato conveniente a valutare il costo , dei concimi prodotti dall’allevamento del nostro bestiame: occorre tener conto altresì della qualità. Nel sottosopra la carrata di concio mezzanamente macerato , e del peso di libbre 3000, costa dalle otto alle dieci lire. Allorchè si può vendere il latte in natura, se ne ritrae in media intorno ad un terzo di lira a fiasco; trasformandolo in burro e cacio, circa la metà ; ed allevandone redami per venderli a peso di carne, torna a qualcosa meno. La carne ha un prezzo variabilissimo secondo lo stato di grassezza, l’età ed il sesso. Tra noi la vitella di latte 189 si vende a peso vivo a circa ventotto lire il cento senza tara ; se sopranna a lire ventidue; il manzo da 20 a 24 secondo lo stato di grassezza. Il grosso bestiame da ma- cello si contratta stallato, cioè dopo di aver passato a digiuno la nottata, acciò possa vuotare il tubo dige- stivo del peso superfluo, che la malizia vi abbia per av- ventura introdotto colla copia dei cibi. Una bestia grassa, pesata prima e dopo di essere stallata, può dare una dif- ferenza in media di circa 150 libbre; ma se fosse stata pasciuta poco prima ed abbondevolmente di cibi ghiotti, la differenza può andare anche a dugento e più libbre. Conosco qualche caso, in cui le bestie son crepate per ef- fetto della troppa semola fatta trangugiare dai contadini alle bestie da loro vendute, e poco prima di stallarle; pena ben meritata dall'ingannatore! I redami nelle contrattazioni si sogliono comprare e vendere quasi come carne da macello, poichè non abbiamo razze particolari ed allevatori distinti. Tattavia se qualcuno ha bisogno di un vitellino per trarre profitto del latte di una vacca rimasta senza il rede, dovrà pagarlo qualche lira di più per cento : gli esperti compratori però dicono che i redami hanno a portare addosso il prezzo che si pagano, cioè debbono esser comprati pel prezzo medesimo che ne darebbe il macellajo. Quanto alle spese, se i mangimi si apprestano alla stalla, si hanno dei prezzi correnti per le paglie, pei fieni, pattumi, granella ec. Eccovi dei dati che vi pos- sono tornare utili anche per valutazioni da farsi antici- patamente. Il fieno di discreta qualità può esser valutato a lire due il cento; gli strami a una lira; la paglia di frumento a una lira ed un sesto, e quella d'orzo e di avena a una lira ed un terzo. Le fave a lire sei le cento libbre; le vecce a lire sette; l’avena a lire cinque ; la semola a lire 190 quattro. La roba palustre per lettime costa intorno a tre quarti di lira il centinajo. \». Quanto al capitale impiegato in bestiame, potete rite- nere che nel sottosopra sia rappresentato da circa lire 20 le cento libbre a peso vivo (1). Quanto ai fabbricati, sappiate che in una stalla di mezzana ampiezza, ogni bestia grossa occupa lo spazio di circa braccia cube 150, compresa la quota del lavoratorio dei mangimi, degli anditi ec. ; ed il braccio cubo costa intorno ad una lira. E perciò che spetta alla custodia del seccume, ogni braccio cubo di capanna può contenere dal più al meno 50 libbre di fieno; dal quale dato potrete nei (4) Per giudicare del peso vivo mediante la misura dell’animale , ecco il metodo già conosciuto, e che io ho applicato alle nostre due razze, cer- candone via via la cantroprova o le correzioni nella stadera. Dopo di avere disposto l’animale vaccino ben diritto sulle sue quattro gambe, le quali a due a due debbono stare del pari, mrendete una cordellina, e fermatone un capo sulla sommità del garrese, rigiratela sulla punta di una spalla, e poi sul basso del petto passandola tra le gambe d’avanti in dietro per forma che risalendo dietro la scapola del lato opposto , ri- torni a trovare il divisato capo snl garrese. Misurate la lunghezza del giro, notatela, e poi incrociate il primo circuito con la stessa cordellina in guisa che dalla medesima sommità del garrese passi sulla punta della spalla dell’altro lato, traversi le gambe e si ricongiunga al capo fermo, montando dietro l’opposta scapola: la media di questi due circuiti vi darà il peso vivo dell’animale se la confronterete al seguente specchietto ; dove nella prima colonna sono scritte le misure in braccia e centesimi di braccio, nella seconda i corrispondenti pesi in libbre toscane di 42 once. Lo specchietto è formato con l’ajuto medio dei riscontri fatti sulle nostre due razze, la bianca e la nera : per quella sono maggiori del vero, per questa minori. Misure Pesi Be 3.42 Lib. 4160 » 3,24 » 4323 DST o 4487 » 3.49 » 4684 » 3.64 » 4845 ba de » 41979 » 3.82 » 2443 » 3.93 » 2307 191 singoli casi arguire dello spazio che occupa il fieno che destinate a vitto di una bestia nell’anno. Le paglie si ten- gono allo scoperto in paglia] al pari degli strami; ma ove si serbassero dentro a pagliaje , potreste ritenere che ogni braccio cubo di paglia mezzanamente battuta, ne conte- nesse circa a libbre 30: di strame assai meno. La spesa in utensili non è gran cosa ; e quella occor- rente al servizio varierà secondochè i mangimi sì apprestano interi ovvero trinciati, secondochè si tratta di bestiame da latte o da crescita ec. Allorchè i mangimi si trinciano coi falcioni inglesi a braccia, e non si abbia a mungere, otto bestie vogliono un uomo ; ed ove si diano intieri, la stessa persona basta a.venti. Dove si munga, può calcolarsi che un uomo in un’ora possa mungere intorno ad otto animali. 192 LEZIONE XIV. DELL'ALLEVAMENTO DELLA SPECIE CAVALLINA. -0- SOMMARIO: Se Disposizioni organiche e modo di crescere della specie cavallina. $. 2. Raz- ze. $. 3. Moltiplicazione. S. 4. Custodimento. $. 5. Prodotti. $. 6. Ca- gioni nemiche e malattie. S$. 1. Tenendo per fermo che abbiate sempre in me- moria quanto dicemmo dell'allevamento in comune nella Pastorizia generale, io, stretto dal tempo, non farò che ac- cennare quelle particolarità che mi pajono più importanti intorno alle tre altre specie, di cui ancor ci rimane a par- lare. Comincerò a dire delle disposizioni organiche e della maniera di crescere della specie cavallina. Il cavallo avendo la mascella superiore munita di denti incisivi, recide l'erba meglio che non fanno le bestie vaccine; ma salvo l'accennata particolarità, sta sotto a queste quanto alla perfezione del- l'apparato della digestione. Se non che la mancanza in esso della ruminazione, fa sì che può durare più lungo tempo nella giornata al lavoro. Dell’apparato digestivo la parte che preme più di conoscere sta nei denti incisivi, dall'esame dei quali si tirano i segni per giudicare del- l'età di questi animali. I denti incisivi son dodici: sei per ciascuna mascella; e chiamansi picozzi i due primi di prospetto, mezzani i due accanto dall'uno e l’altro lato, cantoni gli ultimi. init ln | n È 193 Cominciano a spuntare dopo la nascita del poledro, e chia- mansi denti di latte: al decimo mese son tutti fuori. Ogni dente incisivo, nello spuntare si mostra alla sua estremità libera come formato da un labbro solido più sporgente innanzi che indietro, e che circoscrive una fossetta. Ora con lo sfregamento dei denti inferiori contro i superiori, la notata sporgenza a poco a poco si consuma di guisa che la parte anteriore del labbro viene a pareggiarsi con la posteriore. Questo pareggiamento ha luogo più presto negl’incisivi della mascella in feriore: son questi che si guardano per giudicare dell’età dell'animale. Ora nel pole- dro i due picozzi di latte son pareggiati a dieci mesi; a dodici i mezzani, ed i cantoni tra il quindicesimo ed il ventiquattresimo. Dai due anni e mezzo ai tre, cade la coppia di mezzo, cui succedono i denti nuovi; dai tre anni e mezzo ai quattro, avviene lo stesso della coppia seconda; dai quattro e mezzo ai cinque, della terza. A cinque anni adunque , un cavallo ha in bocca i denti stabili in luogo di quelli di latte; ed intanto cominciano a pareggiare gra- datamente da quei di mezzo agli altri dei canti. A sei anni trovansi affatto pareggiati i denti di mezzo; a sette quelli accanto; ad otto gli ultimi, e perciò tutti. I più fini conoscitori dell’età dei cavalli vanno ancor più in là degli otto anni, traendo indizj dalla forma dell’estremità dei denti, dalla fossetta che scorgesi nel mezzo di essa estremità e da un noccioletto più bianco che trovasi nel cuore del dente. E perchè voi ne possiate prendere una general nozione , vi metto davanti un dente novello cavato da una mascella, ed un altro dente segato per traverso in più fettoline. In questo dente intiero vedete che la corona ha dentro a sè una fossetta in forma d’imbuto; ond’è che pareggiato il suo orlo, l'ulteriore rosura do- vrà successivamente impicciolire la fossetta, e da ultimo ‘ la farà sparire. Dopo di che comincerà a consumarsi al- 25 194 tresì il cuore del dente che trovasi più sotto del fondo della fossetta, e quindi ad apparire il noccioletto bianco che si scorge bene in queste fettoline del dente tagliato, e che chiamano stella del dente. Potete inoltre vedere, guar- dando l’esteriore di questo dente intiero, che alla sua estremità superiore ha la forma ovale in traverso , la quale giù giù si trasmuta in triangolare, e da ultimo diventa ovale non più in traverso, ma d’avanti in dietro. Ora sic- come nella stessa misura che il dente si consuma per di sopra, scuopronsi le parti inferiori, è perciò che nello invecchiare del cavallo, il piano ch'è in cima al dente deve cambiare di forma. A schiarimento di quanto vi ho detto, eccovi diverse mascelle di cavalli di varie età; ma noi usciremmo dai limiti dell'assunta trattazione, se voles- simo quì entrare a questo proposito in più minute par- ticolarità. Nella specie cavallina le esteriori fattezze sono più pre- giate che nella vaccina; e quanto a discernerle sapete ot- timamente che occorre affinar l'occhio con l'esercizio. Ma sebbene non possano descriversi regole che guidino a giu- dicare della venustà delle forme di un cavallo, nulladimeno è lecito di fermare qualche generale norma, fuori di cui non si trova. In primo luogo, in un cavallo le due altezze, l’una dal garrese e l’altra dalla sommità della groppa a terra, deb- bono essere eguali fra sè ed alla lunghezza del tronco; la quale deve corrispondere a quella della testa presa due volte e mezzo. Le membra hanno ad esser talmente piantate da mantenersi in date relazioni con alcune linee perpendi- colari tirate giù da certe parti del tronco allorquando l’ani- male stia ben diritto; che, cioè: 1. calando un filo a piombo dalla punta della spalla, cada davanti a tutto il mem- bro corrispondente e lo divida in due parti eguali per lungo; e se calato dal culmine del garrese, gli cada dietro; 2.° se | da un punte della faccia posteriore dell'avambraccio che 195 trovisi nel limite inferiore del suo terzo superiore, passi sulla nocca fra le ossa ed i tendini; 3.° se dall’anca, piombi davanti al membro posteriore ; e se dalla sporgenza della natica, piombi dietro ad esso membro dividendolo tutto in due parti eguali. La specie cavallina è a ragione la più pregiata per la produzione della forza muscolare in tutte le sue forme. Nel parlare ora brevemente di ciò che si appartiene alle migliori disposizioni organiche da ricercare in questi animali, ci limiteremo a dire specialmente di quelle che si riferiscono alla forma per noi più importante, cioè al tiro, avendo delle altre detto quanto basta nella Lezione terza. Pei lavori rurali, il tiro applicasi a due maniere diffe- renti di faccende; delle quali l’una richiede più intensità di sforzo, l’altra più celerità: i lavori di aratro, i tra- sporti gravi appartengono alla prima ; le erpicature, i tra- sporti leggieri ec., alla seconda. Ora nell’animale da tiro grave son da cercare. quelle disposizioni accennate nel paragrafo terzo della Lezione terza; ma in quello da tiro leggiero fa d'uopo che siano tramescolate e contemperate con una certa lieve mistura delle disposizioni favorevoli alla corsa. E questa differenza regge non pure rispetto alle applicazioni da farsene ai bisogni dell'Economia rurale, ma ancora ad altri del civile consorzio. Così il comune cavallo da barroccio, quello della grave artiglieria , deb- bono avere in sommo grado gli attributi dell’attitudine alla intensità della forza, mentre i cavalli da carrozza li vogliono contemperati con quelli che annunciano una certa rapidità di mosse. Pei lavori aratorj inoltre richiedesi ampiezza nello zoc- colo a prevenire l’affondar dell'animale su per la terra mor- bida, mentre la durezza dell'unghia diventa d’ importanza minore che non pei cavalli vettureggianti. Al già divisato fine importa la statura dell'animale; perciocchè nella misura 196 dell'altezza della medesima diventa inclinata la linea di tiro, e si fa maggiore la perdita di quella forza viva che si ado- pera ad un effetto nocevole, cioè a far uscir di terra gli arnesi aratorj. E per questo rispetto non pure riescono me- glio utili gli animali di non troppo grande statura, ma giova ancora di farli tirare anzi col pettorale che con il collare. In ogni caso poi è da por mente con diligenza alla conformazione del davanti del petto ed all’attaccatura del collo al tronco, secondochè si voglia usare il pettorale ovvero il collare ; conciossiachè debba procacciarsi che l'uno o l'altro finimento si adatti talmente alle parti, su cui preme, da impacciare il meno che si possa i movimenti di esse parti. Il cavallo acquista la perfezione organica, di cui è capa- . ce, allorchè ha mutato tutti i suoi denti, e perciò passati i cinque anni; ma in lui, siccome negli altri animali, la lus- suria si accende molto prima: poco oltre all'anno; e più presto nello stato di domesticità che in quello di libertà. Insino al dodicesimo anno, od io quel torno, i cavalli maptengonsi in vigore, ma indi innanzi declinano. La cavalla tiene in corpo la prole iucirca ad undici n da mesi, e suol partorire un solo puledro per volta; e prima ‘ di due settimane, da che se n’è sgravata, torna in amore ‘ ri é e può di nuovo concepire, senza che per questo il suo. latte scemi notevolmente » noccia al puledretto infino al sesto od al settimo mese. Il novello nato, pasciutosi nei primi giorni del colostro della madre, e nettatosi il ventre del meconio, diventa vividissimo, segue allegro la cavalla e non indugia gran fatto a strappare dell’erbetta: allorchè è tanto cresciuto da non bisognare più oltre del latte, la madre se ne accorge per istinto, e d’ordinario lo ri- butta da sè. | Detto quanto occorreva delle disposizioni organiche e della maniera di crescere del cavallo, ora vengo a discor- 197 rervi del suo allevamento il più brevemente che potrò, e prima di ogni cosa delle razze. S. 2. In Inghilterra, ch'è il paese il quale sente più avanti degli altri tutti in fatto di Pastorizia , in Inghilterra si hanno razze di cavalli adattate ai tanti e diversi usi, cui la specie può destinarsi. E lo stesso ha da fare chi voglia pro- cacciare l'eccellenza delle attitudini, le quali tanto più son capaci di perfezionamento, quanto n'è più determinato e circoscritto lo scopo. In Italia abbiamo poche razze de- finite, perciocchè i più premurosi di miglioramento ne han sempre tramescolato il sangue or con questa ed or con quella delle forestiere di maggior grido; ma senza la perseveranza inglese, la quale trasfondendo il sangue arabo nelle razze di quel paese, ed adoperandovisi d' intorno senza intermissione , è venuta a capo di formar quelie tante e sì diverse, ma tutte maravigliose, razze, di cui va ora su- perba. Quanto all’ Italia, pare a me, che dovrebbero avere maggior importanza i cavalli da tiro, sia da barroccio e sia da carrozza; imperciocchè a motivo della natura mon- tuosa del paese, le vie ferrate non-potranno mai distendervi sopra una rete così fitta, siccome fanno nel Belgio, in Inghil- terra ed in altri paesi di più dolci declivj. L’acerescimento delle vie ferrate nella più parte della penisola, tirandosi dietro il bisogno di metter con esse in comunicazione paesi ora appartati, aumenterà anzi che scemare il bisogno di cavalli da tiro. I nuovi bisogni degli eserciti, pel trasporto delle artiglierie e delle salmerie, consuoneranno ai sopra divisati. Anco gli animali da soma e da sella meritano attenzione; e ciò in primo luogo per la già accennata condizione della natura montuosa del paese, e poi an- cora in grazia dei bisogni della cavalleria. E sì vero che quanto alla soma su per le montagne, tornano più in acconcio dove il mulo e dove l'asino, tuttavia anco il cavallo della cavalleria grave deve in sè accoppiare con- 198 temperati con giusta misura gli attributi appartenenti alla soma ed alla sella. Nell’alta Italia non hanno comunemente razze proprie , ma procacciansi i cavalli, di cui han bisogno, d’Oltremonte; nella mezzana primeggiano le razze romane, e nella meri- dionale altre razze che tengono ancora del ceppo arabo : dalle razze romane e dalle sicule rinfrescate secondo il bisogno di puro sangue arabo, potrebbe l’Italia procreare quelle che le occorrono. Ma ci è in questa bisogna tutto a rifare; e forse uno dei più grandi impedimenti a tanta opera, verrà dal fascino della moda, la quale corre dietro al puro sangue inglese! $. 3. Sebbene la carnale concupiscenza si svegli nei ca- valli assai per tempo, nulladimeno è mestieri d’indugiarne lo sfogo insino ai 4 anni compiuti quando vogliasi e mantenere in buon essere i genitori ed acquistare robustezza alla pro- genie. Siffatto indugio è più vantaggioso per la specie ca- vallina che per la vaccina ; perciocchè in primo luogo dagli animali di questa, allorchè sono sfiniti, si trae utilità ma- cellandoli ; ed in secondo luogo perchè la produzione della carne grassa e del latte non presuppongono quella gagliardia di complessione, la quale è necessaria alla specie equina deputata al solo esplicamento della forza muscolare. Nella scelta dei genitori vuolsi procaceiare un certo grado di perfezione dapprima assoluta e poi relativa: per- fezione assoluta quanto al vigore della complessione gene- rale ed all'assenza dei comuni difetti; e perfezione relativa quanto al genere di produzione che s'intende di averne. A questo proposito vi prego di richiamare alla vostra me- moria, oltre alle cose testè dichiarate, cuelle dette nella nostra Lezione IX ; cui aggiango sol questo, che rispetto alla specie cavallina, in cui la venustà dei lineamenti este- riori è maggiormente pregiata che nelle altre tre specie di grosso bestiame, i congiungimenti vogliono esser diretti 199 con mente più sagace e sperimentata; e che sebbene la detta specie non si allevi se non al solo fine dell’esplica- mento della forza muscolare, laddove la vaccina s'indirizza a moltiplici produzioni, pure in contraccambio nel divisato esplicamento si hanno diverse maniere, le quali richiedono disposizioni organiche fra loro differenti e di distinzione ancora più difficile. Infatti è bensì vero che le fattezze delle vaccine da lavoro si differenziano da quelle delle vac- cine da latte o da carne; ma cotali differenze, sono direi quasi più rilevate, e quindi più percettibili che non quelle che interceder debbono fra’ cavalli da sella, da calesse, da cavalleria , da diligenza, da barroccio ec.; e tanto più, che tramezzo a tanta varietà di forme non è mai da pre- termettere, dove più e dove meno, la leggiadria dell'insieme dei lineamenti, alla quale si guarda molto meno nella spe- cie vaccina. La stagione più propizia alla monta è il Maggio; per- ciocchè di quel tempo la lussuria si accende di per sè nei cavalli, ed il parto avrà poi luogo di Aprile, quando, cioè, per la mitezza dell’aria ed il ripullular delle erbe si as- sicura la prosperità della prole. È vero che io stallone ben pasciuto è pronto sempre al salto, e che la cavalla può re- starne pregna anco di ogni tempo; tuttavia nel Maggio il naturale ravvivamento delle funzioni muove più agevolmente alla concupiscenza, e questa assicura meglio il concepi- mento. Ad ajutare il desiderio del congiungimento carnale ai tempi non naturali nei cavalli, conferisce molto il cibo succhioso, l’avena specialmente, il riposo e la vicinanza dei due diversi sessi. La cavalla in amore è inquieta; mangia e beve poco; cerca di accostarsi e di fiutare ad ani- mali della sua specie, ma particolarmente ai maschi ; orina spesso e manda a quando a quando delle moccicaje dalla vul- va, la quale diventa la sede di movimenti particolari e quasi convulsivi. Uno stallone può montare due cavalle per giorno; 200 ed in ciò i giovani procedono con maggior ardore. Tultavia se accade che le seconde copule si prolunghino di soverchio, è segno che lo stallone si sforza, ed allora conviene farlo saltare una volta al giorno, od anco dei due giorni l'uno secondo il bisogno. Se lo stallone è stato ammesso al salto troppo giovane, si spossa presto e diventa lento; ma se co- mincia a 4 anni compiuti, dura sino a dodici. La femmina che ha partorito di Aprile, torna in amore dopo pochi giorni, e può essere ricoperta senza danno; ma non tutti gli anni concepisce. Per assicurare il concepimento, la stessa fem- mina si fa cuoprire tre ovvero quattro volte con l’ infra- mezzo di due o tre giorni: allorchè si sente già fecondata suole respingere il maschio. Una cavalla dura in buona fecondità insino a dodici anni, qualora oltre all'essere ben custodita non abbia sofferto aborti od altre traversìe nel par- torire: dai dieci anni in là però, la fecondità scema, ed ai diciotto si può dir cessata. Sopra venti cavalle in un'Azienda rurale, non si può contare di avere più di dodici poledri. $. 4. La cavalla porta, secondochè di sopra vi ho detto, | per circa undici mesi; ed in questo tempo si deve nutrire | con più cura, specialmente se tutt’insieme allatta ancora , e lavora. Quanto al poledrino, che ne nascerà, può spopparsi ‘ intorno ai cinque mesi, ed allora conviene ajutarlo con beve- < roni di farinacei, e con fieno eletto ovvero con ottima verzura ‘ secondo la stagione. A tre anni il poledro si comincia a do- mare e ad avvezzare a leggerissimi lavori non di soma, ma di tiro: il maschio, quando occorra, si castra fra il terzo ed il quarto anno. Il cavallo da sella o da soma si sforza nella vita e nelle membra se si carica di un peso prima dei quattro anni; e perciò avanti a questo tempo lo si può eser- citare al tiro leggiero ed interrottamente, anzi per domarlo che per trarne vera e valevole utilità. In ogni modo non può mettersi alla fatica stabilmente che passati i cinque anni: nel qual tempo il suo corpo si è già convenevolmente per- 201 fezionato; ma non acquista il sommo della vigoria che verso ai sette. Ora vi dirò delle cure principali che vo- glionsi usare nel custodimento dei cavalli. Poniamo dapprima che questi animali hanno per propria indole maggior bisogno di moto che non i vaccini; e ne sono ancora più delicati quanto ai cibi, alle bevande ed alla nettezza del corpo. Ond’è avanti a tutto che il loro al- levameato alla stalla non può mai essere intiero, occor- rendo sempre di avere almeno un ampio chiuso, dove sovente mandarli a prender aria ed a pascerc. La stalla poi vuol essere spaziosa ed arieggiata, con impiantito, ossia spazzo, asciutto, e con mangiato]e cui soprastino rastrel- liere, dove si ponga il cibo che i cavalli debbono via via tirar giù. La posta per un cavallo di giusta corporatura deve avere in lunghezza braccia 5 e ‘4 ed in larghezza brac cia 2 e 5. Tenendo conto poi degli anditi, del labo- . ratorio ec., e dell’altezza della stalla si può dire che ogni cavallo richieda circa a 180 braccia cube di spazio. Per le cavalle già avanzate nella pregnezza e pei puledri voglionsi avere spartimenti separati, dove stieno più al largo e senza disturbi. Il letto dovrà essere sempre pulito , e quindi rinnuovato spesso; la pelle monda del sudiciume. I guardiani usino maniere dolci ed affettuose a dimesticamento di queste bestie, e con carezze e palpamenti gli ammansino e ren- dano agevoli ed ubbidienti, specialmente i puledri. Se i cavalli si tengono alla pastura è utile di avere degli appezzamenti contornati da chiusure acciò si possano separare in branchi ed adattarli al pascolo più conveniente a ciaschedun di loro. Occorre ancora che non manchino alberi fronzuti e qualche capannone, dove le bestie possano ricoverare contro l'ardore del sole e le altre intemperie, e dove il mandriano abbia modo di mettere qualche cibo, specialmente paglia, a loro ristoramento, 26 202 Quanto alla pastura, è regola generale che la debba essere più eletta pei puledri, per le pregnanti, e per gli affaticanti, soprattutto nei tempi di maggiore e più aspro lavoro. Laonde se cibansi alla campagna, si riserberà a cotali animali il pascolo più copioso e di erba migliore ; se alla stalla, si appresterà loro la verzura più eletta, e che non sia nè troppo tenera nè trapassata, se nella buona stagione; e se d'inverno, il fieno migliore: ai cavalli da lavoro si aggiungeranno le granella di avena, di fave ec.; agli stalloni, alle pregnanti ed ai puledri l’avena sola; a tutti una quota parte di crusca, la quale conferisce più a tenerli sani che a nutrirli efficacemente, Le paglie dei cereali adoprate in giusta misura si con fanno molto ai cavalli; ed è sempre utile di tenerne provy- veduti tanto quelli che si tengono nella stalla, quanto gli altri che vivono in pastura: nel primo caso se ne mette nelle rastrelliere fra un pasto e l’altro; nel secondo se n'empiono le mangiatoje dei capannoni, dove le bestie ri- coverano tutte le volte che ne hanno voglia 0 bisogno. Ho detto poco fa che la specie cavallina si avvantag- gia grandemente del pascolo all'aria aperta , dove la com- plessione invigorisce e lo zoccolo si tempera. Tutte le volte adunque che le circostanze lo concedino, è da pre- ferire il pascolo per tutta la bella stagione, specialmente per gli animali che non si affaticano; ma a mantenere una razza eletta, torna bene di tramescolare la stabulazione col pascolo, specialmente nel verno; perciocchè ad addol. cirne l'umore conferisce molto la stalla. Per ciò che ri- sguarda le bestie da lavoro , hanno esse tutt'insieme e poco tempo da perdere nell’andare in cerca del cibo e troppo bisogno di vitto eletto e meglio succhioso. Ond’'è, che per loro sta bene che almanco i pasti del giorno si ap- prestino nella stalla, e pascolino soltanto la notte nella bella stagione, quando non lo vieti l'eccessivo riscalda- È imi S nn 203 mento del corpo avvenuto per soverchia fatica durata presso a sera. Queste avvertenze bastano a farvi intendere i principj che debbono guidare il custodimento dei cavalli, quando vi rammentiate ancora le altre, di cui vi feci parola nella Pastorizia generale. Ora vi aggiungerò poche altre partico- larità intorno alle profende da apprestare ai cavalli stallati. Ai cavalli torna utile porgere tre pasti nei tre principali punti della giornata: la mattina, sul meriggio e la sera ; e l’ultimo sia il più copioso, il meno quello meridiano. Tramezzo ai pasti, paglia per gli animali che restano alla stalla. In ogni pasto, dapprima si appresta il fieno o l'erba, e da ultimo la biada. Se si tratta di una bestia da lavoro, è utile che la maggior quota delle granella sia a mezzodì, perchè nella ristrettezza del tempo la bontà dell'alimento contrappesi la scarsezza della quantità che può ingojarne. Dopo ciaschedun pasto si abbeverano; e per quelli che han lavorato torna spesso vantaggioso di dar loro, nel metter che fanno il piede dentro alla stalla, un po'di ottimo cibo, e di condurle a bere, ma non a sazietà, quando l’abbian mangiato: poscia si appresta nuovo e più copioso alimento, e prima di lasciarli si rimenano all’abbeveratojo. Il che è spesso necessario a fare per la stanchezza e. l’arsura della bestia, la quale mangia alla svogliata sino a tanto che non abbia bevuto; nè conviene permetterle di empirsi lo sto- maco di acqua prima che si sia alquanto. refrigerata, el che abbia mandato giù un po'di cibo. Una bestia cavallina, nel vigore dell'età e di mezzana corporatura, può mantenersi con circa libbre 45 di equi- valenti di fieno: più nel tempo del lavoro, meno in quello del riposo. Ora cotal massa giornaliera di cibo può comporsi > così: per una metà in verzura ovvero in fieno, e per l’altra metà un terzo in paglia e due terzi in granella: durante 204 il tempo del lavoro si aumentano le granella, e la paglia nel caso inverso. E quì non vo’ tralasciar l’occasione di av- vertirvi che i cavalli debbono tenersi sempre in forza anco nel tempo , in cui si affaticano poco. Laonde la biada va sempre adoperata, salvochè se ne scema la quantità nelle stagioni di scarso lavoro ; e nemmeno di lancio, ma gra- datamente. In Lombardia usano molto la dulla che stac- casi dal riso nella brillatura. Agli stalloni nel tempo della monta si raddoppia la por- zione dell'avena. La profenda delle cavalle è minore di quella dei maschi; e pei puledri si tiene proporzionata al- l'età, salvochè passato qualche mese dopo la spoppatura non mangian più granella. Intorno alla verzura ed al fieno, debbo farvi una os- servazione ; ed è: che i cavalli che durano fatiche aspre e diuturne, vanno pasciuti di fieno, biada e poca paglia, senza inframmetterci mai verzura, altro che per medicina. Dicasi lo stesso delle carote, delle patate e delle bietole ; i quali cibi possono ingrassare o rinfrescare gli animali che lavoran poco, ma non sostenere le forze di coloro sotto- posti di continuo ad ardua fatica. Nelle aziende rurali però il lavoro suole essere più mite; ed allora nel pasto possono entrare e le verzure e le carote ec., in una pro- porzione corrispondente al lavoro ed alla economia che ra- gionevolmente si può procacciare. Intorno alla maggior convenienza di adoperare i man- gimi intieri o tritati, la quistione è risoluta per le vaccine, ma non già rispetto alle cavalline. Si dice che la necessità del masticarli, allorchè sono intieri, provoca anco la se- grezione più abbondante della saliva : d’onde una migliore. digestione. Nelle bestie bovine la masticazione e l’abbon- dante insalivazione avendo luogo nell'atto della rumina- zione, il notato inconveniente manca. Aspettiamo i risulta- menti delle esperienze che si fanno al presente sopra grandi 205 proporzioni in Inghilterra; ma mi pare che almeno sin d’ora possiamo credere utile la pestatura dell’avena, la quale non è mai schiacciata dalle mascelle della bestia quanto dalle macchine, e tanto più che per la breve ma- sticazione del granello intiero non può lo schiacciato per- dere mai notevolmente dall’aspetto della insalivazione. Nelle aziende rurali poi, il trinciare i foraggi sarà una necessità per trarre una maggiore utilità da certi mangimi che soli sarebbero presi troppo alla svogliata. S. 5. I prodotti del cavallo sono la forza muscolare, i redami ed il concime. Quanto al concime, vi ricorderete che in diverse occasioni ve ne ho fatto conoscere il pre- gio ; sicchè non è bisogno di dirne altro. Intorno ai redami non si può veramente contare che sopra poco più della metà del numero delle cavalle. E quanto alla forza mu- scolare sono da preferire i cavalli intieri se assai docili ; appresso i castroni, e da ultimo le femmine, le quali per la lunga pregnezza vogliono usati dei riguardi. Il cavallo per la speditezza del passo e la vivacità delle mosse è adattatissimo ai lavori leggicri aratorj: come a dire alle erpicature, rullature ec.; ed ancora ai lunghi carreggi su per le vie inghiajate per la facilità e tenacità della ferratura, per la forma ed ampiezza dello zoccolo, e similmente per la maniera di far cascar lo zoccolo nel- l'atto del camminare. Il bove al contrario è quasi tanto lento nei lavori leggieri quanto nei gravi; e nei carreggi lunghi si stracca più presto e si guasta nelle unghie, così per la difficoltà della ferratura come perchè lo zoccolo non cade a ferra quasi a piombo come nel cavallo, ma sof- fregasi contr’essa. In Lombardia perciò i cavalli tengonsi nelle Aziende assieme ai bovi: a questi le arature ed i carreggi più brevi, ma gravi, a quelli i lavori più leg- gieri, ma che chiedono maggior celerità o grandi spazj da percorrere. Nel movimento rotatorio, i cavalli di corpo 206 più snello e pieghevole dei bovi, si adattano meglio al giro. Inoltre pei lavori che richiedono poca forza, è più agevole di adoperare un solo cavallo che un solo bove, cui il col- lare si adatta peggio. Le cavalle e gli stalloni sono nelle Aziende rurali ado- perati ai lavori, salvochè negli ultimi tempi della gravi- danza e nei primi dopo il parto guanto alle cavalle, salvo il tempo della monta per gli stalloni. Un cavallo fa circa ad un terzo più di lavoro che un bue, se si tratta di faccende, cui le forze del cavallo siano più che bastevoli. $. 6. I cavalli sono offesi da molte cause morbose, e van soggetti a varie malattie. Nelle bestie bovine le ma- lattie predomiaanti sono quelle del canale digestivo ; nelle cavalline signoreggiano le altre delle vie respiratorie a _mo- tivo della maggiore efficacia nell’esercizio del corpo, il quale offende gli organi del respiro in due modi principali : cioè, direttamente sforzandoli, e poi indirettamente provo- cando una traspirazione eccessiva, soppressa la quale istan- taneamente ne sente il contraccolpo l'apparato della respira- zione, il quale sta in strette attinenze con la cute. Bisogna che il guardiano dei cavalli stia sempre vigilante contro ai danni di quest'ultima causa procacciando il graduale refrigeramento dei cavalli che tornan sudanti alla stalla. Anco i visceri digestivi sono assai frequentemente la sede di disturbi: la dieta, il riposo, i clisteri e qualche purgante salino, bastano a portare riparo nei casi ordinarj. Un altra categoria assai comune di malattie dei cavalli risguarda gli organi de!la locomozione, e specialmente le spalie e le giunture dei garretti e delle nocche. Nelle leg- giere sforzature mi son dovuto sempre lodare delle lozioni fatte con lo zucchero di saturno sciolto in acqua, ma nei casi più gravi ho ricorso al veterinario. Non manca chi purghi e salassi i cavalli all'entrare della primavera : 207 ove ciò si faccia per massima generale e senza bisogno , io non posso approvarlo ; stantechè porto opinione che senza necessità sia sempre nocivo l’uso delle medicine. I cavalli sono i più sottoposti a varie infermità tra gli animali, di cui si compone il grosso bestiame. E per- ciocchè il loro prezzo è sempre considerevole, e niuna la speranza di trarne utilità per carne, perciò è che allevando cavalli fa d’uopo di avere l'assistenza di un buon veteri- nario. Laonde intorno alle malattie di questi animali non vado più oltre. Per seguire lo stesso ordine, con cui abbiamo trattato dell'allevamento della specie vaccina, converrebbe ora ac- cennare i titoli di entrata e di spesa rispetto alla cavallina. Ma raccogliendo quanto ne abbiamo già detto nella pas- sata Lezione ed in questa, siete ormai in grado di compi- larne da voi il prospetto generale. Sicchè io men passo, e tanto più che nel governo dell'Azienda rurale, trove- ranuo tutti questi conti il proprio luogo. Prima di chiu- dere la presente Lezione, vo'aggiungere poche parole intorno ad altri due animali che sono aflini alla specie ca- vallina, intorno, cioè, all’asino ed al mulo. $. 7. Gli asini diventan prolifici a tre anni, e perdurano insino a più di dodici. Tutti sapete che il mese di Maggio è il tempo nel quale vengono iu caldo; ma nei paesi dove si vogliono muli si fanno dapprima cuoprire dall’asino le cavalle e poi le asine, perchè procedendo all’inverso lo stal- lone non salta volentieri la femmina di specie diversa dalla sua: un asino può cuoprire due od anco tre femmine al giorno. La pregnezza dura circa undici mesi e mezzo, e l’allattamento sei. Peraltro nel custodimento la specie asinina non differisce la cavallina, salvochè è più frugale e robusta di salute; per cui si può con quella far più a fidanza che con questa: ma per trarne ottimi servigj, fa e'uopo trattarla bene. È certo però che in cattive condi- 208 zioni di governo si può cavare qualche partito dall’asino dove il cavallo non arriverebbe a vivere. L'asino si doma passati i due anni, ma non si carica di utile soma che presso ai quattro. La migliore razza in Italia è quella del- l'isola di Pantellaria. Il mulo può nascere di asino e di cavalla, o di cavallo e di asiva: il primo è migliore, perchè i muli tengono più della madre che del padre. Il congiungimento delle due specie riesce infecondo più sovente che non quello dell'una o dell'altra con sè medesima: poco più della metà diven- tano fruttuosi. I muli sono acconci alla sella, al tiro ed alla soma, sebbene più particolarmente a quest’ultima: quanto al tiro riescono ottimamente al barroccio. Per altro son più forti dei cavalli, comechè meno spediti, di più sana com- plessione 6 meglio sobrj. Per averne grandi servigj con- viene trattarli come i cavalli, ed allora a vitto pari li superano in lavoro effettivo; ed in ogni modo con cattivo governo pur faticano dove i cavalli non potrebbero nem- meno vivere. L'Italia frastagliata com'è di monti, ritrarrà sempre una grande utilità dagli asini e'dai muli, che con- verrebbe cercar di migliorare. 209 LEZIONE Xv. Un DELL'ALLEVAMENTO DELLA SPECIE OviNA E DELLA SUINA. —Q9dD- SOMMARIO. $. 4. Disposizioni organiche e modo di crescere. $. 2. Razze. $. 3. Molti- plicazione. $. 4. Custodimento. $. 5. Prodotti. $. 6. Cagioni nemiche e malattie. $. 7. Cenno sulle capre. $. 8. Disposizioni organiche e modo di crescere della specie suina. $. 9. Razze suine. $. 40. Mol- tiplicazione. $. 44. Custodimento. $. 412. Prodotti. $. 43. Cagioni ne- miche e malattie. $. 1. Le disposizioni organiche della specie ovina, per ciò che spetta agli apparati di nutrizione, somigliano molto «a quelle della vaccina, con la quale ha soprattutto di co- mune il quadruplice stomaco e la ruminazione. Sicchè ri- tenuto quanto ne abbiamo già detto ai debiti luoghi nella Pastorizia generale e nella Lezione XII, ci limiteremo oggi a cercare le disposizioni particolari dei denti incisivi, da cui si traggono i segni per giudicare dell’età di questi animali. Del pari che nella specie vaccina, nella ovina i denti inci- sivi son otto, e solamente nella mascella inferiore. L’agnel- lino suol nascere senza tali denti, i quali spuntano fra la terza e la quarta settimana a contare dal parto; e verso la decima settimana formano un’arcata regolare. A poco a poco si consumano a cominciare dalla coppia del mezzo, diventano mozziconi e cascano per far luogo ai novelli. 27 210 A diciotto mesi suolsi rinnuovare la coppia di mezzo; intorno ai due anni la seconda coppia dei lati; ai tre e mezzo la terza coppia; ai quattro e mezzo gli ultimi dei canti. Passati i cinque anni, l’arcata formata dai denti incisivi è completa, e già è incominciato il corrodimento , il quale continua con poca regolarità: mezzanamente la cop- pia del centro è rosa a sei anni; quella accanto a sette; la terza ad otto; l’ultima a nove. La specie ovina è utile, senza contare gli agnelli, per la lana, il latte e la carne. Avendo già detto quanto occorreva delle disposizioni organiche che vi si riferiscono nella Pastorizia generale, aggiungeremo quì soltanto , in- torno alla lana, che suol essere più copiosa sul tronco e sul collo, ma scarsa alla pancia e nel basso del petto. Il vello inoltre prosegue secondo le razze folto più o meno in giù sopra la faccia esterna delle membra verso la giun- tura del carpo, ossia del così detto ginocchio, e verso quella del garretto. La lana migliore però è quella che si leva dalla groppa., dai lombi, dalla faccia superiore del costato e dai lati del collo; quella di seconda sorta trovasi sulle cosce , giù dai fianchi, sul basso del costato e sopra al collo : nel resto è d’infima qualità. Intorno alla maniera di crescere di questa specie, no- teremo che presso all'anno i due sessi si accendono in lus- suria; che il montone è animale molto ardente e -bastevole a parecchie femmine : si dice anco a cento; che il tempo naturale del congiungimento è in primavera; che la pecora porta per circa cinque mesi, mettendo poi alla luce non di rado due agnellini; che l’allattamento dura per circa quattro mesi; che la femmina si tiene in buona fecondità insino a sette anni, il maschio anche più oltre; che la lana, siccome difesa naturale contro la freddura dell’aria, cade di per sè collo scaldarsi dell’aria, e si rinnuova anco quando non si tosi l’animale. A queste cose aggiungeremo 211 due altre osservazioni; e sono; primieramente che la pe- cora si riveste di lana fine, cresputa, folta ed unita nei climi temperati che inchinino al freddo, e che nei caldi le si sostituisce il pelo in vario grado di mistura ; seconda- riamente che siffatto animale si diletta nei luoghi aprici ed elevati, ed è per propria indole vagante. Se una pecora è sana, la riconoscerete a questi se- gni: andamento ardito, aspetto mansueto sì, ma vivido, e specialmente negli occhi; congiuntiva suffusa in giusta misura di sangue, ma non eccessivamente injettata ; narici umide, ma senza moccio ; labbra vermiglie ; fiato inodoro ; il di sotto delle ganasce morbido; lana solidamente attac- cata a pelle rosea; schiena resistente sotto alla pressura della mano ; sforzo forte della bestia se tirata per.uno dei piedi di dietro; corpulenza sufficiente. $. 2. La pecora siccome animale di antichissimo addi- mesticamento, ha un numero direi infinito di razze , le più celebri delle quali sono la merina di Spagna per la produzione della lana, e quella inglese di Dish/ey , ossia Leicester per la carne: la prima si venne in tempi da noi «remoti formando non si sa come nella penisola iberica, la seconda di origine recente è dovuta all'opera sagacissima di Backwel figlio di un ricco fittajolo inglese. In Italia abbiamo nella pugliese una razza nostrale di grande cor- poratura, ma nel resto o sono razze antiche mal definite, o branchi meticci. di novella origine, ottenute mediante l’incrociamento delle razze del luogo con la merina. In Toscana abbiamo pecore di picciola corporatura e di vello scarso e grossolano; ma da qualche tempo si è cercato, specialmente in Maremma , di mescolarne il sangue con la razza merina. Anco quì ad esempio della Francia e della Germania si è tentato di naturare la pura razza merina, ma con poco frutto: il branco delle RR. Tenute di San Rossore e Coltano ven fanno testimonianza. È cosa singo- 212 lare che malgrado gli sforzi fatti da tanti paesi per ap- propriarsi i merini, non sia riuscito forse a nissuno, tranne la Sassonia, di raggiungere la meta. In ogni modo mi pare che per un paese cosparso di monti, qual'è la Toscana, la ricerca di razze ovine appropriate alle nostre condizioni sia di grande importanza. E siccome d'altra parte per la qualità delle pasture, per la natura del clima e pel gusto del nostro popolo, non è da pensare a razze da carne, ne conseguita che l’opera della pastorizia toscana si debba ri- volgere alle razze da lana, secondochè taluni hanno con ottimo consiglio tentato di fare. Cuncedetemi licenza di entrare a questo proposito in qualche maggiore particolarità. L’Inghilterra è in gran voce per la bellezza del suo bestiame ovino, e per la eccellenza della carne di lui; ma d'onde ciò? Dalle qualità dei pascoli, e specialmente dalle rape ampiamente coltivate colà per nutrirne le pe- core. Gl’inglesi poi si dilettan molto di cotal carne che pagano a prezzo adeguato; e ciò contribuisce a destinare le rape a vitto degli ovini piuttosto che dei vaccini. A rin- contro il nostro clima disfavorisce l'ingrasso degli ovini di una maniera diretta sopra il corpo degli animali, ed indi- rettamente sopra ai foraggi. Dove abbiam noi i prati in- glesi, dove quei. campi sterminati di rape? Non è dunque da far le maraviglie se la nostra pecora, per le anzidette ragioni, porga una carne poco accetta all'universale. Messa dunque da parte la produzione della carne, con- siderata siccome principale intento dell’allevatore, possiamo cercare agli ovini latte o lana. Intorno a che è da osser- varsi che la lana diminuisce notevolmente allorquando le pecore si mungono, dimodochè ove si avessero razze da lana fine converrebbe farne il principale intento del col- tivatore. Laonde la miglior via sarà quella di veder modo fra noi di mischiare alle nostre razze, opportunamente scelte per le qualità del vello, il sangue della merina. 213 S. 3. Per la propagazione degli ovini, si debbono sce- gliere a genitori quegli animali che posseggano i caratteri di razza secondo le regole già da noi poste altrove, e che abbiano ancora ottima complessione. L'età così nei maschi come nelle femmine, non sia minore di diciotto mesi; e la stagione più appropriata ai congiungimenti, quella stessa assegnata dalla natura, cioè fra Marzo ed Aprile. La copula si suole effettuare al pascolo, dove gli arieti vivono framezzo alle femmine. Si stima che un montone possa bastare a fecondare in una stagione dalle quaranta alle cinquanta pecore. Dopo i cinque mesi della ordinaria pregnezza vien fuori l’agnellino, che si fa poppare intorno a tre mesi. È bene di tener le madri, che han figliato, per qualche giorno alla stalla. Gli agnelli posson seguitare le madri al pascolo ; e nell’ovile torna utile che abbiano uno - scompartimento formato da una paracinta, pei cui interspazj possano escire ed entrare a piacimento. In un branco di pecore tutte madri, e ben tenute, si conta sopra un agnello per capo; perciocchè i parti doppi com- pensano i casi di pecore che sieno rimaste vuote, o che abbiano mandato a male il proprio redo. Ma nelle comuni mandre, non si oltrepassa l’80 per cento. I maschi non destinati alla riproduzione si castrano giovani, cioè prima dei due mesi; ed è meglio di recidere a dirittura i testi- coli che torcerli. $. 4. Il custodimento della specie ovina si fonda in questi principj generali; cioè: 1.° che col mezzo di essa torna di trarre utilità dai pascoli, di quelli specialmente, dove le specie più grosse non troverebbero assai di che vivere; 2.° che i pascoli dei boschi e dei luoghi acquidosi debbono stimarsi malsani; 3.* che al mezzano manteni- mento di una pecora del peso vivo di circa 100 libbre, ci vuol tanto cibo che equivalga a tre libbre di fieno. Ora verrò alle più importanti particolarità. 214 Sebbene il pascolo sia il modo più vantaggioso di nu- tricare le pecore, nondimeno fa d’uopo di aver sempre una stalla, od almanco nei nostri climi un capannone aperto, dove ricoverare gli animali la notte, e nelle giornate nevose del verno: delle precise disposizioni dell’ovile ne ragione- remo nel governo dell'Azienda rurale. Il riposar delle pecore. all'aperto di notte è più nocivo nelle pianure per l’umi- dore; e qualora si albergano al coperto, bisogna non rime- narle al pascolo se non quando la rugiada sia già scom- parsa : si riconducono all’ovile quando tramonta il sole. I pascoli più convenienti alla pecora son quelli aprici, asciutti, e di erbe mescolate. Nei boschi le erbe cre- scendo all'ombra, riescono tanto più flosce e malsane quanto più fitti vi sono gli alberi e gli arbusti ; e laddove persiste nella crosta del suolo soverchio umidore, le piante erbacee vi crescono di scarsa sostanza ed acquistano ree qualità. E notate che di questi terreni acquitrinosi non ne manca nei poggi, e sin sopra ai monti: il pastore si guardi dal pascere quivi le sue pecore. Laddove i terreni si lasciano in riposo per lungo tempo fra una e l’altra cultura, quivi ammettonsi le pecore a pascolare; e le erbe nel primo anno sono più copiose e dimestiche che nei seguenti. In Maremma, a modo di esempio, al frumento succede un anno, due ed anche più di riposo, dopo di che il terreno si comincia a maggesare in Gennajo per sementarlo poi di Novembre a nuovo fru- mento. Ora sopra 24 quadrati di tale pascolo, vivono nel semestre d'inverno da 24 a 30 pecore, e nell'estivo in- torno a tre capi vaccini. I prati artificiali di piante baccelline, e soprattutto di trifoglio, porgono un cibo che produce facilmente l’enfia- mento ; e quindi è mestieri di non farci pascolar le pecore se non per brevissimo tempo, e verso il vespro per finir di satollarle. Anco gli erbaj veroini molto pingui produ- 215 cono erba floscia e non adattata a satollare con essa le pecore, e particolarmente se formati di una sola specie di piante. È perciò utile di far cotali erbaj mescolati, e di condurvi il branco per qualche ora soltanto del giorno, o per falciarne l'erba e portarla nelle cattive giornate del verno nella stalla a mescolamento col seccume. Pel verno è necessario di avere qualche provvisione di seccume, fieno e paglie, affine di supplire alla insuf- ficienza della pastura. E dove le cattive giornate fossero troppe, gioverebbe il sussidio degli erbaj vernini, e spe- cialmente delle ‘rape, con cui tagliare il seccume e render così il pasto più mescolato e non passante dal secco al fresco senza veruna gradazione. Per seccume da servire nella stagione invernale in molti luoghi usano le frasche di diversi alberi, specialmente di pioppo e di querce , di cui le pecore mangiano anco i più giovani ramoscelli. Nel Chianti, esempligrazia, ogni podere ha il corredo di un pezzo di bosco, dove col taglio fre- quente si mantiene lungo il tronco delle querce un con- tinuo ripullulare di giovani virgulti per trarne di cotali fascine: nel Val d’Arno di sopra insino in Casentino, si valgono a questo medesimo fine del pioppo nero, nella cui frasca trovasi una sostanza amarognola ed aromatica, che si reputa molto confacente alla salute delle pecore. Nei luoghi più copiosi di bestiame ovino è costume di tener le pecore in estate su pei monti, e menarle nel verno al piano. Così in Toscana dagli Appennini Casen- tinesi, Lucchesi ec., vanno sino in Maremma; e negli Abruzzi le fanno emigrare al famoso tavoliere di Puglia ec. Questo passaggio è sovente di gran danno ai greggi, i quali dall’aria sottile, asciutta e ventosa dei monti, passano in quella di opposte disposizioni delle pianure in una stagione, nella quale l’umidore è al colmo. I più av- veluti ritengono almeno ai monti le bestie meno robuste 216 e che maggiormente abbiano sofferto nelle peregrinazioni precedenti. Presso ai pascoli sia qualche luogo, dove il gregge trovi dell'acqua pura. È sì vero che le pecore bevono di rado, e ponno talvolta passarsene per più giorni di seguito, pure hanno ancor esse il bisogno di dissetarsi, specialmente quando mangiano seccume o travagliano di qualche indi- sposizione. Una pecora che mangi tre libbre di fieno, beve ragguagliatamente altrettanto peso d’acqua. Così al pascolo, come all’ovile, è regola di destinare il cibo più eletto alle pecore che han figliato di corto, alle malaticce ed agli agnelli. Alle pecore conferisce molto l’uso del sale, special- mente se pascolano in luoghi umidi: la porzione giorna- liera è di un ottavo di oncia per capo, e si pone dentro a dei trogoli lunghi e stretti, dove lo vanno a leccare. Al- lorchè le pecore albergano al coperto, si riforniscono di lettime fresco tutti i giorni, perchè giacciano sull’asciutto; e questa pratica è più necessaria allorquando l’ovile non ha l’impiantito disposto per modo che le orine colino in ap- posito serbatojo: la stalla deve vuotarsi dal letame almeno due volte al mese. Le pecore non si mungono che spoppati gli agnelli; ma ripeto che volendo mantenere in buon essere l’armento e cavarne di molta e buona lana, il latte non deve ad altro servire che a tirar su l'agnello. Ed allora spoppatolo, è utile di munger le madri per tre o quattro giorni, acciò il Jatte scompaja gradatamente: nel primo giorno sì mun- geranno due volte, negli altri una sola. Allorchè si vogliono fare stabbiare, si chiudono in ri- cinti formati di reti fissate a pali. Perchè il terreno venga uniformemente concimato, occorre che l'ampiezza dello spazio chiuso sia in braccia quadre tre volte maggiore del numero delle pecore, perciocchè ad ogni animale può as- 217 segnarsi la superficie di tre braccia quadrate, se le pecore son tanto grosse da pesare l’una per l’altra 120 libbre; ma per le nostre razze ordinarie, cotale spazio può tenersi di due braccia quadrate. .Se il gregge è ben pasciuto, il ricinto può mutarsi nella nottata una ovvero due volte se- condo il grado «d’ingrasso che si vuo! procacciare al ter- reno. Il tempo dello stabbiare può cominciare dall’Aprile e finire in Ottobre pei greggi avvezzi a passar le nottate all'aria aperta, ma per gli stallati tutto l’anno non ci è che la sola estate che lo consenta senza pericoli. Le pecore si tosano per la prima volta nel secondo Maggio a contare dalla loro nascita : negli anni seguenti l'operazione si fa nello stesso mese. Vi è chi le ritosa in Set- tembre; ma oltrechè si priva così l'animale di una natu- rale difesa quando si appressa il bisogno di usarne, non si fa poi notevol guadagno perchè scemasi il prodotto del sopravvegnente Maggio. Prima di tosar le pecore si lavano, secondochè è stato detto nella nostra Lezione XI. Tanto per la lavatura quanto per la tosatura, è necessario che sì scelga un tempo di aria mite e calma, e che si abbia all’armento più riguardo nei seguenti primi giorni. $. 5. I prodotti di un gregge sono gli agnelli, la lana, il latte, la carne e le pelli dei genitori, lo sterco. Quanto agli agnelli, il loro peso e soprattutto la valuta, differiscono secondo le razze e l’uso cui si destinano. Ed infatti, i redi delle razze più corpulente, pesano di più e si spacciano anco a maggior prezzo in ragione di libbre; ed in ogni modo quelli che si vendono per razza hanno un valore molto più elevato che non gli altri da macellare. Il prezzo di un agnello delle pecore dei nostri monti, le quali pe- sano 60 libbre l'una , va intorno alle cinque lire. Il prodotto della lana varia grandemente così in quantità come in valore secondo le razze. Una pecora merina porge per anno un prodotto di circa a nove o dieci libbre di lana 28 218 soprafline, la quale sopravanza di troppo in ragion di peso la libbra e mezzo di lana che si leva da una pecora dei nostri Appennini, ma molto più poi in valuta. Il prezzo della lana nostrale va intorno ai. cinque sesti di lira. Il latte di pecora si suol trasformare in formaggio, ed il prodotto varia grandemente secondo non solamente la razza ed il pascolo, ma ancora secondo la durata dell’allattamento. In una delle nostre mandre di monte, si può contare per capo sopra una libbra e mezzo di latte al giorno; ossia sopra libbre 8 di formaggio in tutta la stagione: tal for- maggio dopo tre o quattro mesi di stagionatura costa lire 40 il centinajo di libbre. Le pecore e gli arieti di scarto si vendono pochissi- mo, e la carne n'è tanto pessima da esser passata in proverbio : si caverà intorno a sei lire per capo. La carne di castrato ha maggior pregio, ma fra noi è poco in uso, . mentrechè in Inghilterra è stimata pari a quella di vitello. Anche a me, che aborro la carne pecorina, piaceva colà il mutton , specialmente il lesso, boiled mutton; ma i veri montoni discheley e southdown pasciuti di rape non sono altrove! Quanto al concime si può ritenere che, impagliando e pascendo convenientemente, da atto pecore si cavino 3000 libbre di letame al mese, ma computando dentro anco il lettime e le orine. E se volete considerare i soli escrementi solidi e liquidi presi insieme, il loro peso sor- passa di metà quello degli equivalenti di fieno che consuma- no: da tre libbre di fieno trarrete una libbra e mezzo di orina, ed il doppio di sterco. Valutando tutto l’ingrasso a due terzi di lira le cento libbre, avremo per giorno e per pecora ben pasciuta il prodotto di due terzi di centesimo per giorno. Ma nelle nostre campagne, dove si scarseggia tanto a letami, mentre se ne pregia l’effetto, le dejezioni di due pecore pagansi un terzo di soldo per giorno dai 219 proprietarj di uliveti del Pietrasantino. Colà i contadini danno ai pastori, che calano a svernare dalle montagne, l'alloggio, le legna da ardere ed otto sacca di granturco per un branco di 60 pecore dal Settembre al Maggio, ossia per otto mesi. Il che torna ad un sacco di granturco al mese; sicchè computando le legna e la valuta del gran- turco, si torna quasi al terzo di soldo al giorno per ogni coppia di pecore. Le quali però di giorno andando fuori a pascolare gittano altrove una buona parte dei loro escrementi. $. 6. Le cause morbose più comuni stanno nei pascoli umidi e nell’aria umida e poco ventilata. Le malattie prin- cipali sono: il meteorismo, la marciaja, il guasto conta- gioso degli zoccoli ossia patereccio contagioso, il vajolo, il capogiro e l’estro. Quanto al meteorismo 0 timpanitide , è simile a quello da cui son travagliate le bestie vaccine; e come ne son consimili le cause, si ricorre alla stessa cura, proporzio- nando la dose delle medicine alla minor mole di questi animali. Ma posciachè torna tanto più difficile la cura, quanto più numeroso è l’armento , così è da fare piuttosto attenzione a prevenire il male. La marciaja è malattia molto più terribile e devasta- trice. Insidia i greggi con un corso lento che gli affievo- lisce a poco a poco e li conduce al marasmo. Oltre al generale illanguidimento , al fiato puzzolente, alla lana che casca, all’impallidire dell'occhio e delle labbra ec., questa malattia è contraddistinta da un enfiamento che si trova la sera sotto alle ganasce, e che poi scomparisce nella notte. Nelle sezioni degli animali morti di cachessia , si trovano nel fegato certi animaletti corti e piatti, che chia- mansi distomi. Se ne attribuisce la causa ai pascoli umidi ed ombrosi, all'aria umida e poco mossa ; e perciò si rac- comanda di non esporre gli armenti al maleficio delle dette cagioni.-L’uso del sale stimasi qual preservativo di una certa 220 efficacia ; e come rimedj si hanno i preparati ferruginosi e le erbe amare ed aromatiche con l’accompagnamento di un vitto ottimo di fieno e granella. Ma è malattia mortale, e conviene disfarsi come meglio si può degli animali infetti, Non si reputa però contagiosa. Gli zoccoli sono rosi talvolta da ulcere accompagnate dallo staccarsi degli unghioli e dalla carie delle falangi. Per curare questa malattia si leva dapprima la parte guasta dell’unghiolo, si giunge al vivo e si cauterizza con la pie- tra turchina. Anco il vajolo fa a quando a quando strage delle man- dre: si previene con l’ inoculazione. Il capogiro è tal malattia, in cui gli animali sono spinti a girare intorno a sè. Proviene dallo svolgimento. di un certo animale nella cavità del cranio, e che chiamasi cenuro cerebrale. Si cura traforando la parte del cranio nel luogo sotto a cui si conosce che giace la vescica formata dai cenuri ; e si dice che certi pastori ne conoscano tanto bene il posto che spesso la rompono introducendo un ferro sot- tile a traverso le fosse nasali. L'estro è un. animaletto a somiglianza di bacolino corto, tondo, bianco e macchiato di nero verso il capo: si annida nel naso. La pecora starnutisce sovente e tenta di liberarsene. Si espongono le narici degli animali infetti al vapore di essenza di trementina, ovvero al fumo di vecchi cuo). Perciocchè il tempo ci stringe, vo’ che basti il già detto della specie ovina; e passo alla suina, ma dopo di avervi dato almeno un cenno della capra. i S. 7. L'età più opportuna alla copzla e la durata della pregnezza sono nelle capre come nelle precre; ma quanto al tempo dell’anno è da dire che la monta si suol fare di Novembre, acciò la figliatura abbia luogo nell'Aprile per la copia della pastura; e quanto al portato, che vengono 221 alla luce sino a tre capretti. Il becco poi è anco più ardente dell’ariete, e basta a cuoprire un maggior numero di fem- mine. I capretti destinati alla cucina son buoni anco non castrati, purchè non si usino che prima di essere giunti ai quattro 0 cinque mesi. Le capre cibansi di ogni verzura, ma amano special- ‘mente di pascersi di fronde di alberi e di cespugli, di cui ‘rodono anco i ramuscoli e la scorza degli steli: è perciò che si tengon lontane dai colti e dai boschi. Peraltro son buone a trarre profitto dall'erba delle balze e dei precipizj, su pei quali si arrampicano con una destrezza già passata “in proverbio. Una capra mangia più che non fanno due pecore; ed in compenso è abbondevolissima in latte molto più della pecora, ed anco della vacca tenendo conto della corporatura; e la carne dei capretti è molto più ricer- cata e pregiata che non quella di agnello : il castrato però del montone è migliore. Quanto alle appendici della pelle, la capra nostrale ha pelo e non lana : nè si tosa; ma le ca- pre di Angora sono ornate di bel pelame che si recide una volta all'anno, ed anche due; e. quelle del Thibet, o di Cachemire, son rivestite di un bel pelo lungo inframezzato da peluria più corta, fine e fitta : tutti conoscete il pregio dei tessuti che se ne fabbricano, e specialmente degli scialli. $. 8. Il majale discende dal cinghiale a quanto pare; ed è certo in ogni modo che gli assomiglia molto. Egli è onnivoro, cioè cibantesi di vitto vegetabile e di animale, ma pare che prediliga di scavar la terra col suo grugno a cercarvi radici ed anco vermi. Tutto il suo apparato di- gerente lo accusa più carnivoro che erbivoro : nulladimeno nello stato domestico si può cibare di soli vegetabili, ma meno di erbe che di frutta e radici. Il majale ha in ogni mascella 22 denti cioè: 6 incisivi, 2 canini 0 zanne, e 14 molari. Il porcellino, il quale viene alla luce coi canini ed i due cantoni degl’incisivi, acquista in circa tre mesi e 222 mezzo tutti gli altri incisivi. Intorno a sei mesi rinnuova i cavtoni della mascella inferiore ; a dieci quelli della mascella superiore; a undici rinnuova le zanne; poco prima di.due anni rinnuova i picozzi delle due mascelle ; fra i due ed i tre rinnuova i mezzani, e compiuti tre arni anco i cantoni. Il majale ha pelo rado e piuttosto ispido, pelle fode- rata di un massiccio suolo di grasso, e cellulare, il quale si empie facilmente di adipe, specialmente sulle pareti in- terne dell'addome presso alla colonna vertebrale. Le quali disposizioni congiunte alla brevità relativa dei piedi, alla esilità della coda, alia cortezza e carnosità del collo, fanno del porco l’animale che dia la maggior copia di carne netta appetto al peso vivo. Intorno ad otto mesi i sessi possono congiungersi, e la pregnezza dura circa quattro mesi: ne vengon fuori più porcellini, sette ovvero otto mezzanamente : meno nei primi parti, di più negli altri. Dopo pochi giorni che ha parto- rito, la femmina torna in caldo, e può essere ricoperta con frutto. Una scrofa mantiensi in buona fecondità oltre ai 4 anvi; il verro oltre ai cinque. Il majale tiene del sel- valico, e vive ottimamente all’aria aperta, andando in cerca del suo cibo. Si adatta ad un gran numero di climi diffe- renti e ad ogni sorta di cibo; ma gode di svoltolarsi nel fango, specialmente a refrigerio del caldo in estate. Que- st'animale per la grande varietà che consente in quasi tutte le condizioni di vita, ma specialmente rispetto alla qua- lità dei cibi; per la facilità di convertire essi cibi in carne; per gli usi svariati della carne stessa, sia fresca e sia sa- lata o secca, e massimamente per la gran copia del grasso; per la prolificità, ed infine per la resistenza contro l’opera delle comuni cause morbose, è uno dei più preziosi ani- mali domestici che si conoscano. | S. 9. Le razze dei majali sono innumerabili per fattez- ze, colore, pelame ec., ma tutte possonsi dividere in roi 223 tre categorie: da pascolo, da porcile e misti. In Toscana abbiamo le razze da pascolo nelle Maremme, e le miste ‘in quasi tutto il paese. Quanto a razze affatto da porcile ne manchiamo ; e se taluni allevano qualche majale costan- temente nel porcile, esso proviene dalle razze miste, delle quali le più reputate sono la rossa del Casentino pei pro- sciutti e la cinghiata, ch'è stimata ancor più gentile. La razza chinese, distinta principalmente per la brevità delle sue membra, per la rotondità del suo corpo e per la prodigiosa attitudine all’ingrassar di buon’ora, si alleva in special modo in Inghilterra, dove si tengono eziandio in molto pregio le altre razze di Berck, di Hamp e di Yorck. $. 10. Il porcello si ammette alle femmine, per fare da verro, allorchè ha dieci mesi, e la porcella si cuopre intorno agli otto. Secondochè si è detto, la durata della pregnezza è di circa a quattro mesi; i porcellini poppe- ranno per due mesi, se destinansi all'allevamento, un mese o poco più se dovranno macellarsi. 1 maschi da ma- cello si castreranno passato il mese, le femmine a due. Una troja può fare due ventrate per anno, ed anco cinque in due anni. Se ne volete due sole, conviene pro- cedere per forma che la prima venga fuori nel Marzo, e l’altra nel Settembre; acciò i porcellini primaticci trovino già passato il freddo, ed i serotini si fortifichino innanzi che sopravvenga. Essendo la specie suina destinata all’ingrasso, e con- cependo di sì buon’ora, non conviene di mantenerla in prole per molto tempo: un anno e mezzo o due, e non più. Allora castransi verro e troja, affine d'ingrassarli più agevolmente. $. 11. La scrofa, che allatta, va ajutata con cibi suc- chiosi : ordinariamente con beveroni di semola, e con gra- nella di fave, di granturco, ma soprattutto di segale: anco i porcellini si ajutano con beveroncini di crusca e fa- 221 rinacei. Una scrofa, che allatta, ha mattina e sera un be- verone con 4 libbre di crusca. Se nelle adiacenze si trova un buon pascolo, non occorre altro; se no, conviene aggiun- gere delle patate o radici. I porcellini insino a tre o quattro settimane poppano senz'altro ; ma quindi innanzi si cibano di segale cotta in tale quantità che due staja facciano un mese a sei porcellini. Spoppati a due mesi han bisoguo nei primi tempi di un cibo più eletto con mescolanza di qual- che granello. Da che i porcelli sono alquanto fortificati, il custodimento varia secondochè si tratta di razze da pa- scolo, da porcile o miste. Per quelle da pascolo si man- dano a buscarsi il vitto, specialmente nei boschi, dove, oltre ad erbe, rufolando mangiano radici e vermini. Per ingras- sarli si aspetta così il tempo delle ghiande, cioè l’Ottobre. I majali che si pongono nei pascoli ad ingrassar di ghiande, sì proporzionano alla quantità di questi frutti per modo che. ogni capo si abbia un moggio di ghiande. E poichè si. conta nello stesso tempo sul sussidio del rufolare, che si valuta portare un aumento del venti per cento nel vitto, così per ogni ciuque moggia di ghiande si ammettono sei. majali. Un animale che entra nel bosco di libbre 120 di = FS ZIA peso vivo, ne esce di libbre 340. Si guarda che presso al : 4 ‘ bosco siavi dell’acqua, acciò i majali abbiano di che dis- | setarsi. In alcune contrade della Toscana ammettono a fida i majali dentro ai boschi di ghiande al prezzo medio di 15 lire per capo oltre al guardiatico, che nel Chianti è di una lira. Se i majali tengonsi nei porcili si pascono di erbe, rifiuti di cascina e di cucina, radici, patate ec. Le erbe che. prendono con maggiore ingordigia sono la medica, il trifo- glio e le vecce. Non mangiano seccume schietto, ma il fieno di leguminose trinciato, bagnato con acqua calda ed intriso di semola e di farine è inghiottito facilmente. Come regola generale, i majali si dilettan molto dei beveroni tiepidì, 225 in cui siasi sciolto un po'di sale; sicchè giova molto di dare sotto questa forma le rape, le bietole ec., trinciate finmamente ed appastonate con crusca e farine. Le zucche sono a questo fine adoperate più che le predette radici. Dove son cascine, si trae utilità dai residui del latte per alimento dei majali. In Lombardia per quattro mucche si tiene un majale. A finire l’ingrasso dei majali conferiscono le granella, le quali rendono migliore la carne. A questo intento adopransi comunemente le ghiande, ma il gran- turco e le fave producono carne di molto miglior qualità. In Inghiiterra adoperavano tempo fa le panelle di semi oleosi; ma oggi molti usano del seme di lino integro, e, dicono, con maggiore economia. Fra noi, un majale di cinque mesi si porta ad un anno con libbre 500 di semola, staja 4 di fave e staja 6 di granturco oltre ai rifiuti della cucina : allora pesa libbre 300 netto. Un majale ben pa- sciuto, deve giornalmente aumentare il suo peso vivo di libbre 2 e 4 nel primo stadio, di 2 nel secondo, di 1 e ‘4, nell'ultimo. Allorchè si congiunge la stabulazione al pascolo, ciò si fa in varie maniere. In alcuni incontri i majali si ten- gono alternativamente per alcune ore a pascolare, e per altre nel porcile, dove si appresta la profenda più eletta che possa compire ed integrare il pasto del pascolo preso sopra a prati di trifoglio pratense o di medica, ovvero dentro a macchie. In questo caso un porcellino spoppato, si porta insino al punto di metterlo all’ingrasso con 100 lib- bre di zucche, 200 di patate e 2 staja di granturco. In altri casi, l’ingrasso dei majali cominciato col pascolo delle ghiande e si compie poi tenendo per qualche settimana gli animali nel porcile e nutrendoveli di beveroni di farine. Rammentatevi che in tutte queste maniere di custodi mento i majali han bisogno di acqua dove bagnarsi, spe- cialmente nell'Estate. 29 226 $. 12. I prodotti della specie porcina sono i redami, la carne ed il letame. Quanto ai redami è presso di noi lucrosa industria quella di tenere delle scrofe per averne porcellini da vendere dopo la spoppatura: dai 3 ai 5 mesi vendonsi da 24 a 40 lire l'uno, ed anche di vantaggio; ed in un anno possono da una scrofa aversi da 14 a 16 porcellini. La scrofa che abbia figliato due e tre volte, può castrarsi ed ingrassarsi: ciò può farsi eziandio del verro che non abbia ancor due anni. In certi paesi è molto pregiata la carne dei porcellini di latte, ma d’ordinario s’ingrassano per venderli di un anno o poco più. Un majale che pesi vivo dalle 3 alle 4 centinaja costa presso a 26 lire per cen- tinajo; e nel macellario cala intorno al 25 per cento: ma- cellato si vende in proporzione. In un majale assai grasso, il lardo con la pelle ‘e la sugna del ventre prese insieme pesa quasi quanto l’altra carne; la sugna pesa circa un quinto del lardo. Il letame del majale all'ingrasso è ottimo, massimamente quando mangi granella, e l’orina n'è copiosissima. Intorno al letame di majale, vi dirò ch'è di efficacia variabile all'estremo, perchè questo animale si pasce di cibi di differente sostanza, dall’erba insino alle carni. Vero è sì nondimeno che avendo il majale tal potere digestivo da appropriarsi e trasmutare in carne maggior proporzione delle materie assimilabili degli alimenti, che non gli altri comuni animali domestici, a parità di cibo il suo escremento deve restare ‘più dissugato. L'orina poi è copiosissima in grazia ancora dell'abbondanza dell'acqua che ingoja coi beveroni. ; 227 LEZIONE XVI. CONFRONTO DELLE DISCORSE SPECIE DI BESTIAME CONSIDERATE SICCOME MACCHINE PRODUTTRICI ; ED OCCHIATA GENERALE ALLA PASTORIZIA TOSCANA. -0- 8. 4. Confronto rispetto alla forza. $. 2. Alla carne. $.3. Al latte. $.4. Alla lana. $. 5. Ai redami. S. 6. Ai concimi. $. 7. Riassunto generale, $. 8. Con- dizioni della Toscana rispetto alla Pastorizia. $. 9. Maniere varie di cu- stodimento. $. 10. Stato delle produzioni. S. 14. Vizj fondamentali. S. 1. Dato compimento alla trattazione delle singole specie del grosso bestiame, verremo oggi confrontandole brevemente rispetto ai sei prodotti che noi loro chiediamo. Forza muscolare. Il cavallo è il produttore per eccel- lenza della forza muscolare, ed accoppia la celerità al vigore. Ma è soggetto a molte malattie, poco adattato alla soma, e di mantenimento assai costoso. I! mulo, e segnatamente quello nato di asino e di cavalla, è più forte del cavallo, meno delicato e più acconcio alla so- ma; ma n'è molto meno docile e destro. L’asino è pre- gevolissimo ed adattato alla soma nelle regioni alpestri, dove si pasce di alimenti che non basterebbero al man- tenimento nè del cavallo nè del mulo: è però testardo più del mulo, e si ammaestra malagevolmente. In somma le due specie del genere equino ed il loro mulo producono tutte le forme di manifestazione della forza muscolare, 228 e sono adattate qual più e qual meno al tiro ed alla so- ma : il cavallo però avanza per l’uso della sella di gran lunga tanto l’asino quanto il mulo. Il genere bovino non è buono che al tiro, in cui dispiega una gran forza, ma scarsa celerità; la quale è la metà od i due terzi di quella del cavallo secondo il genere di lavoro. Il bove è più veloce del bufalo; ma questo è più forte al tiro. La conformazione del corpo del genere bovino, e segnatamente quella degli zoccoli, congiunta alla gravezza, fa sì che cotesti animali affondino troppo nella terra umida e motosa; ma in cosiffatto genere di fatica durano più che il genere equino non fa : questo ha il disopra in ogni modo trattandosi di carreggiare. Il bove è più mansuete del bufalo, e si ammaestra meglio, ma entrambi la cedono di molto al cavallo; il quale è il solo che non castrato possa assoggettarsi ad ogni sorta di lavoro. Il genere bovino è molto più frugale e rustico dell’equino, ed offre il grandissimo vantaggio di dar carne allorchè non è più acconcio al lavoro. Tutto considerato, nelle aziende rurali floridissime, le quali possono disporre di molto capitale e richiedono una grande attività di lavori in tutto il corso dell’anno, convengono meglio i cavalli ; ed in quelle di contrarie condizioni, il bove. $. 2. Carne grassa. Le specie che la producono sono la bovina, l’ovina e la suina. Quest'ultima prende il grasso mirabilmente, anche all'aperto pascolando nei boschi di querce, mentre le altre due specie richiedono più ricchi pascoli, o la stabulazione. Ma la specie ovina sopporta dif- ficilmente la stabulazione, alla quale è acconcissima la bovina. La suina sostiene anch’essa la stabulazione ; ma per propria indole essendo poco erbivora non dà buona carne grassa che cibandola di granella ; per cui il suo alle- vamento riesce costoso, e non torna economico se non quando la sua carne è talmente pregiata da vendersi ad alto 229 prezzo. Per la qualità poi della carne la specie vaccina ha il disopra, e soddisfa al gusto dei più fra i consumatori. La carne di majale riesce troppo grassa, di sapore acuto, calorosa ed indigesta; e quella di montone, oltrechè ritiene in generale un odore spiacevole, non è poi così salubre nè così nutriente come quella di bove. Bisogna però aggiungere che la carne di majale si adatta meglio alla salatura ed affu- micamento, e che la specie suina dà il lardo e lo strutto per gli usi del condimento che non è dato sperare dalle altre spe- cie, le cui materie grasse equivalenti non possono trarsi che dal loro latte. Adunque tutto computato, l'allevamento del majale si associa meglio alle condizioni forestali, e si trova più spesso in quelle regioni agrarie la di cui economia rurale è poco avanzata: l'Inghilterra fa eccezione. La carne di pe- cora si ricerca ancora nello stato agrario pastorale, in cui quest’animale fornisce agli uomini tutto il bisognevole per cibarsi e cuoprirsi, Abbiamo ancor quì un'eccezione partico- lare offerta dall'Inghilterra, in cui l'allevamento della peco- ra, come animale da carne, si associa alla più florida eco- nomia rurale; e ciò in grazia di quel clima umido e mite, della estesa coltivazione delle rape , della floridezza dei prati naturali ed anche del gusto di quel popolo. La carne dei bo- vini comincia ad usarsi negli stati agrarj in cui comincia l'agricoltura ad associarsi alla pastorizia, e segue i succes- sivi periodi d’incivilimento dell’uomo; perlochè noi possiamo considerare la specie bovina come la macchina da carne per eccellenza, E se il majale porge il lardo, la vacca fornisce. separatamente il burro. S. 3. Zatte. Dei nostri tre animali da latte, la mucca, la pecora e la capra, il primo la vince sugli altri due, sebbene il suo prodotto sia meno butirroso di quello di pecora, e meno cacivso dell'altro di vacca, e sebbene in ragione di corporatura la capra vinca la mucca rispetto alla quantità. Ed in verità il latte, il burro ed il formag- 230 gio di pecora, e più anco quello di capra, sanno dell'ircino, e non han mai quelle altre qualità che piacciono nei pro- dotti della mucca. Oltre di che la mucca consente la sta- bulazione più della pecora e della capra: questa poi al pascolo arreca danni gravissimi. Se non che i pascoli magri vengono messi a profitto meglio dalla specie ovina, la quale nello stato di alleva- mento all’aria libera è più mansueta ed all'uomo sommessa, che non la bovina. Inoltre nello stato vagante è più acconcia la pecora che va più facilmente delle vaccine, e si rende utile non solamente per la carne e pel latte, ma anco per la lana e per la qualità dei suoi escrementi, che nello stab- biare rispondono a fertilizzare la terra più che non fanno quelli di vaccine. Pertanto l'allevamento della pecora, sic- come animale da latte, si associa ai primi periodi dell’ in- civilimento umano, e cede successivamente il posto alle vaccine. $. 4. Lana. Per la produzione pelosa, ba certamente il vantaggio la specie ovina. Il cavallo dà dei suo crino, ed il majale delle sue setole, materia utile all’ industria; ma son questi prodotti da stimarsi poca cosa appetto alla lana degli ovini ed al pelo dei caprini. La pecora frattanto ha il di sopra rispetto alla c»pra, il cui pelo non è stimato se non quando è dotato di certe qualità, specialmente di lunghezza, splendore, e finezza, che si trovano soprattutto nelle capre di Angora, e meglio in quelle del Thibet. Il prodotto della lana poi considerato siccome il principale nell'allevamento della specie ovina, non porge ragguardevole utilità che quando è di una finezza particolare. Perciò le pecore merine, come animali da lana, sono preferite alle altre, e possono anche sopportare talvolta le spese di stabulazione che le altre razze più ordinarie non sostengono. $. 6. Redami. Nelle specie animali discorse da noi, la suina è certamente la più prolifica; e quindi giù giù dispon- 231 gonsi la caprina, l’ovina, la bovina e da ultimo la cavallina. Ma dal lato degli utili che se ne posson cavare, allorchè si attende all'allevamento del bestiame producendo razze di- stinte, la cavallina ha il vantaggio ; imperciocchè sono i suoi prodotti quelli il cui prezzo varia maggiormente a norma di certe qualità pregiate dai, compratori. Così se voi avete da vendere redami porcini, ovini o vaccini, trarrete cer- tamente a peso eguale un prezzo maggiore da quelli che hanno forme più belle ed indicanti una maggiore attitudine a certe speciali produzioni; ma questo prezzo differenziale è grandissimo per la specie cavallina, nella quale un indi- viduo di bella razza può costare venti e più taati di altro individuo del medesimo peso, ma di brutte forme. Tuttavia per un allevatore ordinario , e provvisto di pochi mezzi di conservare una buona razza o di perfezionarla, Ja_ produ- zione dei redami sarà più utile rispetto alla specie suina e vaccina, le quali trovano lo spaccio nei macelli, che rispetto alla cavallina. $. 6. Concimi. In efficacia il concime di pecora e di capra ha il primo posto, poi quello di majale ingrassato con farinacei, o di cavallo biadato; poi l’altro di majale che si pasce di erbe e da ultimo quello di bovini. Ma lo sterco pecorino ed il caprino sono troppo ricchi, e ‘non possono nelle debite proporzioni fertilizzare uno strato profondo di terra; siechè sono da considerare più come concimi da amministrarsi a singole culture secondo certi peculiari bisogni. Inoltre non s incorporano che difficilis- simamente alla materia che serve di letto. Lo sterco di cavallo è assai asciutto; e sebbene si sciolga facilmente, pure non si rimescola bene al lettime senza una prolungata fermentazione, od un artificiale e ripetuto annaffiamento. Si aggiunga che ribolle presto, e richiede un pronto uso. Lo sterco suino è assai tegnente, ma non tanto umido; nulladimeno si rimescola alla lettiera a cagione della molta 232 orina che mandano i majali. È poi di troppo lenta decom- posizione se il porco si ciba di erbe o radici, ma si ri- scalda presto se si pasce di farinacei o di sostanze ani- mali. Lo sterco bovino è molto umido, più tegnente di quello di cavallo, sebbene meno dell'altro di pecora ; ade- risce al lettime e l'ammorbidisce. Se non gli si rime- scola artificialmente, richiede un certo grado di fermenta- zione per incorporarvisi, ma meno che quello di cavallo, e può meglio passarsi d’annaffiamento per l’umido che na- turalmente racchiude. Il molto volume suo, in proporzione della forza nutritiva, fa sì che se ne spargano grandi quan- tità : con che s'ingrassa uno strato di terra di molto spes- sore. La sua lenta decomposizione consente di amministrarne lunghe dosi a notabili intervalli, mentre il conciò cavallino ed il pecorino vogliono essere sparsi spesso ed a poco per volta. Tutto sommato adunque, la specie bovina è quella che meglio si adatta alle grandi aziende rurali pel concime che somministra; appresso viene la cavallina e da ultimo l'ovina e la suina. Avendo di tutti questi concimi poi, la miglior cosa è di tagliarli e rimescolarli insieme: lo sterco di pecora e di capra è quello che si può facilmente seccare e serbare per darlo in polvere alle piante che si vogliono sussidiare prontamente. $. 7. Raffrontando adunque le specie animali, di cui abbiamo favellato , e le produzioni che se ne ottengono, troviamo che le pecore somministrano tutti i prodotti animali, e forniscono all'uomo ogui suo bisognevole. Son desse del più facile allevamento ; sostengono maggiormente le peregrinazioni, ed i loro escrementi fertilizzano meglio i pascoli, nuocendo meno all'erba. Perciò i greggi pecorini si accompagnano ai primi stadj dell'economia rurale. I ma- Jali sono più indomiti e selvatici, e non danno che carne e grasso. Nondimeno utilizzano le radici e le ghiande dei boschi con poca cura e sorveglianza, e si raccomandano per 233 la gran prolificità; ma non potendo fornire il bisognevole all'uomo, non compariscono se non in quei paesi, nei quali sebbene l'economia rurale vi è poco avanzata, nondimeno per la vicinanza di regioni popolate si offre l'occasione dello spac- cio dei prodotti, i quali così non vengono che a supplire ad una parte solamente dei bisogni dei popoli. La specie vac- cina è più difficile ad allevare dell’ovina e della suina, ma in numero di prodotti agguaglia la prima, poichè se ha di meno lana porge invece la forza muscolare, e la vince troppo sull'altra. Cotali prodotti poi sono più accomodati a soddi- sfare ai bisogni di popoli più civili; e siccome serve mira- bilmente l’agricoltura colla sua forza muscolare e coi con- cimi, perciò si trova a far parte di stati molto floridi della economia rurale. L'allevamento della specie equina, il cui prodotto è la forza muscolare, non tenendo conto dei redami che son destinati a mantenere le specie, è molto più ristretto; e non ha notabile estensione che presso i popoli guerrieri o presso i molto inciviliti. Al cavallo si sostituisce il mulo o l'asino nelle regioni più povere, aride e montagnose. Quanto poi ai servigi che ne trae l'economia rurale, i ca- valli non hanno grande importanza se non nelle floride aziende tenute per proprio conto. Del bufalo è da farne poco caso, sebbene potete ancor vederne sopra le colline pisane, dove il loro numero si assottiglia di anno in anno. Avvegnachè più forte al tiro e più frugale del bove, il bu- falo è tanto indomito ed insofferente del caldo, e la sua carne sì poco accetta, che deve sparire dalle nostre aziende rurali. OCCHIATA ALLA PASTORIZIA TOSCANA. S. 8. Prima di por termine alla’ Pastorizia considerata sic- come la seconda parte del nostro corso di Economia rurale, mi permetterete di far delle cose discorse applicazione al nostro paese. In questa rapida occhiata complessiva riterrò 30 234 la divisione della Toscana in quelle quattro zone economico- rurali, di cui mi valsi nell’anno passato per dare un'occhiata consimile alla mostra Agricoltura; e sono: 1.* la zona luc- chese ; 2.* la valdarnese ; 3.* la volterrano-senese; 4.% la maremmana. Il clima, il suolo e lo stato agrario della Toscana mo- stransi acconci in grado mezzano all'allevamento del bestia- me. La temperatura del verno è molto mite, specialmente nelle pianure e nella zona maremmana; ed il calore estivo sopportabile. Quanto al suolo, tra noi il monte è general- mente separato dal piano troppo di lancio, e mancano quelle ondulazioni di suolo, per le quali la terra nello elevarsi si mantiene pianeggiante. D’onde avviene che mentre le piane sono spesso troppo umide pel bestiame, le erte riescono troppo secche, ventose e di vegetazione erbosa tardiva e scarsa. Quanto all'umidità, le nostre più tiepide regioni, che sono le littorali, presentano frequenti stagni e terreni acquidosi, i quali rendono meno sano l’aere alle bestie, ma soprattutto agli uomini che debbono cu- stodirle. Circa alla produzione dei foraggi, le pianure vi sono molto adattate, e specialmente in grazia della mitezza del clima che permette una vegetazione quasi perenne: d’onde gli erbaj autunno-vernini. Se non che ci nuoce non poco la siccità estiva; la quale potrebbe spesso vincersi per mezzo dell'erba medica, nei terreni sciolti e mezzani di allu- vione, e per mezzo delle irrigazioni cavando profitto dalle acque che solcano il nostro territorio. Di quest’ultimo be- nefizio non si avvantaggia però al presente che la zona lucchese, e lo fa più per la produzione granifera che per la erbosa; ed i prodotti dei prati, che vi s’irrigano , con- sumansi più per pascerne il bestiame cavallino della città o quello destinato ai trasporti commerciali, che per allevarne il bestiame rurale. Per tutto poi è trascurata la produzione 235 dei foraggi come principale cultura; e la quantità di be- stiame, che vi si alleva, non istà in proporzione coi mezzi di sostentarlo. Venendo alle zone particolari, troviamo il bestiame, in proporzione al terreno, più abbondante nella prima zona; e quindi più scarso secondochè ci avviciniamo all'ultima. Il bestiame bovino, il suino e l'ovino sono i più sparsi. Nella prima zona primeggià il bovino ; nella seconda accade lo stesso, ma nei poderi si alleva qualche cavallo; nella terza comparisce l’ovino ed anche il suino, i quali sono più copiosi nell'ultima zona; in cui però trovasi un gran numero di pecore straniere al paese, le quali vanno a sver- narvi dai paesi che. limitano a nord-est la Toscana. 6. 9. Noi non abbiamo razze nostrali veramente defi- nite, nemmen quelle vaccine di Val di Chiana, di Marem- ma, del pisano, e le così dette magnane ; ma almeno le ora divisate ci si accostano. Le altre sono in tutte le specie un bastardume, fuorchè nella suina. Il sistema di stabula- zione è seguìlto quasi per tutto nella prima e seconda zona ; si associa alla pastura nella terza, la quale pastura pri- meggia quasi esclusivamente nella quarta, dai bovi di la- voro in fuori che si tengono alla stalla nella stagione jemale. Framezzo alla penuria di prati naturali ed artificiali falciabili, e quindi di fieno, la stabulazione si ajuta nelle nostre mezzerie della paglia; e nei poderi, che sono a poca distanza delle paludi, si fa acquisto di fieni di bassa qualità che si mescolano in piccola proporzione al prodotto degli erbaj, alla paglia ed agli strami che servono di cibo: per letto vi si usano le erbe palustri. Là ove mancano le paludi, una parte degli strami di cereali serve di lettime, e si raccattano foglie di bosco pel medesimo fine : le paglie si tritano ed impolverano di farina di fave, di vecce, mo- chi, saggina ec. Nelle adiacenze palustri della prima e se- conda zona, i terrazzani hanno d'’ordinario il diritto di 236 pascolo e di erbatico sui fondi delle comunità o dei parti- colari, ed allevano parte in pastura e parte alla stalla molte vaccine, il cui aspetto disvela il pessimo nutrimento da loro usato. In generale nella stabulazione gli animali ricevono un cibo variato quasi ogni giorno, posciachè nella man- canza di prati appositi si cava partito di ogni erba. Nel verno le cime secche ed i cartocci di granturco, i gusci di fave, le paglie di vecce, di fagioli, di piselli, di frumento, di avena e di segale formano quasi per tutto le provvi- sioni secche. Nella prima zona hanno le rape estive, che affettano e danno giornalmente al bestiame assieme alle pa- glie predette e ad un po’del peggior fieno palustre, detto da vacche. In una parte della seconda zona usano le rape autunno-vernine seminate con granturco, saggina fave, orzo, avena, segale ec. In autunno falciano il foraggio cereale più primaticcio ; poi cavan le rape. e quindi segano il foraggio cereale più serotino. Nella parte più discosta dal mare in questa zona mancano gli erbaj invernali, e non vi suno che quelli del cominciamento di primavera. In primavera le erbacce che nascono framezzo a tutte le culture, spe- cialmente di cereali d’inverno, su per le viottole e nelle fosse di scolo, servono ad alimentare il bestiame insino a Giugno, in cui si ricorre specialmente alle erbe spontanee dei faveti, framezzo a cui talvolta han già seminato l’avena. Nel Luglio cimano i granturchi, falciano i granturchini se- minati per foraggio sulle prode dei campi e negli acquai, stralcian le viti e sfrondano i loro sostegni viventi. Nell'Agosto sfogliano i granturchi, continuano a stral- ciare le viti ed a sfrondare i sostegni loro, e debbono ricorrere ai paglia} per supplire alla penuria di mangimi freschi: qualcuno falcia le sagginelle maggesi seminate per foraggio, e pochi hanno un pezzetto di medicajo al bisogno. 237 Nel Settembre i mangimi freschi scarseggiano più che “mai, se nel Luglio non si son potuti seminare i granturchini e le sagginelle sulle stoppie: si sfogliano sempre e viti e pioppi, e si ricorre alle pagliaje. Nell’Ottobre vengono in ajuto i granturchini, le sagginelle e le solite foglie di viti e pioppi: chi ha gelsi li sfronda per la seconda volta. Nel Novembre si falciano gli erbaj di orzo, avena e fave, e si ricorre ai pagliaj: cominciano già a cavarsi le rape, le quali restan quasi sole a venire in ajuto delle pagliaje nel Dicembre, Gennajo e Febbrajo. Le farine si usano in pa- recchi luoghi, ma molto più le semole. Nella terza zona il fieno di lupinella si vende pel con- sumo dei cavalli, e poco ne mangiano le bestie rurali: quivi il bestiame pasce l'erba di cattivi e magri pascoli, o paglie alla stalla con qualche scarso soccorso di farinacei ; ed il passaggio dalla bella stagione alla cattiva è molto più subitaneo che nelle zone precedenti. Nella quarta zona finalmente il bestiame pascola di continuo, salvo i bovi da lavoro come si è detto di sopra. Nell’avvicendamento triennale però, o terzeria, il pascolo ha luogo sopra terreni dissugati dal ritorno troppo frequente dei cereali; e sebbene nella quarteria questo ritorno è di- radato, pure il terreno vi suol essere di peggiore indole. Nell'inverno poi il bestiame vaccino si trasloca nei boschi, dove il pascolo è poco buono e certamente non copioso. Quanto ai greggi ovini, il tenerli nei boschi ed il man- darli a svernare nelle pianure basse, son cause di marciaja. Gli alimenti e le bevande subiscono nelle prime tre zone qualche preparazione prima di essere amministrati. Le paglie, gli strami ed i fieni vengono d’ordinario trinciati col falcione a gramola ; le rape affettate a mano con una falce o con un coltello dopo di averle lavate. L’erba si trincia più raramente, perchè nella bella stagione si suol dare in- tiera a tutto pasto; e nell'inverno è d’ordinario sì corta che 238 la mescolano così com'è al seccume grossolanamente trin- ciato. I foraggi secchi poi non si bagnano, fuorchè la pa- glia tritata che s’intride di farina: non si fanno mai fer- mentare. Le granella si macinano ; e ridottele così in farina, si apprestano in beverone nell'acqua tiepida alle bestie al- l’ingrasso ed a quelle da latte: e più spesso se ne intride la segata di seccume, e specialmente quella di paglie e di strami di cereali per farla mangiare alle bestie più volen- tieri. Nella seconda zona e parte della terza, ma segnata- mente in Val di Chiana, usano la digonciata od il cotto, mettendo a bollire la vinaccia in acqua, o facendola ma- cerare in acqua calda, e poi versando il tutto in bigonce, nelle quali si è già messo della segata di fieno e paglia impolverata di farina di fave, vecce, ec. Ciò fatto si rime- scola il tutto, si cuopre con un sasso e si lascia così rin- venire per due o tre ore prima di usarne. La vera cottura e la fermentazione non sono adoperate nella preparazione degli alimenti. Quanto alle bevande ,. si usa in generale l’acqua pretta ; ma per le vacche da latte e pei vitelli son comuni i beve- roni tiepidi intorbidati con semola. S. 10. In Toscana si domanda la forza muscolare pei lavori rurali alla specie vaccina : i cavalli non servono che ai soli trasporti fuori dell'azienda rurale. Il che accade specialmente nella parte più bassa della seconda zona, in cui l’uso invalso di andare lontano in cerca di conci, obbliga a tenere dei cavalli per quest’uso. Nelle nostre mezzerie poi trovasi spesso una cavalla per servizio dei con- tadini, i quali delicati, come sono, muovonsi difficilmente a piedi per piccolo che sia il tragitto che debbon fare; e poichè il capoccia, e spesso anche altri membri della famiglia, non mancano di recarsi ad ogni mercato delle vicine piazze, si servono della cavalla, la quale rispetto al padrone non dà che un meschino prodotto nel suo redo. 239 Nei piccoli poderi di terra sciolta, ed ove è in uso la van- ga, si fanno lavorare le vacche, cui allor si chiede forza muscolare, redi e, nelle vicinanze della città, anche latte. Nei poderi grossi, o che hanno terre compatte, ai bovi si domanda lavoro e carne, poichè si vendono al macellajo d’ordinario quando sono ancor giovani, ma finite le fac- cende della stagione. Pel lavoro si alleva nella terza zona la razza bianca; la quale sebbene sia un bastardume, porge tuttavia di tanto in tanto ottimi individui da fatica. I bovi della razza nera sono più fiacchi; e le femmine nou si tengono pei lavori che quando sen trae anche profitto per la produzione del latte nella seconda zona. Nella quarta zona usano bovi di lunghe SORA, pelo grigio, forme bufaline, e statura mezzana. La produzione della carne si ottiene dal bestiame vac- cino e dal suino; quella di pecora è poco pregiata, se ne togli la tenera di agnello. È celebrata la vitella di latte del Pietrasantino ed i bovi grassi della Chiana nutriti spe- cialmente di rape. Nella prima e seconda zona si producono molti bovi grassi; pochi nella terza, e quasi punti nella quarta. I majali si allevano poco nelle prime tre zone, ove solamente il contadino ne tiene uno ovvero due per uso della propria famiglia: fuorchè nel Val d'Arno di sopra, in Casentino e nel Chianti, dove l'allevamento dei suini è anco nelle mezzerie più copioso. Nella quarta zona i branchi di majali si allevano nelle macchie di piante ghiandifere. La produzione del latte di vacca è ristretta alle adia- cenze delle città popolate ; poichè ci manca, salvo pochis- sime eccezioni, l'industria di trasformarne il latte in burro e cacio: comestibili che nella più parte si traggono di fuori. Non è così dei formaggi di pecora, di cui si ha una certa produzione nella terza e quarta zona, e di buona qualità. La lana non costituisce in Toscana il prodotto princi- pale nell'allevamento del bestiame pecorino, da cui vuolsi 240 al tempo stesso latte, redi e lana. La nostra lana non serve che ad usi grossolani; e comecchè nelle Maremme siasi cercato d’ introdurre il sangue merino, credo che resti colà molto da fare. La lana delle razze indigene si accosta molto per le sue qualità al pelo di capra, ed è quindi grossolana, poco cresputa ed assai rada. L'industria dei redami, specialmente nella specie vac- cina, è molto estesa fra noi: ma mancano le buone razze, e quindi i prezzi dei redami stessi si tengono bassi e poco variabili. Gli escrementi si raccolgono con cura nella prima e seconda zona, ed in parte ancora nella terza; ma si custo- discono male. Nella terza e quarta zona si fa un traffico speciale del pecorino e caprino che si vendono dai cinque sesti di lira alle due lire il sacco. Non essendovi produzione predominante nell'allevamento del bestiame in Toscana, e segnatamente nel vaccino, i nostri coltivatori non badano a conservare i loro più pregevoli ani- mali che vendono al primo venuto, anche dopo pochi giorni che gli hanno acquistati, qualvolta possono guadagnarvi ‘qualche scudo. In tal modo il bestiame si rinnuova di con- tinuo nelle stalle; ed alcuni capocci, esperti di questa mercatura speciale, che chiamasi rigiro, fanno notabili guadagni a spese dei meno pratici. Se gli animali si alle- vassero per una determinata produzione, questo rigiro non potrebbe aver luogo. Chi venderebbe un buon pajo di manzi, del cui lavoro fosse contento, per qualche scudo di guadagno? Chi una eccellente mucca lattaja ? In tali casi il guadagno nella vendita dovrebbe esser grassissimo per compensare la perdita del prodotto derivata dalla diffi- coltà di provvedersi di animali egualmente buoni. Il vendere del bestiame sta bene quanto ai capi che si allevano per la crescita: quindi pei vitellami o per gli animali al- l’ingrasso; ma mon so intendere che debba farsi siste- 241 maticamente per le vacche da frutto e da latte, nè pei bovi da lavoro, salvo il caso di età già avanzata o di cattiva qualità degii animali. Alcuni dicono che si vada incoutro a maggiore rischio tenendo lungamente le stesse bestie in stalla; ma io credo che sen corra di più rin- novandole senza ragione, poichè a bestie già cognite se ne surrogano delle sconosciute : se avete bestie buone, non potrete che perdere probabilmente nel baratto. — Ma torneremo su tale argomento nella terza parle di que- sto corso. $. 11. Guardata in complesso la nostra Pastorizia, mi pare di scorgervi questi due vizj cardinali: la mancanza di razze definite, e l'insufficienza dei mangimi. Quanto alle razze, io non credo che in un paese di piccola cultura, siecome è il nostro, convenga di avere tante razze speciali quante sono le principali produzioni; ma sarebbe certa- mente necessario di possedere razze ben definite, i cui individui fossero dotati di qualità costanti. Nella nostra mezzeria, per esempio, l'esiguità dei poderi non consente di tenere occupate le bestie da lavoro per la più parte dell'anno. Così essendo, nen potrà convenire di avere razze cavalline nè bovine unicamente acconce al lavoro rurale. Ma almeno bisognerebbe studiarsi di creare una razza costante bovina, la quale congiungesse possibilmente una certa attitudine pel lavoro a quella di prender carne. Nelle vicinanze delle città, torna di adoperare le mucche al lavoro delle terre sciolte nei piccoli poderi; e pertanto è utile una razza assai lat- taja e discretamente robusta. Ma noi mancando di razze costanti e ben definite, avremo solamente pochi individui tratto tratto che presentino le qualità richieste. Finchè nel paese non è sentita la necessità di avere individui di razze costanti, e quindi l'utilità di pagarli a molto maggior prezzo che non si farebbe per la sola carne, avremo sempre ba- stardumi. Ora col nostro sistema di mezzeria, in cui i con- 31 242 tadini sono gli arbitri di fatto nella direzione economico- rurale delle aziende, questa radicale riforma mi apparisce, se non impossibile, almeno estremamente malagevole. Quanto ai mangimi è superfluo dimostrarne |’ insufficien- za. Nella prima zona, ed in parte della seconda, la man- canza è minore; perciocchè le paludi vengono in soccorso dei poderi coi pattumi e coi mezzi fieni, e le vicine città somministrano molti ingrassi, i quali rendono la terra tanto ferace da dare anco discrete raccolte di erbaj autunno-vernini. Laddove poi questi vantaggi mancano, il sistema di cultura differisce poco; e pertanto il bestiame vi si alleva misera- mente. Nè vi sopperisce l’uso delle farine; poichè mentre non torna economico di destinare a pastura delle hestie le gra- nella utili al vitto umano, la carezza dell'alimento ne fa usare solamente come condimento per allettare le bestie a mangiare i cibi magri: queste se ne satollano, ma ne trag- gono scarso nutrimento. Date un'occhiata alle nostre stalle, & fate nell'Ottobre e nel Marzo due inesseri da comparare tra di loro; ci vedrete una differenza enorme di valore, la quale deriva da ciò che il bestiame è dimagrato fuor di modo al declinare del verno. Ora con questo dimagramento , che pro- viene dall’insufficienza dei cibi, voi fate due perdite: la di- minuzione nel prodotto e nel valore delle vostre bestie; ela perdita del mangime consumato improduttivamente, perchè non sufficiente a mantenere gli animali, i quali perciò stesso sono dimagrati. Vi rammento che cibando una bestia tanto quanto basti a farla solamente vivere, senza crescere nè dare alcun prodotto, si spreca al tutto il mangime adoperato. Adunque un bove tenuto in stalla, che pesava nell’Ottobre, poniamo, duemila libbre, e che nel Marzo pesa milleottocen- to, vi è cagione di due perdite: l'una rappresentata dalla valuta di tutto l’alimento consumato in quattro mesi, più le altre spese di mano d'opera, assicurazione dei rischi e pe- ricoli ec.; l’altra dal calo sofferto di libbre duecento , a com- \ 243 pensare il quale dovrete adoprare una certa quantità di alimenti, la quale resulterà maggiore di quella che sarebbe stata necessaria a prevenire siffatto calo ; perchè le bestie, le quali ban sofferto lo stento, ritornano troppo malage- volmente nel primiero stato. La perdita, che sopporta annualmente la Toscana nello svernare il bestiame, è immensa ; e non vi ha quasi conta- dino che nell’Ottobre faccia bene i suoi conti per entrare nel verno con un numero di bestie proporzionato alle radunate provvisioni: cosa che accade più specialmente nelle due prime zone, in cui si confida d’ordinario troppo sul prodotto degli erbaj autunno-invernali. La gente poco istruita suole sem- pre sperare soverchiamente; ed è perciò che le compagnie di assicurazione prosperano poco nei paesi, la cui popolazione non è gran cosa illuminata. Secondo questa legge generale i contadini fan troppo assegnamento sul prodotto dei men- tovati erbaj, il quale, quando per asciuttore e quando per troppo freddo, o per soverchia umidità, suole riuscire molto al disotto delle speranze che se ne sono cencepite. E siccome nel seguito è troppo tardi per disfarsi del soverchio bestiame senza gravi scapiti, perchè pochi comprano in virtù delle medesime ragioni, i contadini si rassegnano ad andare avanti riducendo a scheletri le povere bestie, e’ gittandone la colpa addosso, non alla inesattezza dei fatti conti, ma sì bene al corso delle stagioni. Al che è da aggiungere come il contadino stando del continuo in timore di vedere sguar- nita la sua corte, il che sarebbe per lui una sciagura nel caso di disdetta dal podere, stringe la mano e pasce a spizzico 0, com’egli dice, alla meglio: con che va incontro ad un male certo per cansarne uno possibile. Allo stento poi non di rado tengono dietro per giunta le malattie. Ed allora a chi la colpa ? alla cattiva sorte ed anco al poco favore di Sant'Antonio, il quale non ci ha per certo niente che vedere. 244 Il rimedio a tanto male sta nella cultura dei foraggi, e principalmente dell'erba medica in un paese privo del benefizio delle irrigazioni com’è la Toscana. Le nostre pianure di alluvione, e le vallatelle che s’insenano nei poggi, hanno a dovizia terre sciolte o mezzane di suffi- ciente. fondo. È quivi che io raccomando di coltivare i medicaj, il cui foraggio adoprato verde o secco conferisce ad ogni produzione, ma soprammodo a quella del latte. Ingrassata la terra coi letami ricavati dai medicai, porterà bene nel verno anco le rape. Rammentatevi adunque che in Toscana potrete contare sull’'abbondanza di foraggi quando avrete terre da medica] e da rape vernine. Non vi fidate dei foragg idecantati in climi dai nostri troppo differenti, ma attenetevi, ripeto, all'erba medica ed alle rape vernine, che sono per noi i foraggi più utili; e ciò senza trascurare gli altri, secondo le condizioni del luogo, e specialmente la lupinella ch'è un altro foraggio nostrale sol prezioso in quelle circostanze, dove non prova il medicajo. Eccovi detto quanto è a voi più necessario a sapere in materia di Pastorizia. Per la ristrettezza del tempo concesso a queste nostre conferenze ho stimato di met- tervi davanti i principj fondamentali dell'allevamento del bestiame nella parte generale della Pastorizia; in cui s'integrano le notizie che vi ho esposto nel trattare delle singole specie, intorno alle quali ho omesso quelle minuzie che sol potrete acquistare con la pratica. Nella prossima Lezione, ed a modo di Appendice alla Pastorizia, vi dirò dell'allevamento dei bachi da seta. 245 LEZIONE XVII, APPENDICE ALLA PASTORIZIA. -Q- ALLEVAMENTO DEI BACHI DA SETA, SOMMARIO, 8. 4. Disposizioni organiche. S. 2. Vita del baco. $. 3. Conseguenze ap- plicabili allo allevamento artificiale. $. 4. Condizioni della biga!taja. S. 5. Stufina da cova. $ 6. Trinciafoglia. S. 7. Castelli. S. 8. Carta, reti e bosco. $. 9. Foglia, $. 1. L'allevamento dei bachi da seta forma parte precipua della nostra economia rurale; e pertanto ne faremo parola come io appendice a quello del bestia- me, ossia alla Pastorizia. È vero che costituisce una separata industria; stantechè non può considerarsi nè come un modo di smerciare i prodotti degli avvicendamenti dei terreni, nè come ausiliario della coltivazione dei campi. Nulladimeno il suo prodotto è importante per la ricchezza; importante per la stagione in cui viene avanti, e nella quale cotal risorsa è tanto più valutabile in quanto nell’atto che si manca di altre entrate, se ne ha poi maggior bisogoo per la imminente raccolta dei cereali. Io mi studierò di racchiudere in poco spazio ciò che vi è mestieri sapere del- l'allevamento dei bachi; e perchè il metodo ajuti la chia- rezza, vi darò anzitutto poche nozioni sulla vita naturale del baco, le quali spianar vi possono la via per giungere ai procedimenti artificiali, che sono più secondo ragione. 246 Tutti voi avete veduto bachi da seta; ed in ogni modo conoscete già qualcuno dei comuni bruchi, cui i detti bachi somigliano. Eccovi frattanto un baco da seta che vi pongo sott'occhio perchè intender possiate più agevolmente come sia organato. Dategli di grazia un'occhiata: non vi par egli un cilindretto vivente? Siffatto cilindro è coperto dalla pelle; ha in cima due mascelle che prendono e rodono il cibo, e sotto alle quali sta nel mezzo una piccola appendice quasi conica, da cui a suo tempo verrà fuori la bava serica per la formazione del bozzolo; in dietro l’ano ; sulla faccia superiore o dorsale vedete trasparire un canaletto contrattile, ch'è il suo cuore; sulla faccia inferiore e ven- trale scorgete prima otto zampe molli e membranose , e più avanti altre sei più rigide ed articolate. AI di sopra della fila delle zampe ne trovate un’altra di punti neri, ossia stimmate, che non son altro se non le aperture di al- quanti canaletti meravigliosamente ramificati, detti trachee, e nei quali l’aria si rinnuova ed opera nel modo stesso che nei nostri polmoni. Eccovi ora un altro baco disseccato a mostrarvi il suo interiore. Guardate un lungo condotto, il quale si narte dal mezzo delle mascelle e si termina all’ano : è il canale digerente, diritto e lungo quanto l’animale stesso. Cos ffatto canale, in continuazione della bocca ha un ta- betto stretto e corto: è l’esofago ; poi lo stomaco , il quale occupa quel tratto più grosso del corpo, che i contadini chiamano testa. Viene appresso l'intestino, nella cui estre- mità posteriore si trattiene ‘e configura in cacherello il cibo digerito. All’intestino attaccansi certi cordoncini che segre- gano materie cooperatrici della digestione e dell'assimilazione. Il sacco esterno della pelle ed il sacco interno del ca- nale digerente sono, direi quasi, saldati alle due estremità lasciando tra loro uno spazio libero, nel quale si allogano distesi per lungo i seguenti organi: al di sotto del tubo digerente i cordoncini nervosi coi loro centri; al di sopra 247 quel canale che trasparisce sotto alla pelle , e che abbiamo detto tener luogo di cuore nei nostri animaletti; lateral- mente gli organi setiferi ed i canali dell’aria oltre ai germi degli organi generativi, i quali si sviluppano poi nella crisa- lide a spese di questa specie di grassume, che empie lo spa- zio lasciato dai due sacchi ed avvolge gli organi mentovati. Nella crisalide si annulla quasi il canale digerente, e spariscono le mascelle e le false zampe per dar luogo allo svolgimento di altri organi, e soprattutto dei generativi; i quali sono assai complicati, massime nelle femmine. Ma ciò vi basti dell'organamento dei nostri animali: veniamo ora alla loro vita. $. 2. I bachi assumono tre forme: di bruco, di crisa- lide e di farfalla. Nello stato di bruco crescono ed appa- recchiano quanto occorre agli altri dae stati, ammassando la materia assimilata nel proprio corpo. Nello stato di cri- salide il baco sta fermo; e nelle sue interiora operasi l'evoluzione degli organi di farfalla a spese delle materie nutritive apparecchiate e tenute in serbo. La farfalla vien fuori dalla crisalide- bell'e perfetta come Minerva dal capo di Giove; e di presente dà opera alla riproduzione. Adunque lo stato di bruco è deputato quasi affatto alla assimilazione del cibo ed a fornire i magazzini dell’organamento, che avrà luogo nella crisalide; lo stato di crisalide, sotto alle appari- scenze esterne di profonda quiete, vela un lavorio plastico il più attivo e sorprendente: cessa la vita esterna, per dir così, onde ingagliardire la interna. Nello stato di farfalla vi ha il compimento dell’opera dei due precedenti, i quali possono tenersi come preparatorj al medesimo. Ciò posto, diciamo quanto è più necessario a sapere delle funzioni di questi tre stati, e più specialmente di quello di bruco. Abbandonata a sè medesima questa specie, la femmina deposita le uova in qualche ripostiglio del gelso; dalle quali uova, al ritorno della bella stagione, veranno fuori i 248 brucini a rodere la tenera foglia, ch'è divisa dalle loro mascelle in minutissimo tritume, somigliante a fine se- gatura. È poi notabile che dopo la digestione può ben distinguersi nel cacherello; di guisa che, pare che il baco ne cavi il suo nutrimento lasciando intatta la forma dei mi- nuzzoli della foglia, e come per una specie di infusione. Che che ne sia, la foglia tritata ed ingoiata discende solle- citamente pel canale digerente e view fuori dall’ano sotto forma di cacherello, mentre il succhio spremuto penetra nell'interiora dell'animale; dove una prima parte ingrossa gli organi setiferi, una seconda accresce le altre parti del baco, e la terza arricchisce il magazzino per la evoluzione della farfalla. È chiaro però che di queste tre parti la meno significante pel baco è la prima; imperciocchè la seta non serve che a preparare un tetto a protezione del lavorio plastico dell’organamento della farfalla; il quale pertanto è l'atto più importante, come più importanti sono da sti- marsi le materie che vi sono destinate. Per mala ventura l'uomo non si cura che degli organi setiferi ! La rapida assimilazione del cibo porta seco una pro- porzionata attività nella respirazione. Ond'è che se il baco ha gran bisogno di foglia, non ha meu d’uopo di aria continuamente rinnovata, la quale per le stimmate penetra nelle trachee. Volete voi averne una prova? Quì sono un bruco ed un poco d'olio. Intingo nell'olio ia cima di questo fuscellino, e ne ungo tutti i punticini che vi ho detto dar adito all'aria nel baco. Eccovi in un attimo la bestiuolina dibattersi, arroncigliarsi: è già morta. A qual altro animale la chiusura delle vie respiratorie adduce morte tanto repentina ? L’ingrossare del baco è sì rapido, che la stessa pelle non può in giusta proporzione distendersi. Di quì è che i bachi mutano ripetutamente di pelle, cioè quattro volte nelle razze dette reali, e nelle trevoltine tre. Pertanto finita 249 la muta, la nuova pelle apparisce grinzosa, mentrechè allo avvicinarsi della seguente dormita, diventa oltremodo di- stesa ed un po’ splendente: ciò accade più manifestamente prima e dopo l’ultima muta. Le mascelle, che non cre- scono gradatamente col crescere del corpo nel corso di ogni età, ingrandiscono anch'esse durante il travaglio della muta; talchè pajono piccole in paragone del corpo all'approssimarsi delle dormite, e grosse all'incontro quando il bavo sia spo- gliato. Cotali mutamenti di pelle si accompagnano ad un lavorio assai profondo, nel quale forse, oltre alla pelle ed alla mascella, l’epitelio, ossia membranella interna del tubo digestivo, si muta anch'essa; e senza dubbio si rinnuovano i primarj tronchi delle trachee, ossia dei canali aeriferi. Pertanto all'approssimarsi di ogni muta il baco perde l'appe- tito, cerca un luogo appartato, e quivi rimane immobile insino a che non abbia cambiato cute e mascelle. Durante questa quiete esterna, che chiamasi da chi sonno e da chi dormita o dormitura, si organano la nuova cute, le nuove mascelle ed i nuovi tronchi delle trachee. I progressi di questo organamento non sono percettibili che per la mascella ,. per la quale vedesi spuntare la nuova che spinge in avanti la vecchia. Dopo ogni muta, il baco prende un po'di ri- poso, c non mangia; ciò accade più specialmente appresso l'ultima. A questo fine, uscito che sia dalla vecchia buccia, tiensi col capo levato, con le mascelle sporgenti e colle anteriori zampine bene stese. Allorchè il baco si avvicina al tempo di fare il bozzolo, perde l'appetito, e diventa più trasparente ce sottile, in . special modo nella parte corrispondente al grosso stomaco. Va allora in cerca di appicchi per gettarvi le prime fila e rinchiudervisi, e frattanto finisce di vuotarsi il corpo man- dando fuori l’ultimo cacherello : sparge inoltre un liquido trasparente e quasi bianco, il solo che esca dal suo intestino perdurante lo stadio di baco. Nella misura che forma il boz- ) 32 250 zolo il suo corpo impicciolisce e si avvicina alla forma che deve avere la crisalide. In tre giorni il bozzolo è compiuto ; ed il baco poco dopo muta nuovamente pelle, ed apprisce sotto forma di crisalide. Passate circa due settimane, l’ani- maletto cambia guscio per l’altima volta, e diventa farfalla; la quale, per mezzo di una materia particolare che sputa, umetta la punta del bozzolo e si apre la via al venir fuora lasciando nel hozzolo due gusci: quello di bruco e l’altro di crisalide. La femmina si riconosce soprattutto al ventre ampio, alle ali piccole appetto alla grandezza del corpo, ed alla scarsa vivacità dei movimenti. Il maschio le ruzza d’intorno, le si accoppia per mezzo di uncini cornei, e versa in appo- sita vescichetta della femmina il liquore seminale mediante una lunga e rigida asta. L’accoppiamento dura molte ore; e seguita la disgiunzione, la femmina comincia a deporre le uova comprimendo spesso l'addome come per isciarbot- tarvele dentro. Le uova nel venir fuori sono fecondate dal liquore seminale deposto dal maschio nella vesci- chetta della femmina, e si appiccano alla superficie, ove vengono posate, mediante un umore glutinoso. Deposte le uova, la farfalla tra non molto sen muore; ma il maschio regge più a lungo, e può fecondare più di una femmina. Le uova poi che vengon fuora gialle, diventano a grado a grado più scure, ed assumono poi una tinta cenerina. Da questo tempo in poi non appreseutano alcun visibile cangiamento insino alla stagione dello sviluppo, che pei bachi reali suol essere l’Aprile; sebbene vi debba aver luogo qualche mutamento intestino, dimostrato da ciò che non ostante il calore dell’Agosto e del Settembre, le uova non si schiudono che alla seguente primavera. All’avvici- narsi del tempo della nascita, le uova diventano di colore più chiaro, specialmente in sui loro contorni. 251 $. 3. Ciò premesso, vediamo le più importanti conse- guenze, che dalle cose dette trar si possono a norma dello allevamento artificiale. 1.° Il cibo vuol esser copioso e di buona qualità perchè giovi ad un animale che se ne pasce tanto avidamente; 2.° L'aria dovrà esser pura e rinnuovata; per cui nel- l'allevamento artificiale si richiede il frequente cambiamento dei letti, e la libera ventilazione; 3.° Le alternative di temperatura non siano molto forti ; perciocchè il freddo repentino intorpidisce il baco e fa spre- care la foglia, la quale resta sui letti; 4.° Se i bachi, che stanno insieme sul medesimo gratic- cio, non mutano pelle contemporaneamente, sarà necessario di separare quelli svegli, i quali mangiano , dai dormienti che stan fermi, e che rimarrebbero sepolti nel tritume della foglia e nei cacherelli degli ancor desti. E via via che i bachi si svegliano, converrà levarli dal vecchio graticcio per pascerli in un altro; 5.° I bozzoli da seme vanno lasciati in riposo acciò la crisalide non venga turbata nella sua metamorfosi. È oramai tempo di discorrere dell’allevamento artificiale dei bachi; ed a questo fine vi darò le nozioni principali intorno alla bigattaja, ch'è in certo modo la stalla dei bachi, e poi intorno alla foglia, la quale n'è la pastura. $. 4. La bigatiaja vuol aver due parti; la stanza dei bachi e quella, dove riporre la foglia. La stanza dei ba- chi dee essere ariosa per molte e grandi finestre da ogni lato, e per isfiatatoi proccacciati nelle esterne pareti presso al pavimento e nel tetto. Si abbia uno stanzino volto a mezzogiorno per la nascita e le prime età, ma il maggior corpo, quando si possa, sia volto a tramontana ed a levante, lungi da concimaje e da altri luoghi di sozzura. Le fine- stre dello stanzino siano munite di vetri, e quelle della mag- giore stanza, almeno di stoini dalla parte del sole. Ci sia 202 qualche camminetto, ove poter al bisogno far fuoco sia per iscaldar l'aria e sia per muoverla e rinnuovarla al bisogno. La stanza delle foglie sia a pian terreno in luogo fre- sco, e maltonala. $. 5. Nella bigattaja ci sono gli utensili, i quali si compongono : della stafina per la cova; di un trinciafo- glia; dei castelli colle loro stuoje; dei fogli per cuoprir queste; delle reti o fogli bucati per le mute dei letti; di qualche molletta ; di spazzole per nettare i fogli e gli altri utensili; di vassoj di vimivi pel trasporto dei fogli pieni di bachi; di mannelli di frasche pel bosco ; di lumi ad oncino alla contadinesca e di lanterne; di qualche scaleo. Ci sia anche un termometro; e, se si può, un igrometro. Eccovi una stufina che può servire alla cova del seme. Essa ha un tramezzo di latta, il quale separa lo spazio, in che sta la lampada accesa da quello, in cui sono le scatole. A cotale tramezzo è saldato un tubo egualmente di latta, il quale passando per lo scompartimento, in che stanno le scatole, vien fuori per l’alto della stufina, e si termina con orifizio che può graduarsi mediante un coperchio. La stufina ha inoltre due sportelli, l’un dei quali più basso mette nello scompartimento della lampada, e l’altro in quel!o delle scatole. Ora il calore si può accrescere nella stufa non solamente ravvivando la fiammella della lampada, ma ancora chiudendo i due sportelli suddetti; tirando la lampada a sè per modo che la fiammella colpisca il tra- mezzo di latta e non imbocchi a diritto nel tubo, o soc- chiudendo l'orifizio superiore di esso tubo per mezzo del coperchio : il calore si scema operando viceversa. La lampada dovrà mantenersi sempre piena di ottimo olio, e con lucignolo fatto di buona bambagia e che stia nel sno luminello nè troppo costretto nè troppo lente. Con queste disposizioni basta riguardare di tanto in tanto la stufina per mantenervi quel calore che si vuol procacciare. 253 S. 6. Il trinciar la foglia nelle prime età dei bachi torna utile: appena nascono vi si può provvedere colle cisoje comuni, le quali la taglieranno quanto minutamente si vuole. Più oltre però sarebbe troppa briga ad attenerci a questo modo; nella cui vece si può usare un coltello di lama larga e diritta, siccome è quello che usano i pizzicagnoli per affettare il salame. A tal fine si affagotta la foglia messa insieme sopra un tagliere di legno duro, e quindi si tiene con la mano sinistra nell’atto che il detto coltello im- pugnato col!a destra la taglia; e ad ogni colpo la mano manca, la quale volge in avanti il lato esterno del pollice e del vicino polpaccio, si tira indietro per far luogo ad altro taglio di tanta lunghezza quanta è la larghezza delle fet- tuccie da formarne. Avendo poi copia di bachi giova un trinciafoglia meccanico, di cui fo uso da molti anni, e col quale si tritano in poco d'ora considerevoli quantità di foglia. Il comune falcione inglese a volano può far l’ef- fetto sol che se ne moderi la pressione sulla foglia, e si tengan bene in filo le lame. Sappiate però che queste trincie meccaniche macolano di molto la foglia : attenetevi nei comuni allevamenti ai sopraddetti coltelli. S$. 7. I castelli si formano di varie fogge, che si possono dividere in due sorte secondo che comportano, o no, di farvi sopra comodamente il bosco. Quelli della prima sorta dif- feriscono dagli altri per la distanza frapposta tra una stuoja e l’altra, e che deve essere tale da conceder che vi si possano disporre le frasche e lavorare per entro senza grande disagio. Purchè si mantenga questa distanza, ogni foggia di castello può esser buona. . I miei castelli son formati con ritti di tavolovi di abete segati per io mezzo, e sopra ai quali stanno in croce disposti alla distanza di 18 soldi dei regoli tanto lunghi, che la loro parte sporgente, pareggi la larghezza della stuoja, che è destinata a sostenere. Dispongo essi ritti a tal di- 254 stanza l'uno dall'altro che agguagli la lunghezza della stuoja; e perchè stiano saldi ne conficco i capi di sotto in dadi di pietra a base quadrata di soldi 15 di lato, e dell’altezza di 8 soldi: sono poi i ritti l’uno all'altro rilegati per mezzo di traverse fermate alle loro sommità, acciò non accada che nello accidentale allontanarsi dell'uno di essi possano precipitare giù le stuoje. Chi ha palco in luogo di vélta, come io ho, può nell’ impiantito murar dadini di pietra che stiano in pari coi mattoni, ed in cui siano buchi atti a ri- cevere l'estremo di sotto dei ritti predetti, mentre l’altro si collega colla travatura del palco: il che rende più saldo e semplice il castello. Finito l'allevamento, si scompone il castello , i cui pezzi possono riporsi altrove per lasciare il luogo libero ad altro uso. Cotali castelli, debbonsi or- dinare l’uno dall’altro tanto discosti, che ci si possa libe- ramente girare dintorno con gli scalei. Dei castelli contadineschi i più comodi son quelli formati di quattro ritti, connessi per mezzo di otto traverse a foggia di un telaio della larghezza delle stuoje. Ciaschedun ritto è forato obliquamente da sotto in sopra, e dal di fuori per di dentro, nel verso della maggior larghezza di questa iate- laiatura. Nei fori si conficcano dei pioli, su cui si posano le pertiche mobili, che sostener debbono le stuoje: l’abbas- samento e l’ inalzamento di esse si fa tirando fuori i pioli, e rimuovendo ad una ad una le traverse. I vantaggi di questa maniera di castello sono di star saldo, perchè i suoi quattro ritti sono insieme collegati, e di permetter poi di allogarvi dentro via via il bosco, cioè i mannelloni di stipa, in cui si pongono a mano i bachi. A questo fine di- videsi eiaschedun telajo in due ripiani per mezzo di pertiche disposte orizzontalmente, e cui si soprappone una stuoja. Le stuoje sono quali di canne da padule, disposte per lo lungo e congiunte insieme per mezzo di funicelle di foglie di piante acquatiche ; quali di canne grosse, schiacciate ed 255 intessute; quali di un telajo di legno intraversato a radi com- passi da fili di ferro. Le prime, che si posson chiamare anche cannicci, hanno il vantaggio sopra tutte le altre di potersi avvolgere sopra di sè medesime speditamente e trasportare con molta facilità, e poi di non aver bisogno di esser fer- mate nelle testate o nel contorno: ma si guastano assai presto, e s’innumidiscono tanto, come fanno anche le se- conde, da richiedere che si pongano alquanto a rasciugare dopo il mutamento di letto, prima di adoperarle di nuovo. I graticci, ossia le stuoje intessute di fili di ferro, meri- tano la preferenza, perchè ricevono l’aria per di sotto e si possono facilmente trasportare da un luogo all’altro nello stesso castello, o da un castello ad un altro secondo il bisogno. Io dovai miei graticci la lunghezza di braccia 3 e 5 sopra 1 e‘ di larghezza, e gli ho così comodissimi a tra- mutar di luogo. $. 8. I fogli debbono esser di carta assai consistente, e specialmente quelli che si hanno a pertugiare. Le reti vo- gliono esser fatte in modo, che tirandole dai quattro canti la maglia stia in quadro ; il che si ottiene cominciando a lavorarli dall'un di essi canti. È utile di avere un certo numero di reti piccole, delle quali tre o quattro messe in traverso cuoprano un graticcio ; e queste servono per di- radar via via i bachi nell’atto che si mutano di letto, Si abbiano ancora alquante reti di picciola maglia per le prime età. I mannelli si fanno di varie frasche, e di forme diverse. La stipa così detta femina è la più adoperata fra noi; ma chi ha gambi di rape, da cui siasi levato il seme con diligenza per non rompere i peduncoli delle silique, potrà tenerli come acconci meravigliosamente a questo ufficio. Se il bosco si ordina sulle medesime stuoje, i mannelli facciansi piccoli con una sola legatura, e tali da superare di alquanto lo spazio tra stuoja e stuoja ; ed ove si disponga 256 in luogo separato, i mannelli siano più lunghi e più grossi, con due legature, e procurando che la stipa resti per entro a giusta distanza acciò i bachi vi possano appiccar la bava e lavorarci il bozzolo. A questo fine si opera così. Tagliata la stipa alla debita lunghezza, scorciando il grosso dei gambi, si lega da basso assai fortemente; e poi pareggia - tene le cime, slargasi in figura di cono il cominciato man- nello, e nel cavo della sommità di esso cono cacciasi a forza un guancialetto di minuta stipa affin di tenere s'argati i rami del mannello. Appresso si fa un cerchietto, o corona , con verga di gelso, di pioppo, ec., e si alloga nel mezzo del mannello, dopo di averci messo radamente della stipa in traverso di sotto alla corona: accomodata che sia questa, vi si dispongono altre stipe in traverso. Fassi allora la se- conda legatura al pari del cerchio, ed il manvello è u!- timato. Perchè un mannello sia ben costruito, dee avere queste due condizioni fondamentali: 1.° che siano pareg- giate le cime dei rami, ‘che lo compongono ; 2.° e che i rami stessi, i quali ne formano lo esteriore, ed il ripieno di dentro formino un frascame non troppo fitto nè troppo rado. Non diciamo degli altri utensili, perchè conosciuti da ognuno e non meritevoli di speciali avvertenze. $. 9. La miglior foglia è quella di gelso bianco selvatico che cresce senza tanto potare in terreno inezzano, fresco, ma non umido, e moderatamente fertile. Ma poichè sono i gelsi annestati quelli che si preferisce di coltivare per l’abbon- danza del prodotto, così diremo delle frondi di essi. La fo- glia sia intiera, liscia e splendente, poco costoluta, di un verde nè troppo chiaro, nè troppo cupo, mezzanamente incartata, senza lesione nè di macchie rugginose nè di altro. La foglia ampia, massiccia ed appariscente dei gelsi potati indiscretamente, e vegetanti in terreni ricchi ed irri- gati, riesce floscia ed indigesta. In Sicilia ed in Calabria, usano la foglia del vero moro, cioè sel gelso nero, la 257 quale è molto nutriente. Cotal gelso però ha due difetti: di crescer lentamente e di gemmare più tardi del bianco. Nel Fiorentino, ed altrove, adoperano la foglia arancina di gelsi, i quali non fanno fiori di nessuna sorta, e quindi senza frutta. I bachi si governano molto bene con le cioc- chette di tal foglia; ma io credo che ci sia dentro poca sostanza. La foglia del gelso delle Filippine è floscia , ri- bolle ed avvizzisce presto, soffre molto per freddo e per yentaje, e, bagnata che sia, si rasciuga lentamente. Il gelso delle Filippine non ha altri vantaggi che di far poche more, e di venire avanti in breve tempo e con lieve spesa di coltivazione. Nelle tenere età dei bachi giova la foglia egualmente tenera; ma nelle ultime conviene quella matura ed addu- rita. Che la foglia perda un po’ del suo umore, se ne ha di soverchio, non sarà altro che bene: è tuttavia dannoso di farla avvizzire. Se per caso aveste ‘ad usar di questa, ponetela a rinvenire sopra un ammattonato inumidito di stanza fre- sca, e rivoitatevela più fiate. La morosa si può usare senza mondarla, percbè non nuoce ai bachi; ed al danno del maggior ingombro dei letti si provvede col più frequente mutare. l ramicelli possonsi distribuire sulle stuoje con tutte le foglie, perchè in luogo di nuocere giovano anzi a tenere i letti sollevati ed i bachi in miglior aria. La foglia ba- gnata si raccoglie scuotendo i rami, tagliandoli e ponen- doli in luogo ventilato perchè si asciughino. Si tien per questo qualche gelso da dirappare nei dì piovosi. La foglia bagnata non fa male ai bachi, purchè si mutino incouta- nente i letti a prevenirne il ribollimento. Il trinciarla giova nelle. prime tre età, perchè i bachi la rodono molto meglio attaccandola pel trasudante lato reciso: in seguito torna inutile il farlo. La foglia tagliuzzata seccasi più presto; e ciò non sola- mente a motivo delle recisioni, ma ancora delle ammacca- 33 258 ture. Se la foglia deve dimorare più di mezza giornata nella sua stanza prima di usarne, sarà mestieri di rivoltolarla tre o quattro volte al giorno, acciò quella di sopra non avviz- zisca e quella di sotto non ribolla : tenetevela non più alta che mezzo braccio, e sollalzata. La foglia si accompagna a varia proporzione di more e di frustoncini. Se voi cogliete tutti i rampolli dell’anno, siccome ordinariamente si pratica, ci troverete una pro- porzione di foglia variabile secondo la specie e varietà del gelso, secondo la potatura ec. Nei gelsi comuni non molto morosi, trovasi un 20 per cento di frustoni, 10 di more e 70 di foglia monda: talvolta ci ho trovato 30 per cento di sole more. Nel gelso delle Filippine ho pesato 24 per cento di frustoni, 3 di more, 73 di foglia. Nel gelso arancino non vi ha che circa al 10 per cento di soli fru- stoncini: il resto, cioè 90 per cento, è foglia. Nei gelsi maschi gli amenti cadono nel venir fuori della foglia, la quale perciò rimane monda e di fiori e di frutta: ha dal 20 al 25 per cento di frustoni, ma riesce troppo serolina. La foglia racchiude una proporzione di acqua varia- bile, la quale è maggiore in quella di gelsi innestati, giovani, o venuti avanti in terreni feraci, freschi ed ombrosi; di gelsi potati frequentemente; delle cime dei rami ec. 259 LEZIONE XVIII. —Qd- CONTINUAZIONE DELL'ALLEVAMENTO DEI BACHI. SOMMARIO. 8. 4. Cova del seme. $. 2. Prima età dei bachi. $. 3. Seconda età. S. 4. Terza età. S. 5. Quarta età. $. 6. Quinta età. $. 7. Fattura del seme e sua conservazione. $.8.Cagioni nemiche e ‘malattie. $. 9. Ti- toli di entrata e di spesa. S. 40. Chiusa. $. 1. Della cova del. seme. Il seme conservato nei modi, che in seguito saranno spiegati, devesi mettere in cova in- torno a mezzo Aprile in questo territorio. Ma una set- timana avanti si tramuterà dal luogo fresco, in cui si è tenuto durante la fine del verno, in altro dei più caldi della casa per disporlo alla nascita. Si deve nondimeno guardar sempre alla temperie dell’aria ed al muovere dei gelsi. Met- tete poi in cova un buon quinto di più del seme che vorrete allevare acciò possiate fare un largo scarto, dapprima nella cova e poi nelle successive mute. Non è possibile che in tanta numerosa famiglia non sieno molti individui cagionevoli, od almeno di debole complessione, i quali indugiano a nascere, a mutare ec.; gli scarterete senza riguardo alcuno per con- durre avanti il solo fiore della famiglia vostra. Ricordatevi che si tratta di bestiuoline allevate per mire industriali; e che se gli Spartani operavano nefandamente a spegnere le vite dei fanciullini venuti alla luce disformi della per- sona, perchè quelli erano umane creature, voi farete opera 260 utile e non mai degna di riprensione. La maniera da te- nere per la cova artificiale è la seguente qualvolta si abbia una stufina. Si apparecchiano delle scatoline di cartone, il cui fondo sia di tela rada, ma non tanto da permetter l’escita dei baco- lini pei radori suoi; ed in esse si pon tanto seme che non vi si possa alzar più che un quarto di soldo. Ciò fatto cuoprasi il detto seme con un pezzo di tulle o di foglio bucherellato, il quale quadri per l'appunto nella scatola ; alloghisi questa sopra una delle assicelle dell'interno della stufina, ma in- terponendo tra la scatola e l’assicella due pezzetti di re- goletto acciò resti un vano, pel quale il calore possa scal- dare gli ovicini anche per di sotto. Disposto così il seme in quante scatole farà d’uopo, si accenderà la lampada della stufina guardando il termoinetro per regolare il calore, il quale dovrà da prima alzarsi di un grado più che quello dell'aria ambiente, e poi nello stesso giorno di due. L’indo- mani si aumenterà ancora di due gradi dalla mattina alla sera, e così insino a venti, che si terranno allora fermi. Quando i bacolini cominciano a venir fuora dai per- tugi del foglio soprapposto al seme, raccolgonsi per mezzo di tenere rappettine di gelso. La più copiosa nascita av- viene la mattina intorno alle sette; sicchè allora conviene stare attorno alla stufa per matare via via le rappette; senza di che i bacolini si spanderebbero su per le scatole e le. pareti della stufina. Io faccio uso di picciole mollette per levar via le rappe cariche prendendole per alcun can- tuccio scoperto, o da cui riesca facile di rimuovere le bestiuoline: è cosa che richiede un po'di garbo senza più. I bachi d'ogni presa metteteli da sè, od almen quelli dello stesso giorno. Due volte al giorno conviene, nel levare le scatole dalla stufina, rimenare col dito il seme perchè tutte le uova ricevano l'opera del calore, e perchè si rompano quei fili di seta, i quali irretendo le uova stesse arrecano 261 impedimento al venir fuori dei bacolini nati nel fondo. Se il seme è buono, e la cova debitamente condotta, i bachi saran tutti nati in tre giorni, e potete gittar via coi gu- sci vuoti quelle non ancor nate, delle quali per altro non ci sarebbe a sperare gran cosa di utile. In alcuni pacsi d'Italia, senza dir della China, fanno nascere il seme, ponendo nella stanza più calda di casa i panni medesimi, ai quali fa appiastrato dalle farfalle. S. 2. Prima età. Via via che si levano dalla stufina le ciocchette cariche di bachi, le si dispongono sui fogli, e questi sulle stoje, lasciando tutt’all’ intorno dello spazio per guisa che nei dì successivi possano allargarsi nella misura del loro ingrossare. Si governano con foglie tenerine mi- nutamente trinciate; e ciò almeno otto volte al giorno. È ottima cosa lo scaldare l’aria ambiente insino a 15 ov- vero 16 gradi del termometro di Reaumur. Le finestre stian chiuse, e si rinnuovi l’aria per vie interne del casamento. Allorchè i bachi son presso a dormire si mutano di letto; perciocchè starà sempre bene che compiano le dor- mite sopra un letto assai pulito. A questo fine, si stende poco prima del pasto sui bachi una o più reti tanto che ne vengan tutti coperti. Si governano allora con foglia trin- ciata più grossamente; e si farà lo stesso due o tre altre volte appresso. Quindi si muteranno di letto. La cautela del pasto di foglia prossolana ripetuto prima di levar la rete, è utile acciò questa regga il trinciato, e con esso i bacolini. Allorchè la rete non si distende bene sul letto, alcuni bachi ci rimangono; il che accade più sovente presso ai regoli dei graticci, e specialmente alle cantonate: per raccoglierli vi porrete ciocchetline tenere di gelso. I bachi nella misura della nascita loro si disporranno all’assopimento, durante il quale si prepara e compie la prima muta. L'avvicinarsi del così detto sonno si conosce dallo scemato appetito dei bachi, dal tendersi e quasi 262 splendere della pelle loro; e dal suo colore più chiaro. Allora è che conviene stringer la mano nel governare; e quando molti bachi assopiti restan già coperti dalla foglia, comincia la più delicata faccenda che occorra nell'allevamento dei bachi: è questa la separazione dei desti dagli assopiti. E per intendere il perchè , il come e il quando si abbia a fare, è d’uopo sapere che non tutti i bachi nati alla stessa ora si addormentano con- temporaneamente; chè anzi quali indugiano e quali si avvantaggiano. Di guisa che taluni dei terzi nati assopi- sconsi avanti ad alcuni dei secondi, ed anche dei primi ec. Medesimamente non tutti quelli destatisi nel medesimo istante dal primo sonno saranno per dormire nello stesso tempo il secondo, e così via. Pertanto avviene che non ostante l'avuta cura di riunire sul medesimo foglio i bachi levati insieme dalla stufa, nulladimeno dopo alquanti giorni si troveranno quali assopiti e quali desti. Allorchè adunque i più dei bachi si saranno addormentati, sarà mestieri di separarne quelli, che ancor desti, mangian tuttavia ; e ciò affinchè non si sprechi indarno la foglia, e perchè non restino sepolti sotto ad essa i già assopiti. Bisogna a questo intento cogliere il giusto punto: troppo presto, non restano sul vecchio letto che pochi bachi; e troppo tardi avrete mescolati i già desti con quei non ancora ad- dormentati. La detta separazione si compie cuoprendo i letti di cime tenere di gelso, che poi si levano nell’ora del pasto seguente per allogarle separatamente sopra altri fo- gli. Il vecchio letto si lascia in pace perchè non ha che bachi addormentati; e sul nuovo si spruzza minuta e rada trita di foglia per un giorno ancora , trapassato il quale si fa una seconda separazione per gittar via quei bachi che saranno ancor desti: il loro soverchio indugio procede da debolezza o da vera malattia. Ed infatti la più parte di essi diventan lustrini e crepano versando in copia giallo 263 e corrotto umore, Cotali operazioni si ripeteranno suc- cessivamente sopra tutti i letti. Se volete conoscere ad un segnale certo quando un baco sia veramente assopito per compiere la nuova muta, guar- date attentamente la sua mascella. Dietro ad essa vedrete un punto nero, che va semprepiù allargandosi e prendendo la figura di un triangolo, il quale si arrotondisce poi sui lati: è la nuova mascella che pigne in avanti la vecchia. Cosiffatto segnale è ancor più appariscente nelle dormite successive, e specialmente nell'ultima. | Questa prima età dura, alla temperatura artificiale di 16 gradi, da sette ad otto giorni, e dieci a quella di gradi 14. Il consumo della foglia sarà in tutta l'età di libbre 16 circa per oncia di seme. Si apprestano otte pasti per giorno: la superficie occupata dai bachi sarà di braccia quadre due. $. 3. Seconda età. Allorchè sui vecchi letti i bachi cominciano a spogliarsi perdendo la vecchia mascella e l'antico guscio, scorgesi qua e là alcun movimento, il quale ad una certa ora diventa più appariscente: mettetevi su allora delle ciocchette affin di raccogliere i bachi svegli. E tutti quelli che si vanno destando alla medesima ora, in qualunque graticcio siano, possonsi riunire nei medesimi fogli perchè contemporanei; talmentechè non si guarderà più all'ora della nascita, ma a quella dello svegliarsi: lo stesso si farà nelle sveglie successive senza tener conto delle precedenti. Conviene riguardare le prime ciocchette, che si levano dai vecchi letti, sulle quali si troveranno spesso pochi dei ‘bachi non ancora assopiti, e che non montarono nella fattane separazione. Una persona pratica e di buon garbo li leverà, e li gitterà via, prendendoli con le mollette. Par questa una langa faccenda, ma nelle mani di chi ne ha l’uso il rive- der le ciocchette di un intiero canniccio nella prima levata 264 non prende che pochi minuti: nelle altre successive non se ne vede quasi mai. In questa età si continueranno a governare otto volte por- gendo foglia trinciata finamente per un giorno o due ai ba- chi di fresco risvegliati, e poi meno insino all'avvicinarsi della seconda dormita : allora la foglia dovrà esser trinciata di nuovo molto minutamente, perchè l'appetito dei bachi essendo diminuito, ed alcuni trovandosi già addormentati, uno spruzzo leggiero di poca foglia basta. Nella seconda età i bachi si mutano due volte: al terzo giorno e poco prima che comincino a dormire. Il muta- mento di letto potrà farsi per mezzo di reti o di fogli bu- cati, di cui cuopronsi i letti, e sopra ai quali fogli, o reti, sì stende il pasto. Allorchè ia più parte dei bachi di una partita sarà assopita, si farà la prima separazione ;e poi la seconda nel modo già detto. Questa età prende giorni otto, se la temperatura è di 15 gradi; consuma libbre 48 di foglia per oncia di seme, ed occupa braccia quadrate 6: si governano i bachi otto volte per giorno. $. 4. Terza età. I bachi desti contemporaneamente, da qualunque graticcio provengano, si riuniscono insieme, e con l'avvertenza di riguardare le prime ciocchette ‘prese per levarne quei pochi bachi non assopiti e tuttora rimasti sul vecchio letto. In questa età si muterà il letto due volte coi soliti artifizj; con la temperatura di 15 gradi durerà otto giorni; si consumerà libbre 144 di foglia trinciata grossamente per oncia di seme nato, e si occuperanno braccia quadrate 18. I pasti in un giorno possonsi ri- durre a sei. $. 5. Quarta età. Non differisce in niente dalla prece- dente; se non che i bachi sì muteran tre volte, e la foglia si darà intiera, fuorchè nei primi due giorni: se me con- sumerà libbre 432 per oncia di seme nato, e la superficie 265 occupata misurerà braccia quadrate 54. I pasti saran sei; e la durata dell’età, di circa otto giorni. $. 6. Quinta età. In questa età, la quale dura intorno a 10 giorni o 12 per tutta la partita, i bachi divore- ranno di molta foglia: ce ne vorrà libbre 2592; e la superficie occupata sarà di braccia quadrate 135. E qui vi faccio osservare che si trovano certe propor- zioni fra le superficie occupate nelle diverse età del baco, ed anche fra le quantità della foglia da apprestare. Ecco- vele: insino a tutta la quarta età troverete la superficie occupata e la foglia consumata moltiplicando per 3 i re- spettivi numeri della età precedente. Per aver poi la su- perficie occorrente alla quinta età, prendete quella della quarta non tre volte, ma due e mezzo; mentre per la foglia l'avete a moltiplicare non per tre, siccome per le altre età, ma per sei. Intendete bene che queste relazioni non sono esattissime, ma vi riesciranno utili nella pratica : confrontate le cifre, che rispetto alla superficie occupata ed alla foglia vi ho dato per ciascheduna età, e vedrete che sono state formate mediante la regola indicata. Medesima- mente si può dire che nella sola quinta età occorra intorno a quattro volte più di foglia che nelle precedenti prese in- sieme. Torniamo al nostro discorso di quel che sia da fare nella quinta età, e cominciamo dal modo di disporre i bachi svegli. Convien porre sui fogli le ciocchette non troppo fitte, e per modo da lasciare sui lati un terzo circa di spazio, ove si possano allargare via via che ingrossano. Tornerà meglio però, serbando memoria dei graticci, su cui sonosi adagiati i bachi svegli nella medesima ora, di occupare con essi quasi tutto il graticcio, ma scompartendoveli così radi che vi trovino spazio sufficiente per tre giorni; passati i quali diradansi quanto conviene nel mutarli di letto. Questa economia di spazio è utile; senza di che alla sveglia della 34 266 grossa ci vorrebbero troppi graticci, tra per quelli coperti dai bachi addormentati ancora e per gli altri occupati dai desti. I bachi svegliansi da quest’ultimo assopimento con molta quasi fiacchezza; sicchè mangiano poco nei primi due giorni; e non acquistano la loro propria voracità che al terzo. Con la copia del cibo inghiottito cresce l’attività vitale e l’abbondare dei cacherelli; per cui sarà cosa ne- cessaria di mutare i letti il più spesso che si può: meglio se tutli i giorni, ma almeno dei due l'uno. L’appetito cresce dal terzo al settimo giorno: quind’innanzi declina; ed in proporzione dovrà essere apprestato il cibo. La migliore norma è di regolarsi secondo i rosumi del pasto precedente : dopo del quale in ogni modo conviene riguardare i primi graticci governati , e rifornirli di foglia qualora i bachi l'abbiano tutta mangiata. Quattro pasti copiosi per giorno sono sufficienti, ma con un qualche supplemento frammezzo ai più voraci: non debbon mai stare sopra gli steccoli. Allorchè l'appetito cala, cominciano ad apparire i bachi invacchiti; e perciò sarà necessario che la bacaja più di- ligente vada attorno ai graticci per levarneli e gettarli nel letamaio o nel bottino. Via via che l’appetito scema, i bachi cominciano a ma- turare; ed allora il corpo loro si assottiglia, più specialmente dietro al capo, e diventa sempre più trasparente e come gial- liccio. Il baco mangia alla svogliata, e dopo presi pochi bocconi leva su la testa come cercasse qualcosa che non è la foglia. Alla vista dei primi bachi ben maturi sopra un graticcio , state all'erta per porvi sopra il bosco quando s'infrascano i graticci stessi. A questo fine i primi bachi maturi si levano via con le mani per non impacciare troppo presto il graticcio, e si allogano sopra un frasca- tello separato. Appena sul graticcio si scorgono i primi 267 indizj della imminente maturità generale, si mutano incon- tanente i bachi, e subito subito si prepara il bosco comin- ciando dai graticci più alti. Il bosco si ordina in più modi, dei quali uno dei mi- gliori consiste nel porre i manneliini sulle due testate del graticcio, e poi in file traversanti il graticcio stesso con tanto spazio di mezzo alle file stesse da poterci entrar dentro con la testa e con le braccia a lavorarci pei pasti, per le mute ec. E perciò il telajo dei graticci si fortifica con traverse di legno distanti fra loro un braccio circa , sulle quali si collocano i mannelli. In ogni modo nel porre. il mannello devesi piegare la sua cima napposa tutta da una parte, cioè verso l'interno del graticcio, pei mannelli situati sulla testata; e per quei di mezzo si partisce con le mani la cima del mannello in due, e piegasi ad arco op- postamente le due punte corrispondenti. Ciò fatto si punta contro ai regoletti di testata, o contro ai traversi del gra- *‘ticcio inferiore, il calcio del mannello, e contro al fondo del graticcio superiore le cime piegate, facendo in guisa che quelle di una fila di mannelli s'intraversino e confondino con le corrispondenti della vicina ed opposta, tanto da resultarne una frasca soffice, tra mezzo ai cui vani i bachi possano filare il bozzolo loro. Codesto bosco, fatto che sia, apparisce in figura di tanti archi o volte, per cui passa l'aria liberamente dando comodo di riguardar ciò che vi accade, di custodire i bachi di sotto ec. Quando si è colto il tempo opportuno e si hanno i bachi agguagliati nel medesimo graticcio, presto monteranno in gran nu- mero; ma nondimeno fa d’'uopo di dare un’ occhiata di tanto in tanto ai graticci per ajutare i torpidi, i quali, benchè maturi, restano a vagare senza trovar la via delle frasche. Il giorno appresso levansi con le reti, o meglio con i fogli bucati, i bachi non ancor maturi dal graticcio, per- chè a lasciarli dell'altro tempo sarebbero troppo lordati da 268 quelli montati. Non ostante la ricerca che si è fatta delle vacche, qualcuna ce ne sarà pure rimasta, e converrà levarla dal bosco ; ed in ogni modo vi son dei bachi che invacchiscono sulla frasca stessa. Levansi altresì via via le chiarette ed i già morti. I nostri contadini son usi di fare il bosco in luogo ap- partato, e non già sopra ai graticci. Quest'usanza , che a prima giunta sembra fastidiosissima e riprovevole, ha i suoi vantaggi; talchè se viene seguìta con certe diligenze, può riescire ottima. Infatti tutti sapete che i mannelloni, o granate distese sul pavimento, aperte nel mezzo per allo- garci i bachi maturi scelti uno ad uno, rizzansi poi, allorchè questi sonosi allargati, e si addossano le une alle altre in tondo in luogo separato. Questo modo richiede nelle bacaje sufficiente conoscenza dei bachi maturi, ed assai tempo per la presa: son questi al certo due inconvenienti. Un altro sta in ciò, che d’ordinario le granate si assiepano in troppa quantità privando così i bachi del benefizio dell’aria. Un® ultimo proviene dalla impossibilità di riguardare per entro ai boschi aflin di levarne i morti, i quali poi insudiciano i buoni bozzoli. Si aggiunga che richiedesi di molto spazio ; perchè senza particolari artifizj non può trarsi partito che della terza parte della capacità della stanza. I vantaggi sono : che si lavora liberamente sui graticci, si scansa l’in- sudiciamento dei bachi e non si corre il rischio d’ incendio nel governare di notte tempo i bachi sotto alle frasche; talmentechè avendo donne pratiche per la scelta e presa dei bachi, e disponendo i mannelli a file in una specie di gra- dinata con anditi tramezzo per poterci passare a riguardarli, si scansano molti dei notati inconvenienti. Per fermare poi i bachi troppo armeggioni in sulle cime dei frascati, pone- tevi sopra dei fogli o della tela rada, sotto a cui faran presto il bozzolo. Ricordate però che la frasca deve ricettar tanti bachi quanti possono per entro lavorare senza mutua 269 ” noia ed impedimento. Comunque affrascato sia il bosco, i bozzoli possonsene levare dopo sei giorni da che i bachi ci sono andati o posti, se il caldo vi è stato sufliciente, cioè se di circa a 18 gradi. Si ha cura, nel rimuovere i man- nelli, di toglierne via via quei bacacci, o morti o presso a morire, che per avventura non fossero già levati avanti. Nello sbozzolare è mestieri di tirar dalla frasca il bozzolo netto delle minuzie della stipa, e di badar che l'umore di qualche baco morto non lo lordi. I macchiati in ogni modo si pongono in disparte : anco le faloppe si mettono separate. In certi paesi i doppioni vendonsi da sè ; ma noi le compren- diamo nella partita. Si usi garbo nel porre i bozzoli nelle paniere, di dove tutti si dispongano sopra stuoje in suoli non più massicci di una spanna, ed in luogo non molto ventilato, finchè non si mandano al mercato in corbelli, o meglio in gabbie apposite di legno. Bisogna evitare di am- massar troppo i bozzoli, perchè, recandosi impedimento allà loro naturale traspirazione, ammosciscono. È poi utile di vendere i bozzoli appena sfrascati; perciocchè con l’in- dugio calano, ed alla fine possono sfarfallare. Nei bozzoli di razze di mezzana grossezza, 150 fanno la libbra ; ed in un dato peso di bozzoli si trova la settima parte di tunica serica, e sei parti di crisalide: ma alla filanda è assai, se dieci libbre di bozzoli danno nel sottosopra una libbra di seta. Un'oncia di seme, che dia 150 libbre di bozzoli, ha fatto egregiamente: in Lombardia si tengon contentissimi di ottanta. Ed in proporzione della foglia supposta monda, cioè senza nè more nè ramuscoli, quattordici libbre della medesima hanno a dare una libbra di bozzoli. $. 7. Ma non tutti i bozzoli si mandano al mercato: una parte si serba a semenza. A. quest’uopo si eleggono quelli venuti da bachi mostratisi sani e gagliardi, e dei primi, se non dei primissimi, che vennero a seta. I mannelli st lasciano più a lungo sulla frasca, e poi si levano con 270 garbo e si cernono ì bozzoli eleggendo quelli di un punto unito e convenevole di colore, di forma regolare ed eguale, di grana fine, ed assai incartati: si cansano i doppioni, di dove le farfalle escono malagevolmente. Per ogni oncia di seme, che vogliate, prendete una buona libbra di bozzoli o, a maggior cautela, quattordici once; stantechè se una libbra di bozzoli ne contiene 150, di cui metà femmine, ciascuna di loro mettendo giù da 400 a 500 uova; non si arriva che radamente ad avere le 38 ovvero 40mila uova che fanno l'oncia. I bozzoli si pelano di quella ragna, che sta loro d’intorno; e poscia si distendono l’uno accanto all’altro sopra stuoje coperte di fogli, cui si fanno aderire con qualche materia glutinosa, con della pasta per esem- pio, acciò stiano più saldi all’escire delle farfalle. Chi ha poco seme da preparare, ne fa corone passando per le punte dei bozzoli un filo, e le appende al muro. Il luogo, dove le farfalle hanno a uscir fuori e generare, deve es- sere asciutto e discretamente caldo. Apparecchiansi intanto dei panni, cioè teli di lino o di cotone, che si fermano ai muri della stanza od a cavalletti di legno, sui quali distendonsi per modo che il lembo inferiore per poco si ri- volga in su a formare una come doccia , !a quale serva a ritenere le farfalle che vengon giù. Dopo una quindicina di giorni, poco più poco meno secondo la caldura, le farfalle sbucano dai bozzoli: dap- prima in poche, e quasi tutti maschi, indi a molte insieme mescolatamente, e da ultimo quasi tutte femmine. La nascita più copiosa ha luogo la mattina presto; ed appena le fem- mine siansi un po’ alleggerite dell'umore laterizio che si è loro formato in corpo nel bozzolo, si accoppiano. Le farfalle tutte, che non abbiano le competenti forme del corpo e la debita vivacità, si scartino. Via via che si forman coppie sul giaciglio, si levano con garbo e si pongono sui già apparecchiati panni; ed a mano a mano che si dispajano , 271 levansi via i farfallini e pongonsi in luogo affatto bujo per servirsene di nuovo nel caso che i maschi scarseggiassero ; la qual cosa però non suole avvenire salvochè alla fine. In tutte queste operazioni il gineceo, ossia la stanza nu- ziale, deve essere rischiarata dalla luce tanto sol che ba- sti a veder quello che si fa. Le farfalle sane vuotansi presto delle proprie uova, € non di rado si ricongiungono a quei maschi che ruzzan loro d’intorno : è meglio levar quell’ impiecio. Se muojono con di molto seme in corpo, è cattivo indizio. Allorchè i panni sono sbarazzati di farfalle, lasciansi appesi insino a tanto che le uova non abbiano cambiato in cinericcio il loro nativo colore; e poscia piegansi a quattro doppj e ri- pongonsi ad uno ad uno in luogo asciutto, arioso e non tanto caldo. Sovente qualche chiazza di seme, occupata dalle uova partorite dalla stessa farfalla, è covata dalle cause natu- rali, e ne vengon fuori i -bacolini. Toglieteli, e se vi pare allevateli; ma ne caverete poco costrutto. Se il seme serve per voi, ed il clima è tanto propizio che la covatura possa farsi da sè, ed allora lasciate il se- me sui panni, dove le farfalle l'hanno appiastrato ; quando no, lo staccherete di Febbrajo: se dovrà sostenere lungo viaggio , fatelo anco prima. Per staccare il seme, tuffate il panno nell’acqua pura, tenetecelo un cinque minuti procu- rando che s'immolli tutto, e poi spiegatolo e tenutolo ben disteso ne raschierete il seme con una comune stecca di avorio da scrittojo. Staccato il seme, rimenatelo nell'acqua acciò il vano venga a galla, schiumate questo, scolatene l'acqua e ponete il buon seme disteso in sottil suolo sopra a panni asciutti in luogo arioso, ma dove non tiri vento. E perchè asciughi più presto, mutatelo di panno dopo qualche ora che ce lo avete messo. Allorchè è ben rasciu- gato, si serberà in scatoline di carta, dentro a cni disten- 272 desi in suolo sottilissimo, le quali pongonsi in luogo secco e fresco. Se l'avete a mandar lontano, mettetelo dentro a cartucce di foglio minutamente pertugiato, e tanto che ogni cartuccia non ecceda in spessore mezzo soldo ; disponetele in una cassetta di pareti bucherellate, e sopra a ripiani di steccucce fissate alle stesse pareti in maniera che, fra l’uno ripiano e l’altro, stiano al più due suoli di cartucce con dei trucioli tramezzo, i quali prevengono la pressione delle superiori contro le inferiori, nell'atto che mantengono dentro la circolazione dell’aria. $. 8. Le cagioni morbose, che insidiano la vita del baco, son molte e di grave effetto: quali comuni e note, quali rare ed incognite nella loro natura e nel modo di operare. Fra le prime annoveriamo la soverchia umidità , l’aria stagnante, il freddo repentino, od il caldo afoso, il troppo ammucchiamento dei bachi sulla medesima stuoja e nello stesso luogo, la fermentazione dei letti, la cattiva qualità della foglia, ed in specie il suo ribollimento, ec. Studiandoci di tenere dalle bigattaje rimosse cotali cagioni, ajuteremo efficacemente il mantenimento della sanità dei bachi. Quanto alle malattie, le principali sono: 1.° l’invacchi- mento, che ha luogo in tutte le età dei bachi presso al tempo dello spogliarsi o del fare il bozzolo: muojono con lo scoppiare sulle stuoje; 2.° i disturbi della digestione, i quali produconsi segnatamente in sullo svegliarsi dalla grossa e presso all'andata al bosco: nel primo tempo è una vera diarrea, che toglie l’appetito ai bachi, i quali cercano le sponde della stuoja, inaridiscono e muojono; nel se- condo tempo mandano dall’ano l’escremento morbido e misto a mucco, appariscono chiari e come disposti alla frasca, sulla quale dopo qualche errare muojono; 3.° il subi- taneo ecclissarsi della vita nei più appariscenti bachi, i quali rimangono stecchiti sui letti. Tutti i divisati malori possono attribuirsi alle comuni cause. Se ne aggiungono 273 ora due misteriosi, e che pajono contagiosi, almeno l’uno di essi: sono il calcino, o male del segno, e l’atrofia attualmente dominante in moltissimi luoghi, e che minaccia l'industria della seta. Ve ne dirò quanto basta a darvene una qualche nozione. Pel calcino i bachi verso la fine della quinta età, e talvolta nel bozzolo, muoiono, diventano di colore rosso di vino, e poi seccansi ed irrigidiscono senza corrompersi, intanto che la pelle si riveste di una tunica bianca come se fosse intrisa di calcina. Questa tunica bianca è dovuta ad una crittogama, alla così detta dotrite; la quale impian- tatasi nella pelle, la cuopre poi con i suoi microscopici propaguli, i quali si apprendono facilmente ai bachi vi- cini. In Toscana è questa una malattia rarissima; e ciò non già perchè vi manchi il germe, ma per ignote condizioni che la contrastano. Infatti, quasi tutti gli anni mi avviene di vedere un baco o due infetti di calcino, senza che mai il morbo siasi dilatato; e poi è di sovente venuto fra noi del seme di Lombardia , dove il calcino ha stanza favorita da molto tempo, e frattanto questa malattia non si è mai veduta epizootica. Nei luoghi favorevoli alla diffusione del calcino, pare che alle mura ed agli attrezzi della bigattaja sì attacchi qualche cosa , forse i seminuli della botrite, per mezzo di cui si appicca la malattia ai novelli bachi nel- l’anno di poi. Intorno alle cause ed ai modi di curarla , 0 di prevenirla, non sì sa niente di accertato. L'atrofia, reputata da taluni contagiosa e da altri no, aggredisce i bachi di tutto un ampio territorio; salvo non- dimanco alcune eccezioni, di cui non si può dare spiega- zione. Pare che le cause stiano nelle condizioni atmosfe- riche, ed anco nel seme; perciocchè da seme infetto provengono ordinariamente bachi ancora più infetti, men- trechè da seme sano recato in luoghi infetti nascono dap- prima bachi tanto sani da porgere buon ricolto, ma che sò 274 prima di fare il seme si ammalano cominciando nello stadio di bruco, ovvero in quello di crisalide o di far- falla. Nei luoghi infetti hanno riconosciuto esser unico compenso il rinnuovare tutti gli anni la sementa, tiran- dola da luoghi sani. La malattia apparisce specialmente nella quarta età, e molto più nella quinta e nel bozzolo. I bachi nati sani, vengono avanti prosperevoli iasino alla quinta età, quando cominciano ad annerire le punte degli sproni: talvolta si macchiano di nero le false zampe e tutta la pelle, mentrechè in certi casi tutta una zampa si abbrustolisce e dispare. Il baco tuttavia fa il suo bozzelo; ma o vi muore dentro prima di trasmutarsi in crisalide, o trasmutato assume una tinta nera, specialmente sotto al rilievo delle ali. Le farfalle venute da tali crisalidi hanno le ali piccine e sfi- gurate, con sopra macchie nere, le quali talvolta diven- tano vescichette piene di umore, prima gialliccio poi nero; la peluria del corpo sembra come affumicata; il ventre della femmina disteso oltre l’usato, talchè fra gli anelli del corpo rilevasi un come cercine membranoso, il quale apparisce disteso da un fluido che riempie l'addome ; i far- fallini e le farfalle intorpidiscono, procedono languidissi- mamente negli atti generativi, e la femmina muore con molte, o con tutte, le uova in corpo; sicchè scemasi in proporzione della intensità del nîorbo la quantità del seme che se ne cava. Se il seme è già malato, la nascita diventa ineguale, tarda, imperfetta; i bachi mangian poco, si estenuano e vengono morendo anco nelle prime età, in cui la malattia attacca più che altro la punta dello sprone. Siffatta punta separasene nella muta per guisa che, allo spogliarsi del baco, esso sprone apparisce mozzo; e se tale baco giunge a com- piere la successiva dormita, all’altra sveglia non mostra più che un mozzicone di sprone. Cotali bachi siffattamente mu- 275 tilati non faran bozzolo; ma in luogo d’ingrossare si as- sottiglieranno e finiranno con l’estinguersi. Per altro nei bachi nati da seme ammalato, il corso del morbo non differisce dal già descritto che nella fierezza maggiore. Adunque la malattia può cominciare nel seme, in ogni età del baco, nella crisalide e nella farfalla; talchè il baco nato di seme sano può infermare nello stesso modo che una crisalide venuta da baco sano ec. (1). S. 9. Ora ci resta un ultimo punto da esaminare: lo speso ed il retratto. Al primo capo si riferiscono : il frutto ed il deperimento dei capitali impiegati nella bigattiera e suoi attrezzi; il frutto delle spese di allevamento e le spese stesse, cioè: seme, foglia, lumi, stipe, mano d’opera. Al secondo, cioè al retratto, la valuta dei bozzoli, delle fra- sche, del letto dei bachi. Passiamoli tutti a rapida rasse- gna in questo specchietto, che vi ho apparecchiato sulla lavagna per l'allevamento di quattr'once di seme. Spese. Frutti dei Capitali. Fabbricati, brac. cube 900 circa, al prezzo di £ 1.20, i 1080, — al 5 per cento . . . - £ 54. 00 Graticci, brac. quadre 540 a cdataà 58 £ 343, 20, al 5 e v o » 47-99 SOBLAGENDOI LOG. 0a IL a » 420.—, al5Be 5% » » 6. 24 Fogli di carta, quaderni N.° 20. . » 40.—, al 20 » » 8. 00 Reti, brac. quadre 800 a cent. 25 il brac.» 200.—, al 5e% » » 40. 50 Lumi, trinciafoglia, stufina ed altri utensili minuti £ 60, al 6 » » 3. 60 Spese da rilirare per intiero. Seme di bachi, once &. . + . + È ae Iaia se "N°0906100 Foglia, 4139 centinzja circa, a £ 4. 50 il tosti » +. » 625. 50 N» è.» PT al ii A ci Stipa pel bosco, fasci N. Ò 80 a £ 26 il o ni lo fire Per la raccolta della foglia a cent. 50 il centinajo. +. +. . » 69. 50 Opere, N.° 4140 per il custodimento dei bachi, a £ 1. . . » 440. 00 e... Somma £ 952. 56 (4) Oggidì anco la Toscana , la quale si tenne salda contro i! calcino, soffre fuori di modo nella sua industria serica per |’ infierire dell’atrofia, Entrate. Da libbre 600 di bozzoli buoni, a £ 4, 50 . è»... +. £ 900, 00 » 20 ‘di faloppe buone, a w 0/50. . . METTO Dal letto dei bathi per mangime delle vacche o per letame . » 40. 00 Dalla.istipa riyenduta. +): sie gia nt ili Re Somma £ 960. 00 In questo specchietto trovate attribuito all'allevamento tutto. il frutto del fabbricato, mentre in una azienda i grana} ed altri scompartimenti si possono volgere, e si volgono effettivamente, ad uso di bigattaja. Notate poi che nella valutazione dello spazio non ci ho compreso le scale, che ho supposto essere in comune con. altri spartimenti del casamento. Quanto ai graticci, sapete che i contadini usano le stuoje di canna, le quali costano due terzi di lira, e misurano intorno a braccia quadre 12. Ma ove si con- sideri dapprima che i bachi non possono mettersi presso alle sponde della stuoja, sicchè lo spazio si riduce forse a 10 brac- cia quadrate, e poi la durata, la spesa annuale diventa ripartitamente quasi la stessa. Intorno alle reti, si trova minore economia adoprando fogli, i quali si stracciano o diventan presto inservibili per sudiciume o per infezione, laddove le reti si mettono in bucato e vanno avanti per lunghissimi anni, È da osservare primieramente che le reti debbono di alquanto oltrepassare le sponde dei graticci; e poi che ne occorre almeno un quarto di soprappiù per le mate: dei fogli ce ne vuole di avanzo almeno la metà per poterli asciugare. $. 10. Eccoci al termine dell’allevamento degli animali. Noi abbiamo trattato nel caduto anno dell'Agricoltura pro- priamente detta, nel presente della Pastorizia. Che ci resta ora a fare per compiere quel disegno che vi messi davanti nel cominciare questo corso di Lezioni intorno l’ Economia rurale? Esaminare l’Azienda rurale nel suo insieme, nelle 277 proporzioni e nei collegamenti delle sue parti. Fin quì ab- biamo fatto dell'analisi, ed un'analisi anco imperfetta; per- ciocchè non abbiamo con essa abbracciato tutte le parti di un'azienda rurale: ne sono restati fuori i fabbricati rurali, la gente rurale, i capitali. E la stessa terra, e le piante, e gli arnesi, e gli animali ec., non sono peranco da noi stati guardati dall'aspetto dell'organamento, della complessione direi quasi dell’azienda rurale. Se vi aggrada faremo insieme questo studio in un corso di Lezioni sul Governo dell'azienda rurale. Tutanto siccome chiusa dei corsi già fatti, vi metto sott'occhio due specchietti ; nel primo dei quali potrete vedere l’orditura generale dell'or compiuto corso di Pastorizia, e nell'altro le somi- glianze del fine e dei mezzi dell’allevamento delle piante messo a confronto con quello degli animali: gli ho tratti da una mia Prelezione ad un corso di Pastorizia detta nella nostra Università nel Novembre 1846, e già stampata nel- l'anno stesso nel Giornale Agrario Toscano. AVVERTENZE. A pagina 72, linea 24, in luogo di libbre 140, leggi 100. » 184, » 19, in luogo di quattro fiaschi, leggi tre fiaschi. Il testo di queste Lezioni era già composto con monete, pesi e misure di Toscana; ecco le equivalenze metriche : Un braccio lineare è uguale a eirca 58 centim.; un braccio quadro a 34 centesimi di metro quadro, ossia ‘a circa un terzo; , un braccio cubo a 199 millesimi, ossia a circa un quinto di me- tro cubo; Fiaschi 20 di latte, ossia 40 boccali , sono eguali a litri 45; Un sacco, ossia {re staja, ossia an ottavo di moggio, &uguale a circa litri 73; Un quadrato di terreno, quasi eguale a due stajate, ossia a due terzi di sacca ed a un dodicesimo di moggio, corrisponde ad ari 34; Una libbra equivale a 339 grammi; una lira a centes, 84. La PASTORIZIA nti den ur ire nr nl > ne < pe Mo ernia cei od i - le — _ mesi Orditura di un Corso di astorizia, insegna a rica- 1. La BIOLOGIA utile netto dagli animali domesti- | cirurali median- te l'allevamento | artificialedei me- desimi, e compr.< | | | naturale di tali animali, 0 i Pre- -1.° L’ANATOMIA liminari della e risioLocia --1.° L’apparato digestivo Pastorizia, che degli, stessi, che -2.° L'apparato cutaneo abbracciano — -4 esaminano — - —-|-3.° L'apparato locomotore | L4.° L'apparato generatore col lattigeno L9.° Lo Studio dei Mezzi Biologici esterni, che rac- --1.° Dell’aria atmosferica chiude quello —< L92,° De cibi e delle bevande r4.° 1 mezzi modifi- L92,° La BIOLOGIA catori delle ma- artificiale di tali | terie alimentari animali, ola Pa- -1.° PAstoRIZIA | propr. “dette, che -1.° La scelta degli alimenti storizia propria- generale, che ab- comprendono --+2.° La preparazione degli stessi mente detta, sud- | braccia — — — -+2.° I mezzi modifi- -3.° L’amministrazione degli stessi divisa ip --- —< | catori dell’aria --1.° Alla sua temperatura ambiente,quanto< | L3.° I mezzi modifi- -2.° Al suo rinnuovamento catori della mac- r-1.° L’ igiene L92,° PASTORIZIA china animale Diretto con ----+2.° Gli eccitanti speciale, la quale medes. in modo— --3.° L'amputazione si occupa dell’ -—Allevamento artifi- | L4.° L'impregnamento ciale del bove,del lIndiretto con - - «—L’accoppiamento pel cavallo, della pe- perfezionamento cora e del majale delle razze. ‘09 ‘ eue[ ep 9NE[ Ep auieo ep 07uawIEAA[[e,[ BIZ -110]Sed UI pa ‘99 eijs0J ep ‘o1n1j ep ‘aUlas Ep aJn]jno e| OUUEBIAB IS BIn}j09 +113Y UI 1809 ‘esita Ip eu Is 0Yo ejediourid auoIzapold ef a10)eogissejo o1dr9 “unid J8d opuei[sid arsoS3}e9 ul aseddnuS 0UOssod is i[ewiue ip o ejuerd 1p ijeroads MueweAa||e tjenb J “eiziso,seg U! “98 31092d a[[ep ‘ 1UIAOq lap 0)uewI | “eAQJ[e,] ‘In p[0o1iSy ut ‘99 ‘0A1[0,[{®P ‘00248 [op ‘ouI; [op e[eroads Eun)[no eq *BIZIIO)Seg Ul ‘09 ON1E[ [Ep O19e9 [I ‘OJIN I 94IBI]SO IP‘ IMIOUOI I ‘appe[ | ‘eu -e| el ‘aUIBO e[ QIBAJOSTOO Ip eIaIuewa e[ i eum joo1aSy Ut “09 Ee[noa; ‘018gIINZ ‘o1jo aJ1e1]sa Ip ‘iso;tatds 1Jonbi[| QuIeo ‘IWIS@poul lap osn pa 01012UIS “11Qqej Ip ‘99 185210] 1 “orpea a[ ‘enna; o] J8d nua]jo 173; 0poJd 1 ou a] ‘1UBJS 1 @JEAJOSUOO Ip essiueti eq+ -eogipow eyo 1|eIdgiz se IZZO | *BIZIIJO)SEq UI ‘09 QUOIZEJ]SBI el[au awo09 cuesio 010[ ago|enb a1eznd “ue Ip ‘ipeuue 1]3 a1eSedo.id rp Ipow — — QUIQIILLI 9] OULITIP ISIGAIP I ‘ B10)[0911SY UI ‘08 auo:Se]od E ; oh A E[lOu euI09 a}Jed 040] agofenb aseindue | ., "i 4 om sd ifniaiyta xa + cip agiog © |_i16? asia» pe È; rai Zoe Displaia ata dee soi izgbi È i piste - | Sianig Di ategaRbm ; io ica) "9 sd HI gia + ROSE uo soya È sii; sno ad giengiaret i gti Ct siii ® È as 033) "iti st imovib i ; cmplosirgA ni 29 Sabrina * = Sai DET ESw e “param ev ipa! È ; -thie fb .ilcamina Ha Svagegore! Mbidbatoz 37 (Tre tf dono poggio 4 i 2 ollag Rod osgono via] sdrisap oesttigar. ‘ SSL : n ii Dar -dee a sha te di ii va immotaed ni 199 SMoisstigeo. —*’ nsgia sins o 1 dia i [_inog ite sN VINI i picca e BO: ino - ta) Lei ni PA guess | ELI II via: Sor e Pa ep i LI î ol am (TAI TEAEIO, HosE 3 | DI c° sh s & Sie «addii ib 40 tgg@rati 43iD sl, us È im ne! siti int c2u: Bo aientaa > 3 Ò sa se 3 uouo avis sen ib ;a0}7aig mou! “ata POI Ri i nea alia ko SITR et alano - è. latt9gnaz sE giifiptionrtzA di .00 Gipgat 0191939 [ea Pap capi 00 è; e pl db Pia opt at .t019.0! 57196099 casino - sa i i hai è a n avmandeo ib: iminans i, 99981 Hi 09 lu gal gas. i sismi. 95 sti! lab c1w9 li 01 indie dle DA Ebblra 13 È ab I] + nd 2 lo MI gine Ibiza ci on oriotob Jonriz 8 call 1 siasde to ni [I IO Laise 2 ITAITRRT9:5 P i RO >» “ stanti 16 nici An» ° l GUT 4199 basti e 107 - aeinta to alaiis- ? " ; itato» gf i “sta ni io) ; avino ib er rd o si cadere e giulio «Mtoùzs'i ni bn .d0 &iigo? si. reti fasi riali + gprs n rig. Fig. Fig. rig. Fig. Fig. 6. SPIEGAZIONI DELLE FIGURE Toro di razza inglese corte corna, sul quale sono indicate le principali regioni esterne del corpo; cioè: A, garrese; B, dorso; C, lombi; D, grop- pa; E, punta della spalla; F, braccio; G, go- mito; H, avambraccio; I, carpo detto ginocchio ; J, cannone anteriore ; K, nocca; L, pasturale; M, corona; N, zoccolo ; F', coscia; H', gamba; I', garrelto; J', cannone posteriore; K', nocca; L', pasturale; M', corona; N', zoccolo. Scheletro di un cavallo con le sue relazioni ri- spetto ai contorni esteriori. R, scapola; T, rag- gio e cubite riuniti ; O, ossetti del carpo, ossia del così delto ginocchio; O, osso del metacar- po, ossia del cannone anteriore; P, ossetti sesamoidi della nocca; Q, prima falange, ov- vero osso del pasturale: X, seconda falange, ossia esso della corona ; Z, terza falange, ossia osso dello zoccolo; S', femore ; T', tibia e pe- roneo riuniti; D', ossa del tarso; O', ossa del metalarso, o del cannone posteriore ; Q, osso del pasturale, o prima falange; X', osso del co- ronale, o seconda falange ; osso dello zoccolo, o terza falange. Ossa del braccio e dell’avambraccio con un mu- scolo flessore. Giogo lombardo da bovi. A A , archi di legno che sì adattano ai colli dei due bovi ; B, staffa di ferro che riceve i timoni degli arnesi; C C, collane o giuntoje. Lavaradici. Apparecchio per cuocere a vapore certi foraggi. B, generatore del vapore; A e C, recipienti dove si pongono gli alimenti da cuocere ; E eD, tubi che:vi conducono il vapore dal generatore B. 36 Fig. "7. Trinciaradici a mano. Fig. 8. Trinciaradici a ruota. A, tramoggia, dove si met- tono le radici da trinciare; B, manubrio; C, ruota che porta le lame D. Fig. 9 Trinciapaglia a ruota. Fig. 10. Frangigranella. A, tramoggia; B, condotto di dove vengon fuori le granella schiacciate; C, manubrio; D, volano. Fig. 11. Pressa da formaggio. A, peso, il quale agendo ‘ all’estremità della leva muove un rocchetto, e quindi l’asta dentata C; B, cilindro, dove si pone la forma di cacio da soppressare. Fig. 12.' Areometro. a, asta graduata; bd, globelto vuoto; d, globetto pieno di pallini da caccia.. Fig. 13. Cremometro. Si empie di latte insino al collo: la panna sollevandosi occupa la parte gra- duata del tubo. Fig. 14. Zangola a movimento rotatorio. A, coperchio; B, manubrio, il quale mette in moto un al- bero C guernito di spatole, che battono la panna. Fig. 15.° Cavallo di Andalusia. Fig. 16. Cavallo inglese da corsa. Fig. 17. Cavallo inglese da tiro grave, della razza Black-horse. Fig. 48. e 19 Toro e vacca della razza da latte, dell’Ayrshire. Fig. 20: Vacca della razza Devonshire, stimata pei bovi da lavoro, per finezza di carne e per pre- cocità. Rig. 21. e ®2* Ariete e pecora di razza merina. Fig. 23: Majale di razza chinese. Lez. Lxz. Lez. Lez. Lez. Lez. INDICE DELLE LEZIONI I. Ordinamento della Pastorizia, e nozioni d’ Anatomia. — 8. 1. Or- dinamento della pastorizia. 2. Configurazione generale dell’ani- male, e regioni esterne. 3. “pe che riveste la macchina animale per di fuori e per di dentro. 4. Scheletro. 5. Le tre cavità: boccale, toracica e ventrale, e gli organi che vi si rac- chiudono. 6. Le mammelle ed i bulbi dei peli. 7. Il tessuto cellulare come cemento generale della macchina animale. da pagina 5 a 20 II. Nozioni di Fisiologia, ossia delle funzioni degli animali. — S. 41. Funzioni di nutrizione. 2. Funzioni di riproduzione. 3. Di- sposizioni organiche dell’apparato locomotore. 4. Funzioni dell'apparecchio locomotore nella stazione e nei principali mo- vimenti. 5. Dei temperamenti. . . . . . da pag. 21 a 39 III. Delle speciali conformazioni industriali degli animali. — $. 1. Indizj di attitudine alla soma ed alla sella. 2. Indizj di attitudine alla corsa. 3. Indizj di attitudine al tiro. 4. Indizj di attitudine alla carne grassa. 5. Indizj di attitudine al latte. 6. In- dizj di attitudine alla lana. 7. Indizj di attitudine alla prole. 8. Indizj di attitudine ai concimi. . . . da pag. 40 a 53 IV. Mezzi artificiali di modificare gli alimenti e le bevande. Scelta degli uni ada altre. — $. 41. Ufficj nutritivi degli alimenti e delle bevande. 2. Qualità diverse degli alimenti. 3. Equivalenti ali- mentari. 4. Qualità delle bevande . . . . da pag. 54 a 73 V. Preparazione degli alimenti e delle bevande. — $. 14. Dei modi diversi di modificare i cibi, ed in particolare dello sminuzza- mento dei medesimi. 2. Rammollimento dei cibi e cottura. 3. Fermentazione dei cibi. 4, Condimento dei cibi. 5. Beve- MOR) n - . + + da pag. 74 a 83 VI. Della Piso dei cibi e gi SA — $. 1. Quantità dei cibi in volume. 2. Quantità dei cibi in peso, e profenda di mantenimento. 3. Profenda di produzione. 4. Relazione tra la profenda edi prodotti. 5. Quantità di bevanda. da pag. 84 a 97 284 Lez. LEz. LEz. LEz. Lez. LEZ. Lez. LEz. INDICE VII. Dell'amministrazione degli alimenti e delle bevande. — 8. 1. Avvertenze sul pascolo esclusivo. 2. Stabulazione esclu- siva. 3. Avvedimenti speciali nel ministrare la profenda se- condo il genere di prodotto che si desidera. 4. Amministra- zione delle bevande. 3. Pascolo e stabulazione mescolatamente magi e e e e a PARSO? VIII. Dei mezzi artificiali. ih polini l’aria atmosferica. — $. 1. Composizione, densità ed agitazione dell’aria atmosferica. 2. Ufficj delle predette condizioni rispetto alla vita degli ani- mali. 3. Influenza dei climi, della elevazione, della esposizio- ne ec., sulla vita stessa. 4. Alterazioni dell'ambiente per parte degli animali viventi. 8. Condizioni di una buona stalla. 6. Ef- fetti comparativi del pascolo e della stabulazione. da pag. 108a 118 IX. Dei mezzi artificiali che modificano la macchina animale. — S. 1. Ufficj naturali ed artificali dei prodotti della Pastorizia. 2. Uf- ficio delle fregagioni della pelle nell’allevamento artificiale. 3. Influenza sulla macchina animale del levarne via qualche parte pel salasso o per la castratura. 4. Mutamenti delle razze atniali 0} Ni . . +» .0. da pag. 119 a 135 X. Dei prodotti IRA -. 8. Pacini manifestazioni della forza muscolare negli animali p. lavoro. 2 Finimenti di cui si munisce l’animale per le varie manifestazioni della forza mu- scolare. 3. La carne considerata come prodotto. 4. Peso vivo e peso morto, o netto dell'animale da carne. 8. Qualità diverse della carne. 6. Conservazione della carne. da pag. 136 a 148 XI. Continuazione dei prodotti animali. — $. 1. Ingredienti e qualità del latte. 2. Estrazione e conservazione del burro. 3. Estrazione e conservazione del formaggio. 4. Quantità e conservazione della lana. 8. Redami. 6. Concimi e loro conser- Vazieno:.%*. + + «+. da pag. 149 a 164 XII-XIII. perdonato ‘della. sode vaccina. — 8.41. Materia della pastorizia speciale. 2. Disposizioni organiche e modo di crescere della specie vaccina. 3. Razze vaccine. 4. Moltiplicazione delle vaccine. 5. Custodimento. 6. Prodotti. 7. Cagioni nemiche e ma- lattie. 8. Titoli di entrata e di spesa . . da pag. 165 a 192 XIV. Dell’allevamento della specie cavallina. — $. 1. Disposizioni organiche e modo di crescere della specie cavallina. 2. Razze. 3. Moltiplicazione. 4. Custodimento. 5. Prodotti. 6. Cagioni ne- michée-e ‘malattie 0") +04 0,000 1 PN da'ipag. 2909 a 206 XV. Dell’allevamento della specie ovina e della suina. — $. 1. Di- sposizioni organiche e modo di crescere. 2. Razze. 3. Moltipli- cazione. 4. Custodimento, 3. Prodotti. 6. Cagioni nemiche e ma- Lez. Lez. INDICE 285 lattie. 7. Cenno sulle capre. 8. Disposizioni organiche e modo di crescere della specie suina, 9. Razze suine. 10. Molltiplica- zione. 11. Custodimento. 12. Prodotti. 13. Cagioni nemiche e e... . . . .-da pag. 209 a 226 XVI. Confronto delle discorse specie di bestiame considerate sic- come macchine produttrici; ed occhiata generale alla pastorizia toscana. — $. 1. Confronto rispetto alla forza. 2. Alla carne, 3. Al latte. 4. Alla lana. è. Ai redami. 6. Ai concimi. 7. Rias- sunto generale. 8. Condizioni della Toscana rispetto alla pasto- rizia. 9. Maniere varie di custodimento. 10. Stato delle produ- zioni. 11. Vizj fondamentali. . . . . . da pag. 227 a 244 XVII. — Appendice alla pastorizia. — Allevamento dei bachi da sela. — $. 1. Disposizioni organiche, 2. Vita del baco. 3. Con- seguenze applicabili allo allevamento artificiale. 4. Condizioni della bigattaja. 8. Stufina da cova, 6. Trinciafoglia. 7. Castelli. 8. Carta, reti e bosco. 9. Foglia:. . . . da pag. 245 a 258 Lez. XVIII. Continuazione dell'allevamento dei bachi. — 8. 1. Cova del seme. — 2. Prima età dei bachi. 3. Seconda età. 4. Terza età. 5. Quarta età. 6. Quinta età. 7. Fattura del seme e sua conservazione. 8. Cagioni nemiche e malattie. 9. Titoli di en- trata e di spesa. 10. Chiusa . . . . . da pag. 259 a 277 de asia bon 4 vdiretio Tabiano gi ic ‘Gr dla va adiyirià 9 iadbge Nt LilotiontE E ) pes #08 eif"Aptt. i groiolfi Fi Sile O | n riatiano Sort 18 sig iti si vario nilo sibismag pinidivo Bo visi " sta RA Ri “alte obiogri “dra too È ssi To dali Ad Stati A $ padf ati cola th drssiala CAGIIT (A talbinibao LE n d LI ur î di Pere j è.” _uboty ati dda a? dito ib s940°4 Lie rt gni go rasa da i by ph iS at ddt dee pre UNESTL n Sad an pe dig ssi La DU dlstoftitio “SfasiaVsba dg ld Le siecisiaditt 10 vos alii SEG ERO ig Ad N pila KE svi PE SR CRT crv rad ns * sid È Alp sbaiorn3 È loda 1A) Is act: ani ag 9° Seta ob RAMO sini) A et nb ia 1 ORE tati pra stiva Sl riccio GGI ioni dn" - Sile sodi do Ai) e mo, "y £ A #1 dA alone x "TO FI RI e. uié di0E » I Ì A Ct i ia ta relase Da n pei 5 è DI 19 - E a (4) bj ic F. | SARI UN n par pl ‘ s4 BRAVI ANO Tet I R | pai Yà DR "a Fao bag . et dhe fl prog f x - p # n PA SE: 3 Ul le di A } LI Wa #44 DI” = Re Ù i ? 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